After Dark di Kamper (/viewuser.php?uid=65953)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: My spirit will go on ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Nessun Dorma ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Sympaty for the Devil ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: What I've Done ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Il mostro ***
Capitolo 1 *** Prologo: My spirit will go on ***
PROLOGO
MY SPIRIT WILL GO ON
Dragonforce, dall’album Sonic Firestorm [2004]
One more time to escape from all this madness
One more time to be set free from all this sadness
And one last time to be the one who understand
That my soul and my spirit will go on
For all of eternity
Un’altra possibilità per fuggire da questa pazzia
Un’altra possibilità per essere liberato da questa tristezza
Ed un’ultima occasione per essere quello che capirà
Che la mia anima e il mio spirito sopravvivranno per tutta l’eternità
Luogo sconosciuto, anno sconosciuto, ora sconosciuta
***
Quanto eternamente grande può essere il dolore, quando perdi in istante tutto
quello per cui per te aveva senso vivere? E soprattutto quando, dopo un
eternità di tempo passato a combattere contro te stesso, avevi finalmente
trovato una nuova strada?
Quanto eternamente forte può essere l’odio, quando l’artefice delle tue perdite
è dinanzi a te, ed è la persona che meno di ogni altra avresti pensato di
incontrare?
Ed infine, quanto eternamente lungo può essere l’istante in cui, impietrito,
resti fermo a guardare il tuo nemico, che ricambia il tuo sguardo, aspettando
che la tua mente metabolizzi tutto quello che ti era appena successo,
indugiando, e anzi ancora gustando ogni minimo istante di sofferenza nel tuo
sguardo?
La risposta è una sola.
Eternamente infinito.
«mi… dispiace…» sussurrò una delle persone ai miei piedi, prima di spirare con
un rantolo, dopo aver pronunciato il mio nome.
Sul terreno giacevano, in pose contorte, i corpi di tutte le persone che avevo
amato.
Stavano morendo, ma non tutto era perduto…
La mia compagna era ancora con me. La presi per mano, stringendola con forza.
«Yoru, sei ancora con me? Combatteremo ancora insieme, un’ultima volta?» sussurrai. In
realtà non sarebbe stato neanche necessario parlare, lei avrebbe sentito lo
stesso.
Nello stesso modo lei non poteva rispondere direttamente con le parole, ma
dentro di me percepivo una sensazione, che entrava in risonanza con la mia
anima.
Ti dono me stessa. Usami. disse.
Dentro di me la sentivo, la sua voce senza parole. Mi spingeva ad affrontare il
mio destino, e a cambiarlo. Una cosa con non mi succedeva da molto tempo. E di
tempo ne avevo vissuto parecchio.
Vibrava dentro me, al ritmo di un battito cardiaco accelerato, infondendomi un
calore inimmaginabile.
Possibile che il mio corpo freddo come il ghiaccio potesse ancora sentire
qualcosa del genere?
Per antonomasia esseri come me non avevano l’anima, mi avevano inculcato questa
idea fin da quando ero un ragazzino, e io ho sempre continuato sul mio sentiero
con questa convinzione,fino a quando il destino, sottoforma di uno di quei
mostri che avevo giurato di combattere, decise di far diventare me stesso una
creatura senza-anima.
Ironico che proprio un essere senza cuore come me, e non solo in senso
figurato, si fosse fatto convincere del contrario proprio da un altro di quei
mostri…
Edward Cullen.
Solo a ricordare il suo nome mi venne il nervoso.
Ma aveva ragione, alla fine.
Innegabile, irritante, ma innegabile.
Evitai di pensarci troppo. Avrebbe potuto sentirmi. E ammettere che aveva
ragione avrebbe stampato sul suo volto da fotomodello uno di quei sorrisi
sghembi che mi facevano veramente incazzare.
Cullen, spero con tutto me stesso, con tutta la mia anima, che dopo questa
ultima battaglia potrò ancora imparare qualcosa da te… se mai ci vedremo
ancora.
L’altra persona era ancora lì, in estasi ad assaporare il mio dolore, ma quando
mi vide prendere la mia bellissima Yoru incominciò a preoccuparsi.
«Non ne hai ancora abbastanza?» disse, pronunciando il mio nome «tutto quello
per cui combattevi non esiste più! Non ha più senso combattere! BASTA!!!» urlò.
Ma io non lo sentivo. Sapevo che c’era ancora un modo per aiutarli.
E sapevo che avrebbe funzionato.
Conoscevo quel metodo da molto tempo, da quando venne usato proprio su di me.
Il problema, fino a quel punto, era pensare perché mai avrei dovuto usarlo su
di loro.
Ma in fondo a me stesso lo sapevo.
Perché era la cosa più giusta da fare.
Mi alzai in piedi, sorretto da Yoru, e mi misi in posa da combattimento,
mostrando i miei denti candidi e affilati come rasoi. La mia pelle emise un
bagliore opalescente, quando un raggio di luna fece timidamente capolino dalla
coltre di nubi scure che coprivano quella notte.
«È la fine. Questo concluderà tutto, preparati.» dissi, alzando gradualmente la
voce.
Poi corsi contro di lui insieme a Yoru, che unì la sua voce argentina al mio
grido di battaglia.
Anche lui fece lo stesso.
La distanza che ci divideva si ridusse in un attimo.
Uno schianto…
Un urlo…
E poi…
Il raggio di luna sparì, riportando il tutto al buio e al silenzio dal quale
era uscito. |
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Capitolo 2 *** Capitolo 1: Nessun Dorma ***
1
NESSUN DORMA
Manowar, dall’album
Warriors of the world [2002] a sua volta cover dell'omonima aria di Giacomo Puccini dalla Turandot
Nessun dorma, nessun dorma…
Tu pure, o principessa
Nella tua fredda stanza…
|
|
Forks (Washington),10 settembre, 3:00
AM
Isabella Cullen
A volte la vita sa essere tremendamente ingiusta, non
pensate? Ti regala attimi, sogni, speranze, felicità, meraviglie ed amore,
salvo poi riprendersi tutto in un istante, lasciandoti sola e vuota, peggio se
possibile di come stavi prima.
«E’ già passato un anno» mi dissi.
Era il mio primo compleanno, e per adesso lo stavo
passando da sola. Senza né’ mio marito né mia figlia.
Per la precisione lo stavo passando in compagnia di me
stessa. Ed era più di quanto volessi. Nonostante i ricordi della mia vita
precedente fossero sfumati, come dietro ad una cortina di nebbia, non
impenetrabili, ma difficili da raggiungere, l’ombra della timida e impacciata
Isabella Swan mano a mano che si avvicinava il giorno
della mio “primo compleanno” avevano cominciato a tornare con estrema
chiarezza, diventando quasi una personalità dissociata dentro alla mia testa,
una specie di grillo parlante.
Arrivato il giorno fatidico, ormai Bella Swan era completamente risvegliata in me. Il primo
desiderio che venne in quel momento fu di tornare dove tutto era ricominciato,
da sola.
E infatti in quel momento ero lì, distesa sul pavimento
della mia vecchia camera da letto, nella casa di mio padre Charlie. Non ci ero
più entrata dal giorno in cui mi ero sposata.
Rimasi interdetta quando ci rientrai. Era rimasta tale e
quale all’ultima volta che l’avevo lasciata. Come se non me ne fossi mai andata
via. Quel giorno, l’ultimo da Isabella Swan, avevo
provato il mio abito bianco, e poi la notte Edward se ne era andato via insieme
ai suoi fratelli Emmett e Jasper, per la sua festa di
addio al celibato. Una festa che comprendeva Orsi e Puma, come da preferenze di
famiglia. Edward era uscito proprio da quella finestra, la stessa da cui ero
entrata poco fa, silenziosa come solo un’esponente della mia razza poteva
essere.
Nella camera ogni cosa era al suo posto, come un anno fa.
Secondo gli standard umani non c’era neanche un po’ di polvere sui mobili.
Charlie la puliva in continuazione. Il mio olfatto mi permetteva di sentire il
suo odore che permeava la stanza, e soprattutto il cuscino su cui una volta
dormivo. Un odore pungente e salino. Lacrime.
La mia partenza, non solo dalla sua vita, ma anche dal
mondo degli umani, lo aveva distrutto psicologicamente. Poco contasse che mi
vedesse in continuazione. E che vedesse di continuo anche sua nipote, mia figlia
Renesmee. Non ero più la sua bambina.
Quando lo compresi, rimpiansi veramente che questo mio
corpo assurdamente bello non fosse più capace di piangere. Mi sarebbe servito,
e sarebbe servito anche alla Bella Swan, che nei
sotterranei della mia mente stava lasciandosi andare ai bei ricordi di quando
ancora il suo cuore batteva.
Adesso mio padre dormiva, ovviamente. Lo sentivo, con il
mio udito sopraffino, nella stanza affianco. Si stava agitando nel sonno. Il
suo battito cardiaco era accelerato. Probabilmente stava sognando ancora una
volta la mia partenza. Era un incubo ricorrente di cui mi aveva parlato. Ed era
qualcosa a cui io non potevo porre rimedio. Non più ormai. Avevo fatto la mia
scelta già tanti anni fa, conscia di quanto dolore mi potesse provocare.
Sentivo il dolce sapore del suo sangue, che mi fece
bruciare la gola dalla sete, ma come sempre l’amore che provavo per lui mi
permetteva facilmente di mantenere il controllo.
Ero distesa sul pavimento perché, se mi fossi stesa sul
letto, Charlie, in una delle sue crisi di pianto sul mio cuscino avrebbe capito
che ero stata lì, e ciò lo avrebbe fatto di sicuro soffrire ancora di più. Il
mio odore era facilmente riconoscibile. Sul pavimento non se ne sarebbe accorto
più di tanto. Sarebbe stato meglio così.
Guardavo assorta le venature del soffitto, ripensando a
quanto mi era accaduto nei due anni precedenti, di sicuro i più belli e nel
contempo i più pericolosi della mia vita.
A pensarci bene, sembra quasi un sogno. La trama di un
libro.
Quando venni a Forks, l’unico
mio desiderio era di passare un po’ di tempo con mio padre, in attesa che mia
madre trovasse un posto fisso insieme a suo marito, giocatore di Baseball.
Io odiavo Forks, cittadina di
poco meno di tremila anime, nel cuore della penisola olimpica, con la più alta
concentrazione di giorni piovosi annuali di tutto il New England. E io ho
sempre odiato qualsiasi cosa fredda sulla mia pelle.
Paradossalmente, adesso questa sempiterna pioggia mi
aiutava a vivere in mezzo alla gente. Scordatevi però tutti quei cliché tipici
dei romanzi o delle leggende, o delle puntate di Buffy
the vampire slayer. Noi non andiamo in briciole alla
luce del sole. Molto peggio, ci mettiamo a splendere come sfere da discoteca.
Anche tutte le altre cose, come croci, aglio e bare in
cui dormire, sono solo idiozie. Anzi, noi non dormiamo affatto, cosa che rende
tremendamente noiosa, certe volte, la nostra esistenza eterna.
Ma dopotutto io ero in questo stato solo da un anno, non
avevo motivo di lamentarmi. Mio marito aveva ottant’anni più di me, e di sicuro
ne ha avute di peggiori di queste crisi!
Tra l’altro, non è che nell’ultimo anno io ed Edward
abbiamo passato le notti “discutendo di come risanare il debito pubblico”…
Assorta in quei pensieri non mi accorsi subito di
quell’odore. Era buono, muschiato. Pino, ginepro, acero, corteccia d’abete, resina, foglie e fiori.
Una strana mescolanza di aromi naturali che mi ricordavano il profumo della
radura dove Edward mi mostrò la sua sfavillante natura di vampiro, che veniva
rivelata dalla luce del sole.
Veniva da fuori, dalla strada. Si stava avvicinando
qualcosa.
Mi alzai di scatto e in un lampo fui subito alla
finestra. Anche nella notte buia e sferzata dalla pioggia io ci vedevo
benissimo, quindi non ci misi che pochi istanti per notare, coperto da un’ombrello, il povero essere umano che, in preda a qualche
strana mania masochistica, stava girando per le strade buie di Forks in piena notte con un tempo da lupi.
E il vampiro che lo stava seguendo, probabilmente per
aggredirlo.
Da quando ero diventata una “sanguisuga” avevo cercato,
inutilmente, di fare pace con la mia coscienza quando vedevo un atto del genere
perpetrarsi in tutte le città che ho visitato in viaggio con Edward.
Ma non potevo sopportare di vederlo accadere davanti ai
miei occhi, nella mia città. Uscì subito dalla finestra, richiudendola
dolcemente, poi mi aggrappai all’albero di fronte, osservando l’evolversi della
scena, pronta ad intervenire.
L’umano in quel momento girò l’angolo, scomparendo alla mia
vista. Il suo agile inseguitore con un balzo scese dal tetto da cui lo stava
seguendo, toccando il suolo senza emettere rumore.
Era di sicuro un errante esperto, sarebbe stato di sicuro
molto difficile farlo desistere.
Mi preparai a parargli la strada, impedendogli di
proseguire, quando il sentore naturale che avevo avvertito poco fa si fece
ancora più intenso. Non me ne ero resa conto, non proveniva da lui. C’era un
terzo vampiro.
Lo aveva percepito anche lui, dato che si fermò.
Annusava l’aria, cercando di capire da dove provenisse,
digrignando le mascelle. Temeva che quel nuovo arrivato gli sottraesse la sua
“preda”.
Guardò anche nella mia direzione, ma per qualche strano
motivo non mi scoprì.
Incominciò a correre, seguendo la scia dell’umano, non
era lontano.
Non potevo più aspettare, scesi dall’albero e scattai
anche io all’inseguimento. Dovevo fermarlo, a qualunque costo.
Ma non ero neanche arrivata a metà della strada quando
sentì, nella direzione presa dall’umano, un urlo lancinante, tanto potente che
sembrava squarciare il velo stesso della notte. Mi resi subito conto di due
cose, in rapida successione.
Uno, ero arrivata troppo tardi.
Due, quell’urlo non era umano.
Tre, anche se erano due le cose di cui mi ero accorta, in
contemporanea con l’urlo, un falò aveva incominciato a brillare in mezzo alla
traversa che avevo appena varcato, mentre la tempesta infuriava. Ed era un falò
che emanava un odore terribilmente dolce.
L’umano era lì, a terra. Nonostante la confusione
riuscivo a vederlo respirare. Era ancora vivo, ma svenuto.
Accanto a lui c’era un’altra persona, di spalle. Non
aveva l’ombrello, e si stava prendendo la pioggia coperto solo dal cappuccio
della sua felpa nera. Con una strana facilità raccolse da terra l’uomo e lo
posò sotto il portico di una casa vicina, poi si allontanò con calma. E fu a
quel punto che mi notò.
Il fuoco del rogo mi permetteva di scorgere solo una
parte del volto. Ma di tutto il viso che riuscivo a scorgere, non riuscì a
guardagli altro che gli occhi.
Rossi scarlatti del sangue più puro.
Vampiro.
E vibravano d’odio. Diretto verso di me.
Mi osservava senza muoversi, ma notavo che ogni suo
muscolo, mascelle comprese, era in tensione, pronto a scattare.
Per la prima volta in vita mia, o almeno nella mia vita
da Vampira, ebbi davvero paura di morire.
Indietreggiai, un passo alla volta, allontanandomi da
quell’inquietante essere.
Poi cominciai a correre.
Mi lanciai nel bosco vicino alla casa di mio padre come
un fulmine, saltando di ramo in ramo senza quasi toccare terra, diretta alla
residenza della mia nuova famiglia.
Avevo una marea di domande nella mia testa, delle più
disparate, dal chi era quel tizio al come avesse dato fuoco all’altro vampiro
in mezzo ad una tempesta.
Domande su domande che si accavallavano nella mia mente
spaziosa. Ma non trovavo risposte soddisfacenti.
Dovevo fare quelle domande all’unica persona che sapevo
avrebbe sicuramente trovato una risposta.
Il padre adottivo di mio marito, il capostipite della
famiglia Cullen. Carlisle.
Stavo andando a casa sua. |
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Capitolo 3 *** Capitolo 2: Sympaty for the Devil ***
2
SYMPATHY FOR THE DEVIL
Rolling
Stones, dall’album Beggar’s Banquet [1968]
Please allow me to introduce myself
I’m a man of wealth and taste
[...]
Pleased to meet you
Hope you guess my name, oh yeah
Ah, what’s puzzling you
Is the nature of my game, oh yeah
Permettete di presentarmi
Sono un uomo ricco e di gran classe
Piacere di conoscervi
[...]
Spero abbiate indovinato il mio nome, oh si
Ma quello che vi lascerà perplessi
È la natura del mio gioco, oh si
|
|
Ne ho... ucciso... un altro... ma non mi sento...
ancora soddisfatto... questo umano... l’odore è così invitante... non mi nutro
da settimane... ma non posso... ho giurato... tortura...tortura... brucio...un
altro... devo ucciderne un altro...devo andare via... questo umano... se resta
sotto la pioggia si ammalerà...all’asciutto... sotto quel portico... devo
scappare... di sicuro l’urlo avrà svegliato qualcuno...andiamocene...
ma... cos’è questo odore? Quella ragazza... mi ha
visto... un’attimo... VAMPIRA! Un’altra! Ma... quegli occhi... non è...ugh...
sete... tanta sete... stà scappando... inseguire...inseguire... INSEGUIRE!
Forks (Washington),10 settembre, 3:32 AM
Isabella Cullen
Stavo scappando come se avessi avuto il diavolo alle
calcagna, e può anche darsi che fosse vero... Non ho mai visto un vampiro
spaventoso come quello. Neanche James era tanto terrificante. Ma una cosa in
comune ce l’avevano. Entrambi mi volevano uccidere.
Andavo talmente veloce che oramai, persino per la mia
superiore vista, gli alberi e le fronde si erano ridotte ad indistinte macchie
di verde.
Comunque pensavo di averlo seminato, dopotutto avevo
sparso la mia traccia in un raggio di ottanta chilometri attorno alle montagne
della penisola olimpica, fin quasi a toccare il confine canadese. Per un po’
non sarebbe riuscito a risalire alla mia destinazione finale. In più avevo
volutamente sforato attraverso il territorio della riserva indiana di La Push,
tribù con cui la mia famiglia anni fa fece un patto di mutua collaborazione, consistente
nel “quieto vivere”.
La mia famiglia non avrebbe ucciso umani, e loro gli
avrebbero permesso di abitare nella cittadina di Forks.
Appena avessero sentito un vampiro estraneo nel loro
perimetro sarebbero subito accorsi. Quando si tratta di intrusi, sono davvero
dei Lupi...
Comunque la situazione era seria, dovevo subito informare
la famiglia.
Rilasciai la mia barriera mentale, un dono che possedevo
fin da quando ero umana, che mi rendeva immune a molti poteri dei vampiri, e
pensai a tutta forza, come se urlassi. Edward, che era dotato del potere di
leggere nel pensiero, mi avrebbe sicuramente sentita anche a grande distanza,
dato il legame che ci unisce.
«ED! Grosso guaio. Chiama tutta la famiglia a raccolta
nella residenza Cullen e attendimi lì. Stò arrivando. Avvisate anche Jacob e
Renesmeé di stare lontani. Non devono avvicinarsi alla casa!»
Mia figlia era una mezzo vampira. Io ed Edward la
concepimmo quando ancora ero umana. Eravamo entrambi ignari dei guai e dei pericoli
che poi avremmo passato in futuro. Ma in fondo, guardandola, direi che ne è
valsa la pena di rischiare la vita per lei.
Per me la salute di mia figlia e del mio migliore amico
venivano prima della mia stessa vita, non avrei mai sopportato una eternità di
rimpianti se gli fosse successo qualcosa.
Nonostante il suo cuore battesse a tutti gli effetti,
Renesmeé condivideva la nostra dieta a base di sangue animale, e possedeva
anche dei sensi e dei riflessi paragonabili a quelli vampireschi.
Altra particolarità era il suo metabolismo accelerato.
Nonostante avesse sostanzialmente poco meno di un anno di età, fisicamente ne
dimostrava almeno sei, e la sua intelligenza e coscienza di se erano ormai
quelle di una adolescente. Era molto ricettiva.
Ripetei il richiamo a intervalli di pochi secondi, fino a
che fui sicura al cento per cento che mi avesse sentito, poi mi diressi verso
casa.
Mentre proseguivo, concentratissima sul tragitto da
seguire, un’altra persona mi si affiancò all’improvviso. Alto, bello come un
dio greco, i capelli ramati scintillanti persino nel buio della notte coperta
dalle nuvole.
E ogni volta che vedevo mio marito Edward avevo sempre
paura di svegliarmi e aver sognato tutto.
Era impossibile credere che quei bellissimi occhi color
ocra, che in quel momento mi scrutavano preoccupati, fossero miei e solo miei,
legati indissolubilmente alle fedi nuziali che portavamo al dito.
«Cosa ti è successo, amore?» disse, visibilmente scosso.
A quanto pare il tono in cui avevo pensato quelle parole lo avevano turbato.
Nonostante la vampa di ammirazione ogni volta che posavo
gli occhi su di lui, non potevo fare a meno di pensare che non mi aveva
ascoltato.
«Ti avevo detto di aspettarmi alla villa, non di
raggiungermi!» dissi io con irritazione, ma prima che potessi aggiungere
qualcosa, Edward mi precedette.
«Alice, Jasper ed Emmett sono già alla villa. Rosalie ed
Esme sono andate a prendere Carlisle, aveva il turno di notte all’ospedale.
Mentre arrivavo qui ho incontrato Seth. Ha avvertito Jacob.»
«Bene.» ebbi appena il tempo di rispondere.
«Adesso dimmi, cosa è successo? Che guaio hai combinato
per richiedere la presenza di tutti noi, e addirittura di tenere lontana Nessie
da te. Lo sai che a lei non piace staccarsi da te, anche quando è insieme a
Jacob.»
Sbuffai di risentimento quando sentì quel nomignolo.
Jacob aveva dato a mia figlia il nome del mostro di Lock Ness, perché il nome
completo gli suonava troppo complicato, ma, per quanto mi riguardava, mia
figlia nonostante fosse una mezzo vampira e mi avesse quasi uccisa mentre la
partorivo, non è mai stata un mostro.
«Ormai siamo arrivati, te lo spiego davanti a tutti.»
Alla massima velocità consentita dalle nostre forze
sovraumane, arrivammo in meno di trenta secondi davanti alla residenza dei
Cullen, una meravigliosa villa in stile moderno sulla riva del fiume.
L’intera facciata sud, quella che dava sul fiume stesso,
era coperta di finestre per poter godere al massimo dei meravigliosi tramonti
che la valle dei monti olimpici sapeva offrire, ovviamente quelle poche volte
che il cielo non era coperto.
Mia cognata Alice era già lì sotto il portico ad
aspettarci, intenta a rimaneggiare un mazzo di genziane sul davanzale di una
finestra. La sorella di Edward aveva gusti molto particolari in fatto di
passare il tempo. Sembrava avere una passione speciale per tutte le cose che
cambiavano nel tempo, come ad esempio i fiori. E gli esseri umani. Aveva
vissuto tutti i suoi primi quindici anni chiusa nel buio di una cella di
isolamento in un sanatorio, senza quasi mai vedere la luce del sole. Ed era
stata trasformata in vampira per misericordia, solo perché gli venisse
risparmiata una orrenda morte per mano dello stesso essere che anni dopo
attentò alla mia vita. James.
Ma comunque io tutt’ora non riesco a comprendere appieno
Alice. I suoi strani modi, coadiuvati dalla inusuale dote di vedere nei
possibili futuri che possono portare le nostre scelte, ne hanno sempre fatto
una incognita totale persino per Edward, che pure può ben dire di conoscerla
meglio di tutti noi.
Appena si rese conto della nostra presenza balzò giù
dalla scaletta con la grazia di una ballerina e in punta di piedi corse ad
abbracciarmi.
«Buon compleanno Bella!» cinguettò.
Nonostante il momento drammatico, non era davvero
possibile non farsi travolgere dal suo buonumore.
«Oggi smetti a tutti gli effetti di essere una neonata,
quindi bisogna festeggiare.» disse, indicandomi una sequenza di addobbi appesi
a tutte le finestre.
Tolsi la mia barriera mentale e pensai, guardando Edward.
Ma non mi avevi detto che li avevi avvisati?
Edward rispose con una scrollata di spalle, visibilmente
divertito, poi sillabò Li ho avvisati, ma ad Alice non è sembrato abbastanza
grave per dimenticarsi di questa ricorrenza...
A quanto pare giudicava il mio “guaio” non di troppo
conto, dato che Alice non aveva visto nulla di pericoloso nel futuro.
E questo, col senno di poi, fu la nostra rovina.
Nonostante tutte le mie proteste, non riuscivo a porre un
freno al suo entusiasmo. «Alice, non abbiamo tempo per queste cose! Abbiamo un
problema più grave a cui pens...»
Mi fermai di scatto tutti e tre lo avevamo sentito. Il
rumore di un fruscio. Proveniva dal bosco alle nostre spalle.
Edward e Alice, entrambi coi loro metodi, si voltarono
all’unisono verso la foresta ad est della casa, e poi fecero un enorme balzo all’indietro
di parecchi metri, trascinandomi con loro.
Una frazione di secondo dopo, con la velocità di un
proiettile un essere piombò nello spazio di fronte alla casa, nel punto in cui
fino a qualche istante prima c’ero io.
Si rialzò in piedi. Era lui, senza alcun dubbio. Il
cappuccio tirato sulla testa non nascondeva i suoi occhi rosso scarlatto, che
nelle deboli luci della veranda scintillavano ancora più forti di prima. Non
c’era bisogno del potere di Edward per comprendere le sue intenzioni.
Quello mi voleva morta.
E non sapevo neanche perché!
Possibile che da vampira la mia capacità di attirare
sventure sia aumentata a livelli da catastrofe biblica?
«Si... decisamente si...» rispose Edward.
Avevo dimenticato di riattivare la mia barriera mentale.
«Non mi dire... è questo il grosso guaio?» continuò.
«Si. Pensavo di averlo seminato, non capisco come abbia
fatto a ritrovarmi tanto presto.»
«E perché sembra avercela a morte con te?»
«E a me lo chiedi?»
«Non fa altro che ripetere “uccidere”... e nei suoi pensieri
ci sei solo tu.» rispose, nel tono una punta di irritazione.
Alice mi si fece più vicina. «Non preoccuparti. Lui è da
solo, e noi siamo in cinque, contando anche Emmett e Jasper che fra tre secondi
e quattordici decimi da quando finirò di parlare varcheranno la soglia di casa.
Non permetteremo a nessuno di farti del male.» Mi lusingava che avesse contato
anche me nel conto, ma anche se cercava di tranquillizzarmi, non aveva molto
successo. Neanche Jasper, che poteva controllare le emozioni di chi gli stava
attorno, sarebbe riuscito a sciogliere la mia tensione.
Di fronte a quel vampiro, e a quello sguardo carico
d’odio, io mi sentivo impotente proprio come se fossi stata ancora umana.
Quegli occhi mi rammentavano James.
Dal canto suo il nemico, si capiva benissimo, ci stava
studiando. Pareva sorpreso dalla presenza di Edward e Alice, ma non spaventato.
A quanto pare l’inferiorità numerica non lo preoccupava.
Incominciò a ringhiare. Un ringhio di sfida rauco e
profondo. Ira allo stato puro.
In quel momento sia Emmett che Jasper varcarono la soglia
di casa, ponendosi alle spalle dell’intruso.
Il ringhio terminò, sostituito da una voce, profonda e
bella come quella di un angelo.
«Piacere di conoscervi, esseri impuri. Siete in parecchi,
trovate questi luoghi molto utili per cacciare escursionisti...» disse,
continuando a guardare me.
Il suo corpo era preda di spasmi nervosi. Tremava e si
muoveva a scatti.
Non ci diede il tempo di ribattere alla sua affermazione,
però, perché si mosse ad una velocità sicuramente paragonabile a quella di
Edward. In un istante fu dinanzi a noi. Con un colpo di palmo spedì Jasper al
di là del fiume, ottanta metri più avanti. Sentì lo schianto di almeno un paio
di alberi.
La sorpresa era troppa per Emmett, che non riuscì a
schivare il seguente calcio diretto a lui. Ai miei sensi il tempo parve
rallentare, quando il suo volto sbalordito sfrecciò a poca distanza dal mio,
arruffandomi i capelli.
Il volo di Emmett si concluse con precisione millimetrica
nella rimessa della casa. Il fracasso di vetri infranti e l’imprecazione
successiva di Edward mi fecero capire che si era schiantato proprio sulla sua
macchina.
All’unisono Alice, Edward ed io ci lanciammo all’attacco,
accecati dall’ira. Mettemmo in pratica uno schema già studiato tempo fa. Ci
separammo, io e mia sorella lo prendemmo alle spalle, mentre Edward lo
fronteggiò direttamente.
Vidi la sua espressione sorpresa quando il suo pugno lo
colpì direttamente sul viso, scagliandolo lontano. Prima che toccasse il suolo,
Alice con l’agilità di un gatto gli saltò sopra e lo scaglio contro di me, pronta
a bloccarlo in una presa, come fosse stato un pallone da rugby. Nonostante si
stesse esaurendo il periodo, ero ancora la più forte della famiglia, forte
quanto Emmett. Appena lo avessi stretto, non sarebbe di sicuro stato in grado
di fuggire.
Si avvicinava sempre più, quando sollevò la testa,
guardandomi dritta negli occhi. Improvvisamente estrasse da dietro la schiena
quello che a prima vista pareva la custodia di una canna da pesca, nera come la
sua felpa.
Poco prima del contatto la piantò nel terreno con un
suono sordo, e sfruttò il cambio di baricentro per cambiare posizione,
colpendomi al ventre con un pugno.
Non mi ricordo di aver mai provato veramente dolore, da
quando mi ero trasformata. Se si esclude ovviamente la trasformazione stessa.
Ma in quell’attimo in cui venni colpita, mi parve che una
palla di cannone mi avesse centrata in pieno. Sentivo irresistibile la forza
che mi spingeva lontano dal nemico, in volo, senza peso come una piuma.
Il mio viaggio fu interrotto bruscamente da Jasper, che
mi intercettò, posandomi a terra.
«Grazie» dissi.
«Non ce n’è bisogno Bella» disse sorridendomi, poi tornò
con un balzo dall’altra parte del fiume per dar man forte ai fratelli.
Mi resi conto che, anche se volevo rendermi utile, non
avevo assolutamente esperienza nel combattimento. Nei mesi precedenti mi ero
addestrata in maniera basilare, ma alla fine tutto ciò che possedevo era solo
il mio istinto acquisito, che contro quell’essere di sicuro non sarebbe servito
a molto.
Dopo la sbandata iniziale, aveva incominciato a non farsi
cogliere più di sorpresa. Schivava tutti i colpi di Edward, come lui riusciva a
prevedere i suoi grazie alla lettura del pensiero. Jasper stesso, che in fatto
di esperienza di combattimento tra vampiri ne sapeva più di noi tutti messi
assieme, non pareva capacitarsi delle tattiche adottate dal nemico. I suoi
colpi non seguivano uno schema preciso, e nell’attaccare non seguiva alcuna
logica, oltre a quella di colpire.
Era ovvio comunque che il suo obiettivo principale era
quello di separarci per poterci attaccare singolarmente.
All'improvviso un urlo animalesco rimbombò dalla casa.
Emmett era ufficialmente incazzato nero.
Uscì fuori dalla rimessa reggendo per il paraurti la
macchina di Edward con il parabrezza completamente distrutto e i sedili interni
divelti.
Senza distrarsi dal combattimento, udì Edward gridare
«NO! Non farlo! Emmett! NON-CI-PENSARE-NEMMENO!»
Alice comparve al mio fianco, sussurrando «Troppo tardi,
ha fatto la sua scelta.»
Raccolse la macchina come fosse fatta di cartapesta, e
tenendola sollevata con due mani sopra il capo, e poi la scagliò come un
missile su di lui.
Edward fece appena in tempo a spostarsi, prima che la
vettura lo colpisse in pieno. Poi, come nei migliori film, esplose con un
fracasso assordante.
L’espressione addolorata di Edward era il riflesso della
mia, mentre vedavamo la macchina bruciare.
Molti ricordi della mia vita umana insieme a lui erano
legati a quella Volvo.
Per un lungo, lunghissimo istante, pensai che fosse
davvero tutto finito. Le fiamme erano probabilmente l’unica cosa al mondo in
grado di eliminare quelli della nostra razza. E il risultato era assicurato se
prima il corpo veniva fatto a pezzi.
Mentre io ed Edward ci stringevamo, Emmett dietro di noi
esultava come se avesse vinto il superbowl.
«Whooo, l’ho preso quel bastardo!» gridava, poi aggiunse
«Scusami per la macchina fratellino, ma se avessi preso la Jeep Rosalie mi
avrebbe staccato la testa...»
Allargò le braccia, in un non troppo convinto gesto di
scuse, mentre nell’aria avvertivo un ronzio...
Era un rumore molto simile a quello che si sente nei
vecchi film di guerra, quando cadevano i colpi di mortaio.
Non feci in tempo ad alzare lo sguardo, era già troppo
tardi.
«EMMETT! SOPRA DI TE!» gridai.
Il tempo si dilatò nella mia percezione. Vidi Emmett
tentare di allontanarsi, le braccia ancora allargate, quando un fulmine,
abbagliante come la luce del sole, colpì il terreno separando Emmett dal suo
arto sinistro.
Per un istante il braccio rimase sospeso, mentre il suo
corpo si allontanava, poi cadde con delicatezza a terra, di fianco al vampiro.
In mano reggeva una katana giapponese, un’arma umana che
per logica non avrebbe dovuto neanche graffiare la nostra pelle granitica.
Figurarsi poi quella di Emmett.
Mio fratello proruppe in uno straziante grido di dolore,
ma riuscì lo stesso a schivare il fendente successivo, portandosi nelle nostre
retrovie.
Alice era sconvolta. «Come diavolo ha fatto a tagliargli
un braccio con una semplice spada?»
Edward non rispose. Era spaventato a morte. Si limitò a
scuotere la testa.
Ad un tratto un raggio di luna filtrò attraverso la
coltre di nubi temporalesche, facendo brillare il volto dell’oscuro assalitore.
La pelle bianca del volto che si intravedeva sotto il
cappuccio scintillò come un faro nella notte, riflettendosi luminosa sul filo
della lama. I denti scoperti candidi e affilati. Gli occhi rossi piantati su di
noi.
«E’ ora di morire, esseri impuri. Memento, sanguis
potum, omnet una manet nox!» disse, facendo roteare la spada tra le mani,
mettendosi infine in posizione.
«Ricordate, bevitori di sangue, la stessa notte ci
attende tutti...» tradusse Alice, che conosceva praticamente ogni lingua
presente sulla terra, passata e presente.
«Siamo nei guai...» sussurrai.
Se quella spada era capace di tagliare un braccio ad
Emmett, difficilmente noi ce la saremmo potuta cavare, considerando con quanta
facilità ci aveva affrontati a mani nude.
Era possibile che dovesse finire tutto così? Uccisi senza
neanche sapere perché?
Paralizzata dal terrore, neanche lo vidi arrivare. Mi
comparve davanti all’improvviso, come se fosse stato lì da sempre, e io fossi
stato troppo cieca per accorgermene.
Udì il suono della sua katana che fendeva l’aria per
raggiungermi, sempre più vicina.
Udì l’urlo di Edward, che pronunciava il mio nome, sempre
più lontano.
E nonostante sapessi che era impossibile, mi parve di
percepire distintamente una lacrima che mi scorreva sulla guancia.
E’ per questo che avevo detto che la vita era ingiusta.
Avevo ottenuto tutto ciò che desideravo, e un tempo infinito per goderne, ma
dopo neanche un anno la morte a cui ero sfuggita era tornata per chiedere il
conto.
Il mio destino forse era sempre stato quello. Il mio
karma me lo imponeva.
Io dovevo morire schiacciata dal Van di Tyler Crowley,
Edward non avrebbe dovuto salvarmi. Non avrei mai sposato Edward e non avrei
mai dato alla luce Renesmeé...
Ma forse tutto questo non sarebbe accaduto.
Ma ormai non era più necessario pensare a certe cose, la
mia eternità stava scadendo. Chiusi gli occhi e attesi la fine. |
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Capitolo 4 *** Capitolo 3: What I've Done ***
03
WHAT I’VE DONE
Linkin Park, dall’album
Minutes to Midnight[2007]
What I’ve done
I'll face myself
To cross out what I’ve become
Erase myself
And let go of what I’ve done
Cosa ho fatto
Affronterò me
stesso
Per mettere una
croce su quel che sono diventato
Cancellare me
stesso
E lasciare andare
ciò che ho fatto
Forks (Washington),10 settembre, 4:02 AM
Isabella Cullen
Mi pareva fosse stato tutto un sogno.
Avevo ancora gli occhi chiusi, ma distintamente avevo
sentito un urlo diverso dai precedenti.
Non pronunciava il mio nome. Aveva gridato “Key”.
E a dirlo era stato Carlisle.
Aprì timidamente gli occhi. La katana era a pochissimi
millimetri dal mio naso.
Nonostante con quell’arma avesse appena tagliato la
resistentissima pelle di un vampiro, il filo della lama era perfettamente
intatto. E non era neppure sporca del sangue vampiresco di Emmett.
Quest’arma non
appartiene al mondo umano. Pensai.
Notai che alla base della lama, poco sopra l’impugnatura,
erano incisi degli ideogrammi giapponesi.
夜死風
Non mi ero ancora presa la briga di
imparare le lingue straniere come fece Edward prima di conoscermi, dato che le
mie notti senza sonno le sprecavamo in attività ludiche a mio parere molto più
interessanti, ma ero abbastanza esperta per riconoscere il secondo kanji.
Morte.
Il nemico non staccava gli occhi da
me, ma pareva che sentirsi chiamare con quello strano appellativo dovesse
averlo sorpreso.
Piano piano
scoprì i denti, ringhiando sottovoce «Carl...isle».
Lo conosceva!
Lo ripeté come un mantra per alcuni
secondi, infine voltò leggermente la testa a destra, incontrando lo sguardo del
mio padre adottivo. Gli occhi rossi del vampiro incontrarono quelli ocra di Carlisle, e non bastò che un attimo per farlo scattare.
«CARLISLE!» gridò, prima di spiccare
un balzo con la katana sollevata pronta a colpire.
Tutto non durò che pochissimi istanti.
Poco prima che la spada toccasse Carlisle, il vampiro venne intercettato al volo da una
massa di pelo scuro, color notte. L’impatto fu terribile, sentì le ossa del
lupo frantumarsi, ma riuscì ad ottenere l’effetto voluto, mandando l’avversario
a schiantarsi contro un albero dall’altra parte della radura, prima di
accasciarsi a terra.
«SETH!» urlai, andando a soccorrerlo.
L’enorme lupo nero riuscì ad abbozzare una sottospecie di sorriso, nella sua
forma animalesca, prima di perdere conoscenza. Era già la seconda volta che
Seth si faceva sbriciolare le ossa da un vampiro. E la prima volta ero stata io
quella che lo aveva fatto.
Carlisle
non si era mosso dalla sua posizione, sconvolto. Continuava a guardare quel
pazzo, come se lo conoscesse. In effetti sembrava lo avesse chiamato per nome,
giusto un attimo prima.
Esme
e Rosalie arrivarono subito dopo, prestando soccorso ad Emmett,
che ovviamente non era in pericolo di vita, ma che senza un braccio era
praticamente inservibile in battaglia. Rose, dopo aver visto la ferita del
marito, stava per scagliarsi infuriata contro l’autore del gesto, ma venne
fermata da un altro lupo, ancora più grande del primo, dal lucido pelo color
grigio scuro.
«Non metterti in mezzo, Leah!» gli gridò contro lei. «E’ una faccenda privata!»
La sorella di Seth non vedeva di buon
occhio la nostra famiglia, e meno che mai Rosalie, quindi un buon motivo per
azzuffarsi non l’avrebbe di sicuro rifiutato.
Le due si fronteggiarono, ringhiandosi addosso a vicenda, ma poi la lupa volse il suo
sguardo su Edward.
«Leah dice
che il branco si Sam stà arrivando.»
«Ce ne hanno messo di tempo.» disse
Jasper, aggiungendo alla fine un’imprecazione.
Edward accorse al mio fianco,
stringendomi forte. Io ero incapace di proferire una parola, paralizzata
dall’incredibile situazione.
Sembrava che il tempo giocasse a
ripetere le cose. Come appena accaduto per Seth, altrettanto per me era la
seconda volta che venivo salvata per il rotto della cuffia dall’essere uccisa
da un vampiro.
Quale sarebbe stato il prossimo evento
passato che si sarebbe ripetuto?
Quel vampiro, “Key”, come lo aveva
chiamato Carlisle, si sollevò da terra con
leggerezza, sorreggendosi con la spada. Nel vedere Leah
e Seth per la prima volta vidi nei suoi occhi un fremito di paura.
«Figli della luna... no... non è
possibile... io vi ho...» sussurrò, rimettendosi in posizione pronto a
battersi.
Poi rincontrò lo sguardo di Carlisle.
Socchiuse le labbra, preparandosi a
dire qualcosa, quando all’improvviso, annunciati da un rumore caratteristico,
almeno una dozzina di lupi grandi come cavalli uscirono all’unisono dal bosco,
lanciandosi a tutta forza contro l’intruso.
«Merda...» imprecò, per poi fare un
coreografico salto all’indietro, dandosi alla fuga.
L’intero branco ci sfrecciò di fianco,
senza degnarci di uno sguardo, partendo all’inseguimento.
Leah
si unì al gruppo, lasciando il fratello privo di conoscenza in mezzo allo
spiazzo.
Tirai un sospiro di sollievo. Era
tutto finito. Per quanto abile, un vampiro da solo non poteva sopravvivere
contro quattordici lupi telepatici. Era già difficile sopravvivere
combattendone uno come Sam.
Io ed Edward, quasi fossimo legati
anche a livello sensoriale, cademmo all’unisono sulle ginocchia, incapaci di
dare un senso a ciò che era appena accaduto. Jasper ed Alice invece si
limitarono ad abbracciarsi, guardandosi negli occhi senza dire nulla.
E poi... Rosalie.
Ringraziai il cielo che Renesmeé fosse stata con Jacob a miglia e miglia di
distanza, perché sarebbe stato molto imbarazzante, nel mio ruolo di madre,
dovergli spiegare il significato di anche solo metà delle oscenità che stavano
uscendo dalla bocca della zia. E nonostante Emmett,
dolorante, cercasse di tranquillizzarla, lei non faceva altro che infuriarsi
ancora di più.
Insultava Edward, insultava me,
insultava Carlisle, insultava Emmett
stesso, reo di essersi fatto colpire come un pivello. Lanciava insulti anche a Leah, che l’aveva fermata dal farsi giustizia da sola.
Ma soprattutto insultava il misterioso
assalitore, in tutti i modi possibili, compresi alcuni di dubbia moralità nei
confronti dei suoi familiari.
Carlisle
ci comparve davanti. «Figli miei... vi prego, entrate in casa... vi devo parlare...
devo dirvi una cosa che non ho mai detto a nessuno... nessuno di voi...»
Preoccupata, Rosalie precedette Esme e Carlisle con il braccio di
Emmett in mano, mentre Alice e Jasper li seguirono
insieme ad Emmett stesso.
Edward mi aiutò a rialzarmi, poi si
diresse anche lui verso la casa. Nel farlo però si soffermò ad osservare i
rottami in fiamme della sua automobile. Il dolore che leggevo nella sua
espressione e nei suoi occhi era qualcosa di straziante per me. Per noi vampiri,
che viviamo in eterno, l’unica cosa che conta davvero sono i ricordi. E in
quella macchina erano concentrati di sicuro i più belli della nostra vita
assieme.
Ad alcuni metri di distanza, mentre lo
osservavo, fui scossa da un brivido, benché in effetti non ne potessi più
avere. Per un curioso gioco di prospettive mi parve che per un istante Edward
stesse bruciando in mezzo ai rottami. Fu un allucinazione che durò meno di un
battito di ciglia, ma mi colpì profondamente.
Edward mi raggiunse, ed insieme
entrammo in casa.
Avevo avuto la sgradevole sensazione
che Alice non fosse più l’unica in grado di prevedere il futuro, nella famiglia
Cullen.
Appena dentro, Carlisle
ci portò tutti nella sua stanza, o meglio nel suo studio, un immenso salone
coperto di libri e quadri, che rappresentavano tutta la sua vita da vampiro.
Tutti in piedi, di fronte a lui,
attendevamo solo che ci rivelasse la verità.
«Figli miei... vi devo dire una cosa.
Io conosco quel...Vampiro.» esordì, ponendo particolare accento sull’ultima
parola.
«Lo abbiamo capito.» rispose Jasper,
conciliante.
«Ma chi è? E come fai a conoscerlo?»
«Lui è... il mio fratellastro.»
Il silenzio calò, come se
all’improvviso il vuoto avesse invaso la stanza, impedendo a qualsiasi suono di
diffondersi. In realtà mi aspettavo una rivelazione del genere, ma era lo
stesso un incredibile colpo per tutti noi. Ma per quale motivo aveva cercato di
ucciderlo?
«Come hai detto, Carlisle?»
Urlò Rosalie, in preda ad una specie di umanissimo raptus isterico. Era
incredula, come tutti noi, di fronte alla rivelazione che nostro padre aveva
appena dato. I suoi capelli biondi, di solito lisci e impeccabilmente
meravigliosi, erano scompigliati come quelli di una persona che si è appena
alzata dal letto. A parte gli occhi dorati, in quel momento pareva più umana
che mai, mentre accudiva suo marito Emmett, che si
contorceva dal dolore sul pavimento.
Incurante della terrificante ferita di suo figlio, Carlisle, dopo un attimo di riflessione, chiuse gli occhi e
fece un respiro profondo. Un gesto umano, di cui essendo vampiro avrebbe
benissimo potuto fare a meno, ma questo era un buon segno. Significava che
stava per raccontare una parte della sua storia di cui nessuno, neppure Edward,
sapeva niente.
«Dimmi Carlisle» chiesi io «Raccontaci
tutta la storia. Dicci chi è.»
«Partiamo dall’inizio. Quando era umano si chiamava
Michael Kane. Io l’ho sempre chiamato Key per
brevità, e a lui faceva piacere questo diminutivo.»
«Ha la tua stessa età?»
«No, ma siamo contemporanei. Se il conto degli anni è lo
stesso, deve essere nato pressappoco nella seconda metà del XVII secolo.
Qualche anno dopo di me.»
«E come vi siete conosciuti?»
«A quel tempo esistevano molti ciarlatani che si
guadagnavano da vivere speculando sulle paure delle persone. Paventavano la
venuta dei mostri, tra cui noi vampiri, e asserivano di poterli eliminare per
sempre, in cambio di cospicue ricompense.»
«Un truffatore? Quel pazzo è un imbroglione?» imprecò Emmett.
«Tutto il contrario. Key era uno di quei pochi veri
cacciatori di vampiri. Quelli come lui erano rari come i vampiri veri. Lo
conobbi quando era ancora un novizio. A quel tempo mio padre era ancora pastore
della sua chiesa. Arrivò un giorno, coperto di sangue, ma sul suo corpo non v’era
traccia di una sola ferita. Era in uno stato di choc. Mio padre lo accolse e si
prese cura di lui. Mi legai a lui, per quel poco tempo in cui stette con noi.
Mi ci affezionai come ad un fratello minore.»
Fratelli…
pensai.
Un legame molto strano quando si ragiona con il punto di
vista di un vampiro… io ero contemporaneamente moglie
di Edward e sua figlia in quanto lui mi aveva trasformata. Sentire Carlisle parlare di fratelli, lui che era il padre di tutti
noi, era una cosa bizzarra.
«Quando si riprese ci raccontò la sua storia. Il suo clan
di sterminatori era stato annientato da un unico vampiro. Con le sue stesse
mani trucidò i suoi stessi compagni, che erano stati feriti e infettati dal
veleno, e appiccò fuoco alla pira. È stato un compito ingrato.» raccontò, non
con poche difficoltà.
«La sua determinazione era incredibile. Solo con
l’ingegno e la sua minima esperienza scoprì metodi alternativi e inaspettati
per combattere… noi.»
«Ma…» stava per interrompere
Jasper, percependo la tensione che si stava accumulando nella stanza.
Guardai Edward. Stava al mio fianco, senza neanche
guardarmi. Mi stringeva veramente forte. Se fossi stata ancora umana mi avrebbe
sbriciolato le ossa come fossero biscotti. Stava leggendo nella mente di Carlisle tutta la storia. Non compresi bene perché però nel
suo sguardo io leggessi l’ira. C’era un dettaglio importante in questa storia,
che lui non aveva ancora raccontato. Qualcosa di spaventoso.
«L’ho visto combattere da solo contro un vampiro, quasi
sicuramente un Neonato» i neonati erano i vampiri trasformati da meno di un
anno. Essendo il loro organismo saturo del loro stesso sangue umano, erano più
forti di un vampiro comune. Tutti ci passano. Anche io. E mi ero anche tolta lo
sfizio di sconfiggere Emmett a braccio di ferro.
«Ha affrontato un Neonato da solo?» esclamò stupito
Jasper.
«Si. E lo ha anche ucciso. L’ho visto.»
«Come?» disse Alice, con la sua adorabile vocina.
«Non ho visto tutto, però lo ha attratto dentro un
granaio usando una scia di sangue. Il suo sangue.»
«Aveva con se una sacca piena di strani intrugli. Al
tempo non lo capivo, ma ora credo di capire cosa contenessero. Un’ora dopo
l’edificio prese fuoco. Lui ne usci senza neanche un graffio. Restò lì davanti
fino a che la costruzione crollò su se stessa. Non permise a nessuno di
spegnere l’incendio fino a che anche le ultime ceneri ebbero perso il loro
calore.»
«Spaventoso.» fu l’unico commento che mi uscì dalle
labbra, ad un volume tanto basso che fui udita solo da Edward, che in risposta
mi strinse ancora più forte di prima.
Rosalie proruppe in una risata amara. «Un mestiere del
genere ha di sicuro il suo lato negativo. Cacciando un vampiro deve essere
rimasto ferito. Basta un graffio. Ed è stato così codardo da non giudicare se
stesso con lo stesso metro con cui ha giudicato i nostri antenati.»
Carlisle sussultò.
«Rose!» la rimproverò Emmett.
Era crudele dire parole del genere davanti a Carlisle.
Lui stesso era stato ferito e si era nascosto per paura di essere messo al
rogo.
Ma non era questo l’unico motivo della reazione di Carlisle, lo capivo dall’espressione di Edward. I suoi
occhi meravigliosi, sfavillanti di oro liquido erano spalancati. Era spaventato
a morte. Non l’avevo mai visto così.
«Non è stato ferito cacciando un vampiro qualsiasi…» sussurrò lentamente Carlisle.
La verità era evidente, e colpì tutti come una
coltellata. Nessuno però la pronunciò, tutti comprendevano il dolore lancinante
che squarciava la sua anima.
«Come è successo?» chiese Esme,
che fino a quel momento era rimasta in silenzio in disparte ad accudire Emmett, tenendo attaccato al suo corpo il braccio mozzato,
in attesa che la ferita si rimarginasse.
«Non sono stato sincero al cento per cento…
quando mi trasformai riuscì ad allontanarmi da ogni forma umana per non dare
modo alla mia sete di prendere il sopravvento… ma non
riuscì a resistere alla tentazione quando la forma umana in questione mi cercò
di sua iniziativa…»
«Key ti aveva cercato?»
«Non sapeva che fossi io colui che aveva inseguito.»
«Non era con te quando cacciaste il vampiro che ti ha
trasformato?»
«No. Quello che mi morse non era l’unico. Lui inseguì gli
altri. Si fidava di me, e credeva nelle mie capacità. Quando tornò, seppe ciò
che era successo. Quello che gli spiegarono non era però quello che
effettivamente era accaduto. Come sapete, quel vampiro uccise due miei
compagni, ferì me e ne rapì un altro, ma a Key dissero che aveva ucciso anche
me. Avevo tralasciato di dirvi due cose. Uno: lui non era un protettore, era un
cacciatore. Questo significava che era il suo compito uccidere tutti i vampiri
che trovava, non era di certo uno che aspettava che venissero loro da lui.
Secondo: per essere un umano aveva anche strepitose doti di segugio. Aveva
fiutato la traccia fresca di un vampiro neonato, cioè io, e l’aveva seguita.
Dopo settimane di inseguimento mi trovò. Io ero distrutto dalla sete, e ormai
ero cieco a qualunque altra cosa.»
«Mi vide arrivare e si era preparato ad affrontarmi. Ma
in quell’istante, nonostante la trasformazione mi avesse fatto diventare
profondamente diverso nell’aspetto, rispetto a quello che ero prima, mi
riconobbe. L’indugio gli costò tutto. Lo morsi, ma nello stesso istante anche
io riconobbi lui, e la mia ragione in qualche modo ebbe il controllo sulla sete
e mi staccai da lui. Una cosa impossibile, per qualunque vampiro neonato. Ma io
lo feci.»
Non mi stupì di quelle parole. Io stessa sapevo cosa
significava combattere la sete di sangue umano, quando te lo ritrovavi di
fronte. Ed era inconcepibile per un neonato fermarsi una volta affondati i
denti.
Solo in quel momento mi resi conto di che forza di
volontà possedesse il mio padre adottivo.
«Il dolore che lessi nei suoi occhi non aveva niente a
che vedere con il veleno. Indietreggiava stravolto, incurante del sangue che
perdeva dalla ferita sul collo. Aveva perso la borsa nella colluttazione. Mi guardava… immagino pensasse di essere stato tradito dal suo
stesso fratello. E poi… indietreggiando cadde in uno
strapiombo di una cinquantina di metri di profondità.»
Ormai Carlisle aveva le mani
nei capelli. Risvegliare una tale atrocità, una ferita che si portava dietro da
tre secoli, doveva essere terribile.
«Non hai controllato sul fondo del burrone? Ci vogliono
tre giorni per la trasformazione. Avresti avuto tutto il tempo per distruggerlo
prima che completasse il rito.» lo incalzò Rosalie.
Carlisle sbuffò.
«Lo credevo anche io. Ma si era rivelato spaventosamente
abile persino in questo.» disse, ridacchiando nervosamente.
«Non ebbi il coraggio di controllare subito. Avevo paura
che se avessi visto ancora una volta il suo sangue lo avrei assalito di nuovo,
ma sapevo ciò che dovevo fare, e lo avrei fatto. Per il suo bene.»
Poi smise di parlare. Era evidentemente scosso da quello
che stava raccontando. Una cosa del genere, per uno che vive in eterno, è
difficile da dimenticare.
I minuti continuavano a scorrere senza che nessuno
pronunciasse una parola.
Senza sollevare lo sguardo, Carlisle
continuò.
«Due giorni dopo, ormai stremato, assalì per disperazione
un branco di cervi e scoprì di poter vivere con il sangue animale. Tornato in
forze, mi sentii pronto a tornare dove Key era caduto, per compiere ciò che
anche lui avrebbe fatto per me, nella mia stessa situazione.»
«E?» chiesi io.
«Quando tornai… non c’era più.
Solo brandelli di vestito ed una enorme macchia di sangue.»
Anche questa rivelazione era sbalorditiva. Certo, ero da
relativamente poco nel mondo degli immortali, ma nel giro di pochi minuti tutte
le cose che credevo immutabili e sicure, erano state stravolte. Un umano che
reggeva un confronto con un vampiro uscendone senza un graffio, capace di
inseguirlo senza farsi fiutare, ed infine capace di completare la metamorfosi
con un giorno di anticipo rispetto ai canonici 3 giorni di sofferenza.
Non esistevano parole, nella lingua umana, per descrivere
quanto spaventosa fosse la persona che ci si era messa contro.
«Con tutto il mio cuore ho pensato che si fosse lasciato
morire, come giusto che fosse, durante la trasformazione, oppure che avesse
utilizzato le sue tecniche su se stesso. Per trecento anni ho creduto questo.»
«Ora sai che non è così, Carlisle.
Quello che probabilmente è stato il più pericoloso e spietato cacciatore di
vampiri umano del sedicesimo secolo ora è un vampiro. Ciò che più odia, ciò che
ha giurato di combattere, ora è parte di se stesso. L’odio rende le persone
tremendamente forti, Carlisle, io ne so qualcosa.»
disse piano Edward. «Userà gli stessi poteri della nostra razza contro di noi.
Finché non ne rimarrà uno solo. Lui. E poi si estinguerà.»
Il silenzio dopo le parole di Edward venne rotto
solamente dai mugolii di dolore di Emmett, il cui
braccio si era ormai risaldato al suo enorme corpo.
«Merda» imprecò. «Fa veramente male. Di cosa diavolo era
fatta quella spada. Non era acciaio, la mia pelle è troppo dura per essere
tagliata da una cosa del genere.»
Per un istante pensai agli artigli di Adamantio
di Wolverine, e mi immaginai un comico scontro tra “il lupo” degli X-men e ‘’l’orso’’ dei Cullen.
Riuscì a stento a trattenere una risata.
«Fammi controllare» disse Carlisle.
Scostò la mano apprensiva di Rosalie, che copriva il
punto dove il braccio era stato tagliato, e restò a bocca aperta, quasi quanto
noi, quando vide quella cosa.
Intorno al braccio di Emmett
era presente una bianchissima cicatrice circolare, lucente come una perla sulla
sua pelle bianca.
Alzai lo sguardo ed incrociai quello di Jasper.
Io fissavo lui, lui fissava la mia mano destra.
Entrambi avevamo gli stessi identici segni, sul nostro
corpo.
Mi ritornarono in mente le sue stesse parole, pronunciate
un anno e mezzo fa, prima di quella che io ho sempre definito “Battaglia di
Olympia” in cui la famiglia Cullen e i Licantropi Queillute sconfissero, nonostante l’enorme inferiorità
numerica, un esercito di vampiri neonati guidati da Victoria, la compagna di
James, il vampiro che tentò di uccidermi tre anni prima: «Soltanto il nostro veleno riesce a lasciare cicatrici su di noi»
«Quella spada è imbevuta di veleno!» esclamai.
«Impossibile!» rispose Rosalie. «Il nostro veleno è acido
e corrosivo. Qualsiasi materiale ne venisse a contatto si scioglierebbe. Quella
spada avrebbe dovuto essere indebolita, e non rafforzata in questo caso.»
Annuì. Quando ero appena diventata Vampira, per non
spaventare mio padre con i miei occhi scarlatti quando lo incontravo, mi
mettevo delle fastidiose lenti a contatto, che dopo venti minuti si
sbriciolavano.
«Hai altre spiegazioni, Rose?» ribatté Jasper.
Il silenzio calò di nuovo sulla stanza. Restammo tutti
immobili come statue, ognuno immerso nei suoi pensieri, tranne Edward, che
oltre ai suoi era immerso pure in quelli degli altri.
Mi strinse ancora più forte, e io ricambiai il suo
abbraccio prendendogli le mani. Avevo sofferto e rischiato la vita molte volte
quando ero umana, pur di restare sempre con lui. Ora che finalmente l’eternità
ci era aperta davanti, pareva che la mia proverbiale capacità umana di attirare
disgrazie fosse tornata a farsi sentire, potenziata per mille.
Solo che stavolta, almeno, non era direttamente colpa
mia.
«Non c’è un modo per fermarlo?» chiese Rosalie.
«È un vampiro. Quindi agisce esattamente come noi. Anche
da umano era un eccellente stratega. L’inferiorità numerica non è mai stata un
peso, per lui, anzi era quasi un punto di forza. Non si farebbe problemi a
combatterci da solo. Non pensiate che solo perché saremo sempre insieme lui si
astenga dal fare una mossa. A lui non importa niente di vivere o morire, almeno
quando era umano non gli importava. Quello che credo io è che lui, per tre
secoli, abbia già fatto abbastanza. Se è il suo destino di perire per mano
nostra, lo farà. Ma farà di tutto per portare quanti più di noi possibile
all’inferno con lui.» rispose grave Carlisle.
«Ma andrà anche lui a caccia, no? Intelligente come ce
l’hai descritto, di sicuro anche lui avrà scoperto la nostra dieta vegetariana.»
All’unisono io ed Edward, che lo avevamo visto da vicino,
scuotemmo la testa. Li avevamo visti molto bene, nonostante il cappuccio che
gli copriva la testa, i suoi luminosi occhi rossi erano visibili come fari nel
mezzo dell’oscurità.
Gli occhi di chi si era lasciato sopraffare dall’istinto.
Unita la storia a quel dettaglio, mi resi conto di che
razza di mostro ci si era parato contro. L’odio che provava per la sua stessa
razza non era neanche lontanamente paragonabile a quello che provava per se
stesso. Era disposto a lordare la sua stessa anima, pur di avere le forze di
combattere contro ogni singolo vampiro della terra. Key si trovava nella transletteraria situazione di essere contemporaneamente sia
Faust che Mefistofele.
Appena pronunciate quelle parole, come un fulmine a ciel
sereno, Alice cadde di colpo a terra, all’improvviso e senza alcun suono, come
se fosse stata abbattuta da un colpo di pistola.
«ALICE!» gridai, e nel giro di un battito di ciglia tutti
noi fummo immediatamente al suo fianco.
Nel sollevarla notai che i suoi splendenti e bellissimi
occhi color ocra guardavano nel vuoto, il suo sguardo era spiritato, la bocca
contratta come se gridasse, nonostante dalla bocca non uscisse parola.
Era spaventata a morte, aveva avuto una premonizione
orrenda. Aveva visto qualcosa di terribile che stava per verificarsi.
Lo sillabò lentamente, ancora coinvolta nella visione.
«Noi…Moriremo… tutti…»
«Quando!» urlò Edward.
Alice non rispose subito. Si limitò ad alzare la mano
destra, aperta.
«Vedo il tuo rogo, Edward. A Marzo.»
Entro cinque mesi saremmo morti tutti.
Ecco il terzo evento che si ripeteva.
Ed era il peggiore che potesse ripetersi.
Nel prossimo capitolo: Un suono leggero e melodioso per un odio antico ed insanabile. Il cacciatore esegue il suo requiem d'addio per il fratello perduto, prima della fine.
La paura della vita, che porta come un anello, lo guida.
Ma niente è perduto, finché la vita esiste.
Non perdete quindi il prossimo episodio di After Dark: Il Mostro.
E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare, e infine a distruggere i miei fratelli.
Nota dell'autore: Non mi dispiacerebbe avere dei commenti, a questo punto della storia... |
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Capitolo 5 *** Capitolo 4: Il mostro ***
04
IL MOSTRO
Linea 77,
dall’album Horror Vacui [2008]
E non ti accorgi che ora sei unico
Arriva il mostro e tutti applaudono…
CLAP CLAP
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Forks (Washington), 11 settembre, 03.14
AM
Isabella Cullen
Alice aveva appena predetto la nostra morte. Non era la
prima volta che succedeva.
In quel momento mi parve di tornare indietro di quasi un
anno, quando la mia sorella acquisita, oltre che la mia migliore amica, ebbe la
stessa identica sconvolgente visione di noi che venivamo sterminati dai
Volturi, l’autoproclamatasi “stirpe reale” dei vampiri, l’organizzazione che
gestiva la Mascherata. Coloro che vigilavano affinché si mantenesse il segreto
sulla nostra esistenza. Mia figlia Renesmeé,
nonostante fosse una mezza vampira, nei primi mesi di vita sembrava in tutto e
per tutto una Bambina immortale, uno dei peggiori tabù del nostro mondo. I
Volturi, avvisati da una vampira del clan di Denali, si scatenarono in forze,
pronti ad affrontarci ed annientarci con tutta la loro guardia personale, mogli
comprese.
Solo un grande assembramento di Vampiri nostri alleati, che
testimoniarono a nostro favore sulla crescita e sulla capacità di mantenere il
controllo di Renesmeé, ci risparmiarono
dall’annullamento totale. Oltre ad un intervento provvidenziale proprio di
Alice, che riuscì a rintracciare un altro Mezzovampiro
nel mezzo della foresta amazzonica.
Lo compresi, e ci pensai seriamente migliaia e migliaia di
volte in pochi secondi. Era l’unica soluzione possibile.
Lo dissi lentamente, soppesando ogni parola. «Carlisle, dobbiamo informare i Volturi.»
Edward in quell’istante mi prese alle spalle e mi voltò
verso di lui. I suoi occhi mi fissavano con cieco odio. Non mi sembrava che in
tutto questo tempo fosse stato così arrabbiato con me così tante volte in così
poco tempo. «SEI-USCITA-DI-SENNO?!»
«Vuoi dare a Caius una nuova scusa
per ammazzarci?» commentò Rosalie all’unisono con Edward.
«Non dico tutti!» assicurai io. «Solo i cacciatori. Felix e Demetri.»
Appena pronunciati quei nomi, Edward lanciò un occhiata di
fuoco ad Emmett, che evidentemente era esaltato
all’idea di combattere contro la gigantesca guardia dei Volturi. E soprattutto
ancora più esagitato all’idea di restituire a Key il favore per l’arto tagliato.
«E’ fuori discussione!» urlò Edward. «E’ uno solo, mentre
noi siamo in tanti. Io posso sentire la sua presenza, e per Alice non sarà un
problema prevedere quando cercherà di colpirci di nuovo.»
Io ero ormai fuori di me. «Sei tu che sei uscito di senno, Edward.
Alice ha appena detto che entro cinque mesi saremmo tutti morti. Lo ha visto, e
fino ad adesso le sue previsioni non hanno mai mancato il colpo.»
Non era esattamente la verità, ma per fortuna Edward non
poteva leggermi nel pensiero per carpire quello che mi stava passando per la
testa. In effetti Alice, oltre che prevedere la mia trasformazione in vampira,
aveva previsto anche la mia dipartita per mano di James.
Ma comunque scommettere contro Alice equivaleva a sperare di
fermare l’avanzata di un treno in corsa facendosi scudo con un foglio di carta.
Ora che ci penso, credo che ora ne sarei anche capace...
«Oltretutto Carlisle ha detto che
lui se ne frega dell’inferiorità numerica. Attaccherà senza curarsi di se
stesso, e lo farà con l’intenzione di uccidere quanti più di noi possibile. Con
che coraggio tu vivresti la tua eternità conscio che hai fatto ammazzare uno
dei tuoi fratelli o sorelle, o tuo padre o tua madre, o me stessa, per
fermare lui?»
Quelle parole mi erano uscite di getto, ma rispecchiavano la
cruda realtà. Le persone che combattono senza avere qualcosa da perdere sono
tremendamente pericolose.
Ma quelle che combattono avendo molto da proteggere lo sono
altrettanto.
E io avevo un marito, una figlia e un’intera famiglia a cui
volevo bene da difendere.
«Merda...»
Edward di colpo allentò la presa su di me, e corse come un
razzo alla vetrata che dava sul bosco, ormai buio.
«Che succede.» chiese Carlisle.
«Seth... mi stà dicendo... che il
branco lo ha perso. È riuscito a scappare. Ma non prima di aver abbattuto
quattro di loro...»
Tutte le parole coraggiose che avevo pronunciato prima mi
parvero d’un tratto assurde ed infantili. Il dolore che mi colpì al cuore,
terribile e inarrestabile, incominciò a corrodermi dentro come un acido.
Per colpa mia quattro Queillute
non avrebbero rivisto la luce dell’alba.
Alice comprese la mia sofferenza, e mi abbracciò stretta,
senza dire una parola. Sapeva fin troppo bene che dirmi che non era colpa mia
non avrebbe avuto effetto.
«Stà tornando.» disse semplicemente
Edward.
«Key?» chiese ansioso Carlisle.
«No.» rispose lui, con una smorfia. «Renesmeé.
E’ diventata ancora più veloce di quando l’abbiamo lasciata andare a caccia. E’
quasi arrivata. Jacob non riesce più a starle dietro, la stà
perdendo di vista.»
All’improvviso Edward spalancò gli occhi.
«Oh...» poi disse una parola impronunciabile.
«Cosa! Che succede!?» Urlai.
«Jacob è riuscito a bloccare Nessie.
Ma ha incrociato la traccia di Key.»
Se il mio cuore fosse stato ancora capace di battere, di
sicuro sarebbe esploso per frequenza troppo alta.
«COSA?» dissi io, in preda all’ansia.
Si voltò lentamente, guardandoci tutti con aria grave.
«La traccia è fresca. Stà dicendo
che punta dritta verso casa nostra.»
Un suono invase la camera di Edward, in quell’istante. Un
suono distinto e musicale. Una nota, e se non mi sbagliavo era un Si bemolle.
Si ripeteva ritmicamente, sempre più veloce.
Solo un oggetto nella villa Cullen
emetteva un suono così bello e dolce.
Il pianoforte di Edward, nel salone d’ingresso.
Noi vampiri siamo molto veloci. Possiamo fare grandi
distanze in poco tempo, nell’ordine dei quattrocento chilometri orari costanti
per giorni e giorni, senza bisogno di riposare, ma l’espressione “Avere le ali
ai piedi” sarebbe di sicuro stata adatta in quella circostanza. Circa otto
decimi di secondo dopo aver compreso l’origine del suono sia io che Edward
eravamo già ai piedi della scalinata dell’ingresso.
Vi rammentate quando vi avevo detto che la vita era spesso
ingiusta? Quello era uno di quei momenti.
Al pianoforte era seduto lo stesso ragazzo che fino a poco
tempo prima aveva cercato di uccidere me e Edward, che aveva mozzato un braccio
ad Emmett e che aveva tentato di fare la stessa cosa
con Carlisle. Ma l’espressione sul suo volto era
diversa da quella che avevo notato in precedenza. La spada che gli avevo visto
in mano, quella con cui aveva falciato Emmett era
adesso nascosta dentro un anonima sacca nera, chiusa al vertice con un nastro
di stoffa azzurra, come una comune canna da pesca, a tracolla sulle spalle massiccie e vigorose. Il cappuccio della felpa ora era
abbassato, permettendomi di vedere chiaramente i lucidi e meravigliosi capelli castani,
lunghi e ribelli come quelli di Edward, anche se non altrettanto affascinanti
come i suoi. Le ciocche ricadevano scomposte sul suo volto, bello e perfetto
come quello di tutti i vampiri, e creavano un contrasto stupefacente con la sua
pelle bianca. Gli occhi rossi, che avevo visto così bene e così da vicino poco
prima, ora appena di intravedevano attraverso di esse. Al collo si scorgeva uno
scintillio dorato di una catenina. Ai piedi dello strumento era posata una
sacca da viaggio verde scuro pesantemente usurata.
Gli anonimi jeans e le scarpe da ginnastica sportive
consunte non facevano che renderlo ancora più affascinante. Bello e maledetto,
il destino di tutti i vampiri.
Le dita bianche ed affusolate scivolavano veloci sui tasti,
fino a lasciare una indistinta scia candida nell’aria.
Era impossibile non restare in silenzio ad ammirare la leggiadria
della sua esecuzione, nonostante in me montasse la furia per quello che aveva
cercato di fare poco prima.
Ricordo di aver detto ad Edward che i vampiri erano bravi in
tutto. Ma in quel momento mi venne il terribile dubbio che neppure Edward
sarebbe stato capace di tanto, infondato certo, ma che mi rodeva dentro come un amaro calice di veleno.
Stava suonando una melodia strana e malinconica. Non avevo
dubbi, l’avevo già sentita, era uno dei pianisti contemporanei preferiti di Edward, Giovanni
Allevi.
E, con ironia, mi ricordai che il titolo della sonata era Pensieri nascosti.
La sua esecuzione era perfetta, senza sbavature, ma ogni
tanto inseriva delle variazioni personali nella composizione.
Mi parve di restare ad ascoltarlo per secoli, ma
all’improvviso si bloccò.
Carlisle era comparso di fianco a
me, insieme a tutto il resto della famiglia. Sapevamo cosa bisognasse fare, ed
eravamo tutti pronti ad agire, ma eravamo coscienti che dovevamo dare a nostro
padre una possibilità di ricucire i rapporti con quello che per lui è stato
quanto di più vicino ad un fratello ci potesse essere, prima di abbatterlo come
un qualunque nemico. O farci abbattere da lui.
Il silenzio che scaturì da che smise di suonare mi riempì il
cuore di angoscia e tensione, tanto orribile che sobbalzai quando un suono
secco lo ruppe. Il rumore di mani che battevano.
Carlisle stava applaudendo,
seguito a ruota, molto timidamente, anche da Esme.
«Bravo.» disse semplicemente.
Key non parve neanche dare segno di averlo sentito. Rimase
ancora fermo, con me dita premute sui tasti, per un altro interminabile minuto.
Gli occhi chiusi e lo sguardo fisso non facevano trasparire alcuna emozione.
Era una statua di marmo.
«Carl...isle...» sillabò con la
sua voce bellissima, ma atona.
Riaprì gli occhi e si voltò lentamente verso di noi,
squadrandoci uno alla volta.
Istintivamente ci stringemmo, pronti per affrontare un altro
attacco.
Dalla calma con cui sia Edward che Alice si muovevano però
riuscivo ad intuire che non prevedevano un attacco immediato. Key stava
prendendo tempo, per qualche motivo.
Ma solo a me risultava strano che nessuno dei due fosse
riuscito a individuare la sua manovra diversiva, e che fosse entrato in casa
nostra, per giunta dalla porta principale?
Ancora seduto sul seggiolino del pianoforte continuò a
guardare Carlisle senza proferir verbo per parecchi
altri minuti. Il tempo è una cosa decisamente relativa, per chi come noi ne ha
tanto. Un secondo può durare una vita intera, e una notte intera di passione
potrebbe essere troppo corta per apprezzarla appieno.
Sussurrai sottovoce ad Edward «Ma cosa stà
aspettando?»
«Stà pensando cosa chiedere a Carlisle.»
«Riguardo a cosa?»
«Riguardo a noi...» rispose semplicemente.
Stavo per dire qualcos’altro, quando Key cominciò a parlare.
«Mi hai tradito, Carlisle.» disse
semplicemente. Non era un’accusa. Era una constatazione.
Sinceramente, Carlisle rispose «Mi
dispiace.»
Key ridacchiò debolmente. Un suono delizioso, alle mie
orecchie. Un tintinnare argentino simile a quello della voce di Alice.
«Un “mi dispiace” non è sufficiente, fratello. Tu mi hai
precluso ciò che più di ogni altra cosa bramavo. Una vita umana, lunga e
meravigliosa, coronata alla fine da un eterno e meritato riposo. A causa tua,
della tua vigliaccheria, della tua maledizione con cui mi hai lordato, io non
posso più anelare a ciò. Tu mi hai condannato ad un’eternità di buio e
solitudine!»
Rosalie, ancora alterata, non poté trattenersi dal fare un
commento sprezzante.
«Hai scelto il mestiere sbagliato per morire in pace,
assassino!»
Gli occhi rossi fuoco del vampiro parvero ardere come braci,
quando fulminò Rose con lo sguardo. L’ira che traspariva da essi, quasi
tangibile, la fece indietreggiare dallo spavento, facendola inciampare nel
gradino e cadere rovinosamente.
Era una cosa incredibile, considerando che i Vampiri non
perdevano mai l’equilibrio.
«Tieni la tua lingua a bada tra i tuoi denti, succhiasangue! Non accetto commenti da esseri come te.»
Ma invece che tacere, nonostante fosse terrorizzata, lei
rincarò la dose.
«Se odiavi tanto la nostra razza perché non ti sei ucciso
con i tuoi stessi metodi? Avevi paura, non è vero? Alla fine, se sei qui,
significa che sei un codardo pauroso, come tutti i patetici insulsi e
vigliacchi esseri umani!»
Rimasi sconvolta dalla veemenza con cui tali parole uscirono
dalla bocca di mia sorella.
Successe tutto in un solo istante, tanto veloce che nemmeno
Edward lo lesse.
In un unico gesto fluido con la mano destra sciolse la sacca
che teneva sulla schiena, estraendone la lucente Katana mentre con la sinistra
si mise la mano in tasca, lanciandolo poi nell’aria di fronte a se tre piccole
sfere blu, non più grandi di un sasso.
E poi fu l’inferno.
Sferzò l’aria con un fendente, tanto veloce che era impossibile
vederlo, e dall’arco che la spada aveva tracciato nell’aria eruppero tre enormi
lingue di fuoco blu che illuminarono a giorno il buio salone.
La rapidità con cui eseguì questa azione colse tutti di
sorpresa, compresa Rosalie che non ebbe il tempo di schivare il getto di fuoco
che la colpì in pieno.
Il suo urlo si spense in pochi secondi, insieme al fuoco
azzurro.
Quando riaprì gli occhi, che per lo spavento avevo serrato,
mi apparve davanti agli occhi una scena orrenda.
Il bellissimo corpo di Rosalie era ora squarciato da tre
segni, simili alle zampate di una bestia mitologica, che le bruciavano addosso
come un veleno, dal fianco destro risalendole il petto diagonalmente, fino ad
arrivare alla spalla sinistra. Non avevo mai visto in vita mia qualcosa di
simile.
«Oddio! Rose!» Gridò Emmett
precipitandosi verso di lei.
Il suo sguardo era vacuo e non rispondeva agli stimoli,
nonostante ciò pareva ancora “viva”, se così si può dire.
Non conoscevo i limiti di rigenerazione della nostra razza,
ma finché un vampiro non veniva completamente bruciato, non era ancora morto.
«Bastardo! Che le hai fatto! CHE HAI FATTO!» ruggì Emmett, partendo alla carica verso di lui.
Solo l’intervento provvidenziale di Jasper ed Edward gli
impedì di essere il prossimo.
«Calmati!» gli continuava a dire lui. «Non ti rendi conto
che non l’ha uccisa di proposito, anche se poteva farlo?»
L’espressione stravolta dalla rabbia di Emmett
indicava che questo per lui era un dettaglio opinabile
«Non me ne frega un ***** se non voleva ucciderla! Questo
infame ha dato fuoco a mia moglie! Io gli strappo quella spada dalle mani e lo
costringo a passere il resto dell’eternità a nutrirsi con una cannuccia!»
Per niente spaventato dalle minacce, per la verità un po’
fiacche, di mio fratello, Key ripose la spada nel fodero che teneva sulle
spalle.
«Immagino che quella bocca di cui fa largo uso gli torni
molto utile con te, “Emmett”... per un po’ non la
aprirà temo... spero non ti dispiaccia.» disse, con voce atona.
Una volta battute così sconce erano proprio una prerogativa
del mio fratellone, che non la prese molto bene.
«ORA TI AMMAZZO!»
Come birilli Jasper e Edward volarono ai lati opposti della
stanza, lasciandolo caricare come una furia Key.
«EMMETT! NO!» urlò Carlisle,
troppo tardi.
ZAC!
Una macchia rossa come il rubino apparve sulla T-shirt di Emmett, nel punto in cui la spada lo trafisse. Dritto al
suo cuore immobile.
Cercò di farfugliare qualche parola, ma prima che riuscisse
da farle raggiungere un senso compiuto con un colpo di palmo Key lo disincagliò
dalla spada mandandolo a sfracellarsi addosso alla scalinata, a pochi metri da
Rose.
«Qualcun altro ci vuole provare?» disse, con un tono che
pareva intendere “vi prego, qualcuno ci provi... datemi una scusa per farvi
fuori!”
Io no di certo.
Il climax stava arrivando.
Per qualche strano motivo, in quel momento sentivo la Volvo
bruciare molto più forte di prima...
Le fiamme si stavano avvicinando, forse?
«Dimmi Carlisle» riprese «chi sono
questi esseri immondi che ti stanno affianco?»
Carlisle si limitò a dire «Sono i
miei figli.»
Pessima scelta.
«Figli...» ripeté Key lentamente.
Edward scattò, molto così velocemente che nemmeno io riuscì
ad accorgermi della sua scomparsa dal mio fianco fino a quando non lo vidi a
terra con Carlisle in braccio.
E nel punto in cui fino a pochi millesimi di secondo ci
stava lui, si trovava Key. Con la sua spada piantata a fondo nel legno.
Nessuno di noi osò muovere un solo muscolo. Eravamo otto
statue del marmo bianco di Carrara più splendente, sole in attesa che il pazzo
Leonardo ci facesse diventare come mezzibusti greci senza arti. E senza testa.
Senza sollevare il capo disse «Dì un po’, sei forse uscito
di senno? Dimmi forse, cosa nel mondo ti ha convinto a infettare altri
innocenti con la nostra sporca maledizione?»
Alzò la testa. Gli occhi rossi erano spalancati ed uno
sguardo ardente pareva bruciare l’aria stessa che ci circondava, rendendola
pesante come il piombo.
Ogni respiro che facevamo poteva essere l’ultimo.
Ma nonostante ciò, Key non si mosse dalla sua posizione.
Poteva benissimo sterminarci. Aspettava solo che noi ci lanciassimo.
Ma voleva che Carlisle parlasse.
Voleva ascoltarlo, nonostante tutto.
Aveva troppe domande a cui voleva una risposta, e la sua
apparente immotivata ira non era sufficiente a togliersele dalla testa.
Carlisle si risollevò in piedi,
aiutato da Edward, e si avvicinò pericolosamente a Key.
Key, che continuava a mandarlo a fuoco col suo sguardo, fece
un impercettibile sorriso di ammirazione verso mio marito.
«Sei bravo. Non avevo mai incontrato un essere più veloce di
me. Comunque non volevo ucciderlo.»
Nel tono c’era un pizzico di ammirazione.
«Michael, ti prego ascoltami. In questi secoli sono successe
tante cose. Cose che hanno drasticamente cambiato il mio modo di vedere la mia
condizione. Ti scongiuro... sediamoci e parliamone.»
«Carlisle... Le cose sono
cambiate, anche per me. Più di quanto tu stesso creda. Le persone sono
cambiate, i luoghi sono cambiati. Il mondo stesso è cambiato. Ma i problemi
sono sempre gli stessi....»
Distolse lo sguardo, estrasse la lama e ci diede le spalle
per raccogliere da terra il fodero.
«Ti ringrazio, Michael.» disse Carlisle.
Ringuainò la spada, ma si bloccò, lasciando scoperto un
pezzo di essa.
«Non chiamarmi più con quel nome. Era il mio nome da umano.
Io sono fatto di carne e sangue ma non sono umano. Non sono più umano da quasi
350 anni.» poi, con un sonoro Tack, chiuse la spada
nel fodero.
Colsi la sottile ironia, riconoscendo la frase che aveva
appena detto come appartenente nientemeno che a “Intervista col Vampiro”.
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