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di LadyFrenny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Questa nostra vita ***
Capitolo 2: *** 36 Ore ***



Capitolo 1
*** Questa nostra vita ***


Pioggia.
Tanta pioggia, pioveva ininterrottamente da quando avevo aperto gli occhi di mattina. Era una di quelle tante giornate che amavo. Perché la gente odia la pioggia? È una melodia naturale che rilassa le giornate invernali, qualcosa che da vita alla natura selvaggia, che rinfresca le giornate estive.
Mi dava conforto.
Delle luci creavano l’atmosfera tutta in torno a me, abbaglianti, non vedevo nulla oltre quello che si estendeva la sala, forse intravedevo solo tante teste di milioni di persone sedute a guardarmi.
Un palco.
Non era uno di quelli su cui mi esercitavo, né uno di quelli che mi toccavano quando da piccolo dovevo esibirmi in qualche balletto.
Ora ero lì, a volteggiare su quell’immenso palcoscenico che riusciva a raccogliere i miei spostamenti incorniciandoli come su uno schermo. Dietro il nulla, avanti il nulla, tutto nero tranne io, ero vestito di bianco con una di quelle solite tutine aderenti e coperto da una comoda camicia. Tutti potevano vedermi, io non vedevo che le ombre delle loro teste, anzi, non sentivo il bisogno di guardare nessuno.
Per me essere su quel palco era tutto, un desiderio coltivato per anni arrivato al termine. Forse non proprio tutto.
C’era dell’altro che occupava un piccolo spazietto nel mio cuore.

Avevamo preso due strade differenti, io lì a creare passi nella mia lunga danza, lei altrove, a dipingersi il futuro forse nelle braccia di qualcun altro.
No non lo avrebbe mai fatto.
Ricordo che solo ieri ero accomodato sul mio divano in un soggiornino modesto, molto stanco dopo le tante preparazioni che affrontavo ogni giorno. Il pc era sul tavolino di fronte ai miei occhi e nello schermo vedevo la sua immagine muovesi come solo lei sapeva fare. Sbadata, goffa, bambinesca, anche stupida molte volte, era ciò che mi riempiva gli occhi nei momenti in cui cercavo la spina da staccare.
Quasi tutte le sere facevamo Skype, la tecnologia inventava cose utili ogni giorno ma per me era una di quelle indispensabili a vivere. Non bastava una telefonata per sentirne la voce, non bastava una foto per vederne il viso, non bastava un messaggio per esprimere le tante cose che volevo dire. Una semplice videochiamata riusciva a saziarmi, solo per poco, almeno il tempo di andare a letto e non pensarci più.
E poi ricominciare con la mia vita. E’ crudele, questo. Condurre la propria vita come se nulla fosse e poi tornare a ricordare una parte della vecchia che non vuoi staccare via del tutto.
E’ così che lei definiva la faccenda, crudele.
Sono strano, lo ammetto, odio questa mio carattere eppure a lei non importa, lo giudica come una parte indispensabile a fare ciò di cui non può fare a meno.
Mi chiedevo come facesse a sopportami, come faceva ad andare avanti con una forza che a me mancava molte volte quando mi sentivo crollare le mie fantasie a dosso, come. Mi sentivo come un veleno, uno di quelli che prendi pensando facciano bene ma io ero una sua dipendenza.
Non è difficile finchè si ha qualcuno a cui dare la buonanotte” la stessa risposta ogni volta che provavo a capire cosa le passasse per la testa. Sono un illuso a credere che possa capirlo, spesso non so cosa passa per la mia, figuriamoci nella sua. Bastava parlarci per capire che la sua testa non viveva con noi ma altrove, in qualche mondo di fantasia dove nessuno si prende carico delle proprie responsabilità adulte.
Pensavo.. come può una persona non ancore cresciuta sembrare allo stesso tempo tanto grande?
Cedevo ogni tanto, cominciavo a parlare veloce, arrabbiato, le parole uscivano prima dalla bocca e poi passavano nella mia ragione, è questo che odio maggiormente di me. Cose cattive, molto cattive uscivano dalla mia mente stanca eppure rimaneva lì ad ascoltarle, a cercare di farsi carico di quello che non volevo mostrare a nessuno, ad insultarmi nei finali tragici di una discussione, a tirarmi su di morale con parole che ammetto, spesso non hanno un senso per come la penso io.

Un salto, era uno dei primi che facevo dopo aver iniziato lo spettacolo, farlo mi rendeva una persona libera, ansi nel complesso la danza mi rendeva libero da tutto. Finchè il mio corpo seguiva la mia anima agitata non potevo lamentarmi di nulla.
Le negatività sparivano, i pensieri cessavano, rimanevo solo io, il palco e la danza. Forse ero concentrato ma direi che era la concentrazione a dipendere da me, non ne avevo bisogno, Faceva tutto il mio corpo, al massimo io potevo ricordare i passi e le emozioni che mi spingevano.
Il mio volto era espressivo anche se non pensavo affatto a come guardavo il resto, me lo diceva sempre lei, se mai avesse voluto disegnarmi nel mentre della mia opera voleva catturarne la mia espressione, ma si sa, non riuscita.

Ieri discutevamo su questo, voleva che le portassi qualche foto che avrebbe fissato per giornate intere. Me lo aveva confessato, le guardava fino alla nausea e poi ne cercava delle altre, mi viene da ridere ma non posso, ora sono troppo preso dall’ascoltare la musica che dettava i miei passi.
Cosa si prova a fare un inchino? A stare di fronte a tutti? Ad essere in alto?
Erano le uniche domande che la gente faceva per caso se sapeva che il tuo lavoro era il danzatore professionista, cosa che io non per vergogna, evitavo dire. La gente non capisce nulla finchè non prova, parlare a vanvera aumentava il mio sarcasmo pungente che rigettavo verso di loro. Se loro capissero, mi chiederebbero solo una cosa: Cosa si prova a danzare?
Per mia fortuna qui è pieno di idioti, confesso che se qualcuno mi chiedesse qualcosa di simile non saprei rispondere, non c’è risposta a questo. Quando lei me lo chiedeva, preferivo evitare il discorso e parlare di altro, distrarla con battutine infelici, per fortuna capiva.

Ero a terra, rannicchiato in una posizione apparentemente scomoda, in realtà non sentivo nemmeno dolore dopo le tante volte che la provavo. L’aria era una pioggia di applausi.
Mi chiedo se il mio cuore mi formicoli per quel rumore a me dedicato o solo perché sono arrivato alla fine di un pezzo della mia arte. Ora si che potevo sorridere, dietro le quinte, ma da solo, nessuno era lì ad aspettarmi per congratularsi. I miei amici, nuovi amici di carriera, erano tutti concentrati a guardare l’orologio attendendo il loro turno, questo era triste. Forse non aveva tutti i torti quando diceva che una vittoria è bella ma fantastica quando c’era qualcuno a cui raccontarla e, lì non c’era nessuno.
Strinsi la mano del proprietario del teatro, uomo avido dei suoi averi ma un gentiluomo verso i suoi collaboratori, quello significava solo che poteva andare avanti e basta attendendo qualcosa di più grande.

Mi capitava spesso di passeggiare per le strade affollate di New York, piene di luci che ti accecavano gli occhi se uscivi da un posto scuro, si respirava una vita frenetica ed un tempo che inseguiva i passanti consumati dal lavoro. Parcheggiavo la macchina lontano apposta, volevo solo osservare quelle strade immense che a casa mia non esistevano, eh chissà come stavano a casa, non lì sentiva spesso. Fra quel milione di persone frettolose, ero l’unico che andava di tutta calma, si anche per la stanchezza, però nessuno mi aspettava a casa.. o forse si.
Aprivo la porta e lei era seduta su una poltroncina a leggere alla luce di un lumino, in pigiama, rannicchiata sul cuscino come un gatto assonnato. Mi veniva da ridere ogni volta che la trovavo lì a leggere, nonostante fosse una di quelle persone che venivano assalite dal sonno ad una certa ora della sera, aspettava il mio ritorno.

Meno male che lo sognavo solo tutte le notti, se solo per caso mi capitava di pensarci mentre ballavo poteva costarmi la carriera, in passato ero già caduto una volta in modo stupido per una distrazione simile. Ecco cosa era crudele, dimenticare per un lungo tempo le emozioni personali ed assimilare quelle richieste dalla musica. Alla fine a me non dispiaceva affatto ma era come se vivessi due vite, una tirata avanti con una maschera ed un’altra dove potevo essere me stesso.
Indovinate qual’era quella che vivevo con la maschera?

Salii in macchina ed infilai le chiavi per accendere il motore, mi aspettava un po’ di strada per il mio appartamento di città, preferivo prendere la metro solitamente ma in questo giorni ho bisogno di starmene solo a pensare. Presi il portachiavi, ne aveva circa trequattro attaccate, una di quelle apriva l’appartamento. Misi la mano sul pomello ed aprii la porta per poi lasciarmela alle spalle e chiuderla.
Il corridoio era buio ma, una luce fioca passava nell’ombra, proveniva dal soggiornino dove solitamente mi mettevo a parlare con la mia ragazza, avevo scordato qualcosa acceso? Forse il pc?

Fermo sulla soglia della porta la vidi, su quella solita poltroncina rannicchiata a leggere.

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Capitolo 2
*** 36 Ore ***


C’era del Silenzio.
-Cucciolo?-
Una voce, una dolce voce mi richiamava alla realtà dalla quale ero assente, non mi ero accorto del silenzio che stavo creando, troppo impegnato a pensare.
-Tutto bene?- Ero uno sciocco, non volevo far preoccupare nessuno eppure lo facevo, cosa mi prendeva?
-Si mi spiace, è che mi sono svegliato storto questa mattina-
Mi ero alzato alle otto circa del mattino, solitamente svegliarmi così presto voleva dire una sola cosa: Nervi girati.
L’ora ideale per trovarmi bene è dalle dieci in mezza in poi, non che alla fine ci sia un’ora precisissima ma a grandi linee è così che funziona con me.
-Cosa ti turba?-
Lei era ancora lì a fissarmi aspettandosi una delle mie solite risposte brevi e coincise ma decisi che non era il caso di arrecarle dispiacere.
-Tranquilla, è che volevo sognare ancora un po'. C’eri anche tu-
-Nel sogno?- Mi chiese con occhi scintillanti.
-Ovviamente, in questo periodo ci sei solo tu nei miei sogni- Risposi sorridendole.
Pensandoci bene non le sorridevo spesso, mi piace vederla arrabbiarsi per queste frivolezze del “sorriso”, ad esempio.
Se la prendeva per ogni minima cosa a me stupida, però non penso affatto che siano poi così stupide, mi faceva capire quanto ci tenesse a me, mi rendeva felice.
Mi sorrise sorniona, aveva visto il mio.
-Cosa? Cosa sogni su di noi?- Mi chiese ancora non stando nella pelle di sapere la risposta.
-Bhe vediamo.. ci sono io che sono seduto su un divano.. con le gambe poggiate su un tavolino.. una giornale aperto di fronte i miei occhi. Leggo tranquillo, mentre tu vestita da cameriera mi porti un dolce pieno di nutella da brava schiava, come non potrei svegliarmi storto sul più bello?- Ero meschino lo so.
-Tu! Pusillanime! Essere orrendo e .. e.. ti spiccicherei quel dolce in faccia!- Se l’era presa.
Non mi divertivo mai così tanto se non mentre la prendevo in giro, era un qualcosa di troppo spassoso, soprattutto quando mi guardava offesa con la sua faccia da pesce palla. Così la definivo: un pesce palla con le guance gonfie ed il labbruccio.
In realtà non facevo che sognarla ogni notte seduta a leggere nel mio soggiorno, ma questo non era divertente da raccontare, ansi sembrava un po’ angoscioso e tormentato.
-Bhe dovrai fare a meno della tua schiava per qualche giorno!-
-Cosa, perché?!- Mi alzai di scatto verso il monitor del pc, il divano scrocchiò al mio movimento inaspettato, cosa voleva dire? -Non te la sarai presa spero!-
-Ti pare?- Mi disse lei mentre muoveva una mano su e giù. -E’ che.. sto preparando una cosa.. ho bisogno di questi due giorni per organizzarmi, fra poco devo andare-
Ero scioccato, non era mai vaga con me, mi diceva sempre tutto ed a essere sinceri non le chiedevo mai spiegazioni semplicemente aspettavo che lo facesse lei, alla fine non mi importava ne di cosa facesse ne dei suoi programmi, nemmeno questa volta avevo intenzione di chiedere nulla. Un po’ mi interessava sapere alcune cose, ma non sempre, dipende da come mi girano e quel giorno mi giravano tanto.
-Lo so che non ti interessa, però bhe mi mancherai, allora ciao- Mi disse salutando con un velo di tristezza sul viso.
-Ciao- Risposi io.
Okke mi stavo odiando in quel momento, ma lei aveva appena chiuso la chiamata e non potevo fare nulla, o forse si..
<3
Un cuore, le avevo inviato un cuore, tutto risolto allora!
Come non detto non mi rispose nemmeno ma sapevo che lo aveva visto, sapevo.
Odiavo quando si offendeva, stava male lei stavo male io, accidenti a me e quando sono nato con questa freddezza incorporata. Cosa doveva fare di così importante da ignorarmi, era sempre pronta a rispondermi, quando mi andava o mi facevo sentire.. Ed ora?
Nha, non me ne importava nulla andava tutto bene nella mia vita, quello era solo un piccolo intoppo.

Routine:
Palco.
Stretta di mano.
Passeggiata.
Macchina.
Letto.
Lei seduta ad aspettarmi.


Guardai l’orologio, erano le due di notte inoltrate, solitamente era quella l’ora in cui cominciavo a dormire dopo una lunga chiacchierata su skype con lei. Non la sentivo da questa mattina, ero un po’ triste dentro, ammetto che sentivo un vuoto senza la sua buonanotte, ma ci feci caso solo quando era il momento di starmene solo nel letto. Non l'avevo pensatoa tutta la giornata ed ora ero la che mi voltavo e rigiravo nel letto sperando di prender sonno. Infilai un braccio sotto il secondo cuscino con gli occhi stanchi, mi accomodai sul lato destro e cominciai ad abbracciarlo pensando che ci fosse lei al posto di quel concentrato di piume.
Chiusi gli occhi.
Li riaprii poco dopo ancora stanco, anche più di prima, l’orologio era sul comodino a lampeggiarmi le sette del mattino.
Accidenti.
Mi guardavo in malo modo allo specchio mentre strofinavo quello stupido spazzolino sui denti, avevo una faccia scura me ne rendo conto da solo. Non avevo chiuso occhio per un’idea che mi ronzava nella testa. Prima di alzarmi controllai il cellulare, nemmeno un suo buongiorno, nada, nulla. Questo non migliorava la mia situazione.
Aveva un altro.
Non fatemi cambiare idea che non lo farò. Mi stava tradendo, ma cosa me ne importa?
Stupida gelosia da quattro soldi, stupida distanza, stupidi tutti quanti. Avevo tirato un cazzotto sul lavandino mentre masticavo lo spazzolino frustrato. Stavo diventando paranoico.
Non aveva nessuno se non me, me lo diceva sempre. I ruoli fra noi due si erano invertiti negli anni, ora che ero più grande mi sentivo sempre più possessivo e pesante su questa faccenda, ottimo anche "stupida crescita" da aggiungere alla lista delle cose stupide della mattinata.

La colazione non mi andava, volevo solo uscire e farmi una passeggiata in città, tanto per dimostrarle che senza di lei vivevo perfettamente , alla grande.. forse a me stesso più che altro ma dettagli.
Gente coi cani, gente che corre, gente che ozia sulle panchine, gente che si bacia, cani con la gente, gente fidanzata, panchine coi vecchi, cani coi vecchi, panchine coi cani, fidanzati in panchina, Baci coi fidanzati, lampioni con i cani, baci con le panchine… Stavo impazzendo.
Forse tornare a casa non era una cattiva idea, se vedevo qualche altra coppia sdolcinata gli avrei urlato contro per perforargli il timpano con cattiveria.

Appartamento dolce appartamento, lo stomaco chiuso mi gridava del cibo per il nervoso, ero solo quindi tutto bene per ora ci mancava solo la mia migliore amica a farmi compagnia. Mi sedetti al tavolo con due fette di pane tostato e salutai la mia amica dall’altra parte del tavolino.
-Che fai anche tu mi abbandoni?-
Guardavo il barattolo di Nutella scocciato, ne era rimasta poca ed io ne volevo mettere tanta su quel panino o era tutto inutile.
Una ragazza dai lunghi capelli rossi saltellava nel mezzo del nulla, allegra, sorridente, mi scaldava il cuore vederla. “ E quello chi è?” mi dissi mentre un uomo strano si avvicinò a lei ad abbracciarla.
Stavo fissando il panino che colava di nutella, possibile che sognavo ad occhi aperti peggio di lei?
Si fottesse, pure la sua assenza.

Televisione.
Macchina.
Palco.
Stretta di mano.
Passeggiata.
Macchina.
Letto.
Lei seduta ad aspettarmi.


Guardavo la sveglia che mi lampeggiava le tre del mattino, così non potevo andare avanti, mi sentivo distrutto. Quanto diavolo di tempo era passato?! Ah vero.. poco più di 24 ore. Mi sentivo seriamente stupido dopo tutto ciò, cosa mi stava succedendo? Mi mancava..
Eccola la fase del “mi manchi” quante volte deve tornare nell’arco delle 24 ore? Accidenti parte due.

Cazzotto sul lavandino.
Amica Nutella.
Lampioni sulle panchine.
Televisione.


Guardai l’orologio basito, era pieno pomeriggio, non avevo nemmeno pranzato per il nervoso questa volta, la nutella era pure finita ma la voglia di comprarla era pari alla mia felicità di quel momento. Ci stavo facendo l’abitudine, ma sai cosa? Sti gran cavoli io vivo lo stesso.

Macchina.
Palco.
Stretta di mano.
Passeggiata.
Macchina.
Letto.
Lei non era lì.


Quella mattina mi sentivo seriamente a pezzi non avevo dormito affatto, lei non era lì.. la prima notte in cui non la sognavo, gli occhi si rifiutavano di richiudersi ancora per sognare altro o per lo meno farmi dormire.
Presi il cellulare e le scrissi un semplice “Buongiorno” che inviai senza pensarci, posai il cellulare.
Lo ripresi.
-Ma perché diavolo le ho scritto? Coglione! -
Sbattevo la testa al muro insultandomi ad ogni botta per il ripensamento, da quella storia ne stavo uscendo matto.
Il ballerino picchiato” Lo immaginavo come titolo di giornale su tutti i quotidiani di New York, una sera di quelle avrei sclerato a lavoro ne ero certo.
Ora ero sicuro che il tempo era passato ed anche tanto.
Guardai il calendario, il cellulare, il suo ultimo accesso su whats upp, l’ultima volta che ci vedemmo su Skype, controllai i messaggi.. Erano passati due giorni esatti come aveva detto lei, ma senza che si facesse minimamente viva. Ma quale tanto tempo! erano solo due giorni..
 E se le fosse successo qualcosa? Impossibile mi avrebbe avvertito.
Stavo per piangere.

Quella notte mi girai nel letto con gli occhi spalancati ed una rabbia che covavo dentro, erano le quattro del mattino e stavo per spaccare la sveglia che mi lampeggiava quell’ora negli occhi brucianti.

Cazzotto sul lavandino.
Amica Nutella.
Baci sui lampioni.
Televisione.
Macchina.
Palco.
Stretta di mano.
Passeggiata.
Macchina.
Letto.

La sua assenza sulla poltrona.

Le cinque del mattino, non ne potevo più, pregavo che qualcuno mi spedisse in un coma profondo finchè un suo messaggio mi avesse risvegliato per poterle parlare e litigare tutto il giorno. Oh si ero arrabbiato, tre giorni via chissà a fare cosa senza farsi sentire, una litigata e via mi giravano tremendamente anche se cercavo di nasconderlo, tanto poi avremmo rifatto pace.
Mi ripetevo “dormi” contavo anche le pecore che saltavano sopra il mio letto.
Una, due, dieci, ventitré, cinquanta, Le pecore si trasformarono in nutella saltellante, cinquantasette, settantatre, ora la nutella rideva e cantava, sentivo una pace dentro, tutto ciò mi stava trascinando in un sogno dolcissimo dopo tanto tempo che aspettavo di dormire, così piacevole il tepore delle coperte..
Mi squillò il telefono nelle orecchie.
Mannaggia –
Non era il momento di imprecare i santi che ricordavo a memoria.
-Pronto?-
-Lei è il signor Trey?-
-Si sono io mi dica- Risposi ancora con la voce appesantita dal sonno mancato.
-Potrebbe raggiungere l’aeroporto per ritirare una consegna?-
-Come scusi?.. non aspetto nulla.. e perché all’aeroporto poi?-
-Non faccia domande, mi è solo stato riferito, arrivederla-
Ma perché la gente deve rompere alle cinque del mattino?..come non detto si erano fatte le sei.
Mi preparai accecato dal sonno, non me la sentivo di prendere la macchina, per fortuna esistevano i bus ed era l’ora giusta per prenderne uno, anche se nemmeno io so per quale motivo mi alzai dal letto senza una motivazione valida. Che io ricordi non aspettavo ne pacchi ne chissà che accidenti dovevo ritirare, ero solo nervoso ed assonnato.

Gente, gente ovunque. Il mio istinto solitario mi spingeva ad evitare più persone possibili quella mattina o avrei fatto un genocidio di massa. Nei giochi sparatutto ero ancora un nabbo deprimente ma nella realtà sta sicuro che qualcuno avrei beccato anche alla cieca per la folla che c’era.
Camminavo spaesato, forse dovevo chiedere ad una reception se qualcuno sapeva qualcosa del pacco o qualunque cosa che accidenti fosse. Dovevo scansarmi per evitare le spallate della gente, sapevo danzare e non riuscivo ad evitare senza difficoltà quattro scorbutici frettolosi.
Qualcuno mi pestò un piede con la valigia.. Cosa ci tiene i mattoni dentro?
Ero alto, ma non abbastanza da vedere meglio oltre di me, che fatica immane me ne stavo per tornare a casa ed Addio. Mi avvicinai verso le vetrate da cui il sole cominciava a farsi più forte per inaugurare la mattina, ma io dovevo andare dalla prte opposta solo che.. Intravidi qualcosa, fra le teste della gente.. di famigliare credo, non vedevo bene ma ero attratto dal farlo.
Mi scansavo più veloce accelerando il passo, alzavo la testa a guardare in fondo a me, la luce che entrava mi dava fastidio alla vista, era tutto un po’ sfuocato.. avevo scordato anche gli occhiali a casa.
Arrivai alla fine della folla, qualche persona che ancora girava ma nessuno che intralciasse la mia visuale.
Una donna in piedi di fronte la vetrata mi fissava, composta, sorridente. Jeans strappati, un maglioncino caldo e gonfio, un velo di rossetto rosso credo ma non era molto truccata, non ci facevo caso, ero preso a fissare lei ed i suoi capelli lunghi, boccolosi e rossi.
-Helis?- Chiesi con gli occhi sgranati ed il fiato che mi mancava.
-Ce ne hai messo di tempo, sai pensavo alla tua proposta di venire qualche giorno da te, così ho fatto le valigie e ti ho fatto una sorpresa-
Mi sorrideva, quel sorriso cacciò via tutta la rabbia, il sonno, la tensione accumulata in quei giorni senza di lei. Le corsi in contro e la strinsi fra le mie braccia con un desiderio che non sapevo di avere, sprofondando il viso sul suo collo, aveva lo stesso profumo di quando la conobbi la prima volta.
 Mi mancava, tutto.
Era la mia medicina.

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