TWO WORLDS COLLIDE

di ToInfinityAndBeyond_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CHAPTER 1 ***
Capitolo 2: *** CHAPTER 2 ***
Capitolo 3: *** CHAPTER 3 ***
Capitolo 4: *** CHAPTER 4 ***
Capitolo 5: *** CHAPTER 5 ***
Capitolo 6: *** CHAPTER 6 ***
Capitolo 7: *** CHAPTER 7 ***
Capitolo 8: *** CHAPTER 8 ***
Capitolo 9: *** CHAPTER 9 ***
Capitolo 10: *** CHAPTER 10 ***
Capitolo 11: *** CHAPTER 11 ***
Capitolo 12: *** CHAPTER 12 ***
Capitolo 13: *** CHAPTER 13 ***
Capitolo 14: *** CHAPTER 14 ***
Capitolo 15: *** CHAPTER 15 ***
Capitolo 16: *** CHAPTER 16 ***
Capitolo 17: *** CHAPTER 17 ***



Capitolo 1
*** CHAPTER 1 ***





CHAPTER 1.

FAITH'S POV:


Mi svegliai con il rumore assordante della sveglia, grugnendo la spensi girandomi verso Effy. I suoi capelli castani erano sciolti sul cuscino, aveva gli occhi chiusi e sembrava così serena che mi dispiaceva quasi svegliarla.

 
 Dopo alcuni istanti notai un’altra figura nella stanza con noi, mi voltai e vidi zio Simon guardarmi sorridente. Mi fece segno con la testa di scendere al piano di sotto.
 
Mi alzai infilando  i piedi nelle pantofole accanto al mio letto e raccogliendo in una coda alta i miei capelli ricci e ramati. Dopodiché aprii la finestra della stanza e tolsi le coperte da sopra la mora.
 
Effy si girò infastidita ed io mi sedetti accanto a lei nel letto.
 
“Oggi si lavora, quindi alzati bambolina” le sussurrai all’orecchio per farla svegliare.
 
Lei emise un urlo soffocato nel cuscino dove stava cercando di nascondere il suo viso, così mi alzai.
 
“Io vado giù a fare colazione. Ti conviene alzarti o lo zio Simon sarà costretto a gettarti una secchiata d’acqua addosso “  la provocai io.
 
Improvvisamente sorrisi pensando a quando Effy aveva circa undici anni, con lo zio mi gettarono una secchiata d’acqua gelata mentre dormivo sul letto ed io dovetti dormire con lo zio per una settimana finché non si asciugò il materasso.
 
Uscii dalla camera strisciando i piedi sulle scale ed aggrappandomi al corrimano per non cadere con la faccia per terra. Entrai dopo in cucina trovando lo zio intento a preparare la colazione; gli stampai un leggero bacio sulla guancia e mi diressi verso il frigo aprendolo e prendendo una bottiglia di latte.
 
 “Buon giorno! Dormito bene?” mi chiese lui guardandomi da sopra gli occhiali. Io annuii mentre versavo il latte in una tazza.
 
 “Effy?” chiese poi continuando a cucinare.
 
 “E’ sveglia, credo si stia per alzare” gli risposi bevendo del latte.
 
Lui subito sorrise e portò sul tavolo le frittelle che ci aveva cucinato.
 
 “Andiamo a riempire il secchio, che ne dici?” propose poi ironicamente zio Simon. Io risi ed in quel preciso istante, una Effy stravolta comparve sulla soglia della porta guardandoci sbattendo ancora le palpebre assonnate.
 
 “Grazie per la premura, ma non ce n’è bisogno. Sono qui” sbadigliò dando anche lei un bacio sulla guancia dello zio e sedendosi al tavolo. A quel punto iniziammo a fare colazione.
 
“Oggi è il grande giorno!” esclamò lo zio rivolgendosi a me ed  Effy.
 
 “Come se dover andare a pulire da gente snob e ricca fosse una cosa entusiasmante” ironizzai finendo di bere il latte restante nella mia tazza. Effy mi fece una smorfia con la lingua ed io sogghignai.
 
 Quando finimmo di fare colazione, Effy ed io ritornammo nella nostra camera per cominciare a prepararci per andare all’incontro con Oscar, il custode della casa in cui saremmo dovute andare a lavorare.
 
 “Ci dobbiamo vestire in modo formale?” mi domandò Eff guardandomi.
 
Io andai a cercare degli abiti nell’armadio e le risposi “Dobbiamo fare una buona impressione, perciò sì”. Vidi lei sbuffare e potevo comprenderla. A sedici anni non era la prospettiva più allettante dover andare a fare le pulizie nella casa di alcuni ricchi e snob.
 
 Trovai una camicia di un rosa pallido e dei pantaloni beige, così li indossai. Raccolsi i miei ricci indomabili in uno chignon e misi un po’ di cipria sul viso. Mi guardai allo specchio studiando il mio riflesso; che strano io con dei vestiti così…  formali, non credo ci sia cosa migliore di una giacca di pelle nera. Passai allora a concentrarmi su i miei occhi, grandi e scuri, presi a quel punto una matita nera per delineare almeno il contorno e alzando gli occhi notai lo smalto rosso laccato che la sera prima mi ero dimenticata di rimuovere; alzai le spalle di sicuro non mi avrebbero licenziato per uno smalto acceso. 
 
Poi mi voltai verso Effy, la quale indossava una camicia bianca e dei jeans a sigaretta. Alcune ciocche di capelli le scivolarono sulle mani mentre cercava di allacciarsi nervosamente i bottoni della camicia, allora la guardai e le feci un sorriso incoraggiante al quale rispose poco convinta. Le passai il mascara e lei lo passò sulle sue lunghissime ciglia che rendevano ancora più meravigliosi i suoi occhioni verdi.
 
Misi un lucidalabbra e sospirando sistemai i letti pur lasciando la mia parte della camera nel caos, ci avrei pensato una volta tornata a casa.
 
 Quando fummo pronte, scendemmo al piano di sotto dove trovammo zio Simon in salotto immerso nella sua solita lettura del giornale. Dopodiché ci guardò ed esclamò
 
 “Siete davvero bellissime!”. Poi aggiunse “Volete che vi ci accompagni con la macchina? Dovrebbe esserci abbastanza benzina”.
 
 Io gli sorrisi, ma rifiutai la proposta “Grazie zio, ma non è distante da qua, ci impiegheremo massimo dieci minuti ad arrivare”.
 
 Lui annuì ed alzandosi dalla sua poltrona ci baciò le fronti augurandoci buona fortuna.
 
 Successivamente uscimmo di casa ed iniziammo ad incamminarci verso il posto in cui avremmo dovuto lavorare, ero riuscita tramite della amicizie a trovare questo lavoro che avrebbe dato una mano a tutti, la paga era buona e potevamo lavorare dopo scuola.
 
Vidi Effy continuare a toccarsi i capelli e capii che era alquanto nervosa, così cercai di calmarla
 
 “Hey, rilassati un po’. Non essere così agitata”.
 
 Lei si morse il labbro inferiore e poi guardandomi preoccupata si mise le mani in tasca annuendo lentamente allora io le presi una mano facendola fermare e abbracciandola forte come quando eravamo piccole.
 
 Dopo una decina di minuti arrivammo finalmente davanti alla casa, o meglio a quella che pensavamo fosse una casa, dato che dalla sua imponenza era più simile ad una reggia.
 
Ci fermammo davanti al cancello laccato scuro e suonammo al citofono che subito dopo si apri, da quella prospettiva tutto sembrava ancora più maestoso la facciata bianca spiccava sul prato verde tagliato perfettamente e in mezzo a due archi si trovava un immenso portone in legno. Esso si spalancò lasciando che la figura di un uomo alto e snello ci venisse in contro; Aveva il viso scavato e gli occhietti piccoli e neri come la pece.  Indossava una divisa composta da una giacca nera e da una camicia bianca con una cravatta nera anch’essa e con dei pantaloni grigi scuri che seguivano la forma delle lunghe gambe magre.
 
 “Siete le signorine Reynolds?” ci chiese scrutandoci da cima a fondo.
 
 Vidi Effy continuare a mordersi il labbro inferiore con insistenza, così risposi io per tutte e due
 
“Sì, io sono Faith, mentre lei è mia sorella Elizabeth”.
 
L’uomo ci porse la mano ad entrambe e si presentò
 
“Io sono Oscar, sono il custode e gestisco l’organizzazione dell’intera casa. Se volete entrare vi mostrerò come è organizzata e soprattutto vi affiderò le vostre mansioni”.
 
 Noi annuimmo ed entrammo nella gigantesca villa come prima cosa c’era un enorme scala in marmo con dei passamano in mogano, alzai lo sguardo vedendo una della cose più belle da quanto sono venuta al mondo un lampadario pieno di pietre lucenti che riflettevano la luce rifrangendola nei diversi colori.
 
Vidi subito lo sguardo di Eff postarsi su un meraviglioso pianoforte laccato di nero posto in un soggiorno gigantesco un divano nero era posto davanti ad una televisione lunga mezzo metro attorno ad esso si trovavano delle poltrone dello stesso colore. Sul lato sinistro della sala c’era un tavolo lunghissimi in legno con una base di vetro poggiata sopra che rendeva la struttura molto appariscente, ma per me poco stabile, la stanza in generale aveva della enormi porte-finestre le quali davano una meravigliosa vista sulla  piscina olimpionica. 
 
Subito dopo Oscar si allontanò ed andò vicino ad un tavolo per poi ritornare con degli indumenti. Erano le nostre divise, così ne porse una a me ed una a mia sorella.
 
 “Dunque, tra pochissimi giorni i padroni della casa si trasferiranno qui e il tutto deve essere impeccabile. Vi chiederò di sistemarla, pulirla e renderla il più accogliente possibile. La vostra mansione qui sarà quella di tenerla sempre pulita e in ordine. Ma ciò non toglie che dovrete dare una mano a Betty in cucina quando ne avrà bisogno, o a Sputnik il maggiordomo di casa” spiegò Oscar guardandoci sempre fisse negli occhi.
 
 “Sono stato abbastanza chiaro?” chiese infine per essere sicuro di essersi ricordato tutto ciò che comportava la sua spiegazione.
 
 “Cristallino” gli risposi io sorridendogli.
 
 Poi si guardò velocemente intorno e disse
 
 “Potete anche cominciare ora se volete”.
 
 “Certo, va benissimo” risposi io, mentre Effy si limitò ad annuire.
 
 Lui annuì e si sforzò di fare un sorriso. Poi aggiunse
 
 “I nuovi padroni sono abbastanza esigenti, per cui vi chiedo di avere riguardo negli orari di lavoro”.
 
 “Non si preoccupi, saremo puntuali. Ma questi proprietari come sono?” mi azzardai a chiedere presa della mia perenne curiosità. 
 
Oscar si schiarì la voce e ricomponendosi rispose  
 
 “Mi scusi signorina Reynolds, ma non sono tenuto a dare giudizi prematuri o informazioni private sui nuovi proprietari”.
 
 Mentre annuii passivamente, sentimmo una voce femminile provenire dalla cucina la quale ci chiedeva di avvicinarci. Ci guardammo e  la seguimmo. Una donna bassina ed un po’ cicciottella ci salutò con le guance sporche di farina. Aveva dei grandi occhi marroni e dei capelli biondi ricci che teneva raccolti in una retina sulla testa. Venne verso di noi con un enorme sorriso dipinto sul volto e si presentò.
 
 “Salve ragazze, o sono Betty, la cuoca, mentre queste dolcissime ragazze chi sarebbero di grazia?”.
 
 Noi le sorridemmo ed io ci presentai
 
“Io sono Faith  e lei è Elizabeth”.
 
 “Ma puoi chiamarmi Effy” aggiunse poi mia sorella porgendole la mano.
 
 Betty spostò dolcemente la mano di Effy e si chinò verso la sua guancia dandole un bacio affettuoso; lo stesso poi fece con me. Subito dopo iniziammo a parlare e le raccontammo un po’ di noi. Poi Betty, sentendo la mia precedente domanda, ci racconto quello che sapeva sui proprietari. 
 
“Da quello che so e che mi ha detto Oscar, sono i signori Grier. Vengono dall’ Inghilterra e arriveranno appena tornano dal viaggio di nozze. Per quello che ho capito io sono il signore ha un figlio e si è sposato il mese scorso con una certa Anne la quale aveva un figlio anche lei.La signora dell’agenzia immobiliare mi ha anche detto in confidenza che sono dei bei giovanotti e che dovrebbero avere più o meno la vostra età.”
 
Pronunciate queste parole ci fece un buffetto sulle guance facendoci iniziare a cucinare.
 
Effy si staccò da me per andare a pulire la piscina con un certo Sputnick, credo sia una specie di tutto fare, comunque io stavo tagliando le verdure mentre conversavo amorevolmente con Betty era un’ amore quella donna.
 
“Vai a dare una mano all’altra principessa” disse lei sorridendomi.
 
Non so se la rendevano più adorabile le guance rossicce o le rughette ai lati degli occhi quando sorrideva; detto questo uscii a vedere cosa stava combinando.
 
La vidi intenta a tirare via delle erbacce dal bordo piscina, allora mi avvicinai per darle una mano; lei mi sorrise lasciandomi fare, feci finta di sputare sulle mani ed iniziai a tirare.
 
“Che succede?” sentimmo una voce dietro di noi e subito ci girammo. 
 
“Non riusciamo a staccarle” risoindemmo noi.
 
Lui ci guardo e poi si avvicinò, piegò un po’ le gambe per darsi la spinta e iniziò a tirare subito non riuscii a notare alcun cambiamento poi però la pianta si staccò di getto, Oscar non pronto cadde all’indietro finendo dritto in piscina. Getti d’acqua uscirono da quest’ultimo io e Eff ci guardammo trattenendo le risate, l’uomo ci guardò serio per poi scoppiare a ridere con noi.
 
Mi avvicinai al bordo tendendogli la mano che subito accettò uscendo dal’acqua;arrivò una figura maschile dietro di noi, un uomo intono hai sessant’anni con dei capelli corti scuri era alto quanto noi e notai uno strano accento quando inizio a parlare
 
“Cosa essere successo qua?”
 
“Nulla di rilevante, sono solamente caduto, perciò ora andrò a cambiarmi. Nel frattempo, sono lieto di presentarle le signorine Reynolds” rispose Oscar spogliandosi la giacca completamente fradicia.
 
“Elizabeth, ma può chiamarmi Effy” pronunciò mentre gli porse la mano, il quale la strinse energicamente
 
“ E quest’ altra bella signorina?” domandò poi guardandomi.
 
Io sorrisi e risposi “Sono Faith”.
 
“Sputnik” concluse lui ammiccando un sorriso.
 
“Ora che le presentazioni si sono concluse, tutti al lavoro!” esclamò Oscar battendo le mani vigorosamente.
 
 Appena si girò per andarsi ad asciugare, la nostra nuova conoscenza russa gli fece la linguaccia. Io ed Effy non riuscimmo a fare a meno che ridere, ma ciò fece in modo che Oscar si voltasse verso la nostra direzione e Sputnik tornò serio fino a che il custode non se ne andò definitivamente e a quel punto potemmo dare sfogo a tutte le nostre risate liberamente.
 
Dopo che estirpammo tutte le erbacce dal bordo piscina, sistemammo alcuni mobili con l’aiuto di Sputnik. Pulimmo poi le stanze e mentre Effy sistemava il salotto io davo una ripulita alle camere da letto al piano superiore.
 
Quella casa poteva ospitare sì e no almeno trenta persone senza problemi. Era veramente gigantesca ed una camera era grande quanto due stanze e mezzo.
 
Verso il pomeriggio finimmo di lavorare e dopo aver salutato Oscar, Sputnik e Betty ce ne tornammo a casa. Lungo il tragitto vidi Eff camminare con il fiatone, così le dissi
 
“Conviene che tu ci faccia l’abitudine. E tieni conto che abbiamo lavorato solo poche ore rispetto a quando inizieremo a lavorare a tempo pieno”.
 
Quelle parole non l’avevano incoraggiata di certo, ma volevo essere sincera con lei. Ma sapevo che era una ragazza in gamba e che avrebbe capito a pieno le mie precedenti parole.
 
****
 
Verso le dieci e mezza di sera andai con Eff sul divano. Aveva la tv accesa, ma quando mi voltai verso di lei, vidi che i suoi occhi erano chiusi. Era stanca morta, ma potevo capirla.
 
Dopo alcuni istanti arrivò zio Simon che si andò a sedere sulla poltrona accanto al divano. Mi sorrise e dopo mi chiese a bassa voce indicando Effy
 
“Sì è già addormentata?”.
 
Io mi girai verso di lei ed annuii. Dopo zio Simon si avvicino ad Eff e la prese in braccio facendo attenzione a non svegliarla.
 
“La porto nel suo letto, almeno potrà dormire dopo” bisbigliò portandola nella nostra camera.
 
Dopo alcuni minuti spensi la tv e raggiunsi Effy. I miei occhi non riuscivano più a restare aperti, così mi misi il pigiama e mi infilai sotto le coperte. In pochi minuti mi abbandonai completamente tra le braccia di Morfeo.

 


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         SPAZIO AUTRICI :) 

Hei Babes :D
Siamo Gre & Fede, questa è la nostra nuova FanFiction!
Nella storia ci saranno Harry Styles, Nash Grier & si aggregheranno anche i 5SOS :)
Questo è il sito del nostro trialer:  
https://www.youtube.com/watch?v=j70Orat4VGU
Ci farebbe molto piacere se ci lasciaste una piccola recensione per sapere cosa potremmo migliorare e cosa ne pensate!
 
Un  bacione, 
-Gre & Fede

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Capitolo 2
*** CHAPTER 2 ***




CHAPTER 2.

EFFY'S POV:
 
 
La mattina seguente mi svegliai intorno alle otto del mattino ed iniziai a battere le palpebre alzandomi lentamente dal letto. Mi girai verso Faith, ma vidi il letto vuoto e completamente rifatto. Mi alzai e mentre stavo andando in bagno per darmi una rinfrescata la vidi mettersi le scarpe.
 
“Che ci fai ancora in pigiama? Alle otto e mezza dobbiamo essere alla villa!” esclamò scrutandomi con i suoi grandi occhi marroni.
 
“Faccio il prima possibile” le risposi mortificata correndo subito in bagno.
 
Aprii il rubinetto e mi lavai il viso con l’acqua fredda per darmi una svegliata. Poi andai subito in camera ed indossai la divisa che ci aveva dato Oscar il giorno prima. Mi diressi in bagno un’ ultima volta e misi un po’ di mascara ed uscii. Trovai Faith davanti a me continuando a battere l’indice sul suo orologio da polso.
 
“Sono pronta!” esclamai alzando le mani.
 
Lei sogghignò e scosse la testa avvicinandosi a me. Prese la mia cravatta tra le mani e delicatamente me la sistemò, dopodiché aggiustò anche le maniche della mia camicia dandogli la stessa lunghezza.
 
“Hai intenzione di andare scalza?” ironizzò dopo indicando i miei piedi.
 
Scossi la testa ed andai a mettermi delle Vans nere.
 
Subito dopo scendemmo al piano di sotto e zio Simon ci propose di fare colazione, ma a causa del mio ritardo non potevamo permetterci di perdere altro tempo. Lui insistette e ci diede dei sandwich da mangiare lungo il tragitto, così li accettammo ed uscimmo subito di casa.
 
Mentre camminavamo guardai Faith mangiare il panino. Era strano vederla indossare quella divisa. Solitamente indossava giacche di pelle e jeans e vederla in quegli abiti così formali, aveva un’aria più matura. Dopodiché iniziai a mangiare il mio panino e per tutto il tempo non feci altro che guardare il cielo. Era così perfetto quella mattina; le nuvole bianche che si spostavano a rallentatore facendosi spazio l’una con l’altra, il leggero rosa pallido delle luci di prima mattina e quella costante aria marina che mi invadeva le narici.
 
Dopo alcuni minuti arrivammo davanti ai cancelli della casa e Sputnik ci venne ad aprire.
 
“Buon giorno Faith” disse guardando mia sorella la quale ricambiò.
 
Poi si girò verso di me “Buon giorno anche a te Eff”.
 
“Buon giorno Sputnik” gli risposi sorridendo.
 
Entrammo nell’ingresso dove ieri Oscar ci aveva spiegato le nostre mansioni.
 
“Buon giorno signorine Reynolds!” esclamò una voce scendendo dalle scale.
 
Alzammo i nostri nasi all’insù e vidimo Oscar con in mano un piumino che stava spolverando accuratamente il corrimano delle scale.
 
Quando scese venne verso di noi e ci disse sospirando
 
“Ci tengo a darvi la lieta notizia io stesso: domani verso mezzogiorno, i Signori Grier arriveranno qua, perciò entro oggi la casa dovrà essere impeccabile”.
 
Io diressi il mio sguardo a Faith la quale annuì continuando a tenere gli occhi fissi sul custode.
 
“Per cui tutti al lavoro ora!” concluse l’uomo di fronte a noi battendo le mani facendoci sobbalzare.
 
Oscar se ne andò verso le altre stanze del piano inferiore, mentre io e Faith restammo immobili per alcuni secondi.
 
“Vado a sistemare di sopra, tu riordina i mobili in salotto e se hai bisogno di una mano chiamami che scenderò subito” mi disse poi mia sorella mentre saliva le scale per recarsi nelle stanze superiori.
 
Io mi diressi verso il salotto e nonostante l’immensità d’oggetti posti su ogni tavolo, mobile e ripiano della stanza, i miei occhi restarono fissi su quel stupendo pianoforte in nero laccato. Non potetti fare a meno che avvicinarmi e toccai delicatamente la sua superficie con le dita. Non avevo mai visto un piano così grande; era a coda ed i tasti erano perfettamente spolverati uno per uno.
 
Sentii una mano posarsi sulla mia spalla destra e sobbalzai. Era Sputnik che sorridendo mi chiese
 
“Sa suonarlo?”.
 
Io annuii timidamente, ma poi mi ricordai che ero lì per sistemare la casa e non per tenere un concerto, così gli chiesi di aiutarmi a spostare alcuni mobili nel soggiorno. Lui annuì e dopo andammo a sistemare alcuni arredi.
 


FAITH'S POV: 
 
Ero al piano sopra a sistemare tutte le tovaglie del immenso bagno della camera da letto; sì perché ogni camera aveva il bagno privato. La vasca da bagno circolare era posta sotto la finestra ma messa in modo che le persone dall’ esterno non riuscissero a vedere nulla dell’interno.
 
Non avevo mai adorato una vasca tanto quanto quella. I rivestimenti erano di marmo rosato e dove la struttura poggiava sul muro c’erano dei porta bagnoschiumi.  Rimasi a fissarla per un po’, ma poi risvegliatami dalla mia momentanea estraneazione, continuai quello che stavo facendo.
 
Finito passai in cucina a dare una mano a Betty che era in ansia perché non sapeva che menù proporre ai nuovi arrivati; mi sedetti sulla sgabello alto allentandomi un po’ la presa della cravatta.
 
“Allora cosa preparerai di buono?”chiesi cercando di fare conversazione.
 
“Non ne ho la minima idea! Tieni, assaggia questa” mi chiese quasi lanciandomi la forchetta.
 
Assaggiai la strana poltiglia bianca. Un gusto di pesce mi pervase i sensi e non riuscii a non fare una faccia meravigliata; la donna accanto a me sorrise raggiante continuando a cucinare.
 
“Cos’è?” chiesi io appoggiando i gomiti sul tavolo stiracchiandomi; avevo la schiena a pezzi.
 
“Aragosta” rispose lei continuando a cucinare.
 
“Cazzo!” esclamai subito pentendomi della mia mancata eleganza.
 
Betty mi guardò sogghignando e mi diede un buffetto sulla guancia, facendomi arrossire.
 
“Non sono parole adatte ad una signorina, ma non c’è bisogno che qualcuno lo sappia e poi lo so, lo so, la mia aragosta è la migliore” si vantò la cuoca. Io risi sentendomi più tranquilla.
 
 In quel momento la porta della cucina si aprì e mia sorella si presentò davanti a me con una faccia sconvolta.
 
“Stanca?” le chiesi io ironicamente.
 
Lei mi lanciò un’occhiataccia e si sedette accanto a me.
 
“Oggi siete state davvero brave, tenete”disse Beth porgendoci un biscotto a testa e una bevanda giallastra. Annusai il liquido e riuscii a distinguere l’odore di ananas, ma ero troppo stanca per protestare e quindi lo ingurgitai.
 
“Che cos’è?” chiese Effy analizzando con lo sguardo il succo dal bicchiere.
 
“Ananas e frutto della passione, lo offrirò domani ai proprietari” concluse lei soddisfatta.
 
“Quando arriveranno?” domandai io mentre finivo di mangiare il mio biscotto.
 
“Intorno al le 11.00, l’aereo da Santo Domingo dovrebbe arrivare per quell’ora se sarà  in orario”.
 
Io annuii finendo di bere, ma Effy come avevo supposto era troppo curiosa per non fare altre domande.
 
“Wow!  Ho sempre voluto andarci, ma perché si sono trasferiti qui?”
 
“Il Signor Grier lavora in banca e gli hanno dato il trasferimento qui, così lui ha deciso di sposarsi e poi di venire qui con tutta la famiglia”.
 
La discussione però non andò oltre perché in quel momento Oscar entrò in cucina seguito da Sputnik il quale ci guardò male, ma prima che iniziasse a sgridarci, Betty parlò in nostra difesa.
 
“Non azzardarti a dire niente Oscar. Sono stanche morte, non le hai viste? E poi mi stanno dando una mano con il menù”.
 
Lui non protestò. Forse era troppo stanco anche solo per parlare, così si sedette con noi e Sputnik lo seguì. Passammo ancora una mezzoretta a parlare della giornata successiva, delle mansioni e di quello che avremmo dovuto fare. Saremmo dovute essere pronte a lavorare per le 9.00 visto che il grosso lo avevamo già svolto in questi due giorni; quindi ci alzammo tornando a casa.
 
Non mancarono le battutine di Betty come mettere qualcosa di scollato per i nuovi arrivati, alle quali Oscar rispose che dovevamo essere dannatamente impeccabili e formali.
 
Bussai alla porta di casa, visto che la macchina dello zio era nel vialetto, doveva essere già tornato dal lavoro. Subito dopo ci venne ad aprire sorridente. Lo salutammo ed entrammo in casa. Io salii al piano di sopra a lavarmi, mentre Eff rimase giù.
 
 Entrai dritta in bagno. La nostra casa sembrava un buco rispetto alla villa dei Grier, ma era l’unica che potevamo permetterci e ormai c’ero affezionata.
 
Tolsi la coda lasciando che i capelli mi scivolassero sul collo, a quel punto slacciai la cravatta e la camicia lanciandole in un angolo. Mi misi sotto la doccia lasciando che il vapore dell’acqua calda mi inebriasse i sensi e sciogliesse i miei muscoli doloranti. Avevo sempre detto di non essere adatta a fare la donna di casa. Infine mi lavai.
 
Indossa il pigiama e scesi a dare una mano a cucinare, in cucina c’era solo lo zio e io lo abbracciai da dietro.
 
“Che si mangia?” chiesi incuriosita.
 
“Pollo e patatine” rispose lui sorridente.
 
“Mmm mi piace !”
 
“Vi sono arrivati gli orari delle lezioni” disse lui poi.
 
In quel preciso momento, Eff entrò dalla porta lanciandosi direttamente sul pacco posto sul tavolo.
Io mi chiesi il perché si debba andare a scuola. Subito dopo andai lentamente vicino a lei. Era il suo primo anno alla L.A.H.S quindi non la biasimavo, ma non c’era bisogno di tutto quell’entusiasmo. Era solo una scuola privata per ricchi snob che si credevano migliori degli altri. Se non fosse stato per lo zio che ci teneva tanto, sarei andata alla scuola pubblica senza problemi.
 
La maggior parte dello stipendio serviva per pagare quella fottuta scuola. Certo, sia io che Effy eravamo riuscite ad avere una borsa di studio, ma non copriva comunque gli interi costi e dovevamo mantenere costantemente una media superiore a B+, altrimenti anche quel poco di retta pagata dalla scuola avremmo dovuto pagarla noi.
 
Diedi una rapida occhiata al contenuto della scatola e mi buttai sul divano a guardare la televisione. Mangiammo velocemente la cena e poi io mi lanciai al piano di sopra a
dormire, mi infilai sotto le coperte e chiusi gli occhi.
 
“Buona fortuna per domani piccoli angeli” senti sussurrare alla porta dallo zio prima di addormentarmi definitivamente.
 
***

Eravamo sulla macchina dello zio che aveva tanto insistito per accompagnarci di persona alla villa, ero seduta nel sedile davanti e accesi la radio facendo partire una canzone stupenda, il titolo mi era sconosciuto, ma aveva un bel sound classic rock.
 
Arrivammo davanti alla cancellata in ferro battuto e salutato lo zio scendemmo velocemente, sembrava che ci stesse accompagnando al nostro primo giorno di scuola e non faceva altro che ripetere quanto fosse fiero di noi e blablabla.
 
Ci guardammo un attimo e suonammo il citofono, subito dopo il portone si aprii ed entrammo.
 
L’atmosfera era particolare c’era Betty aveva i capelli perfettamente ordinati dentro la retina mentre di solito erano sempre più fuori che dentro, Oscar sembrava avesse un palo nel culo da come camminava ritto. Non riuscii a non ridere per i miei pensieri provocando uno sguardo stranito da Effy; l’unico che non era cambiato di una virgola era Sputnik che aveva sempre la stessa giacca e gli occhietti furbi.
 
“Allora tutti al lavoro dai che arriveranno a momenti e devono avere un benvenuto perfetto”
 
“Se non ti calmi ti infilo nel forno con l’arrosto” ridemmo, ma poi tornammo a lavorare per non fargli venire una crisi isterica.
 
Io uscii in giardino a dare una mano a Sput, il soprannome che gli avevo affibbiato, a dare l’acqua hai fiori e sistemare il gazebo.
 
Mentre stavo sistemando una sedia sdraio a bordo piscina sentii il mio telefono vibrare, visto che Oscar non era nei paraggi mi permisi di sbirciare il nome Luke, avrei risposto dopo. Stavo riprendendo fiato quando sentii il rumore di una macchina accostarsi davanti al cancello, diedi uno sguardo e vidi un’ immensa macchina Mercedes bianca entrare nel vialetto di ingresso, la facciata era a dir poco incredibile e non solo per le luci viola evidentemente truccate, ma per la forma allungata che la faceva diventare quasi paurosa.
 
Mi precipitai in casa e vidi Oscar in preda al panico che parlava con gli altri gesticolando in maniera in controllata.
 
“Allora, allora, allora dobbiamo essere naturali il volo arrivato in anticipo, ma fa’ niente.. Betty col rinfresco come sei? “
 
”Bene solo che… sono un po’ indietro”
 
 “Allora ragazze dopo aver salutato i signori andrete in cucina a darle una mano” io annui convinta cercando di dargli un minimo di sicurezza in più visto che sembrava stessa per vomitare.
 
A quel punto suonarono alla porta.
 
Respirai a fondo nei polmoni cercando di mantenere almeno io un minimo di calma, Effy si stava mangiando le unghie dal troppo nervosismo e io le sorrisi rassicurandola.
 
Ci posizionammo tutti dietro Oscar come dei soldati avevamo le mani dietro la schiena aspettando impazienti.
 
Il primo ad avvicinarsi fu’ un uomo vestito elegante con dei pantaloni perfettamente stirati, era in forma per la sua età pur avendo comunque un accenno di pancia. Continuai a scrutarlo arrivando al viso: i capelli grigiastri erano tirati in dietro con una dose di gel abbondante, e aveva dei bellissimi occhi azzurri.
 
Ci sorrise lasciando entrare una bellissima donna, aveva più o meno la stessa età del marito, indossava un vestito lungo fino ai piedi di un bianco candido che contrasta un sacco la pelle abbronzata. Ai piedi aveva della scarpe basse di colore oro che stavano perfettamente con i bracciali dello stesso colore, un cascata di capelli castani e mossi cadevano sulle spalle magre.
 
A quel punto entrò un ragazzo ed io non riuscii a non guardare mia sorella che lo fissava con una strana luce negli occhi.
 
Era alto e slanciato, aveva le gambe magre strette in dei pantaloni neri sopra portava una camicia a quadri blu che non aveva una grinza, tutto questo abbinato a delle Vans nere identiche a quella di Effy e una felpa. Aveva un colorito chiaro rispetto al resto della famiglia, ciò portava a far risaltare i suoi occhi azzurri, ed enormi, così grandi che rimasi realmente sorpresa era un ragazzo carino poi notai che aveva delle labbra carnose identiche a quelle di quello che supposi essere il padre. I capelli erano alzati in un ciuffo perfetto e aveva un ciuffo biondo tinto che mi fece arricciare il naso, ma cercai di non scompormi troppo.
 
La porta si aprii per quella che presupposi fosse l’ultima volta; entro un ragazzo un po’ più alto del precedente e di sicuro più grande, aveva della gambe lunghe e magrissime strette in dei pantaloni fosse più stressi dei miei. Aveva una camicia grigiastra sbottonata e leggermente spiegazzata rispetto agli altri; dalla parte scoperta di pelle sul petto notai dei tatuaggi, ma non riuscii a carpirne il significato preciso. Le spalle erano larghe e la pelle abbronzata, il suo viso era… non credo ci siamo parole per descrivere i miei pensieri in quel momento,le labbra sottili come quelle della donna erano rosee e appena si mossero fecero scorgere delle fossette nelle guance. Gli occhi erano a mandorla di un verde brillante, le ciglia lunghe resero il suo sguardo così penetrante che mi trovai ad indietreggiare di un passo.
 
“Salve Signori Grier, io sono il capo del personale” disse Oscar avvicinandosi e tendendo la mano all’uomo, poi iniziò a presentarci uno a uno.
 
“Sputnik, il tutto fare ”
 
“Io sono Betty la cuoca” esclamò lei stingendogli la mano vigorosamente.
 
“E loro sono il nostro nuovo acquisto: Elizabeth e Faith”.
 
Sentii lo sguardo di tutti bruciarmi addosso, e vidi Effy arrossire.
 
L’uomo allora sorrise benevolo presentando la famiglia
 
“Lei è la mia bellissima moglie Anne” le mise  un braccio sul fianco avvicinandola a se.
 
“Hamilton Nash” continuò indicando il ciuffo tinto ed infine disse “Harold Edward”.
 
 Non riuscii a non ridere ma riuscii a mascherarlo a tutti con un colpo di tosse, ma vi prego chi chiama il proprio figlio Harold, quasi tutti perché vidi lo sguardo proprio dell’ ultimo fissarmi stranito dalla mia reazione e passandosi una mano nervosa nei capelli ricci che gli davano un aria ribelle.
 
Alzai lo sguardo per non attirare troppi sguardi addosso a me e continuai con quel sorriso cordiale che mi stava facendo bloccare la mascella. A quel punto andammo in cucina ad aiutare Betty a preparare il pranzo. Stando ad ascoltare tutti i suoi pensieri suoi nuovi arrivati.
 
Io ero completamente estraniata continuando a pensare al ragazzo con i capelli ricci, quanto sembrava diverso dalla famiglia come sembrava ribelle e quanto era attraente.
 
Senti un bruciore al dito e guardai vedendo che mi ero taglia allora buttai il coltello nel lavello e misi velocemente un cerotto.
 
Alla fine riuscimmo a mandare a tavola un pranzo decente servendolo come meglio ci riusciva visto che ne io ne Effy avevamo esperienza.
 
Verso le quattro del pomeriggio uscii in giardino trovando Oscar che disse guardandoci comprensivo
 
“Per oggi andate ragazze”
 
“Finisco sopra e arrivo ” disse mia sorella correndo al piano di sopra io invece sospirai e salutai Oscar avviandomi al cancello.
 
Guardai alla finestra del piano di sopra e Harold guardandomi facendomi un cenno col capo sorridendo al quale risposi con una risatina ed un cenno a mia volta.



EFFY'S POV: 
 
Quando salii di sopra per sistemare le ultime cose, non feci altro che pensare a quel ragazzo dagli occhi color ghiaccio che ora si trovava al piano di sotto a parlare con la sua famiglia. Non avevo mai visto niente del genere e quell’aria inglese che aveva, gli donava ancora più fascino.
 
***

Ormai avevo finito di sistemare l’intero piano superiore, così iniziai a scendere le scale. Mentre posai la mano destra sul corrimano, vidi i due ragazzi salire le scale. Il ragazzo dagli occhi azzurri mi lanciò un’occhiata, ma non mi degnò nemmeno di un saluto. Dietro di lui c’era il suo fratellastro che inaspettatamente mi fece un sorriso mostrandomi le fossette. Io arrossii timidamente e poi finii di percorrere le scale.
 
Quando uscii dalla porta trovai Faith che mi stava aspettando impaziente. Le andai incontro e dopo tornammo a casa. Lungo il tragitto non potetti fare a meno che pensare a quella famiglia.
 
“Faith, cosa pensi dei Grier?” chiesi dopo a mia sorella.
 
Lei continuò a guardare davanti a se impassibile e mi rispose
 
“Niente, sono i nostri capi. È solo lavoro, nient’altro”.
 
Vidi un po’ di delusione nei suoi occhi. Sapevo che Faith era una ragazza abbastanza professionale quando si trattava di lavoro e che non era una ragazza che si sorprendeva facilmente, ma mi fece strano il fatto che la sua curiosità era sparita riguardo a loro.
 
Quando tornammo a casa zio Simon ci aprì la porta e mentre mangiammo ci domandò curioso
 
“Allora, come sono i proprietari?”.
 
Stavo per iniziare a raccontargli quando Faith rispose prima di me
 
“Niente di speciale. Sono i soliti ricchi snob con la puzza sotto il naso. Come c’era d’aspettarsi del resto”.
 
Io alzai il sopracciglio e la guardai. Zio Simon si alzò per sparecchiare e lei scosse la testa verso la mia direzione. Quando finimmo, andammo in camera entrambe ed iniziammo a metterci il pigiama. Vidi l’espressione sul volto di Faith essere uguale a quando eravamo uscite dalla villa.
 
Io mi sedetti sul suo letto accanto a lei e le domandai a bassa voce
 
“Perché hai quell’espressione dipinta sul volto? Sembra che ti abbiano ucciso il gatto”.
 
Lei si voltò verso di me e con riluttanza rispose
 
“Sono solo stanca..”.
 
Capii benissimo che c’era altro, così insistetti.
 
“Andiamo, se vede che hai qualcosa”
 
“Non ho nulla Effy. Ricordati solo che noi siamo in quella casa per lavorare e non per tenere compagnia ai figli dei proprietari. Non siamo dame da compagnia” ringhiò lei infine.
 
Io abbassai lo sguardo ed annuii. Sapevo cosa intendeva e sapevo anche che quelle parole erano la verità. Avrei dovuto concentrarmi sul lavoro, ma non riuscivo a togliermi dalla mente quei due zaffiri.
 
Subito dopo mi alzai dal letto di Faith per andare nel mio.
 
“Buona notte, ti voglio bene” le dissi prima di spegnere la luce.
 
“Buona notte anche a te. Ti voglio bene anche io Eff” rispose lei dopo alcuni secondi.


 
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SPAZIO AUTRICI :) 

Hei dolcezze :D
Iniziamo ad entrare un po' nella storia ora e vedere meglio entrambi i personaggi: Faith ed Effy.
Ci farebbe molto piacere se ci lasciaste una piccola recensione per sapere cosa potremmo migliorare e cosa ne pensate!

 
Un  bacione, 
-Gre & Fede

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Capitolo 3
*** CHAPTER 3 ***




CHAPTER 3.

FAITH'S POV:
 
 
La sveglia suonò facendomi svegliare di scatto. Era il primo giorno di scuola e dovevo fare alzare Effy dal letto se non volevo che facesse tardi.
 
Mi sedetti accanto a lei nel letto e iniziai a scuoterla leggermente.
 
“Svegliaaa!” le urlai.
 
Lei mugugnò infastidita e si girò dall’altra parte facendo finta di non avermi sentito.
 
“Brava, brava arriva in ritardo il primo giorno” la stuzzicai battendo le mani e lei si sedette subito strofinandosi velocemente gli occhi mentre io andai a lavarmi.
 
Presi un paio di pantaloni neri ed iniziai a saltellare cercando di farli salire sulle mie gambe. Erano davvero stretti, li abbinai con una maglietta azzurra e sopra misi una giacca di pelle nera. Presi le scarpe e le infilai scendendo al piano inferiore a fare colazione.
 
Vidi Eff già seduta che stava ingurgitando cereali. Aveva messo una maglietta stampata e un paio di jeans, niente di particolare, ma con mia grande sorpresa vidi che aveva messo le Vans che le avevo regalato per il compleanno.
 
In quel momento suonarono alla porta e spuntò Luke. Era nostro vicino di casa ed era abitudine che ci accompagnasse a scuola visto che aveva in vecchio picup di suo padre.
 
Entrò rubandomi il biscotto che avevo in mano e mangiandolo domandò
 
“Pronta Effy?”
 
“No” rispose lei evidentemente agitata.
 
Luke l’ abbracciò da dietro dandole un bacio sulla fronte;  l’aveva sempre trattata come una sorella minore ed era anche parecchio protettivo con lei, ma questo mi dava sicurezza che lei sarebbe sempre stata al sicuro.
 
“No ma okay, ci sarei anche io insomma..” bofonchiai.
 
Lui si giro verso di me e cercò di abbracciarmi, ma io scappai dalla sua stretta ed iniziò a rincorrermi.
 
“E pensare che tra poco farete 19 anni tutti e due!”esclamò lo zio comparendo nel soggiorno.
 
“Ciao Simon!”
 
“Ciao Luke”.
 
“Dai andiamo se no faremo tardi” ci incalzò poi il nostro inaspettato e momentaneo ospite guardando me ed Effy.
 
Noi salutammo allora lo zio e ci catapultammo di fuori.
 
Salimmo in macchina: Effy si sedette nei sedili dietro, Luke si mise alla guida ed io mi sedetti davanti iniziando a girare i canali radio cercando qualche canzone bella, appena ne trovai una decente io e Luke iniziammo a cantarla a squarcia gola con i finestrini abbassati così che tutti riuscissero a sentirci.
 
Eff si abbassò imbarazzata sprofondando nel sedile e mormorando qualcosa che sembrava
 
 “Domani vado a piedi”.
 
Appena arrivammo io aprii la portiera scendendo e salutando il mio taxista personale; a qual punto diedi un’ occhiata in giro. Niente di nuovo, le solite ragazzine ricche che si vestivano con camice perfettamente stirate e jeans stretti, solo le cheerleader si distinguevano dalla massa, ma sicuramente non per personalità. Indossavano delle gonne inguinali blu e delle magliette succinte bianche.
 
Sorrisi a Effy cercando di darle un po’ di coraggio, poi la accompagnai alla prima classe.
 
Mi resi poi però conto che era tardi e lasciai che andasse da sola, così tornai indietro per entrare nella classe di letteratura.
 
 Non diedi neanche un’occhiata agli altri compagni, in quella scuola non sopportavo nessuno e loro avevano paura di me, ma questo tornava a mio vantaggio così che nessuno veniva a rompermi e potevo stare per conto mio.
 
Appoggiai la testa al banco e chiusi gli occhi. Ero sfinita ed il lavoro alla villa non aiutava la mia carenza di energie; la sera prima ero dovuta entrare dalla finestra perché avevo dimenticato le chiavi e visto che erano le tre di notte passate, lo zio mi avrebbe urlato dietro.
 
Ad un tratto sentii la sedia accanto alla mia strisciare e mi girai incuriosita. Non potevo credere ai miei occhi.
 
Un sorriso luminoso incorniciato da due fossette m’abbagliò lo sguardo.
 
Si sedette ed io dissi con fare poco amichevole
 
“Chi ti ha detto che era libero?”
 
“Mi hanno detto che non c’è la fila per sedersi accanto a te”.
 
Io alzai gli occhi al cielo per la sfacciataggine in quella sua risposta e mi presi però il mio tempo per osservarlo. Aveva una maglietta bianca ed i pantaloni neri stretti. I capelli erano perfettamente spettinati e gli donavano un non so che di magnetico, sapevo che in quel momento avevamo tutti gli occhi puntati addosso, ma non mi importava. Dovevamo apparire belli strani rispetto agli altri.
 
Quello nuovo e dannatamente sexy  con i tatuaggi che si siede accanto a quella inquietante.
 
“Noto dai tuoi occhi che hai mancanza di sonno” sussurrò poi guardandomi con un ghigno al lato della sua bocca.
 
“No, ho solo dormito poco. Allora.. primo giorno?”gli domandai io cerando di cambiare argomento.
 
“Sì, ti piace la letteratura?”
 
“Certo, se no non sarei qui, non credi?”
 
“Sei sempre cosi acida?”sbottò irritato.  I
 
o non potetti rispondere perché in quel momento arrivò il professore e mi alzai in piedi.
 
Ci diede un saggio sulle casualità per la settimana dopo e io presi il telefono per vedere se Effy mi aveva contattato, ma non trovai niente quindi inizia a preparare i libri per l’ora successiva.
 
Vidi Harry avvicinarsi a me.
 
“Allora cosa fai questo pomeriggio?” domandò in attesa di una risposta precisa.
 
“Lavoro, ma scusami perché hai tutto questo interesse per me?”
 
“Perché sei interessante e secondo me sei così aggressiva solo perché hai paura delle persone”
 
“Certo, certo, mi terrorizzi” ironizzai io cercando di dare un toccò sarcastico alla conversazione.
 
 A quel punto si avvicinò al mio collo poggiando le sue grandi mani sui miei fianchi. Non ebbi neanche il tempo di ribattere perché era avvenuto tutto troppo velocemente. Lui che mi stringeva contro il suo petto facendo finire i miei fianchi contro il suo bacino.
 
Poi sentii il suo fiato caldo suo mio collo soffiare
 
“Perché sei attratta da me tanto quanto io lo sono da te”.
 
Dopo tutto finì e lui si staccò e uscendo dall’ aula come se niente fosse successo ed io rimasi qualche secondo a fissare il punto in qui se ne era andato con le guance accaldate e il respiro pesante.
 
Mi affrettai ad uscire da quell’ aula cercando di schivare tutte le occhiate curiose. Passai le ore successive senza ascoltare una minima parola di quello che i professori dicevano, continuavo a pensare alle sue parole, al suo tocco e alle sensazione che quelle due cose avevano procurato in me.
 
A quel punto suonò la campanella della pausa pranzo ed io mi catapultai fuori cercando di pensare ad altro e per fare una miriade di domante ad Elizabeth.
 


EFFY'S POV:
 
Vidi poi Faith rispondere al telefono.
 
“Se resterai qui immobile, non farai di certo nuove amicizie Eff” mi disse lei prima di allontanarsi per rispondere alla chiamata.
 
Non conoscevo nessuno in quella scuola, fatta eccezione per mia sorella naturalmente. Sembravano tutti così perfetti sia nel vestire sia nei comportamenti. Mi iniziai a chiedere se sarei mai riuscita a farmi anche solo un’amica.
 
Mentre ero intenta  a farmi dei pensieri, sentii una mano appoggiar misi sulla spalla destra. Io  mi girai di scatto sobbalzando e vidi due occhi verdi fissarmi insieme a due fossette che ormai riuscivo a riconoscere.
 
“Come mai sei qui tutta sola?” mi chiese Harry guardandomi.
 
Non pensavo che anche Harry facesse la mia stessa scuola.
 
Io abbassai lo sguardo ed arrossi timidamente. Mi faceva un po’ specie che un ragazzo più grande mi parlasse, specialmente se era uno dei figli del mio capo.
 
“B-bhe.. non conosco nessuno qua dentro, voglio dire nella scuola” risposi poi sospirando.
 
Lui accennò un sorriso e le sue fossette ricomparvero ai lati delle guance.
 
Mi guardai un po’ attorno e riuscii a riconoscere Nash in piedi che stava gesticolando ad un tavolo con dei ragazzi e ragazze seduti.
 
Quindi anche loro frequentavano la nostra stessa scuola.
 
“Cos’hai ora?” mi domandò poi Harry prendendomi il foglio dell’orario dalle mani ammiccando un sorriso sfacciato.
 
“Oh, economia polita. Come Nash” disse poi restituendomelo.
 
Non sapevo che Nash seguisse uno dei miei corsi.
 
“Dov’è tua sorella?” mi chiese ad un certo punto guardandosi attorno. Con tutte le domande che mi stava facendo, non potetti non pensare che mi stesse facendo un interrogatorio gratuito.
 
“E’ andata via, doveva rispondere al telefono” gli risposi io continuando a tenere gli occhi fissi su Nash il quale non notò la mia presenza.
 
La campanella suonò ed Harry si alzò in piedi. La sua figura torreggiava su di me ed i suoi ricci gli si spostarono sul viso. Lui li tirò indietro con la mano e disse
 
“Ci si vede Effy” mostrando di nuovo le fossette.
 
Appena la campanella finì di suonare iniziai la ricerca per la classe di economia. I minuti passavano ed io non riuscivo ancora a trovarla. Ad un certo punto chiesi informazioni ad una bidella la quale mi portò davanti alla porta della classe. Feci un respiro profondo ed entrai.
 
Tutti gli occhi erano puntati su di me, mentre io non feci fatica a distinguere quelli di Nash.
 
“Lei è?” mi chiese il professore alzandosi dalla cattedra venendo verso di me con aria poco amichevole.
 
“Reynolds, Elizabeth Reynolds” risposi arrossendo.
 
“Qui non si vedono di buon occhio i ritardatari, lo sa vero Signorina Reynolds?”
 
“Sono mortificata, ma è il mio primo giorno qui e non riuscivo a trovare la classe” spiegai cercando disperatamente di mettere fine a quella scena imbarazzante.
 
“Capisco, ora però si vada a sedere. L’economia non si studia da sola” replicò infine.
 
Io mi sedetti in uno dei banchi liberi nella prima fila. Quando la lezione finì rivolsi il mio sguardo verso Nash, il quale non fece altro che ignorarmi per tutto il tempo. Non che la cosa potesse andare diversamente in fin dei conti.
 
***

Intorno alle cinque arrivammo davanti ai cancelli della casa. Faith suonò il campanello e come sempre, Sputnik venne ad aprirci.
 
Quando poi entrammo, Faith uscì in giardino seguita da Sput il quale disse che aveva bisogno di una mano per sistemare il depuratore della piscina. Nel frattempo io sistemai l’ingresso ed il salone.
 
La casa era completamente in silenzio e capii che non c’era nessuno all’interno; tranne per me, Faith, Sputnik ed Oscar; anche se non l’avevo ancora visto, sapevo che era presente da qualche parte.
 
Improvvisamente non potetti non lanciare uno sguardo al pianoforte illuminato da alcuni raggi di sole nel salotto. Sembrava sentirsi così solo. Mi guardai attorno e dato che non c’era nessuno nei paraggi mi ci avvicinai sedendomi sullo sgabello nero in pelle. Sollevai il coperchio del piano che copriva la tastiera e restai ad ammirare quei tasti bianchi e neri alternati.
 
Provai a premere un Do delicatamente ed il timido suono che emise risuonò per tutto il piano terra. Quel suono mi pervase le orecchie dandomi sollievo. Sentire un un piano di quella fattura era raro ormai. Mi guardai ancora attorno e morivo dalla voglia di suonare una canzone.
 
Iniziai a premere alcuni tasti del piano e decisi di suonare una delle mie canzoni preferite: “Peolpe help the people” di Birdy. Mentre la suonavo iniziai a canticchiarla a bassa voce. Non riuscivo ad esprimere quanto quei suoi mi facessero sentire bene con me stessa.
 
Improvvisamente iniziai a sentire dei passi, ma pensando che fosse Faith o Sputnik decisi di continuare non curandomene.
 
“Adoro quella canzone” sentii alle mie spalle.
 
Io mi girai e trasalii togliendo bruscamente le dite dai tasti.
 
“Non fermarti” continuò poi Harry avvicinandosi verso di me.
 
Non sapevo della sua presenza nella casa, come credo anche gli altri. Indossava una maglietta larga marrone scuro e dei jeans aderenti. I ricci erano completamente sparsi sul suo volto e gli occhi verdi erano puntati sul piano.
 
“S-scusami, pensavo che non ci fosse nessuno e così..” risposi balbettando.
 
Lui poi agitò la mano indicandomi di fargli spazio sullo sgabello.
 
“Ti prego, continua” disse poi guardandomi negli occhi.
 
Io deglutii e riposai le dita sui tasti bianchi del pianoforte. Vidi Harry cercare d’incoraggiarmi con lo sguardo e continuai a suonare.
 
Ad un certo punto lo sentii emettere dei suoni con la voce che poi si trasformarono in vere e proprie parole ed iniziò a cantare. La sua voce così bassa e profonda era accompagnata dal pianoforte e c’era qualcosa di magico in tutto quello.
 
Sentii le vibrazioni provenienti dalla voce di Harry risuonare e lo guardai sorridendo. Dopo alcuni minuti vidimo entrare Faith e Sputnik dalla porta-finestra che portava in giardino. Sputnik rimase incantato dai quei suoni, mentre vidi Faith irrigidirsi appena entrò e vide la scena.
 
Improvvisamente la porta d’ingresso si spalancò ed entrò Nash con un ragazzo mentre stavano amabilmente parlando. Io tolsi le dita dal piano e mi voltai verso di lui incrociando i suoi occhi che guardarono me ed Harry.
 
“State organizzando un concerto e non ce lo dite?” ironizzò infastidito Nash serrando gli occhi.
 
“E chi è questa dolcezza?” domandò poi il suo amico avanzando verso di noi. Vidi la mano destra di Nash afferrare la camicia del ragazzo tirandolo verso di se ordinandogli di tacere.
 
“Calmino Grier” rispose poi quest ultimo sogghignando guardando Nash.
 
“Scusatela!” esclamò Faith venendo verso di me facendomi alzare mentre mi stava portando in giardino.
 
Io abbassai lo sguardo non capendo bene cosa le fosse preso.
 
“Cosa diavolo ti è preso?” le chiesi io osservandola.
 
Lei continuò a non volere incrociare il mio sguardo e rispose bruscamente “Elizabeth, noi siamo qui per lavorare, non per creare spettacolo o queste stupide scenate!”.
 
Io indietreggiai. Vidimo Harry, Nash e l’amico di quest ultimo uscire.
 
“Scusateci, ma per oggi abbiamo finito” disse Faith rientrando in casa per poi riuscire dai cancelli precedendomi a passo svelto.



 
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SPAZIO AUTRICI :) 

Hei dolcezze :D
Iniziamo ad entrare un po' nella storia ora e vedere meglio entrambi i personaggi: Faith ed Effy.
Ci farebbe molto piacere se ci lasciaste una piccola recensione per sapere cosa potremmo migliorare e cosa ne pensate!

 
Un  bacione, 
-Gre & Fede

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Capitolo 4
*** CHAPTER 4 ***




CHAPTER 4.

EFFY'S POV:
 
 
Io e Faith ci trovammo davanti ai cancelli della casa e dopo che avevamo suonato il campanello, Oscar ci venne ad aprire. Entrammo in casa ed iniziammo a lavorare.
 
“I Signori sono usciti, perciò in casa ci sono solo i figli”ci informò poi Oscar.
 
Appena entrata notai subito i due ragazzi sul divano in salotto. Il ragazzo dagli occhi azzurri stava guardando la tv, mentre quello che mi aveva sorriso l’altra sera stava fisso sul cellulare. Faith mi strattonò leggermente il braccio e mi indicò di andare di sopra a pulire.
 
Io salii subito le scale ed iniziai a sistemare le camere. C’erano vestiti sparsi ovunque e c’era ancora metà delle valigie completamente chiuse. Ora che avrebbero sistemato tutto il loro guardaroba ci avrebbero impiegato giorni.
 
Dopo un’oretta finii le stanze e decisi di scendere al piano di sotto per vedere se Faith avesse bisogno d’aiuto. Vidi che i cuscini del divano erano tutti ammucchiati sul tappeto, così andai a raccoglierli.
 
“Come ti chiami?” sentii alle mie spalle.
 
Io mi voltai e vidi due occhi azzurri fissarmi. Arrossii e mi alzai lentamente.
 
“Elizabeth” risposi timidamente indietreggiando.
 
Lui ammiccò un sorriso ed ironizzò “Dovrai pur avere un soprannome”
 
“Effy” risposi io continuando a guardarlo.
 
“Effy..” continuò a ripetersi guardandosi poi attorno. 
“Io mi chiamo Hamilton, ma puoi chiamarmi Nash”.
 
Annuii fissando il tappeto. Era ancora più bello da vicino, non riuscivo a smettere di guardargli quelle labbra carnose. Erano davvero perfette e l’accento inglese nella sua voce mi faceva letteralmente impazzire.
 
Improvvisamente vidi alle sue spalle spuntare Oscar che ci venne velocemente incontro.
 
“Salve Signorino Grier, per caso le ha già anticipato del tennis?”  chiese il custode voltandosi verso Nash il quale scosse la testa.
 
“Oh va bene, la informerò io ora. Signorina Reynolds mi segua!” ordinò Oscar precedendomi.
 
Andammo vicino alle scale ed iniziò a parlare.
 
“Dunque, volevo chiederle una cosa. Avevo già chiesto a sua sorella, ma essendo all’ultimo anno ha voluto concentrarsi sulla scuola, mentre lei è al terzo e volevo domandarle se voleva lavorare al club di tennis”.
 
“Di cosa si  tratterebbe?” chiesi io incuriosita.
 
Oscar si schiarì la voce e dopo continuò a spiegare.
 
“I Signori Grier hanno affittato un campo da tennis al club della zona che richiederà del mantenimento anche quello. Ovviamente la pagheranno anche per quel servizio se deciderà di avvalersene”.
 
Io ci pensai alcuni istanti e dopo accettai. In fin dei conti erano sempre soldi in più che mi avrebbero fatto davvero comodo.
 
“Perfetto. Il Signorino Grier le mostrerà oggi stesso dove è collocato il club in modo tale che potrà recarcisi senza difficoltà le volte future. Lei le farà in breve d’assistente” concluse il custode.
 
Io annuii lentamente e poi si avvicinò Nash.
 
“Verso le tre e mezza fatti trovare fuori, così andremo al club di tennis”.
 
“Va bene” risposi io.
 
Dopo Nash salì di sopra e Oscar si dileguò in cucina.
 
***
Alle tre e mezza mi feci trovare vicino ai cancelli della villa per aspettare ad andare al club di tennis. Dovetti attendere ancora un quarto d’ora prima di veder arrivare Nash. Indossava una camicia azzurro pallido e dei bermuda color beige con delle Vans blu scure.
 
Appena mi vide mi fece un cenno con il capo e poi aprì i cancelli.
 
“La mia macchina non è ancora arrivata, perciò dovremo andare a piedi per questa volta” disse poi iniziando a camminare. Io annuii e abbassai lo sguardo seguendolo.
 
Per tutto il tragitto regnò un perenne silenzio che pregai venisse interrotto dal suono della sua voce, ma purtroppo non fu così. Quando arrivammo al club, Nash si diresse alla reception e parlò con la ragazza dietro al vetro.
 
“Buon giorno, in cosa posso esserle utile?” domandò lei mostrando un enorme sorriso appena vide il volto di Nash.
 
Lui si schiarì la voce e ammiccò un leggero sorriso.
 
“Sono Hamilton Nash Grier” rispose poi lui.
 
La ragazza annuì  ed uscì dalla sua postazione. Indossava una camicia bianca e una gonna nera un po’ troppo corta per i miei gusti, la quale lasciava scoperte le lunghe gambe abbronzate.
 
“Mi segua, la porterò al suo campo” concluse infine lei precendendoci.
 
Io restai dietro di Nash, ma potetti vedere i suoi occhi fare un su e giù lungo il corpo della ragazza.
 
Dopo alcuni istanti uscimmo all’aperto dove c’era una quantità enorme di campi da tennis. Passammo attraverso queste immense strutture e vidimo alcune persone allenarsi lungo la strada.
 
Finalmente arrivammo al campo da tennis dei Grier.
 
“Questo è il campo!” esclamò la ragazza mostrando lo spazio davanti a noi.
 
Vidi lo sguardo di Nash concentrarsi di più sulla scollatura della bionda davanti a noi piuttosto che sul campo da tennis. Dopo alcuni istanti si ricompose e chiese
 
“Perfetto, tu sei?” rivolgendosi alla ragazza, la quale emise una risatina e rispose
 
“Jennifer, ma può chiamarmi Jenni”.
 
Io la guardai disgustata.
 
Improvvisamente la tasca di Jennifer vibrò e tirò fuori un cellulare. Rispose al telefono e dopo disse a bassa voce
 
“Sono mortificata, ma devo lasciarla ora. Spero di rivederla ancora Signor Grier”.
 
“Sicuramente” rispose lui.
 
Quando la bionda se ne andò, Nash entrò nel campo e lo guardò per un po’. Mi diede sui nervi il fatto che per tutto il tempo, sia lui che la ragazza si erano comportati come se non ci fossi. Io iniziai a guardarmi attorno. La coda dei miei capelli iniziò a cedermi, così la disfai e nel breve tempo possibile cercai di rifarla come meglio riuscivo. Nash poi venne verso di me e restò fermo a fissarmi.
 
Non era facile avere quegli occhi così maledettamente perfetti che puntati addosso. Alzò una mano e prese il codino della mia coda e delicatamente lo fece scorrere verso il basso sciogliendola. I miei lunghi capelli mi caddero sulle spalle e alcune ciocche finirono sul viso.  Nash mi si avvicinò e sospirò al mio orecchio
 
“Ora va meglio”.
 
Io lo guardai e timidamente arrossii.
 
“Che ne dici?” chiese poi guardando il campo allontanandosi da me.
 
Io feci spallucce. Non me ne ero mai intesa di tennis, per cui non potevo dare grandi giudizi.
 
“Bhe, quando verrò qua, mi farai da assistente. Non c’è un granché da fare manualmente; c’è già il club che si occupa di pulirlo e mantenerlo” aggiunse dopo riposando il suo sguardo su di me.
 
Dopo alcuni minuti ce ne andammo dal club e ritornammo alla villa.
 
Quando arrivammo Faith era già tornata a casa, così presi le mie cose e me ne andai anche io.

 
FAITH'S POV: 
 
“Quindi sono arrivati gli orari a casa? Mi sconvolgo sempre per tutte le cose che questi ricchi si inventano” disse Luke.
 
Io gli feci la linguaccia tirandogli un pugno sulla spalla e lui ridendo fece finta che di morire dal dolore. Scoppiai a ridere e mi alzai mettendo la giacca.
 
“Andiamo a fare un giro, ti porto alla villa” gli proposi poi. Lui  si alzò e mi segui, uscii dalla porta e la chiusi dietro le nostre spalle.
 
Mi mise a un braccio intorno alle spalle ed io mi appoggiai a lui mentre ci incamminammo per la città. Il programma per quella sera sarebbe stato sarebbe stato una bevuta sulla spiaggia pubblica con gli altri e poi avremmo deciso come continuare la serata.
 
Arrivammo alla zona residenziale più prestigiosa della città e Luke storse il naso;  non gli era mai piaciuto il loro modo di vivere così come se al mondo esistessero soltanto loro. Mi ricordo ancora quando gli dissi che sarei andata a lavorate dai Grier, mi aveva urlato contro che non era nei nostri ideali e come non avrebbe sopportato di vedermi fare la serva; io gli risposi che dovevo avere almeno i soldi per vivere e quando gli parlai della retta di Effy non apri più bocca capendo le mie intenzioni.
 
Arrivammo alla dimora dei Grier e lui spalancò gli occhi.
 
“Cazzo, una casetta da niente insomma, la mia e la tua insieme non sono neanche la metà!” esclamò a bocca aperta.
 
“Lo so” risposi inclinando la bocca.
 
In quel momento gli suonò il cellulare.
 
“E’ Calum, dice che ci stanno aspettando, è meglio andare” io  annui e dando un’ occhiata al balcone mi ritrovai a sperare di vedere un riccio con le fossette, ma non fu così.
 
Camminammo un paio di minuti fino ad arrivare alla spiaggia pubblica, subito tre ragazzi corsero verso di noi. Un mi stritolò in un abbraccia spacca ossa e io faticai quasi a respirare, fino  a che non mi lasciò andare ed io gli dissi
 
“Ciao Mickey”.
 
Poi salutai gli altri dando a ciascuno un bacio sulla guancia
 
“Calum! Ash!”
 
“Faith!” risposero loro in coro.
 
Mi girai ammirando quel bellissimo mare, le onde erano alte e possenti e rifrangevano sulla battigia formando la schiuma. Avevano già acceso il falò e la fiamma faceva formava una tiepida luce che rendeva meno forte l’oscurità che stava inghiottendo il cielo.
 
Mi sedetti accanto a loro sulla spiaggia godendomi il calore e l’odore del legno bruciato e lo scoppiettio continuo dello stesso. Il fuoco era una delle cose che mi affascinava di più, era incompreso solo perché pericoloso, ma quello era anche il motivo per il quale era così indispensabile. Vidi che avevano portato la chitarra allora Michael la prese ed iniziammo a cantare. Loro avevano formato un gruppo ed erano anche abbastanza bravi anche se non lo avrei mai ammesso, cantarono un delle loro canzoni
 
“Social casuality”, essa parlava della voglia di ribellarsi alla società venduta, mettiamola così io non sarei mai stata una di quelle mogli che aspettano pazientemente il marito a casa e Luke non sarebbe mai stato un uomo che passava la vita a comprare anelli di diamante per una donna di vent’anni più giovane.
 
Strofinai le mani perché la temperatura stava calando e sentivo un po’ freddo allora Luke senza che io dicessi niente mi mise la sua giacca sulla spalle, io mi strinsi e gli sorrisi. Verso mezzanotte ci alzammo e andammo ad intrufolarci nella casa degli Strous, era una villa enorme e i proprietari erano due vecchietti che stavano la maggior parte del tempo a Parigi.
 
Scavalcammo la recinzione e mi bloccai in cima, soffrivo di vertigini ed ogni volta che dovevo saltare era orribile. Le gambe mi tremavano e il battito si era fatto accelerato.
 
“Buttati” disse Luke allargando le braccia, ma io scossi la testa, ci saremmo ammazzati tutti e due.
 
“Vedi che ti vengo a prendere”minacciai. Poi mi feci forza e scesi ancora un metro adesso mi trovavo a due metri da terra, chiusi gli occhi e mi buttai.
 
Lui mi prese al volo stringendomi io allacciale le braccia dietro al suo collo, quando mi calmai lo guardai , aveva le labbra arrossate e incurvate in un sorriso.
 
Forse sarà stata per l’emozione o per la paura di essere scoperti ma in quel momento feci degli strani pensieri sul mio migliore amico. C’era una piscina rettangolare la quale sul fondo era piena di lucine bianche, Calum tolse la maglia, era magro con un accenno di muscoli,la pelle ambrata faceva spiccare i capelli scuri e gli occhi neri. Ash si buttò in acqua cercando di fare il meno rumore possibile. Era il più grande del gruppo e questo però non lo rendeva meno idiota degli altri, sorrise uscendo la testa dell’acqua mostrando le sue fossette molto simili a quelle di Harry.
 
Michael a quel punto si buttò seguito da Luke , il primo aveva i capelli verdi e questo non passava inosservato alla gente che si fermava ai capelli senza guardare i bellissimi occhi dolci che a me facevano sciogliere.
 

Io mi alzai i pantaloni fino ai polpacci e immersi le gambe nell’acqua passando la serata a ridere e scherzare con i miei migliori amici.

 
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SPAZIO AUTRICI :) 

Ehi bellezze :)
Eccoci con il 4' capitolo!
Si iniziano a vedere anche gli altri membri dei 5SOS :D 

Ci piacerebbe sei lasciate una recensione per sapere cosa ne pensate!
 
Un  bacione, 
-Gre & Fede

 

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Capitolo 5
*** CHAPTER 5 ***




 


CHAPTER 5.

EFFY'S POV: 
 
 
Erano ormai quasi due settimane che lavoravamo in quella casa e mi ero abituata alla presenza di Harry e Nash e del fatto che dovessi essere più professionale.
 
Appena entrammo nella villa quel pomeriggio dopo la scuola, vedemmo Oscar venire verso di noi.
 
“Questa sera verranno dei parenti dei Signori Grier, perciò dovremo preparare una cena perfetta!” esclamò in tono di assolutezza.
 
Io e Faith ci guardammo entrambe negli occhi ed annuimmo cercando di capire ciò che Oscar ci aveva appena comunicato.
 
Una volta entrate in casa vedemmo Betty che ci salutò mentre stava dirigendosi in cucina. Poi ci chiamò.
 
“Tenete bamboline!” esclamò dandoci due biscotti a testa. Noi la ringraziammo e mentre Betty iniziò a cucinare per la tanto attesa cena di quella sera, Faith mi prese l’avambraccio avvicinandomi a se.
 
“Io sistemo l’interno, tu occupati dell’esterno” ordinò guardandomi.
 
Io annuii ed andai in giardino.
 
Vidi Sputnik che stava potando alcune siepi, così lo salutai.
 
“Ciao Sput!”.
 
Lui posò le cesoie e rispose
 
“Buon giorno Eff”.
 
Gettai un’occhiata alla piscina e vidi che vi erano cadute dentro alcune foglie, così presi il retino e cercai di raccoglierle facendole entrare nella rete. Continuai fino a quando improvvisamente sentii
 
“Ciao Effy!”.
 
Mi girai e vidi Nash ed Harry uscire dalla casa dirigendosi verso i cancelli. Io contraccambiai salutandoli a mia volta.
 
Con la coda dell’occhio vidi Nash avvicinarsi, allora feci finta di nulla.
 
“Hamilton! Muoviti!” urlò Harry salendo nella sua auto.
 
“Harold, non fare la ragazzina!”replicò Nash sogghignando.
 
Io continuai  a pulire la piscina con il retino nonostante sapessi benissimo che Nash voleva che gli dessi la mia attenzione. All’ improvviso sentii prendermi i fianchi e mi voltai di scatto.
 
“Finalmente ti sei girata” sussurrò con un filo di voce guardandomi negli occhi. Io arrossii e abbassai lo sguardo facendo caso alla differenza tra la grandezza dei suoi piedi rispetto ai miei.
 
“Hey?!” esclamò lui poi cercando di attirare la mia attenzione per una risposta.
 
“Stavo pulendo la piscina per stasera..” risposi io guardandolo.
 
Lui alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
 
“Sì.. verranno degli zii” mugugnò con un filo di voce. “Ma non penso comunque che vorranno andare a farsi una nuotata in piscina alle nove di sera” aggiunse ironizzando.
 
Io feci spallucce cercando di essere il meno emotiva possibile di fronte a lui.
 
Le sue mani grandi erano ancora appoggiate sui miei fianchi, così cercai di allontanarmi, ma la sua presa non demorse e si fece ancora più salda.
 
“Dovrei continuare a pulire..” dissi cercando di interrompere la connessione tra i nostri sguardi.
 
Lui sorrise e si avvicinò ancora di più e riuscivo a sentire il suo respiro caldo sulla mia pelle e le sue gambe attaccate alle mie e pregai che questo incontro ravvicinato terminasse il prima possibile.
 
Cercai di indietreggiare, ma non dovetti aver bene calcolato le misure poiché non sentii più le piastrelle della piscina e caddi all’indietro finendo in acqua trascinando con me Nash.
 
Sentivo l’acqua intorno a me e cercai con tutta me stessa di risalire a galla divincolandomi. Le lezioni di nuoto che avevo saltato da piccola si sarebbero rivelate utili in momenti come questi.
 
Aprii la bocca per respirare, ma l’acqua entrò dentro e mi riempì del tutto impedendomi di respirare.
 
Stavo quasi per perdere i sensi finché non sentii un braccio afferrarmi il bacino riportandomi in superficie. Presi un’enorme boccata d’aria e quando aprii gli occhi vidi le mie braccia attorno al collo di Nash.
 
Lui mi guardò e mi aiutò ad uscire dall’acqua.
 
Dopo alcuni istanti vidi il suo sguardo fisso sul mio petto e quando abbassai gli occhi vidi che la mia camicia bianca era diventata completamente trasparente lasciando intravedere il mio reggiseno color nero. Alzai le braccia coprendomi e Nash rise quando se ne accorse.
 
Quando alzammo lo sguardo, vedemmo Sputnik, Faith, Betty, Harry ed Oscar correre verso di noi allarmati.
 
“Cosa diavolo è successo qui?” esclamò Oscar venendo verso di noi. Era talmente spaventato che avevo paura che gli scoppiassero le coronarie da un momento all’altro.
 
“Siamo accidentalmente scivolati in piscina, Oscar, stiamo bene ora” rispose Nash guardandomi con occhi complici.
 
Se eravamo completamente bagnati fradici era solo colpa sua che continuava ad avvicinarsi verso di me.
 
Harry ci guardò ridendo dando un colpetto sulla spalla di Faith, mentre lei ci guardava con sguardo accigliato. Betty iniziò a ridere per la situazione e soprattutto per la faccia rossa di Oscar che sembrava che fossimo quasi annegati. Sputnik si avvicinò e ci chiese
 
“Stare bene voi adesso?”.
 
Noi annuimmo ridendo per il suo forte accento russo.
 
“Sei completamente fradicia Effy! È meglio se via a casa cambiarti” disse Faith.
 
“No! Non c’è tempo!” la interruppe Oscar.
 
“Se vuoi ti presto dei vestiti miei, devo avere qualcosa che ti vada bene” rispose improvvisamente Nash lanciandomi un’ occhiata.
 
Io sgranai gli occhi alle sue parole.
 
“Come?!” esclamai.
 
“Sì, vieni che vedo se riesco a trovarteli” concluse lui facendosi spazio tra le persone facendomi cenno di seguirlo.
 
***
 
Entrammo nella sua stanza e lui si precipitò verso dei cassetti. Tirò fuori alcuni vestiti e poi mi porse una camicia e un jeans cercando di sostituire la mia divisa.
 
“Ti staranno un po’ grandi, ma sempre meglio di andare in giro con quei vestiti gocciolanti” disse guardandomi.
 
Io li presi e poi gli domandai
 
“Dove mi posso cambiare?”.
 
Lui sogghignò e rispose
 
“Cambiati pure qua”.
 
Incrociai le braccia ed alzai le sopracciglia aspettando una sua risposta più plausibile.
 
“Okay, puoi andarti a cambiare in bagno se proprio insisti..” rispose infine indicando una porta della camera.
 
***
Una volta cambiata uscii dal bagno e quando chiusi la porta vidi Nash con dei bermuda a torso nudo che stava cercando di infilarsi una maglietta. A quella vista arrossii subito e non ero ben sicura di dove dovevo guardare.
 
Quando infilò la maglietta mi guardò e sorridendo disse
 
“Ti stanno bene i mie vestiti”.
 
Io iniziai a guardarmi dallo specchio della camera. La camicia era larga e mi arrivava fino a metà delle mie cosce. Le maniche erano il doppio delle braccia e le dovetti risvoltare. Dovetti risvoltare anche l’orlo dei jeans i quali mi stavano larghi anch’essi; anche se dovetti ammettere che erano davvero comodi.
 
Subito dopo scendemmo al piano di sotto e vidi Harry aspettarci in fondo alle scale mentre vidi il suo sguardo diretto verso altrove: Faith.
 
Appena notò la nostra presenza esclamò
 
“Mi sembra di avere due fratellastri ora”. 
 
Io ammiccai un sorriso, mentre Nash rispose
 
“Vogliamo andare ora?”. 
 
Harry annuì e salutando me e Faith se ne andarono uscendo dalla casa.
 


FAITH'S POV: 
 
Erano le nove e venti e tra meno di dieci minuti sarebbero arrivati i parenti dei Grier. Dato che Eff aveva dovuto indossare dei vestiti di Nash, ci saremmo occupati Oscar ed io nel servire le portate, mentre lei sarebbe rimasta in cucina a dare una mano a Betty.
 
 
Io ed Effy stavamo apparecchiando il lungo tavolo, finché ad un certo punto scese dalle scale il ricciolo dalle fossette irresistibili. Lo vidi scendere e lanciare un sorriso a Effy e poi subito a me il quale non contraccambiai troppo carinamente dato che per la maggior parte del tempo quel ragazzo non faceva altro che darmi sui nervi.
 
Senza farmi troppo notare lo seguii con lo sguardo; indossava dei jeans scuri stretti ed una camicia nera aderente che risaltava il suo corpo perfetto. Ai piedi aveva degli anfibi marrone scuro.
 
Si andò a sedere sul divano con in mano il cellulare.
 
Dal fondo del corridoi sbucò poi Anne la quale indossava un bellissimo vestito blu elettrico. Le stava davvero d’incanto e si intonava con le scarpe col tacco color ghiaccio che indossava ai piedi.
 
In pochi istanti la raggiunse suo marito, Chad. Aveva una camicia bianca e dei pantaloni grigio scuro non troppo stretti e delle scarpe lucide nere.
 
“Dov’è Hamilton?” chiese il padre guardando Harry il quale fece spallucce.
 
Chad sbuffò e poi urlò
 

Harry guardò male il patrigno per il suo tono di voce troppo alto e poi prima di abbassare il sguardo sul telefono indugiò un po’ su di me.
 
Dopo alcuni secondi vidimo precipitarsi giù dalle scale Nash.
 
Indossava una camicia grigia e dei pantaloni neri strappati aderenti con delle Vans blu scure. Aveva quel ciuffo biondo letteralmente impregnato di gel che stava ancora sistemandosi mentre stava ancora scendendo dalle scale.
 
Vidi gli occhi di Effy posarsi su Nash come un bambino guarda una torta alla panna.
 
“Eccomi” rispose poi andando da suo padre il quale gli chiese
 
“Perché ci hai messo così tanto?”.
 
Nash andò poi verso lo specchio che dava sul corridoio e sistemandosi i bottoni della camicia e dandosi un’ultima ripassata al ciuffo con le mani rispose
 
“Questo bel faccino ha bisogno di attenzioni” mostrando un sorriso malizioso.
 
A quella risposta storpiai il naso. Passava più tempo lui davanti allo specchio che una ragazza normale e la cosa era alquanto imbarazzante.
 
Improvvisamente il campanello suonò ed Oscar ci chiamò tutti in cucina, mentre i Grier si dirigevano alla porta per salutare gli ospiti.
 
Mentre Oscar stava controllando che tutte le portate fossero pronte, io ed Effy ci appoggiamo allo stipite della porta cercando di spiare la scena.
 
La porta si aprì ed entrò un uomo sulla sessantina alto, abbastanza in carne con uno smoking che doveva essergli costato un occhio della testa. Seguito poi da una donna più giovane che era palesemente e completamente rifatta da capo a piedi, la quale indossava un vestito rosso brillantinato e delle scarpe con un tacco esagerato. Inaspettatamente la porta si riaprì nuovamente ed entrò una ragazza. Era alta, con dei falsissimi capelli biondi mossi , degli occhi azzurri come il ghiaccio la quale sembrava Joker dalla quantità di rossetto e trucco che si era messa. Indossava un mini abito davvero troppo corto per i miei gusti e dei sandali bianchi con un tacco stratosferico.
 
A quella vista mi girai verso Eff la quale fece una faccia nauseata.
 
Quello doveva essere lo zio che iniziò a salutare tutta la famiglia e poi Chad chiamò me ed Oscar. Noi ci catapultammo da loro e disse
 
“Vi voglio presentare mio fratello, Jason, sua moglie Miriam e mia nipote, Madison” annunciò presentando la famiglia, mentre Oscar ed io annuimmo carinamente.
 
Si sedettero tutti a mangiare: Jason e Chad si misero vicini, poi c’era Anne, Miriam, Madison, Nash ed Harry.
 
Io ed Oscar andammo a prendere le prime portate in cucina e vidi gli occhi di Eff puntati su Madison e Nash che stavano animatamente parlando. Io invece sbirciavo con la coda dell’occhio Harry, il quale non dava il minimo segno di interesse a nessuno di loro.
 
Iniziammo a portare la prima portata; Oscar serviva Chad, Jason, Miriam e Anne, mentre a me sarebbe toccato servire Madison, Nash ed Harry. 
 
Feci finta di sistemare meglio i piatti per sentire cosa stavano dicendo.
 
“E questi muscoli da dove spuntano Nash?” chiese maliziosamente Madison prendendo tra le mani i muscoli delle braccia di Nash il quale li mostrava compiaciuto. 
 
“Bhe, fare palestra aiuta Mad” rispose lui sogghignando.
 
 
“Perché tu consideri andare in palestra stare tutto il giorno a mangiare ed andare qualche volta a tennis?” lo stuzzicò Harry lanciandogli un’occhiata.
 
Nash stava per rispondergli a tono fino a quando Madison gli prese il viso 
 
“Andiamo Nash, lo sanno tutti che hai un fisico perfetto, ma la simpatia di Harry è sempre stata la migliore” rispose cercando di fare una risatina fine che sembrava per lo più il grugnito di un maiale al macello alla quale Harry sembrava essersene accorto poiché la guardò arricciando il naso e scuotendo il capo.
 
Vidi poi gli occhi di Harry spostarsi su di me, così dopo averli serviti me ne ritornai in cucina.
 
“A me non sa tanto di cugina quella bionda cotonata seduta a quel tavolo..” sussurrò Effy guardandola infastidita. In effetti non sembrava nemmeno a me un comportamento tra cugini quello tra lei e Nash.
 
Quando riandai per la seconda portata dopo circa un quarto d’ora, riuscii ancora a sentire le parole del discorso.
 
“Come va la scuola Harry?” gli chiese lei mostrando un sorriso perfetto.
 
“Oh, bene” rispose lui abbozzando un sorriso sforzato mettendo in mostra le sue adorabili fossette.
 
Mentre stavo per servire Harry, vidi la mano di Nash allungarsi sotto il tavolo sulle gambe di Madison e a quella vista mi girai disgustata e senza accorgermene picchiai il piatto di Harry contro il suo bicchiere d’acqua che si rovesciò dritto sui suoi pantaloni. Lui si alzò di scatto facendo cadere la sedia dietro di lui e tutti si girarono.
 
“Diamine, Harold! Non sai nemmeno contenerti ai piani bassi!” lo scherzò Nash ridendo indicando la parte bagnata dei suoi pantaloni.
 
Harry tese la mascella e lo colpì alla spalla con un pugno ordinandogli di tacere. Poi guardò i miei occhi mortificati andandosene lungo il corridoio.
 
Arrivò subito dopo Oscar il quale pulendo il disastro si scusò all’incirca dodici volte. Io presi il bicchiere ed il piatto portandoli in cucina.
 
“Cosa è successo?” mi chiese Betty allarmata.
 
“Ho fatto cadere accidentalmente il bicchiere di Harry su i suoi pantaloni” risposi abbassando lo sguardo arrossendo.
 
Betty iniziò a coprirsi la bocca con le mani mentre se la rideva sotto i baffi; oggettivamente era una cosa abbastanza divertente, ma mi sentivo tremendamente in colpa in quel momento.
 
Finita la cena passai per il salotto dove c’erano Anne e Miriam che stavano animatamente parlando del più e del meno, Chad e Jason stavano commentando una partita di football e Nash e Madison erano seduti sul divano dove le braccia di lei erano letteralmente aggrovigliate intorno al collo di lui. Era una scena alquanto rivoltante e girandomi verso la cucina vidi Effy guardarli di nascosto. Aveva la bocca piegata di lato e gli occhi serrati. 
 
Mi diressi versi il bagno al piano di sotto ed appena aprii la porta vidi davanti a me Harry solamente in boxer girato verso di me.
 
“Oddio, scusami!” esclamai coprendomi gli occhi con le mani.
 
“Niente che tu non abbia già visto comunque” rispose abbozzando un sorriso al lato della bocca.
 
Io sbuffai e dissi “Questo è il bagno degli inservienti veramente..”.
 
Lui fece finta di non ascoltarmi, così gli dissi
 
“Dovrei andare in bagno”
 
“Ci sei già” rispose divertito lui.
 
“Sì, ma devo fare pipì”
 
“Falla pure, io resterò girato” continuò cercando di far asciugare il suo pantalone con l’asciugamano.
 
Io incrociai le braccia ed alzai un sopraccigli attendendo che se ne andasse.
 
“Non posso uscire di qua in mutande” si giustificò lui con la mascella tesa e gli occhi dritti nei miei.
 
“Bhe, io devo fare  pipì, perciò esci” replicai io.
 
Lui sbuffò e rispose “Vai nel bagno in camera mia allora”.
 
Io dovevo davvero andare in bagno quindi appena vidi Harry dallo specchio ridere feci una delle cose più assurde al mondo. Mi abbassai i pantaloni ed andai in bagno, ero rossa dall’imbarazzo ma non volevo che trapelasse, mi resi conto che anche Harry non era a suo agio anche se continuava a strofinare i pantaloni.
 
Ero contenta che anche lui si sentisse in quel modo, cioè era colpa sua quella situazione e io me la stavo facendo sotto. Comunque mentre stavo per uscire dal bagno vidi Harry sbuffare ancora in direzione dei pantaloni allora alzando gli occhi al cielo glieli resi dalle mani.
 
“Che fai?” chiese  guardandomi male.
 
 
“Così ci metterai una vita, prendi il phon” gli suggerii io.
 
Lui allora sotto mio consiglio  prese l’elettrodomestico passandomelo, allora io iniziai ad asciugargli i pantaloni.
 
“Non ti vedo come donna di casa” ironizzò guardandomi.
 
“Tu invece staresti bene con un grembiule” replicai io sogghignando.
 
Lui mi sorrise divertito ed io ricambiai, mi piaceva battibeccare con lui, sembrava una cosa davvero naturale.
 
Uscii dal bagno facendo vestire Harry che uscì subito dietro di me mentre  ci guardammo e ridemmo come due imbecilli, chissà cosa avrebbe pensato la gente a vederci uscire dal bagno insieme.
 
Tornai in salotto aspettando che gli ospiti finissero di salutare.
 
Madison si spiaccicò addosso a Harry il quale non l’abbracciò a sua volta allora lei non contenta disse abbastanza forte per cui io vicino a lei riuscii a sentirla
 
“Alla prossima uomo solitario” lui alzò le sopracciglia ed io unii le labbra in un riga per non ridere.
 
Poi salutò Nash, ma a quest’ultimo non sembrava affatto dispiacere appena lei si staccò lui non manco da poggiare senza nessuna cautela il suo sguardo sul suo fondoschiena e lei rise mettendo una mano sulla bocca.
 
A me venne un rigurgito improvviso il quale avrei voluto sfogargli volentieri  su quelle orribili scarpe della presunta cugina.



 
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SPAZIO AUTRICI :) 

Ciao dolcezze :*
Questo è il 5' capitolo!

Speriamo vi piaccia come anche gli altri precedenti :)
Oggi è il compleanno del nostro Harry! Compie già 21 anni :'(
TANTI AGURI HAROLD, TI ANIAMO TANTO lol :') ahahha 
Detto ciò, ci paicerebbe se lasciaste qualcche recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un  bacione, 
-Gre & Fede
 

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Capitolo 6
*** CHAPTER 6 ***


 


CHAPTER 6.

FAITH'S POV: 
 
Guardai l’orologio e sbuffai distrutta erano ancora le 12:45, non ne potevo più di stare anche solo un altro minuto in quel carcere chiamato scuola mi avrebbe ucciso.
 
Quella vecchia e acida di una professoressa di scienze continuava a parlare ininterrottamente di non so quale argomento,mentre il mio cervello si era spento più o meno 44 minuti prima.
 
Sentii il cellulare vibrare nella tasca e allora lo presi nascondendolo dentro l’astuccio per non farlo vedere.
 

 -Sono fuori, rossa-.
 
 Non riuscii a non sorridere come un’ebete; dopo settimane che lo assillavo aveva deciso di venire a prendermi a scuola con la sua nuova moto. Era tanto che non passavamo del tempo soli noi due e sinceramente mi mancava da morire il mio migliore amico. Decisi il testo del messaggio da inviare ed iniziai a digitare, stando comunque bene attenta a non farmi scoprire.
 

-Appena scappo da questa megera con i baffi arrivo, biondino, inizia a scaldare il tuo bolide!-.
 
La risposta non tardò ad arrivare.

 
-
Ci penso io, bambolina-.

 
Aggrottai le sopracciglia perplessa, non sapevo cosa quel biondino avesse in mente ed avevo paura di scoprirlo. Subito dopo qualcuno bussò alla porta ed io non riuscì a fare a meno di alzare lo sguardo curiosa anche se supponevo fosse, come al solito, la bidella con “I dieci motivi per cui non si fuma nei bagni”. Tanto nessuno gli avrebbe mai dato retta.
 
Rimasi qualche minuto ferma a fissare la figura prima di rendermi conto che al posto delle gambe grassocce c’erano un paio di gambe magre strette in dei pantaloni neri strappati, che al posto degli occhiali spessi c’erano un paio di pozze blu da far venire i brividi, che la posto della bidella c’era Luke con le mani dietro la schiena e che mi guardava cercando di non ridere.
 
"Salve signora” disse lui sorridendo.
 
 “Lei è?” chiese incuriosita la professoressa lasciando scivolare un po’ gli occhiali sopra il naso scrutandolo da sopra la montatura.
 
“Luke Hemmings, signora. Sono un nuovo studente e stavo parlando col preside per le nuove direttive e mi ha chiesto il favore di chiamare la signorina Faith Reynolds perché voleva discutere con lei di un paio di questioni”.
 
Lei fece vagare i suoi occhi grigi infossati su tutto il corpo si Luke, dai pantaloni strappati sulle ginocchia che facevano vedere la pelle diafana ai capelli biodi sparati in aria, si fermò un attimo di più a fissare il piercing sul labbro che sembrava luccicare grazie alla luce del sole che entrava dalla finestra.
 
“Vada” acconsentì la signora Smith senza neanche prendersi il disturbo di guardarmi in faccia. 
 
Mi ci volle qualche secondo per  metabolizzare l’accaduto, poi buttai tutte le cose dentro lo zaino e mi lanciai fuori dalla porta senza neanche salutare. Appena uscii, Luke iniziò a ridere come un matto ed io gettai la cartella per terra lanciandomi in braccio a lui, quel cretino mi era mancato come l’aria. Mi strinse a se tenendo salde le mani sotto le mie gambe e sentii la bidella sbuffare dietro di noi, prima o poi l’avrei ammazzata quella rompi palle, continuai allora a rimanere attaccata a Luke ed ogni volta che lui cercava di farmi scendere io mi serravo ancora di più attorno al suo corpo.
 
“Vogliamo stare qui per sempre?”
 
“Ugh, non rovinare questo momento, cretino” borbottai io con la testa nel incavo del suo collo, profumava di Luke: un misto di acqua di colonia scadente e patatine, ma era l’odore più familiare che esisteva.
 
Gli morsi il collo e scesi con i piedi per terra, lui si lamentò e mi osservò mentre prendevo la cartella che era finita sotto i piedi della bidella.
 
Mi piegai e la presi, mentre la megera stava per aprire la bocca per lamentarsi suonò la campanella ed io mi girai uscendo dal edificio col Luke.
 
Il mio sguardo si bloccò sulla moto parcheggiata in mezzo alle macchine super accessoriate dei miei compagni di scuola; allora iniziai a correre e il biondo vicino a me mi venne dietro.
 
“Ti piace?” chiese lui ammiccando un sorriso facendo tintinnare il piercing sul suo labbro.
 
“Cazzo!” esclamai con la solita mancanza di finezza che mi accompagnava ovunque.
 
“Lo prendo come un sì” rispose lui sarcastico.
 
Mentre ero assorta a fissare ogni dettaglio del nuovo gioiellino, sentii Luke strattonarmi il braccio e alzai lo sguardo sulla massa di gente che si affrettava ad uscire.
 
“Chi diavolo è quello con Effy??” domandò Luke in malo modo. Cercai con lo sguardo mia sorella tra la folla, ma non riuscivo a trovarla.
 
“Lì!” esclamò poi prendendomi il braccio e puntandolo verso un angolo oscuro sotto il portico della scuola.
 
Li vidi; era mia sorella con i suoi inconfondibili capelli lunghi che mi  osservava e accanto a lei degli occhi ugualmente unici, il verde degli occhi di Harry era fisso su di me spostandosi subito dopo su Luke.
 
“Nessuno di preoccupante, tranquillo" cercai di calmarlo io.
 
“Okay, se ne sei sicura..” rispose Luke.
 
A quel punto salimmo in moto e partimmo verso casa.
 


EFFY'S POV: 

Mentre stavo per uscire dai cancelli di scuola, sentii qualcuno prendermi il polso. Mi girai e vidi Harry.
 
“Ciao Effy!” esclamò lui salutandomi.
 
“Ciao Harry” risposi sorridendogli.
 
Si mise accanto a me e mi chiese “Ho visto tua sorella andare via  con un tipo biondo”. 
 
Lo guardai dritto negli occhi  e vidi le sue iridi verdi farsi sempre più scure. Aveva la mascella tesa e lo sguardo accigliato.
 
“Oh, sarà stato Luke” risposi sospirando.
 
Vidi il suo sguardo farsi confusionale, così mi domandò “E chi è questo Luke?”.
 
Riuscii a intravedere un pizzico di gelosia nella sua voce e la cosa si faceva interessante.
 
“Luke è il migliore amico di Faith. È un po’ come se fosse il mio fratello maggiore” iniziai a dire notando la mascella di Harry tendersi sempre di più. “Lui e Faith si conoscono da quando erano piccoli ed è anche il nostro vicino di casa” proseguii mentre tutti i ragazzi ci stavano passando ai lati per uscire da scuola.
 
Vidi Harry stare per parlare, ma venne spintonato dal dietro da Nash che gli urlò “Styels muoviti, dobbiamo andare alla macchina!”.
 
***
 
Quando arrivai alla villa suonai il campanello e vidi Sputnik venirmi incontro aprendomi i cancelli. Lo salutai e poi andai dentro casa. Non vidi anima viva, ma poi sentii la voce di Oscar in cucina, così lo raggiunsi.
 
“Buon giorno Elizabeth” disse lui sforzandosi di sorridere.
 
“Buon giorno anche a te Oscar. Non è ancora arrivata mia sorella?” gli domandai io guardandomi attorno. Lui scosse la testa e poi aggiunse
 
“I Signori Grier sono al lavoro, mentre ho mandato Betty al supermercato ed ora manderò Sputnik a fare delle commissioni” mi informò andando a cercare il tutto fare.
 
Io andai in salotto e sistemai alcune cose fuori posto e poi andai di nuovo in cucina a pulire il tavolo. Ad un certo punto sentii il frigo aprirsi e girandomi vidi Harry. Rimasi a guardarlo mentre tirò fuori una bottiglia di latte sorridendomi.
 
“Che c’è?” mi chiese mostrando le sue fossette.
 
“Mi hai fatto spaventare, non ti avevo sentito venire” risposi ammiccando un sorriso.
 
“Dov’è tua sorella?” mi chiese poi mentre si stava versando del latte in un bicchiere. Era strano come la maggior parte delle volte le nostre conversazioni riguardassero Faith.
 
“Non ne ho idea” risposi continuando a pulire il banco.
 
“Quella ragazza è la persona più impacciata e maldestra che conosca” scherzò ghignando.
 
“Ho saputo.. mi spiace per i tuoi pantaloni” risposi ridendo. Lui mi guardò e si mise a ridere assieme a me.
 
“Chissà perché ogni volta che entro in casa vi vedo sempre assieme voi due” sentimmo esclamare dalla soglia della porta della cucina; ci girammo e vedemmo Nash con le braccia incrociate mentre ci fissava.
 
Harry non gli rispose ed io lo imitai.
 
“Cos’è, ti piacciono le ragazzine ora?!” continuò Nash a punzecchiarlo prendendo la bottiglia del latte bevendolo senza nemmeno usare un bicchiere.
 
“Le buone maniere dove le hai dimenticate, Grier?”  lo schernì Harry lanciandogli un’occhiata alla quale Nash fece spallucce uscendo dalla cucina.
 
Harry si voltò verso di me ed alzò gli occhi al cielo.
 
“Scusalo, ma è un tale coglione a volte” disse guardandomi mentre io abbassai lo sguardo arrossendo.
 
Quando uscii dalla cucina andai al piano di sopra per sistemare le camere e i bagni. Quando finii il tutto, stavo per scendere le scale quando incrociai Nash che stava andandosene in camera.

Si fermò e disse 
“Giornata interessante quella di ieri” guardandomi con quegli occhi color ghiaccio fissi nei miei.
 
“Sì.. pensavo venissero solo i tuoi zii io” risposi alzando un sopracciglio.
 
“Stai alludendo a Madison?” mi domandò lui avvicinandosi con un ghigno.
 
Io annuii e posai lo sguardo sul pavimento.
 
Lui si avvicinò ancora di più a me sollevandomi il mento tra le dita.
 
“Io non intendevo interessante riferito a Madison” iniziò lui. “Ma perché non credevo che sotto quelle camice da lavoro ci fosse tutta quella roba” aggiunse indicando il mio petto.
 
Io lo guardai perplessa; mi chiedevo come diavolo riusciva ad avere tanta sfacciataggine nei suoi gesti  e con che coraggio si comportava così.
 
Subito dopo mi allontanai per scendere al piano di sotto, ma prima che potessi scendere disse “Ci si vede dopo per tennis Effy” e subito dopo entrò nella sua stanza.

 
***

Verso le quattro mi feci trovare nell’ingresso per aspettare Nash, il quale arrivò stranamente puntuale. 

Mi guardò  e disse “Vedo che non stai ancora indossando la tua divisa per tennis”.
 
Io alzai gli occhi al cielo e poi mi morsi il labbro inferiore.
 
“L’ ho scelta personalmente io. Dai, ti aspetto qua, vai pure a cambiarti” aggiunse dandomi un pacco rosa che era appoggiato sopra ad una sedia indicandomi il bagno lungo il corridoio.
 
 Arrivata in bagnolo aprii curiosa di vedere cosa contenesse. Appena vidi il contenuto sgranai gli occhi alzando il primo indumento, una gonna a balza azzurra tenue lunga poco più di dieci centimetri, se mia sorella l’avesse vista mi avrebbe urlato contro in aramaico.
 
Slacciai i pantaloni e l’infilai, mi guardai allo specchio del camerino; non potevo uscire in quello stato, la gonna arrivava a coprire nemmeno metà coscia. Le mie gambe pallide non erano mai state così esposte ed il pensiero che proprio Nash mi avrebbe visto in quel modo mi fece arrossire a dismisura.
 
Mi tosi la maglia passando ad osservare l’altra parte della divisa; c’era una maglietta chiara che arrivava precisa sopra la gonna, ma se mai mi fosse capitato di abbassarmi, allora sarei diventata quasi completamente nuda.

***
 
Quando uscii dal bagno mi diressi verso Nash che stava scrivendo con il suo cellulare appoggiato allo schienale del divano. Appena notò la mia presenza, alzò gli occhi verso di me e aprì leggermente la bocca. Io mi misi accanto a lui a braccia incrociate aspettando di andare.
 
“Wow” sospirò lui dopo sorridendo mentre io abbassai lo sguardo arrossendo timidamente.
 
Subito dopo uscimmo dalla casa e mentre Nash mise la sua sacca di tennis nel bagagliaio, io mi andai a sedere nei sedili posteriori.
 
“Cosa stai facendo?” mi chiese poi guardandomi dallo specchietto retrovisore.
 
“Sono seduta”
 
“Ma vieni a sederti davanti, mi sento un taxista così!” esclamò lui ridendo.
 
Io uscii dalla macchina e mi sedetti sul sedile davanti. Sedersi con una minigonna era una cosa davvero scomoda, per non parlare poi della scollatura della canottiera che dovevo indossare.  Non facevo fatica a credere che la divisa l’avesse scelta davvero lui.
 
Quando arrivammo al club di tennis, Jennifer ci portò al campo della famiglia e dopo aver scambiato parola con Nash, se ne andò rientrando nella struttura del club.
 
Nash si tolse i jeans restando con dei pantaloncini e con una maglietta, poi tirò fuori la racchetta ed iniziò ad allenarsi. 
 
Dopo circa mezz’ora, il caldo continuò ad aumentare e quel poco vento che tirava ogni tanto, ormai era solo un lontano ricordo. Nash si fermò un attimo e si tolse anche la maglietta restando a torso nudo. Aveva un corpo stupendo e capivo perché piaceva così tanto alle ragazze. Ogni tanto mi lanciava qualche occhiata, ma per la maggior parte del tempo restava concentrato sul suo allenamento.
 
Quando finì di allenarsi si sistemò e ci dirigemmo alla macchina.
 
Si passò la mano tra i capelli ed abbassò i finestrini per arieggiare la macchina. Io guardai fuori dal finestrino fino a quando sentii prendermi la mano destra.
 
“Hai delle dita davvero esili” disse Nash studiandosi le mie dita incuriosito; poi le lasciò andare e appoggiò la testa al sedile sospirando.
 
“Tra due settimane ho una gara” disse voltandosi verso di me.
 
“Contro chi?” 
 
“Contro un mio amico, Jack Gilinsky”
 
“E’ bravo?” domandai incuriosita.
 
“Sì, ma mai quanto me, ovviamente” rispose sfacciato sogghignando.
 
Poi mise in moto l’auto e ritornammo alla villa.
 


FAITH'S POV: 
 
Le mie mani lavoravano convulsamente per cercare di fare una semplice coda, in quel momento i miei capelli non volevano per niente collaborare.
 
Ero in cucina con zio Simon il quale era intento a sistemare un paio di scartoffie, aveva le sopracciglia corrucciate e due solchi profondi in mezzo alla fronte. Suonarono alla porta e mi lancia ad aprire, sapevo già chi era, Luke dopo il giro in moto di quel pomeriggio si era autoinvitato a vedere un film da me quella sera ed io non avevo alzato obbiezioni.
 
“Bello di mamma!”  esclamai appena aprii la porta vedendolo guardarsi le mani, poi alzò lo guardo su di me regalandomi uno dei sorrisi più radiosi che io abbia mai visto.
 
Entrò stritolandomi tra le sue braccia ed io feci finta di non respirare data la sua possente stretta, lui allora rise stringendomi ancora di più.
 
Sentii una presenza dietro di noi, ma non mi preoccupai sapendo già che era lo zio. Mi gira facendo un passetto dopo l’altro a sinistra e guardando lo zio sempre rimanendo incollata al biondo. Vidi lo zio con un’espressione allegra guardarci appoggiato allo stipite della porta ed io non riuscii a non ridere.
 
Poi Luke mi lasciò andando a salutare il quarantenne che ci fissava con uno strano sorrisetto sulla faccia.
 
“Buona sera”
 
“Ciao Luke, rimarrai sta sera ho intuito”
 
“Se a lei va bene, volentieri”
 
“Non hai mai avuto bisogno del mio permesso per venire qui” lui sorrise raggiante e lo zio lo guardò da sotto gli occhiali, era così bello vedere insieme  due delle persone più importanti della mia vita lì davanti a me a battibeccare.
 
“Bene, allora vado!” esclamò poi lo zio prendendo il giubbotto.
 
“Dove vai?”  chiesi io visto che lo zio non mi aveva detto niente ed era raro che uscisse così senza un preavviso.
 
“Esco con degli amici. Fate i bravi, Luke, tu per primo” cercai di assimilare le parole dell’uomo davanti a me, non potevo crederci che volesse alludere a qualcosa tra me e Luke, cioè dai, lo zio che pensa queste cose tra me e lui.
 
La cosa si stava facendo imbarazzante.
 
“Ma smettila, siamo io e lui cosa vuoi che facciamo” dissi io arrossendo lievemente e guardando per terra.
 
Ci fu’ uno strano silenzio e lo  zio salutandoci un’ultima volta, uscì.
 
Allora parlai per rompere il ghiaccio
 
“Che film guardiamo?” domandai io andando allo sportello e uscendo un pacco grande di patatine, lui si avvicinò a me e mi spostò gentilmente visto che io continuavo ad allungarmi per prendere la busta che era posizionata troppo in alto per i miei standard.
 
“Non lo so, qualunque cosa “
 
“Allora, è tanto che non parliamo…” iniziai  cercando di intavolare una conversazione. 
 
“Hai ancora intenzione di gareggiare domani?” mi domandò Luke.
 
"Sì, me lo hai già chiesto mille volte” risposi sbuffando.
 
Lui si sdraiò sul divano e fece segno  a me di sedersi accanto a lui, non me lo feci ripetere due volte lanciandomi nello spazio tra Luke e il divano.  Il film iniziò era una strana commedia romantica che parlava di un ragazzo ed una ragazza che erano migliori amici e uno dei due si innamorava dell’altro rendendo tutto più difficile.
 
C’era stato un momento in cui avevo realmente pensato di essermi innamorata di Luke, eravamo la coppia perfetta, compatibili al mille per cento.
 
In quel momento però non riuscivo a pensare ad altro che non  agli occhi blu come l’oceano di Luke, ma avevo fossilizzati nella mente quelli verdi e penetranti di  Harry che come due laser mi avevano attraversato le membra lasciandomi segnata.
 
Mi girai verso Luke e mi resi conto che anche lui mi stava guardando, notai la sua mano calda e forte sulla mia gamba, il suo sguardo fisso sulle mie labbra e la testa che piano piano si avvicinava sempre più alla mia. Stava succedendo qualcosa di estremamente strano ma non avevo la forza di fermarlo, il suo respiro era irregolare tanto quanto il mio e la sua presa sulla mia gamba si era fatta più forte. Inclinò la testa ed io chiusi gli occhi, un rumore di chiavi ci fece sobbalzare e ci girammo di scatto. 
 
La figura minuta di Eff ci si parò davanti.
 
“Ciao ragazzi, che fate?” domandò lei sorridente e Luke tolse subito la mano da me.
 
“...niente, guardiamo un film” risposi tremante, quella situazione era leggermente assurda.
 
“E tu piccola Effy cosa hai fatto tutto il pomeriggio?Sei stata con quel ragazzo con cui ti ho visto oggi a scuola?”  chiese Luke ammiccando un ghigno cercando di eliminare un po’ di tensione creatasi in precedenza.
 
“Ti ricordo che stai sempre parlando di mia sorella” continuai ridendo.
 
Lei arrossì ”Avete finito di prendermi in giro?” chiese mettendo le mani sui fianchi “E comunque di quale ragazzo stai parlando scusami?”.
 
“Harry” risposi io fissandola attentamente cercando di carpire ogni sintomo di una qualche possibile bugia.
 
“Ehm mi... ha chiesto di lavargli… la macchina” spiegò lei ed io capii subito che non era la verità , aprii la bocca per chiedere ulteriori spiegazioni, ma Luke mi precedette
 
“Tu quella macchina a quei figli di papà non gliela lavi, se vogliono se la fanno lavare da quelle troiette che per soldi farebbero di tutto” si alzò e si avvicinò a Effy.
 
In quel momento capii quanto fosse geloso di mia sorella, ma una gelosia sana quella che ha il padre per la sua principessa o quella di un fratello per la sua sorellina minore.
 
Lei annui e lui la tirò al suo petto dicendo
 
“Non voglio che quella gente ti cambi, Eff, rimarrai la mia piccolina” stranamente però quelle parole , il tono ed il suo sguardo sembravano più rivolte a me che alla piccola Effy.


 
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SPAZIO AUTRICI :) 

Ciao belle c:
Eccoci con il 6' capitolo!
Volevamo ringraizare tutte le persone che ci hanno recensito nei capitoli precedenti <3
Speriamo vi piaccia anche questo capitolo ;)
Detto ciò, ci paicerebbe se lasciaste qualcche recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un  bacione, 
-Gre & Fede

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Capitolo 7
*** CHAPTER 7 ***




CHAPTER 7.

EFFY'S POV: 

La mattina seguente zio Simon ci accompagnò a scuola in macchina. Lungo il tragitto domandò a Faith dell’altra sera

“Cosa avete fatto ieri sera di bello?”.

“Oh, nulla di ché, abbiamo guardato la tv..” risposi io vaga notando Faith irrigidirsi notevolmente.

“Luke è stato a casa tutta la sera?” proseguì zio Simon quasi ci trovassimo in una centrale di polizia per un interrogatorio. Fiath annuì continuando a guardare fuori dal finestrino cercando di sembrare il più disinvolta possibile.

“Sta passando molto tempo con voi ultimamente” notò poi lo zio voltandosi verso Faith per poi guardare lo specchietto retrovisore dritto nella mia direzione.

“E’ il mio migliore amico, è normale che passi così tanto tempo con noi ed inoltre è affezionatissimo a Effy; per lo più, i suoi genitori non sono a casa in questi giorni e lui resterebbe da solo per tutto il tempo” rispose Faith lanciandomi un’occhiata supplicando di aiutarla.

“Cavolo, ho il compito d’economia alla seconda ora!” esclamai cercando di cambiare discorso.

***

Alla seconda ora mi recai nella classe di economia politica ed appena entrai mi andai a sedere nei banchi in mezzo dove c’era una ragazza dai lunghi capelli neri lisci come la seta che avevo conosciuto alcune lezioni prima.

“Ciao Kayla!” esclamai salutandola.

Improvvisamente dei vispi occhi verdi acqua iniziarono a posarsi su di me prima di rispondere “Ciao Eff!”.

Dopo alcuni istanti entrò dalla porta della classe Nash con alcuni suoi amici. Ci passarono imparte, ma come suo solito Nash non mi degnò nemmeno di uno sguardo. Indossava una felpa grigia con dei jeans blu scuri e le sue solite Vans nere. Salutò gli altri ed iniziò a passarsi la mano tra i capelli, segno che qualcosa lo turbava.

“Dio se è bello quel ragazzo!” esclamò Kayla sottovoce guardando Nash da capo a piedi.

“Hai studiato per il compito di oggi?” le domandai cercando di attirare la sua attenzione su qualcos’ altro che non fosse il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.

“Effy, la profe aveva spostato il compito di economia politica alla prossima settimana..” rispose accigliata.

“Oh..” sospirai abbassando lo sguardo.

“C’erano solo degli esercizi per oggi, che fra l’altro non ho nemmeno finito. Merda!” si lamentò quasi disperata mentre io non potevo fare altro che ridere nel vederla contorcersi dalla disperazione.

Le voci da dietro la classe si alzarono e Kayla mi afferrò la mano sussurrandomi

“Non voltarti, ma Hamilton Nash Grier sta venendo da questa parte!”.
Il cuore iniziò a battermi velocemente al suono di quelle parole ed improvvisamente sentii prendermi la spalla; mi voltai immediatamente.

“Ciao.. senti,  non è che hai fatto i compiti di economia per oggi? Io non sono riuscito a farli” mi domandò Nash sfoggiando uno dei suoi tanti ammaglianti sorrisi.

Io rimasi a fissarlo invaghita dalla sua naturale bellezza prima di riuscire a rispondergli un “Hem, sì, certo!” frugando nella cartella cercando il quaderno.

Quando glielo diedi lui mi ringraziò andandosene di nuovo nei banchi dietro dove sia lui che i suoi amici erano intenti a copiare i miei esercizi. Ovviamente sapevo che gli servivano perché non li aveva fatti e non perché non li aveva capiti, ma non potevo dirgli di no.

***

All’ora di pranzo incrociai Harry per la mensa il quale mi salutò mettendo in vista ancora una volta le sue adorabili fossette e dopo andai a sedermi ad un tavolo con Kayla e Hanna, una ragazza che era nella mia stessa classe d’inglese.
Dopo che finimmo di mangiare, andai a riportare il vassoio al suo posto ed appena mi girai, andai a scontrarmi contro un ragazzo.

“Guarda dove vai razza di co-“ si fermò appena mi vide.

“Ma io ti conosco!” esclamò poi ammiccando un sorriso. “Sì, sei una di quelle ragazze che lavora a casa dei Grier” continuò cercando di ricordarsi il più possibile di me.

Io annuii sorridendo timidamente. Mi ricordai di lui quella volta che entrò con Nash nella villa mentre io ed Harry stavamo suonando il pianoforte.

“Effy!” esclamò con una faccia soddisfatta  dopo alcuni minuti ricordandosi il mio nome.

“Io sono Jack, Jack Gilinsky” rispose poi porgendomi la mano.

Quando pronunciò il suo nome capii che era il ragazzo che avrebbe disputato la partita di tennis con Nash. Non potetti fare altro che continuare ad annuire per tutto il tempo; non perché non sapessi cosa dire, ma perché non mi aveva lasciato nemmeno il tempo di poter rispondere a qualcosa.

“Come mai ci stai mettendo tanto, Gilinsky?!” domandò una voce dal dietro.

Jack si girò di scatto e Nash si mise accanto a lui ridendo per poi farsi serio appena i suoi occhi incrociarono i miei.

“Vieni, dobbiamo andare, Noah deve farci vedere una cosa” gli disse poi Nash cercando di farlo spostare afferrandogli una spalla.

“Contento di averti rivista, Effy” rispose poi Jack dandomi un leggero bacio sulla guancia al quale non potetti fare a meno di arrossire.

“Un attimo, Grier!” ribatté lui scocciato.

“Non un attimo, ora! Voce del verbo muovi il culo!” replicò Nash notevolmente nervoso.

Jack alzò gli occhi al cielo “Che rompi coglioni quel ragazzo, mi domando come diavolo fai a sopportarlo a casa?!”. Io risi facendo spallucce.

“Allora ci si vede, Effy” concluse Jack allontanandosi.

“Ciao Jack” risposi poi andandomene.
 


FAITH'S POV: 

Tornai a casa dopo il lavoro. Lanciai la giacca sul letto e mi slacciai la cravatta guardandomi allo specchio. Le mani mi tremavano dall’adrenalina; era molto che non mi succedeva qualcosa di simile, avevo passato la giornata in uno stato di agitazione perenne. Le mani che non facevano altro che tremarmi, le gambe che continuavano a muoversi da sole e Oscar che stranamente si era complimentato per il mio ottimo lavoro svolto. Betty invece pensava che avessi fumato qualcosa e mi fece sedere su una sedia obbligandomi ad ingurgitare litri e litri di camomilla.

Harry quella sera non si era fatto vivo, ma Betty aveva alluso ad uno stato simile al mio, sicuramente però non era per lo stesso motivo.
Presi una giacca di pelle ed una maglietta nera ed un paio di pantaloni dello stesso colore. Li piegai e li nascosi sotto al letto. Allora andai in bagno facendomi una doccia calda, sperando anche che avrebbe potuto calmare i miei nervi.

Un messaggio di Luke mi fece uscire dalla doccia, mi coprii con un asciugamano prendendo il telefono tra le mani.

-Sarò fuori casa tua per le 11:30, sei ancora in tempo a ritirarti-.
 
Mi passai nervosamente una mano sul viso. Non era la prima volta che lo facevo e Luke rendeva tutto più snervante di quanto non lo fosse già.

Lo facevo perché era una cosa  a cui non avrei mai rinunciato. L’aria sul viso, il brivido dei kilometri e la paura di essere scoperti in qualsiasi momento che rendeva il tutto più elettrizzante. Un mese fa ci aveva chiamato Robert, colui che organizza le corse clandestine, proponendomi un affare. Aveva detto che era una cosa sicura e che avrei vinto minimo 1500$, i quali in quel momento mi avrebbero fatto certamente comodo.
A differenza del solito però, Luke aveva cercato in tutti i modi di farmi cambiare idea; non ne capivo il perché. Lui non correva, ma era sempre venuto con me e quella volta avevo paura che mi abbandonasse. Il messaggio però  mi rincuorò.

Misi il pigiama  per non fare sospettare nulla allo zio e ad Eff. Quindi facendomi la coda uscii dal bagno. Andai al piano inferiore a mangiare.

“Come è andata la giornata?” mi domandò lo zio sorridendo leggermente.

“Bene, ho dato una mano ad Oscar”

“Ma perché sei così agitata oggi?” chiese mia sorella scrutando le mie gambe da sopra il tavolo. Lo zio continuò a sorridere mentre io dicevo di non avere nulla. Subito dopo lo zio portò i piatti al lavandino e dopo averli asciugati disse

“Riguardo a ieri sera, sento che devo parlarti. Sarebbe meglio se lo facesse una donna, ma faccio quello che posso”. Prese un respiro ed io persi il mio: non potevo credere che stesse per farmi QUEL discorso!

“NO NO NO, so dove vuoi andare a parare ed apprezzo lo sforzo, ma so già tutto, non ce n’è bisogno” mi precipitai io prima che iniziasse a parlare.

“Ma-“

“No, davvero” risposi infine andando ad abbracciarlo. Lui rise ed io con lui mentre mi stringeva forte a se spettinandomi i capelli.

“Non importa quanto tu possa crescere Faith, per me resterai sempre quella bambina che giocava bagnando i vicini con le pistole ad acqua nel giardino.. per me almeno” continuò lo zio.

“Okay, basta ahaha” cercai di concludere io lasciandolo andare salendo in camera mia.

Effy era già nel mondo dei sogni, lo zio passo andandosene in camera sua. Chiusi la porta della nostra stanza facendo girare la chiave nella toppa per assicurarmi che non sarebbe entrato nessuno. Poi mi abbassai sotto al letto e presi i vestiti.

Dopo essermi cambiata, presi il telefono e mettendolo nella tasca posteriore dei pantaloni, aprii la finestra. Scivolai fuori socchiudendo la finestra per non far prendere freddo ad Eff.

Incastrai la scarpa nelle tegole del tetto per non cadere. Con la schiena rivolta verso l’esterno, pur di non guardare in basso, mi scivolò il piede e in quel preciso momento mi morsi il labbro inferiore imprecando. A quel punto sentii due mani afferrare i miei fianchi, ma appena vidi quel colorito di pelle pallido mi calmai.

“Prima o poi ti ammazzerai” mi sussurrò Luke all’orecchio ed io rabbrividii dal suo tono.

Subito dopo mi lasciò e mi porse il braccio per scendere, così appena appoggiai i piedi a terra, gli diedi un bacio  leggero sulla guancia rendendomi conto di quanto teso. Gli sorrisi e lui mi scompigliò i capelli con un sorriso sforzato per poi dirigerci alla moto. Mettemmo entrambi il casco e partimmo nella notte, dopo però aver dato un ultimo sguardo dietro di me.

***

Arrivammo finalmente nel punto dell’incontro: era un bacino artificiale ch era stato svuotato molti anni prima. Sembrava una grande conca, larga all’incirca 50m ed alta 20m. Le macchine erano già pronte ai loro posti ovvero nelle postazioni di partenza ed io mi avvicinai alla fiancata. La mia auto era rosso fuoco, come al solito posai la mano sul riflesso della luna che si rifletteva sullo sportello.

Improvvisamente sentii qualcosa appoggiarmisi in testa: era un casco.

“Non l’ho mai indossato” protestai.

“Bene, ora lo metterai e non fare storie” ordinò Luke mentre mi abbassò la visiera che poi io ritirai nuovamente su facendogli una linguaccia.

Si avvicinò dopo Rob, i tatuaggi ben in vista, le spalle larghe erano fasciate in una maglietta bianca che lo rendevano ancor più inquietante di quel che già era di suo.

“E’ da tanto che non vi si vedeva voi due!” esclamò poi guardando me e Luke.

“Già.. bhe spiegami un po’ come funziona” gli chiesi io continuando a guardarmi attorno.

“Stavolta questo qua è nuovo, ma dovresti avere la vittoria in pugno” rispose sogghignando mostrando i suoi orribili denti gialli.

“Va bene”  conclusi io.

Poi si allontanò e Luke mi afferrò le spalle facendomi girare verso di lui.

“Stai attenta, Faith”

“Sempre” risposi a  denti stretti.

Subito dopo si avvicinò al casco dandomi un bacio.

“Lo posso togliere?” protestò lui alzando gli occhi al cielo.

“No!” risposi sbuffando e lui si allontanò mentre entravo in macchina. Vidi la folla entrare e per un attimo il cuore mi si fermò quando capii chi era il mio avversario, il nuovo arrivato in città.

Mi guardò.

Aspettai di vedere da parte sua una reazione di stupore ma invece si mise davanti a me stringendomi la mano come se niente fosse.

“Buona fortuna, amico” disse lui ed io mi morsi l’interno della guancia per non scoppiare a ridergli in faccia.

Il gioco si faceva interessante, mi sedetti al volante e la tipa in mini-gonna si mise tra le macchine per dare il via.

1.  Accesi il motore, facendo rimbombare il suono.
 
2. Guardai a destra verso Harry e lui si girò verso di me.
 
3. Gli  feci l’occhiolino.
 
VIA!

Partii e il percorso era molto semplice: si doveva andare sempre dritto e dopo il bidone posto a centro dovevamo girare e tornare al punto di partenza. Fummo vicini per tutta la prima parte, dopo la girata però mi venne in mente un’ idea.

In quell’ ambiente tutti sapevano che la mossa che stavo per fare era il mio cavallo di battaglia, ma Harry visto che era nuovo non se lo sarebbe mai aspettato.

Rallentai di botto, ma Harry non se ne curò continuando a andare per la sua strada, appena lo vidi guardare nella specchietto retrovisore, spostai lo sguardo a sinistra con l’intento di fargli credere che lo avrei superato da quel lato. Ci cascò, portò la sua macchina a destra per tagliarmi la traiettoria io allora come da programma girai bruscamente a sinistra, provocando un rumore assordante per lo stridere dei freni.

Quando Hazza si accorse era troppo tardi, io stavo già accelerando verso il traguardo; come al mio solito, feci girare la macchina su se stessa un paio di volte prima di frenare.

Vidi subito un paio di occhi azzurri scrutarmi, in mezzo alla folla ed appena mi alzai si precipitò da me per darmi una mano ad alzarmi. Uscii dalla macchina e lo stesso fece Harry io allora slacciai il casco, lasciando che i miei capelli cadessero ondulati sulle mie spalle.

 

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SPAZIO AUTRICI :) 

Ehilà ragazze xx
Questo è il 7' capitolo!!
Allora, qua iniziano a complicarsi le cose, specialmente riguardo a Faith.
Speriamo vi piaccia il capitolo e volvamo ringraziare ancora tutte le persone che hanno recensito i capitolo precedenti :*
Grazie tanto c:
Detto ciò, ci paicerebbe se lasciaste qualcche recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un  bacione, 
-Gre & Fede

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Capitolo 8
*** CHAPTER 8 ***



CHAPTER 8.

FAITH'S POV: 

La sua espressione cambio una decina di volte fino a quando non si rese finalmente conto della situazione in cui ci trovavamo. Allora passandosi una mano tra i ricci scoppiò a ridere così rumorosamente che tutti si guardarono sbigottiti. Io dopo un attimo non riuscii a trattenermi e risi anch’ io a pieni polmoni.

Tutti ci fissarono sconcertati e Luke mi guardò alzando un sopracciglio. Credo che quella fu la gara più bizzarra alla quale ero mai stata e non riuscivo a smettere di ridere, così  misi una mano sulla macchina per reggermi visto che le troppe risate mi avevano dato uno strano senso di vertigini.

“Harry”

“Faith, non mi aspettavo di vederti, ma capita così tante volte di vederti spuntare quando non me lo aspetto che non è più una sorpresa”

Io lo guardai capendo subito a cosa si riferiva, tutte quelle volte in cui lui mi spuntava davanti erano una più imbarazzante dell’ altra. Luke mi guardò stranamente e faceva passare lo sguardo da me al bel riccio, poi mi si avvicinò con convinzione.

“Io ti ho visto con Effy ieri o sbaglio?” domandò rivolgendosi con uno strano sguardo di sfida a Harry.

“Tu non sei quello che ha preso Faith a scuola?” li guardai sconcertata, io avevo vinto la gara e nessuno mi prestava attenzione, cercavano solo di fare i galletti, le persone erano più impegnate ad ascoltare i discorsi di quei due che a calcolarmi.

Sbattei i piedi a terra andando verso Rob che mi guardava ridacchiando.

“Sbaglio o si stanno contendendo la tua attenzione?”mi disse lui ammiccando.

“Ma se manco mi cagano!”

“Oh, tu non capisci noi maschietti”

“Sisi certo, ora però voglio i miei soldi”

“Ecco qua tutti tuoi” li presi e senza degnarlo di uno sguardo andai verso le macchine dove ancora erano intenti a battibeccare. Da dove mi trovavo riuscivo a cogliere ogni differenza tra i due.

Harry aveva le spalle larghe ed incurvate rigide come se si stesse trattenendo, Luke invece era sempre il solito con le spalle magre e rilassate come se la situazione non lo riguardasse minimamente. I raggi della luna facevano in modo che il piercing del biondo risplendesse rendendolo stranamente luminoso, il moro invece esprimeva oscurità con tutti quei tatuaggi neri.

Mi avvicinai e Luke subito mi guardò facendo in modo che Harry si girasse a guardarmi.

“Avete finito di battibeccare per chi riesce a sputare più lontano?”

“Sei assurda” rise Harry fissandomi intensamente.

“Sì,  lo è” rispose Luke al posto mio ed io capii che quella situazione sarebbe degenerata.

La reazione di Luke la spiegavo col fatto che lui non sopportava che quel ragazzo pieno di soldi avesse avvicinato Harry e che addirittura avesse gareggiato contro di me. Credo che si sentisse minato nel suo territorio, come se lui gli avesse rubato qualcosa di suo. Avevo paura di cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che lui era il ragazzo dal quale lavoravo.

Una voce  chiamò il biondo, era Michael.

“Mike!” esclamai io sorridendo.

“Ciao bocciolo di rosa, ho visto la gara, sei una grande!” mi scompigliò i capelli poi si rivolse a Harry.

“Anche tu sei bravo, ho visto del potenziale, dove hai imparato?”

“Dove vivevo prima partecipavo a qualche gara per passare il tempo”vidi Luke vicino a me  muoversi e borbottare qualcosa che non riuscii a comprendere.

“Sì, ma contro la rossa qui non c’è storia, piacere Michael”

“Harry” si presentò poi il riccio.

Mi morsi il labbra trattenendomi dal dire che si chiamava Harold e non Harry, avrei voluto realmente vedere la sua faccia.

“Andiamo” disse Michael guardando Luke.

“Prima devo accompagnare Faith a casa”

“Non parlare come se io non ci fossi” risposi io al mio migliore amico, non sopportavo quando lo faceva.

“Posso portarla io” una voce dietro di me parlò, Harry si era appena offerto di accompagnarmi a casa?

“No, non puoi” rispose deciso Luke. Hazza lo guardò male avvicinandosi pericolosamente a lui.

“Hai qualcosa contro di me?”chiese il riccio con fare minaccioso

Decisi di dare un taglio a quella strana situazione.

“Grazie Harry, accetto il passaggio tanto siamo sicuri che non superi i limiti di velocità”

“Molto divertente ” disse lui guardandomi.

“Cosa?” si intromise Luke.

“Tu vai con Michael, almeno non hai il pensiero che devi accompagnarmi” lo vidi guardarmi stranamente e dopo aver fatto passare il suo sguardo da me a Styles disse

“Mike, andiamo.  Faith ci sentiamo più tardi” poi guardò Harry e se ne andò scomparendo tra la folla.

Feci per dire qualcosa, ma Harry fu più veloce.

“Andiamo”

lo segui fino al parcheggio.

“Questa è la tua macchina?”

“Ti piace?” domandò lui sogghignando.

Io annui non riuscendo a staccare gli occhi da quella magia dell’ ingegneria. Una Lamborghini di ultima generazione nera come la morte era davanti a me. Harry rise aprendo lo sportello e sedendosi al posto di guida. Io lo seguii e mi sedetti accanto a lui con gli occhi spalancati per vedere ogni dettaglio. Il collegamento interfono, i sedili in pelle ed i cambio automatico con le luci al neon.

“Un regalo dei miei come per dire: mi dispiace che ci trasferiamo dall’altra parte del mondo, ma ti abbiamo comprato una macchina! ” scherzò lui mettendo in moto la macchina.

Io lo guardai notando uno strano comportamento. Mi morsi il labbro non sapevo cosa dovevo dire e se dovevo dire qualcosa.

“Comunque bella gara” dissi poi per spezzare la tensione.

“Hai barato”

“Non è vero”

“Invece si”

“No, sei tu che hai sbagliato” gli feci la linguaccia e lui rise di gusto scompigliandogli i capelli. Quando rideva socchiudeva quei pozzi verdi che aveva al posto degli occhi, le fossette si accentuavano di più e si piegava in avanti.
Non che lo stessi fissando.
Sono cose che tutti notano.
Giusto?
Sì.

“Dove abiti?” chiese lui poi guardando fuori dal finestrino.

“Oh, lasciami pure qui”

“No tranquilla” replicò lui.

Non volevo vedesse dove abitavo. Non perché i vergognassi, ma in confronto alla regga che aveva per casa la mia era un fogna.
 
“E’ questa” risposi io.

“Questa?” domandò sorpreso guardandosi intorno.

La rabbia mi ribollì al suo tono,  era uno stupido ragazzino viziato. Luke aveva ragione, non centravamo niente con loro. Mi stavo illudendo di non so nemmeno io cosa, che potevamo essere amici? Forse, ma non aveva importanza.

“Sì,  non tutti viviamo in un palazzo reale” gli risposi sbattendo la portiera e correndo verso casa.
Ecco adesso avrebbe avuto pietà di me e delle mie modeste origini o sarebbe corso a casa ridendo come un matto di me. Sentii il telefono squillare ma non lo presi salii la scala e mi lanciai in camera senza fare rumore. Mi cambiai e andai a dormire ignorando il suono fastidioso del telefono che continuava a suonare.
 


EFFY'S POV: :
 
Quel pomeriggio si sarebbe svolta l’attesissima gara tra Jack e Nash e quest’ultimo, anche se cercava di non darlo a vedere, era davvero nervoso. Sapevo che era un ottimo giocatore, ma non sapevo quanto realmente bravo fosse il suo avversario.  
 
 
Avevo dovuto indossare di nuovo quella maledettissima divisa e mentre aspettavo Nash all’ingresso, mi abbassai per allacciare le stringhe delle scarpe che si erano slacciate non sapendo bene come.
 
 
“Dato che gioco contro Jack, vedi di abbassarti la gonna” sentii dire lungo il corridoio. Alzai lo sguardo e vidi Nash venire verso di me con in mano la sacca da tennis. Non capivo il senso  della sua frase dato che mi aveva imposto lui quell’abbigliamento. Improvvisamente sentimmo suonare il campanello e Nash andò ad aprire.
 
“Hey Nash!” esclamò una ragazza bionda saltandogli al collo. Non feci fatica  a riconoscere che si trattava di Madison. Indossava un top striminzito color bianco davvero troppo aderente e dei pantaloncini beige che le fasciavano il fondoschiena con dei tacchi vertiginosi. 
 
“Allora, pronto per la gara?” domandò lei ammiccando un sorriso malizioso mentre i suoi occhi non facevano altro che scorrere su e giù lungo tutto il corpo di Nash, il quale non sembrò emettere obbiezioni a riguardo. 
 
“Sono nato pronto, Mad” rispose lui sorridendo. 
 
“Sei pronta?” mi chiese lui lanciandomi uno sguardo. Io annuii mentre uscivamo tutti e tre dalla porta d’ingresso.
 
“Come? Viene anche lei?” chiese Madison nettamente infastidita dalla mia presenza iniziando a squadrarmi da capo a piedi. L’avevo vista solamente due volte e già non riuscivo più a sopportare ne il suo carattere ne tantomeno il suo perenne abbigliamento da festa in spiaggia.
 
“Sì..” rispose Nash con un filo di voce.
 
Subito dopo ci dirigemmo alla macchina di Nash il quale si sedette al posto di guida, accanto a lui Madison ed io mi sedetti nei sedili dietro accanto alla sacca da tennis che sembrava la mia unica compagnia in quel momento.
 
***
 
Ormai mancavano pochi minuti e la gara avrebbe preso inizio. C’era il padre e la matrigna di Nash sugli spalti a tifare per lui insieme a Madison, la quale continuava  a sistemarsi i capelli ed il trucco nonostante fossero già apposto. Io ero a bordo campo e vidi Nash arrivare verso la mia direzione.  Quella canottiera bianca che indossava evidenziava alla perfezione i suoi addominali e con quella fascetta per capelli era davvero irresistibile.
 
“Buona fortuna Nash” gli dissi mentre stava passando.
 
“Non ne avrò bisogno, ma grazie comunque Eff” rispose facendomi l’occhiolino al quale non potetti fare a meno di arrossire, così mi girai dalla parte opposta per non darlo a vedere. 
 
Dopo alcuni istanti, vidi dall’altra parte della rete Jack Gilinsky. Alzò la mano per salutare Nash i quali si avvicinarono entrambi alla rete e si diedero una pacca sulla spalla.  I due poi tornarono ai loro posti e dopo alcuni istanti, entrambi presero in mano le proprie racchette e la gara iniziò.
 
***

Alla fine dei due set e di due ore sotto il sole, la partita si concluse con la vincita di Nash. Ero contenta che avesse vinto ed appena concluso il match venne verso di me e gli porsi un asciugamano per asciugarsi il sudore. Dietro di lui ci stava raggiungendo Jack per complimentarsi della vittoria. 
 
“Come sono andato?” chiese poi bevendo dalla sua borraccia un po’ d’acqua. 
 
“Sei stato fenomenale!” risposi sorridendogli. Lui sorrise e mi diede un colpetto leggero alla guancia.
 
“Grier!” sentimmo urlare da dietro le nostre spalle. 
 
“Gilinsky!” rispose Nash voltandosi aspettando che Jack lo raggiungesse. 
 
“Non avrei dovuto sottovalutarti, Nash” disse Jack sorridendo mentre si toglieva la maglietta a mezzemaniche che aveva indossato durante la gara restando a torso nudo.
 
“Ehi, sei Effy!” esclamò poi guardandomi venendo verso di me.  Io sorrisi timidamente ed  abbassai lo sguardo.
 
“Allora, chi è stato il migliore Eff?” mi chiese Nash mettendosi poi accanto a Jack.
 
Stavo per rispondere quando Jack mi precedette
 
“E’ ovvio che risponde  te, Grier, è una tua dipendente!”.
 
Io diressi lo sguardo verso Nash il quale aveva capito che la sua era stata una domanda idiota. 
 
“Comunque, la sera prima dell’ultimo giorno di scuola do una festa e mi farebbe piacere se voi due veniste” ci propose Jack guardando me e Nash. Io divenni immediatamente rossa. Non capivo il perché mi avesse invitato, io ero solo una dipendente, non un’amica.
 
“Io veramente…” iniziai a balbettare.
 
“Andiamo, Effy! Voglio che ci venga anche tu” insistette lui avvicinandosi a me prendendomi le mani.
 
“Okay Jack, ti faremo sapere” tagliò corto Nash intromettendosi tra me e il moro.
 
“Ad ogni modo, piacere di averti rivista e con questa divisa stai divinamente” aggiunse Jack prima di allontanarsi salutando Nash con una leggera stretta di mano.
 
“Hamilton! Hamilton!” sentimmo gridare dalle nostre spalle. Era Madison che stava correndo, a fatica a causa dei tacchi, verso di noi con i genitori di Nash. 
 
“Sei stato fenomenale , tesoro!” esclamò Anne accarezzandogli il viso gentilmente.
 
“Niente male, Hamilton” disse suo padre ammiccando un vago sorriso. 
 
Madison non disse nulla, ma si buttò direttamente tra le sue braccia dandogli un esagerato bacio sulla guancia lasciandola sporca di rossetto che si era messa all’inizio, durante e a gara. 
 
“Io ed Anne dobbiamo andare a salutare un po’ di gente del club di tennis, torna pure a casa con la tua macchina” concluse Chad prima di allontanarsi con Anne da noi. Subito dopo iniziai a sistemare le cose di tennis non curandomi di Nash e Madison che si erano allontanati. 
 
Dopo circa un quarto d’ora finii di sistemare tutto e notai che accanto a me c’era ancora la borsa da tennis di Nash, ma di lui e Madison non c’era traccia ed inizia ad avere il timore che Madison avesse convinto Nash a lasciarmi qua andandosene senza di me. 
 
Misi la sacca sulle spalle e poi andai a cercarli per tutto il club, ma non riuscii a trovarli, così decisi di andare verso il parcheggio ad aspettarli in macchina. Trovai l’auto e mi ci incamminai. Misi più a fuoco la vista e vidi delle ombre dentro e quando mi ci avvicinai ancora di più riuscii a distinguere le figure di Nash e Madison: si stavano baciando, mentre lei era seduta a cavalcioni sul sedile di Nash. Non potevo credere a quella scena, era disgustosa.
 
“Guarda dove metti i piedi!” sentii urlare dietro di me accompagnato da un rumore di un clacson da una macchina. Vidi Nash e Madison voltarsi di scatto verso di me ed io scappai via il più veloce possibile. Andai verso i campi da tennis e dopo alcuni minuti vidi Nash venirmi incontro con il fiatone. Doveva aver corso davvero molto veloce.
 
Prese fiato ed iniziò a dire “Effy, posso spieg-“ 
 
“Oh, che sbadata, avevo dimenticato la tua borraccia vicino alla panchina” risposi cercando di evitare le sue spiegazioni mentre ci dirigemmo all’auto dove trovai Madison seduta sul sedile davanti con lo sguardo fisso davanti a se completamente immobile.
 
***
 
Quando accompagnammo Madison a casa, Nash mi fece sedere sul sedile anteriore accanto a lui. Appena si assicurò che Madison fosse entrata in casa, mise in moto la macchina. Non feci altro che guardare fuori dal finestrino le case ed allo stesso tempo il cielo che si stava dipingendo di un color arancione intenso. Nessuno dei due disse nulla per tutto il viaggio, ma ad un certo punto Nash parlò.
 
“Sei rimasta sconvolta?” mi chiese cercando di incontrare i miei occhi, ma alle sue parole rimasi impassibile e lui continuò a guidare guardando fisso davanti a sé. Non ero ancora riuscita a togliermi dalla testa l’immagine di lui e Madison che si baciavano. 
 
Dopo circa mezz’ora eravamo arrivati alla villa. 

“Se vuoi ti posso accompagnare a casa” propose Nash voltandosi verso di me. 
 
“Non serve, prendo le mie cose  e me ne torno a casa da sola” risposi aprendo la portiera ed uscendo dalla macchina tirandomi giù la gonna. Mentre mi stavo allontanando Nash mi chiamò e mi disse di avvicinarmi al finestrino, così andai verso la macchina.
 
“Quello che è successo prima, con Madison… vorrei che non lo dicessi a nessuno…” bisbigliò con un filo di voce per paura che qualcuno potesse sentirlo. Io annuii e poi me ne andai. 

Entrai nella villa ed andai a cambiarmi in bagno per mettermi la mia solita divisa e per potermi togliere finalmente quei vestiti che non mi appartenevano. 


 

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SPAZIO AUTRICI :) 

Buona sera c:
Questo è l' 8' capitolo!!
Siamo davvero contente che  la storia vi stia piacendo xx
Ci paicerebbe se lasciaste qualcche recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un  bacione, 
-Gre & Fede.

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Capitolo 9
*** CHAPTER 9 ***




CHAPTER 9.

FAITH'S POV: 
 
Ero alla villa da qualche minuto, ma mi sembrava un’ eternità. Stavo portando i vestiti nella lavanderia sotterranea; sì,  perché loro hanno una lavanderia sotterranea.
 
Non avevo visto Harry e ne ero felice, dopo la serata precedente sarebbe stato imbarazzante qualunque contatto con il riccio. Scesi le scale spingendo la porta con un piede. Mi scontrai allora con qualcosa ed alzai lo sguardo dalla montagna di vestiti che avevo davanti. Alzai lo sguardo ed ebbi voglia di sbattere la testa contro il muro.
 
“Dovremmo smetterla di incontrarci così, non credi? Per il compleanno ti regalo una campanella e te la lego al collo” ironizzai al riccio davanti a me.
 
“In realtà ti stavo cercando” spiegò lui con non calanche.
 
“Ecco, mi hai trovata!” esclamai spingendolo bruscamente andando vicino alla lavatrice.
 
“Perché è sempre così difficile parlare con te?”
 
“Poi sono io quella difficile” dissi io infilando i vestiti nella lavatrice come se mi avessero fatto un torto madornale.
 
“Non intendevo… mi vuoi cagare un attimo?” io continuai a non guardarlo premendo tasti a caso di quella maledetta macchina infernale. Sentii una presa ferrea al polso ed io cercai di strattonarlo, lui però non me lo permise obbligandomi a girarmi e guardarlo negli occhi. Mi morsi il labbro. Quel giorno era particolarmente bello… carino, no va beh, era bello.
 
Aveva una maglia leggera nera dei Ramones stropicciata e i pantaloni dello stesso colore. Era così diverso dal resto dalla famiglia che mi chiesi se non fosse stato adottato, però non gli esposi i miei dubbi.
 
“Perché ieri sei scappata?” domandò serio guardandomi negli occhi.
 
“Perché non sarei rimasta un minuto di più in quella macchina dove mi stavi giudicando”
 
“Io non stavo giudicando una beata minchia, okay?”
 
“Si come no, guarda questa casa e guarda la mia”
 
“Sono tutti pensieri che fai tu da sola, scambierei la mia con la tua se potessi”
 
“Si, certo” risposi io guardandolo e incrociando le mani sotto al petto. Lui mi guardò male poi alzò le braccia al cielo con fare esasperato rendendo la mia faccia ancora più corrucciata.
 
“Mi hai preso alla sprovvista, ma io non volevo insinuare niente, devi credermi” rispose quasi sincero. Io lo guardai non sapendo cosa fare, i suoi occhi sembravano sinceri mentre mi guardavano incessantemente, ma la mia testa urlava di fermarmi.
 
“Allora propongo una cosa per sdebitarmi” continuò guardandomi accennando un sorriso.
 
Io allora un po’ spinta dalla curiosità un po’ perché ne avevo voglia sorrisi a mia volta mordendomi il labbro per non renderlo troppo palese.
 
“Che cosa proponi?” chiesi io e lui mi guardò iniziando a ridere.
 
“Ti farò guidare la mia macchina”
 
“Davvero?” lo strillai come una bambina isterica per poi spalancare la bocca. Mi avrebbe fatto guidare la sua auto? Nemmeno Luke mi aveva mai fatto guidare la sua moto. O quel  ragazzo era un genio oppure un completo idiota, ma non avevo voglia di scoprirlo.
 
Sentii un strano rumore dietro di me ed iniziai ad imprecare.
 
“Cazzocazzocazzo” Harry seguì il mio sguardo sbiancando.
 
La lavatrice stava esplodendo facendo uscire tutta la schiuma, la quale stava già iniziando a riempire il pavimento. Ci guardammo negli occhi non sapendo se ridere o piangere. Ci lanciamo per cercare di bloccare lo sportello della lavatrice, io mi misi davanti e Harry dietro di me.
 
La schiuma aveva già inondato gran parte della stanza e il pavimento era realmente scivoloso. Allora il riccio cercò di scansarmi per fare qualcosa, ma il suo piede inciampò e cadde. Io scoppiai a ridere tenendomi la pancia, ma il riccio era scomparso sotto la montagna di schiuma. Senti qualcosa circondami la gamba e tirarmi allora persi l’equilibrio e caddi.
 
Mi resi conto troppo tardi che quel cretino mi aveva tirata, allora misi le mani avanti nel tentativo di proteggermi. Chiusi gli occhi però la mia mano toccò qualcosa di duro ed un lamento partì da sotto di me.
 
Mi resi conto che avevo messo una mano proprio suoi gioielli del signorino Styles. Allora rotolai di lato ridendo ancora più forte mentre quel cretino davanti a me si contorceva per il dolore. Si girò verso di me con i capelli che gli si attaccavano alla fronte e prese la schiuma lanciandomela. Io feci la faccia sconvolta lanciandogliela a mia volta.
 
“E’ una sfida?” chiese alzando un sopracciglio.
 
“Non se mai stato bravo in quelle” ribattei lanciandogli una frecciatina.
 
Iniziò una battaglia senza esclusione di colpi fino a quando, Harry non riuscì a bloccarmi. Era a cavalcioni su di me con le mani a bloccare i miei polsi sul pavimento.
 
“Non è giusto” protestai facendo il labbruccio cercando per l’ultima volta di scappare dalla sua presa. Lui inizio a fissare le mie labbra e mi resi conto della situazione in cui ci trovavamo e di come poteva essere vista dall’ esterno.
 
Lui aveva una mano sul mio bacino per tenermi ferma a terra e l’altra per tenere i miei polsi sopra la testa. Aveva le gambe incrociate poste ai lati dei miei fianchi. I capelli mi caddero sul viso quando si avvicinò, erano così zuppi di schiuma e acqua che mi gocciolavano addosso, ma non me ne importava minimamente.
 
“Che sta succedendo qui?” sentimmo una voce strillare ed io presi un respiro profondo.
 
Non sapevo se ero più in imbarazzo per quello che stava succedendo con Harry o perché avevamo quasi allagato la casa. Lui si alzò velocemente da me ed io lo seguii. Un sospiro di sollievo scivolò dalle mie labbra quando vidi che quella davanti a noi era Beth con il suo bel grembiule rosa e azzurro a cuoricini.
 
“Cosa è successo?” chiese sconvolta guardandosi attorno.
 
“Non sappiamo come fermare la lavatrice” spiegammo imbarazzati.
 
Lei  ci guardò sorridendo ed alzandosi la gonna a balze scoprendo un pezzo del polpaccio per non bagnarla entrò nella schiuma.
 
La guardammo allibiti quando abbassandoci staccò la spina e quella macchina infernale si spense. Mi diedi mentalmente della ritardata per non averci pensato prima, ma chi va a pensare alla spina?                                                
 
Ci guardò ridendo mentre noi la stavamo guardando immobili, sembrava che qualcuno ci avesse schiaffeggiato.
 
“Andate a prendere il secchio e la scopa… non metteteci troppo che se no mi toccherà venirvi a cercare”lo disse alludendo all’ immagine di pochi minuti prima ed io prendendo Styles per un braccio mi allontanai rossa in viso.
 
***
 
Mi tolsi la divisa cambiandomi nel bagno degli inservienti. Indossai una canotta e la giacca, mi passai una mano ai capelli e mi lavai la faccia esausta, Betty ci aveva fatto pulire tutto controllandoci ogni cinque minuti.
 
Uscii ridacchiando un po’ al pensiero di Harry che cercava di mettere la schiuma nel secchio col la paletta. Era pomeriggio inoltrato, ma ancora una tenue luce rendeva il viaggio fino a casa meno deprimente. Una macchina ora mai da me molto conosciuta mi bloccò il passaggio.
 
“Che c’è, Harry?” chiesi guardandolo  mentre continuavo a camminare.
 
“Non vuoi fare un giro?” propose lui serio.
 
“Solo se la guido io”
 
“Portiamola in pista e là la potrai guidare” rispose.
 
Sorrisi ed aprendo lo sportello mi lanciai dentro.
 
Quanto l’ adoravo, i sedili erano così comodi che avrei anche rischiato di addormentarmici. Chiusi gli occhi. Sentii qualcuno toccarmi il braccio e mi girai assorta per poi rendermi conto  che mi ero addormentata nella macchina di Harry.
 
“Scusa ” dissi io tirandomi su nervosamente.
 
“Tranquilla, sei così carina quando dormi… almeno non apri bocca” scoppiò a ridere e io gli tirai un pugno sul braccio. Misi il broncio e lui alzò le spalle. Eravamo arrivati alla pista, ma stranamente c’era qualcuno.
 
Aprimmo gli sportello e scendemmo.
 
“Chi sono?” mi chiese Harry avvicinandosi a me. Mi stupii per come velocemente mi aveva affiancato, ma gliene fui grata perché sapevo perfettamente chi era  quella gente e non volevo stare sola.
 
“Bambolina” disse un ragazzo biondo con due occhi azzurri penetranti.
 
Tristan Evans.
 
Mi venne incontro con la sua solita andatura ciondolante, gli zigomi scolpiti e gli occhiali scuri gli davano un’aria minacciosa. Quel ragazzo non mi era mai piaciuto, troppo sicuro di sè e non mi piaceva come mi guardava.
 
“Evans”
 
“Da quando siamo passati a chiamarci per cognome?” domandò squadrandomi da capo a piede senza un minimo di tatto. Alzai le sopracciglia e Harry mise un braccio sul mio bacino. In una situazione normale avrei subito urlato di mettere le mani al proprio posto, ma ero inquieta e la sua presenza stranamente mi confortava.
 
“Non ci siamo mai chiamati, veramente” lo schernii io secca.
 
“Miao, da quando sei cosi aggressiva, anzi, da quando non lo sei, ho sempre pensato che fossi un maschio con le tette” scherzò il biondo davanti a me. Strinsi i denti, non sopportavo la sua pessima ironia. Avrei così tanto voluto cancellare la sua brutta faccia dalla Terra, ma Harry mi precedette.
 
“Va bhe, noi andiamo”
 
“Ti sei trovata il ragazzo?” chiese Tristan non staccando lo sguardo da me.
 
“Andiamo ”dissi io di botto prendendo Harry per un braccio e trascinandolo verso la macchina. Lui si sedette al posto di guida e dopo aver sgommato in avanti arrivando ad un centimetro dai piedi di Tristan e poi andammo via da quel posto.
 


EFFY'S POV: 
 
Quel giorno passai poco tempo alla via per colpa dei compiti che ci avevano assegnato. Quando arrivai a casa verso sera, vidi zio Simon in salotto con in mano il suo solito giornale, mentre leggeva.
 
“Buona sera Effy!” esclamò facendomi l’occhiolino.
 
“Ciao zio” gli risposi io.
 
“Senti, ti ho già preparato la cena, devi solo scaldarla. Sta sera devo uscire, ti va bene restare a casa da sola?”  mi chiese poi iniziando a prepararsi. Io annuii mostrandogli un sorriso d’approvazione.
 
Quando zio Simon uscì di casa, guardai cosa mi aveva lasciato per cena: ali di pollo. Non avevo per niente voglia di mangiarle, così le misi nel frigor e prendendo un barattolo di gelato andai a sdraiarmi beatamente sul divano accendendo la tv. Non c’era niente di meglio che stare sotto le coperte e potersi ingozzare di gelato alla cannella senza che Faith me ne chiedesse un po’.
 
Improvvisamente sentii bussare alla porta, pensando che fosse Faith o zio Simon che aveva dimenticato qualcosa, l’aprii d’istinto.
 
“Dovresti essere più prudente, potevo essere un pazzo omicida, Eff” mi riprese Luke sorridendo. Indossava un giubbino di pelle nera e dei jeans neri anch’essi strappati. Subito dopo mi spostai per farlo passare.
 
“Sei da sola in casa?” mi domandò guardandosi attorno.
 
“Sì, zio Simon è appena uscito e Faith non so dove sia sinceramente” gli risposi mentre lui continuava a far tentennare il suo piercing con la lingua.
 
“Posso farti compagnia, se vuoi” propose lui sorridendo.
 
Io annuii e lo abbraccia per salutarlo. Ero contenta di poter passare una serata in casa con Luke e sapevo che aveva un grande istinto di protezione nei miei confronti, ero sicura che non avrebbe mai permesso a nessuno di farmi del male. Lo consideravo un po’ come il mio fratellone.
 
“Cosa stavi facendo d’interessante?” mi chiese sedendosi accanto a me sul divano.
 
“Oh, nulla di ché, stavo solamente ingozzandomi di gelato alla cannella” ironizzai.
 
Lui annuì ridendo per poi afferrare il vasetto di gelato ed il mio cucchiaio iniziando a mangiarselo.
 
“Ehi!” protestai cercando di riprendermeli, senza successo però. Lui sembrò determinato a non volermeli ridare, così andai in cucina a prender un altro cucchiaio. Quando ritornai, lo vidi sdraiato beatamente sul divano occupando tutto lo spazio. Lui rise nel vedere la mia faccia furiosa e poi ritornò a sedersi permettendomi di risedermi accanto a lui.
 
“Non ti stanchi di andare a lavorare in quella casa con quel riccio viziato?” mi domandò quasi infastidito.
 
Io mi feci seria e mi fermai a mangiare il gelato.
 
“Alla fine ti ci abitui alla loro presenza” risposi.
 
“Come alla loro?! Non c’è solamente Styles?”
 
“No, c’è anche Nash”. Vidi la faccia di Luke prendere una strana forma.
 
“E chi diavolo è ora Nash?” domandò quasi ringhiando.
 
“E’ il fratellastro di Harry, si chiama Nash Grier, o meglio.. Hamilton Nash Grier. Ha un anno in più di me” spiegai. A quelle parole Luke sembrò tranquillizzarsi, sembrava  pensasse che fosse un fratello gemello di Harry. Non capivo il perché di quella sua reazione eccessiva.
 
“E questo Nash com’è? E’ uguale a quel viziato del fratello?” domandò con un tono d’arroganza. Mi dava fastidio sentire quelle parole senza giustificazione su Harry e su Nash.
 
“Veramente, Harry non si comporta da viziato, anzi, non si è mai atteggiato come se fosse superiore a noi”
 
“Allora Grier è un Santo”
 
“No bhe, ha solo un carattere un po’ più.. difficile” risposi non sicura della parola giusta da usare.
 
“Sono tutti dei figli di papà e tu non devi credere alle loro parole, Eff” spiegò poi guardandomi. Io abbassai lo sguardo non riuscendo a sostenere quegli occhi azzurri come l’oceano su di me. Dopo alcuni secondi mi posò le sue mani sulla mia  schiena e mi tirò verso di lui abbracciandomi.
 
“Loro non sono come noi, Eff. Non riusciranno mai a capirti” sussurrò dolcemente alle mie orecchie. Io posai la mia testa nell’incavo del suo collo e successivamente ci mettemmo a guardare la tv come prima della nostra conversazione.
 
Guardai velocemente l’orario ed era quasi mezzanotte e gli occhi erano quasi completamente serrati. Sentii Luke chiamarmi diverse volte, ma ero davvero troppo stanca per rispondergli, così mi afferrò da sotto le ginocchia mettendo un braccio sulla mia schiena prendendomi in braccio per portami in camera mia. Mi posò delicatamente sul letto prendendo le coperte dal fondo del letto. Le sollevò facendole scorrere lungo il mio corpo. Mi spostò leggermente i capelli dalla mia fronte prima di posarci le sue labbra.
 
“Buona notte, Eff” sussurrò dolcemente prima di uscire dalla stanza.


 
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SPAZIO AUTRICI :) 

Ehi belle c:
Eccoci con il 9' capitolo xx
Speriamo vi piaccia come vi sono piaciuti i precedenti!
Ci paicerebbe se lasciaste qualcche recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un  bacione, 
-Gre & Fede.

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Capitolo 10
*** CHAPTER 10 ***




CHAPTER 10.

FAITH'S POV: 
 
Tirai fuori le chiavi dalla tasca cercando di fare meno rumore possibile. Dopo quella spiacevole esperienza al campo, Harry si era proposto di andare a mangiare qualcosa e allora eravamo andati a mangiare un panino ed a fare una partita a bowling.
 
Ero stata piacevolmente sorpresa quando aveva accettato di dividere il conto, sicuramente per quello che era successo, ma  avevo apprezzato che non pensasse di sentirsi in obbligo solo perché aveva un conto a sei zeri.
 
Aprii la porta e le assi scricchiolarono, chiusi gli occhi, ma non sentii nessun rumore.
 
Sull’ appendiabiti non vidi il giubbotto dello zio il che voleva dire che non era ancora tornato, fortunatamente.
 
Una luce si accese abbagliandomi gli occhi. Li chiusi di scatto facendo un passo indietro, con un braccio a coprirmi il viso cercando di capire chi fosse.
 
“Dove sei stata?”quella voce mi rincuorò di colpo.
 
“Abbassa la voce” gli risposi io sussurrando e mettendo un dito davanti alla bocca.
 
Rimasi però perplessa quando la sua espressione continuò ad osservarmi corrucciata.
 
“Tua sorella non si sveglierà, l’ho portata io a letto” continuò lui.
 
Io allora, togliendomi le scarpe, gli chiesi “Che succede?”
 
“Dimmelo tu. Ti ho aspettato per ore e torni ora e mi dici che succede?” ringhiò lui.
 
La sua voce era ferma, ma lo conoscevo troppo bene e sapevo che si stava trattenendo. Io non capivo perché sinceramente mi stesse attaccando, non avevo fatto niente e lui non aveva il diritto di sgridarmi in casa mia.
 
“Adesso non fare la moglie gelosa, sono andata  a fare un giro ed a mangiare fuori” in quel momento i nostri sguardi erano incastrati l’un l’atro in tono di sfida. Nessuno aveva la minima intenzione di abbassare il proprio; il marrone nell’ azzurro in quel momento sembrava che il silenzio della sera ci fissasse.
 
Visto che non parlava continuai.
 
“Cosa c’è di male? Dopo il lavoro ho fatto un giro con Harry”
 
“Ah certo, ho capito tutto” sbottò.
 
Entrai in cucina per prendere un bicchiere d’ acqua, tutta quella situazione mi stava innervosendo. Con che diritto mi faceva tutto quel discorso e perché mi parlava con quel tono? Sentii i suoi passi pesanti dietro di me.
 
“Cosa succede?” gli chiesi io usando il tono più pacato che riuscii.
 
“Sei cambiata” disse con fare melodrammatico.
 
Io incrociai le braccia sotto il petto dicendo “E perché dici così? Sentiamo, sono proprio curiosa”
 
“La ragazza che conoscevo io non andava dietro al primo riccone che incontrava”
 
“E non è quello che è successo, abbiamo mangiato un panino, tutto qui, mica mi ha giurato amore eterno”
 
“Proprio non capisci” si passò una mano tra i capelli biondi guardando per terra.
 
Il suo viso era strano, le guance arrossate e gli occhi lucidi mi spaventarono così tanto che la mia voce iniziò a tentennare.
 
“Spiegami, cosa sta succedendo?”
 
“Niente, non ti preoccupare” detto questo si girò velocemente.
 
Io senza pensarci un secondo gli corsi dietro, la distanza tra noi non era molta quindi non ebbi nessun problema ad avvicinarlo. Poggiai la mano sul suo polso prima lentamente, ma visto che non aveva intenzione di fermarsi aumentai la presa. Era raro che litigassimo, di solito finivano sempre con lui che mi abbracciava io che spuntavo a casa sua con una scatola di patatine, ma quella volta sentivo che se lo avessi lasciato andare sarebbe successo qualcosa di diverso ed io non volevo.
 
Io e lui eravamo una cosa sola e non sarei riuscita a vivere un solo giorno senza di lui, era il  mio respiro e la mia guida ed in quel momento mi stava voltando le spalle.
 
Mi misi davanti alla porta di uscita ferma a non farlo passare.
 
“Cos’è, mi rinchiudi dentro?”
 
“Sì  se sarà necessario, voglio sapere cosa sta succedendo”
 
“Proprio questo è il problema: non lo capisci da sola”
 
“Allora spiegamelo” dissi io spostandomi dalla porta e guardandolo.
 
Lui mi lanciò un’ultima occhiata e superandomi uscì lasciandomi lì, sconvolta ed inerme.
 

EFFY'S POV: 
 
Mentre stavo uscendo dall’aula di filosofia, vidi in lontananza Nash con alcuni suoi amici che stavano vagando per il corridoi. Andai verso il mio armadietto e lo aprii mettendo a posto i libri della lezione precedente per prendere quelli della materia corrente.
 
Sentii un rumore accanto a me ed un “Hei!” esclamato con fin troppa nonchalance.
 
Chiusi l’anta dell’armadietto e mi ritrovai due occhi neri che mi guardavano tenendo imprigionati i miei. Il suo sorriso smagliante non tardò arrivare seguito poi da un “Come te la passi, Effy?”.
 
Io sorrisi timidamente e strinsi i miei libri al petto. Indossava una camicia bianca stretta, la quale metteva in risalto i suoi muscoli perfetti, dei jeans neri aderenti che valorizzavano le sue lunghe gambe toniche e delle Vans blu scure.
 
“Tutto bene, tu Jack?”
 
“Perfettamente, come sempre” rispose in tono assoluto. Si appoggiò con il gomito agli armadietti e si avvicinò a me ancora di più.
 
“Verrai alla mia festa, Effy?” mi domandò con un sorriso malizioso.
 
“Penso di sì” sorrisi. In realtà non sapevo davvero se andarci dato che le uniche persone che sarebbero venute sarebbero state snob, altezzose e piene di soldi ed era un mix che non mi andava molto a genio.
 
“Tu verrai” rispose  determinato.
 
“Se vuoi ti vengo a  prendere io” si offrì lui dopo alcuni istanti di silenzio imbarazzante.
 
Aprii la bocca per rispondere, ma non sapevo se accettare o meno. Non avevo preso ancora una decisone e Jack stava mettendomi fretta, troppa fretta. Una parte di me voleva accettare, ma l’altra era determinata a rifiutare l’invito del moro davanti a me.
 
Mentre ero intenta a dargli una risposta, una voce parlò al posto mio
 
“Grazie Gilinsky, ma non ce n’è bisogno, l’accompagnerò io” rispose Nash spuntando fuori da non so dove.
 
“Grier! Sei gentile, ma pos-“
 
“Non scomodarti, ci devo venire anche io, perciò tanto vale che la vada a prendere io Effy” insistette Nash spostandosi accanto a me facendomi un occhiolino d’intesa. Io sorrisi abbassando lo sguardo. Nella mia testa lo stavo ringraziando per aver preso una decisione al posto mio senza che dovessi fare nulla.
 
“Come vuoi” rispose infastidito Jack andandosene via lungo il corridoio della scuola.
 
Nash si mise di fronte a me mettendomi due dita sotto al mento facendomi alzare il viso per poter far incontrare i nostri occhi. Con la mano libera mi sfilò l’elastico che legava i miei capelli delicatamente facendomeli cadere sulle spalle. Sorrise con quei suoi denti perfetti e mi ridiede l’elastico.
 
“Mi piaci di più con i capelli sciolti” sussurrò alle mie orecchie. Io lo guardai arrossendo completamente e prima che potessi rispondergli qualcosa, Nash si dileguò per il corridoio con dei suoi compagni. Quel ragazzo aveva un non so ché da farmi rimanere sempre senza fiato e quegli occhi azzurri che mi rimanevano impressi ore ed ore nella mente dopo averli guardati anche solo per qualche istante.
 
La campanella mi riportò al mondo reale, ovvero un’intera ora di letteratura inglese con il professor Johnson. Non era male come insegnate, ma parlava davvero troppo velocemente e stargli dietro era ormai diventata una vera e propria sfida.
 
***
 
Ero alla villa e mentre stavo sistemando la sala, sentii Betty chiamarmi in cucina. Io corsi velocemente da lei per vedere se aveva bisogno di aiuto. Betty mi fece sedere al tavolo e chiuse la porta della cucina dietro di sé.
 
“Ho una cosa da dirti!” esclamò compiaciuta. Io le feci un cenno per darle un segno di proseguire.
 
“Il Signorino Hamilton va ad una festa!” disse sorridente.
 
“Lo so Betty, ci andrò anche io probabilmente” le risposi stortando la bocca di lato. Alle mie parole la faccia esaltata della donna sparì in un’espressione spenta.
 
“Come mai ci andrai anche tu, cara?” mi domandò curiosa. Betty non sembrava mai dimostrare la sua età quando parlava con me o con Faith, si comportava più come un’amica del cuore, alla quale confidare segreti e farsi dare consigli.
 
“Un amico di Na-  Hamilton ci ha invitati entrambi  quando eravamo alla gara di tennis” le spiegai.
 
“E cosa hai intenzione di metterti? Vestito? Gonna e maglietta? Camicia e jeans?”
 
“Betty! Da quando in qua hai tutta questa parlantina?!”
 
“Oh tesoro, non posso certo mettermi a parlare di vestiti con uno che a malapena capisce la nostra lingua ed un altro vecchio lunatico e scorbutico” esclamò lei riferendosi a Sputnik e ad Oscar. A sentire quelle parole scoppiai in una grandissima risata.
 
Quando mi calmai le risposi
 
“A dire il vero non lo so, non sono una da feste e non mi è mai servito un vestito per quel genere d’occasioni”.
     
Betty annuì amareggiata, evidentemente anche lei sapeva come ci si sentiva. Subito dopo scesi dalla sedia del bancone della cucina e sistemai alcuni piatti.
 
“Effy!” sentii chiamarmi con una voce maschile, mi girai e dalla cucina entrò inaspettatamente Nash. Entrò mettendosi accanto a me e sentivo i suoi occhi di ghiaccio percorrere tutta la mia figura.
 
“Buon giorno signorino Hamilton!” esclamò Betty dipingendosi in volto un sorriso smagliante.
 
“Ciao” rispose lui ritornando subito a me.
 
“Domani andiamo a fare shopping” disse lui determinato. Non capivo se fosse una proposta o un ordine, ma per sicurezza annuii accettando.
 
“Va bene, ma-“ stavo iniziando a chiedergli, quando lui rispose subito
 
“Alle tre nell’ingresso. Non metterti la divisa, vestiti normalmente, okay?”
 
“Okay”
 
“Perfetto! Si puntuale, Eff” mi raccomandò infine lui. Io annuii energicamente e dopo avermi fatto l’occhiolino, uscì dalla cucina salendo le scale di corsa. Mi toccai le guance con le dita delle mani e le sentivo quasi bruciare. Dopo alcuni secondi sentii una fragorosa risatina di Betty che mi riempì i timpani.
 
“Quanto mi mancano i tempi da adolescente” sospirò con occhi sognanti. Io la guardai in malo modo allontanandomi di alcuni centimetri da lei. Non riuscivo a capire il perché tutte persone, dopo una certa età, iniziano a voler ricordare la loro gioventù guardando quella degli altri come se fossero ad un misto tra un film romantico e drammatico. 


 
______________________________________________________
 
SPAZIO AUTRICI :) 

Ciao dolcezze xx
Questo è il 10' capitolo!
Scusateci per il ritardo nel pubblicare, ma per problemi tecnici non siamo riuscite ad aggoirnare prima..
Speriamo che vi piaccia il capitolo c:
Ci piacerebbe se lasciaste qualcche recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un  bacione, 
-Gre & Fede.

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Capitolo 11
*** CHAPTER 11 ***



CHAPTER 11.

FAITH'S POV: 
 
Harry si girò a guardarmi. Io barcollai sulle ginocchia. Era cosi difficile stargli vicino; sentivo le stomaco contorcersi ogni volta che i suoi occhi si mischiavano con i miei.
 
Mi fece segno con la testa verso un angolino sotto al porticato e si sedette. La stessa cosa feci io lui aveva lo sguardo fisso sulle nostre gambe, eravamo vicini, non tanto da fare toccare le ginocchia, ma quasi. Era esilarante come le sue fossero più lunghe delle mie, le sue ginocchia magre arrivavano a metà del mio polpaccio.
 
Lo guardai con uno sguardo molto eloquente.
 
“Ti ricordi di Tristan ieri?” mi domandò lanciandomi uno sguardo.

 
“Allora, non voglio perdermi in dettagli inutili, però diciamo che mi ha offerto una scommessa e non ho saputo dire no”
 
“Si più preciso, grazie” lo schernii io alzando un sopraciglio non capendo dove volesse andare a parare. Lui allora sbuffò scendendo dal muretto e posizionandosi in piedi davanti a me. Io mi mossi sul posto.
 
“Chi vince la prossima gara sta sera passerà la notte con te” spiegò.
 
“Cosa?” sentenziai. La mia voce si alzò di un’ottava senza che me ne accorgesti. “Dimmi che mi prendi per il culo” continuai io scendendo dal muretto e passandomi una mano sul viso.
 
Lui rispose col mio stesso tono di voce se non più alto.
 
“Potrei raccontarti una stronzata e dire che non ho fatto niente e cagate del genere, ma ora mai quello che è fatto è fatto”
 
Io mi lanciai verso di lui, iniziai allora a tirargli pugni sul petto. Era un coglione, cretino e idiota ed io non lo sopportavo.
 
“Sei un idiota maschilista come tutti gli altri della tua specie” urlai.
 
Lui all’inizio fu colto di sorpresa dalla mia reazione ed indietreggiò andando a sbattere con la schiena sul punto sul quale eravamo seduti prima, poi prese i miei polsi e li bloccò. Le sue mani tenevano le mie quasi incollate al suo petto, la mia pelle bianca risaltava sulla sua  abbronzata ed avevamo tutti e due la fissa per gli anelli a quanto vedevo.
 
“Lasciami” sussurrai io con poco voce.
 
Il suo petto aveva iniziato ad alzarsi ed abbassarsi più velocemente di prima, sentivo il suo cuore battere più velocemente. Gli occhi di tutti i ragazzi radunati in giardino avevano gli occhi fissi su di noi, ma non mi importava.
 
“Hai ancora intenzione di picchiarmi?”chiese. La sua voce era bassa, ma molto più ferma della mia. I suoi occhi verdi erano bloccati nei miei scuri ed io aspettai di trovare un po’ di voce prima di rispondergli.
 
“Non mi hai risposto”
 
“Non mi hai lasciato”
 
Lui si abbassò ulteriormente verso di me. Le nostre labbra erano quasi appiccicate, i respiri irregolari di tutti e due si fondevano uno con l’altro.
 
“Sta sera voglio venire” lo informai.
 
“Ovviamente” rispose serio.
 
“Ti stai prendendo gioco di me?”
 
“No, anzi, mi stupisci ogni giorno di più”
 
Io non sapevo cosa rispondere, avevo gli occhi puntati sulle sue labbra rosee e carnose cosi vicine alle mie. Sentivo i polmoni farmi male da quanto pompavano ossigeno.
 
“Vuoi un passaggio sta sera?”
 
“Ovviamente” replicai ghignando.
 
“Non mi copiare le battute” protestò il riccio davanti a me nascondendo una risatina nella voce.
 
“Non lo farei mai” conclusi.
 
Un ultimo sguardo alle sue labbra e vidi la sua testa muoversi impercettibilmente verso la mia.
 
La campanella suonò.
 
Una folla di ragazzi passò dietro di noi fischiando. Io mi girai di scatto verso di loro per urlargli parole poco consone ad una ragazza. Harry mi aveva lasciato.
 
“Lasciali stare” disse lui dietro di me.
 
Io mi girai verso di lui lentamente.
 
“Passo da te alle undici”
 
Lui mi guardò sorrise e si girò per andare in classe.
 
Io con cosi poca voce che non mi sentii risposi “Ovviamente”.
 


EFFY'S POV: 
 
Erano le tre precise e stavo aspettando Nash all’ingresso. Dato che mi aveva detto di vestirmi senza la divisa, misi dei leggins neri, una canottiera bianca con sopra una camicia rossa a quadri e delle Vans nere. Avevo la coda e mi ero messa un leggero strato di eyeliner per contornare la parte superiore dei miei occhi. Ero abbastanza agitata all’idea di andare  a prendere il vestito per la festa con Nash, dato che avevamo gusti decisamente diversi; basti vedere alla divisa da tennis che mi aveva assegnato.
 
Con il suo ormai consueto, ma elegante ritardo, scese dalle scale dandosi un’ultima sistemata allo specchio. Mi lanciò un’occhiata e sentii i suoi occhi bruciare su tutto il mio corpo. Indossava una maglietta a mezze maniche nera che fasciava il suo fisico perfetto e dei jeans scuri stretti che mettevano in risalto le gambe muscolose con delle Vans rosse.
 
“Non ci siamo ancora, Eff!” esclamò venendo verso di me.
 
Feci una faccia stranita mentre lui, alzando lentamente la mano destra, mi slegò i capelli lasciandoli cadere sulle mie spalle. Poi mise una mano tra di essi scompigliandomeli. Non capivo perché aveva questa fissa.
 
“Perché ogni volta che ho i capelli raccolti, tu me li devi disfare?”
 
“Perché ti raccogli i capelli se sai che continuerò a disfarteli?” rispose alla mia domanda con un’altra domanda.
 
Io abbassai lo sguardo e lui ammiccò un sorriso malizioso. Mi prese leggermente il polso per poi uscire dalla casa fino alla sua macchina. Ci entrai e appena mi sedetti, mi vennero alla mente le immagini di lui e Madison che si baciavano.
 
“Allora?” mi richiamò Nash sbuffando per la mia mancata attenzione.
 
“Come?”
 
“Mi stai ascoltando? Ho chiesto se avevi già in mente un posto dove andare per i vestiti” ripeté lui evidentemente scocciato.
 
“Mh.. no” risposi scuotendo la testa. Sinceramente non sapevo nemmeno come ci si doveva vestire ad un evento del genere. L’ultima festa a cui ero andata era quando avevo 12 anni e compiva gli anni una bambinetta odiosa dove dovevamo vestirci tutte di rosa e mangiare dolcetti con glassa fucsia, ma sicuramente alla festa di Jack non avremmo mangiato dolcetti glassati.
 
“Elizabeth?!” mi richiamò ancora Nash scuotendomi le spalle.
 
“Scusami” risposi abbassando lo sguardo.
 
“Sai, è fastidioso quando cerco di avere una tua risposta quando sembri completamente assente” mugugnò. “Comunque, conosco un posto dove potremmo trovare sia il mio che il tuo vestito” aggiunse sospirando.
 
***
 
Nash fermò la macchina davanti ad un enorme centro commerciale. La spense ed entrambi uscimmo dall’auto. I raggi del sole accarezzavano tiepidi la pelle scoperta delle braccia, mentre vidi Nash iniziare ad incamminarsi dentro la struttura. Lo seguii.
 
Il posto era tremendamente affollato e c’erano negozi enormi. Non c’ero mai stata, anzi, a dir la verità ero anche all’insaputa che esistesse fino ad allora.

“Hai già in mente che vestito prendere?” mi chiese poi guardandomi.
 
“Sinceramente no, non sono mai stata a delle feste” ammisi. Mi aspettai una risatina o una battuta sulla mia poco attiva vita sociale, ma non lo fece. “Tu?” gli domandai poi alzando lo sguardo per incontrare i suoi occhi color ghiaccio.
 
“Relativamente” rispose ammiccando un sorriso. Potevo giurare di non aver mai visto dei denti più perfetti dei suoi.
 
Dopo una decina di minuti passati a camminare per i vari lati del centro commerciale, entrammo in una boutique chiamata “Hailey’s boutique”. Appena mettemmo piede all’interno del negozio, un profumo di rosa fresca ci investì. Era tutto così terribilmente.. grazioso. Le pareti erano di un color panna tendente al azzurro pallido. Le vetrate erano contornate da delle rifiniture in oro laccato. Gli specchi avevano come cornice delle ricamature rosa con dei fiori. Per non parlare dell’enorme quantità di vestiti: c’e n’erano di tutti i tipi, ma la maggior parte erano in stile classico.
 
“Sono certo che qua troverai il vestito, se vuoi ti posso dare una mano” si offrì lui iniziando a curiosare tra i vestiti. Già dalla categoria che aveva scelto capii il modo in cui avrebbe voluto aiutarmi. Diedi un’occhiata veloce ai cartellini, ma mi accorsi che i prezzi erano allucinanti e troppo elevati per il mio budget, così cercai un vestito che potevo quantomeno permettermi.
 
Nash mi si accostò e guardò i vestiti che stavo prendendo in considerazione.
 
“Effy, è una festa, non una comunione” scherzò guardando le mie due opzioni. Erano due abiti lunghi fino al ginocchio color bianco con del pizzo ricamato sulle maniche. Effettivamente non erano proprio adatti ad una festa, anche se per me restavano bellissimi.
 
“Ci darà una mano Hailey, è un’ esperta su queste cose” disse Nash tranquillizzandomi. Un momento, chi era ora Hailey? Sicuramente doveva essere una ragazza alta, slanciata, con le curve al posto giusto, abiti eleganti, occhi azzurri e capelli lisci come la seta, con labbra carnose e trucco perfetto. Solo all’idea di avere una persona così attorno mentre mi consiglia che abito striminzito mettere, mi faceva venir voglia di scappare.
 
“Nash!” sentii esclamare dietro di me in lontananza. Mi girai di scatto e vidi una signora suo settant’anni venire verso di noi con un enorme sorriso.
 
“Hailey!” esclamò lui andando verso di lei. I due si diedero un grande abbraccio mentre si scambiavano qualche parola. Non potevo credere ai miei occhi. Hailey era quella donna. Non era niente male per la sua età, aveva dei grandi occhi neri contornati da del mascara, le labbra sottili dipinte di un rossetto rosso. Portava alle  orecchie dei lunghi orecchini d’argento, i capelli castani erano raccolti in uno chignon perfetto. Indossava un vestito lungo nero che risaltava la sua figura snella e slanciata. Sembrava quasi più giovane di me, se non fosse per le rughe.
 
“Chi è questa bella ragazza? Un’altra tua conquista?” domandò la signora per niente indiscreta mentre con gli occhi mi studiava attentamente. A quella domanda arrossii ed abbassai lo sguardo evidentemente imbarazzata.
 
“No no, è.. una mia amica” rispose Nash non sapendo bene che risposta dare.
 
Effettivamente non ero proprio una sua amica, alla fine lavoravo per lui e il nostro legame non era proprio da amici.
 
“Come ti chiami, tesoro?” mi chiese la donna venendo più vicina a me.
 
“Elizabeth, ma può chiamarmi Effy” le risposi sorridendo.
 
“Bene, Nash ed Effy, per che occasione siete qui?” ci chiese guardandoci. In quel preciso momento mi sentivo come davanti ad consulente matrimoniale, ma cercai di reprimere quell’ idea e restai a guardare mentre Nash le spiegava della festa. Hailey  annuì e tutti e tre ci recammo in un’altra stanza, dove c’erano dei vestiti più adatti ad una situazione come la nostra.
 
“Sei un po’ bassina, perciò direi che abiti lunghi è meglio evitarli, però, data la tua forma, potrebbe anche starti bene un abito corto” spiegò la proprietaria guardandomi da cima  a fondo. Alle ultime parole vidi gli occhi di Nash illuminarsi.
 
Estrasse alcuni vestiti da vari scaffali e me li porse invitandomi a provarli nel camerino. Mentre entrai a cambiarmi, Nash restò ad aspettarmi fuori. Controllai che non ci fossero fori da dove sbirciare ed iniziai a togliermi la camicia, i pantaloni e la canottiera. Indossai il primo abito. Arrivava a metà delle mie cosce, aveva  la scollatura a cuore ed era di un color pesca chiaro. Girai davanti allo specchio e la prima cosa che pensai fu “Se mi dovesse vedere Faithin in questo preciso momento mi ucciderebbe”. Sapevo quello che pensava riguardo all’emancipazione femminile e quel abito stava andando contro ogni suo principio.
 
Uscii dal camerino e vidi gli occhi di Nash spalancarsi come la sua bocca.
 
“Cazzo” riuscì solo a dire mentre il suo sguardo lussurioso si posava sulla pelle scoperta delle mie gambe. Mi sentivo osservata quando Hailey si unì a guardarmi per vedere come mi stesse il vestito.
 
“Niente male, cara” disse sorridendo. “Ora prova quello rosso” m’invitò. Io annuii rientrando nel camerino per provare il secondo vestito. Era corto tanto quanto l’altro, la stoffa era di un rosso fiammante con delle spalline sottili e la scollatura più accentuata.
 
Uscii dal camerino e l’espressione di Nash restò la stesso di prima.
 
“Ragazzo, però dille qualcosa al posto di stare con quella bocca aperta come una ragazzina!” lo rimproverò Hailey dandogli una pacca sulla schiena. Nash sembrò riprendersi da quello stato per mostrarmi un sorriso.
 
“Ti sta davvero bene, Effy!” esclamò il moro.
 
“Sì, ormai abbiamo concordato che dobbiamo restare su un genere corto, ma quel pesca lo scarterei, data la tua pelle già estremamente chiara, quel colore ti renderebbe un fantasma” spiegò Haiely in tono determinato.
 
Nash sembrò perso nei suoi pensieri e si alzò di scatto allontanandosi dal camerino. Io mi guardai allo specchio e non mi stava male il vestito rosso, però non mi convinceva del tutto. Guardai l’etichetta e vidi che non costava nemmeno troppo. Feci qualche giro su me stessa ed Hailey iniziò a darmi qualche dritta sul portamento a cui avrei dovuto attenermi nell’indossare quel vestito. Dopo alcuni minuti, vidi arrivare Nash con in mano un abito azzurro.
 
“Ti prego, provalo” mi disse con occhi supplicanti.
 
“I-io..” iniziai a balbettare prendendo la stoffa tra le mani iniziando a rigirarla.
 
“Fallo per me” mi scongiurò infine avvicinandosi. Sentii il suo profumo inondarmi le narici e senza pensarci due volte annuii.
 
Entrai per quella che speravo fosse l’ultima volta nel camerino. Spogliai l’abito rosso ed iniziai ad infilare l’abito che mi aveva consigliato Nash, preparandomi al peggio. Sistemai la stoffa aderente sul mio corpo e mi voltai verso lo specchio. Guardai la mia figura riflessa e mi stupii. Il vestito mi faceva sembrare bella e per una volta ero soddisfatta di come apparivo. Aveva il corpetto azzurro chiaro con dei ricami sul petto per poi allargarsi fino a metà coscia prendendo delle sfumature più scure, con il bordo con delle leggere decorazioni. Era bellissimo. Feci un respiro profondo ed uscii.
 
Vidi Hailey e Nash intenti a parlare ed appena notarono la mia presenza le loro bocche si spalancarono all’unisono.
 
“Stai un incanto, tesoro!” esclamò Hailey ammirandomi in uno dei suoi vestiti.
 
“Grazie” le risposi arrossendo. Alzai leggermente lo sguardo per incontrare quello di Nash, che dalla sua espressione sembrava come essere entrato in trance. La sua bocca stupita si trasformò in un enorme sorriso e i suoi occhi continuavano a fare su e giù su tutta la mia figura.
 
“Sei.. bellissima” si lasciò scappare con un filo di voce. Era la prima volta che mi diceva una cosa del genere.
 
“Grazie, Nash” risposi sorridendo timidamente.
 
“Sai ragazzo, hai un certo occhio per queste cose” scherzò Hailey facendogli l’occhiolino. Entrambi ridemmo, ma la donna aveva ragione, il vestito che mi aveva consigliato Nash era il più bello tra tutti quelli che avevo mai provato, visto ed immaginato.
 
“Ho questo dono, che posso farci” sospirò lui ammiccando un sorrisetto beffardo.
 
Mentre i due erano intenti a complimentarsi, io diedi una piccola sbirciata all’etichetta e notai tristemente che il prezzo del vestito era un capitale! La mia faccia sbiancò ed indietreggiai di qualche passo.
 
“Che succede?” mi domandarono loro vedendo il mio repentino cambio d’espressione.
 
“N-niente. Nash, vai pure a cercare i vestiti per te, io vi raggiungo subito” risposi mostrando un sorriso per cercare di rassicurarli ed entrambi mi lasciarono sola dentro al camerino. Non ci potevo credere, il vestito più bello che avessi mai visto stava per essere mio, ed io non avevo abbastanza soldi per prenderlo. Mi sedetti sulla sedia e misi le mani nei capelli. Perché doveva essere tutto così maledettamente complicato? Guardai gli abiti  appesi allo specchio, ma il mio sguardo restava stregato da quello color turchese. Per quanto lo desiderassi, i numeri non sarebbero cambiati e avrei dovuto rassegnarmi. Dopo alcuni istanti avevo deciso: avrei preso quello rosso.
 
Uscii dal camerino amareggiata e poi andai verso il reparto maschile. Vidi Hailey aspettare fuori dal camerino ed io andai accanto a lei. Dopo alcuni istanti vidi la porta del camerino aprirsi ed uscì Nash. Indossava una camicia azzurro scuro intonata alla perfezione con i suoi occhi chiari e dei pantaloni neri aderenti. Stava divinamente e lui sorrise quando notò che lo stavo fissando.
 
“Come sto?” ci domandò facendo un giro su se stesso.
 
“Potresti essere mio nipote, ma sei comunque un gran bel pezzo di fanciullo, caro Grier” scherzò Hailey mettendosi a ridere. Poi vidi gli occhi color ghiaccio puntati su di me chiedendomi un parere.
 
“Sei perfetto” risposi sorridendo. Lui annuì e poi andò a cambiarsi. Quando andammo alla cassa, Nash pagò i suoi vestiti che erano costati il triplo del mio abito. Quando fu il mio turno, vidi gli occhi di Nash spalancarsi alla vista del vestito rosso posarsi sul bancone della cassa.
 
“Dov’è il vestito turchese?” mi domandò incredulo.
 
“Ho deciso di prendere questo” risposi attonita.
 
“Come? Quell’abito era perfetto per te, ti stava una meraviglia!” esclamò. Riuscivo a sentire un tono di delusione nella sua voce. Alle sue parole feci spallucce e lui stette zitto.
 
Dopo aver salutato Hailey, la quale ci fece gli auguri per la festa, uscimmo dal negozio.
 
Vidi il viso di Nash nettamente frustrato e la cosa mi rattristò. Sapevo di averlo in qualche modo deluso, specialmente perché il vestito che entrambi adoravamo l’aveva scelto lui, ma non mi sarei mai potuta permettere di spendere una cifra del genere per un abito.
 
“Eff!” sentii esclamare dietro di noi. Ci voltammo entrambi ed un ciuffo biondo e due paia di occhi azzurri riempirono la mia visuale.
 
“Luke!” esclamai andandolo ad abbracciare per salutarlo.
 
“Chi è lui?” chiese mettendosi accanto a me. A quella domanda sentii il suo istinto protettivo farsi spazio nell’aria.
 
“Nash” risposi io presentandolo. Il moro avanzò per salutarlo, ma Luke indietreggiò e sgranò gli occhi.
 
“Aspetta, lui è il fratello del riccio viziato e snob?” chiese in malo modo squadrandolo.
 
“Scusami?” replicò Nash avanzando. Aveva la mascella tesa e vidi la rabbia nei suoi occhi.
 
“Okay, noi ora dobbiamo andare. È stato un piacere averti visto Luke!” esclamai strattonando con il braccio Nash, il quale sembrava non volersi spostare da lì.
 
“Perché non facciamo due chiacchiere invec-“ iniziò a dire Luke, ma il suo telefono squillò ed in quel preciso istante ringraziai il fato. “Devo andare, sarà per un’altra volta. Ciao Eff, ciao falso ciuffo biondo” concluse andandosene via.
 
“Come diavolo mi hai chiamato?!” iniziò ad urlare Nash, ma ormai Luke era già andato via.
 
“Chi diavolo è quell’idiota?”
 
“E’ Luke” risposi continuando a camminare. Speravo solo che non dicesse nulla a Faith di averci visto lì, altrimenti avrebbe scoperto della festa.
 
***
 
Eravamo in macchina e Nash era ancora arrabbiato per il vestito e per il comportamento che aveva avuto prima Luke con lui. Sapevo che il biondo non era cattivo, ma persone come Harry o Nash non gli sarebbero mai andate bene.
 
“Non capisco ancora perché tu non abbia voluto prendere quel vestito. Era il più bello di tutti” sbottò dopo alcuni minuti di totale silenzio. I miei occhi si socchiusero e sospirai. Non volevo dirgli la verità o mi avrebbe derisa.
 
“A me piaceva di più quello r-rosso” risposi poco sicura di me.
 
“Non sei brava a mentire, Elizabeth” replicò lui fermo. Odiavo quando mi chiamavano per nome, mi faceva sempre sentire colpevole di qualcosa.
 
“Ci deve essere un motivo se non l’hai preso” continuò lui. Odiavo quell’improvvisa insistenza e cercavo in tutti i modi di cambiare argomento, ma le questioni ritornavano sempre sull’abito. Sospirai e guardai fuori dal finestrino, dove il cielo stava cominciando ad imbrunirsi.
 
Eravamo davanti alla villa e quando presi la maniglia della portiera, mi accorsi che era bloccata.
 
“Perché hai bloccato la portiera?” gli domandai stranita.
 
“Non ti lascerò uscire di qua finché non mi dirai la verità” rispose guardandomi fissa negli occhi, tenendo i miei occhi verdastri incatenati ai suoi diamanti. A quelle parole strinsi il sacchetto del vestito.
 
“Te l’ho già detta la verità, mi piaceva di più quello rosso guardandoli bene” mentii abbassando lo sguardo non riuscendo a sostenere i suoi occhi color oceano.
 
“Va bene, allora resteremo in questa macchina per tutta la serata” concluse lui voltandosi dall’altra parte.

Iniziai ad infuriarmi.
 
“Lasciami andare!” esclamai scuotendo il suo braccio per attirare l’attenzione.
 
“Perché continui a mentirmi? Dimmi perché diavolo non hai voluto prendere quel vestito!” sbraitò furioso.
 
“Non ho i soldi per permettermi un abito del genere!” esclamai altrettanto alterata. A quelle parole mi maledissi. Vidi i suoi occhi sbarrarsi e la sua espressione cambiò radicalmente. Mi sentivo completamente umiliata ed imbarazzata. “Sei contento? Ora apri questa dannata portiera” risposi io con le lacrime che minacciavano di scendere dai miei occhi stanchi. Lui annuì senza dire una parola per poi sbloccare la portiera.
 
Io uscii tenendomi stretta il sacchetto e poi m’incamminai lungo la via per tornarmene a casa.



FAITH'S POV: 
 
Ero in camera aspettando il momento migliore per filarmela. Harry sarebbe arrivato pochi minuti dopo. Ero già vestita e pronta, ma avevo una strana paura che non mi lasciava stare ferma; era la prima volta che andavo ad una gara senza Luke. Solo a pensarci mi si bloccava lo stomaco e mi veniva voglia di prendere il pigiama e tornare a letto.
 
Però ero elettrizzata all’idea di vedere Harry in quel contesto, con il nostro scambio di battute quel pomeriggio tutta l’arrabbiatura era evaporata. Mi resi conto che quello era il momento migliore per filarmela.
 
Infilai le scarpe e presi la giacca di pelle. Aprii la finestra sentendo il vento gelido perforarmi la pelle, sentii mia sorella lamentarsi ed uscii velocemente.
 
Mi maledissi molte volte per aver messo solo una maglietta e la giacca, ma ora mai ero fuori. Vidi una macchina enorme accostarsi e capii subito che il riccio era arrivato. Appena si accorse di me sul tetto fece la retromarcia uscendo velocemente dalla vettura. Aveva la fronte aggrottata mentre si avvicinava a me ed io non riuscii a non ridere.
 
“Sei impazzita?” quasi urlò.
 
“E perché mai?” gli dissi io a bassa voce andando verso la scala.
 
“Lo sai di non essere Catwoman, vero?”
 
“E chi te lo dice?”
 
“Da come mi picchiavi oggi a dire il vero sembravi più una gatta incazzata” scoppiò a ridere ed io con lui.
 
“Sei fortunato che non ho intenzione di rompermi una caviglia lanciandomi per picchiarti”
 
“Stai attenta”
 
“Non ho bisogno di te che me lo ricordi”. Io allora mi girai ed iniziai a scendere.
 
Sentivo il suo sguardo bruciarmi sulla nuca, ma feci finta di niente. Toccai coi piedi per terra e barcollai un attimo prima di mettermi in piedi. Lui non si mosse.
 
“Sono stupito dalle tue doti” Io gli tirai una sberla sulla spalla ed entrammo in macchina. Il tragitto fu silenzioso fino a quando non iniziammo a litigare per chi avesse il diritto di scegliere la stazione radio da sentire. Tutta l’ansia era sparita e si era fatta spazio la solita adrenalina pre-gara.
 
“Hai intenzione di vincere vero?”
 
“Non sapevo tu fossi così impaziente di passare la serata con me”
 
“Tranquillo non lo sono di certo, ma sei meglio tu di Tristan”
 
“Sbaglio o sento puzza di passato?” domandò. Io tenni lo sguardo fuori dal finestrino.
 
“Mi piaceva qualche anno fa’ e lui lo è venuto a sapere ed ha iniziato a prendermi per il culo davanti a tutti, Luke allora è andato da lui e puoi immaginare come si è svolta la situazione, dico solo che ho passato la settimana a fare da stampella al biondino che non voleva andare all’ ospedale”
 
“Ho visto che siete molto amici voi due” constatò. Lo guardai. Aveva le mani nel volante, ma vedevo che le spalle erano stranamente rigide e le nocche erano arrivate a diventare bianche.
 
Mi girai di nuovo fuori.
 
“E’ il mio migliore amico da sempre”.
 
Lui non disse niente ed io lasciai sfumare la conversazione.
 
Arrivammo al solito posto. L’aria era in respirabile a causa della puzza di fumo e le ragazze erano più svestite che vestite. Arrivammo e la folla si aprii, gli occhi erano tutti puntati su di noi. Ero stanca di essere al centro dell’ attenzione e non vedevo l’ ora che tutto fosse finito. Vidi verso di noi venire un ragazzo dai capelli biondi e subito mi irrigidii.
 
“Ciao bambolina … ciao Styles ” disse Tristan squadrandomi dalla testa ai piedi e poi passando a osservare Harry.
 
“Sarà più divertente se lei sta qua a guardare”
 
Strinsi le mani a pugno per impedirmi di lanciargli un destro su quella faccia di cazzo che si ritrovava.
 
“Ragazzi non sprecate fiato inutilmente” disse il capo di quel porcile, ma gli fui grata di aver interrotto quella conversazione che non sarebbe andata verso niente di positivo.
 
Harry mi diede un colpetto leggero sulla spalla ed lo guardai. Mi ricordai della prima volta che lo avevo visto alle gara e non potei non essere d’accordo nel pensare che la luce della luna gli donasse.
 
Andai dal ragazzo delle bibite mentre Harry si preparava.
 
“Un bicchiere di qualcosa di forte”
 
“Te lo offro io Faith”
 
“Grazie, Carter”
 
“Che stronzata questa gara”. Io risi. Era sempre stato immischiato con le gare, ma non faceva altro che dire quanto fossero sbagliate e quanto sbagliavamo a farne parte. Un tipo interessante insomma.
 
“Mi sa che qualcuno ti cerca”
 
Mi girai vedendo Harry guardarmi. Appena si accorse del mio sguardo sorrise ed io mi avvicinai.
 
“Non mi auguri buona fortuna”
 
“No perché vorrebbe dire che approvo quello che stai facendo”
 
“Ovviamente”
 
“Non di nuovo con questo gioco” replicò. Sorrise e avvicinandosi di scatto mi diede un bacio sulla guancia. La gente si avvicinò e Tristan entrò in macchina. Tutto era sfocato ed io ero immobile nella stessa posizione. La ragazza fece il suo solito conto alla rovescia ed io presa da uno strano istinto dovuto al bacio o all’ adrenalina del momento, corsi verso le macchina di Harry e aprendo la portiera mi sedetti nel posto del passeggero.
 
Vidi il suo sguardo spalancarsi da sotto il casco.
 
“Cosa…”
 
“Accelera”
 
Mi sporsi verso di lui muovendo il volante, mentre lui nel suo stato di trans accelerava.
 
“Vuoi spiegarmi cosa cazzo ti è passato per la mente?” mi urlò lui girandosi verso di me.
 
“Mi sembra il minimo dopo che tu scommetti su di me”
 
Sterzò bruscamente superando la prima inversione.
 
“Si ma non poi saltare in macchina in quel modo”
 
“Va bene, mamma”
 
“Tieniti” mi avvisò.
 
Detto questo sterzò velocemente arrivando al traguardo poco prima di Tristan. Si fermò di botto e scoppiammo a ridere. Quella gioia non durò a lungo perché il quel momento una sirena e delle luci lampeggianti blu e rosse riempirono il paesaggio.



 
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SPAZIO AUTRICI :) 

Buona Paqua a tutte xx
Eccoci con l' 11' capitolo!
E' un capitolo abbastanza lungo, ma succedono un po' di cose, sia tra Effy e Nash, sia tra Faith ed Harry.
Speriamo vi piaccia :*
Ci piacerebbe se lasciaste qualcche recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un  bacione, 
-Gre & Fede.

 

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Capitolo 12
*** CHAPTER 12 ***


 

CHAPTER 12.

FAITH'S POV:  

“Cazzo ” sibilò Harry fra i denti.
 
Vidi avvicinarsi a noi una decina di macchine della polizia, era il caos più totale: bottiglie di alcolici lanciate da tutte le parti e gente che correva per scappare.
 
Vidi Tristan essere preso da due poliziotti ed in un nano secondo mi resi conto che mi stava indicando. Mi girai verso Harry che guardava la scena col casco ben saldo che non lo rendeva riconoscibile.
 
“Parti!” esclamai.
 
Lui capì al volo, girò con la macchina e, procurando un gran fracasso, partì a tutta velocità. Il cuore mi batteva a mille; se mi avessero beccata sarei stata fottuta. Carcere per un paio di mesi, perché non ci potevamo permette la cauzione, era ciò che mi  aspettava, senza contare che nessuna università mi avrebbe più dato una borsa di studio e  sarei rimasta a vivere con lo zio per il resto dei miei giorni.
 
“Li abbiamo dietro” mi informò Harry ed io vidi una macchina seguirci a tutta velocità.
 
Aveva le spalle rigide e dalla fronte cadevano gocce di sudore, anche in quella situazione risultava molto attraente.
 
“Di questo passo ci beccano” disse lui con voce tesa.
 
“Entra nel bosco” proposi. Vidi alla nostra destra una boscaglia fitta, lì sarebbe stato difficile raggiungerci.
 
Capii che era la nostra unica possibilità
 
“Cosa?” sbottò di getto con voce titubante.
 
“Fidati di me” risposi con la voce ferma.
 
Mi guardò e vidi i suoi occhi verdi perforare i miei prima di annuire e sterzare. Appena sorpassammo la radura per entrare nella boscaglia, la macchina fece degli strani rumori, ma non rallentò. Andavamo così veloci che non facevamo altro che sbattere nei sedili ed ero sicura di avere una trentina di lividi.
 
Mi girai lentamente non vedendo più nessuno, si sentivano i rumori, ma non sembravano vicini, dovevano essere rimasti fuori.
 
Appena ripresi fiato qualcosa me lo bloccò di nuovo. Un rumore improvviso come di rami rotti. Mi girai e chiudendo gli occhi imprecai in qualunque lingua esistente sulla terra.
 
“Quanto cazzo sono ostinati?!” sbraitò Harry quasi ringhiando.
 
Decisi che non avevo più niente da perdere e pensai allora all’unica cosa che ci poteva salvare per quanto fosse assurda, idiota e impossibile. Mi slacciai la cintura ed Harry si girò verso di me per poi riguardare la strada e schivare un albero, facendomi sbattere la testa contro lo sportello. Mi tenni una mano sulla fronte e vidi che era lievemente macchiata di sangue; non potevo fermarmi in quel momento.
 
“Cosa stai cercando di fare?” mi urlò lui.
 
Io non risposi, ma presi dalla tasca il regalo di compleanno più assurdo che mi avessero mai regalato: un coltellino svizzero con fischietto incorporato. Ashton me lo aveva regalato con la scusa che avrei potuto salvarmi da uno stupro e che era una cosa utile, ma io credevo lo avesse fatto perché si era dimenticato del mio compleanno.
 
Allungai le maniche e staccando il fischietto aprii il coltello.
 
Respirai profondamente chiudendo gli occhi.
 
Dovevo farcela.
 
Aprii il finestrino ed Harry mi guardò.
 
“Rallenta” gli ordinai e lui scuotendo la testa mi ascoltò.
 
Misi il cappuccio sulla testa e uscendo la testa dal finestrino, guardai la macchina.  Vidi i poliziotti spalancare gli occhi, lo sguardo azzurro di un di loro mi fece venire i brividi. Aveva degli occhi azzurri così profondi da far paura, guardai il mio bersaglio e chiusi gli occhi. Respirai affondo e prendendo il coltello dalla tasca lo lanciai. Il rumore mi fece mancare il respiro. Non erano tanti metri di distanza, ma avevo la mano che tremava così tanto che non sapevo se sarei riuscita a centrarlo.
 
Aprii gli occhi e un sorriso crebbe velocemente.
 
Avevo beccato la ruota, la gomma era tranciata e la macchina stava velocemente perdendo velocità fino a fermarsi. Entrai di nuovo dentro la vettura. Appoggiai la testa e scoppiai a ridere, Harry fece la stessa cosa accelerando. Avevo i capelli appiccicati al collo sudato, il sangue dalla fronte che gocciolava macchiandomi il viso, ma stavo ridendo come una matta.
 
“Ti ho già detto che sei assurda?” mi chiese tenendo ancora le mani sul volante e lo sguardo stranamente divertito sulla strada.
 
“Un paio di volte” risposi io ridendo ancora più forte, l’ adrenalina mi scorreva ancora in corpo e si era trasformata in una strana euforia isterica.
 
“Cristo Santo, stavo morendo” mi disse lui rispendendo fiato.
 
Io mi girai un ultima volta, non vedendo più nessuno dietro.
 
“Porca miseria” imprecai io guardandolo e cercando di prendere fiato.
 
“Dove andiamo?” domandai toccandomi la fronte cercando di pensare lucidamente. Le mani mi tremavano ancora così tanto che decisi di riappoggiarle sulle gambe. Vidi lo sguardo di Harry fermarsi sulla mia fronte.
 
“Stai bene?” chiese lui guardandomi con gli occhi pieni di preoccupazione.
 
Oramai avevamo rallentato notevolmente ed Harry era meno concentrato sulla strada.
 
“Si, tranquillo. Gira a destra se non sbaglio c’è una piccola casetta che avevamo costruito con gli scout” lo informai.
 
“Facevi parte degli scout? Non ti vedo ad accendere  falò e cantare canzoncine dementi” ironizzò mostrando uno dei suoi sorrisi perfetti.
 
Mi disse lui sogghignando.
 
“Ero brava” gli risposi io dandogli un pugno sulla spalla.
 
Eravamo arrivati, una casetta di legno piccolina spunto davanti a noi. La macchina però si fermò prima di arrivare davanti; guardai il riccio accanto a me con la fronte corrucciata.
 
“Niente più benzina” mi disse lui, rendendo reali i miei pensieri.
 
Sbuffai, niente stava andando per il verso giusto. Tolse il casco, alzò le mani scompigliandosi i capelli sudati e staccandoli dalla fronte, aveva i  segni rossi sulle guance per colpa del casco e gli occhi arrossati per lo sforzo.
 
Poi mi guardò.
 
“Andiamo dentro, da li decideremo cosa fare” concluse. Aveva una voce calma e ferma, mi tranquillizzò in un attimo. Allora aprii la portiera e scesi, il vento mi fece rabbrividire e mi strinsi. Harry mi segui subito dopo andando alla porta. Non era molto resistente, ma ancora stabile; gli demmo un colpetto ed essa si spalancò allora
 
lo segui dentro. Era come me la ricordavo, non molto grande con un materasso lanciato in un angolo e una  specie di camino improvvisato. Puzzava di chiuso ed era palese che nessuno ci metteva piede  da molto tempo. Una luce spuntò dietro di me e vidi Harry con una candela in mano ed un accendino nell’altra.
 
“Fa schifo” sbottò  lui facendomi ridere.
 
“Lo so, ma è il meglio che abbiamo per ora” risposi io andando verso un baule accanto al letto. Lo aprii e pensai fosse la prima vera botta di culo della giornata, era piena di oggetti di prima necessità: coperte, cibo in scatola e qualche medicinale.
 
Harry fu subito dietro di me e fece luce con la candela.
 
Ebbi un brivido di freddo,  e tremai visibilmente, ciò attirò l’ attenzione di Harry.
 
“Siediti” mi ordinò lui.
 
“No” replicai io, non mi piaceva il tono con il quale si era rivolto.
 
“Dai,  non fare la difficile” insistette.
 
Stavo per ribattere quando mi sentii alzare da terra. In pochi secondi mi trovai seduta sul materasso, e scoppiai a ridere vedendo la sua faccia guardarmi.
 
“Perché sta cosa?” chiesi io mentre si alzò andando verso il baule.
 
Lui prese una coperta e il kit di pronto soccorso venendo verso di me. Mi poggiò la coperta sulle gambe ed io lo guardai mentre con la faccia concertata cercava qualcosa.
 
“E’ arrivato il momento in cui ti strappi la camicia per curarmi le ferite?” chiesi io con l’intento di sdrammatizzare la questione. Lui alzò la testa e un riccio gli cadde sugli occhi si passò una mano e prendendo una garza e disinfettante si avvicinò a me.
 
“Se volevi vedermi senza maglietta, bastava chiedere” ribatté ironico.
 
Gli feci la linguaccia e lui si inginocchiò davanti a me. Prese il disinfettante e inumidì la garza per poi allungarsi ed appoggiare tutto sul materasso accanto a me.
 
La situazione stava cambiando. Mi guardò e si avvicinò al mio viso, io mi abbassai. I nostri occhi erano a pochi centimetri di distanza, non mi ero resa conto di come fossero belli, verdi con delle pagliuzze dorate. La fronte bruciava un po’ mentre passava la garza, ma era stranamente delicato.
 
“Brucia?” mi chiese lui sorridendo.
 
“Non molto” risposi prendendomi il labbro inferiore tra i denti.
 
Lui sorrise ed io con lui, il suo sguardo però passò direttamente alle mie labbra; io allora avvampai. Il suo sguardo allora passò ai miei occhi, ma era diventato diverso, più scuro. La sua mano allora passò alla fronte, passando un polpastrello nella parte ferita, poi scese sulla guancia.
 
Il mio cuore stava battendo in maniera esorbitante ed io non sapevo come calmarmi. Avevo le labbra leggermente dischiuse così come le sue.
 
Passo l’indice sudi esse leggermente e senza guardarmi nuovamente negli occhi si avvicinò baciandomi.
 
Le sue labbra erano soffici e leggere, ma il bacio non lo era.  La mia mano era dietro il suo collo e le mie dita incastrate ai suoi ricci, istintivamente rafforzai  un po’ la presa su di essi ed Harry sorrise nel bacio. Aveva una mano sulla mia gamba che stringeva e l’altra sul mio fianco più leggera.
 
Un rumore esterno ci fece staccare. Avevo il fiatone ed il battito accelerato. Restammo fermi a guardarci, poi sentimmo un altro rumore vedendo un gatto nero guardarci con gli occhi gialli inquietanti. Scoppiammo a ridere sguaiatamente ed io mi buttai all’ indietro sul materasso, lui mi guardò per poi alzarsi andando verso la palla di pelo li vicino.
 
“Hei” esclamò Harry abbassandosi verso il gatto.
 
Quest’ ultimo soffiò allontanandosi.
 
“Ti odia” lo informai io guardando la scena, lui si girò verso di me sorridendo.
 
“Guarda ora come mi ama” disse lui andando verso il baule prendendo una scatoletta di tonno; la aprii e la porse al gattino.
 
Lui allora si avvicinò piano piano iniziando a mangiare il contenuto.
 
“Hai visto” mi disse lui ed io alzai le mani in aria in segno di difesa.
 
“Accendiamo il fuoco” propose lui alzando si le maniche ed andando verso il camino.
 
***
 
Il telefono non prendeva quindi eravamo bloccati li. Dopo una serie di imprecazione che non è il caso di ripetere riuscii ad accendere il camino e  stavamo mangiando quella cena improvvisata.
 
“Guarda come è affamato quel gatto” mi fece notare Harry dopo che il micio si era ingurgitato la terza scatoletta.
 
“Non insultare Rodrigo” dissi io trattenendo una risata.
 
“Rodrigo?  Davvero Faith, davvero?” mi rispose lui accigliandosi per poi mettersi a ridere e dare metà scatoletta al gatto che trotterellando felice gli si strusciò sulle gambe.
 
“Che gatto lecca culo” continuò il riccio per poi sdraiarsi con le braccia dietro il collo nel letto.
 
Io mi accigliai.
 
“Dovrei dormirci anche io”
 
“Ci stiamo entrambi” rispose allora lui osservandomi attentamente alzando di poco la testa dal materasso.
 
Io alzai gli occhi al cielo e lui rise. Non aveva senso ribattere e poi faceva freddo quindi tanto valeva stare vicini per guadagnare un po’ di calore.
 
“Se sposti il tuo culone forse ci sto” affermai gattonando sul materasso e sdraiandomi accanto a lui.
 
“Mi stai dando del grasso?” scherzò lui girandosi col fianco per essere perfettamente di fronte a me. Io mi misi nella sua stessa posizione con la mano destra che mi reggeva la testa.
 
“No, certo che no” risposi allora ridendo.
 
Lui scosse i ricci e sorrise rendendo visibili le sue stupende fossette.
 
“Meglio che andiamo a letto” disse allora lui guardandomi negli occhi e sdraiandosi, tirando la coperta per coprirci.
 
Alzò il braccio e con esso mi circondò portandomi più vicino a sé. Aveva un odore forte, diverso da quello di muffa delle coperte, ma era un odore strano, dolce, ma mascolino.
 
“Okay, papà” risposi io sarcastica  e detto questo ci addormentammo.
 
 

EFFY'S POV: 
 
Quella mattina Faith mi chiamò pregandomi di andare a prendere lei ed Harry alla baita in montagna. Non mi spiegò un granché, ma dalla voce capii che era preoccupata, così mi precipitai immediatamente a casa di Luke. Ero in uno stato un po’ penoso dato che mi aveva colto ancora nel sonno. Indossavo dei pantaloncini azzurri larghi ed una maglietta a mezzemaniche bianca. I capelli erano raccolti in una coda mal fatta.
 
L’aria fresca della mattina mi sfregava sulle guance e dopo aver bussato alla porta sperai che mi avrebbe fatto entrare il prima possibile. Il mio desiderio si esaudì qualche istante dopo, quando dei capelli blu e viola mi riempirono la visuale.
 
“Ciao Mike!” esclamai sorridendogli.
 
“Ehi piccola Effy!” sorrise facendomi entrare in casa chiudendo poi la porta.
 
“Luke!” urlò chiamandolo per poi andare in sala. Mi fece segno di seguirlo e vidi sdraiato con nonchalance sul divano Calum con in mano il joystick dell’ xbox, seduto sulla poltrona accanto alla finestra Ashton con in mano un libro ed una matita tra i denti e Luke con in mano una scopa mente puliva il pavimento non notando la mia presenza.
 
“Hem” tossii cercando di attirare la sua attenzione.
 
Tutti gli occhi erano puntati su di me ed io arrossii velocemente.
 
“Effy?” domandò Luke guardandomi con espressione interrogativa. Sapevo che era stupito della mia presenza dato che erano circa le sette del mattino. Calum sorrise facendomi un cenno con la mano per poi ritornare a giocare, Ashton mi salutò mettendo in mostra le sue adorabili fossette, molto simili a quelle di Harry, Michael si andò a sedere accanto a Calum buttandoglisi letteralmente sopra, mente Luke venne verso di me posando la scopa e la paletta. Mi trattenni dal non ridere nel vedere il biondo con indosso un grembiule violetto mentre puliva la casa.
 
“Che succede, piccolina?” mi chiese dandomi un caldo abbraccio.
 
“Luke, non c’è tempo per le cortesie, devi venire con me a prendere Faith” spiegai cercando di fare il prima possibile.
 
“Faith? Dov’è?” mi domandò preoccupato. Cercai di spiegargli la situazione ed al nominare di Harry, la sua espressione cambiò radicalmente. Avrei giurato di vedere un guizzo aguzzino balenare nei suoi occhi azzurri come il cielo. Al termine del mio discorso si leccò con la lingua umida il piercing per poi ritornare in sala con me accanto.
 
“Ragazzi” iniziò cercando di attirare l’attenzione dei suoi coetanei nella stanza, senza successo.
 
“Irwin, Hood, Clifford!” urlai con tutto il fiato che avevo in gola, tant é che tutti e tre sobbalzarono. Sapevo come richiamare l’attenzione di quei quattro lontano chilometri. Dopo alcuni istanti che Luke spiegò l’impresa che dovevano fare, tutti e tre si alzarono, indossarono un giaccone per poi andare alla macchina. Salimmo tutti e cinque sul grande fuori strada di Luke, simile quasi ad un van.
 
“Cosa ci fa Faith con quello?” chiese Calum guardandomi. Io feci spallucce.
 
“E’ quello dai capelli ricci e boccolosi?” domandò Michael sognante. Alle sue parole Luke lo incenerì con lo sguardo ed Ashton gli diede una gomitata ordinando gli di tacere.
 
Dopo che spiegai la strada a Luke e capimmo dove si trovava a grandi linee il posto, scendemmo dall’auto per dirigerci verso l’unica baita che avevamo di fronte. Io e Luke eravamo davanti e vidi i suoi occhi tesi, come la sua mascella. Sentivo i suoi passi farsi sempre più pesanti ad ogni secondo che passava. Michael ci sorpassò bussando alla porta, ma poi Luke lo scostò in malo modo aprendola con un calcio.
 
“Faith?” la chiamai io entrando con loro.
 
Una puzza di chiuso ci pervase le narici. Vidi una figura scorgere davanti a noi nell’oscurità, per poi riconoscere i lineamenti di mia sorella. “Effy!” esclamò lei venendomi incontro. Io l’abbraccia stringendola forte a me.
 
“Faith!” esclamarono poi tutti gli altri ad effetto ritardato.
 
“Ciao ragazzi” rispose lei scostandosi i capelli dal viso.
 
Sentimmo dei rumori dietro di noi e dopo alcuni istanti, vedemmo arrivare anche Harry. Si passò la mano tra i capelli e mi salutò accennando un sorriso.
 
Si avvicinò verso di noi e si fermò proprio davanti a Luke, che lo guardava impietrito.
 
“Hemmings” sputò poi Harry scrutandolo da cima a fondo.
 
“Grier” rispose Luke facendo tintinnare il suo piercing.
 
“Sono Styles”
 
“E’ uguale” sbottò dopo Luke. Calum ed Ashton avanzarono ai lati di Luke e la tensione che si stava creando era tangibile.
 
“Okay, possiamo tornare  a casa ora” interruppe Faith guardando Luke. I suoi occhi scuri pregarono quelli color oceano del biondo di andarsene, così l’accontentò. Tornammo tutti verso la macchina.
 
Luke si sedette alla guida con accanto Faith. Dietro di loro ci sedemmo Io, Harry e Michael e nei sedili infondo si sedettero Ashton e Calum. Luke mise in moto l’auto e Michael prese a fissare i capelli di Harry.
 
“Usi qualcosa per renderli così definiti?” gli chiese Mike sorridente.
 
Io mi spostai in avanti per guardarlo e capire se stava facendo sul serio. Lo sguardo del riccio era evidentemente spaventato, non capiva le intenzioni del ragazzo dal ciuffo blu davanti a lui. Luke alzò lo sguardo dallo specchietto retrovisore, mentre Faith si girò alzando un sopracciglio guardando Mike.
 
“Che c’è? Sono boccolosi” si giustificò alzando le spalle.
 
“Davvero Mike? Boccolosi?” chiese Ash scrutando Michael, il quale era sotto accusa da tutti. Era davvero esilarante ed oltre a me ed a Faith, sembrava fosse l’unico a cui andava a genio Harry.
 
“Sei imbarazzante, amico” sbottò Cal sogghignando.
 
Io presi a guardare fuori dal finestrino, ma sentii Harry rispondere a bassa voce  a Mike “Non uso nulla, comunque” ammiccando un sorriso amichevole.
 
Il viaggio era stato abbastanza silenzioso, se non era per alcune parole che ci scambiammo Faith ed io. Era dominato da una perenne tensione che legava un po’ tutti. Quando arrivammo a casa di Harry, il riccio scese senza troppi ringraziamenti, mentre noi altri restammo in macchina per ritornare a casa.
 
“Cos’è quell’espressione?” domandò Faith guardando Luke che si irrigidì.
 
“Per favore, hai passato la notte con quel.. coso, come pensi che dovrei sentirmi?” replicò lui alzando un sopracciglio irritato. A quella risposta, vidi Mike avvicinarsi interessato da quella situazione. Credo che se non fosse per il suo atteggiamento, Harry sarebbe tornato a casa con delle ossa rotte.
 
“Non è successo niente, Luke” spiegò Faith. Dovevo ammettere che ero abbastanza interessata anche io alla faccenda.
 
“Oh, certo. Sappi che la prossima volta non sarò così disponibile nel venirti a prendere” sbottò palesemente furioso. Sapevo che le sue parole non erano la verità. Luke sarebbe sempre venuto a prendere Faith ogni qual volta lei glielo avrebbe chiesto. Perché è così che il biondo teneva a mia sorella, l’avrebbe sempre aiutata, anche se si riprometteva che non l’avrebbe fatto.
 
“Come fate a lavorare per gente così?” chiese facendo una smorfia Cal.
 
“Pensa che il fratellastro è anche peggio” aggiunse Luke continuando a guidare.
 
“Non è vero! Non permetterti!” quasi urlai fuori di me. A quelle parole si girarono tutti vero di me e Luke quasi frenò con l’auto. Arrossii ed abbassai lo sguardo.
 
“Oh, abbiamo toccato il tasto dolente della piccola Eff?” scherzò con un sorriso Ash.
 
Vidi Faith continuarmi a guardare stranita. “Effy, sei impazzita per caso?” mi domandò mia sorella.
 
“Comunque, credo dobbiate smetterla di lavorare in quella casa. Tutte e due” rispose Luke in tono risoluto. Sapevo che lo faceva per proteggerci, ma non avrei mai permesso a qualcuno di loro di impedirmi di lavorare la. Sapevo che anche Faith la pensava come me.
 
***
 
Chiusi la porta della camera e Faith si andò a stendere sul suo letto. Io mi sedetti accanto a lei e la osservai mentre i capelli rossicci si sparsero su tutto il letto.
 
“Hai intenzione di dirmi cosa è successo la scorsa notte?” le chiesi seria.
 
Lei alzò gli occhi al cielo sbuffando.
 
Mente aprì la bocca per rispondere, la mia svegli sul comodino suonò e mi ricordò che tra meno di un’ora saremmo dovute andare alla villa per lavorare.
 
“Io non verrò oggi, Eff. Dì ad Oscar che sono malata o quello che vuoi tu. Non ce la faccio” mi disse girandosi verso il muro sul letto. Io sospirai, sapevo che non sarebbe venuta ed anche io non volevo andare. Non volevo dover rivedere Nash dopo la figura dell’altro giorno.
 
***
 
Appena entrai in casa vidi Chad seduto sul divano con in mano un tablet. Indossava una camicia bianca perfettamente stirata e dei pantaloni neri poco aderenti.
 
“Buon giorno Elizabeth!” esclamò l’uomo appena notò la mia presenza. Era così simile a Nash che per un secondo lo stavo chiamando con il nome del figlio.
 
“Buon giorno Signor Grier”
 
“Oh, chiamami pure Chad” rispose con un sorriso perfetto come quello del moro.
 
Incrociai Oscar per le scale, che dopo avermi salutata mi chiese di Faith.
 
“Dov’è tua sorella?”
 
“Non si sentiva tanto bene e non le sembrava il caso di venire a lavorare oggi. Ovviamente si scusa” spiegai cerando di sembrare il più credibile possibile.
 
“Ovviamente. Okay, allora dovrai lavorare per due oggi” spiegò per poi dileguarsi in cucina.
 
Alzai agli occhi al cielo sbuffando per poi maledire mentalmente quell’uomo.
 
Andai al piano di sopra per riordinare un po’ il casino che c’era lungo i corridoi e nelle camere. Raccolsi alcuni vestiti per poi entrare nella camera di Nash, completamente in disordine. Rifeci il letto e piegai gli abiti al loro posto. Vicino al comodino, vidi i vestiti che avevamo preso assieme per la vesta di Jack e la scena del giorno prima divenne viva nella mia testa.
 
Pulii la moquette marrone della camera per poi andare nel suo bagno.
 
Quando uscii vidi davanti a me il proprietario della stanza. Non riuscivo a incontrare i suoi occhi azzurri, così abbassai lo sguardo ed uscii dalla stanza. Sentii il suo respiro farsi più pesante, proprio come il mio, ma entrambi restammo zitti.
 
Uscii dalla camera per andare a pulire quella di Harry.



 
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SPAZIO AUTRICI :) 

Ciao ragazze c:
Eccoci con il 12' capitolo!
Volevamo scusarci per il ritardo, ma sono successe un po' di cose, tra cui problemi tecnici con il computer..
Speriamo vi piaccia :*
Ci piacerebbe se lasciaste qualcche recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un  bacione, 
-Gre & Fede.

 

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Capitolo 13
*** CHAPTER 13 ***




CHAPTER 13.

FAITH'S POV:  
 
“Ti prego, aspetta!” urlai io a Luke nel momento esatto in cui chiuse la porta di casa sua lasciandomi impalata davanti all’ entrata. Ero frustrata ed amareggiata, non potevo perdere il mio migliore amico, non lo avrei mai permesso.
 
Mi ricordai che gli Hemmings tenevano le chiavi di scorta sotto l’ enorme vaso di una pianta strana che Liz, la madre del biondo, adorava perchè Luke, Jack e Ben che erano soliti dimenticare le chiavi a casa e lei non voleva che rimanessero fuori.
 
Mi alzai allora in piedi andando verso l’enorme vaso, si vedeva ancora la crepa di quando io e Luke lo avevamo rotto a dieci anni e sua madre ce lo aveva fatto rincollare. Presi la chiave ed mi avvicinai alla porta.
 
Aprii velocemente la porta entrando in casa. L’odore era sempre lo stesso da anni, frittelle e detersivo al limone. In casa non c’era nessuno allora salii direttamente le scale che portavano alla stanza del biondo; avevano solo due camere da letto una per i genitori ed una che si dividevano tutti e tre i fratelli.
 
Entrai in quest’ ultima, era grande poco più della cucina della casa di Harry, un letto era addossato alla parete sotto la finestra e l’altro a castello dall’ altra parte. L’ armadio era troppo piccolo ed unito al fatto che in quella stanza vivevano tre ragazzi la rendeva un porcile unico.
 
Notai però una figura bionda stravaccata sulla poltrona a sacco messa nell’ angolo con la chitarra in grembo.
 
Mi si riempii il cuore di uno strano calore.
 
Aveva lo sguardo fisso sulle corde, ma sapevo da come teneva rigide le spalle che si era accorto della mia presenza. Mi avvicinai e mi sedetti per terra davanti a lui.
 
“Come sei entrata?” mi chiese senza staccare gli occhi dalla sua bella chitarra classica.
 
“Il vaso”
 
“Doveva buttare quell’ obbrobrio anni fa”
 
“Non è tanto male” dissi io sorridendo.
 
“Non sei credibile” mi rispose lui alzandosi e superandomi.
 
“Lasciami spiegare” lo pregai.
 
“Non voglio sentire della tua nottata con il ragazzo tatuato”
 
“Lo sai che non lo farei mai”
 
“Ho paura” mi confessò lui guardandomi finalmente negli occhi. Feci un passo avanti, ma lui non indietreggiò.
 
“Non devi, so cavarmela da sola, l’ ho sempre fatto e niente può buttarmi giù. Però io ti voglio un bene dell’ anima, non voglio dirti stronzate come non posso stare senza di te perché posso, solo che non voglio, perché ti voglio bene, perché la vita sembra meno una merda quando ridiamo insieme, perché siamo una squadra e nessuno ti potrà sostituire, per me” dissi queste parole una dopo l’altra così velocemente che appena finito ebbi il fiatone.
 
Lui mi guardò spalancando la bocca.
 
Allora io senza neanche aspettare una sua risposta mi lanciai in avanti verso di lui, non se lo aspettava quindi cadde all’ indietro finendo sul letto.
 
Lo abbracciai.
 
Lui non mi mandò via e questo mi riempii il cuore di gioia, anzi mi strinse a se con una mano e con l’altra mi accarezzò i capelli.
 
Era una situazione strana per noi, non eravamo per le cose smielate, ma non mi interessava niente.
 
Luke mi diede un bacio fra i capelli ed io mi trattenni dal piangere di felicità, avevo avuto una paura così grande di perderlo che stavo quasi per impazzire. Avevo la testa appoggiata sul suo petto magro, ma tonico; le braccia ancora salde su di lui come se avessi paura che da un momento all’ altro potesse scappare. Le nostre gambe erano intrecciate fra loro creando una strana figura informe, gli lasciai un bacio sul petto da sopra la maglia e lui rise.
 
Mi era mancata la sua risata.
 
La casa fu piena di voci, questo voleva dire che erano arrivati gli altri della famiglia Hemmings. Sentii i loro passi su per le scale e Luke fece per alzarsi, ma io lo bloccai tenendolo ancora stretto a me.
 
Lo vidi guardarmi e toccarmi la ferita sulla fronte me ne ero anche dimenticata, ora mai era solo una macchia.
 
Un rumore alla porta mostrò l’arrivo dei fratelli di Luke.
 
“Non sul mio letto, grazie” disse Ben lanciandosi tra noi due. Luke rise staccandosi e ci ritrovammo tutti e tre su un letto di nemmeno una piazza, non sapevo come facesse a reggere.
 
“E’ un po’ che non ti si  vede da queste parti, bimba” disse l’altro Hemmings sedendosi sul letto di fronte.
 
Mi girai verso di lui.
 
“Luke non mi invita” risposi io ridendo.
 
I due si misero le mani sullo stomaco ridendo a crepa pelle, erano dei matti quei ragazzi.
 
“Ma se passa le giornate a parlare di te!” esclamò Ben ed io non riuscii a non arrossire. Era sempre così ogni volta che li vedevo non facevano altro che cercare di mettere in imbarazzo me e Luke. Ci chiamavano con vari nomignoli assurdi come William e Kate, oppure topolino e topolina. Mi trovavo sempre a pregare per quella santa donna che avevano per madre.
 
Non a caso quest’ ultima spuntò dalla porta.
 
“Ciao Faith, non sapevo fossi qui” disse lei sorridendo, aveva ancora la divisa del ristorante in cui lavorava. Era così bello vederla, perché era una delle poche che tornava dopo nove ore di lavoro,  vedendo la casa distrutta dai sui figli scalmanati e sorrideva, come se la sua vita fosse il paradiso.
 
“Salve signora” le risposi io cercando di alzarmi da letto, ma Ben mise un braccio dietro la mia schiena ed uno
 
dietro quella di Luke bloccandoci.
 
“Ti ha chiamato signora? Non sapevo tu fossi così vecchia” disse Jack Hemmings sdraiato sul suo letto con un fumetto tra le mani.
 
“Rimani a cena?” chiese la donna dopo aver sorriso al figlio. Non volevo rimanere, non perché avessi qualcosa contro di loro, ma erano sempre così gentili ed io non volevo pesargli. Un posto in più a tavola non cambia niente per chi come Nash o Harry non si deve preoccupare dei soldi, ma per loro che ogni centesimo era perso, mi sentivo egoista ad usufruirne.
 
“Sì, rimane” rispose Luke parlando prima di me, sapeva che avrei rifiutato. Io allora annuii dato il tono duro con il quale aveva risposto il biondo. La donna allora con un ultimo sorriso scese al piano inferiore per preparare la cena e noi rimanemmo a parlare del più e del meno per tutta la serata.



EFFY'S POV:  
 
Erano circa le dieci e mezza e tra meno di mezz’ora sarebbe arrivato Nash a prendermi per andare alla festa. Da quel giorno non aveva più parlato della questione del vestito ed io ne ero veramente sollevata. Faith era rimasta a dormire da Luke quella sera e zio Simon sarebbe tornato tardi, così io avevo tutto il tempo per prepararmi per quella festa.
 
Per prima cosa andai in bagno e tirai fuori dall’armadietto la mia trousse dei trucchi. Mi guardai allo specchio ed avrei dovuto  far scomparire quella pelle eccessivamente chiara senza dare troppo nell’occhio. Misi un po’ di fondotinta e della cipria. Poi misi del fard sulle guance per ravvivarle un po’ ed infine misi del mascara sulle lunghe ciglia nere e un filo di eye-liner. Mi piaceva come era venuto il trucco. Andai poi a prendere la piastra ed arricciai di poco i capelli, rendendoli giusto un po’ più ondulati. Li portai sulla schiena e poi uscii dal bagno andando ad indossare il vestito rosso che tanto aveva causato problemi ultimamente tra me e il moro.
 
Una volta indossato e sistemato sul mio corpo, indossai delle scarpe nere con un tacco non esageratamente alto e presi una borsa per metterci dentro il cellulare e le solite cose.
 
Dopo alcuni minuti che il cuore continuava a pompare troppo sangue, sentii il mio cellulare squillare: era Nash. Chiusi la casa per poi uscire dalla porta principale. Riuscivo a scorgere i suoi bellissimi lineamenti anche con solo la luce della luna. Andai verso la macchina stando ben attenta a non cadere e poi aprii la portiera. Mi sedetti sul sedile e gli rivolsi uno sguardo amichevole, che però lui non ricambiò. Sospirai e presi a guardare fuori dal finestrino.
 
Indossava i vestiti che avevamo preso insieme alla boutique di Hailey e quella sera gli stavano ancora meglio. I capelli erano perfettamente sistemati con un ciuffo all’insù ed un profumo di colonia pervadeva la sua figura. Era davvero bellissimo.
 
Mi accorsi dopo alcuni istanti che eravamo ancora fermi nel vialetto davanti a casa mia.
 
“Non partiamo?” chiesi rivolgendogli uno sguardo interrogatore.
 
“Prendi il sacchetto nel sedile dietro prima” mi ordinò senza distogliere gli lo sguardo da davanti a sé.
 
“Perché?” domandai non capendo le sue intenzioni.
 
“Lo prendi o no?”
 
“Okay” risposi alzando gli occhi al cielo. Avevamo davvero cominciato la serata nel peggiore dei modi.
 
Lo afferrai e vidi che era una specie di pacchetto regalo con un fiocco blu brillantinato come ciliegina sulla torta.
 
“E’ per me?” chiesi e lui annuì seccato abbassando lo sguardo verso il pacchetto che stavo con cura aprendo.
 
Mi ci vollero alcuni istanti per realizzare cosa davvero fosse ed aprii la bocca. Ero letteralmente sorpresa.
 
“Non avrei mai permesso che quel vestito fosse potuto essere comprato da qualcun altro se non da te. Sei perfetta con quell’abito, Effy” mi disse con il sorriso più grande che potesse fare. Io lo guardai con gli occhi più riconoscenti che avevo.
 
“Nash.. i-io”
 
“Non dire nulla. Ora va dentro a cambiarti, io ti aspetterò qua” concluse guardandomi negli occhi. In quel preciso istante aprii la portiera, ma prima di uscire gli diedi un leggero bacio sulla guancia destra per poi correre dentro casa a cambiarmi.
 
Ero entusiasta come una bambina nel giorno di Natale. Non potevo credere che Nash avesse preso il vestito azzurro che entrambi adoravamo. Costava un occhio della testa, ma pensai che lui non dovesse avere di certo questi problemi. Mi tolsi velocemente il vestito rosso, mettendolo nel sacchetto sotto al letto. Poi mi infilai l’abito turchese e rimasi qualche istante a guardarmi davanti allo specchio. Oggettivamente mi stava bene e anche se l’avrei preferito un tantino più lungo, lo adoravo. Mi rimisi le scarpe, mi sistemai ancora una volta i capelli e poi uscii di casa per l’ultima volta.
 
Mi sedetti sul sedile accanto a Nash e lui mi guardò con occhi lussuriosi facendo su e giù sulla mia esile figura.
 
“Stai d’incanto” si complimentò facendomi arrossire.
 
“Anche tu, Nash” risposi sorridendo.

Dopo alcuni secondi la macchina finalmente partì per quella che doveva essere una delle feste più belle dell’anno.
 
***
 
Dopo circa venti minuti in auto, dove ne io ne Nash avevamo parlato un granché se non riguardo al vestito, arrivammo in un quartiere dove le case erano grandi minimo come la villa dei Grier.
 
Nash parcheggiò lungo una fila di macchine.
 
“Eccoci arrivati!” esclamò poi scendendo. Io scesi con lui e capii che ci trovavammo ancora più vicini alla spiaggia dato che in lontananza si potevano scorgere dei chioschi e si poteva, se non fosse per tutto quel rumore, sentire anche le onde del mare infrangersi sugli scogli.
 
“Sei pronta?” mi domandò Nash notando il mio evidente nervosismo. Io annuii sorridendo e poi lui mi mise una mano cingendomi la vita mentre entrambi ci dirigevamo verso la fonte di quel casino.
 
Ci fermammo davanti ad un cancello nero con delle colonne all’ingresso di marmo scuro come la pece. La casa davanti a noi riempiva tutta la nostra visuale. Era suddivisa su più piani e forse era anche più grande della villa di dove lavoravo. Un enorme giardino costeggiava la grande casa piena di persone, probabilmente ubriache.
 
Dopo alcuni minuti che Nash aveva suonato il campanello, venne verso di noi un’alta figura, che poi riconobbi si trattava di Jack Gilinsky.
 
“Grier!” esclamò facendoci entrare dal cancello.
 
“Carina la festicciola, Jack” rispose Nash guardandosi un po’ attorno.
 
Passarono alcuni secondi e Jack notò anche la mia figura.
 
“Effy! Sei magnifica stasera! Sono davvero felice che tu sia venuta” esclamò con fin troppo entusiasmo.
 
“Grazie a te per avermi invitata, Jack” risposi sorridendogli.
 
Lui ci fece strada lungo l’enorme casa per poi presentarci alcuni amici. Nash sembrava conoscere quasi tutti, mentre per me erano tutte facce sconosciute. Credo che nessuno avesse la mia età, erano certamente tutti più grandi. In pochi secondi Nash se n’era andato tra la folla di persone ed io ero all’ingresso da sola.
 
Bhe, era una festa così cercai di comportarmi come gli altri, senza però cercare di esagerare con l’alcool.
 
Vidi delle ragazze fuori in giardino sedute su delle panchine mentre parlavano animatamente, così cercai di raggiungerle. Erano quattro ragazze, tutte molto carine con lunghi capelli biondi e pelli abbronzate.
 
“Ciao!” esclamai io sorridendo.
 
Loro ammiccarono un leggero sorriso per poi scrutarmi da cima a fondo. “Non ti ho mai vista qua, come ti chiami?” chiese quella seduta più vicina a me. Senti i suoi occhi neri perquisirmi.
 
“Sono Elizabeth Reynolds, piacere!” risposi porgendole la mano che lei ricambiò alzando un sopracciglio.
 
“E come mai sei qua?”
 
“Oh, mi ha invitato Jack”
 
“Come tutti, ovviamente. Intendevo se eri qua con qualcuno” si spiegò poi la bionda scostandosi dal volto i lunghi capelli biondi per poi bere un sorso del drink rosso che teneva tra le mani.
 
“Sono venuta con Nash” risposi guardandole mentre parlavano tra di loro nelle orecchie.
 
“Oh, con Grier? Cosa hai dovuto fargli per farti portare?” domandò quella dietro di lei spalancando i suoi occhi. Io scossi la testa non capendo l’intenzione in quella frase.
 
Nemmeno il tempo per chiedere chiarimenti, che sentii afferrarmi il polso trascinandomi via dagli artigli affilati di curiosità di quelle ragazze. Mi voltai e due occhi scuri mi fissavano.
 
“Effy, vieni a bere qualcosa” mi offrì Jack portandomi dentro mentre entrambi ci sedemmo al bancone degli alcolici.
 
“Veramente, io non bevo” cercai di tirarmi indietro, ma a feste come quelle la frase “non bevo” non era consentita.
 
“Forza Effy, solo un goccio, non ti farà male!” insistette lui con un sorriso smagliante. Non avendo altra scelta annuii e Jack ordinò due bicchieri di non sapevo nemmeno io cosa, mentre con lo sguardo continuavo a cercare il ragazzo dagli occhi azzurri che mi aveva lasciato da sola circa mezz’ora prima.
 
“Bevilo tutto d’un sorso” mi consigliò Jack ingurgitando quel liquido rossastro davanti a sé. Io lo imitai, ma dopo che lo bevvi iniziai a tossire con in bocca quel sapore che sembrava bruciasse tanto era forte. Jack rise della mia ovvia inesperienza per poi prendermi la mano per farmi calmare.
 
“Non era così male” disse poi guardandomi negli occhi. Io scossi la testa mentendo.
 
“Un altro!” ordinò Jack al barman ed io pregai tra me e me che non l’avesse sentito. Ma ovviamente le mie preghiere non erano mai ascoltate, così un altro bicchiere di quella sostanza rossastra riempì la mia visuale facendomi trasalire. Jack lo bevve subito come prima ed io lo seguii cercando di non fare tante storie. Non sembrava male come il preceente, anzi, forse iniziava anche a piacermi.
 
“Ti piace?” mi chiese leccandosi con la lingua umida le labbra rosee.
 
“Sì” risposi ammiccando un sorriso appoggiando il gomito sul bancone fissandolo.
 
“Te ne faccio provare uno che ti piacerà ancora di più” disse ordinando un altro alcolico con un nome differente dai primi due. Mi guardai in giro ed iniziai a vedere la stanza girare, così afferrai saldamente le mani allo sgabello dove ero seduta per evitare di cadere.
 
Jack mi richiamò cercando di attirare la mia attenzione su un'altra bevanda. Era trasparente e dopo alcuni istanti, Jack estrasse qualcosa da una bustina bianca che teneva nella tasca per aggiungerla al suo drink che bevve in un millesimo di secondo. Io iniziai a singhiozzare e dopo alcuni istanti aggiunse quella sostanza anche nel mio bicchiere senza che avessi le forze di chiedere cosa fosse.
 
Nell’istante dopo, la sostanza trasparente passò giù dalla mia gola ed io strizzai gli occhi.
 
“Era buona questa, vero?” mi domandò portando la sua testa all’indietro.
 
“Cos’era?”
 
“Eh, magia della casa, Elizabeth” rispose ammiccando un sorriso beffardo.
 
Dopo alcuni istanti la musica assordante sembrava raggiungere le mie orecchie come ovattata e le urla sembravano provenire da una distanza troppo lontana per udirle davvero. Mi reggevo in piedi a stento e le scarpe intralciavano solo la mia camminata, così le tolsi mettendole dentro alla mia borsa. Mi sentivo ancora più bassa, ma pensai che fosse il problema minore, dato che la stanza continuava a girare su se stessa.
 
Salii al piano di sopra cercando qualcosa su cui potermi stendere dato che il grande divano al piano inferiore era occupato da ragazzi ubriachi e coppiette.
 
Quando arrivai di sopra, due lunghi corridoio che ondulavano si rappresentarono davanti a me con almeno una dozzina di porte da ogni lato. Mentre singhiozzai, decisi di prendere quello a destra e proseguii alla ricerca di qualcosa su cui stendermi. Cercai di aprire la prima porta ma era chiusa a chiave. Andai alla seconda porta, ma davanti a me si dipinse la visuale di un ragazzo ed una ragazza che erano intenti a pomiciare su un enorme letto. Così chiusi la porta diventando rossa dall’imbarazzo.
 
La testa mi faceva dannatamente male e volevo solo tornare a casa, così scesi alla ricerca di Nash.
 
Mi fermai lungo le scale per riprendere fiato e cercare di fermare le stanze che continuavano a muoversi in cerchio. Era tutto così confuso e capii che ero ubriaca marcia. Chiusi gli occhi strofinandomeli, ma sentii afferrarmi i fianchi con delle grandi mani. Aprii gli occhi e degli occhi neri tenevano incatenati i miei.
 
“Sei ubriaca?” mi domandò il ragazzo davanti a me sorridendo leggermente.
 
“Ehi, Gilisnky!” esclamai toccandogli le folte sopracciglia scure.
 
“Questo è un sì”
 
“Hai delle belle sopracciglia, sai? Sono vere?” domandai fuori di me.
 
Lui sorrise annuendo per poi bloccarmi l’uscita portando un braccio al muro bloccandomi contro di esso. “Sei così sexy stasera” sussurrò Jack al mio orecchio prendendomi poi a baciare il collo lasciando dei baci umidi sulla mia pelle. Sorrisi  e spostai la testa per il solletico provocato dal suo respiro sulla mia pelle umida.
 
La sua mano libera si posò saldamente sulla mia schiena iniziando a scendere. Portai entrambe le mie mani sul suo petto cercando di allontanarlo, ma non avevo le forze per spostarlo.
 
“J-Jack” cercai di dire mentre lui mi disse di tacere prendendo a baciarmi le labbra con una tremenda foga.
 
“Ehi! Lasciala!” sentimmo urlare alle nostre spalle. 


 
______________________________________________________
 
SPAZIO AUTRICI :) 

Ehilà dolcezze :*
Questo è il 13 capitolo!
Chiediamo scusa per il tremendo ritardo, ancora, ma si è rotto il pc e non abbiamo potuto
stare su efp ne aggiornere ne altro..
Le cose iniziano un po' a complicarsi in emtrambi i pov!
Speriamo vi piaccia :*
Ci piacerebbe se lasciaste qualcche recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un  bacione, 
-Gre & Fede.
 

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Capitolo 14
*** CHAPTER 14 ***


 

CHAPTER 14.

EFFY'S POV:  
 
Quando entrambi ci girammo, vedemmo due occhi azzurri iniettati di sangue scrutare Jack, per poi dirigersi verso di me.
 
“Cosa vuoi?” gli domandò Jack alzando un sopracciglio stringendomi un polso.
 
“Lasciala stare!” ringhiò Nash quasi irriconoscibile. La testa continuava a girarmi e a mandarmi delle fitte tremende, tant’è che mi domandai se stesse davvero accadendo o me lo stessi immaginando.
 
“Cosa ti interessa a te, Grier?”  si fece ancora più serio Jack voltandosi verso di lui lasciando la presa su di me. Io mi staccai leggermente dal muro, scendendo un gradino allontanandomi da qualche passo da Jack.
 
“Lei è mia” rispose Nash per poi mordersi il labbro inferiore. Sia io che Jack lo guardammo sbalorditi. Possibile che avessi sentito male?
 
Jack si mise davanti a Nash iniziando a strattonarlo e lo stesso iniziò a fare Nash. Volevo che quel patetico teatrino finisse al più presto, ma a malapena riuscivo a reggermi sulle mie gambe. Qualcuno corse in soccorso e prese Jack dalle spalle portandolo via e nemmeno il tempo per pormi altre domande, che Nash mi afferrò il braccio e velocemente uscimmo da quella casa per poi uscire anche dagli enormi cancelli.
 
“Mollami!” urlai scontrosa al ragazzo dagli occhi azzurri in mezzo alla strada. Il bagliore dei raggi della luna rendevano quei cristalli quasi trasparenti.
 
“Sali in macchina” mi ordinò aprendomi la portiera. Io protestai sotto l’effetto dell’alcool per poi sedermi sul sedile sbuffando.

“Sei ubriaca, Elizabeth” constatò lui guardandomi. Eravamo fermi nella sua macchina e la testa continuava ancora a girarmi a tal punto che mi sembrava di essere ancora in quella villa con la musica assordante nelle orecchie.
 
“Non chiamarmi Elizabeth e poi non sono ubriaca” mentii palesemente.
 
“Sì che lo sei, Elizabeth”
 
“Smettila!” urlai sbattendo i pugni sulle mie stesse gambe. Dovevo apparire piuttosto ridicola ai suoi occhi.
 
“Smetterla io? Se non ti avessi salvato qualche istante fa, ora  saresti andata a letto completamente ubriaca con quell’idiota! Non sai nemmeno badare a te stessa” dichiarò. Le sue dure parole mi ferirono, ma era ciò che sarebbe accaduto molto probabilmente se non mi avesse, come aveva detto lui, salvata.
 
“Avevo la situazione sotto controllo”
 
“Sotto controllo? Sei ubriaca marcia e probabilmente sei fatta di qualcosa. Possibile che non possa lasciarti da sola un secondo che te ti cacci nei guai?”
 
“Sei tu che mi hai lasciata da sola in quella casa appena siamo arrivati. E poi era solamente Jack, rilassati” singhiozzai appoggiando la testa al finestrino.
 
“No, non era solo Jack. Tu non lo consoci, cazzo. Tu non sai quanto bastardo possa essere quel ragazzo, okay?” sbraitò guardandomi. Io gli lanciai uno sguardo supplicante e lui si calmò facendo aderire la sua schiena allo schienale del sedile della macchina.
 
Nash continuò a guidare ed ad ogni movimento, la mia testa sembrava scoppiare. Non mi ero mai ubriacata fino all’ora e non sapevo a cosa sarei andata incontro, ma una cosa era sicura, non avrei mai più fatto una stupidata del genere.
 
Dopo circa un quarto d’ora si fermò davanti casa mia. Io abbassai lo sguardo ed aprii la portiera, ma prima di uscire mi sedetti di nuovo sul sedile e guardai Nash. Lui incontrò il mio sguardo e vidi la sua espressione arrabbiata.
 
“Perché ti preoccupi per me? Dovresti pensare a Madison” chiesi. Era ovvio che fossi davvero ubriaca, altrimenti non avrei mai fatto una domanda del genere proprio  a lui.
 
“Come?”
 
“Sì, voglio dire… quello che hai detto prima a Jack… a te piace Madison e dovresti preoccuparti per lei” spiegai sotto l’effetto dell’alcool. “Quindi perché tanta preoccupazione per me?” continuai guardandolo dritto negli occhi.
 
“E’ meglio che tu vada” rispose passivo voltandosi dall’altra parte.
 
Io sbuffai e poi rientrai a casa cercando di non farmi sentire da zio Simon, il quale vidi dormire sul divano con la tv accesa.
 


FAITH'S POV:  

Eravamo tutti a casa di Michael ed era un macello. Aveva trasformato il garage dei sui genitori nella sua camera ed era li che ogni volta ci riunivamo.
 
Non c’erano finestre, c’era un letto disordinato, una stufa, un computer ed una televisione anni cinquanta, ma non era male. Le pareti le aveva colorate ognuna diversa dall’ altra, ed era piena di poster di band anni novanta e c’era un enorme pupazzo di un unicorno con la chitarra. Glielo avevo regalato come regalo di compleanno.
 
Ci lanciammo sul letto, avevo deciso di guardare un film col computer portatile del padre di Calum che quest’ ultimo aveva preso senza troppe cerimonie.
 
Avevamo una ciotola piena di pop corn ed una di patatine, ma la prima la teneva solo Michael perché aveva il brutto vizio di leccarsi le dita e rinfilarle nella ciotola, quindi nessuno voleva divedere del cibo con lui.
 
Il film che stavamo per vedere era la biografia di qualche rocker famoso del quale non mi ricordavo il nome.
 
Ero seduta tra Ash e Luke e quei due scrocconi non volevano farmi mangiare le patatine. Misi il broncio alzandomi. Tutti si girarono verso di me ed io presi mister unicorno abbracciandolo. Mike sbarrò gli occhi e si alzò velocemente andando verso me.
 
“Non toccare Uni” ordinò lui allungando una mano per prenderlo.
 
Io lo scansai stringendolo ancora di più a me.
 
“Sei cattivo e vuole stare con me” risposi io usando un strana voce da bambina. Lui allora si girò verso Calum che ci venne incontro facendo lo sbruffone.
 
“Mi ha rubato il pupazzo” ripeté  buttando il labbro all’infuori e sbattendo i piedi sul pavimento. Mi morsi il labbro per non ridere, i capelli rosa molto Punk facevano a pugni con la sua faccia da cane bastonato. Il moro allora mi guardò allungando la mano facendo in modo che io gli restituissi il pupazzo, ma scossi la testa in segno negativo.
 
“Dai” ripeté allora lui, avvicinandosi sempre di più.
 
“Solo se lui mi da le patatine” patteggia allora io allungando l’indice accusativo verso Luke che mi guardò con  uno sguardo da chi non aveva nessunissima colpa. L’unico problema erano le guance a criceto piene di patatine. Risi a quella visione tenendomi la pancia e gli altri con me. Luke allora rischiò di sputare il cibo per terra da quanto stava ridendo e dei pezzi di patatine masticate arrivarono addosso ad Ash.
 
Quest’ ultimo allora urlando si lanciò addosso a Luke sul letto urlando che gliela avrebbe fatta pagare per quell’ affronto. Calum allora si aggregò alla massa e Michael prendendo la rincorsa si lanciò su gli altri.
 
Sentimmo un rumore forte ed il materasso cadde per terra. Io mi sedetti per terra dalle troppe risate, non potevo credere che avessero rotto il letto. Luke aveva la faccia rossa ed ero sicura che avesse preso una bella botta alla schiena quando  si erano schiantati sul pavimento, ma continuava a ridere come un pazzo.
 
Mi sdrai sulla moquette gialla lime cercando di prendere fiato, quando sentii qualcosa cadermi addosso e mi si bloccò il respiro. Michael si era lanciato addosso a me e urlava cercando di prendere il pupazzo, chiusi gli occhi sapendo cosa sarebbe arrivato dopo. Tutti si lanciarono addosso a me ed io faticavo a respirare tra il peso di quei cretini e le risate incessanti.
 
“Micheal, sono arrivate le pizze! ” urlò sua madre dal piano superiore.
 
“Arrivo” gli rispose con lo stesso tono il figlio.
 
Il film era finito ed avevamo deciso di ordinare le pizze. Calum e Michael si precipitarono a prenderle e noi restammo seduti sul letto ad aspettare. Luke mi sorrise mettendomi un braccio dietro le spalle e strofinandomi la testa.
 
“Dovresti metterti a dieta, mi hai fracassato lo sterno prima” scherzai  io dandogli un pugno scherzoso sul braccio.
 
Lui fece la faccia arrabbiata e rispose
 
“Quello non ero io, era Ashton”.  Ash allora si girò verso di lui, dandogli un pugno sull’ altra spalla. Poi io e quest’ ultimo ci guardando capendo subito uno le intenzioni dell’ altro. Demmo ognuno un pugno alla spalla di Luke nello spesso momento.
 
Il biondo mise le mani sulle scapole  facendo passare lo sguardo da me ed il suo amico accanto.
 
“Cos’ è il giorno uccidete le spalle di Luke oggi?” ironizzò facendo il labbruccio.
 
“Meglio le spalle che qualcos’ altro ” rispose allora Calum entrando nella stanza con una pila infinita di pizze sopra di lui. Michael subito dietro con in mano un solo pacchetto di patatine che per di più stava anche mangiando.
 
“Se nessuno mi da una mano le lancio per terra” disse il moro con gli occhi scuri cercando di attirare l’attenzione.
 
Ashton allora si alzò andando ad aiutarlo. Poggiamo le pizze sul letto e dopo averle divise iniziammo a mangiare.
 
“Allora, hai intenzione di raccontarci cosa è successo nella baita?” domandò Ashton pulendosi la bocca con un fazzoletto. Io rimasi  a guardare in basso, imbarazzata, cercando di trovare le parole giuste da usare. Sapevo che Luke era una bomba ad orologeria e se avessi sbagliato di poco le parole sarebbe esploso.
 
Poi parlai
 
“Niente degno di nota”.
 
Sperai non continuassero quella conversazione.
 
“Non me la bevo, bambola” continuò allora Calum.
 
“Ma niente, appena siamo arrivati abbiamo trovato la cassetta di emergenza ed abbiamo mangiato, poi abbiamo acceso il camino e ci siamo addormentati, niente di così eccitante” tenni sempre lo sguardo fisso sul cartone della pizza dove era disegnato un uomo panciuto con un sorriso enorme.
 
“Se lo dici tu…” disse allora Ashton ed ero abbastanza sicura che non avrebbe messo più in mezzo la questione.
 
Guardai di soppiatto Luke e notai il suo sguardo fermo sulla pizza che aveva in mano con aria assorta. Gli diedi allora una piccola spinta con la spalla e lui mi guardò sforzando un sorriso, io risposi con uno più grande sperando di infondergli allegria.
 
***
 
Luke mi lasciò nel vialetto di casa. Faceva freddo per essere a Los Angeles, mi strinsi nel giubbotto. Allora alzai la gamba e slacciai le braccia dalla vita di Luke, scesi dalla moto cercando di fare meno rumore possibile.
 
“Buona notte” dissi io. La situazione tra noi era ancora fredda, ma almeno stava iniziando a scongelarsi.
 
“Buona notte“ rispose lui.
 
Mi avvicinai alzandomi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia, ma un suo movimento veloce ed improvviso face in modo che le nostre labbra si sfiorassero. Poggiai nuovamente le piante dei piedi sull’ asfalto e lo guardai. Lui con lo sguardo fisso sulla strada accese di nuovo la moto andandosene via.


 
______________________________________________________
 
SPAZIO AUTRICI :) 

Ehilà!
Dopo quasi un mese di ritardo, questo è il 14 capitolo ^-^
Vi chiediamo scusa per questo ritardo colossale, ma tra la scuola e l'inizio delle vacanze
non abbiamo avuto molto tempo per stare su EFP.
Bhe, che dire, speriamo vi piaccia :*
Volevamo anche ringraziare tutte colore che recensiscono ad ogni capitolo e anche
chi semplicemente legge o mette la storia tra le preferite, seguite ecc..
Ci piacerebbe se lasciaste una recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un bacione,
-Gre & Fede.

 

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Capitolo 15
*** CHAPTER 15 ***




CHAPTER 15.

FAITH'S POV: 
 
Aprii le tende per far entrare un po’ di luce in camera. Sentii un grugniti dal letto di mia sorella che prese la coperta tirandosela sopra la testa. Vidi un vestito nuovo  buttato su una sedia e delle scarpe sotto. Mi accorsi allora che qualcosa non andava. Mi avvicinai e tirai la coperta per scoprirla, vidi che aveva il pigiama indossato al contrario.
 
Lei scosse la testa e cercò di tirare le coperte.
 
Io la fermai.
 
“Lasciami stare” mugugnò allora cercando un’ altra volta inutilmente di prendere le coperte. Io le tirai nuovamente, questa volta scoprendola.
 
“Hai intenzione di spiegarmi perché sei in questo stato comatoso e cosa sono quei vestiti?” chiesi allora io indicandoglieli, lei non si girò  a vedere, ma anzi, buttò la testa sotto il cuscino.
 
Mi alzai andando verso il bagno. Presi un bicchiere e lo riempii con l’acqua fredda per poi avvicinarmi, scostare le coperte e versarglielo addosso. Lei allora si alzò velocemente urlando, per poi perdere l’equilibrio e cadermi addosso. Allora collegai tutto, vestiti, scarpe, occhi rossi e quello strano odore dei suoi capelli a metà tra una sigaretta e il solito odore di cocco.
 
“Dove sei stata ieri sera?” le domandai io facendola sedere, ma mantenendo il tono alto e severo.
 
“Non urlare” ordinò lei mettendo le mani sulle orecchie, aveva ancora gli occhi verdi socchiusi.
 
Non potevo credere di stare assistendo al primo dopo sbronza di mia sorella.
 
“Non sto urlando” risposi allora io sedendomi accanto a lei e mettendole un braccio attorno alle spalle.
 
“Se devi vomitare non farlo addosso a me” continuai prendendola in giro. Dovevo sapere cosa era successo alla mia piccola, adorata e innocente sorellina.
 
“Allora” iniziò lei, e poi continuò “diciamo che settimana scorsa, un ragazzo di nome Jack, che ho conosciuto al campo di tennis, ha invitato me e Nash a questa festa… ”.
 
Mi stavo martoriando le mani e mordendo convulsamente le labbra per non urlarle contro, non potevo credere che non me lo avesse detto, ma se la bloccavo adesso non sarebbe più andata avanti.
 
“…e ieri ci sono andata…” aggiunse.
 
Non riuscii più a trattenermi dal parlare.
 
“Come ci sei andata?” chiesi sperando che non rispondesse di essere andata con qualche ragazzo.
 
“Mi è venuto a prendere Nash in macchina”.
 
Respirai a fondo per non mettermi a urlare, non poteva essere andata in macchina con un ragazzo. Se si distraeva e facevano un incidente? Se gli veniva un colpo di sonno? E se lui era ubriaco tanto quanto lei?
 
“Vai avanti ” le dissi cercando di non far trapelare il mio fastidio.
 
“Allora siamo andati e… basta” concluse vaga. Non mi guardò in faccia per neanche un momento e vidi che aveva le mani strette una nell’ altra;  non me la raccontava giusta.
 
“Devo chiamare quel coglione dagli occhi azzurri e chiedergli cosa è successo” sentenziai io. Stavo iniziando a perdere la pazienza.
 
“Alla festa è successa una cosa però…  il ragazzo che mi ha invitata mi ha baciato il collo e…” iniziò a spiegare.
 
A quelle parole mi alzai di scatto spaventata a morte per quello che avrebbe potuto dire in seguito.
 
“Dimmi che non è successo quello che penso sia successo” le risposi.
 
“No! Certo ce no!  E’ arrivato Nash e mi ha portata via” disse guardandosi attorno mordendosi il labbro inferiore. Io mi misi una mano fra i capelli tirandoli un po’ all’indietro per non perdere il poco di calma che avevo acquistato.
 
“Quindi se non sarebbe arrivato lui chissà cosa sarebbe successo, ti rendi conto che devi difenderti?” ribattei io. La mia voce si alzò inevitabilmente di un’ ottava.
 
“No, è che mi aveva messo una cosa nel bicch-” bloccò la frase a metà ed io sbiancai.
 
Le braccia mi caddero accanto ai fianchi, non potevo crederci, non la mia piccolina.
 
“Mi stai dicendo che ti hanno drogata?” quasi urlai.
 
“Nonono è che..” non sapeva cosa rispondere ed io ora mai ero in modalità sorella apprensiva.
 
“Voglio il numero di questo ragazzo”
 
“No” mi rispose subito lei alzandosi dal letto.
 
“Come no?” chiesi io alzando la voce ancora di più e per fortuna che lo zio se ne era andato.
 
Poi continuai “Ma lo sai che cosa voleva da te? Voleva approfittarsi, sei ancora piccola… io  ti voglio bene ed ho solo paura che ti succeda qualcosa ” ero fuori di me. Mia sorella non poteva, cioè no.
 
“Non sono tanto più piccola di te e secondo te non sapevo cosa voleva fare? Ti voglio bene anche io, ma devi fidarti di me”  mi rispose lei toccandosi le tempie per il mal di testa di testa post sbronza.
 
“Mi fido di te, è degli altri che non mi fido” risposi io.
 
“Devi lasciarmi sbagliare, so che non è stata l’idea migliore uscire in quel modo senza dire niente, ma non volevo che vi preoccupaste” spiegò lei abbassando lo sguardo. Ero sicura stesse dicendo la verità, ma io volevo più dettagli.
 
Dovevo sapere cosa era successo minuto dopo minuto.
 
“Quel vestito?” le chiesi io indicandolo.
 
Lei si girò e sorrise arrossendo.
 
“Un regalo di Nash” rispose.
 
Io mi morsi la lingua e cercai le parole migliori per dire quello che avevo in mente.
 
“E perché mai avrebbe dovuto comprarti un vestito?” domandai.
 
Lei capii subito quello che intendevo e rispose.
 
“Per nessuna delle ragioni che pensi, me lo ero provato e mi piaceva allora me lo ha regalato, non c’è nessun secondo fine” poi continuò a parlare, le guance erano leggermente arrossate per colpa dei discorsi che stavamo affrontando.
 
“Non è successo niente e quindi stati tranquilla, la prossima volta starò più attenta, te lo prometto” concluse.
 
La abbracciai e lei si strinse a me. Mi alzai prendendo un’ aspirina e porgendogliela.
 
“Questa fa’ miracoli per il post sbronza” le dissi io sorridendo e lei la prese ingoiandola.
 
“Perché tu sei un’ esperta insomma… mi chiedo quante cose non so su mia sorella” ironizzò  lei con voce amara guardando il pavimento.
 
“Ancora non mi hai spiegato quello che è successo alla baita ed il perché eri lì” continuò lei tenendo lo sguardo fermo sul tappeto. Sapevo che avrei dovuto affrontare il discorso prima o poi, ma speravo di poterlo evitare ancora per un bel po’.
 
“Non stavamo parlando di me” dissi cercando di sviare la sua attenzione da quello.
 
“Lo zio sarà molto contento di sentire che hai passato la notte con un ragazzo in una baita in mezzo al bosco completamenti da soli ed isolati dalla società” azzardò sogghignando. Io spalancai la bocca girandomi verso mia sorella.
 
“Non oseresti” sputai io.
 
Lei rispose “Allora raccontami” ed io sbuffai ed iniziai a parlare.
 
“Allora, è iniziato tutto qualche anno fa’, era un modo divertente per fare soldi facili, sono entrata nel giro delle corse clandestine con Luke, lui non è mai stato convinto della cosa, ma mi ha sempre sostenuto” mi bloccai un attimo cercando di trovare le parole.
 
“Cosa centra Harry?” chiese lei guardandomi coi suoi occhioni verdi.
 
“Anche lui è nel giro e quel giorno stava facendo un gara, ma c’era la polizia e siamo dovuti scappare, siamo arrivati alla baita, poi il telefono non ha più preso e la macchina è rimasta senza benzina” finii di parlare, non era tutto, ma era quello che le serviva.
 
“Sei brava?” mi domandò poi lei sorridendo.
 
“La migliore” risposi io, lei mi spinse.
 
La casa si riempii allora di risate mentre noi ci rincorrevamo come bambine.
 


EFFY'S POV: 
 
Il lunedì dopo mi svegliai a fatica. Strabuzzai gli occhi per poi continuare a sbadigliare. Avevo smaltito la sbornia, ma mi sentivo ancora distrutta. Per fortuna, quello sarebbe stato il penultimo giorno di scuola e dopodiché sarebbero cominciate le vacanze invernali. Ne avevo un dannato bisogno.
 
 Aprii l’armadio a malavoglia per estrarre una maglietta bordeaux a maniche corte con delle scritte bianche e dei jeans stretti sbiaditi con degli strappi. Raccolsi i lunghi capelli castani in una coda alta e poi andai in bagno cercando di coprire le evidenti occhiaie con un po’ di cipria e correttore. Quando uscii  indossai delle Vans nere e poi, con la cartella sulle spalle, uscii di casa.
 
Arrivata a scuola, l’aria natalizia iniziava a farsi notare tra i corridoi, anche se essendo a Los Angeles non avrebbe nevicato per le alte temperature. Il giorno dopo si sarebbero svolti i preparativi per il ballo invernale della scuola, al quale, ovviamente, io non ne sarei stata partecipe. Andai al mio armadietto e la testa mi faceva ancora un tantino male e guardandomi attorno, riuscii a riconoscere alcuni volti che c’erano alla festa di Jack.
 
Presi fuori dall’armadietto la materia della prima lezione che era algebra. Possibile che la settimana dovesse iniziare con questa tortura, pensai. Una volta tolto il materiale, chiusi l’armadietto e mi voltai. Vidi lungo il corridoio il ragazzo dagli occhi color oceano che avevo tanto detestato qualche ora prima sotto l’effetto dell’alcool.
 
Io mi diressi nella direzione opposta; l’ultima cosa che volevo in quel momento era avere una discussione mattutina con Nash.
 
***
 
Finalmente era l’ora di pranzo e mi andai a sedere su un muretto nel cortile della scuola. Non avevo per niente fame, così mangiai solamente una mela con del succo alla pera. Il tiepido sole mi riscaldava la pelle bianca delle gambe e si sentiva un forte odore di mare quella mattina. Quando finii di mangiare la mela e di bere il succo, rientrai nell’edificio per andare a darmi una rinfrescata in bagno.
 
I corridoi erano deserti, passai davanti alla classe di economia politica dato che il bagno era proprio accanto e vidi una figura che riuscii facilmente a riconoscere accovacciata per terra. Mi fermai ed andai sulla soglia della porta, dove mi fermai per osservare quel ragazzo trafficare con qualcosa tra le mani.
 
“Jack?” lo chiamai alzando un sopracciglio.
 
Lui si voltò di scatto verso di me e spalancò la bocca stupito. Mi avvicinai verso di lui e non potevo credere ai miei occhi.
 
“Cosa stai facendo con quella roba? Quella è la cartella di Nash!” sbraitai fuori di me indicando i pacchetti che aveva tra le mani con all’interno della sostanza biancastra.
 
“Shh, chiudi la bocca Effy!” mi ordinò lui guardandosi attorno per vedere se ci aveva sentito qualcuno.
 
“Jack, cosa diavolo stai facendo?” replicai afferrando quelle bustine che lui riprese facilmente con le sue grosse mani. Mi diede un leggero spintone facendomi barcollare per farmi allontanare.
 
“Deve imparare a farsi i fatti suoi il tuo amico” rispose Jack mettendo la droga nella cartella di Nash per poi chiudere la cerniera. Non potevo credere a quello che stavo vedendo. Nash mi aveva avvertita che Jack non era un fiore di ragazzo, ma quello che stava facendo era esagerato anche per lui.
 
“Jack, non puoi farlo seriemente!”
 
“Bhe, l’ho appena fatto, piccola” ghignò mentre la sua figura torreggiava su di me. I suoi occhi scuri tenevano incatenati i miei e la rabbia non faceva altro che crescermi dentro.
 
“Non ci provare o vado a dirlo a Nash” lo avvertii io seria. Evidentemente non avevo reso bene l’idea, dato che il grande ragazzo davanti a me scoppiò in un enorme risata. “Jack, sono seria. Se non togli quella roba vado ad avvertire  Nash” gli ripetei.
 
Lui scrollò le spalle per poi prendermi per i polsi tenendomi stretta. Mi bloccò con le spalle al muro negandomi ogni via d’uscita.
 
“Effy, sei una ragazza intelligente, per cui non metterti in pericolo da sola” mi avvertì avvicinando il suo corpo al mio ancora di più. “Ora da brava, tieni la bocca chiusa. O mi costringerai a farlo per te” continuò a denti stretti. Un brivido mi partì per tutta la schiena ed iniziai a tremare. Mi guardai attorno per cercare aiuto, ma i corridoi erano ancora deserti. Dovevo avvisare Nash o Jack gliel’avrebbe fatta pagare ed era l’ultima cosa che volevo.
 
“Jack, sei un bastardo” sibilai emettendo una smorfia.
 
“Woho! E così la piccola Effy si sta mettendo nei guai gratuitamente, non è così?” ironizzò lui afferrandomi le guance con la sua mano costringendomi a guardarlo dritto negli occhi.
 
Ero presa dal panico, così feci la prima cosa che mi era saltata in mente. Diedi un calcio non troppo forte agli stinchi di Jack, il quale dopo aver attutito il colpo si accasciò di poco ed io colsi al volo quel vantaggio di libertà per uscire fuori dalla classe alla ricerca del ragazzo per cui mi stavo mettendo nei guai.
 
L’unica cosa che feci per quell’asso di tempo era correre, correre il più veloce possibile.
 
Dopo cinque minuti, riuscii a trovare Nash con un gruppo di amici parlare vicino all’aula di fisica. Non m’importava se non avevamo parlato dalla notte precedente ed era ancora arrabbiato con me, dovevo avvisarlo il prima possibile del guaio in cui voleva metterlo Jack. Appena notò la mia esile figura avanzare verso di lui, vidi la sua bocca serrarsi ed i suoi occhi lanciarmi una gelida occhiata. I suoi amici si scostarono per farmi passare anche se delle piccole urla e fischi assordarono le mie orecchie.
 
Io sospirai per prendere il suo polso e tirarlo lontano da tutti quegli occhi indiscreti.
 
“Ma sei impazzita per caso?” mi rimproverò accigliato. In quel momento avrei tanto voluto mollargli uno schiaffo sulla sua guancia, ma non c’era tempo e non ne avevo le forze. Ero ancora troppo scossa.
 
“Ho visto Gilinsky mentre ti stava mettendo della droga nella tua borsa” sputai ancora con il fiatone.
 
“Cosa?” sbottò Nash incredulo alle mie parole. “Effy, cosa ha fatto Jack?” continuò serio.
 
“Stavo andando in bagno e ho visto Jack mettere qualcosa nella tua cartella nell’aula di economia politica, così quando l’ho scoperto sono venuta subito ad avvisarti” spiegai guardandolo negli occhi.
 
“E lui dov’è ora?”
 
“Stava cercando di non farmi parlare, ma gli ho tirato un calcio negli stinchi e sono corsa  a cercarti per avvisarti” risposi mordendomi il labbro inferiore.
 
“Aspetta, tu cosa? Wow, dovrò pensarci due volte prima di litigare di nuovo con te” ironizzò con un sorrisetto.
 
“Andiamo a cercare quel figlio di puttana” disse determinato Nash iniziando a camminare lungo il corridoio. Io lo seguii.
 
Dopo alcuni istanti entrammo nell’aula di economia politica e Nash afferrò la sua borsa frugandoci dentro. Di Jack non c’era traccia.
 
“Non c’è niente qua dentro” rispose mostrandomi la cartella vuota se non con qualche libro. Strabuzzai gli occhi. Per un attimo mi domandai se non mi fossi immaginata tutto grazie alla poca quantità di alcool che mi era rimasta in circolazione, ma poi il bruciore sui polsi per la forte stretta di Jack mi fece abbandonare quell’idea.
 
“Nash, ti giuro che Jack ti aveva messo della droga nella borsa” dissi guardandomi attorno. Ero disperata e la paura che Nash stesse iniziando a dubitare delle mie parole cresceva sempre di più.
 
“Sei sicura?” mi domandò poggiando la sacca sul banco per poi tenere i suoi occhi vissi su di me.
 
“Sì! Non mi inventerai mai nulla del genere!”
 
“Non intendevo questo, dico solo che magari sei ancora sotto l’effetto dell’alcool ed hai visto una cosa che in realtà non è successa” spiegò mentre la sua fronte si corrugò.
 
“Non vado di certo a vedere Jack mettere della droga nella tua cartella anche se fossi sotto l’effetto di chissà cosa, Nash” ribattei seccata. “Perché non mi credi?” ripetei io mordendomi il labbro inferiore di riflesso.
 
Aprì la bocca per rispondere, ma il suo cellulare squillò. Lo tolse fuori dalla tasca e dopo aver letto il nome sul display lo ricaccio nei pantaloni.
 
“Chi era?” domandai.
 
“Nessuno” rispose poi mettendosi la cartella sulle spalle.
 
“Era Madison, non è così?” chiesi sarcastica. Nash restò in silenzio e quella era la mia conferma.
 
“Ti controlla anche a scuola ora?” ribattei furiosa.
 
“Mi ha chiamato perché stasera partiamo per la Virginia, passeremo lì le feste natalizie” rispose ed in quell’esatto momento il mio cuore si ruppe in tanti piccoli pezzi lentamente.
 
“V-voi andrete via i-insieme?” riuscii a chiedere.
 
“Sì. Madison, io, mio padre, Anne ed i genitori di Madison andremo là” spiegò abbassando lo sguardo.
 
“Effy, stai bene?” mi chiese non notando nessuna reazione da parte mia alle sue parole.

“Ovviamente” risposi mentre dentro di me sentii come rompersi qualcosa. 

 
 
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SPAZIO AUTRICI :) 

Ciaoo!
Eccoci con il 15' capitolo :D
Speriamo che vi piaccia!
Ci piacerebbe se lasciaste una recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un bacione,
-Gre & Fede.

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Capitolo 16
*** CHAPTER 16 ***




CHAPTER 16.

EFFY'S POV: 
 
Sentii una mano passarmi sulla guancia e quando aprii gli occhi strabuzzandoli vidi Faith cercare di svegliarmi.
 
“Buon giorno, bambolina” disse per poi allontanarsi da me aprendo le finestre. La luce del sole che entrò violentemente nella stanza mi fece rigirare dall’altra parte del letto mentre mentalmente maledissi più volte mia sorella.
 
“Sono le undici, per quanto vuoi dormire ancora?” mi domandò portando le mani sui suoi fianchi.
 
“Abbastanza per dimenticarmi che molto probabilmente Nash e Madison ora saranno insieme a divertirsi o a fare solo Dio sa cosa” borbottai con la testa tra i cuscini.
 
“Come?”
 
“Nulla, ora mi alzo”  cercai di tagliare corto. Ero di pessimo umore quella mattina.
 
Lei sospirò per poi uscire dalla camera. Io mi alzai a fatica dal letto per poi emettere un grande sbadiglio. Andai verso l’armadio e tirai fuori una canottiera bianca larga con delle scritte stampate e degli shorts. Sembrava essere una giornata particolarmente calda, per niente in tema con l’imminente inizio delle vacanze natalizie.
 
Mi diressi verso il bagno dove mi cambiai e sciolsi i capelli che avevo precedentemente raccolto in una coda alta. Quando uscii vidi Faith nel salotto con degli scatoloni.
 
“Cosa stai facendo?” le domandai avvicinandomi.
 
“Oggi verrà Luke, ci aiuterà a preparare l’albero di Natale” rispose sorridendo.
 
“Luke?” replicai io. Non sapevo perché mi facesse così strano, ma giurai dai suoi ultimi comportamenti che stava passando davvero tanto tempo con noi, specialmente con Faith.
 
***
 
Il campanello suonò ed io andai ad aprire, mentre Faith stava finendo di apparecchiare la tavola per tre, dato che zio Simon sarebbe andato a fare delle commissioni quel giorno.
 
Appena aprii la porta, l’alta figura di Luke si allungò davanti a me ed il suo enorme sorriso mise in mostra il suo piercing, che adoravo. Indossava i suoi, ormai perenni, pantaloni neri aderenti ed una maglietta blu scuro mettendo in risalto le braccia toniche e la pelle chiara.
 
“Ciao Luke!” esclamai io abbracciandolo.
 
“Ciao piccolina” rispose stringendomi.
 
“Ciao Effy!” sentii poi dietro di lui.
 
A quelle inaspettate parole sobbalzai  ed un “Santo cielo!” uscì dalle mie labbra allontanandomi dal biondo. Spostai leggermente lo sguardo e vidi Calum dietro di lui.
 
“Oh, ciao Cal! Non ti avevo visto” risposi andandolo a salutare, mentre Luke era ormai entrato in casa diretto verso la cucina.
 
“Stai benissimo oggi” disse poi il moro davanti a me con uno sfavillante sorriso. Io lo ringraziai ed entrambi entrammo in casa. Appena chiusi la porta, mi diressi verso la cucina, dove vidi Luke e Faith intenti a sistemare il tavolo.
 
“C’è anche Calum, spero non  dia disturbo” disse Luke guardando me e mia sorella negli occhi.
 
“Mi accontento anche di stare sul divano a guardare la tv” replicò lui ridendo.

“E’ quello che fai sempre, Cal” sogghignò Faith con un sorrisetto beffardo.

Dopo alcuni istanti, andai in camera per sistemare alcune cose, tra cui la stanza, dato che era un completo disordine.
 
Quando scesi, tutti e quattro ci sedemmo al tavolo per iniziare a mangiare. Luke iniziò a mangiare come se non ci fosse un domani e mi chiedevo come faceva ad essere sempre in forma, nonostante non si ammazzasse di palestra. Beato lui, pensai. Mia sorella aveva preparato la pizza e stavamo tutti mangiando la seconda fetta, fatta eccezione per il biondo che era alla quarta.
 
“Allora, come mai da queste parti, Cal?” gli domandò Faith ammiccando un sorriso.
 
“I miei sono dovuti andare via per qualche giorno a trovare una zia che non è stata molto bene recentemente, così io mi sono trasferito in questi pochi giorni da Luke” spiegò per poi farmi l’occhiolino.
 
“Bhe, allora ti sei automaticamente offerto per aiutarci a fare l’albero di Natale con noi, Hood” continuò mia sorella.
 
“Mi piacerebbe darvi una mano”
 
“Cal, come mai tutta questa gentilezza? Solitamente cerchi scuse di ogni tipo, quasi peggio di Mike che per non aggiustare la macchina una volta ha inventato di essersi bruciato i capelli e che al posto che rosa gli erano diventati tipo di un fucsia evidenziatore e non voleva andare in giro in quello stato” ironizzò Luke con la bocca piena.
 
“Oggi non sono in vena di inventare scuse poco credibili, evidentemente” rispose Cal sorridendo. Quel ragazzo era davvero tenero ed ero contenta che fosse uno dei più cari amici di Faith.
 
Quando finimmo di pranzare, andammo tutti e quattro nel salotto e Faith e Luke andarono ad aprire lo scatolone più grande, mentre io andai ad aprire uno di quelli più piccoli.
 
“Serve una mano?” chiese Cal sedendosi accanto a me. Io scossi la testa facendo un sorriso amaro.
 
“Effy, che hai? Ti vedo come… triste” disse poi cercando di incontrare il mio sguardo. Io lo guardai e rimasi a fissare quei due occhi scuri.
 
“Sono solo un po’ giù” risposi facendo spallucce. Lui si morse il labbro inferiore e inaspettatamente, mise un braccio sotto le mie gambe ed uno sulla mia schiena e mi sollevò. Faith e Luke si voltarono verso di noi sorridendo e Cal mi posò delicatamente sul nostro divano iniziando a farmi il solletico ai fianchi, il mio punto debole.
 
“Smettila!” esclamai ridendo con quasi le lacrime agli occhi.
 
“Non finché la tristezza non sarà solo un brutto ricordo, Effy” rispose lui continuando.
 
“Okay, se n’è andata, lo giuro” dissi cercando di bloccargli le mani. Lui sospirò e poi si avvicinò a me ed io restai a guardarlo. Era un ragazzo d’oro e gli volevo un bene immenso per tutto quello che faceva per me.
 
“Sicura che se ne sia andata?” mi domandò poi ammiccando un tenero sorriso.
 
“Se dipendesse da me, non sarebbe mai nemmeno venuta a bussare alla mia porta, Cal” risposi con un sorriso amaro.
 
“Cos’è che ti rattrista tanto?” chiese mettendo un braccio attorno alle mie spalle sedendosi accanto a me sul divano.
 
“C’è diciamo un.. ragazzo” iniziai riferendomi a Nash. “Che si atteggia diversamente con me a  seconda delle occasioni. Prima sembra non importargli nulla di me, poi fa quasi scenate di gelosia in mia presenza, poi ferisce i miei sentimenti e p-“
 
“Ti prego, dimmi che non ti stai riferendo al fratello del riccio pomposo” mi interrupe lui facendosi serio. Feci un sorrisetto per il termine con cui aveva chiamato Harry.
 
“Purtroppo è così” risposi facendo spallucce.
 
“Non puoi cadermi così in basso, Eff” iniziò lui e le sue parole in qualche modo mi ferirono. “Però, so che non puoi farci nulla” aggiunse notando la mia espressione triste. 
 
“Inoltre c’è quella sottospecie di cugina che gli salta addosso ogni istante, ugh” aggiunsi stringendo i denti ed i pugni.
 
“Fammi indovinare, cugina sulla carta, ma una poco di buono nella realtà?”
 
“Già” risposi.
 
Lui sospirò e subito dopo mi abbracciò stringendomi a sé ed io misi la mia testa nell’incavo del suo collo.
 


FAITH'S POV:  

Mi legai i capelli. Stavo guardando la mia figura sulla superficie lucida del frigo, avevo le guance arrossate e le occhiaie evidenti, gli avvenimenti degli ultimi giorni mi avevano fatto dormire molto poco.
 
Sentii un rumore di passi leggeri nel pavimento, quel rumore di scarpe da ginnastica consumate poteva essere solo di una persona.
 
“Hei Luke” dissi io girandomi a guardarlo. Lui alzò lo sguardo verso di me e mi sorrise.
 
“Hei Faith” rispose impassibile. Ci guardammo per qualche secondo poi una seconda figura attirò la mia attenzione.
 
“Como estas Faith?” domandò il ragazzo con i capelli scuri ed una t-shirt stampata.
 
“Calum? Cosa ci fai tu qui?” gli chiesi io senza rispondere alla mia domanda, come se fosse la prima volta che se ne spuntavano li senza essere invitati, però avevo bisogno di concentrarmi su qualcosa che non fosse Luke.
 
“Volevo vederti, my lover!” urlò allora lui buttandomi le braccia al collo. Tentennai un attimo sul posto, non aspettandomi un abbraccio da lui. Risi e dopo lo strinsi a mia volta.
 
“Okay Calum, ma lasciami adesso”. Lui si staccò facendomi la linguaccia. Guardai Luke che incontrò lo sguardo col mio per qualche secondo e subito dopo guardò il suo migliore amico fare il cretino.
 
“Che fai?” chiese Calum girando per la cucina come una trottola, quel ragazzo doveva imparare a mettere le mani apposto. Aveva appena aperto lo sportello della dispensa ed io avvicinandomi gliela avevo chiusa in faccia. Mi guardò allora lui portando il labbro in fuori ed io gli pizzicai le guance. Lo zio entrò in cucina con una mano che armeggiava con la cerniera del giubbotto. Alzò lo sguardo e subito lo riabbassò con fare indaffarato sulla cerniera; dopo trenta secondi lo alzò di nuovo guardando Calum con sguardo accusatorio.
 
Il ragazzo alzò le mani in aria come per difendersi.
 
“Si può sapere come mai in casa mia c’è sempre gente in più?” si lamentò lo zio con voce ironica andando verso il frigo e prendendo un bicchiere per riempirlo sotto la fontana e bere.
 
“Ma noi siamo della famiglia” rispose allora Calum andando verso lo zio e mettendogli un braccio dietro le spalle.
 
“Solo fino a quando non toccate le mie bambine, poi entrerete nella mia lista nera”disse lo zio guardandomi sorridendo. Io lo guardai e ricambiai il sorriso, devi lo sguardo apposta da quello di Luke che avevo visto fisso su di me. Anche solo il pensiero che lo zio potesse saperlo mi faceva avvampare le guance.
 
Dovevo mantenere un po’ di contegno.
 
“Ma se sono loro che ci toccano!” esclamò allora Calum. Io scoppiai a ridere e lo zio prese per l’orecchio il moro che iniziò a ridere come un cretino. Allora tutti non riuscimmo a non fare lo stesso.
 
“Fate i bravi” raccomandò allora lo zio uscendo definitivamente dalla stanza non prima di fare cenno a Calum che lo avrebbe tenuto d’occhio e lui aver risposto con il tipico saluto militare. Per tutto quel periodo ero, almeno in parte, riuscita ad evitare lo sguardo di Luke e ne ero molto grata.
 
“Dobbiamo far svagare mia sorella” dissi io prendendo un altro bicchiere dal ripiano vista l’ inaspettata vista.
 
“Che intendi dire?” chiese allora Luke concentrato su di me, lo guardai un attimo e mi soffermai troppo sulle labbra, poi continuai a guardare le posate davanti a me.
 
“Temo che si sia presa una cotta per Nash” spiegai senza mezzi termini e vidi Luke fare leva sulle braccia dal tavolo e guardarmi e Calum fermarsi a mezz’aria col bicchiere pieno di coca cola.
 
“Argomenta ragazza ” mi ordinò allora Luke con fare aggressivo.
 
Io mi girai e lo guardai.
 
“Allora, c’è Nash quello della villa. Eff ha un debole per lui, però lui non sembra accorgersi molto di mia sorella e lei ci sta male anche se non lo da a vedere”. Appena il nome di Nash uscì dalla mia bocca la faccia di Luke si fece ancora più seria di quanto in realtà non fosse.
 
Io e lui ci guardammo negli occhi per quello che sembrò un tempo infinito, fino a quando Calum non esclamò
 
“Ma è Gay?”.
 
Quel ragazzo era allucinante, mi guardò con le orbite più sporgenti del solito e le guance rosse. Io scossi la testa e continuai senza guardare Luke.
 
“In più è partito per le vacanze di Natale con sua cugina che credo si faccia. Lei è una puttana di prima categoria” aggiunsi. Avevo lo sguardo fermo verso Calum, ma il commento di Luke mi obbligò a girarmi a guardarlo.
 
“Ma quel figlio di papà non riesce a tenerlo nei pantaloni?”.
 
La sua voce si alzò di un tono più alta ed io lo guardai e lui mi scambiò un’ occhiata furente. Mi passai una mano fra i capelli annodati della coda, era tutto così complicato.
 
“Qua il problema non è lui, ma mia sorella: è in pericolo la sua felicità, ed in più non urlare, grazie ” risposi.
 
Lui mi guardò mordendosi il labbro e tirandosi il piercing; questo mi fece affiorare delle strane sensazioni. Il metallo freddo che veniva a contatto con le mie labbra nel giro di pochi secondi e dopo il nulla, mi morsi involontariamente anche io il labbro, lui allora guardò le mie labbra. Il suo sguardo si fece più intenso ed io faticai a respirare.
 
A quel punto la porta della cucina si aprì. Mia sorella entrò con la coda alta, la faccia struccata e un sorriso tirato sulle labbra. Vidi con la coda dell’ occhio Calum fermarsi con un pezzo di pane che spuntava fuori dalla bocca a fissare mia sorella.
 
La situazione si stava facendo abbastanza imbarazzante.
 
“Dammi una mano, Eff, almeno facciamo i piatti”suggerii.
 
Lei mi guardò sorridendo e mi aiutò a preparare le porzioni. Ci sedemmo a tavola e parlammo del più e del meno, la situazione era meno elettrica di prima anche se l’aria era comunque strana rispetto al solito.
 
***
 
Finimmo di magiare e Cal con Eff andarono sul divano mentre io e Luke rimanemmo in cucina. Sapevo che era arrivato il momento in cui avremmo dovuto parlare, ma io ero spaventata, anzi terrorizzata da quello che sarebbe potuto succedere. Stavo asciugando una tazzina da più di cinque minuti quando Luke mi venne vicino bloccandomi il polso e prendendo l’ oggetto dalle mie mani sistemandolo. In tutto quel momento io ero rimasta immobile a fissare i movimenti lenti delle sue mani.
 
“Ora possiamo parlare” disse allora lui con voce ferma.
 
Io lo guardai negli occhi, ero sicura di avere la faccia da cane bastonato, ma non riuscivo a fare altro.
 
Lui mi tirò a sè e mi appoggiai al tavolo. Smise davanti a me, le nostre ginocchia si toccavano.
 
“Allora…” iniziò lui e visto che non ottenne nessuna risposta da me, continuò “Riguardo a ieri abbiamo molto di cui parlare non credi?”
 
Presi coraggio ed alzai lo sguardo verso di lui ed i suoi pozzi azzurri.
 
“Parla prima tu” istruii, ma più che altro sembrava una preghiera. Lui si prese il piercing tra i denti e passò una mano sulla mia guancia, non riuscii a fare a meno di appoggiare la testa sul suo palmo.
 
“Faith, come hai fatto a non capirlo, è da un po’ di tempo che non riesco più a vederti nello stesso modo, ogni cosa che fai ti uccide, ogni sguardo che lanci mi confonde..” continuò quel discorso. Non seppi cosa dire quando lui abbassò lo sguardo verso le nostre gambe, le mie strette nei  jeans blu erano più corte delle sue ricoperte dai pantaloni stracciati neri.
 
“Ti prego, parla” supplicò.
 
Era lui in quel momento che mi stava pregando di esporgli i miei dubbi e le mie paure, ma il problema era che non li conoscevo neanche io.
 
“Non lo so… è tutto così strano, anche io mi sento così vulnerabile quando sono con te,  ho una paura folle di perderti, ma…” non riuscivo a guardarlo.
 
Lui mi prese le mani e le strinse nelle sue, stavano tremando.
 
“Ma… lui, vero?”
 
“Alla baita è successo qualcosa che mi ha stranito” confessai.
 
Lui mi lasciò le mani nel giro di pochi secondi facendo un passo indietro, sembrava che tra noi fosse cresciuto un muro.
 
“Che idiota che sono”.
 
Fece per andarsene, ma io gli corsi dietro bloccando la porta dietro di me.
 
“Lasciami andare” ordinò lui con voce autoritaria, io scossi il capo.
 
“Ti prego, non scappare” gli chiedo io con poca voce.
 
Lui rise amaramente, guardando per terra e poi me.
 
“Davvero Faith? Davvero? Ti ho appena detto che provo dei sentimenti per te e tu ti sei fatta quel cazzo di montato figlio di puttana ed io dovrei stare calmo?” ironizzò. Dalle sue parole sentivo tutta la rabbia repressa che si sentiva dentro.
 
“Non ho detto di stare calmo, ma ti ho chiesto di non andartene” gli puntualizzai io.
 
Lui mi guardò negli occhi e sentii le ginocchia cedermi tanto che mi dovetti tenere alla maniglia per non finire per terra. Successe tutto nel giro di pochi secondi. Lui che con due falciate si trovò davanti a me e mi baciò, io non lo scansai, perché lo volevo e perché non avrei sopportato di vederlo scappare via da me. Era un bacio arrabbiato, carico di passione ed energia, tanto che sentii il mio labbro sanguinare per colpa del suo piercing.
 
Ci staccammo.
 
Lui appoggiò la sua fronte alla mia continuando a schiacciarmi contro la porta, respiravamo a fatica ed i nostri petti andavano a ritmo uno con l’altro.
 
“Dovevo farlo” sussurrò lui con un filo di voce guardandomi negli occhi ed io non riuscii a voltare lo sguardo, ero incatenata, come se quell’azzurro fosse l’unica cosa che io necessitavo per vivere. Però un pensiero era fisso nel mio cervello: Harry.
 
Non potevo non paragonare i due baci e come quello con Harry mi avesse lasciato indifesa come una preda lasciata lì a morire e come il mio copro ne chiedesse ancora come una droga pesante.
 
“Qualcosa mi dice che non succederà più, vero?” continuò Luke staccandosi e parlando con voce leggera e guardando mi con sguardo perso.
 
“Luke…” iniziai allora io.
 
Lui scosse la testa ed io mi morsi il labbro, dovevo fare qualcosa.
 
“Mi dispiace” riuscì solo a dire.
 
“Non posso costringerti ad amarmi se non è ciò che vuoi veramente” rispose. La sua voce non era mai stata tanto seria.
 
“Sono solo confusa” continuai io cercando di arrampicarmi alla poca forza che mi era rimasta. Lui allora sorrise amaramente sedendosi sulla sedia come se fosse oramai senza forze.
 
“E’ quello il punto, non dovresti esserlo, ti conosco da una vita so che il problema è lui”.
 
Io allora mi sedetti davanti a lui appoggiando la testa sulle mani e reggendone il peso.
 
“Non so cosa fare”
 
“Non fare niente, dovevo farlo, te l’ ho detto, non voglio che lo dimentichi o cose simili, ma sei la mia  migliore amica e non voglio perderti. Abbiamo superato anche di peggio di io che mi prendo una sbandata per te… andiamo avanti come se niente fosse” suggerì. Lo vidi sorridere leggermente e poi continuò sentendo rumori in salotto.
 
“Cosa sta facendo Calum a tua sorella? Che strano che sia rimasto di là” disse poi cambiando argomento.
 
Non sapevo cosa rispondere, quindi mi limitai ad alzare le spalle. Lui si alzò chinandosi per darmi un bacio sui capelli, sapevo che si stava trattenendo o che non  aveva più energie per discutere, allora andò in salotto ed io rimasi immobile a fissare la sedia dalla quale si era alzato.
 
 
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SPAZIO AUTRICI :) 

Ehi c:
Questo è il 16' capitolo!!
Scusate per il ritardo, ma siamo state davvero tanto impegnate ultimamente.
Speriamo che vi piaccia!
Ci piacerebbe se lasciaste una recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un bacione,
-Gre & Fede.
 
 

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Capitolo 17
*** CHAPTER 17 ***


 


CHAPTER 17.

EFFY'S POV: 
 
Mi svegliai con il fastidioso rumore della sveglia che riecheggiava nelle mie orecchie. Mi alzai a fatica ed  una volta pronta uscii di casa. Quello era finalmente l’ultimo giorno prima delle vacanze di Natale, ma la mia testa era già in vacanza da un po’, anche se il mio cuore era in Virginia in quel momento.
 
Appena arrivata a scuola, mi diressi verso il mio armadietto per prendere i libri delle materie. Aprii l’anta per estrarre i libri delle materie che avrei avuto alla prima ora, ovvero biologia.
 
Mi diressi nella classe e mi andai  a sedere in uno nei banchi infondo appoggiando i testi sul banco e la cartella sotto la sedia. Speravo solamente che quella noiosa lezione che mi aspettava sarebbe terminata il prima possibile. Appena entrò la professoressa e tutti si misero al loro posto.
 
“Oggi andremo in laboratorio” disse la donna davanti a me mentre si sistemava l’abito che indossava. Tutti gli studenti esultarono e dopo alcuni istanti, uscimmo dall’aula per andare nel laboratorio di biologia.
 
***
 
Appena entrammo nell’aula di biologia, vidi accanto alla porta il vicepreside con un’aria strana dipinta sul volto. La professoressa ci fece entrare tutti in classe e dopo aver scambiato alcune parole con l’uomo dalla faccia furiosa, indossò gli occhiali guardandoci.
 
“Elizabeth Reynolds?” mi chiamò guardando tra i banchi.
 
Il cuore mi salì in gola ed il sangue mi si raggelò nelle vene per il tono che la professoressa aveva appena usato. Mordendomi il labbro inferiore alzai lentamente la mano per farmi notare. La professoressa e il vicepreside si avvicinarono a me per poi chiedermi di alzarmi e di seguirli. Non capivo minimamente cosa stesse succedendo, tant’è che mi domandai se mi stessi immaginando tutto.
 
Dopo alcuni istanti, ci ritrovammo tutti e tre davanti alla porta del preside.
 
“Entri” mi ordinò l’uomo aprendo la porta.
 
Io feci un respiro profondo ed indugiando alcuni istanti, entrai nella stanza.
 
“Elizabeth Reynolds?” mi chiamò l’uomo dietro ad una scrivania in mogano larga e spessa.
 
Avevo iniziato proprio bene l’ultimo giorno, pensai.
 
“Sì, sono io” risposi con voce tremante. Tutti gli occhi erano puntati di me con fare accusatorio ed io iniziai a non capire il perché di quell’assembramento.
 
“Lei è stata espulsa da questo collegio per uso di sostanze stupefacenti” sentenziò l’uomo davanti a me scrutandomi da sopra gli occhiali.
 
“Come scusi? Io non ho mai fatto uso di droghe!” risposi con le lacrime che minacciavano di scendere. Guardai dietro di me per vedere la professoressa ed il vicepreside continuarsi a parlare nell’orecchio per poi lanciarmi delle occhiate che lasciavano davvero poco all’immaginazione.
 
“Non è quanto mi è venuto all’orecchio. Sapevo che introdurre gente di così scarso livello come lei avrebbe portato a delle terribili conseguenze. Fortuna che una voce mi ha informato prima che potesse diffondersi la notizia” continuò l’uomo davanti a me con una smorfia.
 
“No, lei non capisce. Io non faccio uso di sostanze stupefacenti! E chi diavolo è questa voce che le è venuta a dire una carognata del genere?”
 
“Vi è l’anonimato, ragazzina” concluse lui. Mi sembrava di essere dentro ad un incubo da cui non riuscivo a svegliarmi.
 
“Non ho fatto niente!” ribattei non sapendo più cosa dire per salvare la mia non colpevolezza.
 
“Cosa sta succedendo?!”  quasi urlò Faith entrando dalla porta che quasi stava staccando dalle viti dalla foga che aveva.
 
“Ecco, signorina Reynolds, ben arrivata!” ironizzò il preside. “Sua sorella è stata scoperta a fare uso di sostanze stupefacenti in questo istituto” ripeté per l’ennesima volta il preside. Faith mi lanciò un’occhiata amara, ma io scossi la testa mordendomi il labbro inferiore.

“Non è vero, lo posso giurare” mi difesi stringendo i pugni.
 
“Signor preside, le posso garantire che mia sorella non fa uso di droghe. Non ha mai nemmeno fumato una sigaretta!” mi difese mia sorella schierandosi dalla mia parte. L’uomo scosse il capo per poi afferrare la mia cartella rovesciandola e facendo cadere da essa bustine di droga. Non capivo, la mia cartella era rimasta nell’aula di biologia dalla prima ora, almeno credevo.
 
“E queste come se le spiega, allora?” domandò il preside sbuffando. “Basta così, lei è espulsa dall’istituto!” aggiunse. Le parole sembravano aver abbandonato la mia mente non riuscendo nemmeno ad uscire dalla mia bocca.
 
“Non può espellerla!” ribatté ringhiando mia sorella.
 
“Signorina Reynolds, le conviene chiudere la bocca se non vuole che cacci anche lei” minacciò l’uomo.
 
Faith si morse il labbro inferiore e strinse i pugni,  mentre io dovetti calmarmi per non scannare vivo l’uomo davanti  a me mentre si stava sistemando la cravatta.
 
Io e Faith uscimmo da quella stanza che per me era stato l’inferno. Mi guardai attorno e vidi Harry accorrere verso di noi. Le lacrime mi stavano rigando le guance e sia io che mia sorella continuammo a percorrere il corridoio sotto gli occhi di tutti.
 
“Cosa diavolo è successo?” domandò il riccio cercando di fermarci, senza riuscirci.
 
“Hanno trovato della droga nella cartella di Effy ed è stata espulsa” risposi attonita Faith continuando a guardare davanti a sé.
 
“Droga?” ribadì Harry incredulo.
 
“Sì, qualche coglione gliel’ha infilata nella borsa ed ora l’hanno espulsa” rispose ancora una volta Faith al posto mio. Non avevo le parole per parlare in quel momento. “E’ meglio che vada o vado a spaccare il muso a quell’idiota in giacca e cravatta” aggiunse facendo scroccare le nocche. “Quel lurido figlio di put-“
 
“Faith, calmati o verrai espulsa anche te e non mi sembra il caso” cercò di calmarla Harry prendendole un polso. Lei si calmò, con solo un suo tocco.
 
“Okay..” sbuffò. Subito dopo Harry si fece da parte capendo ancora di più la gravità della situazione per poi guardarmi non sapendo bene cosa fare.  Io e Faith stavamo percorrendo il corridoio per uscire dalla scuola, quando voltandomi per l’ultima volta, vidi inaspettatamente il volto di Jack. Rimasi a fissarlo ed un sorriso compiaciuto e bastardo si fece spazio sul suo volto.
 


FAITH'S POV: 
 
Ero fuori dalla porta di casa con una mano sulla maniglia. Mia sorella guardava solo il pavimento davanti a noi, aveva pianto in macchina, silenziosamente, in un angolo, senza dire una parola, ed io l’ avevo lasciata sfogare. Mi trovavo sempre impreparata da sorella a quelle situazioni, sapevo cosa fare se mi diceva di essere fidanzata, ubriaca o incazzata, ma non quando era triste. Le misi una mano sotto il mento e lei mi guardò con gli occhioni verdi lucidi e rossi, mi si spezzava il cuore vederla in quello stato.
 
“Chi lo dirà allo zio?” mi chiese lei con un filo di voce.
 
“Lo farò io, tranquilla, tu respira, andrà tutto bene” le risposi con la voce più ferma che riuscii a fare.
 
Lei mi fece un sorriso stanco ed io le stampai un bacio in fronte. Poi aprii la porta. Appena mettemmo piede in salotto lo zio ci venne incontro e abbracciò Effy così tanto che ebbi paura per la sua salute.
 
Chiusi la porta dietro di me e rimasi a guardarli. Dopo pochi secondi lo zio la lasciò e mi stupii nel vedere mia sorella con un’ espressione forte e senza più gli occhi lucidi.
 
“Lo sai?” chiesi io allo zio.
 
Lui si girò.
 
“Sì, mi ha chiamato la scuola…” rispose.
 
Eff lo guardò alzando un sopracciglio.
 
“Non sei arrabbiato?” domandò lei incredula.
 
Lui la guardò, sorridendo, poi si sistemò gli occhiali sul naso e chiese “La droga era tua?”
 
“No, certo che no”rispose subito Effy sulla difensiva.
 
Lo zio allora sorrise accarezzandole una guancia.
 
“Questo è tutto quello che ho bisogno di sapere… vuol dire che non ti meritano”
 
Io lo guardai con un’ espressione arrabbiata per poi parlare.
 
“Come puoi lasciare che finisca così, non possono passarla liscia dopo tutto questo, quella  scuola di merda, devo fare qualcosa…” risposi io muovendo le mani convulsamente con l’intento di trasmettere loro la mia enfasi.
 
Lui mi guardò e si avvicinò mettendomi le mani sulle spalle e guardandomi da dietro le lenti.
 
“Tu non farai niente”.
 
Io non capii.
 
“Ma…”
 
Lui mi guardò e mi sorrise.
 
“No, tu andrai in quella scuola e non manderai in fumo tutti i tuoi sforzi solo per una questione di orgoglio, nemmeno tua sorella lo vuole” disse allora lui girandosi verso Effy per avere il suo appoggio.
 
Non potevo lasciare perdere non ce l’avrei fatta, non era nel mio stile.
 
“Certo”.
 
Si avvicinò a noi e continuò a parlare. “Non permetterò che tu butti via il tuo futuro per me, tu ti diplomerai e gli farai il culo per tutte e due”.
 
Io risi per la sua scelta di parole che non era da lei. Lo zio anche e ci tirò tutti e due in un abbraccio. Scoppiammo a ridere stritolandoci l’un l’altro, questa era la mia famiglia e non c’era niente a cui tenessi di più al mondo. Andammo in cucina a preparare la cena, lo zio aveva preso il giorno libero apposta per stare un po’ con noi, lavorava in una grande fabbrica non molto lontana da casa.
 
Gli avevo sempre detto di lasciare quel lavoro perché lo sfruttavano, ma lui non aveva mai voluto darmi ascolto, aveva troppa paura di perdere un posto fisso ed anche se fruttava poco era l’entrata più consistente che avevamo.
 
Mangiammo cotolette e patatine, il cibo per l’ anima Eff da quando era piccola voleva la  cotoletta se era triste e lo zio lo accontentava, dando origine a questa strana usanza.
 
***
 
Guardai il telefono e vidi lampeggiare un messaggio.
 
“Come va?” era Harry.
 
Mi tremavano le mani, il pollice fermo a mezz’aria e gli occhi sbarrati. Il mio cuore batteva ad una velocità impressionante, avevo la gola secca e non riuscivo a parlare.
 
“Cosa hai?” mi distrasse una voce, mi girai di scatto e vidi lo zio guardarmi con gli occhiali leggermente abbassati sul naso. Io vidi il suo sguardo fermo sulle mie mani, abbassai di scatto il pollice e scossi la testa rispondendo.
 
“Oh niente” mentii.
 
“Sicura?” mi chiese di nuovo lui con un’ espressione corrucciata. Io annui velocemente e lui uscii dalla camera.
 
Mi sedetti sul letto.
 
Mi sentivo così agitata, ma non riuscivo a controllare me stessa o i miei movimenti.
 
“Bene” risposi io e subito mi resi conto di essere stata troppo dura e continuai.
 
“Effy è ancora un po’ sconvolta, ma sta meglio”.
 
Aspettai la risposta e mi obbligai a bloccare il telefono ed a appoggiarlo accanto a me sul letto.  Squillò ed io mi catapultai a prenderlo, mi bloccai con il telefono tra le mani, era così assurdo, dovevo darmi una calmata.
 
“Ho chiesto come stavi tu non tua sorella, quindi ripeto come va?”.
 
Io risi vedendo il messaggio, non riuscivo a capire come riuscisse sempre e comunque a spiazzarmi.
 
“Sei strano” replicai io, mi sentivo leggermente più tranquilla.
 
Mi sdraiai con le braccia dietro la testa e guardando il soffitto con un assurdo sorrisetto sul volto.
 
“Anche tu lo sei” rispose allora lui.
 
Io sorrisi mordendomi il labbro. Mi rendeva così strana.
 
“Comunque sto bene, grazie”.
 
Poi mi venne un’ idea e continuai.
 
“Che fai?”.
 
Aspettai con ansia una sua risposta.
 
“Niente di ché,  mi annoio”
 
Allora presi la palla al balzo e risposi
 
“Ti va di uscire?”
 
Aspettai la sua risposto anzi, sapevo che non era la cosa migliore da fare in quel momento, ma era come se un parte di me sentisse il bisogno di vederlo.
 
“Sono da te tra dieci minuti” concluse.
 
Io scoppiai a ridere vedendo il messaggio e mi alzai di scatto per prendere il giubbotto e le scarpe.
 
Scesi al piano inferiore e vidi Effy e lo zio addormentati, risi e scrissi un bigliettino con scritto che ero fuori, in caso si fossero svegliati. Uscii e vidi subito la macchina di Harry accostarsi alle mie gambe e dopo pochi secondi il  finestrino fu abbassato mostrando il riccio con perfettamente sorridente.
 
Mi sedetti al posto del passeggero e mi presi qualche secondo a guardarlo. Aveva una bandana per tenere i capelli dietro la fronte, una maglietta bianca stropicciata e dei pantaloni neri, ai piedi aveva delle Convers bianche.
 
“Dove si va?” chiese lui guardandomi con uno sguardo malizioso e appoggiando le spalle al sedile.
 
“Ovunque” risposi semplicemente.


 
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SPAZIO AUTRICI :) 

Buon pomeriggio!
Eccoci con il 17' capitolo ^-^
Come avete visto le cose si stanno complicando un bel po', specialmente per Effy che viene espulsa :c
Ci vogliamo scusare per questo ritardo, ma siamo state in vacanza e non abbiamo potuto più aggiornare.
Speriamo che vi piaccia!
Ci piacerebbe se lasciaste una recensione per sapere cosa ne pensate :)
Un bacione,
-Gre & Fede.
 
 

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