Meet the Valos

di Merryweather616
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ti presento i miei ***
Capitolo 2: *** Home is where your heart is ***
Capitolo 3: *** Your guardian angel ***
Capitolo 4: *** It's but all tears ***
Capitolo 5: *** Circle of Fear ***
Capitolo 6: *** Poison girl and husband ***
Capitolo 7: *** Your arms are my castle ***
Capitolo 8: *** The Land of The Dark Songs ***
Capitolo 9: *** Endless Dark ***
Capitolo 10: *** It's all about liquorice ***
Capitolo 11: *** Deceiving our restless hearts ***
Capitolo 12: *** Love is insane, baby ***
Capitolo 13: *** ...and we are too ***
Capitolo 14: *** And love (of course) said NO ***
Capitolo 15: *** Eva ***



Capitolo 1
*** Ti presento i miei ***


Meet the Valos

Capitolo 1: Ti presento i miei!


So keep on pretending
Our heaven is worth the waiting
Keep on pretending it's alright
So keep on pretending
It will be the end of our craving
Keep on pretending
It's alright

Il Tavastia, il magico Tavastia, l'affollato Tavastia, sempre il solito Tavastia.

Come ogni capodanno mi trovavo stipata dietro le quinte del piccolo locale di Helsinki, con in mano un succo di frutta e un ventilatorino portatile. Per quanto fuori facesse sotto zero, dentro c'era un caldo tropicale e anche indossato una canottiera scollata, ero un bagno di sudore. Appoggiata ad un muro completamente graffitato fissavo con invidia mio marito che con un cappotto di lana e un cappellino viola della stessa stoffa sembrava essere a suo agio. Come sempre un uomo dalle mille sorprese.

“..and You'll be right here in my aaaaarms”

“Amore, odio dirtelo, ma stai stonando come una campana” gli dissi continuando a farmi aria e vagliando l'ipotesi di mollarlo li e andare fuori a fare un giro.

“Non sto stonando, sei tu che non ci capisci niente” rispose sistemandosi il cappello e continuando a fare gorgheggi per riscaldarsi la voce.

“Si e poi c'è la marmotta che incarta la cioccolata” dissi fulminandolo con lo sguardo. “Sono laureata al conservatorio tanto quanto te e in pianoforte oltretutto, quindi se c'è uno che non capisce, quello sei tu, mio caro”

Misi le mani sui fianchi in posizione da battaglia, pronta a una guerra verbale, che come al solito avrei vinto io. Non sapeva resistermi.

Improvvisamente dal nulla apparse Migè che si frappose tra di noi, sempre pronto a difendere il suo amichetto “Ehy Bi, non farmi incazzare Rakohammaas, che altrimenti poi ci vieni tu sul palco a cantare”

“Migè non ti mettere tra me e lui” lo rimproverai.

“Ah come non detto” disse il bassista sghignazzando e togliendosi di mezzo. Il simpatico bassista dopo due anni aveva finalmente capito che provare a spallegiare Ville quando litigavamo era una guerra persa.

“Quasi quasi vi preferisco quando siete così attorcigliati l'uno all'altro che non vi si distingue” fece capolino Seppo che aveva osservato tutta la scena da dietro. E come al solito non si sprecava la solita battuta sul fatto che se non stavamo litigando eravamo attaccati come piovre. Che ci potevamo fare se non riuscivamo a toglierci le mani di dosso?

“Non ti preoccupare Seppo” disse Ville afferrandomi per la vita e stringendomi a se “Sarai accontentato”. Mi prese il volto tra le mani e mi sfiorò i capelli appoggiando le labbra al mio orecchio destro.

“Ti amo mia piccola arpia” mi sussurrò baciandomi il collo.

Mi sciolsi in un sorriso, ridendo di me stessa. Per quanto potessi trovarlo estremamente insopportabile per una buona parte della giornata, e odiare tutti i suoi piccoli difetti, quando poi mi ritrovavo stretta tra le sue braccia magre, tutti i litigi si scioglievano, il mio cuore cominciava a battere al triplo della velocità e mi ritrovano una ragazzina adolescente in preda ad una cotta.

“Ti amo anch'io, insopportabile finlandese” risposi allacciandomi più stretta a lui. Ci scambiammo un bacio che non aveva nulla di casto, incuranti delle persone che ci giravano intorno, comunque abituate a vederci così. Poi mi staccai e decisi che era ora di andare a fare un giro del locale, di li a poco avrebbero suonato e dovevo andare a riscuotere il mio posto nel privè che sicuramente era già stato occupato da mia sorella, la quale puntualmente si approfittava del mio stato di moglie del cantante per prendersi i posti migliori, ovunque.

“Ville, io andrei, tua madre sicuramente mi sta cercando e devo far sbolognare Elena dal mio posto” gli dissi, sistemandogli qualche ciocca ribelle e tirando fuori una matita nera dalla tasca. Senza che ne accorgesse lo feci sedere e con una velocità da maestra gli misi il kajal sotto gli occhi. Già bello di per se, con la matita nera era ancora più figo. Le fan mi avrebbero ringraziato.

“Ahhhh, Bi, tu e questa matita, non sono la tua barbie personale” mi disse sbuffando ma rimanendo comunque fermo mentre mi improvvisavo truccatrice. Le sue mani sui miei fianchi e il respiro contro il seno mi rendevano difficile concentrarmi sul fare una linea dritta, ma alla fine ce la feci e mi fermai un attimo a guardare soddisfatta il mio lavoro.

“Si che sei la mia barbie! Sei mio e faccio di te quello che mi pare” gli risposi stampandogli un bacio in fronte e allontanandomi. Mi fece dei gesti di finta disperazione alla mie dipartita che ricambiai con una spudorata linguaccia mentre mi dirigevo verso l'uscita delle quinte.

Con facilità riuscii a superare la folla, complici i ragazzi della security che, dato il mio stato cercavano di tenermi sotto una campana di vetro e complice la mia ormai nota verve di svicolare ogni qual volta c'era il rischio di incontrare qualche fan girl impazzita che mi voleva morta.

Nel privè trovai, come avevo previsto, mia sorella buttata sulla mia poltrona preferita e Anita che mi fissava ridendo. Sapendo cosa stava per succedere si avvicinò preventivamente a me e mi abbracciò portandomi a sedere a fianco a lei.

Avevo la migliore suocera sulla faccia della terra, non c'è che dire. Peccato che Ville non potesse dire la stessa cosa di mia madre, pensai rabbrividendo all'idea di cosa ci aspettava domani.

“Bianca mia cara, come sta la stella?” chiese Anita ridendo.

“Il solito, rompe, fuma, beve caffè, se la fa sotto dalla paura”.

Ridemmo insieme e ci sedemmo comode a spettegolare sulle ultime news dal mondo della musica. Uno dei nostri passatempi preferiti. Nel frattempo quella sciroccata di mia sorella non solo non accennava a togliersi dal mio posto ma stava flirtando con non so quale starlette della musica pop finlandese.

“Elena, smettila, diamine” le dissi con fare minaccioso “non ti ho fatto venire qui per fare la civetta col primo che capita, almeno fallo con qualcuno di decente” incurante che il tipo mi sentisse feci una smorfia schifata verso di lui e mi voltai. Improvvisamente mi trovai stretta tra due braccia sconosciute.

Jussi non fare caso a Bianca, in questi mesi è più acida del solito” la voce era inconfondibile.

“Amore ma che diamine ci fai qua? Non dovresti essere sul palco tipo...ora?”

“Si ma sono venuto a salutare i miei, ora vado, tranquilla” rispose sedendosi e facendomi appoggiare sulle sue ginocchia.

Scambiò quattro chiacchiere con Anita, obbligato da me intimò Elena di togliersi dal mio posto, bevve la quinta red bull della serata e poi finalmente si accorse che era tardissimo e si decise ad alzarsi.

Mi guardai intorno. Ero tra le braccia dell'uomo che amavo, la sua famiglia ormai mia era con noi. I nostri amici erano tutti li. E tra pochi minuti il concerto di capodanno avrebbe infiammato la sala. Ero felice, spudoratamente felice. Due anni fa ero intrappolata in una puzzolente sala da ballo vicino Roma a fare finta di essere felice metnre la metà dei miei amici ballava ubriaca sulle note dell'ultimo successo commerciale, tutti intorno a me si ingozzavano di roba e parlavano male del vicino di casa o del collega. Mai mi ero sentita così fuori luogo, mai come quel giorno la mia voglia di scappare da quel paese retrogrado si era fatta sentire così prepotentemente, così il giorno dopo, senza parlare con nessuno ero scappata in Finlandia dando fondo a ogni risparmio. Ma ne era valsa, eccome se lo era.

Respirai a fondo per godermi il più possibile quell'atmosfera magica, ne feci il pieno per tenerla in riserva, un jolly per i giorni che sarebbero seguiti. Baciai mio marito e mi preparerai a godermi le ultime ore di libertà prima del temuto incontro.

Addio pace. Benvenuto inferno.

Intorno alla torre sembrava essersi scatenata una bufera di neve, la natura sembrava essere in linea con il mio umore nero. Correvo per casa come una disperata, e essendo “casa” una torre senza ascensore, correre significava fare su e giù per delle scale ripidissime senza corrimano e puntualmente scivolose.

Quando pensai di aver finalmente tutto mi infilai il cappotto e mi lanciai in salone dove trovai una bella sorpresa.

“Ville?!” dissi oltraggiata “ma che...?”

Io ero in delirio da partenza, avevo 3 valigie da portare giù, e migliaia di cose da controllare e lui cosa faceva?

Stava beatamente seduto in poltrona a leggere.

“Che c'è amore?” i suoi occhioni verdi mi guardarono con sospetto “perché sei tutta vestita, non stiamo a casa questa mattina?”

Non riuscii nemmeno a proferire parola. SI era dimenticato. Solo lui poteva fare una cosa del genere. Probabilmente lo amavo anche per questo.

“Ville, tra mezzora arriva il taxi. Sai, quella cosa gialla che ci porta all'aeroporto, dove quella cosa volante chiamata aereo ci porta in Italia, dove dobbiamo andare a trovare i miei.”

Presi fiato dopo il lungo monologo e aspettai che Ville assimilasse la notizia, nel frattempo mi avvicinai a lui per guardarlo col mio sguardo più cattivo.

“Oh! Ma io ero convinto dovessimo partire domani” disse con la faccia più angelica che aveva.

“Devo crederti?” gli chiesi troneggiando su di lui.

Senza rispondermi mi trascinò su di se buttando il libro per terra e togliendomi il pesante cappotto senza sforzo. “Credimi, Bi. Per quanto non mi entusiasmi l'idea di venire dai tuoi non starei mai qui a fare il finto tonto. Ora...le valigie sono pronte?”

Annuii accoccolandomi tra le sue braccia.

“I biglietti ce li hai in borsa?”

Continuai ad annuire, facendomi sempre più piccola. Volevo rimanere li per sempre, stretta a lui, con il camino che sfrigolava davanti a noi e i Type O che cantavano in sottofondo. Ma prima o poi sarei dovuta tornare in patria, non potevo continuare a rimandarlo e Ville sarebbe stato con me. La prospettiva non era poi così male.

Saputo che ogni cosa era pronta mi slacciò la camicia che indossavo e si sfilò la maglia dei Sabbath. Io mi sedetti a cavalcioni su di lui capendo esattamente quali erano le sue intenzioni. Seppur sposati da un anno ancora sembravano due adolescenti in presa a crisi ormonali e ogni momento era buono per fare l'amore. I nostri corpi ormai si conoscevano così bene che le nostre mani si muovevano automaticamente su di essi. Allacciai le braccia intorno al suo collo nudo, ma lui mi spostò le mani e posò le sue sulla mia pancia, accarezzandola e avvicinandosi per porgere un orecchio all'altezza dell'ombelico. Iniziò a sussurrare una canzone, una ninna nanna finlandese che mi cantava sempre quando avevo difficoltà ad addormentarmi. Poi alzò lo sguardo verso di me.

“Dici che mi può già sentire?”

Sorrisi accarezzandogli i capelli e sfiorando a mia volta la mia pancia che cominciava in quei giorni a mostrare i segni della gravidanza. Un leggero arrotondamento era già visibile e aspettavo con ansia il momento in cui sarebbe diventata enorme e avrei potuto sentire il mio bambino scalciare.

“Secondo me, si. Sopratutto quando suo padre ha una voce così bella”

Rimanemmo così per altri dieci minuti. Io che guardavo il mio uomo parlare a nostro figlio, e la tempesta intorno a noi che ci faceva da sottofondo, fischiando e facendo riempire il nostro udito dei suoni della Finlandia.

Mi sarebbe mancata in quei giorni. Ma dovevamo andare e prima ci saremmo tolti questo peso meglio sarebbe stato.

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Capitolo 2
*** Home is where your heart is ***


Scusate la latitanza ma ho avuto gli ultimi esami prima della fine della sessione e mi sono chiusa nel mio bozzolo di studio. Che bello finalmente poter tornare a scrivere del nostro finnico preferito.*__*

Disclaimer: Gli HIM non mi appartengono, ne con la mia storia voglio narrare del vero Ville Valo, riferimenti a fatti o persone sono puramente casuali.

Capitolo 2

Home is where your heart is

oh girl, we are the same
we are young and lost and so afraid
there's no cure for the pain
no shelter from the rain
all our prayers seem to fail

in joy and sorrow my home's in your arms
in world so hollow
it's breaking my heart
in joy and sorrow my home's in your arms
in world so hollow
it's breaking my heart

Il tragitto in aeroporto fu tranquillo. Ogni cosa era al suo posto, eravamo in anticipo, mia sorella che avrebbe viaggiato con noi era già li ad aspettarci, io ero stranamente calma e Ville cercava di mascherare l'agitazione fumando una sigaretta dopo l'altra. Più che terrorizzarmi l'idea di rivedere tutta la mia famiglia dopo due anni, duranti i quali non solo ero scappata di casa e trasferita in Finlandia, ma avevo intrcciato una relazione con una rockstar con un passato oscuro, che avevo inoltre sposato e che agli occhi di quei dementi che sono gli italiani ignoranti poteva sembrare un satanista, l'idea che mi terrorizzava di più era assistere a come i parenti avrebbero trattato mio marito. Già sapevo che sarei dovuta andare incontro a molte litigate, perché lui, di certo educato e riservato com'era non avrebbe detto una sola parola.

In taxi, appoggiata alla sua spalla, riscaldata dal parka gigantesco nero che una volta era appartenuto a lui, mi lasciai trasportare dalla mia mente verso il passato, una gita nella memoria prima di affrontare il futuro prossimo che mi aspettava.

Esattamente due anni prima ero arrivata ad Helsinki, sola, congelata, con pochi soldi, ma spudoratamente felice. Ero libera e orgogliosa di me stessa. A 25 anni avevo mollato tutto, lavoro, amici, fidanzato ed ero venuta a cercare la mia strada. Per un caso fortuito una mia amica dei tempi del liceo ora viveva nei dintorni della grande capitale finlandese, lavorando come fotografa per un agenzia pubblicitaria. Mi aveva chiesto mille volte di andarla a trovare e io mille volte avevo risposto no, perchè il mio ragazzo non voleva, perchè i miei genitori non avrebbero approvato e perchè io avevo paura ad andare contro a tutti loro. Ma una volta spezzate le catene non mi aveva più tenuto niente, e così per i primi mesi la dolce Katia mi aveva ospitato sul suo divano, fino a che non era accaduto qualcosa che mi avrebbe cambiato radicalmente la vita.

Un tranquillo venerdì sera stavo passeggiando per Munkkiniemi, il quartiere vicino a dove abitavo, portando a spasso il cane di Katia e facendo quello che per me assomigliava di più ad uno sport, vagare senza metà sotto le note della mia musica preferita. Quando ad un certo punto, Luki il cane, scappò dalla mia presa andando a lanciarsi verso il passante e iniziando a giocare con lui.

Quel passante era Ville Valo. Sapevo chi fosse anche prima di venire in Finlandia, e gli morivo dietro sin dai 15 anni, segretamente. Ma ero sempre stata troppo timida per andare a spasso per il quartiere in cerca di lui. E ora, ritrovarmelo così di fronte era davvero uno shock. E poi di lì è storia, tra giornalisti e amici avevo raccontato migliaia di volte di come avevo da brava faccia di bronzo qual'ero diventata chiesto a Ville di andare a prendere un caffè insieme e lui, con mio enorme sconcerto, aveva accettato. Penso mi ci fossero voluti meno di cinque minuti per capire che a costo di legarlo a me con varie catene, non me lo sarei lasciato scappare. Fu vagamente più difficile farglielo capire, ma alla fine dei fatti tutto si era risolto per il verso giusto. Tra litigate, baci rubati, giri del mondo su un troppo affollato tour bus e assedi di fan eravamo sopravvissuti. E ora aspettavamo un figlio. Da una parte dovevo ringraziare quella dannata notte che mi aveva fatto scappare dall'Italia, 6 ore di sofferenza per una vita fantastica, ne è valsa la pena.

Il volo 563 per Roma FCO decollò da Helsinki senza un minuto di ritardo, era l'ultimo saluto della Finlandia nei miei confronti, mi potevo dimenticare tale puntualità nel mio paese natale, dove le metro passavano ogni 10 minuti anche nelle ore di punta e i treni non arrivavano mai e poi mai all'ora esatta. Mi aggrappai al braccio di Ville e lo strinsi forte, in preda a un lieve attacco di panico al pensiero di star veramente per tornare nella soleggiata Italia. Io volevo rimanere a congelarmi qui, vicino a polo nord, dove d'inverno non c'è mai sole, dove fa sempre freddo. Io odiavo il caldo.

“Bianca, non ti agitare che poi mi agito prima io, poi a ruota tua sorella e pure il bambino di certo non è felice” disse sporgendosi verso di me e sventolandomi con un giornale.

Sapevo che aveva una paura terribile dell'aereo, ma stava comunque consolando me. Qual gentiluomo.

“Bi, dai stai tranquilla” si mise in mezzo mia sorella che era seduta a fianco a me dal lato del finestrino. “Al massimo che se i maledetti di mamma e papà ti fanno storie ce ne andiamo e torniamo subito qui”

“Io e Ville torniamo qui” precisai “tu te ne rimani a Roma a fare l'università”

Mi guardò con una faccia offesa e fulminò Ville con lo sguardo “ma..ma il tuo caro marito mi ha detto che se voglio posso rimanere qui con voi, ha un amico a cui serve proprio una grafica di siti web”

Io lo sapevo di aver sposato un pazzo, ma non che arrivasse a questi livelli. Elena era una piaga vivente, si attaccava come le meduse e non c'era verso di tirarla via. Si era presentata qualche mese fa sotto casa nostra chiedendo asilo domestico, in quanto fuggita anche lei da casa. Era però l'unica che era venuta al mio matrimonio, e che ogni giorno prima di arrivare in Finlandia mi telefonava e si sincerava di come stessi io e quell'anoressico di Ville (il suo hobby preferito era chiedermi come faceva a reggersi in piedi). Ma a parte questo, era comunque troppo da gestire per me.

Mi voltai verso Ville incredula.

“Beccato” disse giocherellando con una ciocca di capelli ribelle.

“Lo so che te lo dovevo dire, ma ho pensato che col bambino avrai bisogno di una mano, sopratutto per i mesi che saremo in tour” si spiegò

Non aveva tutti i torti, anzi aveva proprio ragione, ma non gliela avrei fatta passare così facilmente...

“Tu brutto traditore, devo già fare da babysitter a te, a tutta la band, e mi lasci pure questa piattola tra le mani?” gli dissi cercando di mantenere un espressione seria.

“Ehhh so che ce la farai” rispose appoggiandosi sulla mia spalla e tirando fuori un libro dal suo zaino.

“E tu” dissi rivolta a mia sorella “vedi di non metterti con quella star delle soap opera se rimani qui a Helsinki, Ville ha tanti amici magnifici, se proprio devi, scegli tra quelli”

Elena scoppiò a ridere capendo che stavo dando la mia approvazione al suo trasferimento permanente nella mia città adottiva, prese il suo ipod e si addormentò brevemente.

Rimasi sola con me stessa, il mio cervello, il solito bastardo mi fece immaginare tutte le peggiori situazioni che sarebbero potute accadere durante il nostro soggiorno nella penisola della pizza. La peggiore era la possibilità di essere scoperti a fare roba indicibile da qualcuno dei parenti, terrorizzata dall'ipotesi scossi il braccio di Ville per renderlo partecipe della mia paura.

Lui mi guardò con aria affranta “Bi, staremo in un hotel, in centro, andremo dai tuoi per si e no due ore al giorno, lo so che sei una ninfomane persa, ma credo che ce la farai a trattenerti”

Come al solito la mia fantasia troppo vivida mi stava facendo delirare. Gli feci cenno di poter tornare al suo libro e decisi che dovevo tenere la mente occupata, così tirai fuori il portatile e iniziai a controllare l'ultima composizione su cui stavo lavorando. Un po' di sano esercizio mentale mi avrebbe sicuramente distratto.

L'atterraggio fu morbido, raccogliemmo tutte le nostre cose, e ci dirigemmo verso gli arrivi. Varcare la soglia che ci divideva dall'ameno spazio aeroportuale a quello della realtà fu uno shock. Improvvisamente, a differenza di come mi accadeva in Finlandia mi sentii ogni occhio addosso, dovevamo essere una scena singolare agli occhi dei poco abituati italiani. Mia sorella Elena è quello che si avvicina di più ad essere una darkettona, con tanto di gonnellina di pizzo nero, pentacolo al collo, trucco pallido e scarpe col tacco. Io, con un paio di jeans distrutti, una giacca nera di pelle e un heartagram in bella vista, sia come collana che tatuato sul collo, inoltre per screzio avevo abbondato con la matita nera e col rossetto rosso, in Finlandia sarei stata normale, qui ero una freak. E poi Ville...adorato da migliaia di donne e uomini, un vero sex symbol, qui era solo una frikkettone con un cappello a fagiolo, il trucco sugli occhi, troppo magro e troppo tatuato.

Lo presi per mano e ci avviammo vero l'uscita.

Ad attenderci c'erano i miei cugini, Boldo e Poldo, due gemelli che condividevano letteralmente un cervello, data la loro nota stupidità e grettitudine.

Ed eccomi di fronte alla prima prova della giornata.

“Guarda chi si vede” esordì Boldo, meglio conosciuto come Andrea mettendo su un aria da figo, e guardando noi tre con uno sguardo di superiorità che lo faceva solo sembrare ancora più stupido.

“La tossica e la pazza sono tornate all'ovile” continuò

Per la cronaca, la pazza sono io, per motivi ovvi, mentre la tossica è mia sorella. E' parere comune nella mia famiglia di bigotti che chiunque non rientri nei loro canoni di normalità si droghi, in quanto impossibile che un essere umano possa decidere di essere diverso da loro di sua spontanea volontà, quindi il suo cambiamento è addotto a uno stato di ebbrezza o di overdose.

Ville che non capisce una parola di italiano. Fortunato lui. Si avvicinò a me per farsi spiegare cosa stava succedendo. Brevemente gli spiegai in suomi chi erano i due e cosa stavano dicendo. Non riuscì a trattenere una risata e dato che uno dei suoi difetti più belli è quello di sentirsi vagamente al di sopra del mondo intero, indicò i due “Mi stai dicendo che quei due vi stanno sfottendo?”. Non riusciva a smettere di ridere. Doveva trovare esilarante che due simil-contadini come Boldo e Poldo potessero anche pensare di essere migliori di sua moglie e sua cognata.

“E' il loro modo di raggirare il complesso d'inferiorità” gli spiegai, godendomi comunque la faccia dei due al vedere Ville che senza alcun problema si prendeva gioco di loro. Ci sarebbe stato da divertirsi. In questi giorni.

Elena si tolse le cuffiette che aveva tenuto attaccate fino a quel momento e si avvicinò a me con fare sospettoso. “Bi, andiamocene in fretta” disse sghignazzando. “Guarda alla tua destra”

Mi girai e vidi tre ragazzine impazzite che correvano verso di noi. Ma porca, imprecai “proprio adesso dovevamo beccare le fan deliranti”

“Che succede Bi?” chiese Ville che nel frattempo si stava guardando intorno.

“Fan-girl” gli bastò la parola per mettersi in allarme.

“Facciamo in tempo a darcela a gambe?”

Mi voltai per controllare la situazione e mi cascarono le braccia.

“E' troppo tardi ormai” annunciai rassegnata.

Fu la solita scena. Le ragazze si fecero avanti squittendo come roditori, mi lanciarono i solito sguardo di invidia verde a cui ormai ero immune e si fecero foto con Ville con le loro macchinette fotografiche. Lo adorarono per qualche minuto e poi se ne andarono felici. Ancora mi meravigliavo di come Ville riuscisse ad essere così gentile con tutti i suoi fan, doveva aver delle dosi nascoste di pazienza che spuntavano fuori al momento del bisogno.

Mentre mi riprendevo mio marito dalla morsa delle fan sentivo Poldo che chiedeva a mia sorella informazioni su cosa stava accadendo. In quel momento mi venne il dubbio che la mia famiglia, che di me a malapena sapevo che ero sposata, non sapesse però con chi. E risi, risi come una pazza isterica. Davvero ne avremmo viste delle belle.

@ AnAngelFallenFromGrace: grashiee piccula mors! I tuoi commenti sono sempre super speciali, ti dico solo GRAZIEEE perché tanto il resto te lo dico giornalmente. Ti vi bi

@ claudy: *me arrossisce* sei davvero troppo buona, e quanto mi piace essere perseguitata, quindi continua pure XDXD grazie per il commento e spero che ti sia piaciuto anche questo chappy

@ lithi: giammai scordare l’UVD, blasfemiaaaaaa!!!grazie per il commento julietta mia

@ Ethereal Clover: eh si, ogni tanto sforno roba nuova e ho ancora qual cosina nel cassetto da condividere con le lettrice himmiche…kiitossss per il commento^^

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Capitolo 3
*** Your guardian angel ***


Capitolo 3

“Your guardian angel

I will never let you fall

I'll stand up with you forever

I'll be there for you trough it all

Sapevo già che la mia calma serafica sarebbe andata a farsi benedire. Ne ero convinto. Avevo avuto paura di cantare di fronte a migliaia di persone, avevo avuto paura all'uscita di un nuovo album e me l'ero fatta sotto quando avevo detto “lo voglio”. Ma questo terrore recondito tanto pesante da non volerti fare uscire da una camera di albergo usando una qualsiasi scusa, no questo non mi era mai capitato. Dover incontrare la gigantesca famiglia di mia moglie mi dava i brividi e finché non si era avvicinato il tanto temuto momento non mi ero reso conto del delirio della situazione. Dai racconti di Bianca e di Elena me li immaginavo come tanti mostri pronti a mangiarmi appena mi avessero visto.

Eravamo nella nostra camera già da un paio d'ore, i cugini dementi ci avevano mollato davanti all'hotel e se ne erano andati via, probabilmente avrebbero raggiunto il resto della famiglia per spettegolare su di noi. Bianca stava passeggiando nervosamente per la stanza con la musica nell'orecchie, mentre Elena era nella suite a fianco alla nostra anche lei stava sicuramente cercando la forza di uscire da li e trovare la voglia di fare quello per cui eravamo venuti fin qui.

Odiavo vedere Bianca stare così, mi ricordava i primi mesi in cui stavamo insieme, quando era costantemente preoccupata che qualcuno della sua famiglia spuntasse a rovinare le cose. Ci erano voluti due anni e una proposta di matrimonio per farla tranquillizzare, ormai ero io la sua famiglia e poteva essere sicura che ci sarei stato sempre.

Presi la mia chitarra e iniziai a fare qualche accordo per rilassarmi, le note dolci della mia acustica erano più potenti di un qualsiasi antistress, e ben presto mi ritrovai immerso nelle note di una nuova canzone, ancora senza nome, ancora senza testo.

“Suoni?” Bianca aveva smesso di passeggiare per la stanza e mi si era seduta a fianco sull'enorme letto della suite, appoggiando la testa sulla mia spalla.

Annui e spostai la chitarra per abbracciarla, sentendola tremare e stringersi contro di me. Lacrime calde le scendevano dal volto e le sentii sul mio collo.

“Ho paura Ville” disse non riuscendo a trattenere i singhiozzi.

Non potevo sopportare di vedere la mia donna distrutta per una cosa del genere, già odiavo i suoi genitori, se stava così male solo al pensiero di vederli non avevo idea di cose le avessero potuto fare in passato.

“Amore, ti prego, respira, ci sarò io con te” le dissi.

Ero una stupida, una dannata maledetta stupida. Avevo avuto il coraggio di fuggire, di partire da sola per una terra sconosciuta, avevo girato il mondo in un tour bus puzzolente e disordinato senza fare un fiato, avevo sopportato sguardi lascivi verso l'uomo della mia vita, ed ero sopravissuta, ed ora come una bambina piccola piangevo sulla sua spalla perchè ero terrorizzata dai miei parenti. La mia parte razionale mi stava urlando le peggio cose, non avevo motivo di stare così. Non tornavo in Italia da perdente con la coda tra le gambe, tornavo con un lavoro, con una persona eccezionale al mio fianco e decisamente con molta più forza. Certo non si poteva dire che mio marito era quello che qui si chiama il partito perfetto, un ragazzo magrolino della Scandinavia pazzo come un cavallo e per di più rockstar, ma era il MIO ragazzo magrolino della Scandinavia, e ai miei occhi era perfetto così.

Decisi che era arrivato il momento di affrontarli, ce la potevo fare.

Mi alzai di scatto facevo rotolare Ville giù dal letto e iniziai a correre per la stanza cercando qualcosa di abbastanza shock da mettermi, se dovevo tornare da vincintrice tanto valeva farlo in grande stile.

“Tu sei completamente pazza amore mio” disse Ville rialzandosi con fatica “prima ti strapazzi addosso a me piangendo e poi ti cominci a preparare come una furia”.

Scosse la testa, ormai abituato alle mei follie e mi si avvicinò bloccandomi contro la parete e impedendomi di continuare nella mia ricerca.

“Ville, che fai? Non vedi che vado di fretta devo trovare la mia roba cyberpunk, sono sicura di averla portata con me” dissi continuando a guardarmi intorno mentre mi spostava i capelli dalla faccia e mi accarreza il viso.

“Bianca, ora dimmi cosa ci devi fare con la roba cyberpunk?” chiese ridendo e continuando nella sua opera di farmi impazzire.

“Me la devo mettere, di certo non me la devo mangiare” risposi stizzita.

Cercai di divincolarmi ma mi strinse ancora più forte impossessandosi della mia bocca per far finire il fiume di parole che stava uscendo. “Allora, amore posso capire che tu voglia fare un entrata in grande stile, ma quei stracci vecchissimi se non ti ricordi male li hai buttati l'anno scorso perchè ti stavano stretti”

Noooooo! Era vero li avevo praticamente bruciati durante il falò del solstizio d'estate perchè era finita la legna e inoltre dato che non mi entravano più non volevo più vederli.

“E cosa mi metto allora? Non posso certo andarci così”

Non mi rispose, ma mi slacciò i bottoni del gilet e si fece strada verso il basso.

“Argh” soffiai “la vuoi smettere? Non vedi che ho da fare?”

“No, non smetto, vorrei avere dei bei ricordi a cui pensare mentre siamo dai tuoi, e non c'è niente di meglio che immaginarti sopra di me ansimante”

Lo odiavo quando faceva così. Quando era così maledettamente disarmante.

“Poi dici a me che sono una ninfomane”

Con uno slancio lo presi in contropiede e lo spinsi sul letto. “Hai ragione amore, facciamo quello che sappiamo fare meglio, che un po' di sana endorfina non ci aiuti per dopo”

Non feci in tempo a spogliarmi aiutata da lui che mia sorella, quella guastafeste, entrò in camera nostra.

“Ah, ma voi due siete un caso perso, e io che speravo che una volta sposati i bollori sarebbero spariti del tutto” disse Elena coprendosi gli occhi.

“Elenaaaaaaaaaa” urlai mentre Ville sotto di me rideva come un disperato, non era la prima volta che venivamo beccati in posizioni simili e ogni volta io arrossivo come un peperone e lui se la rideva.

“Sorellona, lo sai che ti voglio tanto bene, ma sono convinta che se queste tue arrabbiature facciano male al bambino, diglielo pure te Ville” disse incrociando le braccia con fare saccente.

“Tu non ti azzardare a darle ragione, piccolo traditore che non sei altro” gli intimai tappandogli la bocca con una mano.

“Ora Ele, dimmi perchè sei irrotta nella nostra stanza senza essere invitata?”

“Hanno chiamato mamma e papà, hanno detto che ci aspettano a casa tra un'ora”

“Un ora???” non avrei mai fatto in tempo a vestirmi e tutto.

“Si, un ora hai capito bene” rispose

“Ma io ho bisogno di comprarmi qualcosa da mettermi, ho portato solo vestidi comodi”

“beh ma che problema c'è, andiamo dal bacillario, è qui sotto proprio” disse Elena con tranquillità. Certe volte mia sorella era un genio. Un genio.

“Ville, alzati, andiamo dal bacillario, devi venire pure te che mi serve la tua carta di credito”

“Amore mio, mia unica metà, ora dimmi due cose, primo come faccio ad alzarmi se sei sopra di me in tutto il peso? Secondo, cosa diamine è il bacillario?”

Dieci minuti dopo avevo fatto vestire il finlandese, mi ero messa addosso le prime cose che avevo trovato, e lo stavo trascinando di corsa per via Laurina sperando che il mitico bacilla fosse aperto.Subito riconobbi la familiare vetrina dove avevo passato l'adolescenza ad adorare quella roba e non poterla mai indossare, e ora ero li davanti, avevo i soldi e potevo indossare quello che volevo.

“Entriamo!” dissi a Ville.

Gli presi la mano e lo spinsi dentro. Mi misi a cercare tra le gonne quella che sarebbe andata meglio per me, ma quando ero pronta per andarne a provare qualcuna mi girai e vidi una scena da film. Ville era in piedi a sbirciare tra le collane esposte, per la fretta non si era messo il solito cappello, e era li in tutta la sua gloria. Davanti c'era una ragazzina che completamente sconvolta fissava la sua maglietta e poi alzava lo sguardo e poi tornava a fissare la sua maglietta. Quasi lasciai cadere la gonna a terra, era una scena troppo esilarante. Troppe volte mi ero trovata in situazioni simili ma questa qui le batteva tutte.

“Amore mamma mia quanto sei brutto su quella maglietta” gli dissi ridendo, in finlandese.

Ville mi fulminò con lo sguardo iniziando già a diventare rosso come un peperone.

“Non è divertente, Bianca, per niente” rispose cercando di rimanere serio, mentre la ragazzina gli porgeva completamente in stato d’adorazione un foglio di carta per farsi fare un autografo. Attesi che la procedura si concluse, e mi apprestai a tornare in camerino, quando la ragazza inaspettatamente mi fermò.

“Tu sei Bianca vero?” mi chiese con gentilezza.

“Si, sono io” non sapevo cosa aspettarmi.

“Possiamo fare la foto insieme?”

“E che scherzi, certo”

Tirò fuori la macchinetta dalla borsa e si mise a selezionare varie opzioni, nel frattempo Ville si stava per mettere in posa, evidentemente pensava gli toccasse fare la foto.

“Amore, questa volta non la devi fare, la devi scattare” gli dissi con un ghigno. Sembrò vagamente interdetto, ma prese la macchinetta e scattò la foto.

@ Cherasade: grashieeee!!! *emoticon di commozione*. Per l’incontro con i genitori di Bianca ci vorrà ancora un pochetto, mi sono un attimo dilungata su racconti della vita insieme dei nostri Valos…ma prima o poi ci arriverò, speriamo prima che poi XD

@ lithi: giuliettaaaa, ma scappiamo in Finlandiaaa daiii, che fa fresco, il panorama è stupendo, i finnici sono adorabili e c’è il Sommo no??? Baciotti e grazie tesoro

@ frizz_np: finita l’attesa XD grazie per il commento e spero che ti piaccia anche questooo Suukko

@ Ethereal Clover: ooooh Lalli, leggere il tuo commento pre berna mi ha fatto venire il magoneeeee sigh sob sigh, ma come ci ha ridotte quel concerto??? Che il valo ci aiuti (dato che tra l’altro è tutta colpa sua)!!! Cmq, l’anteprima te l’ho data, hai visto? Me brava angel! Anche se qui ho aggiunto un pezzettino e ho pronto il capitoletto nuovoooo *_* poi dopo te lo mandooo

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Capitolo 4
*** It's but all tears ***


Dopo un piccolo esperimento mal riuscito nel mondo delle lemon torno all’universo che mi è più consono, la fic del fancazzeggio XD…eccovi un nuovo capitolo delle pazze avventure di B e V nella terra degli spaghetti…

It’s all but tears

I'm waiting for you to drown in
my love
So open your arms
I'm waiting for you to open your arms
And drown in this love
I'm waiting for you to drown in my love
So open your arms
I'm waiting for you to open your arms
And drown in this love

Open your arms and let me show you what love can be like
It's all tears and it will be 'til the end of your time
Come closer my love
Will you let me tear your hearth apart?
Now all hope is gone so drown in this love

“Bianca, non ti agitare come un anguilla, se non si chiude, non si chiude”

Comprata la gonna, una stupenda gonna nera con tulle e catene, e avendola comprata della mia taglia non mi ero assolutamente posta il problema che forse il corpetto che avevo portato con me da Helsinki non mi sarebbe entrato. Avevo per un attimo dimenticato la piccola protuberanza che cresceva nella mia pancia. Ed ora ero appoggiata ad una colonna del letto al baldacchino, come Rose in Titanic e un divertito marito cercava di chiuderla tra una risata e l’altra.

“Prova a tirare più forte” gli intimai. Io dovevo mettermi quel corpetto, ne andava del mio orgoglio.

“Tesoro, so che non vuoi sentirtelo dire, però non vorrei che poi il bambino ne risentisse in qualche modo, non pensi?”

Lo odiavo quando faceva così, quando diceva sempre la cosa giusta, nel modo giusto, con lo sguardo giusto. Lo odiavo quando mi rendevo conto di quanto era perfetto.

Sospirai

“Mi arrendo, tirala giù, dovrò trovare qualcos’altro da indossare deduco”

“Non mi farai tornare li vero?” disse allarmato.

“Zitto e tira giù la zip” gli intimai.

Chiuse la bocca e mise in moto le mani, delicate scesero dalle mie spalle percorrendo la spina dorsale e raggiungendo il punto dove la zip si era bloccata. Quel contatto, così delicato eppure fortissimo, quelle mani che sapevano quanto io appartenessi loro, mi conoscevano così bene, ed in un attimo la mia mente, traditrice, mi riportò a qualche mese prima.

Eravamo sposati da pochissimo, l’ultima cosa che volevo era allontanarmi da lui e partire, ma il mio lavoro mi chiamava e avevo finito le scuse per il matrimonio, dovevo andare e seppur col muso lungo Ville fu felice di accompagnarmi in aeroporto. Se fossi stata più debole l’avrei supplicato di venire con e non staccarsi un attimo dal mio fianco, ma lui doveva lavorare. proprio come me, e sapevo che una mia sola parola gli avrebbe fatto cancellare ogni impegno che aveva preso, così, di fronte al gate, tirai dentro tutte le mie paure e mi apprestai a lasciarlo dopo un anno e mezzo che vivevamo in completa simbiosi.

“Fai il bravo” gli dissi “non dimenticarti di mangiare, bevi molto e non far incazzare Migè perché ti lamenti troppo, capito?” Trattenendo le lacrime gli porgevo gli ultimi avvisi prima di prendere il bagaglio e allontanarmi, ma non mi voleva lasciare andare.

“Si mamma, farò come mi hai insegnato” rispose ridendo e stringendomi tra le sue braccia, il mio volto arrivava al suo petto e sebbene sembrasse tranquillo potevo sentire il suo cuore andare a mille.

Lo strinsi forte, frignai un po’ contro di lui e poi decisi che era arrivato il momento, dovevo smetterla con questa sindrome di copertina di Linus, bastava uno nella coppia ad averla. Se per lui era il cappellino viola, per me, era lui la mia copertina e separarmene si stava rivelando oltre lo straziante.

“Su, brutto finnico secco, lasciami andare perderò l’aereo” dissi cercando di risollevare l’atmosfera.

“Ah la metti così” mi prese in braccio e mi fece avvinghiare a lui tirandomi su come fossi una piuma.

“E tutta questa forza dove l’abbiamo tirata fuori?” gli chiesi “non mi ricordavo che lei fosse così potente Signor Valo

“Lei mia cara non sa ancora molte cose di suo marito”

“Ottimo, un'altra cosa da fare al mio ritorno, ora me lo segno, adesso vado Ville, capito? Vado.”

“Tu sei proprio sicura di voler andare?” mi chiese supplicante.

“Se non la smetti, al prossimo tour ti faccio la stessa scena” ribattei

“Ma se ogni volta che parto in tour fai le feste che hai casa per tutta per te” disse stampandomi un bacio in fronte.

“In effetti… ora vado, davvero” Lo abbracciai e lo baciai “ci vediamo tra una settimana amore mio, non fare danni”

Senti un pezzo di cuore andare via mentre mi allontanavo dalla figura slanciata e triste che mi guardava, mi sarebbe mancato tutto di lui, ma ero grande e vaccinata e ce la potevo fare.

Quel viaggio fu orribile, il regista svedese con cui stavo lavorando per la creazione di una colonna sonora era geniale ma tutto fuorché socievole e cordiale, ed essendo ormai metà finlandese avevo adottato anche io la diffidenza verso gli svedesi e mi guardavo intorno come se fossi in una gabbia di leoni. Per aggiungere sale sulle mie ferite, uno strane virus intestinale sembrava avermi colpito e passavo metà del mio tempo al bagno. Diventando sempre più bianca e sentendomi sempre più fiacca. Al telefono con Ville cercavo di mascherarlo, ma la solita empatia che ci legava non fallì come avevo sperato, anche a miglia di distanza si accorse che qualcosa non andava e fui costretta a raccontargli ogni cosa. Ci vollero due ore e una caparbietà che non sapevo di avere per convincerlo a non venire a riprendermi a Stoccolma col primo aereo, o a piedi.

Dopo 6 lunghissimi giorni, cadaverica, stanca, e stressata mi trascinai all’aeroporto e telefonai a mia sorella per passare il tempo in attesa della chiamata del mio volo, le raccontai dei miei sintomi chiedendole se avesse avuto mai qualcosa del genere, lei, decisamente più furba e sveglia di me, ci mise mezzo secondo a farmi la diagnosi. Non potevo crederci, ero allibita, così controllai e ricontrollai, e mia sorella aveva ragione. Dirlo a Ville sarebbe stata una scena da non dimenticare.

In aereo ogni dolore che avevo sembrò scomparire, e il breve viaggio di un ora passò ancora più velocemente. Lessi qualche quotidiano finlandese, vidi la sua foto per un intervista che aveva fatto mentre ero via e mi si strinse il cuore, avevo il volto spento e stanco, odiavo vederlo così. Fortunatamente in quell’istante annunciarono l’atterraggio, mi strinsi la cintura, raccolsi le mie cose e attesi di poter di nuovo respirare l’aria di casa mia.

Appena scesa dall’aereo corsi al reparto bagagli, sperai nella consueta puntualità nella consegna, era quasi mezzanotte e solo il nostro volo stava arrivando. Non potevo aspettare, volevo tornare a casa, tra le sue braccia. Quando vidi la mia valigia spuntare per prima ringraziai il cielo e la presi senza nemmeno controllare la targhetta, tirai fuori il cellulare dalla borsa per chiamare un taxi, ma non feci in tempo a comporre il numero che uscendo dal terminal degli arrivi, vidi una figura curva, seduta su una di quelle scomodissime sedie di plastica, che guardava per terra, con il capo coperto da un berretto viola. Se non era lui, io mi chiamavo Gioconda.

Accelerai il passo, seguii la sua testa alzarsi e i suoi occhi incontrare i miei, i suoi magnifici occhi verdi che erano tanto magnetici quanto tristi in quel momento. In un attimo fui stretta contro di lui, assaporando l’odore di nicotina che lo permaneva costantemente e il suo profumo naturale, un profumo trascendentale, che mi ricordava l’edera e l’incenso.

“Bianca, ti prego, non lasciarmi più da solo così a lungo” furono le prime parole che mi disse.

Risi. Come faceva il drammatico certe volte.

“Amore mio, ma lo sai che parli come un personaggio degli harmony vero?”

Per tutta risposta mi guardò imbronciato, mi baciò, prese la mia valigia, la mia mano e mi portò verso l’uscita dove ci aspettava un taxi.

Una volta a casa respirai a pieni polmoni la fragranza di Helsinki, l’odore di legno che emanavano gli alberi intorno al nostro giardino. Non feci nemmeno caso al delirio di cose sparse per il salotto, mi fiondai in camera da letto buttando la valigia per terra, buttandomi sul letto completamente vestita. Qualche minuto dopo fui raggiunta da Ville che si sedette a gambe incrociate a fianco a me, carezzandomi la schiena.

“Amore che ne dici di togliere questo vestito, metterti il pigiama e dormire, sembri davvero esausta”

Non ebbi nemmeno la forza di rispondere, lo prese come un si e iniziò a tirarmi giù la zip, facendo scorrere delicatamente le mani sulla pelle sensibilissima e disidrata.

“Bianca, questo vestito non è un po’ stretto?” disse litigando con la lampo.

Improvvisamente mi ricordai che c’era qualcosa che dovevo dirgli.

“Eh si, e penso che per i prossimi nove mesi non lo potrò più reindossare” annunciai.

“Perché? Finalmente hai deciso di arrenderti alle prelibatezze che cucina mia madre e farla contenta ingrassando di qualche chilo?”

Risi. Gli ci volle un po’ per arrivarci. Si guardò intorno, chiuse e riaprì gli occhi varie volte. Si grattò la testa.

“Non sarai mica incinta vero?”

“Se per incinta intendi che nei prossimi mesi diverrò una balena, mangerò per due e che avremmo un fagottino frignante tra meno di un anno. Beh, allora penso proprio di sì”

@ lithi: siiiiii ** macchina e aeroporto, dici che lo troviamo qualcuno che ci presta (regalaXD) i soldi per il costoso biglietto aereo per Hell-sinki? Chissà se il Valo stesso se lo inteneriamo decide di pagarcelo lui e adottarci come peluche personali…sarebbe una rosea prospettiva

@ Ethereal Clover: grazieee Lalls, eh si berna ci ha ridotto male a tutte, decisamente! Se dovessi star a parlare delle mie pazzie post berna mi rinchiuderebbe in un centro di sanità mentale right away…ma fortuna che ci siete voi con cui dividere il delirio profondo XD…

@ blaise_sl_tr07: ma grazie *_* tra tutte le fic che ho scritto mi ero affezionata alla protagonista femminile solo per un'altra, quindi sapere che è apprezzata mi fa un piacere immenso, davvero grazie! Per quanto riguarda quella bertuccia di Elena, è un po’ scema, perdoniamola, e non ha ancora combinato niente di troppo grave XD

@ Vampire_Heart: quella dannata frase ormai ce la devo buttare ovunque da quando l’ho sentita dire al sommo in un intervista…davvero non si rende conto che essendo un ragazzo magrolino della scandinavia incontra ogni sogno di perfezione **…è troppo modesto quell’uomo, davvero gli servirebbe la tua cura di autostima, allora forse si capirebbe il suo innato potenziale di far impazzire una donna solo con uno sguardo…cmq grazie per il commentino, stavolta sono stata brava e questo chap te l’ho mandato!!!

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Capitolo 5
*** Circle of Fear ***


Oggi, alle 11.25 un bell’aereo della Finnair mi porterà in Finlandia nella meravigliosa Helsinki. Tra 6 giorni sarò di ritorno, sicuramente con qualche neurone e tanti soldini in meno ma speriamo con qualche foto decente e tanti bei dettagliucci da mettere nella fic…quindi a presto, post Finlandia dovrei riuscire a postare 6 e 7 che sono li che attendono nel pc di essere resi noti al mondo..

Suukko

Stay HIM XD

“Circle of fear”

Capitolo 5

If you wanna save her
Then first youll have to save yourself
If you wanna free her from the hurt
Then dont do it with your pain
If you wanna see her smile again
Dont show her youre afraid
Cause your circle of fear is the same

Erano le 7 di sera.

Ero in una città straniera.

Mia moglie incinta stava cercando in tutti i modi di evitare la cena con i suoi parenti. Se fosse stato per me l’avrei presa, fatto le valigie e sarei tornato a Helsinki a godermi l’inverno e la pace della nostra casa seppellita nei sobborghi della città. Ma, prima o poi le sarebbe toccato affrontare questi fantomatici parenti serpenti. Dirgli in faccia di tutto il rancore che si trascinava da anni dentro e liberarsi finalmente della rabbia repressa che provava nei loro confronti.

“Bianca” la scossi “alzati da quel letto immediatamente e smettila di cantare”.

Let me bleed you this song of my heart deformed

Sdraiata sul letto con un mano a carezzare la pancia ormai visibilmente rotonda, cantava a squarciagola la sua canzone preferita. Se non fosse stato che seppur laureata al conservatorio e compositrice, aveva una voce terribile, sarebbe stata uno spettacolo.

“Come dimenticare i problemi distruggendo una canzone dell’amato sposo” pensai.

Non dava alcun segno di volersi riscuotere dal torpore, era persa nel suo mondo.

Era lei la parte forte della coppia, io quello lunatico e con vari complessi. Lei la spina dorsale della nostra tranquillità, ed ora, vederla su un altro piano della realtà, impaurita da un confronto che gettava ombre su di lei da ormai due anni, si stava rivelando un esperienza catartica. Dovevo fare qualcosa, tagliare via le mie stesse paure e fare quello che lei aveva fatto per me nel momento più buio della mia vita.

In fin dei conti ero Ville Valo. Mica uno qualsiasi. Potevo farcela a sopportare una branco di ignoranti senza cervello.

“Bianca? Bi?” mi sedetti sul letto a fianco a lei togliendole una cuffietta dall’orecchio. Mi lanciò uno sguardo furioso. “Sono le 7, dobbiamo andare. Il taxi sarà qui sotto in breve tempo”. Le toccai la guancia e sentii che era umida, aveva pianto.

Dannatissimi parenti.

Mi costrinsi a respirare profondamente, e non fare quello che avevo sempre voluto fare. Andare li da solo, magari portandomi Elena dietro per questioni linguistiche e risolvere la questione in pochi minuti. Dovevo vederli in faccia questi mostri che spaventavano la mia altrimenti coraggiosa Bianca.

“Bi, andiamo. Ne hai passate di tutti i colori e hai paura di un confronto con gente che conosci da quando sei nata? Sai i loro punti deboli e sai come difenderti e non stai andando da sola, ci sono io, c’è Elena”

Sembrò riscuotersi un attimo. Si stropicciò gli occhi spegnendo il lettore mp3. Si accoccolò per qualche minuto tra le mie braccia, come a voler racimolare un po’ di forza e poi si alzò. Vedendola dirigersi verso il bagno con i vestiti, notai che il suo sguardo diventava ad ogni momento più fiero e sicuro.

Quella era la mia ragazza.

Presi un paio di pantaloni dalla valigia cercando di soppesare le mie opzioni.

Nero e oscuro o colorato e casual?

Il nero era senza alcun dubbio il mio colore preferito, ma avevo anche imparato ad indossare altro. Quando si ha il nero dentro, non importa cosa appare all’esterno o di che colore è il tessuto che uno indossi. Il nero la vince sempre.

Afferrai i jeans sdruciti che avevo comprato anni prima in America e una camicia nera semi elegante. Mentre litigavo con i bottoni sentii il mio cellulare squillare.

Scavai tra la pila di roba buttata per terra per trovarlo. Guardai il display.

Seppo.

“Pronto?” dissi chiedendomi cosa avesse da dirmi di così importante da cercarmi.

“Ville, scusami se ti disturbo so che sarai occupato, ma è una questione di grande importanza”.

Mi sedetti sul letto incrociando le gambe e accendendomi una sigaretta. “Dimmi tutto”.

Sentii dall’altro capo del telefono Seppo che si schiariva la voce. Ebbi il presentimento che non fosse una cosa piacevole.

“Qualcuno ha fatto una soffiata alla Warner Italia, sanno che sei li e…

Cazzo. Non lo lasciai finire, Warner Italia significava solo guai. Warner Italia significava Eleonora Trevi. La direttrice dell’export straniero che si occupava del lancio dei nostri album qui.

“… e Eleonora vuole vedermi” conclusi la frase per lui. Indeciso se mettermi a ridere o imprecare.

“Si, non mi chiedere come, ma sa in che albergo sei e ti aspetta per un aperitivo in un bar li sotto”

Seppo non se ne parla proprio” urlai “devo andare a cena dai genitori di Bianca e di certo non posso declinare l’invito per Eleonora, ora la chiami e le dici che se proprio ha il bisogno impellente di fare due chiacchiere con me, che trovasse un altro giorno”

Venendo qui non mi era assolutamente passato per la mente che ci sarebbe stato quello che noi affettuosamente chiamiamo “The Trevi Gate”. Erano anni che la manager mi faceva proposte indecenti e insisteva per portami a cena da sola ogni volta che mi trovavo nel suo raggio d’azione. Da parte mia non c’era mai stato minimo interesse, era una quarantenne troppo curata, troppo attaccata ai soldi e decisamente somigliante a una piattola. Ma non avevo mai potuto rifiutare di incontrarla, da lei dipendevano le distribuzioni dei nostri album qui e non si poteva rischiare un “incidente diplomatico” perché io facevo il difficile. Ma questa volta non ci sarebbero stati santi.

“Ville, ti ci vorranno solo 30 minuti o meno. Lei domani parte e lo sai quanto ci tiene…

Si che lo sapevo quanto ci teneva e sapevo anche che avrei dovuto dare un tranquillante a Bianca appena lo sarebbe venuta a sapere.

“Ora ti devo lasciare” continuò “ti chiamerà a breve per dirti il posto” chiuse in fretta la chiamata lasciandomi a riflettere.

In quel momento Bianca uscì dal bagno avvolta solo da asciugamano nero e con i capelli bagnati. Mi distrassi un attimo godendomi lo spettacolo e poi mi avvicinai, non troppo però, sarebbe stata capace di lanciarmi qualcosa.

“Bi, mi ha chiamato Seppo” iniziai sedendomi sul lato del letto dove si stava asciugando i capelli.

“Ah si? Me l’hai salutato vero? Mi manca tanto” disse con lo sguardo triste, lui le faceva da padre e da confidente, un po’ come con tutti noi.

“No, andava di fretta, mi ha chiamato per dirmi che la Warner ha saputo che sono qui…

La lasciai fare due più due, quando si trattava del Trevi Gate, la mia Bi era più sveglia di quanto già non fosse.

Improvvisamente il phon che aveva in mano non mi sembrò più tanto innocuo, spostò l’impugnatura fino a poterlo usare come arma contundente.

“Warner uguale Eleonora? O mi sbaglio?” chiese, era ovviamente una domanda retorica ma mi sbrigai a rispondere.

“Ebbene si” risposi mestamente.

“E cosa vorrebbe questa volta? Non ha ancora capito che non sei il suo zerbino? E che sei sposato con una fantastica e perfetta ragazza come me?”

Anche incazzata sapeva come farmi ridere. Potevo mai amarla di più?

“E’ praticamente qua sotto, vuole che vada a prendere un aperitivo con lei”.

1…2…3

Cosaaaaaaaaaaaaaaa????” urlò brandendo il phon con fare pericoloso.

“Guarda amore, se era un altro giorno non me ne sarebbe fregato nulla, di certo non ho paura di quella sgallettata che ti fa la corte, ma stasera devi venire con me ne va della mia sanità mentale”.

Mi sporsi per prenderle la mano.

“Bianca, domani parte e lo sai…

Si rabbuiò. “Lo so, lo so, ma io sono incinta e ho bisogno di sostegno emotivo. Il fagottino frignante che sta qui dentro è tutta colpa tua e per farti perdonare del fatto che io stia diventando una balena perlomeno dovresti farmi da spalla in situazioni ostiche, non trovi?” disse indicando il pancione e fissandomi trucemente.

Io alla parola fagottino ebbi un flash ripensando alla sera che avevo scoperto dell’arrivo del bambino. La notizia che in pochi mesi avrei avuto una vita tra le braccia, una creatura di cui occuparmi, mi aveva terrorizzato e non poco. Poi avevo visto la faccia di Bianca che mi sorrideva come a dire “insieme ce la possiamo fare” e decisi di lasciare le preoccupazioni al dopo. Non sapevo se sarei stato un buon padre ma perlomeno ci avrei provato.

Bianca intanto attendeva una mia risposta, la presi tra le braccia facendola sedere sulle mie ginocchia e baciandola delicatamente sulle labbra.

“Non provare a imbonirmi così, subdolo che non sei altro” mormorò mentre scendevo a baciarle il collo nudo e facevo scivolare via l’asciugamano andando carezzare la pancia. Con la lingua percorsi la discesa tra il seno e l’ombelico facendola rabbrividire e rilassarsi.

“Tu che dici Eva, la mamma e la zia Elena ce la faranno da sole senza di me per una mezzoretta?” chiesi alla bimba appoggiando la bocca sulla pelle calda dello stomaco.

Bianca mi distolse dal discorso unilaterale con la mia bambina tirandomi per i capelli.

“Non fare il furbo con me Mister Valo, quella bambina ti direbbe di si anche dalla pancia, non oso pensare a quando sarà grande…” disse scuotendo sardonicamente la testa. “Facciamo così, per quanto tema l’idea di presentarmi li senza di te perché so già cosa succederà. Tu devi fare il tuo lavoro e devi dire a quella zoc” le tappai una mano con la bocca, niente parolacce davanti a mia figlia “si quella li insomma, che tu sei sposato e che se ti si avvicina di nuovo la tua tenerissima moglie le spaccherà la fronte, ci siamo capiti?”. Mi sorrise, ma non come sorride Heidi, piuttosto come sorride Joker. Se Eleonora avesse visto la faccia di Bianca in quel momento, ci avrebbe pensato due volte a voler prendere un aperitivo con me.

Detto questo Bianca raccolse l’asciugamano, prese il telefono e chiamò Elena per dirle di farsi trovare nella hall entro dieci minuti, poi si vestì velocemente indossando la gonna che aveva preso al Bacillario e una camicia grigia con pizzi neri. I capelli lisci e neri erano sparati da ogni parte e sulle labbra aveva un velo di rosso.

“Fermati” la presi e la baciai “sei bellissima”. Mi aspettavo che mi avrebbe spinto via urlandomi una delle sue migliori frasi sarcastiche, invece si strinse contro di me baciandomi a sua volta, nell’atto riempiendomi la camicia di rossetto rosso.

“Ti ho lasciato sul comodino l’indirizzo dei miei, e non ti azzardare a pulirti dal rossetto, la tipa deve capire che Ville Valo è mio” annunciò ridendo staccandosi da me per prendere la borsa e raggiungere sua sorella.

“Ti amo anch’io” le urlai mentre si allontanava e mi preparai psicologicamente all’incontro con la piattola.

@Ethereal Clover: *si allontantana velocemente stile gambero, terrorrizata dalla furia Lallica* ma grazieeeeeee Lalsss!! Avendo giurato di non rinnegare più i miei miseri scritti, mi inquino a te per il commento e ti supplico in ginocchio di non mandarmi Bam, pliiiiizz *valo eyes*

@blaise_sl_tr07: *________* grazie davvero per il commento, è piacevole come una cioccolata calda d’inverno leggere commenti del genere *enormi occhi a cuore*. Spero che anche questo meriti (ho i miei dubbi eh, ma stiamo a vedere XD) bacioneee

@lithi:costumi nah, ma ho una marea di robina nera e una bella camicia viola tutta fession che so che faranno molto effetto ai suoi occhi di finnico XDXD

@Cherasade: ha tardato un po’ l’aggiornamento ma c’è…tra la valigia e migliaia di altre cose da fare i poveri Bi e Ville sono passati in secondo piano. Anche loro cmq ringraziano sentitamente per i complimenti e si inquinano profondamente U.U baciii

@OOgloOO: Grazieeee milleee!!! Eh si il sommo è il sommo, non c’è che dire, me molto grata che anche gli altr due pezzi della storia rimangano graditi^^ un bacione

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Capitolo 6
*** Poison girl and husband ***


 

Ed eccomi tornata dalla Finlandia…dire che ho trovato un posto da chiamare casa è semplicemente un eufemismo, ogni singola cosa mi ha rapito e fatto sua, ogni raffica di vento, ogni silenzio, ogni sorriso, ogni angolo di verde. Ma penso che dal cap 8 (il primo scritto dopo la FI) si inizierà a capire che a quanto pare non esiste solo il Mal D’Africa ma anche il mal di Finlandia e giusto io me lo dovevo prendere…

 

 

Capitolo 6

“Poison Girl and Husband are glad to present…”

 


I did it all just for her
I did it all just for her
And love wants us dead
Just me and my poison girl

I did it all just for her
I did it all just for her
And love's heart is death
For me and my poison girl

 

Lanciai un bacio a Ville che era rimasto seduto sul letto e di corsa mi diressi verso la hall. Me lo sentivo che alla fine sarebbe successo qualcosa che avrebbe rovinato il mio piano perfetto, arrivare li con tutta la famigliola al completo fare sfoggio di gran felicità, zittire i pettegolezzi e andarmene via dopo poche ore con un peso in meno e l’anima risollevata. Ma no, ovviamente a me non poteva andare tutto bene. Sfiga era il mio secondo nome. Mentalmente iniziai a preparare colpi di risposta alle frecciatine acide che mi avrebbero colpito e pregai che Ville si liberasse presto di quella lurida donna e mi raggiungesse presto.

“Dov’è il secco?” chiese Elena che nel frattempo mi si era avvicinata. Vedendoci vicine eravamo uno spettacolo simpatico, lei fasciata da un vestito di cotone nero pieno di pizzi rossi e delle calze a rete viola, contornata da varie catene e anelli di cui aveva fatto scorta a Helsinki. E poi io, che sembravo uscita da un film horror degli anni venti, con la mia gonna a balze nera e una camicia decisamente gotica, il pancione dava all’effetto finale un che di famiglia Addams. Dovevo dire a Ville se invece di Eva gli sarebbe piaciuto come nome Mercoledì, la pargola non avrebbe apprezzato ma noi ci saremmo morti dalle risate per anni, senza dubbio.

“Ha da fare…il Trevi Gate” dissi mestamente, anche Elena sapeva la storia, ormai era diventata una barzelletta tra di noi.

“Ancora lei?” disse Elena ridendo “quella vecchiaccia non ha ancora capito che questo corteggiamento non s’ha da fare?”.

“Sembrerebbe di no, comunque ci raggiungerà entro breve, e sarà meglio per lui che si sbrighi altrimenti vado io li e lo prendo per i boccoli d’oro che si ritrova.”

Piegandosi in due dalle risate mia sorella mi prese sottobraccio e insieme uscimmo dall’albergo per prendere il taxi. “Ci sarà da divertirsi, senza Ville immagino solo i commenti che potranno uscire dalla bocca di quelle serpi” disse Elena dando voce ai miei pensieri mentre la macchina percorreva le vie di una Roma illuminata quasi a giorno e trafficata come sempre. Non sarebbe stata più la città eterna senza il suo perenne traffico.

 

Esattamente venti minuti dopo eravamo davanti la porta di quella villetta tanto curata quando eccezionalmente brutta. Uno specchio veritiero e coerente di coloro che ci vivevano dentro. Prima di scendere dal taxi presi il telefonino e scrissi un messaggio a Ville, intendeva essere minatorio, ne uscì qualcosa di più smielato che acido.

 

“Sono qui davanti. Dovresti essere qui a fianco a me a tenermi la mano e farmi i tuoi sorrisi che illuminano la notte, invece ho solo quella sciroccata di mia sorella che conoscendola sta scommettendo dopo quando inizierò a urlare. Sbrigati!!! Tua disperatissima moglie e unico amore”

 

Premetti il tasto di invio, sistemai la gonna, pagai il taxi, feci un respiro profondo e …

Ero pronta.

Non facemmo in tempo a scendere dalla macchina che mia madre e mia nonna, vestite di tutto punto fecero la loro comparsa sulle scalette che portavano all’ingresso. I loro sguardi prima coperti da un sorriso falso come i miei capelli tinti, si incurvarono in una smorfia di semi disgusto e con mio sommo disprezzo iniziarono a parlottare tra di loro, attendendoci invece di venirci incontro. Presi per mano Elena e affrettai il passo.

Prima entravo, prima ne sarei uscita.

Nel frattempo alle due si era aggiunta anche mia cugina, Linda, un essere meschino, brutta come la fame poverina, che stranamente si era sempre sentita in competizione con me cercando di superarmi in ogni cosa che facevo e quando non ci riusciva amava spifferare ogni mio malfatto a mia madre. Quello che si chiama una cugina d’oro.

Ancora tre passi e le avrei raggiunte, rallentai gradualmente l’andatura e mi appoggiai una mano sul pancione cercando conforto da Eva, che già a soli tre mesi di vita sapeva come infondermi pace e tranquillità.

La prima cosa che sentii fu questa.

“Ma che cosa hai addosso?” quasi strillò mia nonna indicando l’heartagram che indossavo.

Poi fu la volta di mia madre.

“Ma sei incinta” disse indicando la mia pancia ormai non più nascondibile.

E infine la serpe. Linda.

“Ma dov’è il tuo fantomatico uomo?”

Presi un respiro profondo, strinsi la mano di mia sorella, e risposi. L’educazione prima di tutto, pensai.

“Ho indosso il simbolo della band di mio marito, nonna. E si, sono incinta, di tre mesi. Una bambina” annunciai fiera. Feci una pausa, la questione Ville era più ostica. “Mio marito” dissi calcando la parola “ha avuto un importante questione di lavoro da risolvere, ci raggiungerà a breve”.

“Ah si? Doveva andare a fare la giornaliera offerta a Satana?” disse Linda.

Credeva di essere simpatica non c’è che dire.

“No quella l’ha già fatta prima Linda, ora stava facendo quella a Zeus, sai com’è, mai trascurare i dèi dell’Olimpo” dissi ridendo, non avrebbero mai capito il sarcasmo ma continuavo a provarci.

“Vogliamo entrare?” proposi.

Le tre arpie si voltarono insieme non prima di avere salutato anche Elena sempre con una punta di disgusto nella voce. Ma lei era tranquilla, come sempre, ormai non avevo assolutamente più da stupirmi.

 

Dentro casa sparsa per il salone ci sarà stata una buona metà della famiglia, sembrava si fossero tutti riuniti per veder tornare in patria la freak. In un lato scorsi Poldo e Boldo che borbottavano qualcosa nella loro strana lingua che era un incrocio di ignoranza e romano imparato male, di italiano nemmeno parlarne ovviamente. Seduti ad un tavolo c’erano vari zii che attingevano dal copioso antipasto, non li degnai di uno sguardo, stavo cercando Kiki, meglio conosciuta come Chiara, l’unica cugina che adoravo, la sua presenza alla cena mi aveva certamente rassicurato ma ora non la vedevo da nessuna parte. Improvvisamente mi sentìì abbracciare da dietro.

“Indovina chi sono?” disse una voce familiare.

Cucciolaaa!” mi girai immediatamente per andare a incontrare il volto dolce e gentile della mia cuginetta di 15 anni, e la abbracciai stretta. Elena si unì all’abbraccio di gruppo.

“Insomma” disse Kiki sciogliendosi dall’abbraccio “dov’è Ville?”. I suoi occhi erano due stelle, lei sapeva chi era, anche troppo bene. Quando aveva solo dieci anni avevo preso mia sorella e lei istruendole alla musica da ascoltare. Gli HIM erano i primi della lista.

“Luce ci raggiungerà tra poco” risi.

“Ah spero bene per lui, ho migliaia di cose da chiedergli e fargli firmare. Dici che non si infastidirà”

“Se lo fa vieni da me, lo rimetto in riga io”

Scoppiamo a ridere tutte insieme. Iniziavo a sentire la stanchezza e la tensione e non sapevo per quanto ancora mi avrebbero retto le gambe, inoltre continuavo a darmi della stupida perché per quanto fossi cosciente che da sola ero in grado di sopportare questa situazione e uscirne egregiamente, volevo lui, lo volevo qui al mio fianco pronto a farmi ridere come faceva sempre, pronto a sdrammatizzare ogni cosa, pronto a tenermi tra le sue braccia magre eppure così sicure.

“Bianca, meglio che ti siedi” mia sorella si era evidentemente accorta del mio pallore e mi stava facendo sedere sul divano.

“Insomma” mia madre si era avvicinata insieme ad altre parenti che non vedevano l’ora di impicciarsi “siamo curiosi tutti di sapere quando finirà quest’esilio infantile e deciderai di tornare qui. Anche se non so se Roberto ti rivorrà con un pargolo, lui è sempre stato disposto a riprenderti sai?”

Mi voltai verso mia sorella. Poi verso Kiki. Entrambi i loro volti erano scioccati come il mio. Avevo capito bene allora.

“Esilio? Tornare qui? Stai scherzando spero” dissi pregando che non stesse dicendo davvero tali cose.

“No che non scherzo Bianca”. Non le diedi il tempo di finire.

“Io non ho alcuna intenzione di ritornare in Italia, ne quantomeno di rimettermi con Roberto. Sono sposata e molto felice, grazie”

“Ora dici così per spirito di ribellione, hai sempre voluto fare l’anticonformista, ma lo sappiamo tutti che prima o poi tornerai all’ovile, tanto poi non vi sarete sposati in chiesa immagino, non ci vorrà molto a divorziare.”

Lo stava dicendo come se ci credesse davvero. Come se fosse convinta che la vita che mi ero faticosamente ricostruita fosse una bugia, un gioco. E tutti gli altri sorridevano, anche loro parte di questa messa in scena, non potevo lasciar correre. Mi alzai in piedi, raccogliendo le forze.

“Mamma, e tutti voi, miseri borghesi che vivete una vita falsa e monotona. Di certo non posso farvi capire cosa si prova a respirare libertà lontano da qui, in un paese sincero e onesto. Non posso sperare nella vostra comprensione questo è un dato di fatto, ma tornando non mi sarei nemmeno immaginata un farsa del genere. Come potete anche solo pensare che potrei rinunciare a quello che ho ora per il nulla che avevo qui?” la mia era una domanda retorica, ma Linda si sentì tirata in causa.

“Ah si? E cos’hai?” chiese con malizia. “Un marito inesistente, un gruppo di satanisti e qualche amico che sta con te per pietà?”

Potevo sentire la rabbia repressa per anni salire su, la gola mi bruciava, le parole lottavano per uscire, caustiche e acide. Il cuore andava a mille. Ma prima che potessi rispondere mia sorella prese la parola, mettendosi davanti a me.

“Ha me” disse “ e già questo dovrebbe bastare. Siamo insieme in questo esilio come lo chiamate voi, un esilio adorabile e mai così amato. Per quanto ciò che siamo e come ci vestiamo non possa rientrare nei vostri canoni di normalità, sappiate che nemmeno voi rientrate nei nostri. Bigotti con cervelli rinsecchiti dalla troppa televisione, meschini e incattiviti da una vita senza stimoli. Se voi criticate noi, noi critichiamo voi”

“Elena, ora basta” si intromise mio padre “hai già dato abbastanza fondo alla tua innata stupidità e infantilità”.

Chiamate mia sorella come volete e rimarrà calma. Ma datele della stupida ed è capace di saltarvi al collo. Le presi un braccio e me la tirai a fianco.

Era una situazione così paradossale, volevo ridere per non piangere. Come potevano nel 2008 succedere ancora queste cose? Che qualcuno mi desse una spiegazione, perché io le avevo finite.

In quel momento sentìì il cellulare squillare. Guardai il display, un sorriso mi illuminò il volto, quel sorriso che sono lui sapeva tirarmi fuori.

Era un messaggio: “Sono qui fuori”.

Senza degnare di uno sguardo la famiglia che si accorpata per seguire il diverbio mi lanciai fuori, mandando a quel paese tutte i miei castelli d’indipendenza. Avevo bisogno di Ville, e solo ora mi rendevo conto di quanto stare insieme a lui rendeva la mia vita completa.

Aprii la porta quasi con ferocia, ed era li sorridente, appoggiato ad una colonna con le mani in tasca ed il fedele cappello viola in testa. Mi lanciai tra le sue braccia e come una bambina piccola mi feci stringere contro il suo petto e confortare dalla sua voce.

“Ho fatto presto hai visto?” mi disse carezzandomi i capelli.

“Come hai fatto?”

“Il tuo rossetto ha fatto il suo dovere, appena l’ha visto ha messo su il muso, e sentendomi parlare solo di te e di Eva. Non poteva che arrendersi.” Continuò ridendo.

“Ben le sta" dissi accoccolata contro di lui. Avevo il mio pezzo di paradiso qui con me, ora potevo anche rientrare e affrontare la gabbia dei leoni.

@ Ethereal Clover: lalli a volte mi fai paura XDXD però me mooolto onorata e mi inquino per ringraziarti (sappi che date le mie precarie condizioni di salute potrei rimanerci)…me così felice che i miei zucchigonisti piacciano a qualcuno ahahah ed ora col mio mal di gola vado a consolarmi facendo il corso di finnico..ma quanto adoro ripetere puhutko? *___*

@ Cherasade: oooh ci stava tutto il fazzolettino e le lacrime…al ritorno ne avrei avuto davvero bisogno, se avessi potuto mi sarei attaccata a torre valo e non me ne sarei più andata. La figlia del Baltico è troppo bella. Grazie per il commi, me commossa *_*…il cap post Fi sarà l’8 per adesso c’è ancora roba arretrata

@ OogloOO: ma grassssieee è stato tutto bellissimo sigh sob…ma Bianca si fida di quella zucchina di suo marito, anche se avrei dovuto far un pensierino a mandarla a fare del serio male alla tipa

@ blaise_sl_tr07: sono tornata impaccata di fotine fighissime se vuoi ti linko il mio flickr dove ho messo le più belle. Per il resto, grazie per il commento, davvero non me lo merito per questa umile storiellina *inquino*

@ lithi: la cartolinaaaaa Juuuules non avevo l’indirizzo, ma rimedierò con un sacco di porcherie finniche!!!! e la prossima volta te ne mando un carico intero…grazie per il commi tesoooro, spero di vederti lunedì

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Your arms are my castle ***


L’ultimo capitol scritto prima della Finlandia…avviso come disclaimer prima di ricevere pomodori marci che dopo Helsinki la storia ha preso una piega diversa da come l’avevo concepita, spero non faccia troppo schifo XD

 

Baciiii

Enjoy

 

 

Capitolo 7

Your arms are my castle

Your arms are my castle,
Your heart is my sky.
They wpe away tears,
That I cry.

The good and the bad times,
We've been through them all.
You make me rise,
When I fall!

 (Every Time We Touch – Cascada)

 

 

Ripensavo ad una frase che Ville mi diceva spesso, l’aveva cantata, l’aveva sussurrata, l’aveva scritta. Nella gioia e nel dolore la mia casa è tra le tue braccia. E stretta contro di lui, i suoi occhi gentili e dolorosamente perfetti dritti sul mio volto, protettivi e seri mi trapassavano l’anima ricordandomi ogni istante ancora che la mia casa non erano quattro pareti di cemento riempite di mobili e foto, il luogo dove il mio cuore aveva messo le radici erano le sue braccia secche e il suo petto magro contro cui raggomitolandomi potevo sentire il ritmo della mia vita.

 

Mi guardai intorno, quel posto era sempre lo stesso, ero io ad essere cambiata. Finalmente abbracciata al mio uomo, con la nostra bambina a rendere difficile un avvinghiamento da polpo, che era la nostra specialità, presi il suo viso tra le mie mani fredde e feci in modo di avere i miei occhi alla stessa altezza dei suoi.

“Grazie, perché per quanto tu sia lunatico, pazzo, pieno di complessi e dannato come solo un principe della notte può essere. Sei la mia luce e la mia casa. E quando ogni cosa era contro di me, mi hai accolto e mi hai reso completa. Senza di te sarei un sassolino inutile in un parco con migliaia di fiori molto più interessanti, grazie a te ora sono perlomeno un pezzo di prato.” Gli dissi ridendo, non ero mai stata romantica, ne sdolcinata, toccava spesso a lui farmi fermare il cuore con le sue frasi e le sue canzoni, ma sarà stata per colpa degli ormoni o della situazione, in quel momento avrei potuto continuare all’infinito.

Bianca…”sussurrò.

Shhh, per una volta fai parlare me” risposi poggiandogli delicatamente un dito sulle labbra.

Non feci in tempo a formulare un altro pensiero che sentii un cancello sbattere dietro di me e le mie orecchie captarono uno sbuffo sonoro e familiare. Mi voltai di scatto, maledicendo la mia sfiga, l’aereo che mi aveva portato qui, e la cicogna che aveva sbagliato strada alla mia nascita.

R-r-r-oberto?” gridai con la voce strozzata nascondendomi dietro a Ville che incuriosito seguiva i miei spostamenti con lo sguardo.

“Di grazia, Bi, cosa cazzo stai facendo?” disse sempre con la solita delicatezza riportandomi a fianco a lui e prendendomi la mano portandosela dietro la schiena come a voler che mi avvinghiassi a lui. Innamorata si, ma  non bambina di cinque anni.

“Fermo, per una volta sfruttiamo la tua altezza, fai il bravo e nascondimi, su su” gli dissi cercando di spostarlo davanti per coprirmi. Sapevo che era un tentativo vano, ma qualcosa dovevo farlo, qualsiasi cosa pur di evitare ogni contatto con la persona che era appena entrata.

Ma era già troppo tardi.

“Bianca?” la voce sin troppo conosciuta era indirizzata a me.

Roberto, il mio vecchio fidanzato, un essere terrificante della cui stupidità mi ero accorta davvero troppo tardi.

“Ciao” dissi con una voce che avrebbe tagliato il cemento.

Vidi il suo sguardo correre su di me, e sulla persona a cui ero abbracciata. Non capiva. Lo sguardo era vacuo e indispettito. Un sorriso malefico mi crebbe sulle labbra, nessuno doveva avergli detto di Ville.

“Cosa ci fa la mia ragazza tra le tue braccia?” disse rivolto a Ville.

La sua ragazza? Aveva avuto un’amnesia fulminante e si era dimenticato gli ultimi due anni?

Ville mi fissò aspettando che gli traducessi cosa aveva detto Roberto, quando lo feci mi guardò scoppiando a ridere, si girò verso di lui fulminandolo con un’espressione sardonica, uno di quei suoi sorrisi dove sapevi, o almeno io lo sapevo, che stava prendendo in giro qualcuno.

“Roberto, non ti capisce, non parla italiano” dissi continuando a sorridere.

“What you do with mi girlfriend?”. Il suo tentativo di parlare inglese mi provocò un accesso di risa, non riuscivo a smettere.

What?!” disse Ville. “Bianca, penso di aver capito chi sia e sono convinto che si sia perso qualcosa, mi faresti la grazia di spiegarglielo prima che lo attacco al muro più vicino? Kiitos

“Ai suoi ordini, capo” dissi mettendomi sull’attenti per sfottere il suo tono diventato quasi serio.

“Roberto” dissi parlandogli come si parla ad un bambino di cinque anni “non so cosa ti abbiano detto, ma io non sono più la tua ragazza, capisci? Due anni fa ti ho lasciato, sono andata in Finlandia e ora sono sposata. Con lui” indicai Ville “è tutto chiaro?”.

“Sposata? Ma tu dovevi sposarti con me. Tua madre mi aveva detto che saresti tornata e che in realtà non mi avevi mai lasciato ma ti stavi solamente prendendo un periodo di pausa…

Ero sconvolta. Mia madre continuava a stupirmi, lei e il piccolo mondo di bugie che si era creata attorno solo per non affrontare la pura e semplice verità. Io non ero la figlia che lei credeva di avere. Non sognavo un matrimonio in bianco, una villa a bordo città, un circolo di amici con cui andare a mangiare il sabato sera, ne avevo il bisogno di apparire perfetta agli occhi degli altri- e lei questo non lo concepiva. Come poteva sua figlia, cresciuta secondo stretti principi voler dalla vita delle cose così alternative e strane. Ma soprattutto come poteva stare con un uomo del genere?

Improvvisamente  un immagine invase la mia mente, il matrimonio che mia madre avrebbe voluto per me, in bianco, con 200 invitati se non più, in un posto di classe con bomboniere sfarzose e addobbi floreali che avrebbero fare andar in banca rotta  un paese del terzo mondo. Vidi me in mezzo a quella gente, a quella festa, e mi vidi spenta, senza ragione di vivere. Poi la mia mente mi regalò un'altra immagine…

 

Ruovesi. Un piccolo pezzo di paradiso affacciato su uno dei migliaia di laghi finlandesi. Un cottage piccolo e intimo. Il giardino esterno privo di abbellimenti, reso suggestivo solo dal grande potere di madre natura. Gli alberi frondosi e verdi avvolgevano un gruppo di trenta persone che comodamente seduto su dei tronchi attendeva il nostro arrivo. La musica lenta e dolce teneva compagnia ai pochi amici che erano appena stati presenti al nostro matrimonio. Un giudice di pace ci aveva sposati sotto un vecchio abete, lo stesso abete dove per la prima volta ci eravamo detti ti amo, ed ora eravamo davanti al piccolo cottage, Ville mi teneva stretta tra le sue braccia. Le parole non servivano in quel momento. Avevo tutto. Ero finalmente completa. Lui era mio ed avevo avuto il matrimonio che sempre avevo sognato.

 

Un cambiamento nella musica ci riscosse dalla nostra bolla di gioia. Una delle mie canzoni preferite.

I'll keep you company
In one glorious harmony
Waltzing with destiny forever

Dance me into the night
Underneath the moon shining so bright
Turning me into the light

 

 

“Balliamo Signora Valo?” mi disse Ville porgendomi la mano e trascinandomi sulla radura abidita a spazio per danzare.

“Con piacere, my lord”risposi inchinandomi leggermente come ogni dama che si rispetti.

Il mio vestito frusciava intorno a me con grazia, facendomi sentire ancor più leggera. L’avrei voluto semplice e nero, ma dopo aver visto la meraviglia che ora indossavo tra me e lui c’era stato un colpo di fulmine.

Intorno al petto ero fasciata da una giacca di raso bianco che sfumava nel viola della gonna, una nuvola di tulle colore del tramonto inoltrato, andando a sfociare nel colore della notte più fonda. Un vestito così puro eppure così oscuro. Era stato mio sin dal primo sguardo. Ed ora mio marito, la mia metà, pensai ridendo. Mi teneva stretta contro di lui facendomi volteggiare al ritmo di quella canzone così misteriosa e straziante…E tra le sue braccia anche io, senza ritmo e scoordinata, mi sentivo una principessa. Unica e importante. Non avrei mai dimenticato quel momento.

 

Mammaaaa” urlai riscuotendomi dai miei  pensieri e dirigendomi di corsa verso l’interno della casa, con Ville stretto al fianco. Questa volta avremmo chiarito. Doveva capirlo, con le buone o con le cattive.

 

Prima però che potessi rintracciare mia madre tra la folla di parenti ammassata nel salotto senza dare troppo nell’occhio, mi ritrovai ogni sguardo puntato addosso. Anzi, precisamente ogni occhio era puntato sulla persona che avevo al  mio fianco. Più alto di tutti loro, scarno e dinoccolato, vestito di nero con la matita nera sotto gli occhi che gli avevo messo obbligandolo a non fare storie, con i capelli sciolti coperti solo dal suo solito cappellino viola e uno sguardo divertito. Loro non potevano capire quando il suo apparire fosse interconnesso al suo essere, e quanto il suo essere fosse perfetto in tutti i suoi difetti, in ogni imperfezione lui era l’apoteosi del bellezza che giace nel difetto. Quando tante pecche si uniscono in maniera così sublime non può che uscirne un prodotto perfetto, e quel prodotto era mio e l’avrei difeso con le unghie e con i denti.

 

Villeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!”

Mentre l’attenzione di tutti era rivolta nel giudicare mio marito, c’era una persona che invece l’aveva già giudicato e l’aveva trovato ottimo, e non aspettava altro che godere della sua presenza.

Kiki si era lanciata come un fulmine verso di noi, una palletta frusciante di rosso e viola.

 

Mi ero accorto degli sguardi insistenti rivolti a me, ma non feci in tempo a elaborare la situazione che un uragano si avvolse contro di me. E mi prese le mani tra le sue guardandomi con enormi occhi azzurri e luccicanti.

“Tu..tu…tu sei vero” disse quasi incredula.

“E tu devi essere Kiki” dissi ridendo e capendo immediatamente che doveva trattarsi della cugina pazza di Bi, che da un anno a questa parte mi mandava email deliranti facendomi le domande più disparate. Ma era adorabile e conoscerla era un onore.

“Oh si certo che sono io” rispose passandosi le mani tra i capelli. “L’unica e inimitabile”

Risi abbracciandola e dandole un bacio in fronte.

“E’ davvero un piacere conoscerti finalmente”

“Anche per me, non sai quanto”

Bianca nel frattempo ci fissava ridendo. Doveva aspettarselo che sarebbe successa una cosa del genere.

“Ville, su su, hai tutta la vita per fissare Bianca, adesso concentrati un attimo su di me, dobbiamo passare alle cose serie” disse riportando l’attenzione su di lei.

“Cose serie” mi spaventava vagamente ma ero ben disposto a cercare di esaudire ogni suo folle desiderio.

“Prima cosa, so che hai conosciuto Frank Iero dei My Chemical Romance.”

Io annui, non capendo cosa c’entrasse con me.

“Bene, ora sappi che devi raccontarmi ogni minimo particolare su di lui” annunciò con tono serio.

Ci riflettei un attimo. Frank era un caro ragazzo, non si sarebbe arrabbiato se avessi fatto ciò che stavo per fare. Volevo stare con Bianca e il modo migliore per mettere Kiki Ko era questo.

Tirai fuori il cellulare dalla tasca, composi un numero, attesi risposta e dopo aver mormorato qualche parola in finnico, una voce allegra e simpatica mi rispose in un americano fortemente accentato.

“Frank amico, ho da chiederti un piacere, ho qui la cugina di mia moglie che  morirebbe per parlarti…”. Mi guardi un attimo intorno, Bianca si stava sganasciando dalle risate di fronte alla reazione di Kiki, sembrava avesse visto la Madonna, un fantasma e l’ologramma di Frank nello stesso momento.

“Passamela dai, ti devo un piacere no?” rispose la voce dal telefono.

“Ottimo” presi il telefonino e lo lanciai a Kiki.

“Vedi di non farmi fare brutte figure “ dissi prendendo la mano di Bianca e preparandomi ad affrontare i suoi inquietanti parenti.

 

@ Cherasade: oooh si sono dei strunzi, diciamo che li ho un tantino calcati su una famiglia che conosco…e fanno davvero così. Questa è la cosa che fa paura. Mi inquino per i complimento, spero di continuare a meritarli, dopo la Finlandia le cose sono un tanti nello cambiate XDXD la fic ha preso una piega mooooolto diversa da come l’avevo concepita. Grazie per il commentinuz, baciotti

@ Ethereal Clover: certo certo fai di loro quello che vuoi Lalli, te li mando in consegna e puoi usarli come pungiball personale, hai la mia benedizione, basta che non ti fustighi e che non mi mandi B&B

@ lithi: eeeh si quel soggettone credeva di poter competere col Dio Finnico…povero lui ahahah è stato bellissimo rivederti figliola julsica *____* devo troppo venire da te a delirare a ottobre!!! Grazie per il comm, as usual

@ kiki91: ma grashieee! Me si commuove, sul serio. Non sono abituta a tutti questi complimenti ç_ç *si inchina*

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** The Land of The Dark Songs ***


Da qui cominciano i capitoli post-finlandia…anche se non serviva dirlo, sarà abbastanza palese. La storia diciamo ha fatto tutto da sola, l’idea base era tutta altra…

 

 

The land of the dark songs (Synkkien Laulujen Maa)

 

Capitolo 8

 

Kun minä kotoani läksin niin pilvet ne varjoili
Ja katkista katkerimman kohtalon mulle maailma tarjosi

Kylän karkeloissa tulin tyttösen tuntemaan
Enkä minä loistetta sinisistä silmistä unhoita milloinkaan

Eikä mun ikäväni haiadu täällä outojen seurassa
Ennen kuin kukkii se orjan ruusu minun hautani reunalla

Guardavo quell’insignificante gruppo di persone, ben vestite, curate, con falsi sorrisi, impregnate di viscido bigottismo. Per loro ero pazza, esageravo, volevo solo ribellarmi. Le loro facce erano quasi specchi, vi potevo leggere l’incomprensione e il disprezzo, nemmeno si sforzavano a comprendere. Tutto sommato non gliene facevo una colpa, come avrebbero potuto? Ma guardai Ville a fianco a me, sorridente e in attesa di darmi man forte nella mia litigata,  posai una mano sulla pancia e strinsi la mano a Ville. Mi guardai intorno, pensai a cosa c’era davanti a me e a cosa avevo creato li su nel mio piccolo angolo di paradiso e decisi che non ne valeva la pena.

Mai avrebbero capito, mai mi avrebbero accettata e fondamentalmente, mi resi conto, aveva smesso di interessarmi il giorno in cui avevo messo piede all’aeroporto di Vantaa e la fragranza della libertà mi aveva inondato completamente. Io appartenevo a quel luogo e qui, in un paese che si stava uccidendo da solo, non avevo nulla da fare.

“Andiamocene” dissi a Ville. “Non ne vale la pena, non ho bisogno di re instaurare un legame che non è mai esistito, voglio solo tornare a casa e passare il resto della gravidanza a mangiare pulla e sentirti cantare.”

Non so se lo aveva sconvolto di più la mia decisione di andare via o la prospettiva di vedermi ingrassare e tramutarmi in un dolcetto finlandese, il suo sguardo fu comunque memorabile, penso non aspettasse altro che fuggire via da li. In questo eravamo molto simili piuttosto che affrontare le difficoltà preferivamo rintanarci nel nostro piccolo bozzolo di pace, magari davanti ad un fuoco acceso e con un libro in mano.

“Sei sicura Bi?” mi chiese con sguardo serio.

Annuii.

Respirai a fondo. Presi coraggio. Nella mia testa c’era solo il bellissimo parchetto di fronte casa nostra, il sapore dell’aria, fragrante e pulito, il verde che così verde non c’era, la neve, il vento ghiacciato, il manto bianco che in quel momento ricopriva la mia adorata Suomenlinna aveva già preso possesso della mia mente. Non vedevo più l’assolata Italia, ne i fasulli addobbi natalizi, con il pensiero ero seduta da Koti pizza a saziare le mie voglie con una bella Tropicana, con davanti Ville che come al solito mi fissava dall’alto della sua pizza vegetariana, sorridendo sotto i baffi. Era li che appartenevo e li volevo tornare.

“Io me ne vado” annunciai ad alta voce.

Una decina di occhi sconvolti mi fissarono, ma non li vedevo. Ero già a casa.

 

Due mesi dopo…

 

Raggomitolata sotto al gigantesco piumone che copriva il nostro ancor più gigantesco letto cercai di sforzarmi per ricordarmi chi fossi, come mi chiamavo e soprattutto perché avevo puntato la sveglia alle 8 di mattina in un gelido giorno di febbraio. Rotolai senza grazia dall’altra parte del letto dove il mio finnico preferito dormiva beato coperto da una copertina di lana e un pigiama che chiamarlo pesante era un eufemismo. La mediterranea ero io ed era lui a soffrire il freddo. Prima o poi qualcuno mi avrebbe dovuto spiegare questo mistero.

Sperando di svegliarlo mi incastonai sotto al suo braccio tatuato e mi accoccolai contro il suo fianco. Ma dopo due minuti non si era mosso di un millimetro e ronfava beatamente ed io avevo caldo, anzi, per la precisione mi stavo sciogliendo a temperature solari. Colpa degli ormoni pensai mentre scalza a praticamente in canottiera mi dirigevo verso la finestra per aprire la tenda. Se c’era un modo di svegliare Luce era quello di fargli assaggiare un po’ della sua omonima. Ma aprendo le finestre mi resi conto che essendo le sei di mattina qualche raggio di sole sarebbe arrivato solamente tra almeno 5 ore, non mi restava altro che l’attacco fisico. Con il pancione già sovra misura che mi ritrovavo non sarebbe stato facile, ma ce la potevo fare. Se io ero sveglia di certo non mi poteva lasciare da sola.

Scostai le mille copertine provocandogli un involontario brivido che lo fece rotolare verso il centro del letto in cerca del piumone, ma non gli diedi tempo di ritrovarlo, mi sedetti a cavalcioni su di lui andando a cercare la sua bocca. Gli diedi un morbido bacio di buongiorno, sfiorando prima le sue labbra immobili divertendomi a scommettere quanto tempo ci avrebbe messo a rendersi conto che un peso anomalo si era comodamente appollaiato sulla sua pancia magra e delicata. Dopo appena qualche secondo sentìì le sue labbra rispondere alle mie e le sue braccia muoversi velocemente per farmi togliere dalla mia comodissima posizione. Mi ritrovai al suo fianco con gli acuti occhi versi puntati verso i miei.

“Strega” mi apostrofò sbadigliando e stringendomi contro di lui, più che per affetto lo faceva per scaldarsi, ma ormai lo avevo perdonato anche per questa sua piccola debolezza, era un cucciolo freddoloso e non mi dispiaceva assolutamente essere la sua stufetta personale. “Perché mi hai svegliato a quella che deduco sia l’alba?” sussurrò.

“Dimmelo tu, la sveglia ha suonato ma non mi ricordo assolutamente perché l’avevo messa, tu hai idea?” chiesi facendo enormi occhioni a cuore.

Lo vidi riflettere e spostare la testa di lato come faceva ogni volta che pensava intensamente.. Improvvisamente i suoi occhi si illuminarono, doveva esserselo ricordato deo gratias.

“Tra esattamente un’ora arriva Kiki in aeroporto” disse orgoglioso di essersi ricordato una cosa una volta tanto. La sua memoria aveva la consistenza di una groviera ammuffita ma fortunatamente c’ero io a sopperire a questa mancanza, ma ora con gli ormoni impazziti tendevo a scordarmi anche la mia data di nascita…povera Eva, si sarebbe ritrovata due genitori oltre che pazzi come cavalli anche decisamente smemorati.

“Porca lurida di quella banana verde” per evitare di avere una figlia che avebbre imprecato già dalla nascita tendevo a colorire i miei insulti con metafore vegetali il che non rendeva assolutamente come i veri epiteti che adoravo usare, ma almeno non mi facevano sentire in colpa.

“Hai ragione!!!” urlai alzandomi il più velocemente che potevo e afferrando il telefono di casa per chiamare un taxi che possibilmente alla velocità della luce ci avrebbe portati in aeroporto. Dopo aver chiamato il taksi, con l’interfono chiamai Elena che era due piani sopra beatamente addormentata tra le braccia della sua ultima fiamma, un giocatore di hockey con aspirazioni ingegnieristiche…chi la capiva era bravo, non c’è che dire.

Ele, tra venti minuti pronta e linda che dobbiamo andare a prendere Kiki”. Anche lei aveva scordato ma non si fece problemi a imprecare in romano, italiano, finlandese e inglese. Tappai virtualmente le orecchie a Eva, tirai fuori dal letto di peso il finnico secco e mi cercai qualcosa da mettere…mentre le mie mani arraffavano tra le migliaia di maglioni pesanti mi cadde l’occhio su un capo che non mi ricordavo di possedere e un flash mi portò indietro di due mesi.

 

“Come te ne vai?” mi disse Kiki implorante, aveva appena messo giù il telefono con Frankie ed era sulle nuvole, probabilmente non vedeva l’ora di raccontarmi ogni cosa che si erano detti, ma io dovevo andarmene anche se avrei voluto così tanto passare del tempo con lei.

“Si bimba, ho fatto un viaggio a vuoto qui, questo incontro non s’ha da fare e io ho bisogno di tornare a casa, al freddo.”

Mi guardò con occhi tristi speranzosa che io cambiassi idea.

Ville si intromise.

“Perché non vieni a trovarci sotto carnevale, avete qualche giorno di riposo, no?” disse cercando di tirare su il morale alla mia adorabile cugina.

“Davvero? Io, a Hellllsinki?” lo disse pronunciando varie L più del normale. Il suo tono era già più allegro. “Sarebbe il paradiso, giuro che potrei pagarvi per farmi venire su in Finlandia”. I suoi occhi erano due cuoricini luccicanti.

“Bene allora parla con tua madre e vedi se per lei è ok, se dice di si, a fine febbraio sei ufficialmente ospite a casa Valo” le dissi sorridendole.

Agli altri parenti non rivolsi più che una smorfia di superiorità sfoderando la mia migliore maschera di cinismo, non ci furono bisogno di parole, ne di altre discussioni. Avevamo sbagliato entrambi, loro a tentare di riportarmi nel mondo che avevo con gioia abbandonato, ed io, stupida che avevo accettato di venire ben sapendo cosa sarebbe successo.

Uscendo sentii la voce sibillina di Linda

“Guardatela come se ne va con la coda tra le gambe. Lei, quella drogata di sua sorella e quel poveraccio che se l’è sposata” disse con acidità.

Mi girai a guardarla, le risi in faccia, strinsi ancora più forte la mano di Ville che nel frattempo stava internamente gioendo al pensiero di come si era scampato la situazione. Come minimo mi avrebbe comprato un azienda di dolcetti alla cannella per ringraziarmi della fuga precoce da quella terra così strana ai suoi occhi.

E come per magia fui fuori da quel luogo così arido, sembrò passare in un attimo il tempo che ci volle per riprendere le valigie dall’albergo, chiamare la Finnair per farci anticipare il nome…non nego che pronunciare il nome Ville Valo durante la telefonata fu altamente d’aiuto, entro poche ore eravamo tutti e tre pronti e languenti su una scomodissima poltroncina a Fiumicino. Durante il viaggio in taxi verso l’aeroporto mi ero guardata fuori, poco mi sarebbe mancato di quella terra, ormai i lacci erano stati strappati e niente mi legava più li, la propria casa è nel cuore di colui che si ama e nelle persone che si hanno attorno. E io avevo i miei due pezzetti di legno e cemento a fianco a me che tenevano al caldo il mio cuore e me.

Mai quattro ore di volo passarono più felici e spensierate. Elena era in piena verve creativa smanettando sul pc qualche insegna per chissà quale nuovo locale di Hell City, Ville strimpellava la chitarra che si portava ovunque, cercando di dare i meno fastidio possibile a chi avevamo intorno, ma essendo la prima classe di un viaggio infrasettimanale il resto della gente si limitava a due signori anziani che tornavano a casa ed erano profondamente addormentati.

Il rombo dei motori all’atterraggio fu pura musica, mi fiondai fuori già col fido cellulare in mano pronta a chiamare un taksi, ma non feci in tempo a uscire dal terminal degli arrivi che vidi un flemmatico Seppo che ci attendeva appoggiato ad una colonna. In un secondo ero abbracciata al mio secondo padre e caro amico. Ville l’aveva avvisato che stavamo tornando quando Seppo aveva chiamato per sincerarsi che con la Trevi fosse andato tutto bene. E da bravo papà ci era venuto a prendere.

Tempo di vedere uscire Ville e Elena con i bagagli e già eravamo in macchina sparati verso la città. Appena vidi il porto mi meravigliai di come il mio cuore poteva farmi questi strani scherzi, ero stata via solo due giorni eppure mi sembrava di essere stata lontana anni e anni. Doveva essere la gravidanza. Passammo a fianco del Kauppatori per poi dirigerci su per Aleksanderinkatu girando a destra per imboccare la lunghissima Mannerhmintie che ci avrebbe portato su verso il nord ovest di Helsinki. A malapena riuscii a trattenere le lacrime alla vista del parco di Tooloon, del Kiasma, del verde che mi attorniava come a darmi il benvenuto.

Ville si accorse immediatamente del mio stato e mi avvicinò a lui.

“Ora lo senti vero?” mi chiese dandomi un bacio in fronte.

“Ogni singola molecola lo sente” gli risposi capendo immediatamente a cosa si riferiva. Per il primo anno avevo faticato a capire il suo profondo amore per questa piccola città nascosta sulle sponde del Baltico, riservata e silenziosa, i cui abitanti erano così tranquilli da sembrare fantasmi leggiadri. Io non mi attaccavo a nulla, non avevo radici, dove c’era lui io sarei stata benissimo. Ma adesso capivo che senza Helsinki l’equazione non sarebbe più quadrata, io lui e la nostra città eravamo il primo triangolo d’amore che avrebbe funzionato per sempre. Lei amava noi e noi la amavamo senza remore. Un patto di fedeltà destinato a durare a vita. 

 

Biancaaaaaa” Ville urlava dal basso. Io ero ancora intenta a scegliermi i vestiti immersa nei miei ricordi. “Kiki è atterrata in questo istante, sbrigati”,

Mi catapultati giù sperando di non rotolare per le scale, essendo ormai diventata tonda come una palletta da golf. Giustamente inciampai sull’ultimo gradino, ma il finnico fu stranamente svelto di riflessi e mi prese tranquillamente tra le braccia.

“Corri un'altra volta così per le scale e cucinerò io ogni sera per un anno” mi disse ridendo ma con fare minaccioso.

“Agli ordini, capo” gli dissi prendendolo infilandomi sotto il suo braccio per farmi avvolgere dal calore della sua spalla e ci dirigemmo fuori.

 

Ho un esame dopodomani e vado di corsissima ç_ç mi dispiace non ringraziarvi tutte di persona come al solito, ma il libro di Marketing mi reclama, quindi un GRAZIE GIGANTESCO  a lithi, blaise_sl_tr07, frizz_np, kiki91, Ethereal Clover. Luv ya guys!!!

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Capitolo 9
*** Endless Dark ***


Endless Dark

 

Softly the light shines in through
The gates of grace on me and you
Deceiving our restless hearts
A flickering flame so serene
Devours the night so we could see
The fear we hold on to so strong
But i know where i belong

Away from your gods
That heal all wounds and light this endless dark

 

Il taksi stava sfrecciando a velocità della luce verso Vantaa. Avevamo convinto noi Kiki a prendere l’aero delle 5 di mattina per farla arrivare in tempo per ammirare l’alba, che a Helsinki in quel periodo era alle 11, uno spettacolo imperdibile. Vedere la sua faccia quando il sole morbido e basso avrebbe baciato la città intorno all’ora di pranzo sarebbe stato senza prezzo.

Elena era seduta dall’altro lato del taksi intenta a parlare al telefono con Jonne, la sua ultima fiamma che per grande disperazione di Bianca non era quel Jonne, biondo, etereo, cantante dei Negative e mio caro amico, no, era un decerebrato giocatore di hockey sul ghiaccio. Ogni volta che tale ragazzo metteva piede nella torre, Bianca dalla sua postazione pc esattamente opposta alla porta di casa lo bruciava con gli occhi. E se ero mal fortunatamente in casa me la ritrovavo sbuffante che si veniva a rintanare in braccio a me, e non era leggera, cerando di convincermi ad andare a cacciare il tipo.

“Tu sei Ville Valo, non può dirti di no” mi diceva ogni volta con occhi imploranti. Gli ormoni le avevano dato completamente alla testa e le stavano scombussolando la personalità.

 

“Love, come prima tappa dove la portiamo?” mi apostrofò Bianca che si era staccata dal telefonino svegliandomi dai miei pensieri. Mi voltai verso di lei appoggiandole soprappensiero un braccio intorno al collo e stropicciandole le frangetta nera. Ero perfettamente cosciente di soffrire di sindrome del polpo, ma da lei principalmente, non riuscivo a togliere le mani di dosso, ogni sua bollente a calda cellula attraeva le mie gelide e nordiche come i magneti si attraggono tra di loro, o come mela e cannella fanno un sodalizio perfetto. Lei era la mia mela paffuta e dolce, io la spezia timida e non gradita a tutti. Certe volte la sera mentre Bianca già era nel mondo dei sogni la guardavo dormire, fissando il suo volto tranquillo, aspettandomi che da un momento all’altro potesse sparire. La solitudine mi aveva ossessionato per troppo tempo, e per tanti anni ero stato convinto che per me non sarebbe mai arrivato quel qualcuno così perfetto da poterlo guardare dormire ed essere felice, quel qualcuno che solo con una parola poteva sistemare ogni cosa. Ma, alla fine il destino era stato magnanimo e mi aveva fatto trovare Bianca, non avrei potuto chiedere di meglio.

“Portiamola a fare colazione prima di tutto” le risposi. Non c’era niente di meglio che iniziare la giornata a Helsinki con kahvi ja pulla, possibilmente seduti al caldo in uno dei bar del Kamppi. Meno stavo in giro, meno rischiavo di prendermi l’ennesimo raffreddore.

“Ottima idea capo” ribattè Elena chiudendo la telefonata con la sua fiamma del momento e sistemandosi meglio la sciarpa nera e il cappello di velluto che aveva in testa, eravamo in vista dell’aeroporto e se era come pensavo, fuori doveva fare qualche grado sotto lo zero. Bianca era troppo poco coperta come al solito, completamente incurante che sia lei che Eva potessero ammalarsi senza problemi.

“Bi, non pensi che una giacca a vento e un paio di pantaloni di velluto siano un po’ poco?” le dissi guardandola mentre si chiudeva la giacca e recuperava la borsa dal fondo del taxi.

Era meglio se mi fossi stato zitto.

“L’unico finnico freddoloso me lo dovevo andare a trovare io” mugugnò facendo finta di non avermi sentito. “E’ il caldo a far stare male le donne incinta, te lo dico io. Un po’ di freddo farà benissimo a Eva, vero piccina?” disse accarezzandosi la pancia. “Tu non sarai come il tuo papà che muore di freddo d’estate.”

Presi il mento di Bianca e lo sollevai all’altezza del mio volto. Le diedi un bacio morbido sul naso, bollente e tondeggiante.

“Quando avrai una tosse senza fine e disboscherai foreste per avere scorta di kleenex, ricordati che non ti dirò te l’avevo detto solo perché ti amo più di me stesso” le sussurrai percependo il taksi che si fermava.

“Non ce ne sarà bisogno, piccolo principe ghiacciato, sei tu il cerotto di casa”. Mi apostrofò ridendo.

 

Vidi Kiki spuntare dal gate degli arrivi coperta da strati e strati di vestiti ma con un sorriso che avrebbe illuminato anche questa buia giornata nordica. Ville era a fianco a me cercando di non sciogliersi per tutta la roba che aveva addosso. Appena ci vide si fiondò immediatamente tra le mie braccia trascinandosi dietro armi e bagagli e non senza rumore. Un po’ della popolazione locale si voltò per dare un volto a quel fracasso così inusuale, ma presto persero interesse. I finnici si fanno di media i fatti loro, ma non disturbare la quiete dei luoghi pubblici, come la danno loro un occhiata gelida, nessuno ci riesce mi aveva detto Ville nei primi mesi di permanenza qui.

“Tesoro!” gridai ritrovandomela tra le braccia, era talmente più alta di me che poteva mangiarmi in testa ma mi sforzai comunque di abbracciarla come si deve e spupazzarla prima che venisse reclamata da Elena che se stritolò per bene e poi la prese sottobraccio. Con occhioni luccicanti guardò poi Ville che aveva le mani in tasca e sogghignava.

“Ciao scricciolo” le disse sfoderando uno di quei sorrisi che stenderebbero un statua di cemento armato. Lui si che poteva chiamarla scricciolo, gigante che non era altro. Tsk.

“Salve Maestà” rispose la mia cuginetta facendo una sorta di riverenza accennata. “Come stanno le vossignorie quest’oggi?”continuò Kiki in un inglese che migliorava di mese in mese.

“Mah se questa sciroccata di tua cugina non mi facesse impazzire giornalmente tutto andrebbe più che bene” le rispose.

“Vile essere quale non sei altro..” gli diedi un cazzotto sulla spalla mettendomi in punta di piedi.

Ouch, mi hai fatto male”.

“Ben ti sta, così impari a non portarmi il rispetto che merito”. Indignata mi allontanai a braccia incrociate prontamente ripresa da lui che senza troppa difficoltà mi avvicinò a se impedendomi di muovermi. “Queste smancerie non serviranno a farti perdonare mio adorato” gli dissi.

“Ah no?”. Una mano bollente si fece strada su per la mia schiena lasciandomi senza fiato.

Un colpo di tosse ci distrasse.

“Ma fanno sempre così?”. Era la voce di Kiki.

“Sempre” il tono di Elena era serio e rassegnato. “E ora sono in pubblico. Vedrai a casa, se mi facessi pagare per ogni volta che li ho colti in flagrante sarei milionaria”.

Kiki assentì pensierosa.”Beh gli si potrebbe fare qualche foto e mandarla in rete, le fan sarebbe deliziate e le riviste ci pagherebbero fior fiore di soldi.”

Non sapevo se ridere o piangere. Uno non poteva nemmeno fare due coccole in pace che la gente si risentiva. Che storia. Sfido io ad avere sotto mano Ville Valo e a non staccargli le mani di dosso un attimo. Ti ispira proprio a spupazzarlo in continuazione, per non parlare di altre cose.

Ville nel frattempo non accennava a togliermi le mani di dosso, ora la sua sinistra era comodamente appoggiata sul mio pancione mentre con la destra mi aveva fatto appoggiare alla sua spalla.

“Mi sta venendo il diabete”. Mia sorella, la delicatezza fatta persona.

“Vieni Kappa andiamocene da qui, ti porto al Morticia. Voi due” ci disse mentre si erano già allontanate “che fate venite con noi o vi mettete a concepire un altro figlio sul pavimento dell’aeroporto?”.

Ridendo io e il mio sin troppo coccoloso marito ci incamminammo dietro di loro.

 

Intorno a noi era tutto buio, ma come altro poteva essere alle tre del pomeriggio a Helsinki, in inverno? Faticavo a tenere gli occhi aperti ma sembrava che avrei dovuto resistere per qualche altra ora, Ville stava facendo il misterioso su non si sa quale posto dovessimo andare verso le cinque. Ed ora eravamo nella torre con due caffè davanti a noi e un ora e mezza da passare evitando di addormentarci sul tavolo della cucina, avevamo lasciato le due, ormai completamente prese da interminabili chiacchiere, da qualche parte in zona Kaisaniemi che cercavano la strada per la zona dei negozietti dark.

“Ripetimi perché loro sono in giro e noi siamo qui a fare gli asociali?” chiesi a Ville squartando un dolcetto alla cannella per passare il tempo.

“Perché dovevano fare dei giri e tu non ti devi stancare” disse poco convinto.

Kiki è venuta a trovare noi, zucca. I giri con Elena li avrebbe fatti un altro giorno, come ti ha ripetuto ben cinque o sei volte mentre ci supplicava di rimanere, quindi, inventatene un'altra”

Lo fissavo con sospetto. Dovevo capire cosa avesse in mente.

“E’ che…mi ero dimenticato di una cosa, piuttosto importante, che ricorre proprio oggi.” Disse non aggiungendo altro.

“Deduco che tu non mi voglia dire altro”. Lo fulminai con gli occhi. “Bene, attenderemo”.

C’è da dire che faceva freddo. Un caffè mi ci voleva proprio. E il caldo della torre finalmente senza nessuno dentro mi stuzzicava assai.

“Stasera che si fa?” azzardai a chiedere.

Un sospiro di frustrazione mi fece desistere dall’indagare oltre. Mi alzai misi un cd degli Apocalyptica e mi sedetti sul divano intenta a guardare il fuocherello che faceva strani scherzi di luce nella stanza esagonale drappeggiata di Dischi D’oro, quadri trovati in giro per il mondo e libri sparsi dove capitava. Appoggiai la testa sul morbido la bracciolo fissando un punto vuoto nel muro di fronte a me e annegando nel sapiente uso del cello di Eicca, Paavo e Perttu.

 

“Bianca, Bi, andiamo”.

Mi sentii prendere in braccio e scuotere.

“Sono le cinque, è ora”

“Ma dove dobbiamo andare?” chiesi nel dormiveglia.

“Vedrai”.

A piedi ci avviammo fuori.

“E il taksi?”

“Per questa volta andiamo a piedi, Bi”

Gli occhi verdi si illuminarono mentre un sorriso furbo gli solcava il volto. Ville Valo, l’uomo che aveva fatto diventare ricca la compagnia dei taksi di Munkkieniemi che andava a piedi? D’inverno?”

Tu, mio caro non me la conti buona, gli stavo per dire. Ma un bacio casto mi tappò la bocca.

Shhh, fai la brava finlandese adottata, non parlare e seguimi

Lo presi per mano ed entrambi coperti da vari strati di paille ci avviamo giù per Solnantie, per poi prendere Ramsayranta che correva sul mare e dove il vento quasi ci spostava, se non ci fossi stata io con la mia mole il secco sarebbe già volato verso Munkkivuori, svoltammo in Meilahdentie e iniziai a capire dove stavamo andando, ma continuavo a non capire il perché. Ma dovevo stare zitta e seguirlo. Per una volta gli avrei dato ascolto.

Gli ultimi metri furono i più difficili, il freddo stava per piegare anche me, ma quando vidi il ponticello bianco, il paeseggio mozzafiato e la fragrante aria che caratterizzava quel posto, tutto passò.

Nel buoi infinito dell’inverno finnico, davanti al primo posto che avevo chiamato casa il freddo non esisteva più.

“Ma perché siamo a Seurasaari?” chiesi a Ville guardando la mia isoletta felice e riportanto a galla ogni magnifico ricordo che avevo di quel luogo. “E’ chiusa d’inverno”

“Per me no” annunciò.

“Buon anniversario!!!” continuò ridendo e trascinandomi in avanti.

Lo guardai incredula.

“Anniversario?”

 

 

Lithi: Grazie figliolettaaa!! L’esame è andato bene per fortuna, anzi tutti e due sono andati bene e ora un po’ di meritato riposo

 

Ethereal Clover: oh che bello mi sono salvata da B&B vero? Con tutte le anteprime che ti ho mandato come minimo devono starim lontano per due anni xD

 

kiki91: grazieeeeeee! Anzi coem direbbe Ville: kiitos! Tutti gli in bocca al lupo sono serviti, perché ho preso un bel trenta tondo tondo

 

blaise_sl_tr07: grazia cara, l’ho scritto il giorno dopo essere tornata da Helsinki, in piena crisi nostalgica, quindi deduco che in loro ci fosse molto di quello che avevo provato io nei giorni passati nella figlia del baltico *__*

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** It's all about liquorice ***


Capitolo 10

It’s all about liquorice

 

All our times have come
Here but now they're gone
Seasons don't fear the reaper
Nor do the wind, the sun or the rain..we can be like they are
Come on baby...don't fear the reaper
Baby take my hand...don't fear the reaper
We'll be able to fly...don't fear the reaper
Baby I'm your man...

 

 

L’avevo portata nel suo paradiso, nel posto che per la prima volta due anni prima aveva chiamato casa. Il gelo non la toccava più, la notte le era amica e i suoi occhi risplendevano di una gioia innocente.

“Anniversario?” mi rispose continuando a non capire.

La presi sottobraccio portandola in avanti. Continuava a fermarsi, incantata e incuriosita.

“Due anni fa, a questa stessa ora, dov’eri?”

“Come posso ricordarmelo?” rispose ridendo.

Continuava a brancolare nel buio.

“Sei arrivata a Helsinki due anni e due mesi e mezzo fa, ma quand’è che l’hai chiamata davvero casa? Quando hai capito che questo era il posto dove dovevi stare?”

Fisso le nuvole scure, pensierosa, cercando di rintracciare nella sua memoria un ricordo, qualcosa che lei stessa mi aveva detto.

…io

Una lacrima silenziosa e fredda scese sul suo volto e la sua mano calda scese a stringere con forza la mia, ghiacciata e tremante, con l’altra mi sfiorò il volto, fissandomi con occhi lucidi e uno sguardo sorpreso.

“Come fai a ricordarti?” mi chiese senza smettere di piangere.

“Come fai a ricordarti che qui, due anni fa, ho chiamato questo posto casa?”

Non le risposi ma continuai a camminare, lei mi seguì in silenzio e raggiungemmo il ponticello che segnava l’entrata all’isola di Seuraasari.

Superatolo una valanga di lucine illuminarono il nostro cammino, lanciando ombre magiche sul bosco intorno a noi.

“Ma come?”. Il suo volto era acceso e felice, un lampo di divertimento ogni tanto le sfiorava gli occhi. Se la conoscevo bene stava cercando di capire quante cose avevo dovuto impegnare per fare una cosa del genere. Per galanteria non le avrei detto che la famiglia che custodiva l’isola erano zii di Migè. Sarebbe rimasto segreto almeno fino a che lei a suon di minacce e coccole non me lo avrebbe fatto confessare. Risi alla sola idea del terzo grado che mi aspettava una volta passata l’ebbrezza della serata.

“Di qua” le dissi prendendola per il braccio e spostandola verso l’entrata di una piccola casa sul lato destro del sentiero.

“La mia casetta” esclamò rimanendo a bocca aperta. “Possiamo davvero entrarci?” inquisì Bianca già sui primi scalini.

“E’ tutta nostra fino alle sette”.

Si fiondò dentro saltellando e guardandosi intorno. Fino a che la scoperta di qualcosa non la fermò facendola ammutolire completamente.

Ville…

 

Davanti a me c’era una tavolo completamente, disperatamente, dolcemente pieno di liquirizia. Di tutti i tipi, di tutti i i colori, forme e aromi. Al centro un pentolone di mou di liquirizia, con un bastoncino si poteva raccoglierne un po’ e mangiarla come un leccalecca…un esperienza divina che si poteva provare solo a Seuraasari.

Ero alle lacrime.

Prima o poi mi sarei dovuta abituare al fatto che al mondo esistesse una persona talmente innamorata di me da regalarmi tutto questo, da ricordarsi una stupidaggine del genere.

Non era una cena in un ristorante di lusso, contornata da un diamante e da fiori costosi. Ero nel mio posto preferito al mondo, ero in un sogno di dolce liquirizia realizzato dentro al posto che aveva fatto ricominciare a battere il mio cuore.

Prima o poi avrei trovato le parole adatte per ringraziarlo e dirgli cosa tutto questo significasse veramente per me. Per ora dalla mia bocca uscì solo un sussurro.

“Mina rakastan sinua”.

“Ti amo anche io” rispose stentato nella mia lingua natale. Dovevo averglielo sussurrato così tante volte che alla fine l’aveva imparato. E con la sua voce, con il suo accento, in quel luogo e in quel momento, mi appariva così vero come mai lo era stato.

Così reale. Così mio.

 

Gli diedi un cazzotto sulla spalla, tornando un attimo in me.

“Guardaci, stiamo diventando melensi. Due debosciati” sbuffai mentre metteva il muso.

“Ti rimedio una cena romantica a base di questa robaccia nera che provoca impotenza e mi dai del melenso?” mi chiese mentre già ero intenta ad intingere il bastoncino nel paradisiaco intingolo.

“Si si, siamo entrambi smielati. Un anno fa mi avresti chiamato dal tour bus per dirmi quante ragazzine odiose ti avevano chiesto una foto, e quanti BigMac Gas si era mangiato davanti a te e io ti avrei preso in giro fino alla nausea e per finire in bellezza avremmo fatto bollente sesso telefonico” annunciai ridendo come una dannata al ricordo dei bei tempi andati quando eravamo tutto tranne che una coppia nella norma.

Anche Ville si unì alla risata, forse ricordando di quella volta che mentre tutto fomentato mi stava confessando quanto ardesse per toccarmi di nuovo, quando era spuntato Migè con una telecamera e l’aveva sputtanato con chiunque passasse di li.

“Beh Bi, per quello ci sarà tempo, ma per ora possiamo fare almeno una delle due cose no?”

Il faccino malizioso ce lo aveva di natura e quando si sforzava a farlo era semplicemente da saltarli addosso, senza mezzi termini ne giri di parole.

Strisciai fino al punto del tappeto dove si era seduto e mi sporsi per dargli un morbido bacio sulle labbra semi aperte. In pochi secondi era come se stessi andando a fuoco. Ogni molecola del mio corpo aveva il disperato bisogno di toccare le sue.

“E la liquirizia?” mi apostrofò “già te la sei dimenticata?”

Ci pensai su un attimo.

“Ah, giusto! La liquirizia.” Allungai una mano verso il piccolo bastoncino che spuntava dal pentolino.

“Non ti azzardare Bianca”. Il suo tono appariva quasi minaccioso. Quasi.

“Tranquillo, non è per te, è per me” lo rassicurai mettendomi a cavalcioni sulle sue cosce e alzando i bordi della pesante maglietta che indossava.

Se c’era una feticcio che avevo, era il suo tatuaggio sotto l’ombelico. Aveva sempre scatenato e tuttora lo faceva delle fantasie talmente perverse che certe volte mi facevo paura da sola. Era semplicemente l’apoteosi dell’erotismo. Quelle sottili linee nere, intrecciate, sulla sua pancia piatta e pallida. Sesso, in una sola parola.

Mi dedicai ad abbassare i jeans ma prima di finire l’opera dovetti fulminarlo con lo sguardo, stava facendo dei versi che tutto si addicevano tranne che a quello che mi apprestavo a fare.

“Non è cryptonite e tu non sei Superman mio caro” gli intimai “quindi vedi di fare i suoni orgasmici che ti riescono così bene”

Fece una sorta di mugugno di disapprovazione continuando a guardare con scetticismo verso la mia pancia, ma non si mosse di un millimetro lasciandomi al mio giochino. Quanto adoravo quando mi faceva fare quello che volevo del suo corpo perfetto.

Feci colare la liquirizia ormai tiepida lungo i contorni dell’heartagram sentendolo rabbrividire ogni volta che un sottile strato della sostanza nera veniva a contatto con la sua pelle.

Soffiai sulla sostanza ormai completamente attaccata ai contorni del tatuaggio e gli provocai un sussulto che lo scosse per intero.

“Bianca, mi stai uccidendo” disse con il poco fiato che gli rimaneva.

“Non ti fa più schifo la liquirizia eh?” lo stuzzicai continuando a soffiare sulla pancia.

“Toglila immediatamente da la” mi intimò.

“Ai tuoi ordini” non me lo feci ripetere due volte, abbassai la testa e mi godetti il mio casa-anniversario, eseguendo la sua richiesta.

 

 

Vedere mia moglie nuda, sorridente, sdraiata lungo il mio corpo magro, sentire la pressione della pancia gonfia e rotonda che aveva dentro di se la nostra bambina mi stava facendo tornare piccolo. Mi sentivo come il giorno che la musica era entrata nella mia vita, quando si era aperta la porta su quel magico mondo.

Ed ora avevo Bianca, e il mio piccolo diavoletto che tra quattro mesi ci avrebbe tenuto tutti svegli. Già immaginavo le urla di Bianca, e le bestemmie in indocinese che avrebbe lanciato. E non vedevo l’ora di cantare a Eeva le canzoni che mio padre aveva cantato a me.

Cullato da quelle immagini di pace che tempestavano la mia mente, non mi accorsi che Bianca aveva cominciato ad agitarsi stile anguilla. Quando c’era qualcosa che non le tornava si trastullava col mio tatuaggio sul braccio destro senza stare ferma un secondo. Cercare di risolvere l’intricato puzzle di rovi la calmava sempre, ero il suo anti stress personale.

“C’è qualcosa che non va, sweetheart?” le chiesi accarezzandole i capelli.

“Non trovi che facciamo quasi schifo da quanto siamo perfetti?”. Era incredibilmente seria nel chiedermelo.

In quel momento il mio cervello non sapeva darmi una risposta logica che avrebbe potuto soddisfare la sua domanda. Era lei quella filosofica, io mi limitavo ad annuire.

“Se per un ex-alcolista e una fuggiasca che aspettano una bambina che diverrà un demonio, che vivono come due marmotte in letargo tutto l’anno intendi la perfezione, allora si. Facciamo davvero schifo, e mi piace tanto essere disgustosamente perfetti insieme.”

“Dillo che quando non ci sono ti leggi gli harmony, confessalo e non ti farò nulla di male” dissi minacciandomi con un dito puntato contro di me.

“Oh si, ne leggo a bizzeffe”.

“Ora che lo so sto molto meglio, grazie amore, sei sempre così comprensivo con me!”

“Non c’è di che”.

“Cazzo” esclamò dopo neanche due secondi. “Che ore sono?”

Rotolai di lato per controllare l’orario sul cellulare e imprecai anche io in varie lingue.

“Vestiti, dobbiamo essere al Tavastia…ORA

“Al Tavastia? Ma è chiuso oggi” protestò.

“Tu vestiti che al resto ci penso io” le dissi chiamando l’ennesimo taksi e sperando che Elena stesse facendo quello che l’avevo supplicata di fare.

 

 

kiki91@ oh si chissà se il sommo ci fa un po’ di spazio nella cuccia degli animali, sicuramente saremmo tranquillissime e magari gli facciamo anche compagnia, e quando non c’è puliamo casa e teniamo lontane le fan pazze XDXD grazie per il commentino^^ bacione

 

Ethereal Clover@ aiutooooo!!! *pam scappa di corsa da B&B* cosa devo fare per togliermeli di torno? XD

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Deceiving our restless hearts ***


Deceiving our restless hearts

 

-Ville- mi appoggiai contro la sua spalla cercando di non dare corda ad una strana sensazione che stava facendo seriamente attorcigliare il mio stomaco. –Che c’è al Tavastia?- chiesi sperando di avere una risposta.

Io e questo tipo di sorprese non andavamo così d’accordo.

-Bi, se me lo chiedi un'altra volta potrei non rispondere di me stesso- il tono era quasi serio. Quella cadenza che usava quando cercava di minacciarmi. Peccato che lo conoscessi talmente bene da riconoscere ogni sfumatura, e sapere che se avessi insistito un altro po’ me l’avrebbe detto. Due coccole lo scioglievano come neve al sole.

Ma mi precedette stampandomi un bacio in bocca per azzittirmi. Diciamo che ebbe il suo effetto.

-Siamo arrivati-. In pochi minuti ci eravamo trovati davanti al Tavastia. –Io devo andare dietro, li c’è Elena- mi indicò – ci vediamo dentro, love-. In un soffio me lo vidi sparire da davanti diretto verso l’entrata del locale.

La mia curiosità stava raggiungendo livelli inimmaginabili.

Vidi mia sorella e Kiki appoggiate comodamente alla bacheca rossa, avevano entrambe una sigaretta in mano e stavano parlando animatamente. Appena mi video smisero di chiacchierare e ammutolirono.

Stavo cominciando ad arrabbiarmi. Se tutti sapevano qualcosa e io no potevo tirare fuori il demone nascosto in me. Anche Eva stava risentendo del mio pseudo nervosismo, non smetteva un secondo di scalciare. Appoggiai una mano sulla pancia cercando di calmare lei e me stessa ma con poco successo.

Improvvisamente mi ritrovai Kiki addosso che parlava alla velocità della luce, blaterando parole incomprensibili.

-Non sai…incontrato…Elena…capisci?- avevo bisogno di un traduttore automatico.

-Kiki, Kiki- la presi per le spalle –con calma. Che è successo?-

Stava iperventilando.

-Bi, tu non sai- fece un respiro profondo –chi abbiamo incontrato prima-

-Chi avete incontrato?- chiesi pazientemente.

-Allora, camminavamo tranquille in cerca del Morticia, quando Elena ad un certo punto mi trascina dietro un angolo nello stesso istante in cui vediamo spuntare una chioma bionda. Allora lei comincia ad imprecare contro lo sconosciuto passante in varie lingue- blaterò Kiki senza fare pause.

-E poi, mi giro verso la criniera bionda e chi è? JONNE-

-Jonne?- le faccio il verso. – Quel Jonne?-

Elena non lo sopportava. Anzi. Lo odiava a morte. Ogni volta che spuntava a casa nostra a prendere un caffè con Ville magicamente lei spariva e ritornava la sera tardissimo non prima di avermi chiamato per assicurarsi che se ne fosse andato.

Risi istericamente al solo immaginarmi mia sorella che sbraitava contro il povero biondino che non le aveva mai fatto nulla di male.-E cos’ha fatto?- chiesi incuriosita a Kiki.

-Lei voleva scappare. Ma se lo poteva anche sognare. Sono in Finlandia e incontro una celebrities locale che è anche amica di famiglia, mica me la faccio scappare no?-

-Non fa una piega- assentii.

-Quindi l’ho supplicata per la mia felicità eterna e con la promessa di varie barrette di cioccolata di fermarlo e salutarlo- disse con tono entusiasta – ma non c’è n’è stato bisogno perché Jonne ci aveva già viste, e tutto baldanzoso si è avvicinato a Elena con un sorriso a mille mila denti. Secondo ha una cotta per lei- aggiunse sospirando.

Eh si, ci voleva un genio per capire che il biondo era perdutamente e disperatamente innamorato di mia sorella. E ogni volta che ce lo trovavamo a casa, il suo faccino triste alla scoperta che Elena non c’era, era da foto. Ville se la rideva, io macchinavo per trovare un modo di metterli insieme. E prima o poi ce l’avrei fatta, se il fato mi avesse assistito.

-E come è andata a finire?- chiesi innocentemente.

-Beh, Jonne era talmente felice di vedere Elena che ci ha trascinato in giro per il centro- concluse Kiki con un sorriso sulle labbra –e alla fine ci ha chiesto dove saremmo state questa sera e io gli ho detto che Ville ti aveva…-

-Si?- la incalzai.

-Kiki, diamine!-

Mia sorella era arrivata. Niente da fare. Non sarei riuscita a cavare la notizia da nessuno.

-Ville non doveva fare nulla Bi, niente di cui preoccuparti tranquilla- mi disse con tono molto subdolo.

-Si Elena e poi…-cominciai.

-C’è la marmotta che incarta la cioccolata- dissero all’unisono. –Queste marmotte prima o poi andranno in sciopero lo sai vero?- aggiunge Elena con la sua sempre sottile ironia.

-Simpatica, davvero- borbottai.

-Insomma, hai visto Jonne?-

Tanto valeva fare qualche pettegolezzo se proprio non riuscivo a scoprire cosa il mio adorato marito stava tramando alle mie spalle.

-Non nominare quel nome. Non mi ha dato pace tutto il pomeriggio, ci seguiva ovunque non smettendo un istante di parlare. Un essere insopportabile, Bi, non so come fate voi a tollerarlo-

C’era qualcosa nella sua voce che mi faceva presagire un cambiamento. Sembrava di sforzasse a non sopportarlo, ma forse era solo una mia impressione dovuta al Cupido inside che ogni tanto faceva capolino nella mia mente, o agli ormoni impazziti per la gravidanza.

-Chi disprezza compra, Ele- le risposi con tono saggio.

Non rispose. Si limitò a fulminarmi con lo sguardo e tenermi il broncio.

Forse questa volta ci avevo preso.

 

 

-E’ tutto pronto, ragazzi?- il mio tono era tutto fuorché calmo per vari motivi. Ogni cosa doveva andare alla perfezione, Bianca mi avrebbe ucciso perché era fuori al freddo ad aspettare e odiava essere tenuta all’oscuro di qualcosa. Bam era magicamente arrivato ad Helsinki e sembrava che Elena non fosse riuscita a trovargli qualcosa altro da fare. Non sapevo per quanti altri giorni avrei potuto evitare che Bianca lo scoprisse e lo andasse a cercare minacciandolo di morte.

-Stai tranquillo, Luce. E’ tutto pronto- un Linde ancora più zen del solito mi rispose da dietro le quinte.

Presi il cellulare e lanciai il segnale a Elena.

 

Nell’arco di dieci minuti avevo visto arrivare metà dei nostri amici, tutti borbottavano tra di loro, e nessuno voleva dirmi cosa stava per accadere. Il secco ne avrebbe sentite due da me, dopo.

Prima di vedere Elena tirare fuori il cellulare e fare cenni nascosti alla piccola folla radunata fuori dal Tavastia avevo scorto Seppo che come un fulmine era entrato nel locale, due o tre dei roadie, una decina di nostri amici di Helsinki e qualche rappresentante della Warner finlandese.

La mia curiosità stava salendo a livelli stellari.

-Entriamo- annunciò Elena prendendomi per mano.

Non ero mai stata così agitata prima di entrare nel Tavastia, era uno dei pochi luoghi dove mi sentivo davvero a casa.

Raccolsi un po’ di coraggio e spinta soprattutto dalla curiosità che mi stava uccidendo mi misi al passo con mia sorella e mi incamminai verso il fumoso corridoio del locale.

 

Un sottofondo musicale che mi era stranamente familiare accompagnò la nostra entrata, una volta superato il piccolo atrio mi affacciai sulla sala principale. Era tutto fiocamente illuminato da candele sparse per tutto l’ambiente e la pista da ballo solitamente sgombra era colma di divanetti e tavolini con un aria confortevole. Tutte le poltrone erano rivolte verso il palco. Che per la prima volta vedevo coperto da una tenda.

Le cose erano due: o Ville aveva chiamato l’intero cast di Notre Dame de Paris a fare una prima solo per me, o stavano facendo qualche ristrutturazione. Non vedevo altrimenti il motivo per tale segretezza

Tutti intorno a me si sedettero. Anche io presi posto a fianco ad Elena e Kiki su uno dei divanetti proprio sotto al palco. Non sapevo più ormai cosa aspettarmi ma almeno ero comoda e al caldo.

-Zucchero filato!- una voce famigliare trillò da dietro di me. Mi girai e vidi una Jonne affannato venire verso mia sorella con enormi occhi a cuore.

-Non chiamarmi così ti ho detto- urlò Elena mentre il cantante, vestito stranamente sobrio per i suoi standard, si sedeva a fianco a lei e le metteva una mano intorno alle spalle. Per mia grande gioia quella serpe di mia sorella non si scostò, ma si limitò a volgere lo sguardo altrove senza degnarlo di alcuna attenzione.

Soddisfatta scoccai a Jonne uno sguardo di approvazione che fu ricambiato da uno dei suoi sorrisi più furbeschi. Sapeva quello che faceva il ragazzo.

Improvvisamente i miei pensieri da agenzia matrimoniale furono distratti da alcuni rumori provenienti da dietro le quinte. Se il sesto senso me la diceva giusta Ville era appena inciampato in qualche amplificatore. Come faceva praticamente sempre.

Qualche istante dopo lo vidi spuntare da dietro la tenda con un microfono in mano.

Niente cappello viola.

Niente strati di vestiti.

Niente look trasandato ma figo.

Era il Ville di cui mi ero disperatamente innamorata a 18 anni. L’idolo dei miei sogni di piccola adolescente metallara. Oscuro e misterioso. Bello come solo lui poteva essere.

Un paio di jeans che non ricordavo nemmeno che avesse gli fasciavano comodamente le gambe ossute. Una canottiera, anzi, la canottiera, quella col drago, aderiva sul busto senza fare una grinza. E per finire, il rosario nero, quell’oggetto così sacro eppure così profano pendeva dal suo collo con grazia.

I miei occhi incrociarono i suoi. Incorniciati da una massa di boccoli castani. Quei capelli che ogni volta che ci passavo le mani lanciavano fitte di doloroso piacere lungo la mia spina dorsale. E il mio regalo personale, sapevo che tutto era fatto per me, ma questa cosa in particolare mi tirò fuori un sorriso infinito.

La matita sugli occhi. Esattamente come ai vecchi tempi. Tanta, lucida e soprattutto nera come la notte.

Quando si accorse del mio ghigno si inchinò restituendomi il sorriso.

Non ebbi il tempo di abituarmi a rivederlo così che la tenda si alzò che dietro di lui apparvero gli altri quattro.

Linde, Migè, Gas e Burton. Tutti con i loro strumenti, evidentemente pronti a fare un concerto. Il mio cervello non riusciva a capire.

 

Stricken by fear you held me, my Darling

Denied , the love didn’t give me up

Lost in hazel eyes and brown silk

Now I resurrect

 

Delle note sconosciute, delle parole sconosciute. Ma sempre le sue parole, la sua musica.

Una nuova canzone.

Lo shock della realizzazione mi lasciò senza fiato. Avevo atteso due anni prima di sentire le nuove canzoni, di mettere le mani sul nuovo album, ma Ville mi aveva impedito di sentire qualsiasi traccia fino a che non fosse pronta. Bruciante di desiderio gli avevo fatto promettere che la prima persona a sentire il nuovo album una volta completato sarei dovuta essere io, pena tortura. E ora capivo. Capivo perché non mi aveva fatto sentire nulla.

Quell’album era lui. Quell’album ero io. Eravamo noi. E più la prima canzone si snodava in migliaia di stupende sfumature più mi rendevo conto che aveva avuto ragione. La sua musica andava sentita completa, quando ogni magico tassello era andato a creare quell’incantesimo che dava vita all’anima del Love Metal.

 

-E questa era Sowing Fears- dissi traendo un respiro profondo. Ed una era andata.

Dire che fossi terrorizzato per questa cosa, era usare un eufemismo. Per la prima volta stavamo facendo sentire il nuovo materiale ad un pubblico che non fosse Seppo o Silke. Guardai Bianca, il suo parere sarebbe stato il più importante. Per quanto fossimo sposati, mi amasse, fosse una nostra fan, se una cosa non le piaceva, quella cosa di media faceva davvero schifo. Avevo dovuto ingoiare l’orgoglio molte volte e cominciare a fidarmi del suo giudizio.

I suoi occhi si allacciarono ai miei istantaneamente. Stava piangendo e sorrideva.

Non servì altro.

-Mi scuso di avervi trascinati qui senza preavviso- dissi avvicinandomi al microfono –ma dovevamo scegliere un giorno per questa session e oggi ricorreva una data importante per colei che è l’anima di questo album.-

La guardai e vidi che stava sogghignando, potevo sentirla sporgersi verso Elena e sussurrare quanto fossi sdolcinato.-E dato che quando saremmo in tour per promuoverlo Bianca sarà troppo incinta per venirci a sentire, mi è sembrato giusto regalarle la prima anteprima – conclusi sentendo le guance diventarmi rosse. Anche io non ero immune alla timidezza a quanto sembrava.

Le rivolsi un ultimo sorriso, presi il microfono e ricominciai a cantare.

 

-Apri la porta, Ville-

-Non ho le chiavi-

-Aspetta-

-Magari se smetti di baciarmi il collo le trovo, che dici?-

Il concerto era finito. Poche parole per descriverlo. E ora, come dire, stavo dimostrando la mia gratitudine a mio marito, non che di certo mi dispiacesse fare i miei doveri di moglie. Tutt’altro.

Ma a quanto sembrava eravamo destinati a rimanere fuori casa e congelati.

Kiki e Elena erano rimaste al Tavastia. Un certo Zacky, chitarrista di una band che avrebbe dovuto suonare il giorno dopo era spuntato al locale per caso e non c’era stato verso di portare via mia cugina. Mentre la mai sfacciata sorella, meschina e bugiarda, era stata trovata da me avvinghiata a Jonne come una medusa. Aveva fatto finta tutto il tempo. Che infida ragazza.

E ora eravamo rimasti soli. Avvinghiati l’uno all’altro eravamo scesi dal taksi senza smettere di baciarci, sembravano essere tornati ai primi mesi di matrimonio, quando ogni occasione era buona per farlo ovunque capitasse. Ma, vederlo così, come ai vecchi tempi, mi aveva provocato dei strani moti di lussuria. Mi sentivo come la fan che aveva finalmente conquistato il suo idolo, quando avevo conosciuto Ville ero più grande, lui non era più il bel tenebroso che come una droga infestava ogni mio sogno per notti infinite. Era solo quella meravigliosa persona che avevo sposato.Ed ora invece, con un bel salto nel passato mi stava regalando la mia fantasia proibita.

-Bi, è aperta-

-Come è aperta?- chiesi.

-Si, guarda-

Mi feci avanti, fifone com’era non si sarebbe mai avventato a entrare. Mi sporsi dentro e la luce del salone era accesa.

Una voce.

-Ciao Bianca-

-Mamma?-

 

 

@ Ethereal Clover: magnanima tu? Muhahahahahaha facciamo prima a vedere il Valo grasso ahahaa comunque avendo ora: marchio nero e biglietti dell’helldone direi che è ora di mettere a nanna B&B no?

 

@lithi: forse troppo coccoloshoooo XD ma non ho resistititooooooo. Cmq grazie per gli esami U:U per fortuna sono andati bene. E l’uni a PG come va?

 

@ valeriana: ma grazie!!! E chi non vivrebbe felice con uno così XD peccato che il vero Valo sarà sicuramente mooooolto meno puccio, e tanto tanto più pazzo ahaha

 

@ kiki91: potremmo mettere su un’azienda *animali domestici del Valo offrono firme e autografic INC* seriamente, ci facciamo i soldi ahaha

 

@ kiki91: grazie mille *inquinoH*

 

 

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Capitolo 12
*** Love is insane, baby ***


Capitolo 12

Love is insane, Baby…

 

Here we are
And don't know how to stop
Waiting for the war
To end it all

Love is insane and Baby
We are too
It's our hearts little grave
And the salt in our wounds

 

 

-Fammi entrare, Bi-

-Vattene-

Ero seduta a gambe incrociate sul mio letto, le mani occupate a distruggere la canottiera col drago. La sua canottiera. La stoffa, vecchia e ormai erosa dall’uso, si spezzava sotto le mie mani come burro. Ogni filo, ogni pezzo che veniva via era una lacrima, un urlo di rabbia soffocato.

La voce di mia sorella mi arrivava così lontana. Come da un altro mondo. Il mio sangue pulsava nella testa, e l’ira mi accecava.

-Bianca Valo-. Elena stava cominciando a perdere le staffe.-Per tutti gli scoiattoli mannari, fammi entrare in questa cazzo di stanza.

-Giammai- gridai di rimando.

-Non fare la bambina piccola, il secco se n’è andato, la mamma è andata via…-

-E Kiki?- chiesi speranzosa.

-Kiki è qui sotto con Jonne e Linde- rispose-

-Linde?—chiesi sgomenta.

-Sembra che sia venuto a fare da avvocato difensore al tuo adorato marito-

Se fossi vissuta in un cartone animato  ora ogni poro del mio corpo avrebbe emanato fumo e avrei potuto iniziare la mia trasformazione in Grisù, il draghetto, e lanciare fiamme.

-Prima combina casini poi mi manda uno dei suoi amichetti a discolparsi?- dissi digrignando i denti.

-Eva, tuo padre è una persona ignobile- dissi rivolta al mio pancione –te lo dico subito così ti prepari-

-Bi, fammi entrare. E non parlare con la bambina. Non la puoi traviare con le tue paranoie sin da piccola-

Mi alzai e feci entrare mia sorella nella stanza.

-Ti farei una foto guarda- disse sghignazzando –sembri un incrocio tra un gremlins e un furetto con la rabbia- concluse incrociando le braccia sul suo corpetto da casa, di cotone leggero e con nastri viola di velluto.

-Sempre d’aiuto, Sis. Non c’è che dire-

-Grazie grazie, lo so- rispose sedendosi anche lei sul letto e dandomi un cioccolatino che aveva in tasca.

-Ora, mangiati quel cioccolatino e poi raccontami bene come sono andati i fatti. Io ho sentito solo la versione del secco e non so se fidarmi-

-Sdruonzo. Tu…bob bai-

-Magari prima finisci di masticare, che dici?-

 

-Cosa ci fai qui?- gridai rivolta a mia madre.

Lo shock stava lentamente scemando lasciando posto alla rabbia.

Ville era rimasto senza parole. Era a fianco a me, ma sembrava essere passato ad un altro livello della realtà, non rispondeva agli stimoli e non apriva bocca.

-Beh, sono venuta a vedere questo piccolo paradiso che tanto declami e a rendermi foriera di una notizia che potrà interessarti- disse con molta tranquillità.

-Esiste il telefono- borbottai.

-Preferivo portartela di persona-disse passandomi un plico che teneva in mano. Un lampo di perfidia e sadismo le brillò negli occhi. E un brivido percorse la mia schiena.

Mi chiesi cosa mai potesse esserci di così importante li dentro da convincerla a venire fino in Finlandia. Non doveva essere nulla di buono, altrimenti non si sarebbe neanche presa la briga di telefonare.

Decisi che fare supposizioni era solo una perdita di tempo.

Via il dente, via il dolore.

Aprii il plico, ma quello che mi trovai davanti era qualcosa che esulava da ogni supposizione che avessi potuto fare. Era qualcosa di irreale.

Una fitta lancinante mi colpì allo stomaco mentre un grido muto mi tolse il respiro per qualche secondo.

-Ma come è…-sussurrai senza fiato.

-Com’è possibile?- chiese mia madre. –E’ possibile che sai com’è, i paparazzi in Italia sono ovunque e fare una cosa del genere proprio in centro, in uno dei ristoranti più famosi di Roma, non poteva passare inosservata.-

-Sembra proprio che il tuo finlandese perfetto, non sia la persona di cui ci hai narrato con orgoglio- aggiunge con un tono cinico e pieno di disprezzo.

Continuavo a fissare quell’immagine, senza rendermi conto davvero costa stavo osservando. Non poteva essere vero, semplicemente non poteva.

Muta e sconvolta passai il plico a Ville, che non aveva capito nulla di cosa ci eravamo dette io e  mia madre. Non riuscii a guardarlo negli occhi, lo shock mi stava facendo perdere il controllo di me stessa e prima di dire qualcosa di cui mi sarei pentita volevo sentire la sua versione dei fatti.

Vidi i suoi occhi sgranarsi, le mani cadere lungo i fianchi mentre la cartelletta contenente la foto che lo ritraeva insieme a Eleonora Trevi, intenti in un bacio passionale, cadde a terra. La seguii con gli occhi, poi tornai a guardare lui.

-Bianca, io…-iniziò.

-Tu cosa?- dissi cominciando a sentire un moto d’ira salire dal profondo. Cercai di fermarlo ma non mi riuscì.

-Cosa ci fai attaccato a quella serpe? Eh?- urlai.

-Fammi spiegare, Bi.- disse rimanendo calmo.

Doveva esserci una spiegazione. La mia parte logica sapeva che c’era una spiegazione, ma in quel momento non potevo darle ascolto.

-Lei…mi è saltata addosso- mormorò.

-Si e io mi chiamo Julia Roberts-.

Un sorriso sottile gli sfiorò il volto.

-Perché non me l’hai detto?- il mio tono era sempre più alto.

-Io volevo dirtelo, ma avevo…- non gli lasciai finire la frase-

-Paura?Sei esattamente come tutti gli altri uomini. Codardo e meschino. Dovevi dirmelo e subito-

Cercò di avvicinarsi per prendermi la mano. Sapevo che se glielo avessi lasciato fare, poi l’avrei lasciato parlare e l’avrei perdonato un istante dopo. Così mi scansai.

-Vattene, togliti dalla mia vista. Infido che non sei altro.-

-Ma Bianca. Fammi spiegare, ti prego-

-Non.mi.supplicare. Hai baciato quella donna, ti sei anche fatto fotografare da un paparazzo, ma soprattutto, non me l’hai detto. Cosa pensavi che avessi fatto se me l’avessi detto?- gli chiesi.

-Come minimo mi avresti bruciato vivo o peggio-

-Si, in effetti hai ragione, ma questo non cambia le cose. Meritavo di saperlo.-

-Ma ti saresti incazzata e sei incinta, l’ho fatto per Eeva.-

-Tutte schifose balle, vattene-. Cercavo di essere perentoria, ma non sembrava prendermi sul serio, gli appariva difficile capire quanto la mancanza di fiducia mi distruggesse dentro, il non sapere le cose era ciò che più tirava fuori la mia parte irrazionale. In quell’esatto momento, nemmeno lui poteva calmarmi.

Lo fissai con astio, senza lasciar cadere lo sguardo.

Alla fine si accorse delle fiamme che uscivano dai miei occhi, si girò, si accese una sigaretta e se ne andò. Non voltandosi indietro.

 

 

-Quindi sei arrabbiata perché non te l’ha detto, fondamentalmente?- chiese Elena quando ebbi finito di raccontare cosa era successo.

-Ha fatto come se niente fosse, capisci?- dissi. –E sapeva che se lo fossi venuto a sapere avrei dato di matto, ma non gliene fregava nulla. No, lui doveva pararsi il culo, come tutti gli altri uomini, e poi ora tutta la famiglia chissà cosa penserà.-

Elena mi fulminò con lo sguardo.-Come se te ne fregasse qualcosa di loro, suvvia Bi., siamo seri. Sei così incazzata che ti stai inventando castelli in aria. Sei cosciente che se non avessi tutti gli ormoni scombinati, ora sareste amabilmente a letto a farlo come conigli?-

La guardai strabuzzando gli occhi.

-Ma per chi mi hai preso?- le dissi indignata.

-Ti ho presa per una che non da peso a queste stronzate, non l’hai mai fatto. Tu lo ami, lui ti ama. Vi è sempre bastato per superare davvero ogni difficoltà e voi non litigate mai seriamente. Finite sempre a letto insieme. Devi seriamente pensare di farti dare qualche medicinale per tornare normale, ma prima chiamalo e digli che è tutto a posto-

Ero sconvolta. Anche lei. Non ci potevo credere.

Mi ero chiusa in camera apposta, non prima di aver cacciato via mia madre e dirle di non ripresentarsi più davanti a me nei prossimi cinque o sei mesi. Avevo usato la scusa della litigata per incazzarmi pure con lei. Bella per me.

-Giammai, Sis. Proprio non se lo merita, ha fatto il furbo e con me non fai il furbo- dissi incrociando le braccia e richiudendomi nella mia bolla di silenzio.

-Dì che sei troppo orgogliosa per ascoltarlo e chiedergli scusa del tuo attacco di bile- aggiunse non demordendo. La odiavo quando faceva l’avvocato del diavolo. Era dannatamente brava.

-Ti odio, Elena. O-d-i-o. Mi hai capito? Almeno tu dovresti essere dalla mia parte- come una bambina iniziai a piangere incontrollata, indicandole i pezzi della canottiera distrutta davanti a me.

-E guarda, gli ho anche distrutto tutti i pezzi della canottiera. Non mi vorrà più!- dissi appoggiandomi sulle sue gambe e piangendo.

-Brava Bi, ora ci siamo. Fatti un piantarello che poi passa tutto- disse mia sorella facendomi le carezze sulla testa.

-Ma io non lo perdono mica così facilmente eh? Qualcuno dovrà passare sul mio cadavere prima che gliela lasci passare senza dirgliene quattro.- aggiunsi continuando a piangere e scivolando lentamente in un sonno ristoratore sulle gambe di Elena, che come al solito, si rivelava il mio angelo custode preferito, anche se decisamente più stronza dello standard degli angeli.

 

 

 

Linde era alla torre. Elena era li anche lei.

Se c’era qualcuno che poteva far tornare Bianca in se, erano proprio loro due, uno con la sua calma serafica e la pace interiore, l’altra a suon di ceffoni. E io invece vagavo per la città senza una metà, dandomi dell’idiota per come mi ero comportato. In questo caso avrei voluto essere un uomo di ferro, senza remore e pieno di orgoglio da scoppiare. Un uomo che non si sarebbe sentito in colpa per aver nascosto una cosa del genere, anzi avrebbe affermato la sua innocenza e urlato e gridato.

Io non ero così. Avrei voluto imparare ad esserlo. Ma per ora mi dovevo accontentare di autodistruggermi e piangermi addosso perché avevo fatto la cazzata del secolo. E volevo chiederle scusa, volevo che mi ascoltasse, che mi lasciasse spiegare. Ma la conoscevo meglio di come conoscevo me stesso. Ed era un tornado, se si incazzava spazzava via tutto. Ed era meglio se in quel momento io non fossi stato la piccola casetta di legno pronta ad essere spazzata via dalla sua furia.

Così mi ritrovai davanti ad un edificio familiare, davanti ad una porta che avevo varcato molte volte quando combinavo qualche cazzata. Nel mio nido, dove potevo tornare bambino, avere cioccolata calda e parlare con le due voci della mia coscienza.

Citofonai.

-Sono io, papà-

 

@Lithi: muahahahaha mi piace che il colpo di scena abbia avuto qualche effetto!!! Sono contenta che vada tutto bene anche se mi mancano tanto i nostri pranzetti infrasettimanali sob

@ oooh sììì la Finlandia è stupenda, se ti capita vacci! Poi con la compagna di camera finlandese hai anche più motivi xD. Sono forti loro poi perché tendono a sminuire il loro paese, un po’ come facciamo noi italiani quando spariamo peste e corna ahaha cmq grazie per la recensione, mi sono spaccata dalla risate a leggerla

@ Ethereal Clover: eh ci speravo Lalli…forse DOPO ti rabbonirai vero? xD

@ kiki91: esattamente Vengeance, compagno chitarrista di Gates, amico di Shadows e Rev muahahaha. Essendo Kiki la versione su carta della mia nipotina virtuale, anche lei una grande fan degli Ax7, gliel’ho dovuto almeno far incontrare

@ blaise_sl_tr07: grazie carissima! Le tue recensione sono sempre stupendissime, *blushes*

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** ...and we are too ***


Capitolo 13

…And we are too

 

I see it in your eyes
I feel it in your touch
I taste it from your lips
And baby more i love you


Come un cagnolino abbandonato entrai a testa bassa dentro la mia vecchia casa, abbracciai mio padre e senza che mi dicesse nulla mi sedetti sulla poltrona della chiacchierata. Ne avevo combinate tante, e grosse, e ogni volta tornavo qui, con la coda tra le gambe, sapendo che tra le parole del mio saggio padre avrei ritrovato quel me stesso che ogni tanto sperdevo in qualche parte d’Europa o tra le braccia di una donna sbagliata.

Lo vidi sparire e ricomparire qualche istante dopo con due tazze di thè verde e un piatto di biscotti che si divertiva a fare. Le forme era alquanto inusuali, ma si sa, qualcuno doveva testare i prodotti che vendeva al negozio e le formine strane era il suo hobby.

-Che è successo?- mi chiese sedendosi davanti a me e porgendomi il thè bollente.

-Bianca mi ha cacciato di casa- dissi con tono mesto.

-Mhhh.- mugugnò riflettendo sulla cosa. Una ruga di espressione gli incrinò la fronte e pensai che spesso mi dicevano che anche io avevo una cosa simile, quando ero concentrato un solco profondo si dipingeva sulla mia fronte. Bianca era stata la prima ad accorgersene, e dopo aver tentato con varie creme di liberarmi di quel segnò dell’età, aveva deciso che le piaceva e vedermelo la faceva impazzire.

Pensare a lei, lei che era parte di me come un altro organo, e pensare che non potevo andare li con tranquillità, prenderla in giro, abbracciarla, baciarla era una sensazione molto somigliante a migliaia di spilli ficcati sotto pelle.

-E perché ti ha cacciato?- chiese infine Kari dopo aver riflettuto a lungo.

-Le ho tenuta nascosta una cosa- risposi. Se lo conoscevo bene non mi avrebbe chiesto cosa, ma semplicemente ‘perché’.

-Perché avevo paura, papà. Ero terrorizzato che si sarebbe incazzata talmente tanto da fare qualcosa di pazzo, la conosci, e ora con la gravidanza è completamente fuori di testa.-

Mio padre mi scrutò a lungo, guardandomi negli occhi.

-Solo per questo?-chiese.

Non sapevo se amare e odiare che mi leggesse nel pensiero.

No, era ovvio che non fosse solo per quello.

-Io a quella cena non ci sarei mai dovuto andare. Dovevo andare con Bianca dai suoi genitori, il lavoro avrebbe dovuto aspettare. E quando quella donna mi è saltata addosso senza che me ne accorgessi e mi ha baciato, l’ho capito. Ma ormai il danno era fatto, e non sapevo come dirglielo, aveva già belle magagne da risolvere, e poi tornati a Helsinki siamo tornati a fare la happy-couple e non volevo rovinare tutto, come ho fatto altre volte. Ho preferito la bugia-. Un fiume di parole mi era uscito dalla bocca senza fermarsi, mi sentivo già più libero e leggero. Quel segreto era stato un mattone per mesi e mesi, ben seppellito ma comunque li, pronto a rovinare tutto.

-Ville, come tuo solito, stai ingrandendo tutto, anzi l’hai già abbondantemente fatto. Si vede lontano un miglio che voi due siete una persona sola. Avresti dovuto dirglielo molto prima, e lei si sarebbe incazzata, ti avrebbe urlato contro, ma glielo avresti detto tu. Non lo sarebbe venuto a scoprire in altri modi drastici come penso sia accaduto-annuii mentre parlava –ecco, vedi. Il tuo problema è sempre stato che hai paura delle ripercussioni dei tuoi errori sulle persone che ami. Devi capire, che se ti amano, come Bianca fa, ti perdonano.-

-Lo so-dissi abbassando la testa. Non aveva senso mentire a me stesso. Ero stato un coglione e mi meritavo le urla e le grida.

-E poi voi due scopatori pazzi, non potete starvi lontani, quindi adesso fila a casa da lei e trova un modo di farti ascoltare- disse mio padre facendomi shushù con la mano.

-Ma papà?!?- non sapevo se ridere o essere indignato.- Non è che posso rimanere un po’ qui? Almeno finché Elena non mi chiama per dirmi che posso tornare senza rischiare l’evirazione.-

-Che figlio codardo che ho cresciuto- disse ridendo- tra mezzora torna tua madre che è uscita con le sue amiche, intanto facciamoci un panino, poi ti preparo il tuo vecchio letto.

 

Era quasi l’una di notte ed ero buttato sul divano del salone dei miei, ascoltando un vecchio LP di Neil Young che era sfuggito al mio radar il giorno che mi ero trasferito ed avevo portato via tutta la mia roba. Il fumo di varie sigarette mi circondava come una piccola nuvola grigia, e un solitario caffè mi faceva compagnia in questa notte che sapevo avrei passato insonne.

Mia madre era tornata, mi aveva visto, aveva capito che qualcosa non andava e si era fatta raccontare ogni cosa, senza tralasciare ogni dettaglio.

-Povera ragazza, sarà distrutta ora- aveva detto Anita. Di me non si era assolutamente preoccupata. Solidarietà femminile, dedussi. Sicuramente mia madre e Bianca non avevano il classico rapporto di bisticci e occhiate perfide che correva spesso tra suocere e nuore. Anzi, ero io quello che mediamente veniva bistrattato quando loro due facevano comunella.

-Vado da lei. Avrà bisogno di sostegno emotivo- aveva poi annunciato senza troppi complimenti.

Mio padre l’aveva guardata ridendo e poi mi aveva dato una pacca sulla spalla per confortarmi. Molto d’aiuto devo dire.

Ed ora, Kari era a dormire, e io ero a deprimermi con un sottofondo di musica che poco mi aiutava. Se avessi chiamato Migè o un altro dei ragazzi, sarebbero tutti corsi da lei e mi avrebbero dato dell’idiota, come se già non me lo stessi dando da solo, e ripetutamente.

Keeps me searching
for a heart of gold
And I'm getting old.

 

-E non me lo ricordare anche tu- gridai verso il giradischi- lo so che sto diventando vecchio- con uno scatto tolsi l’album dal lettore, presi il cappotto, chiamai un taksi e attesi il suo arrivo.

La notte da qualche parte mi avrebbe portato.

 

 

Sentivo un assordante rumore di passi provenire dal basso, doveva essere notte inoltrata ed completamente arrotolata nelle coperte, inconsciamente con fatica mi liberai e tastai con la mano sul lato sinistro per cercare Ville, ma quando la mia mano trovò il vuoto mi resi conto di cosa era successo solo poche ore prima. Una solitaria lacrima che non era stata ancora versata mi scese sulla guancia, mi passai la mano sul volto e la ritrovai macchiata di nero, il trucco doveva essersi completamente sciolto. Andando verso la porta incrociai lo sguardo con lo specchio, il mio riflesso mi spaventò, sembrava che un tram mi avesse investito ripetutamente, diciamo che litigare con l’unico amore della mia vita non fosse un esperienza davvero salutare.

Mi sistemai svogliatamente i vestiti stropicciati che indossavo dalla mattina prima e mi diressi giù per vedere chi stava facendo quel casino a quell’ora di notte e a casa mia.

La scena che mi ritrovai davanti mi provocò un accesso di risate impressionante.

Ridere per non piangere no?

Sembrava che la mia intera famiglia, quella vera, non i burini italiani, si fosse radunata nel soggiorno e stessero discutendo animatamente. C’era Linde buttato sulla poltrona a fianco al camino, Elena avvinghiata Jonne sul divano che agitava le mani contro un Migè intento a mangiare un cioccolatino, Kiki leggeva una rivista al contrario in Finlandese a fianco a Migè, e per finire vidi Anita in piedi al centro del salone che stava redarguendo Linde.

-C’è qualcosa di cui dovrei essere messa al corrente?- dissi scendendo le scale. Tutti si voltarono a guardarmi ammutolendosi all’istante. –Insomma?-

-Bi, mia cara, come stai?- nessuno rispose alla mia domanda, ma Anita mi venne incontro prendendomi tra le braccia e stringendomi a lei.

-Beh, Nit, potrebbe andare meglio, sai com’è…senza Luce le piante muoiono- dissi amaramente. Mi aveva fatto incazzare, mi aveva mentito, ma era mio e senza di lui ormai ero un relitto, ed erano passate solo poche ore. Dovevo sbrigarmi a farmi passare questa dannatissima incazzatura, e sperare che non fosse troppo arrabbiato. Anche Eva stava risentendo della mancanza di Ville, continuava a dare calci senza fermarsi.

-Piccola, ora andiamo da papà, stai tranquilla- le sussurrai accarezzandomi il pancione con delicatezza.

-Ma come?- mi chiese Migè. –Noi siamo tutti qui riuniti perché la coppia perfetta ha litigato e tu vuoi già andare da lui? Stavamo macchinando come fargliela pagare.-

-Aaaah ora capisco perché siete tutti radunati qui a fare macello, Novella 2000 si trasferisce a Helsinki eh?-risi guardando Kiki e Elena che furono le uniche a comprendere la battuta.

-Noi volevamo solo essere d’aiuto, Bi- Linde prese la parola cercando di scusare la pseudo-riunione. –O perlomeno, quello era lo scopo. Poi ci siamo messi a chiacchierare degli altri due piccioncini qua- disse indicando mia sorella e Jonne che si erano lanciati in una maratona di apnea. –E poi ora si stava discutendo di dove andare a cercarci qualcosa da mangiare a quest’ora. Lo sai vero che il vostro frigo è schifosamente vuoto?-

-Lo so, parlane col tuo amichetto li. Mi porta sempre a mangiare fuori, e l’unica cosa che abbiamo è cioccolata, caffè e thè- scossi il capo e sorrisi pensando a tutte le volte che cercavo di cucinare e venivo malamente trascinata al ristorante giapponese. La cucina casalinga non era la prima passione di Ville, diciamo.

Finii di scendere le scale e andai a sedermi sul divano a fianco a Elena e Jonne.

-Voi avete idea di dove sia?- chiesi speranzosa.

-Un’ora fa era a casa nostra- rispose Anita –Kari stava cercando di fargli entrare un po’ di sale in zucca, e quando sono andata via si stava deprimendo sul divano ascoltando Neil Young, fumando come un turco.

Un ghigno di sadismo mi sfiorò il volto, l’avevo già perdonato quello si, ma sapere che si stava autopunendo per come si era comportato mi rendeva molto, ma molto felice.

-Ottimo, ottimo, era proprio quello che mi aspettavo- dissi.

-Ora però mi ha chiamato Kari, si è svegliato e non l’ha trovato, deve essere uscito e non ha lasciato nessun messaggio, e il cellulare è spento-

Un battito del cuore perse il suo ritmo.

Dove poteva essere andato, alle due di notte con una morsa di gelo che non se ne vedevano da anni. Fissai gli altri ma nessuno di loro mi sembrava preoccupato.

-Tranquilla, Bi. Avrà preso un taksi e si starà facendo portare in giro per Helsinki, se lo conosco bene- disse Migè sgranocchiando una barretta di cioccolata ai lamponi.

-Sicuro, Sis. Siediti qui con noi e aspettiamo che sia giorno, poi lo andiamo a cercare. Tanto i suoi hotspot li conosciamo- Elena si era un attimo slacciata dal fianco del biondo cantante e mi stava accarezzando una mano.

Non sapevo cosa fare. Fuori era tutto ghiacciato eppure non potevo rimanere li a casa, con le mani in mano.

Improvvisamente una canzone risuonò nella mia mente. And the sacrament is you

Sapevo dov’era. O almeno dove sarebbe andato.

Se era già li e stava congelando per fare il finto duro, l’avrei ammazzato di botte, quello era sicuro.

-Ragazzi, so dov’è- dissi afferrando il cordless e chiamando la nostra fidata compagnia di taksi.

-Dove hai intenzione di andare a quest’ora?- la voce di Anita e quella di Elena si unirono nella stessa frase.

-Vado a riprendermi quell’idiota che mi sono sposata-.

Andai su di corsa, presi i stralci della famosa canottiera e li nascosi per bene in un cassetto, sperando che non gli venisse la malsana idea di andarsela a cercare di nuovo. Mi misi addosso quanti più strati di lana potevo, sciarpa, cappello, calze, enorme cappotto da sci ed ero pronta.

-Eva, andiamo a riprendere la zucchina che ti farà da padre che ne dici?-

La bambina sembrò sentire la mia domanda e lanciò un piccolo calcio sulla milza.

-Ok, ok, sei d’accordo anche tu, ma la prossima volta un po’ più piano, la mamma ringrazia sentitamente.

Il rumore di un clacson mi avvisò dell’arrivo del taksi.

Scesi di corsa le scale, tutto il gruppetto raduno mi stava guardando come se fossi un aliena. Prima mi chiudevo in camera urlando al tradimento e alla vendetta, poi me lo correvo a riprendere di notte, a Helsinki, d’inverno. Potevo capirli.

Ma stiamo parlando di Ville Hermanni Valo.

Nonché di mio marito.

E quando si tratta di lui, la pazzia è routine quotidiana.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** And love (of course) said NO ***


Dopo 6 mesi ce l’ho fatta!! Questo è l’ultimo capitolo prima di un piccolo epilogo, ringrazio col cuore chi l’ha seguita qui, grazie davvero, e ringrazio le mie donnine, coloro che l’hanno fatta andare avanti a forza di urla e minaccie di distruzione della mia collezione himmica. Luv ya angelz

 

 

Capitolo 14

 

And love (of course) said NO

 

Kill me
I begged and love said no
Leave me
for dead and let me go
Kill me
I cried and love said no
Kill me
I cried and love said no

 

Forse andare li non era stata l’idea migliore che avessi potuto avere. Ero appena scesa dal taksi e già sentivo ogni giuntura  del mio corpo che stava andando in ipotermia. Ma tra i brividi mi feci forza e mi diressi verso le scale.

Davanti a me, Tuomiokirkko si ergeva pallida nella luce dolce e fioca dei pochi lampioni che illuminavano la grande piazza del Senato, e rischiaravano con leggerezza la strada a quei pochi coraggiosi che si affannavano a salire le sue scale di notte.

Doveva essere li davanti, pregai,  davanti all’unica chiesa dove amavamo andare, magari anche solo a bere un caffè sulle sue scale o a chiacchierare dopo un concerto.

Aguzzai la vista, ma era troppo scuro e troppo lontano, quindi mi misi l’animo in pace e mi costrinsi a salire la ghiacciata scalinata.

Dopo solo pochi gradini però scorsi una figura che camminava lungo il ciglio delle scale, all’esatto opposto di dove mi trovavo io. Urlare non sarebbe servito perché non mi avrebbe sentito, così affrettai il passo.

La mia mente voleva correre ma il mio corpo non ce la faceva, così mi settai su un andatura media, ma a metà delle scale dovetti fermarmi per riprendere fiato. Mi sedetti sul primo gradino disponibile e attesi che i miei polmoni ricominciassero a funzionare e la mia schiena smettesse di urlarmi bestemmie in aramaico antico codificato.

Ma, improvvisamente, un braccio avvolse le mie spalle e un altro corpo infagottato si appoggiò accanto al mio.

Voltandomi incontrai i suoi occhi verdi, incatenando il mio sguardo al suo e cercando di non perdermi nel mare di emozioni che ondeggiavano nel suo sguardo luminoso.

-Ciao, Fiona- mi disse baciandomi la fronte e appoggiando la sua testa alla mia.

-Ciao, Shrek- risposi meravigliandomi che si ricordasse questa storia.

La prima volta che Olivia ci aveva visti insieme, reduci da un accesa discussione e quindi appiccati come meduse l’uno all’altro era venuta da noi, ci aveva studiato per qualche minuto poi aveva proferito la sua sentenza.

-Voi due siete come Shrek e Fiona- aveva detto la bambina con tono saggio, ripreso sicuramente dal padre.

-Grazie Olivia, che bel complimento- avevo risposto ridendo.

-Ah, ma voi siete la versione figa-

Ville e Linde si erano quasi rotolati per terra dalle risate, io invece avevo riflettuto su quel commento della piccola. Un po’ in fondo era vero, eravamo proprio come i due orchi della Dreamworks, chiusi nella nostra torre coperta d’edera, il fango era meglio evitarlo, ed eravamo sempre protetti dalla nostra bolla di felicità e dai nostri amici più cari, un paio di ciuchini e vari gatti con gli stivali, sempre pronti a fare gli occhi dolci per ricevere qualche favore. Ogni tanto un Azzurro di passaggio disturbava il nostro quieto vivere, ma per loro, avevamo Zenzy…

 

Le parole, come al solito, sembravano essere inutili tra di noi. Appena la mia mano fu nella sua capii che potevo ritenermi perdonato e decisamente più fortunato di quanto mi meritassi.

-Sono stato una testa di…-

-Cazzo! Si, lo sei stato, ma sei la mia testa di cazzo, bugiarda e infida, e mi vai più che bene così- rispose Bianca, stringendosi a me.-Ma la prossima volta dimmelo, se vorrai evitare di essere bruciato sul rogo insieme alle tue orride camicie con stampe strane-.

-Promesso- misi la mia mano e la sua sul mio cuore, e girandomi le diedi un bacio, un bacio al ghiacciolo, ma comunque un signor bacio.

-E poi sai- aggiunse contro le mie labbra –la signorina qui non ne voleva sapere di stare senza di te-

Mise la mia mano sul suo ventre per farmi sentire, percepii un piccolo movimento, come una manina che si spostava verso la mia, sapevo che era frutto della mia fantasia, Eeva era ancora troppo piccola perché potessi già sentire la sua mano, ma amavo l’idea che io e mia figlia già sentissimo disperatamente la mancanza l’uno dell’altro.

Feci alzare in piedi Bianca e la portai davanti a me. Il mio orecchio poggiato alla sua pancia, che ascoltava il battito costante del piccolo cuore racchiuso li dentro.

-Andiamo a casa, che dici?-mi chiese dopo vari minuti, mettendomi le mani nei capelli e guardandomi.

-Direi di si- risposi- c’è giusto un letto sul quale non vedo l’ora di “dormire.”-

Per la prossima volta che avessimo litigato, dovevo ricordarmi che era meglio farlo a casa, perché tanto lo sapevano entrambi che andava sempre a finire così. Come fai a tenere il muso a chi ti conosce meglio di te stesso?

-Ottima idea, mio principe della notte, anche io ho una certa voglia di stendermi sotto le coperte a “dormire”- disse facendomi alzare e prendendomi per mano.

 

-Ci sono tutti dentro, Ville- dissi mentre si stava divertendo a baciarmi il collo, disturbandomi nella gigantesca impresa di trovare le chiavi di casa nella mia ancora più gigantesca borsa di Mary Poppins.

-Se continui a schiacciarmi contro la porta sarà difficile che riusciamo a entrare, non trovi?-

Borbottando in qualche lingua che assomigliava all’aramaico antico si scostò e mi lasciò aprire la porta di casa.

Ma non feci in tempo a mettere piede dentro che già si era tolto vari strati di vestiti, e si stava dando da fare per togliere anche i miei.

-Lo sai che dopo quello che hai combinato dovrei tenerti a stecchetto per almeno una settimana? Sarebbe una giusta punizione per i tuoi misfatti.-

Non mi rispose, si limitò solamente a togliermi l’ultimo strato di lana che mi copriva ed appoggiarsi contro la mia schiena, avvolgere le mani sulla vita, e iniziare a sussurrare, a un centimetro dal mio orecchio.

 

Every vow i break on my way towards your heart
Countless times i've prayed for
forgiveness
But gods just laugh at my face
And this path remains

 

-Così non vale, Secco. Stai giocando davvero sporco-

Sapeva perfettamente che effetto mi faceva quella canzone, e la sua voce. E sapeva che  combinate, la tentazione mi avrebbe vinta.

Un colpo di tosse ci distrasse dai nostri preliminari. Ci voltammo insieme. Sei paia d’occhi erano puntati contro di noi.

-No, ma ragazzi continuate pure, fate come se non ci fossimo. E’ bello sapere che i nostri ninfomani preferiti abbiano fatto pace-

Un Migè che si stava ingozzando di sushi parlò dal salone, mentre il resto della ciurma era intento a arrostire marshmellow sul mio fornelletto da campo, e tutti ci guardavano ridendo.

-Se permettete, io porterei mia moglie su in camera, dobbiamo parlare di cose molto serie, poi è incinta ed è molto affaticata- si intromise Ville sghignazzando dopo aver fatto un cenno di saluto alla famiglia riunita intorno al nostro tavolo.

-Si si andate pure a parlare-  disse Elena.

-Ma voi rimanete qui tranquilli, non ci disturbate mica- concluse Ville quando mi aveva già trascinato su per le scale, non mi feci pregare oltre e lo seguii verso il nostro luogo di perdizione preferito.

 

Una luce insistente mi svegliò. Ero al caldo, ed era già tarda mattinata. Un braccio avvolgeva le mie spalle, e un respiro regolare spezzava il silenzio.

Mi girai, seppellii la mia faccia contro il suo collo. E felice, tornai a dormire, abbracciata al mio sogno più bello.

 

Sesto mese di gravidanza- Marzo

 

-Biancaaaaaaa- speravo che mi sentisse dal primo piano.

-Che c’è?- rispose.

-Hai per caso visto la mia camicia con i fiori?- le chiesi. Volevo metterla per andare al Tavastia quella sera.

-L’ho usata come straccio per pulire la tua vecchia culla, quella che ci ha dato tua madre per Eva-.

 

Settimo Mese di Gravidanza –Aprile

 

-Allora andiamo al cinema con Jonne e Elena?- chiesi mentre cercavo disperatamente il mio portatile tra le migliaia di scartoffie.

Nessuna risposta.

-Ville?- chiesi dirigendomi verso la cucina.

Il pancione ormai era pressoché infinito e mi muovevo a velocità  bradipo, ma questo non gli dette comunque il tempo di nascondere le sue attività segrete.

Era li tutto intento col mio pc in mano a giocare a tetris, gioco al quale era disperatamente negato, ma si ostinava a voler giocare.

-E tu dovresti diventare padre tra due mesi?-

 

Ottavo Mese di Gravidanza – Maggio

 

-T’ho detto vai- mi disse Bianca sdraiata sul letto col pancione scoperto intenta a finirsi le ultime scorte di liquirizia che le erano rimaste.

-Ma non voglio lasciarti da sola- risposti sedendomi a fianco a lei.

-Ville, su, non fare il bambino, devi andare a quel concerto. Sai com’è? Siete voi che dovete suonare, mica pinco pallino. E poi qui c’è Elena-

-Si che è su a fornicare con la Barbie- grugnuii.

-Tu fatti i cavoli tuoi.-

Mi aveva convinto, presi due cose dal tavolo e mi diressi di sotto.

-Fermo li-

-Cosa c’è ancora?- le chiesi.

-Se ti azzardi a uscire con quella cosa addosso, considerami già vedova.-

 

Nono Mese di Gravidanza- Giugno

 

Eva sembrava non avesse alcuna intenzione di uscire dal suo antro al calduccio. Ne la voce di Ville che la esortava a presentarsi al mondo, ne le mie parolacce l’avevano ancora convinta. Così me ne stavo tranquilla a trafficare con la mia collezione di libri fantasy che custodivo gelosamente in quella che doveva essere la cabina armadio, quando la voce di Ville mi raggiunse.

-Amore, hai idea di dove sia la mia canottiera col drago?- mi chiese mentre un brivido freddo mi percorreva la schiena. –Oggi fa un caldo terribile ed è l’unica cosa leggera che ho-

-Ehm, no- proprio non saprei, gli gridai di rimando.

-Amore?- continuò-

-Hai idea di cosa siano questi pezzettini di stoffa nera nascosti sotto ai tuoi vecchi reggiseni?-

Splash.

Cazzo.

Al quadrato.

-E’ la tua canottiera col drago- iniziai- e per la cronaca, mi si sono appena rotte le acque.

Grazie piccola figlia furba, stavi aspettando per salvare la mamma vero? Mormorai tra me e me. Andremmo mooolto d’accordo io e te, sogghignai.

 

 

 

@ valeriana,; questa cosa delle ragazze finniche che disprezzano i loro compatrioti l’avevo già letta, ho riso troppo. Beh, se le piacciono quelli italiani ha fatto un grande affare LOL. Tutti mammoni e rincoglioniti, però magari li vogliono proprio così. Grazie per il comm, as usual!

@ lithi: ma brava la mia fogliolina che s’è comprata Digital, quand’è che ti unisci definitivamente agli angeli e ti fa un bell’hearti??! Devo troppo venire a trovati, mi manchi tanto ç__ç

@ kiki91: mononeuronico, povero cuore xDxD *guarda verso la Fi e chiede scusa a Luce per tale cosa*, cmq, sì, a volte l’è assai rincretinito, porellino.

@ blaise_sl_tr07: lo sooo, quella scena è stata tremenda da scrivere, non sapevo più dove mettermi le mani, alla fine è uscita confusa ç__ç…(il segreto è che in realtà non doveva succedere niente di tutto ciò xD, ma tu non hai sentito nulla). Cmq, come ringrazierebbe il Valo, kiitos pajion, a presto^^

@ Lally: peccato che la tregua sia durata poco, alla fine ce lo siamo ritrovate proprio in mezzo ai cocomeri il BF…ancora mi ricordo quando l’ho visto uscire per presentare i 69, lurido bastardo.

@ ms_reverie : eheh chi non la comprenderebbe xD

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Eva ***


Ed ecco la fine fine di questa storia…che non è la vera fine di tutto. Diciamo che è la conclusione di “questa” parte di storia. Non mi capisco nemmeno da sola xD

Ringrazio tutti coloro che l’hanno seguita fino ad ora, commentando o non commentando. Ringrazio i miei angeli con cui ho condiviso due dei più bei viaggi della mia vita proprio nella patria delle Somme Maestà infernali. Ringrazio mia sorella per aver fatto da modello alla sorella della protagonista e Anita e Kari Valo per averci donato il protagonista xD Siamo tutte contente che quella sera non avete deciso di vedere un film LOL

 

A prestoooo

 

 

Epilogo

 

“Eva”

 

Eva sails away
Dreams the world far away
The Good in her will be my sunflower field

 

Non ce l’avevo fatta.

Entrare in sala parto andavo oltre le mie possibilità di coraggio. Ero rimasto seduto di fuori, con una sigaretta spenta in mano, e lo sguardo perso nel vuoto. Per tre ore, lunghissime e surreali avevo atteso, avevo guardato verso quella porta davanti a me con terrore e speranza. Una paura inconscia che potesse succedere qualcosa alle due donne della mia vita, e la speranza di vedere uscire un infermiera che veniva a dirmi che tutto era andato bene.

E poi.

Poi ero entrato, mi avevano chiamato e facendomi coraggio avevo varcato la soglia.

Bianca, stesa sul lettino stanca ma sorridente teneva in braccio un piccolo fagottino incartato in una copertina bianca, e il suo sguardo sembrava rapito da una forza magnetica. Io stesso improvvisamente sentii una forza trascinarmi in avanti. Il richiamo del sangue.

Mi avvinai con cautela. Era il primo incontro con la mia bambina, e avevo paura.

Ma poi la vidi. Paffuta. Morbida. Un po’ grinzosa.

Con gli occhi identici ai miei, il colore sarebbe stato ancora un mistero per vari giorni, ma la forma era inconfondibile, e un sorriso si affacciò sulla mia bocca, chissà a quanti mesi di vita Bianca le avrebbe insegnato che mettere la matita nera era fondamentale alla sopravvivenza.

Le labbra erano di Bianca, il naso un misto strano. Una piccola patata con una punta alla francese. Il resto era lei, Eva, già unica e perfetta.

-E’ bellissima- mormorai stendendomi vicino a Bianca e baciandola.

-Non avevo dubbi che lo sarebbe stata- rispose- e sentila, non piange, sicuramente non ha preso da te-

Ridemmo insieme, e poi continuammo incantati a fissare Eva, che con i suoi occhi, già profondi ci fissava di rimando, chiedendosi forse perché le erano toccati due tipi così strani come genitori. Sperai che non l’avremmo delusa.

In quel momento a fianco a loro due, rapito da due occhi appena nati. Toccai il cielo, e tornai sulla terra.

Ero un padre.

Un mese dopo…

 

-Ville?!-

Ero intenta a riempire il biberon per Eva, mentre Anita e Elena litigavano con le istruzioni del passeggino nuovo che la band ci aveva regalato. Ma avevo uno strano presentimento.

L’avevo lasciato da solo con la piccola, doveva solo tenerla tranquilla finché non fosse arrivato il cibo, ma conoscendolo stava sicuramente facendo qualcosa che gli avevo vietato, tipo farle sentire col volume al massimo i Black Sabbath.

-Ma prima inizia a sentire la vera musica meglio è- mi aveva risposto la prima volta che l’avevo trovato con lei in braccio sulla poltrona che le cantava, facendo head banging, Hole in The Sky.

-Piuttosto cantale qualcosa con la chitarra acustica, almeno non le distruggi l’udito già durante l’infanzia- gli avevo detto, cercando di suonare perentoria, ma vederlo sprofondato  nella poltrona, con la nostra principessina in braccio, vestita solo di una vecchia maglietta di Johnny Cash, riadattata da me a tutina. E vederlo che la guardava come se non esistesse altro essere sulla terra, mi aveva addolcita troppo.

Mi diressi verso il piano superiore, E, come avevo previsto, stava facendo qualcosa che non doveva fare.

-Pucci, pucci, bu bu bu, chi è la piccolina del papà? Sei tuuuu-

Stava parlando alla mia già geniale figlia come se fosse un cane.

Erano entrambi stesi sul letto e la stava facendo volare sopra la sua testa.

-Ville? Cosa ti avevo detto?-

Si accorse della mia presenza e uno sguardo di richiesta di misericordia si dipinse sui suoi occhi.

-Mi dispiace, ma non ce la faccio a parlarle come se fosse un adulta-

Lo scrutai e sembrava sincero. Poi resistere a quello sguardo da cucciolo abbandonato era ancora troppo difficile, forse in quarant’anni sarei diventata immune a lui e ai suoi occhi.

Così mi sdraiai sul letto insieme a loro, Ville posò Eva tra noi due. Calma e silenziosa ci scrutava senza fare un fiato, alzai gli occhi verso di lui, e potei leggere nel suo sguardo la stessa straripante e strana felicità che mi invadeva da un ormai un mese. Tutto si era sciolto, ogni altro legame, quando per la prima volta avevo messo gli occhi sulla mia bambina, e migliaia di fili dorati si erano andati a congiungere a  lei. Ed ora, entrambi avvolti dal nostro bozzolo di gioia guardavamo la nostra piccolina, già così intelligente e silenziosa, che dovevamo sembrarle noi i neonati.

La nostra Eva

Eva che dormiva beata tra le braccia di Ville che si dilettava a cantarle ogni cosa che gli veniva in mente.

Eva che aveva creato intorno a se una corte di amici adoranti che la viziavano in maniere terribile.

Eva che già dava sintomi di pazzia profonda, avendola trovata con le manine come appoggiate su una chitarra elettrica.

Eva. Piccolo essere infernale che si faceva amare solo con uno sguardo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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