Immortality - Patto di sangue

di SabrinaSala
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ethan ***
Capitolo 2: *** Rose ***
Capitolo 3: *** Scott ***
Capitolo 4: *** Leggende... ***
Capitolo 5: *** Attrazione ***



Capitolo 1
*** Ethan ***


Capitolo 1 - Ethan
 
Sprofondata nel sedile ergonomico dell’auto sportiva di Ethan, Rose aveva finito col non ascoltarlo più. Fermi all’unico semaforo di Sunsetville, la ragazza lasciava vagare lo sguardo fuori dal finestrino, perdendosi tra le gocce di pioggia che si rincorrevano sul vetro.
Annoiata, il mento appoggiato al dorso della mano,  sentiva la voce profonda di Ethan elencare gli aggiornamenti dei preparativi per la festa di fidanzamento.
Una goccia, due gocce, tre gocce… contò, seguendo la scia di quelle lacrime. E fu allora che li vide. Due profondi occhi scuri che incrociarono i suoi. Marrone nel marrone.  
Istintivamente si tirò su, scostando la ciocca di capelli castani che le attraversava la fronte, acuendo lo sguardo per catturare tra le gocce l’immagine di un ragazzo moro, fermo alla stazione di servizio, impegnato a riempire il serbatoio di un vecchio furgone sgangherato.
Evidentemente un forestiero, si disse.
Indossava una maglia grigia sotto una camicia a scacchi rossa e blu, sbottonata,  e nonostante la piovigginosa temperatura autunnale, le maniche arrotolate fino ai gomiti.
Verde.
L’auto scattò in avanti. Rose afferrò un’ultima istantanea dello sconosciuto che si voltava seguendo la macchina con lo sguardo. Uno sguardo rivolto a lei, o più probabilmente a quell’auto rossa fiammante,  evidentemente in contrasto con il mezzo rottame che lo aveva portato fin lì?
Si sedette composta, riportando gli occhi sul cruscotto. La voce di Ethan una cantilena sensuale e opprimente.
«Rose…»
Si volse a guardarlo, intercettata dal suo sguardo blu intenso.
La ruga leggera che gli attraversava la fronte le strappò un sorriso, così come la sua estrema avvenenza. Era terribilmente bello! Giovane e atletico. Emanava un fascino particolare. Qualcosa di antico mescolato a un qualcosa di moderno. La pelle chiara, il naso perfetto.  Gli zigomi alti e marcati, gli occhi di quel particolare punto di blu, in grado di apparire quasi neri a volte, ma non ancora contaminati dagli effetti del passaggio, costellati da ciglia chiare come i capelli corti. E le labbra… oh, le labbra!  Labbra disegnate. Da togliere il fiato. Rosse e sensuali.
Ed era suo.
Lo era sempre stato.
Quel pensiero irritante la portò a mordersi istintivamente il labbro inferiore.
«Non mi stavi ascoltando? » le domandò Ethan accigliato, assumendo un’aria irresistibile.
Rose emise un sospiro, voltandosi di nuovo verso il finestrino per sfuggire al suo sguardo. Quasi si sentisse in colpa. Chiunque altra, al suo posto, avrebbe ringraziato il Cielo per un’opportunità del genere. Non lei. Che a diciannove anni si sentiva schiacciata, obbligata da un patto che lei non aveva mai siglato.
«Mi sono distratta… Perdonami » disse.
Ethan le fece scivolare addosso uno sguardo rassegnato, mentre le sue labbra sorridevano di un leggero rimprovero.
«Non devi chiedermi scusa, lo sai… », mormorò. «Tu non devi sottometterti a me. »
La convinzione che vibrava in quell’affermazione arrivò a Rose come l’ennesima pugnalata. Possibile che non capisse? La sua gentilezza le faceva male.
Si volse.
«Ethan, io… »
Senza lasciarla parlare, Ethan si piegò verso di lei. Il fruscio della camicia azzurra, poi un bacio leggero che le sigillò le labbra. Soffermandosi nei suoi occhi nocciola, il ragazzo le sorrise mettendo in evidenza i denti candidi e perfetti. Seducente come solo lui sapeva essere.
«Riprenderemo il discorso più tardi. » disse riportando gli occhi sulla strada deserta. «Non dobbiamo decidere tutto adesso», concluse sfiorandole un ginocchio con la mano libera dal volante.
Tra di loro scese il silenzio.
Un silenzio imbarazzato per Rose. Incapace di adattarsi alla situazione ma anche di trovare una via d’uscita. Un pensiero rivolto ai due occhi scuri lasciati alla stazione di servizio.
Un silenzio carico di promesse per Ethan. Orgoglioso della sua bella ragazza, ma soprattutto orgoglioso di amarla tanto intensamente. Cosa non scontata per un MacKenzie… Il Destino, pensò, era stato generoso con lui. 

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Capitolo 2
*** Rose ***


Capitolo 2 - Rose


Rose cercò sollievo tra i libri. 
La piccola biblioteca di Sunsetville era da sempre il suo rifugio segreto. Una bomboniera profumata di legno e di carta stampata. Il suo nido. Fin da ragazzina. Prima che le immense stanze straripanti di ricercati e preziosi volumi antichi di Vancouver la conquistassero e la stordissero con la loro magnifica e al tempo stesso soffocante grandiosità.
La biblioteca di Sunsetville era rassicurante, con i suoi volumi un po’ datati, i ripiani ordinati, i corridoi che non serpeggiavano come interminabili labirinti. 
Ma illudersi di essere sola, per Rose, a Sunsetville era praticamente impossibile.
Smettendo immediatamente di leggere il paragrafo, del quale non aveva comunque capito una parola, sollevò gli occhi scuri e partendo dalle mani che si erano inaspettatamente appoggiate al suo tavolo finì con l’incrociare lo sguardo imperscrutabile di suo fratello Sean. 
«Sapevo di trovarti qui»
Rose si strinse appena nelle spalle, sottolineando l’evidenza. 
Certo che lo sapeva… Dove altro poteva essere?
Sean si passò una mano tra i capelli castani come quelli della sorella, scostando dalla fronte il ciuffo ribelle che minacciava costantemente di nasconderla, e si sedette sul tavolo guardando fuori dalla finestra.
Rose rispettò il suo silenzio, soffermandosi sul suo profilo. Avevano un solo anno di differenza. Uno solo. E sebbene Sean fosse il più piccolo, dietro quella sua apparente fragilità e quel volto da fanciullo nonostante i diciotto anni compiuti, era sempre sembrato più maturo di lei.
Più serio, più posato, più introspettivo. Cosa che l’aveva sempre sorpresa. L’introspezione, lei, non sapeva nemmeno cosa fosse. Fino a quell’estate… 
«Non sembri felice, Rose» mormorò.
La sorella se ne uscì in uno sbuffo sarcastico. Corrugando la fronte chiuse il libro, fermo sulla stessa pagina da quando era entrata, e si sollevò rumorosamente dalla sedia.
«E’ bello che qualcuno si ponga delle domanda…» rispose. 
Sean saltò giù dal tavolo e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni scuri. Sfiorando i lembi della camicia bianca. 
«Sei qui per controllarmi? » gli domandò Rose raccogliendo i volumi che avrebbe portato a casa. Senza guardarlo, sollevando un sopracciglio, indice di irritazione e scetticismo.
«Ethan non ha bisogno che qualcuno ti controlli… »
Bella risposta! Azzeccata e tremendamente realistica. 
Rose gli lanciò un’occhiata e lui ricambiò il suo sguardo. Ma solo per un secondo. Distogliendolo subito dopo. Sospirò, rassegnata.
Sean aveva una vera e propria venerazione per Ethan… Come tutti, del resto. E come era giusto che fosse…
Senza ribattere a quella provocazione, precedette il fratello all’uscita. Una vampata di aria umida l’accolse sulla sommità della breve rampa di scale, facendole rimpiangere la gradevole frescura dell’interno.
La pioggia di quegli ultimi giorni aveva alzato le temperature autunnali e impregnato l’aria, rendendola quasi irrespirabile. 
Prima che il suo piede avesse sceso un gradino, il suo sguardo fu attratto da un’immagine che le parve vagamente familiare. 
Si volse. Il furgone ammaccato della stazione di servizio… ricordò. 
Scese le scale e improvvisamente urtò qualcosa o qualcuno che si muoveva nella direzione opposta alla sua. 
I libri le sfuggirono di mano, mentre con un’esclamazione sorda si piegava a raccoglierli frettolosamente da terra, percependo in ritardo i due occhi scuri che l’avevano attraversata. 
Il proprietario di quello sguardo caldo e profondo si chinò, portandosi alla sua altezza, e Rose lo riconobbe senza alcuna esitazione.
Il ragazzo della stazione di servizio…
«Scusa» disse. Piegato sulle gambe fasciate nei jeans chiari, sdruciti sulle cosce tese. 
Rose serrò la mascella. Incapace di muoversi così come di rispondere. Affascinata dai lineamenti sconosciuti di quel volto ambrato. Catturata da quei profondi occhi scuri che sembravano lambirla profondendosi in una calda carezza.
Sussultò. Non aveva mai provato quelle sensazioni. Nessuno l’aveva mai guardata in quel modo… Si scosse. Forse perché nessuno, a Sunsetville, aveva mai osato levare il proprio sguardo su di lei. 
Il ragazzo fece un cenno con la testa. Come in una tacita richiesta di rassicurazioni. Domandandole con gli occhi se fosse tutto a posto o se dovesse preoccuparsi.
Rose si sollevò e lui fece lo stesso, lentamente. L’ultimo volume raccolto da terra ancora in mano.  
«Scusami» ripeté allargando il suo sorriso. Gli occhi divennero due lucide fessure nocciola. 
Rose sembrava incantata.
Fu Sean a intervenire, spingendo la sorella a scendere gli ultimi gradini.
«Fai più attenzione, la prossima volta», lo liquidò seccamente.
La ragazza si lasciò trascinare via, seguita dallo sguardo perplesso del forestieroc che qualche minuto più tardi infilò la porta della biblioteca archiviando quel piccolo e sciocco incidente con una bonaria alzata di spalle.
***

Scott Davenport lasciò le monetine sul bancone della tavola calda. Prese il suo caffè e si avviò alla porta. Era intento a togliere il tappo di plastica dal bicchiere di carta quando la vide. Attraverso i vetri appannati del locale. 
Come la prima volta… sorrise. Solo che quella volta, il vetro era quello di una fiammante auto sportiva. 
Si fermò. Prendendosi qualche secondo per osservarla. Per riconoscere quell’espressione seria, forse troppo per una ragazza della sua età. Alta, snella, i lunghi capelli castani che ricadevano lisci sulla spalle strette in un maglioncino dal collo alto che metteva in risalto le forme piacevoli e non esagerate. Gli occhi scuri, nocciola per l’esattezza, le labbra ben disegnate. 
Non si era accorta di nulla. Di lui che la stava fissando, anche se da dietro un vetro appannato. Persa in chissà quali pensieri, immaginò. 
Poi, inaspettatamente, quella ragazza alzò lo sguardo e i loro occhi si agganciarono per un lungo istante. 
Le labbra di Scott si piegarono in un sorriso, mentre a gesti cercava di chiederle se potesse offrirle qualcosa. Ma il cuore di Rose perse un battito. 
Ancora quegli occhi scuri e insolenti. Occhi che si attardavano su di lei. Quello sguardo carico, caldo, rassicurante. 
«Posso scusarmi per questa mattina? »
Rinunciando all’alfabeto dei segni, Scott si era sporto dalla porta, colto da uno sbuffo di aria fredda e le aveva rivolto un chiaro invito ad entrare. 
Rose non rispose. Non subito. Ma questa volta la sua esitazione durò solo un momento. Doveva capire… Voleva capire… Scoprire il segreto di quegli occhi che la ipnotizzavano…
Annuì e approfittando della porta aperta, entrò scivolandogli accanto. 
Elettrizzante! Pensò.
La sua presenza è elettrizzante!
«Sola? » domandò lui guardandosi attorno, come per sincerarsi di non fare un torto a nessuno. 
Quando Rose annuì, la condusse ad un tavolo facendola accomodare,  prendendo posto di fronte a lei.
«Mi dispiace per questa mattina» esordì, annuendo contemporaneamente alla cameriera che dal fondo del locale accennava al blocchetto degli appunti e alla caraffa piena di caffè. Offrendo a Rose una manciata inaspettata di secondi per osservarlo più da vicino.
Un lasso di tempo sufficiente a notare la pelle liscia, la mascella volitiva, la linea del collo morbida e sensuale, le spalle larghe sotto la camicia a scacchi che aveva notato la prima volta. Aveva la mani grandi e ben curate. E un buon profumo di shampoo che si mescolava a quello dolce e speziato dei biscotti. 
Notò solo allora che aveva i capelli bagnati.
«Ho appena fatto una doccia! » spiegò lui notando il suo sguardo.
Rose avvampò. 
Leggendo il suo disappunto, lui allungò una mano attraverso il tavolo come a fermarla. Le sfiorò un polso e sorrise fissandola negli occhi.
«Non c’è niente di male a chiedersi perché sono tutto bagnato visto che questa volta non piove! » 
Rose avvampò per la seconda volta ma dissimulò l’imbarazzo e quel pizzico di euforia che l’aveva colta a quell’allusione. Non si era sbagliata, allora. L’aveva vista. Come lei aveva visto lui.
Scott sembrò leggerle nella mente. Di nuovo. Sorrise ancora, poi rise sommessamente.
«Dobbiamo smetterla di incontrarci così… clandestinamente» scherzò.
Rose si irrigidì. Senza nemmeno aspettare che la cameriera li raggiungesse per le ordinazioni si alzò per prendere commiato.
«Mi dispiace » disse con labbra tirate «Adesso devo andare»
Scott si alzò a sua volta, all’improvviso, tanto da provocare un fastidioso rumore con la sedia. 
«Aspetta! » la pregò «Non volevo offenderti… ». 
Il suo rammarico era sincero ma non era stato quello a determinare la scelta di Rose. 
«No, non è questo… » mormorò lei imbarazzata. «Devo andare, veramente! » mentì. Non aveva nessun impegno. Non doveva andare da nessuna parte. Non aveva niente da fare se non pensare al Ethan e ai preparativi per il fidanzamento. 
Ethan… pensò. E questo pensiero le strappò una smorfia.
Socchiuse le palpebre, filtrando tra le ciglia scure la figura di quel ragazzo moro. Sorrise e prese nuovamente posto.
«Ma sì! » disse. «Non c’è niente che non possa aspettare… » 
Lo fissò negli occhi scuri. Scuri come i suoi. Occhi che non aveva ancora finito di indagare.
In fondo, non stava facendo niente di male…

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Capitolo 3
*** Scott ***


Capitolo 3 – Scott
 
Scott continuava a parlare. Sorridere, gesticolare. Era simpatico, estroverso, pieno di entusiasmo. Per prima cosa si era presentato e adesso le stava raccontando del suo lungo viaggio e del motivo che lo aveva condotto a Sunsetville.
E Rose continuava a fissarlo…
A fissare quegli occhi scuri, quella pelle abbronzata, quei sorrisi sinceri. E poi ancora i suoi occhi capaci di ammaliarla… Cos’avevano quegli occhi di tanto speciale? Cosa in quegli occhi, in quel sorriso, in quel ragazzo appena conosciuto l’emozionava al punto da sentirsene irrimediabilmente conquistata?
Emise un sospiro leggero e impercettibile.
Forse la risposta era tutta in quella fisionomia!  Così diversa da quella perfettamente impassibile di Ethan…
«La mia famiglia ha un cottage nei boschi subito fuori città, a est di Sunsetville» disse lui giustificando la propria visita. «Una catapecchia, immagino» proseguì socchiudendo gli occhi e accentuando il suo delizioso sorriso. «Non ci va nessuno da più di trent’anni» ridacchiò allargando le braccia.
Rose annuì istintivamente, mostrandosi fin troppo interessata a quest’ultima parte del discorso. Avrebbe dovuto sperare in un suo allontanamento. Invece accolse con sollievo la notizia che sarebbe rimasto nei paraggi.
Esortato dal suo sguardo, Scott continuò:
«Apparteneva a mio nonno, ma dopo un brutto incidente venne chiuso e nessuno ci mise più piede. Non ci sono mai stato. Ma ho intenzione di rimetterlo a posto e stabilirmi lassù per un po’…» confessò piegandosi leggermente in avanti e abbassando il tono della voce, come a condividere un segreto.
Poi sollevò le spalle, sospingendosi indietro, verso lo schienale della sedia, ridendo. E Rose valutò quanto fosse bello mentre rideva. Caldo e sensuale. E fu in quel preciso momento che ebbe la risposta che cercava. La risposta alle sue domande: la libertà!
Scott era libero, ai suoi occhi! Libero di prendere un furgone e di partire… Libero di stabilirsi dove più gli sarebbe piaciuto stare… Libero di parlare, di parlarle… La libertà… quella cosa sconosciuta che non aveva mai avuto modo di scoprire o di assaporare. Incatenata ad una promessa, un patto che lei non aveva stretto né condiviso, e a un giovane uomo che aveva operato ogni scelta per lei…
Il pensiero di Ethan così bello e perfetto la irritò.
Abbracciò il locale con uno sguardo torvo e provò un fastidio profondo. Colse gli sguardi dei presenti e il leggero mormorio che si confondeva e riempiva la stanza profumata di caffè e biscotti speziati.  Solo chiacchiere o stavano parlando di lei? Di loro? Trasalì e aggrottò la fronte. Scott se ne accorse.
«C’è qualcosa che non va? »
Rose lo fissò con espressione seria. Aveva commesso una sciocchezza e lo sapeva. E la sua sciocchezza rischiava di mettere seriamente nei guai un giovane forestiero che non aveva colpe se non quel fascino speciale. E tutto per il proprio, ridicolo, egoismo.
«Devo andare» disse alzandosi e allontanandosi dal tavolo.
Svelto, Scott la seguì, pagò la consumazione e si precipitò fuori.
Investivo dall’aria esterna, affondò le mani in tasca e si strinse nelle spalle. Frizzante e umida, l’aria gli passò tra i capelli bagnati come le dita di una mano carezzevole capace di strappargli un brivido. Incrociò gli occhi di Rose. Occhi belli e pensierosi, adombrati dalle lunghe ciglia scure. Sorrise disarmato e disarmante. Spiazzato dal suo strano comportamento.
«Allora ci vediamo in giro » disse cercando un ultimo stralcio di conversazione «Mi fermerò al Maple Tree Hotel ancora per qualche giorno… »,  accennò con il pollice all’insegna del piccolo albergo affianco alla caffetteria.
Rose trasalì impercettibilmente. Arrossendo a quella notizia e poi sentendosene immediatamente infastidita. Avrebbe preferito non vederlo più. Non avere più sue notizie e soprattutto nessuna occasione di incontrare i suoi occhi e parlargli ancora. Ma sapeva che non era vero…
«Certo, ci vediamo in giro… » sorrise allontanandosi di un passo.
«Aspetta! » la fermò lui sfiorandole un braccio, come per trattenerla. «Non mi hai ancora detto come ti chiami…»
La ragazza si voltò, rivolgendogli un sorriso genuino e sincero. Dimentico per un attimo dei pensieri che le attraversavano la mente scurendole il volto.
Che sciocca, pensò!
«Rose… » mormorò, poi si incupì di nuovo «Rosalinda Van Dyk»
Pronunciò il proprio nome per intero e soprattutto il cognome. Come un monito. Un monito a se stessa. Solo a se stessa. Perché Scott non poteva sapere…
Lui sorrise, le mani ancora affondate nelle tasche, mentre sembrava dondolare sui talloni, fermo davanti alla porta della tavola calda. I capelli scuri arruffati e ancor un po’ bagnati. Irresistibile.
«Allora ciao, Rosalinda Van Dyk! »
Rose gli voltò le spalle, mordendosi le labbra e stringendo gli occhi. Combattuta tra la voglia di vederlo ancora e la necessità di non farlo.
Scott la guardò allontanarsi, senza distogliere lo sguardo da quella figura semplicemente affascinante. Da quella ragazza misteriosa che sembrava cambiare umore ed espressione ad ogni battito di ciglia. Rallegrandosi per quell’incontro inatteso e all’idea che quel viaggio,  quella pazzesca idea di rimettere in sesto il cottage, non fosse in fondo poi così male…






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Le cronache di Sunsetville (ossia, l'angolo dell'autrice): 
Con questo terzo capitolo si è chiuso il "quadro" dei protagonisti principali... Abbiamo gettato le basi per qualcosa che ancora non si è rivelato del tutto... Abbiamo parlato di un PATTO, una promessa, e di un FIDANZAMENTO che la parte femminile della coppia non corrisponde appieno. Ci sono una RAGAZZA INQUIETA, un FIDANZATO PERFETTO e un FORESTIERO che profuma di LIBERTA'... ma non dimentichiamoci un FRATELLO piuttosto "ingombrante". Pronti ad entrare nel vivo con il prossimo capitolo? 
Intanto, ringrazio tutti i lettori, quelli di voi che hanno già voluto lasciarmi un messaggio e quelli silenti che seguono la storia fin dal principio per capire dove questo PATTO DI SANGUE vuole andare a parare... A prestissimo, un paio di giorni, per il nuovo aggiornamento!
Sabrina 

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Capitolo 4
*** Leggende... ***


CAPITOLO 4 - Leggende
 
 
 
«Rosalinda Van Dyk! »
Rose si volse di scatto, catturata dagli occhi del ragazzo che l’aveva raggiunta, attraversando il piccolo ma affollatissimo locale.
I capelli finalmente asciutti, una profumata camicia di flanella rossa, un paio di jeans freschi di bucato.
«Scott Davenport…» mormorò a fior di labbra.
Quante ore erano passate dal loro incontro in caffetteria?
Poche! Troppo poche, pensò Rose…
Scott si appoggiò con le spalle al bancone del bar, una bottiglia di birra in mano. «Non immaginavo che una città così piccola nascondesse tanta gente! » osservò indicando con un cenno del capo la confusione che li avvolgeva, fagocitandoli. Poi i suoi occhi tornarono su di lei, suscitandole un piacevole sussulto.
Faceva caldo, e nel locale brulicante di gente l’aria era diventata irrespirabile. Rose era accaldata e le guance avevano assunto un acceso color cremisi.
«Usciamo!» suggerì Scott prendendola inaspettatamente per mano, avvicinandosi al suo viso perché la musica non sovrastasse le sue parole e sfiorandole inavvertitamente il lobo di un orecchio con le labbra. Quel contatto involontario li sorprese, entrambi.
Scott si ritrasse con un sorriso indecifrabile e trascinandola con sé, tagliò la folla ed emerse nell’aria fresca della sera.
Si issò sulla staccionata che circondava il locale e, sedendo sulla traversa levigata, guardò in alto, verso il cielo trapunto di stelle minuscole, assaporando il ricordo della sua pelle sulle labbra, ascoltando il ritmo ansioso del suo respiro, pieno e rotondo. Sorrise di nuovo.
«Rosalinda Van Dyk…» ripeté tornando improvvisamente a fissarla.
Rose ricambiò il suo sguardo e il suo sorriso, incuriosita dal fatto che ripetesse continuamente il suo nome e al tempo stesso irritata per tutto quello che proprio quel nome le ricordava…
Scott sembrò leggerle nel pensiero. Almeno in parte.
«Quei Van Dyk…», mormorò con un cenno della testa al monumento commemorativo installato nella piazza principale della città.
Quindi, sapeva!
Rose annuì.
«Come lo hai scoperto? »
Scott rise brevemente prima di sorseggiare la birra, direttamente dal collo della bottiglia.
«In biblioteca ho preso un libro sulle origini della città…» rispose «Non è stato difficile scoprire che i Van Dyk sono praticamente i padri fondatori di questa comunità insieme ai MacKenzie… »
Rose si rabbuiò. No, non era difficile scoprirlo…  
Annuì nuovamente, trincerandosi dietro un insopportabile silenzio.
Scott le porse la bottiglia e dopo una momentanea esitazione, Rose l’afferrò. Sfiorò con le labbra il vetro tiepido, nelle stesso punto in cui Scott aveva appoggiato le sue,  e avvertì il cuore pulsarle direttamente in gola. Dissimulò un tremito. Scott rivolse la propria attenzione altrove, rimproverandosi quel gesto istintivo. Sentendosi improvvisamente stupido. Non erano ancora così in confidenza!
«Mi piace il tuo nome… Rosalinda. » mormorò in un sorriso, dissimulando l’imbarazzo e insieme un certo piacere.
Rose sigillò con le proprie labbra la bottiglia. Avvampò. Sorseggiò la birra ancora fresca. Poi si perse sul suo profilo.
Le piaceva! Le piaceva come non le era mai piaciuto nessuno.
E questo non andava bene. Non andava affatto bene…
«E’ un nome come un altro» si schermì tentando di chiudere immediatamente il discorso. Ma il battito accelerato del cuore le rendeva difficile ogni tentativo di razionalità. Gli restituì la bottiglia, con un gesto quasi secco. Come se con quel gesto potesse staccarsi da lui e da tutto ciò che lo rappresentava. E si lasciò andare di schiena contro lo steccato.
«Non credo tu abbia trovato tutto, su quel libro…» disse allora, cambiando strategia. Puntando tutto sugli elementi che avrebbero dovuto redarguirla e tenerla ben salda. Lontana da ogni pericolo o tentazione.
Scott le rivolse un’occhiata interrogativa.
«Certe cose non si trovano sui libri… » sorrise socchiudendo gli occhi e guardando dritto davanti a sé.
«Racconta! » la esortò il ragazzo guardandola fissamente.
Rose poteva avvertire il calore di quello sguardo. Osservò qualche istante di silenzio. Poi si volse, agganciando improvvisamente i suoi occhi scuri.  Limitandosi a guardarlo e a chiedersi se esporsi veramente oppure no, se continuare oppure no.
«Si dice che in seguito ad un patto diabolico, Joseph Van Dyk, il mio avo, abbia ottenuto fama, successo e una vita sorprendentemente lunga, tanto da conoscere i nipoti dei suoi nipoti…»
Ecco, l’ho detto! Pensò prendendosi una pausa di silenzio.
Scott avvertì un brivido. Gli occhi di Rose si erano assottigliati in due  fessure nocciola e la sua voce, calda e sensuale, era scesa di un tono vibrando nelle sue orecchie tese ad ascoltare. Poi sorrise, piegandosi verso di lei con fare da cospiratore.
«E i MacKenzie?» domandò sarcastico.
«Non lo indovini?» ironizzò lei cinicamente «Sono l’altra metà del patto».
«Demoni? » ridacchiò Scott, decidendo di stare al suo gioco. Bizzarro ma divertente.
«Principi della notte… » rettificò lei.
«Una leggenda… »
«Che porta ogni anno centinaia di curiosi qui a Sunsetville dal resto del Canada occidentale e non solo… »
«Tutti vampiri qui? » rise Scott, scettico, allargando un braccio in direzione del locale gremito di gente.
«No, non tutti… Quelli che non sono vampiri, sono fanatici attirati qui dalla vecchia leggenda, nella sciocca speranza di ottenere il “bacio” del vampiro» Rose tornò a fissare lontano, un punto imprecisato in fondo al prato ingoiato dall’oscurità.
Il ragazzo abbassò la testa sul petto e sorridendo la scosse lievemente ridacchiando in silenzio.
«Ti stai prendendo gioco di me…» disse.
Rose non rispose subito. Tentata di raccontare tutto.
«Già» mormorò poi, con un accenno di sorriso.
Scott inspirò profondamente, seguendo il suo sguardo.
«E va bene… » disse «Facciamo finta di credere alla leggenda… » fece una breve pausa «Come dovrei comportarmi con te? ».
Rose arrossì. La stava forse corteggiando?
Si  morse il labbro inferiore. Poi decise di rispondere.
«Dovresti starmi lontano. Molto lontano… » rise, ma avrebbe voluto gridargli di crederle.
Scott sorrise, passandosi una mano tra i capelli scuri. Lanciò un’occhiata all’orologio da polso e scese dallo steccato. Face scivolare una mano nella tasca posteriore dei jeans e si portò di fronte alla ragazza
«Credo che accetterò il tuo consiglio, Rosalinda» mormorò fermandosi per un istante. «Per stasera» sorrise guardandola negli occhi. «Domattina devo alzarmi presto! Andrò al cottege per vedere la situazione e capire come organizzarmi. Ma voglio tornare in città prima del tramonto… » scherzò, muovendo i primi passi intorno, esitando ad allontanarsi.
«Mi porteresti con te? »
Le era uscito così! Spontaneamente. Tutto d’un tratto e spontaneamente. Rose trasalì, poi si trovò a trattenere il fiato e a guardare Scott come nessuna lo aveva guardato mai.
«Ah! » sgranò gli occhi nocciola. «Certo! Certo che ti porterei con me! »
Rose accennò un sorriso. Ancora incredula di aver osato tanto. Sollevata dalla sua risposta. Il sangue raggelato nelle vene.
«Ne sei sicura? Potrei essere chiunque, anche un serial killer per quanto ne sai…» Scott gesticolava come un ragazzino e lei allargò il proprio sorriso.
Incosciente, si disse… Incosciente!
«Dimentichi che sono una Van Dyk…» mormorò.
Scott si batté un pugno chiuso sul petto. Guardandola fisso e sorridendole in modo disarmante.
«Giusto! Sono io quello che dovrebbe stare attendo! » rise. Poi, galvanizzato dalla piega che stavano prendendo le cose, girò un paio di volte su se stesso allontanandosi in direzione del furgone «D’accordo! Allora io vado… Appuntamento domattina alle sei e mezza. Passo a prenderti? »
Rose scosse la testa.
«Ci vediamo al tuo albergo»
«Misteriosa… » la schernì lasciandole la bottiglia e il suo ultimo sorso di birra.
Misteriosa… pensò chiudendo lo sportello e avviando il motore.
Rose strinse le dita attorno al vetro ormai caldo.
Il profumo amaro della birra le solleticò il naso, scivolandole in gola.
«Però! »
Sussultò.
Si volse, accolta dallo sguardo magnetico di Rebecca MacKenzie, bellissima e seducente come sempre. Stretta in un tubino blu elettrico in grado di mettere in risalto il fisico perfetto,  i capelli biondi, corti e ribelli, e gli occhi turchesi.
Le belle labbra rosso corallo di Rebecca si piegarono in un sorriso volutamente complice.
«Carino per essere un umano…» osservò dall’alto dei suoi tacchi vertiginosi.
Rose volse leggermente la testa.
«E’ solo un forestiero di passaggio» disse, cercando di chiudere l’argomento.
Rebecca rise di quella risata cristallina che la caratterizzava.
«E’ così strano sentirti pronunciare quella parola, Rosalinda… »
La ragazza trasalì. Tanto era eccitante sentire il proprio nome pronunciato da Scott, tanto era opprimente sentirlo pronunciare da Rebecca.
Decise di non cogliere la sua osservazione anche se aveva capito esattamente a quale parola si riferisse… Passaggio. Ecco a cosa alludeva.
«Ethan è qui? » domandò cambiando discorso e appoggiando la bottiglia vuota sullo steccato.
«Mio fratello è appena arrivato… Ottimo tempismo, vero? » rispose la giovane donna guardando verso il parcheggio e la macchina sportiva di Ethan.
Rose ne soppesò la figura perfettamente tirata a lucido con una smorfia. Rebecca amava usare quella parola, “fratello”. Ma non erano veramente fratelli, lei ed Ethan. E non potevano essere più diversi…
Ethan emerse dal buio. La sua mano scivolò leggera sulla vita di Rose, allacciandola al suo fianco.
«Rosalinda! » le mormorò all’orecchio.
Rose trasalì per l’ennesima volta. Possibile si fossero messi tutti d’accordo, quella sera?
Ethan le sfiorò una guancia con un bacio e lei si irrigidì.
«Rebecca ti sta importunando? » equivocando la sua reazione, il ragazzo lanciò un’occhiata tagliente alla sorellastra.
«No» mormorò Rose, mentendo e sapendo di mentire «Stavamo solo parlando».
Rebecca non fiatò. Consapevole che nulla avrebbe contato per Ethan più della parola della sua Rose…
Ethan piegò le belle labbra in un sorriso soddisfatto.
«Entriamo? » domandò sospingendo la fidanzata verso il locale.
Rose annuì. Lanciò un’occhiata a Rebecca e si lasciò condurre da Ethan lontano da lei.
Rimasta sola, Rebecca MacKenzie sfiorò con le esili dita diafane il collo di vetro della bottiglia che Rose aveva lasciato sulla staccionata e si concesse un sorriso cinico. Senza voltarsi, si rivolse al giovane addossato al muro esterno del locale, immerso nell’ombra. Perso nella sua contemplazione.
«Buonasera, Sean».
Sean Van Dyk avvampò.




LE CRONACHE DI SUNSETVILLE (ossia l'angolo dell'autrice):
Eccoci al quarto capitolo di questa storia! Oltre al ritorno di ETHAN e di SEAN,  assistiamo alla  comparsa della seducente  REBECCA MACKENZIE... Che ne pensate dell'amorevole sorellina? Intanto, qualche altro tassello è stato scoperto! 
Cos'altro dire... mai una bottiglia di birra mi era sembrata tanto seducente, ahahahah!

 

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Capitolo 5
*** Attrazione ***


Capitolo 5 – Attrazione
 


«Non pensavo che saresti venuta davvero! » sorrise Scott al volante, lo sguardo rivolto all’orizzonte carezzato dalle luci dell’alba.
Rose si sistemò meglio sul sedile mezzo sfondato. Sorrise. Ma le labbra le tremavano, incontrollabili. Aveva fatto una sciocchezza e lo sapeva.
Cosa le era saltato in mente? Infilarsi nell’auto di uno sconosciuto, perché questo era in fondo Scott per lei, e lasciarsi alle spalle la città e tutti i suoi abitanti. Quella tranquilla e protettiva cittadina canadese a nord di Victoria e della più famosa Vancouver, che l’aveva vista nascere e crescere. E che presto l’avrebbe vista fidanzarsi con uno degli esponenti più importanti della comunità…
Un brivido le attraversò le spalle, partendo dalla nuca. Non seppe identificarne la causa. Scott? Lo sconosciuto che sorrideva accanto a lei.
O Ethan, il suo fantastico fidanzato… che non poteva odiare, ma che non riusciva nemmeno ad amare?
«Sappi che non sono abituata a scappare da Sunsetville con il primo che capita! » precisò.
Scott le rivolse uno sguardo caldo e acceso. Era divertito ed emozionato.
Tornò con gli occhi sulla strada e picchiettò con una mano sul volante, incapace di trattenere l’eccitazione.
«Beh» disse «Sei una Van Dyk… Puoi fare quello che vuoi! » concluse.
Rose cambiò improvvisamente espressione e Scott equivocò il motivo del broncio che le aveva trasfigurato il volto.
«Ma sono contento che tu abbia scelto di scappare con me… e non con il primo che capita» mormorò cercando di porre rimedio a qualcosa che non poteva capire.
Rose annuì, concedendogli un sorriso teso. Appoggiò il gomito alla portiera, all’altezza del finestrino e poi il mento al palmo aperto della mano.
Il viaggio fu breve. Eppure sufficiente a lasciarsi alle spalle l’ampia pianura di Sunsetville. Il furgoncino affrontò una serie di pendii e di tornanti, inerpicandosi tossendo lungo strade larghe ma sterrate. Inghiottito da fitte e frondose foreste di conifere. Infine, superato un piccolo specchio d’acqua, si fermò.
Scott e Rose scesero contemporaneamente dal mezzo. La ragazza si strinse istintivamente tra le braccia a causa dell’aria frizzante. Entrambi con lo sguardo fisso ad una piccola ma graziosa costruzione in legno e pietra che, nonostante gli anni di incuria, se ne stava dignitosamente in piedi.
A prima vista, il cottage dei Devenport sembrò ridotto male. Il piccolo steccato che delimitava il patio, dal pavimento in assi di legno divelte, si piegava su se stesso, verso la porta. Le intemperie avevano consumato e sbiadito la facciata e gli infissi soffocati dai rampicanti. Ma il tetto era ancora in piedi e il basamento in pietra garantiva una certa stabilità.
Scott chiuse con un colpo secco la portiera del furgone.  
«E’ messo male…» mormorò guardandosi attorno, serpeggiando con lo sguardo tra le erbacce che regnavano incontrastate.
Rose emise un sonoro sospiro d’assenso ma rivolgendogli lo sguardo notò la luce che attraversava quello scuro di lui. Una luce nuova. Il riverbero acceso dalla sfida.
Lo guardò sorpresa. Indugiando sulla sua espressione. Quel ragazzo sorrideva! Sorrideva divertito dalla sfida che lo aspettava e i suoi occhi erano accesi e più grandi e più belli.
Rose avvertì un tuffo al cuore.
«Rimbocchiamoci le maniche e facciamoci strada fino alla porta!» propose Scott, all’oscuro dei pensieri e delle emozioni che agitavano il cuore di Rose. «Proviamo a entrare. Mi faccio un’idea dei lavori da fare, poi ti riporto in città!» ammiccò precedendola e liberandole la strada dalle erbacce che sembravano avvinghiarsi, voraci, alle sue gambe man mano che procedeva.
«Non ho fretta» rispose Rose guardando dove metteva i piedi.
«Sbagliato signorina! » le sorrise Scott, raggiunto il patio.
Si tolse e gettò l’immancabile camicia a scatti sul quel che rimaneva dello steccato, rimanendo con la sola t-shirt grigia che si tese sul petto per la reazione all’aria fredda del mattino «Non dire mai a un uomo che ha tutto il tempo di dedicarsi ai suoi giocattoli… O lo farà! » rise mettendo in evidenza la fossetta sul lato destro delle labbra.
Un paio d’ore più tardi, Scott aveva finito di aprire, controllare e misurare la casa e tutto quello che conteneva.
«Ecco fatto!» decretò strappando l’ennesima ragnatela, raggiungendo Rose accomodata sul bracciolo di un vecchio divano sistemato in fondo alla stanza principale, una sorta di cucina e soggiorno,  e appendendosi con un braccio a una delle travi che caratterizzavano il soffitto.
Rose sollevò lo sguardo dalle pagine ammuffite del libro che stava sfogliando e fu colta alla sprovvista dai suoi occhi scuri, proprio sopra di lei. Dai muscoli guizzanti di quel braccio abbronzato e tornito. Dalle chiazze di sudore che tingevano di scuro la t-shirt grigia, tesa e appiccicata alla pelle. Dal viso sporco di polvere. Dai capelli arruffati.  
Scott afferrò la maglia al centro del petto e la tirò verso l’esterno.
«Lo so, sono disgustoso… »si rammaricò di fronte allo sguardo della ragazza, immaginando che la sua espressione fosse dovuta al proprio stato pietoso. Poi sciorinò un sorriso seducente, un sorriso che si aprì un varco, bianchissimo, tra la polvere e il sudore «La buona notizia è che fuori ho visto un pozzo!»
Rose sollevò un sopracciglio. Se solo quel ragazzo avesse potuto immaginare…
Chiuse il libro, sollevando uno sbuffo di polvere e si alzò.
«Aspetta…» Scott la trattenne, le sfiorò la fronte con le dita, afferrando tra pollice e indice una ragnatela che le si era fermata vicino l’orecchio destro. «Ecco…» mormorò a fior di labbra, accorgendosi solo in quel momento degli occhi di lei che lo guardavano con un’espressione indecifrabile e di quanto fosse bella, quella mattina, forse ancora un po’ assonnata.
Si fermò, così com’era. Lì dov’era. Poi le fece scivolare la mano dietro la nuca, sfiorandole il lobo dell’orecchio con la punta del pollice e, con un movimento rotatorio, la linea della mascella e poi il collo. Esitò. Poi Rose vide il suo volto avvicinarsi. Le sue belle labbra farsi serie, poi schiudersi. Avvertì il suo respiro. Caldo e irregolare, leggermente affrettato. Mentre esitava ancora, trattenendosi, umettandosi le labbra, dondolando impercettibilmente avanti e indietro.
Le ciglia scure di Scott ombreggiavano a tratti lo sguardo magnetico, in un movimento di palpebre ritmico e seducente che passava dalle labbra al naso, agli occhi di lei. Rose avvertì la pressione delle dita, sulla nuca, tra i capelli farsi più forte, quasi una morsa, che la tratteneva e la attirava inevitabilmente. Poteva sentire il battito accelerato del suo cuore.
L’avrebbe baciata… se non glielo avesse impedito.
Allora si aggrappò alla sua maglietta, piegando i gomiti e frapponendo gli avambracci tra loro. Avvertì forte il desiderio di quel bacio. Tanto quanto non aveva mai desiderato quelli di Ethan. Sollevò il viso, socchiudendo le palpebre ed esponendo così le labbra morbide al tocco delicato di Scott. Solo un istante. Il labbro superiore di lui che sfiorava quello di lei.
Si ritrasse.
«Non posso!» si negò voltandosi. Sfuggendo alla sua morsa e scivolando sotto il suo braccio. «Non posso…» mormorò. Più a se stessa che a Scott, portando una mano alla gola. Deglutì, respirando affannosamente.
Lasciò la casa, senza voltarsi e si fermò solo dopo aver attraversato a fatica il patio semi distrutto, sceso i gradini e percorso ancora qualche passo.
Scott si affacciò sulla soglia. Un braccio allo stipite.
Rose lo avvertì scendere i gradini e raggiungerla.
«Aspetta!» le disse afferrandola per le spalle e facendo in modo che si girasse a guardarlo. Le sollevò il capo, ostinatamente chino sul petto, poi tornò a stringerla, afferrandole le braccia perché non scappasse via di nuovo.
«Va bene» mormorò «Va bene così, per me…» e le sue mani lasciarono la presa, scivolando e allacciandosi dietro la schiena di lei, all’altezza della cintura.
Le sue braccia scesero dalle spalle lungo i fianchi e si allacciarono in fondo alla L’attirò a sé, appoggiandole il mento sulla nuca di nuovo piegata sul petto.
«E’ colpa mia» mormorò ancora, cullandola. «E’ solo colpa mia…» strinse gli occhi maledicendo la propria intraprendenza.
Avvertì Rose e il suo sospiro. Poi le sue parole, mormorate tra le pieghe grigie della sua maglietta, e il suo respiro caldo attraversare il tessuto e scaldargli il petto.
«No. La colpa è solo mia…»
Scott l’afferrò nuovamente per le spalle allontanandosi e piegandosi quel tanto che bastava a cogliere il suo sguardo scuro.
«E va bene… Adesso che abbiamo stabilito che è stata tutta colpa nostra…» sorrise «amici come prima e torniamo a casa! Cosa ne dici? Ti offro il pranzo! »
Rideva. Rideva come se quel piccolo incidente non l’avesse scosso né amareggiato e Rose gliene fu grata.
Si disprezzò per quello che era successo. Per averlo illuso… Per essersi tirata indietro quando invece avrebbe voluto quel bacio più di ogni altra cosa al mondo!
Lungo tutto il viaggio di ritorno, Scott le riempì la testa di chiacchiere. Sciocchezze, aneddoti, risate. Qualunque cosa pur di affollare il suo silenzio.
Mentre lei, raccolta in un angolo del sedile, si domandava ancora cosa l’avesse indotta a coinvolgere quel forestiero nel turbine dei propri pensieri e turbamenti.
Vederlo e desiderarlo era stato un tutt’uno. Era bastato uno sguardo per capire che in quegli occhi risiedeva la risposta alle sue domande. L’illusione di una vita diversa, calda, piena e appagante. Conoscerlo era stato uno sbaglio.
Scese dal furgone e chiuse la portiera. Nel posteggio del Mapple Tree Hotel non c’erano altre macchine. Non c’era nessuno…
«Mangiamo qualcosa insieme, allora? Ti va?» domandò Scott passandosi una mano tra i capelli scuri.
Rose rabbrividì. Non sentì neppure la sua domanda. Tutto quello che avvertì fu lo sguardo tagliente di suo fratello Sean. Qualcuno, in quel posteggio, c’era… si morse il labbro inferiore.
«Andiamo?» Scott le sfiorò un braccio, sorridendo, ignaro della presenza di Sean.
Rose scosse il capo.
«No… Non posso… » gli rispose lanciandogli una fuggevole occhiata carica di autentico terrore. «Devo andare! Sarà per un’altra volta…» farfugliò.
«Non sarà… » Scott l’afferrò per un polso, trattenendola, e lei si decise a guardarlo negli occhi.
Occhi che la ferirono.
«No» mormorò concedendogli un sorriso «No… non è successo niente, in fondo» mentì, sapendo di mentire. Quel loro contatto ravvicinato aveva creato un baratro tra lei e Ethan e lo sapeva benissimo.
Si era avvicinata al fuoco e si era scottata. Poteva solo imputarsi tutte le colpe.
«Non è successo niente» ripeté congedandosi.
Scott recuperò la camicia a scacchi dal furgone e la indossò meccanicamente. Il tempo di un attimo e Rose era già lontana. Sospirò, dandosi tacitamente dello stupido. Decise che non aveva fame. Affondò una mano in tasca e recuperò il foglietto spiegazzato sul quale aveva scritto misure e materiale necessario alla manutenzione del cottage. Pensare ad altro, impegnarsi in altro, l’avrebbe calmato, forse. E il battito del cuore sarebbe finalmente tornato regolare.
 
***
 
«Rosalinda»
Alla voce familiare e fastidiosa di zia Geltrude, Rose socchiuse appena le palpebre. La donna si affacciò allora nella stanza della nipote. «Non hai nemmeno pranzato, oggi… Potevi scendere a cena» disse raggiungendo la ragazza seduta sul letto. Le gambe ritirate verso il mento.
Rose le lanciò uno sguardo stanco, poi tornò a fissare le pagine di un libro che non stava leggendo. Il volto pallido rischiarato dalla luce di un lampione che irradiava nella stanza attraverso la finestra accanto al letto.
«Non mi sento bene, zia… », mormorò.
Non mentiva. I sentimenti contrastanti di quegli ultimi giorni le avevano indotto un profondo senso di nausea. L’immagine di Scott la tormentava e il pensiero di Ethan la rendeva inquieta.
Geltrude si sedette sul bordo del letto. Sfiorò la fronte della nipote e le scostò una ciocca ribelle.
Rose rimase immobile.
«E’ il tuo fidanzamento a preoccuparti? »
Improvvisamente Rose si volse e cercò i suoi occhi dorati. Una ruga tra le sopracciglia.
Zia Geltrude rise portandosi elegantemente una mano alle labbra esangui, fasciata dal bel vestito scuro e un po’ antiquato che ne metteva in risalto la carnagione sorprendentemente chiara e liscia. Bella nonostante l’età.
«Cara la mia bambina» la schernì, guardandola negli occhi «Credi di essere la prima Van Dyk a provare questa inquietudine?» domandò con sguardo complice.
«Passerà tutto, vedrai. E ti abituerai in fretta… molto in fretta… alla tua nuova vita», mormorò. «Non appena vi sarete fidanzati, comincerai a riconoscere i vantaggi di questa unione…» la rassicurò.
Rose abbassò lo sguardo e Geltrude si alzò dal letto. Le mani in grembo.
«Devi solo mantenere la calma. Fino a quel momento», decretò perentoria.
Un consiglio? Si domandò Rose. O una minaccia, sorrise tra sé.
La donna lasciò la stanza. Rose guardò verso la porta rimasta aperta. Sulla soglia, dall’ombra, emerse Sean.



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CRONACHE DI SUNSETVILLE (ovvero, l'angolo dell'autrice):
Eccoci di nuovo a SUNSETVILLE e alla prese con la nostra storia! Chiedo venia, per chi mi segue, per il ritardo con il quale pubblico questo capitolo... Qualcuno di voi probabilmente sa che le mie ultime incursioni nel medioevo e nella cittadina di Rosenburg sono parte della motivazione... Ma torniamo a noi!
Altro capitolo e altro tassello, spero, per venire a capo dei sentimenti e della situazione di Rose! E nonostante Ethan sia il fidanzato "legittimo", sembra che fino ad ora Scott abbia preso prepotentemente piede quale protagonista della storia... Mi manca Ethan e spero manchi un tantino anche a voi che ancora, però, non lo conoscete come lo conoco io... ehm. Che dite, lo facciamo tornare? 
In attesa di scoprire cosa ci riserverà il prossimo capitolo, buona lettura e il solito, immancabile, GRAZIE a tutti... lettrici silenti (ma so che ci siete) e impavide commentatrici! 
A presto, Sabrina 

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