Questo strano mostro innamorato

di barby_164
(/viewuser.php?uid=583781)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Risveglio ***
Capitolo 2: *** Posseduta da ciò che sarà ***
Capitolo 3: *** La mia salvezza ***
Capitolo 4: *** Effetti collaterali ***



Capitolo 1
*** Il Risveglio ***


Corpi sudati, respiri affannati e mani che toccavano troppo audacemente per i miei gusti. Il calore era insopportabile e anche solo fare un passo era un impresa. 
Dovevo andarmene da lì, non mi piacevano le festa ma non volevo passare sempre per l'asociale e malgrado la mia repulsione per attività così mondane ero stanca delle critiche altrui. 
Mi spinsi fuori dal cumulo di gente che si dimenava e rideva, ubriachi se non drogati, drogati dall'atmosfera. Per una notte selvaggia tutto era concesso. 
Mi feci largo tra le coppie appostate nei margini dell'improvvisata pista da ballo, circondata da possenti e imponenti alberi.
Mi addentrai tra la fitta vegetazione, tra sempre verdi pungenti e foglie ruvide e secche. Più mi allontanavo più il senso di oppressione svaniva sostituito da respiri sempre più lunghi e sentiti. Di notte il bosco non sembrava poi così spettrale come si immagina, si sentivano rumori di animali e in lontananza si intravedevano delle lucciole che volavano tranquille nonostante il rimbombo della musica. Camminai per altri dieci minuti con l'intenzione di lasciarmi dietro quegli adolescenti con gli ormoni impazziti e il suono penetrante che osavano chiamare musica. 
Dopo quei minuti, i rimasugli della festa erano lievi e facilmente trascurabili, mi sedetti sotto a un pino e osserva la luna oscurata da un lato, guardai le stelle e cercai di riconoscerne qualcuna. 
Non so per quanto tempo restai lì, ma ricordo bene la sensazione di essere osservata, che io ingenuamente ignoravo.
I rumori, inizialmente, erano impercettibili poi si fecero sempre più vicini e frequenti: sentivo rami spezzarsi, passi veloci alle mie spalle o le foglie degli alberi che si muovevano nonostante l'assenza di vento. Rimasi congelata, ferma sotto il mio albero incapace di muovermi come se la paura mi avesse bloccata completamente, eppure non era quello, una forza, troppo grande per me mi teneva ancorata a terra, senza possibile resistenza. 
Passarono interminabili minuti in cui la pesantezza di quel blocco si faceva sempre più sentire, aderivo al terreno perfettamente, la mia vista piano piano si stava offuscando ma abbastanza lucida da vedere un ombra grossa e slanciata venire verso di me. Tutto di quell'ombra incuteva timore e agitazione: il suo passo lento, quasi sadico; i suoi movimenti agili e fulmini nel spostare le fronde degli alberi e quasi sembrava che volasse sul terreno umido e profumato. In men che non si dica la figura si fermò su di me, non riuscivo a vederne il volto ma intravedo una specie di cicatrice a forma di morso sulla sua mano, anzi una ferita, ancora aperta, ricoperta di pus e sangue che mi fece venire il volta stomaco. 
Piano piano, senza fretta si piegò, sentii il suo respiro accarezzarmi il collo procurandomi brividi di terrore, sentivo le sue mani callose ma al contempo delicate spostarmi i capelli dalla gola, proprio dove mi pulsava la vena principale, che in quel momento stava pompava sangue all'impazzata. Sentii le sue labbra morbide scorrermi sul collo, la sua lingua secca leccarmi proprio la vena e poi... Un dolore atroce mi colpì. Non potevo urlare, ero bloccata. Sentivo i suoi denti squarciarmi le carni e succhiare avidamente il sangue, l'adrenalina non mi stava aiutando ad alleviare il dolore anzi ero cosciente di ogni suo movimento violento e possessivo. Il dolore era straziante, sentivo la gola tormentata da quella cosa pulsare e colare sangue sulla mia pelle, impegnandomi i vestiti. Il mostro continuava a dissetarsi e io diventato sempre più debole e poco lucida ma nello stesso tempo sentivo qualcosa crescere in me, smuovermi non solo le viscere ma la parte più nascosta dall'anima. Piano piano riuscii a prendere il comando del mio corpo, prima un dito poi l'intera mano. La creatura non se ne accorse era troppo presa dal suo pasto. In poco tempo riuscii a muovere un braccio e con estrema lentezza cercai qualcosa intorno a me per colpirlo, le mie mani giunsero a qualcosa di ruvido: un paletto di legno. Ci strinsi intorno le mani con forza e con i rimasugli di forza vitale conficcai il pezzo di legno in mezzo alle costole del  predatore. Un urlo acuto e lacerante ruppe il silenzio creatosi. L'ombra schizzò via gocciolando sangue nero come la pece.
L'ultima cosa che ricordo è il viso di un ragazzo sfuocato che mi cingeva le spalle con un braccio e con l'altro mi prendeva sotto le gambe. Poi tutto nero, tranne per una piccola luce che mi teneva ancorata alla mia vita.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Posseduta da ciò che sarà ***


Il mondo vorticava velocemente e la confusione si impossessava della mia mente, con maggiore impeto ogni secondo che passava. Percepivo due braccia che mi portavano. Non sapevo chi fosse, ma non avevo ne la forza ne la lucidità di difendermi, nel caso fosse necessario, ma nonostante questo mi sentivo al sicuro. Dalle palpebre semi chiuse osservavo quell' uomo, oppure ragazzo che mi portava in salvo o alla mia morte. Sentivo ancora il sangue scorrermi dal collo, impregnarmi la maglietta che un tempo era bianca. Il rosso scarlatto macchiò la mia maglietta e come inchiostro su un panno, si dilatò trasformando gli intricati fili del capo in un tessuto pregno di sangue. Facevo fatica a respirare e ogni volta che riempivo i polmoni sapevo che non entrava abbastanza aria, i miei respiri erano veloci e smorzati. Rantolavo in cerca di aria, quando ne avevo abbastanza intorno a me. Tutto mi sembrava un sogno, anzi un terribile incubo; non poteva essere. Non si veniva aggrediti solo nei film? Come quei stupidi Horror, dove la sciocca biondina veniva uccisa dall'assassino dopo la fatidica, e stupida, domanda " C'è nessuno?". Eppure io non avevo fiatato, era accaduto così tutto in fretta che la mia mente aveva faticato a inquadrare bene il mio assalitore, inoltre penso proprio che mi abbia indotta ad allucinazioni. Anche se io non avevo assunto droghe. Cos' era quella cosa nel bosco? Come ha fatto a bloccarmi senza muovere un dito? Cosa mi ha fatto?

Tutto quel pensare mi fece perdere i sensi per pochi secondi, sembrava che lo sconosciuto camminasse da un eternità. Mi sentivo debole e sempre più sospesa tra la vita e la morte. Mi immaginai su un sottilissimo filo, che percorrevo barcollante. Sotto di me si estendeva un abisso nero, che ribolliva nel putridume. Vedevo occhi e tentacoli, corna e zampe. Quel filo era la mia salvezza. Non volevo cedere così, ma era come se il fondo infinito mi richiamasse. Come se abbandonarsi sarebbe stato più facile che lottare. E così restai per molto tempo: sospesa. Tra momenti di instabilità, dove vedevo tutto confuso e pauroso. E altri dove il cuore pompava disperato e con tutta la volontà mi ancorava a quel sottile filo.

Sballottata su e giù vedevo il paesaggio intorno a me. Ero ancora nel bosco, ma la vegetazione si era fatta più fitta, sentivo un forte odore di pino. Seguivamo un sentiero stretto e sassoso, che però l' individuo percorreva con estrema abilità. Dopo un po' di tempo, arrivammo in una casa. Ormai la mia vista si alternava a momenti di nero totale a contorni offuscati.

Piano piano sentii una porta aprirsi e qualcuno fare un verso di stupore, prima che potessi capire chi fosse venni posata su un soffice letto e per un attimo pensai di addormentarmi. Sentii delle voci, troppo confuse per capirne il senso, afferravo parole a caso; come trovata, sangue e morta. Le ultime due non furono molto rasserenanti e inizia a agitarmi. Un contorno sfuocato che appariva alto e slanciato si avvicinò al letto.

- Oh no bambina mia. Non muoverti, non farai che peggiorare la situazione-

- È un miracolo che sia ancora viva- disse il presunto uomo

Bambina mia? Ancora viva? Chi sono questi e cosa vogliono?

Inizia a sbiascicare qualcosa che assomigliava a: bascia, bascia. Ma tutto ciò che ottenni fu una carezza dalla donna. Con pazienza quasi disarmante si alzò e lentamente mi scostò e capelli incrostati di sangue per metà secco dal collo. Con lentezza esaminò la ferita, che a me non procurava più alcun dolore.

- Non ce la farà. Il morso ha raggiunto una vena. E se quello che l'ha aggredita è chi penso che sia non riuscirà a sopravvivere. Tutto quello che possiamo fare è aspettare e starle accanto-

Cosa? Non voglio morire, non voglio. Iniziai ad agitarmi ancora di più

- Vivian per favore la spaventi. Ora spostati per cortesia.-

Confusa la signora rese il suo posto al mio salvatore, che mi prese una mano.

D'un tratto sentii una sensazione nella parte più profonda dell'anima, come se qualcuno si fosse agganciato e sentii una voce riecheggiarmi nella testa.

Vuoi vivere?

Con tutta la forza che avevo annuii convinta.

- Ronald, no!-

- La scelta è sua, moglie! Ha avuto l'opportunità di una seconda vita, perché toglierla?-

- Non è una scelta, è una maledizione-

Come se la moglie non avesse parlato continuò il mio colloquio mentale

Anche se questo può voler dire diventare qualcosa di strano e... La sua voce mentale si incrinò inaspettato?

Esitai un attimo, non sapevo che cosa mi avessero offerto. Ero costretta a scegliere il buoi dubbioso e il buio eterno.

Cosa intendi dire? Pensaii e ovviamente lui recepì.

Non c'è tempo di spiegazioni, scegli!

La sua voce nella mia testa era molto forte e l'ultima parole tuonò.

Non sapevo cosa fare, nel contempo sentivo una brutta sensazione farsi largo nel suo corpo. Non sapevo se era data dalla scelta o del mio mal essere. D'improvviso, senza nessun minimo di preavviso tutto divenne nero, le palpebre si rifiutarono di rialzarsi e sentivo il cuore accelerare al massimo... Fino a quando non sentii più niente se non una leggerezza strana e mistica. Chiusi lentamente gli occhi, la mente. Rilassai il corpo e feci un ultimo respiro. Poi il nulla.

Spalancai gli occhi terrorizzata. La mia bocca era colpa di un liquido ferroso e denso che mi fece aumentare la sete violentemente. Succhiai avidamente da ciò che mi nutriva. Piano piano vidi i due volti di prima, ma più nitidi. Alla mia destra un uomo con capelli neri come pece e occhi azzurro zaffiro pigiava il suo polso sulla mia bocca. Con orrore mi resi conto di star bevendo sangue ma nonostante questo non mi ritrassi. Guardai l'uomo attentamente, aveva una bellezza quasi eterea: zigomi alti e affilati, occhi profondi e grandi. Invece la donna, portava i capelli legati in una coda bionda, che luccicava alla luce della lampada. Aveva dei piccoli occhi neri che però erano molto vivaci e come l'uomo aveva una bellezza disarmante.

Una goccia di sangue mi scivolò sul mento e mi accorsi, con un misto di orrore e rammarico, che l'uomo aveva allontanato il polso, premendo con l'altra mano il punto del taglio. Tutti e due mi fissarono come una cavia da laboratorio e provai una sensazione di vergogna mista a stupore. Prima che potessi dire qualcosa mi venne un forte giramento di testa e senza dire nulla, dopo quella sconcertante azione svenni in quel letto macchiato di sangue.

Mi starò svegliando da questo folle incubo?

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La mia salvezza ***


I suoi occhi cristallini mi guadavano attenti, mi scrutavano l’anima come mai nessuno. Vedevo le sue iridi muoversi velocemente famelico della mia immagine, mi passava sul corpo con lo sguardo, per poi soffermarsi  sul mio viso stravolto. 
Io l’osservavo rapita e attratta. La sua figura si stagliava tra gli alberi del parco con i raggi del sole che si nascondevano tra le fronde dorate, tante piccole chiazze di luce lo ricoprivano, illuminavano i suoi capelli d’ebano, gli occhi verdi prato che riuscivo a vedere anche a distanza, il suo viso era il prototipo di bellezza: zigomi alti, labbra piene quasi imbronciate davano al viso qualcosa di etereo eppure affascinante. 
Ero inevitabilmente attratta da quel ragazzo, ogni cosa di lui mi piaceva, ma più di tutti il suo battito del cuore: calmo e regolare pompava sangue in quel meraviglioso corpo. Sentivo il suo respiro sfiorargli le labbra, i denti che mordevano l’interno guancia e le mani che si stringevano sempre di più nelle sue tasche. 
Con calma non curante del dolore mi avvicinai piano, come una bestia feroce con la sua preda. Calma e con grazia mai avuta mi avvicinai quasi avessi paura di spaventarlo come un piccolo coniglio
Sarebbe un sexy coniglio. Pensai di sfuggita
Arrivata a pochi passi da lui mi accorsi di quanto fosse alto, sentivo il suo respiro sulla fronte che mi faceva lievemente sollevare i ricci. Sentii il suo odore intenso, di mare e montagna messi insieme, di cielo e terra; tutto in lui. Qualcosa di inebriante che mi travolse totalmente, per un attimo tutto il dolore si attenuò e mi sembrò che in quel bosco ci fossimo solo noi. Lui mi fissava e io ricambiavo, ci scrutavamo aspettando una mossa non si sa di chi... 
Iniziavo a essere un po ‘ in imbarazzo mentre l’istinto di prima scemava via, lontana dalla situazione.  Così mi ritrovai a fissarmi le punte delle scarpe. Con un filo di voce gli chiesi: 
– Chi sei?-
Rialzai un poco lo sguardo per vedere le scolpite labbra pronunciare un sussurrato e a mala pena percettibile
-Baciami -
- Cosa scusa?- Restai interdetta dalla parola uscita da qual patrimonio dell’Unesco.
Da lui non ci fu più risposta, restò lì con gli occhi verdi puntati su di me in muta attesa. 
Sì, ma di cosa? 
Ad un tratto con un gesto veloce prese il mio viso tra le mani e si avvicinò a me annullando ogni centimetro tra noi, sentivo le sue labbra secche ma incredibilmente morbide premere sulle mie, le  mani che si spostavano verso i miei fianchi. Mi attirò più vicino al suo corpo facendolo aderire perfettamente al mio, sentivo il suo cuore battere più veloce preso dalla foga del momento. 
Il nostro bacio si fece più forte, le nostre lingue si cercavano, mentre le sue mani mi stringevano delicatamente i fianchi ma ben salde da tenermi ancorata a lui. Non sapevo che cosa fosse successo al ragazzo ne a me, me ne stavo lì presa dal suo dolce e focoso bacio senza pensare che era uno sconosciuto. Ero tutta concentrata a sentire le sue labbra, le sue mani, il suo cuore  e il suo sangue scorrergli nelle vene, impetuoso come un mare in tempesta. Così trascinata da quei pensieri riniziò a farmi male la bocca, sentii qualcosa spuntarmi dai denti, fu così doloroso che serrai di colpo la mascella procurando un piccolo buco sulla lingua di lui. D’improvviso il sangue mi invase la bocca, un sapore ferroso ma incredibilmente buono. Tutti gli instinti in me in un attimo si attivarono, senza pensarci saltai addosso al ragazzo e con ferocia immersi la mia testa verso il collo. A pochi centimetri di distanza, le forti mani dello sconosciuto mi allontanarono delicatamente prendendomi da dietro, io in preda alla furia animale, inizia a scalciare e a dimenarmi, nel mentre lui restava impassibile e calmo abbracciato alla mia vita. Dopo molti minuti mi calmai e i denti si ritrassero, ritornai in me. Insieme alla mia lucidità arrivo la consapevolezza del mio gesto e presa dalla disperazione iniziai a piangere ancora tra le braccia del ragazzo. Così con il sopravvento della mia nuova natura, come un fiume in piena gli avvenimenti della sera precedente mi travolsero. Ricordai ogni cosa, il sangue, il mostro le sue viscide labbra su di me... scossa dai singhiozzi rabbrividii.
Cosa sono diventata Dio mio? Cosa?
-Shh, è normale. Non preoccuparti saprai contenerti. Te lo insegnerò se me lo permetterai- Mi sussurrò all’orecchio.
-Non so neanche chi sei, potresti essere proprio tu ad avermi fatto questo, se no come potresti essere così calmo?- 
Non capivo come quel ragazzo fosse rimasto impassibile di fronte a ciò che stavo per fare, non capivo come non se ne fosse andato via scappando e urlante. Non capivo perché mai mi ha baciata.
Tutto questo si aggiungeva alla grande confusione che avevo in testa. 
Però, tra tutto spuntava un unica e cruciale domanda.
Cosa sono io?
-Fidati di me. Ho visto dentro di te, so che sei buona. So che riuscirai a controllare la sete-
Una grande sete, oserei dire.
-Non posso essere salvata, mi hanno trasformata in un mostro. Non sono più Malia, sono soltanto un fottuto mostro-  le lacrime ripresero a sgorgare. Pensai alla mia famiglia, alla mia migliore amica, alla mia vita. Tutto andato distrutto, volato come un castello di sabbia sotto una tempesta. Non sapevo cosa fare, dove andare o chi ero.  Questo mi faceva paura, non avevo più un posto nel mondo!
- Malia guardami!- Mi voltai verso di lui piano col timore che l’instinto mi portasse ancora ad azzannarlo.
- Tu non puoi dire questo, essere ciò che sei tu è una maledizione, sì. Ma sta a te non farla prendere possesso di te stessa. Tu non sei il mostro, tu sei Malia. Non abbatterti, lotta per la tua vita, per ciò che sei ancora!- 
Lo fissai in silenzio, incapace di proferire parole. Più lo guardavo, più mi fidavo di lui. Vedevo all’interno del suo essere, sentivo il suo odore, qualcosa di buono, qualcosa di positivo. Mi fidavo, nonostante il nostro strano incontro. Tutto in quegl’ ultimi giorni era stato strano, e lui,forse, era l’unica cosa positiva accaduta. 
Non curante della mia coscienza che urlava “ è UNO SCONOSCIUTO!” gli gettai le braccia al collo e lo abbraccia come mai nessuno. Piansi, piansi tanto da bagnargli la maglietta. Ma lui non se ne preoccupava se ne stava immobile, col fiato che mi scaldava la testa e le sue grandi mani che mi stringevano a lui.
Dopo parecchi  minuti mi riscossi un po’ dal crollo e timidamente, con un leggero sorriso gli chiesi:
-Come ti chiami?-  
Lui sorrise di rimando, illuminando il suo bellissimo volto e rendendolo ancora più attraente.
-Gabriele, mi chiamo Gabriele.-

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Effetti collaterali ***


Aprii lentamente le palpebre, accettata dai raggi del sole che entravano prepotentemente dalle finestre, oltrepassando la candide e trasparenti tende per finire sul mio volto. Sentivo le morbide e profumate lenzuola nere sfiorarmi le labbra secche e rotte, dei piccoli tagli bruciavano al passaggio della mia lingua. Scostai piano piano la coperta rendendomi conto dello stato del mio corpo: sentivo le membra indolenzite e rigide, doloranti. Oltretutto al mio stato fisico si aggiungeva una strana inquietudine che mi faceva pesare il corpo, come se la forza di gravità avesse aumentato il suo impatto. Inquietudine mista a paura. Pensai che queste brutte sensazioni fossero legate a qualche incubo fatto stanotte, ma non me lo ricordavo, restavano solo queste ombre di sensazioni che mi intimorivano, una sensazione che penetrava le ossa. Era perplessa nel costatare l'effetto dell'eventuale incubo.


Ancora un po'confusa ripercorsi la serata di ieri: ero andata alla festa, avevo ballato con degli sconosciuti ed ero tornata a casa barcollante con l'alcol che mi scorreva nelle vene. Eppure c'era qualcosa che mancava, come i pezzi dei puzzle che facevo da bambina, puntualmente perdevo un pezzo e senza quello il quadro non era completo. Ci sono frammenti tra un ricordo e l'altro di immagini sfocate e tremolanti, che non riuscivo a inquadrare bene.


Forse ho bevuto troppi shot. Pensai poco convinta.


Lasciai scivolare via le sensazioni e lascia sgombra la mente, libera dal disagio e dalla confusione, concentrandomi solo sulla nuova giornata.


Mi alzai dal letto velocemente guardando l'ora sul cellulare.


7.15


Ero in ritardo di un quarto d'ora, tra poco sarebbe arrivato il pullman e io l'avrei mancato. In fretta e furia mi andai a lavare e vestire.


Quella mattina ciò che non notai furono due piccoli fori alla base del collo, rossi e secchi che sembravano due piccoli chiodi d'Ebano incastonati, che però, molto presto sarebbero spariti.


***


Quando arrivai a scuola Giulia mi raccontò della sua serata alla festa, di come aveva baciato passionevolmente un tizio e, con tono malizioso, la svolta piccante della situazione. Con un'interpretazione degna di un oscar, sorrisi e feci commenti sulla sua avventura, ma nonostante la mia apparente attenzione la mia mente era in tutt'altra parte: la causa del mie pensieri era una strana sensazione che si faceva largo in me, mi annebbiava la mente, mi pizzicava gli arti e mi rendeva debole. Mi faceva sentire come se quello non fosse il mondo reale. Così continuai questa pantomima per tutto il suo racconto, mentre dentro stavo sempre più male. Mentre fuori tutto era spaventoso.


Per tutta la giornata continuai a trascinarmi da una lezione all'altra, respirando aria all'intervallo e standomene tranquilla al mio banco. Giulia non aveva neanche fatto caso al mio malessere, era troppo eccitata per la sua fugace avventura. Non me la presi, in fondo non la stavo realmente ascoltando. Ma era felice, questo mi faceva sentire un briciolo bene. Era una cosa equilibrata.



Il peggio, però, arrivò all'ultima ora.


I primi sintomi si manifestarono leggermente e silenziosamente, tanto da non sentirli. Però col tempo iniziarono a farsi sentire e più cercavo di respingerli più crescevano. Per primo ci furono delle vertigini, che mi minacciavano di buttarmi a terra, poi si fecero largo la nausea e il martellante mal di testa che procedeva a pari passo col mio cuore, un suono forte e assordante che mi riempiva le orecchie. Con una scusa uscii dalla classe e senza guardarmi indietro imboccai un lungo corridoio. Volevo andarmene da scuola, sentivo le voci dei professori nelle altre aule fare lezione e anche i bisbigli degli studenti poco attenti. Il tutto mi arrivava alle orecchie con estrema chiarezza. Il gocciolio di un rubinetto, il ticchettio di un orologio, lo sfarfallio della luce sala professori. Avrei voluto urlare o , nel caso estremo, farmi scoppiare la testa. Correndo a perdi fiato uscii dal cortile, evitando le bidelle che spettegolavano sui professori, coloro che avevano avuto un futuro con più successo. Non fecero neanche caso a me, e io camminavo imperterrita nella mia folle corsa, il mondo era un vortice indistinto di colori intensi e voci che si sovrapponevano, tutto il mondo era un caleidoscopio. Colori, immagini e forme distorte come in un bicchiere d' acqua. Non sapevo dove andare ne cosa fare. Corsi, corsi più lontano possibile. Non vidi neanche dove stavo andando, pensavo solo ad allontanarmi dal quelle orribili allucinazioni. Così finii nel grande parco vicino a scuola, lì l'aria era fresca e i rumori che si sentivano anzi che io sentivo, erano quelli degli uccelli o altri abitanti della natura indaffarati. Col fiato corto raggiunse una quercia e senza fare tante cerimonie mi accasciai a terra, respirando terra e ossigeno. Cercando di calmare il respiro, ma soprattutto di calmare l' orribile pulsare della sua testa.


Il tempo si dilatò, in quel posto persi la cognizione del tempo. Poteva essere ancora mattina o mezzogiorno, oppure un pomeriggio particolarmente luminoso. Non lo sapevo da quanto ero accasciata sotto a quell'albero, ne come la mia condizione fosse peggiorata. Ora vedevo le cose incredibilmente bene, riuscivo anche a distinguere i distinti granelli di terra. Tante piccole parti di un unico grande insieme, ogni parte occupava uno spazio e aveva la sua importanza. Così me ne stai: incantata ad osservare ciuffi d'erba, granelli di polvere e le piccole formiche indaffarate. Non sapevo neanche cosa mi avesse risvegliato da quel coma osservatorio. Ma all'improvviso le gengive iniziarono a dolermi e le vene pulsavano come in un radar con un nuovo soggetto.


Alzai lo sguardo confusa de quello strano richiamo e vidi un ragazzo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3208658