Tell My Baby Girl That It's All Right

di TheSun_is Shining
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** "A hero's gonna save me just in time" ***
Capitolo 3: *** "And it seems I've been buried alive" ***
Capitolo 4: *** "Save me, I'm losing my only dream..." ***
Capitolo 5: *** "There's a lady who's sure all that glitters is gold" ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il mio nome è June, June Clark, ho quindici anni e sono orfana dall’età di due.


I miei genitori sono entrambi morti in un incidente stradale ma io, che ero in auto con loro, mi sono miracolosamente salvata. Ho riportato solo qualche lieve ferita, ma i medici dell’ospedale hanno comunque deciso di ricoverarmi per un paio di giorni, per controllare che stessi bene del tutto. Appena sono stata dimessa dall’ospedale, mi hanno portata in orfanotrofio, dove ho vissuto per dieci anni.


La vita in orfanotrofio è stata parecchio dura. Alla fine è molto simile alla vita nei college: indossavamo divise, studiavamo cinque ore al giorno e poi ci ritiravamo nelle nostre camere, con l’unica differenza che noi orfani vivevamo tutti in una situazione a dir poco soffocante. Prima di tutto, l’ambiente era estremamente religioso, oserei dire bigotto, e poi, a noi ragazzi non è era concesso fare svariate cose che, per un adolescente qualunque, fanno parte della normalità, a partire dall’alimentazione. Non c’era permesso mangiare dolci, cibi grassi in genere, e i nostri pasti erano limitati a pochi, pochissimi alimenti, uno dei motivi per i quali ora sono magra come un grissino. Ma, vi assicuro, questo era il problema minore. Non avevamo libertà di espressione, di parola, per non parlare delle punizioni inflitte agli orfani in caso di una stupida disubbidienza. Insomma, era impossibile vivere. Mi sentivo rinchiusa in una fottuta gabbia, dalla quale non potevo scappare in nessun modo.


Per mia fortuna, non sono mai stata sola. A condividere il suo disagio con il mio, c’era Andrew Dornan, un biondino dagli occhi ghiaccio abbandonato dai genitori quando aveva cinque anni, nonché il mio migliore amico, l’unico che avevo. Ci siamo sempre stati simpatici, fin dalle prime parole che ci siamo scambiati, anche perché abbiamo una cosa in comune: la passione per la musica rock e metal. Ogni volta che riuscivamo a sfuggire ai controlli dei tutori, passavamo tantissimo tempo assieme ad ascoltare gruppi come Iron Maiden, Slipknot, Rage Against The Machine, Led Zeppelin e tanti altri.


Passati dieci anni, siamo stati entrambi adottati, e ci siamo persi di vista per un po’. Sembrava che tutto, finalmente, stesse andando per il verso giusto, ma si è presto rivelata una falsa speranza.


L’uomo che mi ha presa con sé, Dylan Madson, l’ultima persona che, secondo me, avrebbe voluto farmi del male, l’ha fatto per tre anni. Aveva delle strane attenzioni nei miei confronti, insolite, ma non me ne sono preoccupata, fin quando, una notte, è entrato nella mia stanza e ha iniziato a violentarmi. In una scarsa mezz’ora, tutto quello che ero, quello che sarei diventata in futuro, è andato perduto, e forse non sarei mai più riuscita a recuperarlo. Non mangiavo, non dormivo, e avevo solo dieci anni, e ora che ne ho quindici, l’incubo non è ancora finito e, probabilmente, è appena iniziato.


Andrew ed io abbiamo ripreso a frequentarci, ma non ho il coraggio di raccontargli nulla: anche solo parlarne mi fa soffrire.


Vorrei superare la paura di parlargli liberamente, di sfogarmi, senza essere condizionata da cosa potrebbe pensare di me, vorrei uccidere il terrore che provo nei confronti della gente, vorrei distruggere questo blocco psicologico che mi affligge da qualche tempo, vorrei essere un’adolescente come tanti, libera, felice: vorrei che qualcuno mi aiutasse, qualcuno di cui potermi fidare ciecamente.


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Capitolo 2
*** "A hero's gonna save me just in time" ***


Dylan esce dalla mia camera e si chiude la porta dietro senza fare troppo rumore.

È notte fonda e io, pur essendo spossata, non riesco ad addormentarmi. Sto tremando e non riesco a calmarmi in nessun modo.

Sono stufa di tutto questo. Io non credo di aver fatto qualcosa di male per meritarmi certe violenze. Ora credo di essere abbastanza matura per cavarmela da sola, non ho più bisogno delle “cure” di un maniaco per sopravvivere. È arrivato il momento di dare una svolta a questa vita, sono ancora in tempo per migliorarla. Non sono mai stata più sicura di così, prima d’ora.

Mi alzo dal letto e, con un gesto fulmineo, sono già in piedi a cercare dei vestiti da indossare, rovistando nel mio cassetto. Tiro fuori una canotta a righe verticali, bianche e nere, e un pantaloncino in jeans. Mi allaccio le scarpe, un paio di Superga grigie, e inizio a ficcare più vestiti che posso in un borsone nero. Purtroppo, non potrò portare con me più dell’indispensabile.

Quando sono sicura di aver preso il necessario, apro la porta della mia stanza ed esco. Cammino cercando di fare meno rumore che posso ma, per mia fortuna, Dylan ha il sonno pesante.

Quando la mia mano si trova vicinissima alla maniglia della porta di casa, mi ricordo, a malincuore, di un particolare: Dylan, la sera, chiude la porta sempre a chiave. Butto la testa all’indietro dallo sconforto, riflettendo, cercando di ricordare il posto in cui nasconde le chiavi.

Sì, ora ricordo: nella sua stanza, nel cassetto del suo comodino.

La tensione e la paura di essere scoperta iniziano a salire e, respirando profondamente nel tentativo di calmarmi, mi avvicino alla sua stanza. Scorgo la sua immagine attraverso la porta socchiusa: i suoi capelli neri e unti sono completamente spalmati sulla sua fronte e sul cuscino, i suoi occhi azzurri ora sono pigramente chiusi. Apro il cassetto, tenendo molto delicatamente la piccola maniglia tra le dita e, lentamente, prendo le chiavi, ma mi fermo di scatto vedendo Dylan muoversi.

Spalanco gli occhi e divento immobile per qualche secondo. Sento il battito del mio cuore rimbombarmi in tutto il corpo, ed è talmente forte che temo di poterlo svegliare anche solo con esso.

Mentre prima era rivolto verso di me, si volta dall’altra parte, e mi sento subito molto più tranquilla.

Esco dalla sua stanza e infilo l’apposita chiave nella serratura. Questo semplice gesto mi permetterà di essere libera, e non mi sembra vero. Giro la chiave verso sinistra un paio di volte, prima di sorpassare l’ingresso e mettermi a correre.

Corro per un lungo tratto di strada, ma poi mi fermo e inizio semplicemente a camminare velocemente.

Mi rendo conto solo ora di non avere una meta precisa, e di non avere la più pallida idea di dove andare. Il panico inizia a prendere pian piano possesso di me.

Sono stata decisamente troppo impulsiva nello scappare via da casa. Ero talmente stufa ed arrabbiata che non ho tenuto in considerazione un posto dove andare.

Forse Andrew potrà darmi una mano: è arrivato il momento di vuotare il sacco, è il mio migliore amico e ha il diritto di sapere.

Domani mattina andrò da lui, di sicuro vorrà aiutarmi ma, il resto della nottata, mi tocca passarlo per strada. Devo solo allontanarmi il più possibile da casa.

Andrò in spiaggia: è abbastanza distante, e anche sicura.

Per distrarmi un po’ da quest’ansia costante che mi tormenta, mi infilo le cuffiette nelle orecchie e continuo a camminare verso la prima spiaggia dove potrò trascorrere la notte.

“I’m Eighteen”, con la voce graffiante di Alice Cooper, mi fa compagnia mentre mi slaccio le scarpe e affondo i miei piedi nudi nella sabbia fredda. Respiro a pieni polmoni la fresca brezza estiva che proviene dal mare, e finalmente posso godermi la sensazione di libertà che aspettavo di sentire da tre fottutissimi anni di violenze infinite. Tiro fuori dal borsone una coperta rossa e la stendo sulla sabbia, per poi caderci letteralmente sopra. Volgo il mio sguardo stanco al cielo stellato e sorrido, addormentandomi dopo pochi minuti.

. . .

. . .

. . .

. . .

. . .

< < Pensavi davvero che saresti riuscita a sfuggirmi? > > dice Dylan, tirandomi una sberla < < Sei una stupida > > e me ne tira un’altra, molto più forte.

Questo dolore l’ho provato talmente tante volte che quasi non lo sento più.

< < Io … > > provo a giustificarmi, sperando di riuscire a risparmiarmi altre sberle o cose simili, ma Dylan mi zittisce prendendomi per la gola.

< < Ti avevo detto cosa sarebbe successo se avessi tentato di scappare, e ora la pagherai cara > > un ghigno malefico domina sul suo viso, mettendomi una paura indescrivibile addosso.

Bisognerebbe viverla per capire cosa significa davvero.

Dylan afferra con rudezza la mia maglietta, strappandola come un semplice foglio di carta. Inizio a dimenarmi, ad urlare, come se davvero servisse a qualcosa. Ed è quando Dylan inizia a sfilarmi anche i jeans che mi sveglio di soprassalto, emettendo un piccolo grido.

Cazzo, solo un incubo, eppure sembrava così maledettamente reale …

Mi passo la mano sulla fronte e sospiro. Poteva benissimo essere una sorta di ricordo.

Do uno sguardo al cielo, ma lo sposto subito per via del forte sole californiano che mi fa bruciare gli occhi. Oggi devo andare a casa di Andrew, meglio che mi sbrighi, invece di perdere altro tempo qui, magari rischiando un’insolazione. Ieri notte ho preso duecento dollari dal portafogli di Dylan: di sicuro mi basteranno per un po’.

Dopo aver messo la coperta in borsa ed essermi infilata le scarpe, inizio ad avviarmi verso il palazzo dove abita il mio amico.

Dopo aver percorso un bel po’ di strada con lo sguardo rivolto verso il basso, mi decido a guardare avanti, e non riesco a credere ai miei stessi occhi.

Dylan.

La sua visione si fa sobbalzare, e inizio automaticamente a correre nella direzione opposta a lui. In un primo momento, credo che lui non mi abbia visto, ma poi sento i suoi passi furiosi dietro di me, e sento anche la sua voce che mi urla qualcosa.

Riesco a seminarlo per un po’, ma un dislivello tra due mattoni che formano il marciapiede ferma la mia corsa e mi ritrovo stesa per terra con il ginocchio destro tra le mani, da cui fuoriesce una grande quantità di sangue. No, non ci credo, non può essere vero.

Cerco di alzarmi e riprendere la corsa, ma non ce la faccio, e continuo ad accasciarmi al suolo più e più volte, fino allo sfinimento totale.

Mi sento quasi svenire, quando vedo qualcuno correre verso di me, ma non riesco a capire chi sia, tanto la mia vista è annebbiata. Di certo non è Dylan.

< < Ehi! > > esclama questo “qualcuno”.

Non riesco a vedere nulla, e i raggi di sole non fanno altro che peggiorare la situazione. Forse è un ragazzo, forse è un uomo adulto, non lo so, so solo che mi sta scuotendo per le spalle nel tentativo di farmi riprendere.

Non riesco ancora a distinguere il suo volto.

< < Aiutami, mi stanno inseguendo > > lo supplico con un filo di voce.

Lui non fa altre domande, su chi mi stia inseguendo e che cosa voglia farmi, e mi solleva da terra prendendomi per le braccia.

Sento il calore del suo braccio intorno ai miei fianchi, che mi sorregge mentre cammina in modo incredibilmente veloce. Sembra quasi che da un momento all’altro debba mettersi a correre.

Cerco di camminare con il suo stesso ritmo, ma la mia gamba sembra avere intenzioni ben diverse dalle mie.

Dopo un po’, arriviamo alla sua auto, che apre con un piccolo telecomando attaccato ad un mazzo di chiavi. Mi fa sedere sul sedile anteriore e lui si siede immediatamente accanto a me, infilando la chiave dell’auto nella serratura accanto al volante.

Siamo in strada. Non so dove siamo diretti, e sinceramente non mi importa affatto.

Sono in macchina con un perfetto sconosciuto che mi sta portando non so dove, e la cosa non mi preoccupa, mentre in realtà dovrebbe. Mi chiedo solo chi sia davvero e quale sia la sua storia, il suo passato. Che cosa lo ha spinto ad aiutarmi a rialzarmi dalla brutta caduta che ho preso poco fa? Quale sentimento è scaturito in lui fino a spingerlo a compiere questa azione?

Finalmente ho l’opportunità di guardarlo bene: sì, è un ragazzo, di sicuro non ha più di venticinque anni e, Dio mio, è dannatamente bello. Ha i capelli di una castano molto scuro, un po’ lunghi e molto voluminosi; i suoi occhi color nocciola sono contornati da un filo di matita nera, sia sulle palpebre che nella congiuntiva; il suo naso è piccolo e un po’ all’insù, e ha un piercing alla narice sinistra; le sue labbra sono molto sottili e il suo viso è quasi completamente coperto da tante, tantissime lentiggini, e si distingue anche un po’ di barba sulle guance e sul mento. Che sia la perfezione scesa in terra?

< < Come stai? > > mi chiede, evidentemente allarmato quando vede il mio ginocchio sinistro insanguinato.

< < Potrebbe andare peggio > > dico, asciugandomi due lacrime che escono dai miei occhi cerulei < < Grazie > >.

< < Ma che cosa è successo? Chi ti stava inseguendo? > > domanda, seguendo una curva a destra, e ignorando completamente la mia gratitudine.

< < È una storia lunga > > taglio corto.

 

Dopo circa dieci minuti di strada, il ragazzo parcheggia e scende dall’auto. Dopo di che, apre lo sportello e mi aiuta a scendere mettendo le sue braccia completamente tatuate intorno alle mie spalle. Rimane in questa posizione fin quando non entriamo nel  portone di un palazzo, nel pieno centro di Huntington Beach.

< < Come ti chiami? > > mi domanda lui, spingendo il tasto dell’ascensore.

Un rumore assordante mi fa accorgere dei movimenti di quest’ultimo, che pian piano scende verso il piano terra, dove siamo adesso.

< < June > > rispondo debolmente.

< < Io sono Brian > > m risponde, porgendomi la mano, che io stringo con la stessa forza con cui lui stringe la mia.

L’ascensore arriva e le sue porte si aprono in due direzioni opposte. Sono arrugginite, e fanno un rumore parecchio fastidioso quando si muovono.

< < Non so come sarebbe finita se tu non mi avessi aiutato > > dico, entrando nell’ascensore con Brian che mi segue e preme il pulsante del quinto piano.

< < Non preoccuparti > > si inumidisce le labbra con la lingua.

Arriviamo al quinto piano, dove ci sono tre ingressi a tre appartamenti diversi. Brian prende le chiavi dalla tasca e apre la terza porta verso destra.

Il suo appartamento è molto più piccolo di quel che credevo, ma è tenuto in buone condizioni.

Brian mi fa accomodare sul divano, nel salotto.

< < Ora è meglio che dia un’occhiata a quella ferita > > dice, allontanandosi.

Apre una porta nel corridoio, il bagno, e si mette a cercare qualcosa in tutti gli scaffali e i mobili. A volte bestemmia, perché non riesce a trovare quello che cerca, e io ridacchio a bassa voce.

Scruto con attenzione il ginocchio: il bruciore diventa fastidiosissimo solo quando muovo la gamba, per il resto è più che sopportabile.

Mentre Brian continua a rovistare ovunque nel bagno, io approfitto per guardarmi un po’ intorno. È una stanza abbastanza grande, con un tavolo di legno al centro, una scrivania disordinata appoggiata al muro, quattro chitarre elettriche appese alla parete adiacente a me e una classica appesa alla parete di fronte a me, dietro di me c’è la porta della cucina e accanto c’è un balcone. Sono proprio curiosa di vedere le altre stanza della casa, ma non credo che sarebbe giusto alzarmi e iniziare a girovagare per la casa guardandomi intorno, anche perché sono nelle condizioni adatte per farlo.

Brian torna nel salotto, dove sono seduta, e posa sul divano una scatola di metallo bianca, con una croce rossa disegnata. La apre, e ne tira fuori qualche pezzo di ovatta e una bottiglietta di liquido disinfettante verde e limpido

Inumidisce un batuffolo di cotone con qualche goccia verde e me lo passa sul ginocchio. Sussulto, sentendo del bruciore, ma a Brian non sembra importare più di tanto; mi volge solo un breve sguardo, senza un’espressione in particolare, come per dirmi “o sopporti il bruciore, o ti becchi un’infezione”.

Alzo gli occhi al cielo, mentre Brian continua a disinfettarmi il taglio e rimuovere il sangue ormai asciutto dal mio ginocchio. Ma, ad un tratto, Brian fa una faccia strana, preoccupata, allarmata, non capisco bene che cosa voglia esprimere.

< < Jane … > > continua a fissare il taglio.

< < Il mio nome è June > > lo correggo < < Cosa c’è? > > inizio ad allarmarmi anch’io, e inizio a riguardarmi il ginocchio.

< < È molto più profonda del previsto, credo che tu abbia bisogno dei punti > > annuncia, sconfortato, e finalmente mi guarda < < e quindi dobbiamo andare in ospedale > >.

Lo immaginavo, ma non sono preoccupata per questo: se mi chiedono spiegazioni, dovrò raccontare cosa è successo, e riavrò la mia vendetta su Dylan.

< < Bene, allora andiamo > > mi alzo lentamente dal divano e mi avvicino alla porta d’ingresso dell’appartamento.

Brian mi guarda in modo strano, poiché ha di sicuro notato una nota di felicità nella mia voce. Di sicuro  non si sarebbe mai aspettato che sarei stata contenta di andare in ospedale per farmi mettere i punti al ginocchio, ma non può capire.

 

Brian mi aiuta a sedermi in macchina e sussulto quando il mio braccio destro sfiora il pezzo di metallo bollente della cintura di sicurezza, riscaldato dal sole. Il ragazzo entra in macchina e siamo già in strada in meno di due minuti.

< < Ti fa male? > > mi chiede dando un fuggevole sguardo al taglio sul ginocchio sinistro.

Scuoto la testa in segno di negazione, e lui torna a guardare attentamente la strada.

Quando eravamo a casa sua, ho fatto caso ai suoi occhi che spesso ricadevano sulle mie braccia, e anche il mio viso: i miei arti superiori sono quasi completamente ricoperti di lividi, cicatrici e tagli in via di guarigione, e ho una cicatrice evidente sulla guancia destra, causatami da Dylan mentre mi minacciava con un coltello. Mi viene la pelle d’oca ogni volta che ci ripenso.

Mi stupisco che non abbia fatto domande. Evidentemente non è il tipo che mette il naso negli affari altrui. Oppure ha capito tutto. L’idea che un ragazzo qualunque conosca la mia storia dopo avermi solo guardata mi fa un effetto molto strano, mi sento profondamente a disagio. Insomma, è umiliante.

 

Dopo circa un quarto d’ora di silenzio imbarazzante, Brian svolta a sinistra all’improvviso, parcheggia con fare fin troppo esperto e spegne il motore girando la chiave.

< < Attenta > > mi avverte, tenendomi stretta per le braccia, ma facendo comunque attenzione a non toccare i lividi per evitare di farmi male.

Quando entriamo nel pronto soccorso, la situazione cambia radicalmente: donne e uomini seduti nella sala d’attesa che mi fissano insistentemente e commentano a bassa voce, bambini di neanche sette anni che mi fissano il taglio sulla gamba e quelle che loro chiamano “macchie viola” sulle braccia. È la stessa situazione di prima, ma adesso è quasi angosciante: ho come la sensazione che tutta gente qui conosca per filo e per segno la mia storia, il mio passato, e l’umiliazione che sto provando adesso sale fino alle stelle.

< < Buongiorno > > dice Brian con tono serio, facendo distrarre l’infermiere seduto alla scrivania.

< < Salve > > risponde quest’ultimo.

Brian inizia a spiegare la situazione.

< < La ragazza è caduta e si è fatta un taglio al ginocchio; l’ho disinfettato, ma poi mi sono accorto della profondità, e ho capito che ci volevano dei punti > >.

< < Come si chiama? > > chiede l’infermiere dal camice verde acceso, cliccando un’icona sullo schermo del computer.

< < June … June Clark > > dico, evidentemente troppo a bassa voce per farmi comprendere da lui.

< < Tesoro, se parli così a bassa voce non ti sente nemmeno tuo padre > > dice lui, indicando Brian con un cenno della testa.

< < Non sono suo padre, ho ventuno anni, diamine! > > dice Brian, irritato.

< < Non mi interessa chi è lei o quanti anni ha, voglio sapere il nome della ragazzina! > > alza la voce, e il suo atteggiamento diventa sempre più odioso.

< < June Clark! Hai capito adesso? > > questa volta urlo, e nel pronto soccorso cala il silenzio.

L’infermiere mi guarda stupito.

< < E non sono una ragazzina, ho quindici anni > > aggiungo, andandomi a sedere su una sedia della sala d’aspetto, fulminando con lo sguardo chiunque osi guardarmi.

Brian da le ultime informazioni utili, e poi mi raggiunge, sedendosi accanto a me, mentre mi guarda in cagnesco.

< < Dovevi necessariamente urlargli contro? > > mi rimprovera.

< < Certo > > rispondo.

Neanche io mi facevo così sfacciata, e ora che me ne sto rendendo conto, inizio ad amare questo lato di me.

< < Invece no, potevi risparmiartelo > >.

< < Potevo, ma ho deciso di non farlo, qualcosa in contrario? > >.

< < Vuoi dire oltre alla figura di merda che mi hai fatto fare davanti a tutto il pronto soccorso? > >.

< < Semmai la figura di merda l’ho fatta io, e sinceramente non me ne può fregar di meno! > >.

Brian sembra volermi rispondere, ma ci rinuncia, sospirando e guardando in un’altra direzione.

Sbuffo e mi guardo la gamba, che intanto ha ripreso a sanguinare. Non credevo che una caduta come quella potesse provocare una ferita così profonda, anche se lo spigolo che ho urtato era parecchio tagliente.

< < Quanto tempo dovremo aspettare? > > chiedo sbuffando a Brian.

Lui gira lo sguardo verso di me. I suoi occhi da vicino sembrano molto più stanchi.

< < Non ne ho idea, ma spero al più presto > >.

< < Già > >.

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Ecco qua il primo capitolo della mi prima ff sugli Avenged! Perdonatemi per la sua lunghezza spropositata, ma avevo molte idee e soprattutto parecchie cose da scrivere! Spero vivamente che vi piaccia e che non la troviate troppo pensante, tenendo conto delle tematiche parecchio delicate che vengono affrontate.

Detto questo, non voglio rompervi eccessivamente le scatole, e concludo dicendo che aggiornerò il prima possibile! Un bacio.

-Jimbo

 

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Capitolo 3
*** "And it seems I've been buried alive" ***


< < June Clark! > >.

E dopo più di tre ore, una voce squillante femminile chiama il mio nome. Brian sembra a dir poco estasiato dall’accaduto, e si alza velocemente dalla sedia porgendomi una mano per aiutarmi. Ci guardiamo per un attimo, acidamente, e io mi volto dall’altra parte poiché non riesco a reggere i suoi occhi arrabbiati, con me, perlopiù.

Veniamo condotti in una stanza, dove un medico con i capelli castani e gli occhi scuri mi fa stendere su un lettino e inizia a scrutare il mio ginocchio martoriato.

< < Che cosa è successo, signorina? > > mi chiede lui.

< < Sono caduta > > mi limito a dire.

< < Sei rotolata giù per uno sterrato, guardandoti > > questo suona molto come una battuta, ma nessuno sta ridendo qui, nemmeno io.

Il medico prende tutto il necessario e inizia a disinfettarmi accuratamente il ginocchio, per poi prendere ago e filo e iniziare a cucire due pezzi di pelle assieme. Distolgo lo sguardo per non essere costretta a guardare: non mi fa male, non tanto, ma la scena mi fa impressione.

L’uomo continua a osservarmi, direi quasi ossessivamente, anche dopo aver finito di cucirmi la ferita, e le sue azioni mi sono totalmente inaspettate quando nota delle cicatrici anche nel mio interno coscia, percorrendo con gli occhi tutta quella zona fino all’inguine, coperto dal jeans del pantaloncino.

< < Scusi > > dice a Brian < < può uscire per un po’? > >.

Brian annuisce, senza perplessità, senza dubbi, e si allontana verso la sala d’aspetto.

< < Angelique > > l’uomo chiama un’infermiera intenta a mettere in ordine uno scaffale di medicinali, e dice mentre quest’ultima si avvicina con calma: < < Prepara il necessario per un esame del sangue, una radiografia e un controllo ginecologico > >.

Lei annuisce e si allontana poco dopo.

< < Radiografia dove? > > domanda prima di andare via.

< < Al bacino > >.

Perfetto, è andata esattamente come avevo previsto; ho fatto bene a mettere le cicatrici bene in vista.

< < Come ti chiami? > > mi chiede il dottore con guardandomi con un briciolo d’ansia distinguibile nei suoi occhi dello stesso colore del cioccolato.

Sta cercando di essere il più delicato possibile per evitare che io soffra ulteriormente. Ma io non ho bisogno della pietà o della compassione di nessuno, e solo Brian sembra averlo capito, forse perché non mi conosce a fondo, ed è stato così stupido e ingenuo da non aver capito il perché io sia in queste pietose condizioni fisiche.

< < Mi chiamo June > > rispondo finalmente alla sua domanda.

< < Io sono il dottor Jones, ma puoi chiamarmi Paul >> si presenta e poi continua a parlarmi con una calma rassicurante che lo caratterizza < < Sta’ tranquilla, sono solo dei semplici controlli, in meno di un’ora avremo terminato > >.

Angelique mi fa spogliare dietro una tenda e mi fa indossare un camice blu, un modello diverso da quello che usano i medici.

< < Tendi il braccio sinistro > > mi dice Paul, mimando quello che mi ha chiesto di fare.

Appoggio il braccio al tavolo, dove sono seduta e lui m’infila una siringa nel braccio dopo aver passato un po’ di disinfettante sul lembo di pelle dove sta prelevando del sangue.

< < Ecco fatto > > dice Paul osservando il liquido rosso nello stantuffo < < Adesso segui Angelique > >.

Lei mi prende per mano e mi conduce in un’altra stanza dell’ospedale. Ha i capelli riccissimi, come i miei, solo che lei ce li ha raccolti in una coda di cavallo e sono molto più crespi e gonfi, perlopiù lei ce li ha di un castano molto chiaro, mentre io ce li ho biondi. Mi guarda con i suoi occhi verdi e sorride lievemente. Ricambio.

. . .

. . .

. . .

. . .

. . .

Il dottore aveva ragione: in tre quarti d’ora hanno terminato tutti controlli ed è andata meglio delle mie aspettative.

Ora tutto il personale medico conosce la mia storia, ma non mi dispiace per niente, e anche la sensazione di disagio che provavo prima sembra essersi dissolta nel nulla.

Hanno tutti gli occhi ludici mentre guardano le radiografie del mio bacino devastato.

< < Allora avevi intuito bene, Paul > > sussurra Angelique.

< < Purtroppo sì >> annuisce, e due lacrima fuoriesce dai suoi occhi < < Sarà meglio avvertire il ragazzo > >.

Bene, almeno ha capito che Brian non è mio padre.

* * *

Brian’s P.O.V.

Il dottor Jones mi fa cenno di avvicinarmi a lui ed io mi alzo lentamente dalla sedia per andargli incontro. Sembra che abbia pianto.

< < Le devo parlare > > dice a bassa voce, ma è subito interrotto da una coppia d’infermieri che trasportano una persona su una barella molto frettolosamente.

Do una fuggevole occhiata a questa scena e vedo una ciocca di capelli biondi cadere da essa.

June.

< < Che diavolo è successo? > > chiedo spaesato.

Ma non era solo una banale ferita sul ginocchio?

< < Adesso le spiego > > mi porge le radiografie ed io inizio a guardarle.

È un bacino, e sembra che sia stato corroso dall’acido.

< < Queste sono le radiografie che abbiamo fatto a June > > spiega con voce tremante.

Tutto il mio corpo viene attraversato da una scarica di brividi quando guardo tutte le radiografie e le ossa sembrano sempre più malmesse man mano che l’immagine s’ingrandisce.

< < Vedendo le ferite che June ha su tutto il corpo, ho intuito che cosa poteva esserle successo, e allora le ho fatto un controllo ginecologico e, ahimè, i miei dubbi sono stati confermati: June ha subito violenze sessuali da un adulto, per più volte, e la cosa sembra essere andata avanti per due o tre anni > >.

Non riesco a trattenermi e lascio che le lacrime mi righino le guance

< < Abbiamo deciso di ricoverarla per un po’, e ovviamente dobbiamo convincerla a parlare per esporre denuncia > >.

Dentro di me si scatena qualcosa che non ho mai provato prima d’ora, una strana sensazione di odio, verso chi ha osato fare qualcosa di simile a una ragazzina incapace di difendersi, e paura, per June, che ha avuto il fottutissimo coraggio di scappare via da tutto, nonostante questo gigantesco trauma.

Anche se il dottor Jones continua a parlarmi e a spiegarmi la situazione, è come se non lo ascoltassi.

< < Dove l’avete portata? > > chiedo, con voce roca e spezzata.

< < Mi segua > >.

. . .

. . .

. . .

. . .

. . .

Quando varco la soglia della camera, mi sento all’improvviso impotente. Tutte le parole che fino a pochi secondi fa stavo elaborando per evitare di dire qualcosa di sbagliato o fuori luogo, sembrano essersi dissolte nel nulla. Mi sento così dannatamente piccolo e debole davanti a lei, e il respiro affannoso m’impedisce di parlare. Mi chiedo solo come faccia a convivere con dei ricordi del genere, come faccia a comportarsi normalmente nonostante tutto.

Seduta su una sedia di legno accanto al letto, c’è una donna di colore che le sta parlando, e lei ascolta con lo sguardo basso. Non riesco a capire che cosa le stia dicendo.

La donna si gira verso di me e si alza all’improvviso.

< < Salve > > mi saluta stringendomi la mano destra con decisione < < sono la dottoressa Lopez, la psicologa dell’ospedale > >.

< < Salve > > le rispondo io.

< < Lei chi sarebbe? > > mi domanda indicando June con un cenno della testa .

< < Ecco > > June mi guarda, e mi mette profondamente a disagio < < mi ha chiesto aiuto perché qualcuno la stava inseguendo > >.

< < Quindi non la conosce? > >.

< < No > >.

< < Le vuole parlare? > >.

Annuisco, e mi avvicino lentamente a June, che continua a tenermi gli occhi addosso.

È come se fossi congelato, i miei movimenti sono limitati dalla paura di sembrare un completo idiota insensibile.

< < Guarda che non ti mangio mica > > sorride, e finalmente smette di fissarmi.

Come diavolo fa ad avere quest’atteggiamento così indifferente?

< < Sì, lo so > > sorrido debolmente, non riesco a fare di più.

Mi siedo sulla sedia accanto a lei lasciando che le mani mi rimangano sotto le cosce.

< < Senti June, non mi va di usare mezzi termini, okay? > > alzo la voce, ma mi calmo subito vedendo tutta la gente nella stanza iniziare a fissarmi < < Il dottor Jones mi ha detto tutto, so che cosa ti è successo, e tu devi dirmi chi è il responsabile > >.

June ricomincia a guardarmi dritta negli occhi con un’espressione interrogativa stampata in faccia.

< < Ne parli come se io non ne avessi l’intenzione > >.

Mi blocco.

< < Io … > > ricomincio a parlare, deglutendo senza farmi notare da June < < credevo che tu non volessi confessare > >.

< < Scherzi? Certo che voglio confessare! > >.

< < Bene, allora fallo > >.

June non fa neanche in tempo ad aprire bocca, che subito nella stanza entra un poliziotto in divisa, che si avvicina al letto, non appena il dottor Jones e la dottoressa Lopez lo indicano.

< < Sono l’agente Thompson, e tu devi essere June Clark > > tira un’altra sedia di legno verso di sé e si siede, poggiandosi un piccolo quaderno sulle ginocchia < < puoi iniziare la tua descrizione > >.

< < Dylan Madson, quarant’anni, alto circa un metro e ottanta, capelli neri e occhi azzurri … > >.

Descrivere quell’animale le viene talmente spontaneo che non sembra nemmeno umana, pare un robot, non cambia tono della voce e tantomeno l'espressione del volto, e il poliziotto continua a segnare accuratamente tutte le informazioni.

< < Benissimo > > l’agente si alza dalla sedia ed esce dalla stanza con passo svelto.

< < Signor Haner, può venire? > > la voce della dottoressa Lopez attira la mia attenzione.

< < Cosa c’è? > >.

< < Parlando con June, ho potuto constatare che è quasi riuscita a superare il trauma dovuto alle violenze, ma ha comunque subito un blocco psicologico un po’ particolare: tende a essere scontrosa con tutti, diffidente, insomma, perennemente arrabbiata con il mondo, potremmo dire > > la sua voce è tipica nelle donne nere qui, nasale e molto bassa < < Questo blocco è dovuto non solo alle violenze, ma anche alla mancanza di genitori e per la permanenza in orfanotrofio … > >.

Perché mi sta raccontando tutta questa storia come se davvero m’importasse?

< < Dottoressa, arrivi al punto > > la sprono schioccando le dita e tornando ad avere le braccia incrociate al petto subito dopo.

< < Abbiamo il divieto categorico di riportarla in orfanotrofio, quindi non sappiamo che sistemazione darle, contattare dei parenti impiegherebbe troppo tempo, e lei è l’unica persona di cui June si fida, in un certo senso … > >.

La interrompo subito, avendo già capito lo scopo di questa conversazione.

< < Lei mi sta dicendo che dovrò avere la sua custodia? > >.

< < Esattamente > >.

< < Oh no, assolutamente no > > esclamo scuotendo la testa con decisione.

< < Prego? > >.

< < Non posso prendermi una responsabilità simile, non la conosco neanche! > >.

< < Signor Haner, non abbiamo altra scelta > >.

< < State scherzando, spero … > >.

< < No, sono seria > >.

< < Mi spiega come faccio a mantenerla se ho a malapena i soldi per pagare l’affitto? > >.

< < Questi non sono problemi che riguardano l’ospedale > >.

Mi sento come bruciare dentro dalla rabbia, e scatto.

< < SI RENDE CONTO DI QUELLO CHE STA DICENDO? IO L’HO SOLO PORTATA IN OSPEDALE PERCHÉ ERA FERITA, E ORA PRETENDETE CHE ME LA CRESCA IO! > >.

Il dottor Jones viene verso di noi, sentendomi urlare.

< < La smetta di urlare, siamo in un ospedale! > > dice.

< < Allora gliela trovi lei una sistemazione, forza! > > la dottoressa Lopez mi risponde a tono.

< < Non sono affari miei e non voglio che lo diventino, è chiaro? > > questa volta non urlo, ma sono comunque parecchio incazzato.

< < Sono già affari suoi, signor Haner! > >.

< < Che cosa non le è chiaro della frase “ho a malapena i soldi per pagare l’affitto”? > >.

< < Signor Haner, allora mettiamola così: lei dovrà ospitarla solo per un po’ di mesi, massimo un annetto o due, finché non avremo trovato un parente di June disposto a occuparsi di lei, va bene? > >.

< < MA ALLORA NON HA CAPITO UN CAZZO! > > urlo nuovamente.

< < La smetta di urlare o la caccio via dall’edificio! > >.

Respiro profondamente e riesco quasi a calmarmi del tutto.

< < Non può essere così egoista nei confronti di una ragazzina, l’ha aiutata all’inizio e la dovrà aiutare fino alla fine! Trovi qualcuno che sia disposto a prendersene cura, se proprio lei non può > >.

Annuisco soltanto, dopodiché mi allontano, incapace di restare calmo di fronte ad una situazione simile.

Esco dall’ospedale e continuo a imprecare fino a quando non arrivo alla mia auto.

< < VAFFANCULO JUNE, MI SENTI? VAFFANCULO! > >.

Mi copro il viso con entrambe le mani, e scoppio a piangere per la rabbia e lo sconforto.

Non posso tenerla, anche volendo, non potrei, ma allora perché mi sento così crudele?

 

Prendo il cellulare dalla tasca e compongo il numero del mio migliore amico, Jimmy.

< < Ciao Jim, sono io > >.

< < Finalmente la mia testa di cazzo preferita si fa sentire! Ma stai bene? Hai una voce strana > >.

< < Non del tutto. Hai tempo per una birretta? Dovrei parlarti di una cosa … > >.

 

Note dell’autrice:

Ben ritrovati! Questo è il nuovo capitolo della ff, è stata dura scriverlo essendo stata io molto a corto di idee in questo periodo, ma ora eccolo qui! Spero vi soddisfi. Presto arriverà il nuovo capitolo, aggiornerò il prima possibile, promesso! A presto.

-Jimbo

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Capitolo 4
*** "Save me, I'm losing my only dream..." ***


Brian’s P.O.V.

Jimmy dovrebbe arrivare da un momento all’altro, ed io mi sento più agitato del giorno del mio primo appuntamento con Michelle. Non le ho ancora parlato di nulla, ma penso che lo farò dopo essermi confidato con il mio amico.

Guardo freneticamente l’orario sul cellulare e mi sembra che il tempo stia passando troppo in fretta.

“Di che ti preoccupi?” mi dico “È Jimmy, la persona di cui hai più fiducia al mondo”. È vero. Devo farmi coraggio.

Intravedo lo stallone arrivare da lontano, dando una fuggevole occhiata al suo telefono per poi ricacciarlo in tasca. Un sorriso a trentadue denti abbellisce il suo volto quando mi vede di fronte al locale, e inizia ad accelerare il passo. Gli vado incontro, buttandogli le braccia al collo.

< < Buonasera, Rev > > dico interrompendo l’abbraccio.

< < Buonasera a lei, Gates > > continua a sorridere < < entriamo? > >.

Annuisco e sorpassiamo l’uscio del locale sedendoci al primo tavolo che capita.

Grace, la cameriera, ci raggiunge e scrive frettolosamente le nostre ordinazioni sul suo taccuino. Diciamo entrambi di volere una Guinness.

< < Allora > > Jimmy spezza improvvisamente il silenzio e la mia agitazione aumenta ulteriormente < < che cosa devi dirmi? > >.

< < Jim, è complicato > > contemporaneamente alle mie parole, arrivano anche le birre.

Faccio il primo sorso e levo la schiuma dalle labbra con la lingua. Jim fa lo stesso.

< < Ho capito > > Jim deglutisce un secondo sorso di birra e riprende a parlare < < sei gay e sei segretamente innamorato di me > > scoppia in una risata fragorosa che coinvolge anche me.

< < No, idiota > > continuo a ridere, ma mi fermo quasi subito.

Inizio a raccontare l’avvenimento di ‘sta mattina per filo e per segno, senza tralasciare un solo dettaglio, e vedo il sorriso di Rev spegnersi lentamente.

 

< < Insomma, mi hanno chiesto di badare a lei finché non avranno trovato e contattato un parente, è incredibile, io che non ho un soldo e non ci capisco un accidente d’istinto paterno > >.

< < Già, assurdo > > conferma, e riprende a sorseggiare la bevanda alcolica.

< < Ecco, Jim, il punto è che tu vivi con Leana ormai da un paio d’anni, avete entrambi un lavoro e siete sereni, June vivrebbe più che bene con voi > >.

Smette all’improvviso di bere e inizia a guardarmi.

< < Amico, non so che dirti > > si sposta una ciocca di capelli neri dalla fronte < < è una grossa responsabilità, e dovrei parlarne con la mia ragazza > >.

< < Ma se dipendesse solo ed esclusivamente da te, la ospiteresti? > > prendo tempo, preoccupato della risposta definitiva.

< < Io sì, certo > >.

Parte dell’ansia svanisce, e riprendo a spiegargli la situazione.

< < La terranno in ospedale per un altro paio di giorni, puoi parlarne con Leana, e poi non credo rifiuterebbe, ti pare? > >.

< < Credo proprio di no, e in caso contrario, ti aiuterò a trovare una soluzione alternativa > >.

Sorrido.

< < Grazie mille Rev, sei un amico > >.

< < È un piacere > > ammicca < < anzi, sai che ti dico? La chiamo e le chiedo di raggiungerci, così ne parliamo e ti do subito una conferma > >.

< < Lo sai che ti adoro, vero? > >.

< < Sì, tesoro, lo so > > scoppia a ridere nuovamente, trascinandomi come al solito con lui.

Sapevo di poter contare su James.

< < Ciao amore > > esclama con il telefono poggiato sull’orecchio destro < < puoi raggiungere me e Syn al Johnny’s? Dobbiamo parlarti. Questione di vita o di morte … okay, ti aspettiamo. Ciao > > riattacca.

< < Che cosa ha detto? > >.

< < Ha detto che tra un quarto d’ora sarà qui, intanto ordinerei un’altra Guinness > >.

< < Sì, anch’io > >.

. . .

. . .

. . .

. . .

. . .

Quando Leana arriva James ed io abbiamo appena finito di bere il secondo bicchiere di birra.

< < Ciao, ragazzi > > si siede accanto al suo ragazzo e gli schiocca un veloce bacio sulle labbra < < ho fatto una corsa disumana per arrivare il prima possibile. Adesso sputate il rospo > >.

< < Brian ci ha chiesto un favore, bello grande, e volevo sentire che cosa ne pensassi > > la prende per mano.

Racconto un’altra volta di June e i vari avvenimenti, fino ad arrivare al nocciolo della questione.

 

< < Allora? > > Jim si volta verso di lei e nota la sua espressione rattristata.

< < Va bene, tranquillo, la ospitiamo noi > >.

Sorrido e l’ansia restante scompare completamente.

< < Grazie ragazzi, grazie davvero di cuore > >.

* * *

Il giorno dopo

June’s P.O.V.

La dottoressa Lopez, Sarah, mi parla come se fossi rincoglionita. Perché non capisce che gli abusi non hanno fatto di me una demente da rinchiudere in manicomio?

Io sto bene, cazzo, sto bene!

< < Sarah, voglio una bibita ghiacciata > > la interrompo alzandomi dal letto in cerca delle mie pantofole.

< < Non puoi bere bibite gassate, ti fanno male > >.

< < Allora prenderò un tè caldo, okay? > >.

< < Okay, il tè puoi berlo > > dice < < vuoi che ti accompagni? > >.

< < No, sono capace di camminare da sola > >.

In questi due giorni di ricovero, Sarah ha fatto tanto per me, e le sono grata, ma ha davvero un atteggiamento fin troppo dolce e comprensivo con me. Ho cercato di farle capire che non deve parlarmi come se fossi una malata terminale, che può benissimo trattarmi come una persona qualunque, ma non vuole sentire ragioni. Ci dovrò fare l’abitudine, almeno finché rimarrò qui. Mi piacerebbe quantomeno a chi cazzo hanno intenzione di appiopparmi, visto che Brian ha rifiutato.

Finalmente trovo le mie pantofole, sotto il letto, e mi accovaccio per prenderle. Le indosso ed esco dalla stanza.

Quest’ospedale ha un’aria particolarmente angosciante, e si respira un insopportabile odore di detersivo misto a medicinali e alcol.

Quando inizio a scendere la scalinata per il piano terra, sento una forte fitta all’anca destra, e subito dopo a quella sinistra. Strano, non mi hanno mai dato fastidio fino a ora, eppure ho il bacino distrutto da tre anni.

Non devo sforzarmi più di tanto nei movimenti, meglio non far preoccupare Paul, o Sarah, o Angelique.

Inserisco una moneta nel distributore e premo il pulsante per il tè caldo. Quando il bicchiere è quasi pieno, lo prendo in mano e inizio a sorseggiare la bevanda bollente. Sussulto, ma dopo un po’ diventa tiepida e bevibile.

Mi siedo su una sedia di plastica nella sala d’aspetto del piano terra e mi rilasso. Guardo le persone che vanno e vengono da ogni parte. Pare un formicaio, tutti i dipendenti svolgono i loro compiti in fretta e furia e non stanno mai fermi.

Mi accorgo del portone dell’edificio che si apre e mi volto verso di esso. Il cuore inizia a battermi fin troppo velocemente quando vedo Brian guardarsi intorno, assieme ad un tizio altissimo che tiene per mano la sua probabile fidanzata, più bassa di lui di almeno una trentina di centimetri. All’inizio non mi muovo, sperando che non notino la mia presenza, ma poi gli occhi color cioccolato di Brian ricadono su di me.

< < Ciao, June > > sorride, ed io lo guardo senza rispondergli.

Spero capisca che sono incazzata nera con lui perché ho sentito tutto quello che ha detto su di me, anche quando mi ha mandata a fare in culo.

< < Non volevi svignartela per sempre da me e da ogni responsabilità? > > lo provoco, e lui abbassa lo sguardo.

< < June, mi dispiace, ma se hai sentito tutto quello che ho detto, dovresti anche aver sentito le mie motivazioni > >.

< < Mandarmi a fare in culo perché sei senza un soldo non mi sembra una motivazione valida, non trovi? > >.

< < June … > > sussurra.

< < Che sei venuto a fare? > > lo fermo, alzando la voce più di quanto stia facendo lui.

< < Ho trovato una soluzione a tutto, o meglio, loro hanno trovato una soluzione a tutto > > indica la coppia qualche passo dietro di lui, e mi soffermo su entrambi.

Il ragazzo potrebbe essere alto benissimo due metri, ha i capelli neri corti dietro con due ciocche più lunghe ai lati, due occhi azzurri e bellissimi, con qualche sfumatura luminosa che ricorda i raggi del sole dorati che squarciano quei piccoli pezzi di cielo racchiusi nelle sue iridi; sono semplicemente qualcosa di spettacolare.

Un piercing sotto il labbro inferiore gli abbellisce ancora di più il volto. Mi ricorda vagamente Dylan, ma solo per il colore degli occhi e dei capelli, ma sono totalmente l’opposto, almeno all’apparenza. La ragazza, invece, non fa altro che sorridermi da quando si è accorta di me; ha i capelli biondi, lunghi e mossi che le cadono sulle spalle e al sole sfoggiano qualche sfumatura arancione.

< < Loro sono Jimmy, il mio migliore amico, e Leana, la sua fidanzata > > dice Brian < < e ti ospiteranno a casa loro dopo che ti avranno dimessa da qui > >.

Sembra disgustato, mentre pronuncia quest’ultima frase: forse anche lui odia l’atmosfera insopportabile degli ospedali.

L’idea di vivere con loro due mi piace, avrei dato tutto l’oro del mondo pur di farmi adottare da un metallaro. So che non sarà la mia sistemazione definitiva, ma preferisco non pensarci.

Sarah scende gli ultimi gradini della scalinata verso il piano terra e mi raggiunge camminando velocemente sulle sue scarpe dai tacchi alti e vertiginosi.

< < Dottoressa Lopez > > esclama Brian, e Sarah gli lancia un’occhiataccia.

< < Salve Brian > > risponde lei, in modo molto freddo e distaccato.

Sentire il suo nome pronunciato da lei fa un effetto molto strano.

< < Ho bisogno di parlarle > > Brian le fa cenno di avvicinarsi, trascinandosi dietro anche Jimmy e Leana.

Li guardo allontanarsi mentre continuo a sorseggiare il mio tè, ormai diventato freddo. Non mi importa sapere che cosa Brian stia dicendo, ma sto guardando tutta la scena come se stessi guardano un film muto al cinema, mancherebbe solo una ciotola di pop corn per completare l’opera.

A Sarah non sembra tanto allettante l’idea di affidarmi a uno come Jimmy, completamente tatuato anche lui e vestito in maniera a dir poco inadatta a una società come quella di cui fa parte, ma la sua espressione cambia ogni volta che volte un’occhiata a Leana, che non smette mai di sorridere e parla di me come se fossi già sua figlia. La adoro già.

Dopo un po’, anche Sarah si convince e conduce tutti da qualche parte, magari per firmare qualche documento o roba del genere.

. . .

. . .

. . .

. . .

. . .

< < Allora? > > chiedo, presa dalla curiosità.

< < Va tutto bene, tra due giorni starai da noi > > dice Jimmy, sorridendomi rassicurante.

Non so esattamente sprizzando felicità da ogni poro della mia pelle, ma sono comunque molto contenta di poter finalmente vivere con qualcuno di affidabile, o almeno spero.

< < Perfetto! > > esclamo, cercando comunque di apparire riconoscente in qualche modo.

< < Bene, ora dobbiamo andare, è stato un piacere conoscerti, piccola > > dice Jimmy, mentre mi alzo dalla sedia per abbracciarlo.

< < Anche per me > > dico, mentre mi stacco da lui e abbraccio anche Leana.

Io e Brian iniziamo a guardarci perplessi, finché poi non decido di abbracciare anche lui, in un modo più indifferente rispetto a come ho abbracciato gli altri due.

< < Grazie, Brian > > dico a bassa voce, staccandomi dopo pochi secondi.

Non mi risponde, ma sorride leggermente; lo prendo come un “non c’è di che”.

. . .

. . .

. . .

. . .

. . .

La mattina dopo

Vengo improvvisamente svegliata da Angelique che mi scuote delicatamente una spalla.

< < Buongiorno, June, devi prendere le tue medicine > >.

Annuisco, sbadigliando.

Quando mi hanno controllato il primo giorno, ho scoperto di avere tutte le carenze possibili e immaginabili, quindi stanno cercando di farmi mangiare almeno di triplo di quanto mangio normalmente, che è sul punto di equivalere al nulla; inoltre, sono costretti a imbottirmi di medicinali, che dovrò continuare a prendere anche dopo il ricovero.

Angelique prende una pillola bianca e me la porge assieme a un bicchiere d’acqua.

Ha un saporaccio, ma l’acqua lo scaccia via dopo poco.

< < June > > Sarah è appoggiata allo stipite con un sorrisetto strano stampato in volto < < hai visite > >.

Andrew entra nella stanza appena un attimo dopo questa frase, e gli occhi mi si illuminano di gioia.

< < Andrew! > > salto giù dal letto e gli butto le braccia al collo, lui mi solleva dal pavimento, essendo più alto di me, e mi da un bacio sulla guancia.

< < Santo cielo, June, mi hai fatto preoccupare a morte! > > mi stringe più forte, e due lacrime scendono dai suoi occhi ghiaccio.

< < Sarah, possiamo andare in cortile? > > chiedo e lei annuisce con gli occhi leggermente lucidi.

 

< < June, non hai neanche la minima idea di cosa ho provato quando ho visto le auto della polizia parcheggiate accanto a casa tua: hanno preso Dylan, l’hanno ammanettato e portato in carcere > >.

Non ho il coraggio di guardarlo, solo vedere per un millesimo di secondo i suoi occhi arrossati dal pianto mi fa star male.

< < Te lo giuro, sarei venuta immediatamente da te per darti spiegazioni, ma è successo un imprevisto > > indico il ginocchio fasciato.

< < Questo non ha importanza > > alza il tono della voce, facendomi sentire in colpa, anche se per qualcosa che non mi rendo conto di aver fatto < < Come hai potuto nascondermi una cosa del genere? Ti pare poco? > >.

< < Come puoi anche solo pensare che per me sia stato facile? Non potevo raccontarti cosa succedeva ogni giorno a casa mia così, a sangue freddo > >.

< < Avresti comunque dovuto dirmelo! Hai vissuto la stessa situazione, subendo puntualmente la stessa tortura per tre anni! Io avrei potuto aiutarti! > > ora sta urlando.

< < Smettila! Sei tu che non hai la minima idea di come io ci sia stata male! > > e do sfogo a un pianto disperato < < Un oggetto! Un maledettissimo oggetto a scopo sessuale! > >.

Andrew si zittisce di colpo, e mi guarda piangere e singhiozzare, con entrambe le mani sul viso, poi mi prende tra le sue braccia e mi fa stendere sulle sue gambe, come se fossero un cuscino.

Le sue mani mi accarezzano la testa, molte volte prendendo tra le dita qualche ciocca di capelli. Sto tremando.

< < Non ci pensare, è passata, ce l’hai fatta > > mormora, mentre mi bacia ripetutamente la fronte.

 

< < Andrew, ti voglio bene, porca puttana, non t’immagini quanto > >.

Ho appena scoperto di provare delle emozioni vere, adesso.

Andrew ha ragione, è tutto finito. Sono riuscita a svegliarmi da un incubo che sembrava non avere fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Macciao! Lo so, c’ho messo un po’, ma eccolo qui!

Volevo ringraziarvi per le recensioni positive che ho ricevuto, mi siete stati di conforto. Lasciate altre recensioni e fatemi sapere che ne pensate, io tornerò presto con un nuovo capitolo e tante sorprese! A presto.

-Jimbo

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** "There's a lady who's sure all that glitters is gold" ***


Due giorni dopo       

June’s  P.O.V.

Mi manca solo qualche altro indumento e poi avrò messo tutto in borsa e sarò pronta ad andare via da questo ospedale del cazzo. Paul mi ha imbottita di integratori e medicinali, alcuni di cui non avevo neanche minimamente sentito parlare. Non che io sia un’esperta a riguardo, ma comunque tra Dylan che si riempiva di medicinali e lui che costringeva me ad inghiottirne quantità spropositate, diciamo che ne so qualcosa in più rispetto ad un adolescente qualunque. E come se non bastasse, tutte quelle pasticche che mi ha fatto prendere in qualsiasi momento della giornata, me le ha anche prescritte, e dovrò prenderle per chissà quanto tempo.

Sarah ed Angelique mi stanno guardando ossessivamente da quando mi sono alzata dal letto e ho iniziato a prepararmi per andar via. So già che cosa stanno pensando, magari che Jimmy non è abbastanza affidabile per occuparsi di me, magari che Brian è un coglione. Beh, questo lo penso anch’io.

< < Come stai, June? > > Sarah si avvicina e mi posa dolcemente una mano sulla spalla.

< < Bene > > mi limito a dire.

Sarah annuisce in modo fin troppo insicuro. Pensa che le abbia detto una cazzata.

 < < Non ci credi? Sto bene per davvero! > > esclamo lanciando un maglioncino viola nel borsone e ficcandocelo dentro con ben poca delicatezza.

< < Ci credo, ci credo! Non arrabbiarti > > Sarah alza le mani come farebbe un rapinatore davanti alla polizia, beccato proprio sul fatto.

< < Quando viene a prenderti Jacob? > > domanda.

< < Si chiama Jimmy > > roteo gli occhi < < tra un quarto d’ora > >.

< < Abbiamo un quarto d’ora per salutarci > >.

< < Eh già > >.

Sarah mi abbraccia con decisione, e io ricambio, perché comunque in questi giorni si è fatta letteralmente in quattro per aiutarmi, e ci è riuscita.

< < Sarah > > mormoro, imbarazzata < < grazie > >.

< < E di che? È il mio lavoro > >.

Guardo Angelique che non ha mosso un muscolo fino ad ora, e le sorrido. Vedo i suoi occhi illuminarsi, e si avvicina abbracciando contemporaneamente sia me che Sarah. Angelique mi è stata sempre vicina, qualche volta mi ha proposto di fare un giretto in cortile, giusto per dimenticarsi dell’aria chimica dell’ospedale che ti fa solo venire voglia di andar via e respirare dell’aria pulita. Qualche volta mi ha offerto da bere, oppure è semplicemente venuta da me per parlare e farmi compagnia. Lei sì che ha realmente capito come voglio essere trattata. Non mi interessa affatto essere compatita per il mio passato, appunto perché è passato, ormai. Angelique non si è mai rivelata pesante, come Sarah, e questo non ha fatto altro che rendermi più contenta. Mi dispiace di dover andare via solo per lei.

< < Verrò a trovarvi, quando riprenderò ad andare a scuola > > dico.

< < Sei la benvenuta > > Sarah si stacca, facendo staccare di conseguenza anche Angelique.

 

Una mano bussa alla porta della camera e ci fa voltare tutti nello stesso momento. Jimmy entra abbassando leggermente la testa per riuscire a passare. È esageratamente alto.

< < Buongiorno! > > esclama con un sorriso a trentadue denti.

Jimmy mi affascina perché ha questa capacità di mettere di buon umore chiunque sia con lui, anche per caso. Trasmette continuamente energia positiva, ovunque si trovi e con chiunque sia. Tutti avrebbero bisogno di un Jimmy pronto a farti sorridere in ogni momento e circostanza.

< < Jim! > > gli vado incontro e mi metto in punta di piedi cercando inutilmente di abbracciarlo.

Per fortuna ci pensa lui a piegarsi e prendermi tra le sue braccia completamente decorate da tatuaggi colorati.

Persino i suoi tatuaggi riescono a strapparmi un sorriso.

< < Pronta? > > mi chiede, avvicinandosi al letto e prendendo il borsone con una mano e mettendoselo in spalla senza alcuna fatica.

O io sono particolarmente debole in questo periodo e mi stanco anche nel trasportare un semplicissimo borsone neanche tanto pieno, oppure Jimmy passa almeno l’ottanta percento del suo tempo in palestra.

< < Sono pronta > >.

< < Bene, allora andiamo > >.

Jimmy stringe la mano a Sarah e subito dopo ad Angelique. Si sciolgono entrambe subito. Se prima credevano che Jimmy non fosse affidabile, adesso sembra siano convinte del contrario, o almeno spero.

Saluto tutti i presenti con un cenno della mano accompagnato da un semplice “ciao”, e tutti ricambiano.

Sono contenta che Jimmy sia stato così sicuro di quello che stava per fare, insomma, prendersi cura di un’adolescente per chissà quanto non è una decisione facile da prendere, e ovviamente sono grata anche a Leana per questo.

< < Allora, sei contenta? Ti hanno finalmente dimesso > >.

< < Certo che lo sono, non vedevo l’ora > >.

< < Ti capisco. Dovremmo festeggiare > >.

Mi volto per poterlo guardare meglio, e sembra serio.

< < Così posso presentarti gli altri della band > >.

< < Che? > > esclamo, e cerco di trattenere l’eccitazione il più possibile quando noto qualche inserviente che mi fissa con aria minacciosa.

Aspetto di uscire dall’edificio per poter finalmente parlare ad alta voce quanto mi pare.

< < Hai una band e non mi dici nulla? > >.

< < Te l’ho detto adesso! > > esclama, ridendo.

< < E dì un po’, che suonate? > >.

< < Per tua sfortuna, metal > >.

< < MA COME SAREBBE PER MIA SFORTUNA? IO AMO LA MUSICA METAL > >.

< < Ah, davvero? > > non se l’aspettava da una come me < < E che gruppi ti piacciono? > >.

< < Metallica, Iron Maiden, Pantera, Slipknot, Rage Against The Machine, Led Zeppelin e altre che adesso non mi vengono in mente, ma spero di aver reso l’idea > >.

< < Se hai reso l’idea? Metà dei gruppi che hai elencato li adoro! > >.

< < Piacciono anche agli altri della tua band? > >.

< < Certamente > >.

< < Non vedo l’ora di conoscerli, anche se conoscendo già Brian non mi aspetto gran che, se devo essere sincera > >.

Jimmy fa una smorfia di sconforto.

< < June, devi perdonarlo, non voleva fare quella scenata > >.

< < Te ne ha parlato? > >.

< < Sì, e ha capito di essere stato un coglione > >.

< < Bene, almeno questo > >.

< < Beh, magari col tempo diventerai sua amica, e poi ti ha salvata da quello là, com’è che si chiama, Donald? > >.

 < < Dylan > > balbetto, cercando di nascondere l’ansia che sale.

Ormai anche solo il suo nome mi fa quest’effetto.

 

Con Jimmy si può parlare davvero di qualsiasi cosa. Sono stata talmente presa dalla conversazione che non ho fatto assolutamente caso a tutto il tragitto fatto in auto.

< < Bene, siamo arrivati! > > Jimmy gira la chiave, spegnendo così il motore, e scende dall’auto.

La palazzina è molto simile a quella dove abita Brian, con l’unica differenza che questa sembra più abitabile.

. . .

. . .

. . .

. . .

. . .

< < Amore, siamo a casa! > > Jimmy si chiude la porta alle spalle lanciando il mio bagaglio sul divano.

< < Certo che siete a casa, non l’avresti urlato a mezzo mondo, sennò > > Leana esce dalla cucina con un cucchiaio di legno in mano e sorride raggiante, asciugandosi del sudore dalla fronte col palmo della mano libera < < Ciao June! > >.

Mi avvicino e la abbraccio, senza parlare.

< < Già cucini, dolcezza? > > Jimmy le schiocca un casto bacio sulla bocca.

< < Sto preparando una cosa molto speciale per June > >.

Sento come se le guance mi stessero andando a fuoco, e capisco di essere arrossita, e non poco.

< < Caspita, ma quelle sono come minimo dieci porzioni! Abbiamo ospiti, a quanto vedo > >.

< < Sì, tutta la comitiva, li ho invitati io poco fa > >.

< < Per tutta la comitiva intendi chi? > >.

< < Andiamo Jim, i soliti! > >.

< < Siamo tante persone oggi, pretendi che June si ricordi tutti i nomi in un colpo solo? > >.

< < Non sottovalutarmi, ehi! > > esclamo, scatenando in lui e la sua ragazza un risolino simpatico.

< < Non ti sottovaluto, tesoro, tranquilla > >.

< < Okay, faccio l’elenco solo per lei > > per ogni nome che pronuncia, conta con le dita < < Matt, Brian, Johnny, Zacky e le gemelle > >.

< < Che n’è stato di Gena e Leacy? > >.

< < Non ne ho idea, ma loro non oggi non ci sono > >.

< < Allora le conoscerai in un’altra occasione, June > >.

< < Non è affatto un problema > > dico.

 

< < June, intanto puoi andare al piano di sopra e sistemare le cose nella tua camera, che ne dici? > >.

< < Volentieri, ma ho bisogno di un aiutino per trovare la camera giusta > >.

 Jimmy sbuffa scherzosamente e mi fa strada sulla scale.

< < È la prima porta > >.

Apro timidamente la porta scorrevole, come se avessi paura di trovarci qualcuno, ma ovviamente non è così.

È molto semplice, ma mi piace. Magari in futuro potrò pensarci io a renderla più originale.

Apro il borsone posandolo sulla piccola scrivania bianca, più simile ad un banco di scuola, e ci tiro fuori i miei vestiti, ripiegandoli con cura e mettendoli l’uno sopra l’altro, fin troppo in ordine. Non mi riconosco quando divento improvvisamente così ordinata, non lo sono mai stata e probabilmente non lo sarò mai.

Ho ancora addosso l’odioso odore chimico dell’ospedale addosso, sarà maglio farmi una doccia e cambiarmi.

< < Ehi Jim! Posso farmi una doccia? > > esclamo affacciandomi leggermente dalle scale.

< < E me lo chiedi? Certo! Il bagno è l’ultima porta infondo al corridoio > >.

< < Va bene, grazie > > e così si conclude la nostra breve conversazione sul potermi fare la doccia o no.

Do una veloce occhiata alla pila di vestiti sulla scrivania e scelgo una semplice maglietta a manica corta e un paio di leggins lunghi fino ad ginocchio.

Ho lasciato molti dei vestiti che preferivo di più a casa di Dylan per la fretta, dovrei chiedere a Leana di accompagnarmi a fare un po’ di shopping per bene, ma non ora.

Entro nel bagno e chiudo la porta a chiave, per poi iniziare subito a spogliarmi.

Faccio scorrere l’acqua finché non diventa calda e poi entro in doccia. Mi lavo accuratamente i capelli con giusto poche gocce di shampoo e poi penso al resto del corpo.

Una doccia rigenerante è proprio quello di cui avevo bisogno: rigenerante non è il getto d’acqua calda in sé, ma l’idea che tutte le porcate che Dylan mi ha fatto stiano scivolando via per sempre dalla mia pelle come la schiuma del sapone fruttato. Prendo il primo asciugamano che mi capita sotto mano me lo lego alla meno peggio intorno al petto. Mentre inizio a strizzarmi i capelli, mi do una fuggevole occhiata allo specchio: quei giorni in ospedale sono stati scoccianti, sì, ma mi sono serviti di sicuro, mi hanno molto migliorata fisicamente. Il dolore ai fianchi è diminuito notevolmente grazie alle medicine. Le occhiaie sono quasi svanite, e mostrano di più i miei occhi chiari, finalmente. Mi vedo decisamente più carina, anche perché i capelli sono più lunghi di quanto ricordassi e sono anche più biondi. Le cicatrici non sono un problema, ma forse sarebbero meno evidenti se usassi qualche crema idratante, ma non mi cambiano la vita, e poi sono anche una specie di promemoria qualvolta sono di cattivo umore: ogni volta che le guardo mi ricordo di aver resistito alle torture più brutte che una ragazzina possa subire, e poi ho trovato il coraggio di fuggire. È stato come rinascere. È stato in quel momento che la mia vita è realmente iniziata.

 

< < June! Sbrigati! > > Leana mi chiama a gran voce mentre mi asciugo i capelli.

Smetto per poter ascoltare e cercare di capire cosa stia succedendo al piano di sotto.

Sento voci maschili e femminili che si mescolano tra loro e mi rendo conto di dovermi davvero sbrigare.

Do una veloce passata di asciugacapelli, lasciandoli ancora umidi, e percorro quasi correndo il corridoio iniziando a scendere le scale.

Tutti i presenti si ammutoliscono improvvisamente e io mi accorgo di essere arrossita. Cazzo, succede sempre nei momenti sbagliati.

Mi guardo intorno, e scorgo Brian mentre parla con una ragazza bionda e molto più bassa di lui. Sembra persino di qualche centimetro più bassa di me.

Quando Brian si volta verso di me, inizia a ridere di gusto, molto probabilmente perché lo sto fissando da cinque minuti con gli occhi sgranati e la faccia color pomodoro.

< < June, non sapevo di farti quest’effetto > > questa frase è seguita da risatine antipatiche da parte dei presenti.

La biondina accanto a lui gli da una gomitata sul fianco e mormora uno “smettila, stupido!”.

Brian la bacia sulle labbra, e tutti i miei dubbi svaniscono: è la sua ragazza. Un leggero bruciore allo stomaco che si intensifica assieme al bacio che Brian da alla ragazza.

< < Ragazzi! > > esclama Jimmy, proprio nel momento giusto visto che riesce a distrarmi dalla scena < < Questa è June, la nostra piccola new entry > >.

Sorrido, e tutti con me.

< < June, loro sono Matt, sua moglie Valary, Zacky, Johnny e Michelle, la fidanzata di Brian > >.

Tutte le figure maschili qui presenti sono coperte di tatuaggi e hanno almeno un piercing. Noi donne sembriamo quasi fuori luogo. Valary e Michelle sono praticamente identiche. Ecco a chi si riferiva Leana quando ha detto “le gemelle”.

Brian mi guarda con aria strafottente, e io lo fulmino con lo sguardo, o almeno ci provo.

< < Ehi gente! Sedetevi al tavolo, io penso a portare la roba da mangiare > > Leana sparisce in cucina e noi ci comportiamo come lei ha detto.

Le sedie intorno al tavolo, ovviamente, non sono sufficienti per tutti noi, ed evidentemente io e Brian siamo gli unici ad essercene resi conto. Rimane un solo posto libero. Brian gira di scatto la testa verso di me e mi guarda come per dirmi “non ci provare, quello è il mio posto”. Grazie a pochi movimenti veloci, che sembrano quasi calcolati nei minimi dettagli, il posto me lo aggiudico io.

< < Ehi! > > Brian rimane immobile davanti a me con una faccia da pesce lesso.

< < Sei troppo vecchio e lento per aggiudicarti l’ultima sedia libera > > affermo, sorridendo compiaciuta.

Sembriamo capirci a vicenda, solo attraverso brevi sguardi, ma Michelle pensa bene di eliminare, almeno temporaneamente, questo feeling tra me e il suo ragazzo.

< < Amore, puoi sederti qui e io posso sedermi sulle tue gambe! > > esclama, guardandomi.

Ma che diavolo le prende? Pensa che io possa soffiarle via il ragazzo? Se è così, è una stupida e basta. Come se a uno come Brian potessi mai interessare!

Brian annuisce. Non oso nemmeno immaginare quanto una cosa del genere possa eccitarlo, anche se con una come la sua ragazza sembra abbastanza improbabile eccitarsi.

Ridacchio riflettendo su quest’ultimo pensiero.

Quando ritorno alla realtà, la coppia si trova esattamente nell’ultimo stato in cui avrei voluto vederli: Brian, seduto al tavolo con Michelle in braccio Mi viene quasi il voltastomaco solo a guardarli. La cosa che mi preoccupa è il perché io stia provando questa sensazione.

Credo che Brian mi piaccia, ormai ne sono quasi certa.

Guardo tutti che parlano e scherzano tra di loro, cercando di levarmi dalla testa quei due seduti l’una sopra l’altro. Questo mio modo di fare risulta abbastanza inutile. Decido, così, di alzarmi e andare in cucina per aiutare Leana con il cibo.

Entro in  cucina e la vedo riempire l’ultimo piatto vuoto con della pasta al ragù.

< < June, come mai non sei nell’altra stanza assieme agli altri? > >.

< < Io… > > Leana mi ispira così tanta fiducia che quasi sto per raccontarle la verità, ma mi rendo subito conto dell’imperdonabile errore che potrei commettere < < il fatto è che credevo avessi bisogno di una mano > >.

< < Ma se ho finito? > > sorride < < Tranquilla, tesoro, va’ a divertirti con gli altri > >.

Annuisco e mi avvio.

Mi tocca sorbirmi le smancerie di quei due.

< < Cos’è June, non ti stai divertendo? > > Brian si rivolge a me con il suo solito atteggiamento strafottente, facendomi saltare i nervi; e a peggiorare la situazione ci si mette anche Michelle che mi guarda quasi minacciosa, e ride alle “battute” del suo ragazzo.

Inizio a tremare dalla rabbia, e penso a Brian che potrebbe aver capito che mi piace, e potrebbe averlo capito anche Michelle.

Senza rispondere alla domanda sarcastica del ragazzo, corro verso il bagno e apro il rubinetto del lavandino, regolando l’acqua fino a farla diventare fredda. Ne prendo un po’ con le mani e me la getto sul viso. Devo godermi la serata, e soprattutto non devo farmela rovinare da loro. Potrei socializzare con l’altra gente, potrebbe migliorare il mio umore.

Respiro profondamente e spengo la luce del bagno, chiudendomi la porta dietro.

< < Piccola > > Leana si avvicina e si piega leggermente in avanti, accarezzandomi la guancia destra con l’indice < < stai bene? > >.

Mi avrà vista correre verso il bagno, sbattendomi la porta dietro. Ero abbastanza convinta che non se ne fosse accorto nessuno.

< < Sì, sto bene > > mento, e Leana se ne accorge.

Non si possono avere segreti con una come lei. Se ci tiene a te, capisce subito se c’è qualcosa che ti turba.

Mi afferra per una spalla e mi porta nella mia stanza.

< < No che non stai bene. Che ti prende? > >.

< < Nulla Lea, davvero > >.

Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, durante i quali Lea mi scruta con estrema attenzione, fino a spalancare gli occhi e capire il problema.

< < Brian… > > mormora.

< < Cosa? > > domando, facendo finta di non capire.

< < È per lui, vero? Tu stai male per lui > >.

< < Come diavolo hai fatto a capirlo? > >.

< < Shh! > > mi zittisce, portandosi un dito alle labbra < < Se Jimmy dovesse venirlo a sapere… > >.

< < Jim? Perché? > >.

< < Non hai neanche la più pallida idea di quanto Jim tenga alla loro relazione, potrebbe dare di matto se scoprisse una cosa del genere > >.

Mi viene da piangere. Credevo che mi sarei potuta confidare con lui.

< < Tu ovviamente non dirai nulla a nessuno, vero? > > chiedo, conoscendo già la risposta della ragazza.

< < Certamente > >.

Qualcuno bussa alla porta.

< < Ragazze! Forza, venite! > > Jim pronuncia velocemente queste parole prima di allontanarsi.

< < Adesso andiamo nell’altra stanza > > Leana si alza dal mio letto, e apre la porta per uscire < < cerca di non pensarci, okay? > >.

Annuisco, stampandomi un finto sorriso in faccia prima di uscire dalla camera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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