L'Assassina

di Royce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mani Legate ***
Capitolo 2: *** Bicchiere della staffa ***
Capitolo 3: *** Fratelli e Sorelle ***
Capitolo 4: *** Una Pessima Annata ***
Capitolo 5: *** Imprevisto ***
Capitolo 6: *** Gli incidenti capitano ***
Capitolo 7: *** E' il tuo funerale ***
Capitolo 8: *** La mia Miglior Nemica ***
Capitolo 9: *** Triplo Gioco ***
Capitolo 10: *** Nessuno Resta Indietro ***
Capitolo 11: *** Onora tua Madre ***
Capitolo 12: *** Un cadavere, della magia ed un pizzico di creatività ***
Capitolo 13: *** Escalation ***
Capitolo 14: *** Punto di Non Ritorno ***
Capitolo 15: *** Sorelle di Sangue ***



Capitolo 1
*** Mani Legate ***


Capitolo 1

Mani legate

 

Prigioni della Città Imperiale, Middas, 22esimo giorno di Metà Annata, 3E 229

 

Un colpo sordo proveniente dal corridoio costrinse Alessa a svegliarsi di colpo. Una porta era appena stata chiusa violentemente e due guardie si stavano facendo strada tra le celle, sbuffando e gesticolando animatamente. Giunti davanti alla sua cella, si fermarono.
- Svegliati, stellina – Disse uno, sorseggiando una bottiglia di vino – Il capitano vuole parlarti -
L'altro continuava a girare e rigirare la chiave nella serratura, apparentemente bloccata. Dopo qualche imprecazione di troppo, riuscì finalmente ad aprirla con una forte spallata.

Nella cella, una giovane bretone dai capelli biondi si alzò con aria svogliata. Sapeva già cosa l'aspettava: un lungo interrogatorio con il capitano della guardia, desideroso di sapere tutti i retroscena della sua vita criminale. Alessa non aveva problemi nel parlare e rivelargli tutto: lei sapeva già che lì dentro, in quelle prigioni, ci avrebbe trascorso il resto della vita, a prescindere dall'esito di tale incontro. Ma non aveva comunque voglia di sorbirsi tutta quella trafila, fatta di domande scontate, risposte umilianti, formalità e documenti da compilare. Voleva solo restarsene lì, sdraiata a pensare e a godersi gli occasionali tramonti da quella piccola finestrella sul lago Rumare.

Non fece neanche in tempo ad alzarsi, che la prima guardia l'aveva già afferrata per le manette e spinta violentemente verso di lui. Alessa recuperò a stento l'equilibrio e iniziò a seguirlo, mentre si spostavano lentamente lungo il corridoio.
- Ne avremo per molto? - chiese lei, sbuffando.
- No, tranquilla – rise l'altro, continuando a sorseggiare quella impolverata bottiglia di vino – Tra poco sarai a farti di Skooma sulle spiagge di Anvil con i tuoi amichetti – Il tono era chiaramente ironico.
Giunsero davanti ad una porta di legno. La guardia nascose rapidamente la bottiglia di vino su uno scaffale vicino, poi bussò rapidamente. Dopo pochi secondi, la porta si aprì: un'altra fece loro cenno di entrare. La stanza era molto piccola e scarsamente illuminata. Vi era solo un tavolo di legno ed un paio di sedie alle due estremità. Alessa fu fatta sedere di forza, poi le vennero tolte le manette.
- Potete lasciarci soli, adesso – disse la guardia ai due carcerieri - Tornate alla vostra ronda di pattugliamento -

I due sbuffarono ed uscirono brontolando. La porta si chiuse violentemente dietro di loro, lasciando cadere a terra una copiosa quantità di polvere.

Alessa iniziò a squadrare il soldato che era rimasto nella stanza con lei: era alto, non proprio muscoloso, sulla quarantina. Vestiva un'armatura completa, con una lunga spada d'argento rinfoderata sulla schiena. Stava frugando in una cassettiera dall'altra parte della stanza, dando le spalle ad Alessa. Quante volte nella sua vita era stata in questa situazione: una potenziale vittima le stava dando le spalle, doveva solo avvicinarsi in silenzio ed avvicinare la lama alla sua gola. Sentì una strana sensazione di dejà-vu mista ad esaltazione, ma svanì subito quando si rese conto che non solo le mancava il suo pugnale, ma che era anche circondata da una mezza dozzina di guardie poco fuori quello stanzino.

- So cosa stai pensando, non è una buona idea cercare di aggredirmi – Disse l'altro senza voltarsi, quasi come se fosse in grado di leggerle il pensiero. Evidentemente conosceva bene il suo curriculum.
- Ah eccolo, finalmente – tirò fuori un libro e lo appoggiò sul tavolo.
- Oggi mi racconterai tutta la tua vita, che tu voglia o no. E ti conviene farlo rapidamente. Stasera ho puntato forte su un combattimento all'Arena e non me lo voglio perdere per nessun motivo -
Alessa lo fissò freddamente senza dire nulla. Lui ricambiò lo sguardo in silenzio, poi accennò un sorriso.
- Ma dove sono le mie maniere, non mi sono presentato. Il mio nome è Galtus Cassiana. Sono il vice comandante della guardia cittadina della città imperiale, nonchè l'unica persona in grado di salvarti. A meno che tu non voglia passare il resto della tua vita, qua dentro. Cos'avrai? Venticinque, ventisei anni, forse? -
- Ventiquattro -
- Ecco. Pensa a quanto hai ancora da vivere -
Alessa sbuffò, guardando altrove, mentre Galtus preparava penna e calamaio accanto al libro.
- E come potresti aiutarmi? - disse lei inflessibile, continuando ad evitare il suo sguardo.
- Sono un uomo di parola. Se tu mi dici tutto su di te, sulla tua storia, sui tuoi "fratelli e sorelle", io ti lascio andare. Ti forniremo una nuova identità, un nuovo lavoro, una nuova casa. E' questo quello che vuoi, no? Una nuova vita? Per questo mi hai fatto chiamare. -

Alessa lo squadrò per qualche secondo. Stava chiaramente bluffando, ma la proposta era allettante. Pur essendo bretone, non era mai stata nella sua terra natale di High Rock. Fin da bambina aveva fantasticato su come sarebbe stato vivere lì.
- Allora? Forse hai delle remore morali? Strano, per un'assassina -
- Remore morali? Ah! - sbuffò lei sorridendo – La Confraternita non sa che sono stata catturata, loro mi danno per dispersa. Non dovrai sforzarti per farmi parlare, Galtus. Non ho alternative migliori purtroppo -
Galtus Cassiana, visibilmente sollevato dall'inaspettata risposta, si rilassò e impugnò saldamente la penna, intingendola nel calamaio.
- Iniziamo dall'inizio, va bene? - disse lui – Se non sbaglio, gli agenti della Confraternita rintracciano chi ha compiuto un omicidio per proporgli di unirsi a loro. Qual è stato il tuo primo assassinio? -

Alessa sospirò. Poi iniziò a raccontare la propria storia.

 

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Capitolo 2
*** Bicchiere della staffa ***


Capitolo 2

Bicchiere della staffa

 

- Cominciamo dall'inizio. Come sei stata contattata dalla Confraternita? -
- Dopo il mio primo omicidio. E' questa la procedura -

- Questo lo so già, Alessa. Raccontami come è avvenuto -
- Avevo diciotto anni, era una sera di Focolare. Ho combinato un bel trambusto nella Città Imperiale quella volta. Sono sicura che ci sarà scritto da qualche parte in quel bel taccuino che hai davanti -
- Ma io lo voglio sentire raccontato dalla tua candida voce, Alessa. Lo sai -
- E va bene. Ecco come andarono le cose -


Locanda Vento di Ghiaccio, Città Imperiale, Focolare 15, 3E 222

 

- Alessa, quei due signori al tavolo vogliono dell'idromele e dei rotoli dolci. Prendili dalla cantina e portaglieli, in fretta. Stasera mi sembri più stordita del solito -
La bretone lasciò cadere lo straccio con cui stava pulendo il pavimento e obbedì all'ordine del suo superiore, nonchè titolare della Locanda, un certo Vigge Thorald. Alessa lavorava per quel Nord già da diverso tempo: è stato l'unico lavoro che era riuscita a trovare in città, avendo scartato a prescindere l'idea di offrirsi come carne da macello all'Arena.

Quella sera la locanda era più affollata del solito: Vigge aveva deciso di ingaggiare un bardo proveniente da Skyrim. Si faceva chiamare "Hans Lo Stonato", ma nonostante ciò era un'attrazione per qualunque città. Attualmente era impegnato in una sorta di tour; prossima tappa: Kvatch. In realtà era più apprezzato per il suo fare sgangherato e goffo che per le sue effettive doti canore, delle quali Alessa dubitava fortemente. Infatti, Hans era già mezzo ubriaco a sproloquiare sul palchetto allestito per lui, tra gli applausi e le risate del pubblico.

C'erano anche altri due ospiti di eccezione quella sera: due nobili di Cheydinhal, Remain Carvain e Vittoria Nonius. Per questo Vigge era più agitato del solito. Quei due, con aria elitaria ed orgogliosa, erano seduti attorno al tavolo più spazioso della sala, riservato per loro. Sembravano parecchio delusi e disgustati dalle scadenti prestazioni del bardo: forse si aspettavano un intrattenimento più "nobile" e, invece, si dovettero accontentare dei beceri divertimenti dei bassi fondi della Città Imperiale. Per loro fortuna, non sarebbero rimasti a dormire: dopo aver cenato, se ne sarebbero andati in qualche altra locanda più costosa, magari vicino a Talos Plaza.
Alessa, nel mentre, si era defilata al piano di sotto in cerca di quell'idromele. Trovò una bottiglia un po' impolverata, ma comunque in buone condizioni. Risalì rapidamente le scale, raggiunse il bancone e iniziò a preparare il vassoio. Nel mentre, Hans Lo Stonato aveva invitato sul palco una Khajiit: le stava improvvisando una sorta di canzone d'amore, mentre il pubblico continuava ad incitarlo lanciandogli rose e monete d'oro.

- Allora? L'hai trovato il Brandy? - Si avvicinò Vigge.
- Brandy? Mi avevi detto di prendere l'idromele. - rispose confusa Alessa, smettendo di colpo di riempire il calice sul vassoio.
Vigge scosse la testa, visibilmente deluso ed irritato.
- Pensi davvero che quei due nobili si abbassino a bere dell'idromele? Che ti succede, cara? Hai la testa fra le nuvole stasera -
- Mi avevi chiesto dell'idromele, Vigge. Idromele. Non sono stupida e neanche sorda. E comunque il Brandy non ce l'abbiamo, non l'abbiamo mai neanche servito. Non ti ricordi che faccia hai fatto a quel fornitore quando ti disse il prezzo di una botte di Brandy Cyrodiilico? -
- Forse hai ragione, cara mia. Forse hai torto – rispose lui, sospirando. Poi si voltò verso quei due – Fatto sta, che loro ci hanno chiesto del Brandy. E non so se si accontenteranno dell'idromele. Ma visto che hai combinato tu questo pasticcio, sarai tu a pensarci, signorinella-

Alessa non si soffermò neanche un istante a pensare per quale strana congettura mentale quella spiacevole situazione fosse colpa sua: afferrò il vassoio e si diresse verso i due nobili.
I due erano in religioso silenzio, composti, chiaramente non a proprio agio in quell'ambiente umile. Alessa appoggiò il vassoio sull'unica porzione di tavolo libera e, con professionalità e freddezza, poggiò prima i bicchieri di fronte ai due, poi la bottiglia ancora mezza impolverata.
- Mi dovete scusare, signori, ma abbiamo esaurito le scorte di Brandy. Per vostra fortuna, abbiamo ancora dell'ottimo idromele. Offre la casa -
I due fissarono disgustati la bevanda, senza neanche toccare i bicchieri. L'uomo, Remain Carvain, mantenendo la propria compostezza passò un dito lungo la bottiglia, raccogliendo una discreta quantità di polvere, per poi mostrarla ad Alessa in cenno di sfida.
- Cosa sarebbe questo schifo? - Chiese.
Alessa aveva un unico punto debole: i clienti scontrosi. Proprio non ce la faceva a mantere la calma di fronte a loro. Infatti, si stava già agitando. Nella sua testa ronzavano migliaia di possibili risposte, molte delle quali non adatte ad una signorina.
- E' normale che un po' di polvere si sia depositata nei bordi. Nessuno si è mai lamentato prima d'ora -
Remain scoppiò a ridere, voltandosi verso la sua compagna in cerca di approvazione. Lei sorrise a sua volta, in maniera più contenuta. Poi Remain si alzò in piedi, squadrando Alessa dall'alto verso il basso. Il suo alito era veramente pesante e non sembrava essere pienamente sobrio. Evidentemente aveva già bevuto parecchio prima di fermarsi alla locanda.
- Ascoltami bene, tesoro – Le disse, scandendo bene le parole con fare intimidatorio – Io ho chiesto del Brandy. E del Brandy otterrò. Altrimenti, farò in modo che questo locale chiuda entro la fine della settimana. Intesi? -
Alessa abbassò lo sguardo e rispose di sì, sottovoce. Doveva cercare di assecondarlo, per evitare problemi. Fece per riprendere vassoio e bicchieri ma Remain non voleva saperne di spostarsi: se ne stava lì fermo, tra lei ed il tavolo e la fissava in cagnesco.
- Con permesso – disse lei, suggerendogli di spostarsi. Lui la assecondò, senza staccare lo sguardo.
Alessa raccolse rapidamente sia la bottiglia che i due bicchieri, ma non appenà si voltò il vassoio andò ad impattare contro Remain. Risultato? La bottiglia di Idromele cadde a terra rompendosi in mille pezzi ed impregnando il costoso abito del nobile.
La reazione di Remain fu un misto di incredulità e rabbia. Alessa, per un istante, temette che le potesse fare male, ma si sbagliava. Remain era rimasto quasi pietrificato.
- Sono mortificata, davvero – balbettò Alessa, abbassandosi a raccogliere i frammenti di vetro. Ma non appena si rialzò, si sentì afferrare dai capelli e tirare indietro.
- Come ti sei permessa, sguattera? - Vittoria, la compagna del nobile, la teneva ferma per i capelli con uno sguardo da vipera.

A quel punto, Alessa perse il controllo.

Nel giro di pochi istanti, tirò una gomitata sul costato di Vittoria, liberandosi così dalla sua presa. Appena ebbe abbastanza spazio, caricò un pugno con tutta la forza che aveva in corpo e colpì brutalmente la nobildonna alla base del naso. Vittoria perse i sensi nel momento dell'impatto e cadde a peso morto all'indietro, fracassando la sedia di legno posta dietro di lei. Il rumore fu tale da far zittire di colpo tutti gli ospiti della locanda, ignari della lite, fino a quel momento.
Quindi Remain, un po' per l'alcol in circolo, un po' perchè accecato dall'ira, afferrò un coltello dal tavolo e si gettò contro Alessa, atterandola. Si gettò sopra di lei come un lupo, ma appena tentò di sferrare il colpo fu bloccato dagli altri ospiti della locanda che si gettarono sopra di lui nel disperato tentativo di fermarlo.

Remain, ormai immobilizzato, continuò a dimenarsi ferocemente, ma invano.
- Sei morta! Hai capito? Sei morta! Io ti faccio ammazzare! Hai i giorni contati! - gridò lui, sputando e inveendo contro di lei.
I più forti tra i presenti riuscirono ad afferrare di peso Remain e a trascinarlo fuori dalla locanda. I rimantenti si divisero in parti uguali tra Vittoria ed Alessa, tentando di soccorrere entrambe. Vittoria non si muoveva, sembrava morta. Il proprietario Vigge, invece, non faceva altro che lamentarsi con la sua cameriera, noncurante delle sue condizioni.
- Ma cosa hai fatto? Sei impazzita? Hai idea di chi fosse quell'uomo? - continuava ad urlare ad Alessa, passeggiando nervosamente avanti ed indietro. Ma la bretone lo ignorava completamente, restando seduta in silenzio a fissare il vuoto mentre tutti continuavano a chiederle insistentemente come stava.

 

 

- Possiamo arrivare al dunque, Alessa? - si lamentò Galtus – sto cercando di scrivere un rapporto sulla tua carriera criminale, non sulla tua biografia. Io voglio sapere cosa successe dopo -
Alessa si fece di colpo più seria e cupa.
- Vigge costrinse tutti ad uscire. Io invece rimasi a pulire la locanda, per punizione. Così decise il mio capo. Non sapeva che la vera "punizione" mi stava aspettando fuori da quella porta.

 

Di solito ci mettevano un paio di ore a resettare tutta la locanda, dopo l'orario di chiusura. Ma essendo sola e ancora traumatizzata dall'accaduto, Alessa ci mise più del doppio. Quando finì era veramente distrutta: voleva solo tornare a casa e dormire, per dimenticare tutto. Al diavolo Vigge, quel vecchiaccio non capiva mai un accidente di niente: come si era permesso di darle la colpa dell'accaduto? No, non meritava neanche il tempo perso a pensarci, si disse Alessa.
Diede un'ultima controllata alla locanda, per verificare che tutto fosse effettivamente in ordine. Poi si diresse verso l'uscita, ancora scossa dall'accaduto.

In strada vi era un'oscurità preoccupante, non si vedeva quasi nulla. D'altronde, era già passata la mezzanotte da diversi minuti. In strada non c'era nessuno, a parte due mendicanti sdraiati a bordo del marciapiede: probabilmente stavano dormendo.
Alessa si avviò con passo spedito verso la sua dimora, situata nel porto della città Imperiale. Ormai quella strada la conosceva a memoria, l'aveva percorsa un'infinità di volte.
Giunta ormai a metà percorso, iniziò a sentirsi seguita. Si voltò e vide due figure incappucciate camminare a passo spedito dietro di lei. Preoccupata, decise di velocizzare il passo. Ma non appena lo fece, un terzo uomo le si parò davanti all'improvviso. In pochi istanti gli altri due inseguitori l'avevano raggiunta alle spalle e circondata. Alessa era spalle al muro.

Uno di loro si tolse il cappuccio, rivelando la sua faccia. Alessa lo riconobbe subito: era Remain, il nobile conosciuto poco prima.
- Sembri sorpresa, sguattera. Pensavi davvero che ti avrei lasciata andare così, senza darti una lezione? Vittoria, l'amore della mia vita. E' morta. Sei stata tu ad ucciderla. - disse lui, con un tono diabolicamente calmo e pacato.
Alessa spalancò gli occhi, sorpresa: aveva davvero ucciso Vittoria? Sapeva che certi colpi al naso potevano provocare una morte istantanea, ma le probabilità erano basse. Come poteva lei essere un'assassina? No, era solo uno scherzo, un trucchetto mentale di Remain per distrarla. Non poteva essere vero. Non doveva essere vero.
- Non dovresti essere in prigione? Mi hai assalita poco fa. Dove sono le guardie? - rispose lei, iniziando man mano a perdere la propria compostezza. Il suo respirò si fece sempre più affannato.
- Le guardie? - sbuffò lui, sorridendo – Hai idea di chi sia io? Le guardie chiudono un occhio su qualunque cosa io faccia. Esattamente come chiuderanno un occhio domani, vedendo il tuo cadavere galleggiare sul Lago Rumare -
Remain estrasse un coltello. Contemporaneamente, gli altri due farabutti afferrarono Alessa, bloccandola al muro. I suoi occhi erano spalancati dal terrore, non aveva più via di scampo. Remain fece lentamente scivolare la punta del pugnale lungo la gola di Alessa, quasi divertendosi di fronte ai suoi sguardi terrorizzati.
- Ne... Ne possiamo parlare? - supplicò lei – Mi dspiace. Lo giuro -
- Shh- la zittì lui – E' il momento di morire -

Ma non appena lui caricò il colpo, Alessa gli sferrò un violento pestone. Remain, sorpreso, si lasciò sfuggire dalle mani la lama. Ma la bretone non riuscì comunque a liberarsi: i due scagnozzi la tenevano ferma, ognuno da un braccio. Appena Remain si abbassò per raccoglierlo, lei lo colpì nuovamente con un calcio, questa volta in pieno volto. Lui cadde all'indietro, sanguinando copiosamente dal naso. A quel punto uno dei due mercenari, lasciò il braccio di Alessa per soccorrere istintivamente il nobile. Ma lei non si lasciò sfuggire quell'occasione e con la forza della disperazione si gettò contro il farabutto che ancora la teneva ferma, facendolo cadere all'indietro e collassando sopra di lui. Gli mise le mani in faccia, nel tentativo di accecarlo, ma lui riuscì a spingerla via, facendola rotolare per terra. Così, Alessa sfruttò l'occasione per alzarsi rapidamente e iniziò a correre lungo la strada, mentre i due scagnozzi iniziarono ad inseguirla.
- Prendetela! - urlò Remain, ancora a terra.

Alessa corse il più velocemente possibile. Doveva arrivare alle scuderie e scappare con un cavallo: era la sua unica speranza.
Nel mentre, alcuni cittadini iniziarono ad accorgersi del trambusto provocato dai quattro: alcuni si sporgevano dalle finestre ad osservare, altri scesero per strada portando con loro delle torce per farsi luce. Il tutto attirò l'attenzione di alcune guardie, che pattugliavano le strade. Si misero anche loro all'inseguimento di Alessa, pensando istintivamente che fosse una criminale o una ladra. E lei non aveva certo il tempo di fermarsi e spiegargli cosa era successo, specialmente se ciò che aveva detto Remain su Vittoria fosse stato vero.
Alessa raggiunse finalmente le porte della città, la scuderia era a pochi passi. Scavalcò con un salto la recinzione di legno, svegliando e spaventando i cavalli al suo interno: molti iniziarono a nitrire e a muoversi, spaventati. Il trambusto aveva svegliato la proprietaria, che viveva poco distante dal recinto.
- Stanno rubando i cavalli! Svegliati, presto! - Alessa udì distintamente una voce provenire da quella casa, ma non aveva tempo per fermarsi a spiegare. Doveva rubare un cavallo e scappare. Salì velocemente su quello che appariva più calmo ed indifferente al caos. Fortunatamente aveva già una sella e delle redini, ciò avrebbe reso molto più semplice la fuga.
- Dai, bello, andiamo – Gli sussurrò lei, come se fosse effettivamente in grado di capire. Scavalcarono prontamente la recinzione, mentre da lontano Alessa notò i soldati salire a loro volta sui propri destrieri, pronti all'inseguimento.

Mentre si dirigevano lungo il ponte che collega la Città Imperiale al piccolo borgo di pescatori, noto come Weye, Alessa notò che il buio era davvero opprimente e rendeva difficoltoso l'orientarsi. Era un'arma a doppio taglio: sarebbe stato più semplice seminarli, ma allo stesso tempo doveva fare attenzione alla strada che avrebbe percorso. Decise inizialmente di restare sul sentiero tracciato, per eviatre rischi. Ma i cavalli delle guardie imperiali erano più veloci e, in breve, la raggiunsero.
Uno degli inseguitori le urlò qualcosa, ma tra i rumori degli zoccoli e la frenesia del momento Alessa non riuscì a capire. Probabilmente le stavano intimando di fermarsi. No, quella non poteva essere un'opzione: nella migliore delle ipotesi sarebbe stata chiusa in carcere a vita. Nella peggiore, e più plausibile, sarebbe stata data in pasto a quel maniaco di Remain.

Mentre era immersa in questi pensieri, sentì una freccia sfiorarla, passandole pericolosamente vicino: la volevano morta. Si voltò spaventata e vide una delle due guardie, arco in mano, caricare un altro dardo. Era troppo tardi per cambiare rotta, si voltò e chiuse gli occhi, sperando che lui mancasse il bersaglio. Per sua fortuna, l'arciere mancò nuovamente il bersaglio.
Non poteva continuare su questa strada: l'avrebbero colpita prima o poi. Doveva inoltrarsi nei boschi. Sarebbe stato pericolosissimo con quel buio, quasi un suicidio; ma era l'unica soluzione. Si fece coraggio, prese un lungo respiro, poi tirò saldamente le redini, facendo sterzare il cavallo verso destra. Si gettarono tra gli alberi e i cespugli, sempre con la stessa velocità, seguiti dalle guardie: il terreno era molto più difficile ed accidentato, ma il cavallo non sembrò per nulla spaventato e mantenne il ritmo.

Sì, ce la poteva fare. Bastava proseguire così, la foresta avrebbe pensato al resto: a breve quegli inseguitori l'avrebbero persa di vista, ne era certa. Doveva solo...

Alessa sussultò all'improvviso. Avvertì un forte dolore al braccio sinistro, all'altezza della spalla. Una freccia l'aveva colpita. La guardia aveva centrato il bersaglio. Istintivamente, la bretone portò l'altra mano sulla spalla dolorante, ma nel tentativo perse l'equilibrio e cadde dal cavallo. La bestia proseguì a galoppare come se nulla fosse successo. Lei rotolò per terra, in preda al dolore. La freccia si spezzò e andò a conficcarsi ancora più profondamente all'interno della carne.

"E' finita" pensò.

Ma i due inseguitori, disorientati dal buio, non si erano accorti che lei era caduta. Continuarono ad inseguire l'altro cavallo, convinti che lei fosse ancora al suo comando. Se li sentì passare a fianco come dei fulmini, mentre lei era a terra, sforzandosi di trattenere le urla di dolore per non farsi scoprire.
Passato il pericolo, Alessa iniziò progressivamente a perdere coscienza: non poteva fermare la fuoriuscita di sangue in nessun modo. E la freccia era incastrata troppo in profondità per essere tolta senza causare ulteriori emorragie. Iniziò a strisciare a ritroso, ansimando e piangendo, ormai in preda alla disperazione. Quando esaurì anche le sue ultime forse, decise di accasciarsi accanto alla corteccia di un albero.
In quel momento rimpianse l'aver trascurato l'insegnamento della magia, nel corso della sua adolescenza. Non sapeva assolutamente nulla di magia, ma in quel momento le sarebbe stata utile. Aveva visto tante volte persone curare malati, anche piuttosto gravi, con complicati incantesimi di Restorazione.
"Ce la posso fare, non sarà tanto complesso. Basta..." si disse, cercando di ricordare come lanciare una magia curativa. Ma proprio non era in grado. Dalla sua mano uscì solo una flebile luce biancastra e sentì un leggero torpore lungo la spalla. Aveva perso troppo sangue.

Chiuse gli occhi e perse i sensi poco dopo.

 

"Fu in quello stato che mi trovarono. Loro mi salvarono la vita"
"Chi? Chi ti trovò, Alessa?"

Lei sorrise velatamente.
"I miei Fratelli e le mie Sorelle" disse.

 

 

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Capitolo 3
*** Fratelli e Sorelle ***


Capitolo 3
Fratelli e Sorelle


Santuario della Confraternita Oscura, Monti di Jerall, Focolare 16, 3E 222

 

Quando Alessa si risvegliò, si rese conto di essere legata ad un letto, con un mal di testa allucinante ed un dolore ancora più forte alla spalla. Era talmente intontita da non essere neanche in grado di spaventarsi, forse perchè non comprendeva pienamente nè dove fosse nè perchè fosse lì.
Quando, gradualmente, iniziò a guardarsi attorno e a prendere confidenza con l'ambiente circostante, capì di essere all'interno di una sorta di grotta, buia e gelida. La stanza era arredata completamente: vi erano tavoli, sedie, armadi. Come se qualcuno ci vivesse. Quando provò ad alzarsi però, noto con spavento di essere completamente immobilizzata: sia le sue mani, che i suoi piedi, erano saladamente legati al letto su cui era sdraiata. Provo a dimenarsi istintivamente, ma senza riuscire a liberarsi.

Nel mentre, notò di non essere sola nella stanza: c'era un'altra persona, una donna, seduta su una sedia poco distante da lei. Era più vecchia di lei, sarà stata sulla trentina. Sembrava un'imperiale, a giudicare dai lineamenti. Aveva una lunga coda di cavallo nera, degli occhi azzurri come il ghiaccio ed un'espressione seriosa ed apatica allo stesso tempo.
- Ah, sei ancora viva allora – esordì – La pozione deve aver avuto effetto allora -
- Chi sei? Dove sono? Cosa vuoi farmi? Lasciami andare! - rispose Alessa, dimenandosi violentemente nel letto, sempre più spaventata.
- Chi sono? Il mio nome è Lucia Idolus. Sono una silenziante della Confraternita Oscura. Dove sei? Sei nel nostro Santuario. Più precisamente ci troviamo in una grotta nei monti di Jerall, a nord-est di Bruma. Cosa voglio farti? -
Lucia si interruppe all'improvviso, accennando un sorriso. Si alzò delicatamente, estraendo un pugnale. Iniziò ad avvicinarsi lentamente ad Alessa, arma alla mano. Visibilmente spaventata, la bretone la fissava in silenzio, con gli occhi sbarrati dal terrore. Lucia portò pericolosamente il pugnale vicino alla gola di Alessa, che in risposta si era completamente immobilizzata.
- Fosse stato per me, ti avrei lasciata morire dissanguata vicino a quell'albero. E tuttora muoio dalla voglia di farti fuori. Ma il nostro capo ha dato l'ordine di tenerti in vita. Ha visto qualcosa in te, ha avuto una visione. Pensa che tu possa diventare un'eccellente assassina: per questo ti abbiamo salvata -
- Io? Un'assassina? E' impossibile, non potrei mai, non... -
- Dillo, dai. Dillo. Dillo che non vuoi diventare un'assassina come noi. Così ho un pretesto per ucciderti senza che Ambroise si lamenti -
Alessa rimase in silenzio. Doveva valutare bene le proprie parole: una frase sbagliata e quella lama sarebbe affondata nella sua gola. Ma in quel momento la priorità era guadagnare tempo per pensare, per formulare le giuste domande, per trovare le giuste risposte ai troppi interrogativi che giravano nella sua testa.

- Confraternita Oscura? - chiese Alessa, sempre più confusa – Pensavo fosse solo una leggenda -
Lucia alzò lo sguardo, visibilmente irritata.
- No. Evidentemente non è solo una leggenda, ragazzina. La vera domanda che dovresti porre a te stessa è la seguente: hai veramente il coraggio di unirti a noi? E io prego Sithis che la tua risposta sia no: ho troppa voglia di pugnalarti in questo momento -
Stando così le cose, la risposta pareva obbligata. Ma Alessa non aveva scelta neanche nel caso in cui Lucia l'avesse lasciata andare: fuori da quella grotta, lei era ancora una criminale. Era ricercata sia dalle guardie della Città Imperiale, sia dagli uomini di Remain Carvain. Non avrebbe saputo dove andare: tornare a lavorare alla locanda sarebbe stato un suicidio, così come ritornare alla propria casa nella Città Imperiale. L'avrebbero uccisa se l'avessero rivista da quelle parti.
E poi l'idea di unirsi alla Confraternita Oscura era intrigante, perlomeno. Non avrebbe mai immaginato che esistessero davvero, nè tantomento che avrebbe avuto la possibilità di conosocerli. Perchè il loro capo la voleva viva? Aveva davvero le potenzialità per diventare un'assassina?
- Allora? - la incalzò Lucia, premendo con il coltello sulla sua gola, quasi per ricordarle che in gioco c'era ancora la sua vita.
- Sì. Sì. Voglio unirmi a voi. Voglio sentire cosa ha da dire il vostro capo, questo Ambroise di cui parli -
Lucia la fissò per alcuni istanti, in un misto di odio e delusione. Poi con due fendenti decisi, tagliò via le corde che tenevano fermi i piedi e i polsi di Alessa. Ma prima che la bretone potesse rialzarsi, Lucia le portò nuovamente il coltello alla base del collo, in segno di minaccia.
- Ricordati, ragazzina – disse scandendo bene le parole – Ti tengo d'occhio. Non credere che solo perchè tu sia la cocca di Ambroise tu possa fare cosa ti pare. Al primo tuo passo falso, io sarò dietro di te per darti la pugnalata che ti meriti fin dall'inizio. Adesso vai. Yngvar ti sta aspettando di là. E' lui che ha preparato la pozione grazie alla quale hai ancora una spalla funzionante. Gli devi dei ringraziamenti. Muoviti. -
Lucia si allontanò, tornando a sedersi al tavolo. Aprì un libro e iniziò a leggere come se niente fosse successo.

Alessa, ancora un po' stordita e non del tutto ripresa dallo shock, si rialzò lentamente. Portandosi la mano alla spalla, notò che vi era una grossa cicatrice in corrispondenza alla ferita causata da quella freccia. Riusciva a muoverla senza troppe difficoltà, il che la stupì positivamente. Si alzò e si diresse verso l'uscita di quella piccola stanza.
- Ti tengo d'occhio, bretone – ripetè Lucia senza scostare lo sguardo dal libro che stava leggendo. Alessa uscì rapidamente, chiudendosi la porta alle spalle.
Sì, quella era chiaramente una caverna. Lo notò subito, osservando l'oscuro corridoio in cui era appena entrata. Lucia non aveva mentito. Adesso doveva trovare questo Yngvar, sperando che lui fosse un minimo più gentile con lei.

Trovò, a pochi passi di distanza, una nuova stanza. La porta era spalancata. Si affacciò per dare un'occhiata: dentro vide distintamente un uomo molto alto e robusto trafficare su un tavolo alchemico. Aveva un'alta cresta di capelli arancioni e diverse pitture tribali lungo le braccia. Probabilmente era un Nord.
Alessa decise di entrare, senza farsi troppi problemi.
- Yngvar? - chiese lei.
L'uomo, visibilmente stupito nell'udire un tono di voce a lui sconosciuto, si voltò di scatto.
- Devi essere Alessa, vero? - rispose, una volta passato lo stupore iniziale.
La bretone annuì, senza dire nulla. Era visibilmente imbarazzata, così come lo era lui.
- Spero che Lucia non ti abbia spaventata troppo. Non siamo tutti come lei. Noialtri siamo contenti che tu sia qui, specialmente Ambroise -
Alessa notò il tavolo pieno di bottiglie, pozioni ed ingredienti alchemici sparsi confusamente sopra di esso. Vi erano anche un pestello e un mortaio, a cui probabilmente Yngvar si stava dedicando prima di essere interrotto.
- Ti devo ringraziare – disse Alessa indicando il tavolo – La tua pozione mi ha salvato la vita. Almeno, così mi è stato detto. Onestamente non ricordo nulla -
Yngvar sorrise.
- Non è niente. Per una Sorella, si fa questo ed altro. Se Ambroise pensa che tu sia importante per il gruppo, lo diventi automaticamente anche per me. Talmente importante da farmi usare le mie ultime riserve di fiori di Crisciola Rossa – sollevò le spalle, sbuffando – Mi toccherà faticare un bel po' per trovarne delle altre, ma l'importante è che la tua spalla stia meglio -
Alessa mosse il braccio, per dimostrargli che effettivamente la pozione aveva avuto gli effetti sperati. Yngvar sorrise.
- Sono felice di vedere che ti sei ripresa. Avevi perso molto sangue, eri in condizioni pessime quando ti abbiamo ritrovata – La sua attenzione fu catturata da un terzo individuo, giunto sulla soglia della stanza – Ah, Bones. Meno male che sei arrivato. Perchè non porti ad Alessa qualcosa da bere, così da farla sentire più a suo agio? -

Ma appena Alessa si voltò per vedere chi fosse questo Bones, rabbrividì: si trattava di uno scheletro ambulante, con occhi spiritati dall'aura bluastra. Probabilmente era un'evocazione. Ma la bretone, un po' per l'istinto, un po' per lo spavento, lo colpì con un calcio. Le ossa si scomposerò e Bones crollò per terra, pezzo dopo pezzo. Il cranio e la mandibola, però, si muovevano ancora, emanando dei soffusi lamenti di dolore. Yngvar era scattato in avanti nel tentativo di fermare Alessa, ma non fece in tempo. Lei era pietrificata, ferma ad osservare quella pila di ossa parlanti.
- No! - esclamò il Nord Yngvar – Cosa hai fatto? E' il nostro maggiordomo -
- Dove ho sbagliato questa volta, padrone? - chiese Bones, con un tono di voce freddo e privo di emozioni, quasi meccanico. Evidentemente era stato distrutto e ricomposto più volte in passato.
- No, Bones, non hai sbagliato questa volta – rispose Yngvar, cercando di incastrare le varie ossa nuovamente al loro posto – E' stato solo un incidente. Ma non riesco a sistemarti. Mi serve Wumeek per rimetterti a posto, solo lui sa formulare il corretto incantesimo. Dovrai restare sul pavimento per un po', finché non torna da Bruma -
Alessa, terribilmente dispiaciuta, si scusò con entrambi. Nessuno dei due mostrò rancore, fortunatamente. Non era abituata a vedere non-morti, tanto meno scheletri. Ne aveva visti pochissimi in vita sua: quando era più piccola si divertiva ad infrangere il coprifuoco e ad andare nei cimiteri con i suoi amichetti, ma ogni volta che avvistavano un fantasma o uno scheletro se la davano a gambe.
- A breve tornerà Ambroise – disse Yngvar – Tieniti pronta, di sicuro vorrà parlare con te dell'addestramento -

Dal corridoio si sentì una porta aprirsi e poi chiudersi violentemente. Una folata di vento gelido attraversò la caverna, il tipico freddo pungente dei monti di Jerall. Qualcuno era rientrato nel Santaurio. Quel qualcuno era Ambroise Marence, l'Ascoltatore della Confraternita Oscura.
- Vai di là – sussurò Yngvar, tornando a lavorare al proprio tavolo alchemico – E non farti troppe paranoie: è una persona affabile e gentile. Per gli standard di un assassino seriale, intendo-
Alessa non sapeva se sentirsi sollevata o meno, ma non aveva certo tempo da perdere: annuì gentilmente e si diresse fuori dalla stanza, scavalcando quel mucchio d'ossa scomposto di nome Bones, ancora stordito a terra.

Ambroise era un nome bretone: si sentì sollevata all'idea di parlare con un proprio simile, anche se in realtà non avrebbe fatto molta differenza. Alessa si diresse rapidamente alla stanza principale del Santaurio: era una grossa stanza circolare, sostenuta da quattro pilastri. Da un lato vi era una piccola porta di legno, mezza distrutta: da fuori si riusciva a scorgere la neve che ricopriva i monti vicini. Non vi erano molti mobili attorno: solo uno strano tappeto circolare di colore nero, con una mano rossa stilizzata al centro. Probabilmente si trattava di un qualche tipo di simbolo, pensò Alessa.

Ambroise era appena rientrato: si scrollò la neve dai capelli, dopo aver gettato a lato un lungo mantello di pelliccia che portava prima di rientrare. Lucia era vicino a lui, gesticolando vistosamente.
- Hai comprato quello che ti avevo chiesto? - chiese Lucia, palesemente stizzita.
- Ti ho già detto che ero andato a Bruma per affari. Non ho certo avuto tempo di girare i negozi in cerca dei tuoi stupidi coltelli – rispose lui, senza essersi ancora accorto della presenza di Alessa nella stanza.
- Si chiamano lame da lancio – ribadì Lucia – E mi servono per il mio prossimo incarico.
Finalmente si accorsero della sua presenza e interruppero di colpo la conversazione.
- Ah, guarda. C'è la novellina. Vi lascio soli – disse Lucia, allontanadosi. Mentre camminava, diede una spallata ad Alessa, come se le fosse di intralcio. La bretone restò impassibile ed inespressiva, come al solito.
Ambroise invece si era illuminato di gioia alla vista di Alessa. Si avvicinò lentamente e la abbracciò, nonostante lei non ricambiò. Era troppo imbarazzata.
- Sei proprio tu. Ti ho sognata – La prese per mano e la guardò fissa negli occhi. Sì, Ambroise era davvero un bretone come lei. Aveva degli occhi azzurri, un volto segnato da parecchie cicatrici e dei corti capelli chiari – La Madre Notte mi ha parlato di te. Mi ha detto che avrei dovuto salvarti e così ho fatto. Tu hai tutte le potenzialità per diventare un'assassina, per diventare una di noi. Sono così felice di vederti -
Alessa, rossa dall'imbarazzo, tirò via le mani dalla sua presa. Non voleva mancargli di rispetto: dopo tutto, lui era un assassino temuto e rispettato. Ma quel suo fare da invasato le stava dando fastidio. Madre Notte? Sogni? Visioni? Ma di cosa stava parlando?
- Capisco che tutto questo ti faccia sentire a disagio – disse lui, notando l'imbarazzo – Ma so che in fondo è questo che vuoi. E' questo che ti serve. Una nuova vita -

 

 

- Questo santuario nei monti di Jerall... Esiste ancora? Sono ancora lì loro?-
- No, non esiste più. Ma non è mai stato il santuario principale, era solo un rifugio secondario. Ci sono altri due santuari ben più grandi a Cyrodiil -

- Sapresti dirmi dove sono? -
- Sì, vi posso condurre di persona -
-Cosa successe dopo? -
- Iniziò il mio addestramento. Durò all'incirca due anni -

 

 

Alessa ci mise poco tempo ad abituarsi a questa sua nuova vita: sebbene non si sentisse a proprio agio nell'essere considerata un'assassina, in fondo non aveva davvero altra scelta. Fuori da quel santuario era una ricercata.
L'idea di uccidere delle persone per soldi la galvanizzava. Lei, nata e cresciuta sulla strada, priva di mezzi, senza genitori, aveva finalmente l'occasione di rivendicarsi con la società che l'aveva umiliata in quel modo. Quando si rese conto, poi, che i suoi "Fratelli" guadagnavo di più per un contratto di quanto lei guadagnasse in un intero anno di lavoro alla locanda, il gioco era fatto. Certo, tutti questi ragionamenti erano solo teorici: non si era ancora trovata davanti ad una potenziale vittima e dubitava di essere effettivamente in grado di mantenere il sangue freddo. Ma era abbastanza convinta da accettare perlomeno l'idea di addestrarsi come assassina.
Così iniziò ad allenarsi con gli altri.

Alessa era una combattente mediocre, ma Ambroise non voleva ammettere di aver puntato sul cavallo sbagliato.
Nei mesi successivi, fu addestrata all'uso delle armi bianche, degli archi e della magia. I risultati furono scarsi, tuttavia.
In combattimento era una frana: lenta, prevedibile, fragile. Affrontare un nemico a viso aperto sarebbe stato un suicidio, nonostante le settimane passate ad allenarsi con Yngvar. Non sapeva muoversi, non sapeva leggere gli attacchi dell'avversario con il dovuto tempismo ed al primo colpo subito era subito a terra.
Così, tentarono di insegnarle le arti magiche. Solitamente, si inizia a studiare la Magicka fin da piccoli, per poi iniziare a lanciare i primi elementari incantesimi in età adolescenziale. Ad Alessa, cresciuta per strada, questa educazione mancava completamente, nonostante le sue origini bretoni. L'unico trucchetto che conosceva era come accendere una candela schioccando le dita, ma era una tecnica di dubbia utilità in battaglia.
Alla fine decisero di ripiegare sul tiro dalla distanza: le insegnarono ad usare l'arco. In fondo era una tiratrice più che discreta, aveva un buon occhio e una freddezza senza pari. Ambroise fu talmente contento nel vederla finalmente a suo agio, che le regalò un arco con le sue iniziali incise.

Così, dopo circa due anni spesi ad addestrarla, Alessa era finalmente pronta per i suoi primi contratti.

 

- E fu così che iniziasti ad uccidere... -
- Esatto. Il primo contratto non si scorda mai -

 

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Capitolo 4
*** Una Pessima Annata ***


Capitolo 4
Una pessima annata

Locanda del boscaiolo ubriaco, Highlands Coloviane, Mano della pioggia 14, 3E 224

 

- Ci siamo. Ricordati cosa ti hanno insegnato e mantieni il sangue freddo. Ce la puoi fare – si disse tra se e se Alessa, avvicinandosi alla locanda in sella al suo cavallo. Si trattava di una piccola costruzione di appena due piani, tutta in legno. Si ergeva sola, in mezzo ai boschi coloviani, completamente isolata dalle città e dalle strade principali. Poco fuori, vi era una rudimentale staccionata: era in pessimo stato di conservazione, ma sarebbe stata più che sufficiente per tenere legato il cavallo. D'altronde, avrebbe avuto bisogno di pochi minuti. Se tutto fosse andato secondo i piani.
Alessa smontò da cavallo e si diresse verso la locanda. In mano teneva un pacco di cuoio, contente alcuni documenti fondamentali per la buona riuscita della missione.
Si avvicinò alla porta ed entrò decisa, senza neanche bussare. Quanto a presentazione, la locanda non era certo delle migliori: vi erano appena due tavoli e alcune sedie, un rudimentale camino polveroso e un bancone disordinato, pieno di brodaglie, bottiglie rovesciate e cibarie non meglio identificate.
Vi erano solo due persone all'interno: un elfo, presumibilmente giovane, accasciato su un tavolo. Accanto a lui vi erano diversi bicchieri e bottiglie di vino vuote. Pareva svenuto, forse a causa di una sbornia. E poi vi era il titolare, un Nord dall'aspetto imponente ed intimidatorio: era occupato a pulire un calice lercio, con uno straccio ancora più lercio.

Alessa prese un profondo respiro, cercando di farsi tornare a mente le istruzioni.
- Oh, chi abbiamo qui? - disse l'oste, sorridendo. Sembrava sollevato di vederla, ma allo stesso tempo dubbioso: non era certo abituato a vedere persone ben vestite e con un buon portamento dalle sue parti.
- Buongiorno – rispose lei prontamente, tentando di non dare troppo nell'occhio – Ho un pacco da consegnare ad un certo... -  Lesse la nota, posta sopra al plico di documenti – Relan Hawker. Mi hanno detto che avrebbe alloggiato qui, in questi giorni -
- Che peccato, dolcezza – rispose l'altro, visibilmente deluso – E io che pensavo che fossi venuta qui per me. Comunque sì, ha affittato una stanza al piano di sopra. Penso sia ancora lì in questo momento. Stamattina non l'ho visto uscire -
- Posso? - chiese, Alessa indicando le scale.

L'oste la guardò un po' confuso, non abituato a tale formalità. Poi capì che le stava semplicemente chiedendo il permesso di salire al piano superiore. Sorrise e annuì.
Alessa aveva il cuore in gola: era sempre più vicina al suo bersaglio, ormai non poteva più sfuggirle. Ma doveva mantenere un basso profilo e seguire il piano alla lettera.
Salì con calma le scale, fino a raggiungere uno stretto corridoio al piano sovrastante. Vi erano solo due stanze per gli ospiti, di cui una chiusa a chiave. Hawker la stava aspettando nell'altra.

Prima di entrare, Alessa sbirciò cautamente dalla serratura di quella vetusta porta di legno: dentro vi era effettivamente il suo bersaglio, il guardiarossa Relan. Tuttavia, notò con rammarico che non era solo: vi era anche un orco seduto nella stessa stanza, presumibilmente si trattava di una sua guardia del corpo. Era una camera piccola, con poco spazio di manovra: ciò avrebbe complicato le cose. Doveva colpire in maniera decisa e soprattutto in fretta. Posò la mano sul suo pugnale, ancora al suo posto nella fodera. Il primo colpo sarebbe stato per Relan, poi avrebbe improvvisato. Non poteva ritornare un altro giorno: o adesso o mai più. Si fece coraggio ed entrò.

I due si voltarono di colpo al suo ingresso, quasi spaventati. L'orco si alzò di scatto dalla sedia, sguainando la propria spada. Relan Hawker, indietreggiò verso la finestra posta dietro di lui, mantenendo lo sguardo fisso sulla bretone. Alessa alzò leggermente le mani, in segno di pace. Ai loro occhi, lei era solo un corriere. E doveva passare per tale.
- Buongiorno, signor Hawker – disse lei, porgendogli il pacco – Ho una consegna per lei -
Lui afferrò il pacco e lo lanciò sul letto, con noncuranza.
- Sì, so perfettamente chi sei – rispose lui, visibilmente più sereno passato lo spavento iniziale – Ma prima di discutere i termini del tuo pagamento, gradirei che deponessi tutte le tue armi -
Alessa lo guardò storto. Sapeva che qualcosa sarebbe andato storto, ma questa situazione stava diventando davvero complicata. Non poteva rifiutare, ma al tempo stesso non poteva neanche farli fuori su due piedi. Doveva attendere il momento giusto, doveva mantenere la calma.
- Sono solo un corriere – rispose lei, sorridendo nel tentativo di smorzare la tensione – Porto solo con me questo vecchio pugnale arrugginito. E' solo una precauzione visti i recenti attacchi di lupi lungo la Gold Road -
Relan la guardò fissa negli occhi, senza dire nulla. Poi fece un cenno all'orco.
- Proprio per questo non ci saranno problemi nel perquisirti, allora. Sei solo un corriere, non hai niente da nascondere. O sbaglio? Burgo, controlla se ha altre armi con sé -

La copertura stava saltando: avrebbero scoperto i pugnali da lancio che aveva nascosto negli stivali. Doveva passare al piano B, non c'erano più altre soluzioni.
Lei estrasse il pugnale lentamente, come se stesse per consegnarlo. Ma in realtà, non appena l'orco le fu sufficientemente vicino, glielo piantò in gola con tutta la forza che aveva in corpo. Burgo si portò le mani sul collo nel tentativo di arginare il copioso flusso di sangue che fuoriusciva. Cercò di urlare, ma il risultato fu solo un suono soffocato. Crollò sulle ginocchia, poi si accasciò al suolo.
Alessa, pienamente imbrattata dal sangue dell'orco, rivolse rapidamente lo sguardo verso il suo bersaglio: Relan era indietreggiato, era spalle al muro con un'espressione terrorizzata. Provò istintivamente a gridare, in cerca di aiuto. Ma Alessa lo colpì prontamente con una scarica di magia: lui fu sbalzato all'indietro e perse i sensi non appena impattò con la nuca contro il muro posto dietro di lui. Cadde a terra, esanime.

Alessa tirò un respiro di sollievo: tutto sommato era riuscita a rivoltare la situazione a proprio vantaggio, ma non c'era tempo per pensare. Doveva finirlo. E fuggire da lì. Non perse nemmeno il tempo ad estrarre il coltello dalla gola di Burgo: era incastrato troppo in profondità e lei non aveva la forza necessaria per toglierlo. Invece, prese un coltello più piccolo che nascondeva nello stivale sinistro per ogni evenienza.
Si avvicinò a Relan, piegandosi su di lui: stava lentamente riprendendo coscienza, ma ormai non aveva scampo. Alessa prese un profondo respiro e chiuse gli occhi. Non aveva il coraggio di guardare, ma andava fatto. Doveva farlo. Come in addestramento: impugnatura salda e colpo di punta.

- Ehi! Che succede lì dentro? - L'oste, insospettito dal gran fracasso, stava bussando contro la porta. Non c'era più tempo. Alessa colpì, un taglio netto alla base del collo.
- E' tutto a posto – disse lei, nel tentativo di guadagnare secondi preziosi. Ma non sapeva che scusa inventarsi.
- Ho sentito qualcosa di pesante cadere. Sicura che sia tutto a posto? - insistette lui.

Doveva fuggire, e alla svelta. Davanti a lei vi era l'unica possibile via di fuga: la finestra. Erano al secondo piano, ma tutto sommato il salto non era pericoloso. Se affrontato correttamente non sarebbe stato un problema. La spalancò e si posizionò sul cornicione, pronta a saltare.

Nel mentre, il proprietario aveva fatto breccia nella stanza.
- Ma che diavolo! - urlò – Assassina! Ferma dove sei! -
Ma Alessa era già saltata e con una capriola da manuale aveva attutito agilmente la caduta. Ora doveva solo raggiungere il cavallo e scappare. Iniziò a correre verso la bestia, ignara di tutto quanto era appena successo. Sciolse rapidamente il nodo che la teneva ferma alla staccionata, ma non appena fece per salire in sella, una voce la fece desistere. Si bloccò di colpo.
- Ferma dove sei, criminale! Non hai più scampo! -

Si voltò lentamente.
Dietro di lei vi era un'intera pattuglia della guardia cittadina di Chorrol. Due erano a cavallo, altri tre a piedi. Tutti armati e decisamente pericolosi. Troppo pericolosi per lei.
In un istante fu circondata. I due arcieri a cavallo la tenevano sotto tiro, mentre gli altri tre si avvicinavano lentamente, spada alla mano. Non aveva alternative: non poteva scappare a piedi, l'avrebbero colpita con una freccia. Non poteva estrarre una lama dall'altro stivale, i soldati l'avrebbero colpita nel mentre. Non poteva salire a cavallo e scappare, avrebbero ucciso sia lei che l'animale facilmente.
Decise di arrendersi.

Ma proprio mentre alzò le mani in segno di resa, tutte le guardie si bloccarono di colpo, restando immobili nelle proprie posizioni. Pareva quasi che il tempo si fosse fermato all'improvviso, lasciando loro completamente congelati e privi di vita. Alessa si guardò attorno confusa e notò che anche il cavallo era immobile, come una statua. Cosa stava succedendo? Perchè lei era ancora in grado di muoversi e gli altri no?

Pochi istanti dopo avrebbe avuto le sue risposte.

Davanti a lei si materializzarono tre volti familiari: erano Ambroise, Lucia e Wumeek, i suoi compagni della Confraternita. I tre si osservarono incuriositi la scena di questo surreale fermoimmagine. Ambroise pareva il più divertito: stava osservando da vicino l'armatura di una delle guardie, come per verificarne il materiale. Lucia, invece, pareva profondamente irritata.
- Direi che la prova è fallita – disse lei, scuotendo la testa. Poi si rivolse ad Alessa – Qui saresti morta. Hai sbagliato tutto. Ed era così semplice! -
Ma la bretone era ancora troppo confusa per capire cosa stesse succedendo: non rispose, continuando a guardarsi attorno.
- Suvvia, non essere così pessimista – rispose Ambroise, mentre continuava ad esaminare da vicino l'equipaggiamento di quella guardia pietrificata – In fondo il bersaglio è stato ucciso, no? E l'arrivo delle guardie è stata un'eventualità puramente fittizia, serviva giusto per la simulazione d'addestramento. Nella realtà non sarebbero mai stati così tempestivi ad intervenire -
Wumeek, l'argoniano, era ancora in silenzio. Alessa notò solo ora che attorno alla sua mano vi era un'aura di colore bluastro.
- Fittizio o no, dobbiamo terminare la simulazione qui – disse lui – Deve risvegliarsi adesso, altrimenti il suo sistema nervoso potrebbe risentirne -
Ambroise, che nel mentre si divertiva a spettinare i capelli di una delle guardie, sbuffò.
- E va bene – disse – Svegliate Alessa. La simulazione è conclusa -

 

- Quindi mi stai dicendo che era tutto un sogno? Non è stato davvero quello il tuo primo bersaglio?-
- Si trattava di una tecnica di Illusione molto complessa e pericolosa: l'alterazione dei sogni. In pratica si induce la vittima a vivere virtualmente determinate situazioni, piacevoli o non -

- E voi la utilizzavate come una sorta di addestramento, giusto? -
- Sì, ma era vietato. Un tempo una recluta perse la vita a causa di un arresto cardiaco dovuto all'eccessivo stress. E' un incantesimo molto complesso, ma Wumeek era un mago all'altezza. Forse il migliore che io abbia mai conosciuto -
- D'accordo. Raccontami cosa successe in seguito -
- Ricordo che mi lasciarono riposare per una settimana dopo quella "simulazione". Era giusto per precauzione, io mi sentivo benissimo. Poi un giorno, Ambroise ci chiamò tutti nella sua camera. Era giunto il momento. E questa volta sarebbe stato tutto reale -

 

 

L'argoniano Wumeek entrò silenziosamente nella stanza di Alessa, cercando di non svegliarla di soprassalto. Era una grande dormigliona, ma non aveva un sonno profondo. Capitava spesso che si svegliasse di colpo durante la notte.
Wumeek si avvicinò al letto e la scosse gentilmente. Lei aprì leggermente gli occhi, sbadigliando.
- Come ti senti? - le chiese, ancora preoccupato per gli effetti della simulazione di una settimana fa – Hai fatto qualche sogno strano stanotte? -
La bretone si stropicciò gli occhi, ancora stordita. Nonostante fossero passati due anni, ancora faceva fatica a dare confidenza ai suoi colleghi.
- Non che io ricordi – rispose lei, cercando di tagliare corto – La prossima volta bussa prima di entrare. E' preoccupante essere svegliati così -
Ma a Wumeek interessava solo che lei si fosse ripresa mentalmente da quella prova e che non avesse avuto nuovamente lo stesso sogno. Sarebbe stato un brutto segno. Per il suo carattere scontroso, invece, c'era poco da fare: nessuna magia sarebbe stata in grado di renderla più affabile.
- Ambroise ci sta aspettando di là – disse lui, dirigendosi verso la porta – Vestiti e raggiungici -
Alessa sbadigliò in risposta ed aspetto che l'ospite indesiderato fosse uscito, prima di alzarsi dal letto.

La stanza che le avevano riservato era davvero minuscola: c'era a malapena lo spazio per un piccolo letto di paglia ed una cassettiera. Senza contare il fatto che, essendo in una grotta, di notte si riempiva di piccoli animaletti, tra cui ragni e vermi: erano tendenzialmente innocui, ma il loro gironzolare attorno al letto era fonte di profondo disgusto per Alessa.
Si mise addosso la prima tunica che trovò e si infilò i suoi stivali di cuoio preferiti. Poi uscì, diretta nella stanza principale dove Ambroise, l'ascoltatore, stava radunando tutti i suoi uomini per un comunicato di massima importanza. Che fosse finalmente arrivata l'ora per il suo primo contratto di assassinio?

Di là erano già tutti pronti, aspettavano solo lei. Formavano un semicerchio attorno al capo Ambroise, ognuno seduto al proprio posto. Yngvar, il nord con la passione per l'alchimia, si stava lisciando la lunga barba rossa con aria assonnata. Lucia, incattivita come al solito, stava invece affilando uno dei suoi tanti pugnali: questo era particolarmente apparisciente, pieno di pietre preziose attorno all'impugnautra ed una strana aura rossatra attorno alla punta. Wumeek, il mago argoniano, era in posizione defilata. Se ne stava in silenzio, con il suo cappuccio tirato su. Il maggiordomo scheletrico Bones se ne stava immobile all'angolo della stanza, reggendo un vassoio pieno di bicchieri. E poi c'era Ambroise che, con un'espressione morbidamente felice, stava leggendo alcuni documenti posti sulla sua scrivania. Quando vide Alessa arrivare, sorrise.
- Ah, finalmente sei qui. Possiamo cominciare – disse lui, lasciando cadere i fogli.
Tutti i presenti si attivarono di colpo, prestando attenzione a quanto veniva detto.
- Oggi abiamo tra le mani un contratto molto particolare, che richiederà un lavoro di squadra. E quando parlo di "squadra", intendo ogni singola persona presente in questa stanza. Servirete tutti. Inclusa la nostra nuova Sorella -
Alessa arrossì ed abbassò lo sguardo, per evitare le occhiate degli altri. Era davvero arrivato il suo momento. Dopo tutti quei mesi di allenamento, poteva finalmente mettere in pratica quanto imparato. Ma sarebbe stata pronta ad uccidere davvero?
Sentì un po' di tensione addosso, così decise di avvicinarsi a Bones e vedere che bevande aveva con sè. Prese rapidamente quello che a prima vista sembrava essere dell'idromele, poi tornò al suo posto.
- Cercherò di risparmiarvi i dettagli – proseguì Ambroise, di colpo più serio – Tra pochi giorni si terrà una festa privata a Skingrad. La famiglia Accius sta organizzando un evento esclusivo, con invitati rigorosamente selezionati. La serata dovrebbe servire per promuovere il vino dei Truiand, un nuovo gruppo di produttori da poco stanziato nella zona di Anvil. Nessuno ha mai provato il loro vino prima d'ora e quest'occasione sarebbe perfetta per pubblicizzare il loro prodotto tra l'elitè culturale di Skingrad -
Ambroise si fermò un istante, schiarendosi la voce.

- E adesso arriva la parte divertente. Noi dovremo eliminare tutti i presenti alla festa: in totale sono dodici persone. Ma non potremo fare tutto questo alla vecchia maniera, purtroppo. Dobbiamo farlo sembrare un incidente, un incidente legato proprio al vino dei Truiand. Una sorta di avvelenamento di massa, insomma -
I presenti si guardono a vicenda un po' confusi, ma allo stesso tempo intrigati. Non era di sicuro un contratto standard. Lucia, che cercava di celare i propri dubbi dietro un velo di indifferenza, alzò la mano, pronta per parlare. Ambroise acconsentì, facendole un cenno con la mano.
- Quindi in pratica, i produttori di vino della Colovia ci stanno pagando per eliminare economicamente i loro concorrenti e allo stesso tempo eliminare effettivamente delle persone che casualmente si trovano a quella festa? Da quando ci occupiamo di queste idiozie? -
- Se la Madre Notte ha fatto i loro nomi, meritano di essere mandati nel Vuoto – la interruppe Yngvar – Tutto il resto è irrilevante -
Ambroise, che nonostante avesse già formulato mentalmente una sua risposta, era stato anticipato dal Nord, si limitò ad indicare quest'ultimo.
- Quello che ha detto lui – ribadì l'Ascoltatore – E comunque se Sithis vuole le loro anime nel Vuoto, vuol dire che è stato fatto un rituale per ciascuno di loro. E' il Sacramento Nero a dare validità al tutto -
Lucia sbuffò, abbassando lo sguardo. Sapeva come funzionavano i riti, non aveva certo bisogno che glielo ricordassero. Alessa, invece, era sempre molto interessata e non vedeva l'ora di saperne di più, magari scoprendo quale sarebbe stato il suo ruolo.
Ambroise distese una mappa di Cyrodiil sul tavolo, invitando i presenti ad avvicinarsi per vederla meglio. Sopra di essa, erano indicati con dei segni le città di Skingrad e di Anvil.
- Ascoltate attentamente, gente. Questo è il piano – disse, indicando la strada che collegava le due città. - Un convoglio partirà da Anvil nel primo pomeriggio, diretto a Skingrad per consegnare i vini. Noi lo intercetteremo qui – Posò il dito su un punto imprecisato lungo la Strada d'Oro – Ci saranno un paio di guardie a cavallo, ma niente di impossibile. Basta posizionarsi in maniera intelligente, magari sfruttando gli alberi per nascondersi. Li facciamo fuori tutti, ma con colpi non letali. Mi raccomando.
Ambroise guardò verso Yngvar, cercando il suo sguardo.
- Ci torneranno utili le tue pozioni stordenti. Avveleniamo le nostre frecce e li facciamo addormentare tutti. A quel punto, contaminiamo il vino, saliamo a cavallo e lo portiamo a Skingrad al punto di consegna prestabilito -
- Fermo, fermo, fermo – lo interruppe Lucia – Alla consegna si aspetteranno di vedere i loro uomini, ma invece ci saremo noi. Saranno davvero così stupidi da non farsi due domande? -
- Ho già pensato anche a questo. Ho ingaggiato un paio di mercenari che li sostituiranno. Sono molto simili fisicamente, non ci saranno problemi. E poi, dai, uno di loro è un Argoniano -
- E con questo? - Wumeek si sentì tirato in causa.
- Siete tutti uguali, voi lucertole. Nessuno noterà nulla. Ed otterremo tranquillamente il nostro Bonus di dieci mila monete d'oro -Alessa sputò l'Irdomele che stava bevendo, non appena udì la possibile ricompensa. Dieci mila monete d'oro? Era quanto lei avrebbe guadagnato in un anno intero in quella locanda. Non aveva mai sentito parlare di così tanti soldi in vita sua. Tutti si girarono verso di lei, stupiti per la sua reazione. La bretone si affrettò a pulirsi le labbra ancora sporche di Idromele e poi commentò.
- Mi sembra un ottimo piano – disse, cercando di recuperare la sua compostezza.
Ambroise la guardò sorridendo.
- Certo che lo è. L'ho escogitato io -

 

 

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Capitolo 5
*** Imprevisto ***


Capitolo 5
Imprevisto
 
Strada d'Oro, Highlands Coloviane. Mano della pioggia 28, 3E 224
 
- Sapete tutti cosa fare. Mettetevi in posizione, stanno arrivando -
Alessa impugnò saldamente l'arco ed incoccò la frecca, pregna del veleno accuratamente preparato da Yngvar la sera prima. Lucia era appostata pochi metri più avanti, dietro una grossa roccia. Ambroise e gli altri sarebbero sbucati dall'altro lato della strada, tagliando ogni via di fuga.
Da lontano si sentì lo scricchiolare di alcune ruote in legno, il convoglio stava arrivando. Gli informatori avevano ragione: c'erano effettivamente due guardie a cavallo, a cui si aggiungevano i due corrieri alla guida del carro.
Lucia si voltò per un'ultima volta verso Alessa, facendole un cenno: lei avrebbe colpito la guardia a sinistra, lasciando alla bretone l'altra. Alessa annuì e iniziò a prendere la mira.
Non appena i bersagli fuorono a portata di tiro, le freccie vennero sparate. Due colpi precisissimi, frutto di mesi e mesi di addestramento. Due dardi che colpirono perfettamente le spalle delle rispettive guardie, tramortendole ma lasciandole in vita. I cavalli iniziarono a nitrire spaventati, mentre i loro padroni si accasciavano privi di sensi sul loro dorso. A quel punto il resto della squadra uscì allo scoperto, circondando e fermando il carro. Yngvar e Wumeek si lanciarono sui due corrieri, gettandoli a terra e stordendoli. Ambroise, nel mentre, lanciò un potente incantesimo in grado di tranquillizzare i cavalli, onde evitare disastri con il prezioso quanto fragile carico: le bestie smisero subito di nitrire e di muoversi, tornando docili alle proprie posizioni, come se nulla fosse successo.
Ambroise si guardò attorno soddisfatto.
- Ottimo lavoro. Adesso datevi da fare con i corpi: legateli e trascinateli lontani dalla strada. I miei uomini saranno qui a momenti a prelevare il carico. Voialtri iniziate a cavalcare verso Skingrad, io li aspetterò qui. Forza, non abbiamo molto tempo. Muoversi -
 
- E fu così che uccideste ben dodici persone quella sera. La guardia cittadina ha sempre pensato che il vino dei Truiand fosse effettivamente pericoloso. - disse Galtus.
- Se sveli già il finale, che gusto c'è a raccontare la storia? Comunque solo unidici persone morirono quella sera. La dodicesima fu eliminata "alla vecchia maniera" – rispose Alessa.
 
 
Si radunarono di fronte al palazzo della famiglia Accius. Si trattava di una grande abitazione di tre piani, situata nel centro storico della città. Le loro feste erano da sempre simbolo di eleganza ed esclusitività per la gente di Skingrad, tant'è che farsi invitare era un onore concesso a pochissimi.
Ambroise passeggiava nervosamente avanti e indietro, mentre il resto della squadra lo guardava in attesa di ulteriori ordini. Il vino avvelenato era stato consegnato in maniera corretta e nessuno sospettava di nulla. A breve sarebbe iniziata la festa vera e propria, si trattava solo di aspettare.
- Allora? Che facciamo qui? Aspettiamo di essere arrestati vicino alla scena del delitto? - chiese Lucia.
Ambroise scosse la testa.
- No, mia cara. Adesso scatta la seconda fase. Tu ed Alessa vi infiltrerete nella magione, per verificare che effettivamente tutti bevano il vino dei Truiand. Non possiamo permetterci errori -
Lucia lo guardò poco convinta. Secondo lei era solo una perdita di tempo ed un rischio inutile da correre. Alessa la pensava come lei, ma non osava opporsi.
- E tu dove sarai in tutto questo? - chiese Lucia – A sbronzarti alla locanda? -
Ambroise sembrò offeso.
- Forse. Ma questo non è importante. Yngvar resterà qui fuori, in caso di guai. E comunque sarà un gioco da ragazzi, te lo assicuro. La vedi quella finestra in alto? - indicò un piccolo oblò, posto in cima al lato dell'abitazione – Vi basterà entrare da lì: se i miei informatori hanno ragione, si tratta di una soffitta in disuso. Nessuno si accorgerà di voi lassù e nel mentre potrete godervi lo spettacolo dall'alto -
Lucia sbuffò e iniziò a dirigersi verso il muro della casa, pronta a scalarla. Alessa restò, invece, immobile a fissare Ambroise, in attesa di ulteriori ordini o parole di conforto. Lui si avvicinò e le posò una mano sulla spalla.
- Non ti preoccupare, mia allieva – le disse con tono paterno – So che tutto questo è difficile da affrontare, ma ti assicuro che non ti potrà succedere niente. Siamo tutti qui in città, siamo tutti con te. Adesso vai, o quella strega ti lascerà indietro -
Alessa prese un minimo di confidenza. In fondo, Ambroise aveva ragione: loro erano in città, pronte ad aiutarle in ogni caso. E comunque non avrebbero dovuto compiere chissà quale impresa: si trattava semplicemente di infiltrarsi in una mansarda e godersi lo spettacolo.

Il gruppo si salutò e ognuno andò per la propria strada. La bretone si avvicinò alla parete da scalare. Lucia si era già messa all'opera: aveva raggiunto agilmente il cornicione sul secondo piano e stava sbirciando da una finestra, per meglio valutare la situazione all'interno della villa. Alessa, parecchio titubante, iniziò a scalare il muro, appigliandosi delicatamente ad ogni fessura disponibile. Cercò di seguire lo stesso percorso tentato da Lucia ed effettivamente riuscì a raggiungerla in poco tempo e senza fatica. Si appostarono tutte e due accanto alla finestra del secondo piano, ognuna da un rispettivo lato.
- Da qui non riesce a vedere nulla – sbuffò Lucia, amareggiata – Dobbiamo salire. Metti i piedi dove li metto io ed andrà tutto bene -
Si girò lentamente di centoottanta gradi ed osservò lo spazio sopra di lei, in cerca di un appiglio efficace. Una volta trovato, si slanciò verso l'alto e ricominciò la scalata. Alessa la imitò, non senza qualche tentennio di troppo. Una volta raggiunto l'ultimo piano, Lucia scassinò rapidamente una piccola finestra ovale che dava sulla soffitta. Entrò, poi si sporse per aiutare Alessa.

Una volta dentro, si guardarono attorno: era una vecchia soffitta abbandonata, piena di polvere e di vecchi mobili abbandonati a sè stessi. Non vi erano oggetti di valore a prima vista, ed anche se ci fossero stati, non avrebbero avuto il tempo per recuperarli. La missione era la priorità in quel momento. Lucia iniziò a toccare le assi di legno che formavano il pavimento, alla ricerca di una particolarmente debole da spezzare. Una volta trovata, la piegò con delicatezza, evitando di fare rumore: era riuscita ad aprire uno spiraglio. Da lì sarebbero state in grado di spiare l'intero evento senza essere scoperte. Lucia fece segno ad Alessa di avvicinarsi e si appostarono, in silenzio.
Iniziarono contando gli ospiti: erano effettivamente dodici, ma era impossibile identificarli singolarmente. Se ne stavano seduti a parlare, scambiandosi battute ed aneddoti attorno ad una grande tavolata rotonda piena di ogni tipo di prelibatezza. Al centro vi era un enorme piatto contenente carne di cinghiale, emanante un ottimo odore.
All'improvviso, uno dei commensali si alzò in piedi, brandendo un calice pieno di vino. Si schiarì la voce, in attesa di ricevere la giusta attenzione dagli ospiti.
- Carissimi – iniziò – Innanzitutto vi ringrazio per aver accettato il mio invito ed essere giunti qui stasera. E' un onore essere al cospetto di personalità del vostro calibro -
- Deve essere lui il capofamiglia Accius – sussurrò Alessa.
- Sei un genio! Non ci sarei mai arrivata – rispose stizzita Lucia – E adesso taci, prima che ci sentano -
Alessa scosse la testa, delusa: la sua compagna non gliene perdonava una.
Tornò ad osservare la scena.
- E quale occasione migliore per provare il nuovo vino dei Truiand! - disse il padrone di casa, sorseggiando con gusto il vino, ignaro del fatto che quella bevanda l'avrebbe ucciso nel giro di ventiquattro ore – Peccato solo che Natch non sia qui con noi stasera. Spero si rimetta presto dalla sua malattia -
Tutti i presenti sembrarono di colpo preoccupati ed iniziarono a bisbigliare tra di loro, presumibilmente riguardo allo stato di salute dell'Imperiale assente alla cena.
- Ma non disperate, amici. Stasera abbiamo l'onore di ospitare un eccellente sostituto: Helvio Mevureius – Indicò un giovane Imperiale dall'altro lato della tavolata. Quest'ultimo si alzò, ricevendo un applauso dai commensali. Poi tornò al suo posto.
- Vi ringrazio per l'accoglienza. Vorrei proporre un brindisi per Natch. Che si rimetta presto -
Tutti alzarono i calici e brindarono, urlando all'unisono – A Natch! -
Poi tornarono a gustarsi le prelibatezze presenti sul tavolo, dopo aver tutti bevuto il mortale vino dei Truiand. Tutti, compreso l'innocente Helvio.

Lucia si rialzò di colpo, tirando anche Alessa per il vestito.
- Che c'è? - disse la bretone, stupita.
- La missione è compromessa. Quell'imperiale non doveva essere presente: c'è stato uno scambio. Sta per morire la persona sbagliata – disse, iniziando a camminare freneticamente avanti e indietro per la stanza.
Alessa, la fissò in silenzio, spiazzata. Non pensava certo che la Confraternita Oscura si sarebbe fatta troppi problemi per un danno collaterale di questo tipo. In fondo, il contratto sarebbe stato rispettato comunque: bastava rintracciare e finire questo Natch. Senza troppe remore morali.
- L'importante è che tutti abbiano effettivamente bevuto il vino – disse Alessa, cercando di mantenere la calma – Il contratto è stato rispettato. Adesso dobbiamo andarcene e trovare un modo per salvare la vita di questo Helvio. Troveremo una soluzione, ma non certo in questa soffitta -
Lucia la fissò in malo modo per un istante, stizzita del fatto che la bretone stesse dando degli ordini. Poi si diresse verso la finestra da cui erano entrate poco prima.
- Torniamo da Ambroise. E per Sithis, spero che quello svitato abbia in mente un piano alternativo -
 
- Così ci allontanammo dalla villa, dirette verso la locanda dove gli altri ci stavano aspettando -
- Non ci posso credere. Una banda di criminali che all'improvviso si fa degli scrupoli se un presunto innocente muore per mano loro? -
- Non è così semplice. Quando si celebra il rituale del Sacramento Nero, viene promesso un determinato quantitativo di anime da mandare nel Vuoto, assieme a Sithis. Egli, certamente, non si fa problemi ad accogliere più anime del dovuto, ma pensavamo che sarebbe stato meglio scongiurare quel delitto. Ti assicuro che è stato più semplice del previsto salvare la vita a quel malcapitato -
- Proseguiamo, allora. Eravate dirette alla locanda. Cosa successe dopo? -
 
 
 Il sole era ormai tramontato da diverse ore e le strade di Skingrad si stavano lentamente svuotando: in giro restavano solo i mendicanti e gli ubriachi, oltre alle guardie che vigilavano su di loro.
Lucia e Alessa raggiunsero la locanda dove il resto della squadra le stava aspettando: era anch’esso un edificio sfarzoso, anche se non alla pari della villa degli Accius. All’entrata, un mendicante assonnato stava sorseggiando quello che rimaneva di una bottiglia di vino. Le due lo scavalcarono letteralmente, entrando.
Dentro, l’atmosfera era abbstanza rilassata. Molti degli ospiti si erano già ritirati nelle rispettive stanze e solo un paio di persone erano ancora impegnate a bere nella sala principale. Tra questi, Alessa riconobbe subito Ambroise e Yngvar, seduti ad un tavolo defilato.
- Ah, le mie due eroine – esclamò Ambroise, sbracciandosi non appena le vide – Com’è andata? –
Era palesemente ubriaco.
Lucia si avvicinò, facendogli segno di abbassare la voce. Non erano soli lì dentro.
- L’hai fatto bere? Sei scemo? – disse lei, rivolta ad Yngvar.
- Non mi ha voluto ascoltare. Cosa vuoi che ti dica – sbuffò lui, evitando il suo sguardo.
- Oh Alessa, la mia prediletta – disse Ambroise, alzandosi per abbracciarla – Scommetto che con te lì presente, tutto sia andato secondo i piani. Non è così? –
Alessa provò a divincolarsi da quella stretta, ma non ci riuscì. Optò allora per chiudere gli occhi e trattenere il respiro, contando fino a dieci.
Non arrivò neanche a cinque che Lucia afferrò Ambroise per un braccio e lo spinse via, facendolo cadere nuovamente sulla sedia dove stava prima del loro ingresso.
- Che Sithis perdoni la mia eresia – disse lei – Ma mi chiedo cosa avesse in mente la Madre Notte quel giorno in cui decise di nominare te il suo Ascoltatore –
Ambroise si fece di colpo più serio, come se si fosse sentito offeso da quella frase. Tentò allora di contenersi, recuperando serietà e compostezza.
- Raccontatemi com’è andata, allora – disse.
- Uno degli invitati non si è presentato. C’è stato un sostituto che ha inavvertitamente bevuto il vino avvelenato dei Truiand. Non ci è stato possibile fermarlo – raccontò Alessa.
Ambroise tirò un pugno sul tavolo, facendo cadere un bicchiere.
- Maledizione! – esclamò – Questo complica le cose –
- Puoi smetterla di fare tutto questo fracasso? – lo incalzò Lucia, rialzando il bicchiere caduto –Stiamo cercando di mantenere un basso profilo –
- Gli altri hanno bevuto il vino, come previsto? – chiese Yngvar.
Lucia e Alessa annuirono.
- Bene, allora la situazone è meno complicata del previsto – rispose lui, visibilmente sollevato – Il veleno ha effetto nell’arco di ventiquattro ore. Ci sarà sufficiente far bere l’antidoto a questo poveraccio entro domani sera. Ci penserò io. Avete almeno un nome da cui posso partire? –
- Helvio Mera... Merant... – balbettò Lucia, tentando di ricordare.
- Helvio Mevureius – La corresse Alessa – E‘ un imperiale –
- Perfetto, questo mi è sufficiente – disse lui, alzandosi di colpo – Non c’è tempo da perdere, devo andare –
E si allontanò dal tavolo, lasciando gli altri tre da soli.

Lucia guardò verso Alessa, essendo lei l’unica alleata affidabile rimastale. Il che era un tutto dire.
- Adesso non ci resta che far fuori Natch – disse.
- Sì, ma come? – rispose la bretone.
- Alla vecchia maniera –

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Capitolo 6
*** Gli incidenti capitano ***


Capitolo 6
Gli incidenti capitano
 
Villaggio di Nibe, Highlands Coloviane. Mano della pioggia 29, 3E 224
 
- Alla fine scelsero me: era compito mio portare a compimento il contratto, uccidendo Natch -
- Ormai la copertura era saltata, a quanto mi hai detto – disse Galtus – Potevi ucciderlo come meglio credevi -
- Sì, ma ero testarda. Portai con me una bottiglia di vino dei Truiand. Avrei voluto ucciderlo come da contratto per due motivi, principalmente: il bonus monetario sarebbe stato maggiore e poi... -
-La tua coscienza ti avrebbe dato meno problemi se non avessi dovuto ucciderlo con le tue stesse mani. Dico bene? -
Alessa lo guardò stupita per un istante, poi ammise.
- Esatto. Non è mai facile uccidere una persona. Te lo assicuro -
 
Alessa giunse al villaggio di Nibe poco prima dell'alba. C'era ancora poca luce ed il sole si stava lentamende stagliando sulle nuvole in lontananza. Nibe era un minuscolo sobborgo di pescatori, con appena tre famiglie a viverci. Secondo gli informatori della Confraternita, era lì che Natch alloggiava. Non sapevano altro su di lui, ma tendenzialmente questo poteva bastare. Il resto del lavoro l'avrebbe fatto Alessa.
La bretone scese da cavallo non appena fu sufficientemente vicina alle tre capanne di legno che costituivano il villaggio. Ad attenderla, vi era una vecchia signora, storpia e gobba: era impegnata a stendere alcuni panni su un filo posto tra due paletti di legno. Appena vide la giovane assassina avvicinarsi, si alzò e la salutò con sincera felicità: evidentemente, non erano molti i visitatori di quel villaggio.
- Buona giornata, tesoro – disse, avvicinandosi ad Alessa – Che la benedizione dei Nove sia con te -
- La ringrazio, signora – rispose lei, imbarazzata, mente abbassava lo sguardo – Posso darle una mano con le sue faccende domestiche? - disse, indicando la grossa cesta piena di cenci bagnati.
- Non ti preoccupare, tesoro – rispose prontamente l'altra – Una bella e giovane ragazza come te deve pensare a tutt'altro che aiutare una vecchia decrepita come me. Dimmi, cosa ti porta qui? -
Alessa prese la bottiglia di vino, accuratamente riposta dietro la sella del cavallo, e la mostrò alla vecchia.
- Sto cercando un certo Natch. Era stato invitato ad una festa a Skingrad ieri sera, ma non si è presentato. Per questo ho pensato di portargli un pensiero -
- Oh, ma che gentile! - rispose l'altra, quasi commossa dal gesto della bretone – Sono sicura che mio figlio apprezzerà questo regalo. Perchè non glielo consegni di persona? E' in casa in questo momento ed è già sveglio, nonostante l'ora -
Alessa annuì e la salutò con un cenno. Poi si diresse verso quella vecchia catapecchia che i due chiamavano "casa".

Il piano era semplice: bastava entrare, porgergli la bottiglia e chiedergli di fare un brindisi in nome della festa dell'altra sera. Se avesse accettato, anche lei avrebbe bevuto ovviamente, autoavvelenandosi. Ma, non appena sarebbe tornata al Santuario, Yngvar le avrebbe somministrato l'antidoto. Natch non poteva contare su un simile supporto, invece.
Decise di entrare direttamente senza bussare, avendo già trovato la porta aperta.

All'interno vi era un giovane Imperiale, sulla ventina. Aveva una corporatura nella media e non era particolarmente muscoloso: sembrava un tipico ragazzotto di campagna, assolutamente diverso dall'elitè culturale presente all'evento di Skingrad. Il che sorprese Alessa, che si aspettava di incontrare tutt'altra persona.
- Natch? - chiese timidamente a voce bassa.
L'imperiale, impegnato a rovistare in un armadio, si fermò di colpo.
- Sì? Chi mi vuole? - rispose, voltandosi di scatto.
- Il mio nome è Alessa Northwode. So che sei stato invitato alla festa a casa degli Accius ieri sera, ma per qualche motivo non ti sei presentato. Per questo, i Truiand mi hanno detto di portarti questo esemplare del loro nuovo vino, in omaggio -
Cercò di essere più naturale possibile, ma mentire non era la sua specialità.
Natch perse rapidamente l'interesse iniziale verso l'ospite, non appena udì il nome degli Accius.
- Ah, sempre la solita storia – disse sbuffando. Poi si voltò, tornando a rovistare nell'armadio come stava facendo prima di essere interrotto – Non le sopporto queste serate, per questo mi sono dato per malato. E' la mia promessa sposa Nadia a costringermi a presenziare a questi eventi. Fosse per me, non ci andrei mai. Sono di una noia mortale – Poi tirò fuori una faretra, piena di frecce – Ah, eccole qua – esclamò, sistemandola dietro la spalla sinistra.
- Mi fa piacere sapere che tu stia bene, Natch. Gli invitati erano parecchio preoccupati per il tuo stato di salute -
Lui non rispose neanche, ignorandola completamente.
L'idea del brindisi stava sfumando ogni secondo di più. Doveva proporlo immediatamente, altrimenti non ci sarebbe più stata un'occasione.
- La famiglia Truiand gradirebbe avere la tua opinione in merito al loro nuovo vino. E' stato frutto di mesi e mesi di lavoro -
- Non bevo vino. Non bevo alcolici. E se non ti dispiace, adesso dovrei andare a caccia. E' già tardi: l’orso si sta già spostando a sud, mentre noi parliamo -
Era arrivato il momento di passare al piano secondario. L'avvelenamento non avrebbe funzionato su di lui.
Natch la oltrepassò, dirigendosi verso l'uscita. Notando che Alessa non si era mossa, la guardò in malo modo: non vedeva l'ora che se ne andasse da lì, evidentemente non sopportava gli ospiti.
- Se non ti dispiace, ho da fare oggi – disse lui, mostrandole l'arco che impugnava saldamente.
Alessa si avvicinò ed esaminò l'arma, sfiorandola delicatamente con la sua mano. Natch sembrò sorpreso inizialmente: non si aspettava certo che una presunta nobildonna come lei si interessasse di armi, tanto meno di archi.
- E' davvero un'ottimo arco – osservò lei – Ma la corda non è sufficientemente tesa. In questo modo, farai fatica a colpire bersagli lontani con precisione -
Natch restò sbigottito. Poi sbuffò, sorridendo, come se lo stesse prendendo in giro.
- Ecco, lascia che ti aiuti – disse lei, strappandogli letteralmente l'arco di mano.
La bretone sciolse rapidamente un nodo all'estremità dell'arma e dopo averla poggiata a terra, tese nuovamente la corda, riannodandola alla posizione di partenza. Esattamente come Ambroise le aveva insegnato. Il tutto mentre il cacciatore la osservava in silenzio, con un'espressione mista, fatta di sorpresa e sincero interesse.
- Come nuovo – disse lei, porgendogli nuovamente l'arco.
- Dove hai imparato queste cose? Non sembri una di campagna – rispose Natch, ammirando il lavoro appena compiuto su suo arco.
- A dire il vero, sono sempre stata appassionata di armi dalla lunga distanza. Ho cominciato ad usare l'arco all'età di cinque anni – mentì spudoratamente Alessa – Forse ti conviene avermi con te a caccia oggi, potrei insegnarti altri trucchetti -
Natch la fissò incredulo per dieci secondi abbondanti, senza dire nulla. Poi si riprese.
- Ma sì, perchè no. Ma ad una condizione. -
- Sarebbe? -
- Devi stare zitta e fare cosa dico io. Tu sarai anche brava con l'arco, ma sono io quello che sa cacciare -
- Affare fatto – e gli strinse la mano.
 
- Insomma, la tua abilità nel raggirare le persone stava migliorando di minuto in minuto -
- Già, non so neanche io cosa mi fosse preso in quel momento. Mi sono solo detta che in un modo o nel'altro l'avrei dovuto condurre fuori da quella casa. A qualunque costo -
- E così siete andati a cacciare. Dopo quanto tempo lo hai pugnalato alle spalle? -
Alessa non rispose ed abbassò lo sguardo.
- Ehi – la incalzò Galtus – Sai qual è il nostro patto, vero? -
- Non è quello il problema -
- E allora? -
- Semplicemente, non è stato facile da fare ed è ancora meno facile ricordarlo. Sai, uccidere quelle persone con il vino era un conto: non ho dovuto vederle morire nè tanto meno togliere loro la vita direttamente. Ma qui era diverso. Avrei dovuto pugnalare una persona alle spalle, un giovane come me, un giovane che sarebbe potuto diventare un qualcuno un giorno. Sai... -
- Smettila – la interruppe Galtus – Il tuo concetto di moralità è ridicolo: entrambi i crimini sono sullo stesso livello di gravità, da qualunque punto di vista. Nessuno ti ha obbligato a diventare un'assassina. Se non avessi voluto affrontare determinate situazioni, ti sarebbe bastato opporti. C'è sempre una scelta -
- Certo, tu la fai facile. Seduto qui, dietro quella tua scrivania. Hai un lavoro, una famiglia, degli amici. E ti diverti a giudicare le scelte di vita di una persona che non ha mai avuto niente di tutto questo. Ho dovuto farlo: ero ricercata, mi volevano morta. Ed in ogni caso, non sto cercando la tua approvazione o la tua compassione. Sono consapevole delle mie scelte fino in fondo. Ho solo detto che non è stato facile -
- Come vuole lei, Miss "Assassina dal Cuore d'Oro". Ma gradirei andassi avanti con il racconto, non ho tutto il giorno da perdere -
 
Arrivarono in un piccolo boschetto, poco sopra la cittadina di Nibe. Natch lo conosceva molto bene, ci veniva spesso a cacciare e le prede non mancavano mai: lepri, cerbiatti, persino cinghiali. Ma oggi lui era alla ricerca di un bersaglio molto più pericoloso. Da settimane, infatti, un orso stava terrorizzando i cittadini di Nibe e dei villaggi limitrofi. Aveva persino aggredito una coppia di passanti lungo un sentiero di montagna e da quel giorno tutte le comunità decisero che era arrivato il momento di farlo fuori. Natch, essendo uno dei pochi cacciatori a conoscere bene quella zona, si sentì responsabile del buon esito di tale sortita: non poteva permettere che altre vite fossero in pericolo, inclusa quella di sua madre.
- Hai sentito? - sussurrò Natch, abbassandosi di colpo.
Alessa scosse la testa, cercando di non fare rumore. Si abbassarono entrambi, ponendo massima attenzione all'ambiente circostante. Natch iniziò a sondare il terreno, alla ricerca di impronte o di altri segni utili a rintracciare l'animale.
- Deve essere passato di qui – disse, indicando una grossa orma circolare lasciata sul suolo ancora fangoso. Poi fece cenno alla bretone di seguirlo, in silenzio.
Seguirono la pista e poco dopo si ritrovarono davanti ad una grossa grotta, ricoperta di muschio. L'entrata era grande abbastanza per un orso, ma l'interno era troppo buio per poter verificare l'effettiva presenza della preda.
Natch sospirò, visibilmente irritato.
- E' già la terza volta che lo seguo fino a qui – disse scuotendo la testa – Deve essere la sua tana -
- Qual è il problema? - chiese Alessa, non riuscendo a spiegarsi il suo disappunto – Sappiamo dove vive, non ci resta che entrare ed eliminarlo -
Natch la guardò incredulo.
- Io là dentro non ci entro. È un suicidio: non si vede niente e non ho idea della conformazione interna della grotta. Potrebbe benissimo tenerci un'imboscata e saremmo morti in un attimo. No, dobbiamo pensare a qualcos'altro -
Alessa si guardò attorno: poco fuori l'entrata vi era un grosso spiazzo circolare, grande abbastanza per circondare l'orso. Avrebbero potuto attirarlo fuori, apportarsi dietro gli alberi e colpirlo dalla distanza, senza correre rischi.
- Ho un'idea – suggerì lei – Potremmo cercare di attirarlo fuori dalla caverna. Qui possiamo farlo fuori senza troppi problemi: lo potresti colpire facilmente con una freccia prima che si renda conto di dove siamo -
- Questo mi sembra un buon piano – disse lui, piacevolmente sorpreso – Ed io ho un'idea su come attirarlo fuori. Lo staneremo con il fuoco -
- Il fuoco? -
- Esatto. Non c'è cosa che gli animali temano di più. Se accendiamo un fuoco accanto all'entrata, il fumo riempirà la caverna, facendo uscire la nostra vittima. Dai, aiutami a raccogliere del legno -
Alessa annuì e lo seguì nel boschetto. Raccolse tutto ciò che riuscì a trovare: foglie secche, ramoscelli, ceppi di legno. Anche Natch si diede da fare, caricando tutto sulle spalle e depositandolo a ridosso della grotta. Poi prese delle piccole pietre e le dispose a formare un cerchio, entro il quale avrebbero acceso il fuoco.
Era quello il momento giusto per colpire ed Alessa lo sapeva bene. Senza farsi notare dal cacciatore, estrasse il pugnale che aveva nello stivale di cuoio e lo nascose sotto la manica destra del suo vestito, pronta per colpire al momento opportuno.
Natch, nel mentre, si stava dando da fare per accumulare tutti i legnetti, ponendo con attenzione i rami più sottili e secchi al fondo, e quelli più spessi negli strati superiori.

Era voltato di spalle, il momento era perfetto.
Alessa si avvicinò, trattenendo il respiro e facendo scivolare la lama nella sua mano destra. Un colpo secco, alla base del collo e lui sarebbe morto. Era lì, pronta ad attaccare, ma qualcosa la stava frenando. Cosa stava facendo? Avrebbe veramente tolto la vita ad un giovane? E poi in un modo così vigliacco? Era davvero un'assassina?
E così restò immobile, per interminabili secondi, a fissare l'indifferente Natch che non sospettava di nulla. Ma non riusciva proprio a dargli il colpo mortale.
- Ehi, una mano sarebbe gradita qui... - disse lui, ma lei non rispose.
- Mi hai sentito? -
Natch si girò, ancora rannicchiato. Alessa era in piedi, davanti a lui, con il pugnale in mano ed un'espressione fredda al di fuori, ma confusa all'interno. Natch la fissava con gli occhi sbarrati. A quel punto la copertura era saltata definitivamente.
Alessa affondò il colpo, ma fu imprecisa: lo tagliò poco sotto la spalla sinistra, avendo in realtà mirato al cuore. Natch cadde all'indietro, perdendo subito molto sangue. Ma Alessa tentennò, perdendo il momento giusto per finirlo. Così il cacciatore, con la forza della disperazione, rotolò all'indietro e si alzò di scatto, per poi gettarsi su di lei. Alessa provò ad intercettarlo con un fendente, ma andò a vuoto e crollò sotto il suo peso. Natch prese il sopravvento, la disarmò e poi le portò le mani al collo, nel tentativo di strozzarla. Sebbene la sua prese non fosse irresistibile a causa della ferita da poco procurata, Alessa non riusciva a divincolarsi.
- Come hai osato?! - urlò lui, con l'espressione ancora terrorizzata di chi ha appena sfiorato la morte.
La sua stretta si fece sempre più opprimente ed Alessa iniziò a perdere le forze. Il pugnale era caduto a qualche metro di distanza, ormai irraggiungibile. Natch era fermo sopra di lei, con le sue grosse mani attorno al collo della bretone.
- Adesso ti uccid... -

Una freccia sbucata dal nulla si conficcò nel cranio di Natch.
Di colpo, lasciò andare Alessa e collassò al suo fianco. La bretone si alzò di colpo, guardandosi attorno nella speranza di scoprire chi aveva scoccato la freccia. All'improvviso, vide una figura avvicinarsi a lei.

Era Lucia.
La Silenziante si avvicinò al cadavere di Natch, noncurante delle condizioni della bretone. Dopo essersi assicurato che fosse effettivamente morto, si voltò verso la Sorella.
- Stai bene? - disse con sufficienza.
Alessa raccolse il pugnale e si scrollò la polvere di dosso.
- Sì, sto bene. Mi hai seguita per tutto questo tempo? -
- Non potevo permettere che questo incarico fallisse. Era troppo delicato per rischiare. E tu... -
- Ed io? -
Lucia estrasse violentemente la freccia dal cadavere del cacciatore, pulendo la punta dal sangue residuo.
- E tu non sei proprio una garanzia, diciamo – disse, indicandola.
Alessa evitò il suo sguardo, imbarazzata.
- Dai, aiutami a spostare il cadavere – ordinò Lucia, afferrando il corpo esanime di Natch da un braccio – Lo metteremo di fronte all’ingresso della grotta. Sarà stato l’orso il nostro assassino per questa volta. Questi contadini sono troppo stupidi per capire come siano andate veramente le cose -

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Capitolo 7
*** E' il tuo funerale ***


Capitolo 7
E' il tuo funerale

 

Cappella di Talos, Bruma, Monti di Jerall. Mano della pioggia 30 E3 224

 

Ambroise e Alessa era giunti all'appuntamento prima del previsto.
La grande cattedrale di Talos si ergeva maestosa sopra la grigia città di Bruma, ancora addormentata durante le prime luci dell'alba. Una leggera brezza proveniente dalle montagne limitrofe stava scompigliando i lunghi capelli biondi della bretone che, impassibile, stava aspettando il contatto davanti all'ingresso. Ambroise fischiettava, sereno e sorridente come al solito.
- E' in ritardo – sbottò lei – Doveva già essere qui -
- Stai tranquilla – rispose Ambroise, guardandosi attorno – Arriverà presto. Te lo assicuro -
Manco a dirlo, tre figure si stagliarono dalla grigia nebbia della strada, avvicinandosi lentamente ai nostri due eroi. Al centro vi era un uomo visibilmente agiato: sfoggiava un'elegante veste adornata da gioielli e da pellicce di vario tipo. Gli altri sembravano le sue guardie del corpo, due energumeni che vestivano pesanti armature di cuoio.

Alessa si scostò dal muro per approcciarli, ma Ambroise la strattonò prontamente, bloccandola.
- Aspetta che entrino dentro la cappella. Non possiamo dare nell'occhio. Lo scambio deve avvenire all'interno – le sussurrò.
Alessa restò impietrita, spalle al muro, mentre i tre li sorpassavano. Il nobile fece un cenno ad Ambroise mentre spalancava le porte della cattedrale, seguito dai suoi due sgherri.

A quel punto, anche Ambroise ed Alessa entrarono.

La Cappella di Talos conservava la propria maestosità anche al suo interno: nel piano principale vi erano ben nove altari diversi, dedicati alle nove divinità venerate dalla gente di Cyrodiil. Tra cui Talos, il semidio, l'eroe della Terza Era. A lui era dedicato questo edificio. Pellegrini da ogni parte del paese venivano a rendergli omaggio, chi con delle pregriere, chi con delle offerte.
Il nobile si era seduto da solo nella prima fila delle panche di legno, proprio davanti all'altare. Le sue due guardie erano in piedi, dietro di lui. All'interno della cappella vi era solo una sacerdotessa, che girava con fare assonnato tra gli altari, assicurandosi che fosse tutto al proprio posto per le celebrazioni odierne.

Ambroise fece cenno ad Alessa di seguirlo ed i due si avvicinarono al nobile, sedendosi al suo fianco. Le guardie, nel mentre, fissavano impassibili davanti a loro, pronti a scattare al primo imprevisto.
I tre, ora seduti sulla stessa panca, fissavano in silenzio la maestosa vetrata di fronte a loro, attraverso la quale iniziavano timidamente a filtrare le prime luci dell'alba.
- Non è incredibile? - iniziò a parlare il nobile – In una sola settimana dodici dei miei più grandi problemi sono stati spazzati via. Per sempre -
Ambroise tossì, schiarendosi la voce.
- Il contratto è stato portato a compimento come previsto. I bersagli sono stati avvelenati dal vino dei Truiand. Tutti tranne uno, il quale è stato eliminato silenziosamente il giorno successivo senza alcuna traccia o collegamento al delitto precedente. Le guardie di Skingrad stanno perquisendo le cantine dei Truiand mentre parliamo. A Nibe, invece, tutti pensano che il povero Natch sia stato ucciso da un orso. Nessuno sospetta nulla – riepilogò l'Ascoltatore della Confraternita.
Il nobile sorrise, visibilmente compiaciuto. Poi fece un cenno ad una delle sue guardie: l'energumeno tirò fuori dalla sua cinta una sacca piena di monete d'oro e la lanciò ad Ambroise.
- Questa è la prima parte del pagamento – disse il mandante dell'assassinio – Il resto vi verrà consegnato tra due settimane. Capisci bene che muovere eccessive quantità di denaro non sarebbe stato prudente -
- Capisco perfettamente – rispose Ambroise, che non aveva resistito alla tentazione di dare una sbirciata al contenuto della sacca.
In seguito, strinse la mano al nobile e disse ad Alessa di seguirlo. I due si alzarono ed iniziarono ad allontanarsi, uscendo dalla cappella di Talos. Gli altri tre rimasero all'interno, immobili.

Appena fuori, Ambroise iniziò a manifestare tutta la sua contentezza, scuotendo la sacca piena di denaro. Alessa era anch'essa incuriosita ed eccitata all'idea di poter gestire una tale somma, ma cercava di celare le sue emozioni dietro il suo consueto velo di freddezza ed apatia.
I due lasciarono la piazza principale che ospitava la cattedrale e si diressero verso i quartieri abitativi. Lentamente, i primi abitanti di Bruma stavano uscendo dalle proprie abitazioni per dedicarsi alle loro mansioni quotidiane: i negozi stavano aprendo, le guardie inizavano a circolare in maggior numero, i mendicanti si dirigevano stancamente verso il centro della città.
- Hai agito bene. Sono contento dei tuoi progressi – disse Ambroise, riferendosi alle gesta di Alessa nel contratto appena concluso.
- Grazie – rispose Alessa, poco convinta. Era chiaro che lui stravedesse per lei, sorvolando sui suoi evidenti limiti. Insomma, non avrebbe mai ucciso Natch se non fosse stato per Lucia. E nell'avvelenamento di massa non aveva giocato un ruolo di rilievo. Chiaramente Ambroise la lodava senza essere supportato dai fatti e ciò la imbarazzava.

Arrivarono ad una piccola capanna di legno, proprio a ridosso del muro occidentale della città. Ambroise si avvicinò alla porta e sbirciò dal buco della serratura. Non vedendo nessuno, iniziò a bussare violentemente.
- Svegliati, idiota! - urlò con fare scherzoso.
- Ma che fai? - ripose Alessa, guardandosi istintivamente attorno e sperando che le sue urla non attirassero attenzioni indesiderate.
- Stai tranquilla, qui è dove abita Yngvar – spiegò l'altro – Il mio era un modo amichevole per dargli il buongiorno -
Da dentro, si sentivano alcuni rumori. Probabilmente il Nord si era svegliato di soprassalto e stava cercando di capire cosa stesse succedendo, prima di andare ad aprire.
- Cosa devi dirgli? - chiese Alessa, con sufficienza.
- Nulla. Sono solo passato per la nostra bevuta giornaliera -
- Sono le otto del mattino -
- Lo so – rispose Ambroise, non capendo il suo stupore – Ti va di unirti a noi? -
Alessa, che già non sopportava gli alcolici di suo, rabbrividì all'idea di sbronzarsi di prima mattina. Rifiuto gentilmente, scuotendo la testa.
- Peccato – rispose Ambroise, deluso. - Ah, quasi dimenticavo -
Le lanciò la borsa piena di monete d'oro. Alessa la prese a stento, spiazzata da quel lancio inaspettato. Poi lo guardò con espressione dubbiosa.
- Comprati qualcosa. Sono tuoi – disse Ambroise, sfondando con un calcio la porta di Yngavr e sparendo all'interno dell'abtazione.

Alessa restò per diversi secondi immobile, a fissare quella sacca piena d'oro senza sapere che farne. Non aveva mai visto così tanti soldi in vita sua e, ad esseri sinceri, non sapeva manco che farsene.
Superato lo stupore iniziale, decise di dirigersi nel quartiere dei negozi. Pensò a quando, da piccola, camminava attraverso le vetrine e le bancarelle, bramando un giorno di poter indossare tutti quei sfarzosi gioielli, proprio come una vera nobildonna. Non aveva mai potuto permetterselo. Ma adesso voleva soddisfare questa sua infantile fantasia.
Entrò di getto nella prima bottega che trovò. Al suo interno, una giovane donna stava pulendo il pavimento con una scopa. Tutto a torno vi erano grossi espositori di vetro, contenenti tutta una serie di gioielli e di accessori: anelli, collane, orecchini. La negoziante, sorpresa nel vedere una visitatrice così presto nella giornata, fissò la bretone con aria incuriosita. Ma Alessa, in tutta risposta, iniziò a scuotere la sacca piena di denaro, con una sicurezza ed una spavalderia che non aveva mai provato prima in vita sua.
Gli occhi della proprietaria si illuminarono di colpo.
- Benvenuta – disse – Come posso aiutarti? -

 

- Insomma, ti sono bastati un po' di soldi per mettere a tacere la tua moralità. E' tipico nei criminali -
-Pensi veramente che una ragazza di venti anni, che non avrebbe mai e poi mai pensato di poter avere una tale somma a disposizione in vita sua, si sarebbe comportata in maniera differente? Ne dubito. -

- Continui a proporre scuse discutibili ai tuoi comportamenti criminosi. Ma sorvoliamo. Cosa successe in seguito? -
- Ambroise concesse a tutti una settimana di riposo. Gli altri si spartirono il denaro proveniente dai pagamenti successivi -
- Quando ottenni il prossimo contratto? -
- Circa un mese dopo. Ambroise aveva in mente qualcosa di speciale per me e Lucia. Una sorta di gara -

 

Il vedovo Remain Carvain stava lentamente camminando lungo il quartiere dei Giardini Elfici della Città Imperiale. Le strade conservavano una certa umidità, dovuta alle forti precipitazioni della giornata appena trascorsa. In giro non vi era quasi più nessuno: la maggior parte dei cittadini era all'Arena in quel momento, chi per scommettere, chi per assistere, chi per combattere. Ma Remain aveva altro per la testa in quel momento e non poteva permettersi di pensare ai divertimenti.
Erano trascorsi ormai più di due anni dalla morte della sua amata moglie, Vittoria. Una morte per la quale non riusciva ancora a darsi pace: la colpa era di quella sporca sguattera bretone, Alessa Northwode. Avevano litigato in una locanda nei bassifondi e quando la sua amata era intervenuta in suo soccorso, era stata colpita a tradimento da quella assassina. Come Remain tristemente scoprì, uccidere una persona con un pugno in pieno volto era molto meno difficile di quanto pensasse l'opinione comune. Non serviva una forza sovraumana o una particolare abilità nel pugilato: bastava solo tanta fortuna, fortuna nel colpire esattamente la base del naso della vittima. Vittoria morì poco dopo per trauma cranico: le ossa del naso erano rientrate, andando a collimare fatalmente con la sua corteccia cerebrale. Inutili furono i tentivi di soccorso: la sua amata moglie Vittoria era andata.
Ma Remain non era ancora riuscito ad assicurare alla giustizia quella sporca bretone criminale. Quell'Alessa che era sparita nel nulla, dopo l'omicidio, senza lasciare alcuna traccia. Aveva cercato ovunque, chiesto a chiunque, tentato qualunque pista. Ma senza successo.
E adesso era lì, da solo, sotto una leggera pioggia mattutina, a fissare la sua lapide.

Si abbassò per ripulire la stele da alcune erbacce. Mentre passava una mano sulla pietra, una lacrima di commozione iniziò a solcare il suo volto.
Una figura lo avvicinò alle spalle, senza dire nulla. L’uomo si fermò dietro Remain, appoggiando la sua mano sulla spalla del vedovo. L’altro non si voltò neppure, continuando a fissare la lapide di Vittoria.
- Un giorno vendicheremo Vittoria, capo. E‘ solo questione di tempo –
Remain scosse la testa.
- Sono passati due anni e non siamo ancora riusciti a trovarla – rispose Remain, parecchio irritato – E‘ evidente che voi non siate in grado di gestire la faccenda –
- Non può nascondersi all’infinito. Stiamo esplorando ogni possibile pista. Ormai siamo vicini –
Remain non disse più nulla. Passò ancora una volta la mano sopra la pietra tombale, un’ultima carezza alla defunta moglie. Poi si alzò in piedi.
- Alessa deve morire. Non mi darò pace finchè ciò non accadrà. Ma trovarla si sta rivelando più difficile del previsto –
- Potremmo mettere delle taglie sulla sua testa. La gente farebbe di tutto per soldi –
- No – Rispose Remain – Dobbiamo rivolgerci a dei professionisti. Dobbiamo contattare la Confraternita Oscura -

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Capitolo 8
*** La mia Miglior Nemica ***


Capitolo 8
La mia miglior nemica

 

Santuario della Confraternita Oscura, Monti di Jerall. Secondo Seme 17, E3 224

 

- E’ la cosa più stupida che io abbia mai sentito –
Lucia continuava a passeggiare nervosamente su e giù per la stanza centrale del Santuario, visibilmente irata.
Ambroise, dal canto suo, la guardava divertito, seduto sulla sua scrivania.
- Come ti è saltato in mente anche solo di propormi un contratto del genere? E‘ oltraggioso – urlò lei – Sono una professionista. Sono una Silenziante. Non ho tempo da perdere dietro queste tue pseudo-sfide –
Ambroise sorrise e si alzò in piedi, accorciando la distanza tra i due. Si avvicinò a Lucia e la afferrò delicatamente da un braccio, costringendola a fissarlo dritto negli occhi. Quando i loro sguardi si incrociarono, iniziò a parlare.
- Dici sempre di essere la migliore, non è così? –
Lucia annuì, scostando lo sguardo.
- Questa è la tua occasione per dimostrarlo. Solo te ed Alessa. La prima che lo uccide, vince. Semplice –
Lucia si divincolò con forza dalla presa, spintonandolo. Ambroise indietreggiò, colto alla sprovvista da tale reazione.
- Qui non si tratta solo di noi – ribadì lei – Ci sono altri interessi in gioco. Pensi che Sithis e la Madre Notte approverebbero tale comportamento infantile? Ogni contratto è un vincolo sacro, non un sollazzo. Il Sacramento Nero è un rituale e come tale va rispettato. Inoltre, dubito fortemente che chi abbia commissionato l’omicidio sia d’accordo con queste tue puerili volontà –
L’Ascoltatore la guardò per qualche istante, interdetto. Effettivamente, Lucia aveva ragione: le parti coinvolte in un contratto erano diverse, ognuna di pari importanza. E bisognava rispettarle tutte. Ma dai, quella sfida sarebbe stata troppo divertente: Ambroise non voleva proprio rinunciare a questo suo nuovo, folle piano.
- Non abbiamo un mandante questa volta – tentò di giustificarsi – E‘ tutto in mano nostra. Il bersaglio è una giovane guardia della Città Imperiale: Lesley Rackham. Sta scalando rapidamente le gerarchie interne ed è arrivato a conoscenza di alcune informazioni particolarmente delicate, che ci riguardano. Proprio ieri hanno arrestato due nostri informatori. Dobbiamo mandare un segnale forte ed eliminarlo –
Ma Lucia non sembrava per niente convinta e fissava altrove, con aria disinteressata.
Ambroise si avvicinò nuovamente a lei ed estrasse dalla sua cinta un pugnale particolarmente decorato: la sua impugnatura era incisa con sfarzose decorazioni rosse, mentre la lama era leggermente ricurva.
- Lo vedi questo? - disse lui.
- E' il tuo pugnale preferito – rispose lei, stupita – Ricordo ancora quando lo trovammo. Cos'era? Tre anni fa? -
- Esatto. Dentro quella rovina Ayleid. Per poco quel vampiro non ci uccideva. Ricordi? -
Lucia sorrise e lo spintonò amichevolmente.
- Se vinci questa sfida sarà tutto tuo – disse Ambroise – Promesso -

 

 

- E così mi diressi verso la città imperiale – raccontò Alessa – Il mio bersaglio era Rackham -
- Lo conoscevo. Veramente un bravo ragazzo, con un promettente futuro davanti. Da dove iniziasti le tue ricerche? -

- Dai barboni del porto -
- Eh? -
- I senzatetto vedono e sentono tutto ciò che succede per le strade. Oltretutto, sono disposti a fare qualunque cosa per un paio di monete d'oro. In assenza di informatori, sono le migliori opzioni a disposizione -

 

 

 

- Ehi! Sto parlando con te. Sveglia! -

Alessa si ritrovò davanti a sé un vecchio ubriaco, sdraiato all'angolo di una strada del porto della Città Imperiale. Aveva un'aria trasandata ed emanava un fetore insopportabile.
Visto che le maniere gentili non avevano avuto effetto, la bretone decise di svegliarlo in modo poco tradizionale. Gli tirò un calcio.
- Che succede? Aiuto! - urlò lui, svegliandosi di soprassalto, spaventato.
Alessa gli pose tempestivamente una mano sulla bocca, proibendogli di urlare. Non doveva attirare l'attenzione delle guardie, sarebbe stato un errore ingenuo.
- Stai tranquillo – gli sussurrò – Non voglio farti del male. Mi servono solo delle informazioni: in cambio, potrai avere tutte le bottiglie di birra che vorrai. Intesi? -
L'altro annuì ed Alessa rilasciò la sua presa, lasciandolo respirare di nuovo.
“Fantastico: adesso la mia mano puzza di vomito misto a vino. Avrei dovuto pensarci prima” rifletté lei, stizzita.

L'uomo si mise comodo e, tra uno sbadiglio e l'altro, riacquistò compostezza.
- Cosa vuoi sapere? -
- Lesley Rackham. Dimmi tutto ciò che sai -
- Ah, la nuova guardia cittadina – il suo voltò si illuminò – E' un uomo molto gentile ed educato: mi lascia sempre qualche spicciolo quando è di pattuglia nel porto -
Perfetto. Un'altra vittima dall'anima angelica. Perché doveva essere tutto così moralmente difficile? Non poteva essere uno spietato schiavista o un letale vampiro?
No, doveva lasciare i dubbi morali al di fuori della questione. Buono o cattivo che fosse, quell'uomo doveva morire.
- Devo sapere di più. Come avviene il suo turno di ronda? E' solo o accompagnato? Dove va di solito? -
- Ehi, frena, dolcezza – sbraitò il barbone – Prima fammi vedere i soldi -
Alessa gli lanciò letteralmente in faccia un borsello pieno di soli, facendogli discretamente male. Le monete si rovesciarono ai suoi piedi.
- Ecco a te. Adesso parla, o li prossimo oggetto che ti lancerò addosso sarà più appuntito e letale -
Era chiaramente una minaccia a vuoto, non l'avrebbe mai fatto. Ma servì per spaventarlo a sufficienza.

- Quando è in pattuglia, è sempre accompagnato da altre guardie. Sono in due o tre – disse lui, raccogliendo furiosamente il denaro – Non si separa mai da loro. Tranne quando va alla Locanda Vento di Ghiaccio -
Aveva sentito bene? Quella era la stessa locanda dove Alessa lavorava anni prima. La stessa locanda dove uccise inavvertitamente Vittoria. La stessa locanda da cui ebbe inizio questa sua folle avventura.
- Vento di Ghiaccio? Sei sicuro di quello che dici? Cosa ci fa un rispettabile membro della guardia cittadina in una bettola così malfamata? -
Il senzatetto sogghignò, divertito.
- Allora? - incalzò Alessa, sempre più impaziente.
- Diciamo che il nostro ragazzo d'oro ha un passatempo molto particolare – e scoppiò a ridere.
Alessa attese nervosamente che l'altro si riprendesse dal momento di ilarità.
- Ha una passione per... -
- Per? -
- Le Khajiit – e ricominciò a ridere, senza controllo.
A quel punto Alessa perse la pazienza e brandì il suo coltello, puntandoglielo alla gola.
- Non è un gioco. Smettila di farmi perdere tempo e parla chiaro -
- Va bene, va bene! - rispose l'altro, alzando le mani in segno di resa – Ma metti via quel coltello, ti prego -
Alessa lo assecondò, controvoglia.
- Senza scendere troppo nei dettagli, il nostro Lesley incontra ogni settimana una Khajitt di nome S'thasa. Li vedo sempre entrare nella locanda: prima entra lei, affitta una camera, e dopo un'ora arriva lui, tutto nascosto ed incappucciato. E' una relazione extra-coniugale e come tale potrebbe rovinare pesantemente la sua reputazione, se venisse scoperta. Ma l'oste è in combutta con loro, quindi tiene la bocca chiusa in cambio di soldi -
- L'oste è ancora quello scorbutico di Vigge? -
- Sì, lo conosci? - Il giovane barbone la squadrò, stupito – Aspetta un attimo. Sei tu! Sei per caso Alessa Northwode? Quella di cui tutti parlano? L'assassina? -
- No, non sono io – lo fissò dritto negli occhi – Io sono un fantasma. E tu non hai parlato con me oggi -

 

 

- Rimasi fuori dalla locanda per tutta la sera, in attesa del mio bersaglio. Ma non si presentò -
- Il mendicante aveva mentito? -

- No, era stato sincero. Semplicemente non era quello il giorno del loro incontro settimanale -
- Dunque? -
- Non avevo tempo da perdere, quindi decisi di affrontare direttamente l'oste. Volevo convincerlo ad aiutarmi -
- Vigge, il proprietario della locanda? Lo stesso Vigge per cui lavoravi prima di tutto questo trambusto? -
- Esatto. Per battere Lucia sul tempo avevo bisogno di un aiuto esterno e solo lui poteva effettivamente agevolare il mio incarico. Gli parlai la mattina seguente -

 

 

Alessa entrò nella locanda poco prima dell'ora di pranzo. Il locale era, stranamente, ancora vuoto. Non era cambiato così tanto rispetto a due anni prima: la bretone riconobbe subito i dipinti appesi alle pareti, così come la disposizione di tavoli e sedie, rimasta immutata. Vigge non c'era: probabilmente era indaffarato al piano superiore, o stava scegliendo del vino dalla cantina. Davanti ad Alessa vi era solo una giovane ragazza, all'apparenza una Guardiarossa. Stava pulendo un tavolo con uno straccio e non si era per niente accorta dell'ospite. Alessa tossì timidamente, per attirare l'attenzione. Immediatamente, l'altra sollevò lo sguardo e si avvicinò alla bretone.

- Buongiorno – le disse, imbarazzata – Non mi ero accorta di te. Hai davvero un passo silenzioso! -
Alessa, le cui abilità di conversazione non raggiungevano neanche lontanamente le sue doti di arciera, abbassò lo sguardo, senza sapere cosa dire.
L'altra si passò una mano tra i capelli, aggiustandosi la coda di cavallo. Poi provò a rianimare la conversazione.
- Come posso essere d'aiuto? Hai fame, sete o entrambe? -
- A dire il vero cerco Vigge, il proprietario. E' qui? -
- Oh – rispose la Guardiarossa – Sì, certo. E' al piano di sotto. Sta sistemando l'ultimo carico di vino che è arrivato stamattina. Cosa devi dirgli? -
- Sono una sua vecchia amica. Volevo solo salutarlo -
- Vai pure, allora. La scala è da quella parte! - le mostrò la via, che lei già conosceva ad occhi chiusi.
Alessa la ringraziò e passò oltre.
Si diresse rapidamente verso la porta che conduceva al piano inferiore. Quante volte aveva percorso quel tragitto, per prendere di corsa una bottiglia di vino da servire a chissà quale alcolizzato. Ripensando a quel lavoro orribile, si sentì quasi sollevata dall'aver trovato un'occupazione alternativa ben più remunerativa. Ma allo stesso tempo, rabbrividì all'idea di aver anche solo pensato una cosa simile. Cos'era diventata?
- Vigge? - disse a voce alta, mentre scendeva le scale.

Udì solo una bottiglia cadere al suolo, frantumandosi in mille pezzi. Appena raggiunse la base delle scale, vide il vecchio Nord in piedi di fronte a lei: era pallido e spaventato, come se avesse visto un fantasma. Il vino, nel frattempo, stava sporcando le sue scarpe di cuoio. Ma a quanto pare, non gli importava.
- A...Alessa? - balbettò.
La bretone non si aspettava di essere riconosciuta immediatamente: evidentemente la sua assenza era pesata al proprietario, più di quanto non avrebbe mai ipotizzato.
- Sono io. Ti ricordi di me? -
L'altro si avvicinò in silenzio, con gli occhi sbarrati. Quando fu ad un passò da lei si fermò ed iniziò a passarle una mano sulla guancia, come per accertarsi che non si trattasse di una visione o di un fantasma. No, quella era veramente Alessa. Ed era viva, proprio lì, davanti a lui.
- Sei... Sei viva -
- Esatto – rispose lei, allontanando delicatamente la sua mano dal proprio volto. Non voleva sembrare rude, ma allo stesso tempo non sopportava l'essere toccata da estranei. - Mi serve il tuo aiuto -
- Pensavo fossi morta! - disse lui, riprendendo le distanze.
- Anch'io -
- Che ti è successo? -
- E' una lunga storia, te la racconterò in un altro momento – rispose lei, guardandosi attorno per assicurarsi che non ci fosse nessun altro oltre a loro due in quella stanza – Mi devi aiutare -
- Sei nei guai con la legge, vero? Sei sempre stata una testa calda, figliola -
Odiava quel soprannome, ma si sforzò di farselo piacere, per un'ultima volta.
- No. Devo solo sapere dove alloggia Lesley Rackham. So che è un tuo cliente abituale -
Vigge la squadrò per un istante, insospettito.
- Perchè vorresti saperlo? -

Era arrivato il momento di improvvisare.
- Gli stiamo preparando una festa a sorpresa, per celebrare la sua promozione – mentì – Io e la Khajiit che frequenta di solito, di cui ora mi sfugge il nome -
Nessuno avrebbe mai creduto ad una tale idiozia. Ma Vigge era davvero la persona più stupida che Alessa avesse mai incontrato in vita sua. O almeno, così credeva.
- Ah, certo. Una festa a sorpresa – rispose lui, sorridendo – Sembra divertente. Ti aiuterò, certo. Ma dovrai promettermi una cosa -
Alessa sospirò. Le persone di Cyrodiil chiedevano sempre un favore in cambio di una qualunque richiesta. Era incredibilmente irritante.
- L'hai vista la mia assistente, al piano di sopra? -
- Chi? Quella Guardiarossa? -
Vigge si mise una mano sulla fronte, desolato.
- Esatto. Quella ragazza è un disastro. Tu eri molto meglio di lei -
- Strano. Ricordo che ti lamentavi di me ogni giorno, quando ancora lavoravo qui -
- Le mie erano lamentele di apprezzamento, figliola -
Alessa sorrise: quell'idiota non era cambiato di una virgola.
- Ah, certo. Lamentele di apprezzamento. Come ho fatto a non accorgermene? -
- Non è colpa tua, cara. Sei giovane, impulsiva. Ma io ho bisogno di te qui. Attualmente lavori da qualche parte? -
Doveva mentire, per cercare di convincerlo ad aiutarla.
- No. Anzi, sto ancora cercando lavoro come cameriera. Se tu mi aiutassi con questa mia festa a sorpresa, sarei più che grata di ricambiare il favore, ricominciando a lavorare per te -

Il voltò di Vigge si illuminò.
- Che gioia! - urlò, abbracciandola – L'ho sempre detto che noi due siamo una coppia perfetta -
Alessa non ricambiò l'abbraccio. Anzi, si guardava attorno sperando che questa sceneggiata finisse al più presto.
- Allora? La stanza? - disse, allontanandolo nuovamente.
- Ah, già. Rackham di solito alloggia nella stanza numero quattro. La ricordi, vero? La numerazione non è cambiata da quando te ne sei andata -
Alessa annuì.
- Quando arriverà qui? Per che notte ha prenotato? -
- Stasera. Arriverà dopo cena. Almeno, così mi ha detto -
- Perfetto – rispose lei, sollevata – Allora vado a preparare la stanza. Mi raccomando, eh: non fare entrare nessuno, altrimenti il nostro accordo salta e ti dovrai accontentare di quell'imbranata per tutta la vita -
Vigge deglutì, spaventato all'idea di dover sopportare così a lungo tale incompetenza. Poi annuì.

 

 

- Quindi era questo il tuo piano? Nasconderti sotto il suo letto come una bambina? E io che pensavo che voi assassini foste capaci di imprese inenarrabili -
- Non avevo il tempo per architettare un piano più complesso e raffinato: ti ricordo che ero in competizione con Lucia. E lei avrebbe potuto colpire da un momento all'altro -

- Immagino. Prosegui con il racconto -
- Avevo solo il pomeriggio a disposizione: così decisi di preparare un adeguato nascondiglio all'interno della stanza. Un luogo da cui poter osservare tutto, per poi colpire al momento più opportuno. Vi era una vecchia cassettiera, l'unico mobile presente in quella camera. Rimossi alcune parti di legno e riuscii a ricavare abbastanza spazio da nascondermi al suo interno. Era scomodissimo, ma sarebbe stato più che sufficiente per quella serata -
- Ma scommetto che qualcosa non andò secondo i piani, o sbaglio? -
- Esatto – rispose Alessa, prendendo tempo - Due persone decisero di ostacolarmi -
- Chi? -
- Una era Lucia, ovviamente. E poi... -
- Poi? -
- Vigge. Quell'idiota aveva un piano tutto suo per farmi fuori -

 

 

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Capitolo 9
*** Triplo Gioco ***


Capitolo 9
Triplo gioco

 

Locanda Vento di Ghiaccio, Città Imperiale. Secondo Seme 19, E3 224

 

Tutto era pronto.
Lesley Rackham sarebbe stato lì da un momento all'altro. Alessa era rannicchiata all'interno di quella vetusta cassettiera: era quasi una tortura per lei, la schiena iniziava a farle davvero male. Ma sopportava in silenzio: non c'erano piani alternativi. O meglio, c'erano. Ma a lei non erano venuti in mente.

La porta si spalancò all'improvviso. Entrò una coppia, mano nella mano. Una Khajiit, all'apparenza molto giovane, ed un Imperiale, vestito con un'armatura della guardia cittadina. Erano loro.
I due, mano nella mano, si sedettero attorno al tavolo rotondo presente all'estremità della stanza ed iniziarono freneticamente a mangiare tutte le prelibatezze che Vigge aveva predisposto. Di tanto in tanto, si fermavano per raccontarsi un paio di aneddoti su come avevano trascorso la giornata. Non sembravano particolarmente felici di vedersi: probabilmente, la routine aveva preso lentamente il sopravvento anche su quella relazione, soffocando gli entusiasmi iniziali. Alessa si sarebbe aspettata un incontro molto più passionale, ma così non fu. E si sentì sollevata da ciò, senza un particolare motivo.

- Mi sembri più taciturna del solito, S'thasa – chiese Lesley, come se avesse appena letto Alessa nel pensiero – Qualcosa non va? -
L'altra lo guardò interdetta, con la bocca ancora piena di pane. Deglutì il boccone, prima di rispondergli.
- S'thasa sta bene. Non ti preoccupare – rispose lei, riferendosi a se stessa in terza persona, come da tradizione per la sua stirpe.
Lesley sospirò, poco convinto. Poi si alzò dal tavolo, per dirigersi verso la cassettiera. Alessa trattenne il respiro, preoccupata. Ma la guardia non sospettava di nulla. A lui interessava solo ciò che vi era appoggiato sopra il mobile: una pregiata bottiglia di vino della famiglia Seranel, importata direttamente da Elsweyr. Era costata metà della sua paga mensile, ma ne sarebbe valsa la pena. Quella sera era speciale, dovevano festeggiare: Lesley era diventato una figura importante della guardia cittadina. Per strada tutti parlavano di lui, della sua brillante carriera e della sua abilità investigativa. La Confraternita Oscura aveva le ore contate.

Presi due boccali, tornò al tavolo. Versò delicatamente il vino in entrambi, poi lo passò alla sua ospite. S'thasa non sembrava particolarmente entusiasta della bevanda ed allontanò il bicchiere.
- Stasera S'thasa non vuole bere – disse lei, passandosi una mano sulla tempia – S'thasa non si sente molto bene. Ha la testa pesante -
Lesley ritirò il bicchiere, sempre più stupito. Chiaramente c'era qualcosa che non andava nel suo atteggiamento: quasi non sembrava lei, faceva fatica a riconoscerla. Ma non doveva agitarsi: era una serata speciale. Per entrambi. Doveva mantenere la calma e godersi il vino, senza troppi pensieri.
- Se avessimo brindato – disse S'thasa – in nome di cosa l'avremmo fatto? -
Lesley si grattò la fronte, perso nei suoi pensieri.
- Avremmo brindato a me, ovviamente – rispose – Ieri ho arrestato un informatore della Confraternita Oscura. Dovevi vederlo, quell'idiota! Si è fatto arrestare come un fesso e adesso è a marcire nelle celle della prigione imperiale. Teme che gli assassini della Confraternita lo eliminino stanotte -
- S'thasa è confusa. In che modo si è fatto arrestare? -
- E' stato semplice – si vantò Lesley, sorseggiando il vino a sua disposizione – Ho intercettato un messaggio, a lui diretto, da parte di un loro fornitore di armi. Mi sono presentato all'appuntamento e l'ho arrestato. Vedi, non è così difficile arrestare questi criminali: in fondo, per quanto gli piaccia farsi avvolgere da un velo di mistero e sacralità, in realtà sono umani come tutti noi. E come tali, commettono errori. Il vero problema è un altro -
Si aspettò che l'altra le chiedesse di procedere con il discorso, ma la Khajiit era completamente assente e lo fissava con uno sguardo perso. Lesley, discretamente irritato, decise di proseguire comunque a parlare.
- Il problema, cara S'thasa, è che la gente ha paura di farsi avanti contro la Confraternita. Temono le ripercussioni. Temono di poter essere accoltellati nella notte, da un giorno all'altro. Ed effettivamente è un rischio, non lo nego -
Posò il bicchiere e si appoggiò con i gomiti al tavolo, guardando direttamente negli occhi la propria interlocutrice.
- Ma è un rischio che qualcuno deve compiere. E' un rischio che io devo compiere. Qualcuno deve cambiare le cose -
Posò delicatamente la propria mano su quella di S'thasa, fissandola.
- E ho bisogno che tu stia con me fino in fondo. Potrò contare sul tuo supporto? -
S'thasa annuì, poco convinta.
A quel punto, Lesley chiuse gli occhi, cercando di baciarla.

Ma S'thasa, con una rapidità fulminea, tirò fuori un pugnale dalla propria cinta e lo conficcò nel costato di Lesley.

L'Imperiale spalancò gli occhi, terrorizzato ed in preda al dolore. Provò ad urlare, ma senza riuscirci. Con le ultime forze, si alzò in piedi, portando entrambe le mani sull'impugnatura dell'arma, in ultimo, disperato tentativo di contenere la copiosa fuoriuscita di sangue.
Nel frattempo, S'thasa lo fissava immobile, priva di espressione. Era completamente ferma e non lasciava trasparire alcuna emozione. Si limitava a guardarlo, mentre lentamente si accasciava al suolo.

Alessa si chiese cosa stesse succedendo, non sapendo se fosse il caso di intervenire o meno. S'thasa era chiaramente pericolosa e non sarebbe stato prudente uscire dal nascondiglio proprio in quell'istante. No, avrebbe dovuto aspettare ancora un po'. Doveva mantenere la calma.
Ma mentre pensava freneticamente sul da farsi, sentì la porta aprirsi di colpo. Entrò con passo deciso una figura oscura, armata di arco e frecce.

Alessa la riconobbe all'istante: era Lucia.
La Silenziante si avvicinò a S'thasa, la quale non ebbe alcuna reazione nei confronti di quanto stesse succedendo. Lucia le passò una mano vicino alla fronte, da cui scaturì all'improvviso una leggera luce azzurra. Pochi istanti dopo, la Khajiit crollò a terra, apparentemente priva di sensi.

A quel punto, Alessa decise di uscire allo scoperto.
Col un calcio deciso, ruppe la parte inferiore della cassettiera e, goffamente, iniziò a strisciarne fuori. Lucia, accortasi di quanto stesse accadendo, si voltò di scatto ed incoccò una freccia, pronta a colpire.
- Sono io! sono io! - disse Alessa, alzandosi in piedi con le mani in alto.
Lucia la fissò per alcuni interminabili istanti, con un'espressione mista di sorpresa e disprezzo. Poi, a malincuore, abbassò l'arma e ripose la freccia al proprio posto.
- Cosa ci facevi lì dentro? - le chiese, inviperita.
- Aspettavo il momento giusto per colpire – rispose Alessa, ripulendosi dalla polvere che nel mentre si era depositata sui suoi vestiti.
- In una cassettiera? - Lucia sbuffò, sorridendo – Quanti anni hai? Dieci? Sei imbarazzante -
Ma la bretone non rispose. Effettivamente, si rese conto di quanto fosse stato ridicolo il proprio piano, sebbene potesse sembrare efficace all'apparenza. Di sicuro non raggiungeva la raffinatezza di quello attuato dalla sua rivale. Di cosa si trattava? Manipolazione mentale? Forse ciò avrebbe spiegato lo strano comportamento di S'thasa nel corso della serata.
- Cosa le hai fatto? - chiese Alessa, indicando S'thasa, ormai priva di sensi.
- Cosa ne puoi capire tu... - rispose Lucia, senza degnarla di uno sguardo: le sue attenzioni erano tutte rivolte all'agonizzante Lesley – E' un incantesimo della scuola di Illusione. Con la giusta potenza, può rendere chiunque un tuo schiavo personale. Per un periodo limitato di tempo, si intende -
Si abbassò per osservare da vicino il volto della sua vittima: Lesley era ancora vivo. I suoi occhi si muovevano da ogni parte, in preda alla più totale disperazione. Aveva più volte cercato di urlare, ma quel pugnale, conficcato alla base della cassa toracica, glielo proibiva.
- E così tu pensavi davvero di poter mettere il naso nei nostri affari senza aspettarsi alcuna conseguenza? - gli chiese Lucia, come se lui le potesse rispondere.
La guardia provò a dire qualcosa, ma dalla sua bocca uscì solo un fiotto di sangue.
La Silenziante si rialzò, caricando nuovamente il proprio arco. Mirò alla testa: fu un colpo preciso, proprio in mezzo agli occhi. Le sofferenze di Lesley Rackham terminarono così.
Alessa notò i dettagli sulla freccia: era decorata con delle incisioni rosse, mentre il legno era completamente nero. Erano i colori della Confraternita. In pochi ci avrebbero fatto caso, ma la guardia cittadina avrebbe colto il collegamento. Ed era proprio ciò che Ambroise voleva: lanciare un messaggio.
- E così ha vinto tu – notò Alessa, rammaricata.
- Sembri sorpresa. Era scontato che finisse così – rispose l'altra, riponendo l'arma – E adesso andiamocene. Non abbiamo tempo da perdere -
Lucia si diresse rapidamente verso la porta, mentre Alessa si fermò un istante a guardare S'thasa. Si chiedeva cosa avrebbe pensato quella poveretta a risvegliarsi così, di fronte al cadavere del suo amante, probabilmente senza neanche ricordarsi perché si trovasse lì con lui in quel momento.
Sarebbe stato orribile.
All'improvviso si sentì tirare da un braccio: era Lucia. La stava letteralmente trascinando fuori da quella stanza. Arrivate nel corridoio, la Silenziante lasciò la presa, non prima di averla spintonata in avanti, facendola quasi cadere.
- Muoviti – le urlò, accelerando il passo.
Alessa si riprese ed iniziò ad incamminarsi verso le scale.

Ma quando scesero al piano di sotto, rimasero sorprese da ciò che le stava aspettando.

Vigge era in piedi, in mezzo alla sala, con le braccia conserte ed una spavalda espressione ad illuminare il suo volto. Dietro di lui vi era una mezza dozzina di guardie della Città Imperiale, equipaggiate con le proprie armature e pronte ad impugnare le rispettive armi. Non vi era nessun altro all'interno del locale.
Alessa e Lucia si fermarono di colpo di fronte a tale spettacolo.
Vigge le stava aspettando: aveva teso loro un'imboscata.

- Oh, Alessa. Davvero credi che io sia così sciocco? - iniziò a parlare l'oste – Davvero credi che, dopo tutto il disastro che hai causato al mio locale due anni fa, ti avrei perdonata così, su due piedi?
Si avvicinò lentamente alle due, forte della protezione che i sei soldati lì presenti potevano offrirgli.
Le passò una mano sulla guancia, guardandola con la stessa rassegnazione di un padre che redarguisce la propria figlia per una bravata. Non aveva perso questa sua convinzione di essere una sorta di figura paterna per lei, la figura paterna che Alessa non aveva mai avuto.
- Ci ho provato in tutti i modi a rimetterti sulla giusta strada, figliola – le disse, quasi in lacrime – Ti ho raccolto io dalla strada. Ti ho vestito. Ti ho dato un lavoro. Ed è così che mi ripaghi? Uccidendo nel mio locale? Diventando un'assassina? -
Alessa non rispose ed indietreggiò, evitando il contatto con la sua mano.

Lucia si voltò verso di lei.
- Cosa vuol dire tutto questo? - urlò – Come fa lui a sapere il tuo nome? -
- Io, io... – balbettò Alessa, ormai in preda al panico. Non era più in grado di formulare un discorso coerente.
- Tu mi hai tradita! - urlò Lucia, puntandole un dito contro – Tutto questo è colpa tua! -
- No, posso spiegarti – cercò di giustificarsi – Non è come credi -
A quel punto Vigge indietreggiò, mentre una delle guardie lo raggiunse.
- Sono tutte tue – disse il proprietario del locale – Io ho fatto la mia parte dell'accordo -
- Ti ringrazio – rispose l'altro – Tu sei un grande esempio di valore cittadino. Tutti gli abitanti della Città Imperiale dovrebbero prendere esempio da te -
Poi si voltò verso le due criminali, con uno sguardo carico di disgusto.
- E voi – riprese – Nessun periodo di prigionia è sufficiente a ripagare tutto il male che avete compiuto. Oggi morirete per mano mia -
Alessa indietreggiò, in preda al panico.
Lucia, invece, fece un passo in avanti con aria decisa. Era pronta allo scontro. Anzi, non aspettava altro.
- E così, avete lasciato morire un vostro collega pur di catturarci – fece notare la Silenziante – Anche questo è un ottimo esempio di “valore cittadino”, immagino -
La guardia si fece più seria, cupa in volto.
- Certe volte la giustizia necessita di sacrifici. Ma l'anima di Lesley è in pace, sapendo che il suo omicidio è servito ad eliminare una volta per tutte la Confraternita Oscura. E adesso, se non vi dispiace, è tempo di mor... -

Lucia lo uccise all'istante, con un netto fendente alla base del collo.

La testa della guardia rotolò per terra, lasciando una copiosa quantità di sangue come scia. La rapidità del colpo fu allucinante, tant'è che persino Alessa scattò all'indietro, spaventata.
A quel punto, le altre guardie sfoderarono le proprie armi: visibilmente intimiditi, i soldati iniziarono confusamente ad urlarsi ordini a vicenda, nel tentativo di circondare le due. Lucia, impassibile, rialzò lo sguardo e si ricompose per un istante. Alessa, dietro di lei, portò rapidamente la mano all'interno del proprio stivale di cuoio, dove era nascosto il suo fedele pugnale. Lo impugnò saldamente e si preparò allo scontro.

Ma, proprio quando i nemici sembravano averle circondate, Lucia decise di giocare d'astuzia: colse le guardie alla sprovvista con un potente incantesimo di Distruzione, un'onda d'urto poderosa che lanciò letteralmente in aria le guardie imperiali, facendo loro impattare contro le pareti ed il mobilio. A quel punto, fu facile per lei sfruttare l'opportunità per fuggire: si diresse senza esitare verso l'uscita, mentre i soldati cercavano confusamente di rialzarsi e recuperare il proprio equipaggiamento.

Alessa la seguì in religioso silenzio, quasi intimorita dalla sua potenza. Ma proprio mentre furono sull'uscio, pronte ad uscire, Lucia si voltò di scatto verso la bretone. La guardò con sorriso abbozzato che non prometteva nulla di buono.
- Che succede? - chiese Alessa, guardandosi attorno: le guardie si stavano rialzando, a momenti sarebbero state pronte all'inseguimento. Non potevano certo permettersi di tergiversare.
- Tu mi hai coinvolta in questo casino – disse Lucia – E adesso ne uscirai per conto tuo -
- Che stai dicen..? -

Alessa non riuscì a terminare la frase: fu colpita all'improvviso dallo stesso incantesimo usato precedentemente contro i soldati. Fu rapido e brutale, non ebbe neanche il tempo di accorgersene. Si sentì solo spingere violentemente all'indietro, senza poter reagire. Andò ad impattare violentemente contro il bancone, cadendo a terra. Prima di accasciarsi al suolo, intravide la figura di Lucia dileguarsi rapidamente, fuori dal locale.

Aveva un dolore lancinante alla testa e sentiva le sue forze svanire. Nel frattempo, le guardie erano di nuovo in piedi e la stavano raggiungendo. Doveva inventarsi qualcosa e subito. Combattendo contro il dolore, si rialzò a fatica, tenendosi al bordo del bancone con entrambe le braccia.
Doveva mantenere la calma e ragionare. Sì, ragionare in maniera fredda e calcolatrice, come solo lei sapeva fare. Anche in una situazione disperata come quella.
- E' finita, criminale – le intimò un soldato – Non hai vie di fuga stavolta -
Alessa si guardò attorno: il pugnale le era sfuggito di mano e adesso era fuori portata. Fuggire per la porta principale sarebbe stato impossibile. Ma forse dal piano superiore avrebbe avuto qualche speranza: con un rapido scatto verso destra avrebbe raggiunto le scale e da lì, le sarebbe bastato salire per poi saltare dalla finestra. Quante volte l'aveva fatto anni fa, per scappare da Vigge quando non aveva voglia di fermarsi a pulire le stanze. Sarebbe stato lo stesso anche questa volta, solo con la sua libertà in palio.
Ma proprio mentre si interrogava sul da farsi, una guardia provò ad aggredirla con un fendente. Alessa si spostò di scatto, evitandolo. Di reazione, afferrò il primo oggetto che trovò sul bancone: una bottiglia di vino. La punto contro il suo avversario come se fosse una spada. L'altro si riprese dal colpo mancato e si preparò a sferrarne un altro. Ma questa volta Alessa non solo lo evitò, ma riuscì anche a colpirlo in pieno volto con l'oggetto contundente appena reperito. La bottiglia si frantumò in una marea di pezzi, mentre la guardia iniziò ad urlare dal dolore.

Quello era il suo varco. O adesso o mai più.

Lasciò cadere il collo della bottiglia rimanente e si lanciò verso le scale, senza guardarsi dietro. Le guardie si fiondarono dietro di lei, anche se visibilmente più lente ed impacciate a cause delle loro pesanti armature. Alessa raggiunse il corridoio, aprì la prima finestra che trovò e diede un'occhiata di sotto: in strada vi era un gruppetto di persone che, udito il fracasso, aveva deciso di indagare. Avere degli spettatori non avrebbe cambiato nulla: quella era ancora la sua unica via di fuga, in qualunque caso. Decise di saltare.
Con un'agile capriola, attutì la caduta. Senza dare alcuna attenzione a ciò che la circondava, iniziò a correre lungo la strada. Dietro di lei, si udivano distintamente le voci delle guardie.
Doveva ricorrere all'unica via di fuga possibile: le fogne. Erano un percorso ideale: buio, insidioso e soprattutto era difficile orientarsi là sotto. Avrebbe seminato i suoi inseguitori facilmente.
Quelle strade non erano cambiate di una virgola in questi due anni ed Alessa sapeva perfettamente dove dirigersi. Dopo aver superato il distretto del mercato, si diresse senza indugi per una strada secondaria. Da lì raggiunse il giardino privato di un'abitazione, dove trovò un pozzo: era la via più rapida per raggiungere le fogne. Non si guardò neanche indietro e, noncurante dei suoi inseguitori, scardinò l'apertura, per poi gettarsi al suo interno.
Lentamente discese nel pozzo, facendo attenzione a non precipitare di sotto. Fortunatamente, era abbastanza stretto da permetterle di scenderlo appoggiando entrambi i piedi ai lati. In poco tempo, fu nelle fogne, accolta da un tanfo insopportabile e da un paio di ratti che la fissarono incerti per un paio di istanti, salvo poi dileguarsi. Alessa ci mise un attimo ad orientarsi e prese immediatamente la strada che l'avrebbe portata al lago Rumare.

 

- Un altro crimine perfetto, insomma. Il bersaglio era eliminato e voi due eravate scappate senza intoppi -
- Non proprio -

- Che successe allora?-
- Diciamo solo che abbiamo avuto una brutta sorpresa, lungo la via di fuga -

- Ci avrei scommesso -
- Quella volta salvai la vita a Lucia. Senza il mio intervento, sarebbe morta -



Alessa e Lucia, circondate dalle Guardie Imperiali

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Capitolo 10
*** Nessuno Resta Indietro ***


Capitolo 10
Nessuno Resta Indietro

 

Sistema fognario della Città Imperiale. Secondo Seme 19, E3 224

 

Era quasi un labirinto. Un sistema di cunicoli intricato e buio. Un paradiso per i criminali, un incubo per le guardie. Ma in quel frangente, anche Alessa era in difficoltà a trovare l'orientamento, per quanto si sforzasse di mantenere la calma. Non poteva lasciarsi prendere dal panico: un passo falso in quell'istante le sarebbe costato caro.
Mentre era assorta nei propri pensieri, sentì distintamente un urlo in lontananza, seguito da suoni di spade e di scudi. Il frastuono risuonava nitidamente per i cunicoli delle fogne e sembrava provenire da una sala davanti a lei. Vi era uno scontro in atto. Alessa, istintivamente, si voltò alla ricerca di una strada alternativa, onde evitare l'ostacolo.

Ma, poco dopo, sentì un nuovo urlo. Questa volta riconobbe immediatamente chi l'aveva lanciato: era Lucia. Anche lei aveva scelto di fuggire per le fogne ed era rimasta intrappolata. Doveva salvarla, nonostante tutto. Non poteva certo lasciarla morire così. Anche se, a pensarci meglio, Lucia l'aveva colpita con quell'incantesimo poco prima, facendole rischiare la vita.
Per un istante, il pensiero di abbandonare la propria Sorella al suo destino riecheggiò nella mente di Alessa. No, non avrebbe potuto farlo davvero. Lei era superiore a tutto questo. L'avrebbe aiutata, o almeno, ci avrebbe provato.
La Bretone iniziò a correre, decisa ad intervenire nello scontro. Nel mentre i suoni dello scontro si facevano più forti e vicini. Arrivò ad un vecchio cancello di ferro, in gran parte arrugginito. Sbirciò dall'altro lato: era effettivamente Lucia, stava combattendo contro altre tre guardie imperiali. Alessa notò subito, con rammarico, che la propria compagna pareva essere ferita. Perdeva sangue e si muoveva a fatica, cercando di schivare i colpi degli avversari. Non avrebbe resistito a lungo: doveva intervenire.

La Bretone prese un profondo respiro. Poi si abbassò, raggiungendo la propria lama secondaria, sempre fedelmente nascosta all'interno dei propri stivali di cuoio.
Alessa sfruttò l'effetto sorpresa e si lanciò rapidamente in battaglia. Con coraggio, attaccò una guardia alle spalle, conficcando la propria arma nell'unica parte scoperta dell'armatura dell'avversario. L'altro non si accorse neanche di cosa stesse succedendo, ma non appena fu colpito, si accasciò a terra. A quel punto, le altre due guardie e Lucia si voltarono verso di lei, interrompendo per un istante lo scontro. Alessa non riuscì a recuperare il coltello dal corpo della guardia: era conficcato troppo in profondità. Decise di indietreggiare, per meglio pensare sul da farsi.

Nel mentre, Lucia approfittò agilmente del diversivo: con un rapido fendente, colpì una delle due guardie rimanenti alla base del collo. Il colpo fu letale ed il soldato crollò al suolo, esanime.
Le sorti dello scontro si erano totalmente ribaltate: adesso era rimasta una sola guardia, mentre loro erano in due. I tre si fissarono per alcuni, interminabili, istanti; ognuno aspettava la mossa dell'altro, ma nessuno voleva fare il primo passo.

Lucia appariva parecchio dolorante: aveva perso molto sangue e si reggeva in piedi a stento.
Alessa era disarmata, ma aveva adocchiato la spada della guardia deceduta. Con un rapido scatto, sarebbe stata in grado di afferrarla.
Il soldato superstite, invece, sembrava terrorizzato. Sapeva che non sarebbe uscito vivo da questa situazione.

Proprio quest'ultimo, tentò di colpire disperatamente Lucia. Ma il fendente andò a vuoto.
Alessa scattò in avanti, recuperando la spada lasciata a terra. Prima che l'altro potesse voltarsi, lo colpì di punta, proprio alla base del collo. Un fendente secco, ma preciso. La guardia lasciò cadere la propria arma, per poi portare entrambe le mani sulla ferita. Ma era troppo tardi. Crollò sulle ginocchia, per poi accasciarsi al suolo, in una pozza di sangue.

Alessa rimase immobile per un paio di istanti, senza aver ancora realizzato cosa fosse appena successo. Aveva davvero salvato la vita a Lucia? Lei?

Si sentì sollevata per un attimo, ma quella sensazione svanì rapidamente: Lucia era crollata a terra, sanguinante. A prima vista, pareva avere una profonda ferita appena sotto la cassa toracica. Era ancora viva, ma chissà per quanto. Stava perdendo troppo sangue.
Alessa si precipitò su di lei.
- Sto... bene. Sto bene – biascicò l'altra, cercando debolmente di allontanarla con un braccio. Anche in quei frangenti disperati, manteneva il suo orgoglio. Non voleva farsi aiutare. Non ci stava.
Ma la Bretone non la assecondò.
- Lascia che ti aiuti – le disse, dando uno sguardo più ravvicinato al taglio. Era più profondo di quanto non si aspettasse: probabilmente era dovuto ad un colpo di punta. Aveva completamente squarciato i tessuti del vestito, ormai pregno di sangue.
- Dob... Dobbiamo... -
- Dobbiamo andarcene, lo so – disse Alessa, sollevandola di forza – Non ti lascio indietro. Tieniti -
La rimise in posizione eretta, poi iniziò ad accompagnarla. Lucia si reggeva ad Alessa con un braccio portato sopra al suo collo, mentre con l'altra mano tentava di arginare la ferita.
Iniziarono lentamente ad incamminarsi. L'uscita delle fogne non era molto lontana e già si intravedeva la luce.
- Lasciami... lascia...mi... qui... trad... traditrice -
- Non ci penso neanche – rispose Alessa – E se proprio te la devi prendere con qualcuno, prenditela con Vigge. Io avrò anche sbagliato a fidarmi di lui, ma è colpa sua se siamo in questa situazione. Non metterei mai a rischio la tua vita, per quanto ti odi -
Lucia sbuffò: cercava di nascondere il dolore, ma ad ogni passo si sentiva sempre peggio.
- Non ti sforzare a parlare – proseguì Alessa – Tra poco saremo fuori -
- Per... Perché? -
- Perché cosa? -
Lucia non riusciva a formulare frasi più complesse.
- Perché ti sto salvando? - chiese Alessa.
L'altra annuì, mordendosi le labbra per il dolore.
- Che domanda. Perché siamo Sorelle. Perché tu avresti fatto lo stesso al posto mio -
Sì, Alessa non si era certo dimenticata cosa era successo pochi istanti prima: Lucia l'aveva colpita con un'onda d'urto, mettendo a repentaglio la sua vita. Ma, tutto sommato, era comprensibile la sua rabbia in quel frangente. Non si sarebbe mai spinta ad ucciderla direttamente. Almeno, così sperava.
- E adesso taci. Non voglio più sentire la tua voce finché non saremo al sicuro. Risparmia le tue energie -
Ci misero pochi minuti ad arrivare all'uscita, ma ad Alessa parvero un'eternità. Lucia non era esattamente un peso piuma, nonostante cercasse di camminare il più possibile.
Arrivarono ad una grata. Dall'altra parte si scorgeva il lago Rumare, magnificamente illuminato dal tramonto. Oltrepassata la sponda, avrebbero pensato al da farsi. Per ora, la priorità era lasciare la Città Imperiale.

Alessa provò a scuotere il cancello, senza successo. Decise di appoggiare Lucia a terra per qualche istante, sia per riprendersi, sia per meglio studiare la serratura.
La Silenziate si sedette, non senza qualche smorfia. Nel mentre, la Bretone iniziò a cercare nelle proprie tasche un grimaldello. Ne trovò uno, un po' arrugginito, ma in uno stato più che sufficiente per aprirla. Iniziò a muoverlo all'interno di quella vecchia serratura, ponendo attenzione ai rumori che ne scaturivano.
Lucia osservava, impotente.
- Vuoi... una... una mano? -
- Shh – la zittì Alessa, concentrandosi sulla serratura. Certo, non era molto esperta nell'arte dello scassinamento, ma quello pareva un cancello piuttosto facile da aprire.
Alessa finalmente attivò il meccanismo correttamente, ed il cancello si aprì.

Aiutò Lucia a rialzarsi, la prese sottobraccio ed insieme si allontanarono dalle fogne.
Per loro fortuna, non vi era nessuno ad aspettarle all'uscita e poterono dileguarsi rapidamente. Alessa individuò il punto migliore in cui guadare il lago, ove l'acqua era sufficientemente bassa. Non dovettero camminare molto per raggiungerlo, ma per Lucia ogni passo equivaleva ad un dolore sempre più acuto.

Quando arrivarono alla riva, Alessa si fermò per riprendere il fiato: Lucia era sempre di più un peso morto. Progressivamente, stava perdendo i sensi, e con essi la forza di camminare. Alessa non sarebbe stata in grado di trascinarla ancora a lungo.
- Te la senti? - chiese alla compagna se si sentisse o meno in grado di oltrepassare il lago.
Lucia annuì, senza dire nulla.
Alessa si fece forza ed iniziò a camminare nell'acqua. Lentamente, sentiva i propri vestiti impregnarsi di quella lurida e gelida acqua lacustre. E pensare che da piccola le piaceva addirittura farsi il bagno nel lago Rumare, noncurante del lerciume onnipresente. Rabbrividì al pensiero.
Come previsto, riuscirono ad arrivare dall'altra sponda senza dover nuotare: quel tratto d'acqua era molto basso, tant'è che anche era il punto di riferimento per chi volesse oltrepassare il lago a cavallo senza passare dal ponte.
Giunte dall'altra parte, però, Lucia crollò in avanti, apparentemente priva di sensi.
Alessa, spaventata, la rigirò immediatamente, per verificare le sue condizioni.
- Non mi lasciare adesso! - le urlò, scuotendola furiosamente – Ce l'abbiamo quasi fatta -
Ma Lucia sembrava non sentire e fissava il vuoto, con sguardo spento. Alessa notò che il sangue si era lentamente sparso lungo tutto il suo vestito, in quantità preoccupante. Doveva cercare di tamponare quella ferita in qualche modo.
Ma proprio mentre si interrogava sul da farsi, Lucia provò a biascicare qualcosa. Le parole, tuttavia, erano soffocate, incomprensibili.
- Devi resistere Lucia. Ti porterò via di qui – le disse.

Lucia, con le ultime forze, portò la mano alla propria cintura, come se volesse farle notare qualcosa. Alessa vide allora una piccola boccetta rossa, contenente una sorta di intruglio. La prese e la portò davanti ai suoi occhi.
- Vuoi bere questa? - le chiese.
Lucia annuì, ormai quasi priva di sensi.
La Bretone tolse il tappo e obbedì all'ordine. Lucia bevve interamente il suo contenuto, poi chiuse gli occhi.
Sembrava essere svenuta completamente.
Alessa si spaventò ed iniziò a scuoterla. Ma l'altra non rispondeva. Provò ad urlare, ma ancora niente.
- Ho detto che non ti lascerò morire qui. E, per Sithis, non ti lascerò morire qui -
La sollevò di peso, trascinandola lontano dalla sponda del lago. Lentamente, sentiva la disperazione salire: non sapeva cosa fare, dove andare, cosa dire. E la vita di Lucia dipendeva solo da lei.
A fatica, riuscì a trasportarla fino al bordo di una piccola strada lastricata in pietra, poco lontana dal lago. Lì, individuò un albero dal tronco sufficientemente largo: decise di farla sedere, appoggiandole la schiena contro la corteccia.
Alessa si sedette al suo fianco ed iniziò a strapparsi di dosso parte della manica sinistra: doveva ricavare abbastanza tessuto per un bendaggio. Una volta completata l'operazione, la avvolse attorno alla ferita di Lucia, sperando che non fosse ormai troppo tardi.
Miracolosamente, Lucia sembrò riaprire gli occhi.
Il volto di Alessa si illuminò di gioia: evidentemente, quell'intruglio aveva funzionato.
- Devi... devi... rip... riportarmi... al santuario... -
- Lo so, adesso mi farò venire in mente qualcosa – le rispose Alessa, guardandosi attorno – l'importante è che tu sia ancora viva. Pensavo di averti persa prima -
Lucia tossì improvvisamente, sputando sangue. Alessa guardò altrove, disgustata.

Ma proprio in quell'istante, il suo sguardo cadde sulla loro possibile via di fuga: una signora, apparentemente una nobildonna, stava percorrendo la strada in sella al proprio cavallo. A breve, le avrebbe raggiunte.
Avrebbe dovuto prendere in prestito la sua bestia. A tutti i costi.
- Resta qui – disse a Lucia, alzandosi.
- Dove... vuoi... che vada – rispose Lucia, tossendo nuovamente.
Alessa, furiosa, estrasse il proprio pugnale e si diresse verso la nobile, camminando con sicurezza proprio al centro della strada. Alla vista della Bretone, l'altra fermò di colpo il proprio destriero, che nitrì pesantemente.
- C'è qualche problema? - le chiese, indignata.
Alessa la ignorò completamente, avvicinandosi al lato della sella con sguardo cupo.
- Ehi! Sveglia! Parlo con te – proseguì l'altra – Cosa ti è salt... -
La Bretone l'afferrò per una gamba e la tirò violentemente a terra. La nobildonna tentò di parare la caduta con le braccia, ma rimase stordita al suolo. Alessa la colpì con un pestone, proprio sulla nuca, facendole perdere i sensi.

Sentiva in corpo una rabbia senza precedenti.

L'animale, visibilmente spaventato, iniziò a nitrire e ad agitarsi. Alessa non sapeva che fare per calmarlo ed indietreggiò per precauzione.
- Stai buono, bello. Non voglio farti del male – gli disse, come se potesse effettivamente capirla.
Ma proprio mentre si interrogava sul da farsi, vide una leggera aura azzurra circondare il cavallo. Magicamente, la bestia si tranquillizzò, tornando docile.
La bretone si voltò di scatto verso Lucia: era ancora a terra, mezza svenuta, ma con un braccio teso ed una mano aperta in direzione del cavallo. Con le sue ultime forze, era riuscita a calmarlo.
Alessa tornò da lei, con il cavallo che la seguiva fedelmente, come se fosse la sua padrona.
Si abbassò per un'ultima volta a parlarle.
- Devi farti forza. Devo caricarti sul cavallo. E' l'unico modo per tornare a Bruma sufficientemente in fretta – le disse, porgendole una mano.
Lucia la fissò per un istante, senza risponderle subito.
Poi afferrò la sua mano.
- And... Andiamo – rispose.

 

 

 

Ambroise era in piedi, vicino al letto di Lucia, con aria stranamente soddisfatta.
- Dunque, l'incarico è stato portato a compimento – disse, senza distogliere lo sguardo da Lucia, addormentata davanti a lui.
- Lesley è morto – rispose Alessa. Anche lei era accanto al letto e, come Ambroise, fissava il corpo della Silenziante.
- Sai – proseguì l'Ascoltatore – di solito non mi piace quando nei contratti ci sono delle vittime collaterali, come in questo caso. Ma devo dire che, stavolta, posso accettarlo senza lamentarmi. Dovevamo mandare un messaggio. Ed un messaggio abbiamo mandato -
Alessa annuì, senza distogliere lo sguardo da Lucia.
- Spero solo che si riprenda presto – commentò lei.
- Se è ancora viva, è solo merito tuo – rispose Ambroise.
Proprio in quell'istante, entrarono nella stanza anche Bones e Yngvar.
- Allora? - chiese Ambroise – Cosa ne pensi? -
Yngvar era un esperto di alchimia e di rimedi naturali. A lui era affidata la guarigione di Lucia.
- Si rimetterà presto, anche se ha perso davvero molto sangue – rispose l'altro, avvicinandosi ai due. Bones, invece, restò defilato.
- Ho fatto il possibile – si giustificò Alessa, sentendosi in colpa.
- Hai fatto anche più del possibile – intervenne Ambroise – Le hai salavato la vita -

Yngvar si avvicinò al letto e dispose una pozione sopra ad un piccolo mobile lì vicino. In seguito, portò una mano sulla fronte di Lucia, per controllarne la temperatura corporea.
Ambroise lo fissava impaziente di avere un ulteriore responso. Il Nord sembrava essere soddisfatto delle sue condizioni e dopo una rapida controllata ai bendaggi, si voltò nuovamente verso l'Ascoltatore.
- E' impossibile stabilire quando si risveglierà – commentò – Ma per ora, la sua vita non è a rischio -
Alessa si sentì sinceramente sollevata da quelle parole. Nonostante tutto, le sarebbe dispiaciuto perdere una compagna. E poi, il sapere di aver fatto finalmente qualcosa di buono per la Confraternita la galvanizzava.
Ambroise sembrò rincuorato.

- Alessa – disse – Potrà sembrarti presto, ma è tempo che tu ti prepari per un nuovo contratto -
La Bretone annuì, sentendosi più forte ed importante del solito.
- Il bersaglio è un vecchio mercante di tessuti. Sarà molto facile, te lo assicuro. L'unico problema è dato dal fatto che egli è un girovago: un giorno è ad Anvil, un altro a Bruma, e così via. Non ha un negozio fisso, ma gira con il suo carro nelle varie regioni -
- Da dove posso cominciare le ricerche? -
- Un informatore mi ha rivelato l'esistenza di una sorta di magazzino, che questo mercante usa per rifornirsi prima di ogni viaggio. Si trova a Bravil. Là troverai anche il mio informatore. Nella mia stanza ci sono alcune note e mappe che ti potranno tornare utili: prendile prima di uscire -Alessa annuì e si diresse, decisa, verso l'uscita della stanza. Le piaceva quando Ambroise era serio: stranamente, le infondeva un senso di sicurezza e rispetto. Ma proprio mentre stava per andarsene, si sentì chiamare da lui.

- Ah Alessa, un ultima cosa -
- Dimmi – rispose l'altra, voltandosi di scatto.
- Congratulazioni -
Alessa lo guardò stupito, senza capire a cosa si stesse riferendo.
Ambroise sorrise.
- Da oggi ti nomino Silenziante – disse.
Alessa sbarrò gli occhi dall'incredulità. Poi si puntò un dito al petto, come per indicare se stessa.
- Io? - chiese, incredula.
- Lei?! - sbraitò Yngvar, ancora più incredulo.

 

 

Galtus iniziò ad applaudire, ironicamente.
- Ah, ma quindi esistono i ranghi e le promozioni anche tra i criminali? Ma che simpatici... -

Alessa non rispose, ma lo guardò con aria irritata.
- Essere nominata Silenziante è un privilegio concesso a pochissimi – spiegò lei – Ed io, certamente, non lo meritavo. Per di più, Ambroise aveva già una propria Silenziante -
- Lucia? -
- Esatto. Ma lei non lo sapeva ancora -
Galtus si appoggiò al tavolo con i gomiti, sempre più coinvolto nel racconto.
- E quando lo scoprì cosa successe? -
Alessa abbassò lo sguardo e non rispose. La sua espressione era divenuta cadaverica.

 

 

Nel frattempo, nella residenza di Remain Carvain...

 

- Sei sicuro si faccia così? -
- Sì, l'ho letto da qualche parte -
- No, stupido. Le candele vanno disposte a cerchio attorno allo scheletro, non a triangolo -
- Ci serve anche la Belladonna. Dov'è Geralt? Ce l'aveva lui -
- Eccola qui -

I mercenari di Carvain stavano discutendo animatamente attorno ai resti di uno scheletro, disposto nella sala principale della residenza. Attorno a quel mucchio di ossa, erano state disposte diverse candele, a formare una sorta di cerchio.
Il loro obiettivo era semplice: volevano celebrare il Sacramento Nero.
Secondo la tradizione, il Sacramento Nero era un rituale con cui un mandante poteva evocare l'aiuto della Confraternita Oscura per un omicidio. Ero un rito sacro e, come tale, necessitava di diverse accortezze per essere eseguito correttamente. Se tutto fosse andato come previsto, sarebbero stati contattati direttamente da un assassino della Confraternita. Sarebbe stata la Madre Notte a far passare il messaggio a chi di dovere.
Remain entrò nella sala adirato. Voleva quella sporca bretone morta. Alessa Nothwode doveva morire. E sarebbe morta presto.

- E' tutto pronto signore – disse uno dei soldati, porgendogli un biglietto.
Remain lo prese, con aria schifata.
- Cosa devo fare con questo? -
- E' il rituale. Lo devi leggere a voce alta -
Remain lo guardò per qualche istante, poco convinto. Poi, sospirò ed iniziò a leggere.
"Dolce Madre, Dolce Madre, invia a me il tuo figliolo, poiché i peccati degli indegni devono essere battezzati nel sangue e nella paura."


Lucia ed Alessa, sulla sponda del Lago Rumare

 

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Capitolo 11
*** Onora tua Madre ***


Capitolo 11
Onora tua Madre

 

Santuario della Confraternita Oscura, Monti di Jerall. Metà Annata 7, E3 224.

 

Ambroise era impegnato nel suo passatempo preferito: lanciare dei legnetti contro Bones per vedere se si incastrassero tra le sue ossa. L'altro, restava immobile, ignaro di essere oggetto di quell'infantile divertimento.
Proprio dopo aver fatto un centro, Ambroise sentì la porta aprirsi di colpo.
La figura di Lucia si stagliò dall'oscurità del corridoio. Con andatura leggermente claudicante ed un'espressione gelida, si avvicinò all'Ascoltatore.
- Mi hai fatto chiamare – disse lei, stizzita – Cosa vuoi? -
Ambroise, senza nascondere un po' di sincera delusione per il dover interrompere il proprio sollazzo, lasciò cadere il legnetto e si alzò. Fece il giro della scrivania e si diresse Lucia, per osservarla più da vicino. Voleva sincerarsi delle sue condizioni di salute.
- Mi fa piacere vedere che tu ti stia riprendendo – commentò – Mi sembri in ottima forma -
- Già – tagliò corto lei, non apprezzando i suoi sguardi – Possiamo arrivare al dunque? -
Ambroise scosse la testa, indietreggiando.
- E va bene – rispose sconsolato – Qualcuno ha celebrato di nuovo il Rituale. La Madre Notte mi ha contattato -
Lucia incrociò le braccia, sbuffando.
- Non è un problema mio – rispose – Perché non mandi Miss “Non so fare niente ma faccio comunque carriera”? O dovrei forse dire, la tua nuova Silenziante? -
Ambroise non riuscì a trattenere un sorriso. Adorava la sua cattiveria.
- Alessa è impegnata altrove in questo momento. E' sulle tracce del mercante, il suo nuovo bersaglio. E poi, ho proprio bisogno di te questa volta -
Lucia non rispose, continuando ad ignorare il suo sguardo e fissando lontano.
- Ho un brutto presentimento riguardo a questa chiamata – disse Ambroise, divenuto di colpo più serio del normale – E mi serve qualcuno con la tua esperienza. E' una questione delicata -
Lucia tornò a fissarlo per un paio di istanti: la sua espressione era un misto di disprezzo e disinteresse.
- Ti divertono proprio queste gare infantili, non è vero? - chiese lei, riferendosi alla competizione con la Bretone.
Ambroise si morse le labbra per evitare di ridere.
- Sì – ammise – Adoro vederti irata. E' più forte di me. E' davvero esilarante, te lo assicuro -
Lucia si avvicinò lentamente, fissandolo dritto negli occhi.
Ambroise nel mentre, aveva un'espressione divertita dipinta in volto.
- Ti aiuterò questa volta, Ambroise. Ma fai attenzione: questi “giochi” hanno la tendenza a terminare con un coltello nella gola di qualcuno -

 

 

Remain Carvain non riusciva a dormire quella notte.
Nonostante avesse allontanato tutte le proprie guardie dalla camera da letto, si sentiva comunque osservato. Questa ricerca spasmodica di vendetta lo stava lentamente conducendo alla follia. Non riusciva più a dormire e anche quando, per miracolo, riusciva a chiudere occhio, incubi di ogni sorta facevano sì che non potesse trovare pace neanche nel mondo dei sogni.
Alessa era la sua ossessione. Non avrebbe trovato pace finché lei fosse stata ancora in vita.

Di colpo, sentì la finestra aprirsi.
Si alzò dal letto, spaventato, avventandosi verso la cassettiera per reperire istintivamente un coltello.
- Guardie! Intruso! - gridò, in preda al panico.
Nel mentre, una figura oscura si materializzò all'interno della stanza, a pochi passi da lui.
Era Lucia.
Le guardie entrarono disordinate nella stanza, brandendo armi ed urlando minacce di vario genere all'ospite indesiderata.
- Vi do cinque secondi per riporre le armi e salutarmi come si deve – disse Lucia, con un tono di voce diabolicamente basso e pacato – Dopodiché, inizierò ad uccidervi uno ad uno -
Iniziò a contare.
- Uno, due, tre... -
Una guardia afferrò la propria spada e si lanciò su di lei, pronto ad ucciderla. Ma Lucia, prima ancora che egli potesse menare il fendente, lo sorprese con una scarica di magia elettrica, facendolo crollare al suolo.
- La pagherai per questo! - urlarono i suoi compagni, mentre tentavano di circondarla. Ma nei loro volti, era impossibile non notare un profondo terrore e sgomento.
- Fermi tutti! - urlò Remain, cercando di riprendere il controllo della situazione – Giù le armi! -
Gli altri lo guardarono stupiti ed interdetti sul da farsi.
- Ho detto di mettere giù le armi! Adesso! - ribadì con forza, senza distogliere lo sguardo da Lucia.
Le guardie, poco convinte, decisero di assecondarlo comunque: lentamente si abbassarono, depositando le armi al suolo.
- Bravi cagnolini – rise Lucia – Obbedite al vostro padrone -
Remain si assicurò che tutti fossero disarmati, dopodiché si avvicinò alla Silenziante. La squadrò dalla testa ai piedi con aria scontrosa, sicuro di sé, nonostante sapesse bene quanto fosse temibile la persona che aveva di fronte.

- Allora – iniziò Lucia – Cosa hai da dirmi? -
- Sei qui per il Rituale? Sei della Confraternita? - chiese Remain, ancora sorpreso.
Lucia annuì, senza dire nulla. Le pareva scontato e non vedeva l'ora di concludere questa conversazione.
- Non vi aspettavamo così presto – spiegò l'altro – Ma sono contento di vedere che il Sacramento Nero abbia effettivamente funzionato -
La tensione svanì lentamente e le guardie presero le proprie distanze, senza però distogliere lo sguardo dalla sgradita ospite.
- Il contratto riguarda una singola persona – spiegò Remain.
- Hai delle preferenze sul modus operandi? -
Remain rimase un attimo spiazzato da quella richiesta.
- No. Non penso – farneticò – Basta che sia fatto. La modalità non ha importanza per me. Così come il pagamento. Marcus! - fece un cenno ad uno dei suoi uomini.
L'altro uscì come un fulmine dalla stanza, come se sapesse già cosa fare.
Dopo qualche attimo di silenzio imbarazzato, egli fece ritorno, con una grossa sacca tra le mani. Era piena di monete d'oro.
Ma a Lucia il pagamento non interessava più di tanto: lei uccideva per vocazione, per credo. E, talvolta, per puro divertimento.
- Mi serve un nome – disse lei, impaziente.
Remain rimase muto per un istante, fissandola dritta negli occhi.
- Alessa Northwode -
Gli occhi di Lucia si illuminarono: Alessa? Proprio lei? No, era impossibile. Probabilmente aveva capito male.
- Alessa Northwode? - ripeté lei.
- Esatto. Una bretone, sulla ventina. Lunghi capelli biondi ed occhi azzurri. Ha una pelle piuttosto pallida. Dovrebbe essere facile da riconoscere -
Lucia abbassò lo sguardo, profondamente turbata. Era proprio lei. Incredibile.
- C'è qualche problema? - chiese l'altro, notando il suo atteggiamento strano.
- No, assolutamente – si riprese Lucia, recuperando la sua compostezza.

La Madre Notte era per forza d'accordo con questo contratto, altrimenti non avrebbe avvertito Ambroise riguardo al Sacramento Nero. Andava fatto.
Alessa doveva morire per mano sua.
Così volevano Sithis e la Madre Notte. E così Lucia avrebbe fatto. Ripensandoci, si sentì leggermente sollevata: lei avrebbe semplicemente svolto il proprio incarico, come una devota seguace delle tenebre.
E nel farlo, avrebbe tolto di mezzo la persona più irritante di tutta Tamriel. Quella bretone ingrata, quell'usurpatrice, quell'incapace. Sarebbe morta una volta per tutte. Sulla carta, era una situazione perfetta.

Remain rimase interdetto, in attesa di una risposta, mentre l'altra era persa nei propri pensieri.
Si schiarì la voce per richiamare l'attenzione.
Lucia risollevò lo sguardo, con un sorriso appena accennato.
- Sarà fatto – disse con voce ferma e gelida - Alessa morirà per mano mia -

 

 

 

Galtus sfogliò un paio di carte presenti davanti a lui.
- Come procedevano i lavori su quel tuo nuovo contratto? -

Alessa non dovette sforzarsi più di tanto per ricordare: quella notte sarebbe rimasta indelebile nella sua mente per il resto della vita.
- Abbastanza bene. Ero riuscita a tracciare i suoi movimenti ed ero pronta a colpire. Quella sera ero al Santuario. Stavo proprio osservando la mappa di Cyrodiil, per scoprire il punto migliore ove colpire -
- Perché fu speciale quella notte? Cosa successe? -
Alessa sbuffò, sorridendo.
- Cosa NON successe... -

 

 

Nel Santuario era sceso il silenzio più totale: erano tutti nelle proprie stanze, addormentati. Solo Bones girovagava senza meta per i corridoi, facendo scricchiolare i propri arti rumorosamente.
Alessa era stanchissima: aveva cavalcato da Bravil fino a Bruma in un solo pomeriggio. Ne era comunque valsa la pena, in quanto era stata finalmente in grado di contattare l'informatore di Ambroise ed ottenere, così, importanti informazioni sulla sua prossima vittima. Ciononostante, la stanchezza accumulata era troppa: non appena si coricò nel letto, crollò in un sonno profondo.

Ma nelle ombre del Santuario, una lama si muoveva furtivamente, all'oscuro di tutti.
Lucia non aveva avvertito Ambroise riguardo all'incontro. Sapeva che quello stolto avrebbe rovinato tutto, interferendo nel suo contratto. No, avrebbe dovuto eliminare Alessa per conto suo, senza coinvolgere nessuno. La Madre Notte e Sithis erano tutto il supporto di cui avrebbe avuto bisogno. Ed Ambroise sarebbe stato solo di intralcio.

Così, non appena scese la notte, Lucia si alzò dal letto dove fingeva di dormire. Si assicurò che tutti fossero assopiti, inclusi Wumeek e Yngvar. Bones non sarebbe stato un problema.
Furtivamente, si diresse verso la camera di Alessa. Coltello alla mano, mente fredda, cuore gelido. Era pronta a colpire: questa sarebbe stata una preda come tante altre. Tutte le disavventure che avevano passato insieme erano solo un ricordo. La voglia di eliminarla una volta per tutte era troppa; talmente tanta, da farle dimenticare completamente il fatto che Alessa fosse una sua alleata, una sua Sorella.
Invece, l'avrebbe uccisa.
Solo allora tutto sarebbe tornato alla normalità: Ambroise l'avrebbe rinominata Silenziante, lei sarebbe stata la punta di diamante indiscussa del Santuario e nessuno avrebbe più messo in pericolo la reputazione della Confraternita con la propria imperizia, come era sovente fare la bretone.
E la Madre Notte avrebbe approvato. Ne era certa.

La porta era mezza socchiusa. La spinse leggermente in avanti, senza fare alcun rumore. Come aveva già fatto un'infinità di volte. Una volta dentro, avanzò lentamente, passo dopo passo. Il pugnale era già pronto a colpire.
Alessa era nel mondo dei sogni: addormentata supina, non aveva la benché minima idea di cosa la stesse per colpire. Era lì, ignara, in un sonno che presto sarebbe diventato eterno.
Lucia non stava provando alcuna emozione. Neanche il legame tra le due l'avrebbe in qualche modo distratta dal suo compito. E così, fu a pochi centimetri da lei, lama alla mano.
La osservò per un'ultima volta.
Poi caricò il fendente.


- Ferma! -

Si sentì strattonare e cadde all'indietro, perdendo la presa sull'arma.
Si voltò di scatto: era Ambroise.
- Cosa ti è saltato in mente?! - urlò lui, su tutte le furie.
Lucia era ancora frastornata e non rispose: si era fatta sorprendere come una novellina. Davvero non era stata in grado di percepire la presenza di Ambroise? Forse non era così fredda e concentrata come pensava di essere.
Passati quegli istanti di disorientamento, si rialzò come se niente fosse e riprese la propria arma da terra, con una tranquillità quasi inquietante.
Alessa, nel frattempo, si era svegliata di soprassalto. Spaventata, si era spostata istintivamente dalla parte opposta del letto, coprendosi con la coperta fino alle spalle. Guardava Lucia con gli occhi sbarrati, ancora incerta se stesse sognando o se quella scena fosse accaduta veramente.
Ambroise la afferrò da un braccio, spingendola lontano da Alessa.
- Cosa ti è preso? Cosa stavi facendo? - le urlò, infuriato come non mai.
Lucia si liberò con altrettanta rabbia dalla sua presa, spintonandolo a sua volta.
- Il contratto di Remain Carvain – si giustificò lei – Sto solo facendo il mio lavoro -
Ambroise rimase interdetto per un istante. Si portò una mano alla fronte, cercando di riprendere fiato e riflettere.
- Quel rituale di cui ti ho parlato ieri, quindi? E' lui? -
- Sì. Alessa è il bersaglio -
Ambroise scosse la testa.
- Non è possibile. Non può essere. La Madre Notte non mi avrebbe mai condotto ad un contratto del genere. L'avrebbe ignorato -
- Appunto – sbuffò Lucia – Se Lei ti ha parlato, vuol dire che il contratto è da onorare. Quindi se non ti dispiace... -
Lucia impugnò nuovamente il pugnale e si diresse decisa verso Alessa, che nel mentre li fissava, immobile. Ambroise si pose bruscamente tra le due, bloccandola.
- Tu non vai da nessuna parte, finché non te lo dico io. Io comando qui -
Lucia lo fissò con sguardo divertito, sfoggiando il suo classico sorrisetto diabolico.
- Ah, stanno così le cose? - commentò – Quindi ti stai opponendo al volere della Madre Notte? -
Ambroise non fece una piega.
- Cosa dice il quinto comandamento? - le chiese, a voce bassa.
- Non uccidere un Fratello o una Sorella. Fare ciò, significa scatenare la rabbia di Sithis – rispose l'altra, a memoria.
- Esatto -
Lucia non era convinta e scosse la testa.
- Il Sacramento Nero è stato eseguito correttamente. La Madre Notte ti ha parlato. Alessa deve morire. Non è la prima volta che ci viene chiesto di uccidere uno dei nostri, e non sarà certo l'ultima
Ambroise le afferrò violentemente il polso, disarmandola. Poi gettò il pugnale lontano da lei, dall'altra parte della stanza.
- Sarà. Ma sono io ad avere l'ultima parola su ogni contratto. Quindi decido io chi deve morire e quando. Intesi? - ripeté.

Lucia non sembrava ascoltarlo.
- Non puoi salvarla per sempre, Ambroise. Lei morirà un giorno. E sarà per mano mia -
Alessa si alzò di scatto, furente.
- Parlate come se io non fossi presente! - intervenne – Devi solo provarci, Lucia. Vedremo chi delle due morirà per mano dell'altra -

Lucia rivolse lo sguardo verso la Bretone, scavalcando Ambroise. La squadrò con disprezzo, ma non disse una parola.
Ambroise rimase immobile, con gli occhi fissi su Lucia. Non l'avevano mai visto così serio e preoccupato; ciò non faceva che aumentare a dismisura la tensione del momento.
- Alessa – disse fermamente Ambroise, senza neanche voltarsi – Vestiti e prepara il cavallo. Aspettami fuori -
Ma l'altra tentennò, poco convinta ed ancora sconvolta per l'accaduto.
- Adesso! Vai! - la sgridò Ambroise, sempre senza muovere un muscolo.
Alessa allora si alzò, portandosi dietro le coperte per coprirsi. Non voleva certo farsi vedere in vestaglia, in quel frangente. Afferrò freneticamente un paio di vestiti dalla cassettiera ed uscì dalla stanza.
Non appena fu fuori, Lucia rivolse lo sguardo ad Ambroise.
- Non puoi salvarla sempre – gli sussurrò.
- Non mettermi alla prova, Lucia – rispose lui, mantenendo la propria compostezza.

Poi si allontanò da lei, dirigendosi verso l'uscita.
- Dove ve ne andate, eh? - rise l'altra – Scappi dai tuoi amichetti della Mano Nera? -
Ambroise si fermò di scatto e le rivolse un'occhiataccia.
- Non provare a seguirci – disse, uscendo.
All'esterno, Alessa stava cercando di proteggersi al meglio dal freddo pungente dei monti di Jerall. Era ancora preoccupata e spaventata, senza essersi resa conta di cosa fosse appena successo. Lucia la voleva morta, a quanto pare. Ma Ambroise si era opposto. Questo era tutto ciò che era stata in grado di capire.
Appena l'Ascoltatore la raggiunse, cercò di interrogarlo per capirne di più.
- Io da qui non mi muovo finché non mi spieghi cosa sta succedendo -
Ma l'altro la ignorò.
- Monta a cavallo. Sarà una lunga notte -

Alessa, Bones ed Ambroise al Santuario

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Capitolo 12
*** Un cadavere, della magia ed un pizzico di creatività ***


Capitolo 12
Un cadavere, della magia ed un pizzico di creatività

 

Paludi di Blackwood, Nord di Leyawiin. Metà Annata 8, E3 224

 

Cavalcarono tutta la notte.

Alessa era ancora spaventata, ma non osava aprir bocca. L'atteggiamento stesso di Ambroise, serio e preoccupato come non mai, parlava da sé. Non l'aveva mai visto così. Anzi, lui era sempre stato un'infinita fonte di scherzi e di risate, sempre pronto ad attenuare la tensione anche nel corso di situazioni in cui vi era ben poco da scherzare.
Le aveva solo detto di salire a cavallo e di seguirlo, senza specificare dove. E nel buio della notte, le era difficile capire dove fossero effettivamente diretti. Anche se, secondo il suo intuito, si stavano dirigendo verso sud, a giudicare dal paesaggio sempre più cupo e paludoso tipico della zona limitrofa alla città di Leyawiin.
Mentre Alessa era ancora persa nei suoi pensieri, vide il cavallo di Ambroise frenare di colpo. Anche lei tirò violentemente le briglie, per fermare la propria bestia. L'altro rimase immobile per un paio di istanti, come se stesse cercando di ricordare la strada giusta da percorrere.
Si erano fermati nel mezzo di una piccola stradina in mezzo ai boschi, decisamente lontana da ogni forma di centro abitato.
Senza dire ancora nulla, lo vide smontare da cavallo e poi controllare il terreno, presumibilmente alla ricerca di una qualche traccia da seguire. Alessa decise di imitarlo, scendendo anche lei ed avvicinandosi. Ambroise la ignorava completamente, come se lei non fosse lì in quel momento.
- Si può sapere dove stiamo andando? - chiese lei, stanca per il lungo viaggio – Cosa sta succedendo? -
Ambroise si alzò di colpo, fissando dritto davanti a sé.
- Da questa parte, seguimi – disse e si inoltrò in quella fetida palude che circondava la strada.
Le paludi di Blackwood circondavano Leyawiin ed il confine con Black Marsh, terra degli Orchi. Erano delle lande desolate, spesso lontane dal controllo delle guardie imperiali e, pertanto, pullulavano di banditi e reietti della società. Non era certo un posto ideale per vagare a quell'ora.
Ma Ambroise sapeva dove andare e cosa fare. O almeno, ne dava l'impressione.
Senza curarsi del fango e del tremendo fetore che emanava l'ambiente circostante, si era gettato all'interno di quel fiume salmastro, costringendo Alessa a fare altrettanto. Fortunatamente, il tragitto da percorrere non fu eccessivamente lungo per i due: pochi passi più tardi, si ritrovarono davanti all'ingresso di un'enorme forte in rovina, in gran parte distrutto e ricoperto da erbacce di ogni genere.
- Ti prego, parlami – chiese ancora una volta Alessa, sconsolata. La sua paura aveva lentamente preso il sopravvento e la sua voce appariva più flebile del solito.
Ambroise si fermò e parve darle retta. Si passò una mano sulla fronte: anche lui era stanco e turbato, nonostante volesse, e dovesse, fare la parte del capo.
- E' un disastro – disse scuotendo la testa – Ma ne usciremo in qualche modo -
Alessa si avvicinò e gli passò davanti, per poterlo guardare negli occhi.
- Cosa sta succedendo? Perché Lucia voleva uccidermi? Di che contratto stava parlando? -
Ambroise sbuffò, portandosi le mani sui fianchi.
- Remain Carvain, quel nobile che conosci. Lui ha celebrato il Sacramento Nero e Lucia è l'assassina preposta al colpo. Per quello ha cercato di farti fuori -
Alessa rimase interdetta, poi scoppiò a ridere. Una risata mista di disperazione e di isteria.
- E' la cosa più stupida che io abbia mai sentito! - disse – Solo perché un tizio ci dice di ammazzare uno dei nostri, non siamo obbligati a farlo. O sbaglio? -
Ma il suo sorriso svanì presto, vedendo l'oscurità e la freddezza dipinte nel volto di Ambroise.
- Non vorrai dire che il contratto vada rispettato comunque, vero? -
- E' quello che sto cercando di scoprire. Per questo ti ho portata qui stanotte -
Si guardarono attorno. Quella ambientazione era degna dei loro peggiori incubi.
- Qui? - chiese lei, indicando la fortezza alle proprie spalle con aria incuriosita – Nel mezzo del nulla? -
Ambroise annuì.
- Qui è dove incontreremo i membri della Mano Nera. Stanotte -
La Mano Nera era il consiglio supremo della Confraternita Oscura. Era composto da cinque membri della massima importanza, ognuno a rappresentare simbolicamente un dito della Mano. Il pollice era simbolicamente l'Ascoltatore, il solo in grado di comunicare direttamente con la Madre Notte. Egli era proprio Ambroise.
Il Bretone si avvicinò ad Alessa e la afferrò saldamente per le braccia, fissandola dritta negli occhi.
- Qualunque cosa succeda là dentro, devi promettermi una cosa -
Lei annuì, senza dire niente.
- Dovrai far finta di essere davvero disposta a morire -
Alessa lo guardò contrariata: non era sicura di essere in grado di farcela. Era una situazione troppo complessa per lei. Era stanca, spaventata. Voleva solo tornarsene a casa e dimenticarsi di tutto.
- Ascoltami – disse lui, scuotendola leggermente – Deve sembrare un onore la morte, la possibilità di raggiungere Sithis nel Vuoto. Dovrai fingere di sentirti una privilegiata. E, soprattutto, dovrai fidarti di me fino in fondo -
Alessa riprese coraggio. Forse aveva solo bisogno di un alleato, di una spalla su cui poter contare. Ma davvero Ambroise sarebbe stato in grado di esporsi così tanto? Stava rischiando tantissimo anche lui, facendo così.
- Perché lo stai facendo? - gli chiese – Se la Madre Notte mi vuole morta, è tuo dovere onorarla. Ti stai esponendo ad un rischio enorme -
Ambroise lasciò di colpo la presa, come se avesse preso una scossa, e si diresse a passo spedito verso l'ingresso.
- Non ti preoccupare di me – disse, facendosi forza – E adesso sbrigati, non c'è tempo da perdere -


Il forte appariva all'interno ancora più macabro e spettrale di quanto non lo fosse da fuori. Era chiaramente stato lasciato in disuso da decenni: vi erano ragnatele ovunque, scheletri sparsi agli angoli dei corridoi e frammenti di mura qua e là.
Un incubo per le autorità, un paradiso per i criminali, un santuario per la Confraternita.
All'interno dell'edificio, Ambroise pareva decisamente più a proprio agio: sapeva orientarsi meglio, nonostante il forte potesse sembrare un vero labirinto agli estranei come Alessa.
Dopo aver sceso due rampe di scale, si ritrovarono di fronte ad un grande portone.
Ambroise si fermò per un istante e lanciò un'occhiata ad Alessa, come per ricordarle di mantenere la calma. La Bretone prese un profondo respiro.
Poi l'Ascoltatore spalancò la porta con una violenta spinta.

Al suo interno, vi era un'enorme sala completamente arredata. Di fronte a loro, si ergeva un'imponente statua della Madre Notte, che emanava un'aura rossastra abbastanza forte da invadere tutta la sala. Ai lati, vi era un discreto numero di mobili e di attrezzature, segno che il luogo, per quanto macabro e sporco, fosse comunque abitato.
All'interno della stanza, Alessa notò subito altre tre persone: erano vestite con lunghe tuniche nere, con i simboli della Confraternita ricamati su di esse. Due di loro erano indaffarati in una animata conversazione. L'altro, un uomo piuttosto anziano, era seduto in disparte, impegnato nella lettura di un manoscritto.
All'apertura delle porte, tutti si voltarono verso i due ospiti. Ambroise fece un cenno di saluto, senza aprire bocca. Alessa era ancora troppo impaurita per esprimersi, nonostante si stesse sforzando di sembrare il più naturale possibile. Come, tra l'altro, le aveva consigliato di fare Ambroise: egli notò subito il suo turbamento e le diede una leggera gomitata, per cercare di farla rinvenire.
Nel mentre, le due figure smisero di discutere e si avvicinarono. Una di esse era una donna, presumibilmente un'Imperiale molto in là con gli anni. L'altro un Elfo Oscuro, riconoscibile chiaramente per la carnagione tipica della sua razza. Parevano entrambi felici di vedere Ambroise.
- Fratello – disse l'Elfo, abbracciandolo – Sono felice di rivederti -
- Anch'io lo sono, Daventh – rispose Ambroise.
- E questa deve essere... - disse l'altro, riferendosi alla giovane Bretone.
- Alessa – disse prontamente Ambroise, anticipandola – E' la mia allieva. Una ragazza davvero talentuosa -
L'Elfo le rivolse uno sguardo di ammirazione e le strinse la mano in segno di saluto. L'altra donna, invece, avvicinò la propria mano alla guancia di Alessa, come per accarezzarla in modo materno.
La Bretone si sforzò in ogni modo di contenere il proprio ribrezzo per quella mano raggrinzita, degna del peggior Non-Morto. Quella poteva essere sua nonna, talmente pareva vecchia.
- Tesoro, sembri preoccupata – disse lei, come una madre si rivolgerebbe alla propria figlia – C'è qualcosa che ti turba? -
Alessa non disse niente e si morse la lingua. Poi guardò Ambroise, in cerca di aiuto. L'altro capì al volo il suo cenno e si intromise nella conversazione, rispondendo al suo posto.
- Siamo qui per questo – disse l'Ascoltatore – Ci serve il vostro aiuto per una questione delicata -
L'Elfo Oscuro, Daventh, incrociò le braccia, con aria incuriosita.
- Di che contratto stiamo parlando? Chi devo fare fuori? - chiese.
- Non si tratta di un contratto, fratello – chiarì Ambroise – Si tratta di verificare la legittimità di un Rituale. C'è qualcosa che non torna in questo Sacramento Nero -
- Ti ascolto -
Ambroise si schiarì la voce, rivolgendo un ultimo sguardo ad Alessa.
- Ebbene – iniziò – Un certo Remain Carvain ha eseguito il rituale del Sacramento Nero. Il tutto sembrava essere corretto, tant'è che la Madre Notte mi ha riferito dell'accaduto, come accade per ogni contratto -
Daventh e l'altra donna annuirono, intrigati.
- Il problema sorge riguardo al nome che egli ha fatto. Si tratta di Alessa -
Seguì un istante di silenzio. Alessa era pietrificata dal terrore: se quei due avessero deciso di ucciderla effettivamente, lei non avrebbe avuto alcuna speranza. Con o senza Ambroise.
- E' chiaramente un errore – proseguì febbrilmente Ambroise, senza riuscire a nascondere a propria volta la sua preoccupazione – La Madre Notte non mi avrebbe mai spinto a dare retta ad un
contratto del genere. Non può essere -
- La Madre Notte ti ha contattato? - chiese Daventh, fissando Alessa con espressione quasi compassionevole.
- Sì, ma... -
- Sì e basta – lo interruppe – Ambroise, la dottrina è molto chiara a riguardo. Se Lei ti parla, sai benissimo quale sarà il destino dell'anima oggetto del rituale. Non c'è altro da aggiungere -
Ambroise si morse la lingua, irritato: avrebbe voluto rispondergli male, ma si impose di mantenere la calma. Altrimenti, avrebbero perso in partenza entrambi.
Daventh non staccò per un attimo gli occhi da Alessa, mentre lei, imbarazzata, cercava di evitare il suo sguardo.
- Allora, figliola – le disse – Come ti senti all'idea di congiungerti a Sithis nel Vuoto? -
La Bretone sbiancò di colpo e si voltò verso Ambroise, terrorizzata, in cerca d'aiuto. Ma l'altro era ancora più indeciso di lei.
- Non dire così, Daventh – si intromise la vecchia signora – La stai spaventando. Poverina – disse, accarezzandola. Alessa socchiuse gli occhi e trasse un respiro profondo, mentre quella fetida e grinzosa mano le passava poco sopra la guancia.
- Tesoro – proseguì l'altra – Non devi avere paura. Il nostro Signore Oscuro Sithis avrà cura della tua anima. E' un onore concesso a pochi: sei stata chiamata direttamente da loro, per unirti al Vuoto. Dovresti sentirti privilegiata -
Ma Alessa continuava a non rispondere.
- Sono sicuro che lei si senta onorata e felice in questo momento – intervenne Ambroise – Le serve solo un po' di tempo per comprendere a fondo il proprio destino. Anche se, onestamente, continuo ad avere i miei dubbi sull'effettiva volontà della Madre Notte -
- Cosa vuoi dire? - chiese Daventh.
- Che la Madre Notte non chiederebbe mai di uccidere uno dei nostri. Non una come lei almeno. Ci ha servito con onore ed al massimo delle sue capacità per diversi anni -


Non appena egli ebbe finito di pronunciare quelle parole, l'atmosfera nella sala cambiò. All'improvviso, una brezza gelida si sollevò dai corridoi ed invase il luogo. Tutti si guardarono attorno, stupefatti. La statua della Madre Notte, che si ergeva imponente davanti a loro, iniziò a circondarsi di una strana aura rosso sangue: gli occhi si illuminarono di colpo, come se stesse prendendo vita. La brezza, nel mentre, si fece sempre più intensa e gelida, fino a che la statua iniziò a parlare.
- Figlioli miei – si udì una voce nella sala.
Tutti i presenti si inginocchiarono immediatamente, in segno di rispetto. Alessa rimase interdetta per un paio di istanti, ma quando Ambroise la sollecitò con una gomitata, si prostrò anche lei.
Era un evento rarissimo: la Madre Notte, secondo la dottrina, comunicava solo attraverso il proprio Ascoltatore. Ma talvolta, se il caso lo voleva, essa poteva materializzarsi in diverse forme e comunicare con i propri figli per motivi di massima importanza. Era accaduto alcune volte in passato, stando ai resoconti delle ere precedenti. Ma nessuno pensava che si potesse verificare nuovamente proprio quella sera.
- Avverto un senso di timore e di dubbio nelle tue parole, Ambroise – disse la Madre Notte – E' così figliolo? Forse metti in discussione il mio volere? Mi costringi a parlare a tutti voi ed a scavalcarti, visto che hai apparentemente deciso di ignorare le mie parole -
- Madre – rispose subito Ambroise, stranamente più sicuro di sé – Non era mia intenzione mancarti di rispetto con le mie azioni. Ho speso la mia vita a dare forma al tuo volere ed alla tua parola. Non ho mai dubitato. Mai -
La brezza gelida divenne più debole, mentre l'aura rossa che circondava la statua mantenne la propria intensità. Gli altri presenti era quasi pietrificati nelle proprie posizioni, quasi come se non avessero neanche il coraggio di guardare direttamente la fonte di tali parole.
- Figlio mio – proseguì la voce – Da quando ti ho indirizzato sulle tracce di questa giovane Bretone, ho notato un cambiamento in te. Hai lentamente perso la tua freddezza, la tua competenza, la tua affidabilità. L'uccisione della guardia imperiale è stato il punto più basso. Un contratto gestito con un tasso di incompetenza eccessivo. Senza contare il trattamento pessimo che hai riservato ad una tua Sorella, Lucia. Lei non si meritava tale umiliazione -

Ambroise rimase in silenzio per un attimo. Era vero? La Madre Notte aveva deciso di scavalcarlo completamente, smettendo di parlare con lui? E se tutto ciò fosse davvero dovuto alla sua incompetenza, la situazione sarebbe stata ancora più grave del previsto. Nella Confraternita non c'è spazio per chi delude la Madre Notte. Ma lui era davvero convinto che la vita di Alessa andasse salvata. Talmente convinto da aver messo in discussione la propria.
- Madre. Sono al corrente del fatto che i miei metodi possano essere considerati poco professionali. Ma la mia devozione è fuori discussione. Io ti servirò fino alla morte -
La brezza aumentò di intensità e di freddezza, quasi travolgendo i presenti. Non era un buon segno.
- A proposito di devozione, figliolo. Se davvero quello che dici è vero, non avrai problemi a superare la prova a cui ti sottoporrò -
Ambroise non disse nulla, ma rivolse uno sguardo preoccupato verso Alessa. Aveva un pessimo presentimento.
- Il destino di Alessa è segnato – proseguì la Madre Notte – Voglio che tu la uccida qui. Adesso. Davanti ai miei occhi. Provami la tua devozione. Dimostrami di essere lo stesso adepto sul quale ho risposto la mia fiducia per tutti questi anni. Stasera, per mio volere, il consiglio supremo della Mano Nera sarà il nostro testimone -

Era giunto il momento.
Non vi era più via di fuga.

Ambroise guardò Alessa: la Bretone aveva iniziato a piangere, persa nello sconforto. Si copriva il volto con le mani, singhiozzando. Non voleva morire, non a quell'età, non in quel modo. Ma soprattutto, non per mano dell'unica persona di cui si fidava.
L'Ascoltatore era privo di espressione: aveva fallito non solo come seguace della Madre Notte, ma anche nell'unico obiettivo che si era posto, contro tutto e contro tutti. Adesso, non vi era davvero un piano alternativo. Il volere della Madre Notte andava compiuto.
L'Elfo e la vecchia si avvicinarono ad Alessa, afferrandola ognuno da un braccio. Lei non oppose alcuna resistenza. Piangeva. Piangeva e basta.
Ambroise si alzò in piedi e si voltò verso di lei. All'improvviso, un pugnale apparve tra le sue mani, evocato dalla Madre Notte. Non era un'arma concreta, ma composta di magia. Tuttavia, era ancora più letale delle lame tradizionali.
- Fallo – la Voce della Madre Notte riecheggiò nella stanza, elevando al contempo l'intensità dell'aura emanata dalla statua stessa – Onora tua Madre -
Ambroise impugnò saldamente il coltello, poi si voltò verso Alessa: aveva gli occhi rossi, un volto segnato da due fiumi di lacrime, un'espressione di pura disperazione. Lo stava davvero facendo? Con che coraggio avrebbe potuto ucciderla?
No, non c'erano altre vie di uscita. Avevano perso. E la sua vita era il caro prezzo da pagare.
Ambrosie fece un passo, accorciando le distanze.
- Mi dispiace – le sussurrò.
Caricò il colpo e si preparò a giustiziarla.



- Fermo! Aspetta! - urlò Alessa, prendendo la parola per la prima volta – Lasciatemi andare! -
Lui si fermò effettivamente, più stupefatto che intimorito dal suo urlo.
- Ho detto di lasciarmi! - urlò nuovamente lei, divincolandosi con violenza dalla presa dei due membri del consiglio. Ambroise fece un cenno a Daventh, che allentò la stretta. La Bretone si alzò in piedi, passandosi una mano sugli occhi per asciugare le proprie lacrime. Lanciò un'occhiataccia ad Ambroise e poi si voltò verso la statua.
Fece due passi in avanti, mentre il resto dei presenti la osservavano, senza però fare nulla.
Giunta al cospetto della Madre Notte, si inginocchiò in segno di preghiera.
- Dolce Madre – disse, con una voce ancora singhiozzante – Vengo al tuo cospetto come umile seguace del tuo Credo. Ho pienamente accettato il mio destino e l'idea di morire per mano del mio Ascoltatore. Ma vorrei avere un'ultima occasione per servirti, prima di unirmi a te nel Vuoto -
Il vento gelido che infuriava nella sala diminuì di intensità, facendo sì che le sue parole, per quanto soffuse, potessero essere udite da tutti.
- Ti ascolto, figlia mia – riecheggiò la voce.
- Madre. Poco prima di giungere al tuo cospetto, io presi in carico un contratto di omicidio per un certo mercante di Bravil. Ti chiedo, con umiltà, di poter avere un'ultima occasione per portare a termine questo contratto, prima di morire per Te. Ti supplico, Madre. Accetta la mia preghiera -
Ambroise era esterrefatto. Così come lo erano gli altri. Non se lo sarebbe mai aspettato da lei. Stava mentendo per salvarsi la vita? Voleva avere un margine di tempo per poter architettare una fuga? Con che coraggio stava mentendo alla Madre Notte?
Nessuno sapeva cosa avesse in mente.
Ma nella testa di Alessa c'era un unico pensiero: cercare di salvare la propria pelle, ad ogni costo. E quella era l'unica soluzione plausibile. Mancava solo l'approvazione della Madre Notte.
- Voglio concederti questo ultimo dono. Ma ricorda: il tuo destino rimane scritto -
- Ti ringrazio, Madre – rispose l'altra, sensibilmente sollevata – Non ti deluderò -

 

 

 

Uscirono rapidamente dal santuario. Alessa precedeva Ambroise di diversi metri, non rivolgendogli la parola. L'altro cercava di raggiungerla, ma il terreno accidentato non glielo permetteva.
La Bretone voleva solo arrivare al proprio cavallo, montare e poi sparire nella notte. Sparire per sempre. Lontano da tutta questa follia. Avrebbe cavalcato fino alla frontiera e da lì avrebbe fatto perdere le proprie tracce. Sarebbe tornata ad High Rock, si sarebbe rifatta una vita.
- Aspetta! - urlò Ambroise, quasi inciampando tra i rami ed i cespugli di quella palude fetida.
- Lasciami stare! - rispose lei, ancora scossa – Non ti voglio mai più rivedere! -
Ma mentre stava per raggiungere la strada sterrata, una pietra scivolosa la tradì, facendola crollare a terra. I suoi vestiti si impregnarono di fango, ma lei non aveva neanche la forza di rialzarsi. Sconsolata, ricominciò a piangere, portandosi le mani sopra gli occhi.
Ambroise la raggiunse e si inginocchiò sopra di lei.
- Lascia che ti aiuti – le sussurrò – Andrà tutto bene -
Le porse un braccio per aiutarla ad alzarsi, ma lei lo evitò, allontanandolo con un forte spintone.
- Hai cercato di uccidermi – gli disse, irata – Vattene! Non ti voglio mai più vedere! -
L'altro sospirò, guardando altrove per qualche istante. Poi scosse la testa.
- Ho perso il controllo. Mi dispiace – ammise – Ma ce la possiamo ancora fare. Te lo assicuro -
Alessa non rispose, continuando a singhiozzare.
- Vai via, ti prego – gli disse, stavolta con un tono di voce flebile. Era sfinita.
Ambroise la prese delicatamente per un braccio, spostandole le mani dagli occhi. Quando finalmente riacquistò il contatto visivo, le parlò.
- Ho compromesso la mia posizione nella Confraternita per salvarti. Fin dal primo giorno in cui ti ho vista, ho capito quanto tu fossi speciale. Quanto ci tenessi a te. Ed oggi, per la prima volta nella mia vita, metto in dubbio i miei ideali pur di salvarti la vita, perché è ciò che reputo sia giusto fare. Potrei morire per questo. Ma è ciò che voglio. Devi fidarti di me. Fino in fondo -
Alessa sospirò, riprendendo un minimo di compostezza.
- Siamo morti entrambi. Non abbiamo speranze – disse.
- No, ti sbagli. Ho un piano -
- Perfetto – rispose lei, accennando un sorriso di disperazione – Proprio quello che ci serviva. Uno dei tuoi stupidi piani -
Ma Ambroise era serissimo.
- Devi fidarti. Ce la possiamo fare. Ci serve solo un cadavere, della magia ed un pizzico di creatività -

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Capitolo 13
*** Escalation ***


Capitolo 13
Escalation

 

Strada Nera, Highlands Coloviane. Metà Annata 19, E229

 

Galtus sfogliò il proprio dossier, con aria incuriosita.
- Allora, Alessa – disse, pronto a prendere nota – Quale era questo fantastico piano del tuo amichetto Ambroise? -

Alessa sorrise.
- Dovevamo inscenare la mia morte -
- In che senso? -
La Bretone appoggiò i gomiti sul tavolo e cominciò a raccontare, gesticolando animatamente.
- Dovevamo fingere che io fossi morta. Ambroise ed io andammo al cimitero di Chorrol una notte e scavammo per trovare un cadavere. Era una donna, sulla ventina, vagamente simile a me quanto a corporatura. Potete mandare una pattuglia al cimitero, se pensate che stia mentendo. Nella tomba di Priscilla Laviana troverete solo polvere -
Galtus si sfregò la fronte.
- Non penso ci sia bisogno di ulteriori controlli. Dopo averti sentita, ormai credo a tutto. Prosegui -
- Dovevo far fuori questo mercante, ricordi? La Madre Notte mi aveva concesso una settimana per farlo. Quella sarebbe stata la mia opportunità per sparire una volta per tutte -
Prese fiato, poi proseguì.
- Preparammo un'imboscata sulla sua rotta commerciale. Ambroise mi aiutò ad ucciderlo, assieme alla sua scorta armata. Fu facile. Poi decidemmo di dar fuoco alla carovana e nel mucchio dei cadaveri gettammo quello di Laviana, assicurandoci che bruciasse a sufficienza -
Galtus sembrò stupito.
- Quindi? Come pensavate di giustificare tale scenario? -
- A quello ci avrebbe pensato Ambroise. Avrebbe raccontato al santuario del mio incidente con un incantesimo di distruzione. Alessa, quella che non ci capisce niente di magia, si è bruciata da sola nel tentativo di dar fuoco ad un gruppo di nemici. Credibile. Per una volta, la mia incompetenza sarebbe stata utile -
Galtus prese rapidamente nota di questa confessione, poi chiese un'ultima domanda.
- E sei sicura che questo piano abbia funzionato? -
Alessa si fece scura in volto.
- Spero davvero di sì -

 

 

 

Lucia cavalcava rapidamente lungo la Strada Nera.

Di Ambroise non c'era più da fidarsi. Era tornato al santuario, tutto distrutto e preoccupato. Aveva giurato e spergiurato di aver visto Alessa morire tra le sue braccia. E tutti ci avevano creduto senza battere ciglio.
Ma lei no. Avrebbe dovuto controllare di persona.
Quando arrivò al luogo dell'imboscata, erano ormai rimaste ben poche testimonianze dell'accaduto. Le fiamme avevano divorato tutto: i cadaveri dei nemici, il carro, persino i cavalli. Rimanevano solo degli sparuti frammenti di legno ed i corpi carbonizzati delle guardie.
In mezzo a questo desolante spettacolo, un paio di guardie imperiali stavano analizzando la zona, camminando febbrilmente su e giù per la strada. Appena la videro arrivare, si avvicinarono a passo spedito verso il suo cavallo, intimandole di fermarsi.
Lucia acconsentì senza dire nulla.

- Si fermi! - urlò uno dei due soldati – Questa area è ad accesso limitato. La preghiamo di tornare indietro -
Lucia scese da cavallo e si avvicinò ai due.
Le guardie la guardarono incuriositi, domandandosi perché non dicesse nulla e non lasciasse trasparire alcuna emozione, quasi fosse uno spettro.
- Signora – ripeté l'altro, portando la mano sopra l'elsa della propria spada – Le devo chiedere di fermarsi. Questa è un'area... -
- … riservata. Ho capito – lo interruppe lei.
Non appena finì di pronunciare quelle parole, Lucia estrasse il proprio pugnale e lo colpì con un fendente dritto alla gola, con precisione chirurgica. La guardia si portò entrambe le mani al collo, cercando di arginare la fuoriuscita di sangue. A quel punto, lei affondò nuovamente, questa volta in pieno petto. Le sofferenze della guardia terminarono in un attimo: si accasciò al suolo in un bagno di sangue.
Lucia estrasse la lama ancora grondante di quel liquido rossastro e rivolse all'altro soldato uno sguardo demonico. Sarebbe stato lui la prossima vittima.
La guardia indietreggiò, cercando di balbettare qualcosa. Era in preda al terrore, il suo volto era completamente pallido.
Lucia si avvicinò un passo alla volta, con calma e freddezza. L'altro continuava a camminare all'indietro, occhi sbarrati ed espressione terrorizzata.
La Silenziante sollevò il proprio braccio, puntando il palmo della propria mano verso la vittima. Un'aura nera iniziò a propagarsi nell'aria, avvolgendo il soldato e sollevandolo letteralmente in aria. Si dimenava, scalciava ed urlava, mentre la distanza tra i suoi piedi ed il suolo aumentava sempre di più. Una volta che fu sospeso ad una distanza sufficiente da terra, Lucia congiunse anche l'altra mano al flusso magico. Questa volta, una brezza rossastra iniziò ad avvolgere il volto del soldato, incanalandosi nella bocca e nelle narici. Le sue urla di terrore furono seguite da una violenta esplosione di cervella e sangue, che lasciò il suo corpo completamente decapitato, ma ancora fluttuante. Le braccia caddero lungo i fianchi, prive di vita. A quel punto Lucia colpì il cadavere con una forte onda d'urto, che lo spedì lontano, oltre il dirupo che costeggiava la strada.

Come se niente fosse appena successo, lei si concentrò sulla scena del crimine.

Notò subito i due corpi carbonizzati delle guardie, accanto ai cavalli. Si inginocchiò per esaminarli da vicino: si notavano ancora le punte delle frecce, tipiche di un'imboscata in stile Ambroise. I resti del carro erano sparsi qua e là per la strada. Presumibilmente, l'intero carico era andato perduto. Vi erano rimasti pochi pezzi di stoffa parzialmente bruciacchiati e poco altro.
Ma a lei interessava solo un cadavere e se lo ritrovò davanti poco dopo. Era davvero quello di Alessa? Lo analizzò da vicino: la corporatura era quella, indicativamente. Lo stato di decomposizione era troppo elevato per notare i lineamenti: il volto era completamente sfigurato, così come il cuoio capelluto. Stesso discorso per il vestiario.
Eppure vi era qualcosa che non tornava. Come poteva aver innescato un'esplosione di tale portata se non vi era alcuno materiale infiammabile nelle vicinanze?
Mentre Lucia stava toccando con mano i resti carbonizzati del presunto cadavere di Alessa, percepì una forte brezza gelida circondare il luogo. Un vento sempre più forte, nato dal nulla. Si alzò in piedi e si guardò attorno, incuriosita.
- Lucia... - sentì una voce. Ma attorno a lei non vi era nessuno.
- Chi sei? - urlò.
La brezza sembrò calmarsi per un istante.
- Sono la Madre Notte. Sono tua Madre -

 

 

 

Nel frattempo, alla magione di Remain Carvain

 

I due calici si sfiorarono, facendo ondeggiare il pregiatissimo vino contenuto al loro interno.
- Alla nostra salute – disse Remain, con un espressione soddisfatta. Poi bevve un sorso deciso.
Davanti a lui, una giovane donna stava facendo lo stesso.
Per la prima volta, dopo la scomparsa di Vittoria, la sua vita aveva riacquistato una parvenza di serenità. I suoi affari proseguivano alla grande e quella sguattera Bretone sarebbe morta di lì a poco. Non poteva chiedere di meglio.
- Allora – disse lei, posando il calice – Cosa abbiamo in programma per questa nostra serata speciale? -
Remain recuperò un dipinto appeso alla parete e lo maneggiò con cura, per mostrarglielo. Rappresentava uno scorcio del porto di Anvil, immortalato al tramonto. In basso a destra, vi era una piccola firma da parte dell'artista.
- Lo vedi questo? - le disse – Stasera andremo a venderlo all'asta cittadina. Voglio farci un bel po' di Septim -
L'altra lo guardò da vicino con aria incuriosita, ma senza palesare più di tanto la propria ignoranza in materia. Remain lo notò, senza però dire nulla.
- Se lo dici tu – commentò lei, scuotendo la testa – Io di queste cose non ci capisco nulla -
Lui si avvicinò, baciandola delicatamente sulla fronte.
- Tu devi solo pensare a dove ti piacerebbe andare con quei soldi. Solo io e te -
Proprio in quel momento, qualcuno bussò alla porta.
Remain si infastidì alquanto, per l'interruzione. Posò il quadro a terra e andò ad aprire.
“Sarà la domestica” pensò, mentre la sua mano afferrava il pomello.
Ma la persona dall'altra parte della porta era un'altra.

- Sorpresa! -

Un pugnale trafisse Remain in pieno petto, facendolo barcollare all'indietro. Il nobile portò le mani sulla ferita, cercando di arginare il flusso sanguigno. Poi volse uno sguardo al suo assalitore.
Era Alessa.

La Bretone entrò decisa nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle con un calcio. Remain si accasciò a terra, ansimante. L'altra donna era pietrificata e guardava i due senza proferire parola.
Alessa si piegò sulla sua vittima, per recuperare la propria arma. La estrasse violentemente, facendo urlare il nobile di dolore. Stava cercando di dirle qualcosa, ma le sue parole erano strozzate da violenti flutti di sangue che fuoriuscivano dalla sua bocca. Dopo poco, cadde supino a terra, privo di vita.
Alessa si rialzò e volse un'occhiataccia all'altra ospite. La donna si portò una mano davanti alla bocca, come per proibirsi di urlare.
- Tu! Tu! - urlò ad Alessa, puntandole un dito contro – Cosa hai fatto?! Andrò a chiamare le guardie! -
La Bretone sollevò le spalle, mostrando indifferenza. Poi tornò sui propri passi, aprendo nuovamente la porta.
- Prego. Vai pure – disse, indicandole l'uscita.
L'altra, la cui espressione stava mostrando sempre più rabbia che paura, si avvicinò lentamente, come se si aspettasse un colpo improvviso, da un momento all'altro. Quando furono a pochi passi di distanza, Alessa fintò un attacco, facendola scattare indietro per la paura. Poi tornò alla propria posizione, con aria divertita.
- Vai a chiamare le guardie, dai – ripeté in tono di sfida – Io vi aspetterò qui – e si diresse verso il tavolino con i vini, osservando i calici posti sopra di esso.
L'altra fece altri passi all'indietro verso l'uscita, senza perdere il contatto visivo con l'assassina. Poi si voltò ed iniziò a correre giù per le scale, diretta in città.
Alessa sbirciò dalla finestra, per verificare che effettivamente quella stordita si stesse dirigendo verso le guardie cittadine. La vedeva correre su e giù per la piazza principale, urlando e gesticolando come un'indemoniata. Nel mentre, altri passanti si unirono al suo furore, correndo anch'essi verso la più vicina pattuglia.
Alessa si mise comoda, sedendosi sull'elegante poltrona di velluto posta all'altro lato del tavolo. Scorse rapidamente in rassegna tutti vini, poi decise di provarne uno. Se ne versò un calice abbondante e iniziò a sorseggiarlo serenamente, mentre si godeva lo spettacolo del cadavere della propria vittima e del relativo sangue che lentamente stava sporcando tutto il tappeto.
La sua macabra serenità fu interrotta dai pesanti passi dei soldati, che percorrevano rumorosamente le scale della magione. Poco dopo, fecero irruzione nella stanza, puntandole contro le proprie spade. Ma lei rimase indifferente e proseguì nel sorseggiare la bevanda.

- In nome della contea di Chorrol, vi dichiaro in arresto – disse uno di loro, con autorità.
Alessa si alzò, lasciando cadere l'arma del delitto ai propri piedi. La sua espressione sprezzante e beffarda pareva irritare non poco i presenti.
La Bretone allungò le proprie mani, come per suggerire loro di ammanettarla. Non aveva alcuna intenzione di porre resistenza.
- Oh, no – disse ironicamente – I possenti esponenti della guardia cittadina mi hanno arrestata. Che delusione -
Le altre guardie si guardarono tra loro per un paio di istanti, senza riuscire a spiegarsi questo atteggiamento strafottente. All'apparenza poteva sembrare una folle o, più semplicemente, un'ubriaca. Ma in realtà, Alessa aveva un piano ben chiaro in mente.
La guardia la afferrò violentemente, legandola con un pesante paio di manette di ferro. Poi la afferrò dalla base del mento, in modo di poterla fissare dritta negli occhi. Cercava di intimidirla, ma senza alcun successo.
- Non so cosa tu abbia in mente – le disse – Ma qualunque cosa sia, non la otterrai -

- C'è solo una cosa che voglio. E sarete proprio voi a procurarmela -

 

 

 

 

Nel santuario il morale era ai minimi storici.
L'intero gruppo era radunato in mensa, pronti a consumare il pasto serale. Vi erano tutti.
Ambroise, seduto a capotavola, si sforzava di mantenere un atteggiamento triste e malinconico. Sapeva, o meglio sperava, che Alessa fosse al sicuro da qualche parte. Non aveva voluto sapere quale fosse il suo piano, per precauzione. Doveva cercare di farle guadagnare tempo, a sufficienza per organizzare una fuga da Cyrodiil, o per qualunque altra cosa le sarebbe venuta in mente di fare.
Lucia era uno spettro. Non aveva toccato il proprio cibo, non aveva proferito parola per tutta la serata, non aveva neanche mosso un muscolo. Si limitava a fissare il piatto davanti a sé, in silenzio tombale.
Yngvaar e Wumeek parevano più tristi del solito, nonostante fossero passati ormai diversi giorni dalla scomparsa della giovane Bretone. Non era la prima volta che capitasse di perdere dei propri compagni. Ma, ciononostante, il senso di dispiacere restava lo stesso ogni volta. Un senso di vuoto, una mancanza nella vita quotidiana di tutti.
Ma Ambroise era stato preciso nel suo resoconto: lui ed Alessa avevano cercato di tendere un'imboscata a questo famigerato mercante di tessuti. Il piano è andato storto e quando Alessa ha deciso disperatamente di fare ricorso alla magia di Distruzione, l'intera situazione era sfuggita loro di mano. L'Ascoltatore aveva giurato e spergiurato di aver visto il suo cadavere carbonizzato al suolo, quando ormai non vi era più niente che potesse fare per salvarla.

Lucia si alzò in piedi all'improvviso.
- Torno nelle mie stanze. Ho bisogno di un po' di riposo – disse, allontanandosi lentamente dal tavolo.
Quando passò vicino ad Ambroise, però, si fermò. Lo squadrò per diversi secondi, guardandolo dritto negli occhi, ma senza tradire alcuna emozione. L'altro ricambiò lo sguardo, sempre serissimo.
Poi Lucia proseguì nella sua camminata, lasciando definitivamente la stanza.
Non appena fu fuori, i due commentarono l'accaduto.
- Cosa le prende? - chiese Wumeek, scherzosamente.
- E' Lucia. Sappiamo com'è fatta. Lasciatela stare – rispose Ambroise, senza nascondere un pizzico di turbamento.

 

 

 

Quella notte, i sogni di Ambroise erano più movimentati del solito.
Si ritrovava come di consueto in una landa desolata, completamente priva di alcuna costruzione artificiale o naturale. Vi era solo la sua figura solitaria, che vagava nel Vuoto. Tutto attorno, si notavano delle entità sfumate, di colore nerastro e dalla parvenza spirituale. Erano tantissime e lo circondavano da ogni lato. Lui le conosceva tutte, una ad una. Erano le sue vittime. E quello era il Vuoto.

- Figliolo – una voce riecheggiò nell'ambiente.
Ambroise vide materializzarsi davanti a sé una figura antropomorfa, ma dai contorni indefiniti e dalla consistenza eterea. Per quanto fosse solo un sogno, gli sembrava tutto vivido e “reale”.
- Madre – disse lui, riconoscendo la voce della Madre Notte di fronte a sé.
- Mi hai profondamente deluso, Ambroise – disse lei – Dopo tutti questi anni, pensavo di aver fatto la scelta giusta, scegliendo te come mio messaggero. Ma, a quanto pare, la mia fiducia è stata mal riposta -
Ambroise sapeva che prima o poi il suo inganno sarebbe stato scoperto. Pertanto, decise di affrontare lo scontro verbale a viso aperto.
- Ed io pensavo che fosse contro il volere di Sithis uccidere un nostro Fratello. Io sono un tuo devoto seguace, madre. Ho dato la mia vita per te. Ma uccidere Alessa è un limite che non sono disposto ad oltrepassare -
In risposta al suo tono aggressivo, l'intero contestò mutò, diventando più oscuro e tenebroso. Le anime scomparvero ed ai lati si scorgeva solo più una coltre nube nera a circondare il tutto.
- Come osi rivolgerti a me in questo modo? - tuonò la Madre Notte – Tu hai preferito una mortale a me ed al signore oscuro Sithis. E, nonostante questo, continui a difendere la tua posizione eretica -
Ma Ambroise non parve preoccupato. Anzi, guardava fisso davanti a lui, stoicamente.
- Ho preso la mia decisione e sono pronto a subirne le conseguenze. Se reputi che il mio tempo sia giunto al termine, poni fine alla mia esistenza. Non ho rimpianti -
Le nubi si fecero sempre più opprimenti e soffocanti, circondando completamente l'Ascoltatore. Non era più solo un sogno.
- Come tu hai preso la tua decisione, figliolo, anch'io ho preso la mia. La tua morte avverrà per mano della persona che reputo più fidata all'interno della Confraternita. La persona che prenderà il tuo posto, in qualità di mio messaggero. O forse dovrei dire mia messaggera... -

 

Ambroise si svegliò di soprassalto, avvertendo un dolore allucinante al costato. In pochi istanti, capì di avere un pugnale conficcato in corpo e di essere prossimo alla morte.

Sopra di lui, Lucia lo stava fissando, con le mani saldamente avvolte attorno all'elsa dell'arma.
Ambroise, con le ultime forze che aveva in corpo, allungò una mano, sfiorandole la guancia destra.
Lei rimase impassibile, spettrale. Poco dopo il Bretone chiuse gli occhi, esalando il proprio ultimo respiro.

Wumeek e Yngvaar entrarono all'improvviso nella stanza, avendo udito le urla dell'Ascoltatore.
Lucia era ancora lì, accanto al letto della propria vittima, in religioso silenzio. Lo guardava, mentre il sangue scendeva delicatamente lungo il corpo ed il letto, per poi sporcare il pavimento.

I due rimasero senza parole.
- Lucia... - disse Yngvaar, facendo fatica a trovare le parole giuste – Cosa sta succedendo? -
Lei rimase immobile per ancora un paio di istanti, poi si voltò verso i due. Teneva ancora saldamente in mano il pugnale, grondante di sangue. Aveva un'aria quasi posseduta, indemoniata, ma allo stesso tempo fredda e controllata.
- Ambroise ci ha traditi – disse – Alessa è ancora viva -
Yngvaar rimase senza parole.
- Come... come fai a saperlo? - chiese.

Lucia sorrise per la prima volta dopo un'intera settimana.
- La Madre Notte mi ha parlato. Sono la nuova Ascoltatrice -

 

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Capitolo 14
*** Punto di Non Ritorno ***


Capitolo 14
Punto di Non Ritorno

 

Prigioni della Città Imperiale, Middas, 22esimo giorno di Luce del Crepuscolo, 3E 229

 

- E' stata una bella storia, nel complesso. Un po' noiosa a tratti. Non sei un granché come narratrice. Anzi, lasciatelo dire: non fare la scrittrice in vita tua, non fa per te -
Galtus commentò, dando un'ultima sfogliata ad i propri appunti. Si era segnato tutto: ogni parola, ogni frase, ogni confessione. In quel taccuino vi era tutta la carriera criminale di Alessa, nero su bianco. E con essa, anni e anni di segreti della Confraternita Oscura, finalmente svelati alle autorità.
La Bretone, dal canto suo, era più agitata del solito. Era lì per ottenere la propria salvezza, la propria incolumità. Ed invece, si ritrovava a dover sopportare le battutine del capitano della guardia.
- Ho fatto la mia parte – iniziò lei, poggiando i gomiti sul tavolo – Adesso devi fare la tua -
Galtus richiuse il proprio dossier, con aria poco interessata.
- E cosa sarebbe di preciso? - chiese – Cosa speri di ottenere? -
Alessa prese una mappa di Tamriel, usata in precedenza per indicare i punti chiave della Confraternita. Posò il dito sopra alla provincia di Rivenspire, ad High Rock. Era la terra dei Bretoni, casa sua.
- Voglio una nuova vita a Northpoint, High Rock. Una nuova identità, una nuova casa, un nuovo lavoro. Tutto qui -
Ma i suoi occhi, pieni di desiderio e di entusiasmo all'idea di ottenere finalmente la pace e la serenità da tanto ricercata, si scontrarono contro l'espressione poco convinta di Galtus. In risposta, Alessa iniziò ad irritarsi.
- Ascolta – alzò il tono di voce – Io ho creato la tua carriera. Con queste mie dichiarazioni diventerai l'ufficiale più famoso di Cyrodiil senza aver neanche fatto nulla. Galtus Cassiana, colui che pose fine alla Confraternita Oscura. Entrerai nella storia. Ed è solo merito mio -
A quelle parole, Galtus perse il controllo e si alzò in piedi, sbattendo i pugni sul tavolo. Alessa scattò all'indietro, spaventata da quel gesto improvviso.
- Io non ti devo niente! – urlò lui – Tu sei una criminale. Tu sei la feccia dell'umanità. Un'assassina. Come ti permetti di insinuare certe sciocchezze? Potrei condannarti alla decapitazione entro stasera stessa e sarei comunque in grado di andare a dormire serenamente, sapendo di aver fatto il mio dovere e di aver contribuito a rendere Tamriel un posto migliore -
Il capitano, preso un respiro profondo, si allontanò dal tavolo per raggiungere una cassettiera posta dall'altro lato della stanza. Alessa lo fissò in silenzio mentre tirava fuori dai cassetti un vecchio calice impolverato e si versava un abbondante bicchiere di vino, rinvenuto nello stesso mobile. Ne bevve un sorso, poi tornò a sedersi.
Alessa attese ancora qualche istante prima di ricominciare a parlare. Doveva trovare le parole giuste, doveva convincerlo a darle ciò che voleva. Restare in prigione equivaleva a morte certa: Lucia non ci avrebbe messo molto tempo a trovarla.
- Ti ho detto tutto ciò che volevi. Grazie alle mie informazioni puoi porre fine alla Confraternita. Sai tutto: sai dei Santuari, sai dell'organizzazione interna, sai della Mano Nera. Nessun informatore sarebbe mai in grado di darti tanto -

Galtus scosse la testa.
- Quello che mi hai detto fino ad adesso non basta. Se davvero vuoi ottenere la tua nuova vita, dovrai dirmi molto di più -
Alessa non rispose.
- Devo sapere l'esatta ubicazione di ogni tuo ex compagno. Tutti. Dobbiamo essere in grado di eliminarli uno per uno. Sappiamo già che un assalto frontale al Santuario sia impossibile a cause delle barriere magiche all'ingresso e della difficoltà nel raggiungere il posto. Dobbiamo tracciarli uno per uno, quando sono al di fuori della sede principale. E tu ci dovrai aiutare a farlo -
Alessa sembrò interdetta. Raccontare la propria vita era un conto. Ma collaborare attivamente per eliminare i propri Confratelli era un altro. Come poteva aiutare ad uccidere persone come Wumeek o Yngvaar, che non le avevano mai fatto nulla di male? Per non parlare di Ambroise.
Certo, era ancora disgustata dalla Confraternita Oscura e dalla facilità con cui lei fosse passata da cacciatrice a preda. Ma ciò non riusciva comunque ad oscurare tre anni di avventure e di esperienze passate con loro. Senza contare, che Ambroise ed Yngvaar le avevano salvato la vita. Più di una volta.
- Cosa c'è? - chiese Galtus, notando la sua espressione disturbata – Pensavi davvero di venire qui, raccontare il minimo possibile per preservare i tuoi “Fratelli” e comunque ottenere ciò che volevi? Ho capito che tu non sia una cima, ma non ti facevo così tanto stupida -
- Ambroise mi ha aiutata. Non sarei qui a raccontarti tutto questo se non fosse stato per lui. Come puoi chiedermi di tradirlo? Non posso farlo. Non posso permettere che voi lo uccidiate -
Galtus finì di colpo il bicchiere di vino, raccolse le proprie carte e voltò le spalle alla Bretone, dirigendosi verso l'uscita.

- Ti concedo la notte per pensarci. E' la loro vita contro la tua – e se ne andò, chiudendosi la porta alla spalle.

 

 

Alessa era sdraiata sopra una vecchia stuoia, incapace di addormentarsi. A fianco a lei, vi erano gli avanzi del pasto serale, appena assaggiato. Si era limitata a dare un paio di morsi a quel pane raffermo, per poi gettarlo a terra, disgustata.
Restava sdraiata a testa in su, con le braccia raccolte dietro la nuca, ad osservare il soffitto di quella fetida cella. Poco fuori, si intravedeva il lago Rumare. Una vasta distesa di acqua salmastra, che circondava la città Imperiale. I pescatori del villaggio di Weye si erano già ritirati nelle proprie capanne, al caldo del focolare domestico. Le sponde del lago erano ora deserte, attraversate solo da qualche guardia imperiale impegnata nella propria ronda notturna.

Alessa si rialzò in piedi. Proprio non riusciva a prendere sonno. Si avvicinò alla piccola finestra della sua cella, dalla quale poteva osservare il Lago Rumare nella speranza che la tranquillità della notte potesse in qualche modo placare i suoi pensieri.
Si sentiva in pericolo, era in pericolo. Ogni secondo trascorso a Cyrodiil poteva essere l'ultimo. Lucia sarebbe potuta essere lì, dietro ogni angolo, appostata in ogni cespuglio. La morte l'attendeva e fintanto che sarebbe rimasta in quella regione, avrebbe potuto sorprenderla in qualunque momento.
Ma tradire Ambroise era troppo. Come avrebbe potuto collaborare attivamente con la guardia imperiale per la sua eliminazione? Dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei? No, c'era un limite a tutto. Non poteva farlo. Nonostante tutto, sentiva ancora dentro di sé uno strano senso di lealtà e fedeltà, che fino a poco tempo prima non percepiva. Non certo verso la Confraternita. Loro erano delle bestie, degli animali senza scrupoli: le avevano voltato le spalle così, da un giorno all'altro. Come avrebbe potuto fidarsi di persone del genere? Semplicemente non poteva. Non più, almeno.
Ma verso Ambroise nutriva ancora un senso di lealtà. Dopo tutto, era lui ad averla salvata. Aveva compromesso la propria posizione nella Confraternita pur di darle quest'occasione per fuggire.

Mentre era persa nei propri pensieri, vide una scintilla muoversi nell'oscurità davanti a lei.
Scattò in avanti, sporgendosi dalle sbarre della finestra. Vi era qualcosa là fuori, proprio davanti alla sua cella. Una figura oscura si stava muovendo tra la vegetazione sulla sponda del lago. Con il cuore in gola, Alessa cercò di capire di cosa si trattasse. Erano loro? Erano venuti ad ucciderla una volta per tutte?
Vide ancora una volta una scintilla, una piccola luce rossa. Poi nuovamente il buio.

Alessa si allontanò dalla finestra, sudando freddo. L'avevano trovata. Come era possibile? Ambroise aveva tradito? O l'avevano ucciso? No, non c'era tempo per pensarci. Doveva avvertire i soldati.
- Guardia! - urlò nel corridoio, sperando che qualcuno rispondesse. Gli altri prigionieri, svegliati dalle sue urla, iniziarono a lamentarsi, chiedendole di fare silenzio. Ma non servì a nulla. Alessa urlò nuovamente, sempre più terrorizzata. Eppure nessuno sembrava rispondere alle sue grida.

Decise di tornare alla finestra. Rimase pietrificata dal terrore.
La figura era ora più definita e la stava fissando dall'oscurità. Impugnava un arco, già teso e pronto a colpire.
- No! - urlò la Bretone, mentre il colpo partì.

La freccia coprì rapidamente la distanza tra le due, dirigendosi verso Alessa.
Istintivamente, quest'ultima urlò, scattando all'indietro.
Ma il dardo, una volta raggiunto il petto della Bretone, lo trapassò completamente, senza ferirla, andando poi a conficcarsi nel muro.

Alessa cadde all'indietro, completamente in preda al panico. Si portò una mano sul petto: non usciva sangue. Non provava dolore. Non vi era una ferita. Eppure la freccia era lì, dietro di lei: l'aveva vista partire, l'aveva vista trapassare il proprio corpo. Cosa stava succedendo?
Si voltò per meglio osservare il dardo. La riconobbe immediatamente: era una freccia della Confraternita Oscura. Lo stile ed i colori erano inconfondibili. Ma proprio mentre stava per prenderla tra le mani, essa si dissolse nel nulla. Rimase solo un piccolo biglietto, accuratamente piegato.
Alessa lo raccolse, per esaminarlo.
“Ti troverò” recitava, in una scritta a caratteri cubitali. Sotto di essa, vi era un simbolo, anch'esso inconfondibile. Una mano aperta, stilizzata. Il tutto non sembrava però inciso con inchiostro tradizionale, ma in sangue, visto il colore rossastro.
Alessa rabbrividì e lo lasciò cadere a terra. Ma proprio prima di impattare al suolo, esso svanì nel nulla, proprio come la freccia pochi istanti prima.

Nel mentre, due guardie avevano finalmente deciso di rispondere alla sua richiesta d'aiuto. Entrarono svogliatamente nella sua cella mentre lei era ancora lì, seduta a terra, con gli occhi spalancati dal terrore.
- Allora, che succede? - chiese uno dei due soldati – Hai perso il tuo orsacchiotto e non riesci a dormire? -
Alessa scattò verso di loro, quasi trascinandoli di peso verso la finestra.
- Laggiù! Laggiù! - urlò – E' la Confraternita! Sono venuti per uccidermi -
Ma sulla sponda del lago non vi era nessuno. Quella figura oscura si era dileguata.
- Io non vedo nulla – disse una guardia, scrutando la zona con aria irritata – L'avrai solo sognato -
Ma Alessa era sconvolta e continuava a guardare fuori, nella vana speranza di rivederla.
- Andiamocene – disse l'altro – Si è inventata tutto -
E la lasciarono sola, nel buio nella notte.

 

 

 

Galtus entrò nella sala sbattendo la porta con violenza. Era chiaramente irritato, all'idea di dover lavorare nel proprio giorno libero. Si sedette al tavolo dell'interrogatorio, spalancando nuovamente il proprio taccuino.
Dall'altro lato, sedeva Alessa, ancora sconvolta per i fatti accaduti nella notte.
- Spero per te che questo incontro sia proficuo – tuonò Galtus – Oggi sarei dovuto essere a Skingrad con la mia famiglia. Ed invece sono ancora chiuso qui, in questa topaia. Ti sei decisa a parlare? -
Alessa annuì, mordendosi le labbra. Si vergognava di se stessa: stava davvero tradendo Ambroise e gli altri? Doveva farlo, non aveva scelta. Doveva andarsene da Cyrodiil il prima possibile: ogni secondo trascorso lì dentro poteva essere l'ultimo. E collaborare fino in fondo sarebbe stata l'unica soluzione, per quanto riprovevole sarebbe stata.
- Ma prima di iniziare – disse lei, guardandolo dritto negli occhi – Mi devi assicurare che la mia richiesta di trasferimento sarà accettata. Se mi lasciate qui ancora una notte, mi uccideranno -
Ma Galtus era dubbioso.
- La prigione della Città Imperiale è la più sicura e fortificata di tutta Tamriel. Se anche volessero, non potrebbero mai farti del male, finché sei qui. Ma, se proprio te ne vuoi andare altrove, non sarò certo io a fermarti -
Poi impugnò la penna, la intinse delicatamente nell'inchiostro e si apprestò a riempire una nuova pagina di confessioni.
- Mi devi dire esattamente come possiamo trovare ogni singolo membro della Confraternita mentre si trovano all'esterno del Santuario. Come ti ho accennato, dobbiamo essere in grado di sorprenderli mentre meno se lo aspettano. Iniziamo da quei due simpaticoni. Yngvaar e Wumeek. -

Alessa fece mente locale, cercando di ricordare le loro abitudini, le loro routine. Dopo due anni, ormai, le conosceva bene.
- Yngvaar ha una passione smodata per l'alchimia ed ama procurarsi da solo gli ingredienti per i propri intrugli – spiegò la Bretone.
- Dove li raccoglie? Dubito che i monti di Jerall siano una meta popolare tra gli alchimisti -
- Infatti si dirige spesso nei boschetti della valle di Nibenay o lungo la Costa d'Oro. Una volta andammo insieme nelle Highlands Coloviane, ma non ci tornammo mai più. Lo troverete di sicuro in quelle zone. Senza contare il fatto che, come ti ho detto, ha una casa a Bruma dove trascorre i fine settimana -

Alessa prese fiato, dando all'altro il tempo di scrivere. Poi riprese.
- Wumeek sarà un po' più problematico da trovare. Di lui non ho mai saputo molto. Lasciava raramente il santuario e, quando lo faceva, non diceva mai a nessuno dove fosse. Tuttavia, un giorno l'ho incontrato per caso ad Anvil. Davvero, non avevo di idea di vederlo lì e lui non giustificò la sua presenza in alcun modo. Venni poi a sapere da Ambroise del motivo delle sue occasionali visite ad Anvil: ha un parente malato che vive lì, presumibilmente anziano. Di tanto in tanto, gli fa visita per sincerarsi delle sue condizioni -

Galtus prese febbrilmente appunti, come se le parole di Alessa fossero letteralmente oro colato. Ed effettivamente lo erano, nell'ottica di smantellare la confraternita.
- Per quanto riguarda Lucia... - iniziò Alessa, la cui espressione mostrava improvvisamente più rabbia del solito. Tuttavia, nonostante Lucia fosse la persona che più di tutte avrebbe voluto vedere morta o dietro le sbarre, era anche quella sulla quale aveva meno informazioni disponibili. Cercò di fare mente locale, di ricordare un qualunque dettaglio, nome, posto.
- Di lei non so molto. E' letteralmente un fantasma. Nessuno era mai al corrente dei suoi spostamenti – spiegò Alessa – L'unico indizio certo, è questo -
Indicò la città di Chorrol.
- Qui incontrava un trafficante d'armi, per rifornirsi prima di ogni incarico. Ne accennò una volta Ambroise, di sfuggita. E' l'unica pista che conosco. Il resto dovrete ottenerlo da soli -

- Adesso arriviamo al piatto forte - sorrise Galtus, strofinandosi le mani come di fronte ad una pietanza prelibata - Dove si nasconde il tuo migliore amichetto? -
Alessa si morse le labbra, nervosamente. Doveva rispondere, che le piacesse o no.
- Ambroise possiede un terreno sulla Costa Dorata. Ci trascorre molti fine settimana. Una volta ci andammo insieme. E' facile da raggiungere... - e mostrò lui la posizione sulla mappa. Poi incrociò le braccia, guardando altrove.

Galtus sembrò soddisfatto. Ripose la penna, chiuse il taccuino.
Alessa si era appena tolto un peso enorme dallo stomaco: giusta o sbagliata che fosse, aveva preso una scelta. Si era schierata da una parte: la sua.
Galtus si alzò in piedi, dirigendosi verso l'uscita. La Bretone lo guardò stupita, pensando erroneamente che egli avesse ancora qualcosa da aggiungere. Insomma, non avevano ancora messo nero su bianco la sua ricompensa.
- Allora? - chiese lei, leggermente stizzita.
- Ti trasferiranno a Northpoint in serata. Saranno trent'anni di prigione, forse venti se farai la brava. Te ne esci a quarant'anni, con buona parte della vita ancora davanti. Nuovo nome, nuovo lavoro, nuova casa. E finalmente vedrai High Rock, come volevi -
- Trent'anni?! -
- Realisticamente, non si poteva ottenere di meglio. Guarda il lato positivo: i miei superiori volevano decapitarti pubblicamente al termine della settimana -
Ed aprì la porta, pronto a non vederla mai più. Ma prima di dileguarsi definitivamente, si voltò per un ultimo sguardo, un ultima domanda.
- Allora, Alessa – sorrise – Come ci si sente ad aver aiutato la giustizia? Ad aver fatto vincere i buoni? -
Il volto della Bretone si fece cupo.

- Uno schifo – disse.

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Capitolo 15
*** Sorelle di Sangue ***


Il rating per questo capitolo è da considerarsi ROSSO

 

 

Epilogo
Sorelle di Sangue

 

Ventidue anni dopo...

 

Mercato Generale di Northpoint, High Rock. Luce del Crepuscolo 14, 3E 251

 

- Mamma! Mamma! Voglio quel rotolo dolce -
- Ne voglio uno anch'io! -
- Ne avete già mangiati due stamattina. Per oggi basta così -
- Mamma, ti prego -
- E va bene... -
La donna fece un cenno al mercante, indicando due squisiti rotoli dolci posti sopra alla sua bancarella. L'altro, un Bretone burbero e grassone, fece un segno di tre con la mano. La madre gli porse tre pezzi d'oro, per la felicità dei propri pargoli che, in tutta risposta, le strapparono di mano quelle prelibatezze, iniziando a strafogarsi.
- Aspettatemi alle scuderie – disse lei, sorridendo ai suoi due figli – La mamma deve discutere una questione con il mercante. In privato. -
I due si guardarono per un istante, poi iniziarono a correre.
- Chi arriva ultimo è un idiota! - urlò il figlio più grande, sparendo assieme alla sorellina nella folla.
La madre, una Bretone sulla quarantina, tornò a rivolgere le proprie attenzioni al mercante che, invece, pareva parecchio distratto e svogliato.
- Mi hanno detto... - disse lei, abbassando la voce – che vendi anche merci non propriamente legali -
L'altro si grattò la barba, guardandosi attorno. Il mercato era molto trafficato a quell'ora e, per loro fortuna, le guardie erano impegnate in ben altri affari.
- Sei stata male informata, mia cara – disse lui, spezzando il suo entusiasmo – Non so di cosa tu stia parlando -
Lei sorrise.
- Mettiamola così – disse, appoggiando entrambe le mani sul bancone – C'è una persona a Northpoint che è sotto stretta sorveglianza della guardia cittadina. A lei, per motivi oscuri ed imprecisati, è impedito di comprare armi dai negozianti tradizionali, se così possiamo dire. Ora, come potrebbe fare questa povera sventurata a mettere le mani su un bel pugnale? -
Il mercante si passò la lingua tra i denti, scavando fra i rimasugli della cena precedente ancora incastrati nel palato. Nel mentre, la squadrò dall'alto verso il basso, con aria sospetta.
- Direi che questa persona ha scelto la bancarella sbagliata -
La Bretone gettò una borsa piena di monete d'oro sul tavolo. L'altro rimase sorpreso in un primo istante, poi si affrettò ad afferrarla e a nasconderla sotto il bancone. Si guardò attorno ancora una volta: nessuno sembrava aver notato nulla.
- Ho detto bancarella sbagliata? - rispose lui, con il volto illuminato di gioia – Che sbadato. Intendevo dire bancarella giusta. Sai, a volte capita di sbagliarsi con le parole -
- Immagino – disse lei – Sono due parole così simili, sia nel significato che nel suono. Capita a tutti di confonderle -
L'altro le fece cenno di girare attorno al bancone, poi fece un fischio rivolto ad un Khajiit lì vicino. Era il suo assistente.
- Mojdul, dammi il cambio per un paio di minuti – ordinò. Poi condusse la madre lontano dal mercato, in un vicolo. Qui raggiunse con disinvoltura un paio di barili abbandonati. Li spostò, per far spazio ad una piccola cesta di legno. Non senza qualche difficoltà, la sollevò e la aprì, per mostrarne il contenuto alla propria cliente.

Quel vicolo era davvero fetido e oscuro. Non il posto migliore dove fare affari. Eppure, era così vicino al centro cittadino: incredibile come la città di Northpoint potesse racchiudere così tante insidie, dietro ogni angolo. Perlomeno, avevano entrambi la certezza di non poter essere disturbati là dietro.
Una volta aperta la cassa, la Bretone poté finalmente analizzarne il contenuto. Era un meraviglioso pugnale elfico, ricoperto da eleganti rifiniture dorate ed un'elsa decorata con pietre preziose.
- Posso? - chiese lei, facendo per impugnarlo.
- Certamente – disse l'altro.
Così lo prese, facendolo muovere lentamente tra le sue mani. Era incredibilmente leggero, nonostante i materiali utilizzati. L'impugnatura era sottile ed ergonomica: proprio quello che stava cercando.
La Bretone sorrise, soddisfatta.
- Mi sembra perfetto – disse, mentre lo riponeva nella sua fodera – Dove l'avete rinvenuto? -
Il mercante si grattò la testa.
- Un mio fornitore me l'ha procurato senza fornire troppe spiegazioni. Dato lo stato di conservazione, deduco sia stato rubato da qualche parte. Non sembra essere mai stato effettivamente utilizzato in battaglia. Non presenta segni di usura, come hai notato -
Si strinsero la mano, entrambi soddisfatti per la transazione appena conclusa. Poi si allontanarono rapidamente da quel vicolo, ognuno per la propria strada.
La Bretone si diresse verso le scuderie, destreggiandosi tra la massa che inondava le strade del centro cittadino in quelle frenetiche ore di mercato. Giunta finalmente a destinazione, non senza qualche spintone di troppo, si sentì sollevata nel rivedere i propri due figli, impegnati a discutere su chi fosse arrivato prima e su chi fosse effettivamente l'idiota.
- Sono arrivata prima io! -
- Non è vero! L'ho toccato prima io il cavallo! Ho vinto io -
- La gara era fino alle scuderie, non al cavallo! -
Appena la videro arrivare, si voltarono verso di lei, pur continuando a battibeccare.
- Ho vinto io Mamma! Diglielo! -
- No, non ascoltarlo mamma Aless....-
La Bretone coprì all'improvviso la bocca della figlia con una mano, impedendole di finire la frase. La piccola rimase pietrificata, con gli occhi spalancati, esattamente come il fratellino maggiore. Passato il turbamento improvviso, la madre si accovacciò accanto a lei, rimuovendo la mano che quasi le proibiva di respirare.
- Tesoro – disse, con un tono di voce basso – Ti ho già detto che quando siamo in pubblico non devi chiamarmi con il vero nome. E' il nostro gioco, non ricordi? Chi lo dice, perde -
L'altra annuì, abbassando lo sguardo. Era visibilmente turbata e mortificata, nonostante quella non fosse una vera e propria sgridata.
- Scusa Mamma – rispose, iniziando ad attorcigliarsi nervosamente i capelli con un dito.
La Bretone la accarezzò con delicatezza.
- Facciamo così – disse – Oggi avete vinto tutti e due. E sappiamo cosa succede a chi vince, vero? -
I due si guardarono, con un sorriso di complicità.
- Si sta svegli fino a tardi! - urlarono all'unisono, scalpitando dalla felicità.
La Bretone li prese per mano, ognuno ad un lato. Insieme, si diressero verso il loro cavallo, pronti per fare rientro a casa. La bestia era lì che li aspettava, appena fuori il recinto delle scuderie. Ma prima di poter montare sul suo dorso, furono raggiunti da una guardia cittadina. Quest'ultima intimò loro di fermarsi.
- Iniziate a sistemare i pacchi sul cavallo – disse lei, mandando loro avanti – La mamma ha una questione da discutere con il soldato -
Mentre i due si dileguarono, lei si avvicinò alla guardia, porgendole un piccolo foglio di carta che portava con sé. Era una routine per la gente di Northpoint mostrare i propri documenti ai soldati, non vi era niente di strano in un piccolo controllo. Anche se, in questo caso, avevano a che fare con una cittadina speciale.
- Signora Marcurio, come sta? - disse il soldato, esaminando il documento – Come sta? Ha notato qualcosa di “sospetto” in questi giorni? -
Lei scosse la testa.
- Tutto procede per il meglio -
La guardia le restituì il foglio, soddisfatta.
- Si ricordi di passare in caserma entro la fine del mese, per la solita firma -
- Non me ne dimenticherò – Per lei era una routine ormai, tutte queste trafile burocratiche erano parte della sua vita quotidiana. Parte della vita di una testimone.
Tornata al cavallo dai propri pargoli, si apprestò a montare, mentre i due piccoletti ancora litigavano su chi avesse vinto la gara precedente.
Con una violenta strigliata, la bestia iniziò a trottare a passo sostenuto, ma stabile, sotto il peso dei tre. Non era certo comodo cavalcare con due bambini aggrappati a lei, ma ormai era abituata.

Vivevano in una piccola fattoria, poco lontana dalla città, ma abbastanza isolata dal resto della vita sociale. Una piccola strada si snodava attraverso una vasta prateria, delimitata da ampie formazioni rocciose. Da lontano, si vedeva il sole lentamente tramontare oltre l'orizzonte, donando una colorazione rossastra all'atmosfera.
In un batter d'occhio, erano già arrivati a casa. I figli saltarono giù da cavallo non appena oltrepassato il recinto ed iniziarono a correre febbrilmente verso la porta, per poi chiudersi dentro. Era la quotidiana gara a chi si impossessasse per primo dello strumento musicale più usato in famiglia, il liuto.
Alessa sistemò il proprio cavallo nel recinto, legando saldamente le briglie ad un asse di legno. Si assicurò che avesse abbastanza fieno ed acqua per la notte, poi si apprestò a raggiungere i pargoli. Prima di entrare, prese un paio di legnetti dalla riserva, per accendere il fuoco.
Dentro, i due figli stavano litigando per chi dovesse suonare lo strumento. Lei si avvicinò e li divise, con una pazienza quasi angelica. Poi ognuno si diede da fare per preparare la cena.
Nel menù, quella sera, era prevista carne. Tanta carne. I cacciatori di Northpoint avevano di recente catturato un numero elevatissimo di cervi, facendo di conseguenza scendere ai minimi storici i prezzi delle loro interiora. E di questo la famiglia era tutto sommato contenta, visto che non si mangiava della buona carne dallo scorso inverno.
Acceso il fuoco, aspettarono tutti insieme che si scaldassero le prelibatezze.
Approfittando del momento di tranquillità, Alessa prese da parte il proprio figlio più grande. Lo portò nella propria stanza, lontano dalla sorellina.
- Cosa devi dirmi, mamma? - chiese lui, curioso di sapere il motivo dietro questa chiamata.
La madre si accovacciò di fronte a lui, per guardarlo dritto negli occhi.
- Forse è un po' presto per fare questo discorso, ma sono tempi difficili – iniziò lei, porgendogli il pugnale acquistato poco prima al mercato – Ormai sei grande. Ed è tempo che tu inizi a prenderti delle responsabilità. So che ti piacciono di più gli incantesimi, ma imparare ad usare le armi bianche è fondamentale -
L'altro restò esterrefatto, mentre osservava l'arma con gli occhi che brillavano di felicità.
- Sei l'uomo di famiglia. Devi essere in grado di proteggere la tua sorellina -
L'altro annuì febbrilmente, allungando le mani per impugnare la lama. Ma non appena la sfiorò, Alessa la ritrasse, deludendolo.
- Ma ricorda – gli disse – Non è un giocattolo. Va usata solo in casi di emergenza. Intesi? -
- Intesi – rispose l'altro.
- E adesso scendiamo di sotto, sarà pronto ormai -
Si riunirono tutti assieme al piano di sotto, pronti per la cena.
Elyzara, la figlia più piccola, stava sfogliando il proprio quaderno. La sua passione era il disegno. Dipingeva e dipingeva, giorno e notte, con gli strumenti più svariati: spesso usava l'erba raccolta nel prato di casa per creare il colore verde, schiacciandolo direttamente sulla tela. Per i colori più raffinati, invece, andava attivamente a caccia dei fiori più appariscenti, che per sua fortuna erano piuttosto comuni in quella vallata.
Rodyn, il figlio più grande invece, era un grande appassionato di magie ed incantesimi. Non perdeva mai un istante per leggere nuovi libri, nuovi tomi magici, nonostante la maggior parte delle volte non capisse neanche cosa ci fosse scritto. Fino a quel giorno non era ancora stato in grado di formulare correttamente un incantesimo di qualche tipo, ma il suo entusiasmo era sempre alle stelle.
E poi, c'era Alessa.
La serenità e la calma della vita di campagna era quello che le era sempre mancato. Non aveva preoccupazioni, non aveva problemi. Ogni mese percepiva una rendita dagli uffici imperiali: una somma misera, ma più che sufficiente per vivere. Con il tempo, aveva deciso di adottare due piccoli fanciulli dall'orfanotrofio locale. E così vivevano tranquilli.
Finito di cenare, ognuno si ritirò nelle propria stanza. Alla fine, nonostante Alessa permettesse loro di restare svegli a volontà, le corse, le urla ed i giochi quotidiana lasciavano ben poche energie in corpo una volta calato il sole.

 

Ma poi arrivò la notte.

 

Alessa sentì un forte colpo provenire dal piano di sotto.
Si svegliò di soprassalto.
Un vetro rotto.
Le grida della piccola Elyzara.
Gettò le coperte a terra e si lanciò fuori dalla stanza, ancora in vestaglia.
-Le urla della piccola si fecero più forti e disperate.
- I ladri! I ladri! Mamma! - urlò lei.
Alessa scese rapidamente le scale, giungendo nella sala principale. Li trovò la figlia, in lacrime. A fianco a lei, vi erano schegge di vetro sparse a terra.
La Bretone si inginocchiò davanti a lei, per poi abbracciarla.
- Stai tranquilla, ci sono qui io – le disse, visibilmente turbata.
Poi si rialzò.
Ma non appena fece per girarsi, sentì un violento colpo alla testa.
Tutto divenne nero. Perse i sensi, accasciandosi al suolo.

 

 

Alessa riaprì lentamente gli occhi. Aveva un dolore allucinante alla testa e non riusciva a capacitarsi di cosa fosse appena accaduto. Si accorse di essere sdraiata a terra, supina; ma non appena provo a muovere le mani, notò con orrore che esse erano strettamente legate con una corda. Strattonò violentemente, ma senza successo. Era immobilizzata.
Non era sola nella stanza: i suoi due figli erano anche loro legati ed imbavagliati, poco distanti da lei. I loro occhi erano inondati dalle lacrime e si poteva sentire le loro urla di terrore, soffocate dalle pezze poste sopra le loro bocche.
Accanto alla porta, stazionavano due energumeni, pesantemente armati. Parevano non esalare respiro, restavano immobili, ma senza distogliere il loro sguardo dalla Bretone.Davanti a lei, una figura era seduta a terra, a gambe incrociate. La riconobbe subito dal suo sguardo.

- Lucia... - sussurrò Alessa.

- Alessa – rispose l'altra, il cui volto era rimasto inconfondibile nonostante fossero passati ventidue anni dal loro ultimo incontro. Stessi occhi di ghiaccio, stessa espressione spettrale.

La Bretone rivolse lo sguardo ai due figli, terrorizzati.
- Lasciali andare – supplicò – Loro non hanno nulla a che fare con tutto questo. E' una questione tra me e te -
Lucia voltò lo sguardo verso i due pargoli che, in risposta, si pietrificarono e smisero di cercare di urlare.
- Ti sbagli. Loro mi servono – rispose l'altra – Stanotte, ti insegnerò una lezione -
- Ti prego – la interruppe Alessa – Sono solo dei bambini. Non hanno colpe -
Ma non appena la Bretone terminò la frase, fu colpita da un violento schiaffo che le fece perdere l'equilibrio. Crollò a terra, ancora ammanettata.
- Parti male, Alessa – rispose Lucia, diabolicamente divertita dalla situazione – Ma non temere. Abbiamo tutta la notte per parlare. Ventidue anni... -
Alessa, a fatica, si staccò da terra e si rimise in ginocchio. Provò a muovere le mani, ma quelle corde erano troppo strette.Lucia si alzò in piedi, per poi dirigersi verso i due bambini, dall'altro lato della stanza. Li fissava in silenzio, camminando avanti e indietro, di fronte ai loro sguardi spaventati.
- Le azioni hanno conseguenze, Alessa – disse lei, senza staccare lo sguardo dai due – E' questo che devi capire. Ventidue anni fa, tu hai fatto una scelta. Ma poi, non hai affrontato le conseguenze. Sei scappata, hai chiuso gli occhi, ti sei lasciata tutto alle spalle -
Poi tornò verso di lei, sfoderando il proprio pugnale.
Alessa singhiozzò, intimorita.
- Tutto questo pur di vivere la fantasia dell'allegra contadinotta di campagna – proseguì Lucia – Spero ne sia valsa la pena -
- Non ho avuto scelta -
- Oh, sta' zitta – la interruppe l'altra, alzando il tono di voce – E' quello che ripeti da quando ti ho conosciuta. Tu non hai mai avuto scelta, vero? Quando hai ucciso la moglie di Carvain non hai scelto? Quando hai deciso di mentire alla Madre Notte non hai scelto? Quando hai tradito la Confraternita non hai scelto? -
- Voi volevate uccidermi! Cosa avrei dovuto fare? -
Lucia la colpì nuovamente, ma questa volta Alessa non barcollò e rialzò nuovamente la testa, con orgoglio.
- Se vuoi uccidermi, fallo – le urlò – Ma non toccare i miei figli. Loro sono innocenti -
Lucia sorrise.
- Ah, ti ucciderò. Questo è sicuro – rispose – Ma prima di farlo, vorrei divertirmi un po' con te. Dopo tutti questi anni, non posso mica lasciare che il nostro ultimo incontro duri così poco, o sbaglio? -
Poi si voltò verso uno dei suoi due adepti. Gli fece un cenno ed egli le passò la propria spada. Lucia la prese, tolse la fodera, per poi tornare dalla sua preda. Con un colpo netto, tagliò via le corde che impedivano ad Alessa di muovere le mani. La Bretone scattò all'indietro per istinto. Ma quando si accorse delle sue effettive intenzioni, si tranquillizzò, massaggiandosi i polsi per coadiuvare la circolazione sanguigna prima ostacolata dalle manette.
Poi Lucia le porse la spada, intimandole di afferrarla.
- Prendila – le disse – E combatti. Solo io e te -
Ma Alessa rimase interdetta. Non aveva ricorso alla violenza da anni ormai. Quasi non ricordava più cosa volesse dire affrontare un'altra persona in un duello. Non poteva farlo. Sarebbe stato un massacro. E poi, le si era fatta una promessa. Da quando aveva stipulato quel patto con la guardia cittadina, si era promessa di tagliare del tutto i ponti con il proprio passato di violenza. Non avrebbe più ucciso nessuno, non avrebbe più fatto del male ad anima viva. Ma ora Lucia voleva trascinarla nuovamente in quel mondo di violenza. No, non poteva farlo. Non di fronte ai suoi figli.
- No – rispose lei, incrociando le braccia – Non combatterò contro di te -
- Fallo – insistette l'altra – Combatti -
Alessa rivolse uno sguardo ai suoi figli. Doveva essere di esempio per loro. Non poteva farlo.
- Fallo! - urlò Lucia, quasi forzandola ad impugnare l'arma con le proprie mani.
Ma Alessa, in risposta, si divincolò dalla presa e gettò la spada lontana dalle due. L'arma andò ad impattare contro il tavolo della cucina, fracassando un paio di bicchieri all'impatto.

Lucia, a quel punto, sguainò il proprio pugnale.
- L'hai voluto tu -
Colpì Alessa con un violento ma preciso fendente, proprio alla base della spalla sinistra. Un colpo volutamente non letale, ma non meno doloroso. La Bretone crollò a terra, senza riuscire a trattenere un urlo di dolore. Il sangue iniziò ad uscire copiosamente dalla ferita, senza che lei potesse fare molto per fermarlo.
Ma proprio in quell'istante, Alessa notò con terrore che il proprio figlio Rodyn si era liberato dalle proprie manette, approfittando del fatto che l'attenzione collettiva fosse rivolta alle due. Cosa voleva fare? Cosa aveva in mente? Doveva fermarlo, altrimenti l'avrebbero ammazzato.
Ma Rodyn era già convinto della sua impresa. Alessa lo vide impugnare il pugnale regalato poco prima, abilmente nascosto sotto i suoi vestiti. Il piccolo si sforzava di non farsi notare dai due energumeni, la cui attenzione era completamente rivolta alla Bretone. Poi, quando finalmente fu armato, scattò in piedi, lanciandosi contro Lucia.
- No! Non farlo! - urlò Alessa.
- Muori, strega! - gridò il piccolo, menando un colpo.
Ma Lucia aveva la situazione sotto controllo.
Con due rapide mosse, lo disarmò, facendolo cadere al suolo. Poi rivolse un'ultima, diabolica occhiata ad Alessa, prima di colpire il piccolo con letale fendente. Rodyn crollò a terra, privo di sensi.
- No! - urlò più forte Alessa, senza essere in grado di fare nulla per fermarla. Si precipitò sul corpo esanime del figlio, cercando disperatamente di arginare la ferita. Il colpo non era profondo, ma stava perdendo troppo sangue.
Si voltò verso Lucia, disperata.
- Ti prego, aiutami a salvarlo! Solo tu conosci gli incantesimi giusti. Ti supplico – La pregò, in lacrime. Ma l'altra rimase impassibile, senza tradire alcuna emozione.
- E' solo un bambino! - urlò Alessa – Non ha colpe! -
Lucia sorrise, senza però muoversi.
- Vedi, Alessa – disse – Le conseguenze delle tue azioni possono colpire anche gli innocenti. Sei stata tu a comprargli quel pugnale. Ti ho vista oggi al mercato. Sei stata tu a dirgli di comportarsi da uomo. Ad ogni azione, corrisponde una conseguenza. Avevi una scelta, ma hai preso la decisione sbagliata. Come ventidue anni fa. Ma adesso, non puoi sfuggire dalle conseguenze delle tue azioni -

Alessa represse tutta la rabbia che provava in quel momento, cercando di recuperare la concentrazione. Doveva cercare di salvarlo. Un incantesimo di Recupero? Sì, sarebbe stata la soluzione ideale. Ma non sarebbe stata in grado di eseguirlo alla perfezione. Doveva provarci. Mentre un'infinita di pensieri le annebbiavano la mente, pose delicatamente la mano sul petto del proprio figlio. Il taglio era netto, ma non troppo profondo. Chiuse gli occhi, scavando nella propria mente, nella propria memoria. Da qualche parte, da qualche persona l'aveva visto fare. Si concentrò, ma nonostante tutto, non sembrava funzionare: dalla sua mano non usciva alcuna aura, mentre il sangue continuava ad uscire sempre più copioso. Chiuse gli occhi per la rassegnazione: aveva fallito.

Ma, proprio in quel momento, sentì la piccola mano del figlio afferrarle il polso. Rodyn, con le ultime forze rimaste, stava cercando di aiutarla. Si fece coraggio, recuperò la concentrazione. Miracolosamente, un'aura biancastra circondò le loro mani congiunte e, pochi secondi più tardi, la ferita era completamente cicatrizzata. Alessa tirò un sospiro di sollievo: nonostante il piccolo non si fosse del tutto risvegliato, la perdita di sangue era ormai arginata ed il suo cuore batteva ancora. Era vivo. Quel Rodyn, appassionato di Magicka, era riuscito a formulare il primo incantesimo della sua vita.

Il momento fu interrotto da un ironico applauso da parte di Lucia.
- Mi si scioglie il cuore – commentò – Che simpatico siparietto – Poi fece un cenno ai due energumeni, che in tutta risposta sguainarono le spade, avvicinandosi con fare minaccioso ad Alessa.

Era quella l'occasione. O adesso o mai più.
La Bretone notò subito il pugnale elfico: era a terra, poco lontano da lei. Tranquillamente a portata. Con uno scatto laterale, lo afferrò, preparandosi a colpire. A quel puntò uno dei due, si apprestò a sguainare la propria spada, ma fu intercettato da un violento fendente alla base del collo. Non pensava neanche di essere ancora in grado di combattere, ma il furore del momento le aveva infuso un coraggio che mai aveva provato in tutti quegli anni di tranquilla vita di campagna. L'energumeno crollò al tappeto, senza vita. L'altro provò a colpirla alle spalle, ma lei schivò il colpo, per poi sferragli un calcio sulla schiena. Lo fece cadere a terra, sotto il peso della sua armatura pesante: crollò sopra un mobile di legno lì vicino, rompendolo in mille pezzi. L'assassino rimase inerme, supino a terra, senza essere in grado di rialzarsi.
- Chiudi gli occhi – sussurrò Alessa alla piccola, mentre si apprestava a finirlo. La figlia ubbidì, senza vedere l'orrendo spettacolo di cui la madre si era resa protagonista.
In tutto questo, Lucia rimase ferma, braccia conserte, espressione sadicamente divertita.
- Non male per una contadinotta – commentò.

Alessa si rialzò, senza perdere lo sguardo da lei. Indietreggiò fino alla figlia più piccola, con l'intenzione di liberarla finalmente dalle corde che le impedivano di muoversi. Si aspettava una mossa da parte di Lucia, ma quella maledetta se ne stava ferma e la guardava sorridendo. Non aveva tempo per i suoi giochetti. Doveva mettere i suoi figli al sicuro. Poi avrebbe pensato a lei.

Liberò la piccola, tagliando delicatamente i nodi. Poi le sciolse il bavaglio.
- Mamma! - disse lei in lacrime, abbracciandola.
- E' tutto a posto. Ti porterò via di qui – rispose Alessa, continuando a fissare Lucia dall'altro lato della stanza.
- Ascoltami, Elyzara – le disse sottovoce, assicurandosi che l'altra non potesse sentire – Devi prendere tuo fratello e portarlo alla fattoria dei signori Locke. Ti ricordi dove vivono vero? -
La piccola annuì.
- Brava. Vai da loro, veloce. Non ti fermare e non tornare indietro per nessuno motivo. Ti verrò a riprendere domani -
- Ma Mamma... -
- Shh – la zittì prontamente – Devi essere forte per la Mamma. D'accordo? Andrà tutto bene -
La bambina annuì, prese il fratello sottobraccio e si apprestò ad abbandonare la casa.
- Prova a fermarla e sei morta – disse Alessa, puntando il pugnale verso Lucia.
- Oh, che paura! - rispose l'altra divertita, alzando le mani.
Alessa attese che la figlia fosse effettivamente fuori dalla sua portata, poi prese un respiro di sollievo.

Lucia abbassò le mani ed accorciò la distanza fra le due.
Il salotto era irriconoscibile: i cadaveri dei due energumeni erano distesi al centro, la tappezzeria era pregna di sangue ed ovunque vi erano frammenti di vetro e legno.
- Perché ci hai messo così tanto a trovarmi? - chiese Alessa, portandosi una mano sulla spalla ancora ferita. La disperazione del momento non le aveva fatto provare dolore, ma adesso iniziava a sentirlo.
- Sai – raccontò l'altra – non sei stata la mia priorità in tutti questi anni. Le tue azioni hanno avuto conseguenze che neanche ti immagini. La Confraternita Oscura di Cyrodiil ha seriamente rischiato l'estinzione. Per anni, abbiamo semplicemente pensato a sopravvivere, mentre tutti i nostri compagni venivano uccisi da quei maiali imperiali, mentre le nostre case venivano pubblicamente bruciate, mentre i nostri avamposti venivano saccheggiati e poi distrutti. Ho vissuto nella foresta per tre anni. Tre anni, Alessa. Sai cosa vuol dire? Ero la ricercata numero uno di Cyrodiil. Tutti volevano la mia testa e non c'era nessuno a proteggermi. Ogni notte, mi sdraiavo in una fetida caverna, sperando di non essere squartata nel sonno da un orso o da una qualunque bestia. Ma l'unico pensiero che mi ha motivata in tutto questo tempo era il mettere le mie mani su di te. E adesso, con calma, mi prenderò tutte le mie soddisfazioni -
Alessa non aveva scusanti. Con la sua confessione, aveva effettivamente messo in pericolo tutta la Confraternita. Ma nel momento del suo arresto, non ci aveva pensato: era furiosa e delusa. In un certo senso, sperava in tutta questa carneficina. Anche se ora, a distanza di quasi venti anni, si rendeva conto che il sangue versato non è mai una faccenda di cui essere fieri, a prescindere dai personaggi coinvolti.
- La vita non è solo fatta di uccisioni, Lucia. C'è molto di più. Tu hai vissuto in quel mondo di violenza per tutta la tua esistenza. Ti sei lasciata circondare da psicopatici, da assassini, da mercenari. Hai solo ottenuto ciò che hai seminato. Possibile che l'idea di tirarti fuori da quel contesto non ti abbia mai sfiorata? Mai? Farsi una famiglia, trovare un lavoro rispettabile, coltivare delle passioni. Non avresti mai potuto ottenere questo dalla Confraternita. Io non avrei mai potuto ottenere questo da voi. Perciò ho preso quella decisione -
- Taci, eretica. Ma ti senti? Vivere secondo il credo non è una questione di scelta di vita. E' una vocazione. Per te la Confraternita è sempre stato un lavoro, una fonte di guadagno. Non puoi minimamente capire cosa voglia dire vivere secondo Sithis. Da quando sono diventata Ascoltatrice, sento la Trinità dentro le mie vene, sento la Madre Notte dentro di me. E i miei poteri sono enormemente aumentati da quando ciò è successo. La Confraternita Oscura è una questione di Fede, Alessa. E tu non l'hai mai avuto, nonostante quanto dicesse quello scellerato di Ambroise -
- Ah, davvero? Ma con che coraggio riesci a dire queste assurdità? Parli di Confraternita, di lealtà, di Fede, ma poi sei stata la prima a voltarmi le spalle, a cercare di uccidermi. Io, che ero una tua Sorella a quel tempo. Non avevo fatto niente di male. Ma fare discorsi di umanità con te è sprecato. Guardati. Sei una psicopatica. Sei fuori controllo. Non capisco neanche perché stia a perdere tempo a ragionare con te. Uccidimi se devi, e facciamola finita -

- Dai – disse Lucia, sfoderando i propri pugnali. Uno per mano – Mi sono stancata di sentirti parlare. Fatti sotto -
Lucia si avvicinò, armi alla mano, sguardo spettrale.
Alessa impugnò saldamente il pugnale elfico, ancora grondante del sangue dei due mercenari.

Sarebbe stato uno scontro impari e la Bretone lo sapeva benissimo. Ma, per un rinnovato senso di orgoglio, non volle lasciarsi uccidere senza combattere.

Quando Lucia fu a tiro, Alessa provò a colpirla con un fendente, che andò a vuoto. L'altra indietreggiò, poi provò un'offensiva. La Bretone schivò a sua volta il primo colpo, parò il secondo, ma dopo fu colpita a tradimento da un calcio, che la fece barcollare all'indietro. Lucia provò ad approfittarne, ma Alessa fu più veloce: reagiì a sua volta con un calcio, facendole perdere l'equilibrio. Poi avanzò decisa: tirò un colpo di lama, poi un altro, poi un altro ancora. Tutti agilmente parati, come se niente fosse.
Lucia sbadigliò.
- Mi stai annoiando – disse.
Alessa allora la caricò con veemenza, tempestandola di colpi. Lucia indietreggiava ad ogni fendente, parandoli tutti agilmente. Ma, non appena si trovò spalle al muro, reagì con un fendente che colse alla sprovvista la Bretone: Alessa cadde all'indietro, ferita all'addome. Lucia lasciò cadere i pugnali, disarmò Alessa con un calcio, poi saltò sopra di lei, iniziando a tempestarla di pugni. Avrebbe potuta ucciderla già una decina di volte, ma voleva godersi ogni singolo istante di quella sofferenza. La Bretone provò a divincolarsi, senza successo. Allora Lucia la rigirò violentemente, immobilizzandola al suolo, per poi torcerle il braccio sinistro dietro la schiena. La afferrò saldamente dal polso, restando sopra di lei per non farla muovere. Alessa provò a scalciare, ma dopo poco si accorse che la resistenza sarebbe stata futile. Pertanto si fermò: era completamente alla sua mercé.

- Troppo facile – commentò l'altra, mentre la teneva ferma dal braccio – Adesso passiamo alla lezione numero due. Sei pronta? -
Alessa non disse niente, mentre il dolore per le due ferite subite iniziava a farsi sentire sempre più di più.
- Questa lezione sarà incentrata sul subire le conseguenze delle proprie azioni. Prima ti ho insegnato cosa significa fare una scelta sbagliata. Adesso ti insegno cosa vuol dire patirne le conseguenze -

Finita la frase, afferrò due dita della mano di Alessa e le spezzò brutalmente all'indietro. La Bretone gridò di dolore, senza più riuscire a contenere le lacrime.
- Questo è per Yngvar. Per colpa tua, le guardie imperiali l'hanno catturato, torturato, ucciso e poi gettato in un fiume, senza neanche seppellirlo. La sua casa Bruma è stata data alle fiamme dalla folla. Questo è solo una parte del dolore che lui ha provato, per causa tua. Commenti? -

Alessa si morse la lingua.
Lucia poi prese altre due dita, sempre della stessa mano. L'esecuzione fu la medesima. Le ossa si spezzarono con un terrificante suono, seguito dalle urla di dolore di Alessa.
- Questo è per Wumeek. Quel bastardo è stato ucciso a tradimento da un maiale della guardia cittadina, mentre era dalla sua famiglia ad Anvil. Wumeek, tra l'altro, ti aveva salvato la vita quella volta che ti trovammo. Come ti fa sentire? -
- Ti prego, basta – supplicò Alessa, in lacrime.
- No. Abbiamo appena iniziato -

Poi fu il turno del pollice.
- Questo è per la Mano Nera ed il santuario di Blackwood, raso al suolo dai soldati della legione imperiale dopo che tu rivelassi loro la sua posizione. Altre quattro anime sulla tua coscienza, mia cara -
Ma Lucia non aveva finito. Afferrò saldamente il braccio di Alessa, la quale stava lentamente perdendo i sensi, completamente sopraffatta dal dolore. Lo torse violentemente all'indietro, dislocandole di colpo la spalla. Alessa non riuscì neanche ad urlare: collassò, chiudendo gli occhi.

- E questo è per me – disse Lucia, come se potesse sentirla – Per tutti questi anni di sofferenze e di fughe dalla legge. Per aver visto tutti i miei amici morire tra le mie braccia. Per aver visto la mia casa bruciare davanti ai miei occhi. Per aver visto il mio Credo calpestato da una miscredente senza scrupoli -
Soddisfatta del proprio operato, si rialzò in piedi, lasciando la presa. La sua vittima era chiaramente ancora in vita, sebbene avesse perso i sensi. Ma non voleva che finisse così l'incontro. Voleva ancora parlarle, voleva ancora farle del male.

- Che delusione – commentò, mentre con un incantesimo di guarigione tentò di rianimarla. Lentamente, le ferite di Alessa si richiusero, gli arti ritornarono al proprio posto, il sangue svanì. I poteri magici di Lucia erano aumentati esponenzialmente dopo la sua unione con la Madre Notte, sia nelle arti di Distruzione sia in quelle di Recupero. Non si sentiva quasi più umana.
Per concludere il tutto, la colpì con una leggera scarica elettrica. Alessa si risvegliò di soprassalto, annaspando. Era ancora più terrorizzata di prima: quell'incubo pareva non finire più.

- Alzati – le intimò, passandole il pugnale – Abbiamo un duello in sospeso -
Alessa non si mosse.
- Chi mi ha tradita? Galtus Cassiana, vero? Quel bastardo? -
- Chi? Quell'ufficiale? No, anzi. Quel poveraccio ha cercato di tenere nascosta la tua identità a lungo. Ma prima o poi, tutti si spezzano. E' solo questione di tempo. Poveraccio: era in pensione da poche settimane. Alzati, dai. Ho un'ultima cosa da mostrarti -
Lucia la alzò di peso, ponendole il pugnale tra le mani. Alessa era talmente stordita da non capire cosa stesse succedendo: sentiva solo un dolore lancinante alla testa ed una irrefrenabile voglia di farla finita.
Lucia si preparò nuovamente al combattimento, ma la sua avversaria era inerme, quasi ubriaca all'apparenza. Barcollava avanti e indietro, con lo sguardo perso. Lucia sbuffò.
- E va bene – disse – Facciamola finita davvero -

Poi si inginocchiò, in gesto di preghiera. Dal nulla, un'aura nera la avvolse e si diffuse in tutta la stanza. I suoi occhi si illuminarono di un rosso accesso, mentre l'aura le circondava lentamente tutto il corpo.
- Sithis e la Madre Notte sono un tutt'uno come me – proclamò, con un tono di voce posseduto – I miei poteri non hanno più limite. E' tempo di congiungerti al Vuoto, Alessa -
Puntò le proprie mani verso di lei, incanalando tutta la Magicka presente nella stanza. La Bretone era ancora ferma, in ginocchio, pronta ad accogliere il proprio destino. Dalle mani di Lucia scaturì un imponente raggio di colore nero, che la investì completamente. Il corpo di Alessa fu lanciato all'indietro, contro il muro di legno della capanna, che si disintegrò all'impatto. La Bretone fu scaraventata lontano, al di fuori dell'abitazione. Il corpo si perse nelle timidi luci dell'alba che iniziavano a colorare la vallata.

Lucia riprese la propria compostezza, mentre l'aura nera svanì lentamente. Si fece così strada tra le macerie della fattoria, per sincerarsi delle condizioni della Bretone. Fuori dalla capanna, notò il superbo spettacolo delle luci dell'alba, che si stagliavano dalle montagne. Davanti a lei, vi era un piccolo laghetto con un pontile di legno nel mezzo, a pochi metri di distanza dalla capanna: con sorpresa, notò che Alessa era proprio lì, a terra, al limite di questa costruzione sull'acqua. E, paradossalmente, notò che a pochi passi dalla Bretone era anche atterrato il famigerato pugnale elfico. Non che le sarebbe stato di grande aiuto, ormai.
Lucia fece alcuni passi fuori, per raggiungerla.
Alessa, incredibilmente, pareva respirare ancora: continuava a sputare sangue, mentre strisciava con le ultime forze rimastele in corpo verso l'oggetto contundente. Lo raggiunse dopo poco e lo impugnò.
Lucia arrivò alla base del pontile.
Alessa era all'altra estremità: dietro di lei, vi era solo il laghetto.
A fatica, la Bretone si mise sulle propria ginocchia, pugnale alla mano.
Lucia si fermò a guardarla.
- E così finisce tutto – disse – Finalmente mi toglierò la soddisfazione che aspetto da ventidue anni. La mia ossessione, la mia ragione di vita. Il tuo tempo è giunto Alessa. E' davvero finita, adesso. Non sei cambiata di una virgola in questi ventidue anni. Sei sempre la solita debole, ridicola, ingenua ragazzina -

Ma la Bretone aveva ancora qualcosa da dire.
- Una... Una cosa... Una cosa è cambiata... - disse a fatica, tra un colpo di tosse e l'altro.
- Cosa? - disse Lucia, sorridendo, mentre si apprestava a sferrare il colpo di grazia.
Alessa si alzò a fatica in piedi, pugnale alla mano.
- Io... Non ho più paura di morire -
Pronunciate queste parole, si colpì violentemente al cuore. Il suo copro cadde all'indietro, andando ad impattare con la superficie dell'acqua. Il suo volto era macabramente sereno.
- No! - urlò Lucia scattando in avanti per fermarla.
Ma ormai non c'era più nulla che potesse fare: Alessa se ne era andata. E così facendo aveva negato alla sua nemica la più grande soddisfazione della sua vita. Proprio Lucia, che viveva per uccidere, che aveva atteso per anni quel momento. Ed invece, vide svanire tutto davanti ai suoi occhi. Aveva avuto diverse occasioni per ucciderla quella notte. Ma la sua strafottenza e rabbia non le avevano permesso di ragionare in maniera limpida. E adesso, l'altra era morta definitivamente.

Lucia raggiunse l'estremità del pontile: il cadavere di Alessa galleggiava nella serenità e silenzio del laghetto, mentre il sangue tingeva lentamente le acque di un colore rossastro. Quella “ingenua” ragazzina era riuscita nella sua piccola rivincita.

Lucia si allontanò di fretta, in preda all'ira più totale. Doveva dileguarsi in fretta: le guardie sarebbero arrivate di lì a poco. Raggiunse il cavallo, montò e sparì nella vallata.

 

 

FINE



RINGRAZIAMENTI





Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno dedicato del tempo a leggere questo mio lavoro. Il vostro contributo non ha davver prezzo.
In particolare, mi sento di dover ringraziare enormemente, in ordine alfabetico,
Curse_My_Name ,NuandaTSP e QWERTYUIOP00
per aver avuto l'incredibile pazienza di seguirmi capitolo per capitolo.
Allo stesso modo, ringrazio sia chi ha lasciato qualche recensione sporadicamente, sia chi ha letto senza dire nulla. Ho apprezzato il contributo di tutti, attivo o passivo che fosse.

Per quanto riguarda gli screenshots, sono creati da ME, usando il motore di gioco, programmi di editing e tanta, tantissima pazienza (Per lo scatto di Lucia ci ho messo un'ora e mezza).
L'idea iniziale era quella di illustrare la FF capitolo per capitolo usando Oblivion, ma purtroppo dopo la 452esima Mod il mio gioco ha smesso di vivere (R.I.P.)

Prossima storia? Boh. Vedremo in futuro.

Buona Domenica a tutti

Royce


 

 

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