E furono per sempre felici e contenti?

di Cosmopolita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'area egizia (Milo/Jane) ***
Capitolo 2: *** Natte himmelen (Jim/Ariel) ***
Capitolo 3: *** Per il bene del locale (Jafar/Malefica/Ade) ***
Capitolo 4: *** I sogni son desideri (Cenerentola/Biancaneve) ***
Capitolo 5: *** I see the darkness (Flynn/Anna) ***
Capitolo 6: *** L'ultimo viaggio (Peter e Alice) ***



Capitolo 1
*** L'area egizia (Milo/Jane) ***


L’area egizia

[Milo/Jane]


La porta si aprì e, per un istante, i fumi vaporosi della caldaia si piegarono verso destra.
Smise di parlare –dopotutto, era sicuro che al Signor Howard e al resto dei suoi studenti non sarebbe dispiaciuto affatto se avesse fatto una pausa- e si affacciò verso l’ingresso, chiedendosi a chi mai fosse venuto in mente di entrare nella Sala Caldaie.
Uno spiraglio di aria fresca gli asciugò il sudore sulla fronte: in fondo, prendere una bella boccata di aria, anche se solo per alcuni secondi, non poteva fargli che bene.
-C’è nessuno?- sentì chiamare una voce gentile, appena mossa da un tremito di insicurezza.
Ed ecco che, davanti a lui, stava una ragazza, gli occhi curiosi vagavano dalla tubatura principale della caldaia, fino alla lavagnetta su cui lui faceva il resoconto di tutte le sue “lezioni”.
Si grattò la cima della testa e, sulle prime, fu tentato di toccare a tastoni il naso per controllare se avesse ancora gli occhiali: che ci faceva una ragazza lì?
Tra l’altro, sembrava quasi una di quelle dall’aria elegante e composta; non aveva per nulla i modi di una ragazzina avventata e frivola.
Il profilo di lei si alzò in alto, verso il soffitto, e Milo pensò che avesse proprio un bel naso. E dei bei capelli.
E anche una bella bocca.
–Ehm… questa non è l’area egizia, temo- sussurrò lei, muovendo appena alcuni passi verso la stanza. Il suo sguardo si soffermò su una cartina: la parola “Atlantide” ne occupava tutto lo spazio.
Milo annuì, incapace di rispondere. I suoi occhi saettarono verso il signor Howard; la sua faccia azteca era in parte nascosta dalla penombra, ma sperò con tutto se stesso che lei non lo vedesse.
La risata della ragazza lo risveglio dai suoi pensieri –Questo museo è troppo grande. Come fate a non perdervi?
Si girò verso di lui e, finalmente, Milo poté guardarla dritto negli occhi.

Chissà quanti posti avrà visto, questa ragazza. Chissà se, oltre questa porta, c’è qualcuno che l’aspetta. Chissà se anche lei, come me, ha un sogno.

E rimase a osservarla per un tempo che gli parve interminabile. E si sentì un idiota.
-Dopo un po’ ci si abitua- rispose soltanto, accennò appena un sorriso imbarazzato.
La raggiunse, era ancora impegnata a scrutare la cartina, le labbra sottili strette in una smorfia pensierosa, quasi come se stesse cercando di ricordare a se stessa conoscenze perdute nel tempo.
Deglutì. Avrebbe voluto dirle tante cose: prima di tutto, come diamine aveva fatto a finire là.
E poi, perché mai era così tanto interessata a quella cartina. Nessuno era mai stato interessato ad “Atlantide”, a parte suo nonno.
Ma l’unica cosa che fece, fu porle la mano –Mi chiamo Milo, comunque.
–Jane– sorrise, radiosa, voltandosi appena verso di lui.
Rivolse un’ultima occhiata alla cartina, poi mormorò –Mio padre è un esploratore. Ma il nome “Atlantide” mi giunge nuovo.
-Beh, sa…- balbettò, lo sguardo fisso sul parquet –E’ una storia lunga e non credo…
-Sono quelle che adoro di più- lo interruppe Jane, quasi urlando. Come se desiderasse davvero sapere qualcosa di più e non glielo stesse chiedendo per pietà.
Anche Milo, quella volta, sorrise.
Malgrado il Signor Howard e le altre maschere Azteche stessero ancora attendendo con pazienza la fine della sua lezione, pensò che non sarebbe stata affatto una cattiva idea invitarla a bere qualcosa.



E ci andarono davvero a prendere un tè.
Lo presero una, due, tre volte.
E Jane rimaneva ogni volta assorta, ad ascoltare le sue storie su quella terra meravigliosa che, ne era certo, sarebbe piaciuta anche a lei.
Poi, toccava a Milo ascoltare rapito, con la testa poggiata sulla mano e gli occhi fissi su di lei, dei mirabolanti viaggi che Jane faceva insieme a suo padre. Ogni volta, i posti diventavano sempre più esotici e la voce di lei sempre più soave e appassionata.
-Sarebbe bello,- un sorriso illuminava ogni volta il volto di Jane -fare un viaggio con te. Magari, per trovare quella tua isola, Atlantide.
Milo lo avrebbe voluto, lo avrebbe voluto davvero. Ma poi, lei partì per l’Africa.
-Tonerò.- gli disse -e quando lo farò, troveremo Atlantide.
Era stato bello vivere quei giorni nella speranza che Jane tornasse da lui. E già immaginava, nella sua mente, il giorno in cui loro due avrebbero fatto quel viaggio, finalmente insieme.
Sospirò, Milo, mentre il Nautilus si preparava a salpare.
La mano, poggiata contro il vetro appannato, sembrava ormai aver perso qualsiasi sensibilità, così come il ricordo che aveva di lei. Con il tempo, aveva smesso di far male.
Jane non era più tornata. Non avrebbero mai scoperto Atlantide insieme.







Salve a tutti!
Questa è la prima storia che scrivo in questa sezione, spero sia piaciuta a qualcuno. Intanto, ringrazio chiunque sia arrivato a leggere fin qui.
Questa storia è una raccolta. Quindi, questo vuol dire che ci saranno altri crack pairing di cui tratterò, uno diverso per ogni capitolo.
Spero di avervi incuriosito, o quantomeno che almeno questo capitolo vi sia piaciuto.
A presto,
Cosmopolita

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Capitolo 2
*** Natte himmelen (Jim/Ariel) ***


N.B: Questo capitolo partecipa alla challenge "30 modi di amare, più qualche delizia", indetta da Eireen_23 sul forum di EFP.





Natte himmelen



L’infinità dello spazio si estendeva oltre quello che i suoi occhi riuscivano ad afferrare. Se fosse stato per lui, sarebbe rimasto sulla prua della nave a fissare l’immensità di ciò che lo circondava per ore.
Tese una mano verso il cielo, il suo futuro. C’erano puntini di costellazioni che si estendevano ovunque; chissà se, tra quella moltitudine, non si trovasse anche la sua casa.

Sei un ragazzo speciale, Jim. Farai tremare le stelle.

Sorrise. In momenti come quelli, avrebbe voluto che il vecchio Silver fosse lì con lui, per vedere ciò che era diventato dopo tutti quegli anni. Oppure, semplicemente, per ammirare il nero Universo insieme a lui.

-Ufficiale Hawking!- lo chiamò una vedetta e, malgrado tutto, dal basso della prua riuscì a scorgere il suo sorriso bonario –Non è meraviglioso? Vale la pena non dormire pur di ammirare questa pace dei sensi.
Non rispose, non voleva svegliare qualcuno, anche se temeva che alla sentinella non importasse granché. Riprese a guardare il cielo, le braccia poggiate sul legno della nave. Il vento era leggero, le vele bianche erano appena gonfie verso est, come ampie nuvole di tela: una notte tranquilla, come mai ne aveva viste in tutta la sua carriera.

E poi, il suo sguardo fu catturato da un qualcosa che stava attraversando il cielo.
Era… strano. Non aveva una forma ben precisa, tuttavia, ad una prima occhiata, gli ricordava vagamente quella di una… di una…
No… non è possibile!
Si stropicciò gli occhi, il fatto che dormisse solo quattro ore per notte da quando si era arruolato non lo aiutava con la lucidità, a quanto pareva. Si girò verso la vedetta ma anche lui aveva il naso dritto verso il cielo, in direzione di quella creatura che adesso stava costeggiando tutto il fianco della nave.

Corse verso la poppa, più veloce che poteva; non doveva assolutamente perderla di vista.
Non può essere… non può essere…
-Una Sirena del cielo!- urlò allora la vedetta, il dito puntato verso la figura fluttuante nell’atmosfera –Allora esistono davvero.
Jim scosse la testa, il cuore cominciò a battergli forte: l’aveva vista anche lui, allora.
Si arrampicò velocemente sull’albero di poppa, incurante del fatto che il legno ruvido gli stesse pizzicando le mani.
Era una visione irreale, da togliere il fiato: quella creatura era talmente vicina che, se avesse proteso il braccio verso di lei, sarebbe riuscito addirittura a toccarla. La coda brillava di ogni piccola sfumatura di verde, come tante piccole scaglie lucenti, e i capelli rossi , mossi dal vento, parevano danzare con lei.
Non aveva mai visto uno spettacolo più bello in vita sua. Mai.
-Hey, tu?- le gridò con tutta la voce che aveva. Non sapeva se fosse in grado di parlare come lui, né se riuscisse comprendere il suono umano in generale.
Tuttavia, continuò a chiamarla, mosso da chissà quale forza impulsiva, dallo stesso spirito di avventura che lo aveva spinto ad arruolarsi.
Doveva parlarle. Doveva quantomeno provarci.
Lei si girò e gli sorrise. Un sorriso che, effettivamente, non poteva essere umano.
Jim rimase a fissarla, non sapendo che altro dirle, impegnato più a calmare il ritmo dei suoi respiri concitati. La vedeva avvicinarsi a lui, il suo sorriso sempre più sfolgorante.
-Come vorrei essere umana come te- un suono, o forse un canto soave; ed era dedicato a lui, solo a lui.
La mano di lei si allungò verso il suo viso e, con il dorso, gli accarezzò la guancia; dapprima titubante, poi sempre più decisa.
Jim rimase immobile, con gli occhi sbarrati, mentre brividi gli correvano per tutta la schiena, come una piacevole scossa elettrica.
Il battito del suo cuore accelerò, lo sentiva martellare come una percussione all’altezza del petto. Quella carezza, un gesto così semplice eppure così totale, sembrò un’impresa gloriosa, da brividi.
Rimasero così, immobili a guardarsi, la mano di lei ancora ferma sul suo viso.
Avrebbe voluto, in quel momento più che mai, che Silver fosse lì con lui ad ammirare quella meraviglia notturna.



NOTE

Allora, immagino che un paio di note siano dovute per spiegare questo Au un po' complesso
(almeno per quanto mi riguarda).
L'universo, come avrete capito è quello de "Il Pianeta del Tesoro", preciso identico. Ho deciso di utilizzare questo piuttosto che quello de "La Sirenetta", perchè mi sembrava molto più interessante e originale da sfruttare. Il difficile, per me, è stato far rientrare Ariel in un modo steampunk: avrei voluto lasciarla una Sirena,ma trasportarla in un Mondo spaziale. Rivedendo "Il Pianeta del Tesoro", mi sono accorta che, ad un certo punto, compaiono delle balene che fluttuano nel cielo. Ed è lì che mi sono detta: "se le balene possono volare in questo contesto, allora perchè non possono farlo anche le sirene?". Ed ecco spiegato perchè Ariel è diventata uno strano miscuglio tra un pesce e uno space-shuttle (?).
Ringrazio chi ha letto e recensito questa raccolta. Spero che questa coppia vi piaccia, personalmente la trovo un classico dei cross-over Disney (sarà che sono abituata al fandom americano o_o)
A presto e grazie ancora a tutti quanti quelli arrivati fin qui.
Cosmopolita

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Capitolo 3
*** Per il bene del locale (Jafar/Malefica/Ade) ***


Per il bene del locale

[Jafar/ Malefica/ Ade]





Mickey Mouse sapeva di dover intervenire al più presto: quella davanti a lui poteva anche avere le fattezze di un’innocente scaramuccia, ma in realtà era conscio del fatto che presto si sarebbe trasformata in una guerra letale.
Schivò a malapena una tazzina da thè –tra l’altro, un pezzo del suo servizio preferito- la quale era sfrecciata sopra la sua testa, fino a schiantarsi contro il muro dall’altra parte del Club.
Ci manca solo che qualcuno vada a fuoco, qui.
Non fece neanche in tempo a pensarlo, che vide la criniera azzurra di Ade diventare di un divampante rosso fiamma, decine di teste si piegarono istintivamente all’indietro.
Il grido che giunse in seguito, fu malauguratamente previsto –Io non ti permetto assolutamente di…
-Di?- Jafar, d’altra parte, non si scompose. Era rimasto seduto al tavolo con le braccia incrociate al petto e un sorrisetto di sfida sul volto- Andiamo, Ade, di’ pure a tutti quanti noi,- e, con le braccia, indicò il resto delle tavolate, gli occhi tutti puntati su loro due –che cosa io non mi posso assolutamente permettere di fare.
Mickey batté una mano sulla sua fronte: quello stregone lo sta perfino istigando!
Era la volta buona che Gambadilegno facesse chiudere l’House of Mouse.
Per sua fortuna, Ade sembrò calmarsi, anche se non del tutto. Con gli occhi, ispezionò tutto il locale, dal piano bar fino al tavolino in cui Hercules e Megara lo stavano guardando con una mal celata perplessità.
Mickey lo vide avvicinarsi a Jafar con titubanza, per poi sibilare alle sue orecchie qualcosa che, poteva giurarci, doveva per forza riguardare un compromesso: un patto tra gentiluomini o, che dir si voglia, tra un dio e uno stregone.
-Allora,- Ade si discostò dal suo orecchio, la sua voce subdolamente diventata gioviale –Siamo d’accordo?- la mano, grigiastra e rigida, era tesa verso lo stregone.
Jafar, un sorriso beffardo dipinto sul volto, scosse la testa con aria di superiorità –Chi mi dice che tu rispetterai il patto? Se non mi sbaglio, ti piace aggirare i cavilli e colpire alle spalle.
L’altro rivale perse definitivamente la pazienza e i suoi capelli si infiammarono di nuovo, questa volta di un colore ancora più intenso –Sei tu, quello che non rispetta i patti, da quel che mi ricordo!
-Beh, sta’ pur certo che io non retrocedo.
Ade si prese il suo tempo per massaggiarsi le tempie e Mickey pregò che non prendesse fuoco un’altra volta -Perfetto, Jafar. Siamo d’accordo!
Sospirò. Doveva trovare una soluzione, per il bene del locale.
Si voltò verso un tavolino appartato: un’altera donna, con un sorriso sghembo e raggelante, stava osservando tutta la scena con vivo interesse. Fin troppo vivo.

Due paia di occhi gialli lo stavano squadrando con un misto di disprezzo e sdegno. Un brivido gelido gli percorse tutta la schiena: forse non era stata la sua idea migliore, chiedere alla sadica causa della contesa di porre rimedio a quel problema.
-E quindi, mi stai chiedendo di scegliere tra Jafar e Ade?- la voce di Malefica era innaturalmente gelida e calma –Decidere con chi uscire definitivamente per non permettere più che accadano disastri come quello di questa sera?-
Mickey annuì –Per il bene del locale, sai… ha una certa reputazione e…- annaspò, un sorrisetto nervoso impresso sul viso.
Ma la risata di Malefica troncò il suo discorso –E perché dovrei, topo? Per fare un piacere a te? Anzi, ti dirò di più,- la sua risata divenne quasi un ghigno nefasto –Io adoro vederli litigare per me. Sì, credo proprio che mi godrò la loro stupida disputa ancora per un po’.
Mickey scosse la testa: per il bene del locale, avrebbe dovuto cominciare a inserire qualcuno nella sua personale lista nera.






Hola a tutti, amici!
Non potete immaginare quanto io mi sia divertita a scrivere questo capitolo! L’Au mi ispirava davvero tanto (riconosco che si tratta di una scelta discutibile, ma andiamo: Mickey Mouse alle prese con questi tre badass mi incuriosiva troppo!).
Temo davvero tanto che i personaggi, Malefica in primis, siano Ooc: io la adoro, è la mia villain preferita e ci tenevo a renderle giustizia.
Inoltre, sono curiosa di conoscere il vostro parere: voi chi preferite, Ade/Malefica e Jafar/Malefica? (Tra l’altro, non so se voi seguivate lo show “The House of Mouse” da bambini –o anche adesso, perché no- ma esiste una puntata in cui Ade è davvero infatuato di Malefica!).
Per il prossimo capitolo: ho avuto in mente l’idea bacatissima di darvi degli indizi sulla prossima coppietta che scriverò (Perché? Perché mi piace fare questo genere di cose u_u). La prossima coppia di cui tratterò sarà una (udite udite)… femslash! Le due in questione sono due principesse, di cui una è bionda… lascio a voi indovinare chi siano le due (s)fortunate.
Ringrazio chi segue questa storia A presto,
Cosmopolita

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Capitolo 4
*** I sogni son desideri (Cenerentola/Biancaneve) ***





I sogni son desideri

[Cenerentola/ Biancaneve Au!Cinema]




-Ci dica, come ci si sente ad essere definita “La più bella di Holliwood”?
Cinderella scosse la testa e increspò appena le labbra. Ma che razza di domanda era, quella?
-Beh, devo confessarle che ne sono parecchio lusingata. Ma, vede, io credo che, oltre alla bellezza, ci sia anche il talento e…
Il bel faccino bianco e paffuto che stava parlando, rimase bloccato in un’espressione riflessiva, prima che il televisore si spegnesse definitivamente.
Cinderella buttò il telecomando al centro del divano e sbuffò lievemente.
-Oltre alla bellezza c’è anche il talento, eh?- sibilò un po’ infastidita, prima che uno sbadiglio interrompesse il fluire dei suoi pensieri.
Beh, se di una cosa era definitivamente certa, era che quella Biancaneve di talento non ne aveva neanche un po’.
Un’insulsa attrice da copertine platinate, brava solo a recitare la parte della fanciullina dalle insospettabili curve pin-up.
Non come lei che, per arrivare dov’era arrivata, aveva dovuto perfino fare la donna delle pulizie. Oh, certo, il suo successo aveva coinciso con quello del suo matrimonio con il famoso regista, ma quella era stata soltanto una facilitazione.
E comunque, era troppo tardi parlarne: Christopher era andato via e, in tv, non era di certo lei ad essere stata intervistata.
-I sogni son desideri… sì, come no!- si alzò dal sofà, la camicia da notte cadde pesantemente per terra.
Il copione era da qualche parte nel suo studio. A maggior ragione che la sua carriera di attrice era in declino, lei l’avrebbe preso e si sarebbe messa a studiare la sua parte tutta la notte.


Recitare era stata la sua passione. E sarebbe continuata ad esserlo, se non fosse stato per le delusioni che aveva ricevuto in quegli ultimi anni.
Era stato bello, finché era durato, essere arrivata alla vetta del successo.
Rinchiusa dentro il suo camerino, Cinderella si ricordò della prima volta che aveva sfilato sul Red Carpet, aveva avuto per tutto il tempo gli occhi lucidi per la commozione; ce l'ho fatta! era l'unica cosa che riusciva a pensare. Braccio a braccio con Christopher, salutava con un sorriso tutti coloro che, al di là del guardrail, urlavano il suo nome nella speranza di ottenere anche solo un briciolo d’attenzione da parte sua.
Ricordava i flash, i sorrisi, le riviste patinate… ma, in un attimo, era tutto scomparso.
Era bastato che Christopher la lasciasse ed ecco che, adesso, aveva dovuto accontentarsi, come camerino, di un buco squallido e poco illuminato che condivideva con gli altri attori, tutta gente di poco conto. Sul manifesto, il suo nome sarebbe apparso dopo una sfilza di tanti altri ben più importanti del suo e, n
ella locandina, in primo piano, ci sarebbe stata lei: faccino innocente e perennemente incantato, labbra piene e rosse, occhi che sfarfalleggiavano sognanti verso la macchina fotografica.
Era Biancaneve la bella del reame; e di certo non poteva biasimarla per averle rubato la scena. Anzi, un pochino la compativa: ben presto sarebbe accaduta la stessa cosa anche a lei, era questione di tempo.
-Signorina!- una mano toccò la sua spalla. Si girò, ma il viso di donna che si ritrovò davanti non le ricordava quello di nessuna. Doveva essere sicuramente qualche assistente che accettava lavori di bassa manovalanza nella speranza che qualcuno, prima o poi, si accorgesse di lei.
–Mi dica!- sforzò di sorridere e di parlare con un tono energico, ma a lei suonò semplicemente troppo artefatto e alto.
-La signorina Biancaneve ha chiesto se può raggiungerla nel suo camerino… sa…- si chinò verso il suo orecchio, come se ciò che stava per dire si trattasse di un segreto di stato –Vorrebbe conoscerla.
Non rispose nulla. Si alzò dalla sedia, si stiracchiò un po’ per togliere via la sensazione di scomodità, e la seguì, non sapendo a cos’altro pensare se non che, forse, quella Biancaneve non era poi del tutto stupida come le era sembrata in tv.

Non appena tirò la maniglia verso il basso e si sporse con la testa verso l'interno illuminato del camerino, una ragazza dai capelli neri smise subito di acconciarsi i capelli e, distolto lo sguardo dallo specchio, si precipitò verso di lei.
Biancaneve era di fronte a lei e, a giudicare dal suo sorriso smagliante e accattivante, aveva capito per quale motivo piacesse così tanto a tutti quanti.
-Cinderella!- urlò, nella sua voce si riusciva a distinguere un’emozione che non poteva essere frutto di una simulazione.
Le aveva preso una mano, come se avesse voluto accertarsi che fosse davvero presente in quella stanza –Oh, tu non immagini neanche da quanto tempo sognavo di incontrarti… posso darti del tu, vero?-
Annuì, incapace di rispondere: non riusciva a credere che qualcuno si ricordasse ancora di lei.
Oltretutto, essere così ricercata da una persona che, perlomeno in quel momento, era decisamente più ammirata da lei, la lusingò parecchio.
-Sei stata praticamente la mia maestra di vita,- stava continuando intanto quella ragazzina, il tono della sua voce si era piano piano calmato, ma la sua mano era ancora stretta alla sua –Non immagini quanto sia felice all’idea di recitare insieme a me!-
Cinderella le concesse un sorriso di pura cortesia –In realtà, il mio è semplicemente un cammeo da nulla. Ma ti ringrazio lo stesso, Biancaneve.
-Chiamami Bianca, se non ti dispiace
Bianca.
Superato l'astio iniziale, la sua mente si stava pian piano abituando ad associare il viso della ragazza a quel diminutivo: doveva ammettere che non c'era nulla di male nel dare così tanta confidenza ad una perfetta sconosciuta. Sarebbe stato difficile il contrario, dal momento che si era dimostrata tanto gentile nei suoi confronti!
Bianca.
Sì, in fondo, non le sarebbe dispiaciuto affatto chiamarla così.


Era il suo ultimo giorno di riprese. Anzi, a dire il vero, il suo ultimo minuto lì su quel set. Aveva già girato la sua bella scena della durata di ben un minuto e cinquantasette secondi e, forse era una sua impressione di donna ferita e incompresa, le era sembrata la prova migliore di tutta la sua carriera.
La sua vena artistica racchiusa in poco meno di due minuti. L’avrebbero ricordata così.
-Cindy?- Biancaneve fece cenno ad un uomo accanto a lei di aspettare, per poi venire verso la sua direzione.
Il suo sorriso le era sempre parso molto particolare. Non era mai troppo esagerato e nemmeno troppo forzato. La bocca si curvava leggermente all’insù e gli occhi parevano illuminarsi.
A Cinderella ricordava i sorrisi di Christopher, prima che tra loro finisse tutto.
-Dimmi, Bianca.
-Volevo salutarti: so che questo è il tuo ultimo giorno qui.
Sentì le vertigini non appena lo disse. Perché sì, era vero, lei sapeva già che non sarebbe mai più tornata lì, ma detto da Biancaneve faceva tutto un altro effetto. “Volevo salutarti". Sapeva benissimo che cosa voleva dire in realtà: “Non ci vedremo mai più”.
Ed era questo ciò che la spaventava di più. Perché, in fondo, quella ragazza era… beh, le piaceva davvero!
Era ancora così ingenua, vitale, piena di speranze… era identica alla se stessa di tanti anni prima, quella che aveva faticato così tanto pur di realizzare i suoi sogni.
E si sentì salire le lacrime agli occhi alla sola idea che, un giorno, anche Biancaneve sarebbe diventata come lei.
-Ti prego, non fare la mia stessa fine- quelle parole le uscirono praticamente di getto, senza averci ragionato più di tanto. Una lacrima attraversò la sua guancia e non fece nulla per rovinare il suo corso –Rimani quella che sei adesso, perché sei una bellissima persona, e sono sicura che…
Non finì di parlare, perché d’improvviso le labbra di Biancaneve furono sulle sue, forse anche lei spinta dalla stessa forza misteriosa che la stava costringendo a dire quelle parole.
Cinderella, in un primo momento, non seppe che fare: rimase completamente immobile, con gli occhi sgranati.
Stava bene. Sorprendentemente, quel bacio le era sembrato la conseguenza più naturale del loro rapporto; e allora si aggrappò alle sue spalle, con la mano le accarezzò dolcemente i capelli.

E non importava che fosse rimasto ancora qualcuno su quel set che potesse sorprenderle in quell’angolino: rimasero l'una abbracciata all'altra, per minuti che a loro parvero ore, trasportate dalla corrente, incerte sul loro futuro.








Salve a tutti!
Ehm… sì, devo ammettere che questo capitolo è un po’ strano.
E’ stato difficilissimo scriverlo, non potete neanche immaginare le maledizioni che ho lanciato perché non riuscivo a concluderlo in maniera decente (e i risultati si vedono).
Avevo scritto la prima parte eoni fa, per un contest se non ricordo male, ma la storia finiva in maniera decisamente diversa: nella prima versione, Bianca e Cindy già si conoscevano e non si sopportavano. Doveva venir fuori uno scenario alla “Eva contro Eva”, che però ho dovuto modificare.
Fatemi sapere se vi è piaciuto.
ah, già: ho usato Cinderella invece che Cenerentola, perchè come nome mi è sembrato un tantino più normale per un'Au. Infatti, il diminuitivo Cindy ci sta tutto tutto, secondo me
Faccio, inoltre, i complimenti a _Lyss_ e auaura per aver indovinato la coppia. Biscottino per voi.
Inoltre, altro biscottino per Mheetu che ha recensito lo scorso capitolo :3
Come avrete sicuramente capito, queste due le adoro. In tutto, sono solo sei le coppie femslash che considero le mie OTP (e non parlo solo del fandom della Disney, ma in generale), e loro sono una di queste. Le adoro. Punto.
Spero vi sia piaciuto il contesto Au in cui le ho mosse!
La prossima coppia sarà un po’… beh, particolare! Vi dico solo che quest’abbinamento rovina di conseguenza due coppie canon: una che decisamente adoro e una che non mi è mai piaciuta più di tanto.
Ebbene, ecco a voi gli indizi: entrambi provengono da due cartoni piuttosto recenti della Disney ed entrambi sono stati realizzati in CGI.
Indovinate chi sono? u.u
Per ora, vi saluto: Hasta la vista!
Cosmopolita

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Capitolo 5
*** I see the darkness (Flynn/Anna) ***


NB: questo capitolo partecipa alla challenge "30 modi di amare più qualche delizia", indetta da Eireen_23 sul forum di EFP





I see the darkness




Sua cugina sorride radiosa; Anna le ha visto in faccia un sorriso del genere un milione di volte –perché, sarebbe inutile dimostrare il contrario, Rapunzel è sempre sorridente- ma sa, in cuor suo, che questa volta sarà tutto diverso. Non è più il sorriso di una bambina, innocente e sorpresa anche dalle più piccole novità quotidiane, e non lo sarà mai più.
La vede alzare la mano in segno di saluto; gli occhi verdi sono rivolti verso un punto non precisato della stanza e la mano adagiata su quella di lui.
-Vi dichiaro marito e moglie.
Anna non sa bene –pur essendo esattamente nella stessa stanza, e in quello stesso momento- che fattezze abbia colui che ha pronunciato quelle parole, che paiono conficcarsi come lame dentro di lei: non ha il coraggio di alzare lo sguardo per guardarlo. I suoi occhi sono fermi su quelle mani strette in un legame che lei non potrà mai sciogliere.
“Si sono sposati”; è difficile crederci, nonostante abbia visto associato ovunque, per le strade, a palazzo, sull’invito che è arrivato ad Arendelle, il nome di sua cugina con quello di Eugene.
Due lacrime le cadono sulle guance, solo lei sa che non sono di commozione.
Il vero amore, io, non l’ho mai conosciuto.
Perché, è vero, c’è Kristoff accanto a lei adesso; e lei gli vuole bene, gli vuole bene davvero.
Forse un giorno si sposeranno, perché lei ormai ha deciso così; che Kristoff è ciò che più si avvicina al vero amore. E, certo, lo ama. Non ha neanche il coraggio di affermare il contrario.
Non riesce, tuttavia, a staccare lo sguardo da quelle mani intrecciate e, soprattutto, da lui.
Anche Eugene sorride, come mai lei lo ha visto fare. Forse solo una volta, da quando lei lo conosce: quando Rapunzel, mano nella mano con lei, l’aveva trascinata per le stanze del palazzo, solo per presentarglielo.
-Oh, adorerai mio marito, ne sono certa! Anzi, più che certa!
E Anna rideva ancora, ingenua e ignara di quello che poi sarebbe successo in seguito. Perché era contenta che sua cugina avesse trovato qualcuno che amava tanto al punto di sposarlo, proprio come era accaduto tra lei e Kristoff.
O, almeno, così pensava.
Perché poi lo ha visto. Sua cugina lo ha chiamato, lui si è voltato verso di loro, verso di lei, e gli occhi di lui si sono incrociati con i suoi per la prima volta.
Avevano un aspetto così luminoso e accompagnavano un sorriso così rassicurante e gentile, che Anna non aveva potuto fare a meno di lanciarsi verso di lui ed abbracciarlo, incurante di tutti gli altri presenti in stanza che, come l’avrebbe sicuramente rimproverata Elsa, chissà cosa avrebbero potuto pensare di lei –Benvenuto in famiglia!- aveva urlato, più a se stessa che a tutti gli altri, come se avesse voluto nascondere perfino a lei quella sensazione strana di disagio che aveva provato non appena l’aveva visto.
Sentiva le braccia del suo futuro cugino stringersi alla sua schiena, con affetto, come se si conoscessero da anni. Non era sorpreso del suo esuberante slancio d’affetto, forse abituato a quello di Rapunzel.
-Piacere di conoscerti, Anna- la sua voce era profonda, allegra. Sapeva di giornate assolate, di corse nel prato… era bella.
E quell’abbraccio, Anna l’avrebbe ricordato ancora, in seguito, la stessa notte, il giorno successivo e quello dopo ancora.

Rapunzel e Eugene –ormai marito e moglie, come dolorosamente le ricorda la sua ragione- scendono la scalinata che li separa dalla galleria di persone che li stanno osservando.
Tutti stanno applaudendo, perfino Kristoff, e Anna sa a cosa sta pensando il suo fidanzato in questo momento: “Il matrimonio mio e di Anna sarà indimenticabile come questo”.
Quando pensa a Kristoff, a quante volte in questi giorni le è venuto spontaneo paragonarlo ad Eugene, un senso di nausea l’assale, come se due dita le fossero ficcate in gola: come può mentire in questo modo a lui e a se stessa?

-Rapunzel mi ha parlato molto di te.
Passeggiavano nel giardino, a braccetto, la fitta coltre di rami e foglie non riusciva comunque ad impedire che un sottile raggio di sole illuminasse il viso di Eugene.
Anna non poteva fare a meno di guardarlo. Più ci pensava, più sentiva le sue guance surriscaldarsi.
-Oh, sai, noi non ci siamo mai frequentate moltissimo, viviamo in due Regni molto lontani tra loro. Ricordo che, durante l’incoronazione di mia sorella eravate lì anche voi ma, sapete… dopo è successo quel che è successo e…- si era fermata, lo aveva guardato e poi gli aveva sorriso nervosa: sapeva di star parlando a vuoto di cose che a nessuno dei due interessano, ma non riusciva a controllarsi. Era come se il suo istinto la spingesse a continuare a parlargli, a stare insieme a lui, soli in quel giardino silenzioso – Cioè, insomma… avrei voluto davvero conoscervi meglio prima, ecco.
Era arrossita definitivamente. Quelle ultime parole, forse, non erano state le più adatte per descrivere il suo stato d’animo.
Eugene non aveva risposto più nulla. Aveva continuato a camminare braccio a braccio con lei, l’unico rumore che si riusciva ad udire era quello delle loro scarpe che crepitavano contro i rami secchi e strusciavano sulla ghiaia asciutta.
-Ti ho messo in imbarazzo, non è così?
Lui, allora, era scoppiato a ridere –Assolutamente no. Anzi, sono contento che tu mi voglia già bene.
Anna aveva sospirato e, in un attimo, tutto il fastidio e il disagio che aveva provato prima, era come se fosse svanito, volatilizzatosi nell'aria di quel giardino. 


Si fermano davanti a lei, due angeli sorridenti che non si accorgono minimamente di come la loro piccola, tanto spensierata cuginetta, in realtà non vorrebbe essere lì in quel momento.
Ma Anna si sforza di sorridere. Scaccia gli ultimi pensieri dolorosi dalla testa; la negatività non le è mai piaciuta. La fa sentire fiacca e inerme.
E allora sorride come loro: il loro stesso sorriso splendente, che sfigura il loro volto rendendolo ancora più bello di quanto non lo sia già.
Abbraccia sua cugina, le mormora piano un “congratulazioni” con voce palpitante di emozione, come se si stesse trattenendo dall’urlare; neanche lei sa se di gioia o di disperazione.

-Ti è mai venuto il dubbio che la persona che hai scelto per passare la tua intera vita, non sia in realtà quella giusta?
Eugene si girò per guardarla, un sopracciglio inarcato e la fronte corrugata in una smorfia pensierosa.
Il suo profilo le sembrava distaccato dall’intero paesaggio, come se le luci chiaroscurali del tramonto non lo toccassero minimamente. Risplendeva, Eugene, come il sole prima di gettarsi nel lago, quando mostra al mondo intero il meglio di sé –Stai parlando di te e Kristoff?
Anna dilatò gli occhi, i suoi muscoli per qualche secondo sembrarono non rispondere più ad alcun comando: aveva capito tutto, quindi?
-Beh, felice che tu ti sia confidata proprio con me: del resto, chi non lo farebbe?- il sorriso si aprì in una fila di denti perfettamente allineati l’uno all’altro e Anna non poté fare a meno di sorridere a sua volta –Però, sai… per quanto mi rammarichi dirti questo, io non posso farci proprio nulla- fece spallucce e tornò a guardare l’orizzonte assorto, la linea del lago su cui erano affacciati si era già colorato d’un rosso fiamma, quasi innaturale –Non te lo devo dire io chi è la persona giusta per te.
Anna si ritrovò a pensare che, stranamente, Eugene era stato il primo a dargli una risposta simile.

E infine, abbraccia anche lui.
Anche questa volta, ci sono migliaia di occhi a guardarli, come la prima volta che si sono conosciuti e che lei ha provato quel brivido strano che non l’aveva fatta dormire di notte.
Ma questa volta è diverso.
Tutti a poco a poco sembrano sparire, i suoni degli applausi sono cessati d’improvviso. Anche Rapunzel sembra essersi volatilizzata nel nulla, nei meandri della sua testa.
Ci sono solo loro due, avvolti nel buio, stretti tra le loro braccia e Anna sa che è solo lei ad avvertire il suo cuore palpitare piano, un leggero rintocco.
Il braccio di lui premuto sulla sua schiena, la mano di lei poggiata sul collo di lui.
Vorrebbe dirgli cosa ha provato per lui per tutto questo tempo: non sa se lo ama, non sa neanche se gli piace così come le piace Kristoff e come, anni addietro, le era piaciuto Hans.
Tuttavia, in un istante tutto finisce: riecheggia gradualmente nelle sue orecchie i rumori di tutti quelli che la circondano, avverte accanto a sé la presenza di gente che si accalca per dare anche loro le congratulazioni.
Anna continua a sorridere. Nonostante tutto, è contenta.

-Quando guardo Eugene, è come se vedessi la luce- quando Rapunzel rideva, nel palazzo si riusciva ad udire solo l’eco della sua voce cristallina –Immagino che con Kristoff sia la stessa cosa.
-Ma certo!- lo ha detto così, senza neanche pensarci più di tanto.
Forse perché era vero. Perché aveva ragione Eugene: nessuno doveva consigliarle la persona giusta per lei: era lei a doverlo stabilire. E lei, in fondo, aveva sempre saputo decidere da sola quello che voleva davvero.

Quando guarda Eugene, Anna vede l’oscurità.
Un'oscurità che l’acceca e l’inghiotte, che non la fa ragionare come dovrebbe.
Continua ad abbracciarlo davanti a tutti, non sa quanti minuti siano passati. Fossero anche ore, a lei non importa.
Quando guarda Kristoff, Anna non sa con certezza cosa vede. Non c’è confusione nei suoi pensieri, né sofferenza, né colpa. Non c’è oscurità, in quello che prova per lui.
D’istinto, stringe la presa su Eugene -Congratulazioni- gli mormora e questa volta è sincera.







Salve a tutti!
Come al solito, la mia incapacità galoppante si manifesta ogni giorno sempre di più: questo capitolo fa schifo. Prima di tutto, è lunghissimo, forse il più lungo di tutti.
E poi, in realtà, come avete potuto constatare, non sono una vera e propria coppia: ho immaginato Anna in un momento di debolezza, che potesse mettere a repentaglio ogni sua certezza. Mi è sempre sembrata una persona che, tutto sommato, sa quello che vuole, mi sono divertita a metterla in difficoltà. Il contesto in cui li ho mossi, mi piace davvero tanto, lo confesso: non appena ho saputo che la parentela tra Elsa/Anna e Rapunzel era canon, ho letteralmente urlato di gioia e, beh, non potevo non scriverci qualcosa.
Inoltre, Anna e Flynn sono di un Ooc spaventoso, me ne rendo conto. Cioè, secondo me Anna, in contesti più tristi, farebbe così, quindi è un po’ una mia visione del personaggio: fatemi sapere la vostra, insomma ^^
A me questi due piacciono tanto, il che è un problema, considerato che adoro Flynn e Rapunzel insieme. Per questo ho voluto fare in modo che la loro fosse una coppia one side, con immensa sfortuna di Anna.
E ora, passiamo al momento più atteso (??): chi sarà la prossima coppia?
Beh, vi confesso che è una delle mie preferite, insieme alla Ariel/Jim, alla Jafar/Malefica e ad un’altra che, spero presto, mi piacerebbe proporvi.
Vi basta solo sapere che entrambi… beh, entrambi hanno a che fare con un Mondo “meraviglioso”. Cioè, so che siamo in casa Disney e che tutto è praticamente "meraviglioso". Diciamo che sono due universi surreali perfino per la Disney ;)
Grazie alle persone che hanno recensito lo scorso capitolo -Mheetu, auaura (non preoccuparti, un personaggio di "Ralph Spaccatutto" arriverà presto ;)), mergana e _Lyss_- e a quelli che hanno messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate/tutt’e tre (??).
Un grande, gustoso pasticcino a tutti voi <3
Cosmopolita

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Capitolo 6
*** L'ultimo viaggio (Peter e Alice) ***



L'ultimo viaggio




[Peter e Alice]


Aprì gli occhi.
Il sole le batteva sulla faccia e la sua luce accecante la costrinse a richiuderli di nuovo, forte, per scacciare via il bruciore.
Avrebbe voluto alzarsi, ma la testa le sembrava talmente pesante da non riuscire a sollevarla neanche di un millimetro.
Con la mano tastò la superficie su cui era distesa, sentiva il palmo lievemente accarezzato dall’erba: era sdraiata su un prato, a quanto pareva. Il che era molto strano, perché, dalle sue parti, non c’erano prati. Non tenuti così male, in ogni caso, con l’erbaccia lasciata crescere senza criterio. E, inoltre, lei ricordava di essere andata a dormire a casa sua, nel suo letto.
Aprì di nuovo gli occhi e questa volta il bagliore del sole le fece meno male. Sollevò un po’ la testa, indolenzita: era troppo vecchia per poter riposare sulla terra nuda senza risentirne.
-Ti sei svegliata, finalmente!
Alle sue spalle, seduta sull’erba come lei, stava un ragazzino che la stava fissando con uno sguardo che lei avrebbe definito inappropriato: fermo, dritto negli occhi, come se si conoscessero da chissà quanto tempo.
Di certo non era un suo vicino di casa. Lo avrebbe riconosciuto sicuramente, ormai abitava in quel quartiere da tanto tempo… e poi, un tipo del genere le sarebbe rimasto impresso: le orecchie a punta, i capelli color carota e quella luce così particolare che illuminava i suoi occhi… non era un bambino normale. I bambini normali non sorridevano in quel modo.
Non riusciva a comprendere. Si guardò intorno confusa, ma nulla di quell’ambiente la rimandava a qualcosa di familiare: c’era solo un’enorme estesa di erba e quel ragazzino.
-Tu chi sei? E io che ci faccio qui? Io… io…- fu allora che i suoi occhi notarono un particolare a cui, sulle prime, non aveva fatto minimamente caso.
Le sue mani. Aveva alzato le mani e, inevitabilmente, i suoi occhi le avevano guardate. Ma non era questo il punto.
Le sue mani erano ancora lisce e belle da vedere: non erano più segnate dalle rughe, o abbruttite dai calli e dalla vecchiaia.
Sapeva che, a quel punto, una normale donna di novant’anni avrebbe cominciato ad urlare o, in ogni caso, si sarebbe sorpresa di quel fatto singolare.
Ma lei non era una normale donna di novant’anni.

-…E a quel punto, Peter Pan si scagliò contro il perfido Capitan Uncino, facendogli perdere l’equilibrio. I bimbi sperduti, intanto, stavano ancora cercando di liberarsi, ma sa, i nodi marinareschi sono difficili da sciogliere… lo sa, vero? Ho dato per scontato che lo sapesse.
-Sì, cara, lo sapevo già- diede un’occhiata alla ragazza seduta si fronte a lei: le stava rivolgendo un sorriso talmente largo che la bocca sembrava quasi sul punto di schiudersi.
Sorrise anche lei, intenerita: quanti anni poteva avere la figlia dei Darling? Se non sbagliava, andava per i dodici, ormai. Era ancora una bambina, e chissà quante di quelle storie che le raccontava, avrebbe voluto accadessero sul serio!
Era esattamente come lei molti anni fa, quando era ancora una bambina. Se non fosse stata così vecchia da non riuscire più ad alzarsi per fare più di un miglio a piedi, probabilmente la curiosità di vivere nuove avventure l’avrebbe avuta ancora.
Il suo sorriso si spense.
-Signora Douglas, si sente bene?- la signorina Darling si era avvicinata ancora di più alla poltrona su cui era seduta, sul volto le si era acceso uno sguardo allarmato.
Si scrollò un po’ le spalle e rise di nuovo –Ma certo, cara, continua pure a raccontare la tua storia.
Wendy Darling fece un sospiro di sollievo, annuì e si riaccomodò al suo posto.
-Adoro il giovanotto protagonista delle tue storie… Peter Pan,- la donna pronunciò queste due ultime parole come se fossero una formula magica –Rimarrei ad ascoltare le sue avventure per ore se non fosse per…- si soffermò per tossire un po’, fu come sentire un rastrello che le raschiava il petto. Più diventava vecchia, più si sentiva debole, più gli occhi smettevano di vedere, più smetteva si sognare -…a che ora viene a prenderti tuo padre?
-Dopo l’ora del tè, signora Douglas. Se vuole, dopo la storia posso farne un po’ per me e per lei, che ne dice? L’altra volta mi era venuto davvero buono, anche se forse avrei dovuto metterci meno zucchero.
La signora si prese il suo tempo per pensare -Comunque, non mi piace “Signora Douglas”: sa di vecchio- ci tenne a precisare in tono divertito –chiamami Alice.

Era ritornata a quando aveva solo dieci anni.
Per quanto fosse impensabile, era quello che era successo. Era diventata giovane ed era seduta sull’erba accanto ad un ragazzino che non la smetteva di fissarla con aria di scherno.
Tutto quello era illogico e totalmente fuori dagli schemi. A meno che…
-Sono di nuovo qui?- domandò improvvisamente al ragazzino, neanche si voltò per guardarlo –Per la terza volta?-
-Di nuovo qui dove?- l'altro inarcò un sopracciglio.
P
iù sorpresa tra i due, comunque, rimaneva lei: com’era possibile che si trovasse ? Non ricordava di esserci arrivata tramite una qualche porta, o chissà quale diavoleria, come le volte precedenti –Come “dove”? Mi sembra ovvio, no?- ribatté, intenta a togliersi la polvere di dosso –Nel Paese delle Meraviglie.
Pel-di-Carota si strinse nelle sue spalle –Beh, chiamalo pure come ti pare.
Alice rimase a fissarlo, questa volta più intensamente di prima: ora che aveva capito dove si trovava e, quindi, essersi data la spiegazione a tutte le situazioni strane che le erano capitate tutte d’una volta, le era parso che quel volto le ricordasse, effettivamente, qualcuno.
Ma, si ritrovò a riflettere, è del tutto illogico! Me lo ricorderei di certo un ragazzino che ha tutta l’aria di essere uno spiritello con naso e orecchie a punta e i capelli a…
I suoi pensieri si bloccarono. Lei stessa si bloccò, il corpo improvvisamente sembrava essere diventato troppo molle e pesante per lei.
Si era ricordata improvvisamente di una cosa. Un’immagine abbozzata su una carta strappata in fretta e furia e una ragazzina che, con il fiatone e gli occhi lucidi per l’emozione, aveva fatto irruzione a casa sua un pomeriggio d’estate. Fuori di sé, le aveva urlato dentro un orecchio –L’ho visto, Alice! Sono riuscita a vedere Peter! Il trucco dell’ombra ha funzionato.
Strabuzzò gli occhi: non è possibile.
Ma, del resto, cosa c’era d’impossibile nel Paese delle Meraviglie? I gatti parlavano, i conigli avevano l’orologio e lei era tornata di nuovo ad essere una bambina di dieci anni.
-Sei… sei Peter Pan?
E il ragazzino sorrise.

Più passava il tempo, più la presenza di Wendy a casa sua era diventata frequente e necessaria. A volte era Alice stessa a narrarle una delle sue peripezie, anche le più strane, perché era bello sapere che esisteva al mondo una persona convinta che le sue non fossero semplici fiabe per bambini.
Tuttavia, più spesso, era la Darling a raccontare le mirabolanti imprese di Peter Pan.
Parlare, a Wendy, piaceva molto di più che ascoltare. Ad Alice, però, andava bene così: il Paese delle Meraviglie da bambina, i viaggi mondani con i suoi genitori da adolescente e le avventure per mare con suo marito durante la vita adulta, erano tutti ricordi piacevoli, certo. Ma erano pur sempre ricordi del suo passato: le aveva già vissute, non c’era più nulla da scoprire.
Per quanto fosse di conforto ricordare la follia del Paese delle Meraviglie, le montagne Europee e il viso abbronzato di suo marito che le sorrideva dalla prua, sapeva già come sarebbero andate a finire.
Tuttavia, con Peter… con Peter era diverso. Peter era il suo futuro. Era sempre diverso, la lasciava sempre con il fiato sospeso. Valeva la pena rimanere ad ascoltare, se ascoltare voleva dire vivere una nuova avventura.
E Wendy parlava, parlava. Davanti al caminetto, gli occhi fissi sul fuoco e la voce eccitata per l’emozione, mentre la testa di Alice vagava lontano, ogni volta verso quel Mondo tutto da scoprire, accanto a Peter.
Peter era il suo nuovo Paese delle Meraviglie e Wendy il suo nuovo Bianconiglio.

Avrebbe voluto chiedergli tante cose. La sua mente era come se fosse stata travolta da un fiume in piena: cosa ci faceva lui lì? Cosa ci faceva lei lì? Aveva più rivisto Wendy? Com’era possibile che quel tipo non crescesse mai? Perché, pur essendo rimasta a volte ore davanti alla finestra in attesa che sbucasse anche solo per scorgerla da lontano, era apparso solo ora? Com’era volare?
Ma non riuscì a domandare nulla di tutto quello. Peter la prese per mano e, con un sorriso, le disse –Avanti, Alice, dobbiamo andare.
Sbatté le palpebre una, due, tre volte –Andare? Andare dove? E poi, come fai a conoscere il mio nome?
Peter scoprì una fila di denti bianchissimi –Wendy mi ha parlato di te.
Wendy.
Da quanto tempo non la vedeva. Aprì la bocca, avrebbe voluto chiedergli qualcosa in più su di lei, ma la voce brusca del ragazzo non le diede il tempo neanche di aprire la bocca –Su, Alice! Non c’è tempo, dobbiamo andare.
-Ma andare dove, di grazia?- ribatté un po’ spazientita, le braccia poggiate sui fianchi.
Peter Pan alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, come se davanti al suo cospetto ci fosse una bambina un po’ tarata –Non l’hai ancora capito? All’Isola che non c’è.

-Sai, l’ho rivisto. Era sul davanzale della finestra, penso stesse riaccompagnando i miei figli a casa.
Alice fissò il viso di Wendy. Era ancora giovane, ma già si intravedevano sul viso piccole rughe che circondavano gli occhi e la bocca. Il sorriso stanco, gli occhi pesanti, non erano più quelli della bambina logorroica e esuberante che ogni pomeriggio veniva a casa sua per raccontarle nuove storie.
Sorrise, Alice, perché sapeva a chi si stesse riferendo. E la invidiò, perché anche Wendy ormai aveva passato da un pezzo l’età dei giochi e della fanciullezza, eppure lo aveva visto. Di nuovo.
-Com’è stato?
Il viso di Wendy si spense –Sono cresciuta, Alice. Non mi ha neanche riconosciuta.
Scese il silenzio, ma solo per un istante. La vecchia donna, un sorriso di comprensione stampato in faccia, poggiò una mano sulla spalla della più giovane –Come sta John? Ho saputo che è ritornato dal fronte.
Wendy si illuminò, di nuovo, d’improvviso e prese a parlare, come faceva sempre quando una cosa la interessava particolarmente. Ma questa volta, era la semplice vita quotidiana.

La casa dei Liddell-Douglas era rimasta esattamente come la ricordava l’ultima volta che c’era stata: immensa, signorile, eppure unica nel suo genere.
Jane , sua figlia, le camminava accanto e il marito, di tanto in tanto, commentava ad alta voce tutto ciò che gli passava per la testa –Quello è il digeridoo più grande che io abbia mai visto! Alla vostra amica piaceva viaggiare, eh?-
-Sì, sai… il marito era un ammiraglio.
Wendy li ascoltava solo di sfuggita. Sentì i suoi occhi inumidirsi: rivedere quella casa dopo tanto tempo, come se quest’ultimo non fosse mai passato, era stato un colpo al cuore per lei. Peter le avrebbe detto che stava diventando troppo vecchia.

Le avevano telefonato qualche ora prima. Non aveva riconosciuto la voce all’altro capo, ma non era importato più, non dopo quello che le disse.
-Lei è Wendy Stevens, amica di Alice Liddell in Douglas?
-Sì, mi dica.
-Sono il suo notaio. La signora Douglas è…- si prese una pausa, quasi a voler cercare le parole giuste da dire. Ma Wendy aveva già capito di che cosa si trattava.
 -...beh...lei non c’è più.

C’era voluto un minuto buono prima che lei riuscisse a metabolizzare sul serio il significato di quelle parole.
Alice era molto vecchia, certo, ma era sempre stata una di quelle persone che sembrava impossibile potessero morire. Fu come se un bruscolino le fosse entrato improvvisamente negli occhi, ma non pianse; tentò di rimanere lucida, almeno finché era al telefono.
-Dovrebbe presentarsi al più presto qui a casa sua, sa… per l’eredità.
Sgranò gli occhi –Vuol dire che mi ha lasciato qualcosa?
-Non qualcosa, signora Stevens… tutto. Le ha lasciato tutto.

Non le sembrava vero poter rivivere una nuova avventura. E questa volta, era tutto vero, non era una semplice favola.
Era di nuovo giovane, era di nuovo viva. Era con Peter, pronta a volare verso l’Isola che non c’è.
Non importava se quello si trattava di un sogno, o peggio, se non si sarebbe mai più risvegliata.
Era pronta ad affrontare l’ultimo viaggio.









Salve a tutti!

Beh, prima di tutto, vogliate perdonarmi per l’enorme ritardo. Probabilmente, anche il prossimo capitolo farò parecchia difficoltà a pubblicarlo a breve: misto trasferendo, per motivi di studio, in un’altra città, perciò sono parecchio impegnata ^^
Ad ogni modo, questo è il nuovo capitolo e spero proprio vi sia piaciuto. Come avete visto, oramai, sono votata alle one-shot vere e proprie e quindi, nulla, questo capitolo è perfino più lungo di quello precedente.
Vorrei subito premettere che, questa volta, ho voluto dare alla coppia in questione una valenza non più romantica, com’era accaduto per le precedenti. Infatti, quella "e" di congiunzione tra Peter ed Alice, al posto della solita stanghetta, non è stata messa tanto a caso: Alice, che ho preferito renderla molto più vecchia di Wendy per motivi cronologici (“Alice nel Paese delle Meraviglie” è del 1865, “Peter Pan” è dei primi anni del ‘900), non è innamorata di Peter in sé (anche perché, la cosa sarebbe alquanto malata e disturbante o.o), ma dell’idea stessa che incarna questo ragazzino: la libertà, l’eterna avventura e giovinezza. Mi sembrava molto appropriato, per una come Alice.
Mi sono divertita molto a scrivere questa storia: in realtà, all’inizio la trama era completamente diversa, la sua amicizia con Wendy era molto più marcata e il suo rapporto con Peter lo era molto meno. Tuttavia, scrivendo, le situazioni si sono evolute da sole, senza che io dovessi progettare nulla. E’ stato un po’ come se fossero gli stessi personaggi a guidare me e, anche se il capitolo non dovesse risultare bello ed appassionante, spero che comunque vi sia piaciuto almeno un pochino.
La prossima coppia… beh, è particolare, sicuramente. A me piace molto, è una delle mie preferite. Sono due villains, non i miei preferiti, ma che sicuramente lasciano il segno (a lei, tra l’altro, hanno fatto cantare quella che è, a mio parere, una delle più belle canzoni cantate dai cattivi). Se dovessi usare una parola per descriverli, direi che tutta la loro storia si basa sull'apparenza: belli fuori (oddio, lei non proprio, ma se avete capito a chi mi riferisco, capirete anche che cosa intendo) ma marci dentro.
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, chi lo farà con questo e chi segue assiduamente questa raccolta.
Pasticcini per tutti!
Cosmopolita

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