Pensavo che

di Mayth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non saresti più tornato da me ***
Capitolo 2: *** Avrei potuto cancellarti ***
Capitolo 3: *** Saresti restato per una notte almeno ***
Capitolo 4: *** Avessi capito il mio dolore ***
Capitolo 5: *** Non mi avessi mentito ***
Capitolo 6: *** Sarei riuscito ad ignorarti ***



Capitolo 1
*** Non saresti più tornato da me ***


[Post X-Men 3]


 
Pensavo che (non saresti più tornato da me)
 

"Pensavo che non ti avrei mai più rivisto" dice, con una nota di diffidenza nella voce. 

Erik è seduto nel parco, lo sguardo perso su una scacchiera senza pedine bianche, la mano destra che gioca con una torre color pece. 

"Tecnicamente non mi hai ancora visto, vecchio amico. Almeno finché non ti volti". 

Erik sospira. All'improvviso si sente troppo vecchio. Per questo mondo, per la guerra, per Charles.

Allunga una mano e invita l'uomo alle sue spalle a prendere posto dirimpetto a lui. Dopodiché, senza preoccuparsene, con la fierezza di chi sa di essere mutante e non se ne vergogna, fa fuoriuscire dal sacchettino in stoffa blu le pedine bianche e le sistema sulla scacchiera. 

"È una bellissima giornata per vederti vivo, Charles". 

Charles inclina il capo. Ha gli occhi pieni di vita e una postura rilassata, come se non fosse in alcun modo tornato dal mondo dei morti. 

"Un giorno mi racconterai come?" gli chiede, ma non vuole davvero saperlo. 

"Forse". Charles sposta per un secondo lo sguardo sulla scacchiera ed Erik li vede, vividi più che mai, i ricordi del loro passato insieme. 

"Abbiamo vissuto tanti bei momenti insieme" dice Charles, sognante. 

"Indubbiamente".

Charles sospira, prendendo in mano un pedone, poi, guardando Erik dritto negli occhi, aggiunge: "Il mondo ha bisogno di noi. Di me e te alleati, Erik". 

Lui annuisce. Lo sa. Lo sa benissimo. Quella era sempre stata la soluzione giusta, ma non erano mai stati capaci di raggiungerla. 

"Che cosa dobbiamo fare?" chiede. 

"Per prima cosa troviamo Logan". 

La pedina bianca si poggia sulla scacchiera. La partita è iniziata, e sia il professore che il signore del magnetismo si sorridono di nuovo. 

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Capitolo 2
*** Avrei potuto cancellarti ***


[Post X-Men: Days of a Future Past]

 

Pensavo che (avrei potuto cancellarti) 

 

C'è una certezza invalicabile nell'aprire quella porta massiccia e varcarne la soglia, e se Charles, negli ultimi anni, avesse cercato di nascondere la verità a se stesso un po' meglio, forse in primo luogo non si troverebbe lì in quel momento. 

"Ne è sicuro, professore?" chiede Hank alle sue spalle, esitante. 

Charles sventola una mano, esonerandolo. Sente i passi dell'uomo farsi sempre più lontani, come il ronzio che accompagna costantemente la sua mente. 

Fa scivolare la sedia a rotelle nella stanza, assaporandone l'odore stantio di abbandono e polvere. 

Il letto è impeccabile. Le coperte sistemate secondo una discrezione ineccepibile, senza una piega che rovini l'opulenza del mobilio che le circonda. 

Charles riesce quasi a percepire l'essenza di Erik volteggiare nell'aria; e si chiede come sia possibile, dopo dieci anni, che i maglioni all'interno della cassettiera abbiano ancora il suo odore. 

Stringe fra le dita una maglia a collo alto, guardandola con staccato torpore, portandosela vicino al viso e percependone l'innata morbidezza. A suo tempo, era stato un piacevole contrasto con la pelle ruvida di Erik. 

Lasciandola ricadere nel cassetto, Charles crede di sentirsi uno stupido. E se ingenuo fosse per una volta soltanto la parola adatta a lui, quello sarebbe l'istante. 

Richiude il cassetto con uno scatto veloce, dopodiché si trascina senza esitazioni al di fuori della stanza e si chiude la porta alle spalle. Un sonoro click satura il corridoio. 

Avevi ragione, Hank. Proietta nella mente del ragazzo. Non sono ancora pronto. 

Charles si dirige verso un'altra camera; il cuore bloccato in gola. Non è sicuro che il giorno in cui potrà svuotare la stanza di Erik - la stanza che era - arriverà tanto presto. 

In fondo, in confronto agli attimi di estrema passione che avevano vissuto fra quelle mura, dieci anni per rimarginare una ferita e ricomporre i cocci di un cuore frantumato non sono mai stati abbastanza. 

Per un po', avrai ancora la tua camera da letto qui, Erik.

Pensa, senza confessare, però, che quell'un po' valga più tempo di quanto entrambi desiderino ammettere. 

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Capitolo 3
*** Saresti restato per una notte almeno ***


[Post X-Men Days Of a Future Past]


Pensavo che (saresti restato per una notte almeno)


"Che il viaggio sia buono" dice lui, osservando Erik abbassare la maniglia della propria camera con l'uso dei suoi poteri.

Sulla pelle può ancora percepire il tocco delle sue dita, i baci sul suo collo e le carezze fra i suoi capelli. Il ricordo della sera prima aleggia mistico fra il loro silenzio.

Lui risponde soltanto, "Lo sarà", per poi chiudersi la porta alle spalle e abbandonarlo di nuovo.


©________
Modena City Rumblers, "Qualche splendido giorno"

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Capitolo 4
*** Avessi capito il mio dolore ***


[X-Men Days Of a Future Past]


Pensavo che (avessi capito il mio dolore)


"Come ci sei riuscito?" chiede Charles. Fra le sue dita, il bicchiere di scotch prende ad oscillare.
Incapace di guardare Erik negli occhi, non dopo dieci anni di sielenzio, gira il capo verso l'oblò. Con la coda dell'occhio guarda una pedina muoversi intoccata e il profilo di Logan ricomporsi sul sedile del jet.

"Ho familiarizzato con la mia oscurità" risponde dopo un attimo Erik, "e patteggiato sul dolore una stabilità".

Charles non crede neanche per un secondo alle sue parole.

Quell'Erik, che ha trovato in un oceano e perso su una spiaggia, è tanto in frantumi quanto lo è Charles. "Un giorno imparerai, Charles, che ciò che ti trattiene dall'affogare è anche ciò che non potrai mai mantenere saldo fra i palmi delle tue mani. Se ami qualcosa, lasciala andare"

Charles alza lo sguardo e sussurra, "È quel che ho fatto. Non vi ho mai avuto, Erik".

E i nomi sono solo un eco nell'abitacolo.

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Capitolo 5
*** Non mi avessi mentito ***


[X-Men 3]


Pensavo che (non mi avessi mentito)


Magneto si sveglia durante una notte ventata e sa. Sa che non riuscirà a riprendere sonno e che il suo corpo ha bisogno di movimento. Ha passato un’intera vita in guerra e l’aspettativa di morire nel silenzio, nella totale apatia dello scorrere inesorabile del tempo, lo terrorizza.

Sa che ha bisogno di uscire o soffocherà fra quelle mura sporche. Ancor prima di rendersene conto le sue gambe lo portano lì; gli ci è voluto del tempo, ma il percorso verso casa è sempre travagliato.

Osserva le incisioni sulla pietra lisa. È una bella tomba, quella di fronte ai suoi occhi. Ancora più bella è la persona della quale essa testimonia il ricordo.

La morte di Charles era un’opzione che aveva messo in conto da molto tempo – lui non è mai stato così ingenuo da credere che le battaglie non possano uccidere anche i migliori, eppure la perdita ha un sapore sorprendentemente amaro. Gira lo sguardo verso la villa. La luce che trapela fra le nubi sottili illumina esattamente quel piccolo angolo di terreno dove, così tanti anni addietro, Charles gli aveva insegnato che anche lui possedeva una luce nell’animo. Magneto tenta di ricordare quale fosse il lato più luminoso della sua mente, ma tutto ciò che riesce a rammentare sono le labbra tremolanti di Charles che a stento riescono a non aprirsi in un sorriso fiero, i suoi occhi lucidi e ricolmi di passione e comprensione.

Sente che durante tutto quel tempo la sua serenità sia slittata dal ricordo di sua madre al ricordo di Charles. Ed è ancor peggio rendersi conto di averli persi entrambi in un soffio di vento.

You’re not alone. Erik, you’re not alone.

Una delle più grandi bugie che qualcuno gli avesse mai raccontato, Magneto lo sa ora e lo sapeva in passato, ma era stato bello far finta di crederci. A suo modo Charles aveva tentato di stargli vicino, anche se lui lo aveva avvisato. Non si gioca col fuoco, ti dicono, o ti bruci. Se Charles non ha ascoltato, infine, non è a causa sua.

Anche il giorno in cui è morto ha continuato a perseverare nella sua testardaggine, convinto di poter salvare le persone col solo dono delle parole e della buona fede.

Le buone intenzioni non hanno valore se non si sa agire. Lui lo aveva imparato quando quella moneta non si era mossa e un colpo di pistola era riecheggiato nello studio di Schmidt.

You’re not alone.

“Bugiardo” mormora al nulla di fronte ai suoi occhi. Non c’è neanche un corpo da compiangere, solo la memoria graffiata di un passato che finge di essere luminoso.

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Capitolo 6
*** Sarei riuscito ad ignorarti ***


 
 
[ post DOFP ]

Pensavo che (sarei riuscito ad ignorarti)



I.
 
Sta avendo un incontro col senatore Kelly, anti mutante, attivista convinto e grande spina nel fianco. Le mani dell’uomo sono accartocciate in grembo e una luce furiosa gli illumina il volto. Charles, con diplomazia, lo ignora.
 
“Thè, senatore Kelly?” chiede con gentilezza. I pensieri dell’uomo gli rivelano che odia il thè, ma Charles allunga comunque una tazza e la zuccheriera, il sentore esita per qualche secondo, dopodiché ringrazia con un piccolo cenno del capo e aggiunge un cucchiaino di zucchero.
 
“Il thè è un ottimo propellente per il cervello” continua Charles, rivolgendo un sorriso sottile, “Immagino che un uomo della sua carica sia molto occupato”, Kelly si specchia nel liquido ambrato. Pare esitare, insicuro sul da farsi. Charles si appoggia più comodamente allo schienale della propria sedia a rotelle e tamburella le dita contro il legno massiccio della scrivania.
 
“Bevvi il miglior thè della mia vita ad Oxford, sa? A quel tempo credevo che fosse il nettare degli dèi, mi aiutò molto a superare il difficile periodo che ogni maturando vive poco prima di concludere la propria tesi” gira il capo per nascondere la risata triste. Charles non ama molto rimestare il passato. “Se mai le capitasse di passare per l’Inghilterra, ci faccia un pensiero”.
 
Il senatore lo fissa negli occhi, stringe così forte la tazza da far sbiancare le proprie nocche. Charles vorrebbe chiedergli di calmarsi, ma in conclusione decide di attendere.
 
“Ovviamente” dice Kelly, per poi poggiare le labbra sulla tazza in ceramica e prendere un sorso di thè. All’improvviso, Charles percepisce sorpresa.
 
“Ma immagino non sia venuto qui per provare del buon thè e un po’ di compagnia, signore” sospira stancamente. 
 
“C’è qualcosa di cui vorrei parlare con lei, Professor Xavier” chiarifica l’uomo. Charles si chiede quanto tempo gli ruberà quell’incontro, se farà in tempo a raggiungere i ragazzi per cena, se riuscirà ad evadere gli occhi inquisitori di Hank.
 
“Certo,” annuisce, allungando la schiena e alzando il mento, “si tratta di Erik, immagino”.
 
 
II.
 
“Onestamente, Hank, ora non è il momento”. Hank sosta immobile sullo stipite della porta, le sue labbra sono una linea sottile, lo sguardo duro e serio.
 
“Non dovresti proteggerlo” dice Hank, mentre Charles raggruppa un plico di fogli e li poggia in un cassetto. “Non dovresti farti questo”. Charles deve la sua vita ad Hank. Hank è quel ragazzo fantastico che ha abbandonato i propri sogni per stargli affianco, ciononostante non ha la forza di dargli ascolto, tantomeno di spendere altro tempo parlando di Erik.
 
“I ragazzi hanno cenato?” chiede con indifferenza. Hank gli rivolge uno sguardo triste, ma non aggiunge altro. Si gira, pronto ad uscire, quando un pensiero lo arresta, si volta e sospirando dice: “Non capisco dove trovi tutta quella speranza in lui, Professore”
 
“Hai mai creduto in qualcuno con così completa convinzione da non poter agire di conseguenza?” chiede, il principio di un sorriso triste gli decora il volto. Hank non reagisce, eppure la risposta è evidente per entrambi. “Ti sei mai innamorato, Hank?”.
 
Hank sbatte gli occhi, confuso.
 
“È complicato” conclude.
 
“Lo so, Professore” c’è una nota di apprensione nella sua voce, ma eventualmente decide di arrendersi e lo lascia solo. Charles rimane immobile per diversi istanti, dopodiché sospinge la sedia a rotelle fino all’armadietto degli alcolici e si riempie un bicchiere di bourbon.

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