Things you don't expect di Ellie M_ellark (/viewuser.php?uid=102465)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Pilot ***
Capitolo 2: *** 2. Apparenze ***
Capitolo 3: *** 3. Libri della Mamma ***
Capitolo 4: *** 4. Scoperte ***
Capitolo 5: *** 5. Segreti e Litigi ***
Capitolo 6: *** 6. Invitato Speciale ***
Capitolo 7: *** 7. Jacob ***
Capitolo 1 *** 1. Pilot ***
1. pilot
Chapter 1
Pilot.
Se il primo capitolo non lo chiami
PILOT, che primo capitolo è?
«Questo ragazzino credeva di
trovarsi di fronte un babbeo e invece, beh, ero io.»
Tutti ridono immaginando la
scena. Emmett Cullen è uno dei ragazzi più presuntuosi della scuola, del mondo
addirittura, eppure è anche il più simpatico e il più amato.
Dall’altra parte del tavolo c’è
Edward Cullen, impaziente mentre aspetta la sua Bella, Alice Cullen che
delucida le cheerleader con consigli di moda, il suo ragazzo Jasper Hale
esasperato, ma sempre sorridente e al suo fianco, seduta sulla panca del tavolo
della mensa, c’è la bellissima e biondissima Rosalie Hale, la ragazza di Emmett
che si bea alla vista di cotanta bellezza. O almeno questo sta pensando del suo
“scimmione”.
Chi sono io? Semplicemente la sua
migliore amica e ironia della sorte vuole che mi chiami Cassandra, Cassie,
Bloodgood – capirete più avanti il perché del mio commento – e che bazzichi
spesso dalle parti di casa sua.
I cinque sopracitati sono tutti i
figli adottivi del dottor Carlisle Cullen e della signora Esme Cullen.
Ovviamente si è parlato per mesi dello scandalo che rappresentavano le due
coppie, ma le male lingue si sono zittite quando è stato presentato a tutti il
fenomeno Cullen.
In poco tempo sono riusciti a
farsi amare da tutti, sebbene restando sempre riservati e in disparte.
E’ normale restare in disparte
quando sei un vampiro… Ah, si, dimenticavo.
Sono tutti vampiri, mammina e
papino compresi. Per me ormai è la routine, non ci penso più, ma è decisamente
un dettaglio che fa la differenza. Sebbene adesso siamo tutti così amici il
nostro incontro non fu esattamente dei migliori.
La scuola era cominciata da
qualche giorno ed io me ne stavo davanti il mio armadietto a far nulla.
Ah, ecco, ho dimenticato un’altra
cosa. Sono un tipo con la testa fra le nuvole e mi capita spesso di dimenticare
dei particolari di vitale importanza; ho un dono – ognuno lo chiama come vuole,
cambiano i punti di vista – che non sempre con facilità controllo e che a volte
mi stressa terribilmente: leggo nel pensiero.
Non stupitevi troppo, i miei
amici fanno cose che farebbero sembrare le mie capacità inezie, se non fosse
che io riesco a giocare con la mente degli altri.
Potrei sembrare antipatica e
presuntuosa, ma in realtà mi vanto soltanto con Edward, anche lui capace di
leggere nel pensiero. Il mio dono è più come avere un telecomando puntato sulla
mente degli altri, posso decidere io che canale vedere e quindi cosa fargli
pensare. A volte lo faccio con Edward, lui si infastidisce e minaccia di
mordermi, ma non mi spaventa nemmeno un po’.
Aggiunto questo particolare,
torniamo a me ferma come una fessa davanti al mio armadietto. Circolavano degli
strani pensieri nell’aria quel giorno ed io, curiosa come nessuno mai, stavo
sondando le menti di tutti per cercare di capire di chi fossero.
E finalmente le mie ricerche
diedero i loro frutti: i pensieri venivano da qualche armadietto di distanza
dal mio, Edward e Rosalie stavano parlando, o più che altro litigavano. Lei non
faceva che dire e pensare che Edward dovesse smetterla di comportarsi come un
idiota e dovesse frenare la sua sete, Edward pensava di staccarle la testa e
nasconderla nel bosco.
Quando si accorsero delle
occhiate scioccate che gli lanciavo, cominciarono altri pensieri strani e
macabri, tanto che non potei fare a meno di rispondere ad alta voce.
Da lì scoprirono il mio segreto
ed io scoprii il loro e con il tempo mi accorsi che Rosalie aveva un carattere
molto simile al mio e che insieme ci trovavamo molto bene.
Così eccomi qui, in fila accanto
a Bella Swan, amica di vecchia data, fidanzata con il vampiro dalle manie
omicide, che aspetto il mio pranzo.
«Và da Edward, prima che
sbricioli il tavolo. Da quanto non vi vedete? Ieri?» chiedo sondando la mente
di Edward.
«Tre giorni. Sai, le belle
giornate…»
Bella è un tipo timido, ma
decisamente testardo quando ci si mette. Non siamo mai state sinceramente
amiche, ma il condividere un segreto enorme ci ha unite e strano a dirsi non la
trovo più snervante come prima. La sua storia con Edward è cominciata nello
stesso periodo in cui ho scoperto tutto, ora che ci penso.
Un’altra cosa che condividiamo io
e Bella è la goffaggine. Che ci posso fare se mamma mi ha fatto due piedi
quadrati? E sembra quasi che lo sapesse quando mi ha messo al mondo, che sarei
diventata un cataclisma, tanto che mi ha chiamato Cassandra, come la povera
profetessa troiana che non veniva creduta da nessuno e presagiva solo
disgrazie.
Immaginate invece le risate che
si sono fatti a casa Cullen sentendo il mio cognome. Ridono ancora e per Edward
sono diventata Bloody, anche se in fondo non c’entra niente.
Dopo pranzo torno in classe per
la lezione di filosofia. Sarò sincera: non sono una brava studentessa, ma
quando leggi nel pensiero e in più hai una memoria fotografica ottima hai tutte
le risposte. Non mi è mai realmente importato molto della scuola, ho cose più
importanti a cui pensare. Ecco finalmente che la campanella mi salva ed esco
dall’edificio tetro della scuola.
«Tuo padre sta per tornare,
Cassie.» mi avverte Alice. Lei prevede il futuro, è utile avere una veggente
come amica.
«Quindi mi sa che non potrai venire
più tardi, vero?» chiede Rosalie.
«No, dovrò stare tutto il tempo
con lui, sapete com’è.»
Mio padre è un pilota d’aerei e
la sua compagnia si occupa di voli internazionali, quindi non passiamo molto
tempo insieme. Quando torna per qualche giorno a casa cerco di stare con lui il
più possibile. Il resto del tempo lo passo con mia zia Tessa, sua sorella. Lei
sa tutto del mio segreto e perfino di quello dei miei amici. È incredibile come
riesca a scoprire tutto.
«Zia Tessa, sono a casa!» urlo su
per le scale. Tessa sarà già andata nel panico per l’arrivo di mio padre e
starà correndo di qua e di là come una matta.
«Cassie, Cassie!» urla scendendo
di corsa. «Steve sta tornando!» E’ difficile chiamare Tessa zia dato il suo
aspetto. Mia madre è morta quando avevo dodici anni e visto che mio padre non
c’era mai a casa è toccato a lei occuparsi di me. Non che le dispiaccia, lo ha
fatto con piacere, ma quando è successo aveva soltanto vent’anni e spesso penso
che abbia dovuto fare dei grandi sacrifici per stare con me. «Lo so, me lo ha
detto Alice.»
«Avrebbe potuto dirlo anche a me!
Tuo padre mi ha chiamato un’ora fa da Seattle, appena sceso dall’aereo.»
«Per quanto resta?» chiedo
levandomi la giacca.
«Solo un giorno. Partirà domani
dopo pranzo.» risponde lei lanciandomi un pacchetto di biscotti.
«Non capisco dove riesci a
trovare il tempo di fare i biscotti.»
«Credi di essere l’unica ad avere
dei poteri? Ah, a proposito…»
«Si, lo so.» le rispondo
anticipandola. Steve è a conoscenza del mio segreto anche se la cosa non lo
entusiasma troppo, ma non sa nulla dei Cullen e quando viene qui cerco di
tenerli lontani quanto più possibile. Io e mio padre in realtà non parliamo
molto del mio dono, non è una cosa che gli piace particolarmente. Se siamo
nella stessa stanza cerca di non pensare a cose che potrebbero ferirmi o
infastidirmi ed io cerco di non ascoltarlo. Credo che pensi che io sia strana.
Affaccio alla finestra e lo vedo
finalmente arrivare.
«Bentornato.» gli dico aprendo la
porta. Lui posa l’unica valigia per terra e mi abbraccia. Mio padre è un grande
chiacchierone, ma non è affettuoso o espansivo. Per me va bene così: non sono
mai stata capace di dirgli delle frasi tipo “mi sei mancato” o “ti voglio bene”.
Tessa gli prepara del pollo
arrosto e sediamo tutti attorno al tavolo, mentre lui ci racconta del suo
ultimo viaggio. Quand’ero più piccola mi ripeteva spesso che appena fossi stata
abbastanza grande mi avrebbe portato con lui. Chissà se lo ricorda ancora?
«Ah, Steve, non ricordo se ti ho
detto di Sarah Black.» dice Tessa in un momento di silenzio.
«Si, lo hai fatto.» risponde mio
padre afflitto. Da quel che ricordo Steve ha due grandi amici: il capo della
polizia e padre di Bella, Charlie Swan, e Billy Black un vecchio nativo
americano che vive nella riserva di La Push. La moglie di Billy è morta, ma è
successo un sacco di mesi fa quando mio padre era ancora in viaggio. «Credo che
più tardi andrò a trovare il vecchio Billy. Venite con me?» continua Sam.
«Certo.» risponde fulminea Tessa.
La guardo per capire se c’è qualcosa che non va. Sebbene non abbia dei poteri o
non riesca a leggere nel pensiero, Tessa ha un sesto senso che farebbe invidia
perfino a quello di un vampiro. Non so com’è possibile, magari è da lei che ho
ereditato i miei poteri, ma percepisce delle sensazioni, positive o negative lo
decide lei, che riescono ad indirizzarla sulla giusta o la cattiva strada. Non
si tratta solo di indovinare se pioverà o meno, cosa non difficile a Forks,
dato che piove un giorno sì e l’altro pure.
Tuo padre ha qualcosa che non va. Tu non ci hai fatto caso, ma non ha
smesso di guardarti un secondo da quando è arrivato.
Questo è quello che pensa Tessa e
come a conferma di ciò, vedo con la coda dell’occhio che mio padre mi fissa,
quasi mi scruta. C’è sul serio qualcosa che non va.
Per tutto il
tragitto in macchina nessuno parla, solo mia zia sembra essere viva e cambia di
continuo stazione radio. Io sono occupata a sondare la mente di mio padre e lui
invece è impegnato a tenere la sua mente impegnata cantando una vecchia canzone
anni 60’.
Insomma, siamo tutti e tre molto, molto occupati.
Arriviamo alla
riserva, che tra parentesi puzza di salsedine ed è gelata, e il mio cellulare
squilla. E’ Bella, non posso non rispondere, potrebbe trattarsi di qualcosa
molto importante, così dico ai miei – si, li chiamo miei anche se Tessa non è
mia madre – di andare avanti senza di me.
Alla fine la
chiamata di Bella mi tiene impegnata cinque minuti scarsi, non era nulla di
importante, così mi avvio verso la piccola casa rossa.
Busso
leggermente, ma pare che nessuno mi senta. Allora busso più forte e sento
qualcuno urlare. Ad aprirmi è un ragazzone che occupa l’intera porta, – ad una
prima occhiata giuro che mi pare pure più grande di Emmett – ha la faccia
assonnata e anche parecchio arrabbiata, forse l’ho svegliato. Il tizio, che
ancora non mi ha rivolto parola, mi squadra dalla testa ai piedi e mi guarda
come se fossi la cosa più insignificante sulla faccia della Terra.
Beh, grazie
tante.
A parte la
faccia imbronciata ha un bel visetto, i capelli tagliati molto corti e dei
muscoli che farebbe invidia ad un campione di pesi massimi. Non so perché mi
viene in mente uno dei pesi massimi, in realtà ho di nuovo pensato a Emmett. Io
non sono una ragazza molto alta, quindi i tipi grossi e robusti mi
impressionano facilmente - non sono fissata con Emmett, ecco! -.
«Dimmi.» dice
l’energumeno.
«Dovrei
entrare.» rispondo io cercando di superarlo, ma la cosa mi riesce difficile,
dato che occupa l’entrata. Per tutta risposta, mi guarda male e mi sbatte la
porta in faccia tornando da dove è venuto. Scioccata busso un’altra volta e mi
vedo spuntare davanti un ragazzo più piccolo del precedente, ma sempre messo
bene e con una notevole somiglianza.
«Non compriamo
niente, grazie lo stesso.»
Questo cerca di
essere più gentile, ma nemmeno mi fa parlare che mi sbatte di nuovo la porta in
faccia. Ora si che mi sento sul serio presa in giro. Mi aggiusto il cappellino
di lana morbida sulla testa – me lo ha regalato Alice quando è tornata dalla
Francia, praticamente lo indosso tutti i giorni – e busso di nuovo con il fumo
che mi esce dalle orecchie. Sono un tipo calmo se non mi fanno infuriare.
Questa volta il ragazzo che mi apre – quanti ce ne saranno ancora lì dentro?! –
ha un sorriso stampato in faccia che sembra emanare luce propria. Assomiglia
agli altri due idioti di prima, ma ha qualcosa di diverso. Forse è il cipiglio
divertito ma allo stesso tempo dolce negli occhi che noto e che mi rimane
impresso.
«Senti mi
dispiace, forse non capisci bene la nostra lingua e il fatto che due persone
diverse ti sbattano la porta in faccia, ma mi piacerebbe molto che la smettessi
di bussare ancora alla porta di casa mia, perché stai disturbando sia me che i
miei amici. Comprendi?»
Ritiro il
complimento sul sorriso e sul fatto di sembrare diverso, perché questo qua mi
sembra più idiota degli altri due. La battuta alla Jack Sparrow, poi, mi fa
incazzare in maniera assurda e mi metto ad urlare.
«No, senti tu! Non so
cosa tu e i tuoi amici scemi vi siate fumati stasera, ma io sono qui fuori da
abbastanza e non mi sento più le dita dei piedi! Ora fammi entrare oppure dì a
mio padre che ci vediamo a casa!» Quasi si affoga, eppure non ha niente in
bocca a parte la sua saliva immagino.
«Sei la figlia
di Steve?» domanda allarmato.
«Oh, beh,
grazie per averlo chiesto. Ora posso entrare o devo avere un permesso scritto
da tuo padre?!» Mi azzardo a dire tuo padre perché mi pare di aver riconosciuto
l’imbecille e poi perché ha detto “casa mia”. Dovrebbe essere Jacob, l’unico
figlio maschio dei Black.
Se posso
permettermi in quanto a cervello non gli è venuto tanto bene.
Farfuglia
qualcosa imbarazzato fino alla punta dei capelli, mentre io entro gongolante.
Attraverso il salotto e tre paia di occhi mi si puntano addosso. Tutti i
ragazzi che vedo sembrano fatti con lo stampino; poi mi ricordo: riserva,
nativi americani, si assomigliano un po’ tutti per i colori e la fisionomia. E
che fisionomia!
Chiedo a Black
– se ti chiamo per cognome sei sulla mia lista nera – dove sono mia zia e mio
padre e lui mi indica la cucina, ancora rosso in viso. Ben gli sta.
La mia testa si
affolla velocemente di pensieri prettamente maschili e per un minuto sono
tentata di buttarci in mezzo qualche borsetta e un po’ di trucco tanto per
confonderli, ma mi limito ad isolarli e mi accomodo accanto a mia zia, facendo finta
di seguire la conversazione mandata avanti da Billy. Ho un bel ricordo di
quell’uomo e anche di sua moglie, a dir la verità. Mi è dispiaciuto quanto ho
saputo che è morta. Poi penso a Jacob e alle sue sorelle e a quanto devono
avere sofferto e un po’ mi sento in colpa per come ho risposto poco fa. Però io
so che vuol dire perdere la madre e so anche che qualche commento acido non fa
tanto male. A me non lo ha fatto.
Qualcuno pronuncia un nome nel
mezzo della conversazione, il nome più bello del mondo: Artemis. È il nome di
mia madre, la mia mamma greca, la mamma che adesso non c’è più. Steve
l’abbreviava in Emis e tutti la conoscevano così. Ogni notte veniva nella mia
stanza, si sedeva ai piedi del letto e mi raccontava la storia delle dee e
delle muse greche, ogni notte una diversa. Dopo la sua morte restai spesso a
fissare il punto in cui era solita sedersi, aspettando forse che tornasse lì,
ma il cancro me l’ha portata via per sempre.
Steve e Billy parlano delle loro
perdite e mio padre cerca di aiutarlo in qualche modo, ci parla, vuole che non
smetta di essere quello che è sempre stato perché Sarah non lo vorrebbe vedere
così. Gli dice anche che secondo lui sarebbe una buona idea che io e Jacob ci
frequentassimo, per fare in modo che parlandone Jacob superi la cosa.
Non capisco subito cosa ha detto mio
padre, ma poi intuisco che la cosa implica me e l’imbecille pompato nella stessa
stanza da soli a parlare. Fermi tutti. Che cosa?!
Angolo autrice:
Eccoci giunti al primo capitolo. Beh, cosa ne pensate?
Il secondo capitolo è già pronto aspetto solo le vostre opinioni per postarlo!
Cosa nasconde il padre di Cassie?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo?
Un bacio, Cel. ;)
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Capitolo 2 *** 2. Apparenze ***
2.Apparenze
Chapter 2
Apparenze
Come ho depennato una persona dalla mia
lista nera.
Sono ancora seduta al tavolo con
Steve, Tessa e Billy e sto ancora provando a digerire il fatto che dovrò uscire
con un tizio del quale onestamente non me ne frega niente e che tra l’altro mi
sta pure antipatico.
Mentre mentalmente mi sto
preparando già una decina di ottime scuse, entra nella stanza Jacob e si siede
per un po’ con noi. Steve assume il tono distaccato ma allo stesso tempo
affettuoso di uno psicanalista e parla anche con lui. Improvvisamente lo
sguardo del ragazzo cambia: perde vitalità, sembra spegnersi e per qualche
minuto mi preoccupo che possa persino sgorgare qualche piccola lacrima da
quegli occhioni scuri.
Ed è in quel momento che capisco
che quelle scuse, anche se buone, resteranno nella mia testa e non saranno
ascoltate da nessuno. Non devo niente a questo ragazzo, eppure sento di non
poterlo abbandonare in una landa di dolore sconfinata, che potrebbe essere
persino più grande di quella che ho attraversato io. Sembra quasi che abbia
pensato ad alta voce perché Jacob alza lo sguardo e mi fissa. Sono io quella
capace di leggere nel pensiero, giusto? Allora perché mi sembra che Jacob con
quei suoi occhi neri mi stia scrutando l’anima?
La visita finisce lì e prima che
me ne vada gli amici di Jacob – Embry, Jared e Paul, mi sono presa il disturbo
di rubare i loro nomi dalle loro teste – mi salutano e si scusano. Tutti tranne
Paul che ronfa sul divano decisamente troppo piccolo per lui. Steve e Billy ci
avvisano che hanno deciso il giorno del nostro incontro. Grazie per avere
chiesto il mio parere, papà.
Quando in auto esprimo il mio
disappunto, mio padre mi comunica che sarà un semplice venerdì sera al cinema.
Questa cosa mi puzza tanto di appuntamento combinato, ma questo pensiero lo
tengo per me.
Il giorno dopo racconto a Rosalie
dell’incontro – o scontro – avvenuto il giorno prima. Lei mi dice di stare
tassativamente lontana dai ragazzi della riserva, ma non ha il tempo di
spiegarmi perché che deve correre a lezione. Mi rifugio allora in Bella e dato
che abbiamo la stessa lezione di biologia – per me è una classe avanzata,
perché qui tutti sono convinti che io sia un super genio, non una super
imbrogliona – abbiamo tutto il tempo per parlare.
Le racconto di Jacob e mi
sorprendo di sentire che lo conosce e ha già avuto a che fare con lui e che con
lei è stato estremamente gentile e dolce. Le ridico il nome del ragazzo che ho
conosciuto io e per sicurezza le faccio anche una breve descrizione fisica. Pare
che sia lui.
Trascorriamo tutta l’ora a
parlare della nostra infanzia. Bella veniva a trovare suo padre solo durante le
feste e spesso capitava che Charlie la portasse dai Black per giocare con
Rebecca e Rachel. Adesso che Bella le ha nominate me le ricordo: sono più
grandi di me e onestamente non credo di averci giocato molto quando ero
piccola, però ricordo che mi piacevano un sacco i loro capelli. E la loro
pelle. E anche i loro occhi. Immagino di essere stata una bambina piuttosto
gelosetta. Tra me e loro comunque ci sono delle differenza paurose, ci somigliamo
come una pantera assomiglia a un coniglio.
Loro sono le tipiche ragazze di
La Push, alte, pelle bronzata, una cascata di neri capelli fluenti e due occhi
color cioccolato fuso profondi come l’oceano.
Io sono una ragazzina dell’Oregon
con origini greche, la mia statura non supera il metro e sessantotto, la mia
carnagione assomiglia vagamente al colore della porcellana e fa credere alla
gente che possa frantumarmi da un momento all’altro, il biondo dei miei capelli
mi infastidisce perché mi mette troppo in mostra, il rosa naturale delle mie
labbra fa credere che io porti perennemente del rossetto e gli occhi sono
identici a quelli marroni e chiazzati di viola di mia madre. Glaciali come la
Groenlandia.
Ovviamente la pantera non sono
io.
Quando la campanella suona, io
sono ancora intenta a fare dei paragoni tra me e gli animali. Tra l’altro ho
anche classificato le mie amiche: Bella rientra nella categoria conigli perché
a parte il colore dei capelli ci somigliamo un po’ , Rosalie mi sa più di
leonessa per i suoi occhi da gatta e infine Alice, che però non riesco a
classificare con nessun animale. Giunta in sala mensa arrivo alla conclusione
che sia un folletto dato che è minuta e saltellante.
Ci sediamo tutti ai nostri posti
ed io sono costretta a prendere la mia solita aspirina. Poiché la mia mente è
sempre popolata dai pensieri altrui ed io cerco di isolarne il più possibile,
soffro di perenne emicrania. Lo sforzo che compio è troppo per il mio cervello
da umana, mi ha spiegato Carlisle. Così periodicamente ritiro la mia dose di
medicinali prescritti dal dottor Cullen che mi raccomanda di farne buon uso.
Rosalie mi guarda di traverso e
capisco che c’è qualcosa che deve dirmi e che me la dirà comunque, anche se ci
sono gli altri.
«Così adesso bazzichi dalle parti
di La Push.» dice di proposito ad alta voce. Inutile dire il putiferio che si
scatena. Per fortuna oggi non ci sono ospiti o comunque non sono ancora
arrivati, altrimenti sentirebbero la ramanzina che tutti e cinque i vampiri
tentano di farmi nello stesso momento.
«Calmatevi.» dico tentando di
fermare il loro blaterare isterico. «Non ho deciso di affittare una casa nella
riserva e di invitare i miei nuovi vicini. Sto solo facendo una favore a mio
padre consolando quel povero ragazzo.»
«Anche se il tuo soprannome è
Bloody non vuol dire che tu sia forte abbastanza per andare in mezzo ad un
branco di…» Il commento di Emmett viene fermato da un calcio ben assestato
sotto il tavolo da parte di Edward. Bella lo guarda per qualche secondo,
chiedendosi come me cosa stesse per dire il nostro amico.
«Il punto è che quando siamo
arrivati qui, anni fa, abbiamo stretto un patto con la tribù dei Quiluete.»
dice Edward interrompendo gli sguardi che ci lanciamo io e Bella. «Loro ci
lasciavano vivere in città se noi non avessimo invaso le loro terre.»
«Quindi i
Cullen non possono mettere piedi nella riserva?» dico piuttosto
ovvia. Non vedo cosa c’entri io con loro.
«Non è soltanto il posto che non
va, cervellona, sono le persone. Non puoi frequentare un Quiluete. È gente
strana, pericolosa. Tieniti alla larga da loro.»
«Tenetevi.» la corregge Edward
fissando Bella. Il discorso viene concluso così velocemente che praticamente
nemmeno ne me accorgo.
Subito dopo pranzo mio padre ci
saluta con un bacio sulla fronte. Prima di andarsene mi guarda per un po’ mi fa
le solite raccomandazioni – stai attenta, fa la brava, tieni d’occhio Tess – e
si chiude la porta alle spalle.
Nel pomeriggio sono a casa,
seduta davanti alla tv, immersa in un programma di pesca estrema. Non che mi
piaccia la pesca, ma mi diverto a guardare un tizio che cerca di pescare uno
squalo enorme. Mentre sto guardando lo squalo che esce dall’acqua qualcuno
bussa alla porta di casa mia facendomi sobbalzare bruscamente. Le patatine che
avevo in grembo volano per tutta la stanza creando un disastro che Tessa mi
farà pulire. Invece va ad aprire, sapendo ovviamente chi è, e davanti mi si
presenta il ragazzo più odioso che abbia mai incontrato: Jacob Black. Peccato
che sia anche molto carino e che mi stia scrutando di nuovo l’anima con quei
suoi pozzi neri. I suoi pensieri sono quelli di un ragazzo a disagio e che non
sa cosa aspettarsi dalla serata.
«Quindi cinema, eh?» accenna
Jacob in macchina. L’intero tragitto è stato occupato dalla sua voce intenta a
raccontarmi i particolari della costruzione della sua Golf. Mi ha raccontato
quanto è stato facile trovare i pezzi, mentre la sua mente diceva il contrario,
di quanto sia stato veloce nel montaggio, mentre la sua mente diceva che
c’erano voluti mesi: insomma, il ragazzo e la sincerità non andavano proprio
d’accordo.
«Pare che i nostri genitori
abbiano deciso così.» rispondo laconica.
«Non ti andava, vero? Cioè, di
perdere un venerdì sera con me.» Leggo i suoi pensieri e pare che sia scontento
all’idea che sia così. Non capisco perché, però.
«Non che io ci tenga
particolarmente, ma immagino che tu abbia di meglio da fare. Conosci Bella
Swan?»
Questo ragazzo corre più di una
Ferrari! Il cambiamento di argomento è così repentino che riesco a focalizzare
solo l’ultima domanda.
«Si» rispondo. «Si, perché?»
«La conosco anche io.» Bugiardo e
inconcludente.
«Allora la conosciamo in due. Che
vuoi da Bella?» I commenti acidi sono il mio forte, non posso farci niente, non
riesco a trattenerli. Improvvisamente le parole dei Cullen mi tornano in mente:
i Quiluete sono gente strana e pericolosa. Ma perché? Fisso Jacob aspettando
che risponda ed effettivamente sta parlando, ma io sono persa nei meandri della
sua mente, in quella parte del cervello che sforziamo di più, quella che
nasconde le cose. Sono convinta che per essere così pericolosi nascondano un
segreto e allora io non devo far altro che tirarlo fuori.
Inizialmente trovo cose stupide,
segreti da ragazzino. Alla fine, quando sento che sono ad un passo dall’aver
trovato quel qualcosa che mi nasconde, la sua voce mi riporta alla realtà.
«Cassandra, ci sei?!» Jacob alza
la voce e io con uno scatto torno a fissare la strada.
«Si, scusa.» Lo sento sospirare
sonoramente e poi dice:
«Mi dispiace per quello che è
successo l’altro giorno, non volevo essere maleducato.»
«Già, siamo partiti con il piede
sbagliato.» dico anche se so che sta di nuovo cambiando discorso. Smetto di
frugare nella sua mente altrimenti la mia potrebbe esplodere, preferisco fare
finta di credere a quello che mi dice.
La serata non va male, vediamo un
film comico e insieme ridiamo delle battute. Mi compra i pop corn e paga lui la
cena al fast food. È così che definirei una serata tra amici, a parte per il
fatto che non ho sborsato un dollaro. Oh beh, non lo faccio nemmeno con i
Cullen.
Mentre siamo ancora seduti sulle
comode sedie imbottite e di finta pelle che gustiamo i nostri milkshake ci
guardiamo in silenzio. So di cosa vuole parlare, sento che lo vuole ed io so come affrontare la situazione. Avrei
voluto anche io qualcuno con cui sfogarmi al tempo.
«Se vuoi comincio io.» dico
mettendomi a sedere meglio.
Jacob mi guarda per un po’, mi
studia e poi annuisce debolmente. In questo momento è come se non ci fosse, fa
finta di essere super impegnato a controllarsi la cannuccia.
«Mia madre è morta di cancro.
Alla gola. Quando è successo avevo dodici anni e lei era tutto il mio mondo. Ho
cominciato a capire che qualcosa non andava quando mia zia Tessa venne a stare
a casa nostra. Non ho pianto mai, nemmeno al funerale. Vedermi piangere la
distruggeva e così non l’ho mai fatto… Fino a quando non c’è stata la riunione
genitori-insegnanti ed io mi sono resa conto che mia mamma, da quel momento, se
le sarebbe perse tutte.»
Fa un sorriso debole,
malinconico. Ho sempre pensato che parlare di mia madre mi faccia bene, ma di
solito ne parlo con Tessa. Va a finire sempre che lei scoppia a piangere e che
io la consolo. Dopo quasi sei anni la sua reazione mi pare esagerata o forse
sono io insensibile?
Ma la cosa che mi sorprende è che
questa storia, la storia della morte di mia madre, non la racconto quasi a
nessuno. I Cullen sono così pacifici e comprensivi che praticamente ho sputato
il rospo il giorno dopo che li ho conosciuti, ma Jacob? Perché gliela sto
raccontando a cuore aperto? È una cosa totalmente assurda. Sarà magari che
sento una specie di connessione con lui che può capirmi. Non sto molto a
pensare alla mia teoria e continuo il mio racconto.
«Si chiamava Artemis, ma tutti la
conoscevano per Emis. Era greca, così bella, peccato che io non abbia ereditato
niente da lei. Ah, a parte gli occhi, ma su di me sono così insignificanti.» mi
lagno falsamente. Lui lo capisce e mi fissa per guardarmi meglio gli occhi e
per rivolgermi un sorriso sincero. «Era gentile, dolce, ma non quel dolce
mieloso o del tipo apprensivo. Mi piaceva guardarla mentre spolverava. Si dai,
ridi pure. Lo so che non è una cosa normale, ma io la trovavo molto aggraziata.
Quando puliva le mensole sembrava una ballerina. È il ricordo che mi è rimasto
più impresso.» Aspetto che parli, deve farlo da solo, non posso costringerlo
io. Da un ultimo sorso al milkshake e provoca un forte rumore di risucchio.
«Dovresti ricordare mia madre,
venivate spesso alla riserva.» Annuisco al ricordo della donna che urlava
dietro ai suoi figli per fargli indossare il giubbotto.
«E’ morta in un modo così comune,
così stupido che non riesco ad accettarlo. O meglio, accetto il fatto che sia
morta, non posso fare niente per tornare indietro, ma non riesco ad abituarmi
all’idea che non sarà più qui con me. Tutti si aspettano che io sia arrabbiato,
che abbia voglia di spaccare tutto, ma voglio solo un po’ di tranquillità e in
più cerco anche di sostenere mio padre.»
Quasi mezz’ora dopo di
chiacchierata, sento di essere stata un po’ frettolosa a giudicare il ragazzo
al mio fianco che canticchia una canzone dell’autoradio. Sono stata bene
stasera e quando mi riaccompagna a casa e mi dice la stessa cosa non sono
affatto sorpresa.
Jacob è una bella persona – in
tutti i sensi! – ed io mi chiudo la porta alle spalle con un sorriso.
Angolo Autrice:
Beh,
che dire? Il seguito non è stato quello che mi aspettavo e
recensione ne ho ricevuta una sola (altamente gradita fidati ;D)
Spero che chi
legge in silenzio gradisca la storia, ma sarebbe più carino se
mi diceste cosa pensate. Sapete io non leggo nel pensiero!
Detto questo vi lascio con un bacino,
Cel.
|
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Capitolo 3 *** 3. Libri della Mamma ***
3.libri della mamma
Chapter 3
Libri della mamma
La famiglia Black ha molti scheletri
nell’armadio.
Stare a casa Cullen mi piace
troppo. È come trovarsi in una di quelle case da catalogo che puoi solo sognare
perché costano troppo. La cosa più bella – ed ironica, se vogliamo – è che ci
sono sempre il frigo e la dispensa pieni, come se loro toccassero qualcosa. Ma
mi va bene così, io e Bella almeno abbiamo di che sfamarci. In realtà sono io
quella che ne approfitta di più, Bella ed Edward hanno una relazione un po’ strana,
stanno sempre per i fatti loro. Questo almeno è quello che pensa Alice. Io
credo invece che vogliano la loro intimità, i fratelli Cullen sono tipi un po’
impiccioni.
Una volta Emmett e Jasper si sono
messi in testa di trovarmi un ragazzo. Fosse stato per loro si sarebbero messi
a minacciare tutti i ragazzi della scuola finchè non avessero accettato di
uscire con me. Per fortuna io e Rosalie siamo riuscite a farli desistere da
quello strampalato piano.
«Jacob Black è stato molto
gentile con me. Non capisco cosa ci troviate di tanto sospetto o pericoloso.»
dico a Rosalie mentre bevo una cioccolata calda.
«Fidati, l’aspetto a volte
inganna. Insomma, anche noi siamo bellissimi e gentili, ma siamo pur sempre dei
vampiri. Potremmo uccidere chiunque senza difficoltà.»
«Il cipiglio che hai quando dici
certe cose mi spaventa, perciò farò finta di non aver sentito.»
Rosalie ride, sa che dico sul
serio. Essere amica di un clan di vampiri può essere una cosa forte, ma anche
estremamente pericolosa. Fortunatamente i Cullen sono “vegetariani”, si nutrono
solo di sangue animale, così si occupano anche del sovrappopolamento della
specie.
Non ho molti altri amici, a dire
la verità nemmeno uno con cui mi piacerebbe passare il pomeriggio.
«Non è che ti piace un po’ troppo
questo Black?» chiede pettegola.
«Ti ho detto che è stato gentile
e carino. Tutto qui.»
«E quanto è carino,
precisamente?»
«Molto.» mi lascio scappare. «Ma
questo non influisce minimamente sul mio giudizio.» cerco di riprendermi. Jacob
Black non mi piace in quel senso.
«Secondo me ti piace, non molto
ancora, ma a te piacciono tutti quelli che ti trattano bene.» dice quella che
si considera la mia migliore amica. Eppure mi conosce così bene.
«No, non è vero. Prendi Mike
Newton: lui non mi piace affatto!»
«Lui non ti piace perché è
tremendamente stupido e la sua cortesia serve solo a fare breccia nel tuo
cuore. Nel tuo o in quello di Bella. O in quello di qualsiasi altra persona.»
Effettivamente ha ragione, Mike è
un farfallone e noi due ci divertiamo così tanto a prenderlo in giro. Bella ha
provato in tutti i modi a liberarsi di lui quando è arrivata qui, ma lui
sembrava non capire di non essere affatto gradito. Da quando lei ed Edward
stanno insieme non si avvicina più di un millimetro.
«Cassie, ascoltami: i Quiluete
non sono una compagnia molto raccomandabile per una come te.»
«Che vuoi dire con una come me?»
«Un’umana, una piccola e fragile
umana. Girano strane voci su di loro e se quelle voci sono vere non voglio che
ti avvicini più alla riserva.» Comincio a diventare curiosa e Rosalie lo sa,
quindi quando la guardo con gli occhi sbarrati sa che deve dirmi qualcosa o
sarò capace di farle venire un’emicrania.
«Che voci girano?»
«Si dice che i loro antenati
fossero dei licantropi e che adesso lo siano anche loro.»
«Forte!» è la prima cosa che mi
esce dalla bocca e che fa infuriare Rosalie. «Licantropi di quelli che ululano
alla luna?»
«Di quelli che uccidono la gente,
Cassie! Ecco perché non volevano che te lo dicessi, perché tu prendi tutto alla
leggera.» risponde scontrosa.
«Anche voi dovreste uccidere la
gente, ma non lo fate.» dico a bassa voce.
«Noi riusciamo a controllarci,
pensi che un animale farebbe lo stesso?»
La conversazione si conclude ed
io non credo che quelle voci siano vere. Jacob mi sembra il ragazzo più normale
del mondo. I licantropi? Se davvero esistono, lui non lo è.
Qualche settimana dopo sono in
macchina un po’ annoiata per il compito che mi è stato affidato. Mio padre ha
chiamato da un qualche albergo di Berlino e mi ha chiesto di portare
urgentemente a casa Black un pacco conservato in mansarda. Non so di cosa si
tratta perché mi ha raccomandato di non aprirlo e non faccio nemmeno la curiosa
perché mio padre lo odia. Ogni tanto lancio delle piccole occhiate al pacco che
sta sul sedile accanto a me, ma cerco di ricordarmi che non devo aprirlo. Sarò
sincera: ho provato a scuoterlo un po’, ma non emette nessun rumore
riconoscibile, soltanto un piccolo tonfo sordo.
Arrivo finalmente alla riserva e
dalla finestra della piccola casa rossa vedo sbucare la testa di Billy. Lo
saluto con la mano mentre scendo dalla macchina e prendo il pacco.
«Ciao.» Jacob arriva alle mie
spalle mettendomi paura. Lo scatolo cade per terra, ma lui lo prende prima che
cada al suolo in un lampo.
«Sei impazzito? Mi hai fatto
prendere un colpo!»
«Scusa.» dice ridendo. «C’era
qualcosa di molto fragile?» chiede indicando il pacco.
«In realtà non lo so. Aspetta
controllo.» Sto morendo di freddo e credo che tra un po’ si metterà a piovere.
So anche che non avrei dovuto aprire il pacco come mi era stato richiesto, ma
in fondo sto solo controllando che sia tutto in ordine, no? Insomma, non faccio
niente di male.
Jacob mi fissa mentre faccio
delle strane facce, almeno è quello che penso, perché dentro al pacco ci sono i
libri di mia madre, quelli da dove prendeva le storie che mi raccontava ogni
sera.
Perché mai mio padre dovrebbe
darli urgentemente a Billy Black?
«Tutto a posto?» si informa
Jacob.
«Si, niente di rotto.» rispondo
laconica. «Lo porti tu dentro?»
«Perché non entri un secondo,
magari ti offro qualcosa di caldo.»
Accetto perché mi sembra scortese
dire di no ed entro con lui in casa. Billy è visibilmente contento di vederci
insieme, ma pensa di non darlo a vedere. È contento anche nel vedere il pacco.
Cerco di informarmi un po’
sull’utilità dei libri, ma è molto evasivo, per cui sono costretta a leggere i
suoi pensieri.
Il consiglio sarà molto contento di questi. Emis diceva sempre che ci
sarebbero stati utili per capire i freddi meglio. Staremo a vedere.
Sono davvero molto confusa. Cos’è
il consiglio e che c’entra mia madre?
Cerco di capirci meglio, ma è
tutto inutile. Né Jacob, né Billy pensano a qualcosa che possa essermi utile.
Provo anche a indirizzare i loro pensieri verso questo consiglio, ma non
sapendo bene di cosa si tratta non posso farli concentrare su un pensiero
fisso.
La pioggia che tanto temevo è
arrivata. Io odio guidare sotto la pioggia, è una cosa per cui non sono proprio
portata la guida, lo faccio solo per utilità. Quando viene l’ora di andarmene
preferirei non farlo. Jacob, che come al solito sembra avere capito tutto mi
invita a restare giusto il tempo che passi la pioggia. Alla fine Billy è
costretto a invitarmi a cena perché la pioggia è diventata una terribile bufera
che sembra non volere passare.
«Si, Tessa, sto bene. Scusa, zia.
No, non chiamo da un ospedale! Stai scherzando? Ok, ti chiamo più tardi. Si, da
casa Black certo! A dopo, ciao Tes.. Zia!»
Parlare con Tessa quando è
preoccupata è allucinante! Pretende persino che la chiami zia. Jacob seduto al
tavolo è stato preso da una raffica di risate a sentirmi parlare. Torno a
sedermi anche io al tavolo con lui e a ridere del ronfare di Billy che dorme
beatamente sul divano.
«Allora, viso pallido. Che si
dice dalle tue parti?» dice Jacob scherzando.
«Si dice che odiamo essere
chiamati visi pallidi.» scherzo anche io.
«D’accordo, allora ti chiamerò
Cassandra.»
«Preferisco Cassie, è più corto e
più pratico. Guarda che è un onore. Soltanto i miei amici mi possono chiamare
così.» scherzo.
«Certo, certo, immagino. Puoi
chiamarmi Jake se vuoi, ti faccio questo onore.»
«Mi piace Jake.»
«Perché è più pratico?» ride.
Andiamo avanti così per un po’ e il tempo passa molto velocemente, a differenza
della tempesta che sembra avere deciso di tenermi inchiodata lì. Il telefono di
casa squilla svegliando Billy. Jacob prontamente risponde e sta per un po’ in
silenzio.
«No, Bells, non credo. Lo dirò al
vecchio, sai com’è. Salutami tuo padre, ciao.»
«Bella Swan?» chiedo curiosa.
Intanto il vecchio Billy è tornato a dormire.
«Proprio lei. Suo padre e il mio
hanno, diciamo, litigato come dei ragazzini. Credo che domani passeranno.»
«Litigato?»
«Si.» sospira con un mezzo
sorriso. «Qui alla riserva hanno una strana convinzione. Una cosa stupida, lascia
stare.» Lascio stare, d’accordo, ma con la mente subito percepisco i suoi
pensieri.
Invece fanno bene a tenere alla larga i Cullen. Stupidi vampiri.
La forza di quel pensiero mi
sconvolge e molto di più quello che ho sentito. Vampiri, come fa lui a sapere
che sono dei vampiri? Per poco non cado dalla sedia. Jacob se ne accorge e
cerca di prendermi. Appena la sua mano afferra il mio braccio sento come se mi
stesse bruciando. Mi ritiro subito dal suo tocco e fisso il suo viso
imbarazzato.
«Hai tenuto la mano per un’ora
dentro una piastra calda?» non risponde e so che mi sta nascondendo qualcosa.
Smetti di chiedere, ti prego.
Io non smetto affatto, continuo
anzi.
«Oppure hai una febbre molto alta.
Non ce l’hai un termometro?»
«Non preoccuparti, questa è la
mia temperatura normale, sto benissimo.»
«Io non credo. Sei sicuro?»
«La tempesta è finita.» mi
risponde un po’ arrabbiato e capisco che è il momento di smetterla e di andare
via.
Ripenso per tutta la notte a
quello che è successo e non riesco a venire a capo di niente.
Avevo ragione però a pensare che
mi nascondesse qualcosa, ora voglio scoprire cosa. Che Rosalie avesse ragione?
Che quella storia dei licantropi sia vera?
Non lo so, fatto che sta che
tutta questa storia mi arrovella il cervello e il mattino dopo ho troppo sonno
persino per parlare e il quel sabato mattina diventa il più brutto della mia
vita.
Scendo le scale per andare in
cucina, ancora con il pigiama addosso, e mi scontro con Tessa.
«Ehi, Bella Addormentata, guarda
dove vai. Stai ancora dormendo?» chiede e la sua voce mi sembra così
terribilmente alta.
«Ehi tu! Perché urli? Sabato
mattina, notte insonne, grande mal di testa, hai presente?»
«Tutto a posto?» chiede
bisbigliando e prendendomi in giro.
«Insomma. La colazione è già pronta?»
«No, tesoruccio di zia. Pensaci
da sola, io ho il bucato da sistemare.»
Così mi ritrovo a prepararmi la
colazione da sola. Ripeto: è sabato mattina e non ho voglia di fare nulla.
Metto la padella sul fuoco e ci butto le uova. Mentre aspetto che le uova si
addensino ripenso alla sera precedente. Sono così tremendamente curiosa! Subito
penso che devo dirlo ai Cullen: se qualcuno è a conoscenza della loro natura
dovranno pur saperlo.
Nemmeno ho finito di pensarlo che
il mio cellulare squilla. Il messaggio è di Alice, dice che sa che devo dire
qualcosa a tutti e che stanno arrivando. Mi fiondo sotto la doccia perché sono
un disastro.
Qualche minuto dopo arriva la
famiglia Cullen al completo. Tessa è sempre stressata dalle loro visite perché
non può mai offrirgli niente. A meno che non abbia un po’ di sangue animale in
frigo, ma non credo.
«Sapevamo già che erano a
conoscenza del nostro segreto, Cassie.» dice Carlisle dopo avermi ascoltata.
Allora perché mi ha fatto parlare.
«La verità è che non volevamo
dire né a te, né a Tessa che i Quiluete nascondono un segreto simile al nostro:
sono licantropi.» mi spiega Edward. Quasi mia zia sviene. Comincia a
straparlare – in questo è uguale a me – dice che non si è mai accorta di
niente, che è impossibile che i Black si trasformino in animali. Cerchiamo
tutti di tranquillizzarla, ma la situazione è più grave di quella che pensavo.
Se i Cullen mi stanno dicendo che loro sanno per certo che i licantropi
esistono ed abitano a qualche kilometro da casa mia, non c’è niente su cui
scherzare.
Ma sono ancora convinta della mia
idea: Jacob non può essere un licantropo e sono pronta a dimostrarlo.
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Capitolo 4 *** 4. Scoperte ***
4. Scoperte
Scusate la sparizione improvvisa. Adesso però sono tornata e non vedo l'ora di continuare questa storia.
Un bacio, Cel.
Chapter 4
Scoperte
Io avevo torto e loro ragione.
Quando sei terribilmente goffa e
pigra percepisci la palestra come un luogo ostile e disumano. Ecco perché sono
in segreteria intenta a farmi fare un permesso. Non è molto difficile
condizionare la mente della povera segretaria e uscire da lì con un foglietto
rosa in mano. Con la mia migliore espressione da malata consegno il foglio
all’insegnate e mi defilo nel parcheggio.
Rosalie spunta poco dopo davanti
al mio parabrezza e mi fa saltare in aria. Senza invito entra nell’auto e mi
toglie gli auricolari.
«Ti
adoro quando fai perdere un battito al mio cuore.», dico sarcastica.
«Vuol
dire che è vero amore.», risponde lei con un sorriso finto quanto una banconota
da tre dollari. Come fa ad essere sempre così perfetta? Eppure non indossa
niente di particolare, ma credo che lei e i suoi fratelli risulterebbero dei
modelli da copertina anche con degli stracci addosso. E anche dopo aver finito
la maratona di New York.
«Qual è
la scusa questa volta?», continua alludendo alla mia assenza dalla palestra.
«Oggi
sono indisposta.»
«Oh, mi
piace essere un vampiro solo per non dover sopportare quei dolori ogni mese.»
Devo
ammettere che sono un po’ arrabbiata con lei e lei lo sa bene. Insomma avrebbe
potuto dirmi della storia dei Quiluete invece di rifilarmi una stupida mezza
verità. Ma la verità è che non do importanza a quella storia – continuo a
credere che Jacob non possa essere in nessun modo un licantropo – per cui non
dico niente a riguardo.
«Allora,
per stasera?», chiede fissandomi. Purtroppo devo darle buca e so già che la
scusa che le proporrò non la convincerà.
«Oh,
non credo di poter esserci. Peccato perché sai quanto ami Charlotte.» Charlotte
Brontë è la mia scrittrice preferita da sempre. Ho letto Jane Eyre quando avevo
undici anni. Stasera avremmo dovuto vedere la versione cinematografica del libro.
«Sono
sicura che lei avrebbe amato te, se non le avessi rifilato una buca.»
«Ma che
buca? Sono in ritardo con la consegna di un compito, tutto qua. Non posso
manipolare la mente dei miei professori fino al diploma.» Non ha dei poteri, ma
credo che non le servano per capire che sto mentendo.
«Facciamo
finta che io ti creda,» ecco lo sapevo che non se l’era bevuta. «faresti questo
suddetto compito da sola, vero? Non ci sarà nessun presunto licantropo ad
aiutarti, giusto?»
Rido
sonoramente e così falsamente da risultare ridicola persino alle mie orecchie.
«No.», dico seria alla fine perché il suo sguardo mi terrorizza.
Se ne
va via dicendo di fidarsi di me, ma mi raccomanda comunque di stare attenta.
Non sa quanto invece ci abbia preso, anche se non credo che Jacob sia in grado
di aiutarmi con i compiti.
Quel
pomeriggio Bella chiama a casa mia e per tutto il tempo della telefonata devo
ricordarmi che lei non sa niente dei licantropi. Edward ha deciso di non
dirglielo per proteggerla, anche se io credo che questo la farà infuriare e
basta. Non sopporto l’idea di non poterle dire niente, ma non ho altra scelta.
Quando riaggancio mi volto verso Jacob che se ne sta seduto al tavolo della mia
cucina.
«Tua
zia non c’è?», chiede sorseggiando un’aranciata.
«Credo
sia andata al supermercato. Strano che non mi abbia delegato, odia fare la
spesa.»
La
faccenda non è strana per niente. Tessa, come quei due pettegoli di Steve e
Billy Black, fa di tutto per avvicinare me e Jacob che guarda caso aveva
bisogno di una mano con un compito di inglese proprio oggi. Non rifiuto di
aiutarlo perché mi piace la materia, ma questa cosa comincia a darmi sui nervi.
Mi
siedo di fronte a lui raccogliendo le ginocchia al petto e tento di finire un
compito che davvero avrei già dovuto consegnare. La professoressa Lloyd mi ha
concesso un altro giorno senza aiuto di doni speciali, quindi sto cercando di
fare davvero un buon lavoro.
Il
lavoro però risulta difficile con gli occhi di Jacob puntati addosso.
«Jacob,
devi dirmi qualcosa?»
«Non ti
avevo fatto onore di chiamarmi Jake?», sorride mentre lo dice. Quel cavolo di
sorriso è lo stesso che mi ha colpita la prima volta e come quella volta mi
sorprende.
«Jake,
scusa.», sorrido anche io di riflesso. «Tutto ok?»
Sono
passata un’altra volta a casa sua prima di oggi con il pretesto di portare una
torta fatta da Tessa. Credo che sia per questo che mia zia continua a spingermi
verso lui, crede che io voglia
vederlo. In realtà ero andata lì solo per cercare di scovare qualcosa sul
consiglio segreto che si servirà dei libri di mia madre per chissà cosa. In
quel frangente sono rimasta un po’ con Jacob – Jake – prima che arrivasse Billy
e non nascondo che c’era un certo imbarazzo. Lo vedevo così vulnerabile che
decisi di controllare i suoi pensieri. Percepivo stanchezza e sonno, ma non mi
sembrava strano più di tanto. Poi fu un pensiero a incuriosirmi. Continuava a
pensare alla ronda che avrebbe dovuto fare, ma che avrebbe ritardato a causa
mia. Valutai l’ipotesi che facesse parte di un qualche gruppo di fanatici del
controllo che organizzavano ronde nel quartiere, eppure c’entrava il bosco in
qualche modo quindi era piuttosto improbabile.
«Veramente…»,
fa Jake. «E’ un po’ che non sento Bella e volevo sapere se per lei è tutto ok.»
La
domanda mi spiazza, ma mi da un po’ di sollievo. Credevo che avesse capito che
in qualche modo lo spiavo.
«Oh.»,
mi esce come una stupida. «Ehm, credo che abbia qualche problema con il
ragazzo.»
Edward
mi odierà per questo, ma è l’unica scusa che mi viene in mente. L’espressione
di Jake cambia velocemente, tanto quanto i suoi argomenti di conversazione.
Sembra veramente arrabbiato, stringe un pugno sotto il tavolo. Ma la cosa che
mi preoccupa sono i suoi pensieri. Ho paura.
«Esci.»,
gli dico alzandomi in piedi.
Ucciderò quel lurido succhiasangue. Non la
merita.
«Cosa?»,
chiede non capendo.
Una delle mie zampate e lo metto k.o., ci
scometto.
«Ho
detto…»
Devo calmarmi o mi trasformerò qui dentro.
«…esci
da questa casa.»
Il mio
tono è glaciale o almeno spero, perché in realtà ho paura. Quello che mi hanno
detto i Cullen è vero: Jacob è un licantropo, lo sono tutti loro è ovvio.
Perché non mi sono semplicemente fidata dei miei amici? Sono sempre così
maledettamente testarda, mi odio.
Perché sembra spaventata?, pensa.
«Perché
lo sono!», urlo, ma subito dopo mi tappo la bocca.
Adesso
i suoi occhi si fissano sui miei e la mia paura aumenta a livelli
impressionanti. Morirò oggi o mi lascerà viva? I licantropi mangiano le
persone? Se muoio Rosalie mi trasformerà solo per dirmi “Te lo avevo detto” e
poi mi ucciderà di nuovo. Paradossalmente è questo di cui mi preoccupo ora.
«Smettila
di indugiare!», imploro. «Fallo e basta!»
«Fare
cosa, Cassie?», il suo tono di alza di un’ottava, è incredulo. Non ha l’aria
del lupo cattivo.
«Uccidermi!
Insomma, non è questo che fate voi?»
Anche
lui adesso è in piedi e cerca di avvicinarsi a me. Per tutta risposta io
arretro violentemente e finisco contro il piano da cucina.
«Tu
come fai a sapere che noi…»
«Oh
Dio! Allora uccidete davvero le persone.» Ormai sono in modalità parole-a-raffica.
Comincio a dire frasi senza senso sui licantropi e sulla luna piena e Jacob mi
osserva con gli occhi spalancati. Nemmeno mi accorgo che si è avvicinato e che
cerca di fermare il mio flusso di parole. Mi prende per le braccia e mi scuote
un po’. Finalmente la mia bocca si chiude.
«Ascoltami.»,
dice sorprendentemente calmo. «Io non uccido nessuno, noi non lo facciamo. Ora
spiegami come sai quello che sono.»
I suoi
occhi hanno il potere di incatenarmi. Cavolo, ce li ha davvero i poteri. Mi calmo
un po’ e il calore delle sue mani sulle mie braccia mi aiuta.
«Leggo
nel pensiero.» Altro che flusso di parole. Ogni volta che mi sta un po’ vicino
e mi guarda riesco a dirgli cose che non pronuncerei mai ad alta voce, come la storia
della morte di mia madre. Questo ragazzo non significa niente per me, ma riesco
a parlargli come se ci conoscessimo da una vita. È una cosa positiva o dovrei
preoccuparmi?
Jacob
molla la presa su di me e sbatte le palpebre, soppesa la cosa. Anzi comincia a
pensare a numeri e parole e vuole che io indovini. Alzo gli occhi al cielo per
la puerilità della cosa.
«Sette.
Ventotto. Washington. No, Jake non credo di essere una sensitiva. Possiamo
smetterla ora?»
Torna a
sedersi al tavolo e si passa una mano sul volto.
«Tu non
dovresti sapere.»
«Sei
più scioccato dal fatto che io sappia il tuo segreto che dal fatto che io leggo
nel pensiero?», rido e mi siedo di nuovo al mio posto. L’assurdità della
situazione mi rende ironica.
Passiamo
quasi un’ora a parlare di me e di quello che riesco a fare con il mio dono. Gli
racconto della prima volta che ci siamo incontrati e di quando mi ha raccontato
della sua auto e ha mentito. Poi quando arriva il suo turno mi faccio spiegare
un po’ di cose ed è tutto diverso da come me lo ero immaginato. Ne sono
piacevolmente sorpresa.
«Non
uccidiamo la gente e non ululiamo alla luna. Credo di averti detto tutto.»
In quel
momento arriva Tessa e lo invita a rimanere a cena, ma lui declina l’invito
cordialmente.
«Ho
visto Alice poco fa.», mi dice mia zia. «Era insieme al dottor Cullen.»
«Al
supermercato?», lo chiedo senza pensarci. In fondo tutti e tre sappiamo cosa
sono i Cullen, ma Tessa non sa che anche Jacob sa. Mi sento confusa. Infatti
ricevo un’occhiataccia e da lei e vedo Jake sorridere sotto i baffi – che in
realtà non ha –.
«Beh,
si. Mangiano anche loro. Comunque ti salutano. Gli ho detto che avevi un
compito da finire e un ospite da aiutare.»
Vorrei
sotterrarmi. In questa città sono tutti maledettamente chiacchieroni, se
imparassero a farsi i fatti propri io avrei qualche problema in meno. Sapevo
che prima o poi i Cullen sarebbero venuti a sapere della mia bugia, ma mi
auguravo più poi che prima. In silenzio accompagno Jake alla porta.
«Possiamo
vederci stasera?» La sua richiesta non mi suona strana, anzi potrei dire che
l’avevo prevista. «Per parlare.», aggiunge come se ce ne fosse bisogno.
«Non
credo di riuscire ad uscire.»
«Dì che
stai andando dai tuoi amici vampiri, Tessa approverà.»
Gli ho confessato
che Tessa sa la verità, ma meglio non farsi sentire, per cui gli mimo di
abbassare la voce. Capisco che la sua è una battuta altamente sarcastica, a
quanto pare anche lui è un maestro di quest’arte.
«Verrò
io qui così non dovrai andare lontano, ok?» Mi limito ad annuire. «A dopo, viso
pallido.»
I
pensieri di Jacob mi avvisano che è arrivato prima dei sassolini che tira
contro la mia finestra. Mi affaccio e gli faccio segno che sto per scendere.
Dico a Tessa che sono dai Cullen e come previsto lei non obbietta. Jake mi
sorride e mi porta dall’altro lato della strada, tra gli alberi. Ci sediamo su
una roccia piatta e riprendiamo la discussione del pomeriggio.
«Perché
sei a petto nudo?», gli chiedo. La domanda avrebbe un seguito, ma sono ancora
lucida e non la pronuncio. I suoi muscoli sono notevoli e senza quelle
magliette leggere mi impressionano. Ora che ci penso non l’ho mai visto con un
maglione o un giubbotto e visto che siamo a Forks la cosa avrebbe dovuto
insospettirmi. Sono proprio stupida.
«Temperatura
da lupo, ricordi?»
«Si,
giusto.»
«Mi fai
vedere cosa sai fare?»
La sua
richiesta mi pare normale, anche i Cullen hanno chiesto la stessa cosa quando
hanno saputo.
Nella
sua mente leggo pensieri di aspettativa, sembra allegro e a suo agio.
Mi fa ridere, sembra quasi un bambino che aspetta un regalo da un
momento all'altro. Chiude gli occhi e sospira. Comincio
a cambiare i suoi pensieri, mi sforzo un po’ perché non so
come funziona la
mente di un licantropo, anche se credo che sia come tutte le altre.
Penso al
freddo, al gelo polare, impongo alla sua mente di vedere un enorme
ghiacciaio
davanti a lui, gli faccio credere di essere immerso nella neve e di
stare
congelando. Lo vedo rabbrividire.
«Wow.»,
dice stupefatto. «Non sentivo freddo da un po’.»
«Io sto
congelando.»
Jacob alza il braccio, credo per mettermelo intorno alle spalle, –
oppure ha una paralisi al braccio – ma non riesce nemmeno a finire il gesto,
che una voce che conosco troppo bene lo ferma.
«Giù le
mani, cane.» Rosalie arriva in un secondo al mio fianco e mi trascina lontana
da Jacob. Il suo tocco freddo è uno shock e il cambio di temperatura repentino
mi fa venire i brividi.
«Rosalie,
non stava facendo niente.»
«Certo,
per ora. Se perdesse il controllo che cosa avresti fatto? Dannazione, che ti
costa ascoltarmi per una volta?» E’ infuriata e non le do torto soltanto perché
so che sta pensando con la mente bacata di una vampira centenaria.
Jacob
resta lì a fissarla con uno sguardo omicida e si mette un
po’ a sbuffare, ma i
suoi pensieri sono diversi da quelli che aveva quando era a casa. Sono
tranquilla e fiduciosa che non farà niente di avventato.
«Non la
stavo sbranando, mi pare.» Ottima constatazione.
«E non
ne avrai occasione, visto che la vostra conoscenza
finisce qui.»
«Rosalie!»
Mi allontano da lei. «Capisco che la mia incolumità ti preoccupi, ma non c’è
bisogno di essere così fastidiosa.»
Il suo
sguardo diventa di fuoco. Non parla e so che è peggio, perché sono i suoi
pensieri che parlano per lei. È arrabbiata, si sente praticamente tradita ed è
veramente molto preoccupata per me. Tra gli alberi vedo Emmett, che cerca di
nascondere la sua enorme stazza. Rosalie scompare in silenzio e se lo trascina
dietro. Corro dietro di loro o almeno ci provo perché Jacob mi ferma.
«Credo
che dovresti tornare a casa, Cassie.»
Per una
volta nella mia vita resto zitta. Decido di non andare a casa Cullen,
prima di tutto perchè sono infastidita dalla situazione e poi perchè
non saprei come comportarmi. Non volevo fare arrabbiare così Rosalie, ma
non mi sembrava di fare niente di male. Ora che ci penso la sua reazione mi
pare davvero esagerata e non è giusto trattare così qualcuno che non conosci. Se
io riesco a capirlo perché lei no?
Jacob
mi riaccompagna fino al portico. Mia zia al piano di sopra sta già dormendo. Non
mi va molto di parlare e prevedo un’altra notte in bianco.
«Dovrei
dire che mi dispiace per come è andata con la tua amica?», chiede con le mani infilate nelle tasche dei pantaloncini
di jeans sbrindellati. Anche lui ha da ridire sulle mie conoscenze, bene.
«Fa
come preferisci, saprò se mi mentirai.», rispondo sorridendo a malapena.
«E’
davvero l’ultima volta che ci vediamo?»
Non capisco
se nella sua voce c’è rammarico o la sua è una semplice domanda per sapere come
comportarsi. L’istinto mi porta ad ascoltare i suoi pensieri, ma mi blocco e
cerco di isolarlo. Sono stanca di ascoltare i pensieri altrui per oggi.
«Capirò
se non vorrai più vedermi.», dico e stavolta so che sicuramente il mio tono è
rammaricato. Jacob è una bella persona, licantropo o no. E' stranamente simpatico – chi lo avrebbe detto dopo il nostro primo incontro? –
e almeno non ha cominciato a fare discorsi contro i vampiri e sul fatto
che probabilmente potrebbero usarmi come dessert alla prossima festa di
Alice. Bella sarebbe un ottimo primo secondo me.
«Effettivamente
avrei dovuto capire che bazzicavi dalle parti delle sanguisughe: hai un odore
terribile.»
«Dire
ad una persona che puzza è proprio il modo migliore per chiudere un’amicizia. Buonanotte,
Jacob.» Mi volto verso la porta e giro la maniglia, ma la sua grande mano si
ferma sulla parete di legno.
«Jacob.»,
sbuffa. «Quando usi il mio nome per intero sembra che tu mi voglia insultare. Intendevo dire
che hai addosso il loro odore e per me non è molto gradevole. Il tuo si.» Si
imbarazza quando lo dice e sento di essere a disagio anche io.
«Comunque,»
si riprende guardando per terra. «Siamo amici? Possiamo vederci ogni tanto se ti va.»
«D’accordo,
Jake.», sorrido. Mi soffermo sul suo nome più del dovuto e lui se ne accorge. «Meglio?»,
gli chiedo.
«Certo,
certo. Fammi sapere come va a finire con la bionda assassina.»
E se ne
va così. Mentre entro in casa sento un ululato e so
per certo che è lui. Sposto la tenda della finestra per vedere se è ancora lì e
mi accorgo di due occhioni luminosi tra le foglie.
Buonanotte.
Per questa volta sarò
costretta ad ammettere che avevo torto: Jacob è un licantropo ed io adesso me
la devo vedere con la vampira bionda più permalosa e spaventosa di tutte.
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Capitolo 5 *** 5. Segreti e Litigi ***
5. Segreti e Litigi
Chapter 5
Segreti e Litigi
Tutti mi mentono e non so perchè.
Non
credo nelle coincidenze. So per certo che se l’intera famiglia Cullen manca anche
oggi non è una coincidenza. Il sole non si è nemmeno fatto vedere, per cui la
loro scusa preferita è saltata.
Non
sento nessuno di loro da due giorni – oggi tre – e mi ritrovo totalmente
spaesata insieme a Bella che non dice una parola. Ah, lei ed Edward hanno
litigato, come avevo previsto, per il segreto che lui si è ostinato a tenere.
Bella conosce Jacob da più tempo di me e in effetti credo che ci fosse qualcosa
tra loro prima che arrivasse Edward.
Il mio
problema in questo momento continua ad essere che non so che fine abbiano fatto
i miei amici e Bella sostiene di non sapere nulla. Non mi fido molto perché per
me la sua mente è inaccessibile. Anche per Edward è così, ma non sappiamo
perché. Mi capita sempre di pensare che leggere la mente di una persona è
sbagliato e per qualche secondo non lo faccio, ma è così sfiancante per me
spingere tutte quelle voci fuori che a volte lascio perdere e basta. Con Bella
è tutto diverso: non la sento, non la percepisco, non so che è nella stanza se
non la vedo con i miei occhi ed è una cosa che mi irrita. Credo sia questo il
motivo per cui molto tempo fa la evitavo. Convivo con il mio dono da molto
tempo e sono abituata a sapere tutto delle persone che mi circondano, anche
quello che non dovrei, e lei è sempre stata il mio punto debole. Quando me la
ritrovo davanti, psicologicamente silenziosa, mi fa ricordare che sono umana.
Eppure
un giorno imparai che le persone possono dire un sacco di cose vere, ma mentire
comunque. Quando ascolto le loro bugie faccio attenzione alle loro espressioni,
ai loro movimenti.
Così
capisco che Bella mente. Prima di tutto non mi guarda molto negli occhi, il suo
sguardo vaga per il corridoio e poi si tocca un sopracciglio, non credo che se
ne renda conto, ma lo fa spesso.
«Lascia
perdere.», dico mentre blatera ancora arrancando scuse. «Capisco che menti
anche senza leggere i tuoi pensieri. Scusami, ma voglio stare da sola. Ci
vediamo dopo.»
Le
bugie mi mandavo fuori di testa. Credo che sia un problema che risalga ad una
litigata con mio padre. C’è altro che Bella non ha voluto dirmi, me lo sento.
Cercava di depistare la conversazione sui Cullen, ma anche quando ho nominato
Jacob e i licantropi mi è sembrata strana.
Non ci
penso molto su e compongo il numero. Uno squillo, due, tre, ma nessuno
risponde. Riattacco. Forse è meglio lasciare perdere. Poi sento i pensieri di
qualcuno fuori dall’edificio scolastico. Poi altri, molti altri. Sembrano
fissare tutti qualcosa. Esco anche io per capire cosa stia succedendo e
finalmente lo vedo. Ecco perché non rispondeva: era già qui fuori. Ancora una
volta mi chiedo se oltre la licantropia abbia altri poteri soprannaturali.
Jacob
non tiene a lungo il segreto, a dire la verità nemmeno ci prova. È stato
l’unico a raccontarmi dei vampiri nomadi che sono rimasti per un po’ nel nostro
territorio. Nostro non è il termine giusto: i Cullen hanno un territorio e i
Quiluete ne hanno un altro. Insomma, questi vampiri nomadi sono rimasti a Forks
per due giorni e tutti lo sapevano tranne me. Adesso la mia preoccupazione si è
trasformata in nervosismo e non credo di voler vedere nessuno per il momento.
«Sarei
anche potuta andare nel bosco. Che cosa avrebbero fatto in quel caso? Perché
non dirmi niente? Io davvero non lo capisco.» Sto straparlando, lo so, e in
altre circostanze me ne renderei conto e starei zitta, ma adesso sono con
Jacob, uno che non si fa problemi a venirmi a cercare e a dirmi la verità. Anche
se è un licantropo non mi sento inferiore a lui o fuori posto nella sua umile
casetta. Tutto il contrario a volte mi succede con i Cullen e non so perché.
Forse sono tutti gli anni che hanno vissuto che mi intimoriscono, tutte le cose
belle e brutte che hanno visto e che io posso solo immaginare. Jacob è più come
me: ha l’età che deve avere – anche se con tutta quella massa sembra più grande
–, non è così criptico, riesco a intuire quello che vuole dire prima che lo
dica e non ho bisogno di trucchetti con lui.
«Penso
che volessero proteggerti, ma sono stati davvero molto stupidi. Io lo avevo
detto a quello che legge la mente, ma non ha nemmeno detto agli altri quello
che avevo pensato.», dice Jacob. Nella sua mente passa l’immagine di una
piccola riunione. Da un lato ci sono i miei amici e dall’altro, a debita
distanza, un branco di lupi – geneticamente modificati –. Quello che legge la
mente è Edward e noto il disprezzo con cui lo ricorda.
«Quindi
vi siete accordati sul da farsi?», chiedo per capire meglio.
«Non
proprio. Abbiamo utilizzato il vecchio patto, quello che divide i territori.
Noi non possiamo agire sul loro e viceversa. Ovviamente tutto è pensato per il
bene della comunità e nessun umano dovrebbe sapere, ma credo che tu e Bella
dovreste. Ci siete troppo dentro.»
Sento
una strana inclinazione quando pronuncia il nome di Bella.
«Quando
siamo usciti hai nominato Bella, ricordi?», chiedo circospetta. Lui annuisce
distratto. «Lo hai fatto perché era l’unica cosa che ci legava o c’era qualcosa
sotto?»
Non
risponde si limita a fissare il pavimento con gli occhi sbarrati. Poi passa a
me, ma non riesce ancora a parlare. Forse non trova le parole adatte. Ma non le
sta cercando, non cerca delle parole, ma delle immagini.
Veloce
come un treno arriva la prima: c’è Bella sulla spiaggia e c’è un ragazzo con i
capelli lunghi… è Jacob. Non lo riconosco perché non lo conoscevo quando
portava i capelli così. Stanno passeggiando e parlano di qualcosa, dei freddi. Il nome non mi è nuovo, ma non
ricordo dove l’ho già sentito. L’immagine cambia e vedo casa di Bella. È la
mente di Jacob-lupo, non umano che osserva Edward entrare da una finestra. In
sottofondo Jacob ringhia sommessamente.
Esco
dalla sua mente, perché sento che la cosa potrebbe farsi un po’ troppo
personale.
«Ok, ho
afferrato.» Sposto lo sguardo altrove, mi sento in imbarazzo, ma sento il suo
che non mi lascia un attimo. Lo sta facendo di nuovo, mi sta scrutando dentro
perché vuole sapere quello che penso.
«Bella
ti piace molto.», dico ovvia tornando a guardarlo. Mi sto infilando in un
triangolo amoroso e la cosa non mi piace affatto, ma che cosa dovrei fare?
«Lei lo
sa?»
«Io non
glielo detto. E nemmeno tu.» Aggiunge l’ultima frase con una certa urgenza.
«Puoi
stare tranquillo. Io ascolto in silenzio, non parlo mai. Ma credi davvero che
non lo sappia?»
«Non lo
so.», fa afflitto sedendosi sulla sedia malandata.
«Beh, è
il genere di cose che una ragazza sa per certo.», rispondo. Poi però mi
rimangio tutto. Bella non è come le altre. Credo che in realtà abbia tipo
quarant’anni e non diciassette. Sembra sempre così matura, così al di fuori
dagli scherzi adolescenziali della scuola. Forse non è nemmeno un’adolescente.
Sarà
per questo che attrae così tanti ragazzi. Ricordo che quando è arrivata era la
novità, il giocattolino nuovo con cui tutti volevano giocare: Tyler, Erik,
Mike, povero Mike. Quando parla di loro lo fa come se si fosse tolta un peso,
ma non lo fa mai con Jacob. Sa di piacere a Jacob e fa finta di niente, oppure
non ci è davvero arrivata?
«Non
importa che lo sappia o meno. Sta con quel vampiro ora.»
«Quel
vampiro ce l’ha un nome, proprio come te.», ribatto offesa. Edward più di tutti
è mio amico, mi sento così vicina a lui tanto da non sopportare che lo si
offenda.
«Scusami
tanto se le tue amicizie mi fanno schifo.» Fa una smorfia, tanto per
evidenziare il suo sdegno.
«Anche
a loro le mie nuove amicizie fanno schifo, ma hanno la decenza di non dire
niente.»
«Non ti
parlano, è ovvio che non dicono niente.»
«Ci
vediamo, Jacob.», dico alzandomi. Sottolineo il suo nome e lui sa che lo sto
facendo. È stato cattivo e non me lo merito. Non sono io il motivo per cui è
tanto arrabbiato, quindi che si vada a sfogare contro un muro e non con me.
Vado da sola verso l’uscita, non mi faccio accompagnare dal cafone muscoloso.
Con la coda dell’occhio lo vedo alzarsi, ma resta immobile dov’è. Poi ricordo e
torno indietro.
«Mi hai
prelevata da scuola.», gli dico senza guardarlo, ma non credo che abbia capito.
«Con la tua moto.» Ancora niente? «Me la faccio a piedi o mi riaccompagni,
cervellone?»
Quando
torno a casa la mia voglia di conversazione è pari a zero. Mi ritrovo a pensare
a quel gioco per la play, “The Sims”, e ricordo le barre dei bisogni tra cui
c’era conversazione. Anche non avendo parlato molto oggi la mia barra è
strapiena. Tessa accenna ad un viaggio di mio padre durante la cena, ma io sono
in un altro mondo, quello della mia mente, e non le do molta retta. Penso a
Bella che oggi ho trattato proprio da schifo e ai Cullen che in fondo volevano
solo proteggermi. Penso anche a Jacob, ma sono ancora arrabbiata ed il mio è un
pensiero passeggero.
Tessa
sta facendo dei pensieri davvero pesanti invece, si stressa e stressa perfino
me. Giuro che sto arrivando al limite, ma cosa avrà di tanto importante da
fare? Devo uscire da questa casa o litigherò anche con lei.
Faccio
un giro in giardino per calmarmi e sono anche senza giubbotto perché la fretta
fa i figli ciechi o una cosa del genere che diceva sempre a mia madre. Quando
penso a lei ho come un flash. Oggi Jacob quando ha ricordato la passeggiata con
Bella ha pensato anche ai freddi e a quanto pare mia madre li conosceva dato
che Billy ha espressamente chiesto i suoi libri.
Il consiglio sarà molto contento di questi.
Emis diceva sempre che ci sarebbero stati utili per capire i freddi meglio., questo è stato il suo pensiero. Qualcosa mi sfugge e
mentre mi scervello giro in tondo. Devo sapere cosa c’è sui libri di mia madre.
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Capitolo 6 *** 6. Invitato Speciale ***
6. Invitato Speciale
Chapter 6
Invitato speciale
Sconvolgente nuovo arrivo e notizia inaspettata.
Varco
la tetra soglia della scuola con gli occhi gonfi. Non ho dormito nemmeno un po’
stanotte e adesso mi sento uno zombie in cerca di cervelli. Anzi a dire la
verità è più come essere completamente sbronzi perché qualsiasi rumore mi fa
sanguinare le orecchie e la testa.
Vedo
Bella in lontananza e le vado subito incontro per chiederle scusa. Lei risponde
che è tutto okay e che una giornata no capita a tutti. Poi mi parla di Jacob.
«Mi ha
raccontato di ieri sera.», comincia subito. Vuole ascoltare la mia versione, ma
a quanto pare sta dalla mia parte. Bene.
«Come
mai siete così amici tu e lui?», chiedo quasi per depistarla dalla discussione.
«Quando
mi sono trasferita qui non conoscevo nessuno e il primo giorno Charlie mi ha
fatto portare il pick-up da lui e Billy. È stato la prima persona con cui ho
legato. Ovviamente il fatto che i nostri padri fossero molto amici ha aiutato.»
Non
menziona mai un legame più forte di un’amicizia, ma sento che il suo cervello
lavora parecchio. Credo che sappia bene che lui provi qualcosa per lei, ma
preferisca tenerlo per sé. È giusto, non aggiungo niente né la sprono a
parlare, specialmente per come è finita ieri con Jacob.
«Oggi i
nostri amichetti ci sono?», chiedo sarcastica. Bella annuisce sorridente.
Alla
fine il piccolo malinteso si è risolto. In realtà io ho espressamente chiesto
di essere messa al corrente di ogni cosa strana che avvenga a Forks e loro
hanno accettato anche se non so per quanto manterranno la promessa. Chissà
quanto vale la parola di un vampiro centenario.
Edward
aspetta la sua dolce metà davanti il suo armadietto. Non sono una che ama il
romanticismo, anzi, ma sono così dannatamente teneri quando si guardano che non
posso non sorridere e voltare lo sguardo dall’altra parte. So quanto è
difficile per Edward stare vicino a Bella così sia perché lo sento sia perché
ne abbiamo parlato una volta.
Potrebbe
sembrare inumano e strano un rapporto così e non nascondo che anche io l’ho pensato
una volta – anche se è stato un pensiero molto fugace – ma quello che hanno
loro è speciale, diverso, non come le storielle che nascono al liceo, quelle
che durano una stagione. Sembrano vivere in un romanzo rosa, un bestseller da
milioni di copie vendute. Chissà magari qualcuno un giorno scriverà davvero una
storia su di loro. Edward mi guarda e sorride.
Stiamo
per andare nell’aula di biologia, quando una voce attira sia me che Edward. La
voce è quella silenziosa ma perforante di una mente che ti cerca e ti parla.
Di solito saluta chi arriva. Quindi… ciao.
Edward
si volta lentamente e guarda verso l’ingresso. Un tizio che mi sembra una
montagna – ma probabile che lo sembri soltanto a quelle piccoline come me – si
avvicina con un sorrisetto da sbruffone stampato in faccia. Ha i capelli
tagliati corti, a spazzola, di uno strano castano cioccolato, gli occhi enormi
e dorati e la pelle così pallida da risultare trasparente. Vampiro.
Il
nuovo ragazzo-vampiro si chiama Scott Evan e viene dall’Oregon. È passato alla
dieta vegetariana da circa due anni e ha sentito parlare molto dei Cullen.
Credo siano tipo una leggenda nel loro mondo. Ha meno di cent’anni e ne
dimostra diciotto. Edward ha detto che è meglio non dirgli del mio “potere”
perché ancora non ci fidiamo di lui. Più lo guardo più mi fa pensare ad un mix
di Jacob ed Edward. Inutile dire lo sdegno che prova quest’ultimo quando
ascolta i miei pensieri. Non credo che sia Bella la causa di quest’odio
reciproco, ma più che altro la loro natura. Vampiri e licantropi non sono fatti
gli uni per gli altri e questo l’ho capito con l’esperienza.
Il
nuovo arrivato non mi sconvolge più di tanto, ma è tutto il contrario per il
resto della popolazione femminile della scuola – a parte Bella, ovviamente –.
A
pranzo il nostro tavolo è affollato di gente: cheerleader, ragazze della pallavolo e persino quelle che
si occupano dell’annuario. Tutte si sono avvicinate con qualche scusa banale,
più che altro fingendo di voler parlare con Alice come al solito. Il loro obiettivo
in realtà è un altro e sarebbe in grado di capirlo persino un bambinetto di
pochi anni. Lo strano sovraffollamento femminile mi infastidisce e decido di
andare a mangiare per conto mio fuori. Di avere un po’ di sole nemmeno se ne
parla, ma almeno non fa il solito freddo cane. In lontananza vedo Amanda, una
ragazza che conosco praticamente da una vita. Credo di conoscere tutti da una
vita, insomma quando abiti per diciassette anni in una cittadina piccola come
Forks è normale conoscere tutti. Lei si avvicina e si siede accanto a me.
«Ciao.»,
mi dice. «E’ praticamente da una vita che non ti si vede in giro.»
«Oh, lo
so.» Non so esattamente come dovrei giustificare la mia assenza da tutte le
feste a cui mi hanno invitata o semplicemente la mia costante fretta a scuola.
«Più o
meno da quando frequenti i Cullen.»
«Si,
loro sono…»
«…impegnativi?»
«Direi
di si.» Sorrido imbarazzata perché non so veramente cosa dire. Prima che
arrivassero loro e anche prima che Bella si trasferisse qui passavo molto tempo
con lei e con il suo gruppo di amici. Andavamo ogni sera fuori città, al cinema
di Portland o in qualche locale tranquillo. Non stavo molto a casa e Tessa si
lamentava spesso. Quando mio padre è venuto a sapere tutto questo è andato su
tutte le furie e direttamente dal Messico ha mandato la sua punizione. Tessa –
non saprò mai se con piacere o a malincuore – mi faceva rispettare i termini e
gli accordi della mia punizione. Poi sono arrivati i Cullen e di colpo mi sono
sentita diversa. Finalmente avevo a fianco qualcuno che poteva capire cosa
succedeva nella mia testa e che non lo trovava strano o da manicomio. Era come
se improvvisamente fossi cresciuta e avessi capito che il mondo nascondeva un
segreto molto più importante di un venerdì sera di baldoria. Per tutti questi
motivi di colpo avevo smesso di frequentare Amanda e molti altri e questo non
era stato un punto a mio vantaggio: oggi a scuola non mi salutano e se mi
vedono distolgono lo sguardo. Amanda è una delle poche con cui ogni tanto
scambio due chiacchiere. Nonostante tutto non vorrei tornare a prima perché mi
sembra tremendamente infantile.
Quando
finisco il mio pranzo Amanda è già andata via da un po’ ed io ormai
infreddolita non vedo l’ora di tornare dentro.
«Ehi,
asociale.» questo è il saluto di Rosalie.
«Bionda.»
Sembra che tutte le nostre questioni in sospeso siano state dimenticate. Non ce
la faccio a rimanere arrabbiata con lei per molto tempo, è la mia migliore
amica.
«Cosa
pensiamo di questo Scott?», le chiedo cercando il mio cellulare nella borsa.
«Che
sia uno sbruffone pieno di sé. E poco dotato.» L’affermazione mi fa ridere,
anche se so che ovviamente si sta riferendo al fatto che non abbia poteri
particolari.
«Vampiro
standard?» Rosalie annuisce fingendosi annoiata. Sto continuando
a cercare il
mio dannato cellulare, quando rischio di finire addosso a Scott.
Comincio a raccogliere una serie di scuse, mentre Rosalie se la ride
alla grande. Scott
non parla, ma mi osserva finchè non smetto. Poi esce dalla tasca
del giubbotto
– che è una copertura perché la loro temperatura
è tipo sotto la media del
genere umano – il mio cellulare.
«Hai
dimenticato questo fuori.», dice con uno strano accento inglese.
«G-grazie.»,
mi esce fuori come se fossi un robot rotto. Odio la mia goffaggine.
«Figurati.
Ah e comunque non sono poco dotato. Io trovo le cose e a volte anche le
persone.»
Perché
la frase di Scott mi ha messo i brividi non lo so e sinceramente non lo voglio
nemmeno sapere. Sarà che ancora non lo conosco e che devo mantenere il segreto
su di me, ma preferisco restargli lontana il più possibile. Io e Bella abbiamo
un compito da finire e dobbiamo farlo insieme per cui torno a casa con lei.
«Ti
spiace se faccio una doccia prima?», mi chiede appena arriviamo.
«No,
figurati.»
Provo
ad accendere il vecchio computer della sua camera e mentre aspetto che il
processore a carbone si accenda la sento tornare.
«Mi
faresti un favore? Ho un problema al motore del pick-up e credo che l’unico al
mondo in grado di aggiustarlo sia Jake. Lo chiameresti?»
La fisso
con le sopracciglia alzate e lo sguardo esterrefatto. Davvero crede che me la
beva? Anche senza dover leggere la sua mente so che è tutta una scusa per farci
riappacificare ed è davvero molto puerile. Adesso mi prega anche con il
pensiero. Mi alzo dalla scrivania e annuisco.
«D’accordo,
ma uso il telefono di casa tua, impicciona.»
Scendo
velocemente al piano di sotto. Mia madre mi ha insegnato che è meglio togliersi
il dente subito. Compongo il numero – dopo aver controllato che sia giusto
perché sono una frana con i numeri – e aspetto silenziosamente che qualcuno
risponda. Sorprendentemente è Billy.
«Ciao,
Cassie. Vedendo il numero pensavo fosse Charlie. Come sta il tuo vecchio?»
Comincio
a parlare tranquillamente con Billy e peccato che non possa leggere la sua
mente perché vorrei sapere qualcosa sull’argomento che mi ha tenuta sveglia
tutta la notte. Alla fine decido che è meglio non chiedere niente e cerco di
farmi passare Jacob. Prima che possa chiedere di lui il campanello di casa
suona e vado ad aprire con Billy che sta ancora parlando.
«Billy
lascia perdere. Cercavo tuo figlio, ma a quanto pare lui ha trovato me.»
Jacob
resta sulla soglia di casa come uno stoccafisso. Mai visto uno stoccafisso a
petto nudo, in calzoncini e scarpe da tennis però. Però. Gli faccio cenno di
entrare e gli dico che Bella è sotto la doccia.
«Prova
a fare qualche strano pensiero e sei morto.», gli sussurro.
«Mi hai
preso per un pervertito?»
«Era
solo per dire.»
Si
siede sul divano ed io resto all’ingresso del salone. Mi sento un po’ in
imbarazzo ora. Vorrei chiedergli se Edward sa che va a casa della sua ragazza
così, ma temo di ricominciare il discorso del giorno prima e allora preferisco
stare zitta. Leggere i suoi pensieri mi irrita al momento quindi lo isolo e mi
metto a canticchiare qualcosa a bocca chiusa.
Ha lo
sguardo accigliato e sembra impaziente di andare via. Quando Bella scende
ancora con i capelli bagnati si abbracciano e quel secondo in più che lui la
stringe mi fa sentire in colpa. E’ come se stessi assistendo ad un tradimento e
non lo dicessi ad Edward. Perché Bella non fa nulla per sbloccare questa
situazione? Questa cosa mi fa incazzare. Li fisso di proposito e Jacob lo
capisce perché si mette a fissarmi di
rimando e scuote la testa cercando di capire cosa c’è che non va.
«Quella
cosa possiamo finirla anche un altro giorno.», dico rivolta a Bella. «Vado a
casa.»
«Ok.»,
risponde Jacob. La mia faccia da a vedere quanto io sia stupita dalla cosa.
Bella ovviamente mi dice di restare e che non c’è motivo che io me ne vada, ma
preferisco non dare fastidio a nessuno. Mentre Bella torna di sopra per
asciugare i capelli umidi io prendo le mie cose e faccio per uscire. Jacob mi è
venuto dietro ma cerco di ignorarlo.
«Si può
sapere che ti prende?» Che prende a me?
«Ma non
ti rendi conto di come ti comporti?», gli dico avvicinandomi. Non voglio che
Bella senta. «Mi sono sentita terribilmente a disagio. Sta con Edward e non
credo che la cosa finirà presto. Scusa se te lo dico, ma davvero non capisco
perché devi continuare a sbatterci la testa.»
«Il
modo in cui mi comporto non è affar tuo.» Mi sta facendo innervosire veramente
tanto allora comincio ad urlargli sottovoce.
«Sei tu
che mi hai messo al corrente della cosa!», rispondo a denti stretti.
«Ma non
ho chiesto il tuo parere, mi pare.», dice e sembra offeso.
«E io
voglio dartelo lo stesso. Stai sbagliando e ti fai anche del male e non è
giusto per nessuno.»
Vedo
che soppesa la cosa e mi studia anche se dovrebbe studiare se stesso. Ci sono
cose che non mi ha detto, ma non le cerco nella sua testa. Fin dal primo
momento ho provato questo senso di protezione nei suoi confronti, ma non
capisco perché. Prima sentivo che c’entrava la morte delle nostre madri, però
adesso i nostri genitori non sono stati nemmeno menzionati ed io gli sto
comunque dicendo che non si merita di stare dietro una storia impossibile che
gli spezzerà solo il cuore. Ora si è messo quell’espressione da bimbo che
adoro, ma allo stesso tempo non posso guardare.
«Se non
sbaglio ti devo una cena, quindi… Perché non ti vai a mettere una maglietta e
magari una felpa, così per mantenere l’illusione di essere normale e andiamo a
mangiare?»
Accetta
volentieri anche se sostiene fermamente che non si farà offrire nulla.
Invitiamo anche Bella – la invita lui perché a me non è sembrato il caso – ma
lei rifiuta perché ha da fare con Edward.
Restiamo
solo io e Jacob e so già quale sarà l’argomento della serata.
Volevo
andare in un posto carino dove mi portava sempre mio padre, ma Jacob insiste e
dice che non c’è bisogno di fare niente di che. Rimaniamo a casa mia – Tessa è
stata invitata a cena da una sua amica quindi siamo soli – e decido di
preparare un buon piatto di spaghetti. Abbondo con la sua porzione perché
ricordo quanto ha mangiato quella sera al fastfood e lui apprezza
evidentemente. Mi alzo per prendergli un’altra birra e una domanda mi sorge
spontanea.
«Jake,
voi licantropi potete ubriacarvi?»
«Lo
chiedi perché è la seconda o è semplice curiosità?», dice ridendo.
«No,
non credo che tu sia un ubriacone!»
«Non ho
mai provato, ma credo che il calore del mio corpo brucerebbe subito l’alcool.
Mi chiedo invece cosa succederebbe ad una piccoletta come te.»
Torno a
sedermi a tavola e lo guardo male mentre stappa la bottiglia. «Io non sono una
piccoletta e posso bere tranquillamente senza risentirne.»
«Certo,
certo.» Assume quel suo strano cipiglio divertito e dolce.
«Mi
stai sfidando?»
«No,
Cassie. Sei già abbastanza schizzata al naturale, immagino lo spettacolo da
ubriaca.»
Cominciamo
a prenderci in giro finchè non mi ritrovo a lanciargli chicchi d’uva. Lui
riesce a schivarli e li ingoia uno dopo l’altro.
Gli
dico di scegliere un film mentre io sparecchio e torna tutto contento dopo un
po’ con un dvd in mano. Si mette in testa però di aiutarmi con i piatti e combina
un casino con il sapone. Proviamo a invertire i ruoli – io lavo e lui asciuga –
e sembra andare meglio. Si mette persino a fare un balletto mentre rimette a
posto i piatti nella credenza. Credo di adorarlo. Non è un pensiero strano
perché le persone come lui sono veramente poche e mi fa ridere così tanto che
sono contenta di averlo invitato. Poi mi accorgo che è ancora a petto nudo e la
cosa mi turba. Mi turba che io non ci abbia fatto caso fino ad ora e che lui
stia mezzo nudo a casa di tutti.
«Senti
ti presto una maglietta di mio padre.»
«Non ce
n’è bisogno.»
«Si,
immagino che tu non senta freddo, ma non voglio che Tessa tornando pensi chissà
cosa.»
Tessa
già crede che Jacob mi piaccia in quell’altro senso, figuriamoci cosa potrebbe
pensare se ci trovasse sul divano così. Questo non è stato mica un
appuntamento, ma soltanto una semplice cena tra amici.
Ci
sediamo sul divano a guardare il film che ha scelto, ma in realtà passiamo il
tempo a parlare. Di Bella. Ho veramente sonno, ma non voglio fare la padrona di
casa pallosa e lo lascio parlare a ruota libera.
«Sento
di aver perso tutto questo tempo dietro lei quando invece mi ha sempre visto
come un buon amico e niente di più. Mi vuole bene lo so, ma non è l’affetto che
voglio io.»
«Beh,»
rispondo sbadigliando. «è il momento di voltare pagina.» Lo dico perché è la
tipica frase che si dice in questi casi, non alludo a nessuno e di certo non
volevo assumere un tono solenne. Ma Jacob sembra soppesare la frase come se
avessi appena detto qualcosa di vagamente filosofico. Non ci do molto peso,
forse avrei dovuto, e mi metto comoda sul divano. Sono passati pochi minuti
quando il mio testoncino rischia di cadere. Jacob accompagna la caduta così da
renderla dolce e lenta, ma mi tiene lì, vicina al suo viso. Cerco di ritrarmi,
ma i suoi occhi mi stanno incatenando. E poi quando si avvicina per baciarmi mi
ritraggo violentemente e mi prendo una testata. Istintivamente porto le mani al
naso dolorante. Di cosa cavolo è fatto? Granito? Saltello per tutta la stanza piagnucolando
come una bambina per il dolore. Riesco ad arrivare alla cucina e cerco il
ghiaccio in freezer. Jacob sembra non capire il perché di tanto trambusto e mi
viene dietro, prova a dare un’occhiata, ma io mi ritraggo di nuovo di scatto.
«Mi
spieghi questa reazione violenta?», chiede spaesato.
«Volevi
baciarmi!»
«Beh,
ho qualche malattia infettiva?» Il tono di offesa nella sua voce mi stupisce e
cerco di prenderlo in contropiede.
«Beh,
sono una qualche specie di rimpiazzo?»
Mi
prende il ghiaccio dalle mani e lo avvolge in uno strofinaccio. Poi lo poggia
delicatamente sul mio povero setto nasale.
«Scusa.»,
dice sorridendomi. Ed è quel suo sorriso che vorrei distruggere ma ammirare
tutto il giorno allo stesso tempo. «E’ ovvio che tu lo abbia pensato, ma ti
assicuro che non è così. Mi andava di farlo.»
Mi
lascia a bocca aperta, non so che dire. Mi andava di farlo.
«Non ho
capito.»
«Pensavo
che potendo leggere la mente avessi già capito.»
Il mio
sguardo gli fa capire che non so di cosa stia parlando. Mi sento un’ebete a
stare con il ghiaccio sul naso e con lui davanti che cerca di alludere a
qualcosa.
«Mi
piaci, Cassie.»
Ed ecco
che il ghiaccio non serve più perché io sono diventa un intero blocco freddo,
un iceberg gigante che fluttua per casa. Qualsiasi cosa dica gli esce con una
naturalezza che mi sconvolge. Adesso ha il tono che si assumerebbe dicendo:
“Oggi è una bella giornata”. La mia espressione deve essere piuttosto eloquente
e Jacob si mette a ridere.
«Scusa,
è che non so che dire.»
«Non
devi dire niente, se non ti va.» Ora il suo sguardo addosso mi sembra pesante.
«Però te lo dico subito: non voglio che cambi niente tra noi. Questo mi piace
davvero.» Fa un gesto con le mani indicando lo spazio tra di noi.
«Anche
a me piace stare con te.», dico e me ne pento subito. «E’ che non so cosa
pensare. Mi hai spiazzata.»
«Il tuo
superpotere perde colpi?»
«In
realtà io evito di leggere i tuoi pensieri.»
«Perché?»,
chiede sorridendo. Non capisco se la cosa gli fa piacere o no.
«Non mi
sembra giusto. Lo faccio anche con gli altri a volte, ma con te è diverso.»
«Grazie.»
Di
nuovo non rispondo perché non riesco a farlo. Perché gli ho detto che con lui è
diverso? Non so nemmeno io che cosa significhi, forse è quella stramaledetta
sensazione che ho avuto fin da subito nei suoi confronti. Sono in visibile
imbarazzo adesso e il mio cervello cerca di elaborare l’accaduto. C’è una
domanda che più di tutte sta picchiando sulla mia corteccia frontale, vuole
farsi sentire, ma io la sto bellamente ignorando.
«Resto
finchè arriva tua zia o preferisci che me ne vada?», chiede distrattamente.
«Resta.»,
rispondo subito. Non voglio rimanere da sola e soprattutto non voglio che Jacob
pensi che adesso lo eviterò come la peste.
Tessa
non ci mette molto a tornare e il suo sguardo compiaciuto mentre fissa me e
Jacob seduti vicini sul divano mi irrita. Quando lui se ne va chiede i
particolare della serata, ma io resto sul vago. Ho molto a cui pensare.
Credo
che stanotte dormirò e finalmente lo faccio dopo molto tempo, ma prima di
addormentarmi, esattamente poco prima di non capire più nulla, la domanda che
tanto premeva per uscire ritorna a galla. Cosa provo io per Jacob?
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Capitolo 7 *** 7. Jacob ***
7. Jacob
Chapter 7
Jacob
Come e con quante persone ho parlato di lui.
Ho cercato di evitare tutti per un po’ in questo periodo, soprattutto Jacob. So che non volevo fargli credere di evitarlo come la peste, ma voglio capire le mie vere intenzioni prima.
Il campanello di casa suona nel pomeriggio e posso già indovinare chi è. Le urlo che è aperto e la mia bella amica bionda si fa spazio tra tutti i quaderni sparsi sul tavolo e si siede al mio fianco.
«Che fine hai fatto ieri?», chiede accigliata.
«Ho dimenticato qualcosa?», le chiedo io a mia volta mentre mastico un pezzo di torta che Tessa ha sfornato poco fa. Sono sicura che voglia vedermi grassa.
«No, ma ieri sera sei sparita.»
«Ero a casa, Rose.» Non c’era nessun evento ieri e non c’eravamo messe d’accordo per vederci.
«Oh, lo so. Sono venuta a controllarti. Intendevo che sei sparita dalle visioni di Alice.»
Rosalie assume quello sguardo indagatore di un detective e mi chiedo se in una delle sue identità passate non lo sia stata per davvero. Non so cosa risponderle, non vedo cosa c’entri io se le visioni di Alice sono impazzite.
«C’entra il tuo nuovo cane da guardia. Alice non riesce a vederlo e non sappiamo perché. Io credo che sia perché cambia in continuazione forma: cretino, cane, cane, cretino. Sai, quando è così, nemmeno il futuro ci capisce più niente.»
La battuta non mi fa sorridere – anche se credo che debba essere piuttosto esilarante per una come lei – e torno a fare i miei odiosi compiti. Rosalie resta un po’ a fissarmi, ma so che vuole parlare, anche se non la guardo.
Perché lo frequenti?, chiede con il pensiero. E sii sincera stavolta.
«Non so, sai? Magari mi piace.»
«Ti piace nel senso che potrebbe nascere una storia con lui? Un licantropo?»
«Senti, Rose, questa storia del licantropo mi ha proprio scocciato. Se dobbiamo dirla tutta, e non ti offendere ti prego, quella più pericolosa qui sei tu, che con la tua dieta potresti uccidermi.» Poso la penna sul tavolo perché ho capito che non si studierà oggi. Per fortuna non ho nessuna interrogazione prevista e anche avendola, posso barare tranquillamente.
«Nessuna offesa, forse hai ragione. Ma non hai risposto alla mia domanda.» Ride sotto i baffi ed io faccio lo stesso.
Io e Rosalie per certi versi siamo molto simili. Siamo diventate così amiche perché fin dall’inizio è scattato qualcosa tra noi: l’acidità delle nostre battute, la tendenza a dire tutto quello che ci passa per la testa, sono cose che uniscono due persone se tutti gli altri le ritengono delle antipatiche straparlone. E poi con lei riesco a parlare di tutto. Anche adesso che avrei preferito non affrontare l’argomento Jacob lo sto facendo, non posso tenere dei segreti con Rosalie. Ed è proprio per questo che decido di raccontarle tutto.
All’inizio è tranquilla: mi ascolta parlare e da un’occhiata alle proprie unghia, tipico.
«E poi ha cercato di baciarmi.» Ed ecco che il suo sguardo cambia e so che se avesse Jacob davanti lo spedirebbe fuori dalla finestra con un dito.
«E tu che hai fatto?», chiede minacciosa.
«Mi sono tirata indietro perché mi sono sentita un mezzo rimpiazzo. Lui si è scusato e ha detto che gli piaccio. Sostiene che avrei dovuto capirlo grazie al mio potere, ma…»
«Tu non leggi la sua mente, lo so.», conclude lei rapida. La cosa non le piace – non ho bisogno di nessun truccheto per capirlo – ma sta cercando si essere comprensiva.
«E adesso? Cerchi di capire se ti piace?»
Annuisco, ma il mio è un gesto sconsolato perché mi sento davvero confusa. Rosalie sta pensando a cosa dire, o meglio, pensa a come dirlo per non risultare super acida con me.
«Cassie, odio dovertelo dire, ma devi fare quello che ti senti. Odio anche il fatto che sia un licantropo e che tu non ti sia scelta un umano qualsiasi come è giusto che dovrebbe essere, ma spero che sia un flirt adolescenziale e come tale passeggero.» Quando dice cose del genere mi rendo veramente conto che la mia migliore amica è un vampiro di almeno cent’anni.
«Grazie mille. Se prima avevo dei dubbi, grazie a te sono spariti sicuramente.», rispondo con un finto sorriso.
«Sono solo sincera.», dice sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori.
Quando se ne va, penso ancora a quello che ci siamo dette. Magari ha ragione sul flirt passeggero, perché no? Improvvisamente la voglia matta di mandare un messaggio Jacob mi assale e non riesco a capire perché. Sicuramente sarà di turno per la ronda e non avrà tempo per me. Qui tutti sembrano maledettamente impegnati a salvare il mondo mentre io e la mia mente continuiamo con questa menata del “mi piaci o no?”. Mi sento così umana in questo momento.
Lascio perdere il messaggio e mentre salgo le scale per andarmi a rintanare nella mia camera qualcuno bussa al vetro della porta sul retro.
Non ho più dubbi. Jacob mi piace.
«Avevo intenzione di mandarti un messaggio.», gli dico aprendo la porta e facendo entrare l’aria fredda della sera in corridoio.
«Perché non lo hai fatto?», sorride. Inutile dire che è a petto nudo – di nuovo – e che la cosa adesso mi turba perché mi rendo conto che ha degli addominali che fanno paura. È strano come l’idea che hai di una persona possa cambiare quando capisci che in realtà ti piace. Fino a qualche giorno fa non mi faceva alcun effetto.
«Mi è sembrato stupido, non volevo disturbare.» Esco fuori stringendo le braccia al petto. Il calore che è salito alle mie guancie dovrebbe bastare per tenermi al caldo.
«E’ stupido dire che lo stavo aspettando? Facevo la ronda, ma continuavo a pensare che se mi avessi cercato non sarei stato reperibile.» Si siede sui gradini dell’ingresso e io faccio lo stesso. Si sta chiedendo dov’è Tessa, ma lei è già a letto da un pezzo.
«Perciò eccoti qui.»
«Eccomi qui.» Deve smetterla di guardarmi e sorridere perché non riesco a concentrarmi così.
«Cassie, volevo chiederti scusa per il mio comportamento da pazzo. Insomma prima ti tratto male e poi ti dico che mi piaci. Capisco che possono sembrare dei segnali sbagliati.»
«Tranquillo, ci vuole molto più di questo per turbarmi.» Tipo te in questo momento.
«Le nanerottole non si scandalizzano molto più facilmente rispetto a delle ragazze normali?»
«Spiritosissimo, gigante.»
Ridiamo un po’ e poi mi chiede come è andata la mia giornata. Gli racconto della scuola e del mio metodo alternativo e illegale di studio. Lui si diverte a prendermi in giro, come al solito, e continua ad ascoltarmi tranquillamente. È così facile parlare con lui, ma non voglio monopolizzare la conversazione e a mia volta gli chiedo come è andata la sua di giornata.
«Solite cose: sono stato per qualche ora a scuola e ho saltato le altre lezioni, ho fatto un turno di ronda, setacciato una pista fresca e poi sinceramente ho dormito come mai nella mia vita. È stato meraviglioso, ero davvero stanco morto. E adesso sono qui a parlare con te.»
«Pista fresca? Ci sono di nuovo dei nomadi in giro?», chiedo un po’ allarmata.
«No, no. A quanto pare è arrivato un vampiro come i Cullen. Il dottore mi ha detto il nome, ma non gli ho dato molta importanza.»
«Scott Evan.», rispondo io subito.
«Lo consoci?» Jacob si preoccupa subito.
«Conoscere è una parola grossa. È arrivato oggi a scuola e ci siamo scontrati, più o meno.»
«Stai attenta, per favore.» Il suo sguardo mi ricorda quello apprensivo di un padre e ne sorrido, ma lui non sembra apprezzare.
«Scusa.», dico subito. «Ma sai che i miei amici metterebbero a soqquadro la scuola se mi succedesse qualcosa.»
«Ci conto.»
Gli dico di come questo vampiro sembri un incrocio tra lui ed Edward e anche lui ha la stessa reazione sdegnata. Mentre parliamo non mi rendo conto che le nostra braccia si toccano e la cosa mi piace. Prima di tutto perché così non rischio l’ipotermia e poi perché so che anche lui se n’è accorto, ma non fa nulla per spostarsi. Oh Dio, sto diventando scema.
Mi sento piuttosto matura per avere diciassette e non ho paura di risultare poco modesta o umile quando lo dico. Credo che influisca molto quello che sono in grado di fare con la mente della gente e le persone che frequento. Ripenso ad Amanda per qualche secondo.
«Come fai ad arrivare sempre al momento giusto?», chiedo a Jacob.
«Consideralo il mio potere speciale.»
Non so quanto rimaniamo sul mio portico posteriore a parlare. Nemmeno so di che cosa stiamo parlando o se sono soltanto io a parlare, ma so che mi piace parlare con lui o semplicemente stargli accanto. È confortante.
Ormai sono abituata ad essere uno zombie la mattina, anche se devo dire che non avendo sforzato il cervello più di tanto posso affermare di avere semplicemente sonno. Racconto la mia serata a Tessa e anche a Rosalie, il che vuol dire che molto probabilmente Alice ed Esme sono già state informate di tutto ed Alice vorrà un resoconto di cosa indossavo e della postura in cui ero seduta. Alice è una che ci tiene alle apparenze.
Tessa sembra contentissima, anche se mi ha chiesto di evitare di restare fuori così tanto tempo la prossima volta. E’ la zia più moderna che conosca, ma è pur sempre una zia.
Il sabato mattina sembra cominciato bene, anche la solita chiamata con mio padre sembra tranquilla, anche se con lui non si può mai dire. Questo mi fa ricordare che devo assolutamente sapere dei libri di mia madre. Ogni volta che mi metto per chiedere qualcosa a Jacob lo guardo e dimentico tutto. Adesso che so tutta la storia dovrebbe essere lecito per me sapere tutta la verità, no?
Chiamo Bella e le chiedo di andare a fare colazione insieme, anche perché è l’unica che mangi con me. Decidiamo di andare in una tavola calda vicino casa perché fanno delle ciambelle al cioccolato che sono la fine del mondo. Ci sediamo e ordiniamo, oltre le mie amate ciambelline, un cappuccino e un latte macchiato.
Dopo qualche minuto ci mettiamo a parlare in maniera molto fitta di Edward e di quanto lei lo ami alla follia. Non mi dispiace trattare questo argomento, anche perché mi diverto a smontare l’immagine perfetta che lei ha di lui. Mi sembra doveroso raccontare anche a lei di Jacob, ma non avevo previsto che Alice ha una lingua molto veloce.
«Mi ha già raccontato tutto, figurati.», dice infatti.
«Capisco perché abbiano scelto Forks come casa. Altro che mal tempo e cielo perennemente nuvoloso: sono tutti dei pettegoli, proprio come ogni persona che abbia mai messo piedi qui.»
«A proposito.», risponde Bella ridendo. «Oggi è previsto un gran temporale e i ragazzi giocano a baseball. Vieni?»
I nostri vampiri possono giocare a baseball come piace a loro soltanto quando dei tuoni piuttosto potenti risuonano tra le montagne della nostra bella cittadina. Ho chiesto ad Emmett perché non giochino più piano così da poterlo fare più spesso, ma mi ha risposto che non si divertono se devono fingere di essere degli umani pappamolla. Ho chiuso il discorso lì.
«Si, certo. Non ho niente di meglio da fare.»
Perché mi sorprendo quando il mio cellulare squilla? È il suo potere speciale, me lo ha detto. Bella capisce al volo che il sorriso che è spuntato sulle mie labbra non ha nulla a che fare con la partita di baseball e chiede se abbia trovato qualcosa di meglio da fare. La risposta è sì. Spero che i miei amici non si offendano troppo, se per oggi preferisco stare con Jacob.
Quando il ragazzone bruno arriva a casa mia con la sua moto per poco Tessa non rischia l’infarto. Comincia a straparlare – è proprio mia zia – e a fare raccomandazioni. Mi informa sulle norme di sicurezza e di come si allacci in maniera corretta il casco. Alla fine sono costretta a scappare e a chiedere a Jacob di metter in moto il più in fretta possibile. So bene che Tessa mi sta fissando dalla finestra, senza farsi vedere, perciò quando chiudo il casco sotto il mento mi volto verso la facciata della casa e lo indico. La tenda dell’ingresso si muove e so che la mia dolce zietta ha il cuore in pace, almeno un po’.
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