Scraps and Trifles

di scythemeister_MakaAlbarn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** step 1: At First ***
Capitolo 2: *** step 2: Cream! ***
Capitolo 3: *** step 3: Soup and Syrup ***
Capitolo 4: *** step 4: Connection ***
Capitolo 5: *** step 5: Restraint ***
Capitolo 6: *** step 6: Sweet Evening ***



Capitolo 1
*** step 1: At First ***



 

Scraps and Trifles

 

At First


Correva tra la gente, quel giovedì mattina. Nelle strade si stavano riversando i pendolari o chi, a passo spedito, andava ad aprire il proprio negozio. Madri insieme ai figli piccoli con i loro cappellini colorati. Per mano, diretti all’asilo. Nella tenue aurora la sua figura minuta si muoveva in controluce, come un’ombra veloce sullo sfondo. Con i pugni serrati, le ginocchia sporche. E le guance rigate di lacrime. Continuava a correre con il fiato grosso. Urtava le persone, gridando qualche scusa, senza voltarsi. Quanti viali aveva già sorpassato, con quelle sue gambe così corte? Gambe da bambina, caviglie fragili e malferme.
Quante volte era caduta, perché i gradini erano troppo alti per lei?
Non singhiozzava, ma le lacrime continuavano a scendere, precipitando come macigni, marchiando la polvere alle sue spalle prima che facesse un altro passo.
Suo padre era tornato tardi.
Suo padre era tornato ubriaco.
Suo padre era tornato con la camicia sbottonata e una macchia di rossetto sul collo.
Se l’era sfregata. Non abbastanza da mandarla via.
Di nuovo.
E sua madre era rimasta in salotto ad aspettarlo, quella mattina. Fino alle cinque. Avevano urlato, sbattuto i piedi. Per un’ora, forse due. E lei aveva sentito tutto. Aveva visto, nascosta dietro la porta chiara della sua cameretta, nella penombra.
Gli occhi grandi e i capelli arruffati. Il pigiamino color carta da zucchero era un po’ grande, e le pantofole a coniglietto le facevano solletico ai piedi.
Aveva capito.
La porta cigolò appena quando si sporse un po’ di più. Lo schiaffo di sua madre esplose riempiendo la stanza. Lei rimase a guardarla mentre usciva di casa, sbattendo la porta. Piangeva.
Suo padre urlò ancora, ribaltò le sedie, calciò una parete. Due foto incorniciate caddero e il vetro andò in frantumi. Fino a che non si accorse di lei. E ammutolì.
La fissò mentre si cambiava le scarpine e le allacciava strette strette, senza fiatare. La vide attraversare la stanza e uscire, come aveva fatto sua moglie. Che non sarebbe più tornata.
Ora correva più lentamente. Non aveva trovato sua madre. Era stanca e l’aria bruciava in gola come veleno.
Il pigiama si era sgualcito, le manine macchiate di rosso dopo l’ennesima caduta sull’asfalto.
Allora si fermò a respirare.
Era in una parte della città che non conosceva molto bene. C’erano decine e decine di casette in fila, ognuna identica a quella precedente. Le persiane verdi la fissavano come occhi socchiusi. Grandi alberi rigogliosi si affacciavano ai lati della strada ed eleganti lampioni la sovrastavano.
Qualcuno stava preparando un dolce, in una di quelle case non troppo lontano, ed il profumo speziato della cannella saturava l’aria.
Si appoggiò ad un muretto, guardandosi intorno con occhi vacui. Calciò un sassolino che rotolò poco più avanti, rimbalzando conto il cordolo del marciapiede. Più avanti c’era un imponente cancello laccato di bianco. Ma riprese a correre non appena due grossi cani cominciarono ad abbaiare e a ringhiarle contro, apparendo all’improvviso dietro alla recinzione. Ingoiò a vuoto, col fiato mozzato dallo spavento. Si voltò indietro per un istante, senza rallentare. Alla fine ruzzolò di nuovo, sbattendo la faccia a terra. Un altro grugnito accompagnò il suo gemito di dolore.
Sentiva il sapore metallico del sangue in bocca, mescolato a quello granuloso della terra. Aveva gli occhi spalancati, ma non riusciva a mettere a fuoco niente.
"Che fai, piccoletta?!"
Solo una voce acuta e gracchiante.
"Ehi! Ti ho chiesto che cavolo fai! Mi hai fatto male, stupida!"
Alzò il viso sanguinante e rosso di lacrime e rabbia. C’era qualcuno sotto di lei? Sì…
Era caduto anche lui, strappandosi i pantaloncini neri.
"Guarda dove vai, cretina! Mi sei venuta addosso."
Era un bambino dai capelli del color della luna.
"Ma come sei vestita? Perchè piangi?"
E dagli enormi occhi rossi.
Non sembrava più grande di lei.
Rimase a guardarlo, interdetta. Il dolore le faceva girare la testa. Non riusciva a rispondere.
Lui sogghignò, avvicinando il viso al suo quasi da sfiorarle la punta del naso. "Ti faccio paura, vero? Ti spaventano questi occhi da demonio, non è così?!"
Scosse la testa, senza esitare troppo. Non la spaventavano affatto. Il suo sguardo era così strano. Spento. E triste.
Lui se la sbrogliò di dosso e si rimise in piedi, ripulendosi il sedere.
"E allora che cavolo hai da piangere, deficiente?"
"M...mamma e papà..." Tentò di rispondere, ma la voce era troppo flebile. Non voleva mettersi a singhiozzare davanti ad uno sconosciuto. Uno sconosciuto maleducato e antipatico.
Fissò l’asfalto, i pugni stretti sulle ginocchia.
Lui sbuffò.
I genitori… Quella bambina lo infastidiva. Il suo silenzio e le sue mani tremanti lo infastidivano. E lo infastidivano anche quegli occhi tanto grandi e lucidi di pianto. Non aveva sussultato davanti ai suoi, così anormali. Era sudata. Era esausta. Come lui.
Non l’avrebbe aiutata ad alzarsi.
Perché lo infastidiva da morire.
Perché era come lui…
Esattamente.
"Come ti chiami?"
Come.
"Maka."
Lui.
"Io Soul."

 


ANGOLO A ME:

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E dunque eccomi ancora qui!
No, non sono regredita allo stato di ameba…contenti? Mh, probabilmente qualcuno ne sarebbe stato felice. Coooomunque sia, finalmente sono riuscita a scrivere qualcosa e questo mi riempie di gioia! Ero in un periodo di blocco totale. Quindi spero che questa storiella non vi faccia troppa pietà.
Chiaramente parla della litigata che portò i genitori della piccola Albarn alla separazione. La goccia che fece traboccare il vaso, insomma.
I miei genitori si separarono quando avevo tre anni…quindi ho tentato di ripercorrere e rielaborare i sentimenti di quel periodo per descrivere la reazione di “mini-Maka”.
Per me fu un’esperienza terribile che ancora oggi a volte lascia i suoi posteri. Come una ferita che non riesce a cicatrizzare. Beh, spero di aver reso l’idea.
Infine ho cercato di inserire implicitamente i problemi familiari del piccolo Soul…perché si sa, anche la sua infanzia non deve essere stata troppo felice.
Così distanti eppure così simili tra loro…
Questa storia rappresenta per me il loro primo incontro! Cosa ci posso fare, sono bellissimi! *^*
Finisco col dire che “Scraps and Trifles” sarà una raccolta di più storie. Alcune lunghe, altre più brevi, che toccheranno un po’ tutti gli argomenti. Non ci sarà un vero e proprio filo conduttore, il genere varierà come anche i personaggi. Vi riverserò le idee che mi affollano la testa, impegnandomi al massimo. Soul e Maka, loro probabilmente ci saranno sempre. Perché li amo! (sono pazza, mi dispiace)
Spero che il mio lavoro possa piacervi.
E con ciò mi congedo. Grazie infinite!
APPRESTOOOOO!!

scythemeister_MakaAlbarn

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Capitolo 2
*** step 2: Cream! ***


     

Scraps and Trifles
 
 

Cream!
 
 A Maka servivano soltanto due cose quando le veniva il mal di schiena.
Soul e tanta, tantissima arnica…
 
Slacciò la gonnellina a motivo scozzese, lasciandola scivolare lungo le gambe nude. La stoffa frusciò a contatto con la pelle, procurandole un lieve brivido. Aveva gambe lunghe Maka, gambe sottili e affusolate.
Scavalcò l’indumento mentre sfilava anche il gilet e allentava il nodo alla cravatta, raccolse il tutto, lo ripiegò alla veloce e lo adagiò sul bracciolo del divanetto, proprio nel punto un cui, la sera precedente, Soul aveva rovesciato una tazza di tè. Si intravedeva ancora l’alone scuro che avevano cercato di strofinare via con acqua e sapone.
Si massaggiò la schiena indolenzita dalle troppe ore di allenamento. Le faceva male da giorni ormai e fitte lancinanti la tormentavano dal collo ai lombi.
Sfilò le calze con i piedi, per evitare di chinarsi, cosa che le sarebbe costata non poca fatica. Poi sbottonò la camicia, arrotolandosela fin sotto il seno.
“Soul!”
Un grugnito d’assenso si levò dalla stanza da bagno, segno che l’aveva sentita.
La ragazza si buttò a peso morto sul divano, come avesse voluto tuffarsi di pancia. La faccia le sprofondò tra i cuscini.
“Soul…!”- biascicò ancora, con la bocca schiacciata contro la stoffa.
L’albino spuntò dal corridoio concentrato nello svitare il tappo ad un tubetto di crema già tutto unto. Quasi andò a sbattere contro lo stipite della porta.
“Se vai avanti così, questa basterà al massimo per altri due giorni…”- constatò, spremendo fuori un po’ di pomata. Si accovacciò accanto al divano e poggiò il tubetto sul tavolino di vetro che gli stava davanti. Qualche graffio ne solcava la superficie lucida.
Maka mugugnò, lamentosa.
“Dico davvero, tappa.” E le premette un dito sulla schiena scoperta, facendole salire le lacrime agli occhi dal dolore. Lei si morse la lingua per non urlare.
“Visto?”- aggiunse soltanto, con un sorrisino sghembo.
Maka torse appena il collo, furente. “La fai facile, tu! Non devi fare un tubo! Non fatichi per niente!”
Soul sghignazzò, riprendendo il tubo dal tavolo e spremendole la pomata direttamente sulla schiena. Gelida!
La giovane sussultò, maledicendo il compagno. “Tutto il lavoro sporco lo devo fare io!”
“A me resta soltanto l’infausto compito di sopportarti.”- sospirò lui, pacato. Sapeva che Maka non l’avrebbe colpito. Aveva troppo male. Si passò dunque la crema tra le mani, impastandola per riscaldarla un po’ e cominciò a massaggiare.
“Fa piano.”- piagnucolò l’amica, strizzando gli occhi. Soul fece di sì con la testa, sbuffando.
Tranquilla e non scocciare.
Come se non l’avesse mai massaggiata prima. In realtà farlo gli piaceva. La sua schiena era piacevolmente calda e liscia. Cominciò con movimenti lenti e concentrici dal basso verso l’alto, premendo di tanto in tanto con i pollici sulla spina dorsale. Poteva sentire chiaramente i nodi e le contratture muscolari disseminate ovunque sotto la sua pelle candida. Respirò a fondo, lasciando che l’odore pungente di arnica gli invadesse le narici.
Maka era talmente magra che avrebbe potuto cingerle la vita con le mani. Il bacino sporgeva visibilmente, spuntando oltre l’orlo delle mutandine bianche.
Ghignò. Con la destra salì fino alle costole mentre la sinistra scendeva verso il basso e le dita si infilavano sotto l’elastico della biancheria.
“Mmh…Soul.”- mugugnò lei tra i cuscini, sentendo la mano fredda dell’albino sul sedere –“Non fare il porco.”
Ormai si era abituata ai suoi modi e spesso non se ne sorprendeva neanche più. Per contro, diventava paonazza ogni volta che Soul si avvicinava per baciarla, che se lo aspettasse oppure no. Quel ragazzo le faceva uno strano effetto, ma non poteva dire che la cosa le dispiacesse.
“Mi piace il tuo bel culetto.”- rispose semplicemente, pizzicandole una natica.
“Piantala!”
Lui alzò lo sguardo, schioccando la lingua. La mano risalì piano, raggiungendo l’altra sotto la camicetta chiara, indugiando sulle spalle ossute e nell’incavo in mezzo alle scapole. Non portava il reggiseno, a lei non serviva granché. E a Soul piaceva da morire. Maka non aveva bisogno di tette spropositate per essere speciale. A volte si chiedeva perché, pur non risultando sensuale neanche in mutande, non riuscisse a staccarle gli occhi di dosso.
Maka gemette. Quelle dita affusolate l’avrebbero fatta impazzire. Il dolore si mescolò al piacere e alle scariche lungo la spina dorsale.
Le mani avanzarono e Soul si spostò in avanti, sbattendo il ginocchio alla base del divano. Le baciò la schiena senza preoccuparsi del fatto che la crema gli avrebbe unto le labbra pallide e la punta del naso. Qualche neo sparuto macchiava la sua pelle bianca qua e là. Soul li baciò tutti. La camicia salì ancora più su, mentre le accarezzava l’incavo del collo. C’erano contratture persino lì!
I muscoli erano tesi, i legamenti infiammati.
Ma era comunque terribilmente cool.




 

 
ANGOLO A ME:
 
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Ecco! Beh...
Ho pensato...io non potrei sopravvivere senza la pomata all'arnica. Anche se puzza terribilmente! E quindi è venuta fuori questa cosa.
Maka deve impegnarsi duramente per migliorare e diventare forte per il suo compagno... E Soul che la massaggia senza provare un minimo di vergogna mi fa impazzire.
Mi sono divertita un sacco a scriverla!
Spero tanto che vi strappi un sorriso.
Duuunque.
Vill...grazie per aver cercato di aiutarmi per il titolo. Che alla fine è rimasto quello iniziale -.-
Un bacione a chi ha recensito lo scorso capitolo. Siete fantastiche, ragazze! ^^ Whiteney Black e Urara98. Siete state davvero dolcissime.
Grazie a Whiteney Black per aver inserito la raccolta tra le preferite e a Urara98 e _KaMi_ per averla messa tra le seguite.
E ora svanisco, sperando che abbiate ancora voglia di seguirmi. E magari di lasciarmi un pensiero!
Un bacione! O un abbraccio, come preferite.
APPRESTOOOOOOO!!
scythemeister_MakaAlbarn
 

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Capitolo 3
*** step 3: Soup and Syrup ***



Scraps and Trifles
 
 

Soup and Syrup
 
 
Il giovane scattò abbastanza velocemente da afferrare il fazzoletto accartocciato sul comodino, prima che lo starnuto gli esplodesse in mano.
Il suo naso era rosso e screpolato a furia di strofinarlo con quel lurido pezzo di stoffa. Maka aveva insistito perché utilizzasse i fazzoletti di carta che, a dir suo, “irritavano meno la pelle”.
Lui aveva sospirato e l’aveva guardata storto.
Ora si rendeva conto che forse avrebbe fatto meglio ad ascoltarla…
C’era poca luce quel pomeriggio. Era piovuto tutta la settimana. Di tanto in tanto si sentivano ancora le gomme delle automobili slittare sulle pozzanghere. Se ne formavano sempre molte a Death City a causa della pavimentazione dei viali principali. Le fenditure tra i grandi blocchi di pietra con il tempo si erano allargate e l’acqua facilmente si fermava a ristagnare.
Soul si lasciò crollare sui quattro cuscini appoggiati contro lo schienale del letto. Da due notti, ormai, dormiva praticamente seduto. Dormiva…si fa per dire.
La tosse lo assillava ed era diventato rauco. Ad ogni colpo la gola bruciava da impazzire.
Sapeva che il rimedio c'era e lo stava aspettando in cucina, nella sua bella confezione verde acqua. Maka l'aveva comprato apposta per lui, sistemandolo nell'armadietto dei medicinali. "Estratti di bava di lumaca" recitava l'etichetta. Non lo avrebbe mai preso. La sola idea bastava a fargli rivoltare lo stomaco.
Imprecò. Gli occhi gli bruciavano. Erano gonfi come due arance. E poi lacrimavano, lacrimavano terribilmente. Faceva fatica a tenerli aperti e la vista era annebbiata.
Fissò il soffitto per un po’. La vernice gli appariva di una celeste appannato.
Starnutì ancora. Il muco gli ciondolò per un istante dal naso, prima di venir asciugato alla svelta con la manica del pigiama. Poi il braccio gli rovinò nuovamente in grembo.
Avrebbe preferito spaccarsi una gamba piuttosto di buscare un raffreddore di quella portata. Una bella frattura scomposta, magari tibia e perone insieme. Sì, forse sarebbe stato meglio.
Non sopportava di non potersi muovere. Il suo corpo gli sembrava talmente pesante…
Era inchiodato a quel letto. Qualche giorno prima gli era anche salita la febbre. E ora i suoi postumi non lo abbandonavano più. Qualche linea ce l’aveva ancora e la testa rombava. Quando chiudeva gli occhi si faceva tutto rosso. Quindi aveva semplicemente smesso di farlo.
Aveva forse dormito un paio d’ore dall’ultima notte, ed un paio d'occhiaie, più profonde del solito, macchiavano il suo volto. Non aveva neanche la forza per mandare a fanculo tutto e tutti.
Quando la compagna comparve nel riquadro della porta le rivolse uno sguardo vacuo. Lei bussò un paio di volte sullo stipite e agitò il termometro, accennando ad un sorriso. Raggiunse il letto dondolando un po’ sui talloni e poggiò il vassoio che reggeva sopra le gambe dell’albino. Era uno di quei ripiani da colazione a letto, con due aste metalliche ripiegate in modo da farlo stare in equilibrio sulle coperte. Sopra, mezza bottiglietta d’acqua, un barattolo di vitamine, l’ennesima aspirina e un piatto contenente un liquido torbido e fumante. Soul scrutò quest’ultimo con circospezione, poi tornò a guardare la giovane.
“Apri la bocca, su.”
“Cos’è ‘sta brodaglia?”- affannò lui.
Maka sospirò scocciata, infilandogli il termometro in bocca.
“Non devi preoccuparti di cosa sia, mangia e basta.” E gli porse un cucchiaio scintillante.
Il ragazzo grugnì, recuperando la posata. Maka estrasse dalla tasca del grembiule un pacchetto di fazzoletti e glielo lanciò.
“Quello scempio io non lo tocco…”- fece sarcastica, indicando il pezzo di stoffa che il giovane stingeva in una mano. “Mi fa impressione.”
Lui mugugnò, infastidito.
“Forse potremmo usarlo come arma chimica.”
Non succedeva spesso di poter prendere in giro Soul con tanta facilità, fondamentalmente perché non si ammalava quasi mai. Ma quando si trovava in quelle condizioni pietose, senza neanche la forza di reagire, Maka non riusciva a trattenersi. Non si sentiva un’opportunista, considerava invece quelle occasioni come una specie di rivincita. Soul la derideva in continuazione…
Era preoccupata per il compagno? Certo! Tuttavia, la sua piccola vendetta personale aveva la precedenza. Quegli occhi lucidi, il pallore livido della pelle… No, non l’avrebbero sicuramente fermata.
“Zombie.” disse soltanto.
 Dopo cinque minuti gli sfilò il termometro dalle labbra e lo osservò, strizzando gli occhi smeraldini.
“Trentotto e sette.”- fu il responso.
Soul sembrò afflosciarsi sul materasso, come risucchiato dalle lenzuola. Sperava si fosse abbassata di più.
Torno a guardare la meister, con insistenza.
“Quindi questa brodaglia fangosa...?” Spessi grumi verdastri affioravano qua e la.
“Ti ho detto di mangiarla e basta, è verdura!”
“Ma ribolle!”- tossicchiò, gracchiante. La voce gli era diventata stridula. Era difficile prenderlo sul serio con quel tono ridicolo, ma non voleva demordere.
Lei inarcò le sopracciglia e alzò le spalle.
“Sono brava a fare i dolci…”
Era sott’inteso che non tutto le riuscisse alla perfezione ai fornelli.
Soul abbassò lo sguardo, punzecchiando uno di quei blocchi granulosi con l’aria di chi non ha alternative. Che fossero broccoli? Cavolfiori?
Avrebbero benissimo potuto essere pompelmi. Mangiare uno dei suoi minestroni era come sfidare il boss finale di un videogioco. Per il resto se la cavava piuttosto bene.
Trangugiò in primo boccone ad occhi chiusi, sentendo scendere il fluido bollente giù per la gola. Era vagamente appiccicoso. Un retrogusto dolciastro gli inondò la bocca e il calore gli ustionò la lingua. Afferrò frettolosamente la bottiglietta, bevendo con malagrazia. L’acqua colò ovunque.
Il naso tappato – ringraziò il cielo – aveva attenuato il sapore vero e proprio della minestra.
“Ma che diavolo ci hai messo dentro!?” sbraitò, lacrimando copiosamente.
Maka fremette. “Fa così schifo?”
“Sì!”
Lei parve fare mente locale, parlottando tra sé e sé. Aveva un’espressione falsamente dispiaciuta stampata sulla faccia.
“Carote, patate, zucca… Ma poca, altrimenti sarebbe diventata troppo dolce. Piselli, cavolfiore…”- si fermò un attimo -“Zucchine, una punta di noce moscata, sale, pepe nero...”
Soul scrollò il capo, sconfitto. “E allora come diavolo può fare così schifo?”
Maka guardò oltre le sue spalle, con le palpebre a mezz’asta. “Sarà per quel pompelmo che ho aggiunto alla fine…?”
Silenzio.
Soul rimase per qualche secondo con gli occhi sbarrati.
“Io lo sapevo…”- sussurrò, esasperato.
Lei sghignazzò. “Su su, scherzavo.”
L’albino parve rimanere deluso. Dunque Maka era davvero incapace.
Sospirò. Se ne sarebbe fatto una ragione, dopotutto per lei ne valeva la pena. Spostò fiaccamente il vassoio appoggiandolo sul comodino. Una delle aste metalliche urtò la sveglia che si ribaltò all’indietro. Il piatto e il suo contenuto vacillarono.
“Devi mangiare, scemo…”
Lui aggrottò il mento, come un bambino capriccioso. “Mi rifiuto.”
Maka gonfiò le guance, scuotendo la testa. Le codine bionde volteggiarono, fendendo l'aria. “Ma…”
“No, sul serio. Non penso di farcela.”
La ragazza si gonfiò ancor di più, rossa per la rabbia. “Allora fottiti!” Ruotò sui talloni, mirando alla porta. In fondo voleva soltanto aiutarlo! E invece lui… Non lo sopportava, non lo sopportava proprio!
Rimase immobile quando sentì la mano gelida di Soul intrecciarsi alla sua, un piede bloccato a mezz’aria. Il ragazzo la strattonò un poco per farla girare verso di sé e le doghe stridettero.
I suoi occhi amaranto erano velati dalla stanchezza. La fissavano. Maka rimase a bocca aperta.
“Non andare via…”
Non poteva nulla d’innanzi a quegli occhi, il suo sguardo era tanto intenso da risucchiarla. Ogni volta. Sospirò, sconfitta. Amava e odiava quella sensazione.
Soul si spostò appena più un là, facendole segno di sedersi con la mano. La ragazza ubbidì, vagamente imbronciata. Si accoccolò contro di lui, poggiando la guancia sul suo petto. Lo faceva ogni volta che poteva. Chiudeva gli occhi e tratteneva il respiro, lasciando che il battito del suo cuore le riempisse la testa.
L’albino tossicchiò, cingendola con un braccio solo. La sua testolina bionda sembrava troppo grande e pesante se comparata al resto del corpo, così minuto. Fare i capricci non era da lui. Si sentiva come un marmocchio malaticcio che non vuole lasciar andar via la sua tata. Poco cool
In quel caso però era diverso.
Maka non era la sua tata.
Maka era Maka, e allora andava tutto bene.
Tossì ancora forte, ribaltando la testa all’indietro per non sputacchiarle addosso. Lei non si mosse nemmeno.
“Ohi…”- gracchiò infine, carezzandole i capelli, senza preoccuparsi di nascondere la dolcezza di quel gesto. Erano così morbidi, attorcigliati tra le dita lunghe. Si scostò un poco abbassando il volto per vederla bene. I ciuffi biondo cenere della frangia a volte le nascondevano troppo gli occhioni. Sollevò le sopracciglia, accennando con la testa in direzione della minestra. “Che ci hai masso dentro?”
Ormai era curioso di sapere cosa diavolo avesse fatto per generare quell’abominio. La osservò con cipiglio.
Lei guardò altrove, sbuffando e mordendosi l’interno delle guance, vergognosa. Non aveva scelta.
“Lo…sciroppo per la tosse…”
 




 
 
 
ANGOLO A ME:

Di questo disegno vado fiera! Fa parte della tavola di bozzetti che ho preparato a scuola per la progettazione di una decorazione per un paio di scarpe... E Soul Eater mi pareva un ottimo tema! ^^
Avevo appena concepito la trama della storia.

 

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Dunque...
Personalmente amo lo sciroppo alla bava di lumaca. Ma le opinioni possono facilmente variare.
E se a Soul fa schifo allora peggio per lui!
Sì, sono di nuovo qui! Volevo provare a scrivere qualcosa del genere...
Maka "infermierina" e Soul...più morto che vivo, per così dire. E dire che lei era mossa dai più dolci intenti!  Prendersi cura del partner. Sfotterlo un po' era imprescindibile. Ma il fine era buono!
Ma Soul è Soul...ed essendolo riesce sempre e comunque a rovinare l'atmosfera e rigirare la frittata a suo piacimento...
E...niente. Li trovo irresistibili!
Bene. Questa fic non mi convince troppo ma la pubblico almeno per augurarvi un buon San Valentino! Perchè sono una romanticona cronica, scusate.
E Vill...ti faccio del male e non ti fai sentire!!
Grazie infinite a Whiteney Black, urara98 (Ucchan! Se trovi errori avvertii, mi raccomando!), NonChiamatemiEvans e Layla_Morrigan_Aspasia che hanno gentilmente recensito il precedente capitolo.
Un abbraccio a Whiteney Black e a NonChiamatemiEvans che hanno inserito la raccolta tra le preferite, e uno anche a JinxD, Layla_Morrigan_Aspasia, Maka 98, SilverSoul, Sol_chan, urara98 e _KaMi_ che l'anno inserita tra le seguite. Mi fate commuovere...
Grazie davvero.
E recensite, se ne avete voglia!
APPRESTOOOO!!
scythemeister_MakaAlbarn
 

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Capitolo 4
*** step 4: Connection ***



Scraps and Trifles
 

Connection
 
 
42 42 564
Lord Shinigami era stato avvisato. Si era stupito e una punta di dispiacere segnava la sua voce buffa. La maschera candida si era incrinata mentre sospirava.
“Mi dispiace ragazzi. Siete stati bravi.”- aveva detto.
Poi, Soul l'aveva portata a spalle fino alla soglia di casa. Maka ciondolava, sudata e stanca, con uno schizzo di sangue denso che le sporcava la guancia.
Ma l’eccitazione nei suoi occhi brillava ancora viva e fulgida come un fuoco d’artificio.
La loro prima vittoria.
La loro prima anima.
 
Soul strizzò gli occhi mentre veniva sbalzato contro il muro. Finì su un paio di casse di legno che si frantumarono, attenuando di poco il colpo.
Grugnì di dolore mentre le orecchie fischiavano. Nello schianto si era morso la lingua e l’inconfondibile sapore del sangue gli invadeva la bocca.
Poco più avanti, Maka era riversa a terra, scomposta. Aveva sentito chiaramente le sue ginocchia scricchiolare quando erano stati colpiti e lei aveva cercato di mantenersi in piedi. Ora, ad occhi socchiusi, poteva vederla tremare, nel tentativo di rialzarsi.
Sapeva che l’Uovo di Kishin era ancora lì, ad osservarli dal buio. Il suo enorme martello si stagliava nitido contro il cielo senza stelle. Un profilo argenteo sul manto nero macchiato dal fumo dei fuochi artificiali. C’era un solo lampione, al fondo della strada e la sua luce sfarfallava lugubre proiettando a intervalli lunghe ombre in terra e sui muri. Soul sputò un fiotto scarlatto.
Per la cerimonia di inizio anno scolastico lord Shinigami aveva organizzato una parata alla quale erano stati invitati tutti gli studenti. Loro se n’erano andati a metà, mentre i fuochi d’artificio ancora infuocavano l’aria. Si erano infilati nelle strette viottole della città, verso la struttura decadente che, da quel giorno in poi, sarebbe diventata la loro casa. Era una specie di dormitorio misto per gli allievi della DWMA, un conglomerato di appartamenti, ognuno assegnato ad una coppia di weapon e meister. C’erano poche finestre, le stanze sporgevano dai muri portanti. Nell’angolo, affacciato sull’incrocio tra due strade, c’era il casermone adibito ai gruppi formati da tre persone con appartamenti più grandi. Sulle pareti macchiate di muffa si scorgevano assurde suture.
Si erano rincontrati quella mattina, mentre la folla strepitava intorno a loro. E per un istante il tempo si era fermato, e riavvolto. Erano di nuovo due bambini e si guardavano da lontano, con gli stessi occhi della prima volta. La sensazione fastidiosa che sentiva verso quella ragazza non era cambiata, la sua espressione lo confondeva. Poi, una volta entrati nella scuola si erano persi di vista.
Aveva trovato l’aula di musica, sfuggendo alla visita forzata che i professori stavano rifilando ai nuovi studenti e, con un gesto secco, aveva rimosso il polveroso telone nero che copriva il pianoforte. Lo aveva scrutato con disprezzo, mordendosi il labbro inferiore, e sollevato la copertura sulla coda.  Poi si era seduto sullo sgabello e aveva scoperchiato i tasti. Se si fosse messo a suonare lo avrebbero scoperto, ma non gli importava. Non gliene importava niente. Perché voleva che lei lo trovasse. Sapeva che lo avrebbe raggiunto.
Premette due tasti con pollice e medio, poi altri tre. La sinistra corse sui toni bassi mentre il suono riempiva la stanza. Pigiò il pedale, vibrando in risonanza con la sua musica. La sua costrizione. L’impeto dell’improvvisazione lo incatenava, senza lasciargli scampo. La sua famiglia l’aveva educato così, perché eguagliasse suo fratello. Soul sapeva che non lo avrebbe mai raggiunto…
Il pianoforte era diventato il suo migliore amico e, al contempo, il suo carceriere.
Quando la porta alle sue spalle si socchiuse cigolando quasi sentì un brivido. Si fermò di colpo, con le dita ancora sui tasti e il piede pigiato sul pedale, si volse con lentezza. Aveva due code biondo cenere che le dondolavano ai lati del viso, carezzandole la spalle sottili ed era di una magrezza impressionante. La vide mentre richiudeva la porta, e si avvicinava un po’ titubante.
“Ciao.”- sorrise.
Soul sogghignò di rimando, mostrando i denti affilati. Anche lei doveva essere scappata dai professori. “Sei un’arma?”
La ragazzina scosse la testa. Indicò il tesserino appuntato sul seno del tutto inesistente. “Meister”.
Il suo ghigno si allargò, mentre senza guardare premeva un accordo sulla tastiera. Sol maggiore. Gli occhi smeraldini della ragazza si illuminarono dietro le ciglia lunghe e leggermente bionde.
“Suoneresti per me?”
Soul guardò in alto, sorridendo strafottente. Pensò che la sua musica l’avrebbe fatta scappare, si sarebbe spaventata. La sensazione di fastidio sarebbe finalmente andata via. Si piegò sui tasti fin quasi a sfiorarli con la fronte. “Questo sono io.”- soffiò.
Maka rimase a guardarlo mentre agitava le braccia freneticamente. Le sue dita lunghe e affusolate andavano ad una velocità incredibile, su e giù lungo la tastiera. Sembrava posseduto. Non era una melodia quella che stava uscendo dallo strumento. Le note sembravano accostate a caso.
Lei non aveva mai capito la musica…
“Che tipo pretenzioso.”- pensò. Eppure si sentiva risucchiata dalla melodia, come ipnotizzata da quel ragazzo così strano, del quale ricordava vagamente il nome.
“Soul.”
Un ultimo accordo risuonò grave nella sala e per qualche secondo Soul smise di respirare, con gli occhi chiusi. Quando tornò a guardarla lei era ancora lì. E non si rese conto di esserne felice.
“Vuoi essere il mio partner?”- disse semplicemente, allungandogli la destra. Un sorriso determinato  la illuminava. E Soul, sbuffando, con gli occhi piantati nei suoi così grandi, sentì il fastidio scemare.
Le strinse la mano.
“Cool!”
 
 
“Maka!”
Il ragazzo tentò di rialzarsi ma, dopo appena due passi, un ginocchio cedette facendolo affondare ancora. Cadde poggiando i palmi e se li sbucciò. I suoi occhi cremisi erano puntati sulla compagna, sgranati; l’Uovo di Kishin la sovrastava con il martello alzato e lei non reagiva. La chiamò di nuovo senza ottenere risposta. Il colpo che l’aveva atterrata era arrivato dall’oscurità, senza preavviso. E Maka non era ancora l’esperta di percezione dell’anima di cui la Shibusen si sarebbe vantata pochi mesi più tardi. Un talento incommensurabile e pericoloso…
Soul strozzò un grido, slanciandosi in avanti. Il martello aveva cominciato a calare verso la schiena della partner.
“Non ti permetto di toccare la mia meister!” Il braccio destro, tramutato in lama, stridette contro il metallo argentato. Soul strinse i denti, trattenendo il colpo a fatica, che rallentò piano piano fino a fermarsi a pochi centimetri dal cappotto nero di Maka. Piccole scintille saettarono tutt’intorno, illuminandogli il viso di toni rossastri. Il profilo rozzo del mostro che gli stava davanti gli fece raggelare il sangue. Il suo ghigno si apriva come una ferita infetta lungo la faccia, da orecchio ad orecchio. Il naso sembrava un grumo di cera sciolta e i piccoli occhi, nascosti dalla tesa di un cappello lurido e sdrucito, scintillavano della follia latente e inesorabile che gli stava divorando l’anima. Era deforme, con braccia smodatamente lunghe e possenti montate su un corpo grezzo e flaccido. Le gambe sottili tremavano sotto tutto quel peso.
In loro primo nemico. Non se lo sarebbe mai dimenticato.
Era debole. Loro lo erano di più.
“Usami!”- urlò, grugnendo per la fatica. L’Uovo di Kishin stava spingendo più forte, pregustandosi la meravigliosa immagine di quei due corpicini spappolati sull’asfalto umido, con le ossa sporgenti e le budella sparse qua e là. Marmellata di bambini! Si passò la lingua viscida sui denti, deliziato.
Maka tossì forte, il petto che andava su e giù spasmodicamente, con la guancia premuta a terra.
“Non posso.”- soffiò.
Soul raccolse le forze e con un colpo la fece rotolare oltre il martello che si schiantò facendo saltare l’asfalto in più punti. Due pezzi schizzarono in aria andando a finire qualche metro più avanti. Era rimasto incastrato.
“Perché!?”- aggiunse. Il tono esasperato rendeva la sua voce gracchiante e gli occhi spalancati spiccavano tra i rivoli di sudore gelido come fari. “Ora non può muoversi, Maka!”
“Ma io…”- gemette lei in un sussulto. Aveva paura. Sentiva il sudore gelato scivolare lungo la schiena, pungerle la pelle. Le gambe erano molli e la mente intorpidita. “Non mi hanno ancora insegnato… Non so come fare.”
Soul ringhiò, prendendola per le spalle e la scosse fino a che non alzò lo sguardo su di lui, tra i ciuffi di capelli. Prese un respiro per calmarsi ed evitare di gridarle in faccia. Dopotutto erano nella stessa situazione. “Ora tu sei la mia meister.”- asserì con tono basso, scandendo ogni sillaba.
Lei deglutì ma la gola rimase secca. La scosse ancora, con più riguardo. “Se non vuoi morire qui devi alzarti. Adesso.”
Le ultime parole trafissero la ragazzina come una stilettata. Annuì fiaccamente, mentre in brivido la attraversava da capo a piedi.
La paura è come una droga che avvelena e stordisce.
Mostra gli abissi della disperazione e come caderci. Puoi scegliere la via più facile, quella che ti farà soffrire di meno. Puoi abbandonarti, sparire, lasciandoti cullare dalla sua melodia. Ma ne rimarrai prigioniero. La forza, il potere… Non ti aiuteranno a sfuggirle.
Troppa paura consuma, poca annienta. Non essere stolto! Equilibrio.
Impara ad accoglierla, plasmala affinché ti mostri come affrontarla. Rendila tua fidata compagna e consigliera. Un’altra strada c’é. Cercala! E’ nascosta. E’ tortuosa. Abbi il coraggio di percorrerla.
Paura. Coraggio.
Facce opposte della stessa medaglia. Amanti inseparabili.
La paura è uno specchio. Guarda il tuo riflesso, osservalo bene.
Sarai abbastanza forte da riemergere dal baratro?

Maka strizzò gli occhi. Soul aveva fiducia in lei.
Un’arma non può nulla senza il suo artigiano.
Lentamente si piegò sulle ginocchia, facendo leva. “Muoviti!”- sussurrò a se stessa, fissandosi con ostinazione la punta dei piedi. Le sembrò di dover sollevare una montagna. L’angoscia di non farcela le faceva tremare le gambe e il cuore tamburava nel petto, sempre più forte. “Muoviti! Muoviti!”
Doveva riuscirci.
Incontrò la mano di Soul a metà strada, tesa verso di lei. La stava aspettando. Era storto e leggermente ingobbito, con un risolino sghembo stampato sulla faccia. Ma il suo sguardo era velato dall’ansia.
“Scusa.”- disse lei, accennando ad un sorriso. Quello di Soul si allargò. “No problem.”- fece soltanto, mentre le loro mani si intrecciavano e la sua figura cominciava a mutare. Un bagliore azzurrino lo avvolse e Maka, abbagliata, strizzò gli occhi. Un’onda calda d’energia le fece svolazzare i capelli, allargandosi tutt’intorno.
Quando nella mano strinse il manico liscio dell’arma smise di tremare. Era pesante, tiepida. Il peso la fece sbilanciare in avanti, ma si sentì rincuorata. Le loro anime erano connesse in un’armonia incerta.
“Cosa devo fare, Soul?”- domandò, sollevando le braccia in avanti. La lama bruna e vermiglia della sua falce sfavillò nell’aria immobile, come un fuoco fatuo. “Non preoccuparti, ti guido io.”
Maka prese fiato. Sentì l’arma vibrare tra le sue dita per la prima volta e la strinse più forte.
Si volse verso l’Uovo di Kishin, con determinazione. Era lì a guardarli con quei suoi occhi fiammeggianti di follia, il martello di nuovo in spalla dopo averlo liberato dal cemento.
“Io mieterò la tua anima.”
E Soul capì che da quel momento l’avrebbe sempre protetta.
Perché è questo il dovere di un’arma.
 
 
You can be my tech and I’ll be your protection (yes)
Like cool and the gang celebrate soul connection
 
-So Scandalous-
(Soul Eater OST)
 
 
 
ANGOLO A ME:

FLASH!!

 
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OOOOSSHAAA! Rieccomi!
Allora allora allora…
Questa storia vuole essere una specie di continuazione di “At First”, la prima fic di questa raccolta. Ho pensato sarebbe stato carino scrivere qualcosa sul primo scontro del figo e la secchiona, siccome né nell’anime né nel manga se ne dice niente. Anche la parte riguardante il momento in cui quei due decidono di diventare partner è appena accennata. Beh, mi è venuta così, di getto. L’ho scritta con fluidità perché è quello che penso sia potuto accadere. Mi è piaciuto riflettere sul fatto che “usare” una persona, generalmente, sia inteso come qualcosa di orribile. In questo caso invece è un modo per salvarsi, per proteggersi. E lo trovo tanto dolce!
Spero che vi sia piaciuta. >_< E che i personaggi siano abbastanza IC… *terrore*
Ecco…la paura è umana, in fondo. Eheh!
Un abbraccio a chi ha recensito l'ultimo capitolo: SilverSoul, Buki_Puntina atomica Vill, Michy_66 e mangakagirl.
E grazie anche a chi ha inserito la raccolta tra le preferite (Isabellelove, Maka94, NonChiamatemiEvans, robin goodfellow, Violet Star e Whiteney Black), tra le ricordate (mangakagirl e RANFYC) o tra le seguite (alte97, giu e lu, JinxD, Kikyw, Layla_Morrigan_Aspasia, Maka 98, robin goodfellow, SilverSoul, Sol_chan, urara98 e _KaMi_).
Ho ricevuto commenti splendidi. Siete fantastici!!
Sarei davvero felice se aveste ancora voglia di seguirmi e darmi un vostro parere. Mi rimetto a voi!
Grazie davvero...
E APPRESTOOOOOO!!!

 
scythemeister_MakaAlbarn
 

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Capitolo 5
*** step 5: Restraint ***


Scrups and Trifles
 

 
 
Restraint
 
 
 
Maka si allenava spesso dopo le lezioni.
Tornava a casa in fretta e preparava la merenda: un toast, oppure del tè accompagnato da quello che avanzava di torte o crostate. I dolci in casa non mancavano mai, ne cucinava uno alla settimana.
Quel pomeriggio erano rimaste tre fette di torta alla zucca. Aveva sospirato, sorridendo; Blair, con la sua magia, le assicurava una fornitura di zucche annuale, seppur fosse giugno inoltrato e le vacanze fossero alle porte. Ne aveva preso due bocconi, trangugiando un bicchiere di latte, poi aveva lasciato un po’ del dolce su di un piattino ed era andata a cambiarsi.
L’uniforme le faceva venire un gran caldo: la stoffa sottile pungeva sulla schiena sudata e le faceva prudere i fianchi. Si era sfilata la gonna scozzese, saltandola a piedi uniti. Il tessuto di cui era fatta era più pesante rispetto a quello della camicia. Anche questa, una volta sbottonata e snodata la cravatta, era scivolata lungo le braccia ossute, scoprendo la schiena lattea e le scapole sporgenti. La pelle era solcata da un arabesco di cicatrici chiarissime: alcune lunghe e sottili, altre più marcate. Ognuna rappresentava il prezzo pagato in battaglia e la volontà ferrea di proteggere le persone che amava. Maka non piangeva. Quelle cicatrici erano le lacrime che scivolavano sulla sua carne, sinuose e crudeli, intaccandola. Erano il suo dolore, le sue vittorie.
Proprio sulla spalla destra e a metà strada tra questa e il gomito, spiccavano gli aloni bruni e bluastri di due grossi lividi. Se li era procurati il giorno precedente, durante una lezione con il dottor Stain, una simulazione. Non era riuscita a parare l’attacco, la falce le era scivolata dalle mani e il colpo l’aveva fatta rotolare all’indietro, contro un pilastro. Se Soul non l’avesse afferrata in tempo si sarebbe sfondata la testa.
Una volta ripiegati i vestiti li aveva poggiati al fondo del letto, sulle lenzuola azzurrine che profumavano ancora di detergente. Poi aveva rovistato nell’armadio e, agguantati un paio di indumenti a caso, si era cambiata per stare più fresca. Il suo gilet giallo chiaro la fissava da sopra il ripiano, piegato impeccabilmente nell’attesa dell’autunno.
Tornata in cucina era rimasta a guardare il pezzo di dolce che troneggiava in mezzo al tavolo, bruno e spugnoso. Aveva sospirato mentre si rimetteva le scarpe ed apriva piano la porta. Soul avrebbe riempito la tovaglia di briciole.
 
Era in ritardo. Non sarebbe mai riuscito ad arrivare in tempo.
Giocando a basket con Black*Star e Kirikou, giù al campetto, non aveva sentito la sveglia. Il cellulare era rimasto nella sacca di scuola insieme a quaderni e cianfrusaglie e per venti muniti il timer aveva squillato a vuoto. Poi, Fire e Thunder se n’erano accorti e l’avevano avvisato. E lui, con gli occhi sgranati, era scappato via, urlando qualche saluto incomprensibile agli amici, che avevano sogghignato, vedendolo sparire dietro la prima curva.
“Quando il dovere chiama…”
Maka l’avrebbe massacrato. Il giorno prima le aveva promesso che sarebbe andato ad aiutarla negli allenamenti. All’inizio si era rifiutato: non era cool sgobbare anche dopo la scuola. Ma a volte i suoi baci sapevano essere più che convincenti.
Correva come un forsennato lungo le vie tortuose di Death City, con i vestiti appiccicati addosso e il fiato corto. Schivò per miracolo una bambina che reggeva un grosso lecca-lecca e, per accorciare il tragitto, scavalcò un paio di muretti rischiando una scivolata catastrofica. Mancava una sola salita.
Si concesse di rallentare un poco, prima di oltrepassare l’ingresso del condominio. La tromba delle scale gli apparve più ostile che mai. Le dieci rampe lo attendevano.
Ripartì a lunghe falcate, salendo tre gradini alla volta, bruciò i pianerottoli quasi fosse stato un atleta. Al terzo piano indugiò un secondo sulla soglia di casa, per poi continuare con lo stomaco che brontolava per la fame. Altri due piani e finalmente apparve la porticina grigiastra e polverosa che dava sul tetto. Gli diede un calcio, spalancandola. Era arrivato.
Il sole pomeridiano lo abbagliò mentre, le mani puntate sulle ginocchia, cercava di spingere un po’ d’aria nei polmoni.
Il sudore che gli grondava dalla fronte precipitò a terra, disegnando cerchi scuri sul cemento.
Prese un lungo sospiro e si lasciò cadere contro il muro, sfinito. I muscoli bruciavano per l’acido lattico e si sentita andare a fuoco.
Maka era là, proprio davanti a lui. Lo fissava con odio picchiettando il piede a terra.
“Trentasette minuti di ritardo.”- scandì, austera. Il tono concitato della voce tradiva a tratti la sua furia.
Soul alzò gli occhi al cielo. Il cerchietto che usava per tenere su i capelli non era servito a nulla. Dopo quella corsa i ciuffi candidi erano sfuggiti qua e là, andando ad appiccicarsi alla fronte e sugli zigomi.
Alzò un dito, come a voler ribattere, ma poi il braccio ricadde molle lungo il fianco.
Caldo. Stava morendo di caldo, e aveva fame. Maka gli si avvicinò pestando forte coi piedi. Era diventato più alto di lei, finalmente, e anche restando ricurvo su se stesso la sovrastava di una spanna buona. Gli piaceva che dovesse sollevare il viso per guardarlo negli occhi, e che per arrivare alla sua bocca fosse obbligata ad alzarsi in punta di piedi. A volte lo strattonava per la cravatta per farlo abbassare, altre, per colmare velocemente la distanza che li separava, lui se la trascinava addosso, sollevandola dalla vita.
Lei gonfiò le guance e piantò le mani sui fianchi, assottigliando gli occhi come se si stesse aspettando qualche scusa. Soul levò un sopracciglio osservando una goccia di sudore scivolarle suadente lungo il collo sottile, per poi sparire otre la clavicola. Le guance erano rosse per l’afa e la fronte madida. Anche lei doveva avere parecchio caldo.
“Allora?”- lo incitò –“Avevi promesso che mi avresti aiutata!”
“E, infatti, sono qui…senzatette…” Il fiatone gli dava qualche problema. Maka si gonfiò ancor di più, camminando all’indietro. “Se ti fossi ricordato di tornare a casa in tempo, ora non saresti ridotto così.” E lo indicò, brontolando con tono accusatorio.
Soul la guardò storto. Si stagliava esile contro il sole di giugno, con quei suoi codini lunghi e biondi scarmigliati dalla brezza leggera e le braccia incrociate sotto il seno. Portava una gonna a righe nere e viola alternate con folli motivi a pois. Gliel’aveva regalata lui.
Tsubaki l’aveva convinto a comprarla quella primavera. “Maka ne sarebbe felice.”- aveva detto, sorridendo. Poi era andata in panetteria abbandonandolo davanti alla vetrina. La commessa gli era sembrata un pizzico esaltata mentre pagava alla cassa. “E’ per la tua ragazza? Perché ce l’hai la ragazza, no?” Era uscito dal negozio visibilmente seccato. Maka non era la sua ragazza. Era sua e basta.
Il pacchetto se l’era fatto da solo, con quello che rimaneva della carta di Natale. A renne. Poi l’aveva lasciato davanti alla porta di camera sua. Non era un tipo da regali, non c’era nemmeno il biglietto. Maka lo aveva scartato con circospezione mentre lui se ne stava stravaccato sul divano a giocare alla Play.
“E’ per te.”- le aveva detto, con scarso interesse. Poi, all’improvviso, se l’era ritrovata addosso, senza nemmeno averla sentita avvicinarsi. Si era preso un colpo mentre il joystick rotolava per terra e l’automobile fiammante, nella televisione, finiva per schiantarsi contro un gard rail. Il sorriso di stupore e meraviglia che era comparso sul viso infantile di Maka l’aveva lasciato senza fiato. Adorabile. Lo era davvero.
 L’aveva abbracciato forte, con la gonna ancora stretta in mano e il tagliando dell’etichetta che dondolava dall’orlo. “Grazie, Soul.”
Lui aveva stretto i denti per il ginocchio piantato nello stomaco. Sulla sua faccia si era dipinto un mezzo sorriso, un po’ per l’imbarazzo, un po’ perché gli occhi di Maka scintillavano come fanali. Le aveva accarezzato la schiena come avrebbe fatto con un cucciolo.
E aveva sospirato. Tsubaki aveva sempre ragione.
La gonna ondeggiò al vento, lasciando intravedere così tanta carne che Soul dovette guardare altrove per un istante, ingoiando un fiotto di saliva viscosa. La canottiera di cotone le stava appiccicata alla pelle ed era diventata quasi trasparente.
“Cominciamo!” Maka gli allungò la mano, intimandolo a trasformarsi. Lui si passò la destra sulla fronte, abbandonò la sacca a terra e rimise a posto il cerchietto. I capelli umidi gli davano fastidio. Una volta diventato falce, Maka lo avrebbero martoriato, scivolando su e giù lungo il manico e poi sulla lama, premendo o sfiorandolo appena. Vibrò di piacere al solo pensiero. Non era molto cool da parte sua, ma il caldo gli stava montando alla testa.
Era una sensazione piacevole, lo era stata fin dall’inizio, quando ancora si sopportavano a malapena. Sentiva i movimenti della compagna, lenti e controllati, come se tra loro fosse stato steso un foglio di carta velina. Le sue mani lo avrebbero lambito come lui sapeva fare con i tasti del pianoforte.
Ora le sue dita erano leggermente appiccicose. “Cosa vuoi fare?”- chiese, mentre il suo corpo cominciava ad illuminarsi di una luce cangiante.
Lei divaricò le gambe. “Perfezioniamo gli assalti aerei.”
Era fottuto.
 
 
Farsi “cavalcare” da Maka era un po’ come farci sesso.
L’aveva pensato fin dalla loro prima esperienza di volo. E lei gli aveva dato del porco.
Allora Maka era la sua weapon meister, la sua partner. Era la ragazzina dal rapporto stazza/forza bruta più assurdo che avesse mai visto, quella che gli urlava contro quando si dimenticava di lavare i piatti o che, la notte, sgattaiolava nel suo letto dopo aver avuto un incubo. Nessun imbarazzo, nessun desiderio. C’erano soltanto loro due, schiena contro schiena, con i piedi gelati e la testa affondata nello stesso cuscino. Soul, Maka e la singolare eco delle loro anime. Poi, una notte, stare così vicini era diventato improvvisamente problematico. Lei era avvampata mentre Soul le baciava una guancia, si era stretta al tessuto del suo pigiama.
“Non prendermi in giro.”- aveva sussurrato, gli occhi bassi e lucidi. Lui le aveva arruffato i capelli, ridacchiando. Poi la sua espressione si era raddolcita. “Non ti sto prendendo in giro.”
Si erano sciolti ancor di più l’uno nell’altra.
Soul deglutì, sbandando leggermente. Maka si era mossa sopra di lui, forse per imprimere la direzione da seguire, e il sottile lembo di tessuto che lo separava dalla sua intimità si era spostato di qualche millimetro. Se fosse stato in forma umana avrebbe cominciato a perdere litri di sangue dal naso.
“Tutto okay, Soul?”- fece lei, il vento a sferzarle la faccia. La falce levò un gemito. Si chiese come facesse ad essere tanto ingenua. La sua femminilità premeva forte su di lui, umida e calda. La sentiva fin troppo bene.
Con un ampio movimento d’ali salirono ancora più in alto e per un momento Soul riuscì a focalizzare la sua attenzione sul paesaggio. Gli si mozzò il fiato. Death City si srotolava dinnanzi a loro in tutta la sua imponenza. Chilometri e chilometri di case abbarbicate le une sulle altre, ville maestose, botteghe, campi, negozi. Si vedeva anche il campetto da basket. Ed infine, al di sopra di tutto, svettavano le torri ritorte e minacciose della DWMA, che contrastavano con l’azzurro abbagliante del cielo. Una lieve velatura rosea cominciava ad intaccare le nuvole all’orizzonte. Tutt’intorno, il nulla. Era uno spettacolo meraviglioso e agghiacciante allo stesso tempo.
Maka strisciò in avanti, premendo un seno contro il manico e aprendo ancora di più le gambe per issarsi.
“Laggiù!”- indicò una volta in piedi. Poco lontano dalla scuola c’era un piccolo bosco. Era una folta chiazza d’un verde vivido che serpeggiava fino alla periferia della città, troncandosi di netto sul terreno arido del deserto. Proprio al centro si stagliava lo spiazzo chiaro di una radura. I professori vi portavano spesso gli studenti più piccoli e inesperti. Era là che per la prima volta la loro squadra aveva eseguito una Risonanza a Catena.
Ritta sulla sottile asta della sua falce, in equilibrio perfetto, Maka espose a grandi linee quello che dovevano fare. Doveva parlare a voce alta per farsi sentire, a quell’altezza il vento soffiava forte. Il sudore sulla sua pelle si era asciugato, facendola rabbrividire e i vestiti umidi le facevano sentire ancor di più le sferzate gelide. C’era un masso nella radura, in alto a destra.
“In pratica più ci avviciniamo a quello meglio è…”- riassunse Soul, dopo lo spiegone dell’artigiana.
“In pratica sì.”
L’esercizio era mirato ad aumentare la precisione dell’assalto. Durante l’ultimo test, Maka aveva mancato il bersaglio e il ricordo le bruciava ancora. Aguzzò la vista come per prendere bene misure e distanze.
“Pronta?” – fece lui, cercando di darsi un contegno.
Quella voce bassa le rimbombò in testa, come ovattata. Le parve di leggervi un non so che di voluttuoso. Prese un respiro profondo, chiuse gli occhi. Il suo tono era caldo e rilassante. Se ne sentiva avvolta.
Avrebbe dato il massimo. Con un colpo secco fece impennare il manico, afferrandone la parte finale. Si accovacciò, poggiando il ginocchio sull’asta metallica. Era concentrata, immobile. Poteva sentire la falce pulsare sotto il suo tocco, viva e animata. Rivoli di calore, simili a correnti, ne percorrevano la superficie. Accarezzò dolcemente il metallo con il pollice.
Il corpo di Soul. La sua anima. Erano nelle sue mani, la chiamavano.
Rimase in posizione come un corridore ai blocchi di partenza, tesa nell’attimo dello sparo.
“Via.”- soffiò.
 
Con due colpi possenti le ali fendettero l’aria.
Maka saettò in avanti, lasciandosi alle spalle lo sventolio dei codini. Era come se il vento le stesse risucchiando la pelle, riusciva a stento a tenere gli occhi aperti: non erano mai andati tanto veloce.
Spostò entrambe le mani verso il centro, facendole scivolare piano sul manico di metallo, e rimase accovacciata mentre le folate cercavano di farle perdere l’equilibrio. La fine canottiera di cotone si sollevò, lasciando scoperto l’ombelico e le dolci incurvature dei seni fecero capolino da sotto la stoffa. Le sferzate di aria gelida aggredivano la sua pelle nuda, i capelli le schiaffeggiavano le guance. Era una sensazione unica, faticava persino a respirare.
Soul scrutò i tetti delle case che sfilavano sotto di loro. I coppi e le tegole dalle tonalità più disparate presto cedettero il passo ad immensi alberi dalle chiome sgargianti. Le frasche s’intrecciavano a formare giganteschi arazzi di smeraldo, annodandosi e avvolgendosi tra loro di ramo in ramo. La radura era vicina.
C’era quello stesso verde negli occhi brillanti di Maka.
Si sentì avvampare, sotto il suo peso. Quelle mani lo facevano ardere.
“Soul?”- gridò lei, sovrastando il rumore del vento. La sua anima stava vibrando e le faceva ronzare le orecchie. Si mosse appena, strusciando contro il suo manico liscio. Forse era un’impressione, ma le sembrava fosse diventato più caldo.
A Soul parve di morire. I suoi movimenti lenti e ingenui gli facevano ribollire il sangue e pulsare il bassoventre. Non resisteva più.
Improvvisamente si bloccò a mezz’aria, a non più di dieci metri dalla roccia che doveva essere il loro bersaglio. Maka spalancò gli occhi, colta di sorpresa. La brusca frenata la proiettò in avanti, spingendola verso il basso e finì a testa in giù, a ciondoloni con la falce stretta tra le gambe. Boccheggiò, frastornata mentre Soul faceva dietrofront e ripartiva in direzione della città.
“Che cacchio fai, deficiente!?”- riuscì infine a sbraitare, rossa in viso per il sangue che le stava fluendo alla testa. Era attaccata al compagno come un pipistrello e il dondolio le stava facendo venire la nausea. Cercò di coprirsi le mutandine sollevando la stoffa della gonna, ma il suo tentativo fu reso vano dal vento che aveva ricominciato ad imperversare.
Lui schioccò la lingua. Ormai quasi tutto il suo sangue era andato a concentrarsi in mezzo alle gambe, riusciva soltanto a pensare al corpo acerbo di Maka, caldo e sudato, al suo collo sinuoso e a quanto gli sarebbe piaciuto sentirla gemere contro la sua bocca. Sogghignò. Gemere non era da lei e quando le capitava di lasciarsi sfuggire un gridolino, stringeva i denti come per ricacciarselo in gola.
Il tetto del loro condominio si stava facendo sempre più vicino. Maka lanciò un grido, con gli occhi sgranati mentre il compagno riprendeva la sua forma umana a mezza’aria, cadendo da poco meno di un metro da terra. Le braccia forti e le lunghe gambe riapparvero nella luce della trasformazione, barcollò un poco riuscendo infine a rimanere in equilibrio. Lei rotolò ai suoi piedi, sbattendo la schiena sul cemento. “Ahio…”
Era capace di atterrare in piedi precipitando da molto più in alto ma, appesa com’era, non aveva fatto in tempo ad assestarsi correttamente. “Che ti è preso, cretino?!”- tuonò, sentendosi afferrare da sotto le ascelle. Il sole si era abbassato, le feriva gli occhi e la schiena le bruciava. Forse si era un po’ sbucciata. Soul la sollevò di peso, caricandosela a spalle come un sacco di patate. Un sacco molto leggero…
Maka strillò, nuovamente a testa in giù, avvinghiandogli le braccia al petto per non cadere. “Soul!”
Lui, che con un braccio la tratteneva dalle gambe, camminò fino alla porta che dava sulle scale e la aprì. “Mi prendi la sacca?”- disse, facendo ricorso alla poca calma che gli era rimasta. La compagna si bloccò per un attimo, esterrefatta: Soul stava davvero cominciando a farla imbestialire. “Cosa?”
L’albino si limitò a scrollare le spalle, facendo un cenno in direzione del borsone scuro accantonato contro lo stipite della porta. Lei ringhiò, allungando piano un braccio per raccoglierla. La lasciò strisciare sul pavimento e poi giù per le scale perché la tracolla era troppo lunga. Preferiva tenersi stretta al compagno piuttosto che cercare di tirarla su. Udì la pesante porta richiudersi con un tonfo ovattato mentre Soul, sempre più veloce, cominciava a scendere la seconda rampa di scale. La sua spalla, conficcata nella pancia, le faceva male ad ogni gradino.
 Il ragazzo la ascoltò ingoiare un rantolo. Riusciva a sentire le sue unghie attraverso i vestiti tanto si stava tenendo stretta. Si fermò su un pianerottolo, facendola scivolare in avanti e prendendola in braccio come avrebbe fatto un cavaliere con la sua principessa, solo con fare più rozzo. Gli facevano male le gambe. Lei gorgogliò, tornando a respirare normalmente, la sacca in grembo. Ripresero a scendere rischiando di cadere, Soul imprecò.
Agli ultimi tre gradini si staccò Maka di dosso, sbattendola forte contro il muro. La sacca ruzzolò a terra, aprendosi e facendo uscire penne e matite che si sparpagliarono tutt’intorno allo zerbino di casa. Maka strizzò gli occhi, picchiando la nuca contro la parete e per un istante, tutto le parve vibrare. Un ronzio sempre più acuto ed intenso le riempì la testa, lasciando che ogni altro suono passasse in secondo piano. Era un sottofondo ovattato e al contempo assordante. Ben presto, in tutto quel nero, cominciò a danzare una moltitudine di puntini bianchi mente alcune macchie rossastre apparivano qua e là, ad intervalli. Sembravano piccole lucciole, fiammelle intermittenti nella notte. Sbatté le palpebre, si strofinò la faccia. Quando finalmente riuscì a rimettere a fuoco, vide Soul curvo su di lei. Le sue spalle ampie la ingabbiavano, tenendola premuta contro il muro. Era come se la sua intera figura la stesse avvolgendo, oscurandola. Il suo fiato caldo le sferzava il viso. E lei si sentì talmente piccola, talmente fragile e minuta al suo cospetto.
Gli occhi guizzarono iracondi, brillando dietro i capelli umidi di sudore. Se non le fosse stato così vicino, Soul non se ne sarebbe neanche accorto. La sua rabbia si riversò su di lui come un fiume in piena. Prese ad agitare le braccia in modo scomposto, tentando di divincolarsi. Lo colpì allo stomaco, finendo per scontrarsi nuovamente contro il muro. Sembrava un animale selvatico chiuso in gabbia. “Soul!”- ruggì –“Che cazzo fai?!” Il ragazzo si appiattì ancora di più su di lei, bloccandole un braccio. I suoi occhi cremisi fiammeggiavano tra le gocce di sudore. I capelli, schiacciati indietro dal cerchietto, apparivano di un grigio lucente nella poca luce del pianerottolo. “Maka… Prendi le chiavi.”- fece, portandole il braccio sopra la testa ed avventandosi poi sul suo collo bianco. Lei si irrigidì, lasciando morire un sospiro che le rimase impigliato tra i denti. Con la mano libera gli artigliò il fianco, furiosa, i muscoli si contrassero. “Stupido.”- ringhiò, cercando di svincolarsi ma lui prese a succhiarle la pelle, lasciando una scia umida e rossastra che dalla gola arrivava fin dietro l’orecchio. Il sudore l’aveva resa salmastra, acre.
“Maka…” Lei rabbrividì. Era come se la lingua di Soul stesse accarezzando il suo nome, lettera per lettera. I peli le si rizzarono sulle braccia mentre, dove la bocca del compagno non c’era più, la pelle cominciava ad intirizzirsi. Le loro fronti si toccarono e lei venne spinta ancor di più all’indietro.
“Le chiavi, Maka…” Con il pollice le schiuse la bocca, mordendole il labbro inferiore. Era famelico, vorace e il desiderio velava il suo sguardo come un drappo di velluto.  Maka rimase ipnotizzata. Le parole parevano colargli dalle labbra come caramello fuso. Le si impiastricciarono addosso, sulla faccia, nelle orecchie. Quando la baciò, con forza, le parve di poterle assaporare.
“Ti prego, prendile.”- ripeté il giovane, in un sussurro. La fissò fino a che vide la rabbia nei suoi occhi liquefarsi, sostenendola quando le cedettero le ginocchia.
Soul era erotico, e fuori controllo. E lei era al limite.
Distolse lo sguardo, con il bassoventre che pulsava. L’erezione del compagno era premuta sulla sua pancia. “Qualcuno potrebbe vederci…”- gemette. Lui sogghignò, mostrando i denti appuntiti –“Allora apri quella maledetta porta ed entriamo in casa.”
La ragazza avvampò violentemente, mordendosi un labbro. “Non ho preso le chiavi uscendo.”
“Usa le mie, allora.”
Maka tornò a fissarlo, interrogativa e lui la baciò ancora. “Sono in tasca…”
“Non puoi prenderle tu?!”- strepitò, tra una boccata d’aria e l’altra.
“Maka, ti sto baciando.”
“E allora?”
“Ti sto baciando.”
Lei roteò gli occhi, arresa. Replicare, pensò, non sarebbe servito a nulla. Scese con la mano verso i pantaloni e, infilando le dita nella tasca, strattonò involontariamente il tessuto. Il ragazzo ingoiò un sussulto di piacere mentre ghignava sulla sua bocca. Il membro, avvolto nella stoffa, si era fatto caldo. Le strinse una natica, palpandola con devozione. Attraverso la canottiera bianca intravedeva le areole rosee dei suoi capezzoli. “Maka…” Le morse il lobo dell’orecchio mentre la mazzetta di chiavi tintinnava tra le sue dita magre. “Ti voglio. Adesso.”
Lei deglutì, cercando il foro della toppa alla cieca. Era difficile, con Soul che si strofinava su di lei e continuava a ripeterle quelle cose imbarazzanti. Sperava soltanto che non arrivasse nessuno.
Oh, Shinigami. Tentò di fare il più in fretta possibile. Se Blair li avesse scoperti si sarebbe scatenato il delirio e nel giro di pochissime ore lo avrebbero saputo tutti, a Death City. Sudò freddo, immaginando Spirit contorcersi in una pozza di lacrime e muco.“La mia piccina… La mia piccola Maka…”
La vergogna l’avrebbe sicuramente uccisa.
Tastò la parete ed ancora il legno ruvido della porta. Poi, finalmente, trovò il freddo pomello d’ottone; poco più in basso c’era la placca metallica con la serratura.
“Sei capriccioso, Soul Eater.” Infilò la chiave nella toppa, dopo averla fatta cozzare un paio di volte sui bordi della cavità. “E sei anche impaziente.” La bocca di Soul si piegò nuovamente in un ghigno. Vederla così rossa in viso lo faceva impazzire. “E’ colpa tua, Maka.”
Le prese l’elastico delle mutandine tra indice e pollice, facendoselo scorrere avanti e indietro sulle dita.
“Tu sei il mio vizio.”


 
 
ANGOLO A ME:

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Mi vergogno tanto… Non ho osato scrivere di più, cercate di capirmi.
E…sono terribilmente mortificata. Non sono solo in ritardo. Non c’è parola per esprimere quanto io lo sia. *dannazione depressione muoio*
Beh, alternando momenti, dolci, demenziali e un tantino, ehm…
"spinti", è venuta fuori questa cosa. Siate clementi, vi prego.
Negli ultimi tempi sono a corto di ispirazione. Questa storiella l'ho scritta mesi fa, ad esempio...
Vi prego, recensite, e non lesinate in suggerimenti! In questo periodo ne ho veramente bisogno.
Se ne avete voglia…sigh…sono depressa, scusatemi. E inoltre la mia volontà di usare lo scanner per ogni disegno di questa raccolta è andata a farsi benedire. Per questo capitolo ne avevo preparato un altro, ma mi vergognavo troppo per inserirlo qui. Perdono.
Vi adoro, perché nonostante tutto, siete sempre tanto buoni con me.
Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo (secoli e secoli fa, ormai): mangakagirl, Kejra, Buki_Puntina atomica Vill e NonChiamatemiEvans.
Un abbraccio a chi ha inserito la raccolta tra le fic preferite (Kejra, Maka94, NonChiamatemiEvans, robin goodfellow, Violet Star, _Alyss_ e _Maka_Albarn_), a chi l'ha ricordata (demon_slayer, mangakagirl e RANFYC), a chi la sta seguendo (alte97, JinxD, ketax, Kikyw, _Layla_Morrigan_Aspasia_, Maka 98, pink07, robin goodfellow, SilverSoul, Sol_chan, urara98, _KaMi_ e _Kazua_Takumi_) e a chi magari neanche voleva leggerla ma l'ha fatto lo stesso. Per sbaglio forse!
Mi rendete felice. Mi siete mancati tutti moltissimo. Grazie.
E APPRESTOOOOO!! (si fa per dire -.-“)


 
scythemeister_MakaAlbarn
 

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Capitolo 6
*** step 6: Sweet Evening ***




Scrups and Trifles
 

 
 
Sweet Evening
 
 
 
« Blair-chan! La teiera sta per esplodere! » rise il bimbo, indicando le fiamme decisamente alte sul fornello.
« E quello è sale. » aggiunse Soul, poco dopo.
Nonostante le concitate proteste, la maestra d’armi era stata relegata in salotto a leggere. Poteva sentire le istruzioni pacate del compagno interrotte fin troppo spesso da un pesante clangore di pentole e aveva preso a sfogliare le pagine  del suo libro sempre più nervosamente. Ormai si preoccupava soltanto di quello che sarebbe potuto succedere alla sua povera cucina.
Blair schizzò versò il gas acceso ed afferrata la teiera bollente a mani nude, la scaraventò su un ripiano, facendo uscire una buona metà dell’acqua che conteneva. Si passò una mano sulla fronte, esausta. « E adesso? » boccheggiò, il fiato grosso. Soul indicò a Shokan un cassetto. « Le bustine di tisana sono lì. Dì a Blair di metterle in infusione. » Il bimbo saltò giù dalla sua sedia e sgambettò fino al mobiletto. Prese le bustine e le porse alla gatta che lo osservava dall’alto in basso.
« Puoi farcela, Blair. » la canzonò Soul, ridacchiando.
L'esplosione bianca e rosa che avrebbe devastato la cucina pochi istanti dopo avrebbe convinto Il ragazzo del contrario e persuaso Maka ad allontanala definitivamente dai fornelli. Con la forza.
Shokan, sbalzato verso il soffitto e rimasto appeso al lampadario per il bavero,  le lacrime agli occhi dalle risate, sperava soltanto che papà e mamma venissero a prenderlo il più tardi possibile.
 
 ***
 
 Il ragazzo si passò una mano trai capelli. La luce di un morente tramonto di fine settembre filtrava dal quadro della finestra, troppo debole per illuminare uniformemente la stanza ma abbastanza da ferire gli occhi. Masticò un’estremità della sua biro, trattenendo un sospiro seccato, poi ricominciò a scribacchiare sul foglio che aveva davanti. Stava accovacciato sulle ginocchia, con la schiena ricurva e un braccio flesso a sostenere la testa; il tavolino in soggiorno era parecchio basso per lui. La compagna, affondata tra i cuscini del canapè, un pesante tomo di “Scienza dell’Anima” tra le mani, gli lanciò uno sguardo, divertita.
« Soul-kun, fammi un robot! Lo voglio grande così! » Il bimbo seduto accanto a lui si alzò in piedi allargando le braccia e gonfiando le guance paffute. Era sottile e molto slanciato per la sua età, gracile, con capelli fini e leggeri come tele di ragno. Questi erano d’un biondo smunto e tanto chiaro da sembrare del color della cenere, tagliati in modo da incorniciare il suo viso rotondo e adagiarglisi morbidamente sul collo. La fitta frangetta si interrompeva appena sopra un paio d’occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglia. I suoi occhi dal taglio all’insù apparivano ingigantiti, dilatati fino all’inquietante. Pozzi d’acume, attenti, analitici. Dopotutto erano uguali a quelli di suo padre, facevano paura per essere gli occhi di un bambino di cinque anni o poco più.
L’albino lo guardò di sottecchi, nascondendosi dietro i capelli scarmigliati. Gli facevano male le gambe a stare accucciato in quel modo. « Shokan, questo è in quarto di oggi. » sbuffò, ricominciando però a disegnare. Il bimbo incrociò le braccine magre, mettendo il broncio. Si rimise a sedere e impugnò la sua matita.
I fogli coi tre disegni precedenti stavano di fronte a lui, impilati con estrema precisione. Li osservò per l’ennesima volta: Soul-kun non disegnava così male, era portato per cose come mostri e robottoni. I bozzetti occupavano soltanto la parte centrale del foglio e non erano troppo grandi, lo spazio rimanente era stato riempito con un’interminabile serie di conti ed equazioni. Il bimbo riprese a scrivere, colmando i pochissimi vuoti. Il bianco della carta era praticamente scomparso. Dopo qualche secondo ridacchiò, soddisfatto. « Finito! »
Per quanto potesse apparire assurdo, tutti i calcoli erano corretti e avrebbero potuto far muovere, seppur in modo semplice e grezzo, ognuno di quei robot. Shokan, il figlio del dottor Stein e della professoressa Marie, era un piccolo genio, un prodigio della fisica e sapeva fare i conti meglio di quanto parlasse. Ne aveva costruito uno, una volta, di robot. E si muoveva, eccome se si muoveva. Maka ci era rimasta di sasso. Sì, perche negli ultimi tempi erano lei e Soul ad occuparsi del micro-portento.
« Maka… » Soul alzò appena la testa, chiamando la partner. Lei si leccò l’indice e voltò pagina. «Ricordami perché stiamo badando a questo microbo quattrocchi. »
Shokan gli lanciò uno sguardo di ghiaccio mentre Maka ridacchiava. Avrebbe voluto rimproverarlo per la totale mancanza di delicatezza che riusciva a sfoggiare in qualunque momento, ma vederlo alle prese con quel bambino la divertiva. Soul aveva un approccio tutto suo, fatto di aperte prese per i fondelli e brontolii, ma nonostante questo, riusciva simpatico ai bimbi. Il piccolo Stein gli stava sempre appiccicato.
« Questa sera i professori hanno una riunione importante e ce l’hanno affidato. Passeranno a prenderlo dopo cena. – asserì tranquillamente, ma alla fine non riuscì a trattenere una risatina di scherno – E poi oggi si è offerto di darti ripetizioni di matematica. » L’albino incassò, ringhiando a denti stretti. Quando il bimbo spostò la sguardo su di lei il gelo nei suoi occhioni scomparve, rivelandone la bellezza anomala: quello destro era d’un verde livido, quasi grigio sotto la luce del sole, quello sinistro, invece, brillava dello stesso color nocciola dorato dell’ambra. Per qualche misteriosa ragione la genetica aveva voluto regalargli gli occhi di ambo i genitori.
Saltò su, lanciandosi su di lei a braccia aperte. Le si arrampicò in grembo fino a stamparle un bacio sul naso. Maka sorrise, raddolcita. Non le erano mai piaciuti molto i bambini, forse perché sapevano essere gli esseri più crudeli e spietati al mondo. Eppure con lui aveva stabilito un legame particolare. Si era abituata a vederlo scorrazzare per casa ed il piccolo le si era affezionato spaventosamente. Aveva trovato nella “grande Maka” una specie di maestra, una guida capace di tirare fuori solo per lui un’innata gentilezza. La osservava con ammirazione. Soul, al contrario, era come un giocattolo, il suo compagno di litigate. Ma segretamente lo adorava e cercava di tartassarlo il più possibile. Era dura riuscire a fargli perdere la pazienza, ma riuscirci lo rendeva parecchio fiero di sé. Anche se poi doveva subire la sua “ira”.
Soul e Maka riuscivano a trattarlo come un semplice bambino senza essere condizionati dal suo genio. Per questo stava bene insieme a loro.
« Maka-san, ho fame! »
La giovane gli passò una mano tra i capelli, arruffandoli. Soul grugnì, rifinendo la sua opera d’arte. « Ehi, marmocchio! Vedi di avere un po’ di rispetto. Com’è che la senzatette è “san” e io solo “kun”? Eh? » Si alzò in piedi, goffamente, abbandonando biro e matita sul tavolino. Le pieghe della sua maglietta di erano riempite di trucioli di gomma. « Mi devi temere! » continuò, cercando di reprimere il dolore pungente del formicolio che gli era salito fino al sedere. Faticava da morire a star dritto. Immobilizzò il piccino con una mano sola, bloccandolo per le braccia contro la pancia di Maka, che si ritrovò a dover sostenere anche il suo peso. Poi, con quella libera, cominciò a schiacciargli le guance e a dargli colpetti sulla fronte e sul naso. « Hai capito? »
Il bimbo prese a divincolarsi, schiacciando sempre di più la ragazza che lo teneva in braccio.
« Scemo Soul-kun! Mi fai male! » farfugliò mentre l’albino si chinava ancor di più su di lui, sovrastandolo. « Per te sono Soul il sommo! » sghignazzò questi, montando a cavalcioni sulle gambe di Maka, che sobbalzò. Shokan si ritrovò schiacciato tra i due ragazzi: Soul, spietato, prese a fargli il solletico, mentre Maka, sbraitante, cercava disperatamente di staccarselo di dosso, l’angolo del tomo piantato nello stomaco. I piccolo non sapeva se mettersi a piangere o ridere, quindi optò per fare entrambe le cose insieme. « Aiuto! » sbraitò, la vocina rotta dalle risate. « Non hai ancora capito? » ghignò Soul, ignorando i calci che gli stava ricevendo da ambo gli esseri sotto di lui.
« Soul! » mugolò la giovane, faticando a respirare. Da quella posizione non riusciva a sbattergli il consueto volume in testa e la cosa cominciava ad irritarla. Il bimbo rideva come un pazzo, invocando il suo aiuto. « Maka-san! » Agitandosi a più non posso, gli occhi lucidi e gli occhiali tutti storti sul naso, riuscì a svincolarsi dalla presa di Soul e arpionò il collo della ragazza, pigiandole un piede sulle costole. Lei annaspò, sputando la poca aria che le era rimasta. Gli occhi spalancati, tentò di articolare un « Finitela! », senza però avere successo.
Poi, il silenzio. L’albino levò le braccia lentamente, facendosi ancor più imponente, rimase immobile coi capelli a nascondere una buona metà della sua faccia. Maka ne approfittò per riprendere finalmente fiato. Shokan le ansava sul collo, rosso in viso per il solletico selvaggio. Lo guardò con rimprovero mentre il compagno sghignazzava, truce. Il torace le faceva male. Ancora una volta Soul calò su di loro. Il bimbo trattenne il fiato, gli occhi sbarrati. Rimase interdetto quando vide l’espressione del ragazzo mutare all’improvviso: ora era serio, distaccato, e lo stava squadrando con aria di sfida. Bastò un istante; scorse le iridi vermiglie fremere mentre due braccia possenti lo sollevarono di peso da sotto le ascelle. Rimase in silenzio, oscillando avanti e indietro come un pendolo. I suoi vestiti erano leggermente larghi e lo facevano somigliare ad una specie di grossa marionetta. Dalle maniche ampie spuntavano infatti un paio di braccine sottili e ossute e la sua testa, piegata in avanti, era troppo grande rispetto al resto de corpo. Continuò a dondolare, ammutolito, senza riuscire a toccare il pavimento con le punte dei piedini imbabbucciati. Soul lo teneva sollevato a mezz’aria, le braccia tese, dritto di fronte sé.
La maestra d’armi li guardò con circospezione, riassestandosi sul divanetto. Nella ressa di pochi secondi prima uno dei codini si era allentato, ed ora le ciocche libere le solleticavano il collo. Prese il suo tomo tra le mani, pronta a farne uso, se necessario.
Il piccolo Stein agitò debolmente le gambe, ciondolando sempre di più. Benché fosse leggero, Soul cominciava a faticare a tenerlo sollevato da terra e i muscoli delle braccia avevano preso a tirare.
« Maka-san… – si lagnò Shokan, piegando il collo quel tanto che bastava per guardarla, implorante – Soul-kun è cattivo con me. » La ragazza fulminò il compagno con lo sguardo scuotendo appena il suo libro, ma questi parve non darci peso. Si avvicinò il piccino al volto, scrutandolo con fare sprezzante. « Eravamo d’accordo no? » fece, cinico. Shokan rimase impassibile.
« Non m’importa. »
« Tieni giù le mani dalla senzatette. E’ mia. »
Una vena prese a pulsare sulla tempia della maestra d’armi.
« Maka-san preferisce me, scemo. »
« Che cacchio dici, moccioso? »
Roteò gli occhi, infastidita, con gli insulti che facevano da sottofondo. Nonostante il bisogno di prendere Soul a librate fosse impellente, riuscì a trattenersi per miracolo. Non era bene rovinare la splendida immagine che il piccolo aveva di lei, uno spargimento di sangue non sarebbe stato l’ideale. Sospirò. Vedere litigare quei due era uno spettacolo oltremodo inquietante. Shokan era geniale, e nonostante le imperfezioni della sua parlata da bambino, riusciva a sostenere perfettamente la discussione senza mai perdere un colpo. D’altro canto, Soul era troppo orgoglioso per tirarsi indietro. Non si trattava di essere infantile,  semplicemente farsi “battere” da un moccioso non era contemplato. Ultimamente avevano tirato fuori questo pretesto della gelosia per punzecchiarsi a vicenda; si fissavano fin quasi a trapassarsi con lo sguardo proferendo sfilze di insulti con tono glaciale. Tentennare equivaleva a perdere.
« Che hai detto, nano? »
« Ho detto che preferisce me! Perché sono molto più carino e intelligente! Vero, Maka-san? »
Maka sbuffò, facendo per alzarsi. Quella sera toccava a Blair preparare la cena, ma da un po’ non sentiva più alcun rumore provenire dalla cucina. « Finitela, voi due. Soul, non ti sembra di essere un po’ troppo cresciuto per prendertela con un bambino? » Il compagno le lanciò un’occhiataccia mentre Shokan ridacchiava tra sé e sé, appagato. « Ho vinto io. » sibilò, vittorioso. Soul lo lanciò sul divanetto e lui rimbalzò tra i cuscini riprendendo a ridere.
« E a te non sembra di essere un po’ troppo cresciuta per essere ancora nana e piatta come un asse da stiro? » Un libro volò e lo colpì in mezzo a gli occhi con impareggiabile precisione.
« Cretina. » masticò, tra sé e sé, massaggiandosi il punto in questione. Poi si rivolse al bimbo:
« Marmocchio.»
Shokan scese goffamente dal canapè, rischiando di perdere l’equilibrio. Gli andò appresso, attaccandosi ai suoi pantaloni. « Soul-kun? Ti fa male? » Guardò in su, cercando il suo sguardo color malva, ma non riuscì ad incrociarlo. « Soul-kun…? » chiamò ancora, timidamente. Non c’era più ostilità nella sua voce. « Facciamo pace? » Il giovane, alto più del doppio di lui, gli strofinò la testa, lasciandosi sfuggire un sorriso gentile. Dopotutto gli piaceva quel bambino. « Te lo concedo. Questa volta hai vinto, ma la prossima cerca di farlo onestamente. – ridacchiò – Non vale chiedere aiuto alla senzatette. Ti favorisce troppo. » Shokan si appese ancor di più al tessuto spesso dei suoi pantaloni mentre lui seguiva la partner con lo sguardo, vedendo le sue spalle minute e la testolina bionda scomparire oltre l’ingresso della cucina.
« Perché mi dici sempre che la maestra Maka è tua? »  Soul sbuffò, senza rispondere. « Sei innamorato di Maka-san? »
Scoppiò a ridere con la consueta strafottenza, levando gli occhi al soffitto. Dal canto suo il bambino rimase serissimo, un’espressione concentrata stampata in faccia.
« Tu non la conosci ancora bene, quella. – ghignò, con una punta di sarcasmo – Dovrei essere masochista per innamorarmi di lei. E’ una rompipalle. »
Shokan sbatté un paio di volte le palpebre. « E’ intelligente, e gentile. »
«Sì, a volte lo è. »
« A volte? » fece, interrogativo. Soul schioccò la lingua contro il palato. « E’ cool. » aggiunse, infine. Il bimbo parve pensarci su un attimo, poi scosse la testolina senza capire.
Infilata la sinistra nella tasca dei pantaloni, l’albino si passò la lingua sui denti appuntiti. « Fatti un po’ i cavoli tuoi, micribo. – sbuffò, ricominciando a schiacciargli le guance con malagrazia – Questo argomento non è per niente figo e non fa per te. »
Maka si sporse dalla cornice della porta, smettendo per un attimo di rimproverare Blair per il macello che aveva combinato in cucina, e lo intimò di lasciare in pace il bambino con uno sguardo omicida. Soul le rivolse un cenno del capo, poi si rialzò, barcollante. “Andiamo ad apparecchiare.”
Il piccino rimase fermo al suo posto, irremovibile.  « Non ti piace? » Allora Soul si vide costretto a sollevarlo ancora una volta di peso, tenendolo stretto sotto il braccio come un sacco di patate. « Non rompere. » Tirò dritto, senza abbassare lo sguardo nonostante Shokan avesse preso a scalciare.
« Non mi piace, ma è mia lo stesso. Tutto chiaro? »
 
Prosciutto e piselli. Un piatto semplice. Evidentemente Blair non la pensava allo stesso modo.
Soul ci era rimasto talmente male che aveva persino smesso di respirare. Sembrava una statua di cera, la forchetta sospesa per aria tra indice e pollice. Non riusciva a mandar giù, non riusciva a sputare. La gatta gli sventolò una mano davanti al naso, stupita, mentre il piccolo Stein osservava il suo piatto con curiosità. « Blair-chan, i miei piselli sono diventati blu. » disse, punzecchiandone uno con circospezione. Maka si massaggiò le tempie, presa dallo sconforto. Erano settimane che Blair si esercitava in cucina, ma era come se ad ogni tentativo il suo livello si abbassasse un po’ di più. Blair li chiamava “esperimenti culinari”, lei “zucchero nella frittata”. Si alzò con malagrazia e si avvicinò al frigorifero. Al suo interno era rimasto poco e niente. Tirò fuori un po’ di prosciutto e una busta di foglie d’insalata. Erano leggermente avvizzite, ma non sarebbero state peggio dei “piselli cangianti” della stregatta. Frugò fino al fondo, il freddo che cominciava a pungerle il naso, riuscendo infine a scovare anche un barattolo di maionese. Non la mangiavano quasi mai, ma non era ancora scaduta. Trionfante, pose tutto sul tavolo della cucina e tirò una poderosa pacca a Soul che finalmente si decise ad ingoiare. « Cos’è stato…? – boccheggiò, gli occhi ancora volti al vuoto – Che diavolo c’era dentro…? » Maka tornò al suo posto e spostò tutti i piatti al centro del tavolino prima che Shokan potesse infilarci il naso dentro, poi estrasse da una busta un grosso pezzo di pane e dei grissini. La gatta la guardò contrariata sporgendosi in avanti, il suo seno enorme proruppe dalla scollatura più che generosa. A quella vista, Soul parve riprendersi dal suo stato di shock. La partner lo guardò con disgusto, mentre Blair continuava a lagnarsi, premendo ancor di più il petto contro la tovaglia a quadretti. « Siete cattivi con Blairucca! »
« Blair-chan vuole ucciderci tutti! » esclamò il bambino con enfasi, le braccia levate al cielo. La gatta si ritirò sulla sedia, accucciandosi con le ginocchia al petto e le orecchie basse. « Uffa, Shocchan, anche tu… » Poi si riscosse, serrando i pugni con convinzione: « Ho usato un po’ di tutto, volevo fare qualcosa di buono! Sono sicura che la prossima volta andrà meglio! »
Maka scosse la testa, vagamente contrariata. Riconosceva l’impegno di Blair, ma aveva seriamente paura di quello che avrebbe potuto fare in questa “prossima volta”.
« Ti aiuterò io. » sospirò infine, carezzandole la testa. Soul le guardò piegando un angolo della bocca all’insù. Prese la micca di pane che aveva di fronte e la tagliò a fette, per poi preparare i panini che sarebbero stati la loro cena.
« Maka-chan, ho sciolto il frullatore. » fece ancora la micia, sorridendo raggiante e Maka si fece di nuovo scura in viso. Strinse forte il bordo del tavolo da pranzo fino a che una porzione del legno si frantumò rimanendole tra le dita. « Anche Black*Star ci era riuscito, quella volta. » aggiunse Soul, distrattamente, porgendo il panino più piccolo a Shokan. La maestra d’armi gonfiò le guance più che poté, rossa in viso per la rabbia e pestò forte un piede per terra; non riusciva a prendere Blair a librate, non sapeva come sfogarsi. Abbassò la testa, ribollendo di collera. Soul le diede un colpetto sulla spalla. « Dai, può capitare. » Lei si sentì di dissentire. « Direi di no. » sibilò, restituendogli il colpo ma in maniera più vigorosa.
« Scusa, Maka-chan. » miagolò Blair, vergognosa. Era insolito sentirla parlare con quel tono di voce, non le si addiceva affatto « Ti preparo una tisana? » La ragazzina ebbe un nuovo sobbalzo e tirò un altro pugno al compagno. Lui incassò, limitandosi ad azzannare il suo panino. « La tengo d’occhio io. »  E glielo allungò fino alle labbra. Maka ne prese un morsetto anche se un brivido lungo la schiena, che tanto somigliava ad un cattivo presagio, le aveva fatto chiudere lo stomaco.
 
 ***
 
 Serate dolci come quella, in ogni caso, erano una rarità.
 




ANGOLO A ME:
 
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Meglio che non dica niente, eh?
Linciatemi!! Siiiiiiiì!
Beh, per il mio compleanno i miei mi hanno regalato una stampante che *tan tan tan* FA ANCHE LE SCANSIONI! Ora la mia vita ha acquisito nuova importanza. Divagazioni a parte... Cosa ne pensate? Spiegatemelo se vi va! Perfavore. E' stato divertente scrivere del piccolo Shokan. Il significato del suo nome è "redenzione". Mi sembrava perfetto per il figlio di Stain e Marie. 
Okay!
Ringrazio NonChiamatemiEvans, SilverSoul, simpo, Sol_chan, Jist, manueos85 e SaraViolet_Chan per aver recensito lo scorso capitolo. Grazie mille per il supporto, siete splendidi.
Una strizzata a chi ha inserito la raccolta tra le storie preferite (Buki_Puntina atomica Vill
, Feliks The Phoenix, Kejra, Maka94, Mana Nakano, NonChiamatemiEvans, robin goodfellow, SaraViolet_ChanSilverSoul, simpo, Swagiraffe, Violet Star, _Alyss_ e _Maka_Albarn_), a chi l'ha infilata tra le ricordate (demon_slayer, mangakagirl e RANFYC) e a chi l'ha pigiata tra le seguite (alte97, CalamityEle, JinxD, Kikyw, Maka 98, pink07, robin goodfellow, SilverSoul, Sol_chan, urara98, Willow Black, _Auro chan_, _Branwen_ e _Kazuha_Takumi_). Se qualcuno dovesse aprirla per errore, sia gentile...dia un occhiata. Lo apprezzerei davvero.
Grazie a tutti per esserci sempre.
APPRESTOOOOOOO!!

 
scythemeister_MakaAlbarn

 


 

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