Tsukihime

di ShunLi
(/viewuser.php?uid=11154)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Mystic Eyes of Death Perception ***
Capitolo 3: *** Serpent of Akasha ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


Con questa fic, voglio presentarvi un importante Capolavoro della Type-Moon: Tsukihime, nato in Giappone come doujin game amatoriale, presentato al comiket (importante fiera giapponese dove si presentano ultimi lavori, videogiochi, anime/manga amatoriali e non) del 2000 da due soli programmatori: Kinoko Nasu (autore storia) e Takashi Takeuchi (character design).

Tsukihime è una complessa storia che si dirama in varie trame e coinvolgimenti. Poichè i vari capitoli che vi appresterete a leggere si incentrano solo su determinati pg, vi spiegherò in breve la trama.

Tohno Shiki a 9 anni, dopo essersi svegliato da un anno di coma a seguito di un incidente stradale ed una cicatrice sul petto, vede delle linee sulle cose viventi e non.

Con un coltello da frutta prova a tracciare una delle linee presenti sul suo letto, e riesce a tagliarlo in 2 senza usare la forza; i medici non credono alla sua storia, e Shiki fugge dall'ospedale.
Senza una meta, si ritrova in una distesa di prato, e qui incontra Aozaki Aoko, una maga; lei odia essere chiamata per nome, così Shiki decide di chiamarla Sensei.
In Aoko trova un amica, gli parla della sua famiglia, (specialmente di sua sorella Akiha, che non faceva altro che seguire il suo fratello maggiore) ed infine dei suoi occhi, mostrandogli la sua abilità tagliando un albero.
Aoko spiega a Shiki che gli occhi che possiede sono gli "Occhi Mistici della percezione della Morte", e può annientare l'esistenza delle cose.
La Sensei, promettendogli che gli avrebbe ridato la sua vecchia vita, il giorno dopo gli regala un paio di occhiali, che una volta indossati gli consentono di non vedere più quelle fastidiose linee.

Per 8 anni Shiki vive presso gli Arima, una famiglia adottiva. Un giorno riceve un recapito della sua famiglia d'origine, che lo richiama a tornare. Quindi dice addio alla famiglia che lo ha accolto e torna alla sua vera casa, dove trova sua sorella Akiha, che è diventata una signorina di alta classe.
Shiki si riadatta alla vita dei Tohno con alcune regole precise, e tra un anemia e l'altra, se la riesce sempre a cavare.

Nella città però, c'è sempre la tensione e la paura scatenate da un serial killer che coinvolgono giovani ragazze. Le cause della morte sono sempre perdita di sangue, come se fosse un vampiro a compiere questi atti, quasi ogni sera.

Fino a quando, Shiki, un giorno, non incontra nel bel mezzo della folla una bellissima donna: bionda, occhi rossi, pelle pallida, e inevitabilmente gli suscita un impulso omicida, quindi la insegue fino al suo appartamento, uccidendola senza un valido motivo in 17 parti.
Si rende conto però che non era un sogno e ciò gli dà il tormento, fino a quando non la reincontra il giorno dopo, seduta sul guardrail sulla strada di scuola, come ad aspettarlo.
Shiki, spaventato, corre senza meta, sino ad arrivare in un vicolo cieco.
Era la stessa donna uccisa il giorno prima, e lei gli chiede esplicitamente di prendersi le sue responsabilità per averla uccisa.
il suo nome è Arcueid Brunestud, una vampira che vive da più di un millennio. Shiki d'ora in poi dovrà essere la sua guardia del corpo...

Se volete altre info, cercate Tsukihime sul wikipedia inglese. Premetto inoltre che ci sono alcuni personaggi che non fanno parte del Nasuverse, ma che sono opera mia.
Potete verificarli consultando la pagina indicata, senza fare confusioni di sorta.

Scusa Blaze se non la ricordavo, e dire che me la ripeti fino alla nausea ç__ç

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Mystic Eyes of Death Perception ***


Era in un luogo oscuro.
L'immersione visiva in cui ritrovava Rowan era difficile da sopportare.
L'oscurità premeva in modo persistente, temeva di soffocare.
Rowan si sentiva confuso, disorientato in quel posto a lui sconosciuto.
Era vivo? Era morto?
Non riusciva a sentire nulla, non riusciva a percepire nulla.
Intorno a sè, vi era solo una cosa sicura.
La Morte.
E una ragazza, piegata su se stessa.
"E tu chi saresti?"

Cosa ci faceva quella ragazza in quella strana dimensione?
Quando sentì la voce di quell'uomo, la ragazza si alzò in piedi.
Era magra, di media altezza, dai lunghi capelli d'argento e dagli occhi celesti, brillanti.
Anche lei sembrava fuori luogo in quella dimensione desolata.
Si guardava ripetutamente le mani, farfugliando cose che per Rowan erano incomprensibili.
"Rispondi!" Incalzò l'uomo, avvicinandosi a lei.
"Chi sei? Cosa ci facciamo qui? E' forse l'inferno che mi spetta?"
Già. l'inferno.
Sapeva già com'era l'inferno.
Era diventato un famoso alchimista insieme ad un suo amico, Roa.
E grazie al suo aiuto, aveva ottenuto l'immortalità.
Ma il Chaos, un accumulo di vite con una coscienza in condivisione, per restare tale deve assorbire la vita degli esseri umani.
Fabro Rowan, con l'avanzare degli anni, dimenticò il suo nome, il perchè fosse diventato così, perchè il Chaos agiva proteggendolo, 666 bestie infernali abbagliate come il suo essere.
Con quel poco che era rimasto del suo vero io, voleva solo una risposta: capire il Chaos dentro di sè.

"E questo l'inferno che mi spetta?" Ripetè.
La ragazza non rispose. Abbassò lo sguardo, dispiaciuta, come se non avesse la capacità di parlare. Incominciò a camminare in quello spazio immenso e desolato. Ad ogni suo passo, la via che percorreva si illuminava in più punti di luce.
E Rowan vide la Morte in quel luogo.
Era un cimitero dimenticato dalle Divinità benevoli e forse, non c'era alcun modo per tornare indietro.
Rowan seguì la ragazza perchè gli sembrò l'unica cosa sensata da fare.
Il sentiero si prolungò non poco e quella ragazza non provava alcuna stanchezza.
"Ascolta... Riesci a dirmi il tuo nome?" Domandò Rowan.
La ragazza interruppe il suo cammino e fece cenno di farsi porgere la mano.
L'uomo gliela diede e con un tocco leggero e delicato, la ragazza tracciò con il dito le lettere del suo nome.
"Iri...na...Von...Einz...Einbern. Irina Von Einzbern. E' così che ti chiami."
L'espressione di Irina si allargò in un meraviglioso sorriso.
Chissà da quanto tempo si trovava lì.
"Puoi condurmi fuori da questo posto?"
Il sorriso di Irina svanì.
Strinse la mano di Rowan, come a cercare conforto e fece cenno di no con la testa.
Rowan riprese la stessa con più vigore, facendo sussultare Irina dalla sorpresa.
"Ci riusciremo. E tu verrai con me." Disse. Delle lacrime rigarono il viso di Irina. Era felice.

Il luogo oscuro delineò qualcosa all'orizzonte. Lo spazio tra reale e irreale sembrava nullo e per quanto si potesse sforzare, Rowan non vide nulla di strano.
Irina gli fece capire che non era necessario sforzarsi di trovare qualcosa e che l'unica cosa che doveva guardare era la terra.
La terra si plasmava e si mutava; se fosse stato attento, avrebbe potuto trovare la vera linea, il vero punto che generava il luogo maledetto.
"Allora dovremo fare molta strada." Disse Rowan.
Irina gli strinse la mano per infondergli coraggio.
"Ti porterò via di qui." Gli ripetè.
E iniziarono a camminare.

Rowan si accorse di una cosa: il luogo era più luminoso. Il cielo si era rischiarato in una maniera impressionante e tutto perchè Irina era più allegra.
Forse quel deserto di morte era opera della ragazza.
Chissà chi era in realtà.
"Irina..."
La ragazza guardò Rowan.
"Tu conosci questo luogo?"
Irina fece cenno di si, portandosi una mano al petto. Gli fece capire che era il suo cuore a generare quel posto.
Rowan si sforzò di pensare, che forse, potevano uscire.
"Allora ascoltami..." Rowan le cinse le spalle.
"Devi desiderare con tutte le tue forze di uscire da qui. Solo tu puoi farlo, Irina."
Irina guardò l'uomo. Nei suoi occhi si formarono diverse luci, il suo animo era confuso e impaurito. Forse, se sarebbe riuscita ad uscire da quella dimensione, lei stessa non sarebbe più esistita.
Ma Rowan era deciso: l'avrebbe portata con sè, niente poteva muoverlo dalla sua convizione.
Irina sorrise. Forse poteva farcela.
Per l'unica creatura che le aveva dato coraggio.
La ragazza chiuse gli occhi e improvvisamente si alzò il vento, che violento e minaccioso, sembrava portarsi via ogni cosa.
Il corpo di Irina cominciò ad emettere luce. I suoi capelli divennero più bianchi, il suo corpo sembrava essere più inesistente.
"Non ci posso credere..." Balbettò Rowan, emozionato. Nell'alchimia non c'erano principi che potessero spiegare tale fenomeno.
Più Irina si illuminava, più lo spazio intorno a loro sembrava distruggersi.
Rowan si guardò intorno: in tutto quel casino avrebbe dovuto scorgere un punto e una linea, il contatto terreno e materiale con la realtà.
Ma non lo vedeva da nessuna parte. Era impossibile per lui, senza i poteri del Chaos. E l'alchimia pareva non funzionare in quello spazio, annullandosi completamente.
"MALEDIZIONE!!" Urlò.
Guardò Irina, che emanava sempre più luce.
Di sfuggita, intravide un punto e una linea verticale sul petto di Irina. Quello squarcio si ripresentò solo quando la ragazza spalancò le braccia.
"Non è possibile..."
Aveva visto bene.
Era lei l'Inizio e la Fine di quel luogo.
E dire che gliel'aveva promesso.
-Ti porterò via con me.-

"Uccidimi."
Parlò una voce chiara e candida, nella mente di Rowan.
Si rese conto che era Irina a comunicare con lui.
"Uccidimi e riuscirai a fuggire."
"Non posso... Io..."

"Fabro Rowan. Sei stato ucciso e con te, anche il tuo Chaos è stato annientato. Ora hai la possibilità di tornare indietro e di rivivere la vita che ti sei negato da tempo. Ti ringrazio per esserti occupato di me, anche se per poco. Sono sicura che ci reincontreremo, Fabro Rowan."

Ormai tutto intorno a Rowan stava per essere distrutto. O scappava, o sarebbe morto con quella creatura.
E così, Rowan prese la rincorsa e squarciò il petto di Irina.

***

Il sole caldo e luminoso, era posato sulla città. Niente sembrava disturbare la quiete cittadina. Un uomo, incurante di tutto e di tutti, sedeva su una panchina di un parco.
Guardava la vita quotidiana che si svolgeva intorno a lui e si sentiva strano. Tempo fa era una creatura delle tenebre, che stanava le sue vittime nel culmine della paura, le bestie infernali che teneva in corpo bramavano il sangue caldo e ora, non ricordava più quella sensazione di pura malvagità.
Sentiva solo il suo cuore battere in petto, il sangue fluirgli velocemente nelle vene.
Era ritornato umano, solo con le conoscenza dell'alchimia e del Chaos.
Si guardò la mano, la stessa con cui aveva squarciato il petto di Irina.

-Ci reincontreremo, Fabro Rowan.-

Chissà come faceva a conoscere il suo nome.
Non sapeva quanto fosse passato da quell'avvenimento, ma ormai non sperava in un suo passaggio sulla Terra. Poi, di fronte a lui, qualcosa attirò la sua attenzione.
Lunghi capelli d'argento si muovevano armoniosamente cullati dal vento. Il suo corpo snello era fasciato da un vestitino leggero color blu cobalto e con le mani incrociate dietro la schiena, ammirava la città.
La ragazza si voltò in direzione di Rowan.
"Ti vedo in gran forma."
Dapprima, Rowan non seppe dare significato alla fitta che sentì dentro al petto.
Poi scuotendo la testa, si alzò dalla panchina e la raggiunse.
"Ciao." Disse lui.
"Ciao!" Rispose lei.

Per Rowan stava ricominciando il ciclo della vita.



OWARI



nda
aaw che faticaccia ç__ç
Questa fic l'ho scritta dopo la morte di Nrvnqsr Chaos, perchè non sopporto l'idea che debba morire ç__ç mi piace troppo questo pg!!
Faccio anche tanti auguri al mio nii-nii che oggi (6 gennaio, che befanaro :P) compie 18 anni!!!
YEEE!!!
/me beve birra fino a svenire tramortita

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Serpent of Akasha ***


Con la testa poggiata alla sua spalla, l'odore del caffè, la pace mattutina... Mi rendevo conto che quei momenti divenivano sempre più importanti e mi rendevano felice.

Micheal Roa Valdamjong.
Non c'è altro nome per descrivere cosa rappresenti per questa Associazione.
Lui ha donato la biblioteca, ha fatto di questo convento sconsacrato la nostra prestigiosa scuola e tutti i suoi componenti gliene sono riconoscenti.
Anch'io.
Ma in maniera più elevata rispetto agli altri.
Perche provo qualcosa.
Non so dire se è amore, ma è simile alla comprensione, al desiderio di dividere con lui certi atteggiamenti, che in molti non potrebbero apprezzare.
Invece il professor Roa viene sempre lodato. Ma mi chiedo: è davvero ciò che desidera? Eppure lo vedo aldisopra di questa scuola, in un avvenire maledetto ma di potenza assoluta.
Verrà per sempre ricordato e per sempre sarà temuto.
Io, Helen Blanche, studio e mi impegno, seguendo le sue lezioni di teologia, matematica e alchimia, affinchè possa capire.
Il suo sguardo dietro quegli occhialini leggeri, sono velati da una tristezza che non so definire.
O forse sono io che me la sto immaginando?

"Signorina Blanche, le ho fatto una domanda."
Tuonò la voce del professore.
"Eh?"
"Stava seguendo, signorina Blanche?"
"No, professore, mi scusi."
La mia sincerità lo colpì. Lo vidi assottigliare lo sguardo, senza una ragione precisa.
"Non importa signorina. Ma dopo la lezione desidero che lei si trattenga. Le devo parlare."
"D'accordo professore."

Le ultime due ore rimanenti passarono in fretta, facendo aumentare un ansia spropositata nel mio petto. Inutile per giunta. Forse voleva solo riprendermi per il comportamento assunto prima. Per i studenti modello era un pregio avere Roa come insegnante.
Mentre io sedevo su un banco vuoto, vicino alla cattedra, il professore era in piedi con le braccia incrociate. La sua mente e il suo sguardo era concentrato alla finestra, in un panorama che solo lui vedeva. Osservai i suoi capelli, mi davano l'impressione di essere... Morbidissimi.

"Signorina Blanche."
La sua voce mi spaventò.
"Puo chiamarmi Helen."
Il professore rimase basito. Era proibito mostrare tanta confidenza nei confronti dei professori. Ma lui sembrava non farne caso.
"D'accordo... Helen. Verrò subito al dunque. Ritengo che ci siano molti elementi in questa scuola che spiccano per le loro qualità e capacità. Tu Helen, sei una di questi. Segui tutte le mie lezioni e da te ottengo sempre dei risultati che mai con altri posso pretendere."
Il mio imbarazzo crebbe come l'ansia che mi premeva il petto. Se prima non ero allarmata, ora non sapevo cosa aspettarmi dal Professore.
"Professore... Cosa vuole dire con questo?"
Prima di rispondere, Roa si avvicinò al banco dove ero seduta.
"Voglio che tu diventa la mia assistente. Condurrai insieme a me esperimenti e altri studi superiori a questi che stai attualmente seguendo."
Per un attimo smisi di respirare. Forse era ciò a cui aspiravo di più, stargli più vicino per capirlo.
"Si, accetto. Sarà un onore immenso, professore."
"Molto bene...E in privato, limita quel professore."
"D'accordo."


La settimana successiva, dopo le lezioni, Roa e io ci rifugiammo nella Sala Circolare, per condurre questi strani esperimenti.
Esperimenti che mi insegnavano cose che solo la pratica puo generare.
Mi accorsi comunque di quanto Roa sia appassionante nel suo lavoro: i suoi sguardi, i suoi gesti, la sua pazienza e la forza di non arrendersi al primo errore.
Cosa che non riesce a manifestare durante le lezioni, ritenendole poco stimolanti e noiose.
"Potrei darti anche ragione, ma la scuola è fatta per insegnare e i professori hanno il dovere di insegnare, sia ai secchioni che agli incapaci." Ribattei.
"Mi vorresti dire che sto facendo di tutta l'erba un fascio? Che non devo guardare gli studenti, ma al modo di insegnare?" Domandò Roa, rispondendosi da solo.
Sorrisi, provando tenerezza quando Roa cominciò a grattarsi la testa, chiedendosi se avevo ragione.
"Per favore Roa, mi aiuti? Non riesco a dosare questa materia."
"Va bene."
Quando Roa mi fu vicino, il suo odore mi fece irrigidire. Era buonissimo.
Roa prese in mano l'ampolla con la provetta e versò la materia necessaria.
"Ecco fatto."
Io non reagì, rimasi ancora imbambolata a sentire quell'odore, che mi avvolgeva dolcemente.
"Helen, tutto bene?" Roa mi toccò la fronte.
"No, febbre non ne hai... Sicura di esserti riposata a dovere in questa settimana?"
"Ecco, io... Non..." La vicinanza di Roa rendeva tutto piu difficile. Come potevo spiegargli che... Che...
"Ho capito."

Senza aspettare una mia risposta, Roa mi prese in braccio. E mi poggiò sul divanetto che avevamo di fronte al banco di lavoro.
"Ma Roa..."
"Stai ferma lì e riposati. Avresti dovuto fare una dormita in tutta questa settimana." Ordinò e mi coprì con il suo cappotto, per poi ritornare al lavoro.
Per tutto il resto della giornata, guardai Roa che si destreggiava tra i vari cerchi alchemici e le provette.
Mi accorsi anche che ogni tanto mi osservava.
Era bello stare in sua compagnia.

I giorni passavano, così come le lezioni, gli esami e tutto il resto. Tutti nella scuola sapevano che ero diventata assistente del professor Roa, e alcuni professori mi ritenevano davvero fortunata. Altri invece, con conseguente invidia degli studenti, mi parlavano soltanto per dirmi cose atroci.
"Se ti ha preso sotto la sua ala, ormai sarà troppo tardi. Tutti temono Valdamjong, tu non ti rendi conto a cosa sei andata incontro."
"Perche mai dovrei temerlo? Che cos'ha di tanto pericoloso? Roa è un simbolo per questa scuola, e voi lo ritenete una minaccia!"
Lo sguardo del professore divenne rabbioso. Credeva di spaventarmi con quelle sue parole?
"Te ne pentirai amaramente."
Quel professore fu molto duro, anche se diretto. Aver timore di Roa... Ebbi modo di dirlo al professore in questione, mentre eravamo in biblioteca.
"E così, un professore ti avrebbe messo questa pulce nell'orecchio?" Domandò Roa, bevendo una tazza di thè.
Lo imitai, sorseggiando la bevanda sino a svuotare la tazza, tanto ero nervosa.
"Non vorrei ritrovarmi a sentirmi di nuovo minacciata. E inoltre... Non voglio che facciano ulteriori pressioni su di te, sei un valido professore e nessuno dovrebbe odiarti."
"Grazie, sei molto premurosa."
Roa mi fece un sorriso che ebbe su di me un effetto... Indescrivibile.
Poi il professore si alzò dalla sedia.
"Bene, vorrà dire che sposteremo il nostro laboratorio."
"E dove?" Chiesi, ingenuamente.
"Nella mia camera."

In poco tempo, Roa fece trasferire tutto il piano di lavoro nella sua immensa stanza. Era grande, imponente e sembrava occupasse metà dell'edificio scolastico.
"Bene, fate attenzione. Non dovete rompere nulla. Trasferite quei libri in quella stanza, dopo li sistemerò io... Helen? Allora non vuoi entrare?"
Ero ancora sullo stipite della porta, guardando la semplicita della stanza. Troppo bianco, troppi pochi mobili, ma in una stanza a parte era edificata come biblioteca, compensava gli spazi vuoti.
Poi vidi due camere da letto. Una aveva il letto singolo, e un addetta alle pulizie la stava pulendo e sistemando. L'altra, con un letto matrimoniale, era strapiena di libri. Quella era sicuramente la camera di Roa.
Entrai, avvicinandomi al professore. Mentre quest'ultimo continuava a dare istruzioni, sentì un calore, che scese iperterrito dentro lo stomaco, depositandosi dolcemente e infondendomi in me la sensazione di trovarmi a casa. Mai mi era capitata una cosa simile. Ora quello che mancava, per "familiarizzare" meglio a quello stato d'animo, era preparare un buon caffè.
"Dov'è la cucina?" Domandai, con la voce calma e rilassata.
"Alle tue spalle. Hai bisogno di qualcosa?"
"Caffè." Esordì, come se non lo bevessi da secoli.
"Te lo faccio preparare se vuoi." Disse gentilmente, indicando la domestica vicino alla porta di un altra stanza.
"No, preferisco farlo da sola."
"Da sola?" Ripetè Roa. Così, andai in cucina e il professore mi seguì con lo sguardo, per poi raggiungermi curioso, ad ammirare la mia grande abilità nel preparare il caffè.
"Sei brava." Disse, una volta che cominciai a versare la bevanda scura in una tazzina.
"Come vedi mi adatto a tutte le situazioni." E la diedi a Roa.
Mi sedetti vicino a lui. Il tavolo della cucina era vicino ad una porta-finestra, e il panorama dava una visione completa di tutto il mare dell'Est.
"E' bellissimo." Commentai.
Roa continuò a bere il suo caffè, senza rispondere. Il sole che riscaldava la cucina mi fece venire sonno... E poggiai la testa sulla spalla di Roa.
Rimanemmo in quello stato piacevole a lungo. Forse anche Roa era consapevole di quello che mi stava accadendo, perchè lo sentì irrigidirsi. Sentivo nell'aria una leggera tensione, e non volevo rovinare quel momento per me così bello, domandando a Roa cosa c'era che non andava.
"Helen." La sua voce carezzevole mi svegliò dal torpore che mi stava possedendo.
"Dimmi." Biascicai, con tono stanco.
"Ti va di trasferirti qui? Ho fatto preparare una stanza apposta per te."
"Si." Risposi, senza esitazioni di sorta.
Roa rimase sorpreso. Poi sorrise, lasciandomi ancora accoccolata alla sua spalla.
"Grazie." Mi disse.
"E di cosa?"
"Per il tuo prezioso aiuto. E per la tua presenza." Ammise.
Arrossì, imbarazzata e felice.
Ora ne ero certa.
Lo amavo senza riserve.

Ogni mattina, da quando mi ero trasferita nella stanza di Roa, preparavo sempre il caffè.
Il professore ribadiva di sentirsi viziato e io non dicevo nulla per contraddirlo, in fondo mi piaceva farlo.
Ormai gli esperimenti si facevano via via sempre più concreti e definiti. La ricerca dell'immortalità era un tabù nell'Associasion of Magi, ma a me suscitava interesse. E Roa aveva impiegato tutte le sue conoscienze per quello scopo, tanto che a volte mi sembrava ossessionato. Finchè un giorno...
"Helen, non devi assolutamente sbagliare!! E non sprecare quella materia, procurarmela mi è costata un sacco!!!"
"Roa, smettila, so bene ciò che faccio!!"
"No, tu non capisci... Sono quasi vicino alla soluzione e arrivi tu, a sconvolgermi i piani!"
"A fare che...?"
"Basta Helen. Per oggi hai finito."
E mi ritrovai fuori dalla porta del laboratorio, ma non per un giorno o due, per un tempo che nemmeno sembrava scorrere.

Cos'è l'immortalità?
Una dannazione o una benedizione?
Per me era solo motivo di studio, un progredimento alla mia alchimia verso studi più completi.
Ma per Roa non vi era più dedizione, non vi era più pazienza.
Era diventata uno scopo personale.

Un pomeriggio, mentre ero di riposo nella mia stanza, vidi Roa passare distrattamente in direzione sicuramente del laboratorio.
Scossi la testa, era ormai un mese che non dormiva più, che non mangiava. Non beveva più nemmeno il mio caffè. L'immortalità l'aveva portato alla pazzia.
Dovevo fermarlo. Così, seguì Roa nel laboratorio, senza farmi accorgere.
Rimasta dietro la porta, vidi Roa armeggiare con altri composti chimici che mai avevo visto.
E li usava senza premura, con fretta, creando strane fasce alchemiche. Tuoni e lampi erano prossimi a distruggere qualsiasi cosa avrebbero incontrato, tanto erano potenti.
Sentì l'odore della materia oscura che faceva divenire l'aria più pesante. Chissà con che cosa l'aveva mischiata.
"ROA!!" Lo chiamai.
Non mi sentì.
Era troppo preso dalla strana luce che riluceva dentro un ampolla.
Se quella era l'immortalità che andava tanto cercando, non doveva assolutamente averla. Era troppo pericolosa, che cosa gli avrebbe fatto?
"ROA!!" Corsi verso di lui e appena lo sfiorai, l'ampolla cadde in terra, creando un cerchio magico arcano. Successivamente la scarica che ci coinvolse fece attivare un circuito di alchimie.
La sua riluceva di blu, alcuni fulmini lo circondavano, quasi a proteggerlo.
La mia illuminava il pavimento di rosso. Piccole lame di luce venivano create dal movimento delle mie mani. Mi spaventai, ancora non ero arrivata ad un livello sufficiente per gestire l'alchimia con le mie forze.
"Non è possibile." Disse finalmente Roa.
Lo guardai.
Non portava più gli occhiali e i suoi capelli, che prima legava con un elegante coda, ricadevano malamente sulle sue spalle. Era magro e il suo sguardo era diverso, tagliente.
"Anche tu sei divenuta immortale."
"Cosa?" Sibilai, non potevo crederci.
Eppure non era accaduto nulla di eclatante, solo vento, una forte luce e le alchimie combinate che nascevano... Secondo i nostri calcoli, era questo l'effetto finale. Ma l'energia era necessaria per una sola persona. Cosa era accaduto in realtà?
Me lo spiegò Roa, con tutta la sua calma, più seducente di quanto lo ricordassi.
"Avventandoti su di me abbiamo unito le nostre conoscenze e alimentato ancor di più in potenza di creazione ciò che avevo creato."
Mi avvicinai a lui, abbastanza vicino da guardarlo dritto negli occhi.
"E tu credi davvero che creda ad una cosa del genere? Ho studiato insieme a te sino allo sfinimento per aiutarti in cosa? A renderti immortale? Siamo solo uomini Roa, esseri in carne ed ossa. Solo gli Dei sono eterni e noi non possiamo avvicinarci a loro! Se sostieni davvero di essere immortale, allora faremo ancora in tempo a tornare normali e il cielo non ci pun... GH!!"
Il mio discorso venne interrotto da una lama gelida che mi attraversava lo stomaco. Il dolore fu indicibile. Sembrava che lo stomaco andasse in fiamme e le contrazioni che generava per sfuggire al dolore erano terribili, non cessavano di farmi ansimare come un cane.
Mi aggrappai alle spalle di Roa e dopo questa lama venne estratta con una lentezza tale da farmi piangere.
"Roa... Perchè?" Dissi, fra i denti.
Furono le mie ultime parole, prima di vedere Roa in piedi che rideva di gusto, un suono malvagio, che mi accompagnò fino al mio risveglio successivo.
Spalancai gli occhi, gettando un urlo al vuoto. Mi guardai intorno: era buio e il laboratorio era stato distrutto, probabilmente da Roa, per non lasciare traccia o testimonianze di alcun genere. D'istinto, mi toccai lo stomaco, ricordandomi della ferita. Ma non c'era più nulla. Non mi serviva altro per confermare la mia nuova natura di essere immortale.
Mi alzai in piedi, dolorante e confusa. La prima cosa che pensai era trovare Roa. Ma mi era impossibile per me, tanto ero disperata mi ritrovai a versar lacrime. Se ciò che avevo vissuto nelle ore prima non era un incubo, allora Roa se ne era andato.
Micheal Roa Valdamjong.
E non avevo avuto nemmeno la possibilità di dirgli che lo amavo.

Inc ucina, la luna riusciva ad illuminare tutti gli angoli morti della stanza. Sedevo sul tavolino vicino alla porta-finestra, con il viso rivolto verso di essa.
Ora ammirarla mi ricordava Roa, tutto in quella casa ormai vuota aveva l'essenza del mio professore. Grazie all'alchimia acquisita, lo sentivo tanto da farmi venire i brividi. Avevo preparato il caffè, con l'illusione che Roa sarebbe entrato in cucina attirato dall'odore.
Ma non arrivò nessuno.
Con la tazza di caffè in mano, ancora piena, ritornai al laboratorio.
Tra le polveri e le macerie, recuperai solo qualche libro scritto da Roa. Trovai anche un mio diario di studio, dove avevo iniziato a programmare un arte al di fuori delle lezioni di Roa.
Si chiamava "Reverse". Poteva far tornare all'origine qualsiasi cosa, dalle piante agli animali. E se funzionava anche con gli uomini allora...
Mi venne l'illuminazione.
Riportare me e Roa come esseri umani.
Avrei trovato Roa, anche se ci fossero voluti anni, secoli, eoni... D'ora in poi sarebbe stato il mio obiettivo.
Con questa nuova consapevolezza, poggiai la tazza in terra e andai nella mia stanza a raccogliere le mie cose e altri libri di Roa, sigillando la sua stanza con un alchimia di protezione.

Nei giorni successivi alla scomparsa di Roa, era inevitabile che la scuola si formò un continuo chiacchericcio e movimento, per scoprire dove il Professor Roa fosse finito. In molti mi avevano accusato della sua scomparsa, ma non potevo di certo confessare il motivo dei nostri studi, così, preferì andarmene in esilio, lasciando alcuni tomi di Roa in archivio alla biblioteca. Tranne uno, che scoprì era un diario personale. Di Roa, appunto.
Il professore vi scriveva tutto ciò che riguardava me, i suoi esperimenti e dei suoi sentimenti per "la sua splendida Helen", che non riusciva mai a dichiarare apertamente per paura di un rifiuto.
In una delle pagine, trovai una specie di lettera, indirizzata a me.
La grafia di Roa era incerta, probabilmente l'aveva scritta prima delle sue notti insonne.

"Se troverai questa lettera, significa che ho raggiunto lo scopo di una vita e che sono divenuto immortale.
Sei stata un ottima allieva, Helen Blanche, e non solo.
Il tuo caffè mi teneva sveglio la notte, i tuoi sorrisi riempivano il mio cuore ormai avvizzito.
Ma con l'immortalità non potrò starti vicino.
La vita degli esseri umani è breve e io non ho conquistato l'immortalità per paura di morire.
Io voglio avere tutte le conoscenze di questo mondo e sono sicuro che capirai le mie ragioni.
Ti lascio, mia splendida Helen, ti ho amato e non te l'ho mai detto, mi spiace non aver
condiviso con te questa gioia, so che una ragazza come te lo desiderava.
Ma ti amerò per sempre.
Può sembrarti una definizione banale, per te che sei mortale,
ma per me non avrà mai fine.
Addio, Helen Blanche.

Micheal Roa Valdamjong."

Strinsi la lettera tra le mie mani, sorridendo felice. Peccato che Roa non avesse previsto lo svolgersi degli eventi, perchè adesso anch'io coglievo a pieno il significato di "per sempre".
E lo avrei rafforzato viaggiando, con il mio unico scopo. Ritrovare Roa.

OWARI

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=313938