Tsukihime di ShunLi (/viewuser.php?uid=11154)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Mystic Eyes of Death Perception ***
Capitolo 3: *** Serpent of Akasha ***
Capitolo 1 *** Premessa ***
Con
questa fic, voglio presentarvi un importante Capolavoro della
Type-Moon: Tsukihime, nato in Giappone come doujin game amatoriale,
presentato al comiket (importante fiera giapponese dove si presentano
ultimi lavori, videogiochi, anime/manga amatoriali e non) del 2000 da
due soli programmatori: Kinoko Nasu (autore storia) e Takashi Takeuchi
(character design).
Tsukihime è
una complessa storia che si dirama in varie trame e coinvolgimenti.
Poichè i vari capitoli che vi appresterete a leggere si
incentrano solo su determinati pg, vi spiegherò in breve la
trama.
Tohno Shiki a 9 anni,
dopo essersi svegliato da un anno di coma a seguito di un incidente
stradale ed una cicatrice sul petto, vede delle linee sulle cose
viventi e non.
Con un coltello da
frutta prova a tracciare una delle linee presenti sul suo letto, e
riesce a tagliarlo in 2 senza usare la forza; i medici non credono alla
sua storia, e Shiki fugge dall'ospedale.
Senza una meta, si
ritrova in una distesa di prato, e qui incontra Aozaki Aoko, una maga;
lei odia essere chiamata per nome, così Shiki decide di
chiamarla Sensei.
In Aoko trova un amica,
gli parla della sua famiglia, (specialmente di sua sorella Akiha, che
non faceva altro che seguire il suo fratello maggiore) ed infine dei
suoi occhi, mostrandogli la sua abilità tagliando un albero.
Aoko spiega a Shiki che
gli occhi che possiede sono gli "Occhi Mistici della percezione della
Morte", e può annientare l'esistenza delle cose.
La Sensei,
promettendogli che gli avrebbe ridato la sua vecchia vita, il giorno
dopo gli regala un paio di occhiali, che una volta indossati gli
consentono di non vedere più quelle fastidiose linee.
Per 8 anni Shiki vive
presso gli Arima, una famiglia adottiva. Un giorno riceve un recapito
della sua famiglia d'origine, che lo richiama a tornare. Quindi dice
addio alla famiglia che lo ha accolto e torna alla sua vera casa, dove
trova sua sorella Akiha, che è diventata una signorina di alta
classe.
Shiki si riadatta alla
vita dei Tohno con alcune regole precise, e tra un anemia e l'altra, se
la riesce sempre a cavare.
Nella città
però, c'è sempre la tensione e la paura scatenate
da un serial killer che coinvolgono giovani ragazze. Le cause della
morte sono sempre perdita di sangue, come se fosse un vampiro a
compiere questi atti, quasi ogni sera.
Fino a quando, Shiki,
un giorno, non incontra nel bel mezzo della folla una bellissima donna:
bionda, occhi rossi, pelle pallida, e inevitabilmente gli suscita un
impulso omicida, quindi la insegue fino al suo appartamento,
uccidendola senza un valido motivo in 17 parti.
Si rende conto
però che non era un sogno e ciò gli dà
il tormento, fino a quando non la reincontra il giorno dopo, seduta sul
guardrail sulla strada di scuola, come ad aspettarlo.
Shiki, spaventato,
corre senza meta, sino ad arrivare in un vicolo cieco.
Era la stessa donna
uccisa il giorno prima, e lei gli chiede esplicitamente di prendersi le
sue responsabilità per averla uccisa.
il suo nome
è Arcueid Brunestud, una vampira che vive da più
di un millennio. Shiki d'ora in poi dovrà essere la sua
guardia del corpo...
Se volete altre info,
cercate Tsukihime sul wikipedia inglese. Premetto inoltre che ci sono
alcuni personaggi che non fanno parte del Nasuverse, ma che sono opera
mia.
Potete verificarli
consultando la pagina indicata, senza fare confusioni di sorta.
Scusa Blaze se non la
ricordavo, e dire che me la ripeti fino alla nausea
ç__ç
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Capitolo 2 *** Mystic Eyes of Death Perception ***
Era
in un luogo oscuro.
L'immersione visiva in
cui ritrovava Rowan era difficile da sopportare.
L'oscurità
premeva in modo persistente, temeva di soffocare.
Rowan si sentiva
confuso, disorientato in quel posto a lui sconosciuto.
Era vivo? Era morto?
Non riusciva a sentire
nulla, non riusciva a percepire nulla.
Intorno a
sè, vi era solo una cosa sicura.
La Morte.
E una ragazza, piegata
su se stessa.
"E tu chi saresti?"
Cosa ci faceva quella
ragazza in quella strana dimensione?
Quando sentì
la voce di quell'uomo, la ragazza si alzò in piedi.
Era magra, di media
altezza, dai lunghi capelli d'argento e dagli occhi celesti, brillanti.
Anche lei sembrava
fuori luogo in quella dimensione desolata.
Si guardava
ripetutamente le mani, farfugliando cose che per Rowan erano
incomprensibili.
"Rispondi!"
Incalzò l'uomo, avvicinandosi a lei.
"Chi sei? Cosa ci
facciamo qui? E' forse l'inferno che mi spetta?"
Già.
l'inferno.
Sapeva già
com'era l'inferno.
Era diventato un famoso
alchimista insieme ad un suo amico, Roa.
E grazie al suo aiuto,
aveva ottenuto l'immortalità.
Ma il Chaos, un
accumulo di vite con una coscienza in condivisione, per restare tale
deve assorbire la vita degli esseri umani.
Fabro Rowan, con
l'avanzare degli anni, dimenticò il suo nome, il
perchè fosse diventato così, perchè il
Chaos agiva proteggendolo, 666 bestie infernali abbagliate come il suo
essere.
Con quel poco che era
rimasto del suo vero io, voleva solo una risposta: capire il Chaos
dentro di sè.
"E questo l'inferno che
mi spetta?" Ripetè.
La ragazza non rispose.
Abbassò lo sguardo, dispiaciuta, come se non avesse la
capacità di parlare. Incominciò a camminare in
quello spazio immenso e desolato. Ad ogni suo passo, la via che
percorreva si illuminava in più punti di luce.
E Rowan vide la Morte
in quel luogo.
Era un cimitero
dimenticato dalle Divinità benevoli e forse, non c'era alcun
modo per tornare indietro.
Rowan seguì
la ragazza perchè gli sembrò l'unica cosa sensata
da fare.
Il sentiero si
prolungò non poco e quella ragazza non provava alcuna
stanchezza.
"Ascolta... Riesci a
dirmi il tuo nome?" Domandò Rowan.
La ragazza interruppe
il suo cammino e fece cenno di farsi porgere la mano.
L'uomo gliela diede e
con un tocco leggero e delicato, la ragazza tracciò con il
dito le lettere del suo nome.
"Iri...na...Von...Einz...Einbern.
Irina Von Einzbern. E' così che ti chiami."
L'espressione di Irina
si allargò in un meraviglioso sorriso.
Chissà da
quanto tempo si trovava lì.
"Puoi condurmi fuori da
questo posto?"
Il sorriso di Irina
svanì.
Strinse la mano di
Rowan, come a cercare conforto e fece cenno di no con la testa.
Rowan riprese la stessa
con più vigore, facendo sussultare Irina dalla sorpresa.
"Ci riusciremo. E tu
verrai con me." Disse. Delle lacrime rigarono il viso di Irina. Era
felice.
Il luogo oscuro
delineò qualcosa all'orizzonte. Lo spazio tra reale e
irreale sembrava nullo e per quanto si potesse sforzare, Rowan non vide
nulla di strano.
Irina gli fece capire
che non era necessario sforzarsi di trovare qualcosa e che l'unica cosa
che doveva guardare era la terra.
La terra si plasmava e
si mutava; se fosse stato attento, avrebbe potuto trovare la vera
linea, il vero punto che generava il luogo maledetto.
"Allora dovremo fare
molta strada." Disse Rowan.
Irina gli strinse la
mano per infondergli coraggio.
"Ti porterò
via di qui." Gli ripetè.
E iniziarono a
camminare.
Rowan si accorse di una
cosa: il luogo era più luminoso. Il cielo si era rischiarato
in una maniera impressionante e tutto perchè Irina era
più allegra.
Forse quel deserto di
morte era opera della ragazza.
Chissà chi
era in realtà.
"Irina..."
La ragazza
guardò Rowan.
"Tu conosci questo
luogo?"
Irina fece cenno di si,
portandosi una mano al petto. Gli fece capire che era il suo cuore a
generare quel posto.
Rowan si
sforzò di pensare, che forse, potevano uscire.
"Allora ascoltami..."
Rowan le cinse le spalle.
"Devi desiderare con
tutte le tue forze di uscire da qui. Solo tu puoi farlo, Irina."
Irina guardò
l'uomo. Nei suoi occhi si formarono diverse luci, il suo animo era
confuso e impaurito. Forse, se sarebbe riuscita ad uscire da quella
dimensione, lei stessa non sarebbe più esistita.
Ma Rowan era deciso:
l'avrebbe portata con sè, niente poteva muoverlo dalla sua
convizione.
Irina sorrise. Forse
poteva farcela.
Per l'unica creatura
che le aveva dato coraggio.
La ragazza chiuse gli
occhi e improvvisamente si alzò il vento, che violento e
minaccioso, sembrava portarsi via ogni cosa.
Il corpo di Irina
cominciò ad emettere luce. I suoi capelli divennero
più bianchi, il suo corpo sembrava essere più
inesistente.
"Non ci posso
credere..." Balbettò Rowan, emozionato. Nell'alchimia non
c'erano principi che potessero spiegare tale fenomeno.
Più Irina si
illuminava, più lo spazio intorno a loro sembrava
distruggersi.
Rowan si
guardò intorno: in tutto quel casino avrebbe dovuto scorgere
un punto e una linea, il contatto terreno e materiale con la
realtà.
Ma non lo vedeva da
nessuna parte. Era impossibile per lui, senza i poteri del Chaos. E
l'alchimia pareva non funzionare in quello spazio, annullandosi
completamente.
"MALEDIZIONE!!"
Urlò.
Guardò
Irina, che emanava sempre più luce.
Di sfuggita, intravide
un punto e una linea verticale sul petto di Irina. Quello squarcio si
ripresentò solo quando la ragazza spalancò le
braccia.
"Non è
possibile..."
Aveva visto bene.
Era lei l'Inizio e la
Fine di quel luogo.
E dire che gliel'aveva
promesso.
-Ti porterò
via con me.-
"Uccidimi."
Parlò una
voce chiara e candida, nella mente di Rowan.
Si rese conto che era
Irina a comunicare con lui.
"Uccidimi e riuscirai a
fuggire."
"Non posso... Io..."
"Fabro Rowan. Sei stato
ucciso e con te, anche il tuo Chaos è stato annientato. Ora
hai la possibilità di tornare indietro e di rivivere la vita
che ti sei negato da tempo. Ti ringrazio per esserti occupato di me,
anche se per poco. Sono sicura che ci reincontreremo, Fabro Rowan."
Ormai tutto intorno a
Rowan stava per essere distrutto. O scappava, o sarebbe morto con
quella creatura.
E così,
Rowan prese la rincorsa e squarciò il petto di Irina.
***
Il sole caldo e
luminoso, era posato sulla città. Niente sembrava disturbare
la quiete cittadina. Un uomo, incurante di tutto e di tutti, sedeva su
una panchina di un parco.
Guardava la vita
quotidiana che si svolgeva intorno a lui e si sentiva strano. Tempo fa
era una creatura delle tenebre, che stanava le sue vittime nel culmine
della paura, le bestie infernali che teneva in corpo bramavano il
sangue caldo e ora, non ricordava più quella sensazione di
pura malvagità.
Sentiva solo il suo
cuore battere in petto, il sangue fluirgli velocemente nelle vene.
Era ritornato umano,
solo con le conoscenza dell'alchimia e del Chaos.
Si guardò la
mano, la stessa con cui aveva squarciato il petto di Irina.
-Ci reincontreremo,
Fabro Rowan.-
Chissà come
faceva a conoscere il suo nome.
Non sapeva quanto fosse
passato da quell'avvenimento, ma ormai non sperava in un suo passaggio
sulla Terra. Poi, di fronte a lui, qualcosa attirò la sua
attenzione.
Lunghi capelli
d'argento si muovevano armoniosamente cullati dal vento. Il suo corpo
snello era fasciato da un vestitino leggero color blu cobalto e con le
mani incrociate dietro la schiena, ammirava la città.
La ragazza si
voltò in direzione di Rowan.
"Ti vedo in gran forma."
Dapprima, Rowan non
seppe dare significato alla fitta che sentì dentro al petto.
Poi scuotendo la testa,
si alzò dalla panchina e la raggiunse.
"Ciao." Disse lui.
"Ciao!" Rispose lei.
Per Rowan stava
ricominciando il ciclo della vita.
OWARI
nda
aaw che faticaccia
ç__ç
Questa fic l'ho scritta
dopo la morte di Nrvnqsr Chaos, perchè non sopporto l'idea
che debba morire ç__ç mi piace troppo questo pg!!
Faccio anche tanti
auguri al mio nii-nii che oggi (6 gennaio, che befanaro :P) compie 18
anni!!!
YEEE!!!
/me beve birra fino a
svenire tramortita
|
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Capitolo 3 *** Serpent of Akasha ***
Con
la testa poggiata alla sua spalla, l'odore del caffè, la
pace mattutina... Mi rendevo conto che quei momenti divenivano sempre
più importanti e mi rendevano felice.
Micheal Roa Valdamjong.
Non c'è
altro nome per descrivere cosa rappresenti per questa Associazione.
Lui ha donato la
biblioteca, ha fatto di questo convento sconsacrato la nostra
prestigiosa scuola e tutti i suoi componenti gliene sono riconoscenti.
Anch'io.
Ma in maniera
più elevata rispetto agli altri.
Perche provo qualcosa.
Non so dire se
è amore, ma è simile alla comprensione, al
desiderio di dividere con lui certi atteggiamenti, che in molti non
potrebbero apprezzare.
Invece il professor Roa
viene sempre lodato. Ma mi chiedo: è davvero ciò
che desidera? Eppure lo vedo aldisopra di questa scuola, in un avvenire
maledetto ma di potenza assoluta.
Verrà per
sempre ricordato e per sempre sarà temuto.
Io, Helen Blanche,
studio e mi impegno, seguendo le sue lezioni di teologia, matematica e
alchimia, affinchè possa capire.
Il suo sguardo dietro
quegli occhialini leggeri, sono velati da una tristezza che non so
definire.
O forse sono io che me
la sto immaginando?
"Signorina Blanche, le
ho fatto una domanda."
Tuonò la
voce del professore.
"Eh?"
"Stava seguendo,
signorina Blanche?"
"No, professore, mi
scusi."
La mia
sincerità lo colpì. Lo vidi assottigliare lo
sguardo, senza una ragione precisa.
"Non importa signorina.
Ma dopo la lezione desidero che lei si trattenga. Le devo parlare."
"D'accordo professore."
Le ultime due ore
rimanenti passarono in fretta, facendo aumentare un ansia spropositata
nel mio petto. Inutile per giunta. Forse voleva solo riprendermi per il
comportamento assunto prima. Per i studenti modello era un pregio avere
Roa come insegnante.
Mentre io sedevo su un
banco vuoto, vicino alla cattedra, il professore era in piedi con le
braccia incrociate. La sua mente e il suo sguardo era concentrato alla
finestra, in un panorama che solo lui vedeva. Osservai i suoi capelli,
mi davano l'impressione di essere... Morbidissimi.
"Signorina Blanche."
La sua voce mi
spaventò.
"Puo chiamarmi Helen."
Il professore rimase
basito. Era proibito mostrare tanta confidenza nei confronti dei
professori. Ma lui sembrava non farne caso.
"D'accordo... Helen.
Verrò subito al dunque. Ritengo che ci siano molti elementi
in questa scuola che spiccano per le loro qualità e
capacità. Tu Helen, sei una di questi. Segui tutte le mie
lezioni e da te ottengo sempre dei risultati che mai con altri posso
pretendere."
Il mio imbarazzo crebbe
come l'ansia che mi premeva il petto. Se prima non ero allarmata, ora
non sapevo cosa aspettarmi dal Professore.
"Professore... Cosa
vuole dire con questo?"
Prima di rispondere,
Roa si avvicinò al banco dove ero seduta.
"Voglio che tu diventa
la mia assistente. Condurrai insieme a me esperimenti e altri studi
superiori a questi che stai attualmente seguendo."
Per un attimo smisi di
respirare. Forse era ciò a cui aspiravo di più,
stargli più vicino per capirlo.
"Si, accetto.
Sarà un onore immenso, professore."
"Molto bene...E in
privato, limita quel professore."
"D'accordo."
La settimana
successiva, dopo le lezioni, Roa e io ci rifugiammo nella Sala
Circolare, per condurre questi strani esperimenti.
Esperimenti che mi
insegnavano cose che solo la pratica puo generare.
Mi accorsi comunque di
quanto Roa sia appassionante nel suo lavoro: i suoi sguardi, i suoi
gesti, la sua pazienza e la forza di non arrendersi al primo errore.
Cosa che non riesce a
manifestare durante le lezioni, ritenendole poco stimolanti e noiose.
"Potrei darti anche
ragione, ma la scuola è fatta per insegnare e i professori
hanno il dovere di insegnare, sia ai secchioni che agli incapaci."
Ribattei.
"Mi vorresti dire che
sto facendo di tutta l'erba un fascio? Che non devo guardare gli
studenti, ma al modo di insegnare?" Domandò Roa,
rispondendosi da solo.
Sorrisi, provando
tenerezza quando Roa cominciò a grattarsi la testa,
chiedendosi se avevo ragione.
"Per favore Roa, mi
aiuti? Non riesco a dosare questa materia."
"Va bene."
Quando Roa mi fu
vicino, il suo odore mi fece irrigidire. Era buonissimo.
Roa prese in mano
l'ampolla con la provetta e versò la materia necessaria.
"Ecco fatto."
Io non
reagì, rimasi ancora imbambolata a sentire quell'odore, che
mi avvolgeva dolcemente.
"Helen, tutto bene?"
Roa mi toccò la fronte.
"No, febbre non ne
hai... Sicura di esserti riposata a dovere in questa settimana?"
"Ecco, io... Non..." La
vicinanza di Roa rendeva tutto piu difficile. Come potevo spiegargli
che... Che...
"Ho capito."
Senza aspettare una mia
risposta, Roa mi prese in braccio. E mi poggiò sul divanetto
che avevamo di fronte al banco di lavoro.
"Ma Roa..."
"Stai ferma
lì e riposati. Avresti dovuto fare una dormita in tutta
questa settimana." Ordinò e mi coprì con il suo
cappotto, per poi ritornare al lavoro.
Per tutto il resto
della giornata, guardai Roa che si destreggiava tra i vari cerchi
alchemici e le provette.
Mi accorsi anche che
ogni tanto mi osservava.
Era bello stare in sua
compagnia.
I giorni passavano,
così come le lezioni, gli esami e tutto il resto. Tutti
nella scuola sapevano che ero diventata assistente del professor Roa, e
alcuni professori mi ritenevano davvero fortunata. Altri invece, con
conseguente invidia degli studenti, mi parlavano soltanto per dirmi
cose atroci.
"Se ti ha preso sotto
la sua ala, ormai sarà troppo tardi. Tutti temono
Valdamjong, tu non ti rendi conto a cosa sei andata incontro."
"Perche mai dovrei
temerlo? Che cos'ha di tanto pericoloso? Roa è un simbolo
per questa scuola, e voi lo ritenete una minaccia!"
Lo sguardo del
professore divenne rabbioso. Credeva di spaventarmi con quelle sue
parole?
"Te ne pentirai
amaramente."
Quel professore fu
molto duro, anche se diretto. Aver timore di Roa... Ebbi modo di dirlo
al professore in questione, mentre eravamo in biblioteca.
"E così, un
professore ti avrebbe messo questa pulce nell'orecchio?"
Domandò Roa, bevendo una tazza di thè.
Lo imitai, sorseggiando
la bevanda sino a svuotare la tazza, tanto ero nervosa.
"Non vorrei ritrovarmi
a sentirmi di nuovo minacciata. E inoltre... Non voglio che facciano
ulteriori pressioni su di te, sei un valido professore e nessuno
dovrebbe odiarti."
"Grazie, sei molto
premurosa."
Roa mi fece un sorriso
che ebbe su di me un effetto... Indescrivibile.
Poi il professore si
alzò dalla sedia.
"Bene, vorrà
dire che sposteremo il nostro laboratorio."
"E dove?" Chiesi,
ingenuamente.
"Nella mia camera."
In poco tempo, Roa fece
trasferire tutto il piano di lavoro nella sua immensa stanza. Era
grande, imponente e sembrava occupasse metà dell'edificio
scolastico.
"Bene, fate attenzione.
Non dovete rompere nulla. Trasferite quei libri in quella stanza, dopo
li sistemerò io... Helen? Allora non vuoi entrare?"
Ero ancora sullo
stipite della porta, guardando la semplicita della stanza. Troppo
bianco, troppi pochi mobili, ma in una stanza a parte era edificata
come biblioteca, compensava gli spazi vuoti.
Poi vidi due camere da
letto. Una aveva il letto singolo, e un addetta alle pulizie la stava
pulendo e sistemando. L'altra, con un letto matrimoniale, era strapiena
di libri. Quella era sicuramente la camera di Roa.
Entrai, avvicinandomi
al professore. Mentre quest'ultimo continuava a dare istruzioni,
sentì un calore, che scese iperterrito dentro lo stomaco,
depositandosi dolcemente e infondendomi in me la sensazione di trovarmi
a casa. Mai mi era capitata una cosa simile. Ora quello che mancava,
per "familiarizzare" meglio a quello stato d'animo, era preparare un
buon caffè.
"Dov'è la
cucina?" Domandai, con la voce calma e rilassata.
"Alle tue spalle. Hai
bisogno di qualcosa?"
"Caffè."
Esordì, come se non lo bevessi da secoli.
"Te lo faccio preparare
se vuoi." Disse gentilmente, indicando la domestica vicino alla porta
di un altra stanza.
"No, preferisco farlo
da sola."
"Da sola?"
Ripetè Roa. Così, andai in cucina e il professore
mi seguì con lo sguardo, per poi raggiungermi curioso, ad
ammirare la mia grande abilità nel preparare il
caffè.
"Sei brava." Disse, una
volta che cominciai a versare la bevanda scura in una tazzina.
"Come vedi mi adatto a
tutte le situazioni." E la diedi a Roa.
Mi sedetti vicino a
lui. Il tavolo della cucina era vicino ad una porta-finestra, e il
panorama dava una visione completa di tutto il mare dell'Est.
"E' bellissimo."
Commentai.
Roa continuò
a bere il suo caffè, senza rispondere. Il sole che
riscaldava la cucina mi fece venire sonno... E poggiai la testa sulla
spalla di Roa.
Rimanemmo in quello
stato piacevole a lungo. Forse anche Roa era consapevole di quello che
mi stava accadendo, perchè lo sentì irrigidirsi.
Sentivo nell'aria una leggera tensione, e non volevo rovinare quel
momento per me così bello, domandando a Roa cosa c'era che
non andava.
"Helen." La sua voce
carezzevole mi svegliò dal torpore che mi stava possedendo.
"Dimmi." Biascicai, con
tono stanco.
"Ti va di trasferirti
qui? Ho fatto preparare una stanza apposta per te."
"Si." Risposi, senza
esitazioni di sorta.
Roa rimase sorpreso.
Poi sorrise, lasciandomi ancora accoccolata alla sua spalla.
"Grazie." Mi disse.
"E di cosa?"
"Per il tuo prezioso
aiuto. E per la tua presenza." Ammise.
Arrossì,
imbarazzata e felice.
Ora ne ero certa.
Lo amavo senza riserve.
Ogni mattina, da quando
mi ero trasferita nella stanza di Roa, preparavo sempre il
caffè.
Il professore ribadiva
di sentirsi viziato e io non dicevo nulla per contraddirlo, in fondo mi
piaceva farlo.
Ormai gli esperimenti
si facevano via via sempre più concreti e definiti. La
ricerca dell'immortalità era un tabù
nell'Associasion of Magi, ma a me suscitava interesse. E Roa aveva
impiegato tutte le sue conoscienze per quello scopo, tanto che a volte
mi sembrava ossessionato. Finchè un giorno...
"Helen, non devi
assolutamente sbagliare!! E non sprecare quella materia, procurarmela
mi è costata un sacco!!!"
"Roa, smettila, so bene
ciò che faccio!!"
"No, tu non capisci...
Sono quasi vicino alla soluzione e arrivi tu, a sconvolgermi i piani!"
"A fare che...?"
"Basta Helen. Per oggi
hai finito."
E mi ritrovai fuori
dalla porta del laboratorio, ma non per un giorno o due, per un tempo
che nemmeno sembrava scorrere.
Cos'è
l'immortalità?
Una dannazione o una
benedizione?
Per me era solo motivo
di studio, un progredimento alla mia alchimia verso studi
più completi.
Ma per Roa non vi era
più dedizione, non vi era più pazienza.
Era diventata uno scopo
personale.
Un pomeriggio, mentre
ero di riposo nella mia stanza, vidi Roa passare distrattamente in
direzione sicuramente del laboratorio.
Scossi la testa, era
ormai un mese che non dormiva più, che non mangiava. Non
beveva più nemmeno il mio caffè.
L'immortalità l'aveva portato alla pazzia.
Dovevo fermarlo.
Così, seguì Roa nel laboratorio, senza farmi
accorgere.
Rimasta dietro la
porta, vidi Roa armeggiare con altri composti chimici che mai avevo
visto.
E li usava senza
premura, con fretta, creando strane fasce alchemiche. Tuoni e lampi
erano prossimi a distruggere qualsiasi cosa avrebbero incontrato, tanto
erano potenti.
Sentì
l'odore della materia oscura che faceva divenire l'aria più
pesante. Chissà con che cosa l'aveva mischiata.
"ROA!!" Lo chiamai.
Non mi sentì.
Era troppo preso dalla
strana luce che riluceva dentro un ampolla.
Se quella era
l'immortalità che andava tanto cercando, non doveva
assolutamente averla. Era troppo pericolosa, che cosa gli avrebbe fatto?
"ROA!!" Corsi verso di
lui e appena lo sfiorai, l'ampolla cadde in terra, creando un cerchio
magico arcano. Successivamente la scarica che ci coinvolse fece
attivare un circuito di alchimie.
La sua riluceva di blu,
alcuni fulmini lo circondavano, quasi a proteggerlo.
La mia illuminava il
pavimento di rosso. Piccole lame di luce venivano create dal movimento
delle mie mani. Mi spaventai, ancora non ero arrivata ad un livello
sufficiente per gestire l'alchimia con le mie forze.
"Non è
possibile." Disse finalmente Roa.
Lo guardai.
Non portava
più gli occhiali e i suoi capelli, che prima legava con un
elegante coda, ricadevano malamente sulle sue spalle. Era magro e il
suo sguardo era diverso, tagliente.
"Anche tu sei divenuta
immortale."
"Cosa?" Sibilai, non
potevo crederci.
Eppure non era accaduto
nulla di eclatante, solo vento, una forte luce e le alchimie combinate
che nascevano... Secondo i nostri calcoli, era questo l'effetto finale.
Ma l'energia era necessaria per una sola persona. Cosa era accaduto in
realtà?
Me lo spiegò
Roa, con tutta la sua calma, più seducente di quanto lo
ricordassi.
"Avventandoti su di me
abbiamo unito le nostre conoscenze e alimentato ancor di più
in potenza di creazione ciò che avevo creato."
Mi avvicinai a lui,
abbastanza vicino da guardarlo dritto negli occhi.
"E tu credi davvero
che creda ad una cosa del genere? Ho studiato insieme a te sino allo
sfinimento per aiutarti in cosa? A renderti immortale? Siamo solo
uomini Roa, esseri in carne ed ossa. Solo gli Dei sono eterni e noi non
possiamo avvicinarci a loro! Se sostieni davvero di essere immortale,
allora faremo ancora in tempo a tornare normali e il cielo non ci
pun... GH!!"
Il mio discorso venne
interrotto da una lama gelida che mi attraversava lo stomaco. Il dolore
fu indicibile. Sembrava che lo stomaco andasse in fiamme e le
contrazioni che generava per sfuggire al dolore erano terribili, non
cessavano di farmi ansimare come un cane.
Mi aggrappai alle
spalle di Roa e dopo questa lama venne estratta con una lentezza tale
da farmi piangere.
"Roa...
Perchè?" Dissi, fra i denti.
Furono le mie ultime
parole, prima di vedere Roa in piedi che rideva di gusto, un suono
malvagio, che mi accompagnò fino al mio risveglio successivo.
Spalancai gli occhi,
gettando un urlo al vuoto. Mi guardai intorno: era buio e il
laboratorio era stato distrutto, probabilmente da Roa, per non lasciare
traccia o testimonianze di alcun genere. D'istinto, mi toccai lo
stomaco, ricordandomi della ferita. Ma non c'era più nulla.
Non mi serviva altro per confermare la mia nuova natura di essere
immortale.
Mi alzai in piedi,
dolorante e confusa. La prima cosa che pensai era trovare Roa. Ma mi
era impossibile per me, tanto ero disperata mi ritrovai a versar
lacrime. Se ciò che avevo vissuto nelle ore prima non era un
incubo, allora Roa se ne era andato.
Micheal Roa Valdamjong.
E non avevo avuto
nemmeno la possibilità di dirgli che lo amavo.
Inc ucina, la luna
riusciva ad illuminare tutti gli angoli morti della stanza. Sedevo sul
tavolino vicino alla porta-finestra, con il viso rivolto verso di essa.
Ora ammirarla mi
ricordava Roa, tutto in quella casa ormai vuota aveva l'essenza del mio
professore. Grazie all'alchimia acquisita, lo sentivo tanto da farmi
venire i brividi. Avevo preparato il caffè, con l'illusione
che Roa sarebbe entrato in cucina attirato dall'odore.
Ma non
arrivò nessuno.
Con la tazza di
caffè in mano, ancora piena, ritornai al laboratorio.
Tra le polveri e le
macerie, recuperai solo qualche libro scritto da Roa. Trovai anche un
mio diario di studio, dove avevo iniziato a programmare un arte al di
fuori delle lezioni di Roa.
Si chiamava "Reverse".
Poteva far tornare all'origine qualsiasi cosa, dalle piante agli
animali. E se funzionava anche con gli uomini allora...
Mi venne
l'illuminazione.
Riportare me e Roa come
esseri umani.
Avrei trovato Roa,
anche se ci fossero voluti anni, secoli, eoni... D'ora in poi sarebbe
stato il mio obiettivo.
Con questa nuova
consapevolezza, poggiai la tazza in terra e andai nella mia stanza a
raccogliere le mie cose e altri libri di Roa, sigillando la sua stanza
con un alchimia di protezione.
Nei giorni successivi
alla scomparsa di Roa, era inevitabile che la scuola si
formò un continuo chiacchericcio e movimento, per scoprire
dove il Professor Roa fosse finito. In molti mi avevano accusato della
sua scomparsa, ma non potevo di certo confessare il motivo dei nostri
studi, così, preferì andarmene in esilio,
lasciando alcuni tomi di Roa in archivio alla biblioteca. Tranne uno,
che scoprì era un diario personale. Di Roa, appunto.
Il professore vi
scriveva tutto ciò che riguardava me, i suoi esperimenti e
dei suoi sentimenti per "la sua splendida Helen", che non riusciva mai
a dichiarare apertamente per paura di un rifiuto.
In una delle pagine,
trovai una specie di lettera, indirizzata a me.
La grafia di Roa era
incerta, probabilmente l'aveva scritta prima delle sue notti insonne.
"Se
troverai questa lettera, significa che ho raggiunto lo scopo di una
vita e che sono divenuto immortale.
Sei stata
un ottima allieva, Helen Blanche, e non solo.
Il tuo
caffè mi teneva sveglio la notte, i tuoi sorrisi riempivano
il mio cuore ormai avvizzito.
Ma con
l'immortalità non potrò starti vicino.
La vita
degli esseri umani è breve e io non ho conquistato
l'immortalità per paura di morire.
Io voglio
avere tutte le conoscenze di questo mondo e sono sicuro che capirai le
mie ragioni.
Ti lascio,
mia splendida Helen, ti ho amato e non te l'ho mai detto, mi spiace non
aver
condiviso
con te questa gioia, so che una ragazza come te lo desiderava.
Ma ti
amerò per sempre.
Può
sembrarti una definizione banale, per te che sei mortale,
ma per me
non avrà mai fine.
Addio,
Helen Blanche.
Micheal Roa Valdamjong."
Strinsi la lettera tra
le mie mani, sorridendo felice. Peccato che Roa non avesse previsto lo
svolgersi degli eventi, perchè adesso anch'io coglievo a
pieno il significato di "per sempre".
E lo avrei rafforzato
viaggiando, con il mio unico scopo. Ritrovare Roa.
OWARI
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