Tessa Gray e la trama perfetta

di Misaki Ayuzawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Chi è Tessa Gray? ***
Capitolo 2: *** Primo giorno ... ***
Capitolo 3: *** Continuando il primo giorno ... ***
Capitolo 4: *** Il tranquillo pomeriggio se ne va a Mordor ... ***
Capitolo 5: *** Un altro punto di vista ***
Capitolo 6: *** Dietro ogni problema si cela un'opportunità ***
Capitolo 7: *** La più brava persona di questo mondo non può rimanere in pace ***
Capitolo 8: *** La più brava persona di questo mondo non può rimanere in pace (parte 2) ***
Capitolo 9: *** Chiarimenti ***
Capitolo 10: *** Chi si scusa si accusa ***
Capitolo 11: *** Amico ***
Capitolo 12: *** Lettere ***
Capitolo 13: *** Non piangere ***
Capitolo 14: *** Bombe atomiche e cioccolato ***
Capitolo 15: *** Libri e musica ***
Capitolo 16: *** Ferite e routine ***
Capitolo 17: *** Insonnia ***
Capitolo 18: *** Voti e preparativi ***
Capitolo 19: *** Finalmente del riposo ***
Capitolo 20: *** Ore critiche ***
Capitolo 21: *** Quando il cuore, e l’alcol, prevalgono sul cervello ***
Capitolo 22: *** Traguardi raggiunti e perseveranza ***
Capitolo 23: *** La dolcezza della notte ***
Capitolo 24: *** Nuovo docente ***
Capitolo 25: *** Malattia ***
Capitolo 26: *** 31 Dicembre ***
Capitolo 27: *** Educazione fisica ***
Capitolo 28: *** Magnus Bane ***
Capitolo 29: *** Scommettiamo? ***
Capitolo 30: *** Aereoplanini di carta ***
Capitolo 31: *** Malediciòn ***
Capitolo 32: *** Buio ***
Capitolo 33: *** Emergenza ***
Capitolo 34: *** Il re è vivo ***
Capitolo 35: *** Ad ognuno la propria scelta ***
Capitolo 36: *** Lilith Damon ***
Capitolo 37: *** Di molestie e attenzioni indesiderate ***
Capitolo 38: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 39: *** Fuga ***
Capitolo 40: *** Essere saggi e innamorati ***
Capitolo 41: *** Grazie ***
Capitolo 42: *** Commiato ***
Capitolo 43: *** Famiglia ***
Capitolo 44: *** Estranei ***
Capitolo 45: *** Vita di coppia ***
Capitolo 46: *** Tutto scorre ***
Capitolo 47: *** Piccole vendette ***
Capitolo 48: *** Indifferenza impossibile ***
Capitolo 49: *** In attesa ***
Capitolo 50: *** E, infine, addio ***



Capitolo 1
*** Prologo: Chi è Tessa Gray? ***


Prologo: Chi è Tessa Gray?

Tessa Gray era in ritardo. Era il primo giorno del terzo anno di liceo ed era già in ritardo ... come si poteva essere più fortunati?! Per giunta quell'anno sarebbe stata "quella nuova" e quindi tutti o l'avrebbero evitata, non conoscendola, o le sarebbero stati col fiato sul collo vedendo in lei una novità ... Non che tutto ciò lo sapesse per certo ... lo aveva letto! 

Si precipitò fuori dalla sua stanza e, come una furia, scese le scale che l'avrebbero condotta al piano classi. Era finita in un college ... suo fratello, ormai maggiorenne, aveva deciso che, essendo lui troppo impegnato col lavoro e non essendo presenti ne' genitori ne' parenti, dopo la morte della zia Harriette, quella sarebbe stata la scelta migliore. Da quel giorno avrebbe frequentato la London Institute!

Angolino dell'autrice:

Vi prego non tiratemi pomodori ... é il prologo e quindi è molto breve ... voglio vedere le vostre reazioni ... che ne dite posso continuare senza la paura di ricevere bombe per posta oppure è meglio che ci tolgo mano? Mi raccomendo lasciate un commentino, una lettera minatoria o recensione! Accetto di tutto :)

Angolo autopubblicitario: Ho già scritto su Shadowhunters queste fanfictions:

The Mortal Instruments Movie by Will Herondale

Will continua a comporre ... Ducks

Will ne azzecca una! (Forse ... )

New York, 1870



 

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Capitolo 2
*** Primo giorno ... ***


Capito 1: Primo giorno...

Tessa Gray, più morta che viva, il cuore che batteva a mille, riuscì, dopo ben tre vani tentativi, a scovare l'aula della sua prima ora. Controllò che si trattasse realmente di quella giusta e con la sicurezza, e con un pizzico di audacia, che la contraddistingueva dalla massa, girò la maniglia ed entrò. Lo spettacolo che le si presentò davanti agli occhi era, come dire ... semplicemente scioccante. Pur essendo già le nove e dieci il professore non era ancora arrivato e tutti gli studenti stavano beatamente in piedi e, alcuni di loro, correvano tra e SOPRA i banchi, inseguendosi e rischiando numerose volte, valutò Tessa, di cadere e andare incontro ad una veloce ma abbastanza dolorosa morte ... per non parlare del rumore che causavano.
Stringendosi nelle spalle esaminò velocemente la stanza alla ricerca di un posto libero. I banchi erano singoli così la ragazza non dovette darsi la pena di chiedere ai vicini se fosse la benvenuta. 
Si sedette e lasciò cadere la borsa sul banco davanti a sè. Era accanto alla finestra e l'ultima della fila. Bene, sarebbe passata inosservata ... almeno per i primi tempi, forse. Diede un'occhiata all'orario, che ancora teneva in mano. A momenti si sarebbe dovuto presentare il professore di fisica, chimica, biologia e matematica: il professor Henry Branwell. Tessa storse il naso, non le erano mai piaciute le materie scientifiche. Preferiva di gran lunga la letteratura e si poteva definire un'amante della storia, ma solo di determinate epoche. 
Tessa meditava sui propri interessi e sulle proprie incredibili capacità quando la porta con uno scatto si aprì facendo entrare non il professore ma un ragazzo. Il povero cervello di Tessa non ebbe il tempo di vedere il colore dei suoi capelli o la sua carnagione perchè venne distratto dall'atrocità che quell'essere vivente aveva appena osato pronunciare: "Signori aprite le finestre! Sembra il nono girone dell'Inferno!" Tessa andò in tilt. Aveva letto la Divina Commendia abbastanza volte da sapere che il nono girone era freddo, GHIACCIATO! Le mani iniziarono a prudere, la vene della tempia a pulsare ma si impose di stare calma. Purtroppo non riucì a distrarsi dal pensiero di quella frase eretica anche quando il professore fu entrato ed iniziò a blaterare di invenzioni e scoperte dei più grandi scienziati e di piccoli risultati che lui stesso aveva ottenuto. Tessa notò a malapena il suo aspetto giovane, gli occhi gioviali e caldi e i suoi modi bonaccioni, si soffermò solo sui suoi capelli, corti, 
arruffati e rossi come il fuoco.

E così, tra la crisi di Tessa e i termini incomprensibili del professor Branwell, l'ora passò e quando stava per uscire dall'aula, la ragazza, per chissà quale scherzo del destino, si trovò proprio nella posizione di poter parlare direttamente all'orecchio dell'eretico. Sussurò, quasi senza pensare: "Il nono girone infernale è freddo". Con la coda dell'occhio vide il ragazzo fermarsi di colpo, la sua chioma mora arruffarsi sotto il tocco di una folata di vento e negli occhi, come due oceani, uno scintillio.

Angolino dell'autrice:  Grazie per la recensione di Himeno, che probabilmente è stato l'unico motivo per il quale ho scritto questo primo/secondo capitolo e grazie anche a chiunque abbia letto il prologo e il capitolo qui sopra. Spero di non avervi annoiato, se volete farmi notare qualcosa, darmi dei suggerimenti o delle dritte, ma anche i complimenti sono accettati u.u , lasciate una recensione :) Anche una piccolina, veramente ci tengo molto ^^ Grazie in anticipo e mi auguro di starvi incuriosendo piano piano :)

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Capitolo 3
*** Continuando il primo giorno ... ***


Capitolo 2: "Continuando il primo giorno

Tessa trovò senza difficoltà le classi delle ore successive e non accaddero inconvenienti ... se non contiamo il fatto che a letteratura avanzata si ritrovò seduta proprio davanti all'eretico, che poi scoprì chiamarsi William Herondale. Nonostante la materia le andasse molto più che a genio Tessa si sentì fortemente a disagio per tutta la lezione. Quel ragazzo non aveva distolto lo sguardo dalla sua nuca per un solo istante e Tessa cominciava a chiedersi se non sarebbe stata una buona decisione migrare all'estero. Ebbe comunque modo di soffermarsi sull'aspetto di William Herondale. Non aveva notato quanto perfetti fossero i suoi lineamenti, o quanto lunghe fossero le sue ciglia, cosicchè ogni volta che sbatteva le palpebre, quelle sembravano accarezzare gli zigomi. La linea della mandibola era morbida senza un filo di barba, le labbra piene e rosee e ... BASTA! Tessa scosse la testa e, contro la sua volontà, ripose lo specchietto, con cui, del tutto "inosservata" soprattutto dal diretto interessato, stava continuando a osservare quell'angelo sceso in terra ... e per fortuna aveva evitato di osservare troppo le sue iridi perchè avrebbe corso il rischio di affondarvici. Non erano del classico azzurino tenue ... erano il blu dell'Oceano Atlantico che Tessa aveva attraversato con il Main. Tessa aveva paura dgli aerei e non aveva avuto intenzione di prenderne uno per sorvolare l'oceano per ben sei ore, quindi Nate, suo fratello, era stato costretto a mandarle un biglietto per la nave, trovandosi già lui a Londra e con un buon impiego. Ma torniamo a noi ... Nonostante l'attenzione non troppo benaccetta ricevuta da Herondale, Tessa sopravvisse all'intera giornata e, pensate un pò! , anche alla pausa pranzo durante la quale fu invitata da un paio di compagni di  Storia Livello 3 a sedersi con loro. Ancora non ricordava bene il nome del ragazzo ma era sicura che la ragazza dai capelli castani e dalla carnagione scura si chiamasse Mara ... o Maia ... cavolo, che figura avrebbe fatto? 
Nonostante questi piccoli problemini, dopo un piacevole pranzo in compagnia di quegli individui un poco strani, alle due in punto era pronta in camera sua per passare un tranquillo pomeriggio in biblioteca a leggere il libro che aveva comprato prima di arrivare alla London Institute : Il Signore degli Anelli. Era riuscita a leggere solo un paio di capitoli e dunque si era ripromessa, quel giorno, di arrivare almeno a metà libro.
Come era ovvio che fosse, il tranquillo pomeriggio in compagnia di un buon libro andò in fumo ... perchè al bancone della biblioteca, a controllare chi entrasse e chi uscisse c'era Herondale. 

Angolino dell'autrice: Salve a tutti, se c'è un tutti, mi auguro che la lettura stia proseguendo scorrevole e che sia di vostro gradimento :) Nei prossimo giorni non potrò aggiornare perchè sarò fuori città ma mi auguro di riuscire a pubblicare qualcosa lunedì :) Spero ancora, forse invano, di ricevere qualche recensioncina e, ripeto, se pensate che possa migliorare qualcosa, o avete delle idee, fatemi sapere e cercherò di soddisfarvi :)

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Capitolo 4
*** Il tranquillo pomeriggio se ne va a Mordor ... ***


Capitolo 3: Il tranquillo pomeriggio se ne va a Mordor …

Per poco Tessa non si strozzò innanzi a tale visione celestiale ma più veloce della luce riacquistò il suo autocontrollo e, cercando di controllare la tachicardia, assunse un comportamento indifferente.
Fece un bel respiro profondo e, con il libro stretto al petto si diresse verso il bancone, sul quale Herondale era tutto piegato a scribacchiare su un foglio. Tessa dovette tossicchiare un paio di volte prima che il ragazzo si accorgesse della sua presenza.
Quando finalmente la degnò di attenzione il suo viso si tramutò diventando, da rilassato che era, a quello fasullo che indossava quando era entrato nella classe di Branwell quella stessa mattina. Non era una di quelle espressioni false e perfettamente riconoscibili, si trattava di una lieve modifica nei lineamenti, una sorta di tensione. Ma forse stava accadendo solo nella testa di Tessa, che vedeva doppie personalità e passati oscuri in tutti …
“Scusa ero immerso nella composizione! Come posso aiutarti?” fece un sorriso sghembo, forse un po’ provocatore.
“Che cosa componi? Poesie?” Tessa non potè farne a meno. La curiosità era il suo maggior difetto e non poteva essere domata.
“Ovviamente … Mi ha ispirato un’americana arrivata a Londra e già in cerca di avventure e che per di più, per portare l’attenzione su di sé, utilizza vecchi trucchi da spia in stile 007 dei tempi di Sean Connery. Vuoi sentirla?” La ragazza avrebbe preferito morire, sotterrarsi viva o anche leggere la raccolta completa di tutte le poesie futuristiche del mondo piuttosto che stare là davanti a colui che la stava mettendo davanti alla suo colpa e soprattutto alla sua indiscrezione. Aprì la bocca per controbattere ma non sapeva che dire così, richiusala, tentò di nuovo: “Devo essere segnata nell’elenco della biblioteca anche se non prendo nulla?” Grande idea Tessa! Che genio dell’oratoria che sei! Si complimentò da sola confidando nell’arrivo degli alieni di Prometheus che l’avrebbero rapita e usata come madre dei loro bambini. Senza dubbio sarebbe stato meno umiliante … e avrebbe avuto delle piccole creaturine a forma di polipo a difenderla.
“Che abilità signorina Gray” sogghignò “Si, deve darmi le sue generalità sia per poter accedere alla sala che per prendere in prestito. A titolo informativo i libri presi in prestito non possono essere trattenuti per non più di dieci giorni e, se non fossero riconsegnati nelle condizioni nelle quali sono stati presi bisogna pagare tre sterline di risarcimento. Ora prego: nome, cognome, data e luogo di nascita, taglia e peso”.
Gli occhi di Tessa si sbarrarono, era ovvio che si trattava di uno scherzo, ma di certo era di pessimo gusto. Herondale, accorgendosi della sue espressione, aggiunse: “E non fare quella faccia … non potrei mai uscire con qualcuno sotto la terza e sopra i cinquanta”. Theresa Gray non era mai stata dotata di grande pazienza e così senza troppi problemi afferrò un foglio di carta che povero e innocente stava là sul bancone e strappò la penna dalla mano di Herondale per scrivere :
NOME: William
COGNOME: Herondale
LUOGO DI NASCITA: Nono girono dell’Inferno GHIACCIATO dantesco
MISURE: Non è possibile indicarne a causa dell’assenza

Angolino dell'autrice: Ecco qua il terzo capitolo! Spero di starvi intrigando almeno un pò! Ancora non sono entrata nel vivo della situazione ma devo pur introdurre i personaggi prima di scatenare l'inferno u.u Una domanda, spero che rispondiate, vi piacerebbe se in qualche capitolo mi soffermassi più su altri personaggi oltre che su Tessa? Nel senso, se volessi scrivere dei capitoli anche dal punto di vista di altri personaggi .. vi andrebbe bene? Ditemelo, informatemi così posso mettermi al lavoro il più presto possibile per il quarto capitolo! :) 
P.S. se notate mancanze grammaticali, errori più o meno gravi non esitate a dirmelo, così posso correggere :)

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Capitolo 5
*** Un altro punto di vista ***


Capitolo 4: Un altro punto di vista

Il college era silenzioso. Erano le tre di notte passate, ovvio. L'uomo si aggirava tra i corridoi come un'anima in pena. Non riusciva a prendere sonno, così aveva deciso di andare in mensa per prepararsi una camomilla, ma poco ci volle perchè capisse che nessun infuso lo avrebbe aiutato. Solo vederla sarebbe servito, e forse nemmeno perchè non era sua e, pur mostrandosi allegro e anche un pò tocco davanti a tutti, non poteva fare a meno di sentirsi terribilmente abbattuto.
Quella donna aveva una tale personalità, la capacità, così opposta a lui, di prendere in mano ogni situazione, di risolvere qualunque problema. Tutti la vedevano come la giovane rigida preside Charlotte Fairchild di ventitrè anni, aveva ereditato la carica da suo padre, ma nessuno si accorgeva della sua vera personalità, insicura nella vita privata e timorosa di fare passi falsi.
Henry la conosceva fin da quando erano piccoli, in quanto suo padre e quello di Charlotte erano molto in confidenza. Si ricordava ancora che lei aveva sei anni, lui otto. 
Già a quell’età Henry aveva un amore sconfinato per la meccanica e le scienze in generale, ma da quel momento quel sentimento dovette restringersi un po’, perché era arrivata Charlotte. Quella bambina di sei anni che litigava con tutti e ogni volta riusciva a imporsi anche sui ragazzi più grandi, ed era stato questo a farlo innamorare. Da otto anni che aveva ora era arrivato a ventisette e nulla era stato risolto. Certo parlavano un sacco e Charlotte si apriva molto con lui, cosa per la quale Henry ringraziava ogni giorno il Cielo, ma lei probabilmente nemmeno sospettava cosa lui realmente provasse, e se lo sapeva di certo né lo dava a vedere né lo ricambiava. Con questi tristi pensieri Henry giunse alla mensa. La luce era accesa ma Henry non vedeva nessuno attraverso la porta semiaperta. Decise di entrare ugualmente, in fondo lui era un professore aveva tutto il diritto di usufruire delle cucine quanto gli altri, e forse più!

Si stropicciò un paio di volte gli occhi con le mani, gesto che lo fece somigliare vagamente a un bambino insonnolito, ma in realtà doveva solo prendersi il tempo di abituarsi alla potente luce al neon che invadeva lo spazio. Abbracciando l’intera sala con uno sguardo notò che in un angolino c’era un ragazzo. Lo conosceva, e non solo perché era suo alunno. A quel ragazzo erano legati fatti più brutti più belli. William Herondale era senza dubbio un bel ragazzo, ma Henry non lo aveva invidiato nemmeno una volta, troppi retroscena da film drammatico e un carattere poco amabile. Tuttavia era pur sempre un professore e si conoscevano fin da quando Will aveva dodici anni, era suo dovere informarsi su cosa lo turbasse. Non che fosse certo che qualcosa ci fosse ma insomma, dato che stava alle tre di notte rannicchiato in un angolo della mensa con la testa nascosta da capelli e braccia dei dubbi sorgevano.

“Will” sussurrò, quasi temendo che iniziasse a picchiarlo “Will ti senti bene?” La testa del ragazzo si mosse, poi riemerse, ma la sua espressione atterrì Henry, quasi quasi avrebbe preferito che lo picchiasse. Aveva le guance rosee, l’espressione un misto di stralunatezza, paura e rabbia. Henry, respirando, sentì un lieve odore di alcol. Si era ubriacato. Di nuovo. Succedeva più spesso del solito da quando era iniziata la scuola, un mese prima. Will aprì la bocca per rispondere, o almeno così pensava Henry,in realtà vomitò soltanto.


Angolino dell'autrice: Saaaalve popolo :) Mi dispiace di essere stata assente per così tanto ma è stato un periodo d'inferno ... tuttavia stamattina ho buttato giù questo capitolo, spero abbiate apprezzato :)) Che dire ... Ah si! Nel prossimo capitolo spiegherò il motivo per cui Henry non riusciva a dormire e probabilmente sapremo anche un pò di più riguardo Will :)

 

 

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Capitolo 6
*** Dietro ogni problema si cela un'opportunità ***


Capitolo 5: Dietro ogni problema si cela un'opportunità

Quando Henry era uscito dalla sua stanza, inondato dai pensieri sulla sua … su Charlotte e con incise sulle palpebre le immagini di lei in compagnia di un altro giovane uomo che Henry non conosceva, quest’ultimo aveva pensato di andare a prepararsi una camomilla, ma di certo non si era aspettato di trovare in mensa William Herondale  e di trovarsi le scarpe ricoperte dal suo rigurgito …

Schifato buttò di lato le pantofole e si caricò sulle spalle il ragazzo, che intanto era svenuto. Ad ogni passo rabbrividiva in quanto non aveva calze e il pavimento era gelido.

Non sapeva dove esattamente Will alloggiasse così decise di portarlo in camera sua, nel frattempo avrebbe avuto tutto il tempo di riflettere sull’annosa questione che lo turbava ‘sì tanto. Chi era quell’uomo? Non l’aveva mai visto in vita sua ma ricordava i particolari di quei cinque secondi come se fossero stati impressi nella sua mente col fuoco.

Henry sotto il porticato all’ingresso dell’Istituto. Charlotte gli passa davanti senza nemmeno salutarlo. Charlotte, con un gran sorriso corre verso quell’uomo e gli stampa un bacio sulla guancia. L’uomo sorride in modo malizioso e punta gli occhi dritti in quelli di Henry. Gli occhi sono verdi e profondi, i capelli  biondi e il viso magro, gli zigomi pronunciati, completamente privo di barba. Charlotte, sempre sorridendo, entra nella Volvo dopo che l’uomo le ha aperto la portiera, entra anche lui dall’altro lato e partono.

“E ancora non sono tornati!” Henry si accorse di aver parlato a voce alta, ma Will non si era comunque svegliato.

Finalmente arrivarono a destinazione, Henry pose Will sul letto con molta nonchalance e lasciò un tocco personale su Will facendogli sbattere il naso e la fronte contro l’armadio. L’impatto aveva causato un suono potente e ovattato … Henry aveva sempre pensato che quel ragazzo fosse più scemo di quanto dimostrasse e questa ne fu la conferma.

La mattina dopo fu alquanto imbarazzante. Henry si era addormentato sulla sua poltrona e quando si sveglio lo attendeva già in piedi, incredibilmente completamente sobrio, Will, pronto con una raffica di battutine e doppi sensi del tipo: “Guarda che se volevi farlo con me non c’era bisogno di farmi ubriacare”. Henry però era troppo nervoso per considerarlo, voleva soltanto fare irruzione nella camera o nello studio di Charlotte per vedere se era tornata e per indagare sull’accaduto. William però, evidentemente non aveva intenzione di fargliela passare liscia e continuò a blaterale sulla sua apertura ai diversi orientamenti sessuali fin quando Henry non sbottò:” WILLIAM HERONDALE! TU STAMATTINA HAI VOMITATO SUL PAVIMENTO DELLA MENSA E SULLE MIE PANTOFOLE! SE TI RIFIUTI DI SOTTOSTARE ALLE NORMALI REGOLE CHE PREVEDONO IL MALDITESTA DOPO LA SBRONZA, ALMENO FINGI!”

Henry doveva fare proprio paura perché Will si zittì borbottando un “ok”, poi aprì la porta e si incamminò ciondolando per ritornare in camera sua lasciando Henry che continuava ad arruffarsi i capelli e a camminare avanti e indietro per la stanza.

Già qualche minuto dopo William Herondale era perfettamente presentabile, se non contiamo un grande livido viola e verde che gli occupava la radice del naso e la fronte, e mai si sarebbe detto reduce da un’ubriacatura. Will controllò l’orologio, era mezzogiorno così decise di fare un salto nella camera di Jem, per andare a pranzo insieme.

James Carstairs, per tutti Jem, era il suo migliore amico ma era totalmente diverso da lui. Mentre Will era impulsivo e spesso maleducato, Jem era quanto di più buono il mondo avesse mai creato e riflessivo. Era la sua coscienza e sapeva esattamente, ogni volta, come comportarsi con Will. Parlavano di tutto pur avendo interessi diversi e differenti modi di pensare. Jem e Will erano due facce della stessa medaglia e questo ormai tutto l’avevano riconosciuto, nessuno invece ne aveva mai capito il motivo.

Will, senza bussare, entrò nella camera di Jem. Non c’erano segreti tra loro due ma forse quella volta sarebbe stato bene non prendersi tutta quella libertà, soprattutto per una terza persona che in quel momento, per la seconda volta in un mese, avrebbe tanto voluto essere risucchiata dal ciclone del Mago di Oz.

Angolino dell'autrice: Ringrazio tutti coloro che hanno messo la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate, grazie veramente :) Noterete che ho apportato alcune modifiche ai capitoli precedenti, mi sono infatti accorta di alcuni errori e ho ritenuto opportuno correggerli ... che dire ... vi sta piacendo la storia? Spero di si anche perchè io mi sto divertendo moltissimo a scriverla! Mi piacerebbe ricevere qualche recensioncina in più, si insomma non le disdegno :) Arrivederci e al prossimo capitolo :)

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Capitolo 7
*** La più brava persona di questo mondo non può rimanere in pace ***


Capitolo 6: La più brava persona di questo mondo non può rimanere in pace (Parte 1)

Quella domenica mattina Tessa si stava dirigendo in mensa per incontrarsi con Maia e Jordan. Finalmente, dopo un mese, aveva imparato i loro nomi! 
Quei due erano le uniche persone in quel posto che potesse considerare "amiche". Andava molto d'accordo con entrambi ma spesso si sentiva di troppo, sopratutto quando questi iniziavano a sbaciucchiarsi e non si staccavano l'uno dall'altro se non dopo circa quindici minuti ... Così accadeva spesso che Tessa passasse interi pomeriggi da sola, interrotti da qualche chiaccherata occasionale con altri membri dei suoi corsi. Molti di questi erano simpatici e abbastanza carini con lei ma non la coinvolgevano molto e, tutto sommato, lei stessa non volva essere coinvolta.
Al momento stava bene così, leggeva, studiava e quasi ogni venerdì e sabato sera veniva trasportata fuori di peso da Maia, che la portava in pub sempre diversi e che tentava di presentarle qualche ragazzo, alcuni dei quali frequentavano la London Instutute.
Aveva conosciuto, ad esempio, un tipo un pò più grande di lei, Thomas, col quale aveva passato l'intera serata. Thomas l'aveva persino riaccompagnata nella sua camera verso le due di notte, dato che Maia l'aveva abbandonata non appena arrivati al pub per andare a ballare con Jordan al centro della pista e non si era più ritovata. "Sicuramente si sarà rintanata in qualche bagno" aveva pensato Tessa in un moto di stizza.
Lei e Thomas si erano congedati da normali amici, se non fosse stato per il fatto che quest'ultimo le aveva stampato un leggero bacio sulle labbra un attimo prima di volatilizzarsi nel reticolo di corridoi che costituivano i dormitori degli studenti.
Tessa era arrossita violentemente ... di certo non era stato uno dei grandi baci che si leggono nei libri o che si vedono nei film ma era stato pur sempre un bacio, il suo primo! Ormai era passata una settimana e Thomas non si era più fatto vivo, tutto sommato Tessa non ci era rimasta troppo male per il fatto che non l'avesse richiamata.

Aperta la porta della mensa si guardò intorno ma non c'era traccia nè di Maia ne di Jordan, ma aveva fame così decise di mangiare senza di loro.
Prese un vassoio, si servì una abbondante ciotola di latte e cereali e si diresse a passo deciso verso uno dei tavoli liberi che si trovava in uno degli angoli della sala. 
Giunse al tavolo.
Posò il vassoio sul bordo.
Allontanò la sedia dal tavolo e ...
Nell'atto di sedersi il piede scivolò su qualcosa di viscido, Tessa agitò sconclusionatamente le mani per trovare un appiglio ma finì per aggrapparsi al vassoio.
Alla fine Tessa cadde proprio in quella sostanza disgustosa e per di più con la faccia e i vestiti impiasticciati di latte e cereali. 

Avendo provocato un enorme boato con la sua piccola performance, tutti nella mensa si erano girati dalla sua parte e ora nei loro occhi si leggevano pietà e divertimento. Tessa non seppe cosa fosse peggio ma si era comunque bloccata, intimidita da tutti quegli occhi puntati su di lei.
Stava quasi per fingere uno svenimento quando vide una figura muoversi verso di lei. Era un ragazzo, snello e slanciato. I capelli del colore della polvere di stelle. Si accucciò davanti a Tessa, nascondendola da tutti i presenti.
"Va tutto bene?" A queste parole si aggiunse un lieve sorriso di incoraggiamento. Tessa si riscosse e annuì.
"Fisicamente sto bene, moralmente ... umiliata e schifata potrebbero essere le parole esatte, credo ..." Poi aggiunse guardandosi intorno "Ma cos'è questo? Vomito?" Venne anche a lei un leggero conato.
"Temo di si, ma se può esserti di conforto ti accompagnerò fuori di qui, magari nessuno ti ha riconosciuto e sono abbastanza sicuro che tu voglia mantenere il tuo nome fuori da questa faccenda ... o no?" Sorrise ancora un pò, ma non si stava sforzando, Tessa lo sapeva. Quel tizio voleva aiutarla in un momento abbastanza critico e lei non voleva assolutamente allontanare una mano amica. 
Il ragazzo riuscì a proteggerla dagli sguardi altrui mentre usciva dalla mensa, cosicchè nessuno era riuscito a vederla in faccia.
Una volta fuori dalla mensa quello disse "A proposito, io mi chiamo James Carstairs, ma puoi chiamarmi Jem". Jem, questo era il nome del suo eroe, giurò a se' stessa che avrebbe chiamato così suo figlio.
"Ti stringerei la mano, ma non penso sia il caso ... " Jem rise piano. Era una risata cristallina, come un fiume limpido che scorre tranquillo.
"Io comunque sono Theresa Gray. Ma puoi chiamarmi Tessa." Questa volta anche lei sorrise.

Angolino dell'autrice: Allora potrebbe non essere chiaro ma in questo capitolo tratto della stessa mattina in cui Will entra nella stanza di Jem, solo che qua siamo qualche ora prima. Che dire? Il prossimo capitolo sarà il continuo di questo e poi nell'ottavo riprenderemo il corso degli eventi.
Spero che la storia vi stia piacendo, per me ogni capitolo è una sfida e penso di star procedendo bene :) Aspetto tante recensioni, solo solo perchè finalmente è comparso il nostro tanto amato Jem!! :)

 

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Capitolo 8
*** La più brava persona di questo mondo non può rimanere in pace (parte 2) ***


Capitolo 7: La più brava persona di questo mondo non può rimanere in pace (parte 2)

Tessa si ritrovò a pensare fin da subito che Jem fosse un ragazzo raro. Un eroe da romanzo rosa, per intenderci. Ma quello non era un romanzo, era la vita vera, e lei, proprio lei, in quella vita, si trovava nella doccia di quell'eroe uscito dalle pagine di qualche fiaba. 
Ma perchè Tessa si trovava nella doccia di Jem? La risposta è semplice. 
Jem aveva scortato la ragazza fino alla sua camera ma una volta arrivati Tessa si era ricordata di non aver preso le chiavi quella mattina e, avendo la porta la chiusura automatica, sarebbe dovuta andare in portineria per richiedere la chiave di scorta. Tessa stava per fiondarvisi ma Jem prontamente l'aveva bloccata "Guarda non c'è problema, puoi darti una sistemata in camera mia e poi andare a chiedere la chiave." Non c'era malizia nella sua voce, voleva semplicemente darle una mano ma la nostra eroina si sarebbe sentita imbarazzatissima a lavarsi nella camera di un ragazzo, per giunto sconosciuto. Tuttavia dovette abbassare le barriere e cedere perchè Jem non aveva avuto intenzione di lasciarla andare in giro per la scuola conciata in quel modo.

Questa è la storia di come Tessa si era ritrovata nella doccia di James Carstairs. Quest'ultimo, inoltre, le aveva preparato un camicia da sostituire ai suoi vestiti, che comunque avrebbe buttato al più presto. 
Tessa uscì dalla doccia, il corpo e i capelli puliti. Afferrò l'asciugamano che era stato posato sullo sgabello accanto la doccia esclusivamente per lei e vi ci si avvolse. Intanto si guardò attorno. Quel bagno era uguale al suo, ma più ordinato, e l'aria odorava di legno, un profumo tenue e piacevole, perfettamente in tono con l'arredamento e il colore vaniglia degli armadietti e delle scaffe. 
Non appena fu asciutta indossò il suo regiseno e le sue mutandine, perchè per ovvie ragioni Jem non aveva potuto procurargliene di nuove, e poi la camicia. Era di cotone, di un verde scuro e brillante che metteva in risalto i suoi occhi grigi che così risultavano più prenetanti del solito sulla pelle candida, e le arrivava a metà coscia.
Si legò i capelli in uno chignon basso e quasi inutile perchè non appena uscì dal bagno già delle ciocche erano sfugite dall'elastico.
"Finito!" Dichiarò con un sorriso. Jem incurvò a sua volta le labbra.
Tessa era spaventata e al tempo stesso attratta da quell'immagine. Era così pallido e i suoi capelli, che probabilmente erano tinti, di un colore tanto innaturale da farlo sembrare un serafino la mettevano quasi in soggezione.
Jem stava per dire qualcosa quando la porta si spalancò facendo entrare William Herondale che subito la notò.

Il blu si fuse col grigio per diventare tempesta.

Angolino dell'autrice: eccomi qua, più presto di quanto avevo sperato, con il settimo capitolo! Non ho veramente molto da dire se non che un grazie a chiunque segua questa storia :) Mi auguro di non star andando OOC, perchè veramente è l'ultima cosa che voglio. 
Detto questo mi ritirerei ... al prossimo capitolo! :))

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Capitolo 9
*** Chiarimenti ***


Capitolo 8: Chiarimenti

"E quella che ci fa qui?" William Herondale non sembrava troppo contento di vederla. 
Il viso era diventato rosso, più o meno come quello di Tessa.
Jem d'altro canto sembrava calmo e, arcuando le sopracciglia, disse con la sua voce melodiosa "Will, che hai fatto alla fronte?"
Will distolse finalmente gli occhi da quelli di Tessa e, dopo aver indugiato un pò troppo sulle sue gambe scoperte, si ricompose e rispose "Me lo domando anche io ... credo sia opera di Branwell ... Stamattina mi sono svegliato in camera sua. Tra l'altro mi ha detto che ho sporcato la mensa e le sue pantofole con del vomito. In effettti ieri sera ero pieno come una spugna."
Jem cominciò a ridere forte guardato da Will come se fosse un pazzo e quest'ultimo a sua volta era guardato in modo torvo da Tessa.
"Allora era tua quella cosa schifosa! Per vomitare ci sono i bagni!"
Tessa si infilò le scarpe, mise i vestiti sporchi nel sacchetto che gli era stato fornito da Jem prima dell'intrusione e uscì dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle.
Will era sempre più confuso "Ma che le è preso?"
Jem aveva smesso di ridere ma le labbra erano ancora curvate verso l'alto.
"Stamattina è scivolata sul tuo vomito"
"Oh ... e perchè era qua?"
Jem scrollò leggermente le spalle "Era tutta sporca e aveva dimenticato le chiavi della sua stanza in camera"
"Oh..."

Angolino dell'autrice: Perdonatemi se è un capitolo molto breve ma dovevo assolutamente chiudere questa parentesi di imbarazzo XD Penso comunque di aggiornare questo stesso pomeriggio :) Ah e scusatemi se alla fine ieri non ho pubblicato! Sono veramente occupatissima con i compiti :'( Mi raccomando recensite e se volete potete anche richiedere punti di vista di altri personaggi :) che ne so ... volete che punti Simon? Ve lo introdurrò! O qualcun altro fate voi! Al prossimo capitolo :))))

 

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Capitolo 10
*** Chi si scusa si accusa ***


Capitolo 9: Chi si scusa si accusa

Dall'incontro tra Will e Tessa in camera di Jem erano ormai passati un paio di giorni. 

Per Tessa il resto di quella domenica disastrosa era passato piuttosto serenamente anche se la nube del malumore causatole da Will aveva gettato una luce pessimistica su tutto, persino sull'ultima pagina de Il ritorno del re, pagina che aveva trovata esaustiva al punto giusto e non troppo deprimente, e anche sulla serata che aveva passato in compagnia di Maia, per fortuna senza Jordan.

Per Will non si poteva dire lo stesso. Lo trovava irritante ma lo doveva ammettere, si sentiva vagamente in colpa per aver trattato in quel modo quella ragazza, e anche per averle fatto fare una figuraccia, anche se del tutto involontariamente. Purtroppo non poteva farci nulla, il suo carattere talvolta era troppo burrascoso e quel suo stare costantemente sulla difensiva non lo aiutava di certo! 

Era ora di cena e la mensa, del tutto pulita e libera da qualunque tipo di sostanze non commestibili, ciabatte sporche comprese, brulicava di ragazzi in coda col vassoio o in cerca di posto.
Will, come sempre, era seduto al tavolo con Jem. Poco dopo, con la sua solita espressione strafottente, Jace Wayland li aveva degnati della sua presenza, anche se Will ne avrebbe fatto volentieri a meno e così probabilmente anche Jem.
"Ragazzi un pò di vita! Che vi prende?" Quel biondiccio non si era ancora nemmeno seduto e già iniziava a parlare ...
"Will, su su non dirmi che Agatha aveva finito l'anatra! Guarda ti do' una parte della mia porzione!"
Will si riscosse dal suo stato comatoso e rivolse al ragazzo seduto alla sua destra un'occhiata assassina.
"Non pronunciare quella parola invano" disse sibilando e lanciando nel contempo un'occhiata al suo migliore amico di fronte a lui che intanto sorseggiava una diet coke. 
Jace stava per ribattere ma si fermò perchè nel frattempo una rossa gli si era avvicinata e, chinandosi leggermente e con una mano portandosi i capelli indietro, lo aveva baciato leggermente sulle labbra.
"Ciao Clary!" La salutò Jem e Clary, accomodandosi accanto a lui gli rispose con un sorriso.
"Jem non ti puoi mettere accanto a questo musone per favore? Voglio stare accanto alla mia ragazza, se non ti dispiace!" Jace stava cercando di provocarlo, Will lo sapeva, ma in quel momento non aveva proprio voglia di rispondere col fuoco al fuoco e allora ...
"Che hai Jace? I miei feromoni ti fanno così tanto effetto che non riesci più a controllarti e vuoi mantenere un pò di dignita davanti a Clarissa? Comunque non temere, ti fermerei all'istante, non sei il mio tipo." Tutto questo fu detto con la massima calma da Will che, prima che Jace lo caricasse con una vagonata di pugni e ceffoni, si alzò per recarsi in biblioteca.

La biblioteca era il suo luogo preferito in assoluto in tutta la London Institute. Era silenziosa piena di libri, piena di romanzi e poesia. Piena di altri mondi, altre persone, che riuscivano per ore e ore a fargli dimenticare l'orribile realtà in cui viveva, resa sopportabile da Jem e dai libri stessi. Quando non sapeva come agire immaginava di essere il personaggio di un libro, perchè era più facile sapere cosa avrebbe fatto lui in quella situazione e finora come metodo aveva funzionato. Will, ormai da molto tempo, cinque anni esatti, aveva tagliato i ponti con tutta la sua famiglia. Era bastata una piccola ricerca su Google per trovare un college da frequentare e rubare una carta di credito per affrontare il viaggio e le spese necessarie per iniziare la sua nuova vita. Da quel momento in poi c'erano stati solo i libri e lui.
Will si aggirava tra gli scaffali in cerca di qualche titolo che lo potesse ispirare anche se aveva letto la maggior parte di quei volumi ormai, ma non aveva proprio voglia di andare in libreria. Chissà, magari ci sarebbe andato il mese dopo, giusto il tempo di ricevere i soldi che la preside Branwell gli accordava mensilmente in cambio del suo servizio al bancone della biblioteca.

Quando arrivò alla sala lettura questa era vuota. Non si era accorto subito della figura accucciata sulla poltrona accanto alla lampada e coperta da un plaid.
Solo quando si avvicinò notò una testa chinata su un piccolo libro e dei capelli castani raccolti in alto con una bacchetta col solo scopo di non infastidire la lettura. Capì di chi si trattasse prima ancora di vederla in faccia. 
"Non è un pò tardi per stare in biblioteca Gray?" Non sapeva in che modo parlarle, si sentiva impacciato, il cervello non rispondeva ai comandi ma l'abitudine era pur sempre l'abitudine...
Tessa si girò di scatto verso di lui, gli occhi grandi traboccanti di ... coraggio. Will ne fu contento. Tessa non aveva paura di lui, gli avrebbe tenuto testa e forse così non avrebbe dovuto o potuto alluntanarla.
"Potrei farti la stessa domanda e non c'è scritto da nessuna parte che non posso venire qui dopo cena"
"Vero, ma c'è scritto che deve essere presente il custode che, guardacaso, sono io."
"Bene, ora sei qui, stavo comunque per andarmene. Non ho trovato quello che cerco."
Era seria. Nessuna sfida, solo orgoglio e sincerità. Will non voleva che se ne andasse, non in quel momento.
"E che cosa cerchi?"
"Romanzi. Ce ne sono pochissimi. O poesie ... Ci sono soltanto enciclopedie e storici!"
Will si sentì ferito nell'orgoglio. Quella era la sua biblioteca e nessuno la poteva offendere!
"Non direi proprio Gray. Dimmi un titolo e io lo troverò per te." Fece un piccolo inchino con il capo e sentì che Theresa sorrideva. Le porse il braccio e, dopo qualche secondo di riflessione, la ragazza lo accettò.
"Ci sono romanzi di Poe? O Dickens? Non li ho letti tutti" Sembrava scusarsi in un certo modo. Nella sua mente Will sorrise Chi si scusa si accusa pensò.
"Non so dirvi di Dickens ma di Poe abbiamo tutti i racconti." Percorsero in silenzio vari metri, fecero molte svolte fino a trovarsi davanti ad una enorme scaffalatura in mogano. Will prese un paio di volumi e li porse a Tessa.
"Qui c'è Poe e qui" e le porse l'altro volume "poesie di Tennyson. Penso ti piaceranno."
Tessa guardò attentamente la copertina e, lasciando il braccio di Will, iniziò a sfogliarlo, dopo aver posato Poe su un tavolino là accanto.
"L'ho sentito nominare a scuola ma non ho mai letto nulla di suo. A New York a scuola ci facevano sempre leggere Il buio oltre la siepe, che è bellissimo, però dopo un pò la cosa diventa ossessiva." Sembrava felice di aver trovato un nuovo autore.
"Beh" continuò "grazie per i libri ... penso che ritornerò in camera ... Buonanotte Herondale" Sorrise lievemente, forse un poco imbarazzata.
"Buonanotte ... Tessa" il nome venne pronunciato come una domanda ma il tono incerto venne nascosto dal seguito della frase "Forse dovrei scusarmi per ..."
Ma Tessa lo interruppe "Chi si scusa si accusa, Will."
E se ne andò.

Angolino dell'autrice: Scusate per l'enorme ritardo! Vi prego perdonatemi!!! Però ho scritto un capitolo lunghissimo eh! Dovreste essere fieri di me :))) 
Fatemi sapere che ne pensate mi raccomando!! Nel prossimo capitolo tralasceremo un Tessa e Will per dedicarci ad altri argomenti un pò più ... caldi XD Non pensate male!!! Arrivederci, buonanotte spero di non avervi annoiato con questo capitolo MOSTRUOSAMENTE lungo! AH altra cosa, prendo moooooolto dall'opera originale, come potrete tìnotare alcuni concetti sono uguali, è solo che è una storia così bella che non me la sento proprio di stravolgerla per alcune cose XD Per eventuali errori non mancate di farmeli notare. Cosiderate che sono le undici e dieci ora mentre scrivo e sono stanca e stressata per la scuola...

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Capitolo 11
*** Amico ***


Capitolo 10: Amico 

Era un mercoledì pomeriggio, tranquillo, nuvoloso e nebbioso, come sempre a Londra d'altronde. 
Henry stava mettendo un pò d'ordine nel suo ufficio cercando di selezionare quali carte buttare e quali, invece, conservare, perchè invase da utili dati e disegni di nuove invenzioni.
Quella mattina, che era libera, era riuscito a mettere a punto una piccola torcia ad energia solare con diverse emissioni di luce e colori diversi. Era un piccolo congegno da regalare. A chi? Ma a Charlotte, naturalmente.
Non avevano avuto la possibilità di parlare da quel sabato pomeriggio (ogni volta che Henry riusciva a raggiungerla nelle sue stanze o nel suo ufficio Charlotte era sempre in procinto di uscire con quello, anche se ovviamente lei non gliene aveva mai parlato e quindi ancora non sapeva nulla di lui) e aveva intenzione di andare a farle visita.

Decise di abbandonare il progetto di sistemare quel posto infernale, una grande stanza nei sotterranei che Charlotte aveva preparato apposta per lui quando aveva iniziato a lovorare come insegnante, perchè tanto nel giro di una settimana si sarebbe ridotto nuovamente in quello stato.
Si mise la piccola torcia in tasca dopo averla avvolta in un piccolo panno pulito, e salì i quattro gradini che lo avrebbero portato all'ascensore e che a sua volta lo avrebbe lasciato proprio davanti l'ufficio di Charlotte.
Premette il pulsante e le porte si aprirono accompagnate dal solito "din" e, entratovi, pigiò il tasto con su riportato il numero 2.
Davanti alla presidenza dalla quale era appena uscita, c'era Sophie.
Henry la salutò cordialmente e quella ricambiò con con un cenno del capo e un leggero sorriso. 
Sophie Collins era la cameriera personale di Charlotte. Era una ragazza di ventuno anni ed era stata praticamente salvata dalla strada da Charlotte stessa, ma Henry non conosceva le dinamiche esatte della faccenda.

Bussò piano un paio di volte e all'avanti di Charlotte, pronunciato con voce ferma e autoritaria, entrò.
Non appena la ragazza ebbe alzato lo sguardo e lo ebbe visto il viso si addolcì e gli occhi le si riempirono di affetto.
"Ciao Henry! Da quanto tempo che non venivi! Colpa mia, sono stata un pò ... impegnata, ecco." Le guance le si tinsero leggermente di rosso.
"Ah, si immagino ... non preoccuparti ..."
"Posso fare qualcosa per te Henry?"
Potresti smettere di uscire con quell'attrezzo ... Fu quasi tentato di dirlo ma non ne ebbe il coraggio.
"Ehm ... come dici?" ora che si trovava lì con in tasca quello stupido aggeggio si sentiva assolutamente ridicolo. "No, figurati ... ecco ... Io volevo solo darti questo!" Pronunciò queste ultime parole alla velocità della luce e le accompagnò porgendo a Charlotte l'involucro.
Charlotte non parve sorpresa. Non era la prima volta che Henry si presentava da lei con il solo scopo di regalarle qualcosa di sua produzione. Prese l'oggetto e, dopo averlo liberato dal panno di velluto, lo guardò e sorrise.
"E' ad energia solare. Puoi anche usarlo come portachiavi sai? Ho fatto un foro in cima all'impugnatura così puoi attaccarci l'anello delle chiavi."

In quei momenti Charlotte aveva sempre l'istinto di abbracciarlo ma non era mai sicura che fosse la cosa giusta da fare.
Insomma, Henry era notoriamente imbranato e Charlotte aveva paura che quelle dimostrazioni di affetto fossero dovute semplicemente alla loro amicizia lunga anni e anni.
Tra l'altro a volte si chiedeva se le attenzioni che Henry le riservava avessero come ragione il fatto che gli aveva dato il lavoro.

"Grazie" e sorrise "le attacco subito." E lo fece davvero, poi continuò "Non è che vuoi prendere un thè? Chiamo Sophie e poi ci sediamo un pò."
"Si certo!" Henry si accorse di aver messo un pò troppo entusiasmo in quelle parole e quindi subito aggiunse "Cioè, per me va bene ma non vorrei disturbarti!"
"Figurati. Anzi, mi fa piacere chiaccherare un pò con un amico."

Amico.
Amico.

Per Charlotte era solo un amico, nulla più ... Fu preso dallo sconforto e non riuscì a mascherare la delusione.
Charlotte probabilmente lo aveva notato.
Charlotte probabilmente aveva capito. Tutto. Ma non le importava. 
Odiò con tutto se stesso quella parola. 
Amico.

Alla sua proposta Charlotte aveva visto il volto di Henry accartocciarsi. Aveva ragione Henry non voleva perdere tempo con lei. Si mostrava gentile, forse provava anche un pò di simpatia per lei, ma avrebbe preferito ritornare nel suo laboratorio e passare il tempo con i suoi congegni e con le sue provette.
Considerò l'ipotesi di dare fuoco a quello stanzone. Forse così Henry si sarebbe riscosso un pò da quella sua passione e avrebbe avuto tempo per qualcos'altro.

Cosiderò anche l'ipotesi di dare il via ad una relazione seria con quel Woolsey Scott ...

Angolino dell'autrice: Ehmmm ... vipregovipregoviprego non uccidetemi!! Si l'uomo misterioso è proprio Woolsey u.u Volevo assolutamente inserirlo nella storia e che ruolo migliore per dargli una certa importanza?? Spero che continuerete a leggere la storia lo stesso anche dopo questa rivelazione shock o magari qualcuno che è stato attento alla descrizione dello stoccafisso come lo chiama Henry lo aveva già capito?? Buh, ad ogni modo ... Mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto e mi auguro anche di aver reso Charlotte e Henry abbastanza fedelmente rispetto ai personaggi principali :)) Se recensite sono contenta anche solo per capire che opinione avete u.u



 

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Capitolo 12
*** Lettere ***


Capitolo 11: Lettere
 
27 Novembre 2013
Caro Nate, 
è da molto che non ti scrivo, scusami davvero. Chissà quanto ti ho fatto preoccupare!
Qua tutto procede normalmente. Le ore passano e così anche i giorni. Ogni fine settimana aspetto una tua visita, ma tu non vieni mai. Devo essere sincera, sono un pò delusa. Ormai è quasi un anno che non ci vediamo Da quando, lo scorso Dicembre, decidesti di venire qui a Londra dopo aver mandato quella lettera di richiesta di lavoro e lasciasti me e zia Harriette da sole in quell'appartamento. 
So che sei molto impegnato ma, dopo che hai insistito tanto perchè venissi qui a Londra dopo che la zia e morta, mi aspettavo di vederti almeno una volta ... Non pensare che io sia egoista Nate, ma mi sento un pò sola. Si certo, questo posto è pieno di gente ma mi sento così spaesata e straniera. 
Tendo a confondermi ... qui a Londra le persone parlano in meniera strana, dicono altre parole per indicare una stessa cosa,  e SO di essere fuori luogo per tutto, a partire dall'accento. 
Ti prego, so che le mie sono paure stupide ma ho bisogno di vedere qualcuno che mi sia familiare. 
Rispondi presto,
tua, Tessa.
 

Maia bussò alla porta per la centesima volta almeno e Tessa, finita di scrivere la sua lettera, sbuffò, roteò gli occhi in modo eloquente, anche se nella stanza non c'era nessuno che potesse notare la sua malavoglia, e aprì.

"Tessa ma che stavi combinando?! Sto bussando da almeno dieci minuti! Potevi anche rispondere!" Maia era infuriata, e come darle torto ... ma Tessa in quei giorni e in quel preciso momento era sprofondata troppo nell'oblio per curarsene.
"Scusa Maia ma non sono proprio dell'umore per uscire stasera ... vai senza di me" Tentò di fare un sorriso ma ottenne solo una patetica smorfia. Maia comunque non parve accorgersene.
"Non è per questo che sono venuta!" Chiuse la porta alle sue spalle e si accomodò sul letto di Tessa. "Sono venuta a sapere da fonti certe che tu qualche sera fa eri in biblioteca con William Herondale! Per non parlare del fatto che sei stata vista uscire dalla stanza di James Carstairs con nient'altro addosso che la sua camicia!" Maia non era mai stata pettegola, almeno non con Tessa, così questa dovette pensare che quelle sue due "avventure" alla London Institute agli occhi degli altri dovessero avere realmente qualcosa di sovrannaturale. Non sapeve se ridere o piangere. Optò per la seconda quando vide che Maia aveva spostato il suo sguarda penetrante da lei alla camicia di Jem che stava abbandonata sulla poltroncina accanto alla scrivania (Tessa si era proprio scordata di riconsegnargliela, ma prima l'avrebbe dovuta lavare. Giurò di farlo al più presto).
"Hai già tratto le tue conclusioni  Maia, mi sembra ... anche se sono sbagliate."
"Davvero? Allora contraddicimi!"
Tessa dovette raccontare per filo e per segno gli avvenimenti della domenica. Tralasciò però il ruolo di Will.

"Bene, ammettiamo che ti creda ... Anche se non ho difficoltà: James Carstairs è sempre stato abbastanza disponibile con tutti. Ma William Herondale?Tessa quel ragazzo si rifiuta di interagire anche con una mosca a meno che non voglia insultarla, ovviamente James è escluso perchè è il suo migliore amico! E' odiato da metà della comunità femminile di questo college e da tre quarti di quella maschile, chi per un motivo chi per un altro certo ... ma ... ti rendi conto che questa storia ha un che di incredibile?" Maia sembrava davvero sconvolta.
"Senti ammetto che è parso strano anche a me parlargli ma mi ha soltato procurato dei libri. Basta. Stop. Non l'ho neppure più visto da quel giorno per cui ora io continuerei a vivere tranquillamente la mia vita" e sorrise per sdrammatizzare sperando di riuscire a convincere Maia che nulla all'infuori dell'ordinario era accaduto. Poi continuò, cambiando totalmente discorso "Mi accompagni ad imbucare questa lettera?"
Maia annuì lievemente e, quando Tessa imbustò il foglio di carta e aggiunse i francobolli e l'indirizzo sul retro della busta, andarono alla buca delle lettere, che si trovava all'ingresso dell'edificio. Per tutto il tragitto Maia chiaccherò del più e del meno e Tessa la incoraggiò sperando che avesse dimenticato il discorso precedente.

 
2 Dicembre 2013
Mia piccola Tessie,
sono veramente dispiaciuto che tu non stia vivendo bene questa nuova situazione. Mi rammarico anche di non essere potuto venire a trovarti. Facciamo così allora: giuro solennemente che questo fine settimana io verrò a prenderti davanti all'ingresso del college! Ti porterò in giro per Londra così vedrai quanto bella è questa città a dispetto della nebbia quasi costante e del suo cielo nuvoloso! Passeremo un pò di tempo insieme magari potrai venire a dormire da me il venerdì e il sabato sera. Ho già chiesto al mio principale, il signor Mortmain, il pomeriggio del venerdì, il sabato e la domenica liberi proprio per questa occasione. Mi raccomando allora, venerdì alle quattro fatti trovare all'ingresso della scuola e così parleremo. Già non vedo l'ora di vederti dopo così tanto tempo!
Nate
 
Ed eccola lì. Tessa era seduta accanto al suo borsone sui gradini davanti all'ingresso della London Institute ed erano le quattro e mezza. E pioveva a dirotto. Di Nate nessuna traccia. 
In quel momento si meledisse per non avere un cellulare. Ma non poteva farci niente ... non aveva i soldi per permettersi neppure il più vecchio dei modelli e non conosceva nessuno che ne vendesse di seconda mano.
Stava per alzarsi, fradicia, e andarsene quando una figura ammantata in un lunghissimo impermeabile e un berretto di lana calcato sulla testa da cui uscivano ciuffi biondi apparve dalla nebbia. 
Tessa lo riconobbe subito e, il petto alleggeritosi di un enorme peso, gli corse incontro abbracciandolo.
Nathaniel la strinse a sua volta. 
"Tessie! Finalmente ci vediamo! Da quanto tempo! E guarda come sei cresciuta!" Si staccò dalla ragazza e sorrise compiaciuto quasi fosse merito suo che Tessa fosse una ragazza alta e carina.
"Tessie una cosa ... Non possiamo andare a casa mia ... La mia macchina ha bucato a un chilometro da qui e non mi sembra il caso farti camminare con questa pioggia!"
"Ah! Ecco perchè sei così bagnato ... e in ritardo! Non c'è problema, possiamo stare in camera mia." Lo prese a braccetto e, una volta rimessasi in spalla il borsone, lo accompagnò fino alla sua stanza.

Tessa non poteva essere più felice. Passò tutto il pomeriggio, fino a prima di cena perchè poi Nate dovette andarsene (era finito di piovere e casa sua era molto lontana, non contando il fatto che avrebbe dovuto chiamare il carroattrezzi), a parlare con il fratello. Risero, scherzarono e Nate riuscì persino a rassicurarla, anche se non riuscì a convincerla che Londra fosse una bella città. Tra l'altro le aveva portato anche degli altri soldi, che di solito le mandava per posta.
Quando Tessa accompagnò Nate all'ingresso lo abbracciò nuovamente e per un attimosi sentì protetta, con Nate che le baciava la fronte e poi le sussurrava all'orecchio "mi manchi".
Guardandolo allontanarsi alla ragazza venne da piangere e gli occhi le si appannarono. Sentì poi dei passi avvicinarsi a lei.
"Se trovi un punto su cui soffermarti è più facile respingere le lacrime."
Ed era vero.

Angolino dell'autrice: Spero abbiate capito chi è che pronuncia la frase finale. Se non lo avete capito è Charlotto u.u Non mi andava di specificarlo nel testo non so per quale insanomotivo ma mi andava di terminare il capitolo così ... Scusate la noiosità anzi di quest'ultimo ma non mi piace andare veloce e Nate doveva pur essere introdotto ... Perciò perdonatemi se vi ho annoiato ma spero continuerete a seguirmi lo stesso :))

 
 

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Capitolo 13
*** Non piangere ***


Capitolo 12: Non piangere

Tessa si voltò di scatto per trovarsi accanto la giovane preside dell'Istituto.
L'aveva vista solo una volta, il primo giorno, e le era sembrata molto più vecchia della sua reale età a causa di quel suo volto immutabile per non parlare del suo portamento e dei suoi vestiti, eleganti si ma sicuramente non adatti ad una ventitreenne.
Ora invece la vedeva veramente. Una ragazza esile e bassina. I capelli lisci castani lasciati sciolti sulla spalla destra e un vestito insolitamente giovanile: di lana grigia decorata che arrivava a metà coscia e il polpaccio coperto dagli stivali attillati neri. Le mani, arrossate, le tremavano leggermente nonostante le braccia fossero coperte dalle maniche del vestito e la parte di gambe scoperta rivestite da un invisibile collant.
"Preside ... io ... io non sto piangendo" rispose fiaccamente ma effettivamente grazie al consiglio datele precedentemente era riuscita a ricacciare indietro le lacrime.
"Certamente" e le rivolse un sorriso. "Allora tu sei Theresa Gray giusto? Come ti trovi qui, tutto a posto?"
"Mmm ... si è tutto bellissimo grazie. Le lezioni sono tutte molto interessanti, soprattutto quelle del professer Enoch, il suo modo di spiegare filosofia è ... illuminante!" Tessa non stava mentendo semplicemente aveva omesso la parte in cui avrebbe dovuto spiegare il perchè della sua tensione durante quelle lezioni, ossia il fatto che Enoch non spiccicava parola bensì usava una voce artificiale del suo iPad su cui digitava in continuazione.
Charlotte parve però riuscire a "leggere tra le righe" e le lanciò un'occhiata di rimprovero al che Tessa arrossì lievemente.
Poi un clacson suonò e Charlotte, come riscossasi, disse frettolosamente "Ora devo andare!" e corse verso la Volvo che aveva parcheggiato proprio lì davanti. Tessa notò che sembrava contemporaneamente allegra e tesa. Scrollò le spalle e si incamminò verso la sua stanza.

Charlotte si rifugiò nell'ormai familiare tepore della macchina di Woolsey che sapeva vagamente di vaniglia. Il ragazzo la salutò con un sorriso bianchissimo e a trentadue denti e poi le stampò un leggero bacio sulla guancia.
Si frequantavano da circa due mesi ma ancora non erano andati molto in là. Fosse stato per Woolsey probabilmente sarebbero già stati al quinto bambino ma Charlotte non voleva correre e aveva paura.
"Buonasera ma chèrie! Mi dispiace moltissimo ma per stasera non ho trovato nessun locale libero, cosa da non crederci!"
"Ma allora perchè non mi hai chiamato? Avremmo potuto rimandare!" Charlotte vide uno spiraglio di luce e vide il divano del suo appartamento farsi sempre più vicino e nitido nella sua mente ...
"Ma no, ma no! E sprecare una serata con Charlotte? Ho preparato a casa mia! Spero gradirai la mia cucina." La sua voce era pura musica e la brillantezza dei suoi occhi verdi la rapiva ogni volta che li guardava. Intanto però l'immagine del suo amato divano era scomparsa, travolta da un enorme buco nero.

Quando arrivarono a destinazione Charlotte aveva i palmi delle mani sudaticci per il nervosismo. Non voleva entrare in quella casa che non aveva mai visto, non voleva entrare nella tana del lupo e di certo non voleva servirsi su un piatto d'argento innanzi alle sue fauci. Insomma  ... Woolsey, per quanto galante, era pur sempre un uomo e lei, per quanto non gli si buttasse tra le braccia, accettava le sue avance da due mesi. Le venne da vomitare mentre, cercando di passare inosservata, si asciugava i palmi sul vestito.

Woolsey le fece fare un veloce giro della casa, modernissima e minimalista, che sembrava quasi vuota a causa del troppo ordine e delle pareti biache che abbracciavano le stanze spaziosissime. Non potè fare a meno di confrontare quel luogo allo stanzone di Henry, troppo confusionario e semispolto da carte e viti. A quel pensiero sorrise.
"Sono felice che ti piaccia! Beh, la cena è pronta, da questa parte." Woosley aveva ovviamente totalmente frainteso ma le passò ugualmente un braccio sotto le sue braccia e così con la mano di Woolsey sul finco di Charlotte, quest'ultima venne scortata in sala da pranzo.
La cena fu ottima e piano piano Charlotte comiciò a sentirsi a suo agio. Le chiacchere di Woolsey la mettevano a suo agio, non lasciando spazio a silenzi imbarazzati. 

A pasto finito i due si spostarono in salotto dove si sedettero accanto sul divano. Qui Charlotte notò, con grande disappunto, che le dita affusolate di lui giocherellavano in modo troppo malizioso con le ciocche di lei e che la distanza tra i loro corpi si stava via via assottigliendo "inspiegabilmente".
Quando Charlotte stabilì che la bocca del ragazzo era fin troppo vicina al suo orecchio guardò l'orologio e annunciò, con un pò troppo di sollievo nella voce "Oh mio Dio! E' tardissimo, è Mezzanotte!"
Il capo di Woolsey si abbassò con fare sconfitto e un sorrisetto malizioso gli tinse il viso "E quindi la carrozza ritorna zucca?"
"Temo proprio di si. A Mezzanotte i topini ritornano topini." Lo disse con fare scherzoso ma in realtà era quello che pensava realmente di se stessa. 
Il viaggio di ritorno fu silenzioso. Charlotte sentiva di dover dire qualcosa. Qualsiasi cosa. Woolsey le piaceva e la faceva sentire bella, nonostante lei fosse convinta e più che certa del contrario. Non si sentiva affascinante, menchemeno interessante. Era solo una ragazzina che giocava a fare l'adulta responsabile, ruolo per cui si sentiva adattissima non essendo avvenente e dunque non avendo nulla per cui si potesse distrarre.
"E' stata un bella serata, mi sono divertita. Grazie." Disse infine quando ormai la macchina stava accostando davanti all'edificio che era per Charlotte potere e catene.
Woolsey non rispose. Uscì dalla macchina e fece il giro per andarle ad aprire la portiera e per aiutarla ad uscire a sua volta. La accompagnò fino ai gradini dell'ingresso, illuminati da una tenue luce gialla emanata da un lampione.
Aspettò che Charlotte fosse al primo gradino per bloccarla e farla girare verso di lui. Ora la fronte della ragazza era solo di pochi millimetri sotto la sua e si potevano parlare senza che nessuno dei due dovesse alzare al cielo il collo o curvarlo esageratamente. I loro visi erano a distanza di un paio di centimetri. L'espressione di Charlotte era interrogativa, il suo viso leggermente inclinato verso destra. 
Ora si che sembra un passerotto, altro che un topino. Pensò Woolsey. E glielo disse. Woolsey pronunciò a mezza voce queste parole cosicchè nessun altro apparte loro due, le sentissero, anche se il cortile era vuoto. 
Gli occhi di Charlotte si spalancarono e così anche la bocca, aperta per dire qualcosa, un grazie magari ... ma le parole vennero sostituite dalle labbra di Woolsey.
Charlotte non potè fare a meno di ricambiare il bacio e il senso di tradimento venne sostituito presto dalla consapevolezza che una volta aperta la porta del suo appartamento non vi avrebbe trovato Henry. Non vi avrebbe trovato nessuno.
Le lacrime urlavano e supplicavano di uscire fuori, dopo anni di reclusione, ma Charlotte era una carceriera insensibile e, chiudendo gli occhi e concentrandosi sul bacio, ricambiandolo e cingendo la schiena di Woosley con le braccia, riuscì a non versarne nemmeno una.

Angolino dell'autrice: Persistendo nel mio progetto suicida di far diventare Charlotte e Woolsey una sorta di coppia ho scritto di getto questo capitolo. Spero abbiate gradito. Al prossimo capitolo!! :) P.S. Quasi dimenticavo! Ho notato che quasi nessuno "vota" per riuscire a inserire nella categoria personaggi più personaggi appunto. Io ne ho votati alcuni perchè penso che anche loro abbiano tante storie da raccontare, non da me ovvio, ma da tutti! Se volete fatelo, ovvio non è una imposizione solo una sorta di "post it" per ricordare. Io stessa fino a poco tempo fa non sapevo che si potesse fare ciò. Ok propaganda conclusa XD Arrivederci :)

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Capitolo 14
*** Bombe atomiche e cioccolato ***


Capitolo 13: Bombe atomiche e cioccolato

La settimana era improvvisamente ricominciata e Tessa si trovò letteralmente sommersa da verifiche, interrogazioni e compiti da svolgere nel pomeriggio.
Mancava molto poco alle vacanze di Natale e dunque i professori avevano ritenuto gentile caricarli a più non posso e stressarli anzichè allentare un pò la presa ... Soprattutto il professor Branwell che sembrava non rendersi conto che era impossibile per dei semplici studenti creare un prototipo della bomba atomica ...
Quello era il compito che più spaventava Tessa, non tanto perchè era un disastro nel costruire le cose, anche perchè Branwell voleva solo che fosse riprodotto il sistema e non la funzione, bensì perchè la classe era stata divisa in gruppi e lei era finita con dei completi sconosciuti.

"Allora ... dato che mi sembra un pò troppo chiedervi di fare un simile lavoro da soli vi dividerete in gruppi!" aveva detto Branwell, che però non sembrava si stesse realmente concentrando sulla lezione. Si schiarì la gola e iniziò a elencare mentra un povero alunno scribacchiava alla lavagna i gruppi.

Gruppo 1: Alexander Lightwood - Helen Blackthorn - Aline Penhallow
Gruppo 2: Jonathan Christopher Wayland - Theresa Gray - Simon Lewis
Gruppo 3: William Herondale - Gabriel Lightwood - Jonathan Morgenstern
Gruppo 4: Emma Carstairs - Tatiana Lightwood - Julian Blackthorn
Gruppo 5: Clarissa Morgenstern - Jessamine Lovelace - Raphael Santiago 
Gruppo 6: Isabelle Lightwood - Sebastian Verlac - Cyril Tanner


Tessa si guardò intorno per cercare i suoi compagni di gruppo. Tutti maschi ... Che fortuna ... Poteva passare per una ragazza capace di affrontare ogni situazione (e lo era!) ma nei rapporti con l'altro sesso si era sempre sentita molto impacciata, colpa di tutti quei romanzi, maledizione! Ma non avrebbe mai potuti odiarli davvero, e sorrise a quel pensiero.
Mentre osservava discretamente Jonathan Christopher e Simon si accorse che il primo stava facendo lo stesso con lei e che l'altro invece le sventolava la mano in segno di saluto e le sorrideva amichevolmente. Rispose arcuando leggermente le labbra.

A fine ora Simon Lewis le si avvicinò senza però scampare ad un'occhiata truce di Will che nè Tessa nè Simon notarono.
"Mi sa che non ci siamo mai parlati" disse a gran voce non vergognandosi minimamente di aver appena detto di averla praticamente ignorata per dei mesi, poi aggiunse "io sono Simon Lewis!" e le tesa la mano. Era grande, le dita lunghe e affusolate e calda al tocco al momento in cui la afferrò.
"Theresa Gray ma chiamami solo Tessa." E fece un gran sorriso, quel progetto poteva essere un buon modo per allacciare rapporti con gli altri studenti.
Simon sembrava a posto, non solo caratterialmente ma anche nell'aspetto. Era alto, i capelli neri che nascondevano un pò la fronte. Gli occhi castani imprigionati dietro gli occhiali. Portava una semplice giacca sopra una strana maglietta con su scritto The dice are trying to kill me - Dungeons & Dragons e dei jean scoloriti e larghi. Le veniva quasi automatico prenderlo in simpatia. 
"Bene bene ... vi state già alleando per tagliarmi fuori? E io come farò?!" Con una voce melodrammatica il ragazzo biondo dagli occhi dorati che Tessa aveva identificato come Jonathan Christopher Wayland si era avvicinato silenziosamente e ora stava dando dei colpetti alla spalla di Simon dicendogli "Spostati quattrocchi!" Simon però si impuntò e non si mosse nemmeno di un millimetro e così Tessa non potè fare a meno di lodarlo mentalmente. Già quel biondo non le andava a genio ... Però gli era allo stesso tempo familiare ... Le ricordava Will! Scosse la testa e ritornò a fissare il ragazzo davanti a lei. Certo era bello quanto Will ma di una bellezza più terrena con il suo naso leggermente storto e un dente un pò scheggiato.
"Se hai smesso di fissarmi possiamo passare alle presentazioni" aveva un tono compiaciuto. Gli piaceva essere guardato a quel modo e allora Tessa non lo avrebbe più fatto! 
"Io sono Jace ..." Tessa lo interruppe "Ma scusa tu non ... Ah J C Jace ... Okay capito!" si senti una stupida per non aver afferrato prima ma per scampare all'imbarazzo continuò "Tessa piacere".
Jace la guardò con aria di superiorità e sembrava stesse per fare qualche battuta sarcastica ma ringraziando il cielo Simon riprese la parola e disse "Propongo di riunirci in aula-studio e iniziare a montare il modello. Ci vediamo ... alle cinque?" Guardò i due con fare interrogativo quasi dando per scontato che avrebbero avuto da ridire infatti Jace parlò "No è troppo tardi. Facciamo alle tre. Alle cinque ho il club!"
"Per me va bene qualsiasi orario ... non frequento corsi extracurriculari" disse Tessa.
"Bene allora alle tre in aula-studio! Io nel frattempo cerco di procurarmi i pezzi e gli attrezzi" Simon sembrava abbattuto ... come se si sentisse schiacciato dalla presenza di Jace.
Tessa ci pensò un pò ... aveva un sacco da studiare: filosofia, storia, letteratura, grammatica, geografia e francese ma non le andava di scaricare tutto sulle spalle di Simon e, dato che Jace non sembrava interessato a contribuire si offrì di aiutarlo.
"Okay ora devo scappare! Tra cinque minuti mi inizia francese!" Tessa afferò la borsa coi libri e corse a perdifiato fino all'aula di francese. 
L'unico posto libero, essendo in ritardo, era l'ultimo banco ma era accanto a Jem percui l'ora non fu tanto brutta. Anzi si divertì veramente molto a parlare con lui dopo così tanto tempo ... anche se in francese!

Tessa e Jem andarono in mensa insieme e fu molto rilassante. Tessa si sentiva a suo agio e non aveva paura di parlargli liberamente
"Non ti sei fatta più vedere da quel giorno" Jem si riferiva sicuramente a QUEL giorno e si sentì molto a disagio anche perchè non gli aveva restituito la camicia.
"Si mi dispiace molto ... temo di essermi fatta prendere dall'imbarazzo e ho anche dimenticato di restituirti la camicia! Sono una scema" e sorrise. Le veniva sempre da sorridere in compagnia di quel ragazzo,  incredibile!
"Non preoccuparti, se ti piace puoi anche tenerla" rise piano, la sua solita risata "Ti va di sederti con me? Ti assicuro che il pavimento sotto il nostro tavolo è pulitissimo!"
"No, grazie siete sempre così pieni là! Non vorrei che vi doveste stringere ulteriormente per far entrare anche me!" In realtà Tessa non voleva sedersi con Will e Jace, che, aveva notato, sedevano sempre allo stesso tavolo.
"Ah non preoccuparti! In caso scacciamo via Will!"
"Chissà perchè non credo prenderebbe la cosa con diplomazia ..."
"Mmmm ... forse no" Rise.

Alla fine Tessa sedette con Jem. Tra quest'ultimo e Clary, come scoprì che Clarissa Morgenstern veniva chiamata. Questa fu molto cordiale con lei e, anzi, le chiese del progetto di Branwell e si raccomandò con Jace, che era il suo ragazzo, di trattarla bene, provocandole un certo imbarazzo.
"Ma tu lo sai che amo solo te Clarissa" aveva ribattutto Jace e così si era sporto verso la rossa e l'aveva baciata.
Possibile che in questa scuola stiano tutti sempre a sbaciucchiarsi?! Aveva pensato Tessa, ma dopotutto erano carini insieme e Clary le stava simpatica, soprattutto dopo aver scoperto che disegnava divinamente. Aveva sempre ammirato chi riuscisse a creare immagini, pensandole, elaborandole dai pensieri, e poi riprodicendole su carta. I disegnatori nella sua mente erano come gli scrittori, tranne che usavano un linguaggio universale comprensibile a tutti fatto di linee e non di lettere.
Al tavolo c'erano anche Alexander, Alec, e Isabelle, Izzy, Lightwood (erano fratelli), che non smisero un secondo di battibeccare, e Will che se ne stava zitto e buono a mangiare senza un minimo di ritegno. Aveva inghiottito alla velocità della luce un pasticcio di carne, del purè di patate e ora era al quarto budino al cioccolato!
Probabilmente il ragazzo si era accorto dell' espressione di Tessa sempre più disgustata perchè esclamò "Che c'è? Il budino al cioccolato di Agatha è una squisitezza! Anzi, dovresti proprio andartene a prenderne uno anche tu!"
"Io odio il cioccolato" ribattè Tessa semplicemente scrollando le spalle.
L'espressione di Will mutò. Gli occhi gli si spalancarono e si mise in piedi sulla sua sedia puntandole contro il cucchiaino con cui stava mangiando il budino "Che razza di mostro sei per odiare il cioccolato?? E' ambrosia!" Parlava continuando a sventolare il cucchiaino sotto il naso di Tessa, incurante delle persone agli altri tavoli che lo stavano guardando come fosse un pazzo, e Tessa non poteva dare loro torto.
Will, accortosi del silenzio che era calato intorno a lui mise giù il cucchiaino e rivolgendosi a tutti i presenti nella sala disse "Che avete da guardare? Su su tornate a mangiare!" E accompagnò le parole gesticolando e mimando il gesto di smammare e si risedette normalmente sulla sedia.
Poi si rivolse nuovamente a Tessa "Per questa volta farò finta di non aver sentito, ma non ripetere mai più una simile bestemmia davanti a me."
Will continuò a mangiare il suo budino borbottando qualcosa che a Tessa parve "Il cioccolato è l'ottava meraviglia del mondo".
Passò poco e Simon si presentò al loro tavolo, salutò Clary con un caloroso abbraccio e invitò Tessa a seguirlo per andare alla ricerca dei pezzi per il modello.
"Suppongo che tu Jace non voglia contribuire vero?" Simon conosceva perfettemente la risposta.
"Per una volta ci hai azzeccato quattrocchi"
"Jace!" Lo rimproverò Clary dandogli uno scappellotto sulla nuca.
"Ahia!!"
Tessa non sentì come continuò la conversazione perchè si congedò e uscì dalla mensa.

Angloni dell'autrice: Si lo so è un pò noioso ma non posso farci nulla u.u Spero vi sia piaciuto lo stesso! Nel prossimo mi rifarò giuringiurello :D 

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Capitolo 15
*** Libri e musica ***


Capitolo 15: Libri e Musica

Mercoledì sera ... Tessa, Simon e Jace si erano appena lasciati dopo aver teminato, finalmente dopo tre giorni di duro lavoro, il loro progetto.
Tessa, troppo stanca anche solo per mangiare, nonostante i compiti che aveva trascurato e che avrebbe dovuto svolgere al più presto, si diresse in biblioteca. Teneva stretti al petto i volumi che le aveva procurato Will un paio di settimane prima. Era molto in ritardo con la restituzione. Lo sapeva ma che poteva farci se aveva avuto così poco tempo? Aveva dovuto stare sveglia per molte notti per riuscire a finirli, non che la cosa le pesasse. I racconti di Poe erano affascinanti e inquientanti al tempo stesso così, o non riusciva a staccarsi, come le era accaduto con la poesia Annabel Lee (che aveva riletto più volte, quasi rapita) oppure non riusciva a prendere sonno per paura che qualche fantasma entrasse strusciando le sue vesti e sbattendo le sue catene. 
Tessa non era facilmente impressionabile e non era del tutto colpa dei libri se ultimamente faticava ad addormentarsi. Talvolta le palpebre le si chiudevano docilmente e le permettevano di riposare tranquillamente per un paio di ore ma poi, all'improvviso iniziava a sognare.

Erano incubi ed ogni notte continuavano a "raccontare la stessa storia".
Lei camminava veloce, quasi correva, ma era rallentata dalle lunghe vesti. Sulla fronte imperlata di sudore si appiccicavano ciocche di capelli sfuggite da quella che le sembrava una treccia. Tessa ne sentiva il peso sulla schiena. Davanti a lei solo un corridoio lungo e buio. Ad un certo punto sembrava diventare un tunnel. Il soffitto si abbassava e le pareti si incurvavano, per non parlare del suolo che si faceva fangoso e le impediva di proseguire alla velocità che avrebbe voluto tenere. Tessa, sempre nell'incubo, si sentiva il petto stretto in una morsa. Un maciglio tra le scapole.

Nell'incubo Tessa si ritrovò all'aria aperta, tirò un sospiro di sollievo e riprese fiato.

"Tessa! Ehi c'è qualcuno in casa?" Tessa sbattè un paio di volta le palpebre disturbata dai colpettini che qualcuno le stava dando sulla testa. Si sentiva accaldata e avvolta in un leggero torpore, gli occhi appiccicaticci. 
Si guardò attorno. Era seduta su una delle poltrone della biblioteca. Le gambe incrociate sostenevano il libro che stava leggendo, ormai debolmente teunuto tra le mani di Tessa, abbandonate a loro volta sulle gambe. 
Mi sono addormentata ... scosse leggermente la testa come per scacciare il sonno. Si girò verso il disturbatore.
"Di nuovo sei entrata in biblioteca senza la mia presenza" Scosse platealmente la testa in segno di dissenzo.
Poi aggiunse "Lettura noiosetta?" Will afferrò il libro poggiato sulle gambe di Tessa e, stando bene attento a non perdere il segno, ne lesse il titolo e diede una brave occhiata alla trama.
"Mmm... classico romanzo rosa. Perchè spendi i soldi per questa roba? Sono sicuro che non era qui in biblioteca"
Tessa in tutto questo non aveva ancora parlato e, dopo aver tossito un paio di volte per riprendere la voce, disse flebilmente, troppo stanca per ingaggiare una guerra culturale "Non è affatto noioso ed è piuttosto originale. Comunque non l'ho comprato, me l'ha prestato Clary. Se non ti piacciono i romanzi sentimentali non sei tenuto a leggerli" Si alzò barcollando dalla poltrona e, nel tentativo di rinfilarsi le scarpe da ginnastica, rischiò di cadere se non si fosse aggrappata alla spalla di Will che spaventato dal gesto improvviso, senza grande prontezza di riflessi, saltò in aria.
Tessa non parve accorgersene, assonnata com'era. Riprese il libro dalle mani di Will e, riacquisite tutte le sue facoltà fisiche e mentali, disse "Ho lasciato i libri sul bancone, spero di non essere troppo in ritardo"
"Ti sono piaciuti?"
"Se ti riferisci a Tennyson ... si mi è piaciuto. Le sue poesie vanno oltre le strofe. Alcune sembrano quasi che ti debbano spronare" a Tessa brillarono leggermente gli occhi. Dopo quell'incubo pensare a Non andartene docile era quasi rassicurante.
"Cari siccome i baci ricordati
Dopo la morte, e dolci come i baci
Sognati invan, profondi come amore,
Il primo amore, e folli di rimpianto:
O Morte in Vita, i dì che non son più."
Will recitò Lacrime, vane lacrime senza alcuno sforzo. Guardava dritto negli occhi di Tessa come se sul grigio fossero scritte le parole della poesia. Wil continuava a fissarla e la ragazza iniziò a sentirsi vagamente in imbarazzo.
"Qual'è il tuo libro preferito?" chiese. Non solo per cambiare discorso. Era veramente interessata. Fino a qual momento non sapeva che genere di letture interessassero Will. Era palese che gli piacesse Tennyson, se no, non le avrebbe mai dato il libro e aveva dimostrato poco prima una certa avversione per i sentimentali.

Ci pensò un pò su con lo sguardo perso nel vuoto.
"Marina di Carlos Ruiz Zafon"
"E di che parla?"
Will le si avvicinò un pò. I suoi occhi tutto ad un tratto si erano fatti più scuri, più profondi e l'espressione più seria come se fino ad un secondo prima non avesse sorriso.
"Due ragazzi che vanno in giro per Barcellona e fanno degli incontri non troppo gradevoli. E' difficile da spiegare ma è avvincente."
"E' qui in biblioteca?" Tessa, curiosa come sempre, voleva proprio leggerlo questo romanzo. Will forse si poteva permenttere di giudicare i libri senza leggerli, lei no. Ne aveva troppo rispetto per farlo.
"William Herondale! Cosa ci fai TU qui? Non dovevi andare un attimo in bagno?" A grandi passi pesanti era entrato in biblioteca e ora camminava minaccioso verso Will, un ragazzo che Tessa riconobbe come Gabriel Lightwood.
"Beccato" Will indossò ancora una volta il suo ghigno malefico e un'espressione colpevole allo stesso tempo. Tessa non pensava potesse accedere qualcosa del genere e ne rimase stupefatta. Pensò per un quarto di secondo di provarci anche lei ma venne afferrata per la mano da Will e dovette correre appresso a lui che non accennava nè a mollarla nè a rallentare. Nel frattempo, con tono terribilmente provocatore gridò a Gabriel "Mi dispiace Lightworm ma penso proprio che tu e Morgenstern dovrete finire il lavoro senza di me! Vi ho dedicato anche fin troppo tempo."
Gabriel rispose gridando a sua volta ma Tessa non capì perchè erano già troppo lontani.

Corsero per cinque minuti buoni con una Tessa che non capiva e che cercava di mantenere ferma la presa sul libro per evitare di farlo cadere.
Will si fermò di colpo, rischiando di far sbattere Tessa contro il muro, davanti alla porta che la ragazza riconobbe essere quella della stanza di Jem.
Non bussarono neanche e Will, lasciata la presa sulla sua mano si buttò sul letto mentra la ragazza optò per sedersi sulla poltroncina accanto la porta.
Dal bagno uscì subito Jem che, senza stupirsi granchè, disse "Capisco che tu Will voglia mantenerti in allenamento ma trascinare con te Tessa non ti sembra un pochino troppo?"
Tessa non aveva la forza di rispondere, non era abituata a correre così veloce, e d'altronde non avrebbe saputo che dire. Will invece alzò un pò la testa e guardando Jem parlò come se stesse parlando di un argomento di importanza mondiale."Lightwood mi aveva ritrovato dopo che me l'ero svignata da lui e da tutto il progetto di Branwell. Non l'avrebbe presa con filosofia e non penso che Tessa abbia tutta questa voglia di parlare con un simile babbuino."
Tessa ritrovò il fiato "Perchè lo hai chiamato Lightworm?"
"Perchè è quello che è. Tra l'altro tra il suo quoziente intellettivo e quello di un verme non saprei quale è il più alto."
"Questo si che è vero amore" commentò Tessa. Non sapeva se prendere la cosa sul serio o mettersi a ridere.
Jem scrollò le spalle "Gabriel Lightwood odia Will e Will non ha problemi a ricambiare il sentimento"
Tessa era sempre più curiosa. Chissà perchè due persone dovevano essere così accanite nei confronti dell'altro? Ma non le sembrava il caso di indagare oltre, non si conoscevano così bene da poter pretendere che gli vennisse raccontato tutto!
"Su Tessa, ti riaccompagno in camera. Si è fatto tardi."
Tessa guardò l'orologio. Effettivamente si erano fatte le dieci. Aveva dormito proprio tanto in biblioteca!
"Non ti preoccupare. Posso andare da sola" Ma Jem con il suo sorriso gentile si era già diretto verso la porta e ora la stava aprendo.
"Lo so che puoi ma almeno tu sei di compagnia" e indicò Will dietro di sè che si era addormentato come un bambino, le braccia e i piedi penzoloni dal letto.
Tessa più conosceva Will e più rimaneva stupefatta. Come si faceva a parlare e poi due secondi dopo iniziare a ronfare?
"E tu ora dove dormi?" 
"Nel mio letto ovviamente. Appena rientro gli suonerò all'orecchio l'inno alla gioia. Vedi come si sveglia!"
Tessa sgranò gli occhi "Che cosa suoni?" non ricordava di aver visto pianoforti o altri gandi strumenti in camera di Jem
"Il violino"

I corridoi brulicavano ancora di studenti e qualcuno lanciò ai due delle occhiate curiose. Tessa attribuì la motivazione alle voci che si erano sparse e che Maia le aveva riferito.
"Una, cosa... non c'entra nulla però ... ero curiosa ... ma non so se è il caso"
"Su che c'è?"Jem la guardava come si guardano i bambini delle elementari che fanno domande su tutto. Tessa si sentì arrossire per lì'imbarazzo, ma ormai la frittata era fatta.
"I tuoi capelli ... sono tinti?"
Con un tono ilare e triste, cosa che fece stranire Tessa, Jem rispose "No ... sono così naturalmente. Sai, alcune ... medicine hanno questo effetto. In origine erano neri e anche gli occhi. Ora sono tutto un pò argentato"
"Oh ... mi dispiace non avrei dovuto chiederlo." Tessa non si arrischiò a domandare da che cosa fosse affetto.
"Non ti preoccupare. Preferisco la pura innocenza e curiosità che la maledicenza"
"Non vedo come la gente potrebbe avere da ridire sul tuo conto!"
"Come scusa?"
Tessa non sapeva ne l'origine della malattia di Jem, nè cosa comportasse e nemmeno cosa dicesse la gente su di lui ma niente e nessuno l'avrebba mai convinta che c'era qualcosa di malvagio da dire su Jem.
"Non ti conosco bene. Anzi, non ti conosco per nulla ma sei sempre gentile, con tutti. Non ti ho mai sentito dire una parola inopportuna nè trattare gli altri senza rispetto. E poi sopporti Will, cosa che non mi sembra molto facile. Degna di un santo, direi".
Riuscì strappare un sorriso a Jem. Ormai erano davanti alla porta della camera di Tessa.
"Beh, buonanotte!"
"Wan an"
"Che hai detto?" 
"Buonanotte, in cinese" 
"Ah sei cinese! Ecco perchè hai gli occhi leggermente a mandorla! Quasi non si nota" Tessa era quasi compiaciuta per la sua perspicacità ...
"Mia madre lo era" fece un largo sorriso e ritornò sui suoi passi.

Angolino dell'autrice: Si lo so, la cosa sta andando molto sul Jessa invece che sul Wessa, coppia che io preferisco e non so nemmeno io perchè sto scrivendo così questi capitoli... Spero vi sia piaciuta questo inizio di amicizia tra Tessa e Jem :) 
Will lo sto facendo un pò superficiale lo so ma se ci penso bene anche la cara Cassie, almeno ne L'Angelo, non gli fa provare tutti questi sentimenti profondi, almeono ... non li fa trasparire. Non fatevi ingannare dalle apparenze dunque, perchè non so nemmeno io come finirà questa storia. Giuro che non ne ho idea. 
Mi scuso per aver pubblicato questo capitolo dopo un pò di giorni ma avevo perso l'ispirazione e solo oggi, grazie a Catching Fire *.* l'ho ritrovata.
Eh si gente, ho visto la Ragazza di Fuoco proprio ieri, al primo spettacolo :D Ho mangiato tante zollette di zucchero e mi sono caricata di adrenalina ben benino! Ops ... pardon qui siamo su Shadowhunters ... se non conoscete Hunger Games ... LEGGETELO ORA SUBITO IMMEDIATAMENTE!!!
Torniamo alla storia.
Ho parlato di due poesie di Tennyson, Lacrime, vane lacrime e Non andartene docile. Esistono veramente si, e il verso che recita Will è l'ultima parte di Lacrime.
Anche la Chiave del Tempo e Marina sono libri realmente esistenti. Molto belli tutti e due. Ve li consiglio :)) E no La Chiave del Tempo non è uno stupido romanzetto rosa è ispirato a Romeo e Giulietta e si sviluppa contemporaneamente in due periodi molto diversi
Dopo questo sproloquio mi dileguo :))

 

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Capitolo 16
*** Ferite e routine ***


Capitolo 14: Ferite e routine

Sophie Collins stava facendo le pulizie. 
Si era già occupata del piano dormitoi il venerdì precedente, la mensa era stata appena pulita da cima a fondo e ora era appena entrata nella biblioteca vuota, che così sarebbe stata fino al pomeriggio successivo perchè Will non poteva occuparsene per cause di forza maggiore.

Controllò l'orologio: erano le tre e venti. Non sarebbe riuscita mai a farcela se non entro il mattino dopo, pensava scoraggiata.
Ma Sophie era una giovane donna cocciuta e mai si sarebbe fatta sconfiggere da una stupida, sebbene acculturata stanza.
Impugnò la scopa, il mocio e il sechio pieno d'acqua con la fierezza con cui un samurai avrebbe brandito le sue katane e varcò a grandi passi la soglia, leggermente impacciata dalle pezze che le cadevano dalle braccia stracariche di detersivi e deodoranti.

Mentre spolverava e passava lo straccio e lucidava i tavoli di mogano Sophie ringraziò il Cielo ringraziò di non essere una di quelle serve dell'Ottocento che dovevano svolgere i suoi stessi compiti ma con vestiti lunghi e larghi che intralciavano i movimenti più facili. Sophie invece poteva tranquillamente arrampicarsi sulle scalette mobili di quella bioblioteca per raggiungere gli scaffali più alti stando comoda nei suoi pantaloni di tuta neri e nella sua maglietta a mezze maniche, per non parlare delle sue morbidissime scarpe da ginnastica! 

Finì di pulire la biblioteca. Controllò l'orologio: le sei meno un quarto ... Strepitoso!
Sophie stava quasi per mettersi a fischiettare quando incontrò il suo riflesso nello specchio. Ritornò seria vedendo il suo viso giovane e deturpato. Ogni volta che scorgeva il lato sinistro del suo volto, un moto di rabbia le opprimeva il petto e desiderava scatenare la sua rabbia contro chi le aveva inferto quella ferita. Contro chi le aveva procurato quello sfregio lungo la guancia sinistra. Ma non se ne vergognava, non tentava nemmeno di coprirsela con i capelli castani che portava sempre legati in una coda alta.
Scosse la testa liberandosi da quei pensieri e si diresse verso l'aula-studio da cui provenivano delle voci cariche di disperazione.
"Basta! Io non ce la faccio più! Ci rinuncio, Branwell può anche bocciarmi se crede ma io non starò qui un minuto di più!" Sophie si affacciò cautamente e riconobbe che a parlare era Jace Wayland che, alzatosi dalla sedia, agitava le mani sopra la testa quasi fosse in preda agli spasmi. 
"Dai Jace manca poco! Pochissimo. Scommetto che in un'ora ce la potremmo fare!" Simon Lewis. Li conosceva tutti e due, non che ci avesse mai parlato, chiaro, ma erano due "sagome" e lei non poteva fare a meno di osservarli qualche volta. Qualche risata ogni tanto ci voleva! 
In quel momento anche Simon si alzò scagliando sul tavolo il cacciavite che lo rigò leggermente.
"Signorino Lewis!" Sophie si avvicinò con fare autoritario "i vostri insuccessi scolastici non le permettono di manomettere i mobili!" Sophie era facile all'ira quando si toccavano mobili e igene.
Simon alzò le mani quasi a discolparsi "Sophie scusa ma io non ce la faccio più!" 
Sophie fu quasi presa da un moto di compassione ma non toccava a lei occuparsi di quella faccenda così riprese con i suoi lavori.

Durante la mezz’oretta dedicata alla pulizia dell’aula-studio seppe che la ragazza che stava con Simon e Jace si chiamava Tessa, o almeno così la chiamavano i due!  Era la ragazza iscrittasi quell’anno all’Istituto, ecco perché non le era mai capitato di vederla. Le fece veramente una buona impressione. Pur essendo americana non era per niente sguaiata, o invadente, al contrario parlava con calma e discrezione senza però risultare odiosa.

Sophie uscì soddisfatta dall’aula studio alle sei e mezza precise così decise di riporre gli attrezzi, andarsi a dare una ripulita e poi andare a dare una mano alla signorina Fairchild alle sette e un quarto, come ogni giorno faceva, per mettere un po’ a posto e per qualche chiacchierata tra donne che mai faceva male.

La sua stanza era situata al quarto piano, dove c’erano gli appartamenti di tutti gli altri professori e di Charlotte stessa.
Non era molto grande ma le bastava e le piaceva. Aveva la sua camera da letto, il suo bagno e la sua cucina-soggiorno personali, cos’altro poteva desiderare?
Si  concesse un bagno caldo e rilassante per distendere i muscoli affaticati e poi, dopo essersi appisolata per un paio di minuti, decise che sarebbe stato opportuno darsi una mossa e andare immediatamente dalla signorina Fairchild.
Indossò un maglione beige morbidissimo, dei jeans e gli stivaletti neri. Si guardò allo speccio per raccogliersi i capelli in un’ordinata coda di cavallo e poi uscì.

Sophie non amava la routine, anzi le piaceva mettersi in gioco sfidandosi a fare cose nuove, ma allo stesso tempo la trovava confortante in confronto alla realtà che aveva conosciuto pochi anni prima. 
Con un sorriso soddisfatto si chiuse la porta alle spalle.

Angolino dell'autice: Ecco qui introdotto un nuovo personaggio :D Personalmente Sophie è un personaggio che stimo molto, e non solo perchè porta il mio stesso nome u.u Cassie (io chiamo Cassandra Clare Cassie, si lo so sono una pazza ma comprendetemi! Ogni volta che devo insultarla viene complicato dire Cassandra Clare u.u) non si sofferma poi tanto sui suoi pensieri. Certo delinea alcune sfaccettature del suo carattere, ma molte altre rimangono un mistero e quindi è possibile che la descriverò in modo un pò "autobiografico" essendo più facile immedesimarmi in lei che in Tessa per me ^^ (Mi dispiace ammetterlo ma non sono forte quanto Tessa, sigh ... per il resto siamo proprio gemelline XD)
Okaaaay diamo un taglio a questo sproloquio! Se volete darmi delle dritte per il carattere di Sophie, WELCOME! Se no ... Welcome lo stesso ^^ Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ah se vi chiederete "E Gideon dove l'hai ficcato?" Io risponderò "E' ancpra in Spagna" mi dispiace ma prolungherà ancora un pò il suo soggiorno nella penisola iberica anche se io stessa vorrei che ritornasse al più presto XD

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Capitolo 17
*** Insonnia ***


Capitolo 16: Insonnia

SI SI DO RE RE DO SI LA SOL SOL LA SI SI LA LA SI SI SI DO RE RE DO SI  LA SOL SOL LA SI LA SOL SOL LA LA SI SOL LA SI DO SI SOL LA SI DO SI SOL SOL LA RE RE SI SI DO RE RE DO SI LA SOL SOL LA SI ...

Will scattò a sedere come se il cuscino si fosse trasformato in una molla.
Jem imperterrito, nonostante si fosse svegliato, continuava a suonare come un ossesso proprio accanto al suo orecchio e Will in un moto di rabbia ringhiò "Maledetto bastardo!!"
Jem non smise, anzi, come in risposta all'insulto, prese a suonare più velocemente.
"E va bene va bene! Sgombero la tua stanza!" Will si sentiva stanco e la testa gli girava ... come succede a tutti quanti quando si viene svegliati da un sonno profondo all'improvviso. Una volta in piedi cercò di stabilizzarsi, cosa che non gli richiese molto sforzo, si diresse verso la porta e la aprì. Purtroppo non centrò il varco della porta e sbattè la testa all'altezza del naso con molta forza.
Jem aveva smesso di suonare.
"Stai bene?"
"No ... si ... ho sonno. Posso dormire qui?"
Jem scosse la testa rassegnato "Direi quasi che lo hai fatto apposta. E va bene William, puoi dormire nel mio letto ma prima ti devi lavare perchè non ho intenzione di disturbare Sophie domattina per farle lavare le MIE lenzuala sporche del TUO sangue!"
Will si toccò il naso e ne seguì la linea dritta fino alle narici, poi esaminò la mano. Sangue. Nemmeno se ne era accorto.
"Grazie James" sorrise vittorioso come avrebbe fatto un bambino che ha appena ottenuto un giocattolo nuovo.

Will si era addormentato di nuovo e Jem era rimasto privo di un giaciglio ... non che gli importasse davvero. Non sarebbe riuscito a dormire comunque. Non si sentiva troppo bene e sapeva che riposarsi lo avrebbe reso ancora più debole.
Nella penombra della stanza si diresse verso il luccichio che proveniva dal comò. 
Le mani si mossero decise verso la scatola argentata, l'origine del luccichio. Iniziò a tremare. Dentro di sè sapeva di doverla aprire. Sapeva che avrebbe dovuto prendere un pò del contenuto, scioglierlo in acqua e poi bere. Lo faceva da quattro anni ma ancora provava repulsione per quei gesti. 
Tossì piano per non svegliare Will. Odiava quando tutti cercavano di aiutarlo nonostante sapesse che Will era diverso, che Will non gli stava accanto per compassione. 
Quando allontanò la mano dalla bocca vide che il palmo era schizzato di sangue. Poco male, pensò aggrappandosi al comò, non era stato un forte attacco, ma quel giorno non aveva preso la medicina e se Will lo avesse scoperto lo avrebbe ucciso con le sue mani. 
Ritornò a guardare la scatolina. Era di legno scuro e le estremità erano orlati di vero argento. Sul coperchio era dipinto il busto di una donna. Era affascinante con i suoi tratti cinesi caratteristici. Mamma ... Era davvero una bella donna. Nulla di strano che suo padre due mesi dopo averla conosciuta a Shangai se ne fosse innamorato e l'avesse sposata. Quella storia sua madre gliela aveva raccontata un sacco di volte, nonostante le proteste del padre che si sentiva fortemente in imbarazzo. 
Quella scatola era l'unica cosa uscita sana dall'incendio ... di sicuro ne era uscita meglio di lui. La scatola si era solo bruciacchiata leggermente in alcuni punti, ma Jem una volta ripresosi dallo shock di aver perso i suo genitori all'improvviso e insieme, era riuscito a sistemarla. 
Si riempì un bicchiere d'acqua e vi sciolse la polvere. Bevve.
Alzò lo sguardo verso l'orologio appeso alla parete. Le due. 
Aprì la porta della camera e se la richiuse alle spalle.

L'aria di Dicembre lo colpì con tutta la sua forza. Faceva freddo e lui indossava solo una felpa di pail. Nonostante ciò continuò a passeggiare per il parco artificiale che si trovava sul retro dell'istituto. Tutto intorno a lui era immobile. Il vento del pomeriggio si era placato e ora gli alberi proiettavano sul prato e sui viottoli di ciottoli strane forme ... quella della quercia sembrava una vecchia casa abbandonata con un comignolo diroccato, quella dell'olmo un uomo in agguato e quella del salice due amanti sdraiati tranquilli e abbracciati.
Quasi arrossì a quel pensiero, pur essendo solo.
Più in là vedeva la luce proiettata da un basso lampione seminascosto da una gran quantità di pini. Sapeva che sotto quel lampione c'era una panchina. Stava per cambiare strada e andare verso il laghetto delle anatre quando sentì provenire dalla zona illuminata dei rumori. 
Incuriosito Jem si avvicinò silenziosamente, guidato dal suono. 
Attraverso i fini tronchi dei pini vide chiaramente Charlotte Branwell.
Era tutta rannicchiata su sè stessa. Le gambe strette al petto e la testa china sul cellulare.
Così da vicino Jem potè capire meglio i borbottii di Charlotte.
"Maledizione Woolsey, non ho nulla di nuovo da raccontarti ora come non ce l'avevo venti minuti fa!" Sembrava leggermente esasperata, considerazione che venne confermata dalle sue azioni. La donna scagliò il cellulare tra gli alberi, proprio dove stava Jem. Per fortuna non lo prese, infatti il BlackBerry atterrò proprio ai piedi del ragazzo. Lo prese e si sedette accanto a Charlotte, che saltò leggermentein aria.
"Non ti avevo visto Jem! Scusa, ho rischiato di colpirti" prese il cellulare che Jem le stava porgendo.
"Che hai Charlotte?" Jem si poteva permettere questa confidenza sia con lei che con Henry, a patto che non influenzasse la carriera scolastica. Charlotte lo aveva preso in custodia subito dopo la morte dei suoi genitori e gli aveva evitato l'orfanotrofio. Non poteva non amarla per questo. Grazie a lei, aveva potuto avere una sorta di nuova famiglia.
"Nulla di cui ti debba preoccupare ... grazie comunque" e fece un sorriso mesto. Digitò qualche parola e inviò il messaggio.
"Come vuoi ..."
Charlotte parve riscuotersi "Jem! Cosa ci fai a quest'ora fuori dalla tua stanza e per di più vestito così leggero?" 
Ecco che ricominciava a fare la mamma ...
"Potrei farti la stessa domanda, signorina preside. Non ci dai un buon esempio stando qui fuori nel parco, sola, a messaggiare con il tuo spasimante" Jem scosse la testa con disapprovazione.
A Charlotte scappò una risata leggermente isterica, ma sommessa. "Si vede così tanto?"
"Abbastanza ... perchè non lo molli se poi ti dà sui nervi?"
"Non è che mi irriti ... mi piace davvero! E' solo che ... non vorrei che fosse un pò troppo possessivo ... Insomma! Mi ha riportato qui solo mezz'ora fa e già mi chiede che faccio!"
"Potevi evitare di rispondere e domani mattina dirgli che stavi dormendo, no?"
"Non è credibile che io sia sprofondata in un sonno profondo dopo appena mezz'ora!"
"Mi dispiace ma per quanto mi piacerebbe aiutarti credo proprio di non poter fare nulla. Altri sono gli esperti in queste faccende."
"Ah si? E a chi dovrei chiedere? A Will?" ironizzò Charlotte. 
Jem parve rifletterci sul serio ... "Non credo che accetterebbe una consulenza ... ma suppongo che dipenda dalla situazione ..."
"James Carstairs, se parlerai di questa cosa a qualcuno ti faccio bocciare e ti farò espellere da questo istituto!" replicò con tono imperioso Charlotte, indossando nuovamente i panni dell'insegnante.
"Allora vado, professoressa."

Angolino dell'autrice: Da cosa cominciare? 
Ah si! La scatola della medicina! Non ricordavo che dea vi fosse disegnata sopra e non ho avuto la forza di andare a cercare la descrizione tra i libri, se non potevo dire anche addio alla scrittura del capitolo XD Penso sia abbastanza credibile però la cosa che ho inventato. Per quanto riguarda il retroscena di Jem e la sua malattia verrà approfondita più avanti ... Spero di non avervi deluso inserendo anche questa parte nella mia ff ... penso ci voglia un pò di serità e ho voglia di scrivere anche di questo ... 
Poi ... quelle all'inizio sono le note dell'Inno alla Gioia di Bethoven che Jem aveva detto avrebbe usato per svegliare Will. Si ero seria quando l'ho scritto e Jem mi ha detto che era d'accordo a compiere questa cattiveria e a beccarsi così degli insulti u.u
Spero vi sia piaciuto il capitolo e questo abbozzo della personalità di Jem, alla prossima! :)
P.S. Prevengo una vostra domanda: Ma in sta scuolasoffrono tutti di insonnia o hanno tutti problemi? E io vi risponderò ... SI! Perfino Church è impelagato in questioni di cuore, povero micio :'( Ma di questo si parlerà prossimamente ;)

 

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Capitolo 18
*** Voti e preparativi ***


Capitolo 17: Voti e preparativi

"Allora ragazzi, ho valutato attentamente i vostri lavori. Li ho esaminati scrupolosamente negli ultimi due giorni. Direi che il migliore è quello del gruppo 1 che era formato da ..." Henry consultò velocemente la sua agenda, sfogliando le pagine freneticamente, poi trovò il paragrafo che stava cercando e, imponendo sopra la carta il suo indice, con aria vittoriosa, continuò "Alexander Lightwood, Helen Blackthorn e Aline Penhallow! Davvero un bel lavoro!" Gli occhi del professore luccicavano di commozione. Non poteva credere che tre dei suoi alunni fossero riusciti a riprodurre così bene il modellino della bomba atomica.
La classe fu tutto uno sbuffo mentre Alec, Helen e Aline sembravano molto compiaciuti del loro lavoro. 
"Ora mi sembra il caso di comunicarvi i voti che ho assegnato a ciascuno di voi. Al gruppo uno ho messo una A, ovviamente." Henry continuava a guardare la sua agenda strabordante di foglietti e pezzetti di carta.
"Al gruppo due, che era composto da Jonathan Christopher Wayland, Theresa Gray e Simon Lewis ho dato una C-" Tessa si sentì a mancare, aveva voglia di mettersi a urlare. Dopo tutta quella faticaccia una schifosissima C-! Non era l'unica a pensarlo in questo modo evidentemente, perchè anche Simon protestò. Si era messo in piedi e ora fissava Branwell e il suo tono era più acuto del normale, quando parlò. "Professore! Non può darci C-! No-non è giusto! Ci abbiamo speso due intere giornate per farlo!"
"La prego, ci metta almeno un C piena, la prego professore!" Tessa alla fine si era decisa a dar manforte a Simon. Con la coda dell'occhio vide che Jace se ne stava infischiando altamente di quello che stava succedendo e si guardava le unghie con molta nonchalance ...
Henry però non cedette "Mi dispiace ragazzi ma sul serio, non posso mettervi di più. Non dico che sia fatto male ma ... è molto generale come modellino, manca di particolari ..." Branwell sembrava dispiaciuto veramente. Quella era una guerra persa in partenza.
"Va bene professore" Simon e Tessa avevano risposto contemporaneamente con un tono sconsolato e uno sguardo da cane bastonato.
Henry era stato preso dall'imbarazzo per quel brutto voto ma ... che poteva farci? Passò a leggere i voti degli altri.
Gruppo 3 (Will, Gabriel e Jonathan Morgenstern) E.
Gruppo 4 (Emma Carstairs, Tatiana Lightwood e Julian Blackthorn) B+.
Gruppo 5 (Clary, Jessamine Lovelace e Raphael Santiago) A-.
Gruppo 6 (Isabelle Lightwood, Sebastian Verlac e Cyril Tanner) C+.

Al suono della campanella tutti gli studenti tranne quelli del gruppo uno, quattro e cinque, uscirono dalla classe con una faccia da funerale. Non contando Jace, che semplicemente aveva dato la colpa del fallimento a Simon.
Tessa per calmare le acque aveva detto "Dai, non siamo stati i peggiori ... Insomma, c'è stata una E ..." Sapeva che non era molto carino da dire ma in fondo era vero.
"Penso che piazzerò una bomba davanti la porta di Branwell, e non sarà uno stupido modellino!" Simon era nuovamente irritato. Tessa non trovò difficile capirne il motivo. Si era aspettato un voto più alto, come lei del resto.
"Che idea geniale! Così salta in aria tutto l'istituto! Che bravo Lewis ..." Jace sembrava distaccato. Aveva gli occhi fissi su un punto indefinito del corridoio.
"Va bene ragazzi, io ora vado" Tessa salutò lievemente con la mano i due e si allontanò per raggiungere la classe di scrittura creativa.

La professoressa Penwell era una brava insegnante. Era dotata di grande pazienza e cercava di aiutare tutti nella stesura di temi di vario genere. Tessa la adorava, era la sua insegnante preferita. Fino all’ora prima quel posto era stato riservato a Branwell, anche se odiava le sue materie le stava simpaticissimo e tutto sommato il suo metodo la rilassava e durante le sue lezioni si sentiva a proprio agio, ma dopo quella C- … probabilmente non lo avrebbe mai perdonato!
La Penwell era chinata sul banco di Jordan Kyle e gli stava dicendo qualcosa a proposito della sua storia.
“Jordan … caro Jordan, io ti avevo chiesto un racconto realistico. Il che significa che doveva trattare di tematiche reali, ad esempio il razzismo, la violenza ...”
“Professoressa, ho parlato dell’opera di recupero di persone in difficoltà!” Jordan era serissimo ma sembrava anche sorpreso delle repliche della professoressa.
“Non dubito della validità di questo argomento ma … non puoi parlarmi di giovani vampiri e lupi mannari in difficoltà! Non esistono, e quindi il tuo racconto diventa paranormale non realistico!”
“Come vuole lei, prof. Lo riscriverò” Jordan si passò la mano olivastra tra i capelli castani, scompigliandoseli, e chiuse per un secondo gli occhi nocciola, quasi volesse estraniarsi dall’ambiente circostante.
Tessa intanto seguiva il percorso dell’insegnante nel suo tailleur blu, la quale girava tra i banchi per aiutare chi avesse problemi nel capire gli errori commessi nel compito che avevano consegnato solo il giorno prima ma che erano stati prontamente corretti nel pomeriggio.
La Penwell ora stava davanti a Will. Era incredibile, ma lui e Tessa frequentavano praticamente gli stessi corsi e negli stessi orari. Non seguivano insieme solo francese e filosofia, in compenso c’era Jem.

Una volta Tessa aveva chiesto a Jem che materie studiasse, dato che non erano quasi mai insieme in classe. Jem le aveva rivelato che ne seguiva molte, ma andava di più a quelle per il quarto anno, dato che nei due anni precedenti aveva seguito quasi tutte le lezioni di moltissime materie. Tessa era rimasta scioccata, non pensava si potesse fare e poi … se Jem era praticamente un anno avanti, non poteva trattarsi che di un genio!

“Ottimo lavoro William. E’ molto profondo il tuo racconto. Ti chiederei di leggerlo alla classe-"
Will non le fece finire la frase.
“No.”
L’aveva detto con una tale secchezza e tono incolore che tutti i presenti, insegnante compresa, si erano irrigiditi. Dopo qualche momento la Penwell si riscosse e, sorridendo, aveva detto che non c’era problema ed era passata avanti.
Tessa guardò di sbieco il suo testo. Faceva schifo. Lo trovava vuoto, privo di sentimenti sensati. Aveva raccontato la storia di un ragazzo che si ritrova in un paese straniero. Solo, senza nessuno a cui importasse di lui. Ovviamente si era ispirata a sé stessa e aveva riversato sulla carta centinaia di parole dettate dall’oppressione e dalla tristezza. Aveva ancora voglia di fuggire da Londra e tornare a New York. Era là la sua vita. Central Park era il suo nascondiglio e lo Starbucks dell’Empire il suo caldo focolare. Per non parlare dell’appartamentino dove viveva, nei pressi di China Town.

“Theresa, hai qualche problema?” La Penwell le si era avvicinata.
Tessa sollevò il capo per guardarla e incontrò i suoi occhi verdi dietro le lenti degli occhiali firmati Armani.
“No professoressa, assolutamente.”
“Devo dire che il tuo testo mi ha proprio sorpresa-"
“Si lo so, non è un granchè però posso riscriverlo! Per favore non mi metta una C! Per oggi ne ho avute troppe!!”
Il volto dell’insegnate si schiuse in un sorriso genuino e affettuoso.
“Ma cosa stai dicendo! Va benissimo il tuo racconto. Stavo appunto dicendo che mi ha sorpreso … in senso positivo. Fai buon uso di aggettivi, non esageri ma neanche ti astieni dall’usarli, e poi la tua punteggiatura è perfetta. Brava!” Detto questo si allontanò.

Quattro ore più tardi …

Maia continuava a sottolineare la stupidità delle feste scolastiche mentre, accompagnata da Tessa, girava per i negozi del centro.
“Io non capisco proprio perché l’istituto deve organizzare delle feste simili! E’ una tradizione, dicono. Andassero a quel paese loro e la tradizione pure! Perché no, la festa non deve avere come invitati solo gli studenti, che tra l’altro si vedono OGNI SANTO GIORNO no … c’è tutta la comunità inglese, c’è tutta la buona società! O almeno così dicono!” A Tessa girava vorticosamente la testa per cercare di afferrare le informazioni che Maia continuava a buttare fuori. Presto apprese che la London Institute era la più importante tra una serie di Istituti della Gran Bretagna. C’era una sorta di “capo supremo”, che si occupava delle faccende più importanti, ma in realtà era solo di rappresentanza … Poi però per ovvie ragioni era ricco sfondato. Chissà perché …

In pratica c’era un “Institute” nei centri più grandi del mondo. Erano collegate a livello internazionale, ma gli eventi erano organizzati in scale nazionale. La festa di Natale era la più importante di tutte e Londra aveva il compito di accogliere tutti gli studenti e il collegio docenti dell’intera Gran Bretagna all’evento.

Tessa si ritrovò stranita al pensiero dell’enorme istituto che le faceva da casa da quattro mesi, pieno di gente. Perché effettivamente quella scuola era frequentata da una stretta cerchia di persone. Tessa pensò che a occhio e croce gli studenti della London Institute dovevano essere centocinquanta.

“E poi” Maia continuava tranquillamente a parlare, senza curarsi se Tessa la stesse effettivamente ascoltando “Questa scemenza dei vestiti eleganti … Ti rendi conto che non mi farebbero entrare se mi mettessi in jeans??”
Tessa si immobilizzò, la mano che fino ad un momento prima stava accarezzando la seta morbida di un vestito lungo color glicine, si bloccò a mezz’aria.
“Cosa hai detto?” Il tono spaventato.
“Che non mi farebbero entrare con i jeans, perché?” Maia stava guardando distrattamente i vestiti appesi alle grucce.
“No, intendo … cosa hai detto prima?”
“Che ti devi vestire elegante. Vogliono il vestito. Lungo o corto, non importa. Mentre per i ragazzi ci vuole lo smoking.
“Ma io non ho un vestito …” Tutto l’entusiasmo che fino ad un momento prima Tessa provava al pensiero di una festa sfumò.
“Sveglia ragazza” Maia le schioccò le dita davanti agli occhi “Secondo te perché siamo qui?!”
“Ma io pensavo che TU volessi qualcosa di nuovo per la festa, non credevo fosse una necessità … necessaria, ecco!”
“Se non vuoi partecipare fa niente … Anche io passerei volentieri ma Jordan ci tiene tanto.”
Tessa fece un veloce calcolo mentale. Dei soldi che Nate le aveva dato non aveva speso nemmeno un centesimo. Possedeva circa duecento sterline, considerando anche i soldi che si era portata da New York e che aveva cambiato alla dogana. Un vestito le sarebbe costato più o meno ottanta sterline …
“Mmm … non c’è un posto dove i vestiti costano intorno alle ottanta sterline?”
Maia ci pensò un po’ su “Si certo, qui vicino è pieno di negozi. Ci sono posti in cui hanno roba carina e a prezzi più bassi, Tra l’altro ora ci sono gli sconti quindi …” Diede un’ultima occhiata al vestito che teneva in mano. Guardò l’etichetta. £123,00. Rimise al suo posto la gruccia.
“Al diavolo, andiamo!” Afferrò Tessa per il braccio e uscirono da Prada.

Altre quattro ore più tardi …

Tessa si richiuse la porta della stanza alle spalle. Gettò i pacchetti accanto al muro e si lasciò cadere a terra, la schiena contro la porta. Prese a fissarsi i piedi, o meglio gli stivaletti neri che ancora non aveva tolto. Era esausta. Maia l’aveva fatta girare un sacco. Diceva tanto che odiava lo shopping ma intanto appena vedeva qualcosa che trovava “accettabile” si fiondava nel negozio … Alla fine tutte e due avevano trovato qualcosa da poter mettere il 24 sera. Tessa avrebbe voluto passare quel giorno con Nate, ma lui l’aveva già informata che sarebbe stato via per lavoro.

Accompagnerò Mortmain in un viaggio d’affari in Cina! Il 24 sera ti arriverà di sicuro un pacchetto!”

Così le aveva scritto nell’ultima lettera …
Ora però si ritrovava compiaciuta con accanto un pacco che conteneva un meraviglioso vestito che le era costato appena quaranta sterline!

 Si e a chi lo mostrerai? Maia starà tutto il tempo con Jordan e tu passerai la serata in un angolino buio …

Facendo un ultimo sforzo, si alzò in piedi e si diresse in mensa per la cena.

Angolino dell'autrice: Per chi si è preoccupato della mia assenza: No! Non sono morta :) E' solo che la scuola è ricominciata e sono nuovamente sommersa dai compiti, sigh ... Per chi credeva di essersi finalmente liberato di me: Vi piacisse! Okay siciliano a parte parliamo del capitolo ... Mi ci sonovoluti due giorni per scriverlo perchè non ho avuto molto tempo ... Mi dispiace se questi ultimi capitolo arrivano con meno frequenza e sono un pò noiosetti, soprattutto questo, in cui non succede praticamente nulla. Mi sono divertita però a navigare tra milioni e milioni di collezioni autunno-inverno 2013. Già! La vostra scrittrice si è immersa nel mondo della moda, della quale non gliene frega niente u.u, per darvi una descrizione dettagliata dei vestiti della festa di Natale. Ne ho presi un pò in considerazione ... preferireste un lungo o un corto per Tessa?? Io sarei per un corto perchè ne ho trovati due ... *.* 
Okay, diamoci un taglio ...
La professoressa Penwell l'ho totalmente inventata. Il cognome l'ho "costruito" grazie al Codex degli Shadowhunters uscito da pochissimo. Sto diventando una vera esperta del mondo dei Nascosti e dei Nephilim :P Comunque Pen sta per penna, il che mi sembrava giusto per una professoressa di scrittura creativa, e well significa pozzo... Mi piace come suona :)  
A presto!

 

 

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Capitolo 19
*** Finalmente del riposo ***


Capitolo 18: Finalmente del riposo

“Ragazzi, cercate di riposarvi in questi giorni e godetevi questa ben meritata pausa e anche la festa di Natale, sempre che non torniate a casa ovvio.” Con queste parole la professoressa Penwell aveva concluso la sua lezione. L’ultima lezione prima delle vacanze di Natale.

La campanella trillò e Tessa si concesse di tirare un sospiro di sollievo. Avrebbe potuto dormire … e leggere …  Ah che meraviglia!

Tessa raggiunse Will alla porta dell’aula. Era già da un paio di giorni che il ragazzo le rivolgeva la parola regolarmente. Parlavano più che altro di libri e non mancava mai di farla ridere di cuore. Sapeva essere molto divertente, Tessa doveva ammetterlo, e aveva finito per mettere  in un cantuccio l’orgoglio che le urlava di allontanarlo per il comportamento che le aveva riservato i primi giorni.

Ha gli occhi coperti da ciuffi di capelli troppo lunghi, notò Tessa.
“Dovresti tagliarli”e indicò i capelli. Tessa diceva sempre quello che pensava. Non riusciva mai a frenare le parole, che maledetto difetto!
“Cos’è,non ti piace come mi stanno così? Non mi danno l’aria del bello e dannato? Pensavo che alle ragazze piacesse. Oh mio Dio, sono rimasto indietro con la moda!” Will scosse platealmente la testa, in modo che i capelli andassero a nascondere ulteriormente gli occhi. Aveva sempre quel modo di fare piuttosto teatrale, non era mai genuino e sembrava misurare le parole anche quando parlava di cibo, il che accadeva piuttosto di frequente.
“L’unica impressione che mi viene in mente guardandoti con questi capelli è che tu sia cieco”.
“Come Mr Rochester . Non ti piace Mr Rochester? Non lo trovi affascinante? Tipico personaggio di Jane Austen”
“Punto primo: Mr Rochester è un personaggio di Charlotte Bronte in Jane Eyre. Non di Jane Austen”
“Che differenza vuoi che fac-”
“Punto secondo: no. Non lo trovo affascinante. Tratta Jane come se fosse un oggetto, come se non provasse emozioni. Non capisce che si sente tradita per il fatto che lui era ancora sposato quando chiede la sua mano”
Tessa avrebbe anche continuato a elencare le ragioni per cui Mr Rochester non era all’altezza di Mr Darcy o Mr Knightly ma Will la fermò.
“Calma,calma. Ho capito, non commetterò mai più questi errori. Ma …  Dov’è la persona che parla? E’ soltanto una voce? Oh, non posso vedere, ma devo sentire, o mi si fermerà il cuore e mi scoppierà il cervello. Chiunque tu sia, qualsiasi cosa tu sia, lasciati toccare, o non potrò più vivere!  Queste parole bastano per farti apprezzare Rochester?” Ancora una volta Will l’aveva stupita. Come faceva a ricordare ogni singola parola di ogni romanzo che leggeva? Tessa ci riusciva solo con i libri che leggeva più volte o che comunque apprezzava maggiormente.
“Io lo apprezzo, ma bisogna essere sinceri nei rapporti di quel genere. Bisognerebbe …” Tessa sospirò pensando al suo ideale di uomo perfetto “dirsi tutto, ecco … le cose importanti.”
“Non sempre la sincerità è una buona cosa. A volte può fare più danni quella di una piccola bugia detta a fin di bene”. Will aveva continuato a camminare normalmente ma le parole erano state dette in modo più serio rispetto a qualche secondo prima.
“Suppongo dipenda dalle situazioni”
“Tutto dipende dalle situazioni …” Aggiunse Will meditabondo. Poi parve riscuotersi.
“Ci vai alla festa, il 24?”
Tessa si ritrovò leggermente confusa per quel repentino cambio di discorso, ma decise di adeguarsi.
“Si ci sarò per forza. L’alternativa sarebbe stare in camera per tutta la serata, dato che non c’è Nate”
“Nate?” Will sollevò un sopracciglio.
“Si, Nate. Mio fratello”
Tessa non ci avrebbe messo la mano sul fuoco, ma le parve che il ragazzo si fosse un po’ sollevato a quella dichiarazione.
“Ah, capisco.  E hai già un accompagnatore?” Tessa si era distratta osservando le decorazioni natalizie che invadevano i corridoi e, come poteva notare dalle finestre ad arco, il cortile e il parco, i cui pini erano stati addobbati con palline, luci e fiocchetti.
“Scusa, cosa hai detto?”
“Nulla, non importa. Beh io vado, Jem mi aspetta” Con il pollice indicò il corridoio che portava alla stanza di Jem.

Tessa proseguì per la sua strada fino a ritrovarsi davanti alla porta della sua stanza. Fu stupita nel trovarvi davanti Thomas.
Non lo aveva praticamente più visto dalla prima sera che avevano passato insieme e quasi si era dimenticata della conclusione di quella serata. Quando Thomas la vide alzò una mano a mo’ di saluto e le guance gli si imporporarono lievemente.
Quando Tessa gli fu abbastanza vicina lo salutò normalmente e con cordialità.
Thomas però, senza perdersi in tante cerimonie andò dritto al punto.
“Ti volevo chiedere se andavi con qualcuno alla festa perché se eri sola … mi chiedevo se volessi venire con me”. Tessa prima si sorprese, poi si compiacque e infine rispose, accompagnando le parole con un sorriso.
“Si, per me è ok”
“Oh!” Sembrava che Thomas avesse trattenuto il fiato per tutto quel tempo e si rilassò, permettendo alle labbra di incurvarsi verso l’alto.
“Credevo mi avresti detto di no. Sai, per l’ultima volta … io avrei dovuto farmi sentire prima”
Tessa fece un gesto con la mano che stava a significare di lasciar perdere. Ormai è acqua passata.
“Bene, allora ci vediamo sul pianerottolo alle sette, ok?”
Sempre sorridendo, Tessa annuì.
Si salutarono con un bacio sulla guancia e così finalmente la ragazza poté entrare in camera sua, pensando che dopotutto forse la festa che si sarebbe tenuta solo dopo tre giorni, non sarebbe stata un disastro.

“A chi dovrei dirlo? Allora, ho già contato me” Izzy si indicò “e te” e indicò anche Clary, che stava seduta sul  tappeto rosa shocking a sfogliare una rivista  d’arte
“Prepararsi per una festa in due è noioso! Soprattutto se sei tu la seconda!”
Clary lanciò un’occhiataccia a Izzy che se ne stava seduta a gambe incrociate sul letto .
Era da mezz’ora che cercava di organizzare un GPFNSF alias Gruppo di Preparazione per la Festa di Natale Solo al Femminile.
“Ci sono!” Dopo alcuni secondi di silenzio Izzy si era alzata in piedi e ora troneggiava su Clary.

Clary aveva odiato Izzy la prima volta che l’aveva vista. Era troppo perfetta con la sua bellezza, le sue forme, il suo corpo tonico e il corvino sempre lucente dei suoi capelli, per non parlare degli occhi blu, del tutto in contrasto con il suo volto lentigginoso, i suoi capelli color carota e il suo petto quasi piatto. L’aveva fatta sentire praticamente insignificante. Ora invece, era la sua migliore amica anche se non aveva con lei la stessa confidenza che aveva con Simon, che conosceva da quando era all’asilo.

“A chi hai pensato?” Clary sollevò lo sguardo su di lei con aria interrogativa.
“Quella ragazza si, quella nuova! Theresa Gray!” Clary era veramente stupefatta che Izzy ci avesse pensato. Personalmente trovava Tessa simpatica e di certo intelligente. Quando si sedeva al tavolo con lei, Jace e tutti gli altri le parlava volentieri e le aveva pure prestato un libro ma Izzy …
“Scusa, non avevi detto che la trovavi noiosa?”
“No, io ho detto che passa troppo tempo in biblioteca. E secondo me neanche tanto per i libri …” Uno scintillio furbetto fece capolino negli occhi di Izzy.
“Non ti starai riferendo a Will, spero” Clary guardò con rammarico l’articolo su Michelangelo di cui aveva interrotto la lettura. Non le piacevano le chiacchiere ed era evidente che invece Izzy in quel momento si era lasciata prendere da quel vizio prettamente femminile.
“Certo che mi sto riferendo a Will! Ma lo vedi quanto sono affiatati?”
“Io vedo soltanto Will che fa battute, cosa che non è una grande novità, e Tessa rispondere a tono invece di ignorarlo come facciamo noi …”
“Io sono convinta che a Tessa Will non dispiaccia affatto e nemmeno Will  la disdegna! Sono pronta a scommettere!”
“E io sono convinta che chiunque abbia la faccia di Will non possa dispiacere a nessuno.”
“Quanto sei noiosa!” Ruotò gli occhi. “Vado da lei e le chiedo se si vuole unire a noi martedì pomeriggio!”
“E’ sabato, potrebbe anche essere uscita, l’ho vista spesso fuori con Maia.”
“Tentar non nuoce”
“Aspetta … come fai a sapere qual è la sua camera?”
Izzy aveva già aperto la porta e la stava varcando. Si girò verso Clary.
“Io so TUTTO, cara piccola Clary.”
Clary la seguì.

Toc Toc. Qualcuno stava bussando alla porta. Non poteva essere altro che Maia, Tessa ne era certa.
Si alzò dal letto, su cui era stesa e stava leggendo, e aprì la porta.
Rimase leggermente accigliata nel constatare che non si trattava di Maia, ma di Izzy e Clary.
Le fece entrare e Izzy le propose la sua idea di prepararsi insieme. Accettò con piacere.

Angolino dell'autrice: ecco qua! Ormai siamo vicini alla festa di Natale :) Mancano solo un paio di capitoli :))) Spero vi stia piacendo! Non ho molto da dire, se non che la citazione in corsivo detta da Will viene da Jane Eyre. E' una battuta di Rochester che, essendo diventato cieco, sente la voce di Jane, tornata da lui dopo tanto tempo, e teme che sia un'illusione. 
Mi auguro di non stare andando OOC perchè mi sono resa conto che è difficile mantenere i personaggi tali e quali agli originali :( Il mio Will non è neanche lontanemente geniale come quello di Cassie, ma spero non vi stia deludendo!

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Capitolo 20
*** Ore critiche ***


Capitolo 19: Ore critiche

Martedì 24 dicembre ’13

Ore 7:00

Se Tessa fosse stata la protagonista di un qualsiasi romanzo, non appena svegliata avrebbe iniziato a pensare a quanto sarebbe stata bella la festa, a quanto piacevole il suo accompagnatore e magari avrebbe persino sperato nell’arrivo di uno spasimante mascherato che l’avrebbe portata via dalla sala da ballo a favore di una passeggiata al chiaro di luna, che si sarebbe conclusa con il suddetto eroe mascherato che le regalava un fiore appena colto e le rubava un bacio.
Se poi lo scrittore avesse voluto rendere tutta la situazione più salata, avrebbe potuto far vivere a Tessa l’esperienza di trovarsi nel bel mezzo di un duello tra l’eroe mascherato e il piacevole accompagnatore che combattevano per il suo cuore.

Ma Tessa era di carne e ossa, una ragazza come tante che avrebbe solo potuto sognare una situazione del genere, e quindi il suo primo pensiero fu: Perché non hanno ritardato l’orario della colazione per il periodo natalizio? Avrebbe voluto dormire ancora e ancora ...
Prima che collassasse nuovamente sul cuscino, riuscì ad alzarsi e ad andare in bagno a darsi una ripulita.

Ore 8:30

Charlotte sbattè numerose volte le palpebre, infastidita dalla luce del sole che penetrava nella stanza attraverso le tende. Con gli occhi coperti dalla mano, ruotò il corpo verso destra.
Andò a sbattere contro qualcosa. Anzi, qualcuno. Charlotte fu presa dall’agitazione.
Aprendo gli occhi si imbattè in quelli verdi e caldi di Woolsey. Era sveglio e la stava osservando con un sorriso gentile che gli illuminava tutto il volto.
“Buongiorno!” Parlando rivelò i denti bianchissimi.
Charlotte si mise a sedere di scatto. Era vestita. Anche Woolsey era vestito. Riprese il suo autocontrollo e riuscì a spiccicare parola.
“Buongiorno. Ehm, scusa … tu che ci fai qui?” Woolsey rise.
“Non ti ricordi proprio nulla?”
Charlotte scosse la testa. I suoi ricordi si fermavano a lei che beveva un bicchiere di vino.
Vino.
Forse aveva esagerato …
“Eravamo alla degustazione di vini. Ho scoperto che non reggi bene l’alcol. Al quarto bicchiere barcollavi. Al sesto sei letteralmente piombata a terra”.
“E mi hai portato fino a qui?” Charlotte ridacchiò. Non le era mai capitato nulla del genere prima.
“Certo, mòn moineau“ Woolsey si mise a suo volta a sedere, proprio alle spalle di Charlotte e la circondò con le braccia.
Charlotte rabbrividì al contatto. Non sapeva esattamente quando lei e Woolsey avevano preso tutta quella confidenza. Tutto era accaduto in modo naturale e quasi non si sentiva a disagio.
Anzi, tutto sommato le piaceva essere coccolata però … prima il dovere!
A malincuore abbandonò il letto caldo e Woolsey per prepararsi. Quella sera ci sarebbe stata la festa e di lì a poco sarebbero arrivati i primi ospiti, che si sarebbero aspettati di essere portati alle proprie stanze per riposarsi e prepararsi per l’evento.
“Stasera cosa fai?” Charlotte sentì la voce di Woolsey attraverso lo scroscio dell’acqua della doccia.
“C’è la festa di Natale, Woolsey. Devo stare qui …” Charlotte si domandò se fosse una buona idea fare al ragazzo quella proposta. Non ne era del tutto sicura, ma lo fece lo stesso.
“Perché non vieni anche tu?” Lo disse con il tono di voce più suadente che riuscì ad ottenere. Avrebbe avuto bisogno di Woolsey quella sera, per affrontare il tutto. Averlo accanto le dava sicurezza, più del solito.
Charlotte sentì Woolsey passeggiare per la stanza, poi udì un “Si, ci sto. Potrebbe essere divertente.”

Ore 11:00

“Devo sul serio mettermi questa roba?!” Jem guardava con aria divertita un Will disgustato in piedi davanti al letto su cui erano disposti degli indumenti. Un elegantissimo smoking grigio scuro a sottilissime righe verticali argentate, dotato di camicia, panciotto e giacca con lo stesso motivo. Poi c’erano le scarpe, dei mocassini neri ben lucidati che emanavano un piacevole odore di pelle.
“Io penso sia bello”
“Certo che lo pensi, lo hai preso tu per me!”
“Perché so che ti starà bene”
Will guardò per un’ultima volta il suo abito con aria di superiorità, riservando lo stesso sguardo anche per l’amico.
“E tu invece cosa metterai?”
Jem si avvicinò all’armadio e tirò fuori una gruccia.
Mostrò a Will un completo bianco opaco e la camicia grigio metallizzato. Insomma,un completo adatto all’occasione, elegante ma non troppo appariscente.
Will sgranò gli occhi.
“Ammettilo, lo hai fatto apposta!”
Jem non sembrava capire.
“Hai riconosciuto la mia superiorità estetica e quindi hai deciso di sabotarmi la serata comprandomi un vestito  orribile, mentre tu brillerai come una stella accanto a me … che sembrerò il brutto anatroccolo!”
Will si accorse solo dopo qualche secondo di ciò che effettivamente aveva detto e continuò.
“Oh mio Dio … sembrerò un’anatra! Me tapino …”
Jem per tutta risposta gli lanciò contro un cuscino che Will, con i suoi riflessi pronti, afferrò al volo.
Jem stava per dire qualcosa quando un attacco di tosse lo costrinse ad accasciarsi a terra.
Will scattò verso il comò, il viso immediatamente serio. Aprì la scatola, riempì un bicchiere d’acqua e mischiò il contenuto con la polvere argentata che fluttuò per qualche secondo nel liquido per poi dissolversi, lasciando come traccia una leggera opacità.
Diede da bere a Jem il contenuto e gli pulì i contorni della bocca e la mani dal sangue rosso chiaro … Persino il sangue che versa gli ricorda la malattia, pensò Will osservando il fluido dall’aspetto malaticcio.
Gli attacchi di tosse diminuirono, divennero meno frequenti e infine, scomparvero del tutto.
Jem si voltò leggermente verso Will, facendogli un sorriso tirato.
“Una bella seccatura, eh?”
“Troveremo il modo, Jem. C’è di sicuro un modo per risolvere tutto.”
La mascella di Will era contratta, gli occhi gli si erano induriti e aveva parlato con tono deciso.
“Io non ne sono tanto sicuro. Tanto vale godermi quello che mi rimane … Per alcune cose non c’è una via d’uscita.”
“C’è sempre una via d’uscita.”


Ore 17:00

Izzy storse il naso. Sapeva che un GPFNSF (Gruppo di Preparazione per la Festa di Natale Solo al Femminile) non poteva essere fatto in troppo poche persone ma ora la sua camera era veramente TROPPO piena.
Mentre osservava la gran confusione, Clary parlava amichevolmente con Tessa, Maia giocava a “botta e risposta” con Tatiana che, da perfetta snob quale era, la osservava dall’alto in basso quasi fosse un verme, e Jessamine passava in rassegna i SUOI vestiti nel suo armadio.
Presto il linguaggio di Maia si fece più colorito e Izzy urlò esasperata “BASTA!”
Jessamine saltò in aria spaventata e la maglietta che stava esaminando le scivolò dalle mani.
“Hai proprio ragione, Izzy” esordì Tessa “Ho afferrato il concetto! Qua siamo veramente in troppi! Tolgo il disturbo, ciao cia-“
Clary sorrise aspettando una reazione da Izzy, che presto arrivò.
“No no, Theresa Gray. Tu rimani. Ti devi fare bella per un certo Thomas a quanto so io …” Il tono di Izzy era leggermente malizioso.
“Maia!” Tessa rimproveò l’amica che, per tutta risposta, fece spallucce con aria colpevole.
“Izzy mi ha supplicato di dirle qualcosa in più su di te, stamattina … Mentre tu continuavi a ronfare in camera tua piantandomi in asso per la colazione.”
“Punto primo: se mi sono addormentata sotto la doccia non è colpa mia! Punto secondo: non c’era Jordan con te?”
“No. Dice che uscirà dalla sua stanza solo stasera, quando avrà terminato di riscrivere quella storia per la Penwell.”
Tessa era stupita: Jordan l’aveva presa davvero male!
“Su, su! Diamoci una mossa!” Izzy fece per portare Tessa in bagno, dove aveva intenzione di renderla perfetta ma a bloccarle la strada c’era Tatiana, che sosteneva di dover andare lei per prima perché il suo vestito aveva dei lacci molto complessi che “richiedevano mente lucida e tempo in abbondanza”. Izzy si rassegnò ed entrò in bagno con la cugina Tatiana. Ci vollero tra quarti d’ora per rendere Tatiana bellissima nel suo vestito lungo e attillato di seta verde smeraldo che metteva in risalto i suoi occhi, dello stesso colore del vestito, cerchiati da matita nera.
Tutte le altre ragazze erano ormai in intimo, in attesa di entrare in bagno, quando la porta si aprì senza preavviso lasciando entrare Alec. Il poveretto si guardò attorno spaesato e presto le guance divennero molto simili a due pomodori. Pochi secondi dopo fu investito dall’ondata di urla isteriche di Izzy, che diceva qualcosa come “Non si bussa?” e “Guardone!”
Il moro uscì senza proferire parola, sempre più in imbarazzo.
Alle sette meno dieci tutte le ragazze erano pronte.
Tessa esaminò la situazione e non c’era dubbio: per quanto Maia, Jessamine, Clary, Tatiana e probabilmente anche lei stessa, stessero bene nei loro vestiti, Izzy spiccava tra loro come una cometa. I lunghi capelli neri erano stati intrecciati con fili argentati e ora delle ciocche erano state raccolte in una treccia laterale, così da lasciare la fronte libera. Poi il vestito e le scarpe, dopo il trucco leggero ma elegante, completavano l’opera. Un tacco più o meno 8 cm rendeva Izzy ancora più alta del solito e il vestito bianco lungo, con uno spacco laterale e una fascia argentata le le stringeva il costato, slanciava la sua figura ulteriormente.
“Tessa, cosa fai ancora qui? Sono quasi le sette! Devi andare!” Izzy le aprì la porta.
Tessa era elettrizzata e anche un po’ spaventata. Si diede un ultima occhiata allo specchio. Quasi non si riconosceva in quell’abito nero senza spalline con una scollatura non troppo generosa ma abbastanza profonda da far venire un po’ d’ansia a Tessa. Il vestito era lungo e a scalare, aveva tre strati interamente in pizzo velato, e le arrivava fino a terra, coprendo le ballerine. Non aveva voluto dei tacchi per un semplice motivo: non ci sapeva camminare, e avrebbe solo fatto una brutta figura. Era già alta quanto bastava. Un metro e settantatrè!
Uscì dalla stanza accompagnata da un sorriso incoraggiante da parte di Clary.
Prima di andare sul luogo dell’appuntamento doveva tornare in camera per posare i vestiti.
Non accese la luce per non perdere tempo, ma nella penombra della stanza riuscì a scorgere un luccichio sul letto. Si avvicinò. Era una scatolina … Tessa impiegò poco tempo per capire che si trattava del regalo che Nate le aveva promesso nella lettera.
Con estrema delicatezza aprì quello che scoprì essere un cofanetto e dentro c’era un foglietto con su scritto:

Buon Natale Tessie! Spero che il mio regalo ti porti fortuna e che ti protegga.
 Nate.

Nel cofanetto trovò un ciondolo.
Riusciva a distinguere bene la figura: un angelo ben scolpito nel metallo che impugnava una spada, puntandola verso il basso con fare piuttosto solenne. Tessa ne rimase affascinata … dopo qualche momento di contemplazione percepì un leggero tremore provenire dall’interno del ciondolo. Lo avvicinò all’orecchio e udì un ticchettio … tic tac tic tac
Tessa  si mise davanti allo specchio e indosso il ciondolo. Era freddo ma piacevole da sentire sulla pelle.
Vedendo l’orario si riscosse e corse verso il luogo dove doveva incontrare Thomas.

Angolino dell'autrice: Finalmente sono riuscita ad aggiornare!! Mi ci sono voluti tre giorni per scrivere questo capitolo, terribilmente lungo sigh lo so ... In principio volevo solo descrivere la scena di Charlotte e Woolsey e quella di Tessa da Izzy ma poi ho pensato: dovrei scrivere un pò su Jem e Will e allore è venuto fuori quel paragrafetto ... Mi auguro vi sia piaciuto il capitolo! :)
Ho adorato scrivere la parte di Jem e  e spero sia stato piacevole per voi leggerla ... poi dovevo dire un'altra cosa ... cosa ... AH si! Mòn moineau significa mio passerotto. Non so esattamente perchè io faccia usare a Woolsey il francese però ... mi sembra una cosa da lui ecco! Sto iniziando a shippare questa coppia sul serio ... come farò?? Non so quando potrò pubblicare il prossimo capitolo, anche perchè ancora non l'ho nemmeno cominciato a scrivere ... Beh, alla prossima! Scrivete una recensioncina, fa sempre piacere :3

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Capitolo 21
*** Quando il cuore, e l’alcol, prevalgono sul cervello ***


Capitolo 20: Quando il cuore, e l’alcol, prevalgono sul cervello

Nello stesso momento in cui Thomas vide Tessa arrivare, i suoi occhi luccicarono.
Balbettò un “Sei bellissima” e un “Ciao”.
Per tutta risposta la ragazza aveva sorriso nervosa e aveva afferrato il braccio che Thomas le porgeva.
Presto si immersero nella folla che rendeva i corridoi prossimi al salone delle feste caotici, colmi di chiacchiere, gridolini e risate provenienti da piccoli capannelli in movimento.
L’Istituto non era mai stato così bello.
I corridoi erano illuminati da tante piccole candele di vario colore che diffondevano una luce soffusa e calmante. Mazzolini di vischio erano appesi dovunque in modo elegante, sicuramente opera di Sophie, e facevano del luogo il paese delle fate. Se questo già aveva estasiato Tessa, quest’ultima era rimasta senza parole nell’entrare nel salone.
Volti nuovi e familiari si mescolavano nell’arcobaleno di colori dei vestiti sensuali delle donne e eleganti degli uomini. Professori e studenti tutti sorridenti, a parte alcune eccezioni che Tessa notò quasi immediatamente.
Alcuni uomini di mezz’età, non appartenenti alla London Institute, stavano corrucciati in un angolo. Sembrava proprio che un’aurea grigia e assolutamente priva di spirito natalizio avesse creato una bolla di isolamento.
“Prendiamo qualcosa da mangiare? Sai, prima che tutti gli altri non lascino altro che dei piatti vuoti!”
Thomas con un sorriso incoraggiante la condusse fino al buffet. In effetti, notò Tessa accigliata, alcuni vassoi erano vuoti ma restavano ancora tante delizie: torte e crostate di ogni genere, cupcakes, crostini conditi con paté e salse varie, pollo fritto tagliato a cubetti, patate fritte e al forno, ecc …
Tessa spiluccò alcune di quei cibi e si lasciò convincere da Thomas a bere un bicchiere di vino. Non amava particolarmente l’alcol ma dato che si trattava di un’occasione speciale non si fece troppo pregare. Dopo circa venti minuti, passati in compagnia di Thomas, che non si era dimostrato troppo eloquente e neppure tanto brillante, Tessa avvistò Maia e Jordan che ballavano un lento nella sala della musica attigua, Jace che cercava di baciare una Clary rossa in viso per il divertimento e che non voleva fare smancerie in pubblico e Simon che tentava quasi disperatamente di far colpo su Izzy, gesticolando e facendo battute a raffica. Izzy dal canto suo sorrideva con un certo distacco, osservando nello stesso tempo la sala alla ricerca di ehm … piatti più appetibili.
Tessa stava meditando di scolarsi un altro bicchiere di vino quando Thomas le chiese di ballare. La ragazza accettò felice di fare qualcos’altro che stare in piedi come una stupida a fissare il via vai di gente.

Will entrò nella sala del buffet con Jem. Nonostante le iniziali proteste doveva ammettere che il completo gli stava uno splendore. Ovviamente non lo disse a Jem per orgoglio … in fondo, nello specchio aveva visto solo il riflesso di William Herondale, non se stesso … e il vero Will Herondale era sicuramente migliore di un riflesso … sapeva che tutto questo ragionamento era contorto e abbastanza privo di senso, avrebbe potuto essere oggetto di studio di Freud in effetti, ma non aveva potuto fare a meno di pensarlo. Dopo tanti anni di arroganza, indifferenza e senso di superiorità, quei sentimenti stavano entrando a far parte pian piano del suo vero io. Non sarebbe dovuto accadere, non era nei suoi piani, ma quando fingi, la finzione diventa realtà, che tu voglia o no … Riscossosi da quei pensieri che minacciavano di spingerlo verso la soluzione dell’alcol, si concentrò sulla stanza gremita di persone che mangiavano e parlavano. Nessuna voce sovrastava un’altra, tutte quante erano amalgamate perfettamente tra loro, fondendosi con la musica classica che proveniva dalla sala da ballo. Tutti i suoni erano musica in quel momento e Will suppose, dallo sguardo beato di Jem, che l’amico stava pensando la stessa cosa. Anzi, era sicuro che se avesse avuto in mano il suo violino avrebbe cercato di riprodurre fedelmente quell’atmosfera, mischiandola con le sue emozioni e i suoi sentimenti.
Will si accorse di star esaminando scrupolosamente la sala in cerca di una determinata persona. Il suo cervello non aveva dato quel comando, ma gli occhi continuavano a cercare, speranzosi.
Fu leggermente deluso nel non trovarla. Forse non era venuta. Will sapeva che non aveva stretto particolari legami e quindi suppose che Tessa avesse preferito starsene in camera …
Will e Jem si mossero verso il tavolo del buffet, ma vennero bloccati a metà strada da Charlotte. La donna aveva un’aria radiosa nel suo vestito beige. Parve felice, troppo felice, di vedere i due ragazzi che aveva praticamente cresciuto da quando avevano dodici anni …
“Will, Jem! Che bello vedervi!” Will non fu totalmente convinto da quelle parole … era come se … come se stessa scappando e lui e Jem fossero un’ottima ancora di salvezza …
“Allora ragazzi, vi state divertendo?”
“Non è che ci sia una particolare differenza tra la festa di quest’anno e quelle passate … dunque no, non mi sto divertendo ma potrei sempre riuscirci entro la fine della serata se riuscissi a trovare qualche fanciulla disinibita …” Il ragazzo aveva puntato a comportarsi normalmente, anche perché era piuttosto contrariato dall’assenza di Tessa. E pensare che stava per chiederle di andare con lui!
“Will, contegno! Almeno per stasera, se no ti sospendo!”
Una specie di biondo ossigenato allampanato arrivò alle spalle di Charlotte e gliele strinse con le mani.
“Vuoi davvero sospendere qualcuno la notte di Natale, mòn chèrie?”
Il volto di Charlotte assunse un’espressione sconfitta … Probabilmente era quel tizio la causa del suo tentativo di fuga.
“Charlotte, chi è questo? Sembra appena uscito da uno spot pubblicitario … non è che te lo hanno mandato come omaggio con il buffet?” Will sorrise sornione … un volto da prendere a pugni ripetutamente e senza rimorso.
Jem diede una sonora, e dolorosa, pacca sulla schiena di Will. Il biondo però non sembrava essersi curato della provocazione.
Charlotte riprese “Questo è Woolsey Scott. Woolsey , questi sono William Herondale e James Carstairs” e accompagnò le parole con un gesto della mano.
A Will, ripresosi dalla pacca, parve opportuno intervenire nuovamente, rivolgendosi a Woolsey “E sei un gigolò oppure il suo ragazzo?”
“Will, c’è il budino al cioccolato là … ce ne sono solo dieci coppette. Sbrigati oppure non potrai mangiarlo” disse Jem, cercando di limitare i danni.
Will parve capire solo “budino al cioccolato” e, dopo aver detto “Prendetevi una stanza, non sarebbe decoroso dare mostra di voi in pubblico” accorse al tavolo, avventandosi sui budini e urtando un Henry depresso, che barcollò numerose volte essendo già al quinto bicchiere di brandy …

Jem, alquanto stanco di vedere Will ingozzarsi, si avventurò nella sala da ballo da solo. Sentiva la musica farsi sempre più vicina. La piccola orchestra ingaggiata per l’occasione, suonava un pezzo semplice … un valzer sulle cui note ballavano decine di coppie. Tutte in armonia o almeno, la maggior parte. Presto si accorse di due figure leggermente goffe che ballavano, o meglio dire che si muovevano, all’estremità della pista. Sorrise vedendo Tessa staccarsi da Thomas Tanner e chinarsi per massaggiarsi la punte delle ballerine. Indovinò le parole di Thomas pur non sentendole, stava chiedendo scusa e con molto imbarazzo si era allontanato lasciando la ragazza da sola.
Jem le si avvicinò e le sussurrò all’orecchio “Ti serve aiuto?”
Tessa trasalì. Si girò e sorrise “Nah … posso sopravvivere anche senza un accompagnatore. Anzi sarei stata meglio senza un accompagnatore” aggiunse indicando col capo i suoi piedi.
“Allora mi dispiace”
“E perché dovresti dispiacerti?”
“Perché hai appena trovato un compagno per parte della serata”
Tessa non parve affatto dispiaciuta.
“Con accompagnatore intendevo una persona che sta zitta per tutta la serata pur avendoti invitata e poi quando finalmente decide di rivolgerti la parola  è per proporti qualcosa di distruttivo per i tuoi piedi” fece spallucce “quindi tu vai bene”
“Ah okay … allora andiamo a fare una passeggiata”

Mentre i due camminavano per i vialetti dei giardini, a Tessa si accese una lampadina …
“Ma Will dove lo hai mollato?”
“Oh, era tutto impegnato a mangiare. Non di grande compagnia in effetti, ma suppongo che tra un paio d’ore mi verrà a cercare per condividere le sue impressioni sulla serata … Credo che ti convenga allontanarti prima di allora”
“Non penso di essere facilmente scandalizzabile”
“E io non penso che Will si farà tanti problemi a parlare liberamente anche davanti a te” disse di rimando Jem. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e un’espressione felice stampata sul volto. Gli piaceva parlare di Will, probabilmente.
“Come fai a ingoiare tutto quello che Will dice? Intendo … non che lui si comporti male con te ma … a volte non ti infastidisce?”
“E’ strano che tu me lo chieda”
“Lo so, non mi so fare i fatti miei, scusami!” Tessa era pronta a rimangiarsi la domanda e cercare in futuro di farne di meno, ma Jem, come sempre del resto, la stupì
“Non intendevo questo. Mi riferivo al fatto che è strano che proprio tu faccia questa domanda, dato che con te Will parla molto più che con altre persone.
“Beh … non pretendo di conoscerlo bene e non ho nemmeno la presunzione di dirlo … ma io penso a volte che non sia genuino. Se parliamo di libri è naturale, quasi rilassato … ma se prendiamo un altro discorso … è come se misurasse sempre le parole. E non posso nemmeno fare a meno di notare che spesso si comporta male con tutti tranne che con te”
“Sembri quasi invidiosa, sai?”
Tessa divenne paonazza e scosse vigorosamente la testa in segno di diniego.
“Will e io ci supportiamo a vicenda. Nel tempo abbiamo creato un rapporto quasi fraterno. Non parliamo dei nostri problemi … di rado parliamo di cose private in effetti, ma riusciamo a capirci. Io non mi comporto come un adulto che tenta di raddrizzare un bambino e Will non è troppo oppressivo, come altri invece sarebbero”
“Allora è un compromesso!”
Jem sorrise “Suppongo di si … una specie”
“Perché spettegolate su di me?”
La voce di Will era giunta inaspettata per Tessa, mentre Jem non sembrava troppo sorpreso e aveva già la risposta pronta.
“Parlavamo delle tue straordinarie doti poetiche”
Tessa pregò che Will non avesse sentito tutto. Sarebbe stato imbarazzante per lei e chissà cosa Will avrebbe pensato …
“Ma davvero? Allora che ne direste se ve ne recitassi una completamente nupva? Posso farlo!”
“Prego, William” con un gesto della mano, Jem invitò Will a proseguire.
Quest’ultimo si schiarì la gola e partì …

“Mentre mangiavo il budino al cioccolato,
e il boccone la gola ebbe attraversato,
un essere ripugnante,
dall’alito pesante
mi si avvicinò
e mi minacciò!
Era Jonathan Morgenstern …
che odia i Western-“

“Che razza di rime sono? Non ha senso!” Tessa non aveva potuto fermare le parole. Se qualcosa non andava, non andava!
“Tessa, tu mi interrompi troppo spesso per i miei gusti” disse Will con tono irritato e compiaciuto allo stesso tempo
“Beh, ha ragione Will” intervenne Jem.
“Traditore! Io mi fidavo di te! Basta, significa che da ora in poi passerò il mio tempo con Jonathan!”
“Intendi il fratello di Clary o il suo ragazzo?”
Will rimase colpito dalla domanda dell’amico.
“Perdinci Bacco! Quella ragazza è circondata da Jonathan! Ma come fa a sopportarli tutti e due? Comunque non importa … io intendevo suo fratello. Jace non credo sarò mai in grado di sopportarlo”
“Ma non hai appena detto che Jonathan ha un alito pesante?” Tessa notò che Jem si stava divertendo un mondo in questa raffica di parole. Le sembravano due bambini che condividono uno scherzo tutto loro. Pur essendo lì Tessa si sentiva un po’ estraniata dalla situazione, era come se Will e Jem in quel momento avessero creato una barriera intorno a loro, anche se involontariamente.
“Avrà pure un alito pesante ma almeno non è un totale idiota”
Jem stava per rispondere qualcosa ma delle voci provenienti dal porticato iniziarono a chiamarlo.
Non era per nulla infastidito, ma in fondo era normale. Jem non era mai infastidito o almeno, Tessa non lo aveva mai visto in tale modo. Salutò Tessa con un bacio sulla guancia e poi diede una leggera pacca sulla spalla di Will, dunque si allontanò.
Will ritornò improvvisamente serio.
“Tu credi che io finga?”
Tessa si ritrovò spaesata da quel repentino cambio di discorso ma riuscì a capire: Will aveva sentito gran parte della conversazione tra lei e Jem. La ragazza comunque non si era mai tirata indietro e quindi affrontò la situazione anche questa volta.
“Io non lo credo, io ne sono quasi certa”
“Non puoi dirlo, non mi conosci” Ora Will era più vicino, aveva un’aria che incuteva timore.
“Naturale, sono praticamente appena arrivata qui ma su di te so qualcosa, no?”
“Sarei tanto curioso di sapere che cosa …” Quegli occhi blu la stavano osservando con attenzione. La esaminavano dall’alto in basso, soffermandosi sul vestito prima e anche sulle forme del corpo, cosa che innervosì Tessa, e poi sul volto.
“ Preferisci stare in biblioteca che in qualunque altro posto. Ti piacciono i romanzi e le poesie, probabilmente ti piace pure scriverne. Non ti piace esporti e sei Gallese.”
Will non parve affatto colpito e Tessa si sentì una stupida.
“E dove hai sentito che vengo dal Galles?”
“Non ci vuole un genio per capirlo, dato che spesso ti chiamano Il Gallese”
“Ah, mi chiamano così? Dovevo darmi più da fare … avrei voluto qualcosa di più memorabile, come ad esempio il Playboy dell’Institute, oppure il Re dell’alcol … Anche il Libertino andrebbe bene. No, aspetta: il Libertino del Galles, abbastanza epico non credi?”
Ovviamente il tutto era stato detto con un sorriso malizioso e dei gesti a dir poco ambigui. Le dita lunghe di Will si erano immerse nei capelli lasciati sciolti di Tessa. Il pollice aveva preso a massaggiarle lentamente la mandibola e ora la mano stava scendendo fino al collo, dove incontrò la catenella dell’angelo meccanico. La seguì fino ad arrivare al ciondolo, e poi si fermò.
Tessa pregò che Will scambiasse il martellamento del suo cuore per il ticchettio dell’angelo. Non capiva da dove venisse quell’atteggiamento, ma non voleva sapere fino a che punto Will sarebbe potuto arrivare. Si allontanò dal ragazzo ma nel farlo inciampò nel vestito e si ritrovò lunga e distesa su di lui. Per fortuna non c’era nessuno nei paraggi.
Will sentì il peso della ragazza su di lui. I suoi capelli gli accarezzavano le guance e i suoi occhi lo guardava con dispiacere. Si stava scusando per averlo praticamente atterrato ma non aveva la parole per dirlo. Fu quasi tentato di non lasciarla più andare nel momento in cui Tessa fece per rialzarsi. Non avrebbe voluto più perderla di vista. Mai più. In quei mesi, durante i quali avevano parlato di libri e avevano girovagato tra gli scaffali della biblioteca in silenzio, si era sentito meglio che mai. Libero come non si sentiva da quando se n’era andato da casa. Perché, se non poteva parlare apertamente con lei, poteva almeno sperare che dai suoi discorsi sulle trame e sui personaggi Tessa potesse imparare a conoscerlo. Allo stesso tempo pregava che non ci riuscisse.
Tessa era semi alzata, sempre sopra di lui, allora le strinse gli avambracci.
Will alzò la testa. Erano a pochi centimetri di distanza.
Will doveva affrontare circa cinque centimetri per arrivare a Tessa.
Non gli importava di cosa sarebbe successo dopo.
Tessa si sarebbe sentita male e lo avrebbe schiaffeggiato? Lo avrebbe ricambiato? Oppure il giorno dopo glielo avrebbe fatto pesare? O magari avrebbe fatto finta di niente, come lui avrebbe fatto in qualunque caso. Come lui avrebbe dovuto fare in qualunque caso …
Ma Orazio non diceva forse “Carpe diem?”
Si, lui avrebbe colto l’attimo e non gli importava di nulla se non di Tessa.
E non si era mai sentito così egoista.
E non si era mai sentito così perduto.
Allora si, Will percorse quei cinque centimetri.
Facendo leva sui reni si mise seduto, mollò la presa da un braccio di Tessa per mettergli una mano dietro la nuca e la baciò.
Tessa sgranò li occhi al contatto tra le labbra. Il suo primo impulso fu quello di respingerlo ma per la prima volta il cuore aveva spodestato il cervello, assumendone le funzioni. Non aveva capito quanto lo desiderasse fino a quel momento. Forse non lo aveva mai saputo.

“Basta, io vado lì e lo caccio!” Henry era alla seconda bottiglia di brandy.
La cosa non poteva andare avanti. Aveva cominciato a parlare da solo dopo due ore che vedeva Charlotte in compagnia di quel manichino biondo. Non era mai stato impulsivo né irruento, ma lo spettacolo di quei due che ballavano, di quei due che sorridevano e di quei due che di tanto in tanto si scambiavano baci, stava diventando qualcosa di insopportabile!
Stava bevendo l’ennesimo bicchiere, quando vide Woolsey avvicinarsi. Fu sorpreso che quel tizio avesse liberato Charlotte dai suoi tentacoli per andare a parlare proprio con lui.
Si rivolse ad Henry con tono molto confidenziale, quasi fossero due vecchi amici.
“Henry! E’ da un po’ che volevo parlarti da solo …”
“E che vuoi?” Henry sputò fuori quelle parole come se fossero veleno.
Woolsey proseguì, per nulla intimorito.
“Ti volevo chiedere se potevi smettere di fissare Charlotte. Sai, ho notato che non le hai staccato gli occhi di dosso nemmeno per un attimo stasera e la cosa comincia ad infastidirmi”
“E io sono molto infastidito dal fatto che vi frequentate e del fatto che tu sia qui oggi”
Woolsey parve divertito. Si sentiva evidentemente superiore ad Henry, i cui limiti erano stati annientati dall’alcol.
“E come vorresti risolvere la situazione?”
“Sinceramente non lo so ma dato che sei qui davanti a me mi è venuta in mente una cosa che desidero tanto fare”
“E cioè?”
Henry reputò più opportuno illustrare la sua idea in pratica, piuttosto che verbalmente e così gli piazzò un gancio destro dritto sul naso, da cui presto iniziò a colare del sangue.
Prima che Woolsey potesse dire alcunché, stupito com’era, Henry uscì dalla sala e si incamminò verso la sua stanza.

Angolino dell'autrice: Ciaoooo! Da quanto tempo non aggiornavo! Ma comprendetemi, quest'ultima settimana di scuola è stat un inferno. Per farmi perdonare da questa assenza però, ho scritto un capitolo ENORME, almeno secondo i miei standard. Tra l'altro ancora non ho detto tutto quello che dovevo dire e quindi il prossimo capitolo riprenderà esattamente da dove è finito questo. Spero sinceramente che vi stia piacendo :) Volevo chiarire un paio di cose comunque. In questo capitolo il rapporto tra Tessa e Will potrà sembrare un pò affrettato ma secondo me va bene così. In effetti nel romanzo originale, la storia tra Will e Tessa è molto affrettata, è qualcosa di immediato, se vogliamo metterlo a paragone con la relazione tra Jace e Clary. Poi poi poi ... Ah, si, Henry! Non vedo l'ora di scrivere il prossimo capitolo perchè ci sarà un sacco di spazio per il nostro Branwell ubriaco :D 
 

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Capitolo 22
*** Traguardi raggiunti e perseveranza ***


Capitolo 21: Traguardi raggiunti e perseveranza

Henry stava camminando da qualche minuto. Aveva preso le svolte sbagliate un paio di volte e, con la testa che gli girava, ricordava a stento dove fosse la sua stanza.
Si appoggiò al muro nel tentativo di raddrizzarsi ma dovette girarsi, movimento che gli procurò dolorose fitte alla tempia, quando una voce lo chiamò.
Era Charlotte.
Henry, con la poca lucidità che gli era rimasta, immaginò che volesse fargli una ramanzina per aver dato un pugno a Woolsey, infatti …
“Henry! Fermati immediatamente e ascoltami!”
“Che c’è?” Henry parlò con tono stanco.
“Perché hai dato un pugno a Woolsey?”
“Chiedilo a lui”
“No, non lo chiedo a lui. Lo chiedo a te!”
Henry scrollò le spalle “Lui è venuto da me e mi ha infastidito parecchio”
“Ma Henry! Hai ventisette anni, non diciassette! Non puoi comportarti come un adolescente in crisi ormonale che fa a botte con il primo che passa”
“Veramente non ho mai picchiato nessuno prima …”
“E allora non mi sembra il caso di iniziare proprio ora, ti pare? Adesso tu andrai di là” e indicò il corridoi che conduceva al salone delle feste “e ti scuserai. E poi domattina, quando sarai sobrio mi spiegherai perché lo hai fatto”
Henry iniziò a ridere come un ossesso “Non penso di potermi scusare, anche perché non sono affatto dispiaciuto!  E ad un certo punto non mi importa nemmeno cosa tu ne possa pensare, dato che o non ci arrivi o non vuoi arrivarci. Basta, io ci rinuncio. Tu torna pure da Woolsey, vagli a pulire il sangue dalla faccia e digli che lo ami tanto. Cosa vuoi che mi importi” Ad Henry importava, ma era l’alcol a parlare. Quasi vent’anni di sentimenti repressi ora si stavano trasformando in parole.
Charlotte gli si avvicinò. Poteva sentire il respiro di Henry sul volto. Nella penombra del corridoio sussurrò “Cosa c’è che non va, Henry?” lo disse con il più dolce tono di voce “Ci siamo sempre detti tutto, non cambiare le cose”
“Davvero ci siamo sempre detti tutto? Perché io non ricordo che tu mi abbia mai parlato di Woolsey, prima che me lo presentassi stasera! Comunque se vogliamo essere sinceri, allora sincerità sia! Charlotte, sono innamorato di te da quando avevo otto anni. Permetti che vederti accanto a quel fotomodello mi infastidisce?”
Charlotte rimase senza fiato. Non sapeva che dire, come reagire, che cosa fare.
Alla fine però, la rabbia prevalse sul senso di felicità e di leggerezza che aveva provato nel momento stesso in cui Henry aveva parlato.
“E allora perché non me lo hai detto prima? Perché ora? Pensavi di avere tutta la vita? Beh io no. Io ti ho aspettato sempre ma tu non hai mai fatto niente!”
Ora anche Henry sembrava sconvolto.
“Io non … non ero sicuro di quello che ti realmente volessi. Non volevo rovinare nulla … se tu mi avessi detto-“
“Henry! Non posso sempre essere io a dirti cosa devi fare. Devi avere un po’ di iniziativa! Io adesso cosa dovrei fare? Dimmelo tu. Vado da Woolsey e lo mollo?”
“Tu … tu mi vorresti?”
Charlotte alzò gli occhi al cielo. Come poteva una persona essere geniale e così stupida al tempo stesso?
“E tu invece? Sei sicuro che sia quello che vuoi? L’alcol non è mai un buon amico e domattina potresti anche svegliarti pentendoti di oggi”
Henry sorrise e nel complesso la sua figura era quanto di più buffo Charlotte avesse mai visto.
Una figura allampanata dai capelli rossi scompigliati, la fronte lievemente imperlata di sudore e le guance e il naso arrossati dall’alcol.
Henry si chinò su di lei e la abbracciò. Probabilmente aveva anche intenzione di baciarla, a giudicare dal suo viso in fase di avvicinamento a quello di Charlotte, ma null’altro accadde, perché l’uomo le lasciò cadere la fronte sulla spalla e si addormentò.
Almeno abbiamo qualcosa in comune, non reggiamo per nulla bene l’alcol, pensò Charlotte.
A quel punto la giovane direttrice dell’Institute chiamò in suo aiuto Sophie, che stava attraversando il corridoio proprio in quel momento, e insieme portarono Henry nella sua stanza, aprendo la porta con la chiava che lui portava sempre attaccata ad un moschettone a sua volta appeso ai passanti dei pantaloni.
Sul volto di Sophie era balenato un sorriso birichino … aveva capito a grandi linee cosa era successo e non poteva fare altro che rallegrarsene.
“Non dire nulla, Sophie” disse Charlotte notando l’espressione della cameriera. La sua intenzione era quella di rimproverarla, ma anche lei sorrideva. Charlotte si sentiva felice e realizzata. Era tutto a posto, finalmente. Il puzzle era completo, o quasi … si ricordò improvvisamente che Woolsey doveva trovarsi ancora alla festa ma non aveva proprio voglia di allontanarsi da Henry, non ora che si erano trovati, anche se lui ronfava alla grande.
“Sophie … non è che … potresti dire a Woolsey che non tornerò in sala?”
“Gli dico che può anche non tornare mai più?”
“No no, ci mancherebbe … Lui non ha fatto nulla di sbagliato, anche se questa sera è stato un po’ troppo … invadente. Gli parlerò io di persona, ad ogni modo, ma non oggi”
“D’accordo signorina. Devo fare altro?” Sophie era un po’ delusa di non poter cacciare via Woolsey. Per i suoi gusti era troppo consapevole di sé stesso per risultarle gradevole ma … che ci poteva fare?
“Oh si Sophie! Ho dimentico di dirtelo” Charlotte, seduta sulla sponda del letto di Henry, giocherellava con le sue dita affettuosamente “Domani arriverà il nuovo insegnante di educazione fisica. La sua camera dovrebbe essere pronta per l’ora di pranzo. Mi dispiace dirtelo solo ora, ma la conferma del suo arrivo mi è arrivata proprio stamattina.”
“Non importa, ce la posso fare. Che stanza preparo?”
“Oh, quella che preferisci, ce ne sono così tante di vuote su questo piano.”
Sophie annuì e  uscì dalla stanza per andare ad informare Woolsey Scott che Charlotte per quella sera si era ritirata. Convincerlo ad andarsene senza salutarla fu difficile ma non impossibile, soprattutto grazie alla diplomazia di Jem che casualmente, e per fortuna, si trovava lì vicino a chiacchierare con Julian Blackthorn.

Tessa fu la prima a staccarsi dal bacio. Non era stato particolarmente lungo ma intenso, molto intenso. La foga di Will l’aveva completamente travolta e negli occhi del ragazzo leggeva il desiderio di continuarlo.
Stettero in quella posizione per un po’, a guardarsi negli occhi: incapaci di separare i loro sguardi, incapaci di muoversi e tantomeno di parlare.
La testa di Tessa era diventata vuota. Non sapeva che pensare di quello che era successo. Will l’aveva baciata per togliersi un capriccio? Per metterla in imbarazzo? Oppure era stato preso dalla stranezza del momento? Incredibile quanto una testa vuota e una incasinata potessero essere equivalenti.
Will era stato preso da un’incredibile ondata di adrenalina, ora era in uno stato quasi febbrile, a metà tra l’inconscio, che gli diceva di celebrare un matrimonio segreto come quello di Romeo e Giulietta, e la cruda realtà, in cui sapeva di dover fingere che non gliene importasse nulla come Dorian Gray, anche se a lui effettivamente non gliene importava nulla delle altre donne dopo Sybil …
Ormai però la frittata era fatta, a questo punto perché non mangiarla? Fece intendere a Tessa che doveva alzarsi, lei lo fece, seguita da lui stesso.
Quando ebbero finito di scotolarsi i vestiti Will chiese “Vuoi ballare?”
Tessa sgranò gli occhi, enormemente stupita dalla richiesta. Will doveva essere un talentuosissimo attore, se Tessa si aspettava effettivamente di essere mollata seduta stante.
“Dipende dalle tue doti … per stasera i miei piedi sono stati sufficientemente pestati e martoriati”
Will ripercorse per la seicentesima volta, quella sera, la figura di Tessa. Era bellissima in quel vestito nero e allo stesso tempo pareva irraggiungibile con quell’angelo ticchettante appeso al suo collo come un guardiano. La contemplazione fu però infastidita dalle ultime parole della ragazza.
“Perché, hai già ballato con qualcuno?”
“Si ma non è un’esperienza che ricapiterà. Almeno non con quella persona”
“Con chi?”
“Se ti interessa tanto con Thomas Tanner” rispose Tessa titubante. Qualcosa non andava in Will …
Infatti la sua faccia quando pronunciò il nome mutò radicalmente.
“E tu hai accettato? Hai ballato con uno sconosciuto?”
“Veramente lo conosco … mi aveva proprio invitato alla festa. Siamo venuti insieme solo che poi mi ha piantato in asso …”
Will proruppe in una rumorosa risata.
“Ti ha piantata in asso?”
Tessa lo guardò torva “Non c’è nulla da ridere! Per fortuna poi Jem mi ha accompagnato fuori, se no sarebbe stato veramente uno spettacolo triste …”
Will continuava a ridere e tra i tentativi di ritornare serio, cosa impossibile perché immaginava una Tessa arrabbiata con un accompagnatore inappropriato, e la scena era veramente esilarante, propose “Allora credo che la tappa giusta sia un’altra”
“Praticamente hai confessato la tua inadeguatezza nel ballo, lo sai?”
“Oh Tess” Tess? Davvero l’aveva appena chiamata così? “Io sono un eccellente ballerino”
“Vorrei proprio vedere …”
Fianco a fianco si diressero verso la porta antincendio della biblioteca e vi entrarono. La stanza era deserta e buia. Will si allontanò da Tessa per accendere le luci.
Tessa inspirò, l’odore della carta vecchia e del legno era più dolce per il suo olfatto di quanto il profumo che Izzy le aveva spruzzato addosso avrebbe mai potuto essere.
Will la raggiunse con in mano un volumetto  e glielo sventolò davanti agli occhi.
“Dato che è Natale e che ti piace Dickens … Il Canto di Natale è una buona scelta?”
“Assolutamente si!” Come ogni volta che Tessa vedeva un libro, i suoi occhi brillarono.
Will sorrise.
“Che c’è da ridere? E’ stata una tua idea, no?” domandò compunta Tessa.
“E’ che non capisco come fai ad eccitarti tanto per i libri …”
“Ma smettila, come se tu non capissi che cosa provo”
“Ho dei pensieri, ma è così strano vederli condivisi da altri … Allora, in questo momento sono falso?”
Gli occhi grigi di Tessa si fecero di colpo tristi.
“No, ma so che domattina tutto tornerà normale, quindi approfitto del momento nella speranza di farti cambiare idea”
“E se non ci riuscissi?”
“Persevererò “ e l’aveva detto con una tale determinazione che a Will venne la pelle d’oca e non fu  capace nemmeno di ribattere, perché sarebbe significato mentire, e in quel momento non voleva dire nemmeno una bugia.
Iniziò a leggere Il Canto di Natale, una volta che si furono accomodati sulle poltroncine sotto una lampada.

Angolino dell'autrice: Non ho nulla da dire su questo capitolo, anche perchè è tardi, ho sonno e voglio andaare sotto le coperte a leggere :3, se non che spero di non aver fatto di Will un adolescente bipolare :)
Se volete lasciate una recensioncina con il vostro parere, a presto! Ciao ciao :)

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Capitolo 23
*** La dolcezza della notte ***


Capitolo 22: La dolcezza della notte

Quando infine arrivò la Mezzanotte, e la lettura di Will fu completata, Tessa e Will abbandonarono la biblioteca per ritirarsi nelle rispettive stanze.
Arrivati al ballatoio dove le loro strade si separavano i due si salutarono stringendosi la mano.
Si girarono verso le direzioni che dovevano prendere. Tessa non si incamminò subito, non voleva andarsene perché non voleva concludere quella serata. D’altro canto non sentì neanche i passi di Will allontanarsi … Si girò verso il ragazzo, che, a tradimento, la stava guardando. I suoi occhi brillavano divertiti del blu più profondo e puro. Fu tutto in un secondo e nemmeno uno spettatore esterno potrebbe dire con certezza chi mosse il primo passo, perché i due scattarono l’uno verso l’altro e si abbandonarono ad un ultimo bacio. Una volta staccatisi Will poggiò la sua fronte contro quella di Tessa, non sganciando il suo sguardo da quello della ragazza.
C’era un’empatia tra loro che forse nemmeno il più abile tra gli scrittori sarebbe stato in grado di definire, né Dickens con il suo Sidney Carton, né Jane Austen con Darcy o Knightly, . Will decisamente non somigliava a nessuno dei tre.
Tessa e Will si lasciarono andare lentamente, Will facendo scorrere per l’ultima volta le sue dita da pianista dalle ciocche di Tessa, e Tessa assaporando per l’ultima volta il contatto tra la propria mano e il collo di Will.
Un ultimo fugace sorriso e presero ognuno una direzione diversa.

Charlotte era ancora sveglia, accucciata sul letto, accanto ad Henry. Dormiva come un bambino.
Henry era un bambino, solamente troppo cresciuto. Persino nella sua genialità meccanica era un bambino, con quelle sue idee bislacche che non si sapeva mai se le avesse sognate o avesse preso ispirazione da qualcosa.
Charlotte non aveva mai visto Henry dormire. Aveva un’aria talmente tranquilla, che la calma automaticamente si diffondeva anche nel corpo solitamente rigido di Charlotte.
Charlotte non aveva neanche mai tenuto le sue mani per tutto quel tempo. Era circa un’ora che le osservava, esaminandone e studiandone le venature, i calli venutisi a creare dall’uso della matita e degli altri attrezzi, e i piccoli tagli che, sbadato come era, doveva essersi procurato con le forbici e la carta.
Mai una notte per Charlotte era stata più dolce di quella, passata guardare con amore l’unico uomo di cui le importasse davvero. L’unico uomo a cui, se fosse capitato qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.

Tessa girò la chiave nella toppa della sua stanza. Era esausta ed elettrizzata allo stesso tempo. Sentiva ancora le mani di Will, e le sue labbra … non era una sensazione di cui si sarebbe liberata facilmente, e comunque, non avrebbe voluto liberarsene mai. C’era un che di triste in tutto quello che era accaduto … Will le aveva detto che il giorno dopo tutto sarebbe tornato normale, e lei aveva risposto che non le importava perché avrebbe perseverato ma … cosa poteva fare per Will se non sapeva quali dubbi insediassero la sua mente? Era stata avventata, lo sapeva, se ne rendeva conto, ma cosa avrebbe potuto fare? Non si trattava di una semplice cotta, di una sbandata, lei sentiva un fuoco dentro di sé, anche solo nell’udire la sua voce. Quando il primo giorno lo aveva visto, i suoi colori e i suoi lineamenti l’avevano colpita certo, ma i suoi modi di fare bruschi e indubbiamente antipatici l’avevano frenata anche solo dal farsi film mentali ma … ora qualcosa era cambiato. Dai libri un filo rosso era uscito e li aveva legati. Sapeva che anche Will doveva provare qualcosa di simile perché in caso contrario non avrebbe fatto quello che aveva fatto ma, soprattutto, non avrebbe detto quello che avrebbe detto.
Tessa indossò il pigiama, una volta liberatasi del vestito elegante e delle ballerine, ma l’angelo meccanico lo aveva tenuto. La faceva sentire protetta ed era come se suo fratello fosse sempre con lei. Liberando la mente dai pensieri su Will, si infilò sotto le coperte e spense la luce. Magari, come a Don Abbondio, la notte le avrebbe portato consiglio. Anche se sperava in un consiglio migliore di quello che aveva rifilato al curato: non aveva intenzione di starsene settimane e settimane chiusa nella sua stanza!

La sveglia trillò. Sophie aprì un occhio, poi aprì l’altro accorgendosi che l’aggeggio maledetto suonava da quindici minuti.
In pochissimo tempo si lavò, si vestì e, passando per le cucine, fece una velocissima colazione.
Erano le otto e doveva sistemare la camera per il nuovo insegnante e dare una ripulita al piano terra, dove si era tenuta la festa la sera precedente.
Per quanto riguardava i pavimenti degli altri piani, ci avrebbe pensato il pomeriggio.
Non conoscendo nemmeno il nome del nuovo arrivato, ma supponendo che fosse un atleta, scelse una camera un po’ più ampia delle altre, che si trovava a due stanze di distanza da quella di Charlotte e di fronte quella di Henry. Si chiese se Charlotte fosse ancora lì, vicino Henry. I suoi pensieri non erano da fraintendere. Sophie non era una romantica, almeno non più dopo che il suo vecchio datore di lavoro l’aveva sfregiata a seguito di un rifiuto … Dall’epoca a quella parte non aveva più guardato gli uomini allo stesso modo. Solo con Henry e il professor Enoch, che nel suo mutismo era un simpatico anziano, si permetteva dei rapporti. Anche quando girava per le strade di Londra, per rilassarsi o fare delle commissioni, camminava veloce se si trovava di fronte a gruppi di uomini o ancora quando si accorgeva che qualche ragazzo la fissava.
Perché Sophie, nonostante lo sfregio, era una bella ragazza e solo uno stupido o un cultore della perfezione, avrebbe potuto non affermarlo.
Sophie spolverò i mobili e passò la cera d’api su questi ultimi e sul legno del parquet, sistemò gli asciugamani negli armadietti e sugli appositi ganci del bagno, e preparò il letto con delle lenzuola bianche e un copriletto a scacchi rossi e verdi e mise i ricambi di tale biancheria nell’armadio dietro la porta di ingresso.
Ad opera completata, quando ebbe anche tirato a lucido il bagno e gli infissi della finestra, uscì soddisfatta dalla camera, chiudendola a chiave e recandosi in presidenza per posare le chiavi nell’apposito spazio, in attesa si darle al futuro proprietario.

Charlotte si svegliò sdraiata sul letto di Henry, in una posizione con la quale quasi volesse occupare il minor spazio possibile. Alzando gli occhi notò che Henry, pur avendo cambiato decisamente posizione, chissà come i piedi erano sul cuscino e la testa vicino alla schiena di Charlotte, dormiva ancora. La donna si alzò in piedi e si diede allo stiracchiamento mattutino, tirandosi le braccia, una alla volta, dietro la schiena fino a far distendere completamente i muscoli e facendo lo stesso con le gambe.
Il suo orologio da polso segnava le nove e ritenne opportuno, pur non essendoci lezione, svegliare anche Henry. Lo scosse leggermente, prendendolo dalle spalle.
Henry per tutta risposta si girò dall’altra parte mormorando qualcosa di confuso a proposito della legge di Ohm. Charlotte, risoluta, persistette nella sua impresa fino a quando Henry, finalmente, aprì gli occhi e, non prendendosi neanche il disturbo di alzarsi, con l’espressione, e la posizione, simile a quella di un cucciolo, esclamò colpito “Charlotte?”
“Si, che c’è?”
“Allora … è successo davvero?”
Charlotte annuì, con gli occhi socchiusi e gli angoli della bocca tesi verso l’alto.
Henry scattò a sedere, passandosi le dita di entrambe le mani tra i capelli scompigliati.
Il suo volto fu attraversati da molteplici espressioni: sorpresa, dubbio e infine esultanza.
Si, esultanza, perché finalmente da quella sua bocca non erano uscite solo parole scientifiche, discorsi per gli studenti e frasi che parevano pronunciate da chissà quale alieno, ma sentimenti che si era tenuto dentro per molto, moltissimo tempo.
“Charlotte” ridisse infine, questa volta però quel nome era stato pronunciato come una conferma. Charlotte era lì ed era a portata di mano.
La abbracciò stretta e iniziò a farla dondolare avanti e indietro.
“Henry, sono contenta che tu sia contento però …”
“Si?”
“Dovresti farti una doccia” continuò sussurrando sorridente Charlotte.
Henry si fece rosso rosso e, inspirando, si rese conto che effettivamente quella del brandy non era la fragranza adatta a lui.
“Si subito. Poi andiamo fuori però. Non so tu, ma ieri la Vigilia non l’ho vissuta bene per nulla … Buon Natale!” Detto questo andò a chiudersi in bagno.
Charlotte sospirò e decise che anche lei aveva bisogno di darsi una ripulita.

Il libro scivolò dalla presa di Will per cadere a terra, di fianco al letto. Dannazione, non aveva chiuso occhio per tutta la notte e ora che era mattina e che avrebbe dovuto darsi una mossa il sonno giungeva … chi l’avrebbe mai detto che Stephen King potesse conciliare tanto bene il sonno? Di certo Will non avrebbe voluto che un pagliaccio assassino gli cantasse la ninna nanna …
Rimase ancora un po’ disteso sul suo letto, a godere del tepore del suo pigiama e del piumone, purtroppo il suo quieto vivere, o meglio, vegetare, fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta. “Entra Jem! E’ aperto …” Non aveva dubbi che si trattasse del suo amico e infatti, mezzo secondo dopo, la sua zazzera argentata fece capolino, incorniciando il suo volto tranquillo.
“Quante volte ti devo dire che di notte soprattutto devi chiuderti a chiave?”
“Hai ragione mamma, sono proprio un bimbo disubbidiente.
“Tutto questo humour già di prima mattina?” Jem si accomodò sulla sedia della scrivania e stese le lunghe gambe davanti a sé.
Will fece un gesto con la mano come a voler cambiare discorso.
“Ci dovrebbe essere qualcosa per te là sopra” e indicò la mensola sopra la scrivania.
Jem individuò un sottile rettangolo incartato e con delicatezza liberò il contenuto.
Esaminò a fondo il libro di spartiti di musiche tipiche e tradizionali cinesi, dentro al quali trovò la ricevuta della revisione del violino che Will aveva pagato anticipatamente.
“Grazie, William. Il tuo ti aspetta in biblioteca”
“Vuoi tendermi un agguato?” chiese Will falsamente cinico.
“Si, ci saranno orde e orde di anatre”
“Allora puoi star certo che rinuncerò alla biblioteca anche per sempre”
“Ma come? Io pensavo che così avresti potuto fare un po’ di sano esercizio fisico!”
“William Herondale contro le bestie fameliche vs Don Chichotte contro i mulini a vento! Una gara che verrà tramandata nella storia per secoli e secolo!”
“Ti vedo di buon umore. E’ successo qualcosa che non so?” chissà perché Jem aveva l’aria di chi la sa lunga …
“In effetti è successo qualcosa …” cominciò Will, serio “qualcuno ha chiamato le spogliarelliste! Solo che poi Charlotte, Sophie e Agatha le hanno buttate fuori … che peccato, probabilmente le avevano anche già pagate”.
Jem roteò gli occhi, annuendo. In Will stava succedendo qualcosa, se ne accorgeva. Il problema era capire cosa …

Angolino dell'autrice: Salve! Ecco qua il capitolo, scritto praticamente di getto in un paio di orette ^^ Per me è un record perchè di solito ci devo pensare un sacco XD Mi auguro che vi sia piaciuto. Per quanto mi riguarda, mi trovo abbastanza soddisfatta e non vedo l'ora di scrivere il prossimo capitolo *.* Come sono andati questi due giorni? Qualche regalo interessante? Per quanto mi riguarda io ho ricevuto due libri stupendi e un block notes con dei consigli sulla scrittura e degli esercizi di scrittura creativi *.* Quindi se inizierò a scrivere decentemente (se se come no, sogna Misaki ...) sarà per quello ;) 
Ciao ciao :)

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Capitolo 24
*** Nuovo docente ***


Capitolo 23: Nuovo docente

“Sophie? Sophie dove sei? Oh eccoti qua!” Charlotte dopo aver girato in lungo e in largo l’istituto trovò la cameriera intenta a pulire il pavimento della sala da musica.
Sophie le si avvicinò e annuì, invitandola a continuare.
“Io ed Henry stiamo uscendo. Se hai bisogno di qualcosa chiamami al cellulare, d’accordo?” Charlotte sorrideva. Non era qualcosa che succedeva spesso, quella di vedere quella donna serena, dato tutte le responsabilità che gravavano sulle sue spalle, e Sophie si odiò per quello che doveva dirle.
“Ma … signorina Fairchild … Tra non molto non doveva arrivare il nuovo insegnante?”
Charlotte si battè la mano sulla fronte. “Hai ragione, Sophie! Che farei senza di te” e le strinse il braccio riconoscente.
Si affrettò fuori dalla porta e la cameriera la sentì mormorare qualcosa, seguita dalla risposta di Henry, che diceva che non c’era problema e che avrebbero potuto anche posticipare.
Sophie la raggiunse e schiarendosi la gola e spostando il peso del proprio corpo da un piede all’altro, disse “E’ Natale, uscite. Posso anche occuparmene io. Lo accolgo, gli do le chiavi e lo accompagno nella sua stanza”.
Charlotte scosse la testa vigorosamente “E’ bello da parte tua ma io sono la direttrice dell’istituto. Non posso essere via quando arriva un nuovo membro del corpo docenti”.
Dopotutto, innamorata o no, Charlotte Fairchild restava pur sempre Charlotte Faichild, figlia di suo padre.

Erano più o meno le dodici e mezzo, e i pochi studenti rimasti a scuola per le vacanze erano tutti in mensa, quando il campanello del cancello squillò.
Charlotte corse al citofono e vide che sullo schermo dell’apparecchio era comparso un giovane uomo che non poteva assolutamente essere più grande di lei. Nonostante la telecamera in bianco e nero, riuscì a capire che aveva i capelli chiari. Premette il pulsante di apertura e il volto del ragazzo, i cui occhi continuavano a ruotare verso destra e poi verso sinistra con fare impaziente, scomparve.
Lo vide pochi secondi dopo “dal vivo” percorrere il cortile nella sua direzione e pur vedendola, non si sprecò in alcun segno di saluto.
Charlotte aveva visto giusto, aveva i capelli biondo sabbia e, una volta avvicinatosi, potè scorgere il verde foresta dei suoi occhi.
Il ragazzo fece un lieve cenno e tese la mano. Una volta che Charlotte ebbe accettato la stretta, costatando che il nuovo arrivato doveva allenarsi un sacco, dato che sotto la camicia leggera bianca si intravedevano i muscoli ben lavorati, senza però essere esagerati, questi si presentò, con una voce scura e alquanto brusca “Gideon Lightwood, piacere. Voi dovete essere la signorina Fairchild, giusto?”
“Si. Molto piacere di conoscerla. Suo padre mi ha parlato molto di lei e ha insistito molto affinchè le dessi questo lavoro”
“Lo so”.
Charlotte rimase interdetta da quel “lo so”. Benedict Lightwood le aveva fatto intendere che il figlio nutriva grandi speranze di ottenere quel posto e ora quello stesso ragazzo si comportava come se stesse andando incontro ad una morte non voluta e non accettata. Ma cosa ci si poteva aspettare d’altronde da un Lightwood? Benedict non era mai stato particolarmente gentile con lei, tranne quando appunto le aveva parlato del figlio maggiore, e il minore, Gabriel Lightwood, studente della London Institute, era un damerino montato e così orgoglioso del suo nome antico e dell’importanza della sua famiglia all’interno della catena degli Institute che Charlotte non si sarebbe affatto stupefatta se da un momento all’altro la sua testa si fosse staccata dal corpo, fin troppo colma di un tale compiacimento di sé.
“Bene. Ho fatto preparare già una stanza per lei. Ora sarà accompagnato lì in modo che si possa sistemare. Poi le farò fare un giro dell’istituto e le consegnerò il blocco con le normative scolastiche e tutta la burocrazia. Oh, ha già mangiato?” Charlotte tentava di essere il più professionale ma accogliente possibile. Non voleva che poi un Lightwood si andasse a lamentare di lei al Consiglio, magari direttamente con il presidente Wayland!
“No, non ne ho avuto il tempo. L’aereo è atterrato un’ora fa e poi ho dovuto prendere il pullman per venire qui”
“Gli altri professori hanno già mangiato. Le farò portare qualcosa tra un’oretta e poi discuteremo di lavoro. Va bene?”
“Mi sembra perfetto” ma dal suo tono non sembrava affatto perfetto.
Charlotte lo accompagnò fino alla presidenza e consegnò a Gideon le chiavi. Infine fu scortato fino alla sua stanza da Sophie.
La presidenza era al secondo piano, insieme alla segreteria, alla sala da pranzo per i docenti e gli alloggi per il personale della scuola, mentre le stanze dei docenti si trovavano allo stesso piano di quello per gli alunni, solo in un’ala diversa del primo piano.
Essendo l’ascensore proprio davanti la presidenza, Sophie guidò meccanicamente il signor Lightwood in quella direzione ma quello la bloccò dicendo “Non ci sono delle scale? Anche poco fa sono salito in ascensore ma ho bisogno di orientarmi, non di riposarmi”
Sophie si inalberò un po’. Dato che portava lei la valigia del signor Lightwood non aveva proprio voglia di andare a piedi ma di certo non poteva contraddirlo.
Senza dire nulla la cameriera girò a destra e proseguì il corridoio, sentendo i passi del professore dietro di lei, fino a quando non giunsero al ballatoio, da dove partiva la scala.
Gideon parve accorgersi del fatto che Sophie, tenace e senza lamentele, tentava di reggere il suo pesante borsone.
“Dios mio, que soy un idiota!” Giunse a fianco di Sophie e, nell’atto di toglierle la valigia dalle mani vide la cicatrice che percorreva il lato sinistro del suo volto e il suo sguardo ci si fermò un po’ più del dovuto, pur non assumendo nessuna emozione particolare. In un certo senso Sophie gliene fu grata. Capiva bene che a vedere una cicatrice del genere chiunque l’avrebbe osservata, ma in molti avrebbero fatto domande. Questo invece non accadde. Semplicemente il signor Lightwood afferrò il suo pesante borsone e se lo buttò sulle spalle larghe e muscolose quasi come pesasse quanto un petalo di rosa.
Il tragitto fu alquanto silenzioso e durante il quale Sophie si chiese perché mai avesse parlato in spagnolo. Sapeva bene che i Lightwood erano una famiglia di origini britanniche.
Giunti davanti alla porta Gideon ringraziò Sophie, la quale si ritirò dopo aver fatto un cenno col capo, e aprì la porta.

Sophie, mentre preparava il pranzo per i signor Lightwood, ascoltava Agatha che si lamentava per la quantità di stoviglie sporche che ancora doveva lavare.
Quando il pasto fu pronto, una scodella di brodo caldo, anche se dalla camicia leggera che il professore portava aveva dedotto che non soffrisse tanto il freddo, una fetta di carne accompagnata da purè e infine un mezzo bicchiere di vino bianco e un altro vuoto, nel quale avrebbe potuto versare l’acqua contenuta nella brocca di cristallo.
Mise tutto sul carrello di plastica bianco e, grazie alle sue benedette ruote, lo portò in ascensore e infine, fermandosi davanti la porta del nuovo professore bussò.
Dopo qualche attimo il signor Lightwood venne ad aprire. Rimase alquanto sorpreso nel vedere Sophie con quell’enorme carrello. Evidentemente aveva passato troppo tempo sotto la doccia e cercò di ignorare il fatto che, mentre la cameriera entrava con il carrello disponendo ordinatamente i cibi e le bevande sul tavolo, indossava solo un asciugamano tenuto in vita e retto dalla sua mano destra, mentre quella sinistra gli portava all’indietro i capelli biondi bagnati, più per fare qualcosa che per effettiva necessità.
Sophie invece trasudava indifferenza. Praticamente non lo aveva neanche guardato. Non che Gideon si considerasse un adone ma, insomma, quando una ragazza vede un ragazzo con un fisico niente male e per di più bagnato, la reazione naturale sarebbe quella di sgranare gli occhi estasiata, quanto meno.
La cameriera, sempre tenendo stretto il suo carrello ormai vuoto, gli si pose nuovamente davanti.
“Quando posso venire a riprendere i piatti?” I suoi occhi erano puntati in quelli di Gideon, senza indugiare su altre parti del corpo.
Gideon ci mise qualche secondo a decifrare la domanda. Poi, maledicendosi per la figura da babbeo che stava facendo rispose in fretta
“Puoi-“ accorgendosi dell’occhiataccia della cameriera, rettificò “Può passare tra trenta minuti. Si, si. Trenta minuti vanno benissimo”.

Gideon Lightwood, con la sua imponente stazza, sovrastava Charlotte Fairchild di una testa, mentre accanto a lei, visitava la London Institute e memorizzava le aule, le varie stanze e i corridoi. A giro concluso, durante il quale la direttrice era stata piuttosto gentile, anche se era arrivato nel giorno di Natale possibilmente rovinando qualche programma, ma allo stesso tempo in quella creatura minuta c’era qualcosa che lo aveva intimidito e che gli imponeva di riserbarle un certo rispetto.
“Allora, Gideon, posso chiamarti Gideon vero? Tu puoi chiamarmi Charlotte, comunque” proseguì ad un cenno di lui “E’ molto diverso qui da Madrid?”
Charlotte sapeva che nell’anno precedente era stato insegnante all’Instituto de Madrid.
“Non molto. Così ad occhio mi sembra tutto alquanto simile. Là la gestione era eccellente e non mi sembra che qui pecchiate di qualcosa. Di certo non ci sono problemi né con la cucina né con la pulizia”.
Charlotte parve molto soddisfatta del commento.
“Riferirò”.

 Angolino dell'autrice: Si si, lo so ... sto pubblicando a velocità supersonica ma sto approfittando di queste vacanze per portarmi avanti con la storia ^^ Con questo capitolo ci allontaniamo un pò dai personaggi principali, ma mi auguro che abbiate gradito lo stesso :) 
Ringrazio tutti quelli che recensiscono e che hanno messo la storia tra le seguite, le ricordate e le preferite, e ovviamente tutti quelli che leggono e silenziosamente continuano a seguire questo racconto. Vi adoro! :)

 

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Capitolo 25
*** Malattia ***


Capitolo 24: Malattia

L’Istituto era praticamente vuoto. Gli invitati “stranieri” erano tornati da dove erano venuti prima di pranzo e molti studenti erano invece andati in famiglia per trascorrere insieme il giorno di Natale.
Tessa ovviamente non era tra questi. Ad ora i pranzo era invece sprofondata nella lettura, in mensa, davanti ad un piatto di lasagne che spiluccava di tanto in tanto, quando riusciva a staccare gli occhi dalla pagina.
Si domandava spesso che effetto facesse vivere una storia, anziché leggerla. Cosa volesse dire essere un’eroina e incontrare persone straordinarie con cui vivere ancora più sbalorditive avventure. Non che si lamentasse della sua vita. Insomma, era viva, non elemosinava il cibo e i soldi per la strada e stava bene tutto sommato, nonostante le mancasse terribilmente zia Harriet, insieme a New York e ai suoi amici di lì. Che non erano poi tanti ma come si suole dire … pochi ma buoni! Si divertiva, passavano le serate insieme a casa a mangiare una pizza, perché erano tutti abbastanza squattrinati, ed era anche accaduto, non molte volte però, che le bottiglie vuote di birra fossero un po’ troppe sul tavolo del salotto … quelle erano le rare occasioni in cui Tessa beveva qualcosa che non fosse acqua. Insomma, sballare insieme a Rosie, Catherine e Patrick e ridere senza un motivo preciso era si, stupido, ma rilassante. Sicuramente era meglio che entrare nella mensa della London Institute il giorno di Natale e capire che dovrai sederti da sola per il pranzo perché Maia e Jordan sono usciti e non c’è nessun altro in mensa con cui tu abbia un rapporto. Perché, obbiettivamente, Jessamine, Gabriel e Tatiana non erano esattamente i suoi migliori amici …
Se ci fosse stata Clary … o Izzy … o Simon … o Jem … o … Will …
Will.
Ci aveva riflettuto gran parte della notte. Cosa avrebbe dovuto fare con lui?
In quel momento però era tutta concentrata sulle sue lasagne e sul suo Numbers così non si accorse che ad un certo punto qualcuno si era seduto davanti a lei, fino a quando non le aveva schioccato le dita davanti agli occhi.
Tessa balzò in aria. Maledizione, le era venuto un colpo. Alzò lo sguardo per capire chi fosse l’idiota ma un flash la accecò, facendole chiudere gli occhi di riflesso. Riuscì ad aprirli solo dopo qualche momento, quando le macchie di colore che vedeva “proiettate” sulle palpebre interne svanirono.
Davanti a lei sedevano Will e Jem. Il primo con la solita aria imbronciata e qualcosa di diverso. Tessa ci riflettè un po’ mentre capiva che l’artefice della fotografia era Jem, un’espressione colpevole sul volto …
“Ti sei tagliato i capelli!” Tessa sgranò gli occhi. Non pensava che Will li avrebbe davvero tagliati solo perché lei gli aveva fatto notare che il modello Rochester era ormai passato e defunto ..
“Non li ho tagliati IO. Questo qui” e con un’occhiata sprezzante fece un cenno nella direzione di Jem “me li ha tagliati. Si è rifiutato di farmi uscire dalla mia stanza se prima non mi fossi dato una sistemata”
“Questa è la giusta punizione per avermi chiamato mamma” ribattè grave Jem.
Era ovvio che Tessa non avesse avuto alcuna influenza sulle decisioni di Will. Che delusione …
“Perché quella macchina fotografica?”
“Oh! E’ stata un’idea di Julian. Julian Blackthorne” si affrettò ad aggiungere Jem notando l’interrogativo negli occhi di Tessa. “Sai, vuole fare un album con tutte le facce della London Institute. In realtà volevamo scattarle ieri sera, dato che eravamo tutti in ghingheri, però quando siamo giunti a questa conclusione la festa era quasi finita …”
“Capisco, però credo che dovrai eliminare la mia foto perché credo proprio di avere l’espressione più stupida del mondo”.
Will si sporse verso Jem, per guardare lo schermo della fotocamera. Arcuò le sopracciglia.
“Credimi, oggi Jem ha fotografato di peggio”
“Questo non è consolante, Will” Tessa aggiunse il nome del ragazzo come rimprovero.
“Will scherza. Sei venuta benissimo” Jem con un gran sorriso le fece vedere la foto.
In effetti era venuta piuttosto bene. Aveva un’espressione sorpresa, con gli occhi grigi spalancati e le labbra socchiuse. I capelli scompigliati e il libro in mano sollevato le conferivano un’aria così … normale. Si era una foto di Theresa Gray. Quella era lei.

Alla fine mangiarono insieme e Tessa fu costretta a mettere da parte il libro.
Parlavano normalmente, ad un certo Will fece così ridere Jem e Tessa con un’osservazione non troppo gentile su come Tatiana e Gabriel Lightwood fossero simili mentre, mangiando il dessert dall’altra parte della mensa, storcessero il naso, che Tessa per poco non si strozzò con le lasagne. Jem invece prese a tossire. Dapprima Tessa non ci fece molto caso ma poi, quando i colpi di tosse divennero più potenti, notò che il tovagliolo con cui Jem si era coperto la bocca era schizzato di sangue e che Will gli si era praticamente gettato addosso, mettendosi a tracolla la macchina fotografica, per farlo alzare e farlo correre fuori la mensa. Tessa non aveva esitato a seguirli. Se Jem stava male voleva aiutarlo, per quanto possibile. Ricordava che Jem le aveva detto qualcosa su delle medicine, il mese prima, che gli avevano mutato il colore dei capelli e degli occhi ma … non si aspettava qualcosa di tanto grave.
Uscita anche lei dalla mensa, vide il terrore negli occhi di Will.
“Will, che ha?” Tessa era terrorizzata. Jem continuava a tossire, accasciato al muro, quasi non riuscisse a reggere il peso del proprio corpo.
“Tessa aiutami, lo devo portare in camera sua”
Tessa ficcò il libro in borsa e si passò il braccio destro di Jem sopra la testa. Will fece lo stesso con il braccio sinistro.
Si diressero verso l’ascensore e quando finalmente arrivarono Jem si era ridotto ad un guscio vuoto. Non tossiva più ma non reagiva completamente. La schiena gli si era fatta curva, abbandonata dagli spasmi, e quando lo adagiarono sul letto, sotto le coperte, una volta che Tessa gli ebbe levato le scarpe, sembrava in coma. L’unica cosa che lo rendeva “vivo” erano gli occhi socchiusi, due pietre nere cerchiate d’argento in un volto pallido e magro, come se tutto il sangue fosse defluito dal viso.
Will si avvicinò al letto con un bicchiere che a Tessa parve semplice acqua.
Il ragazzo, guardando apprensivo Jem, le rispose ancora prima che Tessa potesse formulare la domanda.
“E’ la sua medicina. Lo fa stare un po’ meglio”
Jem intanto aveva posato il bicchiere sul comodino e aveva chiuso gli occhi.
Poco dopo, i suoi respiri si fecero regolari.
Si era addormentato.
“Che ha?” Tessa era preoccupata. Quando zia Harriet era stata male, nell’ultimo periodo, aveva più o meno l’aspetto che aveva Jem in quel momento. Ma Jem non stava per morire, no?
Will esitava nel parlare.
“E’ una specie di infezione ai polmoni e alla gola. I medici non lo sanno bene. E’ iniziata quando ci fu un incendio a casa sua. Tra shock post-traumatici e lesioni, iniziarono a far prendere un sacco di medicine a Jem, fino ad arrivare all’attuale infezione. La medicina è più una polverina energetica e antidolorifica che un effettivo rimedio”.
La sua voce era monocorde. Non premetteva nulla di buono. Non aveva accennato ad una cura, il che poteva significare solo che non ce n’era una. Ma magari la malattia non era mortale.
Will riprese a parlare.
“Va avanti così da quando aveva dodici anni. Entro un anno sarà morto”.
Il cuore di Tessa perse un battito.

Entro un anno sarà morto.
Will lo aveva detto quasi senza colore nella voce. Come se fosse un dato di fatto, innegabile. Ma lui non lo sentiva così. Lui avrebbe voluto trovare una soluzione Era stato proprio Jem, però, a dirgli di non illudersi, perché tanto sarebbe rimasto scottato …
Ma Will era già scottato. Jem era l’unica persona la cui compagnia gli riuscisse gradevole. Anzi, piacevole. Era il suo migliore amico e il suo esatto contrario. Era la sua coscienza in un certo modo. Pur non sapendo nulla di lui, e nonostante le sue ritrosie ad iniziare un’amicizia, gli era sempre stato vicino.
Si erano conosciuti all’Istituto. Tutti e due avevano dodici anni e si erano ritrovati in affidamento al padre di Charlotte Fairchild, morto non molto tempo prima, ma non prima di prepararli ad entrare al college.
Il padre di Charlotte offriva questi servizi di accoglienza a giovani orfani. Ovviamente Will non era un orfano ma un fuggitivo.
Gli stavano per venire le lacrime agli occhi, pensando a tutto il suo passato, quando vide sul volto di Tessa uno sconvolgimento tale che poteva essere pari al suo. Pur conoscendosi da appena quattro mesi sapeva che Jem ne aveva un’altissima opinione e che anche lei gli si era affezionata.

Angolino dell'autrice: scusate il ritardo! Ieri ho studiato come una dannata D: Comunque ora sono qui con un nuovo capitolo. Abbastanza triste per quel che mi ruguarda ma dopo tanta leggerezza nei capitoli precedenti mi è parso il caso di affrontare qualcosa di più complicato e serio. 
Spero vi sia piaciuto e che non mi vogliate al patibolo per la ghigliottina ...
Se vi interessa, ma anche se no perchè ve lo dico lo stesso u.u, Numbers è un romanzo reale. Un pò paranormale ma che affronta ottime tematiche. Buttateci un occhio, se vi capita, si legge in un giorno e ne vale la pena :)
Oddio ... sembra che faccia campagna pubblicitaria ai libri in questo angolo, ogni volta ... 
Ok, prima che qualcuno mi arresti, ciao ciao :)

P.S. Sapete per caso se parlare di libri e consigliarli qui nelle storie è reato?

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Capitolo 26
*** 31 Dicembre ***


Capitolo 25: 31 Dicembre

Il silenzio era sceso nella camera di Jem. Will fissava le proprie mani congiunte, dondolandosi avanti e indietro sulla sedia che aveva avvicinato al letto di Jem. Tessa era rimasta lì con lui, rispettando la sua volontà di non parlare e tentando di accettare la verità che le si presentava davanti.
Era vero, non conosceva Jem da molto. Ma spesso avevano parlato, alla mensa, al corso di francese, per i corridoi. Aveva sempre quell’espressione tranquilla sul volto. Quasi rilassata. Sul suo volto era sempre dipinto un sorriso.
Dopo un’ora quei pensieri le si erano accumulati in testa. Sentiva di dover andarsene, o sarebbe diventata pazza. Non voleva fuggire dalla realtà, semplicemente voleva rimandarla a data da destinarsi.
Cercando di fare il minor rumore possibile si alzò e andò verso la porta. Will la seguì con lo sguardo e le annuì. Tessa si sentì confortata. Non la riteneva un mostro. Non che dovesse qualcosa a Will, non doveva dimostrare nulla … ma lui aveva capito comunque le sue necessità.

I giorni seguenti trascorsero veloci, come succede sempre quando ci sono le vacanze. Jem due giorni dopo la crisi di tosse era uscito dalla sua stanza e si era comportato come se nulla fosse. Il suo volto era provato si, ma aveva riacquisito un po’ di colore.
Chissà perché, un pomeriggio, si sentì il dovere di dover spiegare tutto a Tessa.
Le raccontò dell’incendio in cui erano morti i suoi genitori, di come era finito all’Institute, Granville Fairchild, il padre di Charlotte, lo aveva preso con sé sotto la segnalazione dello zio di Jem, che non poteva occuparsi di un bambino viaggiando molto per lavoro. La sua stessa figlia, Emma Carstairs, frequentava quell’Istituto.
Tessa lo aveva ascoltato attentamente, pendeva dalle sue labbra. Era ovvio che le storie, di qualunque genere e narrate in qualunque maniera la interessavano.
“Mi dispiace molto. So che non aiuta, anche i miei sono morti, e mia zia se ne è andata quest’estate … “
“Beh, hai sempre tuo fratello” sorrise Jem.
Tessa era quasi scandalizzata. Jem le aveva appena raccontato i disastri della sua vita e ora era lui a consolare lei?
“Si, almeno ho lui”.

Si giunse dunque al 31 Dicembre. Tessa era pronta, l’angelo meccanico al collo, i pantaloni neri e il maglione rosso addosso. Prese il giubbotto sotto braccio e uscì. Suo fratello l’aspettava davanti al cancello. Era tornato da Shangai il giorno prima e subito aveva chiamato la segreteria della scuola per parlare con lei. Tessa era raggiante, nonostante avesse dovuto annullare l’impegno con Maia e Jordan … Si precipitò fuori. Nate era lì, con la schiena poggiata contro il muro interno dell’istituto, il cappuccio nero calcato sulla testa e l’impermeabile grigio stretto in vita.
La salutò con un largo sorriso e sventolando la mano.
Stava per raggiungerlo ma qualcuno le si affiancò.
“Ciao, dove vai di bello?”
Era Simon, ovvio. Nessun altro avrebbe potuto fermarla in questo modo per fare semplicemente due chiacchiere.
“Vado da mio fratello” e indicò con la mano Nate.
“Caspita, è tuo fratello? Mi chiedevo chi fosse poco fa ma … non vi somigliate per nulla!”
“Ehm … si lo so. Lui è la fotocopia di mia madre”
”Quindi passi con lui tutto il Capodanno?” Tessa annuì.
“Capito. Peccato, io, Clary, Jace, Izzy e Alec andavamo al Pandemonium Club. Sai, abbiamo affittato una saletta solo per noi”
“Si lo so. Dovevo venirci anche io, con Maia e Jordan ma … ieri è tornato Nate quindi passo la serata con lui”
Tessa si era girata verso Nate, per far capire che quello era il nome di suo fratello. Si stava avvicinando e presto la raggiunse passandole un braccio sopra le spalle.
“Ciao!” I suoi occhi erano tutti per la sorellina che però non aveva dimenticato le buone maniere.
“Simon, questo è Nate. Nate, questo è Simon”
Simon porse la mano a Nate, e quello gliela strinse.
“Molto piacere!”
“Mi stavo chiedendo” iniziò Simon lanciando un’occhiata furba a Tessa “io ed altri amici andremo in un locale stasera. Tessa sarebbe dovuta venire con noi ma a questo punto … perché non vieni anche tu? A meno che non abbiate altri programmi, ovvio”
Nate ci pensò su. “A te va Tessa? Se tu vuoi andare per me va bene”
“Ma a te no dispiace? Insomma non è che li conosci e non so se …”
“Ah, non ti preoccupare per me. Poi sarà più divertente se siamo in tanti no?”
Tessa non ci poteva credere. Nate avrebbe incontrato i suoi compagni.
“Si va bene. Grazie.” Accennò un sorriso.
Simon e Nate sembravano andare piuttosto d’accordo. Ma in fondo Simon andava d’accordo con tutti, purchè non si trattasse di Jace. O Gabriel. O Jonathan.
Presto arrivarono gli altri: Clary, Jace, Izzy, Alec, Will, Jem, Maia, Jordan, Emma, Julian, Aline, Helen e Sebastian. L’entusiasmo di Tessa si abbassò notevolmente quando vide avvicinarsi Gabriel, Tatiana, Jessamine e Jonathan ma in fondo, che poteva farci? Di certo non avrebbe permesso loro di rovinarle la serata e poi, non si erano quasi mai parlati, perché avrebbero dovuto iniziare in quel momento?
Tessa fu molto compiaciuta di Jem, che riconobbe all’istante Nate come suo fratello. Gliene aveva parlato un po’ durante le loro passeggiate per il campus e lui si era dimostrato sempre molto interessato. Will d’altro canto continuava a fissarlo e non aveva spiccicato parola. Durante la strada Nate era stato intrattenuto da Simon, a cui le parole non mancavano, mentre Tessa era stata presa d’assedio da Jessamine e Tatiana. Okay, evidentemente quelle due avevano deciso quella sera di concederle il grande onore di rivolgerle la parole. Che felicità!
“Ma, quanti anni hai detto che ha tuo fratello?”
“Che lavoro fa?”
“Ce l’ha la ragazza?”
Qua qua qua qua. Era questo che in realtà Tessa sentiva. Starnazzi di oche.
Rispose solo ad un paio delle domande, mentre parlava con Izzy. Ad un certo punto anche quest’ultima si innervosì per le frequenti interruzioni e con parole taglienti le allontanò, spingendole a “migrare” verso altri lidi, ovvero lo stesso Nate.
Nate poteva anche essere un fratello meraviglioso e affettuoso, ma era sensibile alle attenzioni delle ragazze …
La mente di Tessa si perse nelle mille luci che decoravano la strada piena di pub. Ad un certo punto vide in lontananza l’insegna del Pandemonium Club. Le lettere illuminate blu su sfondo nero. C’era una coda chilometrica davanti alla porta.
“Sono le persone che non hanno prenotato. Noi entreremo in un baleno, vedrai!” Izzy aveva rassicurato Tessa senza bisogno che questa facesse la domanda.
“Ah, meno male! Se no potevamo festeggiare il nuovo anno in mezzo alla strada!”
La saletta che avevano affittato era abbastanza piccola, ma c’erano posti e tavolini per tutti. Il bar era già aperto, e c’era anche il barista, uno strano tipo dai capelli pieni di glitter multicolore e vestito di pelle nera e borchiata. Ad uno sguardo più attento sarebbe risultato lampante la matita nera intorno agli occhi e l’ombretto dorato ma non sgargiante. Aveva gli occhi a mandorla e la sua pelle era leggermente scura.
Lo sguardo del barista incrociò quello di Tessa, mentre lo scrutava.
I suoi occhi era gialli e sembravano quelli di un gatto. Doveva portare delle lenti a contatto.
Will parve accorgersi che il barista e Tessa si stavano studiando a vicenda. La cosa lo infastidiva parecchio. Non che temesse che potesse accadere qualcosa tra i due, quel tizio era troppo sui generis per Tessa, ma non apprezzava le molestie.
“Che vuoi?” il barista gli aveva parlato infastidito.
“Non dovrebbe dire –salve signore! Cosa posso fare per lei?-“
“E perché dovrei? Siete degli studentelli che non mi lasceranno nemmeno la mancia. Non vale la pena di scomodarsi tanto”
“Vodka alla pesca”
“Sul serio?”
“Ce li ho sedici anni!”
“Non ne dubito … intendo, niente soda?”
“No”
Il barista iniziò ad armeggiare con le bottiglie e le tipiche decorazioni utilizzate per abbellire il bicchiere.
“E’ bello sapere che c’è gente gentile in giro”
“Ed è rassicurante che i baristi non si facciano gli affari degli altri ma solo il loro lavoro”
“Barista? E’ questo che pensi di me?”
Will alzò un sopracciglio.
“Io sono Magnus Bane!” Magnus si battè la mano sul petto, orgoglioso.
“Dovrei conoscerti?”
“Io sono Magnus Bane! Magnus il Magnifico! Mi chiamano persino il Sommo Stregone di Soho!”
“Cosa metti nei tuoi drink, coca?”
“Oh mio Dio, voi giovani! Non hai proprio un cultura festaiola vero?”
“Temo di no” borbottò Will.
“Senti, fatti un favore. Vieni al mio party. Questo è l’invito”.
Magnus porse a Will un volantino arancione fluorescente. I caratteri gotici neri indicavano l’indirizzo e l’orario.

Il Sommo Stregone di Soho vi invita al suo grandioso party
il 7 Gennaio 2014
alle ore 10:00
Non si assicura il ritorno a casa nello stato iniziale, né la sopravvivenza e tantomeno l’essere privi di danni fisici.
Magnus Bane

“Invitante davvero” osservò sarcastico Will.
“Porta chi ti pare…“
“Will. Mi chiamo Will Herondale”
“Herondale?”
“Conosci qualche Herondale?”
Magnus scosse la testa, pensieroso .
“Tieni la tua vodka, ora va’” Magnus con un gesto sbrigativo della mano lo mandò via.
Will si guardò intorno. Jem era immerso in una fitta discussione con Julian. Si contendevano la macchina fotografica quindi immaginò che stessero parlando di come e a chi fare foto. La povera cugina di Jem, Emma, si era presa la testa fra le mani, a forza di sopportare quei due.
Tatiana e Jessamine facevano spudoratamente la corte al fratello di Tessa. Quel Nate non le somigliava per niente. Aveva un’aria troppo compiaciuta e non sembrava nemmeno lontanamente in gamba quanto la sorella che era … che era la ragazza più matura e intelligente che avesse mai conosciuto. Gabriel e Jonathan si erano isolati dal mondo intero guardando torvi tutti gli altri presenti. Maia e Jordan si sbaciucchiavano e Will avrebbe volentieri cambiato canale, se avesse avuto un telecomando in grado di farlo. Aline, Helen e Sebastian bevevano dei lunghi sorsi dai loro bicchieri e brindavano come se fossero già mezzi ubriachi.
Tessa, Clary, Simon, Jace, Alec e Izzy erano seduti sui divanetti all’angolo della stanza, tra il bancone del bar e il muro. Si avvicinò a loro.
“Oh, guarda un po’ chi si vede! Ci degni della tua presenza?”
“Jace, piantala” gli consigliò Alec, rimproverandolo come un bambino.
Will non raccolse il guanto della discordia.
“Già, Jace, anche se non ve lo meritereste”.
I suoi occhi blu brillavano come lampioni nella semi oscurità della stanza.
“Volete qualcosa da bere?” Alec cambiò discorso nella speranza di non dover assistere ad un ulteriore “duello” tra i due.
La risposta fu confusa e Alec concluse che avrebbe fatto meglio a decidere lui per tutti.
“Che ha Alec? Come mai cos’ chiacchierone?” notò Simon.
“Alec NON è chiacchierone”
“Izzy, era ironico! Intendo che ha parlato più spesso del solito”
Tessa pensava di capire il motivo. Aveva notato che lo sguardo del barista e quello di Alec si erano incontrati più volte. A giudicare dalla rigidità di Izzy e dall’espressione di Clary, la cui faccia urlava “Siete ciechi? E’ lampante” anche loro due avevano capito.
Di sicuro Alec trovava il bar molto … interessante. E la cosa era reciproca.
Appena ebbero ognuno il proprio drink, si attaccarono alla cannuccia e tutti tentavano di impossessarsi della ciotola dei salatini. Più tardi la guerra sarebbe ricominciata per aggiudicarsi, però, i pezzi di rosticceria.
Erano circa le undici quando Nate arrivò alle spalle di Tessa e le sussurrò all’orecchio “Balliamo?”
In effetti la musica nella pista da ballo piena di gente era molto ritmata, sicuramente adatta per il 31 Dicembre.
Tessa si alzò da divanetto e seguì il fratello, portandosi i capelli dietro le orecchie.
Iniziarono a parlare, muovendosi a ritmo, cercando di sovrastare il volume della musica.
“Che aguzzine le tue amiche!” scherzò Nate. Tessa rise.
Presto tutti gli altri li raggiunsero.
Tatiana aveva trovato un cavaliere proprio lì in pista e non guardava più Nate. Jessamine invece persisteva nel suo tentativo di rapire Nate. Quest’ultimo riuscì a “scansare” i primi due attacchi evitandola gentilmente prendendo Tessa per la vita, sollevandola in aria e facendola ruotare. Alla terza incursione, Tessa gli disse “Dai balla con lei, io vado a sedermi un po’. Sono esausta!”
“Ma Tessie!” Nate aveva l’espressione di un cucciolo ferito. Di sicuro aveva altri programmi per la serata, come passare più tempo con la sorella … ma forse non era destino.
“Perché non balli?” chiese a Jem, che stava seduto al tavolino nella saletta privata.
“Sono un po’ stanco. Tutto qui”
“Ma guardatevi! Sembrate dei vecchi! E’ Mezzanotte meno cinque, datevi una mossa!” proruppe Magnus da dietro il bancone.
“Senti chi parla. Tu sei qui da solo!” Tessa sapeva essere tagliente, quando voleva.
“Io sarei a festeggiare se non dovessi lavorare” replicò con tono annoiato.
“Dai, ha ragione, raggiungiamo gli altri” sorrise Jem.
“Io dico che se Maometto non va dalla montagna, la montagna va da Maometto” Tessa era in vena di perle di saggezza “Infatti. Avevo ragione!”
Il resto della compagnia entrò di corsa nella saletta. Iniziò il conto alla rovescia.
Intanto Jem aveva affidato la macchina fotografica a Magnus, per immortalare quei momenti.
Allo scoccare della Mezzanotte Jace stappò lo spumante, il cui gettò li innaffiò tutti rendendo il suo bacio con Clary e quello di Maia e Jordan ancora più dolce.
Tessa e Nate si strinsero in un abbraccio. Nate la teneva stretta e le scoccava un bacio sulla fronte mentre le altre coppie di fratelli si baciavano sulla guancia e gli amici si scambiavano sonore pacche.
Era la prima volta che Tessa vedeva fare a Jonathan un gesto affettuoso nei confronti di Clary, che nonostante fosse quasi opposta a lui, era sempre suo sorella, perciò quasi si strozzò con lo spumante quando li vide stringersi in un abbraccio e sorridersi reciprocamente. I tratti di Jonathan risultavano quasi totalmente mutati e sicuramente più gradevoli del solito.
I ragazzi si radunarono in un cerchio e brindarono all’anno nuovo che era arrivato, accecati dai flash di Magnus, e poi si misero in posa, per una foto di gruppo.
Riguardandola tutti sarebbero stati entusiasti di quella foto, in cui compariva anche Magnus, che aveva scelto attentamente la posizione della fotocamera e aveva impostato l’autoscatto.
Tessa si trovava al centro della foto, a cavalcioni sulla schiena di Nate, accanto a Will e Jem. Magnus era all’estremità sinistra con un sorriso furbo stampato in faccia e un luccichio negli occhi da gatto, vicino ad Alec a sua volta aggrovigliato tra le braccia di Jace, Izzy e Clary, a sua volta appiccicata a Simon e quindi a Maia e Jordan. Alla destra di Tessa c’erano invece, oltre a Will e Jem, con il braccio rispettivamente sinistro e destro sulle spalle dell’altro Julian, Emma, Aline, Sebastian ed Helen e infine Tatiana, Jessamine, Gabriel e Jonathan. Tutti erano sorridenti. Nonostante i differenti caratteri, i litigi e le questioni private, in quella foto tutti sembravano felici di essere lì.

Angolino dell'autrice: Ecco il nuovo capitolo, su Word lungo quattro pagine. Ho fatto un buon lavoro? Io non so giudicarlo, questo capitolo. Finalmente Magnus è entrato in scena, e spero di avergli reso giustizia! Mi è sembrato giusto farlo lavorare in un luogo festoso e ricco di vita ^^ Ho reciclato anche il Pandemonium Club :P Non credo sarà, come nei libri, un luogo di caccia ai Demoni nè un Circolo di divertimenti discutibili ma chissà, forse potrebbe ancora avere un ruolo! L'idea della foto l'ho presa da un testo che Cassie ha scritto, in cui Magnus apre un suo vecchio baule dopo il primo incontro con Clary, Alec, ecc ... si esatto, quel fatidico e meraviglio momento di Cittò di Ossa *.* In pratica in questo testo Cassie scrive che Alec e Jace gli avevano ricordato così tanto Jem e Will che niente era riuscito a fermarlo dall'andare a prendere quella vecchia foto dell'Istituto di Londra, in bianco e nero, fatta da Henry. Se ne avete l'occasione cercatolo su Internet, è stato tradotto in Italiano. Ne vale la pena ed è anche abbastanza commovente. 
Vocina "Tu scoppi a piangere anche quando leggi il nome Will, anche se si tratta di Willwoosh in realtà..."
Io "Sono molto sensibile alle Origini u.u"
The crazy moment is finished.
I hope you have liked the chapter, bye bye and I wish you an happy 2014! (Or maybe an Happy 2014/Tobias Eaton too) 

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Capitolo 27
*** Educazione fisica ***


Capitolo 26: Educazione fisica

“Mi è stato detto che quest’anno non avete fatto completamente educazione fisica per mancanza di un docente. Da oggi inizierete. Dato che la scuola offre una grande quantità di attrezzi per altrettante attività, vi dividerete in gruppi e ruoterete”
Gideon Lightwood passava in rassegna e esaminava i quaranta studenti del terzo anno. Erano uno strano mix di persone alte e basse, dai capelli dei colori più differenti e con differenti carnagioni. I più avevano un aria da ragazzi viziati e con orrore doveva ammettere che i suoi due fratelli minori, Gabriel e Tatiana, avevano quel portamento odioso che a lui invece non era ma  appartenuto.
Battè due volte le mani.
“Su su, che aspettate? Dividetevi in quattro gruppi da dieci!”
Tessa venne subito raggiunta da Jem, seguito a ruota da Will.
Maia e Jordan stavano per raggiungerla ma vennero agguantati da Aline e Emma, che li portarono lontano da Tessa, in mezzo al loro gruppo già formato.
Tessa si ritrovò circondata dai soliti: Alec, Izzy, Jace, Gabriel, Clary, Simon e Jonathan.
Il professor Lightwood osservò annoiato i quattro gruppi e quando calò il silenzio illustrò il programma. Si sarebbero allenati in quattro discipline, tiro con l’arco, lancio dei coltelli, scherma e combattimento corpo a corpo, ma all’inizio di ogni lezione avrebbero fatto cinque giri di corsa del grande giardino della London Institute e poi stretching, per poi, finalmente, iniziare con le attività vere e proprie. La mascella di Tessa, come quella di molte altre ragazze, e ragazzi, per poco non cadde a terra. Sarebbe morta di fatica, ne era sicura. Non sarebbe sopravvissuta a quel pomeriggio infernale. Il nuovo orario che tutti gli studenti del terzo anno avevano ricevuto, diceva chiaramente che la lezione di educazione fisica sarebbe durata due ore, dalle tre alle cinque, e si sarebbe tenuta dal lunedì al giovedì.
Forse quelle ore di lancio del coltello sarebbero servite, per uccidere il professore.
Il professor Lightwood diede un segno con il fischietto e tutti e quaranta i ragazzi presero a correre nella direzione del parco.
Secondo giro.
Terzo giro.
Tessa vide passare, di corsa, davanti a lei Will e Jace, che sembravano fare a gara, e Gabriel e Jonathan.
L’avevano doppiata. Loro erano già al quarto giro.
Si fermò un momento, molleggiando sulle ginocchia. Fece un profondo respiro e partì a tutto gas.
Finiti i cinque giri notò con piacere che non era l’ultima. All’appello mancavano diverse persone di cui non conosceva il nome, e anche Tatiana e Jessamine.
Tutti gli altri stavano facendo stretching, stirando i muscoli delle gambe e delle braccia e rilassando quelli del collo e della schiena. Si avvicinò a Clary, che stava in piedi di fronte a Jace, Will, Jem, Alec e Izzy, esausti e sudati. Avevano persino abbandonato le giacche della tuta e ora stavano a mezze maniche, tranne Izzy, che portava in top attillato. Quei cinque se ne stavano a terra, con il fiatone, e sembravano quasi una scultura. Dovevano tutti aver partecipato alla piccola sfida di Will e Jace.
“Chi ha vinto?” chiese Tessa, curiosa.
Will e Jace lanciarono un’occhiata assassina ad Izzy, che, vittoriosa strillò “Io. Jace e Will sostenevano che loro erano più veloci di chiunque altro invece gli ho dato una bella lezione!”
Si alzò e iniziò a fare gli esercizi.

Il professor Lightwood, durante la corsa, aveva stabilito le turnazioni delle attività e aveva assegnato il ruolo di responsabile ad una persona per gruppo, segnando tutto su un foglio di carta che poi avrebbe appeso in bacheca.

Gruppo 1
Capogruppo: Raphael Santiago
Helen Blackthorn
Julian Blackthorn
Emma Carstairs
Jordan Kyle
Tatiana Lightwood
Jessamine Lovelace
Aline Penhallow
Maia Roberts
Sebastian Verlac
Gennaio-Febbraio:Combattimento corpo a corpo
Marzo:Tiro con l’arco
Aprile:Lancio dei coltelli
Maggio:Scherma

Gruppo 2
Capogruppo: Jean Fox
Matthew Adams
Alan Barkely
Willow Field
Marie Larries
Mark McAvoy
Robert Nolan
Cyril Tanner
Estelle Williams
Gregory Xavier
Gennaio-Febbraio:Tiro con l’arco
Marzo:Lancio dei coltelli
Aprile: Scherma
Maggio:Combattimento corpo a corpo

Gruppo 3
Capogruppo: Alec Lightwood
James Carstairs
Theresa Gray
William Herondale
Simon Lewis
Isabelle Lightwood
Gabriel Lightwood
Clarissa Morgenstern
Jonathan Morgenstern
Jonathan Christopher Wayland
Gennaio-Febbraio:Lancio dei coltelli
Marzo:Scherma
Aprile:Combattimento corpo a corpo
Maggio:Tiro con l’arco

Gruppo 4
Capogruppo: Jacob Wotton
Elizabeth Candle
Bill Dannon
Amy Farrow
Peter Garret
Rachel Hale
Terence Ians
Jeremy Tayler
Sonya Vane
Benjamin Walter
Gennaio-Febbraio:Scherma
Marzo:Combattimento corpo a corpo
Aprile:Tiro con l’arco
Maggio:Lancio dei coltelli

Il gruppo di Alec non perse tempo. Avrebbero iniziato con il lancio dei coltelli. Jace ne era entusiasta e anche Will si poteva definire felice, a giudicare dall’espressione.
Tessa si incamminò sconsolata, accodandosi al suo gruppo carico di energie.
“Tessa, non fare quella faccia!”
“Come faccio a non fare questa faccia, Jem? Sono sempre stata una schiappa nello sport. Sarà uno schifo”
“Sono sicuro che Lightwood sarà un buon insegnante. Dopotutto è cugino di Izzy e Alec, che nello sport eccellono”
“Quindi è veramente il fratello di Gabriel? Ma è legale che sia l’insegnante di tanti membri della sua famiglia?” Tessa aveva sentito da qualche parte che i docenti e gli studenti non dovevano avere alcun rapporto al di fuori di quello scolastico.
“Beh Tessa, questo istituto è diverso dagli altri. Pensaci, è privato e ricopre mondialmente la sua funzione. In più si fanno attività come lancio del coltello” Jem voleva rassicurarla, ma Tessa rabbrividì soltanto.
“Avrei dovuto capirlo. Questo è un centro educativo d’avanguardia russa. Ammettilo, siamo tutti delle cavie per vedere se il progetto di non so quali agenzie funziona!” Tessa aveva gli occhi socchiusi e un’aria inquisitoria.
“Frena l’immaginazione Gray!” rise Jem.

La lezione non fu un disastro completo. Gideon Lightwood si era dimostrato un maestro molto paziente. Non che ci fossero incapaci nel gruppo di Alec, tranne Simon e Tessa. Persino Clary se la cavava discretamente.
Quando Tessa, per l’ennesima volta, fece cadere a terra il coltello, sotto lo sguardo divertito e fastidioso di Gabriel a cui rivolse un’occhiata di fuoco che lo fece concentrare su altro, Gideon, leggermente esasperato, studiò il gruppo.
Isabelle non sarebbe stata buona come insegnante, troppo impaziente. Adatti a quel ruolo sarebbero stati Alec, Jace, Jem o Will. Ma Jace si stava già impegnando con Clarissa,mentre non gli pareva il caso di sovraccaricare James, vista la sua situazione. Alec, dal canto suo, pur essendo il capogruppo, non aveva la padronanza dell’arte del lancio del coltello che sarebbe bastata. Era bravo si, ma aveva bisogno di altro allenamento.
Sovrastando il rumore dei coltelli che si conficcavano nel muro della grande stanza d’allenamento, nel pavimento, nel bersaglio e delle lame che cadevano a terra, urlò “Herondale! Vieni qui!”
Will alzò gli occhi verso Gideon. La sua fronte era imperlata di sudore ma nella sua camminata non si avvertiva affatto stanchezza.
“Si, prof?”
“Aiuta la signorina Gray, io devo andare a supervisionare gli altri gruppi. Ah, niente prof, solo professor Lightwood”
“Si prof” ripetè Will guardando l’insegnante allontanarsi.
“Allora, qual è il problema?” le chiese Will, rigirandosi tra le mani il coltello, con una tale grazia che Tessa rimase imbambolata per qualche attimo.
“Non c’è un problema, c’è una totale incomprensione e Lightwood non vuole capirlo” Tessa scrollò le spalle.
“Eppure leggi tanto. Non dirmi che nei tuoi libri non hai mai incontrato un assassino o un tiratore”
scherzò il ragazzo. Era stranamente di buon umore.
Tessa sollevò un sopracciglio. “Certo che ne ho letto, ma non è la stessa cosa”
“Io ho imparato così”
“Sei venuto qui per vantarti o per aiutarmi?” si spazientì Tessa.
“Mi ha chiamato Lightwood, Gray”.
Bene, ora stavano litigando. Perché Tessa sentiva quell’irrefrenabile desiderio di litigare? Fino a cinque secondi prima era assolutamente calma, ora invece voleva conficcare i coltelli nel corpo di qualcuno, e non nel bersaglio. Will sarebbe andato benissimo come manichino.
“Beh, non c’era bisogno che venissi! Me la cavo benissimo” Tessa strappò il coltello dalle mani di Will e si mise in posizione, cercando di ignorarlo.
“Bene, cavatela da sola. Suppongo sia stata una patetica messinscena quella con il professore solo per farmi avvicinare. Devo stare attento alle pazze” ringhiò Will di rimando e a passi pesanti si allontanò.
Tessa portò indietro il braccio e con tutta la sua forza, e la sua rabbia che in quel momento era una sorta di veleno nelle sue vene, tirò il coltello, che si andò a piantare con un colpo secco proprio nel cerchio più piccolo del bersaglio.
Più tardi, mentre Tessa tornava nella sua stanza , la mente della ragazza si liberò e i sentimenti negativi la abbandonarono velocemente come erano venuti. Disperata Tessa si rese conto di essersi comportata come una donna in pieno ciclo, o peggio, in meno pausa. Certo, anche Will le aveva risposto, e anche lui sembrava parecchio irritato. Nonostante tutto, Tessa si sentiva libera. La tensione, che tra l’altro non sapeva da dove arrivasse, era svanita, se non grazie al piccolo litigio, all’energia consumata nelle due ore di attività fisica. Ovviamente era distrutta, le braccia le dolevano in una maniera quasi irreale e la schiena, che aveva tenuto dritta per tutto il tempo, ora le si era irrigidita, provocandole non pochi problemi nei momenti in cui doveva chinarsi.
Entrata nella stanza guardò desiderosa il letto ma si proibì anche solo di sedersi. Doveva farsi la doccia e se si fosse seduta, sapeva bene che non si sarebbe più rialzata. Si trascinò fino al bagno e aprì il microfono della doccia, aspettando che l’acqua arrivasse alla giusta temperatura.
Uscita dal vapore che si era condensato nel bagno, asciutta e profumata, Tessa si dedicava a coccolarsi, stringendosi nel suo morbido accappatoio panna di spugna. Aveva le palpebre chiuse, troppo stanca per aprirle, e poi, a che le servivano gli occhi? Sapeva perfettamente dove era il letto e in quella piccola stanza non c’era assolutamente il pericolo di perdersi o di cadere.
Nel momento in cui fece per buttarsi a sul letto, qualcuno parlò.
Tessa aprì gli occhi all’improvviso. La sua stanza era diventata un salotto.
Arrossì violentemente dai piedi, che si riscaldavano nelle pantofole panna di spugna, alla radice dei capelli, che erano avvolti in un asciugamano.
Quando parlò la sua voce era stridula, quasi folle.
“Che ci fate qui?”
Izzy smise di giocherellare con il suo angelo meccanico, che aveva poggiato sul comodino prima di andare in bagno, le si avvicinò e, irritata, le disse “Che ci facciamo noi qui? Tu sei in un ritardo pazzesco! Ti avevo detto che passavo da te alle sette così andavamo a mangiare prima della festa!”
Tessa cercò le informazioni a cui Izzy si riferiva nella sua testa. Vuoto totale. Ovvio, non riusciva a pensare con quelle sei paia di occhi puntati su di lei. Will faceva girare sul suo indice destro le chiavi della stanza di Tessa e nel frattempo la squadrava. Era ancora arrabbiato per quello che era successo. Jem se ne stava tranquillo e seduto alla scrivania mentre Alec, Jace e Clary stavano tutti e tre poggiati al muro accanto alla finestra.
“Izzy, io non so di cosa tu stia parlando …”
“Ma come! Te l’ho detto il 31, o l’1 se preferisci, quando stavamo tornando qui dal Pandemonium! Oggi c’è la festa di Magnus Bane, il barista. Ci ha dato un invito!”
Era la prima volta che Tessa ne sentiva parlare …
“Davvero? Tu non me l’hai detto” rispose infine seccata.
Izzy fece un gesto con la mano.
“Fa niente, te lo sto dicendo ora. Vestiti. Ti do altri cinque minuti”
“Ho i capelli bagnati Izzy, neanche se fossi in Africa ad Agosto con il phon più potente del mondo riuscirei ad asciugarmeli in cinque minuti” e si indicò i capelli. Tutto questo era terribilmente imbarazzante.
“Clary, vieni. Dammi una mano”.
Clary a malincuore si staccò dal muro e sciolse la sua mano da quella di Jace.
La porta del bagno si richiuse dietro di loro.
Per la seconda volta  nell’arco di quasi due settimane, Izzy curò Tessa nei minimi dettagli.
Mentre Izzy sembrava nuovamente una dea, con un tubino senza spalline argentato e dei sottili tacchi neri, Tessa appariva più che altro come una scappata di casa, elegante si, ma pur sempre una senza tetto.
Izzy aveva trovato nel suo armadio, proprio nel suo, non in quello di Tessa, dei vestiti che purtroppo le stavano. Tessa maledisse Clary che con il suo occhio da artista riusciva a capire le misure così in fretta.
Si ritrovò ad indossare dei pantaloncini di jeans neri corti fino a metà coscia, dei collant  trasparenti e una camicetta bianca, che tentò, invano, di abbottonarsi fino al primo bottone. Ovviamente Izzy non fu d’accordo e puntualmente gliela riapriva fino al secondo, mettendo in bella mostra l’angelo meccanico e non solo quello.
Nonostante Tessa si sentisse nuda, Izzy  sosteneva che sembrava più una suora che una sedicenne in procinto di andare ad una festa.  A completare l’opera c’erano i suoi inseparabili stivaletti neri. Qualcosa di familiare! 
Tessa era già pronta per uscire dal bagno ma i suoi tentativi di fuga, nonostante l’aiuto di Clary che le sorrideva solidale, furono inutili. Izzy la riacciuffò per truccarla, per fortuna le applicò solo un po’ di matita nera, e aggiustarle i capelli in una coda vaporosa. Quando i capelli erano stati appena asciugati, la cresta leonina era purtroppo immancabile.
Tutto sommato Tessa si sentiva fortunata in confronto a Clary.
“Izzy mi ha costretta a indossare questa assurda maglietta …” stava spiegando la rossa.
“E’ un vestito Clary. Smetti di dire che sembri una prostituta, io lo metto e sono più alta di te”
“Questa assurda maglietta di pizzo nero. Potrebbe benissimo essere una canottiera.” Terminò Clary.
Effettivamente, Clary era più una ragazza da felpa e jeans e odiava i vestitini, e anche le feste se doveva ammetterlo. Pensava di assomigliare ad una tavola da surf con i colori di una carota e buttata in una gabbia di leoni affamati.
Questo era prima di conoscere Jace. Dal fatidico giorno in cui la sua cara madre, Jocelyn Fairchild, cugina di Charlotte, aveva deciso di scaricarla in quel posto, per chissà quali ragioni poi …, e quindi aveva conosciuto e dopo qualche settimana, si era messa con Jace, Clary si era sentita promossa a tavola da surf con i colori di una carota molto costosa e quindi ben protetta dal padrone.
Ad ogni modo, questa è un’altra storia.
Izzy, Clary e Tessa uscirono dal bagno e i ragazzi, ai quali si era aggiunto anche Simon, tirarono un sospiro di sollievo.
“Izzy, ci hai impiegato quindici minuti!” scherzò Jace.
Uscirono dalla stanza immergendosi nella fredda e buia Londra.
Stavano camminando lungo Fleet Street quando Jace, a gran voce e mettendosi in testa al gruppo, annunciò “Mangiamo da Taki, no? Ci viene di passaggio, così arriviamo a Soho Square in quindici minuti”.
Izzy approvò, e quando Izzy approvava, nessuno si sognava di contraddirla.
Taki era un locale sotterraneo, illuminato da soffuse luci al neon. Si, è una contraddizione dire “soffuse luci al neon” ma era proprio così, Tessa non se ne dava una ragione.
All’interno musica pop riempiva gli spazi ad un volume non troppo alto e quindi non fastidioso.
Will, Jem, Tessa, Clary, Jace, Alec, Simon ed Izzy si sedettero in un separè. Il tavolo era rettangolare, lo spazio angusto, e gli otto ragazzi stavano strettissimi. Fu per questo che andò a finire che Clary si dovette accucciare su Jace, addossandosi al muro a cui era affiancata la panca, e accanto a loro stavano Simon e Izzy, appiccicati come sardine.
Dall’altro lato, sulla panca, Tessa era compressa tra Will, accanto al muro a sinistra, e Jem e Alec, alla sua destra.
Poteva sentire il contatto con le gambe di Will, vicino alle sue, lo stesso per le braccia. Così vicini e così distanti.
Tessa lasciò che la sua testa cadesse priva di speranza sul tavolo, sembrava in preghiera.
Quando, esattamente, la sua vita si era fatta tanto complicata?
“Che ordinate ragazzi? Oh, ci sei anche tu Jace”. La cameriera pronunciò il nome del ragazzo strascicando tutte le lettere maliziosamente.
“Kaelie! Che piacere, lavori ancora qui?” proruppe Clary.
L’espressione sensuale della cameriera scomparve, al suo posto c’era una maschera di invidia.
“Io prendo patatine fritte e un panino al pollo” iniziò Simon “e una mezza minerale naturale,grazie”.
Izzy diede al ragazzo uno scappellotto. “Simon, dobbiamo fare uno spuntino, non il pranzo del Ringraziamento!”
“Sei inglese, che ne sai tu del Ringraziamento?”disse Simon guardando Tessa, la quale annuì.
“E’ vero, penso non saprete mai cosa è mangiare se prima non partecipate ad un pranzo del Ringraziamento in pieno stile americano”.
Tutti fecero le proprie ordinazioni, cose molto leggere come pancake o dolci del genere, e presto iniziarono a mangiare.
“Perché la cameriera sembrava volerti uccidere, Clary?” chiese Tessa con disinvoltura. Rispose Jace, compiaciuto di sé.
“La odia perché lei, ora” indicò Clary “dispone di un gran fico come me, dopo averlo soffiato a lei”
“Non è vero, non sei mai stato con Kaelie. Ci flirtavi soltanto”
“Può essere”
La conversazione sarebbe potuta anche continuare se non fosse stato per Will, che la interruppe, cambiando discorso.
“Qualcuno mi può spiegare perché stiamo andando a quella festa?”
“Perché sarà divertente. Magnus ha l’aria di un tipo che con le feste ci sa fare e noi”spiegò Izzy tutta concentrata “abbiamo bisogno di distrarci. Soprattutto visto che fra poco inizieranno le verifiche di fine quadrimestre”
“Come se fossero difficili” ribattè Will, mescolando distrattamente la sua soda con la cannuccia, prima di berne un sorso.
“Per te è facile sei un genio!”
Will pareva esasperato, come se quel discorse fosse stato fatto già un centinaio di volte in precedenza.
“Io non sono un genio, semplicemente, dedico un’ora al giorno a studiare”
“Non fa per me”
“Izzy” intervenne Alec “ se anche quest’anno manderai a mamma e papà una pagella come quella dell’anno scorso ti riporteranno con la forza a casa e ti faranno studiare con un precettore. Insieme a Max”
“Lo so, Alec. Ma non essere così melodrammatico” Izzy rivolse gli occhi al cielo.
“Chi è Max?” Aveva intanto chiesto Tessa, sottovoce, a Jem.
“E’ il fratello minore di Alec e Izzy. Studia da privatista a casa ed è un piccolo genio”.
La serata trascorse più o meno in questo modo, parlando del più e del meno.
Alle nove e mezza i ragazzi pagarono il conto e si diressero verso Soho Square, dove abitava Magnus Bane.

Angolino dll'autrice: Capitolo fresco fresco di scrittura. Chilometrico si ma succedono un pò di cosette "introduttive" ecco. 
Spero di aggiornare presto, soprattutto perchè la festa di Magnus Bane è il mio momento preferito in Città di Ossa e quindi ci tengo :)
Come avrete notato, ho inserito anche Taki e Kaelie. Mi è sembrata un'idea carina, forse non lo è stata ma ... fatemi sapere ^^
Poi, parliamo di Tessa. Sembra davvero bipolare, ne sono consapevole, ma non vi è mai venuta la voglia di litigare con qualcuno, anche senza motivo?Per puro sfogo? A me qualche volta si ... magari quando i tuoi genitori ti contraddicono e tu parti in quarta perchè gli ormoni ti dicono di farlo. Ecco, io punto, anzi sto puntando, perchè di solito non scrivo cose serie, alla vita che noi conosciamo, o abbiamo conosciuto, o che conosceremo. Dopo questa perla disaggezza da due soldi per la quale potrei essere spedita al Colosseo per essere mangiata dalle bestie feroci, io vado. Spero vi sia piaciuto il capitolo :) Ah! Grazie a tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate. VI ADORO. Non mi aspettavo potesse piacere questa cosa, ma grazie *.* So che i preferiti che ho non sono esattamente decine e decine ma ehi, mi accontento! :)
 




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Capitolo 28
*** Magnus Bane ***


Capitolo 27: Magnus Bane

La musica era assordante nell’appartamento. Invece che un loft con terrazza di Soho quel luogo sembrava più la sede di un Rave. Tessa avrebbe giurato di aver visto più persone che ingurgitavano pillole bianche e sniffavano della strana polverina.
Quando avevano bussato al campanello, attendendo dieci minuti buoni davanti alla porta di mogano con motivi a rombi, era stato lo stesso Magnus ad aprire.
Aveva gli occhi truccatissimi, cerchiati di nero, e un ombretto viola fluorescente. In più aveva sistemato con il gel i capelli, in modo tale che assomigliassero alle guglie di una cattedrale gotica.
Ovviamente, da capo a piedi, era pieno di glitter multicolore. Persino i vestiti di pelle nera ne erano invasi.
Magnus Bane li aveva squadrati tutti e otto da capo a piedi.
“Allora sei venuto, William. Bravo, hai accettato il mio consiglio” aveva detto appoggiandosi allo stipite della porta, allungando le braccia sopra la testa, come a stiracchiarsi. Portava le stesse lenti a contatto di Capodanno. Sembrava sul serio un gatto.
“Eravamo tutti così entusiasti di assaporare una festa degna di questo nome e mi aspetto di trovare una compagnia sconveniente, o sarò costretto ad andarmene” aveva risposto Will. Tessa si era irrigidita a quelle parole.
“Oh, la compagnia è eccezionale stasera” scoccò un’occhiata alle spalle di Will, Tessa lo notò, diretta sicuramente ad Alec, che infatti aveva abbassato lo sguardo.
Dopo questi convenevoli Magnus si era fatto da parte e aveva lasciato che entrassero.
Izzy e Simon non avevano perso tempo. Erano come spariti in mezzo a quella folla compressa nel salotto, che era stato improvvisato a pista da ballo.
Jace e Clary non si erano staccati nemmeno per un secondo e ora, mentre Jace faceva lo spaccone bevendo senza indugio tutte le bevande che gli erano sotto tiro, Clary guardava più sospettosa quei liquidi colorati che riempivano i recipienti da punch.
Tessa aveva invece seguito Jem e si era seduta su un divano, pregando che fosse pulito. Non si vedeva nulla con la poca luce che c’era, proveniente da qualche occhio di bue e dalle luci intermittenti colorate.
Per fortuna erano abbastanza lontani dal salotto e quindi la musica era meno forte. Diciamo che si poteva parlare, e si riusciva a capire, senza bisogno di perdere la voce.
“Tu pensi che ci divertiremo?” chiese ad un certo punto Tessa a Jem.
“Ne dubito. Però ormai siamo qui … “ il ragazzo scrollò le spalle.

Will era riuscito a ritagliarsi un angolino nel salotto. Aveva perso di vista tutti gli altri e ora nel suo campo visivo c’erano soltanto dei dark sotto l’effetto dell’ecstacy che ballavano come scalmanati, e Magnus Bane, che parlava con qualcuno. Stava sorridendo ma Will non capiva cosa dicesse. D’altronde, Will non capiva nemmeno con chi parlasse, visto che l’interlocutore si trovava dietro una delle due colonne di ferro che delimitavano l’ingresso alla sala. Neanche due secondi dopo, quando ormai Will era più che deciso a trovare Jem, qualcuno gli si avvicinò.
“William Herondale” esordì la bionda. Era alta e formosa e il suo striminzito vestitino di seta  rossa regalava una generosa visuale del suo decoltè. Ad occhio e croce doveva avere una trentina d’anni ma se li portava benissimo.
“Ci conosciamo?” rispose lui, per niente intimidito dal portamento elegante della donna e dall’espressione tipicamente snob.
“Tu non mi conosci, ma io conosco te.”
“Ti ha parlato Magnus di me?” Will iniziava ad irritarsi. Magnus, anche se aveva negato, aveva dato l’impressione di conoscere il cognome Herondale, e ora quella donna sapeva chi era. Cosa diamine stava succedendo?
“Mi ha detto qualcosa, ma ti avrei riconosciuto lo stesso. Oh! Che maleducata che sono! Il mio nome è Camille Belcourt e sono un’amica molto intima di Magnus” con un sorriso provocante Camille porse la sua mano inguantata di rosso a Will. Sembrava che volesse che lui la baciasse, ma Will non lo avrebbe mai fatto, così si limitò a stringerla con un paio di strette.
“Mi chiedevo come stanno mamma e papà. E da tanto che non li vedo”. Prima stoccata. Cosa voleva quella donna? “Sei identico a tua madre sai? Sarebbero fieri di te se sapessero come sei diventato …” Camille sapeva che quelle parole erano veleno per Will. Will lo leggeva nei suoi occhi … allora perché perseverava?
“Purtroppo non li sento da un po’” rispose a denti stretti.
“So della povera Ella, quattro anni fa circa mi sembra no? Che brutto incidente. “
Ora Will era seriamente spaventato.
“Chi sei tu?” se il suo sguardo avesse potuto uccidere le persone, quello che in quel momento le stava lanciando sarebbe stato letale.
“Camille Belcourt. Te l’ho detto. Ci rivedremo presto, William Herondale. Stanne certo.”
Si voltò e se ne andò.
Will fu preso dalla nausea. Sentir parlare di Ella, la sua defunta sorella maggiore lo aveva sconvolto. Qualche momento dopo puntò verso Magnus Bane. Finalmente poteva vedere il volto del suo interlocutore. Era Alec. Quando quest’ultimo lo vide sbarrò gli occhi e le suo guance divennero porpora ma Will non ci fece caso. Voleva solo parlare con Magnus e chi se ne importava se quei due parlottavano da mezz’ora appartati.
Will piantò i suoi occhi in quelli da gatto di Magnus, che lo superava di una manciata di centimetri.
“Vieni con me” sibilò. Magnus roteò gli occhi e sussurrò qualcosa ad Alec che, una volta che ebbe annuito, si allontanò.
“Che c’è William? Sull’invito ho scritto che non mi prendo la responsabilità di eventuali danni e quindi nemmeno dei tuoi”
Will continuò a tacere, fino a quando i due non ebbero raggiunto l’estremità della terrazza, silenziosa e sulla quale spirava un leggero venticello.
“Chi è Camille?”
Magnus non parve sorpreso che gli stesse ponendo quella domanda.
“Dunque l’hai già incontrata?”
“Si e mi ha fatto capire che sa più cose sulla mia famiglia di chiunque altro. Voglio solo sapere perché. Tu hai riconosciuto il mio cognome. Tu conoscevi i miei genitori!” A Will sembrava di impazzire. Da quattro anni non parlava con o dei suoi genitori. Persino Jem non ne sapeva nulla. Solo Charlotte era a conoscenza dei suoi “retroscena”.
“Bah … e io che volevo passare una notte in santa pace” Magnus lanciò un’ultima occhiata all’appartamento gremito.
“Camille, e anche io, se dobbiamo dire la verità, abbiamo, come dire … fatto in modo che l’inconveniente di quattro anni fa non si ripetesse. Ce lo hanno chiesto i tuoi comunque, di tenerti qui a Londra, lontano da casa.”
“Voi due non avete fatto nulla. Nemmeno vi conosco. Sono stato io che me ne sono andato. Se lei non mi trova sono salvo, e così anche mia sorella e i miei.”
“Io non mi sentirei così al sicuro se fossi in te. Stai all’erta” Magnus era diventato improvvisamente serio.
“Lo sono sempre stato e non ho intenzione di smettere ora”
“Io e Camille faremo lo stesso”
“Come fate voi a sapere tutte queste cose? Te lo richiedo” Will aveva parlato con una voce glaciale.
“Camille conosce lei … Lilith” al suono di quella parola, Will fu preso dall’impulso di prendere a pugni il muro accanto a lui “ e io ho conosciuto Camille, e quindi anche Lilith, e Edmund, tuo padre, ad una festa. Ero un po’ più piccolo degli altri.” Magnus sorrise a quel ricordo, facendo risplendere i piccoli denti bianchi “Ironia della sorte, è stato proprio al Pandemonium Club. Stavano facendo uno di quei viaggi organizzati per i giovani” scosse una mano per scacciare i ricordi “Ad ogni modo, non abbiamo notizie di Lilith da un po’ chissà … forse ha rinunciato alla sua vendetta”.
“Tu sei in contatto con i miei? Sai come stanno? E Cecily?” Will ora era curioso. I tratti del volto dei suoi cari erano ben nitidi nella sua mente ma i ricordi delle persone e le persone reali non sono la stessa cosa.
“A dire il vero non siamo più in contatto da parecchio. Non gli ho detto dove sei, per precauzione. Li ho rassicurati, ho detto loro che stavi bene e poi sono scomparso dalla circolazione. Sanno che sei a Londra. Nulla di più.”
“Bene” quanto avrebbe voluto rivederli …
Sulla terrazza comparvero altre due persone. Erano Jem e Tessa.
Will di scatto si allontanò di da Magnus mimando velocemente con le labbra “Non una parola”.
Magnus annuì e si avvicinò a Tessa.
“Niente fratellino stasera?”
Tessa inarcò le sopracciglia. A Will venne voglia di sorridere. Tessa assumeva sempre delle espressioni così buffe! Poi all’improvviso si ricordò di quel pomeriggio. Non capiva cosa le fosse preso. Era abbastanza sicuro di non aver fatto nulla per offenderla. Anzi, aveva intenzione di essere gentile senza coinvolgerla troppo nella sua incasinatissima, schifosissima, drammaticissima vita.
“Deve lavorare. Ho letto all’ingresso che la festa è per il gatto. Clary si chiedeva dove fosse, poco fa” rispose Tessa mentre si avvicinava alla balaustra, scoccando un’occhiata a Will.
“Oh, il Presidente Miao è uscito con un’altra gatta qualche ora fa. Se hai un regalo per lui glielo darò io domattina” strizzò un occhio alla ragazza.
Tessa si esaminò le braccia e scelse uno dei suoi bracciali d’acciaio a doppio giro e lo porse a Magnus.
“Spero che gli stia bene!” Magnus parve sorpreso.
“E’ il primo regalo che qualcuno gli fa! Tranne me, ovviamene”.
Il ragazzo, che doveva essere, come Camille, sui trent’anni, tutto contento rientrò in casa, girandosi tra le dita il bracciale.
“Molto astuto Theresa” si congratulò Jem “penso che da oggi sarai invitata a tutte le sue feste”
“Non saprei quanto possa essere positivo. Qui è una noia” intervenne Will.
“Insomma!” continuò “avremmo potuto assistere ad un appuntamento tra Henry e Charlotte! Li ho sentiti organizzarsi per stasera a cena, stamattina. Là si che ci saremmo divertiti!”
Jem fu contento della notizia.
“Allora si sono messi insieme? Meno male … Charlotte con quel Woolsey Scott stava per andare dritta al manicomio”
“Non ti facevo così pettegolo, Jem!” lo rimproverò, con il sorriso sulle labbra Tessa.
Will si scollò dal muro sul quale si era appoggiato e si pose di fronte a Jem e Tessa.
“Ho un’idea molto interessante da proporvi” e congiunse le dita delle due mani come avrebbe fatto uno scienziato. Era una visione alquanto inquietante.
“Sono le dieci. E’ ancora presto e quindi … perché non optare per un giretto notturno per far ammirare alla signorina Gray London by night in compagnia di due baldi e valorosi giovani?”
Tesse battè le mani eccitata, accogliendo allegra la notizia.
Se Will e Jem fossero stati uno la persona e l’altro il suo riflesso, non avrebbero potuto essere più coordinati. Si avvicinarono contemporaneamente a Tessa e, l’uno da un lato e l’altro dal lato opposto, l’afferrarono per le braccia e la fecero correre fino alla balaustra. Tessa impegò due secondi per capire le intenzioni dei due.
Con voce stridula urlò “No! NO!” ma era troppo tardi; ormai i suoi piedi si erano scollati dal solido pavimento della terrazza al primo piano di Magnus e si stavano muovendo sconclusionatamente nell’aria. Tutto l’ossigeno parve abbandonarla e il cuore le batteva in gola, ma era ancora stretta a Will e Jem. Questo la rassicurava. Un po’. No, in realtà non la rassicurava affatto.
L’atterraggio non fu doloroso come aveva previsto. I suoi amati stivali avevano ammortizzato l’impatto con l’asfalto e in un momento di lucidità la ragazza si era ricordata di piegare le ginocchia. In più Will e Jem avevano fatto in modo, atterrando perfettamente sincronizzati e con una perfetta e sublime grazia, che la sua discesa fosse meno brusca. Dopo un momento, in cui Tessa era rimasta immobile, la ragazza cadde a terra e riprese a respirare. Dalla sua bocca stavano per sgorgare i peggiori insulti degni di uno scaricatore di porto ma non riuscì a dire nulla perché iniziò a ridere. Dapprima piano, abbastanza istericamente, e poi sempre più forte. Poggiò la testa sulle ginocchia, cercando di calmare gli spasmi del suo corpo pieno come non mai di adrenalina, e dopo fu aiutata da Jem a rimettersi in piedi.
“Non fatelo mai più!” riuscì a dire alla fine.
“Ammettilo che ti sei divertita!” proruppe Will.
“Ma siete stati cresciuti in un circo o cosa?” scherzò Tessa.
“Esatto. Ci hai beccato. La nostra stanza era la gabbia dei leoni e i nostri tutori una donna barbuta e un nano. Ecco perché odio le barbe. E i nani” rispose allegro Will. Sembrava che il salto gli avesse pacificato l’animo. Poi mugugnò “Già … Nigel-Sei-Dita … quel bastardo di un nano …”

Angolino dell'autrice: Perdonatemi! Sono mortificata per non aver pubblicato nulla in tutto questo tempo. Mi dispiace ... e poi mi è venuto anche il blocco per una parte della storia e solo ieri pomeriggio ho elaborato qualcosa di plausibile, più o meno ... Poi vedrete cosa ha architettato il mio cervellino malato ;)Il capitolo non è granchè lo so ... in una parte è piuttosto confusionario lo ammetto, ma a tempo debito tutto verrà svelato. Al momento lasceremo un pò da parte Tessa per dedicarci a personaggi (Charlie e Henry) che avevo un pò accantonato.
Stanotte verrà rivelata la copertina originale di Città di Fuoco Celeste *.* Non è meraviglioso? E domani esce il DVD di Città di Ossa. Ovvio che io mi fionderò in libreria a comprarlo xD 
P.s. spero vi sia piaciuta la scena del salto, perchè io la adoro (l'unica cosa che mi piace del capitolo xD)

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Capitolo 29
*** Scommettiamo? ***


Capitolo 28: Scommettiamo?

Charlotte suonò il campanello.
Due secondi dopo la porta venne aperta da Woolsey, che era piuttosto imbronciato.
La donna raccolse tutto il coraggio che aveva e entrò, facendo un lieve cenno all’uomo che pensava, fino a non molto tempo prima, fosse “quello giusto”.
Woolsey le chiese di accomodarsi sul divano. Le balzò in mente la sera in cui vi si erano sdraiati e lei per un pelo aveva evitato di … si insomma, aveva evitato di buttare al vento la sua femminilità. Ora sapeva che era stata la cosa giusta da fare.
Si sedette, e davanti a lei, sulla poltrona, c’era Woolsey.
Tossicchiò un paio di volte, per invitare la voce a farsi sentire, la gola le si era prosciugata all’istante, ma trovò la forza per iniziare il suo discorso.
“Woolsey. So che non ci sentiamo da un pezzo, e so anche che è per colpa mia. Il fatto è che … che ti devo lasciare. Non posso stare con te. Probabilmente non ne soffrirai molto, forse sei già “passato avanti” ma io dovevo dirtelo, per correttezza”.
Woolsey corrugò la fronte, ma non era per nulla sorpreso. Se lo aspettava, ovvio. Erano tre settimane che Charlotte rimandava i loro appuntamenti e rispondeva ai messaggi con monosillabi. Non sapeva perché avesse rimandato la questione per tanto tempo ma finalmente si era svegliata e aveva recuperato il suo raziocinio.
Quelle tre settimane con Henry erano state così genuine … Henry era stato così vero. Tra loro nulla sembrava cambiato. Avevano lo stesso bellissimo rapporto di prima solo che adesso le chiacchierate, le passeggiate, si alternavano con silenziosi momenti in cui l’unica gioia era quella di essere lì insieme e da piccoli, timidi baci. Sembravano due scolaretti delle elementari ma a Charlotte andava bene così. Purtroppo quella quiete era turbata da Woolsey, che, non conoscendo la nuova situazione, insisteva con Charlotte e ora meritava una spiegazione.
“E’ per Henry vero?”
Charlotte annuì. Si vergognava di essere stata così volubile …
“Accetto la cosa. Non diventerò uno stalker, se è questo che temi. Almeno, non uno pericoloso” abbozzò un sorriso. Charlotte fece lo stesso, continuando a guardare fisso a terra, finchè dopo poco non riuscì a incontrare gli occhi di Woolsey.
“Accetto la cosa” ripetè “ ma non credere che io sia già “passato avanti”, come dici tu. Lo ammetto, non sono il più nobile tra gli uomini, ma non sono senza cuore. Mi piacevi Charlotte. Mi piaci ancora, se devo dirti la verità, ma non posso farci nulla. E’ evidente, no?”
Woolsey si era alzato per poi risedersi sul divano, accanto a Charlotte.
“Oh … Beh, sono felice che tu la pensi così. Sono certa che mi dimenticherai presto” Charlotte, con molta cautela, gli diede una leggera pacchetta sulla spalla.
Poi tutto accadde velocemente.
Charlotte si ritrovò accasciata sul divano, sotto Woolsey, che la stava baciando.
Nonostante la sua piccola taglia, la donna era molto forte e riuscì a svincolarsi, mettendosi in piedi e spingendo Woolsey da una parte.
“Ma che cavolo ti salta in testa?” era furiosa. E lei che aveva pure creduto alla storiella del “fa niente, non preoccuparti”!
“Ho dato inizio al mio progetto di riconquista!” rispose con un largo sorriso.
“Brutto porco maniaco! Stai lontano da me!” Charlotte gli puntò contro il braccio, con la mano alzata, come a dire stop.
Sbattè la porta dell’appartamento di Woolsey Scott senza sentirsi minimamente in colpa per il fatto di averlo mollato.

Toc toc.
Un timido bussare alla porta risvegliò Gideon Lightwood dal suo sonnellino dopo pranzo. Si passò le mani sul viso e, stiracchiandosi, andò ad aprire la porta.
Sulla soglia c’era Sophie, la mano sollevata a mezz’aria per bussare un’altra volta, probabilmente.
“Sono le tre e un quarto, signor Lightwood. Siete in ritardo per la vostra lezione e gli studenti iniziano ad essere irrequieti” disse quasi meccanicamente la cameriera.
Gideon tentennò per un momento, perdendo il suo caratteristico autocontrollo. Che figura! Dopo appena due settimane di insegnamento era già in ritardo per una sua lezione. In più, dovevano proprio mandare quella cameriera? Gli sembrava di non piacerle molto e in genere non si preoccupava mai di cose del genere, ma quei due occhi castani e la nota severa che le conferiva quella ferita sulla guancia sinistra ... non poteva negare che si sentiva vagamente in soggezione.
“Certo, arrivo subito. Mi dispiace” aggiunse.
“Non si deve scusare con me, signor Lightwood. Piuttosto con i suoi studenti, e con la signorina Fairchild”.
Fantastico, ora lo rimproverava anche! Oppure era tutto nella sua testa? Sophie lo fissava imperturbabile … Perché si stava dannando in questo modo per quella donna?
Stette ancora un po’ in piedi davanti a lei, guardandola fisso leggermente imbambolato, perso nei suoi pensieri, fin quando Sophie non parlò di nuovo.
“Signor Lightwood?”
“Si?”
“Deve andare giù in cortile, ricorda?”
“Si” si riscosse “vado subito”.
Prese di volata il registro, la penna e il fischietto e uscì dalla stanza.
Sophie era sparita dalla soglia.
Que soy un idiota, borbottò tra sé chiudendo la porta a chiave.

Quando arrivò in cortile i ragazzi erano tutti seduti a terra, o sulle panchine, a parlare e sghignazzare tra loro. Ragazzini … pensò con un moto di stizza il professore.
“Anche se sono in ritardo dovete cominciare l’allenamento lo stesso alle tre! Non vi avevo forse detto che all’inizio di ogni lezione avreste dovuto fare dei giri di corsa?” tuonò Gideon.
Il suo tono incuteva timore e si sentì un coro di timidi “Si”.
“Allora cosa aspettate? Su partite!”
I ragazzi iniziarono a correre mentre Gideon era irritato per la loro pigrizia e per la sua stupidità. Aveva ancora in mente il volto della cameriera.

Tessa correva. Dopo due settimane era riuscita ad ottenere una certa resistenza e ora non faticava troppo e, anche se non era troppo veloce, non finiva mai i giri per ultima.
Dopo un po’ qualcuno la affiancò. Scorse Jem con la coda dell’occhio.
“Ehi!” la salutò.
“Ciao” rispose lei in un soffio.
“Stanca?”
“Non troppo … e tu? Non si direbbe che stai correndo da dieci minuti!” Effettivamente Jem non sembrava neanche vagamente sudato e la sua andatura era costante, neanche un po’ affaticata.
“Mi piace correre” rispose semplicemente.
“Beato te” sorrise Tessa “E non fai a gara con gli altri, oggi?”
“Nah … Will, Jace e Izzy hanno accettato una tregua e io e Alec non siamo rivali”
“Mi sembra giusto” annuì Tessa. Inconsapevolmente si era adattata alla velocità di Jem e ora, di tanto in tanto, nel procedere, i loro gomiti si sfioravano.
“Era da un po’ che non ci incrociavamo, ti pare?”
“L’ultima volta che siamo stati insieme per tanto tempo, insieme a Will, ho saltato dal primo piano di un palazzo per poi andare in giro per Londra … e siamo ritornati alle quattro dalla nostra “passeggiata” perciò perdonami se preferisco una compagnia più tranquilla” rise Tessa.
“Vuoi dire che non ti sei divertita nemmeno un po’?” Jem inarcò un sopracciglio.
Tessa ricordò il pub in cui si erano fermati e dove avevano vuotato diversi bicchieri, il giro sulla London Eye, le loro risate in Fleet Street, quando non riuscivano quasi a reggersi in piedi, più per la stanchezza che per l’alcol che avevano in corpo.
“Ho dormito tre ore e il giorno dopo avevo lezione” replicò Tessa.
Tenendo gli occhi fissi sul viale davanti a lei, Tessa non notò il repentino cambiamento d’espressione di Jem. Il sorriso venne rovinato da una smorfia mentre i suoi piedi perdevano aderenza sul suolo e lo facevano cadere. Tessa non fu abbastanza svelta da prenderlo ma si accorse subito dell’accaduto.
Si chinò su Jem, aspettandosi l’ormai purtroppo familiare attacco di tosse, che però non arrivò.
“E’ tutto a posto? Jem? Vado a chiamare Lightwood? Cerco Will?”
Jem scosse la testa. “No, va tutto bene. Solo …” la sua voce si incrinò imbarazzata “puoi aiutarmi ad alzarmi?”
“Certo!” Tessa passò il suo bracco sotto quelle nude di Jem, che indossava una canottiera, e lo issò su.
“Scusa … è stata la stanchezza. Su, continuiamo” Jem fece per riprendere a correre ma Tessa lo bloccò.
“Non penso sia il caso, Jem. Fermati. Riposati.” La sua voce era dolce ma ferma allo stesso tempo. Anche lei soffriva per le sue condizioni ma non poteva permettergli di farsi ulteriormente male.
Jem calò il capo, in segno di resa.
Presero a camminare verso la palestra interna, dove lanciavano i coltelli, per iniziare la vera e propria lezione.
Jem procedeva silenzioso, Tessa aveva quasi paura che fosse arrabbiato con lei per averlo fermato, ma aveva fatto la cosa giusta. Ne era sicura.
Parlò dopo qualche minuto, non sopportando quel silenzio.
“Hai paura?”
Jem si riscosse. “Che intendi?”
“Di quello che ti accadrà …” Tessa non osava neppure pensare la parola “morte”. Non poteva accettare che un sedicenne potesse avere a che fare con la morte. Era contro natura. Punto.
“No. Non ho paura di quello che c’è dopo, se è questo che intendi. E nemmeno del momento in cui me ne andrò. Più che altro mi dispiacerà non esserci. Sai, lasciare Will e tutti gli altri. Anche te, se lo vuoi sapere” sorrise mentre Tessa arrossì, mascherando l’imbarazzo ficcandosi le mani nelle tasche della felpa.
“E poi” continuò Jem “la vita è una ruota. Io rinascerò e chissà, potrei rincontrare i miei genitori, nella prossima vita”
“Mmm …” Tessa non era molto sicura di questo. Zia Harriet la portava in chiesa, quella cattolica, ogni domenica e le piaceva persino. Apprezzava l’idea che ci fosse qualcosa “dopo” ma il fatto di tornare … Non si diceva “carpe diem” proprio perché la vita era una? Ma in fondo, sarebbe stato bello rincontrare coloro che se ne erano già andati. Se Jem diceva questo, voleva dire che ci credeva. E se Jem lo credeva, anche lei poteva farlo, perché si fidava di lui. Jem non sbagliava mai. Quando arrivarono in palestra, Will era già lì e, vedendo Jem camminare lentamente, aggrappato al braccio di Tessa, corse loro incontro.
“Cosa è successo?” chiese serissimo. Poteva anche apparire costantemente sarcastico, pungente e menefreghista, ma quando si trattava di Jem, mente, anima e corpo non potevano mentire.
Tessa fece per parlare, ma Jem la precedette.
“Nulla Will, stai tranquillo” e abbozzò un sorriso, staccandosi da Tessa. Fu la ragazza, tuttavia, a sentirsi spezzata. Finchè manteneva il contatto con Jem, allora lui era vivo, ma nel momento in cui si allontanava da lei, o non si vedeva più, allora l’ansia la invadeva. Non che reputasse Jem debole, anzi, ma aveva sviluppato nei suoi confronti uno strano senso di protezione. Soprattutto da quando, stando attenta, aveva cominciato a sentire i commenti sul suo conto. I pettegolezzi e, purtroppo, le cattive voci, che sulla sua malattia giravano. Gli davano del dipendente solo perché per non morire all’istante aveva bisogno di quella polvere. Gli davano della falsa vittima, quando, mancando di quando in quando alle lezioni, i professori lo giustificavano all’istante, anche se Jem cercava sempre di evitare la compassione altrui.
Tutti e tre presero posizione ognuno nella propria postazione, accanto al tavolo con i coltelli e davanti, ad una ragionevole distanza, agli anelli concentrici dipinti sul muro.
Tessa impugnò la prima lama. Era leggera e ormai il suo braccio era abituato a questo “prolungamento”. Il manico era diventato familiare al suo palmo e ai suoi polpastrelli ed era diventata anche abbastanza brava, senza ricorrere più né all’aiuto di Lightwood né tantomeno a quello di Will.
Portò il braccio indietro, sopra la testa. Con un lungo movimento, veloce e deciso, lanciò il coltello che si conficcò al centro del bersaglio fino all’impugnatura.
Sentì su di sé lo sguardo di Will, a tre metri di distanza da lei, che aveva appena compiuto lo stesso esercizio.
“Complimenti” parve sinceramente colpito.
Tessa spostò lo sguardo dal proprio bersaglio a quello di Will.
Il suo lancio era stato meno potente e metà della lama aveva perforato il legno del muro. Tra l’altro non aveva preso il cerchio più piccolo per un paio di centimetri.
“Grazie. Non posso dire lo stesso …” alluse al suo colpo fallito, ironica. Non era assolutamente arrabbiata con Will. Non più. Ma non aveva comunque voglia di fargliela passare liscia.
“Scommettiamo?” Will si passò la mano tra i capelli neri corti, osservando la ragazza da sotto il suo braccio.

Angolino dell'autrice: Ecco qua il capitolo! Avevo detto che avrei messo da parte Will, Tessa e Jem per un pò, lo so ma ... non ce l'ho fatta. Dovevo assolutamente scrivere quel dialogo tra Tessa e Jem! Spero sia piaciuto anche a voi! Spero che vi sia piaciuto il capitolo in generale :)
Per questa settimana non so se potete aspettarvi un altro capitolo ... ma non credo ... Fooorse sabato o domenica, in caso ci si riaggiona alla prossima settimana! Tenterò di parlare, sul serio, degli altri personaggi nel prossimo capitolo, ma non vi assicura niente. Mi stanno venendo in mente tante scene Wessa *.* Fatevi sentire, se volete u.u, a me fa piacere :)
Arrivederci :)

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Capitolo 30
*** Aereoplanini di carta ***


Capitolo 29: Aereoplanini di carta

“Will, piantala!” Ruggì Tessa quando, per la quarta volta in dieci minuti, un aereoplanino di carta atterrò sul suo banco nella classe di Matematica 3.
“Theresa, va tutto bene laggiù? Hai problemi con il compito?” chiese premuroso come sempre il professor Branwell.
Tessa scosse la testa arrossendo.
“No professore, va tutto bene. Grazie.”
Tessa ritornò a guardare Will che si limitava a indicare, stando bene attento a non farsi beccare da Branwell, l’aeroplanino.
Tessa lo aprì.
Ti prego, quando finisci il compito copia qui procedimenti e risultati e mandameli. Ti prego ti prego ti prego.
La ragazza rivolse a Will il più atroce e severo sguardo del suo repertorio.
La sicurezza di Will iniziò a vacillare mentre Tessa ritornava ai suoi calcoli.
Erano arrivati alla fine del primo quadrimestre e per fare il test di matematica erano state concesse quattro ore.
Alla seconda ora, Tessa aveva già completato gli esercizi e li aveva copiati in bella ed era abbastanza sicura di aver svolto tutto alla perfezione. Aveva passato interi pomeriggi con Jem a studiare, per ottenere quel risultato. Non capiva perché Will non avesse fatto lo stesso … Probabilmente non riteneva la matematica abbastanza importante da perdere tempo con essa. Sarebbe stato molto da Will, in effetti.
 Quando si alzò per andare a consegnare il proprio compito fece scivolare la brutta copia del test sulle gambe di Will e, senza fermarsi neanche per un istante giunse fino alla cattedra e poi infilò la porta.

Più tardi, mentre stava studiando francese, per il colloquio d’esami del giorno dopo, Tessa sentì un lieve bussare alla porta. Ruotò la sedia e scese a piedi nudi sul parquet caldo, merito dei tubi del riscaldamento che si diramavano sotto tutto il pavimento del primo piano.
Quando aprì la porta non c’era nessuno. Allora uscì in corridoio e solo a quel punto si accorse del libro che era stato poggiato lì.
Tessa si chinò e lo raccolse, inconsapevole di essere osservata da un paio di occhi blu.
Quegli occhi blu continuarono a guardarla mentre lei leggeva il titolo del volume:  Il fantasma dell’Opera.
E la fissavano ancora mentre le sue labbra si increspavano in un sorriso, nello scorrere le righe della piccola dedica sulla prima pagina.

A Tessa Gray,
nel regalarle una copia de Il fantasma dell’Opera.

Mi hai passato il compito di matematica,
devi esserne davvero pratica!
Così, per del favore ringraziarti
non ho potuto pensare ad altro,
se non a regalarti
un libro piuttosto interessante
dalla trama incalzante!
Se non ti piacerà
l’amicizia nostra finita sarà.
E anche contro la sua volontà
la sua persona, con me, domani sera a vedere il musical verrà.

Will Herondale.

La porta si richiuse alle spalle di Tessa, lasciando Will là, sul cornicione della finestra dove si era nascosto, a pensare. I dolci e rassicuranti pensieri che riempivano la sua mente furono interrotti da un urlo proveniente dal cortile.
“Herondale! Scendi immediatamente da lì!” Era Gideon Lightwood. Nei suoi occhi verdi era evidente la paura.
“Niente panico, signor Lightwood!” urlò Will di rimando.
“Non muovere un muscolo, William! Vengo ad aiutarti!” disse invece Gideon.
“No, sul serio, professore. Non c’è bisogno! Sto scendendo!”
Velocemente Will individuò il tubo di scolo delle grondaie e vi si aggrappò, lasciandosi scivolare lentamente e, dopo qualche secondo, fu a terra. Nonostante fosse soltanto il primo piano, non poteva saltare come aveva fatto a casa di Magnus. I soffitti dell’Istituto erano molto alti e di conseguenza il primo piano corrispondeva al terzo di un qualsiasi altro normale edifico e non ci teneva proprio a schiantarsi al suolo per diventare un tappeto e contribuire all’arredamento degli ambienti esterni.
“Dio Santissimo, William! Cosa avevi intenzione di fare!” Gideon sembrava sul serio sconvolto. Di solito era sempre così imperturbabile … Doveva avergli fatto prendere un colpo! Di certo non poteva dire che voleva spiare Tessa, se no, da aspirante suicida, sarebbe diventato aspirante stalker … e non teneva neanche a questo, a dir la verità.
“Volevo soltanto divertirmi un po’, prof!” e rifilò al professore un classico sorriso da schiaffi.
“Ma davvero, Herondale?” rispose Lightwood in modo affabile. In modo troppo affabile. “Allora adesso … andrai a divertirti nell’ufficio della signorina Fairchild. Sei d’accordo?”
“Mi sembra un’idea eccellente, prof.” Will girò sui tacchi e fece per andarsene, ma Lightwood parlò ancora.
“Come mi devi chiamare, Herondale?”
“Professor Lightwood” borbottò Will.

“Avanti” Charlotte sollevò gli occhi dalla pila di scartoffie su cui stava lavorando.
“Oh Will. Sei tu. Di che hai bisogno?”
“Seccata di vedermi, Charlotte?”
Charlotte roteò gli occhi. “Ho molto lavoro da sbrigare quindi, per favore, fai in fretta.”
Will si sedette di fronte a lei, dall’altra parte del tavolo e prese a giocherellare con una penna.
“Mi ha mandato il professor Lightwood. Penso che sospetti che io abbia appena tentato il suicidio …”
“E perché dovrebbe sospettare qualcosa del genere?”
“Suppongo perché mi ha visto mentre stavo seduto sul cornicione della finestra al primo piano …”
“E che cosa ci facevi sul cornicione della finestra del primo piano, William?” Charlotte era seriamente arrabbiata ma il suo tono era piatto, la qual cosa rendeva il tutto ancor più terrificante.
“Nulla di particolare, ma di certo non stavo per uccidermi”
“Va tutto bene?”
“Sul serio, ho la faccia di una persona che sta male?” Will si indicò il viso, accigliato.
“Ti prego, non farmi fare commenti sulla tua faccia, Will. Temo che ti offenderesti.” Osservò Charlotte.
“Gentile e piena di tatto come sempre, signorina preside. Io ora andrei”
“Vai. Vai e non metterti nei guai” sospirò infine la donna.

 Angolino dell'autrice: Temo di aver mentito di nuovo. Qui si parla ancora di Will e Tessa ... mannaggia a me! Però mi è sembrata un'idea tanto carina quella di questo capitolo ... era da un pò che ci pensavo a questo "siparietto" con Will fuori dalla finestra del corridoio a guardare Tessa xD Sono riuscita ad aggiornare prima del previsto :P In questo periodo non ho molti compiti perchè ho finito tutte le interrogazioni e le verifiche del quadrimestre ( si, signori mi ispiro anche alla mia noiosissima vita reale per i miei capitoli u.u Se ve lo steste chiedendo: no, non conosco ahimè nessun Will e tantomeno nessun Jem -.-'')
Adieu :)

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Capitolo 31
*** Malediciòn ***


Capitolo 30: Malediciòn!

Gideon Lightwood si passò una mano tra i capelli, con i nervi stremati. Nel momento in cui aveva visto Herondale su quel cornicione, le gambe penzoloni e lo sguardo perso nel vuoto, aveva pensato subito al peggio.
La preside Fairchild gli aveva detto di tenerlo d’occhio, discretamente, ma di stare comunque attento a lui. La donna non gli aveva spiegato il motivo, e lui d’altro canto non aveva chiesto nulla, ma sembrava abbastanza preoccupata.
Si diresse verso le cucine: era affamato da morire e doveva affrontare ancora tutto il pomeriggio, prima con i ragazzi del terzo anno e poi con quelli del primo.
Aprì la dispensa nella speranza di trovarvi qualcosa di commestibile e veloce da sgranocchiare.
La delusione fu immediata. I ripiani erano strapieni di cereali, biscotti e … scones.
Gideon aveva sempre odiato quelle dannate focaccine, fin da quando era bambino e la cameriera gliele faceva ingurgitare a forza insieme al tè.
Rimpianse di non trovarsi ancora in Spagna, all’Istituto di Madrid. Là la cuoca non si staccava nemmeno per un momento dai fornelli. Ora, invece, a Londra, la cucina era deserta.
Gideon continuò ad aggirarsi per le cucine per una manciata di minuti come un T-rex in cerca della preda. Anche se nella mente dell’uomo la scena appariva lievemente diversa, come quella di un ladro silenzioso … Non voleva fare troppo rumore e non desiderava nemmeno farsi trovare a rovistare in cerca di cibo.
Tutto ad un tratto la luce si accese.
“Signor Lightwood! E’ lei, allora!”
La voce di Sophie giunse totalmente inaspettata alle orecchie di Gideon che, dall’alto della sua statura, nell’atto di voltarsi dall’altra parte, verso la cameriera, andò a sbattere la testa contro l’anta di uno stipetto aperto.
“Malediciòn!”
Poi tutto fu buio e la fronte smise di pulsare …

“Signor Lightwood? E’ sveglio?” Sophie diede un altro paio di colpetti alle guance dell’uomo. Era svenuto da un po’ e Sophie, preoccupata, si era inginocchiata sul pavimento e aveva adagiato la testa del professore sulle sue gambe.
Finalmente Gideon aprì gli occhi e Sophie, portandosi una mano sul cuore e poggiando l’altra sulla fronte del professore, si rinfrancò.
“Meno male che sta bene, signor Lightwood! Temevo fosse andato in coma!” Incurvò verso l’alto l’angolo della bocca. Gideon avrebbe persino ricambiato il sorriso ma si rese conto che il volto della ragazza giungeva ai suoi occhi al contrario e che la sua guancia era accarezzata da un lieve calore.
Allora di scatto si mise seduto sul pavimento ghiacciato, davanti a Sophie, la quale aveva ritratto la mano come se fosse stata morsa.
“Sto bene, grazie. Mi sono soltanto spaventato. Cioè, non mi ha spaventato  lei! Avrebbe potuto essere chiunque e io avrei fatto sempre la stessa terribile figura.”
“Ma perché facevate così tanto rumore? Sono venuta a controllare pensando che un elefante ubriaco si fosse introdotto nell’Istituto.” Santo Cielo, che gaffe aveva appena fatto Sophie!
Aveva appena dato dell’elefante ubriaco al professore …
“Mi dispiace … non volevo disturbarla. E’ solo che ho saltato il pranzo e ora stavo cercando qualcosa da mangiare …”
Sophie si alzò da terra, spolverandosi i jeans e sistemandosi la coda di cavallo.
“Allora sarebbe dovuto venire subito da me, dato che Agatha si è ritirata nel suo appartamento. Cosa desidera?”
Si alzò anche Gideon. “Beh, anche un panino andrebbe bene.”
“Arriva subito.” Sophie si muoveva svelta tra i tavoli e i ripiani della cucina e nel giro di pochi minuti a Gideon fu servito su un piatto di ceramica un bel panino morbido alla piastra ripieno di prosciutto fresco e mozzarella.

“Henry” cantilenò Charlotte “ smettila di giocare a guardia e ladri con i fantasmi.”
“Voglio solo essere prudente, non voglio che ci vedano!” ribattè Henry, gettando un ultimo sguardo al corridoio deserto e chiudendosi alle spalle la porta dell’appartamento di Charlotte.
“Punto primo, tutti sono abituati da anni a vederti entrare e uscire da qui. Punto secondo, nessuno può dirci nulla perché io sono la preside e poi perché non stiamo facendo nulla di male!” Negli ultimi tempi Henry tendeva ad evitarla in pubblico. Non voleva che gli alti pensassero che la stava usando come mezzo per una sicura promozione o chissà che altro! Chi poteva dire cosa Henry rimuginasse in quella sua testa?
“Allora, sei pronta?”
Charlotte annuì tutta sorridente. Quel giorno Henry l’avrebbe portata a cena fuori per la prima volta. Non avevano avuto molto tempo per gli appuntamenti e, le poche volte che erano usciti, si trattava di pranzi o passeggiate.
Una volta fuori dall’Istituto, all’interno del quale Henry aveva insistito affinchè camminassero a un metro di distanza, il fulvo si avvicinò a Charlotte porgendole il braccio, al quale Charlotte si strinse dolcemente con entrambe le braccia.
“Lottie, stavo pensando che potrei sviluppare un sistema di allarmi migliore di quello che abbiamo. Ho notato l’altro giorno che, scavalcando i muri laterali non c’è ne un sensore ne una microspia a segnalare la cosa.”
“Tu hai scavalcato i muri dell’Istituto?”
Henry parve accorgersi di non aver fatto troppo bene a confessare questa piccola avventura alla donna così tento di giustificarsi.
“Si ma per assicurarmi che l’Istituto fosse sicuro e non lo è. Mi sono già messo a lavoro per un nuovo sistema. Sarà pronto entro due settimane e poi lo installerò!”
“Non” Charlotte abbassò il tono della voce, minacciosa “non installare nulla. Tu finisci quello che hai iniziato. Poi mi farai vedere cosa hai realizzato e forse si potrà parlare di metterlo in funzione.”
Proseguirono la discussione fin quando arrivarono al ristorante.
Era un locale abbastanza piccolo e il loro tavolo era alquanto appartato nella sala rivestita completamente di legno.
Sulla vetrina era stampato in corsivo il nome “Moon Bistrot”.
Guardandosi attorno e esaminando gli altri avventori del ristorante Charlotte potè constatare che la clientele era proveniente dall’alta società e, a fine serata, avrebbe lasciato una lauta mancia al cameriere che li avrebbe serviti.
Si accomodarono sulle eleganti sedie di vimini e, quasi fastidiosamente assistiti da una troppo profumata cameriera, tanto profumata che a Charlotte venne quasi un mancamento, scelsero gli antipasti e i secondi piatti.
Erano rapiti cos’ tanto da quel cibo delizioso e così raffinato, che stettero per molto tempo in silenzio e comunicando con gli occhi. In effetti non c’era bisogno di parlare, capivano al volo quello che l’altro stava per dire o anche solo pensava. Henry era un po’ più bravo a nascondere le emozioni, nonostante tutto. Charlotte non capiva infatti quanto velocemente il cuore di Henry batteva, non tanto per il nervosismo (cosa poteva provocargli del nervosismo? Charlotte lo metteva cos’ a suo agio! Aveva solo paura, di tanto in tanto, di fare la figuro dello scemo sempliciotto … ma, chi se importava?) quanto per la felicità.
Ma, dico io, po’ mai una bella serata rimanere tale a lungo? La risposta la conoscete già: no.
“Charlotte Fairchild e Henry Branwell! Che piacere incontrarvi!” La voce suadente di Woolsey Scott giunse fastidiosa alle orecchie dei due.
Henry si alzò in piedi, pronto a sbattere fuori dal locale il disturbatore a calci, se necessario.
Woolsey fece un gesto con la mano. “Ti prego Henry, non riprendiamo da dove ci siamo interrotti. Sarebbe molto spiacevole per te.”
Il “lato oscuro” di Henry dopo così tanto tempo fece nuovamente capolino.
“Non mi sembra di essere stato io quello che è tornato a casa con il naso rotto.
“Ti sopravvaluti, temo. Era solo contuso.” Woolsey alzò un sopracciglio lanciando un’occhiata allusiva a Charlotte.
“A questo posso rimediare subito.”
“No, Henry. Lascia perdere, ignoralo e basta.”
Charlotte voltò nuovamente la testa e ricominciò a mangiare ignorando deliberatamente la presenza di Woolsey. Henry fece per sedersi.
“Bene, non curatevi di me. Io devo solo vedere un’amica. Peccato solo che …”
Chiaramente si aspettava che Henry abboccasse all’amo … Infatti:
“Peccato cosa?” chiese acido Henry.
“Peccato che per certe cose non sia brava quanto Charlotte.” Sorrise malizioso e lanciò un’altra occhiata a Charlotte.
La donna si irrigidì ma, glaciale, disse “Sta mentendo vuole solo provocarti Henry. Lascialo stare.”
Henry seguì il consiglio e riprese anche lui a mangiare. Nemmeno due secondi dopo Woolsey girò sui tacchi e si allontanò.
Charlotte si accorse che la mano di Henry tremava e la cosa era ulteriormente evidenziata dal traballare della forchetta che impugnava.
Allungò la sua mano verso quella di Henry e gliela strinse.
“Henry, che hai?”
“Nulla, non ti preoccupare.” Rispose, tenendo lo sguardo fisso sul piatto e infilzando un pezzetto di orata.
“Guardami negli occhi e dimmi che va tutto bene.” Insistette Charlotte.
Henry obbedì e Charlotte vide che i suoi occhi castani erano arrossati.
“Non sto bene per il semplice fatto che” arrossì vistosamente e, se la situazione non fosse stata tanto seria Charlotte sarebbe scoppiata a ridere “quello che dice lui potrebbe essere vero. In fondo siete stati insieme abbastanza tempo per … per fare tutto quello che dovevate fare.”
“Henry, caro Henry” iniziò con tone dolce Charlotte per poi mutarla all’improvviso “questa è la più grande idiozia che tu abbia mai avuto il coraggio di dire!”
Henry sgranò gli occhi e per Charlotte questo fu un incoraggiamento a continuare.
“Non so come la cosa ti possa far sentire ma io, ancora, non ho mai …” la veemenza di Charlotte sparì lasciando il posto all’imbarazzo.
Sussurrò , quasi mimò le parole “Sono ancora vergine”.
La mascella di Henry per poco non cadde nel piatto in mezzo ai resti dell’orata e sempre per poco il cameriere super luccicante, dal look eccentrico e gli occhi gialli da gatto non gliela portò via in cucina poco prima di servire il dessert.

Angolino dell'autrice: *fa capolino sul palco, sonda il terreno e ... viene improvvisamente travolta da una quantità così grande di ortaggi andati a male da fare un baffo a Colin Morgan che interpreta il povero Merlino costantemente messo alla gogna ...*
Ok, ho delle buone ragioni per questa assenza u.u Non è stata colpa mia! In pratica stavo sistemando l'armadio quando una forte corrente mi insospettisce. Allora seguo la corrente che, stranamente, proviene dall'armadio. Capito nel mondo di Narnia! E lì è stato un pò un casino perchè Peter, o meglio, re Peter, si è montato la testa a forza di regnare e quindi ho dovuto convincerlo ad abdicare per lasciare il posto a Edmund. Poi sono tornata a casa ma il giorno dopo in classe, malauguratamente ero solo in quel momento -.-, sono stata attaccata da un esercito di demoni marini. Non chiedetemi perchè ma Percy pensa che io gli ho rubato la penna-spada. Io ovviamente non l'ho mai fatto e per nascondermi sono andata nel bagno delle ragazze ... manco a dirlo lì c'era un troll! Per fortuna c'erano anche Hermione e Ron (che facevano cose non troppo lecite a scuola) e così mi hanno salvata.
A quel punto sono tornata a casa, pensando di aver vissuto abbastanza avventure per due giorni ... invece no! Perchè un biondo ossigenato e una rossa tappetta mi hanno fermata pensando che fossi un demone, poi si è scoperto, dopo una settimana di ricerche, che sono un incrocio di angeli e demoni e quindi per fare i loro studi mi hanno trattenuta un pò ... Ora finalmente il mondo è tornato alla normalità anche se proprio dieci minuti fa ho visto uno strano tizio vestito di blu, il cappello a punta e i capelli e la barba lunga e grigia che stava davanti casa mia e si rigirava tra le dita un anello simile ad una fede nuziale ... anche se c'erano delle incisioni in rosso sopra ma boh ...!
Ok, scherzi a parte, mi dispiace sul serio moltissimo ma non ho avuto proprio tempo e nemmeno ispirazione. Cercherò inoltre, di leggere tutte le storie che mi avevate chiesto di leggere e mi dispiace di non averlo fatto prima :(
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, ciao ciao!! :D

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Capitolo 32
*** Buio ***


Capitolo 31: Buio

Qualcuno bussò alla porta della sua camera. Tessa trasalì. Si trattava certamente di Will, pronto a portarla a teatro per lo spettacolo, e lei … e lei non aveva ancora deciso che cosa indossare. Non voleva essere troppo elegante quella sera, infondo si trattava solo di un musical, ma non voleva nemmeno sembrare la Befana. Quando Will bussò per la quinta volta Tessa si strappo quasi di dosso i jeans e il golf e indossò un tubino blu lungo fino a qualche centimetro sopra le ginocchia. Era molto semplice e poteva essere adatto. Poi, infilando le scarpe e indossando il giubbino nero contemporaneamente, aprì la porta.
“Allora sei viva! Stavo per andare a chiamare Sophie per farle aprire la porta.”
Tessa non rispose subito perché era in contemplazione. In contemplazione di quel ragazzo di un paio di centimetri più alto di lei, slanciato , dai capelli neri tirati indietro, pettinati per una buona volta, e con addosso giacca e cravatta. Sembrava più grande, non vecchio, solo … più grande.
“Scusa, ma avevi detto che ci vedevamo alle sette e mezza, e sono ora le sette e mezza.”
“Discutere con te e cercar di far prevalere le proprie opinioni è una battaglia persa in partenza vero?”
“Vedo che l’hai capito.” Tessa annuì, tirando su la zip del giubbino e sistemandosi su una spalla la borsa.
“Bene, direi di andare. Lo hai letto il libro?” Chiese Will, scendendo le scale fino ad arrivare all’ingresso.
Tessa annuì. “E ti dirò di più, l’ho anche finito. E’ particolare.”
“Puoi dirlo forte.” Sorrise Will.

“Dunque, non sei emozionata?” chiese Will con finta nonchalance. Probabilmente era lui quello emozionato per la serata.
“Oh, certo! Avrò William Herondale tutto per me per l’intera serata … non è il sogno di ogni donna?”
“Hai centrato il concetto. Io sto a fascino come il Fantasma dell’Opera sta a genialità!” Will enfatizzò la frase muovendo il braccio e la mano verso l’alto.
“Allora credo proprio che l’elemento in comune tra i rapporti sia la pazzia.”
“I migliori erano pazzi.”
“Ma non tutti i pazzi sono i migliori.”
Will stava per controbattere ma vide con la coda dell’occhio un’ombra muoversi furtiva dietro di loro. Si girò di scatto ma la via, illuminata dai lampioni e dalle insegne al neon dei negozi chiusi, era vuota.
“Will, tutto bene?” chiese Tessa, un po’ preoccupata.
“Si. Si, tutto okay però leviamoci da questa stradina.” Will la afferrò per il braccio e prese a camminare più velocemente, finchè non arrivarono a Trafalgar Square dove la presenza di tanta gente riportò un po’ di serenità nel cuore del ragazzo.
Nella foga Will non si era accorto di aver preso la mano di Tessa. La ragazza invece aveva visto e sentiva forte il contatto delle loro mani intrecciate. Era un po’ imbarazzante, strano, ma stava bene così non cercò di divincolarsi né fece notare la cosa a Will.
“Cosa è successo?” chiese invece Tessa. “Sembravi spaventato, poco fa.”
Will le rivolse un sorriso sicuro.
“Nulla di cui preoccuparsi. Londra è pericolosa, anche quando le strade sono così affollate, ed è meglio non stare in stradine buie e isolate.”
“Sono sicura che le nostre lezioni di lancio del coltello si rivelerebbero utili in casi del genere.” Osservò Tessa, mentre Will le rivolgeva uno sguardo accigliato.
“Servirebbe la materia prima, ossia un coltello.”
“Ma tu ce l’hai, nella tasca interna del giaccone. Quando passi sotto determinate luci la lama luccica.”
Nonostante l’espressione sorpresa e anche un po’ imbarazzata di Will, Tessa continuò.
“Allora, che ci fai con un coltello? Hai intenzione di uccidermi? Va bene che siamo a Londra e qui hanno “lavorato” Jack Lo Squartatore, Sweeney Todd eccetera … ma tu sei gallese.”
Will si riprese e prese Tessa a braccetto. Si stava abituando pian piano alla sua compagnia e tenerla stretta vicino a sé gli sembrava la cosa più naturale al mondo.
“Cosa ti aspettavi? Che andassi in giro con un gregge di pecore al mio seguito?”
“Ti vedo bene col bastone” rise Tessa “e magari anche un bel berretto!”
“Non mi chiamo Peter e di certo tu non sei Heidi.”
“Come hai fatto a smascherarmi?!” Tessa si finse sconvolta e portò la mano libera davanti la bocca fintamente spaventata.
La conversazione sarebbe potuta andare avanti per molto tempo e, probabilmente, Tessa e Will avrebbero continuato a parlare fino ad analizzare i personaggi di Nebbia e del nonno, se non fossero arrivati al teatro.
Era un edificio molto particolare, in stile barocco. Non era troppo grande ma l’assenza di una grande entrata era ripagata dal soffitto riccamente decorato da putti e affreschi e dalle pareti dorate che costituivano un unico grande scenario: l’Olimpo. Le divinità maggiori e minori della mitologia greca, le creature fantastiche e i paesaggi da fiaba, creavano un racconto su quei muri. Mentre Will mostrava i biglietti al box office Tessa si perse nell’osservare i lineamenti delicati di Afrodite, lo sguardo truce di Ares, l’alone scuro e tenebroso intorno alla figura di Ade.
“Tessa, dobbiamo andarci a sedere. Lo spettacolo inizierà tra dieci minuti.”
Tessa girò un’ultima volta su se stessa e annuì, seguendo docilmente Will.
Le loro poltroncine di velluto rosso si trovavano più o meno a metà della sala gremita. L’aria era soffocante e mentalmente benedì la buona stella che le aveva fatto indossare il tubino blu.
Will invece aveva tutta l’aria di soffrire come un husky in mezzo al deserto a Mezzogiorno.
“Will, credo che tu posso levarti la giacca. Non siamo né alla Scala di Milano, né al Massimo di Palermo né tantomeno all’Opera di Parigi! Non devi fare colpo su nessuno!”
“Credimi, mi sento un pinguino. Non riesco a muovermi. Jem lo ha davvero inamidato troppo!”
“Tu ti fai lavare le cose da Jem?” Tessa alzò un sopracciglio e Will si fece ancora più paonazzo. Il rossore non era più dovuto al caldo.
“Raramente … cioè qualche volta, quando capita” mugugnò.
Tessa scosse la testa. “Che pazienza che deve avere quel ragazzo.”
Detto questo iniziò a sbottonare la giacca di Will, che era effettivamente estremamente rigida e attillata sulle spalle. Non appena la ragazza riuscì a sfilargliela dalle braccia Will tirò un lungo sospiro di sollievo.
“Finalmente capisco quello che le donne dovevano patire un tempo, indossando i corsetti.”
“Un giorno te ne regalerò uno.”
“Sarò uno schianto.”
“Chissà se Magnus apprezzerebbe.” Sogghignò Tessa.
“Magnus? Intendi Magnus Bane? Il barista?”
“Si, proprio lui.” Confermò Tessa. “Non so come, ma è riuscito a contattarmi via posta. Ci siamo visti un paio di volte al Pandemonium. Voleva sapere dell’Istituto, come mi trovavo e quant’altro.”
“E tu sei uscita con un perfetto sconosciuto?” Oh cavolo, questa volta lo aveva fatto davvero arrabbiare. “Ho un sesto senso per capire le persone” tentò di difendersi Tessa, ma anche lei sapeva che questa era una fragile scusa con un che di pazzo, per di più.
“Come ti è venuto in mente di fare qualcosa del genere, Tess?” In effetti, come le era venuto in mente … ma … Tess? Nessuno l’aveva mai chiamata così prima d’ora. Suonava bene, detto da lui. Era così diverso dal Tessie di suo fratello, o dal Theresa dei professori o, ancora, dal Tessa che i suoi compagni usavano.
“Ma chi sei, mio padre? Posso uscire con chi voglio e poi che male c’è nel fare amicizia con qualcun altro al di fuori dell’Istituto? Ormai abito a Londra, non so se e quando potrò tornare a New York e …” si interruppe. New York. Quando avrebbe potuto tornarci? Empire State Building. Barnes & Noble. Erano nomi che suonavano familiari alle sue orecchie ma che erano lontani chilometri e chilometri. Tra loro c’era l’oceano, letteralmente.
“Hai ragione. Non sono nessuno.” Disse poi Will.
Tessa avrebbe voluto replicare, scusarsi, arrabbiarsi. Insomma dire qualsiasi cosa, anche che il cielo era viola e fatto di porcospini, ma una campanella era suonata, le luci erano state spente e una musica potente, oscura e profonda aveva invaso il teatro. Lo spettacolo ebbe inizio.

Il musical era un susseguirsi di ritmi e tonalità. Lo spettatore non poteva, non riusciva, a distrarsi. Le note attraversavano e accarezzavano la pelle degli ascoltatori e il cuore vibrava ad ogni emissione di fiato dei cantanti.
Ecco che il Fantasma porta Christine nel suo sotterraneo e la adagia, svenuta, sul letto, mentre note soavi, delicate ma decise, mantengono l’atmosfera.
Ora, invece, Roul e Christine si dichiarano il loro eterno amore sul tetto dell’Opera, sotto la neve, mentre il Fantasma se ne sta acquattato dietro uno dei leoni alati e cerca di soffocare il suo urlo di vendetta, delusione e disperazione. Almeno fino a quando i due amanti non lasciano il tetto …

I gave you my music . . . made your song take wing . . . and now, how you've repaid me: denied me and betrayed me . . . He was bound to love you when he heard you sing . . .

Alle ultime note il sipario si chiuse e una voce annunciò l’intervallo di venti minuti.
Tessa si girò verso Will, dimentica di quello che era successo prima dell’inizio dello spettacolo.
Anche Will sembrava aver rimosso. “Allora, che ne dici?” Il ragazzo le rivolse un bellissimo sorriso. Perché la gente diceva che si sentiva le farfalle nello stomaco? Quelle dentro la sua pancia, in quel momento, non erano farfalle, ma veri e propri sciami di api!
“E’ spettacolare. Non avevo mai visto un musical dal vivo …“
“Allora è un bene che tu abbia iniziato con questo, così avrai voglia di andarne a vedere altri. Vuoi qualcosa da mangiare? Andiamo al bar del teatro a sgranocchiare qualcosa, io sto morendo di fame!”
Tessa annuì. “Si, va bene. Ma facciamo velocemente!”

Il secondo atto cominciò e con esso arrivò il carnevale. Gli animi si rallegrano e sul palco è tutto uno fruscio di gonne e sventolio di ventagli. Un’improvvisa e gelida comparsa, il Fantasma, interrompe l’aria di festa …

Why so silent, good monsieurs? Did you think that I had left you for good? Have you missed me, good monsieurs? I have written you an opera. Here, I bring the finish score. Don Juan Triumphant!

Lo spettacolo continuò. Il cuore di Tessa batteva velocemente per l’emozione. Quella storia d’amore, o meglio, d’ossessione, quella storia di stordimento, di crudeltà e dell’infinita dolcezza che solo la musica ti può dare abbracciandoti con le sue vibrazioni e note … semplicemente le facevano dimenticare tutto.
La scenografia era cambiata. Sul palco ora c’era un grande falò che, pur trattandosi di fuoco sintetico, era davvero molto credibile, e intorno si muovevano delicatamente il Fantasma e Christine che interpretavano rispettivamente in quella scena, Don Juan e Aminta.
La passione era palpabile nell’aria e sul più bello, proprio quando il Fantasma cingeva da dietro Christine cantando dolcemente al suo orecchio, si scatenò l’Inferno.
Il grande lampadario di cristallo che pendeva proprio sopra le teste di Tessa e Will crollò. Il forte boato e l’infrangersi dei vetri sulle poltrone, sui corpi e sul pavimento rivestito di moquette interruppe i cantanti e l’orchestra al culmine di una scena di puro pathos. Tutti si affrettavano ad alzarsi e ad allontanarsi, tranne pochi che si avvicinarono a coloro che erano state vittime dell’incidente.
Tessa non aveva la forza di emettere un suono. La pelle le bruciava e sentiva rivoletti di sangue scorrere sul viso, sulle braccia, sulle gambe … dappertutto.
“Chiamate aiuto!”, “Ci sono delle persone là sotto!” Sentiva frasi del genere nel mezzo del caos generale e non capiva di cosa quelle persone stessero parlando. Il caldo e il dolore la opprimevano. Si sentì svenire.
Buio.

Angolino dell'autrice: Ecco qua in ritardo, ovviamente, il capitolo!! Vi ha fatto schifo? Spero di no! Soprattutto perchè da qui in poi certe situazioni diventeranno più chiare! Si, signori siamo arrivati a metà storia, più o meno. Diciamo più! Allora mi auguro che la parte del musical vi sia piaciuta. Non avevo mai scritto qualcosa del genere e quindi se ls descrizione dello spettacolo ha fatto schifo bhe ... capirò se non mi vorrete più seguire ... ma se avete un pò di fiducia in me, e non avete capito un regale tubo di quello che ho scritto, allora vi invito a guardare o il musical, che trovate su YouTube completo oppure andate a guardare il film del 2004 con Gerard Butler che in italiano ha anche le canzoni tradotte (e credetemi la versione del film italiana non ha assolutamente nulla da invidiare!) Vi consiglio questo film comunque, facilmente reperibile su Streaming. Per quanto il libro di Gerard Butler ... è scritto come se fosse una cronaca o un reportage. E' molto scorrevole e assolutamente bellissimo. Stop, basta tessere le lodi di un capolavoro u.u
Sul capitolo non ho nulla da dire quindi ve saluto!! 
Anzi altra cosa! Ho iniziato una nuova storia sempre su Shadowhunters che si chiama "Dana" se volete fate un salto e lasciate una recensioncina :)
Poi ho scritto, sempre su SH, una flashfic che si chiama "Il ritratto di William Herondale". Anche lì, sarete i benvenuti! 
Ciao ciao!!

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Capitolo 33
*** Emergenza ***


Capitolo 32: Emergenza

“Alexander Lightwood! Smetti immediatamente di distruggere casa mia!” Magnus Bane se ne stava stravaccato sul divano, con il corpo sommerso da cuscini di ogni colore e accoccolato sulla pancia il Presidente Miao, che distrattamente accarezzava, di tanto in tanto.
“Sto mettendo un po’ di ordine! Questa cucina sembra non essere stata lavata dalla Guerra di Secessione!”
Magnus si portò una mano al mento, grattandoselo leggermente …
“Non essere ridicolo, Alexander! E’ stata pulita ad arte quando Barack Obama fu eletto come Presidente degli Stati Uniti.”
Alec uscì dalla cucina a passi pesanti e si fermò accanto al divano, in modo tale che Magnus potesse vederlo, portandosi le mani ai fianchi.
“E’ stato cinque anni fa! E poi perché l’hai lavata proprio quel giorno?”
Magnus sollevò un sopracciglio.
“Per festeggiare il sorpasso del pregiudizio, del razzismo e l’evoluzione. Comunque, cosa vuoi che mi importi della cucina? Tanto non sono mai a casa.”
“Beh, ma ora ci sono io e ci passiamo molto tempo.” Ribatté, leggermente imbarazzato, Alec.
Magnus lo afferrò e, tirandogli il braccio, lo fece abbassare in modo tale da incontrare le sue labbra per un bacio veloce. Quando Alec si staccò aveva le guance paonazze e Magnus sorrideva.
“Su, usciamo. E lascia perdere quella stupida cucina.” L’uomo si tirò su con grande disappunto del Presidente Miao che, per ripagarlo, gli conficcò le unghia appuntite nella caviglia e, la coda alzata e sculettante, si allontanò con aria di superiorità dalla coppia.
Eh già, coppia. Ormai stavano insieme da un paio di settimane. Si erano frequentati assiduamente per tutti i giorni a seguito della festa del 7 Gennaio e poi, quando Magnus lo aveva baciato per la prima volta, Alec lo aveva ricambiato. Per un momento, per quel momento aveva dimenticato la paura del giudizio degli altri, la disapprovazione dei suoi genitori quando lo avrebbero saputo … Ancora non aveva fatto coming out. Soltanto Izzy, sua sorella, era a conoscenza del suo orientamento sessuale. Per lei andava bene. “Sei mio fratello! Ti vorrei bene anche se decidessi di sposare un’allodola! Prima ti porterei da uno psicologo, certo, ma ti vorrei bene lo stesso. E poi Magnus è uno forte.” Gli aveva detto, anche se sapeva che Alec era gay già da prima di aver conosciuto Magnus.
Stavano chiudendo la porta alle loro spalle quando il cellulare di Alec cominciò a squillare.
Guardò interrogativo Magnus che, con un gesto della mano, lo invitò a rispondere.
“Pronto?”
“Alec?” Era Izzy e la sua voce era incrinata, rotta dal pianto.
“Isabelle? Che c’è stai bene?” Ora era preoccupato. Sentì dall’altro capo del telefono la voce di Clary dire “Dai qua”
“Pronto Alec, sono Clary.”
“Si, avevo capito. Che è successo?”
“C’è stato un incidente e-”
“Jace?” Chiese subito, spaventato.
“No, Jace è qui con me. Sta bene. Si tratta di Will e Tessa” spiegò velocemente la ragazza. “Erano a teatro, seduti proprio sotto il lampadario. Durante la rappresentazione il lampadario è caduto.” A queste ultime parole la voce di Clary si affievolì. “Loro e gli altri feriti sono stati portati d’urgenza all’ospedale. Charlotte e Henry ci sono già andati. Hanno detto a Jem di restare all’Istituto ma lui non ne vuole sapere. Ci serve una macchina, Magnus guida?”
Alec stava per rispondere che si, guidava ma poi … “Come fai a sapere di Magnus?” Nel sentire pronunciare il suo nome, l’asiatico si fece tutto ad un tratto attento.
“Ops … non importa, vienici a prendere immediatamente e portaci in ospedale. Forse non ci crederai ma Jace e Simon sono scioccati quasi quanto Jem …”
“Arriviamo subito.”
Alec chiuse la chiamata e si rivolse a Magnus.
“Prendiamo la macchina, c’è stato un incidente. Tessa e Will sono in ospedale.
Magnus sgranò gli occhi. “Tessa e Will?”
Alec non ebbe neanche il tempo di rispondere perché Magnus era già rientrato nell’appartamento, ne era uscito con le chiavi e, portandosi dietro Alec, era sceso in strada e si era fiondato in macchina.

La meraviglia del nutrito gruppo di ragazzi che aspettavano Alec di fronte ai cancelli della London Institute non fu poca, nel vedere il Lightwood con Magnus … tralasciarono di commentare e chiedere di più solo per la preoccupazione che li assediava.
Izzy, accucciata su Simon, aveva ancora gli occhi gonfi e rossi ma almeno erano asciutti; Simon non aveva proferito parola così come Jem, che aveva dei profondi cerchi neri intorno agli occhi (nell’agitazione del momento aveva dimenticato di prendere la razione serale di yin fen e la stanchezza iniziava a farsi sentire); Clary cercava di consolare in qualche modo Jace, che aveva un volto da funerale. Non capiva il perché, anche lei era rimasta spiazzata dalla notizia, conosceva Will da anni e con Tessa aveva un buon rapporto, ma Jace e Will si erano sempre attaccati eppure …; Maia e Jordan parlavano istericamente e le loro voci rompevano il silenzio altrimenti tombale della macchina di Magnus. Clary, che stava invece in braccio a Jace, poteva capirli, erano stati i primi a conoscere veramente Tessa e per Maia lei, Tessa, era un po’ come un cucciolo randagio bisognoso di una guida, anche se Clary aveva sempre pensato che fosse più una ragazza capace di stare al mondo, anche da sola.
L’aria in macchina si fece ben presto viziata, c’era terribilmente caldo e il fatto che in una cinque posti fossero in nove non aiutava.
“Siamo arrivati.” Annunciò con voce spenta Magnus, parcheggiando davanti all’ospedale.
All’interno del grande edificio bianco c’era un soffocante odore di alcol e disinfettante.
Si diressero verso il bancone e fu Magnus a prendere la parola.
“Buonasera, siamo qui per due pazienti. Sono stati portati qui non più di due ore fa.”
“I nomi?” chiese distrattamente l’infermiera, lanciando un’ultima occhiata alle unghia appena smaltate, a giudicare della boccetta ancora aperta di smalto.
“William Herondale e Theresa Gray. La direttrice della loro scuola e un altro insegnante sono già arrivati. Ma noi vorremmo sapere le loro condizioni e se possiamo vederli.” Magnus parlava pacatamente. Poteva essere un eccentrico ventottenne vestito di pelle borchiata e cosparso di glitter, ma sapeva come comportarsi.
“Non siamo autorizzati a divulgare informazioni sui pazienti, a meno che voi non siate parenti stretti.”
“Siamo i loro amici!” Proruppe Jem, a sorpresa. “Diteci almeno come stanno!” Era furioso e chiazze rosse spiccavano sulla sua pelle bianca come il latte.
L’infermiera alzò la cornetta del telefono e digitò dei numeri poi si girò dall’altra parte, in modo tale che nessuno sentisse ciò che diceva.
Nel frattempo Magnus aveva messo una mano sulla spalla di Jem.
“Calmati James. Se Charlotte ed Henry sono qui possiamo sempre chiamarli.”
Jem annuì, stranito dal fatto che Magnus conoscesse il suo nome, dato che non si erano mai parlati.
“E poi ci dovrebbe essere anche Nate. Devono averlo chiamato per forza.” Aggiunse.
Jem scosse la testa. “Non ne sono così sicuro. Tessa non ha un cellulare e per quanto ne so io, lei e Nate si contattano via mail e per lettera.”
Qui intervenne Maia. “Charlotte ha il recapito telefonico di Nate. Me lo ha detto Tessa.”
L’infermiera mise giù la cornetta e si rivolse nuovamente a Magnus.
“Ho chiamato l’infermiere del reparto. Ha informato la direttrice della scuola. Vi sta raggiungendo. Contenti?” Era infastidita. Detto questo riprese a dipingersi le unghia.
Con un grande sorriso Magnus rispose:”Moltissimo, grazie.”

Qualche minuto dopo videro entrare in sala d’aspetto una chioma di capelli fulvi. Henry, non Charlotte.
Vedendoli, l’insegnante sorrise leggermente, passandosi una mano tra i capelli disordinatissimi.
“Ciao ragazzi”  poi si accorse che c’era una persona che non conosceva, tra loro.
Magnus gli porse la mano e Henry gliela strinse.
“Sono Magnus Bane, un amico di Will e Tessa.”
“Ah, capisco. Comunque, Will e Tessa sono al momento privi di conoscenza.” Parlava freneticamente e Clary si chiese quanti caffè si fosse scolato nell’ultima ora.
“Tessa è meno grave. Sembra che sia stata trovata sul pavimento. Ha delle ferite profonde perché è stata colpita da moltissime schegge di cristallo. Probabilmente è stata spinta, oppure è stata lei stessa, a terra e quindi non è stata colpita direttamente. E’ in sala operatoria: le stanno togliendo i pezzetti di cristallo e le stanno ricucendo le ferite. I medici non hanno dubbi: si riprenderà. In fondo ha preso solo una botta in testa. La situazione di Will è un po’ più grave, invece.”
Henry si fermò, aspettandosi che qualcuno parlasse, ma tutti rimasero muti.
“Will è stato direttamente colpito da uno delle braccia del lampadario. Per fare qualsiasi cosa vogliono prima che si svegli. Non possono metterlo sotto anestesia se c’è il pericolo di un … coma temporaneo. Possono soltanto estrarre i cristalli e ricucire i tagli.”
Il fulvo piantò lo sguardo a terra.
“Possiamo … possiamo vederli?” Azzardò Simon.
“Io e la signorina Fairchild stiamo aspettando fuori dalle stanze di Will e Tessa. Non penso ci siano problemi se entrate anche voi … Forse solo Charlotte non ne sarà troppo contenta.”
“Al diavolo, andiamo!” Esclamò Jace.
“Jace! Anche se non siamo a scuola e le condizioni attuali sono al di fuori dell’ordinario devi mantenere un comportamento adeguato lo stesso!”
“Scusi …” borbottò Jace.
“Ehm, professore? Ma il fratello di Tessa non c’è?” chiese Jordan.
“Lo abbiamo chiamato ma era a Liverpool per lavoro. Si sta precipitando qui. Al massimo due ore e sarà arrivato.”

Angolino dell'autrice: Ecco qui, prima di quanto mi aspettassi, il capitolo nuovo nuovo scritto di getto. Mi è venuta l'ispirazione et voilà. Personalmente mi piace molto e spero sia così anche per i lettori. Ho introdotto, suppongo per la gioia di alcuni, la Malec  e spero di non aver compiuto un terribile disastro. Detto questo vi saluto e vado a finire Lo scontro finale di Percy Jackson. :D
Se vi interessa qui c'è il link per l'altra mia storia: Dana. 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2413690

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Capitolo 34
*** Il re è vivo ***


Capitolo 33: Il re è vivo

“Chi stai telefonando?” Chiese Alec, vedendo che Magnus stava digitando dei numeri sul suo iPhone4S. Per essere un barista guadagnava davvero tanto …
“Una persona che dovrebbe sapermi spiegare una cosa.” Sembrava arrabbiato e Alec, sebbene la curiosità lo stesse mangiando vivo, non si azzardò ad insistere con le domande. Mai una scelta fu più saggia perché, pochi secondi dopo, Magnus sbraitava al telefono e si dirigeva a passi pesanti alla finestra, possibilmente per non farsi sentire dagli altri. Alec capì solo:”Camille! Non mi sembra che fosse così difficile!”
La sedia di plastica accanto ad Alec fu presto occupata nuovamente.
“Allora” cominciò Jace, tentando di nascondere il nervosismo che ancora non era andato via “tu e Magnus, eh? Bel migliore amico che sei, lo devo venire a sapere da Clary.”
“Volevo solo aspettare un po’ prima di comunicarlo al mondo.”
Jace annuì. “Capisco, capisco. Comunque hai la mia benedizione.”
“Come se mi servisse!” Sorrise Alec. Era strano sorridere in un ospedale quando un tuo amico era in coma e tu non sapevi affatto le sue esatte condizioni.
Il Cielo probabilmente in quel momento era in ascolto perché all’istante un’infermiera aprì la porta della sala d’attesa, dove erano stati accompagnati nuovamente da un medico che diceva che c’era stato un errore e che ancora non potevano entrare,  e comunicò che potevano vedere Tessa.

Per vedere però intendevano proprio vedere. Confinarono quel nutrito gruppo di ragazzi, insieme a Charlotte, Henry, Magnus e Nate, che era appena arrivato, nella stanzetta attigua alla camera dove Tessa era immersa in un sonno profondo. Attraverso il vetro potevano osservarla abbassare e alzare il petto regolarmente.
“Ma cos’è successo esattamente?” Nate guardava stralunato la sorella. Non poteva, non riusciva, a posare gli occhi altrove. Aveva paura perché ancora non si era svegliata, e si chiedeva il perché. Si sentiva in colpa. Lui aveva deciso di portarla a Londra. Sapeva che era un pensiero assolutamente irrazionale, in fondo non era certo stato lui a far cadere il lampadario ma … lui era responsabile per lei, era tutto quello che le restava.
“Sappiamo solo che il lampadario è caduto. E che lei e Will stavano sotto il lampadario.” Cominciò Henry. “I medici dicono che è fortunata perché non è stata colpita direttamente e se tutto va bene domattina al massimo sarà sveglia.”
La stanza calò nuovamente nel silenzio. Tutti fissavano il pavimento e qualcuno batteva ossessivamente e ripetutamente il piede sul pavimento.
“Simon, la pianti per favore? Mi fai venire l’ansia!” Lo rimproverò Maia.
“Scusa.” Borbottò lui.
Ancora silenzio. Si sentiva solo il ticchettio della lancetta dei secondi dell’orologio.
Jem si mise ad osservarlo. Erano le due e mezzo.
Lo guardò di nuovo. Le tre meno dieci. Smise di passeggiare per la stanza e contare le mattonelle del pavimento e si mise a sedere accanto a Izzy.

“Camille, non mi interessa se sei a letto con il tuo fidanzato- No, vuol dire che userai le manette un’altra volta! Camille non sono geloso e non ho nemmeno voglia di unirmi a voi. Alzati dal letto, vestiti e vai a cercarla! Ora! Okay, non vestirti e sii anticonformista quanto vuoi, ma vai!”
Magnus pose fine alla chiamata e solo dopo aver riposto il cellulare in tasca si accorse che la sua conversazione non era stata privata. Affatto.
“Chi è Camille?” Chiese Alec, cinico.
“Un’amica, quella che ho chiamato prima, quando eravamo in sala d’attesa.”
“E perché era così importante?”
“Perché …” Magnus sapeva che non ne poteva parlare. “Beh, perché deve andare a cercare il Presidente Miao. Mi hanno chiamato i vicini e mi hanno detto che è uscito dalla finestra e non mi piace che vada in giro da solo, di notte.”
“Magnus, hai detto che doveva andare a cercarla …!”
“Non dire sciocchezze, Alexander.”
Alec non ebbe il tempo di ribattere perché fu distratto da quello che stava accadendo nella stanza di Tessa.
Su una barella, un paio di infermieri, portavano Will e ora lo stavano trasferendo sul letto libero, di fronte a quello di Tessa.
Allo stesso momento entrò un medico.
“L’operazione è andata bene. William Herondale ha ripreso conoscenza. Dovrà stare a riposo per un po’ ma non lascerà l’ospedale prima di una settimana.”
Charlotte annuì vigorosamente, sorridendo.
“Ora però dovreste andare … potete rimanere soltanto voi due” e indicò Charlotte ed Henry “e lei” e indicò Nate.
“Io rimango.” Annunciò Jem, il suo tono non ammetteva repliche.
“Va bene” concesse il medico “ ma tutti gli altri ora se ne devono andare.”

I quattro erano stati sistemati in una stanzetta attigua a quella di Will e Tessa, che conteneva però solo due letti. Charlotte non volle sentire storie e mandò immediatamente Nate e Jem a dormire.

“Tessa, sei sveglia?”
La voce proveniva da lontano. Poteva sentirla come un’eco antico ma stava correndo. Correva in quel tunnel e non poteva rispondere. I polmoni le andavano a fuoco e sentiva di stare per svenire.
“Tessa?” Eccola di nuovo. Ma ora la sentiva più vicina e il suo tono era urgente.
Aprì gli occhi. Fu tentata di richiuderli, quasi accecata dal bianco del soffitto e dalla potente luce al neon. Tirò un sospiro di sollievo … si trattava ancora di quegli incubi. Forse sarebbe stato utile consultare un terapeuta, o uno psicologo.
Fece per sollevarsi ma la testa le pulsava e si sentiva stanca.
“Non credo sia una buona idea.”
Tessa storse il naso, infastidita. “Will, piantala!” Poi si rese conto … Will, il teatro, l’ospedale … i farmaci dovevano averla piuttosto stordita. Si rivolse verso l’origine della voce.
Will se ne stava sul suo letto, quasi del tutto irriconoscibile. Aveva il viso violaceo, contuso e una benda intorno alla testa. Al polso destro erano collegati un paio di tubicini, attaccati a delle flebo e il collo era tenuto dritto da un collare. Per finire, aveva un piede ingessato.
“Will! Come stai?”
“Come vuoi che stia? Mi sono svegliato bloccato in questa” per enfatizzare le parole, lanciò uno sguardo al proprio corpo “armatura per spaventapasseri. E mi sono guardato in uno specchio e … “Fammi indovinare, ti sei innamorato del tuo riflesso e ora hai problemi di cuore?”
“NO! Assomiglio ad un cadavere la cui causa del decesso è stato l’assideramento!”
Tessa si spiegò il motivo per cui un angolo della stanza era pieno di frammenti e schegge di vetro … per non parlare di una cornice di plastica rossa … o meglio, che un tempo lo doveva essere stata.
“Chissà come spiegherai la cosa alle tue ammiratrici … perdere contro un lampadario, che brutta mossa!”
“Ah-ah-ah. Non è divertente, Gray. Soprattutto dopo che ti ho salvato la vita.” Disse distrattamente, esaminandosi le unghia.
“Sir Galahad, mio eroe!” E gli mandò un bacio … purtroppo il movimento le procurò un dolore lancinante. “Ahia” Si lamentò.
La mia è la forza di dieci, perché il mio cuore è puro …” recitò lui
“Vedo che la botta non ha intaccato la tua memoria.” Osservò Tessa.
“Ti assicuro che ricordo assolutamente ogni dettaglio. Di tutto.” Le lanciò uno sguardo malizioso.
Erano appena scampati alla morte, più o meno, e si comportavano come se stessero partecipando ad un’allegra rimpatriata …
Si sentì la porta che si apriva. Fece capolino Jem.
“Allora vi siete svegliati! Sentivo le voci qui fuori.”
“Il coma non mi vuole, evidentemente. E il colpo in testa di Tessa non era abbastanza forte. Rassicura tutti e vai ad annunciare che il loro re è vivo e prontissimo ad impartire nuovi ordini.”
Accompagnò le parole con un gesto imperioso della mano. A Tessa venne da ridere. Will, ridotto in quelle condizioni, con il collo bloccato, non rinunciava a darsi arie … o a fare il buffone. Dipendeva dal punto di vista.
Jem scosse la testa e ironicamente commentò “Dovrò interrompere i festeggiamenti, immagino” e chiuse la porta alle sue spalle.

Angolino dell'autrice: Salve salve! Ecco qui il capitolo. Molto in ritardo, come sempre. Penso che questa sarà l'ultima volta che mi scuserò perchè questo angolo sta diventado sempre più monotono. Ahimè il problema è sempre quello: the school! Ma dico io, non posso essere la reincarnazione o la figlia di Atena? Sarebbe tutto più semplice ... soprattutto il greco e il latino. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e sono stata buona e tanto brava perchè non ho fatto accadere nulla di grave ^^ Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima!! :)
Se siete interessati, l'altro giorno ho scritto un'altra ff. E' un missing-moment che parla dell'infanzia di Jem. O meglio, ho descritto una parte di una sua particolare giornata ... se vi interessa qui c'è il link :) 
Shadowhunters, 'Shanghai, 1870' di Misaki Ayuzawa su EFP Fanfiction

 

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Capitolo 35
*** Ad ognuno la propria scelta ***


Capitolo 35: Ad ognuno la propria scelta

“Tessie, ora mi devi lasciare andare.” Le sussurrò Nate all’orecchio. Tessa lo teneva bloccato accanto a lei, sul letto d’ospedale, cingendogli il petto con entrambe le braccia. Alle parole del fratello la presa della ragazza non si allentò ma, al contrario, si fece più stretta.
“No, Nate! Ti prego, rimani ancora un po’! Se te ne vai io poi rimango sola con lui!”
Tessa, piagnucolando, indicò Will, che in risposta la guardò con gli occhi socchiusi. Jem, che stava seduto accanto a lui, gli diede uno scappellotto.
“Non si fissano le signore.”
“Sei crudele, Jem. Dovresti essere mio amico.” Rispose lui, massaggiandosi la spalla colpita.
“Visto, Nate? Sono due giorni che sto qui rinchiusa con lui. E non smette mai di borbottare e lamentarsi!”
“Chissà chi fa esattamente la stessa cosa, da due giorni.” Sorrise Nate, e le diede un bacio sulla fronte, alzandosi. “Comportati bene. In fondo è grazie a lui se sei ancora viva. Se non ti avesse spinta a terra ora sarei a raccogliere pezzetti di cervello in teatro.”
Tessa aggrottò la fronte. “Magari sarei diventata uno zombie … e ci avrei pensato io a raccogliere il mio cervello.”
“Ciao Tessie!” e, congedandosi allo stesso modo da Will e Jem, chiuse la porta alle sue spalle.
Tessa lo seguì con lo sguardo attraverso il vetro che divideva la camera sua e di Will da un’altra stanza che portava al corridoio principale del piano e, dunque, notò infastidita che proprio in quel momento Jessamine si era alzata dalla poltroncina di quella stessa saletta per rincorre Nate … che oca!
Tessa si mise ad osservare Jem che imboccava Will. Charlotte ed Henry, per motivi di lavoro, avevano dovuto tornare all’Istituto e venivano a fare una breve visita ogni giorno verso le sei. Solo Jem era una presenza abbastanza costante, in quanto ogni giorno dopo la fine delle lezioni li raggiungeva.
“Will, inghiotti lo yogurt.” Ordinò Jem, mentre il moro teneva in bocca per l’ennesima volta, senza inghiottire, il boccone troppo piccolo che Jem gli aveva messo praticamente in gola con la forza.
Will inghiottì. “E’ orribile! In questo posto dovrebbero guarirmi e invece mi sento sempre peggio.”
Jem depose il barattolo vuoto sul comodino mentre Will chiuse gli occhi e, come era solito fare, si addormentò di colpo, un sorriso tranquillo stampato sul volto.
“Jem, hai preso la medicina?” chiese Tessa, sospettosa. Jem non aveva un bell’aspetto in quel momento.
Sul suo volto si leggeva il dubbio: fidarsi o non fidarsi? Confessare la verità, a Tessa, oppure far finta di nulla?
“No … volevo … volevo cercare di essere forte, per Will. Volevo provare ad essergli utile senza che lo yin fen si mettesse in mezzo.”
Tessa scosse la testa e gli fece cenno di avvicinarsi, seguendolo con lo sguardo fino a che non si fu accomodato accanto a lei, sul bordo del letto. Gli prese la mano.
“Will non vorrebbe mai questo, che tu stessi male per lui. Non gli sarebbe di alcun giovamento se lo sapesse. Al momento non se ne accorge solo perché è imbottito di antidolorifici ma ti sei scordato di me.” Tessa gli prese la mano gelida, stringendola tra le sue, e continuò a guardarlo profondamente, dritto negli occhi.
“Devi sempre capire tutto, Tessa? Non puoi lasciare semplicemente” e fece un ampio gesto con la mano libera “che le persone facciano quel che si sentono di fare?” Non era arrabbiato, solo … stanco.
“Non se si tratta di una persona a cui tengo. Non se si tratta di te. Sai, ho intenzione di tenerti qui tra noi il più a lungo possibile e non voglio arrendermi. Ma se sei tu il primo a farlo, allora si mette male.” Vi fu uno scambio di sorrisi e Tessa appoggiò il capo alla spalla di Jem, lasciando che i loro respiri fossero gli unici suoni della stanza, fino a quando Will non prese sonoramente a russare e, di  conseguenza, Jem non rise fragorosamente. Tessa, invece, era disgustata: più conosceva Will e più lo associava, nella sua mente, ad una bestia con i suoi “momenti”. Anche se quei momenti, poi, entravano a far parte della storia. Il pensiero le strappo un sorriso, anche se le parole successive non furono proprio dolci.
“Credo che appena uscirò da qui lo assicurerò alla giustizia,” borbottò “ per disturbo della quiete pubblica.”

Will si abbandonò ad un grosso sbadiglio. “Dov’è Jem?”
Tessa alzò gli occhi dal suo libro. “E’ andato via un paio d’ore fa. Aveva bisogno di riposare, e studiare.”
Il moro si stava tirando su a sedere, non senza qualche lamento, quando qualcuno bussò alla porta.
“Chi è?” Tuonò Will, con la voce arrochita dal sonno.
“La persona che vorreste vedere subito prima di morire, perché riempirebbe i vostri cuori di meraviglia, accompagnato dalla sua corista.”
“Corista un corno! Tu sei il mio gigolò.”
Fece irruzione Magnus Bane, brillante come sempre, non nel senso che portava intelligenza nella stanza ma proprio brillante, appena uscito da un bagno nel glitter. Accanto a lui una donna alta, formosa e bionda. Will la riconobbe immediatamente: era la donna della festa, Camille Belcourt.
“Ciao Tessa!” Magnus ignorò deliberatamente Will e si avvicinò al letto della ragazza.
“Ciao Magnus, come va? Maia mi ha detto che esci con Alec!” Sorrise Tessa, ricordatasi improvvisamente di quanto le aveva riferito Maia, quando era venuta a trovarla.
“Siete proprio dei pettegoli, voi giovani.” Osservò Magnus, che però non sembrava essere sovrappensiero.
“Magnus, ho degli impegni. Vorrei che fosse una cosa breve e indolore, se non ti spiace.” Proruppe Camille, sedendosi su una poltroncina in un angolo della stanza.
L’asiatico prese un grande respiro e si avvicinò alla porta, chiudendola a chiave dall’interno.
Fatto ciò, si volto verso Will.
“Will, io e Camille dobbiamo parlarti di una cosa importante. Io credo che Tessa debba ascoltare, dato che ormai è stata coinvolta anche lei.”
Will era sorpreso, non si sarebbe mai aspettato da Magnus un comportamento così serio ma non ebbe il tempo di rispondere, perché Tessa prese la parola.
“Anche se Will non volesse che io sappia qualcosa, io non mi muovo da qui. E so come corromperti, caro Magnus Bane.”
“Questo non posso negarlo.” Sorrise leggermente lui, mentre Will aggrottava la fronte, sempre più sospettoso.
“Non mi piace la vostra amicizia …”
“Vogliamo seriamente parlare di questo di nuovo, Will?” Lo sfidò Tessa, pronta ad uno scontro verbale.
“Sarebbe una causa persa in partenza” borbottò quello, sorprendendola.
Camille si alzò di scattò e battè forte le mani. “Mi dispiace interrompere i vostri discorsi, ma io non ne sono minimamente interessata. Magnus, a te la parola.”
“Dunque, suppongo bisogna cominciare tutto dal principio …”

Angolino dell'autrice: Vi starete chiedendo: cosa è sto schifo? Beh, sono in periodo non creativo .... avevo intenzione di fare questo capitolo moooolto più lungo ma, ahimè, non sono riuscita a scriverlo tutto e già era da un bel pò che non aggiornavo ... Fatemi sapere che ne pensate, comunque, anche se non è granchè: me ne rendo seriamente conto. Infine, ho scritto una one-shot: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2530269&i=1 Se volete, fate un salto :)

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Capitolo 36
*** Lilith Damon ***


Capitolo 35: Lilith Damon

Magnus prese a raccontare e narrare fatti totalmente nuovi a Tessa, mentre Will accoglieva quelle parole con il dolore della consapevolezza.
Magnus raccontò la storia di come, un gruppo di ragazzi, tutti quanti sui vent’anni, e qui il cervello di Tessa si bloccò, nell’apprendere la reale età di Magnus … era davvero grande: aveva molti più anni di quanti ne dimostrasse. Ad ogni modo, raccontò di come questo gruppo fosse composto da dieci persone, i cui cognomi risultarono familiari a Tessa: Edmund Herondale, Linette Owens, Lilith Damon, Valentine Morgenstern, Luke Garroway, Maryse Trueblood, Robert Lightwood, Jocelyn Fairchild, Camille Belcourt e Magnus Bane. Si erano incontrati per caso, in occasione di un viaggio universitario a Londra. Come era normale che succedesse tra ragazzi così giovani che spendevano tanto tempo insieme, si erano stretti legami più o meno forti, alcuni davvero forti. Nel giro di pochi anni, nonostante la giovane età e a causa del prossimo arrivo di una bambina, Ella Herondale, Linette ed Edmund si sposarono. Conducevano una vita felice in Galles, in una piccola tenuta di campagna, mentre alcuni dei loro compagni di viaggio si sistemavano allo stesso modo: Robert e Maryse, Valentine e Jocelyn. Purtroppo, una di questi non era riuscita ad ignorare e mettere a tacere uno vecchia fiamma: Lilith Damon aveva, fin da subito, desiderato che Edmund fosse qualcosa in più dell’amico che portava da bere nelle camere d’albergo, che si cimentava in ridicole sfide solo per far ridere il gruppo composto da troppi “musoni”, secondo il suo gusto, che sapeva essere serio e sicuro, quando l’occasione lo richiedeva. Per quanto Lilith fosse ormai abituata alla coppia Edmund-Linette, la comparsa di una bambina era stata veramente troppo, assolutamente insopportabile, rappresentava un ulteriore ostacolo posto sul suo tragitto verso quella che pensava sarebbe stata la felicità, un ulteriore ostacolo nella strada che conduceva ad Edmund, come se già l’amore dell’Herondale non fosse una potente barriera per qualunque minaccia …
Con gli anni, tuttavia, i rapporti si erano raffreddati, seppur non completamente estinti. Valentine e Jocelyn si erano trasferiti a New York, dove già viveva Luke, Robert e Maryse si erano stabiliti a Londra, per quanto era loro piaciuta e per le opportunità di lavoro che rappresentava, mentre Magnus e Camille … beh, Magnus aveva fatto più o meno il giro del mondo per poi andare a lavorare al Pandemonium (non che avesse bisogno di un lavoro, data la ricchezza del padre) e Camille apprezzava la vita mondana di Parigi, finchè non aveva deciso che a Londra aveva effettivamente qualcosa da fare. E Lilith? Lilith era scomparsa. Semplicemente un giorno aveva aperto il suo cuore ad Edmund che, incapace di ricambiare ma con tutta la gentilezza e l’affetto che provava nei confronti della ragazza, aveva risposto che, davvero, lui non poteva dire la stessa cosa ma che però potevano … restare amici. Si può solo immaginare quanto quella frase fosse stata peggio del veleno per Lilith. Gli anni passavano, la vita procedeva tranquilla e Linette aveva avuto altri due marmocchi: William e Cecily. Will aveva dodici anni quando vide la propria sorella quindicenne brutalmente e ripetutamente pugnalata con un coltello da cucina da una donna dai lunghi capelli corvini e gli occhi verde intenso che esprimevano follia. Will aveva cercato di agire il più prontamente possibile: era scattato in avanti e le aveva afferrato il braccio, nella speranza di fermare quell’oscenità … ma era solo un bambino, impaurito per giunta.
Una volta accertatasi che il corpo esile della ragazzina fosse esamine, la donna, che era entrata in quella casa con l’inganno, un gran sorriso e presentandosi come una vecchia amica di mamma e papà, si era chinata all’altezza del bambino, guardandolo con odio, il suo volto che le ricordava ciò che aveva perso, o meglio: ciò che non era stato mai suo.
“Il prossimo sei tu. Ti concedo ancora un po’ di tempo e finchè non avrai raggiunto tua sorella, io non avrò pace. E lo sai cosa accadrà dopo? Cecily, è così che si chiama?, farà la vostra stessa vita. Il vostro terrore direttamente proporzionale al mio dolore, non ti sembra giusto?” E con il volto ancora schizzato di sangue Herondale era uscita e Will, per proteggere Cecily, fece l’unica cosa che, sperava, avrebbe fermato Lilith dall’ucciderla: si era nascosto.
Magnus tirò un respiro, la storia non era finita anzi … Dopo qualche minuto per far metabolizzare le informazioni a Tessa, agghiacciata, e per dare del tempo a Will, che teneva, ostinatamente, gli occhi lucidi issati sul copriletto, rifiutandosi di incrociare lo sguardo di chiunque.
“Will?” provò Tessa, titubante. “Tutto a posto?”
Non ottenne risposta. Dopo aver lanciato uno sguardo triste a Will, Magnus riprese.
Quando Linette, Cecily e Edmund furono tornati a casa, si ritrovarono in cucina quello spettacolo raccapricciante. Edmund non aveva perso tempo e aveva chiamato la polizia e l’ambulanza e, nell’attesa del loro arrivo, girando e rigirando per la casa, trovò sul tavolo del salotto un bigliettino riempito da una grafia ordinata ma frettolosa: Lilith Damon. L’uomo aveva riconosciuto la scrittura di Will e non sapeva se credere a quella parole, tuttavia … come faceva a conoscere quel nome? E poi, dov’era finito suo figlio?
La polizia non trovò impronte digitali e, nonostante fossero stati informati del biglietto, non trovarono Lilith da nessuna parte. D’altra parte, non riuscì a recuperare neanche Will.
Mesi dopo, le ricerche proseguivano ancora, ma i genitori avevano perso le speranze sia di vedere l’assassina dietro le sballe, sia di potere, un giorno, riabbracciare Will, così la casa un tempo tanto allegra, colpa di gridolini, risate e costantemente minacciata da bambini in corsa, divenne silenziosa e triste.
Magnus Bane, tornato da poco da uno dei suoi viaggi intercontinentali insieme a Camille, venne presto a sapere della tragedia. Edmund sapeva che era un uomo ricco di mezzi e risorse e quasi non ebbe bisogno di chiedere, quando Magnus decise di impegnarsi a trovare William e tenerlo al sicuro, magari riportandolo a casa. In realtà, non sapevano neanche se fosse ancora vivo, o se Lilith lo aveva rapito proprio il giorno della morte di Ella, ma quel biglietto e una carta di credito mancante aveva spinto la famiglia a continuare a sperare.
Detto e fatto, Magnus Bane non impiegò molto a risalire alla London Institute. Non parlò con la direttrice, preferì aspettare l’arrivo di Edmund. Charlotte Fairchild, prese le dovute precauzioni, permise ad Edmund di vedere il figlio … il problema era un altro: Will si rifiutava di uscire dalla sua stanza fin tanto che il padre fosse stato lì. Alla fine, Herondale se ne era ritornato in Galles, ma prima si era fatto promettere da Magnus che lui lo avrebbe tenuto d’occhio: tutti si aspettavano che prima o poi Lilith si sarebbe fatta risentire …
“Come hai fatto a sapere che … che Lilith mi stava cercando e che così non avrebbe preso Cecily?” La voce di Will era roca, come se stesse tentando di trattenere le lacrime.
“Credi che io, o tuo padre, o Camille, siamo degli stupidi? Abbiamo fatto due più due e tuo padre, conoscendoti molto bene, ha pensato che questa fosse una cosa proprio da te … ha pensato che questa era una cosa proprio da Herondale.”
“E ora? Perché state riesumando questa storia?” Chiese Tessa, profondamente interessata ma non troppo sicura di capire il motivo di quel discorso, anche se una mezza idea le era già venuta in mente.
“Perchè credo che sia stata Lilith a tagliare la corda di quel lampadario. Ha provato a uccidere Will. Lo ha trovato, ne sono sicuro … l’ho vista qualche giorno fa gironzolare intorno alla scuola, la stavo per raggiungere ma lei è scappata. Mi ha visto ed è scappata.” Era arrabbiato con se stesso, per essersela lasciata sfuggire. “Will, hai avuto la sensazione di essere seguito, ultimamente, vero?”
Will annuì. “Mentre andavamo a teatro ho sentito che c’era qualcuno dietro di noi. L’ho anche vista con la coda dell’occhio ma non potevo immaginare che sarebbe riuscita a fare … quello che ha fatto. L’ho evidentemente sottovalutata.”

Angolino dell'autrice: Eccoci qua, misteri svelati e tutto :) Spero che abbiate capito, più o meno, quello che è successo ai poveri Herondale e spero che abbiate apprezzato questa mia imporvvisata da piccola thriller-author xD Non ci sono portata, è evidente ... Ad ogni modo: io vi ringazio perchè vedo che le persone continuano a leggere i capitoli e continuano a mettere la storia tra preferite, ricordate e seguite, grazie grazie grazie!
Non so quando riaggiornerò, ma credo abbastanza presto (sono iniziate le vacanze, trallallero trallallà). 
Bene, non ho molto altro da dire. Se volete lasciare una recensione, io sono contenta ... altrimenti mi accontento di avervi allietato per una decina di minuti :) Ma se vi abbiamo annoiato, giuro che non s'è fatto apposta -cit. Manzoni
Ciao ciao!!

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Capitolo 37
*** Di molestie e attenzioni indesiderate ***


Capitolo 36: Di molestie e attenzioni indesiderate

“E tu cosa ci fai qui?” Le guance di Henry Branwell divennero paonazze per la rabbia nel vedere il suo “avversario in amore” comodamente seduto sul divano della sua ragazza, che in quel momento, tra l’altro, era rientrata nella stanza.
Aveva un’aria dispiaciuta, mentre Woolsey Scott sembrava starsela godendo tutta.
“Io e chérie   dobbiamo discutere di affari privati, gradirei che tu aspettassi fuori.” Per poco dalle orecchie del fulvo non uscì del fumo …
“Henry, sul serio, puoi uscire un secondo solo?” chiese con voce tenera, rivolgendosi molto più freddamente al biondo. “E tu, Woolsey, se mi chiami un’altra volta chérie, ti faccio saltare tutti i denti.”
Henry annuì compiaciuto ma uscì lo stesso dall’appartamento.

“Tu mi stai chiedendo di trovare una donna che la polizia sta cercando da oltre tre anni? Di tentare dove Scotland Yard ha fallito?” Woolsey si grattò il mento, pensieroso.
“Esattamente, e pagherò le intere spese.” Confermò Charlotte, cercando un contatto visivo con l’interlocutore.
“Lo sai che la mia agenzia investigativa si occupa principalmente di uomini che tradiscono le mogli, vero?”
La donna annuì, sedendosi accanto a lui. “Ma so anche che i risultati sono ottimi e che non hai nemmeno un caso archiviato non risolto.”
Woolsey la guardò intensamente. “Affare fatto.”
“Davvero?” Charlotte sgranò gli occhi: non pensava sarebbe stato così facile. Strinse la mano che Woolsey le tendeva ma questo, invece di limitarsi ad un paio di strette, la attirò con forza a sé e le stampò un bacio sulle labbra, cercando, ovviamente, di renderlo più profondo. Charlotte in compenso gli assestò una gomitata nello sterno.

“Mi ha fatto chiamare, signor Lightwood?” Sophie fece capolino dalla porta di Gideon, dopo aver bussato ed essere stata invitata ad entrare.
L’uomo, per tutta risposta, annuì e si alzò dalla sedia, abbandonando la sua agenda e dirigendosi verso la cameriera. “Si. Volevo chiederle se era possibile che mi venissero portati ogni pomeriggio alle cinque, insieme al tè, degli … ehm … degli scones.
Sophie inarcò le sopracciglia. “Certo, non c’è problema. Informerò Bridget immediatamente.”
Fece per andarsene …
“Signorina Collins?”
La cameriera si voltò di nuovo verso l’insegnante, il quale si stava massacrando le pellicine intorno alle unghie della mano destra, per scaricare la tensione. Sophie, tuttavia, non prestò attenzione a quel piccolo e pericolosamente psicotico gesto, impegnata com’era a concentrarsi su come, in pochi secondi, sarebbe stata fuori dalla stanza. Questa fobia per gli uomini minacciava di diventare molto grave … non si era mai ripresa da quando il suo vecchio datore di lavoro, in seguito ad un suo rifiuto alle avance fin troppo moleste, aveva deciso che nessun altro avrebbe potuto considerarla “bella” e aveva pensato bene di sfregiarla. In genere non aveva problemi, ma non conosceva Gideon Lightwood abbastanza da poterlo giudicare, né positivamente né negativamente.
“Mi chiedevo se lei non fosse troppo impegnata con il lavoro per dedicarmi un paio d’ore, un giorno.”
Sophie si irrigidì e Gideon borbottò, accorgendosene:”Sempre che non sia un problema. Cioè … si figuri, cioè” si bloccò e assunse l’aria di chi avrebbe tanto voluto spararsi e con un gesto terminò il discorso:”Lasci perdere. No son capace de hablar, mi Dios. ”
Sophie si chiuse la porta della camera alle spalle, uscendo. Con un mezzo sorriso pensò che, tutto sommato, avrebbe dovuto costruirsi un parere su questo Gideon Lightwood.

Will sbuffò. Non aveva fatto altro, quella mattina. Jem non si era fatto sentire, il che era strano, e Tessa, non poco preoccupata, temette che stesse male. Il fatto che Will fosse di pessimo umore, poi, non aiutava. Non avevano toccato l’argomento “Lilith Damon”, da quando Magnus aveva raccontato l’intera vicenda, e Tessa si era costretta a non porre alcuna domanda a riguardo, per rispetto: non doveva essere stato e non doveva essere facile per Will, tutto questo.
La ragazza tornò a concentrarsi su Grandi Speranze, senza però riuscire a capire veramente il significato delle parole. Dopo qualche secondo chiuse il volume con un sonoro tonfo, ciò, però, riuscì a far spiccicare parola a Will.
“Improvvisamente il tuo amore per Dickens si è dissolto nell’aria come la neve in estate?”
“Non c’è bisogno di essere sempre così acido.” Borbottò Tessa. “Perché invece non mi diletti con una dose del tuo rinomato humour? O con una poesia?”
Il ragazzo incrociò le braccia nude al petto, nudo anch’esso. A quanto pareva, gli si erano incrinate anche un paio di costole, nell’incidente, e l’infermiera dieci minuti prima era venuta a spalmargli la crema e a rifargli la fasciatura (un’attività che non sembrava dispiacerle affatto, con grande disappunto di Tessa) e non si era preoccupata di procurargli una maglietta nuova, in sostituzione di quella che aveva messo a lavare.
“Non sono esattamente dell’umore, per essere il diletto di qualcuno … Anche se” e le lanciò un’occhiata eloquente “mi sembra che non serva che parli, per compiacerti.”
Tessa divenne più rossa dei capelli di Clary e distolse all’istante lo sguardo dai pettorali dell’Herondale, fingendosi molto interessata dal piccolo graffio sul proprio indice sinistro.
“No, ti prego, continua pure … solo che non trovo giusto questa imparità. Sai, gli uomini possono essere timidi quanto le donne riguardo al proprio corpo, non vedo perché io debba stare qui a far mostra del mio charme a chiunque lo voglia e tu no.”
Urlò quando Grandi speranze gli colpì il ginocchio.

“Sei un mostro, Gray!” Will ora era distratto dal brutto livido verdognolo sul proprio ginocchio, anche se non poteva analizzarlo bene a causa del collo bloccato e delle luci spente.
“Così la prossima volta ci penserai meglio, prima di chiedermi di spogliarmi. Zitto e dormi.”
Un Will, ormai provvisto di maglietta e anche di svariate coperte, parve acquietarsi.

Mentre i respiri di Will si erano fatti regolari, Tessa non aveva per niente sonno e il ticchettio dell’angelo meccanico, solitamente tanto rassicurante come la ninna nanna di una madre, non faceva alcun effetto. Quando si alzò in piedi, nell’oscurità mitigata dai flebili raggi lunari, la stanza le girò intorno. Ci vollero alcuni momenti prima che quella fastidiosa sensazione di instabilità avesse fine ma ad un certo punto riuscì a muovere i piedi, uno davanti all’altro. Si avvicinò alla finestra e prese ad osservare il parco che circondava l’ospedale, con le foglie che venivano mosse dalle spire del vento e il verso dei grilli a rompere il silenzio. Stava per voltarsi e tornare a letto, per cercare di dormire un po’, quando con la coda dell’occhio notò un’ombra muoversi furtivamente tra le lunghe ombre degli alberi.

Angolino dell'autrice:Siete contenti, siete soddisfatti? Vi siete divertiti? Io molto, personalmente, a scrivere questo capitolo. Ultimamente questa storia, che era partita come commedia, si era fatta troppo seria e ho deciso di spezzare un pò, prima di riprendere il filo della trama. Vi erano mancati Charlotte e Woolsey, ammettetelo u.u A me si, e continuo a pensare che li adoro insieme ... ma la Fairchild è di Henry, la cosa è stata decisa anni prima della mia nascita ... Ok, mi ritiro.
A presto!

P.S. Colgo l'occasione per sponsorizzare la mia raccolta di missing moments (e non solo) su Will. Ecco qui il link: 
Shadowhunters, 'L'Angelo' di Misaki Ayuzawa (Cap 1) su EFP Fanfiction Spero passerete, giusto per dare un'occhiata!

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Capitolo 38
*** La quiete prima della tempesta ***


Capitolo 37: La quiete prima della tempesta

William Herondale si girò sul fianco destro, le gambe imprigionate dal lenzuolo bianco del letto d’ospedale, dove era confinato da due settimane.
Una fitta al collo lo costrinse ad aprire gli occhi, mentre, nel compiere il movimento, andava a sbattere contro Tessa.
Le sopracciglia si corrugarono, ponendo una muta domanda alla quale Tessa, addormentata com’era, non poteva rispondere. Poi, dopo qualche secondo, ricordò la notte precedente. Aveva visto Tessa preoccupata accanto alla finestra, lo sguardo attento, e le aveva chiesto, in un sussurro arrochito dal sonno, che cosa ci fosse là fuori. La ragazza aveva scosso la testa, senza rispondere, e aveva fatto per tornarsene a letto, ma Will l’aveva bloccata, prendendola per il polso, non appena esso era stato a portato della mano libera dai tubicini. Alla fine, molto semplicemente, Will le aveva fatto un po’ di posto nel letto e l’aveva cinta in un abbraccio, quando gli si era stesa accanto. Erano ancora nella medesima posizione di quando si erano addormentati, il capo di Tessa abbandonato nell’incavo del collo di lui, le ciglia tremolanti, come se stesse per svegliarsi, e le labbra socchiuse: la ragazza russava lievemente, per fortuna non era un rumore fastidioso, in quanto più simile ad un sospiro regolare.
Will socchiuse gli occhi, godendosi il momento, dimentico di qualsiasi cosa non fosse Tessa. Era rimasto stregato da lei, dal suo acume, dalla sua schiettezza, del suo essere priva delle inutili e fastidiose moine tipiche di parecchie ragazze.
La strinse un po’ più forte, il braccio bloccato dalle spalle di lei, e poggiò piano le labbra sulla sua fronte. Non fu un bacio, bensì un semplice contatto; un contatto, però, che bastò a farla muovere e, infine, a svegliarla.
Per un momento i suoi occhi grigi si fissarono in quelli blu-viola di Will, esprimendo sorpresa ma allo stesso tempo piacere.
“Buongiorno.” Disse Will, bisbigliandole all’orecchio.
Le labbra di Tessa si piegarono in un sorriso. “Buooo-“ Si bloccò prima di terminare la parola, colpita da un improvviso sbadiglio. Arrossita, affondò ulteriormente il volto  nella spalla di Will, mentre i capelli le coprivano definitivamente il viso.
La risata del ragazzo le giunse attutita dai folti boccoli ma cristallina.
Dal tono con cui Will parlò, Tessa capì che sorrideva.
“Non credo sia un problema sbadigliare, Tess. Insomma, c’è di peggio della tua faccia che si allunga e si deforma fino a diventare simile a quella di un troll.”
Tessa, fulminandolo con lo sguardo, si mise seduta, incrociando le gambe e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
“Non prendere sul serio tutto quello che faccio, o dico, la mattina appena sveglia. Ho il cervello ancora addormentato e non sono attendibile, per niente, o, comunque, non agisco in modo sensato. Quindi non è che fossi imbarazzata, semplicemente ho agito d’impulso.”
“Ho notato, neanche quello che hai appena detto ha molto senso.”
Tessa alzò una mano. “Ecco, visto?!”

Stettero per alcuni minuti in silenzio, con Will che cercava, invano, di allentare il collare (quanto gli prudeva!) e Tessa che lo osservava, semi distesa accanto a lui, a scuotere con dissenso la testa.
Quella quiete venne turbata dell’entrata dell’infermiera, pronta a servire uno yogurt e un misero pacchetto di biscotti a Tessa e un panino farcito al burro e al prosciutto, un budino e un succo d’arancia a Will, neanche a dirlo, ci rimase malissimo quando vide i due nello stesso letto e le coperte di quello di Tessa non stropicciate, indizio inconfutabile del fatto che solo un letto era stato usato, quella notte.
“Credo che tu le piaccia.” Osservò Tessa.
Ovviamente Will lo aveva notato e, dall’alto della sua modestia, rispose:”Sei gelosa, per caso?”
Tessa si finse disinteressata. “E perché dovrei esserlo? Non ho motivi di interesse.”
Il ragazzo parve stupito. “In  che senso?”
Tessa ingoiò, lentamente, un grande boccone di yogurt, prima di rispondere. Si stava avventurando in una conversazione pericolosa e non sapeva se l’esito sarebbe stato positivo.
“Nel senso che … voglio dire, siamo amici, ecco tutto.”
Non aveva motivo di credere che Will la volesse come qualcosa di più. C’era stata quella notte di Natale, dove le aveva detto che non ci sarebbe potuto essere nulla (anche se tutt’ora non riusciva ad afferrarne il motivo)  e lei gli aveva risposto che non avrebbe rinunciato … poi i loro rapporti si erano limitati ad una serie di uscite, chiacchierate per i corridoi dell’Istituto e quella disastrosa serata a teatro.
Will manteneva un’espressione allucinata.
“Spero tu stia scherzando! Io non ho mai voluto che la situazione si facesse strana per Lilith! Perché sapevo che un giorno mi avrebbe trovato e che sarebbe stato un problema se avessi legato troppo con altre persone!”
Tessa fu presa dalla rabbia.
“Strana? Cosa ci sarebbe stato di strano se tu ti fossi limitato a dirmi quale fosse il problema e avessi lasciato a me scegliere, cosa sarebbe stato meglio?!”
“Perché ho sempre pensato che tu saresti stata sconsiderata e che non mi saresti stata lontana.”
Le parole arrivarono forti, chiare e sicure.
“Hai davvero un’alta stima di te” anche se non hai torto, Tessa completò la frase mentalmente “ma nonostante queste premure da parte tua nulla ha fermato quella donna dal gettarci un lampadario in testa!”
“Ops, scusate. Passerò più tardi.” Una vocina, leggermente imbarazzata, provenne dalla porta.
Tessa voltò di scatto la testa: sulla soglia c’era Maia.
“No, entra pure Maia. Io e Will non abbiamo null’altro da dirci, al momento.”
Sbuffando Will affondò nuovamente nel cuscino, coprendosi gli occhi con i palmi delle mani.
Un'altra qualità di Tessa da annotare: talvolta sapeva essere più testarda e irragionevole di un mulo.

“La preside Fairchild non voleva che lo veniste a sapere” cominciò Maia, cauta. Non era facile affrontare il discorso che stava cominciando, ma era giusto così.
“Parla Maia.” Tessa fu più brusca di quanto intendesse essere, ma una buona parte di lei ancora non si era calmata, dopo la mini lite con Will.
“Ecco, vi sarete di certo chiesti perché Jem non è venuto qui, in questi giorni.”
Tutta l’attenzione di Will si concentrò, a questo punto, sulle parole di Maia, ovvio che se lo era chiesto e nessuno, a parte Nate, si faceva vedere da giorni in ospedale.
“Be’, dovreste sapere che … è crollato.”
“COSA? In che senso?” Una nota grave era chiaramente udibile nella voce di Will.
“Nel senso che quattro giorni fa si stava allenando ed è caduto, per la tosse. Lightwood gli aveva detto di tornare in camera perché lo vedeva più pallido del solito, ma lui non ne ha voluto sapere. Charlotte ha scoperto presto il perché di un attacco tanto forte: ha smesso di prendere lo yin fen.”

Angolino dell'autrice: eccomi qui con il nuovo capitolo! So che vi ho fatto attendere tantissimo per l'aggiornamento, e mi dispiace davvero tanto ma, sul serio, questi giorni di scuola sono infernali! Ho un sacco di compiti per cui studiare e sono stremata T.T Io comunque vi ringrazio perchè, per quanto ho potuto constatare, non mi avete abbandonata, e per questo vi ringrazio <3
Se avete il piacere di leggere qualcos'altro di mio fate un salto in questa raccolta e, se volete, lasciate un commqntino ^^ : 
Shadowhunters, 'L'Angelo' di Misaki Ayuzawa (Cap 1) su EFP Fanfiction

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Capitolo 39
*** Fuga ***


Capitolo 38: Fuga

Charlotte si stava massaggiando le tempie pulsanti con i polpastrelli, quando qualcuno irruppe nel suo ufficio.
“Bussare non è più buon costume?” Chiese, senza neanche alzare lo sguardo.
Una voce a lei ben nota le rispose. “Credevo che ormai non fosse più necessario. Dato che si tratta di me.”  
Woolsey se ne stava appoggiato allo stipite della porta, i capelli biondi ordinatamente pettinati all’indietro e le lunghe gambe avvolte in un paio di pantaloni di alta sartoria. La camicia bianca, con i primi bottoni sbottonati, lasciava intravedere la clavicola e il petto.
“Accomodati.” Disse soltanto la donna.
Woolsey si adagiò sulla poltroncina, di fronte alla scrivania.
Calò un silenzio che fu Charlotte a rompere, dopo essersi massaggiata le tempie ancora un po’.
“Che c’è, Woolsey?”
Il biondo scosse la testa. “Sembri stanca.” Non c’era traccia di ironia nella sua voce.
“Lo sembro e lo sono … Allora, hai novità per me?”
Woolsey annuì piano.
“I miei agenti hanno mostrato in giro la foto di Lilith che mi hai fornito. Nonostante fosse abbastanza datata, le guardie dell’ospedale l’hanno riconosciuta. L’hanno lasciata entrare. Credevano che fosse una semplice visitatrice.”
“Quindi non sai effettivamente dove si trova, ora come ora?” Chiese Charlotte, sconsolata. Non aveva conosciuto Lilith di persona, ma Jocelyn Fairchild, sua cugina e madre di Clarissa, le era stata molto amica; proprio grazie a Jocelyn, Charlotte era riuscita a procurarsi la foto.
Le persone non si aspettano mai che, quando qualcosa di terribile accade, i responsabili sono proprio i più vicini a noi e per questo Jocelyn era rimasta profondamente scioccata, nell’apprendere la notizia.
Woolsey si toccò il naso con la punta dell’indice e l’ombra di un sorrisetto affiorò sulle labbra.
“Se non lo sapessi non sarei qui. Alaric l’ha vista di persona e l’ha seguita dall’ospedale fino al luogo in cui abita. Ha cambiato completamente identità: si fa chiamare Adele Rainway e gestisce una lavanderia a Whitechapel. Al momento Alaric e Gretel” Charlotte suppose che si trattasse degli investigatori di Woolsey “la stanno tenendo d’occhio. Non possiamo fare niente, finchè non la cogliamo con le mani nel sacco.”
Charlotte sgranò gli occhi, sbalordita e ammirata contemporaneamente. Si alzò in piedi, improvvisamente rinvigorita, e lo stesso fece Woolsey. La donna gli strinse calorosamente la mano, mantenendo però una certa distanza: la scrivania avrebbe di certo fatto da scudo, nel qual caso a Woolsey fosse passato in mente di fare qualcosa di strano.
“Grazie mille. Davvero, tu e i tuoi … avete fatto qualcosa di incredibile. Saremo per sempre in debito con voi, io e Will.” Aggiunse, meno convinta.
“E’ sempre un piacere, chèrie, lo sai.”
Le mani si staccarono e negli occhi di Woolsey balenò un lampo di malinconia, che Charlotte però non notò, prese com’era a preoccuparsi per un’altra persona …

Se fuori la temperatura rasentava i cinque gradi, dentro la camera di Jem il caldo era soffocante, eppure, nonostante i caloriferi, il ragazzo continuava a tremare, scosso dai brividi.
“Jem” sussurrò Emma, temendo che un suono troppo alto potesse ferire il cugino. “Vuoi un’altra coperta?” Il capo di Jem, sotto la zazzera argentea scompigliata, scosse la testa.
“Jem” ripeté Emma, incapace di mantenere gli occhi asciutti, nonostante si fosse ripromessa di non piangere davanti a Jem. Lui non stava davvero morendo. Perché la droga, o la medicina, non era veramente finita. Perché non era vero che la casa farmaceutica aveva chiuso. Era solo un brutto sogno da cui Emma si sarebbe svegliata presto. Probabilmente sarebbe stato Julian, seduto accanto a lei in una qualsiasi aula, a darle un pizzicotto per ridestarla, prima che il professore la beccasse a sonnecchiare. “Jem, perché non c’è nient’altro che ti possa guarire?” Emma, in quel momento, sapeva di apparire come una bambina piagnucolona e non come una sedicenne, ma non poteva farci nulla; per lei, Jem non era mai stato un cugino, ma un fratello.
La voce di Jem rispose flebile ma calma, come se non ci fosse ragione di preoccuparsi, o essere ansiosi. “Lo yin fen non è mai stata una cura, lo sai benissimo. Serviva a ritardare l’inevitabile. Dopotutto, la ruota non si può ingannare a lungo.”
“Non me ne frega niente della ruota! Ci saranno altre centinaia di persone che dovrà far reincarnare, no? Perché dovrebbe interessarsi a te?” Sbottò Emma. Talvolta il carattere di Jem, così diverso dal suo, la faceva infuriare.
“Non è qualcosa che ti compete.” Jem socchiuse gli occhi e cambiò discorso. “Come stanno Will e Tessa?”
Emma rimase a bocca aperta. Come poteva Jem preoccuparsi di Will e Tessa, quando stava per andare, irrimediabilmente, incontro alla morte? Sapeva, però, quanto Will fosse importante nella vita del cugino, così lo rassicurò, dicendogli che stavano meglio entrambi e che nel giro di una settimana sarebbero tornati all’Istituto.
“Quindi tu non puoi morire prima che lui arrivi.” Concluse Emma.
“Non oserei mai, Will darebbe il mio corpo in pasto alle anatre …”

Sophie se ne stava in punta di piedi sull’ultimo piolo della scala di legno, tentando disperatamente di passare il piumino sulla cima della libreria. Da quando non c’era più Will ad occuparsi dei libri, per Sophie, in biblioteca, c’era il doppio del lavoro da fare. William Herondale era schivo, nei suoi confronti, ma la cameriera aveva imparato a conoscerlo, piano piano, alla totale insaputa del ragazzo.
La sua mania di sistemare ogni minuscola pieghetta del più antico dei libri, il bancone all’entrata costantemente stipato di liste ed elenchi che avevano un ordine soltanto per lui … Aveva capito fin da subito che William Herondale era un ragazzo particolare.

Dopo essersi ripulita, Sophie andò in cucina. Erano le cinque meno dieci e, in perfetto orario, gli scones per il signor Lightwood erano pronti.
Trasportando il carrello lungo il corridoio, Sophie si chiese perché mai Lightwood desiderasse gli scones proprio alle cinque, dato che era l’orario in cui terminava la lezione; ma d’altronde, non erano affari suoi. Forse gli piaceva mangiare subito dopo l’allenamento, con le focaccine ancora fumanti, eppure, ogni volta che Sophie entrava, dopo avere educatamente bussato, Gideon se ne stava in piedi, rigido come uno spaventapasseri e con il fiatone.
Questa volta Sophie non ricevette risposta, quando bussò. Provò ad aprire la porta e rimase sorpresa quando, sotto il suo tocco, questa si aprì. Che razza di incosciente teneva la porta del proprio appartamento aperta?
Sophie terminava il turno alla cinque e, non volendo aspettare sulla soglia l’arrivo del professore, entrò nella stanza, trascina dosi dietro il pesante carrello.
Lasciò il carrello in mezzo alla stanza e ritornò alla porta. Questa, contro ogni previsione, si spalancò verso l’interno colpendole con violenza il volto.
Il colpo non era stato abbastanza forte da tramortirla, ma ugualmente la ragazza cadde indietro, prontamente afferrata da Gideon, giustamente sorpreso di trovarla lì.
“Dobbiamo decisamente smetterla di incontrarci così, o per la fine dell’anno entrambi ci saremo procurati diversi traumi celebrali.” Constatò Gideon.
“Non potrei essere più d’accordo.” Assentì Sophie, alzandosi in piedi, aiutata dall’uomo. Nel movimento notò qualcosa sotto il letto. Un’enorme montagna di … “Scones?” Sophie strabuzzò gli occhi.
Gideon parve preso in contropiede. “Ne volete uno?” E, dopo averne presa una dal carrello, offrì la focaccina alla cameriera, la quale la allontanò con un gesto della mano.
“Perché, signor Lightwwod, ci sono degli scones sotto il suo letto?” Gideon impallidì, il sangue defluito completamente dal volto.
“Ecco, io …”
“Se non le piacevano avrebbe semplicemente potuto dirmelo! Ne avrei fatti altri!” La voce di Sophie tremava di rabbia. Sprecava del tempo, ogni giorno, a preparare quei dannatissimi scones, e le sembrava una mancanza di rispetto, quella, e Sophie, ormai da tempo, mal le sopportava, le mancanze di rispetto. Nella sua vita ne aveva ricevute troppe.
Gideon fece per afferrarle le spalle, ma Sophie si scostò.
“Il fatto è che a me gli scones non piacciono. Non mi sono mai piaciuti e mai mi piaceranno.”
Il volto di Sophie era una maschera di rabbia e stupore. “Allora perché mi ha chiesto di portaglieli ogni giorno?”
Il viso di Gideon si tinse di una sfumatura rosso acceso. “Mi sembrava il modo migliore per vederla …” biascicò. Solo ora, incapace di muoversi sotto lo sguardo accusatorio di Sophie, Gideon si rendeva conto di quanto stupido fosse stato, con quella messinscena. E tutto per vedere una ragazza che viveva sotto il suo tetto, facilmente raggiungibile. Il problema, pensò dopo, era un altro, in effetti. Sophie non lo incoraggiava affatto e, al contrario, lo allontanava.
“E io cosa dovrei fare?” Replicò Sophie, con voce ferma. “Mi dovrei sentire lusingata?”
Gideon non ebbe il tempo di ribattere, perché la ragazza uscì a passo veloce dalla stanza.

 “Maia, tienilo fermo!”
“Provaci tu, se ci riesci!”
“Lasciatemi andare! Lasciatemi!” Gridò Will, la mano aggrappata al pomello della porta e il petto e le braccia bloccate da Maia.
“Dove credi andare, Will?” Lo rimproverò Tessa.
“Dove credo di andare?” Will la guardò incredulo.”Da Jem!”
“Will, non puoi andartene da solo.” Anche per Tessa era difficile pronunciare quelle parole, ma sapeva che non avrebbero potuto andare in giro da soli, non con Lilith alle calcagna. “Chiameremo la preside Fairchild,” continuò “o il professore Branwell, e ci faremo portare da Jem.” Poi si rivolse a Maia. “Puoi lasciarlo, Maia.” La ragazza lasciò lentamente la presa e pescò dalla tasca il cellulare. Mentre digitava il numero, Will zoppicava, il piede ingessato, verso la poltroncina vicino.
“Chi stai chiamando?” La sua voce era tetra e la paura (Tessa lo notò forte e chiaro: Will non era preoccupato per Jem, aveva proprio paura di perderlo) appannava i suoi occhi, solitamente brillanti.
Maia si portò un dito alle labbra, pregandolo di non fare silenzio. La ricezione non era un granché, in quella parte dell’ospedale.
“Pronto Jordan? Sono io.” Disse finalmente, quando il ragazzo rispose all’altro capo del telefono.
“Prendi la moto e vieni all’ospedale. Porta un casco per Will.” Maia interruppe la telefonata prima che Jordan potesse dire alcunché.
Tessa era a dir poco arrabbiata. “Vuoi far andare Will in moto … con Jordan?”

“Su, amico, non è un salto troppo alto.” Will, dalla finestra, lanciò un’occhiata assassina a Jordan che se ne stava in giardino, incoraggiandolo a saltare.
“Forse non lo sai, ma ho un piede ingessato, cretino!” Sussurò Will con l’intonazione che avrebbe messo in un urlo, ma non poteva permettersi di fare rumore. Quella era una fuga in piena regola.
Maia se ne era andata subito dopo aver telefonato a Jordan e ora, nella stanza ospedaliera, c’erano solo Will, che tentava disperatamente di issarsi sul cornicione della finestra trascinando la gamba dal piede ingessato come un peso morto, e Tessa che, volutamente, fingeva di non vederlo né sentirlo. Capiva perfettamente le ragioni di Will. Sapeva che Jem era il suo migliore amico e anche lei avrebbe voluto vederlo immediatamente, ma non avrebbe aiutato Will ad acciaccarsi ancor di più o, nel peggiore dei casi, a precedere l’amico nella tomba, sebbene Tessa stesse cercando di convincersi che Jem non sarebbe veramente morto. Miliardi di persone malvagie, a questo mondo, meritavano la morte, perché mai avrebbe dovuto essere Jem, ad andarsene?
Finalmente Will riuscì a sedersi sul cornicione, le gambe penzolanti nel vuoto.
“Jordan Kyle, se tu non mi prendi al volo ti strapperò a mani nude quei capelli di cui ti vanti tanto.” E dopo questo annuncio, saltò.
Tessa lo aveva già visto saltare, una volta, dal loft di Magnus, ma nonostante questo sentì le budella attorcigliarsi, quando i capelli neri di Will scomparvero dal suo campo visivo.
La ragazza scosse la testa e poggiò sul comodino il libro che stava leggendo. Si avvicinò alla finestra e vi si arrampicò sopra. Guardò giù.
Will era atterrato proprio tra le braccia di Jordan, il quale, ora, lo stava mettendo a terra e gli faceva passare il braccio di Will sulle spalle, per aiutarlo a camminare.
Al diavolo, pensò Tessa.
E saltò anche lei.

Angolino dell'autrice: Ecco qui, un capitolo di transizione, lo so, ma che mi serve per arrivare ai capitoli finali! Spero vi sia piaciuto lo stesso, nonostante la ben poca "azione". Probabilmente in molti mi odieranno, per la piega che sto facendo prendere alla malattia di Jem, ma qui non siamo nel mondo degli Shadowhunters e quindi l'unica cura potrebbe essere di derivazione scientifica. Chi lo sa come finirà!
Okay, non ho molto altro da dire se non invitarvi, se volete, a lasciare una recensione, e a dare un'occhiata, se ancora non l'avete fatto, alla mia altra long "L'angelo". A presto!

 

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Capitolo 40
*** Essere saggi e innamorati ***


Capitolo 39: Essere saggi e innamorati

Il viaggio fino all’Istituto fu, per Tessa, un’esperienza traumatica che non sarebbe mai riuscita a dimenticare. La moto di Jordan era un’enorme Yamaha nera e lucida. Fu molto difficile trovare una posizione conveniente per le condizioni di Will ma, in qualche modo, dopo dieci minuti, riuscirono a partire.
Mentre Jordan sfrecciava a tutta velocità senza casco (il suo lo aveva ceduto a Tessa), la ragazza si era aggrappata ai suoi fianchi con tutte le proprie forze. Will, invece, sembrava abbastanza a suo agio.
Doveva essere abituato a simili spericolatezze, pensò Tessa.
Non appena Jordan spense il motore, Will saltò giù dal veicolo e si avviò zoppicando verso i cancelli dell’Istituto. Tessa fece per corrergli dietro, ma Jordan le afferrò prontamente il polso, impedendole di proseguire.
“Che c’è?” Chiese Tessa, sconvolta. “Lasciami andare, voglio vedere Jem!”
Jordan scosse la testa. “Dagli un po’ di tempo … Deve stare solo con Jem. Potrebbe non esserci un’altra occasione, per loro.”
A quel punto gli occhi della ragazza erano diventati lucidi, le lacrime minacciavano di scorrerle sulle guance come un fiume in piena, e Tessa non trovava una fonte di luce abbastanza forte da bloccarle.
“Non c’è speranza, allora …” Sussurrò, il petto improvvisamente svuotato di tutta l’aria.
“Non ho detto questo, è solo che … meglio prepararsi subito al peggio, piuttosto che illudersi.”

Will fece irruzione nella camera di Jem senza neanche bussare, senza perdere tempo a chiedere il permesso. Lo spazio era buio, con le tapparelle abbassate e le tende chiuse. Will fece qualche passo, per poi chiudersi la porta alle spalle. Gli ci volle qualche secondo per capire che Jem era sveglio e che lo stava fissando, gli occhi socchiusi ma più brillanti che mai. Merito della febbre, probabilmente.
A grandi passi coprì la distanza tra la porta e la sedia vuota accanto al letto, certamente occupata, fino a non molto tempo prima, da Charlotte Fairchild. Ogni volta che Jem dava segno di stare peggio del solito, Charlotte se ne prendeva cura personalmente, proprio come una madre, ed era riluttante ad andarsene, quando Jem la pregava di farlo perché la vedeva stanca.
Will si accomodò. Il piede gli doleva in maniera innaturale e, dunque, fu un sollievo non doverlo più poggiare a terra.  
Will allacciò il suo sguardo con quello del suo migliore amico, non sapendo esattamente cosa dire … “Ehi?”, oppure “Sono scappato dell’ospedale come Magwitch dall’Australia?”
Si sporse sul bordo del letto, scorticandosi le pellicine intorno alle unghia.
“Jem …” Con voce strozzata fu tutto quello che riuscì a dire.
“William, mi aspettavo un’eloquenza maggiore da parte tua. Negli ultimi giorni tutti hanno continuato a sussurrare il mio nome, sai.”
Stava tentando di buttarla sul ridere, ma Will non ci trovava nulla di divertente. Avrebbe tanto voluto piangere, ma aveva dimenticato anni addietro come si faceva.
“Cosa vuoi che ti dica?” Si schiarì la voce con un colpo di tosse e accese il lume sul comodino. Una luce soffusa si espanse nel giro di un metro e mezzo, troppo debole per riuscire a raggiungere gli angoli più lontani.
“Non saprei.” Ammise Jem. “Potresti raccontarmi di come sei arrivato qui.” Osservò.
Jem aveva decisamente notato che, a parte per l’unica scarpa da tennis al piede sinistro, Will indossava ancora il pigiama dell’ospedale.
“E’ un’informazione top secret, verrà rivelata quando pubblicherò le mie memorie.”
“Saranno in rima?”
“Saranno in rima.” Confermò Will. Ci aveva provato, ma non era in vena di scherzare.
“Dovrei avere il diritto di ascoltarne un pezzo ora. Probabilmente nella prossima vita sarò abbastanza intelligente da tenermi lontano dai libri scritti da un certo William Herondale.”
Will stette in silenzio. Se avesse parlato, la voce sarebbe uscita rotta.
“William, posso chiederti qualcosa?” Cominciò, poi, Jem.
“Qualsiasi cosa.” Assentì Will.
“Dopo che …” Lasciò ben intendere, pur senza dirlo, a cosa si riferisse. “Potresti prenderlo tu il violino? So che non lo utilizzerai mai, però mi piacerebbe che lo tenessi tu. Se la cosa non ti infastidisce.” Si affrettò ad aggiungere. Come poteva Jem anche solo immaginare che non avrebbe fatto qualsiasi cosa lui gli avesse chiesto? In quel momento, per lui, avrebbe scalato l’Himalaya o attraversato a nuoto l’Atlantico.
“Com’è possibile che lo yin fen sia finito?” Chiese all’improvviso. “Ricordo perfettamente che, l’ultima volta che l’abbiamo comprato, ne avevamo preso sette confezioni, e non è stato molto tempo fa … Di solito una ti basta per un mese …”
Ci volle qualche minuto, prima che Jem trovasse la forza per rispondere.
“Verso Gennaio, con la sessione sportiva, ne ho dovuto prendere di più. In poco tempo avevo bisogno del triplo della dose solo per reggermi in piedi.” Confessò.
“Ma perché?” La voce di Will uscì disperata. “Potevi semplicemente essere esonerato, e continuare a vivere.”
Jem parve arrabbiarsi, il volto contratto. “Vivere è qualcosa di più che sopravvivere. Io non vivo da quando avevo dodici anni. Vuoi rimproverarmi perché ho deciso che, ad un certo punto, fosse meglio bruciare velocemente, piuttosto che scomparire lentamente?”
“Cosa ti ha spinto?” Will poteva capirlo. Sì, decisamente la sua mente capiva le parole dell’amico; era il suo cuore, però, a rifiutarsi di accettarle.
Jem abbassò lo sguardo e le guance si fecero color porpora. “Credo che tu possa facilmente immaginarlo.”
Will scosse la testa. Cosa poteva essere successo? C’era forse stato qualche cambiamento?
Il ragazzo stava per sbottare che no, non ne aveva la benché minima idea, ma poi un volto comparve nella sua mente, occupandola per intero.
“Tessa …” Mormorò. L’unica variabile in tutto quel tempo era stata lei. Quella ragazza, evidentemente, non aveva intaccato soltanto la sua quotidianità, ma anche quella di Jem e, improvvisamente, ricordò di come l’avesse trovata in camera dell’amico con indosso solo la camicia di quest’ultimo (in quell’episodio, la sua concentrazione era stata tutta per le gambe della ragazza, ma aveva notato, senza rendersene veramente conto, che Jem la guardava già allora con affetto, pur avendola appena conosciuta). Ricordò anche di avere visto spesso che i due correvano insieme durante le ore di Lightwood e, ancora, li rivide passeggiare per i corridoi per andare insieme a lezione.
“Non credevo che ti piacesse così tanto.” Aggiunse Will, sentendosi un idiota.
“Non ci ho mai contato granchè, Will. Sei una frana a capire le persone.”  Jem sorrise.
Will non riuscì a ricambiare il sorriso. La sua testa era un turbinio di pensieri. Che Tessa ricambiasse i sentimenti di Jem? Era questo il motivo per cui, in ospedale, gli aveva chiaramente detto che non gli interessava? Eppure, c’erano stati dei momenti, innegabili in cui …
Scosse la testa; si sentiva malissimo, non tanto per la confessione di Jem, quanto per la reazione che stava avendo. Jem e Tessa formavano il suo cuore , e se uno fosse morto e l’altra si fosse allontanata, a lui non sarebbe rimasto nulla. Quanto egoistici erano i suoi pensieri!
“E tu hai ragione di pensare che lei, ecco … che lei corrisponda?”
“Non lo so. Forse sì, o forse no. Non le ho mai detto nulla.”
Will, contro ogni logica, si sentiva come se avesse tradito Jem.
“Per quale motivo?” Chiese. La sua voce risultava atona alle sue stesse orecchie.
“Non avrei mai voluto che stesse con me per pietà, o che si sentisse vincolata in qualche maniera ad una persona che non raggiungerà mai la maggiore età. E, contemporaneamente, temevo un rifiuto, per le medesime ragioni.”
Will prese un respiro profondo. Non avrebbe turbato il sentimento di Jem con il proprio. Dopo tutti quegli anni, quello era il minimo.
Prese la mano dell’amico tra le sue.
“Se ne sei innamorato, vuol dire che conosci Tessa e che sai che non farebbe mai qualcosa per pietà, ma perché vuole farlo. Soprattutto se si tratta di una persona a cui tiene.”
Jem lo guardò con la speranza negli occhi. “Tu credi che lei possa ricambiare?”
Will annuì. “E se non lo facesse, la costringerei. Considerando come ti sei ridotto.” Aggiunse con un mezzo sorriso.
“Oh, ti prego, non fargliene una colpa. Non è qualcosa che ha scelto lei per me.”
“Tutto questo sarebbe più da me, che da te. James, quando, esattamente, ti comporti come un personaggio di Shakespeare?”
Jem scoppiò in una roca risata presto interrotta dalla tosse sanguinolenta.
“Lei è qui?” Sussurrò in un soffio.
“Sì. La vado a chiamare?”
“Grazie, Will.”

Angolino dell'autrice: Allora, questo è un capitolo che vorrebbe, ma non è, essere drammatico. Ci sono riuscita? A voi il giudizio! Come avrete sicuramente notato, il titolo è uguale a quello di un capitolo de La Principessa. Ho voluto provare anche io a scrivere qualcosa di intenso, ma con evidenti scarsi risultati ... Sono ben lontana, mio malgrado, alla magnificenza dell Clare ... Ad ogni modo, vi volevo ringraziare tantissimo perchè le recensioni e le aggiunti della ff alle storie preferite, seguite e ricordate, aumentano di giorno in giorno. Senza di voi, e, ovviamente, senza i lettori silenziosi, non sarei mai arrivata fino a questo punto! Grazie!
Prima di salutarci, vi propongo la mia nuova ff, molto più nel mio stile e quindi mooooolto più leggera. Si chiama "La pericolosa curiosità di Lucie Herondale" Spero che vi piaccia e qui c'è il link: 
 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2661464&i=1

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Capitolo 41
*** Grazie ***


Capitolo 40: Grazie

Il volto scuro di Will, nel momento in cui la raggiunse fuori dalla porta di Jem, atterrì Tessa.
“Vuole vederti.” Riferì lui, apatico. Tessa annuì e fece per abbassare la maniglia ed entrare, ma Will la fermò.
“Cosa c’è?”
“Qualsiasi cosa accada,” cominciò Will con voce rotta. Aveva il fiatone, come se stesse scalando una montagna durante una bufera di neve “pensa alle conseguenze delle parole che pronunci.”
“Cosa vuoi dire?”
“Esattamente quello che ho detto.”
Tessa non capì ma, in quel momento, le parve una buona idea annuire a tutto quello che Will diceva. Doveva essere sconvolto, e lei non aveva alcuna voglia, ne era della disposizione d’animo adatta, per ingaggiare una guerra verbale.
Si immerse nel buio della stanza. Jem si era messo seduto, la schiena contro la testiera del letto, e tentava di non dare a vedere quanto male stesse, tradito comunque dalle pelle sudata e il tremito delle labbra. Le mani erano adagiate con tranquillità sopra le coperte.
“Will mi ha detto che mi volevi vedere.”
Le labbra di Jem si arcuarono in un debole sorriso, quando notò che anche lei, come Will, portava ancora il pigiamo dell’ospedale.
“William ha avuto proprio una brutta influenza su dite.”
Di colpo Tessa arrossì. Non era proprio una bella esperienza farsi vedere in pigiama da un ragazzo che … da un ragazzo per cui provi affetto. Con Will, dopo due settimane di condivisione dell’ambiente, non ci faceva più caso, ma con Jem ... Si ricordò all’improvviso del loro primo incontro, e si accorse che, alla fine dei conti, non aveva motivo di sentirsi a disagio.
“Mi ha reso più atletica, se lo vuoi sapere.” Tessa tentò di ricambiare il sorriso e, detto questo, si andò a sedere sulla sponda del letto, di fronte a Jem.
“Will ha la strana capacità di riuscire a condizionare tutto e tutti e di trasportarli con sé senza neanche rendersene conto. Al contrario, sono convinto che vorrebbe esercitare il potere opposto.”
“Purtroppo lo credo anche io …” Mormorò Tessa.
Jem si accigliò. “E da cosa lo deduci?”
Tessa si riscosse. “Non sono venuta qui per parlare di Will.” Disse scuotendo la testa con determinazione. “Se ho qualcosa da dire su di lui, mi sento abbastanza sicura da affrontarlo direttamente.”
“No, ti prego. Parlami.” Jem, con il più accorato tono di voce, la convinse ad aprirsi. Come poteva quel ragazzo farle quell’effetto? Le sue parole erano come l’ipnosi. Eppure, questa volta, mentre lei parlava, negli occhi di Jem non leggeva la semplice disponibilità di un amico, quanto il vero interesse.
“E’ sempre la stessa storia” cominciò, titubante. “Prima è come se non volesse avere nulla a che fare con te e poi ti lascia uno spiraglio. Ti permette di conoscerlo, ti affezioni … e ti butta di nuovo fuori. Cercare di stargli accanto è difficile come vivere la maledizione di Sisifo.” Ma non riusciva ad andare avanti. Lagnarsi di Will le sembrava inopportuno più che mai.
Il ragazzo prese un grande respiro, come se si preparasse ad affrontare la conversazione più difficile che avesse mai avuto.
“So che ti suonerà strano o, ancor peggio, inopportuno, ma ti chiedo di rispondere con sincerità. Se non vuoi, ti lascio libera di non parlarne.”
“O-okay …” Tessa non era più sicura di niente. Prima Will le aveva detto di fare attenzione alle proprie parole, ora Jem la pregava di essere sincera … le stavano per caso chiedendo di arruolarsi nell’esercito?
“Sei innamorata di Will?”
Le guance di Tessa si fecero paonazze. Chissà perché si vergognava, come se fosse una colpa da espiare, quella di essersi presa una cotta … ehm, una grande cotta per Will.
Gli occhi di Jem si accesero di comprensione, e fu lui a rispondere per lei.
“Sì, lo sei.” A Tessa venne l’irrefrenabile voglia di scusarsi; ma scusarsi di cosa? Fece per dire qualcosa, ma la voce –sempre più debole- di Jem la frenò.
“Va bene, volevo solo esserne sicuro.” Si sforzò di fare un sorriso.
“Ma perché? In questo momento dovresti pensare a tutto fuorché alla mia vita sentimentale –alquanto smorta, se lo vuoi sapere.”
Le dita di Jem si intrecciarono piano a quelle di Tessa, che ricambiò la stretta. Il cervello aveva preso il volo e avrebbe voluto abbracciarlo, ma qualcosa le diceva che non sarebbe stata una buona idea.
“Lo sai qual è il mio più grande cruccio?”
“Che sei troppo giovane per-?” Tessa non riuscì ad andare avanti. Tessa non si concedeva facilmente al pianto, ma in quel momento non avrebbe voluto far altro se non rannicchiarsi in un angolino e perdersi nei singhiozzi.
“No, no. A questo mi sono preparato da un pezzo -anche se con disappunto, si intende. Da quando vivo qui all’Istituto, io e Will siamo stati fratelli. Pensavo, ormai, di conoscerlo, ed ecco, invece, che Charlotte mi viene a dire di Lilith …”
Tessa fu sopraffatta dallo stupore. Aveva capito che Will non aveva condiviso questa storia con nessuno, eppure aveva dato per scontato che Jem ne fosse a conoscenza.
“Ad ogni modo,” riprese Jem “avevo paura di lasciare Will da solo. E’ intelligente e, in teoria, sa che l’autodistruzione non è la soluzione. Anche se si sente in colpa per non aver protetto la sorella.” Fece una pausa, e Tessa ebbe il tempo di riflettere su quello che aveva imparato di Will, in quei mesi. Aveva capito, dalle voci che correvano, che non era raro, negli anni passati, che tornasse all’Istituto completamente ubriaco, con, all’occorrenza, un pulso slogato e un occhio pesto. Dunque, oltre al dolore della perdita, si sobbarcava anche il peso di una morte il cui sangue non sporcava certo le sue, di mani. “Adesso, forse, non devo avere paura di lasciarlo solo. Perché non è solo.”
Jem lo disse con una tale franchezza che Tessa non si trattenne più. Lei non voleva sostituire Jem; non lo aveva mai voluto. L’unica cosa che desiderava era che tutto tornasse alla normalità. Con le guance rigate di lacrime, Tessa allontanò le proprie mani da quelle di Jem per passargliele intorno al collo e abbracciarlo. Sentì le braccia di Jem irrigidite contro la sua schiena, e che, poco a poco, si rilassavano e la stringevano a loro volta.
“Grazie.” Gli sussurrò all’orecchio. “Per avermi accolta, e per avermi concesso di conoscerti. Nonostante la mia pessima presentazione e il mio pessimo accento.”
Jem ridacchiò.  “A proposito, non mi hai ridato la camicia.”

“Will …” Charlotte proprio non aveva la forza, e neanche la voglia, di rimproverarlo. Poteva capire perfettamente la situazione del ragazzo. Per quella volta, avrebbe chiuso un occhio.
 Quando i medici l’avevano chiamata avvisandola che la stanza dei pazienti Gray e Herondale era vuota per poco non le era preso un infarto. Subito, però, non aveva avuto dubbi su dove i due fuggitivi potessero essere. Non appena arrivò davanti alla porta chiusa della camera di Jem vi trovò Will a fare la guardia, molto simile a una di quelle di Buckingham Palace, e Tessa che sbucava fuori dalla suddetta camera con gli occhi arrossati ma asciutti.
“Non ti è venuto in mente che, per quanto ne sapevamo, avrebbe potuto essere stata Lilith a portarti via?”
Will non parve neanche sentirla, gli occhi fissi su un punto indefinito, ma che doveva essere molto interessante, del muro. Fu Tessa a rispondere.
“Ci scusi, ma appena lo hanno avvertito a proposito di Jem non ha sentito ragioni. E comunque siamo arrivati sani e salvi.”
Charlotte sospirò. Era esausta. Tra Jem, Lilith e Woolsey non chiudeva occhio da circa tre giorni.
“Vi avremmo fatti dimettere domani pomeriggio … I medici ci avevano detto che ormai non c’era motivo per cui steste in osservazione.”
Per un po’ nessuno disse niente, poi la direttrice si rivolse a Tessa.
“E Jem …?” Aveva visto crescere quel ragazzo, come Will e Jessamine, che avevano abitato con lei da quando avevano dodici anni e per lei erano dei figli. Il pensiero di perderne uno le era insopportabile.
“Si è addormentato.” Fu la lapidaria risposta.

“Io proprio non capisco come tu abbia fatto a convincermi, Magnus.” Camille Belcourt se ne stava semi distesa sul sedile anteriore della Volvo di Woolsey con i pedi, calzati in atroci tacchi a spillo pitonati, sul cruscotto e una sigaretta tra le dita.
“Ti ha convinta promettendo di organizzare la festa per il tuo quarantesimo compleanno.” Woolsey godette moltissimo nel far notare alla bionda che ormai la sua vita era tutto in declino … “Ti pregherei di non lasciare la cenere sui miei preziosissimi sedili in pelle!” Aggiunse poi.
“Siete una compagnia davvero noiosa; lo sapete, vero?” Magnus occupava con le sue lunghe gambe i sedili posteriori e teneva lo sguardo fisso sul portone dell’edificio dal quale, prima o poi, Lilith Damon sarebbe dovuta uscire.
“Senti chi parla. Ho un ricordo abbastanza nitido di te, me e Pretty Woman. Mi avevi promesso una serata indimenticabile.” Woolsey guardò disgustato prima Camille e poi Magnus.
“Voi due stavate insieme?”
“Ti crea problemi?” Magnus strinse i suoi occhi da gatto e poi si rivolse a Camille. “E’ stato indimenticabile, infatti. Mi sembra che te ne ricordi. E poi a tutti piace Pretty Woman.”
“Se state zitti, magari non ci facciamo beccare da Lilith!” Li rimproverò Woolsey. Scaldando il motore e preparandosi a seguire la suddetta donna che si stava dirigendo verso una bicicletta.
Obbiettivamente era una bella donna, scintillanti capelli corvini e una figura slanciata, ma i lineamenti, che una volta dovevano essere stati gradevoli, erano induriti e deformati da un’espressione crudele. A Magnus venne un brivido nel rivederla dopo tanti anni, e immagini della sua gioventù gli si imposero nella mente, provocandogli allo stomaco una fitta di nostalgia. Si sentiva realmente male a pensare che quelli che un tempo erano stati i suoi migliori amici ormai erano poco più che sconosciuti, e che alcuni di loro dovessero provare tanto dolore quanto tanta violenza.
“Si dirige verso l’ospedale.” Osservò Woolsey, improvvisamente vigile e guardingo, mantenendosi ad una costante distanza di cinque metri dalla donna. Magnus, che non poteva sapere dei trascorsi tra Woolsey e Charlotte, non poteva sapere che ci fosse qualcosa di più del lavoro a spingere quel giovane uomo a fare quello che stava facendo: un pedinamento di circa quarantotto ore pressappoco continuo; lui e Woolsey non erano esattamente amici, quanto più conoscenti di vecchia data. La loro conoscenza risaliva a cinque anni prima, quando una donna greca, residente a Londra e con la quale Magnus aveva avuto un breve relazione di una settimana, aveva assunto quell’ispettore privato per farlo pedinare e controllare se facesse qualcosa di illegale, per poi spennarlo con un ricatto. La poveretta non aveva sopportato il troncamento della storia –non che Magnus non potesse capirla. Lui era meraviglioso! Ad ogni modo, la storia si era conclusa con Magnus che scopriva di essere seguito e offriva a Woolsey il triplo di quanto aveva offerto la donna, affichè la piantasse con quella storia ridicola. In una situazione normale, Woolsey non avrebbe mai accettato –era una questione professionale!- ma in quel caso non c’era motivo di non cambiare bandiera. Era evidente che la greca fosse completamente schizzata.

Lilith era scesa dalla bicicletta e l’aveva abbandonata nel cortile dell’ospedale. Come sempre, era stato facile intrufolarsi nel giardino, a dispetto della sorveglianza che era stata raddoppiata proprio per evitare il suo ingresso. Ora restava solo da arrivare al primo piano. Anche qui, non fu affatto difficile. La porta di servizio era aperta e lei sgusciò dentro, mischiandosi tra le ombre. I suoi movimenti erano silenziosi e aggraziati. Stava per aprire la porta che l’avrebbe condotta dal ragazzo. Fece scivolare il coltello dalla manica e lo impugnò. Già pregustava l’odore che il sangue Herondale avrebbe avuto sulle sue mani e sul suo viso, una volta che fosse schizzato dalla ferita. Perché sarebbe stato un sol po' ben inferto a causare quella morte; un sol colpo dritto al cuore, per spezzarlo in due … in due come i pezzi del proprio, di cuore, quando Edmund Herondale lo aveva calpestato.

“Beccata.”

 Angolino dell'autrice: Non ho scusanti, se non il fatto che avevo perso l'ispirazione. E mi dispiace, mi dispiace sul serio :( Tra le altre cose, ho approfittato delle vacanze per leggere un pò (sì, ho letto CoHF ... *.* Signori, non ho pianto, mi sento benissimo, un pò triste, ma realizzata :D) However, non ho nient'altro da dire. Spero che il capitolo sarà di vostro gradimento e, se volete, lasciate una recensioe :D

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 42
*** Commiato ***


Capitolo 41: Commiato

“Beccata.” Jace Wayland stringeva così forte il polso destro di Lilith che questa fu costretta a lasciar cadere il coltello, che piombò a terra provocando un gran fragore metallico. Nel frattempo, Alec teneva bloccata la donna per la vita e il collo, da dietro, e Julian l’aveva afferrata per l’altro braccio. Jordan, a conclusione dell’opera, maneggiò sicuro la sua mazza da baseball e le diede un colpo deciso alla nuca, finendo con il farla svenire. La donna si accasciò repentinamente su se stessa e i ragazzi la lasciarono andare, non prima, comunque, di averle bloccato le braccia dietro la schiena con del nastro adesivo.
Jace sorrise trionfante, rivolgendosi prima al suo migliore amico, grazie al quale era venuto a conoscenza dell’intera faccenda che aveva ribattezzato “Operazione Ammiratrice Sociopatica” –a sua volta Alec era stato messo al corrente della cosa da Magnus, il quale contava sul riserbo del fidanzato- e poi, di seguito, agli altri due membri della banda.

“E voi che ci fate qui?” La voce di Magnus Bane, seguito a ruota da Woolsey Scott e Camille Belcourt giunse inaspettata alle orecchie dei ragazzi.
“Vista la vostra incompetenza” comiciò Jace “abbiamo deciso di sbrigarcela da soli.”
“Ma come facevate a sapere di Lilith?” Si intromise Woolsey. Alec si fece paonazzo, cosa che a Magnus non sfuggì. “Alexander Gideon Lightwood,” Magnus scandì lentamente il nome del sua ragazzo “decisamente urge una conversazione a proposito della gestione delle informazioni che io decido di condividere con te, perchè l'uso che ne fai non mi piace per nulla.”
Jace agitò un braccio, come a scacciare una mosca. “L'ho costretto io a parlare. Se devi prendertela con qualcuno, prenditela con me.”
Magnus sollevò un sopracciglio. “Chissà perchè non avevo dubbi.”
“Non riuscivo più a stare tranquillo, dopo aver saputo che una pazza furiosa del genere” Jace indicò con un cenno del capo Lilith “era ancora in circolazione. Che a William Herondale piaccia o no, lui fa parte della banda, e nessuno, intendo proprio nessuno, viene lasciato solo; ma soprattutto, quando qualcuno ferisce uno di noi, la paga. Non importa quanto tempo ci potrebbe volere, ma nulla rimane impunito.”
Woolsey sbuffò sonoramente. “Va bene, va bene. Molto nobile da parte vostra. Comunque, ora noi portiamo Lilith Damon alla stazione della polizia, e voi filate dritti dritti all'Istituto. Se non protestate, non dirò nulla a Charlotte della vostra piccola avventura; mi avete capito?”
Jace fu sul punto di protestare eccome, ma fu bloccato da Alec, che, insieme agli altri, si ritirò più svelto della luce. Sapeva che Magnus lo avrebbe ammazzato, una volta soli, e voleva ritardare quel momento il più a lungo possibile. Jordan affidò Lilith a Woolsey. L'uomo, con gesto esperto, si sfilò dalla tasca della giacca un paio di manette e le assicurò ai polsi della donna, rimuovendo solo dopo il nastro adesivo.
Quando la porta si fu chiusa dietro ai ragazzi, Lilith proruppe in una risata. Aveva evidentemente ripreso i sensi. La risata era gelida, priva di qualsiasi ilarità. A dire il vero, era anche priva di umanità.
Quando il riso si fu fermato, con voce arrochita, Lilith si rivolse a Magnus. “Da quanto tempo, Magnus! Non vieni ad abbracciare una vecchia amica?” Magnus tentò di rimanere indifferente . Non voleva dare alcuna soddisfazione a quella vipera.
“Commovente il discorsetto del biondino. Gli Herondale sono sempre stati fortunati con le amicizie. Ma, soprattutto, sono sempre stai bravi a farsi amare.” Pronunciò il cognome Herondale come se fosse veleno. “Nessuno, nessuno tranne me,” continuò “capisce che sto aiutando tutti, uccidendoli.”

“La tua è solo vendetta. Hai dimentica qualsiasi altra cosa se non il rimpianto per ciò che sarebbe potuto accadere se non ci fosse stata di mezzo Linette; hai trasformato in odio il rimpianto, e non hai mai provato a capire o ad ascoltare.  Hai rovesciato la tua povertà d'animo su una ragazzina.” Mangus non si sarebbe mai fermato, se non fosse stato per lo sguardo di fuoco di Lilith.
“Gli Herondale ti illudono. Prima ti mettono su un piedistallo, ti lodano, ti amano e poi ti gettano via. Quando arriva una stella più luminosa di te, la loro attenzione improvvisamente muta direzione.” Magnus non ebbe cuore di portare avanti ulteriormente la conversazione ed uscì dalla stanza.

 

“Tu sei il mio migliore amico, Will, e lo sai.”
Will sgranò gli occhi, Non si aspettava, a quel punto, che Jem avesse ancora le forze per parlare. L'Herondale non si era mosso dal capezzale un momento, quella sera, ben consapevole che poteva benissimo rappresentare l'ultima notte di Jem, ma la stanza era stata silenziosa nelle tre ore precedenti. Ovviamente, c'erano state visite da parte di numerosi docenti e amici, ma tutte quante erano state molto brevi, per paura di affaticare troppo il ragazzo. Solo Tessa era rimasta per un lungo periodo, rispettando il silenzio ma essendo costantemente presente. Verso le due, Will l'aveva praticamente obbligata ad andarsene in camera propria e riposarsi. Ora erano le quattro. Will stava cedendo al sonno, quando ecco che Jem aveva cominciato a parlare.
“Cero che lo so, Jem.” Mormorò Will.
“Allora avresti dovuto dirmi tutto.” Il tono di Jem suonava come un rimprovero, e per Will fu come tornare bambino, con sua madre che lo sgridava per aver infangato lo zerbino di casa e lasciato orme nel corridoio davanti l’ingresso.
“Perché non mi hai detto di te e Tessa?”
Will trasalì, ma si sforzò di rispondere. “Non ritenevo fosse importante. Soprattutto perché non c’è mai stato molto da dire. Era un lavoro in corso, per così dire.”
Jem sghignazzò. “Quanto sei romantico, Will. Mi domando cosa ne penserebbe Tessa del sentirsi chiamare lavoro in corso, come se fosse un cantiere.”
L’amico sobbalzò sulla sedia. Non avrebbe mai potuto descrivere l’imbarazzo di quel momento.
“Non importa più, comunque.”
Jem sollevò un sopracciglio. “Che vorrebbe dire che non importa? Certo che importa!”
Will piantò i suoi occhi in quelli del suo amico. “Non posso stare con lei, ora che so che tu la volevi.” Non era mai stato tanto serio. Si agitò sulla sedia, prima di tornare a parlare. “Non voglio trarre alcun vantaggio da tutto ciò” e sottolineò il concetto con un ampio gesto della mano “e quindi basta. Stop. Finita.”
“Questo dovrebbe farmi sentire meglio, William? Perché se il tuo fine era questo, mi duole annunciarti che non ha funzionato. Non ho alcun diritto su Tessa, e nemmeno tu. “
Will, semplicemente, annuì.


“James,” dopo una lunga pausa, Will ritrovò la voce. Sentiva che il momento stava per giungere. “voglio che tu sappia che è stato un onore e un piacere averti conosciuto. Sono stato poco fortunato, negli ultimi cinque anni, ma tu sei la prima, e l’unica, cosa buona che mi sia accaduta.”
“Lo stesso vale per me, Will.” Jem sorrise. Will si inginocchiò accanto a lui e gli strinse forte la mano. Si chinò per baciargli la guancia.
“Ave atque vale, James.”
“E’ Catullo, vero?”
Will annuì.
“Bene. Ah, Will …”
“Sì?”
“Credo che dovresti metterti a scrivere sul serio, un giorno. Non poesie, ma romanzi. Promettimi di pensarci, okay?”
“Okay.”
Jem, gli occhi chiusi, il petto immobile, il cuore muto, cadde dalla ruota. 

Angolino dell'autrice: No! Non sono morta, sono solo stata fuori città senza internet ... e, lo ammetto, non avuto molta voglia di scrivere. Ad ogni modo, ora eccomi qui. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento (ma non piace nemmeno a me, quindi figuriamoci ...) Ora scappo, che ho voglia di aggiornare "L'Angelo". Ciao ciao.
P.S. Non odiatemi, please :(

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Capitolo 43
*** Famiglia ***


Capitolo 42: Famiglia

Quando Charlotte entrò nella camera di Jem, trovò al suo interno un Will che si era finalmente abbandonato alle lacrime. Non le ci volle molto per capire. Per un paio di minuti si bloccò sulla soglia. Era come se avesse perso un figlio, ma doveva rimanere forte. Non si poteva proprio permettere di crollare.
“Will, mi dispiace, ma devi venire con me.”
Will non diede segno di aver sentito, così Charlotte gli si avvicinò e lo scosse lievemente, prendendolo per una spalla.
Il ragazzo si divincolò con un’imprevedibile violenza e, quando volse il volto verso la direttrice, i suoi occhi erano arrossati e le lacrime, che non accennavano ad estinguersi, gli correvano velocemente lungo le guance, bagnando le maniche della felpa e la mano di Jem, che teneva saldamente stretta.
“Will, è importante.” Charlotte non si sbilanciò.
“Cosa ci può essere di più importante di questo?” La sua voce era disperata.
“Lilith.”

Will teneva stretta una tazza di caffè, mentre Charlotte- che aveva, inutilmente, insistito affinchè prendesse una camomilla- gli raccontava della cattura di Lilith. Nella sua versione non comparivano né Jace né gli altri per il semplice fatto che Woolsey non aveva ritenuto opportuno mettere nei guai i ragazzi. Alla fine del racconto vi fu un lungo silenzio.
“Be’, non dici nulla?” lo interrogò Charlotte.
“Cosa dovrei dire? Mia sorella non risorgerà di certo …”
Charlotte sgranò gli occhi. “Ma potrai tornare dalla tua famiglia! Nessuno di voi corre più alcun pericolo.”
“Perché pensi che i miei mi rivorrebbero? Li ho feriti andandomene. E non hanno mie notizie da cinque anni …”
“A proposito di questo …” L’aria colpevole di Charlotte fece capire a Will che i suoi erano sempre stati a conoscenza di dov’era e cosa faceva.
“No, Charlotte. Non dirmi che l’hai fatto.”
“Sono i tuoi genitori: avevano il diritto di sapere!”
Will si alzò di scatto e gettò a terra la tazza. La ceramica si ruppe in mille pezzi e il caffè si sparse su tutto il pavimento.
“C****!” Era furibondo e totalmente abbandonato alle sue emozioni. “Quella era l’unica cosa giusta che avessi mai fatto! L’unico tentativo per salvare la mia famiglia! Perché non va mai nulla per il verso giusto?!” Will sapeva che quello che stava dicendo era totalmente privo di senso; Lilith era stata catturata, e questa era la soluzione alla maggior parte dei suoi problemi ma … aveva questo irragionevole bisogno di urlare, e non riusciva- non voleva- fermarsi. Se si fosse fermato, tutto gli sarebbe crollato addosso.
“Tu non avevi il diritto di fare questo alle mie spalle. Nessun diritto! E poi, anche se i miei genitori mi rivolessero, con che faccia potrei ripresentarmi?! Cosa mai gli potrei dire?”
“Lo scoprirai presto, perché stanno  venendo qui.”
Sbattè la porta della presidenza dietro di sé e percorse a grandi falcate la distanza che lo separava dal cortile: aveva bisogno di aria fresca. E di ubriacarsi. Voleva dimenticare tutto, almeno per qualche ora …
Jem non lo vorrebbe.
Jem è morto, e non avrebbe voluto molte cose, gli ricordò una vocina remota nella sua testa.

Una voce lo riportò alla lucidità.
“Will, dove credi di andare?”
Il ragazzo posò il proprio sguardo su Tessa, che gli si era piazzata di fronte impedendogli di proseguire.
“Non metterti anche tu a farmi la predica, Tess.” Era esausto.
Tessa sollevò le mani, sulla difensiva. “Non ti farò una predica, se non stai per fare una cosa stupida.”
“Jem è morto; sento la necessità di fare qualcosa di stupido, dato che non c’è lui a fermarmi.”
Tessa spalancò le labbra e un velo di tristezza le modificò l’espressione. Ancora non lo sapeva, ma Tessa aveva una gran forza d’animo e, in qualche modo, Jem le aveva affidato Will.
“A maggior ragione, dovresti stare qui e-“
“E fare cosa?” Scattò Will. “Mi sembra tutto sbagliato; non ha più senso fare nulla! Domani questo posto sarà pieno di ipocriti che piangeranno la morte di James dopo anni e anni di battutine sullo yin fen. Nemmeno lo conoscevano, Tess, e io non voglio assistere allo spettacolo.” Aveva mormorato le ultime parole e non aveva accennato al prossimo arrivo dei suoi genitori. Ci avrebbe pensato dopo, a quello.
“Allora devi rimanere qui, per stare accanto a Jem. E non dovresti nemmeno pensare di lasciarlo solo con quegli sciacalli.”
Vi fu qualche minuto di tensione, rotto dall’abbraccio in cui Tessa avvolse Will.
“Ho fatto una scenata di fronte a Charlotte …” Confessò Will.
“Ti andrai a scusare più tardi.” Gli rispose Tessa all’orecchio.
Tessa sciolse l’abbraccio e prese Will per mano, conducendolo fino alla stanza di quest’ultimo. Will pareva essersi svuotato, perché non oppose alcuna resistenza quando Tessa gli sfilò le scarpe e lo fece stendere sul letto, per poi coprirlo con un caldo pile.

Tessa aspettò che Will si fosse addormentato per lasciare la stanza ed andare in quella di Jem. Doveva vederlo un ultima volta.
Il corpo era ancora lì. C’erano Charlotte e Henry in un angolo, attendendo chissà cosa … forse speravano che Jem stesse solo dormendo, ma non poteva essere così: non c’era battito e non si sentiva nemmeno il più lieve dei respiri. Tessa non fece in tempo ad entrare che subito si ritrasse. Quello non era più Jem, era solo un corpo. Lei avrebbe ricordato sempre Jem che la salvava in mensa e le offriva la sua camicia. Lo avrebbe ricordato alle lezioni di francese e nei pomeriggi di studio. Lo avrebbe ricordato nei suoi giorni migliori e non lo avrebbe mai associato ad un corpo sofferente a causa della malattia, mai.

“Possiamo vederlo? La prego, signorina Fairchild.” Era strano sentir parlare un uomo così massiccio in questo modo. Charlotte annuì e accompagnò i coniugi Herondale e la figlia fino ai dormitori maschili. Bussò un paio di volte, ma non ricevette risposta. Prese allora la sua copia della chiave elettronica ed entrò senza troppe cerimonie. Rimase sbalordita di fronte alla scena che le si presentò.
Will stava dormendo un sonno agitato, avvolto in diversi strati di coperte e, anch’ella assopita, c’era Tessa, seduta a terra ma col capo vicino a quello di Will.
Linette Herondale si lasciò scappare un sorriso, mentre Edmund osservava il figlio e la sconosciuta scuotendo la testa.
“Suppongo dovremo svegliarlo.” Comiciò Charlotte, ma venne presto fermata da Linette.
“Oh no, lasciamo che riposi, dopo tutto quello che gli è capitato.” Aveva una voce molto dolce a cui una nota di affetto materno non mancava di certo.
“Chi è la ragazza?” Domandò Edmund.
“Theresa Gray. Vi ho scritto di lei, a proposito dell’incidente  a teatro.”
“Oh, ma certo.” Affermò Linette, come se una verità universalmente riconosciuta le si fosse presentata di fronte agli occhi.
In quel momento, come se la ragazza si fosse sentita chiamare, Tessa alzò il capo.
Fin da subito ebbe la sensazione di essere osservata, ma Will stava dormendo, e nella stanza non c’era nessuno … A meno che … Tessa si girò verso la porta, non aspettandosi di ritrovarsi di fronte ad un pubblico. Era troppo stanca per imbarazzarsi e così si limitò a borbottare un saluto; stranamente non le importava niente di chi fossero i tre accanto a Charlotte.
Fu proprio Charlotte, comunque, a prendere la parola.
“Tessa, questi sono Edmund, Linette e Cecily Herondale.”
Tessa spalancò gli occhi, osservandoli meglio. Linette e Cecily erano la copia femminile di Will, per corporatura magra e colore di occhi e capelli, mentre il volto di Edmund era molto simile a quello del figlio, sebbene avesse lineamenti maggiormente marcati. La ragazza si alzò velocemente, ignorando il dolore alle gambe ma maledicendosi ugualmente per essersi addormentata in quella scomoda posizione.
“Molto piacere, io sono Tessa.”
Fu di nuovo Linette a parlare. “Il piacere è nostro, Tessa.”
“Bene, forse io allora dovrei andare …” Tessa lanciò un’occhiata interrogativa a Charlotte, che le annuì.


Angolino dell'autrice: Sììì! Ce l'ho fatta! Ho aggiornato in tempi decenti. Perdonate il capitolo di passaggio, ma era necessario. I prossimi saranno più intensi, spero ^^ Se volete, recensite, fa sempre molto piacere. Vi ringrazio moltissimo per aver inserito la storia tra le seguite, le ricordate e le preferite, vi adoro!!


 

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Capitolo 44
*** Estranei ***


Capitolo  43: Estranei

I giorni successivi trascorsero come in un sogno. Nulla sembrava reale, funerale di Jem compreso.
Nella cappella dell’Istituto quasi non si respirava per quanta gente era presente. La prima fila era occupata dagli zii e da Emma che, a tutti i costi, aveva voluto Jules accanto a sè, poi venivano i professori e il personale scolastico e, infine, decine e decine di studenti. Will aveva occupato una panca in fondo ed era stato silenzioso, di fianco ai genitori e alla sorella, per l’intera funzione. La sua presenza era stata notata soltanto per il discorso che aveva preparato in onore di Jem. Tessa gli era andato incontro, quando Will, bardato di nero da capo a piedi e zoppicante sulla stampella, aveva fatto il suo ingresso nell’edificio, ma era stata scansata bruscamente e, con un’occhiata di scuse da parte dei coniugi Herondale, superata.

Ora, Tessa stava di fronte la camera di Will, dalla quale provenivano, in alternanza, le voci del ragazzo e della sorella.  Tessa alzò una mano, nell’azione di bussare, ma proprio in quel momento la porta si spalancò. Cecily stava sulla soglia dando le spalle a Tessa e rivolgendosi per l’ultima volta a Will in tono risentito.
“Non hai molta scelta, Will. Tu torneai in Galles, e lo sai. Non capisco perché devi rendere tutto così difficile!” Queste parole colpirono Tessa più forte di uno schiaffo: non si era mai soffermata a pensare a questo, ma, in effetti, era logico … Will non aveva più un motivo valido per restare a Londra, non con Lilith in prigione e Jem morto. Cecily, prima di imboccare il corridoio a lunghi passi, la scrutò per un secondo, e Tessa ebbe l’impressione di non esserle molto simpatica.
“Tanto vale che entri.” L’invito fu alquanto scorbutico, ma Tessa decise di coglierlo ugualmente. La stanza era un caos. Lenzuola stropicciate e abbandonate sul letto, vestiti sparsi sulla sedia e sulla poltrona e, infine, libri dappertutto. Ogni singolo volume era stato tolto dalla libreria, e ora giacevano tutti sul pavimento, alcuni ancora aperti. “Allora?” Will era seduto a terra, le spalle contro l’armadio semivuoto e le gambe incrociate. “Sono abbastanza impegnato, quindi sei pregata di sbrigarti.” A Tessa parve di essere tornata ai primi giorni, quando tra lei e Will non c’era ancora nessuna complicità e nessun sentimento.
“Sì, sei letteralmente sommerso dal lavoro.” La ragazza mosse qualche passo, evitando di calpestare maglie e volumi. Finalmente raggiunse la sponda del letto e vi si sedette. “Hai intenzione di tornare a casa?”
Le parole restarono sospese tra di loro e la risposta non arrivò di certo immediata.

Will tamburellò con il pollice contro la punta della scarpa. Sembrava assorto e, con i capelli scompigliati e il vestito nero ancora indosso, assomigliava ad un angelo della morte. Persino l’aura intorno a lui era ombrosa.
“Non ho ancora deciso.” Era così spaesato che Tessa per poco non si commosse.
“I tuoi meritano una risposta rapida. E anche io.” Le ultime parole le uscirono di bocca senza che lei lo volesse. Si morse la lingua fino a sentire il sapore del proprio sangue in bocca.
Will stette in silenzio.
“Ti ricordi cosa ti dissi la notte di Natale, Will?” Cominciò Tessa e, non lasciandosi scoraggiare, continuò. “Io mi ricordo ogni singola parola, perché è stata la prima volta in cui mi hai fatto avvicinare. Mi avevi baciata poco prima, ma quelle ore passate nella biblioteca sono state ancora più speciali. Io  ho promesso che non avrei gettato la spugna con te, e non ho intenzione di farlo nemmeno ora. Siamo uguali Will. La vita ha messo alla prova entrambi, ma l’abbiamo superato … e sempre lo supereremo. Queste cose ci segnano, e non necessariamente nel senso migliore, ma fanno di noi quello che siamo. Se rimarrai ancora in questa bolla … allora perderai il controllo della situazione. I tuoi genitori saranno costretti a portarti in Galles, e poi? Diventerai uno di quei vecchi scorbutici con cui nessuno vuole avere niente a che fare. Se invece ti svegli da questo torpore, prenderai la tua decisione, non importa quale, e saprai che la vita che conduci sarà quella da te scelta.”
Le parole levitarono tra loro, poi Will si mise in piedi e mosse qualche passo verso il letto, dove Tessa era seduta. Si piegò su di lei, carezzandole la guancia con la mano destra. Tessa fremette al contatto. Non si toccavano con quell’intimità da quella notte in ospedale, quando avevano dormito insieme. Ora però era diverso. Tessa percepiva l’elettricità nell’aria. Will le fece alzare il mento con una minima spinta della mano. Poi accostò il proprio viso a quello di lei. La bocca si muoveva veloce, famelica, su quella di Tessa. Piano piano  i corpi si andavano inclinando sul letto e Tessa si ritrovò completamente sdraiata, la testa adagiata sui cuscini e le gambe intrecciate a quelle di Will. Quest’ultimo le stava sopra, le mani le esploravano la schiena e i fianchi, e, tra un bacio e l’altro, sussurrava il nome di Tess.
Will le riempiva di baci la linea del collo, mentre Tessa affondava le mani nei capelli corvini. Per un momento pensò di lasciarsi andare, in fondo cosa poteva esserci di sbagliato? Lei lo amava, ne era certa, ma una nota stonata non faceva altro che tormentarla.
“Will?”
Il ragazzo continuò a produrre imperterrito una serie di gemiti.
“William?” Tessa tentò di nuovo, lottando contro la volontà del suo stesso corpo, e finalmente Will decise di prestarle attenzione.
“Non stai facendo questo per prendere tempo, vero?”
“Cosa stai insinuando?” Will fece leva sulle braccia per piantare il proprio sguardo in quello di tessa. I suoi occhi erano duri, impenetrabili. Tessa si ritrovò imprigionata tra le sue braccia e rimpianse il calore di un attimo prima.
“Che vuoi pensare ad altro per un po’ e che io sono l’unica distrazione disponibile al momento. Sii sincero.”
Will parve riflettere e, dopo il soliloquio che doveva essere avvenuto in quei secondi nella sua testa, i suoi occhi assunsero un’espressione più decisa, ma anche rassicurante. Tessa si sentì alleggerita ancor prima che Will parlasse.
“Ho deciso Tess” le carezzò la guancia e giocherellò con una ciocca dei suoi capelli, però la guardava negli occhi.  “Rimango. Non voglio escludere la mia famiglia dalla mia vita, non potrei mai, ma non voglio allontanarmi da Londra al momento, e nemmeno da te.”
Per Tessa fu più che sufficiente. Per la prima volta prese l’iniziativa e lo baciò. I movimenti di ambedue all’inizio furono timidi, persino imbarazzati, ma presto si trovarono a loro agio, sapendo perfettamente cosa fare, perché sia anime che corpi non erano mai stati estranei.

Angolino dell'autrice: Sono terribilmente rammaricata. Non potete nemmeno immaginare quanto in questo momento io mi vergogni ... il fatto è che avevo perso l'ispirazione ... Un blocco dello scrittore durato quasi due mesi non è cosa da sottovalutare, anzi, mi ha alquanto spaventato ... Ma finalmento sono riuscita a portare a termine il capitolo. Io vi ringrazio però perchè siete i lettori migliori del mondo, visto che, nonostante la mia scomparsa, non solo non avete abbandonato la storia, ma siete persino aumentati! Vi adoro.
Come sempre, le recensioni sono le ben venute e, se volete, potete dare un'occhiata alla flashfic che ho pubblicato qualche giorno fa, sempre su Shadowhunters: 
Shadowhunters, 'You don't know me' di Misaki Ayuzawa su EFP Fanfiction ; e, se siete stati fan della serie TV della Disney "Zorro", potete dare un'occhiata anche a questa one-shot :) : Altro, 'La prima ferita' di Misaki Ayuzawa su EFP Fanfiction
A questo vi saluto. A presto, spero!

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Capitolo 45
*** Vita di coppia ***


Capitolo 44: Vita di coppia

Esistono molteplici tipi di risvegli: ci sono quelli frettolosi, che appena ti alzi in piedi la testa prende a girare e l’equilibrio ti tradisce; quelli dei giorni di vacanza, quando hai tutto il tempo del mondo, prima di andare a fare colazione per colmare il languore delle undici; ci sono quelli solitari, dopo una notte durante la quale hai dormito sì e no tre ore, per i pensieri che ti affollano la testa e non tacciono mai; e infine, ci sono i più belli di tutti. Apri gli occhi e non ti rendi esattamente conto di quello che è successo la sera prima, ma per qualche ragione ti senti bene, e sai che questo benessere ti accompagnerà per tutta la giornata, e forse più; poi, ti volti e ti rendi conto che la ragione di questa calma è sdraiata di fianco a te, avvolto nelle lenzuola candide che avvolgono anche te, e ti sta guardando con gli occhi più blu del mondo ancora assonnati, e sai per certo di poter leggere sul suo volto la stessa espressione stampata sul tuo. Questo fu il risveglio di Tessa la mattina dopo. Non era stata una notte particolarmente lunga. Lei e Will erano crollati, stanchi ma appagati, intorno alle undici, ma nessuno dei due si era addormentato prima delle due, intervallando sessioni di baci a lunghi monologhi e ad ancor più lunghi silenzi, privi di imbarazzo ma ricolmi di comprensione reciproca.

“Buongiorno.” La voce di Will, roca. Tessa gli si accucciò al petto e Will la abbracciò, i palmi caldi sulla pelle liscia e morbida, desiderando che quel momento non finisse mai.
“Sai cantare, Will?” Il ragazzo si accigliò di fronte al sorriso di Tessa, e alla domanda fuori luogo.
“Certo che sì.”
“Canteresti per me?” Un angola della bocca di Will si sollevò in un tenero sorriso.

I had a dream the other night,/About how we only get one life,/It woke me up right after two,/I stayed awake and stared at you,/So I wouldn’t lose my mind.” La tonalità era bassa ma potente, nonostante il suo fosse poco più un sussurro.
Tessa lo baciò di nuovo, mentre Will allontanava i capelli di lei dal proprio viso.
“Fer-Ferma …” Will rise tra i baci. “Fermati, dobbiamo andare a lezione.”

Tessa sbuffò. “Hai davvero voglia di un’ora di scrittura creativa?”
Gli occhi di Will si illuminarono e Tessa nemmeno  cercò di capire a che cosa stesse pensando.
“Quelle lezioni, in realtà, potrebbero davvero risultarmi utili.”
Tessa si chinò per raccogliere dal pavimento i vestiti della sera prima per indossarli sotto le lenzuola. Will parve molto sorpreso. “Come mai tutta questa praticità, Gray?” Tessa gli rifilò un sorriso furbo. “Cosa ti ha fatto credere che fossi inesperta?”
“La macchia che dovrò eliminare dal mio coprimaterasso il più presto possibile.”
“Si possono fare molte cose con un ragazzo, William.” Sospirò teatralmente. Will, dal canto suo, sembrava alquanto irritato.
“Tu vorresti farmi credere che-“ Per poco non si morse la lingua tanto fu la veemenza con cui parlò.
“Andiamo Will, sono certa che tu abbia avuti numerosissime esperienze, prima di me.”
Will si fece paonazzo mentre negli occhi divampavano le fiamme dell’Inferno. Tessa parve capire e gli si avvicinò. “Be’, non è così importante, in fondo. E poi è successo quasi un anno fa, a New York. Non ha alcuna importanza!”
“Sì, certo. Che importanza può avere?” Will le rivolse un’occhiata torva. “ Anche tra dieci anni dirai la stessa cosa: Herondale … oh sì, non ha importanza.”
Tessa pose le mani di fronte a sé, ormai era quasi alla porta. “Questa è una bellissima giornata e tu non me la rovinerai. Datti una calmata e prendi degli antidolorifici se hai il ciclo, signorina.” Tessa Gray non intendeva essere scortese, soprattutto alla luce dei fatti recenti e … recentissimi, ma, come già menzionato in precedenza, non era una donna tendenzialmente calma e posata.
Will saltò giù dal letto con i soli boxer addosso, raccogliendo una serie di libri da terra, chissà per quale ragione, e urlò di rimando:”Ora andrò da Clary per chiederle degli assorbenti e le racconterò che ho perso la mia virtù donandola ad un cafone!”
Tessa sbattè la porta alle sue spalle e, a grandi passi, si incamminò verso la propria camera.

“Maia! Maia, apri, sono Tessa!” Maia apparve sulla soglia, pronta per uscire, dieci secondi dopo.
“Tessa!” Dal suo tono era evidente che fosse preoccupata. Credeva si trattasse di Jem, ovviamente, ma Tessa era passata oltre già da qualche giorno. Jem stava bene, ovunque fosse e cosa facesse, e probabilmente, se per passare il tempo stava a guardare le vicissitudini di coloro che aveva lasciato … be’, si sarebbe divertito molto di lì a poco.
“Mi servono i tuoi vestiti.”
“Quanto ho aspettato che me lo chiedessi!” Maia per poco non si commosse mentre rovistava nel proprio armadio in cerca di pantaloncini e maglietta.

E la prima campanella della giornata suonò. Tessa si era tenuta a distanza dalla mensa, iniziando a ricredersi sul proprio piano geniale, ma ormai era troppo tardi per tornare in camera a cambiarsi.
L’ora di scrittura creativa fu assolutamente improduttiva. Non solo Tessa arrivò prima di Will, ma quest’ultimo si sedette persino il più lontano possibile da lei, non notando nemmeno con la coda dell’occhio il suo abbigliamento.
L’intervallo tra biologia e francese, invece, si rivelò molto più proficua. Will era appena fuori l’aula di biologia, mentre Tessa, uscendo di gran carriera dalla stessa stanza, si imbattè “casualmente” in Thomas, i cui occhi per poco non uscirono dalle orbite. Il top rosso aveva una scollatura davvero ampio e il reggiseno nero faceva capolino tutt’altro che timidamente, per non parlare degli shorts di jeans inguinali. Tessa non stava congelando solo grazie alle calzamaglia nere.
L’intera conversazione, costituita più che altro da Tessa che formulava a caso frasette da oca giuliva (imparate da Jessamine quando questa tentava di flirtare con Nate) e da qualche “oh” e “sì, certo” di Thomas, non interessato alle parole quanto alle spalline del top.
“Attento Will, l’accalappia cani è in giro. Nascondi la rabbia” fu la frase d’uscita di Tessa quando gli passò accanto, le labbra dipinte di scarlatto.

“Per caso sei uscita di senno?” Indagò Simon, trovandosi allo stesso tavolo di Tessa per il pranzo.
“Perché mi fai questa domanda?” Tessa da cinque ore a questa parta si sentiva la protagonista di Easy Girl, quel film con Emma Stone. Avrebbe potuto ricamare una A rossa sulla maglietta e poi sarebbe stata assolutamente identica.  
“Simon vuole arrivare al punto che sei strana vestita così, visto che solitamente non hai gusto.”
“Grazie, Izzy …”
“Non immaginavo che Maia avesse cose del genere!” Continuò Isabelle, per poi rivolgersi direttamente a Maia e chiederle di prestarle qualche capo.
Tessa perse interesse nella conversazione e inzuppò una patatina nella salsa, fino a quando la sua preda non entrò in mensa. Il suo attacco era pronto per essere sferrato, nulla le avrebbe impedito di dargli una lezione ma … contrattacco! Il nemico le sparava addosso. La scelta migliore sarebbe stata quella di ritirarsi e raccogliere le forze per organizzare una nuova mossa, ma tante piccole Tessa, nel cervello di quella vera, decisero di essere forti e dimostrarsi coraggiose, per il bene di altre piccole Tessa che avevano un esasperato desiderio della preda. Quelle piccole Tessa avrebbero soltanto voluto carezzarlo come un cucciolo e non pensare più allo strano caso di mestruazione maschile e schizofrenia che erano state documentate quella mattina.
“Theresa!” Esordì la preda. “Ti presento Elizabeth Candle. Elizabeth, questa è Theresa Gray.”
La stangona dagli occhi famelici, pronta a rubare la preda a Tessa, esibì un gran sorriso splendente e Tessa strizzò il braccio di Clary, che le sedeva accanto, per evitare di saltarle addosso e sbranarla. “Ci conosciamo già, Willie.” Tessa registrò due dati: voce stridula e … Willie?! Persino Will parve inorridito e per un momento il suo volto fu attraversato da una smorfia che comunicava tutto: avrebbe preferito essere sacrificato da uno stormo di anatre, piuttosto che essere chiamato “Willie”.
“Siamo insieme in classe nel corso di francese.” Continuò Voce-Stridula.
“Ma sì, Willie, non ti ho mai parlato di Elizabeth?”
“Deve esserti sfuggito, come tante altre cose, del resto.” Osservò Will con un sorriso sornione.
Clary intanto continuava a sussurrare a Tessa di allentare la stretta, altrimenti la mano le sarebbe andata in cancrena.

Insomma, anche il pomeriggio passò in questa maniera, quindi l’autore propone di focalizzare l’attenzione su altri personaggi e di tornare a concentrarci sui due protagonisti di codeste vicende in seguito.
Sophie si era rifiutata di recarsi nella camera di Gideon Lightwood. Il poveruomo viveva da una settima in una stanza che era ridotta all’ombra polverosa di se stessa, ma non era questo il motivo per cui Gideon, in quei giorni, vagava per i corridoi come un’anima in pena. Raramente si era interessato alle donne. Certamente in Spagna non era rimasto mai solo per troppo tempo, ma mai nessuna ragazza, né la più facile e volubile né la più ardua da conquistare, lo aveva preso così tanto. La conquista del gentil sesso era uno sport, da molti era considerata addirittura un’arte, ad ogni modo, non si era mai stancato di prender parte a questo tipo di competizione e ora che il gioco si faceva più difficile, il proprio affetto cresceva contro la sua stessa volontà.
La preside Charlotte, tra le altre cose, qualche giorno prima lo aveva fatto chiamare nel suo ufficio (Sophie doveva averle raccontato qualcosa) e gli aveva illustrato la situazione della cameriera. In un primo momento, come reazione al tipo di violenza che la ragazza aveva subito, aveva, da uomo intelligente quale era, compreso il comportamento sfuggente e scostante di Sophie, in un secondo momento, invece, aveva avuto voglia di andare in cerca del mostro che non era stato punito, nonostante fosse denunciato. Una dimostrazione di quanto il ceto, persino in tempi moderni, sia importante e influente nelle decisioni di ogni giorno.
Per questa ragione, per le informazioni che erano state lui confidate, aveva deciso di cambiare tattica. Niente più sotterfugi per poter vedere quella donna, solo un po’ di coraggio e parole sincere e convincenti. Facile a dirsi … Gideon non era mai stato il massimo con i discorsi, e numerose vicende potevano confermarlo.
L’appuntamento era stato fissato per le undici del mattino di fronte a St. Paul. Gideon era lì dalle dieci, e non riusciva a reggere l’attesa. Si domandava se Sophie avrebbe accettato l’invito. Se non lo avesse fatto, Gideon si ripromise, avrebbe lasciato perdere.
Erano le undici e mezza, Gideon se ne stava seduto sui gradini di St. Paul, ripetendosi mentalmente:”altri cinque minuti, poi me ne vado.” Questo continuava a pensarlo da un quarto d’ora.
Ma poi … a passo veloce ma per nulla affannato eccola lì, un’espressione seria dipinta sul volto. I capelli erano sciolti ma non coprivano la cicatrice lucida, brillante sotto i raggi del sole che a tratti splendeva e a tratti veniva coperto dalle nuvole.
In contrasto con gli occhi di Sophie, che sprigionavano ancora una mitigata rabbia, Gideon si abbandonò ad un raro sorriso.

E calò la sera. La mensa e la sala studio divennero deserte e buie. Tutti gli studenti si erano ritirati per partecipare alla festa organizzata da qualcuno dell’ultimo anno oppure ognuno nella proprie, a scribacchiare gli ultimi compiti e a memorizzare le ultime date storiche e formule di fisica. Tessa, ancora vestita in modo di cui non andava del tutto fiera, optò per la biblioteca. Aveva bisogno di leggere e di lasciarsi alle spalle la guerriglia con Will. Con un po’ di fortuna, quest’ultimo sarebbe andato alla festa in compagnia di Elizabeth, che non gli si era staccata di dosso nemmeno per andare in bagno, chissà che vescica.
Ad ogni modo, Tessa si recò in biblioteca, puntando alla sua poltrona preferita e al plaid che ormai teneva sempre lì. Aprì “Racconto di due città” al punto in cui era arrivata e si immerse nelle parole che ormai conosceva a menadito. Il bancone era vuoto, non sarebbe stata disturbata.

“Gray, svegliati. Devo chiudere.” Tessa si riscosse con fatica. Era infagottata nel plaid e a malapena vedeva, gli occhi vinti dal sonno. Si trovava come in uno stato di ubriachezza, ma non aveva bevuto per niente.
“Will, scusami per oggi. Mi sono comportata come una bambina.”
Ci fu una risata sommessa. “Neanche io sono molo fiero di me. Non avevo ragione di prendermela in quella maniera.”
“Esatto, non ne avevi ragione.”
“Vorrà dire che dovrò farmi un’esperienza.” Ghignò Will.
“Comincia con Elizabeth, io sono esausta. A proposito … dove l’hai lasciata?”
“Ehm, non ne vado esattamente fiero ma l’ho mollata a Gabriel.”
“Povero Gabriel!”
“Povero Gabriel? Povera Elizabeth. Quello è un Lightworm, non dimenticarlo. E guardava in modo strano mia sorella.”

Angolino dell'autrice: Eccomi! Un altro mese di ritardo, ma ce l'abbiamo fatta! L'ho scritto tutto insieme e mi dispiace se lo troverete ridicolo ma avevo DAVVERO bisogno di smorzare la tensione almeno per un capitolo! Fatemi sapere cosa ne pensate .... E niente, vi ringrazio, come sempre, perchè non mi state abbandonando. Al contrario, aumentate sempre più e io non potrei esserne più contente. Spero che con questo capitolo vi siete divertiti almeno la metà di quanto mi sono divertita io a scriverlo. Mi mancavano questi toni scanzonati e mi auguro che non l'abbiate trovato irrispettoso, in relazione a tutte le cose che sono accadute nei capitoli precedenti. Be', non ho nulla da aggiungere! Alla prossima!

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Capitolo 46
*** Tutto scorre ***


Capitolo 45: Tutto scorre

Un anno dopo

“Tessa!” Una voce acuta femminile richiamò la sua attenzione. Tessa sollevò il suo sguardo dal bancone sul volto di Maia, che esibiva un sorriso smagliante e le sventolava due buste sotto al naso.
“Due buste,Tessa! Una per me” e la poggiò sul bancone. “E un per te!” e la porse a Tessa, che si irrigidì.
“Aprila prima tu.” Mormorò Tessa, temeva e aspettava quel momento allo stesso modo.
Maia eseguì. Afferrò la propria busta e la distrusse, concentrandosi su una serie di moduli e, soprattutto, sulla lettera.
“La Tech Music School è lieta di comunicarvi … che la sua domanda d’iscrizione è stata accettata!” Annunciò Maia, aveva le lacrime agli occhi. “E’ arrivata anche a Jordan, ti rendi conto, Tessa?”
“E’ magnifico, Maia sul serio.” Era sinceramente contenta per l’amica, ma le sue mani ancora indugiavano sulla busta, tremanti.
“Dai, aprila. Voglio sapere tra quali cervelloni andrai a studiare!”
All’ufficio postale dovevano aver avuto problemi per rintracciare l’indirizzo, perché la busta di Tessa ne conteneva altre tre.
Tessa fece un profondo respiro.

La Pennsylvania University è lieta …

L’Università di New York è lieta …

L’Università di Cambridge è lieta …

“Mi hanno presa.” Chissà a quali università lui aveva fatto domanda … Questa era l’unica cosa a cui riusciva a pensare.

“Tessa, mi hai scocciato. E’ un anno che non vivi, ti sei martirizzata. Capiamo tutti quello che hai passato, che Will si è comportato da bastardo, che se n’è andato senza dirti nulla e che tu ti sei sentita tradita; ma tra un mese il liceo finisce, e lo sai cosa c’è dopo? L’università. E all’università succede che avrai una nuova vita, come tutti noi, e che non avrai il tempo per pensare al passato. Nemmeno se il passato è Will. Non te lo meriti.”
Tessa era sconvolta.
Tessa piangeva.
Tessa si era trasformata in qualcuno che non era, da un anno a questa parte.
Lei e Will avevano passato insieme il resto del terzo anno, uniti. Ogni momento di sconforto era stato condiviso, ogni scherzo accolto con una risata.
Ma la mattina dell’ultimo giorno dello stesso anno, Tessa non aveva trovato più Will.
Le aveva lasciato una lettera, però. Gesto molto gentile da parte sua … la informava, con magnifiche parole che solo lui sapeva usare, che tornava in Galles per stare con la sua famiglia. L’ombra di Jem, la sua mancanza, gli toglievano il fiato. Amava Tessa, sì, ma non era abbastanza per rimanere.
Tutto questo, seppur addolcito e abbellito da amorevoli parole, l’aveva fatta soffrire indicibilmente. Era diventata un guscio vuoto.
Tessa non avrebbe saputo dire cosa aveva fatto quell’anno, a parte studiare e leggere, ovviamente. Maia, Jordan, Simon, Izzye Clary le erano stati vicini? Certamente, ma nemmeno loro erano abbastanza per Tessa, così come lei non lo era per Will, evidentemente.
Alec era stato costretto ad andare a recuperare Izzy a Victoria Station, intenzionata com’era a prendere il primo pullman per il Galles. Lo avrebbe riportato indietro a calci e a suon di frusta (arma che sapeva utilizzare molto bene grazie alle costanti lezioni di Gideon), animata com’era dalla solidarietà femminile. Tessa, al contrario, non aveva fatto nulla per contattarlo. Come avrebbe potuto farlo? Era stato tutto scritto nero su bianco, con la calligrafia di un William Herondale sconosciuto, che l’aveva stuzzicata, allontanata, amata e, infine, abbandonata.
Con una sola azione l’intrepida Tessa, senza peli sulla lingua e cocciuta, era stata smontata. Esisteva solo un fantoccio con le sue sembianze, fatto di metallo, un cuore di ferro che batteva meccanicamente, senza sentimento. Era uno strumento infernale, dedito al dovere che si era autoimposto: andarsene, tornare in America magari.
Tutto, pur di eliminare il volto di Will dalla sua mente che, nonostante tutto, non la abbandonava mai.
Ora aveva la possibilità di andare realmente avanti, Maia e gli altri avevano ragione, ma non riusciva a sopportare i loro occhi puntati su di lei, colmi di compassione.
Allontanò con una spinta la sedia dal tavolo, intorno al quale si erano riuniti tutti per “l’intervento” e uscì dal locale, sapendo precisamente dove si sarebbe recata.

“Chi osa disturbare Magnus Bane?”
“La ancor più eminente Theresa Gray.” Sorrise, Tessa. Ecco un uomo che non le avrebbe riservato compassione, che mai l’aveva fatto da quando si eranoconosciuti, che probabilmente era il suo migliore amico.

“Mi hanno presa a Cambridge, a New York e in Pennsylvania.”
“E perché sei ancora qui?”
“Devo riscuotere un regalo. Qualcosa di piccolo. Una collana di diamanti, ad esempio.”
Magnus la guardò di sottecchi. “Quella l’ho già comprata, ma è per il Presidente Miao.” Mentre parlava carezzava il  pelo del gatto, che si beava di quelle attenzioni tanto rare.
“Peccato.” Tessa quasi urlò, prima di scolarsi il terzo Sex on the beach. Si alzò dal dondolo e si avvicinò alla balaustra del terrazzo. Magnus si alzò di scatto, accompagnato dalle proteste miagolate del Presidente Miao, che si allontanò sculettando, offeso, la coda alzata.
“Alcol e balconi non sono mai andati d’accordo, Theresa.” Fece per ricondurla sul dondolo.
Tessa sghignazzò.
“Non voglio buttarmi. Se ne avessi avuta l’intenzione l’avrei fatto l'anno scorso, e non sarebbe stato da questo loft ma dal Blackfriars Bridge.”
“Vedo che ci hai pensato bene. Cosa c’è di rassicurante nel Tamigi che te lo fa preferire al meraviglioso asfalto di Soho?”
Tessa rideva senza un contegno. “Sono saltata da qui tre anni fa.” Ora singhiozzava. “Ma sono viva.”
“Se fossi in te sceglierei Cambridge.”               


Angolino dell'autrice: Sì, ho ancora la faccia di farmi vedere ... sono una persona orribile, ne sono consapevole. Imploro il vostro perdono in ginocchio ma non ho proprio avuto voglia di scrivere. Questo capitolo l'ho scritto qualchecinque volte, ogni volta in maniera diversa. Questa è la versione definitiva, spero sia quella giusta. Mi rendo conto che possa essere sconvolgente, che probabilmente lo odierete, ma c'era bisogno di una svolta, perchè la storia stava languendo, vorrei ritrovare un pò di quella ispirazione che avevo all'inizio ... mi auguro di essere sulla buona strada. Aspetto le vostre recensioni, ci conto perchè vedo che non avete abbandonato la storia, anche se forse lo meriterebbe dopo tutto questo tempo  ... Vorrei comunque precisare che questa via l'avevo in mente da un pò, suppongo di essere stata abbastanza coraggiosa ad intraprenderla ... ora aspetto le vostre opinioni!

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Capitolo 47
*** Piccole vendette ***


Capitolo 46: Piccole vendette

Mentre Nate preparava il the, Tessa sedeva al tavolo della cucina, nell’appartamento del fratello, continuando a fissare le tre lettere di ammissione.
La maggiore preoccupazione di Tessa era la retta , la UPenn e la Columbia costavano davvero troppo. Cambridge sembrava la più  accessibile, dopo tutto.
“Ti lambicchi troppo il cervello, Tessie. Devi scegliere quella che vuoi, non pensare a questa roba noiosa!” Esclamò Nate, stracciando i fogli su cui Tessa stava annotando dei conti. “I soldi non sono un problema.”
“Ah no? Siamo eredi di una fortuna di cui non ero a conoscenza?” Tessa alzò un sopracciglio.
“No, certo che no. Mamma e papà non ci hanno lasciato granchè, è vero, e nemmeno la zia … però ho investito parte di quei risparmi … posso dire con  molto piacere che sono stato fortunato. E il mio stipendio non è troppo basso. Magari non diventerò mai miliardario, ma posso permettermi di finanziarti.”
Tessa non poteva crederci … chi si sarebbe mai immaginato che Nate, il giovane scapestrato di New York, fosse diventato Nathaniel Gray, con un buon fiuto per gli affari nella City! Ad ogni modo, aveva già deciso.
Tornare a New York era una tentazione molto grande, troppo, ma Tessa non poteva allontanarsi così tanto da suo fratello. Era tutto quello che le rimaneva.

“A Cambridge, allora!” Maia propose un brindisi, al tavolo di Taki, in onore di Tessa, che finalmente aveva preso la propria decisione.
Clary era stata presa alla Tisch di New York e Jace, rabbrividendo al solo pensiero di una separazione, aveva deciso di frequentare un college nei dintorni di New York e di laurearsi in Lingua francese e tedesca.
Izzy sarebbe andata a Parigi, all’Accademia della Moda; Alec voleva lavorare nella riabilitazione sportiva, quindi avrebbe fatto un corso di specializzazione lì a Londra.
E Simon … be’ Simon era il grande forse. Lui e Clary morivano all’ideo di doversi separare, dopo essere stati praticamente fratello e sorella per dodici anni.
Tessa si rammaricava per loro, conosceva il prezzo della separazione. L’aveva pagato lei stessa quando aveva lasciato New York tre anni prima, insieme a tutti gli amici di una vita.
Tuttavia la vita va avanti, non aspetta nessuno e dobbiamo avere una veloce capacità di ripresa. Quella di Tessa, ultimamente, aveva smesso di funzionare, ma ora sentiva di potersi rimettere in carreggiata.

La campanella segnò la fine dell’ultimo esame. I giorni e i mesi successivi si susseguirono in una sorta di torpore. La scoperta dei risultati finali, i dolorosi saluti tra gli amici più stretti, le ultime sere da Magnus e da Taki, per mantenere vivo il legame e promettersi di non tagliare i contatti. Fu così, insomma, che arrivò settembre. Tessa si era trasferita in uno dei dormitori dell’università il giorno dopo il matrimonio tra Henry e Charlotte. Era rimasta alquanto sorpresa di ricevere l’invito, ma aveva partecipato con piacere. Aveva anche avuto l’occasione di vedere Sophie e Gideon stretti l’una all’altro durante il ricevimento, facendosi strappare un sorriso sincero.
Alla fin fine, era andato tutto bene. Persino Simon era riuscito a farsi ammettere  in un college a New York, con grande sollievo suo e di Clary.
Beh, quasi tutto bene. Pensò Tessa con tristezza. Will era ancora un fantasma che la seguiva ad ogni passo,  presente in ogni gesto.
Il corso a cui Tessa si era iscritta era Letteratura inglese, ma le lezioni non sarebbero iniziate fino al giorno dopo quindi, tirate fuori dagli scatoloni le ultime cose, decise di esplorare un po’ i dintorni. Il parco dietro il dormitorio aveva un aspetto davvero invitante e non esitò molto ad addentrarsi al suo interno. C’era una manciata di studenti, oltre a lei, appoggiati ai tronchi degli alberi, adagiati sull’erba, a leggere o ad ascoltare musica, e altri ancora si muovevano in gruppo e chiacchieravano.
Ogni volto in cui si imbatteva le risultava assolutamente estraneo e,  al contempo, rappresentava per lei un frammento del proprio futuro. Presto, però, in quel vortice ignoto e promettente, una scheggia familiare e dolorosa si impose nella visuale di Tessa. Una massa di capelli resi arruffati da folate tiepide e umide, cariche di pioggia e che promettevano un rapido arrivo dell’autunno. Una macchia di inchiostro, in contrasto con le chiome verdeggianti, appena schizzate di arancione, del parco del campus. Ed ecco, di seguito, gli zigomi alti e affilati, le lunghe ciglia che li accarezzavano elegantemente e un mezzo sorriso tranquillo, abbozzato sulla pelle abbronzata. Le sopracciglia disegnarono un cipiglio, mentre gli occhi blu e luminosi incontravano sconvolti quelli di Tessa. A dire la verità, la ragazza non si era resa subito conto di quello che stava succedendo. Dovette, infatti, sbattere un paio di volte le palpebre prima di rendersi conto di chi effettivamente si trovasse di fronte a lei.
Non fu capace di fare altre se non bloccarsi sul posto e fissare il ragazzo che aveva amato stralunata, completamente a corto di parole. Certamente, con qualche minuto di recupero avrebbe potuto facilmente mettere assieme un vasto repertorio di improperi ed epiteti poco raffinati, conditi dallo slang americano che mai l’aveva abbandonata, ma l’incontro era stato troppo inatteso, sorprendente e, soprattutto, insperato.
Tessa era pronta, contro ogni logica e ragione e contro il suo stesso carattere, a tirare dritto e fingere di non averlo visto, ma Will percorse velocemente i pochi metri che li dividevano e le si piazzò davanti. Tirava respiri profondi, come se avesse il fiatone dopo una lunga corsa.
“Tessa?” Pronunciò il suo nome con un lieve accenno interrogativo, come ad assicurarsi che lei era sul serio lì.
Tessa sentì il proprio corpo tremare, al suono del proprio nome pronunciato da quelle labbra. Fu completamente travolta dai ricordi. Per due anni aveva immaginato come sarebbe stato rivederlo, parlare con lui e ora che lo aveva di fronte proprio non riusciva a capacitarsene.
William Herondale era veramente un fantasma.

Will era ancora lì, non si era mosso. Anzi, era riuscito persino a sorriderle!
Tessa capiva che stava tentando di superare il naturale imbarazzo creatosi tra di loro, dopo i trascorsi che avevano  avuto, ma quel sorriso stampato su quel volto la stava proprio innervosendo e, infine, fu la rabbia a sbloccarla, quando Will le ripose la domanda, in un mezzo sussurro.
“Tess, sei tu?”
“Mi chiamo Theresa” cominciò, cercando di mantenere un tono duro e tagliente. “e gli amici mi chiamano Tessa, ma francamente non ho idea di chi tu sia.” Lo urtò volontariamente con il borsone che teneva a tracolla, oltrepassandolo, e sentì una malefica soddisfazione nel costatare che Will era rimasto pietrificato.

Angolino dell'autrice: Okay, non perdo tempo con le scuse, spero che il capitolo compensi l'attesa. La storia batte i suoi ultimi capitoli e io vi sono grata perchè continuate a recensire, a seguirle e a darle quella piccola popolarità che non mi sarei mai aspettata. Vi adoro tutti tantissimo :*

 

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Capitolo 48
*** Indifferenza impossibile ***


Capitolo 47: Indifferenza impossibile

Tessa pensava sul serio di essersene liberata e proseguì relativamente tranquilla nella direzione che aveva deciso di intraprendere. Ma chi voleva prendere in giro? Non era affatto tranquilla! In primo luogo, come era possibile che, tra tutte le università della Gran Bretagna, lei e Will avessero deciso di frequentare la medesima? E poi, il campus era enorme: era statisticamente improbabile incontrarsi proprio il primo giorno  di permanenza! Tutto questo la rendeva estremamente irritata: ora che si era finalmente decisa ad andare avanti, l’universo cospirava contro di lei per farla soffrire ancora e ancora.
“Tessa!” Un richiamo, quasi urlato, le giunse dalle spalle.
Lei accelerò il passo ma Will non demorse e finì  per raggiungerla.
“Non ignorarmi, ti prego.” La sua voce aveva un tono così supplichevole che per un istante fu tentata di mettersi a piangere, tuttavia … no, non gli avrebbe dato questa soddisfazione. Chi era lui per essere trattato come un padrone, sempre bene accolto e senza una parola contro di lui. No, caro Herondale, piuttosto mangio lumache! (Aveva visto Harry Potter e la Camera dei Segreti la sera prima, ridicolmente terrorizzata che a Cambridge ci potesse essere un enorme serpente a divorare ogni studente non inglese purosangue).
All’improvviso decise di  imboccare la via che l’avrebbe riportata al dormitorio.
“Tessa, vorrei poterti parlare, se riuscissi a fermarti anche solo per due minuti.”
“Mi sembra di aver già chiarito che il mio nome è Theresa.”

Will l’afferrò per il polso abbastanza forte da farle interrompere la marcia, ma non tanto da farle male.
“Voglio spiegarti.”
“E io non voglio ascoltarti.”
Tessa sentì dei passi farsi sempre più vicini.
“C’è qualche problema qui?” La guardia del campus. Tessa tirò un sospiro di sollievo.
“No, credo solo che questo brutto ceffo si sia sbagliato. Con permesso.” Con uno strattone liberò il polso e si allontanò. Brutto ceffo? Ma da dove vieni dal Far West? Stava già iniziando a dare nell’occhio a partire dal primo giorno. Un paio di ragazzi non avevano fatto altro che seguirla con lo sguardo da quando  si era liberata di Will a quando aveva imboccato le scale per raggiungere il suo appartamento. Perfetto, ci mancava solo di essere etichettata come la ragazza perseguitata.

La prima lezione del semestre si sarebbe tenuta in un edificio sul lato opposto del campus alle 8:45. Erano le 7:45 quando Tessa uscì fuori per andare a fare colazione al bar. Le distanze non erano così corte, perciò decise che le sarebbe servita una bicicletta, nonostante prima avrebbe dovuto trovare un lavoro per procurarsi i soldi. Sarebbe passata all’ufficio per l’impiego degli studenti il pomeriggio, decise.
Stava per iniziare a sorseggiare il proprio cappuccino, quando il posto davanti al suo, al tavolino che Tessa aveva preso accanto alla vetrina, fu occupato da qualcuno che non si prese la briga di chiedere il permesso. Tessa alzò il volto dalla tazza, stampandosi in faccia il proprio disappunto.
Non era più molto sorpresa, era abituata alle entrate in scena di Will.
“Tutti gli altri tavoli sono occupati.” Disse semplicemente, mettendosi comodo e allungando le gambe sotto il tavolo, arrivando a sfiorare quelle di Tessa che, prontamente, le ritirò sotto la sedia.
“Ma ci sono altre sedie.” Constatò, atona.
“Mi piace la vista della strada.”
“Ci devi essere cresciuto, visto le tue maniere.”
Un verso gutturale le fece intuire che lo aveva fatto ridere. Maledizione, non voleva renderlo allegro, voleva toglierselo dai piedi.
“Che corso segui?” Chiese lui, cambiando rapidamente argomento e sembrando parecchio interessato. Tessa si decisa a guardarlo negli occhi. Doveva convincersi che il suo sguardo non sortiva più alcun effetto su di lei.
“Non è mia abitudine dare informazioni personali agli estranei.”
Will si stava irritando.
Digrigna i denti quanto vuoi, William. Quella vocina dentro la sua testa era davvero crudele!
Will non poté fare altro se non bere dal calice amaro.
“Will, molto piacere. Ora che non siamo più estranei  puoi rispondere alla mia domanda?”
“Potrei, ma non voglio. Dimmi tu, piuttosto, in che corso sei?”
“Storia.”
“Posso assicurarti che non frequentiamo lo stesso, allora.”
“Tu lo sai che non ti mollerò finchè non mi avrai dato l’occasione di spiegarmi, vero?”
Tessa posò sul tavolino la tazza, cosciente che non sarebbe servito a nulla continuare ad ignorarlo.
“Non hai avuto problemi a mollarmi, l’ultima volta.” Replicò con voce tagliente.
Rimase qualche secondo senza parole e Tessa ne approfittò.
“Sì, Will. E’ questo quello che hai fatto. Mi hai mollata. Nessun discorso, nessun biglietto, nessuna chiamata, neppure un misero messaggio in segreteria, maledizione!” regolò il tono della voce, non voleva disturbare tutti gli avventori del locale.
“Ho chiesto a tutti se sapessero qualcosa di che fine avevi fatto. Neanche una parola neppure a loro. Ho supplicato Charlotte di dirmi cosa fosse successo, l’ho scongiurata, e la sola risposta che ho ricevuto lo sai quale è stata?” Riprese fiato. Cacciò indietro le lacrime, fissando il proprio sguardo in quello di Will, trafiggendolo. “E’ tornato in Galles. Avrei capito tutto, Will, se solo me ne avessi parlato. Ti avrei lasciato andare, senza problemi e senza scenate. Ma ovviamente tu  sei così teatrale che non avresti potuto comportarti altrimenti. Teatrale ed egoista.”
“Non riuscivo a trovare il modo giusto per dirtelo, Tess.” Cercò di raggiunger la mano della ragazza con la propria, dall’altra parte del tavolo, ma Tessa la ritirò.
“Avevo bisogno della mia famiglia. Non mi sono reso conto di quanto effettivamente ne avessi bisogno fino a quando non sono tornato a casa. Lasciarti è stata la cosa più difficile che io abbia mai fatto, perché non c’era nulla che mi obbligasse, solo la mia volontà. So quanto hai sofferto perché ho sofferto nello stesso identico modo.”
“Ah no, non venire a fare la vittima qui da me, Will.” Tessa si alzò, si scolò ciò che rimaneva del cappuccino e uscì a grandi passi dal bar, dopo aver lasciato i soldi del conto sul tavolino.
Il campanello della porta che suonava all’apertura tintinnò poco dopo che era uscita.
Tessa pensò che, dopotutto, aveva ancora il tempo di sfogarsi completamente, la lezione non sarebbe iniziata prima di venti minuti.
“Tu non sai com’è svegliarsi sicuri di trovarti accanto a me, che mi abbracci, ma rimanendo con delle lenzuola stropicciate al tuo posto. Non sai com’è domandarsi senza sosta che cosa hai fatto di sbagliato,  di tanto sbagliato che il tuo ragazzo addirittura non ti ha detto nemmeno ciao. Anzi, è sgattaiolato di mattina fuori dal tuo letto, come un ladro. Ci si impiega un po’ a capire che, in effetti, la colpa non è tua. Perché Will, a prescindere dalle ragioni, che potrei anche capire, tu hai deciso che io non ero abbastanza. Fa schifo non essere abbastanza per la persona che ami. Ti fa sentire svuotata, incompleta e a assolutamente inutile.” Tessa sottolineò il concetto accompagnando le parole con dei colpi al petto di Will, scagliati con tutta la forza che era riuscita a racimolare in quel momento.
Will provò ad afferrarle i polsi, per bloccarla. Non che gli facesse male, ma per fermare quella che aveva tutta l’aria di essere una crisi isterica. Tuttavia, non erano le guance di Tessa ad essere rigate dalle lacrime, erano quelle di Will.

Angolino dell'autrice: Sorpresi di rivedermi tanto presto? Io sì,devo ammetterlo. Sono stata ripresa dall'interesse profondo per questa storia, spero che anche voi la pensiate allo stesso modo ^^ Fatemi sapere, se volete, cosa ne pensate! Alla prossima!

 

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Capitolo 49
*** In attesa ***


Capitolo 48: In attesa

La lezione riuscì a distrarla, tuttavia Tessa non era riuscita a liberarsi dalla stizza. Quando era arrivata, infatti, la maggior  parte dei posti erano stati presi (una ragione in più per prendersela con Will) e lei dovette affrettarsi a raggiungere il sesto gradino. Era seduta tra un ragazzo dallo sguardo serio, concentrato a scribacchiare sul blocco degli appunti, nonostante ancora il professore non fosse arrivato, e una ragazza decisamente più vivace. Aveva detto di chiamarsi Emily, veniva dalla Cornovaglia e al posto di veri e propri gioielli aveva orecchie, collo e polsi decorati da quelli che sembravano a Tessa lampadari in miniatura e bracciali e collane di graffette e linguette di lattine. I capelli lunghi e biondi erano tenuti fermi alla base della nuca da un pettinino di legno, con ciocche ondulate lasciate libere che le incorniciavano il viso. Avevano scoperto di stare nello stesso dormitorio, ed Emily aveva promesso che avrebbe fatto un salto da lei, un giorno o l’altro.
Tessa fu all’improvviso presa da un attacco di nostalgia: le mancava così tanto Maia! Si erano sentite per telefono due giorni prima (Tessa aveva deciso infine di comprare un cellulare due anni prima) ma non era la stessa cosa. In più, aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno a proposito degli ultimi eventi.
A lezione terminata, pronta a recarsi alla seconda della giornata, fu fermata in corridoio da una ragazza dal viso simpatico. Era questo il primo pensiero che le attraversò la mente, quando la vide.
“Piacere, Johan.” Si presentò con voce squillante e le tese la mano. Tessa gliela strinse di rimando. “Tessa.”
“Non vorrei sembrarti invadente ma …” pareva parecchio imbarazzata e Tessa si mostrò più disponibile che poté per non intimorirla. Generalmente, Tessa non intimoriva la gente, ma il suo viso quella mattina era abbastanza immusonito, dopo l’incontro con Will.
“Eri tu che stamattina stavi al bar con quel ragazzo, giusto? Alto, capelli neri, parecchio sexy …”
Una punta di fastidio colpì Tessa, che si affrettò a soffocarla. Will era maledettamente sexy, era decisamente cresciuto bene, dall’ultima volta che lo aveva visto, e non poteva certo pretendere che anche gli altri lo notassero.
“Sì, ero io.” Rispose, con voce spenta.
“Sai se è single?”
“No, francamente non lo so …” Ammise. E se in quegli anni si fosse messo con qualcuno? Fu scossa da un brivido. No, Tessa, non ti deve importare.
“Ah, mio fratello diceva che vi parlavate come se vi conosceste molto bene, quindi pensava …”
“Tuo … fratello?”
“Sì, era al bar anche lui stamattina, e durante la lezione ti ha casualmente vista. Voleva avere qualche informazione sul tuo amico.” Fece un mezzo sorriso, mentre Tessa sbarrò gli occhi.
“Io non credo che Will sia gay, né bisex, che io sappia.”
“Will, eh? Alfie sarà felice di sapere che non porta nomi banali come Daniel o Mark.”
La conversazione cominciava decisamente a farsi strana …
“Be’, io devo andare a lezione, quindi … alla prossima?”Tessa cercò di battere in ritirata.
Johan diede un’occhiata all’orologio da polso e si riscosse.
“La prossima inizia tra cinque minuti.” Le strizzò un occhio con fare affabile e si diressero insieme verso l’aula  in fondo al corridoio.

“Allora ci  vediamo stasera alle sette.” Johan la salutò e Tessa si ritrovò a pensare che grazie alla compagnia di questa aveva rimosso Will dalla sua mente per buona parte dalla giornata. Ora, tuttavia, entrata nella sua stanza dopo aver litigato con la serratura per dieci minuti buoni, si catapultava alla ricerca del cellulare nella borsa. Si sentì subito meglio quando la voce di Maia le risuonò familiare nelle orecchie.
“Pron-“ Tessa non le diede modo di terminare la parola.
“Will è qui.”
Un minuto di silenzio all’altro capo del telefono.
“Ti prego, dimmi che gli hai mollato un bel cazzotto sulla mascella.”
Tessa ridacchiò. “Non mi sono spinta a tanto, ma non credo abbia più molta voglia di avvicinarsi.”
Tessa passò l’ora successiva a descrivere dettagliatamente i due incontri, con Maia che approvava tutte le sue azioni,cosa che rincuorava. Per un momento, quel pomeriggio, aveva temuto di essersi comportata troppo duramente con Will.
“Almeno mi sono sfogata.” Concluse Tessa.
“Tienimi aggiornata, mi raccomando. Appena vengo a farti visita a Cambridge lo vado a cercare e lo meno.” Sembrava estremamente seria.
“Non credi di … esagerare?”
“No!Tessa, non si tratta solo di te! Si tratta di tutti noi, di come siamo stati trattati e mollati!”
“Hai ragione, scusami …”
“Non sei tu quella che deve scusarsi.”
“Ciao Maia, salutami Jordan.”
Tessa interruppe la comunicazione.
Mezz’ora più tardi si apprestava ad andare all’ufficio di collocamento per studenti, quando il cellulare squillò.
Si chiuse la porta alle spalle e rispose.
“Salve, Magnus.”
“Theresa …” Tessa non sopportava quando Magnus la chiamava in quel modo e in quella maniera. Era come se fosse sempre a conoscenza di tutto e pronto a dispensare sermoni interminabili sempre molto sensati, cosa che più di tutte irritava Tessa.
“Chi te l’ha detto, Magnus?”
“Alec.” Rispose semplicemente.
Tessa strabuzzò gli occhi. “Come ha fatto Alec a saperlo?”
“Maia lo ha detto a Jordan, che lo ha detto a Simon, che lo ha detto a Clary, che lo ha detto a Jace, che lo ha detto ad Alec, che lo ha detto a me.”
Tessa era sconvolta dal sistema di pettegolezzo degli amici.
“Caspita, fate un baffo alla C.I.A., ho parlato con Maia meno di mezz’ora fa.”
Quando Tessa espose la storia anche a Magnus, rimase sorpresa alle parole di questi.
“Non essere troppo duro con lui, Theresa.”
“Dura? Io? Sarò la personificazione della diplomazia, se mai lo incontrerò di nuovo.”
“Andiamo, è ovvio che vi rincontrerete.”
“Non se lo evito …”Sibilò Tessa, imboccando il viale alberato che l’avrebbe condotta all’ufficio di collocamento e affrettando il passo, infreddolita. “E poi” continuò “io ho tutte le ragioni per non vederlo vedere. Non capisco perché mi stai facendo passare dalla parte del torto! Hai visto  con i tuoi occhi in che condizioni mi ero ridotta l’anno scorso.”
Magnus emise un lungo sospiro. “Non ti sto facendo passare dalla parte del torto, voglio semplicemente che non vi arrechiate ulteriori danni! Tu hai sofferto troppo, e anche lui.”
“Non trattarmi con condiscendenza, ora.”
“Senti, se non vuoi perdonarlo, hai tutta la mia comprensione; ti consiglio soltanto di non eliminarlo completamente dalla tua esistenza, se lui tenta un riavvicinamento.”
“Maia vorrebbe che io lo menassi.” Sorrise Tessa. “Non posso dire di non esserne tentata.”
“Ammetto che sarebbe uno spettacolo interessante, ma spero che rimarrà soltanto nella nostra immaginazione.”
“Magnus, grazie … Penso che potresti essere il mio migliore amico.” Tessa sorrise, nonostante Magnus non potesse vederla.
“Togli quel potresti. Senza me e il Presidente Miao saresti persa quanto uno struzzo nell’Antartico.”
Tessa si accigliò. “Ma che …?” Ma lo conversazione era già stata chiusa.

Riuscita a trovarsi un posto in biblioteca (il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 16:00 alle 19:00), Tessa tornò in camera per prepararsi. Erano le sei e mezza e aveva poco tempo per prepararsi.
Trattandosi di un piccolo raduno al pub, Tessa pensò che non fosse il caso di mettersi in ghingheri.
Indossò un top bianco, la giacca di jeans e i pantaloni intonati e gli stivaletti marroni, con due centimetri di tacco.
Ebbe appena il tempo di allacciarsi al collo l’angelo meccanico e un paio di orecchini a cerchio  alle orecchie, quando, alle sette in punto, Johan bussò alla porta.
Era in compagnia del fratello, Alfie. Fatte le presentazioni si recarono al pub, dove gli altri li aspettavano.
Tessa scoprì che il pub era all’esterno del campus, fu perciò costretta  ad aggrapparsi alla schiena di Alfie, mentre questo sfrecciava a tutta velocità, pedalando la sua bicicletta. A viaggio terminato, Tessa rivalutò la spericolatezza di Jordan, quando questi guidava la sua moto.
“Te ne servirà una, se vuoi spostarti da queste parti.” Le consigliò Alfie con un sorriso, accennando alla bici.
“Ho tutte le intenzioni di comprarne una con il primo salario.”
In effetti, all’interno del pub, seduti intorno a un grande tavolo rettangolare di legno, una decina di compagni di facoltà li aspettavano con il loro drink già in mano. C’erano anche un paio di volti che Tessa non riconosceva.
“Non siamo a Letteratura.” Le spiegò il ragazzo che si presentò come Mike. “Noi seguiamo Storia, però siamo amici di Alfie.”
Mike a un trattò si alzò in piedi, rovesciando la birra di Rosalie, che cominciò ad esclamare improperi, e fece un segno con il braccio per attirare l’attenzione di qualcuno.
“Ehi, Will, siamo qui!” Per poco a Tessa non andò di traverso la birra. Quando si fu ripresa cominciò a mormorare “No, no, no, ti prego no.” Teneva la testa appositamente girata verso Johan e Alfie, fingendo di ridacchiare per qualche battuta che non aveva nemmeno sentito, per non dover guardare in volto chi si stava sedendo proprio di fronte a lei, accanto a Mike.
Mike cominciò a fare le presentazioni. “Rosalie la conosci, questo è Albert, Lou, Fred, …”
Tessa teneva lo sguardo ostinatamente abbassato, fingendo che il fondo della bottiglia fosse molto interessate e cercando di strappare via l’etichetta.
“E lei è Theresa.”
Tessa si limitò ad un cenno. Non poteva credere di essere tanto sfigata. Era sicura che in qualche modo Magnus ci aveva messo lo zampino con un maleficio o qualcosa del genere. Quell’uomo, pur di aver ragione …!
“Noi ci conosciamo già.” Tessa rabbrividì al suono della voce di Will, nonostante si fossero parlati quella stessa mattina.
“Oh, davvero?” Mike parse accigliato.
Tessa prese la parola e puntò i propri occhi in quelli di Will, voleva evitare che lui dicesse qualcosa di sconveniente di fronte a totali estranei.
“Andavamo insieme al liceo.” Sorrise velocemente in direzione di Mike.
“Scusa, Theresa, pensavo che tu fossi americana.” Intervenne Johan.
“Lo sono, ma mi sono trasferita a Londra da New York due anni fa; mio fratello lavora lì.”
“Non pensavo fossi in Inghilterra da così tanto tempo!” Esclamò Johan.
“Tessa non ha ancora perso l’accento.” Si intromise Will.
L’aria si era fatta gelida e carica di tensione intorno a loro due e gli altri dovevano averlo notato.
Alfie cercò di cambiare argomento. “E tu, Will, sei di Londra?”
“Ma come, non sentite la cadenza gallese?” Replicò Tessa.
Quando stavano insieme, Will e Tessa litigavano continuamente sul fatto che la ragazza non riuscisse a pronunciare come una vera inglese le vocali chiuse; ma all’epoca si trattava di un gioco, ora sembravano pronti a scannarsi.
“Io parlo in perfetta dizione.” Will si esibì in un’imitazione perfettamente british.
Tessa provò a rimanere seria. Sul serio, ci provò con tutte le sue forze, ma era impossibile.
Non era soltanto per come aveva parlato, ma anche per l’espressione che si era stampato in viso. Le sopracciglia inarcate e le labbra strette in una smorfia improbabile.
Scoppiò a ridere.

Cenarono e bevvero ancora; poi, alle undici e mezza, Tessa annunciò di voler tornare a casa. Posò la sua parte del conto sul bancone del tavolo e si apprestò a salutare tutti.
Alfie aveva cambiato preda, lasciando perdere Will, ed era troppo impegnato a flirtare con il barista al bancone per curarsi di offrire un passaggio in bici a Tessa.
“Se vuoi ti accompagno in macchina, devo andarmene comunque.” Si offrì Mike.
Tessa scosse la testa, sorridendo.
“No, grazie. Ho davvero bisogno di fare due passi.”
Afferrò la borsa e uscì dal locale. L’aria fresca le diede un po’ di sollievo. La serata era andata bene, nonostante Will. Anzi, era andata bene con Will. Non si erano parlati molto, più che altro perché Tessa tentava di non intavolare un discorso con lui, nonostante non si potesse dire che Will non ci avesse provato.

Fatto qualche passo in direzione del campus, Tessa si rese conto di una presenza accanto a sé.
Rivolse a Will un’occhiata eloquente. Il ragazzo, in risposta, scrollò le spalle.
“Non avrai pensato sul serio che ti avrei lasciata andare a casa da sola al buio.”
Tessa sospirò e si fermò. “Will” gli poggiò le mani sulle spalle “noi non stiamo più insieme, lo sai, no?”
Lo sguardo di Will non si rabbuiò, al contrario accompagnò un’espressione dolce sulle labbra.
“Lo so.”
“Allora dovresti …” Tessa fu interrotta.
“Lo so, ma nulla mi impedisce di passare un po’ di tempo con te e di fare in modo che non ti squartino in un vicolo.”
Tessa chinò il capo, sogghignando; le mani, ancora sulle spalle di Will, avevano cominciato, quasi contro la sua volontà, a sfiorare il collo di lui, guidate dai ricordi e dallo stesso desiderio, e a carezzare le ciocche nere, ormai corte e quasi ordinate.
“Non sarebbe la prima volta che mi salvi.” Sussurrò.
“No, ma non voglio ringraziamenti. Te ne devo tanti io stesso.”
Will si era fatto più vicino, portandole le mani sulle guance di Tessa, sfiorando con le proprie labbra quelle di Tessa.
Non era un bacio, era una carezza, ma Tessa pensò che solo quello ripagava più di un anno di lontananza perché nonostante tutto il risentimento, che le avvelenava la mente e il cuore, quello stesso cuore non aveva fatto altro che battere per lui, in attesa.

Angolino dell'autrice: ci ho messo più di quel che mi aspettavo, ma questo capitolo è davvero lungo! Mi auguro vi piaccia quanto è piaciuto a me scriverlo e grazie a tutti per le recensioni. Vi si ama! <3

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Capitolo 50
*** E, infine, addio ***


Capitolo 49:  E, infine, addio

“Vuoi …” Tessa non sapeva cosa dire. Il resto della strada verso il suo appartamento l’avevano passato in un silenzio imbarazzato.
Nessuno dei due sapeva esattamente cosa l’altro sperasse che accadesse e così entrambi avevano ritenuto più saggio chiudere la bocca e non provocare reazioni estreme nell’altro.
Cosa gli stava chiedendo Tessa? Per sì e per no Will scosse la testa.
“E’ tardi e domani c’è lezione. Forse è meglio che anche io torni a casa.”
“Dove stai?” Azzardò a chiedere Tessa.
“Nello stabile qui di fronte.” Will indicò un edificio arancione. Era a meno di venti metri rispetto a quello di Tessa, separato dal viale alberato.
“Ah … allora immagino ci vedremo spesso.”
“Lo spero.” Will sorrise per qualche secondo prima di tornare serio. Si guardò un po’ intorno, un silenzio ricco di tensione che impediva ad entrambi di fare alcunché.
Schiaritosi la gola, Will mosse qualche passo in direzione della strada, voltando le spalle a Tessa, che finalmente tornava a respirare, rovistando nella borsa in cerca delle chiavi.
Nemmeno cinque secondi dopo, la ragazza poté sentire il rumore dei passi di Will di nuovo vicini a lei.
Will si piazzò tra lei e la porta, l’espressione più risoluta di quanto non lo fosse qualche momento prima.
“Tessa, io non ce la faccio a continuare così.”
Tessa si limitò ad aggrottare la fronte, mentre Will continuava a parlare, la voce via via sempre più alta, tanto che temette che qualcuno potesse uscire dalla propria stanza e urlargli contro di fare silenzio.
“Non posso fingere che vada tutto bene o ancora peggio, di essere trattato come un semplice conoscente. Un tuo vecchio compagno di liceo. Una persona che per caso hai rincontrato a distanza di mesi. Non eravamo così. Noi non siamo così. Siamo usciti insieme, ci siamo appartati alla festa di Natale, abbiamo condiviso la stanza di un ospedale per giorni, santo Cielo. Siamo andati a teatro e ci siamo buttati da un balcone. Abbiamo condiviso un amico importante e il vuoto assoluto.”
Il volto di Tessa si era fatto più pallido, mentre la voce di Will tornava ad abbassarsi di tono, affannata.
“Ci siamo amati, Tess.” Le sfiorò una guancia col dorso della mano. “Spero di avertelo dimostrato, perché ti amo ancora, nonostante tutto quello che ti ho fatto. Non pretendo che tu sia ancora la stessa persona di allora, men che meno che tu provi ancora le stesse cose, anche se, ad essere sincero, una parte di me si aspetta che nulla sia cambiato e che tu mi abbia aspettato per tutto questo tempo. Tuttavia, capirei se non fosse così, ma voglio saperlo adesso.”
Tessa non era certa di quello che avrebbe detto, ma ci stava ancora pensando quando sentì la propria bocca muoversi, e parole fluirne fuori.
“Cosa faresti se ti dicessi che sono cresciuta, cambiata e che per me ora tu non sei nulla se non il bastardo che mi ha fatto il cuore a pezzi?”
“Ogni parola sarebbe una stilettata nel mio, di cuore. Rimarrei in uno stato di disperazione per circa un paio di giorni, poi, rinsavito e sobrio, ti farei di nuovo innamorare di me.”
“E se non ci riuscissi?”
“Mi farei da parte, perché non sono un pazzo con manie di persecuzione. Ma è inutile  parlarne, ci riuscirei di sicuro.” Will si concesse un mezzo sorriso, non incerto ma stranamente familiare. A Tessa parve di ritrovarsi nuovamente di fronte allo spavaldo ragazzo di diciassette anni che le lanciava aeroplanini di carta per farsi passare il compito di matematica.
“Sei un bastardo presuntuoso, te lo hanno mai detto?”
“No, ma di recente mi hanno detto che sono un bastardo che ha infranto il cuore della donna più adorabile che abbia mai camminato su questa terra.” Mosse un passo, facendosi più vicino a Tessa.
“Sono tentata di darti una testata sul naso e cancellare quel tuo brutto ghigno dalla tua brutta faccia per sempre.”
Il sorriso di Will si fece più largo, quando afferrò entrambe le mani di lei portandosele alle labbra e depositando un bacio su entrambi i dorsi.
“Pensa, questa donna è così adorabile che, quando minaccia di rompermi il naso e strapparmi via le labbra, ho un’irrefrenabile voglia di baciarla.”
“La vita, per questa donna, deve essere molto frustrante se quando lei ti intima di tacere, tu continui a dire impunemente assurdità.” Aggrappandosi agli ultimi frammenti di dignità che le erano rimasti, Tessa fece leva sulle mani di Will, che ancora stringevano le sue, e lo spinse dentro casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Nell’appartamento regnava la penombra. La poca luce che entrava dalla finestra proveniva dai lampioni in strada.
Tessa liberò una mano dalla presa di Will e lasciò che borsa e chiavi cadessero a terra.
“Il fatto è che questa donna mette un po’ di paura. Non lascia intendere quello che vuole se non all’ultimo momento. Mi confonde.” La voce di Will era roca e il sorriso aveva definitivamente abbandonato il suo volto.
“Se posso fare ipotesi, credo che questo accada perché non sa nemmeno lei cosa vuole.”
Will sciolse la stretta delle loro mani e le passò un braccio dietro la schiena all’altezza della vita, annullando la distanza tra i loro corpi, gli occhi fissi sulle labbra di lei, socchiuse.
“O forse” terminò Tessa in un soffio “è troppo orgogliosa per ammetterlo.”
“Non c’è da biasimarla, per nulla. Però sono certo che se solo per una volta mettesse da parte l’orgoglio, non se ne pentirebbe, in futuro. L’ho trattata con noncuranza, anche se non intenzionalmente, ma non è qualcosa che potrebbe accadere una seconda volta, nel modo più assoluto. Perché, se accadesse di nuovo, mi andrei a gettare nel Tamigi e lascerei che le acque mi sovrastassero, affogandomi.”
Tessa non aspettò un momento di più prima di farlo indietreggiare ancora, verso il divano. Lui, di spalle, non poteva vederlo, così vi cadde semidisteso, con Tessa, sopra di lui, che lo baciava, ricambiata. 

“Hai fatto palestra, William?” Ridacchiò Tessa, stremata, distesa sul divano, piacevolmente schiacciata tra lo schienale e Will. “Ti trovo in forma.”
“Qui ci sarebbe voluto l’addestramento militare.” Rispose, sbadigliando. “Ma se ti interessa davvero, sì. Nella nuova scuola, in Galles, ero entrato nella squadra di lacross.”
“Sono impressionata. Non ricordo ti piacessero particolarmente gli sport a squadre.”
“Non mi piacciono nemmeno ora. Era un modo come un altro per restare impegnato e avere poco tempo libero. E poi i giocatori di lacross sono molto apprezzati dalle signore figlie di allevatori.”
Tessa si sollevò quel tanto da riuscire a piazzare una gomitata tra le costole a Will.
“Sto scherzando, Tess. Non sono stato con nessuna, mai. Te lo giuro.”
Questo fece irragionevolmente piacere a Tessa che, dopo qualche minuto, lo rassicurò sullo stesso punto.
“Sai, Tess … quando sono tornato in Galles è successa una cosa strana.” La voce di Will trasudava tristezza e Tessa capì prima che Will finisse di parlare a cosa si riferisse.
“Tutti i miei vecchi compagni di scuola si ricordavano di me, ovviamente. Un ragazzo che scappa di casa dopo che la propria sorella è stata assassinata non si cancella facilmente. Qualcuno dei miei vecchi amici si è riavvicinato a me e io ho fatto di tutto  per comportarmi normalmente … ma tra tutte queste persone che tentavano di mettermi a mio agio, io … sentivo che mi mancava qualcuno.”
“Jem.” Sussurrò Tessa.
Will annuì.
“Mi sembrava sempre terribilmente sbagliato che lui non fosse lì con me. Pensavo di aver superato la cosa tempo fa. È evidente che non è stato così. Non me ne farò mai una ragione. Mi sembrava giusto che tu lo sapessi. Posso assicurarti del mio amore ma non del mio carattere. Temo dovrai farti carico di un ragazzo tormentato, per i primi tempi.”
Tessa gli prese il volto tra le mani. “Ci volessero vent’anni, farò tutto ciò che è in mio potere per dissipare ogni nube, ma non farò nulla per fermarti dal piangere Jem. Sarei egoista ed ipocrita. Credi che io me ne sia fatta una ragione?”
Si chinò su di lui depositandogli un bacio sulla fronte.
“Sai cosa,talvolta, mi dà pace, Will?”
Un’espressione interrogativa sul volto del ragazzo.
“Quello che lui diceva spesso, sul fatto che ci saranno altre vite. Mi piace pensare che nella prossima lo rincontreremo, e allora né la sua vita né la nostra sarà pervasa da tanta tristezza.”
“Spero tu abbia ragione, Tess, anche se in questo momento mi sento beato solo e soltanto per il privilegio di poterti stringere tra le braccia  in questo modo. Non ho fatto granchè, fino ad ora. Nulla di lodevole o degno di nota, eppure mi è stata concessa questa grazia, insieme alla tragedia.”
Tessa incastrò la propria testa nell’incavo del collo di Will.
“E’ la vita, Will. Ho paura che nessuno possa dirsi più felice o più disperato di noi, non finchè siamo ancora qui a vivere.”
Will prese a passarle la mano tra i capelli, incrociando lo sguardo di lei col proprio. Per l’ennesima volta, il blu si mescolava col grigio in uno scenario tempestoso.
“Per quel che vale, sono lieto di poter trascorrere questo tempo che ci è concesso con te. Nessuno di noi due ritiene di aver vissuto la favola che speravamo, o no? E tuttavia, ho ancora la forza di illudermi che adesso sarà tutto più sopportabile.”
“Tu non volevi quello che è accaduto per la tua famiglia e per Jem, io non volevo ciò che è accaduto per la mia e per Jem, ma non c’è bisogno che ti illuda, Will. In questo momento, e nei prossimi, io sono reale quanto te e ti amo più di quanto tu possa immaginare, più di quanto io stessa possa immaginare. Forse ti spaventeresti e scapperesti via se sapessi con quanto forza io ti ami.”
“Non se la portata dei tuoi sentimenti è anche solo lontanamente equiparabile a quella dei miei. Ti amo, non smetterò mai di dirtelo fino alla fine. Dubita che le stelle siano fuoco, dubita che il sole si muova, dubita  che la verità sia mentitrice ma non dubitare mai del mio amore.”
“Giuro che non lo farò. Posso anche dubitare che il cielo sia viola e fatto di porcospini?”
I suoni delle loro risate si congiunsero fino a diventare uno.
Un idillio è generalmente percepito come una giornata d’estate passata al sole in balia del suo dolce tepore, in compagnia di chi ami su un tappeto d’erba bagnata dalle ultime gocce di rugiada.
E’ possibile trovarne uno in mezzo al mare tempestoso, i raggi che perforano a tratti le nubi, ad illuminare il percorso di una piccola barca apparentemente preda onde. Se i marinai sono bravi, piegheranno il vento al loro volere e raggiungeranno sani e salvi la meta.

Angolino dell'autrice: Sì, signori e signore, avete capito bene. Questo è davvero l'ultimo capitolo. Questa storia non ne conoscerà altri. Avrei voluto avvisarvi nel capitolo precedente, manemmeno io lo sapevo. Mentre scrivevo le quattro pagine di word che spero abbiate appena finito di leggere, mi sono resa conto di aver donatoalla storia tutto quello che potevo concerle. Ho dato un pezzetto di me a Tessa, a Will, a Sophie, a Gideon, a Charlotte e a Henry e ora è più difficile di quanto pensassi separarsi da personaggi che in realtà non ho creato nemmeno io. Ammetto che mi sentirò molto vuota, ora che Tessa Gray e la trama perfetta è conclusa, ma è tempo. Ringrazio tutti voi lettori che hanno recensito o soltanto seguito la storia fino a questo punto, credo siate più o meno un centinaio e ne sono sbalordita, perchè non me lo aspettavo all'inizio. Ogni volta che ho letto che qualcosa nei capitoli vi aveva commossi o fatti ridere ne sono stata oltremodo felice. Quindi grazie per questa esperienza. Davvero,grazie.
Spero e mi auguro che questo finale sia stato di vostro gradimento e che conveniate con me che è stato il momento giusto per imporre la parola fine.
Non vedo l'ora di leggere le eventuali recensioni, perchè sono davvero davvero davvero curiosa di sapere cosa pensiate di questo finale e,  in generale, della storia.
Per quanta riguarda progetti futuri, credo che riprenderò in mano la storia "L'Angelo" che avevo temporaneamente interrotto per mancanza di tempo. Se non l'avete letta spero passerete a dare un'occhiata. Ne vado abbastanza fiera. 
Grazie ancora e a presto:)

 

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