La città degli Dei di SagaFrirry (/viewuser.php?uid=819857)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I- Quella notte ***
Capitolo 2: *** II- La caduta ***
Capitolo 3: *** III- ruoli e classi ***
Capitolo 4: *** IV- Ritorno ***
Capitolo 5: *** V- Tempio ***
Capitolo 6: *** VI- Demoni ***
Capitolo 7: *** VII- Lilith ***
Capitolo 8: *** VIII- Principe ***
Capitolo 9: *** IX- Con gli occhi di Luciherus ***
Capitolo 10: *** X- La ricerca di Vereheveil ***
Capitolo 11: *** XI- Ricordi ***
Capitolo 12: *** XII- incontri ***
Capitolo 13: *** XIII- senza magia ***
Capitolo 14: *** XIV- L'ospitalità di Abramian ***
Capitolo 15: *** XV- L'equilibrio del passato ***
Capitolo 16: *** XVI- Prove e cambiamenti ***
Capitolo 17: *** XVII- Addio ***
Capitolo 18: *** XVIII- Nuovo Equilibrio ***
Capitolo 19: *** XIX- I signori dell'aria ed il principe del mondo ***
Capitolo 20: *** XX- Squartamento (NDA arancione per questo) ***
Capitolo 21: *** XXI- Il canto del demone ***
Capitolo 22: *** XXII- La rabbia dell'angelo ***
Capitolo 23: *** XXIII- Il figlio del peccato ***
Capitolo 24: *** XIV- Prigionia e risveglio ***
Capitolo 25: *** XXV- Urihel ***
Capitolo 26: *** XXVI- Creazione ***
Capitolo 27: *** XXVII- Riunire e dividere ***
Capitolo 28: *** XXVIII- Morte e Vita ***
Capitolo 29: *** XXIX- Eserciti ***
Capitolo 30: *** XXX- Canti divini ***
Capitolo 31: *** XXXI- Redenzione ***
Capitolo 32: *** XXXII- Ricominciare ***
Capitolo 1 *** I- Quella notte ***
I
QUELLA NOTTE
“Ti vedo più
calmo del solito questa sera. Anzi… ti vedo
tranquillo come mai prima d’ora!” disse il Dio del
Tempo.
“Vaffanculo!”
rispose il Dio del Kaos, seduto sul trono, con
voce roca ed
altalenante.
Il Dio del Tempo sorrise e Kaos
alzò lo sguardo. Tempo era alto,
con i capelli che si arricciavano in verticale a formare il simbolo
dell’infinito, quasi a voler ricordare in ogni momento la sua
ciclicità e
durata eterna. Quella notte, come sempre nella sua esistenza, la
divinità dello
scorrere delle ore stringeva un pendolo nella mano destra. Era color rosso rubino ed oscillava,
inevitabilmente e
in qualunque posizione venisse posto, una volta al secondo.
Quella notte il Tempo passeggiava per
il salone del Kaos, ignorando
l’oscillare di quello che era uno dei suoi strumenti di
lavoro, e faceva
svolazzare per il pavimento la veste ampia a sfumature grigie. Passeggiava canticchiando e
sorridendo
all’irritatissimo Dio del Kaos, che invece stava seduto su un
seggio fatto di
spuntoni e rientranze irregolari.
Kaos si sorreggeva la testa con la
mano destra e seguiva con
gli occhi quel maledetto pendolo che, in quel momento, avrebbe fatto
tanto
volentieri mangiare al suo proprietario.
Con la mano libera iniziò
a giocare con l’altissimo colletto
del mantello che faceva sì che il suo volto, indefinito,
privo di tratti
somatici, fosse quasi del tutto coperto. La sola caratteristica
chiaramente
riconoscibile sul viso del Kaos erano gli occhi, che quella notte
ruotavano a
destra e sinistra in modo inquietante.
Nervoso, iniziò a
tamburellare sul bracciolo, producendo
così l’unico suono in tutto il salone.
Nonostante fuori imperversasse una
sorta di tempesta, con tuoni,
lampi e urla di vari Dèi controllori
dei fenomeni atmosferici che litigavano tra loro, all’interno
della dimora nera
regnava il silenzio totale. Era una cosa molto rara. Il Tempo, forse
intimorito
da quell’insolito silenzio, fluttuava a mezz’aria
per non disturbare.
Ta-tak.
Le
unghie del Kaos si alzavano e si abbassavano dal bracciolo.
Ta-ta-tak.
Kaos
fissava la
confusione assoluta che regnava sovrana
da sempre nel suo palazzo.
Dall’alba
dei giorni, primeggiava la mancanza di logica eppure, quella notte, il
padrone
di casa provava l’irrefrenabile desiderio di mettere in
ordine. Fremeva al
pensiero di ricomporre i vari oggetti distrutti e sparsi per il
pavimento, o di
ritrovare le cose dimenticate negli angoli e lasciate al buio a fare
ragnatele.
Al Kaos piaceva lanciare in giro ciò che gli capitava a tiro
e questo rendeva
il suo regno alquanto singolare. Inoltre detestava gli angoli retti e
l’armonia
perciò tutta la Sua architettura si basava su angoli
assurdi, scale e pavimenti
storti, divergenze cromatiche preoccupanti e forme prive di senso.
Adorava il
suo pavimento diagonale, le sue piastrelle tagliate a casaccio, i
quadri in
pendenza, le finestre rotte e gli oggetti sparsi ma, quella notte,
aveva un
irrefrenabile desiderio di mettere in ordine...
Iniziò a guardare in alto,
per distrarsi. Seguiva le linee
che attraversano tutto il soffitto, terminante a punta, decorato con
tantissime
forme geometriche impossibili formate dal loro incrocio.
Con il bel tempo da quella punta
entrava uno spiraglio di
luce. Il padrone di casa non amava molto i luoghi luminosi quindi le
finestre
erano oscurate da pensanti tende nere e quel piccolo spiraglio era
l’unico
punto da cui filtrava un lieve bagliore.
“Immagino sia la tua
natura” riprese, ad un tratto, il
Dio del Tempo “Il Kaos, quando va tutto
bene, è agitato e nervoso. Quando invece ha motivo di
preoccuparsi, se ne sta
tranquillo e mogio”.
Il Kaos fece un balzo sulla sedia non
aspettandosi la voce
del collega. Aprì la bocca e la richiuse.
“Mi vien voglia di mandarti
di nuovo in quel posto” esclamò,
infine.
Decise di alzarsi e si
avvicinò al suo primogenito, il Dio
della Paura e dei Sogni, che stava seduto sul pavimento ad occhi
chiusi. Quel
bambino stava sempre ad occhi chiusi, perché “solo
ad occhi chiusi si
realizzano i Sogni”. E
serrando le
palpebre si affronta la Paura.
Il padre Kaos lo prese in braccio.
Come sembrava piccolo
quel bambino tra le braccia di quel Dio così alto e dai
contorni così
indefiniti!
Tutto il corpo del Disordine,
composto da nebbia e fumo in
continuo movimento e mutazione, si confondeva con i capelli che si
agitavano e
non lasciavano capire in che punto preciso finissero.
il bambino, soprattutto se messo
accanto al padre, era
chiaramente nato presentando molti tratti della madre, a partire dai
capelli
corvini ad esempio. Kaos, pur avendoli scuri, presentava molte
sfumature
tendenti al grigio. La voce del piccolo, inoltre, era rilassante ed
ipnotica, molto
diversa da quella cavernosa del genitore.
“Come vuoi che sia il tuo
fratellino o sorellina in arrivo?”
domandò il Disordine.
Suo figlio gli sorrise:
“Come nei miei sogni, papà!”.
Il padre lo rimise sul pavimento dove
il piccolo rientrò nel
suo mondo fatto di illusioni e terrore, e tornò a sedersi.
Aspettava...
Aspettava che la porta che gli stava davanti, diagonale e con troppi
fronzoli,
si aprisse per far entrare o la Morte o la Vita a dirgli se il suo
secondogenito
era nato e che era andato tutto bene.
Gli Dèi dei palazzi
confinanti iniziarono ad arrivare.
Ognuno voleva sapere com’era fatto questo nuovo Dio o nuova
Dea che si faceva
attendere. Il Sole, un uomo dalle spalle larghe e le fiamme disegnate
sul petto
scoperto, stava sulla porta ad est. Al suo fianco, il figlio di pochi
anni con gli stessi
tatuaggi appena accennati ed
in via di definizione. Entrambi vestiti di rosso, con i capelli alti ed
agitati
come le fiamme, erano avvolti da una luce calda e luminosa che metteva
in
mostra strane ombre inquietanti lungo il pavimento del salone. La Dea
della
Notte osservava da fuori la finestra. Aveva spostato una tenda e sedeva
sul
balcone. La Speranza invece era grande e restava, a mani giunte,
accanto al
Kaos che la guardava piuttosto scocciato.
Ad un tratto la Vita aprì
la porta e sorrise.
La Morte rimase in un angolo e
incrociò le braccia: “Questa
notte io non lavoro” disse con
voce profonda,
proveniente dalle viscere della terra.
Nessuno era a conoscenza del vero
aspetto di Morte. Era
maschio o femmina? Di pelle chiara o scuro? Il suo volto poteva essere
visto
solo da coloro che erano ormai giunti alla fine del loro cammino
d’esistenza. Quella
notte, con il cappuccio calcato sul
capo, chinò la testa e abbandonò la scena
sorridendo.
“Come sempre io e la Vita
ci siamo sfidati nel nostro gioco
di bianchi e di neri e stanotte ha vinto Lei. Gran bella partita.
Congratulazioni
per il secondo figlio, Kaos” parlò. E
svanì.
Prima di ogni nascita, oppure in caso
di ferite gravi e
condizioni di indecisione tra Vita e Morte, le due divinità
si sfidavano in un
gioco simile agli scacchi. La partita poteva essere vista solamente
dall’oggetto
in discussione, il soggetto in bilico tra la possibilità di
vivere e morire. Gli
Dèi, sì, sono immortali, ma solo dopo la loro
nascita. In caso di vittoria della
Morte, il nuovo Dio non vedrà mai la luce e la Vita..ma
quella notte aveva vinto
la Vita!
Il Kaos si sentì di nuovo
in vena di fare disordine. La
Vita, radiosa e stupenda, una tra le più
belle tra le Dee, stringeva tra le braccia un fagottino bianco, da cui
spuntava
un ciuffo di capelli corvini.
“È
maschio?” chiese il Kaos ansioso e felice.
“Non è nessuno
dei due!!” esclamò la Vita, con entusiasmo, e
continuò: “ È una cosa bellissima.
Né maschio, né femmina…”.
“Cos’è?!
Il Dio degli invertiti?!” gracchiò il Kaos,
tornato
alla sua solita personalità.
Il Tempo gli tirò uno
scappellotto dietro la nuca.
“Sei un
animale!!” urlò la Vita, probabilmente rivolta ad
entrambe le divinità che stavano per azzuffarsi, cosa
insolita per il Tempo ma
del tutto normale per il Kaos.
“Che divinità
diventerà?” domandò il Sole con voce
calda e
serena.
“Credo
dell’Equilibrio” sussurrò la Guerra,
rimasta
appoggiata alla porta da dove era entrata la Vita. Il Kaos
spalancò l’occhio
sinistro lasciando il destro semichiuso, cosa che al Dio riusciva
particolarmente
bene, e guardò Guerra, la sua consorte.
“Tesoro mio, moglie
mia” disse “Come può il figlio nostro,
il figlio della Guerra e del Kaos, essere il Dio dell’
Equilibrio?”.
La Guerra alzò le spalle.
La Dea, bella, bellissima, anche
quella notte era incantevole nonostante quell’aria un
po’ stravolta. Ma sempre
e comunque con un carattere che solo il Kaos poteva sopportare..e amare.
Il Kaos guardò il bambino.
Era qualcosa di indefinito, che
emanava luce e buio, gioia e timore.
Il piccino lo guardò, con
due splendidi occhi azzurri.
Il padre sorrise: “Ha i
miei occhi...” ammise “...ed io sono
l’unico Dio con quella particolare tonalità,
perciò devo dedurre che non hai
fatto ciò che pensavo con un altro, donna”.
Guardò la Guerra che, con
il suo solito sguardo accigliato,
lo minacciò di morte sibilando.
Era il loro modo di dimostrarsi il
proprio amore.
Il Kaos prese il bambino per la
collottola:“L’Equilibrio non
può stare in casa mia”.
“C’è
già un Dio dell’Equilibrio, compare
Kaos…” si affrettò
a dire il Tempo “...non cambierà nulla!
Evidentemente questo è il futuro Dio
dell'Equilibrio, destinato a prendere il posto all’attuale
Signore dell’Ordine
quando sarà giunto il momento. Quando cioè
l’attuale Dio, che a te da tanto
fastidio, sarà stanco o sarà ammesso tra gli
Dèi Alti”.
Gli Alti erano considerati degli
Dèi “consapevoli”. Dèi che
avevano vissuto, lavorato e appreso regole e procedimenti dello spazio
e
dell’insieme di ogni cosa. Erano divinità che
prendevano decisioni, grazie alla
loro esperienza e saggezza, e le comunicavano ad altri Dèi
che lavoravano
svolgendo il proprio ruolo. Ma gli Alti al Kaos non erano mai stati in
grado di
comandare nulla, perché al di fuori dalle regole e da ogni
schema, perciò non
provava alcun timore nel sentirli nominare.
Il padre continuava a tenere il
figlio come un gatto.
“Credi che mi piaccia
l’idea?” domandò rivolto prima al
Tempo e poi agli altri “Credete che mi piaccia, compagni
Dèi, l’idea di avere
un altro Equilibrio tra i piedi?! Certo che no. Spero sempre che il mio
attuale
opponente si stufi e se ne vada, in modo da darmi libero spazio e pieno
potere.
Cosa che non potrà mai avvenire se questo sgorbiciattolo
prende il suo posto”.
Il Tempo intervenne: “Ma un
giorno anche tu diventerai
stanco, stufo, e sarai ammesso tra gli Alti”.
Il Kaos scoppiò a ridere.
Una risata tetra che fece
espandere il fumo e i ciuffi dei suoi capelli e rabbrividire la maggior
parte
degli Dèi nel salone.
“Scherzi, vero, Tempo? Io
sono il Dio più anziano fra di
voi. Sono il primo creato dalle divinità Supreme e ho visto
numerosi Dèi che
hanno svolto il loro compito e son stati ammessi tra gli Alti. Io non
sarò tra
questi. Sono destinato a sopravvivere e lavorare ancora a lungo, ben
oltre
tutti i presenti in questa sala! Non mi stancherò mai del
mio lavoro, adoro
fare casino e nessun Alto potrà mai dirmi che cosa
fare”.
“Beh... allora... troviamo una
soluzione!”
Vi furono varie proposte. A chi
affidare il futuro Dio
dell’Equilibrio? Come allontanarlo da un padre che,
evidentemente, non
apprezzava la sua presenza? C’è chi
suggerì di portarlo all’attuale Dio che un
giorno sarebbe stato sostituito dal piccolo neonato. Oppure, chiedendo
agli
Alti…
Ma il Kaos non ascoltava.
Tenendo il bambino con due dita
guardava dalla finestra:
“Guarda...” sussurrò “...guarda,
figlio mio, quanti patetici, piccoli, insulsi
mortali. Guarda quanti ce ne sono sparsi per i Mondi. La loro vita
è solo un
soffio per noi. Le loro preghiere rimbombano ogni notte e in ogni
attimo nella
nostra testa, ma per la maggior parte di noi è
così facile ignorarle! Vuoi tu
andare da loro? Vuoi strisciare e attendere la morte guardando in alto
in
attesa di un segno che io non manderò se non con distruzione
e dolore? Vuoi
tu…” ma non finì la frase.
Una voce all’improvviso
irruppe dal centro della stanza.
“Che intendi fare,
Kaos?”.
Lei: il Destino! Colei con il potere
decisionale su
praticamente ogni cosa, in contatto diretto con gli Alti, puntava ora
il dito
contro l’unico Dio che mai era riuscita a piegare.
“Che intendi fare, Kaos?
Non puoi agire come credi!”.
Il
Kaos si voltò: “Che
vuoi da me, donna?” sbottò “Intanto non sei molto portata a fare la Dea del Destino, se mi chiedi che intendo fare. E poi, lo sai, mai mi hai
comandato e mai lo farai, mia cara! Vuoi dirmi che gli Dei Alti non vogliono? Non mi interessa. Anzi: me ne frego!! ME
NE
FOTTO!!” urlò pieno di rabbia l'ultima frase, esprimendo tutto
il suo odio nei confronti di
chi osava dargli ordini.
La Dea del Destino non si mosse
“Ci sarà sempre
qualcuno al di sopra di te. Ricordatelo,
Kaos. Sempre!” mormorò poi.
Ma il Dio Caotico continuava a
guardarla con l’aria di chi
non ammette in nessun modo di essere fermato o contraddetto.
Qualcuno al di sopra di te?!
Chi può essere al di
sopra di me? Pensò il Dio padrone di casa.
Gli Dei supremi, che mi
hanno creato… continuò a
ripetersi nella testa …che però fin ora
non hanno mai interferito in
nessun modo, e quindi che mi interessa se
sono “al di sopra”!? Di sicuro non sei tu, Destino,
a poterti considerare al di
sopra di me, Kaos e disordine primordiale!
La Dea del Destino, con una piccola
sfera nella mano sinistra,
allungò di nuovo il dito e, puntando il bambino, disse:
“Lui tornerà. Appena
comincerà ad avere di nuovo consapevolezza del suo stato
divino, tornerà. Non
puoi impedirlo, Kaos”.
“Ma certo che
posso!” affermò il Dio, con un largo sorriso inquietante che si apriva sul volto di nebbia.
E lanciò il bambino di
sotto, verso uno di quei pianeti
lontani ed a malapena visibili nel cielo. Lo scagliò lontano
e nessun Dio si
mosse perché il timore del Kaos, della sua ira ed
irrazionalità, era più forte
di ogni pietà.
Il piccolo Dio cadde come una stella,
lasciando una lunga
scia di luce dietro di sé, ma non emise un solo gemito.
Forse pianse una
lacrima da quei bellissimi occhi azzurri, ma dalla neonata bocca non un
uscì un
solo suono.
E quella notte, lentamente, anche la
scia della sua luce sparì
alla vista della Città degli Dèi.
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Capitolo 2 *** II- La caduta ***
II
LA CADUTA
Gli Angeli guardavano il cielo. Ogni
gerarchia, dai Serafini
fino alle classi minori, guardava il cielo. A mani giunte, pregavano
incessantemente e , sul loro capo, l’aureola pulsava seguendo
il battito del
cuore, che si faceva sempre più rapido.
Quale Dio è
così irato da creare une tempesta simile? si
chiedevano, spaventati e confusi. Abbiamo forse fatto qualche
sbaglio ed ora
veniamo puniti? O
qualche Divinità lassù
si sta facendo la guerra?
Chiusi nelle loro case, sobbalzando
ad ogni tuono, speravano
che tutto finisse presto. Avevano subito compreso che quello non era un
semplice temporale, ma una dimostrazione di mancanza di armonia. Era la
manifestazione chiara che qualcosa si era rotto nell’alto del
cielo.
I fulmini si accanirono per tutta la
notte sulla Città degli
Angeli. I bambini piangevano e gli adulti erano confusi,
perché mai si era
vista una simile tempesta. Da ogni abitazione si levavano canti e
suppliche. Convinti
che quella fosse la prova che qualche divinità era in
collera, tentavano di
ammansirla con preghiere e pentimento.
Perché
distruggete la nostra città, oh Divini?
La torre del tempio, posto al centro
della città, prese
fuoco. Colpita da un fulmine, crollò su se stessa e sugli
edifici sottostanti.
Perché
distruggete il luogo in cui vi adoriamo, oh santi?
D’un tratto,
iniziò una forte pioggia, che estinse le fiamme
ma coprì ogni luce con le sue nuvole nere. Qualcuno
giurò di vedere una stella
cadere nel buio, ma nessuno gli diede retta. Era un lampo,
fu la
spiegazione.
La luce della piccola stella dagli
occhi azzurri che cadeva,
illuminò la casa di uno degli
“Angeli Padre”.
Ma Lui non la vide. Era
uno dei pochi
che non si curava del brutto del tempo. Ignorava il temporale, il
vento, i
tuoni… Beveva latte e guardava Lei, la sua “Angelo
Madre”, che stava distesa in
un letto di nuvola a dormire felice.
Quanto è bella pensava
come sono fortunato.
Ed era per davvero molto bella. I lunghissimi capelli
color dell’oro
incorniciavano tutto il suo corpo, snello e delicato, in quella
circostanza
reso più dolce e arrotondato dall’avanzato stato
di gravidanza. La veste color
del cielo lanciava mille riflessi in tutta la candida stanza, facendola
sembrare un angolo di cielo stellato. Alcune punte di luce segnavano il
volto
ed il lungo abito aranciato del suo sposo, in netto contrasto con i
capelli
raccolti che erano scurissimi, quasi neri, con mille segni blu. Lui le
era
seduto accanto e le diede un bacio sulla fronte annusando il suo
profumo di
fiori. Le loro aureole, quella di lei azzurra e quella di lui rossa, si
incrociarono per un istante, formando scintille tendenti al violetto.
Fai bei sogni, amore mio.
Loro due erano la più
giovane coppia di “Angeli
genitori”, le uniche creature in quella
città
con chiari attributi sessuali ed il cui scopo era quello di generare
nuovi
piccoli angeli. Loro
due non avevano
ancora mai procreato ed attendevano quella nascita con un po’
di timore. Le
altre tre coppie li battevano in anzianità ed esperienza ed
avevano avuto molti
figli e molte soddisfazioni.
Da loro erano nati Serafi, Cherubi,
Arcangeli, Angeli
semplici, Messaggeri e molti altri. Tutte le creature generate da
quelle coppie
erano perfette e si aspettavano lo stesso dal primogenito in arrivo.
L’Angelo
Padre era nervoso. E se quel bambino avesse avuto qualcosa di errato? E
se, per
volontà degli Dei, fosse nata qualche altra creatura non
destinata a stare in
quel luogo?
Lui era nervoso ma, in quel momento
l’Angelo Madre
sognava e non aveva paure. Sorrideva,
addormentata, e sognava la Città degli Dei. Vide tutti i
Divini in un grande
salone che ridevano e giocavano tra loro. Lei capì che
stavano facendo festa. I
loro sorrisi e le loro parole, anche se Lei non era in grado di
capirle,
trasmettevano tranquillità e serenità. Tra loro,
in quel sogno, c’era solo
amore e armonia. C’era chi rideva, chi lanciava una pallina
di un qualche
materiale in giro, chi inciampava sulle scale fatte a protuberanze del
palazzo
del Kaos, chi cantava, chi mangiava... Tutti si divertivano, come dei
bambini. Quel
sogno la rilassava. Lo vedeva come un buon segno per il bambino in
arrivo. Ma
poi… un urlo. Un grido, nel suo sogno, che interruppe la
gioia ed i giochi.
Era carico di terrore ed odio e... quel bambino.. un bellissimo
bambino dagli occhi azzurri
sull’orlo di un baratro.
Sotto di lui il
vuoto infinito, senza via di scampo. Il buio divenne
l’elemento predominante
del sogno, mettendo a tacere tutte le risate e l’armonia, e
distruggendo la
sensazione di pace che aveva provato la Madre fino a quel momento. Ora il suo sogno era
divenuto un incubo
spaventoso, pieno di strilli, immagini confuse, freddo e vuoto.
No, bambino, no! Pensò
Lei, in preda al terrore. Non
cadere! Non farti male! Ti salvo io! Non morire! Ti
raccolgo io! Ti
aiuto io! Non cadere in quel buio
terribile!
Ed il bambino cadde, seguito dalla
sua scia di luce. Lei
gridò nel sonno e allungò le braccia verso quel
piccolo che lentamente
precipitava, risucchiato dalle tenebre. Riuscì a fermarlo,
afferrandolo e
stringendolo a sé. Sorridendo, la luce di quel bimbo divenne
parte di lei. Poi
la Madre gridò, questa volta nella realtà: la
creatura che portava in grembo
voleva venire al mondo. Fra i lampi e l’ira del cielo, nel
buio nacque un
Angelo: perfetto!
Sul capo brillava la sua piccolissima
aureola bordeaux, fra
i capelli neri a
riflessi blu come
quelli del padre. Ma i suoi occhi... Isuoi occhi erano azzurri come
quelli degli
Dèi!
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Capitolo 3 *** III- ruoli e classi ***
III
RUOLI E CLASSI
Al nuovo Angelo venne dato il nome di
Kasday: occhi di
Kaos. Voci circolavano tra le creature alate sul colore degli occhi del
Dio del
Disordine ed in molti dicevano che avesse gli occhi azzurri, proprio
come
quelli del neonato. Negli anni successivi si narrerà che il
temporale si placò
nel momento in cui la nuova creaturina aprì quegli occhi.
Forse, si pensò, quel
piccolino era nato sotto la benedizione del Dio Kaos!
Appena si seppe della nascita, per la
città crebbe la
curiosità. A che gerarchia apparteneva? Quante ali aveva?
Quattro, come i
Cherubini? Sei, come i Serafini? Otto, o dieci, come gli angeli Genitori? E di che colore erano? Dorate come
quelle degli Arcangeli?
Argento come quelle dei Messaggeri?
Il nuovo arrivato nacque con sulla schiena tre paia di brillanti e minuscole ali blu. Un Serafino, dunque! Un
“altolocato”, destinato un giorno ad
una posizione di potere. Nel pianeta degli Angeli, infatti,
comandavano i Serafini
più anziani e la più esperta coppia di Angeli Genitori. La gerarchia
dominante era di colore blu, seguito dal rosso, il colore dei
Cherubini. Poi veniva
l’oro degli Arcangeli ed il bianco degli angeli semplici. Argento era il
colore dei Messaggeri, non inclusi fra le gerarchie
perché estremamente
rari e scelti dagli Dèi stessi.
Il neonato aprì pian piano le piccole e scintillanti ali, delicate come quelle di una farfalla, e le agitò lentamente e leggermente per asciugarle.
Una nuova nascita non era
un evento
molto comune e gli abitanti della città accorsero per accogliere la nuova vita con gioia.
Fra loro, un giovanissimo Arcangelo di rara bellezza. Era solo un
pre-adolescente ma già era chiara la regione per cui gli era stato affidato l’appellativo di
“più bello”. Con insoliti capelli corvini e sguardo luminoso come una stella, trovò nel piccino appena venuto al mondo un degno rivale in quanto a bellezza.
“Ha degli occhi
stupendi!” esclamò, accarezzandogli la
piccola aureola rossa con il dorso della mano e facendogli fare un
suono simile
a quello che produce il bordo di un calice.
“Ed è pure
accordato” aggiunse sarcastico.
“Mi sono sempre
chiesto…” iniziò a parlare un altro giovane Arcangelo, compagno di classe e gemello minore
dell’accordatore di aureole “..perché,
quando parli, sibili, Luciherus. Non sai fare la Esse senza sembrare un
rettile?!”.
Il più bello lo
guardò senza espressione. E con la calma gli
rispose: “Tu sei solo capace di criticarmi, Mihael! La tua
è invidia o solo
voglia di rompere?”.
Uno degli Angeli Genitori li
rimproverò aspramente per il
loro comportamento e, dopo aver ricevuto due scappellotti dietro la
nuca, i due
Arcangeli fecero silenzio.
“Andate in classe,
piccoli” suggerì un Cherubino “E non
litigate! Non in un giorno di giubilo come questo! Un nuovo bambino vive ora nella Città degli Angeli e dovete gioirne! Dopotutto siamo tutti fratelli!”. Pur non credendo
del tutto
all’ultima frase, i ragazzi si avviarono verso la scuola.
Ed iniziò
un nuovo
giorno nel Mondo degli Angeli, una volta passata la tempesta. Nel cielo
ora vi
era perfino l’arcobaleno!
Il piccolo Kasday, appena fu in grado di camminare,
dimostrò subito di
essere molto curioso.
In particolare amava spiare le
lezioni degli Arcangeli,
la classe definita “più problematica”
per via delle evidenti differenze
caratteriali degli alunni.
Se ne stava buono buono fuori dalla
finestra ad arco in
marmo bianco e guardava all’interno, aspettando il momento in
cui uno degli
Arcangeli anziani, scelto come professore, se ne andasse.
Era quello il momento in cui
scoppiavano le risse ed era
quello il momento in cui Kasday si divertiva di più!
Un giorno, prima che il Maestro se ne
andasse, sentì una
domanda molto curiosa fatta dal “più
bello”.
“Scusi, esimio
Professore…” lo sentì domandare con la tipica Esse sibilante
“…ma per quale motivo,
negli altri mondi, le creature sono chiaramente divise tra maschi e
femmine e
fanno, bene o male, tutti dei figli e invece noi siamo delle specie di
incroci
imbarazzanti e solo tre coppie hanno il compito di creare altre vite?
È una
cosa che non mi so spiegare”.
Il Maestro lo guardò un
po’ male. Dopo un paio di colpi di
tosse, si schiarì la voce e iniziò a
rispondergli: “Intanto, mio giovane
allievo, ti pregherei di metterti seduto composto. Le sedie sono fatte
per
sedersi, non per starci appollaiati sopra!”
Luciherus stava
seduto sullo schienale della sedia, puntando i piedi sul sedile e
ondeggiando
avanti e indietro, ovviamente dando molto fastidio a Mihael con le
piume finali
delle ali dorate.
Sbuffando e incrociando le braccia,
si lasciò cadere sulla
sedia. E mise i piedi sul tavolo.
“A volte ho come
l’impressione che tu ti diverta a prendermi
in giro…” riprese il professore
“Comunque… rispondendo alla tua domanda, posso
dirti che nei pianeti governati dalla Dea del Destino non
c’è bisogno di un
gran numero di gente in grado di donare la vita. In questi Mondi, tra
cui è
compreso anche il nostro, è noto che non ci sono guerre e
grossi
sconvolgimenti, a differenza dei Mondi governati da Kaos, in cui
lavora molto
sua moglie: la Guerra. Quel Dio si diverte molto a creare e distruggere
perciò
le morti in quei Pianeti sono frequenti e quindi necessitano di un gran
numero
di vite nuove per compensare l’enorme numero di decessi
periodici. Qui, in
questo Mondo, la Morte arriva solo quando è Destino
che accada. Quando
Lei, le Dea creatrice del nostro luogo d’origine, decide che
è ora di andare.
Ma questo succede solo dopo una vita felice e molto lunga. Erroneamente
si può
pensare che nei Regni del Dio Kaos ci sia più gente in confronto
al numero di persone
dei Regni del Destino, ma non è così. Il numero
è lo stesso. Le nuove vite
sostituiscono le morti avvenute, in tutti i Pianeti, qualunque sia il
loro
creatore. Spero di averti chiarito un po’ le
idee…”.
Il “più
bello” annuì, dubbioso. “È un
po’ noioso, però. Si
vede sempre la stessa gente…”.
L’insegnante gli sorrise e scosse il capo: “Molti
da giovani fanno questi ragionamenti. Ma prova a mettere piede in uno
dei
Pianeti di Kaos e ti assicuro che non troverai più noioso
questo Mondo. Ma
solo bello e…”.
Luciherus lo interruppe:
“Spiacente, doc. A noi giovani
pennuti non è permesso lasciare il Pianeta!”.
Il professore si fece subito serio e
gli rispose seccamente
che era, ovviamente, giusto così, perché fino ad
una certa età non è facile
capire certe cose.
“E
poi…” continuò il Maestro
“...tu, con la
tua sfacciataggine moriresti subito in uno
dei Pianeti del Kaos!”.
Detto questo prese il suo libro ed
uscì dall’aula: la
lezione era finita. Ora veniva il momento divertente della giornata per
Kasday!
Le discussioni vertevano quasi sempre sul ruolo degli Arcangeli. Mihael
imitava,
ridendo, la Esse di Luciherus, che lo ignorava e faceva il gioco delle
pulci
con l’aureola e tre monetine. Scopo del gioco era far entrare
le monetine
nell’area dell’aureola blu scuro appoggiata al
tavolo. Di solito, mentre
giocava, canticchiava “i sogni son desideri”, con
una vocetta stridula.
“A che serve il fatto che
tu sia il cosiddetto più bello?
Che scopo hai?” lo provocò Mihael, portandogli via
una monetina “E poi... chi
l’ha stabilito che il più bello sei tu? Con quei
piedi grandi e appuntiti e quel
viso così poco angelico…”
Luciherus, lo si notava subito, non
presentava i tratti
degli altri Angeli. Il viso, per esempio, era sottile e a punta, molto
diverso dei
volti dolci, arrotondati e fanciulleschi delle altre creature
angeliche, con i loro sorrisi ed i loro occhi grandi e tondi.
Lo sguardo dell’Arcangelo
più bello, al contrario,
erano sensuale e sfuggente e non aveva proprio nulla di fanciullesco.
Sorvolando sul fatto che qualcuno disse di vederci le fiamme nelle sue
iridi.
“Io, mio caro Mihael, porto
la luce in questo mondo fatto di
misteri, proibizioni e tabù”.
L’Arcangelo emetteva una
luce molto forte, più forte di
quella di qualunque altra creatura Angelica, motivo per cui a volte il gemello lo chiamava "lampadina".
“Tu, piuttosto, che scopo
hai? Arcangelo guerriero?! Che
cosa devi combattere?”.
Ci fu silenzio. Si guardarono a
lungo. Mihael, con la spada sempre al
fianco, indossava una tunica più corta rispetto a quella degli
altri che, di solito,
si trascinava sul pavimento coprendo del tutto i piedi del loro
possessore. Eccezion
fatta per i piedi di Luciherus, che spuntavano sempre ed
inesorabilmente. Anche perché portava
sempre scarpe a punta l’Arcangelo più bello, e in
quell’occasione le conficcò
con gioia nel polpaccio di Mihael per riprendersi la propria monetina.
Mihael urlò
e cercò di colpirlo, ma l’Arcangelo più
bello schivò facilmente e lo derise
“Oh,
Miky Mik!! Pare
che il tuo addestramento non serva a molto!”.
Ridendo iniziarono a rincorrersi tra
i tavoli. Gli altri
Arcangeli li guardarono, rassegnati. Gibrihel starnutiva, in preda
all’ennesimo attacco di allergia
ai gigli, e pensava a quanto fosse stata crudele la Dea del Destino a
dargli
come simbolo proprio il fiore di cui era allergico. Gli toccava sempre
portarsene uno dietro di quei fiori maledetti, purtroppo simbolo della
purezza
delle sue annunciazioni.
Tra uno starnuto e l’altro
tentò di far fare la pace ai due
Arcangeli litiganti, ma non suonava molto convincente con quella voce
sottile e
dolce. Ed in più era più giovane di Mihael e
Luciherus e quindi temeva episodi
di nonnismo, come l’ultima volta in cui gli erano state tolte
metà delle piume. E le ali gli servivano! Il suo compito, cioè portare
messaggi, annunci e
rivelazioni, senza penne era un’impresa ardua da compiere! Così non insistette
ed attese che facessero la pace da soli, anche se sapeva che non poteva
succedere.
Come sempre fu Urihel,
l’Arcangelo più anziano della classe,
a fermarli. La sua voce si udì dal fondo
dell’aula: “I pianeti ed i Mondi
girano tanto quanto le mie scatole, razza di bambini! Finitela!
Sembrate dei
pupi con ancora il piumino sulle ali!”.
Ogni volta la stessa storia e, come
ogni volta, l’Arcangelo
Urihel, il cui scopo era lo studio dei pianeti e la verifica della loro
luce,
si alzò dalla propria sedia e, facendo svolazzare la lunga veste
blu scuro, afferrò
per la collottola i due litiganti, facendone sbattere le teste
l’una contro
l’altra.
Con uno stok il
litigio di solito finiva. Almeno per
qualche ora.
“Perdonali,
Urihellino” sussurrò Rahahel, il più
giovane
della classe “Quella che vedi è solo una
chiacchierata tra amici! In realtà
Mihael e Luciherus si vogliono bene!”.
La risata fu corale. Camahel,
l’Arcangelo dell’amore puro,
rideva da matti commentando con :“Oh, si, Raphy mio! Si
amano!!!”.
Remihel, l’Arcangelo della
Speranza affermò che, in fondo,
non si poteva mai sapere. Tutti
ridevano, tranne i
due interessati, che minacciavano
pugni sul naso. Più i due sibilavano promesse di repressioni
fisiche, e più si
alzava il tono del coro: “Bacio, bacio!!”.
“Che giramento di
aureole!” commento Luciherus.
Gibrihel, disperato a causa del suo
attacco di allergia,
ebbe un attacco diverso: d’isterismo!
Iniziò, tra le lacrime, a
piagnucolare sul fatto che, in
fondo, sempre a lui toccava andarsene in giro a portare annunciazioni
non
sempre gradite ed a dover interpretare le parole inviate dagli
Dèi di cui
nemmeno lui capiva il significato e di cui, forse, nemmeno il Dio che
creava il
messaggio ne capiva il senso. Senza contare il fatto che gli toccava
portarsi a
spasso quell’odiosissimo fiore che tanto lo faceva soffrire e
che gli faceva
anche un po’ schifo.
Sconcertati, gli altri Arcangeli lo
lasciarono alla sua auto
commiserazione ed iniziarono a discutere sul fatto che il notevole peso
della
spada di Mihael era in netto contrasto con il peso del suo cervello, a
detta di
Luciherus del tutto inesistente. Poi, tutto ad un tratto, smisero di
litigare
ed andarono fuori a giocare tra loro. L'adolescenza era davvero una brutta età, si erano detti gli insegnanti giorno dopo giorno.
A volte,
le creaturine più
piccole come Kasday ed i suoi amici, riuscivano ad unirsi ai giochi delle classi più grandi. Luciherus adorava il piccolo Serafino
e, quando poteva, se
lo portava in giro per la città degli Angeli, chiacchierando
del più e del
meno. Lo amava per la sua capacità di farsi domande e di
rivolgere quesiti
considerati “irritanti” dai Serafini a capo delle
schiere. Quesiti strani, su
Dèi e simboli, che il bambino diceva di aver visto, forse in
sogno, ma che per
un Baby Serafino erano decisamente incomprensibili. Di certo fu lieto di constatare che non solo per lui non fossero di facile comprensione.
L’Arcangelo più
bello lo stava sempre a sentire e cercava di rispondergli, quando
poteva, ma
anche Luciherus si ritrovava in difficoltà con certi glifi.
Più cresceva e
più gli Angeli erano convinti che il piccolo
Kasday fosse stato prescelto dal Dio Kaos. Bisognava solo aspettare che
crescesse,
a detta di molti.
Assieme a Kasday erano nati altri tre
piccoli: Vereheveil,
Eleniel e Samhian.
A Vereheveil fu dato
l’appellativo di “divoratore di libri”.
Questo perché dimostrò subito di avere una
spiccata capacità nel leggere, scrivere
e imparare le lingue. Aveva imparato, nonostante la giovane
età, la lingua di
tutte le zone del Pianeta e qualche altro linguaggio diffuso in altri
Regni del
Destino. Era il migliore amico di Kasday, anche se appartenevano a due
cerchie
diverse.
Sulla schiena di Vereheveil, infatti,
crescevano due ali
dorate, come dorati erano i suoi occhi, ed era dunque un Arcangelo:
l’Arcangelo
delle lingue e dei libri. Ma non ebbe
mai ufficialmente quel ruolo...
Rahahel lo istruiva e lo seguiva. Gli
piaceva molto, quasi
quanto a Luciherus piaceva Kasday. Eleniel aveva l’aspetto
più da bambina, con i
riccioli biondi e le vesti color pastello.
Gli occhi, blu, come la notte,
risplendevano sul viso
pallido. Con quattro ali rosse, da Cherubino, seguiva gli insegnamenti
di
Camahel, l’amore puro. Cantavano assieme dolci melodie e
suonavano strumenti di
vario tipo. Camahel continuò a lodarla finché non
ebbe il coraggio di cantare
davanti ad altri Angeli. La piccola si sentiva in imbarazzo, diceva
all’Arcangelo
che lui aveva la voce più bella del Pianeta e lei non si
sentiva all’altezza. Ma
lui la prese per mano e le disse, un giorno, che in realtà
la voce più bella
era la sua: la voce di Eleniel era la migliore, non più
quella di Camahel, ed era
un grave peccato celarla. Ed Eleniel mostrò, dopo un
po’ di titubanza, a tutto
il Mondo degli Angeli la sua bellissima voce, che lasciò
tutte le creature
alate incantate e meravigliate.
Samhian, infine, aveva una luce
particolare fin dalla
nascita e questo aveva attirato l’attenzione di Urihel che
gli parlava dei
Pianeti, delle stelle, delle loro orbite e della loro luce. Con i
capelli
ramati e gli occhi verdi, iniziò a vestirti dello stesso
colore dell’Arcangelo
che lo seguiva: blu scuro. Con tante stelline che decise di disegnarci
sopra.
In attesa di scoprire quale fosse il
loro ruolo, i piccoli
si divertivano con gli Arcangeli che, anche se i bambini non lo
sapevano, erano
ancora molto confusi sul loro futuro. E questo nonostante la giovane
età
dell’adolescenza stesse per concludersi, per quella classe.
“Che cosa hai sognato
stanotte, mio piccolo Kasday?” domandò
Luciherus, con le mani dietro la schiena. Passeggiavano l’uno
accanto
all’altro.
Kasday lo guardò e
iniziò a raccontare: “Ho sognato un
grande palazzo. Uno strano tizio mi guardava. E c’era una
signora che io
chiamavo mamma. Ma quella non era la mia mamma! La mia è
bionda e vestita di
chiaro. Quella aveva i capelli corti e neri e vestiva di scuro. Che
vuol dire?”
Luciherus si fermo di colpo e ammise: “Non posso sapere
tutto, Kasdy! In ogni
caso proverò a cercare tra i libri
che…”
Kasday lo tirò per la
veste. Chiedendo di essere preso in
braccio. Alla fine l’Arcangelo lo accontentò.
“Sei così alto.
Tutti voi siete così grandi! Io invece sono
piccolo piccolo…” mugugnò il bambino
appoggiato con il viso alla spalla di
Luciherus, che lo rassicurò dicendo:
“Anch’io alla tua età ero uno sgorbio
insignificante come te! Ma poi si cresce. E vedrai come diventerai
bello e
alto! Come me!”.
Il bambino sorrise anche se
protestò un po’ sul termine
“sgorbio”. Andava bene
“insignificante”, perché era consapevole
di esserlo, ma
non si sentiva uno sgorbio! Mise le braccia attorno al collo
dell’Arcangelo e
lo abbraccio forte. Guardò gli occhi arancio e il viso
affilato del giovane.
“Sei proprio un Arcangelo
strano!” gli disse, alla fine
della sua analisi.
“Non immagini
quanto!” gli rispose, ridendo, Luciherus.
Continuarono a camminare per le vie
della città. Parlavano
di sogni e prendevano un po’ in giro la gente che
incrociavano. Il piccolo,
però, fermo l’Arcangelo: “Non dovresti
prenderli in giro, Lucy. Dopotutto, tu
parli come un rettile che ha freddo e hai quei piedi a
punta…”.
Lucy, che continuava a tenerlo in
braccio, lo capovolse
ridendo e, facendogli il solletico, tentò di zittirlo.
“Ma che cuccioletto
impertinente che ho fra le mank!”.
Ed è pure
più sfacciato di me! Pensò divertito
l’Angelo dalle ali d’oro.
Il bambino diventò, tutto
ad un tratto, serio e chiese: “Come
mai ai Serafini da tanto fastidio se gli faccio certe
domande?”.
Luciherus lo posò a terra.
Si inginocchiò per guardarlo
negli occhi.
“Non è colpa
tua, mio adorato Kasday. Non pensare di essere
strano o respinto… o quant’altro. La
verità è che loro hanno dei segreti”.
“Loro chi?”
domandò, curioso, Kasday.
“Loro! Tutti! Gli
Dèi, i Serafini che ci circondano, gli
Angeli Genitori... tutti! Ci credono stupidi e pronti ad accettare ogni
cosa
senza farci nessun problema. Ma noi non siamo schiavi! E nemmeno
dementi! Io
non me ne sto buono… io sono la Stella del
Mattino!”.
Non nascose il suo disappunto. Kasday
lo guardò con un
sorrisetto.
“Magari adesso
esageri...” azzardò il piccolo Serafino.
Luciherus si rimise in piedi.
Spettinò un po’ i capelli al
piccolo e sospirò.
“Ora sei troppo piccolo,
Kasdy. Quando sarai più grande ti
spiegherò altre cose. Tu promettimi che, fino a quel
momento, non diventerai
come loro. Non sarai pieno di segreti e con il capo piegato! Vorrei che
tu me
lo promettessi”.
Il bambino, con gli occhi spalancati,
si affretto a
rispondere: “Ma certo!! Intanto perché non ho
niente da nascondere e poi non
sarò mai il servo di nessuno! Però… mi
parli come se stessi per morire! Sei
veramente strano, Lucy”.
“No,
non muoio!”
sorrise l’Arcangelo “Semplicemente io e gli altri
Arcangeli della mia classe
abbiamo un compito da svolgere. E per questo staremo via a lungo.
Quando
torneremo, sarai cresciuto…”.
“E dove andate?”
chiese Kasday, da un lato pieno d'entusiasmo per Luciherus e dall'altro sentendone già la mancanza.
“Segreto!” fu la
risposta.
"Mi mancherai" ammise il bambino e l'Arcangelo non rispose, non volendo ammettere di provare lo stesso.
Una volta congedatosi da Luciherus, Kasday andò dagli ultimi
Angeli nati, i suoi tre amici, e
parlò loro dei segreti che non voleva avere e della testa
che non voleva
abbassare. Disse loro che dovevano aspettare di essere grandi per poter
capire
perché ora, da piccoli, non conoscevano nemmeno il loro
ruolo.
La loro infanzia fu felice.
Iniziarono scuola e crebbero, ma non
dimenticarono mai quelle
frasi sui “segreti”
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Capitolo 4 *** IV- Ritorno ***
IV
RITORNO
Kasday, crescendo, aveva sviluppato
un insolito viso sottile
e affusolato, cosa che lo faceva un po’ assomigliare
all’Arcangelo più bello.
Inoltre, come il più bello, aveva lasciato crescere i
capelli neri a riflessi
blu in modo che un ciuffo coprisse un occhio, nel suo caso il destro.
Ma la
luce di quell’occhio non poteva essere celata tanto
facilmente e tutti avevano
notato che sul volto di quel Serafino vi erano incastonati due occhi da
Dio, sempre più
luminosi e brillanti. Perfino al buio si potevano scorgere, e nella sua
adolescenza splendevano come due stelle. Era ormai un giovane Serafino
e si era
dimostrato bravo nel ballo e nell’uso della magia.
“C’è
qualcuno che mi guida quando mi muovo. E c’è
qualcuno
che mi parla quando cerco le parole e le formule per incanalare
l’energia
magica” rispondeva, quando qualcuno chiedeva come riuscisse ad
essere così bravo.
Benedetto dagli Dèi,
così fu definito.
Vereheveil, con i suoi capelli verde
acqua tagliati corti
davanti e con un lungo codino dietro, aveva affinato con gli anni le
proprie
capacità letterarie e linguistiche. Aveva imparato a
leggere sempre più in fretta ed i
suoi occhi dorati scorrevano velocissimi su ogni libro stampato.
Conosceva la
maggior parte della letteratura scritta nei Mondi del Destino e poteva
parlare
e comprendere tutte le lingue in cui erano scritti. C’era chi
affermava che
conoscesse anche il linguaggio degli Dèi.
“Non arrivo a
tanto!” si affrettava a rispondere
l’Arcangelo. "La lingua divina non può essere compresa da
nessuno, se non
dagli Dèi stessi".
Eleniel era diventata la tipica
“donna angelo”, con i
capelli lunghi a boccoli che ricadevano morbidi sulle spalle e sulla
candida
veste come una corona. Sembravano risplendere d’oro, come sul
capo di una
regina. I suoi occhi blu facevano sospirare più di una
creatura alata.
Faceva parte dei cori angelici e
aveva la voce migliore nel
coro dei Cherubini. Sorrideva sempre e le sue canzoni erano sempre
felici e
piene di energia.
Molti mormoravano che Kasday ed
Eleniel ballassero e
cantassero assieme.
“Anche se
fosse?!” fu la risposta “È
perché ci amiamo. Io,
Kasday, Vereheveil e Samhian ci amiamo!”
Samhian era rimasto un po’
più piccolo degli altri tre, ma
era il più luminoso del gruppo. I suoi capelli ramati si
arricciavano dietro
la nuca e gli occhi verdi erano diventati grandi e tondi.
Si era dimostrato particolarmente
bravo nello scrivere. Lui
scriveva, Vereheveil leggeva ed eventualmente gli donava ispirazione.
Quando
componeva musica e canzoni, erano invece Kasday ed Eleniel a testare la
qualità
delle sue creazioni, cantando e ballando.
Il giorno in cui rividero la classe
degli Arcangeli, i quattro amici erano seduti uno accanto
all’altro.
Notarono arrivare da lontano i sette compagni, poiché la loro
luce intensa
illuminava tutta la Città degli Angeli.
L’Arcangelo guerriero,
Mihael, apriva la fila, con indosso la propria
armatura, l’inseparabile spada con l’elsa
d’oro e l’aria truce stampata sul viso. La folla che si
era accalcata ad accoglierli si scansò, vedendolo. La sua
mano poggiava sulla cintura dove pendeva il fodero dell’arma e quel gesto gli lasciò campo libero, senza discussioni o fastidi di sorta.
Dietro di lui marciavano in composti Rahahel, con la sua aria
sognante, e Gibrihel, che canticchiava un motivetto fatto di annunci di
gioia e
parole solo a lui (e forse neanche a lui) comprensibili.
L’Arcangelo dell’amore
puro e quello della speranza tenevano il passo discutendo tra loro su
quanto si
stesse bene in quel Mondo rispetto che su altri Pianeti. Urihel rimaneva
concentrato
su un libro e si chiedeva, tra sé e sé, quale
fosse il colore più adatto per la
luce di un pianeta o di una stella.
Chiudeva la fila
l’Arcangelo più bello, che fu l’unico
che
parlò rivolto alla folla.
Guardò i quattro ragazzi e
li salutò: “Come siete cresciuti,
piccini! Ciao Very, ciao Ely, ciao
Sammy… Kasday… ti devo parlare!”.
Kasday annuì:
“Anch’io!”.
Luciherus sorrise. Gli porse la mano
e gliela strinse: “Sei
un adulto ormai!” gli disse e continuò
“Facciamo stasera a casa mia?”.
“Perfetto!”.
Gli Arcangeli si allontanarono dalla
gente riunita a
salutarli. Gli sguardi di tutti erano di viva ammirazione e in
particolare si
soffermavano su colui che chiudeva la fila. L'osservato, consapevole del fatto di avere
tutti gli
occhi, o quasi, su di lui... si voltò di scatto.
Così facendo, i
capelli neri, sciolti, lunghi fino alle spalle e dai mille riflessi
d’oro, si
agitarono vaporosi emettendo mille frammenti di luce aurea. Fece un
sorriso,
malizioso come sempre, illuminando lo sguardo più sensuale del mondo angelico. Poi
continuò per la propria
strada, agitando le ali d’Arcangelo.
Le aureole di più di un
abitante della Città iniziarono a
pulsare velocissime per l’amore e per ogni altro genere di
sensazione poco
angelica, ma tremendamente piacevole, che Luciherus era in grado di far suscitare.
“È vero che
avete creato un Mondo nuovo?” fu la prima
domanda di Kasday, nella casa piccona e decisamente disordinata dell’Arcangelo appena tornato.
“Non siamo mica
Dèi!” fu la risposta divertita, tra un sorso
e l’altro di “black and white”, del
padrone di casa “Noi abbiamo solo il
compito di incanalare le energie e di obbedire alla volontà
delle divinità”.
Kasday lo guardava ammirato.
Chissà se un
giorno anch’io…pensò
speranzoso.
Con gli occhi che brillavano dalla
curiosità, chiese una
descrizione del Mondo appena creato.
Luciherus, con un sorriso pieno di
tenerezza, spostò il
ciuffo di Kasday in modo da averne la stessa pettinatura: con
l’occhio sinistro coperto.
“Perché copri
sempre lo stesso occhio? Perché non ti copri
mai l’occhio destro con i tuoi bei capelli?” gli
domandò il Serafino.
L’Arcangelo non gli diede
nessuna risposta, ma ricominciò a
parlare: “Dunque… il Mondo nuovo, a mio parere,
è una gran noia. Ci sono solo un
gruppetto di omuncoli dal cervello scarso e nessuna capacità
magica che girano
a vanvera e senza scopo nell’immensa quantità di
spazio libero. Non hanno
ancora deciso quale divinità lo comanderà
e…” voleva continuare, ma si
interruppe.
Kasday lo guardava con uno sguardo
che voleva dire solo una
cosa: che significa l’ultima frase che hai detto? Il Serafino
spalancò l’occhio
sinistro lasciando il destro semichiuso.
Luciherus sospirò:
“Direi che devo farti un discorso sulle
divinità, piccolo Serafo ignorante!”.
L’Arcangelo si sedette sotto uno dei
finestroni che davano sulla strada. Con le
gambe incrociate, stava in bilico sul balcone. Guardando fuori, si
poteva
notare l’ingresso del tempio, in cima a centinaia di gradini
perfetti e bianco
latte. Sbatté un paio di volte le ali facendo volare qualche
piuma e si sistemò
la cravatta. Aveva tolto
da tempo il
lungo e ampio abito candido che portavano gli Arcangeli, ed indossava
un
completo nero. Elegante, ma considerato molto strano da tutte le
creature
angeliche.
Kasday trovava il modo di vestire di
Luciherus davvero
assurdo, ma al più bello piaceva stare così.
“Perché sono un maschio” si
giustificava Luciherus “ E il vestitino mi da davvero
urto!”
Maschio?! In che senso? si
chiedeva sempre il
Serafino. E se lo chiese anche quella sera.
L’Arcangelo
ruotò gli occhi al cielo e decise di cambiare
argomento.
“Tu non hai idea di cosa
significano troppe cose, mio povero
piccolo Kasdy. Comunque… tu sai che ci sono due tipologie di
divinità…”.
“Veramente
no…”.
“Giusto. Perché
per saperlo avresti dovuto entrare nella
biblioteca del tempio, la cosiddetta stanza blu. Cosa proibita, almeno
teoricamente. Ma in realtà basta usare un po’ di
furbizia per entrarci.
Dunque… dicevo… vi sono due tipologie di
Dèi: I Denian e gli Hainuet. I Denian
hanno una sorta di gerarchia al loro interno: c’è
chi comanda e chi obbedisce.
Gli Hainuet invece fanno quello che gli pare. Come i muscoli volontari
e
involontari. I primi comandati dal cervello e dalla tua
volontà, i secondi
indipendenti ma fondamentali. Anche se non pensi, il tuo cuore batte e
la tua
aureola si illumina al suo ritmo, che tu lo voglia o no. Ma un braccio
non si
muoverà mai da solo... senza un tuo ordine mentale,
perlomeno”.
“Come i
muscoli?”.
Luciherus sospirò di
nuovo: “Non sai neanche questo… mi
rincresce sapere come l’ignoranza si espanda tra le creature
angeliche! Ma il
tuo amico Vereheveil non è l’Arcangelo che legge
tutto quello che gli capita
sotto mano? Se avessimo un etichetta sulle ali di pochissimi millimetri
con su
scritto "lavare a secco", quello è l’unico che se
ne potrebbe
accorgere…”.
Lavare a secco?! Mi lasci
sempre più perplesso
Luciherus… forse stai delirando. Anche se, pensò
Kasday lavare le ali a
secco dev’essere comodo! Le piume
bagnate, infatti, pesano e non poco.
Figuriamoci se sparse su tree paia di ali da Serafino! Per non
parlare
del fatto che asciugandosi si arruffano e si gonfiano. Ma ora sto
divagando…tornò
con i pensieri a ciò che stava dicendo Luciherus. E gli
rispose: “Si, è vero,
Vereheveil legge di tutto. Ma i libri che abbiamo a disposizione sono
per lo
più storie, canzoni e racconti di famiglia, tramandate di
padre in figlio. Le
lezioni che ci fanno non ci aiutano molto. E l’unico trattato
che si può
definire istruttivo è quello che illustra le varie gerarchie
angeliche”.
“Almeno quelle le
conosci!” il più bello sospirò di nuovo
ed
appoggiò le ali e la schiena alla vetrata colorata.
Quanto brillava! Probabilmente in
strada, da quella
finestra, la sua luminosità era più che visibile.
Non ha caso gli era stato
dato quel nome. Luciherus: il portatore di luce.
“Almeno, cugino Kasday, sai
chi comanda e chi è più potente
tra le creature di questo pianeta”. Ovvio.
“Quello che non capisco
è… perché tu comandi me,
Lucy?”.
L’Arcangelo scese dal
balcone. “Io non comando nessuno!”
disse con sicurezza “Meno che mai te. Non posso ordinarti di
fare niente.
L’unico motivo per cui la mia classe è andata ad
assistere alla creazione di
quel mondo nuovo è solamente perché siamo
più anziani. Ma ti assicuro che non
ti sei perso proprio niente. E poi è una gran rottura di
aureole essere nella
classe della cosiddetta età di mezzo, come purtroppo sono
io. Tu e i tuoi
amichetti siete troppo giovani e non siete ancora in grado di
comprendere ed
usare una certa tipologia magica. Gli anziani sono troppo deboli e poco
stabili. Quelli che restano sono impegnati in altri Mondi o in altre
attività,
come ad esempio creare altri sgorbietti piumosi come te. Mentre noi nel
mezzo
veniamo spediti di qua e di la, costretti ad obbedire agli ordini degli
Dèi.
Che, te lo dico, se ne fregano di noi mortali. Se uno di noi fosse in
fin di
vita, ma in grado di incanalare la loro magia, lo userebbero comunque,
come un
giocattolo, per poi gettarlo via una volta divenuto un involucro vuoto
e senza
vita”.
C’era un tono di malinconia
nelle sue parole, forse
delusione.
Continuò tenendo gli occhi
bassi: “Quando un Mondo viene
creato, gli Dèi inviano una gran quantità di
energia magica sul Pianeta e danno
precise disposizioni ai mortali, loro schiavi, su come plasmarla a loro
piacimento.
Potrebbero farlo da soli, ma non han voglia di stancarsi e fanno
faticare noi:
i loro servi. I servi del Destino e dei suoi seguaci. Non abbiamo
libertà,
probabilmente nemmeno gli Dèi al di sotto di Lei sono privi di
capacità
decisionale. Obbediscono e basta. Che schifo”.
Kasday lo guardava senza dire una
parola.
Ma l’Arcangelo non aveva
finito: “E sai qual è il peggio,
Kasdy? Che noi li adoriamo! Noi preghiamo quegli Dèi che ci
considerano meno di
zero! Gli chiediamo di amarci, proteggerci e aiutarci. Ma nessuno di
loro ci
ascolta” e tacque di colpo.
Allora è questo
che vuoi Luciherus…si disse il
Serafino …vuoi essere amato ed ascoltato. O altro?
Che cerchi? Kasday
ammirava ed invidiava quell’Arcangelo. Voleva anche lui
vagare per i Mondi e
servire gli Dèi, gli Dèi! Lui ha
parlato con gli Dèi!!
“Luciherus,..”
domandò “..tu hai visto gli
Dèi?”.
L’arcangelo si accese una
sigaretta. Dopo una prima boccata
di fumo rispose scocciato: “Chi? Io? Certo che no. I
Messaggeri parlano con
loro. Le divinità affidano i loro messaggi agli angeli dalle
ali d’argento, che
sono gli unici che li possono vedere, i quali trasmettono le loro
parole a noi
servitori. Gli Dèi sono troppo… non saprei come
dire… troppo… in alto, ecco il
termine giusto, sono troppo in alto! Le divinità sono troppo
in alto per
abbassarsi a parlare con dei mortali come noi. Perché
ricorda, Kasday, che
anche se abbiamo un vita molto lunga, alla fine del nostro cammino ci
sarà
sempre la Morte ad attenderci. Forse sbagliano a considerarci
così miseramente
perché, in fin dei conti, siamo noi che preserviamo la loro
immortalità. Se
nessuno crede in lui, un Dio muore! Ma io da solo non posso cambiare le
cose… non posso far altro che obbedire”.
Kasday restò molto stupito
di quel discorso. Gli Dèi non
si mostrano? Ci considerano davvero meno di niente? Siamo i loro
schiavi? Se io
fossi un Dio, si ritrovò a pensare il giovane
Serafino, mi mostrerei
alle persone che credono in me. E le ascolterei. Tutte quante.
Camminerei tra
loro e cercherei di aiutarli in ogni modo. Ma forse è un
grave peccato pensare
in questo modo..
“Tornando
al discorso degli Hainuet e dei Denian…”
riprese Luciherus “…hanno entrambi un Dio
considerato il più forte e importante
del gruppo. Per i Denian è la Dea del Destino a ricoprire
quel ruolo. Lei
prende le decisioni e gli altri Denian obbediscono. Gli Hainuet non
hanno un
capo, ma considerano il Kaos come una sorta di divinità
suprema da non
ostacolare in nessun modo. Ogni volta che viene deciso che un nuovo
Mondo deve
essere creato, per ordine degli Alti immagino, ma non chiedere
sull’argomento
perché non saprei darti spiegazione, il destino ed il Kaos
iniziano a
bisticciare. Quei due sono gli unici Dèi Creatori, gli unici
cioè che sono in
grado di incanalare e usare una quantità tale di magia adatta a poter creare
un Pianeta e tutte le varie cosette che ci vanno sopra. Sono gli unici
in grado
di controllare tanta potenza e tante cose assieme. Una volta creato il
Mondo
nuovo, uno dei due prende il controllo del Pianeta. Questo in cui
viviamo è una
proprietà del Destino. L’ultimo Mondo creato,
quello a cui sono stato presente,
aveva come ordine quello di essere privo di guerra, dolore, odio,
tristezza,
paura, desideri… un mondo di infinita letizia, insomma. Ma
finché non decidono
chi comanda, il progetto non può avere
inizio…”.
Kasday ascoltava attentamente e, dopo
averci pensato un po’,
affermò con convinzione: “Ma nessuno dei due
può vincere! La Dea del Destino,
si sa, è crudele quanto basta da creare abbastanza tristezza
e incertezza, e il
Kaos… be', è il Kaos! Come
può avere un Mondo senza Guerra né Paura, se sono
sua
moglie e suo figlio?!”.
Luciherus guardò Kasday
con occhi spalancati. Schiacciò il
mozzicone della sua sigaretta sotto il mocassino destro.
“Com’è
che sai ‘ste cose, cugino Kasdy?”.
Lo fissò con aria
interrogativa, ma non ricevette risposta
dal Serafino ed allora continuò a parlare:
“Comunque hai ragione, Serafo.
L’unico in grado di creare un Mondo equilibrato è,
basta dirlo, l’Equilibrio.
Ma il Dio che porta questo nome è vecchio e stanco. Non
è in grado di
controllare il Kaos. È troppo debole per poter fare
qualcosa. Così la divinità
del disordine fa un po’ quello che vuole, esattamente come il
Destino. Il ruolo
del Dio dell’ordine sarebbe quello di mediatore tra i due, ma
non ha più questa
capacità e di sicuro non ha la forza
di creare un pianeta. L’Equilibrio è facile da
spezzare, il Kaos è facile da
creare. Basta che butti in terra un qualsiasi oggetto ed ecco che hai
fatto la
volontà del Dio dell’assurdo! E
l’Equilibrio si indebolisce ogni volta che
qualche cosa è fuori posto e fuori dall’ordine. Il
motivo per cui capitano
catastrofi e macelli vari è perché Kaos
è fuori controllo. Fa quello che
vuole e ogni casino che combina lo rende più forte, mentre
il suo opposto lentamente
si spegne. E certi disastri capitano anche qua, in un mondo governato
dal
Destino, poiché Kaos va cercando un buon avversario per
divertirsi un po’ e, per ora, il Destino è l’unica che
corrisponde a questa descrizione. Per
rispettare la sua natura, quel Dio deve dare fastidio!”.
“Come hai tutte queste
informazioni sugli Dèi?” chiese
Kasday.
“Le ho lette” fu
la risposta “Nella libreria proibita del
tempio. E altre cose le ho sentite dire dai Messaggeri”.
Il Serafino non capiva
perché quei libri fossero stati
proibiti dagli anziani. Forse perché la consapevolezza di
certi argomenti
portava alla soppressione del loro dominio? Forse perché
temevano che la gente,
sapendo troppo, potesse ribellarsi?
“Non hai mai provato il
desiderio di fare altro, Kasday?
Insomma… che cosa fai tutto il giorno?”. chiese
l’Arcangelo, continuando a
guardare fuori.
Cosa
faccio tutto
il giorno? Rifletté
l’ospite Ballo.
Ed a volte canto. Adorava ballare. La magia scorreva potente
in ogni sua
vena quando si muoveva, quando danzava. Gli capitava di unirsi ai cori
angelici
anche se, doveva ammetterlo, la sua intonazione non era delle migliori.
Soprattutto
ora che, da adolescente, stava cambiando voce e piume, creando un
insieme di
abbassamento e storpiamento di toni decisamente poco serafico. Sapeva
che era
una situazione temporanea, ma comunque era irritante. Pensandoci... gli
piaceva anche
cantare, nonostante tutto! A volte desiderava tanto fare qualcosa di
più… ma che
cosa? Non c’era altro modo di passare il tempo, in quel mondo
di infinita
letizia, se non ballando e cantando.
Forse leggendo i libri nel
tempio… ma come arrivarci alla
cosiddetta stanza blu?
L’Arcangelo gli fornì la
risposta: “Stasera andrò a far
visita ai Sacerdoti ed ai Serafini
Capo
nel Tempio. Credimi, saranno molto impegnati con me, cugino Kasdy. Se
vuoi
provare ad entrare nella biblioteca proibita, quella è
l’occasione! Sali al
piano di sopra quando nessuno ti vede, oltrepassa la porta ed
è fatta. Ma non
pretendere di leggere tutto in una notte, o in una sera. Sono
decisamente
troppi i volumi celati lassù”.
Kasday continuava a non capire
perché quei tomi fossero così
terribili da essere rinchiusi in segreto ed in silenzio per sempre. Ad
un
tratto gli vennero in mente tutti gli strani sogni che aveva fatto in
quegli
anni in cui Luciherus era assente. Doveva parlarne con
l’Arcangelo!
“Lucy… io… vedo
delle cose la notte…”.
“Mmm… il termine
̎cosa̎ è un po’ generico. Sii più
preciso… che mi vuoi dire?”.
“Simboli. Nei miei sogni
appaiono simboli che non ho mai
visto prima. E si sente parlare una lingua che credo di aver sentito,
ma non
capisco”.
Disegnò il simbolo che vedeva
più frequentemente su un foglietto
appoggiato su un tavolino color ebano e lo porse
all’Arcangelo. Luciherus esaminò quel
glifo con curiosità: una spirale
nera.
“Questo è il
simbolo di un Dio…” disse con un po’ di
insicurezza “…ma al momento non saprei dirti a
quale divinità appartiene
esattamente. Per quanto riguarda la lingua… il tuo amico
Vereheveil non ti
aiuta?”.
Kasday scosse il capo, afflitto.
“Dice di non averla mai
sentita” sospirò. “E la stessa risposta
mi han dato tutti quelli a cui ne ho
parlato. Dicono che è solo nella mia testa, e che forse sono
un po’ matto. Credi
che nella libreria del Tempio ci sia un testo in grado di aiutarmi?
Credi che
là possa trovare delle risposte? E perché tutti
quei testi sono tenuti lontani
dalla gente?”.
L’arcangelo lo
guardò con tenerezza: “Trovare le risposte a
tutto, tra quei volumi, non credo sia possibile. Ma ci puoi provare.
Per quanto
riguarda il motivo della loro segretezza, ti posso dire che il ruolo
dei
Serafini Capo dipende dal fatto che ci hanno convinti che solo loro
sono in
grado di parlare e capire gli Dèi ed i loro Messaggeri. Ma
non è così. E alcuni
di quei libroni lassù possono darne conferma. E se tutti lo
sapessero... sarebbe
un bel casino, non trovi? Comunque, cugino, sta calando il Sole. Io ho
un
appuntamento con venti signori dalla lunga barba ed il capino a
riccioli. Vado
a cambiarmi ed a rimettere quella specie di tenda frusciante. Se mi
presento
così, neanche mi fanno entrare al Tempio! Buona fortuna, nel
caso tu decidessi
di provare ad entrare nella stanza blu stanotte. Io sarò
là, con altri che sanno
la verità e che vogliono cambiare”.
Si tolse la cravatta quasi con
rabbia. Fissò con odio la
tunica appesa alla parete e Kasday si avviò verso
l’uscita.
“Un'ultima
cosa…” riprese l’Arcangelo
“…non chiamarmi mai
più Lucy! Ti mordo, se lo rifai!”.
Si guardarono sorridendo. Il Serafino
si disse che
decisamente stava meglio con quegli strani abiti suo cugino, piuttosto
che con
la tunica. Ma gli anziani non avrebbero mai accettato un indumento
così “fuori
norma” in un luogo sacro.
Si salutarono ed il più
giovane chiuse la porta, mentre
l’Arcangelo sfilava le ali dalla giacca attraverso due fori
fatti sulla
schiena.
Con l’avvicinarsi della
sera, tutte le creature angeliche si
affrettavano a tornare verso la propria abitazione. Si diceva che di
notte il Dio
Kaos si aggirasse incontrollato per le vie facendo del male al
malcapitato che,
inavvertitamente, osava incrociare il suo sguardo.
Le ombre si allungarono velocemente
ed il Serafino affrettò
il passo lungo il ciottolato. Diede uno sguardo al Tempio ed a tutti quei
gradini eburnei. Era una cosa saggia provare ad entrarci? Voleva veramente
cambiare le
cose? Voleva delle risposte… risposte ai suoi incubi ed ai
suoi dubbi.
E Luciherus? Che aveva in mente?
Voleva scombinare le
gerarchie? O semplicemente richiedere la libertà che, a sua
veduta, non aveva
mai avuto? Ed in che modo gli Anziani avrebbero potuto placare ed
accontentare
la sua rabbia ed i suoi desideri? Queste e molte altre domande giravano
per la
testa del giovane Serafino mentre camminava, a capo chino, per la
capitale.
Sono, forse, la creatura
più confusa di questo Pianeta! Si
disse.
Attraversò in fretta le
piccole vie che lo portavano verso
casa. Il bianco dei muri, delle porte, perfino dei tetti, stonava
rispetto ai
suoi capelli neri. Per questo aveva scelto di vivere un po’
fuori dal centro,
vicino al bosco, tra gli alberi. Stare in mezzo al verde gli faceva
dimenticare
molte cose che, a volte, gli venivano in mente. Come quella spirale
nera… quanta
paura risvegliava in lui quel simbolo! Ma perché? Decise che
al Tempio ci
sarebbe stata la risposta che cercava!
Il Sole scendeva piano verso Nord,
mentre due pallidi
satelliti sorgevano, uno a Est ed uno a Sud, cominciando ad illuminare
timidamente la Città degli Angeli.
Quanto mi piace questo
Mondo! Si disse Kasday.
Estrasse una chiave dal colletto
della tunica, la teneva appesa
al collo con un filo d’oro, la inserì nella
serratura della porta azzurra ed
entrò a casa sua. Cominciarono a scendere lievi gocce di
pioggia.
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Capitolo 5 *** V- Tempio ***
V
TEMPIO
Quando
l’oscurità della notte prevalse sulla luce del
giorno, alcuni Angeli iniziarono ad uscire dalle loro case e si
avviarono verso
le gradinate del Tempio. La pioggia si era fatta battente e gelida.
Kasday, avvolto in un lungo mantello,
copriva la testa con
un cappuccio e avanzava a capo chino. Si era avvolto bene nelle stoffe
per
evitare di bagnare le ali. Se lo avessero scoperto, doveva avere le
piume
leggere e pronte al volo. In caso contrario, cioè nel caso
in cui fossero state
umide e pesanti, non avrebbe potuto sollevarsi da terra tanto
facilmente.
Iniziò a salire i 225
scalini che portavano all’ingresso del
luogo sacro. Tradizione voleva che si dovessero fare tutti a piedi, mai
volando, per potersi purificare e fare ammenda dei peccati.
Vide che dalla finestra del piano
inferiore usciva una luce
intensissima. Evidentemente Luciherus era già lì.
Dalla cupola, la sede dei libri
proibiti, non si vedeva nulla. Nessuna luce, nessuna ombra. La
biblioteca molto
probabilmente era deserta. Erano, infatti, tutti al piano di sotto.
Aprì il portone con
cautela e non con poco
sforzo. Sentì delle grida: urla di
rabbia. Si stavano insultando. O meglio, gli anziani ed i capi
insultavano il
portatore di luce che sapeva benissimo rispondere a tono, con tutte le
sue S
sibilanti.
“Ci sarà sempre
qualcuno al di sopra di te!” urlò qualcuno.
Dove aveva già sentito
questa frase? Si arrestò Kasday, per
un attimo, sulla ripida scalinata che portava all’ingresso
della biblioteca.
Ispirò a fondo, strinse i pugni e si diede coraggio.
Ripartì convinto. Se mi
scoprono…mi uccidono! Togliendosi quel pensiero
dalla testa, entrò nella
cupola.
Girò la chiave e spinse la
porticina scura. La stanza blu lo
spaventò e non poco. Immensa, lo fece sentire piccolo,
insignificante e,
soprattutto, debole. Migliaia di libri lo circondavano, distribuiti in
ordine
alfabetico sugli scaffali azzurro cielo. Quale scegliere?
Devo cercare il significato
dei disegni dei miei sogni si
disse se Luciherus mi ha dato un’informazione
corretta, devo riuscire a
trovare un libro sugli Dèi. Uno di questi volumi deve
contenere i loro simboli!
Iniziò a cercare tra gli
scaffali. Vide, in cima al terzo
scomparto, un libro grosso e logoro. A caratteri d’oro
portava scritto sul
dorso la scritta “La Città degli
Dèi”. Con un colpo d’ali,
salì a prenderlo. A
causa del peso notevole del volume, rischiò di cadere a
terra. Preso alla
sprovvista, perché non si aspettava un tomo così
massiccio, spalancò tutte e
sei le ali e riuscì a non precipitare.
Appoggiò il librone sul
pavimento, lasciando che le sue
piume stessero ben aperte. Soffiò sulla copertina sollevando
un bel po’ di
polvere e si mise a tossire. Uno starnuto fece volare un paio di sue
penne per
la stanza. Devo ricordarmi di raccoglierle, prima di uscire si
disse.
Continuò ad esaminare il
libro. Sembrava molto vecchio. Con
un klack aprì i due ganci che lo
tenevano chiuso. Stando seduto in terra
prese coraggio ed aprì il volume. Una luce abbagliante ne
uscì e si trattenne
dal gridare, nonostante lo spavento, consapevole che avrebbero potuto
sentirlo.
L’abbagliante raggio che lo
investì colpì in pieno le sue
pupille che si serrarono, diventando sottili come due fili
d’erba.
Intanto, al piano di sotto, si erano
radunati molti angeli,
incuriositi dalle grida. Nei luoghi attorno al Tempio vigeva,
normalmente, il
silenzio e l’insolita confusione aveva attirato un bel
gruppetto di curiosi.
Luciherus stava in centro all’immenso salone. Brillava
più forte di tutte le
candele presenti nel luogo di culto. Guardò la statua che
gli stava di fronte.
Rappresentava una figura danzante, con molte braccia. Su ogni mano
fluttuava un
simbolo luminoso e ogni segno rappresentava un Dio.
Notò che uno di loro
brillava più di tutti.
Simbolo che la
divinità corrispondente è vicina? si
chiese.
La spirale nera. Luminosissima e
pulsante stava sopra la
mano con su scritto “Kaos”. Luciherus
sussultò, per un attimo ricordandosi dei
sogni di Kasday. Ma dovette subito tornare alla realtà
perché aveva ben altri
problemi: gli anziani erano nel bel mezzo di una predica nei suoi
confronti.
Sarà la centesima
volta che mi sento fare questi
discorsetti di rimprovero.
Tentò di spiegare il suo
punto di vista, esponendo le
proprio teorie ed il desiderio di maggiore libertà. Le sue
parole sulle divinità
ed il sistema di comando risvegliarono non poca curiosità
tra la gente
presente. Nel sentire cose che una creatura angelica qualunque non
avrebbe mai
potuto sapere, uno dei Serafini Capo
si
avvicinò all’Arcangelo. Con aria minacciosa, gli
si parò davanti ed afferrò con
rabbia quel ciuffo
che Luciherus teneva
sempre sull’occhio.
“Quante volte ti abbiamo
fatto notare che quel ciuffo è
irritante?!” lo strappò con decisione.
L’Arcangelo trattenne un grido. Serrò
gli occhi e girò il viso. “Fottiti”
sussurrò.
L’anziano non fu in grado
di sentirlo, ma intuì i pensieri
del giovane.
Il Serafino gli bloccò il
volto tra il pollice e l’indice
dicendo: “Guardami, giovane dalla mente decisamente
confusa!” e Luciherus
obbedì.
Lo guardò negli occhi
esprimendo sicurezza e rabbia. Gli
occhi aranciati brillarono e la pupilla dell’occhio sempre
celato si mostrò
sottile come un foglio di carta.
“Tu hai visto i libri
proibiti!” sbraitò l’anziano
“Ecco
perché una volta tenevi coperto l’altro occhio,
mentre invece ora il ciuffo ha
cambiato posto! Hai dovuto cambiare lato, per poter coprire
l’occhio simbolo
del tuo peccato!”.
“Ma quale
peccato!” sibilò l’Arcangelo, spingendo
all’indietro il Serafino anziano, che cadde in malo modo.
“Maledetti vecchi!”
urlò Luciherus, ancora con gli occhi lucidi a causa del
ciuffo strappato.
Nonostante tutto, il suo sguardo era pieno d’orgoglio e
convinzione.
Quasi ringhiando,
continuò: “É forse peccato sapere
ciò che
voi non ci volete dire? È forse peccato sapere come sono gli
Dèi veramente? È
forse peccato voler cambiare?”.
“Vuoi cambiamenti? Li
avrai!” rispose un altro Serafino
anziano.
I capi si stavano riunendo in
cerchio. Prendendosi per mano
iniziarono a borbottare una sorta di nenia. Luciherus non capiva che
cosa si
stessero dicendo. Sussurravano troppo piano e l’unica cosa
che riusciva a
capire era che parlavano in angelico.
“Mi state maledendo,
piumini per la polvere?” domandò
l’Arcangelo.
Si sentì sbattere il
portone d’ingresso. Mihael, il guerriero,
entrò brandendo la spada: ora sapeva chi doveva combattere.
Schiere di Angeli
armati circondarono Luciherus ed i suoi seguaci.
L’attaccato
serrò i pugni.
“Vieni, Mikino bello.
È da secoli che ho l’irresistibile
voglia di farti molto, molto male!!”.
Kasday riaprì gli occhi
con un senso di assoluta confusione
nel corpo e nella mente. Dopo pochi attimi di smarrimento,
cominciò a sfogliare
il grande libro. Scosse la testa per riprendersi ed iniziò a
leggere, seduto a
terra. Le sue sei ali fremevano a causa della lieve corrente che
proveniva da
una piccola finestra aperta. Rimase perplesso dal testo che aveva
davanti
perché la parte destra era in bianco. La sinistra era invece
nella sua lingua e
sembrava una specie di trattato con varie descrizioni di
divinità. Girando una
delle pagine, ritrasse la mano di colpo: si era tagliato un dito. Una
goccia
del suo sangue cadde sulla carta luminosa ed iniziò ad
emettere lucette
azzurre. La parte destra del volume, prima del tutto priva di ogni
segno,
iniziò a riempirsi di simboli e parole in una lingua che il
Serafino ignorava. In
mezzo ad una delle pagine, vide apparire ciò che
più volte aveva visto in
sogno: la spirale nera. La toccò e sentì il libro
che lo chiamava per nome.
Il volume iniziò ad
inviargli immagini e parole che
lentamente cominciò a comprendere.
Conosco questo posto!
Nella sua mente si era
materializzato un grande salone in totale disordine, con un trono
imponente al
centro. Sentiva delle voci che spiegavano ciò che vedeva.
Il palazzo del Kaos! Le
figure continuarono a susseguirsi,
una dietro l’altra.
Kasday respirava sempre
più in fretta, la sua aureola
pulsava velocissima.
Il palazzo di mio padre!
Quegli improvvisi ricordi lo
colpirono come un fulmine, ma
subito si rese conto che il dolore che provava al petto non era causato
da ciò
che stava leggendo: una lancia nera gli trapassava il cuore.
“La lancia degli
Hainuet” ansimò, voltandosi.
Uno schizzò rosso vivo
aveva macchiato il libro aperto su
entrambe le pagine e ora anche il pavimento blu si stava tingendo dello
stesso
colore. Sentiva in bocca il sapore del sangue: stava morendo. Vide un
uomo
dietro di lui., o perlomeno, sembrava un uomo. Altissimo. Enorme.
Pareva
continuare a crescere ed aumentare di dimensioni e quasi toccava il
soffitto.
Il ferito non riusciva a percepire chiaramente i contorni di quella
figura,
così indefiniti e sfuocati. Non riusciva a capire se la sua
incapacità ad
individuarne i tratti fisici era dovuta alle sue attuali pessime
condizioni od
alla reale forma fisica di quell’essere..
Lo sentì parlare con la
sua voce profonda: “Sapevo che gli
Dèi neonati sono consapevoli e hanno ricordi fin dal loro
primo respiro. Ora ho
la certezza assoluta che sanno qualcosa in più, come la
faccenda della lancia
degli Hainuet e la spada dei Denian. I loro simboli. È un
onore morire
dilaniati da quella lancia!”.
La estrasse di colpo e Kasday
urlò, sentendo la vita che
lentamente lo abbandonava.
“Il bello, mio caro
ragazzo, piccolo Kasday,…è questo il
nome che ti hanno dato giusto?…il bello è che sei
debole. Mortale. Non come me.
Non come un Dio. Le divinità sono difficili da uccidere. Tu,
invece, sei così
delicato! Posso ammazzarti tutte le volte che voglio senza fatica. E
anche se
so già che rinascerai, perché una simpatica
signora con una palla in mano ha
deciso così, io tornerò di nuovo a porre fine
alla tua vita! A tutte le tue
vite! Rinasci pure dove e quando vuoi, ma io tornerò sempre
per distruggerti!
Addio! Per ora…”.
Per tutto il tempo, l’alta
figura aveva tenuto un piede
sulla schiena del Serafino agonizzante.
“Perché?” ansò
Kasday terrorizzato e dolorante.
“Perché?! Bella
domanda…perché mi va! Sono il Kaos e non
voglio averti tra i piedi! E ogni volta che ti verrà in
mente chi sei veramente
e qual è il tuo compito, io farò in modo che non ti serva avere di nuovo quel
ricordo” il Dio
gracchiò quella risposta, con la sua voce ferruginosa, e
rise facendo tremare
le pareti.
Dopo aver spalancato la porta,
puntandogli l’indice contro,
tese la gamba e scaraventò il giovane angelo giù
dalle scale, facendolo atterrare
in mezzo al salone, fra le candele, l’altare, le statue e gli
Angeli in lotta.
Luciherus e Mihael combattevano come
avrebbero voluto fare
da tempo. La loro forza era pari, come pari era la loro determinazione.
I due
Arcangeli, tra le imprecazioni, si colpivano a vicenda con forza e
rabbia ma poi
si sentì un tonfo e una specie di rantolo, un gemito,
seguito da una risata. Il
pavimento tremò, così come le pareti del Tempio.
Tutti si fermarono, volgendo
il capo verso la ripida scalinata. Da li pareva provenisse quella
risata
terrificante.
“Kasday!”
sussurrò l’Arcangelo più bello.
Lo vide disteso a terra e si rese
subito conto del fatto che
il suo giovane collega era ferito a morte.
Il sangue si stava allargando lungo
la navata laterale,
subito sotto la rampa che portava alla cupola dei libri proibiti.
Soffriva, e
Luciherus lo avvertì chiaramente.
“Rahahel! Ti prego,
aiutalo!” supplicò l’Arcangelo cercando
di individuare il suo confratello guaritore.
Rahahel, rimasto fino a quel momento
lontano dalla massa di
Angeli litiganti, cercò di avvicinarsi al Serafino ferito,
ma si dovette
fermare. Uno strano vento teneva le sue gambe fisse sul pavimento,
immobili
nelle loro posizioni. Tutti quelli che cercavano di aiutare Kasday
venivano
tenuti lontani da una sorta di forza magnetica.
Nel frattempo, una luce verdastra
aleggiava attorno agli
anziani che, nonostante tutto, continuavano a sermoneggiare. Luciherus,
il più
bello, sentì qualcosa di caldo scorrere dalla sua fronte.
Con un dito si toccò
le tempie. Sangue.
“Sangue!! Che mi state
facendo? Voi e le vostre strane
formule…”.
Si guardò in uno dei 100
specchi che tappezzavano le pareti
del tempio. Le corna? Cosa volevano significare? E la coda…
Le sue ali dorate si spensero,
divennero nere, perdendo la
loro luce. Ma nulla poteva spegnere la luce rossa emessa dal corpo
dell’Arcangelo che continuava, nonostante tutto, a brillare
più di ogni altra
creatura angelica. Strinse i denti con rabbia. Notò che
tutti quelli che lo
avevano appoggiato nell’esposizione delle sue idee al Tempio
ora presentavano
tratti simili ai suoi. Posò gli occhi arancio di nuovo su
Kasday. Stava ancora
in terra, boccheggiante. Pensando di essere, in qualche modo,
responsabile
della sua lenta agonia, Luciherus divenne triste. Una piccola lacrima
scese sul
suo viso. In fin dei conti quel piccolo Serafino era stato
l’unico in grado di
capire a pieno il suo punto di vista. Aveva qualcosa di diverso e di
migliore
rispetto agli altri Angeli.
“Perdonami
Kasday!” sussurrò piano.
Non riusciva a pensare ad altro, se
non al fatto che doveva
esserci un modo per salvarlo. Mihael, approfittando della situazione,
colpì
l’Arcangelo più bello sulla spalla. Lo
trapassò con la sua spada e lo fece
cadere. Non era una ferita mortale, Luciherus lo capì
subito, ma quel colpo
basso lo fece urlare con tutta la sua forza :“Mihael! Era da
tempo che te lo
volevo dire…” si rialzò lentamente, in
preda al dolore “…sei un figlio di
puttana! Un bastardo! Un infame! Mi fai schifo”.
L’ultima parola gli
uscì storpiata e con un tono di voce
quasi bisbigliante. Si era messo in ginocchio, tenendosi la spalla
ferita e Mihael
vide le sue lacrime.
“É facile
eliminare chi non la pensa come voi. Il mio povero
Kasday…” piangeva il ferito, un po’ per
il dolore e un po’ per la tristezza.
Le corna, che lentamente crescevano,
gli appannavano i
sensi. Le sentiva, pulsanti e calde, mentre uscivano dalle sue ossa e
dalla sua
fronte. Lanciò un grido: “Non è giusto!
Io non voglio stare qui! Non voglio
stare in un mondo così!”.
La figura in cima alle scale, rimasta
in silenzio,
compiaciuta del macello che si stava creando al piano di sotto,
alzò una mano.
Il vortice di forza magnetica che si era creato attorno a Kasday si
espanse,
spingendo fuori dal luogo di adorazione tutti i maledetti dagli
anziani,
seguiti da un bel po’ di piume vaganti. Il vento li spinse
via da quel regno,
da quel Pianeta, diretti chissà dove.
Gli Angeli del Tempio li videro
sparire dall’orizzonte. La
divinità, soddisfatta, si riavvolse nella sua nebbia,
spiccò il volo e tornò
nel suo palazzo, attraverso l’apertura di un portale magico
dai mille colori.
Luciherus teneva stretto tra le
braccia Kasday. Cadevano. Il
vento bruciava sulla pelle scoperta e nessuno sapeva dove stessero
andando. Si
sentivano voci e suppliche da parte di tutti i cadenti.
L’Arcangelo dalle ali
spente abbracciava il Serafino morente.
“Tu non centri! E non devi
morire!” gli disse, cercando di
difenderlo dal vento pungente.
Ma si accorse subito che nessuno
poteva mantenerlo in vita.
Quella ferita era troppo profonda.
Che razza di divinità
poteva averlo ridotto in quello stato?
Che cosa poteva aver mai fatto di così terribile un ragazzo
ancora così giovane
e debole?
Sentì la voce di Rahahel e
lo intravide in lontananza. Il
guaritore aveva provato a seguirli per un breve tratto ma poi aveva
dovuto
rinunciare, sopraffatto dalla potenza di quella forza magica che
spingeva via
gli Angeli ribelli.
“Perdonatemi!”
disse, frustrato e deluso.
Luciherus lo sentì e
sorrise debolmente: “Grazie
per averci provato, almeno tu” fu la
sua risposta.
Kasday morì lungo il volo
verso un Pianeta sconosciuto. Non
disse una parola, con gli occhi sbarrati dal terrore e dalla tristezza.
Il più bello lo
lasciò andare, rassegnato.
“Ci rivedremo. Lo
so!” gli disse.
Spalancò le ali nere ad
attese l’atterraggio su quel nuovo
Mondo che lo attirava con la sua fortissima forza di
gravità. Guardò il
Serafino con gli occhi da Dio e lo lasciò andare. Sapeva che
sarebbe rinato,
qualcosa dentro di lui glielo diceva. Poi spalancò le
braccia ed atterrò su quel
nuovo mondo e sorrise. Urlò, rivolto al suo Pianeta natio,
con la mano aperta
verso la sua luce sempre più lontana.
“Sono
libero ora!
Lontano da un Mondo che detestavo, inizierò una vita nuova!
E
saprò ritrovarti,
Kasday! Tornerai da me!
E le tenebre lo avvolsero.
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Capitolo 6 *** VI- Demoni ***
VI
DEMONI
Il giovane demone se ne stava disteso
a terra ascoltando
musica. Batteva la coda a ritmo e faceva ondeggiare i capelli scuri,
pieni di
riflessi rossi, muovendo la testa. Teneva gli occhi chiusi e cantava.
Poi,
preso dal ritmo, si alzò in piedi e iniziò prima
a battere il tempo con le mani
e poi a ballare. Cosa molto poco da demone…si
disse…ma che importa! Rideva,
senza mai aprire le palpebre.
“Papà!”
si sentì chiamare.
Tornò alla
realtà, guardò chi lo chiamava e gli sorrise.
Mio figlio è
stupendo.. si ritrovò a pensare
..con la pelle color bianco latte della
mia splendida compagna ed i suoi capelli oltremare. Per non parlare
degli
occhi! Scurissimi, di un nero così intenso da non
lasciare spazio a nessun
angolo bianco.
“Dimmi, Agares”.
Il bambino era abituato a sorprendere
suo padre mentre
ballava. Lo faceva sempre e lo divertiva, anche perché non
riusciva a vedere in
che modo il suo genitore potesse fare qualcosa di diverso. Non era di
sicuro
adatto a combattere o a dar prova di forza fisica perché era
decisamente
gracilino, magrolino e affusolato. E con le gambe troppo lunghe e
sottili
rispetto al resto del corpo.
Agares, pur essendo solo un bambino,
presentava tratti già
più “demoniaci” rispetto al padre, il
quale sembrava sempre in uno stadio di
sviluppo adolescenziale. Oltre alle gambe fuori proporzione aveva,
infatti,
anche le corna troppo lunghe e grosse e le ali ampie come quelle di una
creatura di almeno tre volte più grossa di lui. A
ciò che più di tutti lo
distingueva da tutti gli altri demoni erano gli occhi: azzurri. Era
l’unico
demonio di tutto il Pianeta ad avere gli occhi azzurri!
Ma Agares sapeva che sua madre lo
aveva scelto come suo
compagno proprio per la sua particolarità, perché
era diverso da ogni altro
diavolo.
Il piccolo sorrise con i suoi dentini
a punta. Dimostrava
cinque o sei anni. Con le mani incrociate dietro la schiena, si
alzò sulle
punte il più possibile.
“Guarda papà..i
miei cornini..” disse, felice.
Il demone adulto si
inginocchiò e le guardò da vicino.
Piccole e rosse, le corna del figlio brillavano come le pietre del
Sole.
“Sono cresciute
ancora!” esclamò con orgoglio.
Il padre lo abbracciò
forte e gli diede un bacio sulla
fronte :“Sei bellissimo, piccolo mio. Come tua madre. Ti
voglio bene!”.
Il bimbo lo spinse via con decisione:
“Dai, papà! Fai il demone
ogni tanto!”.
Il giovane si mise a ridere, ma smise
subito. Il suo erede
era convinto di ciò che diceva.
“Scusami,
Agares,
dimenticavo che ormai sei grande!”
“Non è per
questo! E che io sono un vero demone. Non ballo,
non canto, non do bacetti…”.
Voleva continuare con
l’elenco ma si fermò. Suo padre,
seduto in terra, lo guardava con aria smarrita, confusa, con i suoi due
enormi
occhi color del cielo.
“Comunque, papà,
sono qui per dirti che il Principe chiede
ti te”.
Il Principe.. pensò
il demone ..tecnicamente,
mio cognato.
La sua compagna, Lilim, era nata
alcuni minuti dopo la
sorella Lilith, la compagna del Principe. Quindi, teoricamente,
avrebbero
dovuto conoscersi, ma in realtà non si erano mai neppure
parlati.
Forse perché il Principe
non aveva tempo da perdere con quel
parente acquisito, più simile a quegl’esseri che
gironzolavano per altri Mondi
senza magia piuttosto che ad un abitante di quel Pianeta. O forse
perché lui,
diavoletto sproporzionato, non usciva mai dalla sua casa. Un
po’ per timore
degli altri individui che stavano al di fuori delle sue quattro mura,
che
amavano divertirsi con uno sgorbietto come lui, e un po’
perché aveva trovato
il modo di mantenersi senza muoversi dal suo nido: scrivendo. Aveva
abbastanza
pazienza da ricopiare, riscrivere, ristrutturare, correggere e tradurre
i
vecchi testi che gli venivano portati quando questi si rovinavano o se
ne
servivano più copie. Era una dote che aveva scoperto da
poco, prima di allora
era la sua compagna a portare i soldi in famiglia. Lei era brava a
ballare e
cantare ed era la più bella, seconda solo a Lilith, di tutti
gli abitanti del
Mondo dei demoni. Tutti si chiedevano di chi fosse la compagna, quello
splendore
e nessuno poteva immaginarsi che lei potesse stare assieme ad uno come
lui, il
demone che si spezza con un soffio di vento. Ma da quando
scoprì di aspettare
il bambino, loro figlio Agares, aveva smesso di esibirsi. Ora aiutava
il suo
compagno nel suo lavoro, dimostrando una notevole capacità
artistica nelle
miniature. Il fatto che non lavorasse più in pubblico, fece
molto infastidire
la sorella maggiore Lilith. Il suo parere era che la sorellina dovesse
trovarsi
un compagno più bello e più
“demoniaco”, in grado di difenderla e comandarla.
Le proteste di Lilith, prima della
nascita di Agares, furono
le ultime parole da parte della famiglia regnante. Poi più
nulla. Ed ora il
Principe richiedeva la sua presenza. Il demone fragile, il cognato
dimenticato,
convocato dal padrone del Regno. Chissà per quale
motivo…forse era a causa di
quelle voci. Più di qualcuno affermava che il vero padrone
del Pianeta, nonché
suo creatore, che portava il nome di Kaos, stava radunando un esercito.
Che mi abbia convocato per
questo? No, impossibile! È più
adatto mio figlio, che ha cinque anni, a far parte di un esercito
rispetto a
me! Ma allora? Che cosa vuole da me? Non mi sembra il tipo da
convocarti giusto
per fare quattro chiacchiere…che vuole da me?
L’unico modo per saperlo
era andare fino alla capitale e
scoprirlo di persona.
Fare un viaggio per il Mondo dei
Demoni era una vera e
propria avventura.
Essendo un Pianeta governato dal
Kaos, non vi era un solo
elemento logico in tutta la sua superficie. I fiumi si spostavano, i
boschi
sparivano per poi ricrescere, nel giro di un paio di ore, in un luogo
diverso.
Inoltre i monti cambiano forma, gli alberi passano dallo stadio di
germoglio a
quello di sequoia in una notte e nulla rimaneva immobile per lungo
tempo. Le uniche
cose a cui era concesso stare ferme erano le case e le costruzioni. Ma
solo se,
subito dopo essere stati eretti, questi edifici venivano sigillati e
bloccati
con una formula magica ed un glifo particolare. Se sulla porta, o in
qualunque
altro luogo, non c’era il glifo, o se la formula non veniva
pronunciata
correttamente, c’era il forte rischio di ritrovarsi la casa a
spasso per il
Pianeta senza preavviso.
Le torri asimmetriche della capitale
si intravedevano da
qualunque punto del Mondo ed erano l’unico punto di
riferimento fisso. Neppure
le stelle potevano essere utilizzate per orientarsi di notte
perché la loro
posizione mutava di giorno in giorno a causa dell’orbita
molto irregolare e
priva di senso del Pianeta dei Demoni. Questo, oltre a rendere
difficile
l’orientamento, rendeva anche le ore della luce e del buio
molto mutevoli, così
come le stagioni che potevano rimanere invariate per mesi o passare
dalla
primavera all’autunno in pochi giorni.
Tutto seguiva i capricci del Dio del
Kaos, che mutava i
giorni in base ai suoi sbalzi d’umore. Il demone che voleva
raggiungere la
capitale sapeva bene che l’unico modo era individuare le due
torri più alte del
palazzo del Principe e andarci incontro.
Il convocato iniziò a
volare verso quei due punti di riferimento.
Non si curava del buio.
Le due torri, storte ed a
protuberanze, brillavano sempre
grazie alla luce emessa dal Principe, che era l’unico demone
in grado di emettere
luce propria. Curioso, ma nessuno fin ora aveva mai avuto il coraggio
di andare
a chiedergli il motivo della sua costante luminescenza. Sarebbe stata
una
follia perché tutti lo descrivevano come un demone crudele e
con poca pazienza,
spietato e violento.
Avrebbe tagliato la testa a chiunque
avesse osato andare a
dargli fastidio per simili sottigliezze riguardanti il suo colore e le
sue
lucette.
Il demone stava volando da giorni,
attraversando valli,
colline e villaggi, quando finalmente cominciò ad
individuare il contorno della
capitale, circondata da mura. Sapeva che, una volta oltrepassato il
cancello
principale, ci voleva ancora un giorno di volo per poter giungere al
palazzo
del Principe. Per fortuna le sue ali, sproporzionate ed enormi, gli
permettevano di fare poca fatica.
Almeno una cosa positiva nel
mio essere così…assurdo!
Si disse soddisfatto, notando i volti
degli altri demoni
che, come lui, erano giunti fino alla cittadella. Erano stravolti ed
affaticati, mentre lui sentiva a malapena la stanchezza. Sorrise e
continuò il
suo volo. Meglio
non far aspettare il
Principe!
La capitale si estendeva sotto di
lui, immensa, con tutte le
sue architetture e la sua gente. Vedeva i bambini correre per le vie,
le donne
per i mercati a fare spese, alcuni operai che trasportavano le pietre
per delle
riparazioni o per nuove costruzioni, gente che rideva e che
litigava…non era
abituato a tutta quella vitalità. Viveva in campagna dove
tutto era più lento e
silenzioso. Lì sembrava che tutti avessero fretta!
Correvano, saltavano,
urlavano e parevano tutti indaffarati.
Il
giovane giunse
davanti al cancello del palazzo principesco. Si stiracchiò
le ali e si sistemò
un attimo. Poi fece un passo, ma non riuscì ad andare oltre:
i due guardiani,
Adanak e Damhar, lo afferrarono saldamente.
“Dove credi di
andare?” tuonò Adanak.
Massiccio e forte teneva il braccio
del giovane piegato
dietro la schiena e ringhiava. I suoi occhi rossi stavano fissi sul
malcapitato, che gemette per il dolore.
Damhar continuò:
“Il Principe non riceve visite di
piacere!”.
Anche lui ringhiava e teneva
ferocemente, con gli artigli,
le ali del demone sproporzionato. Lo colpì violentemente
facendolo cadere in
terra. Che accoglienza! si disse il povero
diavolo. Non poteva competere
con quei due. Erano grossi e inferociti, addestrati per tenere lontani
gli
intrusi indesiderati ed a nulla servivano le sue spiegazioni. Tentava
invano di
convincere i guardiani del palazzo che era stato convocato e che aveva
il
diritto di stare lì davanti, che doveva entrare ad
incontrare il Principe. Dopo
diversi ed invani tentativi, non vide
altra soluzione se non quella di tornare a casa. Prima,
però, guardò di nuovo
l’edifico: metteva i brividi. Centinaia di statue di draghi,
demoni e serpi
guardavano la città con i
loro occhi di
fuoco. Sulla facciata erano rappresentate strane scene di guerra tra
angeli e
demoni, ma nessuna delle due parti vinceva mai: una guerra infinita. I
draghi
sputavano fuoco dalla loro bocca di pietra ad intervalli variabili. Le
mura,
nere come l’onice, splendevano alla luce di uno dei satelliti
d’argento che
brillava sulla capitale in quella notte stellata. Il cancello era
pesante e
massiccio, in stile gotico, con riccioli e decori di mostri e figure
minacciose.
Forse è meglio se
io non ci entro là dentro…si
consolò il giovane, spaventato da tutti quegli sguardi
malvagi. Se la casa è
cosi…figuriamoci com’è il
proprietario!!! Mi sbranerà! Mi avrà convocato
per
divertirsi, come fanno gli altri demoni da cui devo scappare da quando
sono
nato!
Sospirò e fece per
andarsene ma una voce roca lo fermò: “Si
fermi, per cortesia”.
Il demone senza proporzioni si
girò lentamente: che bella
sensazione sentir parlare in modo educato in questo Mondo di zotici dal
vocabolario ristretto! Individuò la figura che si era
rivolto a lui con quelle
belle parole. Era un grosso diavolo che stava davanti alla porta
d’ingresso,
oltre il cancello, e in cima alla rampa di scale che separavano il
convocato
dall’ingresso. Portava un lungo mantello
scarlatto, legato al collo con
un fiocco. Una spada pendeva dal suo fianco e la sua aria minacciosa
fece
rabbrividire sia Adanak sia Damhar.
Il giovane si spaventò non
poco notando i muscoli
dell’ultimo arrivato.
Questo vuole mangiarmi!
Il grosso demonio iniziò a
parlare: “Io sono Asmodai, il
capo di questo branco di idioti vagamente identificabili come soldati.
Non sono
stupidi infondo…ma non hanno né
l’educazione né la pazienza per ascoltare chi
hanno
di fronte, salvo non
gli vengano rivolti
degli ordini. Voi dovete essere il demone convocato dal
Principe…”.
Il demone dai capelli a riflessi
rossi annuì: “Se non do
fastidio..”.
Asmodai gli sorrise:
“Povero piccolo, non aver paura. Qui
non mangiamo nessuno. Qualunque cosa ti abbiano raccontato!”.
Il giovane si fece coraggio. Porse al
guardiano massiccio,
che nel frattempo era sceso dalle scale, la lettera con la convocazione
ed il
sigillo del Principe. Asmodai afferrò il foglio con due dita
facendolo passare
attraverso le sbarre del cancello. Con un rapido cenno del capo, il
diavolo con
il mantello fece aprire i cancelli.
“Mi segua, la
prego” parlò, ed il giovane attraversò
il
cancello.
Dietro di lui, Asmodai
tirò due ceffoni ai due guardiani che
lo avevano maltrattato. Il tutto accompagnato da parole molto poco
gentili.
“Non è
necessario. Facevano il loro lavoro” sussurrò il
piccolo diavolo.
“Ma voi siete un demone
davvero?” chiese Asmodai divertito
“Siete troppo buono!”.
Detto questo, lo
accompagnò oltre il portone d’ingresso: era
arrivato a destinazione, era entrato nel palazzo!
Guidato da Asmodai, percorse il lungo
corridoio buio,
illuminato fiocamente solo da qualche fiammetta che faceva intravedere
delle
statue di pregevole fattura. L’ospite si abituò
presto all’oscurità e riuscì a
seguire facilmente la sua giuda, che gli parlò:
“É sempre buio qui. O meglio, è
buio quando il Principe non è presente. Con la sua
luminescenza, riesce a dar
luce ad ogni stanza della sua abitazione”.
Quindi dedusse il
demonietto il Principe non è in
casa adesso..
“No, il Principe ora non
c’è” gli disse Asmodai, quasi leggesse
nel pensiero. Forse lo faceva davvero.. “Il Principe ora non
c’è, ma è in
arrivo. Ora la sto conducendo nel salone principale, dove Madama Lilith
le
vuole parlare”.
Madama
Lilith? La
sorella della sua compagna. Chissà che cosa voleva. Forse
rinfacciargli che non
era abbastanza per la sua bellissima sorella.
Non è che sono
stato chiamato qui per errore? Per
qualche sbaglio?
Tutto a un tratto ebbe paura. Il
Principe irritato per
qualcosa era uno spettacolo da evitare, soprattutto se eri tu la causa
della
sua irritabilità. Se da irritato, poi, diventava
furioso…tremò nonostante la
temperatura estiva.
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Capitolo 7 *** VII- Lilith ***
VII
LILITH
I due demoni giunsero davanti ad un
portone nero con decori
in argento lucido. Allo stesso modo della facciata, i decori erano
volti
accigliati e infuocati che fissavano gli intrusi con aria minacciosa.
Asmodai
bussò due volte. I colpi sul legno rimbombarono lungo il
corridoio.
Rispose una voce femminile:
“Entra pure”.
Il demone guardiano dovette usare
tutta la sua forza per
poter aprire il pesante ingresso nero, anche se gli bastò
solo una piccola
fessura per far passare il demonietto sproporzionato, che
però non aveva il
coraggio di entrare. Guardava ammirato Asmodai. Se lui, quel demone
così grosso
e muscoloso, faceva così fatica ad aprire quella porta, cosa
avrebbe potuto
fare lui da solo?
Per fortuna che
c’è lui con me…si disse il
giovane. Gracilino
come sono, restavo di sicuro chiuso fuori, nella speranza che qualcuno
mi possa
venire ad aprire. Se questo bestione deve fare un così
grosso sforzo…
Si accorse che il
“bestione” lo stava guardando e gli faceva
segno di entrare.
“Madama Lilith chiede di
Voi. Non di me. Entrate, prego, e
scusate ancora per il comportamento delle guardie
all’ingresso”.
Notando la titubanza del piccolo
demone, Asmodai lo spinse
dentro con una mano e chiuse il portone dietro di se.
Il demonietto non ebbe il tempo di
opporre resistenza né di
rispondere alle scuse.
Il portone si rinchiuse dietro di
lui, con scricchiolii e
cigolii inquietanti, lasciandolo solo, nell’immenso silenzio.
La luce filtrava
debolmente tra le tende che coprivano le alte finestre e
così l’ospite iniziò a
guardarsi intorno. Aveva chiamato un paio di volte il nome di Lilith,
ma non
aveva ricevuto risposta. Guardò in su. L’altissimo
soffitto aveva davvero degli
strani disegni. Angeli, Demoni e complicati simboli che si
incrociavano, formando
cerchi concentrici di colori diversi.
La stanza gli parve cilindrica, ma
capì subito che andava
restringendosi verso la cima, come un cono tronco.
Del resto,
pensò, siamo in un regno governato dal
Kaos. Le forme perfette e le linee perpendicolari devono essere una
vera
rarità!
Si guardava attorno, curioso,
agitando la coda. Era, in
fondo, una bella stanza nonostante gli strani sguardi minacciosi delle
statue.
Di fronte all’ingresso, verso il fondo della parete, stava
una specie di trono
rialzato. Su quattro o cinque scalini pieni di protuberanze si erigeva
un
complicato intreccio di spuntoni e rientranze. Sembrava una corona di
raggi
d’ebano posto attorno ad una sedia d’onice lucida.
Dietro al seggio il giovane
demone ebbe modo di notare una piccola porticina.
Quella deve essere la porta
d’accesso alle stanze private
del Principe.
Da una specie di gattaiola, ai piedi
della porticina, entrò
un cagnolino a tre teste che si appisolò, accoccolato, sotto
il trono. Il
demone ospite decise di fare un po’ di luce nel salone,
convinto che, oltre al
cane, non ci fosse nessun’altro. Con le mani ed un
po’ di magia creò una
piccola sferetta luminosa che teneva sospesa tra i suoi due palmi. I
raggi
bianchi si espansero per la stanza.
“Ti diverti?” si
sentì dire, all’improvviso.
Con un sussulto di spavento e
stupore, batté le mani e
spense la sfera. Sentì l’eco del suo gemito
ripetersi più volte lungo le
pareti.: Lilith stava di fronte a lui.
“Ti diverti?” si
sentì di nuovo chiedere.
Respirò un paio di volte
profondamente, per riprendere
coraggio.
“Perdonate, Madama Lilith!
Non credevo che Voi foste nella
stanza…” esordì, pronunciando la frase
tutta d’un fiato e chinando il capo.
Lei gli si avvicinò e gli
sorrise, tentando di rassicurarlo.
Non portava vestiti. Un serpente particolarmente grosso la copriva, in
parte. Lei
teneva la testa del rettile, la accarezzava, e spiegò che
quel serpente era un
regalo del suo compagno.
Pallida e splendida, lui non
poté fare a meno di notare
quanto assomigliasse alla sorella, Lilim. E sentì che
avrebbe voluto fare molte
cose con lei e con il suo corpo…come con la sorella.
Ma no! Si disse di
colpo. Brutto idiota! È la
compagna del Principe! Quello ti evira se solo…
“Non
preoccuparti…”. Lilith interruppe i pensieri del
giovane
con la sua voce sensuale. “…tutti fanno gli stessi
pensieri su di me. É il mio
potere. Porto tutti i maschietti in uno stato di agitazione. E,
soprattutto…”.
Tacque per un attimo. Si avvicino al
demone ospite e appoggiò
una delle sue pallide mani vellutate sul petto del ragazzo:
“..soprattutto..di
eccitazione!”.
L’ultima parola la
sussurrò all’orecchio del diavolo che si
ritrasse imbarazzato.
“Madama Lilith! La prego!
Siete mia cognata!”.
Ma lei non si allontanò.
Sbatté i due grandi occhi grigi.
“Non ha
importanza” esclamò, invece “Siamo
Demoni! Ogni
demone ha più di un compagno o compagna!”.
L’ospite rimase accigliato
e, anche se a fatica, allontanò
la demoniessa con la mano.
“Io no, Madama Lilith. Voi,
per caso, sapete dirmi il motivo
della mia convocazione a palazzo?”.
Il serpente si spostò
leggermente, lasciando la bellissima
Lilith del tutto scoperta.
Non soddisfatto, il rettile
iniziò a srotolarsi e ad
insinuarsi tra le gambe del demone, vestito con un’ampia
veste color porpora
che era allacciata alla spalla destra, senza maniche che lasciava in
vista il lato
sinistro del suo petto. Si allacciava poi in vita con una cintura nera,
ricadendo fino quasi alle caviglie.
“Come ti sei fatto quella
grossa cicatrice sul cuore,
cognato?”.
Lilith scuoteva la treccia di capelli
vermigli. Il demone
non era in grado di risponderle. Non lo ricordava. In evidente stato di
agitazione, tentava di uscire da quella situazione che lo metteva in
imbarazzo
e in suggestione.
È una prova?
C’è il Principe nascosto in qualche anfratto
buio di questa stanza, pronto a sbucare all’improvviso non
appena cedo alla
tentazione e decido di possedere la sua donna? È
così bastardo? Se io mi fotto
la sua puttana ammaliatrice, lui che può farmi?
Uccidermi?Oppure è lei che… Può
lui punirmi se è lei a volere me? È lei che mi
vuole…se io ora entro in lei,
lui che può farmi? Compito suo sarebbe tenerla buona, non
mia!So solo che non
devo cedere. Anche se…
Sentiva la coda del serpente che
saliva lungo la sua gamba.
“La prego, Madama Lilith,
mi levi la sua bestiola che mi
vaga tra le gambe con tanto entusiasmo…”.
Lei sorrise. Con un piccolo
strattone, richiamò il rettile
che tornò ad arrotolarsi attorno ai fianchi ed i seni della
demoniessa. Solo la
testa dell’animale era rimasta sempre nello stesso punto:
accanto al viso della
padrona, che lo accarezzava con le sue dita bianche.
“Sei un demone davvero
strano, cognato. Adahel è il tuo
nome…se non sbaglio, giusto? Nessun’altro aveva
mai resistito a me…o al mio
serpente! Ma se a te sta bene così…”.
Con un sorriso malizioso,
tornò ad appoggiare le mani sul
petto del demone.
“Chissà quanto
ha fatto male quella ferita…che brutto segno
ti ha lasciato…povero piccolo…”.
Si chinò e
baciò la cicatrice.
“Ma…Ma…Madama
Lilith!!” sussultò lui, cercando di sottrarsi
a quel contatto.
Sentiva la lingua di lei passargli
prima sul segno della
ferita dimenticata per poi passare alla spalla e salire fino al suo
collo.
Che bella
sensazione…mia principessa…
“La prego!!”
esclamò, cercando di resisterle.
Lei lo morse e lui si
scansò deciso.
“Sei proprio un demone
strano…”.
Lilith fece qualche passo indietro,
continuando ad
ondeggiare e a provocare. Lui pregò che il Principe
arrivasse presto.
Dov’è
il padrone di casa? Dov’è il Principe?
Perché non è
qui a soddisfare i desideri e le passioni della sua signora?
È , forse, con
altre? Lascia qui da sola questa creatura dagli strani pensieri per
appagare i
sogni di altre? Spero solo che arrivi presto. Qualunque cosa voglia da
me!
Nonostante il suo, a detta di molti,
notevole autocontrollo,
la sua natura di demone fremeva ed era una sensazione difficile da
dominare. La
sua coda si agitava e frustava l’aria. Continuava a ripetersi
che aveva di
fronte la sorella della sua compagna, nonché concubina del
Principe: non doveva
pensare a certe cose!
Ma lei continuava. Provocava. Con
quegli occhi, con quelle
labbra, con quel corpo…
Oh, Principe, dove siete?
Lei andò a sedersi sul
trono, schivando il cagnolino, che
continuò a dormire. La demoniessa incrociò le
gambe color latte e lasciò che il
serpente se ne andasse a spasso per la stanza. Completamente nuda,
guardò il
giovane dall’alto di quei cinque scalini. Lui
respirò a fondo, guardando
altrove. Pensò alla sua compagna, a quanto fosse bella con
quel suo piccolo
vestitino e le movenze
leggere. Come
ballava bene! E ora ballava solo per lui! Non avrebbe mai potuto
tradirla…
Lilith parlò:
“Perché, secondo te, il mio Principe ti ha
chiamato qui? Cosa può volere da te? Hai qualche
ipotesi?”.
Tirò su le gambe verso di
sé ed iniziò a giocherellare con i
suoi capelli ricci.
Lui si sforzò di tenere lo
sguardo concentrato in altri
punti della stanza. Non voleva guardarla.
“Non lo so, Madama. Non ne
ho idea” rispose sinceramente
Lilith sospirò, guardando
in alto con aria afflitta. Mugugnò
quasi con tristezza: “Lui è sempre così
misterioso! Non mi parla praticamente
mai ed è un vero peccato perché adoro la sua
voce. Purtroppo non so dirti cosa
vuole fare e perché ti ha chiamato qui. Ma io so
perfettamente cosa voglio da
un tipo come te!”.
Si alzò dal trono ed
iniziò a scendere dagli scalini. Lui
iniziò ad indietreggiare ed inciampò sul
serpente. O forse fu il serpente a
farlo cadere. Si ritrovò disteso a terra, le ali aperte sul
pavimento freddo e
la coda che batteva sulla superficie lucida e nera.
“Ouch!” gemette,
serrando gli occhi “Che botta!”.
Piegò le ginocchia
cercando di rialzarsi ma non ci riuscì. Lilith
stava su di lui, a braccia tese ed aprendo gli occhi, la vide. I lunghi
capelli
vermigli di lei gli solleticavano la pelle lasciata scoperta dalla
veste. Lei
si appoggiò su di lui ed Adahel non poté fare a
meno di sentire la sua morbida
pressione.
Così
bella…e così vicina! Così desiderosa
di avermi e
così…proibita!
“La…prego…Madama…”.
Ma lei gli chiuse la bocca con un
bacio appassionato.
“Mia sorella dice che sei
bravo, perché non mi dimostri che
è vero? Prendimi, per le fiamme di Gehenna!”.
Ricominciò a baciarlo.
Le fiamme di Gehenna? Te le
mostro io le fiamme
dell’inferno! Le sacre fiamme maledette del tempio di
Gehenna, in confronto,
non ti sembreranno niente di più di un piccolo fuoco. Un
falò di solo fumo!
Il demone si stupì dei
suoi stessi pensieri. Iniziò a
dimenarsi, tentando di togliersi certe idee dalla testa ma,
soprattutto, tentando
di togliersi LEI di dosso! Il serpente, però, gli impediva
di svicolare via. Stupido
animale!!! Nel frattempo Lilith iniziò a
scendergli lungo la veste con la
mano affusolata, continuando il percorso che aveva iniziato prima il
suo
rettile.
I suoi baci e il suo contatto fecero
accelerare i battiti
cardiaci ed il respiro del demone.
“Lilith…”
sussurrò.
Con le mani lungo i fianchi bianchi
di lei, ad un tratto
capì di non poterle più resistere. Con un
sorriso, la attirò a te e ricambiò il
suo bacio.
Fare l’amore qui,
nel palazzo del Principe? pensò il
demone. Possedere la sua compagna? Qui? Sapeva che
era una cosa stupida,
molto stupida, da fare. Una cosa sbagliata.
Se il Principe mi
scoprisse…le conseguenze per me saranno
terribili!
Ma non riusciva a fermarsi. Non
riusciva a smettere di
baciarla e non aveva altri pensieri in mente se non quello di
stringerla forte
a sé e mostrargli di cosa era capace. Accarezzò
la pelle di velluto della bella
tentatrice. La afferrò saldamente mentre lei gli sollevava
la morbida veste.
Lilith lo graffiò, sulle braccia e sul ventre. Lui la
avvolse con le sue ali ed
entrò in lei. Quasi con rabbia la prese, ringhiando. Con
violenza. fece stare
lei in contatto con il pavimento gelido. Lei gemette, graffiandolo
ancora. Inarcò
la schiena, supplicandolo di stringerla più forte. La
demoniessa lo morse e lo
fece girare un'altra volta. Ora stava di nuovo sopra di lui e,
digrignando i
denti, accelerò il ritmo, ansimando. Ma una coda lunga e
nera afferrò Lilith
per la vita e la sollevò, separando i due.
Il cagnolino a tre teste
iniziò ad abbaiare.
“Scusate
l’interruzione” si sentì.
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Capitolo 8 *** VIII- Principe ***
VIII
PRINCIPE
“Scusate
l’interruzione”.
Una voce profonda e una luce, che
illuminava tutta la
stanza.
Il Principe! Il giovane demone
scattò in piedi, tentando di
ricomporsi, chinò il capo e sussurrò:
“Perdonatemi, mio Principe!”.
Si sentì un idiota. Teneva
la testa bassa e i pugni chiusi. Forse
dovrei inginocchiarmi..forse dovrei invocare pietà..forse
dovrei..Il
silenzio che era sceso nella stanza lo inquietava, ma non aveva il
coraggio di
alzare gli occhi per vedere cosa stesse accadendo. Aveva paura di
incrociare lo
sguardo del Principe. Adesso mi uccide!
“Smettila di tremare,
cognato”.
La voce del padrone di casa era
straordinariamente calma e
tranquilla, quasi divertita.
“Vi lascerò
continuare più tardi, se avete questo desiderio.
Ma ora ho altro di più importante di cui parlarti,
Kasday”.
Kasday? Chi è
Kasday?
Il giovane prese coraggio,
alzò gli occhi e guardò il suo
capo. Notò che sul collo e sul petto, scoperto, presentava
profondi graffi
lasciati da Lilith. Gli stessi graffi che ora anche il giovane aveva. La
mia
compagna mi ucciderà…ma non è questo,
ora, il mio problema. Cosa vorrà il
Principe da me?
“Mia
Lilith…” lo sentì dire
“…ti ho comprato quel serpente,
è vero, e mi fa piacere che ti piaccia. Ma non te
l’ho regalato affinché tu ti
ci possa vestire. Hai tanti
begl’abiti…”.
Continuava a sembrare calmo e
tranquillo. Si era andato a
sedere sul suo trono, con un grosso gatto nero appallottolato in grembo
ed il
cagnolino che gli faceva le feste ai piedi. Portava un mantello scuro,
con un
alto colletto fissato alla gola, e dei pantaloni neri e larghi con una
cintura
molto ampia, d’argento. La camicia, anche quella nera, era
sbottonata ed
aperta.
“Fa caldo”
esclamò il Principe, “Oggi siamo in estate.
Altrimenti sarei più elegante per te. Spero che tu mi possa
perdonare”.
Il Demone
Capo
sorseggiava qualcosa di non identificabile e si accese una sigaretta.
L’ospite
gracilino non poté fare a meno di notare quanto fosse grosso
il padrone di
casa. Le spalle, le braccia, le ali…quanti muscoli aveva
quel demone
luminescente!
“I
tuoi occhi…”
ricominciò a parlare il Principe “…sono
come in passato. Azzurri! Ma tu ora non
puoi ricordare. Ti aiuterò io, assieme a
Vereheveil”.
Vereheveil? Quel
nome…cosa mi ricorda?
“Vieni con me”
gli ordinò il suo capo.
L’imponente demone si
alzò dal trono e si avvicinò al suo
ospite, iniziando a spiegargli il motivo della convocazione.
“Devi sapere, mio cortese
invitato, che tra poco ci sarà una
guerra. E non una guerra qualsiasi!”.
Il Principe aprì la grossa
porta d’ingresso del salone con
una mano sola. Senza sforzo.
Asmodai ha fatto tanta
fatica ad aprirla…mentre lui
invece…spero di non averlo mai come avversario! Si
preoccupò il giovane
demone.
Il Demone
Capo
illuminò tutto il corridoio, prima buio e tetro, con la sua
luminescenza rossa.
Accompagnò il suo ospite fino ad un'altra porta, massiccia,
di color verde e
oro.
“Ci sarà una
guerra, Voi dite? E contro chi?” chiese il
giovane, mentre il Principe cercava la chiave giusta tra tutte quelle
che aveva
in mano.
“Non una guerra tra noi
Demoni ed altri mondi, come ci è
solito fare…” rispose il grosso demonio, aprendo
il portone con una chiave
d’argento,“…ma bensì un
affare molto più grosso. Una guerra tra
Dèi!”.
Tra Dèi? Si
chiese l’ospite, perplesso. Addirittura!
E io che cosa c’entro?
“Il
capo degli
Hainuet, il Kaos, e quella dei Denian, il Destino, hanno intenzione di
farsi la
festa utilizzando tutti gli eserciti di tutti i loro Mondi.”
continuò a
spiegare il Principe “E tu sai, spero, mio ospite, che questo
è un Mondo il cui
Re è il Kaos”.
Il giovane annuì.
Mi piace il suo modo di
pronunciare le S. E’ così strano…si
ritrovò a pensare.
“Non prendere in giro le
mie S!” sbottò il padrone di casa,
che nel frattempo si era messo al centro della stanza, espandendo la
sua luce,
illuminandola “Non pensarci nemmeno perché,
ricorda bene, io leggo ogni tuo
pensiero!”.
Ci fu un attimo di silenzio. Ora la
voce del grosso demone
si era fatta più minacciosa.
“Non voglio
spaventarti…” continuò il Principe,
spostandosi
un ciuffo di capelli neri dal viso “…ma non
è carino apostrofare i difetti
degli altri, non trovi? Io in te noto un sacco di cose fuori posto
eppure non
te lo faccio pesare! Ad ogni modo…come avrai potuto notare,
sono piuttosto
irascibile per quanto riguarda la mia S sibilante. Sarà
perché mi rompono le
palle con ‘sta storia fin da quando ero
piccolo…ma, tornando a noi…”.
“Io la trovo carina la
vostra S. Non la prendo in giro”
sussurrò il giovane.
Poi si morse la lingua, ripetendosi
nella testa di smettere
di dire cretinate.
Il Principe gli sorrise e
sospirò: “Come hai fatto a
sopravvivere in questo Mondo senza l’aiuto di
nessuno?” gli chiese.
“Me lo chiedo
anch’io” fu la risposta dell’ospite.
Il grosso demone si guardò
attorno, come cercando qualcosa.
Erano in un’immensa biblioteca. “Vereheveil? Dove
ti nascondi, piumino?” chiamò
il Principe.
Un giovane, fin ora rimasto
nell’ombra, scese lentamente da
uno degli scaffali della libreria, sfogliando un grosso volume.
Sentendosi
chiamare, lo richiuse e si avvicinò ai due demoni. I suoi
capelli verde acqua,
corti davanti e con un lungo codino dietro, risplendevano con la luce
del
Principe. Era vestito in modo davvero elegante, con un lungo abito nero
con
ricami d’argento.
I suoi occhi dorati guardarono
l’ospite con curiosità mentre
sul suo viso si apriva uno splendido sorriso. Il giovane demone
notò subito che
quegli occhi erano troppo grandi per essere gli occhi di un demone ed
erano
truccati, con dei segni che sembravano raggi di sole neri: poco
demoniaco. Solo
allora notò le ali del ragazzo dai capelli verdi: erano ali
piumate! Erano ali come
quelle di un angelo, solo che erano nere. L’angelo le scosse,
facendo volare
qualche piuma, per togliere la polvere che vi stava sopra a causa del
suo
continuo rimestare tra i libri antichi.
Ali angeliche! Che
meraviglia! si disse il giovane
demone, con una penna che gli volò fra le mani.
Si chiese come mai un essere del
genere vivesse nel palazzo
del Principe dei Demoni. Da quel che sapeva, gli Angeli e i Demoni
erano sempre
stati in guerra. Ma quella creatura aveva le ali nere…aveva
qualcosa di strano.
Quasi con tenerezza, il piccolo demone ebbe modo di notare che anche
colui che
ora aveva di fronte era magrolino e gracilino, come lui.
Anche se…lui
è giustificabile, lui è un angelo! Io
no…
“Eccomi, Lucy!”
esclamò l’angelo nero.
Lucy? Che razza di nome
è? È ubriaco? Cosa c’entra il nome
del Principe con “Lucy”?
Il Demone
Capo
rispose con un ringhio, evidentemente irritato per essere chiamato
così.
“Te l’ho portato,
Vereheveil. Lui non ricorda. Pronuncia la
formula e fai in modo che gli torni tutto in mente o, perlomeno, il
più possibile”.
Vereheveil lo guardò:
“Il termine ̎per favore̎ non esiste
nel tuo vocabolario?”.
Il Principe iniziò a
battere i piedi, spazientito, sul
pavimento di marmo. Solo in quel momento il giovane ospite
notò che il Demone Capo
aveva un grosso artiglio che spuntava su ognuno dei suoi talloni,
mentre due
altri artigli neri uscivano dalla metà di entrambi i piedi.
Quelle appendici
emettevano un ticchettio inquietante sulla superficie su cui entravano
in
contatto. Vereheveil, sempre sorridendo, andò verso un
massiccio tavolo di
mogano scuro che aveva per gambe delle statue di creature demoniache e
angeliche. Su di esso stava, aperto, un volume di dimensioni notevoli.
“Ti dispiace aiutarmi,
grosso demone perfido?” chiese
l’angelo, rivolto al Principe.
L’ospite si chiese come mai
quell’angelo parlasse in quel
modo al capo dei Demoni, senza il rispetto che si dovrebbe avere nei
confronti
di uno con un rango più alto. Il grosso demone si
avvicinò al tavolo, agitando
la lunga coda nera.
“Che ti serve, Ver?
Luce?”, domandò.
“No, stella del
mattino” rispose l’angelo.
Stella del mattino?!
“Ti dispiace portare il
libro al centro della stanza, di
fronte al nostro ospite, così che io possa leggerlo senza
doverlo tenere tra le
braccia? Tu sei grosso e palestrato, io piccolo e
mingherlino”. “Però, quando
non ci sono, i libri te li tiri giù da solo e te li porti
pure in giro” fu la
risposta del grosso demone, che sollevò il volume e sorrise
scuotendo il capo.
“Scansafatiche!”
sussurrò all’angelo, e portò il libro
davanti al giovane demone, sempre più confuso.
Devono essere amici da un
sacco di tempo, si
disse.
L’ospite notò,
poi, sul tavolo di mogano, una lunga piuma
d’oro in un calamaio d’argento. Il demonietto la
trovò bellissima e chiese di
poterla vedere da vicino, ma il Demone Capo scosse la testa, convinto.
“Nessuno deve mai toccare
quella penna!” esclamò, con
irritazione e gelosia.
Il giovane tacque. L’angelo
ora gli era davanti e lo
guardava negli occhi. Era leggermente più basso di lui. Il
libro portava
scritte in una lingua che il piccolo diavolo non ricordava di aver mai
visto.
“Concentrati” gli sussurrò
l’angelo dalle ali nere, che iniziò a leggere con
facilità i complicati simboli del volume.
I due si guardarono negli occhi.
L’ospite cercava di
ricordare dove avesse già visto quella splendida creatura
dagli occhi dorati.
Vereheveil continuava a leggere: una nenia molto ritmata, una formula
magica. Il
Principe, molto più alto del piccolo ospite,
appoggiò l’indice affusolato sulla
fronte del diavolo sproporzionato che iniziò a ricordare.
Iniziò a ricordare la
lingua con cui stava parlando Vereheveil: angelico! Lo ricordava!
Ricordò la
Città degli Angeli, Eleniel, Samhian, gli Arcangeli, gli
amici, i nemici…la
fine!
Cadde in terra, confuso e spaventato.
Chiuse gli occhi,
frastornato. Poi guardò in su e incrociò gli
occhi arancio del Principe.
“Oh! Luciherus!”
sussurrò.
Il grosso demone gli sorrise:
“Era da tanto che nessuno mi
chiamava così!”.
Poi porse la mano al giovane:
“Alzati, Kasday”.
Kasday! Sì, io mi
chiamo così!
Si alzò. E
continuò a guardare il Principe.
“Certo
che…” iniziò a commentare
“…sei diventato proprio
grosso!! Eri così magrolino e affusolato, Arcangelo
più bello,…ora, invece…”.
Luciherus lo guardò, con
uno sguardo un po’ nostalgico.
“Grazie per avermi dato del
ciccione!” sibilò con un
sorrisetto maligno.
“Non ti ho dato del
ciccione! Non sei ciccione! Sei…grosso!
Che braccia…” iniziò Kasday, ma il
Demone
Capo lo zittì borbottando: “Piantala!
Sei rimasto di sesso incerto come
gli angeli? Mi imbarazzi!”.
Kasday rise. Ed abbracciò
il grosso demone, che lo allontanò
con i due indici.
“Cognato…cugino…ho una
dignità! Abbraccia Vereheveil se hai questi
desideri!”. Giusto…Vereheveil!
Il giovane iniziò guardarsi attorno. L’angelo era
sparito, ma subito riapparve.
Era andato dietro ad uno scaffale a
riporre il grosso
volume.
“Vereheveil!”
urlò il demonietto, quando lo rivide. Si
abbracciarono ridendo felici.
“Mi sei mancato! Mi sei
mancato tanto, Kasday mio! Ti ho
tanto cercato! È bellissimo rivederti! Non lasciarmi
più! Mai più!”.
L’angelo piangeva. Kasday
gli asciugò le lacrime. Ed il loro
abbraccio divenne un bacio.
“Scusa se ti interrompo di
nuovo, cugino” si affrettò a dire
Luciherus, separando i due “Ma abbiamo altre cose da
discutere! Mi spiace”.
Ricordando, Kasday collegò
la piuma dorata alle
luminosissime ali che una volta brillavano sulla schiena
dell’Arcangelo caduto.
“Quella piuma è
una delle tue?” chiese timidamente.
Il Principe demone andò
vicino al calamaio e accarezzo la
penna con due dita.
“Sì. Era mia. Mi
sono ripreso, dopo la caduta, e lei stava
lì, accanto a me. Solo lei. Le altre si erano tutte bruciate
o spente. Lei
invece era ancora lucente e bella. L’ho tenuta per ricordarmi
della vita di
merda che avevo da Arcangelo”.
“Secondo me un
po’ ti manca quella vita” gli rispose Kasday.
Luciherus fece segno
all’ospite ed a Vereheveil di sedersi.
I tre ex-angeli si
sedettero attorno al
tavolo di mogano, su tre comode sedie imbottite con morbido velluto
rosso. Il
Principe versò da bere ai suoi ospiti in coppe
d’argento, decorate da pietre
preziose. La bottiglia, nera con un sigillo sul tappo, si
aprì con docilità
alla torsione delle due dita del demone massiccio. Dopo aver servito i
due, si
servì a sua volta in una coppa di cristallo sorretta dalle
ossa di una mano.
Kasday la trovò dapprima rivoltante e poi ne rimase
affascinato. Bevve un sorso
e ripose il bicchiere: era un liquore molto forte. Luciherus sorrise
divertito,
svuotando il proprio calice. Vereheveil non toccò
ciò che gli era stato offerto
perché stava da tempo alla corte del Principe e sapeva che
gradazione alcolica
avevano le bevande che solitamente offriva il padrone di casa. Chiese
che gli
fosse portato del tè e dopo pochi minuti un piccolo
diavoletto portò quanto
richiesto e tornò ad uscire dalla stanza.
“Ho saputo che hai un
figlio, Kasday” esclamò con entusiasmo
l’angelo dalle ali nere, pur non nascondendo una punta di
fastidio, forse
gelosia.
Kasday annuì:
“Sì. Ho un maschietto. Agares. E voi? Che mi
raccontate? È passato tanto tempo…”.
Incrociò le gambe e
agitò leggermente le orecchie appuntite,
con aria curiosa.
Sorseggiò il suo liquore,
desideroso di svuotare il
bicchiere. Lo trovò buono, anche se troppo forte.
Si ritrovò a riflettere
sul fatto che Vereheveil, pur
sembrando molto giovane, non poteva esserlo. Kasday sapeva di essere
rinato, di
aver rivissuto una vita intera, di essere giovanissimo.
L’amico sembrava un
caduto, ma era diverso da Luciherus, che non somigliava neanche un
po’ ad un
ragazzino. Ed anche Vereheveil doveva sembrarlo, in teoria, ma
forse gli
angeli crescono in modo diverso. Il Principe, accendendosi
una sigaretta,
iniziò a rispondere alla domanda dell’ospite.
“Io, come hai avuto modo di
constatare, ho una bellissima
compagna…”.
Kasday arrossì per
l’imbarazzo.
“…ma, a causa
della maledizione che i Serafini mi hanno
scagliato contro, non posso avere figli”. “Mi
dispiace” gli disse il piccolo
demone.
Ma Luciherus sorrise e gli fece un
cenno con la mano: “Non
dispiacerti. A me non importa. Basta farci l’abitudine! Io e
Lilith siamo una
coppia aperta, se mi permettete il termine. Variamo compagni ed
incontri. Se
lei rimane incinta ed ha figli, cosa che è successa, so che
non sono miei. Sono
cose che capitano!”.
Kasday rimase perplesso:
“Ma come?” domandò “Con una
compagna
come Lilith, andate a cercare altre donne?”.
Il Demone
Capo, dopo
una boccata di fumo, gli sorrise malizioso. Con la sua S sibilante
ricominciò a
parlare: “Sia a me che a Madama Lilith piace variare. Ci
annoia la routine e
non riusciamo mai a stare fermi, E poi…dicono che solo una
Dea possa
soddisfarmi del tutto riuscendo a star dietro al mio
ritmo…non so se mi
spiego”.
“Perfettamente”
biascicò Vereheveil un po’ sconcertato, tra
un sorsetto di tè ed un altro.
Con la mano libera, quella che non
reggeva la tazza,
sventolò l’aria in modo da allontanare il fumo
della sigaretta dal suo viso e
dalle piume scure. Tossì un paio di volte.
“Odio quelle cose,
Luciherus!” sbottò “Spegni quella
sigaretta! La sua puzza mi impregna le ali e i capelli. Non riesco a
mandarla
via. Senza contare che poi fa male fumare!”
Il demone continuò, dopo
un sospiro, girando la testa per
non mandare fumo sull’angelo.
“Sono felice qui, Kasday.
É finita l’Era degli angeli
asessuati! Adoro questo Mondo, il mio Mondo. Adoro questa
vita…la MIA
vita! Non tornerei
mai e poi mai
indietro”.
“Fai la bella vita,
insomma. Bravo! E tu Very? Che mi
racconti?” chiese l’ospite.
L’angelo lo
guardò negli occhi azzurri. “Io ho una
figlia”.
Kasday rimase in silenzio. Confuso.
“Tu sei un
angelo…” iniziò a dire, sentendo un
po’ di
gelosia solleticargli la mente.
“Non ho detto che ho AVUTO
una figlia ma che HO una figlia.
Non l’ho creata carnalmente. L’ho adottata. Non
avrei potuto fare altrimenti,
neanche volendo! Era rimasta da sola e io l’ho presa con
me”.
“Povera
piccola…dov’e ora? Voglio vederla”
chiese il giovane
ospite.
“Sta dormendo. Appena si
sveglia te la mostro volentieri”.
I due si sorrisero. Kasday
tornò a guardare il Principe.
“Che cosa è
successo a tutti noi? Cosa fa Vereheveil qui?
Non era al Tempio quella sera. Non so perché sia caduto. E
come mai avevo
dimenticato tutto?”.
Luciherus, spegnendo il mozzicone
della sigaretta con uno
degli artigli del suo piede destro, iniziò a parlargli:
“Tu sei morto e rinato.
Non ricordi che facevi prima della caduta?”
Kasday scosse il capo. Ricordava il
Tempio, le scale..un
libro? Che mal di testa…
“Ricorderai”
ricominciò l’Arcangelo caduto “Noi non
siamo
morti. Siamo caduti e ci siamo rialzati. Sul perché
Vereheveil sia qui, sarà
lui stesso a spiegartelo. E sul motivo della perdita di memoria, credo
dipenda
dalla maledizione e da un fatto pratico. Immagino sia una delle regole
scritte
dalle divinità: se si passa da un Mondo governato da un
creatore ad un altro,
con un creatore diverso, suppongo che sia la prassi far dimenticare il
Pianeta
che si lascia. Anche noi abbiamo dimenticato. E abbiamo ricordato ogni
cosa una
volta letta la formula che hai sentito pochi istanti fa”.
“Voglio sapere tutto! Cosa
vi è successo da quando ci siamo
separati fino ad oggi? Ogni cosa!” chiese l’ex
Serafino.
Attese una risposta mentre il
Principe e Vereheveil si
guardarono, come a decidere chi dovesse parlare per primo.
“Immagino che, per una
questione gerarchica, tocchi a me”
esclamò, infine, Luciherus.
Si sistemò sulla comoda
sedia imbottita ed iniziò la sua
storia.
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Capitolo 9 *** IX- Con gli occhi di Luciherus ***
IX
CON GLI OCCHI DI
LUCIHERUS
Appena caduto, Luciherus si rese
conto che la pressione su
quel Pianeta sconosciuto era maggiore rispetto a quella a cui era
abituato.
Questo lo faceva sentire pesante e goffo.
Disteso sulla pancia, notò
accanto a sé una piuma dorata.
Non ricordando che fosse la sua, la prese tra le dita, stupito. La
nascose
nell’ampia manica del suo vestito. Un lieve solletico lo fece
sobbalzare. Si
alzò a fatica, tossicchiando nuvolette di cenere. Scosse le
ali, che sembravano
intorpidite, come se fossero rimaste chiuse da tempo ed ancora
pulsavano,
appena nate. Oscurò per un attimo la luce
dell’alba con la membrana che le
ricopriva.. Immense e ungulate, inquietarono un po’ la stella
del mattino, che
si ritrovò a chiedersi se aveva sempre avuto cose del genere
sulla schiena. Si
sbilanciò leggermente sotto il peso di quelle ali di
pipistrello ma, con un
movimento involontario della coda, rimase in piedi.
I suoi occhi aranciati riflettevano
la luce del pallido Sole
che sorgeva, ramato, all’orizzonte. Si sentiva intontito e
dolorante. La lunga
veste che tanto odiava era stracciata in più punti e
bruciacchiata e questo
fece provare al confuso Luciherus un’insolita sensazione di
soddisfazione.
Un rumore improvviso lo fece voltare
e notò che una folla di
gente lo fissava.
“Chi siete?”
chiese in una lingua che non ricordava quale
fosse.
Tutto ad un tratto si accorse di non
ricordare più nulla.
Chi era? Da dove veniva? Cosa ci faceva lì? Le persone che
gli stavano attorno
sembravano spaventate. Non capivano la sua lingua e forse erano
intimorite
dalla sua forte luce. L’angelo caduto ringhiò
piano facendo allontanare un po’
la gente curiosa. Cercò di lavare il sangue che aveva sulla
fronte con la
rugiada. La spalla gli faceva male. Cos’erano tutte quelle
ferite? Gemendo,
provò a comunicare con gli abitanti del Pianeta, che
però non lo capirono:
nemmeno lui si capiva! Pensava alla frase da dire ed usciva quella
strana
lingua sconosciuta. Altri, però, erano come lui. I caduti
riuscirono a
raggrupparsi assieme e si sedettero l’uno accanto
all’altro.
La gente del posto, nel frattempo, si
era fatta minacciosa,
come delle bestie che avvistano la preda.
Vogliono mangiarci, questi
animali? Si chiese l’ex –
Arcangelo.
Il chiasso aumentava man mano che
avanzava l’alba. Luciherus
guardava verso l’astro nascente cercando di capire
perché le montagne gli
parevano in continuo movimento. Stava lui male o le alture
effettivamente si
muovevano?
Che strano
Pianeta…ma che pianeta è? E come ci sono
arrivato?
La folla iniziò a
minacciarli, ad urlare e ringhiare. Poi,
ad un tratto, ci fu silenzio. Dietro al gruppetto di caduti si era
materializzato un uomo, alto e dagli occhi azzurri. Luciherus
guardò quegli occhi
,che avevano qualcosa di familiare, e l’uomo
ricambiò lo sguardo. Aveva il
volto coperto da una specie di sciarpa nera, come nero era il suo lungo
abito
ed i capelli voluminosi.
“Ciao” gli disse
l’uomo, in una lingua che compresero tutti,
caduti ed abitanti del posto.
Aveva una voce molto profonda, che
fece tremare il terreno
“Ciao. Io sono il Kaos”.
Tutti i presenti rimasero a bocca
aperta. “Il Dio del Kaos?”
si chiedevano increduli, e con gli occhi spalancati dallo stupore.
“Sì, sono il Dio
del Kaos, tesorini miei…” rispose il Dio
rivolto al gruppo di neo-arrivati “…e voi siete
caduti su uno dei miei Pianeti.
Siate i benvenuti”.
Luciherus si alzò in piedi
e lo guardò negli occhi, cosa che
solo lui ebbe il coraggio di fare.
“So di non essere giunto
fino qui di mia spontanea volontà…”
iniziò l’Arcangelo caduto
“…perciò ci terrei davvero tanto a
sapere qual è il
motivo della mia presenza in questo posto. É vostro?
Davvero? Ordini a quel
branco di fessi di piantarla di urlarmi contro!”.
Strinse i pugni. Il Kaos gli
appoggiò la mano sulla testa,
quasi con affetto. Il Dio era tanto più alto di Luciherus e,
nonostante tutto,
l’ex - Arcangelo aveva il coraggio di parlargli con tanta
insolenza. Il Kaos
apprezzò molto la cosa.
“Siete stati scacciati da
un Mondo lontano…” incominciò a
spiegare la divinità “…ma non ha
importanza! Ora siete qui e potete fare ciò
che volete. In particolare vorrei parlare con te, Satanahel,
nemico”.
“Nemico di chi? E Satanahel
è il mio nome?” chiese
l’Arcangelo caduto.
Il Kaos gli mise un braccio attorno
alle spalle,
abbassandosi un po’ per non far notare troppo il dislivello
di altezza.
Eppure sono il
più alto tra tutta questa gente…ma questo
Dio è altissimo…
“Adesso
sì.
Non ti piace come nome?” chiese il Dio e continuò
“In quanto al nemico…beh,
ogni cosa a suo tempo”.
I due iniziarono a camminare verso
l’alba.
“Farai grandi cose, ragazzo
mio, se seguirai i miei
consigli. Il primo tra tutti è questo: se vuoi sopravvivere
in un mondo
governato da me, il Kaos, devi imparare a difenderti!”.
La popolazione riunitasi dietro di
loro si era fatta ancora
più minacciosa, irata dal fatto che il loro Dio avesse
scelto per pupillo
quella creatura misteriosa venuta dal cielo, uno straniero!Il nemico si
voltò,
frustando la sua nuova coda nera con rabbia. Si ritrovò a
dover combattere con
quel branco di diavoli impazziti che non vedevano di buon occhio quel
figlio di
nessuno dalla strana luce. Il Dio del Kaos donò al nuovo
demone forza e agilità
e, così facendo, Luciherus non ebbe difficoltà a
sconfiggerli tutti.
La divinità lo
guardò con orgoglio: “Resta accanto a me
Satanahel” esclamò “Resta accanto a me e
io ti renderò immortale. Per sempre
forte, per sempre perfetto. Prenderai forza e magia da me. Sarai
principe del
mio Pianeta!”
Principe? Si
chiese l’Arcangelo caduto. Mi piace!
Seguì il Dio verso
l’orizzonte ed iniziò la sua nuova vita
nel nuovo Mondo.
Dopo poco tempo tutto il Pianeta
sapeva della presenza del
“demone luminoso” che, con le sue
abilità, aveva sconfitto molti degli abitanti
di quel Mondo affermando la sua supremazia. Si era istaurato al potere
con
l’appellativo di “Principe”. Il Kaos,
capo supremo del Pianeta, approvava
questo fatto e gli aveva permesso di costruire un palazzo maestoso,
come mai se
ne erano visti in tutto il Mondo dei Demoni. Le sue due torri erano le
più alte
mai realizzate e portavano, sulla loro cima, il simbolo del padrone, il
simbolo
del Kaos. Quella spirale nera brillava fortissima quando i piedi del
Dio
toccavano la superficie del suo creato.
Dietro alle torri si erigeva un muro
massiccio, con un
imponente cancello nero a motivi complessi. Altissime, le pareti ripide
dell’edificio parevano bucare il cielo, quasi sempre nebbioso
e scuro.
Numerosissime erano le stanze interne. Le più importanti, le
sale dei troni,
erano le più decorate.
Quella del Kaos si trovava al piano
superiore, quasi sempre
celato dalla nebbia, e riprendeva sotto molti aspetti le fattezze
presenti nel
palazzo della divinità nella Città degli
Dèi. Disordinata, con linee incrociate
e oggetti sparsi, solo al Kaos ed al Principe era concesso entrare in
quella
sala, e il Principe poteva accederci solo previo invito.
Il caduto aveva scelto per la sua
stanza delle convocazioni,
la sala del trono, una diversa architettura, mettendo in luce alcuni
aspetti
del suo sangue ancora in parte angelico. Le statue, il mobilio e i
decori alle
pareti parevano di un altro Mondo, pur essendo inquietanti, sotto molti
punti
di vista, con i loro occhi infuocati ed espressioni irate. Tutta la
struttura
della dimora principesca era sovrastata da una cupola che fungeva da
scudo in
caso di attacco dall’alto. Ricoperta d’oro, si
diceva che quella cupola potesse
essere vista da molto lontano, forse perfino dal Mondo degli Angeli che
stava
in un altro Universo.
Il nuovo demone sorrideva
all’idea.
Che sia un segno, per noi e
per loro, che non siamo
inferiori a nessuno! Meno che mai a quei piccioni
piumati!
Dimenticando di aver avuto a sua
volta le ali piumate,
faceva crescere nel suo cuore l’odio per quella razza rivale
e, più in
generale, per tutte le creature protette dalla Dea contrapposta al Re
Kaos. Il
nuovo Principe arruolò nel suo esercito i Caduti ed i Demoni
di nascita più
forti, per poter adempiere al volere del Dio supremo. Selezionava i
suoi uomini
organizzando tornei o scontrandosi direttamente con chi gli sembrava
adatto. Se
si dimostrava all’altezza, gli veniva fatta la richiesta di
unirsi all’esercito
del nuovo capo dei demoni e giurargli fedeltà. In molti
casi, se la risposta
era negativa, il demone veniva eliminato.
La divinità
lasciò sempre più libertà al nuovo
Principe
sapendo che, infondo, l’ex – Arcangelo agiva
comunque nel suo interesse privo
di logica. E il demone era felice della sua posizione, si sentiva
realizzato. Nonostante
il Kaos esercitasse un certo controllo sulle sue azioni, aveva
abbastanza
libertà di movimento per poter fare quello che aveva sempre
sognato. Poteva
comandare ed agire a suo piacimento, senza sentirsi ripetere
continuamente che
ciò che faceva era sbagliato o proibito.
Dentro di sé avvertiva la
sensazione di essere sempre stato
comandato e bloccato, mentre invece ora si sentiva finalmente al giusto
posto.
Decise di riservare la stanza
più grande di casa sua alla
biblioteca. Ricordando pochissimo del suo passato, voleva costruirsi un
nuovo
presente imparando il più possibile per compensare le lacune
che aveva in
testa. Si fece portare volumi e libri da ogni parte del Pianeta.
Cercò in molti
di loro tracce del tempo che non ricordava, ma senza molto successo.
Chiedendo al Kaos, apprese che era
stato maledetto dalla
razza nemica. Il Dio gli aveva raccontato una storia. Gli aveva detto
che era
stato scacciato da un Mondo da sei Serafini e che era stato maledetto,
in modo
tale da non poter ricordare ciò che aveva imparato da loro.
La sua luce era
dovuta alla maledizione, era un demone che doveva essere riconosciuto
da
chiunque in qualunque Mondo. Un demone unico che probabilmente non
avrebbe mai
avuto figli per non far espandere la sua razza segnata dalla Dea del
Destino.
“Ma perché io?
Che ho fatto di così sbagliato? E cosa ci
facevo nel Mondo degli Angeli?” chiedeva con insistenza.
La risposta era sempre la stessa:
“Il Destino è una Dea
malvagia. Gioca con le vite inferiori come la tua”.
“Anche Voi giocate con la
mia vita?”.
“No. Finché
resti fedele ai miei principi, io non giocherò
con te ma ti erigerò al di sopra di tutto, mio eletto. Fai
una cazzata, ed io
ti distruggo!”.
A quelle parole, il Principe rimase
stupito e un pochino
spaventato, ma poi il Kaos gli sorrise. Pur non avendo una bocca
chiaramente
definita, il Dio sapeva come esprimere emozioni modificando la forma
del volto,
privo di tratti somatici. Quando parlava, pareva che la sua voce
profonda
provenisse da un abisso.
Mise una mano sulla spalla del suo
Principe protetto,
rassicurandolo: “È difficile disobbedirmi
Satanahel! Io non ho regole precise.
E tu fin ora ti sei comportato perfettamente. Continua così
e sarai al
sicuro!”.
Il demone annuì. Si
strinsero la mano: la loro alleanza non
si sarebbe sciolta.
Il Principe stava spesso fino a tardi
nella sua biblioteca,
illuminato da una piccola candela o semplicemente dalla luce che
emetteva il
suo corpo. Stava lì, fumando e sorseggiando liquore. Tanto
sono immortale,
che me frega se fa male!
Una giovane donna entrò,
una sera, senza bussare. Bianca e
pallida come la Luna, guardò il demone stringendo un libro
verde tra le
braccia. Portava un abito blu oltremare senza maniche e lungo fino ai
piedi. Era
scalza e sorrideva, con una piccola bocca vermiglia.
“Che posso fare per te,
Madama?” chiese l’ex – Arcangelo,
alzando gli occhi da uno strano libro scritto con inchiostro rosso.
Incrociò lo
sguardo di lei e rimase in silenzio. La trovò bellissima.
La donna rispose: “Sono
Lilith. Mia sorella è troppo timida
per venire qua di persona e così sono arrivata io a portarle
questo libro. L’ha
scritto lei, Lilim, la mia sorellina, per Voi”.
Lilith rimaneva in piedi al centro
della stanza.
“A cosa devo questo
dono?” chiese il Principe, stupito.
“É un
ringraziamento. Per Voi. Avete fatto in modo che un
grosso demone che le dava molto fastidio non la insidiasse
più. È uno dei tanti
che avete eliminato e sconfitto. Lei vi ringrazia inviandovi questo
dono. Non è
tanto brava a scrivere ma è davvero bravissima con i disegni”.
La demoniessa fece qualche passo e
appoggiò il libro sul
tavolo di mogano intarsiato dove stava seduto il Principe.
L’Arcangelo
caduto lo
aprì e ammirò le miniature che vi erano sopra. Le
trovò stupende.
“Mi fa piacere di aver
aiutato la vostra sorella minore. E
questo dono è molto gradito” affermò
Luciherus sfogliando le pagine.
“Mia sorella è
molto strana. Non ama i demoni Veri. Quelli
grandi, grossi e potenti. La spaventano. E li respinge. Ma è
molto bella,
quindi è difficile che nessuno le dia fastidio. Questo tizio
grande e massiccio
ha iniziato ad insistere e si è anche fatto violento. Ma ha
incrociato la
vostra ira, Principe, e ora non lo vediamo più”.
“Sarà stato
eliminato. Che volete farci, è la vita!” il
demone sorrise e offrì da bere alla sua ospite, che si
ostinava a guardarlo
negli occhi.
La cosa un po’ lo
imbarazzava e le fece segno di sedersi,
con un dentino a punta che spuntava dal suo labbro superiore. Quel
giorno
portava i capelli scuri legati in un piccolo codino, con un paio di
ciuffi
ribelli che gli solleticavano il viso.
La demoniessa accettò
l’invito e si sedette. Sorseggiò il
liquore continuando a sorridere.
“Vivete qui da solo,
Principe?” domandò Lilith.
“Solo, con le mie guardie
di palazzo. Ma non sono
esattamente di compagnia” rispose lui, cercando di sfuggire
agli occhi grigi di
lei.
“Ma come? Non avete una
compagna?” si stupì la diavolessa.
“Non ci ho mai
pensato…” ammise il Principe, girando gli
occhi su un lato e lasciando che la sua sigaretta facesse cadere un
po’ di
cenere in terra.
“Molto
strano…” sussurrò Lilith
“Solitamente i demoni come
Voi sono molto gettonati”.
Luciherus si alzò,
appoggiando le mani al tavolo e
avvicinando il viso a quello di lei.
“Nessun demone è
come me!” le bisbigliò.
“Lo so!” rispose
lei, avvicinandosi a sua volta.
Poi entrambi tornarono a sedersi.
Lei ricominciò a parlare:
“Ma nemmeno come me! Come può
vedere, non ho ali, non ho coda. Non ho molto di demoniaco, se non
queste
piccole corna a malapena visibili. Sono stata creata dal Kaos, assieme
a mia
sorella. Ci ha generate con la sua potenza creatrice quando sua moglie,
la
Guerra, rimase incinta per la seconda volta. Siamo state le sue piccole
e le
sue bamboline per un periodo. Ci chiamava 'perle' o 'tesori di
ceramica'. Aveva
problemi con la sua compagna per non so quale motivo e così
si dilettava con noi.
Ma da quando la Guerra ha avuto un altro
figlio, una bambina, la terzogenita, si sono riavvicinati e ci ha
lasciate
libere per il Pianeta. Da sole. Ci porta dei doni a volte, ma non ci
ama più
come un tempo. Come vedi, anch’io ho qualcosa di speciale,
demone luminoso”.
Lui la guardò con
curiosità. Una creatura del
Kaos…interessante…
“Siete sole? È
un peccato! Perché non venite qui, voi due
sorelle?” domandò il padrone di casa “Un
po’ di compagnia non mi dispiacerebbe”
ammise, dondolando sulla sedia e dandosi piccole spinte con la coda
“Sempre che
al Kaos non dia fastidio…” aggiunse dopo,
ricordando la parte del “fai una
cazzata e ti distruggo”.
Lilith scosse il capo
“É stato lui a dirci che eravate stato
Voi a mandare via quel grosso demone e che sareste stato contento con
un certo
tipo di doni”.
Tacque per un attimo poi
ricominciò “Forse immaginava che vi
sentiste un po’ solo…”.
Arrossì un pochino e si
alzò. “Vado a chiamare mia sorella,
allora” concluse.
Dando le spalle al Principe, fece
qualche passo facendo
ondeggiare l’abito che metteva in risalto ogni forma del suo
corpo. Luciherus
si soffermò ad osservarla. Che bella sensazione mi
dà stare ad ammirarti,
pensò, con la testa sorretta dalla mano destra. Sorrideva
malizioso. Lei si
girò di colpo, facendo sobbalzare il demone, che finse
indifferenza. Lilith
fece un risolino ed uscì dal salone.
Il demone appoggiò la
testa al tavolo. Guardando la sua
superficie lucida, iniziò a chiedersi quanti pensieri, per
niente prosaici,
aveva avuto mentre lei era lì.
Quanta
fatica per non esprimerli!
Ma poi, risollevando la testa, una
domanda gli sorse
spontanea: ma perché si era trattenuto? Non era forse libero
di fare ciò che
preferiva?
Si alzò convinto dal suo
seggio, srotolando la coda da una
delle gambe del tavolo, e inseguì la demoniessa.
“Aspetta un
attimo!” le disse, ritrovandola lungo il
corridoio buio.
Lei si voltò.
“Sì?” disse, con aria interrogativa.
Il demone le si avvicinò:
“Io non ricordo se ho mai avuto
una compagna. Non so come io possa comportarmi con una bella donna come
te. Ma
immagino che tu…possa darmi una mano…”.
Lei lo strinse a se, sorridendo:
“Lascia fare a me, mio
Principe!”.
I due si baciarono
nell’immenso corridoio e Luciherus seppe
che era quella la sensazione che era andato cercando per tutta la sua
vita.
Il giorno in cui la sua mente
ricominciò a ricordare, era un
giorno d’inverno. La neve scendeva lentamente e un vento
gelido sferzava il
Pianeta. Il Principe copriva il viso con un alto colletto che lasciava
solo gli
occhi allo scoperto. Portava un lungo mantello che arrotolò
stretto, in modo da
coprire anche le ali. La punta della lunga coda spuntava, lasciando una
scia
nella neve.
Odiava il freddo e avrebbe fatto
volentieri a meno di
muoversi con quelle temperature ma purtroppo, in quel Pianeta, le
stagioni
mutavano troppo in fretta ed il freddo aveva colto tutti alla
sprovvista lungo
il viaggio di ritorno dal tempio di Gehenna. Lì aveva avuto
un importante
incontro con i demoni a cui aveva affidato vari territori del Pianeta
per
rendere più facile la sua gestione.
Duchi, Conti, Marchesi…al
suo servizio, gli avevano giurato
fedeltà davanti al fuoco sacro che ardeva nel tempio.
Era un assolata giornata di
primavera, cosa che il Principe
detestava tanto quanto il gelo, il giorno della riunione. Ma a causa
della
rotazione assurda del Pianeta, si era ritrovato in inverno
nell’arco di tempo
di due giorni.
Il capo dei Demoni aveva portato con
sé un piccolo gruppo di
persone. Azazel, il suo araldo, con il tipico abito rosso e nero,
apriva il
corteo. Avvolto nel suo mantello di pelo scuro, tentava invano di
tenere in
piedi la bandiera con lo stemma del suo signore. Bestemmiando a denti
stretti
contro il Dio dell’Inverno, che se la rideva felice
dall’alto di un monte,
avanzava a fatica.
Dietro di lui venivano Asmodai e
Zagan, due grossi Demoni Soldato
che parevano impassibili davanti alle sfavorevoli condizioni
atmosferiche e proseguivano
con sicurezza.
Il Principe veniva dietro di loro
avvolto del mantello. Ad un
tratto si voltò e si fermò, tolse il lungo
mantello e lo offrì a chi lo
seguiva. Lilith e Lilim gli erano accanto e presero il mantello con
vera gioia.
Battevano i denti con forza. Riuscirono ad avvolgersi entrambe, stando
l’una
accanto all’altra, e Luciherus spalancò le ali
tentando di coprirle dalla bufera
ma non gli riuscì facile perché il vento era
forte e il ghiaccio si insinuava
da ogni dove.
Dietro alle due demoniesse chiudevano
il corteo altri due
Demoni Soldato:
Abigor e Balam.
Il Principe si sforzava di tenere la
coda sollevata in modo
da non farla entrare in contatto con la neve gelida. Dietro di loro
iniziarono
a seguirli un gruppetto di curiosi, nonostante le avverse condizioni
meteorologiche.
Ma chi ve lo fa fare?
Si chiedeva il capo dei Demoni.
Starei a casa mia tanto volentieri se potessi!
Purtroppo non si poteva
alzare in volo fino alla fine della tempesta: il vento e la bufera
coprivano la
visuale e si rischiava di precipitare con facilità. Scosse
le ali per liberarle
dalla neve che vi si era accumulata. La tormenta parve placarsi, per un
attimo,
mentre rientravano nella capitale.
Attraversato il cancello principale,
il gruppetto fu
circondato da una folla di impiccioni pettegoli, desiderosi di sapere
le novità
dalle altre città. Altri, arrivati in seguito, giunsero fin
li per salutare il
ritorno del loro Principe esprimendo tutto il loro entusiasmo.
Una voce sovrastò le
altre: “Luciherus!” si sentì urlare.
Ma nessuno si fermò.
Nessuno aveva nulla da collegare a quel
nome.
La voce insistette: “Sono
io! Ascoltami! È importante!”.
Incominciò a recitare una
formula in una lingua a tutti
sconosciuta. I caduti si arrestarono di colpo ed i ricordi iniziarono a
fluire
nelle loro menti. Ribaltarono la testa all’indietro e, ad
occhi chiusi,
lanciarono un grido.
“Iscua nahamien!”
sussurrò Luciherus, quando riaprì gli
occhi “Io sono un angelo”.
Si guardò intorno.
I Demoni Soldato e le due donne
osservarono il Principe con
preoccupazione. Anche Azazel si comportava in modo strano. Borbottava
cose sul
fatto che era uno degli angeli vigilanti…
Nel frattempo il Sole era tornato a
scaldare il Mondo dei
Demoni.
Luciherus si coprì con le
ali e si abituò gradatamente alla
luce improvvisa. Continuò a girare la testa a destra e a
sinistra finche non
riuscì ad individuare Vereheveil tra la folla. Portava un
grosso libro tra le
braccia e lo fissava, con uno sguardo tremendamente triste.
“Vereheveil! Cosa ci fai
qui? E quella cosa che mi hai letto
che cos’era? Sei stato tu a farmi ricordare il Mondo degli
Angeli?”
L’angelo dalle ali nere
sospirò. “È una lunga
storia..”.
“E qui immagino che io mi
possa fermare e lasciare a
Vereheveil il compito di continuare il racconto”.
Terminò così di parlare il
Principe, nella biblioteca illuminata con la sua luce.
Kasday annuì.
Guardò negli occhi Vereheveil ed i due si
sorrisero, tenendosi per mano.
Ora consapevole della sua natura da
angelo, si soffermò a
guardare Luciherus tentando di ricordare l’aspetto precedente
dell’Arcangelo
più bello.
“Non guardarmi
così!” lo rimproverò lui “Io
ho lo stesso
potere della mia compagna Lilith nello sguardo. E sono consapevole che,
evidentemente, sei rimasto molto più angelo di me,
perciò ti senti un po’
maschio e un po’ femmina. So perché mi guardi
così. Ma, te lo dico subito, io a
letto con te non ci verrò mai!”.
Kasday spalancò gli occhi
“Sei un pervertito! Non pensavo a
quello!” si affrettò a dire.
Tornò a guardare
Vereheveil ,che rise divertito. Evitando lo
sguardo sensuale del Principe, Kasday arrossì per gli strani
discorsi dell’ex –
Arcangelo. L’angelo dalle ali nere ed il demone appena
risvegliato si guardarono
in silenzio, ricordando i momenti passati assieme. Il Principe
iniziò a
tamburellare le dita sul tavolo ed incrociò le gambe.
Frustrando la coda,
richiamò l’attenzione dei due con un paio di colpi
di tosse.
“Ragazzi…io non
ho niente contro di voi. Vi capisco. Ma
avrei una certa fretta. Devo risolvere una piccola cosa. Ma per farlo,
serve
l’altra metà della storia. Perciò, se
cortesemente la finite di lanciarvi
cuoricini e se Very è così gentile da continuare
da dove mi sono fermato…”.
“Non ci stiamo lanciando
cuoricini!” esclamò Kasday.
“Piantala di fare l’antipatico!”.
Luciherus gli mostrò la
punta della lingua.
“Scusa…”
rispose Vereheveil. “…comunque la mia storia
inizia
la sera in cui voi due siete caduti…”.
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Capitolo 10 *** X- La ricerca di Vereheveil ***
X
LA RICERCA DI
VEREHEVEIL
La notte in cui gli angeli caddero,
Vereheveil sentì un
forte tuono. Guardò fuori: pioveva forte.
Chissà
dov’è Kasday…si chiese
allarmato.
Con la luce dell’ennesimo
lampo, vide l’amico salire al
Tempio e decise di seguirlo. Si vestì pesante, coprendo le
ali per non
bagnarle. Alzò il cappuccio per nascondere i capelli dal
forte vento a
dall’umidità ed iniziò a salire le
scale che portavano all’ingresso, ma non
riuscì ad arrivare in cima. Venne, infatti, buttato
all’indietro da una
corrente magica proveniente dall’interno del Tempio. Cadde in
malo modo lungo
tutte le scale. Si rialzò a fatica e, ancora bocconi vide
sulla cupola del
luogo sacro un angelo nero, o forse un Dio, che apriva un portale per
andarsene
usando delle parole che non comprese. L’angelo/Dio
attraversò il vortice da lui
appena creato e sparì.
Vereheveil salì di corsa
le scale: voleva vederci chiaro!Giunto
in cima, entrò nel tempio e gli fu detto che Kasday era
morto, oppure era stato
ferito gravemente, ed esiliato su un Pianeta lontano.
Approfittando della confusione
generale provocata dalla
caduta degli angeli ribelli, Vereheveil si avviò lungo la
scalinata che
conduceva alla stanza blu della cupola, al piano superiore del Tempio.
Sapeva che Kasday si era
particolarmente fissato con i
libri proibiti che stavano riposti in quella
sala. Magari era andato troppo oltre. O magari gli avevano raccontato
una bugia
e Kasday stava bene: non poteva accettare di non vederlo più!
La porta d’ingresso era
spalancata. In terra c’era un volume
aperto e molto sangue, sul pavimento e su alcune pagine del libro.
Vereheveil
cercò di capire che cosa ci fosse scritto. La
metà scritta in angelico la lesse
in un attimo, ma l’altra parte non la capiva: non conosceva
nessuno di quei
simboli, nonostante avesse letto ogni libro possibile. Riconobbe alcuni
glifi
che collegò alle divinità ed iniziò a
cercare nella biblioteca un volume in
grado di aiutarlo. Ne trovò uno interessante, che parlava di
magia. Lo estrasse
ed iniziò a leggere. Trovò una formula che
attirò la sua attenzione: erano
delle frasi da pronunciare per ritrovare persone scomparse. Chiuse il
grosso
tomo con le gocce di sangue e lo tenne tra le braccia.
L’amico aveva qualcosa a
che fare con quel libro e non poteva rischiare di perderlo!
Iniziò a leggere ad alta
voce, pensò a Kasday e si ritrovò
circondato dalla luce. Un vortice lo risucchiò e
iniziò a trasportarlo altrove.
Strinse a sé i due volumi. Le sue ali, una volta dorate e
lucenti, divennero
nere e spente. La sua aureola si separò dal capo verdeacqua
e smise di pulsare.
Con un urlo cadde, in un Mondo
sconosciuto. Si svegliò nel
Pianeta dei Demoni con i suoi due libri sottobraccio. Un’
ombra gli si
avvicinò, gli poggiò una mano sulla fronte ed
iniziò a parlargli: “Ora tu sei
in questo Mondo. Il mio padrone mi ha dato l’ordine di far
dimenticare il
Pianeta d’origine a chi proviene da altri
Universi”.
Vereheveil cercò di
resistere alla sua presa. “Chi sei tu?
Cosa vuoi?” domandò, confuso.
“Sono la Dea della Memoria.
Il Kaos ti dà il benvenuto in
uno dei suoi Pianeti. I ricordi sul Mondo degli Angeli non ti servono
più”.
“No! Aspetta!
Non…”. Vereheveil dimenticò ogni cosa.
Chiuse gli occhi, tentando invano di
resistere al risucchio
di ogni sua memoria. Poi l’ombra scomparve e lui si
ritrovò da solo, sperduto,
confuso e con due libri in una lingua ora per lui incomprensibile. Si
guardò
attorno. Perché era lì? E perché era
accanto a questa creatura con le ali come
le sue ma senza vita? La trovò bellissima, con quei lunghi
capelli neri. Una
brutta ferita gli trapassava il petto ed i suoi occhi azzurri erano
ancora
spalancati verso il cielo. Vereheveil scoppiò a piangere.
Pur non ricordando
chi fosse quel giovane privo di vita, pianse a lungo per lui.
Tremò, colpito da un
improvviso colpo di vento. Sapeva di
non poter rimanere in quel luogo da solo: doveva capire chi era e cosa
facesse
lì.
Abbandonò
l’angelo dalle ali azzurre e cercò di entrare in
contatto con delle persone. Subito si accorse di avere un aspetto
notevolmente
diverso rispetto ai consueti abitanti del Pianeta. Coprì le
ali con un pesante
mantello che rubò, vergognandosene un po’, da un
cortile in cui stava appeso al
sole. Per fortuna non perse la sua capacità di imparare in
fretta le lingue e
le scritture e, nel giro di poco tempo, imparò il linguaggio
degli abitanti di
quel Pianeta nuovo. Questo lo aiutò a comunicare ed a farsi
dare delle
informazioni, anche se la sua vita non fu per niente facile.
Era sempre stato molto timido, e gli
riusciva complicato
fare delle richieste senza ingarbugliarsi imbarazzato. A questo andava
a
sommarsi la naturale diffidenza degli abitanti di quel Mondo nei
confronti degli
stranieri. E quando, accidentalmente, il vento gli fece scoprire le ali
piumate
da sotto il mantello, dovette scappare il più velocemente
possibile per non
essere torturato o ucciso.
A quanto pare, faceva parte di una
razza nemica..
Afflitto e abbattuto, gli capitava
spesso di piangere. Non
riusciva proprio a capire come era arrivato in quel luogo crudele e
voleva
andarsene, ma dove? Doveva scoprire chi era e da dove veniva. Si chiese
se,
magari, i libri che portava con sé avrebbero potuto
aiutarlo..ma andavano
tradotti!
Prendendo coraggio,
ricominciò a vagare per i villaggi alla
ricerca di qualcuno che potesse dargli delle informazioni in merito.
Dormendo
all’aperto, non avendo la forza di chiedere di poter restare
a dormire nella
casa di uno di quelli che vedeva come dei mostri crudeli,
sopportò pioggia,
vento, neve e caldo soffocante.
Finalmente, dopo diversi tentativi a
vuoto, incontrò un
anziano demone che gli disse: “Quello che porti tra le mani
è un libro scritto
in angelico. Ho visto già simboli simili alcuni secoli fa,
quando uno dei
piumati atterrò qui. Disse che era per studiarci, ma se ne
andò dopo poco tempo
per problemi di comunicazione. Io ero giovane al tempo e mi fece una
grande
impressione osservare quella creatura. Per trovare informazioni
più precise su
questa lingua straniera, devi andare alla biblioteca del Principe. Lui
è
l’unico che possiede libri simili”.
L’anziano non chiese dove
avesse trovato quel volume, forse
perché aveva intravisto le ali nere di
Vereheveil e non aveva voluto indagare.
Uno dei piumati? Ci
sarà un Mondo che li ospita… si
disse l’angelo nero.
Doveva andare alla biblioteca del
Principe. Si, ok, ma come
poteva lui, essere non identificabile né come diavolo
né come nient’altro,
accedere al palazzo del capo dei Demoni?
A detta di tutti era descritto come
una creatura crudele e
spietata…non poteva di certo presentarsi davanti ai suoi
cancelli e dire:
“Salve! Vorrei leggere i libri della tua biblioteca, posso
vero?”
No di certo..
pensò ..mi ucciderà! Ma
doveva
fare un tentativo, e così iniziò ad avviarsi
verso il palazzo della capitale.
Il viaggio di Vereheveil fu lungo e
stremante. Incontrò ogni
sorta di evento atmosferico: neve, pioggia, grandine, sole cocente.. Le sue ali, piumate e
delicate, non erano
abituate a certe condizioni e doveva fermarsi spesso, costretto a
continuare a
piedi. La veste che indossava non era adatta al freddo o al troppo
caldo e lui
non aveva la possibilità di comprare qualcosa. Ovviamente
l’idea di rubare
altro lo disgustava.
Fu un cammino davvero demoralizzante,
ma l’angelo nero era
convinto di quello che faceva! Doveva sapere la verità!
Così, quando fu davanti
al palazzo del Principe, non ebbe paura di chiedere di poterci entrare.
Sicuro
di sé, si ripeteva che al massimo il Principe poteva
ucciderlo, che era in ogni
caso meglio che vivere in quel luogo senza risposte. Si fece sempre
più
insistente. Le guardie del palazzo lo ricacciarono via con sempre
maggiore violenza
ma Vereheveil non si arrese.
Sicuro di non dover demordere,
chiedeva un colloquio con il
capo del Mondo dei Demoni.
Una sera, dopo diversi giorni di
tentativi, se ne stava
seduto sotto la pioggia con aria affranta. Copriva i libri e le ali
sotto il
pesante mantello, che però ormai era zuppo e inefficiente.
Non sapeva più che
fare, quando una voce lo fece alzare. Un grosso demone, che si
presentò come Asmodai,
lo invitò ad entrare. Spaventato, ma speranzoso,
seguì il guardiano fino alla
sala del Principe. Alle sue spalle, a porta si chiuse e Vereheveil
rimase solo.
Subito notò una luce rosso fuoco proveniente da dietro il
trono, che ruotò
mostrando chi ci stava seduto sopra: il Principe.
A gambe incrociate, e un whiskey in
mano, il grosso demone
lo osservava.
“Togliti quegli abiti
bagnati. Mi stai allagando la sala!” tuonò,
con voce profonda.
Ma l’angelo nero non
voleva. Non voleva che il diavolo
vedesse le sue ali piumate!
Con uno schiocco di dita, il Demone
Capo convocò due giovani
diavoli e ordinò loro di portare qualcosa di asciutto al
giovane ospite. Vereheveil
tentò di resistere, ma il Principe gli lanciò uno
sguardo minaccioso. Quando i
servi se ne furono andati, il grosso demone lo rassicurò, in
parte: “So già che
non sei di questo mondo. Lo vedo. Hai gli occhi troppo grandi. E
poi..hai perso
una piuma…”.
Il Principe fece ruotare il trono
tornando a guardare dalla
finestra, dando le spalle all’angelo nero, che si
cambiò. Gli abiti di velluto
nero e oro piacquero molto all’ospite: morbidi e asciutti lo
fecero sentire più
tranquillo. Asciugò la copertina dei suoi libri con cura.
Il Principe ricominciò a
parlargli, tornando a guardare
l’angelo: “É evidente che tu non sei di
questo Mondo. Perciò non dovresti
essere un problema mio.
Ma la tua
perseveranza mi ha colpito…”.
“Perseverare è diabolico”
sussurrò Vereheveil.
Il padrone di casa, con le sue orecchie a punta,
riusciva a sentire
ogni suono e così riuscì ad udire le parole
dell’angelo nonostante il forte
frastuono della pioggia battente.
“Esatto” gli
rispose “Perciò persevera pure! Che posso fare
per te, piumato?”.
Evidentemente oggi
è di buon umore si disse
Vereheveil meglio per me…
Prese coraggio e chiese:
“Vorrei avere il permesso di
cercare dei libri nella Vostra biblioteca”.
Il capo dei demoni sorrideva, pur
trovando curiosa la
richiesta di quello strano essere.
“A
me va bene…”
rispose, dopo un attimo di esitazione “…ma vorrei
sapere che cosa vai cercando,
esattamente”.
Curiosissimo, il Principe guardava i
due libri che l’angelo teneva
stretti tra le braccia. Allungava il collo tentando di capire cosa
fossero.
Vereheveil, intuendo i desideri del
demone, iniziò a
spiegare: “Questi sono libri scritti in una lingua che non
conosco. O che,
comunque, non ricordo di conoscere. Ho un enorme vuoto in testa. Non so
da dove
vengo, che cosa ci faccio qui…non ricordo nemmeno il mio
nome! Questi volumi,
da quando ho memoria, li ho sempre avuti con me. Perciò
ritengo che, se
riuscirò a tradurli, potrò capirci qualche cosa
sulla mia misteriosa vita. Mi è
stato detto che nella Vostra biblioteca potrò trovare un
valido aiuto”.
Satanahel scese gli scalini davanti
al suo trono e prese tra
le mani uno dei due volumi. Aprì alcune pagine e subito
percepì di aver già
visto quella scrittura: evidentemente nella sua biblioteca qualcosa
c’era a
riguardo. Restituì il librone all’angelo e gli
fece cenno di seguirlo. Lo
condusse fino alla porta verde che portava alla sala con la libreria
del
palazzo. Aprì con una chiave d’argento e
accompagnò il suo ospite all’interno,
poi scostò le tende e l’angelo rimase sbalordito
dall’enorme quantità di volumi
e carte. Gli scaffali toccavano quasi il soffitto, che era molto
più alto di
quello di una stanza normale, ed erano tutti riempiti e trasbordanti di
materiale di vario tipo. Vereheveil allungò lo sguardo verso
i vari titoli,
affamato di sapere. Il demone luminoso si fermò al centro
della stanza e fissò
l’angelo negli occhi.
“Io
non ho regole,
angelo” disse “Sono per il libero arbitrio. Ma sono
molto, molto, molto geloso.
Perciò, se deciderai di restare qui, come bibliotecario,
parassita o altro,
diventerai una mia proprietà. Non potrai più
uscire da palazzo senza il mio
permesso. È qui che resterai. E dovrai venire a riferirmi
sempre quello che
trovi. Questa è la mia unica legge. Se vuoi accettarla, io
ti accolgo
volentieri”.
Vereheveil non rimase molto a
pensarci: “Io accetto,
Principe. In questo Mondo non ho amici, non ho parenti, non ho nessuno!
Non ho
passato, non ho ricordi…non ho niente da perdere!
Perciò non mi importa se
dovrò restare segregato in questa stanza. Almeno
così i demoni là fuori non
proveranno ad uccidermi. Poi sono in cerca di risposte. Sono smarrito,
solo,
confuso…potrei avere una cosa, perlomeno: un
padrone”.
Il Principe mise le mani in tasca:
“Conosco la sensazione
che descrivi. Vorrei sottolineare che non puoi mentirmi. Uno sguardo e
sono in
grado di capire se mi nascondi qualcosa. Ora devo andare, piumino. Il
Re ha
chiesto di me e abbiamo delle cose di cui discutere. Asmodai ti
mostrerà la tua
stanza al calar del sole. Non sono così animale da farti
dormire sul pavimento
della biblioteca! Avremmo modo di parlarci più
tardi”.
Detto questo il Principe
uscì, chiudendo a chiave l’angelo.
Il “piumino”
iniziò subito a lavorare tra i libri. Imparò a
riconoscere quando il Principe ed il Re erano presenti nel palazzo
poiché la
luce del demone era inconfondibile e illuminava ogni stanza mentre il
Kaos
segnalava la sua venuta facendo brillare la spirale nera tra le due
torri
principali.
Quando entrambi erano
“fuori sede” il buio era quasi
assoluto e Vereheveil si sentiva a disagio, quando questo accadeva. Il
palazzo
diveniva tetro e spaventoso, pieno di ombre e presenze. E in
più l’angelo
sapeva che se un demone avesse voluto attaccarlo, per un qualsiasi
motivo, non
avrebbe avuto scampo senza l’aiuto del Principe: non era
assolutamente in grado
di difendersi e sarebbe stato ucciso di sicuro, o peggio!Fortunatamente
il
Demone Capo aveva dato l’ordine di non toccare
l’angelo bibliotecario e veniva
punito severamente chi osava fargli del male. Ma se il Principe non
c’era…non
aveva garanzie.
L’angelo nero si era
accorto che molti dei demoni a guardia
del palazzo provavano l’irrefrenabile desiderio di spiumare
un essere come lui,
così strano, perciò, quando non c’era
il Principe, Vereheveil aveva paura. Però
appena la sua luce rossa si intravedeva da lontano si sentiva di nuovo
tranquillo.
Vereheveil iniziò a
leggere tutti i libri che poteva.
Trovare qualcosa nella biblioteca più grande del Pianeta,
con i suoi milioni di
libri, era un vera impresa ma, dopo diverse settimane di ricerche
ininterrotte,
trovò un volume che poteva aiutarlo. Era un libro in
angelico, con accanto la
traduzione nella lingua che aveva imparato a parlare e scrivere.
Paragonando i
simboli, iniziò un difficile lavoro di traduzione del testo
che aveva sempre portato
con sé e scoprì che parlava di magia.
Curioso si disse che
cosa mai ci potevo fare con
un libro di magia?
Trovò un incantesimo
interessante. Un formula per poter
scoprire la propria vera natura, per rivedere un eventuale vita
precedente e
per ricordare particolari dimenticati.
Sembra scritto proprio per
me! Perfetto!
Iniziò
a
tradurre, pieno di entusiasmo, anche se il testo presentava non poche
difficoltà. Era molto complesso, con frasi di senso ambiguo,
parole
complicate…ma, nonostante tutto, riuscì ad
arrivare fino in fondo. Soddisfatto,
si soffermo a guardare la pagina che aveva appena tradotto. Poi, una
volta
appurato che era proprio dell’argomento che gli interessava,
usò un altro libro
per imparare a pronunciare i suoni in angelico. Una volta portato a
termine
anche quell’impresa, decise di leggere ad alta voce le frasi
magiche. Un po’
nervoso per le possibili conseguenze del suo gesto, appoggiò
il volume su un
leggio, si schiarì la voce, ed iniziò a leggere.
“A’ liem
àminòra, àliem levinòra,
àliem manui sien…”.
(Un ricordo per la vita, un ricordo
per sempre, un ricordo
che torna…).
Il testo continuava a lungo, ma ad
ogni riga si rendeva
conto di avere più memoria del passato. Immagini di angeli,
volti, eventi…tutto
gli tornò in mente all’improvviso. Lui era
Vereheveil! L’Arcangelo delle lingue
e delle scritture! O meglio..avrebbe dovuto avere quel ruolo ma
poi…Luciherus!
Il Principe era Luciherus!
E
Kasday…ricordò quell’angelo a terra
quando era caduto. Era
caduto proprio accanto al corpo del suo amato Kasday! E lui era
lì per
ritrovarlo..ma .. era morto! Il Serafino Kasday non c’era
più!
L’angelo nero cadde a
terra. Iniziò a piangere e non riuscì
a smettere. Singhiozzò disperato, gridando il nome
dell’amico perduto. Dopo
essersi ripreso, almeno un poco, si dedicò
all’altro libro, quello che aveva
trovato aperto nella stanza blu del tempio degli angeli. Kasday era
stato
ucciso per averlo letto? Un volume sugli Dèi…gli
vennero in mente i “segreti”
di cui Luciherus gli aveva parlato quando era piccolo. Decise che, se
qualcuno
poteva fornirgli delle risposte, quello era il Principe:
l’Arcangelo più bello.
Prese il libro con la formula e, infrangendo la regola, corse fuori.
Non era difficile individuare colui
che stava cercando. Volò
sul tetto e cercò la luce del Principe. La notò
quasi subito: la sua
luminescenza era identica a quella che aveva nel mondo degli angeli. Il
Principe era tra la gente e fra loro Vereheveil riconobbe altri angeli
caduti. Chiamò
ad alta voce, usando i nomi che ricordava, me nessuno si
voltò, poiché nessuno
aveva memoria di ciò che era.
Allora l’Angelo nero
iniziò a leggere la formula dal libro:
“A’ liem àminòra,
àliem levinòra…”
Il gruppo degli angeli caduti si
arrestò di colpo.
“Iscua nahamien!”
esclamò il capo dei demoni “Io sono un
angelo!”
Guardando in alto, e lanciando un
grido a causa della grande
quantità di ricordi che si ammassavano, tutti i caduti
ritrovarono la memoria. Respirando
piano per calmarsi, Luciherus cominciò a guardarsi in giro.
Chi aveva risvegliato
tutte quelle immagini nelle sua mente?
I demoni attorno a lui parlavano.
Alcuni di loro si
salutavano calorosamente e si abbracciavano, ricordando antichi
rapporti di
parentela e loro trascorsi nel mondo degli Angeli.
Lilim e Lilith cercavano di farsi
dare delle spiegazioni, ma
non ne ebbero. Il Principe continuava a girare gli occhi di qua e di
là, in
ricerca di qualcosa o qualcuno, ignorandole. Finalmente, Luciherus
riuscì ad
individuare l’angelo che aveva pronunciato quelle parole, che
lo avevano di
nuovo reso consapevole della sua vita dimenticata.
“Vereheveil!”
esclamò, vedendolo.
Il giovane angelo chinò il
capo: “Non uccidetemi per essere
uscito da palazzo!” sussurrò in tono di scusa
“Ma avevo urgente bisogno di
parlarVi. Avevo tanto, tanto, tanto bisogno di parlare con te,
Luciherus”.
Il demone annuì.
“Non qui, però” rispose
all’angelo.
Detto questo, spalancò le
ali. Con un cenno del capo tutti i
caduti, alati, si alzarono da terra, volando e Vereheveil li
seguì, avviandosi
tutti verso il palazzo. Lilith
cominciò
a camminare verso la sua dimora, protestando vivacemente. Lei non era
fornita
di ali ed il suo compagno aveva da sempre l’abitudine di
lasciarla a terra,
dimenticando il fatto che lei non era in grado di seguirlo quando
volava via. Per
Lilith lo faceva apposta, per Lilim in realtà era solo molto
sbadato. La bella
demoniessa non aveva mai avuto problemi nel trovare un demone disposto
a
riaccompagnarla a casa, o ad ospitarla..dipendeva da quanto era
arrabbiata. Quel
giorno era molto arrabbiata, furiosa, ma anche preoccupata: il suo
Principe
aveva avuto troppi comportamenti strani nell’ultima
mezz’ora. Decise così di
tornare immediatamente a palazzo. Ordinò al capo delle
guardie, rimasto a terra
a disperdere la folla come scorta a Vereheveil, di portarla con
sé. Sua sorella
Lilim, invece, non fu in grado di volare via. Non poteva dare ordini a
nessuno
e, come Lilith, non aveva ali. Sospirò: era abituata ad
essere lasciata
indietro. Diede un calcetto ad un sassolino e iniziò a
camminare per la via
principale. Portava un bel vestito riccamente decorato, mentre i
capelli li
aveva lasciati sciolti sulla schiena. Passò fra la folla,
che non si disperse,
come si aspettava, ma crebbe di numero. La demoniessa non
riuscì ad aprirsi un
varco e venne spinta con violenza da ogni direzione,
cadendo in
terra in malo modo. Urlò di rabbia, ma
nessuno la stava ad ascoltare. Era avvenuto qualcosa di straordinario e
tutti
si accalcavano per saperne di più. Cosa era successo al
Principe? E quel
piumato chi era? Lilim si sentì sollevare da terra ed ella
chiuse gli occhi in
preda al terrore. In quel Pianeta non si poteva mai sapere che cosa
poteva
succederti senza il Principe a proteggerti! Quando ebbe il coraggio di
riaprire
le palpebre, notò con gioia di essere lontana dalla ressa,
su un tetto. Dietro
di lei, un demone alato le dava le spalle.
“Ti ringrazio per avermi
salvata. Sarei stata schiacciata di
sicuro là in mezzo!” iniziò la
demoniessa, notando che il suo salvatore era
piuttosto magrolino. “…a proposito…io
sono Lilim”.
“Non
c’è di che, Lilim” le rispose il giovane
demone,
girando il viso.
Aveva gli occhi azzurri come quelli
di un Dio. Ma questa è
un'altra storia.
Giunto a palazzo, Vereheveil venne
convocato dal Principe
nelle sue stanze private, una cosa che non era mai stata concessa a
nessun’altro.
Rimasti soli, in quella che
l’angelo nero poté definire una
sorta di “stanza studio” piena di oggetti strani e
celati agli occhi di tutti, si
sedettero uno di fronte all’altro. Vereheveil si
stupì di quella sala.
Dal soffitto pendevano piccoli
campanellini d’argento che si
muovevano leggermente, grazie a piccoli sospiri di vento provenienti da
una
finestra. La luce rossa del Principe si rifletteva sulla loro
superficie liscia,
creando effetti strabilianti. Il demone teneva tra le dita la sua piuma
dorata,
che aveva conservato gelosamente e con cura, nascosta in quel salone:
ora
sapeva da dove proveniva.
“Io ero
l’Arcangelo più bello, Vereheveil, ricordi?
Ero…uno
di loro…”.
Luciherus guardò in alto.
Anche in quella stanza, sul
soffitto, erano dipinti angeli
e demoni.
Il Principe guardò con odio entrambi, ma non disse nulla.
Guardò di nuovo
Vereheveil: “Non sapevo che, quella notte,
fossi caduto anche tu, Very”.
L’angelo lo
guardò a lungo senza rispondere. Poi iniziò a
raccontare al demone la sua avventura e la sua ricerca. Si
fermò alla parola
“Kasday”.
“Oh..Kasday..”
iniziò a dire, a voce bassa e triste
“…io…l’ho
visto morto. Sono venuto fino a qui per ritrovarlo. Ma lui non
c’è più”.
“È per questo che hai
gli occhi rossi? È per questo che hai pianto?”
domandò Luciherus con
gentilezza.
Si avvicinò
all’angelo. Vereheveil sentì di nuovo un nodo
alla gola ed annuì al Principe, guardandolo con occhi grandi
e luminosi.
“Suvvia, non piangere
più, piccolo angelo! Quegli occhi
color dell’oro non devono più versare lacrime per
Kasday. Lui è vivo. Lo so per
certo!”.
Vereheveil singhiozzò.
Guardò il demone, poco convinto: “Io
l’ho visto. Ho visto il suo corpo”
piagnucolò..
Il Principe dei demoni gli
appoggiò una mano sulla spalla. Con
la mano affusolata, asciugò una lacrima dalla guancia
dell’angelo nero.
“Mio caro Arcangelo delle
scritture…” iniziò a spiegare
Luciherus “…quando io e Kasday siamo caduti,
insieme, ti posso dare la conferma
che il suo cuore si è fermato. Ma non è stato il
Dio della Morte a portarlo via
con sé ma bensì la Dea della Vita. L’ho
vista chiaramente. Non volevo lasciarlo
andare, ma lei mi ha sussurrato all’orecchio che il Serafino
sarebbe tornato di
nuovo. Così ho lasciato che lei prendesse la sua essenza.
Cosa mi importava,
poi, della sorte del suo corpo? Probabilmente è
già rinato, in questo Mondo,
come mi ha detto lei. Mi ha anche detto che sarei divenuto Principe e
padrone.
Poi ha aggiunto: libero grazie a Kasday. Questo non mi è
stato molto chiaro…”.
Si fermò un attimo. Si
accostò alla finestra aperta e scansò
le pesanti tende. Con un’ala si coprì il volto,
finché non riuscì ad abituarsi
di nuovo alla luce, poi riaprì lentamente gli occhi e
sospirò.
“So che è la
fuori, Vereheveil. Non so dove, non so che cosa
stia facendo o che aspetto abbia, ma so che è qui.
È rinato e noi dobbiamo solo
trovarlo. Il Re mi ha dato notizie allarmanti ed ho bisogno di tutti
quanti
voi. Cominciamo le ricerche: mi sarai di grande aiuto”.
Rincuorato, Vereheveil sorrise al
demone. Si alzò e gli andò
accanto.
“Non guardarmi
così” sibilò Luciherus “Non
provare ad
abbracciarmi!”.
L’angelo sorrise. Con uno
scatto improvviso ed imprevisto,
diede un bacio sulla guancia dell’amico. Il demone,
disgustato, gli soffiò
conto, come un gatto.
Iniziarono le ricerche tra la gente e
tra i documenti. Per
un lungo periodo non portarono a nessun risultato ed a volte Vereheveil
si
chiedeva se realmente Kasday fosse tornato. Poi, una mattina,
capitò un libro
tra le mani dell’angelo dalle ali nere. Lo aprì e
subito riconobbe la scrittura
dell’amico. Corse dal Principe.
“Questa è la
scrittura di Kasday!” quasi gridò.
Il demone, mezzo addormentato a causa
dell’ora precedente
all’alba, esaminò il volume.
“L’avevo mandato
a riparare. Si era rovinato. È la sua
scrittura? Bene…in pochissimo tempo ti saprò dire
chi ci ha lavorato per me”.
Non appena ebbe un nome, confermato
dal fatto che molta
gente gli comunicò che era stato scritto dal
“demone dagli occhi azzurri”, lo
mandò a convocare.
“Da qui in poi immagino che
la storia tu la sappia già,
amico mio”.
Vereheveil concluse il suo racconto.
E nella biblioteca del
Principe fu di nuovo silenzio.
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Capitolo 11 *** XI- Ricordi ***
XI
RICORDI
“Tu sei caduto in questo
Pianeta a causa mia” sospirò
Kasday, guardando Vereheveil “Sei in questo Mondo senza
colpa, solo per seguire
e cercare me! Mi dispiace tanto…”.
L’angelo dalle ali nere lo
guardò con affetto: “Non mi pesa
essere qui. Ho passato dei brutti periodi, ma ora sono
felice” gli rispose. E
continuò: “E se non fossi giunto in questo mondo,
non avrei trovato mia figlia,
Flèavia”.
“Non mi hai raccontato come
l’hai incontrata…” sussurrò
Kasday.
Vereheveil sorrise:
“Era una notte d’inverno. Fuori
c’era la guerra, come capita spesso in
questo Pianeta. Lei è entrata, rompendo una vetrata della
biblioteca. Cercava
di sfuggire alla cattura”.
“Alla cattura?”.
“Sì, lei
è una cosiddetta figlia mista. È bionda, come la
maggior parte degli angeli, ma si vede che è un demone.
Forse aveva per
genitori dei caduti, che avevano ancora nel sangue del DNA angelico che
si è
manifestato nella bambina. Non lo sapremo mai. I suoi parenti sono
morti. Io ho
avuto il permesso di tenerla con me”.
“Era troppo tenera per
essere torturata e uccisa da un
branco di zotici. E poi…” si intromise il Principe
nella conversazione “…ha uno
sguardo con qualcosa di molto malvagio. Mi è sempre
piaciuta”.
Kasday rise. “Sono felice
che, in fondo, tutto sia andato
per il meglio” ammise. Poi guardò Luciherus:
“Non ti senti preso in giro da tutte
le parole e le storie false che ti ha detto il Kaos?”.
Il demone scosse la testa:
“Non mi cambia molto. So solo che
la mia luce non è dovuta alla maledizione…e so
anche che non vedo l’ora di
riavere di fronte certi individui…odiosi!”.
Kasday rimase in silenzio per un
attimo. “Eleniel e
Samhian?” domandò, dopo aver assimilato le molte
informazioni.
“Non so dirti molto al
riguardo…” iniziò a rispondergli il
Principe. “…a noi scacciati non è
permesso mettersi in contatto con le creature
del Pianeta angelico, il nostro Pianeta d’origine. Ci
giungono notizie
frammentarie e non confermabili. A volte è il Kaos a
riferirmi certe cose,
quando è di buon umore, oppure qualcuno del mio Mondo che
passa per di là.
L’ultima cosa che ci è giunta
all’orecchio è che Eleniel è una sorta
di
insegnante di canto mentre Samhian è diventato un angelo
Messaggero. Non saprei
dirti altro. Anche se sono passati tanti anni, su quel pianeta non
succede mai
niente di particolare, quindi immagino che stiano tutti
bene”.
“Quanto vorrei parlare con
loro…” sospirò Kasday.
“Anch’io…”
ammise Vereheveil “…ma a noi non è
concesso. Chi
lascia quel Pianeta non può rientrarci. E l’unico
modo per parlare con loro e
andare nel Mondo degli Angeli”.
“A meno che non lo voglia
il Kaos” interruppe Luciherus,
quasi con rabbia “Ad ogni modo, tornando a noi, io ti ho
convocato qui per un
motivo, Kasday. I due gruppi di Dei, gli Hainuet e i Denian, che spero
tu
ricordi, sono in guerra. Hai memoria del Pianeta che io e quelli della
mia
classe abbiamo aiutato a creare? Non hanno ancora deciso chi dei due
capi deve
comandarci sopra! E da un singolo Pianeta, è nata una guerra
infinita tra le
due schiere di Dèi rivali. Che vuoi farci… Ci
sarà una grande battaglia molto
presto, da quel che ho capito, che coinvolgerà tutti i Mondi
e le loro
popolazioni. Il Re sta chiamando a sé più soldati
possibili tra i suoi vari
possedimenti con l’obiettivo di distruggere il Destino.
Inutile dirti che le
loro due forze sì equivalgono…”.
Kasday guardò il Demone
Capo con aria perplessa.
“Ma…”
iniziò a domandare “…non dovrebbe
esserci l’Equilibrio
tra di loro a mediare? Tra la Dea del Destino e il Dio del Kaos, non
dovrebbe
esserci lui?”.
Vereheveil rispose tristemente:
“Sei mai stato al Tempio di
Gehenna? Il Tempio supremo del Mondo dei Demoni? Oppure ricordi
com’è il Tempio
del regno degli Angeli? In ognuno di questi edifici
c’è una statua, con molte
braccia e mani, danzante. Su ogni palmo, a coppa, fluttua il simbolo di
una
diversa divinità, avvolto dalle fiamme. La loro
luminosità varia a seconda
della potenza del Dio che rappresenta. La figura dalle molteplici
braccia è
l’Equilibrio. Suo è il compito di equiparare le
diverse forze. Purtroppo il suo
glifo, che sta sopra il capo della scultura, è sempre
più pallido e debole. Il
suo compito è quello di fare in modo che le diverse potenze
si equivalgano, ma
ormai non credo sia in grado di farlo. Dicono che stia morendo. Nei
vari mondi
quasi nessuno crede che qualcuno possa fermare la guerra tra il Kaos e
il
Destino”.
Kasday attese un attimo:
“Ma non potrebbe mai fermare la
guerra del tutto, altrimenti rischierebbe di far morire la Dea che
comanda
quell’evento. Senza guerre, muore la Guerra”
affermò.
“Non ci avevo
pensato…” ammise Vereheveil
“…ad ogni modo,
l’Equilibrio sta morendo e le altre due potenze creatrici
stanno per
affrontarsi, sono pronte allo scontro finale”.
“Ma uno scontro del genere
porterebbe alla fine di ogni
cosa! Sopratutto per il fatto che il Kaos è più
forte e non ama molto lasciare
a metà o in sospeso delle faccende. Se dovesse trovare il
punto debole della
Dea del Destino, la distruggerebbe. Quei due…finiranno per
ucciderci tutti!”
disse Kasday, allarmato.
“Vedo che te ne
intendi!” gli rispose Luciherus divertito
“Devi aver trovato il libro giusto alla biblioteca del
Tempio, quella notte!”.
Libro? Ma certo…ricordò
Kasday…stavo guardando un
libro quando…
Urlò tenendosi la testa.
Una specie di scossa elettrica gli
attraversò le tempie appena cercò di ricordare
cosa era accaduto quella notte.
Ricordava le scale, la stanza, il libro…poi più
nulla. Non riusciva a farsi
tornare in mente cosa avesse letto di così importante e che
ora più non sapeva.
Vereheveil gli andò
accanto, allarmato. Gli porse il libro
che aveva portato con sé
dal mondo degli
angeli: “Questo è il volume che ho trovato in
terra quando sono entrato al
Tempio” gli bisbigliò, tenendogli la mano.
Kasday osservò il grosso
libro: “Sì, è questo quello che
stavo leggendo quella notte”.
L’ex-Serafino
iniziò a sfogliarne le pagine
“L’ho portato con
me quando non sono riuscito più a
trovarti…ho pensato che fosse
importante…” continuò
l’angelo nero.
“Lo è. Grazie,
Vereheveil”.
Kasday notò che una parte
del libro era in bianco.
“Ho visto dei simboli su
queste pagine. Ora sono vuote, ma
io ci ho visto dei simboli e delle parole. Ma ora…non
ricordo come farle
apparire…” gemette il Serafino decaduto.
La porta della biblioteca si
spalancò di colpo. Entrò un
angelo con le ali
d’argento: un
Messaggero.
“La Regina desidera
conferire con Voi, Principe. Siate
presentabile” esclamò, con un lieve tono di
rimprovero, la creatura angelica.
Il Principe gli rispose scocciato, ma
con gentilezza: “Io
sono SEMPRE presentabile! Falla venire qui per cortesia. Nessuno meglio
di Lei
può descriverci la battaglia che ci attende”.
Il Messaggero lo guardò
con sufficienza. “Come preferite”,
fu la sua risposta, ed uscì dalla stanza. La
Regina? Si disse Kasday. La
Dea della Guerra! Avrebbe visto una Dea!
Dimenticò momentaneamente
il libro e si concentrò sulle tre
ombre che entrarono dalla porta, precedute dall’ angelo
Messaggero.
La Guerra era la figura centrale, con
i suoi occhi scuri e i
capelli corti, corvini. Indossava una tunica a due colori, rosso sangue
e
grigio acciaio, senza maniche, ed era armata. Una spada azzurra pendeva
dalla
sua cintura, sulla sinistra. Sulla destra, invece, Kasday
poté notare una
specie di mitra a più canne. Nella mano sinistra reggeva uno
scudo mentre nella
destra stringeva la lunga lancia degli Hainuet. Camminava decisa e le
sue
scarpe ticchettavano sul pavimento nero.
Dietro di lei venivano altre due
persone, un uomo e una
donna, entrambe con i capelli corvini. L’uomo era avvolto in
un lungo mantello
blu scuro. Teneva gli occhi chiusi e stava in silenzio.
La figuretta femminile, esile e
leggera, aveva uno sguardo
minaccioso. I suoi occhi color dell’ebano brillavano nel buio
e teneva i capelli
raccolti in una lunga coda. Con la stessa espressione accigliata della
Guerra,
la donna portava un cappotto rosso che le sfiorava i piedi. Lo
aprì, infilandosi
le mani in tasca. Facendo questo, scoprì l’enorme
quantità di armi di ogni tipo
che portava con sé. Il vestito, composto da una canottiera
color del metallo e
da dei pantaloni neri, le permettevano piena libertà di
movimento e pareva
pronta a combattere.
La Guerra iniziò a parlare
ai tre caduti, che si erano
portati al centro della stanza. Vereheveil e Kasday si inginocchiarono.
Con un
cenno, la Dea li fece alzare e poi iniziò il suo discorso:
“Io sono la Dea
della Guerra, come sai Satanahel. Volevo presentarti le mie due
creature. Lui è
il mio primogenito, il Dio dei Sogni e delle Paure. Lei, invece,
è la Dea delle
Armi, la mia bellissima figlia!”.
Il Demone Capo annuì:
“É un onore conoscere entrambi. Avete
ragione…lei ha davvero una bellissima figlia”.
La Dea sembrò quasi
malinconica per un attimo: “Sì. Lei è
stata un autentico dono degli Alti. Nel periodo precedente al suo
concepimento,
tra me e il Kaos non correva buon sangue. Litigavamo spesso a causa di
un
nostro errore…commesso quella notte. Per un periodo nemmeno
ci parlammo. Il
nostro non era un buon rapporto. Ma poi è arrivata Lei, e
tutto si è risolto.
Almeno in parte”
Non era un buon rapporto ma,
in qualche modo, rapporti
dovevano averne..se no come nasceva lei? Ma come mi
vengono certe idee
in testa?! Si rimproverò Kasday.
La Dea delle armi fece un passo
avanti: “Piacere
di conoscerti, finalmente. Nostro
padre parla spesso di te, Satanahel. Sei pronto alla grande
battaglia?”.
L’arcangelo caduto le
sorrise. Il Dio della Paura e dei Sogni
salutò con un cenno del capo.
“Lui non parla?”
chiese Kasday, in un impeto di coraggio.
“No, lui non
parla” rispose la Dea delle Armi.
Scese il silenzio. Il Dio
avanzò di un passo e Kasday sentì
la sua voce nella testa: “Io non parlo. Mio padre mi ha
impedito di farlo.
Quand’ero bambino, facevo troppe domande. Ed il Dio del Kaos
mi ha estirpato la
voce”.
L’ex Serafino
rabbrividì: “Che genere di domande? Non per
farmi gli affari tuoi ma…così le evito, se per
sbaglio me lo trovo davanti!”
“Ma che dici?”
gli sibilò Vereheveil.
La voce del Dio tuonò di
nuovo nella mente del demone
sproporzionato “Io facevo domande…su mio
fratello”.
Con un cenno brusco della mano, la
Dea della Guerra lo
zittì. Tutti i presenti avevano ascoltato la sua risposta.
“Fratello?”
bisbigliò Luciherus/Satanahel rivolto a
Vereheveil “Tu che leggi tutto, per caso né sai
qualcosa?”.
Vereheveil scosse il capo.
Che razza di Dio toglie la voce al
proprio figlio? Si vede
che è cieco, o almeno così sembra, come si
può togliergli anche la capacità di
parlare? Come si può servire un Dio così?
Queste domande erano presenti nella
testa dei tre caduti,
confusi e spaventati.
La Dea delle Armi si parò
davanti a Kasday. Con un dito gli
sollevò il mento e lo fissò negli occhi.
“Tu fai troppe domande, mortale. Prega
di non dare troppo fastidio al mio fratellone. Prega di non vedere mai
il
bianco dei suoi occhi. Prega di non udire mai l’unico suono
che è in grado di
emettere. Con il suo urlo, tu moriresti dal terrore, patetico, piccolo
demone…”
fece una pausa “…ma con degli occhi
stupendi”.
La Dea della Guerra
afferrò la figlia per le spalle e la
tirò indietro: “Certi discorsi non sono adatti ai
mortali” le parlò, nella
lingua degli Dèi “Tornando a noi, Satanahel, mio
marito chiede se tu e il tuo
popolo siete pronti alla battaglia”.
Il
Principe rimase un
po’ perplesso dai discorsi precedenti, ma rispose
prontamente: “Si, mia
Regina!”.
La Dea guardò il grosso
demone: “Chi sono quei due che
stanno accanto a te? Uno non mi sembra di questo Pianeta”.
Satanahel rispose: “Loro
due sono dei caduti, come me”.
La Dea si stupì del fatto
che il demone avesse riavuto tutti
i suoi ricordi, poi si concentrò sugli altri due che stavano
accanto al
Principe. Notò il colore dei loro occhi: notò il
colore degli occhi di Kasday.
“Come quelli del
Kaos…” bisbigliò piano. Scosse il capo.
“Dovrò informare
il mio compagno del fatto che hai di nuovo
la memoria, Principe” disse la Dea, rivolta al capo dei
demoni.
“Non è
necessario” fu la risposta “Nulla cambia tra me e
il
Kaos. E poi…immagino che già sappia ogni cosa. Lo
so che mi spia”.
La Guerra sorrise.
“Ho una richiesta da farle,
mia divina” ricominciò a parlare
il Principe “Loro sono due ex angeli e vorrebbero tanto
rientrare in contatto
con le creature angeliche. Crede che la cosa sia possibile?”.
La Dea rimase un attimo in silenzio.
Guardò in alto.
“Intendi farli tornare nel
Mondo degli Angeli?” domandò la
Guerra “Credo che si possa fare. Per quanto riguarda il
piumato, la cosa è
possibile. Ma quell’altro ragazzo..non penso che sia
fattibile. È proibito
mescolare le specie. E poi gli angeli odiano i demoni. Se andasse
là da loro…lo
ucciderebbero. Ma, adesso che ci penso, un modo
c’è. Solo per una piccola
visita…va bene”.
Si avvicinò
all’ex Serafino. “Come ti chiami?” gli
chiese.
“Adahel, in questo mondo.
Ma di nascita, io sono Kasday”.
La Dea lo guardò con
tenerezza. Gli spostò un ciuffo di
capelli: “Ovvero 'occhi del Kaos'”
commentò “Mai nome fu più indovinato.
Sei
bellissimo”.
“Ma che dite,
signora?” rispose, imbarazzato, il giovane e
piccolo demone.
La Dea tornò a guardare il
Principe: “Non far combattere questi
due ragazzi. Non credo nemmeno siano in grado di farlo.
Penserò io a loro. Li
farò allontanare da questo Mondo in cui non vogliono
restare”. Iniziò ad
avvicinarsi alla porta.
“Come desiderate, divina
Guerra” rispose Satanahel.
“Portali da me al tramonto.
Prima della battaglia”.
“La battaglia
inizierà al tramonto?” domandò
allarmato
Vereheveil e la Dea annuì.
“Noi abbiamo una famiglia
qui!” si affrettò a dire Kasday.
“Famiglia?”. La
Dea della Guerra sembrava perplessa. Guardò
l’ex Serafino con stupore.
“Si, famiglia. Io ho un
figlio ed una compagna. E lui ha una
figlia”.
La Guerra rimase in silenzio,
sull’uscio della biblioteca: “Portate
anche loro. Al tramonto. Vedrò che posso fare”.
Uscì dalla stanza, seguita
dai figli e dall’angelo
Messaggero. Aggiunse solamente, prima di chiudere la porta:
“Preparati,
Luciherus, so che ora ricordi il tuo nome, perché prima di
notte dovrai
combattere”.
L’angelo messaggero, che
chiudeva il corteo, chiuse la
porta.
I tre caduti si guardarono.
Luciherus guardava la porta, con le
mani dietro la schiena.
Aveva uno sguardo duro e preoccupato. “Devo congedarmi da
voi, amici miei. Ho
una guerra alle porte. E non sarà di certo come quelle che
ho vissuto fin ora”.
Urlò i nomi dei capitani
delle guardie, che subito si
presentarono al cospetto del loro capo. Con un cenno si avviarono verso
l’esercito dei demoni che si stava radunando.
“Kasday…tu resta
qui. Mando uno dei miei più fidati
servitori a prendere la tua famiglia”.
Il giovane non poté far
altro che acconsentire. Lo sguardo
del capo dei demoni era malvagio e truce: non permetteva in nessun modo
di
ribattere. Kasday capì solo allora perché il
Principe era descritto come
qualcosa di spaventoso. Gli sembrava molto più grosso e la
sua luce pulsava,
mentre la possente coda frustava l’aria con rabbia.
Vereheveil corse nelle sue
stanze cercando la propria figlia. Kasday restò da solo, al
buio. Spaventato,
ancora confuso da tutto il suo passato, riprese in mano il suo libro.
Non
riusciva proprio a capire come far apparire le parole del lato in
bianco. Sapeva
che era importante, ma non riusciva proprio a capire come aveva fatto.
La testa
gli faceva male. Sfogliò le pagine, arrabbiato con se
stesso. Notò sull’angolo
destro di una di esse una macchia di sangue. Era asciutto e spento, ma
nella
sua mente ecco che quella macchia gli parve luminosa e brillante. Ma
certo!
Mi sono tagliato con la carta! Quel sangue è mio!
Con convinzione, si diede un morso,
con i denti a punta, al
dito indice e lasciò che una piccola goccia ci cadesse
sopra. Il volume la
assorbì al suo interno. Il librò gli
parlò, nella sua mente sentì la sua voce. I
simboli iniziarono a comparire, luminosi e meravigliosi. Kasday rimase
in
silenzio: era di nuovo consapevole di essere il figlio del Kaos.
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Capitolo 12 *** XII- incontri ***
XII
INCONTRI
Poco prima del tramonto, Kasday e
Vereheveil stavano seduti,
l’uno di fronte all’altro, accanto al tavolo di
mogano lucido. Si guardavano
preoccupati. Una bella bambina, dai capelli color dell’oro,
sedeva in terra,
sfogliando un libro illustrato, tranquilla. Leggeva ad alta voce,
lentamente.
Era in quell’età in cui si iniziava a scrivere ed
a comprendere i testi.
Vereheveil la correggeva, a volte, e la guardava con orgoglio. Poi
tornò ad
osservare lo sguardo affranto dell’amico.
“Non preoccuparti, Kasday!
Vedrai che arriveranno presto!
Luciherus ha detto che mandava qualcuno a prendere la tua famiglia.
Sono sicuro
che saranno qui a momenti!”.
Vereheveil
tentò di
rassicurare l’amico, tenendogli la mano. Gli era andato
accanto e si era
inginocchiato accanto a lui. Kasday si scansò, alzandosi.
Andò vicino ad una
delle immense finestre e guardò fuori, aprendo leggermente
una tenda. La
biblioteca si trovava su un piano elevato e permetteva un ampia visuale
del
giardino interno del palazzo. Un giardino meraviglioso, pieno di fiori
e di
primizie, ma non in quella occasione, in cui era occupato da una parte
degli
eserciti del regno. Kasday richiuse tutte le tende. Da quando
Vereheveil aveva
iniziato a lavorare in quel luogo, quei tendaggi erano sempre lasciati
aperti
per far passare più luce possibile, ma l’ex
Serafino oscurò la luce del
tramonto. Accese delle candele per dare luce alla sala. Illuminata, la
biblioteca diveniva un luogo piacevole. Pur essendo un ambiente molto
scuro e
cupo, quasi interamente di colore nero o blu scuro, con le luci delle
fiamme si
accendevano mille riflessi su ogni superficie e comparivano disegni in
argento
e oro di angeli, demoni, Dèi e molte altre figure. Il
pavimento, in marmo blu
lucido, quando veniva colpito dai raggi luminosi sembrava fatto
d’acqua da
quanto rifletteva coloro che ci camminavano sopra o gli oggetti
appoggiati su
di esso. Portava rappresentato, al centro, tra due scaffali, il simbolo
del
Kaos, circondato da stelle e pianeti sotto il controllo della
divinità, che si
espandevano lungo tutta l’area della biblioteca. I libri
erano suddivisi in
quattro ripiani che arrivavano quasi fino al soffitto il quale era,
come nella
maggior parte delle stanze del palazzo, molto alto. Kasday
tentò di immaginare
cosa potesse portare rappresentato sul soffitto un palazzo della
Città degli
Dèi. Il soffitto sotto il quale era ora, aveva un disegno
complicatissimo che
lo ricopriva, fatto di intrecci e simboli di non facile
interpretazione. Molte
figure campeggiavano su di esso. Sospirò. Si
appoggiò ad una piccola maniglia
dorata che apriva una delle finestre. Vereheveil si era messo a sedere
sul
tavolo, dietro al Serafino. Le gambe del mobile, a forma di demoni con
sorrisetti malvagi e angeli malinconici, sorreggeva il piano che
brillava con
riflessi d’argento grazie alla lieve luce che riusciva ad
entrare dal piccolo
spazio lasciato da Kasday tra le tende.
“Kasday…”
iniziò a parlare l’angelo dalle ali nere.
“Ti prego..” lo
interruppe l’amico, che continuò guardare
fuori.
Vide che il simbolo del Kaos si era
acceso sulle due torri
principali. E vide la Guerra con il suo plotone alle spalle, composto
da vari
individui dei molteplici Pianeti governati dal suo compagno. Luciherus
apparve
dal lato opposto, spronando il suo esercito con urli minacciosi. Erano
pronti a
far iniziare la battaglia contro la Dea del Destino, aspettavano solo
un
segnale da parte del padrone di quel Mondo. Ma il Kaos non si vedeva
ancora. Kasday
guardò il soffitto, di nuovo. Al centro di esso, si poteva
notare la divinità
del disordine, re supremo di quel Pianeta, con un’aria
minacciosa, circondato
da tutti gli Dèi che gli erano fedeli: tutti gli Hainuet.
Ognuna di queste
divinità era accompagnata dal proprio simbolo e incorniciata
da glifi complessi
e decori.
L’ex Serafino
rabbrividì allo sguardo del Kaos e si avvolse
nel lungo mantello, che gli era stato dato per combattere il freddo che
era
sceso all’improvviso. Distolse lo sguardo e si mise a fissare
il vuoto, perso
nei suoi pensieri. D’un tratto la porta della stanza si
spalancò ed una figura
scura entrò nella biblioteca. I suoi occhi azzurri
brillavano e, con voce
piuttosto scocciata, puntò il dito contro Kasday.
“Eccoti qui,
mostriciattolo!” esclamò, nella lingua degli
Dèi, e le pareti tremarono.
La bambina di Vereheveil,
spaventatissima, si mise a
piangere. Il padre adottivo la circondò tra le braccia,
pronto a difenderla. La
figura ricominciò a parlare, ma questa volta usò
in linguaggio che l’angelo
dalle ali nere riuscì a comprendere: “Non
preoccuparti, mortale. A te ed alla
tua bambina non ho alcuna intenzione di fare del male!”
Eppure…io ti ho
già visto! Si disse Vereheveil. Prese
la bambina in braccio e andò a rifugiarsi in un angolo della
biblioteca. Quel
Dio lo spaventava e non riusciva a capire in che lingua stesse parlando
a
Kasday. Sembravano conoscersi…forse non sarebbe successo
nulla di spiacevole.
“E
così…” iniziò il Dio
“…tu e tua madre complottate contro
di me!”.
“Io non complotto niente.
Voglio solo andarmene di qui con
le persone che amo” rispose Kasday. L’ex Serafino
guardò le mani della divinità
che gli stava di fronte: solo il tavolo divideva lui e il massiccio
individuo. Appuntite
e taglienti, le dita del Dio grondavano di sangue.
Ma gli Dèi non
sanguinano si disse non hanno un
cuore che pompa sangue, ma nelle loro vene scorre
magia! Perciò quel
sangue…
Il Dio non gli lasciò il
tempo di fare supposizioni. Tese la
mano e Kasday si sentì sollevare da terra.
Con un lievissimo movimento delle
dita, la divinità
catapultò l’ex Serafino fuori dalla finestra, che
si frantumò in migliaia di
pezzi. I vetri tagliarono Kasday, strappando in più punti le
sue vesti. Cadde
al piano di sotto. Boccheggiando, carponi, scosse la testa per
riprendersi e si
rialzò di corsa: doveva andar via. Sotto i suoi piedi scalzi
sentì pungere il
vetro e percepì su quasi tutta la sua pelle il pizzicorio
delle schegge, ma
ignorò la cosa, concentrato sul fatto che doveva sparire da
lì il più in fretta
possibile. Vereheveil urlò il suo nome. L’angelo
nero si era rannicchiato in un
angolo e stringeva forte la sua bambina.
“Kasday! No! Non andartene
da me di nuovo! No!”.
L’ex Serafino si mise a
correre, cercando di allontanarsi da
quel Dio, ma l’ombra che emetteva era sempre più
lunga. Le tenebre lo
avvolsero. Sono parte del Kaos, pensò
con terrore. Sentiva la risata del
Dio del disordine e poi una luce d’argento apparve
dall’alto. Il piccolo demone
incrociò le braccia sul viso per coprirsi gli occhi,
abbagliato. Si sentì
chiamare per nome ed aprì le palpebre: un angelo dalle ali
argentate gli
porgeva la mano: “Sono venuto a portarti via, come la mia
padrona mi ha
ordinato!” esclamò la figura angelica. Confuso,
Kasday lasciò che lo afferrasse
e l’angelo messaggero lo portò in alto, in fretta.
“Tu sei il Messaggero della
Guerra?” domandò timidamente il
giovane demone.
“Sì”
si limitò a rispondere la creatura piumata.
Teneva l’ex Serafino tra le
braccia e insieme volavano
velocemente verso il Mondo degli Angeli. Kasday si sentì
infinitamente piccolo
e triste.
“E la mia
famiglia?” domandò.
“Non preoccuparti per loro.
La Dea del Destino provvederà a
farvi rincontrare, ne sono sicuro!” gli rispose
l’angelo.
Girandosi verso il Mondo dei Demoni,
che si allontanava
sempre di più, Kasday vide che era avvolto da lingue di
fuoco.
“Distruggeranno il
pianeta!” urlò, ma non ricevette
risposta.
Il Messaggero stava aprendo il
portale che li avrebbe
portati nel Pianeta degli Angeli. Sembrava preoccupato: era consapevole
che ciò
che accadeva per i Mondi era, in parte, colpa della divinità
che serviva.
Kasday tremava: sapeva che il Kaos lo aveva ormai trovato.
Rinasci pure dove e quando
vuoi, ma io tornerò
sempre per distruggerti.
Al ricordo di quella frase, il
piccolo demone sentì di nuovo
il dolore che aveva provato quando il Kaos lo aveva trafitto con la
lancia
degli Hainuet. Gli aveva provocato una ferita così profonda
da lasciargli una
cicatrice sul cuore passando da una rinascita all’altra.
L’aveva mantenuta
nonostante fosse morto e rinato. Ma non voleva morire di nuovo per
scoprire se
l’avrebbe mantenuta anche nella prossima vita!
Ricordò il suo sangue, che si
spargeva per la stanza blu del tempio e ricordò il colore
rosso che sovrastava,
rapido, l’azzurro prevalente della stanza. Ricordò
quando fu lanciato da un
Mondo all’altro, buttato di sotto a forza da un Pianeta
divino ad uno angelico.
Attraversarono il portale. Con un
ultimo battito d’ali,
l’angelo Messaggero lo poggiò a terra.
“Vai al Tempio degli
Angeli. C’è chi ti aspetta là, Kasday.
Io ora devo lasciarti. Devo tornare dalla Dea che mi
comanda”.
“Puoi mandarmi notizie
della mia famiglia e dei miei amici,
appena possibile?” domandò timidamente il demone.
Il Messaggero annuì e fece
un piccolo inchino, poi riprese
il volo verso il pianeta dei Demoni.
Rimasto solo, Kasday
rialzò il cappuccio e tentò di
sistemarsi la veste. Vide che si trovava poco fuori della capitale, non
molto
lontano da dove si trovava, un tempo, la sua casa. Coprì il
viso, le ali,
arrotolò la coda attorno ad una gamba e si
incamminò verso il centro. Gli
angeli si stavano radunando in truppe, pronti anche loro ad unirsi alla
battaglia. Davanti all’esercito stava una donna, con una
sfera nella mano destra
e una spada lungo il fianco. Volava a mezz’aria e dava
disposizioni ai soldati.
La Dea del Destino, si disse
Kasday. Sapeva che tutte quelle
creature stavano andando a dare supporto al primo gruppo, che
già si trovava
nei pressi del Mondo dei Demoni e stava combattendo. Per tutta la
città si
udivano urli e insulti contro le creature demoniache. L’ex
Serafino coprì
ancora di più il viso e si affrettò lungo gli
scalini del Tempio. Chi lo
aspettava? Si chiedeva. E, soprattutto, si chiedeva se era il caso di
fidarsi
delle parole del Messaggero di una Dea che aveva permesso che lui,
neonato,
fosse scaraventato dalla finestra. Ma ormai era tardi per pensarci.
Sospirò. Tanto,
peggio della lancia del Kaos…
Entrò nel luogo sacro, si
incamminò lungo una delle navate,
nascondendosi come poteva dietro alle colonne.
“Kasday! Non avere paura!
Non ti mangio mica!”.
Il demone allungò il collo
e vide una figura inginocchiata
di fronte alla statua con i simboli degli Dèi. Era coperta,
come lui, da un
lungo mantello e da un ampio cappuccio.
“Avvicinati” gli
disse.
La voce di quell’individuo
aveva un qualcosa di indefinito.
Non si capiva se era da maschio o da femmina e Kasday pensò
che appartenesse ad
un angelo.
“Chi siete?”
chiese il demone, sospettoso “Ci conosciamo?”.
“Vieni qui, accanto a
me” fu la risposta. Kasday si
avvicinò. In piedi, accanto alla strana figura, attese altre
richieste.
“Inginocchiati qui, giovane
Kasday. Dimmi: quale divinità
pregheresti in un giorno come questo?”. Il demone, stupito,
si inginocchiò. Almeno
non vuole distruggermi…credo...si disse.
Guardò la statua, non sapendo che
cosa rispondere. Cercava di individuare il viso della persona che gli
stava
accanto, ma non ci riuscì.
“Sai chi rappresenta quella
statua?” si sentì domandare.
Il demone annuì:
“L’equilibrio. Suo il compito di mantenere
l’equità delle forze divine”.
“Già. Dovrebbe
essere così. Ma, come puoi vedere, il simbolo
che porta sul capo è debole”
“Ed ancor più
debole è il simbolo della Pace. Non saprei che
farci. Io non ne ho colpa!”
Non voleva rispondere male, ma in
quel momento aveva altri
pensieri in testa. Ad esempio rimanere in vita, scappando dal Kaos.
“La Pace è
morta” gli rispose la figura misteriosa. Kasday
avvertì il terrore che aumentava in lui. La Dea
della Pace è morta? Ma
allora ci sarà per sempre la guerra!
“Come può essere
morta?”.
“Semplice. La gente non
prega la Dea della Pace per far
terminare i conflitti, ma prega la Guerra per poter vincere le
battaglie.
Sempre meno persone si rivolgevano a Lei, sempre meno persone credevano
in Lei.
E Lei, piccola Dea, lentamente si è spenta. L’ho
vista affievolirsi, fino a
spegnersi, come una candela. Ora un'altra entità ha dentro
di sé il suo potere,
ma non durerà a lungo se la situazione non cambia. Ma se
è questo quello che la
gente vuole…”.
“Ma tu…chi
sei?”.
L’ombra incappucciata si
alzò a fatica. “Non ha importanza”
disse a Kasday.
Il demone continuò a
guardare la statua: “Io pregherei
l’Equilibrio” sussurrò, ad un tratto, in
risposta alla domanda che gli era stata
rivolta precedentemente. “O, forse…”
continuò, dopo una pausa “…gli Alti.
Loro,
con il solo movimento di un dito, potrebbero far cessare tutto questo
ed
impedire che la gente e gli Dèi si distruggano a
vicenda!”.
La figura parve sorridere:
“Gli Alti? Pregheresti gli Alti?
Loro ci ignorano!”.
Kasday
notò che si
teneva in piedi grazie ad un bastone. Forse la voce giovane di
quell’individuo
non era proprio la più adatta alla sua età.
L’esile incappucciato si accostò
alla fila di candele e ne accese un paio, che erano state lasciate in
disparte.
Accompagnò i suoi gesti con dei lievi sussurri, forse
preghiere. Guardava verso
il cielo:
“Io ho risposto alla tua
domanda. Ti ho detto per chi prego.
Ora tocca a te: dimmi chi sei!” sbottò Kasday.
Il demone veva fretta. Voleva sapere
chi aveva di fronte,
con chi stava parlando.
L’individuo
iniziò a parlare: “Te ne devi andare, figlio
cacciato degli Dèi. Io non posso difenderti, non ne ho
più la forza. Ma posso
fare in modo che, per poco, le forze contrapposte delle
divinità in guerra non
si autodistruggano coinvolgendo le popolazioni da loro stesse create.
Posso
fare da intermediario. Posso fare in modo che la situazione non
precipiti. Ma
non per molto ancora. Presto o tardi, io soccomberò al loro
crescente potere e
spero proprio che tu possa rientrare nel tuo ruolo, quando questo
accadrà!”.
Parlava piano. Sembrava affaticato,
stanco. Abbassò il
cappuccio: sulla sua fronte brillava, timidamente, il simbolo
dell’Equilibrio.
“Tu…Voi…siete
il Dio dell’Ordine! Siete il Dio
dell’Equilibrio!” balbettò Kasday e si
inginocchiò. Guardò il Dio negli occhi.
Anche se la loro luce era accesa e brillante, il suo viso era logoro e
consumato e sembrava svuotato dall’interno. Debole e malato,
l’Equilibrio si
stava arrendendo: stava morendo.
“Ma basterebbe solo che la
gente credesse in Voi…” esclamò
il demone, spaventato e addolorato nel vedere una divinità
ridotta in quello
stato.
“Ti sembra una cosa da
niente? Ti sembra una cosa facile,
Kasday? Sono tutte balle quelle storie che ti raccontano della potenza
degli
Dèi. In realtà noi divinità siamo
deboli, dipendenti dai mortali. Sono loro che
decidono chi di noi vive o no. Chi ha il diritto di regnare e chi
invece deve
spegnersi”.
“Ma è una cosa
stupida lasciare consumare le divinità
dell’Equilibrio e della Pace!” protestò
il demone.
“Non ho mai detto che i
mortali siano intelligenti! Scusa
ma…”.
La porta del Tempio si
spalancò, facendo entrare un vento
gelido. Tutte le candele si spensero e l’unica luce che
rimase fu il flebile bagliore
emesso dal Dio dell’Equilibrio. Avvolto dalle tenebre, Kasday
sapeva di non
avere più via di scampo. Il Kaos si stava avvicinando. In un
attimo, colto da
un improvviso istinto di sopravvivenza, il demone spiccò il
volo ed il Dio
dell’Equilibrio lo seguì. Salirono assieme
all’aperto, verso l’alto. Nonostante
il forte vento, la divinità restava in bilico sulla
sottilissima asta che stava
sulla cima della cupola. Afferrò il demone per mano e gli
parlò: “Hai ancora un
passaggio da compiere prima di poter essere ciò che devi.
Lui ti prenderà. Non
puoi farci niente. Ma un giorno tornerai, te lo prometto.
Provvederò io a
tutto!”.
“Che?! No!”
gemette il demone.
Kasday arrancò sulla
superficie liscia del tetto del tempio,
fatto con un materiale simile al vetro con centinaia di colori che
riflettevano
la luce del sole. Preoccupatissimo, dovette lasciare la mano del Dio e
scendere
a terra, in cerca del suo avversario. Era pronto ad affrontarlo, come
un
mortale affronta un Dio: senza speranza!
Il Kaos stava sulla porta del luogo
sacro. La Dea del
Destino lo vide e iniziò a salire lungo le scale, in cerca
dello scontro
diretto. Kasday cadde tra loro, seguito dal Dio
dell’Equilibrio.
Il demone sussurrò:
“Fai quello che devi, Dio. Falli
smettere. Io sono anche pronto a morire, ma tu falli
smettere”.
Si guardò rapidamente
attorno, cercando qualche volto
familiare. Vide Eleniel in lacrime. Pregava, a mani giunte, piangendo.
Rahahel
le stava accanto, nel cortile esterno del tempio. L’Arcangelo
guaritore
guardava il cielo e gli eserciti che si preparavano in esso.
Iniziò a pregare
con la collega, non poteva far altro.
Kasday li vide entrambi. Non
sono cambiati…sono cresciuti,
ma sono sempre loro. Amici miei!
Lo sguardo suo e quello di Eleniel si
incrociarono e lei lo
riconobbe: gli occhi di Kasday erano inconfondibili. Lo
chiamò per nome, ma
l’ex Serafino non poté udirla.
Nel frattempo, infatti, il Kaos gli
aveva abbassato il
cappuccio, mostrando a tutti i presenti il suo aspetto demoniaco.
Piombò il
silenzio. La Dea del Destino, a metà della scalinata, vide
padre e figlio
vicini. Pensò che ci fosse un qualche tipo di accordo tra i
due e non poteva
permetterlo!
Urlò al suo esercito di
angeli: “Demone! C’è un demone!
Nemico!”.
Tutte le creature angeliche
lanciarono un urlo di odio.
Kasday fu travolto,
dal Destino e poi da
molti angeli. Non riuscì a capire chi gli diede il colpo di
grazia. Riverso
sulle scale, boccheggiante e in agonia, sentì in lontananza
la voce di Eleniel
che lo chiamava.
Molte voci ripetevano il suo nome,
senza capire: “Kasday?
Come Kasday? Come può essere?”.
Il Kaos rideva: “Sono
felice che sia stata tu, Destino, mia
cara, a fare il lavoro sporco!” lo sentì dire
“E in quanto e te, sgorbietto, ti
spedirò in un mondo meraviglioso. Senza nessuna forma
magica! Così voglio
proprio vedere come riesci a tornare qui!”.
Il demone iniziò a
sussurrare parole che gli uscivano dal
cuore, in preghiera a qualcuno che stava più in alto. La
Guerra lanciò un
grido. Di rabbia, odio o paura.
“Mamma…”
bisbigliò Kasday.
“Non puoi sempre fare
quello che vuoi, Kaos! E nemmeno tu,
madamigella Destino!” si udì la voce
dell’Equilibrio.
“Taci, fratellino! Io
comando e tu stai buono!” gli rispose,
con rabbia, il Kaos.
Fratellino?
“Ci sarà sempre
qualcuno al di sopra di te! E prima o poi te
ne accorgerai!”.
Quella frase…
Il grido dell’Equilibrio si
fece sentire. Un vento sempre
più pungente avvolse le tre divinità,
dividendole. Kasday sentì sempre più
freddo e chiuse gli occhi, sorridendo: l’Equilibrio aveva
bloccato, per ora, la
guerra finale.
Il sangue del demone scorreva lungo i
225 scalini. Finché
poté continuò a mormorare parole di preghiera,
poi tacque: il suo cuore aveva
smesso di battere.
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Capitolo 13 *** XIII- senza magia ***
XIII
SENZA MAGIA
Con le cuffie dell’mp3, che
pompavano musica ad un volume
altissimo, ben fissate tramite un piccolo auricolare, il giovane dai
capelli
corvini salì le scale del suo nuovo appartamento.
Portava tra le braccia un piccolo
scatolone con tutte le sue
cose dentro. Girò la sottile chiave, leggermente ruggine, ed
aprì la porta.
Entrò nella sua nuova dimora, al terzo piano di un
condominio del centro. Aveva
iniziato l’Università e quello era il suo primo
giorno in un'altra casa.
Emozionato, poteva ora vivere da
solo, iniziò a mettere in
ordine i suoi oggetti. Svuotò la valigia con cura,
fischiettando e
canticchiando, con la sua voce dolce, ma per niente mascolina. Ballava,
anche,
e rideva. Si sentiva davvero felice.
Suonò il cellulare:
“Si? …Ah, ciao mamma! Ti avevo detto di
non chiamarmi subito! Sono fuori casa da solo due ore! Sì,
sì…l’appartamento è
carino. E non pago molto al mese. Torno da voi per il week-end. Adesso
vado. La
valigia non si disfa da sola e tra un paio d’ore ho la prima
lezione. Ciao!”.
Finì di riordinare le sue
cose ed uscì. Attraversò
la stradina pedonale di sassi che
circondava la sua nuova dimora. Sentiva l’aria
dell’autunno, con le prime
piogge e le foglie che mutavano il loro
colore. Alcune già iniziavano a cadere. Al ragazzo piaceva
l’autunno, anche se
gli metteva un po’ di malinconia nelle ossa. Guardando le
sfumature del cielo e
del verde del parco, che stava sulla sua destra, il giovane si
ritrovò a
pensare a quanto dovesse essere grandioso e magico il potere degli
Dèi, o di
Dio, non lo sapeva bene, per poter creare una cosa così
meravigliosa. Anche in
quel caso, però, poté notare quanto poco
importasse agli altri abitanti del
luogo questa magnificenza. Ovunque poteva scorgere cartacce, alberi
rovinati,
scritte oscene.. e l’odore dello smog e
dell’inquinamento.
Attraversò il parco,
zigzagando tra bimbi sorridenti e
chiassosi nei loro giochi, cagnolini scodinzolanti e coppiette in
atteggiamenti
compromettenti. Si chiese quanto tempo sarebbe durato l’amore
promesso
eternamente da quegli uomini e quelle donne. Sarebbe arrivato a
scorgere i
primi fiori della primavera o sarebbe morto con il gelo
dell’inverno? E quello
era davvero “l’Amore”?
Scacciò quei pensieri,
consapevole che non sarebbe mai
giunto ad una soluzione, ed affrettò il passo. Aveva chiesto
alla portinaia se,
gentilmente, poteva indicargli la via più breve per giungere
alla sua
Università. Seguì diligentemente le sue
indicazioni e, con la borsa sulla spalla
sinistra, trovò l’entrata. Era un edificio molto
antico, il ragazzo lo avvertì:
aveva un odore particolare, sapeva di “vissuto”.
L’arco d’ingresso, decorato in
pietra, portava una scritta in una lingua arcaica che dava il benvenuto
agli
studenti. Appena entrato, il giovane avvertì il profumo dei
libri e della
biblioteca.
Lo sentì familiare e
rassicurante perché era un odore che lo
accompagnava, il suo preferito.
Camminava lungo il corridoio,
cercando l’aula in cui avrebbe
avuto la sua prima
lezione. La trovò
dopo pochi minuti, guidato da vari cartelli, ed entrò,
appoggiando il suo
quaderno.
I suoi occhi azzurri esplorarono
l’ambiente e notarono che
molti lo fissavano.. o forse era solo una sua impressione. Un ragazzo
con i capelli
biondi gli si sedette accanto,
seguito da una ragazza dai capelli rossi.
“Ciao!”
salutò la
giovane, che aveva splendidi occhi verdi “Lui, questo
spilungone dai capelli
biondi, si chiama Samuael. Io sono Larian. E tu hai un nome, matricola,
o hai
solo due divini occhi azzurri?”.
La ragazza rideva ed il ragazzo, un
po’ imbarazzato, rispose
sottovoce: “Io sono Abramian. E mi fa piacere che ti
piacciano i miei occhi
azzurri, Larian. Avete entrambi nomi strani…”.
“Per me Abramian non
è normale. Samuael è relativamente
comune nella variante: Samuel” affermò il ragazzo
dai capelli biondi.
“Abramian è un
nome antico…” iniziò lo studente dai
capelli
corvini.
La ragazza lo interruppe:
“Presta attenzione alla lezione di
oggi. Si svolgerà la presentazione di tutti i corsi e gli
insegnati. Segui, in
particolare, quattro professori. Quando entrano, ti
indicherò quali” gli disse
Larian, con un sorriso.
Il ragazzo che portava il nome di
Abramian annuì. Si soffermò
a guardare la ragazza. Nonostante la temperatura, non molto elevata,
lei
portava una maglietta leggera che portava la scritta “Io non
sono qui” in
caratteri maiuscoli e in rosso. Spiccava
sul blu della stoffa. I jeans che indossava erano leggermente troppo
bassi e le
lasciavano scoperta l’ultima parte della schiena, mettendo in
evidenza la curva
dei suoi fianchi. Il ragazzo distolse lo sguardo ed osservò
Samuael. Aveva i
capelli ricci, lunghi fino alla schiena, tenuti con cura. I suoi
vestiti
parevano di una, o due, taglie più grandi. La felpa, nera
con la scritta
argento “Death Angel”, aveva le maniche che gli
coprivano le mani. Anche i
pantaloni erano troppo grandi e si allargavano nella parte finale,
coprendo del
tutto i piedi del proprietario. Aveva degli occhi scurissimi ed un
sorriso
splendido. Abramian lo guardava con curiosità.
“Siete anche voi al primo
giorno?” domandò il ragazzo, ai
due.
Fu Larian a rispondere:
“È come se lo fossimo. Diciamo che
ormai siamo di casa, conosciamo molto bene, quasi da una vita, alcuni
professori, ma non abbiamo mai seguito una lezione”
“E allora che fate qui, se
non seguite le lezioni?”.
“Siamo alla ricerca di una
persona. Ma finché lei non ci
chiama, non possiamo rivelarci”.
Abramian finse di comprendere e fece
un cenno con il
capo. Nella stanza scese il silenzio perché
stavano entrando i docenti. Erano sei, tre donne e tre uomini. I due al
centro
iniziarono a parlare ed a spiegare come si svolgevano i corsi e gli
esami.
Larian diede un colpetto alla spalla di Abramian e bisbigliò
al suo orecchio
“L’uomo sulla
destra è un po’ misterioso, ma è un
grande
maestro. La donna sulla sinistra ha un caratteraccio, ma se ti serve
qualcosa
lei è lì, pronta per te”.
Continuò Samuael:
“L’uomo sulla sinistra non è di tante
parole, anzi, non parla quasi mai. Ma sa più di quanto tu
possa immaginare. La
donna sulla destra è sempre di buon umore e sa sempre come
consigliarti”.
Abramian guardò le quattro
figure. Il primo uomo, accanto
alla porta, era molto, molto alto. Aveva tratti molto dolci, con occhi
grandi,
in parte celati da un paio di occhiali sottili, e capelli raccolti in
un
codino. Non pareva avere più di trent’anni ed
osservava gli studenti in
silenzio. La donna che gli sedeva accanto era accigliata ed assorta in
altri
pensieri. I capelli scuri, lasciati sciolti sulla schiena, spiccavano
sull’abito rosso. Giocava con la collana di grosse pietre
dure che portava
attorno al collo. Abramian ignorò i due che parlavano e si
concentrò sulle
figure di destra che gli erano state indicate da Larian e Samuael. La
donna
sulla destra, sorridente, era vestita di chiaro, con abiti larghi, e
teneva le gambe
incrociate. Scosse il capo, facendo brillare la chioma dorata. Anche
lei pareva
piuttosto giovane. L’ultimo insegnante, nell’angolo
destro, teneva le mani
incrociate davanti al viso ed i gomiti sul tavolo. Seduto, in abiti
scuri e
stivali, faceva ruotare velocemente gli occhi da una parte
all’altra. Aveva uno
strano sorriso, ambiguo.
Una volta finita la riunione di
presentazione dell’ateneo,
gli studenti si avviarono verso l’uscita.
Il giovane dai capelli corvini si
trovò subito a suo agio nella
scuola nuova e diede ragione ai suoi nuovi amici che gli avevano
indicato quali
professori seguire maggiormente: effettivamente quei quattro erano i
docenti
che preferiva. Giovani e pieni di argomenti interessanti, sapevano come
stimolare la sua fantasia e la sua concentrazione. Due di loro, la
donna in
rosso e l’uomo alto, insegnavano due tipi diversi di
letterature e scritture
straniere. La donna in chiaro era la docente di scrittura e traduzione
dell’Università. L’uomo in abiti scuri
faceva lezioni sui numeri, le formule e
la logica. Tutte e quattro le materie avevano connessioni strette tra
loro ed Abramian
ne avvertiva la magia, in ogni parola.
Mi piace questo posto, mi
piace la mia nuova scuola, mi
piace la mia nuova casa: mi piace la mia nuova vita!
Un pomeriggio, dopo un breve periodo
passato nel nuovo
ambiente, decise di tornare a casa in fretta. I primi fiocchi di neve
cominciavano a scendere ed un vento gelido sibilava da nord.
Arrivò a casa con il buio,
il sole tramontava presto in quel
periodo. Aprì la porta in cima alla rampa di scale che aveva
percorso
silenziosamente. Appoggiò le chiavi, come sempre, sul
piccolo tavolino
dell’ingresso ed accese la luce del breve corridoio che
divideva il cucinino
dalla sua stanza da letto. Notò che sul tavolo, oltre al
telefono, stava un
grosso volume verde scuro.
Da dove sbuchi tu?
È impossibile che non ti abbia mai notato fin
ora… Rigirò il libro fra le
mani. Vabbè…domani chiederò
alla portinaia. Magari è del proprietario
precedente. O forse sono passati i miei genitori a portarmelo e, non
trovandomi
a casa, l’hanno appoggiato qui.
Chiamò sua madre. Da lei
ebbe la notizia che quel libro non
apparteneva alla sua famiglia. Assonnato e stanco, decise di ignorare,
per
quella sera, il tomo misterioso, si spogliò in fretta ed
andò a dormire. La
mattina seguente, ancora in pigiama e davanti ad una tazza di
cappuccino con i
biscotti, riprese in mano il volume
misterioso. Iniziò a sfogliarlo e si mise a ridere: era un
libro di magia.
“Che
forte…chissà se funziona ‘sta
roba!”.
Pronunciò una piccola
formula che gli parve interessante: “Una
frase per poter comunicare con una creatura alata…magari
questa creatura può
aiutarmi con i compiti di logica” rise.
Lesse
le poche frasi,
scritte in corsivo. Che cretinata, si disse. Finita
la colazione, andò a
fare la doccia e gli venne di nuovo da ridere mentre l’acqua
scorreva sul suo
corpo. Scansò la tendina, che circondava la cabina in cui
scendeva il getto
d’acqua calda ed uscì. Sobbalzò, quando
vide un'altra persona allo specchio.
“Chi sei?”
urlò spaventato.
Si voltò per afferrare un
asciugamano ma, quando tornò a
guardare nella superficie riflettente, vide solo se steso.
Devo essermi svegliato
troppo presto…
Lasciò cadere
l’asciugamano azzurro ed iniziò a vestirsi.
Con il completo, in giacca e cravatta, si sentiva bene.
Avvertì la portinaia
del libro dimenticato ed andò a lezione.
Dopo le ore di studio decise di
prendersi una buona
cioccolata calda. Ma prima, si disse, vado
ad appoggiare la cartella
a casa e fece una piccola corsa fino al suo appartamento.
Fischiettava,
lungo le scale. La portinaia lo avvertì di aver informato il
proprietario
precedente di aver scordato un libro.
“Grazie!”
canticchiò il ragazzo. Chiuse la porta dietro di
se, si voltò, e cacciò un grido.
“Chi siete voi?”.
Tre figure, tre ragazzi,
pensò, stavano seduti attorno al
tavolo del suo cucinino. Avevano aperto tutte le tende, cosa che lui
non faceva
mai. Giocavano a “Non ti arrabbiare”, un gioco da
tavolo che l’universitario
aveva ricevuto in regalo per il compleanno.
“Non ti
allarmare” rispose uno dei tre intrusi, dai capelli
ramati “Non abbiamo cattive intenzioni”.
“Tu sei straniero. Hai un accento
strano!” notò subito Abramian.
“Che cosa ti importa sapere
da dove veniamo?” chiese il
secondo ragazzo, dai capelli biondi.
“Chi siete?”
tornò a domandare lo studente, con impazienza
“E come siete entrati in casa mia? Qui siamo al terzo piano.
Porte e finestre
sono chiuse a chiave”.
Il terzo ragazzo, dai capelli castano
chiaro, rimasto in
silenzio fino a quel momento, parlò con voce calma e
melodica: “Noi non siamo,
propriamente, fatti di materia fisica come a te piace intenderla.
Siamo, più
che altro…come dire…eterei!”.
Il giovane dai capelli corvini si
mise a ridere: “Sì,
sì…certo! Che cosa sareste? Fantasmi?!”
rise, quasi piegato in due.
Il ragazzo biondo
sussurrò, in una lingua che lo studente
non comprese: “Perché non ce lo portiamo via e
basta?”.
“Tu ci hai chiamato,
ragazzino!” sbottò la figura dai
capelli ramati.
“Io? E in che
modo?”.
“Con quel
libro…” risposero i tre intrusi, in coro,
indicando il grosso volume verde scuro. “Scherzate,
vero?” domandò Abramian “É
una specie di programma televisivo o stupidaggine organizzata? O cosa?
Che
buffonate dite? Vi piace sfottere? O, forse, ho capito…uno
di voi tre è il
proprietario del libro. Evidentemente ha fatto la copia della chiave, o
forse
gli ha aperto la portinaia, e adesso ve ne state qui a sparare
cazzate!”.
“In
effetti…” iniziò il ragazzo dai capelli
ramati “Il libro
ci appartiene. O meglio, appartiene a Vereheveil. A noi non
è concesso
rivelarci a voi, di questo Mondo, senza esplicito invito. Non sapevamo
come
poter parlare con te, se non tramite questo libro. Non abbiamo
abbastanza forza
magica per stare tanto tempo nella forma delle creature prive di questa
energia. Così abbiamo messo questo libro in casa tua.
Leggendo quelle frasi, ci
hai permesso di venire qui e di parlare di certi argomenti, occhi
divini. Ora
siamo qui, eccoci. E abbiamo molte cose di cui parlare”.
Il giovane dai capelli neri lo
guardò, scettico.
“E voi chi sareste?
Angeli?”.
“Beato chi crede senza
vedere…” bofonchiò il ragazzo biondo,
visibilmente scocciato.
“Ecco…tecnicamente…sì. Siamo
angeli” rispose il giovane
dai capelli castano chiaro.
Lo studente quasi si distese in terra
dal ridere: “Per
essere dei ladri, devo ammetterlo, siete molto creativi. Non ho mai
sentito una
storia più assurda!” rideva, piegato in due, e non
riusciva a smettere. Poi si
fermò. Espirò un paio di volte, e
tornò serio: “Ad ogni modo…ditemi i
vostri
nomi, signori. Chiamo la polizia. Questa è una violazione di
domicilio!”.
I tre intrusi si guardarono,
sospirando.
“Dai…!”
iniziò il ragazzo dai capelli ramati
“…una volta non
eri così scettico!”.
Una volta? Intendi quando
ero bambino?
“Te lo dicevo, io, che
questi sono difficili da convincere.
Fidati di me, una buona volta, che ho una certa esperienza. Sono
cocciuti e
razionali. La magia e le divinità non rientrano
più nelle loro credenze!”
sbottò il biondo “Avevo anche suggerito di
risolvere il problema con una botta
in testa e…”.
“Stai calmo, Gibrihel.
Ringrazia il fatto che stai lontano
dai tuoi gigli per mezza giornata!” lo ammonì il
castano chiaro, che ora si era
messo seduto sul tavolo, a gambe incrociate.
“Tu! Tu sei
l’Arcangelo Gibrihel?” chiese lo studente.
Il biondo, sistemandosi i capelli, si
alzò e si avvicinò al
ragazzo: “So che può non
sembrare…”.
Fu interrotto da una fragorosa risata
e dalla frase: “Ma
dai! Gibrihel in jeans e camicia!”.
Continuava a ridere. I tre giovani
non avevano proprio nulla
che potesse collegarli al mondo degli angeli. Portavano dei jeans scuri
e delle
camicie bianche, con un piccolo ricamo rappresentante un occhio sopra
al cuore.
Dietro ai jeans, al proprietario dell’appartamento parve di
scorgere un disegno
di ali. I loro capelli erano curati, profumati, e ricadevano sulle
spalle. Il
biondo aveva dei ricci particolarmente definiti e il giallo oro, che li
colorava, risplendeva. Il ramato aveva ricci lungo il viso, ma sulla
schiena
erano a onde a malapena accennate. Il castano chiaro aveva ciuffi
voluminosi e
morbidi, che accarezza spesso, forse era nervoso per qualche motivo.
“Mostratemi le ali, grandi
angeli, o sparite da casa mia.
Macché polizia…qui ci vuole la
psicanalisi!” affermò lo studente.
Il biondo si morse il labbro,
reprimendo un certo fastidio: “Adesso
gli spacco la faccia” sussurrò, ma
continuò a sorridere.
“Non ci sarebbe concesso
mostrare le ali senza un permesso
specifico…” iniziò il ramato.
Continuò il giovane seduto
sul tavolo: “Ma pare che questa
sia una situazione di emergenza. Non vedo altre
soluzioni…”.
I tre si misero uno accanto
all’altro. Alzarono gli occhi,
che divennero del tutto bianchi, al cielo, e aprirono le braccia. Sulle
loro
schiene apparvero le ali, strappandogli le camicie candide. Su due di
loro le
piume apparvero dorate, sul terzo argento. Poi si tolsero i brandelli
di
vestiti con due dita.
“Che casino abbiamo
combinato…”.
Le loro penne sfioravano il soffitto
ed avevano rovesciato
alcuni oggetti dalle mensole e rotto dei piatti. Le piume degli alati
si
sparsero per la casa, con la loro luce e la notevole grandezza. Un
piccolo vaso
in ceramica si frantumò in mille pezzi.
“Scusa…”
sussurrò l’Arcangelo sceso dal tavolo.
“Non fa
niente…non era mio…”
balbettò lo studente, che era
caduto all’indietro dallo stupore. Seduto in terra, guardava
i suoi ospiti con
occhi spalancati.
“Hai sempre gli stessi
occhi. Non sono cambiati. Di un bell’
azzurro. Azzurro/Kaos!”.
“Cos’è
l’azzurro/Kaos?” chiese, timidamente, lo studente
dai
capelli corvini.
I tre alati sorrisero.
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Capitolo 14 *** XIV- L'ospitalità di Abramian ***
XIV
L’OSPITALITA' DI
ABRAMIAN
Piume giravano per la casa. I tre
angeli si sedettero sul
tavolo, stando attenti a non urtare altri oggetti poiché
già abbastanza cocci
giacevano sul pavimento.
“Adesso ci
credi?”.
Il ragazzo annuì:
“Sedetevi. Accomodatevi. Posso…non
so…offrirvi un tè? Continuate pure a
giocare…non volevo interrompervi…”.
Il castano chiaro scese dal tavolo.
Si sistemò i pantaloni
scuri e porse la mano allo studente, ancora scosso. Lo fece alzare.
“So che non ci ricordi. Io
sono Rahahel, lui è Samhian e lui
e Gibrihel”.
“Quei Rahahel e
Gibrihel?” sussurrò il ragazzo dai capelli
corvini, un po’ impaurito.
“Che storie si raccontano
da ‘ste parti su di noi?” domandò
Gibrihel, sottovoce, a Rahahel. L’Arcangelo non aveva idea di
che cosa dire.
Alzò le spalle.
“Chiedi al
capo…” fu la sua risposta.
“Bando alle ciance!
Abramian ti chiami, giusto? Dobbiamo
portarti via con noi!
Hai un importante
missione da svolgere!”.
“Dio mi vuole?”.
“Mmm…uno dei
tanti, in effetti, sì! Anzi…più di
uno! Ma ogni
cosa a suo tempo…”.
Samhian fece un passo avanti. Portava
una borsa a tracolla:
“Io sono un Messaggero, un angelo che porta i messaggi degli
Dèi. Ma le
divinità non mandano tanti segni diretti nel tuo Pianeta,
così non lo conosco
molto bene. Ho dovuto chiedere a Gibry se mi accompagnava. Infondo
lui…da
queste parti ha girato parecchio e se la cava!”.
Gibrihel fece il segno della vittoria
con le mani, pieno di
entusiasmo: “Sì, me la cavo! Anche se voi, senza
magia, avete una vita così
breve! Fate sì che ogni volta che passo di qui mi ritrovo
tutte le cose
scombinate! Vi lascio un paio di secoli ed ecco che nulla è
come prima! Le
architetture e i visi cambiano così in fretta! E anche voi
cambiate…una volta
eravate così adorabili e connessi alle divinità!
Oggi invece…vabbè…”.
“Immagino…poveri
voi! Ma, quindi, finché uno di noi, definiti
senza magia, non vi chiama, voi non potete comparire?”.
Il ragazzo e i tre angeli iniziarono
una serie di domande e
risposte. Abramian chiedeva e i tre davano spiegazioni, a turno.
“Non è
esattamente così…nel tuo Mondo ci sono un sacco
di
creature angeliche e demoniache”
“E tra di voi non
litigate?”.
“No. Che ci importa di
litigare? Certo…a volte capita! Ma,
personalmente, io litigo anche con gli angeli. Non dipende dalla
specie, ma dal
carattere” disse Gibrihel.
“Ma i demoni non sono
creature malvagie? E gli angeli non
sono coloro che devono farli stare lontani dai deboli, in modo che non
vengano
fuorviati verso vie di crudeltà?”.
“Stronzate!”
esclamarono i tre, in coro “Sono le nostre
divinità che litigano e si impicciano degli affari degli
altri! In realtà, come
disse Gibrihel, dipende dal carattere. Ci sono angeli che prenderei a
sprangate
e demoni a cui offro volentieri una birra. Poi, ovvio, in presenza dei
capi e
degli Dèi dobbiamo stare l’uno contro
l’altro. Qui siamo in un Pianeta
neutrale, si può dire. Non c’è un Dio
predominante. E perciò siamo abbastanza
tranquilli, lontani dalle guerre” precisò Samhian.
“Quanti angeli e demoni ci
sono per il mio Mondo?”.
“Tantissimi! Ad
esempio…hai presente il tuo professore?
Quello alto, alto? Quello è Metatron! Un angelo. E i tuoi
amici, quelli del
primo giorno di Università? Samuael in realtà
è Samael, un Arcangelo. Larian è
Lamian, una demoniessa. E posso andare avanti…”
iniziò Rahahel.
Il ragazzo rimase molto stupito.
Immagino che anche gli altri
tre miei docenti siano
angeli e demoni…incredibile!
“Come
mai,
Rahahel, tu sei qui? Sei l’Arcangelo guaritore, protettore
dei viandanti e dei
matrimoni…”.
“So chi sono! Vedrai in
seguito che cosa ci faccio qui…”.
“Certo che…ce ne
hai messo di tempo per rinascere!” esclamò
Samhian, e continuò “Per fortuna ti abbiamo
trovato appena in tempo!”.
“Non
capisco…”.
“Lo so. Comunque, come
detto, io sono un Messaggero. E ti
porto una comunicazione da parte dell’Equilibrio. Io non sono
il suo Messaggero
personale, ma lui ha preferito mandare me. Colui che svolge quel
compito ha
voluto rimanere
accanto al suo padrone,
che sta molto male. Sta morendo”.
“Il Dio
dell’Equilibrio sta morendo?”.
“Sì.
È molto debole. E ti manda a chiamare”.
“Me? E
perché?”.
“Non te lo so dire. Ho il
compito di portarti da una persona
che ti aiuterà a ricordare alcune cose ed a
raggiungerlo”.
“Cosa ne sai
dell’Equilibrio e di cose simili, Abramian?”
chiese Gibrihel.
“A parte il fatto che
è una condizione di stabilità in
fisica…nulla di più. Immagino sia una
divinità, ma non saprei dire molto altro.
Gli affari religiosi non mi riguardano…”.
I tre angeli risero.
“Me ne
ricorderò! Questa frase, detta da te…”
iniziò
Rahahel.
“Perché? Che
c’è?”.
“Niente. Ricorderai presto.
Avete ancora templi o cose
simili con i simboli delle divinità?”.
“Sì, ma non ci
vado spesso”.
“Preghi mai, anche se non
nei templi?”.
“Sì, il Dio
della Letteratura e delle Lingue, la maggior
parte delle volte. Poi dipende dai casi…perché?
Che vi importa?”.
“Tu sai che non
c’è una divinità principale che governa
questo Pianeta?”.
“Fin lì ci
arrivo! Questo Mondo è un casino!”.
Con un sorriso Samhian
ricominciò il suo discorso: “Dobbiamo
portarti in un altro Mondo, Abramian. Lì ci sarà
il Dio che tu preghi che ti
farà tornare la memoria grazie all’uso di un
libro. Voleva venire di persona,
ma poi ha scoperto che quel rituale può essere svolto solo
tenendo quel libro
tra le mani, non recitando a memoria. E il proprietario del volume
è molto
possessivo e non concede che venga portato fuori dalla sua biblioteca.
È molto
geloso della sua roba”.
“Oh, si! È
geloso di tutto! Ma non di sua moglie…”
commentò,
acido, Gibrihel.
“Dove mi volete
portare?”.
“Oh, in un bel posto! Ci
sei già andato. Nel palazzo di
Luciherus”.
Il ragazzo guardò i tre
con occhi sgranati: “Cosa?!”
balbettò “Quel Luciherus? Il Principe? Il Vice del
Kaos? Un demone?”.
“Lo conosciamo, non serve
che ce lo descrivi!”.
“E voi volete portarmi da
lui? Non se ne parla!!”.
“Perché no?
Dopotutto siete amici…”.
“Come, scusa? Io? Amico di
un demone? Amico di QUEL demone? !
L’avete detto voi che la mia vita è breve, non
accorciamola ulteriormente, per
favore! In fondo mi và di vivere ancora un
po’…”.
“Il libro è nel
suo palazzo”.
“Bene.
Fotocopiatelo!”.
“Divertente! Avanti,
andiamo!”.
“No! Non
voglio!”.
Il giovane Abramian
protestò vivacemente, ma i tre angeli,
di parecchi centimetri più alti di lui, lo afferrarono
saldamente. Con una
formula, di poche parole, aprirono le finestre
dell’appartamento e lo
trascinarono fuori, volando via. Il ragazzo si dimenava in cielo,
scalciando
con le gambe. Samhian guidava il corteo, Rahahel e Gibrihel tenevano,
uno per
braccio, strettamente, Abramian. I capelli corvini
dell’essere privo di magia
si spettinavano al vento ed i suoi occhi, grandi e azzurri, bruciavano,
colpiti
dall’aria. Iniziò prima ad inveire contro i tre
angeli e poi proferì pesanti
offese contro tutte le divinità che gli venivano in mente.
“Fai silenzio! Non hai idea
di chi stai offendendo!” lo
rimproverò Samhian, prima di aprire il portale grazie al
quale cambiarono
Mondo.
“Che vuoi che me ne freghi
di chi sto offendendo! Mettetemi
giù!” sbraitò il ragazzo.
“Come vuoi!”
esclamò Gibrihel e lasciò andare il braccio di
Abramian.
Rahahel, non in grado di reggere il
peso del ragazzo tutto
da solo, precipitò al suolo. Sbatacchiò le ali
inutilmente e cadde di faccia,
bestemmiando. Abramian, invece, batté la schiena e quasi
svenne.
“Sei proprio un bastardo,
Gibry. Io l’ho sempre detto!”
sussurrò Rahahel, con rabbia.
Si rialzò, sistemandosi le
ali. Gibrihel atterrò dolcemente,
si riassettò le ali e, con aria civettuola, si
passò una mano sui capelli
spettinati. Poi tornò a concentrarsi sulle sue piume, che
lisciò con cura.
“Che botta!”
bofonchiò Abramian.
Tentò di rialzarsi ma non
gli riuscì semplice. La gravità
del Mondo dei demoni lo schiacciava al suolo, come in una morsa. Si
sentiva
soffocare, gli mancava l’aria. Rahahel gli
appoggiò una mano sulle costole,
permettendogli di ispirare di nuovo.
Il giovane riuscì a
sussurrare: “Mi hai…”.
“Guarito? È il
mio compito. Ora alzati”.
Il ragazzo si accorse di essere
caduto su un pavimento nero,
lucido. Alzò gli occhi: una donna bellissima, pallida, lo
guardava.
“Madama Lilith”
sussurrò Samhian “Lo abbiamo portato, come
aveva ordinato Vereheveil”.
“Lo so. Lo vedo!”
rispose lei “Il mio compagno arriverà a
momenti. Vedetevela con lui. Io non voglio avere niente a che fare con
certe
cose!”.
Si inginocchiò. Lo
studente dai capelli corvini non voleva
alzarsi. Lei gli bisbigliò nelle orecchie qualcosa:
“Io e te abbiamo un affare
in sospeso. Ci rivedremo presto!”. Poi si rialzò,
coperta, come sempre,
solamente dal serpente.
Il giovane rimase profondamente
turbato da quell’incontro,
ma cercò di non farlo notare ai tre angeli, che parevano
impassibili davanti
alla bellezza della demoniessa. Lei uscì dalla stanza ed al
suo posto entrò
un'altra figura. Si sentirono rumori di tacchettini sul pavimento.
Luciherus!
Abramian rimase a terra, guardando il
pavimento.
“Sempre con la sigaretta in
bocca!” sentì dire.
“Non rompere
Gibrihel!”.
Quella voce. Così bassa e
sinistra…doveva appartenere al
Principe! Il ragazzo rabbrividì.
“E sei sempre
così irascibile!”.
“Certo! Stavo per terminare
l’ultimo livello di un gioco su
cui sto concentrato da anni! Una vera tortura! Ma poi siete arrivati
voi,
rompini!”.
Stava giocando? A cosa? Alla
play station?
“Ho dovuto chiudere
tutto!”.
Poi ci fu silenzio.
“Che fai, lì in
terra? Cerchi formiche? Guarda che non ce ne
sono!”.
Il Principe stava parlando ad
Abramian, che ancora non si
alzava. Il ragazzo non fu in grado di rispondere.
Io non dovrei essere qui.
Adesso muoio. Non voglio essere
qui! Voglio tornare a casa!
Gli veniva quasi da piangere.
Forse è tutto un sogno.
Adesso mi sveglio…devo svegliarmi…
“Spero che il mio capo non
mi distrugga per averlo fatto
venire qui” si sentì dire dall’Arcangelo
caduto.
“Grazie a te, per non
distruggere noi!”
“Non istigarmi, Gibrihel! E
sappiate che non lo faccio per
voi, pennuti, ma per lui!”.
Per me?
Il
ragazzo
alzò gli occhi, osservando Luciherus. Era vestito elegante,
come lui. I capelli
erano raccolti con un nastro e la sua coda nera frustrava
l’aria. Per il
nervosismo, pensò Abramian.
“Portiamolo in biblioteca.
Vereheveil è là”.
Lo studente si sentì
sollevare da terra. Il Principe lo
aveva afferrato con la coda e lo aveva rimesso in piedi.
“Certo che…sei
piccolino in quest’ultima rinascita! Che nome
hai ‘sta volta?” commentò il demone.
“Io…non
capisco…comunque…mi chiamo Abramian”.
“E che nome è?
Terribile!”.
La coda del Diavolo continuava ad
agitarsi di qua e di là,
come quella di un felino nervoso. A volte sbatteva sul pavimento con
forza,
lasciando dei segni.
“Seguimi!”
ordinò il padrone di casa al ragazzo, che
continuava a guardarsi attorno smarrito. Srotolò la coda dal
ventre del giovane
che lo seguì, in silenzio. Abramian notò come
continuasse a dimenarsi ed a
frustare nervosamente l’aria.
“Io sono immortale,
piccioni giganti. Ma questa condizione
resta invariata solo finché Lui, il Kaos, me lo concede. Se
finirò nei guai per
colpa dei vostri casini, ve la farò pagare! La battaglia
finale è vicina!”
sibilò il Principe, rivolto ai tre angeli.
“Effettivamente…potevamo
fare a meno di ucciderlo l’ultima
volta…”.
Ucciderlo? Uccidermi?
“Adesso sparite, piumini.
Tornate a girarvi i pollici nel
vostro Mondo. Qui ci pensiamo io e Very!” esclamò
il demone.
“Come sei
gentile…” commentò Rahahel.
“Se vuoi ti mordo! Quello
è essere gentili! E ti avverto
che, come demone, ho dei gran bei dentini! Dite a Mihael che non vedo
l’ora di
rincontrarlo per poter spaccare il suo bel faccino!”.
Rahahel e Gibrihel annuirono, con una
risata. Scossero il
capo: il Principe non sarebbe mai cambiato! E Poi i due Arcangeli
volarono via.
Luciherus e lo studente entrarono in
biblioteca. Samhian li
seguì in silenzio, e si rintanò in un angolo.
“Very?”
chiamò il demone “Dove sei? Ti ho portato un
regalo!”.
Abramian era molto spaventato: non
c’erano più gli angeli a
proteggerlo! Intravide una luce verde/azzurra proveniente da dietro uno
scaffale e Vereheveil spuntò. Era altissimo, sfiorava il
soffitto. Senza ombra
di dubbio, quella creatura era un Dio. I suoi occhi d’oro
risplendevano e le
ali nere parevano incastonate di smeraldi. Il Dio della Letteratura si
avvicinò
al ragazzo, con un libro in mano e la creatura senza magia si
inginocchiò.
Un Dio! Di fronte a me sta
un Dio! Deve essere un sogno!
Vereheveil sospirò.
Rimpicciolì, per essere della misura
giusta per guardare l’amico negli occhi.
“Grazie” gli sussurrò Luciherus.
Il Dio iniziò a leggere:
“A’ liem àminòra,
àliem levinòra,
àliem manui sien…”.
Il ragazzo dai capelli corvini
ricordò. Kasday ricordò..e guardò
Vereheveil negli occhi.
“Da quando sei un
Dio?” chiese, dopo un attimo di silenzio,
per riordinarsi le idee.
L’amico gli sorrise.
“Te lo spiegherò” rispose, allargando
le braccia per ricevere un forte abbraccio.
L’angelo dalle ali nere
portava sempre gli stessi disegni
sul viso: i raggi di sole nero. Solo che ora non erano più
dipinti, ma bensì
tatuati permanentemente. L’ex Serafino/demone chiese
spiegazioni.
“Ho iniziato a disegnarmeli
sul volto quando sono giunto per
la prima volta nel regno dei demoni. Un giorno, qualcuno, mi ha fatto
notare che
sembravano i segni delle lacrime. Così, quando sono
diventato un Dio, ho deciso
di mantenerli come segni fissi. Molti Dèi hanno tatuaggi e
disegni che li
rappresentano. I miei simboleggiano il dolore e le lacrime che ho
versato”.
“Per colpa mia?”.
“Anche. Ma non importa: ora sei
qui”.
Poi Kasday osservò
Luciherus: “E tu? Sei…più
adulto…più
grosso e più…uomo…”.
“Ah, grazie!
L’ultima volta mi hai detto che ero grasso e
‘sta volta mi dai del vecchio! Troppo buono!”.
“No! No! Non voglio
offenderti! Stai bene così! Cioè…dico
sul serio! I tuoi occhi risaltano e…”.
“Ok! Adesso basta! Smettila! Basta,
pietà! Concentrati su qualcos’altro!”.
Il Principe distolse lo sguardo e si
allontanò leggermente
da Kasday. Vereheveil tornò ad abbracciare
l’amico, con trasporto, quasi
buttandolo in terra. Ridevano. Dopo un piccolo bacio iniziarono a
raccontarsi
le loro storie.
“Mi sei mancato tanto,
Kasday. Dicevano che saresti rinato,
ma non riuscivamo ad individuarti. Poi, un giorno, Lucy ti ha visto
all’Università!”.
“Cosa ci facevi
all’Università, tu?”.
Il demone si sistemò la
cravatta, con un largo sorriso.
Pronunciò alcune parole nella lingua dei demoni che fecero
sparire le sue
corna, le sue ali e la sua coda. Ora assomigliava ad un abitante del
Mondo
delle creature senza magia.
“Oh…il mio
professore di logica!”.
“Già. In
principio ero passato per di lì solo per una
conferenza sugli esorcismi, ma poi ti ho visto. I tuoi occhi sono
rimasti
immutati. Non ho avuto bisogno di chissà che trucchi per
risultare il miglior
candidato per il posto di docente. L’ho fatto per
te…” sorrise.
Kasday si sentì un
po’ turbato all’idea di quel demone che
fa una conferenza in mezzo a tutte quelle creature dalla vita breve e
fragile.
Chiese perché non era stato il demone a portarlo via, quando
l’aveva visto,
invece di farlo trascinare a forza, in quel palazzo, dagli angeli.
“Vedi, Kasdy, ci sono delle
regole…” iniziò a rispondere il
demone “…tecnicamente, gli abitanti dei vari Mondi
non dovrebbero interferire
in alcun modo l’uno con l’altro. Agendo di mia
volontà, senza la richiesta di
un Dio, sarei stato punito. Aspramente. Tornato in questo mio Pianeta,
ho
avvertito Vereheveil”.
Fece un piccolo inchino al Dio, con
un sorriso. “Che ti
racconti lui gli altri dettagli” concluse.
Il Principe invitò i due a
sedersi. Con un urlo, profondo e
infuriato, fece giungere al suo cospetto un piccolo diavoletto e gli
ordinò di
portargli da bere. Dopo un piccolo sorso di tè, Kasday si
sentì più tranquillo
e rilassato.
“Perché noi
tè e tu liquore?” chiese il giovane portatore
degli occhi del Kaos.
Il demone sorrise: “Intanto
tu, mortaluccio deboluccio, non
lo reggeresti! E poi perché a me, se un liquido non brucia
in gola, neanche lo
considero. Minimo 60 gradi! O non se ne fa niente! Dammi del pazzo, ma
a me
piace così!”.
L’ex Serafino,
nonché ex demone, finì il suo tè.
“Certo
che…” ricominciò a parlare
“…ti sei incattivito nel tempo. Hai trattato
davvero
male quel povero diavoletto che c’era qui prima. Non serviva
urlargli contro!”.
“Gli ho solo detto di
muoversi! Niente di che…però hai
ragione. Con gli anni sono diventato più brontolone.
È l’età!”.
“Quanti anni sono passati
da quando…sono morto l’ultima
volta?”.
“Mmm…millenni.
In effetti è passato tanto tempo. Il potere
del Kaos è aumentato ed è riuscito a ritardare a
lungo la tua rinascita, ma
alla fine le cose sono andate come era stato
deciso…”.
“Voglio sapere cosa
è successo!”.
Vereheveil iniziò a
parlare: “L’Equilibrio è riuscito a
bloccare, per un po’, la situazione. Ha disperso le energie
delle due divinità
che si combattevano, rimandando lo
scontro finale. Ma ora la forza dei creatori Kaos e Destino
è di nuovo
aumentata. Presto si ritroveranno l’uno contro
l’altro, pronti a schierare i
loro eserciti ed i loro Mondi nello scontro finale. Inoltre hanno
formato
attorno ai propri corpi una barriera, in modo che la
loro forza non possa più essere dissolta.
Ero a pezzi quando seppi della tua morte. Pregai
l’Equilibrio, giorno e notte, per
giorni interi. Pregai Lui e la Pace, anche se la sua luce era ormai
spenta.
Pregavo che qualcuno ti riportasse da me e, una sera, lui mi apparve.
Mi apparve
il Dio dell’Equilibrio e mi invitò nel suo
palazzo”.
“Raccontami tutto, amico
mio”.
Vereheveil iniziò a
raccontare.
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Capitolo 15 *** XV- L'equilibrio del passato ***
XV
L’EQUILIBRIO DEL
PASSATO
“Dio Equilibrio, io sono il
vostro servo, Vereheveil. Sono
tanto confuso. Vorrei ringraziarVi per la momentanea tregua. Ma vorrei
anche
chiederVi un immenso favore. Ascoltate la mia preghiera. È
l’unico sogno e
desiderio che ho ora. Vi prego: fatemi andare dalla persona che amo!
Fatemi
morire. Pregate la divinità della Morte affinché
mi porti via con sé. Fatemi
andare via da qui, fate come volete, ma io non voglio restare senza di
lui. Non
di nuovo. Vi supplico…”.
Così pregava Vereheveil,
subito dopo la tregua della guerra.
Stava accoccolato, stringendosi le
braccia attorno al busto,
e si stringeva forte, con il capo rivolto a terra. Ondeggiava,
spaventato,
mentre la sua bambina rientrava al tempio, in cerca di riparo dal
freddo. Nel
silenzio e tra le lacrime, l’angelo avvertì una
presenza alle spalle.
“Non piangere,
Arcangelo” si sentì dire “Ogni cosa a
suo
tempo. Ogni cosa nel modo giusto. Vieni con me”.
Una voce vellutata, a metà
fra quella di un uomo e di una
donna, lo rassicurava.
L’angelo dalle ali nere
girò lo sguardo ed una piccola
lacrima scese dai suoi occhi dorati. Vide il Dio
dell’Equilibrio, in piedi,
accanto a lui. Vereheveil chinò il capo, con riverenza, ed
il Dio gli porse la
mano e lo fece alzare. Chiamò per nome la bambina, che corse
appresso alla
divinità, rassicurata dai suoi occhi dolci. Il bastone
dell’Equilibrio batté
due volte in terra e i tre si ritrovarono nel palazzo del Dio.
Che posso fare per un Dio
come lui? A che cosa posso
servirgli io? si chiedeva Vereheveil.
Il padrone di casa invitò
gli ospiti a sedersi ad un tavolo.
Alla bimba fu portata una cioccolata e una specie di girandola con cui
giocare,
mentre i due adulti iniziarono a conversare tra loro.
“Quante lingue conosci,
Vereheveil?” domandò l’Equilibrio in
una idioma ibrido fra quello degli angeli e quello dei demoni, che
l’angelo
nero comprese.
“Beh..ecco..vediamo..angeli,
demoni, creature senza magia,
relativi dialetti ed un paio di linguaggi di altri Mondi. Credo che, a
conti
fatti, siano una trentina. Più o meno”.
“E sai anche
leggerle?”.
“Sì. E
scriverle”.
“Bravo. E in quanto tempo
impari una lingua nuova?”.
“Un paio di settimane.
Massimo un mese”.
“Straordinario!
Senti…sarò schietto con te. Sto per farti
una richiesta su cui voglio che tu rifletta: vorresti essere un
Dio?”.
“Io, un Dio?”
Vereheveil lo guardò con aria molto stupita
“Vi sentite bene?” chiese.
Il Dio sospirò:
“No. Effettivamente non sto
molto bene. Ma la proposta che ti ho fatto
è seria”. Deve essere un sogno. Uno
scherzo. Io non posso essere un Dio!
“Che
devo
fare? E che Dio sarei? Se decido di rispondere in modo
affermativo…”.
Il Dio si appoggiò alla
sedia, pareva davvero molto stanco.
Il suo angelo Messaggero si avvicinò e appoggiò
una mano sulla spalla del suo
padrone, con aria preoccupata. Sussurrò alcune parole, che
Vereheveil non
comprese, nelle orecchie del Dio che, con un gesto della mano, lo
allontanò.
Il Messaggero non volle andarsene.
L’Equilibrio allora lo
rassicurò con alcune parole bisbigliate che lo fecero
desistere dall’idea di
far riposare il suo capo.
“Erezehimsay, mio
Messaggero, sto bene. Sta tranquillo. Ora,
però, devo parlare con questo giovane, se non ti dispiace.
Resta, se vuoi, ma
non costringermi a fermarmi finché non ho finito di spiegare
ogni cosa”.
Il Messaggero chinò il
capo, con un inchino si allontanò, rassegnato,
anche se si vedeva che era ancora molto preoccupato.
“Tu, Vereheveil, saresti il
Dio delle Letterature e delle
Lingue. Attualmente è la Dea delle Parole che svolge questo
compito, ma ha una
quantità eccessiva di lavoro e mi piacerebbe che tu potessi
sgravarla da parte
dei suoi impegni. Se te la senti”.
L’angelo rimase turbato e
stupito. Io?
“Per poter diventare un
Dio, verrai addestrato da me. Ti
insegnerò alcune cose e poi potrai sostenere un esame alla
presenza degli Alti.
Saranno loro a decidere se sarai in grado di svolgere quel ruolo
divino. Se
riuscirai a superare le diverse prove che ti proporranno, diverrai un
Dio,
sarai immortale e potrai aspettare Kasday attraverso i secoli. Fino al
suo ritorno.
Potrai aiutarlo a…”.
“Accetto!”
interruppe Vereheveil “Dove devo firmare?”.
Il Dio sorrise. “E mia
figlia?” chiese, poi, l’angelo.
“Sarà la tua
Messaggera. Anch’essa immortale, finché
l’essenza di ciò che rappresenti
esisterà”. L’Equilibrio si
alzò a fatica,
aiutandosi con il bastone. Nonostante il suo aspetto, giovane,
respirava a
fatica: “Ora ti lascio, Vereheveil. Cominceremo domani
mattina. Il mio
Messaggero ti indicherà la tua stanza. Io vado a riposare,
se non ti spiace. È
stata una giornata snervante e alquanto stancante. Ci
rivediamo…”.
L’Equilibrio se ne
andò, con il Messaggero che lo
accompagnò, per poi tornare per condurre Vereheveil e la
figlia in una delle
lussuose camere dell’Equilibrio. Sembrava che quelle stanze
fossero deserte da
tempo, il silenzio era pressoché totale e l’angelo
avvertì tutta la tristezza e
la debolezza del padrone di casa. Erezehimsay era parte di quella
tristezza e
di quella debolezza. Un Messaggero dolce, anche se dall’aria
malinconica.
Nonostante il suo nome portasse il significato di “Sempre
sorridente”, aveva
iniziato a divenire sempre più serio da quando il suo Dio si
era ammalato e
indebolito. Lasciò gli ospiti da soli e tornò
dall’Equilibrio.
Al sorgere del Sole, Vereheveil
iniziò l’addestramento.
Montagne di libri, volumi e pagine da leggere, tradurre,
imparare… Nel giro di
pochi mesi riuscì a comprendere ed a parlare la lingua degli
Dèi, pur non
uscendo mai dal palazzo dell’Equilibrio, ma semplicemente
ascoltando le parole
che il padrone di casa rivolgeva al suo Messaggero. I due parevano
davvero
buoni amici. Parlavano e leggevano insieme per ore e Vereheveil
avvertì tra
loro un legame molto simile a quello che teneva uniti lui e Kasday.
Sospirò a
quel ricordo e tornò a studiare. Non poteva mai uscire, non
perché non volesse
o non potesse, ma perché le altre divinità della
Città degli Dèi non volevano
avere contatti diretti con i protetti del
“Neutrale”. La paura dell’ira della
Dea del Destino e del Dio del Kaos era forte perfino fra le
divinità, tanto forte
da tentare in ogni modo di emarginare l’Equilibrio, che non
si schierava, ma
combatteva entrambi. Vereheveil era sotto il suo controllo e quindi,
per gli
altri Dèi, era una persona da evitare.
Il palazzo del Dio
dell’Ordine era distante dalla città. Si
erigeva su un’altura che permetteva di scorgere tutte le
altre case con i loro
rispettivi simboli. Vereheveil iniziò ad imparare molto
presto tutti i glifi
dei vari Dèi, che si illuminavano quando i proprietari erano
presenti. Ogni Dio
un colore ed una luce, ogni palazzo una diversa tonalità.
Sapeva che il Kaos ed
il Destino, i due creatori, avevano altri edifici personali sparsi nei
vari
pianeti che avevano sotto controllo.
Quel pomeriggio, dopo lunghi anni di
addestramento,
Vereheveil vide che i loro due simboli erano spenti. Chissà
dove sono, in
questo momento, a litigare.
Sentì
la voce
dell’Equilibrio: “Sei pronto per andare. Il
Messaggero degli Alti sta per
venire a prenderti. Affronterai la prova finale, dopo anni di lezione.
Secondo
me sei pronto. Ti auguro buona fortuna…”.
Vereheveil si sentì molto
nervoso. Respirò lentamente,
tentando di restare posato e tranquillo. Cosa potevano chiedergli? Cosa
avrebbero potuto fargli fare? Fu portato nel Mondo degli Alti, Samhian lo venne a prendere. Da
buoni amici si
salutarono, con un breve abbraccio e un largo sorriso, e
l’angelo nero si sentì
più tranquillo con l’amico vicino.
Il palazzo delle Alte
divinità spaventò Vereheveil. Enorme,
gigantesco, pieno di luci e di ombre,
di sogno e realtà, lo
faceva sentire insignificante. Venne
guidato fino ad un salone centrale, riccamente decorato. Al centro se
ne stava
una figuretta minuta, dai lunghi capelli biondi.
“Eleniel!”
urlò Vereheveil, riconoscendola “Sei proprio
tu?”.
Eleniel si voltò:
“Vereheveil!” gli sorrise.
I due si abbracciarono con gioia:
“Cosa ci fai qui, angioletta
dai capelli dorati?”.
“La Dea della Pace ha
passato parte della sua essenza in me,
così ora sono in questo luogo per affrontare la prova e
poter usare il suo
potere, per essere una Dea. E tu?”
“Io dovrei divenire il Dio
della Letteratura e delle Lingue.
È una situazione un po’ strana…mi sento
confuso”.
“A chi lo dici! Questo
è del tutto imprevisto. Almeno
Samhian è nato con le ali da Messaggero e quindi sapeva che,
prima o poi, lo
sarebbe diventato…ma noi?”.
Vereheveil smise per un attimo di
raccontare. Guardò Kasday
negli occhi: “Non posso raccontarti come si sono svolte le
prove. Sappi solo
che io e lei siamo diventati divinità quel giorno.
L’unico problema è che non
siamo Dèi di nascita, e quindi le altre divinità
ci guardano un po’ male e ci
snobbano. Ma la cosa poco ci importa”.
“Che bello! Eleniel la Dea
della Pace! Come mai tu stai nel
Mondo dei demoni? Non hai il tuo palazzo?” chiese Kasday.
“Come dicevo, gli
Dèi non amano le divinità che non lo sono
dalla nascita. Perciò preferisco stare qui, dove posso
leggere e fare ciò che
mi pare senza che qualcuno mi dica che non è da Dio o cose
simili. E poi potevo
cercarti con più facilità in questo luogo, in cui
anche altri ti volevano.
Anche Luciherus era sulle tue tracce. Ci siamo uniti per ritrovarti..e
ora sei
qui!”.
“Non so se posso
chiedertelo ma…come mai voi due siete stati
scelti come divinità?”.
Kasday
bruciava di
curiosità.
“L’ha deciso
l’Equilibrio. Ha salvato molte persone, le ha
rese immortali”.
“Fai tu, ora, parte del suo
esercito?”.
“L’Equilibrio non
ha esercito” rispose Vereheveil “E la
Letteratura, le Lingue, la Cultura, non possono prendere parte ad un
conflitto
così stupido come quello che si sta svolgendo tra quei due
cretini di
Creatori!”. Sorrideva, e scuoteva il capo.
Come può non
avere un esercito? È così debole
perché deve
mediare tra i due, Kaos e Destino, tutto da solo?
Si chiese Kasday,
confuso.
“Anche mio figlio, Agares,
è stato chiamato dal Dio dell’Ordine?”.
“Sì. Spero di
farvi incontrare presto. Mia figlia, come
detto, è ora la mia Messaggera ed Agares svolge un ruolo
simile ma non so dirti
di quale Dio lui porti la voce. Un giorno vi rincontrerete. Ma ora la
cosa più
importante è condurti dall’Equilibrio che ha
urgente bisogno di parlare con
te”.
“A che
proposito?”.
“Che ti importa?”
interruppe Luciherus “É un Dio! E ti sta
cercando! Il minimo che tu possa fare e rispondergli e correre da
lui!”.
Kasday annuì.
“Come posso raggiungerlo?”.
“Ti ci portiamo
noi!” esclamò Samhian. “Mentre io e
Vereheveil ti conduciamo nel palazzo del grande Dio
dell’Ordine, Luciherus ci
farà il favore di distrarre il Kaos!”.
Al demone andò di traverso
il liquore. Tra i colpi di tosse,
guardò l’angelo Messaggero con occhi minacciosi.
“Come scusa?! Non ho capito
bene… Sei ubriaco, piumino d’argento?!”
esclamò, rosso in viso.
“Oh, suvvia! Che ti costa?
Basta solo che lo distrai fino a
quando non arriviamo a destinazione. Una volta entrati nel Palazzo
dell’Equilibrio sarà lui a schermarci con la sua
barriera ed al Kaos sarà
difficile individuarci. Parlate di guerra, di strategia, di casino tra
i Mondi!
Di quello che volete…anche di donne o di cucina basta che lo
tieni buono per un
paio d’ore!”.
Samhian era felice, di buon umore e
guardava il Principe con
un largo sorriso.
Il demone, frustrando sempre di
più la coda, sibilò accigliato:
“Hei! Come ho già detto ai tuoi compagni piumosi,
la mia immortalità ed il mio
ruolo dipendono dalla volontà del Kaos. Se quello scopre che
sto complottando
contro di lui, sicuramente mi polverizza! Mi distrugge! Mi disintegra e
mi
toglie ogni cosa. E io, non so se lo avete notato, ci tengo al mio
posto ed
alla mia immortalità. E, soprattutto, mi piacerebbe rimanere
intero!”.
Samhian sbuffò:
“Non complotti contro nessuno! Semplicemente
aiuti un amico!”.
“Si, certo! Un amico che il
mio capo, da quel che ho visto,
detesta!”.
Vereheveil intervenne: “Le
altre divinità odiano me, ma
questo non mi impedisce di aiutare Kasday! Anche se, facendo questo,
aiuto un
Dio evitato da molti: l’Equilibrio!”.
Luciherus incrociò le
braccia: “Le altre divinità mi
ignorano, come sempre. Ma il Kaos è diverso. Lui mi
controlla, mi spia, mi
comanda…e mi protegge. Ho visto solo in minima parte il suo
potere e vi
assicuro che non ci tengo ad avercelo contro!”.
“Ok…ho
capito…se hai paura…” iniziò
Samhian.
Ma il Principe ricominciò
a parlare, guardando altrove:
“Tuttavia…”
si vedeva che era stato punto nell’orgoglio
“…non posso permettere che Kasday
muoia di nuovo. Anche perché più in basso della
creatura in cui si è
reincarnato adesso c’è solo il protozoo!
Scusami…”.
“Oh, non fa niente. Mi
capita tutti i giorni di farmi
chiamare protozoo!” commentò Kasday, sarcastico.
“Perciò lo
terrò occupato. Il più possibile. Andate, prima
che tramonti il Sole: lui sarà qui stanotte. Credo di
riuscire a distrarlo fino
all’alba, a costo di mandargli Lilith in camera! Ma oltre al
sorgere del Sole,
non posso assicuravi nulla…” sospirò
Luciherus, che non aveva un’aria molto
convinta. “Per l’alba saremo nel palazzo
dell’Equilibrio. E sarà tutto a posto!
Ti saremo debitori…” esclamò Samhian.
“Non so perché
faccia questo, ma pazienza. Sparite, prima
che cambi idea! E per quanto riguarda il
debito…saprò come farmi
ripagare…”.
Luciherus si alzò dalla
sedia e voltò le spalle ai tre
ospiti: non voleva che vedessero il suo sguardo turbato. Tutti e
quattro
sapevano che, con il minimo errore, il Kaos li avrebbe distrutti.
“Partite
in fretta.
Se mette piede nel Pianeta, il Kaos si accorgerà subito
della vostra presenza.
Muovetevi!” incitò il demone.
Samhian si alzò.
Spalancò le ali e afferrò Kasday.
“Tu
stai qui. Dai
una mano a Lucy. Ci penso io al piccolo Kasdy!”.
Vereheveil, colto alla sprovvista da
quell’ordine, rimase
seduto e bofonchiò un “Va
bene…”.
“Non ho nulla contro di te,
mio caro Very. Ma le divinità in
movimento vengono subito notate!”. L’angelo dalle
ali nere fece un brusco cenno
a Samhian: “Muoviti! Vola! E ricorda che, se capita qualcosa
al mio migliore
amico, verrò di persona a strapparti tutte le
penne!”.
Samhian prese il volo.
“Buona fortuna!”
si augurarono l’un l’altro.
L’ex Serafino aveva fretta.
Ricordava, tutto ad un tratto,
un discorso che aveva iniziato con il Dio dell’Ordine e
fremeva per
continuarlo. E poi non voleva proprio incrociare il Dio con i suoi
occhi.
“Vorrei avere di nuovo le ali, così da non dover
farmi portare a braccio!”
sussurrò a Samhian, che lo teneva stretto.
“Sei così
leggero che non mi crei la minima differenza!
Nessun problema!”.
L’angelo Messaggero
pronunciò una breve formula e si aprì il
portale.
Atterrarono nel palazzo
dell’Equilibrio, senza che nessuno
li vedesse. Attraversarono l’enorme portone
d’ingresso e Kasday non riuscì a
trattenere un’ esclamazione di stupore. Due file di colonne,
quella di destra
bianca e quella di sinistra nera, accompagnavano il visitatore lungo il
corridoio che conduceva ad un’ altra stanza. Alle pareti
spiccavano stucchi,
anch’essi bianchi e neri, con cornici perfette e decori
geometrici regolari. Il
tutto era illuminato da piccole finestre dai mille colori poste in
alto, ad un
angolazione tale che permetteva sempre alla luce del Sole, o di un
satellite,
di entrare nella sala. La loro colorazione tingeva le parti bianche del
palazzo
con tonalità variabili a seconda delle ore e della posizione
della luce. Il
soffitto era alto e diviso in cassettoni quadrati, dentro ad ognuno di
essi
stava un simbolo e un ritratto. Svariate divinità e spiriti
Alti li osservavano
lungo la via. Il pavimento brillava, anche quello in bicromia e
chiaroscuri,
lucido ed a motivi di geometria perfetta ed emetteva piccoli ticchettii
sotto i
piedi di Kasday. Giunsero fino al portone al termine del corridoio. Era
blu
scuro, con glifi dorati. Le incisioni su di esso, nella lingua degli
Dèi,
furono di facile comprensione per l’ex Serafino/demone.
Parlavano delle forze
che muovevano i Pianeti e le divinità. Spinsero la pesante
porta, che si aprì
con uno scricchiolio sinistro, spezzando il silenzio totale. Entrarono
nel
salone principale, più spettacolare della stanza precedente,
che aveva forma
circolare. Al centro si poteva notare un largo tavolo che seguiva la
forma
della sala e che sopra portava raffigurata la rosa dei venti. Il
pavimento
riportava lo stesso disegno e Kasday poté notare come, su
ogni spicchio, fosse
scritto il nome di un Dio, accompagnato dal proprio simbolo. I colori
che
regnavano sovrani erano il blu scuro ed il porpora. Le finestre a
trifora
facevano entrare diversi fasci di luce che si intersecavano al centro
del
tavolo.
“Beato
il giorno in
cui regnerà il potere trigemino”
sussurrò Samhian, non volendo infrangere il
silenzio “Queste sono le prime parole che mi ha rivolto
l’Equilibrio. Mi disse
che un giorno arriverà un Dio che porterà dentro
di se i poteri dei tre creatori:
Equilibrio, Kaos e Destino. I tre poteri dell’Universo, dei
Multiversi”.
“Sarebbe bello”
rispose Kasday, sempre sussurrando “Ma
dubito possa succedere. Come può
una
persona sola gestire tutti e tre i poteri?”.
“Già,
è vero. Ma l’Equilibrio è un
inguaribile ottimista!”.
Una piccola porta porpora si
aprì. L’Equilibrio entrò nella
stanza, seguito dal suo Messaggero. Il Dio zoppicava visibilmente.
Kasday
inorridì quando vide quanto fosse divenuto pallido e debole
il Dio dell’Ordine:
sembrava ormai prossimo alla fine.
Il Messaggero lo sorreggeva,
nonostante l’Equilibrio
tentasse in ogni modo di scansarsi. “Salutazioni, figlio del
Kaos!” esclamò il padrone
di casa, sottovoce, nella lingua degli Dèi.
“Benedizioni, Dio Creatore”.
Samhian guardò
l’amico Kasday con aria molto stupita, ma non
disse nulla. Il Dio continuò a parlare con la sua voce a
metà tra quella
maschile e quella femminile, una voce così giovane in un
corpo così consumato!
“Và pure,
Samhian. Avverti il giovane Vereheveil che il suo
amico speciale è qui con me, sano e salvo. Io e Kasday, ora,
abbiamo molte cose
di cui parlare. In privato. Và anche tu, Erezehimsay, mio
Messaggero”.
L’ex Serafino si accorse di
come gli occhi dell’Equilibrio
non brillassero più, come un tempo.
La cosa lo rese triste. Il Messaggero
del Dio dell’Ordine
non volle lasciare il suo padrone, farfugliò qualcosa ma il
Dio insistette
finché non lasciò la stanza assieme a Samhian.
Rimasti soli, l’Equilibrio
prese posto in una delle sedie
che stavano attorno al tavolo circolare ed invitò Kasday a
fare altrettanto. Un
po’ titubante, il giovane dai capelli corvini salì
sulla seggiola posta di fronte
alla divinità. Era molto alta per lui e dovette mettersi in
ginocchio per poter
guardare oltre al legno del tavolo. L’Equilibrio gli sorrise.
Si sistemò i
capelli, bianchi come il latte e lunghi fino alle ginocchia, ma
raccolti in una
complessa pettinatura che lasciava in libertà solo due
ciuffi più corti.
Cominciò a parlare:
“Come stai, Kasday? Ti piace se ti
chiamo così? Ricordi le tue origini?”. Kasday
annuì.
“Ricordi ogni
cosa?” continuò l’anziano Dio.
“Credo di
sì” rispose.
“Bene ragazzo, in questo
caso sei pronto ad iniziare il tuo
addestramento per divenire Dio dell’Equilibrio”.
“Come? E chi ti dice che
voglia farlo? E poi…Voi che
farete?”.
“Allora, giovanotto, o mi
dai del Tu o mi dai del Voi! Chi
ti dice che puoi scegliere? Se devi diventare il Dio
dell’Equilibrio lo devi
fare e basta! Solo così potrai essere davvero realizzato e
felice. E potrai
stare accanto alle persone che ami, come Vereheveil e Agares. Li ho
fatti
divenire io quello che sono, proprio perché un Dio non
può iniziare il suo
cammino da solo. É deprimente! Per quanto riguarda
me…guardami! Sono vecchio e
stanco. Per fare questo lavoro, ci vuole grinta ed energia. Che io non
ho più.
Sono così stanco di stare dietro e fare la brava mammina a
quei due
rompiscatole!”.
“Immagino…ma non
so se io…”.
“Non sai se ne sarai in
grado? Io ne sono certo, nipote
mio!”.
“Nipote?”.
“Sì. Te ne
stupisci? Il Kaos è il mio fratello maggiore, anche
se non si vede. Lui si rigenera grazie al suo potere. Tutti gli
Dèi si
rigenerano, quando la gente crede in loro e quando il principio che
rappresentano viene rispettato. Io, ormai, riesco a tenere in ordine
solo
questo posto. E lo faccio in modo quasi maniacale, non so se lo hai
notato…”.
L’aveva notato. I libri
alle pareti erano riordinati in
ordine alfabetico, per autore e per argomento. Un grosso raccoglitore
suddivideva i tomi in ogni ordine possibile, perfino per colore.
“Ti dico subito che io sono
un Dio molto paziente ed è
praticamente impossibile farmi arrabbiare ma, purtroppo, non abbiamo
molto
tempo. Perciò se sarò costretto a sgridarti per
farti concentrare durante le
nostre lezioni non userò mezzi termini, ok?”.
“Perfetto,
Signore” rispose Kasday.
“No, no! Niente Signore!
Zio. O Equilibrio, se proprio non
vuoi usare un termine che ti colleghi alla famiglia. Il mio vero nome
non te lo
posso dire”.
“Come mai?”
domandò il giovane, stupito.
“Ah…non lo sai!
Semplice. A parte i propri genitori, o
meglio, la propria madre e la Dea della Vita che ci fa nascere, nessuno
deve
sapere il nostro nome. Perché se viene pronunciato, la forza
della divinità che
lo porta diviene schiava di chi ha esclamato quelle parole. Se tu ora
mi
chiamassi con il mio vero nome, dovrei divenire tuo servo e obbedirti.
E tu
potresti rapire tutti i miei poteri. I pochi che mi
restano…”.
“Quindi solo la Vita e tua
madre sanno il tuo vero nome?
Nemmeno il Kaos?” domandò Kasday, cercando di non
perdere il filo del discorso.
“No. Nemmeno il Kaos. Io
non so il suo nome e lui non sa il
mio. La Dea della Vita, presente al momento della mia nascita, ha
smesso di
essere una divinità da tempo. E mia madre? Chissà
dov’è! Sta tra gli Alti e
l’unica cosa che sento da lei sono messaggi confusi e di
scarsa comprensione!
Imparerai che gli Dèi parlano
complicato…”.
“Capito!”
esclamò il ragazzo dai capelli neri.
“Tu sai il tuo nome da Dio?
O ricordi solo il nome da
angelo, Kasday?”.
“In
effetti…ricordo il nome angelico, demoniaco, della
creatura senza magia ma il nome da Dio…non lo so!”.
“Bel
problema…”
mugugnò il Dio dell’Equilibrio, pensieroso.
“Perché
è un problema?”.
“Il giorno
dell’esame, agli Dèi di nascita, gli Alti chiedono
di pronunciare il nome. Loro lo conoscono già, immagino, ma
tu devi
pronunciarlo ad alta voce per fissare in te il tuo potere. E senza il
nome…è un
po’ difficile…”.
Kasday notò lo sguardo
preoccupato del Dio. Guardava
lateralmente, tenendosi la testa con una mano.
“Come si può
rimediare?”.
Il Dio tacque per un attimo:
“Devi andare nel palazzo del
Destino. Lei ha una stanza in cui sono contenute tutte le tele. Tu sai
perché
viene chiamata la tessitrice?”.
Il giovane scosse il capo.
“Quando una creatura nasce,
lei tesse una tela su cui cuce
simboli e percorsi che rappresentano la vita, il futuro, il destino,
del nuovo
nato. Sulla parte alta riporta, con filo oro, il nome del mortale. Per
gli Dèi
è diverso. Noi divini non abbiamo tela. Abbiamo massimo
arbitrio. Me tu sei
mortale e quindi, da qualche parte, dev’esserci il ricamo con
tutti i tuoi
nomi. Devi trovarlo e distruggerlo. Solo così potrai
divenire un Dio, libero
dai suoi giochetti e dal suo potere decisionale”.
“Anche Vereheveil ha fatto
così?”.
“Chiedilo a
lui!”.
“Se io distruggo quella
tela, dopo aver visto il mio nome,
non muoio?”.
Era un po’ allarmato.
Dopotutto se tutta la vita di un
individuo stava scritta lì sopra, se veniva cancellata la
vita come continuava?
Il Dio lo fissò:
“Non saprei…chiederò alla Morte. Non
credo…comunque,
ogni cosa a suo tempo!”. Kasday attese un attimo. Si
sistemò i capelli. “Ma…se
il Destino sa il mio nome, perché non l’ha usato
contro di me? E non potrebbe,
lei, usarlo per distruggermi una volta che sarò divenuto un
Dio?”.
L’Equilibrio sorrise:
“Forse se ne è dimenticata. Si è
dimenticata il tuo nome. Perché altrimenti ti avrebbe
chiamato lungo la
scalinata in modo da incanalare in se il tuo potere ed il tuo destino,
in modo
da non farti unire all’esercito di tuo padre, come temeva che
facessi. Invece,
in preda al panico, ti ha fatto uccidere pur di non avere contro un
alleato del
suo nemico”.
“Come può
dimenticarlo?”.
“Hai idea di quanti mortali
ci siano, sparsi per i vari
Mondi? Pensaci…quanti nascono e muoiono ogni giorno?
Probabilmente è convinta
di non poterti più controllare. Per Lei, da quel che mi
è stato detto, tu servi
il Kaos e quindi è convinta che la tua tela sia
già stata distrutta da tempo!”.
“E io come faccio a
riprenderla? Non posso presentarmi alla
sua porta e chiederle di darmi la mia tela!”.
“Certo che no”
rispose l’Equilibrio “Vereheveil ti
accompagnerà. Lui va spesso in quel palazzo. É il
più bravo ad interpretare i
segni e le scritture e perciò la Dea lo chiama spesso quando
i simboli che le
ordinano di eseguire gli Alti non le sono chiari. Ti aiuterà
lui. Troverà il
modo di farti entrare in quel posto…troveremo il modo! Te lo
prometto. Ma
ora…concentriamoci sul tuo addestramento”.
“Sissignore!”
esclamò Kasday, alzandosi di colpo.
“Sissign…”
iniziò
ripetere, ma si interruppe “Sì
…Zio!”.
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Capitolo 16 *** XVI- Prove e cambiamenti ***
XVI
PROVE E CAMBIAMENTI
La prima parte
dell’addestramento prevedeva uno studio
approfondito di ogni divinità. Kasday doveva imparare e
conoscere ogni loro
ruolo e scopo per poter mantenere un vero equilibrio delle loro forze.
E così
si rese conto di quante divinità ci fossero: troppe! Ma
tutte importanti.
Il Dio del Sole, proprietario della
luce, delle stelle, del
fuoco, del calore.. La
Dea della Notte,
signora del buio, delle ombre. La Natura con tutte le sue bestie e le
sue piante.
La Luna con tutti i
satelliti dei Mondi.
Il Dio della Paura e dei Sogni, la Dea delle Armi, il Dio
dell’Amore e
dell’Amicizia, la Vita, la Morte…quanti nomi e
quanti ruoli!
Ma il giovane si mise
d’impegno ed imparò tutto
relativamente in fretta. Anche perché, ogni giorno che
passava, vedeva il Dio
dell’Equilibrio che appassiva e si spegneva. Temeva di
perderlo e quindi
accelerava di molto i tempi e si concentrava per poterlo aiutare il
più
possibile.
Appena i nomi gli furono tutti
chiari, e così pure il loro
ruolo, si passò alla seconda parte del corso.
Bussò timidamente alla porta
della stanza del Dio dell’Ordine, che stava disteso, supino,
nel suo grande
letto, ad occhi chiusi. Il respiro della divinità pareva
irregolare e lieve.
“Scusate se vi ho svegliato
o disturbato. Ma mi avete detto
di cercarvi appena mi sarei sentito pronto per passare alla fase
successiva…”.
“Non disturbi”
sussurrò il Dio. Guardò il giovane, aprendo
gli occhi, lentamente, e sorridendogli.
Il Messaggero Erezehimsay stava
seduto accanto al suo
padrone, a gambe incrociate.
Gli occhi color del rame, leggermente
truccati, dell’angelo
fissavano il ragazzo, con rimprovero.
“Il mio Signore ha bisogno
di riposare…” iniziò a parlare il
Messaggero, con una voce melodica. Ma l’Equilibrio lo
zittì con il dorso della
mano.
Una mano affusolata ed
incredibilmente bella, si
ritrovò a notare Kasday.
“Balla per me, Kasday.
Balla, per favore. Poi passeremo alla
seconda parte dell’addestramento”.
Il ragazzo rimase un po’
sorpreso da quella richiesta. Si
sentiva in imbarazzo perché non aveva mai ballato davanti a
nessuno. Ma prese
coraggio e mosse alcuni passi, con incertezza.
“Erezehimsay, so di
chiederti molto ma…suoneresti qualcosa
per il mio piccolo allievo?” domandò il Dio,
rigirandosi. L’angelo sospirò e si
alzò, avvicinandosi al bancone accostato alla parete.
Aprì uno dei cassettini e
ne estrasse un piccolo violino, che iniziò a suonare. Una
dolce musica si
diffuse, accompagnandola con il canto dell’angelo. Kasday,
chiudendo gli occhi,
iniziò a muoversi con più convinzione. Si
sentì afferrare per il braccio e
riaprì le palpebre: il padrone di casa gli sorrideva, in
piedi accanto a lui.
“Segui me!” gli
sussurrò.
I due iniziarono a ballare assieme e
Kasday si stupì di come
potesse imparare in fretta con la guida divina. La lunga veste di
entrambi
strusciava lungo il pavimento emettendo lievi frusci a ritmo con la
musica.
Entrambi scalzi, scivolavano agilmente sul pavimento lucido. Al giovane
venne
in mente che il Dio, ballando, non zoppicava più anche se, a
volte, il suo viso
rimaneva trasfigurato da una smorfia di dolore, quando appoggiava
troppo a
lungo il piede malato.
Chissà che cosa
gli è successo. È da quando l’ho visto
la
prima volta che cammina con il bastone… si chiese
l’ex Serafino/demone.
Finita la musica, i due si fermarono
un attimo.
Kasday era affannato e respirava a
fatica. L’Equilibrio
invece sembrava stare meglio, come se non si fosse mosso. Stava su un
piede
solo, immobile, finché il Messaggero non gli porse il suo
bastone.
“Vieni con me,
piccolo”.
Camminarono lungo il corridoio che
portava al cortile
interno al palazzo.
“Sarà una parte
piuttosto difficile, la prossima” ammise il
Dio “Perché di solito le future
divinità nascono con dei poteri che sviluppano.
Tu, ora, non hai potere e nessuno può darteli
finché gli Alti non decidono che
sei degno di essere un Dio. Cercherò di essere delicato. Ma
non sarà facile.
Spero di non ucciderti…”.
Uccidermi? Di nuovo? Basta!
Entrarono
nel
giardino. Al centro stava un enorme albero, in cima vi era stato posto
una
specie di bastone con una sfera sulla sommità.
L’Equilibrio, con un balzo, ci
si mise sopra, con un piede. Non misurava più di 15
centimetri in larghezza. E
lui ci stava retto e fermo, con tranquillità. Con un ciuffo
ribelle davanti al
viso, il Dio si accovacciò, sempre in bilico sulla sfera.
“Quando sarai pronto, mio
caro ragazzo, sarai in grado anche
tu di fare come me!”.
Dubito.
Pensò Kasday. “Ci proverò”
disse a voce.
Il Dio scese dalla sferetta e si
posò, con grazia, davanti
al giovane. All’aria aperta sembrava più alto.
anche perché rimaneva a
mezz’aria ed i suoi capelli bianco-argentei fluttuavano nel
vento. Gli sorrise,
con gli occhi grigio perla che brillavano, anche se debolmente. Porse
una spada
al ragazzo dai capelli neri, che lo fissava con ammirazione.
“Questa NON è la
spada dei Denian, e quella che vedi
appoggiata a quel muro laggiù NON è la lancia
degli Hainuet. Ma voglio che tu
impari ad usarle, entrambe. E, soprattutto, vorrei che tu fossi
particolarmente
bravo con questo…”.
Con un gesto delle mani, tra le
braccia del Dio apparve uno
scudo.
“Questo, mio caro allievo,
è lo scudo dell’Equilibrio. Il
suo compito è difendere e difendersi da tutti gli
Dèi. Nessuno potrà mai essere
apertamente dalla tua parte e tu non potrai essere dalla parte di
nessuno.
Dovrai semplicemente andare da una divinità
all’altra e tentare di
sopravvivere!”.
Ma non è un
po’ triste fare così? E tu, Dio, non hai
legami, se non con il tuo Messaggero? Non c’è chi
ti ama e ti sta accanto?
Nessuno si schiera con te? Sospirò Kasday.
Toccò con mano lo scudo,
liscio e brillante. La sua
superficie era lucida e intaccata da chiari segni di spada e di lancia.
Iniziarono l’addestramento.
Lottavano tra di loro e Kasday
dovette imparare a
difendersi. Si sentì
subito molto debole. L’Equilibrio, infatti, pur sembrando
quasi prossimo alla
morte, doveva trattenersi molto per non colpirlo gravemente. Si
ritrovò a
pensare a quanto forte potesse essere il Kaos ed ebbe paura. Forse era
tutta
una causa persa…non avrebbe mai potuto vincere!
Né contro l’Equilibrio, né,
tantomeno, contro il Kaos!Il Dio rendeva più difficile il
suo apprendistato
facendolo lottare su superfici instabili o con diverse inclinazioni.
Così
facendo, permetteva al giovane di affinare le sue capacità
di difesa e di
equilibrio. Notò quanto fosse simile a una danza quella
lotta contro quel Dio.
Un
pomeriggio
assolato, Vereheveil entrò nel palazzo. Kasday stava
lottando con Erezehimsay.
I due avevano imparato ad andare
d’accordo e si allenavano
assieme. Con l’angelo lo scontro era più semplice,
rispetto alle battaglie
contro l’Equilibrio, anche se in ogni caso per il ragazzo era
impossibile
batterlo. Lottavano, balzando da un luogo e un altro nel giardino. Il
Dio
dell’Ordine osservava il suo allievo dalla finestra, seduto
su una sedia a
dondolo, leggendo un libricino arancione.
Vereheveil salutò
educatamente il padrone di casa e gli
porse un volumetto verde: “Sono sicuro che questo ti
piacerà”.
“Grazie” gli
sussurrò la divinità, stanca e pallida.
“Puoi
chiudere la finestra, Vereheveil, per cortesia? Fa un po’
freddo…”.
Il Dio della Letteratura chiuse la
finestra, sospirando.
Fuori faceva piacevolmente caldo, ma
quel poveretto era,
ormai, gravemente malato.
“Riesci a portare il
ragazzo dalla Dea del Destino? Quella
tela và distrutta al più presto. Non è
ancora pronto, ma non c’è più
tempo”.
Vereheveil fece un inchino:
“Lo porto con me
questa sera. Lei mi ha convocato”.
“Perfetto.
Grazie”.
Kasday fu mandato a chiamare.
“Preparati, piccolo. Ti
porto dal Destino!”.
Il giovane deglutì,
spaventato. Non si sentiva affatto
preparato all’evento. Avrebbe preferito che l’amico
fosse lì solo per salutare.
Invece…
“Ho chiesto alla Morte.
Lei, lui…che né so…mi ha detto che
non morirai distruggendo la tela. Senza un ordine preciso, da parte di
una
divinità, la tua vita continua!”.
“Spero che lei non dia
quell’ordine preciso…”.
Vereheveil, percependo il timore
dell’amico, lo prese per
mano: “Non preoccuparti! Ci sono io qui! Non ti
succederà niente!”.
“Come lo farai
entrare?” chiese l’Equilibrio.
“Userò
questa” esclamò Vereheveil ed estrasse da una
tasca
una scatola in legno, intagliata.
“Come?!”,domandò Kasday, rigirando tra
le
mani la scatolina.
“Io posso farti divenire
più piccolo, come io posso divenire
più grande. Poi, tranquillo, ti faccio tornare
normale!”.
Il ragazzo lo guardò,
perplesso e ispirò a fondo: “Va
bene…mi fido di te, amico mio”.
“Benissimo”
sussurrò il Dio dell’Ordine.
Le due divinità erano
molto diverse. Poste uno accanto
all’altro facevano risaltare le loro
particolarità.
Vereheveil era grande, con enormi
occhi brillanti, pieno di
entusiasmo, giovane e allegro. L’Equilibrio era piccolo e
gracilino,
raggomitolato sulla sedia. Pareva in procinto di spegnersi. Era
sofferente e
con gli occhi vuoti, persi nel nulla.
Il suo Messaggero gli andò
accanto: “Lasciate che sia
Vereheveil, stasera, ad occuparsi del ragazzo, Signore. Dovete
riposare. Venite
a letto”.
Kasday guardò quel Dio. Si
sentiva in apprensione. Tra quanto
tempo quella divinità si sarebbe spenta? E, una volta
divenuto un Dio, avrebbe
sofferto allo stesso modo? O forse anche di più?
Seguì con gli occhi il suo
maestro, mentre veniva accompagnato alla sua stanza.
“Buona fortuna, ragazzo
mio. E non aver paura! Vereheveil ti
difenderà!” gli sussurrò la
divinità dell’Ordine.
Il giovane si voltò e vide
che l’amico era uscito da
palazzo. Una volta all’aperto, era divenuto enorme.
Vereheveil prese Kasday con
due dita e lo pose sul palmo della sua mano.
“Ecco la nostra
meta!” esclamò, indicandogli il Palazzo del
destino.
Era gigantesco, altissimo.
Kasday annuì:
“Benissimo. Andiamo! Adesso che il Kaos non
c’è”.
Il simbolo sopra al suo palazzo era
spento ed il giovane lo
aveva notato.
Vereheveil annuì e lo
infilò nella scatolina che teneva in
tasca, divenuta più grande assieme al Dio. Kasday
capì, ad un tratto, perché i
palazzi degli Dei ed i templi dei vari Mondi avessero sempre un
soffitto così
alto. Il suo amico, ora, probabilmente era della misura giusta.
Gli Dèi erano alti
così…ringraziò il fatto che il suo
maestro fosse rimasto così piccino per tutto il suo
addestramento. Scesero
lungo le strade della Città. Da una piccola fessura nel
legno, l’ex
Serafino/demone riusciva a vedere ciò che lo circondava.
Gli sguardi di molti Dèi
si posarono sul Dio della
Letteratura: si vedeva che non lo apprezzavano molto.
Non è un Dio di
nascita.. però è un’ingiustizia
trattarlo
così! Si diceva Kasday.
Avvertì la voce
dell’amico nella testa: Non preoccuparti
per me, figlio del Kaos!
Il ragazzo trasalì.
“Riesci a sentire i miei pensieri?”
domandò.
Si,
ricominciò a parlargli il Dio della Letteratura
nella mente. Si, si, ti sento. Non parlare ad alta voce o ti
sentono anche
altri. Io ti sento perché voglio farlo. Come ho sempre
percepito tutte le tue
preghiere.
Continuarono a camminare lungo le
vie, sempre parlando con
il pensiero. Bellissimo!…da quando sai che sono il
figlio del Kaos?
Vereheveil sorrise, coprendosi il
viso con una mano. Da
quando l’ho visto. Vi assomigliate.
Kasday torse il naso. Non
è vero! Il Kaos fa paura! Io no!
Vereheveil non riuscì a
trattenere una risata. No, in
effetti, no. Tu sei solo un adorabile cosetto con gli occhi azzurri!
Vereheveil salì le ripide
scalinate dorate che conducevano
all’ingresso del palazzo della Dea.
Sul portone d’ingresso,
campeggiava un enorme specchio che
rifletteva tutta la città. Il Dio bussò
educatamente, sorridendo. L’oro che
ricopriva l’ingresso rifletteva la luce argentea di uno dei
satelliti del
pianeta e Vereheveil si specchiò, sistemandosi i capelli.
Notò, con orgoglio,
che il colore dei suoi occhi era identico a quello del portone: oro
puro. La
porta gli fu aperta.
Kasday continuava a sbirciare dalla
fessura: tutto brillava
in quel salone! Centinaia di sfere di cristallo e pietre dure pendevano
dal
soffitto riflettendo colori e luci. A terra erano rappresentate delle
carte,
che cambiavano continuamente. Gli specchi, posti tutt’attorno
al posto dei muri
delle pareti, rendevano difficile l’individuazione delle
porte e delle uscite.
Preoccupante! Si
disse Kasday, rabbrividendo.
La Dea del Destino entrò,
tendo una sfera vermiglia nella
mano destra. I suoi lunghi capelli verde scuro, a riflessi oro, erano
raccolti
in una lunga treccia complessa. Attorno al suo viso roteavano due
piccole
sferette che seguivano un’orbita ellittica lungo il capo
della Dea. Ogni volta
che una di quelle sfere incrociava i suoi occhi, la Dea aveva visioni
di
futuro, presente o passato.
La lunga veste, ricoperta di
materiale riflettente,
continuava a mandare riverberi sul volto di Vereheveil, che distolse lo
sguardo. Nessuno poteva guardare in faccia il Destino, senza il suo
permesso
perciò i suoi occhi viola raramente errano incrociati da
sguardi estranei.
Il terzo occhio, posto al centro
della fronte della
divinità, quella sera era chiuso. Non le serviva, si fidava
di Vereheveil.
“Mi avete chiamato,
divina?”.
“Sì, mio giovane
Dio delle Letterature. Ho trovato un altro
libro di difficile interpretazione. Puoi aiutarmi?”.
“Certo. È il mio
lavoro. Vorrei, però, se mi è concesso,
entrare nella stanza delle tele. Vorrei dare un’ occhiata a
quella di una
persona che conosco”.
“Non
c’è problema,
amico mio. Facciamo in fretta però, perché non ho
molto tempo. Devo tessere le
tele dei bambini di domani. Cos’hai in quella
scatola?”.
Vereheveil la nascose
nell’ampia manica: “Niente di che.
Cose che devo portare altrove…”.
“Oh,
capisco…vieni con me”.
La Dea lo condusse nella sua stanza.
Vereheveil appoggiò la
scatolina in legno su un tavolo, fuori dalla porta della camera. I due
Dèi
entrarono, lasciando la porta semichiusa.
Eh, no! Non mi lasci qui da
solo! protestò Kasday. Sganciò
dalla cintura un piccolo coltellino usato per gli allenamenti ed
allargò la
fessura dalla quale guardava verso l’esterno, riuscendo ad
uscire.
Sentì dei passi e si
nascose dietro un vasetto di ceramica
che gli stava accanto. Passò l’angelo Messaggero
della Dea. Aveva l’aria
assonnata, si stiracchiò, pigramente, perdendo qualche
piuma, e andò oltre, senza
notare l’infiltrato che si nascondeva. Alcune penne andarono
a finire sul
pavimento. Una quasi colpì Kasday, che la schivò
per un pelo, anche se fu
spinto all’indietro dallo spostamento d’aria.
Quando la vide, l’ex-Serafino,
ebbe un’ idea. Lasciò andare il centrino, al quale
si era aggrappato per non
cadere di sotto, ed afferrò la piuma. La usò per
scendere, come se fosse un
paracadute, ed arrivo con facilità a toccare il pavimento.
Entrò, attraverso la
piccola apertura lasciata dalla porta, senza troppi problemi. Si
sentiva
davvero minuscolo.
La stanza era buia, le tende erano
tirate e facevano passare
solo uno spiraglio luminoso, che veniva riflesso dagli specchi della
Dea. La
luce bianca che emetteva la sua pelle si fondeva con quella
azzurro/verde che
sprigionava Vereheveil.
I due Dèi stavano seduti,
uno vicino all’altro, su un grande
letto a baldacchino. Il Dio delle Letterature teneva tra le mani un
piccolo
libro, che sfogliava. Parlavano tra loro, ma Kasday non riusciva a
sentirli.
“Parla di una leggenda. Ma
è una storia che non ho mai
sentito…” iniziò Vereheveil.
“Nemmeno io!”
rispose il Destino “Ho trovato per caso quel
volumetto mentre io e la mia Messaggera riordinavamo una vecchia stanza
nell’ala nord. Ho pensato che ti potesse
interessare…”.
“Molto! E’ un
libro che non ho!”.
“In questo caso, te lo
regalo!” esclamò la Dea del Destino,
piena di entusiasmo “Un piccolo omaggio per il mio buon
traduttore!”.
“Io non
traduco…”.
“Ma conosci tutti i simboli
degli Alti, che altrimenti non
riuscirei a capire! Riesci a dargli un senso…cosa che per me
è difficile e non
poco!”.
“Sono il Dio delle
Letterature e delle Lingue. Il minimo che
possa fare è…”.
La Dea guardava fisso Vereheveil, che
però distoglieva lo
sguardo.
“Guardami!”. Lui
obbedì. “Mi trovi bella?”.
“Molto, Signora”
ammise il Dio.
“Ebbene, io sono tutta sola
qui. Solo tu mi vieni a trovare,
Signore della Cultura. Gli altri Dèi vengono qui solo per
motivi burocratici e
formali. Mai per una visita tra amici. È
triste…”. “Immagino che questo avvenga
perché siete importante e non avete l’aria di una
che ha bisogno di un compagno
di merende!”.
La Dea lo guardò,
accigliata: “Capisco. Quello che voglio
dire è…nessuno viene qui senza uno scopo. Tu che
cosa vuoi?”.
“Voi mi avete convocato! E
poi c’è quella tela…”
iniziò a
protestare l’angelo dalle ali nere.
“Di
chi?” domandò la
Dea, avvicinandosi.
“Non ha
importanza”.
“Sento che
c’è dell’altro. Mi nascondi qualcosa,
neo-Dio!”.
“Ma no! Non nascondo
niente! Ora se volete scusarmi…grazie
per il libro ma dovrei andare…”.
“Ricordati, angelo divino, che, se lo
desidero, posso farti ritornare al tuo stato di mortale. Conosco il tuo
nome.
Conosco il nome che gli Alti ti hanno dato per farti divenire un Dio.
Se sei
contro di me…tu muori!”.
“Non sono contro di
voi!” esclamò Vereheveil, tentando di
distanziarsi dalla Dea che gli si appoggiava contro.
Lei, con uno scatto improvviso, lo
baciò. Chiuse gli occhi
viola, ma aprì il terzo occhio che aveva sulla fronte.
L’angelo non riuscì a
distogliere lo sguardo da quell’occhio spalancato.
Il loro bacio fu lungo,
finché il Dio non chiuse gli occhi. Kasday
non riusciva a crederci: il suo amico era cambiato a tal punto? Da
angelo puro
a Dio consolatore di Dee solitarie?
Si convinse che era meglio trovare la
tela da solo. Uscì
dalla stanza, lasciando i due Dèi avvinghiati, nel bacio
più lungo che avesse
mai visto. La Dea, che aveva spinto a tal punto il giovane Vereheveil
da farlo
stendere, lo guardava dall’alto in basso.
“Lo sapevo!”
esclamò “Tu mi nascondi qualcosa!
Perché scappi
da me? Mi hai trasmesso una barriera, e non immagini come sono solita
vedere
nello sguardo di chi bacio”.
“Ma no, Signora della
Preveggenza. Non le nascondo niente!
Non scappo da voi perché ho qualcosa da celare ma
perché il mio
cuore…appartiene ad un'altra persona…”.
La Dea si alzò e lo
guardò con aria dapprima stupita e poi
dolce: “Oh! …scusa…non
pensavo… è che qui attorno è sempre
pieno di
cospirazioni e complotti contro la mia persona e quello che
rappresento! Il
bacio è il mio metodo, il più rapido, per entrare
nella mente di una persona.
Devi essere un uomo molto fedele ed innamorato, per respingere il mio
terzo
occhio con tanta convinzione!”.
“Fedele da sempre,
innamorato da millenni”.
“Che
bello…è raro un sentimento così. Direi
unico. Ma questa
persona…lo sa del tuo sentimento per lei?”.
Vereheveil sorrise, con una risatina
e un’ alzata di spalle
fece intendere che non ne aveva idea. E che, probabilmente, a lui stava
meglio
così. Il Destino lo pregò di leggere una delle
storie contenute nel volumetto. Adorava
la voce di quel Dio, così strano e così triste,
in molti casi.
Kasday iniziò a vagare per
i corridoi. Le stanze e le porte
parevano non finire mai, anche perché lui era molto piccolo
e ci metteva
tantissimo ad attraversarle. Poi notò che, da un’
apertura, si intravedeva una
luce fortissima.
Deve essere la sala delle
tele! Mi è stato detto che
brillano in modo particolare! Iniziò a correre per
raggiungerla e si
ritrovò in un immenso stanzone pieno di scaffali, cassetti,
ripiani…
È grande come un
pianeta!! Pensò, preoccupato.
Come avrebbe fatto a trovare quello
che cercava in mezzo
alla moltitudine di documenti contenuti in questa stanza? E come
sarebbe arrivato
ai ripiani superiori? A malapena arrivava al primo…il
più basso… Strinse i
pugni. Ci sarebbe riuscito!
Quanto vorrei le ali,
sospirò.
Iniziò ad arrampicarsi tra
i libri, cosa che non gli riuscì
per niente facile, piccolo com’era. Un respiro improvviso
alle sue spalle lo
fece sobbalzare. Si voltò e davanti a sé vide un
grosso gatto. Aveva un corno
sulla testa e un bel paio d’ali. Era blu e porpora e faceva
le fusa,
piano. Si
avvicinò al ragazzo, solleticandolo
con i baffi bicolore. Kasday era terrorizzato perché, pur
avendo di fronte un
gatto, apparentemente inoffensivo, era comunque tre volte
più grosso di lui! Il
felino lo prese dolcemente tra i denti, come poteva fare con i suoi piccoli.
Vuoi mangiami? No, vero?
L’animale spiccò
un balzo. L’ex Serafino trattenne un grido
di terrore: un solo suono e lo avrebbero scoperto.
Meglio mangiato da un gatto
che torturato dal Destino!
Dopo un paio di agili balzi, Kasday
fu lasciato cadere
delicatamente davanti ad una pila di tele, ordinatamente riposte in
ordine
alfabetico. Il ragazzo non ebbe difficoltà a trovare la sua.
Eccola qui! Ed ecco il mio
nome! Grazie micio…a che devo
questo favore? E, soprattutto, adesso come scendo?
Sentendo la porta aprirsi, il giovane
dai capelli corvini si
nascose, in silenzio.
Vereheveil era, da solo, al centro
della stanza.
“Eccoci qui, Kasday. Puoi
uscire!” sussurrò il Dio, aprendo
la piccola scatola di legno.
Non vedendo l’amico
all’interno rimase sconcertato. “Ma dove
sei, piccolo…”.
Kasday uscì allo scoperto.
“Sono qui” rispose sommessamente,
con ancora negli occhi il bacio delle divinità.
“Dovevi rimanere
dov’eri! Come hai fatto ad uscire?”.
Notò una certa nota di
rimprovero nella voce della divinità.
Kasday non rispose alla domanda: “Ho trovato la mia tela.
Questo micio mi ha
dato una mano”.
Vereheveil gli andò
vicino. Lo guardava senza il bisogno di
volare.
Ma quanto sei alto? Trenta
metri?!
“Io non posso vedere il tuo
nome. Cancellalo e poi indicami
la tela, in modo che possa distruggerla”.
Kasday annuì. Con il suo
fedele coltellino recise i fili che
componevano il suo simbolo e le sue lettere, poi indicò la
tela al Dio, che la
fece fluttuare a mezz’aria davanti a se per un po’.
Pronunciò delle parole,
lentamente, e una fiamma verde
distrusse il documento.
“Ora sei libero, amico mio.
Andiamocene!”.
“Ma
quel micio chi è?
E perché mi ha aiutato?”.
“Micio? La creatura
dell’Equilibrio!”.
“La creatura!?”.
“Ogni Dio ha la sua
bestiola. È un usanza che risale dalla
notte dei tempi. Io ho un bel volatile, simile al gufo, dai grandi
occhi dorati
e le piume verdi. L’Equilibrio ha questo felino molto strano
e con i suoi
colori preferiti”.
Chi meglio di un gatto
può rappresentare una bestia in
equilibrio?
“E quello strano pennuto
che sta dietro di te è la bestiola
della Dea del Destino?”.
“Chi?” chiese
Vereheveil girandosi.
“Merda!”
esclamò, quando vide il pavone ed i suoi occhi
viola, centinaia, puntati su di lui. L’animale emise un verso
stridulo.
“Stupido
animale!” Vereheveil imprecò, infilò in
tutta
fretta Kasday nella scatola e corse fuori. Attraversarono il corridoio
senza
problemi, forse nessuno aveva sentito il pennuto!
Il Dio si voltò, davanti
alla porta d’uscita, controllando
che effettivamente nessuno li seguisse. Quando tornò a
girarsi, la Dea gli
stava davanti, bloccandogli la strada.
“Dove
vai, tesoro?”
gli sussurrò lei.
“Ciao…”
non sapeva che altro dire, non vedeva vie d’uscita.
Ma, inaspettatamente, la Dea si
scansò: “Vai pure. So perché
lo hai fatto. So per chi lo hai fatto. È per la persona che
ami. Evidentemente
è mortale e vuoi che diventi immortale come te. Bastava
chiedere!”.
Vereheveil sorrise imbarazzato.
“La prossima
volta…se ci sarà un'altra volta…chiedi
alla
sottoscritta e non cercare di nasconderti in una casa con miliardi di
specchi!”.
“Grazie…Signora…”.
“Chiunque sia la persona
che ami…è fortunata! Sei adorabile!
Rischiare la vita…per lei…la invidio”.
I due Dèi si salutarono.
Vereheveil corse via, prima che il
Destino cambiasse idea.
La Dea chiuse il portone
d’oro dietro di sé, sorridendo, ma
poi vide la creatura dell’Equilibrio
e capì
di essere stata imbrogliata.
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Capitolo 17 *** XVII- Addio ***
XVII
ADDIO
Kasday e Vereheveil giunsero nel
palazzo dell’Equilibrio. Si
accorsero subito che qualcosa non andava, perché
c’era molto più silenzio e
molto più buio. Rimasero a guardarsi, senza dire una parola,
mentre il Dio
della Letteratura riportava l’amico nelle dimensioni normali.
“L’abbiamo fatta
grossa. La tua donna si vendicherà di
brutto…” bisbigliò l’ex
Serafino.
“La mia donna? Hai battuto
la testa?”.
“Guarda che vi ho
visti…”.
“A lei, veramente, credo
piaccia la sua Messaggera…”.
“Ma è un
maschio!”.
“È un angelo!
È quello che vuoi! C’è chi la vede come
donna
e chi come uomo. Non è nessuno dei due!”.
Kasday non parve molto convinto, ma
sorrise all’amico: “Chi
è la persona che ami? Quella di cui ha parlato il
Destino?”.
Vereheveil parlò, piano:
“Ti sembra il momento di chiederlo?
Vai da lui. Ti sta sicuramente aspettando. Io devo andare. Altri
Dèi hanno
chiesto di me. Darò un’ occhiata in giro per
vedere se riesco a capire cos’è
tutto questo silenzio”.
Kasday annuì, perplesso, e
si avviò verso la stanza del suo
maestro. Bussò alla porta ed entrò, cercando di
non fare rumore. Tutte le
finestre erano chiuse e sprangate e le uniche luci nella sala erano le
ali
d’argento del Messaggero ed i fievolissimi scintillii emessi
dal Dio.
L’Equilibrio dormiva e respirava piano, disteso sul largo
letto blu scuro.
Erezehimsay gli stava seduto accanto, con aria apprensiva. Fece cenno
di non
parlare a Kasday, facendogli capire che il suo padrone stava dormendo e
doveva
continuare a farlo. Il giovane dai capelli neri si avvicinò,
in punta di piedi.
La coperta leggera copriva solo in
parte il Dio, che
respirava a fatica. L’ex Serafino notò due grosse
cicatrici sulla schiena del
maestro, e si accorse di notare, solo in quel momento, due piccole
corna
azzurre sulle tempie. Probabilmente non le aveva mai viste
perché l’Equilibrio
non portava mai i capelli all’indietro, ma solo in ciuffi
sciolti.
Anche lui ha dovuto
attraversare i vari Mondi,
reincarnandosi, per poter essere l’Equilibrio? E quelle
cicatrici?
“Una volta il mio padrone
aveva delle ali, dove tu ora vedi
delle cicatrici” sussurrò il Messaggero
“Ma, in uno degli scontri del passato,
le ha perse”.
Kasday rabbrividì al solo
pensiero.
“Ho fatto ciò
che dovevo..” iniziò a parlare
l’allievo.
“Bene” gli
rispose l’angelo d’argento, nascondendo a
malapena un singhiozzo.
“Erezy…”.
Il Dio si rigirò nel
sonno, gemendo.
“Kasday…”
iniziò il
Messaggero. Non andò oltre. Si fermò. Stringeva
la mano del Dio e continuava a
tenergli i capelli all’indietro. Respirò a fondo e
si fece forza.
“Kasday…tu sai
che lui sta morendo…”.
Il ragazzo fece un cenno.
Sì, lo sapeva.
L’angelo tentò,
invano, di trattenere le lacrime. Scoppiò in
un pianto dirotto, appoggiandosi al petto di quel Dio che per tanti
secoli
aveva servito. Si copriva il viso con le mani.
“Non è
giusto” gemette “Non è giusto! Lui non
deve morire!
Non può! Gli sono sempre stato vicino! Ricordo il primo
giorno in cui sono
stato portato qui come suo portatore di messaggi. Io ero
così giovane e piccino,
e lui così grande e forte. E così bella quando mi
apparve mostrando il suo
aspetto femminile!”.
Può dunque
cambiare sembianze a suo piacimento,
scegliendo se avere l’aspetto da maschio o da femmina. O
entrambi in uno…
Kasday
vide la mano
della divinità muoversi e appoggiarsi sul capo
dell’angelo argentato. Cominciò
ad accarezzargli i capelli arancio vivo con riflessi violetto, per
rassicurarlo, ma il Messaggero non smetteva di piangere.
“Suvvia, smettila, Erezy!
Non è questo il momento!”.
Poi si rivolse al suo allievo: “Il Kaos
è
vicino. È qui. Scappa. Và nel Mondo degli Alti e
diventa un Dio! Solo così
avrai qualche possibilità di tener testa a quei due e
sopravvivere! Mio
Messaggero, vai con lui!”.
“No! Non ti
lascio!” esclamò l’angelo, continuando a
tenere
stretta la mano del Dio.
“Muoviti! È un
ordine!”.
Ma Erezehimsay non volle saperne.
L’Equilibrio
sospirò: “Ora, mio piccolo Kasday, devi andare.
In fretta. Sali fino in cima all’albero che sta al centro del
giardino.
Arrampicati, e saranno loro, gli Alti, a portarti via. Va!
Muoviti!”.
La voce del Dio non permetteva in
nessun modo di fare
obiezioni. L’ex Serafino fece un inchino ed uscì
di corsa dalla stanza.
Percorse il corridoio, verso l’entrata del giardino. Le
tenebre lo avvolsero.
No! Sta volta no!
Corse più in fretta, liberandosi
dalle tenebre. Guardò in alto, verso la punta
dell’albero. Sali?
Arrampicati? E come? La fa facile lui…
Avrebbe tanto voluto avere qualcuno
accanto, a dargli una
mano, ed invidiò l’unione tra Messaggero e
padrone.
Sentì urlare Erezehimsay:
“Vattene, verme! Sei senza cuore!
Lascialo stare! Non vedi che già muore da solo? Che bisogno
c’è di fargli
questo? Lascialo!”.
La voce tonante e profonda del Kaos
sovrastò le suppliche
del Messaggero, la cui voce, invece, era rotta dai singhiozzi. Il Kaos
era nel
palazzo! Doveva andarsene, e di corsa!
Alla voce profonda del Dio del
disordine si unì quella
femminile della Dea del Destino. Kasday iniziò ad
inerpicarsi, su, per
l’albero.
Che faticaccia…
Ansimò, giunto a metà dei rami. Ad un
tratto una strana forza lo avvolse.
Muoviti! Sali! Si
sentì ordinare nella testa.
Con un paio di salti raggiunse la
cima e, senza rendersene
conto, si ritrovò in bilico sulla piccola sferetta e i suoi
15 centimetri di
diametro.
Mi verranno davvero a
prendere? pensò con
terrore.
Ma,
con ancora più
terrore, si ritrovò a pensare che, se aveva quella forza
improvvisa era,
probabilmente, perché l’Equilibrio era morto.
Aveva passato le sue ultime forze
al suo successore. Con un nodo alla gola, aprì le braccia,
rivolte verso il
cielo, in gesto di supplica.
Una presenza gli afferrò
la gamba destra: Erezehimsay si era
aggrappato a lui. Piangeva e si issò a fatica, accanto al
ragazzo. Era
gravemente ferito e fece segno a Kasday che dovevano prendere il volo,
con
decisione, verso il chiarore che si apriva nel cielo, sopra la loro
testa.
“Sono qui per rispettare la
volontà del mio padrone.
L’ultima volontà…” tacque e
batté le ali, con sforzo.
La luce li avvolse ed entrarono nel
Mondo degli Alti, che stavano
riuniti attorno ad un tavolo, in un evidente stato di agitazione.
Erezehimsay
depose Kasday, dolcemente. Poi, allo stremo delle forze, cadde in
terra. Il
ragazzo dagli occhi color Kaos lo chiamò per nome e lo
scosse. Una voce,
avvolta dal riverbero, ordinò che l’angelo venisse
portato in un luogo più
adatto per essere accudito. Kasday era agitatissimo, spaventato dal
possibile
futuro del Messaggero e dall’incombenza del suo esame.
“Io…sono…”.
“Lo sappiamo chi
sei” gli rispose la stessa voce “E sappiamo
perché sei qui. Non c’è tempo da
perdere. Facciamo subito questo esame!”.
“Ma…non
potreste far
finire, voi, la guerra…”.
“No. É compito
tuo!” tuonò un’altra voce, minacciosa.
Il ragazzo non riusciva a vedere i
loro tratti, erano
totalmente avvolti dal bianco bagliore emesso dalla loro pelle. Ed
erano
altissimi.
Più di Vereheveil.
“Non avere paura. Vieni con
noi!”.
Ma
Vereheveil non
aveva fatto l’esame con uno solo di loro? Perché
io ho tutto ‘sto esercito a
guardarmi? Sospirò, cercando di darsi coraggio.
Gli Alti lo circondarono. Lui stava
su una piccola sedia al
centro di uno stanzone e teneva il capo chino.
“Parla, mortale,
perché sei qui?”.
Perché sono qui?
Ma che domanda è?
“Dicono che io debba
diventare il Dio dell’Equilibrio” rispose,
sommessamente.
“Chi lo dice?”.
“L’Equilibrio
stesso, Vereheveil immagino, Erezehimsay…e…mi
dissero…voi!”. Continuava a tenere la testa bassa.
“E tu lo vuoi
diventare?”.
Se voglio divenire un Dio?
Bella domanda…ho, forse,
qualche altra scelta?
“Non
ci ho mai
pensato…” rispose l’ex Serafino
timidamente “All’inizio pensavo fosse tutto un
errore, poi ho iniziato l’addestramento e devo dire che mi
sono spaventato. Ora
sono qui, e non sono molto convinto di poter essere un Dio, ma
l’Equilibrio è
morto e immagino che non mi resti altro da fare… E poi i due
creatori mi stanno
cercando. L’unico posto sicuro, più o meno,
immagino sia qui”.
“Sei qui per sfuggire alla
Morte?”.
“No. Io sono qui
perché mi hanno detto di farlo! E adesso,
scusatemi, ma fatemi ‘sto benedetto esame! Vada come vada!
Tanto, appena
metterò piede su uno qualsiasi dei Pianeti, verrò
distrutto da uno dei due”.
Ora la sua voce era più convinta. Alzò la testa.
“Hai paura di
loro?”.
“Certo!”.
“E chi sono
loro?”.
“Chi sono
loro?!”.
“Chi sono i due che ti
danno la caccia?”.
“Ma che domande idiote mi
fate?! Loro sono la Dea del
Destino ed il Dio del Kaos, mio padre!”.
“Perché hai paura di loro?”.
“Vogliono uccidermi. Vi
sembra poco? E io sono consapevole
di non riuscire a contrastarli, in nessun modo”.
“Sei arrabbiato con
loro?”.
“No…dovrei,
forse, ma non lo sono. Dopotutto, loro fanno
solo il loro lavoro…”.
Gli Alti annuirono: “Non
vuoi, dunque, il potere per
distruggerli?”.
“No! Voglio il potere per
fermarli quando vanno troppo oltre!”.
Un altro segno di assenso.
Kasday si era un po’
rilassato, incrociò le gambe.
“Sei pronto a
dimostrarcelo?” ricominciò a domandare la
Voce.
“Dimostrarvi che non provo
odio?”.
“Sì. Che non
provi odio nei confronti di quelle divinità che
hanno permesso il tuo allontanamento e le tue morti?”.
Dovrei odiare anche
voi…ma non è così.
“In qualunque
momento!”.
“Alzati allora”.
Kasday si alzò. La sedia
venne portata via. Gli Alti si
sedettero, in cerchio, lasciando un grande spazio attorno al giovane.
Di fronte
all’allievo dell’Equilibrio venne aperta una porta,
dalla quale entrò una
figura in armatura. Impugnava una grossa spada nella mano destra.
Il giovane deglutì. Che
dovrei fare io? Gli Alti gli
porsero una spada ed uno scudo.
“Combatti. Dimostraci che
non provi odio”.
Cosa?! Io, combattere?! Ma
per chi mi avete preso?
“Al tuo avversario
è stato dato un bracciale che ne limita
la forza. Così non potrà ucciderti”.
Oh, come sono rassicurato
adesso! Pensò, sarcastico.
La figura in armatura
scattò verso l’allievo, velocissima. Kasday
imbracciò lo scudo, appoggiato a terra, e parò il
colpo. L’armatura continuò,
incessantemente, ad attaccarlo. Con la
spada inutilizzata, il ragazzo si limitava a parare l’arma
avversaria,
utilizzando lo scudo. Non era sua intenzione attaccare o ferire. Con
rapidi
passi di danza, schivava e incassava i colpi.
“Il combattimento non si
fermerà finché uno dei due non
cadrà in terra o deporrà
l’arma” tuonarono gli Alti. Avevano un tono di voce
che pareva divertito.
Kasday si stupì di
riuscire a cavarsela, tutto sommato non
stava andando tanto male. Ma non avrebbe potuto continuare a
lungo…
“Voglio vederti in
faccia!” esclamò il mortale, rivolto al
suo avversario “Voglio sapere chi sei. Perché
dovrei odiarti?”.
L’armatura non rispose.
“Mostragli il tuo volto,
Tati. Mostra, a questo giovanotto,
chi deve odiare” ordinarono gli Alti.
La figura armata si fermò
e tolse l’elmo. La Dea della
Guerra!
“La puoi non odiare, ex
Serafino?” domandò una delle Alte
divinità “Avrebbe potuto fermare tuo padre e non
ha voluto farlo…”.
Kasday gettò in terra la
sua arma: “Se
non odio mio padre, che mi ha ucciso, e se
non odio Voi, Alti, per non averlo impedito, come potrei odiare lei,
che
neanche volendo avrebbe mai potuto far cambiare idea al
Kaos?”.
La Guerra lo guardò con
tenerezza. Allungò una mano per
accarezzare il figlio, ma lui si ritrasse. “Non Vi odio. Ma
nemmeno Vi amo. Mi
spiace” sussurrò, senza girare i suoi occhi
azzurri verso la madre.
Gli Alti fecero un cenno. La Guerra,
con un inchino, venne
accompagnata fuori.
“Mortale!”
tuonò uno degli Alti, “Se tu dovessi fare una
scelta fra una delle due fazioni, gli Hainuet o i Denian, dalla parte
di quale
delle due ti schiereresti?”.
“Nessuna delle due
parti!” rispose, convinto, l’allievo
“Nessuno
dei due capi di questi schieramenti merita di vincere. Ma entrambi
devono
esistere. Perciò io sarò l’ago tra i
due piatti della bilancia, ma questo
avverrà solo nel caso io possa avere abbastanza potenza, un
giorno. In caso
contrario, i due avversari finiranno per autodistruggersi, portando con
loro i Mondi e le
creature che li venerano”.
Gli Alti tacquero, per un istante.
“Sembri molto sicuro di te,
ragazzo”.
“Lo sono! Ho visto di che
cosa sono capaci!”.
Gli Alti guardarono il piccolo
mortale, in silenzio. Poi si
alzarono. Ed iniziarono ad uscire, uno dopo l’altro, dalla
stanza, lasciando
Kasday da solo. Lì, in silenzio, in attesa di un responso.
Voglio davvero essere un
Dio? Forse no…anzi…sicuramente
no!
La porta si aprì. Una
figuretta zoppicante entrò nella
stanza.
“Erezehimsay!”.
L’angelo Messaggero
andò ad accoccolarsi accanto all’ex
Serafino che, nel frattempo, si era seduto sul pavimento, un
po’ stanco.
“Come stai?”
chiese il giovane alla creatura dalle ali
d’argento, in tono apprensivo.
“Fisicamente,
bene…” rispose
l’angelo, con la testa bassa.
Si vedeva che era distrutto.
“Sapevo che, prima o poi,
sarebbe successo. Sapevo che,
prima o poi, se ne sarebbe andato. Ma non mi
aspettavo…”.
Tacque. Fece un profondo sospiro,
tenendosi i piedi con le
mani: “Mi auguro che il mio padrone abbia visto giusto in te.
Spero abbia avuto
ragione a credere in te!”.
“Cosa farai,
ora?”. L’angelo non riuscì a rispondere.
La luce degli Alti inondò
la stanza e zittì ogni voce. Kasday
e il Messaggero si alzarono.
“Mortale!”
iniziò uno degli Dei “Sappiamo che la situazione
è decisamente fuori controllo, ora. E sappiamo anche che tu
non sei in grado di
spingerti, con la mente, troppo in là con il tempo,
impensierito come sei dalla
circostanza attuale. Tuttavia noi sappiamo ciò che
accadrà. È quindi tuo
compito prendere il posto del Dio dell’Equilibrio e tentare,
in ogni modo, di
stabilizzare la situazione. Non sarà un’impresa
facile, te lo possiamo dire
subito. Nostro compito è farti presente che, se accetti
questo compito, mai
alzerai la spada contro di loro. Contro nessun Dio tu userai
un’arma. Avrai lo
scudo ed il tuo scopo sarà quello di difenderti e difendere.
Se mai uno
strumento d’offesa capiterà tra le tue mani, e tu
lo utilizzerai contro
qualcuno, sarà a rischio la tua carica, la tua condizione di
Equilibrio e la
tua stessa vita, in quanto trasgrediresti alle nostre regole. Ora, a te
la
scelta: vuoi tu essere un Dio? Vuoi tu essere
l’Equilibrio?”.
Kasday annuì:
“Sono qui per questo”.
“Bene. Allora pronuncia il
tuo nome. Se desideri quel
Messaggero accanto a te, nel tuo futuro, allora può restare
nella stanza. In
caso contrario deve uscire e decideremo in seguito cosa
farà. A te la scelta!”.
L’ex Serafino
guardò Erezehimsay: “Vuoi essere il mio
Messaggero, Erezy?”.
L’angelo lo
guardò negli occhi. “Se Voi lo desiderate, io ne
sarei grato!” sussurrò in risposta. Kasday
pronunciò il suo nome. Il suo vero
nome.
E subito avvertì
l’energia entrargli nelle vene. Venne
sollevato da terra e avvolto dalla luce, mentre gli Alti parlavano.
“Sii tu un nuovo
Dio!” tuonarono, in coro, le Alte divinità
“Noi
non possiamo fornirti l’energia che cerchi.
All’Equilibrio, come ad ogni alta
divinità, spetta ricercare la propria forza nella fede di
chi crede in lui e
nel rispetto del principio che porta.”.
Il ragazzo iniziò a
percepire che la magia si stava
sostituendo al suo sangue.
“Fai in modo che la gente
creda!”.
Non era una bella sensazione! Si
sentì svuotato di ogni
linfa vitale.
“Fai in modo che torni
l’Equilibrio!”.
Cadde in terra, stremato. Sulla
fronte apparve il suo
simbolo: un rombo.
Perché un rombo?
Ma che importa…
Si rialzò, a fatica,
sorretto dal suo Messaggero dalle ali
d’argento e l’abito cremisi. L’ex
Serafino gli sorrise: ora i suoi
occhi brillavano.
“Ti serve un periodo di
tempo, dipende da te se questo sarà
più o meno lungo, in cui abituarti alla tua nuova condizione
divina. Molti si
arrendono dopo poco e rinunciano. Non essere tra questi”.
Kasday si rizzò sui
piedi e fece un inchino.
“Sarà un compito
difficile, come già detto. Buona fortuna!”.
Gli Alti ora mostravano il loro volto
ed i loro tratti. Con
un gesto della mano, le Alte divinità rimandarono
l’ex Serafino al palazzo
dell’Equilibrio.
Il nuovo Dio si sentiva terribilmente
stanco. Seduto in
terra, chiese al suo nuovo Messaggero notizie su come si comportasse il
suo
padrone.
Erezehimsay andò a
sistemarsi accanto a lui. “Io…avrei un
favore da chiederVi.” domandò, timidamente,
l’angelo.
“Dimmi pure, ma non darmi
del Voi!”.
“Va
bene…ecco…Voi…”.
Ma non ti avevo detto di non
darmi del Voi?
“…siete stato
sempre un mortale. Avete pregato un sacco di
volte. Io ho sempre vissuto con gli Dèi e non l’ho
mai fatto. Mi
insegnereste?”.
Giusto. Quegli
Dèi che, fino a pochi giorni fa, pregavo,
ora…sono come me! Io sono un Dio.
Guardò in alto, verso il soffitto
decorato del suo nuovo palazzo.
“Non è
difficile. Pensa a che cosa vuoi dire e dilla! Basta!
Vuoi pregare per lui? Vuoi pregare per il mio e tuo maestro? Ti do una
mano
io…vieni!”.
Si presero per mano ed uscirono
all’esterno. Era scesa la
notte.
“Che bella serata! Quante
stelle!”.
“Lo sapete che la giovane
Dea della Notte è la moglie di
vostro fratello?”.
Kasday sorrise. La volta del cielo
brillava con migliaia di
luci.
“Che bello…ora,
però, segui me! Guarda le stelle.
Concentrati. Pensa a lui, e parlagli!”. Erezehimsay
iniziò, titubante a
parlare, rivolto all’Equilibrio appena scomparso.
“Io…vorrei…che
Voi, mio antico Signore, foste una di quelle
meravigliose stelle e che mi poteste guidare e parlare attraverso
questo
ragazzo, che ora porta il vostro ruolo e…io non
so…”.
Riprese il nuovo Equilibrio:
“Diventa tu, maestro, la stella
più lucente del cielo! Affida la tua essenza più
pura alla divinità della
Morte! Preghiamo affinché la dolcissima Vita ti faccia
rinascere o dimorare in
un luogo di pace e ordine, come hai sempre desiderato. Aiutaci, Dea
della
Speranza, a non chinare il capo, a non arrenderci. Aiutaci, o divina
Gioia, a
vivere con serenità il loro ricordo. Aiutaci, oh Pace, a non
provare odio verso
chi ci ha portato via amici cari e parenti. Asciuga le nostre lacrime,
che non
smetteranno di scendere dalle nostre guance. Così voglio,
così sia, vi prego!”.
“Grazie…”
sussurrò l’angelo.
“Di niente. Solo una
cosa…Erezehimsay: smettila di darmi del
Voi!”.
“Come
volete…” Kasday ruotò gli occhi al
cielo “…ora dovete
riposare!”.
Insieme rientrarono nel palazzo ed in
cielo apparve una
nuova stella.
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Capitolo 18 *** XVIII- Nuovo Equilibrio ***
XVIII
IL NUOVO EQUILIBRIO
La notte era tranquilla. Kasday
tentava di abituarsi alla
sua nuova condizione. Sentiva voci nella testa e la sua debolezza
aumentava,
nonostante stesse tranquillo ed a riposo. Guardava fuori dalla
finestra,
contando le stelle, quando notò una cosa strana: le stelle
iniziavano a
spegnersi ed il buio avanzava velocemente. La città stava
piombando nelle
tenebre!
“É il Kaos!
Scappate, Signore!” urlò il Messaggero.
Il nuovo Equilibrio si sentiva stanco
e confuso.
“Scappare? E
dove?” chiese l’ex Serafino.
Si accorse che la sua voce era
cambiata, rapidamente,
divenendo un misto fra quella di una donna e quella di un uomo.
Ebbe un’ idea.
Ricordò un luogo
carico di energia magica, in un Pianeta
in cui le creature non la sapevano utilizzare. Lui aveva bisogno di
ricaricare
la sua forza e pensò che quel luogo fosse l’ideale
perché solo con il massimo
delle forze poteva sperare di affrontare il proprio fato.
Lui e il Messaggero iniziarono a
correre lungo i corridoi,
tentando di schivare le ombre che avanzavano e che entravano da ogni
anfratto.
Erezehimsay pronunciò una complicatissima formula ed
aprì il portale che
conduceva ad altri Mondi.
“Ho capito dove volete
andare. Precedetemi, Signore. Io
cercherò di trattenerlo!”.
“Non se ne parla, mio
Messaggero! Sei ancora troppo debole a
causa delle ferite inferte da quel Dio psicopatico! Tu adesso vieni con
me, è
un ordine!”.
L’angelo parve rassegnato.
Si accinse a seguire il suo
padrone ma, appena
questi passò oltre il
portale, non lo accompagnò.
Si girò di
scatto, chiudendo il portale e rientrando nel palazzo.
Il nuovo Equilibrio si accorse subito
di non avere il
Messaggero al suo fianco e lottò con tutte le sue forze per
tornare indietro ad
aiutarlo, ma non ci riuscì. Cadendo, percepì
sensazioni che già aveva provato.
Gli venne in mente quella notte, la notte in cui era stato lanciato dal
Mondo
degli Dei a quello degli Angeli. Precipitò al suolo,
battendo la schiena
malamente, ignorava come gli Dèi volassero senza avere le
ali. Fortunatamente
il suo angelo aveva aperto il portale a pochi passi dal suo obbiettivo:
la
fonte magica in uno dei Mondi in cui dimorano creature senza magia.
“Benedetto
sia
Erezehimsay! Spero di ritrovarti presto, amico mio!”.
Era una sorgente, con un piccolo lago
ed una grotta, che
conteneva un’ enorme quantità di energia.
Arrancò, ansando a causa della botta,
fino al ciglio del laghetto. Subito la magia lo aiutò a
guarire e lui vi si
immerse, delicatamente, chiudendo gli occhi. Si sentì
già meglio.
Specchiandosi nella
limpida fonte, notò
che i suoi capelli erano diventati lunghissimi, fino alle caviglie, e
si
espandevano sulla superficie dell’acqua. Anche gli occhi
erano mutanti: si
erano ingranditi e l’azzurro si era espanso, fino a coprire
ogni altro colore
dell’orbita.
“Sembro una
mosca” si disse “Una grossa mosca dagli occhi
azzurri!”.
Per assimilare di più la
magia, il Dio si tolse le vesti,
ormai logore e stracciate a causa degli ultimi eventi, e si accorse di
non
essere più né maschio né femmina. O
meglio, si accorse di poter cambiare forma
a suo piacimento e di poter scegliere quale dei due generi essere.
Da donna era una creatura magra e
bella, con gli occhi
sensuali, nei quali si distinguevano i contorni delle iridi e la
rotondità
della pupilla.
Da maschio…assomiglio
troppo a mio padre si ritrovò a
pensare. Suo padre, infatti, aveva gli occhi con un colore unico, senza
distinzione, e quegli occhi non li voleva vedere. Non ancora!
Così si
stabilizzò in una posizione intermedia, con grandi
occhi femminili e viso dolce, con corpo esile e aggraziato, ma da
maschio.
Sorrise, specchiandosi. Si immerse fino alla punta del naso e chiuse
gli occhi,
rilassandosi, lasciando che i suoi lunghissimi capelli si espandessero
lungo il
pelo dell’acqua. Poi però sentì un
rumore ed alzò la testa, di colpo.
“Chi è
là?” chiese, allarmato. Si sentiva piccolo e senza
difese.
“Non abbiate paura,
Signore!” parlò una donna, spuntando da
dietro un albero “Non volevo spiarla, davvero!
Perdonatemi!”.
Il nuovo Equilibrio
constatò che colei che aveva di fronte
era una mortale, come era stato lui fino a pochissimo tempo prima.
Stava
prostrata a terra, spaventata.
Il Dio tentò di farla
alzare: “Non fare così. Non è
necessario. Alzati!”.
“Voi siete un Dio! La
vostra luce illumina questo periodo
buio!”.
Il giovane si guardò la
pelle. Effettivamente emetteva un
lieve bagliore arancio-dorato.
Era un barlume debole, ma presente.
“Venite con me al
villaggio, ve ne prego! Oh, divino…”.
La donna non si alzava da terra e
continuava a guardare in
basso. Il nuovo Dio iniziò ad uscire dall’acqua.
La mortale sussurrò:
“Era da un po’ che la osservavo. Mi
sono presa la libertà di portarvi una stoffa, se la
volete…”.
L’Equilibrio vide il
tessuto in terra. Era bella, blu e
cremisi. La allacciò attorno alla vita, scrollando i capelli
per asciugarli un
po’. Sul petto gli era rimasta la profonda cicatrice della
lancia degli Hainuet
e la cosa lo infastidì. Fissò di nuovo la mortale
ed ammise di sentirsi a disagio.
Che cosa devo fare per
questa gente?
Nonostante la fonte magica lo avesse
rigenerato, ancora non
era in grado di agire divinamente.
Si avvicinò alla donna e
le alzò il volto con la mano: “Guardami.
E non avere paura di me!”.
Sono io che ho paura di
te…cosa vuoi da me? Sono in grado
di darti ciò che desideri?
La donna alzò gli occhi.
Il Dio le sorrise e lei ricambiò il
sorriso.
“Portatemi
al vostro
villaggio allora, Madama!”.
Iniziarono a camminare, lentamente,
lungo il sentiero che li
conduceva al paese. Era una strada ripida, stretta e con sassi, non
stabili,
sparsi un po’ ovunque.
Lei correva, raggiante, mentre lui la
seguiva, titubante, e
sembrava un ragazzino smarrito. La donna faceva fatica, in alcuni
tratti,
perché i sassi scivolavano e, a volte,
l’Equilibrio doveva sorreggerla. Lui non
aveva problemi, pareva non toccare terra. La mortale arrossiva ad ogni
contatto
con il Dio, che cercava invano di metterla a suo agio. Lui non aveva
difficoltà
ad avanzare, ma sentiva ancora la testa e le palpebre pesanti.
“Ho bisogno di
riposare…” sussurrò.
La giovane adepta gli rispose:
“Lo vedo! Chissà quali grandi
cose succedono nel vostro Mondo! Chissà che fatica essere un
Dio! Ad ogni
modo…se me lo permettete, non sembrate una mosca!
Anzi…siete molto bello!”
tornò a guardare altrove e aggiunse
“Scusatemi!”.
In evidente imbarazzo, la donna
arrossì, ma arrossì anche il
Dio.
Sono un bel
Dio…chissà da che cosa si capisce che sono
stanco…avrò le occhiaie!
In realtà si notava
chiaramente osservando la luce emessa
dal suo corpo: smorta e debole.
Il volto della nuova
divinità era pallido e lui si sentiva
sempre più stremato. L’Equilibrio rivolse il capo
verso il cielo e sussurrò una
preghiera, rivoltò a chiunque lo volesse ascoltare.
Pregò per il suo
Messaggero, sperando di poterlo rincontrare presto. Intravide, da
lontano, il
villaggio dove si stavano dirigendo.
“La porto a casa vostra,
mio Signore: il Tempio!”.
“Bene”
sospirò.
Iniziarono ad inoltrarsi
lungo le vie del paese. Il Dio coprì il suo simbolo con un
ciuffo di capelli e
spense la sua luce. La sua guida gli porse una veste, nuova e lunga.
“Non dire a nessuno che io
sono qui. Mostrerò la cosa al
momento opportuno” ordinò alla mortale che
annuì, con un inchino. “Saprò come
ricambiarti, grazie” sussurrò il Dio alla donna.
“State bene
così, se mi permettete di farvelo notare.
Però…dovreste cercare di assomigliare di
più ad un Dio. Avete l’aspetto di un
ragazzino smarrito!”
Perfetto!
“Sono un
novizio…” ammise lui.
“Ah!
Congratulazioni!”.
“Grazie. Non essere in
imbarazzo, dimmi pure tutto ciò che
vuoi. Sono un Dio aperto alle critiche!”.
“Nessuna critica! Avete
anche un ottimo accento!”.
“Sono stato un mortale per
un periodo”.
“Davvero? E
perché? E come mai venite Voi qui e non il
vostro Messaggero, come accade solitamente?”.
“È una lunga
storia…se avrò modo di spiegartelo, ti
racconterò tutto volentieri!”.
Entrarono nel luogo sacro. La veste
lunga della divinità si
trascinava sul pavimento. Aveva coperto il simbolo sulla fronte con una
fascia,
dato che i suoi capelli si agitavano senza controllo. Alzò
il cappuccio,
coprendosi il volto e la capigliatura. Avanzarono fino alla statua
posta dietro
all’altare, la statua rappresentante i simboli degli
Dèi e l’Equilibrio che li
reggeva. Tutti i presenti notarono che la figura scolpita stava
mutando.
I suoi occhi stavano cambiando
tonalità ed i capelli si allungavano,
formando dei raggi e dei riccioli attorno al capo del divino danzante.
Così
facendo , la statua prese le sembianze del nuovo Dio
dell’Equilibrio.
Come si sentiva strano il piccolo
novizio! Era confuso,
triste e, soprattutto, tanto stanco. Barcollò, reggendosi la
testa con la mano
e scuotendola per stare sveglio.
“Equilibrio!” gli
sussurrò la donna. Il Dio si portò
l’indice alle labbra e le fece segno di tacere.
I sacerdoti, presenti nel tempio,
notarono il cambiamento
della statua.
“C’è
un altro Equilibrio!” si sentirono voci
mormorare“Il
vecchio Equilibrio si è spento!”.
Diverse furono le reazioni.
C’era chi piangeva il Dio appena
decaduto e chi, invece, sperava in una possibile risoluzione dei
bisticci tra
Kaos e Destino: nessuno li sopportava più!
Il simbolo della Pace era fievole e
traballante.
“Devo trovare la Dea della
Pace! Devo impedire che si spenga
di nuovo!” bisbigliò il nuovo Dio. “Ho
sentito che la Dea della Pace sta nel
Mondo degli Angeli, protetta dai padroni del cielo: gli Arcangeli
immortali”
rispose la donna che gli stava accanto.
I padroni del cielo? Gli
Arcangeli immortali?
“Ma se uno dei due creatori
volesse fargli del male, non
avrebbe scampo. Non ha incantesimi di protezione a
difenderla” continuò lei.
“Come lo sai?”.
“Io sono una Sacerdotessa.
I Messaggeri mi parlano. È la
prima volta che mi capita di poter comunicare direttamente con un
Dio…”.
“Sono una
divinità molto particolare”.
“Dov’è
il vostro Messaggero?”.
L’Equilibrio non rispose.
Lei notò il suo sguardo triste e
non chiese altro.
“Scusate…”
mormorò.
La mortale saltò sopra
all’altare e tutti i presenti si
voltarono a guardarla.
“Il nuovo Dio ha bisogno di
forza! Ed è compito nostro
fornirgliela!” urlò lei. Attirò
l’attenzione di ogni creatura nel tempio, poi
continuò: “Il vecchio Equilibrio ha lasciato
questo sistema divino. Ora è fra
gli Alti, in pace. Non possiamo più fare nulla per lui, ma
possiamo aiutare il
nuovo Dio dell’Ordine, che in questi giorni muove i primi
passi. Ha bisogno
della nostra fede! Per troppo
tempo ci
siamo scordati di lui! Per troppo tempo non abbiamo pensato al fatto
che solo
lui può fermare la guerra tra i due creatori!”.
La gente nel luogo sacro vociferava.
Un gruppo dava ragione
alla Sacerdotessa ed altri la additarono come pazza. Il Dio percepiva
tutti i
pensieri della gente.
Sono più confusi
di me…
Lei continuava a parlare:
“Noi siamo in un mondo conteso tra
Kaos e Destino…perché non dare abbastanza forza
all’Equilibrio, in modo che sia
lui a governarci?”.
Il Dio la guardò. Pazza…
“Che dobbiamo fare,
Sacerdotessa?”.
Lei balzò giù
dall’altare. “Ballate!”
ordinò. “Ballate e
dategli forza!”.
La donna iniziò a ballare,
seguita da alcuni altri presenti
del tempio.
L’Equilibrio
percepì la sua magia aumentare. Nascose le mani
con l’aiuto delle ampie maniche e si coprì di
più il viso, perché la sua luce
si estendeva con più vigore. Un tuono fece arrestare ogni
danza ed una fitta
pioggia iniziò a cadere. Dapprima era solo lieve e delicata,
ma poi ogni goccia
si tramutò in una lingua di ghiaccio. Le case iniziarono a
danneggiarsi e grida
di dolore giunsero alle orecchie dei Sacerdoti.
“Sono gli Dèi!
Gli Dèi creatori ci stanno facendo questo! La
gente viene ferita e il villaggio distrutto! Moriamo perché
non apparteniamo a
nessun Dio!”.
La popolazione urlava, nel terrore.
“Gli Dèi degli
eventi atmosferici sono contro di noi!”
strillava qualcuno.
I presenti nel tempio si avvicinarono
alla statua, pregando:
“Lasciateci in vita, oh divini! Lasciateci le nostre case!
Lasciateci i nostri
parenti!”.
L’Equilibrio
percepì tutte le loro richieste. Sospirò e si
avviò verso la porta, verso l’esterno.
“Signore…” gli disse la Sacerdotessa.
“Balla!” gli
ordinò lui, ed andò fuori.
Guardò verso
l’alto. E parlò, in lingua divina: “Compagni miei,
nuovi miei compagni, io vi
chiedo: chi vi comanda? Chi vi obbliga a fare questo? Chi vi comanda di
fare
del male?”.
Un lampo e un possente tuono furono
la risposta. Il neo-Dio
riprese: “Io so cosa il Kaos ed il Destino vi fanno. Entrano
nella vostra mente
e vi muovono come burattini. Lo so perché mi è
stato insegnato e, con
sufficiente potenza, sarei in grado anch’io di farlo. Ma ora
io vi chiedo di
tornare voi stessi. Svegliatevi e calmatevi! Pensate a
perché fate questo. Ha
forse uno scopo che io non comprendo? Compagni
miei…rispondetemi!”.
La pioggia cessò. Un
angelo Messaggero apparve nel cielo e rimase
sospeso a mezz’aria, ruotando gli occhi a destra e a
sinistra, come in cerca di
qualcuno.
Il Dio gli parlò:
“Non ho qui con me il mio Messaggero, caro
angelo dalle ali d’argento. Non puoi discorrere con lui, come
sei abituato a
fare. Parla con me”.
L’angelo parve confuso.
Abbassò il capo, in un inchino, e
iniziò a riferire le parole che il suo padrone divino gli
aveva affidato: “I
divini controllori del Vento, della Pioggia, del Gelo e dei Lampi
salutano il
loro compagno. Vi danno il benvenuto, nuovo Dio. E chiedono perdono per
il loro
comportamento ma, purtroppo, sono divinità minori che
vengono facilmente
manipolate dai creatori e dagli Dèi maggiori. La vostra voce
li ha liberati
dalla loro possessione. E per questo Vi ringraziano. Avete riportato
l’ordine
nella loro mente”.
“È solo una
situazione temporanea. Non ho la forza per fare
questo molto a lungo”.
Il Messaggero fece un cenno di
congedo e volò via. Sparì tra
le nuvole che si diradarono, lasciando spazio al Sole che
tornò a splendere. Il
Dio delle stelle e dei fuochi salutò il nuovo Dio
Equilibrio, illuminandogli il
viso. L’Equilibrio rispose, con un sorriso e una mano.
Poi scoprì i lunghi
capelli, abbassando il cappuccio e
liberandoli dalla veste dentro il quale erano stati nascosti. Dentro il
tempio
la gente ballava, così come la le creature in paese, ed il
giovane Dio
Equilibrio si sentì più tranquillo, per un
attimo. La sua luce era potente, si
sentiva molto meglio, anche se era consapevole di essere ancora molto
debole
rispetto ai creatori.
Gli abitanti della città
iniziarono ad invocare il nome del
loro divino salvatore.
“Voi, Signore
dell’Ordine, potete far finire la guerra! Voi,
Dio dell’Equilibrio, potete salvarci tutti! Che dobbiamo
fare? Che dobbiamo
fare per poterVi aiutare?”.
Il Dio ci pensò un attimo,
poi rispose: “Ballate! Ballate
per me!”. Guardò la Sacerdotessa: “Non
potrei chiedere di più! Ballate per me!
E credete. Solo così avrò la forza di fare
ciò che mi chiedete!”.
La mortale lo fissava, felice:
“Andate a cercare la Dea
della Pace, nostro Signore?”.
L’Equilibrio fece un cenno
d’assenso, poi iniziò a danzare,
come non faceva da tempo.
Chiuse gli occhi e traccio dei segni,
con i piedi scalzi.
C’era chi tentava di
seguirlo, nei suoi passi, ma i
movimenti della divinità erano troppo complessi. A terra
disegnò i simboli per
aprire un portale per altri Mondi poi si fermò.
Riaprì gli occhi e pronunciò
alcune parole che fecero apparire la luce multicolore del vortice,
segno che
ora il passaggio era attivo. Diede un’ ultima occhiata a
tutti i presenti ed entrò
nella spirale multicolore che lo avvolse, trasportandolo altrove.
La notizia che un Dio era giunto alla
capitale fece
rapidamente il giro del Pianeta. Ovunque si diffuse la voce che, se la
gente
ballava, lui diveniva più forte e così la popolazione
ballò, danzò in suo onore.
“Crediamo in te, Dio della
Danza!”.
E l’Equilibrio sorrise,
passando da un universo ad un altro.
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Capitolo 19 *** XIX- I signori dell'aria ed il principe del mondo ***
XIX
I SIGNORI DELL’ARIA
E IL PRINCIPE DEL
MONDO
L’Equilibrio si
ritrovò a pochi passi dalla capitale del
Mondo degli Angeli, non molto distante da dove, un tempo, aveva la
casa. Si
coprì con il mantello ed avanzò verso il Tempio.
In quel luogo, teoricamente,
stavano i capi del Pianeta. Loro dovevano sapere se la Dea della Pace
era
effettivamente su quel corpo celeste. Velocemente attraversò
le vie bianche
della città e passò vicino a quella che un tempo
era l’abitazione di Luciherus,
con le sue finestre di migliaia di colori, ma così spente
senza il loro
padrone! Vide la scuola dove aveva studiato e spiato le lezioni degli
Arcangeli
e sorrise a quei ricordi. Quanto tempo era passato? Di tutti i volti
che lo
circondavano, non riusciva ad individuarne nessuno familiare. Si
rassegnò
all’idea che molti di quelli che conosceva un tempo, erano
morti. Per gli anni,
secoli o millenni, trascorsi, o per i continui attacchi del Kaos al
Pianeta. Si
affrettò lungo le scale del tempio.
Che brutta sensazione.
Sentì ancora sulla pelle
la pioggia di quella notte ed
avvertì una fitta alla cicatrice sul cuore.
Lacrime e risate, tristezza e gioia,
vorticavano nella sua
mente ed il ricordo
del volto del padre
gli apparve, come un lampo. Lo ricacciò nel profondo del suo
subconscio. Nei
suoi confronti provava paura,
curiosità ma, se ne rese conto, nessun’accenno di
odio o rabbia.
Mise a tacere le mille voci delle sue
memorie, perché doveva
concentrarsi su altro. Entrò nel luogo sacro, aprendo la
pesante porta
decorata. Il luogo era luminoso, con tutte le candele accese che
proiettavano
ombre traballanti sulle pareti. Una dolce musica si diffondeva per
tutto il
tempio e l’Equilibrio si soffermò ad ascoltare.
Era un suono angelico e soave
ed alla melodia si unirono le voci degli Arcangeli. Il Dio si mise al
centro
della sala, nel mezzo delle due navate, e guardò in alto.
Da lì poteva vedere il
piano rialzato su cui era posto lo
strumento musicale. Vide Raguhel, l’Arcangelo
dell’armonia, suonare l’organo.
Lo accompagnavano Gibrihel, Mihael, Camahel e Remihel. Mancavano
Rahahel e
Urihel. Come erano cambiate le loro voci! Non erano più dei
ragazzini ed il
loro canto meraviglioso era innalzato con tono profondo e potente. Il
nuovo Dio
rimase ad ascoltarli, in silenzio.
Al loro coro si unì, ad un
tratto, un canto femminile. Conosco
quella voce! Eleniel!
Gli Arcangeli si fermarono.
“Potete riferire a Samhian,
Signora, che, come sempre ha
fatto un ottimo lavoro. Il testo e la musica sono prefetti!”
parlò Raguhel.
Eleniel, la nuova Dea della Pace, si
sporse e vide
l’Equilibrio.
“Ma guarda un po’
chi si vede!” esclamò lei, scendendo dal
palco.
Non usò le ali, che
rimasero chiuse, e planò dolcemente,
avvolta dalla sua magia. Librò a mezz’aria ed
atterrò e gli Arcangeli, curiosi,
la seguirono volando.
Il Dio teneva il volto coperto,
consapevole del fatto che
stava ancora mutando. Gli era stato detto che ci avrebbe messo del
tempo per
assumere il suo aspetto definitivo.
Chissà come lei
mi ha riconosciuto… Si sentiva di
nuovo stanchissimo. Dovrei essere a riposo ora, si
disse. Ma non c’è
tempo!
“Ciao, Eleniel.
È un piacere vederti” sussurrò il nuovo
Dio,
con la sua nuova voce melodica.
I
Serafini e gli
Arcangeli che stavano nel tempio, sentendo una voce sconosciuta,
iniziarono a
radunarsi. Scesero dalle scale in due gruppi, il primo proveniente
dalla
biblioteca ed il secondo da una stanza che l’Equilibrio non
ricordava.
Evidentemente non c’era ancora quando era caduto.
Eleniel lo abbracciò:
“Loro non sono in grado di
riconoscerti, ma io saprei individuarti tra mille! Saprei che sei tu
anche
nella più completa oscurità! Vieni,
c’è una persona, qui, che credo tu abbia
voglia di rivedere”.
“A parte te?
Chi?”.
Eleniel arrossì e gli
sorrise. Il Dio notò il bracciale che
lei portava al polso.
“Chi è il tuo
compagno? Porti il bracciale delle unioni…”.
“Samhian” gli
rispose lei.“In realtà anche tu e Vereheveil
siete rimasti nel mio cuore. Ma poi voi due siete spariti e lui
è divenuto il
mio Messaggero…”.
“Non
serve che ti
giustifichi!”.
“Mi hanno anche detto che
hai avuto un figlio”.
“Sì.
Quand’ero un demone”.
Lei voleva sapere altro, ma
notò lo sguardo triste di lui e
cambiò argomento. I due continuavano a parlarsi nel loro
linguaggio divino e gli
Arcangeli li guardavano, senza capire.
“Santa
Eleniel…” iniziò a parlare Gibrihel, il
più bravo con
le parole “…è forse costui un tuo
compagno divino?”.
Costui? Non mi riconosci?
Gibry! Sono io! Sono così
diverso rispetto a…? Si guardò in uno
degli specchi del tempio. Sì, sono
diverso. Ma anche voi siete diversi!
Gli
Arcangeli erano
cambiati nell’aspetto, oltre che nella voce. Erano
più alti, con i capelli più
lunghi e il volto più adulto, nonostante avessero mantenuto
lo stesso sguardo e
gli stessi occhi grandi. Portavano tutti lo stesso abito lungo.
La tunica che Luciherus
tanto odiava!
Un altro ricordo. Un altro pensiero
che il Dio tentò di
scacciare. Quanta nostalgia…
La Dea non rispose
all’Arcangelo, ma prese l’Equilibrio per
mano e lo condusse per la ripida rampa di scale che portava ai piani
superiori.
Incrociarono diversi Serafini e, pur non essendo gli stessi che
provocarono la
sua caduta, l’ex abitante del Mondo degli Angeli non
incrociò i loro sguardi. Non
voleva ricordare, non voleva memoria, non voleva avvertire di nuovo
quella
fitta al petto, là dove lo aveva trafitto la lancia degli
Hainuet. E non voleva
ricordare la lama gelida di uno degli Angeli che gli trapassava il
corpo di
demone. Affrettò il passo, lungo un buio e stretto corridoio
che terminava con
una porta bianca. Aprendo quella porta, i due Dèi si
ritrovarono nella stanza
più luminosa che potesse esistere. La cupola d’oro
si apriva in un punto,
permettendo il passaggio della luce, che poi veniva amplificata tramite
specchi
e superfici lucide. Perfino in piena notte, quella sala sembrava e
illuminata a
giorno. Una volta abituato al bianco totale della sala, il Dio si
accorse di
essere in una specie di camera da letto.
“Come sta?”
sussurrò Eleniel.
Rispose un'altra voce:
“Bene. Sta bene. Si è addormentato”.
L’Equilibrio
guardò verso il bordo del letto e vide che era
stato Rahahel a parlare. Riconobbe anche Samhian, che era in piedi
contro una
parete a braccia incrociate. L’angelo lo salutò
con un inchino e poi si
concentrò sulla figura distesa sul letto.
“Erezehimsay!”
sussurrò il nuovo Dio.
Il suo Messaggero dormiva tranquillo.
Evidentemente avvertì
la sua presenza perché aprì gli occhi,
lentamente.
“Signore!”
bisbigliò l’angelo ferito allungando una mano
verso il suo padrone.
L’Equilibrio gli si
avvicinò di corsa e lo abbracciò.
“Sono così
felice che tu sia salvo!”.
“Gli Alti mi hanno
ascoltato. Ho chiesto di avere la
possibilità di rincontrarVi. E loro hanno fermato la mano
del Kaos, quando
stava per lanciarmi contro il colpo finale. Loro volevano che tornassi
da
Voi!”.
“Volevano che tornassi da
te! Dammi del Tu!” lo rimproverò,
gentilmente, il Dio.
Continuava a tenerlo forte a se:
“Non ti faccio male, vero?”
domandò preoccupato.
“No. Ormai sono guarito.
Sto bene. Rahahel mi ha curato”.
L’Equilibrio
ringraziò l’Arcangelo: “É un
piacere rivederti,
Rahy. Ora manca solo Urihel
all’appello…”.
“Io ho fatto il mio lavoro!
E Urihel se ne sta sempre tra le
sue…chissà perché!”.
Rahahel guardò meglio il
nuovo Dio: “Non posso credere che
tu sia quel piccolissimo Serafino che veniva a spiarci…
Siete una generazione
speciale!”.
Il
Dio sorrise:
“Anche voi Arcangeli siete speciali, se siete ancora in
vita!”.
Il guaritore sorrise.:“In
effetti…la Dea del Destino ci ha
fatto questo dono. Ci ha donato l’immortalità.
C’è chi l’accetta con gioia e
chi si fa dei problemi come Urihel o Gibrihel…”.
“Problemi?”.
“Si, problemi!”.
Una voce dal corridoio. Gli altri
Arcangeli si erano
radunati fuori dalla porta. Come sempre era Gibrihel a parlare:
“Tu sei quel
piumino che parlava sempre con il caro S sibilante? Che
tenerezza…comunque, sì,
mi faccio dei problemi. Io dovrei essere un maestro. Ma maestro di
cosa? La Dea
ci ha reso immortali perché non nasce più nessun
angelo con un ruolo, come
avevamo noi, e allora deve tenerci per forza. Ma cosa dovrei insegnare,
io, ad
un branco che sa solo cantare e suonare? Danza, forse? I poteri magici
abbandonano le nuove generazioni e rimaniamo solo noi, Arcangeli
immortali. I
Signori dell’aria. In pochi ancora sanno
cos’è la magia”.
“Sanno solo danzare,
ballare e cantare? Non chiedo
altro…”.
Eleniel corse fuori:
“L’Equilibrio, il Dio dell’Ordine,
è
qui! Cantate! Danzate! Suonate! Fate tutto questo in suo onore! Fate
tutto
questo per la sua felicità!” urlò la
Dea.
L’Equilibrio si
sentì imbarazzato. Ma che dici? La mia
felicità?
“Vieni con me, Dea della
Pace!” esclamò il Dio, guardandola
“Vieni con me. Ho un piano. Fidati di me!”.
“Perché mi vuoi
proteggere?”.
“Ho fatto una promessa. Il
mio maestro mi aveva fatto
giurare che ti avrei trovato e ti avrei protetto, ad ogni costo, dal
Kaos”.
“Capisco…quell’individuo,
in effetti, mi spaventa!”.
“Vieni con me..”.
La Dea corse tra gli angeli, che
avevano iniziato a cantare.
Mosse lievi passi di danza. Voleva che gli altri la seguissero.
L’Equilibrio la
osservava. I due messaggeri, Samhian ed Erezehimsay, gli si
avvicinarono. Il
Messaggero della Pace raggiunse la sua compagna ed iniziarono a
danzare.
Il Dio dell’Ordine, invece,
si mise a cantare.
Non sono più
l’angelo più stonato del Pianeta!
La sua voce era splendida e tutti gli
Angeli presenti lo
guardarono, affascinati. Poi, seguito dal Messaggero, si mise al centro
della
stanza, accanto alla Dea della Pace e a Samhian. Chiuse gli occhi ed
aprì il
portale danzando.
I quattro apparvero dal pavimento del
palazzo del Principe.
Il padrone di casa, che stava seduto in orizzontale sul suo trono,
trasalì. Si
levò le cuffie, dalle quali stava sentendo musica, ed
imprecò.
“Io ho una certa
età!” urlò con convinzione
“Non potete
apparire di colpo! E, soprattutto, questa è casa mia! Dove
sta l’educazione?”.
Il nuovo Dio sorrise:
“Scusa, cugino!”.
“Ma vai a fare in
Kaos!”.
Il demone si girò, dando
le spalle ai suoi ospiti.
L’Equilibrio rimase un po’ sconcertato dalle sue
parole.
“Se cercate Vereheveil,
sappiate che è ancora nella mia
biblioteca”.
“Lo immaginavo. Lui
rispetta i patti” ammise il giovane.
“Quali patti?” si
incuriosì il Principe, che girò solo
leggermente la testa verso gli intrusi.
“Tu gli hai ordinato di
restare qui. È lui ci resta!”.
Luciherus tornò a sedersi
in modo normale. Guardò suo
cugino, non riuscendo a trattenere un “Wow!”.
“Wow cosa?”
domandò il giovane.
“Niente. Che hai fatto ai
capelli? E quella fascia sulla
fronte? Vai alla guerra, Rambo?” ridacchiò.
Non si accorge che sono un
Dio. La mia luce viene coperta
dalla sua. Il Principe ha una luce più potente della mia! E,
non potendo vedere
il simbolo che porto sulla fronte, coperto dalla fascia, non riesce ad
identificarmi come una divinità.
“Tornando al discorso di
Vereheveil,…” riprese a parlare il
padrone di casa “…io non lo trattengo qui. Il
patto è rotto. Ora lui è un Dio.
Che vada dove gli pare! Ma non vuole. Sta sempre qua, di sua spontanea
volontà!”.
Il demone si accese una sigaretta,
rimettendo le gambe sul
bracciolo.
“Non va dagli altri
Dèi?” chiese l’Equilibrio.
“E perché
dovrebbe? Le altre divinità non lo amano molto,
per il fatto che non è un Dio di nascita. Sono
così spocchiosi ed antipatici! E
sono…”.
“Ti prego, non
continuare!” mormorò l’Ordine.
“E perché? Da
quando sei un religioso? Che ti importa anche
se offendo gli Dèi?”.
“Niente. Continua pure. Ma
sai che ogni volta che offendi un
Dio, questi si indebolisce?”.
“E allora?”.
“Nulla…dì
pure ciò che vuoi. Ora, però, portami da
Vereheveil!”.
Il demone drizzò le
orecchie a punta: “Mi dai ordini?”.
“Ho fretta! Scendi da
lì e sbrigati!”.
Luciherus si stiracchiò
con calma e, senza fretta, discese
gli scalini davanti al suo trono. Si infilò una mano in
tasca ed estrasse un
mazzo di chiavi. Camminando lungo il corridoio se le passava, una dopo
l’altra,
tra le mani, fingendo di non sapere quale fosse quella che apriva la
porta
della biblioteca. Il Dio, spazientito, gli afferrò il
braccio ed infilò la
chiave giusta, a forza, nella serratura.
La fece girare, assieme alla mano del
Principe, che gli
ringhiò contro con rabbia.
“Ragazzino!”
tuonò, frustando la coda.
La
creatura divina
fece entrare i due Messaggeri ed Eleniel. Poi, con un inchino, chiuse
la porta
dietro di se, girando la chiave, lasciando il padrone di casa fuori.
I quattro avanzarono in fretta fino
al centro della stanza.
Era buia e fredda. Solo le luci dei due Dèi presenti la
illuminavano.
“Chi
è?”,si sentirono
chiedere da dietro uno scaffale.
“Un
amico!” rispose
il Dio dell’Equilibrio, usando la lingua divina.
Vereheveil corse fuori dal suo
nascondiglio e andò appresso
all’amico. Lo abbracciò forte, facendo fremere le
grandissime ali.
“Oh! Sei tu! Sei qui! Che
bello!” il Dio delle Letterature
si inginocchiò ai piedi del nuovo Dio pronunciando:
“Oh, Equilibrio! Mio
Equilibrio! Sei di nuovo qui con me! Amore mio…”.
Amore mio?
Stupito dal comportamento di
Vereheveil, il giovane Dio si
inginocchiò a sua volta: “Oh, Letterato! Mio
Letterato! Perché fai così?”.
L’angelo dalle ali nere
piangeva, affondando le testa sulla
spalla dell’amico, e notò subito i suoi
lunghissimi capelli.
“Sei bellissimo. I tuoi
capelli…i tuoi occhi…la tua voce…sei
bellissimo!”.
“Very!”.
Samhian ed Eleniel li fissavano,
tenendosi per mano.
“Siete bellissimi anche
voi…” mormorò il Dio delle
Letterature, continuando a tenere stretto l’Equilibrio.
“Siamo
sposati” lo
informò la Dea della Pace.
“Lo so.
Congratulazioni”. Rimase in silenzio. Poi
continuò:
“É così bello rivedervi!”
esclamò l’angelo nero.
“Non serve che fai
così! Non sono stato via tanto…”.
Vereheveil lo abbracciò
ancora più forte: “Un giorno ti
porteranno via di nuovo da me. Lo sento. Perciò io ora
voglio vivere ogni
singolo momento con te!”.
Il Dio dell’Equilibrio gli
accarezzò i capelli e lo guardò.
Non era cambiato. I suoi capelli verde acqua avevano la stessa
pettinatura e
gli occhi dorati brillavano come sempre.
“Hai i capelli
lunghissimi…” gli sussurrò il Dio della
Letteratura.
Il Dio dell’Ordine si
alzò e vide che, ora, i suoi ciuffi
neri arrivavano quasi fino ai piedi. “Continuano a
crescere!” protestò.
“Devi stabilizzarti. Si
vede”.
“Perché tu,
escludendo i tatuaggi, non hai cambiato nulla
nell’aspetto?”.
“Perché io non
sommo insieme quattro dna!”,esclamò
Vereheveil, rialzandosi.
Quattro dna?
Giusto…Dio, demone, angelo e la creatura
senza magia.
Si guardò attorno:
“Certo che…dovresti mettere un po’ in
ordine qui!”.
Il Dio dai capelli verde acqua lo
guardò accigliato: “Io
metto a posto!”.
“Sei sicuro?”.
L’angelo alzò il
dito medio, con un sorriso: “Questo è
perché ti voglio bene!”.
Si misero a ridere, scuotendo il
capo: non sarebbero mai
cresciuti.! Sarebbero sempre rimasti due piccoli bambini che giocano
tra loro.
“Tu sei qui per un motivo,
Equilibrio. Che posso fare per
te?”.
Il Dio dai lunghissimi capelli neri
lo guardò negli occhi,
era più alto dell’angelo di una ventina di
centimetri.
“Io vorrei che tu, mio caro
Dio della Letteratura,
pronunciassi una formula per proteggere la Pace”. Vereheveil
annuì, sparì
dietro uno scaffale e riapparve con un libro in mano.
“Qui dentro
c’è quello che ci serve”
spiegò.
“Un incantesimo per
difenderla dal Kaos?”.
“Mi chiedi molto. Quel Dio
è molto potente!”.
“Lo so! Per questo io ti
chiedo di concentrarsi solo su di
lei. Se dovesse morire, sarebbe un grosso problema!”.
“Anche se tu dovessi morire
sarebbe un bel
problema…Equilibrio!”.
“Ma io non
morirò. Sta tranquillo!”.
Il Dio della Letteratura, per niente
convinto, sfogliò il
grosso volume, sospirando.
“Per questa magia, che fa
al caso nostro, mi serve un enorme
quantità di energia…”.
“Ti daremo la nostra. E se
te ne serve di più, basta dirlo.
Quanta te ne serve? Ci penso io!” lo rassicurò il
nuovo Dio.
“Ti starò
vicino. Quando avrai sufficiente magia nel corpo,
te lo saprò dire. Ma come pensi di immagazzinare tanta
potenza? Non sei una
pila!”.
Il Dio dell’Equilibrio
uscì di corsa dalla biblioteca,
seguito dal gruppetto di Dèi e Messaggeri.
“Dov’è il tuo Messaggero,
Vereheveil?” chiese Samhian.
“É
mia figlia. E se
ne va sempre in giro. Non mi serve a molto…la lascio sempre
libera. A me piace
parlare alla gente…”.
“Anche a lui!”
affermò Erezehimsay, indicando il suo padrone
“Ma io lo servo comunque!”. Vereheveil non rispose.
Era troppo impegnato a
preservare il fiato per riuscire a stare dietro al Dio
dell’Ordine, che
marciava per il corridoio. Il gruppetto si fermò davanti ad
una porta color del
sangue.
“Non entrerai lì
dentro, spero…” sussurrò il Dio della
Letteratura al suo amico con gli occhi del Kaos “Quella
è la camera del
Principe! Così sì che lo farai
arrabbiare!”.
L’Equilibrio non lo
ascoltò ed entrò nella stanza,
spalancando la porta senza alcun garbo. La richiuse dentro di se,
facendola
sbattere. Luciherus dormiva, agitato e tormentato da incubi e ricordi.
Il Dio
gli andò vicino, con un sorriso.
“Buongiorno,
fiorellino!” gli urlò, nelle orecchiette a
punta.
Il demone balzò di colpo,
afferrando l’intruso per il collo,
con rabbia. Quando si accorse che tra gli artigli teneva suo cugino,
allentò un
po’ la presa, titubante, e poi lo lasciò andare
del tutto. Ringhiò. “In nome di
quell’imbecille di Belzebù, ma che cazzo
vuoi?” tuonò il Principe.
“Oh! Adesso sì
che ti ho fatto arrabbiare!” esclamò il Dio,
felice.
“Tu e il tuo amichetto dai
capelli verdi avete fumato
qualcosa di strano? Ti sei drogato? Che hai da essere così
felice?”.
Luciherus si mise seduto. Scosse il
capo, cercando di
svegliarsi, ed incrociò le gambe, in un’insolita
posizione del loto. Fissò
l’invasore della sua privacy: “Che vuoi da me,
straccia palle?!”.
“E dai, cugino, non ti
alterare! Sono qui per chiederti un
favore!”.
Il Principe stiracchiò le
ali, aprendole del tutto per poi
richiuderle.
“Spero che sia importante!
Se è una delle tue solite
cazzate… Che il Kaos ti possa prendere se mi hai svegliato
per niente!”
biascicò il demone, sbadigliando.
Il Dio avvertì una fitta
in prossimità della sua cicatrice a
quelle parole, ma non lo diede a vedere. “Scendi dal letto,
dai! Ho bisogno di
te! Scendi, o ti prendo per la coda!”.
“Guarda che fa molto, molto
male! Ha tante nervature quante
ne ha l’ala di un angelo!”.
“Lo so! Scendi!”.
Luciherus sbadigliò di
nuovo. Allungò la mano affusolata
verso il tavolino a fianco del letto.
Trovò il suo obiettivo: le
sigarette. Ne prese una e la
accese :“Che posso fare per te? Ormai mi hai
svegliato…”.
Il demone fece un piccolo cerchio con
il fumo.
“Balla per me!”
gli rispose l’Equilibrio.
Il Principe lo guardò
molto male: “Divertente…ha roba buona
nella biblioteca, il caro Very…”. “Non
mi sono drogato! Dico sul serio! Mi
serve che tu, assieme agli altri demoni, vi mettiate a ballare! Mi
serve
energia!”.
Luciherus scoppiò a
ridere.: “Ho una dignità sai! Magari tu
l’hai persa da millenni, bacia angeli, ma io l’ho
ancora! E poi, secondo te,
cosa dovrei fare? Vado fuori da Asmodai e gli chiedo: scusi, Madama,
permette
questo ballo? Ma dai!!!!”.
Rideva, ribaltando la testa
all’indietro: una risata
agghiacciante.
Il Dio, accigliato, piombò
su di lui: “Non è una richiesta
gentile! È un ordine!”.
Il Principe smise di ridere:
“Che fai? Vuoi fottermi,
finocchio? Come già ti dissi, io non verrò mai a
letto con te!”.
Lo derideva, senza guardarlo. Poi
abbassò il capo ed i loro
sguardi si incrociarono. Disteso, con le mani dell’Ordine
affondate, l’una
sulla sinistra e l’altra sulla destra, sul suo cuscino nero,
si accorse di non
riuscire a distogliere i suoi occhi arancio dagli occhi azzurri del
cugino. Quella
tonalità…
“Tu sei in parte donna,
vero?” domandò, lentamente.
“Sì…perché?”.
“Niente!
Scansati!”.
Il demone si alzò.
Guardò altrove, dando le spalle al Dio.
“Io non posso ballare,
cugino. E poi, cos’è questa storia
dell’energia?”.
L’Equilibrio
sospirò: “Guardami!” disse, e
slacciò la
fascetta, mostrando al Demone il suo simbolo.
Luciherus lo fissò,
sbigottito: “Sapevo che le divinità ti
avevano fatto dei doni…ma da qui a farti diventare un
Dio…”.
“Io sono un Dio di nascita.
Sono il figlio del Kaos”.
Tacque per un attimo, notando lo
sguardo feroce del
Principe.
“E che cazzo aspettavi a
dirmelo?”.
Solo ora aveva associato la
tonalità degli occhi fra padre e
figlio.
“Sono
faccende che
non ti riguardano. Adesso puoi, per cortesia, farmi il favore che ti ho
chiesto?”.
Il demone digrignò i denti: “Io non ballo. Fine
della questione. Per quanto
riguarda gli altri demoni…fa ciò che vuoi. Fa
ciò che credi. Sei il figlio del
Re. Sei più Principe di me”.
Gli voltò le spalle,
frustando l’aria con la coda ed
incrociando le braccia.
“Eh, dai!
Lucy…”.
Luciherus si girò di
scatto e lo morse: “Ti avevo detto di
non chiamarmi più così! E adesso
vattene!”.
L’Equilibrio gemette,
guardando i segni dei denti lasciati
dal demone.
“Ma
che hai? Sei tu
il drogato, non io!”.
“Vai fuori di
qui!” tornò ad urlargli il padrone di casa,
scandendo ogni parola.
Il Dio uscì, con un
inchino.
“Ma che ha?” si
chiese l’Equilibrio, ricominciando a correre
lungo il corridoio.
I Messaggeri e le due
divinità, che aspettavano fuori dalla
camera, iniziarono ad inseguirlo.
Il Dio
dell’Ordine si arrampicò su una delle torri, in
cerca di qualcuno che lo
potesse aiutare. Non si accorse di essere in bilico, con un piede, su
uno degli
spuntoni che le circondavano. I demoni notarono questa stranezza e
guardarono
in su, verso quello strano individuo dall’equilibrio
straordinario. Soddisfatto
per aver attirato l’attenzione su di sé, il
giovane, con i capelli neri mossi
dal vento, iniziò a parlare.
“Io sono il figlio del
Kaos!” esclamò.
Non gli piaceva ammetterlo, ma era
necessario comunicare la
cosa in quel Mondo.
L’azzurro dei suoi occhi si
espanse, coprendo il bianco e il
nero della pupilla, acquisendo così
lo
stesso sguardo di suo padre.
“E voi, ora, dovete
obbedirmi. Ho bisogno della vostra
energia. Ne ho bisogno, e voi potete fornirmela. Datemi
armonia!”.
I demoni lo fissavano: “Che
possiamo fare per Voi?” domandarono,
titubanti “E il nostro Principe cosa dice al
riguardo?”.
“Il Principe dice:
suonate!”.
Il
Dio si voltò e,
con sollievo, vide Luciherus su un terrazzino del suo palazzo, che
incitava il
suo popolo a seguire la nuova divinità. Con un balzo, il
giovane dai capelli
corvini si piazzò accanto al grosso demone che dimenava la
coda. Non si
guardavano.
“Se sei dalla parte del
Kaos, tuo padre, non voglio avere
niente a che fare con te. Un capo mi basta e mi avanza! Se sei contro
di lui, non
ti posso aiutare, in quanto è quel Dio a rendermi immortale.
Se io mi
schierassi contro di lui, verrei ucciso. Ed io ci tengo alla mia
vita!”. Tacque
per un attimo. “Tuttavia…” riprese, dopo
un sospiro “…tu sei mio amico. Perciò
io suonerò per te. E suoneranno tutti gli altri
demoni”.
“Grazie” gli
rispose il Dio.
“Non
ringraziarmi…troverò il modo di farmi
ripagare!”.
La
popolazione del
Mondo dei Demoni iniziò a suonare. Il ritmo delle
percussioni rimbombarono per
tutta la capitale.
Vereheveil agitava il capo:
“Che ritmo..non avrei mai
immaginato”.
Eleniel rimase un po’
spaesata da quella musica, abituata
com’era alla dolce armonia e dal melodioso canto degli
angeli. I demoni
urlavano, con toni profondi e minacciosi, ed i tamburi facevano vibrare
ogni
cassa toracica.
“Equilibrio!
Balli
con me?” chiese Vereheveil, ridendo.
Il Dio dell’Equilibrio lo
prese sul serio e lo tirò a se,
sul tetto del palazzo. Lo teneva stretto, per non farlo cadere. Mossero
alcuni
passi, ridendo.
“Sembriamo degli
idioti!” esclamò il Dio delle Letterature.
“Proprio!”.
Guardarono verso il basso. Luciherus
li guardava: “Avete
ragione. Sembrate proprio degli idioti!”. Il Dio
dell’Ordine afferrò il demone
per le ali e lo guardò negli occhi.
“Balli
con me? Così
sei anche tu idiota?”.
Il Principe si dimenò e lo
graffiò.
Tornò a terra, con rabbia.
Atterrò sul suo terrazzino e
ringhiò alla divinità: “Vai al
diavolo!” urlò.
“Ci sono già!
Non puoi, tu, dire una cosa del genere!”.
Il demone rimase fermo, a guardare in
alto: “Hai ragione.
Non lo posso dire. E allora vaffanculo!”. Si voltò
e rientrò nel palazzo,
sbattendo la porta, ed il Dio ci rimase un po’ male.
L’Equilibrio
sospirò e tornò a concentrarsi sul ritmo della
musica. Aprì le braccia per incanalare più
energia. Con una piroetta scese dal tetto,
seguito da Vereheveil che spalancò le ali piumate. Il ritmo
si fece sempre più
incessante e la magia entrò in ogni vena della giovane
divinità.
L’angelo dalle ali nere lo
guardava, con ammirazione e
stupore: “Allora è così che accumuli
energia! Con l’armonia, il ritmo, la danza
e la fede!”.
“Vereheveil! Sono qui!
Pronuncia la tua formula!”.
Stava a mezz’aria,
completamente immerso nella potenza della
musica. Il Dio delle Letterature iniziò a recitare le parole
magiche, intimando
la Dea della Pace di guardarlo negli occhi. La forza del Dio
dell’Ordine venne
trasferita, lentamente, alla mano di Vereheveil, che la impresse alla
Dea della
Pace, premendole l’indice sulla fronte. Una barriera di luce
si formò attorno
alla Pace, che urlò per lo spavento e la sensazione di
freddo che le provocava
il flusso magico.
Quando il breve rito fu terminato, la
luce si spense e i tre
Dèi si guardarono. I demoni continuavano a suonare ma
l’Equilibrio non
incanalava più l’energia. La sua luce era pallida.
“Ora il Kaos non
può più vederti. Sei al sicuro, Dea della
Pace!” sussurrò Vereheveil, sorridendo e la Dea
rispose al sorriso.
L’Equilibrio scese a terra. Si sentiva felice per aver
aiutato la sua amica.
Sapeva di averla salvata dagli occhi
del Kaos ed era
raggiante, ma poi la debolezza prese il sopravvento e perse i sensi.
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Capitolo 20 *** XX- Squartamento (NDA arancione per questo) ***
XX
SQUARTAMENTO
“Buongiorno,
fiorellino!”.
Gli occhi dell’Equilibrio
si riaprirono lentamente. Chi
ha parlato? Dove sono? Intravide la luce rossa di Luciherus.
Era in una
stanza da letto. Si alzò a sedere e si stropicciò
gli occhi. Si sentiva di
splendido umore e guardò il demone: “Sei ancora
arrabbiato con me, Luciherus?”.
Il Principe scosse il capo, come
sempre fumava: “Non sono
arrabbiato con te, cugino. Sono arrabbiato, furioso, con il Kaos.
Avrebbe
potuto dirmelo che eri suo figlio. Sarebbe stato tutto
diverso…”.
“In che senso?”.
“Non ha
importanza…”.
La voce del demone era debole e
distante. Guardava altrove.
Spense la sigaretta sul muro, dove teneva appoggiata la schiena ed un
piede. Le
ali gli formavano una corona attorno alla testa. Portava un abito nero
e
argento ed i capelli, legati con un nastro rosso, gli ricadevano su una
spalla.
Rimise i guanti di velluto ed incrociò le braccia.
Guardava in alto, con gli occhi
splendenti, come avvolti
dalle fiamme.
“Sei bellissimo oggi,
Luciherus. Sembri di nuovo uno degli
angeli…”.
Il demone gli lanciò uno
sguardo gelido. Mostrò la lingua.
“Dico sul
serio…” insistette il Dio.
“Ma sparati!” gli
ringhiò contro il Principe, uscendo dalla
stanza.
L’Equilibrio
girò la testa e vide che al suo fianco stava il
suo Messaggero. Era seduto, a gambe incrociate, accanto ad un tavolino.
Leggeva.
“Prima ci ha detto che
siamo liberi di andare per il Pianeta
a suo piacimento. Non era
così…irritato!” gli riferì
Erezehimsay.
“Irritante! Ma non
preoccuparti. Non è colpa di nessuno. È
fatto così! Più tardi andremo a fare un giro
tutti assieme!”.
“Va bene. Ma adesso
riposate!”.
Il Dio si rassegnò al
fatto che il Messaggero non gli
avrebbe mai dato del Tu. Tornò a stendersi sul letto color
ebano e sentì sotto
le sue mani le morbide lenzuola di seta. Rimase incantato
dall’immenso
lampadario che rifletteva, in argento, le luci di mille candele. Il
baldacchino, sorretto da quattro draghi d’opale, rispecchiava
a sua volta quei
luccichii, facendo sembrare il soffitto un cielo stellato. Chiuse gli
occhi e
tornò ad addormentarsi.
Si risvegliò quando la
luce di uno dei satelliti del Pianeta
entrò dalla finestra, colpendolo sul viso. Aprì
gli occhi pigramente. Si girò
verso il tavolino dove stava seduto il suo Messaggero e vide che si era
addormentato, appoggiando il capo sul bancone. Il Dio si
alzò e si vestì, con
gli abiti che gli erano stati lasciati sul bordo del letto. Non
indossò il
mantello, ma lo appoggiò sulle spalle dell’angelo,
che si mosse solo
lievemente, continuando a dormire. Uscì dalla stanza, con le
stoffe delle vesti
che si trascinavano sul pavimento. Appartenevano al padrone di casa, di
molto
più grosso di lui. Si sentiva a disagio in quegli abiti
principeschi.
A piedi scalzi uscì da
palazzo, così inquietante nel buio
della notte ma, allo stesso tempo, così magnifico!
Cambiò forma.
Così,
pensò, non mi riconosceranno e potrò
girare
liberamente.
Con il suo aspetto femminile
andò verso il centro. Quanto
era strano vedere quell’abito, che aveva visto indossare dal
Principe,
ingrossarsi in corrispondenza del suo seno!
Percorse le vie della capitale, dove
c’era sempre un grande
movimento di persone. Si comprò un abito nuovo,
più adatto al suo corpo di donna.
Scelse una veste semplice, rosso cupo, riportò
l’indumento del Principe a
palazzo e ricominciò la sua esplorazione.
Ricordava bene le vie di quella
città. La popolazione si
accalcava e urlava, rideva e cantava. Molti di quei demoni erano mossi
da qualche
bicchiere di troppo!
L’Equilibrio
abbandonò il centro, perché cercava un
po’ di
tranquillità. Uscì dalla capitale ed
imboccò un piccolo sentiero che usciva
dall’abitato. Andò verso il bosco, seguendo la
strada sterrata. La sua pallida
luce illuminava gli alberi, avvolti dall’oscurità.
Colse un fiore blu e lo
annusò, felice, poi continuò a camminare,
tenendolo stretto nella mano destra.
D’un tratto udì
un fruscio dietro di sé. Si voltò, ma non
vide nessuno.
Sarà il vento,
si disse, e proseguì.
Il
vento si fece più
insistente e gelido. Si pentì, per un attimo, di non avere
tenuto la veste del
Principe con sé. Una strana nebbia avvolse la vegetazione.
Il Kaos!
Capì, ed iniziò a correre.
Doveva uscire dalla nebbia! Una
violenta fitta gli
attraversò la gamba destra. Guardò in
giù e vide che una radice nera le era
penetrata alla base della caviglia. Urlò e si
liberò a fatica. Cadde in terra.
Il dolore era insopportabile, ma strinse i denti: doveva andarsene da
lì.
Urlando di nuovo, per il male che provava, e zoppicando,
tentò disperatamente
di uscire dal bosco e dalla nebbia del Kaos.
Perché sono qui?
Perché ho fatto una cosa così stupida?
Una forza spinse la
divinità contro un albero. Picchiò
violentemente la schiena, sulla quale, poté notare, stavano
lentamente
crescendo due ali blu. Avvertì sempre più freddo.
Gelo. Dolore. Non poteva più
muoversi. Era immobile, in preda ai brividi. La gamba gli bruciava
terribilmente e si stava, pian piano, ricoprendo di sottili linee nere
in
corrispondenza delle vene.
Una mano impediva ogni suo movimento.
La mano era quella del
Kaos, che guardava la nuova divinità, sorridendo.
L’Equilibrio lo fissava,
con occhi pieni di terrore.
“Che vuoi fare?”
domandò.
Domanda
stupida…che vuoi che voglia fare? Vuole distruggermi!
Il Dio del Disordine gli
appoggiò due dita sulle labbra,
togliendo la parola al figlio.
“Non avere più
di tanta paura, Equilibrio. Gli Alti mi
impediscono di ucciderti. Ma ci sono cose migliori che si possono fare
con una
cosettina come te” gracchiò il Kaos, con la sua
voce roca e profonda, che
proveniva da ogni angolo del bosco. Era come se lui e quel Mondo
fossero una
cosa sola. La divinità senza tratti somatici prese con
dolcezza il fiore che
l’Ordine teneva tra le mani e glielo mise tra i capelli.
“Che splendida figlia che
ho! Hai i capelli di tua madre…”
le dita nere del Kaos passavano tra i capelli corvini, perdendosi in
mezzo alla
loro lucentezza.
Il padre bloccava la sua creatura,
che sentiva la gamba
pulsare per il dolore. Lei teneva gli occhi spalancati, senza staccarli
da
quelli del Kaos. Tremava, sentendo la sua presenza così
vicina. Tentò invano di
parlare, muovendo le labbra, ma nessun suono ne uscì.
“Smettila di tentare di
emettere parole o versi! L’ultima
cosa che voglio che tu faccia è parlare! Le donne non devono
parlare!” protestò
il padre.
Il Kaos la strinse a sé:
“Credi di potermi sopraffare,
bambina mia? Credi di potermi battere? Gli Alti mi bloccano le mani
quando
cerco di ucciderti ma, come detto, ci sono molte altre cose che io
posso fare,
senza porre fine alla tua vita!”.
L’Ordine si
dimenò, tentando di liberarsi, senza successo.
Il Kaos era più grande, più potente e
più spaventoso e non poteva fare nulla..
Il Dio del Disordine rideva,
divertito: “Sei bella come tua
madre, figlia mia” gli mormorò ad un orecchio,
stringendola più forte.
Lasciami! Che vuoi fare?
“L’Equilibrio
è facile da spezzare!”.
No! Lasciami!
Con uno strappo deciso, il Dio
caotico scoprì per buona
parte la figlia.
Non puoi farmi questo! Come
puoi farmi questo? Perché?
Che razza di padre può fare questo? Ormai aveva
chiaro cosa volesse fare il
Kaos, e sapeva di non poter fare niente per impedirlo.
Sentì la sua stretta farsi
più violenta e decisa. Lo sentì
entrare nel suo delicato corpo di giovane Dea e rivolse lo sguardo al
cielo.
Dai suoi occhi azzurri cominciarono a sgorgare calde lacrime.
Come può un
padre…
Spalancò la bocca, in un
grido che però non riuscì a
pronunciare.
Perché non mi
lasci andare? Perché mi hai tolto la voce?
Neanche urlare mi lasci! Perché? Continuava a non
chiudere mai le palpebre,
guardando in alto, in cerca di salvezza, già consapevole che
la salvezza non
sarebbe arrivata. E, ad ogni modo, era troppo tardi. Le unghie del Kaos
affondavano nella sua schiena, squarciandola. Il Dio del Disordine
rideva ed
ansimava, mentre l’Equilibrio piangeva, non potendo
più muoversi. Come puoi
sconfiggermi così? In un modo così subdolo e
perverso? Mi fai male. Mi fai
MALE! Risate e urla. Urla e risate. Spasmi e fremiti. Dolore
ed
eccitazione.
Mio padre…mio
padre è dentro di me!
Avvertiva l’odore della
nebbia, l’odore del Kaos.
Perché? Alti!
Perché?!
Lacrime e sudore, magia perduta e
acquisita, vita e morte.
Non mi sconfiggerai
così! Non riuscirai a distruggermi!.
Dopo un tempo, che parve un
eternità, il Dio si fermò e
scaraventò la Dea in terra.
“Ringrazia gli Alti,
dolcezza mia! Se fosse stato per me, ti
avrei uccisa, ma loro me lo hanno impedito. È nella mia
natura fare ciò che ho
fatto”.
La tua natura?
Lei stava in terra, senza riuscire a
chiudere gli occhi.
“Ricordati: tu, bellissima
mia figlia, non mi batterai.
Mai!”.
Sparì, assieme alla sua
nebbia, lasciando l’Equilibrio
sull’erba, in preda al dolore.
Devo
tornare alla
capitale. Devo andarmene da qui!
Tentò di alzarsi ma la
gamba ferita cedette, ributtandola in
terra. Strinse i denti. Cercò di ridare un ordine alla sua
veste e riuscì ad
alzarsi. Tenendosi appoggiata agli alberi, riuscì ad uscire
dal bosco.
Vereheveil!
Luciherus! Eleniel! Samhian! Erezehimsay!
Piangeva ancora. Le lacrime le
rigavano il viso, sporco di
terra. Non riusciva a cambiare forma, non riusciva a tornare uomo! Si sentiva sporca e
arrabbiata, con se stessa.
Come
posso essere
stata così stupida da addentrarmi da sola nel bosco? Di
notte? Nel Mondo del
Kaos? È stata colpa mia…la sua natura…
La gente per strada la schivava, non
riconoscendola. La sua
luce era del tutto spenta e il simbolo
dell’Equilibrio
era troppo pallido per essere notato.
Riuscirò di nuovo
a mutare forma? Riavrò mai la mia voce?
O sarò condannata, come mio fratello, a non poter
più parlare?
Giunse fino alla scalinata che
portava al palazzo del
Principe. Cadde, inciampò in malo modo.
E lì
rimase…guardando in terra. Dopo qualche istante, lo
scalino davanti a sé si illuminò di rosso.
Alzò lo sguardo: Luciherus le
tendeva la mano.
Amico mio…
“Bella fanciulla, che posso
fare per te? Che ti è
successo?”.
Non mi riconosce? Non sa chi
sono…e io non so come
dirglielo.
Afferrò la sua mano.
Aiutami, ti prego!
Il Principe la sollevò tra
le braccia e la portò in camera.
Sentirsi le lenzuola di seta tra le mani, fecero sentire meglio la
piccola Dea.
Luciherus le si sedette a fianco:
“Che cosa ti è successo?”
le chiese, gentilmente.
L’Equilibrio si
toccò la gola, facendogli segno di non poter
parlare.
“Non hai voce, povera
piccola?”.
Tacque. Lei lo guardò
negli occhi. Come sei bello…
Lo vide, avvolto nella sua luce
rossa, con i capelli sciolti
e la camicia aperta. Ai suoi occhi parve quasi un angelo. Le
sembrò di avere di
fronte, di nuovo, l’Arcangelo più bello.
Ma tu non sei più
un angelo. Non ami più da angelo. Tu
ora sei un demone. E ami da demone! Ma che pensieri ho nella testa? Ma
certo…è
il suo potere! Il potere di condurre alla lussuria e al desiderio chi
brama!
E lo sguardo di Luciherus era fisso
su di lei, eccitando
ogni suo senso. Non riusciva a opporre resistenza a quegli occhi che
riversavano desiderio in ogni parte del suo corpo. Ora che era del
tutto una
donna e, per giunta, priva di potere divino, non poteva resistergli.
Ma vide che anche lui sembrava
agitato.
Forse anche io ho un potere
simile al suo…forse neanche
lui può opporre resistenza alla magia dei miei occhi.
Luciherus la guardava. Guardava i
pochi stracci color
porpora che la coprivano, guardava i suoi capelli d’opale che
scintillavano, guardava
i suoi seni che si muovevano, seguendo il ritmo del respiro. E guardava
quelle
labbra vermiglie che parevano chiedere di essere baciate.
Il demone le si avvicinò:
“Posso darti un bacio,
bellissima?”.
La Dea annuì ed i due si
baciarono.
Il Principe la osservava, curioso:
“Che piccole ali hai. Sei
anche tu un angelo caduto, come me? Ma non mi importa cosa
sei…forse sei una
musa o una fata. Una Dea o un angelo. Qualunque cosa tu
sia…puoi essere mia
questa notte eterna?”
La notte più lunga che il
Pianeta avesse avuto.
La voce, la sua
voce…così calda. Così sensuale.
L’Equilibrio fece un cenno
d’assenso.
Come posso resisterti? Non posso! E
non voglio! Prima che
tramontino le Lune, e prima che sorga la stella del mattino, in questa
notte
eterna, io sono tua. Per tutta questa notte infinita, possiedimi!
Riaprì gli occhi.
“Ti sei
svegliata…”.
L’Equilibrio vide che il
Sole era alto. Girò la testa e notò
Luciherus seduto accanto a lei. Cercò di riordinarsi le
idee. Sentiva ancora il
corpo fremere eccitato, percependo il profumo, quasi angelico, del
demone. Ma
poi ricordò ciò che era successo nel bosco e lanciò un grido,
serrando gli occhi: aveva di
nuovo la voce! Quando riaprì le palpebre, capì
che il Principe le teneva il
viso con due mani.
“Cosa ti succede? Stai
male? Signorina…”.
“Oh…Luciherus…”.
“Come sai quel mio
nome?”.
“Guardami bene negli
occhi…”.
Il demone obbedì. La
guardò e trattenne un urlo: “Tu!
Serafo!” balzò all’indietro.
“Luciherus, cugino mio,
aiutami! Sto tanto male!”.
La Dea sentiva la testa girare. La
sua voce mutava, ma non il
suo corpo.
Che mi succede? Aiuto!
“Sei
ferita…ferito…” affermò il
Principe, non sapendo come
definire chi aveva di fronte.
Dalla gamba di lei si espandevano rivoli neri, come sangue
velenoso, che si ramificavano
lungo le vene del corpo.
“Non sei stato tu. Tu non
mi hai fatto male. Il Kaos…”.
Inorridito, l’angelo caduto
urlò un nome. Il nome del demone
guaritore.
“Scusa…”
mormorò l’Equilibrio
“…scusami tanto. Tu avevi
promesso che non saresti mai venuto a letto con me. Io, invece, ti ho
fatto
infrangere la promessa. Scusa”.
“Tu? No! Non è
così…non…”.
“Sento il peso della mia
colpa…”.
“Dov’e Malaphar?
Dov’e il demone guaritore?” urlò
Luciherus,
spalancando la porta.
Asmodai, che stava fuori dalla
stanza, non aveva mia visto
il suo padrone tanto agitato. Sembrava quasi spaventato, con i capelli
spettinati e lo sguardo che roteava in tutte le direzioni.
“Arriva, mio
Principe!”.
“Che si
sbrighi!”.
Aveva l’aria confusa, ma si
ricompose abbastanza in fretta. Malaphar,
il demone guaritore, arrivò di corsa nella camera in cui
giaceva l’Ordine. La
Dea aveva i brividi e gemeva dal dolore. Era in preda agli incubi.
Teneva gli
occhi serrati. Con le unghie si lacerava la pelle in preda alla follia
del male
che provava, e per cercare di togliersi dalla mente il pensiero del
corpo di
suo padre.
Il guaritore le toccò la
fronte: “Brucia di febbre. Che è
successo?”.
Luciherus rimase in disparte, a
braccia incrociate e
frustando la coda: “É arrivata qui. Era
semisvenuta sulla mia scalinata”.
Fece una pausa e poi riprese:
“Pensavo che fosse ubriaca o
drogata. Non mi sono accorto che era ferita. Né mi sembrava
che avesse altri
problemi, se non quello che non parlava”.
“Ma adesso
parla?”.
“Sì. Mi ha
parlato”.
“E che cosa ha
detto?”.
“Aiutami,
ecco cosa
mi ha detto. E quindi ora aiutala!”.
Malaphar le prese il polso,
impedendole di graffiarsi
ulteriormente.
“Devo
visitarla…”.
Luciherus uscì dalla
stanza, chiudendo la porta dietro di
se.
Lungo il corridoio vide arrivare
Vereheveil di corsa: “Che
cosa è successo? Cosa è successo al mio
Equilibrio?”.
Dietro di lui venivano Erezehimsay,
Eleniel e Samhian. Tutti
e quattro correvano ed il Principe li fermò, con le ali e
con un braccio:
“Fermi, piumini” ordinò
“C’è il medico da lei, cioè
da lui, cioè…oh! Fanculo!”.
Si accese nervosamente una sigaretta.
“Come sta?”
chiese il Dio delle Letterature, in apprensione.
“Non lo so. Tra un attimo
lo sapremo”.
“Ma cosa ci faceva il mio
padrone in camera tua?”.
“La tua padrona?”
iniziò Luciherus.
L’angelo dalle ali nere
lanciò un’occhiataccia al demone.
Che fece un passo indietro.
“Giuro che se sei stato tu
a fare del male alla persona che
amo da Ere intere…giuro che non avrai vita
facile!” sibilò Vereheveil.
“Calmati! Io non le ho
fatto del male! È stato quello
stronzo di suo padre!”.
“Nemmeno
tu credi
alle tue parole! Bastardo! Figlio di meretrice e genero del peggiore
degli
esseri! Galoppino del Dio più disgustoso degli universi! Era
tutto un complotto
fra te e il tuo padrone, vero? Che tu possa morire per
questo!!”.
“Calmati,
Vereheveil!” gli disse Eleniel, abbracciandolo.
Il demone parve turbato dalle parole
dell’amico: “Facile
dare la colpa a me” gli sussurrò. Poi gli
urlò contro: “Perché non te la
prendi, ogni tanto, con gli Dèi? Facile dare la colpa ad una
persona che è già
dannata! Facile dire che la colpa è dei demoni! Ma guardati
un po’ in giro e
pensa a chi realmente dare la colpa! E poi…credi di
spaventarmi? Anche se sei
un Dio, io ricordo la tua nascita e non ti considero, di certo,
superiore a
me!”.
Il padrone di casa se ne
andò, stupito della sua stessa reazione.
La porta della camera si aprì ed il medico uscì.
Vereheveil respirò a fondo,
per calmarsi: “Che cos’ha?”.
Malaphar parlò:
“La causa del suo male e della febbre è una
profonda ferita che ha nella gamba destra. Gli è stato
inoculato un veleno
tramite essa”.
“Un veleno?”
mormorò, spaventato, il Dio delle Letterature.
“Sì. Ma
è curabile. La magia farà guarire il suo corpo.
Sta
già reagendo. Per questo ha la febbre. Vi lascio delle
medicine da
somministrare ogni sei ore. Tornerò ogni tre giorni a
cambiare le bende con cui
ho medicato la ferita. Se c’è qualche problema,
mandatemi a chiamare”.
Gli alati annuirono.
“Posso vederlo?”
chiese Vereheveil.
“Vederlo? Sì,
certo. Ma ora sta riposando. Ha bisogno di
dormire il più possibile e di non fare sforzi.
Così la magia la guarirà in
fretta. Altrimenti non potrà mai recuperare del
tutto”.
Il demone guaritore si
congedò e se ne andò, scortato dalle
guardie del palazzo.
Vereheveil entrò
timidamente incitato da Samhian: “Va da
lei! Ha bisogno di te!”.
“Io non l’ho mai
vista in forma di donna…”.
“Nessuno di noi! Ma
entra…”.
L’angelo delle Letterature
si avvicinò all’Equilibrio, che
dormiva tranquillamente grazie ai sonniferi.
“É stato il
Kaos?” si chiese il Dio dai capelli verde acqua.
Strinse la mano
dell’Ordine, che non si svegliò per parecchi
giorni.
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Capitolo 21 *** XXI- Il canto del demone ***
XXI
IL CANTO DEL DEMONE
Quando l’Equilibrio
riaprì gli occhi, dopo diversi giorni,
si accorse di avere una gran fame. Sapeva che ciò che
mangiava diveniva magia,
perciò capì di averne bisogno.
Sono ancora in forma di
donna…non riesco a cambiare
aspetto. Perché?
Vereheveil gli stava accanto.
“Ho
fame…” sussurrò all’angelo.
Il Dio delle Letterature gli sorrise,
felice di vedere che
aveva aperto gli occhi. La donna Equilibrio tentò di
mettersi seduta, ma tornò
subito a distendersi: le testa le girava terribilmente.
L’angelo dalle ali nere
gli porse un piccolo panino che l’Ordine mangiucchio
lentamente.
“Va meglio?”
domandò Vereheveil.
“Mica tanto…ho
la nausea e per testa ho una trottola…”.
“É normale. Da
troppo non mangi e sei molto debole. Vedrai
che presto passerà tutto!”. L’Equilibrio
si raggomitolò, distogliendo lo
sguardo dagli occhi dorati dell’amico.
“Perdonami,
Vereheveil”.
“Per cosa?”.
“Tu sai
perché…”.
“No, non lo so. E non lo
voglio sapere! Perciò ora
rilassati, dormi e non farti più problemi”.
L’Ordine sospirò, triste, e si
riaddormentò.
Vereheveil uscì dalla
stanza, per andare a riferire del
risveglio dell’Equilibrio.
Dopo una ventina di giorni, la ferita
pareva rimarginarsi e
la febbre era calata.
“Dice che le gira la testa.
E mangia poco. Ha la nausea…”
riferì l’angelo a Luciherus, in presenza del
medico.
Sembravano entrambi preoccupati.
“Quando tornerà
alla sua forma originale? Quando tornerà
alla sua vera forma?” domandò il demone a
Malaphar.
Il demone guaritore scosse il capo:
“Lui, o lei, non ha una
forma. Non una principale, perlomeno. È tanto maschio quanto
femmina e…”.
“Sì,
sì!…” lo interruppe il Principe
“…fatelo tornare
maschio!”.
“Vedrò che posso
fare, Signore”.
Il medico lasciò lo studio
del demone ed entrò nella camera
dove riposava l’Equilibrio. Luciherus si fece portare da bere
e lo offrì anche
a Vereheveil, che si mordeva le labbra con
nervosismo. L’angelo accettò, anche
se dopo un sorso riappoggiò sul
tavolino il bicchiere: già si sentiva ubriaco. Il Principe
ridacchiò divertito
ma tornò subito serio. Il medico era rientrato e sorrideva.
“Levati quel sorriso idiota
dalla faccia, Malaphar, e parla.
Riesci a farlo tornare uomo?”.
Il medico stava appoggiato alla
porta. Inclinò leggermente
la testa e si passò una mano sui capelli mori e corti. Con occhi color ocra
fissò il suo padrone: “Temo,
mio Principe, che non possa tornare alla sua forma di maschio ancora
per un
po’…”.
“Perché?”
gracchiò il demone, che fumava con rabbia “Sei
così incompetente da non sapere la differenza tra un uomo e
una donna? Vuoi che
te lo insegni?”.
“Non siate così
crudele con me! Semplicemente lei è in stato
interessante…se capite ciò che voglio
dire…”.
Vereheveil spalancò gli
occhi, agitando la mano per
scansarsi dalla faccia il fumo delle sigarette di Luciherus.
“Di chi? Di chi
è il bambino che…” domandò
l’angelo,
balbettando.
“Non lo posso
sapere!” esclamò il medico, stizzito “Ma
la
giovane Dea dovrà affrontare una scelta. Non è in
grado di guarire del tutto e
portare avanti una gravidanza. Deve decidere se tornare comunque a
ballare o se
avere suo figlio. Deve scegliere al più presto. Fra tre
giorni, quando tornerò,
voglio avere una risposta. È necessario intervenire quanto
prima a…”.
L’angelo si alzò
in piedi, con rabbia: “Intervenire? Già
pensate al modo migliore di porre fine ad una vita
e…”.
“Calmati piccione!
Sarà lui a decidere! Sarà
l’Equilibrio”
tuonò il Principe.
Malaphar abbandonò il
palazzo, lasciando Vereheveil e
Luciherus da soli.
Il demone si alzò:
“Andiamo dalla divinità ferita”.
Il Dio della Letteratura
annuì e lo seguì lungo il corridoio
che li conduceva alla camera.
“Non è mio,
Vereheveil” parlò il demone, senza voltarsi.
“Cosa?”.
“Il bambino. Prima che tu
lo pensi…non è mio. Io non posso
avere figli”.
“Non
ho pensato,
neanche per un attimo, che fosse tuo! Non credo tu sia così
pervertito da
andare con tuo cugino…ad ogni
modo…chissà cosa potrà
scegliere…”.
Luciherus rimase in silenzio.
Aprì la porta, inondandola con
la sua luce rossa.
La Dea era sveglia e guardava fuori:
“So cosa scegliere” si
limitò a dire, senza incrociare lo sguardo dei due appena
entrati nella stanza
“Io voglio avere mio figlio”.
“Pensaci…”
parlò il grosso demone Principe “…non
potrai più
ballare perché non riuscirai a guarire del tutto
e…”.
“Non ballerei
più comunque, sapendo che ho rinunciato alla
mia creatura!”.
“Io appoggio la tua
decisione…” sussurrò Vereheveil,
andando
a sedersi accanto all’Equilibrio, tenendo la mano alla
creatura che amava “E
non mi importa chi sia il padre. Io ti resterò sempre
vicino!”.
Luciherus scosse il capo:
“L’amore non lo capirò
mai…”
mugugnò, fra sé e sé.
L’Ordine
sospirò: “Andatevene ora. Lasciatemi
sola”.
L’angelo e il demone
uscirono. Il Dio della Letteratura si
diresse in biblioteca, a cercare un modo per aiutare la persona che
tanto
amava. Il Principe tornò nelle sue stanze, percependo
un’ insolita sensazione
di malessere. Non l’aveva mai provata prima, e non capiva cosa fosse.
I mesi passavano ma la soluzione non
si trovava.
Luciherus stava seduto accanto al
letto dove si era riassopita
la Dea dell’Equilibrio. C’era un gran silenzio,
rotto solamente dal ticchettio
del pendolo che lei aveva voluto nella stanza. “Per darmi il
senso del tempo
che passa…”.
Ogni movimento della lancetta dei
secondi, faceva fremere le
orecchie a punta del demone, che respirò a fondo. Vereheveil
se ne andava
spesso, vagando per le biblioteche e le librerie dei Mondi alla ricerca
di un
aiuto. L’Ordine dormiva quasi sempre, la febbre non scendeva
e la ferita non
guariva. Gemeva, per il dolore e per gli incubi. Il Principe osservava
il
ventre della Dea.
Perché tuo
fratello, signore dei sogni, ti da tanto
tormento? Chi porti dentro di te, amica mia? Il figlio di tuo padre? Il
tuo
stesso fratello? O, forse, mia divina, sei in grado di darmi un figlio
mio? Se
è così mi dispiace. Mi dispiace di averti fatto
questo. Non sai quanto mi
dispiace…
Le baciò sulla fronte.
“Lucy! Sei tu!”
sussurrò lei.
“Come lo sai?”
chiese lui.
“Ti riconosco. Dal
profumo”.
“Di
zolfo?” chiese
divertito.
“Ma no! Stupido! Hai il
profumo del fuoco e della roccia…”.
E che odore è?
Si domandò il Principe, perplesso.
“Mentre Vereheveil, il mio
dolce Vereheveil, ha il profumo
del mare d’inverno. Così freddo ma allo stesso
tempo così delicato…”.
Teneva gli occhi azzurri chiusi. I
due rimasero in silenzio
per un po’ e il demone credette che lei si fosse
riaddormentata. Ma poi la Dea
parlò, tenendo chiuse le palpebre: “Canta per me,
Lucy!”.
Il
Principe inclinò
il capo. Io? Cantare?
“Chiamate uno degli angeli.
Sono loro che hanno la voce per
cantare…”.
“Ma io voglio sentire la
tua, stella del mattino. Ti
prego!”.
Luciherus ridacchiò:
“Prima mi chiedi di ballare e adesso di
cantare. Per chi mi hai preso? Per un saltimbanco?” rideva,
ma lei girò il capo
e lo guardò.
Incrociare quegli occhi azzurri
impedirono al demone di
opporre resistenza.
“Non so se mi ricordo come
sì fa…” sospirò, e chiuse
gli
occhi.
Iniziò a cantare. Le sue
esse sibilanti svanirono e la sua
voce tornò ad essere quella dolce di un angelo, anche se
molto più profonda.
Oh, mio Dio, mio Dio,
come hai potuto farmi questo?
Farmi soffrire tanto,
per un semplice gesto?
Oh, Dei, di crudeltà
infinita,
Ditemi se questa, per
voi, è vita.
Sapere di portare nel
cuore il peso di un altrui sbaglio
che brucia dentro me
come il solco di un’ arma da taglio.
Sole! Brucia! Brucia
questo mio corpo mortale!
Divino, perfetto,
incontrastato e senza colpa voglio diventare!
Vento! Vento gelido!
Fammi cambiare!
In questo Mondo,
così, non posso restare.
Speranza, dolce
Speranza, perché mi hai abbandonato?
Perché, tutto ad un
tratto, mi hai risvegliato?
Perché, su di me,
Kaos, c’è la colpa che preme sul tuo cuore?
Perché fai sopportare
a me il tuo dolore?
Perché, mio Dio, mi
vuoi ancora tormentare?
Quale altro grave
peccato ho da espiare?
Perché fai ricadere
su di me le tue frustrazioni?
Kaos! Tieni per te le
tue maledizioni!
Perché io ho scontato
la mia pena,
a causa di sei angeli
che hanno dannato ogni mia vena.
Adesso basta! Fammi
tornare come un tempo!
Senza pesi e senza
alcun sentimento!
Beato chi può ridere
e piangere alla mia età
Beato chi è vivo e
presto morirà.
Ti proteggerò,
divina, da colui che mi ha dato immortalità,
Da colui che mi ha
concesso e promesso felicità.
Ed io sono stato
felice, fino agli eccessi,
Ma morirei per te,
Dea, se potessi.
Possa la Madre mia,
un giorno perdonare
Questo suo rinnegato
figlio che non vuole più pregare.
Tu che stai tra le
anime morte,
Forse ti raggiungerò
presto, se sarà la mia sorte.
Tu perché continui a
battermi in petto?
Solo senza te sarò io
il più perfetto.
Il mio aspetto da
demone dannato,
Con questa voce da
angelo beato!
La mia voce! Da coro
cherubino!
Che scherzo crudele e
sadico della Dea Destino!
Che qualcuno,
chiunque, mi presti attenzione.
Che qualcuno,
chiunque, mi dia redenzione!
Dèi, senza né cuore
né ritegno,
Non pregerò per voi,
per te, non ne sei degno!
Kaos! Guarda come hai
ridotto la tua perfetta creatura
Kaos! Garda come hai
reso la mia vita una tortura!
Oh, Dei, di crudeltà
infinita,
Ditemi se questa, per
voi, è vita.
Oh, mio Dio, mio Dio,
come hai potuto farmi questo?
Farmi soffrire tanto
per un semplice gesto?
Le ultime due strofe vennero
pronunciate assieme, da lui e
da lei.
“Questa è la
cosa più stupida che…”.
“A me è
piaciuta, Lucy”.
“Certo…perché
stai delirando a causa della febbre!”.
Lei gli sorrise: “Il Kaos
fa pesare su di te i suoi sensi di
colpa?”.
“Lo ha sempre fatto. Lui fa
casino e poi scarica le brutte
sensazioni su di me. Così è più libero
di seguire la sua natura”.
La sua natura…
La Dea sbadigliò, tornando
di nuovo a dormire.
E Luciherus sentì che
aveva un gran desiderio di uccidere
qualcuno. Chiunque. Purché gli desse la soddisfazione di
soffrire terribilmente
per lui.
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Capitolo 22 *** XXII- La rabbia dell'angelo ***
XXII
LA RABBIA DELL’ANGELO
“Vuoi che ti apra la
tenda?” domandò Vereheveil.
Il Dio delle Letterature si era
accorto che l’Equilibrio non
dormiva più. Non ricevette risposta.
“Può una vita
nascere da una creatura morta?” si sentì,
bensì, chiedere.
L’angelo nero
andò a sedersi sul letto: “Morta? Tu non sei una creatura
morta!”.
“Sì, invece!
Ricordo ancora la lancia che mi trapassò il
petto e avverto ancora il gelo della lama delle spade degli angeli nel
mio
ventre. Quante volte la mia vita è ripartita da zero? E la
mia è stata una vera
rinascita o, in realtà, non sono altro che
un’anima in pena in cerca di pace?”.
“Ma che dici! Io sono qui,
accanto a te! Come puoi credere
di essere soltanto un’illusione? Io posso vederti, toccarti,
accarezzarti ed
amarti. Sei tu! Sei qui! Dopo tante rinascite, ma sei sempre tu! E
presto darai
ai Mondi una nuova vita! Ed è una cosa bellissima,
Kasday!”.
L’Equilibrio
guardò l’angelo: “Ripetilo
ancora”.
“Cosa?”.
“Il mio nome. Da tanto
nessuno mi chiamava così!”.
“Oh…Kasday!”disse
l’angelo, mentre lei si alzava a sedere e
lo abbracciava.
“Che bello sentirtelo dire!
Che bello! Ripetimelo ancora!
Dimmelo solo tu, amore mio!”.
Amore mio?
Vereheveil la abbracciava, ripetendo
il nome lentamente.
“Stringimi forte,
Vereheveil mio. Fammi scordare il dolore
che provo! Aiutami!”.
Lei gemeva e piangeva.
“Perché…”
iniziò il Dio delle Letterature, sottovoce
“…perché…Luciherus?
Perché…tu sei…”.
La Dea non rispose.
“Perché?
Credevate che non lo avrei capito? Quando sono
entrato qui la prima volta, avevi addosso il suo
odore…”.
“Ti
ho chiesto scusa.
E comunque…niente mi lega a lui”.
L’angelo si sciolse dal suo
abbraccio: “E allora perché? Io
sono sempre stato qui. Credevo che tra me e
te…invece…non lo so…”.
Vereheveil si accorse che, nonostante
fosse il Dio delle
Letterature, non trovava le parole per esprimere ciò che
provava.
“Non lo so
perché. Il suo potere…il
mio…perdonami, angelo
nero. Hai sofferto tanto per colpa mia e, se tu non vuoi accettare
questa cosa,
io ti capisco” sospirò lei, con una mano sul
ventre e lo sguardo basso.
L’angelo
non rispose.
Fece per andarsene.
“Vereheveil…”
ricominciò lei, alzando gli occhi
“Vereheveil…io…ti ho mai detto che ti
amo?”.
Il
Dio delle
Letterature si fermò, sulla porta: “Dimmelo solo
se lo pensi davvero…”.
“Io ti amo. E tu? Mi ami
ancora?”.
L’angelo si
voltò. Vide le lacrime sul viso di lei e le tornò
accanto.
“Guardami!” le
disse, prendendole il volto fra le mani
“Guardami e ripetimelo! Dimostrami che è
vero!”.
“Io ti amo!”
gemette lei, sentendo un'altra fitta alla
gamba.
Lui la abbracciò,
teneramente.
“Mi perdoni, angelo
mio?”.
“Come potrei non farlo? Se
ti ho aspettato per delle Ere,
ora che sei qui come posso lasciarti andare? E poi…tutti
hanno i loro segreti”.
“Io
non voglio sapere
niente di ciò che mi nascondi, Vereheveil. Tienimi in questo
abbraccio ancora
per un po’”.
“Anche per tutta la
notte…”.
Ma lei dovette tornare a stendersi.
“Oh, divinità
della Vita! Come hai potuto farmi concepire il
figlio di mio padre? Sei crudele, senza cuore…”.
L’angelo
rimboccò le coperte, dando uno sguardo preoccupato
alla gamba ferita.
“Non posso immaginare il
dolore che provi. Ammiro il tuo
coraggio ad affrontare una cosa simile. Chiunque altro avrebbe
rinunciato a
portare avanti la piccola vita, tentando di dimenticare!”.
“Tu avresti fatto
così?”.
“No, immagino. Ma non sono
in grado di rispondere. Non
potrebbe mai capitarmi…”
“Sei fortunato. Anche se
non è la cosa più giusta da
dire…”
“Cerca di dormire. Io ora
vado di nuovo a cercare qualche
libro con le soluzioni per te.
Vedrai
che ne troverò!”.
Lei gli sorrise:
“Scusami…” gli sussurrò
ancora.
“Basta
scuse. Non ne
parliamo più! Ormai è fatta, giusto?”.
Lei annuì, deliziandosi di
quanto fosse tremendamente buono
colui che aveva di fronte.
“Solo una cosa ti chiedo,
Kasday”.
“Dimmi”.
“Non descrivermi mai che
cosa hai fatto esattamente. La cosa
mi disgusta”.
Lei si accorse di quanto lui ci
stesse male. E si sentì
ancora più in colpa.
“Very?”
lo chiamò
quando era quasi sulla porta.
Lui sorrise: “Non vuoi
lasciarmi andare, Kasday?”.
“Non ancora…mi
dai un bacio?”.
Lui tornò indietro e le
diede un bacio sulla fronte.
“No, no! Very…un
bacio vero!”.
Lui la guardava. Si chiedeva da chi
altro fossero state
baciate quelle labbra.
“E sta volta non ci
sarà Luciherus ad interromperci!”
affermò poi, quasi con rabbia.
I due si baciarono, a lungo.
Lei teneva le braccia attorno al capo
di capelli verdi acqua
e lui la stringeva, facendo fondere le loro luci. La loro magia ed i
loro
pensieri divennero una cosa sola, per quell’attimo
d’unione.
Quando le loro labbra si separarono,
l’angelo si congedò con
un inchino ed un sorriso. E l’Equilibrio tornò ad
assopirsi, dimenticando, per
un attimo, il dolore che provava.
Kasday sognava. Sognava lievi onde
che cullavano il suo
corpo. Dolci acque argentee lambivano la sua pelle ed erano
accompagnate da
splendide voci angeliche. Si rilassò, sorridendo felice.
Ma poi le voci divennero grida di
paura e rantoli di dolore.
Iniziò a precipitare, con le membra avvolte da pesanti
correnti d’oscurità.
Allungò le braccia ed d urlò. La sua mente era
tornata alla realtà.
“Tuo fratello ti tormenta
mandandoti incubi?”.
Lei si guardò attorno, e
vide che a chiederglielo era stato
Luciherus. Il grosso demone stava seduto accanto ad un piccolo
tavolino, con la
coda avvolta attorno alla sedia e lo sguardo pensieroso. Reggeva la
testa con una
mano e leggeva un libro. Dietro di lui stava, in piedi, Erezehimsay che
indicava una pagina del volume con l’indice.
“Mio fratello?”
chiese l’Equilibrio, ancora con le immagini
dell’incubo davanti agli occhi.
“Sì. Il Dio dei
Sogni e delle Paure. Anche a me fa spesso
visita la notte con la sua mente turbata e i suoi disegni
raccapriccianti”
ammise il Principe.
“Fai brutti sogni,
demone?” chiese lei.
“Sì.
Praticamente sempre. Ma non ti deve importare!”.
La
Dea annuì: “Che
cosa leggete?” sussurrò e notando con gioia il suo
Messaggero.
“Vereheveil
ha
trovato un libro.
Crediamo possa essere
d’aiuto per il bambino”.
L’Equilibrio sorrise
felice: “Sapevo che avrebbe trovato
qualcosa per aiutarmi!”
Si strinse il ventre: “Per
aiutarci!” aggiunse.
Il Messaggero e il demone
continuavano a leggere.
“Io credo che il Kaos
voglia mio figlio…suo figlio…ed io non
voglio!” esclamò lei.
Erezehimsay iniziò a
parlare: “Lo immaginavamo. E per questo
che abbiamo trovato questa formula interessante. Permette di legare la
vita di
una piccola creatura, fino alla maggiore età, in modo che
nessuna divinità
possa interferire nella sua esistenza, ad un mortale. Solo con la morte
dell’individuo a cui è stato legato, il piccino
verrà scoperto. In antichità
era usato per proteggere i neonati da Dèi irati ed
invadenti. Come nel caso di
richieste di scambio…”.
“Scambio?” la Dea
sembrava dubbiosa.
“Sì, scambio!
Nel caso in cui il Dio richiedesse la vita del
figlio in cambio di altro, pena una punizione eterna. Cose
così…”.
“Cose raccapriccianti. Non
potrei mai fare una cosa del
genere!” esclamò, convinta, la divinità
dell’Equilibrio.
“Questo perché
Voi siete una divinità, si può dire,
equilibrata!” rispose il Messaggero.
“Che
battuta…” sibilò Luciherus, rimasto
incantato nei suoi
pensieri, mentre guardava le fiamme del caminetto che ardevano nella
stanza.
“Ad ogni
modo…” ricominciò a parlare lei
“…mi sembra che
quella magia possa andare bene per il mio piccolo!”.
“Sì…ma
a chi lo
leghiamo? A quale mortale leghiamo la vita del vostro bambino? E deve
essere
per forza un mortale…non può essere un Dio o un
Messaggero!”.
La domanda di Erezehimsay fece
piombare il silenzio nella
stanza. Lei respirò profondamente, guardando il soffitto.
Ricominciò a parlare.
“Non
so nemmeno se
nascerà. Una vita…che viene creata da
me…che sogno la morte?”.
Luciherus si alzò,
srotolando la coda e le diede un piccolo
schiaffo.
“Smettila di dire queste
stronzate!” la rimproverò,
puntandola con il dito indice.
“Tu vivi così,
Luciherus…come ci riesci? Come riesci a
sopravvivere ricordando la luce? Come convivi con questo pensiero? Non
hai
paura delle tenebre?”.
La domanda di lei fece arretrare il
demone che la guardò con
fastidio: “Che dici? Stai ancora delirando? Perché
dovrei avere paura delle
tenebre? Io sono il Principe! E, come già ti ho detto, sono
felice qui!”.
“A me non sembra. E
l’ho capito anche dalla tua canzone.
Parlava di dolore, sofferenza e senso di colpa”.
Luciherus digrignò i
denti. “Piantala!” le urlò
“Tutto
questo è solo per colpa tua! Il mio Re ha fatto ricadere su
di me tutti i suoi
sensi di colpa per poter continuare ad agire come se nulla fosse! Ed io
ora
soffro da morire! Per colpa tua!”.
Il Messaggero afferrò il
demone per le spalle: “Che stai
dicendo? Sei impazzito? Calmati!”.
Tentava di far sedere il Principe ma
senza successo.
“Tu!”
continuò ad urlare il padrone di casa,“Tu! Tu e i
tuoi
casini famigliari! Tu odi tuo padre, e questo è un dato di
fatto. Ma io cosa
c’entro? Perché mi avete messo in mezzo alle
vostre beghe? Tu neanche immagini
che cosa sto provando!”.
Kasday lo guardava: “Io non
odio mio padre..e mi dispiace…”.
“Ti
dispiace?! Dovrai
dire molto più di questo per farmi calmare!”.
Erezehimsay tentò di nuovo
di far arretrare il Principe e di
farlo stare seduto. “Hai battuto la testa, demone?”
gli urlò contro, con rabbia
“Vai a farti un giro! Hai bisogno di schiarirti le
idee!”.
Luciherus si liberò della
sua presa facilmente e sbatté
l’angelo in terra, con rabbia.
“Non
mi toccare,
creatura piumata! Non osare toccarmi, essere beato, senza incubi,
dolore e
desideri!”.
“Basta Luciherus! Non
prendertela con lui!” esclamò
l’Equilibrio.
Vereheveil entrò nella
stanza. Il Messaggero si stava
rialzando, sistemandosi la veste e le piume. “Che diavolo
succede qui?” domandò
il Dio, perplesso.
“Niente…”
rispose Erezehimsay, passandosi una mano sul
labbro spaccato “Niente. Semplicemente, messer Diavolo ha
perso tutto il suo
autocontrollo!”.
“Non è
vero!” ringhiò il demone “Sei tu che mi
provochi,
piumino piagnucolante!”.
“Ma stai zitto, razza di
lampadina rossa!”.
“Adesso
basta!”
esclamò Vereheveil, mettendosi fra i due litiganti per
separarli.
“Vai ad esaltarti da
un'altra parte, pennuto! Anche se sei
un Dio, questo non comporta che ti porti rispetto!”.
“Riavvolgi la tua lingua da
serpente, cornuto!” sbottò
Erezehimsay, in difesa del Dio.
Con uno scatto, il Principe gli fu
addosso, sbattendolo
contro il muro.
Lo teneva sollevato da terra,
stringendolo per il collo, con
una mano, e lo terrorizzava mostrandogli i suoi occhi di fuoco e le
zanne. L’angelo
delle Letterature tentò invano di allentare la stretta degli
artigli di
Luciherus, ma non ci riuscì: il demone stringeva sempre
più la presa.
Kasday alzò la voce:
“Mettilo subito giù! Sei ubriaco?
Luciherus!”.
Il Messaggero annaspava, in cerca
d’aria.
“Mettilo
giù!” sbottò Vereheveil, afferrando una
sedia,
deciso ad usarla come arma, ma tutto fu interrotto dall’urlo
di Kasday.
“Cos’hai?”
chiese il demone, tornando al suo aspetto più
docile e liberando l’angelo.
Erezehimsay cadde in ginocchio e
tossì un paio di volte.
“Che ti prende,
Equilibrio?”.
“La gamba! Fa male!
Malissimo!”.
Vereheveil appoggiò la
seggiola in terra e si avvicinò al
letto. Tolse le coperte.
“Ha ricominciato a
sanguinare…”.
“Io non sanguino! Gli
Dèi non hanno sangue!”.
“Cos’è
quello allora?” chiese il demone indicando il flusso
scintillante che avvolgeva l’arto ferito.
“É magia” rispose il Dio
delle Letterature “E non è mai un buon segno
quando esce così!”.
“Vado a chiamare il
medico!” esclamo Erezehimsay e corse
fuori.
Luciherus si sedette in terra,
stringendosi la testa.
“Stai male anche tu? Non
dirmelo…” chiese l’angelo nero
mentre tentava di calmare l’Equilibrio. Ma il Principe non
rispose. Kasday
lanciò un altro grido e poi perse i sensi. Fu di nuovo tutto
buio.
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Capitolo 23 *** XXIII- Il figlio del peccato ***
XXIII
FIGLIO DEL PECCATO
Avvolta dal buio, la
divinità precipitava verso il basso.
Avvertiva la presenza del Kaos. Cadeva, ad occhi spalancati, allungando
le
braccia in cerca di aiuto, e tentava di uscire da
quell’incubo ma senza
successo. La lancia degli Hainuet avanzava
nell’oscurità e non poteva
schivarla. Trafisse il suo ventre e la nebbia la avvolse. La Dea
Equilibrio
urlò, imprigionata in quel sogno.
“Io sono il figlio del tuo
peccato!” parlò una voce dalle
tenebre.
“Io non ho commesso nessun
peccato!” gridò di rimando.
L’ombra nera si
alzò nel cielo. Il dolore aumentò e
riuscì a
riprendere i sensi. Vide migliaia di luci che circondavano il suo
corpo. La
magia se ne stava andando, gradatamente ed inesorabilmente.
Il mio piccolo? No, non
può. È troppo presto!
Una
violenta
contrazione la fece tornare del tutto alla realtà.
Inarcò la schiena ed urlò di
nuovo.
“Oh, Dèi!
Morirà!” gemette Vereheveil
“Perché la magia la
lascia così in fretta?”.
Il Dio della Letteratura strinse la
mano di lei, tentando di
trattenere la forza nel corpo della Dea. Luciherus sbraitò
il nome del demone
guaritore, ruotando il capo verso la finestra e notò che
sulle due torri si era
illuminato il simbolo del Kaos.
“Lui è
qui” sibilò il demone.
“Chi?” chiesero
gli angeli, Erezehimsay e Vereheveil, in
coro.
“Non preoccupatevi! Ci
penso io! Fate ciò che dovete!”
rassicurò il principe ed uscì dalla camera,
diretto alla sala dei ricevimenti
dove sapeva che, ad attenderlo, c’era il Kaos.
Corse lungo il corridoio, quasi
inciampando, e piombò nella
stanza più grande che aveva nel suo palazzo. Se
combatterti significa
perdere l’immortalità e
morire…ebbene…così sia! Si
disse nella testa ed
alzò lo sguardo, incrociando quelli del Dio, con sfida.
Il Kaos stava seduto, sorridendo e
sorseggiando caffè.
“Ne vuoi un po’,
amico mio?” domandò la divinità con la
sua solita
voce raschiante.
Ma poi, guardando meglio il demone,
riconsiderò la sua
offerta.
“No,
meglio di no. Ti
vedo già abbastanza nervoso. Che c’è,
Satanahel, piccolo mio?”.
Il demone distolse lo sguardo:
“Niente”, rispose tranquillo.
Il Kaos ridacchiò:
“Sei bravo a mentire, Saty, ma non
abbastanza. Non con me,
per lo meno. Io
so che lei è qui”.
“Lei?”.
“Sì. Lei. Mia
figlia”.
Luciherus si morse il labbro:
“Pensate che ve lo nasconda?”
domandò, calcando il tono sul fatto che, per lui, si stava
parlando di un
maschio.
“Io sono sicuro che tu me
la nascondi! Nascondi
l’Equilibrio!”.
Il Principe rimase calmo:
“Non so di che cosa parlate…”.
Il Dio alzò una mano verso
il soffitto: “Guarda!” ordinò al
demone.
Fra il Re e l’Arcangelo
caduto, si formò un’ immagine, una
sorte di rappresentazione olografica.
Un angelo, bellissimo, e dalla forte
luce, teneva la testa
bassa e le mani legate. Piangeva.
“Guarda, nemico degli
angeli! Ecco come saresti se ti avessi
lasciato in quel Mondo! Ti avrebbero sfigurato e umiliato, incatenato e
ignorato. Ora invece, grazie a me, sei libero!”. Il Dio si
alzò dall’alto trono
su cui stava seduto, alzando la voce: “Io ti ho reso padrone
di questo Mondo!
Sei divenuto Principe! Ti ho donato l’immortalità!
E tu mi ringrazi in questo
modo?! Ricambi i miei doni, con le menzogne?!”.
“No…”
si affrettò a dire Luciherus.
“Ah no?!”
tuonò il Dio.
Con un solo movimento
dell’indice, scaraventò il demone
contro la parete nera e gelida del salone. Flettendo il dito, lo tenne
sospeso
a mezz’aria, a braccia aperte. Il Principe, così
grosso e potente accanto a
chiunque altro, pareva minuscolo e impotente.
“Io ti ho donato la vita
eterna!” ricominciò il Kaos“Io ti
ho donato la possibilità di attraversare le Ere! Ma posso
toglierti questa
occasione in un attimo! E se fai il tifo per L’Equilibrio, ti
dico subito che
se io muoio, muori anche tu! Tu vuoi morire?”.
“No!” ammise il
demone, tentando di liberarsi dalla morsa
della divinità, che lo teneva a gambe ritte e a braccia
parallele al pavimento.
Crocefisso?!
“No! Bravo! E allora
perché, piccolo e patetico essere,
cerchi di nascondermi la verità?”.
Il Dio si stava avvicinando al
Principe, con la mano tesa e
l’indice puntato.
“Perché
lui…” iniziò a giustificarsi il demone,
ma il Kaos
lo interruppe.
“Lei! Mi piace pensare che
sia totalmente una donna!”.
“Ma non lo
è…” sussurrò Luciherus.
Il Dio del Disordine gli stava di
fronte, serrando la sua
mano nera e affilata attorno al collo del diavolo. I due si guardarono
negli
occhi. E il Kaos gli parlò nelle orecchie, piano:
“Però quando l’hai stretta a
te non hai fatto tanto il fiscale, mio caro Satanahel! Non hai dato
tanto peso
ai dettagli!”.
Il Principe distolse lo sguardo.
“Cos’hai
provato?” ricominciò il Kaos “Dimmi,
cos’hai
provato entrando in una Dea? Com’era danzare su un ventre
divino? Cambieresti
qualcosa, se avessi la possibilità di tornare indietro nel
tempo? Certo che no!
É stato molto meglio con lei che con
qualunque altra femmina, vero?”. Luciherus non poteva negare.
Ma non voleva
sentirlo parlare.
“Smettetela…”
supplicò lentamente.
“Quando l’hai
avuta davanti, così bella e così eccitante,
non hai avuto di sicuro alcun senso di colpa! Eppure…potevi
capire chi avevi in
fronte a te! Bastava che la guardassi negli occhi! Ma tu avevi ben
altro da
guardare! E non lo negare! Dillo! Dillo che ti è piaciuto da
matti! Dillo che è
stata la scopata più eccitante della tua vita!!”.
“E a Voi è
piaciuto stuprare vostra figlia?” ringhiò
Luciherus, senza riuscire a controllare oltre la sua
rabbia“Animale perverso!
Vi è piaciuto? Fate così anche con la vostra
terzogenita, la Dea delle Armi?
Poverino, con Vostro figlio maggiore non potete fare la stessa cosa! E
quindi,
giusto per fare qualcosa, gli avete tolto la voce! Solo
perché chiedeva del suo
fratellino! Non vi fate schifo?”.
Il
Kaos si mise a
ridere, divertito: “E tu? Ti soffermi mai sulle tue
azioni?”.
“Io non mi fotterei mai mia
figlia!”.
“Certo! È ovvio!
Non puoi averne!”.
Luciherus avvertì una
fitta al petto a quelle parole:
“Bastardo!” mugugnò.
Il Kaos gli prese il viso tra le
mani: “Io e te, Saty, siamo
uguali! E se ti fossi scopato tua figlia, di sicuro ti capirei! Specie
se avessi
una figlia bella come la mia!”.
Accarezzò i capelli del
demone, che però ritrasse il viso
con decisione, turbato dai discorsi della divinità.
“Non avere paura di me!
Satanahel! Io seguo la mia natura!
Dovresti fare anche tu lo stesso!”.
Il demone lo guardava, serio:
“Se siete così in pace con Voi
stesso, Kaos, allora perché trasmettete a me il vostro senso
di colpa?”.
Il Dio non rispose. Si
accigliò leggermente: “Perché difendi
l’Equilibrio?”.
“Perché lui
è mio amico! E Voi non l’avrete!”
ringhiò il Principe.
Il Dio si fece più grosso,
fino quasi a sfiorare il
soffitto. Con i capelli avvolse Luciherus, immobilizzandolo.
“Credi di potermi battere,
vermiciattolo? Arcangelo
negato?”.
Aprì il palmo della mano e
sollevò il demone, trascinandolo
fino a davanti al portone.
“Mio schiavo! Che credi di
fare?”.
Con una lieve flessione delle dita,
fiondò il Principe fuori
dalla porta. Luciherus arrancò, sputando sangue. I diavoli
soldato, che stavano
fuori dalla stanza, estrassero le spade, pronti a difendere il loro
capo.
Ma il padrone di casa
ordinò loro di fermarsi: “É una cosa
che devo risolvere io! Voi pensate a proteggere l’Equilibrio!
È un ordine, e
non voglio assolutamente sentire obiezioni!”.
Asmodai annuì, con un
cenno deciso da militare. Impartì i comandi
ai soldati, che si affrettarono lungo il corridoio, diretti verso la
stanza
dove stava l’Ordine.
Il Kaos avanzò deciso
verso il Principe, che nel frattempo
si era rialzato.
“Non
sfidarmi,
demone!” minacciò il Dio “Abbassa la
testa, creatura insignificante!”.
“Mai!”
ringhiò Luciherus, sfidando la divinità con lo
sguardo.
Il
Dio e il demone si
lanciarono, l’uno contro l’altro, affondandosi gli
artigli nella carne.
Kasday sentiva le forze che,
lentamente, la abbandonavano. Le
fitte dolorose attraversavano ogni suo muscolo, dalla testa fino alla
punta dei
piedi. Stravolta, nonostante il veleno e la febbre, si sforzava di
rimanere
sveglia. Non doveva perdere i sensi! Vereheveil continuava a mormoragli
di non
addormentarsi.
“Tieni gli occhi aperti!
Non svenire! Parlami! Canta per
me!”.
E l’Equilibrio
iniziò a cantare: “Vid him jai turas oh
mohor?” (Sei disposto a morire per noi o no?). La sua voce,
da donna, si
storpiava in strilli acuti ad ogni morsa che doveva sopportare.
“Frahai hi! Ghihitmi
hi!” (Noi credenti! Noi mortali!).
Cominciò a piangere calde
lacrime turchese.
Il Dio delle Letterature cercava di
far cambiare motivo a
Kasday ma lei ricominciava, una volta arrivata alla fine.
“Non cantare questo! La
canzone degli Dèi! No…ce ne sono
tante…recitiamo
assieme qualche altra cosa…”.
Nessun risultato. La nenia si
ripeteva, incessantemente, tra
i gemiti.
“Madre! Madre
mia!” iniziò ad urlare lei.
A quale Madre si riferisce?
Si chiese l’angelo. A
quella divina? A quella mortale? A quella demonica? O a quella senza
magia? O
forse è lei…la Madre fra gli Alti.
In quel momento la porta della camera
si sfondò.
Luciherus, scaraventato dentro, si
schiantò contro una
finestra, frantumandola. Il demone si ancorò, con gli
artigli che portava sulla
cima delle ali, per non cadere di sotto, e rientrò nella
stanza. Le persone
attorno al letto rabbrividirono.
“Chi ti ha ridotto
così?” domandò il Messaggero.
Il
Principe era
ferito in più punti ,ma continuava a brillare
d’orgoglio. Agitando la coda,
fece segno all’angelo d’argento di non aprire la
bocca. Con un lunghissimo,
straziante, grido, Kasday interruppe il silenzio che si era formato.
Poi non si
udì più nessun suono.
Luciherus passò la lingua
su una delle ferite che il Kaos
gli aveva aperto sul braccio, fece una smorfia per il bruciore e
rizzò le
orecchie: nell’aria si udì il pianto di un
neonato. Il demone si pulì l’angolo
della bocca dal sangue e guardò la nuova creatura. Sorrise,
con occhi
brillanti.
“Una bambina!”
sussurrò Vereheveil, avvolgendola in una
copertina.
Il Dio della Letteratura
iniziò a pronunciare la formula per
proteggerla.
La bimba aveva gli occhi azzurri di
Kasday. Agitò una
manina. I capelli, fumosi e agitati, e la pelle color ebano, la
facevano
facilmente identificare come la figlia del Kaos.
Ma aveva un altro tratto, unico. Una
bellissima
particolarità: brillava della luce rossa di Luciherus.
“Sbrigati, Vereheveil!
Lui sarà qui a momenti!” affermò il
Principe.
Tornò a passare la lingua
su una delle ferite e sibilò dal
dolore. Continuava a tenere lo sguardo fisso verso la porta: il Kaos
era
entrato.
“E
così…tu non mi nascondevi mia
figlia…” iniziò il Dio del
Disordine.
“Io non avrei mai potuto
consegnartelo…”.
Il Kaos avanzava verso il Principe,
che ringhiava
sommessamente, ansimando.
“No! Tu trovi solo gusto
nel nascondermi la cose! Ma io
conosco un sistema…per fare in modo che tu non lo possa
più fare!”.
Il demone sembrava per niente turbato
dalla minaccia della
divinità.
Vereheveil aveva terminato la sua
formula: la bambina ora
era al sicuro.
Luciherus guardò Kasday:
“Non preoccuparti!” la rassicurò
“Non ti
farà del male. E non farà del
male a lei!”.
“Io posso vivere con o
senza di te, Satanahel!” sibilò il
Kaos.
“E allora, stronzo,
trovatene un altro come me! Magari più
forte e più stupido, così da manovrarlo
meglio!”.
Il Dio color della nebbia
sollevò il Principe con un dito,
avvolgendolo con la magia. Lo tenne sospeso a mezz’aria,
contro il muro. Nel
frattempo, scoprì la mano dalle lunghe dita appuntite e
taglienti e gliela
piantò nel petto,
“No!”
urlò l’Equilibrio.
Un fiotto di sangue nero
uscì dalla bocca del demone e dalla
ferita aperta. Il Kaos, continuando a tenere il demone sollevato, con
una
rapida mossa del braccio, strappò il cuore dell’ex
Arcangelo dalla luce rossa.
Kasday lo guardava, piangendo, ma il Principe sorrideva. Il Dio del
Disordine lasciò
andare l’angelo caduto e si avvicinò alla figlia.
Una potente scossa magica lo
allontanò dalla bambina appena nata: l’incantesimo
di Vereheveil funzionava!
L’Equilibrio gli
urlò contro: “Bastardo! Figlio di nessuno!
Eri il suo Dio! Maledetto!”.
Il Kaos ghignò:
“Shhhh!” sibilò.
Appoggiando una mano sulla fronte
della Dea, le fece perdere
i sensi.
“Non ti lascerò
di certo uscire da qui!” sbraitò Vereheveil,
fiondandosi contro il Kaos che, però, lo ricacciò
indietro con un dito. Nessuno
poté impedirlo, neppure le guardie che erano accorse
numerose.
Il Disordine prese in braccio
l’Ordine: “Non posso
ucciderla, se ti fa piacere saperlo. Gli Alti me lo impediscono. Ma ci
sono
cose peggiori della morte!” scomparve, avvolto dalla nebbia.
Vereheveil lanciò un
grido, di rabbia e di disperazione, non
sapendo che altro fare.
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Capitolo 24 *** XIV- Prigionia e risveglio ***
XXIV
PRIGIONIA E RISVEGLIO
“Apri gli occhi,
Equilibrio!”.
Una voce dolce, angelica, tentava di
risvegliare il Dio
addormentato. Gli occhi azzurri del Dio dell’Ordine si
aprirono, lentamente.
Era riuscito a riacquistare le sembianze che aveva scelto alla fonte
magica.
Come si sentiva stanco…ma si sforzò di non
riaddormentarsi.
Che
splendido angelo
che aveva di fronte! Sembrava giovane. I ciuffi di capelli biondo scuro
gli
incorniciavano il viso ed i suoi grandi occhi grigi lo scrutavano, con
apprensione.
Era uno degli angeli più
belli…
“Luciherus!”
bisbigliò l’Equilibrio.
“Non paragonarmi a
lui!” sbottò l’angelo, passandogli un
pezzo di stoffa umida sulla fronte, per farlo svegliare del tutto
“Io non sono
come lui. Fratello Lucy è molto più coraggioso e
determinato di me. Prende le
sue scelte e poi và per la sua strada. Io non sarei mai in
grado di farlo…”.
Pareva triste.
Fratello Lucy? Sei dunque
uno degli Arcangeli…
La creatura alata lo stava curando.
Appoggiandogli due dita
sulla fronte gli stava trasmettendo, oltre che a cure fisiche, calore e
conforto.
“Mi
dispiace per la
gamba. Non posso fare nulla di più. Sono arrivato tardi. Ma
la febbre è scesa e
il veleno è sparito!”.
“Grazie a te?”
domandò il Dio, con un sorriso.
“Yai!”
esclamò l’Arcangelo, con gioia.
“E
tu…sei…”.
“Mi offendo, se non ti
ricordi di me!”.
I due si guardarono con attenzione.
“Rahahel! Tu sei
l’Arcangelo Rahahel!”.
Il giovane biondo sorrise con
più convinzione: “Bravo!
Bravo! E tu, una volta, eri Kasday. Che carino! E che belle ali che ti
stanno
crescendo sulla schiena! Peccato per le corna…”.
“Corna?”.
L’Equilibrio si
passò una mano sulla fronte e le sentì,
piccole e appuntite.
L’Arcangelo gli
bloccò la mano: “Sono ancora tenere e
delicate. Non le toccare”.
“Anche il precedente Dio
dell’Ordine aveva le ali e le
corna…”.
“Ovvio.
L’Equilibrio deve avere qualcosa in comune con ogni
cosa e…”.
“Dev’essere
tutto…e niente!” lo interruppe il Dio, chinando
il capo.
Rahahel lo guardava, inclinando il
capo: “Io trovo bello il
tuo nuovo stato. Mi piaci così. Ed è
così che devi essere!”.
La divinità non gli
rispose. L’Arcangelo si alzò,
allontanandosi da lui: “Vorrei restare qui ancora per un
po’. Ma non mi è
concesso”.
“Dove sono?”
chiese l’Ordine, riprendendo lentamente
lucidità.
“In un bruttissimo posto.
Con pessima
compagnia. Mi dispiace…”.
Il Dio si guardò attorno.
Si trovava in un luogo angusto,
buio, con pareti in pietra, forse un’antica torre o una
prigione. Non aveva
arredamento o finestre, era vuota, spoglia e fredda.
La porta, di legno
massicciò, si aprì cigolando e,
dall’odore
di nebbia, l’Equilibrio capì che stava entrando il
Kaos. Rimase seduto a terra,
con la schiena e le ali contro il muro. Il Dio del Disordine
afferrò il viso di
Rahahel, che stava per uscire dalla stanza: “Sta bene ora,
piccione?” domandò
con la sua voce tenebrosa.
“Io sono un angelo,
messere, e, comunque, sì. Sta bene. Ad
eccezione della gamba che…”.
Il Kaos lo interruppe: “Non
mi importa. Basta che riesca a
stare cosciente. A quanto vedo non sei più solamente una
donna…”.
Spinse l’Arcangelo lontano
che, però, protestò.
“Spero di averVi
accontentato, Kaos. Avevamo un patto”.
Che patto? Come si
può fare un patto con un essere del
genere? Rahahel…che combini?
Il Dio nero non rispose, ma fece un
cenno con la mano,
chiudendo la porta. L’Arcangelo, rimasto fuori,
sospirò. Sussurrò delle parole
per augurare buona fortuna all’ex Serafino e volò
via. L’Equilibrio guardò il
Kaos. Si sentiva debole e afflitto: “Cosa vuoi
farmi?” domandò ed il padre non
gli rispose. Prese il figlio per i capelli ed iniziò a
trascinarlo lungo i
corridoi, stretti e bui. Illuminato solo da delle piccole candele,
l’Ordine non
riusciva a capire dove stesse andando e si dibatteva per liberarsi,
anche se
era inutile. Era come un pesce all’amo: senza via di scampo.
Le scale che
scese, parvero non finire mai. Alla fine di un lunghissimo percorso
tortuoso,
il Disordine sganciò una grossa chiave, ormai ruggine, da un
anello appeso alla
parete.
La girò in una serratura
scricchiolante, che aprì una porta
molto pesante. Scaraventò dentro il figlio, che
batté la testa violentemente e
perse di nuovo i sensi, avvolto da un alone di magia.
Quando rinvenne, cercò di
muoversi ma non ci riuscì perché grosse
catene lo tenevano ancorato al pavimento. Le braccia erano legate
dietro la
schiena, con ganci in ferro mentre le ali erano serrate con un nastro.
Il piede
ferito era libero. Piegò le ginocchia. L’altra
gamba era ancorata alla parete
con cinghie lucide, nuove. A terra notò i suoi capelli neri:
gli erano stati
tagliati.
Il Kaos lo guardava, a gambe piegate:
“Non potrai mai più
uscire da qui, Equilibrio! A guardia di questo posto ci sono delle
statue in
pietra che obbediscono solamente ai miei ordini. Solo la morte
può ucciderle.
Peccato che non ti
possa aiutare! Anche
lei è al mio servizio!”.
Si alzò, allontanandosi
dall’Ordine. Uscì, serrando la porta,
e l’Equilibrio rimase da solo, al buio, al freddo.
Nell’umido di quella
stanzetta, senza finestre, chinò il capo. Senza speranza.
Le ali erano doloranti. Dovevano
crescere e non potevano,
così legate.
Ho le ali…ho di
nuovo le ali. Luciherus dovrà di nuovo
insegnarmi a volare…già…se solo potesse…
Incominciò a piangere,
chiudendo gli occhi. Una volta che si
fu calmato, dopo aver pensato a tutte le persone che amava,
respirò a fondo. Alzò
gli occhi al cielo, annullando il loro bianco e la loro pupilla.
Lasciò che
subentrasse l’oblio nelle sue membra. Solo così
poteva sopravvivere.
La magia lo avvolse e cadde in un
sonno eterno, costellato
da dolore e incubi.
Passò il tempo. Fu
risvegliato una notte da un rumore
assordante, così potente che fece tremare le pareti e lo
fece uscire dal
torpore.
Quanto tempo è
passato? E che cosa è successo?
I capelli non erano cambiati. Non
erano ricresciuti.
Probabilmente non ne
è trascorso così tanto di tempo da
quando…o forse sì…
Una crepa sul muro fece filtrare uno
spiraglio di luce
argentea da un satellite, così il Dio poté vedere
che tutte le catene con cui
era legato erano arrugginite e logore. Girò la testa per
evitare il raggio
luminoso, il primo della sua prigionia. Il muro alle sue spalle
crollò,
facendolo ricadere al centro della saletta. Contrasse le pupille per
difendersi
dalla luce fortissima che entrava e si coprì il volto. Solo
più tardi si
accorse che, in realtà, quello che gli sembrava un bagliore
accecante non era
altro che il pallido riflesso dei satelliti del Mondo. Chiuse gli
occhi, per
qualche secondo e, quando li riaprì, vide a terra due colori
diversi di
luminescenza. L’argentea, che lo aveva accecato, e una nuova
colorazione rossa.
“Luciherus…”
si affannò a dire. La voce raschiava, come non
usata da anni.
“No” si
sentì dire.
Alzò lo sguardo. Una
donna. Bellissima, con il volto coperto
dal collare del mantello, reggeva un’altissima falce. Al suo
fianco c’erano
altre figure, che apparvero come ombre nel bagliore.
L’Equilibrio vedeva ogni
cosa come priva di
contorni, avvolta dal
bianco.
“Non sono
Luciherus…” ricominciò a parlare la
figura avvolta
dalla luce rossa. Chi sei? Sembrava giovane. I
tuoi occhi…vieni più
vicino…
“Io sono Luciheday, Lucina
per gli amici”.
Luciheday? Luciherus più
Kasday! I tuoi occhi…sono come i
miei. Figlia mia? O sei solo frutto della mia mente addormentata e
derisa dalle
fantasie di mio fratello? E come sei entrata qui, se sei reale? Solo la
Morte
può sconfiggerle…
“Sei, tu, la Morte? Sei
venuta a prendermi?”.
Una risatina precedette la risposta:
“Sì, è vero, sono la
Morte. E sì, sono venuta a prenderti. Ma per riportarti a
casa!”.
Con un rapido movimento della falce,
la ragazza ruppe le
catene che imprigionavano l’Ordine.
Quanto vorrei riuscire a
vedere il tuo viso! Ma il
Dio non ci riusciva, quasi accecato. Scorgeva solo l’immensa
luce rossa ed il
bagliore di un bel paio d’occhi azzurri.
Una delle altre due figure, rimaste
indietro, si avvicinò
all’Equilibrio. “Signore!”
esclamò, con voce colma di entusiasmo.
“Erezehimsay! La tua voce
la riconosco! Non riesco a vederti
chiaramente, ma so che sei tu! Mio Messaggero!”.
L’angelo dalle ali
d’argento si inginocchiò davanti al suo
padrone e lo abbracciò.
“Perdonate se non sono
giunto qui prima! Ma ci serviva la
Morte per poter entrare! E non preoccupatevi se ora non riuscite ad
abituarVi
alla luce…è normale dopo tanto tempo
nell’oscurità totale!”.
Tentò di fare alzare la
divinità ,ma l’Ordine ricadde
subito. La gamba ferita non lo resse ed una fitta lo
attraversò. La terza
figura si decise ad avanzare. Porse al Dio sofferente un bastone, in
oro, con
motivi gotici dipinti in blu: il bastone che l’antico
Equilibrio aveva la prima
volta in cui maestro e allievo si erano incontrati.
“L’Equilibrio tuo
predecessore aveva il tuo stesso problema”
affermò l’ombra, con voce profonda. Kasday si
alzò, lentamente, sorretto dal
sostegno che gli era stato dato.
“Lo so. Me lo ricordo. Tu
sei…un demone? Vedo il contorno
delle tue ali…”.
“Sì, io sono un
demone. Sono l’unico Messaggero con le ali
senza le piume. Io sono Agares”.
Il Dio ricadde in terra:
“Agares?! Il mio bambino?!”.
Non sei più un
bambino. Sei un uomo!
Infatti, il demone che aveva davanti
presentava l’aspetto di
un giovane che portava l’età in cui ormai
l’adolescenza è trascorsa. Da poco,
ma è trascorsa. Era un uomo, o forse di più. I
Messaggeri avevano una vita
lunga ed invecchiavano lentamente. I capelli blu, a riflessi dorati,
erano
mossi ed agitati e gli occhi avevano lo stesso colore di quelli della
madre:
nerissimi e lucenti. Le corna, che l’Equilibrio ricordava
piccole ed a malapena
visibili, erano grosse ed arricciate, come quelle di un ariete. Portava
una
veste vermiglia sorretta, sulla spalla, da una fibula verde cupo.
Non portava da nessuna parte il
simbolo della divinità che
serviva.
Dev’essere uno dei
Messaggeri degli Alti.
“So che non ti piace farti
abbracciare…” iniziò il Dio,
ancora seduto sul pavimento in pietra.
“Per questa volta
passi…papà!” lo interruppe il demone,
inginocchiandosi.
Il figlio sollevò il
padre, con facilità.
“Quanto tempo è
passato? Quanti anni hai ora, mia creatura?”
domandò il padre.
Avendolo così vicino,
notò che portava la barba. Un piccolo
pizzetto intonato con i
capelli.
“Non ha importanza. Ora
sono un Messaggero degli Alti e non
invecchio. Perciò non conta se sono passate ore…o
Ere!”.
“É bellissimo
rivederti!”.
La
divinità
cominciava ad abituarsi alla luce ed a vedere meglio.
Concentrò l’attenzione
sulla donna. Aveva un aspetto più giovane, rispetto al
demone. Forse aveva
passato da poco l’adolescenza. La giovane fece un piccolo
inchino,
presentandosi: “Io sono la Dea della Morte. Lo sono diventata
da poco, qualche
stagione. La divinità che svolgeva prima di me questo
compito, ha rinunciato al
suo ruolo ed è tornata dagli Alti. È un piacere
conoscerti. Sono tua
figlia…credo. Papà Luciherus non è
stato molto chiaro! Fa sempre una gran
confusione e cerca ogni volta di cambiare argomento!”.
“Papà Luciherus?
È, dunque, vivo? Lucy è vivo?”.
La ragazza lo guardò,
perplessa: “Certo. Dovrebbe essere
morto?”.
“Sì. Lui
è vivo” rispose Erezehimsay “Il Kaos ha
rotto e
ricostruito il suo giocattolino con facilità. Anche grazie
all’aiuto di
Rahahel, che ha ricevuto il permesso, del tutto eccezionale, di entrare
nel
Pianeta del Principe con la presenza del Kaos”.
È stato questo il patto
che hai fatto con il Kaos,
Arcangelo guaritore? Obbedire al Kaos, chissà in quali altri
modi oltre che ad
aiutare me, in cambio della salvezza del fratello Luciherus?
Rahahel…rinunciare
alla protezione della Dea del Destino per salvare un Arcangelo caduto!
Quale
coraggio…e quale grande cuore…
L’Equilibrio si
rincuorò sapendo che il Principe stava bene.
Un peso in meno sulla coscienza e un sollievo al cuore, se ce
l’avesse. In
realtà non era sicuro che quello che pulsava dentro di
sé fosse un cuore. Non
aveva sangue ma magia…forse era qualcosa di diverso che la
faceva circolare.
Guardò la sua bambina. La
mia bambina? Quel fagottino
piangente che ho abbandonato quando sono stato trascinato qui? Sei
già così
grande? È passato davvero tanto tempo…ed io non
vi ho visti crescere. I miei
figli sono adulti ormai…mi sono perso la vostra infanzia.
Sospirò, malinconico.
Abituato ormai alla luce, vide come la
ragazza presentasse i tratti del Kaos.
I suoi capelli erano di nebbia e la
pelle color ebano,
mentre occhi azzurri spiccavano sul nero del viso.
Sei perciò figlia
di mio padre, sorella mia.
Brillava di una potente luce rossa.
Ma sei anche figlia di
Luciherus, mia creatura!
Lei portava un abito lucido, forse
pelle, che le stava
aderente, e si poteva muovere agilmente e con facilità
grazie a
quell’indumento. Al collo aveva una collana con piccole
pietre preziose.
Il Dio stava in piedi, sorretto da
Erezehimsay, che
sorrideva sinceramente. Mai lo aveva visto così felice.
“La formula di protezione
di Vereheveil ha funzionato” parlò
il Messaggero “Lei è stata al sicuro fino a quando
non è diventata una Dea. Ed
ora non può più farle del male, perché
gli Alti la stanno aiutando”.
L’Equilibrio
sospirò, felice. Scosse le ali dalla polvere
caduta dal soffitto e mosse alcuni passi, sempre aiutato dal suo
Messaggero.
“Ora andiamocene da qui.
Non voglio incrociare lo sguardo
del Kaos! Non oggi perlomeno!” sibilò
l’Equilibrio.
Erezehimsay aprì il
portale e tese una mano verso il suo
padrone. Facendo alcuni passi verso l’esterno, il Dio
poté notare che poteva di
nuovo percepire la magia trasmessa da chi credeva in lui. Probabilmente
le
spesse pareti in roccia della sua prigione erano state create in modo
da
bloccare ogni influsso magico. Saltò nel portale, guidato da
Erezehimsay. Li
seguì la Dea della Morte, con la sua falce e la coda
frustante, e per ultimo
venne Agares, sbattendo le enormi ali nere. Richiuse il portale dietro
di se e
tutti e quattro giunsero a destinazione.
Atterrarono in uno dei Mondi senza
magia. Il loro obbiettivo
era la fonte magica, dove il Dio venne immerso, delicatamente. Nella
penombra
della grotta dove si trovava la sorgente, l’Equilibrio si
sentì subito meglio.
Il torpore stava iniziando ad abbandonarlo e la magia dei Mondi di
nuovo a
scorrere in lui.
“La gente ti ama..i tempi
sono cambiati!” comunicò
Erezehimsay alla divinità.
Agares teneva le ali spalancate,
pronto a ripartire.
“Noi andiamo. Comunichiamo
ai popoli ed ai Pianeti che sei
libero!”.
I tre ripartirono: Erezehimsay si
inoltrò nei vari Mondi
delle creature senza magia, Luciheday tornò a casa da suo
padre e si concentrò
sui Pianeti dei demoni ed infine Agares volò verso i Regni
degli Angeli. Essendo
un Messaggero, era libero di andarci, senza che il suo evidente stato
di demone
creasse problemi.
Il Dio dell’Ordine si
immerse ad occhi chiusi. In tutti i
Pianeti si stava ballando, cantando e suonando in suo onore, invocando
Pace e
armonia. Lo avvertiva chiaramente e si sentiva sempre più
forte. Aprì gli
occhi, rivolgendoli al cielo, capendo finalmente quel che doveva fare,
e fece
un patto con gli Alti.
Fu felice che lo avessero portato in
quel luogo: gli era più
facile immagazzinare energia e magia. Richiuse le palpebre,
rilassandosi e
riposando.
“Kasday!”.
Riaprì gli occhi:
“Vereheveil!”.
Il Dio delle Letterature
appoggiò in terra un fagotto che
teneva in braccio e si gettò nel lago.
“Ti prometto, amore ed
amico mio, che ora più nessuno ci
separerà!”
urlò l’angelo dalle ali nere. “Ma adesso
non provare a venire nell’acqua più
profonda con quelle ali!” gli gridò, di rimando il
Dio dell’Equilibrio, che
teneva le piccole ali blu fuori dal laghetto per non bagnarle ed
appesantirle.
Vereheveil non ci aveva neanche pensato. La metà delle sue
piume, bagnate,
iniziarono a pesargli terribilmente e dovette fermarsi. Protese le
braccia
verso l’amico, che nuotò verso di lui.
Si abbracciarono.
“I tuoi
capelli…sono così corti…”.
“Stanno ricrescendo in
fretta! Sta tranquillo!”.
Insieme si sedettero sul ciglio del
lago, con i piedi a
mollo.
“Non sei cambiato,
Vereheveil”.
Il Dio delle Letterature aveva
truccato gli occhi e legato i
capelli. Il suo lungo soprabito bianco, a decori in oro, era aperto.
Sotto di
esso la divinità indossava dei pantaloni larghi,
anch’essi decorati, sorretti
da un ampia cintura con su incastonata una pietra: un lapislazzulo:
“Mi
ricordava il colore dei suoi occhi…”.
Il suo petto era scoperto, lasciando
in mostra i tatuaggi
con tutti i sistemi di scrittura dei Mondi. Simboli, lettere, note e
segni
vari, in nero e blu. Era scalzo e scalciava nell’acqua.
L’Equilibrio allungò la
mano verso il fagotto che gli aveva portato: erano degli abiti,
riccamente
decorati.
Quanto ci ha lavorato la
persona che ha realizzato questi
ricami? Si chiese.
Poi ricordò che colui che
aveva di fronte era amico della
Tessitrice, la Dea del Destino. Lo capì anche dal fatto che
non era stato
punito in seguito al tranello in cui avevano fatto cadere la Dea per
distruggere la tela. Gli sembrava passata
un’eternità..e forse era proprio
così. Evidentemente era stata lei a realizzare i vestiti di
entrambi, poiché
anche ciò che indossava Vereheveil aveva ricami molto
complicati. Fece passare
le piccole ali in due fessure fatte appositamente nella sua nuova
veste.
“Come sapevi che avrei
avuto le ali? Erano così
insignificanti e in procinto di cadere l’ultima volta che ci
siamo visti…”.
Il Dio delle Letterature sorrise:
“Io ti ho sognato. Eri
bellissimo, con capelli neri fino alle spalle e due enormi ali blu. Eri
tutt’uno con il tuo pianeta. Eri un creatore. È
stato un sogno fantastico.
Impugnavi una spada”.
“La spada dei
Denian?”.
“No. più
stretta. La Spada dell’Equilibrio!”.
L’Equilibrio
non
ha la spada…
Si passò una mano sulle
piccole ali che lentamente
crescevano, alimentate dal sole che splendeva sulla sua schiena.
“Scusa se sono
così scoperto…ma il Pianeta ha cambiato
orbita e fa sempre più caldo…”.
“A me non
dispiace” rispose Kasday, sistemando la veste.
Era blu scuro con ricami vermigli. La
legò in vita con una
cintura con gli stessi motivi e tornò ad accoccolarsi
accanto al Dio delle
Letterature.
“Cos’è
successo agli altri?” domandò.
Vereheveil lo guardò un
attimo e poi iniziò a raccontare: “Sono
cambiate alcune cose. Ma non tante
come
puoi pensare. Samhian ed Eleniel hanno avuto un figlio, che ora
è il Dio della
Vita…”.
“Il Dio della
Vita?!”.
“Sì. Colei che
svolgeva prima quel ruolo si è stancata,
specie dopo che era stata costretta a farti concepire il figlio del
Kaos. Ha
rinunciato al suo stato divino e se ne è andata. Non
è morta, ma nessuno ha
idea di dove sia sparita”.
Kasday annuì, incitando
l’amico a continuare.
“Luciherus è
vivo e continua a svolgere la sua attività”.
Attività?
“Nel Mondo degli Angeli non
è cambiato molto. Mihael è il
capo degli eserciti angelici, Gibrihel insegna e lascia ad altri la sua
missione di annunciatore, Rahahel ha rinunciato
all’immortalità concessa dal
Destino o, meglio, è stata lei a togliergliela. Credo in
seguito a non so che
patto che Rahy aveva fatto con il Kaos. Ma visto che lui è
amico della Vita e
della Morte, non muore
né invecchia.
Comodo, no? Nessun legame, stesso risultato!”.
“Urihel è sempre
l’Arcangelo che studia la luce dei pianeti
e le loro orbite?”.
“Sì,
certo!”.
“Bene…”.
“I tuoi figli hai
già avuto modo di vederli. Sono venuti a
liberarti, appena la piccola è stata in grado di usare a
pieno i suoi poteri di
nuova Dea della Morte. Ha ucciso le guardie approfittando
dell’assenza del
Kaos. Ultimamente è molto impegnato…”.
Kasday interruppe Vereheveil con un
cenno della mano.
“Vorrei andare da Urihel,
mi accompagni? Vieni con me?”.
“Certo!”
esclamò il Dio delle Letterature, alzandosi in
piedi.
L’angelo scosse le ali
nere, asciugandole. Di conseguenza si
gonfiarono tutte le penne, creandogli non poco disappunto. Porse la
mano
all’amico, facendolo alzare. Kasday fece qualche passo, ma
poi ricadde: la
gamba ferita non accennava a smettere di tormentarlo. Vereheveil lo
sorresse e
gli porse il bastone che aveva portato Agares. Grazie a quello,
l’Equilibrio
riuscì di nuovo a camminare.
“Che razza di Dio
dell’Equilibrio sono, se neanche sto in
piedi?” si disse, scocciato.
“Mi
dispiace…” iniziò l’angelo
nero.
“Per cosa?”
domandò la divinità dell’Ordine.
“Sapevo quanto ti piaceva
ballare. Lo hai sempre fatto, in
ogni tua reincarnazione. E ora non puoi
più…”.
Kasday lo interruppe: “Hei!
Sono vivo! Sono qui! Con te! Non
ha molta importanza che io possa o meno ballare. Ci sono cose
più importanti di
queste! La magia dei popoli sta riscorrendo in me, cosa potrei chiedere
di più?
Ora che anche tu sei qui…”.
Si avvicinò fino a
sfiorarlo: “Andiamo da Urihel” sussurrò,
con un sorriso.
Il Dio delle Letterature si ritrasse.
“Non sono più un
angelo. Non sono più un asessuato. Non fare
così”.
“Che problema
c’è? Io posso cambiare
forma…”.
“Ma io non posso. Non sono
più come te. Ti mancherà sempre
qualche cosa, che io non saprò darti…”.
“Che cosa dici?”.
Kasday era confuso. Ma Vereheveil non
gli fornì spiegazioni.
L’Equilibrio attese qualche
secondo, guardando in terra,
pensieroso.
“Non mi ami più,
Very?”.
“Come il primo giorno. Come
sempre. Ma non posso sopportare
di vederti come una donna con cui provare certi desideri. Il nostro
rapporto è
diverso…”.
L’Equilibrio non
capì del tutto.
Prese le mani di colui che non si
definiva più un angelo e
le incrociò con le sue.
“Non vedermi come una
donna. Né come un uomo. Vedimi per ciò
che sono: il tuo Kasday. Come io, in te, vedrò sempre il mio
angelo”.
Si baciarono, lasciando che il tempo
passasse lentamente.
Vereheveil prese il viso del Dio che aveva appena baciato. Fronte
contro fronte
si sorrisero.
“Temevo che non provassi
più nulla per me. Mi hai
spaventato!”.
“Andiamo ora”.
Il Dio dell’Ordine
cresceva, illuminandosi sempre di più. Anche
le sue ali, i capelli e le corna si rafforzavano e si allungavano
aiutate dalla
magia. Pronunciando una sola parola, Vereheveil aprì il
portale.
“Che
bravo…” gli
sorrise Kasday.
“Secoli
di pratica”
fu la risposta.
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Capitolo 25 *** XXV- Urihel ***
XXV
URIHEL
Il portale portò
Vereheveil e Kasday in una delle stanze
dell’abitazione di Urihel. Era completamente al buio, cosa
molto strana per la
casa di un angelo, di solito piena di luce e vita. “Che cosa
vuoi?” sbottò una
voce nell’ombra.
I due Dèi accentuarono la
loro luce, illuminando flebilmente
la sala.
“Buongiorno…”
salutò Vereheveil, storcendo la bocca per il
fastidio.
Amava i benvenuti e la frase
d’accoglienza non sembrava di
buon auspicio.
“Oh! Scusate. Siete
voi…pensavo fosse…no,
niente…”.
Le due divinità si
avvicinarono alla voce e illuminarono la
figura: Urihel. L’Arcangelo stava seduto su un piccolo
tavolo, progettato per
una persona, e consultava un libro. Alzò gli occhi dalle
pagine, batté le
palpebre ed i suoi occhi argento brillarono, come stelle. Giocherellava
con i
capelli color del cielo, arricciandoli con le dita. Come sempre,
vestiva di
scuro, blu con riflessi d’argento. L’abito di
velluto frusciò quando l’alato
incrociò le gambe.
“Cosa posso fare per
voi?” domandò, sottovoce.
“Come mai tutto questo
buio, Urihel?” domandò Vereheveil.
“Siete venuti qui per
chiedermi questo? Non credo…ditemi
cosa volete e poi lasciatemi in pace”.
I due Dèi si guardarono
perplessi.
“Scusate…”
ricominciò l’Arcangelo “Se proprio
volete
saperlo…il buio mi aiuta a concentrarmi. Ultimamente provo
molto fastidiosi i
rumori e la luce. Sarà
l’età”. Si alzò, lasciando il
libro aperto: “Se mi date
un secondo accendo le candele”.
Kasday gli fece segno di stare
seduto. Il luccichio della
sua pelle, tenuto appositamente molto fievole, bastava ad illuminare la
stanza.
“Vereheveil…quanto
è bello vederti! I tuoi occhi dorati si
intonano con il mio arredamento”.
I due si sorrisero.
“E tu…Kasday! Ti
riconoscerei ovunque! È inutile che cambi
taglio di capelli! Con quegli occhi…Che cosa ti porta qui,
figlio del Kaos?
Spero non siate spinti da motivazioni
spiacevoli…”. L’Equilibrio
inclinò la
testa, spostando un ciuffo ribelle: “Vorrei che tu mi
spiegassi le orbite dei
pianeti dei due creatori. È vero che stanno
cambiando?”.
Urihel fece un cenno con il capo:
“Seguitemi. Da questa
parte”.
L’Arcangelo
spostò una pesante tenda e cambiò sala. I due
Dèi lo seguirono, attraversando un corridoio e salendo le
scale. Il silenzio
era infranto solo dal ticchettio di un orologio a pendolo e dal rumore
prodotto
dal bastone dell’Equilibrio. Salirono all’ultimo
piano del palazzo.
“Ce la fai?”
chiese Vereheveil, rivolto all’amico
zoppicante.
“Certo. Sta
tranquillo”.
Continuavano a sussurrare, cosa che
Urihel apprezzò molto.
L’Arcangelo aprì una porta in cima alle scale. La
stanza che si presentò
davanti agli occhi degli ospiti era spettacolare. Con un soffitto a
volta,
color della notte, conteneva al suo interno, fluttuanti, migliaia e
migliaia di
sferette luminose. Avevano dimensioni, colori e moti diversi , ma tutte
parevano seguire una loro orbita.
“Wow!”
esclamò Vereheveil, meravigliato.
“Ogni sfera corrisponde ad
un pianeta o ad una stella”
spiegò Urihel.
Le sferette ruotavano su loro stesse
e attorno a quelle che
rappresentavano le stelle, più luminose e fisse. Ogni orbita
erano delineata da
lievi tratti in argento. Ogni cosa si muoveva, pulsava e girava.
“Come fai a
fare questo?” chiese l’Equilibrio.
“Non sono io a muovere
tutto! Ovvio! Ma lui” rispose
l’Arcangelo, indicando una finestra.
Una mano scostò la tenda
ed apparve il Dio del Sole, che
sorrideva e stava seduto sul balcone. A gambe raccolte e un braccio
sulle
ginocchia, il Dio salutò con una mano.
“Ciao Kasday. Mi ricordo ti
te! Ero solo un bambino quando
sei nato, ma ho memoria di quella notte”.
“Anch’io mi
ricordo di te. Sei cresciuto!”.
Il Sole scosse i capelli, che si
alzavano come fuoco. Stirò
una gamba, scoprendo il ventre tatuato a fiamme rosse, gialle e nere.
Portava
un abito leggero, che lo copriva solo fino alle ginocchia.
Il mantello, che sventolava al vento,
aveva le estremità
bruciacchiate.
Alto e slanciato, il Sole sorrise:
“Io sono la divinità che
controlla le orbite dei Pianeti, ma non posso cambiarle. Solo un
creatore può.
Il mio compito è avvertirli se qualcosa non và.
Ma, ultimamente, nessuno di
quei due mi dà ascolto!”.
“Come sta tuo
padre?”.
“Si è stancato
di fare questo lavoro un paio di secoli fa e
se ne è andato. Non ho idea di dove sia né di che
cosa faccia. Probabilmente
gli Alti gli hanno dato un luogo migliore in cui stare”.
Vereheveil e Kasday guardavano ogni
sfera, con ammirazione.
“Dev’essere un
lavoraccio governare la luce, le orbite e la
traiettoria di ogni pianeta e stella…”
commentò Kasday..
“Sì. Per fortuna
esiste la Dea che governa i satelliti!”.
“Ma non esiste una
divinità del Cielo o una cosa del genere?
Qualcuno che controlli gli andamenti degli
Universi…”.
Il Sole scosse il capo.
Urihel ricominciò a
parlare, schivando una pallina con la
testa: “Una volta c’era. Era una bellissima Dea.
È stata lei ad aiutarmi a
costruire tutto questo. Ma poi si è stancata di tutto. Alla
fine i creatori
fanno sempre quello che vogliono, ignorando la gente. Dovrebbe essere
il
contrario! Gli Dèi creatori non dovrebbero pensare a loro
stessi, mai. Lei ha
rinunciato ai suoi poteri, trasmettendoli al Dio del Sole. Facendo
questo, è
divenuta una mortale e si è lasciata morire. Ed io, che le
avevo promesso di
restarle accanto sempre, non ho potuto seguirla, incatenato in questo
corpo
immortale. Solo la Dea del Destino può porre fine alla mia
vita, ma non ne ha
alcuna intenzione”.
Il Sole guardò
l’Arcangelo, con sguardo malinconico:
“Ultimamente le cose vengono fatte tutte a casaccio. O a
Kaosaccio, come piace
dire alla Dea della Natura” e tornò a guardare
fuori dalla finestra, aperta.
“Qual è il
problema nelle orbite, Urihel?” domandò Kasday,
senza distogliere lo sguardo da un pianeta che stava immobile, senza
luce, in
un angolo.
L’Arcangelo
avanzò verso il centro della stanza: “Questa
zona, con prevalenza di colore bianco, è
l’Universo della Dea del Destino”. Si
mosse verso le estremità: “Quest’area
avvolta nel nero è invece l’Universo del
Kaos”. Lì le sferette si muovevano in un apparente
casualità e confusione.
Forse non solo apparente: erano senza regole.
“Al confine di queste due
zone..” continuò Urihel “..dove
gli Universi si incontrano, una volta c’era un anello di
pianeti e di stelle.
Era l’Universo dell’Equilibrio, che aveva il
compito di tenerli separati. Ma è
da tempo, ormai, che quell’anello non esiste più.
L’unico Pianeta rimasto del
suo sistema è quella pallina che tanto osservi. Morto,
spento e senza alcun
potere”.
Kasday lo toccò con un
dito.
“Il
problema è che
quell’anello era indispensabile! La forza di
gravità e di attrazione dei
Pianeti del Kaos sta scombinando i moti dei Pianeti della Dea del
Destino. Ha
spostato anche alcune sue stelle fisse! Se la cosa và avanti
di questo passo,
si giungerà al collasso”.
“Collasso? Intendi che i
pianeti si scontreranno fra loro?”.
“Esattamente! I due
Universi si auto distruggeranno, facendo
scontrare stelle e Pianeti. È una reazione a catena. Se uno
di loro esce
dall’orbita, poi passa accanto ad altri Mondi e crea problemi
anche ai loro
moti e così via”.
Vereheveil, si stupì:
“Ma i creatori non fanno niente per
impedirlo?” chiese il Dio delle Letterature.
“Per tutti i Multiversi!
Mai e poi mai! A loro che importa?
Anche se tutte le loro biglie colorate si disintegrano, che cosa gli
cambia?
Sono creatori, tenuti in vita dagli Alti. Ne creano altre di sferette e
tornano
a giocare! Solo gli Alti potrebbero intervenire, ma non lo fanno mai.
Più sono
potenti e più se ne fregano dei
popoli…”.
“É
disgustoso!”.
“É sempre stato
così. Con ogni creatore e con ogni divinità.
Dobbiamo farcene un ragione”.
Kasday sembrava turbato:
“Come si può impedire che i pianeti
si scontrino? Qual è la condizione ideale? La condizione di
Equilibrio?”.
Urihel lo guardava, con le mani
avvolte nella veste: “É
complicato. Ma se vuoi ti mostro quanto diversa dovrebbe essere la
situazione,
per farti un’idea di quanto sia impossibile ristabilire
l’ordine. Dobbiamo
rassegnarci alla prospettiva che, ormai, siamo destinati a venire
distrutti”.
“Quanto sei
pessimista!”.
“Chissà
perché…” sospirò
l’Arcangelo, avvicinandosi ad una
delle pareti “Ad ogni modo, Kasday, non sono io che controllo
i movimenti delle
sferette. Chiedi al Sole…”.
Il Dio del Sole, sbuffando, si
alzò dal suo posto e si mosse
verso il centro della stanza. Sollevò una mano, che
brillò. La luce giallo paglierino
si espanse, avvolgendo ogni cosa, e le sfere rappresentanti i pianeti
iniziarono a muoversi in modo inverso rispetto al loro moto abituale.
La zona bianca e la zona nera vennero
divise da un anello
circondato dalla luce arancio - dorata dell’Equilibrio.
“Questa è la
posizione ideale” iniziò a spiegare Urihel
“In
questa posizione, i Pianeti non hanno problemi. E questa era la
disposizione
degli Universi quando l’Equilibrio era abbastanza forte da
tenere a bada i due
litiganti”.
Che spettacolo straordinario avevano
di fronte chi stava in
quel palazzo! Centinaia di luci, colori e movimenti. Migliaia di
pianeti e
stelle circondavano i presenti. Il Dio del Sole fece un altro cenno con
la mano
ed i Pianeti presero diverse posizioni.
“Questa è la
situazione attuale”.
La fascia arancio – dorata
era scomparsa e le due zone, la
bianca e la nera, iniziavano a mescolarsi in modo confuso.
“Nel giro di pochi anni non
ci saranno più confini. Le
orbite si annulleranno, i Pianeti si scontreranno, le stelle
imploderanno, gli
Universi collasseranno… E non ho detto che questo
avverrà fra secoli o
millenni. Ho detto che accadrà fra anni. Anni! Un tempo
davvero insignificante
per chi ha davanti
l’eternità…”.
Vereheveil rabbrividì:
“Forse sei un po’ pessimista, Urihellino
caro…”.
“No di certo. Sono fin
troppo ottimista”.
Kasday guardava fuori dalla finestra,
dove era tornato a
sedersi il Sole, sbadigliando: “Grazie Urihel. E ringrazio
anche te, Dio del
Sole”.
Passò fra le sfere e si
spaventò non poco quando vide la
distanza che separava il Mondo degli Dèi da quello degli
Angeli. Il Pianeta
degli Dèi era al di fuori del sistema di Universi.
Lontanissimo da ogni altro
Mondo.
Quanta strada ha fatto la
mia essenza, passando da un
Pianeta all’altro?
Decise di non pensarci più
e si concentrò su altro. Sentiva
la magia aumentare sempre di più ed aumentavano anche le
voci che aveva nella
testa: voci di persone che volevano essere aiutate e lo chiamavano.
“Vereheveil…”
iniziò a parlare.
“Dimmi, Kasday. Dove
andiamo?” domandò il Dio delle
Letterature.
“Vorrei che tu convocassi
tutti gli Dèi. Vorrei parlare con
ognuno di loro…puoi farlo?”.
“Certamente. Ma dove? E quando?”.
Kasday vide che fuori era quasi
l’alba: “Dammi dieci
giorni”. L’Equilibrio chiuse un pugno e vide
l’energia magica scintillare. “Sì,
dieci giorni mi basteranno.. passato quell’arco di tempo,
portali da me, sul
Pianeta dell’Ordine. L’ottavo giorno vorrei
incontrare te, Eleniel e Samhian.
Deciderò poi se vorrò altri al mio seguito.
Quello che conta è che ci sia tu,
l’ottavo giorno”.
Vereheveil annuì, senza
capire.
“Scusa se non chiedo ad
Erezehimsay di svolgere questo
incarico…ma lui non sarebbe mai in grado di capire chi
portare da me, trascorse
otto albe. Devono essere le persone che più amo…e
tu sai chi sono”.
Il Dio delle Letterature sorrise:
“Sarà fatto. Ma mi vuoi
spiegare che cosa ci vengono a fare tutte le divinità su un
Pianeta morto?”.
“Nulla è mai
morto per sempre. Nemmeno tu, che eri un
angelo, credi nei miracoli?”.
“Ho smesso di credere nella
clemenza degli Dèi da
millenni…”.
“Anche se sei un Dio tu
stesso?”.
“Soprattutto
perché sono un Dio io stesso! So di non essere
clemente e di non dare mai niente per niente! Senza parlare
dell’irritazione
che gli Alti che mi creano…”.
Kasday
rise: “Ok, ok!
Tranquillo! Ho capito. Comunque…fidati di me! Fra otto
giorni voglio vederti su
quel pianeta. Ed entro il decimo tramonto, voglio avere al mio cospetto
tutti
gli Dèi”.
“Io ci
sarò!” esclamò il Dio del Sole, con
entusiasmo “Da
Ere non ci ritroviamo tutti assieme! Credo da quando sei nato tu,
Kasday…”.
Io?
Ere? La durata
della mia vita fin ora si può contare in Ere?
Raccapricciante…
Il dio dell’Equilibrio si
ricompose, con una smorfia
divertita: “Vereheveil…prima di andare da mio
Padre ti consiglio di passare
dalla Dea del Destino e da mia madre. Lui non saprà
resistere all’occasione di
scontrarsi con la sua nemica di sempre. E non potrà sfuggire
per sempre alla
pressante testardaggine della mia mamma”.
Mamma…ma che
tenerezza. Peccato che sia tutto fuorché
tenera…
Kasday afferrò saldamente
il suo bastone e lo batté sul
pavimento per tre volte.
Scomparve, avvolto dalla magia.
Vereheveil si congedò da
Urihel, con un inchino. Aveva tutte le divinità da
convocare…tantissime persone
da contattare!
L’Arcangelo
tornò al suo silenzio, per nulla turbato dagli
eventi, ed il Dio del Sole tornò ad osservare le ultime
stelle rimaste in cielo
dopo il levare dell’astro del mattino. Sorrise, osservando il
cielo.
“Oggi si balla!”
commentò.
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Capitolo 26 *** XXVI- Creazione ***
XXVI
CREAZIONE
Kasday apparve davanti al palazzo del
suo vecchio maestro.
Aprì la porta con nostalgia.
Il
pavimento con motivi a cubi a tre colori gli mise tristezza
perché sapeva di
essere da solo. Erezehimsay si spostava fra un pianeta
all’altro, un po’
aiutando Vereheveil e un po’ trasmettendo la notizia che la
sua divinità era
tornata. Nel silenzio totale del Pianeta solitario, avvertì
una presenza.
L’Equilibrio si voltò e vide la sua creatura: una
specie di gatto blu scuro e
rosso cupo. La strana bestiola gli corse appresso, facendogli
sommessamente le
feste. Il Dio la prese in braccio, accarezzandola, e lasciò
che si appollaiasse
sulla sua spalla.
“Devo lavorare, tesorino.
Vuoi vedere?”.
Il
padrone di casa
iniziò a vagare per le stanze, aprendo tutte le tende. Luce!
Voleva luce! Ma la
stella che doveva illuminare quel Pianeta era morta e spenta da
millenni. Il
simbolo sulla cima della cupola riprese a brillare forte e Kasday
sorrise,
alzando il braccio che non reggeva il bastone.
“L’Equilibrio
è a casa! L’Equilibrio è tornato sul
suo
Pianeta!” urlò al cielo.
Uscì dal palazzo. Il Mondo
su cui aveva messo piede era
deserto, senza vita e senza colore.
“Qui, ora, ci abita solo la
polvere del passato. Ma presto
le cose cambieranno!”.
Scalzo, sentiva la terra sotto i
piedi. Gli bastava chiudere
gli occhi per avvertire l’enorme quantità di magia
che stava immagazzinando.
Era vero, i tempi erano cambiati: ora la gente credeva nella forza
dell’Equilibrio, la sola che poteva riportare ordine negli
Universi. Per un
attimo, ricordò la divinità che lo aveva
istruito. Ripensò a quanto fosse
debole e senza aiuto. Sospirò, perché era
consapevole di non essere all’altezza
del Kaos e della Dea del Destino, ma doveva almeno tentare di fare
qualche
cosa. Appoggiò il lungo bastone, oro e blu, in terra e la
creatura scese dalla
sua spalla e si sedette, guardandolo con i suoi grandi occhi. Il Dio
lottò per
non cadere, strinse i denti per resistere alla fitta di dolore della
sua gamba
ferita. Fece qualche passo e si fermò. Dopo qualche istante,
in cui la vista
gli si era annebbiata, fece un profondo respiro ed
incominciò a ballare.
Dapprima a lievi movimenti, lenti ed incerti, che divennero,
però, sempre più
veloci e precisi. La magia iniziò ad incanalarsi a suo
ordine, pulsando con più
forza nelle sue vene. Si sollevò in aria, avvolto
dall’energia, e continuò a
danzare in cielo. Spalancò le braccia ed incrociò
le gambe, inarcò la schiena e
ribaltò la testa all’indietro.
Concentrò la forza magica sulle mani, creando
due sfere di colore arancio, con scosse e scintille in oro. Con una
piroetta,
lasciò andare le due sfere, che si espansero, correndo per i
due lati del
cielo. Le due fasce di luce avvolsero, in principio, il piccolo Pianeta
deserto, per poi ricominciare a correre ed espandersi altrove, in
direzione
opposta l’una all’altra. Si rincontrarono fra le
mani di Kasday, che le aveva
guidate e che ora stava sospeso a mezz’aria, con gambe
divaricate e a braccia
tese, incrociate, sopra la sua testa. Aveva guidato le due sfere
muovendo le
braccia in un moto circolare e ora stava fermo, a palmi aperti. Le
sfere
tornarono e si incontrarono, rientrando nel corpo di chi le aveva
lanciate.
Avevano formato un anello, uno spazio vuoto ricoperto di arancio e di
oro, che
divideva l’Universo del Kaos da quello del Destino.
L’Equilibrio sorrise, in un
modo piuttosto sadico, come gli
aveva insegnato Luciherus tanto tempo addietro: “Tremate,
forze del cielo! Il
terzo creatore è tornato!”.
Tornò a terra con un
volteggio all’indietro e riprese la sua
danza. La sua creatura lo guardava, perplessa..forse si chiedeva
perché il suo
padrone parlasse da solo.
Il ballo si fece regolare e
ripetitivo. Dalle mani della
divinità si sprigionava energia e luce e ad ogni suo
movimento creava un suono,
in modo da essere accompagnato dalla musica: ora, per tutto il nuovo
Universo,
si espandeva una melodia ritmata e incessante. Per tre giorni,
l’Equilibrio
riempì il suo Cielo di stelle, pianeti e corpi celesti.
Diede al Pianeta che
ospitava il suo palazzo un nuovo astro, Nesidey, con la sua luce
argento e oro.
La stella spenta iniziò a riflettere i suoi raggi e divenne
un satellite. Ad
ogni Mondo, il Dio diede una propria orbita, perfetta e precisa, in
modo che
dividesse per bene i due regni nemici. Le stabilizzò
cantando, così che solo
conoscendo il testo originale usato nella creazione si potesse cambiare
ciò che
aveva stabilito. Evitava, in questo modo, che il Kaos sconfinasse e
portasse
fuori orbita le sue realizzazioni. Soddisfatto, la divinità
dell’Equilibrio
spalancò le ali, che erano cresciute a dismisura assorbendo
la magia. Erano ali
blu scuro, da angelo, e gli bastò muoverle solo leggermente
per essere in volo.
Fece un giro per l’anello da lui creato e vide, con un certo
orgoglio, che era
riuscito ad inglobare al suo interno il Pianeta conteso dai due
Dèi litiganti:
era ora sotto il suo controllo! Planandoci sopra, accese il suo simbolo
su
tutti i templi del Regno delle creature senza forza magica. Appena
coloro che
vi abitavano lo videro, iniziarono a fare festa e a ballare con lui.
Provavano
sollievo ad essere sotto il controllo di un Dio solo, rispetto a due
che non
facevano altro che litigare e decidere in base a
quanto erano nervosi. Kasday volò oltre, un
po’ turbato: si aspettavano molto da lui. E se non fosse
stato in grado di
mantenere a lungo la stabilità che aveva appena creato?
Scacciò quel pensiero e
riprese a lavorare. Con movimenti meccanici e rapidi impostò
le regole che
dovevano governare ogni suo Mondo. Impose la gravità,
l’orbita, il collegamento
fra stelle, satelliti e Pianeti. Ruotando i polsi circondò
ogni Pianeta di un’aurea
di colore diverso. All’interno di questa, sapeva che si
sarebbe potuto creare
la vita. Ma non aveva fretta di farlo. La cosa principale, dividere i
due
Universi rivali, era stata fatta. Nonostante questo,
l’energia in lui era
potente e così decise di dare sfogo all’incessante
desiderio che aveva nella
testa: dare la vita. Cantando e seguendo la musica che lui stesso si
plasmava,
iniziò a deporre il seme della vita nei vari Pianeti.
Atterrando su ognuno di
essi, e creando per ciascuno una danza diversa, fece germogliare la
vita. Ad
ogni passo e movimento delle mani, comparivano elementi nuovi.
Diede al suo creato il vento, la
pioggia, le stagioni, le
albe e i tramonti, le costellazioni e gli elementi. Montagne, colline,
pianure.
E oceani, mari, fiumi, sorgenti e coste. Foreste immense e sconfinate
praterie:
su ogni Mondo qualcosa di diverso. Pianeti d’acqua, di
roccia, di fuoco.
Fino all’alba del sesto
giorno, Kasday diede ad ogni suo nuovo
Mondo qualcosa di unico.
Due di loro decise di dedicarli agli
altri due creatori. Il
Pianeta che creò pensando alla Dea del Destino fu chiamato
Pianeta di cristallo
e lo riempì di superfici come specchi. Luminoso e
riflettente, ricoperto di
pietre colorate e preziose, fu il primo in cui ci pose delle creature.
La
vegetazione, adornata da cristalli lucenti, si popolò di
esseri alati, quasi
eterei, molto simili agli Angeli ma più luminosi e quasi
trasparenti, con
enormi occhi dai mille colori. Risplendevano della luce argentea della
più
bella delle stelle ed il creatore era felice, pensando che un giorno
quelle
creaturine avrebbero eretto templi e palazzi in suo onore.
Il Pianeta che dedicò a
suo padre fu detto Mondo della
nebbia. La sua superficie nera e lucida cambiava continuamente e gli
abitanti
che vi pose seguivano tutti quel colore, ed erano dotati degli stessi
artigli
gelidi del Kaos.
Volando da un posto
all’altro diede vita a creature di
acqua, di terra, alate, avvolte dalle fiamme o dalle rocce, abitanti
del giorno
e della notte, della luce e delle tenebre. E ad ognuno donò
una voce forte e
meravigliosa perché voleva sentirli cantare. Ad alcuni
donò una voce simile
alla sua e ad altri trilli, versi e suoni diversi.
Il settimo giorno atterrò
alle porte del suo palazzo e si
concentrò su quel Pianeta deserto.
Accanto alla sua dimora vi pose,
avvolta da una foresta e
protetta da una grotta, una sorgente sprigionante energia magica: una
fonte
come quella in cui si era immerso quando non aveva più
forza. L’acqua prese il
colore delle sue lacrime e dei suoi occhi.
Prese caratteristiche di vari Mondi
appena creati e li pose
sul suo Pianeta perché vi voleva tutte le specie viventi.
Voleva che nel suo
Mondo convivesse ogni genere di creatura. Riempì il cielo di
uccelli e creature
alate, come quelle a cui aveva dato vita nel Pianeta di cristallo. I
loro
colori avvolsero l’aria. Popolò le foreste, i
mari, le valli di fuoco e le
distese di roccia.
E poi diede origine ad una nuova
coppia. La plasmò utilizzando
un elemento di ogni creatura da lui creata fin ora. Una coppia di
esseri che,
come lui, contenevano assieme ogni essenza vivente.
“Nel mio Pianeta, come in
tutti di quelli che ho creato fin
ora, non ci saranno differenze di razza. Le specie non litigheranno fra
loro”.
Creò un piccolo gruppetto
di ogni creatura.
Le prese fra le mani, a palmi aperti,
e parlò loro: “Ditemi,
figli miei, cosa volete per il vostro futuro? Volete la vita eterna,
l’immortalità, oppure una lunga vita con una fine,
una morte, ma con la
possibilità di creare voi stessi?”.
Uno degli esseri che racchiudevano
più specie si alzò in
piedi, guardando gli enormi occhi del suo Dio: “Creare noi
stessi? Intende dare
la vita?”.
Kasday annuì.
Alcune specie scelsero di poter
vivere a lungo, morendo,
dando vita ai propri figli, altre presero la vita
dell’immortalità. Il loro
creatore accontentò le loro richieste e guardò il
cielo. Era scesa la notte e
solo la sua luce arancio – dorata illuminava
il Pianeta. Era alle porte l’ottavo
giorno, quello in cui attendeva le persone che amava. Si fece
più piccino ed
attraversò la foresta che circondava il suo palazzo e la
fonte. Si tuffò nelle
acque turchesi, addentrandosi nella penombra della grotta,
illuminandola.
Canticchiava, con entusiasmo, guardando il proprio riflesso: il suo
aspetto si
era, ormai, stabilizzato. Le ali, immense, stavano fuori
dall’acqua, sollevate.
Le corna, rosse, erano cresciute e brillavano. Notò che,
comunque manteneva la
cicatrice sul cuore: la lancia degli Hainuet. La toccò con
due dita, ricordando
la sensazione che si percepiva quando il petto veniva trafitto.
Il suo corpo aveva ancora energia
magica, che teneva dentro
di sé e per questo aveva un aspetto più massiccio
e muscoloso, pur mantenendo
il viso dolce e femminile. Carichi di forza, gli occhi brillavano,
totalmente
azzurri. Battendo le palpebre, fece ricomparire le pupille e il
contorno
dell’iride. Si passò una mano fra i capelli che
stavano ricrescendo: voleva che
prendessero la loro lunghezza definitiva in un altro momento.
Sorrise e si immerse fino alla punta
del naso. Girando
gli occhi vide una luce rossa.
“Luciherus?” chiese.
O forse è la
bambina…
“Ciao, Kasday. O come altro
ti devo chiamare…”.
Una voce maschile!
“Luciherus!”.
Con entusiasmo,
l’Equilibrio fece cenno al demone di entrare
in acqua.
“Non ci penso
proprio!” ricevette di risposta.
“Vieni qui! Immergiti con
me! É una sensazione bellissima!”.
Il Principe si limitò a
guardarlo, leggermente accigliato.
Aveva i capelli bianchi e lo sguardo fisso. “Temevo fossi
morto…” continuò
Kasday “É un vero piacere rivederti! Come stai? E
come mai sei qui?”.
Il demone teneva le mani dietro la
schiena e non parlava.
Kasday vide che non
chiudeva mai le
palpebre.
“Stai bene?
Luciherus…”.
“Sono qui per parlarti.
Solo un attimo. E, comunque, io di
solito vado sempre a ficcare il naso nei nuovi Pianeti. È la
mia natura…sono un
inguaribile curioso”.
Il
Dio sorrise: “Che
ne pensi, Principe? Il mio regno è di tuo
piacimento?”.
Il demone rimase senza espressione
:“Carino. E anche tu sei
cresciuto bene. Peccato per quelle ali…”.
Kasday rise. Si immerse, diventando
tutt’uno con l’acqua e
sparì. Luciherus storse la bocca, perplesso. Il Dio
riapparve davanti al
demone, incrociando le braccia dietro al collo dell’ospite, e
lo trascinò nel
lago. Il Principe uscì con un balzo, soffiando come un gatto
e sputacchiando
acqua.
“Scusa!” rise
l’Equilibrio “Dimenticavo che hai paura
dell’acqua!”.
“Ma fottiti! Razza di
inquietante incrocio! Non mi spaventa
l’acqua! Mi fa schifo…è diverso! Specie
se non vedo o tocco il fondo!”.
“Quella è
paura…”.
“Taci!”.
“Ok…non ti
offendere…che cosa devi dirmi?”.
Il demone si ricompose:
“Sono solo qui per riferirti che io
non posso stare dalla tua parte. Lui, il tuo adorato paparino, mi ha
strappato
il cuore, come ricorderai. Ed al suo posto ci ha messo uno strano
aggeggio che
comanda lui. Questo mi rende dipendente dalla sua volontà:
è lui a tenermi in
vita. E grazie a quel coso, che ora ho dentro di me, lui riesce a
sapere tutto
quello che faccio, tutto quello che sento e che vedo. Se io sapessi
quali sono
i tuoi sogni, i tuoi progetti, i tuoi segreti…lui li
saprebbe. E li userebbe
contro di te. È per questo che devo starti il più
lontano possibile. Se venisse
a sapere dei tuoi piani ti distruggerebbe, anticipando ogni tua mossa.
Tuttavia
non sarò nemmeno contro di te. Io sarò contro gli
Angeli, come lui mi obbliga,
e come a me piace fare. Non so che cosa accadrà, quando
verrà il tempo della
guerra finale. So solo che se lui morirà anche io
finirò di vivere. Il mio
cuore, se così lo si può chiamare, si fermerebbe
all’istante se il Kaos venisse
sconfitto. Per questo combatto contro la Dea del Destino. Non
perché mi vada di
vivere, non in questo modo, perlomeno, ma perché spero di
liberarmi dal Suo
controllo in caso di vittoria. Non ho niente contro di te, ad ogni
modo”.
Il Principe si accese una sigaretta.
Il Dio uscì dall’acqua.
Era molto più alto del demone, che si limitò ad
alzare gli occhi, con le mani
in tasca.
“Scusa, Luciherus. Non
riesco a diventare più piccolo di
così. Ho troppa magia che…”.
“Nessun problema. Tuo padre
fa di peggio”.
I due si osservarono.
“Non
me ne offri
una?” chiese Kasday.
“Di cosa? Non vorrai mica
una di queste?” chiese il
Principe, alludendo alla sigaretta che aveva in bocca.
“Perché
no?”.
“Ah,
ok. Il Dio sei
tu. Cazzi tuoi!”.
“Appunto!”.
I due uscirono dalla foresta.
“Ho un favore da chiederti,
Luciherus”.
“Che cosa vuoi?”.
“Parte della tua essenza.
Posso?”.
“E per farne
cosa?”.
“Quanto sei curioso!
È per creare nuove divinità!”.
Il demone rimase fermo a guardarlo,
inclinando la testa: “Non
so che hai in mente, figlio del Kaos, ma fa un po’ quello che
credi. Basta che
non mi faccia male!”.
“Non sentirai
nulla”.
Il Dio appoggiò due dita
sulla fronte del demone,
ricavandone una lucetta azzurra, che tenne sospesa sul palmo della
mano.
Entrò nel suo palazzo,
seguito da Luciherus, ed entrarono in
una stanza immensa. Al centro di essa si erigeva, alto quasi fino al
soffitto,
un uovo azzurro, percorso da migliaia di scintille di magia. Kasday
inserì la
luce all’interno
del guscio che la
avvolse, inglobandola.
Il Principe deglutì:
“É passato un drago per di qua?”.
“Ma no! È stato
creato con la
magia. Ed ora contiene anche la tua
essenza”.
Luciherus non parve molto convinto ed
uscì dal palazzo: “Devo
andare adesso…” esclamò, spalancando le
ali.
“Ho visto la nostra
bambina. È bellissima…”
iniziò Kasday,
ma il demone lo fermò: “Non è una
bambina. Non più. E non è mia”.
Prese il volo e si
allontanò dal Pianeta.
È il Kaos che ti
manda. Non riusciresti mai a passare da
un Mondo all’altro con le tue sole forze.
Ricominciò a ballare, seccato
perché ancora non si abituava al dolore alla gamba,
allontanandosi dalla sua
dimora. Aveva ancora delle cose da fare, prima che arrivassero i suoi
ospiti.
Vereheveil atterrò davanti
all’ingresso della reggia
dell’Equilibrio.
Dietro di lui giunsero Eleniel,
Samhian, Erezehimsay,
Agares, Luciheday e Lilim.
Iniziò a chiamare Kasday
ed una farfalla multicolore si posò
sul naso del Dio delle Letterature, che solo in quel momento si accorse
di
quanto bello fosse il Mondo su cui era atterrato.
“Che posto meraviglioso!
È fantastico! Il mio Equilibrio è
un creatore!”.
Intravide la luce oro –
arancio del Dio dell’Ordine.
“Kasday!” lo
chiamò, accentuando la sua luce verde –
azzurra.
I nuovi arrivati gli andarono
incontro. Il Dio
dell’Equilibrio apparve, lasciandosi alle spalle la foresta.
Parte del suo
corpo era tutt’uno con il Pianeta e, avanzando, lentamente,
ne usciva.
In una mano impugnava una lunga spada
sottile, dono degli
abitanti del Mondo che aveva inglobato nella sua luce.
Nell’altra teneva
sospesa, a mezz’aria, una fiamma che ardeva, contenente il
suo simbolo. Con un
gesto, il fuoco andò ad illuminare e scaldare il villaggio
che aveva plasmato
per le sue creature. Kasday ripose la spada nel fodero che teneva
agganciato
alla cintura, e spalancò le ali, maestose e lucenti, in
segno di saluto. Ancora
con molta magia in corpo, presentava un aspetto piuttosto massiccio
rispetto a
ciò che era solitamente. I pantaloni che indossava erano
infilati in un paio di
stivali alti e fascianti, che bloccavano la gamba ferita. In vita,
oltre che
alla cintura, portava una sorta di gonna di colore chiaro.
Spalancò le braccia,
sorridendo. Liberò i piedi dalla terra e continuò
a camminare verso gli amici.
È come il mio
sogno! Ricordò Vereheveil, guardandolo
negli occhi, così grandi e dolci.
Kasday scosse la testa, facendo
crescere i capelli di colpo
e facendoli giungere fino alle caviglie.
“So che ti piacciono
più così, Vereheveil!”.
Il Dio delle Letterature sorrise:
“Sei stupendo. Stai
benissimo. Peccato per quelle corna…”.
Kasday
rise e fece
segno ai suoi ospiti di risalire la collina che li avrebbe portati al
suo
palazzo. Entrarono tutti assieme nella sala in cui stava
l’uovo e rimasero in
silenzio ad osservarlo.
“Mi serve la vostra
essenza. Dentro a questo involucro
magico, si creeranno nuove divinità che andranno a
sostituire tutte quelle che
si schiereranno apertamente contro di me e che, di conseguenza, non
potranno
aiutarmi a governare i miei Pianeti. Con la vostra essenza posso dare
vita a
ciò che desidero”. Gli ospiti annuirono.
A tutti, previo consenso, il Dio
dell’Equilibrio prese una
piccola scintilla di essenza e la inserì nell’uovo
azzurro. Poi vi appoggiò le
mani sopra e pronunciò alcune parole, ad occhi chiusi.
Le scintille di magia si
intensificarono, accentuate dalla
forza di Kasday. L’uovo iniziò a pulsare, simbolo
che nuova vita si stava
creando in esso. Ora il Dio dell’Equilibrio era divenuto
molto meno grosso,
perché aveva trasmesso buona parte della magia che aveva
immagazzinato per
poter dar inizio alla creazione delle nuove divinità.
“Potete andare ora. Grazie.
Visitate ciò che ho realizzato e
datemi un parere. Solo tu, Vereheveil, vorrei che restassi qui, con me,
ancora
per un poco”.
Gli ospiti uscirono, lasciando il Dio
della Letteratura e
quello dell’Equilibrio da soli.
“Cosa posso fare per te?"
domandò Vereheveil osservando
Kasday, che era tornato alla forma affusolata e graziosa che amava.
“Chiudi gli
occhi”.
Il Dio dai capelli verde acqua
obbedì.
L’Equilibrio
iniziò a cantare, prendendogli le mani.
Intonava una nenia dolce.
“Che cosa stai
cantando?”.
“Shhh!” gli
rispose l’Ordine, continuando a cantare.
La divinità dalle ali nere
percepì la magia che scorreva e
confluiva fra le sue mani.
Che stai facendo? Non ti
capisco…
Cominciò a sentirsi
strano, come se gli stesse assorbendo
l’energia.
“Sono stanco, Kasday!
Basta!”.
Al tatto avvertì un
oggetto liscio fra le mani.
“Ora riapri gli
occhi” sussurrò l’Equilibrio
“Scusami se hai
percepito una sensazione di disagio”. L’angelo
obbedì e vide che reggeva un
uovo, blu e verde, grande tre spanne o poco meno.
“Questo è il
simbolo della nostra unione: la fusione delle
nostre essenze. Desideravo realizzare questa cosa con te” parlò Kasday.
“Simbolo della nostra
unione? Figlio nostro?”.
L’Equilibrio sorrise.
“Ma..perché con me?
Perché non con uno degli altri?”.
“Perché tu sei
l’unico che mi è rimasto sempre accanto. Tu
non mi hai mai abbandonato”. Vereheveil non sembrava
convinto: “Nemmeno gli
altri ti hanno mai abbandonato…”.
“Oh! Insomma! Ti dispiace
così tanto che abbia preso questa
decisione?” sbottò l’Ordine, con aria
offesa. Incrociò le braccia.
“No! Certo che
no!” esclamò il Dio delle Letterature, che
gli si appoggiò contro, rassicurandolo. Tolse il lungo
mantello bianco che
indossava e avvolse l’uovo con cura. Poi lo
appoggiò in terra, dolcemente.
Kasday lo abbracciò, mettendogli le braccia attorno al
collo. Con le mani gli
solleticò le ali. Vereheveil, ridendo, si scansò
dalla presa. Si soffermarono a
guardarsi. L’Equilibrio teneva le mani dietro la schiena, ed
iniziò a mutare.
Ora, davanti al Dio della
Letteratura, stava una splendida
donna: “Mi baceresti anche così,
Vereheveil?”.
L’angelo annuì,
stringendola a sé: “Certo, Equilibrio. Ti
bacerei sempre e comunque!”.
“E faresti anche altro,
angelo mio?”.
“Io non sono più
un angelo…sono un Dio”.
“Sei il Dio della
letteratura…”.
I due sussurravano, guardando
l’astro del pianeta che
tramontava.
“Sì, sono un
Dio. Non più asessuato. Posso amarti…e fare
molto di più”.
Kasday lo trascinò in
terra, su di lei. Con le ali blu
aperte sul pavimento e il seno scoperto, diede un bacio a colui che
desiderava.
“E allora amami! Questa
sarà la nostra notte!”.
Prese Vereheveil a sé, che
non oppose resistenza. E si
amarono, dolcemente, fino all’alba.
Il nono giorno fu dedicato al riposo
ed alla contemplazione
di ciò che era stato creato. Uscendo dal palazzo, Kasday
incontrò Lilim. Era
eterea, trasparente, e gli sorrise.
“Il tuo Mondo è
bellissimo. Mi piace!” commentò lei.
“Grazie, amor
mio”.
“Io sono la guardiana delle
anime. Dopo la vita, tutte le
creature vengono colte dalla Morte e vengono condotte da me, dove
attendono la
rinascita per mano della divinità della Vita. Potrei farti
un dono, amor mio.
Potrei farti incontrare i tuoi genitori, angeli, demoni e senza
magia”.
“Mi piacerebbe. Avrei anche
altro da chiederti, ma avverrà
in un altro momento…”.
“Benissimo. Ci rivedremo
domani!”.
La demoniessa sparì in una
nuvoletta di fumo bianco.
L’Equilibrio, con un telo allacciato in vita, si stese
sull’erba. Vereheveil
uscì dal palazzo, stringendo fra le mani l’uovo
blu e verde e si sedette
accanto a Kasday, accarezzando il guscio liscio.
“Quanto tempo ci
vorrà prima che si schiuda?” chiese il Dio
delle Letterature.
“Dipende. Potrebbe nascere
fra qualche minuto o fra
centinaia di anni! Dobbiamo solo aspettare”. Vereheveil
sorrise e i due si
diedero un piccolo bacio. Stavano distesi, l’uno accanto
all’altro.
Un gruppetto di creature salirono su
per a collina a
salutare il loro creatore e poi tornarono verso il paese.
“Nessun creatore ha mai
fatto una cosa del genere. Sei il
Dio della gente. Sei speciale!”.
“Piantala! Sono solo felice
di sentire cosa pensa la gente.
È inutile mandare su e giù Messaggeri quando mi
basta fare due passi!”.
Anche gli altri ospiti, Eleniel,
Erezehimsay, Agares,
Luciheday e Samhian, andarono a sedersi al Sole, sulla collina.
Cominciarono a
canticchiare tutti assieme, alcuni di loro tenendosi per mano. Kasday sbadigliò:
era stanco. Chiuse gli
occhi, lentamente, e si assopì.
Dormì, senza incubi, per
tutto il nono giorno.
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Capitolo 27 *** XXVII- Riunire e dividere ***
XXVII
RIUNIRE E DIVIDERE
L’Equilibrio fu risvegliato
da lievi passi sull’erba. Si
tirò su a sedere, sbadigliando e stiracchiandosi. Scosse le
ali, facendone
volare qualche piuma.
“Buonasera” si
sentì dire.
“Buonasera”
rispose pigramente, stropicciandosi gli occhi.
Era da poco passata l’alba
del decimo giorno.
Buonasera?!
Osservo la figura che lo aveva
svegliato. Gli dava le
spalle, con un abito grigio, e stava in piedi, diritta come una colonna
dorica.
“Tu sei il Tempo,
giusto?” domandò Kasday, alzandosi.
L’alto uomo in grigio
annuì: “Ma che bel posto! Davvero
carino questo Pianeta! Hai fantasia…cosa buona per un
creatore”.
Il
Dio del Tempo si
girò leggermente, in modo da guardare in faccia
l’Equilibrio, che sbadigliava.
Aveva gli occhi del colore della sabbia: la sabbia delle clessidre.
Faceva
oscillare il suo pendolo del colore del rubino e scuoteva i capelli,
con lo
stesso taglio rappresentante il simbolo dell’infinito,
diventati bianchi. Alzò
lo sguardo, osservando alcuni uccelli variopinti che passarono nel
cielo.
“Mi ricordo di te, Kasday.
Posso chiamarti così? Sei così
giovane e piccino che mi suona strano darti del
Dio…”.
“Anch’io mi
ricordo di te. Posso darti del Tu? Puoi
chiamarmi come vuoi. Io sono sempre io, in qualunque modo tu ti possa
rivolgere
a me”.
I due si sorrisero.
“C’eri il giorno
in cui sono nato”.
“Già. Sono
sempre io. Non mi sono ancora stancato di fare
questo lavoro. In fondo mi piace, anche se, a volte, è un
po’ noioso…”.
“Che
ore sono?”
chiese l’Equilibrio, continuando a stiracchiarsi.
“Sono proprio il
più adatto a risponderti. L’alba è
trascorsa da 2 ore, 13 minuti e 47 secondi, ed io, che voglio sempre
essere
puntuale, sono arrivato per primo. Forse troppo presto, mi spiace, non
volevo
svegliarti”.
“Era ora che mi destassi!
Ho fatto proprio una bella
dormita!”.
“Sei l’unico Dio
che dorme…”.
“Davvero?”.
Kasday era molto stupito. Cercava di
guardare in faccia la
divinità del
Tempo, ma lui continuava a
guardare altrove, distratto da tutte le cose nuove del Pianeta neonato.
“Sì, davvero. Ma
credo che sia dovuto al fatto che hai
appena creato il tuo Universo. Solitamente gli Dèi dormono
solo quando sono
malati o deboli”.
L’Equilibrio si
passò una mano fra i capelli, sistemando
qualche ciuffo che stava fuori posto. “Forse, Tempo, io
riposo perché in me
convivono quattro specie”.
“Lo
vedo! Sei un
angelo con le corna e la luce divina. Che carino!”.
Con la mano libera dal pendolo, il
Tempo si appoggiò sulla
testa di Kasday, spettinandolo.
“Vorrei vedere il tuo
palazzo. Posso?” domandò.
“Ma certo.
Prego!” lo invitò il creatore di quel luogo.
I
due entrarono,
aprendo il portone blu oltremare. L’Equilibrio si
guardò sulla superficie lisca
e riflettente del pavimento. Così facendo, poté
constatare che i suoi capelli
erano molto disordinati e, con una smorfia,
ricominciò accuratamente a riordinarli.
Assieme, i due Dèi
attraversarono i corridoi.
Chissà dove sono
gli altri…probabilmente in giro per il
Pianeta.
Il
Tempo fu
particolarmente attratto da un antico pendolo in pietre lavorate. Stava
nel
salone che Kasday aveva adibito per il ricevimento, che aveva anche
voluto un
tavolo triangolare, in marmo blu, con le sedie color rosso diaspro.
“Magnifico!”
esclamò il Tempo, guardando l’orologio
“É
perfetto! Tutti i meccanismi che si incrociano, ticchettano, si
muovono,
suonano…in meravigliosa armonia! Quanto adoro questo
equilibrio!”.
“Grazie”
sussurrò Kasday, controllando che la sala fosse
esattamente come la voleva.
“Carina l’idea
del tavolo triangolare. Io dove mi metto
seduto?”.
“Dove preferisci, Signore
delle Epoche. Tu non crei
problemi. Sei una divinità pacifica e senza oppositori
diretti. Credo che
nessun Dio ti voglia morto…”.
“Oh, per gli Alti! Spero di
no!”.
L’Equilibrio
spiegò che preferiva pensare a dove porre la
Dea della Guerra, che potrebbe creare problemi alla Dea della Pace, e
le altre
divinità che avrebbero voluto rovinare la riunione.
Il Dio del Tempo tornò a
concentrarsi sull’orologio, che
presentava motivi complessi e simboli.
I numeri erano lucenti e finemente
lavorati.
“Il tuo maestro aveva buon
gusto. E devi averlo anche tu,
altrimenti lo avresti gettato nel fuoco!”. Ad un tratto
un’ ombra passò,
attraversando il muro. Il Dio rimase molto perplesso dalla cosa.
“E
tu che cosa
saresti?” domandò all’esserino etereo.
“Io? Un anima,
immagino…”.
L’Equilibrio, che nel
frattempo si era dedicato alla conta
dei posti, si girò ad osservare la figuretta.
“Giochi con le anime, Kasday? Che
nome stupido che ti hanno dato gli angeli, figlio mio”.
La Dea della Guerra era entrata nella
sala, seguita dalla
Dea delle Armi.
Nel frattempo si erano materializzate
altre ombre in modo da
formare tre coppie. Stavano in fila, uno accanto all’altro, a
due a due.
“Kasday? Sei tu?”
chiese una di quelle figure
semitrasparenti.
L’Equilibrio
annuì, sorridendo. Aveva capito chi aveva di
fronte.
“Chi sono
questi?” chiese il Dio del Tempo.
“Te li presento!”
esclamò, iniziando ad indicarle, da
sinistra “Mamma, papà, mamma, papà,
mamma, papà. Sono i miei genitori nelle mie
varie reincarnazioni. Sono anime, solo l’essenza ne rimane,
ma sono sempre
loro”.
Il Tempo emise un suono, stupito, e
salutò le tre coppie.
Due creature angeliche, due ombre demoniache e due figurette piccine e
spaventate, confuse dalla grandezza del luogo, se ne stavano in fila,
meravigliate.
“Come puoi essere, tu, un
Dio?” chiese una di loro.
L’angelo non gli diede
tempo di rispondere: “Io e tua madre
lo sapevamo che eri speciale! Avevi sempre avuto qualcosa in
più rispetto agli
altri!”.
“Mamme,
papà…” iniziò Kasday
“Questa è mia madre, colei che
per prima mi ha generato” disse, additando la Guerra.
La Dea abbracciò forte il
figlio, come a voler indicare,
agli altri genitori, di essere lei la più importante:
“Mi sei tanto mancato,
piccolo mio. Sono felice di rivederti…”.
“Mamma…la tua
falsità ed ipocrisia mi commuove. Lasciami”.
Il Dio si scansò dalla
stretta della madre, facendo un passo
indietro.
“Perché
zoppichi, figlio mio?”.
“Chiedi a
papà!”.
I due si separarono. Il Tempo stava
in disparte, sicuro che
era meglio tacere.
“É
un onore
conoscerla, divina!” esclamò il padre –
angelo, che si inchinò.
La Dea rimase stupita da quel gesto.
Dopotutto era la
Guerra, normalmente la gente la adorava solo in caso di vittoria o
battaglia
imminente.
“Sono io che sono onorata
di conoscervi. E vi invidio. Voi
siete stati fortunati…avete visto il mio bambino crescere.
Lo avete visto nei
primi passi, le prime parole, il primo volo, le sue lacrime, le sue
risate, i
suoi amori, le sue paure…”.
L’Equilibrio la interruppe:
“Basta, mamma. Avresti potuto
venire a riprendermi, se tanto ci tenevi a vedere queste
cose!”.
“Disobbedendo a tuo
padre?”.
“Oh! Quale smacco per
l’ordine divino! Disobbedire al
Kaos!”.
“Non
fare
l’imbecille! Io sono sua moglie e rispetto le sue
decisioni!”.
“E
allora piantala di
fare certi discorsi. Sono un adulto, non puoi convincermi con una
storiella
che, in fondo, mi vuoi bene!”.
“Oh, Dio!”
esclamò l’anima della creatura dalla breve vita.
“Quale?”
risposero,
in coro, i quattro Dèi presenti.
“Per favore, non litigate!”
pregò la madre – angelo.
“E perché?
Lascia che si divertano!” disse, di risposta, il
padre – demone.
“Lilim!”
chiamò l’Equilibrio.
La guardiana delle anime apparve, in
una nuvola di polvere
candida: “Dimmi, marito mio”.
“É stato un vero
piacere rivedere i miei genitori. Ma ora
attendo gli Dèi. Verrò io, da voi, il
più presto possibile. Adesso, però, ti
chiedo di riportarli nella loro casa, nel luogo dove attendono la
rinascita. Ti
ringrazio ancora ed arrivederci, a presto!”.
Lilim si inchinò.
“Ciao Kasday, vieni presto
da noi!” si sentì dire dalla
coppia di angeli.
Kasday…il mio
nome angelico.
“Bel lavoro diventare un
Dio. Davvero bravo, Adahel! Ci
rivediamo!” lo salutò la coppia di demoni.
Adahel, il mio nome nel
Mondo demoniaco.
“Ti
vogliamo bene,
Abramhian. Spero davvero di rivederti presto”.
Anche l’ultima coppia,
quella senza magia, scomparve.
Abramhian, il mio nome nel
Pianeta con le creature senza
magia.
Con un inchino ed un sorriso,
l’Equilibrio congedò le anime.
“Perché mi hai
detto tutte quelle brutte cose, bambino mio?”.
“Perché
è quello che
penso”.
La Dea della Guerra tacque.
“Dove ci sediamo,
fratellone?” chiese la Dea delle Armi,
appoggiandosi alla spalla della madre.
Il Dio padrone di casa si sedette in
corrispondenza di uno
degli angoli del tavolo triangolare.
“Laggiù” esclamò, indicando
l’angolo
opposto “Su quella punta si siederà il Kaos e tu
gli starai accanto, da brava
moglie. Tu, sorellina, mettiti dove preferisci”.
“Perché
così lontano da te, mio piccino?”.
“Perché non
voglio averti accanto mentre reciti la parte
della madre addolorata e devota e mentre vaghi per il mio regno
raccontando
quanto tu sia una mamma perfetta, disperata perché ha il
figlio lontano.
Facendo così credere a tutti che non puoi vivere senza di
me. In realtà, oltre
che a concepirmi, probabilmente in modo accidentale, che cosa hai fatto
per
me?”.
“Sei cattivo!”.
“E tu sei falsa! E
schiava”.
“Schiava?” si
inserì la Dea delle Armi “Mamma non è
schiava!”.
“Ah, no? Però se
il Kaos fa qualcosa, pur essendo contraria,
non fa altro che annuire!”.
La Guerra lo guardò, con
aria triste: “Non ho potuto
fermarlo quella notte. E non ho potuto evitare che ti uccidesse, o che
ti
facesse uccidere. Ma oltre questo, lui non ti ha fatto del
male…”.
“Tu dici, mamma? Sai cosa
mi ha fatto il tuo caro e santo
marito una sera? Lo sai? Sai come è nata mia figlia? Spero e
prego che alla mia
sorellina non sia stato riservato lo stesso, abominevole,
trattamento!”.
La Dea delle Armi lo
guardò, senza capire.
“Scusate”
mormorò l’Equilibrio, tenendosi il viso con una
mano.
“Vieni, figlia mia, vieni a
sederti” affermò a Dea della
Guerra e le due Dee si sedettero.
“Una volta
l’Equilibrio aveva un tavolo circolare…”
mormorò
il Tempo, timoroso di entrare nella conversazione.
“Lo
so bene. Ma
volevo avere la certezza di avere mio padre di fronte. E vorrei che
anche gli
opposti si guardassero, e si parlassero”.
“Gli opposti?”
domandò il Tempo, seguendo con gli occhi il
pendolo in pietra dura.
“Sì. Vorrei che,
allo stesso angolo della Guerra, ci sia la
Pace. Voglio che si parlino e che si osservino. A questo proposito, da
buon
mediatore, staresti al centro del lato lungo del triangolo, opposto
alla Dea
del Destino?”.
“Sarà un onore!
Ma Vereheveil, che è suo amico, non è
meglio?”.
Kasday non rispose, storcendo la
bocca. Il Tempo non
approfondì e prese posto.
Iniziarono ad entrare gli
Dèi, guidati da Eleniel e
Vereheveil. La Dea della Pace andò a sedersi di fronte alla
Guerra, con
riluttanza ed un po’ di timore. Vereheveil andò a
prendere posto accanto a
Kasday e di fronte a lui si accomodò la Dea delle Parole e
dei suoni.
“Non siete opposti, ma, per
fortuna, non esiste il Dio
dell’ignoranza, mio angelo della cultura!”.
Il Dio della Letteratura, che aveva
affidato l’uovo alla
figlia, sua Messaggera, strinse la mano dell’Equilibrio. I
due avevano lo
stesso bracciale. Si baciarono, sorridendo.
“Mi fate
schifo!”.
Kasday aprì gli occhi, con
riluttanza staccò le sue labbra
da quelle dell’angelo nero.
“Siediti, Kaos”.
Aveva parlato proprio il Dio del
Disordine.
“Prendi posto” lo
invitò il padrone di casa, lievemente
infastidito.
Il Dio dai tratti indefiniti si
accomodò sulla sua sedia,
con un ghigno sadico. Il Dio della vita, figlio di Eleniel e Samhian,
entrò ed
andò a sedersi. Di fronte venne Luciheday, la Morte, figlia
di Kasday,
Luciherus e il Kaos. Il Dio del Sole, rappresentante delle stelle
lucenti e del
fuoco, ebbe in opposto la Dea dei Satelliti, protettrice delle Lune e
dei
riflessi dei Pianeti. I due si sorrisero: fra loro c’era una
solida amicizia.
Entrarono la Dea della Notte, che si sistemò accanto al
marito, il Dio dei
Sogni e delle Paure, la Dea della Natura, il Mare, l’Aria,
l’Amore, le quattro
divinità delle stagioni, la Dea della Famiglia e dei
Figli…giunsero tutte le
creature supreme.
L’ultima, che chiuse il
corteo, fu la Dea del Destino, con
la sua lunga treccia e la sfera in cristallo.
“Sei sempre
l’ultima!” le gracchiò contro il Kaos,
con un
sorriso maligno.
“E
tu sei sempre il
solito rompicoglioni!” rispose lei.
“Sedetevi!”
ordinò l’Equilibrio “E non fate casino,
come vi
piace fare sempre!”.
I Messaggeri degli Déi
stavano in un’altra stanza. Si
divertivano e ridevano, felici, fregandosene del parere che potevano
avere i
loro padroni.
Le divinità stavano in
silenzio. Davanti a tutti loro c’era
una bevanda fresca e qualche stuzzichino. La maggior parte di loro
cominciò a
mangiucchiare i frutti del Mondo nuovo, ignorando gli altri, senza
parlare.
L’Equilibrio, dopo un
profondo respiro, iniziò a parlare,
con le mani sottili incrociate davanti al viso “Vi ringrazio
per essere qui. Ci
tenevo davvero molto. Volevo vedervi, finalmente, personalmente e tutti
quanti.
In particolare, non me ne vogliano gli altri presenti, volevo dire
grazie a mio
padre”. Quest’ultima frase stupì la
maggior parte dei commensali.
“Sì, vorrei dire
grazie a mio padre perché è grazie a lui se
sono qui. Perché, se non mi avesse scaraventato nel mondo
dei mortali angelici,
non sarei stato in grado di conoscere i vari popoli con cui sono
entrato in
contatto. Grazie a lui ho quattro essenze in una, e solo in questo modo
potevo
essere l’Equilibrio: solo essendo tutto e niente. E
l’unico modo, era vivere in
ognuno di questi Pianeti. Grazie…papà”.
Il sorriso sul volto di Kasday era
beffardo e, in qualche
modo, sincero.
“Ti sei fregato da solo,
Kaos!” esclamò la Dea del Destino,
ridendo.
“Taci! Quello non
è un Dio! È una caricatura! É un
meticcio
senza potere!” rispose il Dio del Disordine, battendo le mani
sul tavolo e
facendolo vibrare.
“Ma fa silenzio, brutto
pallone gonfiato! Hai visto cosa è
stato in grado di fare? Ha ripristinato l’antico anello che
divideva i nostri
Universi. È un creatore, come me e te. E sono sicura che sia
più forte di te,
nuvolone grigio!”. La Dea del Destino pareva divertita dalla
questione.
“Come
osi dire una
tale eresia? Hai le idee confuse, mia cara. La tua palla è
rotta!”.
Il Dio del Kaos si riferiva alla
sfera che la Dea portava
sempre con se. Si diceva che, all’interno, potesse scorgere
il futuro di tutti.
Ma lei dava più ascolto alle sferette che le ruotavano
attorno alla testa. Ad
ogni passaggio davanti agli occhi di lei, queste dischiudevano immagini
e flash
di vite e accadimenti. Il Kaos si alzò ed espanse la sua
ombra nera,
terrorizzando molti presenti. Continuò ad espandersi, fino a
raggiungere metà
del tavolo, dove stava la Dea del Destino, che rimase impassibile. Si
limitò a
scuotere la mano sinistra per allontanare quella fastidiosa nebbia.
Kasday, che
stava seduto tenendosi la testa con la mano, appoggiò il suo
drink e si alzò a
sua volta. Tese il braccio destro ed espanse la sua luce arancio
– dorata.
L’ombra del padre non
riuscì ad andare oltre, respinto dalla
magia del figlio.
“Hai intenzione di rimanere
in quella posizione a lungo,
figlio mio?”.
“Vediamo chi si stanca
prima?”.
Il Kaos tornò a sedersi,
con un ghigno. L’Equilibrio si
accomodò, richiamando l’attenzione su di
sé.
“Ebbene, miei ospiti, io
sono un creatore, come potete
vedere. Che la cosa vi piaccia o meno, non è affar
mio!”.
Provocò un gran vociferare
e commentare di soppiatto.
Bisbigli e domande riempirono il salone. Alcuni di loro iniziarono a
litigare,
accusandosi l’un l’altro che era stata la regina
dei Denian o il capo degli
Hainuet ad iniziare i problemi e volarono insulti e velate minacce. Chi
non
parlava, non volendo entrare nel litigio, si limitava a mangiare e
bere. Il
Kaos tirò una pasta alla Dea del Destino che gli diede
dell’infantile.
“Potreste fare
silenzio?” domandò l’Equilibrio, con la
sua
voce mista, a metà fra quella di un maschio e quella di una
femmina.
Nessuno gli diede retta. Un brusio
fastidioso e continuo
andò avanti per lungo tempo.
“Promemoria…ricordamelo Vereheveil! Scrivetelo da
qualche parte. Annotatelo sulla pancia, se necessario. Non farmi
scordare che
devo creare la divinità del Silenzio!”.
Vereheveil sorrise:
“Sarà fatto, Dio
dell’Ordine!”.
“Scusami…”.
“Per cosa,
Kasday?”.
L’Equilibrio
scattò in piedi. Percosse con forza il tavolo,
con i pugni, e
tuonò di fare silenzio,
con voce bassa,
profonda e minacciosa.
Vereheveil lo guardò
terrorizzato, mentre nella sala piombò
il silenzio.
“Scusate se vi
disturbo…colleghi!” iniziò a palare,
con la
sua solita voce senza genere “Non volevo entrare nei vostri
problemi, ma vi ho
convocato qui per un motivo, mica per offrirvi da bere!”.
Le altre divinità lo
guardarono, notando la somiglianza
all’interno della famiglia Kaos – Guerra
– Equilibrio.
“Ho una cosa da chiedervi.
Questi sono i miei Mondi, il mio
Universo. Io non obbligo nessuno a stare al mio servizio, non voglio
costringere nessuno a darmi una mano. Io vorrei solo sapere chi
è disposto a
collaborare con il mio sistema e chi no. Ho bisogno di tutti voi, anche
se
preferirei che la Guerra, la Paura e altre cose del genere stessero al
di fuori
del mio creato”.
Il Dio del Sole fu il primo ad
alzarsi: “Io lavorerei
volentieri anche nel tuo Universo. Mi definisco neutrale. Faccio
brillare e
sorgere tutte le stelle del Destino e del Kaos e governo i loro fuochi,
perciò
non mi fa differenza. Sarebbe un onore, nuovo creatore!”.
“Grazie” rispose
Kasday, con un sorriso.
La Dea della Guerra
incrociò le braccia: “Perché hai fatto
venire fino qui divinità che non ti servono?”.
“Tutti
voi mi
servite! E, sopratutto, volevo che gli opposti si parlassero. Magari
riuscite a
trovare un accordo e…”.
“Mai!”
urlò la Dea.
“Come volete!”
rispose l’Equilibrio, alzando le braccia.
“Mamma…io ti
servo?” chiese la Dea della Morte, rivolta a
Kasday.
Si sentirono sussurri che chiedevano
spiegazioni.
La Dea della Guerra era turbata.
Forse aveva capito come
quella creatura era venuta al mondo. L’Equilibrio sorrise
alla figlia: “Ma
certo, piccola mia! Come posso creare nuove vite, senza che nessuna di
queste
giunga al termine?”.
“Ma in questo
caso…ti servo anch’io!”
esclamò il Dio della
Vita.
“Ovvio.
Piacere che tu
ti voglia unire alla combriccola!”.
Vita e Morte si guardarono negli
occhi, ridendo. Si
strinsero la mano, colleghi, ed il Dio dell’Amore
sogghignò. Altre divinità
diedero il loro appoggio all’Equilibrio, mentre altri
preferirono non
intromettersi. Molti rimasero al servizio di un solo creatore. La
maggior parte
si sentiva soddisfatta all’idea che l’Ordine fosse
tornato. Magari, ora, le
cose potevano cambiare.
Il
Kaos si alzò, con
aria torva e minacciosa: “Puoi essere e fare quello che vuoi,
ma non potrai mai
sconfiggermi. Non mi interessa se ora, mia creatura, sei un Dio che
genera
Mondi. Millenni ed Ere di esperienza ci dividono, pulcino dalle ali blu
e dalle
cornette rosse! Divertiti finché puoi, Equilibrio, goditi il
tuo Mondo fatato.
Non durerà a lungo!”.
Detto questo, il Kaos uscì
dalla sala, seguito dalla moglie
e da due dei suoi figli. L’Ordine lo fissava, senza mostrar
timore, anche se
dentro di sé sapeva con quale facilità suo padre
avrebbe potuto distruggerlo.
La Dea del Destino si avvicinò a Kasday, mentre le altre
divinità iniziarono ad
alzarsi, salutandosi.
“Mio caro nuovo
Equilibrio…” iniziò a parlare la Dea
dalla
lunga treccia “…io avrei una proposta da farti. Tu
sai che non hai speranze
contro tuo padre. Non puoi batterlo, come non puoi battere me. Ma io ti
propongo questo: alleati! Stai dalla mia parte, combatti al mio fianco!
Io e
te, insieme, possiamo sconfiggerlo per poi regnare fianco a
fianco”.
Il Dio la guardò negli
occhi: “Sarebbe una proposta
allettante, Dea degli specchi, ma io sono l’Equilibrio. Non
posso schierarmi e
non lo voglio fare. Nonostante sappia che questa mia scelta sia simile
al
suicidio, devo rifiutare”.
“Tu sai che, in questo
caso, saresti contro di me, vero?”.
“Sì,
me ne rendo
conto, Signora”.
La Dea sospirò.
Salutò con la mano Vereheveil, ed uscì dal
salone.
Rimasto solo, con pochi intimi,
Kasday ripiombò sulla sedia,
finendo la bottiglia che aveva davanti.
Vereheveil gli si
avvicinò, appoggiandosi al tavolo: “Tu sai
che io ti starò sempre vicino…”.
L’Equilibrio lo interruppe
con un tocco delle dita e gli
chiese di seguirlo, con un cenno.
Entrò nella stanza con
l’uovo grande fino al soffitto.
Dietro di lui venne il Dio delle Letterature, la Dea della Pace, sua
figlia e
tutti coloro che avevano donato l’essenza per crearlo. Tutti
tranne Luciherus,
che regnava nel suo Pianeta del Kaos. Con un grido, Kasday fece
schiudere la
sua creazione. Tante divinità né uscirono,
bambini, con caratteristiche miste
dei presenti. Ognuno di loro stava a mezz’aria, avvolto da
una luce diversa e ad
ognuno di loro il creatore diede un ruolo, sussurrandogli qualcosa
all’orecchio
e prendendoli fra le braccia. Vennero poi deposti in copertine e
lettini
morbidi, a riposare.
Vereheveil stringeva il suo piccolo
uovo: “L’ho sentito muoversi
stanotte”.
Kasday sorrise: “Resta con
i neonati, Dio delle Letterature.
Ho una persona da incontrare”.
Il Dio dell’Ordine, dopo
aver dato la vita, si allontanò,
diretto verso il mondo dei morti.
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Capitolo 28 *** XXVIII- Morte e Vita ***
XXVIII
MORTE E VITA
Kasday decise di partire al sorgere
del Sole. Nonostante
fosse un Dio e, quindi, immortale, provava una certa inquietudine ad
entrare nel
regno delle anime al buio. Indossò un abito complesso, blu e
rosso cupo. Usò i
suoi colori per potersi rendere immediatamente riconoscibile alla
guardiana
delle anime. Non voleva finire in qualche lista d’attesa per
la reincarnazione!
Vereheveil lo riempì di
raccomandazioni: “Ricordati che
dentro di te dormono, latenti, quattro essenze. Quattro anime! Sta
attento a
non perdere il controllo su di loro! E, soprattutto, attento a non
perderti! Se
non trovi l’uscita, rimarrai
per sempre
lì dentro, fino a divenire come loro: un’ombra
eterea in attesa di rinascita!”.
“Lo so Vereheveil! Sono
morto altre volte! Conosco il posto
e so come uscirne! Rilassati! Sarò qui prima del
tramonto”.
Mentiva, in parte, perché
in realtà non ricordava molto bene
il percorso da seguire.
Probabilmente, passando da
una vita all’altra, vengono
cancellati i ricordi del luogo d’attesa.
Aprì il portale, eludendo
la sorveglianza di Erezehimsay che
lo voleva sempre seguire, e si ritrovò alle porte del regno
delle anime, il
reame dei morti. Notò subito quanto fosse immenso ma
pensò che fosse del tutto
normale perché esso doveva accogliere le essenze di tutti i
Mondi, in attesa che
la divinità della Vita li facesse ritornare materiali.
All’ingresso di quel luogo
sconfinato, il Dio
dell’Equilibrio si sentì lievemente a disagio. Si
ritrovò a pregare, sottovoce,
di non tornarci presto. C’era silenzio e pace,
poiché nessuna delle anime
litigava mai con un'altra, anche se di specie diversa.
Il Dio aprì i cancelli e
vi entrò. La luce lo colpì sul viso
e lui si fece ombra con le mani. Si accostò ad un angolo
dove c’era ombra ed
iniziò a guardarsi attorno. Sapeva di aver usato
l’entrata riservata alle
divinità, per questo non vi erano essenze in attesa di
entrare. Ed era
consapevole che molti Dei accedevano in quel luogo per rilassarsi o per
sfuggire ai propri compiti per un po’. Ma lui non
trovò quel luogo rilassante. Iniziò
a camminare, diretto alla dimora della guardiana delle anime e,
immediatamente,
si accorse che,al suo fianco camminava qualcuno. Girò il
viso e vide…se stesso!
Vide se stesso in forma di angelo che
camminava
tranquillamente, guardando avanti, in un lungo abito color del cielo.
Voltando
la testa alla sua sinistra poté scorgere la sua essenza di
demone, in una veste
scura allacciata alla spalla. I passi che avvertiva alle sue spalle
erano
quelli della sua anima come creatura senza magia, con il completo e la
cravatta.
Si era diviso nelle quattro essenze
che risiedevano nel suo
corpo.
Ed io? Come sono io ora?
Senza le parti di dna delle mie
reincarnazioni?
Guardandosi in uno specchio
d’acqua, ebbe modo di scorgere
come sarebbe stato se non fosse vissuto nei mondi mortali. I suoi
capelli neri
fluttuavano nell’aria mentre gli occhi erano esageratamente
grandi, sul viso privo
di tratti: assomigliava in modo spaventoso a suo padre!
In cuor suo ringraziò di
non essere solo così, di non essere
la copia, in piccolo, del Kaos. E ringrazio anche che la sua natura
duplice di
maschio e femmina non volesse dividersi. Doveva stare attento a non
separarsi
dalle tre essenze che se ne andavano a spasso accanto a lui. Perdendone
una
sarebbe cambiata ogni cosa, una volta ritornato al mondo materiale.
Camminò, con le sue anime,
lungo le vie del regno. Notò che
solo lui zoppicava e doveva aiutarsi con il bastone dorato. La gamba
faceva
male più del solito, forse perché, in condizioni
normali, il dolore era diviso
fra quattro.
Le strade del reame erano bianche,
riflettenti, e piene di
gente. Udiva molte voci. Solo lui riusciva a controllarsi e non
distrarsi
mentre gli altri tre si voltavano di continuo, sentendosi chiamare per
nome da
chi li riconosceva. L’Equilibrio richiamò
all’attenzione le altre sue anime. Si
sentiva chiamare figlio, amico, cugino…
La guardiana delle essenze gli
andò accanto, sghignazzando: “Vedo
che hai dei problemini con i tuoi IO interiori!” si mise a
ridere.
Il Dio non trovava la cosa
divertente, neanche un po’! Si alzò
al di sopra di tutte le ombre che dimoravano in quel luogo ed
iniziò a parlare,
sostenuto dalle parole delle altre sue anime.
“Vorrei…vorremmo…”
si corresse, notando che aveva quattro
voci “…discutere di una certa cosa con Voi,
essenze in attesa. Sapete chi
sono?”.
In molti annuirono: “Siete
un Dio! Si vede dalla Vostra
luce!”.
“Sì, sono un
Dio. Sono l’Equilibrio. Ed ho bisogno di voi!
Se lo volete…”.
Le anime parlottavano fra loro.
Sembravano confuse.
Come mai un Dio ha bisogno delle
essenze delle persone
passate? Che cosa vuole fare?
“Io ricordo, fra voi,
persone che amavo, persone che mi
amavano e mi conoscevano. Molti di voi sanno che
c’è una guerra in corso fra
divinità. Ed ora io vi chiedo: stareste dalla mia parte? Mi
aiutereste a
salvare coloro che sono in vita? Quelli che sono vostri successori e
che, un
giorno, saranno vostri antenati? Mi aiutereste a preservarli dalla
distruzione
dei pianeti?”.
Alcune essenze mostrarono disappunto:
non si sentivano più
legate al mondo dei viventi e non pensavano al fatto che ci sarebbero
dovute
tornare, prima o poi. Altre, invece, sorridevano con entusiasmo. Una di
loro
parlò: “Noi siamo già morti! Nessuno ci
può uccidere! Perciò che cosa abbiamo
da perdere? Combattere dev’essere divertente, non potendo
essere sconfitti!”.
“Io non voglio che voi
facciate del male. I morti non devono
fare morti. Io vi chiedo di venirmi in aiuto quando si
tratterà di difendere
creature divine e mortali dalla furia dei creatori in
guerra”. Alcune delle
anime fecero intendere che poco gli importava se i Pianeti venivano
distrutti.
Loro sarebbero rimaste in attesa che
qualche altro creatore
donasse la vita ad un nuovo Mondo con nuove creature.
“E se un nuovo creatore non
ci fosse?” domandò loro la
guardiana Lilim.
Le ombre eteree tacquero:
“Come sarebbe a dire? I creatori
ci saranno sempre!”.
“E se gli Alti volessero
che, finalmente, finisse ogni cosa?
Se anche questo posto fosse destinato a scomparire?”.
“Non fare la
catastrofica…” la fermarono le quattro voci
dell’Equilibrio.
Ma le parole della guardiana avevano
già fatto cambiare idea
a molti, anche se non a tutti, che iniziarono a guardare il Dio con
aria
interrogativa. Volevano sapere che cosa fare!
L’Equilibrio
andò accanto a Lilim, allontanandola dalla
folla: “Non costringere nessuna essenza a servirmi”
le spiegò “Non è un
esercito! Avrai del tempo per prepararle. L’importante
è che nessuno attacchi.
Il mio scopo è difendere. Quando avrò bisogno di
voi, ti chiamerò. State
pronti, perché la guerra finale non è tanto
lontana”.
Si voltò per recuperare le
altre tre parti di sé, rimaste
sommerse dalle persone che conoscevano.
Si fece largo fra la folla e prese la
sua parte da angelo,
da demone e da creatura senza magia tra le braccia e si alzò
in volo, usando
solo la mente.
Finalmente ho imparato a
volare come un Dio! Senza ali!
Si librò in aria ed
uscì da quel luogo. Con sollievo
ridivenne tutt’uno, con le sue ali blu, le corna e il solito
aspetto. Planò
dolcemente sul proprio Pianeta, quello con il suo palazzo, ed
atterrò accanto
alla fonte magica. Vi immerse la gamba ferita e ribaltò la
testa all’indietro
per il sollievo.
“Fa ancora
male?”.
Kasday sobbalzò:
“Vereheveil! Mi hai spaventato! Comunque
sta tranquillo, mi ci sto abituando”.
Il Dio delle Letterature stringeva
l’uovo tra le braccia e
si accoccolò accanto all’Equilibrio.
“Che cosa ti serviva da
Lilim?” domandò curioso.
Kasday non rispose.
Vereheveil insistette: “La battaglia
finale è così vicina da dover
già assoldare un esercito? Di anime
poi…”.
Il Dio dell’Ordine lo
guardò, senza espressione.
“Mio padre, il Kaos,
tenterà di distruggere la Dea del
Destino prima che io sia in grado di fermarlo. E poi, una volta che lei
sarà
sconfitta, anch’io morirò perché
l’equilibrio non potrà esistere. Ora come ora,
è il Kaos il più forte ed è meglio che
mi prepari al peggio”.
Lanciò un sassolino
nell’acqua turchina che si increspò. Vereheveil
lo guardava allarmato: “Fra quanto credi che
accadrà?”.
“Prima di quanto tu credi.
Ma non preoccuparti. Andrà come
deve andare”.
Il Dio delle Letterature non sembrava
per niente
rassicurato. Passò una mano sull’uovo.
“Oggi si muove davvero tanto. Credo che
voglia uscire. Ma non so…preferirei che aspettasse il
passaggio di questo
pessimo periodo”.
Kasday sospirò:
“Non si può decidere quando nascere”.
Toccò con due dita
l’uovo, che iniziò a schiudersi. Dapprima
uscì una piccola manina, alla quale Vereheveil porse
l’indice perché lo
stringesse. Con un gemito, la creaturina tirò un calcetto e
si aprì un altro
varco nel guscio. Entrambi gli Dèi diedero una mano al
nascituro ad uscire.
Aveva un folto ciuffo di capelli verde acqua, accompagnati da un viso
dolcissimo con enormi occhi dorati. Vereheveil lo estrasse
dall’uovo e lo
immerse nella fonte magica per fargli recuperare le forze, mentre il
nuovo nato
iniziava a strillare. Aveva una coppia di ali blu e un cornino rosso al
centro
della fronte.
“Non
è né maschio, né
femmina!”.
Il Dio della Letteratura lo avvolse
nella veste e lo cullò,
calmandolo.
Kasday gli passò
l’indice accanto alla bocca ed il piccino
lo morse, con due dentini acuminati, ed iniziò a succhiare.
Vereheveil si spaventò un
po’.
“Sta tranquillo, Very!
È normale! Si nutre di magia”.
Accarezzò la testa del
neonato, con affetto. Una piccola
lacrima scese sul volto commosso dell’Equilibrio che si
accorse che, quando
piangeva, sul suo Pianeta calava una lieve pioggia color dello zaffiro.
Quando il neonato fu sazio,
sbadigliò e si addormentò, sempre cullato dal Dio
delle Letterature. “Chissà
che ruolo avrà…non si capisce!” si
chiese Vereheveil.
Kasday guardò suo figlio
e, per un attimo, lo vide più
grande. Sempre bambino, ma un pochino più grande, con lo
stesso sguardo dolce
dell’uomo che amava. I capelli spettinati, gli occhi grandi e
un lungo
mantello. E quel simbolo che aveva sulla fronte? Che cosa significava?
Con un battito di palpebre
tornò alla realtà.
“Che nome gli
diamo?”.
Il Dio delle Letterature lo
guardò negli occhi: “Kavahel! Il
nostro bambino si chiamerà Kavahel!”.
“Kavahel?” domandò
l’Equilibrio.
“Sì! Non ti
piace?”.
“No, và
benissimo!”.
“Fantastico. Allora
è deciso!”.
I due Dèi si
abbracciarono.
“Vieni nel tempio, Kasday!
La Dea delle Arti ha realizzato
uno splendido mosaico per la camera dei pupi! È
meraviglioso!”.
Vereheveil iniziò a
camminare verso la dimora
dell’Equilibrio e le stanze dove vivevano assieme a
Erezehimsay e la figlia del
Dio delle Letterature. Recitava una ninnananna al piccolo Dio neonato.
Kasday
guardò in alto. La battaglia finale era alle porte.
Con
le mani giunte,
seguì l’angelo dalle ali nere ed iniziò
a cantare: la canzone degli Dèi.
Sei disposto a morire
per noi o no?
Vuoi morire per noi o
no?
Vuoi morire?
Trovami, io sono qui!
Muori per me!
Muori per noi!
Noi santi, noi
immortali, noi Dèi!
Sei disposto a
sacrificarti per noi o no?
Vuoi sacrificarti per
noi o no?
Vuoi morire?
Proteggimi, io sono
qui! Sacrificati per me!
Sacrificati per noi!
Noi credenti, noi
mortali, noi popoli!
Ricordati che fui io
concederti la tua esistenza mortale!
Ricorda che fummo
noi, Déi, a darti la vita!
Ricordati che sono io
a mantenerti immortale!
Ricorda che siamo noi
a darti vita!
Esiste un popolo
disposto a difendere il suo Dio?
Esiste un Dio
disposto a sacrificarsi per il suo popolo?
“Basta cose tristi per
oggi!” lo interruppe Vereheveil.
Assieme rientrarono a palazzo,
illuminato dalla Luna.
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Capitolo 29 *** XXIX- Eserciti ***
XXIX
ESERCITI
L’estate passò,
in relativa tranquillità. Kasday stava
seduto su una verde collina, osservando il colore delle foglie che
cambiavano.
Ormai non faceva più caso al dolore che provava alla gamba
ma doveva comunque
avere sempre, stretto nella mano destra, il suo bastone dorato a
sorreggerlo.
Udiva le risate dei piccoli
Dèi nati dall’uovo che si
libravano a mezz’aria, giocando. Vereheveil teneva sulle
ginocchia Kavahel,
facendolo giocare con un campanellino d’argento. Il bambino
rideva, attratto
dal dolce suono che produceva, e batteva le mani.
L’Equilibrio raggiunse i due,
prendendo in braccio il figlio, che protestò un poco. Si
stava divertendo e lui
lo aveva interrotto!
Il Dio dell’Ordine sorrise.
Il bambino, per il disappunto,
aveva espanso la sua luce, rendendola più forte ed
accecante. Dentro quel
piccolo scorreva un’energia spaventosa, che Kasday
avvertì chiaramente ma, allo
stesso tempo, riuscì a percepire un'altra presenza.
Spalancò le ali, coprendo
i bambini: “Che cosa vuoi? Che
cosa ci fai qui?”.
Per la vallata si diffuse una tetra
risata: “Ma che bravo!
Mi hai scoperto!”.
Era il Kaos, che rimaneva sospeso in
aria, ricoperto di fumo
e di nebbia: “Sta tranquillo, Equilibrio. Non ho alcuna
intenzione di fare del
male ai tuoi pulcini. Non ora, perlomeno!”.
“Perché sei
qui?” domandò Kasday, sulla difensiva.
“Sono
in questo luogo
per riferirti una cosa”.
“Bene. Riferiscimela e poi
sparisci. Mi spaventi i
piccoli…”.
“Oh…niente di
che…solo questo: ho intenzione di attaccare la
Dea del Destino. Pensavo che ti facesse piacere saperlo. I miei
eserciti sono
pronti. Sono tutti in attesa di un mio segnale per attaccare il Mondo.
La
sconfiggerò, stanne certo, e poi verrò da te, mio
tesoro!”.
Il Kaos ridacchiò, con
occhi dolci.
Psicopatico…
“Quale Mondo?”
domandò l’Equilibrio.
“Mmm…?”.
Il Dio del Disordine esibì
il suo solito sguardo: con un
occhio spalancato e l’altro socchiuso.
“Quale Mondo vuoi
attaccare, Kaos?”.
“Quello che voglio! Ce ne
sono tanti…”.
Ridendo più forte, il Dio
senza tratti somatici scomparve.
“Così non mi
aiuti…” sospirò l’Equilibrio,
rilassando le
ali.
Mi cadono le braccia e le
ali…ma con che gente devo avere
a che fare? Uffa.
“Erezehimsay!”
chiamò con voce potente.
“Sì,
Signore?” rispose il Messaggero, comparendo
all’uscita
del palazzo del suo padrone.
“Vola dalla Dea del
Destino. Dille che il Kaos si prepara ad
attaccare”.
“Ma…”
si intromise Vereheveil “Così facendo lei
preparerà i
suoi eserciti e scoppierà la guerra!”.
“Questo lo so” rispose Kasday, in
apparente calma. In realtà, il suo nervosismo era messo in
evidenza dal fatto
che si accese una sigaretta. “Lo so, Dio delle Letterature.
Ma se si dovesse
trovare impreparata, sarebbe la fine per lei e per i suoi Pianeti. Non
esiste
un altro modo”.
Erezehimsay prese il volo
più in fretta che poté ed aprì il
portale. Scomparve portando il suo messaggio.
L’Equilibrio
ricominciò a parlare: “Vereheveil, porta i
bambini con te quando la guerra avrà inizio, non vorrei che
qualcuno di voi
venisse coinvolto. C’è un luogo che abbiamo
prestabilito io e la Dea della
Pace. Vi recherete lì, assieme, in attesa che tutto finisca.
Se le cose
dovessero andare veramente male, sarà compito vostro far
ripartire il sistema,
addestrando le nuove divinità”.
Il Dio delle Letterature lo
afferrò per un braccio: “Non
fare la guerra anche tu. Non rischiare la vita…”.
“Io
non faccio la
guerra!” lo interruppe l’Equilibrio “Io
mi difendo e basta. Difendo me stesso,
i miei Mondi ed il mio popolo. E, soprattutto, difendo
l’armonia degli
Universi!”.
Vereheveil era poco convinto e
continuò ad esporre la sue
opinioni: “Se loro vogliono la guerra
finale…ebbene: che sia guerra finale!
Lascia che facciano tutto da soli, che si distruggano, che si
uccidano…che
muoiano! Tu resta con me e ricominciamo insieme…”.
“Smettila! Sei fuori di
testa?”.
“Dopo di questa non si
dovrà più combattere e…”.
“Sai che non è
possibile. Senza battaglie, la Dea della
Guerra muore”.
“E allora? Non è
meglio? Capisco che sia tua madre, ma…”.
“NO! Nessun Dio deve
morire!”.
Eleniel, la Dea della Pace,
uscì dal palazzo. Aveva sentito
ogni cosa e sospirò: “Fai ciò che devi.
Anche se mi fa soffrire la guerra,
credo che non ci sia altra soluzione. Non morire
però!”.
La Dea dai lunghi capelli biondi
abbracciò Kasday, che
rimase in silenzio. Il Dio si allontanò da loro, desideroso
come non mai di
assenza di suoni e di tranquillità. Doveva riflettere e
prendere delle
decisioni: il suo esercito andava radunato!Iniziò a
camminare tra l’erba alta,
come sempre scalzo. La sua lunga gonna aranciata strusciava sul manto
erboso ed
il Dio lottava contro il forte vento pungente che si era alzato, che
gli faceva
volare i capelli in tutte le direzioni e lacrimare gli occhi. Indossava
la
stessa cintura di Vereheveil, con la sola differenza che, mentre quella
del Dio
delle Letterature aveva incastonato uno zaffiro, su quella
dell’Equilibrio
spiccava un ovale in oro: il colore degli occhi dell’angelo
nero. Nonostante il
freddo portato dalla corrente d’aria, il Dio era a petto
scoperto e si osservò
le cicatrici, sperando di non averne altre da aggiungere prossimamente.
Saltellava,
tentando di ostentare il buon umore. Il suo corpo, gracilino e magro,
di sicuro
non era adatto alla battaglia e lui lo sapeva bene. Giunto in un luogo
isolato
e silenzioso, si sistemò i capelli e chiamò il
nome di Lilim.
La guardiana delle anime apparve,
dopo pochi attimi: “Mi
cercavi?”.
“Tenetevi pronti. La guerra
è vicina. La prossima volta che
ti chiamerò, sarà per far entrare in campo le
essenze”.
Lilim annuì.
L’Equilibrio continuò: “A che punto
siete con i
preparativi e l’addestramento?”. “Siamo
pronti. Spada e scudo, come mi hai
chiesto. Solo di difesa e non di attacco”.
“Ottimo”
esclamò Kasday, ma con poca convinzione.
“La Dea delle Armi non ci
aiuta. Perciò l’equipaggiamento a
nostra disposizione è fornito da altre divinità o
dai mortali…tu capisci che
non è la stessa cosa!”.
“Lo so bene, Lilim. E mi
dispiace. Ricorda che il nostro
scopo e difendere, non uccidere. Ponetevi fra i due eserciti, quello
del Kaos e
quello del Destino, e separateli.”.
“È impossibile!”.
“Ma è quello che
voglio! Non mi contraddire, ti prego! Che
ti piaccia o no…tenetevi pronti. Manca poco alla vostra
entrata in campo”.
La guardiana era preoccupata.:
“Tu sai che le essenze, senza
un corpo fisico, non possono sopravvivere per più di 24 ore
al di fuori del
Regno delle anime? Spero di
sì…Adahel…”.
Adahel?
“Sì, certo che
lo so. Non è un problema. Nel caso che la
battaglia si dovesse protrarre più a lungo del previsto, avevo in mente di dividervi
in due gruppi, che
si scambieranno al calare della notte. Decidi tu in base a cosa
dividerli. Non
dovresti avere carenza di personale..”.
“No di certo. Ho carta
bianca dunque?”.
“Assolutamente. Io
avrò ben altro a cui dedicarmi…”.
I due restarono in silenzio,
ascoltando il vento.
“Non ti invidio,
Equilibrio. Non vorrei mai scontrarmi con
il Kaos!”.
“Neanch’io”
ammise il Dio dell’Ordine “Preparati per un mio
segnale. Ormai la guerra è imminente”.
Lilim sospirò. Con un
inchino si congedò da Kasday e volò
via, verso la sua schiera di essenze che attendevano ordini.
L’Equilibrio riprese il
cammino. Tornando verso la sua
dimora, avvertì tutta la tensione nell’aria.
Si fermò alla fonte magica
e concentrò le sue forze, creando
una barriera attorno ad essa ed alla grotta da cui nasceva, poi bevve
qualche
sorso, avvertendo la sua carica nelle vene.
Fece in modo che Vereheveil, i
bambini e la Pace entrassero
in quella grotta, protetti. Forse era presto ma era meglio non
rischiare: avvertiva
l’odore del conflitto nell’atmosfera. Poi
ripartì, creando una barriera simile
attorno al villaggio delle sue creature. Risalì la ripida
collina verde che
divideva la valle. Giunto in cima, vide che il Dio della Vita e la Dea
della
Morte stavano lottando fra loro.
“Una
volta…” iniziò a parlare il Dio
dell’Ordine “…Vita e
Morte si sfidavano giocando a scacchi!”.
Fermò con una mano la
falce della figlia.
“Oh, dai! Papà!
Cioè…mamma! Non fare così! Non stiamo
litigando! Ci esercitiamo!”.
“Preferirei che voi vi
esercitaste in modo diverso!”
commentò, sarcastico, Kasday.
“Lui…lei…hem…Kasday ha
ragione!” esclamò il Dio
della Vita “Noi non dovremmo combattere!”.
La Morte depose la falce, sorridendo
e scuotendo il capo:
“Non ci si può neanche divertire!”.
Kasday percepì qualcosa di umido scendergli
dalla fronte.
Piove? Si chiese. Impossibile.
Sono io che faccio
piovere!
Con due dita si toccò la
fronte. Sangue! Era sangue! Alzò lo
sguardo ed il Dio della Vita urlò. L’Equilibrio
ringraziò gli alti per aver
portato al sicuro la maggior parte dei presenti sul Pianeta, mentre una
risata
squarciò il silenzio. Un angelo Messaggero era conficcato,
per il ventre,
all’asta che stava sulla cima della cupola della dimora
dell’Ordine ed il suo
sangue scorreva per le pareti, fino a piovere sul terreno.
“Questo succede a chi osa
spiarmi!” tuonò il Kaos, autore di
quel gesto raccapricciante.
L’angelo si
agitò ancora, in un ultimo spasmo di vita, per
poi lasciar cadere le braccia, inermi, morendo ad occhi spalancati.
Dietro al Dio del Disordine si
ammassava un esercito, nero e
minaccioso, di demoni e creature del Kaos.
“Bastardo!”
urlò una voce femminile. Era la Dea del Destino,
apparsa dall’altro lato del cielo: “Bastardo! Hai
ucciso il mio Messaggero! La
pagherai per questo!”.
Ovviamente era attorniata dalla luce
bianca emanata dai suoi
seguaci alati.
L’Equilibrio
guardò entrambi.
Era questo il Pianeta! Si
attaccheranno qui! La guerra
finale si svolgerà nel mio Mondo!
Urlò il nome di Lilim
.L’ultima goccia: il
vaso era traboccato ed ora iniziava la
guerra.
Perché sul mio
Pianeta?
Si chiese, in principio, mentre le
anime andavano a
sistemarsi fra i sue eserciti rivali.
Ma certo! Terreno
neutrale…chi vince se lo prende! Se uno
dei due muore…se entrambi muoiono…se io
muoio…
Tentò di scacciare certi
pensieri dalla testa.
Alcune delle creature del Pianeta
erano fuori dal villaggio,
protetto dalla barriera. Si apprestò a proteggerle dagli
attacchi degli Dèi,
coprendole con le ali ed accompagnandole fino a casa. Piangevano ed
invocavano
aiuto, in preda al terrore. Kasday mormorò loro qualche
parola di conforto e di
scuse. Fortunatamente era molto più alto di loro e
riuscì ad avvolgerle, senza
difficoltà.
“Ti dai troppa pena per
quegli esserini. Sono dei
comunissimi mortali!” gli gracchiò contro il Kaos
“Se ne muore uno, ne rifai
tre! Sono cosetti senza importanza”.
“Anche quelli che hai, ora,
dietro di te, Disordine, sono
dei cosetti senza importanza. Eppure sono lì in attesa dei
tuoi ordini. Sono
disposti a sacrificare la vita per te! Morire per servirti!”
fu la risposta
dell’Equilibrio.
Il Kaos si rabbuiò,
accentuando il nero del fumo che lo
avvolgeva: “Le tue ali bruceranno, figlio mio. Le tue ali
saranno cenere, prima
che tramonti il Sole!”.
Il Dio senza tratti lanciò
una sfera di luce contro il
figlio. La magia sprigionata da quella palla fu facilmente deviata
dall’Equilibrio, che rimase coperto di polvere a causa dello
spostamento
d’aria, ma illeso. E illese rimasero pure le creature e le
loro abitazioni.
“Credi di sconfiggermi con
così poco?” chiese Kasday, che
poi si rimproverò per averlo provocato. “Certo che
no, saputellone! Oggi non
sei tu il mio obbiettivo!” gli rispose il Kaos, volando oltre
le nuvole.
Entrambi i creatori rivali davano
ordini al capo dei loro
eserciti.
“I tuoi uomini sono pronti,
Satanahel?” tuonò il Disordine.
“Come sempre!”
rispose il demone.
“Bene! Benissimo! Sai qual
è il mio obiettivo: distruggere
tutte le creature governate dal Destino e distruggere quella troia
narcisista
il più in fretta possibile. Non mi deludere!”.
“Sì”
si limitò a rispondere Luciherus.
“E ricorda, Principino, che
io ti controllo da molto
vicino…” accompagnò quelle parole
toccando il punto dove, un tempo, batteva il
cuore del demone “Ricordati: il tuo cuore mi appartiene. Fai
qualche stronzata
e lo faccio fermare! E, soprattutto, sii deciso nella tua battaglia. Se
io
muoio…muori anche tu!”.
“Lo so” Luciherus
non aveva più luce negli occhi.
“Concentrati su Mihael,
è l’unico che sa combattere in mezzo
a quel branco di piccioni troppo cresciuti!”.
“Sarà un vero
piacere!” sogghignò il Principe, passandosi la
lingua sulle labbra.
Un sorriso sadico e beffardo comparve
sul suo viso.
Il Dio del Kaos volò
ancora più in alto. Luciherus espanse
la sua luce ed iniziò ad inviare ordini precisi alle sue
truppe. Era stato un
angelo e conosceva benissimo ogni loro strategia e punto debole:
“Uccidete,
dilaniate, fate ciò che volete…ma Mihael deve
restare a me!”.
Un urlo si levò da tutto
l’esercito dei demoni e delle
creature del Kaos, anche quelle non volanti che erano state
materializzate a
terra e che guardavano in alto. Tutti ringhiarono e gridarono,
minacciosi,
mentre tamburi di guerra rimbombavano incessanti, sempre più
veloci.
Una battaglia principalmente
aerea…che spasso! Si
disse Luciherus, sfoderando la spada, nera come la notte.
“Asmodai! Prendi con te i
Duchi e i Conti dei demoni,
assieme alle creature d’ombra che li circondano, ed attacca i
Principati, che
sono pochi, e i Cherubini”.
“Cosa sono i
Principati?”.
“Ti sembra il momento di
chiederlo?! È una gerarchia
angelica, brutto pirla! Sbucano solo in caso di emergenza, assieme alle
Dominazioni, ai Troni ed ad altri che non ti devono interessare.
Collaborano con
i Cherubini e i Serafini, che sono addestrati alla guerra. Sono le
uniche
creature del Destino che potrebbero crearci dei problemi. Concentrati
sui
Cherubini. I Serafini lasciali a me”. “Sissignore.
E gli altri?”.
“Chi? Gli Arcangeli?
L’unico che può interferire, in qualche
modo, è Mihael. Lascialo a me e rilassati. Gli altri a piuma
dorata possono, al
massimo, minacciarti con un giglio o supplicare pietà! Tu
concentrati sui
Cherubini e sta tranquillo!”.
Insisteva
sul punto
riguardante i Cherubini. Voleva essere sicuro che la testa
d’uovo che aveva di
fronte capisse bene ciò che doveva fare. Alzò la
voce, facendosi udire da
tutti: “Gli altri vengano con me. Il nostro obiettivo sono i
Serafini, i più
addestrati a combattere. Le milizie a terra si concentrino sulle
presenze che
la Dea del Destino sicuramente invierà contro di voi.
Avanti! Alla battaglia!”.
Fra gli angeli e le creature del
Destino si udiva solo la
voce dolce e ricercata di Mihael.
“Non importa se un tempo
erano come noi” iniziò a parlare
l’Arcangelo guerriero. “Non importa se, un tempo,
alcuni di loro erano angeli.
Ora sono qui per distruggerci. Ricordate che non avranno né
pietà né rispetto
nei nostri riguardi. Combattete per il vostro Mondo, per la vostra
famiglia,
per il vostro futuro! Non permettete che il caso vinca sul
destino!”.
“Belle parole!”
lo interruppe Urihel, con il suo solito
sguardo strafottente “Belle davvero! Peccato che loro siano
molti di più. Noi
siamo in pochi e loro sono migliaia, e tutti pronti a spiumarci e
sbranarci!
Sono dei pazzi incivili!”.
La Dea del Destino, che
percepì dei dissidi fra le truppe,
apparve dietro a Mihael, mettendogli una mano sulla spalla: “Noi non chineremo
il capo! Noi combattiamo
per la Pace!”.
“Ma è un
controsenso!” protestò Rahahel.
“Concordo con
Raf!” affermò Gibrihel.
“Basta,
sovversivi!” tuonò Mihael.
“Ma ragiona, Mik! Hanno
ragione! È come odiare in nome
dell’amore!” disse l’Arcangelo
dell’Amore puro.
“Io combatto per il mio
pianeta e per la mia gente! Voi fate
quello che volete, massa di codardi senza spina dorsale! Andatevene, se
preferite! Mi auguro, però, di non incrociare il vostro
sguardo da traditori in
futuro, perché non avrei problemi ad usare la mia spada
contro di voi!”.
“A me sta bene,
coglione!” ringhiò Rahahel “Io non sono
un
traditore! Non appartengo alla Dea del Destino, che mi ha tolto
l’immortalità e
i favori da secoli! Perciò io sono libero di fare quello che
mi pare! Ci tengo
a vivere! Forse non l’hai capito che, se vieni colpito a
morte, la tua vita
finisce…”.
L’Arcangelo guaritore
lasciò lo schieramento e volò verso
terra.
“Lo so
benissimo!” gli rispose Mihael.
Urihel seguì il suo
collega verso terra e così fece Camahel,
l’amore puro, e Gibrihel.
L’Arcangelo guerriero
riprese a parlare, rivolto al suo esercito:
“Se loro vogliono essere uccisi che facciano pure. Non hanno
futuro. Ma noi
siamo qui per difendere ciò in cui crediamo! Unitevi,
fratelli miei! Odiate, se
ci riuscite!”.
Rahahel
volò in
fretta verso il Pianeta dell’Equilibrio: “Sei uno
stupido, Mihael!”.
Decise che sarebbe stato molto
più utile a terra, a curare i
feriti ed i caduti.
I Serafini si ammassarono, espandendo
le loro luci
fiammeggianti ed i Cherubini si schierarono subito sotto di loro, a
spada
sguainata.
Le anime richiamate
dall’Equilibrio formarono una barriera,
dividendo i due eserciti che si fissarono di soppiatto. Kasday
tentò di
individuare il Kaos, sparito dalla sua vista.
Ha lasciato qui da soli i
suoi eserciti? Impossibile!
Dove si e cacciato?
La Dea del Destino incitava i suoi
popoli, avvolgendoli con
la propria luce bianca. I demoni e le creature del Disordine si
scagliarono
contro i loro nemici, abbattendosi sulle essenze che però resistettero.
Sull’altro fronte, andarono
all’attacco gli angeli e le creature del Destino. Le anime,
fra due fronti,
respinsero ogni colpo.
Luciherus e Mihael si librarono
più in alto della barriera
di creature eteree ed iniziarono a combattere fra loro.
“Attenti ai Duchi, miei
soldati! Sono i più aggressivi!”
urlava la Dea dai mille specchi.
I Serafini, con più ali e
più imponenti, crearono uno
schieramento tinto di blu, il loro colore. Sotto di loro i Cherubini
spalancarono le loro ali cremisi e fiammeggianti. A volte, in mezzo
allo
scontro, alcune anime venivano sconfitte, permettendo ai due
schieramenti di
entrare in contatto.
Ora anche la Dea del Destino era
scomparsa, oltre le nuvole
e Kasday prese il volo, spalancando le ali blu. Gli Dèi, che
nel frattempo si
stavano radunando sul Pianeta, presero posizione: chi con il Kaos, chi
con il
Destino e chi con l’Equilibrio.
Un lampo ed un tuono attraversarono
il cielo, mentre il
vento si fece più forte ed iniziò a piovere, una
tempesta gelida provocata
dallo scontro degli Dèi degli eventi atmosferici.
Il
Dio dei Sogni e
delle Paure apparve, accanto alla madre ed alla sorella, su una
sporgenza di
roccia dalla quale si vedeva la valle. Il Dio spalancò gli
occhi, completamente
bianchi, attirando l’attenzione su di sé.
Dopodiché lanciò un grido,
agghiacciante e terribile, che instaurò il terrore
nell’animo di tutti i nemici
di suo padre Kaos.
Rahahel cadde in terra, ad occhi
spalancati. Piangeva:
“Perché fate questo, fratelli miei?
Basta!”.
Cercava di curare tutti i feriti, ma
le sue forze si stavano
attenuando, così come la sua speranza.
Ed ora era pure spaventato a morte!
Guardava Luciherus e
Mihael ed anche l’Equilibrio li osservava. Il loro scontro
sembrava una danza,
malvagia e spietata. Le loro spade si incrociavano, sprigionando
scintille
d’argento, e con movimenti rapidi e precisi, si alternavano
fra attacchi e
respinte. Paravano e colpivano, con sempre più forza.
“Ricordi l’ultima
volta come ti ho sconfitto?” domandò
Mihael.
“Tu non mi hai sconfitto,
verme! Ne hai approfittato!”.
“Io non sono come te! Io
sono un essere di luce! Vivo
nell’eterno Mondo degli Angeli! Tu invece sei un caduto, un
dannato, un
maledetto! Vivi nella polvere ed è ora che tu ci torni,
nella polvere!”.
“Mangiala la polvere, schifoso!”.
Un fendente particolarmente forte
sbilanciò l’Arcangelo, che
però riuscì subito a reagire ed a rispondere al
colpo.
Kasday li guardava, sospirando. Il
Kaos stava alla sua
sinistra, con aria minacciosa e la lancia degli Hainuet nella mano
destra. La
Dea del Destino, sul lato opposto, sguainò la spada dei
Denian.
L’Equilibrio stava nel
mezzo, girando gli occhi per tenerli
entrambi sotto controllo.
Senza preavviso, le due
divinità nemiche si scagliarono
l’una contro l’altra ed il
Dio
dell’Ordine materializzò fra le mani due scudi,
uno sulla destra e uno sulla
sinistra, parando entrambi gli Dèi. Incassò i
colpi, con decisione, e rimase
fermo, al centro, dividendo i due contendenti.
“Ricordi quando eravamo
bambini?” Rahahel guardava Urihel,
che era atterrato sul Pianeta e stava seduto al suo fianco.
“Ti ricordi come quei
due, Lucy e Miky, litigassero di continuo? Ma mai si scontravano in
questo
modo…”.
“Perché pensare
a quando ci eravamo appena affacciati alla
vita, ora che siamo così vicini alla morte?”
rispose Urihel, acido.
“Non dire
così…c’è qualcosa che non
và in Lucy. Ha una
faccia…strana…sembra posseduto! Mi vien voglia di
prendergli la testa fra le
mani e scuoterla per liberarlo!”.
“Posseduto da chi, scusa?
Da un angelo?” ridacchiò Urihel.
“Teoria
interessante…piuttosto…dovremmo cercare di
fermarli!
Altrimenti si uccideranno!”.
Urihel alzò le spalle:
“Sono stanco di fare il cretino che
deve sempre separarli. Senza contare che ora loro sono armati e se mi
intrometto mi ammazzano!”.
Gli
abitanti dei vari
Mondi si scambiavano insulti e grida, carichi d’odio.
“Mi
fate schifo.
Dovete morire tutti!” sibilò Gibrihel, seduto a
sua volta.
Urihel si reggeva la testa, in balia
dell’emicrania. Era
così abituato al silenzio che tutto quel rumore lo faceva
impazzire: perfino
gli angeli Messaggeri litigavano e si insultavano!Gli Arcangeli, e gli
Dèi che
si erano schierati dalla parte dell’Equilibrio, si presero
per mano ed
iniziarono a pregare la Pace. Erezehimsay,
stanco ed abbattuto, si unì al coro pregante, ricordando il
suo antico maestro.
Nel frattempo, lo scontro fra i tre
creatori si faceva
sempre più aspro, così come la battaglia tra
Luciherus e Mihael. La Dea della
Guerra rideva, osservando ogni cosa, mentre frecce e dardi
attraversavano il
cielo, con lingue di fuoco e barlumi d’argento.
L’Equilibrio resisteva,
anche se le braccia e le spalle
subivano violente percosse e strappi.
Il
Kaos e la Dea del
Destino, sempre più irati per
l’impossibilità di scontrarsi, decisero, pur
senza parlarsi, che era necessario liberarsi dell’Ordine per
potersi battere
fra loro. Così, i loro
colpi si fecero
sempre più potenti ma Kasday restava impassibile, senza
cedere.
Era uno scontro senza fine. Tremava
dal freddo e ansimava
dallo sforzo ma non poteva attaccare! Non poteva colpire! Doveva
difendere e
tenere i due separati.
Ad ogni urlo del Kaos, un lampo
squarciava il cielo,
accompagnato da un tuono profondo che faceva vibrare il terreno.
Anche la popolazione del pianeta
iniziò a pregare per il
loro Dio e per la Pace. E la Dea della Pace, non potendo sopportare
oltre, uscì
dalla grotta in cui stava, avvolse gli eserciti con la sua luce
arcobaleno ed
iniziò a cantare.
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Capitolo 30 *** XXX- Canti divini ***
XXX
CANTI DIVINI
Lo scontro di molti finì.
Avvolti dal canto della Dea della
Pace, molti litiganti si fermarono, incantati dalla voce e dalla
melodia della
divinità. Luciherus e Mihael si guardarono negli occhi, a
spade incrociate, con
sguardo di sfida. Nessuno dei due si muoveva. Immobili, sospesi nel
cielo, come
statue di pietra, si fissavano ansando. La luce tornò, per
un istante, negli
occhi del Principe dei Demoni. Nella mente dei due erano apparse
immagini del
passato, ricordando quando erano bambini. Luciherus vedeva se stesso da
piccolo, in un grande prato, che correva ridendo. Le sue piccole ali
dorate
fremevano al vento. Scappava, o forse di nascondeva, per gioco,
dall’Arcangelo
Mihael. Anche l’Arcangelo Guerriero ricordava episodi felici,
di quando era
bambino, momenti che trascorreva con il gemello, ovvero colui che aveva
davanti. In mente gli apparve il canto che facevano tutti assieme
quelli della
sua classe.
“Fratello”
mormorarono, ed entrambi deposero le armi,
abbassando le braccia.
Al canto della Dea Eleniel, si
unirono le voci degli
Arcangeli in terra e degli Dèi neutrali. In ognuno dei
presenti, quel coro
aveva fatto risvegliare qualche bel ricordo custodito nel cuore. Anche
l’Equilibrio ricordava quando era bambino, ricordò
la notte in cui era nato,
quando il padre lo teneva sollevato in aria, stringendolo con sole due
dita,
fissandolo con occhi malvagi. Ricordò di non aver avuto
paura, ma solo il desiderio
di essere abbracciato da quell’omone fumoso e minaccioso. Le
altre due divinità
creatrici, il Kaos e la Dea del Destino, si erano momentaneamente
arrestate, e
si fissavano.
Ricordate anche voi la
vostra infanzia? Kaos…ricordi tuo
fratello? Stai male per quello che gli hai fatto?
Uno stano lamento giunse alle
orecchie del Dio dell’Ordine.
Luciherus?
Il demone gemeva, tenendosi la testa,
ed iniziò ad urlare
contro il Dio del Disordine.
“Smettila di addossare su
di me tutto il peso delle tue colpe!
Basta! Basta!”.
Il principe scuoteva la testa, come
per liberarsi da un
dolore incessante o da una voce interiore.
“TU hai ucciso tuo
fratello, non io! Piantala!”.
Scoordinato
nei
movimenti convulsi che faceva, Luciherus cadde, precipitò,
al suolo. Boccheggiando,
si rialzò, tenendo una mano dove una volta stava il suo
cuore. Ringhiò, mentre Mihael
atterrò accanto a lui.
“Non infierire, piccione.
Sono affari che non ti
riguardano!” sibilò il Principe.
Mihael non rispose, ma si
unì al coro di voci che intonava
un canto per il Pianeta.
“Voglio
che tutto
questo finisca” bisbigliò Luciherus
“Voglio essere libero, come non sono mai
stato. Eppure era l’unica cosa che
volevo…”
Guardò in alto, respirando
a fondo, strinse i pugni ed
iniziò a cantare. Con aria di sfida, lanciò
così un segnale al Dio che lo
controllava: non mi interessa come andrà a finire, ma
lasciami in pace!
Kasday e gli altri due creatori
guardavano giù. La Dea del
Destino lanciava ordini, inascoltati, al suo esercito, cercando di
spingerli a
ricominciare a combattere. Anche il Kaos sbraitava comandi, ma nessuno
si
muoveva. Cantavano tutti, perfino le piccole creature del villaggio
dell’Equilibrio e gli Dèi bambini.
“É
finita!” iniziò a parlare il Dio
dell’Ordine “Loro non
vogliono più combattere. Loro non vogliono che uno solo di
voi regni”.
Il Kaos ringhiò, furioso.
A lui non bastava, di certo,
dividere il potere con qualcun’altro! Strinse fra le mani la
lancia degli
Hainuet, l’unica arma, oltre alla spada dei Denian, in grado
di uccidere un
Dio, e, con un colpo deciso, trapassò la Dea del Destino.
Kasday non riuscì ad
impedirlo e la Dea nemmeno se ne accorse, intenta com’era a
lanciare ordini. La
lancia entrò ed uscì dal suo petto e lei cadde,
chiudendo gli occhi.
Vereheveil, uscito a sua volta dalla caverna, la afferrò
prima che si
schiantasse al suolo. A nulla servirono le cure di Rahahel, la Dea
morì ed un
pianto sommesso si diffuse fra i suoi popoli. Al Dio delle Letterature
si
rigarono le guance con lacrime dorate e fu silenzio.
L’Equilibrio rimase
immobile, si voltò verso il padre:
“Brutto idiota! Che hai fatto?!”.
Il
Kaos si mise a
ridere, osservando la magia scintillante che grondava dalla punta della
sua
lancia. “Non farti sopraffare da lui!”
urlò Vereheveil “Non farti sconfiggere!
Distruggi quel bastardo! Annientalo! Non farti sconfiggere!”
pieno di ira,
sbraitava al cielo.
Facile a
dirlo…vieni tu qui, se credi che sia una cosa
semplice!
“Io…non ho
svolto il mio ruolo”.
“Era
inevitabile!” urlò Luciherus “Non
fermarti per questo!
Combatti!”.
“Ma io non posso colpirlo!
Disobbedirei agli Alti!”.
“Ci sarà sempre
qualcuno al di sopra di te. Anche al di
sopra degli Alti!” il Dio del Tempo aveva detto questo.
Con le braccia spalancate, fece
volare fino all’Equilibrio
la spada dei Denian appartenuta alla Dea del Destino. Kasday la
guardò, poco
convinto. Allungò le mani e la impugnò, pur
continuando a tenere stretto uno
dei suoi scudi. Con una piroetta si girò di scatto,
respingendo un colpo a lui
rivolto dalla parte del Kaos. Scese di qualche metro, allontanandosi
dal padre.
Non sapeva cosa fare.
L’Equilibrio era spezzato e sentiva la
sua forza indebolirsi.
“Hei!” gli
urlò contro Luciherus “Tutti noi abbiamo dei
problemi! E tu che sei un Dio, dovresti saperlo! Magari è
un’ impresa disperata
cercare di fermarlo, ma è quello che devi fare.
Perciò muovi il culo e fai ciò
che devi!”.
“Traditore!”
sibilò il Kaos, mandando una morsa dolorosa al
cuore del demone, che però non emise un solo gemito.
L’Equilibrio
tornò a guardare il padre, che aveva gli occhi
carichi di odio. Vide che la Dea della Morte si stava avvicinando al
corpo
della Dea del Destino per accompagnare la sua essenza nel regno delle
anime.
“Fermati, figlia
mia” esclamò il Dio dell’Ordine
“Non
ancora, per favore”.
La Morte si fermò:
“Come vuoi…” e tornò a
concentrarsi sulle
creature che erano giunte alla fine della loro vita durante la guerra.
La popolazione del Destino si era
ammutolita. Gli Arcangeli,
i signori del cielo, si chiedevano se ora sarebbero invecchiati e poi
morti,
non avendo più la Dea a donargli immortalità.
Al contrario, gli abitanti dei regni
del Kaos esultavano ed
urlavano. Gli angeli caduti stavano in silenzio, seguendo
l’esempio di
Luciherus che ringhiava contro il suo padrone. Il Dio della Vita
piangeva. Era
necessario, Kaos? Si chiedeva. Non ti bastava la
guerra? Dovevi proprio
ucciderla?
I tamburi ripresero a battere
incessanti.
“Kaos…”
iniziò a parlare l’Equilibrio, senza guardarlo
“…non
provi pena per tutte queste creature che stanno morendo e che sono
morte per
te?”.
“Ma neanche un
po’! Perché dovrei? Conosci la canzone degli
Dèi? Recita così: sei disposto a morire per noi,
o no? Evidentemente loro sono
disposti a farlo!”.
L’Ordine chinò
il capo: “Ma recita anche: sei disposto a
sacrificarti per noi, o no? É un dare e un avere. Dovresti
anche tu dare
qualcosa a loro…”.
Il Kaos riprese a ridere,
fragorosamente: “Mi stai dicendo
che dovrei morire per questo branco di mortali? Che bella battuta,
figlio mio.
Hai senso dell’umorismo!”.
“Un Dio dovrebbe essere
disposto ad immolarsi
per salvare il suo popolo, così come
la sua gente è pronta a morire per lui. Forse tu non lo
farai mai…ma io si. Io
sono disposto a tutto per salvarli”. Kasday si unì
al coro delle voci. Sempre
più persone cantavano e la Della Guerra storceva il naso,
infastidita. Suo
figlio, il Dio dei Sogni e delle Paure, alzò la sua voce ma
venne coperto dalla
canzone che intonava la Dea della Pace assieme a tanti altri. Il Kaos,
scocciato da tutto quel cantare, si fiondò verso terra, con
l’intento di
colpire la Dea della Pace. Kasday lo fermò e lo respinse:
gli puntò la spada
alla gola. Il Dio del Disordine ridacchiò e riprese quota:
“Tanto so che non mi
puoi colpire!”.
“Non lo voglio fare. Ma non
mi costringere. Riprendi il
volo, torna in cielo, e lascia stare la Pace e i bambini”.
Il Kaos sospirò:
“Sei pazzo se credi di battermi. Sei già
debole…”.
Il Dio rise, facendo tremare il
terreno.
“Piantala di
ridere” ringhiò Luciherus.
I due Dèi creatori si
affrontarono, in aria. Kasday avvertiva
la rabbia del padre aumentare ad ogni colpo. Perché?
Perché mi odi così
tanto? Io non voglio distruggerti…
Il Kaos lo colpiva sempre
più forte e l’Equilibrio si
limitava a parare ogni attacco.
“Che cosa fa?
Perché non lo colpisce a sua volta?” si chiese
Mihael.
“Non
può” rispose il Dio del Tempo
“L’Equilibrio non può
attaccare. Deve solo difendersi!”.
“Ma così
facendo, morirà!”.
“Lo so. E lo sa. Ma non
può fare altro. Non
vuole…credo…”.
“É un
suicidio!”.
“Che sia!” si
intromise Luciherus “Se vince il Kaos, saremo
tutti spacciati perché i Pianeti collasseranno, senza
controllo. Lui si farà
una bella risata e ricreerà un nuovo Universo. Se, invece,
vince l’Equilibrio,
con la morte del Kaos non ci sarà più ordine, che
non può esistere senza disordine.
Resteremmo senza Dèi ed affronteremmo la stessa
sorte…morire! Oggi moriremo…”.
“No! Io non
voglio!” urlò Vereheveil.
“Tu sei un
Dio…forse il tuo futuro sarà
diverso…”.
“No” rispose il Tempo
“Se i popoli non esistono, anche gli Dèi si
spengono”.
“Il mio Kasday
morirà?” gemette il Dio delle Letterature,
abbracciando suo figlio.
Il Tempo non rispose subito:
“Possiamo solo sperare che gli
Alti facciano qualcosa”.
Il Kaos lanciò diverse
sfere di magia contro il Pianeta,
deciso a distruggerlo. Kasday spalancò le ali per fermarle
ma non riuscì
a bloccarle tutte. Le sue piume
divennero cenere, in contatto con l’enorme
quantità di energia. Il sole stava
tramontando e le schiere di essenze si scambiarono, permettendo alle
anime di
tornare nel loro regno prima dello scadere delle 24 ore.
L’Equilibrio, allarmato per
non aver deviato tutte le sfere,
scese verso terra per controllare i danni. “State tutti
bene?” domandò.
“Sì. Tranquillo!
Tu piuttosto..” si preoccupò Vereheveil.
“Sto
bene…” anche se le ali gli bruciavano ed erano
ormai
cenere.
Stavano così vicini,
guardandosi negli occhi…e gli occhi
dell’Equilibrio si spalancarono.
Stava provando una sensazione molto
familiare: la lancia
degli Hainuet gli attraversava il petto, da parte a parte. Vereheveil
lanciò un
grido, i bambini si misero a piangere, la Guerra distolse lo sguardo e
Luciherus
guardò il suo capo, allarmato. Arrivi a questo
punto? Hai ucciso tuo figlio?
“Quante volte devo vederti
morire ancora, figlio mio?”
domandò il Kaos.
Ma l’Equilibrio sorrise.
Girò il viso, mordendosi le labbra.
“Te lo avevo detto che non
ero più vivo…” sussurrò al
Dio
della Letteratura.
Scoppiò a ridere. Estrasse
la lancia, con una smorfia di
dolore, e la gettò in terra. Con il semplice gesto di una
mano, si curò e
spalancò le braccia, avvolto dalla luce, mentre le sue ali
ricrescevano più
grandi e più belle.
“Questa volta non
conta…papà. Non mi puoi uccidere! Io ho
fatto un patto con gli Alti. La mia vita appartiene a loro! Mai potrai
porre
fine alla mia esistenza, finché loro non lo
vorranno!”.
Calò il silenzio
più assoluto. Nessuno parlò più.
“Brutto
mostriciattolo!” lo apostrofò il Kaos, furioso.
Il Dio senza tratti somatici espanse
la sua luce, oscurando
il cielo, mentre le ali di Kasday coprivano il sole.
“Io sono il Dio del
Disordine! Come osi contraddirmi ed
ostacolarmi?!”.
L’Equilibrio lo
guardò, alzando la testa, con occhi dolci e
sorriso sincero: “Non esiste il Disordine…solo
Ordini diversi!”.
Il Kaos, turbato da
quest’ultima affermazione ed irritato
dall’espressione idiota che aveva il figlio, si
tornò a scagliare contro la
caverna dove stavano gli Dèi bambini.
“Tu non farai del male ai
piccoli!” gli ordinò Kasday.
“Invece sì!
Morirete tutti! Distruggerò ogni cosa! Sono
esausto! Sono stufo! Mi avete stancato…tutti
quanti!”.
Prese velocità.
L’Equilibrio si pose fra lui e la sua meta,
deciso a fermarlo.
Ma in che modo?
Era veloce e
determinato…lo avrebbe fatto volare
all’indietro e poi avrebbe continuato verso il suo scopo.
Cosa voleva dire? Era
stanco? Voleva, forse, non essere
più un Dio? Perché gli altri
Dèi non fanno nulla? Aspettano che io muoia,
prima di muoversi?
Non aveva altra scelta…
Il Kaos scaraventò contro
il figlio tutta la sua rabbia,
convinto di trovare uno scudo a fermarlo.
I due Dèi si scontrarono,
uno contro l’altro.
“Perdonami
papà…” mormorò
l’Equilibrio.
Il padre non gli rispose. Lo
guardò, con sul viso
un’espressione di stupore, con la spada conficcata nel
ventre. Rimasero così,
uniti, mentre il firmamento si annuvolava. Il creatore del Pianeta
piangeva e
dal cielo scesero gocce color dello zaffiro. La luce nera del Kaos si
spense e Luciherus
cadde in terra, senza emettere un suono: non brillava più.
L’Equilibrio
adagiò il Disordine al suolo, accanto alla Dea
sua rivale, sull’erba che ora era umida di pioggia turchina.
Si guardò le mani,
sconvolto dal suo gesto. Era tutto finito: aveva disobbedito ad ogni
regola.
Aveva lasciato che la Dea del Destino morisse ed ora aveva usato
un’ arma contro
una divinità. Aveva ucciso un Dio, aveva ucciso il Kaos.
Aveva ucciso suo
padre!
Una luce bianchissima e molto forte
avvolse il pianeta.
Gli Alti. Sono venuti a
prendermi. Sono venuti a punirmi.
“Le regole erano
chiare” una voce profonda si espanse
nell’aria. Kasday stava inginocchiato accanto ai due creatori
senza vita. “Le
regole erano chiare, Equilibrio. Tu non dovevi attaccare. Non dovevi
usare
armi. Non dovevi uccidere!”.
“Non avevo altra scelta. Mi
sono solo difeso. Non potevo
fare altro”.
“No, non è
così! Hai trasgredito alla nostra legge ed ora
devi pagare! L’Equilibrio non esiste
più…”.
“Non è
vero!” esclamò il Dio dalla luce arancio
– dorata,
alzandosi “Io esisto! Ed esisterò per sempre! Nel
cuore di chi crede in me!”.
Siete irati con me? Ebbene,
potevate aiutarmi! Potevate
non costringermi a fare questo! Ora volete distruggermi
perché ho salvato i
miei piccoli? Perché ho protetto chi amavo? Non è
giusto! No! Non deve andare
così!
“Vita! Dio della
Vita!” urlò Kasday, guardando verso il
cielo, dove vedeva gli Alti che si avvicinavano “Dio della
Vita! Dimmi i loro
nomi! Dimmi i nomi della Dea del Destino e del Dio del Kaos! Dimmi i
loro veri
nomi!”.
Il Dio della Vita tremava:
“Che vuoi fare?”,
“Dimmeli!
È un
ordine!”.
Non potendo pronunciarli, per non
farli sentire agli altri,
il Dio della Vita parlò nella mente
dell’Equilibrio, inviandogli i due nomi.
Kasday li percepì chiaramente e sorrise.
Si inginocchiò accanto
alle due divinità distese a terra e
ripeté i loro nomi, i loro veri nomi, a bassa voce.. Una
forza spaventosa lo sollevò
da terra, avvolgendolo. Chiuse gli occhi, combattendo fra due luci. Gli
Alti
tentavano di afferrarlo e di fermarlo.
E adesso? Che cosa mi
succederà? Morirò oppure…
E l’immensa carica magica
lo scaraventò di nuovo verso
terra.
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Capitolo 31 *** XXXI- Redenzione ***
XXXI
REDENZIONE
“Buongiorno,
fiorellino!”.
Una voce metallica salutava
Luciherus, che si risvegliava.
“Non sono morto?”
chiese il Demone, confuso.
“No, non ancora”.
Quella voce…si
chiese il Principe. Quella
voce…dove l’ho già sentita? Il Kaos!
“É stato tutto
un sogno! E che strano sogno…io ora sento la
tua voce, ma ho sognato la tua morte!”. Sogghignò,
ad occhi chiusi. Aprendoli
vide di essere avvolto in lenzuola blu e porpora.
“Questa è una
cosa strana…” si accorse subito che qualcosa
non andava. Se era tutto un sogno, cosa ci facevano i colori
dell’Equilibrio
nel suo letto? “Dove sono e che cosa è
successo?” chiese.
“Sei morto per un
po’…ma ora stai bene. Devi solo
riposare”
l’Arcangelo Rahahel gli stava vicino, sorridendo.
“E tu cosa ci fai qui,
pennuto?!”.
“Non fare il bruto con me!
Ti ho anche curato! Potevo
lasciare che tu morissi! Ingrato…”
incrociò le braccia, offeso.
“Me ne
ricorderò. La prossima volta ti lascerò
morire” di
nuovo la voce del Kaos.
“Dove sono?”
chiese Luciherus, sempre più convinto di avere
i postumi di una sbornia addosso e non le conseguenze di una guerra.
Sto
impazzendo…sento le voci. O forse no? Se il Kaos
è
vivo…allora Kasday è…
Chiuse gli occhi. Non voleva pensaci.
E non voleva pensare
al fatto che, se il Kaos era vivo, era ancora suo schiavo.
“Sei
nel palazzo
dell’Equilibrio” rispose il Guaritore.
“La guerra è
finita?”.
“Sì
e no”.
“In che senso?”.
“É
complicato…”.
La voce del Kaos tornò a
farsi sentire nel buio della
camera: “Rahahel, puoi andare. Lasciaci soli, per favore. Ora
sta bene. Puoi
tornare a casa”.
L’Arcangelo si
inchinò leggermente ed uscì, canticchiando di
buon umore. Quando chiuse la porta dietro di se, la figura nel buio
avanzò. Il
demone respirò lentamente.
Mi hai salvato per ora
torturarmi? Perché Rahy non è
rimasto nella stanza?
“Stai bene? Vuoi un
po’ d’acqua?”.
“Acqua?”
ridacchiò il Principe “Quando mai?!”
“Non vorrai mica
ricominciare subito a bere, vero? Piccolo
stupido…”.
Da quando ti preoccupi per
la mia salute? Ma…quella voce…
“Cugino?”.
“Sì
e no…”.
“Spiegati!”.
La figura andò a sedersi
accanto al demone e venne illuminata
dalla luce rossa: era completamente coperta. Sulla testa era calcato un
pesante
cappuccio, mentre una maschera cremisi celava la parte sinistra del
viso, più
buona parte della fronte, senza fessure per l’occhio di quel
lato. La mano
sinistra era infilata in un guanto di velluto e tutto il corpo era
avvolto in
una veste ampia, che ne nascondeva ogni tratto.
“Fa freddo? Che fai
così imbacuccato? E, soprattutto, sei mio
cugino o sei tu, Kaos, che ti diverti?”. L’unico
occhio che appariva sotto
tutta quella stoffa era azzurro e molto triste. E stanco.
Forse piangeva, e il Kaos non
piangeva mai.
“Cosa ti è
successo, Equilibrio? Perché nascondi il viso? La
guerra l’ha sfigurato?”.
“Alla Dea della Guerra
piacerebbe sfigurarmi. Ma non è
questo il problema”.
“E allora
cos’è?”.
Il Dio sospirò:
“Non voglio mostrartelo. Né a te né a
nessun
altro” si alzò, appoggiandosi al suo bastone.
“Come stanno gli altri?
Vereheveil?”.
Il Dio non rispose.
“Avanti! E
dai…Kasday! Non dirmi che, dopo Ere di unione,
adesso avete litigato! Non ci credo! Allora sei proprio il Kaos che mi
sta
prendendo in giro!”.
“Non mi va di parlare di
questo. Ora riposa. Non immagini
quanta gente ti stia aspettando là fuori,
Satanahel”.
“Satanahel? Solo il Kaos mi
chiama così!”.
Sul ciglio della porta, il padrone di
casa si voltò: “Ah,
sì. Prima di dimenticarmi, Luciherus…sei
libero!”.
“Libero?”.
Il demone non capiva. Libero
da cosa? Starnutì.
“Spero non siano le piume,
Principe!”.
Piume? Le tue? Si
mise a sedere, con la coda a punto
di domanda. Un piuma dorata gli scese sul naso. Alzò lo
sguardo e lanciò
un grido: aveva le ali dorate.
“Sono un
Arcangelo!”.
“Non esattamente. Ora hai
quattro ali: due da demone e due
da angelo. Tua la scelta di quale usare e di che cosa fare della tua
vita. Se
vorrai essere Principe del regno dei Demoni, a me sta bene. Sei libero
di
tornare nel regno degli Angeli, oppure di andartene dove più
ti aggrada. Per
ora sta tua figlia sul trono. Se non vuoi rivendicarlo,
spetterà a lei prendere
il tuo posto. Se vuoi tornare al tuo palazzo, sei libero di farlo.
Lilith è qua
fuori, Erezehimsay la farà entrare, ora che sei sveglio. E
d’ora in poi potrai
dormire tranquillo: niente più incubi!”.
Luciherus ricadde sul letto, sfinito
e sconcertato: “Grazie”
sussurrò.
“Di niente.
Auguri…e figli maschi!”.
Figli maschi? Ma
certo…se la maledizione è tolta…
“Se le corna o altro ti
danno fastidio dimmelo. Posso farti
cambiare come mi pare…”.
“Sto bene così,
cugino. Ma…aspetta…che
cosa…”.
Ma il Dio era già uscito
dalla stanza, chiudendo la porta.
L’Equilibrio
entrò nella propria camera, scostando una
pesante tenda blu oltremare, e si sedette, con la schiena contro il
muro. Era
stanco, stanco di controllare ogni pianeta. Farlo consumava molta della
sua
energia. Piangeva..quante volte lo aveva fatto da quando…
Fuori pioveva, di nuovo. Doveva
smettere, ma lui non ci
riusciva proprio. Si tolse tutte le vesti e si rifletté
negli specchi della
sala. Erano tanti, anche se storti e di forme strane. Si
osservò, con odio.
Gettò la maschera sul
bordo del letto, dove dormiva il suo
nuovo Messaggero, Nosmagiès.
Glielo avevano affidato gli Alti
“Per aiutarti a comunicare
meglio con noi e per aiutare Erezehimsay, che ha già molto
da fare”. In realtà,
lui lo sapeva, era solo per controllarlo.
Invidiava quell’angelo.
Aveva i capelli mossi, lunghi su
tutta la schiena, del colore del rubino: quasi magenta, con degli occhi
grandi
e come la giada. Dormiva placidamente. Probabilmente era lì
da ieri notte,
quando il suo padrone aveva avuto la sua solita crisi isterica e lui
aveva
cercato di calmarlo. Alla fine, era rimasto a vegliarlo nel sonno,
pregando che
non succedesse di nuovo. Il Dio, svegliandosi, non lo aveva neanche
notato.
Quanto lo invidiava!
Era bellissimo, con le ali argento e
il viso dolce.
Lui…invece…
Si guardò allo specchio.
Senza abiti poteva osservarsi
interamente e detestarsi in ogni suo centimetro. Tutto il suo corpo era
diviso
in due. La parte destra non era di molto diversa rispetto al periodo
precedente
alla guerra ma la sinistra…era come l’ebano. Era
come il Kaos! Priva di tratti
sicuri, divideva il suo volto in due metà. Perfino le sue
labbra era divise in
due: metà erano del colore del sangue e l’altra
metà erano lucide e del colore
dell’acciaio. Al centro della fronte, dove una volta
campeggiava il simbolo
dell’Equilibrio, ora stava un occhio, viola. I capelli erano
per metà come era
abituato: lisci, lunghi ed ordinati. L’altra metà
era invece come la
capigliatura di suo padre: fumosi e libranti a mezz’aria. Al
centro poteva
scorgere un ciuffo, che formava una piccola treccia: verde scuro.
Nessun
dettaglio poteva indicare se era maschio o femmina. In nessun modo
poteva, ora,
avere rapporti fisici. Si strinse con le braccia, graffiandosi con
quella mano
nera, così affilata e fredda. L’occhio destro era
rimasto il suo di sempre, ed
era l’unico che versava lacrime. Quello di sinistra era senza
pupilla e
contorno dell’iride: era completamente azzurro.
Afferrò con le mani le due
sferette che continuavano incessantemente a ruotargli attorno alla
testa. Fece
un passo indietro e la gamba gli inviò un chiaro segnale:
finiscila, sono
stanca. Faceva male.
“Mi spiace che tu sia
zoppo, figlio mio!”.
“Taci,
falso!”.
Lanciò le sferette contro
lo specchio che aveva di fronte,
mandandolo in mille pezzi: si ricostruì immediatamente.
Quante volte aveva
infranto quella superficie riflettente! Lanciò un grido,
stringendosi la testa,
e tornò a sedersi a terra.
Il nuovo Messaggero si
svegliò di soprassalto, allarmato dal
forte rumore.
“Signore!”
urlò, spaventato “State bene?”.
“No! Certo che
no!”.
L’angelo scese dal letto,
avvolto da una veste turchese, ed
andò accanto al suo Dio: “Ricordate che
è solo una questione momentanea. Tutto
questo passerà non appena le essenze degli altri creatori
troveranno un corpo
in cui rinascere!”.
Il Dio non rispose. Si guardava le
mani.
“Smettete di piangere!
Fuori piove incessantemente da
tantissimo tempo perché voi piangete! Non lo
fate!”.
“Lasciami stare”.
Il Dio si scansò.
Una voce femminile parlò,
senza che lui muovesse la bocca: “Sei
fortunato, Equilibrio. Guardati! Hai delle labbra stupende, senza
bisogno del
trucco. Gli occhi sono i più belli che esistano e i
capelli…”. La mano destra
iniziò a pettinarli: “Se solo tuo padre li tenesse
un po’ in ordine!”.
“La
finiamo con
questi discorsi da finocchi? Ti ricordo che è un maschio,
non un invertito!”
tuonò una voce ferruginosa.
“A dirla
tutta…sono metà femmina.
Siamo…” aveva parlato di
nuovo l’Equilibrio, con la voce
mista
fra il maschile ed i femminile “E, sinceramente, se devo
scegliere…”.
“Non lo dire!”
esclamò, di nuovo, la voce profonda.
Era brutto avere
quell’aspetto, sentire tre voci diverse
provenire da sé, ed avere una di queste voci che insisteva
per vedersi di
continuo allo specchio.
Covava ancora rabbia dentro di
sé.
“Và fuori, per
cortesia, mio Messaggero”.
Nosmagiès
obbedì, chinando il capo, ed uscì dal palazzo,
coprendosi dalla pioggia con un
telo.
Una notte il Dio stava steso sul
letto, da solo, chiudendo
tutti e tre gli occhi e sprofondando con la testa nel cuscino. Il suo
giaciglio
era così grande da permettergli di tenere le ali
completamente aperte.
La voce della Dea del Destino
continuava a discutere con
quella del Kaos nella sua testa.
“Basta!”
supplicò. Voleva solo silenzio.
Il
suo Messaggero
urlò: “Fermi! Non potete entrare! Tornate
qui!”.
“Fa silenzio e levati,
microbo!” parlò la voce della Dea
della Guerra.
Sentì un’
esplosione. Evidentemente aveva fatto scoppiare la
porta. Passi pesanti si avvicinarono velocemente e la tenda
all’ingresso della
sua camera bruciò, in fiamme a causa del Dio del Sole. Il
padrone di casa si
alzò a sedere, avvolgendosi, d’istinto, nella
coperta e guardando l’ingresso.
Ringhiò agli intrusi: “Come osate? Io, forse,
entro così a casa vostra?”.
La Dea della Guerra lo guardava, con
un’ espressione
confusa: “Figlio mio?”.
“Mamma…”
rispose lui, con la sua voce.
“Marito
mio!”
continuò la Guerra.
“Moglie…”
fu la risposta, questa volta con la voce del Kaos.
Vereheveil, che era entrato per
ultimo, osservava l’occhio
viola che aveva aperto al centro della fronte.
“Destino!”
sussurrò.
“Sì, Dio delle
Letterature” la voce, sta volta, era quella
femminile della Dea.
“Per tutte le luci del
cielo…com’è potuto
succedere?”
domandò il Dio del Sole, guardando la figura che stava sul
letto.
“Che avete fatto al mio
Messaggero? Avevo dato ordine di non
far entrare nessuno…”.
“Niente di che, tranquillo.
È solo legato ed imbavagliato
nella stanza di là!”.
“Cosa ci fate
qui?” sibilò il Dio seduto, che tentava invano
di celare il suo aspetto ai presenti, soprattutto a Vereheveil.
“Luciherus è
uscito, dopo una convalescenza lunga, e ci ha
detto di averti visto. Ci ha detto che sembravi triste e che avevi dei
problemi. Non potevo sopportarlo e sono venuto qui!” si
giustificò il Dio delle
Letterature.
“Io,
invece…” parlò il Dio del Sole
“…sono qui perché, se
non ti dispiace, vorrei fare il mio lavoro anche su questo pianeta. Ma,
da
quando è finita la guerra, non fa altro che piovere. E so
che è colpa tua…”.
Il creatore abbassò lo
sguardo.
“Io glielo avevo detto di
smettere di piangere e di fare
l’uomo…ma lui
mai che mi ascolti!” parlò
il Kaos.
“Ti ascolto anche
troppo!” gracchiò l’Equilibrio.
La divinità della Guerra
si avvicinò al letto: “Tu sei mio
figlio..e mio marito? Come convivono due voci dentro di te?”.
“Due? Veramente sono
tre…”.
“Il Dio
triplice!” sussultò Erezehimsay, corso nella
stanza
a sua volta.
“Non dire
cazzate!” esclamò la voce del Kaos
“Questa è solo
una situazione temporanea! E poi…non dirmi che alla tua
età credi alle
storielline sul Dio triplice!?”.
Calò il silenzio.
“Il mio ruolo”
parlò l’Equilibrio “È quello
di mantenere in
vita le essenze degli altri due creatori, in attesa che nascano delle
divinità
con i loro ruoli. Purtroppo, nonostante sia creatore, non posso
plasmare degli
Dèi come me. Solo gli Alti possono. A lungo ho pregato
affinché venissero al
mondo nuove divinità del Kaos e del Destino, ma a nulla
è servito. Come sempre,
non mi hanno ascoltato”.
“Ma
com’è potuto accadere?”
domandò di nuovo il Dio del
Sole.
“Ho chiamato i loro veri
nomi. E loro sono entrati in me.
Ora siamo in tre, in un corpo solo. L’Equilibrio, la
personalità dominante e
con maggior potere, il Kaos e il Destino. Ho tutte le loro
capacità e
difetti…il problema è che parlano di continuo.
Anche se, ultimamente, hanno
smesso di litigare, riuscendo a leggere i pensieri l’uno
dell’altro hanno, in
parte, capito le ragioni dell’avversario”.
“Come mai non esci da
questo luogo?” domandò Vereheveil.
“Perché?
Innanzi
tutto perché, a volte, non riesco a controllare del tutto le
diverse
personalità. Chiedete a quel povero Messaggero. Quante volte
ho perso
completamente la ragione! Senza contare che dormo molto a causa del
super
lavoro di controllo dei tre Universi che mi tocca fare. E
poi…non volevo che tu
mi vedessi così. Non volevo che qualcuno mi vedesse con
questo aspetto. Volevo
aspettare che tutto passasse, per poi tornare alla mia vita. Con te e
nostro
figlio”.
La Dea della Guerra lo
abbracciò: “Amor mio! Non puoi uscire
da questo corpo?”.
La voce del Kaos tornò a
farsi sentire: “Certo. Ma solo per
un tempo limitato. E, comunque, sarei con le braccia incatenate al
polso
sinistro di mio figlio. Come una qualsiasi essenza, resisterei poco
senza un
corpo. Abbiamo provato…ma dopo poche ore io, anima, perdevo
consistenza e lui,
corpo ospitante, si indeboliva con me. Poche
ore…cos’è un ora per un Dio? Poco
più di un battito di ciglia. Non vale la pena di rischiare
di scomparire per
sempre, senza possibilità di rinascita, per un tempo
così esiguo!”.
La Dea lo baciò, con gli
occhi lucidi.
Sto baciando mia madre!
L’Equilibrio avvertiva
quanto forte fosse il sentimento che
univa i suoi genitori e appoggiò la testa alla spalla della
Guerra, senza
opporre resistenza.
“Non mi odi, madre e moglie
mia, per quello che ho fatto?”.
“E come potrei? Ho tanto
pianto, temendo di avervi persi, ed
invece siete qui! Entrambi!”. Vereheveil prese coraggio e si
sedette al alto
opposto, abbracciandolo a sua volta.
“Perché non mi
hai detto di te e del Destino?” sussurrò
l’Equilibrio.
La Guerra si alzò.
Vereheveil pareva
triste, ma l’Ordine
sorrise: “Tanto…siamo entrambi qui!”
e si baciarono.
Anche il terzo occhio, viola, si
chiuse e il Kaos
non disse nulla, avvertendo lo stesso
sentimento che lo legava alla moglie.
“Scusami, Dio del Sole, se
faccio sempre piovere. Ma
sono…abbattuto. Speravo che il mio futuro sarebbe stato
diverso e invece…” sospirò
“Sono imprigionato in un corpo che non mi
permette di amare, né di dare vita. È
tremendamente triste…”.
“Ma tu sei un creatore!
Anzi…sei tre creatori in uno! Avrai
di certo altri modi
per donare
l’esistenza!” obbiettò il Dio del Sole,
con un sorriso.
“Già…immagino
sia così…” non sembrava molto convinto
“Mi sei
mancato, Vereheveil. Volevo solo rivedere te ed il piccolo
ma…come può reagire
mio figlio vedendomi così? E come reagisci tu
all’idea che mai più nulla sarà
come prima? Fino a quando le essenze dei creatori non troveranno il
loro nuovo
corpo, saranno sempre qui, dentro me, e non…”.
“Non importa. Sono ancora
un angelo, in fondo. Non ho
bisogno di altro all’infuori della tua voce e della certezza
che stai bene. Non
avendo più tue notizie, ci eravamo tutti preoccupati.
Temevamo che fossi stato
portato via dagli Alti o che ti fosse successo qualcosa di
peggio…il Pianeta, a
volte, era senza controllo…”.
“Scusami.
Scusatemi”.
“E adesso alzati da
lì ed esci! La gente fuori ti aspetta!
Così come i tuoi figli, gli Dèi, bambini e no, e
molti altri. Muoviti!” gli
ordinò il Dio delle Letterature.
“Andate a liberare il mio
Messaggero…” iniziò a parlare il
padrone di casa.
Erezehimsay obbedì alle
richieste e, dopo qualche attimo, il
Messaggero degli Alti apparve, protestando vivacemente contro tutti i
presenti.
Guardò il suo signore: “Che maleducati! Capisco
siano vostri amici, ma…”.
Il Dio creatore sorrise, con la testa
sulle ginocchia: “Mio
Messaggero…io voglio uscire da qui!”.
L’angelo era raggiante, e cambiò
espressione di colpo. Corse al bordo del letto, porgendo una veste
variopinta
al suo padrone ,che la indossò. Quando il suo capo fu in
piedi, il nuovo
Messaggero si inchinò e gli baciò la mano.
“Che notizia lieta, mio
Dio!”.
“Alzati subito!”
gli ordinò l’Equilibrio. Poi guardò
Erezehimsay: “Va là fuori, Messaggero
dell’Ordine, e dì loro che io sono qui,
sto bene…e credo che sia il caso che veda un po’
la luce del Sole!”.
Il Dio degli Astri e dei fuochi
uscì, illuminando il cielo
con la stella del Pianeta: dopo tanto aveva smesso di piovere. Kasday
indossò
una collana a due colori, bianco e nero. Brillava. Era particolarmente
utile
quando una delle due essenze estranee si allontanava. Bastava vedere
quel
ciondolo per sapere se stava bene o se si stava spegnendo, come la luce
del
gioiello.
Raccolse i capelli come poteva, la
parte del Kaos si agitava
a vanvera per aria, e poi uscì, accompagnato dalla Dea della
Guerra e da
Vereheveil.
Fuori la gente danzava. Fuori la
gente festeggiava. Erano
finiti i conflitti, c’era di nuovo bel tempo e il loro
creatore stava bene. Uscito
dalla porta, il Dio del Pianeta si coprì il viso, non
abituato alla luce. Preferiva
stare al buio nelle sue stanze, per non vedersi più di
tanto. Uscì e tutti si
fermarono, guardandolo. L’Equilibrio temeva quel momento ma,
invece di sentire
i commenti e le reazioni che si aspettava, avvertì la gioia
dei presenti.
“Siete la
divinità più bella degli Universi!” si
sentì dire.
Io? Una divinità
bella?
Stupito da questo, si
arrestò sulla collina. Si voltò verso
l’ingresso, dove aveva fatto mettere due specchi a lato della
porta,
momentaneamente assente a causa dell’esplosione provocata
dalla Dea della
Guerra. Si specchiò e sussultò. Su quella
superficie, incastonata in un occhio
di pietra, la sua pelle, nel lato oscuro, splendeva tantissimo,
riflettendo i
raggi del Sole.
I capelli si erano sciolti e si
libravano in aria, gli occhi
erano sfavillanti di luce azzurra e viola,
i bracciali, che aveva indossato, tintinnavano al ritmo
dei suoi
movimenti.
Sentendo la musica, iniziò
a danzare, come non faceva da
tempo, sospeso a mezz’aria, evitando così di
sentire il dolore alla gamba.
È solo una
situazione di passaggio. Presto tornerai
quello che eri. Per ora…accetta ciò che sei!
Si disse, cantando con tre toni
diversi. Si accorse che
anche suo padre aveva una bella voce, quasi dolce, quando voleva.
Aprì le
braccia verso il cielo.
È tutto finito?
No…non ancora.
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Capitolo 32 *** XXXII- Ricominciare ***
XXXII
RICOMINCIARE
L’Equilibrio
sbadigliò. Guardava fuori, annoiato. Vide passare
il Dio dell’inverno, da solo. Significava che la primavera
era ancora lontana,
perché questa iniziava solo quando quel Dio e la Dea
dell’estate si
avvicinavano. Era notte fonda e fuori splendevano tutte le stelle.
Com’era
diversa quella notte rispetto a quella in cui era nato! Canticchiava
per i
corridoi del suo palazzo con le mani in tasca. Era di buon umore,
abbastanza
rilassato da essere quasi in procinto di fare le fusa.
Buttò l’occhio
nella sua camera, dove era assopito
Vereheveil. Vide l’inarcarsi della sua spina dorsale e
l’attaccatura delle ali
nere. Il suo respiro regolare faceva ondeggiare le penne che gli
partivano dal
dorso. Pensò a quanto bello fosse il contatto fra la sua e
la propria pelle.
Il nero del lato sinistro del Dio
dell’Ordine era
particolarmente sensibile ed era stranamente liscio e freddo, come un
metallo o
un vetro, e fremeva al contatto con le piume oscure e morbide
dell’angelo delle
Letterature. Pensò a quanto fosse piacevole
l’incontro fra le loro labbra ed il
loro petto, stretti in un abbraccio ed in un bacio che pregavano sempre
non
finissero mai.
Quando tempo era passato? Non lo
sapeva nemmeno lui.
Si guardava allo specchio e cercava
di ricordare come era
stato una volta, senza riuscirci del tutto. Respirava l’aria
limpida della notte,
sorridendo alle stelle. Vide suo figlio, Kavahel, passare da una stanza
all’altra.
“Giovanotto! Cosa fai
sveglio a quest’ora?”.
Il bambino sorrise:
“Niente! Volevo giocare!”.
Kasday gli fece segno di uscire
all’aperto e si sedettero sull’erba.
Era alto come una delle gambe del genitore e lo guardava con immensi occhi dorati,
avvolto in un mantello
rosso.
Danzava al ritmo di una musica che si
cantava nella testa e
l’Equilibrio sorrise nell’osservarlo.
“Sai,
papà? Oggi
succederà qualcosa di speciale!”.
“Cerchi di anticiparmi? Ti
ricordo che io governo anche il
destino!”.
“Sì, ma io
controllo te! Ricordi cosa hanno detto gli Alti?
Quando tutto finirà, resterò io, io soltanto. Io
sarò più potente di te!”.
“Sarai! Per ora stai a
terra, piccoletto!”.
Risero assieme. Kasday non aveva
capito le parole di quella
profezia. Alla fine di tutto?
Si sosteneva che alla fine ci fosse
sempre il Kaos, ma evidentemente
non era così.
Suo figlio aveva l’essenza
necessaria per controllare lui,
Dio triplice, e la sua eventuale caduta.
Ora
era tranquillo, non
sentiva più le voci nella testa degli altri due creatori.
Avvertiva ed usava i
loro poteri e le loro facoltà senza problemi. Era calmo, in
perfetto
equilibrio.
Quello che doveva impedire, era che
nascessero un altro Kaos
ed un altro Destino. In questo caso l’ordine si sarebbe
infranto e sarebbero
stati guai. Specie ora che le essenze estranee si erano fuse, con il
tempo,
alla sua, divenendo una sola: indivisibile. Sbadigliò,
annoiato dal silenzio.
“Oggi è
l’ultimo giorno dell’anno”
esclamò il bambino.
“Ah sì? Solo
altri attimi in più. Cosa vuoi che sia un anno
in più…di fronte
all’eternità?”.
“É vero che tu
sei vecchio di Ere, papà?”.
“Vecchio? Io non sono
vecchio! Ce ne sono molti più anziani di
me!”.
Kavahel lo guardava dubbioso:
“Chi, per esempio?”.
“Lui!” rispose
l’Equilibrio, indicando il Dio del Tempo, che
stava risalendo la collina su cui loro due stavano e su cui sorgeva il
palazzo.
Il Tempo salutò il
piccolo, che gli corse incontro.
“Cosa
ti porta qui?”
chiese il padrone di casa.
“Niente. Ma mi han detto
che un uovo potrebbe schiudersi
questa notte, ed io ero curioso di assistere a questa cosa”.
“Sì,
sì, è vero! È l’uovo del mio
fratellino che stanotte si
schiuderà!”.
Kasday fece una smorfia.
“Non è detto che
sia stanotte…ma se vuoi stare qui nel
frattempo…”.
Il Dio del Tempo entrò nel
palazzo, con entusiasmo. Il Dio
bambino rimase all’esterno, giocando con le creature dei
genitori: il gatto blu
e cremisi ed il gufo dagli occhi dorati.
I due adulti presero posto nella
stanza dei ricevimenti. Il
Tempo tornò a concentrarsi sulla pendola che scandiva i
secondi con precisione
impeccabile.
“C’è
più disordine rispetto a quando sono stato qui
l’ultima
volta…” fece notare l’ospite.
“Chissà
perché!” rispose, sarcastico,
l’Equilibrio,
lasciandosi cadere pesantemente su una sedia. “Sei
nervoso?” chiese il Tempo.
“Dovrei?”.
“Forse. È pur
sempre una nuova vita…”.
“È un
uovo…non può succedergli niente di
male!”.
“Sarà…”.
“Una cosa mi preoccupa,
però…”.
“Parla, piccolo”.
Piccolo?
“Non riesco a vedere il suo
futuro. Non riesco a scorgere
cosa nascerà. Cosa strana…devono essere gli Alti
che hanno deciso di
interferire, perché i miei poteri sono limitati nei
confronti della mia
creatura”.
“Credo sia il motivo per
cui la Dea del Destino non aveva
figli. Non le davano il permesso di avere controllo su di loro e quindi
ha
preferito non averne”.
“Che motivo
stupido…” disse l’Equilibrio,
sorseggiando un
liquore rosso e reggendosi la testa con la mano.
“O, forse, gli Alti non
vogliono farti sapere che da
quell’uovo nascerà un mostro gigantesco e deforme
che ti mangerà!” ironizzò il
Dio del Tempo.
“Ma vaffanculo!”
sibilò Kasday, non trovando
per niente la cosa divertente.
“Scherzavo! Sono sicuro che
sarà bellissimo! É sempre tuo e
di Vereheveil, come Kavahel?”.
Il padrone di casa annuì:
“Sì, è nostro. Ma sono un po’
inquietato dall’idea che è il primo figlio che
ho…in questo stato!” rispose,
indicando se stesso con l’agitare delle dita affilate della
mano sinistra. “Non
so cosa aspettarmi. Forse è stato un errore decidere di
avere un altro
figlio…se gli Alti mi hanno dato questo corpo, incapace di
amare allora, forse,
non dovevamo…”.
“È il cuore che ama,
non il corpo!” lo interruppe il Tempo.
L’ospite sorrideva,
camminando per la stanza con il
suo pendolo.
“Tu non hai famiglia,
Tempo?”.
“Io? Certo. Avevo una
moglie”.
“Avevi?”.
“Sì, non lo sai?
La tua testa non ti dice nulla?”.
La mia testa? Cosa dovrebbe
dirmi?
“Figli? Ne hai?”.
“No. La donna che amavo non
ha mai voluto averne. Ed io
stavo bene così”.
“Cos’è
successo? Perché parli al passato? È fra gli
Alti?”.
“Più o meno. Ad
ogni modo…la nostra storia era terminata da
secoli. Lei preferiva altre compagnie…”.
“Mi
dispiace…”.
“Una parte di te non lo
pensa davvero”.
È vero.
È come se qualcosa dentro di me mi dicesse che
non mi devo rattristare per il destino di…il destino?
“Eri il compagno della Dea
del Destino?!”.
Il Tempo fermò il suo
pendolo. I secondi dell’orologio non
avanzarono più.
“Che reazione, amico mio!
L’hai detto tu che era acqua
passata…roba vecchia! E, ad ogni modo, perché non
me lo hai mai detto?”.
Il Dio con i capelli pettinati ad
otto teneva stretto il
pendolino nel pugno, senza farlo oscillare:
“Perché mi faceva innervosire solo
il pensiero…sai che significa dover fare questo movimento
insulso ogni secondo,
senza mai fermarsi, per l’eternità?
L’unica consolazione e diversivo che potevo
avere era la mia bellissima Dea. Ma poi…te la ritrovi da
sola, in camera, con il
Dio delle Letterature che le legge una favola! E la senti accusare,
ogni volta,
che nessuno le vuole bene e che nessuno viene a trovarla, se non per
motivi
burocratici. Tu la perdoneresti?”.
“Ti ricordo che il Dio
delle Letterature che legge le favole
è Vereheveil, l’angelo con cui sto per avere il
secondo figlio. È la vita…”.
Non aveva mai visto, prima di ora, il
Tempo arrabbiato o
scosso in qualche modo: era sempre imperturbabile e tranquillo.
“Devo dirti una cosa,
assolutamente!” esclamò il Dio delle
Ere, girandosi verso Kasday e guardando il suo occhio viola.
“Ok..dimmi”
balbettò questi, sconcertato.
“Stronza!”
sibilò il Tempo “Io ero il Dio più
paziente di
tutti gli Universi e tu ne hai approfittato!”.
“Và bene…adesso basta! Non
stimolarla ulteriormente. Non voglio sentire la sua voce ancora nella
testa,
ora che stanno in silenzio i due litiganti, dopo tanti secoli di
insulti e
chiacchiere. E, per l’amor degli Alti, non fate la pace! Non
sopporterei l’idea
di baciarti…”.
Il Tempo si mise a ridere:
“Santi Dèi! Che pensiero
raccapricciante! Da chi hai preso il senso dell’umorismo? Da
tuo padre e da tua
madre no di certo!”.
“Forse dallo
zio…”.
L’ospite
ridacchiò e
fece ripartire il pendolo: “Grazie, Kasday. Non sai quanto mi
abbiano fatto
bene queste poche frasi fra noi!”.
L’Equilibrio
alzò le spalle, come a voler dire: non so se
sei pazzo oppure no, ma se basta così poco a farti
felice…
“Tu non sei mai venuto a
trovarmi nel mio pianeta, per paura
del mio terzo occhio viola?!”.
“Volevo essere sicuro di
non dover sentire la voce di
quella…”.
“Non spaccare la faccia di
Vereheveil, se ti capita di
vederlo. Ci tengo al suo bel visino”.
I due si misero a ridere, pur non
capendo perché lo
facessero.
“Dicevano
che pregavi
affinché la tua situazione cambiasse presto. Invece, ora, mi
sembri tranquillo”
iniziò a parlare il Tempo, cambiando argomento.
“Ora sto bene. Non ho
più voci nella testa che mi insultano
e borbottano di continuo. È scocciante essere mio padre
ma…ci si abitua a
tutto, pian piano! Ho imparato ad accettare quello che sono e le mie
responsabilità, gestendo i miei poteri. Sono felice. Non
potrei chiedere altro,
ora che fra me e Vereheveil è di nuovo tutto
sottocontrollo”.
“É davvero
così dolce?”.
L’Equilibrio
guardò il Tempo, senza capire.
“Vereheveil
intendo.
É davvero così dolce come lei mi ha
detto?”.
Kasday non rispose. Aprì
la bocca e la richiuse, non sapendo
che dire.
“Lei
mi accusò di
essere freddo, calcolatore, troppo preciso e fiscale. Monotono e
prevedibile.
Ma, cazzo, donna! Sono il Tempo! Cosa pretendi?! Che saltelli di qua e
di là
scombinando lo scorrere delle ore?”.
L’Ordine
continuò a non parlare. Il Dio con il pendolo si
ricompose e sospirò. Si sedette, con lo sguardo perso nel
nulla. L’Equilibrio
intravide il Dio della Vita. Si alzò in piedi,
giocherellando con la sfera
della Dea del Destino. La faceva correre, con la mente, fra le gambe
delle
sedie e del tavolo, per poi farla arrivare ad un mucchietto di
giocattoli di
Kavahel messi in pila, che abbatté. Esultò,
alzando le braccia al cielo.
“Sei peggio dei
bambini…” gli disse il Tempo, che si
sistemava il boccolo verticale dei suoi capelli.
“Vuoi una mano?”
domandò divertito il padrone di casa,
mentre iniziava a fare dei palleggi con la sfera.
“Non mi serve, grazie.
Avevo questo taglio di capelli quando
ancora il tuo maestro, il vecchio Equilibrio, si disperava
perché le piante del
suo giardino crescevano con un busto a 88 gradi rispetto al terreno e
non a 90!
E sta attento a quella palla! Se cade, si disintegra in migliaia di
pezzi.
Voglio proprio vederti a rimettere assieme tutti i vetrini! Uno ad
uno…”.
Si mise a ridere, mentre
l’Ordine faceva giravolte e giochetti
con la sfera fra i piedi. Poi la ripose, soddisfatto di aver fatto
cretinate a
sufficienza per quel giorno.
“Ah, sì. Buon
anno, Kasday!”.
La divinità triplice non
rispose.
Cos’era un anno in
più? Perché festeggiarlo? Per quale
motivo tutti ci tengono a ricordarmi che un altro, stupidissimo, anno
sta per
passare? Sospirò.
Il suo nuovo Messaggero,
Nosmagiès, apparve felice e ripose
con cura la sfera di cristallo nel giusto posto. Erezehimsay lo
osservava,
controllandone i movimenti. Poi entrambi se ne andarono, alla ricerca
di
Kavahel. Il bambino li vide ed iniziarono a rincorrersi, mentre la luce
del Sole
entrò dalla porta.
Ma è notte!
Era il Dio del Sole a portare quella
luce.
“Cosa fai anche tu
qui?”.
“Voci di
corridoio” rispose il Dio del Sole, tenendo
per mano la figlia,
che assomigliava
tantissimo alla Dea dei Satelliti.
“Party di
capodanno?” domandò l’Equilibrio e
scoppiò di
nuovo a ridere, forse un po’ brillo.
Era
dalla mattina
presto che beveva per scacciare molti pensieri scomodi.
Vereheveil corse lungo il corridoio:
“L’uovo! Si sta aprendo
l’uovo!” esclamò con gioia.
“Te lo avevo detto che
nasceva stanotte!” affermò il Dio con
il pendolo.
L’Equilibrio
sbirciò fuori dalla stanza, in attesa: non
voleva entrare a guardare. Forse era un po’ turbato dalle
frasi che gli aveva
detto il Tempo.
E se avesse ragione? E se
nascesse un mostro o un
qualcosa di anomalo? Sarebbe solo colpa dei miei geni mutanti ed
insoliti.
Scese il silenzio, mentre i minuti
scorrevano. L’Equilibrio
si pettinava nervosamente, girava gli occhi e contorceva le mani.
Suonò la
mezzanotte: cominciò il nuovo anno. cominciò una
nuova Era!
Ed al dodicesimo rintocco
entrò il Dio della Vita, raggiante
e sereno. Dietro di lui, ecco arrivare Vereheveil, soddisfatto ed
orgoglioso. Teneva
fra le braccia due gemelli, un maschio ed una femmina.
Kasday spalancò gli occhi.
La femmina portava sulla fronte il
simbolo del Kaos, il
maschio quello del Destino.
FINE
Siamo giunti alla fine. In
realtà questa storia prosegue con altri due volumi, che non
so ancora se caricherò. Vedremo che ne pensate! Per ora,
grazie di essere giunti fino a qui
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