Ho amato

di Targaryen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La via del ritorno ***
Capitolo 2: *** In aule di legno e di pietra ***
Capitolo 3: *** Il silenzio e le parole ***
Capitolo 4: *** Gli anni dell'attesa ***
Capitolo 5: *** La primavera che veste l'autunno ***
Capitolo 6: *** Gli anelli d'oro ***
Capitolo 7: *** L'ombra su Boscoverde ***
Capitolo 8: *** Oltre il Rivo Incantato ***



Capitolo 1
*** La via del ritorno ***


                                       

   
Premessa:
Questo racconto è ambientato prevalentemente a Eryn Galen e copre il periodo che va dall’inizio della Terza Era sino alla fondazione di Dol Guldur da parte di Sauron. Agli avvenimenti noti e riportati nel legendarium se ne affiancano dei nuovi, inseriti ai fini narrativi e per i quali si è cercato di mantenere la coerenza di fondo con ciò che si conosce. Le note alla fine di ciascun capitolo riportano dettagli ed eventuali ipotesi personali, in canon e non. Per meglio seguire lo svolgersi degli eventi, che necessariamente si snodano lungo un arco temporale tutt’altro che breve, accanto al titolo di ogni capitolo appare la collocazione cronologica dello stesso.


 
 
Ho amato



… ed ero l’alba che bacia la terra.
 
 



1. La via del ritorno (2 T.E.)


 
Le vaste pianure del Rhovanion rigurgitano vita. Le distese di erba offrono al sole di primavera tutte le gradazioni di verde che la terra conosce e macchie di colore le accendono laddove le fioriture si susseguono effimere, trasformando il paesaggio nel tempo di una notte. In più di un’occasione si sono addormentati con un panorama impresso nella memoria per risvegliarsi circondati da uno diverso, tra sinfonie di profumi e sotto un cielo di un azzurro talmente intenso da fare quasi male. Forse è il ricordo della coltre nera e pesante che per anni ha tormentato i loro spiriti a rendere il blu così vivido, ma ora Thranduil riesce a respirare senza sentire i polmoni dolergli e a volte, quando chiude gli occhi, non vede i morti intorno a sé, e questo gli basta.
La sera precedente le avanguardie hanno scorto in lontananza le propaggini meridionali di Boscoverde e adesso tutti possono contemplare il profilo scuro delle alte chiome tratteggiare l’orizzonte. Il silenzio stanco che li ha accompagnati sin lì è venuto meno e voci rincuorate hanno cominciato a diffondersi nell’aria. Spesso è necessario vedere la porta di casa per rendersi conto di avere fatto ritorno e non c’è nessuno tra loro le cui speranze non siano andate deluse almeno una volta, cosa che spinge a non dare nulla per scontato.
Molti desidererebbero procedere in linea retta, tagliando le ultime praterie e tuffandosi tra gli alberi, e poi sempre avanti, oltre Amon Lanc e sino agli Emyn Duir, ma per un esercito non è agevole attraversare una fitta foresta fuori dai sentieri battuti, per quanto benevola essa sia, e ci sono amici da scortare affinché giungano anch’essi a destinazione sani e salvi.
Thranduil osserva Amroth, che cavalca spedito poco più avanti. Sembra che veda già gli alberi del Lórinand oltre l’Anduin, anche se ancora non si vede neppure il fiume, e che essi lo chiamino con più forza di quanto Boscoverde chiami lui. Egli riconosce la voce del bosco, ma non avverte alcuna urgenza in essa, solo una melodia gentile che lo accarezza insieme al vento e che lo saluta.
“Mio signore, re Amroth intende accamparsi con noi questa notte?”
La domanda di Erynion lo distoglie da quelle riflessioni ed egli si volge. Sottile, capelli scuri e occhi grigi, il suo comandante potrebbe agevolmente passare per un Noldo, e il contrasto tra loro non potrebbe essere più marcato. Eppure è un figlio dei boschi, nato in una delle tante comunità Nandor che accettarono Oropher come loro re, ed è antico quasi quanto lui.  
“No, re Amroth desidera guadare il fiume e raggiungere il Lórinand quanto prima”, risponde, “Questa sera i nostri amici ci saluteranno e noi piegheremo ad est. Ci fermeremo a riposare all’altezza di Amon Lanc e domani proseguiremo verso nord.”
“Entreremo attraverso l’antica via?”, chiede Erynion.
Non appena è stato in grado di reggersi in piedi dopo il ferimento davanti al Morannon, Thranduil ha chiamato a raccolta coloro che occupavano posizioni di comando nell’esercito falcidiato di Oropher e li ha invitati a scegliere chi avrebbe dovuto comandarli e ricevere i suoi ordini. Sul momento essi lo hanno guardato interdetti, ma poi hanno capito: il nuovo re non li conosceva e non poteva giudicare chi di loro fosse il più adatto a sostituire chi era perito. Il giorno successivo Erynion si è inginocchiato dinanzi a lui ed è divenuto il comandante dei silvani di Boscoverde, e ancora adesso Thranduil ringrazia silenziosamente coloro che fecero quell’assegnazione in vece sua. Ha perduto il conto delle volte in cui egli ha salvato la vita a qualcuno di loro durante la lunga guerra che si sono lasciati alle spalle.
Durante i primi anni Erynion parlava molto, e raccontava della vita che conduceva sotto le fronde seduto insieme ai compagni accanto al fuoco, ma con il trascorrere del tempo e con l’allungarsi della lista dei caduti ha cominciato a parlare sempre meno, e ora siede accanto al fuoco ma la sua voce tace. E’ stanco, ma crede ancora che gli alberi possano restituirgli l’interesse per quella terra ed esita a rivolgersi ad ovest. Thranduil sa che non sarà così. Nel regno d’ombra qualcosa si è spento in Erynion e di nuovo egli dovrà dire addio a chi considera amico.
“Sì”, conferma, “Segue da vicino la linea dei monti ed è la strada più veloce.”
Dinanzi a loro un rapace spazza con gli artigli il mare d’erba regalando un brivido alla sua quiete, e riguadagna il cielo trascinando la preda con sé. Erynion resta in silenzio per un lungo istante.
“Dovremmo pur sempre attraversare un tratto di foresta privo di sentieri”, osserva infine, “Forse sarebbe preferibile dividerci in guarnigioni e procedere separatamente.”
“No”, risponde Thranduil, “Conosco il tratto di foresta che si estende tra l’antica via e gli Emyn Duir. A metà percorso la strada si avvicina ai monti, e quasi li lambisce in un’area dove la vegetazione è meno densa. Invia esploratori. Che osservino, che parlino con chi abita quei luoghi e che traccino il cammino più agevole. Noi li seguiremo.”
Erynion annuisce ma china il capo più del dovuto, quasi volesse scusarsi per qualcosa, e Thranduil sorride tra sé sospettandone la ragione. I suoi silvani temono ancora di offenderlo, quando invece non fanno altro che constatare l’ovvio.
“Sarà fatto, mio signore, e ti prego di perdonarmi”, lo sente dire, “Non era mia intenzione mettere in dubbio la tua conoscenza del regno che ti appartiene.”
“Nessuna scusa è richiesta poiché non mi è stata rivolta alcuna offesa”, lo rassicura, “Quando visitai Boscoverde, qualche secolo dopo la fondazione del Reame Boscoso, preferii la compagnia degli alberi a quella dei suoi abitanti. Conosco la foresta, Erynion, ma non posso dire di conoscere il mio popolo, ed è questo ciò che mi preoccupa.”
Erynion lo guarda sorpreso.
“Non ve ne è motivo, mio signore”, asserisce, “Ci hai guidati degnamente nel nostro periodo più buio e saprai farlo anche ora che vi è pace.”
“Mi auguro che tu abbia ragione”, sorride di nuovo Thranduil, “Nel frattempo cerchiamo di concludere questo viaggio. Siamo tutti stanchi.”
Con un cenno di assenso Erynion sprona il cavallo e si allontana in direzione delle avanguardie, lasciando il re di Boscoverde in compagnia dei suoi pensieri. E, ultimamente, i pensieri di Thranduil non sono una buona compagnia. E’ stanco della guerra, talmente stanco che le mani quasi si rifiutano di avvicinarsi all’elsa della spada, ma conosce la guerra e conosce la spada, mentre non si è mai seduto in trono e non ha mai governato un regno.
 
***

“Sembra che tu stia cercando qualcosa, re Amroth”, esordisce Thranduil.
Amroth siede a cavalcioni di un vecchio tronco caduto, lo sguardo catturato dalla sagoma degli alberi che crescono sull’altra sponda e la mente lontana. Al suo avvicinarsi sussulta come se non lo avesse sentito arrivare nonostante egli non abbia fatto nulla per celare la propria presenza, e gli rivolge un mezzo sorriso.
“Chi non cerca qualcosa, re Thranduil?”, domanda.
Le acque del grande fiume scorrono placide tingendosi di rosso nella luce del tramonto, e le imbarcazioni inviate dal Lórinand fanno la spola da una sponda all’altra. Pochi hanno fatto ritorno da Mordor e i sopravvissuti impiegheranno meno tempo del previsto per poter toccare di nuovo la propria terra dopo oltre sette anni di lontananza. 
“Non tutti lo cercano tra gli alberi, e non tutti lo fanno con tanta assiduità”, sorride il re di Boscoverde, raggiungendolo e fermandosi accanto a lui.
Resta in piedi, le mani raccolte dietro la schiena e la lunga veste d’argento drappeggiata sull’erba.
Amroth china il capo, la sua voce l’eco di memorie lontane.
“Cerco la speranza”, sussurra, e non aggiunge altro.
Thranduil rimane in silenzio, catturato dal lento andare e venire di quelle imbarcazioni che hanno rubato il candore alla luna ma che sono anch’esse un eco, un pallido eco di glorie passate.
“Sul Gorgoroth non hai mai parlato di lei”, dice senza voltarsi, ma poi quasi si pente per aver richiamato alla mente il ricordo della terra nera.
Il solo citarla lo scaraventa ancora là, tra le esalazioni che bruciano le carni e la polvere che soffoca e che non cessa mai di piovere sul suolo riarso.
“Il Gorgoroth non era luogo in cui pronunciare il suo nome”, sentenzia Amroth prima di alzarsi.
“E tu, re Thranduil?”, chiede, “C’è qualcuno di cui non ci hai parlato?”
Thranduil scuote impercettibilmente il capo. La spontaneità di Amroth lo fa apparire giovane a volte, innamorato della vita come chi non ne ha ancora saggiato il dolce insieme all’amaro, eppure questa impressione non potrebbe essere più sbagliata. Egli lo ha visto inghiottire l’amaro a lunghi sorsi, riuscendo tuttavia a non fare del passato la propria prigione. Anche lui vorrebbe riuscire in questo, ma ha l’impressione di aver smarrito la chiave anni addietro.
“No, re Amroth”, risponde.
Amroth sorride e si accontenta di quelle poche parole. Sull’altra sponda l’ultimo gruppo sta guadagnando terra e una barca è già in viaggio per traghettare chi ancora si attarda. Il re del Lórinand volge le spalle alle acque e china la fronte, appoggiando il palmo della mano sul petto.
“E’ tempo di salutarci, re Thranduil”, dice, “E’ stato un onore combattere al tuo fianco e mi auguro di incontrarti presto in più liete circostanze. Ti ringrazio per averci consentito di viaggiare sicuri.”
Thranduil imita il suo gesto.
“L’onore è stato mio e mi piacerebbe che non fosse questa l’ultima volta in cui abbiamo modo di parlare in amicizia.  Navaer, re Amroth.”
“Navaer, re Thranduil.”
Durante il lungo assedio sono nati affetti tra coloro che hanno rischiato la vita fianco a fianco, e i silvani di Boscoverde hanno già salutato i fratelli del Lórinand. Ora quel lungo tratto dell’Anduin è un fiorire di gruppi che guardano l’altra riva raccolti sul limitare delle acque e di mani che si alzano per un ultimo addio, perché nessuno è certo di poter ritrovare un giorno chi sta ora lasciando.
Un secondo cenno del capo ed Amroth si gira e raggiunge a passi veloci il punto ove l’imbarcazione ha appena toccato terra. Thranduil lo vede saltarci sopra e portarsi a prua, mentre i rematori la spingono attraverso la corrente disturbando appena il sonno del fiume. Lo vede attendere immobile, lo sguardo rivolto di nuovo alla fitta boscaglia, quasi riuscisse a scorgere qualcosa di invisibile a tutti tranne che a lui, e lo vede scendere in un unico balzo ancor prima che lo scafo si assesti manovrato da mani sapienti. Lo vede correre verso un punto preciso senza voltarsi neppure una volta, e poi vede lei, una goccia d’oro tra il verde che si mescola al blu nell’abbraccio del re.
Thranduil resta per un istante a guardare, quindi solleva appena la mano e li saluta, senza attendersi che essi si accorgano di lui. Sorride tra sé e si allontana, facendo cenno ad Erynion di dare il segnale, e rimonta a cavallo. In silenzio l’esercito di Boscoverde lascia la sponda e riprende il cammino verso gli Emyn Duir.   
 
***

I silvani procedono verso nord mantenendosi sul margine del bosco, e più la meta si avvicina più il loro vociare si fa sicuro. Thranduil non sente più bisbigli esitanti provenire dalla schiera, ma dialoghi quasi allegri frammisti a timide risate. Egli non riesce a provare allegria né tantomeno a ridere, ma quel ritorno alla vita che altri stanno sperimentando consola in parte anche lui e lo porta a sorridere un poco di più.
Erynion, invece, non sorride, né Thranduil si aspetta che lo faccia. 
Avanzano spediti, con gli alberi amici alla loro destra e sul lato opposto l’Anduin che, uscito a tratti dal suo letto, risplende come vetro tra il frinire di grilli e cicale. Di giorno Anar infiamma l’oro delle armature e scalda lo spirito, mentre di notte Isil si fa spazio nel firmamento e racconta storie con la voce di chi si è raccolto intorno ai fuochi. Talvolta qualcuno canta e in un paio di occasioni a Thranduil è parso di udire le note di un’arpa, e si è ricordato che anch’egli ne possiede una, dono di suo padre in tempi felici, e che il Doriath esisteva ancora quando la teneva tra le mani. E, senza alcuna ragione, si è domandato se qualcuno l’abbia portata al palazzo insieme a tutto il resto.
Quella giornata è iniziata con un leggero manto di nubi bianche coricate sull’orizzonte, ma poi il sole le ha soffiate via, tornando ad accompagnare i loro passi sino all’ingresso dell’antica via attraverso la foresta.
La vecchia strada si apre ora davanti a loro ed è come Thranduil la ricorda: un ampio sfregio nel bosco, utile ma fastidiosa a vedersi, come fastidioso è il pensiero di dover usare ancora una volta qualcosa costruito dai nani. Alle sue spalle il ponte sull’Anduin, che ne rappresenta il proseguimento e sul quale sono transitati gli eserciti sette anni prima, non fa altro che accrescere il fastidio. Non tutti i nani sono uguali, continua a ripetersi, ma non cerca di nascondere a sé stesso ciò che prova nei confronti della stirpe di coloro che hanno ridotto Elu Thingol ad un cadavere riverso in una pozza di sangue: avversione, un’avversione che non riesce a spegnere e che cova sotto la cenere, rischiando sempre di sfociare nell’odio più profondo. Qualcosa che un re non può permettersi di nutrire in maniera indiscriminata perché offusca la capacità di giudizio, e a cui egli cerca di non dare mai occasione di manifestarsi. Ma il sacco del Doriath rappresenta una sbarra della sua prigione, una di quelle più difficili da rimuovere.
Relega di nuovo quelle memorie al passato a cui appartengono e rivolge un leggero cenno di saluto ai silvani che attendono disposti in fila ai due lati dell’entrata, il capo chino e gli stendardi verdi e argento liberi di assecondare il vento. Sono i primi rappresentanti della sua gente che egli incontra a non aver combattuto insieme a lui, il primo segno tangibile del futuro che lo aspetta.
“Proseguiamo, mio signore?”, domanda Erynion.
Thranduil stringe le labbra e annuisce.
“Sì.”
Lentamente, come i granelli di sabbia attraverso il collo di una clessidra, gli eldar penetrano nel varco e scompaiono alla vista inghiottiti dalla foresta.
Boscoverde detto Il Grande è antico, così antico da aver cullato il riposo degli elfi durante il Grande Viaggio, ed è divenuto nel corso delle ere la casa di molti tra coloro che non sono partiti o che vi hanno cercato pace, dopo aver visto le proprie terre aprirsi ed accogliere il mare. Prima dell’arrivo di Oropher non esisteva un unico popolo, ma solo insediamenti sparsi, tante usanze come ci si aspetta quando genti diverse si incontrano, e nessuno da chiamare signore. Con Oropher la vita dei silvani non è cambiata e ha continuato a scorrere intrecciata a quella del bosco e dei suoi abitanti, ma accanto ai vecchi insediamenti ne sono sorti di nuovi e le usanze si sono fuse, divenendo il retaggio culturale di quello che ha deciso di chiamarsi popolo e di incoronare Oropher suo re. Nella Seconda Era il Reame Boscoso è prosperato, aiutato in questo dalla scarsa propensione del sovrano ad immischiarsi in faccende altrui, ma poi c’è stata Dagorlad che ne ha decimato gli abitanti, svuotando le case e spegnendo le risa, e ora il popolo di Thranduil è composto in gran parte da sopravvissuti segnati dal dolore. Come lui stesso, del resto.
Nonostante questo, l’armata di ritorno da Mordor è ancora sufficientemente numerosa da dissuadere chiunque dall’attaccarli e serpeggia attraverso il bosco in una linea sottile di cui non è possibile vedere la fine.
Thranduil cavalca in testa, circondato dalla guardia personale che mai lo lascia, quasi il suo capitano fosse convinto di essere ancora in terra nemica e di doverlo proteggere anche lì nel loro regno. Egli sorride tra sé e lascia fare poiché ha molto per cui farsi perdonare, incluso l’essere andato vicino alla morte.
Gli alberi che abbracciano il cielo sono imponenti, ma non tutti sono vecchi. Ve ne sono di antichi e ve ne sono di giovani, nuove promesse che cercano di farsi strada verso la luce e che si accalcano laddove altri sono caduti aprendo squarci nella volta. L’aria è immobile, umida, ma non è opprimente e profuma di vita, una vita primitiva che si tramanda di generazione in generazione, mutando lungo i secoli per restare sempre uguale. A Thranduil è sempre parso di sentire Arda respirare durante le notti trascorse a Boscoverde, e anche ora qualcosa pulsa sotto ai suoi piedi e intorno a lui, qualcosa di cui gli altri sembrano non accorgersi e che allevia il suo tormento.
Mentre procedono gli abitanti che li accolgono diventano di volta in volta più numerosi. Non cercano di dissimulare la loro presenza, ma attendono lungo la via fin dove giunge lo sguardo e al loro sopraggiungere si fanno avanti. Alcuni abbracciano parenti o conoscenti, altri piangono per chi avrebbero voluto ritrovare, ma tutti donano cibo e bevande e sempre si inchinano dinanzi al re. Pochi tornano da dove sono venuti: i più si incamminano al loro fianco, mescolandosi ai soldati ed offrendosi di aiutarli con i carri e con i cavalli, più avvezzi alle praterie che alla foresta.
Quella sconfinata distesa di alberi non ha segreti per loro e l’esercito continua a muoversi anche sotto le stelle, nonostante le chiome ne blocchino in gran parte la luce. Nessuno sente il bisogno di riposare a lungo ora che la soglia di casa è a portata di mano, e dopo diversi giorni di marcia lasciano l’antica via e piegano verso nord.
A poco a poco le alte conifere sostituiscono le latifoglie e annunciano che il loro viaggio è giunto al capolinea. Le radure si fanno sempre più numerose e il terreno inizia lentamente a salire, finché compaiono le prime abitazioni che disegnano insediamenti organizzati in posizione di solito sopraelevata. Non vi sono cinte di mura a protezione, ma la vegetazione non è mai troppo fitta intorno ad essi e ovunque spuntano torri d’osservazione, che si ergono fin quasi a raggiungere le cime degli abeti più alti e che sono collegate da una ragnatela di camminamenti sopraelevati.
Thranduil ricorda le piattaforme sospese tra le chiome costruite da alcuni gruppi di silvani intorno ad Amon Lanc, dove gli alberi possedevano rami robusti in grado di sostenerle e non si piegavano sotto il peso delle costruzioni, come invece farebbero quelli che ora vede. Luoghi diversi impongono usanze diverse, ed egli non si sorprende della capacità di adattamento della propria gente, e ancora una volta prova un senso di profondo rispetto nei suoi confronti. Non ha fatto nulla per guadagnarsi il titolo, ma è fiero di esserne il re.
Le abitazioni sono semplici, ricavate nel legno e nella pietra. Le più grandi si sviluppano intorno ad un grande albero posto al loro centro, al cui tronco si appoggiano alti tetti a spiovente che raccontano di un clima meno clemente di quello al quale egli è abituato. Gli Emyn Duir non hanno mai avuto l’ardire di definirsi montagne, poiché altro non sono che una lunga catena di colline che taglia il bosco in due e che solo ad est raggiunge altezze degne di nota, ma sono esposti ai venti freddi che scendono da nord e le piogge cadono abbondanti, trasformandosi spesso in neve durante l’inverno. Qua e là si scorgono piccole terrazze costruite intorno ai tronchi appena al di sopra del livello dei tetti, leggere e poste a quote talmente basse da non poter svolgere alcuna funzione difensiva. Quasi tutte ospitano elfi che guardano nella sua direzione e a molte di esse sono stati appesi drappi su cui qualcuno ha ricamato intrichi di rami color argento. Vi sono ovunque intrecci di fiori e di foglie di cui solo ora Thranduil si rende conto e che hanno il potere di scuoterlo nel profondo, come ogni gesto spontaneo di affetto che non ci si aspetta di ricevere.
Si ferma, circondato dalla guardia e dalla folla, e fa cenno ad Erynion di avvicinarsi.
“La guerra è finita, almeno per ora”, dice, “Che chiunque lo desideri torni alla propria casa.”
“Sì, mio signore.”
Il comandante si allontana e in meno di un attimo la foresta vibra al suono dei corni con cui i capitani sciolgono le guarnigioni. Thranduil incita il cavallo e riprende ad avanzare. Al suo avvicinarsi i silvani si fanno da parte e piegano il capo, ma sui loro volti è facile ravvisare curiosità prima che si eclissino alla vista. Forse qualcuno sì è già imbattuto in lui in passato, ma per la maggior parte di essi quella è la prima volta in cui incontrano il nuovo re e Thranduil non può non domandarsi quali siano i loro pensieri mentre lo osservano dirigersi verso il palazzo voluto dal padre. Avrà tempo in abbondanza per scoprirlo, e per imparare a conoscere il proprio popolo.



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Nota:
Con il termine "Rhovanion" ci si riferisce alle terre poste a nord di Dagorlad, altrimenti note come Terre Selvagge, e qui rappresentate alla stregua di lande brulle e desolate soggette a cicli vegetativi brevi ed effimeri, tipici di ambienti semidesertici. Per maggiori informazioni in merito si rimanda a "The Atlas of Middle-Earth" di Karen Wynn Fonstad, le cui mappe ci regalano informazioni preziose sulle regioni climatiche della Terra di Mezzo ed evidenziano le zone (circoscritte) prive di vegetazione.

Erynion  (“Figlio della foresta” nella lingua degli elfi dei boschi) è un personaggio di mia invenzione.
 
Navaer (sindarin) = Addio




Un grazie a Dea Bastet per il bellissimo banner!

 

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Capitolo 2
*** In aule di legno e di pietra ***


                                       

   

2. In aule di legno e di pietra (2 T.E.)
 



Il palazzo dei re Sindar di Eryn Galen non è una gemma preziosa che racchiude lontani fasti e non ha nulla in comune con le maestose residenze dei re elfici che in passato vissero nella Terra di Mezzo, né tantomeno con quelle dei signori che ancora vi abitano. Non possiede il loro splendore e non ricorda la magnificenza di coloro che mai lasciarono l’occidente, ma è un gioco di legno e di pietra che si snoda su più livelli sulla cima di una collina. E’ un dono della terra che fa del bosco la propria corona, e quando il sole svanisce oltre l’orizzonte le volte ne trattengono per un istante il calore, infiammandosi nel crepuscolo e risplendendo di una bellezza solida ed antica.
La strada di accesso è ampia e ben tenuta e sale lentamente sino al piazzale su cui si apre il massiccio portone di ingresso. Thranduil si è ricongiunto all’esercito del padre all’uscita dall’antica via e non ha mai soggiornato ai piedi degli Emyn Duir, ma ora ha l’impressione di riconoscere nelle forme della residenza che si fa sempre più vicina quella che lo ospitò ad Amon Lac, ormai ridotta ad un cumulo di rovine che la foresta sta già cancellando. Le costruzioni degli elfi dei boschi non sono pensate per sopravvivere ai loro creatori, ma per farsi da parte restituendo alla terra lo spazio preso in prestito non appena la loro utilità viene meno. Eppure, se vogliono, anche i silvani sanno erigere opere capaci di resistere al tempo, ed è facile scorgere i segni della loro maestria negli incastri tra le pietre e nelle forme rubate al legno, eleganti, leggiadre, opera di mani e di menti che racchiudono l’esperienza maturata nei secoli e che nessun mortale potrà mai eguagliare.
La guardia di palazzo è schierata ai bordi della strada, due lunghi cordoni rosso e oro che giungono sino in cima. Vi sono bandiere sulle guglie e stendardi issati su alti pennoni vicino ai battenti spalancati, e vi è una piccola folla in attesa.
In prossimità di essa Thranduil scende da cavallo e ringrazia con un cenno gli inservienti che gli si fanno incontro per prendere le briglie. Altri fanno lo stesso con Erynion e con i membri della sua scorta.
Due tra i presenti si staccano dal gruppo che osserva in silenzio, lui insolitamente basso per essere un membro dei Primi Nati e lei alta e bella anche tra gli elfi. A pochi passi da lui si fermano e chinano il capo. Hanno i capelli biondo scuro, entrambi, ed entrambi vestono i colori del bosco.
“Questo è un giorno di gioia, mio signore, perché il Reame Boscoso ha di nuovo il suo re”, dice l’elfo, “Io sono Hádhion, e attraverso la mia voce tutto il tuo popolo ti dà il benvenuto.”
Parla sindarin, ma le contaminazioni locali sono così forti da trasformarne a tratti la cadenza. Thranduil ne ha dimestichezza sin dai tempi di Amon Lanc, ma nonostante i sette anni trascorsi a stretto contatto con i suoi silvani non ne ha ancora subito l’influenza e si domanda quanto la sua pronuncia debba sembrare loro straniera. Forse col tempo anch’essa cambierà, come è accaduto in parte per suo padre, o forse non succederà mai.
Appoggia la mano al petto e lo saluta come è d’uso tra i membri della loro stirpe, cercano di pronunciarne bene almeno il nome.
“Ti ringrazio, Hádhion. Qual è la tua mansione?”
Non conosce nessuno di loro, e non sa quali compiti svolgano.
“Sono il sovrintendente di palazzo, mio signore”, risponde questi, “Sono stato scelto da re Oropher e rimetto la mia nomina al tuo volere.”
Thranduil sorride.
“Non vedo al momento ragioni per revocarla, e se hai servito mio padre conto che saprai fare lo stesso con me. ”
“Grazie, mio signore.”
Hádhion abbassa lo sguardo, forse in un gesto spontaneo o forse per celare qualcosa. Sorpresa o riconoscenza, Thranduil non saprebbe dirlo.
“Questi è Erynion”, continua, “Immagino lo conosciate. Ora l’esercito del Reame Boscoso è al suo comando. Ha fatto un lungo viaggio e ha bisogno di riposo, come ne hanno i membri della mia guardia e chiunque abbia combattuto a Mordor senza trovare al ritorno una casa in grado di accoglierlo. Procura loro stanze e indumenti puliti e metti a loro disposizione cibo e bevande, affinché possano riposare e recuperare le forze.”
“Sarà fatto, mio signore”, assicura Hádhion.
Thranduil si volge verso colei che non ha ancora proferito parola, ma che ora sembra comprendere la sua muta richiesta e che solleva gli occhi sfoggiando un’insolita sfumatura ambrata.
“Il mio nome è Maidhwen, mio signore”, si presenta, “Ho ricevuto da re Oropher l’incarico di occuparmi della famiglia reale, e anch’io mi rimetto alla tua volontà.”
Nonostante il prestigio che rivestono, i compiti svolti da Hádhion e Maidhwen non sono di alcun rilievo per il regno e non sarà lui a metterli in discussione, o comunque non lo farà a meno di validi motivi. Altre sono le priorità.
“Continua a farlo, dunque”, approva.
“Sarà un onore, mio signore”, china il capo Maidhwen, “Le tue stanze sono pronte. Mi sono permessa di far giungere a palazzo i tuoi effetti personali.”
“Ti ringrazio, e ti domando la cortesia di farmi strada”, sorride Thranduil, “Temo di necessitare anche io di riposo.”
Maidhwen si sposta di lato e indica l’ingresso.
“Da questa parte, mio signore.”
Prima di seguirla Thranduil richiama l’attenzione di Erynion, in piedi a breve distanza da lui.
“Voglio conoscere lo stato attuale delle nostre difese”, dice, “Riposa, dopo di che ispeziona ciò che ritieni opportuno e vieni da me insieme a chi ha ricevuto da mio padre l’incarico di occuparsene.”
“Sarò da te domani, mio signore”, assicura Erynion.
Thranduil scuote il capo e appoggia una mano sulla spalla del comandante.
“Domani? Facciamo almeno il giorno dopo, amico mio.”
L’ombra di un sorriso distende in maniera appena percettibile i lineamenti di Erynion, ma non vi è gioia in esso e Thranduil non si fa illusioni. Se ne andrà, lo sente, e forse anche Erynion si sta rendendo conto che quella è l’unica strada.
“Il giorno dopo, allora”, concede.
Thranduil annuisce e, guidato da Maidhwen, varca l’ingresso di quella che è ora la sua residenza.
Il cortile interno si sviluppa all’ombra di antichi alberi e vive della stessa quiete del bosco. Camminando lungo i bordi a Thranduil pare di udire il suono di acqua che scorre e che lambisce la roccia oltre la barriera dei tronchi, ma non pone domande. Nei giorni a venire cercherà da solo le risposte.
In silenzio percorre corridoi che profumano di legno e attraversa saloni dalle alte arcate. Vi sono scale scolpite in foggia di tronchi e di rami e logge che penetrano sin dentro le chiome degli abeti che sfiorano le facciate esterne. Al loro passaggio le teste si abbassano e la gente si fa da parte, ma Thranduil non si ferma a salutare. Anche per conoscere il personale di palazzo ci sarà tempo. Dinanzi ad una porta finemente decorata con motivi floreali Maidwen si ferma ed attende che due inservienti scostino i battenti, permettendo loro di entrare. Su suo invito egli si fa avanti e si ritrova in una sala ampia e luminosa, su cui si aprono numerose stanze laterali e le cui vetrate consentono di accedere ad un grande terrazzo coperto. Gli ambienti, ricavati prevalentemente nel legno, non rifulgono d’oro, ma sono raffinati e vi è armonia nelle dimensioni e nelle forme, e la loro bellezza è gentile come la carezza della primavera.
“Re Oropher ha voluto queste stanze per te, mio signore”, lo informa Maidhwen, “Le sue sono al livello inferiore, ma se le preferisci le farò approntare il più rapidamente possibile. Queste sono in ogni modo le migliori dell’intero palazzo, e sono le più spaziose.”
Thranduil abbassa le palpebre. Le implicazioni di quanto appena detto da Maidhwen lo fanno vacillare per un attimo e il suo cuore geme, stretto nella morsa di emozioni troppo intense. Oropher non si è mai opposto alla sua scelta di vivere lontano né ha mai agito in modo tale da suscitare in lui sensi di colpa, eppure ora Thranduil prova rimorso per non aver compreso quanto la sua vicinanza sia mancata al padre e quanto egli abbia sperato sino alla fine in un suo ritorno. Chissà se contava di dirgli delle stanze che aveva fatto approntare per lui se non fosse caduto tra la putredine delle Paludi Morte.
“No, non occorre”, dice, costringendosi a mantenere salda la voce, “Puoi andare.”
Maidhwen annuisce.
“Sì, mio signore. Troverai acqua calda e tutto l’occorrente per lavarti nella sala da bagno. Le vesti pulite sono sul letto. Se lo desideri farò venire qualcuno affinché ti aiuti.”
“No, ti ringrazio”, rifiuta lui, “Non è necessario.”
“Come preferisci. Consumerai la cena qui o nella sala da pranzo?”
Thranduil sfila la spada e la depone sul lungo tavolo posto al centro della stanza. Come molti dei mobili, anch’esso è stato lavorato in maniera tale da riprodurre foglie e rami intrecciati.
“La consumerò qui”, risponde.
“Darò ordine che ti sia portata entro breve. Con permesso.”
Maidhwen si inchina ed esce, lasciandolo solo.
Con un sospiro Thranduil raggiunge il terrazzo e trasalisce dinanzi allo spettacolo inatteso che gli offre il bosco baciato dal sole della sera. Si lascia rapire dalla luce calda che accarezza le chiome e non si rende conto dello scorrere del tempo finché un refolo di vento non lo ridesta, avvisandolo che è ora di rientrare. Getta un’ultima occhiata alla foresta che si estende ai suoi piedi e cerca la stanza da bagno. Si lava senza indugiare troppo, quindi si riveste e apre uno dei bauli che lo hanno accompagnato sino a Mordor, estraendo lo scettro del padre ancora avvolto nel velluto che lui stesso ha usato per proteggerlo durante il viaggio. Lo libera dal tessuto e lo stringe tra le mani, cosciente come mai prima d’ora di cosa questo significhi. Lo scettro dei regnanti Sindar di Eryn Galen è stato intagliato nel legno della sua quercia più antica e donato dagli elfi dei boschi a colui che accolsero come loro re, ed è il simbolo della casa reale più della corona che cinge il capo del sovrano. Ora lo scettro è suo, insieme alla corona e insieme al regno.
Rintocchi leggeri giungono dalla porta. Thranduil rammenta le parole di Maidhwen.
“Entra”, dice, e torna a rivolgere la propria attenzione al baule.
Recupera il sostegno e lo mette in posizione mentre la porta si apre, infila l’asta nella scanalatura e lo sposta accanto alla parete più vicina.
Un fruscio di vesti accompagnato dal tintinnio di stoviglie attraversa la stanza e un vassoio viene deposto sul tavolo accanto alle vetrate.
“La tua cena è pronta, mio signore. Se non è di tuo gradimento provvederò a sostituirla.”
La voce non è quella di Maidhwen e Thranduil si gira verso colei che ha parlato.
Non ricorda di averla vista in mezzo a coloro che lo hanno accolto al suo arrivo. Tiene le mani raccolte in grembo, il capo lievemente chino e lo sguardo rivolto verso il basso. Non è alta quanto Maidhwen e non sembra essere dotata di altrettanta bellezza, eppure quando alza gli occhi su di lui Thranduil ha la sensazione di precipitare tra il verde del bosco che ha appena contemplato, e capisce all’istante di essersi sbagliato. Maidhwen è il guizzo di fiamma che brucia e che si spegne, mentre colei che sta guardando è la lanterna che rischiara la notte sino al sorgere dell’alba senza mai vacillare.
“Non sarà necessario”, dice, “Andrà bene.”
La vede sorridere e solo dopo averlo fatto si rende conto di aver sorriso anch’egli. E si convince di essere molto più stanco del previsto.
“Desideri cenare qui o in terrazzo?”, domanda lei.
Ha lunghissimi capelli leggermente mossi che hanno preso in prestito dalla foresta tutte le sfumature del legno.
“Non saprei”, ammette Thranduil, allacciandosi gli ultimi fermagli che chiudono la veste, “Posso affidarmi al tuo consiglio?”
Ella sorride di nuovo, e di nuovo Thranduil fa lo stesso.
“Ti consiglio il terrazzo, mio signore”, dice, “Le stelle stanno sorgendo.”
Poi un pensiero fugace sembra accedere il dubbio in lei.
“Ma forse hai già visto troppe stelle durante la tua lontananza e preferisci salde pareti intorno a te”, si corregge.
Troppe stelle … In un’altra circostanza Thranduil avrebbe accolto con un commento ironico una simile affermazione, ma ora l’idea di farlo non lo sfiora neppure. Ella non ha mai visto il cielo sopra il Gorgoroth e non sa cosa significhi non vedere la luce per anni. Non sa che ci si sente come se ci si stesse spegnendo.
“No, signora”, sussurra, “Sono stato lontano dalle stelle per così tanto tempo che non basterà l’eternità perché me ne possa saziare.”
Qualcosa attraversa il volto di lei, una ragnatela di stati d’animo che mutano troppo rapidamente affinché egli possa afferrarli.
“Perdonami”, la sente dire a voce bassa, “Ho parlato senza riflettere.”
La mente di Thranduil corre ad Erynion e alla conversazione avuta con lui durante il viaggio di ritorno.
“Ultimamente sembra che tutti siano convinti di dovermi chiedere perdono per qualche loro sbaglio”, afferma, “Non mi hai offeso. Cenerò in terrazzo.”
“Sì, mio signore”, annuisce lei.
Prende il vassoio ed esce, ne dispone il contenuto sul tavolo ed accende una ad una le lucerne appese. La loro luminescenza soffusa allontana la notte, ma lo fa con gentilezza e non cancella le luci che stanno conquistando il firmamento.
Thranduil la osserva mentre si muove silenziosa sul pavimento di legno e in più occasioni ha l’impressione che non cammini, ma che danzi seguendo segrete melodie che solo lei conosce. I suoi pensieri lo stanno conducendo su terreni che non gli sono famigliari e che non riesce a definire. Distoglie lo sguardo, confuso, e siede dove lei gli ha indicato.
Getta un’occhiata veloce a quello che ha di fronte e si chiede come possa il vassoio, ora vuoto, aver contenuto tutto, ma si trattiene dal porre la domanda. Si concede, invece, l’altra domanda, quella più importante.
“Non so come devo chiamarti”, dice.
Il vino che ella sta versando ondeggia appena e Thranduil si ritrova a rimpiangere di non essere riuscito a cogliere il riflesso che hanno assunto i suoi occhi in quel momento, perché è sicuro che qualcosa in essi sia cambiato, anche se solo per il tempo di un battito d’ali. Si sente più confuso di prima, ma la vita alla corte di Gil-Galad gli ha insegnato come nascondere ciò che si agita sotto la superficie ed esternamente nulla traspare.
“Perdonami”, si scusa lei, per la seconda volta quella sera, “Ho mancato di presentarmi. Il mio nome è Amariel.”
Thranduil alza il calice ed assapora la fragranza del vino. Ha imparato ad apprezzare il dorwinion ad Amon Lanc e non se ne è più separato: un piccolo innocente piacere a cui non vede ragione di rinunciare.
“Hai un nome che ti si addice, dama Amariel.”
Amariel lo guarda e a Thranduil sembra che le sue guance abbiano ora la stessa sfumatura del dorwinion, e che ella sia sorpresa quanto lui di fronte a quella insolita reazione. Il complimento che le ha fatto non ha nulla che la giustifichi.
“Grazie, mio signore”, sussurra lei, una nota calda nella voce che ha il potere di far vibrare qualcosa nel profondo del suo animo.
“Ringrazia chi te lo ha dato”, sorride Thranduil, e inizia a consumare la cena per consentire a lei di ricomporsi e a sé stesso di liberarsi da quell’atmosfera incantata che, con il calar della notte, sembra aver avvolto il terrazzo e le sue stanze.
 
***

Le difese del Reame Boscoso sono tutto tranne che solide. Thranduil lo capisce in un batter d’occhio, ma ascolta sino in fondo le spiegazioni dettagliate di Erynion e i rapporti di chi occupa posizioni chiave.
Siede sul trono in legno che fu di Oropher, la corona sul capo e lo scettro stretto in una mano, e resta in silenzio mentre a turno coloro che prendono la parola ripetono che il bosco è la loro difesa. Ma il bosco non impedisce l’accesso alle loro terre e vi sono punti in cui può essere attraversato con facilità. Lo ha fatto lui con un’intera armata e potrebbe farlo chiunque. Ciononostante non ribatte. Scaccia la voglia di andarsene prima del previsto ed annuisce, quindi a metà giornata ringrazia e licenzia tutti tranne Erynion ed un silvano insolitamente massiccio, vestito di pelle e con una lunga spada allacciata sulla schiena. Si occupa della coordinazione della cintura di torri più esterna e ha detto solo poche parole, ma ha detto quelle giuste.
Thranduil si alza e fa cenno ai due di accompagnarlo nella stanza adiacente alla sala del trono, quindi siede e depone lo scettro.
“Come proporresti di aiutare il bosco, Amath?”, domanda.
L’elfo lo guarda dritto negli occhi, e come poco prima mostra rispetto ma non soggezione. Qualcun altro a cui il nome si addice, riflette Thranduil, e non per la prima volta dal loro incontro i suoi pensieri volano a lei. Ma ora parte della nebbia si è dissolta e ciò che comincia a rivelare lo inquieta.
“Trappole, mio signore”, risponde Amath.
Di nuovo le giuste parole.
“Sì, trappole”, approva, “E maggiore controllo del territorio dentro e fuori i confini.”
Un lampo di soddisfazione nasce e muore nello sguardo di Amath, ma il riverbero di quella luce resta e Thranduil sorride tra sé, chiedendosi in quante occasioni egli debba aver fatto presente quell’esigenza a suo padre restando inascoltato. Oropher è sempre stato ostinato, e alla fine questo l’ha ucciso.
“Sospetto che non sia la prima volta che questo pensiero ti sfiora, Amath”, continua, “Mettilo su carta e poi torna da me. Nel frattempo aumenta il numero delle torri di osservazione e sposta la linea esterna verso sud. Se una foglia si muove a nord dell’antica via io voglio saperlo.”
Amath annuisce e questa volta si inchina.
“Sarà fatto, mio signore.”
Thranduil si volge verso Erynion.
“Disponiamo di esploratori e molti tra coloro che hanno combattuto a Mordor hanno svolto incarichi simili. Organizza una rete di osservazione a sud dell’antica via, sino ad Amon Lanc ed oltre. Non possiamo costruire mura a nostra difesa, perché la vita che conduciamo è incompatibile con esse. Eryn Galen è la nostra casa e non possiamo fortificare la foresta, ma se riusciremo a vedere il nemico prima che varchi i confini del nostro regno allora potremo usarla a nostro vantaggio, e difenderci meglio di ciò che faremmo usando la pietra.”
“Provvederò immediatamente”, assicura Erynion, e per un istante Thranduil scorge in lui qualcosa di diverso dalla semplice accettazione.
Non abbastanza per farlo restare, ma è comunque un inizio.
Con un cenno congeda entrambi e si abbandona contro l’alto schienale, le palpebre socchiuse e tante domande a cui ora si è aggiunta anche lei.
 
***

Si parla molto di re Thranduil in quei giorni, alla luce del sole o bisbigliando in compagnia delle stelle, e si parla di cose importanti e di altre che invece di importanza non ne rivestono alcuna. Si esprimono opinioni circa i cambiamenti che sta introducendo poco a poco e si cerca di dare un nome al colore dei suoi capelli, ma Amariel non si sorprende. Si parla sempre del re, soprattutto agli inizi del suo regno. Col passare del tempo di molte cose non si parlerà più, ci si farà una ragione di come anche l’argento possa trattenere il calore dell’oro e solo ciò che conta resterà.
Nel frattempo ella ascolta, e a volte sorride tra sé immaginando la reazione che egli avrebbe se avesse la possibilità di ascoltare insieme a lei, ma non dice nulla perché nessuno parla con malevolenza e anche il buon umore è un segno che la guerra è finita.  
Talvolta, invece, non ascolta, e i suoi pensieri cominciano a percorrere da soli sentieri sconosciuti lungo i quali, da qualche parte, il re non è più il re. Quando accade sussulta, turbata dal suo stesso ardire, e si rimprovera con più foga di quanto facesse in passato durante le rare occasioni in cui si domandava come egli fosse, perché ora tutto è diverso. Molte cose le deve ancora immaginare, poiché di lui si sa poco, ma altre le deve solo ricordare, e sono queste le cose che la spaventano. E’ la fiamma inaspettata che le ha scaldato il cuore in quella sala, la sensazione che si prova quando si scorgono le luci di casa dopo esserne rimasti lontani per troppo tempo, ed è il cielo che è caduto su di lei quando egli l’ha guardata, colmando quel vuoto che abitava la sua anima e di cui non conosceva l’esistenza.
Amariel vive da molti secoli, ma non è antica e al di qua del mare ha solo qualche lontano parente tra gli Avari dell’estremo nord. Li incontra raramente, anche se invia sempre doni quando può. Sin dai tempi di Amon Lanc è al servizio della casa di Oropher e ha pianto quando ha saputo della morte del re. Non lo conosceva personalmente, ma era il suo re ed era un buon re.
Il figlio di Oropher, invece, non lo aveva mai incontrato prima di quella sera, anche se le erano giunte molte voci su di lui e sulla sua singolare scelta di vivere tra i Noldor. La guerra contro Sauron ne ha aggiunte delle nuove e qualcuno racconta ancora di come egli sia riuscito a rimediare all’errore di Oropher e a riportare a casa chi è sopravvissuto. Amariel non sa se ciò che si dice corrisponda al vero, ma ora ci sono due cose di cui è sicura: re Thranduil differisce in molto dal padre e non è l’aspetto ciò che più li divide, e la quiete che si legge sul suo volto è solo apparente. Ci sono emozioni intense in lui, seppellite in profondità oltre quello sguardo che a tratti sembra più antico di quello di Oropher, e ci sono cicatrici non ancora rimarginate e ombre dense che il tempo non ha dissolto. Ha visto la solitudine nei suoi occhi e ha visto la sofferenza, e ancora sente il dolore della ferita che si è aperta in lei. E sente altro, e nonostante i suoi sforzi non trova risposte a ciò che ha provato una volta varcata quella soglia. E’ tornata indietro col vassoio vuoto e i battenti sono stati chiusi, ma non per lei.
Sua madre le direbbe che non deve avere timore del nuovo corso che la vita può prendere, perché ogni cosa tende al suo compimento e se il suo cuore è cambiato significa che era questo ciò a cui anelava. Ma il cuore del re a cosa anela?
Amariel lo osserva mentre siede sotto l’albero più alto, lo scettro appoggiato al tronco e le mani sui braccioli. Indossa la nuova corona che i silvani hanno plasmato per lui e che gli ha consegnato il loro portavoce, come in passato è stato fatto con Oropher. Gli artigiani del Reame Boscoso hanno creato un’opera di squisita bellezza, un intreccio di rami che si elevano al cielo e che trattengono il marrone caldo dei tronchi e lo splendore dell’oro, e Amariel non riesce a pensare a nulla di più adatto a lui.
Poco prima il re ha aperto i festeggiamenti per l’arrivo della primavera e tutte le tradizioni sono state rispettate. Ora il bosco è in festa e vi sono musica e canti intorno a loro, vi sono risa e danze e banchetti al centro delle radure. Le lanterne sono state accese ovunque e le stelle ondeggiano appese ai rami, in un muto saluto rivolto a quelle che rallegrano il cielo.
Sono pensieri insensati quelli che la accompagnano mentre aggira il cerchio dei danzatori rifiutando gli inviti ad unirsi a loro, ma il sorriso che il re sta offrendo a coloro che gli rendono omaggio è un sorriso di circostanza, e non importa se ella pecca di presunzione nel suo tentativo di allontanare le ombre che lo tormentano. Qualcosa le impedisce di restare semplicemente a guardare.
Si avvicina a passi lievi e attende a debita distanza che egli sia di nuovo solo, quindi respira a fondo mettendo a tacere quella voce che continua a ripeterle che si sta comportando in maniera del tutto sconsiderata. Da molti giorni ne sente un’altra, più forte, che la fa sembrare null’altro che un fastidioso mormorio.
Fa un passo nella sua direzione, solo uno, perché Thranduil si volge verso di lei in quel preciso momento, quasi ne avesse avvertito la presenza. Amariel intravede una luce nuova aggiungersi a quelle che sempre abitano i suoi occhi, e l’ombra di un’emozione a cui non riesce a dare un nome e che subito viene nascosta. Le sorride, un sorriso genuino con cui sembra chiederle di avvicinarsi e che la incoraggia a proseguire. Amariel riprende a camminare, ma si ferma prima che lo spazio che li divide si riduca oltre il consentito e si inchina.
“Dama Amariel”, la precede lui, sorprendendola ancora, “Stavo pensando di disertare per una sera la sala da pranzo per assicurarmi che tu fossi ancora a palazzo, ma a quanto pare non occorre più che lo faccia.”
Amariel cerca disperatamente una risposta appropriata. Ciò che il re le ha appena rivelato è qualcosa che non si sarebbe mai aspettata e che si abbatte su di lei con la forza di un masso lanciato nelle placide acque delle sue emozioni.
“Molti sono coloro che ti servono senza mostrarsi, mio signore”, sussurra.
Thranduil abbassa lo sguardo, ma Amariel non vede i ricordi risvegliarsi a quelle parole perché anch’ella sta fissando il terreno davanti ai suoi piedi.
“Lo so, e sono grato a tutti loro pur non conoscendoli”, dice, una nota di amarezza nella voce che stride con l’atmosfera festosa in cui sono immersi.
Quindi si alza e raccoglie lo scettro, avvicinandosi a lei ed invitandola tacitamente a sollevare gli occhi. Sin da quella sera Amariel è convinta che non vi sia nessuno che egli debba guardare dal basso e la corona lo fa svettare ancora più in alto, accentuando il contrasto tra loro.  
“Per quest’oggi credo di aver ricevuto un numero sufficiente di persone e vorrei ritirarmi in luoghi più tranquilli”, le confida, “Ritieni sconveniente da parte mia sperare nella tua compagnia?”
“No, mio signore.”
Amariel sente il cuore lanciarsi in una corsa sfrenata e solo dopo aver parlato si rende conto di averlo fatto, ma non si pente perché Thranduil sorride di nuovo e anche questa volta è la sua anima a farlo.
Sembra sul punto di allungare la mano per guidarla lontano da lì, ma si trattiene e si limita ad indicarle la via. Amariel lo asseconda e si inoltra sotto gli alberi insieme a lui, e non fa caso agli sguardi che li accompagnano. Li avverte come una nota stonata appena oltre la soglia della percezione, qualcosa che esiste ma che non merita attenzione.
 
 
L’aria della notte conserva ancora il ricordo dell’inverno appena trascorso, ma contiene già il canto della primavera e sembra che anch’essa esulti insieme al suo popolo pizzicando corde di legno e di foglie. L’ha accompagnata sino ai bordi di uno dei tanti rivi che dissetano la foresta e adesso siede con lei sull’erba, l’acqua che scorre fuggendo tra le ombre dinanzi a loro e l’eco dei festeggiamenti alle spalle. Hanno camminato in silenzio, a lungo, allontanandosi dalle voci e dagli sguardi della gente, e ora Thranduil si trova di fronte alla necessità di dover dire qualcosa senza tuttavia trovare nulla di adatto, lui che non resta mai a corto di parole. Vorrebbe farle mille domande, ma è consapevole di non poterselo permettere. Più trascorrono i giorni e più si rende conto di come l’eldar che gioiva della vita nelle foreste intorno all’Esgalduin non esista più agli occhi di Arda. Egli è per tutti il re, solo il re, e anche una semplice domanda rischia di essere scambiata per un ordine. E il solo pensiero di dama Amariel che gli racconta di lei perché lo considera suo dovere gli procura malessere.
“Trovi piacevole la vita qui, mio signore?”, la sente domandare, ma avverte una sorta di titubanza in lei, qualcosa che sempre traspare quando si teme di osare troppo e non si conosce l’arte della finzione.
“Più di quanto potessi mai immaginare”, risponde, e il suo cuore dimentica qualche battito alla vista del volto di Amariel rasserenarsi e sbocciare in un sorriso sotto la luce delle stelle. Per un istante Thranduil ha la sensazione di non aver mai veduto nulla di più bello in vita sua.
“E tu?”, azzarda, “Sei sempre vissuta qui?”
Amariel sorride di nuovo  e solleva una mano, invitando la lucciola che si è posata su di essa a riprendere il volo. Ce ne sono tante intorno a loro, come sempre succede nel bosco in primavera.
“Sono nata ad est di Colle Calvo, prima che arrivasse re Oropher”, dice, “Ero una bambina quando attraversò le Montagne Nebbiose. Mio padre e mia madre si trasferirono nei pressi di Amon Lanc ed entrarono al suo servizio, e appena ne fui in grado io feci lo stesso. I miei genitori non erano guerrieri. Durante il viaggio verso gli Emyn Duir vennero attaccati dai warg. Morirono. Io non ero con loro e mi salvai. Ho visto questo palazzo prendere forma tronco dopo tronco, pietra dopo pietra, e ho sempre servito la tua famiglia.”
Thranduil serra le palpebre, travolto da una sofferenze viva quanto le immagini evocate da quelle parole: due volti sconosciuti dilaniati dai mannari e un volto sin troppo noto aperto dal taglio di una spada, mentre il bosco diviene palude.
“Mi dispiace”, sussurra, per lei e per lui, e regala una muta preghiera a chiunque lo ascolti per averla tenuta lontana dal luogo in cui i genitori incontrarono la morte.
Sente il suo sguardo su di sé e percepisce preoccupazione nel suo silenzio, ma non può tranquillizzarla finché quella memoria non tornerà silente.  
Pur non potendo leggere nei suoi occhi Amariel sembra intuire quale corso abbiano imboccato i suoi pensieri e si volge verso di lui, quasi volesse offrigli sostegno senza tuttavia osare farsi più vicina.
“Li rivedremo un giorno, mio signore”, lo conforta.
Thranduil dovrebbe sorprendersi di fronte a quelle parole, ma non lo fa perché una parte di lui sapeva che ella avrebbe capito pur non riuscendo a spiegarsene la ragione. Solleva le palpebre e la guarda.
“Sì, ma perderli fa male lo stesso.”
Amariel annuisce, sin troppo consapevole della verità racchiusa in quelle parole, e Thranduil si sente pervadere da un improvviso senso di colpa: come ringraziamento per la sua compagnia l’ha costretta a rivivere ricordi dolorosi che andrebbero consegnati all’oblio. 
“Ti chiedo perdono”, sussurra, “Rattristarti era l’ultima cosa che volevo.”
“Non te ne preoccupare, mio signore”, sorride lei, “E’ una tristezza passeggera. Fa parte di me, ma non consuma il mio spirito.”
Poi un pensiero sembra turbarla. Abbassa lo sguardo ed esita, e Thranduil trattiene il respiro senza neppure rendersene conto.
“Non ti arrendere alle ombre”, la sente dire, le parole che gli giungono come una supplica.
“No, non lo farò”, si affretta a rispondere, e sorride quasi a suggellare una promessa.
Una promessa che giura a sé stesso di mantenere.
Amariel annuisce e ride quando si accorge della lucciola che è tornata a posarsi sulla sua mano.
“Le piaci”, scherza Thranduil, facendola ridere ancora e ridendo con lei.
“Sei già stato in biblioteca?”, domanda.
“Sì, e ne sono rimasto sorpreso”, risponde lui, “Mio padre leggeva, ma non posso dire che amasse i libri. Ad Amon Lanc non aveva una biblioteca.”
Amariel allontana delicatamente il piccolo insetto per la seconda volta.
“Ci sono libri scritti in una lingua che nessuno di noi comprende”, dice, “Sono convinta che non l’abbia voluta per sé.”
Thranduil si sente sopraffare dallo stesso rimpianto che lo ha accolto al suo arrivo di fronte alla scoperta degli appartamenti che suo padre ha voluto per lui. Oropher non ha costruito la biblioteca per sé, così come non ha costruito per sé le sale dove ora Thranduil vive, ed egli lo ha capito nell’istante stesso in cui ha aperto uno di quei libri. Così come lo ha capito Amariel.
“La lingua degli assassini”, sussurra, quasi quelli fossero argomenti non adatti al Reame Boscoso, “Elu Thingol la bandì molto tempo fa. Comprendo le ragioni per cui lo fece e so quanto le emozioni possano essere potenti, ma quel tempo è passato. Molto della nostra storia è stato scritto in quella lingua e non conoscerla significa rimanere nell’ignoranza. Mi sono trovato tra gente che poteva insegnarmela e l’ho imparata. Ho visto Golodhrim morire accanto ai silvani per la salvezza di questa terra, ho visto il loro re affrontare Sauron senza mai vacillare e ho pianto quando è caduto. I Golodhrim non sono tutti uguali. Ognuno è un mondo a sé, e l’antica lingua  può essere usata da chi è nobile come da chi è malvagio.”
Le sue parole sono accompagnate da un lungo silenzio interrotto solo dai bisbigli del bosco, e quando Amariel torna a guardarlo Thranduil è sicuro di leggere approvazione nel verde dei suoi occhi. Non riesce a dare un nome alla sensazione che lo pervade nel saperla d’accordo con lui, ma di qualunque cosa si tratti ha il potere di sciogliere dubbi che si portava appresso da secoli.
“Parli in modo saggio, mio signore”, afferma lei.
Thranduil scrolla il capo, divertito.
“Forse parlo in modo saggio, ma presto scoprirai che sono tutt’altro che saggio”, dice.
“Le tue azioni dimostrano il contrario”, replica con gentilezza Amariel, e torna a seguire il volo delle lucciole.
Di nuovo la quiete li avvolge, una quiete che dà pace come le parole che si scambiano. Thranduil le racconta della vita passata, del Doriath e della città dalle mille caverne scavata nella roccia, delle colonne in cui era scolpita la vita del bosco e dei suoi infiniti colori. Le domanda della sua infanzia e ascolta mentre Amariel dispiega per lui lontani ricordi che profumano di semplicità, e che sono talmente differenti dai propri da sembrare il retaggio di un mondo diverso e a tratti migliore.
Non si accorgono dello scorrere del tempo e solo quando veli di luce cominciano a posarsi sulle chiome degli alberi si alzano e ripercorrono in senso opposto la via che li ha condotti sin lì. Sorridono e si salutano, consapevoli che ciò che è appena accaduto accadrà di nuovo.


 
_____________________________
 
Nota:
Il termine "Golodhrim" (= "gente dotata di profonda conoscenza") rappresenta l'appellativo con cui i Sindar identificavano gli esuli Noldor ed è qui utilizzato unicamente in funzione della sua origine sindarin, tralasciando eventuali connotazioni positive o negative che gli si attribuiscono in base al periodo storico.

Amariel (“Figlia della terra”), Amath (“Scudo”), Hádhion (“Figlio di colui che è devoto”) e Maidhwen  (“Dama pallida”) sono personaggi di mia invenzione. Tra parentesi è riportato il significato dei nomi nella lingua degli elfi dei boschi.



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Capitolo 3
*** Il silenzio e le parole ***


                                    

 
3. Il silenzio e le parole (50 T.E. - 109 T.E.)
 


Le stagioni si danno il cambio ad Eryn Galen, indossando talvolta la veste dei secoli e talaltre quella dei giorni. Per alcuni camminano lente come il volo dell’aquila sullo sfondo del cielo, mentre per altri corrono frenetiche come il pettirosso che salta di ramo in ramo e che non ha mai abbastanza tempo. Anche gli anni si susseguono uno dopo l’altro, si mettono in fila e tessono decenni, e scandiscono il ritmo della vita nel più lontano villaggio come nel palazzo del re.
Il re, non più il nuovo re, perché ormai Oropher è entrato a far parte dei ricordi e quando qualcuno accenna al sovrano del Reame Boscoso è solo uno il nome che viene pronunciato: Thranduil Oropherion.
Quando un re ne sostituisce un altro porta sempre nel regno qualcosa di sé e qualcosa cambia sempre, a volte in meglio e a volte in peggio. Anche il Reame Boscoso è cambiato, molti dicono in meglio e coloro che hanno diverse opinioni o che non ne hanno affatto restano in silenzio, il che è già un successo. Quello che si estende sotto le fronde di Boscoverde il Grande è un regno che sta ricostruendo sé stesso e i suoi abitanti sono sempre schivi e poco propensi ad occuparsi di ciò che non ritengono di loro competenza, ma non quanto prima. Il Reame Boscoso non si immischia nelle questioni altrui e non accetta ingerenze, ma le questioni altrui ora le conosce. C’è sempre qualcuno che invia un messaggio al re quando qualcosa nel mondo si muove e se un piede si posa sulle sue terre egli lo sa. Ciò non significa che passi a fil di spada coloro che ne oltrepassano i confini, perché Thranduil ripudia la guerra forse più di quanto facesse Oropher, ma c’è chi osserva e chi ascolta per lui, e un nemico che ti conosce è mille volte più temibile di uno che ignora chi tu sia. 
La riorganizzazione del reame non è stata una tempesta che in pochi istanti ha scaricato oceani d’acqua e spezzato rami e tronchi, ma un’onda lenta che ha attraversato il bosco ridisegnandone il volto. Chi credeva che Thranduil mantenesse tutto inalterato ha capito in fretta di aver commesso un errore: molti incarichi sono passati ad altri e alcune teste sono cadute, non troppe a dire il vero, ma abbastanza per far luce sulla personalità del re.
Ormai non c’è nessuno tra coloro che ricevono ordini da lui che possa dire di non conoscerlo almeno un poco, eppure la sola persona che può vantare di conoscerlo veramente è dama Amariel. Ma Amariel non si è mai vantata in vita sua e tutto ciò che Thranduil  le rivela giorno dopo giorno lo tiene per sé.
Ci sono abitudini che col tempo sono nate spontanee tra loro, comportamenti innocenti che nascondono un universo di emozioni e che qualcuno ha già imparato a decifrare. Qualcuno, non tutti, perché la più ovvia delle ipotesi rimane per i più quella a cui è più difficile credere, e ciò che sorprende non è che qualcuno abbia toccato il cuore del loro sovrano, ma che lo abbia fatto la più improbabile tra le dame che egli frequenta.
Eppure in molti la vedono mentre ogni mattina scivola nel suo studio con un vassoio tra le mani. Non si avvicina, ma appoggia il tutto sul piccolo tavolo accanto alla porta di ingresso, si inchina ed esce, e il re non manca mai di rivolgerle un sorriso.
In un’occasione Maidhwen le ha domandato perché faccia qualcosa che non le è stato richiesto e non ha ricevuto risposta. Non perché Amariel non ne abbia, ma perché rifugge da sempre la menzogna e, mentre gli anni nascono e muoiono, è sempre più difficile per lei fingere che la ragione del suo interesse sia solo l’affetto che un’inserviente di palazzo prova nei confronti del proprio signore.
Da tempo ella ha cominciato a chiamare col giusto nome ciò che ha sentito il primo giorno in cui l’ha incontrato e che non è più germoglio, ma albero dalle radici profonde e dai rami possenti. Le sue labbra non hanno mai pronunciato quella parola e la sua anima la usa soltanto quando è sola e un po’ troppo stanca di esserlo, ma il suo cuore la grida in ogni istante e a volte ella teme che anche i suoi occhi lo facciano, con lui e con altri. Ma, a differenza di Thranduil, Amariel non ha mai imparato ad impedire agli occhi di parlare e non riesce a farlo neppure ora, mentre osserva Erynion inginocchiato ai bordi del cortile interno, le dita protese e congelate nell’atto di accarezzare le giovani foglie di una gemma cresciuta nella notte. La sta fissando con la stessa caparbia intensità di chi cerca di dare un senso a lettere gettate alla rinfusa su un foglio bianco.
Amariel si avvicina e si ferma alle sue spalle, in attesa di un segno che le confermi che si è accorto della sua presenza.
Prima della guerra lo sguardo di Erynion scaldava lo spirito come il sole d’estate, mentre ora ha perduto anche la luce incerta in cui naufragano le giornate d’inverno. In esso vi è solo il nulla, imbrigliato dai lacci dell’amicizia e del dovere, ma quei lacci stanno cedendo. Amariel ne percepisce il lamento come il lento sfaldarsi del legno troppo vecchio che si piega sotto l’offesa del vento, e non può evitare di provare il sollievo amaro che porta sempre con sé la fine di un supplizio. Non vi è cura per il tormento che lo affligge sotto le chiome del Reame Boscoso.
Erynion ritrae la mano e la sua voce dà vita ad un sussurro che non sa di assomigliare sin troppo ad un gemito soffocato.
“Non ne rammento il nome, dama Amariel”, ammette, “Conoscevo ogni pianta o animale del bosco, adesso dimentico anche ciò che ho appreso ieri.”
Amariel cerca una qualunque risposta che possa offrirgli conforto, ma Erynion non aspetta, quasi sapesse che resta poco da dire e solo una cosa da fare. Si alza e la guarda, e per quell’attimo il vuoto che abita le sue iridi grigie pare ricordarsi di essere stato altro, colmandole di rabbia e di dolore.
“Non sarei mai partito se non avessi visto il male spogliato da ogni inganno banchettare con le vite di elfi e di uomini”, le confessa, “Sarei rimasto qui, nella foresta in cui sono nato, e avrei lasciato la sicurezza dell’occidente a chi preferisce il canto del mare al silenzio dei boschi. Se riuscissi ancora a provare odio non potrei odiare Sauron di più.”
Si volta e si allontana, oltrepassando il cortile a passo svelto e svanendo oltre le colonne dei porticati prima che lei possa parlare.
 

Erynion sa leggere anche pagine che non sono fatte di carta e d’inchiostro, e ciò che raccontano gli occhi di giada di dama Amariel è una delle poche cose in grado di trasformare ancora la piega delle sue labbra e di strappare brandelli di ricordi all’oblio che ha inghiottito ogni sensazione. Ma non è sufficiente, come non lo è il sapere che l’azzurro custodisce lo stesso desiderio. Anzi, è proprio questo ciò che lo ha portato ad essere lì quel giorno e ad accettare l’inevitabile. Per molto tempo ha cercato di riaccendere la fiamma che si è spenta sotto la cenere dell’Orodruin, nonostante tutto intorno a lui continuasse a dirgli che quella fiamma non può essere riaccesa. Per molto tempo si è rifiutato di ascoltare il richiamo del mare, perché il re aveva un popolo che non conosceva a cui ridare speranza e aveva bisogno di lui. Ora non più. Ora il re conosce il suo popolo ed Eryn Galen è il suo trono, e c’è dama Amariel al suo fianco. Il suo viaggio si è concluso ed Erynion lo ha compreso. La bellezza di Arda è perduta per lui, il verde non dà più pace ed il sole è freddo. Il dolore che si è trascinato dietro dalla terra d’ombra si è assopito, ma niente di ciò che aveva prima è tornato. Cerca nella nebbia, ma trova solamente altra nebbia e l’eco di memorie che sembrano appartenere ad un altro. Non ha scelta, non ne ha mai avuta.
Chiude la porta alle sue spalle e china la fronte.
“Mio signore”, si annuncia.
Thranduil è in piedi accanto alla finestra aperta, il vento leggero che porta fin lì il profumo dei gelsomini e l’estate che ride sulla sua scrivania tra i colori dei fiori che qualcuno ha messo in un vaso. Guarda fuori, le mani strette intorno ad una tazza e sul volto le tracce di un sorriso che ancora non sembra volerlo lasciare.
Si volge e lo accoglie con un cenno del capo, ma nel tempo di un battito di ciglia l’allegria che la sua espressione racchiudeva si dilegua. Anch’egli sa leggere ciò che gli occhi raccontano, e l’epilogo di quella storia lo aspetta da tempo.
“E’ dunque questo il giorno?”, domanda, nella voce una sofferenza che non riesce o non vuole nascondere.
Erynion non ha mai raccontato al re del proprio tormento, ma ha sempre saputo che egli ne era al corrente. Respira profondamente e scaccia la tentazione di aspettare ancora. Rimandare non renderà l’addio più facile poiché nulla può farlo, neppure la consapevolezza che se le potenze di Arda avranno misericordia quello non sarà un addio.
“E’ questo”, sussurra.
Thranduil appoggia la tazza sul tavolo ed apre l’anta di un piccolo mobile, estraendo dal fondo un oggetto coperto da un drappo verde. Lo osserva per un lungo momento, quindi si avvicina e glielo porge. Erynion deglutisce a vuoto, le emozioni che prova in quell’istante intense come lo furono un tempo. Attraverso la stoffa le dita sfiorano superfici curve e corde tese, ed egli non ha bisogno di vedere per sapere di cosa si tratti.
“Mi hanno detto che amavi suonare la lira prima di Dagorlad, e che l’hai perduta davanti alle paludi insieme a tutto il resto”, dice Thranduil, “Tradizione vorrebbe che ti donassi una spada, perché hai comandato il mio esercito e mi hai servito con valore, ma non sarò io a metterne un’altra tra le tue mani. Dimentica la spada quando sarai sotto gli alberi del Reame Beato, e riprendi a suonare.”
Erynion abbassa lo sguardo e cerca di mantenere salda la voce. Non vuole che l’ultimo ricordo che il re conserverà di lui sia quello di un volto segnato dalle lacrime, ma è difficile arginarle.
“Grazie, mio signore. Cercherò di farlo, è una promessa.”
“Non si è mai saputo che tu abbia disatteso una promessa, perciò questo mi basta”, afferma Thranduil, “Ti sono grato per esserti trattenuto più di quanto avresti dovuto. Ho sperato sino alla fine che tu riuscissi a guarire senza dover attraversare il mare, e ti chiedo scusa per questo. Avrei dovuto trascinarti io stesso su quella nave”
Erynion scuote il capo e stringe a sé la lira con più forza.
“La decisione è stata mia. Non c’è nulla di cui tu sia responsabile. E’ un onore servirti e un privilegio essere chiamato da te amico, ma restare non mi è concesso.”
“Lo so”, annuisce Thranduil, “Ti farò scortare sino ai porti del Mithlond, e mi assicurerò che ci sia una nave pronta per te.”
I porti del Mithlond … Nell’udire il re pronunciare quel nome l’animo di Erynion diviene improvvisamente più leggero, ed egli si rende conto che il pensiero di dover viaggiare ancora verso sud sfiorando Mordor per giungere sino all’Edhellond lo turbava più di quanto credesse.
“Te ne sono grato.”
Thranduil sorride, sul volto la tristezza che sente nel cuore e la rassegnazione di fronte a qualcosa che non può cambiare.
“In molti ti vogliono bene”, dice, “Saluta chi devi e quando sarai pronto per andare torna da me.”
“Sì, mio signore”, sussurra Erynion.
Quindi prende congedo e lascia la sala, poiché tutto ciò che occorreva dire è stato detto e null’altro serve. Salperà verso ovest e manterrà la promessa.
 

Thranduil si avvicina alla scrivania e allunga la mano per accarezzare l’estate addormentata tra i petali dei fiori, e non si sorprende nel vedere che i colori non sono sbiaditi. Avverte la carezza del vento sulla pelle e respira l’aroma tenue che permea la stanza. Prova dolore per l’imminente partenza di Erynion, ma il mondo gli sorride ancora.
Al suo comando un inserviente si affaccia da uno degli ingressi laterali e si inchina.
“Riferisci ad Hádhion che desidero vedere Amath”, ordina.
“Sì, mio signore”, risponde questi.
Thranduil recupera la tazza e ne sorseggia il contenuto ormai freddo, sicuro che la scelta che si accinge a rendere nota si rivelerà una buona scelta.
 
***

Erynion ha lasciato la Terra di Mezzo.
Il dispaccio inviato da Círdan lo informa che la nave è salpata e che sta veleggiando verso ovest, e forse vi è già giunta visto il tempo che ha impiegato il messaggero per arrivare sin lì.
L’altro dispaccio, invece, pur arrecando una notizia a dir poco lieta, gli ha fatto andare il vino di traverso e ha fatto accorrere Amariel con un’espressione preoccupata ed un provvidenziale bicchier d’acqua. Thranduil lo ha trangugiato tutto d’un fiato ed è tornato a rileggere le parole che lord Elrond ha messo su carta con tratto fermo, passando dalla sorpresa alla gioia per l’amico senza disdegnare un leggero fastidio. Un amalgama di emozioni tra cui, anche adesso, trova difficile districarsi.
“Mio signore, temo che anche fissandolo intensamente sino a questa sera il suo contenuto non cambierà”, gli fa presente Amariel, il tono divertito e le guance ancora arrossate.
Naturalmente, una volta ripreso a respirare con regolarità, Thranduil non ha potuto evitare di fornirle una spiegazione circa l’accaduto ed ella, dopo averlo guardato perplessa per un breve momento, ha reagito nell’unico modo possibile, ossia con una genuina risata che alla fine ha contagiato anche lui.
“Tra tutte le dame che ha incontrato proprio la figlia di Galadriel doveva scegliere?”, sospira, alzandosi e abbandonando la lettera sul tavolo.
Sebbene sia un comportamento inconsueto per lui poiché non è sua abitudine far attendere chi chiede udienza, ha deciso di rimandare i colloqui al giorno dopo e di concedersi una giornata di riposo. E riposare significa nel suo mondo trascorrere il proprio tempo con dama Amariel, che nelle rare occasioni in cui egli si eclissa dalla vita pubblica nessuno si aspetta di trovare in luoghi dove non siano ambedue presenti. Thranduil è perfettamente consapevole di ciò che si sussurra circa la vera natura del sentimento che li lega e sospetta che anche Amariel lo sia, eppure neppure a lei sembra importare.
“Mio signore, l’amore non lascia a noi la scelta, e anche se lo facesse chi può dire che non sceglieremmo allo stesso modo?”, la sente dire, il tono scherzoso di poco prima svanito.
Distoglie lo sguardo e si avvicina al parapetto, lasciando che il silenzio li avvolga. Potrebbe farlo ora, potrebbe mettere fine a quell’attesa insensata a cui sta costringendo entrambi e confessarle di averla amata sin dal primo istante e di non desiderare altro che unire la propria vita alla sua, ma qualcosa lo trattiene, qualcosa che lo ha toccato con le sue ali nere e che è ancora dentro di lui. Se solo potesse dimenticare, se solo riuscisse a guardare verso sud senza sentire i ricordi bruciarlo come fuoco vivo … Non può mostrare questo a lei e non può costringerla a soffrire del suo stesso dolore. Non sarebbe amore il suo se le facesse una cosa simile, ma solo egoismo. Eppure più il tempo scorre e più il dubbio lo assale. Sta facendo la scelta giusta e, se anche così fosse, con quale diritto sta scegliendo lui per entrambi?
Avverte la sua presenza accanto a lui e la osserva, il volto in parte celato dai capelli sciolti e le mani strette con forza intorno al legno.
“Perdonami, mio signore. A volte dimentico qual è il mio posto. Non era mia intenzione contraddirti, ma chi altri può eguagliare dama Celebrían in quanto a virtù e a nobiltà di stirpe?”
La voce di Amariel è dimessa e trasporta sino a lui un intreccio di sensazioni ciascuna delle quali lo ferisce in modo diverso, ma ciò che più gli fa male è il senso di colpa che piomba sul suo cuore non appena si rende conto di averla spinta a ritenere di non essere degna di un re. Perché è questo ciò che ella gli ha detto, anche se ha parlato di altro.
“Non sono gli avi che fanno la nostra grandezza, non dubitarne mai”, si affretta a chiarire, “Ci chiamavano Iathrim e ci consideravano i più nobili tra i Sindar, eppure non siamo stati capaci di salvare il nostro regno. Mio padre ha preferito la semplice vita dei silvani al suo retaggio, e ha fatto della foresta la sua casa. E’ questo il peso che io attribuisco alla nobiltà di stirpe.”
Ora Amariel sembra confusa, ma le dita si appoggiano al parapetto senza più avvinghiarsi ad esso. Thranduil si concede un sospiro di sollievo. Forse è riuscito in parte a rimediare. Finché non le avrà dimostrato coi fatti che ciò che ha appena detto è ciò in cui crede dovrà usare cautela nell’affrontare simili argomenti.
“Non conosco dama Celebrían”, continua, “La vidi una sola volta, di sfuggita, ma conosco lord Elrond e non metto in dubbio che ella sia degna della massima considerazione. Sono felice per loro. Semplicemente sconto ancora contrasti passati tra mio padre e dama Galadriel circa questioni di nani, un’eredità che passa di padre in figlio insieme al regno.”
“Sono disaccordi antichi, mio signore”, sorride Amariel, ora di nuovo serena.
“Sì, ma siamo un popolo che ha buona memoria, e dama Galadriel è molto orgogliosa.”
Amariel esita, quasi fosse indecisa se parlare o meno, ma alla fine sorride ancora e lo guarda.
“Lo sei anche tu”, sussurra.
Thranduil avverte il peso che era calato sul suo animo farsi più leggero di fronte a quella ritrovata spontaneità. Le sue parole hanno sortito l’effetto voluto ed egli si ripromette di non commettere mai più un simile errore.
“E’ questo il problema”, scherza, e la guida verso l’uscita ridendo con lei.
Hanno un’intera giornata da trascorrere insieme e il solo pensiero fa volare il suo cuore.
 
***

Non è così che immaginava egli fosse nonostante Elrond gliene avesse parlato. Anche sua madre gliene aveva parlato, a modo suo ovviamente, ma ora Celebrían teme che anche quello che le ha riferito Galadriel debba essere rivisto. Celebrían ascolta sempre, ma poi vuole guardare e solo dopo averlo fatto mette insieme tutti i tasselli ed esprime un’opinione, mai prima. Un tratto che ha ereditato dalla madre, le disse un giorno colui che sarebbe divenuto col tempo infinitamente prezioso per il suo cuore, per poi aggiungere in tono leggero che per fortuna aveva ereditato parecchio anche dal padre.
Celebrían rimase interdetta in un primo tempo, ma non le occorse molto per capire che quello voleva essere un complimento. Elrond rispettava entrambi i suoi genitori, ma era convinto che insieme fossero più saggi ed avveduti di quanto potessero esserlo da soli. E lo è tuttora, perché Elrond vede dove i più non possono e di solito non sbaglia a giudicare. Una delle sue doti, e non la più importante, e neppure quella che l’ha portata ad innamorarsi lentamente di lui, secolo dopo secolo, sino a non poterne più fare a meno. Il cuore di Elrond, invece, si è volto a lei più in fretta e ha atteso, perché la pazienza è un’altra delle sue virtù. Egli è equilibrio e ponderazione, saggezza e lungimiranza, è il coraggio di perseverare in nome di ciò che è giusto ed è il futuro più bello che le potesse mai essere offerto.
Ora Celebrían sta cercando di capire. Re Thranduil non si comporta come qualcuno che sia disposto a chinare il capo, e questo dà ragione a Galadriel, ma sta ridendo e anche se ella non riesce a cogliere ciò che lui ed Elrond si stanno dicendo sembra cortese, il che segna un punto a favore del futuro marito. Forse la realtà è più complessa di come le è stata dipinta.
I due si avvicinano con tranquillità, continuando a parlare e a sorridere. Elrond accompagna Thranduil dinanzi a lei ed ella si inchina quando il re abbassa la fronte, perché Galadriel è sua madre ma Celebrían ha scelto Imladris e il suo signore e non desidera iniziare la loro vita insieme offendendo chi egli considera amico, e non ha dubbi sul fatto che il sovrano del Reame Boscoso sia anche questo per Elrond.
“Benvenuto ad Imladris, re Thranduil”, lo accoglie, ed il suo cuore si scalda di fronte all’affetto che traspare dagli occhi di Elrond quando la sente pronunciare quelle parole.
In quei giorni egli sembra incontrare qualche difficoltà nel tenere sotto controllo le proprie reazioni, ma non potrebbe essere altrimenti. Ci si sposa una sola volta e la marea sollevata dai sentimenti è tale che non esistono barriere in grado di resistere senza permettere a qualcosa di fuoriuscire. Anche la corazza più avvezza alle tempeste non può sostenerne l’impeto se vi si infrangono tutte insieme.
Nello sguardo di Thranduil non vi è la serenità che alberga in quello di colui che ama. Celebrían si accorge di non riuscire a leggere in quell’azzurro per lei troppo violento, eppure ci sono emozioni profonde celate oltre la superficie e qualcosa le dice che non tutte nascono da eventi felici. Elrond le ha raccontato di Dagorlad e dello snervante assedio portato a Barad-dûr, ma non è mai sceso nei dettagli ed ella sospetta che lo abbia fatto per risparmiarle la sofferenza che sarebbe scaturita dalla condivisione di quegli eventi. Non sempre è necessario sapere e la volontà di proteggere coloro che ama è un’altra delle sue virtù.
“Grazie, dama Celebrían”, risponde Thranduil, “E’ un onore fare la tua conoscenza ed è una gioia essere testimone di un evento così lieto. Sin da ora faccio a te e al tuo futuro sposo le mie più sincere felicitazioni.”
“Grazie, re Thranduil, a nome di entrambi”, sorride Celebrían mentre Elrond prende posto al suo fianco, “Lord Elrond ed io ci auguriamo che il soggiorno sia per te piacevole e che ti convinca a tornare presto.”
Thranduil ricambia il sorriso.
“Lo sarà senz’altro. La bellezza e l’ospitalità di Imladris e dei suoi abitanti sono note da sempre, e ciò che ho visto fino ad ora conferma quello che si dice. In quanto al tornare, ci saranno sicuramente altre occasioni che lo renderanno possibile e mi scuso per non avervi fatto visita in passato. Sono stato lontano dal mio popolo per molto tempo e sentivo il desiderio di restare insieme ad esso.”
“Ritengo che nessuno possa biasimarti per questo”, interviene Elrond, “Ci sono stanze pronte affinché tu possa riposare prima del banchetto di questa sera. Hai fatto un lungo viaggio.”
Thranduil annuisce e Celebrían non stenta a riconoscere in quel gesto un chiaro segno di gratitudine. Eryn Galen è distante non meno dei boschi in cui ella è vissuta.
“Vi ringrazio. Ne approfitterò volentieri.”
Elrond si allontana di qualche passo ed indica la grande scalinata che conduce al salone d’ingresso della residenza.
“Gli inservienti si occuperanno del tuo seguito. Da questa parte.”
Il re le sorride di nuovo e la saluta, per poi incamminarsi accanto al suo ospite. Celebrían osserva le due figure risalire i gradini, dissimili in tutto, dall’aspetto alla foggia delle vesti. Eppure qualcosa le dice che, al di là delle apparenze, una linea sottile accomuna entrambi, e che benché le loro personalità possano differire grandemente, sia il sovrano di Eryn Galen che il signore di Imladris sanno dare alle cose il giusto nome. Come sua madre e come suo padre.
 
***

Thranduil non si sposerà il giorno di Mezza Estate: Amariel preferisce la primavera e l’autunno, stagioni nel cui lento divenire il vecchio ed il nuovo si confondono, e ama le viole e gli agrifogli e il vento che rimescola i ricordi. La sua sposa non sarà vestita di bianco, perché Amariel vive dei colori del bosco e di quelli che mutano insieme alle stagioni, e non avrà il sole tra i capelli, ma una corona di fiori tra rami d’argento. La sua sposa sarà ciò che di più bello la terra abbia mai veduto e sarà lei.
Thranduil sorride e li guarda, perduti l’uno nell’altra e dimentichi di tutto ciò che li circonda. Ascolta la loro voce mentre si scambiano anelli e promesse, e sente il bisogno di Amariel più dell’aria che respira. Deve farsi forza per non cedere al desiderio di saltare sul cavallo per tornare da lei. Le sarebbe piaciuto essere con lui, e le sarebbe piaciuta Imladris. Avrebbero trascorso giorni felici, ma a quale titolo poteva chiederle di accompagnarlo? In quale veste l’avrebbe presentata ad Elrond e a Celebrían?
Osserva le loro mani strette, le loro guance in fiamme nonostante i millenni già vissuti, e Glorfindel e Galadriel offrire doni e sorridere. Applaude anche lui quando gli sposi si baciano e ride insieme agli altri del loro imbarazzo, ma vorrebbe avere Amariel al suo fianco e vorrebbe sfiorare le sue labbra e sentire il mondo svanire accogliendola tra le braccia. Vorrebbe dimenticare Dagorlad e avere la certezza di poterla rendere felice.
Distoglie lo sguardo e si costringe a pensare ad altro. Quello è un giorno di gioia e non ha intenzione di far scontare all’amico la sua incapacità di far pace con il passato, eppure è difficile non pensare a colei che si ama quando ci si riunisce per celebrare l’amore.
“Glielo hai domandato, re Thranduil?”
Colto di sorpresa, Thranduil sobbalza e si volge in direzione di colui che ha parlato. 
“Perdonami, re Amroth, ma non credo di capire a cosa tu ti stia riferendo.”
Amroth sorride, ma il re del Lórinand non ha mai indossato maschere e a Thranduil non sfugge la malinconia che abita il suo volto. Ne è sopraffatto anche lui, a volte, quando è solo e quando sembra che nulla cambi.
“Di sposarti, re Thranduil”, lo sente dire, “Hai domandato di sposarti alla dama a cui stai pensando?”
Il primo istinto di Thranduil è quello di fingere e di negare, ma poi guarda di nuovo in quegli occhi, grigi come sarebbe la sua vita senza Amariel, e non lo fa. Accanto a loro gli ospiti continuano a celebrare gli sposi, ma suoni ed immagini sembra si siano spostati in un mondo diverso, o forse sono loro ad averlo fatto.
“No, non ancora”, sussurra.
“Ti ama?”, chiede Amroth.
Come può rispondere a quella domanda? Come può sapere ciò che la voce di Amariel non gli ha mai confessato? Eppure non solo le labbra possono parlare e l’amore ha tanti modi per rivelare sé stesso.
“Sì”, risponde, e sa che è vero.
Amroth annuisce.
“Allora non aspettare troppo.”
“E tu glielo hai domandato?”, sorride Thranduil.
Un lungo silenzio accompagna le sue parole, un silenzio pesante che sembra soffocare il vociare della folla e spegnere ogni allegria.
“Sì, tante volte”, rivela Amroth.
Resta ad osservare Elrond e Celebrían mentre si baciano di nuovo, felici come se la loro intera esistenza non fosse altro che quell’attimo, quindi si volta e si allontana.
Thranduil lo vede confondersi tra gli invitati e le ombre che visitano talvolta i suoi sogni non sembrano più la cosa peggiore che potesse capitargli.
 
***

Siedono sotto un loggiato le cui colonne nascono dalla roccia e si elevano al cielo, mutando in archi dalle forme slanciate. Un alto parapetto in pietra li separa dalla valle che si apre sotto di loro e intorno alla quale si sviluppa Imladris. Vi sono alberi che crescono in armonia con le opere scaturite dalla maestria dei suoi abitanti e rivi che serpeggiano lungo i pendii, liberi eppure domati.
Thranduil solleva il calice e se lo porta alle labbra, bevendo un piccolo sorso. E non nasconde la sorpresa.
“Dorwinion”, sorride.
Elrond annuisce e beve anch’egli, il liquido scuro che si accende come fiamma attraversato la luce del tramonto.
“Nel caso in cui tu avessi esaurito le scorte”, scherza, e strappa una breve risata al re.
“Come vanno le cose a Boscoverde?”, chiede quindi.
Thranduil rigira il calice tra le mani, fissandone il contenuto quasi fosse la porta per un altro luogo e per un altro tempo. Un velo di tristezza sembra essersi posato su di lui in quei giorni, più greve ad ogni alba, e spesso la sua mente pare lontana, perduta oltre l’orizzonte. Elrond lo percepisce come una nuvola scura che attraversa il cielo limpido in cui sta navigando nel momento più felice della sua vita, eppure è consapevole che una domanda diretta non sortirebbe con Thranduil alcun effetto. Se vuole sapere deve usare tatto.
“Meglio di quanto avessi sperato”, dice, “I miei timori erano infondati. In mezzo alla mia gente mi sento a casa.”
“Ne senti la mancanza?”, azzarda, anche se sospetta che non sia il bosco il problema.
Thranduil lo guarda per un istante e sorride di nuovo.
“Sembri un predatore che gira intorno alla preda, lord Elrond.”
Elrond ride, meravigliato, e si concede un altro sorso più lungo di prima. Gli eventi di quei giorni devono averlo reso maldestro, o forse è solo il dorwinion a cui non è avvezzo. O può darsi che Thranduil abbia affinato le sue doti.
“Sei sempre un maestro nell’evitare domande non gradite.”
Un lungo silenzio accompagna la sua voce e spegne l’ilarità di quell’attimo.
“Quando ho letto il tuo messaggio ho avuto una reazione poco consona alla circostanza, ma devo ammettere che ora ho difficoltà ad immaginare accanto a te qualcuno che non sia dama Celebrían”, confessa Thranduil, “Hai una moglie degna della più alta ammirazione, ma non dirlo a Galadriel.”
“Non lo farò”, sorride Elrond, e nel tono con cui l’amico ha pronunciato quelle parole trova la risposta che stava cercando.
“Domani partirò”, continua il re, “Ma alla prima occasione tornerò a farvi visita.”
Elrond depone il calice e annuisce. A volte la soluzione la si trova da sé.
“Mia moglie ed io lo pretendiamo, re Thranduil, ma la prossima volta non dimenticare nulla a Boscoverde, così potrai trattenerti più a lungo.”
Elrond vede gli occhi di Thranduil trasformarsi in due sottili fessure incorniciate da lunghissime ciglia scure.
“Quando hai imparato a reggere il dorwinion?”, lo sente chiedere.
“Ho molte doti che tu ancora non conosci, amico mio”, e a riprova di quanto detto riprende il bicchiere e beve di nuovo.
La risata di Thranduil gli arriva ovattata, perché naturalmente Elrond non ha mai retto il dorwinion, ma l’ombra che offuscava la luce sul volto del re di Boscoverde è svanita e presto Celebrían gli chiederà di visitare il Reame Boscoso, giacché è difficile trovare il giusto dono per qualcuno che non si conosce e Celebrían non fa mai niente per caso.
 
***

I mortali dicono che il vero valore delle cose lo si comprende solo quando esse sono andate perdute, e questo vale per tutto, anche per le persone. Amariel ha sempre tenuto in grande considerazione la saggezza dei mortali, così diversa dalla loro e così pregna di quel senso di ineluttabilità che essi sentono più intensamente rispetto ad ogni altra razza. I mortali vivono esistenze troppo brevi per non fare della morte parte della loro vita, e in ogni loro pensiero o azione è radicata la consapevolezza che nulla può essere per sempre e che quando giunge la fine non c’è rimedio. Non ci sono le aule dell’attesa e la speranza di un nuovo inizio. Ciò che è perduto non può ritornare e c’è solo il tempo di una vita per ascoltare il proprio cuore.
Il re non fa parte di ciò che è andato perduto, ma ora è lontano e ad Amariel sembra che anche la luce del giorno lo sia, che lo sia l’incanto delle notti e che il vento sia stranamente privo di profumi. Le sembra che i ricordi abbiano deciso all’improvviso di fermarsi al giorno in cui egli ha messo piede per la prima volta a palazzo, e che serva la sua presenza per convincerli a varcare quella soglia e a riaprire le porte del passato che vi fu prima di allora. Sembra che ora che non è con lei i suoi ricordi siano solo lui e che il resto non abbia importanza.
Amariel sospira mestamente tra sé, mentre osserva la terra in cui crescono i rampicanti dissetarsi con l’acqua che ha versato. Rivolge uno sguardo alla scrivania e ha l’impressione che i fiori pieghino un po’ troppo le loro corolle e che abbiano smarrito qualche colore, ma non saprebbe dire quale.
Suo padre e sua madre le hanno insegnato molte cose prima di morire e una di queste è che, sebbene esistano infiniti modi per voler bene, vi è per tutti una persona che farà impallidire ogni altro amore e che darà a questa parola un nuovo significato. Incontrarla non conduce necessariamente alla felicità, le hanno raccontato, ed è per questo che a volte è meglio non amare, ma il cuore degli eldar non è capace di dimenticare e di volgersi altrove. Infinite volte provano affetto sincero, in tutte le forme che Arda conosce, ma amano una sola volta perché questa è la loro natura, e solo uno è colui o colei con cui desiderano dividere l’eternità. A volte lo trovano subito, a volte servono intere ere e a volte il tempo loro concesso non è abbastanza, ma lo spirito sa sempre riconoscere di chi si tratta, sia questi incline a ricambiare o meno.
Le eccezioni esistono, ma sono rare.
Neppure da bambina Amariel era solita rifiutarsi di vedere ciò che poteva far male, ed è vissuta abbastanza a lungo da non avere dubbi circa l’intensità di ciò che sente. Non si ferma mai a riflettere su quanto sia saggio restare accanto al re più del dovuto. L’amore non è mai saggio e fino a quando ciò che fa sarà a lui gradito non cesserà di farlo.
Il re non è qualcuno che permetta di leggere facilmente in lui, e pare che ella sia la sola in grado di vedere oltre la cortesia dei gesti e la pacatezza delle parole. Pare che solo lei sia capace di scorgere il tormento nelle profondità di quegli occhi che hanno rubato al cielo i colori più belli, e che solo lei si sia accorta della ragnatela invisibile di doveri e preoccupazioni che si è depositata su di lui insieme alla corona. Pare che solo lei veda l’ombra che è calata sul suo cuore e che non lo ha mai lasciato dopo i sette anni di guerra durante i quali così tanti silvani sono morti, ma non si domanda come mai solo lei veda.
Non era così, in passato, Thranduil Oropherion. Non glielo ha detto nessuno, eppure Amariel lo sa, come sa che ci fu un tempo in cui il suo sorriso non si fermava mai in superficie e in cui accendeva di stelle il suo sguardo. Anche ora accade talvolta, e accade solo quando è con lei.
Le manca, e ci sono momenti in cui è sicura che anch’egli stia soffrendo per quella separazione, perché non ha certezze circa quella che sarà la scelta del re ma sa di essere importante per lui. Glielo rivelano le stelle che visitano di nuovo le sue iridi, la dolcezza che la sua voce le regala e i piccoli gesti che nessun altro riceve da lui. La mente può non essere lucida quando il cuore ama, ma Amariel sente che non c’è inganno.
Nessuno può dirle sino a che punto si spinga il suo affetto e se potrà mai condurre a qualcosa di più di quello che hanno ora, ma quando due anime si sfiorano la loro voce non può essere fraintesa. In più di un’occasione le è sembrato che egli fosse sul punto di parlarle di loro, ma poi ha sempre permesso al silenzio di bruciare quell’attimo. Forse un giorno non glielo consentirà, Amariel ci crede sempre quando gli è accanto e non ci crede mai quando egli non c’è. Ed ora che è così distante ci crede ancora meno.
Pensieri sciocchi la tormentano, domande sulle persone che stanno godendo della sua compagnia, gelosie indegne di lei ma che non riesce a mettere a tacere. Perché, in fondo, è questa l’unica insicurezza che la assilla: il timore che egli non sia disposto ad ignorare le proprie origini nonostante ciò che le ha rivelato prima di partire.
Versa ancora acqua, lentamente.
Il giorno di mezza estate è trascorso ed il matrimonio si è già tenuto. Tornerà presto, si ripete, e la loro vita potrà riprendere a scorrere come prima, di stagione in stagione, di anno in anno. Quando Thranduil era insieme a lei vi era il muto desiderio di avere di più, un desiderio che non confessava neppure a sé stessa, mentre ora che lui non è lì il suo cuore si gonfia di speranza anche solo sapendo di poter tornare a quei giorni. Sembra sufficiente, ora, e di notte le pare sufficiente anche solo poterlo rivedere.



 

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Capitolo 4
*** Gli anni dell'attesa ***


                                        


 
4. Gli anni dell’attesa (109 T.E. - 241 T.E.)
 


La chiamarono Beleth, colei che è forte, perché aveva un cipiglio deciso nonostante fosse appena neonata e perché nessuno sapeva quale fosse il suo vero nome. Nascosta sotto una spessa coperta di foglie, agitava le manine goffe per farsi prendere in braccio da colui che la stava osservando sorpreso e che aveva appena seppellito due cadaveri dilaniati e resi irriconoscibili dagli orchi. Nessuno sa se egli abbia cercato qualcuno che potesse prendersene cura prima di penetrare nel bosco portandola con sé, ma in fondo poco importa. Beleth crebbe con lui, e lo amò come si ama un padre, e fu forte anche quando egli andò via, oltre il mare le dissero, perché non poteva più sopportare di vederla morire un poco ogni giorno.
Diedero un bel nome a Beleth, che continua ad essere forte nonostante l’età abbia tramutato la sua pelle in ruvida corteccia e gli anni l’abbiano curvata, costringendola a camminare appoggiata ad un bastone tra gente che non conoscerà mai il dono maledetto della mortalità.
“Sono per il re, mia signora?”, domanda Beleth a colei che, sin da quando ha memoria, è al servizio personale del loro sovrano.
Non ha mai avuto molte occasioni per parlarle nonostante ella usi spesso le cucine, poiché lo fa di notte e di notte Beleth dorme, come tutti i membri della sua stirpe. Eppure Beleth ha imparato dal padre che l’ha scelta a leggere i silenzi, e da tempo sa cosa custodiscono quelli di dama Amariel, e sa anche che non riuscirà a vedere ciò che vorrebbe perché il riposo giungerà prima.
“Buongiorno, Beleth”, la saluta Amariel, volgendosi, “Come va la schiena oggi?”
Beleth sorride. Amariel è sempre gentile, e ha i modi di una regina anche se non ne è consapevole. Ed è bella, di una bellezza semplice e profonda in cui sembra trovare pace quella del re, che abbaglia invece come una luce troppo intensa nel cuore della notte.
“Meglio, mia signora”, risponde.
Amariel taglia l’ultimo frutto e lo dispone sul vassoio insieme agli altri.
“Ne sono felice”, dice, “Il re è tornato questa notte, e non credo che oggi troverà il tempo per pranzare, ma forse in questo modo non arriverà digiuno a questa sera.”
“Non lo farà di certo con tante prelibatezze a portata di mano”, ride Beleth, e resta a guardare.
Amariel aggiunge biscotti appena sfornati che profumano di noci e, in un angolo, un piccolo vasetto con alcuni rametti di menta fiorita.
Beleth sa che Thranduil non manderà indietro nulla. Non manda mai indietro nulla di ciò che prepara Amariel, quasi riuscisse a distinguere il suo tocco anche di fronte a pietanze identiche per aspetto e sapore.
“Si è trattenuto poco ad Imladris”, osserva.
“Sì, meno del previsto”, conferma Amariel, la voce di nuovo libera da quella sottile malinconia che sembrava averne spento la vivacità dopo la partenza del re.
Vorrebbe davvero vedere quel giorno, Beleth, perché è sicura che quel giorno arriverà. Glielo dicono i rametti di menta, e quel ritorno anticipato che sospetta sia legato a null’altro che ad essi. Vorrebbe vederli ridere con gli anelli d’oro al dito e vorrebbe vedere il bosco in festa, ma il tempo degli eldar segue ritmi diversi, mentre il suo è quasi esaurito. Accadrà, ma lei sarà polvere allora.
Con un sorriso Amariel prende il vassoio, la saluta e lascia la stanza.
“Buona giornata, mia signora”, sussurra Beleth, “Buona giornata, mia regina.”
 
***

Gli anni galoppano veloci quando non devono trascinarsi dietro il fardello di ansie e tormenti, e nella contentezza che l'essere insieme ha portato gli anni sono sfuggiti loro di mano, scivolando via lieti come fossero giorni.
Eppure, nel loro morire, quegli anni hanno lasciato ad entrambi la percezione di qualcosa di incompiuto e quelli di Thranduil hanno cominciato a rimanere indietro, gravati dal senso di colpa, mentre Amariel ha smesso di interrogarsi sulle ragioni che lo inducono ad esitare e ha continuato ad amarlo nell’unico modo in cui le è consentito.
Dopo il matrimonio di Elrond egli si è allontanato poche volte da palazzo, e quando lo ha fatto le sue assenze sono sempre state brevi. Solo quando ha proseguito per Imladris dopo quello che doveva essere un soggiorno di pochi giorni nel Lórinand l’attesa è diventata per Amariel più difficile, ma seppur appesantito dalla lontananza il suo cuore ha gioito per le due nuove vite che si sono affacciate sulla soglia del mondo e pensieri inconfessabili l’hanno fatta piangere e ridere insieme. Thranduil, invece, guardando Elladan ed Elrohir stiracchiarsi tra le braccia ancora un po’ impacciate dei genitori, ha scoperto che l’amore accende desideri che non hanno ragione di esistere senza e si è trovato a chiedersi quale sarebbe stato l’aspetto dei loro figli se lui ed Amariel avessero compiuto quel passo. Celebrían ha sussurrato qualcosa all’orecchio del marito e ha sorriso, ma Thranduil non ha prestato attenzione alle sue parole: ha continuato a contemplare rapito la piccola mano che si rifiutava di lasciare andare il suo dito e per un attimo ha avuto l’impressione che gli occhi vispi che lo stavano guardando fossero verdi e non più grigi. Sarebbe stato bello portare la vita nel mondo e non più la morte.
Ora un altro messaggio è giunto da Imladris: i gemelli hanno una sorella, Arwen. Un bel nome ed una scelta perfetta per la figlia di Elrond.
“Quando partirai?”, sente Amariel domandare, la voce intrisa di quell’anticipo di tristezza che sempre la coglie ogni qualvolta lui deve lasciare il palazzo.
Sorride. No, questa volta non andrà solo.
“Fra un paio di giorni, e vorrei che tu mi accompagnassi”, dice.
Amariel si ferma nel mezzo della sala, il vaso di fiori tra le mani che rischia di infrangersi sul pavimento di legno e sul volto il timore mal celato di aver frainteso.
“Accompagnarti, mio signore?”, bisbiglia, ma la voce è satura di emozioni contrastanti e trema come le foglie orlate di brina alla prima carezza dell’inverno.
Thranduil si avvicina e le sfila il vaso di mano, appoggiandolo nell’angolo ad esso riservato. Non lo sposta mai, neppure quando il tavolo che lo ospita è stracolmo di documenti.
“Vorrei mostrarti Imladris”, le confida, “Ci sono luoghi incantevoli e sentieri che si snodano tra boschi aggrappati alla roccia, lungo i quali si può passeggiare nella pace più assoluta. Potremmo fermarci un po’ più del solito e approfittare delle sue bellezze, ma il mio non è un ordine: è solo un desiderio che puoi non soddisfare se non ti è gradito.”
Amariel continua a tenere lo sguardo rivolto verso il basso, gli occhi che minacciano di tradirla lasciandosi sfuggire lacrime che vorrebbe rimanessero segrete e le dita che si tormentano senza sosta. Thranduil si sente piegare dall’improvvisa urgenza di abbracciarla per allontanare quel pianto sul punto di vincere la battaglia e di supplicare il suo perdono, ma ancora sogna e ancora vede ciò che non dovrebbe più neppure ricordare. Non con la stessa frequenza di decenni addietro, ma ancora con troppa insistenza.
“Ti accompagnerò con gioia, mio signore”, la sente dire, la voce non meno incrinata di prima.
“Grazie”, sorride lui, “Chiedi a Maidhwen di occuparsi dei bagagli. Ancora una volta ho bisogno del tuo aiuto per scegliere un dono, qualcosa che sia adatto ad una piccolissima dama. Dobbiamo rispettare la tradizione inaugurata con i fratelli più grandi.”
Ora Amariel solleva il volto e ricambia il sorriso. Qualcosa luccica all’angolo degli occhi, ma nulla segna quel viso che egli adora.
“Lo farò con piacere”, assicura.
“Ne parleremo questa sera”, continua Thranduil, “Hádhion insiste affinché acconsenta ad ampliare le scuderie, malgrado siano inutilizzate per metà. Vuole spiegarmene i motivi e temo che impiegherà parecchio tempo.”
Amariel non si mostra sorpresa. Anch’ella conosce Hádhion a sufficienza per sapere che la capacità di sintesi non fa parte delle sue doti.
“Lo farà senz’altro”, sospira.
Thranduil si allontana rassegnato, ma non si stupisce della contentezza che scorre come linfa in ogni fibra del suo corpo nonostante la seccatura che lo attende oltre la soglia. Quando un re ha il tempo per discutere di scuderie e di cavalli significa che il regno è in pace o sarebbero ben altri i suoi impegni, e il pensiero di non doversi separare da Amariel durante il viaggio ad Imladris rende la sua gioia difficile da arginare. Dovrà trattenersi o rischierà di essere troppo permissivo con Hádhion, allungando a dismisura la lista delle proposte assurde che si vedrebbe rifilare al loro ritorno.
 
***

Amariel dovrebbe essere in preda all’agitazione, ma è la calma che la pervade. Dovrebbe aver imparato a memoria frasi a cui ricorrere per ogni evenienza e dovrebbe ripeterle silenziosamente ad ogni passo, ma non ha cercato frasi di circostanza nei giorni trascorsi e la sua mente è rivolta ad altro mentre cammina al fianco del re, così vicina da udire il fruscio delle loro vesti che si sfiorano. E’ talmente felice che si rifiuta di interrogarsi sul futuro, e non si è mai sentita più a suo agio in vita sua, in un luogo che non conosce, circondata da gente che non conosce, ma accanto a colui che ama e che non può né vuole ingannarla. Non ha mai visto Thranduil ridere così tanto come durante quel viaggio e la gioia che anche lui prova non può essere nascosta, né a lei né ad altri.
Al loro arrivo, inaspettatamente, l’ha preceduta e l’ha aiutata a scendere da cavallo, ed Amariel ha rischiato di arrossire come una giovane fanciulla a quel loro primo contatto. Non ha sentito il calore della sua pelle contro la propria, ma la consapevolezza che le mani che le hanno accarezzato i fianchi erano quelle di lui ha fatto perdere al suo cuore più di un battito. Quando ha cercato il suo sguardo e lo ha ringraziato in un sussurro, si è accorta che anch’egli stava condividendo il suo stesso imbarazzo e un altro battito è andato smarrito.
Thranduil rivolge un cenno alla coppia che sta venendo loro incontro. Sono entrambi alti e belli ed entrambi guardano lei fingendo di guardare il re. Amariel non fatica ad indovinare di chi si tratti e, per la prima volta dopo la partenza da Eryn Galen, si rende conto di non sapere quale ruolo ella ricopra in quel viaggio. Sinora nessuno l’ha costretta a domandarselo, poiché hanno attraversato boschi e percorso sentieri deserti e nessuno poteva porle quella domanda, ma ora c’è chi lo farà ed Amariel avverte un brivido improvviso graffiarle la schiena quando comprende di non avere risposta. E dopo, mentre sta ancora cercando una via d’uscita, sente il tocco di una mano che si appoggia su di essa, lieve come brezza eppure salda come roccia. E rabbrividisce di nuovo, ma per una differente ragione.
“Non temere”, la rassicura Thranduil, “Lord Elrond non è affezionato alle formalità e del resto mi occupo io.”
Amariel annuisce e sorride insieme a lui a coloro che li hanno raggiunti. Le parole che scambiano con il sovrano di Boscoverde sono cortesi e i loro modi amichevoli, e quando si volgono verso di lei la mano di Thranduil torna a posarsi sulla sua schiena dissolvendo ogni ansia. Sorride di nuovo e china il capo, mentre la voce di lui intesse nell’aria ciò che di più bello ella abbia mai udito.
“Vorrei presentarvi dama Amariel, colei che più mi è cara in questa terra.”
Nessun tentativo di fornire spiegazioni non necessarie, nessuna volontà di negare ciò che tutti hanno compreso. La loro vita non tornerà mai più ad essere la stessa.
“Signora, è una gioia poterti finalmente conoscere”, la accoglie lord Elrond.
Amariel contempla per un istante il mare senza confini imprigionato nei suoi occhi profondi e segue il riflesso delle luci che si specchiano su quelle placide acque. Sono belli gli occhi di lord Elrond, ma sono troppo grigi ed Amariel ama il cielo, non il mare.
Celebrían si avvicina e la abbraccia, ed ella si convince che se la signora di Imladris assomiglia anche solo un poco alla madre c’è ancora speranza che Thranduil e Galadriel possano mettere da parte l’orgoglio e relegare il passato al tempo della memoria.
“Benvenuta ad Imladris, dama Amariel”, la saluta.
“Grazie”, risponde lei, “Essere qui è una gioia ed un onore.”
“Perdonate l’assenza dei nostri figli maggiori, ma stanno accompagnando lord Celeborn e dama Galadriel nel loro viaggio dal Lórinand e stanno impiegando più tempo del previsto”, sorride Elrond, “Saranno con noi questa sera.”
Mentre lo osserva Amariel si rende conto che tutto quello che si racconta di lui è vero e che la sua amicizia è un dono per chiunque. Poi si concentra su ciò che egli ha appena detto e si volge verso Thranduil, incapace di nascondere una punta di apprensione.
“Saremo felici di incontrarli e di rivedere lord Celeborn e dama Galadriel”, risponde il re, “Sono stato nel Lórinand di recente per trattare alcune questioni con re Amroth e non ho avuto occasione di parlare con loro. Sarà un piacere poterlo fare ora.”
Non vi è nulla in lui che lasci intendere che la notizia appena ricevuta sia sgradita, ma Amariel sa che Thranduil è capace di fingere quando vuole. Eppure ogni volta che lo fa ella avverte una sensazione indefinita che bussa alla porta della sua anima e che la mette a disagio, mentre ora non pare esservi altro che contentezza in lui. Thranduil non sta dissimulando fastidio. Il malumore che poteva derivare dal dover  incontrare dama Galadriel è annegato in un oceano di sentimenti del tutto diversi che con l’astio non hanno nulla a che spartire, e l’ansia di Amariel annega con esso. Andrà bene, e per ogni evenienza lei sarà al suo fianco.
 
***

“A cosa stai pensando?”
Arwen si è appena addormentata e Celebrían sta scorrendo l’elenco delle cose ancora da preparare per il banchetto che si terrà entro breve. Nulla di formale, solo loro, i figli, i genitori di lei, il sovrano del Reame Boscoso e dama Amariel. Eppure la sua mente sembra essere rivolta ad altro.
“Mi ha sorpresa di nuovo”, dice.
Nonostante il tempo trascorso dalla loro unione si conti ormai in secoli, non sempre Elrond riesce a leggere in Celebrían, poiché è la figlia di Galadriel e come in Galadriel vi è un velo sottile che divide ciò che è da ciò che appare e che ha il potere di confondere persino lui. Questa volta, però, è difficile non intuire a cosa ella si stia riferendo.
“Perché?”
Celebrían arrotola la lista e la posa sullo scrittoio.
“Non immaginavo che potesse scegliere come compagna di vita qualcuno come dama Amariel”, confessa, “E’ diversa da lui in tutto.”
Elrond siede al suo fianco e cerca le sue mani. Sa a cosa è dovuto il dubbio della moglie e sa che ella conosce da sé la risposta, ma ha bisogno di qualcuno che glielo faccia capire.
“Tu non lo sei da me?”, chiede.
Celebrían sorride e accoglie l’invito offerto dalle sue braccia protese, stringendosi a lui. Non per la prima volta Elrond si domanda se verrà un giorno in cui quel sorriso non farà più correre il suo cuore, ma anche lui conosce già la risposta. 
“Marito mio, quando smetterai di rispondere alle mie domande con altre domande?”
“Quando tu non saprai darti da sola le risposte”, ride Elrond, “L’anima non cerca chi è uguale a noi, ma chi ci completa, e dama Amariel completa re Thranduil in ogni modo possibile. Come lui completa lei.”
Celebrían sospira, soddisfatta.
“Allora sono lieta che si siano trovati, e anche se non so perché abbiano atteso così a lungo da quello che ho visto oggi dubito che passerà molto tempo prima che si scambino le promesse.”
“Questo è certo”, sussurra Elrond.
Sente la moglie ridere nell’incavo del collo e la guarda sorpreso. Questa volta non ne ha indovinato il motivo.
“Cosa ho detto di così divertente?”, chiede.
“Credo di aver capito chi ha scelto i regali per i nostri figli”, risponde Celebrían, “Mi sono arrovellata per anni nel tentativo di associare ciò che conoscevo di re Thranduil a quei doni senza giungere a nulla.”
Elrond nasconde il viso tra l’oro dei suoi capelli e ride con lei, ma saggiamente tace sul fatto che lui lo aveva capito da tempo.
 
***

Dama Galadriel assomiglia a dama Celebrían. Le assomiglia nell’aspetto, pallido e leggiadro, e nei modi gentili, nel sorriso che si accende negli occhi prima che sulle labbra e nella musicalità che riesce ad imprimere alle parole. Eppure Amariel comprende all’istante che se Celebrían è il mare dama Galadriel è l’oceano. E’ antica dama Galadriel, così antica da aver visto la nascita di Isil e di Anar e da poter sorridere a tutti loro come chi conosce cose che non hanno neppure mai sfiorato i pensieri altrui, e la sua anima è roccia che nulla può scalfire. Non si piega nemmeno quando dovrebbe, e non lo fa Thranduil, che è cortese ma che mai abbassa il capo o distoglie lo sguardo. Non è antico quanto lei, ma lo è abbastanza, ed Amariel riduce ancora un po’ la distanza che la separa da lui, quasi questo servisse a smussare gli spigoli del suo carattere, di cui conosce i pregi ma anche i difetti. Si sorprende quando si accorge che anche lord Celeborn si è avvicinato alla moglie. Al suo arrivo le ha offerto un sorriso caldo quasi quanto quello di Elrond e ora sembra silenzioso spettatore accanto a colei che ama, ma non lo è affatto. Amariel lo sente, e quasi percepisce la sua quiete avvilupparsi intorno a Galadriel e mutare l’incendio nel tranquillo fuoco che allieta le serate d’inverno. Non ci saranno parole inopportune quella sera, perché Celeborn non lo permetterà, e perché neppure Thranduil e Galadriel hanno intenzione di turbare la gioia di quel momento. Amariel sa che l’orgoglio di Thranduil ha un limite oltre il quale si incrina, e forse anche per dama Galadriel è lo stesso, e comprende che non vi è nulla di cui preoccuparsi.
Segue Thranduil e siede a tavola accanto a lui, e si lascia cullare dalla musica soffusa che mani esperte intessono accompagnando il canto delle tante cascate che corrono verso il fondovalle. La luna rischiara la notte, e pian piano alle note si sovrappongono dialoghi che hanno il sapore di quelle serate trascorse tra amici di vecchia data che non si vedono da tempo.
Amariel ride nell’apprendere delle avventure un po’ folli di Elladan ed Elrohir, ricorda la propria giovinezza e in più di un’occasione quel desiderio inconfessabile le fa visita tra una portata e l’altra. Dà la colpa al vino per il colore che assumono le sue guance, e non importa se il vino non è dorwinion e se non ha su di lei alcun effetto, perché tutti fingono di non saperlo. Prima dei saluti lord Celeborn e dama Galadriel rimediano persino un invito ufficiale a Boscoverde, e Galadriel questa volta si inchina ed accetta mentre Thranduil fa lo stesso e ringrazia, e le cose non potrebbero andare meglio.
O per lo meno così crede Amariel, perché dopo i commiati Thranduil non si dirige verso le loro stanze, ma imbocca un sentiero che si perde tra gli alberi e la conduce ad una minuscola radura che da un lato spazia sull’intera valle, immersa nella luce lattiginosa della notte ormai vecchia. C’è un sedile di pietra sul ciglio ed egli la invita a prendere posto accanto a lui, mentre le loro vesti continuano a non volerne sapere di rinunciare a rimanere in contatto e le mani soffocano l’urgenza di stringersi. Nonostante le parole che ha usato con Elrond qualcosa ancora gli impedisce di fare ciò che vorrebbe. Amariel potrebbe allungare le dita e sfiorare la sua pelle, e sa che di qualunque cosa si tratti andrebbe in polvere, eppure non lo fa. Quell’impedimento di cui non conosce le ragioni si sta sgretolando pian piano ed ella aspetta, perché ha l’impressione che sia l’unico modo per far sì che venga consegnato per sempre al passato.
“Tutte le volte in cui sono stato ad Imladris sono salito sin quassù per ammirare il sorgere del sole”, sussurra Thranduil, “Mi ricorda l’alba vista dalle vette degli Emyn Duir, quando la luce avanza camminando in punta di piedi sulle chiome degli alberi e ridipinge il mondo dinanzi ai nostri occhi. Immaginavo che tu fossi qui e mi domandavo cosa avresti detto, poi ho capito che non avresti detto nulla. Saresti rimasta in silenzio a guardare, come me.”
Nel vento carico di profumi la sua anima la accarezza ed Amariel apre la propria a quel tocco, respirando allo stesso ritmo di lui mentre la valle si colora. Un solo respiro, cantano gli alberi, un unico alito di vita che ne racchiude due.
 
***

Durante i suoi precedenti soggiorni ad Imladris Thranduil ha sempre evitato quell’ala della residenza nonostante non sia orientata verso sud, e ha sempre cercato di non pensare a ciò che giace su di un semplice tavolo in pietra avvolto in un drappo scuro.
Non è mai stato il ricordo degli orrori a cui ha assistito sui campi di battaglia durante la guerra contro Sauron a trattenerlo dal varcare quella soglia, ma la sensazione che ha provato quando il servo di Melkor si è dissolto dinanzi al corpo martoriato di Gil-Galad e che non gli ha mai permesso di considerarlo vinto davvero.
Eppure ora sta guardando proprio il tessuto che copre il retaggio di chi è perito nella gloria e di chi invece si è spento solo, colpito alle spalle e tradito da ciò che credeva al suo servizio, e non avverte il terrore strisciante che prima di allora gli serrava il cuore in una morsa. Percepisce il proprio battito come un monotono sottofondo dal ritmo leggermente accelerato, ma il torace non si oppone alla sua volontà e si alza e si abbassa senza costrizioni.
Allunga la mano e segue con la punta delle dita le linee degli arabeschi sul velluto, quindi solleva un lembo e poi un altro, sino a scoprire ciò che custodisce.
La spada spezzata rifulge ancora della luce che la rendeva viva tra le mani di Elendil, eppure nessun nemico potrebbe temerla ormai, divisa in due e separata dalla mano che la guidava. Adagiata sulla pietra Narsil è solo un cimelio che ha lo stesso valore dei ricordi.
“Quando Ohtar la portò qui era incrostata di fango”, ricorda Elrond alle sue spalle, “La stringeva come fosse più preziosa della vita.”
Thranduil accarezza adagio la lama, qualcosa che sino a poco tempo prima non si sarebbe mai aspettato di poter fare. E’ fredda, ma non quanto dovrebbe.
“La sorte è infame a volte”, sussurra, “Se si fossero trovati più vicini a Boscoverde avrei prestato loro soccorso e Isildur sarebbe ancora tra noi, e l’Anello del potere non sarebbe smarrito.”
Elrond si avvicina di qualche passo e si porta al suo fianco.
“Temi che Sauron possa tornare”, dice.
Thranduil non ha mai espresso al signore di Imladris i suoi dubbi circa la scomparsa del discepolo del male, eppure non si sorprende delle parole che si sente rivolgere. Sa che l’amico è in grado di leggere anche ciò che non è scritto.
“Tornerà, anche tu lo senti”, afferma, “E ciò che è perduto può essere ritrovato.”
Elrond non risponde, ma Thranduil avverte la sua ansia come un fremito nell’aria immobile della sala.
“Pagheremo tutti la stoltezza di Isildur, prima o poi.”
“Nessuno conosce il futuro, re Thranduil, e nulla è certo”, sospira Elrond, “Confidiamo in questo.”
Thranduil scuote leggermente il capo. Come si può confidare nel dubbio? Con gesti misurati avvolge nuovamente Narsil nel tessuto e si volta in direzione dell’uscita.
“Non possiedo certezze che possano essere di una qualche importanza per il destino di questa terra, lord Elrond, eccetto questa”, dice, e si allontana inghiottito dalla luce vivida del primo mattino, lasciando Elrond a soppesare il significato di quelle parole.
Parole che potrebbero essere licenziate come frutto di uno spirito troppo segnato dalle passate esperienze, se solo non le si condividesse.
 


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Nota:
Beleth (“Colei che è forte” nella lingua degli elfi dei boschi) è un personaggio di mia invenzione e non ha alcuna relazione con Beleth figlia di Bregolas (Casa di Bëor).
 



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Capitolo 5
*** La primavera che veste l'autunno ***


                                         

 



5. La primavera che veste l’autunno (242 T.E. - 243 T.E.)
 

Indossa abiti comodi e calzature morbide, adatte a percorrere lunghe distanze e capaci di rendere i suoi movimenti silenziosi. Come ogni anno in questa stagione si è spinta a nord, con arco e sacca in spalla e una meta precisa davanti a sé: una successione di radure che si estendono lungo sentieri che solo un elfo può scorgere, lontano dalle basse alture che tagliano in due Boscoverde, ma ancora in terre sorvegliate e sicure. I margini sono costellati da piccoli cespugli che, sul finire dell’estate, si caricano di minuscoli frutti scuri: erynaid, li chiamano i silvani, e seppur crescano anche altrove Amariel è convinta che non ve ne siano di migliori nella Terra di Mezzo. Non sa da dove derivi la sua certezza e a volte ha la sensazione che siano le piante stesse a vantarsene, ma di sicuro solo la loro distanza le salva dal ritrovarsi senza neppure una bacca.
Sorride al pensiero e procede di buona lena, allungando il passo laddove il terreno e la vegetazione glielo consentono. Talvolta si ferma per salutare con un tocco qualche vecchio albero amico da secoli, ma si muove veloce ed è in procinto di giungere a destinazione quando qualcosa attira la sua attenzione, facendola rallentare sino ad indurla ad arrestarsi.
Concentrandosi ascolta il bosco e si rende conto che il sussurro degli alberi è cambiato. Non è paura ciò che legge in esso, ma impazienza. La foresta pare in attesa, più silenziosa di prima. La vita palpita ancora sotto i suoi piedi, uno scoiattolo spiraleggia risalendo un tronco e il canto degli uccelli non si è interrotto, eppure il loro cinguettio è più soffuso e anche il vento sembra accarezzare le foglie con più delicatezza.
Amariel esamina i dintorni, confusa ed incerta sul da farsi. Non percepisce alcun pericolo, ma qualcosa è in atto intorno a lei e la spinge ad assestarsi meglio l’arco in spalla, mentre si accosta al fusto più vicino e posa una mano sulla corteccia. Chiude gli occhi come le è stato insegnato ed ascolta con più attenzione, ma non avverte il lento fluire della linfa. E’ una nota quella che ode, tenue, e poi un’altra e un’altra ancora. Per un istante torna il silenzio, poi le note si accendono di nuovo e questa volta Amariel non riesce più a distinguerle.  Giungono a lei da ogni direzione e vibrano di albero in albero, come il canto di una cascata a cui le corde di un’arpa regalano la melodia più soave che ella abbia mai udito, lenta e solenne e pervasa da una vaga malinconia. L’incedere le è sconosciuto, straniero, distante dai ritmi incantati che rallegrano le notti di festa del Reame Boscoso, ma vi è qualcosa di famigliare nella cadenza che non riesce ad afferrare, e la sua bellezza le blocca il respiro e congela il tempo. Il tempo del bosco, ora immobile, e il suo.
Amariel non saprebbe dire quanto a lungo sia rimasta appoggiata a quel giovane tronco, rapita dalla musica e timorosa di muoversi per paura di disturbarla, e sbatte le palpebre sorpresa quando questa si interrompe. Allontana il palmo, ridestandosi da quel sogno ad occhi aperti, e sussulta quanto avverte un’altra nota. E’ distante, così distante che ha la sensazione che sia caduta ai suoi piedi per caso trasportata dal fresco vento del nord. Non è attraverso il legno e la terra che la sente ora, ma attraverso l’aria, e non nasce attorno a lei, ma ha un’origine. Se appoggiasse ancora la mano alla corteccia la magia ricomincerebbe di nuovo, ma Amariel non lo fa.
Inspira lentamente e mette un piede oltre il bordo del sentiero, inoltrandosi fuori dalla pista e penetrando nella fitta boscaglia. Sa che è avventato spingersi su terreni non noti e che è tutt’altro che assennato farlo senza un’apparente motivo, ma quell’eco che percepisce come parte del suo mondo è un richiamo a cui non sa resistere.
Cammina senza fretta, attenta a non commettere passi falsi, seguendo il suono limpido che cresce d’intensità a conferma di come quella sia la giusta direzione. Ad un tratto il terreno comincia ad inerpicarsi in maniera decisa, costringendola ad utilizzare la vegetazione come sostegno. Amariel si arrampica cercando di non far rumore nonostante il respiro accelerato, sino a quando lo sbuffare di un cavallo non la inchioda sul posto.
“Amariel, cosa ti conduce così lontano dalle terre abitate? Non vedo una scorta al tuo seguito.”
Le parole, pervase da un genuino stupore, giungono dalla vetta della piccola collina che ella sta caparbiamente risalendo, ed Amariel comprende immediatamente la ragione per cui avvertiva un sapore famigliare nella melodia che ha seguito e che ora è svanita.
China il capo nella sua direzione, nonostante la vegetazione ancora lo nasconda alla vista, ma la palese preoccupazione di cui è intrisa la sua voce la fa sentire improvvisamente in colpa. Si vede attraverso gli occhi del re, e si rimprovera per  non aver riflettuto su cosa avrebbe provato lui sapendola sola e lontana da palazzo.
“Solo uno sciocco desiderio. Perdonami, non accadrà più.”
Silenzio, lungo ed imponderabile. Le pare quasi di scorgere le sopracciglia incurvarsi e le narici stringersi appena in segno di disapprovazione. Amariel afferra con più forza il ramo che le impedisce di scivolare verso il basso, pur non essendovene necessità.
Potrebbe mentire, inventandosi una scusa qualunque per giustificare le proprie azioni e alla quale Thranduil non crederebbe ma che non potrebbe contraddire, eppure non lo fa. Il solo pensiero di nascondere a lui la verità le fa più male di una lama infilata nella carne, anche se si tratta di una verità senza valore quale l’intenzione di fargli assaporare come tutti gli anni le piccole bacche scure che crescono poco distanti.
“Non ho mai conosciuto musica più bella, mio signore”, aggiunge in un sussurro.
Di nuovo il silenzio, più lungo di prima, mentre intorno a loro la foresta parla il suo linguaggio segreto.
“Ti aiuto a salire”, lo sente dire, ma questa volta la voce non proviene dall’alto ed è vicina.
Amariel non ha udito alcun rumore che potesse preannunciare il suo approssimarsi, e la sorpresa è tale da farle perdere la presa. Si aspetta di rovinare al suolo, ma avverte dita forti avvolgersi intorno al suo polso ed afferrarla in una stretta sicura ma gentile, e sorride nonostante il cuore rischi di fermarsi. E’ un fiume di sensazioni quello che la travolge, un fiume le cui acque cantano l’amore in tutte le sue forme e che non ha argini né foce, ma solo sorgente. Lottando per conservare un minimo di lucidità ricorda la madre e ciò che un giorno le disse circa quello che si poteva apprendere dal modo in cui qualcuno stringeva le tue mani, e si rende conto di aver sempre saputo che la stretta del re non poteva essere diversa da quella. Sicura e gentile, con il suo popolo ed ora con lei.
“Grazie”, sussurra, ma non alza il capo e non lo guarda in volto.
Si sente troppo vulnerabile in quel momento per un simile azzardo.
Si fa condurre da lui, invece, e lo segue mentre si fa strada tra gli arbusti continuando a tenerla per mano. Un ramo dispettoso si impiglia nella veste troppo lunga, ed egli si ferma il tempo necessario per liberare la stoffa.
“Non indossi abiti adatti alla foresta, mio signore”, scherza Amariel.
“Ogni abito è adatto alla foresta”, sorride Thranduil, “Dipende da cosa si intende fare.”
Il suo tono è tornato ad essere caldo e gentile, ma Amariel sa che egli non si accontenterà della risposta che gli ha dato poiché ha temuto per lei.
Si appresta a porgergli di nuovo le proprie scuse e a raccontargli delle radure verso cui era diretta, ma il panorama che appare dinanzi a loro una volta raggiunta la sommità della collina le fa dimenticare ciò che stava per dire. Gli alberi sono radi ed antichi e il bosco veste la terra sin dove occhio può arrivare, piegandosi alla brezza in un gioco armonioso di luce e di seta. Amariel si costringe a respirare di nuovo. Tante volte si è spinta in quel luogo remoto, ma non è mai salita sin lassù e ora si domanda cos’altro la foresta protegga nel suo grembo.
Avverte la mano del re lasciare la sua con insolita lentezza, quasi egli fosse restio a farlo, e non si sorprende nel provare qualcosa di simile ad un dolore fisico quando quel contatto si interrompe. Alza lo sguardo e resta ad osservarlo mentre egli contempla il regno a cui per scelta appartiene, il capo privo di diademi e i capelli che mescolano al vento lo splendore dell’argento. Sembra quasi libero dall’ombra in quell’istante, ma Amariel non può essere ingannata facilmente neppure da chi conosce appena e sa che essa è stata solo messa da parte.
“Non conosco la musica che stavi suonando”, dice, la voce lieve quasi temesse di disturbare il silenzio calato tra loro.
Thranduil si volta verso di lei, ma non è lei che sta vedendo né il presente.
“E’ il canto dei boschi del Doriath che si è perduto nel tempo, annegato tra sangue e rovine”, ricorda, “Ciascuno di noi lo sentiva in modo diverso, e tra le nostre dita il canto mutava sempre pur rimanendo lo stesso. Non era perfetta la vita nel Doriath, ma meritava di essere vissuta. C’era pace prima che il buio calasse.”
Si allontana di qualche passo e si china accanto all’arpa, che attende paziente appoggiata contro il fusto contorto di un vecchio abete. Sembra tornare a quei giorni, giorni di cui Amariel ha sentito raccontare ma che non ha vissuto. Non si spinge così indietro la sua storia e per un attimo si sente smarrita di fronte a chi è tanto più antico di lei.
“Non suonavo da molto tempo”, ammette Thranduil.
“Perché?”, ella chiede, concedendosi ancora una volta di seguire il cuore.
Il re esita appena, e quando parla la sua voce trattiene una nota amara che la porta a desiderare di non aver mai posto quella domanda.
“Stavo suonando quando sono giunti e Menegroth è caduta. Ho abbandonato l’arpa tra l’erba e ho preso la spada, e da allora non l’ho più deposta. Credevo di aver dimenticato come si carezzano le corde.”
Amariel sorride.
“Non è così”, sussurra, ma non si riferisce alla musica, bensì a tutto ciò che insieme alla musica egli credeva di aver perduto.
Egli non conferma né smentisce, ma Amariel non ha bisogno di parole per capire che ha compreso ciò che ella intende.
“Anche Boscoverde ha un canto?”, chiede.
Thranduil siede sull’erba e raccoglie l’arpa, assestandola con mani esperte. Ha dita eleganti, più adatte a quello strumento che ad una spada, eppure coloro che hanno combattuto al suo fianco ancora ne celebrano il valore. Amariel non ha avuto occasione di vederlo maneggiare armi, e prega spesso i Valar affinché ciò non debba mai accadere.
“Siedi”, la invita, ed ella lo fa.
“Boscoverde è ferito”, sussurra, “Il suo canto è diverso.”
Poi sfiora le corde in successione, ed inizia a suonare. E, come prima, il tempo si ferma.
 
 

Camminano adagio, l’uno accanto all’altra, le redini del cavallo strette tra le dita di lui e il sole che scalda l’aria nonostante l’autunno sia alle porte. Poiché non c’è più alcun canto da ascoltare il bosco è tornato alla vita di sempre e le chiome dei sempreverdi bisbigliano cullate dal vento. Ogni tanto sporadiche pennellate di giallo e di rosso annunciano che l’estate sta volgendo al termine e che la foresta si prepara a dormire, ma per ora il cielo è terso e i suoi abitanti sembrano pensare solo all’oggi. Il domani non appartiene a quel pomeriggio di sole.
Sono discesi lungo il fianco della collina seguendo il percorso più agevole, e adesso Thranduil si lascia guidare da Amariel. Quando le ha domandato di nuovo il perché della sua presenza in quel luogo ella ha sorriso e gli ha detto che se avesse voluto glielo avrebbe mostrato. Egli ha acconsentito, le ha tolto l’arco e la sacca dalle spalle e li ha caricati sul cavallo. Ha finto di non vedere lo sguardo di Amariel che si volgeva altrove per nascondere l’imbarazzo, ma qualcosa in lui ha tremato. Il dubbio è riemerso prepotente, allungandosi come le ombre nella sera, e mentre la accompagna si chiede se non fosse stato più facile per lei condividere il lascito di Mordor piuttosto che attendere in silenzio una sua parola. E se fosse Amariel l’unica in grado di allontanare per sempre la tenebra dal suo cuore? Non ne avverte quasi il fardello quando le è accanto e ora quell’oscurità assomiglia al lembo sfilacciato di una nube incapace di resistere al vento, qualcosa di impalpabile a cui non dare peso. Volge il capo verso sud e riesce a respirare senza che l’ansia lo colga, e riesce a guardare a quegli anni senza vedere gli occhi vuoti dei cadaveri. Può l’amore fare questo? Egli non sa fin dove possa spingersi l’amore, ma sa di amare Amariel e sa che non potrà mai desiderare altra dimora che non sia lei. Rammenta le parole di Amroth e il grigio che si è impadronito del suo sguardo quando gli ha consigliato di non attendere, e rammenta la recente visita ad Imladris e la felicità quasi insostenibile di quei giorni.
Può aver sbagliato, di nuovo.
Amariel procede sicura, seguendo svolte che li conducono sempre più ad est, attraverso radure che si aprono nella fitta vegetazione e che rivelano squarci di azzurro prima di venire nuovamente inghiottite dal verde.
E’ in corrispondenza di una di queste radure che Thranduil avverte un fruscio di foglie scostate provenire da un lato, lieve come un sospiro ma nitido per l’udito di un eldar. Si ferma, allarmato, e si porta istintivamente più vicino ad Amariel, facendole cenno di non parlare ed allungando la mano verso il fodero della spada appesa alla sella.
Avverte il sussulto di lei nell’attimo stesso in cui stringe le dita intorno all’elsa, pronto ad estrarre la lama. E’ consapevole dell’estrema vulnerabilità della loro posizione, ma sa di non poterne cercare una migliore per la necessità di restarle accanto. Non può sfruttare la protezione degli alberi, perché Amariel non riuscirebbe a seguirlo con sufficiente rapidità. E’ giunta a lui con un arco in spalla, ma tutto ciò che egli ha visto sin dal loro primo incontro gli dice che ella non conosce altro se non i rudimenti della difesa. Le sue mani sono fatte per stringere la vita, non per dare la morte, e Thranduil si rende conto in quel preciso istante che mai vorrebbe che ella fosse diversa. La morte che ha distribuito lui è sufficiente per entrambi.
Attendono per un tempo imprecisato nel più assoluto silenzio, ma il rumore non si ripete e il bosco non gli trasmette alcun segnale di pericolo. Eppure qualcuno o qualcosa li stava osservando e forse lo sta facendo ancora.
Thranduil distende impercettibilmente i muscoli, ma non abbassa la guardia.
“Restami vicina”, ordina con voce appena udibile, “Torniamo indietro.”
“Cosa c’è?”, sussurra Amariel, il tono reso incerto dalla paura.
Thranduil si costringe a sorridere. Non ha riflettuto sull’effetto che la sua reazione poteva avere su di lei, troppo assuefatto ai campi di battaglia dove esitare significa morire.
“Forse nulla, ma preferisco non rischiare”, cerca di tranquillizzarla.
Amariel annuisce.
Riprendono a camminare in silenzio, ma questa volta è lui che guida la marcia ed in breve tempo incrociano un ampio sentiero che punta verso sud e che può essere agevolmente percorso a cavallo. Non percepisce alcuna stonatura tra le voci del bosco, ma è sicuro di ciò che ha udito e i suoi sensi sono tesi. E’ abituato a dover pensare ad altri prima che a sé stesso poiché il suo ruolo glielo impone, ma quella è la prima volta che si frappone tra una possibile minaccia e colei che ama e l’alito gelido della paura che ancora gli sfiora la pelle ha un sapore diverso, lo scuote più in profondità e lo fa tremare nonostante quella situazione non sia di sicuro la peggiore tra quelle in cui si è venuto a trovare. Come può un semplice fruscio allarmare a tal punto chi ha guardato il terrore nero mietere vite mentre l’Orodruin vomitava fuoco? L’amore cambia la prospettiva attraverso cui si vede la vita, dando alle priorità il giusto ordine di importanza secondo alcuni e confondendole secondo altri. Thranduil non sa da che parte stia la ragione, ma per Amariel non esiterebbe un solo istante ad incrociare la spada con Sauron in persona.
“Proseguiamo a cavallo”, comanda, ma lo fa con gentilezza e tende la mano per aiutarla a salire in sella.
Sente le sue dita stringersi intorno alle proprie e, come su quella collina, vorrebbe che il loro contatto non si interrompesse mai. E vorrebbe di più. Cerca quello sguardo che tenta sempre di sfuggirgli quel giorno e questa volta lo trova, e scopre qualcosa che non aveva compreso. Amariel non teme per sé stessa, ma per lui, e la paura che legge nei suoi occhi è lo specchio di quella che fa correre il proprio cuore.
Con movimenti fluidi si posiziona alle sue spalle e tenta di non soffermarsi sulla sensazione che lo travolge non appena il corpo di lei aderisce al proprio, in un contatto che non può essere evitato neppure volendo. E’ pace ciò che avverte, una pace profonda che ha il profumo della casa che la sua anima sta cercando da sempre, e insieme è desiderio di unirsi a lei in tutti gli infiniti modi in cui è stato deciso che questo possa avvenire, nel corpo e nello spirito, sino a quando esisteranno Arda ed il tempo. E’ desiderio di vita ciò che sente scorrere insieme al sangue mentre sprona il cavallo e si lancia al galoppo, e sa che anche Amariel lo sente. Le sue mani serrate intorno al braccio con cui le cinge la vita lo gridano, tenaci come volessero trattenere un sogno che rischia di dileguarsi.
Ha sbagliato, ora lo sa.
 
***

“Non abbiamo trovato nulla, mio signore.”
Thranduil distoglie lo sguardo dal dispaccio. E’ ancora in parte arrotolato, i frammenti del sigillo dispersi sul tavolo e la superficie decorata dalla grafia di Amroth, la cui bellezza stride con il significato delle parole. Sta accadendo qualcosa intorno ad Amon Lanc. Una pattuglia dal Lórinand in viaggio verso nord ha riferito di un numero di orchi superiore alla norma, un’informazione che conferma ciò che anche i suoi osservatori gli hanno comunicato.
“Ne siete sicuri?”, domanda.
Amath scuote il capo. Non dà mai segno di soggezione al suo cospetto, pur rispettandolo non meno di chi china la fronte ogni qualvolta egli compare.
“Abbiamo perlustrato un’area molto vasta, ma non abbiano notato niente di insolito”, risponde, “Non c’è traccia di alcuna presenza oltre a quella degli abitanti del bosco.”
Thranduil si alza e raggiunge l’ampio balcone da cui la vista può spaziare sin dove gli alberi incontrano il cielo.
“Mio re”, suggerisce Amath, “Forse non c’era nulla.”
Thranduil si aspettava che Amath arrivasse ad una simile conclusione e sorride tra sé. Amath è così, concreto e poco incline a credere in ciò che non vede, ma egli non ha dubbi su ciò che ha sentito mentre attraversava la radura in compagnia di Amariel. C’era qualcosa che ora non c’è più, ma non vi è alcuna ragione per cui debba insistere col suo comandante.
“Forse no”, concede, “Rafforza la sorveglianza lungo i bordi meridionali ed invia nuovi esploratori intorno ad Amon Lanc. Raccomanda loro prudenza.”
Amath si inchina leggermente e al suo cenno di congedo lascia la sala.
Di nuovo solo, Thranduil finisce di leggere il messaggio di Amroth e siede, il documento appoggiato sulle ginocchia e il capo abbandonato contro lo schienale. Socchiude le palpebre e ritorna a quel giorno, e rabbrividisce di nuovo al ricordo del pericolo che ella ha corso. Si è ripromesso di impedire che ciò accada ancora, ma sa sin troppo bene che non ha il potere di proteggerla da ogni male. Non può costringerla a trascorrere la vita a palazzo e non può accompagnarla ovunque, e il palazzo non è certo una fortezza inespugnabile né lui un guerriero infallibile. Può solo difenderla dai pericoli che conosce e pregare che non ve ne siano di ignoti in agguato. Da allora gli è diventato più difficile controllare ciò che prova, come se quel fruscio tra gli alberi gli avesse fornito un assaggio della vita senza di lei e avesse dato alle cose il loro giusto peso. A ciò che ella rappresenta per lui e ai sentimenti che lo uniscono a lei. La convinzione di poterla tenere lontana dalle sue notti tormentate si è svelata per ciò che è: una menzogna, un inganno che si è sciolto nel contatto dei loro corpi, nelle loro dita che si sono cercate durante il viaggio di ritorno e nell’imbarazzo mal celato che ha sostituito la formalità quando nessun altro è presente.
Sembra che Amariel non veda più la corona sul suo capo, ed egli non è mai stato così felice di poter essere per qualcuno soltanto Thranduil, senza titoli altisonanti dinanzi al nome o diademi d’argento tra i capelli. Thranduil, niente altro, incerto su cosa dire o cosa fare come se la sua età si calcolasse in decenni e non in millenni, e quasi capace come un tempo di sorridere col cuore a quella dama che lo guarda senza nascondere l’amore che nutre per lui, ma senza avanzare alcuna pretesa. Se solo sapesse che, ad una sua richiesta, le darebbe ogni cosa … Ma forse lo sa, ed è per questo che non domanda, lasciando a lui la scelta.
Passi leggeri sul pavimento e un tintinnio di tazze appoggiate su un vassoio in movimento: Thranduil apre gli occhi e si ritrova a fissare due iridi verdi che brillano su di un volto sorpreso quanto il suo.
Si alza dimentico del dispaccio, mentre le guance di Amariel divampano come fuoco vivo. E’ la prima volta che la vede reagire in quel modo e si domanda se per caso anche lui non debba apparire altrettanto impacciato, poi si ricorda del foglio rotolato in terra e sorride.
“Mio signore …”, sussurra Amariel, “Perdonami, non sapevo fossi già qui.”
“Amath è sempre mattiniero”, si limita a dire lui, ma quelle poche parole hanno il potere di allentare la tensione e anche Amariel sorride.
“Lo so bene”, conferma, e depone il vassoio sul tavolo.
Thranduil guarda prima il vassoio e poi Amariel con espressione interrogativa, e ringrazia tra sé quella momentanea distrazione che gli permette di darsi un contegno.
“Che cos’è?”, chiede, accennando al dolce dalla pasta chiara ricoperto di bacche scure.
Il sorriso di Amariel si accende ed illumina quella stanza che odora di legno e d’autunno meglio di quanto farebbe il sole scendendo dal suo scranno. Thranduil sente il respiro morirgli in gola, e una volta di più si rende conto che non può tornare indietro, né vuole farlo.
“Sembra che qualcuno abbia ordinato alle tue guardie di riempire alcune ceste con questi frutti durante il loro recente viaggio a nord”, afferma lei, “L’ho considerata una richiesta.”
Thranduil sorride di nuovo e torna a sedere, mentre Amariel versa il liquido caldo e gli porge la tazza. Egli allunga le mani e nel passaggio le loro dita si sfiorano, ma tutti e due fingono che non sia accaduto nulla e che i loro spiriti non abbiano sospirato. Accade spesso, ormai, come se ci fossero parti del loro corpo che prendono decisioni per proprio conto, fregandosene di ciò che la convenienza impone.
“Grazie”, sussurra, “E non era una richiesta, ma un regalo per farmi perdonare di averti costretta a tornare a palazzo a mani vuote.”
“Non sono tornata a palazzo a mani vuote”, lo corregge lei, e posa dinanzi a lui un piatto con un’abbondante fetta di dolce, “Assaggialo. Ti piacerà.”
Thranduil osserva per un attimo il piatto, nella cui foggia mani sapienti hanno riprodotto elaborati giochi di rami, e appoggia la tazza accanto ad esso. Alza il capo, non di tanto perché anche quando è seduto Amariel non lo sovrasta di molto, e cerca gli occhi di lei.
“Siedi con me”, la invita, “Lo assaggerò dopo, insieme a te, ma prima noi dobbiamo parlare.”
Amariel esita, ma solo per il tempo di un respiro, quindi annuisce e prende posto dinanzi a lui, le ginocchia che toccano le sue e il canto delle foglie e del vento intorno a loro. Non sembra meravigliata da quella richiesta, né mostra alcun segno dell’imbarazzo di poco prima, e Thranduil ha la sensazione che sedere su quel terrazzo accanto a lei con le dita di nuovo intrecciate alle sue sia la cosa più naturale del mondo. Si è interrogato per giorni circa le giuste parole da usare in questo momento, ma ora scopre che le parole le ha sempre conosciute e che Amariel ha sempre voluto sentirle, e che ha sempre saputo come rispondere. E sono poche quelle parole, perché non ne servono di più.
“Avrei dovuto dirti questo da molto tempo, ma nella mia stoltezza ho creduto che chi, come me, ha visto l’ombra e non riesce a dimenticare non può fare la felicità di nessuno, tantomeno di colei che ama. Ho sbagliato, come tante altre volte in passato e come sbaglierò ancora in futuro, ma se mi accetti per come sono, se trovi in me qualcosa degno di essere amato e se riesci a perdonare ciò che non lo è, la mia eternità è tua. Ti amo, Amariel, e desidero mettere un anello d’oro intorno al tuo dito, unendomi a te davanti a Eru Ilúvatar. E lo farò, se anche tu lo vuoi.”
Per un lungo istante Amariel fissa le loro mani congiunte, quindi solleva le proprie e si porta alle labbra quelle di lui, sfiorandole appena, entrambe. Thranduil avverte la carezza della sua anima in quel bacio, e dimentica ogni cosa quando lei cerca il suo sguardo e gli mostra quell’anima senza veli. Segue il percorso che una lacrima traccia su quel viso che venera e trattiene il respiro di fronte alla forza con cui sensazioni e  sentimenti irrompono in lui.
“Ho solo me stessa da offrire, nulla di più, ma ti amo, Thranduil Oropherion”, la sente dire con voce sicura seppur carica di emozione, “Non desidero altro che ricevere quell’anello da te ed essere per te la terra in cui la primavera può mettere radici.”
In un sospiro si alza e la attira a sé, stringendola come se da quell’abbraccio dipendessero le sorti del mondo intero, e piange insieme a lei anche se dovrebbe ridere e danzare, ma non sempre la reazione di due cuori che hanno iniziato a battere insieme è quella che ci si aspetterebbe.
Nessuno li vede mentre restano immobili tra le fronde che nascondono quell’angolo sospeso nel verde, e  nessuno si accorge delle loro labbra che si trovano per la prima volta, dischiudendo per loro un universo nuovo in cui nessuno dei due ha mai navigato, ma per il quale hanno una nave solida e vele capaci di superare tempeste.
“La colazione si raffredda”, sussurra Amariel rifugiata contro il suo torace, “E devi ancora assaggiare il frutto della mia notte di lavoro.”
Thranduil sorride, con il volto, con gli occhi e col cuore.
“Rimediamo, allora”, dice, scostandole una ciocca di capelli dal viso, “Ma è mio desiderio che tu mi faccia compagnia, oggi, domani e il giorno dopo ancora, sino a quando la nostra sorte giungerà a compimento.”
“La notizia varcherà i confini del Reame Boscoso più veloce del volo delle grandi aquile”, scherza Amariel, ma dalla luce che brilla nel suo sguardo Thranduil comprende che anch’ella condivide il suo stesso desiderio.
“Le notizie liete non devono temere né di giungere né di partire, e più veloci viaggiano meglio è”, afferma.
Amariel segue con le dita i lineamenti del suo volto, scivolando leggera sulla pelle perfetta e inducendolo a socchiudere gli occhi per meglio dare un nome al piacere improvviso che quel semplice gesto risveglia in lui. Quasi senza rendersene conto inclina il capo per offrirsi al suo tocco.
“Allora aggiungerò un’altra tazza d’ora innanzi”, la sente sussurrare, ma il timbro della voce gli dice che si sta perdendo anch’ella nelle sue stesse sensazioni ed improvvisamente un anno di attesa gli sembra troppo lungo per loro.
Ma egli è un re e non ignorerà le tradizioni in tempi di pace. Ci sarà un anello d’argento prima di quello d’oro, nonostante senta già il calore del secondo intorno al proprio dito.
 
***

Anche il bosco è cambiato.
E’ autunno e l’aria pungente che fa rabbrividire le foglie nella foschia del mattino trascina l’inverno con sé, eppure Thranduil sente il profumo della primavera nel sonno della foresta e il tepore dell’estate nelle ultime carezze del sole. Il tempo dell’attesa sta calando sulle sue terre e i primi timidi fiocchi si appoggiano sulle chiome nella quiete della notte, vivendo ogni volta un poco più a lungo, ma egli sorride, le mani unite a quelle di Amariel e qualcosa che brilla al suo dito, pallido come la neve e come la neve custode di una promessa che attende di germogliare. 
Il bosco è cambiato, e non è mai stato così bello.
“E’ giunto qualche messaggio da Imladris?”, domanda lei.
Thranduil non si volge e continua a procedere lungo il sentiero che si allontana dagli insediamenti, ma è consapevole di non poter nascondere nulla a colei che gli è accanto e non si sorprende quando ella stringe la sua mano un po’ di più e lo invita a fermarsi e a guardarla.
“Thranduil …”
E’ talmente bella ai suoi occhi, preziosa come la primavera che riposa sotto la neve e capace di offuscare ogni altra luce, e a volte si rimprovera ancora per aver dubitato di poter incontrare un giorno la felicità. Ora ha l’impressione di vederla ovunque, quasi l’amore avesse scostato la cortina che la nascondeva a lui.
“Sì, mia cara, lord Elrond ha scritto”, ammette.
Gli occhi di Amariel interrogano i suoi per un lungo istante in cerca di tracce di una qualche cattiva notizia, e quando non ne trovano ella si solleva in punta di piedi e gli posa un bacio su una guancia.
“Me ne parlerai se e quando vorrai”, sorride.
Thranduil scuote leggermente il capo.
“Non sto cercando di nasconderti nulla, Amariel”, sussurra, “Non porterei questo anello se volessi farlo.”
“Non era questo ciò che intendevo, amore mio”, si corregge lei mentre egli la abbraccia, facendola svanire alla vista del mondo, “Ma sei un re, e forse ci sono cose che solo tu devi sapere.”
“Forse, ma non in questo caso.”
“Verrà dunque?”
“Ritengo di sì”, conferma Thranduil, “Sempre che ‘Era ora’ equivalga per lord Elrond ad un sì.”
Sul volto di Amariel si fa strada un’espressione in cui divertimento ed incredulità lottano inutilmente per avere la meglio.
“E’ questo ciò che ti ha risposto?”, esclama.
“Ebbene sì. Solo questo, seguito dal suo nome.”
Thranduil si aspetta che il sorriso di Amariel sbocci in una risata, e resta sorpreso quando scorge invece un’increspatura offuscarne la naturalezza.
“Hai voluto avere l’ultima parola”, la sente dire, e non riesce a resistere all’impulso di chinarsi e di posarle un bacio sulla fronte.
Amariel si lascia sfuggire un sospiro e aggiusta la spilla d’argento che egli indossa, uno dei tanti gesti che non si devono più trattenere dal compiere e che raccontano di un’intimità ormai profonda, seppur non ancora completa.
“Non ricordo che lord Elrond sia stato celere in questioni di cuore”, puntualizza lui, la voce pervasa da quella nota gentile che solo lei è in grado di ridestare.
Ora Amariel ride di fronte a ciò che suona come una giustificazione per un atto non proprio consono al decoro di un re.
“Anche se non lo è stato confido che tu glielo abbia almeno fatto presente in modo cortese.”
Thranduil si lascia contagiare da quella risata e le loro voci riecheggiano unite perdendosi tra il verde. Gli orrori di Mordor sono lontani, così lontani che paiono quasi appartenere ad un’altra vita.
 

Continuano a passeggiare, a volte in silenzio e a volte parlando di ogni cosa venga loro in mente, e lasciano che il tempo scivoli via senza cercare di inseguirlo. Un passo dopo l’altro, all’ombra degli alberi o sotto i raggi tiepidi del sole che si appresta a tuffarsi oltre l’orizzonte, insieme, perché insieme hanno scelto di proseguire il loro viaggio.
Amariel non ha esperienza del mondo che si estende oltre il limitare della foresta. Ha visto Imladris e talvolta si è spinta sino alle prime distese d’erba, ma non è mai andata oltre. E’ salita sugli alberi più alti e ha guardato, ma non ha mai avvertito il desiderio di lasciare la sua terra. Chi è stato al di là dei monti o sull’altra riva dell’Anduin le ha raccontato di genti dalle usanze diverse, di eldar, di uomini e di nani e di creature nate dalla rabbia e dall’odio. Le ha narrato storie di tempi lontani, in cui le potenze di Arda sono scese a duellare in terra, e in cui il mare adirato ha lavato le colpe dei buoni e dei cattivi. Altre cose le ha imparate dai libri, quando il loro popolo viveva intorno ad Amon Lanc e quando lei era ancora troppo giovane per capire davvero. Poi i secoli sono passati, Amon Lanc è passato, e anche re Oropher è passato. E sono passati suo padre, sua madre, amici e parenti, e Amariel ha smesso di essere giovane e ha cominciato a capire quei popoli, le loro ragioni e ciò che si cela oltre le righe, perché la foresta è saggia e rende saggio chi la sa ascoltare.
Eppure ci sono cose che la foresta non rivela, antiche più degli alberi e che custodisce nel ventre umido dei suoi recessi più nascosti. Per i mortali che non riescono ad udirne la voce sono sensazioni confuse che sogni dimenticati regalano al risveglio, mentre per i Primi Nati che hanno fatto di essa la loro casa sono echi di canti mai intonati.
Come gli altri figli della foresta Amariel non conosce quei canti, eppure ha l’impressione che ogni volta che Thranduil siede sotto un albero con l’arpa tra le mani un frammento di essi venga strappato all’oblio e si intrecci alle sue note. Succede sempre così tra la foresta e il suo re? Oropher suonava alle feste che allietavano le loro notti, ma la sua musica era solo bella. Il bosco lo amava, ma forse non gli parlava come parla a Thranduil. O forse sono solo i sentimenti che ella per lui che le fanno vedere cose inesistenti.
Amariel appoggia il capo alla sua spalla, strappandogli un sorriso.
Thranduil sorride spesso, ora, e non solo con lei. Ascolta tutti, come prima, ma lo fa con più pazienza, e non assiste più alle feste dall’alto del palazzo, ma prende Amariel per mano e siede accanto ai fuochi tenendola tra le braccia. In un primo momento ella ha creduto che lo facesse per lei, poi ha capito che egli ha sempre desiderato il contatto con la sua gente, senza però riuscire mai a mettere a tacere i ricordi abbastanza a lungo da renderlo possibile. Ora quelle memorie sono divenute silenti, ed Amariel prega che rimangano per sempre tali.
“Thranduil …”, sussurra, “Credi che tua madre avrebbe approvato la nostra unione? Non parli mai di lei.”
La paura di non essere abbastanza per lui è stata cancellata dal suo sguardo quando le ha confessato di amarla, e per lungo tempo si è sentita sciocca anche solo per aver potuto pensare che egli desse importanza al lignaggio, ma non ha conosciuto la moglie di Oropher e non può dire lo stesso di lei.
Thranduil si ferma e cerca con lo sguardo le loro dita intrecciate.
“Non c’è molto da raccontare. Lasciò queste rive dopo il massacro del Doriath, lasciò me e lasciò mio padre, perché troppi erano i morti e quando si volgeva ad est vedeva solo sangue. A quei tempi non capivo, ma ora sì. Non poteva restare. Non so se avrebbe approvato la nostra unione. Ti importa?”
 Amariel riprende a camminare.
“Un tempo, forse”, dice, “Ora non più.”
Egli la asseconda, ma dopo appena qualche passo si blocca improvvisamente, alza il capo di scatto e si guarda più volte intorno. Amariel avverte il corpo di lui irrigidirsi contro il proprio e sobbalza quando anch’ella ode un fruscio tra i fitti alberi posti dinanzi a loro. Lo vede avvicinare la mano all’elsa della spada e spostarsi tra lei e la fonte del suono. Suono che, questa volta, si ripete e si trasforma in un rumore continuo, rivelandosi per ciò che è: zoccoli che calpestano il terreno ancora soffice e frasche scostate da qualcosa che si muove nella loro direzione.
Thranduil sfodera la lama.
“Resta dietro di me”, comanda, il tono che non ammette repliche e l’apprensione celata dall’urgenza.
Amariel annuisce senza neppure riflettere sul fatto che egli non può accorgersi di quel gesto. Come è accaduto quasi un anno addietro in simili circostanze, la preoccupazione per lui offusca ogni altro suo pensiero.
Il tempo sembra rallentare e quasi smette di scorrere quando la vegetazione si apre e la loro minaccia si svela, immobilizzandosi sul limitare del sentiero. Amariel sente la paura farsi da parte mentre osserva quasi incredula gli antichi racconti dei figli della foresta prendere forma. Vede Thranduil abbassare la spada e deporla ai suoi piedi, lentamente, la meraviglia dipinta sul volto e una luce nello sguardo che riflette quella che brilla negli occhi della creatura.
“Che cos’è?”, le domanda a voce bassa.
Amariel continua a guardare davanti a sé.
“Nessuno lo sa. Si racconta che ve ne fossero molti in passato, a nord, ai piedi degli Ered Mithrin”, sussurra, “Perirono quasi tutti con l’arrivo dei draghi. A volte si sono mostrati, ma sempre sulla curva dell’orizzonte, per poi svanire al di là di esso. Forse un tempo avevano un nome, ma adesso neppure gli Avari che vivono oltre i confini del nostro regno lo ricordano più.”
La creatura li fissa, curiosa, gli enormi palchi che raccolgono la luce del tramonto e il manto marrone che si nutre del suo calore.
“Ci sta seguendo da lungo tempo”, osserva Thranduil senza distogliere l’attenzione.
Avanza di un passo, poi di un altro e di un altro ancora, sino ad annullare la distanza che lo separa da quella visione materializzatasi dal nulla. Amariel gli si avvicina con cautela.
La creatura non indietreggia e non mostra alcun timore quando la mano di lui si alza e si posa sul suo collo, iniziando ad accarezzarlo adagio. A quel tocco abbassa il muso e inclina il capo di lato.
“Benvenuto nel Reame Boscoso”, la saluta Thranduil, e ad Amariel sembra quasi che essa sorrida.


 
________________
 
Nota:
La figura del megalocero costituisce l’unico elemento di questa storia preso in prestito dalla trilogia “Lo Hobbit” di P. Jackson, seppur le sue origini e tutto ciò che lo riguarda rappresentino una mia invenzione. Il sapere che si tratta di un animale estinto mi ha riportato alla mente luoghi e tempi perduti e il collegamento con Boscoverde è seguito a ruota.

Erynaid (sindarin) = eryn (bosco) + ennaid (doni)




 

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Capitolo 6
*** Gli anelli d'oro ***


                                          

 


6. Gli anelli d’oro (244 T.E. - 320 T.E.)
 
Hanno deciso di scambiarsi gli anelli con le stelle loro testimoni, perché sono state le stelle le sole spettatrici del risveglio della loro stirpe e perché hanno illuminato loro la via quando camminavano insieme lungo i sentieri del cuore e dell’anima. Hanno deciso di farlo il primo giorno di primavera, sulla sponda del torrente che li ha visti appartarsi per la prima volta, seduti sull’erba mentre il firmamento si rovesciava su di loro.
Non hanno invece deciso nulla in merito a colui che sta per unire le loro mani e le loro vite, perché hanno voluto che fosse il loro popolo a farlo. Essi hanno scelto i testimoni, e ora sono uno di fronte all’altra dinanzi al più antico tra i silvani, mentre Elrond e Celebrían attendono in silenzio rispettivamente alle spalle di lui e a quelle di lei. I signori di Imladris li osservano, ma talvolta si cercano come quel giorno in cui furono loro a confermare la promessa. Thranduil ed Amariel non se ne accorgono, come non si accorgono di molto di ciò che li circonda, perché in quel momento sono uno il mondo dell’altra e i loro sguardi non si lasciano mai.
Indossano entrambi i colori delle foglie e del legno e corone di rami d’argento sul capo. Ci sono fiori bianchi tra i capelli di lei e in molti sono convinti che anche il bosco la ammiri incantato. Non vi è alcun simbolo che possa ricordare a qualcuno che colui che si sta sposando è il sovrano di un regno antico nato all’ombra di fronde ancora più antiche. I potenti che sono giunti per assistere si mescolano ai silvani accorsi da ogni dove, vesti lussuose accanto ad abiti semplici ma sul volto di ognuno lo stesso sorriso e la stessa gioia nel cuore.
La voce del celebrante echeggia limpida nella quiete di Eryn Galen.
“Voi che vi presentate al cospetto di coloro che ci hanno creati indossando gli anelli della promessa, dichiarate i vostri nomi.”
Nessun dubbio, nessun indugio.
“Thranduil.”
“Amariel.”
“Thranduil ed Amariel, confermate la vostra promessa?”, chiede il silvano.
“Confermiamo la nostra promessa”, rispondono entrambi all’unisono, e le loro voci congiunte vengono raccolte dagli alberi e trasportate lontano, sin dove vi sono tronchi e radici. E sono belle quanto il sussurro del bosco.
Il celebrante avanza di un paio di passi e presenta loro un piccolo scrigno di legno intarsiato. Thranduil ed Amariel si sfilano gli anelli d’argento e li ripongono al suo interno, e quando tornano a guardarsi i presenti hanno l’impressione che le luci sospese tra l’erba si siano moltiplicate. Li vedono raccogliere i due anelli d’oro che Elrond e Celebrían stanno offrendo loro ed infilarli ciascuno al dito indice della mano destra dell’altro, adagio, perché la propria eternità è preziosa e non può essere donata in fretta.
“Amariel, ti dono questo anello e confermo la mia promessa.”
“Thranduil, ti dono questo anello e confermo la mia promessa.”
Respirano a fondo, entrambi, e nessuno si accorge del lieve tremore con cui le loro dita si cercano. Aspettano, mentre il celebrante intreccia le loro mani e il vento leggero fa cantare gli alberi tutt’intorno. Fin dove giunge lo sguardo la foresta continua a pulsare e nessuno si domanda come mai quella notte le lucciole siano così tante e le stelle in cielo così brillanti. Quando il celebrante inizia a parlare ed essi a rispondere insieme, Eryn Galen trattiene il respiro.
“Thranduil ed Amariel, per il suolo sul quale viviamo, sarete sempre fedeli l’uno all’altra come le rocce al terreno?”
“In nome di Aulë Talkamarda, saremo roccia e terreno.”
“Thranduil ed Amariel, per tutto ciò che cresce sulla terra, sarete sempre l’uno la forza dell’altra come la linfa lo è dell’albero?”
“In nome di Yavanna Kementári, saremo linfa ed albero.”  
“Thranduil ed Amariel, per le acque che ci danno la vita, sarete sempre uno parte dell’altra come la goccia lo è dell’oceano?”
“In nome di Ulmo Vailimo, saremo goccia ed oceano.”
“Thranduil ed Amariel, in nome del brillante firmamento, vi darete sempre gioia l’uno all’altra come le stelle nel cielo?”
“In nome di Varda Elentári, saremo due stelle che si scambiano la luce.”
“Thranduil ed Amariel, per l’aria che respiriamo, per la brezza che ci allieta e per il vento impetuoso, volete essere uno il respiro dell’altra?”
“In nome di Manwë Súlimo, saremo un solo respiro.”
Il celebrante guarda entrambi, a lungo, poi la sua voce copre di nuovo il silenzio.
“Thranduil ed Amariel, in nome del fuoco segreto che ci ha creati, volete essere d’ora innanzi marito e moglie?”
“In nome di Eru Ilúvatar e di tutti i suoi spiriti, noi giuriamo di amarci e di essere una cosa sola.”
Il silvano abbassa le palpebre e pone le proprie mani sulle loro.
“Per l’amore che vi lega e le promesse che vi siete scambiati davanti alle forze della terra siete divenuti una cosa sola da due. Che Eru Ilúvatar faccia dei vostri due cuori un solo cuore per l’eternità.”
Ora Eryn Galen respira, e lo fa attraverso gli alberi e la terra, attraverso i sorrisi della gente che sbocciano come i fiori di primavera e attraverso le tante voci che elevano al cielo benedizioni ed auspici di gioia, ma ancor prima lo fa attraverso i respiri di Thranduil ed Amariel, che divengono uno quando le loro labbra si incontrano e i loro cuori tornano a battere insieme, dimentichi dei ritmi che seguivano prima di trovarsi e pronti a forgiarne uno nuovo.
Quando si separano, dopo un tempo di cui hanno perduto ogni percezione, restano immobili, le dita dell’uno che incorniciano il volto dell’altra e le fronti unite, come volessero sostenersi a vicenda mentre lottano per recuperare il controllo di sé dopo quella momentanea resa all’amore. Le loro voci sussurrano parole che solo loro possono udire ma di cui tutti indovinano il significato, e dopo un’attesa che nessuno osa disturbare entrambi si volgono ed iniziano a percorrere in senso opposto la via che conduce al palazzo tenendosi per mano. Spesso si fermano e salutano chi depone fiori ai loro piedi, sorridendo e ringraziando i tanti che si accalcano loro intorno. Nessuno si sorprende dell’inchino di dama Galadriel né dell’abbraccio attraverso cui augura ogni bene alla nuova regina di Eryn Galen, perché il campo di battaglia non è l’unico luogo dove ciò che non ha ragione di esistere viene messo da parte, né si interroga sul perché re Amroth abbia quella sottile malinconia nello sguardo mentre osserva i due sposi ridere stretti l’uno all’altra. In giorni come quelli spesso la mente nasconde ciò che non è lieto e lo rimanda all’indomani, quando domande di ogni genere cominceranno ad affollare le conversazioni e tra di esse anche quelle che non hanno risposte felici potranno trovare posto.
Dopo essersi lasciati alle spalle una lunga scia di fiori e di gente ridente, Thranduil ed Amariel guadagnano finalmente le porte del palazzo, illuminate per l’occasione da una moltitudine di lanterne. La residenza è quasi deserta e solo le cucine fervono di attività, ma sono troppo lontane perché il rumore possa giungere sin lì. Salutano insieme la folla che li ha seguiti e sorridono mentre le luci si accendono tra gli alberi, rischiarando le radure e i tavoli posti al centro. Qualcuno inizia a suonare ed altri lo seguono, e la musica prende a scorrere insieme al vino per celebrare il re del Reame Boscoso e la sua regina. Hanno inizio le danze e i signori giunti da terre lontane si mescolano al popolo, perché questa è l’usanza in voga tra i figli della foresta. La gioia appartiene a tutti e la si festeggia insieme. Il re e la regina, invece, vengono lasciati soli, perché questo è richiesto affinché il loro matrimonio sia completo e l’ultimo passo che compiranno davanti ad Eru Ilúvatar riguarda loro e nessun altro.

 
Thranduil non cerca di impedire al proprio cuore di accelerare il battito mentre chiude le porte di quelle che sono divenute le loro stanze, e non ha bisogno di porre domande per sapere che il cuore di Amariel corre veloce quanto il suo. Le loro dita sono ancora strette le une intorno alle altre e non sembra abbiano intenzione di separarsi con tanta facilità. Ne approfitta per attirarla a sé e quasi si spaventa di fronte all’estasi che lo pervade quando il respiro di lei gli accarezza il collo. La abbraccia con più forza e china il capo, nascondendo il viso tra i suoi capelli sciolti e rabbrividendo per l’effetto che il loro profumo ha su di lui. Gli ricorda il bosco che cambia con le stagioni, e ha tanti nomi e nessuno.
Questa non è la prima volta che gli accade di perdersi in simili sensazioni, ma è la prima volta in cui non è costretto a trattenersi perché, quando lo spirito ama, il corpo intona lo stesso canto e risponde secondo quella che è la propria natura. E il corpo è sangue e carne, passione e desiderio, e ora che gli anelli d’oro sono stati donati ed accettati lo sente bruciare dello stesso fuoco che incendia lo spirito, e sembra quasi che Manwë aliti su di esso per innalzarlo sino al regno di Elbereth. O forse è lui che lo sta facendo, ma di certo non è la signora delle stelle colei che occupa i suoi pensieri.
Solleva il volto e si accorge del tavolo imbandito che qualcuno ha approntato accanto al camino acceso, e della luce danzante che giunge dal fondo del corridoio su cui si apre la stanza da letto. Avverte il leggero tremore di Amariel tra le sue braccia, eppure lo spirito di lei è talmente unito al proprio da non permettergli di distinguerne i confini e la sua volontà si erge salda come roccia. Non ha dubbi che anche lei voglia raggiungere quella stanza, eppure le chiede ciò che considera suo dovere domandarle, perché amare significa dare sempre la precedenza alla felicità di chi si ama.
“Moglie mia, desideri aspettare?”, sussurra.
Amariel cerca il suo viso e lo sguardo che gli rivolge è più luminoso della pietra incastonata nel ciondolo d’argento che si alza e che si abbassa al ritmo del suo respiro. Glielo ha regalato lui dopo averle messo  al dito l’anello della promessa, e in esso rivivono le infinite sfumature che abitano il verde dei suoi occhi. Non ha voluto indossare nessun altro gioiello quella notte, benché durante quell’anno di fidanzamento ella abbia ricevuto da lui tutti i doni che si è trattenuto dal farle nei secoli precedenti. Il primo regalo, gli ha detto, merita sempre un posto speciale seppur gli altri possono superarlo in bellezza.
“No, marito mio”, sospira Amariel, “Abbiamo aspettato sin troppo.”
Thranduil deglutisce a vuoto. Sì, hanno aspettato sin troppo, e solo a causa sua, ma non dice nulla perché niente deve gettare ombre sulla loro prima notte. La bacia invece, lentamente, e neppure si accorge delle mani che diventano ardite e che cercano la sua pelle. Non saprebbe dire quanto tempo è trascorso nel momento in cui i sospiri di Amariel lo rendono consapevole di ciò che sta facendo, ma non si ferma perché il corpo di lei sembra supplicarlo di continuare nonostante il rossore che infiamma le sue guance, e non capisce se sia lui o se sia lei a guidare entrambi verso la camera da letto.  
Sulla soglia si interrompe per un istante, il respiro caldo nell’incavo di quel collo pallido come la luna, e la prende tra le braccia. E’ leggera ed esile contro il suo corpo, eppure egli sa quale forza ella racchiuda e ancora una volta ringrazia le potenze di Arda per avergli concesso di trovarla. La adagia sulle coltri e si distende accanto a lei, parte delle vesti di entrambi perduta in sala da pranzo e le corone di rami rotolate da qualche parte.
Rapito segue i giochi di luce che il fuoco disegna su di lei, incendiando il marrone dei capelli ed esaltando le curve del corpo. Le percorre con le mani, lentamente una ad una, le libera dalla stoffa e fa scorrere le labbra su ognuna di esse, e quasi perde la ragione quando lei fa lo stesso con lui, l’imbarazzo dissolto e solo l’amore e il desiderio a guidare le loro azioni.
Sussurra parole che non dimenticherà mai, e teme di morire di felicità nell’ascoltare quelle di lei.
La guarda e le sembra di vedere nelle sue iridi il riflesso del fuoco che arde in lui, ma poi si rende conto che quel fuoco appartiene ad Amariel e sente gli ultimi brandelli di raziocinio andare in polvere. Bacio dopo bacio, carezza dopo carezza si abbandona all’istinto, finché oltrepassa la soglia e scivola in lei col corpo e con l’anima, il fuoco invocato sotto le stelle trasformato in ardente passione … roccia e terreno, linfa ed albero, goccia ed oceano, stelle fuse in un solo respiro.
 

“Il fuoco ha lasciato un segno impalpabile, mentre l’acciaio è penetrato a fondo.”
Le dita di Amariel percorrono gentili la minuscola ragnatela che gli segna il costato e poi scendono giù, sino ad accarezzare la cicatrice ben più evidente che ancora viola la perfezione della sua pelle, laddove la lancia ha dilaniato la carne entrando in profondità sin quasi ad arrivare a mettere fine alla sua vita.
“Non è nulla, solo un ricordo”, sorride Thranduil, “Presto svanirà.” (*)
Sente Amariel stringersi ancora di più a lui e d’istinto fa lo stesso, posandole un bacio sulla fronte. L’alba sta aprendo l’orizzonte e nel camino il fuoco si è spento da tempo, ma l’aria è calda e non occorre alzarsi per riaccenderlo. Il bosco sta ancora festeggiando e i canti e le danze proseguiranno a lungo. In giornata si vestiranno, indosseranno la corona e andranno a salutare gli amici, ma è ancora presto e c’è tempo per parlare e per amarsi di nuovo.
“E gli altri ricordi svaniranno, amore mio?”, domanda lei, “Li ho sentiti questa notte, ho visto le ombre che ti hanno tormentato in questi anni e che ti hanno tenuto lontano da me.”
Non c’è alcuna accusa nella sua voce, solo dolore per ciò che egli si è imposto di affrontare da solo. Hanno parlato spesso di questo nei mesi appena trascorsi e più di una volta egli le ha domandato perdono per averlo fatto.
“No, non svaniranno mai”, risponde, “Ma anch’essi sono ormai solo ricordi, e se dovessero tornare ad essere qualcosa di più non mi nasconderò da te. L’ho promesso.”
Solleva la mano della moglie e se la porta alle labbra, sfiorando l’anello d’oro simbolo di quella promessa, e lascia che il silenzio li avvolga di nuovo. Percepisce il respiro di lei come una musica lieve che gli porta pace, e si convince di nuovo che non esiste una gioia più grande di quella che hanno scoperto insieme.
Si alza appoggiandosi su un gomito e ride quando Amariel gli allontana i capelli dal viso. Ha imparato che adora scivolare con le dita in mezzo ad essi, tanto quanto egli adora sentirle su di sé.
“Quante volte, stanotte, ti ho detto di amarti?”, sussurra.
“Una volta in meno di me, marito mio”, risponde lei, e lo attira più vicino.
“Ti amo”, le dice e la bacia, poi lo ripete e la bacia di nuovo, e lo fa ancora ed ancora.
Compie quel rito un numero imprecisato di volte, finché la voce di lei si unisce alla sua e di nuovo respirano insieme.
 
***

Tra gli eldar non è abitudine per i genitori lasciare la propria casa quando i figli sono ancora troppo piccoli. Ci sono priorità in ciascuna fase della vita, e durante quello che essi chiamano il tempo dei figli sono le esigenze di questi ultimi a venire per prime. Il padre e la madre non vedono in ciò una rinuncia, poiché una volta che quel tempo sarà passato resterà il più bel ricordo della loro vita. E’ il tempo dell’amore, il tempo in cui essi sentono più che in ogni altra stagione di essere una cosa sola.
Eppure Elrond e Celebrían hanno preso la piccola Arwen con loro e hanno raggiunto Boscoverde, perché ci sono eventi per cui è possibile fare un’eccezione e perché dovevano farsi perdonare per non averlo mai fatto prima. Durante gli anni che hanno seguito la morte di Gil-Galad numerose sono state le incombenze che hanno sottratto tempo ad Elrond, e dopo il matrimonio e il desiderio di dare la priorità alla famiglia che stava costruendo insieme a Celebrían lo hanno frenato dallo spostarsi da Imladris. Elrond è consapevole che nessuna di queste motivazioni può giustificare la sua mancanza, ma la risata con cui Thranduil ha accolto le sue scuse ha allontanato i suoi sensi di colpa, e anche quelli di Celebrían.
Ora assapora quel momento di profonda contentezza, seduto su una delle grandi terrazze del palazzo reale di Eryn Galen insieme alla famiglia e agli amici. La sensazione che prova in quei luoghi è difficile da definire a parole. Imladris si eleva al cielo, mentre Eryn Galen è talmente aggrappato alla terra da permettergli quasi di avvertirne la forza segreta mentre risale attraverso il legno e la pietra in cui è costruita quella residenza immersa nel verde. E’ un potere primordiale quello che permea il bosco, qualcosa a cui egli riesce ad attingere ogni volta che ne invoca l’aiuto, eppure sembra che lì sia più radicato e che lo sia la connessione che Thranduil ha con esso.
Elrond lo osserva per un istante. Il re di Boscoverde sta giocando con Arwen, che ride tra le braccia di Amariel.
Questo è un aspetto di lui che Elrond non conosceva e che lo ha sorpreso, e non può fare altro che mascherare la propria curiosità evitando di guardarli con troppa insistenza. Accanto a lui Celebrían finge interesse per un antico testo che gli ha strappato di mano e ogni tanto lancia loro un’occhiata furtiva. I figli più grandi non torneranno dai loro viaggi nel cuore di Boscoverde prima di sera, e tutti gli ospiti sono partiti. Si sono trattenuti a lungo ed Elrond sospetta che avrebbero volentieri prolungato la loro permanenza, se non fosse per la consapevolezza che una coppia appena sposata desidera tempo per sé e che non sarebbe stato educato sottrarne troppo ai sovrani del Reame Boscoso. Tra qualche giorno anch’essi partiranno, e lo faranno con il cuore leggero perché è sempre bello lasciare coloro a cui si vuol bene in compagnia della felicità. Elrond sa da tempo che Thranduil ha fatto proprio il trono e la corona non appena ha messo piede a Boscoverde, ma sa anche che ha impiegato molto più tempo per riprendere in mano la propria vita e che non si sarebbe mai sposato se non avesse compreso di esserne di nuovo padrone. Chiunque abbia un minimo di lungimiranza non può che odiare la guerra, ma Elrond ha capito sotto le ceneri dell’Orodruin che Thranduil la odia di più, e che il dover brandire la spada lascia in lui ferite più profonde che in altri e che richiedono più tempo per guarire.
Le ferite di Dagorlad ora sembrano guarite, ed egli è sicuro che per Thranduil ed Amariel il tempo dell’attesa sia definitivamente giunto al termine. Non passerà molto tempo prima che Boscoverde festeggi ancora, lo legge negli sguardi che i due sovrani si scambiano mentre Arwen ride e spera davvero che nulla giunga a spezzare l’incanto di quegli anni. Eppure è come se l’ombra che ha lasciato Thranduil si fosse fermata un attimo in lui e avesse scritto qualcosa nel futuro che egli non riesce ancora a decifrare. Forse non riguarda Thranduil, ma è da stolti pensare che la pace ad un tratto diventi eterna. Non lo è mai stata e mai lo sarà.
Stretta ad Amariel Arwen sbadiglia vistosamente.
“Credo che per oggi tu abbia giocato abbastanza, piccola Arwen”, sussurra Thranduil, “E’ tempo di dormire.”
Arwen lo guarda e lotta per trattenere un secondo sbadiglio, intenzionata più che mai a non cedere al sonno. Elrond sorride dinnanzi alla determinazione della figlia, e lo stesso fanno Thranduil ed Amariel. Celebrían, invece, sospira rassegnata e restituisce il libro al marito, quindi si alza e si inginocchia accanto alla piccola. Nonostante i suoi tentativi Arwen non sembra voler rinunciare e si aggrappa con forza alle vesti della regina, che infine la asseconda e la accompagna nella sua stanza con la madre al seguito.
“Dimmi, re Thranduil”, scherza Elrond posando il libro sul tavolo, “Come ci si sente con l’anello d’oro?”
Thranduil si rilassa contro l’alto schienale e ride.
“Meglio che senza, lord Elrond.”
Elrond lo osserva per un istante, le dita della mano sinistra avvolte in una carezza intorno a quel pegno d’amore.
“Non vorrei sembrare inopportuno, ma se mi permetti un consiglio anche il passo successivo merita di essere compiuto”, dice.
Thranduil contempla l’anello che sembra offuscare gli altri con la sua luce, ma non si mostra né sorpreso né risentito per quella che potrebbe apparire come una intromissione non richiesta nella sua vita privata.
“Ne sono convinto, e ti assicuro che sia io che mia moglie desideriamo fare quel passo”, sorride.
“Non dubito che accadrà, ma non aspettate troppo”, continua Elrond, “In questo caso non sono la neve che accusa la pioggia di essere bagnata.”
Il re lo guarda per un attimo e non riesce a trattenersi dal ridere.
“In questo caso decisamente non lo sei, lord Elrond”, ammette divertito.
Elrond sospira.
“Celebrían dice che me lo sono meritato.”
“Ha ragione”, conferma Thranduil, e quasi volesse sottolineare la correttezza di quanto appena detto raccoglie il calice e beve un lungo sorso.
Il cielo sopra di loro è terso come non mai ed Elrond prega che lo rimanga il più a lungo possibile.
 
***

Per il popolo dei Primi Nati gli anni sono come le effimere, un battito d’ali e sono vive, un altro e sono morte, eppure quando la gioia è profonda possono accendere l’illusione che nulla possa turbarla, e per Thranduil ed Amariel non sono mai esistiti anni più felici di quelli che stanno vivendo.
Il Reame Boscoso è in pace e la popolazione sta lentamente crescendo. Sono ancora un nulla rispetto al popolo su cui Oropher regnava, ma non si intravvedono minacce all’orizzonte e quando le guerre si tengono lontane gli eldar pensano alla vita.
Anche Thranduil ed Amariel pensano alla vita. Non hanno fretta, ma per la seconda volta hanno infuso una parte del loro spirito l’uno nell’altra durante la loro unione e hanno esercitato la loro volontà affinché un nuovo essere possa mettere radici nel grembo di lei, sfiorando con le dita una felicità di cui non sospettavano l’esistenza.
Si sono spinti ad ovest dopo essersi amati e hanno costeggiato la catena dei monti, una via percorsa mille volte in un luogo presidiato. Come sempre cavalcano insieme, perché desiderano sentirsi vicini e perché sul dorso della cavalcatura del re di Boscoverde c’è posto in abbondanza per entrambi. Col tempo i più piccoli hanno iniziato a chiamarlo Aglaras anche se non è un cervo, e ad avvicinarsi sempre un poco di più. Ora Aglaras permette loro di accarezzarlo, ma non consente a nessuno se non a Thranduil di cavalcarlo. Amariel nutre un affetto particolare per Aglaras, perché ricorda la prima volta che è salita in groppa ad un cavallo con il re alle sue spalle e l’occasione che esso, senza volere, ha fornito loro. Molti sono convinti che Aglaras si farebbe guidare anche da lei, ma Thranduil non ne ha la certezza e le ha chiesto di non provare.
Ora Aglaras si crogiola al sole tra l’erba e il tarassaco, alzandosi talvolta per immergere il muso nelle acque limpide del torrente e per tornare poi a godere del prato che occupa il fondo di quella minuscola valle. E’ per il rivo che la attraversa che Thranduil ed Amariel sono giunti sin lì, e per le tante cascate che esso disegna saltando di roccia in roccia. I pendii intorno sono ripidi ed affollati di abeti, ma gli zoccoli di Aglaras sanno stare sempre incollati al terreno ed Amariel è sicura che se Thranduil glielo chiedesse correrebbe lungo pareti verticali senza la minima esitazione. Quando cavalca con lui in quei luoghi le sembra di essere leggera come le nuvole e di librarsi sulla terra insieme ad esse.
Amariel sorride tra sé e socchiude le palpebre, il corpo rilassato tra le braccia del marito e i piedi affogati nell’acqua. Respira l’aria fresca e ascolta il canto degli alberi e del vento, e ancora si sorprende di quanto si senta completa e di quanto la vita possa dispensare gioia. Apre gli occhi e non si domanda se stia vedendo il cielo o le iridi di colui che ama. Non lo fa più da tanto tempo, ormai, e si limita ad allungare la mano e a chiedergli un bacio. Il cielo, le disse un giorno Thranduil, bacia sempre la terra nella luce dell’alba e tra le fiamme del tramonto e sempre lo farà, ed egli si china e mantiene la promessa.
Poi balza in piedi e la trascina con sé, senza darle il tempo di rendersi conto di ciò che sta accadendo.
“Cosa …?”, riesce a dire Amariel, ancora in parte prigioniera dell’idillio di pochi attimi prima.
Nel prato Aglaras si è alzato con una velocità che Amariel non credeva potesse raggiungere, e sotto i loro occhi scarta di lato mentre qualcosa piomba su di lui. Non lo sfiora neppure, ma solo per un soffio. Amariel vede Thranduil portarsi d’istinto la mano al fianco e poi sussultare quando si rende conto di aver lasciato la spada nel fodero accanto alla sella, pericolosamente vicina al punto in cui il mannaro sta attaccando. A mani nude non può fare nulla ed ella avverte su di sé il brivido di paura che corre lungo la schiena di lui, e il terrore per ciò che può accadere. Neppure uno dei pensieri che affollano la mente di Thranduil in quel momento è per la propria incolumità, Amariel lo sa senza bisogno che glielo confermi il suo sguardo mentre stringe la sua mano.
Aglaras carica la bestia grande meno della metà, mancandola e permettendole di saltargli in groppa e di affondare gli artigli nella carne. Con violenza si impenna e la scaraventa al suolo, ma il mannaro è più agile e Amariel trema. Thranduil si volge verso di lei, una luce nello sguardo che è furia trattenuta e che ella non ha mai veduto. Sa che Thranduil è anche quello, lo sente durante le loro notti quando goccia ed oceano annegano nelle stesse acque, e sa che non può proteggerla senza spada.
“Vai”, dice.
Thranduil la guarda come volesse riversare in quell’attimo tutto ciò che prova, quindi annuisce e la guida accanto al grosso albero presso cui stavano riposando.
“E’ solo o saremmo già tra le loro fauci, ma se occorre sali”, ordina, e si lancia verso la sella veloce come il vento.
Amariel avvicina la schiena al tronco e si costringe a respirare, la paura per il marito che pesa sul suo cuore come un macigno. Lo segue con lo sguardo mentre raggiunge l’arma, il mannaro completamente assorbito dallo scontro con la loro cavalcatura e indifferente a tutto il resto. Nell’istante esatto in cui Thranduil afferra l’elsa Aglaras, dopo vari tentativi andati a vuoto, falcia la bestia, aprendo lunghi solchi gocciolanti nella pelle e facendola ricadere a breve distanza. Il re estrae la spada dal fodero e balza accanto ad essa, e con un colpo preciso le oltrepassa il collo da parte a parte mentre ancora questa lotta per rialzarsi. Amariel si accascia contro il tronco, il respiro affannato quasi fosse stata lei ad affrontarla.
I latrati dell’animale in agonia le giungono sempre più fievoli, finché Thranduil non vi pone fine con un secondo affondo. Lo vede guardare nella sua direzione mentre libera la lama dalla carcassa, e con un profondo respiro si rimette in piedi. Corre verso di lui e lo sente chiamare spaventato il suo nome ancor prima di ritrovarsi a terra. In un primo tempo non capisce cosa le sia accaduto, poi si accorge delle rocce nascoste sotto il muschio che si è staccato non appena vi ha posato i piedi sopra. In una situazione normale non sarebbe mai scivolata in un modo talmente banale e quasi le viene voglia di ridere, ma non lo fa perché il volto di Thranduil, che nel frattempo l’ha raggiunta, è tutto tranne che divertito e quando cerca di alzarsi avverte un dolore sordo alla schiena che la fa desistere.  
“Amore mio, sono qui”, sussurra il marito con le braccia già intorno a lei.
Amariel sorride. Anche Aglaras si è avvicinato e pare essersi messo di guardia. Ha un taglio sul muso e qualche graffio qua e là, ma non sembra trattarsi di ferite che possono creargli problemi.
“Sto bene, non ti preoccupare. Ho messo un piede dove non dovevo.”
Thranduil appoggia la spada al suolo e fa scorrere le mani sulle articolazioni delle caviglie, muovendole lentamente e controllando che non ci siano lesioni.
“Senti fastidio?”, le domanda.
“No”, lo tranquillizza Amariel.
Il dolore alla schiena sta rapidamente scemando ed ella si rimprovera ancora in silenzio per quella distrazione. Si sono liberati del mannaro senza danni e lei cade scivolando su una pietra, ma l’ansia per coloro a cui si vuol bene ottenebra i sensi ed Amariel, a differenza di Thranduil, non ha mai imparato a dominarla, neppure nei casi in cui la vita dipende da questo.
“Riesci ad alzarti?”, chiede lui, “Vorrei che ce ne andassimo il più rapidamente possibile.”
“Certo”, risponde, e con il suo aiuto si solleva.
Non avverte più nulla, solo un leggero intorpidimento che la sta abbandonando in fretta. Quando giungono accanto al punto in cui hanno lasciato la sella si sente come prima della caduta e l’unico segno di quanto appena successo sono le vesti non più linde. Qualcosa a cui si rimedia.
Thranduil si guarda intorno, i sensi allertati, e posiziona la sella sul dorso di Aglaras. La aiuta a salire con più attenzione del solito, quindi si issa dietro di lei e impugna le redini. E porta di nuovo la mano all’elsa della spada quando, dalla loro destra, giunge uno scricchiolio di foglie calpestate da passi leggeri, passi che non possono che appartenere a membri della loro stirpe.
Thranduil allenta la presa sul metallo e allontana la mano non appena i nuovi arrivati si rivelano.
Si accorgono del cadavere del mannaro e sui loro volti preoccupazione e sorpresa si confondono.
“Mio signore”, si inchina il comandante della piccola pattuglia, “Stavamo inseguendo il warg.”
Thranduil riprende le redini tra le mani.
“Lo avete trovato”, dice, “Bruciatelo, poi venite a palazzo. Desidero che mi raccontiate come ha fatto un mannaro a penetrare così in profondità nel cuore del nostro regno. Ho sempre ritenuto queste terre sicure, e non vorrei dovermi ricredere.”
Il tono del marito è tagliente come lama. Ad Amariel pare di scorgere un rivolo di sudore scivolare lungo il collo del silvano e non vorrebbe mai essere al suo posto. Seppur capiti raramente Thranduil sa anche essere severo, e permettere che gli abitanti del Reame Boscoso corrano rischi è uno dei modi migliori per far emergere questo aspetto del suo carattere.
“Come tu ordini, mio signore”, annuisce il loro interlocutore, abbassando nuovamente la fronte.
Thranduil non aggiunge altro ed Amariel si appoggia a lui, mentre Aglaras si lancia al galoppo arrampicandosi lungo il più vicino versante.
 

Serve così poco tempo affinché la vita torni a reclamare il suo dazio per la gioia che ha regalato e bastano pochi sassi coperti di muschio perché ci si ricordi che la felicità non rende immuni al dolore. Lo si può dimenticare se la gioia è troppo intensa, ma prima o poi accade sempre qualcosa che spezza l’inganno.
Thranduil stringe la mano di Amariel, seduto sul bordo del letto mentre il sole scende lento come lo scorrere di quel giorno. Le erbe l’hanno aiutata ad addormentarsi ed egli prega che il loro effetto duri a lungo. Vede ancora le lacrime sul suo volto e sente ancora i sussulti del suo corpo scosso dal pianto. Non ricorda per quanto tempo l’ha tenuta stretta a sé. Ha pianto in silenzio insieme a lei, e ha capito cosa significhi essere uno la forza dell’altra. Non ce l’avrebbero mai fatta da soli, mentre insieme guariranno, anche se prima verseranno ancora lacrime, entrambi, e anche se non dimenticheranno mai.
“Mio signore, se desideri riposare posso restare io con la regina”, sussurra Maidhwen.
Sembra quasi timorosa di disturbare e il suo sguardo porta i segni della tragedia che si è consumata poche ore prima laddove per tanti anni vi è stata solo gioia.
“No, puoi andare”, dice, “Resto io con mia moglie.”
Alle loro spalle presenze silenziose raccolgono in fretta stoffe e recipienti, quasi sperassero di allontanare insieme ad essi anche il dolore. Ma il dolore resterà.
“Come desideri, mio signore”, desiste Maidhwen, “Posso portare qualcosa di caldo nel caso in cui la regina si svegli?”
Thranduil annuisce.
“Sì, ti ringrazio. Fai uscire tutti.”
“Sì, mio signore”, china il capo lei, e si allontana lasciandoli soli.
Thranduil allunga la mano ed accarezza il volto di Amariel. E’ pallida, più del solito, anche se non ha perduto molto sangue, solo quel tanto che è servito per strappare ad entrambi ciò che ancora non sapevano di avere. Non ne avevano ancora percepito la presenza, ma quando Amariel si è piegata in due poco dopo il loro rientro a palazzo hanno sentito il vuoto e hanno capito. Nessun guaritore poteva salvarlo, nessuna erba miracolosa. Il loro primogenito se ne è andato insieme al sangue, il più rosso che Thranduil abbia mai veduto e in confronto al quale quello di cui erano imbevute le piane del Gorgoroth ora non gli sembra altro che acqua. Sa che non è così, ma il dolore è ancora troppo forte e non riesce a pensare lucidamente. Gli manca qualcosa, quella parte di sé che ha donato a suo figlio e che è perduta per sempre. Dove vanno coloro che non vedono la luce? Esistono per loro aule che li ricevono come il grembo della loro madre o si perdono nel vuoto al di là del mondo? Dov’è adesso il frutto del loro amore?
Amariel geme debolmente e stringe con più forza la sua mano, ma non si sveglia. Con tutta la delicatezza di cui è capace Thranduil si distende accanto a lei e la prende tra le braccia. Anche nel sonno lo riconosce e ne cerca il conforto, aderendo al suo corpo e respirando tra i suoi capelli. La vicinanza sembra tranquillizzarla e il suo battito si fa regolare.
La luce rossa del tramonto sta cedendo alla notte i suoi colori e il vento caldo muove appena le stoffe dei tendaggi.
“Il bosco è silenzioso questa sera, amore mio”, sussurra Thranduil, e la stringe un poco di più.
 

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Nota:
La cerimonia del matrimonio elfico è tratta, seppur con qualche modifica nelle modalità e nelle formule, dal sito www.eldalie.it (Rif. http://www.eldalie.it/forum/list_thread.php?iddiscussione=7630). Mi sono imbattuta in questa trascrizione qualche anno fa e l’ho trovata più che perfetta, perciò ho deciso di utilizzarla tal quale e mi complimento con l’utente Turin Turambar1 che l’ha ideata, documentandosi in maniera approfondita e dimostrando una conoscenza della materia di tutto rispetto. In verità, per una questione di coerenza, avrei dovuto sostituire i nomi quenya con cui i due sposi si appellano ai Valar con i rispettivi nomi sindarin, in quanto ritengo che gli elfi silvani non impieghino l’antica lingua in alcuna cerimonia, ma poiché sono questi i nomi con cui i Valar sono maggiormente noti ho deciso di lasciarli tal quali. Coloro che preferiscono non transigere alla coerenza sono liberi di leggervi al loro posto Óli (Aulë), Ivon o Ivann (Yavanna), Ulu (Ulmo), Elbereth o Gilthoniel (Varda), Aran Einior (Manwë). Nonostante la cerimonia nuziale assuma comunemente tra gli elfi un carattere “privato” ed avvenga in presenza di pochi partecipanti (J. R. R. Tolkien - The History of Middle-earth - Laws and customs among the Eldar), non ci vengono fornite informazioni circa le possibili varianti introdotte in un regno che ha visto la fusione di più popoli e di più usanze. In virtù di ciò mi sono presa la libertà di rendere questa particolare cerimonia “pubblica”. In questa personale interpretazione la scelta di condividere un momento così importante con il popolo silvano simboleggia, per Thranduil ed Amariel, la totale appartenenza ad esso. La partecipazione del più antico silvano in veste di celebrante, pur non essendo necessaria, si inserisce in questa visione d’insieme e rafforza il rapporto tra i sovrani e la loro terra.
 
Gli elfi sono soliti sposarsi e concepire in giovane età, ossia poco dopo il cinquantesimo anno di vita (J. R. R. Tolkien - The History of Middle-earth - Laws and customs among the Eldar). Anche se essi non invecchiano, infatti, con il trascorrere del tempo il loro spirito “li consuma” e, poiché concepimento e gestazione richiedono per i Primi Nati uno sforzo maggiore rispetto a ciò che accade per i mortali, gli elfi generalmente procreano all’inizio della loro vita. In ogni modo, indipendentemente dall’età a cui decidono di diventare genitori, essi lo diventano. Per tenere conto del fatto che Thranduil e la moglie si sposano ben oltre quella che è considerata l’età canonica per un matrimonio, mi sono presa la libertà di ipotizzare che il concepimento non avvenga la prima volta che essi esercitano la loro volontà, ma solo la seconda o la terza. In ogni caso i loro spiriti e i loro corpi lo permettono, poiché non avendo ancora avuto figli essi hanno conservato il desiderio di essere genitori e le loro menti non si sono volte verso altri interessi. La perdita del primogenito dei sovrani di Boscoverde, che possiamo definire, seppur impropriamente, “aborto” e che ho immaginato possibile nonostante potrebbe benissimo non esserlo per gli elfi, rappresenta una situazione che, in quanto a modalità di accadimento, non trova alcuna equivalenza tra i mortali e le cui dinamiche sono rese possibili solo da ciò che ci viene detto circa il concepimento tra i Primi Nati. In particolare, poiché per essi un figlio deriva dall’unione di fae (spirito, fornito da Eru Iluvatar) e rhaw (corpo, fornito dai genitori), l’incidente che coinvolge Amariel porta alla scomparsa di un figlio “potenziale” in quanto ho supposto che, tra l’unione spirituale e fisica e il concepimento vero e proprio, intercorra un breve lasso di tempo dell’ordine di alcune ore, in analogia con quanto accade per i mortali. Questo perché la procreazione nelle due stirpi avviene in modo quasi identico dal punto di vista fisico ed esse sono reciprocamente fertili, elementi che lasciano supporre che anche sotto questo aspetto le differenze siano irrisorie. Seguendo tale ragionamento, i genitori si renderebbero conto del concepimento solo quando questo avviene, ossia con l’unione del fae (che può essere nel frattempo supposto in fase di formazione) e del rhaw del figlio, che in quel momento smette di essere una vita “potenziale” per divenire una vita “concepita”. Se si ipotizza che atto sessuale e concepimento siano, contrariamente a ciò che accade per i mortali, simultanei, i genitori devono percepire immediatamente la presenza della nuova vita che hanno generato e la perdita di un figlio di cui ancora non si conosce l’esistenza non può in alcun modo avvenire. In una situazione quale quella descritta in questo capitolo ci si può rendere conto dello svanire di una vita “che sarebbe dovuta essere” solo chiamando in causa l’aspetto “spirituale” di cui è ammantato il concepimento tra elfi, ossia attraverso il senso di mancanza legato al dileguarsi di ciò che i genitori avevano messo a disposizione del nascituro. Ancora una volta, qualcosa che i mortali non potrebbero mai sperimentare.

Aglaras (sindarin) = aglar (splendore) + aras (cervo)
 
(*) Rif. “L’albero e la spada”



 

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Capitolo 7
*** L'ombra su Boscoverde ***


                                          

 

7. L’ombra su Boscoverde (950 T.E. - 1049 T.E.)
 


Il Lórinand è troppo caldo in estate, e i telain gli trasmettono un’insolita sensazione di leggerezza a cui non è abituato. Sono solidi e ben ancorati ai rami, eppure l’eco dei propri passi che si perde nel vuoto lo mette a disagio. Amariel ha riso quando glielo ha confessato e lo ha baciato su una guancia come avrebbe fatto con un bambino preda di sciocche paure, quindi ha raggiunto la scala che serpeggia lungo il tronco ed è scomparsa dalla vista. Avevano programmato di visitare i giovani mellyrn lungo le sponde del Celebrant, ma re Amroth ha deciso di riapparire quel giorno dopo una delle sue lunghe permanenze nei boschi, ed egli è stato costretto a trattenersi e a lasciarla in compagnia di Maidhwen e della scorta. Non ne ha mai compreso sino in fondo le ragioni, ma dopo il lutto che li ha colpiti Maidhwen ha perduto quella sorta di cortese distacco che ha sempre esibito nei confronti di Amariel e ha cominciato a mostrare un lato di sé nettamente migliore.
Thranduil cerca l’anello d’oro che la moglie gli ha donato oltre cinquecento anni prima, lucente come quel giorno e, se possibile, ancora più caro. Lo fa sempre quando ha bisogno della sua forza, e in quel momento oltre alla forza vorrebbe anche possederne la pazienza.
“Re Amroth, il numero di orchi intorno ad Amon Lanc è cresciuto troppo in questi ultimi decenni perché non sorga spontaneo domandarsene la ragione”, ripete per l’ennesima volta, “I tuoi esploratori lo hanno confermato.”
Amroth ascolta, ma non pare cogliere la gravità di quanto sta accadendo. Nessuno sembra farlo, neppure Elrond, che siede in disparte con il capo chino. Ha indossato le vesti del signore ed è impossibile indovinare cosa stia pensando. Galadriel, invece, passeggia avanti e indietro e appare più interessata ai decori del pavimento che a quello che lui sta dicendo. Questa è la Galadriel a cui non si inchinerà mai.
“Gli orchi spesso agiscono senza uno scopo, re Thranduil”, dice Amroth, “Non è la prima volta che si riuniscono dopo la disfatta del loro padrone.”
Thranduil si impone la calma. Non considera più Amon Lanc parte del proprio regno, ma è parte di Boscoverde ed il Reame Boscoso è Boscoverde. Percepisce quelle immonde creature come uno sfregio alla sua terra e come una minaccia concreta alla sicurezza del suo popolo, e non riesce a capire come Amroth possa tollerare di averli così vicini. L’Anduin, seppure imponente, non rappresenta una barriera invalicabile e non protegge il Lórinand, e nonostante dopo il matrimonio con Amariel egli non abbia più sognato degli anni trascorsi tra la polvere ed il sangue quella sensazione non lo ha abbandonato: l’impressione di qualcosa rimasto incompiuto c’è ancora.
“Chi ci garantisce che il loro padrone non possa tornare?”, domanda.
Le sue parole sono accompagnate da un lungo silenzio a cui pone fine la voce di Elrond, ridotta ad un sussurro.
“Nessuno.”
Galadriel si ferma e si volge verso Thranduil, adagio, il volto che pare scolpito nell’alabastro e che non trasmette nulla, solo una fredda bellezza che quasi spaventa e l’accavallarsi dei millenni risucchiati dal suo sguardo.
“Cosa proponi di fare, re Thranduil?”, chiede.
Rimane immobile, mentre il soffio del bosco le accarezza gli abiti e i capelli, sollevandoli come le volute di fumo che danzano sulla lama rovente della spada appena forgiata. Thranduil non vacilla.
“Qualunque cosa non comporti il dover restare seduti ad aspettare”, risponde.
Galadriel sorride, ma il suo viso continua a non trasmette alcun calore.
“Ciò lascia aperte molte opzioni”, dice.
Il primo impulso di Thranduil sarebbe quello di alzarsi e di andarsene, perché anche se il tono di Galadriel non risulta in alcun modo offensivo il suo intento è palese, tanto palese che Elrond solleva il capo e le rivolge un’occhiata da cui traspare qualcosa di molto vicino alla disapprovazione. Eppure non lo fa. Sopprime il moto d’ira che rischia di annebbiargli la mente e mette da parte l’orgoglio, perché non può dimenticare di avere responsabilità con o senza corona.
“Non sono venuto qui con una soluzione, dama Galadriel”, ammette, “Sono venuto qui per trovarla insieme a voi.”
Galadriel sembra riflettere, ma tace e riprende a camminare.
“Per trovare soluzioni occorre disporre di informazioni attendibili, re Thranduil”, interviene Amroth, “Per ora noi non ne abbiamo.”
Thranduil si volge verso il bordo del talan presso cui siede Elrond.
“Potremmo conoscere anche la tua opinione, lord Elrond?”, domanda.
Osserva l’amico mentre si alza lentamente ed appoggia le mani sul parapetto, lo sguardo proiettato verso Amon Lanc quasi volesse ghermirne i segreti nonostante gli alberi che lo celano alla vista.
“Non vi è nulla a noi noto che possa indurci a ritenere che vi sia qualcosa di insolito nell’attività intorno ad Amon Lanc”, dichiara, la voce priva di ogni emozione, “Comprendo le tue preoccupazioni, re Thranduil, ma agire d’impulso non è mai una buona cosa.”
Thranduil abbassa il capo e non si sorprende di non provare rabbia per le parole di Elrond. Prova amarezza, invece, e si sente improvvisamente stanco. Troverà un rimedio per Amon Lanc, ma prima di giungere da Amroth nutriva la certezza di non doverlo fare da solo, mentre ora ha la sensazione che il tempo di coloro che lo circondano abbia preso a scorrere ad una velocità diversa rispetto al proprio e che solo lui senta l’urgenza di agire. Gli edain sperimentano qualcosa di simile quando si rapportano alla loro stirpe?
“Terrò sotto stretto controllo la parte meridionale di Boscoverde e darò ordine ai miei silvani di inviare dispacci anche a te”, conclude Amroth, alzandosi e ponendo di fatto termine all’incontro.
“Ti ringrazio, re Amroth”, dice Thranduil alzandosi anch’egli, “Io farò lo stesso.”
Amroth saluta e si allontana, accompagnato da Dama Galadriel che si limita ad un cenno del capo. Galadriel viaggia spesso in quel periodo, sovente accompagnata dal marito, ma la meta dei suoi viaggi è ignota ai più e il sovrano di Boscoverde non ha mai posto domande.
Rimasto solo con Elrond, Thranduil torna a sedere e si lascia cullare per un lungo momento dal silenzio di quel bosco, così diverso dal proprio eppure ugualmente capace di infondergli pace.
Si accorge appena della sedia che viene accostata alla sua e non si volta.
“E’ azzardato ritenere che ci sia Sauron dietro ad Amon Lanc”, esordisce il figlio di Eärendil, prendendo posto accanto a lui.
Thranduil trattiene un sospiro e cerca di superare il disappunto di pochi istanti prima. Elrond vede dove lui non può e forse sa cose che lui non sa.
“Non ho mai sostenuto questo, ma sono in ansia per la mia gente”, dice, “Non c’è un fiume tra noi e quegli orchi, né ci sono montagne.”
Elrond lo guarda, gli abiti di circostanza finalmente dismessi.
“Attraverseremo il fiume e valicheremo le montagne se servirà, non dubitarne.”
Thranduil sorride.
“Non lo farò, ma i tempi in cui tua figlia rideva tra le braccia di mia moglie a volte mi sembrano troppo lontani.”
Un’ombra attraversa il volto del signore di Imladris, la stessa che sfiora il cuore del re di Eryn Galen.
“Non me ne hai mai parlato”, azzarda.
Thranduil non fatica ad indovinare ciò a cui Elrond si riferisce.
“Parlarne fa male e addolora chi ascolta”, sussurra, “E’ capitato. Non è colpa di nessuno.”
Elrond distoglie per un attimo l’attenzione e poi torna a guardarlo. Vi è sofferenza sul suo viso e i lineamenti tradiscono una parvenza di esitazione.
“La regina ha riportato conseguenze?”, chiede.
Sono trascorsi secoli da quel giorno, eppure per Thranduil è ancora arduo confidarsi con qualcuno che non sia Amariel. Lui e la moglie hanno condiviso innumerevoli volte il loro dolore, con la voce o restando stretti in silenzio e parlando col corpo e con l’anima, e un giorno hanno dato un nome al loro primogenito. Non lo riveleranno mai a nessuno, ma se qualcosa di lui ancora sopravvive nella mente dell’Uno in questo modo egli saprà come rivolgersi al loro piccolo, e lo sapranno loro quando ne richiameranno il ricordo nei rispettivi cuori. Ora sono pronti a concedersi un’altra possibilità, ma nessuno può avere la certezza che il loro desiderio verrà soddisfatto. La loro volontà è forte, ma i loro spiriti non dimenticano ciò che hanno perduto. Essi aspetteranno, e se non accadrà resterà quella sottile malinconia per qualcosa di non vissuto, ma il loro amore saprà porvi rimedio.
“Possiamo avere figli, se è questo che mi stai domandando, ma adesso è più difficile”, dice, “C’è sempre la paura che possa succedere ancora.”
Elrond abbassa la fronte.
“Ho sempre parole per ogni circostanza, ma questa volta non ne trovo per darti conforto, amico mio.”
“Non ve ne sono”, ammette Thranduil, e nessuno dei due aggiunge altro.
 
***

Aglaras scuote con vigore i grandi palchi e pesta l’erba con uno zoccolo, rubando un sorriso al re. E’ desideroso di riprendere la marcia e non manca di farglielo presente.
“Pazienta ancora un poco, amico mio”, sussurra Thranduil, accarezzandolo più volte, “Non tutti sono veloci quanto te.”
L’animale sembra comprendere le sue parole e volge il muso verso il punto in cui egli sta guardando: un piccolo agglomerato di rilievi non troppo alti posto alla confluenza tra il Fiume Selva ed il Fiume Incantato. Scavando la roccia calcarea l’acqua ha creato dedali di caverne celate nel loro ventre, facili da estendere e da modellare. I suoi esploratori le hanno percorse in lungo e in largo, confermando la fattibilità del progetto ed alleggerendo appena un poco il suo cuore.
Non deve attendere a lungo prima che uno scricchiolio di foglie calpestate faccia sbuffare Aglaras e attiri la sua attenzione. Amath si ferma al suo fianco ed esamina il profilo ondulato dei monti ricoperti di verde.
“Occorrerà molto tempo”, riflette, “E serviranno mani che lavorino per noi.”
Thranduil resta in silenzio, mentre i ricordi si risvegliano ed immagini non sempre liete oscillano sospese, confondendo il panorama che si dispiega dinanzi a loro. La sua futura dimora non raggiungerà lo splendore delle Mille Caverne, ma sarà sicura e abbastanza grande da ospitare il popolo della foresta se mai dovesse servire. E forse, un giorno, le sue pareti proteggeranno insieme a lui e ad Amariel il loro tesoro più prezioso. Gli anni sono volati via come petali nel vento, ma nessuno dei due ha ancora perso la speranza.
“Abbiamo tempo, forse non molto, ma mi auguro più quanto sarà necessario, e troveremo l’aiuto che ci occorre”, sospira, “Non possiamo affidarci alle scelte dei saggi. Essi sono attenti alle grandi cose ma spesso troppo lontani dalle piccole, e noi siamo un piccolo regno ormai.”
Durante l’incontro con Elrond e Galadriel, egli ha avuto la sensazione che i loro pensieri fossero proiettati verso qualcosa che nessun altro eccetto loro riesce a percepire e che dispiega la sua tela in quel futuro a lui nascosto e su cui non ha potere, e ha avuto la certezza che entrambi conservassero segreti. Amroth, invece, era proiettato verso altro, ed era lontano con il cuore e con la mente. Guida il suo regno con mano capace, ma forse non è ad esso legato quanto lui.
Amath cerca il suo sguardo.
“Non sei adirato con loro, mio signore?”, domanda, la voce salda come sempre l’ha sentita.
“Ho provato rabbia al loro cospetto, e la proverei tuttora se potessi permettermelo”, riconosce Thranduil, “Ma le priorità sono altre.”
Detto ciò afferra le redini e guida Aglaras giù per il fianco della collina sin nelle fredde acque del fiume, seguito da Amath e da coloro che sono giunti insieme a lui.
 
***

Elrond siede al lungo tavolo posto al centro della biblioteca che ha edificato nei secoli addietro, più di ogni altro luogo custode del sapere del loro tempo e scrigno di preziose memorie affidate alla carta. E’ notte fonda e Isil sonnecchia oltre l’orizzonte. Le lanterne sono spente e la flebile luce che filtra dalle finestre non gli permette di scrivere, ma poco importa perché non saprebbe cosa scrivere. Attraverso i corridoi la voce di Celebrían gli giunge come l’eco di una carezza, ma in quel momento non ha il potere di alleviare il rimorso che prova. Guarda l’anello e la sua grande pietra blu, e lo sente pesante come non mai. A volte è difficile convivere con la capacità di vedere dove gli altri non possono e la saggezza è per lo più una condanna.
Quanto sarebbe facile togliersi Vilya e consegnarlo a Thranduil, affinché chi ne ha più bisogno lo possa usare … A cosa servono gli anelli se non a questo? L’amico di Thranduil lo farebbe, ma cosa farebbe il signore di Imladris?
Avrebbe il re di Eryn Galen la forza e la rettitudine necessarie per servirsene senza rivelarne la presenza? Nessuno lo sa, neppure lui, e le doti migliori o peggiori emergono nei momenti più bui, ma l’amico di Thranduil correrebbe il rischio, anche se forse l’amore per il suo popolo lo spingerebbe a commettere imprudenze. E se il loro sospetto fosse fondato e Sauron si nascondesse dietro ai movimenti di orchi a Dol Guldur? Cosa accadrebbe se l’Oscuro Signore scoprisse che Thranduil detiene Vilya e che l’Anello del Cielo è a un passo da lui? Ancora Elrond rischierebbe, ma lo farebbe lord Elrond? No, lui no.
Lord Elrond sa che non sempre ciò che il cuore comanda è anche saggio, e ha abbastanza forza per mortificare il proprio, tacendo su ciò che custodisce con coloro a cui vuol bene e rifiutando di accorrere in aiuto di chi ha già sofferto troppo. Lord Elrond resterà in attesa del momento giusto per agire, e se quel momento non giungerà nasconderà Vilya nei recessi più profondi dei suoi pensieri sottraendolo alla vista del mondo. E come Galadriel anche lui farà ciò che deve e non ciò che vuole. Ma per Galadriel è più facile, o così a lui sembra.
“Perdonami”, sussurra al nulla.
Non si aspetta che il silenzio risponda, eppure non si sorprende quando ciò accade.
“Vorresti darlo a lui?”
La voce di Galadriel precede il fruscio delle lunghe vesti che scivolano sul pavimento di pietra, una visione sfocata a cui il buio sottrae luce e colori e che cammina a piedi scalzi sul confine tra realtà ed illusione. E’ in quella sala con lui, eppure sembra avere la stessa consistenza dei ricordi.
“Coloro che ama verrebbero sempre prima dell’anello”, continua avvicinandosi ancora, “Non saprebbe tenerlo celato.”
Forse no, ma vi è qualcosa di profondamente sbagliato nel dover abbandonare un popolo a sé stesso perché il suo re lo ama troppo, e la presunzione è un pericolo tanto più grande quanto più in alto si giunge. C’è forse qualcuno più in alto dei custodi dei Grandi Anelli?
“Al suo posto noi sapremmo farlo?”, domanda, la voce insolitamente alta in quel mondo fatto di ombre e di parole appena sussurrate.
Galadriel si ferma, ma Elrond non attende che ella parli. Si alza e si dissolve nell’abbraccio delle tenebre, e non vede l’afflizione che intacca appena la perfezione della maschera che la Dama della Luce offre al mondo. Non vede lady Galadriel divenire Galadriel, e non vede le labbra tremare al tocco delle dita della notte.
 
***

C’è profumo di neve nell’aria e in tutto il palazzo i fuochi sono stati accesi. Succede ogni anno, quando l’inverno inizia a passeggiare tra gli alberi addormentati e il loro popolo lo accoglie cantando e danzando, allo stesso modo in cui accoglie ogni altra stagione.
Amariel percorre con la punta delle dita il ricamo che adorna la piccola coperta appoggiata sulle ginocchia, fili d’argento che lei stessa ha fissato al tessuto e che fermano nello scorrere del tempo un giorno d’autunno.
Sorride.
Dalla foresta non giungono voci e la musica tace. Il silenzio ha accolto l’inverno quest’anno e gran parte degli insediamenti sono già stati abbandonati. La loro gente si è spostata nei nuovi siti a nord del fiume che attraversa il bosco settentrionale, lontano da Amon Lanc e da terre divenute troppo pericolose. Ancora pochi giorni e anch’essi se ne andranno, e con loro si ritirerà l’esercito ancora dispiegato lungo il confine meridionale a protezione del palazzo e della famiglia reale. Raggiungeranno la loro nuova dimora e prenderanno ad abitare le aule di pietra scavate nel cuore della terra, tra giochi d’acqua e nastri di ponti sospesi. Sono belle, talmente belle che Amariel crede che Thranduil le abbia volute così per lei, e che abbia fatto scolpire intrecci di rami intorno a ciascuna colonna per non farle sentire la mancanza del bosco neppure se le possenti porte di pietra dovessero essere chiuse.
Si guarda intorno, seduta sul letto al centro di una camera ormai spoglia. Tutto ciò che poteva essere spostato è stato trasferito a nord e quando se ne andranno il fuoco distruggerà il resto. Tradizione vorrebbe che restituissero tutto alla foresta, lasciando ad essa il compito di cancellare le tracce della loro presenza, ma Thranduil non vuole che i luoghi in cui si sono conosciuti ed amati debbano subire l’onta di essere calpestati dalle ripugnanti creature che si stanno moltiplicando a sud, e ha ordinato che il palazzo venga bruciato subito dopo la loro partenza.
Amariel prova tristezza al pensiero di doversi separare per sempre dalle stanze che l’hanno vista felice, eppure si tratta di null’altro che di legno e di pietra e la sua casa non è un luogo, ma una persona. La sua casa è colui che l’ha presa in moglie e che ha unito la propria vita alla sua, e poco importa se la bacerà sotto le fronde di un albero o sotto volte scavate nella roccia, perché sarà sempre lui a farlo e questo è tutto ciò che conta.
Sorride di nuovo, ma questa volta non più ad un ricordo. Depone la coperta e si alza per rifugiarsi tra le braccia del marito che ha appena varcato la soglia. Thranduil avrebbe voluto accompagnarla al nuovo insediamento ancor prima dell’arrivo dell’inverno, per poi tornare a sud ad occuparsi delle ultime incombenze, ma Amariel si è rifiutata di lasciarlo ed egli non ha insistito. Forse, nonostante ciò che il buonsenso sembrava suggerire, in fondo al cuore anche il re preferiva averla accanto per poterla proteggere personalmente in caso di necessità. 
Qualunque sia stata la ragione della sua scelta alla fine si è rivelata un bene, perché ha permesso loro di scoprirlo insieme e di ridere e piangere tra baci e sussurri. Amariel non dimenticherà mai la luce che si è accesa nello sguardo del marito quando ha appoggiato per caso la mano sul suo ventre ed ha quasi smesso di respirare. E non dimenticherà mai ciò che anch’ella ha provato quando ha sfiorato il primo palpito di quella nuova vita. Ha guardato dentro di sé seguendone le tracce e ha ricamato quella data sulla coperta. La avvolgerà intorno a lui quando verrà alla luce, ad un anno da quel giorno. Amariel aveva sempre creduto che i loro figli dovessero per forza nascere in primavera, ma si sbagliava ed ora ha la sensazione di non aver mai amato l’autunno così tanto, nonostante quello che sta accadendo a sud e nonostante non sia la pace ciò che si profila all’orizzonte. Hanno atteso che succedesse di nuovo per così tanto tempo che tutto il resto non ha importanza.
“Sono partiti tutti?”, domanda, ma prima che egli risponda accosta le labbra alle sue e respira insieme a lui.
“Sì”, lo sente sussurrare contro la sua pelle, “Anche per noi è tempo di andare. Domani ci metteremo in viaggio. Presto nevicherà.”
Vi è una vibrazione nel tono usato da Thranduil che Amariel ha imparato da tempo immemore ad associare all’ansia. Solo lei riesce a percepirla, come tante altre cose che passano inosservate agli altri, ma è così che deve essere. Ella è sua moglie, parte di lui come lui lo è di lei.
Allontana il volto quel tanto che basta per guardarlo negli occhi.
“Non temere, amore mio”, sorride, “Mi sento bene e il viaggio è breve.”
Thranduil le posa un bacio tra i capelli trattenuti da un semplice diadema. Amariel non ricorda quasi più l’ultima volta in cui li ha intrecciati. Un giorno, poco dopo averlo conosciuto, ha avuto la sensazione che lui li preferisse così, liberi come foglie al vento, e come anch'ella amava sentirli. Solo dopo averle donato l’anello d’argento egli le ha raccontato cosa avesse provato dinanzi a lei in quell’occasione, stringendola tra le braccia e facendo tremare il suo cuore.
“Lo so, ma temo che dovrai abituarti ad avere al tuo fianco un marito forse un po’ troppo apprensivo durante l’anno a venire”, scherza, “Spero mi perdonerai.”
“Ti perdono sin da ora”, ride Amariel, e lo bacia di nuovo, assaporando le sue labbra e la felicità che li aspetta.
Per Thranduil ed Amariel la vita è tornata ad essere carica di promesse.
 
***

Gli elfi sono artisti mirabili, e vi sono tra di essi scultori capaci di soffiare vita nella pietra. Thranduil le ha raccontato di una dama che non ha mai calpestato il suolo della Terra di Mezzo e le cui creazioni sembravano guardare ciascuno con occhi diversi, rispondendo al sentire di chi osservava come fossero modellate con la carne e con il sangue. Il suo ricordo ha percorso le crudeli distese di ghiaccio a nord del mondo, accompagnando i passi stanchi di chi ha tradito e di chi è stato tradito, e ancora viene tramandato attraverso i racconti di coloro che ne hanno conosciuto il talento, anche se Thranduil ha sempre evitato di pronunciarne il nome. Eppure c’è una cosa che le statue nate dal genio dei Primi Nati non sono solite ritrarre: il marchio che lo scorrere del tempo lascia sul volto e sui corpi, poiché invecchiare significa per loro consumarsi nello spirito e non nel sembiante.
Amariel solleva la mano e segue adagio le curve del marmo plasmato in forma di donna, una figura solitaria seduta sull’erba sotto i rami piegati di una vecchia quercia a farle da corona. Quella scultura è diversa. Dita elfiche hanno guidato martello e scalpello, ma il suo creatore alla pietra ha incatenato il tempo, che sembra ora fluire percorrendone le intricate venature e disegnando solchi sottili che mutano al mutare della luce. Sono leggeri al mattino, increspature appena accennate sulla superficie di un mare liscio come olio, e assumono profondità col maturare del giorno, giungendo a sera a posarsi su di essa come la ragnatela che solo la brina rivela.
Amariel abbassa lo sguardo.
Una ragnatela che gli anni hanno meticolosamente intessuto, e che infine ha avuto ragione di colei che da lungo tempo riposa nell’abbraccio delle radici di quell’albero, alla cui ombra generosa tante volte in vita ha chiesto ospitalità.
Perché Beleth era forte, ma non era immortale.
“Non ho rimpianti”, sembrano ripetere le labbra di pietra, “Eccetto uno.”
Amariel non capiva allora a cosa ella si riferisse. Beleth era risa ed allegria, e quando qualcuno le domandava se sentisse il bisogno di vivere tra la sua gente era solita portarsi le mani ai fianchi, con espressione offesa, e rispondere con un no deciso. Era già tra la sua gente, diceva. L’unico rimpianto, imparò Amariel il giorno della sua morte, erano lei ed il re. Non glielo disse la sua voce, ma glielo dissero i suoi occhi quando persero la loro luce in un ultimo guizzo di consapevolezza. Si spense serena Beleth, lasciando ad altri inquietudini ed incertezze che non aveva mai conosciuto, e portando con sé quella sapienza che solo chi accoglie con un sorriso ogni nuova alba possiede.
Amariel si inginocchia.
Nonostante i secoli trascorsi il marmo è pulito come fosse stato appena lavorato, ma entro breve la foresta comincerà ad intaccarne la perfezione. Coloro che se ne prendevano cura sono partiti, e verrà un giorno in cui quella scultura vestirà rami e foglie sino a divenire un pallido fantasma di un passato sconosciuto ai più. Ma Beleth amava la foresta, e non le sarebbe dispiaciuto diventare parte di essa.
“Amariel, la scorta è pronta.”
La voce di Thranduil le giunge gentile insieme al tocco della sua mano e al fruscio delle lunghe vesti. Il suo arrivo non la coglie di sorpresa, poiché le loro menti hanno imparato da tempo a parlarsi e l’avvicinarsi del marito è qualcosa che percepisce ormai prima ancora di udirne i passi. Lo sente chinarsi accanto a lei e d’istinto appoggia il capo alla sua spalla.
“Perdonami, ti sto facendo aspettare”, sussurra, ma continua a fissare l’immagine di Beleth congelata nel marmo.
“Non c’è fretta, ma lei non è più qui da molto tempo.”
Ci sono premura e comprensione in lui, ma egli non conosceva personalmente Beleth. Tutto ciò che sa della neonata trovata e cresciuta dagli elfi dei boschi glielo ha raccontato lei e il loro dolore non può essere lo stesso.
“Lo so, qui c’è solo una tomba sopra una manciata di vecchie ossa”, riconosce Amariel, “Ma andarmene è un po’ come lasciarla sola. Sono sciocca, marito mio.”
Le braccia di Thranduil si stringono intorno a lei.
“L’affetto non è mai sciocco”, dice, “I Valar devono aver sbagliato qualcosa quando hanno diviso le sorti delle nostre stirpi senza dividere anche i nostri cuori.”
Amariel scuote lievemente il capo.
“Se lo avessero fatto non avremmo avuto la forza di morire gli uni per gli altri.”
“Sei saggia”, lo sente sospirare, “Molto più di me.”
“E’ un bene che chi ti conosce non abbia di te la stessa opinione che tu hai di te stesso”, lo corregge Amariel, alzandosi e inducendolo a fare altrettanto.
La sua voce è salda, ma non c’è alcun rimprovero in quelle parole. Vi è solo l’ennesimo invito a non ritenersi inferiore ad altri, in nulla. Invito che ella sa andrà perduto, poiché Thranduil è così e le certezze non fanno parte di lui. Eppure, per lei, egli non potrebbe essere migliore.
Si volge e sfiora le sue labbra. Non sono soli e non si concede di più. La scorta attende a debita distanza, ma i pochi alberi che li circondano non possono nasconderli in alcun modo. Sorride quando sente la mano di lui appoggiarsi sul suo ventre e la copre con le proprie. E’ ancora troppo presto perché la sua gravidanza possa rivelarsi, ma il figlio è ora una presenza forte intrecciata ai loro spiriti e per entrambi è diventato spontaneo offrirgli carezze.
Amariel ha sempre saputo che i figli rappresentano l’immortalità dei mortali, ma ora che è in procinto di consegnare al mondo una parte di sé e di colui che ama si rende conto che questo è vero anche per la loro stirpe. Se essi dovessero un giorno abbandonare quelle terre il figlio che hanno concepito resterà, testimone del loro passaggio e loro eredità.
“Andiamo”, sussurra a Thranduil, e si incammina al suo fianco lasciandosi guidare alla cavalcatura.
Prima di salire getta un ultimo sguardo alla statua, salutandola in silenzio e sorridendo di nuovo quando un raggio di sole si intrufola tra i rami accendendola di bianco. Sembra quasi che Beleth li stia osservando attraverso la pietra e che gioisca insieme a loro, e in un angolo del proprio cuore Amariel spera che dovunque ella sia possa vederli davvero.


___________

Nota:
In The History of Middle-earth di J. R. R. Tolkien (“Laws and customs among the Eldar” / “Athrabeth Finrod and Andreth”) risulta evidente che è usanza tra gli elfi sposarsi e concepire figli prevalentemente in tempi di pace, ma gli accenni alla possibilità di ricorrere al rito matrimoniale senza cerimonia in tempi travagliati e al fatto che la procreazione avvenisse in tempi felici “se possibile” portano a ritenere che l’usanza, in particolari situazioni, potesse essere non seguita. Alla luce di ciò in questa storia ho supposto che l’ombra che cala su Boscoverde poco prima dell’arrivo di Sauron (situazione comunque ben lontana da uno scenario di conflitto conclamato) non abbia dissuaso Thranduil e la moglie dalla decisione presa in merito al concepimento di Legolas. La data della sua nascita, che si è soliti collocare entro l’anno 1000 T.E., è stata inoltre spostata in avanti di qualche decina d’anni. Poiché, infatti, il concepimento di un figlio richiede in ogni caso che i genitori possiedano quella tranquillità necessaria per esercitare con successo la loro volontà in tal senso, ho ritenuto fondamentale attendere la fine della costruzione delle aule sotterranee e lo spostamento del Reame Boscoso a nord, in terre che Thranduil e la moglie ritenevano sicure.




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Capitolo 8
*** Oltre il Rivo Incantato ***


                                          

 


8. Oltre il Rivo Incantato (1050 T.E. - 1051 T.E)
 

E’ un brivido ciò che avverte, dita di ghiaccio che sfiorano la pelle e che si ritraggono non appena la mente cerca di metterle a fuoco, e l’alito gelido del vuoto che precede la fiamma.
Thranduil trasalisce, confuso. Si guarda intorno, i muscoli tesi e le braccia strette con più decisione intorno al corpo di Amariel, ma nella stanza nulla è cambiato. I bracieri ancora accesi rendono l’aria calda e gradevole e tutto si trova esattamente nello stesso stato in cui lo ha lasciato: la sopravesti appoggiate sulla sedia vicina, la bottiglia quasi piena e il calice vuoto sul tavolo, i libri riposti con cura sui ripiani, le lettere in parte ancora con il sigillo intatto e i fiori che portano la primavera in quel mondo sospeso tra il cielo e l’abisso.
Inspira profondamente ed estende i propri sensi seguendo le radici che penetrano nella terra, ma non percepisce alcun cambiamento nelle aule che sono divenute la loro casa. Vi sono voci che non giungono sin lì e tutta la vasta gamma di rumori connessi alle normali attività che vi si svolgono, e nulla è mutato neppure oltre le porte di pietra aperte sulla notte di Boscoverde. Sente chiaramente la calma che avvolge le sentinelle e le guardie poste a loro difesa, e il suo cuore rallenta la corsa.
Eppure qualcosa ha toccato il bosco. Non stava dormendo e non sono stati i sogni a condizionarlo, né vecchi ricordi ormai ridotti a visioni sfocate e distanti.
Nel suo abbraccio Amariel si muove appena, appoggiando il capo nell’incavo del collo e sospirando appagata. Con il procedere della gravidanza ha preso a riposare regolarmente per far fronte allo sforzo che corpo e spirito richiedono, e anche se Thranduil non ne sente sempre il bisogno si distende accanto a lei e veglia il suo sonno. E’ uno dei momenti che preferisce, quando la serenità di Amariel lo pervade mettendo a tacere ogni ansia e quando, oltre il silenzio di lei, riesce a parlare al figlio attraverso il linguaggio che ogni padre conosce e che non contempla l’uso di parole. Istintivamente ella si apre a lui ed egli accarezza quella parte di loro la cui identità diviene ogni giorno più forte. Da tempo sanno che sarà un maschio, ma non lo hanno rivelato a nessuno, e da tempo hanno scelto il suo nome. Uno solo, perché la vita dei silvani è semplice e i loro nomi lo sono altrettanto. Se ne vorrà altri li sceglierà da sé.
Nella semioscurità Thranduil sorride ed immerge il viso tra i capelli di Amariel, respirandone il profumo e abbandonandosi ancora una volta a quella sensazione di assoluto benessere che la vicinanza della moglie alimenta in lui. Non riesce a comprendere ciò che è accaduto poco prima, ma più la notte invecchia meno diviene importante scoprirne la causa, ed egli lo archivierebbe come un evento non degno di nota se non fosse che al sorgere dell’alba si ripete di nuovo.
Thranduil avverte il cuore accelerare i battiti, la confusione sostituita adesso dall’apprensione. Non è la sua pelle ciò che le dita sfiorano questa volta, ma foglie e corteccia, ed è il bosco a tremare in sua vece. Sente gli alberi a meridione ritrarre le radici dalla terra e piegare i rami per sfuggire a qualcosa che non gradiscono, e li ascolta invocare il sonno dell’inverno mentre lo scorrere della linfa rallenta nei fusti e quasi si ferma. Vede le foglie avvizzite nonostante stia sbocciando l’estate fermarsi sui rami, brandelli di vita destinati ad esalare in eterno l’ultimo respiro, e un manto di muschio malsano risalire lungo i tronchi e soffocare il suolo. Si accorge delle ragnatele tese nell’aria umida e pesante, immobili quasi il vento avesse smarrito la strada che lo conduceva sin lì, e non riesce a capire se stia guardando il presente o il futuro. L’unica cosa di cui è certo è che mai Boscoverde fu così nel suo passato, perché non ne ha mai scorto traccia nelle memorie ancestrali delle sue creature.
Con il respiro affannato si scioglie dalla stretta di Amariel facendo attenzione a non svegliarla, e si alza in silenzio. Indossa la sopraveste e lascia la stanza, percorrendo veloce scale e sentieri disegnati su archi di roccia che sfidano il vuoto, e raggiunge il più vicino tra i terrazzi da cui la vista può spaziare libera sul Reame Boscoso. Vi sono comode sedie e un grande tavolo in legno trasportato dal vecchio palazzo, e spesso lui ed Amariel vi si recano per contemplare insieme la nascita e lo spegnersi dei giorni. Si accosta al parapetto in pietra e si volge verso sud, abbassa le palpebre e si tuffa oltre il profilo dei monti. Il bosco non è ancora cambiato, ma qualcosa aleggia sopra Amon Lanc e la luce dell’alba non riesce a penetrarvi. Serrando i denti e costringendosi ad ignorare il terrore che sente crescere ai confini della propria anima, inala adagio e proietta il proprio pensiero sino a quei luoghi, scivolando di albero in albero fin oltre gli Emyn Duir e fermandosi quando qualcosa ne blocca la corsa. Qualcosa che lo ustiona più di quanto farebbe il fuoco prima ancora che riesca a sfiorarlo, e che lo costringe a ritrarre la mente e a curvarsi per il dolore.
Resta in ginocchio mentre la sofferenza scema lentamente, e solo quando si appresta a rialzarsi si accorge della presenza di Amariel e delle sue braccia che lo cingono con forza. Gli occhi della moglie non nascondono la paura ed egli cerca di sorriderle, appoggiandosi alla colonna e rifiutandosi di gravare su di lei mentre si rimette in piedi. Si fa guidare sino alla sedia più vicina e vi si abbandona, spossato.
“Cosa è accaduto, amore mio?”, domanda Amariel prendendo posto accanto a lui, le mani che stringono convulsamente le sue e la voce malferma.
“Non lo so, ma c’è qualcosa ad Amon Lanc che prima non c’era”, sussurra Thranduil, “Ho cercato di spingermi sin là, ma è stato come venire arsi nel corpo e nello spirito.”
Non le racconta della visione che ha avuto. Egli non possiede il dono della premonizione e quasi certamente non si tratta del futuro, ma solo di uno scherzo della sua mente suggestionata, e non intende angosciare Amariel più di quanto stia già facendo. Gliene parlerà, ma non adesso. Vede la moglie portarsi una mano al grembo e d’istinto la stringe a sé.
“Non temere”, tenta di rassicurarla, “Amon Lanc è lontano da noi e dal nostro popolo. Questo luogo è sicuro, ma dobbiamo informare re Amroth. Invieremo messaggeri il prima possibile.”
Amariel annuisce.
“Sei convinto che sia lui, vero?”, domanda, le parole percorse da un tremito.
 Thranduil accosta le labbra alla sua fronte.
“Prego che non sia così”, risponde, e non dice altro.
Restano in silenzio, abbracciati, mentre l’alba colora un bosco che ha ceduto il suo nome alla notte per vestirne uno nuovo, oscuro come gli anni che si spalancano dinnanzi ad esso. Ma il re e la regina ancora non lo sanno.
 
***

Amath è turbato, e questo è già di per sé motivo di allarme. Per di più alcuni messaggeri diretti nel Lórinand non hanno fatto ritorno e dal volto di coloro che sono stati inviati alla loro ricerca trapela qualcosa che va ben oltre lo sgomento e che non promette nulla di buono. Thranduil si impone di mantenere la calma e scaccia l’immagine del bosco malato che ha visto tempo addietro e che ancora lo perseguita. Si è confidato con Amariel poco dopo quel giorno di fine primavera, ed entrambi hanno convenuto che la sua visione non rappresenti il futuro, eppure il dubbio permane nonostante la primavera sia trascorsa ed anche l’estate stia volgendo al termine. L’autunno è alle porte e con esso la nascita di suo figlio, cosa che contribuisce a renderlo più propenso a preoccuparsi di quanto non lo sia solitamente.
“Vi ascolto”, dice, il calice deposto e le mani raccolte dietro la schiena.
Li ha accolti nello studio su cui si apre la biblioteca in cui hanno trovato collocazione i libri del vecchio palazzo, alcuni ereditati dal padre ed altri aggiunti da lui stesso, poiché non è sua abitudine incontrare coloro che devono fare rapporto nella sala del trono. La sala del trono serve per altro e, considerando la lontananza dei nuovi territori del Reame Boscoso dagli altri domini elfici, Thranduil è sicuro che verrà usata ben poco.
“I messaggeri dispersi non sono stati ritrovati, mio signore, ma crediamo di sapere cosa è capitato loro”, inizia Amath, “Personalmente, consiglio di proibire a chiunque l’accesso a quelle zone.”
Thranduil lo guarda con espressione interrogativa, attento a non far trapelare il timore che quelle poche parole hanno risvegliato in lui, e appoggia le mani sullo schienale della sedia che ha di fronte. Si volge verso uno dei silvani e lo inviata a parlare.
“Abbiamo percorso i sentieri che essi sono soliti seguire e all’altezza della vecchia via ci siamo imbattuti in un nido di ragni. Ragni enormi, a decine”, rivela, “Ne abbiamo uccisi alcuni, ma molti altri sono fuggiti rifugiandosi tra le chiome più alte. Le loro tele sono tese da albero ad albero. Abbiamo visto bozzoli della grandezza di un uomo appesi ai rami e ne abbiamo aperto uno. C’era il corpo di un mortale al suo interno, appassito come se la vita fosse stata succhiata da lui. Abbiamo fatto lo stesso con altri. Contenevano grossi animali ridotti nel medesimo stato, alcuni appena uccisi e i più ridotti a carcasse polverose. Abbiamo cercato i nostri compagni, ma non li abbiamo trovati. Oltre i monti il bosco è … diverso. E’ difficile respirare, non c’è più vento. Il suolo è viscido, gli alberi sembrano vecchi e contorti. Nessuno di noi ha mai visto nulla di simile. Abbiamo avuto paura, mio re, e siamo tornati indietro.”
Thranduil china il capo, ma non permette al panico di avere ragione di lui e solo le nocche bianche delle dita che artigliano il legno lo tradiscono. Non è stata una visione, dunque, e ora sa perché da quel giorno non è stato più in grado di comunicare con porzioni sempre più vaste di foresta, quasi gli alberi stessi lo respingessero dopo essersi aperti al suo tocco per secoli. Non era lui la causa, ma ciò da cui il bosco sta cercando di proteggersi, ritirando la sua coscienza e lasciando scheletri vuoti di legno e di foglie morte.
“Vi siete comportati bene”, approva, “Non potevate fare altro. Ora riposate.”
Con un cenno congeda tutti tranne Amath, che continua a fissare il pavimento di pietra, pensieroso. Non appena egli inizia a parlare alza lo sguardo e in esso Thranduil scorge l’incrollabile fermezza di sempre, e in silenzio lo ringrazia per quel dono che continua ad offrire a lui e al regno.
“A nord degli Emyn Duir la foresta è libera. Oltre non ne ho la certezza e ho solo sospetti circa la natura dell’ombra che è calata su di noi”, dice, “Se ho ragione non abbiamo la forza per affrontarla, e nel dubbio non ordinerò all’esercito di marciare verso sud. Voglio che venga tracciata una via che ci permetta di raggiungere il grande fiume senza dover attraversare territori pericolosi, e voglio che vengano terminate al più presto le torri di vedetta. Forse riusciremo a difendere almeno queste terre. I luoghi dove abbiamo vissuto un tempo sono perduti, e nessuno deve avvicinarsi ai monti senza il mio permesso.”
“Come tu ordini, mio signore”, annuisce Amath, ma non se ne va.
Thranduil non se ne sorprende.
“Parla”, lo invita.
“Conosci le creature che hanno contaminato il bosco?”, domanda, “Cosa sono?”
Thranduil trae un lungo respiro e siede adagio, mentre richiama alla memoria frammenti di vita perduta, luoghi e genti che non sono più. Ricorda una valle preda di tenebre e terrore, percorsa da acque che inducevano alla pazzia e terreno di caccia dei figli di colei che strisciò fuori dall’oscurità di Arda.
“Non posso averne la certezza, anche se temo che questa mia lacuna verrà presto colmata, ma ho valide ragioni per ritenere che si tratti di membri della progenie di Ungoliant”, risponde, “Durante la Prima Era mi trovai a passare nei pressi della Nan Dungortheb, e mi imbattei in alcuni di essi.”
“Possono essere uccise”, sottolinea Amath, come se alla fine sia questa l’unica cosa che conta.
“Sì.”
Amath annuisce, gli rivolge un leggero inchino e lascia la sala.
Di nuovo solo Thranduil sorride tra sé di fronte alla sicurezza del suo comandante, e quasi lo invidia. Quasi, perché non è certo che l’eccessiva fiducia in sé stessi giovi ad un re. Suo padre la possedeva, ed è morto trascinando nella tomba coloro che si erano affidati a lui.
Si alza e si incammina lungo le scale che conducono al terrazzo ove Amariel lo sta aspettando. Deve riferirle ciò che ha appreso prima che lo sappia da altri e deve riuscire a farlo senza metterla in ansia, cosa non semplice quando il proprio cuore è preda dell’angoscia.  
 
***

Nella nuova dimora la loro vita non è cambiata. Le loro abitudini sono rimaste le stesse e Thranduil ha fatto tutto il possibile per evitare che lei dovesse rinunciare a ciò che amava, incluso trasformare quelli che erano stati progettati come semplici punti d’osservazione in luoghi che permettono loro di conservare l’illusione di avere ancora gli alberi a portata di mano. Amariel sa che non è così e che, distendendo le dita, non potrà mai più sfiorarne le chiome, eppure i gelsomini che crescevano nel vecchio palazzo ora sono lì e il loro profumo è sempre lo stesso. E il bosco intorno a loro è bello come quello che prosperava ai piedi delle montagne, seppur un poco più fresco e lievemente diverso nella vasta gamma di odori e colori che scandiscono l’evolversi delle stagioni. E’ pur sempre il loro bosco, benevolo e carico di doni per chi lo ama, e sino a poco tempo prima Thranduil la conduceva ancora lungo i suoi sentieri nelle notti in cui Isil splendeva nel grembo di Elbereth.
Ora le loro passeggiate sono brevi ed è il sole che accompagna i loro passi più che la luna, ma questo non dipende dal bosco né dall’ombra che è calata su di esso, così lontana da loro e dalla loro vita. Dipende da lei e dalla gravidanza ormai giunta al termine, e dal rifiuto categorico del marito di rischiare che si affatichi troppo. Una sera, le ha raccontato Thranduil, mentre camminavano ha avvertito qualcosa di inconsueto nel modo in cui si appoggiava al suo braccio, qualcosa che ha interpretato come il segnale di uno sforzo eccessivo, e ha deciso che era tempo di rinunciare a quel loro piccolo piacere. Una privazione di ben poco conto alla luce della causa che l’ha motivata. Amariel ha sorriso e sorride ora mentre accarezza il cofanetto in legno che custodisce il suo ultimo dono. L’amore per ciò che è bello è un tratto del carattere del marito che ha scoperto subito dopo averlo conosciuto, ancor prima di rendersi conto della vera natura di ciò che provava per lui, ma aveva sottovalutato la sua propensione a farle regali e, nonostante scherzi con lui riguardo a ciò, ogni volta le emozioni le gonfiano il cuore. Anche i doni hanno un loro linguaggio segreto ed ella sa cosa il padre di suo figlio cerchi di dirle ogni volta.
“E’ bellissima”, sussurra, mentre le braccia del marito la cingono da dietro, “Grazie.”
Volge il viso e incontra le sue labbra, e sorride mentre si abbandona a lui. Baciare Thranduil è come dissetarsi alla fonte da cui nasce la rugiada, e non averne mai abbastanza.
Attendono, le dita intrecciate sul suo grembo ed il sole di metà autunno che li riscalda, restituendo all’aria il respiro degli alberi tramutatosi in acqua nella notte. Ormai il loro bambino può nascere in qualsiasi istante e il marito non la lascia mai sola, nonostante la vigilanza costante da parte di Maidhwen e delle dame al suo servizio. Non troppe, a dire il vero, perché Amariel non è cresciuta tra i fasti e la corona non l’ha trasformata in ciò che non è.
Thranduil le ha parlato della minaccia che è sorta a sud e delle creature che hanno preso possesso del bosco, e in sua assenza i pensieri vagano spesso lungo le tante possibili strade che il futuro dispiega dinanzi a loro. Alcune sono facili da percorrere ed altre ripide e dalla meta incerta, eppure nessuna di queste le pare impossibile da affrontare, e quando lui le è accanto le più ardue si dissolvono e tutto le sembra facile. Avverte la sua inquietudine mentre scorre i dispacci inviati da coloro che osservano e che ascoltano per suo conto, ma non riesce a condividerla sino in fondo. Dovrebbe farlo, poiché vi sono validi motivi per cui essere nervosi, ma è difficile pensare alla morte quando si è in procinto di dare la vita.
I passi di Maidhwen attirano l’attenzione di entrambi, ma Thranduil resta seduto accanto a lei e non si scioglie dal loro abbraccio.
“Perdona il disturbo, mio signore”, esordisce, “Amath domanda di poterti parlare.”
Amariel percepisce l’improvviso tendersi dei muscoli del compagno oltre il sottile tessuto che li separa e non ha difficoltà ad indovinarne le ragioni: Amath non fa mai nulla per caso.
“Fallo entrare”, la invita Thranduil.
Mentre Maidhwen si allontana la stringe con più vigore per un breve attimo e quindi si alza.
Amath giunge senza quasi far rumore.
“Amath”, lo accoglie, “Cosa ti conduce sin qui?”
“Un messaggio recapitato dalla guarnigione schierata lungo il confine sud, mio signore”, risponde questi, ma l’inflessione della voce rivela un’agitazione che non gli è consona.
“Ti ascolto.”
Amariel si accorge che il comandante indugia su di lei per un istante di troppo e si rende conto che avrebbe preferito che ella non fosse presente, ma ormai è troppo tardi e qualunque notizia egli porti la regina la apprenderà insieme al re.
“E’ stato avvistato un nido a nord dei monti”, rivela, “A fine primavera non c’era nulla, mentre ora vi sono tele che insudiciano le fronde e il silenzio è calato su quel lembo di bosco.”
Il cuore di Amariel ha un sussulto e la sua mano cerca d’istinto quella di Thranduil, che non esita ad accoglierla tra le proprie mentre torna a sedere al suo fianco. Attraverso quel contatto ella avverte il turbine di emozioni che si è scatenato in lui nell’apprendere quella notizia, ma dal suo volto poco o niente traspare ed ella è sicura che ad Amath il re appaia impassibile come pietra.
“Eliminatelo, e non permettete a nessuna di quelle nefaste creature di fuggire”, ordina, “Ricontrollate l’intero confine, e riferite.”
“Sarà fatto, mio signore.”
Con un rapido cenno del capo Amath prende congedo e lascia la stanza.
Per la prima volta, nonostante la presenza del marito e delle sue braccia che di nuovo la attirano a sé, Amariel non riesce a non pensare al reale significato delle parole di Amath: gli anni di pace che hanno accompagnato la loro vita insieme sono finiti e la strada che stanno percorrendo ha preso a salire. Ancora non si scorge la cima del monte né ciò che si nasconde oltre, ma il loro figlio non potrà passeggiare tra gli alberi con la stessa tranquillità con cui lo hanno fatto loro. Il bosco si sta addormentando per potersi un giorno svegliare di nuovo e gli alberi stanno seppellendo i ricordi laddove l’ombra non può raggiungerli. Verrà un giorno in cui non respireranno più con loro e non accoglieranno più i pensieri del re.
“Sono giunte notizie dal Lórinand?”, domanda.
Thranduil sospira.
“No, ma non dobbiamo stupircene”, dice, “Siamo lontani ed arrivare sin qui è divenuto pericoloso. Gli orchi si mostrano con maggiore frequenza.”
“E lord Elrond?”, insiste Amariel.
“Il signore di Imladris aspetta”, sussurra Thranduil, “Ma non ne conosco il motivo.”
Non li avrebbero lasciati soli, così avevano detto anni addietro, ma di fronte allo sconforto che trapela dallo sguardo di colui che ama quelle parole paiono ora ad Amariel niente altro che vuote promesse, anche se sa che vennero proferite in buona fede e che Elrond non li abbandonerebbe mai al loro destino. Vi sono senza dubbio ragioni più che valide a giustificazione del comportamento di coloro che essi ritengono amici, ma i buoni propositi non fermeranno ciò che si annida nell’ombra.
Deve allontanare il dubbio che vede germogliare nel cuore del marito e dischiude le labbra per parlare, ma per la seconda volta dal sorgere dell’alba qualcosa la distrae. Non è riuscita a definirne l’origine al suo risveglio, ma ora comprende e per un attimo, solo per un attimo, viene colta da un senso di smarrimento tanto incontrollabile quanto ingiustificato. Ciò che sta per accadere fa parte della loro natura e sarà la natura a dirle come comportarsi. Chiude gli occhi e si costringe alla calma, mentre ascolta il proprio corpo che ancora una volta sta cambiando. Non si sorprende nell’udire la domanda di Thranduil, la voce quasi esitante. Adesso anche lui ha sentito, e l’inquietudine di pochi istanti prima si sgretola, sostituita da una nuova ansia che fa tremare il suo spirito. Amariel ne percepisce il riverbero e sorride mentre porta la mano al suo volto, lasciandola scivolare su di esso leggera come la carezza del vento.
“Non avvertire Maidhwen”, dice, “Occorrerà tempo.”
Il dolore che prova è ancora un sussurro incapace di avere ragione del silenzio. Lo dominerà, infine, conquistandolo a piccoli passi, ma non in tempi brevi.
Thranduil annuisce, gli occhi chiari che le mostrano senza veli i sentimenti che nutre per lei, profondi ed antichi, e le emozioni che quella notizia ha scatenato nel suo cuore. Amariel lo abbraccia, per tranquillizzare lui e per trarre dal loro legame il coraggio di cui si accorge di aver bisogno.
“Andiamo in terrazzo”, suggerisce, “Camminiamo un po’.”
Thranduil la guarda per un lungo momento, indeciso se accondiscendere o meno. Non è quella la richiesta che si aspettava da lei.
“Ne sei sicura?”, domanda.
“Sì, ne sento il bisogno”, risponde Amariel, e gli posa un bacio sulle labbra.
“Come tu desideri.”
 

In fondo, pensa Amariel cercando di rilassarsi dopo l’ultima contrazione, la natura è saggia e anche il dolore è una forma di linguaggio. L’istinto insito in lei la guida ed ella deve solo assecondare le necessità del proprio corpo. Ha passeggiato all’inizio perché ne avvertiva l’esigenza, e dopo ha preferito restare seduta ed alzarsi di tanto in tanto. Ha mangiato qualcosa, ha bevuto e ha domandato al padre di suo figlio di accompagnarla nella loro stanza, e solo quando non si è sentita più in grado di camminare gli ha permesso di chiamare Maidhwen.
Thranduil avrebbe voluto eccedere in prudenza e farlo prima, ma ha rispettato la sua scelta ed è tornato da lei dopo pochi istanti. L’ha aiutata ad indossare una leggera veste da camera e a sdraiarsi, e ha preso posto al suo fianco. Quando è giunta Maidhwen Amariel ha sorriso vedendo l’agitazione che rendeva impacciato ogni suo gesto, e al loro ingresso ha salutato coloro che lei ed il marito avevano scelto tempo addietro per quel momento. Due silvane, esperte e discrete, che hanno chiuso la porta alle loro spalle e che hanno controllato che tutto stesse procedendo nel giusto modo. Le hanno consigliato di usare qualche cuscino in più e non l’hanno più disturbata.
Amariel è consapevole di ciò che sta accadendo intorno a lei, della luce delle lanterne che sta lentamente sostituendo quella del giorno e delle parole sussurrate nella stanza adiacente, ma ora si rende conto che comincia a trovare troppo difficile focalizzare la propria attenzione e stringe con più decisione la mano di Thranduil, traendo forza dalla sua presenza ed intrecciando ancor di più il proprio spirito al suo.
Avverte il tocco delle sue labbra sulla fronte, quasi una risposta alla sua tacita richiesta di sostegno, e sorride nell’udire le parole sussurrate contro la sua pelle.
“Ti amo anch’io”, gli fa eco, e poi trattiene un gemito mentre afferra con l’altra mano uno dei rami che si avvolgono intorno alla testata del letto, lo stesso in cui si è unita a lui la prima volta. Chi li ha intagliati nel legno probabilmente non immaginava che sarebbero serviti per quello scopo alla moglie del re.
Con l’avanzare della notte comincia a sentirsi stanca e ad avere sempre più difficoltà a fare ciò che il corpo le domanda, ma continua ad assecondarlo nonostante il dolore sia divenuto quasi assordante e raggiunga sempre nuove vette.
Avverte il sudore che le imbratta i capelli e la veste bagnata adesa alla pelle, e si sente ardere. Ha perso la nozione del tempo e l’unica presenza che cerca quasi con disperazione è quella del compagno. A volte si accorge di invocare il suo nome tra una spinta e quella successiva, e quando il fuoco vivo sembra posarsi sul suo ventre e aggiungere una nuova sofferenza a quella che già le dilania le carni sa che sono le braccia di lui a sostenerla e che è la sua voce a domandarle di non fermarsi. I loro spiriti sono talmente uniti da non permetterle più di distinguerli e per un attimo ha la sensazione di respirare insieme al bosco attraverso lui. Sente sé stessa urlare, ma continua a spingere inalando insieme alle foglie e accompagnando il figlio nel mondo. Prova quasi sconcerto quando non ne avverte più la presenza dentro di sé, ma poi ode un vagito che apre la strada ad emozioni troppo intense per poter essere descritte a parole, emozioni che appartengono al linguaggio dell’anima e che diventano lacrime sul suo volto mentre Maidhwen depone il neonato sul suo seno. Gli occhi dell’amica sono umidi, ma Amariel quasi non se ne accorge perché sono quelle di Thranduil le uniche lacrime ad essere importanti in quel momento per lei. Le sente farsi strada tra i suoi capelli madidi e mescolarsi alle proprie nel profondo dei loro cuori, mentre con mani tremanti accarezza insieme a lui il più grande dei doni che avrebbero potuto scambiarsi. E’ troppo presto per riuscire a dare un senso a ciò che stanno provando. Per ora possono solo arrendersi ai sentimenti e all’amore che li lega, incantati dalla nuova vita che hanno portato nel mondo e dimentichi di tutto il resto.
 
***

“Passeggiando in questi luoghi si ha la sensazione che nulla sia cambiato. Vi sono pace e bellezza, come nei boschi che circondavano il tuo palazzo ai piedi dei monti.”
Le parole di Elrond sono seguite da un lungo silenzio. Sente che Thranduil è felice della loro visita, ma ha capito da diversi giorni che ci sono argomenti che preferisce non affrontare e pensieri che tiene per sé. E forse fa bene, poiché troppo è capitato e, nel contempo, troppo poco per permettere loro di conversare dimenticando i rispettivi ruoli. Boscoverde non esiste più e i saggi sono rimasti a guardare, perché si credono lungimiranti o forse perché lo sono troppo poco. Nelle antiche sale di Imladris Elrond non ha mai avuto dubbi sulla condotta da tenere nonostante i sensi di colpa, ma ora non è più così certo di aver fatto la cosa giusta.
“Ti assicuro che molto è cambiato”, lo corregge Thranduil.
“Sì, ne ho visto i segni lontano da qui”, continua Elrond, “Ma la discendenza di Ungoliant non risponde ad alcun padrone, neppure a colui che tu ritieni possa tornare.”
Thranduil si ferma e si volge verso di lui. Non c’è ostilità nel suo sguardo, ma un tormento quasi palpabile.
“Credi che il sapere questo possa essere di una qualche utilità per me?”, ribatte, “Ritieni che possa aiutarmi a proteggere mia moglie, nostro figlio, il nostro popolo? Conoscere la ragione per cui l’ombra è calata sulle mie terre non dissolverà le tenebre. Le creature che brulicano a sud degli Emyn Duir uccidono, siano esse giunte di loro iniziativa o su ordine di qualcuno, e non sarà brandendo la vostra saggezza in guisa di spada che libererò la foresta.”
Raramente Elrond si è trovato nella situazione di avere difficoltà a sostenere lo sguardo del proprio interlocutore, ma questa è una di quelle situazioni. Vorrebbe voltarsi e proseguire, ma non lo fa perché se ha avuto la forza di scegliere la via da seguire deve averne anche per guardare negli occhi il risultato di quella scelta. Anche se il respiro accelera e se dolore e rimorso bruciano l’anima. La saggezza sa essere anche lama quando si ritorce contro colui che l’ha usata.
Thranduil respira adagio, nell’evidente tentativo di riprendere il controllo, e sorride mestamente.
“Questi sono giorni di immensa gioia per Amariel e per me e la vostra presenza è un dono in cui non osavamo sperare dopo gli ultimi eventi”, sussurra, “Quando partirete vorrei che ci separassimo in amicizia, ma temo che essa ne uscirà incrinata se mi domanderai di essere sincero con te in merito a quanto accaduto.”
Elrond deglutisce a vuoto.
“Sembra che questi alberi si nutrano delle mie certezze lasciandomi con ben poco in mano”, confessa.
“Vedere il campo di battaglia camminando tra i cadaveri non è come osservarlo dalla cima di un monte”, dice Thranduil, “Non se ne sente il fetore e il sangue non è altro che terra, lo sappiamo entrambi. Solo una cosa ti domando: sapete qualcosa che io non so su ciò che ha deturpato il mio regno?” 
Elrond scuote il capo.
“Non ancora.”
“La risposta che temevo di più”, dichiara Thranduil, e riprende a camminare.
 
***

Nonostante i millenni già vissuti per Thranduil non è mai esistita una primavera uguale a quelle precedenti. Ognuna è diversa nei colori e nei profumi attraverso cui Arda rinasce, perché le foglie sono nuove ogni anno e il vento che le fa cantare si assomiglia ma non è mai lo stesso, e le acque scorrono attraverso le stagioni intonando melodie che mai si ripetono.  
Anche quella primavera è diversa, ma lo è in modo speciale, come la prima delle tante primavere trascorse sedendo sul trono del Reame Boscoso o quella in cui egli ha deciso di essere marito, ed è anch’essa legata ad Amariel. E’ una primavera che apre un ciclo, come le altre, senza porre fine a quello precedente ma trasformandolo e rendendo la loro unione sempre più completa. Ci sono stati gli anni in cui si sono amati in silenzio, quelli in cui hanno vissuto il loro amore dinanzi al mondo con la benedizione dei Valar, ed ora è giunto il tempo in cui si amano e sono sposi e genitori. 
Thranduil ride di fronte alla tenacia con cui Legolas trattiene il suo dito con le manine minuscole. E’ fragile ed indifeso, eppure mostra già una vivacità che lo sorprende e che lo riempie di orgoglio. Amariel dice che l’ha ereditata da lui, ma Thranduil rimarrà sempre convinto che invece la debba a sua madre, come ogni cosa buona che ha preso da loro, del resto. A lui ha rubato il colore degli occhi, anche se vi è in quelli del figlio una punta di verde che li rende più terreni, e quel riflesso dorato dei capelli che si è unito al marrone di Amariel caricandolo di calore. Nei tratti del viso, invece, ciascuno dei due riconosce l’altro e l’unica cosa su cui entrambi concordano è che Legolas è bellissimo, anche se il loro giudizio non è e non deve essere obiettivo.
Si china e lo bacia, quindi siede sul bordo del letto e lo adagia tra le braccia di Amariel, con la stessa gentilezza con cui era solito farlo durante quei primi giorni dopo la sua nascita, ma senza più l’insicurezza di allora. Quando la moglie glielo ha fatto stringere per la prima volta, pochi istanti dopo averlo dato alla luce, egli temeva persino di toccarlo per timore di fargli del male, mentre ora non vorrebbe mai lasciarlo andare per paura che sia il mondo a fargliene.
“Ha fame”, sorride Amariel, avvolta dalla felicità di quei momenti e comodamente sistemata contro di lui.
Thranduil le posa un bacio sulla fronte.
“Lo abbiamo fatto aspettare”, dice.
La partenza di Elrond e della sua famiglia li ha obbligati a ritardare il pasto del figlio, e ora Legolas sta dimostrando di non avere la benché minima intenzione di separarsi dal seno della madre sino a quando non avrà recuperato.
“Non mi hai detto nulla della conversazione che hai avuto ieri con Elrond”, gli fa presente Amariel.
Il suo tono trattiene una sottile preoccupazione, del tutto fuori luogo in quelle stanze ultimamente frequentate solo da gioia e risa.
Thranduil allontana una lunga ciocca di capelli che minaccia di disturbare Legolas e trattiene un sospiro. Qualcosa si è spezzato nel rapporto che lo lega al signore di Imladris, ma non è accaduto il giorno precedente e non è accaduto in un istante preciso. E’ successo nel corso dei secoli, lentamente. Il dubbio si è insinuato in quell’amicizia nata attraverso i millenni e divenuta solida negli anni del bisogno, e ha cominciato a far divergere le loro strade, scavando un solco sempre più profondo e consumandola come l’acqua consuma la roccia. A Mordor Thranduil avrebbe messo la propria vita nelle mani di Elrond senza esitazione alcuna, mentre ora non è più così sicuro che quest’ultimo anteporrebbe la sua salvezza alla necessità di tutelare un bene più grande. Sa che non può biasimarlo per questo, anche se non riesce a comprendere quale sia il bene più grande in nome del quale lo ha costretto ad affrontare da solo la minaccia di Amon Lanc, eppure non riesce a non sentirsi ferito da quell’apparente abbandono. Se fosse rimasto a sud e avesse impugnato le armi forse Elrond ed Amroth sarebbero accorsi in suo aiuto, ma egli si è rifiutato di mandare altri silvani a morire e ha permesso a loro di attendere e alla tenebra di calare su Boscoverde. No, non più Boscoverde, si corregge. Sono giunte voci dalle propaggini meridionali: Taur-nu-Fuin chiamano ora il suo regno, la foresta d’ombra, rimembranza di un’altra seppellita dall’acqua e dalle ere, ed anche Amon Lanc ha un nuovo nome su cui ora non vuole riflettere.
“Non sa cosa stia accadendo, amore mio, nessuno lo sa”, sussurra.
Amariel resta in silenzio, pensierosa, ma quando Legolas allunga la mano e si aggrappa ridendo ai capelli del padre la sua ansia svanisce come d’incanto, e il suo sorriso illumina la stanza con la luce di tutte le stelle che affollano il firmamento.
La felicità sbocciata sul volto della moglie è la stessa che Thranduil sente nel cuore. Lascia al figlio il suo divertimento e si perde nella morbidezza di quelle labbra che tante volte ha fatto sue e di cui non riuscirà mai a saziarsi, finché Legolas non pretende la loro attenzione passando dai capelli di lui a quelli di lei. Entrambi si volgono e ridono, le tenebre dimenticate e solo l’amore padrone di quel piccolo mondo racchiuso tra spesse mura di pietra.
In fondo, pensa Thranduil, la storia del loro popolo ha dimostrato infinite volte che la forza non si misura solo dalla grandezza degli eserciti ed egli non si è mai sentito più forte di adesso, perché non ha mai amato così profondamente né ha mai avuto così tanto da perdere. Ha vissuto troppo a lungo per illudersi che la pace possa tornare dall’oggi al domani e ha visto l’oscurità troppo spesso per non accorgersi del calar della notte, eppure ora che la speranza lo guarda attraverso gli occhi di sua moglie e di suo figlio la notte non gli sembra più così scura. La affronterà per loro, e quando la luce giungerà di nuovo condurrà Amariel nella radura più bella camminando insieme a lei a piedi nudi nell’erba, dimenticherà l’ansia di quei giorni e tornerà ad amarla in mezzo alle stelle.
 
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Nota:
In questa fiction Legolas non è biondo, bensì castano. L’idea di un Legolas biondo, pur essendo perfettamente plausibile, ha guadagnato terreno solo dopo la proiezione dei film di P. Jackson, ma Tolkien non ci dice nulla circa il colore dei capelli del figlio di Thranduil.
 
 


SPAZIO AUTRICE

Questa storia termina qui, tra i sorrisi e con il cuore gonfio di speranza. Tolkien non ci fornisce alcun indizio su quello che segue e, pur sapendo ciò che attende Thranduil e Legolas, sul destino della regina possiamo avanzare le ipotesi più disparate. C’è chi crede che ai tempi de “Lo Hobbit” la madre di Legolas goda di ottima salute e viva accanto al marito, e c’è chi invece ritiene che non sia così: in mancanza di informazioni tutto è lasciato alla sensibilità del lettore. In ogni caso gli eventi che si svolgono dopo la nascita di Legolas meritano uno spazio tutto loro, ragion per cui ho deciso di non includerli in questo racconto.
Ringrazio tutti coloro che, silenti e non, hanno avuto la voglia e la pazienza di seguirmi sino alla fine o che sono semplicemente passati da queste parti. Un grazie speciale a Dea Bastet, Kiikyo e Aphrodia7 per le lunghe chiacchierate che hanno a dir poco rallegrato il “dietro le quinte”.
Un caro saluto e a presto!
 

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