Rinunciare a tutto

di Odinforce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il nuovo Ranma ***
Capitolo 3: *** Guardando indietro ***
Capitolo 4: *** Il riflesso ***
Capitolo 5: *** Lacrime di panda ***
Capitolo 6: *** Per una volta... ***
Capitolo 7: *** La tigre e l'aquila ***
Capitolo 8: *** Lo specchio ***
Capitolo 9: *** Giorni contati ***
Capitolo 10: *** Il mio miglior nemico ***
Capitolo 11: *** Uno scontro epico ***
Capitolo 12: *** Un momento per sognare, un momento per scegliere ***
Capitolo 13: *** La cosa giusta ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ranma ½ - Rinunciare a tutto
 
Prologo
Akane Tendo fissò il cielo oltre la sua finestra con aria delusa. Quella mattina d’estate pioveva a dirotto: gocce di pioggia grosse come monete cadevano sui tetti delle case, sugli alberi, su tutto ciò che occupava il suolo di Tokyo in quel momento. Ogni tanto poteva udire qualche tuono, in lontananza... troppo distanti perché potesse averne paura.
Akane sospirò, mentre un pensiero le attraversava il cervello attenuando la delusione. Pioveva così anche quel giorno... il giorno in cui due strani tipi venuti dalla Cina erano entrati all’improvviso nella sua vita, stravolgendola.
La pioggia le aveva portato Ranma Saotome in casa.
« Bah » borbottò, non appena il pensiero divenne noioso. Così Akane si alzò dal letto e uscì dalla camera, pronta a fare colazione.
Trovò la famiglia al gran completo in cucina, tutti riuniti intorno al tavolo: suo padre Soun, le sorelle maggiori Kasumi e Nabiki, e il signor Genma Saotome. Solo Ranma non era presente... che fosse ancora a letto?
« Buongiorno » disse Akane con gentilezza. Quando si avvicinò al tavolo, tuttavia, si accorse che c’era qualcosa di strano. I suoi familiari e Genma non avevano affatto l’aria allegra, e le rivolsero uno sguardo carico di tristezza.
« Va tutto bene? Che succede? »
Suo padre le venne incontro, porgendole con aria funerea una lettera. Akane immaginò che fosse quella l’origine di tanto malumore in quella cucina... doveva trattarsi senza dubbio di una brutta notizia. A rendere il tutto più inquietante, era il secondo oggetto che turbava l’animo di tutti i presenti, preso in mano da Akane insieme alla lettera: il codino di Ranma, tagliato di netto con qualche tipo di lama.
Il suo cuore ebbe un tuffo. Pregando che non fosse accaduto nulla di irreparabile a quello stupido, cominciò a leggere.
 
Quando leggerete questa lettera, sarà troppo tardi. Ho pensato a lungo a questa possibilità, e finalmente ho deciso di compiere il passo che non ho mai osato fare prima di questa notte. Non posso più restare con voi. Sono stanco di tutte quelle persone e di quegli eventi che hanno cercato di segnare il mio futuro in questi anni. E ora che finalmente sono libero dalla maledizione, sarò in grado di vivere la vita che desidero.
La ragazza con il codino non esiste più.
Signor Tendo, Kasumi, Nabiki... siete stati molto gentili con me, nonostante tutto, e vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me.
Papà... mi hai reso davvero forte, e te ne sarò grato per sempre. Spero che anche tu possa spezzare la maledizione un giorno, come è successo a me.
Akane... sei stata molto importante per me, non ti dimenticherò. Ora vivi la tua vita come più desideri, senza avere uno stupido come me tra i piedi.
Non cercatemi, perché non mi troverete. Io non tornerò indietro.
Addio.
Ranma
 
Akane lesse e rilesse la lettera, diventando sempre più incredula ad ogni riga. Quando non riuscì più a sopportarlo, voltò le spalle a tutti e uscì dalla cucina, tornando al piano superiore in fretta e furia. Raggiunse la camera di Ranma e aprì la porta con violenza, aspettandosi di trovarlo ancora a letto: ma la verità era un’altra... la stessa descritta nella lettera che ancora stringeva in mano.
La camera era vuota, svuotata di gran parte delle cose appartenute al ragazzo. Ranma doveva aver fatto i bagagli durante la notte, per poi lasciare casa Tendo indisturbato... incurante di tutto ciò che aveva deciso di lasciarsi alle spalle.
Akane non riusciva a crederci, non ancora. Perciò tornò di corsa al piano di sotto e uscì fuori, senza preoccuparsi della pioggia che ancora si abbatteva sulla città.
« Akane! » disse suo padre alle sue spalle, ma lo ignorò. Lei continuava a guardarsi intorno: percorreva ogni parte del vasto giardino con lo sguardo, sperando ancora di vederlo entro quelle mura.
Tutto inutile.
Akane si piegò sulle ginocchia, ormai al limite. Grosse lacrime sbucarono dai suoi occhi, confondendosi con le gocce di pioggia che le bagnavano il viso. La verità l’aveva infine conquistata, facendole più male di quanto volesse ammettere.
La pioggia le aveva portato Ranma Saotome in casa... e ora glielo aveva portato via.
« Ranma... » singhiozzò, disperata. « Tu... stupido... SEI UNO STUPIDO! »

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Capitolo 2
*** Il nuovo Ranma ***


Il nuovo Ranma
 
Diciotto mesi dopo.
Il sole di un nuovo giorno illuminò il cielo sopra Roma, la Città Eterna, limpido e asciutto nonostante l’inverno rigido che la opprimeva. Ranma Saotome aprì gli occhi al suono della sveglia, programmata da tempo per le sette del mattino. Il giovane sbadigliò sonoramente, ancora assonnato: un tempo avrebbe distrutto la sveglia per rimettersi a dormire, ma quei giorni erano finiti da un pezzo. Maturità e responsabilità dominavano ormai la sua vita, due fattori che lo spinsero dunque ad alzarsi dal letto e a cominciare la giornata nel migliore dei modi.
Trascorse la prima ora facendo ginnastica, come al solito. Flessioni, addominali, salti sulla corda, un po’ di pesi e il ripasso generale delle sue tecniche di arti marziali. Fece tutto alla perfezione, poi andò a farsi una doccia; l’acqua, dapprima calda, si raggelò dopo qualche minuto a causa di un guasto alla caldaia. Ranma imprecò, irritato: si era dimenticato di avvisare il padrone di casa di quel problema, ma avrebbe rimediato con calma più tardi. Si rassegnò all’acqua fredda e finì di lavarsi; quando si guardò allo specchio, il suo riflesso gli restituì l’immagine a cui era abituato da molti mesi, quella di un ventenne alto e robusto con corti capelli neri, lo sguardo indifferente. Un tempo, dopo una doccia gelata era costretto a sopportare una visione ben diversa: una chioma di capelli rossi, due grandi occhi azzurri, un fisico snello e un bel paio di seni rotondi... l’immagine della ragazza in cui si trasformava ogni volta che si bagnava con acqua fredda.
Ma quei giorni erano finiti da un pezzo. La maledizione che lo aveva afflitto per anni era ormai svanita. Era trascorso più di un anno, ma Ranma sorrideva ancora compiaciuto ogni volta che si bagnava con l’acqua fredda senza subire alcuna trasformazione. Si sentiva felice come non mai, alla pari di un uomo che aveva sconfitto una malattia mortale, libero di assaporare tutte le piccole cose straordinarie che la vita ha da offrire.
Il ragazzo, dopo aver fatto una sostanziosa colazione, uscì di casa, un comune bilocale nella zona Eur della città che aveva preso in affitto. Non doveva lavorare quella mattina, perciò camminò a lungo senza avere una meta precisa: l’aria era fredda, ma resa sopportabile da un sole tiepido che risplendeva senza impedimenti. Contemplava silenziosamente il quartiere immerso nel verde; il laghetto artificiale poco lontano, e i moderni palazzi che sorgevano nei dintorni. Il traffico chiassoso era un elemento costante di ogni città, e non poteva farci niente. Ranma non amava girare in auto, né con altri mezzi di trasporto che andavano a benzina: dopo anni di allenamento aveva sviluppato una potenza nelle gambe tale da permettergli di saltare tra i palazzi come una cavalletta, rendendolo di fatto superiore a tanta gente comune. Per questo si trovava a guardarli fin troppo spesso dall’alto, forte di un potere a disposizione che non poteva più usare a suo piacimento. Saltare tra i palazzi era rischioso: avrebbe dato nell’occhio... la voce si sarebbe sparsa... e qualcuno che non desiderava rivedere avrebbe potuto raggiungerlo in un batter d’occhio.
Lo svantaggio di aver cambiato vita era il non poter più affrontare minacce di ogni sorta con le sue tecniche, come i suoi avversari storici: Ryoga, Kuno e il vecchio Happosai, tanto per cominciare. Non sentiva certo la mancanza di quegli imbecilli, certo, ma non poteva negare il fatto di essere diventato con il tempo un guerriero a tutti gli effetti... un eroe.
E gli eroi hanno bisogno di combattere, ogni tanto.
Ranma sbuffò seccato, e si guardò i piedi per distrarsi. A pensarci bene, aveva bisogno di scarpe nuove, così decise di raggiungere il centro commerciale; sarebbe stato un ottimo passatempo in una mattina noiosa come quella. Entrò nell’edificio, vagando distrattamente tra gli ampi corridoi fino a trovare un negozio di scarpe degno della sua attenzione; aveva iniziato a guardare i vari modelli in esposizione, quando qualcosa urtò la sua schiena.
« Oh! Mi scusi tanto » disse una voce italiana, giovane e femminile. Ranma, per nulla infastidito, si voltò per dire che era tutto a posto, ma le parole gli si bloccarono in gola non appena vide la persona che lo aveva urtato.
Non conosceva quella ragazza, ma il suo aspetto giustificava lo stupore più grande che avesse mai provato nell’ultimo anno. Un po’ più bassa di lui, aveva grandi occhi azzurri e una folta chioma di capelli rossi, raccolti in un codino; aveva lineamenti europei e un comune abbigliamento urbano, ma erano gli unici dettagli che Ranma considerava “fuori posto”. A parte questo, ebbe di nuovo l’impressione di guardarsi allo specchio dopo una secchiata d’acqua fredda... come un tempo.
« Ehm... va tutto bene » riuscì a dire alla fine. « Nessun problema. »
La ragazza sorrise, e proseguì voltandogli le spalle.
Ranma era allibito. Quella ragazza somigliava tantissimo a ciò che lui diventava una volta, a causa del sortilegio di cui era stato vittima anni prima, quando era caduto nella Sorgente della Ragazza Affogata. Da allora, ogni volta che l’acqua fredda bagnava il suo corpo, si trasformava in una ragazza dai capelli rossi. Per un po’ aveva cercato di convivere con quella triste sorte, anche perché suo padre lo aveva portato in Giappone a conoscere la famiglia Tendo... un evento che aveva dato inizio a una lunga serie di avventure e disgrazie di varia natura.
Al diavolo!
Ranma ordinò a se stesso di lasciar perdere, tornando a concentrarsi sulle scarpe. Era finita, lui era libero, non aveva senso ricordare quel passato. Quella ragazza non era lei; lui non era più lei... e non lo sarebbe stato mai più.
Lo shopping riprese tranquillo, e Ranma uscì dal centro commerciale dopo mezzogiorno, con un paio di scarpe nuove di zecca. Prese l’autobus con l’intento di tornare indietro, poiché lo stomaco cominciava a brontolare per la fame; era da un po’ che non faceva un salto da Leandro’s, la migliore tavola calda del suo quartiere. Cercò di immaginare cosa offriva il menu di quel giorno, quando qualcosa attirò la sua attenzione all’interno del bus.
La ragazza con il codino di prima. Ranma la fissò, ancora più allibito, in piedi vicino alla porta dell’automezzo, in attesa di scendere alla sua fermata; lei guardava in avanti con aria distratta, ignara del fatto che il tipo a cui aveva sorriso poco prima era là vicino. Il ragazzo fu sul punto di alzarsi dal suo posto e di andare a parlarle, quando le porte dell’autobus si aprirono e lei scese senza guardarlo.
Una coincidenza, ripeté a se stesso, solo una coincidenza... nient’altro che una dannata, fottuta coincidenza! Abbiamo preso lo stesso autobus, non si significa niente... assolutamente niente!
Ranma continuò a ripeterselo a lungo, finché non arrivò alla sua fermata poco dopo. Per poco non dimenticò le scarpe sull’autobus, tanto era distratto da quel pensiero. Alla fine, tuttavia, riuscì a scacciare quel tormento ed entrò da Leandro’s, pronto a riempirsi lo stomaco senza troppi complimenti.
Il locale era caldo e accogliente come al solito. Ranma attese pazientemente il suo turno al bancone, finché non fu servito da un’attraente ragazza che conosceva ormai da tempo.
« Ehi, Ranma! » disse lei con un gran sorriso. « Come te la passi? Era da un po’ che non ti facevi vedere da queste parti. »
« Ciao Sharon » fece Ranma, ricambiando il sorriso. « Scusa, sono stato un po’ impegnato... il lavoro, sai com’è... »
« Già, ti capisco. È la maledizione di chi lavora, che vuoi farci... e ormai sai bene quanto me come va in questo paese. »
« Allora, che c’è di buono oggi? » tagliò corto il ragazzo.
« Oggi abbiamo un ottimo risotto alla milanese » dichiarò Sharon. « Vuoi tentare la sorte? »
« Certo, perché no? Fammi una bella porzione... e non preoccuparti per le bacchette, ormai sono pratico con la forchetta. »
Sharon ridacchiò, e lo invitò a sedersi al tavolo libero più vicino. Ranma obbedì, e poco dopo fu raggiunto dalla ragazza con la sua ordinazione.
« Oggi sei più allegra del solito » osservò, guardandola bene. « Devo essermi perso qualche novità in questi giorni, dico bene? »
« Altroché » rispose Sharon con un altro gran sorriso. « Guarda bene... ta-dah! »
E gli mostrò la mano, sul cui anulare scintillava un anello con brillante nuovo di zecca. Anche per uno straniero poco sveglio come Ranma, quell’oggetto poteva significare una sola cosa.
« Oh... magnifico! » esclamò stupito. « Non mi dire... finalmente ha chiesto la tua mano? »
« Siii! Ancora non mi sembra vero, ormai non ci speravo più. »
Sharon era entusiasta, in una maniera che non gli capitava di vedere da tempo. 
« Congratulazioni, allora! Sono felice per te, Sharon, davvero. E avete già deciso la data? »
« Ci sposeremo a maggio... non vedo l’ora! Onestamente pregherò che questo inverno passi il più in fretta possibile. Dio solo sa quanto ho aspettato l’arrivo di questo giorno. »
« Hehe... ottimo » disse Ranma. Guardò il suo riso, e decise di assaggiarlo prima che si raffreddasse troppo.
« E tu che mi racconti, invece? » domandò Sharon, rimasta in piedi davanti a lui. « Non hai novità per me su questo stesso argomento? »
Ranma deglutì, prima di rispondere con un sorrisetto.
« Temo di no, mi dispiace. »
Sharon sospirò, come al solito ogni volta che il ragazzo le riportava questa spiacevole notizia.
« Peccato » commentò. « Sai, da quando ti conosco ho sempre sperato di vederti entrare qui con una ragazza al tuo fianco... ma non è mai successo. Sembra quasi che tu voglia stare alla larga dalle donne. »
« Be’... diciamo solo che per un po’ voglio starmene tranquillo. Vengo da una situazione in cui c’erano fin troppe donne nella mia vita. Non è come pensi » disse subito, intercettando lo sguardo stupito di Sharon. « Non sono il tipo che se la fa con più ragazze nello stesso periodo. È... è una storia complicata e non mi va di sconvolgerti... puoi credermi. »
Sharon tacque per un po’, ma poi tornò a sorridere.
« Ti credo, Ranma » disse. « Ormai so bene che tipo sei. E puoi credermi, se ti dico che sei da sposare. »
« Davvero? »
« Certo. Lo so perché, se non fossi già impegnata con il mio moroso, mi candiderei volentieri per quel posto vicino a te. »
E Sharon tornò alla sua postazione, non prima di avergli fatto un simpatico occhiolino. Ranma restò ammutolito a lungo, e tornò al suo risotto ormai raffreddato.
Doveva ammetterlo, quella ragazza aveva un bel caratterino. Questo, insieme al lavoro che faceva e al suo stesso nome, gli facevano ricordare Shampu, una delle “spasimanti” che avevano tormentato la sua vita nei giorni della maledizione: giunta dalla Cina, anche lei era stata vittima di una Sorgente Maledetta, e si trasformava in gatto ogni volta che si bagnava con l’acqua fredda. Shampu si era innamorata di lui dopo una serie sfortunata di eventi, e lo scopo principale della sua vita era diventato quello di sposarlo, ricorrendo spesso a trucchi o incantesimi con cui fece regolarmente fiasco.
Shampu, purtroppo, non era stata l’unica ad aspirare al suo cuore in quel periodo; ma lei era stata la più tenace, la più forte... perché era una guerriera come lui. Ranma la rispettava, almeno sotto questo punto di vista; e non poteva negare che fosse davvero bella. Forse le cose sarebbero andate diversamente tra loro, se suo padre e il signor Tendo non avessero tentato di segnare il suo destino.
Un destino da cui aveva deciso di fuggire.
Finito il pranzo, Ranma tornò a casa e si rilassò per qualche minuto, prima di uscire ancora una volta. Era ora di andare a lavoro: il ragazzo era riuscito a diventare insegnante di arti marziali in una palestra del quartiere, e dal suo punto di vista non poteva chiedere di meglio. Le arti marziali era ciò in cui riusciva meglio, e per un tipo come lui non c’erano altri posti in cui sentirsi a proprio agio.
Certo, non era stato facile ottenere un lavoro del genere. Ranma aveva vagato a lungo prima di stabilirsi a Roma, alla ricerca di un posto lontano in cui cominciare una nuova vita; aveva visitato molti luoghi e molte città sulla lunga strada dal Giappone all’Italia, facendo diversi lavoretti e conoscendo persone di ogni sorta. Alla fine aveva conosciuto, proprio a Roma, un maestro di kung fu con cui era entrato subito in simpatia; lui lo aveva aiutato molto, insegnandogli le basi della lingua italiana, trovandogli un buon alloggio e indirizzandolo alle palestre che potevano fare al caso suo. I suoi sforzi, alla fine, erano stati premiati, e molte persone imparavano ora le arti marziali sotto la guida del maestro Saotome.
Ranma insegnava a una notevole varietà di persone nei suoi corsi; insegnava soprattutto karate e kung fu, ma teneva anche un corso di difesa personale per le donne. Gli piaceva pensare di essere d’aiuto, di donare a quelle persone una parte del suo potere per difendersi dalle ostilità.
Le lezioni di Ranma durarono tutto il pomeriggio; il sole era calato da un pezzo a causa dell’ora solare, e il ragazzo tornò a casa quando il buio era ormai totale. Consumò una rapida cena e si sdraiò sul divano, esausto, con solo una lattina di Sprite a fargli compagnia; cercò di rilassarsi, ma nella sua mente infuriava un piccolo caos, fatto di pensieri e immagini di varia natura. Una ragazza dai capelli rossi continuava a emergere dal buio, come un riflesso in acque agitate...
Vattene via, ti prego...
Era inutile. Più cercava di non pensarci, più lei lottava per venire fuori. E il passato, quelle persone di cui era stufo, tutti i guai che aveva subito sulla sua pelle... insopportabili come una scopa infilata nel...
« Aiuto! »
Ranma aprì gli occhi. Guardò verso la finestra socchiusa, da cui aveva sentito l’urlo: una donna, senza dubbio. Non tentò di convincersi di averlo solo immaginato, perché un altro grido risuonò nell’aria, spingendolo quindi ad alzarsi in piedi e a verificare.
Aprì la finestra, ma da quella posizione non vedeva nulla; solo la strada principale, illuminata dai lampioni. Eppure qualcosa di grave stava succedendo nelle vicinanze; una donna era in pericolo...
Doveva intervenire. Ne aveva la forza, dopotutto... una forza tale da fare di lui un guerriero. Un eroe. E gli eroi salvano le persone.
Così, senza indugiare un secondo di più, Ranma balzò fuori dalla finestra. Poco importava il fatto di trovarsi al quarto piano: atterrò tranquillo sul tetto vicino, restando fermo per qualche secondo. Sentì un nuovo urlo, breve ma sufficiente per guidarlo in quell’oscurità che celava il misfatto; balzò su un altro tetto e si calò giù per il vicolo sottostante, arrivando dunque a destinazione.
« Aiutatemi, vi preg... argh! »
« Zitta! »
Aveva ragione: una donna era in pericolo... il peggiore che potesse capitare in una città del genere. Era appoggiata al muro, circondata da tre balordi con intenzioni tutt’altro che piacevoli: uno si era già avventato su di lei, pronto a violare con la forza le sue parti più intime, minacciandola con un coltello. Gli altri due facevano la guardia, in attesa del loro turno... ma ora la loro attenzione era tutta rivolta verso il ragazzo giunto sulla scena.
« Lasciatela subito, animali! » gridò Ranma, improvvisamente furioso.
« Tu che vuoi? » disse uno di quei teppisti. Il suo accento non era romano, ma il ragazzo non era nella posizione di poter giudicare qualcuno in base al luogo d’origine. « Vattene, se non vuoi guai. »
Ranma lo ignoro, e fece un passo in avanti.
« Vi do dieci secondi per lasciarla andare. »
Il teppista avanzò a sua volta, coltello alla mano.
« Io te ne do tre per sparire, muso giallo! »
« Uno... due... tre... quattro... »
Ranma continuò a contare, man mano che si avvicinava alla banda senza avere alcun timore. Ora erano rivolti tutti e tre verso di lui, dimenticandosi della ragazza. Dopo Ryoga, Kuno, Happosai e tutti gli altri soggetti che aveva affrontato in passato, come poteva temere un trio di simili imbecilli? Non sapevano affatto con chi avevano a che fare.
« ...otto... nove... dieci!»
Un coltello scattò in avanti, dritto contro il suo stomaco. Afferrò la mano che lo stringeva e con un gesto fluido la piegò da un lato; l’uomo gridò di dolore, mollando la presa. Ranma lo colpì allo stomaco con il ginocchio, facendolo crollare a terra. Meno uno.
Il secondo uomo avanzò, armato anche lui di coltello. Ranma schivò il suo fendente e arrivò alle sue spalle; lo colpì forte al collo, poi gli sferrò un calcio alle gambe, e rovinò anche lui al suolo. Meno due.
Toccava al terzo, finalmente, l’uomo che aveva aggredito la ragazza. Aveva ancora i pantaloni abbassati, tanto era stato colto alla sprovvista. Nonostante i suoi compari fossero caduti giù come birilli davanti ai suoi occhi, cercò anche lui di opporre resistenza; si avventò su Ranma senza alcuna strategia, in un gesto disperato per farla franca, ma un attimo dopo andò incontro alla sua fine. Il ragazzo sfruttò lo slancio per afferrarlo a un braccio, proiettandolo al suolo senza alcuno sforzo; Ranma sperò che finisse così, ma l’uomo di rialzò in piedi. Ne voleva ancora, evidentemente. Ranma non guardò nemmeno mentre gli sferrava un calcio in piena faccia.
« Aaargh! Il mio naso... il mio naso! Brutto figlio di... »
« Sì, te l’ho rotto » commentò Ranma, restando serio. « Mi sembra un buon motivo per passare la notte in ospedale anziché in galera. Dovresti ringraziarmi, ti sto facendo un favore... ma se preferisci l’alternativa, puoi aspettare qui con me l’arrivo della polizia o dei cala... cara... be’, di quegli altri.
« E questo vale anche per voi » aggiunse, rivolgendosi agli altri due balordi intenti a rimettersi in piedi. « Ospedale o galera? A voi la scelta! »
Si scrocchiò rumorosamente le nocche mentre lo diceva. Pochi secondi dopo, tutti e tre se la diedero a gambe, sparendo fuori dal vicolo. Ranma non li degnò di uno sguardo, ma sorrise soddisfatto per il risultato. Aveva sconfitto i cattivi, poteva andarne fiero.
Poi si ricordò di colei che stava per diventare vittima di quegli animali, e abbassò lo sguardo verso il muro. La ragazza era svenuta per lo spavento e, a parte qualche graffio e botta, sembrava stare bene; i suoi vestiti erano stati strappati in vari punti. Lei doveva aver opposto molta resistenza, ma Ranma era giunto appena in tempo per impedire danni ben più gravi. Si avvicinò ulteriormente per portarla via dal vicolo, e quando la guardò in viso sgranò gli occhi per l’improvviso stupore.
La ragazza con il codino di quella mattina.
 

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Capitolo 3
*** Guardando indietro ***


Guardando indietro
 
Ovunque Ranma si voltasse, non riusciva a trovare una posizione comoda in cui riposare in santa pace. Naturalmente, quella fila di sedie imbottite su cui aveva deciso di sdraiarsi non potevano reggere il confronto con il comodo letto di casa sua, ma quella notte avrebbe dovuto farne a meno con sommo dispiacere. Il corridoio dell’ospedale dove aveva portato la ragazza a ricoverare pochi minuti dopo l’aggressione era semivuoto, a quell’ora, eccezion fatta per un limitato viavai di medici, infermieri e pazienti insonni. Il ragazzo aveva preferito restare lì, davanti alla camera in cui la ragazza riposava; le avevano detto che stava bene grazie al suo intervento e che avrebbe presto ripreso i sensi... ma avevano anche suggerito di lasciarla riposare per tutta la notte, per non provocarle ulteriori turbamenti.
Ranma aveva ignorato l’ultimo consiglio; sarebbe rimasto a vegliare su di lei per giorni interi, se necessario, pur di riuscire a parlare con lei al suo risveglio. Dopo tutto quello che aveva passato nella sua vita, ormai non credeva più nelle coincidenze: quella ragazza dai capelli rossi, raccolti in un codino... così simile a lui quando l’acqua fredda lo trasformava; l’aveva incontrata di sfuggita più volte quello stesso giorno, e ora l’aveva addirittura salvata da un tentativo di stupro.
Dopo tutto quello che aveva passato nella sua vita, non riusciva a credere di averla incontrata solo per caso. Doveva parlarle, conoscerla... per scoprire la verità che, ne era certo, doveva essere ben più grande delle apparenze.  
Così continuò ad aspettare, cercando di dormirci sopra. Un’impresa non facile, vista la scomodità di quelle sedie, ma non poteva farci nulla. Nel frattempo la sua mente tornava indietro, verso giorni lontani; il passato, rievocato dalla misteriosa ragazza con il codino, scorreva rapido tra i suoi neuroni, come le immagini di un film, fino a soffermarsi sul capitolo che più lo interessava. Il giorno in cui era cambiato tutto.
La fine di una storia, l’inizio di un’altra.
 
Diciotto mesi prima.
Ranma affrontava dei giorni difficili. La scuola era finita da poco; lui e Akane avevano ottenuto il diploma con ottimi voti, e per entrambi non restava che decidere cosa fare al termine delle vacanze. Il ragazzo era indeciso: oltretutto, suo padre e il signor Tendo facevano ulteriori pressioni affinché i loro figli convolassero finalmente a nozze, come programmato ormai da anni. Peccato che le cose non fossero migliorate nemmeno un po’ in quel periodo tra Ranma e Akane: lui, sempre il solito immaturo con la fobia dei gatti e perseguitato da rivali in amore e individui di ogni sorta; lei, sempre il solito maschiaccio che non mancava di ricordargli quanto fosse stupido.
La realtà era questa: Ranma mangiava ormai da anni la solita minestra insipida, fatta di intrecci, equivoci, magie e duelli strampalati. Cominciava ad averne abbastanza, però, soprattutto nell’ultima settimana: aveva respinto per l’ennesima volta le accese avances di Shampu e di Kodachi; aveva sconfitto Ryoga in un altro duello, dopo che lui aveva appreso una nuova tecnica micidiale; era sfuggito di nuovo a Kuno mentre era in forma di ragazza; ora – ed era solo giovedì – stava inseguendo il vecchio Happosai per tutto il quartiere, dopo che questo aveva fatto la solita razzia di biancheria intima femminile.
« Torna qui! » gridava Ranma, infuriato come non mai. « Non cambi mai, vero? Tu, razza di pervertito, aspetta che ti prendo... »
« Spiacente, moccioso! » ribatteva Happosai, diversi metri più avanti. « Sono in ritardo, ora non ho proprio tempo per farmi prendere da te! Uiiii! »
Il vecchio, agile e forte nonostante l’età avanzata, schizzava per la strada con la grinta di uno scoiattolo, saltando tra i palazzi con balzi enormi. Ranma riusciva a stargli dietro, ma cominciava a stufarsi: doveva fermarlo subito, o gli sarebbe sfuggito. Un'altra scena già rivissuta svariate volte...
Happosai saltò su un balcone, urtando un vaso di fiori che cadde di sotto; Ranma lo prese in pieno sulla testa e rovinò pesantemente al suolo. Vide le stelle per breve tempo, ma sufficiente per dare al vecchio l’occasione per svignarsela via indisturbato. Il ragazzo lo sentì gridare trionfante mentre spariva tra i tetti, lieto di aver conquistato un nuovo bottino con la sua depravazione.
« Maledetto » ringhiò Ranma mentre cercava di rialzarsi. « Ma tanto ti ritrovo... »
Splash.
Un’ondata di acqua fredda lo investì in pieno, gettata via da un ignaro cittadino intento a svuotare un secchio dal piano superiore. Il ragazzo scomparve, lasciando il posto alla ragazza con il codino: lo scherzo della natura, vittima delle Sorgenti Maledette da cui non c’era via di scampo. Un supplizio ormai durato fin troppo a lungo, da cui non era mai riuscito a liberarsi...
Ranma urlò al cielo, giunto al limite della sopportazione. Tutta l’ira accumulata nell’ultima, orrenda settimana veniva fuori: un grido lungo, acuto, colmo di tutta la sofferenza che si portava dentro da fin troppo tempo. Il suono che indicava nella misura esatta quanto fosse stufo di tutto questo. La poca gente nei paraggi si fermò un attimo a guardare quella ragazza nel suo breve scatto d’ira, per poi ignorarla come se nulla fosse.
Nessuno poteva aiutarlo. Ranma Saotome era solo, solo con i suoi tormenti.
« Serve aiuto? »
La ragazza alzò lo sguardo, mentre era ancora in ginocchio. Qualcuno si era fatto avanti e le stava tendendo una mano, per aiutarla a rialzarsi: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio. Ranma lo guardò sorpresa per una manciata di secondi, poi afferrò la sua mano; lo sconosciuto l’aiutò a rialzarsi con gentilezza, rimettendola in piedi.
« Va tutto bene? Sei bagnata fradicia » osservò lo sconosciuto.
« Hah... niente di grave » borbottò Ranma, l’aria ancora seccata. « Mi è successo altre volte. »
« Uhm, capisco. Abito qui vicino, posso darti qualcosa di asciutto se lo desideri. »
« Ti ringrazio, ma non ce n’è bisogno... ormai tanto vale che vada a casa a cambiarmi. »
« Peccato. Eppure credevo che tu avessi bisogno di aiuto. »
Ranma lo fissò ancora, invasa da una notevole ondata di stupore. Era quasi come se quel tizio avesse letto nella sua mente... come se avesse percepito ciò che provava in quel momento. Quella mano tesa per rimetterla in piedi sembrava apparsa dal buio, come un’ancora di salvezza.
« Io... va bene » disse alla fine, accettando la sua richiesta.
Lo sconosciuto condusse Ranma in una strada laterale, fino a una serranda abbassata. La sollevò e invitò la ragazza ad entrare: l’interno era un vasto locale abbandonato, ridotto in pessime condizioni; un tempo doveva essere stato un ristorante o qualcosa del genere; c’erano ancora il bancone e qualche tavolo e sedie sparsi in giro. Il sospetto di Ranma nei confronti di quel tipo cominciò ad aumentare. Cosa ci facevano in posto come quello?
« Tu abiti qui? » fece Ranma incredula. « Cosa sei, un vagabondo? »
« Una specie » rispose lui alle sue spalle, mettendole nel frattempo una calda coperta addosso. La sua voce era glaciale, ma giovanile; doveva trattarsi di un ragazzo, non molto più grande di lei. Continuava a tenere nascosto il volto, comunque, e fu impossibile stabilire la sua identità.
« Chi sei? » chiese Ranma.
« Puoi chiamarmi Nul. Non temere, non voglio farti alcun male. Voglio solo aiutarti, tutto qua. »
« E perché vuoi aiutarmi? »
« Perché ho sentito il tuo bisogno di aiuto » rispose Nul. « Un disperato bisogno di aiuto, come non ne sentivo da molto tempo. Perciò eccomi qui... pronto a fare tutto il possibile per farti stare meglio. »
Ranma era senza parole. Ora ne era certa, quel tipo non era una persona qualsiasi. La voce, le parole, l’aria misteriosa con cui si atteggiava e le cose che sapeva di lei, come se avesse letto nella sua mente... tutti indizi che lo rendevano un essere fuori dal comune. Sovrannaturale, per giunta... un ambiente con cui ormai aveva a che fare da tempo.
Per Ranma ce n’era abbastanza per farlo scattare in posizione di guardia, pronto a combattere.
« Ora basta! » esclamò irritata. « Dimmi subito cosa diavolo vuoi da me. Ormai è ovvio che mi conosci, l’ho capito... non è così? »
Sentì Nul ridacchiare divertito.
« In effetti è così » dichiarò, incrociando le braccia. « Ti conosco, Ranma Saotome, figlio di Genma e di Nodoka, futuro marito di Akane Tendo, di Shampu e di Ukyo... accidenti, che fortunello. E naturalmente, vittima della maledizione delle Sorgenti che ti trasforma in ragazza con l’acqua fredda. »
Ranma non tentò nemmeno di replicare o negare in alcun modo. Quel tipo aveva capito tutto, in un modo che non riteneva possibile. Rimase inchiodata al suo posto, stringendosi nella coperta come se fosse l’unica difesa a sua disposizione. Nul era riuscita a metterla a nudo come nessun altro, negli ultimi tempi.
« Ma... ma come... »
« Ti conosco bene » riprese lui. « Ti ho osservato a lungo. Diciamo che sono un tuo ammiratore, in un certo senso. Hai vissuto molte avventure in questi anni, Ranma, cominciate quando arrivasti a Tokyo un paio di anni fa, in quel dì di pioggia sulle spalle pelose del tuo stupido padre. Quante nei hai passate, da allora? Il tuo insediamento in casa Tendo; il tuo matrimonio combinato con una delle figlie di Soun; il liceo Furinkan, con quel fesso di Kuno che ti odia quando sei un uomo e ti adora quando hai le tette; le tue numerose spasimanti, e tutte quelle persone che hai affrontato, vittime come te della maledizione delle Sorgenti.
« Ormai va avanti da anni, non puoi negarlo. È come leggere lo stesso libro svariate volte, o vedere una serie televisiva che non finisce mai... con episodi tutti uguali tra loro. Sappiamo entrambi che sei stufo, non è vero? Stufo marcio. Coraggio, Ranma, dillo con le tue parole... voglio aiutarti, ma per farlo ho bisogno di sentire la verità dalle tue labbra. »
Ranma non rispose subito; le mani e le labbra tremavano, il cuore batteva all’impazzata nel suo petto. Nul aveva capito tutto... uno sconosciuto senza volto era riuscito a fare breccia nel suo animo come nessun altro; e ora, grazie a lui, riusciva a sfogarsi come desiderava da tempo.
« SI'! » esclamò. « Sono stufo, stufo marcio! Vorrei poter trascorrere anche solo una giornata come tutte le persone normali! Senza dover tornare a casa e vedere mio padre trasformato in un panda... senza essere tormentato dal signor Tendo sul matrimonio... senza tutte quelle ragazze che vogliono il mio cuore... senza dover inseguire ogni tre giorni un vecchio pervertito che ruba mutandine... senza dover sentire Akane che mi ripete quanto sono stupido! »
E scoppiò in lacrime, come non faceva da tempo. Nul restò a guardare, immobile e inespressivo, ma soddisfatto; aspettò che Ranma si calmasse un po’ dopo quell’esplosione di dolore, prima di intervenire di nuovo.
« Capisco bene il tuo dolore » disse, avvicinandosi. « Vorresti fuggire da tutto questo, ma sai di non poterlo fare. Dove potrebbe andare una persona come te? Finora ti è andata bene, ma basterebbe una secchiata d’acqua fredda nel posto sbagliato, al momento sbagliato, per rovinarti la vita in un secondo. Le persone sbagliate scoprirebbero la tua maledizione; ti prenderebbero con la forza, allo scopo di studiarti... di controllarti. Nemmeno io posso immaginare a quanti governi o potenze potrebbe fare comodo una maledizione come la tua. In un mondo del genere – e anche in altri, purtroppo – c’è sempre qualche idiota che fa il passo più lungo della gamba. »
Ranma si asciugò le lacrime, limitandosi ad annuire.
« Hai ragione » disse. « Finché resto con la mia famiglia, sono al sicuro... ma non ce la faccio più. Vorrei andare via... liberarmi di tutto questo schifo che mi circonda. Ne ho avuto abbastanza. »
Nul si allontanò di nuovo, iniziando a trafficare con degli arnesi in un angolo del locale. Ranma lo vide afferrare un secchio d’acqua e una teiera, ignaro di cosa volesse farci.
« Sei sicuro? » disse Nul nel frattempo. « È questo ciò che desideri più di tutto? Vorresti andare via, trasferirti altrove? Vorresti un’occasione per vivere la tua vita come più ti piace? »
Nel frattempo aveva acceso un fuoco, mettendo la teiera – riempita con acqua – su un fornelletto da campo.
« Sì » dichiarò Ranma con decisione, levandosi la coperta di dosso. « Me lo merito, in fondo. Ormai sono maggiorenne, sono libero di fare ciò che voglio. E al diavolo i progetti di mio padre... non ho assolutamente nulla contro i Tendo, ma se devo passare la mia vita a farmi dare dello stupido da Akane, preferisco fare harakiri! »
« Ah, non temere... la morte non è certo l’unica alternativa a una vita così complicata. Pensa a quante persone al mondo stanno peggio di te, eppure vogliono continuare a vivere. Io posso aiutarti, Ranma... ma prima occorre fare qualcosa per il tuo problema maggiore. La maledizione. »
Nul tornò da lui con la teiera ormai calda, versandogli il contenuto sulla testa. Ranma sentì il calore scottargli la pelle, ma ormai c’era abituato, insieme alla sgradevole sensazione che provava il suo corpo ogni volta che si trasformava. Ora era di nuovo un ragazzo, con sua somma gioia.
« Ci ho provato un sacco di volte, non sono mai riuscito a spezzarla » ammise il ragazzo. « Cosa pensi di poter fare tu? Qualche sostanza magica? Un incantesimo? Un rituale? Ormai non ricordo più quanti ne ho sperimentati... ognuno è stato un fiasco totale. »
« Certo » disse Nul. « Niente di tutto ciò che hai provato doveva funzionare, perché così era stato deciso. Così la tua storia poteva andare avanti a lungo, affinché tu potessi vivere nuove avventure. »
Ranma non sembrò capire, ma lo sconosciuto s’interruppe. Gli voltò le spalle per un attimo, mentre afferrava stavolta il secchio d’acqua.
« Ma io non faccio parte del sistema » dichiarò, afferrando da una tasca interna quella che sembrava una fiala. « Né di questo mondo. Ecco perché il mio rimedio funzionerà... per liberarti una volta per tutte dal tuo supplizio. »
Versò il contenuto della fiala, un liquido luminoso trasparente, nel secchio, sotto lo sguardo incredulo di Ranma. Dopodiché, senza aspettare un ordine o una richiesta, gli gettò l’acqua addosso, investendolo in pieno. Il ragazzo fu inzuppato ancora una volta, con sua somma irritazione.
« Ma che diavolo fai? » gridò spazientito. « Prima mi fai tornare uomo, ora mi ritrasformi in... eh? »
Non ebbe bisogno di guardare nello specchio che Nul aveva tirato fuori dal nulla. Ranma si rese conto, pur mantenendo l’incredulità, di non essere diventato femmina per l’ennesima volta, nonostante l’acqua fredda. Niente capelli rossi, niente tette, né altri attributi che lo rendevano di fatto una bella ragazza agli occhi di tutti; era ancora se stesso, anche se bagnato fradicio.
Aveva provato di tutto, ma nessun rimedio era durato a lungo. Ranma continuò a fissarsi, al culmine dello shock.
« Io... è... è proprio vero? » balbettò. « È tutto vero? Non è un sogno, è vero... io... io sono... »
« Libero » completò Nul, soddisfatto. « Ho appena spezzato la tua maledizione. Per sempre. Non diventerai mai più una ragazza... a meno che tu non decida di sottoporti a stupide operazioni chirurgiche per cambiare sesso. »
« Ma come hai fatto? Cosa era quella roba che hai messo nell’acqua? »
« Un antidoto, naturalmente. È tutto quello che ti basti sapere, il resto non lo capiresti mai. Non ha importanza ormai, no? Quel che conta è che finalmente sei libero dal tuo tormento. »
Ranma cominciò a ridere, felice di quanto era appena accaduto. Ma la sua gioia fu breve, non appena il sospetto cominciò a insinuarsi tra i suoi pensieri.
« Un momento » disse, tornando serio. « Sento puzza di fregatura. Ho imparato da un pezzo che per simili miracoli c’è sempre un prezzo da pagare, tipo patto con il diavolo. Sei il diavolo, per caso? Che cosa vuoi in cambio? »
Nul scoppiò a ridere. Una risata inquietante, priva di gioia.
« Hai ragione » disse. « Effettivamente c’è un prezzo da pagare per questo servizio. In cambio voglio una cosa da te, Ranma. Voglio che tu faccia la cosa giusta. »
« Come? La cosa giusta? »
« Sì, quello di cui parlavamo prima che ti curassi. La cosa giusta, ovvero partire e rifarsi una vita lontano da qui. Era quello che volevi, no? Liberarti di tutto questo schifo che ti circonda... come hai detto tu stesso. Bene, ora hai la possibilità di farlo: ho spezzato l’unica catena che ti legava a questo mondo ingiusto fatto di maledizioni, genitori opprimenti, spasimanti varie e scocciatori. Ora sei un ragazzo normale, Ranma Saotome... a parte la forza che hai ottenuto con le arti marziali. Sei libero di vivere la vita che desideri, lontano da qui. »
Ranma restò in silenzio, turbato se possibile più di quanto non lo fosse mai stato in vita sua. Nel giro di pochi minuti aveva visto accadere l’impossibile: quell’uomo venuto dal nulla gli stava offrendo l’occasione per una vita migliore.
A patto di andare via, abbandonando tutto ciò che aveva di più caro. Ci aveva pensato un mucchio di volte, ma era sempre stato facile parlare e immaginare... compiere il passo decisivo era tutta un’altra cosa.
Era davvero disposto a farlo?
« L-la mia famiglia » mormorò, indeciso. « I miei amici... dovrei parlargli di tutto questo. Anche loro meritano di essere liberati dalla maledizione... non potresti darmi dell’altro antidoto per loro? »
Nul scosse la testa.
« Perché ti preoccupi tanto per loro? » domandò. « Un attimo fa eri pronto a mandarli tutti a quel paese, per tutto ciò che ti hanno fatto passare. Credimi, non meritano il privilegio che ho appena riservato a te. Pensa a tuo padre... il mondo diventa un posto migliore ad ogni minuto che lui passa in forma di panda. Ryoga? Odia essere un maialino, ma nel frattempo adora stare tra le braccia della tua fidanzata quando è in quello stato. Shampu? La sorte che le è toccata dispiace anche a me... ma sai bene quanto lei sia forte, nel corpo e nello spirito. Se la caverà, come tutti gli altri. »
Ranma ascoltò con attenzione, restando in silenzio anche dopo che Nul aveva finito di parlare. Quest’ultimo aspettò paziente, finché il ragazzo non decise di annuire.
Lo aveva convinto.
« Bene, allora » dichiarò Nul. « Non ho altro da dire, né da fare. Ti ho dato tutto quello di cui avevi bisogno per essere felice, amico... ti suggerisco di sfruttarlo bene, perché occasioni del genere capitano davvero di rado in mondi come questo. »
Entrambi uscirono dal locale. Ranma diede un’occhiata al cielo, che ormai tendeva all’imbrunire. Si stava facendo tardi... ma per cosa? Ormai nulla aveva più importanza. Era pronto a lasciarsi tutto indietro.
Sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Nul era accanto a lui. Cercò di guardarlo in faccia, ma era come se ci fosse solo pura ombra sotto quel cappuccio. Non riusciva proprio a capire chi – o che cosa – fosse.
« Perché fai questo per me? » gli domandò, ancora un po’ preoccupato.
« Perché voglio aiutarti » rispose Nul con semplicità. « E l’ho fatto. Ora tocca a te, Ranma Saotome. Vivi libero... vivi felice. »
Detto questo, mollò la presa dalla sua spalla e si voltò, inoltrandosi in una strada diventata più affollata di prima. Ranma cercò di seguirlo con lo sguardo, ma ben presto lo perse di vista. Sembrava sparito nel nulla... lo stesso dal quale era arrivato per venire in suo aiuto.
Uno sguardo determinato riempì gli occhi del ragazzo, finalmente libero dal dolore e dall’angoscia. Non aveva più dubbi su ciò che doveva fare, e non ne avrebbe avuti mai più.
Tornò quindi a casa, salutando i Tendo e suo padre con tono piatto; cenò insieme a loro il più in fretta possibile, e tornò in camera sua con la scusa di sentirsi poco bene. Attese il momento giusto per agire, quando tutti erano andati a dormire. Prese vestiti, accessori e provviste, tutto il necessario per un lungo viaggio, e li infilò con calma nello zaino più grosso che trovò in casa. Si occupò infine di scrivere una lettera ai suoi cari, spiegando le sue intenzioni; meditò a lungo sulle parole giuste, cercando di apparire sincero nei loro confronti e deciso su quanto stava per fare.
Infine, prese un coltello e si separò dall’ultima cosa di cui voleva sbarazzarsi per sempre: il suo codino. Non era più importante, come tutto il resto, e lo lasciò insieme alla lettera sul tavolo in cucina.
Uscì di casa mentre una leggera pioggia aveva cominciato a cadere, ma non ci badò minimamente; ricordò il giorno in cui era venuto dalla Cina insieme a suo padre, sotto una fitta pioggia. Era giusto così, per non dire ironico, andarsene nel modo in cui era venuto.
E Ranma proseguì, senza voltarsi indietro, verso il suo futuro.
Verso un nuovo inizio.

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Capitolo 4
*** Il riflesso ***


Il riflesso
 
« Signor Saotome? »
Ranma aprì gli occhi di scatto, trovando subito chi lo aveva chiamato. Un’infermiera del turno di notte, venuta a svegliarlo con gentilezza; si alzò a sedere, lanciando un’occhiata all’orologio appeso al muro di fronte. Erano quasi le tre di notte.
« Scusate, devo essermi appisolato » ammise con un piccolo sbadiglio. « Cosa succede? »
« La signorina ha ripreso i sensi » disse l’infermiera. « Vorrebbe ringraziarvi per ciò che avete fatto per lei. Le ho suggerito di rimandare la questione a domattina, ma ha insistito... non vuole aspettare. Per voi va bene? »
Il ragazzo impiegò un po’ per registrare la situazione, ma alla fine annuì.
« Certo... nessun problema. »
L’infermiera lo invitò dunque a entrare nella camera, e Ranma obbedì senza ulteriori indugi.
« Solo per pochi minuti » raccomandò lei, « poi dovrà riposare ancora. Ha subito una brutta esperienza, dopotutto. Cercate di non affaticarla. »
« Certo, infermiera. Grazie » fece Ranma con un inchino. Quando la porta si richiuse alle sue spalle, fu libero di concentrarsi sulla persona che al momento era al centro dei suoi pensieri.
La ragazza con il codino, unica ospite di quella camera d’ospedale, stava seduta sul letto in fondo. Non riuscì a trattenere lo stupore mentre la guardava, sebbene l’avesse già incontrata in precedenza: a parte i tratti somatici tipicamente europei, la somiglianza con la sua controparte femminile nei giorni della maledizione era inequivocabile. Lo stesso colore dei capelli, lo stesso azzurro negli occhi, e una corporatura molto simile.
Il loro incontro non poteva essere accaduto per caso.
« Ciao » disse la ragazza, riportandolo nella camera.
« Oh. Ehm... ciao. »
Ranma si avvicinò al letto, nervoso come non lo era da tempo. Lei lo guardava con aria dolce, come se fossero amici intimi.
« Come ti senti? »
« Molto meglio, adesso... grazie a te. »
« Bene, questo mi conforta. Temevo di non essere intervenuto abbastanza in fretta. »
« No, invece » disse la ragazza. « Sei stato un fulmine. Mi hai salvata... come un vero eroe. »
E gli tese la mano, invitandolo a stringerla. Ranma l’afferrò, e i due si guardarono negli occhi per un lungo silenzio.
« Io sono Ranma. »
« Piacere. Io mi chiamo Roslin... ma puoi chiamarmi Rose. »
« Piacere mio. Senti, Rose... perdonami se la domanda che sto per farti ti sembrerà strana o inopportuna, ma... io e te ci siamo già visti da qualche parte? »
« Ma certo. È successo stamattina, al centro commerciale... ti avevo urtato per sbaglio. Non ti ricordi? »
Ranma fece un sorrisetto, cercando di mascherare la sorpresa. Lei ricordava quell’attimo così breve.  
« Ah, sì... certo » disse lui. « Ma a parte oggi... ti risulta che ci siamo già incontrati? »
Rose lo guardò con aria perplessa.
« Prima di oggi? » fece. « No, non mi sembra proprio. Ma perché me lo chiedi? »
« Ah, non farci caso. Era solo una mia impressione, non preoccuparti. »
Ranma decise di far cadere il discorso. Non era il momento più adatto, in fin dei conti, e Rose sembrava sincera. La sua teoria sull’incontro non casuale cominciava a perdere consistenza.
« Devo andare » le disse. « L’infermiera mi ha concesso solo qualche minuto. Be’... è stato un piacere conoscerti, ma avrei preferito circostanze migliori; mi dispiace che tu abbia dovuto subire un simile orrore. »
« Già » ammise Rose con amarezza. « Uno pensa sempre che cose del genere accadono sempre agli altri... e mai a te. Quando devo essere stata stupida... ora temo che potrebbe accadere ancora! »
Ranma restò al suo posto. Poteva ancora fare qualcosa per lei, dopotutto.
« Non accadrà più, se imparerai a difenderti. Ecco, tieni » e le porse il suo biglietto da visita. « Sono un insegnante di arti marziali: vieni a trovarmi quando vuoi... sarò lieto di insegnarti qualche tecnica per impedire ad altre bestiacce di metterti le mani addosso. »
Rose prese il biglietto, incuriosita. Lo esaminò con attenzione, prima di rivolgere un altro sorriso a Ranma.
« Be’... buonanotte » fece lui, voltandosi per uscire.
« Buonanotte, Ranma. E grazie ancora... grazie di tutto. »
Il ragazzo uscì dalla stanza, mentre un miscuglio di sensazioni invadevano la sua mente come una tormenta. Non era sicuro di cosa provava in quel momento, tanti erano i dubbi che lo opprimevano: quella ragazza, Rose... si era quasi convinto che fosse caduta giù dal cielo, con l’unico scopo di incontrarlo. La realtà era tuttavia un’altra molto più semplice: lei era solo una persona qualsiasi, nonostante l’incredibile somiglianza con la Ranma a cui aveva detto addio da tempo.
Solo un’incredibile coincidenza. Doveva farsene una ragione.
Ranma sospirò, incamminandosi per il corridoio. Ma il suo comodo letto avrebbe dovuto aspettarlo ancora un po’, dal momento che il ragazzo fu quasi subito avvicinato da due carabinieri. Avevano saputo dell’aggressione e desideravano interrogarlo sull’accaduto, per ricostruire i fatti con precisione. Ranma, non avendo nulla da nascondere, raccontò com’erano andate le cose.
« ...e sono scappati come conigli » concluse dieci minuti dopo. I due agenti avevano ancora un’aria scettica, tuttavia.
« E li ha affrontati tutto da solo? » chiese uno di loro, cercando di vederci chiaro. « Senza alcun aiuto? »
« Pratico le arti marziali fin da quando ho memoria, agenti... e posso assicurarvi che la mia memoria non è affatto corta » ribatté Ranma. « Insegno in una palestra qua vicino, potete controllare » e mostrò loro un altro biglietto. « Vengo da molto lontano, ma sono un onesto cittadino che cerca di farsi gli affari suoi... e di aiutare le persone in pericolo, quando sono minacciate da qualche criminale. Non mi aspetto nulla... sono solo contento di aver salvato quella ragazza, e ciò mi basta. »
I due carabinieri si cambiarono un’occhiata curiosa.
« Grazie » disse il secondo agente. « Per il momento è tutto, signor Saotome, è libero di andare. Si tenga comunque a disposizione, potremmo aver bisogno di farle ulteriori domande. Intanto dovremo aspettare domattina per interrogare la signorina Roslin, per sentire la sua versione dei fatti. »
« D’accordo. Ma andateci piano, per favore... si è presa un bello spavento, stanotte. Non è roba che potrà dimenticare facilmente. »
Poco dopo, Ranma era fuori dall’ospedale, finalmente libero di tornare a casa. Era stata una lunga giornata, con una notte ancora più lunga. Un piccolo imprevisto nella sua vita che poteva dire già superato, con quella strana coincidenza che lo rendeva memorabile.
Rose era solo una ragazza qualsiasi... ma era contento di averla conosciuta. Questo pensò mentre si infilava tra le coperte, con un sorriso sulle labbra.
Forse l’avrebbe rivista in giro.
 
Ranma si svegliò il mattino seguente, alle sette in punto come al solito. Avrebbe preferito continuare a dormire, dopo gli eventi della notte precedente, ma non poteva permetterselo: quella mattina aveva altre lezioni da tenere in palestra. Così, armandosi di pazienza e coraggio, si alzò per cominciare la giornata: allenamento, colazione, un giro di bucato e via. Era un’altra giornata di sole, ma il freddo invernale persisteva; riusciva a sopportarlo, dopo aver trascorso ore in meditazione sotto cascate gelate. Né l’uomo comune né le intemperie potevano piegarlo con così poco, amava pensare... e il triste episodio della sera prima era servito a ricordarlo alla gente del quartiere.
La mattine procedette tranquilla, con due ore di lezioni di karate prive di incidenti. Ranma trascorse poi la pausa pranzo insieme ai suoi colleghi, conversando su temi attuali; il ragazzo accennò brevemente all’agguato di ieri, suscitando una notevole sorpresa tra i presenti.
« Bravo » commentò Stefano, del corso di body building. « Hai fatto un ottimo lavoro, senza danni collaterali. »
« Bah, secondo me sei stato troppo buono » aggiunse Ilaria, insegnante di Krav Maga. « Dovevi rompergli le gambe, a quei maiali, e restare a guardare mentre strisciavano via. »
« Non sarebbe stato degno di me » ribatté Ranma. « Io sono un uomo d’onore... e non è solo un luogo comune del mio paese d’origine. Per quelli come me, che hanno praticato le arti marziali per tutta la vita, significa essere un tipo di uomo che ormai si può dire in via d’estinzione. Perché, infatti, continuare a brandire spade o spaccare rocce a mani nude in un’era di pistole e lanciamissili? Un tempo, combattere era un’altra cosa... era ancora un’arte. »
La sua voce era diventata malinconica, alla fine, con suo sommo dispiacere.
« Be’, è per questo che ci sono ancora quelli come te » disse Stefano con allegria, dandogli una pacca sulla schiena. « Per ricordare al mondo la nobile arte del combattimento! »
E scoppiarono a ridere, dimenticando in un attimo tutta la negatività dell’argomento.
Qualche ora dopo, Ranma fece ritorno alla palestra per un’altra lezione, quella sull’autodifesa femminile; quando si avvicinò alla reception, fu richiamato all’attenzione dalla ragazza al banco.
« Ranma, c’è una tipa che chiede di te. È laggiù. »
Il ragazzo si voltò, verso la sala d’attesa. Il suo sguardo si riempì di stupore quando riconobbe Rose, appoggiata a una colonna, intenta ad osservare l’interno della palestra. Lei notò il suo arrivo e gli venne subito incontro, con aria allegra.
« Ciao! »
« Ciao... Rose » balbettò Ranma, sempre più sorpreso nel vederla. « Ma cosa... ehm, come stai? »
« Sto benissimo » rispose lei. « Mi hanno dimessa questa mattina, i dottori hanno detto che era tutto a posto. Ho parlato con i carabinieri che volevano sapere dell’accaduto, e mi hanno lasciata andare. Sono libera di tornare alla mia vita, insomma. »
« Oh... ottimo. Mi fa piacere che ti sia ripresa subito. Ma, ecco... che cosa ci fai qui? »
« Be’, mi hai invitata tu. »
« Come? »
« Sì, mi hai dato il tuo biglietto » ribatté Rose. « Non ricordi? Mi hai proposto di seguire qualche corso per imparare a difendermi, ed eccomi qua. Quando sono arrivata, poco fa, ho fatto il tuo nome e ho saputo che oggi tieni il corso di autodifesa, perciò... insegnami tutto, sensei! »
Ranma abbassò lo sguardo, al culmine dello stupore. Era stato troppo impegnato a guardarla in viso per rendersi conto della realtà completa: Rose indossava una tuta da ginnastica, il che significava che era pronta ad allenarsi fin da subito.
Non aveva parole per descrivere la situazione. Continuava a pensare a lei come il suo vecchio riflesso dopo una doccia gelata, non a un’estranea con cui non aveva mai avuto a che fare.
Un riflesso...
« Va tutto bene, Ranma? »
« Oh? Sì, certo! » rispose subito, riprendendosi. « Be’, devo dire che mi hai colto di sorpresa, Rose... non mi aspettavo che venissi a trovarmi così presto. Pensavo che volessi aspettare un po’, dopo quello che è successo ieri... che avessi bisogno di tempo... »
« Se devo impedire ai cattivi di aggredirmi in futuro, è meglio imparare a difendersi fin da subito » dichiarò Rose con decisione. « Chi può dire quando potrebbe ricapitare una cosa del genere. »
« Certo, hai ragione. Va bene, stavo giusto per cominciare la lezione... sei la benvenuta. »
E Rose si incamminò con lui verso la sala, pronta a cominciare. Ranma era ancora sorpreso, ma bilanciava questo stato d’animo con l’ammirazione che improvvisamente provava nei confronti di quella ragazza. Anche dopo una brutta esperienza come quella, lei era riuscita a riprendersi in fretta... e a decidere di fare subito qualcosa per rimediare; per migliorare; per diventare più forte.
E quale maestro poteva essere migliore di colui che l’aveva salvata da un incubo?
Pochi minuti dopo, erano tutti nella sala per la lezione. Le allieve erano in tutto una decina, compresa Rose, ognuna con una motivazione ben precisa per trovarsi là in quel momento: donne vittime di violenze o abusi, ma c’erano anche donne intenzionate a prevenire simili fatalità, imparando a difendersi fin da subito. Ranma aveva sentito fin troppe notizie spiacevoli sull’argomento, ma era lieto di offrire il suo aiuto per ridurre anche di un minimo la percentuale di aggressioni ai danni delle donne.
Lui e la sua collega Ilaria si misero in posizione, pronti a cominciare. Rose occupò gran parte del tempo ad osservare, poiché il corso era già in una fase avanzata; Ranma illustrò alcune tecniche di proiezione, utili per liberarsi da una presa posteriore e mettere al tappeto l’aggressore. Il ragazzo, come al solito, simulava l’aggressione, permettendo a Ilaria di difendersi con la tecnica illustrata.
Venne poi il momento per le allieve di esercitarsi sulla tecnica. Una dopo l’altra cercarono di replicarla ai danni di Ranma, ognuna con risultati diversi; in generale, tuttavia, il giovane era soddisfatto di loro. Rose rimase per ultima, rimasta ad osservare con aria incerta per tutto il tempo.
« Coraggio, Rose » la invitò Ranma. « Ora prova tu. Se hai osservato attentamente, sai come fare. »
« Va bene. »
La ragazza si fece avanti, ponendosi al centro del tappeto. Ranma si avvicinò da dietro per simulare ancora una volta l’aggressione; le strinse le braccia intorno al collo, con delicatezza, aspettando la mossa di Rose. Una reazione maldestra, ne era certo... non poteva essere altrimenti da una principiante assoluta...
Ecco perché non si aspettò assolutamente ciò che accadde.
Con una rapidità quasi fulminea, Rose afferrò le braccia di Ranma e si abbassò per liberarsi dalla sua presa; poi, con uno strattone, lo fece cadere a terra. Il ragazzo finì al tappeto, sotto lo stupore generale.
Ranma alzò subito lo sguardo, stupefatto. Rose stava in piedi davanti a lui, rigida ma decisa; perfino lei sembrava sorpresa di ciò che aveva fatto, ma in una dose moderata.
« Wow » commentò, rimettendosi in piedi. « Rose... complimenti! Ci hai messo un po’ troppo entusiasmo, ma direi che il risultato è inequivocabile. Ottimo lavoro! »
Rose sorrise, e fece un inchino come nella migliore tradizione orientale.
« Grazie, maestro. »
E tornò al suo posto. Le altre donne le fecero ulteriori complimenti, e Ilaria approfittò di quel momento per parlare con Ranma. Aveva un’aria turbata, e lo invitò a voltarsi verso il muro.
« Ha dimostrato un gran talento » disse a voce bassa, in un tono perplesso. « Sei sicuro che sia una principiante? »
« Così mi ha detto... perché? »
« Perché pratico le arti marziali da dodici anni, so riconoscere un principiante... e da ciò che ho appena visto, quella ragazza non ha l’aria di esserlo. Ha replicato perfettamente la tecnica e ti ha messo al tappeto in un attimo, come se sapesse farlo da anni. »
Ranma rimase senza parole. A pensarci bene, Ilaria aveva ragione: pur essendo una mossa semplice da eseguire, ci voleva ben più di un’ora per padroneggiarla così bene. Forse Rose la conosceva già, eppure...
« Non ha senso » obiettò. « Se sapesse difendersi così bene, ieri avrebbe potuto stendere da sola quei teppisti. Non avrebbe avuto bisogno del mio aiuto. »
« Chissà » mormorò Ilaria. « Non so cosa dire, dato che non la conosco per niente... ma ti suggerisco di fare attenzione. »
Ranma annuì con serietà. Dopo tutto quello che aveva passato, non era più il tipo da abbassare la guardia di fronte a un paio di begli occhioni. Aveva ancora dei dubbi su Rose, ma era certo di volerla conoscere meglio; così, terminata la lezione, si avvicinò a lei con aria allegra, proponendole di bere qualcosa insieme per festeggiare la sua ottima performance.
« Volentieri » rispose Rose con un sorriso. Insieme si avviarono così fuori dalla palestra, mentre il sole tendeva a tramontare – fin troppo presto, vista la stagione – sulla capitale.
Ranma decise di portare Rose da Leandro’s, che tra le altre cose serviva anche ottime bevande. Il ragazzo fu così in grado di sorprendere due persone in una sola serata: quando entrò nel locale insieme a Rose, fu subito riconosciuto da Sharon, la barista. Ranma fu lieto di constatare lo stupore impresso nei suoi occhi, dal momento che per la prima volta si presentava lì dentro in dolce compagnia.
Sharon non ebbe alcuna intenzione di perdersi il momento, perciò mollò tutto appena possibile e raggiunse i due ragazzi al loro tavolo.
« Cosa vi porto? » domandò, con un tono che mal celava l’entusiasmo.
« Una coca al limone, grazie » rispose Ranma.
« Per me un tè caldo » chiese Rose.
« Subito! »
Sharon si allontanò, non prima di mostrare a Ranma un pollice alzato con orgoglio: un gesto che avrebbe potuto interpretare con le parole “Dacci dentro!”.
All’improvviso calò un silenzio imbarazzante tra i due ragazzi, seduti agli estremi di un tavolo troppo stretto. L’incertezza su ciò che potevano dire li dominava entrambi in egual misura: erano ancora due perfetti estranei, dopotutto, giunti a fare la stessa strada insieme dopo un incrocio pericoloso.
« Vivi qui da molto? » domandò Rose per prima, spezzando il silenzio che si era creato.
« Oh... da quasi un anno » rispose lui. « Ho viaggiato a lungo prima di stabilirmi qui, dopo aver lasciato il Giappone. Ho visitato molti luoghi: Cina, Russia, Polonia e altri paesi lungo la via... poi ho trovato la mia occasione in questa città, e ho deciso di restare. Anche se le difficoltà non sono poche, mi trovo bene... sempre meglio di come stavo prima. »
Ranma tacque all’improvviso. L’ultima frase gli era scappata senza riuscire a trattenersi; ora temeva di aver detto troppo, di aver messo in evidenza il fatto di essere scappato dal Giappone e dalla sua famiglia. Preferiva non dire nulla di quel periodo, se poteva evitarlo: era sicuro che Rose non avrebbe mai creduto a una storia di sorgenti maledette, di frotte di spasimanti e incredibili scontri di arti marziali.
Rose, fortunatamente, non chiese di più, ma nel suo sguardo era evidente un barlume di comprensione... come se capisse di avere un passato da cui fuggiva.
« Ehm, e tu Rose? » disse, cercando di dirottare su un altro argomento. « Da dove vieni? Il tuo italiano è ottimo, ma ho riconosciuto l’accento inglese... ho indovinato? »
La ragazza annuì con un sorrisetto. Nel frattempo Sharon era tornata con la loro ordinazione, e ognuno prese a bere dal proprio bicchiere.
« Quasi. Sono americana, anche se le mie origini sono scozzesi... questo spiega i miei capelli rossi; inoltre prendo il nome dal paese di origine di mio padre. Lui è giunto negli Stati Uniti per fare fortuna e lì ha conosciuto mia madre; ora è a capo di un’importante azienda di prodotti elettronici e informatici, e questo ci ha concesso... be’, molte cose. »
« Oh, allora sei ricca! » osservò Ranma, senza trattenersi.
Rose abbassò lo sguardo, concentrandosi sul suo tè.
« No, mio padre è ricco » rispose con decisione. « Non siamo più in buoni rapporti... mi sono allontanata da lui quasi due anni fa. Ci tiene ancora al mio benessere, perciò non mi fa mancare il denaro per tirare avanti. Da allora ho iniziato a viaggiare per il mondo, ho visitato molti luoghi... un po’ come te. »
« Oh... mi dispiace, Rose. »
« E perché? A me non dispiace. »
Ranma notò che aveva ripreso a sorridere, come se nulla fosse.  
« Sono contenta di quello che faccio » dichiarò la ragazza. « Viaggiare è il modo migliore per trovare ciò che stai cercando, e decidi di fermarti solo nel momento in cui lo hai trovato... qualunque cosa sia. Non sei d’accordo? »
« Uhm » fece Ranma, incerto. « Penso di sì. Non sono sicuro se questa idea si possa applicare anche al mio caso, però. Io non credo di aver ancora trovato ciò che cerco qui a Roma... mi ci sono fermato solo perché ho avuto una buona occasione; e l’ho sfruttata, credendo di essere arrivato abbastanza lontano. »
« E tu cosa stai cercando, Ranma? »
Il ragazzo bevve un sorso, prima di rispondere.
« Cerco quello che cercano un po’ tutti, a questo mondo... una vita felice. »  
Normale, soprattutto, aggiunse tra sé. Dopo quello che aveva passato fino a diciotto mesi prima, era sicuro di non volere nulla di insolito nella sua vita.
« Hai ragione » disse Rose in quel momento. « Anch’io la sto cercando... a modo mio. »
E con quella nota enigmatica finì il suo tè, mantenendo il sorriso.
I due uscirono poco dopo dal locale, quando ormai era calata la sera sopra le loro teste. Ranma non riusciva a staccare gli occhi di dosso da Rose: anche se non era riuscito a capire come lei avesse fatto a metterlo al tappeto, durante la lezione, poteva dire di averla conosciuta meglio... e ne era rimasto piacevolmente affascinato. Ora non era solo il suo aspetto a conquistare la sua attenzione, ma anche tutto ciò che si nascondeva oltre questa facciata.
Ormai si era stabilito un legame tra i due, e il modo in cui si erano conosciuti non aveva più importanza.
« Sono stata molto bene, oggi » disse Rose con un sorriso. « Ti ringrazio, Ranma... per la lezione, per il tè, per... be’, per tutto. »
« Ah, figurati » rispose Ranma, portandosi le mani dietro la testa com’era solito fare. « Puoi tornare in palestra quando vuoi, sarò lieto di insegnarti il resto delle tecniche di autodifesa. »
« Lo farò sicuramente. Ora devo andare... a presto! »
Il ragazzo non si aspettò affatto la mossa successiva di Rose. Lei si era avvicinata a lui in un attimo e lo aveva baciato sulla guancia, per poi voltargli le spalle di scatto. La vide allontanarsi lungo il marciapiede, finché non sparì tra la folla di passanti. Ranma rimase immobile, impietrito come se fosse circondato da un branco di gatti: ma non era la paura a dominarlo in quel momento... piuttosto, lo stupore di essersi meritato un bacio da una persona che conosceva appena.
Sentiva di avere molto in comune con lei. Lui, giunto da oriente per lasciarsi un folle passato alle spalle; lei, giunta da occidente per stare lontana dalla famiglia. Entrambi avevano dei segreti... Ranma era certo di questo, dopo l’inattesa performance di lei in palestra; e anche il fatto che parlasse così bene l’italiano aveva un che di strano. Pertanto, Ranma continuava a considerare Rose un suo riflesso: una persona in grado di replicare i suoi pensieri, le sue qualità... e forse i suoi sentimenti.
Lei non sarebbe stata come Akane, né come Shanpu... né come tutte le altre donne che aveva conosciuto prima di quel momento. Sentiva che Rose lo avrebbe capito come nessun altro.
Così, dopo aver riacquistato la mobilità, si trovò per prima cosa a sorridere con gioia... lieto che una persona del genere fosse capitata improvvisamente nella sua vita.

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Capitolo 5
*** Lacrime di panda ***


Lacrime di panda
 
Diciassette mesi prima.
Casa Tendo era diventata ormai da anni teatro di una serie di eventi insoliti: roba da riempirci interi episodi di Mistero in prima serata. Svariati passanti e vicini di casa avevano infatti notato – in più di un’occasione – la presenza di strani personaggi, venuti spesso alle mani in veri e propri scontri di arti marziali. Alcuni giuravano persino di aver visto un panda gigante aggirarsi nei dintorni, camminando sulle zampe posteriori come se fosse un uomo. La gente non sapeva spiegarsi nulla di tutto questo, e dopo aver assistito all’ennesimo fatto insolito potevano solo rassegnarsi e tornare ai loro impegni, ignari della verità.
Quella mattina d’estate, tuttavia, un uomo si era fermato ad osservare casa Tendo con interesse, in piedi sopra il muro che recintava la proprietà. Costui indossava un lungo soprabito bianco, dotato di cappuccio che oscurava completamente il suo volto; il suo aspetto e la sua posizione avrebbero suscitato sospetti tra la gente di passaggio... se lui avesse voluto farsi notare. Ma Nul era visibile solo agli occhi di uno, che stava fissando proprio in quel momento: il panda, lo stesso che era stato avvistato nella zona diverse volte. Quel grosso animale dormiva in quel momento nel giardino di casa Tendo, sdraiato a pancia all’aria sul prato accanto al laghetto. Una bottiglia, che fino al giorno prima doveva contenere qualche liquore, stava abbandonata là vicino, e Nul non faticò ad immaginare come fossero andate le cose. Quel tipo si era ubriacato la notte prima per poi cadere accidentalmente in acqua; ed era riemerso in quello stato... un grosso, lardoso panda, a causa della maledizione che lo affliggeva da anni.
Perché dietro quella pelliccia si celava un uomo: Genma Saotome, lo sciagurato padre di Ranma. La prima parola con cui si poteva descrivere in quel momento era “pietoso”: dopo l’improvvisa partenza del figlio si era lasciato andare un po’ troppo. Quel messaggio di addio lo aveva scosso profondamente, facendolo cadere nella depressione e lo sconforto; così aveva preso a bere, nel tentativo di scacciare temporaneamente la triste verità che lo tormentava... il fatto di essere stato un idiota per molti anni.
Una reazione patetica, dal punto di vista di Nul, e per giunta inaccettabile. Non poteva permettere che quell’uomo si autodistruggesse così; così restava in piedi sul muro, aspettando con pazienza che si svegliasse da solo.
L’attesa, fortunatamente, fu breve: l’animale aprì gli occhi pochi minuti dopo, facendo un lungo sbadiglio; appariva ancora in forte stato confusionale, ma non aveva alcuna importanza. Lo sguardo appannato di Genma si posò infine sul muro, notando la presenza dell’estraneo sopra di esso: lo guardò incuriosito per un po’, poi tirò fuori un cartello di legno con su scritto:
Chi sei? Che cosa vuoi?
Nul non disse nulla, ma ripeté lo stesso gesto del panda, mostrandogli un cartello:
So chi sei, Genma Saotome.
Il panda spalancò gli occhi per lo stupore. Erano in pochi a sapere della sua maledizione; riusciva a ricordarlo ancora, nonostante la sbronza. Perciò si alzò in piedi, pronto a reagire al minimo accenno di pericolo: la presenza di uno sconosciuto sulla soglia di casa, per giunta consapevole della sua doppia natura, non lasciava presagire nulla di buono.
Nul rimase tuttavia al suo posto; voltò il suo cartello, sul quale c’era un altro messaggio:
Fa’ la cosa giusta.
Genma piegò la testa da un lato, incerto. Non riusciva a capire le intenzioni di quel tipo.
Nul voltò ancora il cartello, che per magia recava una scritta diversa dalla prima: Genma lo riconobbe come un normale indirizzo, anche se non gli era affatto familiare. Poi, sotto l’indirizzo, c’era scritto qualcos’altro... qualcosa che lo fece stupire ancora di più.
Vai da lei.
Il panda restò immobile, ormai paralizzato dal pesante mix di sensazioni che si agitavano nel profondo. Stupore, paura, angoscia e diverse altre sfumature; rimase perciò a fissare impotente lo sconosciuto, che tuttavia gli voltò le spalle dopo qualche secondo e saltò giù dal muro, sparendo alla vista. Cercò di seguirlo, ma quando oltrepassò la soglia non c’era traccia dell’incappucciato lungo il viale... come se fosse svanito nel nulla.
Genma ripassò nella sua testa ciò che quell’uomo gli aveva “detto”. Fa’ la cosa giusta, Vai da lei... e poi l’indirizzo, che era riuscito a memorizzare. Non capiva affatto a chi potesse riferirsi quel tipo strano, ma Genma era certo di due cose in quel momento: primo, quel tipo strano sembrava conoscerlo bene... forse lo aveva spiato a lungo; secondo, nelle sue intenzioni non c’era stata ostilità... bensì un bizzarro desiderio di aiutarlo.
E in quei giorni difficili, Genma Saotome aveva un disperato bisogno di aiuto.
Poche ore più tardi, l’uomo era arrivato a destinazione, dopo aver recuperato le giuste sembianze per muoversi. L’indirizzo mostratogli da Nul lo aveva condotto in un tranquillo quartiere di periferia, dalla parte opposta di Tokyo. Genma non era mai stato laggiù, e non ebbe nemmeno il bisogno di chiedersi perché: non si era mai interessato a visitare la città, dopo essersi stabilito a casa Tendo con suo figlio. Si era solo preoccupato di sistemare gli affari, senza pensare a ciò che si trovava fuori dal suo piccolo mondo opportunista.
Un mondo andato in pezzi dal giorno in cui Ranma era andato via.
Genma raggiunse l’indirizzo giusto, cercando di non distrarsi. Un piccolo edificio si stagliava di fronte a lui, dotato di un ampio giardino baciato dal sole di quella limpida mattina di settembre. Alcuni bambini scorrazzavano allegri lungo il prato, intenti a giocare e a compiere altre attività. Giostre e giocattoli spiccavano un po’ ovunque, rivelando all’uomo l’identità del luogo: un comunissimo asilo nido.
In quel momento Genma si sentiva decisamente fuori posto, come un panda nel deserto africano. Perché l’uomo incappucciato lo aveva condotto fin laggiù? Non riusciva ancora a spiegarselo, anche se il messaggio appariva chiaro nella sua mente, risuonando a ripetizione come un disco rotto.
Vai da lei.
Genma varcò la soglia, inoltrandosi nel cortile. Camminava piano, cercando qualsiasi cosa potesse sembrargli familiare; non vedeva altro che bambini e giochi... chi avrebbe dovuto incontrare in un posto del genere? Forse stava solo perdendo tempo, si disse, anche se aveva già perso molto di più...
« È ora di rientrare, bambini! »
Quella voce attirò la sua attenzione. Genma si voltò, scorgendo nell’area giochi una donna, giunta per avvertire i bambini di tornare dentro. La sua voce, i suoi morbidi capelli bruni, quell’espressione di eterna gentilezza erano inconfondibili: aveva abbandonato il kimono per adeguarsi a un abbigliamento moderno, ma era sempre lei. Una persona che non avrebbe mai voluto abbandonare...
« Nodoka! »
La donna si voltò, attirata dalla voce che aveva gridato il suo nome. Genma si era avvicinato a lei, improvvisamente meravigliato da ciò che vedeva. Anche Nodoka fu dominata dalla stessa emozione, ma rimase al suo posto, non credendo ai suoi occhi.
« Genma? »
Sembrò che qualcuno avesse spento l’audio dall’intero quartiere. All’orecchio di quelle due persone non c’era più nulla di importante a produrre rumori intorno a loro. Moglie e marito rimasero così, scambiandosi un’occhiata che sembrò durare un’eternità; poi, quando non poté più sopportarlo, Genma crollò ai piedi di Nodoka, inginocchiandosi sull’erba. Era scoppiato in lacrime, come non faceva da settimane.
Nodoka lo fissò, sempre più incredula. Fortunatamente i bambini erano già rientrati in classe, così fu loro risparmiata la vista di quella scena imbarazzante. Tuttavia si dimostrò comprensiva e avvicinò la mano, per poi posarla delicatamente sulla sua schiena. Accarezzandogliela piano, sentì che con quel tocco Genma si stava rilassando.
« Mi... mi dispiace » singhiozzava lui, irriconoscibile. « Mi dispiace tanto... perdonami! »
« Su, su » disse lei, cercando di calmarlo. « Va tutto bene, caro... andrà tutto bene. »
 
Poco più tardi, marito e moglie erano a casa di lei, non lontano dall’asilo in cui si erano incontrati. Era un piccolo appartamento arredato secondo lo stile tradizionale: pavimenti in legno e porte scorrevoli, dotato di una vista panoramica sul quartiere. Nodoka ci abitava da sola; lei e Genma erano seduti in soggiorno, bevendo in silenzio il tè che aveva appena preparato. All’uomo, inoltre, sembrava di rivivere la stessa scena vissuta alcuni anni prima, quando era giunto in casa Tendo insieme a Ranma. Dopo aver riacquistato sembianze umane, lui e Soun erano rimasti nel soggiorno a parlare, seduti nei pressi del giardino, felici di rivedersi dopo tanto tempo.
L’attuale padrona di casa, tuttavia, pur mantenendo un’aria tranquilla, dava un’atmosfera del tutto diversa rispetto a quell’episodio passato. Nodoka sorrideva, ma Genma non riusciva a guardarla: si ostinava a spostare lo sguardo dal pavimento alla sua tazza di tè, come se non avesse il coraggio di alzare la testa. Temeva che solo un gesto così semplice potesse rovinare tutto.
« Ti trovo bene » disse Nodoka, spezzando il silenzio divenuto fin troppo lungo. « Vedo che ti sei tenuto in forma, dopo tutti questi anni. Ho temuto più volte che smettessi improvvisamente di allenarti... e immaginavo di ritrovare un marito ingrassato e trascurato. »
Genma alzò la testa di scatto. Non si aspettava un commento del genere da parte sua come inizio; era certo che avrebbero parlato innanzitutto di Ranma.
« Non hai proprio nulla da dire, caro? » aggiunse lei, preoccupata. « Mi piacerebbe almeno sapere come hai fatto a trovarmi. »
« Ecco, io... » cominciò a dire Genma, ma poi si fermò. Qualcosa gli disse che non era una buona idea parlare dell’uomo incappucciato che gli aveva fornito l’indirizzo... come se fosse un segreto da mantenere ad ogni costo. « È accaduto per caso. Mi trovavo nei paraggi e ti ho riconosciuta. »
Nodoka gli lanciò un’occhiata sospettosa, ma decise di non indagare oltre.
Più tempo trascorreva insieme a lei, più si sentiva stupido per tutto quello che aveva fatto. Genma era stato un vigliacco: nulla avrebbe potuto giustificare o sminuire questa realtà dei fatti. Prima di partire per il viaggio di allenamento, le aveva promesso che avrebbe fatto diventare Ranma un vero uomo, altrimenti avrebbero dovuto morire per mano della stessa moglie, tramite seppuku. Ma la maledizione delle Sorgenti di Jusenkyo avevano messo in serio pericolo la promessa: dal momento che Ranma diventava una ragazza con l’acqua fredda, Nodoka sarebbe stata obbligata ad ucciderlo. Quindi, per evitare di andare incontro al fatale destino, padre e figlio avevano dovuto nascondersi da lei, nei giorni in cui aveva fatto visita ai Tendo.
Ranma, tuttavia, non aveva alcuna intenzione di stare lontano da sua madre, ma ogni volta che aveva provato a mostrarsi a lei, Genma glielo aveva impedito, pensando soprattutto alla propria salvezza. Aveva preferito restare vigliaccamente un panda, piuttosto che affrontare sua moglie e dirle la verità.
Così Nodoka era ripartita pochi giorni più tardi, ignara di tutto, continuando a cercare altrove il marito e il figlio. Genma era convinto che avesse lasciato Tokyo da un pezzo... ma la realtà era evidentemente un’altra.
« Sai, non ho più lasciato la città dopo essere passata dai Tendo » ammise Nodoka in quel momento. « Desideravo ritrovarvi, tu e Ranma, ad ogni costo... ma qualcosa mi disse che non c’era più motivo di proseguire. Ero certa che vi avrei ritrovati qui, prima o poi. Così ho deciso di aspettare, trovando una nuova sistemazione; ho preso questa casa in affitto, ho trovato lavoro all’asilo... » aggiunse, facendo un sorrisetto. « Quei bambini mi adorano. Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo... di essere ancora una madre per qualcuno. »
Genma deglutì, mentre la vergogna cresceva dentro di lui a un ritmo esponenziale.
Ma Nodoka proseguì, ignorando il suo stato d’animo. Continuava a sorridere come se nulla fosse.
« Ho deciso di aspettare » ripeté. « Avevo aspettato il vostro ritorno per anni, qualche mese in più non avrebbe fatto alcuna differenza. È stata una lunga attesa... ma alla fine è stata ripagata, quando tre settimane fa ho rivisto nostro figlio. »
« Co-come? » fece Genma, allibito. « Ranma... è stato qui? »
Nodoka annuì.
« Il nostro incontro è stato per puro caso. Un bambino dell’asilo si era allontanato per una distrazione... e per poco non fu investito da una macchina. Ranma passava da quelle parti e lo portò in salvo; ci siamo visti in quel momento, mentre riportava il bambino dentro la scuola.
« Non credevo ai miei occhi » ammise la donna. « Vi stavo aspettando, certo, ma veder apparire nostro figlio così all’improvviso fu... sconvolgente. Non riesco nemmeno a descrivere come ci siamo sentiti in quel momento: va oltre la semplice gioia, sicuramente.
« Ad ogni modo, ho invitato Ranma qui a casa. È rimasto solo per due giorni, ma sufficienti per parlare di tutto. Credo di essere stata l’ultima a vederlo prima che lasciasse definitivamente la città. Sì, so tutto, Genma » aggiunse, notando il nuovo stupore del marito. « Ora so tutto. »
« Tutto... tutto quanto? »
Nodoka annuì ancora, ma non sorrideva più.
« So del vostro viaggio, dell’allenamento e della maledizione che vi ha colpiti. So che Ranma diventava una ragazza, e tu un panda... gli stessi che avevo incontrato a casa Tendo tempo fa. E naturalmente so perché avete cercato di nascondervi da me all’epoca. »
Le labbra di Genma cominciarono a tremare. Era sul punto di scoppiare in lacrime un’altra volta; ogni parola pronunciata da sua moglie era un’accusa spietata verso di lui, da cui non c’era via di scampo. E sapeva di meritarsele tutte.
« Oh, Genma... come hai potuto? » disse Nodoka. « Come hai potuto pensare che vi avrei uccisi per questo? Credevi davvero che un sortilegio mi avrebbe spinto a tagliare la testa a mio figlio? No... dubito seriamente che ci credevi sul serio; ma non volevi correre il rischio, perciò hai fatto di tutto per nasconderti da me, insieme a Ranma... mentre lui non desiderava altro che poter riabbracciare la sua mamma.
« Sono delusa, Genma. Dopotutto è accaduto tutto questo per causa tua: sei stato tu a portare Ranma alle sorgenti maledette; a farlo cadere in quella pozza che lo ha trasformato in ragazza; a portarlo a Tokyo, affinché sposasse una delle figlie di Tendo; a fargli vivere una vita così... anormale, con tutto quello che è capitato in questi anni. Chiunque avrebbe sofferto moltissimo per tutto questo, se fosse stato al posto di nostro figlio... ma lui mi ha raccontato ogni cosa senza versare una lacrima, senza dimostrare nemmeno un accenno di rabbia nella sua voce. Era troppo felice di rivedermi, per permettere al suo passato colmo di disgrazie di fargli altro male.
« Sai cosa significa questo? Sai cosa significa per me? Significa che Ranma ha mantenuto la promessa... è diventato un vero uomo. E non importa che sia caduto in una sorgente che lo trasformava in ragazza... non ha mai avuto importanza; Ranma ha sopportato ogni cosa fino alla fine. »
« Ma allora... perché se n’è andato? » chiese Genma. « Ci ha lasciato una lettera in cui era stanco di tutto, ma... continuo a non capire. »
« Non c’è niente da capire » rispose Nodoka. « Ranma si sentiva prigioniero di una vita che non desiderava... perché gli è stato impedito di scegliere cosa fare della sua. Aveva bisogno di un’occasione per viverla come voleva, e finalmente l’ha ottenuta: mi ha detto che è riuscito a spezzare la maledizione... ma non mi ha detto in che modo » aggiunse subito, intercettando l’aria ansiosa di Genma. « Non voleva che tu lo sapessi. Come tu avevi stabilito il suo futuro con quel matrimonio combinato, ora lui si è vendicato con questa decisione per il tuo... lasciandoti la maledizione addosso. »
Calò di nuovo il silenzio. C’era un tempo in cui Genma Saotome avrebbe supplicato, pregato, fatto qualsiasi cosa pur di ottenere ciò che voleva; un tempo in cui si comportava da stupido opportunista, pronto a sfruttare suo figlio per qualsiasi scopo. Ma quel tempo era finito, nello stesso giorno di pioggia in cui ciò che aveva di più caro al mondo era andato via. Ora, di fronte alla sua adorata moglie, si sentiva pronto a ricevere tutto ciò che meritava; l’uomo chinò perciò il capo, posando le mani a terra in segno di pentimento.
« Ho sbagliato tutto » ammise, rivolto al pavimento. « Non c’è bisogno di ripetere quello che hai già saputo. Ho sbagliato, e sto già pagando le conseguenze dei miei errori. Ranma non c’è più... e ora la mia vita sembra aver perduto ogni senso; mi sento persino indegno di continuare a vivere con i Tendo, ormai. Ranma ha ragione... merito di pagare caro per ciò che gli ho fatto: merito di restare un panda per tutta la vita. »
Nodoka restò in silenzio mentre vide alcune lacrime colare dal viso del marito, cadendo sul pavimento.
« Ma ho ancora una promessa da mantenere, Nodoka » continuò Genma « Sono tornato da te, e se ai tuoi occhi sono indegno sia come uomo che come panda, allora dammi pure la morte... come avevamo stabilito anni fa. Hai ancora la spada, vero? Prendila... fai ciò che devi. Decidi tu il mio destino, com’è sempre stato... fin dal giorno del nostro matrimonio. »
La donna annuì, terribilmente seria. Si alzò dal suo posto e raggiunse il ripostiglio, dal quale tirò fuori un lungo fardello. Nodoka lo aprì ed estrasse la spada, che aveva sempre portato con sé per onorare la promessa di suo marito e di suo figlio. Era giunto il momento: Ranma era stato già sciolto dalla promessa... ora toccava a Genma. L’uomo alzò lo sguardo, vedendo la katana scintillare tra le mani di sua moglie, ma non si scompose: era pronto, qualsiasi cosa lei avesse deciso... non sarebbe più fuggito. Sarebbe rimasto fermo dov’era, anche se significava farsi tagliare la testa. Nodoka sollevò la spada. Il cuore di Genma batteva all’impazzata nel suo petto, proprio mentre si avvicinava la fine certa...
Aveva perso suo figlio: ma sarebbe morto con il sorriso, per aver ritrovato sua moglie.
Un forte rumore sordo spezzò il silenzio. Genma alzò lo sguardo di nuovo, ancora vivo, ma soprattutto stupito: la spada era conficcata sul pavimento davanti a lui, ancora stretta fra le mani di Nodoka. Lei aveva deciso di risparmiargli la vita. 
« Genma Saotome » dichiarò la donna, con voce tremante. « Hai onorato la tua promessa... di fare di nostro figlio Ranma un vero uomo. Ma ora devi onorare un’altra promessa... quella che mi facesti quando ci siamo sposati; dovrai restare al mio fianco... e non lasciarmi mai più. Intesi? »
Genma non ebbe bisogno di tempo per valutare la proposta. Ne aveva sprecato anche fin troppo con i suoi errori passati; così, appena due secondi dopo, si alzò dal suo posto e strinse Nodoka in un abbraccio; altre lacrime scivolarono lungo le sue guancie, ma di gioia... e fu lieto di versarle, finalmente.
Nodoka rispose all’abbraccio, e rimasero così stretti a lungo, ignari che quel momento magico fosse tenuto d’occhio da qualcuno, seduto sul parapetto di un palazzo vicino. Nul sorrise compiaciuto alla vista dei Saotome, finalmente insieme come aveva sempre sperato; la missione era compiuta, disse tra sé, dunque si voltò per proseguire sulla sua strada.
Li aveva aiutati entrambi. Genma e Nodoka sarebbero rimasti insieme, pronti a recuperare tutto il tempo perso; avrebbero parlato, riso, pianto... ma soprattutto si sarebbero amati, come tutte le coppie normali. Genma avrebbe sopportato ogni cosa, a costo di farsi tramutare in panda per ogni errore commesso ai danni di sua moglie. Ormai era cambiato, e non vedeva l’ora di rivedere Ranma per dimostrarglielo; avrebbe così atteso il suo ritorno insieme a Nodoka, entrambi fiduciosi che il loro amato figlio sarebbe tornato a trovarli, un giorno.
E così sarebbe stato.
 
 
Spazio autore:
Ciao a tutti... è la prima volta che lascio una nota personale tra i capitoli, quindi perdonatemi se sarò poco accurato. Ci tenevo infatti a precisare che questa storia è basata quasi esclusivamente sull'anime di Ranma 1/2, poiché non ho mai avuto l'occasione di leggerlo tutto. E dal momento che l'anime si interrompe con la comparsa di Nodoka Saotome, questo evento che mi sono immaginato si basa proprio su quell'episodio. Ecco, in pratica vi sto mettendo in guardia, voi che avete letto anche il manga e noterete probabilmente delle incongruenze.
Detto questo, buona lettura! :D

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Capitolo 6
*** Per una volta... ***


Per una volta...
 
Roma, oggi.
I giorni successivi all’incontro con Rose apparivano molto strani agli occhi di Ranma. Era come se fosse cambiato qualcosa intorno a lui, ma non riusciva a definirlo in alcun modo: il quartiere in cui abitava, il mormorio della gente di passaggio, il volo degli uccelli tra gli alberi, il sapore del pane al forno sotto casa... ogni cosa sembrava diversa dal suo punto di vista. Non riusciva a spiegarselo, sebbene avesse ben chiara l’origine di tutto.
Rose. Non riusciva a smettere di pensare a lei, nemmeno durante gli allenamenti. Ormai si incontravano ogni giorno, dato che la rossa si era iscritta al corso di autodifesa nella sua palestra; dopo le lezioni, inoltre, i due trovavano sempre qualcosa da fare insieme, tra un drink, un film al cinema o una salutare passeggiata. Nel frattempo cercavano di approfondire la conoscenza l’uno dell’altro, ma entrambi preferivano tenere nascosto il proprio passato. Ranma aveva buone ragioni per non parlare della sua vita in Giappone: era certo che Rose lo avrebbe preso per pazzo, a sentirlo parlare di sortilegi e trasformazioni con secchiate d’acqua. D’altro canto, tuttavia, non poteva immaginare cosa spingesse Rose a tacere sul suo passato: tutto ciò che sapeva di lei lo aveva già appreso quella sera da Leandro’s, le sue origini e l’allontanamento dal padre imprenditore. Da allora, lei non aveva fatto che parlare dei suoi gusti e dei suoi hobby, molto diversi da quelli di Ranma: adorava i libri di genere fantasy e ballare la salsa; odiava il riso, cosa di cui invece lui andava ghiotto; inoltre amava molto i gatti, ma il ragazzo lo scoprì a sue spese durante una passeggiata. Un gatto randagio era sbucato fuori da un vicolo, e Rose aveva cercato di prenderlo per accarezzarlo; Ranma, dominato nel giro di un istante dal terrore e dall’istinto, aveva lanciato un urlo e fatto un salto enorme, aggrappandosi a un albero sul marciapiede per sfuggire all’animale. Parecchia gente si voltò a guardare, cercando di ricostruire a bocca aperta la dinamica dei fatti.
« Wow » commentò Rose, incredula. « Ho visto persone schizzare via dalle loro poltrone per la paura, mentre guardavo Saw al cinema... ma tu li hai battuti tutti. Che ti è preso? »
Il ragazzo aspettò che il gatto sparisse dalla sua vista prima di scendere dall’albero e scusarsi per la reazione. A quel punto si ritrovò a raccontare a Rose la sua fobia per i gatti, avuta origine durante uno stupido allenamento inventato da suo padre. La ragazza si sentì improvvisamente mortificata, dopo aver ascoltato questa realtà dei fatti.
« È colpa mia, mi dispiace... non avrei dovuto cercare di prendere quel gatto. »
« Macché, figurati » la rassicurò Ranma. « Non potevi saperlo, è stato solo un incidente. Semmai la colpa è mia, per non averti detto prima della mia fobia. »
Rose fu sul punto di aggiungere qualcosa, ma si fermò. Avrebbe voluto puntualizzare sul fatto che Ranma tirava fuori la sua storia con il contagocce, e dopo diversi giorni che si frequentavano faceva ancora il misterioso. Ma chi era lei per giudicare il suo comportamento? La sua storia, il suo passato, non erano certo venuti più a galla di quelli di Ranma; ecco perché si costrinse a tacere, a riprendere la passeggiata senza aggiungere altro.
Doveva andarci piano, o avrebbe rovinato tutto.
Nel frattempo, la ragazza proseguiva il corso di autodifesa sotto lo sguardo attento di Ranma. Questi rimaneva sempre più sorpreso nei suoi confronti: alla fine di ogni lezione, infatti, Rose riusciva a padroneggiare le mosse insegnate e a replicarle perfettamente, proprio come era accaduto la prima volta. In un occasione riuscì persino a ricordare a Ilaria, l’altra insegnante, cosa significasse farsi male: il che era tutto dire, per una ex militare tornata dall’inferno degli scontri in Medio Oriente, quindi abituata a botte ben più forti di quelle che avrebbe potuto infliggerle una principiante.
Ma Rose stava dimostrando un talento superiore a quello di un principiante. Questo, ovviamente, non faceva che aumentare i sospetti che Ranma aveva su di lei. All’inizio aveva creduto che Rose conoscesse già le arti marziali, così l’aveva messa alla prova per accertarsene, ma senza alcun risultato. Eppure lei continuava a stupirlo con la sua capacità di apprendimento, decisamente fuori dal normale... per non dire innaturale.
Le domande erano molte, ma non trovavano risposta finché Rose si rifiutava di parlare. Ma il loro legame si era ormai consolidato, alcune settimane dopo il primo incontro: lei non poteva più fare a meno di Ranma, perciò decise che i tempi erano maturi per mettere le cose in chiaro.
Un pomeriggio, al termine di una lezione del corso avanzato di kung fu, Ranma trovò Rose ad aspettarlo fuori dalla sala. Il ragazzo non fu molto sorpreso di vederla, sebbene quel giorno non ci fossero state lezioni di autodifesa: lei si era già presentata in occasioni precedenti, per vederlo combattere sul serio. La proposta che lei gli fece, tuttavia, fu del tutto inaspettata, ovvero quella di accompagnarla in un locale latinoamericano.
« Cosa? » fece Ranma, spiazzato da quella richiesta così insolita. « Ma io... non so ballare. »
« Lo so... » rispose Rose, guardandosi i piedi con imbarazzo. « Ma è una serata importante, e non vorrei mancare. Lo faresti... per me? »
Lei alzò lo sguardo, e Ranma vide un paio di enormi occhi dolci che imploravano un sì venir fuori dalle sue labbra. Non gli era mai capitato di sentire una proposta simile da una ragazza... non con una tale sincerità, a pensarci bene; per anni aveva dovuto sopportare richieste indecenti da Shanpu o da Kodachi, al solo fine di conquistarlo una volta per tutte... e ogni volta era dovuto scappare a gambe levate. Forse solo Akane era arrivata a proporre qualcosa di carino da fare insieme, ma non riusciva a ricordarlo.
Akane...
Ma lui non voleva più scappare da nessuno.
« Va bene, Rose. Lo farò per te. »
 
L’appartamento di Rose si trovava poco lontano dal quartiere che frequentava Ranma. Era uno splendido attico con vista sul laghetto dell’Eur, arredato secondo uno stile decisamente moderno: cucina spaziosa, pavimenti in parquet e una grande camera matrimoniale, anche se ci dormiva da sola. Per quanto la ragazza fosse in ostilità nei confronti del padre, non intendeva rifiutare il denaro che lui si ostinava a versare periodicamente sul suo conto; riusciva così a permettersi un notevole lusso, senza tuttavia esagerare.
Quando Ranma entrò per la prima volta in casa di Rose, la prima impressione fu di meraviglia, ma poco dopo cominciò a notare qualcosa di strano: per quanto l’appartamento fosse impeccabile nell’ordine e nell’arredamento, in giro non vedeva oggetti particolari. Niente foto; niente quadri né poster; niente libri né film; nessun oggetto, in pratica, che riflettesse il carattere di Rose. Se il ragazzo non fosse stato sicuro che quell’appartamento era abitato dalla sua amica, avrebbe creduto che fosse pronto per la vendita.
« Fai come se fossi a casa tua » disse Rose cordiale, mentre posava borsa e chiavi sul tavolo. « Io vado a farmi una doccia e a cambiarmi... nel frattempo, mettiti pure comodo. »
« Ah, va bene » fece Ranma con aria distratta. La ragazza si allontanò e sparì dal salotto, lasciandolo da solo. Il ragazzo guardò il divano, e all’improvviso avvertì una notevole sonnolenza; aveva bisogno di chiudere gli occhi e rilassarsi, almeno per qualche minuto. Così, ricordando il permesso di Rose di mettersi comodo, si tolse le scarpe e si sdraiò sul divano, freddo ma morbido.
Chiuse gli occhi, cercando di svuotare la mente da tutto. Eppure non riuscì ad impedire al ricordo di quella notte in ospedale, mentre aspettava che Rose si riprendesse da quell’aggressione, di girare liberamente tra i suoi neuroni come una giostra in tilt.
Pochi minuti dopo sentì improvvisamente un peso sopra di lui, come se qualcosa gli fosse saltato addosso. Aprì gli occhi di scatto e vide il viso di Rose, a una distanza fin troppo ravvicinata.
« Ranma... »
In un attimo si rese conto della verità: Rose era seduta a cavalcioni su di lui, vestita solo di reggiseno e mutandine. I suoi capelli erano sciolti e ancora umidi per la doccia, le mani strette sulle spalle di Ranma... in una presa che indicava la misura esatta del suo desiderio di trattenerlo in quella posizione.
« Rose? Ma che stai...? »
Il cuore di Ranma sussultò più forte che mai, ma la mente lavorava per conto suo. I ricordi di scene simili a quella in cui trovava all’improvviso riaffiorarono, come vecchi relitti tirati su da una forza superiore: non era la prima volta, infatti, che una donna si avventava su di lui in quel modo... e i nomi di Shanpu e Kodachi svettavano su una lista fin troppo lunga! E ogni volta si era trovato in quella situazione contro la sua volontà, per poi scappare a gambe levate.
Ma aveva giurato che la storia non si ripetesse, mai più.
Ranma riprese il controllo, mentre le labbra di Rose erano ormai prossime a posarsi con passione sulle sue. L’afferrò per i fianchi e si alzò a sedere, allontanandola da lui; inspirò forte per ritrovare l’autocontrollo. Si guardarono intensamente, occhi negli occhi, senza mai distrarsi, il fuoco ad impossessarsi di loro.
Ormai aveva deciso.
Rose aveva cambiato espressione, da maliziosa a sconvolta, come se non credesse ai suoi occhi.
« Ranma » sussurrò lei, incredula. « Non capisco... pensavo che anche tu... volessi questo. »
« Rose » disse lui con decisione, mentre i suoi occhi s’incupivano. « Mi dispiace, ma non volevo che andasse così. Troppe volte sono stato nella condizione di non poter decidere, mentre una ragazza si avvinghiava al mio corpo; troppe volte sono stato costretto a fuggire, perché non era ciò che volevo. Oggi come allora, non è questo che voglio. »
Rose sarebbe scoppiata in lacrime dopo aver udito una frase del genere... se ne avesse avuto il tempo. Un attimo dopo, infatti, Ranma si era chinato in avanti, posando un bacio sulle sue labbra tremanti; e il suo cuore gelido tornò a infiammarsi, come era avvenuto prima.
« Io volevo questo » dichiarò Ranma subito dopo. « Per una volta... voglio essere io a decidere chi baciare. Senza fuggire. »
Passò le mani sulle sue gambe nude, lentamente, fino ai morbidi fianchi; si appoggiò ad un braccio, avvicinandosi pericolosamente a lei, mentre con l’altra mano le sfiorava la schiena. Mirava al gancio del reggiseno. Rose glielo lasciò fare, sospirando; si guardarono negli occhi per un attimo ancora, per poi chiuderli e abbassarsi ad una lentezza disarmante.
Finalmente Ranma era padrone di se stesso in un momento così intimo. Finalmente era lui ad avere il controllo, sul suo corpo... sul suo legame con l’altra persona... sulla sua stessa vita. Shanpu, Kodachi e le altre spasimanti avevano sempre sbagliato su questo fronte: non gli avevano mai concesso la libertà di scegliere. Rose avrebbe ripetuto lo stesso errore, se Ranma non avesse deciso di dare un taglio netto al passato; e lei non aveva battuto ciglio mentre lui si abbandonava al puro istinto, libero di darci dentro.
Si baciarono a lungo, tutta la notte... mandando la serata di salsa cubana a farsi friggere.

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Capitolo 7
*** La tigre e l'aquila ***


La tigre e l’aquila
 
Diciassette mesi fa.
Il sole stava calando ancora una volta su Tokyo, ponendo fine a quella che era stata un’altra splendida giornata estiva. Il Gatto mammone, rinomato ristorante cinese del quartiere, aveva appena chiuso: mentre la proprietaria, l’anziana Obaba, e gli altri dipendenti erano già andati via, una persona aveva deciso di trattenersi ancora un po’ all’interno delle sue mura. Si trattava di una ragazza cinese molto carina, con lunghi capelli neri che brillavano di lilla al sole; per tutto il giorno aveva fatto del suo meglio per mantenere il sorriso e la giusta compostezza sul posto di lavoro, per servire i clienti. Ma ora che tutti erano andati via, quella ragazza era libera di dare sfogo ai suoi veri sentimenti.
Shanpu non ricordava di essere mai stata così infelice in vita sua. Il suo spirito di indomita guerriera, forgiato in anni di lotte e allenamenti durissimi, le impediva di versare lacrime, ma il suo viso era corrotto dalla tristezza assoluta. Era cominciato tutto quella mattina, sul presto, mentre apriva il locale: aveva incontrato Akane per caso lungo la strada e, notando su di lei un’insolita espressione cupa, le aveva lanciato qualche frecciatina per infastidirla.
« Cos’è quel muso lungo? » le aveva detto con la sua solita superbia. « Hai litigato di nuovo con il tuo lagazzo? »
« Lasciami perdere, Shanpu » aveva risposto Akane, lanciandole appena un’occhiata di disgusto. « Oggi non è giornata. »
« Bah, con te non è mai giornata! Oggi che ti plende? Ti è scappato di nuovo Lanma dalle mani? »
A sentire quelle parole, Akane si era fermata di colpo. In un attimo aveva raggiunto Shanpu con uno sguardo omicida, che tuttavia non fece alcun effetto all’amazzone. Due secondi dopo, tuttavia, era scoppiata a piangere.
Shanpu non era così insensibile, dopotutto, e aveva fatto accomodare Akane nel ristorante per prepararle un tè. Non appena la ragazza si era ripresa, aveva iniziato a raccontare una notizia terribile... qualcosa che Shanpu non avrebbe mai voluto sentire.
Il suo adorato Ranma se n’era andato.
Akane le aveva detto tutto: la lettera che lui aveva lasciato a casa Tendo insieme al suo codino; la sua decisione di lasciarsi tutto alle spalle per rifarsi una vita, molto lontano da Tokyo; il fatto che avesse spezzato la maledizione che lo affliggeva, in modo misterioso. Il suo silenzioso addio a tutto quel mondo fatto di intrecci, maledizioni e duelli strampalati.
Shanpu non aveva potuto impedirlo. Era sconvolta, naturalmente, soprattutto perché il suo amato aveva già lasciato Tokyo da un pezzo senza farglielo sapere in alcun modo. C’erano volute le lacrime di Akane affinché la verità giungesse tardiva alle sue orecchie... e nulla avrebbe potuto cambiare la parte più dolorosa.
Ranma l’aveva ignorata completamente.
Ma Shanpu non si sarebbe arresa a questa realtà dei fatti, per quanto potesse essere dolorosa. Aveva giurato di sposare Ranma: una decisione che già in passato l’aveva spinta a lasciare la Cina per poterlo raggiungere, per conquistarlo con tutto il suo fascino e coronare un intramontabile sogno d’amore. Nessun ostacolo era mai riuscito a farla rinunciare: né il fidanzamento di Ranma con Akane, né le altre spasimanti, né la maledizione di cui lei stessa era vittima. Nessuno, né le persone comuni né gli spiriti sovrannaturali l’avevano mai trattenuta dalla sua caccia.
Perché lei lo amava davvero. Perciò, mentre chiudeva il ristorante e si apprestava a fare i bagagli, ripeteva a se stessa che nulla al mondo l’avrebbe fermata: era pronta a ritrovare Ranma ancora una volta, ovunque si fosse cacciato. Lo avrebbe punito per averla ignorata in quel modo, ma dopo lo avrebbe soffocato di baci.
Shanpu fantasticava su tutto questo, a tal punto da non accorgersi subito del tintinnio del campanello all’ingresso del ristorante. Qualcuno era entrato nel locale. La ragazza si voltò sorpresa, concentrandosi in un attimo sul nuovo arrivato: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio. Un abbigliamento decisamente insolito, vista la stagione, ma Shanpu non giudicava nessuno dalle apparenze.
Eppure, sebbene non avesse ancora detto una parola, quel tipo riusciva ad avere un’aria inquietante.
« Ehm... mi dispiace, il locale è chiuso » disse Shanpu, cercando di recuperare un tono cordiale.
L’incappucciato si guardò lentamente intorno.
« Oh, peccato » mormorò con voce glaciale. « Avevo sentito che in questo posto fanno un ottimo tè... e io sono molto assetato. Mi dispiace, sarei dovuto venire prima. »
Shanpu esitò un momento, prima di rispondere. Non percepiva alcuna ostilità, nessun Ki potente provenire da quel tipo: a prima vista, dunque, non sembrava un granché... ma qualcosa le disse di non fare nulla per contrariarlo, come se ne andasse del suo stesso destino.
« Be’... se desidela solo un tè posso farglielo subito. »
« Davvero? Grazie mille! »
La ragazza lo fece dunque accomodare al bancone. L’uomo si sedette subito, appoggiando i gomiti sul legno massiccio; Shanpu notò che non aveva abbassato il cappuccio, ma decise di non dire nulla a riguardo. Quella strana sensazione era ancora forte: meglio lasciarlo stare, continuava a ripetersi, perciò si concentrò sull’ordinazione senza indugiare oltre.
Mentre l’acqua bolliva, la ragazza tornò a guardare l’incappucciato. Anche se non riusciva a distinguere nemmeno un dettaglio nell’ombra che oscurava il suo volto, era certa che quel tipo la stava osservando con attenzione. Questo la infastidì, e le emozioni negative ripresero il sopravvento su di lei.
Servì il tè allo sconosciuto non appena fu pronto, ma lui continuava ad osservarla; a quel punto Shanpu non riuscì a trattenersi più.
« Cos’hai da guardale? » gli chiese con tono acido.
« Ti guardo perché sei bella » fu la risposta.
Shanpu arrossì un poco, ma questo non bastò a mutare il suo stato d’animo.
« Glazie » disse seria, « ma non farti stlane idee su di me... sono già fidanzata. »
« Davvero? » fece lo sconosciuto, dopo aver bevuto un sorso. « Strano, non si direbbe. Non porti anelli alle dita, tanto per cominciare... e quello sguardo afflitto che non riesci a nascondere del tutto può significare solo una cosa, dall’alto della mia esperienza. Qualcuno che ami ti sta facendo soffrire di brutto, non è così? »
Shanpu sgranò gli occhi, colta all’improvviso dalla sorpresa. Avrebbe voluto negare, ma quel tipo aveva fatto centro... persino meglio della sua bisnonna; ecco perché nella sua risposta non riuscì a fare altro che ammettere tutto.
« Sì! » esclamò. « Ma questo non ha importanza... sistemelò tutto. Io lo amo, e non ho alcuna intenzione di perderlo! »
« Anche se lui ti ha voltato le spalle? » proseguì l’incappucciato, bevendo un altro sorso. « Anche se è scappato via senza nemmeno salutarti? »
La ragazza rimase senza parole, ma le sue labbra iniziarono a tremare.
« Cosa... » iniziò a balbettare, « cosa cledi... di sapere? »
« Oh, io non credo di sapere... io so » rispose l’incappucciato « Ranma Saotome se n’è andato. Ti ha dimenticato. »
Il Gatto mammone piombò nel silenzio assoluto per una manciata di secondi. Tempo sufficiente per Shanpu per raggiungere il massimo stupore, trasformarlo in rabbia ed afferrare subito dopo una specie di maracas gigante da sotto il bancone.
« Kyaaaah! »
La ragazza sferrò un colpo, dritto contro la faccia dello sconosciuto; questi riuscì a scansarsi per un soffio, e il bonbori colpì il bancone, frantumandone una buona parte insieme alla tazza con il tè.
L’incappucciato fece un balzo all’indietro, atterrando con grazia a pochi metri dalla porta, illeso. Shanpu lo fissò esterrefatta: ben pochi avevano trovato scampo da un attacco del genere, da quando lei era diventata un’esperta guerriera. E in quel modo di schivare il colpo, lo sconosciuto aveva dimostrato di saperci fare; se doveva combattere, non poteva permettersi di sottovalutarlo.
Shanpu saltò fuori dal bancone, visibilmente furibonda; ormai aveva capito che il suo avversario sapeva qualcosa su Ranma, e voleva scoprirlo... anche a costo di demolire il ristorante. L’incappucciato, tuttavia, anziché mettersi in una guardia, si limitò ad alzare un mano e agitò l’indice, come per dire di no.
« Peccato, mia cara » dichiarò con tono sprezzante. « Mi aspettavo tu fossi più ragionevole... ma sembra che tu sia in grado di imparare solo con la forza bruta. »
« Maledetto! » gridò Shanpu, puntandogli contro il bonbori. « Chi sei tu? Che cosa hai fatto al mio Lanma? »
« Io sono Nul... e voglio precisare che Ranma non è mai stato tuo. Accetta questa realtà, prima che sia troppo tardi. »
Shanpu urlò ancora più forte, e si scagliò su Nul con una rabbia mai provata prima. Il bonbori calò ancora una volta sull’avversario, ma questi restò al suo posto e parò il colpo; Shanpu, ferma davanti a lui, fu sorpresa di scoprire che si era protetto con un’arma identica alla sua, tirata fuori dal nulla.
« È inutile combattere » dichiarò Nul. « Non voglio farti del male. Voglio aiutarti. »
Shanpu fece un versaccio, come se non credesse alle sue orecchie.
« Sei vuoi aiutarmi, dimmi subito dov’è Lanma! »
Nul non rispose, ma con uno spintone si separò dalla ragazza, facendole perdere l’equilibrio. Un attimo dopo era già alle sue spalle, pronto ad afferrarla per impedirle di cadere; le strappò il bonbori dalla mano e lo gettò via. Dopodiché costrinse Shanpu a sedersi sulla sedia più vicina, pronto a parlare. La fissò per un po’, torreggiando su di lei come un’aquila pronta a ghermire una preda sotto i suoi artigli.
« Devi accettare la realtà » ripeté Nul, impassibile. « Una realtà che ti ostini a rifiutare da anni. Ranma Saotome non ti ama, non ti ha mai amato. Tu non sei sua, e lui non è tuo. Ha lasciato questa città senza nemmeno salutarti... perché non gli è mai importato di te. I tuoi sentimenti verso di lui sono stati sinceri, non posso negarlo... ma per tutto questo tempo non sono mai stati ricambiati. »
« Bah! » fece subito Shanpu, recuperando l’aria arrogante. « Ma che diavolo ne sai tu? Cosa cledi di sapere su di me? e su Lanma? Tu non mi conosci nemmeno! »
« Invece ti conosco bene, Shanpu di Joketsu, pronipote della vecchia Obaba, appartenente a una tribù di indomite guerriere amazzoni. Anche tu, come Ranma, sei vittima di una maledizione delle Sorgenti di Jusenkyo, e ti trasformi in un gatto con l’acqua fredda. Sei venuta in Giappone per trovare Ranma dopo che ti aveva sconfitta in un duello, decisa a sposarlo per rispettare le leggi della tua tribù; però hai iniziato quasi subito ad amarlo sul serio, ragione in più per diventare sua moglie. Ma per tutto questo tempo sei stata ostacolata da fattori di varia natura, primo fra tutti la vera fidanzata di Ranma... la debole Akane Tendo, che hai cercato di eliminare svariate volte. »
Shanpu rimase senza parole. Era così sconvolta da tutta quella verità sbattutale in faccia da non riuscire a parlare. Non si era mai sentita così impotente nei confronti di qualcuno: era come un verme tra gli artigli dell’aquila.
« Uhm, ho ancora un po’ di sete » commentò Nul, guardando il bancone frantumato dove fino a poco prima stava sorseggiando il suo tè. « Non ti dispiace se mi preparo un’altra tazza, vero? »
Il silenzio di Shanpu fu l’unica risposta che ottenne. L’incappucciato si diresse dunque al bancone, sicuro di sé, e prese la teiera ancora calda, servendosi da solo.
Nel frattempo Shanpu ritrovò la voce.
« Come fai a sapele tutto questo? » riuscì a chiedere, con poco più di un sussurro.
Nul bevve un altro sorso di tè prima di rispondere.
« Ti ho osservato a lungo » disse, « fin dal giorno in cui la tua strada ha incrociato quella di Ranma. Ammetto di essere stato molto affascinato da te, mia cara... non solo per la tua notevole bellezza, ma per tutto ciò di cui sei capace: la forza, il coraggio, la determinazione... nonché un gran talento nel cucinare. Sì, tra le molte spasimanti del nostro comune amico, tu sei stata indubbiamente la mia preferita. »
Nul andò a sedersi vicino a Shanpu, rimasta pietrificata al suo posto per tutto il tempo.
« Ecco il motivo per cui sono qui » riprese lui, guardandola. « Il motivo che mi spinge ad aiutarti nel miglior modo possibile. »
« Aiutarmi? Come? »
« Spingendoti a fare la cosa giusta. Pensa bene a quello che desideri, mia cara, e farò in modo che tu possa ottenerlo. »
« Io voglio Lanma » disse subito Shanpu. « Lo voglio qui, ola, subito. Lo voglio qui con me! »
Scattò in piedi furiosa, pronta a lanciarsi di nuovo contro Nul se non avesse esaudito al più presto la sua richiesta.
Nul sospirò, e nel frattempo vuotò la sua tazza di tè.
« Delizioso » commentò. « Hai fatto davvero un ottimo lavoro. Lo stesso non si può dire, purtroppo, sul pensare bene a quello che desideri. Ranma è fuori dalla tua portata, mi dispiace... lo è sempre stato. »
« Non è velo! » sbottò la ragazza. « Io sono l’unica degna del suo amole! Sono guerriera come lui, più forte di tutte le altle stupide che gli stanno intorno! Più forte di stupida Akane... che non lo ha mai capito come lo capisco io. Solo io posso capire Lanma fino in fondo, e avvicinalmi più di tutti al suo cuore! »
« Davvero? Dimmi una cosa, allora... se puoi capire Ranma così bene, perché lui non ha mai ricambiato i tuoi sentimenti? Eppure hai cercato di conquistarlo un’infinità di volte, tra avventure, incantesimi, tecniche e ricette segrete. Eri perfino disposta a passare sul cadavere di Akane Tendo, pur di averlo tutto per te! E dopo tutto questo... dopo averlo inseguito per ben due anni... cosa hai ottenuto dal tuo adorato Ranma? Te lo dico io: un bel niente! Non ha mai ricambiato il tuo amore. Non ha mai voluto baciarti con la stessa passione che ci mettevi tu in quelle rare occasioni di intimità che avete condiviso. Cavolo, non ti si è filata nemmeno quella volta in cui eravate insieme – e sottolineo nudi – in una vasca da bagno. »
Non si stupì di vedere il viso di Shanpu diventare più rosso di un peperone, nell’udire l’ultima parte di quel discorso.
« Ma... ma tu come sai... di quella volta? »
« Te l’ho già detto, ti ho osservato a lungo » ribatté Nul. « È stato divertente vederti raggiungere Ramna nel bagno mentre eri un gatto, tuffarti nell’acqua calda e riemergere con il tuo vero, splendido aspetto. Mi dispiace però che non sia servito a niente... sono certo che qualsiasi altro bipede maschio avrebbe approfittato volentieri dell’occasione, se fosse stato al posto di Ranma. »
Allungò una mano verso Shanpu, sfiorandole il viso con dolcezza. Lei restò immobile, il bel viso contorto da un’enorme quantità di emozioni negative: sconforto, angoscia, tristezza... ma non la paura; resisteva con coraggio all’inquietante presenza di Nul accanto a lei, anche se non sapeva dire per quanto ci sarebbe riuscita.
« Sei così bella » mormorò l’incappucciato. « Forte. Coraggiosa. Indomabile. Una vera guerriera, proprio come hai detto tu. La forma che assumi con l’acqua fredda è solo una versione in miniatura del vero animale che ti rappresenta: la tigre. È davvero una magnifica creatura: bella ed elegante, ma anche potente e letale; protegge ciò che gli è caro e insegue implacabile la sua preda, anche fino in capo al mondo.
« E Ranma, in questo caso, era la preda... o meglio, lui si sentiva tale nei tuoi confronti. Tu non volevi conferirgli questo ruolo, vero? Volevi fosse il tuo compagno, non la tua preda; ma ovunque Ranma fuggiva, tu lo inseguivi... senza riuscire a conferirgli il ruolo che volevi per lui. Mi dispiace, Shanpu, sul serio... ma hai sbagliato tutto fin dall’inizio. »
Shanpu tornò a sedersi. I suoi occhi erano diventati nel frattempo umidi.
« Dove... dove ho sbagliato? »
« È difficile che un ragazzo riesca a innamorarsi di una spietata amazzone che lo insegue dappertutto pur di sposarlo » spiegò Nul. « Certo, dovevi rispettare il codice della tua gente, onorare la tradizione eccetera... ma con il tempo tutto questo ha perso importanza: lo hai amato davvero; perciò a quel punto avresti dovuto provare ad avvicinarti a lui con gentilezza, come fanno tutte le ragazze normali. Ma tu non sei mai stata normale... proprio come Ranma; ciò che vi accomuna è lo spirito guerriero. Hai sempre creduto che questo elemento comune avrebbe favorito la vostra unione, ma è stato un grosso sbaglio: lo hai spaventato a morte con la tua irruenza... ecco perché non si è mai avvicinato a te come speravi. Ed ecco perché ora ha lasciato Tokyo senza nemmeno prendersi la briga di passare a salutarti. »
Tacque. Shanpu guardò l’ambiente con aria afflitta: il suo ristorante sembrava improvvisamente un luogo estraneo che la metteva in soggezione. Era come se Nul fosse riuscito a metterle contro ciò che aveva di più caro.
« Che cos’hai fatto a Lanma? » chiese, muovendo a fatica le labbra intorpidite. Ora più che mai, voleva sapere la verità.
« L’ho aiutato » rispose semplicemente Nul. « L’ho aiutato a fare la cosa giusta... e sto per fare lo stesso con te, affinché tu possa proseguire la tua esistenza con il sorriso sulle labbra.
« Visto che non riesci a trovare valide alternative al riavere il tuo adorato Ranma, occorre ragionare per esclusione. Sei una gran bella ragazza dotata di forza micidiale; lavori in un’attività ben avviata; hai una famiglia e degli amici che ti vogliono bene; e la maledizione delle Sorgenti non ti preoccupa più di tanto, ormai. Direi che sotto questo punto di vista te la passi bene... perciò l’unica pena che vedo in te è quella che affligge il tuo cuore ferito. »
Nul si alzò in piedi, torreggiando ancora una volta sulla ragazza con aria inquietante.
« Non posso restituirti Ranma » disse, « ma posso fare in modo che il tuo amore per lui non sia stato uno spreco. »
Shanpu rimase al suo posto, incredula, mentre l’incappucciato posava una mano sulla sua fronte. Un attimo dopo, la ragazza fu travolta da un’ondata di ricordi, rivivendoli come immagini di un film in alta definizione...
Era in Cina, ancora sedicenne. Aveva appena vinto il torneo annuale della tribù, e proclamata per questo campionessa delle amazzoni. Quello stesso giorno, al villaggio si era presentato uno straniero, un giovane dai capelli neri raccolti in un codino. Shanpu lo aveva notato subito, offrendosi di fargli da guida per tutta la valle.
« Mi chiamo Ranma, piacere di conoscerti. »
« Hehe... piacele mio! Io sono Shanpu. »
Insieme avevano vagato a lungo in quella magnifica terra, così lontana dai problemi di una società moderna fin troppo invasiva. Ranma aveva apprezzato fin da subito la bellezza del luogo, scegliendo così di fermarsi per un po’ di tempo con grande gioia di Shanpu. Non passò molto tempo prima che i due iniziassero a frequentarsi... a stabilire un legame fatto di parole, emozioni e duelli; perché Ranma e Shanpu erano simili nello spirito. Entrambi erano guerrieri.
Si erano amati, per un’intera lunga estate. Un’avventura in grado di competere con le sfide che entrambi avevano affrontato con la forza dei loro pugni, paragonabile a un sogno meraviglioso, tra mille sguardi, svariati abbracci e un’infinità di baci.
Una storia intensa, giunta prematuramente alla fine. Ranma non poteva restare con lei. Aveva promesse da mantenere e molte miglia da percorrere; doveva riprendere il suo viaggio per diventare ancora più forte, come deciso da suo padre.
« Vieni con me » le aveva proposto con un sorriso sincero, quando l’ora della partenza era diventata ormai imminente.
« Non posso » fu la risposta, accompagnata da grosse lacrime. « Il mio posto è qui. Io sono un’amazzone... non c’è altlo posto per una come me al di fuoli di questo. »
Così, a malincuore, Ranma si era separato da lei. Ma il loro distacco non era avvenuto tra le urla: Shanpu non avrebbe conservato come ultimo ricordo l’immagine del suo amato in fuga al termine di un litigio. I due si erano separati dopo aver dato fondo alla loro passione, la notte precedente alla partenza; erano rimasti insieme, abbracciati l’uno all’altra dopo aver unito i loro corpi per l’ultima volta, senza dire una parola. Un momento perfetto, che avrebbero voluto durasse per l’eternità.
Ma l’alba era infine sorta, e Ranma non poteva più restare. Lo aveva visto andare via, sparendo per sempre dalla sua vita. Tuttavia, Shanpu non aveva versato lacrime in quel momento: era rimasta a guardare il suo amato mentre si allontanava, senza smettere di sorridere... felice di averlo conosciuto. Felice di essere stata sua.
Non aveva più rivisto Ranma Saotome da quel giorno, e in qualche modo era certa che non lo avrebbe rivisto mai più. Eppure avrebbe conservato il ricordo di lui tra i più belli che portava nel cuore. Avrebbe ricordato con gioia quell’estate, per sempre.    
Shanpu riaprì gli occhi, tornando alla realtà. Nul aveva tolto la mano dalla sua fronte, rimasto immobile ad osservare il risultato: il viso della ragazza era solcato da grosse lacrime, ma sul suo viso non c’era più traccia di tutte le emozioni negative che l’avevano afflitta per tutto il giorno. Ora sorrideva con somma gioia, per tutto ciò che aveva appena ricordato.
Nul non si era limitato a donarle un’illusione. Era come se avesse modificato davvero il suo passato, perciò Shanpu poteva ricordare ben più di semplici immagini: ogni bacio, ogni abbraccio, ogni respiro condiviso con il suo adorato Ranma... ricordava ogni sensazione provata sulla sua pelle in quei giorni lontani. Memorie fittizie di un passato mai vissuto, eppure tangibili... utili per liberare Shanpu dal suo tormento.
« È fatta » dichiarò Nul. « Ho eliminato il tuo dolore. Ora sarai in grado di fare la cosa giusta e di vivere in pace. Mi sono permesso di modificare la memoria anche alla vecchia Obaba, così dimenticherà la tua promessa di sposare Ranma e non si sentirà in dovere di spingerti a mantenerla. Quando sarò uscito da quella porta, naturalmente, non ricorderai di avermi incontrato, né di aver trascorso gli ultimi due anni a cercare di conquistare Ranma. Lui è già stato tuo... così ora sei libera di proseguire sulla strada che vorrai. »
Lanciò un’ultima occhiata a Shanpu, ora intenta ad asciugarsi le lacrime. Continuava a sfoggiare un largo sorriso, e lo usò per pronunciare un’unica parola a quello strano individuo che, a modo suo, l’aveva aiutata.
« Glazie. »
Nul chinò il capo, come per annuire. Dunque si voltò e raggiunse l’uscita, sparendo nella notte ormai calata sulla città. Aveva ancora molto lavoro da fare, per sistemare le cose nella vita di Ranma Saotome; altre persone da incontrare, altri dolori da alleviare; con Shanpu era stato più difficile, e gli dispiaceva non aver potuto fare di più per lei. Era davvero la sua preferita, tra le spasimanti di quel ragazzo così speciale... ma non poteva permettere che lei rispuntasse inaspettatamente nella nuova vita di Ranma. Non dopo averla indirizzata sui binari giusti.
Nessuno avrebbe dovuto interferire con il suo piano. Non sarebbe stato facile, ma con calma e pazienza avrebbe risolto ogni cosa. 

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Capitolo 8
*** Lo specchio ***


Lo specchio
 
Roma, oggi.
Un raggio di sole filtrato attraverso le tende disturbò il riposo di Ranma, costringendolo ad aprire gli occhi. Strizzando le palpebre li richiuse subito dopo, voltandosi dall'altro lato... non aveva alcuna voglia di alzarsi. Poi, dopo qualche secondo, si ricordò di dove si trovava e con chi, e un sorriso affiorò sulle sue labbra. Rose dormiva beata tra le lenzuola al suo fianco: il suo volto era celato in parte dalla sua chioma scompigliata, ma riusciva a vedere su di lei un dolce sorriso.
Stava pensando a come svegliarla con delicatezza, ma non ce ne fu bisogno. Rose aveva appena aperto gli occhi, simili a splendidi zaffiri, trovando subito quelli neri di lui.
« Buongiorno. »
Ranma le rivolse un sorriso, mentre lei continuava a fissarlo con espressione indecifrabile. Rose non rispose, si limitò ad avvicinare le labbra alle sue, posandovi un dolce bacio.
Rimasero così per alcuni, lunghi minuti, incapaci di trovare qualcosa da dire. Si sentivano entrambi a corto di parole, o di pensieri, come se avessero già detto tutto la sera precedente. Il silenzio fu rotto infine da un rumore, un familiare brontolio che proveniva dallo stomaco di Ranma; lui si lasciò sfuggire una risata imbarazzata, ma Rose continuò a sorridere come se nulla fosse.
« Anch’io ho fame » ammise. « Mangiamo qualcosa? »
Alla risposta positiva di Ranma, lei balzò in un attimo fuori dal letto, con un’energia e un entusiasmo mai visti prima. Indossò una vestaglia e invitò il ragazzo a raggiungere la cucina, per fare colazione insieme; lui, dopo aver abbandonato lo stato di sorpresa, la seguì a ruota con un sorriso.
Rose tirò fuori tutto ciò che aveva per una colazione degna di questo nome: latte, biscotti, marmellata, fette biscottate e della crostata acquistata il giorno prima. Non era la roba di cui Ranma era solito nutrirsi al mattino, ma non osò rifiutare nulla: dopotutto era un ospite in casa altrui... una condizione in cui si era trovato per più di due anni prima di cambiare vita.
In quel momento non fece caso al modo in cui Rose mangiava, ma alla fine della giornata avrebbe  aggiunto anche quel piccolo dettaglio alla lista di cose strane a cui stava per assistere.
I due ragazzi lasciarono insieme l’appartamento, ma i loro impegni li costrinsero a prendere ben presto due direzioni diverse. Ranma aveva una lezione in palestra, mentre Rose doveva recarsi in centro per un giro di acquisti. I due si fermarono a un incrocio prima di salutarsi con affetto.
« Ci vediamo più tardi. »
E dopo essersi scambiati un altro bacio, presero direzioni diverse. Ranma non resistette alla tentazione di seguire Rose con lo sguardo, dopo che lei gli aveva già voltato le spalle, ma non appena la vide rimase senza fiato: la ragazza si era arrampicata su un muretto e ci camminava sopra tranquillamente, con la stessa naturalezza di chi cammina sul marciapiede.
Ranma non credeva ai suoi occhi. Lui stesso, in passato, aveva il vizio di camminare su muretti o recinzioni, ovunque volesse andare; ormai non lo faceva più così spesso, dato che gli italiani non erano così tolleranti come il suo popolo, ma qualche giorno prima si era divertito a stupire Rose con questo pittoresco talento.
« Mai tenterò di fare una cosa del genere in vita mia! » aveva detto lei con aria sbalordita, se lo ricordava benissimo. Eppure era proprio lei in quel momento, la stessa Rose che aveva baciato pochi attimi prima, ora intenta a imitarlo in maniera perfetta su quel muro...
Ranma scrollò le spalle e attraversò la strada, cercando di non pensarci; aveva scelto di non fare caso a questa stranezza. Dopotutto, aveva ben altro a cui pensare in quel momento: finalmente, Ranma riusciva ad ammettere di essere contento di avere una ragazza. Dopo tutto quello che aveva passato con suo padre e la famiglia Tendo, si era quasi rassegnato all’idea di dover evitare il sesso femminile per un sacco di tempo; ora invece si sentiva libero, leggero... in grado di toccare il cielo con le dita.
Forse Rose era davvero la ragazza giusta per lui, e voleva crederci fino in fondo. Anche se i loro interessi erano diversi, lei aveva dimostrato di essere in grado di capire il ragazzo, meglio di chiunque altro... e lui riusciva a fare altrettanto nei suoi confronti. Erano diversi, ma nel contempo simili, come se l’una si rispecchiasse nell’altro e viceversa.
Ancora ignorava che le sorprese non fossero finite.
Rose fece ritorno nel primo pomeriggio, con un sorriso radioso dipinto sul suo volto. Dal momento che Ranma non aveva ancora pranzato, lei lo convinse a fermarsi in un ristorante giapponese nei pressi del Laghetto. Il ragazzo rimase sorpreso dalla proposta, poiché Rose non aveva mai mostrato interesse verso la cucina giapponese prima di allora.
« Oggi ho voglia di tentare la sorte » annunciò la ragazza divertita, prima di afferrarlo per una mano e trascinarlo verso la meta. Ranma era troppo contento di essere di nuovo insieme a lei per preoccuparsi, ma non poté comunque impedire ai suoi sensi di restare in guardia; anche se inconsciamente, sentiva che la situazione stava prendendo una strana piega. Ne ebbe una nuova conferma nel momento in cui Rose mangiò una porzione di riso... cibo che lei aveva ammesso, giorni prima, di odiare con tutto il cuore.
A pensarci bene, Rose stava mangiando le stesse cose ordinate da lui.
Ranma cominciò allora a preoccuparsi davvero, così decise di parlarne con Rose poco più tardi, dopo il pranzo. I due erano rimasti nei pressi del Laghetto per una passeggiata digestiva: il sole era oscurato da grosse nuvole che limitavano la sua luce sulla Capitale, rendendo l’atmosfera decisamente più cupa di quella dei giorni precedenti. Rose, insensibile al nuovo clima, continuava a camminare con aria allegra lungo il prato, seguita a ruota da Ranma.
« Va tutto bene, Rose? » osservò lui in quel momento, cercando di apparire tranquillo. « Oggi ti comporti in modo strano. »
« Oh? Che vuoi dire? »
« Be’, è da stamattina che ti vedo fare cose bizzarre... almeno per te. Camminare sul muretto, mangiare il riso... e ho avuto persino l’impressione che imitassi il mio modo di mangiare. Non è da te fare così... allora qual è il senso in questo tuo comportamento? »
Rose smise di camminare. All’improvviso aveva perso l’allegria sul suo volto, chinando il capo per fissare l’erba. Ranma la guardò confuso, incerto su cosa dovesse aspettarsi: ora era lei ad apparire preoccupata, in una misura forse maggiore.
« Hai ragione, Ranma » dichiarò lei, senza guardarlo. « Ciò che mi hai visto fare non è da me... significa che sta succedendo di nuovo. Ormai ci ho fatto l’abitudine, a tal punto da non accorgermi quando ricomincio ad adattarmi. »
Ranma rimase in silenzio, ma quella risposta non fu sufficiente a sciogliere i suoi dubbi.
« Rose... ma di cosa stai parlando? »
La ragazza si voltò a guardarlo, sempre più cupa in volto. Aprì la bocca per rispondere, quando una voce estranea attirò l’attenzione di entrambi.
« Torna qui, Marshall! »
Ranma e Rose si voltarono, appena in tempo per notare una ragazzina correre lungo il prato, intenta ad inseguire un gatto che puntava veloce contro di loro. L’animale schizzò tra le loro gambe, per poi allontanarsi in tutta fretta; Ranma urlò per lo spavento, ma non fu nulla in confronto al grido lanciato contemporaneamente da Rose, che si aggrappò a lui in preda a un improvviso terrore.
« Ehi, ma che ti prende? »
La risposta non arrivò mai, perché svenne subito dopo tra le sue braccia.
Nel frattempo la padroncina del gatto responsabile dell’accaduto era accorsa sulla scena, improvvisamente preoccupata.
« Che è successo? Si è sentita male? »
Ranma non rispose, limitandosi a controllare le condizioni di Rose; gli occhi erano serrati e il corpo molle, ma respirava ancora. Ne sapeva abbastanza per capire che si trattava di un semplice svenimento. Rassicurò la ragazzina, che tornò ad inseguire il gatto, dopodiché si caricò Rose sulle spalle e lasciò il Laghetto, dirigendosi verso casa.
Ci mancava solo questa, pensò Ranma, incredulo e furibondo allo stesso tempo. Aveva trascorso mesi nella tranquillità più totale, ormai certo di aver detto addio per sempre a un mondo intero di stranezze... e ora stava succedendo di tutto in appena mezza giornata. Doveva scoprire la verità, prima di impazzire in modo irreversibile.
Mentre Rose riposava sul letto, Ranma cercò di rifletterci sopra, aspettando che lei riprendesse i sensi. Nell’appartamento regnava una calma piatta, ma nella mente del ragazzo infuriava un vero caos: una marea di dubbi e di domande che vorticavano al centro di un unico pensiero, o meglio di una persona... la stessa alla quale stava seriamente pensando di dare il suo cuore.
Rose...
Che cosa le era accaduto? Il suo improvviso cambiamento non era naturale: il modo di comportarsi, i gusti alimentari, il terrore per i gatti... elementi fin troppo familiari per Ranma, dal momento che riflettevano perfettamente il suo carattere. Si conosceva bene, a tal punto da capire almeno questo dettaglio... ma ancora gli sfuggiva il perché Rose avesse deciso di “mimare” pregi e difetti del ragazzo. Per quanto sforzasse la sua mente alla ricerca della soluzione, non riusciva a trovare uno straccio di idea; ma lui non aveva mai avuto una mente adatta ai ragionamenti, dopotutto, e rinunciò dopo mezz’ora. Lasciò la stanza e si recò nella sua palestra privata, pronto a svuotare la mente con un po’ di ginnastica; l’idea sembrò funzionare: ogni pugno e calcio sferrato al sacco lo liberava poco a poco dai pensieri più scomodi. E continuò a colpire, concentrandovi ogni fibra del suo essere; ricordando ancora una volta ciò che lui era.
Un guerriero...
Andò avanti a lungo. Poi qualcosa colpì improvvisamente il sacco dalla parte opposta, spingendolo contro Ranma. Il ragazzo interruppe l’azione, confuso: quando rivolse lo sguardo oltre il sacco, si accorse della persona che lo aveva colpito, giunta nella stanza un attimo prima.
« Rose? »
Non aveva dubbi, era proprio lei, di nuovo sveglia e con indosso una tuta presa dal guardaroba di Ranma. Aveva lo sguardo serio, determinato, proprio come quello del ragazzo; anche la posa da combattimento che aveva assunto assomigliava alla sua. Eppure, non aveva senso...
Non aveva alcun senso. Cosa stava cercando di dimostrare? Dopo i gusti alimentari e la paura per i gatti, ora cercava di imitare lo stile di combattimento di Ranma.
Dal punto di vista di quest’ultimo, aveva superato il limite. Così, senza alcun preavviso, il ragazzo si lanciò contro Rose e le sferrò un pugno; cercò di andarci piano ma fu inutile, perché lei riuscì a schivarlo. Rimase stupito per un attimo, poi colpì di nuovo; Rose schivò ancora. Sferrò un calcio, e lei lo evitò con un salto, contrattaccando subito dopo. Ranma parò il colpo, e anche quello successivo; Rose era passata di colpo all’attacco, imitando in modo quasi perfetto lo stile della famiglia Saotome.
Il ragazzo oppose resistenza, ma non poté impedire all’incredulità di offuscare i suoi sensi: come faceva Rose a conoscere quello stile di combattimento? Non erano tecniche che stava insegnando al corso di autodifesa femminile; ciononostante, lei sapeva utilizzarle bene... come se le praticasse da anni.
Ranma riuscì infine a bloccare Rose per le mani, afferrandola per i polsi. Sperava di aver posto fine a quell’assurdità, ma pagò questo errore a caro prezzo; Rose lo colpì forte al mento con un calcio, facendogli mollare la presa. Ranma indietreggiò, dolorante, ma cercò di non perderla di vista: quando riprese il contatto visivo, notò l’aria compiaciuta di Rose, di nuovo in guardia.
Non riusciva a crederci. Gli parve di trovarsi davanti a uno specchio perché, ora più che mai, quella ragazza sembrava il suo riflesso: l’immagine della persona in cui si trasformava nei giorni della maledizione. La ragazza con il codino, oggetto del desiderio di imbecilli come Kuno e di altri avversari sovrumani.
No... non sei lei... non sei lei!
E in un impeto di rabbia scattò in avanti; Rose schivò il suo calcio per un soffio, perse l’equilibrio e cadde a terra. Si rialzò subito, ma non reagì. Ranma vide che continuava a sorridere, mentre tornava in guardia.
« Niente male davvero » commentò Rose. « Sei straordinario. »
« A che gioco stai giocando? » esclamò Ranma, spazientito. « Si può sapere come diavolo riesci a tenermi testa? »
« Ci riesco perché la mia forza proviene dalla tua. Io sono forte perche lo sei tu... io sono il tuo riflesso. »
Ranma scosse la testa.
« Dovresti parlare più chiaramente, invece di comportarti da stupida! »
Stupida... quella parola echeggiò a lungo nella sua testa, e quasi inevitabilmente ridestò un gran numero di ricordi relativi ad essa. Gli parve di udire un’altra voce, da cui aveva sentito ripetere fin troppo spesso quella stessa parola.
« Ranma, sei uno stupido! »
Forse Akane aveva ragione, lo era davvero. Lo era sempre stato... e non aveva smesso di essere stupido.
Ma che sto facendo?
Abbassò la guardia. Continuare a combattere non aveva senso. Peccato che Rose si fosse appena lanciata in un nuovo attacco, replicando lo stesso calcio di Ranma. Il ragazzo prese il colpo in pieno petto, andando a sbattere contro il muro alle sue spalle.
« Oh mio Dio... Ranma! »
Rose corse subito da lui, preoccupata. Si era accorta troppo tardi della decisione di Ranma, e non era riuscita a fermarsi; cercò di aiutarlo ad alzarsi, ma lui la respinse. Il ragazzo restò dov’era, limitandosi a sedersi sul parquet con aria funerea.
« Mi dispiace tanto, scusami! » esclamò Rose, sempre più mortificata.
Ranma scosse la testa un’altra volta.
« Il mio perdono dipenderà da ciò che vorrai dirmi » dichiarò. « E spero di sentire la verità dalle tue labbra, Rose... o chiunque tu sia. In questo momento, infatti, non sono più sicuro di chi sei... anzi, che cosa sei. Dimmelo, una volta per tutte... se credi che io sono importante per te. »
Rose lo scrutò accigliata: le sue labbra si mossero come se stesse masticando le parole che tratteneva da un’eternità. Poi, lentamente, si sedette di fronte a Ranma e raccontò ogni cosa.
« Tutti quelli a cui ho raccontato questo hanno pensato che fossi pazza, o roba del genere. Ma ciò che sto per raccontarti non è follia, è verità... la mia storia; e sono certa che tu mi crederai, perché so che tu sei speciale... sei diverso, proprio come me.
« La verità è che io sono uno specchio, nel vero senso della parola. Sono dotata fin da piccola di una strana capacità, che molti definirebbero mistica o sovrannaturale: sono in grado di imitare ogni azione, talento o carattere delle persone che osservo. I miei occhi osservano le azioni; la mia mente le registra; e il mio corpo, successivamente, le riflette, come se fossi uno specchio. Se guardo una persona mentre suona il pianoforte, per esempio, in seguito posso replicare alla perfezione lo stesso brano che ha eseguito, senza aver bisogno di impararlo in precedenza. Questo è accaduto quando avevo sette anni, in effetti, dopo aver visto un concerto di musica classica in TV: il giorno dopo ebbi l’impulso di suonare il piano a scuola, replicando Mozart sotto lo sguardo esterrefatto degli insegnanti. »
Ranma tacque, ma la sua espressione fu abbastanza eloquente. Era sorpreso, come non lo era da molto tempo.
« Mio padre, resosi conto della mia capacità, decise di sfruttarla per farci ottenere fama e ricchezza. Una bambina prodigio attira molta attenzione, dopotutto, specie se è in grado di suonare divinamente, di parlare qualsiasi lingua ascolti, o di danzare al livello di un campione mondiale. Mi bastava osservare ciò che facevano gli altri... e riflettevo i loro talenti, facendoli miei. All’inizio le cose andarono bene: ben presto divenni un fenomeno nazionale, il mio nome era sulla bocca di tutti. Nessuno conosceva la verità sul mio dono, ovviamente. Mio padre investì il denaro guadagnato nella fondazione della sua azienda, e questo ci permise di sistemarci per sempre... almeno dal punto di vista economico. Tuttavia, fu proprio allora che scoprii il lato negativo del mio talento.
« Avevo sedici anni » proseguì Rose. « Un’età che per molti segna l’ingresso verso un mondo più ampio: nuovi interessi, primi amori, e una maggiore comprensione delle cose... e di se stessi. Dopo che mio padre fondò la sua azienda non avevo più bisogno di mostrarmi in pubblico, così mi allontanai dai riflettori, in cerca di una vita normale. Ma non potevo “spegnere” il mio dono, e questo ebbe effetti negativi su chi mi stava vicino: con il tempo ero arrivata a imitare perfino la personalità degli altri. Ogni volta che provavo a relazionarmi con qualcuno... con un ragazzo, ad esempio... in breve tempo finivo per comportarmi esattamente come lui: riflettevo ogni aspetto della sua personalità, i pregi... e i difetti. Non lo facevo apposta... accadeva automaticamente, senza riuscire ad impedirlo. A nessuno, tuttavia, piace guardarsi allo specchio così a fondo: nessuno sopportava di vedere la parte peggiore di sé, riflessa senza volerlo dal mio corpo, e per questo finivano tutti per allontanarsi da me. »
La ragazza s’interruppe per riprendere fiato. Agli occhi di Ranma apparve evidente che non raccontava la sua storia da molto tempo... come un peso rimasto sulle sue spalle troppo a lungo.
« Il mio dono era diventato una maledizione » riprese. « Questo ha causato problemi anche con mio padre, alcuni anni fa, durante una nostra discussione: ormai era diventato un uomo avido, arrogante e senza scrupoli... e questi aspetti del suo carattere vennero alla luce attraverso me. Non poteva sopportare la consapevolezza di essere diventato un tale stronzo, né che fossi io a dimostrarglielo ad ogni nostro scambio di battute. Così mi sono allontanata anche da lui, e dalla mia città.
« Certo, mio padre mi vuole ancora bene » puntualizzò subito, « e il minimo che può fare è mantenermi a distanza... per assicurarsi che io tiri avanti; ma da quel giorno non l’ho più rivisto... da quando ho iniziato a viaggiare ininterrottamente per il mondo. Ricordi quello che ti ho detto il primo giorno? Viaggiare è il modo migliore per trovare ciò che stai cercando, e decidi di fermarti solo nel momento in cui lo hai trovato. Be’, io sto cercando il mio posto in questo mondo: un posto in cui io possa sentirmi normale, senza sentire il peso della mia maledizione; un posto in cui la gente non fugga da me dopo aver visto ciò di cui sono capace; un posto in cui possa trovare finalmente... qualcuno che mi ami. »
Rose sospirò, gli occhi diventati ormai umidi. Non ci badò e riprese a raccontare.
« Ho viaggiato per anni, inseguendo senza sosta il mio obiettivo; era facile adattarmi, dato che posso apprendere facilmente ogni lingua straniera. Ma la storia si ripeteva ovunque andassi. Conoscevo delle persone, dei ragazzi, ma poi scappavano tutti dopo aver “rispecchiato” il loro carattere. Erano spaventati... per non dire disgustati da me. E ogni volta riprendevo a viaggiare, per riprovare da un’altra parte. Ho attraversato gli USA, il Messico, il Brasile; poi mi sono spostata in Europa... fino ad arrivare qui, poche settimane fa. »
Fissò lo sguardo su Ranma, facendo un sorrisetto.
« Sai, in tutti questi anni non avevo mai imparato le arti marziali » ammise, « ecco perché non ho saputo difendermi quando fui aggredita quella notte. Credevo di aver già sofferto più di qualsiasi altra persona al mondo, a causa di tutto quello che le mie capacità mi avevano fatto passare. Mi sbagliavo, ovviamente, ma lo capii solo mentre quei balordi si avventavano su di me per violentarmi. Capii di avere ancora molto da imparare sulla vita, e quella notte avrei perduto l’occasione per rimediare... se non fossi arrivato tu a salvarmi.
« Sei diventato subito il mio eroe, dopo ciò che hai fatto per me. Non avevo mai conosciuto qualcuno come te. Mentre lottavi ho sentito subito che avevi qualcosa di speciale... di diverso; forse un dono come il mio, o una maledizione... non ne ero sicura. Ma ero sicura che il nostro incontro dovesse accadere, prima o poi; e qualunque cosa fosse ciò che ti rendeva speciale, avresti potuto guidarmi. Così, quando ho ripreso i sensi e ci siamo conosciuti in quella stanza d’ospedale, avevo già deciso di restare al tuo fianco. »
Rose chinò il capo e tacque, ponendo fine così al suo racconto. I due ragazzi rimasero a lungo in silenzio, in quella camera che all’improvviso sembrava lontana anni luce dalla Città Eterna. Due individui fuori dal comune, intenti a studiarsi come per stabilire ognuno il destino dell’altro.
Ranma aveva ottenuto ciò che voleva: la verità. Ecco perché Rose aveva imitato il suo comportamento durante le ultime ore; spiegava anche il fatto che avesse appreso così rapidamente le arti marziali; le bastava osservare le dimostrazioni, e poi eseguiva tutto alla perfezione. Era riuscita a imitare persino il suo stesso stile di combattimento... lo aveva osservato in precedenza durante altre lezioni. Sicuramente era rimasto sorpreso da tutto questo.
Ma non era una verità non così sorprendente. Aveva sentito storie ben più incredibili, a cui aveva dovuto credere per cause di forza maggiore... come nel caso delle Sorgenti Maledette, che avevano creato scherzi della natura ben peggiori di lui. Una verità crudele, nonostante tutto. Rose era priva di una personalità propria: era come un libro vuoto, o uno specchio inanimato in attesa di riflettere l’immagine di qualcun altro; riusciva a riempire il suo vuoto solo osservando gli altri, prendendo le loro doti per farle sue.
Non era la verità a renderlo ancora diffidente nei confronti di Rose, ma un altro dubbio, strettamente legato ad essa.
« Ti credo, Rose » mormorò, ponendo fine al silenzio. « E credo anche di poterti capire, almeno in parte. Capisco perché sei venuta da me, subito dopo esserti ripresa; capisco perché hai seguito le mie lezioni e mi sei rimasta vicino. Volevi qualcuno come te al tuo fianco, e credo di averti accontentato. Ma se avevi intuito fin da subito che sono “speciale” come te, perché non mi hai detto subito la verità? Perché hai aspettato... be’... fino ad oggi, dopo tutto quello che è accaduto tra noi? »
Rose sospirò ancora.
« Ho sempre fatto così, in passato » spiegò. « Aspettavo di “adattarmi” alla persona con cui stavo, prima di rivelargli ogni cosa. È più facile raccontare una storia assurda quando puoi mostrare al pubblico delle prove tangibili, no? Adattarmi a te, tuttavia, è stato più difficile del solito; tendevi a mostrarmi poco della tua personalità, del tuo passato... come se temessi l’idea di aprirti più del dovuto. Ma sono stata paziente, finché... be’, lo sai. »
« Che significa? » domandò Ranma. « Vuoi dire che quello che è nato tra noi faceva parte del tuo “piano”? Che avevi deciso di avere una storia con me fin dall’inizio? »
« No, Ranma... te lo giuro. Non lo avevo deciso... ma non potevo negare il fatto che mi piacevi. Tu sei buono, gentile, coraggioso, misterioso... il tipo di ragazzo che tutte vorrebbero avere. Immagino che mi saresti piaciuto anche se non avessi avuto questa capacità che ci rende così simili. »
Stavolta fu Ranma a sospirare, e nel frattempo si alzò in piedi, visibilmente accigliato.
« Simili » ripeté, guardando Rose dall’alto. « Continui a ripetere che siamo simili, ma non sai nemmeno perché lo siamo. Non puoi nemmeno immaginare che cosa mi ha reso così speciale, così diverso dalla gente comune... la maledizione che mi ha tormentato per due interi, lunghi anni. Che cosa credi di sapere su di me, Rose? Credi davvero che sono gentile, coraggioso e misterioso? Non sei la prima ragazza a cui sono piaciuto per questo... e nemmeno la seconda, purtroppo. Sono fuggito da una vita che mi aveva procurato un sacco di casini, per colpa della mia maledizione. Ora, però, sembra che io abbia un nuovo casino di cui preoccuparmi. »
Si avvicinò a lei, porgendole una mano per farla alzare.
« Dopo aver lasciato il Giappone » proseguì Ranma, « mi sono promesso che non sarei mai più fuggito, da niente e da nessuno. Ecco perché non fuggirò da te, Rose. Non è più da me voltare le spalle agli altri, e non intendo riprovarci. Tuttavia devo chiederti di lasciarmi da solo, almeno per un po’... ho bisogno di tempo per schiarirmi le idee. Sai... non è facile riuscire a digerire una cosa del genere. Dammi un po’ di tempo, per favore. »
Rose tirò un profondo respiro. Il suo cuore aveva palpitato all’impazzata durante il discorso di Ranma, ma per fortuna l’esito le aveva permesso di rilassarsi. Lei aveva detto tutto... ora sapeva di non poter fare altro che aspettare, sperando in un esito altrettanto positivo. Si avvicinò a lui e gli accarezzò la guancia, recuperando il suo famoso sorriso gentile.
« Ti aspetterò » dichiarò. Poi uscì dalla stanza, lasciando Ranma da solo.
Il ragazzo rimase fermo al suo posto, l’aria ancora cupa, ascoltando il rumore di passi che si allontanava sempre di più; poi quello della porta d’ingresso mentre veniva aperta; il tonfo successivo pochi attimi dopo, che indicò la sua chiusura.
Ranma guardò fuori dalla finestra. Il sole era tramontato da un pezzo; troppo presto, a causa dell’ora solare... scomoda invenzione dell’umanità che non aveva mai sopportato. Sotto il suo naso, un sacco di gente comune proseguiva ignara la propria vita, fatta di impegni, progetti e conti da pagare. Vite semplici, molto lontane dal mondo in cui lui era rimasto invischiato anni prima... lo stesso mondo che all’improvviso aveva deciso di fare un salto nella sua nuova sistemazione, per disturbare la sua quiete. Un mondo fatto di maledizioni, genitori opprimenti, spasimanti varie e scocciatori... rappresentato ora da quella giovane dai capelli rossi che aveva rivoluzionato i suoi ultimi giorni.
Le aveva dato della stupida... ma ora capì di essersi dato dello stupido da solo, dato che era il suo riflesso.
Akane aveva ragione. Era uno stupido.

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Capitolo 9
*** Giorni contati ***


Giorni contati
 
Tokyo, quindici mesi fa.
Il sole di mezzogiorno splendeva alto sopra il quartiere di Nerima, rendendo più sopportabile il clima umido dell’autunno. In quel momento di quiete, il vecchio Happosai era intento a praticare il suo hobby preferito sulla terrazza di un edificio, dove i condomini erano soliti appendere il bucato. Gli abitanti di quel palazzo non avevano ancora imparato a guardarsi dalle mire di quel minuscolo vecchietto, che amava aggirarsi per il quartiere rubando biancheria femminile in grandi quantità.
In quel momento, dunque, Happosai era intento a contemplare la sua prossima preda. Si aggirava tra i cavi a cui erano appesi i panni con occhi meravigliati, la felicità pari a quella di un bambino in un negozio di dolci. Non riusciva a decidere da dove cominciare, tanti erano i “bersagli” esposti così in bella vista: ormai era diventato tutto troppo facile, da quando Ranma se n’era andato...
« Ehi, vecchiaccio » disse una voce alle sue spalle. « Bella la vita, eh? »
Happosai si voltò subito, allarmato. Solo una persona osava chiamarlo così, ma la voce non gli era affatto familiare. Tra le lenzuola appese scorse una figura avvicinarsi lentamente a lui: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio. Camminava piano, come se avesse tutto il tempo del mondo da dedicargli.
Il vecchio restò immobile al suo posto. Non percepiva alcun Ki in quell’individuo, ma ciò lo fece allarmare comunque: anche le persone comuni possedevano una forza vitale, seppur debole rispetto a tipi come lui, ma l’incappucciato sembrava non averne neanche un po’... come se non esistesse.
« E tu chi saresti? » chiese Happosai.
« Io sono Nul » rispose l’incappucciato. « Scusa se non ti giro la domanda, ma so perfettamente chi sei. Happosai, fondatore e gran maestro della Scuola di Lotta Indiscriminata; mentore di Genma Saotome e di Soun Tendo; imbattibile maestro di arti marziali, nonché inguaribile pervertito. »
Il vecchio tacque per un po’, più sorpreso che mai. Non aveva idea di chi fosse Nul, ma non voleva comunque dargli soddisfazione.
« Non capisco cosa vuoi dire con l’ultima parte. »
« Oh, vuoi che lo ripeta? P-E-R-V-E-R-T-I-T-O. È l’epiteto più comune usato per identificare i depravati che gongolano mentre si strusciano su capi di biancheria intima femminile... cosa che tu stesso ti apprestavi a fare un minuto fa. »
Era l’ultima goccia. Nel giro di un istante, Happosai dimenticò il suo hobby e s’infiammò; il suo sguardo s’indurì e strinse i pugni, pronto a combattere alla minima minaccia.
« Non mi piaci, moccioso... e i mocciosi che non mi piacciono fanno sempre una brutta fine! »
Nul fece un suono simile a un verso scettico; era come se Happosai fosse solo uno sbruffone, dal suo punto di vista. Non lo temeva nemmeno un po’. Si mise perciò in posa da combattimento senza alcun timore: una mano dietro la schiena e una in avanti, rivolta al suo avversario.
« La mia fine non avverrà certo per mano tua, vecchiaccio... ma se tanto ci tieni, fatti pure avanti. »
Fece un cenno ad Happosai, invitandolo ad attaccare. Il vecchio schizzò in avanti un istante dopo, rapido come una palla di cannone; Nul lo schivò per un soffio, sferrandogli subito dopo un calcio. Happosai fu scagliato senza controllo verso un lenzuolo appeso fra due travi, andando a sbattere contro una di queste. Si udì un forte rumore metallico che spaventò i piccioni nei paraggi, che presero subito il volo.
« Acc... palo! » commentò Nul, deluso.
Happosai cadde a terra, ma si rialzò subito. La sua faccia recava una lunga striscia arrossata, l’impronta della trave dove aveva sbattuto con violenza; lo sguardo, invece, era carico di rabbia per l’affronto subito.
« Nessuno... può permettersi di trattare il grande Happosai come un pallone da calcio! »
« Spiacente » dichiarò Nul con il suo solito tono glaciale, « ma per me non vali più di così, neanche se fossi verde e maneggiassi una spada laser. Dopotutto, guardandoti bene, sei della taglia giusta per essere palleggiato. »
« Ora basta... coff, coff! »
Il vecchio s’interruppe, colto improvvisamente da una forte tosse. Nul rimase fermo a guardarlo, aspettando che si riprendesse.
« Non hai una bella cera » osservò. « Sei certo di volermi affrontare così? »
Happosai scattò ancora in avanti, ignorandolo. Nul sparì oltre un grande lenzuolo; il vecchio lo seguì dall’altra parte ma, con suo sommo stupore, il suo avversario non c’era più. Svanito nel nulla. Restando in guardia, Happosai si guardò intorno: ormai era chiaro, stava affrontando un individuo molto potente; strano, tuttavia, che non percepisse alcun Ki... come diavolo faceva a nasconderlo ai suoi sensi?
Nul riapparve alla sua destra, attraverso un altro lenzuolo. Happosai schivò il suo attacco e reagì con un calcio; Nul lo parò facilmente. Il vecchio non si arrese e continuò ad attaccare, ma senza alcun risultato: i piedi del vecchio non erano più grandi di quelli di un bambino, proprio come il resto del suo corpo; e contro quello strano tipo, la sua forza sovrumana sembrava non contare nulla.
Per quanto cercasse di studiarlo durante la lotta, Happosai non riusciva a farsi un’idea sull’identità del suo avversario: egli continuava a nascondere il volto sotto il cappuccio, che restava immobile nonostante tutto quel movimento... come se lo avesse incollato.
Solo Ranma e Obaba, negli ultimi tempi, erano riusciti a tenergli testa in quel modo... inoltre, lo stile di combattimento di Nul assomigliava tremendamente al suo.
« Maledetto! Chi diavolo sei? » esclamò Happosai, spazientito dopo l’ennesimo colpo andato a vuoto.
Nul non rispose. In compenso riuscì ad afferrarlo per la testa, lo lanciò in aria e gli sferrò un tremendo calcio in rovesciata. Il vecchio fu spedito dritto contro il lenzuolo di prima, attraversandolo come se fosse una rete da calcio. Contemporaneamente, nell’aria risuonò un boato simile a una folla urlante in uno stadio, sebbene in giro non ci fosse nessuno.
« Rete! » urlò Nul, esultando. « Al 3° minuto! Uno a zero! Grande tiro del capitanooo! »
Terminata l’ovazione, il silenzio calò su quella terrazza all’improvviso. Nul cercò Happosai con lo sguardo, sparito dal suo campo visivo dopo averlo calciato oltre quel lenzuolo; lo raggiunse e trovò il vecchio dall’altra parte, in ginocchio accanto a un bocchettone dell’aria. L’ultimo colpo lo aveva ridotto male, sembrava; inoltre aveva ripreso a tossire, più forte di prima.
« Ora non fai più tanto il duro, eh vecchiaccio? » disse Nul, guardandolo dall’alto. « Mi sorprende che Ranma non sia mai riuscito a farti abbassare la cresta fino a questo punto... ma ormai non ha più importanza. »
Happosai rispose con un’occhiata furibonda. In un attimo estrasse qualcosa dalla giacca e glielo lanciò addosso, come se fosse un dardo. Nul l’afferrò al volo, un attimo prima che lo colpisse in faccia: non era altro che una comune pipa, usata come arma improvvisata. La gettò via, per nulla impressionato, e fece un passo in avanti, sempre più minaccioso.
Happosai si ritrasse, iniziando a piagnucolare.
« Sei crudele! Te la prendi... coff, coff... con un povero vecchietto! »
« Patetico » mormorò Nul. « Sai, ho conosciuto altri tipi come te durante i miei viaggi: grandi maestri di arti marziali e formidabili guerrieri, anziani eremiti dotati di immenso potere e saggezza... ed erano anche dei gran pervertiti. Ma a differenza di te, loro hanno compensato bene questo difetto, e non hanno mai osato piagnucolare davanti al nemico. Non meriti tutto il potere che ti sei guadagnato, visto l’uso che ne fai! »
« Ma a te... coff... cosa te ne importa? »
« In verità non me ne importa proprio niente, dal momento che mi fai schifo. Piuttosto, sono interessato alle tue attuali condizioni... mi sorprende che tu non sappia ancora quanto sei malato. »
« C-cosa? »
Nul si inginocchiò davanti a lui, mettendolo a sedere contro il bocchettone. Nel frattempo aveva recuperato la pipa di Happosai, mostrandogliela bene.
« Fumare fa male, non lo sapevi? » disse. « Se non ricordo male tu hai circa quattrocento anni... trascorsi in gran parte a inalare il fumo di questa schifezza. A lungo andare, è piuttosto ovvio – per non dire naturale – che i polmoni subiscano conseguenze piuttosto spiacevoli. Fossi in te andrei in ospedale a farmi una TAC, ma dubito che scoprirebbero danni maggiori di quelli che vedo ora nel tuo organismo. »
Happosai sgranò gli occhi, esterrefatto.
« Che... che cos’ho? »
« Carcinoma polmonare all’ultimo stadio » rispose Nul. « In parole povere: cancro. Da ciò che posso presumere, si è formato più di trent’anni fa, ma la forza del tuo Ki ne ha rallentato la diffusione, sopprimendo anche i sintomi. La fase del rallentamento, tuttavia, è ormai finita: il male sta riprendendo il suo cammino... e ti ucciderà in poco tempo. »
Calò il silenzio, dato che Nul non aveva altro da aggiungere. E Happosai, dal canto suo, non aveva parole adeguate per esprimere ciò che provava in quel momento. Era dominato dall’incredulità, come solo una notizia del genere poteva provocargli.
Stava per morire. Normalmente, quando qualcuno riceve la notizia che gli resta poco da vivere, attraversa cinque fasi: la prima è il rifiuto. Happosai non voleva crederci, ma dopo essere stato calciato come un pallone dall’essere che aveva di fronte, non poteva dubitare delle sue parole. Ormai era certo che Nul avesse i suoi sistemi per dimostrare ciò che sosteneva. Non gli restava dunque che passare subito alla seconda fase, la rabbia.
« Perché? » esclamò infuriato, dopo vari minuti di silenzio. « Perché sei venuto a dirmi tutto questo? Che cosa vuoi da me? »
« Volevo dirtelo subito, ma tu hai avuto la folle idea di attaccarmi » obiettò Nul, incrociando le braccia. « Voglio aiutarti. »
« Aiutarmi? Come? coff, coff... puoi forse... curarmi? »
« Oh no, non illuderti su questo. Non sono un medico, ma so bene che non si può fare niente con un tumore all’ultimo stadio. E il mio potere non è fatto per curare la gente da malattie mortali... non sono certo imparentato con la divinità in cui crede la tua razza. Sono spiacente, vecchiaccio, ma presto giungerà la tua ora. »
Happosai cominciò a tremare, sempre più sconvolto.
« Quanto... quanto tempo mi resta? »
« Circa sei mesi » rispose Nul. « È il tempo che riesco a stimare esaminando le tue condizioni. Per un po’ avrai solo questa brutta tosse, ma il peggio arriverà nelle ultime settimane; il male arriverà a intaccare anche i centri di forza in cui scorre il tuo Ki, privandoti perciò della tua forza e delle capacità motorie. A quel punto dovranno attaccarti a delle macchine per tenerti in vita, ma non servirà a molto.
« Lo so... è ironico. Il grande Happosai, il più forte maestro di arti marziali vivente, dopo tutte le imprese che ha compiuto... dopo tutte le sfide affrontate con degni avversari... sta per morire per colpa di questa » e mostrò di nuovo la pipa. « Per un guerriero non c’è niente di peggio che morire nel suo letto, straziato dalla malattia o dalla vecchiaia... incapace di lottare o di reagire, perché sa che ormai tutto è perduto. »
Tacque, osservando per un po’ Happosai che non accennava a muoversi dal suo posto. Il vecchio guardava il pavimento ai suoi piedi con aria afflitta; non versava lacrime, ma non aveva importanza. Se prima Nul stava affrontando un vecchio pervertito dalla forza sovrumana, ora aveva di fronte a sé un uomo finito, spezzato dalla verità più amara che potesse concepire.
Non poteva andarsene così...
« Che cosa posso fare? » domandò infine Happosai.
« Oh, per come la vedo io hai un paio di possibilità » rispose Nul. « La prima, la più facile, è che io ti uccida subito, risparmiandoti ulteriori sofferenze. Se tu decidessi di opporre resistenza e  affrontarmi, ci guadagneresti almeno con una morte onorevole. A me non dispiacerebbe, visto che mi disgusti quanto un’insalata a base di cetrioli.
« Secondo, potresti toglierti la vita da solo, sempre per evitare ulteriori sofferenze... ma questa, ahimé, non sarebbe una morte onorevole per uno come te, vero? Inoltre sono certo che tu non voglia rischiare, per questo atto contro natura, di finire all’inferno... ammesso che esista.
« Terzo, potresti accettare la realtà e andare coraggiosamente incontro alla tua sorte. Dopotutto, sei mesi non sono pochi: avresti tutto il tempo per sistemare i tuoi affari, raddrizzare torti, chiudere faccende in sospeso... e magari, rimediare a qualche sbaglio. »
Happosai alzò lo sguardo, confuso.
« Sbaglio? Quale sbaglio? »
Nul sbuffò spazientito.
« Incredibile, non riesci nemmeno a riconoscere i tuoi errori » commentò. « Ma non c’è problema, se devo aiutarti tanto vale essere chiari sotto ogni aspetto. Cominciamo da quelli » e indicò un punto alle sue spalle, cioè verso la biancheria appesa ai fili. « Lo fai da decenni, ormai: rubare mutandine e reggiseni alle donne per aggiungerli a una collezione grande ormai quanto questo edificio. Eppure non ti basta mai: continui imperterrito in questa perversione, pur sapendo quanto sia sbagliato. »
L’incappucciato fece una pausa e si rialzò in piedi, torreggiando di nuovo su Happosai.
« Tu sei potente, Happosai » aggiunse. « Probabilmente uno dei più grandi guerrieri che abbiano camminato su questo mondo negli ultimi secoli. Sarebbe un vero peccato che, una volta morto, il mondo ti ricordasse solo come un vecchio pervertito, imbroglione e opportunista. Tutti gli anni passati ad allenarti, a combattere, a scoprire i più grandi segreti delle arti marziali... offuscati per sempre dalla pessima fama che hai scelto di ricamarti addosso. Nemmeno i tuoi allievi – nonostante non siano degli stinchi di santo – piangerebbero per te, visto quello che gli hai fatto passare. E Obaba? Sono certo che trascorrerebbe fino all’ultimo dei giorni a sputare sulla tua tomba. Per non parlare, infine, di tutta quella folla di donne che invece esulterebbe di gioia alla notizia della tua morte, felici di non dover più subire furti di biancheria. Perciò dimmi, vecchiaccio: vorresti davvero questo per la tua memoria? Essere ricordato solo per i tuoi errori? »
Nul tacque, lasciando ad Happosai tutto il tempo necessario per rispondere. Per un po’ si udì solo l’ondeggiare della biancheria mossa dal vento e il tubare di qualche piccione solitario, ma Nul fu paziente. Era certo che il vecchio avrebbe risposto: con la verità che era giunto a portargli, e con la realtà dei fatti che poteva solo accettare, Happosai era obbligato adesso a fare una scelta... forse la più importante della sua vita.
« No » disse infine ad occhi chiusi, rassegnato.
« Allora fai la cosa giusta » disse Nul, soddisfatto. « Lasciati alle spalle il passato, rinuncia ai tuoi vizi e rispetta questa gente. Credo che adesso apprezzerai di più il dono della vita... dal momento che sta per finire. »
Happosai annuì, e lentamente si alzò in piedi.
« Lo farò. »
Nul annuì a sua volta.
« Molto bene. So che farai del tuo meglio per sistemare le cose, perciò non ho più motivo per dedicarti altro tempo » e si girò, voltando le spalle al vecchio. « Ti auguro di andare all’altro mondo con il sorriso sulle labbra... addio, vecchiaccio. »
« Aspetta! » lo fermò Happosai. « Prima voglio sapere chi sei... e perché hai fatto questo per me. »
Nul si fermò, voltandosi appena per guardarlo.
« Nessuno può capire chi sono » disse gelido, « né capire il mio scopo. Ti basti sapere che ti ho osservato fin da quando ti sei gettato prepotentemente sulla strada di Ranma Saotome, contribuendo a rendergli la vita molto difficile. Io l’ho aiutato a trovare una strada diversa, che lo ha condotto a una vita migliore; e ho appena fatto lo stesso con te... anche se ribadisco che non te lo meriti. »
Il vecchio assunse un’aria perplessa. Chiaramente non aveva capito un granché, ma Nul non aggiunse altro; così gli voltò definitivamente le spalle e camminò in avanti, attraverso il bucato steso sui fili. Il vento si alzò all’improvviso, facendo ondeggiare un lenzuolo che coprì l’incappucciato alla vista; quanto si abbassò, Nul era sparito di colpo.
Happosai rimase fermo ancora per un po’, giusto il tempo necessario perché la sua mente assimilasse l’accaduto in ogni suo aspetto. Il suo sguardo indugiò ancora sul bucato steso davanti a sé, concentrandosi sugli oggetti del suo desiderio: mutandine, reggiseni e collant di varia taglia, invitanti come frutti freschi appesi a un albero... divenuti insignificanti tutt’ad un tratto.
Il vecchio sospirò, voltò le spalle alla biancheria e lasciò la terrazza con un salto, pronto a darsi da fare per non sprecare i suoi ultimi giorni.
 
Una settimana dopo...
Il quartiere di Ginza era in stato di allarme, quella mattina. Una banda di rapinatori aveva avuto l’idea malsana di assaltare una delle maggiori banche della città, nella speranza di ottenere denaro sufficiente per godersi al meglio i prossimi trenta o quarant’anni. Come parte del loro piano c’erano andati di mezzo più di trenta innocenti, presi in ostaggio per assicurare una via di fuga alla banda.
A mezzogiorno, la banca era ormai assediata dalle forze dell’ordine. I rapinatori si erano barricati dentro l’edificio, armati fino ai denti e con una gran quantità di esplosivo; il loro capo, un pericoloso ricercato dal volto segnato da anni di sofferenze, comunicava la situazione alla polizia con aria feroce.
« È l’ultimo avvertimento! » gridò con un alto parlante, al sicuro nella sua trincea. « State lontani e nessuno si farà del male. Altrimenti, il primo che si avvicinerà a queste porte avrà l’onore di raccogliere con la spugna ciò che resterà degli ostaggi! »
Nessuno osò contraddire il bandito in alcun modo. Ogni videocamera e cellulare puntato su di lui inquadrava perfettamente il telecomando sulla sua mano, con il quale avrebbe azionato le cariche piazzate nella banca. La situazione era disperata, ma quell’uomo aveva tutta l’aria di godersela appieno: così, dopo aver concesso un’ora alle forze dell’ordine per sottostare alle sue richieste, tornò trionfante dentro l’edificio, sicuro di avere la situazione in pugno.
« Ehi, capo » lo chiamò uno dei suoi uomini all’improvviso. « Abbiamo un problema. »
« Che succede? »
Il socio indicò a terra, mostrando uno dei fili che collegavano le cariche: era tagliato di netto. Ciò rendeva inoffensive le bombe a cui erano legati gli ostaggi, con sommo disappunto dei rapinatori.
« Proprio non capisco. Un minuto fa sembrava tutto a posto, e ora... »
Qualcosa colpì il rapinatore alle spalle, che cadde subito a terra privo di sensi. Il capo dei banditi afferrò la pistola, allarmato, ma non vide nulla; vi voltò appena in tempo per vedere un altro dei suoi soci cadere a terra poco lontano, tramortito anche lui.
« Che cazzo succede? »
Un tonfo alle sue spalle. Un altro rapinatore era caduto. Ora il capo riuscì a vederlo: un vecchio, alto quanto un bimbo, si stava scatenando per tutta l’area, schizzando qua e là come un proiettile. I banditi superstiti cercarono di difendersi, ma il vecchio era troppo veloce, e li abbatté uno dopo l’altro con pochi colpi ben assestati.
Il capo della banda rimase al suo posto, impietrito, mentre Happosai atterrava con un balzo davanti a lui, minaccioso come una belva. Non credeva ai suoi occhi.
« F... fermo dove sei! » gridò, puntandogli contro la pistola.
« Hai visto cosa ho fatto a tutti i tuoi uomini » dichiarò il vecchio con noncuranza. « Sei rimasto solo... ti conviene arrenderti subito. »
Il ladro lo ignorò e aprì il fuoco. Sparò a lungo, una serie di colpi assordanti, fino a svuotare il caricatore; una volta finito, abbassò l’arma: Happosai era ancora in piedi davanti a lui, le piccole mani cariche dei suoi proiettili. Sconvolto, lasciò cadere la pistola ormai inutile, e provò invano con il detonatore: si era dimenticato che le cariche erano state rese inerti. Quasi non sentì il colpo allo stomaco un attimo dopo, per poi perdere conoscenza... raggiungendo il pavimento con la faccia insieme ai suoi compagni.
Il pericolo era cessato nel giro di pochissimi minuti. Happosai raggiunse così gli ostaggi, liberandoli uno dopo l’altro dalle corde che li legavano alle bombe. Erano tutti increduli come i rapinatori, naturalmente; non riuscivano a capacitarsi del fatto che quel gracile vecchietto fosse riuscito a sgominare da solo un’intera banda. Tuttavia, la gratitudine controbilanciava egregiamente lo stupore, dal momento che erano salvi grazie a lui.
« Grazie infinite, signore » disse per prima un’anziana signora. « Vi dobbiamo la vita. »
Altre persone seguirono il suo esempio, ringraziandolo a lungo.
« Nessun problema, gente » disse Happosai lusingato. « Ho fatto ciò che dovevo fare. »
« Ehi, io ti conosco! » esclamò una ragazza all’improvviso. « Tu sei quel vecchio maniaco che s’intrufolava a scuola per rubarci la biancheria! »
Happosai si voltò a guardarla. Non la conosceva, ma sul suo viso era dipinta la solita espressione infuriata che sfoggiavano tutte le vittime dei suoi furti passati. Un capitolo della sua vita che aveva deciso finalmente di chiudere.
« Sì, sono io » rispose senza vergogna. « Un tempo non avrei mai cercato scuse per ciò che ho fatto... ma quel tempo è finito, e le cerco adesso. Mi dispiace di averti rubato la biancheria... mi dispiace davvero. »
E s’inchinò, con sommo stupore di quella ragazza.
« Uhm, va bene » disse lei. « E grazie... per averci salvati. »
Gli ostaggi si diressero con calma verso l’uscita, liberi dall’incubo che li aveva terrorizzati nell’ultima ora. Happosai prese un’altra via, sfuggendo alle telecamere e alle domande della polizia, ma ben presto la notizia della sua impresa sarebbe trapelata. Quelle persone avrebbero parlato di lui, raccontando ciò che aveva fatto per salvarli; l’intera città avrebbe conosciuto entro poche ore la verità, diffusa attraverso internet e i notiziari. In un’era così dominata dalla tecnologia e dalle informazioni che viaggiavano alla velocità della luce, la gente avrebbe ricordato il coraggio e l’eroismo di un piccolo maestro di arti marziali.
Era ciò che voleva. Il vecchio Happosai stava per morire... e il modo migliore per rimediare ai suoi sbagli era fare la cosa giusta: dimostrarsi degno di tutto il suo potere, usandolo per fare del bene alla gente. Avrebbe compiuto altre imprese eroiche, fino alla fine dei suoi giorni. E alla fine, sarebbe stato ricordato come un eroe.
Aveva ancora una cosa da fare, tuttavia, prima che fosse troppo tardi. Non poteva andarsene senza farlo sapere a qualcuno a cui in fondo voleva bene. Così, pochi giorni dopo la rapina sventata, Happosai si presentò alla porta di casa Tendo, con una cartella clinica tra le mani: il referto medico appena ritirato rivelava ciò che già aveva saputo da Nul... ma gli serviva per dimostrare ai suoi allievi la sorte che lo attendeva.
Avrebbe trascorso l’intero pomeriggio a chiedere perdono per tutto ciò che aveva fatto passare a Genma e Soun. Avrebbe versato lacrime sincere, pur di riconquistare la loro fiducia e di vederli al suo fianco prima di esalare l’ultimo respiro. Avrebbe ammesso di essere sempre stato fiero di loro, come ogni buon maestro.
E alla fine avrebbe chiuso gli occhi con un sorriso dalle labbra, ringraziando quell’uomo misterioso con il cappuccio.
Per averlo preso a calci, convincendolo a fare la cosa giusta.

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Capitolo 10
*** Il mio miglior nemico ***


Il mio miglior nemico
   
Roma, oggi.
Quella mattina pioveva forte. Il cielo era talmente offuscato da nuvole scure che non sembravano neanche le dieci, ma notte fonda; una pioggia grossa e fragorosa si infrangeva contro la Città Eterna, rendendola più cupa che mai. Ranma, in quella mattinata buia e tetra, sostava seduto sul pavimento della sua camera/palestra con aria sfinita.
Non aveva chiuso occhio per tutta la notte, dopo quanto era accaduto il giorno prima: la verità su Rose, colei che aveva riscaldato il suo cuore dopo un lungo periodo di gelo, lo aveva sconvolto più di quanto riuscisse ad ammettere. Scoprire che anche lei aveva una capacità speciale significava per il ragazzo rivangare un orribile passato: giorni trascorsi all’insegna del pericolo e di sciagure varie, a causa della maledizione delle Sorgenti o di altri individui fuori dal comune. E anche se Rose non aveva nulla a che fare con quel mondo, Ranma non poteva fare a meno di puntarle il dito contro.
Si era allontanato il più possibile da tutto e da tutti, giurando di non tornare mai più indietro. Si era rifatto una vita diversa, e anche se la nuova casa non era migliore della sua patria, aveva fatto del suo meglio per adeguarsi. Era certo di aver voltato finalmente pagina...
E ora si era innamorato di uno scherzo della natura.
Ma come poteva stare con lei, dopo quello che aveva passato? Dopo essere stato costretto per più di due anni a trasformarsi in una ragazza quasi identica a lei? Un altro pensiero sorse inevitabilmente, arrivando a rodergli le viscere: il fatto di essersi interessato a Rose proprio perché gli ricordava la sua stessa controparte... l’idea orribile di amare se stesso...
Un rumore esterno attirò la sua attenzione, facendolo sobbalzare. Il telefono di casa stava squillando: Ranma fu grato a questo piccolo imprevisto, dato che ormai si stava friggendo il cervello a furia di pensarci. Riprendendo fiato, si alzò dal pavimento e andò a rispondere.
« Pronto » disse meccanicamente.
« Il signor Ranma Saotome? » chiese una voce ignota dall’altra parte.
« Sì, sono io. »
« Buongiorno, sono il dottor Carmeli, viceprimario al reparto di pronto soccorso del Policlinico Umberto I. Perdoni il disturbo, ma ho bisogno di farle alcune domande. »
« Ehm... certo, dica pure. »
« Lei conosce per caso un certo Ryoga Hibiki? »
Ranma ammutolì per la sorpresa.
« Ryoga... Hibiki? » ripeté lentamente.
« Esatto » disse il dottor Carmeli. « Un ragazzo giapponese di circa vent’anni, è ricoverato qui da ieri. Ha fatto il suo nome diverse volte, signor Saotome. Lo conosce, dunque? »
Il ragazzo esitò per qualche istante, prima di rispondere. La tentazione di negare di conoscerlo era molto forte, ma alla fine la respinse.
« Io... sì, lo conosco. »
 
Poco dopo, Ranma era uscito dal suo appartamento per recarsi all’ospedale, su richiesta di quel dottore che lo aveva convocato. Un imprevisto che aveva dell’incredibile, ma in qualche modo riusciva a definirlo provvidenziale: aveva bisogno di distrarsi dal tormento provocatogli da Rose, ed era stato accontentato.
Durante il viaggio in metro che lo avrebbe condotto a destinazione, il ragazzo ripensò dunque a Ryoga e a tutto ciò che lo riguardava. Negli anni della maledizione, quel tipo era stato molte cose per lui: un rivale, un rompiscatole, una palla al piede... ma anche un amico. Vittima anche lui delle Sorgenti Maledette, Ryoga diventava un maialino nero con l’acqua fredda; era dotato di grande forza e talento nelle arti marziali, ma non aveva il minimo senso dell’orientamento... cosa che lo spingeva puntualmente a perdersi nei luoghi più improbabili.
Ryoga aveva sfidato Ranma innumerevoli volte, e per varie ragioni: per regolare conti in sospeso, per provare nuove tecniche, ma anche per amore. Ryoga era stato infatti innamorato di Akane, ma non aveva mai trovato il modo per dichiararsi. Da questa situazione erano sorte un sacco di situazioni spiacevoli, fatte di duelli, incontri e disavventure... una routine per tipi come Ryoga e Ranma, da cui quest’ultimo aveva deciso di fuggire.
Ranma sperava di non rivedere mai più nessuno di loro. Temeva che l’incantesimo creato da Nul si spezzasse di colpo, e la sua vita normale tornasse a diventare l’incubo che era stato durante il periodo della maledizione. Per questo non impazziva dalla gioia al pensiero di rivedere Ryoga; non riusciva a immaginare cosa sarebbe potuto accadere una volta entrato nella stanza in cui era ricoverato... eppure doveva farlo. Doveva sapere. Continuava a credere che ci fossero all’opera forze superiori, che volevano la sua partecipazione in un piano che non riusciva a vedere... non sarebbe stata certo la prima volta, a dire il vero.
Un piano cominciato con Rose...
« Policlinico. Uscita lato destro » annunciò la voce registrata della metro, riportando Ranma alla realtà. Il ragazzo scese dal treno e s’incamminò verso l’ospedale; una volta arrivato a destinazione, chiese subito alla reception del dottor Carmeli, dal quale fu raggiunto dopo pochi minuti. Il dottore era un uomo di mezz’età, senza capelli e con l’aria gentile; salutò Ranma con un inchino e un saluto in perfetto giapponese, lasciando il ragazzo senza parole. Strada facendo, gli raccontò di aver vissuto per molti anni in Giappone, spiegando così il motivo per cui si stava occupando personalmente di Ryoga.
« Lo hanno trovato alcuni operai della stradale vicino alla boscaglia, privo di sensi » spiegò il dottore. « A prima vista sembrava ridotto male, ma quando lo hanno portato qui le nostre analisi non hanno evidenziato alcuna ferita grave. Niente fratture né traumi, solo molte ferite e contusioni che guariranno in breve tempo, oltre a una lieve disidratazione. È come se avesse camminato per giorni fino allo sfinimento... ma anche così ha dimostrato una notevole resistenza. Il fisico di quel ragazzo appare sorprendentemente allenato. »
« Già » fece Ranma in tono piatto, per nulla sorpreso da ciò che diceva il dottore. Quelle versione dei fatti corrispondeva perfettamente alle solite conseguenze subite da Ryoga quando affrontava un lungo viaggio: gli era capitato spesso, infatti, di sparire per giorni dalla città e di riapparire inaspettatamente in uno stato pietoso, a causa della sua abitudine di perdersi tra boschi e montagne.
Ryoga era rimasto sempre lo stesso, dopotutto.
« Quando ha ripreso i sensi » proseguì Carmeli, « hanno cercato di fargli qualche domanda, ma non conosce una parola d’italiano; così sono intervenuto io. Mi ha detto, oltre al suo nome, di essere una specie di giramondo... un’abitudine assai diffusa tra i giovani d’oggi; poi ha fatto con insistenza il suo nome » aggiunse, rivolgendosi a Ranma. « Ha chiesto – per non dire pregato – di sapere se in città vivesse un certo Ranma Saotome. Ho controllato sull’elenco telefonico per accontentarlo, e lei era l’unico a risultare con questo nome. Se dice di conoscerlo, allora direi di aver trovato la persona giusta. »
Ranma si limitò ad annuire. Non aveva altre parole da tirar fuori per l’occasione, tanto era stupito dall’accaduto. Cercava inoltre di non porsi domande inutili, perché le risposte sarebbero arrivate presto: lui e il dottor Carmeli erano appena arrivati nel reparto in cui Ryoga era ricoverato. Il ragazzo attese fuori dalla stanza mentre il medico entrava per controllare la situazione.
« Tutto a posto » confermò Carmeli, uscendo. « Il paziente è sveglio e disposto a vederla... per non dire impaziente. Si accomodi pure, io devo tornare al lavoro. »
« Ok... grazie, dottore » fece Ranma.
Provò un notevole moto d’insicurezza mentre restava sulla soglia. Continuava a chiedersi se fosse il caso di lasciar perdere e tornare a casa, fregandosene della persona che lo attendeva in quella stanza d’ospedale. Possibile che Ryoga Hibiki fosse davvero lì, a Roma? Coincidenza? Oppure c’era dietro qualcosa di più? Continuò a ripeterselo per una manciata di secondi, scosse la testa e abbassò infine la maniglia, forte di un pensiero ben più potente.
Non fuggirò... non fuggirò mai più.
Ranma entrò così nella stanza, concentrandosi quasi subito sull’unico paziente ospitato al suo interno: Ryoga era seduto sul letto accanto alla finestra, da cui si poteva vedere il temporale ancora in atto. Non era cambiato di una virgola dal loro ultimo incontro, a parte l’aspetto: indossava un camice d’ospedale ed era stato medicato in vari punti; la bandana giallo-nera che era solito portare sulla fronte era stata sostituita da una fascia di garza. Non appena riconobbe Ranma lo guardò con un sorriso, così insolito nei suoi confronti da fare quasi paura.   
« Ranma » mormorò Ryoga a voce bassa. « Finalmente, accidenti... finalmente ti ho trovato! »
Ranma riuscì a trattenere il fiume di domande che voleva porgergli, e nel frattempo si sedette accanto a letto, in silenzio.
« Ciao, Ryoga » disse infine. « Ecco, io... stai bene? Come ti senti? »
« Ah, non preoccuparti » rispose in tono leggero. « Ho solo qualche graffio, nulla di grave. Ho la pelle dura, lo sai bene. »
« Già... lo so. »
« E tu come stai? Accidenti, allora è vero... hai detto addio al codino! » commentò, lanciando un’occhiata ai capelli di Ranma. « Bah, stavi meglio prima. »
« Sì, be’, volevo dare un taglio netto al passato » disse Ranma, irritandosi per un attimo.
« Già, è per questo che sei qui, no? » fece Ryoga. « Così lontano da casa... dalla tua famiglia e dagli amici. Sai, quando mi hanno raccontato ciò che avevi fatto non riuscivo a crederci... insomma, sapevo che nei giorni prima che sparissi ti girava male, ma non avrei immaginato che fossi giunto al limite. »
Ryoga tacque e si guardò intorno, come per controllare che non ci fosse nessuno. Si chinò verso Ranma e chiese, a voce un po’ più bassa: « È vero che hai spezzato la maledizione? »
Ranma annuì.
« È stato grazie a uno strano tipo » rispose. « Non ricordo molto, nemmeno il suo nome... ricordo solo che tutt’ad un tratto non mi trasformavo più in ragazza. A quel punto mi sono sentito libero come non mai: per la prima volta ero davvero padrone di me stesso... libero di fare ciò che volevo della mia vita. Così ho preso e me ne sono andato, pronto a ricominciare daccapo. »
Ryoga restò ad ascoltare, di nuovo serio, e alla fine si limitò ad annuire.
« Capisco » disse. « Anzi, ti capisco. Probabilmente avrei fatto anche io la stessa cosa, se fossi stato al tuo posto. Dopotutto, io sono ancora quello che diventa un maialino con una secchiata d’acqua fredda. »
« Allora sei qui per questo? Mi stavi cercando per scoprire come ho spezzato la maledizione? »
« No » rispose Ryoga, sincero. « Ormai ci ho fatto l’abitudine. A dir la verità ti stavo cercando per portarti un messaggio... un messaggio importante. Ho iniziato a viaggiare per il mondo un anno fa, nel tentativo di trovarti. Non era certo la prima volta che lo facevo, se ben ricordi. »
Ranma sgranò gli occhi, incredulo.
« Sul serio? Hai viaggiato per un anno in cerca di me? Sappiamo entrambi che non riesci nemmeno a trovare l’uscita da un parco giochi... come speravi di trovare me in giro per il mondo? »
Ryoga scoppiò a ridere, sorprendendo l’amico ancora di più.
« Hehe... a volte è necessario perdersi per trovare qualcosa » spiegò. « Così ho viaggiato alla cieca, senza alcuna meta da raggiungere; ho percorso mari e monti, fatto il tuo nome in ogni centro abitato che raggiungevo, nella speranza di trovare tracce del tuo passaggio. Tutto questo per un anno intero, finché non sono arrivato qui... stanco morto dopo essermi perso per l’ennesima volta; finché quel dottore non mi ha detto che un Ranma Saotome vive da queste parti. »
Ranma rimase in silenzio, colpito dalla determinazione dimostrata da Ryoga. Aveva percorso un sacco di strada, fino a ridursi in quelle condizioni... solo per trovarlo. Ma perché?
« Sai, sono cambiate molte cose a casa, da quando sei partito » riprese Ryoga, interrompendo il suo tacito desiderio di sapere. « Non ero presente durante quei cambiamenti, ma la mia dolce Akari ha provveduto ad informarmi, durante i nostri contatti. I tuoi genitori sono tornati insieme... Shanpu e sua nonna sono partite chissà dove... Nabiki e Kasumi si sono fidanzate, mi pare. E il vecchio Happosai è morto: era malato di cancro, ma pare che avesse messo la testa a posto negli ultimi tempi... ho sentito dire persino che ha salvato la vita a un po’ di gente. »
Lo stupore di Ranma crebbe a dismisura, soprattutto all’ultima parte. Poi, tuttavia, si accorse che mancava qualcuno alla lista di persone menzionate da Ryoga.
« E... Akane? » domandò.
Ryoga si lasciò sfuggire un sospiro.
« Akane... è partita anche lei, un anno fa. È andata a studiare alle Hawaii, su consiglio del preside Kuno. Non l’ho più vista da allora, ma ogni tanto mi scrive per e-mail... sembra che stia bene. »
Ranma si limitò ad annuire, soddisfatto e nostalgico allo stesso tempo. Ormai era accaduto ciò che temeva fin da quando aveva messo piede in ospedale: stava ripensando a tutto il suo vecchio mondo a causa di Ryoga. Il mondo che si era lasciato faticosamente alle spalle, a cui non desiderava tornare... ma che in fondo aveva ancora a cuore: lo confortava infatti il pensiero che i suoi genitori si fossero ritrovati, e che la famiglia Tendo avesse ripreso a vivere una vita normale.
E Akane... doveva essere felice anche per lei.
« E tu che mi dici, invece? » chiese Ryoga, riportandolo al presente. « Come procede la tua nuova vita? »
« Uhm... non male » fece Ranma, piuttosto vago. « Diciamo che me la cavo. »
Ryoga restò in silenzio per un po’, scrutandolo negli occhi come se volesse leggergli dentro.
« Heh... come pensavo » disse infine con un ghigno. « Quello è lo sguardo di un innamorato, vecchio mio... ormai lo conosco bene! Devo ammetterlo, non mi aspettavo proprio di vederti così, dopo tutti i casini con le ragazze che hai dovuto sopportare. E chi è la fortunata che ora è nel tuo cuore? »
Ranma si ritrovò ad arrossire, carico di vergogna.
« Se te lo dico non ci credi. »
« Vuoi scherzare? Mi trasformo in maialino con l’acqua fredda, e ho visto tante assurdità da riempirci un’enciclopedia... mi ritieni davvero incapace di credere alla tua storia? Avanti, Ranma, dubito seriamente che il casino in cui ti trovi ora superi tutto ciò che abbiamo passato. »
« Cosa ti fa credere che mi trovo in un casino? »
« Nei tuoi occhi vedo anche quello » ammise Ryoga, alzando le spalle. « Ho un talento per queste cose... magari riesco pure ad aiutarti, se mi racconti che succede. »
Ranma sospirò. Un tempo, il ragazzo ferito che aveva di fronte era stato molte cose per lui: un rivale, un rompiscatole, una palla al piede... ma anche un amico. Qualcuno su cui poteva contare nei momenti più inaspettati. Forse la storia si stava ripetendo, pensò... ecco perché, pochi secondi dopo, si sistemò sulla sedia, prese fiato e iniziò a raccontare. Il ragazzo parlò a lungo delle ultime settimane, della comparsa di Rose nella sua vita e di tutto quello che avevano fatto insieme; parlò della sua capacità di imitare tecniche e comportamenti altrui, rendendola di fatto una replica di Ranma al femminile. Parlò per circa mezz’ora, e quando non ebbe più nulla da dire si abbandonò allo schienale della sua sedia. Nel frattempo, fuori aveva smesso di piovere, anche se il cielo era ancora ricoperto di spesse nuvole grigie.
Ryoga lo scrutò a lungo, anche dopo che aveva finito di parlare. Naturalmente era intento ad assimilare la realtà dei fatti che, doveva ammetterlo, superava le sue aspettative. Alla fine, tuttavia, tornò a sorridere.
« Uhm, hai sempre avuto un talento nell’attirare donne molto particolari nella tua vita » commentò. « Questa Rose, poi, vince il primo premio... eppure tieni molto a lei, proprio come nel caso di Akane. Tutto ciò che posso fare è consigliarti di tenertela stretta, e di non voltarle mai le spalle. »
« Non voglio farlo, infatti » ammise Ranma. « Eppure non mi sento in grado di gestire una situazione del genere. Forse non lo sono mai stato, a dir la verità... insomma, quante volte mi sono trovato nei guai ai vecchi tempi e non sapevo come uscirne? Quante volte sono stato vittima impotente di qualche pazzoide desideroso di sfidarmi, di spiriti dell’oltretomba e di altri malefici? E ogni volta doveva intervenire qualcuno per aiutarmi... qualcuno come te, Ryoga... per rimettere a posto le cose e tornare a casa. »
Tacque per un attimo, passandosi una mano tra i capelli con aria afflitta.
« Dopo tutto quello che ho passato... la storia con Rose mi sembra solo un’altra disavventura da aggiungere alla collezione. Non posso risolverla da solo. Cavolo, c’è voluto l’aiuto di uno sconosciuto con il cappuccio per liberarmi dalla maledizione... forse dovrei... argh! »
Mentre parlava, Ryoga era scattato in avanti e lo aveva afferrato bruscamente per la maglietta, costringendolo a guardarlo. Ora il ragazzo ferito aveva uno sguardo serio, prossimo all’infuriato.
« Dì un po’, che diavolo ti è preso? » esclamò Ryoga con rabbia. « Da quando ti sei rammollito fino a questo punto? Hai rinunciato a tutto ciò che avevi – compreso il tuo codino – quando te ne sei andato... cos’è, hai messo da parte persino la tua determinazione? Dov’è finito il Ranma Saotome che conoscevo? Dov’è finito il ragazzo che camminava spensierato tra i muretti? Che sopportava la sua maledizione con dignità e non si faceva mettere sotto da quel vecchio pervertito? Che si impegnava al massimo per imparare nuove tecniche in grado di stendere i nemici? Dov’è finito, allora? »
Ranma non riuscì a rispondere, tanto era sorpreso per la reazione di Ryoga. Quest’ultimo ignorò il suo silenzio, e continuò a scuoterlo.
« Non puoi aver dimenticato tutto questo! » aggiunse. « Non puoi aver dimenticato come sconfiggesti quel cretino di Mousse con i tuoi trucchi, né quando hai imparato l’Uragano del Dragone per riacquistare la tua forza! E non puoi aver dimenticato il giorno in cui mi mettesti al tappeto, nonostante la potenza del mio Colpo del Leone.
« Io non ho dimenticato quel Ranma Saotome. Era il mio rivale, il mio più grande avversario... ma soprattutto, era mio amico. E sono arcisicuro che quel mio amico vincerà questa nuova sfida, se ricorderà ciò che era un tempo. »
E nel giro di un istante, tutto cambiò.
Mio Dio, pensò Ranma, mentre il suo stupore raggiungeva una nuova vetta. Ha ragione!
Ryoga aveva ragione. Un tempo non sarebbe stato così preoccupato per un problema del genere... così impaurito nel cercare di risolverlo. Allora, si disse, era giunto il momento di recuperare la vecchia grinta e darsi da fare... come il Ranma di una volta.
Alzò lentamente una mano e afferrò quella di Ryoga, levandosela di dosso, e nel frattempo tornò a sorridere.
« Hai ragione, amico » dichiarò. « Hai assolutamente ragione. »
Ryoga ammiccò soddisfatto.
« Dunque ora ricordi chi sei? »
« Oh, sì. Sono quello che è caduto in una sorgente maledetta, camminava spensierato sui muretti e faceva il culo a strisce a tutti quelli che osavano sfidarlo... te compreso! »
Ryoga scoppiò a ridere.
« Bene! » disse, sempre più soddisfatto. « Allora credo di essere riuscito nel mio intento. La mia missione è compiuta. »
« Cosa? » fece Ranma, incerto. « Che vuoi dire? »
« Ero venuto a cercarti per questo » spiegò Ryoga. « Non ho attraversato mari e monti per riportarti a casa, Ranma... ma per accertarmi che tu non fossi cambiato in modo troppo negativo. Akane, i tuoi genitori, i Tendo... ovunque tu fossi sparito, non volevano che li dimenticassi; così sono partito per esaudire questo desiderio.
« Dovevo portarti questo messaggio, ovunque tu fossi finito: non dimenticarti di noi. »
Ranma rimase senza parole ancora una volta.
« Dici sul serio? » disse poco dopo. « Hai fatto tutta questa strada per questo? Per farmi ricordare ciò che mi sono lasciato alle spalle? Ma... perché? »
« Perché sono tuo amico » mormorò. « Nonostante tutto, lo sono sempre stato. E se per aiutarti mi vedo costretto a girare per il mondo... è un prezzo che sono disposto a pagare. »
Ranma sospirò. Ormai conosceva Ryoga fin troppo bene... aveva un modo personale di ragionare, e per far ragionare gli altri. Non era il massimo dei modi, ma doveva ammettere la sua efficacia; perciò non aggiunse altro a riguardo.
« Allora? » chiese Ryoga. « Cosa intendi fare adesso con la tua Rose? »
« Sistemerò le cose » rispose Ranma. « E intendo farlo subito. In effetti, credo di averci riflettuto fin troppo a lungo. »
« Ottimo. Buona fortuna, allora. »
Ranma si alzò dalla sedia, pronto ad andare.
« E tu, invece? Che cosa farai adesso? » chiese.
« Oh, credo proprio che tornerò a casa » rispose Ryoga. « È passato molto tempo, ormai... Akari mi sta aspettando. Stiamo ancora insieme, sai? »
« Bene, ma... come pensi di tornare in Giappone? Considerando il tuo pessimo senso dell’orientamento, sai... »
« Non preoccuparti. Non appena sarò guarito completamente chiamerò Akari perché venga a prendermi. Eravamo rimasti d’accordo così, quando mi sono messo in viaggio per trovarti. Tra pochi giorni sarò di nuovo a casa, vedrai... senza nuovi casini né variazioni di rotta. »
Ranma annuì, e si voltò per andarsene.
« Ehi, Ranma! »
Il ragazzo si voltò. Ryoga continuava a sorridergli, mostrando nel frattempo un pollice levato verso l’alto.
« Non dimenticare mai chi sei » disse, « né chi sei stato. E non dimenticarti di noi. »
Ranma gli restituì il sorriso e il pollice alzato.
« Grazie di tutto... amico. »
E uscì dalla stanza, soddisfatto e nostalgico allo stesso tempo.
Con le sue parole, Ryoga aveva fatto la magia. Ranma aveva riacquistato la forza e la determinazione necessarie per fare ciò che doveva. Era bastato ripensare a tutto il suo vecchio mondo, grazie all’irruzione del suo eterno rivale: il mondo che si era lasciato faticosamente alle spalle, ma che non doveva dimenticare. Dopotutto, quando si è confusi e incerti sulla strada futura da percorrere, a volte può bastare guardarsi indietro e osservare la strada già percorsa.
Ranma aveva rinunciato a tutto per intraprendere una nuova strada, ma non poteva cancellare quella che si era lasciato alle spalle come se nulla fosse. Ora più che mai aveva bisogno di ricordare il passato... per avere la forza per raccontarlo a Rose.
Lei doveva conoscere il vero Ranma Saotome.

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Capitolo 11
*** Uno scontro epico ***


Uno scontro epico
 
Tokyo, dodici mesi fa.
La neve cadeva leggera quel giorno sul quartiere di Nerima, come di consueto in quel periodo dell’anno. L’aria era gelida e il quartiere sembrava deserto, fatta eccezione per una coppia di ragazze intente a percorrere la via principale. Nabiki Tendo e Kodachi Kuno avevano appena terminato un giro di shopping, e non vedevano l’ora di provare a casa i vestiti appena acquistati.
Un tempo sarebbe stato assai improbabile vedere Nabiki e Kodachi insieme. La prima, figlia secondogenita di Soun Tendo, era un tipo avido e materialista, amante del denaro e del guadagno; l’altra, sorella minore del più noto Tatewaki Kuno, era ricca e raffinata, ma dotata di una notevole dose di squilibrio. Tuttavia, in seguito alla partenza di Ranma, le due ragazze avevano scoperto in un’occasione di avere molto in comune... primo fra tutti, l’amore per lo shopping; ben presto avevano preso l’abitudine di incontrarsi ogni domenica per girare tra negozi e centri commerciali. Kodachi aveva un credito pressoché illimitato, e Nabiki approfittava spesso e volentieri della sua generosità.
Quel pomeriggio sembrava perciò uno dei molti che le due amiche trascorrevano insieme, ma qualcosa stava per stravolgere tutto. Avevano appena imboccato la via che conduceva a casa Tendo, quando la loro strada fu incrociata da uno strano individuo: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio; costui era intento a sorseggiare una bibita con la cannuccia, con aria indifferente. Nabiki e Kodachi lo osservarono incuriosite per qualche attimo, poi lo superarono. Fu allora che una voce parlò alle loro spalle.
« Nabiki Tendo. »
Le due ragazze si voltarono, sorprese. Era stato l’incappucciato a parlare, indubbiamente. C’era solo lui in giro, e inoltre si era voltato a guardare Nabiki.
« Ehm... sì? » fece lei con aria incerta.
Lo sconosciuto bevve un altro sorso della sua bibita, in modo rumoroso.
« Io sono Nul, e sono venuto per te. »
Nabiki guardò Kodachi, che si scambiarono un’occhiata sorpresa.
« Che cosa vuoi? » chiese la ragazza. « Non mi sembra di conoscerti. »
« Non temere... faremo conoscenza molto presto. »
Nul si avvicinò rapidamente a Nabiki, e prima che questa potesse reagire le toccò la fronte con la mano libera. Sotto lo sguardo incredulo di Kodachi, la ragazza perse improvvisamente conoscenza; il suo corpo cadde in avanti, ma Nul l’afferrò prima che finisse a terra.
Un attimo dopo, Kodachi mollò i suoi acquisti e scattò in guardia.
« Ehi, che diavolo lei hai fatto? »
« L’ho solo addormentata » rispose Nul indifferente. « Non posso permettere che opponga resistenza mentre la prendo in prestito per qualche ora. Non le farò del male, te lo prometto... e da domani le cose andranno meglio. »
L’incappucciato si caricò Nabiki sulle spalle e fece per allontanarsi, ma l’ignara Kodachi non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare così.
« Fermo dove sei! » gridò, e nel frattempo tirava fuori un lungo nastro rosso. « Lascia subito Nabiki, chiunque tu sia! »
Nul si voltò a guardarla, sbuffando seccato.
« Bah... ho sempre saputo che eri solo una rompiscatole, Kodachi Kuno. Mi dispiace che questa tua natura non sia migliorata nemmeno un po’. Non ho alcun interesse nei tuoi confronti... ma se mi attaccherai, le cose cambieranno. Sei certa di voler correre questo rischio? »
« Tu sei pazzo! Kyaaah! »
Kodachi spiccò un salto all’indietro, agitando il suo nastro; un attimo dopo lo scagliò su Nul, avvolgendolo intorno al braccio con il quale reggeva ancora la bibita. L’incappucciato rimase fermo, rigido come un palo; Kodachi atterrò al suolo e mantenne la presa sul nastro, per impedire al nemico di scappare.
Nabiki era ancora svenuta, del tutto inutile finché era alla mercé di Nul. Perfino una ragazza arrogante come Kodachi doveva ammettere la criticità della situazione, ma non intendeva mollare; Nabiki era sua amica, e avrebbe fatto il possibile per salvarla da quel maniaco. Diede uno strattone al nastro, ma Nul non si mosse di un millimetro: sembrava pesare una tonnellata. Inoltre, lo sconosciuto era del tutto indifferente alla situazione; mentre reggeva Nabiki con una mano, con l’altra pensò a vuotare la sua bibita; poi lanciò la lattina contro Kodachi, colpendola in piena fronte. La ragazza allentò la presa, e Nul ne approfittò per strapparle il nastro dalle mani. Un attimo dopo iniziò ad agitarlo, con una maestria identica a quella di Kodachi, e usò lo stesso per colpire la ragazza. Il nastro si avvinghiò alle sue gambe, facendola cadere a terra.
« Ti avevo avvertito » disse Nul, gelido come sempre. « Inoltre, non amo essere preso per pazzo da una che non è tanto meglio di me. Dopotutto sei tu, Kodachi Kuno, quella che ride come un’isterica, fa ridicole comparse in scena con i petali di rosa e si diverte a narcotizzare i suoi avversari... compreso il tuo adorato Ranma. »
Kodachi rimase a terra, impietrita per lo stupore. Incredibile, pensò nel frattempo... un pazzo si apprestava a rapire la sua amica e nessuno era ancora intervenuto per impedirlo. In giro non si vedeva nessuno: nessun passante, nessun abitante del quartiere... come se il luogo si fosse congelato. Ma chi era quel tipo, e cosa voleva da Nabiki?
« Sei sempre stata una rompiscatole » continuò Nul, « proprio come tuo fratello Tatewaki. Ma oggi, guarda caso, ho proprio bisogno di lui. Non puoi aiutare Nabiki, ma se ci tieni alla sua incolumità farai esattamente come ti dico: non appena me ne sarò andato, prenderai il cellulare dalla tasca e lo userai per chiamare tuo fratello. Digli ciò che ho fatto e che lo aspetto nel quartiere di Shibuya, in cima alla montagna. Ah, digli anche di portare la spada, sarà uno scontro epico... lui capirà. »
Osservò Kodachi, ormai intenta a tremare di paura per ciò che stava accadendo. Nul non ebbe bisogno di ripetersi, era certo che quella stupida avesse capito; così le voltò finalmente le spalle e svanì nel nulla... insieme a Nabiki.
Kodachi rimase immobile per un’altra manciata di secondi, respirando forte. Poi, lentamente, si liberò dalla stretta del nastro e afferrò il cellulare, facendo come aveva detto Nul. Le sue dita tremavano ancora mentre digitava il numero corretto, ma doveva farlo... doveva aiutare Nabiki.
Fortunatamente, Tatewaki rispose subito alla chiamata.
« Fratellone! » gridò Kodachi disperata. « Io... Nabiki... oddio, è terribile... »
 
Tatewaki Kuno era a casa quando ricevette la chiamata disperata di sua sorella. In pochi minuti Kodachi gli aveva spiegato ogni cosa, con voce spezzata dal terrore per ciò che le era capitato; gli disse dove avrebbe trovato Nul, anche se le parole usate da lui non avevano senso, in apparenza: non c’erano montagne nel quartiere di Shibuya. Tuttavia, quando Kodachi disse al fratello di portare la spada, Tatewaki non ebbe più alcun dubbio su ciò che doveva fare.
Sarebbe stato uno scontro epico, proprio come desiderava.
« Non preoccuparti, Kodachi » dichiarò deciso. « Torna subito a casa, mi occuperò io di tutto... andrà tutto bene, te lo prometto. »
Kuno chiuse la chiamata, senza aspettare una risposta. Raggiunse quindi la sua stanza, riflettendo nel frattempo su ciò che stava accadendo. Non aveva idea di chi fosse Nul, ma quel tale aveva appena commesso un grosso errore... aveva rapito Nabiki, e per questo avrebbe pagato caro.
Tra Kuno e Nabiki c’era stato un rapporto complicato negli ultimi anni, ma dopo la fuga di Ranma e la partenza di Akane era diventato qualcosa di più. Tuttavia, quella che avrebbe potuto essere una felice relazione come tante si era interrotta bruscamente due mesi prima. Non si erano più rivisti da allora, ma Kuno aveva continuato a sperare di ricucire il rapporto... e aveva atteso l’occasione giusta per farlo.
Certo, non si aspettava un’occasione del genere, pensò mentre trovava l’oggetto del suo interesse: un’antica katana appesa al muro, lucida e in perfette condizioni; era pronto a scommettere che fosse stata forgiata da Masamune in persona. Un anonimo benefattore gliel’aveva mandata appena una settimana prima, con un biglietto che recava poche, misteriose parole:
 
Presto avrai uno scontro epico. Portala con te.
 
Mentre osservava la spada, Kuno cominciò a capire. Era stato il misterioso Nul a donargli la spada, in previsione di questo giorno: chiunque fosse, aveva preparato la cosa da tempo... e il rapimento di Nabiki faceva parte del piano. Nul lo stava sfidando per ragioni del tutto ignote, ma per il momento non aveva importanza: Kuno doveva innanzitutto pensare alla salvezza di Nabiki.
« Presto sarai in salvo, Nabiki, te lo prometto. Così giura Tatewaki Aristocrat Kuno! »
E afferrò la spada, pronto a combattere. Quando la prese in mano, l’arma iniziò a brillare di luce, talmente forte da abbagliare l’intera stanza; quando il bagliore cessò, era cambiato tutto.
Un periodo di guerra contro il regno dei Oni stava dilaniando il Giappone. In quegli anni di buio e dolore, gli uomini si riunivano sotto le bandiere dei clan più potenti o influenti, in grado di contrastare la furia omicida dei demoni con la forza dei loro guerrieri. Tra questi, il nobile clan dei Kuno brillava come un faro di speranza nella notte più buia, grazie alle prodezze compiute dal suo erede, il grande Tatewaki. Si diceva che nulla fosse mai riuscito a ferirlo nel corpo e nel cuore... almeno fino a quel momento. Un giorno, infatti, durante un raro momento di tregua dalle incursioni degli Oni, un fedele servitore giunse da Kuno con una tragica notizia.
« È terribile, mio signore... Lady Nabiki è stata catturata dal nemico! »
Kuno, rimasto a contemplare la bellezza del suo giardino, si voltò verso il servo con aria immensamente turbata.
« Chi è stato, Sasuke? » domandò. « Chi ha osato arrecarmi questo torto? Dimmi il nome di quella bestia! »
« È... è stato il diabolico Nul, mio signore » rispose Sasuke, tremando. « Vuole provocarvi... ha portato la vostra amata nella sua fortezza, tra i monti di Shibuya. Vi ha lanciato una sfida, mio signore! »
Kuno afferrò la sua spada, con la quale aveva distrutto orde di demoni e vinto ogni battaglia da lui affrontata.
« Così sia! » dichiarò. « Lo sfiderò, dunque... e non avrò pietà di lui! Lo giuro sulla mia vita... per ogni capello che Nul avrà torto alla mia amata Nabiki, lui pagherà con secoli di sofferenze nell’inferno più oscuro che sia stato generato! Affonderò la mia spada nella sua putrida gola e lo farò supplicare affinché io la rimuova! Prenderò la sua testa e la mostrerò a tutto il suo regno infernale, per far capire fino all’ultimo Oni che la nobile famiglia Kuno è... »
« Ehm, mio signore? » chiese Sasuke interrompendo la sua sfilza di giuramenti. « D-dovreste mettervi in viaggio, adesso... non trovate? »
Kuno lo guardò, mentre un silenzio imbarazzante avvolgeva l’ambiente.
« Hai ragione, amico mio » dichiarò ancora. « È tempo di andare. Il mio cavallo, presto! »
E Kuno partì al galoppo pochi minuti dopo, da solo, con l’unica compagnia del suo poderoso destriero, della sua armatura argentata e della fedele spada. Pronto a sfidare l’inferno che lo attendeva... pronto a gettarsi in esso per salvare la sua amata.
 
Nel frattempo, Nul attendeva il momento propizio dal suo rifugio: un grande ufficio, moderno e immacolato, posto all’ultimo piano di un imponente edificio nel cuore di Shibuya. Il luogo era deserto, una condizione sfruttata dal fatto che fosse domenica pomeriggio: anche i dirigenti di una grande azienda avevano il diritto di godersi un giorno festivo, di tanto in tanto. Nul aveva deciso di approfittare momentaneamente di un tale lusso, fiducioso sul fatto che avrebbe sistemato ogni cosa entro la fine della giornata, all’insaputa di tutti.
Silenzio e noia regnavano nell’ufficio in quel momento. Nabiki aveva ripreso i sensi da poco, per rendersi subito conto di essere prigioniera dell’incappucciato: non aveva manette ai polsi né catene, né altri mezzi per bloccare i suoi movimenti, ma non poteva fuggire in alcun modo. Tutte le vie d’uscita erano state bloccate, e lei non aveva la forza per liberarsi. In quel momento, la figlia di Soun Tendo si pentì di non aver appreso le arti marziali come Akane.
Nul, curiosamente, non badava affatto a lei. L’incappucciato stava vicino alle grandi vetrate che concedevano una vista panoramica sulla città, seduto su una poltrona di pelle... intento a fare un cruciverba. Nabiki lo fissò con aria incredula.
« Uhm... 8 verticale » mormorò Nul dopo un lungo silenzio, « quattro lettere: ragazza aliena in bikini, protagonista dell’omonimo manga. »
« Lamù » rispose Nabiki quasi subito.
« Esatto! Grazie mille. »
« Uffa, tutto questo è ridicolo... per quanto tempo vorrai ancora tenermi rinchiusa qui? »
« La tua libertà è nelle mani di Tatewaki Kuno » spiegò Nul senza guardarla. « Più tempo impiegherà per arrivare, più tardi sarà decisa la tua sorte. »
Nabiki si lasciò andare in una serie di rumori che dimostravano la sua incredulità assoluta, camminando nel frattempo avanti e indietro per l’ufficio. E Nul continuava imperterrito il suo cruciverba, come se nulla fosse.
La situazione era critica. Nabiki dubitava di potersi affidare a un tipo come Kuno per tirarsi fuori dai guai, perciò cercò di farsi venire un’idea.
« Senti... mi hai rapita per avere un riscatto, vero? » disse poco dopo, rivolta a Nul. « Potrei aiutarti, ho in mente un piano per ottenere un sacco di soldi da questa storia. Lascia che ti aiuti, e divideremo il bottino! »
Nul scribacchiò una parola sul quadro, scoppiando nel frattempo a ridere. La sua risata metteva i brividi, ma Nabiki cercò di restare calma.
« Mi aspettavo un tentativo del genere da parte tua, Nabiki Tendo » commentò Nul. « Un tentativo prevedibile quanto patetico... e inutile. Non m’interessano i soldi da questa faccenda... quella roba non ha mai avuto alcun valore, per me. »
Si alzò in piedi, gettando via il cruciverba.
« Ma tu sei di un’altra pasta, non è vero? » aggiunse. « Hai trascorso gli ultimi anni a spillare denaro alla gente con stupidi piani, sfruttando persino i tuoi familiari e l’immagine di Ranma. Le foto di lui trasformato in ragazza hanno fatto il giro della scuola e dintorni... e lo stesso Tatewaki Kuno ha pagato fior di quattrini per averle! Nonostante le ingenti somme che riuscivi a guadagnare, non ti bastava mai... e prosegui tuttora nella ricerca di un guadagno sempre maggiore. »
Nabiki sgranò gli occhi, più incredula che mai. Si sentiva come pizzicata dal padre mentre frugava nel suo portafogli.
« Ma tu... come fai a sapere tutto questo? »
Nul rise ancora, divertito.
« Questa è forse la domanda che mi sento rivolgere più spesso, ma a cui non mi stanco mai di rispondere. Ti conosco così bene perché ti ho osservato a lungo, Nabiki... fin dal giorno in cui Ranma è venuto ad abitare a casa tua. Da quel momento hai fatto parte di un quadro più ampio, che ho avuto modo di ammirare in ogni suo dettaglio; tu, sfortunatamente, hai avuto un ruolo secondario... poco più che una comparsa nella serie di avventure del nostro comune amico. Oh certo, hai avuto i tuoi momenti di gloria, ma molto meno importanti delle sfide affrontate da Ranma contro acerrimi nemici, o delle volte in cui la tua cara sorellina gli dava dello stupido.
« La verità è questa, mia cara: tu sei solo la figlia di mezzo... e so bene cosa significa questa condizione. Vivere all’ombra sia della sorella maggiore che di quella minore; i genitori si aspettano il meglio dalla prima, mentre l’altra si prende tutte le attenzioni fin dalla nascita. E tu non puoi fare altro che cercare di seguire le loro orme, per non sfigurare agli occhi dei genitori.
« Una sorte inaccettabile, tuttavia, per Nabiki Tendo... giusto? Posso immaginare quello che hai pensato non appena ti fu chiara questa realtà: “Chi se ne frega della palestra”, “Al diavolo le arti marziali”, e altre cose di questo genere. Così hai deciso di vivere la tua vita come meglio credevi, lontano dagli interessi di Kasumi e di Akane; erano libere di essere la primogenita perfetta e la sorellina maschiaccio, finché stavano fuori dai piedi... mentre tu coltivavi la tua avidità. Non fraintendermi, so che in fondo ami molto la tua famiglia... ma nemmeno tu puoi negare di esserti comportata male nei loro riguardi. »
Nabiki non riuscì a spiccicare una parola in risposta alle accuse di Nul. Era come se egli avesse preso in ostaggio la sua capacità di pensiero: doveva ammetterlo, nessuno era mai giunto a scuoterla così profondamente. Chinò quindi il capo, mentre un’orribile sensazione di vergogna s’impadroniva di lei.
« Perché mi parli di questo? » riuscì infine a chiedere. « Che cosa vuoi da me? Stai cercando di farmi pentire di ciò che ho fatto? »
Nul alzò le spalle.
« È la tua vita, e solo tu puoi scegliere cosa farne. Tuttavia, la tua vita e le tue scelte dipendono ora dalle azioni di Tatewaki Kuno. »
 
Il cavallo correva come il vento, attraversando una landa devastata dagli orrori della guerra sotto un cielo nero. Kuno e il suo destriero sorvolarono armi e scudi spezzati, lance e armature frantumate, ma soprattutto cadaveri e sangue; corpi maciullati appartenenti a entrambe le fazioni, quelle dei demoni e degli uomini che avevano lottato per ricacciarli nell’oscurità. Kuno aveva perso molti compagni quel giorno, e mentre cavalcava pregava con tutto il cuore di non dover aggiungere un altro nome alla lista ormai lunga dei caduti.
La sua amata, Lady Nabiki della famiglia Tendo. Tra i due c’erano stati alcuni dissapori negli ultimi tempi, ma Kuno era disposto a dimenticarli tutti mentre correva a salvarla. In nessuna vita avrebbe permesso a un infido demone di rapire la custode del suo cuore; Nul, spietato signore della guerra del regno demoniaco, lo aveva sfidato... ma presto se ne sarebbe pentito amaramente
Un’orda di Oni apparve all’orizzonte, pronto a sbarrargli il passo. Kuno avanzò senza rallentare, la spada sguainata. In pochi attimi avrebbero conosciuto il potere della sua volontà, concentrata in quella lama incantata da forze divine; la sua forza dipendeva dalla volontà di colui che la brandiva... e Tatewaki Kuno possedeva un animo formidabile, tale da farlo diventare il flagello di ogni demone conosciuto.
« Vi darò un unico avvertimento, orridi invasori! » gridò Kuno al nemico. « Fatevi da parte finché avete il dono della vita, o non avrò pietà di alcuno! »
Un coro di urla e ruggiti fu la risposta, quasi immediata, da parte degli Oni, che in pratica avevano mandato il suo ultimatum a farsi friggere. Un gran numero di guerrieri si lanciò alla carica contro di lui, mentre gli arcieri scagliarono una pioggia di frecce. Kuno levò la spada al cielo: questa brillò di luce che abbagliò gli Oni, costringendoli a fermarsi; le frecce furono invece ridotte in cenere a mezz’aria, prima che potessero trafiggerlo. Il giovane guerriero riprese la sua corsa, travolgendo i demoni lungo la sua strada e falciandone a decine; come promesso, non ebbe alcuna pietà.
Kuno superò lo sbarramento degli Oni in pochi minuti, dopodiché fu in grado di scorgere ciò che stava cercando: la fortezza di Nul, in cima alla montagna, dove avevano portato Nabiki. Si aspettava altri ostacoli lungo la via, ma poco importava; la sua volontà era forte, e la speranza brillava nel suo cuore come un faro nella notte più buia.
Presto avrebbe salvato Nabiki.
 
La paura cominciò ad affiorare in Nabiki, prendendo lentamente il controllo dei suoi sensi. Nul era un vero enigma, ma non rifiutava di perdersi in chiacchiere. Doveva scoprire il suo piano.
« Che cosa vuoi da Tatewaki? » gli domandò.
« Voglio che faccia la cosa giusta » rispose Nul, « attraverso la sfida che gli ho lanciato. Immagina la scena: una graziosa fanciulla viene rapita e rinchiusa in una torre da un terribile demone. Questo scatena l'ira del suo amato, che senza pensarci due volte correrà da lei, pronto a battersi per salvarla. Una storia classica, che tuttavia non perde la sua carica fortemente... eroica. »
Nabiki non sembrò capire.
« E perché hai scelto me per questa sceneggiata? Io e Tatewaki non stiamo mica insieme... io non lo amo! »
Nul si voltò a guardarla, agitando nel frattempo un dito come per dire di no.
« Non sperare di prendermi in giro, ragazzina, conosco i tuoi veri sentimenti. Ti ho già detto che ti ho osservato a lungo, anche dopo che Ranma ha lasciato casa tua. So del tuo avvicinamento alla famiglia Kuno, della tua nuova amicizia con Kodachi... e della tua storiella con Tatewaki. A questo punto, però, devo essermi un po’ distratto in altre faccende e non ricordo come sia finita tra voi due. Ti dispiacerebbe spiegarmelo mentre aspettiamo il tuo eroe? »
Nabiki sbuffò seccata.
« Bah... come vuoi che possa finire con un cretino come quello? Va bene, ammetto di essere stata insieme a lui per un po’... Tatewaki è (fisicamente) abbastanza figo da piacermi, ma per il resto è del tutto suonato. Parla e si comporta come un eroe tragico del passato, vede il pericolo ovunque e pensa sempre di risolvere tutto a colpi di spada! E' solo un immaturo... e io non voglio come fidanzato uno che vive fuori dalla realtà.
« Inoltre, credo che Tatewaki non abbia mai dimenticato Akane. Era molto dispiaciuto quando ha saputo della sua partenza, quindi ritengo che ci abbia provato con me per rifarsi della perdita... come se io fossi una specie di "premio di consolazione". Un giorno non ne potevo più, né delle sue manie né di questa sensazione, così l'ho piantato. Fine della storia. »
Nul rimase ad ascoltare per tutto il tempo, immobile e con le braccia incrociate, così inespressivo da assomigliare a una statua. L’ombra che oscurava il suo volto contribuiva anche a nascondere le sue espressioni, dunque non era chiaro cosa potesse provare in quel momento... forse nulla.
« Capisco » disse dopo una pausa. « Be', hai avuto le tue ragioni per troncare con Kuno, devo riconoscerlo. Tuttavia ritengo che tu lo abbia giudicato molto male: Kuno non è un immaturo. Per come la vedo io, ha solo avuto la sfiga di nascere nel secolo sbagliato. Lui è un nostalgico della vostra era feudale: l'era della superstizione, dell'onore e della spada; l'era dei ninja e dei samurai, acclamati ancora oggi nelle migliori fumetterie. Avrei visto benissimo Kuno in questo ruolo, in vesti di intrepido spadaccino amante dell’avventura.
« Ma il destino ha voluto piazzarlo in un contesto ben diverso, ahimé. Un giovane dallo spirito guerriero è del tutto fuori luogo in un’epoca del genere... dove il guerriero ha lasciato il posto al comune cittadino, e la spada è stata sostituita dal cellulare. Il tuo Tatewaki, rampollo di un’antica famiglia che vanta nobili guerrieri tra i suoi antenati, non ha saputo adattarsi a questa epoca di satelliti e connessioni wi-fi... ha preferito sognare l’avventura e i duelli con la spada, aspettando di trovare un degno avversario. E chi è giunto da lontano, circa due anni fa, per accontentarlo? Chi gli ha dato un pretesto per sfogare il suo talento in svariate occasioni, magari per conquistare l’attenzione della tua sorellina? »
Nabiki fu di nuovo sorpresa, per la piega presa dalla conversazione.
« Stai... stai parlando di Ranma? » domandò esitante.
« Drin! Risposta esatta, complimenti! Già... quante volte si sono battuti quei due? Quante volte Ranma ha spedito in orbita Kuno con un pugno? Persino io non ho tenuto il conto... ma ciò che conta è che Ranma ha potuto alimentare lo spirito guerriero di Kuno, spingendolo a proseguire sulla via della spada. Nonostante le sconfitte, lui poteva comunque ritenersi soddisfatto... per aver affrontato un degno avversario come Ranma. »
Nul si voltò di nuovo verso la vetrata, osservando il panorama.
« Era il suo passatempo preferito » proseguì, « sfidare Ranma per conquistare Akane... o per dimostrare di essere più forte. Si sentiva un vero guerriero in quei momenti, un samurai degno di questo nome; ma per completare il quadro, a Kuno manca ancora qualcosa... una sfida che metterà alla prova il suo spirito più che mai. Ecco perché mi trovo qui, mia cara... ed ecco perché tu ti trovi qui. »
Nabiki tacque, sempre più confusa.
« Che vuoi dire? Insomma, che diavolo hai in mente? »
« Uhuh » fece Nul con tono lieto. « Ho in mente un gran bello spettacolo. Ti ho rapita per attirare Kuno, affinché lui venga qui per affrontarmi. Sta arrivando, lo sento... accorrerà per salvarti dalle mie grinfie; per difendere la tua vita si batterà contro di me... e di conseguenza, morirà. »
 
Kuno era giunto ai piedi della montagna, un luogo reso maledetto dopo che era stato conquistato dagli Oni. Nul, ultimo signore della guerra dei demoni, aveva eretto un’imponente fortezza su quelle rocce, terrificante alla sola vista e avvolta da colonne di fuoco. L’impavido guerriero era alle porte dell’inferno, ma si fece avanti senza paura, lasciando indietro il suo cavallo.
Fu allora che un nuovo ostacolo giunse a sbarrargli il passo: una creatura gigantesca, dal corpo lungo come un serpente che si avvolgeva intorno alla montagna; squame rosse come il sangue e occhi ardenti come braci, zampe artigliate in grado di schiacciare intere truppe ad ogni passo.
Un drago, un tempo fiera creatura dominatrice dei cieli e del vento, ora tramutato in orrenda bestia da Nul e posto come guardiano della sua dimora. I suoi occhi feroci trovarono subito Kuno, scrutandolo con aria minacciosa... che tuttavia non ebbe alcun effetto sul giovane.
Kuno levò la spada al cielo, pronta ad affondarla di nuovo.
« Nul! » gridò, rivolto alla fortezza. « Ho già massacrato orde dei suoi schiavi, e non mi fermerò finché non avrò strappato la mia amata dalle tue orride grinfie! Perciò mostrati a me, subito, o non avrò pietà nemmeno della tua bestia! »
Il silenzio fu l’unica risposta che giunse dalla fortezza. Il drago lanciò un ruggito assordante, ma Kuno rimase al suo posto.
« Molto bene, allora » dichiarò con un sorriso. Spiccò un balzo enorme e atterrò sul muso del drago, conficcandovi la lama della sua spada; il drago si ritrasse e scosse freneticamente la testa, ma Kuno riuscì a reggersi. La spada, tuttavia, non era penetrata a fondo, a causa della pelle troppo dura, e si staccò pochi attimi dopo. Kuno perse la presa dal nemico e cadde a terra; il drago ruggì ancora e si avventò su di lui per finirlo. L’impavido guerriero riuscì a mettersi al riparo appena in tempo; il drago lo individuò subito e sputò un enorme getto di fuoco. Per Kuno sarebbe stata la fine, se non avesse avuto con sé la sua spada, fortificata dal potere della volontà: la lama brillò di luce ancora una volta, proteggendo il suo padrone dal fuoco come una muraglia.
Se il drago fosse stato in grado di provare emozioni complesse, sarebbe rimasto sbalordito da ciò che era appena accaduto. Kuno era ancora in piedi, illeso nonostante il fuoco che aveva incenerito tutto ciò che lo circondava. Il giovane non perse altro tempo e si lanciò in un nuovo attacco, mirando stavolta più in basso; il drago cercò di fermarlo con le sue zanne, ma lo mancò. Kuno raggiunse la gola della bestia e vi conficcò la spada: finalmente penetrò più in profondità, dato che le scaglie erano più sottili in quel punto. Il drago si sollevò, portando con sé Kuno; era arrivato troppo vicino per mollare proprio adesso, e non mollò la presa. Facendo appello a tutta la sua volontà, la concentrò sulla spada, che brillò ancora una volta: la lama produsse un fascio di luce che trapassò la gola del drago, forandola come un trapano. Il drago lanciò un terribile ruggito, colmo di dolore, sconfitta... e morte; quindi ricadde sulla montagna con tutto il suo peso, libero dal controllo dei demoni.
Kuno sopravvisse alla caduta, reggendosi per tutto il tempo al corpo del drago. Quando si separò dal cadavere della bestia, scoprì di essere ancora più vicino al suo obiettivo: si trovava su un bastione della fortezza di Nul, non lontano dalla cima. Soddisfatto per il suo nuovo trionfo, l’impavido guerriero avanzò ancora, ormai prossimo allo scontro finale.
 
Nul scoppiò a ridere mentre osservava il panorama oltre la vetrata.
« Splendido » commentò estasiato. « Kuno è arrivato, finalmente... e presto giungerà la resa dei conti. »
Alle sue spalle, Nabiki restava in ginocchio sul pavimento, più sconvolta di quanto riuscisse ad ammettere. Non riuscì nemmeno a rispondere a Nul, a causa di ciò che aveva detto poco prima: la sua intenzione di ucciderlo, come ultimo atto del suo folle piano.
Non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua. Era certa di aver subito di peggio in passato, con tutti i casini attirati da Ranma in casa Tendo, eppure quello sconosciuto con il cappuccio riusciva a sconvolgerla oltre ogni limite. L’aveva messa a nudo come nessun altro, sbattendole in faccia la verità su ciò che aveva fatto finora della sua vita... e al suo confronto si sentiva impotente, indifesa.
Le sue sorelle non potevano aiutarla in quel momento, ed era sicura che loro se la sarebbero cavata meglio. Akane era dall’altra parte del mondo, intenta a costruirsi una nuova vita; e Kasumi era andata a vivere con il dottor Tofu, ricambiando finalmente il suo amore.
Era rimasta sola, con le sue cattive abitudini.
Allora si rese conto che qualcuno era rimasto al suo fianco, dopotutto. Laggiù, facendosi faticosamente largo tra le tenebre che avvolgevano il suo cuore, Nabiki riconobbe la persona a cui poteva ancora affidarsi... la stessa che nel frattempo stava correndo in suo aiuto.
Oh, Tatewaki... perdonami.
E una lacrima sottile venne fuori, scendendo lungo la guancia per poi cadere sul freddo pavimento. Un suono impercettibile, che tuttavia attirò l’attenzione di Nul. Se Nabiki avesse potuto vedere il suo volto sotto quel cappuccio, lo avrebbe visto sorridere compiaciuto: il piano stava procedendo alla perfezione.
BUM!
Il rumore di un colpo assordante attraversò la stanza, attirando l’attenzione dei presenti. Qualcuno stava dando colpi alle doppie porte dell’ingresso, nel chiaro tentativo di aprirlo. Nabiki si alzò in piedi di scatto, colta da un nuovo spavento; Nul apparve improvvisamente davanti a lei, spingendola da parte.
« Sta’ indietro, da ora in poi » annunciò. « Non vorrei che ti facessi male. »
BUM!
Le porte uscirono dai cardini e caddero a terra con uno schianto assordante. La luce proveniente dall’esterno rivelò dunque la sagoma di colui che aveva varcato l’ingresso. Tatewaki Kuno era arrivato, l’aria furibonda e la katana in pugno... pronta ad affondarla nel petto del suo avversario.
« Nul! » gridò, puntandogli un dito contro. « Spero che tu abbia pregato i tuoi dèi, perché è giunta la tua fine! Il tuo esercito e le tue bestie sono caduti per mano mia... e ti assicuro che entro pochi istanti li raggiungerai, se non mi restituirai subito la mia amata! »
« Ben arrivato, Kuno » gli disse Nul, gentile come se invitasse un ospite ad accomodarsi. « E con ottimo tempismo, direi. Non temere per Nabiki, non le ho torto un capello... non è vero? » aggiunse, rivolgendosi alla ragazza.
Lady Nabiki, che si era messa al riparo in un angolo in lontananza, si limitò ad annuire. Kuno rivolse lo sguardo su di lei, sorridendo sollevato per la sua evidente incolumità; poi tornò a guardare Nul, puntandogli stavolta la spada.
« Ti offro un’ultima occasione per redimerti, demone » disse. « Fatti da parte mentre porto via Nabiki, e ti lascerò vivere. »
« Uhm » fece Nul, incrociando le braccia come per riflettere. Restò così per una manciata di secondi, poi da una manica del suo soprabito estrasse una katana, e la puntò contro Kuno.
« Sai una cosa? Preferisco l’alternativa: sfidarti, infilzarti e infine sbudellarti. Tutto questo davanti alla tua ragazza... ops, volevo dire ex ragazza! Ho saputo che vi siete lasciati. »
Kuno digrignò i denti, sempre più furioso, e strinse la presa sulla spada.
« Così sia, allora » dichiarò. « Pagherai con il tuo sangue per tutto il male che hai arrecato al mio popolo. I demoni dell’inferno banchetteranno con le tue ossa, stasera. Porterò la tua testa decapitata ai cancelli del tuo regno infame, affinché sia da monito per tutti gli Oni che oseranno progettare un nuovo assalto... »
Nul sbadigliò rumorosamente.
« Dì un po’, ne hai ancora per molto con questa lagna? » borbottò. « Ci credo che riesci abbattere tutti quelli che incontri, se prima li intontisci con i tuoi sproloqui! Ma ti assicuro che con me non funziona... e ora fatti sotto! »
Kuno non se lo fece ripetere due volte. I due attaccarono nello stesso momento, incrociando le lame. Restarono a contatto per un po’, ognuno spingeva sulla propria spada per sopraffare l’altro. La forza di Kuno eguagliava quella di Nul. Si separarono e attaccarono ancora; Kuno schivò il fendente di Nul e attaccò subito dopo. Nul balzò da un lato per evitarlo, sicuro di sé.
Lady Nabiki rimase a guardare dal suo rifugio, impietrita dall’orrore mentre a pochi metri di distanza infuriava uno scontro senza precedenti: Tatewaki Kuno, eroe di mille battaglie, contro il terribile Nul, ultimo signore della guerra degli Oni. Dal loro duello dipendevano le sorti di due popoli, nonché quello della giovane donna che suo malgrado faceva da testimone all’evento. L’acciaio strideva e risuonava nell’aria con forti clangori, ogni volta che le spade dei due avversari si scontravano. Per quanto ci provassero, tuttavia, l’uno non riusciva a prevalere sull’altro... nemmeno a ferirlo.
Kuno si fermò per un attimo, ansimando per lo sforzo. Nul gli concesse il tempo necessario per riprendere fiato, arretrando di un passo.
« Notevole » commentò il demone, compiaciuto. « Ben pochi sono riusciti a resistermi fino a questo punto... e a farmi divertire. Questo è davvero uno scontro epico. »
« Heh... anch’io devo riconoscere la tua forza » rispose Kuno con un sorrisetto. « Nessuno aveva mai eguagliato la mia, finora. »
« La mia forza proviene dalla tua, Tatewaki Kuno. Io sono forte perche lo sei tu. Ma, a differenza di te, non soffro la fatica... per questo, alla fine, sarò io a prevalere. Nonostante tu sia estremamente motivato a distruggermi, non potrai reggere la tua spada in eterno. Perciò dimmi, mio nemico... ne vale la pena? Sei davvero disposto a combattere fino allo sfinimento? Sei disposto a morire per lei? »
E puntò la spada verso Nabiki. Kuno si voltò a guardarla: quegli occhi ricolmi di paura e sconforto erano veleno per lui... ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per restituire loro la gioia di un tempo, quando camminavano insieme su prati fioriti.
« Sì! » gridò Kuno, tornando in guardia. « Ciò che è accaduto tra noi non ha alcuna importanza. Io darò la vita per Nabiki... e anche la prossima, se necessario! Non permetterò che ella perisca per la mia debolezza. Io combatterò fino all’ultimo respiro affinché lei possa vivere! »
Nul tacque per un istante, poi puntò la spada nuovamente su Kuno.
« Così sia, allora » dichiarò.
Lo scontro riprese. Kuno attaccò con maggior vigore, ma Nul continuò a resistere. Il potere della spada incantata sembrava del tutto inutile contro di lui, in grado di replicare perfettamente lo stile e le mosse del giovane guerriero. Ma non intendeva cedere, né arretrare; ormai aveva fatto la sua scelta.
Poi Kuno fu colpito al fianco, e la situazione precipitò. La spada di Nul aveva infine trovato un varco nella sua difesa, e non aveva esitato ad arrecargli un enorme dolore. Kuno fu respinto e cadde a terra, sanguinando copiosamente.
« Bene... è stata davvero una sfida degna di questo nome » dichiarò Nul, torreggiando minaccioso su di lui. « Ma è tempo di mettere la parola “fine” a questa storia. Sii felice, Kuno, perché il tuo nome sarà ricordato per l’eroismo che hai dimostrato questo giorno. »
E sollevò la spada, pronto a dargli il colpo di grazia.
« Nooooooo! »
Nul si voltò, ma troppo tardi. Nabiki, venuta fuori dal suo riparo, lo colpì alle spalle con una sedia, talmente forte da romperla e gettare l’incappucciato a terra. La ragazza lo guardò furibonda, senza mollare la presa dalla sua arma improvvisata.
« Stà lontano da lui, maledetto bastardo! » gli urlò contro.
« Nabiki, no... stà indietro » sussurrò Kuno, sofferente. « Scappa... tu devi... vivere! »
« E lasciarti qui mentre lui ti ammazza? Scordatelo! »
Nel frattempo Nul si rialzò. La sediata non gli aveva fatto un graffio, infatti tornò in guardia come se nulla fosse accaduto... ma il suo bersaglio, ora, era Nabiki.
« Hai fatto la tua scelta, Nabiki Tendo » mormorò, puntandole la spada alla gola. « Permettimi dunque di decidere il tuo destino. »
L’urlo improvviso di Kuno attirò la sua attenzione. L’impavido guerriero si era rimesso in piedi, scagliandosi su Nul in un ultimo, disperato attacco. L’incappucciato lo intercettò, e le due spade si incrociarono; si udì un forte clangore che echeggiò in ogni direzione, seguito da una luce abbagliante.
E quando il bagliore cessò, e la spada di Kuno cadeva al suolo in frantumi, era cambiato tutto.
Kuno si guardò intorno con aria confusa. La fortezza oscura in cui si trovava un attimo prima era sparita, lasciando il posto a un moderno ufficio in pieno centro; il silenzio regnava assoluto mentre riconosceva Nul e Nabiki, davanti a lui. Improvvisamente si rese conto di non provare più dolore al fianco, dove la spada del nemico lo aveva colpito; la ferita, infatti, era sparita... come se non l’avesse mai avuta.
« Ma cosa... cosa è successo? » disse, più sconvolto che mai.
« Semplice... ti sei svegliato » rispose Nul. « Il sogno dell’impavido guerriero è finito, e sei tornato alla realtà. La spada che ti ho donato » e indicò ciò che ne restava a terra « ti ha fatto vivere in una sorta di illusione da me realizzata... e mi è riuscita bene, ammettilo. Hai creduto davvero di essere un eroe leggendario che si batte per la sua principessa, e sei arrivato fin qui sotto tale influsso. Però abbiamo lottato sul serio... ed è stato uno scontro davvero epico. »
Kuno rimase senza parole. Non si poteva dire che avesse capito tutto, perché non era mai stato un tipo molto sveglio.
« Ma che significa? » intervenne Nabiki, rivolta a Nul. « Credevo che tu volessi uccidere Tatewaki... non è più così? »
« Non è mai stata mia intenzione ucciderlo, in verità » ammise l’incappucciato. « Il tuo rapimento era solo una messinscena per incontrare Kuno e concedergli questa occasione. »
« Cosa? » fece Kuno, sempre più incredulo. « Ma tu chi diavolo sei? E perché hai voluto incontrarmi? »
« Il tuo scarso quoziente intellettivo non ti rende in grado di capire chi sono, ma per il resto posso accontentarti. Io ti ho concesso una grande occasione, Tatewaki Kuno: l’opportunità di affrontare la sfida più grande della tua vita e di uscirne vittorioso... in altre parole, uno scontro epico. Era quello che hai sempre voluto, e finalmente l’hai ottenuto grazie al mio aiuto; e ora che la tua illusione è spezzata, sarai in grado di relazionarti con questo mondo reale come tutti quanti. Sarai un uomo migliore, te lo posso assicurare. »
Detto questo, tornò a guardare Nabiki, che in quel momento condivideva l’incredulità di Kuno.
« Mi dispiace di averti coinvolto in questa storia » disse in tono piatto, « ma era necessario allo scopo. Inoltre posso dire di aver aiutato anche te, perché ora vedi le cose da una nuova prospettiva e comprendi ciò che è veramente importante per te... lo ha dimostrato la tua sediata di poco fa, in effetti. »
Nabiki non mutò espressione, ma non poté fare a meno di annuire. Nul diceva la verità... nel giro di un attimo – il tempo di compiere quella scelta che avrebbe potuto rivelarsi fatale – lei era cambiata. In meglio. Così si avvicinò a Kuno per abbracciarlo, appoggiando la testa sulla sua spalla; lui rimase spiazzato da quel gesto, ma poi ne fu felice... dopotutto, aveva fatto tutta quella strada per lei.
« Tu hai fatto tutto questo per noi? » chiese Kuno. « Ma perché? »
Nul non rispose subito, occupato com’era a raccogliere i frammenti della spada. Questi divennero cenere tra le sue mani, che spazzò via con un soffio.
« L’ho fatto perché volevo aiutarvi » disse infine. « Volevo che faceste la cosa giusta. Ma un tipo come te, Kuno, poteva svegliarsi solo dopo aver vissuto sul serio la sua illusione; e una come te, Nabiki, doveva temere per la propria vita prima di rendersi conto di come l’avesse impiegata. Non mi aspetto ringraziamenti, ho fatto ciò che era necessario; e ora che la sfida si è conclusa, posso andare. »
E voltò loro le spalle, senza aspettarsi nulla come aveva detto. Fece alcuni passi, poi si fermò.
« Un’ultima cosa, Kuno » disse, tornando a guardarlo. « Voglio almeno provarci, finché sono qui... la ragazza con il codino che ti piaceva tanto era in realtà Ranma Saotome. Una maledizione lo trasformava in ragazza ogni volta che si bagnava con l’acqua fredda. Magari è la volta buona che questa storia ti entri nella zucca. »
Kuno ammutolì per lo stupore, e rimase così mentre Nul svaniva nel nulla davanti ai suoi occhi. Pochi attimi dopo si ricordò della persona al suo fianco, e allora si voltò a guardarla. Nabiki non si era staccata da lui per tutto il tempo.
« Stai... stai bene, Nabiki? »
« Sì » disse lei con un sospiro. « Adesso sto bene. Grazie, Tatewaki... sei arrivato fin quassù per me. Grazie! »
Kuno sorrise, e istintivamente posò la sua mano sulla guancia di Nabiki, accarezzandogliela. Lei rispose alla carezza stringendogli la mano a sua volta, chiudendo gli occhi per godersi quel piccolo attimo di intimità. Ci sarebbe stato tempo per parlare, per perdonarsi a vicenda e ricominciare daccapo... ma per il momento era sufficiente quel silenzio a sistemare tutto.
Quando per entrambi fu il momento di andare, i due ragazzi lasciarono l’edificio, senza staccarsi nemmeno per un secondo. Solo allora Kuno si rese conto che la sua corsa per la salvezza di Nabiki aveva provocato spiacevoli conseguenze all’ordine pubblico: una folla di persone era radunata fuori dall’edificio, tra cui c’erano numerosi agenti di polizia e persino un cavallo.
« Tatewaki... ma che diavolo hai fatto? » chiese Nabiki, esterrefatta.
Kuno non riuscì a rispondere, ma nel frattempo un poliziotto venne loro incontro.
« Voi! Che cosa è successo là dentro? Abbiamo ricevuto una segnalazione su un’intrusione e un possibile attentato! »
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata imbarazzata.
« Va tutto bene, agente, la situazione è di nuovo sotto controllo » disse Kuno, cercando di usare un tono professionale. « Un pazzo ha cercato di farla franca prendendo la mia ragazza in ostaggio. Sono riuscito a liberarla dalle sue grinfie, ma quel criminale è scappato di nuovo. Ora il palazzo è di nuovo sicuro, potete stare tranquilli. »
« È vero » aggiunse Nabiki, per confermare la versione dei fatti.
« Ma bene! » disse un altro poliziotto giunto sul posto. Aveva un’aria estremamente severa, come se stesse per esplodere. « Ecco l’idiota che mi ha rubato il cavallo e ha percorso sette isolati come un forsennato! A momenti rischiavi di provocare un incidente stradale con la tua bravata! Qui parliamo di aggressione e furto a un pubblico ufficiale... passerai grossi guai per questo, ragazzo. »
Kuno sgranò gli occhi, incredulo, e fissò il cavallo che stava poco lontano. Non si era reso conto di cosa avesse fatto in realtà mentre raggiungeva l’edificio, a causa dell’illusione in cui era caduto; dunque aveva davvero cavalcato, ma a danno di molti ignari cittadini. Non voleva nemmeno sapere cosa avesse fatto in realtà, mentre credeva di affrontare un drago.
Un tempo avrebbe reagito male a qualsiasi provocazione, perfino a quella di un poliziotto... ma quei tempi erano ormai finiti.
« Capisco, agente » disse, inchinandosi rispettosamente. « Mi rendo conto di aver commesso reato e messo a rischio l’ordine pubblico. Ho fatto questo per una giusta causa... la mia amata era in pericolo e dovevo salvarla ad ogni costo; alla luce di questi fatti vi prego di accettare le mie scuse, e  sono disposto a pagare i danni che ho provocato con la mia irruenza. Parola di Tatewaki Aristocrat Kuno. »
I due agenti si scambiarono un’occhiata incerta, poi annuirono nello stesso momento.
« Bene, allora » disse uno di loro con un sorriso. « Se volete seguirci compileremo un rapporto dettagliato sull’accaduto, signor Kuno... e naturalmente vi manderemo il conto da pagare. »
« Senz’altro. »
E i due ragazzi s’incamminarono verso la folla, seguendo gli agenti che si occupavano di riportare l’ordine nella zona. La storia fu risolta in breve tempo per il meglio: Kuno e Nabiki furono liberi di andare, e di tornare alla loro vita... una vita che erano pronti a trascorrere di nuovo insieme, ora che avevano aperto gli occhi. Entrambi avrebbero messo la testa a posto, dicendo addio a un mondo di spade e di denaro... per concentrarsi su qualcosa di molto più importante: la famiglia.
« Continuo a non capire » disse Kuno quella sera, di ritorno a casa. « Se quello che ha detto Nul è vero, come faceva Ranma a diventare una ragazza? »
Nabiki ridacchiò, divertita.
« È una lunga storia, mio eroe » gli rispose, abbracciandolo di nuovo. « Vuoi che te la racconti? »
« Sì... però domani » sussurrò Kuno, appoggiando la propria fronte sulla sua, regalandole un piccolo bacio.
Ci sarebbe stato tempo per ogni cosa, lo sapevano entrambi. Ma per il momento era sufficiente, restare insieme senza dire nulla; era ciò che contava più di tutto, ritrovarsi dopo uno scontro epico.

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Capitolo 12
*** Un momento per sognare, un momento per scegliere ***


Un momento per sognare, un momento per scegliere.
 
« Ciao, non sono in casa, lasciate un messaggio. Beep! »
« Ciao, Rose... sono io, Ranma. Ecco, io... ho riflettuto a lungo e ho preso una decisione. Devo... uhm, dobbiamo parlare... ecco, voglio raccontarti tutto. Chiamami appena senti questo messaggio... o raggiungimi, se puoi; adesso sono a casa... ti aspetto qui, ok? Ti voglio bene. »
Ranma sospirò. Non si aspettava di dover lasciare un messaggio in segreteria telefonica... chissà quanto tempo avrebbe impiegato Rose per leggerlo e decidere cosa fare. Di ritorno dall’ospedale dopo aver parlato con Ryoga, il ragazzo era deciso più che mai a vuotare il sacco con lei, a dirle tutto sul suo passato. Ora sapeva cosa doveva fare... ma per il momento era costretto ad aspettare, e si abbandonò afflitto sul tappeto.
L’attesa, fortunatamente, fu breve. Il telefono squillò appena dieci minuti dopo; Ranma si alzò di scatto e afferrò la cornetta, come se fosse la sua preda... e la voce che si aspettava di sentire parlò con sua somma gioia dall’altra parte.
« D’accordo, Ranma, vengo subito da te. A tra poco. »
Una risposta breve, ma il tono usato da Rose non rifletteva tristezza. Ciò rassicurò Ranma, dato che temeva reazioni soprattutto negative dalla storia che le avrebbe raccontato di lì a poco. Cercando di non pensarci, si occupò di recuperare l’“occorrente”: una scatola impolverata in fondo al ripostiglio, rimasta chiusa per un anno e mezzo. La prese con cautela e la portò in soggiorno, posandola sul tavolino: il suo contenuto lo avrebbe aiutato nel compito che non esitava più a svolgere.
Non restava che aspettare.
Ranma guardò fuori dalla finestra. Aveva ricominciato a piovere, più forte di prima: anche se era solo il primo pomeriggio, all’esterno faceva così buio da sembrare che fosse sera. Il ragazzo si chiese se questo avrebbe impedito a Rose di venire, ma si rispose subito: era certo che una cosuccia  come un temporale non l’avrebbe mai fermata, pur di mettere le cose in chiaro con una persona molto importante.
Poi, circa quarantacinque minuti dopo, il campanello suonò. Sollevato, Ranma andò subito ad aprire: sulla soglia scorse una figura avvolta in un soprabito bianco con il cappuccio, zuppo per la pioggia; il ragazzo sgranò gli occhi per lo stupore e rimase immobile.
« Ramma? »
Il viso perplesso di Rose apparve da sotto il cappuccio, mentre se lo sfilava. Ranma si rilassò quasi subito, non appena la riconobbe.
« Va tutto bene? »
« Ah... sì, certo, Rose... per un attimo mi è sembrato... ah, non importa. »
Si fece da parte, invitando Rose a entrare. Mentre la ragazza si sfilava il soprabito per appenderlo alla parete, Ranma ripensò per un attimo a quella strana sensazione: era come se quell’indumento avesse un significato per lui, ma non riusciva a ricordare. Come se avesse dimenticato qualcosa di importante... o qualcuno.
« Tutto bene, Rose? » le domandò quando lei si voltò a guardarlo. « Scusami se ti ho chiamata così all’improvviso, spero di non averti distolta da altri impegni. »
« No, figurati » rispose Rose con leggerezza. « Anzi, a dire la verità, aspettavo proprio che mi chiamassi. Immagino che questo possa sembrare un po’... sfacciato, o peggio. »
Ranma scosse la testa. All’improvviso calò il silenzio, uno di quelli che non mettevano in una bella situazione agiata. Fu come se si fosse perso il motivo dell'incontro e non ricordasse più cosa volesse dire o chiedere a Rose, o meglio, non sapesse più quali parole mettere insieme per iniziare il discorso. Sguardi, silenzio e scarsi tentativi di romperlo... per un po’ andarono avanti in questo modo, cercando o aspettando come un segnale che desse loro l’occasione per iniziare apertamente un dialogo.
« Non dimenticare mai chi sei, né chi sei stato. E non dimenticarti di noi. »
Le parole di Ryoga risuonarono nella sua testa, provvidenziali come la campanella di fine giornata a scuola. Ranma si schiarì dunque la gola e invitò Rose ad accomodarsi sul divano in salotto; si sedette davanti a lei, prendendo di nuovo tra le mani la scatola che aveva preso prima.
« Ho deciso di raccontarti tutto, Rose » disse il ragazzo con decisione. « Da dove sono venuto, che cosa ho fatto... ma soprattutto, quello che mi è accaduto. Avevi ragione su di me, quando hai detto di aver saputo fin dall’inizio che avevo qualcosa di speciale... di diverso. Ma il mio talento nelle arti marziali non ha nulla a che fare con questo: una maledizione che mi ha afflitto per anni, prima di venire a vivere qui... »
Ranma iniziò a raccontare, aprendo nel frattempo la scatola. Essa conteneva un gran numero di fotografie, risalenti all’intero periodo vissuto nel quartiere di Nerima: momenti ed episodi avvenuti durante i giorni della maledizione, capitoli sparsi di una storia a cui era riuscito a porre fine... a seppellire, fino a quel momento cruciale. Rose rimase in silenzio, quasi impassibile, mentre il suo amato le raccontava di come una sorgente maledetta lo avesse trasformato in una ragazza dai capelli rossi. Anche una come lei stentava a credere a una storia del genere, ma Ranma aveva ancora prove tangibili per dimostrarla.
« Questa ero io » disse il ragazzo, mostrandole alcune foto in cui appariva in forma femminile. « Ogni volta che mi bagnavo con l’acqua fretta, assumevo questo aspetto... come puoi vedere, ti assomigliavo parecchio. »
Rose rimase senza parole mentre osservava quelle foto. Non poteva negare la sua straordinaria somiglianza con quella persona, ora seduta davanti a lei nella sua vera forma. In quel momento riuscì a spiegarsi l’incredulità di Ranma nei primi giorni in cui si erano conosciuti, ogni volta che la guardava... come se avesse visto un fantasma o roba simile.
« Non ero l’unico ad essere afflitto dalla maledizione » riprese Ranma; « c’erano anche mio padre » e lo indicò in altre foto, sia come umano che come panda, « e altri... amici, conoscenti, ma soprattutto avversari. Dal giorno in cui sono caduto in quella pozza ho cominciato a vivere in un nuovo mondo, dove stranezze e scontri erano più frequenti di uno sciopero dei mezzi pubblici. Per non parlare del mio fidanzamento combinato... »
A quel punto iniziò a parlare di Akane, ritratta in un’unica fotografia: Rose poteva vedere il suo dolce sorriso immortalato in essa, circondata da alberi di ciliegio in fiore. Ranma non riuscì a dire molto su di lei, ma da quel poco che Rose udì dalle sue labbra poté immaginare quanto i due fossero legati. Sentimenti e occasioni soppressi da un’infinità di guai, come dichiarato da lui stesso: era sempre stato convinto che le cose sarebbero state migliori tra lui e Akane, se non fosse stato afflitto dalla maledizione.
« Ho vissuto così per due anni interi » disse infine, « ma ne sono uscito, grazie al cielo Ho spezzato la maledizione un anno e mezzo fa, con l’aiuto di uno sconosciuto... costui mi ha convinto a partire, a lasciarmi tutto alle spalle per ottenere ciò che volevo davvero. »
S’interruppe per un attimo, rivolgendo lo sguardo sull’attaccapanni all’ingresso dove era appeso il soprabito di Rose. Fu assalito di nuovo da una strana sensazione, come se dovesse fare attenzione a ciò che faceva... da ora in avanti.
La voce di Rose lo richiamò all’attenzione.
« Tu cercavi quello che cercano un po’ tutti, a questo mondo... una vita felice » disse seria. « Ne avevamo parlato la prima sera da Leandro’s, ti ricordi? »
Ranma annuì.
« Heh... certo che è incredibile » proseguì la ragazza. « Dopo tutto quello che mi hai appena raccontato, tutto quello che riesco a fare è ricordare quella sera che abbiamo passato insieme. Oh certo, la tua storia va ben oltre quello che finora mi ero immaginata su di te, e sono certa che chiunque altro in questa città ti prenderebbe per pazzo... eppure ti credo. Devo crederti... anzi, voglio crederti; perché, nonostante tutto, io sono come te. »
Ranma annuì ancora. Non c’era bisogno di ripetersi, sapeva del dono di Rose... e lei ora sapeva tutto di lui. Per entrambi, non restava che una cosa da fare.
« E adesso? » fece Rose dopo una pausa. « È strano... ora che ci siamo conosciuti così a fondo non so che fare. È la prima volta che qualcuno non scappa via dopo aver scoperto quello di cui sono capace. Forse è giunto il momento che sia io ad andarmene, Ranma... se è questo ciò che vuoi. »
« No » disse subito Ranma. Il ragazzo si alzò dal suo posto e raggiunse Rose, inginocchiandosi davanti a lei; i due si guardarono intensamente per qualche secondo, poi Ranma posò una mano sul viso di lei, accarezzandogliela.
« Fuggire non è mai la soluzione migliore » disse il ragazzo. Guardò ancora una volta il soprabito bianco e aggiunse « non è la cosa giusta da fare. Io avrei un’idea su cosa potremmo fare adesso: potremmo restare insieme e costruire qualcosa di straordinario... quella vita felice e normale che vogliono tutti. »
Rose rimase ammutolita per la sorpresa. Poi, lentamente rispose alla carezza stringendogli la mano a sua volta; strinse gli occhi, divenuti molto umidi per l’emozione.
« Sei sicuro di volerlo? » domandò. « Sono ancora il tuo riflesso, dopotutto... riuscirai a sopportarmi così come sono? »
Ranma scosse la testa, eppure sorrideva.
« Io non voglio sopportarti... voglio amarti. »
Si avvicinò ancora di più e la baciò sulle labbra. Rose rimase rigida per appena un secondo, poi si lasciò trasportare dai sentimenti e rispose al bacio, abbracciandolo. Il tempo delle parole era finito: era tempo di passare all’azione, all’istinto... alla passione.
 
Quando Ranma aprì gli occhi, fu abbagliato da una luce verde e oro. Il suo corpo nudo galleggiava in una massa d’acqua fredda, poco profonda; non appena la sua testa smise di girare riuscì a mettersi in piedi, cercando di mettere a fuoco l’ambiente. Era immerso fino al torso in una pozza d’acqua, una delle tante che costellavano il luogo in cui si trovava: in ogni direzione vedeva alberi, canne di bambù e pozze d’acqua, un pezzo di natura incontaminata di cui non riusciva a scorgere la fine. Non era necessario, comunque... agli occhi di Ranma, quel luogo era terribilmente familiare.
Le Sorgenti Maledette di Jusenkyo.
Ranma ebbe appena un secondo per domandarsi come ci fosse arrivato all’improvviso, quando si rese conto di una verità ben più sconvolgente. Il suo corpo era cambiato: bastò un’occhiata alle sue mani, diventate lisce e più sottili, e al suo petto, sul quale erano spuntati un bel paio di seni rotondi, per rendersene conto; poi l’orrore divenne assoluto quando si specchiò nell’acqua, e il suo riflesso gli restituì l’immagine di una ragazza dai capelli rossi.
« No... non può essere vero... no! »
Era di nuovo una donna.
« Nooooo! »
L’urlo di Ranma echeggiò per tutta la valle, mentre la disperazione l’assaliva come non mai. Si afferrò la testa con entrambe le mani, pregando che fosse tutto un sogno, ma non cambiò nulla. Era ancora una ragazza immersa in quella pozza, di nuovo vittima della maledizione che lo aveva perseguitato per due anni interi.
Ma com’era possibile?
Una risata si levò alle sue spalle, costringendola a voltarsi. Una figura si stagliava a poca distanza dalla pozza: un individuo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato da un cappuccio. Costui stava perfettamente in piedi sopra una canna di bambù, e fissava Ranma con le mani in tasca.
« Tu! » gridò lei, incredula.
« Ciao, Ranma » salutò l’incappucciato con aria beffarda. « Ti ricordi di me? »
« Sì, ora mi ricordo. Ci siamo incontrati a Tokyo l’anno scorso... avevi spezzato la mia maledizione. Tu sei Nul! »
Nul annuì, chinando leggermente il capo.
« E ricordi anche che cosa hai fatto dopo? » domandò.
« Certo! Ho lasciato la città, ho viaggiato... mi sono rifatto una vita altrove, proprio come mi avevi suggerito tu! »
« Oh, davvero ne sei convinto? Dunque questa è solo un’illusione, un sogno... non il contrario. Ciononostante, non sembri in grado di svegliarti; sapresti dirmi perché? »
Ranma non riuscì a rispondere: era ancora sconvolta a un livello abissale. Nul rise ancora, come se ci provasse gusto nel vederla così.
« Sogno, realtà » disse, camminando tranquillo sopra le canne. « Il confine che separa questi due aspetti della vita sa essere sorprendentemente sottile, a volte. Basta poco per passare da una parte all’altra senza nemmeno rendersene conto. Perciò dimmi, Ranma Saotome: che cosa credi, adesso? È davvero questo il sogno? Oppure era quello da cui ti sei appena svegliato? La tua vita a Roma, la storiella con Rose... credi davvero che siano accaduti? »
Ranma rimase in silenzio. In compenso, riuscì a recuperare le funzioni motorie e balzò fuori dall’acqua, colta da una furia improvvisa.
« Si può sapere che diavolo vuoi da me? » gridò. « Dimmelo, o giuro che vengo fin lassù e ti farò sputare la verità a suon di pugni! »
« Santo cielo, Ranma! » rispose Nul, coprendosi con le mani il suo volto invisibile. « Dovresti metterti qualcosa addosso... non pensi a tutti i bambini che ci seguono da casa? Hah... lascia, ci penso io. »
Schioccò le dita, e un attimo dopo la ragazza era asciutta e con dei vestiti addosso: una maglietta rossa sopra dei pantaloni neri... gli stessi che era solita indossare durante il periodo trascorso a Nerima. Ranma restò al suo posto, sempre più incredula: Nul riusciva a stupirla ad ogni parola, ad ogni gesto, grazie al potere di cui era dotato; sembrava in grado di manipolare la realtà a suo piacimento... o faceva tutto parte del sogno?
L’incappucciato atterrò in quel momento davanti a Ranma, interrompendo la sua breve riflessione.
« Allora, mia cara... dov’eravamo rimasti? » fece Nul con finta innocenza. « Ah giusto... volevi farmi sputare la verità a suon di pugni. Eppure credevo di essere stato chiaro al nostro primo incontro, Ranma: io voglio aiutarti. Dovrei forse meritarmi accese manifestazioni di violenza da parte tua per questo? »
« Aiutarmi? » disse Ranma, alzando ulteriormente la voce. « Tu non mi stai aiutando, mi stai confondendo di brutto! Mi stai complicando la vita, proprio come tutti quegli altri imbecilli prima di te. Ma non m’importa più... voglio solo tornare a casa, alla mia vita... da Rose. »
Calò il silenzio, terribilmente innaturale, come se qualcuno avesse azzerato il volume dall’intero ambiente. Ranma sperò che la forza del suo grido potesse riportarla indietro come per magia, ma non cambiò niente. Nul rimase a fissare la ragazza, incrociando le braccia.
« Uhm... hai fatto la tua scelta, e questo va bene » commentò l’incappucciato. « Peccato che questo non vada bene a qualcun altro... anzi, costoro si trovano decisamente contro la tua scelta. »
Ranma inarcò un sopracciglio.
« Di chi stai... » iniziò a dire, ma l’improvviso gesto di Nul la interruppe. L’incappucciato aveva allargato le braccia, e una folata di vento si alzò intorno a loro. Ranma si guardò intorno, giusto in tempo per notare la comparsa di numerose figure sulla scena: metà umane, metà animali, tutte familiari in qualche modo alla vista della ragazza.
Dio... spero proprio che sia questo il sogno!
I nuovi arrivati cominciarono a muoversi, avvicinandosi a Ranma con aria minacciosa. Lei si voltò a guardare Nul, che tuttavia non era più nelle vicinanze; lo ritrovò poco lontano, in piedi su un’altra canna di bambù, lontano dalla folla che si era creata intorno alla ragazza.
« Pensa bene a quello che desideri, Ranma » dichiarò Nul a gran voce. « La tua nuova vita da comune cittadino è così importante per te? O preferisci tornare alla tua vecchia vita, dove la sfida e l’avventura erano il pane quotidiano? Guardati intorno: non vedrai altro che i tuoi vecchi amici e rivali, la tua famiglia... che hai deciso di abbandonare! »
Lo sguardo di Ranma si riempì di nuova collera.
« Non ho bisogno di scegliere un’altra volta » disse senza staccare lo sguardo da Nul. « Io ho già scelto mesi fa, quando ci siamo incontrati! Ma credi davvero che la mia scelta sia stata facile? Non hai la minima idea di quanto abbia sofferto, mentre facevo le valigie e scrivevo una lettera di addio alla mia famiglia! »
Si voltò a guardare le creature che la circondavano. Nonostante l’aspetto animalesco o mostruoso, riconosceva ancora suo padre, Shanpu, Ryoga e molti altri; amici, famigliari, compagni di avventure e avversari.
« Mi dispiace di averlo fatto » ammise Ranma, più a se stessa che agli altri. « Ma ho già fatto la mia scelta... e non intendo tornare indietro. »
Un’altra pausa, breve come un battito di ciglia. Un attimo dopo le creature attaccarono Ranma, avventandosi su di lei senza alcuna pietà: il primo a raggiungerla fu suo padre Genma, grosso e peloso come un panda, ma con il viso umano contratto per la rabbia. La ragazza saltò all’indietro per schivare le sue artigliate, preoccupandosi anche di evitare gli altri avversari.
« Dovevi restare con me! » ruggì Genma furioso. « Dovevi sposare Akane, ereditare la palestra di Soun! »
« Eri tu a volerlo! » rispose Ranma. « Avevi deciso di gestire la mia vita fin da quando sono nato... e non hai mai voluto sapere... cosa volevo io! »
La ragazza lo colpì in piena faccia con un calcio, buttandolo in una pozza d’acqua da cui non riemerse più. Fuori uno, pensò, ma restavano tutti gli altri da affrontare; qualcuno riuscì a ghermirla subito dopo alle spalle, ma si liberò dalla sua presa. La riconobbe subito, era Shanpu: appariva come la ragazza che aveva conosciuto, ma dai capelli facevano capolino due orecchie di gatto, insieme alla coda e le unghie affilate.
« Tu sei mio, Lanma! » miagolò Shanpu, balzandole addosso un’altra volta.
« Non lo sono mai stato! »
Ranma la schivò, l’afferrò per la coda e sfruttò lo slancio per gettarla lontano, dentro un’altra pozza. La ragazza si voltò, appena in tempo per vedere Tatewaki Kuno davanti a sé: era bardato come un samurai in epoca feudale, l’aria baldanzosa come al solito. Questi sollevò la katana e si scagliò su Ranma, pronto a tagliarla in due.
« Tu mi hai portato via la gloria! »
Ranma urlò, sferrandogli un pugno in pieno stomaco con una forza tale da lanciarlo in aria. Kuno sparì oltre il fogliame, per non riapparire più.
« Idiota » commentò Ranma, ma non era ancora finita. Qualcosa esplose a pochi centimetri da lei con un gran botto; alzò lo sguardo e vide il vecchio Happosai, intento a scagliare bombe dappertutto.
« Sei solo un moccioso impertinente! » gridò il vecchio mentre ne lanciava un’altra, dritta contro Ranma.
« E tu sei un vecchiaccio maledetto! » rispose lei. Sferrò un calcio alla bomba prima che cadesse al suolo e la rispedì al mittente. L’esplosione lo prese in pieno, e Happosai sparì dalla sua vista.
Ranma desiderava in quel momento la fine di quell’incubo, più di qualsiasi altra cosa al mondo... ma la sua preghiera rimase inascoltata ancora per un po’. Subito dopo aver sistemato Happosai, infatti, qualcosa si avvinghiò al suo braccio, tirandolo con forza. Si voltò e vide un enorme ammasso di rovi, al quale apparteneva quello che lo aveva afferrato; sulla sua sommità c’era una grande rosa nera, che si aprì rivelando la testa di Kodachi Kuno. Ella fissò Ranma con aria folle mentre continuava a tirarla a sé.
« Avresti dovuto restare al mio fianco! » esclamò Kodachi. « Saremmo stati felici insieme! »
Ranma riuscì a fermarsi, appena prima di finire a mollo in un’altra pozza. La ragazza cacciò un urlo tremendo e diede uno strattone al rovo, tirando Kodachi in avanti; non appena fu a portata di tiro le sferrò una testata in pieno volto, e un attimo dopo la creatura si frantumò in una nuvola di petali neri.
« Una stronza come te... non mi avrebbe mai dato la felicità! »
Ranma si guardò intorno, ansimando per la fatica. A parte Nul, intento a gustarsi una ciotola di ramen dalla sua postazione, non vedeva più nessuno nei paraggi. Che fosse riuscita a sistemarli tutti?
Un movimento a destra attirò la sua attenzione, rapido come un fulmine; Ranma si voltò, ma si rese contro troppo tardi che era un diversivo. Una teiera la colpì in testa dall’alto, inondandola di acqua bollente; pochi istanti dopo, Ranma si era ritrasformato in ragazzo; colmo di rabbia, alzò lo sguardo, appena in tempo per vedere Ryoga atterrare davanti a lui.
Ranma trattenne a stento una risata. Ryoga aveva la pelle nera, le orecchie e il naso da maiale; lo sguardo di sfida, invece, era quello di sempre, ma ciò non bastava a nascondere il suo aspetto ridicolo. Doveva essere per forza un sogno... eppure non riusciva a svegliarsi.
« Tu e io, Ranma... ancora una volta! » dichiarò Ryoga con fierezza prima di attaccarlo. Ranma si difese, schivando e parando i suoi colpi micidiali. « È sempre stato così, e lo sarà sempre. Non puoi sottrarti al nostro eterno balletto... noi continueremo a batterci! »
Ranma riuscì a bloccarlo, afferrandogli entrambe le mani.
« Il nostro balletto è finito da un pezzo, amico mio. Devi fartene una ragione! »
Ne aveva abbastanza di tutto ciò, ecco perché non frenò la sua forza: con tutta la sua rabbia, con tutta la sua volontà, colpì Ryoga allo stomaco con una ginocchiata; il suo avversario perse conoscenza e cadde all’indietro, sprofondando nella pozza vicina.
Calò il silenzio, e Ranma capì di aver vinto. Tornò a guardare Nul, rimasto dov’era per tutto il tempo: sperando che non avesse altre sorprese in serbo per lui, si avvicinò con cautela... pronto a porre fine a tutto ad ogni costo.
« Ranma! »
Il ragazzo si fermò.
Quella voce...
Si voltò ancora. Akane era alle sue spalle, ad appena un metro di distanza. A differenza degli altri, lei non aveva un aspetto mostruoso o animalesco: era proprio come la ricordava, la stessa ragazza dall’aria dolce con cui abitava... e che un giorno avrebbe dovuto sposare.
Ranma non riuscì a muoversi né a parlare per la sorpresa, così lasciò che Akane afferrasse le sue mani, guardandolo con aria quasi supplichevole.
« Svegliati, Ranma » disse. « Tutto questo è solo un’illusione, una tua fantasia. Tu non sei mai partito, né guarito dalla maledizione; sei ancora a Tokyo con tutti noi... e con me. »
Ranma continuò a tacere. Akane gli prese una mano e la portò alla guancia, lasciandosi accarezzare.
« Andrà tutto bene » riprese la ragazza, sorridendo. « Lo so che sei stufo di tutto questo: stufo di combattere, di avere tanti nemici e spasimanti intorno a te... ma non serve a niente chiuderti in te stesso e rifugiarti nei sogni. Io ti aiuterò, Ranma, troveremo una soluzione... insieme. Andrà tutto bene, te lo prometto... ma ti prego, svegliati; torna a casa... torna da me! »
Akane si fece ancora più avanti, appoggiando il capo alla spalla di Ranma; lui continuò a tacere, ma grosse lacrime vennero fuori dai suoi occhi. Quella ragazza, le sue parole, il suo abbraccio... avevano fatto più male di tutti i nemici affrontati in precedenza.
Ranma la strinse dunque tra le braccia, cullandola dolcemente. Lasciò che quel momento durasse a lungo, prima di ritrovare la voce e parlarle in un sussurro.
« Sono ancora uno stupido? »
Akane tornò a guardarlo.
« Non lo sei mai stato » gli rispose.
Ranma sorrise, asciugandosi le lacrime.
« Allora perdonami, Akane » dichiarò. « Io ho già scelto. Ho pagato un caro prezzo per la mia nuova vita... ho detto addio a ciò che avevo di più caro, pur di ottenere la libertà di scegliere. Oh, Akane... non sono mai stato più stupido in vita mia quando me ne sono andato, lasciandoti indietro; te lo giuro, è stata la cosa più difficile di tutte. È troppo tardi per tornare indietro... ma se potessi, sceglierei di ricominciare la nostra storia con il piede giusto; forse sarei stato lo stesso uno stupido... ma sarei stato il tuo stupido. »
Si staccarono, e Ranma s’immerse in quei meravigliosi occhi bruni prima di porre fine a quel momento.
« Andrà tutto bene, Akane... te lo prometto. Forse un giorno ci rivedremo, e saremo entrambi felici. »
Akane annuì, e la sua figura svanì nel nulla in un lampo di luce.
Ranma rimase dov’era, tenendo le mani avanti anche se ora stringevano solo l’aria. Non sapeva più cosa fare, né cosa dire; non sapeva più niente. Fu allora che un applauso si levò nell’aria, attirando la sua attenzione: Nul si era fatto avanti, battendo le mani mentre si avvicinava al ragazzo.
« Congratulazioni » disse con tono semplice. « Hai affrontato i tuoi demoni e li hai sconfitti. Hai fatto la tua scelta, e non hai mai vacillato; questo mi rasserena. »
Ranma lo fissò, disgustato e comprensivo allo stesso tempo.
« Era tutto opera tua, allora? Mi stavi mettendo alla prova? »
« Nah... ti sei messo alla prova da solo » obiettò Nul. « Guardati intorno, questo è il tuo territorio... il tuo mondo. Io mi sono solo messo comodo ad osservare; ho sperato fino alla fine che ce la facessi, naturalmente... che ricordassi di aver fatto la cosa giusta. »
Ranma annuì, lasciando che lo sguardo cadesse sull’abito che Nul indossava. Quel soprabito bianco con il cappuccio, così familiare...
« Ma tu chi sei? » domandò con aria incerta, come se dovesse temere moltissimo la risposta. « Non sarai mica... Rose? »
Nul sospirò, alzando le spalle.
« Tsk... con questa voce ti sembro una Rose, per caso? »
« Ehm, no... direi di no. Ma allora chi sei? Mostrami la tua faccia, ti prego. »
« Mi dispiace, ma non puoi vedere ciò che non ricordi o non hai mai visto. Perché questo, dopotutto... è solo un sogno. »
Un attimo dopo, il mondo intero sprofondò nel buio.
 
Ranma riaprì gli occhi. Aveva il respiro affannoso, come se avesse fatto una lunghissima corsa, e grondava di sudore. Mentre si rilassava, cercò di mettere a fuoco l’ambiente che lo circondava: era nella sua stanza, dominata dal buio di una notte ormai matura. Recuperò la calma, ma i dubbi e la paura erano ancora dentro di lui in grandi quantità: cos’era successo? Si tastò il viso e il petto, per rendersi conto di essere ancora un ragazzo; e i capelli erano ancora corti, senza codino.
Poi, quando i suoi occhi si posarono sul volto di Rose, addormentata al suo fianco, recuperò la serenità in un istante.
Era stato solo un sogno... il più realistico che avesse mai fatto. Non sapeva spiegarsi il significato di ciò che aveva vissuto, ma poteva ritenersi soddisfatto sul suo esito: aveva vinto anche quella battaglia. Perciò sorrise, mentre tornò a sdraiarsi accanto a Rose, adagiando la testa sul cuscino a pochi centimetri dalla sua; rimase così a lungo, contemplando il suo bel viso finché non chiuse gli occhi per il sonno che faceva ritorno.
« Non dimenticare mai chi sei, né chi sei stato. E non dimenticarti di noi. »
Il messaggio di Ryoga risuonò ancora una volta nella sua testa, facendolo sorridere e mandare un silenzioso ringraziamento all’amico.
Ranma Saotome aveva deciso. Quella era la sua nuova vita, nel posto in cui voleva stare e con la ragazza che voleva al suo fianco; ma ora sapeva quanto fosse importante ricordare il passato, perché esso lo aveva definito... lo aveva reso l’uomo che era.
Grazie.

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Capitolo 13
*** La cosa giusta ***


La cosa giusta
 
Honolulu, sei mesi fa.
Il sole stava tramontando sulla splendida capitale delle Hawaii, ponendo fine a quella che era stata una tranquilla giornata come tante. Il Dipartimento di Lingue e Letterature Europee stava chiudendo; studenti e insegnanti erano intenti a lasciare con calma l’edificio, pregustando un meritato riposo dopo quella lunga giornata. Nella vicina palestra, tuttavia, qualcuno aveva deciso di attardarsi per una dura sessione di allenamento: si trattava di Akane Tendo, iscritta all’università da pochi mesi.
Per la giovane venuta da Tokyo, la giornata non era stata tranquilla come per l’intera isola. Il ricordo di Ranma e della sua improvvisa partenza l’aveva perseguitata ancora una volta, annebbiando i suoi pensieri come al solito. Cambiare completamente aria, come suggerito dal preside Kuno del liceo Furinkan mesi prima, non era servito a molto: anche se il nuovo ambiente le piaceva, non era servito a farle dimenticare la terribile delusione che Ranma Saotome le aveva arrecato. Quel codino tranciato e la lettera di addio continuavano a riemergere dall’abisso in cui aveva tentato invano di ricacciarli; e ogni volta che ciò accadeva, Akane doveva sfogarsi in qualche modo per recuperare il controllo. La palestra dell’università era il luogo ideale, dato che in esso poteva tornare ad essere se stessa: un’esperta di arti marziali, la degna erede del maestro Soun Tendo.
Akane si era allenata per più di un’ora, da sola, finché non rimase l’unica studentessa all’interno della palestra. Si erano tutti tenuti alla larga da lei, fin da quando l’intero dipartimento era venuto a conoscenza delle sue capacità: anche alle Hawaii era riuscita a farsi in poche settimane la fama di maschiaccio, pronta a far sanguinare il naso a qualsiasi ragazzo non le andasse a genio. Non le importava, dato che tutto ciò che voleva era proseguire la sua nuova vita in pace.
Certo, un ragazzo nella sua nuova vita non ci sarebbe stato male... ma continuava a pensare a quello stupido di Ranma.
Akane smise di sferrare colpi al sacco e riprese fiato. Era quasi arrivata al limite: guardando l’orologio appeso al muro, si rese finalmente conto di quanto fosse tardi; avevano persino spento le luci nelle altre aree della palestra, poiché stavano per chiudere. Non aveva certo l’intenzione di passare la notte là dentro; era tempo di togliersi quel kimono umido per il sudore, tornare nella sua stanza al campus e farsi una bella doccia, felice di aver scaricato in quel modo le sue energie.
La ragazza si apprestò dunque a recuperare la sua roba, quando udì un suono in lontananza. Sembrava un fischio, e non ci badò subito; ma quando questo aumentò di volume, Akane gli rivolse l’attenzione. Qualcuno si stava avvicinando, fischiettando la fin troppo nota melodia di Aloha Oe.
Forse era il custode, pensò, venuto a dirle di uscire perché stavano per chiudere. Tuttavia, l’individuo che apparve davanti a lei poco dopo non assomigliava per niente al custode, né a un uomo del posto. Era vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio. Akane lo guardò sorpresa per una manciata di secondi, prima di tentare un dialogo.
« Ehm... salve » mormorò Akane in inglese. « Perdonatemi, non mi ero accorta di quanto fosse tardi. Raccolgo le mie cose e me ne vado. »
L’incappucciato smise di fischiare e si fermò.
« Non ce n’è bisogno » disse lui con voce glaciale. « Non sono venuto a cacciarti via. »
Akane lo fissò, sempre più sorpresa. Aveva parlato in perfetto giapponese.
« Oh, parli la mia lingua! » disse con un sorriso. « Scusa, non potevo immaginarlo... sei uno studente anche tu? Chi sei? Ti sei perso? »
« Perso? Al contrario, mia cara, mi trovo nel posto giusto... e ho trovato la persona giusta. »
Il sorriso di Akane parve incrinarsi nell’udire quelle parole.
« Come, scusa? »
« Sì, ho proprio trovato la persona giusta... Akane Tendo. »
« Ci conosciamo? »
« Io ti conosco » spiegò l’incappucciato. « Figlia di Soun Tendo, vieni dal quartiere di Nerima di Tokyo e hai frequentato il liceo Furinkan, dove eri nota per il temperamento da maschiaccio. Ultima cosa, ma fondamentale, eri la fidanzata » e sottolineò l’ultima parola facendo il segno delle virgolette con le dita « di Ranma Saotome. »
Akane rimase al suo posto, impietrita per l’immenso stupore che ormai l’aveva colta. Non riusciva a spiegarsi il senso di tutto ciò: quello strano tipo sembrava conoscerla benissimo, eppure non aveva la minima idea di chi fosse; il suo volto era completamente oscurato dal cappuccio.
« Ma tu... chi sei? » fu tutto ciò che riuscì a dire.
« Io sono Nul » rispose l’incappucciato con un leggero inchino. « Vengo da un altro mondo, e ciò che ho fatto della mia vita non ti riguarda minimamente. Non ho una fidanzata, ma questo è un dettaglio irrilevante allo scopo del nostro incontro. »
Akane inarcò un sopracciglio. A parte il nome, decisamente ne sapeva quanto prima sull’identità di quel tipo.
« Tu hai qualcosa che non va » dichiarò, cercando di tagliare corto. « Ora scusami, ma si è fatto tardi... devo andare. »
Voltò dunque le spalle a Nul e raccolse la sua borsa.
« Non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta, mia cara » disse lui nel frattempo. « Io sono venuto per te... per aiutarti a tale proposito. »
Akane lo guardò stizzita. Quel tipo cominciava a darle sui nervi... eppure riusciva nel frattempo a metterla a disagio. L’aria misteriosa e la voce glaciale davano l’impressione di uno con cui non c’era da scherzare; qualcosa le disse dunque di provare ad assecondarlo, per capire le sue intenzioni.
« E quale sarebbe la cosa giusta da fare? » domandò lei, cercando di mantenere la calma.
Nul guardò per un attimo l’orologio appeso al muro, poi tornò a guardare Akane.
« Dovrai restare qui a farmi compagnia » rispose, « solo per un po’... finché non sarò stufo della tua compagnia. »
Di male in peggio. Il brutto presentimento di Akane peggiorò fino a raggiungere la soglia dell’attenzione.
« Capisco » disse. « Be’, mi piacerebbe tanto restare, ma devo proprio andare. Sarà per un’altra volta, Nul. »
S’incamminò verso l’uscita, passando di fianco a Nul con l’intento di superarlo; in quel momento, tuttavia, si sentì afferrare per un braccio. Akane si voltò subito, esterrefatta.
« Temo di dover insistere » mormorò Nul con tono piatto. « Se te ne vai ora, non potrai fare la cosa giusta. Andrà tutto bene, te lo assicuro. »
« Toglimi subito quella mano di dosso! » esclamò Akane indignata. « Ti avverto, non hai idea di cosa sono capace quando mi arrabbio. Se ci tieni al tuo naso, ti do tre secondi per lasciarmi andare: uno... due... »
Successe in un attimo. Per Akane fu come se una forza enorme l’avesse investita in pieno, partendo dal braccio dov’era stata afferrata; i suoi piedi si staccarono da terra e lei venne spinta all’indietro, cadendo a terra sulla schiena. La ragazza strisciò per il pavimento lucido per parecchi metri, prima di fermarsi a pochi centimetri dal muro.
Si rialzò lentamente pochi secondi dopo, la schiena dolorante e lo sguardo incredulo, rivolgendolo subito verso Nul. Costui era dove lo aveva lasciato prima di fare quel volo allucinante.
« Ma... » balbettò sconvolta, « ma... cosa mi hai... »
« Ti ho lasciata andare » si giustificò Nul. « Me lo hai chiesto tu. »
Mio Dio, pensò Akane, fissando l’incappucciato senza parole. Era bastato quello spintone per farle comprendere la realtà. Nul era sicuramente un tipo strano, ma ora aveva la prova di quanto avesse da nascondere: una forza incredibile, fuori dal comune... proprio come Ranma.
« Ma sei pazzo? » gridò Akane, ormai fuori di se per la rabbia. « Per poco non mi spaccavi il braccio! Si può sapere che diavolo vuoi da me? »
« Te l’ho già detto, voglio aiutarti » rispose Nul con il solito tono piatto. « Un giorno mi ringrazierai per questo. »
« E tu mi ringrazierai per esserci andata piano con te! »
Akane scattò in avanti in un secondo, raggiungendo Nul e sferrandogli un pugno in pieno volto. Lui lo schivò per un soffio. La ragazza continuò ad attaccare: pugno, calcio, ancora pugno; Nul schivò ancora, tenendo le mani dietro la schiena. Akane non si arrese e sferrò un calcio con tutta la sua forza... ma fu bloccato all’ultimo istante dalla mano di Nul.
« Uhm, notevole » commentò l’incappucciato. « Sei migliorata dall’ultima volta che ti ho vista combattere. »
Mollò la presa, permettendo ad Akane di tornare in guardia.
È pazzesco... ha una forza e una tecnica micidiali. Oltretutto, il suo stile di combattimento somiglia molto al mio. Ma chi diavolo è questo tipo?
La ragazza scosse la testa e si lanciò in un nuovo attacco, sempre più furibonda. Se voleva averla vinta, doveva fare subito sul serio. Sferrò una nuova serie di colpi, più rapidi e violenti; Nul smise di schivare e passò alla difensiva, usando entrambe le mani per parare. Per un attimo, Akane giurò di vedere il suo avversario in difficoltà... un’ipotesi incenerita subito dopo, non appena Nul riuscì a bloccarle le braccia.
« Se ti arrabbi sarà tutto più difficile » disse l’incappucciato. « E poi voglio vederti sorridere... sei più carina quando sorridi, sai? »
Akane rimase a bocca aperta, immobile quando Nul mollò la presa. La sua ira svanì nel giro di un istante: quelle parole non potevano essere buttate lì per caso; ricordava benissimo quando aveva udito lo stesso complimento da Ranma, molto tempo prima. Eppure lui glielo aveva detto in privato, lontano da occhi o orecchie indiscrete. Come faceva a saperlo?
Ora aveva decisamente paura di quel tipo.
« Ma tu... » chiese « come fai a conoscermi? »
« Abbiamo un amico in comune » rispose Nul. « Il tuo ex fidanzato, Ranma Saotome... quello che è scappato da casa tua un anno fa, mandandoti a quel paese insieme al resto della ciurma. Ti ho osservata fin dal giorno in cui lui arrivò a casa tua un paio di anni fa, in quel dì di pioggia sulle spalle pelose del suo stupido padre. Un dì che ha cambiato per sempre la tua vita, che da quel momento si è riempita di gente squilibrata e/o afflitta da sortilegi. »
Akane strinse i pugni, sentendo la rabbia invaderla di nuovo.
« Eccolo, dunque, il tuo promesso sposo » aggiunse Nul, assumendo un’aria solenne. « Uno scherzo della natura, vittima sfortunata di un’antica maledizione! Come poteva andare peggio? Oh, ma certo... era solo l’inizio di una lunga serie di eventi: Kuno, Ryoga, Shanpu, il vecchio Happosai... gente da cui avresti preferito stare alla larga, se non fosse stato per il tuo fidanzato. Ammettilo, gli ultimi due anni sono stati incasinati di brutto per causa sua... »
« Ora basta! » urlò Akane, superato il limite. « Stà zitto! »
Tornò in guardia e si preparò per un nuovo attacco frontale. Nul la evitò con un salto, e nel frattempo estrasse un’arma dalla manica del soprabito: Akane la notò appena in tempo per scansarsi, mentre una specie di maracas gigante si abbatteva sul pavimento, spaccandolo.
Lo sguardo incredulo della ragazza si posò sul bonbori non appena tornò in guardia. Dopo aver rischiato la vita diverse volte per mano di Shanpu, non poteva non riconoscere l’arma che lei amava usare in combattimento. Nul l’aveva tirata fuori dal nulla all’improvviso, senza preoccuparsi di causare danni all’ambiente. Il loro duello era molto rumoroso... com’era possibile che nessuno fosse ancora intervenuto?
« Hai persino rischiato di rimanerci secca, in più di un’occasione » disse Nul, guardando il suo stesso bonbori, « solo perché eri vicina a Ranma... un tipo così affascinante da ammaliare un sacco di donne. Uhm, onestamente mi piacerebbe sapere il suo segreto! »
Nul si era perso in chiacchiere. Akane pensò di sfruttare il momento per svignarsela, e iniziò a correre verso l’uscita; l’incappucciato gli lanciò qualcosa addosso, e lei si fermò appena in tempo per evitarlo. Un grosso oggetto metallico andò a conficcarsi sul pavimento davanti a lei, frenando il suo nuovo tentativo di scappare. Akane riconobbe anche questo: era un’enorme spatola di metallo, la stessa che usava Ukyo per combattere e cucinare.
Nul apparve accanto alla spatola un attimo dopo, afferrandola.
« Ben presto hai dovuto affrontare questa realtà » disse, riprendendo il discorso. « Ranma aveva fin troppe spasimanti... persino amiche di vecchia data. Eppure non ha mai scelto di legarsi a nessuna di loro, nonostante le continue avances da parte di tutte... secondo te cosa lo avrà spinto a ignorare tutti quei trionfi di bellezza? »
« Haah! »
Il pugno di Akane mirò alla faccia di Nul. Lui lo schivò e rispose con un altro pugno. Akane riuscì ad afferrarlo e ad eseguire una proiezione sull’avversario, buttandolo a terra. La via era libera! La ragazza riprese a correre, ma dopo una decina di metri qualcosa si avvinghiò alle sue gambe. Akane perse l’equilibrio e scivolò a terra. Ignorò il dolore e guardò i suoi piedi: Nul glieli aveva legati con un lungo nastro, molto simile a quello che Kodachi Kuno amava sfoggiare in pubblico.
Nul raggiunse Akane, mollando la presa sul nastro.
« Tu non eri migliore di loro, dopotutto » commentò l’incappucciato. « Non eri più forte di Shanpu. La tua cucina non era all'altezza di quella di Ukyo. E sicuramente non eri spregiudicata come Kodachi... né così stronza, ma questo va a tuo vantaggio. A pensarci bene, in confronto a loro non valevi un granché: all’epoca non c’era verso di dimostrare la tua superiorità, con quel poco che sapevi fare. »
Akane lo guardò, mescolando rabbia, amarezza e dolore nei suoi occhi.
« Ma le cose sono cambiate adesso, dico bene? Qui alle Hawaii hai seguito vari corsi per migliorare le tue qualità: corso di cucina, nuoto, informatica... e naturalmente non hai rinunciato alle arti marziali. Tutto questo ti ha reso migliore, senza dubbio, eppure non riesci comunque ad andare avanti. Non riesci a dimenticare lui. »
« Come potrei dimenticarlo? » mormorò Akane, afflitta. « Ranma... è andato via per colpa mia. Gli ho dato un sacco di problemi, e ne aveva già abbastanza da affrontare. Mi voleva bene... ha fatto così tanto per me... e io non ho fatto altro che dargli dello stupido! »
I suoi occhi iniziarono a lacrimare, e si portò una mano alla bocca.
« Non volevo che accadesse » proseguì con voce rotta. « Non volevo... che andasse via. Ora lui... è chissà dove, e non posso fare nulla... per rimediare. Non posso chiedergli scusa... né dirgli quanto sono stata stupida. Ma spero che, ovunque lui sia... possa essere felice. »
In quel momento, Akane sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Nul si era inginocchiato accanto a lei, cogliendola di sorpresa: in qualche modo riusciva a non apparire più minaccioso.
« Tu non hai nessuna colpa » dichiarò l’incappucciato. « Ranma è andato via perché sentiva di doverlo fare. Ha pensato bene a ciò che faceva prima di mettere piedi fuori da casa tua, puoi credermi. Sapeva perfettamente cosa lo attendeva la fuori... e cosa stava lasciando indietro.
« Ranma ti voleva bene, e te ne vuole ancora. Era sempre rimasto al tuo fianco, anche se ogni settimana doveva fare i conti con nuovi nemici, e te che continuavi a chiamarlo stupido. Se non fosse stata per una lunga serie di sfighe che vi hanno complicato la vita, non ho alcun dubbio che sareste stati una gran bella coppia. Ora le vostre strade si sono separate, ma ciò non cambia quello che Ranma desidera per te: lui vuole che tu sia forte... ma soprattutto, vuole che tu sorrida. Sempre. »
Akane lo guardo incredula mentre le offriva l’altra mano, per aiutarla a rialzarsi. Lei la prese, dopo aver ripreso il controllo.
« Come fai a esserne sicuro? » domandò lei, rimettendosi in piedi.
« Perché conosco Ranma... e conosco te. »
« Ma tu chi sei? »
Nul tacque per un attimo.
« Puoi considerarmi un vostro grande ammiratore. Uno a cui sta a cuore il vostro futuro... che può diventare roseo, facendo la cosa giusta. »
« La cosa giusta... » ripeté Akane, ancora dubbiosa. « Era forse questa? Rendermi conto della realtà? »
« Oh no, la cosa giusta era farmi compagnia per un po’ » rispose Nul con tono sincero, « ma tu hai scelto di rendere tutto più difficile con il tuo spirito da maschiaccio. Heh... temo proprio che su questo aspetto non cambierai mai! »
Akane si lasciò sfuggire un sorrisetto... una reazione di cui persino lei stessa si stupì. Quel tipo misterioso l’aveva provocata e malmenata, e aveva finito per fidarsi di lui; non riusciva a capire come fosse possibile, eppure sentiva che fosse la cosa giusta da fare. Nul aveva ragione.
Ranma le voleva bene.
L’attenzione di Nul si spostò sull’orologio appeso al muro, che in quel momento segnava le sette e mezza.
« Beh, ora devo andare » dichiarò, voltando le spalle ad Akane. « Grazie per avermi fatto compagnia. »
« Cosa? » fece Akane, ora confusa. « Aspetta, non capisco ancora... perché sei venuto da me? »
« Per aiutarti » rispose la voce di Nul, mentre si allontanava. « E l’ho fatto: ti ho appena fatto dono di una nuova opportunità... ora tocca a te. Addio e buona fortuna, Akane Tendo. Sii felice... e ricordati di sorridere. »
E riprese a fischiare, lasciando Akane inchiodata al suo posto. Le note di Aloha Oe echeggiarono per tutto lo spazio, anche dopo che la figura di Nul sparì alla vista, confondendosi tra le ombre che ormai avvolgevano gran parte della palestra.
Akane impiegò parecchio per accettare ciò che le era accaduto negli ultimi minuti. Poi, ricordando quanto fosse tardi, riuscì a tornare in sé e recuperò la sua roba, uscendo finalmente dalla palestra. Ci avrebbe riflettuto meglio a casa, si disse, in una vasca piena d’acqua calda in cui non vedeva l’ora d’infilarsi...
Ma le sorprese, quella sera, non erano ancora finite. Non appena Akane mise piede fuori dalla palestra, si rese conto del diluvio che imperversava in quel momento sopra la città: una pioggia fitta e violenta... e lei non aveva con sé neppure un ombrello.
« Dannazione! » esclamò Akane, frustrata per un cambiamento climatico così repentino: infatti splendeva il sole quando era entrata in palestra, mentre ora le toccava farsi praticamente una nuotata per arrivare al campus.
È tutta colpa di quel Nul... se non mi avesse trattenuta, a quest’ora sarei già a casa!
Rassegnata, la ragazza cercò di affrontare la pioggia, con l’unica protezione offerta da una rivista recuperata dalla sua borsa. Arrivata sul ciglio della strada cercò di attraversare, quando una macchina sbucata dal nulla sfrecciò molto vicino al marciapiede; vide distintamente un’ondata d’acqua gelida schizzare verso di lei, pronta ad inzupparla. Akane si ritrasse, ma quello schizzo non la raggiunse nemmeno: l’improvvisa comparsa di un ombrello l’aveva protetta, impedendo ulteriori danni alla sua persona.
La ragazza, sorpresa, spostò lo sguardo dall’ombrello alla mano che lo impugnava, entrambi appartenenti ad un ragazzo hawaiano apparso all’improvviso accanto a lei. Era alto, di bell’aspetto, dai corti capelli castani e gli occhi scuri; lanciò una breve sfilza di insulti all’auto ormai lontana, prima di voltarsi a guardare Akane.
« Che imbecille... tutto bene? » disse.
« Oh! Sì... grazie mille » fece Akane.
Il ragazzo sorrise.
« Figurati. Sei diretta al campus, vero? Anch’io sono diretto laggiù... ti do uno strappo, se vuoi. »
Akane non rispose subito. Era troppo impegnata ad osservare compiaciuta il suo salvatore, mentre una notevole sfumatura di rosso si diffondeva sulle sue guance.
« Vo-volentieri! » rispose infine, sorridendo. « Mi stai salvando la vita. »
I due s’incamminarono dunque lungo la strada, insieme, continuando la conversazione al riparo sotto l’ombrello.
« Mi chiamo David. »
« Io sono Akane... molto piacere. »
E mentre si allontanavano, diretti verso il campus, qualcuno alle loro spalle era intento ad osservarli, immensamente soddisfatto del risultato ottenuto. Soltanto Nul poteva vedere gli sviluppi futuri di quell’incontro casuale: quello non era che l’inizio di una nuova storia, che avrebbe proseguito sui binari giusti grazie a lui. Il suo piano era riuscito alla perfezione: trattenere Akane in palestra fino a quel momento, affinché potesse incontrare David su quel marciapiede; parlare di Ranma non era poi così necessario, ma era servito a guadagnare tempo. In ogni caso, Akane avrebbe dimenticato tutto molto presto, trovando spazio nel suo cuore per qualcun altro.
La cosa giusta, dal suo punto di vista... il resto toccava a lei.  
   

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Epilogo
 
Tokyo, due anni dopo.
Ranma Saotome era tornato a casa, insieme a colei che entro un paio d’ore sarebbe diventata sua moglie. Le cose avevano funzionato a meraviglia tra i due, tanto che ormai i tempi erano diventati maturi per compiere il grande passo. La notizia aveva sorpreso enormemente le famiglie di entrambi, dato che Ranma e Roslin si erano tenuti alla larga dai loro cari per molto tempo; ma ora erano pronti a rivedere tutti, lasciandosi i giorni tristi alle spalle per costruire un meraviglioso futuro insieme.
La cerimonia si svolgeva in un santuario shintoista, in maniera tipicamente tradizionale: mentre gli sposi e le loro famiglie si riunivano in privato con i sacerdoti, gli ospiti vennero fatti attendere fuori nel giardino. Nul passeggiava tranquillo tra la folla di invitati, invisibile ai loro occhi per sua volontà: era andato tutto a gonfie vele, pensò, mentre osservava i risultati del suo graduale intervento nella vita di Ranma e di coloro che gli erano vicini. Individuò Ryoga, con indosso un inedito abito elegante, ma senza separarsi dalla sua bandana giallo-nera; era accompagnato dalla sua fidanzata Akari, bella e radiosa come sempre. Nul li superò, non più degni della sua attenzione: quel ragazzo era stato uno dei pochi amici di Ranma a non aver bisogno di aiuto... ma dal suo punto di vista, era stato solo un problema in meno da risolvere.
Più avanti scorse la famiglia Tendo al gran completo. Il padre Soun chiacchierava sereno con le sue tre figlie e i loro rispettivi compagni: Kasumi con suo marito, il dottor Tofu, e il loro figlio neonato; Nabiki insieme al fidanzato Kuno, silenziosi ma tranquilli; infine Akane, tornata in patria appena pochi giorni prima insieme al suo ragazzo, David. Quest’ultimo appariva incerto dal momento che non conosceva nessuno, ma restava paziente al fianco dell’amata. Nul li osservò uno dopo l’altro con aria soddisfatta, cogliendo uno stralcio della loro conversazione.
« Avevi già conosciuto Rose? » domandava Kasumi ad Akane.
« Non di persona, ma Ranma me ne aveva parlato parecchio negli ultimi mesi » rispose la sorella. « Non volevo perdermi l’occasione di farle da damigella... è incredibile quanto assomigli a “lei”, non è vero? »
« Già, ancora stento a crederci » fece Soun. « Fa strano vederli insieme, come due persone distinte. »
« Siamo sicuri che non sia la stessa ragazza con il codino? » obiettò Kuno, visibilmente confuso.
« Uff... te l’ho già spiegato, caro » gli rispose Nabiki spazientita. « Ranma era la ragazza con il codino, per la maledizione. Roslin non ha nulla a che fare con questo. »
Nul scosse la testa e passò oltre, invisibile come un’ombra. Dopotutto certe cose non cambiavano mai...
Proseguendo, un’altra persona attirò la sua attenzione: una giovane dai lunghi capelli castani, in abito tradizionale come gran parte degli ospiti, armata di una grande spatola di metallo. Ukyo era da sola, ma dimostrava la stessa allegria di tutti quanti. Nul non aveva avuto bisogno di aiutarla, era sempre stata forte: perciò, vedere Ranma convolare a nozze con un’altra donna non le provocava più alcun dispiacere. Erano amici d’infanzia, dopotutto, e non poteva perdersi un momento del genere. L’incappucciato rimase ad osservarla per un po’, quando un nuovo mormorio in lontananza non segnò l’inizio della cerimonia.
Venne formata la prima parte del corteo. In prima fila, gli sposi: Nul riconobbe Ranma, nuovamente con i capelli lunghi raccolti in un codino, vestito con un kimono nero e con in mano il ventaglio; al suo fianco Rose, bellissima nel suo splendido kimono bianco e coperto; dietro, i genitori di Ranma e il padre di Rose, insieme ai sacerdoti. A loro si unirono Ryoga e Akane, rispettivamente i testimoni dello sposo e della sposa.
Il corteo passò quindi a raccogliere gli invitati, formando una lunga coda di persone che si accomodò nel santuario. All’interno gli sposi e i genitori si sedettero al centro, mentre gli ospiti si accomodarono attorno, come in un teatro greco; Nul li seguì e prese posto, impassibile come sempre.
Anche uno come Nul doveva ammettere la meraviglia e la magia di quel momento. L’unione di una coppia in matrimonio era ciò che di più bello potesse esistere tra gli uomini, in ogni mondo da lui visitato. Era qualcosa per cui valeva la pena aspettare... o fare in modo che accadesse: quei due ragazzi sull’altare si trovavano là in quel momento grazie a lui. Aveva lavorato a lungo, mettendo i pezzi nel giusto ordine affinché il risultato fosse infine questo: un lieto fine, per Ranma e per tutti coloro che gli erano vicini. In un modo o nell’altro, aveva concesso a ognuno di loro una nuova opportunità per essere felici... si trattava solo di fare la cosa giusta.
Perciò Nul non doveva far altro che mettersi comodo e sorridere compiaciuto alla vista degli sposi mentre si scambiavano del sake da bere, e infine gli anelli, segnando la fine della cerimonia. Ranma e Roslin erano ora marito e moglie. Nul si unì all’applauso collettivo, per poi unirsi alla folla mentre lasciavano il santuario per proseguire i festeggiamenti.
Poco dopo fu allestito un magnifico banchetto a cui presero tutti parte. Nul proseguì il suo giro per il posto, servendosi nel frattempo di aperitivo e deliziosi stuzzichini; come al solito, nessuno faceva caso a lui, e osservò gli invitati mentre si congratulavano con gli sposi, uno dopo l’altro. Il padre di Rose chiacchierava allegro con Genma e Soun: bastava guardarlo in faccia per capire che tra lui e la figlia fosse stato tutto perdonato.
L’incappucciato indugiò in particolare su Akane e David: il ragazzo hawaiano sembrava andare molto d’accordo con Ranma, e lo stesso si poteva dire per Rose e Akane. Lei sorrideva con orgoglio, rendendola più carina di quanto lo stesso Nul riuscisse a ricordare.
Tra Akane e Ranma andava tutto bene, ormai. Il loro vecchio legame, a lungo trascurato, si poteva vedere ora consolidato dal nuovo stato delle cose. Erano rimasti grandi amici, ormai, e sembrava funzionare.
La festa proseguì a lungo. Nul non volle perdersi nemmeno un istante, e restò finché la band ingaggiata per l’evento non iniziò a suonare. Ranma e Rose aprirono le danze tra gli applausi; a loro si unirono Genma e Nodoka, seguiti da Akane e David e da altre coppie. A quel punto Nul fu soddisfatto, e decise di congedarsi; rivolse un ultimo sguardo agli sposi, abbracciati l’uno all’altro sotto le note di una canzone di Adriano Celentano. Il fascino dell’Italia, pensò, non li aveva mai abbandonati...
Fu allora che Ranma posò lo sguardo su di lui. Nul ne rimase sorpreso: non pensava che il ragazzo potesse vederlo anche in quel momento. Ranma apparve stupito per un attimo, ma poi sorrise, facendogli un rapido saluto con la mano. L’incappucciato si trovò allora a ricambiare, facendo un cenno con la testa... una reazione per cui si stupì da solo. Forse non era poi così distaccato, dopotutto... aveva ancora qualcosa di umano dentro di sé.
E dopo quell’ultimo saluto, Nul voltò le spalle a tutti. Raggiunse i confini del giardino in cui era in atto la festa, fino a salire su una collinetta da cui poteva ammirare l’intero scenario. Fissò l’orizzonte, beandosi del panorama avvolto dalla luce del sole che ormai si apprestava a calare su Tokyo. Un ultimo sguardo alla sua opera prima di sparire per sempre dalla vita di Ranma Saotome. Ma poi sentì una voce nell’aria che attirò la sua attenzione. Non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscerla, dal momento che era ancora solo su quella collinetta; Lei era dappertutto, e si aspettava di sentirla, prima o poi.
« Meraviglioso » disse la voce, femminile e pacata. « Hai fatto un ottimo lavoro. »
« Grazie » rispose Nul. « Era da tempo che non mi capitava di assistere a un lieto fine come questo. Ranma se lo meritava, come ogni eroe che si rispetti. »
« Mi dispiace che tu sia dovuto intervenire, pur di vederlo. »
Nul scosse la testa.
« Bah... non m’illudo che questo sistemi tutto. È il tuo mondo, dopotutto... e questo è solo la conseguenza di un “se”: un possibile sviluppo della storia originale. Cercavo di dare a mio padre quello che bramava di vedere da un sacco di tempo... e ci sono riuscito. »
« Cosa farai, adesso? » domandò Lei.
« Immagino che tornerò in panchina » rispose Nul con un’alzata di spalle, « finché mio padre non avrà di nuovo bisogno di me. È tempo di dire addio per sempre a questo mondo. »
L’incappucciato allargò le braccia con aria solenne, mentre sulla sua schiena spuntavano due grandi ali da uccello, nere come la pece, dispiegandosi nell’aria. Fino a quel momento aveva dovuto farne a meno, ma ora si sentiva libero come non mai: libero di volare... libero di sparire.
« Allora addio, Nul » dichiarò Lei. « Grazie per il pensiero... e buona fortuna. »
« Grazie a te, Rumiko. »
E con un ultimo sguardo al panorama, Nul spiccò il volo e sparì tra le nuvole, rapido come un fulmine. Ranma Saotome e la sua famiglia non avevano più bisogno di lui, e ora erano liberi di godersi la vita meravigliosa ottenuta grazie al suo piccolo aiuto.
Tutto sarebbe andato bene.
 
FINE
 
 
Spazio autore:
Ciao a tutti! Ebbene sì, finalmente la mia storia è giunta al termine. Spero di aver soddisfatto la curiosità di tutti voi e di avervi emozionati con questa mia visione personale del mondo di Ranma. Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito, in particolar modo quelli che hanno voluto lasciare un commento sul mio operato: Ranmaniano, LadyChiara, Gretel85, Kodocha, polpettina fritta, Beatrice79 e PepsiCola (spero di aver ricordato tutti!). Sono contento che vi sia piaciuto. Per chi inoltre abbia apprezzato particolarmente il personaggio di Nul, mia personale creazione, invito a conoscerlo meglio nell’altra opera attualmente in corso, Interior Dissidia, dove sarà nientemeno che l’antagonista principale.
Grazie a tutti per l’attenzione ;) :) 

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