Vuoi giocare con me?

di SandFrost
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amici di Biscotto? ***
Capitolo 2: *** Primo giorno di scuola. ***
Capitolo 3: *** Tortino di Compleanno ***
Capitolo 4: *** Lo spettacolo di Natale ***
Capitolo 5: *** Un piano per un invito ***
Capitolo 6: *** La Lista ***
Capitolo 7: *** Promesse d'estate ***
Capitolo 8: *** La sciarpa, la promessa e il Ringraziamento. ***
Capitolo 9: *** Duro lavoro e..gaffe ***
Capitolo 10: *** Vuoi giocare con me? ***



Capitolo 1
*** Amici di Biscotto? ***


Il piccolo Kurtie se ne stava seduto su una giostrina tutto solo. Era appena iniziata la pausa pranzo all’asilo ma, come sempre, aveva dimenticato la merenda a casa. Suo padre passava la metà del tempo a chiedergli se l’avesse messa nello zainetto, ma Kurt preferiva disegnare e non lo ascoltava mai. Poteva dirlo alla maestra, cosi lei poteva chiamare il suo papà e fargliela portare, ma aveva paura di essere sgridato, cosi se ne stava tutto solo, in un angolo del grande cortile, sperando di tornare presto a casa.

Un altro bambino se ne stava tutto solo quel giorno. Aveva i capelli di un riccio folto e due occhioni color caramello. Blainey era seduto su una panchina, vicino alla ringhiera del cortile, con una scatola di biscotti in mano. Il piccolo era molto goloso e aveva passato quasi un intero pomeriggio a supplicare sua mamma per preparargli e aveva aspettato tutta la mattina, per mangiarli.

Kurt, era seduto con i piedi penzolanti e si cantava un motivetto, cosi da non ascoltare gli strani suoni che provenivano dal suo pancino. Mentre canticchiava, si passò una mano sulla pancia e si guardava intorno. C’erano vari gruppi di bambini, tutti felici con il loro pranzo della merenda. Tranne un bambino. Kurt lo guardò per alcuni secondi, con il capo inclinato, anche se era tutto solo, non sembrava essere triste.

Blaine non era un bambino che amava molto stare in compagnia, anche se gli veniva facile fare amicizia. La sua mamma lo descriveva come una persona solare e piena di vita, e dopo aver ascoltato la descrizione di quei due aggettivi, aveva capito che era vero. Ama ridere e giocare con gli altri bambini, ma allo stesso tempo gli piaceva stare solo. E anche quando era solo, sorrideva, perché non bisognerebbe mai essere tristi.

Kurt non riusciva a togliere lo sguardo da quel bambino, che guardava il suo cestino tutto felice. Quando abbassò lo sguardo, notò che nel cestino c’erano dei biscotti, sicuramente fatti dalla sua mamma. Il piccolo Kurtie s’intristì al pensiero di quel bambino e della sua mamma nel preparare biscotti e cosi decise di avvicinarsi. Non sapeva esattamente cosa dirgli, dato che non socializzava spesso con gli altri bambini, ma ci provò. “Biscotti?” disse con voce dolce e insicura, una volta di fronte il bambino e indicando con il capo la scatola che stringeva tra le mani.

Blaine allontanò istintivamente la scatola con dentro i biscotti. Glieli aveva preparati la sua mamma, o meglio li avevano preparati insieme e non voleva condividerli con nessuno. Anche se quel bambino aveva due iridi celesti come il cielo, durante una giornata di sole, al posto degli occhi. E poteva vedere, benissimo, il sole che s’infrangeva i quei suoi occhi cosi caldi.

Kurt continuò a guardare il bambino che aveva di fronte, desiderando ogni secondi di più quei biscotti. Perché quel bambino lo stava fissando in quel modo? Che cosa aveva che non andava? Kurt s’imbronciò appena e passò il dorso della sua piccola manina, sugli occhi stanchi. Voleva piangere, ma si trattene.

Blaine guardò quel breve movimento con la bocca spalancata. Stava per mettersi a piangere? Per colpa sua e dei suoi biscotti? Per quando Blaine fosse curioso di vedere gli occhi, di quel azzurro cosi brillante, nuotare nelle lacrime e farli brillare ancora di più, non poteva permetterlo. Cosi, allungò la scatola al bambino e disse soltanto: “Biscotti”.

Kurtie saltò per la gioia, al quel gesto inaspettato e prese un solo biscotto, ma non lo portò subito alla bocca. Kurt puntò i suoi occhioni in quelli del bambino, quasi a chiedergli il permesso per farlo. Era stato maleducato da parte tua chiedere un biscotto, senza neanche chiedere il permesso o presentarsi.

Blaine lo fissò incredulo e sbatte più volte le palpebre. Quel bambino, gli si era avvicinato, con quegli occhi cosi tristi e gli aveva chiesto un biscotto e ora non lo mangiava neanche e lo stava anche guardando in quel modo. Gli stava chiedendo il permesso? Aveva paura a mangiarlo? “Puoi mangiarlo se voi” si affrettò a dire Blaine “E’ buono, li ho fatti con la mia mamma”.

Kurt si strofinò gli occhi, prima di dare un piccolo morso al biscotto e masticarlo lentamente. Rimase impassibile per una mancia di secondi, mentre la bocca si muoveva di poco, dopo i suoi piccoli occhi celesti si spalancarono e la sua bocca si affrettò a magiare un altro pezzo del biscotto. Era il più buon biscotto che avesse mai mangiato nella sua vita.

“Ti piace?” chiese il piccolo Blainey, vedendolo cosi felice nel finire il biscotto. “Se ti piace, prendine un altro. Mi piace vederti sorridere” continuò Blaine, non pesando di molto le parole. Infondo era vero, non gli piaceva vedere il suo nuovo amico triste ed era più bello quando sorrideva. Aspetta..: “Adesso siamo amici, giusto?”.

Kurt a quella domanda s’irrigidì, non sapendo cosa rispondere. Quel bambino gli aveva offerto un biscotto e non sapeva neanche il suo nome. Gli aveva detto che gli piaceva quando sorrideva e ora gli stava chiedendo se erano amici. Kurt ci pensò su qualche secondo, posando un dito sul mento e fissando le nuvole, poi risposte “Amici di biscotti?”.

Sul volto paffuto di Blaine spuntò un sorriso enorme e annuì energicamente. Ora erano amici e non era più cosi strano divedere i biscotti fatti con la sua mamma con quel bambino. Blaine ci pensò, strizzò gli occhi e poi arrivò a una conclusione: non conosceva neanche il suo nome. “Io sono Blaine” disse, porgendo la mano al bambino che aveva di fronte.

Kurt ne fu sorpreso, come se quel bambino - Blaine si corresse subito - avesse letto nella sua testa. Iniziò a pensare che forse era un bambino speciale, come lo definiva sempre la sua mamma e allora gli sorrise e, dopo essersi passato la manina sui pantaloni per togliere i residui del biscotto, strinse la sua mano e si presento “Io sono Kurt”.







 
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Volevo scrivere da tempo questa raccolta di os sulla Babe!Klaine, ed eccola qua *-* questa è la prima os e vediamo il primo incontro dei nostri piccoli Klaine all'asilo, dove diventano 'amici di biscotto' *^* che cosa troppo tenera. Questa raccolta sarà un concetrato di puro Fluff che seguira i piccoli Kurtie e Blainey durante la crescita. Le os non sono colegate tra loro ma tratterano, più o meno, dello stesso argomento. Spero vi piaccia l'idea e che vi piaccia quella prima os. Come sempre, se vi va, lasciate un piccola recensione e fatemi sapere cosa nel pensate. Alla prossima
- SandfFrost -

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Capitolo 2
*** Primo giorno di scuola. ***


L’arrivo di quel giorno, lo aveva spaventato e messo in ansia tutta la settimana. Blainey aveva appena finito di infilarsi il grembiule blu, con il coletto bianco e si stava fissando allo specchio. Quello era il suo primo giorno di scuola e non sapeva proprio cosa aspettarsi. Sua madre lo richiamò e lui iniziò a scendere le scale. Una volta di sotto, si mise in spalla lo zaino e uscì da casa. Sua madre non lo poteva accompagnarlo a scuola e, dato era a due passi da casa sua, lo aveva convinto ad andarci da solo.


“Kurt, ti vuoi sbrigare? Cosi faremo tardi per il tuo primo giorno di scuola” urlò suo padre sulle scale, mentre Kurt finiva di mettersi a posto il ciuffo, che non ne voleva sapere di stare fermo. Era già tutto pronto, aveva messo in auto il suo zaino e si era infilato il grembiule. L’idea di indossare un grembiule, gli dava qualche problema, perché copriva il suo perfetto outfit di quella mattina. Ma suo padre gli aveva spiegato che tutti i bambini lo avrebbero indossato. Urlò un “Arrivo” e si allontanò dallo specchio.


Blaine si accostò a una coppia per attraversare la strada e una volta dall’altra parte, si avvicinò a un gruppo di ragazzi della sua età, senza farsi notare. Una volta nel grande cancello della sua scuola, si sentì smarrito e perso e con la voglia di scappare. Tutti i bambini erano con le loro madri o padri e lui era l’unico solo. Non sapeva cosa fare e alla fine corse a nascondersi, dietro l’enorme edificio che era la sua nuova scuola.


Burt strinse con più forza la mano di Kurt, al suono della prima campanella, che segnava l’inizio della lezione. Kurt si scossò di poco dal padre, senza lasciargli la mano e lo tirò per la maglietta, in modo da farlo abbassare al suo livello. Suo padre si mise in ginocchio e gli sorrise. “Papà andrà tutto bene, okay? Ti prometto che mi troverò un amico oggi e che starò bene, okay? Adesso devi andare a lavoro però. Ci vediamo più tardi, okay?”.

 
_ _ _



Kurt iniziò ad avviarsi verso l’enorme porta della sua scuola, con il cuore in gola e le mani sudate. Quello era il suo primo giorno di scuola e aveva promesso a suo padre che avrebbe trovato un amico, ma come? All’asilo era stato sempre solo, perché ai suoi compagni piaceva prendersi gioco di lui, ma lì sarebbe stato diverso o la solita storia?
La paura di tornare a casa e di trovarsi di fronte lo sguardo deluso di suo padre, gli fece venir voglia di vomitare, cosi si allontanò dalla fila di bambini sorridenti e iniziò a correre. Non riuscì ad andare molto lontano, perché distratto qual era, fini per inciampare e cadere per terra.
“Ahia” urlò, passandosi una mano sul ginocchio sbucciato “Ah! Uff! Erano i miei pantaloni preferiti e ora sono strappati e sporchi di sangue, questo primo giorno di scuola non è iniziato nei migliori dei modi” si lamentò, cercando si asciugarsi il sangue con un fazzolettino e rimettendosi in piedi.
“M-mi dispiace” una lieve voce fece sussultare Kurt e spalancare gli occhi. Kurt si voltò lentamente e notò un ragazzino della sua età o poco più piccolo, seduto per terra e con le gambe al petto. Ecco in cosa era inciampato prima, forse si era fatto male anche lui.
“Stai bene? Scusa, correvo e non ti ho visto. Perché sei triste?” chiese infine Kurt avvicinandosi al ragazzo e sedendosi al suo fianco. I suoi pantaloni erano ormai rovinati, che importava se si sporcassero di polvere. E poi quel ragazzino sembrava realmente molto triste.
“La colpa è tutta mia, non devi scusarti. Avevo le gambe stese e non sono riuscito a sposarle in tempo e tu sei caduto e ti sei fatto male. E in più sono riuscito a farti strappare i tuoi pantaloni preferiti, sono proprio un disastro. Scusami” Blaine affondò la testa tra le gambe e trattene un singhiozzo.
“Non ti devi preoccupare, se lo dico al mio papà me ne comprerà sicuramente altri e poi non mi fa cosi male il ginocchio, anzi, guarda, è quasi guarito. Quindi non devi essere triste per me, okay? Anche per te è il primo giorno di scuola?” chiese Kurt, ma non ricevendo risposta continuo “Perché sei qui? Non hai sentito la campanella suonare? La prima ora starà sicuramente iniziando”.
“Anche tu non sei in classe” gli fece notare Blaine, alzandò lo sguardo e puntando i suoi occhi lucidi in quelli del ragazzo che lo stavo guardando sorridente. Aveva dei piccoli occhi di un celeste limpido, come il cielo e un sorriso caldo.
“Ah! Vedi? Sono riuscito a farti parlare, ora devo farti tornare a sorridere. Sicuro hai un bellissimo sorriso” Kurt gli sorrise ancora e questa volta il suo sorriso fu ricambiato, con un accenno di risata, da quel ragazzo dagli occhi caramello.
“Io sono Blaine” disse sorridendo e porgendo la mano al ragazzo che aveva accanto. Era riuscito a farlo sorridere e a scrollarli di dosso tutta la paura di poco prima. Anche se non era ancora sicuro se sarebbe riuscito a entrare in quell’edificio e iniziare il suo primo giorno di scuola.
“Kurt” disse solamente, stringendo la sua mano e alzandosi in piedi “E siamo in ritardo per il nostro primo giorno di scuola, quindi dovremo sbrigarci a entrare. Andiamo” Kurt lo tirò per la mano che stringeva ancora tra le sue.
Blaine lo guardò per alcuni secondi, la sua mano era calda. Come poteva avere paura quando una mano cosi accogliete e sicura, stringeva la sua? Doveva fidarsi e superare le sue paura, magari quel ragazzo aveva la sua stessa paura. Alla fine si alzò in piedi e si passò la mano libera sui pantaloni e chiese “Perché correvi?”.
Kurt senza esitare neanche un secondo rispose “Avevo paura. Avevo paura di non riuscire a trovare un amico. Paura di deludere il mio papà. Paura di ripetere la mia esperienza alla scuola d’infanzia. Avevo solo paura ma ora non più”.
Il moro lo guardò con occhi spalancati, aveva paura e ora non ne aveva più. Come ci era riuscito? Com’era riuscito a smettere di avere paura? Perché lui non ci riusciva? E allora si ritrovò a chiedere: “Come ci sei riuscito? Io sto morendo dalla paura e non riesco proprio a trovare il coraggio”.
“Vedi, ti ho detto che aveva paura di non riuscire a trovare un amico, giusto?” Blaine annuì facendolo continuare a parlare “Bene, io ho trovato un amico, quindi ora non ho più paura. Ora posso iniziare questa nuova esperienza più sicuro di me”.
“Un amico? Ma non hai ancora iniziato la scuola e hai parlato solo con me e...aspetta” Blaine si morse il labbro inferiore, per trattenere un sorriso e con voce speranzosa chiese: “Sono io l’amico di cui parli, non è vero Kurt?”.
Kurt come risposta sorrise e gli strinse con più forza la mano e iniziò a camminare, seguito da un Blaine notevolmente più rilassato, all’intero dell’edificio. Aveva trovato un amico e non gli avrebbe importato se lo avrebbero preso di nuovo di mira. Ora aveva un amico.
“E voi due da dove sbucate? Le lezioni sono iniziate già da dieci minuti, sapete la vostra classe?” I due ragazzini imbarazzati, mossero la testa in un no e il custode continuò a parlare “Ditemi i vostri cognomi, che controllo la nostra classe”.

“Hummel. Kurt Hummel” Kurt fu il primo a rispondere, mentre stringeva la mano di Blaine e fargli capire che era il suo turno di parlare.

“Blaine Anderson. Si, Anderson” balbettò Blaine, guardando di sottecchi Kurt che gli sorrideva e allora si rilassò di nuovo e ricambiò il sorriso e la stretta.

“Perfetto, alla vediamo. Hummel e Anderson, Mh?” fece scorrere il suo dito per una fila di nomi e guardandoli sorrise “Siete nella stessa classe ragazzi. Dovete salire le scale, è la prima porta a destra. Ora andate, prima di far arrabbiare la vostra maestra”.
Prima di correre per le scale e cercare la loro classe, Kurt e Blaine si guardarono sorridenti per alcuni secondi. Si erano incontrati, erano riusciti a superare la paura insieme e ora erano diventati amici. Ora si che erano sicuri che sarebbe andato tutto bene. Alla fine, dopo l’ennesimo rimprovero del custode, i due ragazzi iniziarono a salire le scale, con ancora le mani giunte e due sorrisi sulle labbra, pronti a iniziare quel primo giorno di scuola, insieme.








 
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Ci ho messo un po’ (più che altro, non trovavo mai un secondo per scrivere), ma ecco la seconda os di questa racconta di Babe!Klaine.
L’idea è nata quando sono andata a prendere, con mia sorella più grande, i miei nipoti a scuola. Quando ho visto mio nipote Andrea, salutare un suo compagno e sentire mia nipote Gaia parlare di un suo compagno di classe, mi è nata questa idea.
Ho subito raccontato la mia idea alla mia bellissima e incredibile Giulia (Aka Robin del mio Nightbird), e lei mi ha chiesto di scriverla ed eccola qua.
Spero che vi piaccia e niente, se vi va, lasciate pure una recensione.
Alla prossima.

- SandFrost -

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Capitolo 3
*** Tortino di Compleanno ***


Succede nelle fiabe il risveglio con gli uccellini che cantano fuori dalla finestra e il sole che lentamente si eleva nel cielo, ma quella mattina sembrava proprio di essere finiti dentro una fiaba. Il suono del canto degli uccellini arrivava dalla sveglia posata sul comodino e i raggi del sole passavano attraverso le tende chiare della finestra. Quello era un giorno speciale per Blaine Anderson e il mondo sembrava saperlo.

Stessa cosa non si poteva dire per il piccolo Kurt Hummel, che si nascondeva dalla luce del sole e che aveva fatto volare la sveglia non appena l’aveva sentita suonare. Quel giorno per lui non era poi cosi speciale, anche se era il suo compleanno e quel giorno sarebbero andati in gita, con la sua classe. Da quando sua madre era morta, non gli andava più di festeggiare, cosi si fece scivolare ancora più giù nel groviglio di coperte che lo copriva e provò a riaddormentarsi.




“Buongiorno a tutti. Ma che splendida mattina, non trovate? Perfetta per una uscita fuori. Tutti pronti per la nostra gita?” la Signora Madison entrò in classe con un sorriso sul viso e l’entusiasmo a mille. Tutta la classe urlò in segno di approvazione, battendo le mani e ridendo. Tutti sembravano felici per questa gita, tutti tranne Kurt che se ne stava seduto al suo posto, con lo sguardo rivolto verso la finestra.

Avrebbe preferito restarsene sotto le coperte, se solo suo padre non lo avesse costretto a vestirsi e ad andare a scuola. Aveva provato a inventarsi scuse come la febbre o altri disagi fisici ma suo padre lo conosceva fin troppo bene e aveva capito subito qual era il vero problema e quando aveva iniziato a consolarlo e fargli forza, Kurt aveva preferito uscire di casa e andare a scuola.

“Questa giornata sarà strepitosa, lo sento” esclamò una voce sopra le altre “Questa giornata è iniziata nei migliori dei modi e non può che andare meglio. Ti immagini ‘Cedes? Noi, la natura, animali, cielo più azzurro del solito, un sole che riscalda anche se fa ancora un po’ freddo. Aw non vedo decisamente l’ora” continuò ancora quella voce, che si era mischiata a quella delle altre ma era ancora distinguibile.

A Kurt non servì voltare il capo per sapere a chi apparteneva quella voce, anzi, conosceva quella voce molto bene, forse era per questo che riusciva a sentirla sopra a tutti quei gridolini eccitatati e risate. Le sue guancie si imporporarono di rosso quando la risata di Blaine Anderson tremò tra quelle quattro mura. Saltò dalla sedia quando, la Signora Madison, lo chiamò per l’appello e arrossì ancora di più, quando notò che la sua voce tremava un po’ nel risponde il suo: “Presente”.

Nessuno lo notò, per sua fortuna, e tornò a fissare fuori dalla finestra, aspettando che la Signora Madison finisse con l’appello, cosi da far iniziare e poi finire quella giornata. Non dovette aspettare tanto, comunque. Quando anche l’ultimo nome fu chiamato, la Signora Madison, chiese loro di prende i loro zaini e di dirigersi verso il loro bus, in silenzio e in modo composto, come se fosse possibile pensò Kurt che aspettò che la classe si svuotasse prima di uscire.



“Okay ragazzi, il viaggio non sarà molto lungo ma ci vorrà comunque il suo tempo, quindi restate seduti e godetevi la vista” Blaine sorrise a quella frase della donna, ignorando il suo aggiungere un: “E cercate di non fare troppo baccano per favore”, che non fu sentito da nessuno perché il baccano si stava già sentendo pensò il moro, voltandosi verso la sua migliore amica, che fissava fuori dal finestrino sorridendo felice per quella gita o forse per non essere a scuola a studiare. Molto più probabile rise Blaine a quel pensiero.

Lui invece adorava stare in mezzo alla natura e quando la Signora Madison li aveva detto loro che sarebbero andati in una fattoria e che avrebbero dormito nei sacchi a pelo, bhe lui semplicemente ne era stato felice. Forse perché i suoi nonni abitavano una fattoria e ci era praticamente cresciuto, tra animali e verde ovunque. Era sempre difficile per lui tornare nella città e contava i giorni per quando ci sarebbe tornato.

Spostò lo sguardo tra i vari sedili e tutti stavano sorridendo, proprio tutti. Tutti sembrano cosi felice, tra risate e urletti eccitati, o quasi tutti constatò Blaine, quando il suo sguardo si fermò alla fine del mezzo. Un ragazzo se ne stata seduto tutto solo a fissare fuori dal finestrino, anche se erano compagni di classe da quasi un anno, a Blaine sfuggiva il nome di quel ragazzo cosi triste e si maledisse per non aver prestato più attenzione.

“’Cedes posso chiederti una cosa?” scelse alla fine, perché Mercedes Jones, non che la sua migliore amica, era più brava di lui a ricordare i nomi o i volti, forse perché il loro primo giorno, si era assicurata di presentarsi a tutti, anche a quelli più grandi e a chiunque lavorasse nello stabile. Quando Blaine le aveva chiesto spiegazioni, la ragazza se ne era uscita con una alzata di spalle e un: “Voglio che la gente si possa fidare di me e per qualche gossip interessante”. Blaine tornò alla realtà quando la sua migliore amica parlò.

“Certo pasticcino, puoi chiedermi tutto quello che vuoi, basta che non sia un nuovo consiglio su quale gel conviene, perché ne abbiano già discuto e tu non metterai quella roba schifosa sui tuoi meravigliosi ricci e non mi importa quanto ribelli siano, sono perfetti cosi e non te li lascerò rovinare”, la ragazza mosse un dito di fronte la faccia con fare da Diva. Blaine le voleva un mondo di bene e quello era uno dei motivi perché era cosi legato alla ragazza.

“No, non voglio parlarti di gel, anche se continuo a pensare che sarebbe una scelta saggia” preciso Blaine prima di fare la sua domanda “Ma no, non riguarda quello. E solo che mi stavo chiedendo, sai quanto sono pessimo nel prestare attenzione o cose di questo genere e, okay, tu lo conosci quel ragazzo seduto in ultima fila?” concluse alla fine, all’iniziò blaterando e dopo tutto d’un fiato, perché non era mai stato brava in quello. Parlare s’intende.

“Oh!” la ragazza di sollevò di poco per osservare e cercando di capire a quale ragazzo si riferisse e dopo tornò a sedersi composta. “È Kurt Hummel, abbiamo frequentato l’ultimo anno di Elementari insieme ma non gli piace molto stare tra la gente o parlare con la gente. So un po’ di cose su di lui però, perché questa domanda? Perché ti interessava sapere il suo nome?” chiese curiosa, mettendosi seduta di lato, per guardare il suo migliore amico negli occhi.

“Nessun motivo in particolare, sul serio e solo che mi sembrava cosi solo” chiarificò Blaine, prima che la sua migliore amica lavorasse troppo di fantasia e si facesse qualche idea sbagliata, come suo solito. Mercedes tornò a fissare fuori dal finestrino ma con un strano sorriso sulle labbra, segno che era tardi per farle cambiare idee e che non stava succedendo niente anche se: “Se sei cosi tanto preoccupato per lui, perché non ti avvicini e gli chiedi come sta?”. Appunto, pensò Blaine.

“Sì, ma con quale scusa?” si lasciò sfuggire il moro prima di vedere la ragazza che gli sedeva accanto, lanciarli sulle gambe il suo mp3 con le cuffie. Blaine osservò l’mp3 rosa e dopo la sua migliore amica con un sopraciglio sollevato per la confusione. “Oh mio--Anderson ma ti devo sempre spiegare tutto? Prende quel mp3 e va da lui, credimi, il resto verrà da se” e cosi dicendo, spinse Blaine fuori dal sedile e quasi lo fece finire con il sedere per terra.

Il ragazzo non chiese altro, per paura di una reazione della ragazza e si rimise in piedi. Camminò tra i sedili sorridendo a chi lo chiamava e chiedeva un battiti cinque e si fermò di fronte al posto vuoto accanto al posto di Kurt. Si passò una mano tra i capelli ricci e gli si sedette accanto. Kurt sembrò sorpreso di vederlo seduto lì, come se lo stesse tenendo volutamente vuoto ma Blaine non si lasciò demordere da quella azione.

Districò il filo delle cuffie e dopo se ne portò una al suo orecchio sinistro e l’altra in quello destro di Kurt che ora, oltre ad avere la bocca semi aperta per lo stupore iniziale, aveva anche gli occhi sbarrati, ma tutta via non si mosse per togliere la cuffia o per dire qualcosa, cosi Blaine fece partire una canzone random di Katy Perry e alzò lo sguardo per fissare di fronte a se, forse per paura a voltare lo sguardo verso il ragazzo che, ne era sicuro, lo stava fissando ancora come del resto lo stava fissando Mercedes, molte file più avanti.

Nel momento di panico, iniziò a canticchiare, rendendosi conto solo dopo - grazie alla risata di Kurt nelle sue orecchie - che non stava cantando la canzone giusta. Rise anche lui e voltò finalmente lo sguardo; Kurt aveva ripreso a fissare fuori dal finestrino ma questa volta stava sorridendo e di tanto in tanto, scuoteva la testa incredulo.

Non si parlarono e neanche si guardarono - o meglio, Blaine alle volte si fermava intere canzoni a osservare Kurt, ammagliato dal suo sorriso e trovandosi a sorridere a sua volta, al ricordo che era stato lui a far nascere quel piccolo sorriso e la sua risata. Oh, la sua risata. Ascoltarono quasi un intero album di Katy Perry, prima che il bus si fermasse e tutti iniziarono ad alzarsi per sgranchirsi un po’ le gambe e i corpi stanchi, per essere rimasti fermi per cosi tanto tempo seduti. Sollevò le braccia verso l’alto e nella azione perse la cuffia e sbuffò.

“Grazie per la compagnia,” percepì, mentre cercava la cuffia finita tra le loro giacche e quasi urlò per la sorpresa. Si era completamente abituato al silenzio che - anche se l’abitacolo non lo era stato neanche per mezzo secondo - aveva dimenticato che la voce del ragazzo era come fuochi d’artificio in una notte stellata. “Blaine” concluse e Blaine si ricordò di sorridergli, prima di alzarsi per farlo passare. Lo guardò scendere, con un sorriso stampato sulle labbra, spegnendo l’mp3 e rimettendolo nella tasca dei suoi pantaloni.



Avrebbero dormito in un fienile, questa era l’unica cosa a cui pensava Kurt, mentre camminava sulla paglia. Una volta scelti dal bus, avevano recuperato i loro zaini i loro sacchi a pelo, un tipo con una barba e un capello di paglia consumato in testa, aveva dato loro il benvenuto, prima di informare loro che avrebbero dormito in un fienile, perché a quanto pareva a lui piaceva molto quando era piccolo ed era sicuro che quella esperienza sarebbe piaciuta anche a loro, ma Kurt sapeva già che quella esperienza non gli sarebbe piaciuta per niente.

Dopo aver visitato il fienile dove avrebbero dormito - che era enorme e allo stesso tempo troppo piccolo - e aver lasciato i loro zaini, era iniziato il tour alla fattoria. La Signora Bates aveva mostrato loro le stalle e li aveva permesso di toccare i cavalli e anche le mucche, dopo erano andati a vedere le galline e i maiali. C’erano anche due cani, uno di compagnia e l’altra da caccia, cosi aveva spiegato il Signor Bates durante quel tour. Kurt doveva ammettere che la fattoria era molto grande e che ne avevano visitata solo metà, perché la Signora Bates aveva proposto loro di mangiare qualcosa.

Anche se avevano portato il pranzo a sacco - come consigliato dalla Signora Madison - la vecchia proprietaria di quella fattoria, aveva proposto loro di assaggiare qualche loro piatto. Alla fine si erano ritrovati seduti su questo lunghissimo tavolo a fare colazione con il latte delle loro mucche (che avevano preso loro con l’aiuto del Signor Bates), del pane fatto in casa, delle uova strapazzate e anche del miele per chi lo voleva. Era stato tutto ottimo, anche se Kurt sapeva che nel suo pranzo al sacco c’era un tortino di compleanno, che suo padre gli preparava ogni anno, dato che non era in grado di cucina una vera torta, non importava quante volte Kurt provasse a prepararne una con lui.

La giornata era trascorsa piacevolmente e abbastanza veloce, dopo la cena preparata dalla Signora Bates, erano tutti tornati nel fienile per preparare i loro sacchi a pelo per la notte. Non erano neanche le nove e Kurt era stanco morto. Avevano camminato tanto e per tutto il giorno e non pensava ci fossero cosi tante cose da vedere e da imparare in una fattoria, forse Blaine aveva ragione quando aveva detto che sarebbe stata una meravigliosa giornata.

Blaine. Lo stesso Blaine che si era seduto accanto a lui sul autobus e gli aveva messo una cuffia per poter ascoltare la musica con lui. Lo stesso Blaine che gli era stato vicino tutto il giorno, mentre batteva le mani per ogni cosa tra l’altro, constatò Kurt mentre stendeva il suo sacco a pelo, erano stato anche il più bravo a mungere la mucca, senza aiuto di nessuno. Lo stesso Blaine, pensò infine il castano, che ora stava stendendo il suo sacco a pelo accanto al suo: “Non ti dispiace vero? Non voglio stare da solo e Mercedes e dalla parte opposta con le ragazze”.

“No, no non ti preoccupare” si ricordò di dire, fissando il ragazzo con aria da pesce lesso. Smise di pensarci e si infilò nel suo sacco e aspettò che le luci si spegnessero cosi avrebbero potuto andare a fuoco e dopo avrebbe provato a dormire ma già sapeva che sarebbe risultato difficile vista la presenza del moro accanto a lui. Kurt sospirò e chiuse per qualche istante gli occhi.



“So che oggi è il tuo compleanno” disse piano Blaine, sistemandosi meglio nel sacco a pelo, che sua madre aveva comprato qualche giorno prima, perché il suo era ormai in condizioni pessime. Non era sicuro che Kurt fosse ancora sveglio, considerato che aveva gli occhi chiusi da una manciata di minuti ma quando Mercedes gli aveva detto che era il compleanno di Kurt e che se l’era ricordato solo ora perché a Kurt non piaceva festeggiare il suo compleanno, bhe non era riuscito a trattenersi.

Voltò il capo verso sinistra speranzoso che il ragazzo fosse addormentato e che quindi non lo avesse sentito ma la sua speranza morì, quando si ritrovò gli occhi spalancati e troppo azzurri di Kurt a fissarlo, di nuovo, incredulo. Come durante quella mattina sul bus, Kurt sembrava avere nessuna intenzione di abbassare lo sguardo o spostarlo cosi Blaine si costrinse a parlare di nuovo. “Lo so che non sono affari mie e che prima di questo momento non abbiamo vai avuto modo di parlare e di conoscerci, ma credo che i compleanni vadano festeggiati, anche solo con una persona importante”.

Blaine abbassò lo sguardo e nascoste le mani nel sacco a pelo, cosi da poterle torturare senza essere visto, stessa cosa non si poteva dire del modo in cui si stava mordendo le labbro nervoso. Kurt lo innervosiva e non sapeva bene perché, forse per via del suo sguardo che bruciava contro la sua pelle o per quanto era bello quando rideva. Blaine non lo sapeva, fatto sta che lui era una persona molto socievole e aperta ma quando si trattava di quel ragazzo, aveva paura di sbagliare ogni cosa, anche una semplice parola, ed era assurdo perché ci era entrato in contatto solo quella mattina, ma gli sembrava già un sacco di tempo.

Lo sguardo del castano bruciava ancora sul suo viso, almeno fino a quando non lo vide sollevarsi con la coda dell’occhio. Quella sensazione di aver detto la cosa sbagliata, mai provata prima, gli colpì lo stomaco e un conato di vomito stava minacciando di venir fuori, raschiando nella gola. Era pronto a scattare in piedi e a chiedere scusa ma si bloccò giusto in tempo, quando vide Kurt afferrare il suo zaino e cercarci dentro qualcosa, quando il castano riportò lo sguardo su di lui, aveva tra le mani un tortino al cioccolato, con una candelina colorata.

“Credo che tu abbia ragione Blaine” e Blaine era sicuro di essere innamorato del suo nome, o meglio del modo in cui lo pronunciava Kurt. Nessuno lo aveva pronunciato con cosi tanta dolcezza e il cuore del moro per poco non esplose nel petto “Non sono un grande fan dei compleanni, almeno del mio ma dopo la morte della mia mamma, non aveva avuto molto senso ma tu hai ragione, Blaine. Bisognerebbe condividere un giorno cosi importante con qualcuno, qualcuno di altrettanto importante” Blaine cercò dentro di se tutto l’autocontrollo per non scoppiare a piangere o sporgersi per stringere Kurt a se.

“Questo è il mio tortino di compleanno. Mio papà me lo prepara dalla morte di mia mamma, è una specie di tradizione. Credo che lui speri che io ritorni ad apprezzare questo giorno, come facevo quando lei era in vita. Non è bravo ai fornelli ma i suoi tortini sono i più buoni, forse perché ci mette extra amore dentro e anche extra cioccolato” sorrise “Non credo possiamo accendere la candelina ma possiamo fare sempre finta, no? E dopo possiamo mangiare il tortino insieme, ti va?” chiese Kurt speranzoso.

Il capo di Blaine si spostò dagli occhi di Kurt al tortino e dopo di nuovo sul viso del ragazzo e con voce tremante chiese: “Vuoi condividere il tuo tortino di compleanno con me?” come conferma, perché non era sicuro di aver sentito bene. Gli aveva raccontato quella storia e dopo lo aveva associato a una persona importante e adesso gli stava offrendo metà del suo tortino. Quello era decisamente troppo per il piccolo cuore di Blaine, che stava battendo forte nel petto, fino a creare rumore.

“Si” confermo Kurt “Vorresti condividere con me il mio tortino di compleanno Blaine? Infondo è ancora il mio compleanno no?” Kurt rise ma non come aveva fatto quella mattina. Quella risata fu leggera, piena di imbarazzo come dimostravano le sue guance ormai completamente rosse ma anche allegra e felice. Come avrebbe mai potuto dirgli di no? Non che il moro gli volesse dire di no, comunque. Voleva solo farlo ridere ancora, in quel modo, per tutta la sua vita. Per un secondo ebbe il desiderio di baciarlo.

“Certo, Kurt, mi piacerebbe davvero molto condividere il tuo tortino con te”. Blaine fece finta di accendere la candelina e questo fece ridere Kurt, cosi fece anche finta di brucarsi, solo per vederlo ridere ancora. E più rideva e più se ne innamorava. Ogni volta era diversa ma allo stesso tempo sempre meravigliosa. Quando Kurt fece finta di soffiare, fu il turno di Blaine di ridere e si coprì in fretta la bocca, perché era stata una risata rumorosa e molti stavano già dormendo esausti.

Blaine si meravigliò quando Kurt non divise il suo tortino ma ne tirò direttamente un morso, per poi sporgerlo verso il moro cosi che potesse fare la stessa cosa. Blaine arrossì ma si sentì sollevato quando notò che anche le guance di Kurt avevano lo stesso colore. Passarono i minuti a mangiare il tortino di cioccolato in quel modo, mentre Kurt lo spostava dalla sua bocca a quella di Blaine. Una volta terminato Kurt rise e porse al moro un fazzoletto per pulirsi e tornare stesi nei loro sacchi a pelo.

Ancora buon compleanno Kurt” disse in uno sbadiglio Blaine, posizionandosi di lato cosi da poter essere di faccia a Kurt, anche Kurt fece lo stesso e gli sorrise. “Sai Blaine, credo che tu avessi ragione questa mattina, questa giornata non poteva andare che migliorando” si sorrisero ancora una volta, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi, tra i mormori di qualche loro compagno che non era ancora stanco, anche se consapevole che il giorno dopo si sarebbero dovuti svegliare presto per tornare a casa.











 
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Salve a tutti, sono tornata ad aggiornare questa storia, perché alla fine torno sempre a finire quello che ho iniziato e questa raccolta è la mia bambina. Voglio dire; come si fa a non amare Kurt e Blaine che si conosco e si amano (in modo diversi ovviamente perché diversi solo loro), durante età e situazioni diverse? Semplice, non si può non amarli, sono perfetti. In questa One shot/capitolo, abbiamo un Kurt e un Blaine che si conosco durante il loro primo anno di medie e Kurt condivide il suo tortino di compleanno con Blaine (ç_ç). Confesso: L'anno scorso ho costretto la mia gemella a preparami un tortino al cioccolato di compleanno perché lei non sarebbe stata lì con me durante la mezza notte (anche se mi ha chiamato tre volte e abbiamo fatto il conto alla rovescia insieme) e ho amato il mio tortino di compleanno, perché era stato fatto con amore e solo e unicamente per me (e poi era buonissimo), insomma era un tortino speciale che mi ha resa speciale. C'era anche una candelina in cima e mia sorella ha fatto finta di soffiarla, anche se alla fine l'ho spenta io. L'idea iniziale per questa OS doveva essere diversa ma quando questo ricordo mi ha attraversato la mente, non ho potuto più fermare le mani. Spero vi piaccia, come a me è piaciuto scriverla e soprattutto che ci sia ancora qualcuno che mi legga ancora (ç_ç *piange in un angolino*). Also oggi è un giorno triste ma che sto rendendo speciale con la pubblicazione di questo capitolo, quindi recensioni sono ben accette.
 
Ps: Ti voglio bene Jacobba, grazie per aver reso questo giorno triste, speciale. Sempre.

- Sandfrost -

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Capitolo 4
*** Lo spettacolo di Natale ***


La musica andò lentamente dissolvendosi, si lasciarono andare a un lungo respiro, il tempo sembrò fermarsi per qualche secondo e dopo..il pubblico iniziò ad alzarsi in piedi e ad applaudire. C’erano cori entusiasti e il silenzio iniziò a riempirsi di gioia. Si guardarono sorridenti e “Ce l’hai fatta” disse e “No, ce l’abbiamo fatta, tutti insieme” disse l’altro. Sorridenti si presero per mano e camminarono verso il centro del palco ricevendo i loro meritati applausi, mentre tutti li altri li raggiungevano. Non separarono le loro mani neanche dopo che il sipario si chiuse innanzi a loro, segnando il termine di quella serata.
 
Una settimana prima

Diede una rapida occhiata all’orologio sul suo polso, sperando di aver visto male o in qualche miracolo ma niente, era nuovamente in ritardo di due ore e non riusciva a correre più veloce di quanto stesse facendo già. “Dannate gambe corte”, imprecò a denti stretti, cercando di darsi una spinta maggiore con le braccia. I corridoi di quella scuola non gli erano mai sembrati cosi lunghi. Gli sembrava di star correndo sul polso, con tutti quegli armadietti troppo uguali.

Quando finalmente intravide la sala prove, quasi gli sembrò di perdere il controllo delle sue gambe. Fece un ultimo scatto ed entrò nella stanza o almeno attraverso la porta, poiché si scontrò con le spalle di qualcuno che gli stava ostacolando l’entrata. Come da copione, perse l’equilibro e cadde a peso morto per terra. “Dannazione” disse rimettendosi in piedi e massaggiandosi la parte dolorante “ma ti sembra il caso di restartene lì in palato, in quel modo davanti alla porta? Non lo sai che la gente la usa per entrarci?”.

Il ragazzo dalla camicia colorata di un azzurro cielo si voltò sconvolto, si scusò frettolosamente ma dopo tornò a fissare l’interno della stanza. Curioso, anche lui spostò l’attenzione dal ragazzo per fissare la sala, per poi notare che era completamente vuota. Non c’erano studenti intenti a riscaldare la voce o a cercare i propri spartiti nella confusione. Anzi, non c’era proprio nessuno, neanche il loro insegnate a pregare tutti di fare silenzioso e di mettersi in posizione per iniziare le prove (il che era molto strano dato che non mancava mai). Che avesse fatto troppo tardi e le prove fossero già terminate?

“Che cosa sta succedendo qui? Sono forse saltate le prove e io non ne sapevo niente?” chiese più a sé stesso che a qualcuno in particolare anche se, comunque, qualcuno gli rispose e: “Succede che si sono presi tutti un bel virus durante la gita e l’esibizione di Natale è stata cancellata”, disse una voce alle sue spalle. Quando voltò il capo verso la porta, notò l’inserviente che di solito lo cacciava a prove finite perché doveva rimettere in ordine la sala a fine lezione. Anche lui scrutava l’interno dell’aula vuota, forse ringraziando di non doverla pulire. “Anzi, mi sorprende come voi due stiate ancora in piedi” aggiunse, uscendo dalla stanza e quasi non sentendo il: “Non ero alla gita” dei due ragazzi.




Blaine Anderson non era più tanto dispiaciuto di essersi perso la gita scolastica con il coro - e dire che aveva anche urlato contro suo fratello per gli avergli spento la sveglia quella mattina – pensò, mentre si passava una mano sul mento, seduto sui gradini fuori dal portone della scuola, aspettando il bus. Ma qualcun altro, decisamente, non era della sua stessa opinione e: “È un distratto” esclamò il ragazzo di cui si era completamente dimenticato e che gli sedeva accanto “Che cosa dirò a mio padre? Ho passato mesi a stressarlo per questo spettacolo e adesso è tutto andato in fumo. Non ci credo. Ditemi che sto sognando”.

Pensò attentamente a cosa potesse dire in quella situazione o a cosa fare ma tutto quello che alla fine riuscì a dire fu: “Mi dispiace ma vedrai che ci saranno altre occasioni” che fece voltare il ragazzo di scatto, con uno sguardo accusatorio che lo fece tremare. “Ehi non guardarmi cosi, non è stata colpa mia. E di certo non possiamo mettere in scena uno spettacolo in pochi giorni, quindi credo che la cosa migliore sia riscaldare la voce per lo spettacolo di primavera, anche se sarebbe unitile considerato che il duetto e tutti gli assoli saranno affidati ai Finchel”.

“Oh mio prezioso Chanel” esclamò il ragazzo mettendosi in piedi e portandosi le mani al petto “Tu sei un genio” continuò con negli occhi una strana luce e un sorriso radioso sul viso. Blaine lo fissò perplesso e: “Non che di solito non mi piaccia essere definito un genio, ma cosa avrei fatto per esserlo?” chiese confuso. Il ragazzo tornò a sedersi al suo fianco e spiegò entusiasta “Organizzeremo uno spettacolo di Natale”.

“Come?” quasi urlò Blaine quando il ragazzo castano pronunciò quella frase. “Perdonami, forse ho capito male perché sono sicuro che tu non mi abbia appena proposto di organizzare uno spettacolo dal niente in meno di una settimana, da soli poi” sorrise rassicurato ma dopo tornò il panico quando lo sentì dire: “No, hai capito benissimo”. Blaine fece un respiro profondo perché non era proprio il caso di dare di matto proprio in quel momento già cosi critico.

“Organizzare uno spettacolo di Natale? Ma sei fuori di testa? Manca meno di una settimane, te ne rendi conto? Per non parlare del fatto che nessuno vorrà aiutarci. Non abbiamo canzoni, numeri di apertura o chiusura e soprattutto nessuno che ci guidi. In più, sono tutti a casa ammalati e non credo ce la faranno prima di quel giorno. E poi hai sentito, no? Hanno cancellato lo spettacolo quindi questo vorrà dire che dovremmo convincere il preside e chissà chi altri. È una follia”.

“Ma non capisci,” continuò imperterrito il ragazzo, di cui era sicuro di ricordare il volto ma non il nome “sarà grandioso e poi si trovano sempre dei volontari e al preside ci penseremo più avanti. La scenografia è quasi del tutto finita e l’auditorium è solo da ultimare con altre luci e qualche altro tocco di cui mi occuperò personalmente. E possiamo farci aiutare dal coro gospel di cui fa parte la mia amica Mercedes, sono sicuro che adorerà l’idea. Oh andiamo Blaine, ce la possiamo fare, ti prego” terminò con voce tenera e pregandolo con due occhi languidi. Come avrebbe potuto dirgli di no?

Sbuffò e si lasciò andare a un lungo respiro profondo, accasciando le spalle. Quella era una follia ma non aveva le forze per persuadere quel ragazzo cosi: “C’è solo un’altra cosa da risolvere prima di buttarci in questa folle, assurda, fallimentare, idea” chiarifico prima di “Tu sai il mio nome ma io non credo di sapere il tuo” disse quasi vergognandosi della cosa. Okay, lui arrivava sempre tardi alle prove e finiva per essere l’ultimo della fila, nascosto da tutti, ma proprio non riusciva a ricordare come si chiamasse quel ragazzo o perché non lo avesse mai notato. Il loro coro decisamente non era cosi numeroso eppure, non riusciva proprio a ricordare.

“Il mio nome è Kurt Hummel e, proprio come te, vivo all’ombra di Rachel Berry e dei suoi numerosi assoli. Non è molto facile farsi notare cosi ma è praticamente e decisamente impossibile dimenticare la tua interpretazione di One Hand, One Heart in West Side Story dello scorso anno” disse sorridendo “Sei stato grandioso, incredibile e avrei voluto dirtelo dopo la prima ma non ho mai avuto modo di farlo, anche perché dopo sei sparito” sorrise ancora, chinando il capo.

“Ah, adesso ho capito perché mi sembravi cosi familiare” esclamò in fretta Blaine, con un sorriso luminoso sul volto “Facevi anche tu parte del musical e ricordo di averti guardato tutto il tempo. Il tuo agente Krupke è stato uno spasso. È venuto giù il teatro. Avrei voluto complimentarmi con te ma sono dovuto andare via subito, più che altro volevo scappare da Rachel Berry e i suoi melodrammi”, rise passandosi una mano dietro il collo imbarazzato “Non sai quante volte mi ha chiamato dopo”.

“Allora sei perdonato” sorrise entusiasta “E adesso che le presentazione sono fatte, direi che è ora di alzarci le maniche perché questo spettacolo non si metterà in scena da solo. Abbiamo luci e decorazioni da creare e dobbiamo andare a parlare con Cedes e poi convincere il preside. Per non parlare della scaletta da creare. Ci servono idee e canzoni” parlò in fretta e dopo saltò in piedi, porgendo una mano al moro “Andiamo Anderson, abbiamo un sacco di cose da fare e poco tempo per farle. Non vorrai startene qui ad aspettare l’arrivo del bus, no?”.




“COME??” tuonò quasi saltando dalla sedia, facendo vibrare la sua voce nella stanza “Rimettere in piedi lo show di Natale dopo aver disdetto e cancellato ogni cosa? Mi prenderanno per pazzo, non posso farlo” disse passandosi le mani tra i capelli, tirandoli leggermente alla radice “Non so cosa vi è preso ragazzi ma non posso farlo e poi come? Non ci sono studenti disposi a farlo. Tutti quelli del corso di canto sono a casa ammalati e non torneranno prima di una settimana o comunque non in tempo. E chi vi seguirebbe poi? È una follia”.

Blaine sbuffò e scivolò sulla sedia. Aveva passato tutta la giornata precedente in libreria con Kurt, esaminando video e guardando spartiti ma decisamente c’era molto in ballo e loro non avevano idee. Quando Kurt quella mattina lo aveva informato che dovevano parlare con il preside, per poco non era svenuto. Aveva provato a convincerlo che non avevano idee e che non gli avrebbe ascoltati ma quando Kurt si metteva un’idea in testa, era impossibile persuaderlo.

Ed eccoli lì, nel ufficio del preside, e avevano persino saltato la seconda ora per ricevere quella reazione che lui aveva già immaginato sarebbe successo. Si passò un dito sul sopracciglio destro e voltò il capo verso di Kurt, forse a rincuorarlo e fargli capire che ci avevano provato, quella idee era troppo folle anche per lui. Ma quando il suo sguardo si fermò sul volto del ragazzo, vide solo determinazione nei suoi occhi. Sorrise raggiante, come se un nuova idee lo avesse attraversato e Blaine tremò ma non sapeva se per paura o eccitazione. Infondo quel ragazzo era sorprendente.

“E se le dicessimo che abbiamo tutto sotto controllo e che lei non dovrebbe preoccuparsi di niente?” provò Kurt con voce soave, con i suoi bellissimi occhi azzurri e il migliore dei suoi sorrisi “So che può risultare una follia e lo capisco ma sarebbe molto importante per noi. Penseremo noi agli studenti e al coro, come all’allestimento dell’auditorium. Troveremmo le canzoni da cantare e manderemmo nuovi inviti e abbiamo già trovato qualcuno che può aiutarci a seguirci. Deve solo darci il permesso. La prego”.

Tecnicamente non avevano niente sotto controllo; non avevano ancora parlato con Mercedes e con il coro gospel, non avevano trovato un insegnate disposto a seguirli e non avevano la minima idea di cosa mettere in scena ma Kurt lo desiderava cosi tanto che tutto quello sembrava solo un piccolo ostacolo al gradissimo show che avrebbero messo in scena. Anche il preside Figgins sembrò notare quella determinazione negli occhi di Kurt e sembrò capire e: “Fate solo in modo che sia il miglior spettacolo di Natale di sempre” Kurt non fece in tempo a gioire che “E ovviamente dovete tenermi a corrente di ogni cosa”.

“Mandatemi gli inviti appena sono pronti cosi li posso controllare, voglio anche venire a conoscenza della scaletta e..” elencò, spostando dei fogli sulla scrivania sembrando occupato “E naturalmente ho anche bisogno di sapere chi vi seguirà cosi che io possa parlare con l’insegnate e averne la sicurezza” aggiunse ancora, tornando a fissarli “Vi state prendendo un incarico molto importante ragazzi, spero che non deludiate le mie aspettative e l’onore di questa scuola” terminò e gli lasciò liberi di tornare in classe, firmando loro una giustificazione per quell’ora saltata.




“COSA?” urlò la ragazza sconvolta facendo nascere un “Forse dovremmo imparare a dare meglio questa notizia perché non è possibile che ogni volta nasca la stessa reazione” da parte di Blaine, dato che Kurt non riusciva a smettere di sorride, sempre più sicuro del successo di quella pazzia. “E mi state dicendo che il preside ha anche assecondato questa follia?” chiese e i due ragazzi annuirono perché sembrava impossibile anche a loro. Blaine stava già per parlare e spiegarle la situazione e dicendole che la capiva se era dubbiosa sulla riuscita del progetto ma la ragazza sollevò la mano bloccandolo e disse: “Ovviamente voglio una parte nello show”.

Ci fu un secondo di silenzio che fu subito seguito da un urletto di gioia di Kurt e un mugugno incredulo da parte di Blaine. Non era possibile, pensò. Tutti quanti avevano reazioni di incredulità a quella notizia, lui stesso ne aveva avuta una ma allora perché finivano tutti per accettare? Istintivamente si voltò verso Kurt che batteva le mani felice. Già, ecco il loro perché. Chi poteva mai ostacolare la felicità a quel viso d’angelo e con quale cuore poi? Kurt meritava il suo spettacolo anche se cosi assurdo e folle. Avrebbe fatto il possibile per renderlo reale.

“Ora che Rachel Berry è fuori dai piedi, voglio il mio assolo” chiarificò la ragazza. Erano seduti in caffetteria, con una bella tazza di caffè tra le mani come rifugio a quel gelido giorno “Me lo merito capite? Lavoro sodo in quel coro ma credete che qualcuno lo noti? Nessuno e perché? La Berry riesce sempre a prendersi quello che vuole” si fermò solo per prendere un sorso di caffè e dopo continuò “Un po’ la invidio sapete, lei ha le idee chiare e sa cosa vuole e farebbe di tutto per ottenerlo, senza pensare agli altri ma solo a se stessa perché ha messo il suo sogno prima di tutto”.

“Già ed è la cosa più fastidiosa” rispose Blaine con il capo chino e roteando il bicchiere tra le mani “È cosi brava a convincere gli altri che lo merita, che ti fa passare la voglia di metterti in competizione con lei perché inizi a pensare che lo meriti da vero e che forse non è ancora il tuo momento. Forse è per questa ragione che continuo a pensare che tutto questo, mettere in scena uno spettacolo di natale dal niente e da soli, sia una follia. Forse semplicemente non è la nostra occasione ancora” finì tristemente.

“Bhe, ti sbagli perché noi non siamo soli in questo progetto e ho già trovato chi ci seguirà” annunciò Kurt che finì il contenuto del suo caffè come se non avesse detto niente di importante ma invece era tutto. “Volevo dirtelo subito ma ho pensato che forse era meglio avere prima Mercedes dalla nostra parte, cosi da essere già un passo più avanti” disse ancora, giustificandosi “Quindi, Mercedes, possiamo contare sul coro gospel di tua madre? Ovviamente avrai tutti gli assoli e già ti immagino al centro del palco con le luci che ti illuminano il viso e il coro dietro di te che ti accompagna. Sarà fenomenale”.




“Non posso farlo ragazzi” disse l’uomo quando Kurt gli propose la loro idea e Mercedes aveva iniziato a raccontare i loro progetti per il numero. Blaine iniziava a stancarsi di quella risposta ma “Almeno lei non ha urlato un COSA o un COME, perché non sarei riuscito a sopportarlo”, che fece ridere un po’ tutti perché era la verità. Prima il preside, poi Mercedes e infine il coro gospel, certo, alla fine avevano accettato tutti ma quei dramma erano troppo anche per lui, aveva bisogno di una pausa. E dire che quello era solo l’inizio.

“Non capisce Mr. Schuester, lei è l’unico che può aiutarci. Lei ha già diretto un Glee club in passato e sa come mettere in scena uno spettacolo unico e no, non sono venuto qui solo per riempirla di complimenti ma perché questo è il nostro sogno. Le nostre famiglie saranno sedute in prima fila e ci guarderanno sul quel palco e saranno fieri di noi e questa è la nostra occasione per farlo, per mostrare chi siamo e cosa siamo in grado di fare. E lei è l’unico che può rendere questo sogno reale, che può capire l’importanza. Ci darà una mano, vero?”. Ed eccolo lì, quel insieme di parole, il sorriso incoraggiante e quella scintilla negli occhi. Eccola lì, la ragione per cui nessuno di loro è riuscito a dirgli ancora di no. Per quella ragione, Blaine non si meravigliò quando alla fine, Mr Schue, accettò di aiutarli.

“D’accordo ragazzi, vi aiuterò” disse sorridendo l’insegnate “Ci servono canzoni, volontari e,” fece una giravolta che fece ridacchiare Mercedes “passi di danza che facciano colpo”. Blaine fissò come tutti iniziarono a tirare fuori idee e opinioni con entusiasmo e sorrisi. Sembravano tornati bambini per quanto sembravano felici. Mosse il capo e si unì agli altri perché infondo, quella follia inizia a piacergli. “Perfetto allora, Mercedes avrà il suo assolo e anche il coro gospel avrà il proprio”.

“Kurt e Blaine potrebbero concludere lo show con un duetto, infondo è stata una loro idea” propose Mercedes e Blaine quasi si strozzò con la sua stessa saliva “CHE” urlò e quasi rise della sua reazione se solo la situazione non fosse cosi seria. “Sarebbero fantastici insieme, lei che cosa ne pensa Mr Schuster?” chiese la ragazza all’insegnante, evitando volontariamente la reazione di Blaine e “Sì, si può fare ma dovremmo scegliere la giusta canzone. Ce ne serve una che sia perfetta per loro ma anche per la conclusione. Ora che ci penso ho una lista di canzoni natalizie nel mio ufficio, perfette per un duetto. Dovremmo darci un’occhiata” cosi dicendo, trascinò la ragazza fuori dall’aula, continuando a discutere della loro nuova idea.

Una volta soli, Kurt ne approfittò per parlare. “Lo so che credi che non sia ancora arrivato il tuo momento ma io credo che tu ti sbagli di grosso” iniziò sorridendo e facendo segnò a Blaine di sedersi sul banco più vicino. Blaine seguì la mano di Kurt e si sedette, solo allora il castano continuò a parlare. “Ti ho buttato io in questa follia continuando a dire che era il nostro sogno ma tu non hai mai detto niente, bhe questa sarà la tua occasione per renderlo tale, per dimostrare non agli altri ma solo a te stesso che è il tuo momento e io ti aiuterò, cantando con te”.

Il moro sollevò il capo e lo ammirò ammaliato. Lui non avrebbe avuto nessuno tra il pubblico come Kurt e nessuno lo avrebbe accompagnato come Mercedes ma solo in quel momento si rese conto che non importava. Non importava se i suoi erano troppo impegnati per dedicarli il loro tempo o se non si sentiva ancora alla’altezza, perché lui aveva Kurt Hummel dalla sua parte, che credeva in lui e che stava rendendo quella serata speciale anche per lui. Cosi gli sorrise perché non avrebbe potuto esprimersi meglio a parole. Era felice.

“E adesso alzati da lì, mantieni quel sorriso e usciamo da questa scuola” disse serio, incrociando le braccia al petto “Non lascerò, in nessun modo, che quei due scelgano il nostro primo duetto. Sarà il tuo momento e la conclusione dello show e voglio che la canzone sia significativa” specificò annuendo. “Mia mamma era una grandissima fan delle canzoni natalizie, le canticchiava in ogni periodo dell’anno e mi ha creato una playlist con le sue canzoni preferite, solo per me. Quella playlist mi ha fatto amare il natale quando l’abbiamo persa, per questa ragione questo spettacolo di Natale è cosi importante per me. Non ho mai permesso a nessuno di ascoltare quella playlist, che custodisco come il mio tesoro più grande, neanche a mio padre ma credo che per te io possa fare un’eccezione questa volta”.

Sorrise ancora allora, anche se tutto quello che sentiva di voler fare in quel momento era sbilanciarsi e abbracciare quel ragazzo che gli stava sorridendo a sua volta. Restarono a fissarsi per alcuni secondi, non trovando parole da dirsi, fino a quando Kurt non allungò una mano verso Blaine. Il moro fissò la mano in credulo ma l’avvolse tra le sue quasi subito e: “Fa solo che sia un duetto da ricordare” sussurro a Kurt che lo tirò in piedi e uscirono dall’aula, con ancora le mani unite.




I'm dreaming of a white Christmas. With every Christmas card I write, oh. May your days, may your days, may your days be merry and bright. And may all your Christmases be white. La musica continuava a diffondersi nell’aria. Avevano esaminato già una decina di canzoni ma nessuna sembrava adatta per l’occasione o meglio, nessuna riusciva a soddisfare Kurt che continua a bruciare ogni idea. Prima non era abbastanza romantica, poi era poco natalizia e infine “Questa canzone sarebbe perfetta ma mancherebbe l’atmosfera”.

“Di questo passo non troveremo mai la canzone per l’esibizione Kurt. Capisco che stai cercando la canzone perfetta che si addica sia alle nostre voce sia all’atmosfera del teatro ma ho paura che alla fine canteremmo la canzone che hanno scelto Mr Schue e Mercedes” sbuffò, aspettando che Kurt mettesse una nuova canzone d’ascoltare. Erano alle ultime canzoni, ora mai, e a Blaine venne un idea geniale per mettere fine a quella scelta impossibile “D’accordo Kurt, ti ho assecondato in questa follia ma di questo passo non finiremo mai quindi ho qualcosa da proporti”.

Fece una pausa dove tranquillizzo Kurt con lo sguardo quando lo vide sbarrare gli occhi, pronto al peggio “La prossima canzone, qualsiasi essa sia, sarà la nostra canzone. Non ci saranno ma o commenti, sarà la canzone perfetta. Ci stai?” propose. Kurt ci pensò alcuni secondi, fissando il piccolo schermo dove venivano segnate i numeri delle ultime canzoni ma alla fine accettò con un cenno del capo. Entrambi pregarono fosse perfetta per loro due e si affidarono ai gusti della signora Hummel.

Fecero un respiro profondo e Blaine contò dieci secondi esatti prima che Kurt trovasse il coraggio per premere play. Sembrava di avere a che fare con una bomba a orologeria pronta ad esplodere e non potevano permettersi di tagliare il filo sbagliato. Ci fu un leggero ronzio, quando la canzone partì e dopo le prima note lentamente presero suono. Fecero scattare le loro teste e si guardarono con sorrisi e una luce di entusiasmo nell’aria. Non aggiunsero parole perché entrambi sapevano era la canzone perfetta per il loro primo duetto e per lo spettacolo.




“Ci siamo” annunciò Mr Schuster, tornando dietro le quinte dopo aver presentato lo show tutta la sera. Era andato tutto nel verso giusto, le luci avevano donato all’auditorium un aria romantica e molto natalizia e il coro gospel aveva reso tutto perfetto. Come un leggera nevicata il giorno di Natale. Mercedes aveva appena finito il suo secondo assolo e stata prendendo i suoi meritati applausi. Mr Schue le aveva anche consegnato un boutique di fiori. Ma adesso era il loro turno, era arrivato il momento dell’ultima canzone con cui avrebbe salutato e ringraziato i partecipanti a quell’evento. Anche Rachel Berry era tra il pubblico e aveva fatto il tifo tutta la sera.

“Sono nervoso” annunciò Kurt con voce tremante, torturandosi le mani “So che sono stato io a insistere per rimettere in scena questo spettacolo e non ne sono assolutamente pentito. Mercedes è stata grandiosa sul palco e ha fatto commuovere tutti, per non parlare del coro gospel. Ogni artista è stato incredibile, per questo sono nervoso. Ho il terrore di dimenticarmi le parole e di fare scena muta” concluse lasciandosi andare a un respiro profondo.

“Ascoltami Kurt” iniziò Blaine, prendendo il volto del ragazzo tra le sue mani, in modo da farsi guardare negli occhi “Essere spaventati va bene, è normale ma non sei solo. So che quando mi hai proposto di farlo e per tutto il tempo ho continuato a ripetere che era una follia ma guarda cosa hai creato. Hai messo su una squadra e hai reso questo posto magico. Nessuno avrebbe potuto farlo meglio di te, okay? Quindi adesso metti su quel sorriso che mi piace tanto e che ti fa illuminare gli occhi perché adesso saliremo sul quel palco e faremo nevicare”.

Il castano stava per controbattere ma Blaine non gliele diede il tempo, lo prese per mano e lo tiro oltre il sipario che si stava già alzando per la loro performance. Il palco era vuoto, solo loro due. Le prime note iniziarono a suonare, Blaine sorrise ancora una volta a Kurt e gli fece segno di fare la stessa cosa. Kurt scosse il capo sorridendo raggiante e iniziò a cantare, lasciando lentamente la mano di Blaine per farsi più avanti sul palco ma non smettendo mai di guardarlo.
I really can't stay
But, baby, it's cold outside
I've got to go away
But, baby, it's cold outside
This evening has been
Been hoping that you'd drop in
So very nice
I'll hold your hands, they're just like ice

Cantarono la prima strofa di Baby It’s cold outside, recitando le loro rispettive battute, il che era molto romantico, soprattutto se si considerava che non avevano provato quella canzone per dare il massimo in scena. Erano cosi nel pezzo che il palco era sparito, insieme al pubblico e alle luce e c’erano solo loro. Un palco vuoto e solo i loro occhi in cui perdersi, mentre continuavano a sorridersi. Kurt che camminava per il palco a ritmi diversi, asseconda della strofa, cercando di allontanarsi da Blaine che, invece, lo seguiva. Blaine che sfiorò persino la mano, in un gesto attento e nascosto, anche se sotto gli occhi di tutti i presenti in sala.
My mother will start to worry
Beautiful, what's your hurry?
My father will be pacing the floor
Listen to the fire place roar
So really I'd better scurry
Beautiful, please don't hurry
But maybe just half a drink more
Put some records on while I pour

Era una conversazione dei loro corpi, privata, intima. Si giravano intorno, si cercavano, si sfioravano con le parole, con i gesti, con gli sguardi. Non si lasciavano andare, si sorridevano in continuazione. Sul palco non c’era nessuno allestimento eppure non era difficile immaginare un camino sullo sfondo, dei divani di pelle marrone, comodi e accoglienti e lumi, che coloravano l’atmosfera e la stanza di un dorato caldo.
The neighbors might think
Baby, it's bad out there
Say what's in this drink?
No cabs to be had out there
I wish I knew how
Your eyes are like starlight now
To break the spell
I'll take your hat, your hair looks swell

L’aria era di divertimento, di gioco, di provocazione, man mano che la canzone andava avanti, con Blaine che calcava le parole e Kurt che faceva il disinvolto, sbattendo le palpebre. Era un botta e risposta, una conversazione cantata, un flirtare su note. Chi conosceva la canzone la canticchiava, li altri si limitavano a muovere la testa a ritmo di musica perché era impossibile restare impassibili di fronte quella performance.
I ought to say no no no, sir
Mind if I move in closer?
At least I'm gonna say that I tried
What's the sense in hurting my pride?
I really can't stay
Baby, don't hold out
Oh, but it's cold outside

All’inizio della quarta strofa, se cosi la si può chiamare, Blaine riuscì a raggiungere Kurt e fece scontrare la sua spalla contro quella del ragazzo, cercando di essergli più vicino possibile. Con i visi a un soffio di distanza, Blaine sorrise raggiante come a voler chiedere a Kurt di restare. Kurt spostò di qualche centimetro la sua spalla ma poi la fece scontrare di nuovo contro quella di Blaine. Come un'unica entità. In quel momento di unione, fece il suo ingresso sul palco un pianoforte e Blaine, sorridendo a Kurt, lo condusse al piano e suonò alcune note della melodia
I simply must go
But, baby, it's cold outside
The answer is "No"
But, baby, it's cold outside
This welcome has been
How lucky that you dropped in
So nice and warm
Look out the window at that storm

Kurt si accomodò al piano fissando Blaine suonare, con occhi attenti e incanti. Quando ripresero a cantare, tutto era diverso ai loro occhi. Tutto era cambiato e si era ricreato in quelle poche note, come se vi fossero persi all’interno. Continuando a cantare la magia creata non si spezzò, anzi. L’aria era più densa di emozioni e di loro.
My sister will be suspicious
Gosh your lips look delicious
My roche will be there at the door
Waves upon a tropical shore
My maiden aunt’s mind is vicious
Ooh your lips are delicious
But maybe just a cigarette more
Never such a blizzard before

Presto tornò ad avvolgerli quell’aria di provocazione e di gioco e Blaine ne approfittò calcando quel “delicious” come se avesse consistenza e sostanza e lui lo potesse toccare e sfiorare con le sue corde vocale e Kurt non sfuggi quel particolare, per questo ringrazio mentalmente se stesso per le luci cosi forti e già calde sul suo viso. Lui sarebbe stato l’unico a sentire il calore sulle sue guance che sembrano andare a fuoco ogni volta che Blaine pronunciava quella parola.
I’ve got to get home
But, baby, you’ll freeze out there
Say, lend me a coat?
It’s up to your knees out there
You’ve really been grand
I thrill when you touch my hand
But don’t you see
How can you do this thing to me?

In suo aiuto arrivò uno dei ragazzi che si erano offerti di aiutare dietro le quinte che fece entrare in scena un divano, lo stesso che tutti quanti avevano immaginato adatto alla scena. Era a due posti, di pelle marrone, accogliente. Kurt si posizionò alle spalle del divano avendo cosi da dare una distanza ma realmente minima, dato che Blaine gli fu subito vicino, troppo vicino. Cosi vicino che poteva sentire i suoi respiri.
There's bound to be talk tomorrow
Think of my life-long sorrow
At least there will be plenty implied
If you got pneumonia and died
I really can't stay
Get over that hold out

Si guardarono negli occhi, si scrutarono per una mancia di secondi, si parlarono in un lingua nuova, a loro ancora sconosciuta e quasi in sincrono, Blaine indicò a Kurt il divano, invitandolo a sedersi e Kurt sollevò le spalle assecondandolo, arrendendosi e restando. Sorridenti si lasciarono andare sul divano, uno accanto all’altro, spalla contro spalla. Tornarono a fissarsi e la canzone terminò.
 
Oh, (baby) but it's cold outside







 
_______________________________________

Ci ho messo un eternità ma ecco qui la quarta one shot di questa racconta. Come avrete notato stanno crescendo e ora mai sono degli ometti rispetto ai due bambini della prima one shot e continueranno a crescere fino a diventare due adulti (ç_ç). Quando ho iniziato a scrivere questa one shot avevo solo una parola chiave ed era CORO (per questo vorrei ringraziare mia nipote Gaia, la mia piccolina, per tutte le idee che mi ha dato e che ho usato nella storia). Non doveva essere cosi lunga ma sapete come funziona, si inizia a scrivere e non si sa cosa potrebbe succedere. Spero comunque che non risulti pesante o altro. Ovviamente, come loro primo duetto di Natale, non potevo non mettere Baby It’s cold outside che, non sono è il loro primo duetto di Natale ma anche il mio duetto preferito. Voi l’avevate capito? Diciamo che sembrava stessero per cantare Candles per la descrizione ma no. Non credo abbia nient’altro da dire quindi alla prossima.

Piccolo spoiler sulla prossima One Shot: PROM

- Sandfrost -

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Capitolo 5
*** Un piano per un invito ***


Ogni angolo della scuola era tappezzato di volantini e manifesti ma non erano volantini qualunque - per qualche club o iscrizioni sportive - no, erano volantini con il nuovo tema per il ballo dell’ultimo anno e tutti sembravano elettrizzati ed eccitati per la cosa, persino Kurt Hummel lo era. Aveva aspettato cinque anni della sua vita in quella scuola solo per quell’occasione e adesso si sentiva come su una nuvola fatta di zucchero filato che svolazzava dappertutto. Okay forse era un pensiero troppo gay anche per il gay più dichiarato.

“Non ti vedevo cosi felice da quando sei riuscito ad avere quella Marc Jacobs a prezzo scontato, ed è tutto dire ragazzo mio, considerato quando la volessi” disse una voce alle sue spalle, che riconobbe subito come quella della sua migliore amica, Mercedes Jones. Lui e Mercedes si conoscevano dall’asilo non che, anche vicini di casa. Ed era con lei che fantasticava sul ballo, l’invito e l’incoronazione. All’età di sei anni avevano messo su un finto ballo in casa, per essere pronti. Non stupisce che siano migliori amici da sempre.

“Aw, ‘Cedes, l’ho appena visto guardare la locandina del ballo con un sorriso radioso” esclamò, spostando lo sguardo dalla locandina di cui parlava alla ragazza che lo fissava scuotendo il capo ma alla fine sorridendo alla dolcezza del suo migliore amico “Ho già controllato e non ha invitato ancora nessuno quindi dobbiamo agire subito, a proposito, dove sono le altre? Dobbiamo discutere del piano ma ho bisogno che ci siano tutte prima di iniziare e..” non ebbe il tempo di finire la frase, che le vide entrare dalla porta d’ingresso.

“Rilassati pasticcino di crema, eccoci qui. Qual è il dramma questa mattina?” chiese sarcastica Santana Lopez più a Mercedes che a Kurt stesso. Anche perché era già a conoscenza della conversazione che avrebbero avuto, dato che Kurt l’aveva praticamente tartassa con messaggi e chiamate tutta la notte. Alle volte si chiedeva come avevano fatto a finire cosi amici ma era praticamente impossibile dimenticare il loro primo incontro.

Era il loro primo giorno di scuola media e Kurt era terrorizzato, anche perché Mercedes non avrebbe frequentato con lui quella scuola considerato che i suoi genitori avevano scelto una scuola più vicina e meno economica e quindi si sarebbe trovato da solo ad affrontare quel suo primo giorno di scuola. Aveva appena messo il primo piede nell’edificio, che qualcuno lo spintonò per passare. Kurt barcollò e finì contro la porta laterale, sbattendo il braccio e il fianco destro. Si stava massaggiando il braccio dolorante quando “Come osi lurido sacco di pulci che non sei altro. Chi ti credi di essere, eh? Oh, fammi indovinare, ti senti cool perché sei in una nuova scuola dove nessuno sa il tuo nome, ma lascia pure che ti spieghi un paio di cose, scoprirò chi sei, dove abiti e le tue peggiori paure e ti darò il tormento per tutto l’anno se non ti scusi subito con il piccolo elfo dei boschi qui”.

Il ragazzino spalancò gli occhi prima di iniziare a scusarsi a raffica e scappare via dalla paura. Kurt fissò la scena con occhi altrettanto sgranati e bocca spalancata, non potendo credere che qualcuno lo avesse appena difeso, il suo primo giorno di scuola tra l’altro, per una piccola spinta che poteva essere classificata come un incidente e non qualcosa di voluto, in fondo nessuno sapeva chi fosse ancora. “Stai bene? Giuro che se ti ha fatto male, gliela faccio pagare tse. Comunque io sono Santana Lopez also la persona più cool che incontrerai mai in questo posto, quindi farai meglio a starmi intorno, cosi nessuno ti darà il tormento, okay?”.

La loro amicizia era iniziata in quel modo ma Kurt non seppe mai perché Santana lo difese o perché divenne subito sua amica, anche quando si unì alle cheerleader o dopo che lui fece coming out. Fatto sta che erano amici da loro. Alla fine Santana divenne amica anche di Mercedes, considerato che lei e Kurt erano praticamente inseparabile. All’iniziò fu strano perché non capitava molto spesso di avere tre dive nella stessa stanza ma Mercedes adorava il fatto che Kurt fosse protetto e Santana adorava le storie che raccontava Mercedes - soprattutto se riguardavano i momenti imbarazzanti del ragazzo. Erano diventati un trio perfetto quasi subito, almeno fino all’arrivo di Rachel Berry e Quinn Fabray.

“Buongiorno zuccherini, avete già sentito la novità?” chiese Rachel quando anche Quinn li si avvicinò “Ne stavo appena parlando con Quinn ma sembra che ci abbiano candidate come Re e Reginetta o forse dovrei dire Regina e Reginetta, non sono sicura di come funzioni in questo caso ma so che il preside a dato di matto e che non può fare niente per cambiare le nomine. Vi immagine Quinn ed io sul palco con le nostre coroncine?” disse euforica la ragazza, prendendo a braccetto la sua ragazza. Già, due lesbiche innamorate era proprio quello che mancava alla loro amicizia ma le si voleva bene.

Rachel e Quinn erano una coppia praticamente da sempre, a sentire parlare loro. Si erano conosciute grazie al padre di Quinn che aveva venduto una casa ai papà di Rachel e avevano subito capito di voler stare insieme. Prima di Quinn, Rachel aveva avuto relazioni con ragazzi ma dopo Quinn, non aveva più notato nessuno perché era completamente persa per la sua ragazza. Alle volte passano ore a fissarsi senza dire niente ed era imbarazzante stare nei paraggi quando succedeva.

“Ew, piantatela o mi farete vomitare di primo mattina” intervene subito Santana, con i suoi toni poco gentili ma in realtà poteva dire tutto quello che voleva, loro sapevano che era felice di quella situazione, infondo lei sarebbe andata al ballo con Brittany S. Pierce e un’altra coppia gay era sempre meglio che trascorrere tutta la sera in una sala piena di coppie etero pronte a giudicare ogni cosa. Anche Brittany faceva parte delle cheerleader ed erano lì, se si erano conosciute. La loro popolarità non aveva aiutato a dare loro un basso profilo e nella scuola la loro storia era anche troppo conosciuta e anche molto chiacchierata ma allora non importava.

“Smettila di brontolare Santana, sei solo gelosa che non abbiamo eletto te e Brittany” disse Mercedes per calmare le acque, infondo quella giornata era appena iniziata e avrebbero dovuto trascorrere insieme troppe ore scolastiche. Tra le ragazze, Mercedes era l’unica ragazza etero ed era single, per poco si sperava “Siamo felici per voi ragazzi, lo meritate. Siete bellissime insieme e voteremmo per voi, vero Santana?” la ragazza sbuffò e non aggiunse altro e Mercedes sorrise trionfante. Non capitava tutti i giorni di mettere a tacere Santana Lopez, anzi, forse, Mercedes era l’unica che riusciva nell’impresa.

“Okay, tutto questo è realmente molto emozionate, siamo tutti felici per voi e le lesbiche spaccano ma possiamo tornare all’argomento del giorno, cioè il ballo e il mio piano geniale per riuscire ad avere un invitato al ballo dal quel bellissimo principe che sta attraversando il corridoio per andare alla sua prima lezione della giornata?” disse tutto sognante. Era un inguaribile romantico e non ci sarebbe stata mai una cura a quello. Il ballo e gli inviti lo facevano sognare a occhi aperti e lo sapevano tutti, anche suo padre.

“Certo principessina, tutto quello che vuoi ma prima asciugati la bava che ti sta colando lungo il viso, prima che allaghi l’intera scuola anche perché mi sta venendo il volta stomaco” disse Santana con i suoi modi burberi, aggiungendo un “Tra te e le Faberry avrò bisogno di una dosa di insulina per stare meglio”, Mercedes non ebbe il tempo di sgridarla che la campanella della prima ora suonò e loro si salutarono, dandosi appuntamento per il pranzo.

Le loro strade si separarono tranne quelle di Mercedes, Rachel e Kurt che avevano la lezione di storia in comune. Nessuno dei tre parlò, osservando il corridoio lentamente svuotarsi fino a quando voltarono verso destra ed entrarono in aula. Quando presero posto “Allora, mister il mondo è un posto migliore quando arriva il ballo, quali sono i tuoi piani per quel invito al ballo? Ci stai lavorando da mesi, sicuro le avrai pensate tutte” disse Mercedes ghignando, prima di fare silenzio all’arrivo del loro professore.




“È una follia, te ne rendi conto?” erano a pranzo da una ventina di minuti e aveva approfittato di quel tempo per informare le ragazze della sua idea. Santana, ovviamente, fu la prima a esprimere la sua opinione con il più marcato accento ispanico. “Già Kurt. Tu sai quanto mi costi e irriti farlo ma Santana non ha tutti i torti, hai pensato alle complicazioni? E se fraintendesse tutto?” aggiunse Quinn, spostando il suo piatto vuoto e fissando Santana che scuoteva la testa consapevole di avere ragione, ignorando il resto della frase della bionda.

“Sono un inguaribile romantica come te, tesoro ma devo ammetterlo, ha i suoi rischi. Potrebbe andare tutto storto ma anche nel verso migliore, questo non lo possiamo sapere per certo” disse allora Rachel, con la testa lasciata andare sulla spalla della sua ragazza mentre quest’ultima le accarezzava i capelli e le sorrideva. “Mercedes?” chiese infine Kurt perché aveva bisogno dell’opinione di tutte e, anche se non lo avrebbe ammesso mai davanti alle altre, aveva bisogno di conoscere quella di Mercedes. Forse era la più importante tra tutte.

“Ascoltami pasticcino, queste pazze qui hanno ragione, è una follia” iniziò e Kurt abbassò il capo scoraggiato. Aveva passato il suo tempo libero – che era tanto per la cronaca – a creare quel piano e adesso tutte si erano coalizzate, dicendo che era una follia e che non avrebbe avuto mai successo, si sentiva demoralizzato “Ma penso anche che dovremmo farlo. Voglio dire, Rachel ha ragione su una cosa, c’è un 50% che non funzioni ma c’è anche il 50% che funzioni e questo è l’ultimo anno, l’unita occasione prima degli esami, quindi credo che dovremmo farlo, senza pensarci troppo sopra. E dico dovremmo perché lo saremmo tutti insieme”.

Le tre ragazze fissarono Mercedes come a chiederle cosa stesse facendo ma quando Kurt saltò dalla sedia per correre dalla ragazza per stringerla, si resero conto che quel piano non era cosi folle come sembrava. Certo, aveva bisogno di molte modifiche e più pianificazione ma Mercedes aveva ragione, loro erano le uniche e anche le migliori per organizzare un piano di quella portata e lo avrebbero fatto non solo per rendere felice Kurt ma anche per essere un team vincente ancora una volta.




“Ti dico che funzionerà ma non mettermi ansia, altrimenti poi non ci riesco” esclamò Kurt, più a se stesso che alla ragazza che gli stava accanto. Il loro piano si era messo in moto il giorno dopo averne discusso in mensa. Quando l’ultima campanella era suona, si erano incontrati a casa di Mercedes per creare un piano perfetto e si erano fermati tutti per la notte. Adesso non restare che far cadere la loro vittima nella loro trappola e, mh, forse non era il massimo vederla cosi ma il piano era semplice: riuscire a ricevere un invito facendo credere al ragazzo fosse una sua idea fin dall’inizio.

“Okay, ma vai prima che suoni la campanella per la pausa pranzo” disse nervosa Mercedes. Kurt roteò gli occhi e, iniziando a camminare nel corridoio, si chiese perché Mercedes fosse cosi tanto nervosa, infondo le idee migliori per quel piano le aveva avuto lei, ed era anche molto semplice. Dovevano infilare due biglietti per il ballo nell’armadietto del ragazzo con su scritto: “Gli inviti ci sono, devi solo chiedermelo”, era vago certo, ma quella era solo la prima fase di molte.

Si fermò di fronte l’armadietto in questione, diede un’occhiata in giro, fece l’occhiolino a Mercedes e lasciò scivolare i biglietti all’interno delle fessure dell’armadietto. Quando il biglietto arrivò al terminò, gli diede un ultimo colpo e tornò verso Mercedes saltellando, fingendo di non aver fatto niente di niente. Quando arrivò di fronte la ragazza, la campanella suonò e i due ragazzi si fissarono con occhi spalancati e iniziarono a correre verso la mensa ridendo come quando erano piccoli, dopo aver rubato i biscotti appena sfornati.

 

Qualche minuto prima..

Il suo sbuffò riecheggiò nel corridoio vuoto quando mise piedi fuori dalla palestra dopo essersi allenato. Camminò a passo svelto verso il suo armadietto, non fermandosi o aspettando che li altri finissero il loro allenamento. Non aveva molta voglia di parlare e voleva solo andare a pranzo, o almeno quello che era il suo intento fino a quando non sentì delle voci troppo alte riecheggiare in quei corridoi vuoti. Rallentò il passo quando notò che le voci arrivavano dal corridoio est, dove era situato il suo armadietto

“Continuo a pensare che sia stupido e che un approcciò più diretto sia il migliore, ma chi ascolta la vecchia Tana? Nessuno, ecco chi”. Era tutto il giorno che Santana si lamentava della loro idea e Kurt iniziava a chiedersi se fosse stata una buona idea fidarsi di Rachel ma ora mai era lì e non si poteva tornare indietro. “Voglio dire, e se non capisse? Di certo non è un asso quel ragazzo e con molte probabilità non capirà neanche sia rivolto a lui. Già me lo immagino con i suoi capelli perfetti e gli occhioni dolci a chiedere in giro se appartengono a qualcuno”.

“Santana, smettila di lamentarti sempre” la bloccò Quinn “Forse non è l’idea migliore” aggiunse venendo fulminata dalla sua ragazza “ma credo sia un inizio, un modo per fargli capire e comunque a ognuno di noi è stato assegnato una fase di questo piano quindi non lamentarti perché quando arriverà la tua parte nessuno di noi lo farà” disse ancora la ragazza bionda, sorridendo alla sua ragazza che cercava di tenerle il muso ma che si arreso dopo cinque secondi baciandola.

“Nessuno lo farà perché il mio piano è perfetto ma comunque io non dovrei essere neanche qui e neanche voi Faberry” disse Santana, arrendendosi a quella follia “Abbiamo gli allenamenti e sarà meglio andare. Non ho nessuna voglia di fermarmi dopo scuola per degli allenamenti extra, ho un appuntamento con Britt, anzi forse si sarà chiedendo dove sia finita. Devo andare” disse iniziando a correre nel corridoio, si voltò durante la corsa come ricordandosi una cosa e “Vi voglio bene, a dopo” dire, prima di sparire.

“Già sarà meglio che andiamo anche noi” disse Rachel con un broncio sulle labbra “Vorrei tanto restare con voi ma credo che dovrai farlo da solo Kurt” continuò prendendo la sua ragazza sotto braccio e seguirono Santana verso la palestra. Nel corridoio deserto, erano rimasti solo Kurt e Mercedes. Quest’ultima continuava a fissare qualche fila di armadietti poco distanti da loro. Kurt sorrise perché era raro vedere Mercedes cosi nervosa ma doveva ammettere che sentiva la stessa sensazione nello stomaco.

“Quanto che vuoi che sia difficile, ‘Cedes? Mettiamo il biglietto del ballo nell’armadietto e scappiamo via prima che suoni la campanella o che qualcuno ci becchi e scopra che abbiamo usato la scusa del bagno per questo” fece un respiro profondo e seguì lo sguardo della ragazza “Anche se mi perderò la sua reazione” sospirò tristemente “Chissà se i suoi occhi si spalancheranno o se avrà ragione Santana e non capirà niente come suo solito e inizierà a chiedere chi li abbia persi”.

“Suppongo ci sia un solo modo per scoprirlo, non trovi?” disse la ragazza e annuirono all’unisono “Spero che funzioni però, altrimenti la fase due non avrebbe alcun senso, no? Oddio perché sono cosi in ansia all’improvviso? Okay, basta, Kurt devi farlo o morirò in questo corridoio e non mi pare il caso. Oggi in mensa ci sono le crocchette e sai quanto ne vado ghiotta, non ho nessuna intenzione di perderle” parlò a ruota libera la ragazza senza ascoltarsi realmente. Si scambiarono altre battute prima che Kurt iniziasse a camminare verso l’armadietto in questione.

Il ragazzo dai capelli ricciolini, guardò l’intera scena con sguardo curioso e con la bocca semi aperta. Se ne stava lì, nascosto dietro l’angolo a guardare, consapevole di quanto tutto quello fosse sbagliato ma quando “Blaine” qualcuno gridò alle sue spalle, saltò sul posto e quasi temete di essere stato scoperto. “Hey amico, eccoti finalmente. Ti ho visto uscire dallo spogliatoio come un razzo prima, che quasi non riuscivo a starti dietro ma, aspetta, che cosa ci fai nascosto qui’?”.

Fece un sospiro di sollievo quando vide arrivare il suo migliore amico ma alla domanda, il moro quasi si strozzò “Cosa? Nascondendo? Ma no che non mi sto nascondendo, stavo solo andando al mio armadietto oh, senti? La campanella è appena suonata, se non ci sbrighiamo faremmo tardi a pranzo. Dai andiamo a lasciare i libri su” farfugliò, guardando nel corridoio e trovandolo di nuovo vuoto, almeno fino a quando le porte delle aule non iniziarono ad aprirsi facendo uscire tutti nel corridoio. Sorridendo, ignorò ogni studente che camminava verso la sala mensa e si fermò di fronte al suo armadietto, con un sorriso che sembra non voler sparire dal suo viso.

“Sicuro di stare bene amico? Oggi mi sembri troppo strano” chiese Sam Evans, non che migliore amico di Blaine Anderson da quando ne aveva memoria. Il biondo scosse il capo e aprì l’armadietto per lasciare i suoi libri più in fretta possibile. A mensa davano le crocchette e lui non voleva arrivare per ultimo. Nell’azione qualcosa cadde al suolo e finì con il posarsi sulle sue scarpe “E questo?” chiese il ragazzo abbassandosi e prendendo il biglietto tra le mani, rivelandosi essere due biglietti per un ballo con un post-it sopra.

Subito mostrò quello che aveva trovato a Blaine che lo guardava con un sguardo confuso in voltò “Forse si sono sbagliati” disse istintivamente “Forse hanno sbagliato armadietto ed è finito nel tuo” disse ancora ma il suo migliore amico non lo ascoltava più, con lo sguardo tra le nuvole e con i biglietti vicino al viso, forse cercando di capire chi potesse essere e cosa avrebbe dovuto fare adesso. Di certo non avrebbe potuto girare mezza scuola per controllare la scrittura o invitando chiunque gli venisse in mente. Accennò una risata a quel pensiero.




Era Martedì mattina e mancano ancora pochi giorni all’arrivo del ballo. Santana aveva invitato Brittany portandole delle rose durante l’ora di chimica e cantandole la loro canzone, Rachel si era fatta invitare da Quinn tre volte perché adorava l’idea di essere invitata e accettava tutte le volte. Mercedes attendeva ancora il proprio invito e Kurt si guardava intorno sognate, immaginando di essere invitato e di come si sarebbe vestito.

“Hey, bel addormentato è ora che tu ti sveglia dal tuo mondo fatto di zucchero filato e di far scattare le fasi finali del nostro piano”. Kurt era appoggiato al suo armadietto con i libri stretti al petto e sbuffò quando Quinn accompagnata da Santana lo affiancarono. “Oh Fabray, vedo che stai imparando qualcosa dalla migliore, forse me ne pentirò ma sento che devo offrirti il pranzo” e cosi dicendo si allontanarono con la stessa facilità con cui gli si erano avvicinate.

“Okay Kurt tocca a te” disse una voce nella sua testa, strinse i libri al suo petto e camminò nel corridoio. Il ragazzo che cercava era in compagnia del suo migliore amico, come sempre d’altronde e stavano discutendo dei biglietti del ballo, gli stessi che aveva messo lui nel suo armadietto. “Hey Sam come va?” disse raggiante quando arrivò davanti al ragazzo “E ciao anche a te Blaine” salutò gentilmente prima di tornare al biondo “Allora, il nostro incontro di ieri ti ha chiarito un po’ le idee?” chiese allegramente, mentre Sam lo prendeva sotto braccio e lo trascinò con sé, facendoli altre domande e parlandoli del outfit che aveva scelto per il ballo.


 
Il giorno prima..

“Quindi sono rimasto tutta la sera con i biglietti tra le mani e forse ho capito di chi si tratta e..” si fermò nel mezzo della frase quando vide qualcuno di famigliare tra gli studenti che affollavano il corridoio. Blaine fece per voltarsi ma “Scusami amico ma mi sono appena ricordato di dover fare una cosa, ci vediamo dopo okay?” disse in fretta il biondo, senza guardarlo in volto e correndo dopo aver formulato quella specie di domanda. Blaine si passò una mano sul sopracciglio e fissò il suo migliore correre verso.. “Kurt Hummel?”.

Di tutto quello che si dissero riuscivi a captare solo un “Perfetto, ci vediamo in palestra durante la pausa pranzo allora” che lo fece insospettire. Cosa voleva Sam da Kurt e perché dovevano incontrarsi durante la pausa pranzo in palestra? Di cosa dovevano discutere di cosi importante da non poterlo farlo lì in corridoio? Vide i due ragazzi sorridersi e dopo separarsi. Blaine decise di presentarsi anche lui in palestra, all’ora di pranzo, solo per accertarsi che non ci fosse niente sotto, naturalmente.

Quando la pausa pranzo arrivò, lui era in ritardo. Il professore di storia lo aveva fermato in aula per parlargli di un progetto e tutto quello che aveva ascoltato, erano le lancette del suo orologio che gli ricordavano che era in ritardo e che doveva scappare di lì, il prima possibile. Per questo adesso correva nei corridoio diretto in palestra. Quando finalmente riuscì ad arrivare, erano già passati venti minuti e la conversazione era già iniziata da un pezzo. Si nascose dietro dei materassini, e con il cuore in gola per via della corsa, ascoltò in silenzio.

“Ti dico che saresti benissimo con un azzurro ma sì, anche una classica camicia bianca ti starà bene” stava dicendo Kurt, toccando la giacca di Sam. Blaine non lo aveva notato subito ma Sam stava indossando una giacca da cerimonia e intorno a loro c’erano giacche e camice, di ogni colore e modello. Blaine spalancò gli occhi quando Kurt recuperò una camicia bianca e l’avvicinò al viso di Sam “Sì, direi che questa è perfetta per la tua carnagione invernale”. Sam arrossi e ringraziò Kurt per il complimento. Blaine si coprì la bocca con le mani perché forse stava capendo.

E se Kurt non si fosse sbagliato e quell’invito fosse proprio diretto a Sam? E se il ragazzo di cui parlava sempre con le sue amiche era proprio Sam? No, non poteva essere. Eppure l’evidenza era di fronte ai suoi occhi, stavano sorridendo e ridendo insieme. Il colpo di grazia arrivò quando: “Sarai splendido al ballo, come lo sarò io del resto. A proposito, ho già noleggiato la limousine, tu ti ricordi dove abito vero? E cerca di non fare tardi come tuo solito, okay?” di Kurt che non poteva essere equivocato. Kurt e Sam sarebbero andati al ballo insieme. Non vide altro e corse verso l’esterno della scuola.



 
Il giorno del ballo

Ed eccoli lì, il giorno tanto atteso, il giorno che ha fatto impazzire tutti ma per motivazioni diverse. Kurt aveva passato quei giorni pre-ballo con le sue migliori amiche, tra negozi e le loro camere, per consigliare abito e gli accessori migliori, ed erano bellissime nei loro abiti scintillanti. Mercedes indossava un vestito viola con dei capeggi sulla gonna lunga, Rachel ne indossa una rosa come una dea. Quello di Quinn era sul celeste e brillava sul decolté. Santana, invece, indossava un abito rosso fuoco che la rispecchiava molto.

Avevano messo piede nella palestra sistemata per l’occasione e già aveva perso di vista le sue migliore amiche. Aveva sentito le Faberry – come usava chiamarle Santana – dire di dover fare un giro della sala per assicurarsi che tutti votino per loro e aveva visto Santana correre con Brittany verso la pista da ballo per iniziare le danze. Di Mercedes o Sam nessuna traccia. Decise di non pensarci e girovagò per la palestra, stando bene lontano dalla lista da ballo. Alla fine si sedette e restò a fissare la gente ballare fino al momento dell’incoronazione.

“Un secondo di attenzione per favore. I candidati a re e reginetta salgano sul palco, abbiamo i risultati” annunciò il loro preside, posizionandosi al centro del palco, prendendo la parole e annunciando i candidati, dopo averli invitati a salire tutti sul palco. Rachel sembrava nervosa ma Quinn le stava al fianco e le stringeva la mano. “La reginetta di quest’anno è…rullo di tamburi prego” un leggero rullo di tamburi riempi la stanza prima di “Scusate, le reginette di quest’anno sono Rachel Berry e Quinn Fabray”.

La palestra esplose in gridolini di incoraggiamento e applausi, Rachel naturalmente era in lacrime. Quinn baciò la sua reginetta e raggiunsero insieme la pista da ballo. Lentamente anche tutte le altre coppie si unirono loro e Kurt urlò un “Siete bellissimi” quando al resto delle coppie, si unirono anche Mercedes e il suo accompagnatore Sam Evans. Batte le mani entusiasta, fiero del loro lavoro svolto.

“Non capisco” disse una voce affannata alle sue spalle “Credevo ti avesse respinto per Mercedes Jones ed ero già pronto a fargli una strigliata. Credevo saresti stato triste o, non lo so ma tu, tu sei felice?” Kurt si girò e sorrise quando il volto arrossato di Blaine entrò nella sua visuale “Sono confuso adesso” concluse il ragazzo passandosi una mano tra i capelli in gelati, con un aria realmente confusa sul voltò. Kurt ebbe l’istinto di ridere ma con un colpo di tosse chiese “Cosa ti rende cosi confuso Blaine Anderson?”.

“Io. Io credevo avessi invitato Sam al ballo” a quel punto Kurt non resistette e scoppiò in una vera risata, fino a piegarsi in due tanto gli doleva lo stomaco. Cercava di parlare ma non ci riusciva, quando Blaine sbuffò, Kurt si asciugò una lacrime e chiese spiegazione “Bhe, ti ho sentito parlare di mettere un piano in atto con le tue amiche e ti ho visto mettere i biglietti nell’armadietto, per non parlare dei tuoi consigli su cosa indossare e gli hai anche chiesto se si ricordasse il tuo indirizzo”.

“Ma queste sono tutte conversazioni private, no?” disse tornando immediatamente serio. Il moro balbettò qualche scusa assurda e Kurt ridacchiò, si guardò intorno e “Posso avere l’onore di questo ballo?” chiedere. Blaine restò con gli occhi aperti per alcuni secondi ma dopo accettò la mano di Kurt con un sorriso raggiante sul viso “Credevo non me lo avresti mai chiesto” disse, portando Kurt al centro della pista e ballando poco lontani dalle due reginette appena incoronate.

“Sai, il piano di cui mi hai sentito parlare era per fare invitare Mercedes da Sam, ecco perché mi hai visto infilare i due biglietti nel suo armadio. E quando Sam ha capito si trattava di Mercedes, mi ha chiesto consiglio su cosa indossare e gli ho ricordato il mio indirizzò perché Mercedes avrebbe dormito da me anche se, comunque, noi siamo vicini di casa” chiarificò Kurt con un risolino sul viso che fece sentire stupido Blaine per aver frainteso tutto “Perché comunque ti interessava tanto?”.

“Io, bhe, sai” provò a dire Blaine ancora imbarazzato. Il castano gli sorrise incoraggiante e Blaine ci riprovò “Tu mi piaci Kurt Hummel e speravo stessi parlando di me con le tue amiche e ti fossi sbagliato e che quei due biglietti fossero per me. Quando vi ho visti in palestra cosi vicini a ridere, ho perso ogni mia speranza ma quando ho visto Sam ballare con Mercedes, ho iniziato a cercarti credendo il peggio ma tu stai bene. Onestamente mi sento un po’ stupido ora, scusami” disse alla fine il moro, tutto d’un fiato.

“Voglio rivelarti un piccolo segreto, Blaine” si avvicinò all’orecchio del ragazzo per sussurrarlo, stringendosi di più al suo corpo “Non hai del tutto frainteso, perché anche se quello era il piano per far mettere insieme i Samcedes, il mio scopo era quello di farti ingelosire e sono felice di esserci riuscito” concluse, ridendo nell’orecchio del ragazzo e lasciandoli un bacio sulla guancia. Quando Blaine chiese, un po’ per spezzare l’imbarazzo, quale fosse l’ultima fase, Kurt sorrise e “O quella era la fase di Santana che ha suggerito un approccio diretto, infondo credo abbia avuto ragione lei, non trovi?”. Restarono a ballare e parlare per tutta la sera, ridendo e sorridendosi come parte di qualcosa di speciale e solo loro.












 
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Salve bella gente, ecco qui una nuova one shot/capitoli su queste due meraviglie. Ho un paio di cose da dire e poi mi dileguo. Innanzitutto vorrei ringraziare la mia cucciola di Fra aka Blaine del mio Kurt per avermi dato una mano con questa storia. Avevo in testa solo un idea vaga e lei mi ha dato ottimi consigli, quindi te la dedico e spero di non aver deluso le tue aspettative. Tra l'altro ho messo Faberry e Samcedes solo perchè li shippa lei lol questo mi rende una brava amica? Chi lo sa. Altra cosa che voglio dire è che come noterete, più crescono e più faccio fatica a farli restare solo amici. L’idea di questa raccolta era di accompagnare un Kurt e Blaine nella loro crescita e farli incontrare a varie età e in varie occasioni ma non sono più due bambini e tutto quello che vorrei e che si incontrassero e si amassero, mi capite vero? A ogni modo sono riuscita a trattenermi ma non prometto niente per le altre one shot (soprattutto quelle finali). Ultima cosa da dire e che siamo a metà dalla fine perché questa raccolta avrà 10 OS/capitolo quindi ne mancano solo cinque alla conclusione ç_ç me triste per questo. Credo di aver detto tutto quindi ci vediamo alla prossima

Love u all

- Sandfrost -

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Capitolo 6
*** La Lista ***


Mancava quasi meno di un mese agli ultimi esami di fine anno e la biblioteca sembrava il posto più interesante di tutta la scuola in cui trascorrere il proprio tempo, come mai prima di quel momento. Era cosi tanto affollata che per trovare posto, dovevi inserire il tuo nome in lista d’attesa e aspettare di essere chiamato, e nel mentre, studiare nella biblioteca pubblica che sembrava essere più un rifugio per barboni e cani randagi che un luogo dove poter studiare tranquillamente e senza problemi. Per questo, Kurt Hummel, quasi entrò saltellando e canticchiando nella biblioteca della scuola quel pomeriggio, con un sorriso che sembrava dolorante per quanto era enorme.

Una volta dato il proprio nome alla donna che gestiva la lista, entrò e iniziò a cercare un posto, dove potersi sedere. Notò che era disponibile solo un unico posto accanto a un ragazzo, cosi si apprestò verso il tavolo prima che qualcuno glielo soffiate. Il tavolo era occupato da altre due persone ma erano più addormentate che attente e Kurt scosse il capo pensando che per colpa di quei tipi, lui rischiava di non essere mai chiamato. Per eduzione chiese “Posso?” e il ragazzo chino sui libri di storia sollevò il capo mezzo stordito e lo guardò curioso chiedendo a sua volta “Come?”.

“Ti ho chiesto se posso sedermi al tuo fianco poiché non ci sono molti posti e sembra anche molto tranquillo da questa parte, sai, tra i romanzi rosa” sorrise al ragazzo dai capelli spettinati e ricci che si guardò alle proprie spalle per leggere la targhetta che informava che lì si trovavano i romanzi rosa e mosse il capo lentamente come a ricordarsi dove si trovasse. “Sì, certo, accomodati pure” disse con voce rauca e stanca, come se non dormisse da settimane e, dal mondo in cui stritolava la mattina tra le sue mani, Kurt non se la sentì di scartare quella possibilità.

Senza esitare ancora decise di sedersi anche perché era sicuro, non avrebbe avuto una conversazione più longeva di quella con il ragazzo e comunque, lui era lì per studiare letteratura inglese e non per perdere tempo in chiacchiere inutili o nuove conoscenze, anche se un po’ si sentiva preoccupato per quel ragazzo. Lasciò stare ed estrasse dal suo zaino libri, quaderni e appunti e li appoggiò sul tavolo, lasciando poi andare la borsa accanto alla sua sedia. Aprì il libro alla pagina interessata ma lesse ben poco perché - con la scusa di guardare i suoi appunti scritti a matita sui margini delle pagine - fissò con la coda dell’occhio il ragazzo che gli era seduto accanto.

Voltò di poco il capo e capì perché aveva i capelli cosi spettinati quando lo vide passare le mani tra i capelli ripetutamente, tirandoli anche leggermente alla radice. Stava fissando una pagina bianca e continua a far tamburellare la punta di una matita contro la pagina, sporcandola con la mina nera. Oltre quei piccoli movimenti ripetuti come una routine o una melodia, il ragazzo era completamente immobile, come se fosse in uno stato di tranche o si fosse addormentato a occhi aperti. Era ovvio perché non lo aveva sentito parlare all’inizio. Fece un respiro profondo e tornò al suo lavoro.

Passarono una ventina di muniti, in cui aveva letto e ripassato la vita, morte e miracoli di un poeta morto secoli e secoli prima quando “Basta, mi arrendo, non ci riuscirò mai” sentì qualcuno esclamare al suo fianco e quel qualcuno era il ragazzo che sembrava sul punto di avere una crisi isterica per come stava scaraventando ogni cosa nel suo zaino, senza un ordine preciso e rischiando di non farci finire tutto. Digrignò i denti, gettò lo zaino stracolmo sul tavolo - ancora pieno di fogli e libri - e lasciò cadere la testa, rumorosamente, sul legno del tavolo.

Kurt si fissò intorno ma nessuno sembrava prestare molta attenzione loro cosi appoggiò con delicatezza la matita tra le pagine del libro che stava studiando, quasi avesse paura di fare troppo rumore o di essere troppo avventato, e si girò completamente verso il ragazzo che poteva benissimo essersi addormentato per quanto ne poteva saperne – cosa sensata, considerato la sua ovvia stanchezza nel viso. Tossì e dopo parlò con voce tremate “Va tutto bene?”, per risposta ricevete un mugugno e Kurt ci riprovò “Hai problemi in qualche materia?” il ragazzo a quel punto sollevò il capo.

“Qualche? Diciamo pure che il mio problema è l’intero programma dell’intera scuola ma del resto è colpa mia che ho dedicato più tempo del previsto alla preparazione del mio esame di composizione. Ero cosi preso nelle note di quella melodia che ho completamente dimenticato che ci sono altre materie o altri esami da dare e non mi consola sapere che la mia melodia è stata premiata e che mi hanno chiesto di scriverci su una canzone con un vero testo, capisci? Sono un disastro quindi sì, ho molti problemi con quasi tutte le materie e no, niente va bene” disse tornando ad appoggiare la testa contro la scrivania, sconsolato.

“Potrei darti una mano” provò Kurt “Voglio dire, ho in pratica dato una mano a ripassare a quasi tutti i ragazzi del Glee e credimi, dopo avere passato quasi due settimane in compagnia di Finn e con i suoi problemi con il francese, niente può essere complicato. L’unica cosa positiva e che adesso so il programma alla perfezione e non sarebbe un problema aiutare ancora un’altra persona, voglio dire, sempre che tu desideri accettare il mio aiuto s’intende” precisò, giocando con l’angolo del suo quaderno.

Ci fu un secondo di esitazione, prima che il ragazzo fece scattare di nuovo la sua testa dal banco per fissare Kurt come se fosse una divinità scesa in terra a dirgli che era prefetto e che grandi cose lo attendavano. Kurt sgranò i suoi occhi sorpresi quando il ragazzo gli afferrò entrambe le mani tra le proprie e, con occhi sognati e adulatori, chiese “Sul serio? Sul serio faresti questo, aiutare un povero ragazzo che è a un passo della pazzia più assoluta, sprecando il tuo tempo con il ripasso solo per aiutarmi a non cadere in un baratro di schifezze e altre notti insonni?” Kurt quasi rise ma si trattene per la serietà del ragazzo e annuì.

“Certo e non sprecherò il mio tempo perché studieremo insieme, cosi avremmo entrambi la possibilità di prepararci al massimo per questi esami e potremmo dire addio a questa scuola, insieme” e dopo precisò “Voglio dire, ci sarà una festa no e festeggeremo tutta la notte. Cioè non è quello che volevo dire ma sì, voglio seriamente aiutarti a ripassare” terminò ma non sicuro di essere stato ascoltato, giacché il ragazzo cui si era offerto di dare una mano, fissava la confusione del suo zaino come se gli stesse dicendo addio per sempre e poi tornava a guardare Kurt con ancora quello sguardo di adorazione negli occhi, come se fosse appena diventato la sua persona preferita.

Il mio nome è Blaine. Blaine Anderson” si presentò, ricordandosi di non averlo ancora fatto e di aver accettato l’aiuto di Kurt dimenticandosi delle buone maniere. Kurt sorrise al ragazzo – Blaine – e allungò una mano verso di lui presentandosi a sua volta e “Kurt. Io sono Kurt Hummel”, e le loro mani si strinsero in una stretta solenne, come sigillo di qualcosa che non era stato detto a voce. “Allora, quando vogliamo incominciare?”.




“Quello non è il nome di un triangolo Blaine, anzi niente in questo mondo ha quel nome quindi smettila di usarlo in ogni singola frase. Poi mi dici, dove l’hai sentito? Sai che ti dico? Non lo voglio sapere, torna a studiare cosi magari sapresti i veri nomi delle cose” sbuffò Kurt all’ennesimo tentativo di Blaine di pronunciare, o forse meglio dire creare, parole senza senso cercando di convincerlo che erano parole reali, che aveva sentito in qualche trasmissione o documentario in TV.

Era passata un'intera settimana e loro si erano visti tutti i giorni, per tutto il pomeriggio. Ora mai non avevano neanche più bisogno della lista poiché la signora Jones – la bibliotecaria – li aveva presi in simpatia e lasciava sempre due posti per loro, nella stessa sezione in modo da essere lasciati stare in pace da persone che non erano lì per studiare ma per saltare qualche ora scolastica.

Avevano imparato a conoscersi e Kurt aveva scoperto che Blaine non era un disastro come lui credeva e sapeva più cose di quante immaginasse e che adorava usare il gel, tanto gel. Quel dettaglio lo aveva scoperto il secondo giorno dopo il loro primo incontro, per la loro prima seduta di studio. Aveva raccomandato a Blaine di dormire almeno dieci ore e di essere presentabile il giorno dopo e cosi era stato. Blaine si era presentato vestito con i colori più accessi e stravaganti – come la sua personalità – e con i capelli pieni di gel. Cosi tanto che Kurt si chiese se ancora si potevano definire capelli.

“Ti dico che è reale e poi smettila di bocciare tutte le mie idee. Sono sicuro che qualcuno nel mondo le usa, magari in un'altra lingua, ma è cosi” esclamò Blaine, in una delle sue tipiche risposte. Avevano passato le due ore precedenti a studiare inglese avanzato e adesso si stanno prendendo una pausa prima della prossima materia. Anche se in cosi poco tempo, erano a buon punto e avevano ripassato molte delle materie presenti all’esame, che si sarebbe tenuto da lì a tre settimane.

“Certo Blaine ma adesso basta perdere tempo e torniamo a lavoro, prima che mi metta a urlare nell’unica aula di tutta la scuola in cui non si può farlo, magari finendo bandito o che so io. Chissà cosa succede se si urla in biblioteca, anche se tutti sanno che devono fare silenzio” pensò ad alta voce Kurt, con il capo inclinato verso sinistra, lo sguardo perso nel vuoto, soffermandosi su niente di particolare, facendo tamburellare una penna sul proprio mento, meditando sulle sue stesse parole.

“Dovresti farlo” disse allora Blaine e bastò quello a riportarlo alla realtà. Aveva fatto l’errore di riflettere su qualcosa di folle alla presenza di Blaine facciamo qualcosa di wow prima che la scuola finisca Anderson e ora doveva subirne le conseguenze “Se vuoi provare l’emozione di urlare in un luogo dove è vietato farlo, dovresti farlo, anzi, dovremmo lasciare questo posto senza rimpianti e toglierci qualche sassolino nelle scarpe” continuò, sempre più convinto del suo discorso.

“Dovremmo scrivere una lista, certo, dovremmo compilare una lista di cose da fare prima di lasciare questa scuola, cose come fare una gara con carrello dell’inserviente o scoprire dove la signora della mensa nasconde il vero cibo e farlo” disse ancora e Kurt sapeva che non gli avrebbe fatto cambiare idea, non questa volta. Era cosi convito della riuscita del proprio piano che neanche se la sentiva di fermarlo, infondo non era una pessima idea, bhe tranne la corse nei corridoi, ovvio. “Urlare nella biblioteca, mh?” pensò, appoggiando cosi quella idea che li avrebbe fatti finire nell’ufficio del preside.

Fra poche settimane avrebbe lasciato quel posto alle spalle per sempre e sarebbe partito per inseguire i suoi sogni e quella era la sua unica opportunità per fare pazzie o assecondare strane idee. Infondo conoscere Blaine non era stato un male. Blaine sorrise raggiante e quasi urlò dalla felicità ma la signora Jones lo fulminò con lo sguardo. “Però alcune cose forse è meglio farle quando nessuno può vederci, tipo dopo la fine dei corsi pomeridiani, quando tutti staranno tornando a casa e nessuno noterà due folli che..”.

“Corrono nei corridoi intonando canzoni di battaglia indossando qualcosa di strano” proseguì Blaine, anche se Kurt non avrebbe di certo finito quella frase dicendo una cosa cosi assurda ma infondo tutta quell’idea era assurda quindi qualsiasi cosa, sarebbe andata bene a quel punto. Sospirò rassegnato quando Blaine prese un foglio bianco e ci scrisse al centro “Lista di cose da fare prima di lasciare questo posto per sempre. Di Kurt e Blaine” iniziando ad appuntare alcune idee. Sorrise quando leggendo, notò la prima voce della lista “Bhe, la tua idea è stata la prima quindi meritava di essere fatta per prima” fu la giustificazione di Blaine, che tornò a occuparsi della sua lista.




“È qualcosa di assolutamente idiota e senza senso e non ci credo che sto per farlo”. Si sentiva nervoso e la voce gli tremava un po’, oltre a essere un leggero sussurro. Si guardò ancora una volta intorno e sospirò “Perché lo sto per fare? Non lo ricordo più” chiese e cercò con gli occhi Blaine che si era seduto con le braccia strette al petto, sul loro solito tavolo con un sorriso sulle labbra pronto a godersi la scena, mentre Kurt si sentiva un completo idiota, fuori di testa, che stava ritrovando la ragione dopo una sbronza. Solo che lui era sempre stato sobrio.

“Andiamo Hummel, non avere paura” sentì dire della persona che lo aveva convinto a restare a scuola, nascosto nell’aula di spagnolo ad aspettare che la biblioteca si svuotasse e che la signora Jones uscisse dalla scuola per raggiungere la sua auto. Era stato già strano starsene appostati alla finestra a seguire i suoi movimenti, perché non gli era parso assurdo subito? “Non c’è nessuno che possa sentirti o giudicarti qui e se veniamo scoperti, mi prenderò tutta la colpa quindi lasciati andare Kurt, ti prometto che sarà liberatorio”.

Fece un lungo respiro profondo a quelle parole perché avevano passato venti minuti a girovagare per la scuola per assicurarsi di essere soli prima di raggiungere la biblioteca ma questo non lo faceva sentire meno folle. Se ne stava al centro della stanza, con la mano stretta a pugno per la tensione, mentre si sentiva osservato anche dai libri. Guardò le varie sezioni prima di lasciarsi andare a un piccolo gridolino. La sua voce era stridula e secca e quando la aprì di nuovo le labbra, non ne uscì alcun suono.

“Tutto qui? Siamo rimasti a scuola oltre l’orario, abbiamo aspettato quasi un’ora acquattati dentro un’aula ad aspettare ed è tutto qui quello che sai fare?” Blaine spalancò le braccia e scese dal tavolo, raggiungendo Kurt che si sentiva sempre più nervoso e schiocco. Che cosa pretendeva da lui, che si mettesse a urlare come se fosse a un concerto del suo cantate preferito? Non c’era niente per cui urlare lì e non si sentiva neanche frustrato per usare quell’energia nel suo urlo.

“Non è cosi difficile ma posso capire che può sembrare complicato” disse il moro, stringendo le braccia di Kurt con le sue mani come incoraggiamento “Lo possiamo fare insieme cosi non ti sembrerà una sciocchezza, okay? Ma prima voglio che tu ripensa ai cinque anni in questa scuola e a come ti ha fatto sentire. Voglio che tu ripensi a tutte le persone che ti hanno tormentato e ti hanno infastidito e quanto odio hai provato per questa struttura che non riusciva a darti quello che ti serviva” Kurt iniziava a sentirsi più sicuro e forse, anche un po’ arrabbiato.

“È la tua occasione, anzi, la tua ultima occasione di far ascoltare la tua voce forte e chiaro solo che non devi dire niente. Non ti sto chiedendo di fare nomi o dare colpe, devi solo urlare più forte che puoi. Cosi forte, da poterli raggiungere. Voglio solo che tu la faccia sentire, che faccia sentire quanto sia potente, per quanto tempo l’hai trattenuta dentro di te. Ti chiedo di non avere paura e di fare un respiro profondo, di farlo insieme con me, ci stai?” Kurt ebbe la percezione che la sua testa si muovesse per annuire ma non prestò molta attenzione al suo corpo quando Blaine gli afferrò la sua mano.

“Allora al mio tre, okay?” ma non iniziò mai quel conto alla rovescia perché si fissarono e, all’unissero, urlarono. Il secondo tentativo andò meglio e fu un urlo liberatorio. Alla fine, quando le loro voci si zittirono, scoppiarono a ridere senza controllo perché era stata una cosa senza alcun filo logico, ma l’avevano fatta insieme ed era stato piacevole, anche se subito dopo si ritrovarono a correre per i corridori, quando sentirò la voce del bidello chiedere cosa stesse succedendo lì o se ci fosse qualcuno.

“Corri” aveva urlato Blaine prima di prendere Kurt per mano e iniziare a correre fino alla porta secondaria, e si starebbero sicuramente farti espellere se solo Blaine non avesse conosciuto una scorciatoia. Si fermarono solo una volta fuori dall’edificio, con il cuore in gola, per respirare. Ancora piegati in due per il fiatone, che iniziarono di nuovo a ridere senza controllo sentendosi due bambini ma almeno la prima voce della lista era andata e “Allora, qual è la prossima voce nella nostra lista?”. Kurt tornò immediatamente serio quando la ricordò. Blaine gli sorrise beffardo.




“Ed eccoci, in una scuola deserta, di domenica mattina per fare una corsa con il carrello delle pulizie e non ci vedo niente di strano. L’alternativa era solo quella di essere ancora nel mio letto a dormire nell’unico giorno in cui posso restare lontano da questo posto ma sì, facciamo pure tanto è domenica e spero che tu abbia notaro il mio sarcasmo Anderson perché penso che non te la farò passare liscia. Oh no, non questa volta” aveva un sorriso omicida sul viso mentre stringeva i pugni e fulminava il moro con lo sguardo.

Si erano scambiati i numeri a un certo punto, tra un ripasso e l’altro, e Kurt era stato svegliato da un messaggio quella domenica mattina, che diceva solo “Sono fuori, alzati” che poteva significare tutto e niente se solo non si trattasse di Blaine Anderson e della sua mania di non informare la gente il giorno prima come nel classico dei modi, ma aveva comunque pensato di assecondarlo prima di vederlo parcheggiare a qualche metro dalla scuola. A quel punto voleva solo ucciderlo, seppellire il cadavere e tornarsene a dormire.

“Sarà divertente” aveva detto come prima cosa, trascinando Kurt nella struttura e informandolo sul piano “La domenica mattina è ideale per la nostra corsa dei carrelli perché nessuno ci può vedere e quindi metterci in punizione”. Kurt si chiese se Blaine riuscisse ad ascoltare quello che diceva perché dannazione, era domenica mattina e loro erano a scuola per una stupida gara e, neanche il tempo di far notare la cosa, che era stato spinto nello stanzino degli inservienti ed eccoli, in postazione in mezzo al corridoio, pronti a fare, qualsiasi cosa sia. “Pronto?” e no, lui non era assolutamente pronto ma come poteva tirarsi indietro?

“Vorrei solo evidenziare la stupidaggine di quello che stiamo per fare ma sarebbe come chiedere a Rachel Berry di vestirsi decentemente quindi ci rinuncio e no, non sarò mai pronto a questa cosa ma sì, facciamola pure, sarò solo una voce in meno sulla nostra lista” si guardarono e Blaine sorrideva felice per quel nostra, cosi Kurt – per spezzare quella sensazione di imbarazzo – conto tre e iniziò a spingere il carrello correndo, senza aspettare che Blaine facesse la stessa cosa.

“Ehi ma cosi non vale” lo sentì urlare ma stava ridendo e lo stava facendo anche lui. Corsero per quasi tutta la scuola, spintonandosi e finendo fuori pista un sacco di volte. Blaine era perfino finito nel bagno quando Kurt aveva cercando di allontanarlo con una scopa presa dal carrello, durante una curva. Di certo non serve dire che era finito steso per terra dalle risate e per questo era finito per arrivare secondo ma ne era valsa la pena. Era stata una scena troppo diverte. “Imbroglione” aveva continuato a ripetergli Blaine quando lo aveva aiutato a rimettere a posto i carrelli.

“Ti terrai il muso per molto tempo?” aveva chiesto alla fine, quando l’auto accostò di nuovo nel vialetto di casa Hummel e sperò che suo padre fosse ancora a letto e che non avesse notato la sua fugga “Andiamo Blaine, non era stato intenzionale. Voglio dire, non è stata colpa mia se il bastone della scopa si è scontrato contro le ruote del tuo carrello facendoti perdere la presa” disse stringendo le labbra tra loro, sentendo una nuova risata premere per uscire.

“Ah, ah molto divertente Hummel ma certo, ridi pure delle mie disavventure. Avrei potuto farmi male sai?” disse stringendo le mani al petto e voltando il capo dall’altro lato, in modo cosi da non guardare Kurt in viso. E il castano sapeva che avrebbe dovuto risolvere quella situazione prima che gli sfuggisse di mano ma non pensava che sarebbe mai finito per dire una cosa simile, soprattutto che sarebbe finito per essere il Blaine della situazione. Magari il moro era una cattiva influenza per lui.

“Perché non ci intrufoliamo a scuola questa notte?” esclamò in fretta e quando ebbe l’attenzione voluta, continuò “Voglio dire, ci sono ancora un sacco di voci nella nostra lista e gli esami non sono più cosi distanti quindi abbiamo poco tempo per farli tutti. E considerato che tra poco saremmo colpiti dalla frenesie del moment, stavo pensando che molte di quelle cose potremmo farle in una volta sola, questa notte. Che cosa ne dici? Sarò perdonato se riesco a trovare un modo per sgattaiolare nella scuola?”.

“Ti avevo perdonato a perché ma mi piace la tua idea Hummel e ci sto” disse entusiasta Blaine, battendo le mani non riuscendo a smettere di sorridere e forse si sarebbe dovuto ritenere offeso perché lo aveva perdonato subito ma lasciandolo comunque continuare con quella follia ma non c’era niente di più bello e prezioso al mondo di un Blaine felice, quindi lasciò perdere e sì, sarebbero andati a scuola di domenica sera. Sospirò rassegnato.




L’auto si fermò di colpo, facendo stridere le gomme sull’asfalto. Meccanicamente i due ragazzi guardarono fuori dal finestrino, in ogni direzione a loro possibile, per assicurarci che non sbucasse fuori un custode di cui non avevano mai sentito parlare per beccarli in fragrante, facendoli espellere il giorno dopo. Erano con un piede praticamente già fuori la porta principale e speravano di uscire con una qualifica di qualche importanza tra le mani e non con una nota con un bel prolungamento di un altro anno. Sospirarono di sollievo quando niente sembrò muoversi, eccetto loro.

“Sei forse impazzito per caso o questo era il tuo piano fin dall’inizio per farci rimandare a pochi giorni dagli esami finali. Non so te, ma io non ci tengo a restare intrappolato qui per un altro anno quindi cerca di fare meno rumore la prossima volta. E poi mi spieghi perché hai voluto che mi lasciassi il pigiama addosso? A cosa sta pensando quella tua testolina Anderson, lo sai che pensare non ti fa bene” disse, fissando il pigiama di seta che indossava sotto la vestaglia perché, scuola deserta o meno, lui doveva essere presentabile.

Blaine si era presentato a casa Hummel mezz’ora prima, scrivendo a Kurt di restare in pigiama. Ovviamente il castano si era ribellato e aveva tentato di uscire di casa vestito in modo più decente ma vedendo Blaine in pigiama, aveva chiesto spiegazione. Il moro aveva preferito non dire niente, promettendo che sarebbe stato divertente come faceva sempre e comunque non li avrebbe visti nessun a quell’ora della notte. Kurt aveva esitato ma alla fine era salito in auto con la vestaglia da notte e il suo pigiama più bello, cosi da essere decente anche in quella situazione.

Ed eccoli lì, a mezza notte passata da un pezzo, nel parcheggio deserto del McKinley, con indosso dei pigiami, pronti a fare qualcosa di stupido. E aprirono le danze quando Blaine iniziò a intonare canzoni tratte da Les Mis, marciando per i corridoi neanche se stesse andando in guerra ma rassomigliava molto di più a uno dei sette nani quando camminano verso i lavori in miniera. Quando glielo fece notare, Blaine sbuffò e obbligò Kurt a cantare insieme a lui. Cantarono e camminarono insieme fino a quando non si fermarono di fronte l’aula insegnate.

Ed era stato già abbastanza strano e imbarazzante cantare per i corridoi in pigiama che al “Ehi, controlliamo se in aula insegnati hanno il bagno privato?” Kurt era già pronto a correre via ma Blaine fu più rapido di lui e lo afferrò per un braccio, intonando ancora una voltaDo you hear the people sing? Singing the song of angry men. It is the music of the people, who will not be slaves again. When the beating of your heart, echoes the beating of the drums. There is a life about to start, when Tomorrow comes” non poté tirarsi indietro e si lasciò tirare oltre la porta chiusa.



“Assurdo che il loro bagno sia il doppio di un aula normale. Non ti sembra assurda come cosa? Voglio dire, che se ne fanno di tutto quello spazio? Ci vanno tutti insieme, nello stesso momento, in modo non arrivare in ritardo in classe? O forse è il luogo di ritrovo per qualche club segreto” continuava a straparlare da quando avevano visitato il bagno che veniva usato dagli insegnati e aveva continuato anche dopo che Kurt lo aveva trascinato di lì, dal colletto del pigiama. prima che decidesse di provarlo o cose del genere. “Sai cosa Kurt? Dovremmo lasciare la nostra firma da qualche parte nella scuola cosi chi la troverà si chiederà chi siamo e resterò per sempre”.

Il castano spalancò gli occhi a quella idea ma poi li fece roteare perché non sarebbe servito a molto provare a dissuaderlo, dato che alla fine finiva per farlo ma almeno lo avrebbe fatto nel suo stile “E sia Anderson ma scelgo io dove, ci stai?” Blaine accettò con una scrollata di spalle perché infondo a lui andava bene ogni posto ma sorrise raggiante con tanto di saltelli e battito di mani quando capì che Kurt lo stava guidando verso l’auditorium. Salirono sul palco e Kurt fissò il legno sotto di loro.

“Vuoi lasciare qui la tua firma, sul palco? Ma ci scoprirano prima i bidelli e poi quelli del corso d’arte ancora prima che la settimana finisca. Non va bene per durare nel tempo” si lamentò Blaine, girando su se stesso come un cagnolino che cercava di acchiappare la sua coda, senza successo. Kurt trovò la scena adorabile e indicò a Blaine un punto nascosto dal sipario spiegando come la scritta sarebbe stata sotto gli occhi di tutti ma allo stesso tempo nascosta all’occhio più attento. “Okay, lo ammetto, è un idea geniale”.

Lasciarono entrambi le loro firme con un “I Klaine sono passati di qui” che doveva essere un Blaine ma il moro aveva fatto confusione scrivendo il suo stesso nome, dicendo che non ci vedeva, scrivendo prima la K di Kurt e cosi aveva continuato a scrivere il suo nome, scoprendo che non suonava male e ci aveva aggiunto poi il resto della frase, spiegando che sarebbe stato il loro nome in codice. Si allontanarono e osservarono il loro lavoro finito, bhe non che si vedesse molto considerato che il sipario nascondeva le loro scritte ma loro ne furono doppiamente orgogliosi perché il loro lavoro lì era concluso “E adesso andiamo a mangiare”.



“Vuoi mangiare nella mensa? Sei serio? Wow, tu si che sai come aggirare le regole” rise Kurt quando misero piede in sala mensa. Era al buio e vuota ed era anche abbastanza spaventosa da vedersi, e dire che di giorno sembra l’inferno ma almeno era meno inquietante. Blaine camminava dietro di lui con un cestino tra le mani che aveva avuto con sé, tutto il tempo e sembrò non notare la frase sarcastica di Kurt, andandosi a sedersi a uno dei tavoli centrali, appoggiandoci il cestino.

Da esso estrasse due piattini, due bicchieri e le posate. Sempre ignorando Kurt, ne uscì anche del cibo coperto posandolo nei piattini e invitando il castano a sedersi con lui “Iniziavo a chiedermi perché avessi quella cosa con te ma adesso capisco” esclamò, andandosi a sedersi dall’altra parte del tavolo, in modo da poter vedere Blaine in volto “No aspetta, in realtà non capisco molto. Il tuo sassolino nella scarpa, legato alla mensa, e mangiarci?”.

“No” disse subito Blaine “È mangiarci del vero cibo e qui ho del vero cibo che ho preparato personalmente e lo condividerò con te, anche se so che vuoi ridere di me, cosi da renderla una esperienza unica, che nessuno mai saprà”. Kurt sollevò un sopraciglio confuso e allo stesso tempo chiedendosi di che cosa stesse parlando o quanto bravo fosse a cucinare “Oh andiamo, non dirmi che non ti sei mai chiesto come sarebbe mangiare del vero cibo in questo posto e poi sì, sono bravo in cucina non ti devi preoccupare. Mia madre mi ha osservato tutto il tempo quindi puoi stare al sicuro”.

“Sei tutto strano tu, ma perché me ne sorprendo tanto? Ogni volta credo di aver visto tutto di te e tu te ne esci con queste idee e io non so realmente che pensare” scosse il capo ridendo e iniziarono a mangiare e a conversare come se quella fosse la normalità. “Questi biscotti sono buonissimi Blaine, dovresti chiedere a tua madre di darmi la ricetta” stava dicendo Kurt, con la bocca piena e un sorriso innocente sul viso. Aveva consumato tre portate ed erano arrivati al dolce, che consisteva in biscotti al burro d’arachidi, i preferiti di Blaine. Quando terminarono, iniziarono ad avviarsi fuori dall’edificio e verso l’auto. Erano passate ore e neanche se ne erano accorti, troppo presi a spulciare voci dalla lista.



“Oh adesso capisco” esclamò Kurt quando erano ormai a pochi mesi dall’abitazione Hummel “Hai voluto che non mi togliessi il pigiama per le stesse ragioni di mangiare del cibo reale in mensa. Da quanto tempo sogni di andare a scuola in pigiama, Anderson? Perché posso capire la cosa ma non lo farei mai. Preferisco indossare dei reali vestiti che vedere gente con orsacchiotti disegnati ovunque, anche perché sono sicuro che Rachel Berry ne abbia uno nel suo armadio, forse più di uno”.

“Sai Kurt, non vorrei distruggere questa cosa ma sei appena andato a scuola in pigiama, sei entrato nei bagni degli insegnati, hai lasciato la tua firma in un luogo pubblico e hai cantato Les Mis con il sotto scritto fino a pochi secondi fa, quindi non penso tu ti possa lamentare della cosa, anche se non indossi pigiami con orsacchiotti. E poi sei perfetto anche in pigiama, cosa che non si può dire di tutti” disse parcheggiando a due stradoni prima di casa Hummel, per non svegliare il padre di Kurt.

“È vero ma nessuno lo saprà mai, a parte me e te, quindi posso stare tranquillo se tu terrai il nostro piccolo segreto solo per te” lasciò un bacio sulla guancia e sgusciò dall’auto prima che il moro potesse controbattere o aggiungere ancora qualcosa. Si voltò solo quando arrivò alla porta e Blaine lo stava osservando con sguardo perso ma con un sorriso felice stampato in volto. Lo salutò ed entrò in casa pensando che non poteva distrarsi a pochi giorni dagli esami. Lui semplicemente non poteva.





“Non ci posso credere di essere diplomato finalmente, per un secondo ho creduto di non potercela fare ed è tutto merito del ripasso con Kurt” stava dicendo Blaine, mentre stringeva un bicchiere con qualcosa dentro. alla festa di post-diploma che la scuola aveva organizzato come saluto e augurio alle loro nuove vite all’infuori di quella struttura. Sul palco aveva preso posto Rachel Berry, intonando le prima note di I Was Here. Kurt sorrise e, quando riuscì a creare un contatto visivo con il moro, lo invitò a seguirlo in corridoio.

“Ehi, ti ho cercato prima, volevo ringraziarti per l’aiuto. Probabilmente non ce l’avrei fatta senza di te e non perché non ne avevo i mezzi ma perché mi stavo arrendendo. Quando sei arrivato. ero pronto a gettare tutto in aria, ma mi hai ricordato a credere in me stesso e a non arrendermi di nuovo. La lista poi, è stata un ottima distrazione al caos nella mia testa, in casa e qui, quindi ti ringrazio ma sai, noi non abbiamo ancora terminato.

“Ci stavo pensando e manca ancora una voce nella nostra lista e noi abbiamo ancora qualche ora bonus prima di far ripartire le nostre vite da un nuovo inizio, e mentre ci pensavo, ho deciso che non voglio farlo con qualcuno ubriaco che racconterà questa storia come un sbaglio o un esperimento. Voglio poterlo ricordare nel modo migliore e tu sei il migliore Kurt”. Parlava con voce bassa e dolce, avvicinandosi un passo dopo l’altro. “Ti va di depennare l’ultimo punto della lista insieme, infondo ci troviamo già in un corridoio, no?”. Kurt si sentì confuso ma quando Blaine gli mostrò la lista, notò che era stato inserito un nuovo punto e sorrise imbarazzato. Non riuscì a dire molto, cosi semplicemente mosse il capo in segno affermativo.

Ultimo punto della lista: Baciare qualcuno nei corridoio. Davanti agli occhi di tutti quelli che non voglio guardare. Per ricordare loro che non è sbagliato e che alcune cose, anche se non le sai spiegare, vanno bene cosi. Loro andavano bene cosi, non importava cosa pensasse il mondo. Loro erano giusti. Con la loro lista, il loro piccolo segreto, con gli urli sussurrati.

Sorridendosi, si avvicinarono fino a toccarsi. Blaine portò una mano sulla guancia di Kurt, non smettendo mai di sorridergli mentre quest’ultimo, lasciò la sua sulla spalla del moro, lasciando cadere per terra la lista ora completa. Si baciarono sulle note conclusive di I Was Here, nascosti ma in piena luce, come le loro firme dietro il sipario che gli avrebbe resi per sempre.










 
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Credevo non ce l’avrei fatta ma eccomi qui, non che a qualcuno importi. Mi rendo conto che non ci sia nessuno a leggermi ma resto qui a scrivere, perché questa piccolina – come dico sempre – merita una fine. A ogni modo, alla fine non ce l’ho fatta e ci ho inserito un bacio ma l’ho reso una cosa casta. Magari diventeranno qualcosa di più ma lo lascio alla fantasia. Scrivere ad ora tarda mi fa male e Blaine che canta Do you hear the peolpe sing ne è la prova. Ma quanto era cucciolo? Voi che cosa avreste inserito in una lista di questo genere? Fatemelo sapere in una recensione.
Alla settimana prossima

- Sandfrost -

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Capitolo 7
*** Promesse d'estate ***


Era la perfetta mattina per iniziare la giornata con un sorriso ed essere felice; il sole era caldo nel cielo, il vento era calmo con una leggera ebbrezza che regalava una piacevole sensazione sulla pelle, ed era iniziata la stagione estiva. Tra giochi, risate e momenti da creare e collezionare. Blaine adorava quel particolare momento dell’anno e non perché poteva rilassarti al sole. Blaine Anderson lavorava come animatore in un villaggio turistico e la stagione estiva, per lui, significava regalare sorrisi e risate. Ma quell’anno sarebbe stato speciale o almeno diverso, più interessante.

Era iniziato tutto la settimana precedente, quando i vari ospiti per quella stagione erano arrivati al villaggio. Era intento a giocare con i bambini e a farli divertire con una gara di schizzi - che piaceva tanto, soprattutto a lui - quando si era lasciato distrarre da Adrian e aveva finito per bagnare un ragazzo che se ne stava seduto su una sdraio, sotto un ombrellone, a leggere un libro. Il ragazzo aveva aperto la bocca indignato pronto a imprecare quando Adrian – un bambino di dieci anni dai capelli biondi e gli occhi chiari – era corso verso di lui per chiedergli scusa.

“Mi dispiace tanto” aveva detto “Giuro che sono stato io, Blaine non centra niente in tutto questo” aveva supplicato poi, facendo sciogliere il cuore di Blaine, che lo osservava con un sorriso sulle labbra, fiero di lui “So che è contro il regolamento degli schizzi distrarre qualcuno con il solletico, perché si può rischiare di bagnare qualcuno come in questo cosa ma stava vincendo, capisci? E non potevo permetterlo” diceva scuotendo il capo e gesticolando in fretta, per far capire la gravità di quella situazione. Alla fine aveva deciso di aiutarlo e di intervenire.

“Va bene Adrian, credo che il meraviglioso ragazzo abbia capito, che ne dici se me ne occupo io e tu torni a giocare? Credo che la tua squadra sia subendo un sacco di colpi senza il tuo aiuto”. Il ragazzino guardò prima Blaine dubbioso, dopo il ragazzo che non aveva ancora parlato e infine corse verso la piscina scusandosi ancora e pregando di non arrabbiarsi troppo con Blaine perché – parole testuali­ – “È un bravo ragazzo”. Blaine rise mandandolo via con la mano e dopo tornò a fissare il ragazzo ancora seduto e in silenzio e completamente bagnato.

“Mi scuso per l’accaduto e promettiamo che non accadrà di nuovo ma devi ammettere che è stato abbastanza divertente, l’intervento di Adrian e non l’averti inzuppato tutto, anche se non capisco perché tu sia cosi vestito in piscina” disse indicando il vestiario del ragazzo “Comunque io sono Blaine, il capo animatore di questo villaggio e tu sei..” chiese, muovendo una mano per motivare il ragazzo a continuare la frase ma non quest’ultimo restò in silenzio a fissarlo con un sopraciglio sollevato.

“E ovviamente tu sei irritato, confuso e bagnato ma posso capirlo” e nel pronunciare quella frase, strinse le labbra tra sé per paura di scoppiare in una risata non del tutto appropriata. “Ascolta, mi dispiace di averti bagnato ma è estate, questa è una piscina e tu sei completamente vestito in questa bellissima giornata, tanto male non ti ha fatto, giusto?” tentò ma venne fulminato con uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo, cosi fece un respiro profondo, provandoci ancora una volta ma “Kurt!”.

“Kurt, eccoti finalmente figliolo, credevo di averti perso ma poi Carole mi ha ricordato che è un po’ impossibile dato che non hai una macchina e non ci sono posti dove potresti andare senza. A ogni modo, non troviamo neanche Finn quindi, se lo vedi, digli che noi siamo al ristorante e che se ha fame ci può raggiungere lì e, oh vedo che ti sei fatto già un amico, fantastico. Io sono Burt Hummel, il padre di Kurt e lei è?”. Blaine sbatté le palpebre un paio di volte prima di prendere la mano dell’uomo e stringerla.

“Io sono Blaine. Blaine Anderson signore e sono sicuro che suo figlio ed io ci divertiremo un sacco quest’estate insieme”. Stringendo la mano di quell’uomo si chiese come fosse possibile che fosse il padre di quel ragazzo che continuava a fissarlo dubbioso, ma in realtà non sapeva nulla di lui, tranne il suo nome quindi non poteva permettere di giudicare. “Sono sicuro che sarà la più bella estate delle nostre vite ma ora se permettete, ho dei bambini da fare ridere e una gara di schizzi da vincere”, prima di andarsene, si voltò ancora una volta verso Kurt e “Ci vediamo presto Kurt” sorridendogli, girò i tacchi e corse dai suoi bambini.

Da l’ora si era sentito ossessionato da quel ragazzo. Ogni volta che lo vedeva in un angolo a leggere, lontano da tutti, non poteva far altro che avvicinargli e parli o convincerlo a partecipare a qualche gioco o attività. Tutto quello che voleva era farlo sorridere e sentire il suono della sua risata. Per questo gli si avvicinò anche quella mattina, con il viso e parte del corpo dipinto e “Ti va di giocare con noi? Sto cercando di insegnare alle mie sentinelle a dipingere ma credo non abbiamo afferrato molto e hanno iniziato a dipingersi avvicenda, o forse hanno imparato troppo il concetto di esprimere se stessi attraverso i colori”.

Allargò il suo sorriso quando il ragazzo – Kurt – sollevò il capo passando dieci minuti del suo tempo a fissare Blaine tra lo sconvolto, il curioso e forse anche un po’ divertito del suo aspetto “Andiamo non ti fare supplicare, sono stato mandato qui da Adrian. Okay, sarei venuto a disturbarti comunque perché hai un viso cosi adorabile che non posso sopportare di vederlo sempre cosi imbronciato e triste ma giuro che è stato lui a dirmi di farlo. Guardalo!” indicò il ragazzino che li fissava dall’altra parte della piscina, aspettando Blaine con le mani in grembo, anche lui con il viso e le braccia dipinte. “Unendoti a noi, rendesti un ragazzino felice, anzi, due ragazzini felici” disse indicandosi.

“Ti hanno mai detto che sei insopportabile?” disse il ragazzo degli occhi chiari, scuotendo il capo ma chiudendo il libro che aveva tra le mani e appoggiandolo sulla sdraio, fissando Blaine negli occhi. “Ti hanno mai detto che hai una voce bellissima?” chiese a sua volta Blaine, facendo arrossire il ragazzo che già stava pensando di tornare a ignorarlo e a dedicare le sue attenzioni al libro lasciato andare, solo qualche secondo prima. “No, no” disse subito Blaine, afferrandolo con delicatezza per il polso e spostando l’altro mano sulla parte inferiore della sua schiena, spingendolo leggermente.

“Lasciando quel libro hai praticamente accettato quindi non puoi tirarti indietro e poi, prometto che ti divertirai tantissimo, andiamo” cosi dicendo trascinò dietro di sé Kurt, che continuava a blaterare di finire il suo libro, che voleva starsene seduto e che lui doveva lasciarglielo fare. Tra una lamentela e uno strattone, alla fine Blaine si fermò ma solo per immergere due dita nella pittura verde, voltandosi verso di Kurt, che lo guardava già con occhi sgranati e supplicanti, immaginando quello che sarebbe successo dopo.

“Che intenzione hai con quella mano?” chiese con voce flebile mentre Blaine avvicinava sempre di più il dito alla sua faccia “Smettila, non ci provare neanche. Sai quanto costa la crema che metto ogni sera per avere la pelle cosi liscia? Non ti lascerò mandare tutto all’aria”. Il moro lo ignorò, anzi, ghignò sentendolo parlare cosi tanto. L’aveva importunato per una intera settimana e neanche una parola e adesso non riusciva a fare silenzio. “Blaine” provò ancora, prima che il moro gli sporcasse una guancia, tracciando una striscia verde.

La bocca di Kurt si spalancò e portò la sua mano destra a toccarsi la guancia. Quando tornò sporca di verde, con occhi pieni di sfida e di vendetta, tornò a guardare Blaine, che sorrideva compiaciuta della cosa, prima di “Oh, Blaine, tu non sai neanche in che guaio ti sei cacciato”. Kurt immerse l’intera mano nella vernice blu e fissò Blaine con un ghignò malefico sul viso. Blaine d’istinto portò le mani di fronte al viso, come protezione e “Andiamo Kurt, io stavo solo scherzando”.

“Oh ma io lo so questo, ed è per questo ho deciso di giocare anch’io. Non è questo che volevi? Non è per questo che mi hai chiesto di seguirti fin qui?”. Aveva una strana luce negli occhi e Blaine indietreggiò, emettendo una strana risata nervosa “Cosa c’è, adesso non ti diverti più? Andiamo Blaine, viene qui a fatti sporcare un po’ la faccia con questa pittura” Kurt fece un passo avanti ma Blaine iniziò a indietreggiare sempre più velocemente, fino a quando non iniziò a correre inseguito dal ragazzo che muoveva le mani in aventi e gli chiedeva di fermarsi.

I bambini, che gli avevano fissato con sguardi confusi, trovarono la scena molto divertente e, ridendo senza controllo, iniziarono a inseguire Blaine al fianco di Kurt, anche loro con le dita sporche di colori diversi. Blaine girò intorno per qualche minuto, pregando in una tregua ma alla fine cadde – troppo distratto a fissarsi alle spalle, non aveva notato una latta di vernice di fronte a sè – e tutti gli furono addosso, pronti a sporcargli il viso, le braccia e ogni parte che riuscivano a raggiungere. Kurt fu soddisfatto solo quando riuscì a tingerli qualche ciuffo di capelli di blu.

Quando si allontanarono dal corpo sconfitto del moro, sembrava un quadro astratto, una tavolozza di colori di un pittore troppo distratto nella sua opera “Un bellissimo arcobaleno, ecco cosa sei in questo momento Anderson” disse fiero Kurt, dando qualche cinque a qualche bambino che aveva iniziato a ridere con lui e a trovare gli aggettivi più colorati al moro, che si alzò da terra con le mani ben puntate in avanti come segno di resa “Bandiera bianca bambini, mi avete sconfitto, sono indifeso adesso”.

Tutti iniziarono a saltellare e intonare canzoni di vittoria, persino Kurt si unì alla festa. Blaine lo fissava sorridente e quando i loro occhi si incontrarono, fece un breve inchino indicando i suoi abiti prima puliti e adesso sporchi di ogni tipo di colore ma sorridendo felice e, fissando i bambini disse: “Credevate di avermi messo al tappeto, non è vero? Adesso ve la faccio pagare furfanti. È ora della mia vendetta” e iniziò a correre, facendo correre e ridere i bambini che cercarono riparo ovunque “Dovevate legarmi, ecco qual è stato il vostro errore, novellini. Venite qui e fatevi abbracciare” terminò con una risata malefica, cercando di abbracciare tutti e di sporcarli con i suoi vestiti impregnati di colore.








La mattina era sorta già da qualche ora ma nessuno aveva stretta, questo era uno dei vantaggi di lavorare come capo animatore in uno dei più prestigiosi villaggio turistici della zona. Aveva lasciato i suoi bambini a Mercedes e Rachel, cosi da poter prendere qualche ora per ricontrollare il programma per quella giornata, dare il benvenuto ai nuovi ospiti ma soprattutto, dedicarsi alla sua attività preferita. Sorrise quando lo vide uscire dal suo bungalow “Stavo proprio cercando te, com’è stato togliere la pittura dalla faccia?”.

“Vai via Blaine, sono ancora arrabbiata con te e non ho intenzione di rivolgerti la parola per tutto il giorno” lo salutò Kurt. Certo non era il saluto che si aspettava ma avrebbe dovuto immaginarlo che non sarebbe stato facile conquistare la sua fiducia. Lui, d’altro canto, aveva la pazienta dalla sua - non lo avevano di certo nominato capo animatore senza una ragione valida e poi ogni bambino la amava, anche quelli che all’inizio sono sulle loro, non parlando con nessuno o importunando i vari ospiti.

“Eppure mi stai parlando, non è strana come cosa?” chiese, seguendo il castano che lo aveva superato per dirigersi in piscina, sicuramente per andarsi a sedere sulla solita sdraio all’ombra e con il solito libro da leggere. “Non puoi tenermi il muso per tutto il giorno. È impossibile. E poi il mio lavoro è far divertire la gente, se il mio capo dovesse notare che con te non ci riesco, mi licenzierà”. Kurt non batté ciglio e Blaine sbuffò rassegnato “Se ti consola saperlo, ho passato tutta la notte a togliermi la pittura dai capelli e ho gettato i miei vestiti, poiché era impossibile recuperarli”.

Ci fu un secondo di silenzio ma era sicuro di aver udito la risata di Kurt, anche se dopo aveva coperto la risata con un colpo di tosse ma Blaine era sicuro di quello che aveva sentito e “Ti ho fatto ridere Ti ho fatto ridere, non è vero? Aw! il mio lavoro è salvo per il momento” disse vittorioso, passandosi una mano sulla maglietta per stirarla prima di: “C’è una particolare ragione per cui mi stai seguendo o perché mi stavi cercando quest’oggi, o devo solo catalogare il tutto che il tuo reale lavoro, cioè importunarmi tutto il giorno?”. Kurt si voltò e Blaine arrestò la camminata, non aspettandosi una risposta immediata.

“Veramente ti stavo cercando perché stiamo per giocare con le bolle di sapone e volevo chiederti se ti andava di unirti a noi. A quanto pare ieri hai fatto colpo sui furfanti e ti vogliono in squadra. Ho cercato di far capire loro che Mr Irascibile, che poi saresti tu,” spiegò l’ovvio “avrebbe preferito godersi questa estate con il suo libro ma è complicato convincere un gruppo di ragazzini quando si mettono in testa qualcosa” disse muovendo la testa come conferma alla sue parole.

“Non stai parlando sul serio Blaine” esclamò Kurt, nascondendo il suo libro dietro la sua schiena, come se nessuno non lo avesse notato. Come se Blaine non avesse notato tutto di lui, come se non lo stesse memorizzando proprio in quel momento. “Certo che sono serio, quei bambini sono dei futuri—“ venne interrotto da “No, non mi riferivo alla parte dei bambini”. Blaine sollevò un sopracciglio confuso e Kurt continuò con "Stavi sul serio venendo a chiedermi di unirmi a te e ai bambini per giocare con le bolle di sapone?”, quasi ridendo.

“Certo che sì, sono sempre serio quando si parla di bolle di sapone. Anzi, dopo avevamo in mente di mettere in scena un piccolo musical da preparare per i genitori. magari con qualche canzoncina dei Muppet” rispose entusiasta, innamorato dei suo lavoro e di quei bambini che lo aspettavano ed era folli insieme a lui, senza mai giudicare le sue idee strane e senza preavviso. “Ti prego, dimmi che ti stai solo prendendo gioco di me e che non sei serio” replicò Kurt, coprendosi il volto con il libro, cercando di trattenere una risata.

“Non sono mai stato cosi serio ma forse tu preferisci i Teletubbies o sei più un tipo da Barney e Friends? Non lo so, io li adoro tutti quindi magari possiamo lasciare la scelta alle canaglie ma sono sicuro che ameranno la mia imitazione di Cookie Monster: Me love poetry… and cookies!" disse, imitando la voce rauca e forte del Muppet blu. Kurt rise e dopo si coprì in fretta la bocca con le mani “Visto? Se riesco a fare ridere te, di cosa stiamo discutendo ancora?” disse sorridendo felice e “Allora, ti unisci alla truppa?”.




“Smettila di inseguire quella bolla di sapone, finirà per scoppiare alla fine ma è troppo alta per poterla scoppiare tu stesso”. Erano intenti in una olimpiade di bolle di sapone, con punteggi, categorie e premiazioni. Julia aveva vinto il primo posto per la bolla di sapone più grande, Margot invece, quella per la bolla più resistente. Blaine aveva vinto il premio per la bolla più buffa e adesso Kurt, stava cercando di vincere il primo premio per il maggior numero di bolle scoppiate al secondo, ma la sua bolla decisiva non ne voleva sapere di scendere e continuava a svolazzare sulle loro teste, mentre il castano continuava a inseguirla saltellandole intorno.

“Quella bolla si sta chiaramente prendendo gioco di me Blaine. Ora mai è una questione di principio e di orgoglio che io la scoppi, capisci?” disse facendo un salto, sfiorandola a mala pena “Ma di cosa è fatta questa bolla, plastica resistente? Come è umanamente possibile che non sia ancora esplosa?” borbottava mentre Temicia si contendeva con Adrian il primo posto per la bolla di sapone tenuta più tempo in equilibro sul bastoncino e Henry era intento a superare il record di più bolle di sapone in una. “Avrà il mio meritato primo posto, smettila di esitare e scendi da me per essere scoppiata”.

“Questa situazione sta diventando abbastanza ridicola Kurt” esclamò il moro, osservando come molti dei bambini si erano radunati intorno a Kurt, per fare il tifo e incitare la bolla di sapone a scendere, facendo anche vento con le mani e soffiando verso l’aria “Adesso basta, vieni qui”. Con riluttanza Kurt si avvicinò a Blaine, senza prima aver fulminato con lo sguardo la bolla ancora libera nell’aria. il moro si voltò e inclinò in avanti, incitando Kurt a salire sulle proprie spalle, per essere più alto. “Sei serio? Ti rendi conto che sei più basso di me vero? Non sono neanche sicuro che tu possa sollevarmi. Le tue gambe sembrano cosi piccole”.

“Smettila Hummel e sali sulle mie spalle” Kurt obbedì dubbioso sulla cosa ma Blaine riuscì a sollevarlo senza alcun problema “Sai, non sarò alto quanto te e le mie gambe saranno piccole come dici tu ma non alleno le mie braccia per niente. E adesso prendi quella stupida bolla di sapone cosi puoi ritirare il tuo trofeo del primo posto e noi continuare la competizione”. Blaine camminò in direzione della bolla e Kurt immerse le sue mani nei capelli del moro, non sapendo dove e come potersi reggere. Una volta sotto la bolla, Kurt allungò una mano e scoppiò la balla con un solo dito urlano “Prendi questa, Kurt Hummel resta il campione”. Blaine rise di quella scena e fece scendere Kurt dalle sue spalle che, si guardò intorno soddisfatto e “Allora, vogliamo mettere in scena questo musical”.




I love you, you love me, we're happy family with a great big hug and the kiss from me to you, won't you say you love me too. I love you, you love me we're best friends like friends should be, with a great big hug and the kiss from me to you, won't you say you love me too”. Il corro di voci allungò l’ultima parola e la chiuse quando la leggera melodia proveniente dal piano - che Blaine si era offerto di suonare per loro mentre Kurt dirigeva il coro - si fermò.

“È andata decisamente meglio, siete stati tutti meravigliosi. Sono sicuro che i vostri genitori apprezzeranno la vostra interpretazione di questa canzone. Vi meritate una pausa merenda, andate pure da Rachel mostriciattoli, riprendiamo dopo, cosi possiamo lavorare su una possibile coreografia”. I bambini sospirarono felici delle cosa e si diressero in ordine verso l’intero della sala, per prendere la loro merenda, ridendo e canticchiando ancora il motivetto della canzone. Blaine gli osservò sorridendo.

“Tu lo ami”, puntò il suo sguardo su Kurt che gli si era avvicinato e gli fece posto sulla panchetta. “Probabilmente vivi la tua vita in funzione di questi pochi mesi d’estate, solo per passare del tempo con quei bambini. Non ti conosco ma è cosi chiaro nel tuo sguardo quando li guardi. Sei cosi fiero di loro. Adori farli ridere e farli divertire. Bhe la cosa non mi sorprende dato che sei un bambino come loro, ogni tanto lo fai uscire l’adulto nascosto dentro di te?” chiese sarcastico.

“E io che pensavo che finalmente ti fossi sciolto e mi stessi mostrando un altro lato di te” rispose Blaine, appoggiando il gomito sulla tastiera e facendo stridere qualche nota offesa “Ma per la cronaca, la parte adulta di me studia durante il resto dell’anno ed è molto seria e impegnata ma sì, si può benissimo dire che vivo in funzione dell’estate. Adoro i bambini” disse “A loro non importa chi sei o cosa fai della tua vita. Non importa se sei un adulto pignolo o un eterno bambino. O gli piaci oppure no, e se li piaci allora avrai la loro fiducia e non c’è niente di più meraviglioso e di più valore di questo. La fiducia di un bambino ti rende una persona migliore”.

“Non mi fare il sentimentale ora o mi finisci in lacrime e questo non lo possiamo permettere. Non vorrei che qualcuno di loro ci guardasse e mi incolpasse di aver fatto piacere il loro eroe, perché è questo che sei per loro Blaine. Il modo in cui ti seguono o assecondano le tue folle idee. Hai la loro fiducia e il loro amore ti renderà eterno” Blaine abbassò il capo sorridendo a quelle parole e Kurt, schiarendosi la voce disse “Mh, allora, me la risuoni quella canzone sull’amicizia di Cookie Monster?”.








Tre settimane erano passate dal musical improvvisato, tra gare di nuoto, giochi con i colori e balletti idioti. Ed erano state tre settimane di cui andare molto fiero, se si considerava che alla fine Blaine era riuscito a conquistare la fiducia di Kurt e soprattutto a fargli dimenticare quel libro. Infatti, Kurt aveva partecipato a ogni attività, alle volte proponendo qualcuna, coma la caccia al tesoro con ricompensa i biscotti preparati insieme il giorno precedente (si era fatto amare da tutti i bambini grazie a quella idea).

Erano passate tre settimane e, come da tradizione per la notte di ferragosto, ci sarebbe stata una festa a tema sulla spiaggia e quell’anno era in stile hawaiana, quindi a ogni ospite era stata donata una coroncina e una collana fatta di fiori, preparata dai bambini con l’aiuto degli animatori (altra idea di Kurt, che aveva conquistato anche gli adulti e non solo i bambini). Un pullman aveva condotto gli ospiti alla spiaggia più vicina, che era stata allestita per la serata. Era ormai quasi mezza notte e Blaine vagava tra la folla in cerca di Kurt.

Quando intravide la testolina di quel biondo castano, sorrise e gli corse incontrò, rallentando solo quando gli fu a pochi centimetri di distanza. Kurt non lo notò fino a quando “Vieni, conosco una scorciatoia” di Blaine nel suo orecchio. Il moro non gli diede il tempo di assimilare quelle poche parole, che prese il polso esile del ragazzo tra le sue mani e iniziò a correre, sempre più lontano dalla folla di persone e dalla confusione di quella serata. Corse fino ad arrivare al punto desiderato.

Non si erano allontanati molto, erano ancora in spiaggia ma abbastanza distanti dalla festa da poter godere del silenzio. La musica e il chiacchiericcio erano solo echi lontani. Arrivarono alla passerella che veniva costeggiata da un muretto che affacciava sul mare. I lampioni regalavano, a quella notte senza stelle, un’atmosfera calda e accogliente. Lasciò andare il polso di Kurt e si appoggiò al muretto, alzando lo sguardo verso il cielo. “Adesso vuoi dirmi perché mi hai trascinato via, non che io non te ne sia grato. Stavo per impazzire in tutta quella confusione”.

“Ancora qualche secondo e lo capirai da solo” disse Blaine, continuando a fissare il cielo. Kurt gli si avvicinò e iniziò anche lui a esaminare il cielo, anche se non capiva cosa stesserò cercando. “Tutto questo è molto carino Blaine ma non capisco ancora quale sia il punto. Voglio dire, il cielo è bellissimo questa sera ma nello stesso modo in cui lo era ieri e come lo sarà domani e—“ il “Adesso” di Blaine venne accompagnato da una serie di colori nel cielo. Quello che stavano fissando era ben chiaro agli occhi di Kurt adesso.

“La spiaggia era troppo affollata e non si sarebbero visti bene e non potevo permettere che tu perdessi questo spettacolo unico e poi adoro questo posto, è sempre cosi calmo” spiegò Blaine, con ancora il naso all’insù. Passarono solo pochi secondi ma quando tornò a guardare Kurt, trovò il ragazzo intento a osservarlo mentre il cielo colorato, illuminava il suo volto. “Che cosa c’è? Perché mi stai guardando in quel modo? Qualcosa non va, ho fatto qualcosa di sbagliato? Ho fatto male a portarti qui?” chiese, passandosi una mano sulla nuca e sentendosi esposto e impacciato.

“No, stavo solo pensando” risposte il castano e Blaine gli fece un cenno con la mano per farlo continuare. “Stavo ripensando alla prima volta che ci siamo visti. O almeno a quello che hai detto quando ti sei presentato a mio padre. E avevi ragione, non lo credevo possibile ma hai avuto ragione” disse sorridendo, tornando a osservare il cielo “È stata la più bella estate della mia vita ed è stato merito tuo” concluse mentre i fuochi d’artificio passavano dal verde, al rosso e poi all’oro, segnando l’inizio di qualcosa di nuovo “Grazie Blaine. Grazie per aver mantenuto la promessa”.













 
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*rullo di tamburi* Ho AMATO scrivere questa one shot/capitolo, perché è stato come ritrovare lo spirito di questa babe!Kaine. È stato come rivedere i miei bambini che si dividono i biscotti (non so perché ho usato il rullo di tamburo per dire questo, volevo solo un po’ di atmosfera per esprimere la mia felicità in merito). Prima di parlare del capitolo, lasciatemi ringraziare la mia Fra che mi motiva sempre e che ascolta i miei scleri, anche se poi non finisce mai per leggere quello che scrivo (scherzo, love u). La one shot, che cosa dire in merito, non molto onestamente ahah Blaine è nato per stare in mezzo ai bambini e Kurt per stare accanto a Blaine, quindi il passaggio è stato abbastanza facile. Finalmente in questa OS ho ritrovato la leggerezza di questa raccolta che nelle ultime tre one shot/capitolo ho un po’ perso e sono molto felice della cosa. Detto questo non resta che augurarvi una Buona Domenica e Alla prossima

Ps: I bambini cantano I Love You di Barney and Friends che io amo alla follia e che ho insegnato ai miei nipoti (grazie 1D per questo lol). E Cookie Monster è un muppet di Sesame street, adorabile che ama i biscotti e che mi ricorda troppo Blaine.

- Sandfrost -

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Capitolo 8
*** La sciarpa, la promessa e il Ringraziamento. ***


“Ahia!” esclamò con voce piagnucolante quando cadde al suolo di ginocchia, sbucciandosi quello destro e raschiando il sinistro. Portò le gambe al petto, stanco, e pianse senza vergogna, singhiozzando. Spostò lo sguardo intorno a sé, cercando di capire dove si trovasse o come ritrovare la strada  verso casa. Non ricordava come ci fosse finito ma era in un parco, del tutto deserto  (o cosi gli pareva da quella posizione) e senza aiuto. Neanche suo padre si vedeva e questo lo sconvolse più di tutto.

Si rimise in piedi barcollando, su gambe insicure e tremolanti e - dandosi ancora un’occhiata intorno - decise di perlustrare il parco e cercare aiuto. Tirò le maniche oltre il limite delle piccole mani e si asciugò il viso bagnato, anche se altre lacrime continuavano a cadere senza che riuscisse a fermarle. Camminò per una decina di minuti, mordendosi il labbro inferiore e combattendo contro le lacrime e l’esigenza di gettandosi a terra, nella più totale disperazione.

Vagava a tentoni, non sapendo dove dirigersi o quale strada era più sicura per un bambino della sua età, soprattutto perché non ricordava la via di casa o se avesse già visto per quel posto. Singhiozzò e tirò su con il naso. Ebbe l’impulso di gridare ma ebbe anche paura di disturbare qualcuno cosi, a testa bassa, continuò a camminare, guadandosi i piedi. Era autunno inoltrato e le sue scarpe calpestavano e si scontravano contro foglie secche, cadute a terre e lasciate morire lì.

Camminò fino a sentire le gambe dolergli e solo allora si fermò, notando di essere arrivato al centro di quello strano parco e di trovarsi di fronte a delle giostrine desolate e mosse solo dal vento. Tirò con il naso e camminò verso l’altalena. Si sedette stanco e sollevò il piccolo viso dalle gotte rosse – un po’ per via delle lacrime un po’ a causa del vento - verso il cielo nuvoloso, che rendeva tutto spento e perso. Avrebbe tanto voluto aver prestato attenzione a suo padre mentre cercava di insegnargli l’ora, almeno avrebbe capito in quale momento della giornata stava vivendo.

Abbassò il capo e osservò le mani unite in grembo, mentre con i piedi iniziò a dondolare piano. Seduto in silenzio in quella giornata spenta, si chiese dove fosse suo padre e se lo stesse cercando. Si chiese come aveva fatto a perdersi o per quanto tempo aveva camminato. Si chiese perché non ci fosse nessuno in quel posto dimenticato dal mondo e come avrebbe fatto a tornare a casa da suo padre, senza aiuto di un adulto. Ricordava perfettamente quando sua padre gli aveva detto che, in caso di smarrimento, sarebbe dovuto restare nello stesso punto. Quasi si pentì di non aver rispettato quella promessa.

Stava per alzarsi e tornare al punto di partenza e aspettare lì che suo padre lo venisse a cercare, facendo mente locale e ricordando la strada fatta, quando l’altalena accanto la suo cigolò. Un brivido di terrore lo pervase, spalancò gli occhi ma tenne il capo chino, troppo spaventato di scoprire di essere finito in qualche guaio più grande di lui e di essere solo. Forse era solo il vento, si disse. Forse era  solo la sua testa a creare strani rumori per i troppi pensieri, si raccontò ma l’altalena cigolò ancora e quella volta fu sicuro di non averlo immaginato e il vento non aveva colpe, neanche soffiava in quel momento.

Alzò lo sguardo per fissare lo scivolo di fronte sé, cercando di capire cosa fare o come comportarsi in quel momento. Suo padre gli aveva sempre detto di non fidarsi di nessuno e in caso di pericolo, di chiamarlo. Ma lui era solo e non c’era modo di chiedere aiuto. Cosi lentamente decise di sfidare la sorte e di dare un’occhiata al pericolo che stava per correre, per sapere come comportarsi o semplicemente per capire se era davvero in pericolo. Quando voltò il capo, spalancò la bocca sorpreso.

Di certo non era stato il vento a far cigolare le catene arrugginite della veccia altalena ma del resto neanche un pericolo vi era seduto, anzi. Il piccolo strofinò più volte le maniche della maglietta contro i suoi occhi per esserne sicuro ma non c’erano dubbi. L’altalena accanto alla sua era occupata da un bambino come lui. Aveva i capelli ricci, le guancie paffutelle e le labbra arricciate in una smorfia. Il bambino sollevò il capo quando si sentì osservato e scoprì possedeva due ambre al posto degli occhi. Un marrone fuso al verde che riscaldò l’aria intorno a loro.

“Ti sei perso anche tu?” chiese insicuro, spinto da uno strano senso di protezione e curiosità. Magari quel bambino aveva la mamma che lo aspettava e magari avrebbe potuto aiutarlo a ritrovare il suo papà, o forse avrebbero potuto salvarsi avvicenda e trovare un modo per uscire dal quel parco e andare a cercare aiuto. Cercare una centrale di polizia e chiedere di chiamare il suo papà per venirlo a prendere e salvare. Il bambino lo guardò e mosse il capo in segno di  negazione.

Il piccolo scoppiò in lacrime, senza capirne il senso. Iniziava a sentirsi stanco, aveva fame e rivoleva il suo papà. Se quello era uno scherzo, non era divertente. Strizzò gli occhi cercando di vedere attraversò la pattina di lacrime che non gli permetteva di vedere niente ma tutto quello che scorse fu la sagoma sbiadita del bambino che, prima gli sedeva vicino e che adesso, gli era di fronte, accarezzando con dolcezza i suoi capelli e cantandoli una canzone che non riconobbe subito.

I've seen you crying. You felt like it's homeless, I'll always do my best. To make you see. Baby, you're not alone. 'Cause you're here with me. And nothing's ever gonna bring us down. 'Cause nothing can keep me from lovin' you. And you know it's true. It don't matter what'll come to be. Our love is all we need to make it through” canticchiò in un sussurrò e solo per lui. Non smettendo un secondo di consolarlo, e lui aveva consumato tutte le sue lacrime in quella melodia immaginaria, sentendosi meno solo.

Tirò su con il naso e smise di piangere, asciugandosi le ultime lacrime. Sollevò il capo e osservò il bambino che gli stava ancora di fronte, ancora con la mano a lasciare carezze tra i suoi capelli ma con un sorriso dolce sul viso paffuto. “Va tutto bene adesso. Ci sono io” queste, erano state le sue prime parole “Ti va di giocare con me, mentre aspettiamo che la tua mamma ti venga a cercare?”. Lo guardò con occhi limpidi, pronto a vederli riempire di nuove lacrime.

“Io non ho la mamma, ho solo il mio papà” esclamò, sentendo il labbro inferiore tremare dalla tristezza di quelle parole. Il suo cuore si sciolse quando il bambino che aveva di fronte, spostò la sua mano sulla sua guancia e asciugò le lacrime che non si era accorto di aver fatto fuggire e socchiuse gli occhi, quando gli lasciò un bacio sulla guancia destra. In qualche modo, che ancora non riusciva a capire, si sentiva protetto e non più cosi spaventato.

“Allora aspetteremo che il tuo papà arrivi” disse sorridendo incoraggiate “Ma tu devi tornare a sorride. Gli angeli come te non sono destinati a piangere o a essere tristi, quindi ho bisogno che faccia un respiro profondo e che tu sorrida” disse ancora, mostrandoli come fare. Dopo si spostò, fino ad arrivare alle sue spalle e iniziò a spingerlo. Portò le mani sulle catene e chiuse gli occhi e, quando sentiva il vento colpire il proprio viso, sorrideva, alternando a piccoli istanti di risata, soprattutto quando sentiva le gambe andare verso l’alto.

Giocarono con l’altalena fino a quando non sentì più lo stomaco per quanto stesse ridendo. Cosi il bambino che gli aveva fatto tornare il sorriso e fatto smettere di avere paura, tornò a sedersi sull’altalena accanto e, cercando nelle sue tasche, ne estrasse un piccolo pezzo di cioccolata, ancora incartato e lo offrì e “Io sono Blaine e mi piace la tua risata. Ti s’illumina il volto quando sorridi ed è come se il sole avesse illuminato questo parco cosi spento e perso”.

Accettò la cioccolata e “Kurt” disse spezzando in due il pezzetto di cioccolata, porgendo la metà a Blaine ”Il mio nome è Kurt e sono felice di averti trovato. Avevo cosi paura e mi sentivo cosi spaventato. Ma adesso va molto meglio grazie al tuo aiuto, perché il mio sorriso avrà fatto tornare il sole ma i tuoi occhi ne hanno regalato la sensazione di calore”.

Si sorrisero mangiando il pezzo di cioccolata, dondolando con piedi e facendo muovere le loro altalene all’unissero. Mangiarono in silenzio perché non c’era bisogno di colmare il vuoto ma in qualche modo, venne colmato lo stesso. In lontananza, un rumore catturò la loro attenzione. D’istinto, saltarono in piedi e Blaine si parò di fronte a Kurt, senza sapere in contro a quelle pericolo stavano andando in contro. Solo dopo, notarono che era la voce di un uomo che cercava qualcuno.

Continuava a urlare e cercare e Kurt quasi urlò emozionato, riconoscendo la voce del suon papà, in qualche modo lo aveva trovato e solo in quel momento realizzò quanto stupido fosse la sua paura, infondo suo padre glielo aveva promesso. Un pomeriggio dopo essersi quasi perso in un supermercato, glielo aveva detto. Si era abbassato al suo livello e gli aveva detto che lo avrebbe trovato sempre, non importava quanto lontano sarebbe andato. Perché il legame che gli univa, avrebbe permesso sempre loro di ritrovarsi.

Sorrise al ricordo e poi si voltò verso di Blaine. Aveva il capo chinò e sembrava triste, si passò una mano tra i ricci e dopo spostò lo sguardo sul castano, sorridendogli a sua volta. “Te l’ho detto no? Bastava solo aspettare. Sono felice che il tuo papà ti abbai trovato, forse lo farà anche il mio. Devo solo aspettare anch’io” ma la sua voce era triste e flebile come se non ci credesse neanche lui ma non aveva altro che quella piccola speranza dentro di sé e non poteva permettere che si spegnesse.

“Non importa dove ci troveremmo, distanti siamo o quanto tempo passerà, io ti troverò sempre Blaine, questa è una promessa” sorrise stringendo le mani di Blaine tra le proprie. Quando la voce di suo padre si fece più vicina, sciolse la presa e si tolse la sciarpa che portava intorno al collo, per posarla intorno a quello di Blaine e “Finché la indosserai, andrà tutto bene. Finché la indosserai, io saprò sempre come trovarti”. Si sporse in avanti e lasciò un bacio sulla guancia di Blaine, sorridendogli, e corse via, verso suo padre, lasciando il bambino che lo aveva fatto sentire al sicuro e meno spaventato alle spalle ma consapevole che lo avrebbe portato nel suo cuore, sempre.
 
 


Un suono stridulo risuono nella stanza, allungò una mano verso il suo comodino in cerca della sua sveglia pronto a lanciarla contro la parete, grugnendo perché lo aveva svegliato da quello strano sogno ma quando notò che la sveglia non era il problema, mugugnò qualcosa di incomprensibile, coprendosi il capo con il cuscino e contando fino a tre. Una volta che la conta arrivò al termine, la porta si spalancò e “Figliolo sveglia. Andiamo Kurt abbiamo una tonnellata di cose da fare prima della cena di questa sera e tu avevi promesso a Carole che l’avresti aiuta con la spesa e la cena, quindi alzati da quel letto e muoviti a scendere”.

Sospirò rassegnato, togliendo la testa da sotto il cuscino e fissando il soffitto. Non era la prima volta che aveva quel tipo di sogno ma era la prima volta in cui avevano una conversazione. “Blaine” ripeté, rendendolo reale. Si passò una mano sugli occhi stanchi e si alzò dal letto, iniziandosi a preparare. Da quando suo padre si era risposato, i loro Ringraziamenti erano diventati più incasinati e affollati. Fortunatamente, quell’anno, ci sarebbero stati solo loro ma questo non implicava più calma o meno fracasso. “Andiamo ragazzo, siamo in ritardo. Quanto ti ci vuole ancora per prepararti?”, appunto.

“Eccomi” disse scendendo di corsa le scale “Eccomi ma continuo a non capire il perché di tutta questa fretta” aggiunse, indossando la sua giacca e aprendo la porta a Carole che gli sorrise dolcemente. Salutò suo padre con un bacio sulla guancia e uscì di casa, salendo in auto. Per tutto il viaggio, non parlò né tentò di iniziare una conversazione, restò solo a fissare fuori dal finestrino, ripensando al suo sogno e a tutto quello che avrebbe potuto rappresentare. “Hai avuto di nuovo quello strano sogno?”.

E ovviamente, come tutte le volte, poteva nascondere le proprie emozioni dietro silenzi ma avrebbero comunque trovato il modo di mostrarsi e di parlare, soprattutto se in ascolto c’era la donna che lo aveva preso a cuore e che aveva imparato a comprendere tutto quello che non diceva. Le sorrise ma non aggiunse che quella volta era stato diverso, che l’emozioni provante le sentiva ancora sotto la pelle, che il bambino che sognava da più di un mese adesso aveva un nome, una voce e una sua sciarpa.

Il viaggio fu il più breve possibile come se Carole avesse compreso il suo stato d’animo e volesse distrarlo, infatti, una volta parcheggiato e superato la porta scorrevole, lo aveva mandato a cercare il tacchino per la cena, che stava a significare “Ci penso io a tutto il resto tesoro, tu cerca solo di non impazzire”, perché Carole era fatta cosi e lui l’amava per quello che era. Una donna gentile, generosa, che si preoccupava troppo, pronta ad aiutare e ad ascoltare i silenzi e dare loro delle parole.

La ringraziò con lo sguardo, dirigendosi dalla parte opposta. Camminò fino alla meta, si accaparrò l’ultimo tacchino e quasi scappò a gambe levante. In quel giorno la gente sarà pure più grata ma non quando si parla dell’ultimo tacchino e lui non aveva voglia di discutere e di combattere. Lui meritava l’ultimo tacchino, cosi lo strinse al petto e camminò tra i vari corridoi e scaffali, cercando spezie e condimenti. Era nel intento di maledirsi per non aver preso un carrello, cercando di prendere più spezie senza farle cadere, quando lo vide.

Non poteva essere reale, ovviamente e forse quel tacchino cosi stretto al petto gli stava facendo male o forse era colpa delle spezie intorno a lui che gli causavano illusioni. O forse era reale. Sollevò il tacchino e camminò acquattato nel reparto salse, sentendosi un completo idiota ma doveva sapere se stava impazzendo e se stava succedendo veramente. Fece capolino con la testa nel reparto surgelati ed eccolo lì. Con una vaschetta di cioccolato da una mano e uno alla vaniglia nel altra, non sapendo quale mettere nel carrello e quelle lasciare. Bello più di un sogno di un bambino.

“Andiamo Kurt, ti rendi conto di quanto sia idiota questa cosa? Non puoi crederci veramente. Non puoi essere cosi disperato, non è reale” disse tra sé e sé, venendo squadrato da una donna di mezza età, che tirò più vicino a sé la sua bambina, aumentando la velocità della camminata. “Perfetto, ci mancava solo essere frainteso al supermercato con un tacchino stretto tra le braccia”, non era neanche a metà frase che un “Che schifo, si contenga” arrivò alle sue orecchie e decise di cambiare corridoio, notando solo in quel momento che la persona che stava spiando, era sparita.

“Dannazione, dove sarà finito adesso” si chiese guardandosi intorno e sistemando meglio il tacchino tra le sue braccia, che continuava a scivolargli. Si aiutò con le gambe e riprese a camminare dalla corsia principale, guardando a destra e sinistra ma trovando solo sguardi schioccati e sconvolti. Una bambina, poi, quasi lo investì con un carrello e, ovviamente, quello bastò a fargli perdere l’equilibrio all’indietro. Barcollò e sperò solo che nessuno ridesse della sua caduta ma nessuno lo fece perché finì tra le braccia di qualcuno.

Di primo impatto su sollevato sia per non essere caduto sia per il tacchino che non aveva subito danni (o chi l’avrebbe sentita Carole, avrebbe parlato per ore della cena rovinata e gli avrebbe fatto girare l’intero stato per recuperare un nuovo tacchino), dopo iniziò a preoccuparsi. Poteva essere finito tra le braccia di un povero vecchio che stava cercando di fare la spesa senza cercare guai o tra quelle di una donna che magari gli stava riservando uno sguardo tra il confuso e il divertito.

Va tutto bene adesso, ci sono io, ti ho preso” Kurt spalancò gli occhi, perdendo la presa del tacchino e facendolo rotolare per un paio di metri innanzi a lui. Non poteva essere vero, se lo era ripetuto cosi tante volte che aveva iniziato a crederlo e adesso. Adesso non lo sapeva più. Ebbe il terrore di girarsi o anche solo di muoversi ma non era il caso di esitare ancora tra quelle braccia, cosi tossicchiò e si allontano dal corpo che lo aveva protetto dalla caduta. Rise, trovando la cosa ironica.

Barcollò sul posto, mentre il ragazzo lo accompagnava nei movimenti e dopo recuperò il povero tacchino porgendoglielo “Credo che questo ti sia scivolato di mano. Io sarei molto attento a lasciarlo andare, voglio dire, ho notato che era l’ultimo e anch’io sarei tentato di afferrarlo e correre fino alle casse ma non lo farò” rise “Non è mia abitudine rubare i tacchini ma tu come stai, ti sei fatto male? Quella bambina andava realmente veloce, dovrebbero toglierle la patente”.

Lo sentì straparlare ma non ebbe subito il coraggio di alzare lo sguardo dalle sue scarpe, quando lo fece, il suo cuore si bloccò. Perché se ne rendeva conto, non poteva essere reale, non poteva essere il bambino che sognava ogni sera, per quanto gli assomigliasse ma non poteva far ragionare se stesso quando quel bellissimo ragazzo dagli occhi ambrati, capelli ricci e pelle olivastra indossava una sciarpa simile – se non lo stessa – che gli aveva regalato nel suo ultimo sogno “Blaine” pronunciò quello che doveva essere solo un pensiero.

“Ci conosciamo?” chiese il ragazzo che aveva di fronte “Perché sono sicuro che mi scorderei cosi facilmente due pozze d’acquamarina quali sono i tuoi occhi”. Kurt arrossì ma non solo per il complimento ai suoi occhi. Quel ragazzo si chiamava Blaine, proprio come il bambino dei suoi sogni e più indossava la sciarpa e gli assomigliava. La testa ebbe un capo giro e perse ancora una volta l’equilibrio, per sua fortuna, quel ragazzo aveva i riflessi pronti e riuscì a sorreggerlo ancora una volta. “Forse è meglio se ti offra una cioccolata o qualcosa del genere, va bene?”.



 
“Sogno?” chiese quando finì di raccontare la storia dei sogni, della sciarpa e del perché sapesse il suo nome “Aspetta fammi ricapitolare; tu nel ultimo mese hai sognato noi bambini ma solo la scorsa notte hai sognato la mia voce e conosciuto il mio nome, giusto?” Kurt mosse il capo in segno affermativo, aspettando che il ragazzo continuasse. “E tu bambino avresti donato a me bambino uno sciarpa simili a questa, dicendomi che finché l‘avessi tenuta, avresti sempre trovato un modo per trovarmi?” Kurt annuì di nuovo, con le guance rosse, lo sguardo abbassato e il con il labbro inferiore bloccato tra i suoi denti.

“Wow!” rispose il moro una volta fatto il punto della situazione “Bhe ce da dire che, in qualche modo, hai mantenuto la tua promessa e mi hai trovato e guarda caso, anche il giorno del ringraziamento, non lo trovi buffo?” ridacchiò, con una strana felicità negli occhi. Kurt si prese qualche secondo per osservarlo e lo trovò bellissimo, come lo aveva trovato bellissimo da piccolo (se si può fare un paragone tra realtà e sogno). Aveva lo stesso calore negli occhi ma le guance erano meno paffute e il corpo più in forma.

“Aspetta, hai detto che mi avrei volentieri rubato il tacchino, questo vuol dire che non avrai il tacchino per il ringraziamento?” chiese già pronto a offrirgli il proprio e a inventarsi qualche scusa con Carole, infondo potevano farne a meno quell’anno e decisamente avrebbero potuto rimediare con altro “La tua famiglia cosa ti dirà se tornerai a casa a mani vuote?” chiese ancora, pensando alla famiglia del moro che nei suoi sogni non aveva mai accennato o parlato.

“Non è questo grande inconveniente, credimi” disse sorridendo. Un sorriso che non aveva niente della felicità “Lo avrei comunque passato da solo a magiare gelato e a guardare la parata alla tv, quindi non sentirti dispiaciuto” continuò “E la mia famiglia sono sicuro che ne avrà uno sulle loro tavole” quando notò lo sguardo curioso e triste di Kurt, proseguì spiegando che “Mio fratello maggiore passerà il ringraziamento con sua moglie e la sua famiglia e mia madre è partita per una crociera con il suo nuovo compagno” terminò e Kurt stava per chiedere notizie di suo padre quando Carole li raggiunse.

“Finalmente ti ho trovato Kurt, credevo te ne fossi andato senza dirmi niente ma poi sono andata alla macchina ed era ancora lì. Burt mi avrà chiamato venti volte, chiedendo come sta andato. Ah! Vedo che hai trovato il tacchino, perfetto allora. Quando sei pronto possiamo andare” parlò in fretta prima di spostare l’attenzione al ragazzo che sorrideva impacciato non sapendo cosa fare o come comportarsi “E questo bel ragazzo chi è? È un tuo amico Kurt?”. Kurt si schiarì la voce e dopo fece le presentazioni.

“Carole lui è Blaine e gli sono caduto addosso praticamente e letteralmente due volte e Blaine, questa è Carole la matrigna. Lei e mio padre si sono sposati qualche anno fa. Tra l’altro Blaine mi stava raccontando del triste ringraziamento che passerà quest’anno tra gelato e la parata in tv e io mi stavo chiedendo se—“ e non ebbe il bisogno di finire la frase che “Certo che sì” esclamò Carole prendendo sotto braccio Blaine e “Blaine trascorrerà il suo ringraziamento in casa Hummel-Hudson ma ti ho avviso che mio figlio, Finn, è un vero mangione ma ci sarà cibo per tutti questa sera”.

Senza dare al ragazzo la possibilità di accettare o rifiutare lo trascinò fino alla macchina e si fece aiutare con le buste delle spesa mentre a Kurt era stato affidato ancora una volta il tacchino, questa volta non gli dispiaceva farlo però perché senza quel tacchino, probabilmente non avrebbe mai notato Blaine in quel supermercato e sarebbe per sempre rimasto un sogno nella sua testa. Una volta nel vialetto, né Burt né Finn ebbero qualcosa da dire sul nuovo ospite, anzi, iniziarono a farlo sentire a casa, facendolo sedere sul divano, parlando di partite e guardandone una in tv.




 
“La tua famiglia è meravigliosa, grazie per avermi invitato a unirmi a voi. La mia serata sarebbe stato molto deprimente e solitaria ma questa sera mi sono divertito”. La serata era finita da poco e Finn si era offerto di rimettere a posto la cucina (o forse era meglio dire magiare gli avanzi?) mentre Carole e Burt ne avevano approfittato per stendersi un po’ sul divano a parlare e a guardare un po’ di tv. Kurt, invece, era uscito per una boccata d’aria e Blaine lo aveva raggiunto poco dopo, sedendosi sul portico accanto a lui. “E poi sei un ottimo cuoco e questo non può andare che a tuo favore”.

“Anche tu non te la sei cavata male con quella insalata, era deliziosa” disse guardandolo e iniziarono a ridere, cosi forte, che rischiarono di svegliare l’intero vicinato. “E comunque il piacere è stato reciproco. Sei riuscivo a distrarre Finn dal cibo, hai convinto mio padre a mangiare parte dell’insalata e tenuto una conversazione con Carole. Hai anche aiutato, praticamente sembri nati per far parte di questa famiglia” parlò con sguardo sognante e dopo arrossì quando Blaine rise.

Passarono tre minuti di orologio quando Kurt riprese la parola e “Sai, può sembrare stupido ma io non ho mai avuto una sciarpa come quella” ridacchiò, spostando lo sguardo sulle sue mani posate sul grembo. Quando sentì la sciarpa cadergli sul collo alzò il capo e fissò Blaine con sguardo curioso. “Tu l’hai data me, almeno nel tuo sogno, promettendomi che mi avresti sempre ritrovato e adesso tocca a me fare la stessa cosa. O almeno accettarmi di non perderti ancora una volta”.
 


(che si guardarono intensamente e che Blaine si sporse verso Kurt sorridendo, non lo dovrei dire. Che Kurt, sorpreso, fece la stessa cosa, cadendo tra le braccia di Blaine, non lo dovrei scrivere. Che nella caduta le loro labbra si incontrarono e che ci restarono più del tempo del previsto, non lo dovrei raccontare. Che restarono spalla contro spalla, avvolti dalla sciarpa, a osservare le stelle in cielo, non lo dovrei neanche immaginare, eppure…).









 
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Ne sono innamorata. Mi sono innamorata di questa one shot, della storia, degli avvenimenti, delle conversazioni, del finale (che come avrete notato è un non-finale, nel senso che non avrebbe dovuto finire cosi ma è il perfetto finale quindi sappiamo entrambi che è successo ma fingeremo di no, perché i baci non era previsti in questa raccolta, ma come posso negarli?). Spero che la storia vi piaccia e se vi va, fatemelo sapere attraverso una recensione, mi farebbe molto felice. Questa raccolta è quasi giunta al termine e nelle prossime due settimane, verranno caricate le due os conclusione *si asciuga una lacrima*. Sono triste e felice alla stesso tempo ma non è tempo di fare questo discorso quindi alla prossima

- Sandfrost -

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Capitolo 9
*** Duro lavoro e..gaffe ***


L’imponente edificio che si trovò di fronte, una volta sceso dal taxi, era alto più di cinquanta piani, ne era sicuro. Le enormi finestre che adornavano l’intero palazzo, risplendevano alla luce del sole, facendolo sembrare uno specchio. Deglutì rumorosamente e mosse i primi passi verso l’ingresso, anch’esso fatto di vetro. Lasciò il suo nome alla reception e si fece indicare la via. Doveva prendere l’ascensore e salire fino al penultimo piano, dove avrebbe dovuto incontrare il capo di quel posto e convincerlo ad assumerlo.

Erano passante tre settimane da quando era andato ad abitare a New York City. La grande città era ben diversa dal paesino da dove abitava e ci aveva messo più tempo del previsto ad abituarsi a quella nuova vita. Cosi, quando uno dei suoi amici gli aveva parlato di quel possibile lavoro al New York Times, non ci aveva fatto due volte e aveva fatto domanda. Aveva lavorato al giornale della scuola per tutti gli anni scolastici e, per quanto non si sentisse all’altezza, voleva provarci.  

Trovare l’ascensore non fu molto complicato ma dovette aspettare un bel po’ prima di vedere le porte aprirsi. Quando le porte si aprirono, scoprì di non essere il solo a dover salire, infatti, insieme a lui, entrò anche un alto ragazzo che poteva avere la sua età se no qualche anno in più. Prima che potesse fare qualcosa, notò che il ragazzo premette per il suo stesso piano e, un po’ per il nervosismo e un po’ per rompere il ghiaccio disse; “Oh, vedo che andiamo allo stesso piano, anche tu hai un colloquio di lavoro?”.

Il ragazzo che gli stava affiancò, lo guardò e gli sorrise ma non aggiunse altro cosi ne approfitto per continuare e “Ho un colloquio lì oggi e sono un po’ nervoso. Ho sentito dire che il direttore amministrativo è un vero osso duro e che assume di rado, infatti questi colloqui, gli sono stati obbligati. Ma che per adesso non ha assunto ancora nessuno di tutti quelli che hanno fatto domanda. Dicono che i suoi test siano difficili da superare e che lui mette molta ansia. Non voglio criticare o giudicare qualcuno che non conosco ma sembra un vero stronzo, non trovi?”.

“E perché mai lo sarebbe?” chiese allora il ragazzo che ne s’era stato in silenzio ad ascoltarlo parlare, fissando i numeri illuminarsi man mano che l’ascensore saliva. “Magari sta solo cercando di fare il suo lavoro al meglio e non vuole assumere persone che non sono all’altezza o che non hanno i requisiti adatti per affrontare il tipo di lavoro che svolgono qui. I test servono a questo e se non si riesce a superarli, mi chiedono come possano affrontare cose più complicate di quelle, anche perché questo lavoro non è semplice come può sembrare”.

“Posso capire le sue motivazione ma magari, tra tutte quelle persone scartate, c’era veramente qualcuno che lo meritava o che sognava di far parte di questo settore da sempre. Magari si è solo limitato a guardarli negli occhi e a cercare la loro paura e, dato che un colloquio di lavoro mette già ansia, li ha scartati non ritenendoli in grado di reggere la pressione. Cosa, forse, non del tutto sbagliato, questo io non lo posso sapere, ma mi chiedo cosa ne sarebbe stato di lui se qualcuno lo avesse giudicato in base al suo livello di ansia e non per il suo talento.

“Il mondo è fatto di opportunità e di dare possibilità ma se lui le stronca sul nascere, allora tutto questo non ha senso. Ho conosciuto un ragazzo giorni fa, è lui che mi ha parlato di questa opportunità di lavoro. Parlava di quanto avesse aspettato questa occasione e che si accontenterebbe di rispondere al telefono pur di lavorare qui ma non ce l’ha fatta perché la sua ansia era tanta ed è stato scartato prima di aprir bocca. Questo non mi sembra giusto e a te?” parlò in fretta, quasi avesse paura di essere bloccato a metà discorso o di essere giudicato.

Prese una bocca d’aria, sentiva la gola secca e le mani sudate, soprattutto quando il ragazzo si girò completamente verso di lui, sollevò le labbra in un accennò di sorriso e, prima che l’ascensore si fermasse e le porte si aprissero, chiese “E tu, tu ti accontenteresti di rispondere solo al telefono pur di lavorare in questo posto?”. Senza dare dopo il tempo di rispondere, uscì e “Ci si vede al colloquio di lavoro Blaine Anderson, spero che tu possa passarlo e che tu sappia reggere la pressione allora. Non vedo l’ora di lavorare con te”. Blaine restò a boccheggiare prima di ricordarsi che doveva  muoversi.
 



 
Blaine Anderson ripensò a suo padre, aspettando il suo turno seduto su un divanetto di eco pelle nera. Infondo se era lì a tentare la sorte era anche per lui, perché era lui che gli aveva trasmesso quella passione. Suo padre, James Anderson, aveva lavorato per quello stesso studio, molto anni addietro. Gli raccontava spesso degli articoli scritti, di quella esperienza lavorativa e quanto gli mancava. Per questo, dopo aver preso una laurea e una specializzazione in giornalismo, era partito per la grande mela in cerca della stessa opportunità ed esperienza e per questo che quando “Signor Anderson, il Signor Hummel l’aspetta” aveva iniziato a sentire il cuore martellarli nel petto.

Bussò alla porta ed entrò una volta avuto il permesso. Sentiva le mani sudate e le gambe pensati. Entrò di spalle e chiuse la porta dietro di sé, quando si voltò presentandosi con un “Salve, io sono..” si rese conto che era già partito con un piedi fuori dalla porta. Trattene il fiato ma non si mosse di un solo millimetro e quando “È un piacere rivederla signor Anderson, mi presento, io sono Kurt Hummel e sono lo stronzo che dirige questo posto e che non assume nessuno, usando test difficili da affrontare. Ma prego si accomodi e valuti lei stesso”. Il suo cuore manco un battito poiché era lo stesso ragazzo che aveva visto solo pochi minuti prima, in ascensore.

“Io, mi dispiace infinitamente, non lo sapevo” iniziò, facendo il primo passo in avanti e lasciandosi alle spalle la sua unica fonte di uscita, ma il ragazzo che sedeva dritto alla poltrona dietro alla scrivania lo fermò a metà frase e gli indicò ancora una volta la sedia per farlo accomodare. “Non si preoccupi Anderson lei non lo sapeva e lo stupore nei suoi occhi ne è la prova, poiché nessuno sarebbe cosi schiocco da criticare il proprio futuro capo in quel modo pochi secondi prima di un colloquio, non è cosi?”. Blaine annuì e Kurt continuò.

“Ma permettermi di raccontarti la mia storia, dato che non mi sembravi molto ferrato in materia“. Blaine deglutì e si sedette sulla sedia, intrecciando le mani sulle gambe, per trasmettersi sicurezza. “Ho ricevuto tanti no nella mia vita e la maggior parte per dei stereotipi. Abitavo in Ohio prima di trasferirmi a New York e nessuno meglio di te sa come ci si può sentire confusi al cambiamento, giusto? Ho dovuto lasciare mio padre a casa e ho passato i primi anni qui, a convincerlo che stavo bene, quando lavoravo in un bar ristorante.

“Ho fatto domanda per un lavoro qui, non appena messo piede in questa città. E ne ho fatto molti altri, non lasciandomi influenzare da un no come risposta. Qualcuno ha avuto l’occasione di darmi un opportunità ma ho dovuto fare domanda per cinque anni, ogni giorno, facendo ogni lavoro possibile e immaginabile per potermi mantenere, prima di avere quella opportunità. Ho iniziato con il consegnare la posta ma non ero qui per questo, quindi ho cercato di mettermi in mostra ogni volta che ne avevo occasione e alla fine ce l’ho fatta.

“Le mie idee hanno colpito il capo della società che ha deciso di mettermi a capo di questa divisione e sì, questi colloqui mi sono stati imposti perché abbiamo poco personale anche se io ritengo che sia abbastanza. Considerato questo, cerco qualcuno che riesca a sorprendermi e quel ragazzo di cui parlavi in ascensore, quel tuo amico che ti ha suggerito di fare domanda, lo ricordo molto bene. Dirado dimentico un volto, come ricordo che tutto quella che ha fatto è stato supplicare per un posto di lavoro, senza dimostrare il suo talento per questo lavoro, per questo non è stato assunto”.

Durante tutto il discorso senza pausa di Kurt Hummel, Blaine se ne era stato seduto alla sua sedia, con le labbra semi aperte e lo sguardo attento. Una parte di sé voleva interromperlo e chiedergli scusa per averlo giudicato senza conoscere la sua storia e senza sapere chi fosse, l’altra parte di sé avrebbe voluto chiedergli molto di più e farlo parlare ancora ma quando il ragazzo di fermò per prendere fiato, tutto quello che riuscì a fare fu alzarsi, sorride e “Credo che dovrei provarci ancora e ancora prima di avere una reale opportunità di lavorare qui, grazie per il suo tempo comunque”, avvicinandosi di nuovo alla porta.

“Prima che tu vada via, vorrei sapere quale sarebbe stata la tua risposta alla domanda”, il moro sollevò un sopraciglio confuso e “La domanda che ti ho posto in ascensore e alla quale non ti ho fatto rispondere, perché sono andato via”. Blaine ci pensò per qualche secondo, ricordando l’intera conversazione e mosse il capo quando capì a cosa si riferita e “No” disse “Non mi accontenterei mai di rispondere al telefono, non qui. Ho studiato e mi sono preparato per affrontare qualsiasi argomento e non per prende appuntamenti ma forse lo farei”, Kurt lo incitò a continuare e Blaine lo fece.

“Sei mi accontenterei? La mia risposta è no ma la strada alla vetta più alta. inizia dalle fondamenta quindi sì, lo farei ma considerandolo un trampolino di lancio e non una sosta. Farei il mio lavoro al meglio, dimostrando la mia pazienza e impegno, ma non perdendo occasione di fare domanda ancora e ancora. Ho trascorso tre anni a dedicarmi alle rubriche inferiori, guadagnami poi il mio posto come direttore del giornale all’università. Pazienza e impegno, questo è il giornalismo per me” spiegò annuendo.

Stava per girare i tacchi e uscire cosi come era entrato ma “La tua scrivania sarà quella sulla sinistra, la riconoscerai subito perché è anche l’unica disponibile” il moro aprì la bocca per dire qualcosa ma “Ti avevo detto che non vedevo l’ora di lavorare con te, no? Diciamo che la nostra conversazione in ascensore è stato il tuo test e questa è la tua possibilità. Resterai in prova e oltre al tuo lavoro, dovrai essere sempre reperibile per me, che potrei chiamarti in ogni momento e ora, per commissione e aiuti vari. Buon divertimento Blaine e non farmi pentire della mia decisione”.
 



 
Il suo periodo di prova era iniziato nell’istante in cui si era seduto alla sedia girevole della sua scrivania. I compiti che gli venivano assegnati andavano dal correggere una bozza al trascrivere un file a penna sul computer, tutte cose che richiedevano tempo e paziente e a Blaine di certo non mancava, anche se sentiva una sensazione di disagio. Aveva appena finito di rileggere nell’ennesima bozza quando decise di fare una pausa bagno, prima del prossimo compito. Di quel posto conosceva solo la sua scrivania e l’ascensore in cui era arrivata con, bhe, il suo capo.

Entrò nel bagno e si avvicinò al lavandino, guardando il suo riflesso allo specchio. I suoi occhi sembravano stanchi e la sua pelle esausta ma il suo sorriso era quello di sempre e gli dava la carica per non fermarsi, in fondo, doveva dimostrare che era meritevole di quel posto. Aprì il lavabo e si sciacquò il viso e le mani. “Blaine? Blaine Anderson?” si sentì chiamare e sollevò di scattò il capo, con il viso ancora bagnato “Il Capo ti sta aspettando nel suo ufficio, ha un compito per te” lo informò una ragazza castana con occhiali specchi e un sorriso beffardo sul viso.

Sospirò quando la vide uscire e si affrettò ad asciugarsi il viso con della carta. Fissò il suo riflesso allo specchio e si incoraggiò con lo sguardo prima di fare qualche passo verso la porta, con un piedi fuori si rese conto di non aver chiuso l’acqua e, dandosi dell’idiota, tornò di nuovo verso il lavandino, fece per girare la manopola quando questa si sfittò completamente e rimase nella presa della sua mano “No, no, no. Ti prego non puoi farmi questo, sono già nei guai. Andiamo collabora” mormorò sempre più agitato, cercando di avvitare la manopola dalla parte opposta.

Dato che il destino non si era preso ancora del tutto gioco di lui, con un movimento troppo affrettato l’acqua iniziò a spruzzare da tutte le parti, bagnandogli il viso e la camicia “Cosa ho fatto di male, eh?” si lamentò prendendo dei fazzoletti, premendoli contro il getto dell’acqua che cambiò direzione e bagnò i suoi pantaloni “Dannazione, mi ci mancava solo questo adesso, come mi presento dal capo conciato cosi? Dannazione” imprecò a voce un po’ più alta, con le mani in avanti con l’intento di bloccare il getto dell’acqua una volta per tutte.

Uno schiarirsi di voce fu il suo segnale che niente sarebbe andato bene da lì a poco. Prese un respiro profondo e “In quanti guai mi sono messo?” chiese quando, voltando il capo verso la porta, notò la testa di Kurt Hummel che sbucava e lentamente entrava nella sua visuale. Il direttore di quella sezione si appoggiò allo stipite della porta, con le braccia intrecciare intorno al petto e un espressione seria sul viso. “Giuro che non sono stato io, cioè stavo cercando di rimediare ma chiaramente la situazione mi è sfuggita di mano e adesso non so cosa fare. Se sono licenziato, lo posso capire”.

Con sua grande sorpresa, Kurt rise. E non gli importava se stava ridendo di lui, di quanto sembrasse ridicolo e della situazione assurda. Non gli importava neanche di avere i vestiti completamente fradici o di essere bloccato nella stessa posa, perché Kurt stava ridendo e ogni cosa gli sarebbe andata bene. Quando la risata di Kurt scemò, gli si avvicinò e girò una manopola sotto il lavello, non perdendolo di vista neanche un secondo. “Dico sempre a Sam si sistemarlo ma si occupa dei lavori di ristrutturazione dell’ultimo piano e quindi non ha mai un secondo per farlo”.

“Tu non sei arrabbiato con me quindi, voglio dire, lei non è arrabbiato con me?” chiese sentendosi impacciato e terribilmente a disagio dalla avvicinanza del ragazzo, o forse stava ancora ripensando al suono di quella risata e, quando lo aveva sentito parlare, era stato come perdersi due volte. “E perché mai dovrei? Anzi mi chiedo perché Rachel non ti abbia informato del guasto quando ti è venuta a cercare” rispose in maniera calma, sorridendo a Blaine in tono di scuse. “Adesso capisco perché ghignava quando mi ha visto e prima di uscire” pensò ad alta voce, facendo ridere di nuovo Kurt di gusto.

In quell’istante pensò che avrebbe potuto fare quel genere di idiozia per tutta la sua vita, solo per sentire quel ragazzo ridere in quel modo. “Non ti preoccupare per il lavandino, magari è la volta buona che qualcuno lo ripari, il problema adesso è trovarti dei vestiti asciutti da prestarti, dato che mi accompagnerai a una riunione all’ultimo piano e non puoi di certo venirci cosi” Blaine abbassò lo sguardo verso il suo vestiario zuppo d’acqua e arrossì al “Ti presterei i miei vestiti ma ti andrebbero troppo lunghi, ma forse possiamo trovare qualcosa, andiamo su. Siamo già in ritardo”.
 



 
Era in ritardo. Era dannatamente in ritardo e non riusciva ad andare più in fretta. La sua giornata era iniziata nello stesso modo; non appena si era seduto alla scrivania aveva iniziato a spulciare la pilla di fogli che aveva alla sua destra. La maggior parte erano correzioni e qualche modulo da compilare, ora mai ci aveva fatto il calo ed era diventato abbastanza veloce. Era alla prese con una trascrizione quando Kurt gli aveva mandato un messaggio, scrivendogli che stava per arrivare e che aveva bisogno delle bozze finite e un latte macchiato scremato dato che c’era.

E lo sapeva. Sapeva che non doveva correre con quel bicchiere caldo in mano, anche se era sigillato con il coperchio ma era in ritardo e non poteva commettere altri casini come quello del bagno ma lui era Blaine Anderson e la sfortuna sembra averlo baciato. Cosi, nella fretta di voltare l’angolo, assicurandosi che la tazza non si svuotasse sulle bozze che stringeva sotto il braccio destro, non vide la segretaria che gli stava andando in contro e, una volta notata, cercando di evitarla, andò a sbattere contro una pianta e, naturalmente, tutto il latte gli andando a finire sulla camicia pulita. “Maledizione”.

“Dimmi almeno che le bozze sono in salvo e che tu ti sei portato una camicia di riserva, considerato l’ultima volta” sollevò il capo e Kurt Hummel era lì, di fronte a lui, appena uscito dall’ascensore nel più completo ordine e con le 24 tra le mani. Bellissimo e perfetto come sempre, che a Blaine mancò il fiato e deglutì rumorosamente “È bollente, dico il latte che ti è finito addosso. Forse dovresti andare a cambiarti ma lasciami prima quelle bozze, okay? Meglio non rischiare” sorrise a frase terminata e accennò una risata quando gli passò le bozze che aveva tenuto al sicuro dagli schizzi di latte.

“Io, sì. Ho una camicia nella mia borsa” disse frastornato “Mi dispiace per il suo latte macchiato scremato, ma ho dovuto evitare una segretaria che andava di fretta e non ho visto l0a pianta e ci sono andato contro e poi siete arrivato e..” si bloccò quando vide il ragazzo cercare di darsi un contegno, spingendo una mano aperta contro la sua bocca ma finendo comunque per scoppiare a ridere in una risata fragorosa e sincera. Non era giocandosi il posto che lo avrebbe voluto rivederlo ridere ma poco importava, no? Kurt stava ridendo ed era musica per le orecchie.

“Solo tu per evitare una persona potresti finire per scontarti contro una pianta” disse, tenendosi lo pancia con le mani e asciugandosi una lacrima “So che non dovrei ridere dei miei dipendenti ma è praticamente impossibile con te” rise ancora, singhiozzando e rendendo la frase incompressibile “Sembra quasi che ti crei piacere farmi ridere in questo modo, ammettilo” continuò, facendo dei respiri e toccandosi il viso “E adesso fila a cambiarti, abbiamo ancora tempo ma mi devi un Grande nonfat mocha”.
 
 



Camminava con passi incerti ed a ogni passo, la pila di fogli che gli copriva il viso, traballava. Era al termine della sua seconda settimana di prova e gli avevano assegnato un manoscritto. Doveva stamparlo, fotocopiarlo, rileggerlo e assicurarsi che venisse revisionato e messo in commercio, prima della fine della giornata e questo implicava parlare con il capo stampa e organizzare i vari motori di vendita ma niente lo terrorizzava e spaventava più della stampante-fotocopiatrice dell’ultimo piano. “Buona fortuna Anderson” gli disse qualcuno, che non riuscì a vedere. Era la decima persona che lo salutava in quel modo, con un ghigno sulle labbra, pronti a un suo fallimento.

Da quello che aveva scoperto, ed una macchina difettata e che, dopo la centesima copia, iniziava a dare i numeri e a bruciare i vari comandi inseriti. Era già arrivato a novantotto copie e si era fermato per sistemare e impaginare già quello che aveva, cosi da far riposare la macchina per qualche momento e non farla andare in tilt, senza regalargli un’altra bella figuraccia. Ne aveva avuto già abbastanza per tutta la sua intera vita. Ma ovviamente, non erano ancora abbastanza.

Archiviò le prime pagine del manoscritto in una scatola bianca, dato che non si fidava ancora di nessuno e che era stato chiesto a lui di occuparsi della pubblicazione, e ricoprì la scatola con il suo coperchio, perché la precauzione non era mai troppa in quel luogo e tornò a dedicarsi al macchinario che aveva di fronte, guardandolo con aria di sfida e incrociando le braccia al petto. “E ne resterà solo uno dei due, e per tua sfortuna, sarà io a vincere oggi”.

Si sentì un idiota e, passandosi una mani sulla fronte, premette il pulsante stamp, con le goccioline che gli imperlavano la fronte di un sudore freddo e che sapeva di agitazione. La macchina emise un rumore stridulo ma dopo iniziò a stampare il resto del manoscritto. Blaine, dalla felicità, improvvisò un balletto della felicità, muovendo tutto il suo corpo a un ritmo che sentiva solo nella sua testa e che attirò non pochi sguardi su di lui. A poche copie dalla fine, canticchiò anche qualcosa e “Blaine Anderson e chi altri se no”.

Chiuse istintivamente gli occhi, conoscendo troppo bene quella voce e quell’accennò di ilarità che ora mai lo accompagna nel sogni più oscuri e persi. “Dimmi che non stai improvvisando un ballo della vittoria, accompagnato da una melodia che era nella tua testa, anzi, dimmi che è cosi perché la scena sarebbe molto più divertente” e pronunciò l’ultima frase tra risate trattenute e con gli occhi lucidi per la scena comica che gli si era presentata, per lui, quell’oggi. Il moro non ebbe il tempo di rispondere o giustificarsi, che la macchina infernale iniziò a fare rumori, movimenti, strani e dopo a buttare per aria fogli bianchi sporchi d’inchiostro ma con niente altro stampato sopra “Dannazione”.

“Ehi, guarda il lato positivo, ha bruciato solo la parte finale e quella è piena di ringraziamenti di gente che si vanterà ogni volta che ne avrò occasione ma che magari conosce a stente il nome del libro. Si può dire che hai vinto contro la macchina”. Gli occhi del moro iniziarono a brillare e a illuminarsi, luce che proveniva dal sorriso raggiante che aveva esteso le sue labbra fino a farlo essere teneramente adorabile e stava per urlare la sua felicità ma “Sei consapevole che ho comunque bisogno di quella pagina, vero?”. Blaine annuì tornando in sé e recuperando i fogli stampati e quelli che la macchina aveva lanciato per aria, “Ma prima, rifai di nuovo quel balletto, ti prego” ridendo in una maniera adorabile ma cercando di sembrare neutrale.
 



 
Si sentiva nervoso, anzi, era nervoso e dal nervoso non riusciva a stare fermo. Andava avanti e indietro non sapendo cosa fare o cosa pensare. Avrebbe potuto consumare il pavimento, con un altro passo. Ma andiamo per gradi; Kurt Hummel si era presentato alla sua scrivania qualche giorni prima parlandogli del suo periodo di prova e che era ora per lui di scegliere cosa fare, per questo, gli aveva assegnato un articolo e del tempo a disposizione. Se l’articolo lo avesse colpito, allora sarebbe stato assunto e assegnato a una rubrica, in caso contrario, la sua esperienza lì era giunta al termine.

Aveva completato l’articolo la sera precedente e non aveva dormito tutto la notte, leggendolo e rileggendolo, controllando ogni virgola, spazio e maiuscola. Riusciva ad avere gli occhi aperti grazie ai cinque bicchieri di caffè che aveva bevuto prima di presentarsi di fronte l’ufficio del suo possibile capo per consegnargli l’articolo e aspettare. Perché principalmente era quello che stava facendo, andando avanti e indietro di fronte quella porta ancora chiusa. Lui aspettava il verdetto, mentre il nervosismo lo stava consumando dall’interno.

Fissò l’orologio e notò che era lì da quasi mezz’ora e il suo articolo si leggeva in pochi minuti quindi le cose erano due: ho Kurt si stava divertendo a vederlo soffrire il quel modo e quindi lo stava facendo cuocere nel suo brodo anche se aveva già una risposta o non ci aveva ancora dato un’occhiata ed era intento in una discussione più importante al telefono con qualche funzionario, fatto sta che Blaine non poteva più aspettare oltre. Camminò a passo deciso verso la porta e “No, ma che sto facendo? Cosa credo di ottenere cosi? Non sarà mettendogli fretta che avrò la mia risposta”.

Fece qualche passo indietro e stava quasi per voltarsi e tornare alla sua posizione quando “Ma se invece si aspettasse questo mio tipo di azione? Chi può dirmi con certezza cosa è giusto fare. Magari se ne stata seduto sulla sua comoda poltrona ad aspettare che io bussi o che entri, quindi perché deludere le sue aspettative?”, sospirò e prese coraggio. Ripercorse i pochi passi di prima a chiuse la mano a pugno, sollevando il braccio verso la porta.

“Questa cosa è idiota, io sto diventando pazzo. E che faccio una volta bussato, scappo via terrorizzato e osservo la scena da dietro una pianta? Devi riacquistare il buon senso Blaine, devi..” non ebbe il tempo di completare la frase o di fare qualche passo indietro che la porta si aprì e “Blaine, cercavo proprio te ma penso che tu lo sapessi già”, il sorriso del suo bellissimo capo gli si parò di fronte, realmente a pochi centimetri di distanza e deglutì a vuoto.

“Mi spieghi perché il tuo braccio è sospeso a mezz’aria?” chiese il direttore, sposando lo sguardo dalla mano a pugno di Blaine e il volto del ragazzo, con un sopraciglio sollevato, chiaramente confuso. Blaine abbassò il braccio, infilando la mano nella tasca dei pantaloni e tossicchiando. “A ogni modo ho preso una decisione, che credo sia questa la tua decisone di sgranchirti le gambe d’avanti al mio ufficio, non è cosi?” Il moro ringraziò di avere la mano nella tasca o l’avrebbe usata per schiaffeggiarsi.

“Dicevo, senza giri di parole, sei dentro” Blaine si trattene più che poté ma alla fine la felicità era troppa e fece un salto accompagnato da un urlo che fece voltare tutti verso la sua direzione “Ma sappi che è per questo motivo che ti assumo. La gente qui è troppo seria, ho bisogno, abbiamo bisogno di ridere un po’ di più e di sentirci più leggeri e poi detto tra noi, la tua bravura nello scrivere è stato un colpo di fortuna. Onestamente, ti avrei assunto il secondo in cui ho sollevato lo sguardo e ti ho visto mettere piede nell’ascensore. Che resti un segreto, Blaine Anderson, ma tu mi piaci e sarà realmente eccitante lavorare con te”.









 
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Giuro che non è  una cosa intenzionale stoppare cosi le os, voglio dire, sento che il resto dovrebbe rimanere all’immaginazione e ho il terrore di rovinare ogni cosa, quindi sento che vanno bene cosi e poi adoro i finali, cosi dire, aperti. Ma passiamo alla One Shot. I Klaine, non più dei bambini (un trauma per me ç_ç), entrano nel mondo del lavoro e Blaine, che di gaffe è esperto (ne approfitto per ringraziare la mia meravigliosa Fra per avermi suggerito tutte le gaffe scritte, povero Blaine lol ma ti voglio bene ragazza), ne fa di tutti i colori e Kurt se la ride perché quando si incontra Blaine non si può restare seri, come del resto, se si incontra Kurt non si può non farlo ridere dato che la sua risata è un suono divino e armonioso, che riscalda ogni cuore. Qual è stata la nostra gaffe preferita? E le vostre gaffe?

A ogni modo questa è la penultima one shot per questa raccolta e la settimana prossima il cerchio (e questa esperienza) si chiuderà ma non sono cosa a pronta a dire qualcosa a tal proposito quindi vi do appuntamento(?) alla prossima settimana per la conclusione di questa raccolta e per i saluti finali.
Grazie a chi ha letto, inserito la storia delle seguite/preferite/ricordate e chi ha recensito.

- Sandfrost -

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Capitolo 10
*** Vuoi giocare con me? ***


Vuoi giocare con me?




 
 
“Vuoi giocare con me?”. Era avvenuta cosi quel possibile inizio di conversazione (decisamente non convenzionale), che avrebbe portato a qualcosa o ad assolutamente a niente. Quattro parole e un punto interrogativo alla fine. Che cosa si aspettavano dalla risposta, non lo sapevano nessuno dei due. Il ragazzo che l’aveva posta, aveva passato ore a pensarci e il ragazzo a cui era stata posta, era confuso ma non in maniera negativa. Non si poteva di certo dire che capitava ogni giorno di ricevere quel tipo di domanda, no?
 

 
Sollevò il polso verso il suo viso, prima di ricordarsi che non indossava un orologio. Riportò il braccio al lato del suo corpo e sollevò il capo verso l’alto, sospirando. Era lì forse già da troppo tempo ed era ora di tornare a casa, se non voleva fare tardi ancora una volta e trovare la metro troppo piena o perdere l’ultimo treno. Anzi, avrebbe dovuto smetterla di uscire di casa senza chiavi o telefono, per una delle sue passeggiate senza destinazione, che lo portavano sempre nello stesso posto.

La stessa panchina, la stessa visuale sul parco, lo stesso parchetto dove, bambini e le loro mamme, ridevano e giocavano. Eppure il posto più rilassante che conosceva. Allungò le gambe per sgranchirle, nascoste le mani nelle tasche dei suoi pantaloni, sporgendosi in avanti, pronto ad alzarsi e ad andare via, quando lo vide. Un ragazzo dai capelli castani, occhi delle sfumature azzurre e un sorriso sempre tirato sul volto. Non conosceva il suo nome o sapeva chi fosse, ma lo vedeva spesso quando era lì.

Era solito sedersi sotto lo stesso albero, poco lontano dalla sua panchina, con un libro in mano. Ci restava fino a quando non gli era più possibile leggere, per via dei lampioni troppo scuri e il cielo tardo. Forse era quella la motivazione che gli faceva perdere l’ultimo treno e che spingeva le sue gambe fino a quel parco e poi su quella panchina, e forse questo non lo avrebbe mai ammesso a sé stesso, dato che non aveva il coraggio di avvicinarsi per parlagli. Cosi se ne stava a fissarlo tutto il tempo, fino a quando non lo vedeva andare via e solo allora si decideva a fare la stessa cosa.

Era successo quasi un mese prima, durante una delle sue passeggiate per schiarirsi le idee, dopo una giornata di lavoro particolarmente intensa. Quel parco  non era molto distante da casa sua, giusto qualche isolato verso est e gli piaceva. C’era calma e pace e i suoni che lo circondavano, gli davo l’opportunità di sentirsi vivo e gli ricordavano che tutto sarebbe andato bene, se solo si sarebbe ricordato di respirare e di sorridere. Cosi era successo quel giorno, solo che mentre se lo ripeteva, lo vide.

Era nel mezzo di un respiro profondo quando lo vide varcare le porte del parco, camminare in una direzione precisa e sedersi su un lato del enorme albero che era alla sua destra. Il suo respiro gli si era bloccato nel petto e da lì, era di peso solo da quel ragazzo. Nei giorni successi, capitava che lo trovava già lì, a leggere ma alle volte aspettava fino a pomeriggio inoltrato, prima di vederlo arrivare. Si sedeva nello stesso punto, con la stessa espressione sul viso ma con un libro diverso tra le mani. Bellissimo come sempre.

Sospirò, chiedendosi cosa sarebbe successo se solo avesse trovato la forza e il coraggio necessario per avvicinarsi e dirgli solo un semplice ciao. Magari avrebbe scoperto che non era un persona cosi interessante o che non avevano niente in comune. Magari avrebbe smesso di venire in quel parco o magari avrebbe smesso lui. Quella paura lo bloccava tutte le volte e lo teneva fermo su quella panchina a immaginare mille scenari diversi, reali solo nella sua testa. Alle volte immaginava anche la sua voce o l’intensità del suo sorriso, perché era certo avesse un sorriso bellissimo, da togliere il fiato.

Sorrise a sé stesso e tornò ad appoggiare la schiena sul legno duro della panchina, spostando lo sguardo nel parco ma riportandolo e fermarlo, sempre, di nuovo, sulla figura del ragazzo, preso a leggere un nuovo libro dalla copertina rigida e i colori chiari. “Vuoi giocare con me?”. Voltò il capo e notò due bambini, uno era per terra forse per via di una caduta considerando gli occhi lucidi e il secondo gli stava accanto, con una mano protesa verso il basso. Il bambino che aveva parlato, aveva i capelli di un castano quasi biondo e gli occhi chiari, quello che si stava rimettendo in piedi dopo avere accettato l’aiuto, aveva i capelli mossi con tanto di boccoli e gli occhi cervoni.

Fissò i due bambini sorridersi e correre, mano nella mano, verso lo scivolo ridendo e giocando ai pirati. Sorrise alla vista di tanta innocenza e dopo riportò lo sguardo al ragazzo di cui non sapeva niente, tranne che amava leggere e si chiese come sarebbe stato se fosse stato cosi semplice, come quando si è bambini e si è ancora amici per la pelle. I suoi occhi si spalancarono e dentro di sé sapeva sarebbe stata una pessima idea ma scattò comunque in piedi, come punto da qualcosa, e camminò con le mani sudate nelle tasche. Ne estrasse una per passarla sulla fronte, spostandosi una ciocca di capelli e posandola sulla bocca, come a fermarsi.

“Vuoi giocare con me?” furono le prima parole che pronunciò, con voce secca e un nodo alla gola, quando arrestò la sua camminata e si trovò di fronte al ragazzo, che sollevò il capo confuso e “Come scusa?” chiese, con un sopracciglio sollevato e il volto sorpreso, non aspettandosi quel tipo di domande da uno sconosciuto. Si schiarì la voce non potendo più tornare indietro e iniziando a spiegare. “Non sono uno fuori di testa o qualsiasi altra cosa tu stia pensando di me in questo momento, anche se posso capire che la situazione non è delle migliori”.

Fece un respiro profondo e continuò “Ti vedo seduto qui da quasi un mese ormai, ti osservo da quella panchina e mi domando come sarebbe parlarti, e okay, forse non sto migliorando la situazione, non è cosi?” si affrettò a dire quando vide il ragazzo sollevare entrambe le sopraciglia. “Ascolta, non so perché è cosi complicato parlare con qualcuno che non si conosce. Quando si è piccoli è tutto più facile, ti basta iniziare a giocare e dopo si è migliori amici. Dopo gli anni passano e devi cercare le scuse più assurde per iniziare una conversazione.

“Ho appena visto due bambini che hanno iniziato a giocare e a ridere insieme, come se fossero amici da sempre. A nessuno dei due interessava sapere il nome dell’altro o altre informazioni che per noi, una volta diventati grandi, sembrano essenziali per iniziare un’amicizia ma a me non sta bene. Quei due bambini mi hanno ricordato la semplicità e la purezza dell’amicizia. Perché quando cresciamo rendiamo tutto cosi complicato? Chi dice che non ci si può più avvicinare a qualcuno e chiedergli di giocare, senza sembrare un pazzo o un tipo con brutte intenzioni?” chiese più a se stesso che al ragazzo che, comunque, non aveva smesso di fissarlo per tutto il tempo.

“Quindi, sì, vuoi giocare con me?” chiese ancora, lasciando andare un respiro che non sapeva di star trattenendo, sollevando e abbassando le braccia lateralmente. Il ragazzo dagli occhi chiari, lo fissò, sorrise e dopo accennò una risata, chiudendo il libro che aveva in grembo e appoggiandolo di lato. Non era sicuro fosse un buono segno o se lo avrebbe visto correre da un momento altro cosi “Io sono Blaine, comunque” si presentò, porgendo la mano al ragazzo ancora seduto sull’erba e quando il ragazzo ricambiò la stretta, sorrise ripensando ai due bambini di poco prima.

“Io sono Kurt, e sarebbe un vero piacere giocare con te Blaine” si presentò a sua volta Kurt, facendo segno a Blaine di sedersi al suo fianco. Blaine lo fece senza esitare neanche un secondo e senza smettere di sorridere. E ne era sicuro, oh era sicuro che Kurt avesse il più bel sorriso di tutto l’universo ma non pensava che la sua risata potesse avere un suono cosi armonico e celestiale. “Allora, cosa stai leggendo?” chiese Blaine, per iniziare una vera conversazione.

Sorrise Kurt e iniziò a parlare per più di mezz’ora della sua passione per i grandi classici e raccontando a Blaine quanti già ne avesse letti e cosa ne pensasse di ognuno. Blaine ascoltò in silenzio, incantato dalla voce di Kurt e dal modo in cui si lasciava trasportare da quella passione, sorridendo tutto il tempo. “Hai un sorriso bellissimo, Kurt e dovresti sorridere più spesso” si lasciò sfuggire, durante una pausa di Kurt, che arrossì e abbassò il capo. Blaine sorrise, perché era bello vederlo arrossire ma dopo si sollevò, afferrò Kurt per il polso e “Su, andiamo a giocare ora” e corsero entrambi verso le giostrine, ridendo e sorridendo come se si conoscessero da sempre.

Ed era come essere tornarti due bambini che si dividevano un biscotto, come darsi la mano il primo giorno di scuola, per non avere paura e sentirsi meno soli. Come festeggiare il proprio compleanno, anche se non lo sia ama, con qualcuno di speciale, con cui soffiare sulla candelina o cantare un duetto il giorno del natale, con sorrisi felici sul volto. Come ballare durante il ballo di fine anno e fare pazzie prima che la nostra vita cambi per noi. Comportarsi da bambini ancora una volta e ringraziare chi si ha accanto, quella persona speciale che ci permettere di essere quello che siamo, buffi e folli. Giocare ancora come due bambini dentro abiti d’adulti. Semplicemente.











 

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Ed eccoci qui, è finita.

Ho iniziato questa storia due anni fa e, quando non ho avuto più l’opportunità - per una motivazione o per un'altra - di continuare a scrivere, ho promesso a me stessa che un giorno avrei ripreso in mano questa storia e l’avrei conclusa e con la pubblicazione di questa one shot, la mia promessa è stata mantenuta. Sono triste e felice allo stesso tempo, come del resto capita sempre. Triste perché mi mancherà stare sveglia fino a notte inoltrata a pensare a questi due e felice perché, come ho detto, ho mantenuto la promessa fatta e ho portato questa storia alla conclusione.
Non so se le varie storie/os siano piaciute e se avessi potuto fare di più (sicuramente) per renderle migliori e non so neanche se sono completamente convita di quest’ultima ma è andata e va bene cosi. Mi sto chiedendo, mentre pubblico, cosa avresti scritto se non mi fossi presa questa specie di anno di pausa ma non posso conoscere la risposta. Quindi semplicemente ringrazio ancora la mia Fra per aver sopportato e supportato in questo lavoro, ricordandomi che ne ero in grado. Grazie piccola mia, ti voglio bene.
Sulla storia, che dire. Come raccontavo questa mattina alla mia Fra, questa storia è nata quasi tre anni fa ed ero nella stessa situazione di Blaine. Ovvero, ero in spiaggia per liberare la mia mente dai troppi pensieri e c’era questo signore che leggeva il giornale, non me lo so spiegare ancora adesso, ma mi sentivo cosi frastornata e stanca da quei ronzi nella mia testa, che ho avuto tutto il tempo il pensiero di avvicinarmi e parlagli e sono rimasta a fissarlo, fino a quando non l’ho visto andare via. Mentre me ne stavo lì, ho iniziato a pensare a quando si è bambini e a quanto facile sia fare amicizia e allora l’immagine di un Blaine che si avvicina a un Kurt, intento a leggere e chiedergli se voleva giocare con lui, mi si è parata di fronte e non se ne più andata.
Una volta tornata a casa, ho pensato di scriversi su una raccolta di dieci one shot e come conclusione proprio questa, cioè Blaine che chiede a Kurt se voleva giocare con lui. Le varie one shot sono nate nei modi più buffi, divertenti e normali e, anche se forse non sono il massimo, sono tutte speciali per me per questo motivo e il ricordo vivrà oltre tutte le parole scritte. Credo che sia questo che resta allo scrittore, alla fine di tutto, in modo da non farlo finire mai.

Kurt e Blaine che si incontrano a varie età e diversi momenti della loro vita, si conoscono e diventano amici, proprio come due bambini. E stata un’avventura ma sono felice di essere arrivata alla conclusione.

Non penso ci sia altro da aggiungere e, in caso, lo farò domani mattina. Ringraziò chi ha letto e ha vissuto con me questa avventura. Grazie di tutto. E Grazie di tutto ‘Vuoi giocare con me?’, è stato un onore.
 
- Sandfrost -

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