I poteri del tetraedro

di Pervinca95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1 


























Il cielo appariva come un quadro di un pittore che aveva ricoperto la tela di sfumature calde e rassicuranti. 
Il rosso faceva da padrone all'intera volta celeste, mentre al di sopra danzavano frustate di colori secondari e terziari. Ma senza alcuna logica, dando così l'impressione di un'opera incompleta. 
Nonostante la loro sequenza disordinata, quei colori donavano a Gea Hush un senso di pace interiore mai saggiato prima. Li trovava perfetti, come se ogni gradazione fosse stata meticolosamente elaborata perché non stonasse.
Mentre percorreva la strada, al margine di un giardino rigoglioso, sentì gli angoli delle labbra incresparsi in un sorriso estasiato. 
Non riusciva nemmeno lei stessa a comprendere da dove provenisse quella gioia che percepiva divamparle nel corpo. Sapeva solo che le metteva in fibrillazione ogni molecola. 
Alcuni raggi caldi le sfiorarono la pelle col tocco delicato di una carezza. Per un attimo chiuse le palpebre ed inspirò a pieni polmoni per abbandonarsi a quella piacevolezza. 
Si sentiva parte della natura, in perfetta simbiosi. Come se l'avesse potuta governare, come se l'avesse potuta ascoltare col corpo. 
Un alito di vento le smosse dolcemente i lunghi capelli, s'insinuò tra le fessure del suo giubbotto di pelle.
Una forte emozione le si espanse nel cuore. Strisciò lenta sulla sua pancia, trasmettendole la sensazione di avere le farfalle nello stomaco. E poi, come una nube di vapore, risalì fino agli occhi, per un attimo le appannò la vista come se ciò servisse a ripulirli di un velo ostruente.   
Di colpo arrestò il passo, s'irrigidì come una statua. 
Aveva avuto una visione o i suoi occhi erano appena riusciti a mettere a fuoco una minuscola gemma sul ramo di un pesco che si trovava a circa un chilometro di distanza? 
No, non era possibile. Si era sicuramente sbagliata.
Sbatté rapidamente le palpebre, confusa. 
Subito dopo riprese a camminare tenendo la testa bassa, evitando di guardare nella direzione di quell'albero. Magari aveva solo bisogno di riposare; di certo la sua idea di andare a studiare in biblioteca dopo sei sfiancanti ore di scuola non era stata tra le più brillanti. Tornare a casa e mangiare un boccone l'avrebbe certamente aiutata a rilassarsi. Poi si sarebbe distesa sul divano ed avrebbe guardato qualche film d'azione fin quando il peso della stanchezza non l'avrebbe costretta a rifugiarsi sotto le coperte.
La sua serata era già programmata. 
Con la discesa del sole dietro l'orizzonte, le sue spalle vennero percorse da un fremito. 
Gea si decise a sollevare la testa mentre lo sfondo caldo veniva sostituito dal colore freddo della notte. Le stelle si affrettavano a ricoprire il cielo coi loro mille sfavillii, ricordandole delle lucciole rimaste incollate al soffitto celeste. 
Inspirò a fondo l'aria fresca ed emise un lungo sospiro che le svuotò i polmoni. 
La sensazione di serenità che aveva provato era svanita insieme alla visione della gemma. Adesso le sembrava quasi di avvertire il peso degli occhi di qualcuno addosso. 
Per debellare ogni dubbio, lanciò una rapida occhiata alle spalle. La strada era vuota. Non un'anima. 
Scosse la testa, dandosi della sciocca per quell'assurdo pensiero, e svoltò in un'altra via, più stretta e buia. La percorse stringendosi nel giubbotto di pelle, poi accelerò il passo per curvare in una nuova strada simile alla precedente. 
Gli alberi sporgenti dai piccoli giardini recintati di alcune abitazioni smossero l'aria con deboli fruscii. Le sue orecchie trasformarono quei suoni in ululati grotteschi. 
Dei brividi gelidi le scesero lungo la spina dorsale, le mani presero a sudarle.
Non aveva mai avuto così tanta paura di camminare da sola al buio. Per quanto conoscesse bene ognuna di quelle vie, in quel momento le apparivano estranee. 
C'era qualcosa, quella pressante sensazione di essere osservata, che le rendeva alieno tutto ciò che un tempo era familiare. E lei si sentiva quasi inghiottire da quelle strade cupe, da quegli alberi che gridavano. 
La luce di un lampione si affievolì improvvisamente, per poi rianimarsi con la medesima velocità non appena il suo sguardo impaurito si posò su di esso. 
Un nuovo brivido le percosse la schiena. Perché non era possibile che fosse stata lei. Era solo una coincidenza, solo una sciocca ed assurda coincidenza. 
Ripiombò con gli occhi sulla strada e deviò ancora, prima di trovarsi di fronte a casa sua. Estrasse le chiavi in tutta fretta, maledicendo quella che le serviva e che non riusciva a trovare. Aprì la porta centrale dello stretto condominio e salì rapidamente le scale. 
Quell'angosciante presentimento era ancora lì, pesante sulle spalle; eppure nessuno l'aveva seguita, ne era sicura. Altrimenti avrebbe sentito i passi del suo inseguitore, o lo avrebbe visto nel momento in cui si era girata verso il lampione.
Entrò dentro casa con una furia che non pensava di possedere. Sigillò la porta con più mandate, accese la luce e lanciò le chiavi sul tavolino a muro dell'ingresso. 
Tutta quella storia era assurda. Era il primo anno che viveva da sola, ma non aveva mai temuto la solitudine. Invece, adesso, la consapevolezza di dover passare la notte per conto proprio la terrorizzava. Il buio era diventato un nemico, e lei aveva la folle paura che potesse risucchiarla tra i suoi tentacoli invisibili. 
Si tolse il giubbotto, colpita da un'asfissiante ondata di calore, e lo gettò sul divano con noncuranza. 
Aveva bisogno di acqua. Sì, un disperato bisogno di bere. 
Corse in cucina e si riempì due volte il bicchiere, poi passò una mano fra i lunghi capelli ondulati e notò che la sua fronte era cosparsa di gocce di sudore.
Da quando faceva così caldo? Era primavera, ma il clima non era già rovente come d'estate. 
La ragazza sbuffò rumorosamente, la mente invasa di dubbi, e si avviò alla camera, intenzionata a rilassarsi e a dimenticare tutte quelle stranezze. 
Aprì la porta e dopo una breve corsa si lanciò sul letto facendo cigolare le molle. Espirò pesantemente, chiuse gli occhi e poco dopo si ritrovò a volteggiare in un altro mondo: quello dei sogni.




                                                                        * * *




Un braccio sconosciuto si allungò verso di lei. 
Gea arretrò spaventata e la sua schiena si scontrò contro qualcosa di duro e solido. Volse la testa per controllare di cosa si trattasse, il respiro corto e gli occhi sbarrati dal terrore. Si trattava del tronco di un imponente albero. Un pesco. 
Nonostante fosse buio riusciva a scorgere il colore rosato dei suoi fiori. Ed immediatamente il suo sguardo venne catturato da una piccola gemma su un esile ramo più interno rispetto agli altri. 
Le sue pupille si dilatarono ed il corpo le venne scosso da un brivido. Era quell'albero. Il pesco che aveva visto quella stessa sera. 
La pelle della schiena cominciò a formicolarle a contatto con la fresca corteccia mentre un'irradiante energia le dilagava nel petto. 
<< La senti, non è vero? >> le chiese una voce profonda proveniente dall'oscurità. 
Gea alzò la testa spaventata. Di scatto posò gli occhi su una zona di terra. Essa scoppiò in un lieve boato. Il terriccio umido volò per metri e metri di altezza, successivamente ricadde con un tonfo sordo. 
La ragazza rimase impietrita di fronte a quello spettacolo spaventoso. Una goccia di sudore freddo le scivolò lungo la guancia.
<< Tutto qui quello che sai fare? >> La voce di prima si rifece sentire, stavolta con una nota di scherno a colorarla. 
<< Chi sei? >> domandò affannata Gea, guardando a destra e a sinistra per poter scorgere la figura nell'oscurità. 
<< Non è questa la domanda del secolo. >> Il divertimento nel tono di colui che parlava le appariva mostruoso.
<< E quale sarebbe? >> La voce della ragazza si fece più alta e squillante. Odiava sentirsi minacciata, ma quella figura nascosta emanava delle vibrazioni così oscure e misteriose da farla sentire un cerbiatto nel mirino di uno spietato cacciatore. 
Una breve e crudele risata spezzò il silenzio facendole accapponare la pelle. << Chi sei tu. >> 
Gea aprì gli occhi atterrita e si sollevò a sedere sul letto. Appoggiò una mano sul lenzuolo e lo trovò completamente fradicio, come se qualcuno ci avesse lanciato una secchiata d'acqua sopra. Ed invece quello era il suo sudore. 
Cercò di regolarizzare il respiro e gettò un'occhiata alla sveglia sul comodino. 3.45 a.m. Aveva dormito poco e niente, e a dir la verità si sentiva più stanca di quando era andata a letto. Quel sogno sinistro aveva gettato benzina sul fuoco per il suo umore.  Riusciva ancora a sentire quella dannata voce strisciarle nelle orecchie come un serpente velenosa. 
Sospirò e si passò una mano tra i capelli, facendola poi ricadere sulla fronte in un gesto automatico. Dopodiché decise di rigettarsi sul materasso. 
Era troppo stanca per ragionare lucidamente. Probabilmente la mattina successiva avrebbe ricordato solo alcuni frammenti di quel sogno, non valeva la pena fissarcisi. Calò le palpebre spossata e si liberò dell'ansia con un lungo sospiro. Un sospiro che le si spezzò in gola nel momento in cui una mano le scivolò sulla pancia. 
I suoi occhi si riaprirono come fanali in una notte buia, il cuore le sobbalzò nel petto, le dita le tremarono, i muscoli s'immobilizzarono. 
Deglutì a vuoto e mantenne lo sguardo inchiodato sul soffitto. Qualcosa era inciso intorno al suo ombelico, lo poteva percepire attraverso la maglietta. 
Era forse un taglio? E, anche se lo fosse stato, quando se l'era procurato? Fino a quel momento non ricordava di essersi tagliata. 
Alzò la maglietta con una lentezza snervante e lanciò un'occhiata fugace alla pelle. 
<< Ma cosa... >> sussurrò confusa, la vista aguzzata come una lama. 
Un motivo costituito da due linee nere che s'intrecciavano tutt'intorno al suo ombelico, formando un cerchio perfetto, si delineò davanti ai suoi occhi. 
Mosse l'indice tremante per sfiorare la perfezione di quel disegno. La bocca le si era improvvisamente prosciugata mentre constatava come le linee fossero leggermente sollevate sulla superficie della pelle.
Assomigliava ad un tatuaggio, ma il tratto preciso e articolato delle linee faceva intuire che nessuna mano umana sarebbe stata in grado di creare un cerchio tanto perfetto.
<< Mostrati. >> Quella sola parola le fece accapponare la pelle. Il suo corpo fu percosso da un tremito violento. 
Sollevò il capo e sbarrò gli occhi per guardarsi attorno. 
Era la stessa voce che aveva udito nel suo sogno, ma adesso lei era sveglia. Stava forse impazzendo? Sentiva di esserci molto vicina. 
Abbassò la maglietta e deglutì a vuoto. Il battito cardiaco le rimbombava nelle orecchie tanto da renderle difficile persino pensare. 
Avrebbe voluto scappare, eppure i suoi muscoli sembravano essere diventati di piombo. 
<< Mostrati. >> 
<< Dove sei? Chi sei? >> quasi urlò terrorizzata, gli occhi che saettavano da una parte all'altra della stanza. Ancora una volta avvertiva la soffocante minaccia di trovarsi in un mirino. 
Nessuna risposta giunse alle sue orecchie, ma tutto ciò che riuscì ad udire fu una sommessa risata di scherno. 
<< Fatti vedere! >> sbraitò a quel punto Gea, condotta all'esasperazione dal silenzio agghiacciante calato. 
Un fruscio di stivali che si muovevano con lentezza sul parquet le fece salire il cuore in gola. 
La debole luce della notte, che penetrava da una finestra lasciata aperta, sembrò rabbuiarsi per un breve istante, come se sopra la luna fosse stato posto un mantello scuro. 
Non appena il suo sguardo si posò sulla finestra, la luce argentea tornò a brillare con intensità, riaccendendosi come una fiamma invigorita dal vento.
La figura nell'ombra continuava a muoversi con flemma, dandole l'impressione che lo stesse facendo di proposito per aumentare il suo terrore. E poi, dopo un lungo e carico minuto di tensione, il padrone della voce profonda permise alla luce di toccare il suo volto. 
Un mezzo sorriso di sadico divertimento aleggiava sul viso dello sconosciuto, che se ne stava a braccia conserte e con la schiena appoggiata all'armadio in una posa sfacciata.
Gli occhi d'ambra di Gea incontrarono due zaffiri blu come la notte, profondi come l'oceano e pericolosi come quelli di un felino che ha individuato la sua preda.
Lo sconosciuto era bello, indubbiamente bello. La sua bellezza aveva un qualcosa di sinistro e spaventoso, ma allo stesso tempo di affascinante e misterioso.
Più lo guardava e più le veniva in mente l'immagine di una lampada per insetti, capace di attirare le sue vittime e poi ucciderle. 
Un brivido di orrore le trapassò il corpo, ma rimase immobile a fissare colui che aveva fatto incursione in casa sua. Sentiva che non avrebbe dovuto abbassare la guardia per niente al mondo, o la sua distrazione l'avrebbe condotta a morte certa.
Nella mente cercò di catalogare tutti gli oggetti che aveva a portata di mano da usare come arma. Ma il panico le rendeva impossibile essere lucida, i suoi pensieri zampillavano con una tale rapidità da confonderla. 
<< C... cosa vuoi? >> domandò la ragazza a bassa voce. Le labbra le si erano incollate dalla paura, la gola era arsa come un deserto. 
Lo sconosciuto sorrise mostrando una fila di denti bianchissimi, ma quel sorriso nascondeva ben altro, qualcosa di molto lontano dalla cordialità. 
Gea rabbrividì ancora e strinse tra le dita affusolate il lenzuolo che le avvolgeva le gambe. 
<< Ti vuoi decidere a parlare?! >> sbottò a quel punto, assuefatta dallo spavento e dalla rabbia. 
Guardandolo bene doveva avere su per giù la sua stessa età, e questo se da una parte la faceva sentire più tranquilla, dall'altra, inspiegabilmente, la irritava ancor di più. 
<< Non c'è bisogno di scaldarsi tanto >> ribatté il ragazzo con tono calmo. A Gea parve di percepire una nota beffarda nella sua voce, come se la stesse deliberatamente prendendo in giro. 
Sgranò gli occhi e tirò indietro la testa. 
Era sconvolta. Un misto di rabbia, irritazione, stupore e paura le si concentrò nello stomaco come una nuvola grigia sospesa nel cielo. Le dita le formicolavano e tremavano al tempo stesso. 
<< Non ti conosco, sei entrato in casa mia in piena notte, ti pianti davanti al mio letto e non dovrei scaldarmi? >> ringhiò. 
<< Non sono qui per una visita di cortesia >> tagliò corto lui.
Sebbene ne fosse già consapevole, quelle poche parole le accartocciarono lo stomaco dal terrore. Percepì una goccia di sudore freddo solcarle la tempia. << Cosa vuoi? Chi sei? >> riprovò stringendosi il lenzuolo addosso, come se quello bastasse a proteggerla.
Il ragazzo si staccò dall'armadio e mostrò un sorriso provocatorio. << Se ti dico il mio nome cosa farai dopo? Mi andrai a cercare su Facebook? >> 
Gea sollevò rapidamente un sopracciglio, più per un tic nervoso che per altro. << Veramente pensavo di denunciarti. >> 
Il sorriso dello sconosciuto si tramutò in uno di crudele scherno. << Come siete prevedibili, voi umani. Necessitate sempre della protezione di qualcun altro. Tuttavia tu... >> Inclinò la testa ed assottigliò lo sguardo per studiarla. 
<< Io cosa? >> 
<< Mostrati >> ribadì lui, serio. 
Gea sigillò la mascella per l'irritazione. Era prossima ad un esaurimento nervoso. << Adesso non mi vedi? >> 
Il ragazzo si avvicinò velocemente e posò le mani sul materasso. I suoi occhi bruciavano come un falò in una notte buia mentre trafiggevano quelli di Gea. << Mostrati. Adesso >> sibilò minacciosamente. 
<< Non so di cosa tu stia parlando. >> 
<< D'accordo >> acconsentì lo sconosciuto, ritraendosi e tornando in piedi. << Hai bisogno di un piccolo incentivo. >>
Dalle tasche posteriori dei pantaloni, estrasse dei coltelli affilati. I manici, più neri della pece, rilucevano per frammenti di luce lunare che penetravano dalla finestra. 
Gea strabuzzò gli occhi e il cuore le si fermò nel petto, le si accapponò la pelle come se la stessero scuoiando viva. La sua mente ripeteva una sola parola più e più volte: no. Lei non sarebbe morta in quel modo. Non lo accettava.
Ed intanto lui si rigirava i coltelli tra le dita come un esperto tiratore, un sorriso raggelante gli incurvava gli angoli delle labbra. 
Gea si guardò intorno alla disperata ricerca di qualcosa con cui colpire il ragazzo prima che fosse lui a compiere la prima mossa. Peccato che a portata di mano avesse solo una sveglia ed una lampada da comodino, ma non c'era tempo per piangersi addosso ed imprecare contro la sfortuna. 
Si girò di scatto ed afferrò la sveglia, impugnandola ben bene perché non le sfuggisse dalle mani sudate. 
Il ragazzo la guardò con un crescente divertimento. << Credi davvero che con quella potrai salvarti? >> 
Gea non rispose, rimase concentrata sul suo bersaglio e strinse ancor di più le dita sulla sua arma improvvisata. I battiti del cuore le picchiavano persino dietro gli occhi. 
<< Evidentemente sì >> constatò il ragazzo, preparando un coltello al lancio. << Vediamo di cosa sei capace. >> 
La giovane deglutì a vuoto, le stomaco sprofondò fino ai piedi. La luce esterna di un lampione tremolò finché la sfera di vetro che lo rivestiva non esplose in mille pezzi. I frammenti caddero sulla strada e sulle macchine parcheggiate, provocando l'attivazione di un allarme antifurto.  
Quel suono acuto e perforante contribuì a far accelerare il battito cardiaco della ragazza. Non poteva permettere che la paura la immobilizzasse, doveva mantenere i nervi saldi e puntare dritta al bersaglio. Nessuna distrazione era ammessa, o quella avrebbe decretato la sua fine. 
Il ragazzo mosse il braccio destro all'indietro e si arrestò a scrutare la sua vittima. Riusciva a percepire il terrore della ragazza che impregnava la stanza come fosse stato un profumo. E lui amava quell'odore, quel sapore di bruciato sulla punta della lingua. 
Sorrise impietoso e con un maestrale movimento spostò la lama del coltello fra indice e medio. << Cerca di non farti infilzare subito, se no finiremmo di giocare troppo presto >> la canzonò mentre lei rimaneva impassibile, troppo concentrata su quale fosse il tempismo perfetto per il suo attacco.
Non ebbe il lusso di pensare troppo a lungo, perché la lama del coltello le saettò sopra la testa ad una velocità impressionante. Gea impallidì nel rendersi conto che non era nemmeno stata in grado di vedere l'arma venirle contro. Sentì la pressione scenderle dalla testa con un'ondata di freddo calore. 
Sgranò gli occhi, mentre quelli del ragazzo si accendevano di una luce sinistra. Sembrava quasi che provasse gusto nel terrorizzarla, nel posticipare di pochi secondi la sua fine. 
Gea scansò le coperte che la coprivano e si precipitò fuori dalla camera, in un disperato quanto goffo tentativo di fuga. 
Avvertì una leggera folata di vento vicino al suo orecchio destro ed un secondo dopo vide la lama di un coltello piantata nel muro. 
La sua mente andò in tilt di fronte a quella visione raggelante. Avrebbe voluto urlare, ma le corde vocali si erano pietrificate insieme al corpo. 
Le gambe e le labbra presero a tremarle, la vista le si annebbiò, il sangue defluì dal viso lasciandola pallida e cianotica, la mano stretta sulla sveglia allentò la sua presa. Ma un secondo prima che l'unica arma di salvezza le scivolasse dalle dita, la sua mente si riaccese, come una fiamma che si fa spazio tra le ceneri pur di vivere ancora. 
Strinse la mano sulla sveglia e si voltò con rabbia e determinazione a fronteggiare il nemico. Non si sarebbe fatta annientare così facilmente, e se doveva morire almeno lo avrebbe fatto lottando. 
Il ragazzo la scrutò con attenzione mentre faceva volteggiare un altro coltello tra le dita. I suoi zaffiri penetranti erano seri e concentrati su ogni particolare. 
Impugnò la lama tra pollice ed indice e, con una rapida mossa, scagliò il pugnale contro la ragazza, stavolta mirando al cuore.
Gea se ne accorse con un tuffo a quel muscolo sotto tiro. Istintivamente ridusse gli occhi a due fessure e strinse i denti, quasi digrignandoli. Ma non si mosse, nemmeno di un millimetro. Aveva la certezza che quella lama non l'avrebbe colpita. 
Fu una questione di millesimi di secondi. Gea sentì il suo corpo tremare, ma non per la paura. Un'energia prepotente le risalì dall'ombelico come uno tsunami, le inondò gli occhi, facendoglieli chiudere e subito riaprire di scatto. 
Quando calò il viso vide che il coltello era immobile di fronte al suo petto. 
Il battito cardiaco la stordì tant'era potente, lo avvertiva ovunque. 
Alle sue orecchie sopraggiunsero i rumori di tanti vetri che si rompevano e cadevano a terra producendo mille ticchettii. Percepiva una forza esagerata dentro di sé, e sentiva che quella forza poteva espandersi oltre il suo corpo. 
Alzò lo sguardo sul ragazzo e vide se stessa riflessa nei suoi occhi. Un alone di luce gialla rivestiva qualsiasi parte del suo corpo, ma ancor più intensa era la luce che proveniva dal cerchio di linee intrecciate intorno al suo ombelico. Da quello riusciva a cogliere forza allo stato puro, come se fosse il centro della sua vita. 
Gli occhi color ambra erano accesi come tizzoni ardenti e sprigionavano un vigore elettrico. Le sue labbra erano rosse come bacche di biancospino, mentre due intersecate linee verdi si snodavano dalle tempie fin sulla sua fronte per originare una sottile corona. I lobi delle orecchie, invece, erano decorati da minuscoli rami verdi che s'intrecciavano sino alla parte più alta del padiglione.
A quel punto, pervasa dalla confusione e da un velo di terrore, si osservò le mani. Le sue unghie non erano più rosate, ma marroni come la terra arida; e anche le sue vene avevano perso il loro colore naturale in favore di uno quasi trasparente come quello dell'acqua. 
<< Finalmente >> disse il ragazzo, piantando l'ultimo coltello che gli era rimasto nel legno di un mobile. 
Gea lo guardò con odio e il televisore alle sue spalle scoppiò in un fragore; all'esterno le foglie degli alberi frusciarono violentemente. 
Lo sconosciuto ignorò quegli eventi e le si avvicinò a passo sicuro. Quando le fu davanti tirò una ciocca di capelli della ragazza dietro la spalla. 
Gea spalancò gli occhi per lo stupore. 
Il giovane inclinò la testa e cercò qualcosa con lo sguardo; sembrò trovarlo non appena le sue labbra si stesero in un sorriso soddisfatto. << Sei tu >> affermò ritraendosi. 
<< Cosa? >> chiese Gea, il tono ansioso. << Cosa sono? >>
Lui incrociò le braccia sul petto e mandò appena la testa all'indietro, osservandola dall'alto. << Cosa si sta muovendo fuori in questo momento? >> domandò serio. 
Gea guardò fuori da una finestra. Gli alberi continuavano ad agitare le loro fronde, quasi fossero furiosi, ed i rami tremolavano come fossero stati spaventati. Riusciva ad odorare il profumo delle loro cortecce e a percepire la vita che li animava.
<< Gli alberi >> sussurrò la ragazza, senza spostare la visuale. << Come mai li sento parte di me? >>
<< Perché lo sono, come tu sei parte di loro >> spiegò velocemente il giovane, il tono duro.
Gea spalancò gli occhi e li posò con cautela su di lui. << Che vuoi dire? >> 
<< Il tuo potere deriva dal fatto che incarni uno dei quattro elementi naturali. La tua trasformazione lo evidenzia esplicitamente. >> 
<< Ed io sarei... >>
<< Terra >> l'anticipò. << Nelle tue vene scorre la linfa che dona vita a qualsiasi vegetale. Hai pieno controllo della terra e puoi manovrarla. Le tue emozioni influenzano notevolmente la natura, che di conseguenza reagisce ai tuoi sbalzi d'umore. C'è solo un limite, che altro non è che l'inizio del mio potere >> annunciò con un sorrisetto. 
Gea sbatté le ciglia più volte, incredula come mai in vita sua. Sperava che fosse tutto uno scherzo, ma le sue attuali sembianze non le davano neanche modo di poterlo ipotizzare. 
<< Tu che potere possiedi? >> chiese a quel punto, la voce flebile. 
<< Distruzione, terrore: questo è il mio potere. >> 
<< Lo dici con una certa fierezza >> notò lei, mal velando l'ironia nel suo commento. 
Il giovane fece un passo avanti e la inchiodò con uno sguardo gelido. << Ognuno nasce con una natura e con un compito. Io ho il mio, non mi aspetto che tu capisca. Non saprei che farmene della tua comprensione >> disse tra i denti. 
Quelle parole colpirono Gea più del dovuto, anche se non sapeva spiegarsi il motivo. 
Abbassò la testa e si guardò le mani. << Che cercavi prima? >>
<< Un segno che hai nell'incavo del collo. Dovevo assicurarmi che fossi tu il caso speciale. >> 
La ragazza issò lo sguardo. << Cos'ho di speciale a parte il fatto che incarno uno dei quattro elementi? >> 
<< Forse il fatto che in te non solo confluisce il potere della terra, ma anche quello dell'elettricità e del tempo. Ed è probabile che tu ne abbia altri che riesci a manifestare solo in base a particolari stati d'animo >> disse fissandola seriamente. << Devi essere messa sotto pressione per farli emergere. >> 
<< Quindi lanciarmi coltelli contro era un modo per aiutarmi >> constatò lei, sollevando le sopracciglia.
<< Io non aiuto nessuno >> puntualizzò il ragazzo. << Se faccio qualcosa è solo per un mio tornaconto. >> 
Gea rimase per un momento in silenzio, poi si schiarì la voce e spezzò quella bolla di quiete. << Posso sapere, adesso, qual è il tuo nome? >> 
<< Deimos. >> 
<< Io sono... >>
<< So chi sei >> la interruppe bruscamente.
<< Bene. Saltiamo i convenevoli. >> Sventolò una mano in un moto di risentimento e irritazione. 
Deimos la scrutò con attenzione mentre lei era troppo intenta a borbottare tra sé e sé a testa bassa. << I nostri poteri sono legati più del normale >> sentenziò lui ad un certo punto.
Gea alzò la testa incuriosita. << Che vuol dire più del normale? >>
<< Il mio potere è legato a ciascuno dei quattro elementi. Acqua, terra, aria e fuoco possono seminare distruzione e terrore, ma in quei casi sono io a dominarli. Tu possiedi dei poteri in più di cui non mi è possibile controllare il carattere distruttivo. Questo fa sì che sia tu ad avere in mano le redini della distruzione che possono provocare quei poteri. Perciò la tua facoltà è la più legata alla mia. >>
<< In poche parole tu sei in grado di usare tutti e quattro gli elementi per distruggere. Domini il carattere devastatore di acqua, aria, terra e fuoco >> appurò Gea, impressionata da tanto potere in una sola persona. 
<< È quello che ho già detto. >>
<< Volevo chiarirlo >> rispose, irritata dai suoi modi. 
<< Non ce n'era bisogno >> replicò freddamente Deimos. << Piuttosto devi imparare a controllare i tuoi poteri e ad usarli quando ne hai necessità. >>
Gea aggrottò la fronte ed appoggiò una mano sul cerchio di linee intrecciate intorno all'ombelico. Sospirò lentamente e sentì l'energia defluire dal suo corpo, a partire dalla testa fino all'incisione sulla pelle. 
Osservò la luce gialla che prima le ricopriva il corpo svanire e concentrarsi sulla pancia. Le vene e le unghie tornarono del loro colore naturale mentre un velo di sudore le ricopriva la fronte. 
Si sorresse al divano ed inspirò a pieni polmoni. Si sentiva spossata, con le ossa a pezzi e i muscoli indolenziti. 
<< Sei tornata nella tua forma primordiale >> dichiarò Deimos. << Evidentemente per ritrasformarti ti basta toccare il centro da cui ricavi potere ed espirare. E scommetto che per avviare la metamorfosi devi compiere lo stesso gesto, ma inspirando >> notò con un sorriso presuntuoso. 
Gea lo guardò respirando a fatica, s'inumidì le labbra secche. << Mi sento senza forze >> sussurrò con la voce spezzata.
<< È normale, il tuo corpo non è ancora in grado di sopportare il peso di una trasformazione simile. Per questo devi allenarti. Solo con la pratica acquisirai sempre più potenza >> le spiegò il ragazzo, muovendo dei passi per la stanza. Si avvicinò ad una finestra e scrutò all'esterno, sulla strada buia e deserta.
Gea lo osservò mentre pareva assorto nei suoi pensieri. Dalla postura irrigidita e dalla mascella contratta, non ci mise molto a comprendere che qualcosa non andava. Il che non fece che agitarla maggiormente. 
<< Cosa c'è? >> domandò. << Se mi stai nascondendo qualcosa faresti bene a sputare il rospo. Tanto più scioccata di così non potrei essere. >> 
Deimos rimase immobile, come se le sue orecchie non avessero udito alcun suono. Poi si voltò verso la ragazza con un veloce scatto della testa. La osservò con quei suoi occhi magnetici e pericolosi. << Loro non sono come pensi. So che stai pensando di cercarli >> disse severo.  
<< Loro chi? >> 
<< Acqua, fuoco e aria >> le rispose sbrigativamente. << Ti sbagli di grosso se credi di poter fraternizzare con loro. >>
Gea impallidì nel rendersi conto che, per un attimo, quel pensiero le era balenato per la testa. Aveva creduto di potersi mettere in contatto con qualcun altro che deteneva un potere grande e spaventoso come il suo. Forse per cercare una persona simile a lei, che avrebbe potuto capirla ed indicarle una via. 
In quel momento si sentiva terribilmente frastornata ed instabile sui piedi.
Deimos si staccò dalla finestra e si appoggiò con la testa e le spalle al muro. << Quanti anni hai? >> chiese guardandola dall'alto, con un misto di superiorità e riluttanza. 
Gea assunse un cipiglio nervoso e lo sfidò con lo sguardo. << Diciotto, perché tu? Non sembri tanto più grande, o sbaglio? >> 
<< L'età non conta se si possiede un briciolo di maturità >> la freddò il ragazzo. << E tu sei totalmente immatura. >> 
<< La tua maturità consiste nell'eludere le domande? >> rilanciò Gea, inarcando un sopracciglio con fare provocatorio. 
Non lo vide neppure; ma il coltello che prima era incastrato nel legno ora era vicinissimo alla sua gola, e Deimos lo impugnava con uno sguardo spietato e tagliente.
La giovane deglutì e la sua gola sfiorò la lama. Nonostante il battito impazzito del cuore e la paura che la confondeva, non si permise mai di abbassare gli occhi. Sostenne lo sguardo del ragazzo con fermezza, fino a quando lui non premette il pugnale contro la sua gola ed avvicinò il volto. 
<< Osa ancora una volta prenderti gioco di me e giuro che questo coltello assaggerà il tuo sangue >> sibilò a denti stretti. 
Detto ciò si allontanò di scatto. Lei poté ricominciare a respirare mentre si trasportava una mano sul petto. 
Subito dopo fulminò le sue spalle solide con rabbia. 
Odiava quel tizio borioso che era entrato bruscamente nella sua vita senza prendersi il disturbo di bussare. 
I rami degli alberi si mossero con violenza, frustando l'aria ed alzando la polvere sulla strada.
Odiava i suoi modi sgarbati e l'alterigia nella sua voce. Il suo atteggiamento la faceva sentire insicura e piccola, come se il fatto che proprio lei possedesse quell'immenso potere fosse una disgrazia per l'umanità. Con una sola parola, quel ragazzo la faceva sentire un'incapace.  
Aveva già vissuto quella sensazione sulla sua pelle in passato. 
Le due persone che l'avevano messa al mondo ci erano riusciti prima di tutti. 
Una sottile scarica blu si mosse dentro al muro fino a che non trovò riparo dietro uno stereo. 
Gea ricordò con dolore come i suoi genitori non avessero mai creduto in lei, come l'avessero sempre fatta sentire inferiore a tutto e tutti. L'avevano ritenuta incapace di affrontare qualsiasi situazione, a partire da quelle scolastiche fino a quelle di vita quotidiana, le avevano fatto provare cosa significasse sentirsi soli, incompresi, dei falliti, inutili... incapaci
Odiava quella parola. Per troppo tempo l'aveva fatta soffrire.
Lo stereo vibrò prima piano, poi sempre più violentemente, finché non esplose in mille pezzi che saettarono per la stanza come schegge impazzite. 
Deimos sgranò gli occhi e si abbassò sulle ginocchia prima che un frammento lo colpisse sulla fronte. Si voltò di scatto verso la ragazza e la trovò immobile, con gli occhi chiusi, la testa abbassata, i pugni stretti ed un alone di luce blu a rivestirla. 
Un pezzo di stereo le si stava dirigendo contro a gran velocità, ma, prima che potesse sfiorarla, Gea aprì gli occhi con determinazione e lo fece deflagrare sfruttando l'elettricità che permeava la stanza.
Una dopo l'altra le schegge scoppiarono, ricadendo a terra sotto forma di polvere. 
Deimos si rialzò lentamente e mantenne gli occhi puntati su di lei. Avrebbe combattuto se la situazione lo avesse richiesto, e non gli importava minimamente se la sua sfidante incarnava la terra. 
<< E tu osa ancora una volta puntarmi un coltello contro e giuro che di te rimarrà solo un cumulo di cenere >> sputò la ragazza, squadrandolo con risentimento. 
Deimos rimase a fissarla impassibile per qualche istante, poi le sue labbra s'incurvarono in un sorrisetto che non aveva niente di amichevole. << Vedremo >> disse solamente, lanciandole uno sguardo di sfida. 
Gea incrociò le braccia al petto e si sedette sulla testata del divano. << Cos'era quella luce blu che avevo intorno? E perché prima era gialla? >>
<< Era blu perché stavi sfruttando l'elettricità, non il potere della terra >> tagliò corto lui. << Evidentemente la tua aura cambia colore a seconda del tipo di facoltà che usi. >> 
La ragazza spostò lo sguardo sulla finestra e fece una smorfia con la bocca. << E non si può evitare? Non mi piace illuminarmi come una lampadina. >> 
<< Devi imparare a controllare i tuoi poteri, a dominarli come se fossero bestie da addomesticare >> sibilò Deimos, richiamando la sua attenzione. << Devi saperli muovere ed usare come fossero un prolungamento dei tuoi arti. Molto probabilmente l'alone di luce gialla non lo perderai mai, poiché quello deriva dal tuo potere primo, ma gli altri puoi farli scomparire. È solo una questione di pratica. >> Sollevò un sopracciglio con fare altezzoso ed un sorriso di scherno accompagnò le sue successive parole: << E di talento, ovviamente. >>
Gea strinse i denti e s'impose di mantenere la calma. Se solo quel ragazzo non le fosse stato utile per capirne di più sulla sua insolita situazione, lo avrebbe incenerito con una scarica elettrica. Ed avrebbe danzato sulle sue ceneri. 
<< Perché non posso fraternizzare con acqua, aria e fuoco? >> chiese tornando su un terreno più sicuro. << Se sono simpatici come te non avrò problemi a farmeli amici >>  aggiunse stampandosi un sorriso angelico in faccia. 
Sapeva che quell'insinuazione lo avrebbe fatto arrabbiare, perciò si godette il momento in cui il ragazzo la trucidò con un'occhiata feroce. 
<< Non sono come pensi. Alcuni di loro sono a conoscenza del loro potere da anni, e questo fa sì che abbiano imparato a governarlo abilmente. >> Ci fu una pausa durante la quale il tempo sembrò fermarsi tant'era carica l'atmosfera. << Non tutti lo usano come dovrebbero >> disse infine lui. 
Gea aggrottò la fronte, sempre più confusa. << Che significa? Hai detto che non possiamo distruggere perché quello è il tuo compito. Quale altro modo potrebbe esserci per impiegare male il nostro potere? >> 
Deimos irrigidì la mascella e i muscoli sulle sue braccia si tesero come cavi dell'alta tensione. << Aria. Acqua. Fuoco. Ciascuno di loro cerca di prevaricare sull'altro. Perché credi che non esistano armonia ed equilibrio sulla Terra? Se i quattro elementi non sono in sintonia non può esserci stabilità, e se non c'è stabilità non c'è nemmeno la pace >> asserì fermo. 
<< Quando dici prevaricare cosa intendi di preciso? >> 
Deimos la fissò a lungo, gli occhi che non tradivano alcuna emozione. Nella stanza calò un silenzio carico di domande sospese e di risposte racchiuse in un guscio di piombo.
A Gea sembrò che quel guscio non sarebbe mai stato divelto, e che con molte probabilità non avrebbe mai trovato le risposte alle domande più importanti della sua vita.
<< Il tuo potere, in passato, è stato nelle mani di qualcun altro; così vale per il mio e per quello degli altri >> pronunciò il ragazzo. << Morti i nostri predecessori i poteri si sono tramandati a noi, e così continuerà ad essere. Ma non è mai esistita armonia fra i quattro elementi, poiché coloro che li incarnavano hanno sempre bramato di più. >> La trafisse con quegli spietati occhi blu notte, quasi come se volesse leggerle nella mente. << Tu potresti possedere il potere dell'acqua, del fuoco e dell'aria oltre che quello della terra. >>
La ragazza s'inumidì le labbra secche e si schiarì la voce. Aveva la gola arida di saliva e le mani sudate. << Quindi quando dici prevaricare... intendi uccidere. Loro vogliono possedere tutti gli elementi, e per farlo devono sbarazzarsi di chi gli intralcia il cammino. >> Lo stomaco le si contorse dall'orrore, sentì una palla di paura solidificarsi nella sua pancia ed appesantirle le gambe. 
Abbassò la testa e guardò il pavimento sporco di cenere, inespressiva. 
Non voleva crederci. Le pareva di essere ancora nell'incubo che l'aveva svegliata. 
Qualcuno là fuori voleva ucciderla, anzi, ben tre volevano farla fuori. Forse quattro se contava anche l'odioso ragazzo che l'aveva messa al corrente della sua tragica situazione. 
<< Da stanotte loro sanno che qualcuno ha preso il potere della terra. Ringrazia che non sono a conoscenza che possiedi anche quello di tempo ed elettricità. >> 
Gea alzò il capo con stanchezza e lo guardò smarrita. << Perché? Se lo venissero a sapere cosa succederebbe? >>
Deimos schioccò la lingua al palato con fare divertito. << Sai cosa significa una lotta fra titani? E tutto pur di accaparrarsi la tua morte. >>
<< Adesso sì che mi sento meglio >> commentò la ragazza, tornando con lo sguardo basso. 
Non poteva essere giunta la fine. No, non era possibile. Fino ad un'ora prima la sua vita trascorreva serena e priva di complicazioni. Adesso, per colpa di quell'arrogante tipo che le era piombato in casa, tutto stava andando a rotoli. La sua vita aveva deviato su una strada tortuosa e in salita che conduceva ad un precipizio dal quale avrebbe dovuto lanciarsi. 
Avrebbe voluto piangere se solo fosse servito a qualcosa. 
Poi le tornarono alle mente le parole del ragazzo. << Hai detto che il mio potere lo ha posseduto qualcun altro prima. Quindi se mi uccidessero la mia facoltà andrebbe nelle mani di un nuovo successore, non nelle loro >> ipotizzò speranzosa. 
Le labbra del giovane s'incresparono irrisorie. << Neanche per sogno, questo succede solo in caso di morte naturale. Al contrario, se uno dei tre ti uccidesse il potere confluirebbe direttamente nel tuo assassino. >> 
<< E perché tu non mi vuoi uccidere? Acquisteresti il mio dono, no? >> gli chiese ad un tratto, incastrando gli occhi con quelli del ragazzo. 
<< Il mio potere è indipendente, una sorta di sfera solida. Il tuo, invece, è una delle quattro facce di un tetraedro. Se scomponi questo solido e posizioni i quattro triangoli l'uno sull'altro che cosa ottieni? >>
<< Un solo triangolo >> rispose la ragazza, realizzando cosa volessero dire quelle parole. << E quindi una sola persona in cui convergono quattro diverse facce. >> 
Il cuore le saltò nel petto come un petardo. Ogni rivelazione la distruggeva psicologicamente, sentiva il peso di tutte quelle informazioni premere contro le pareti del cranio per uscire. 
Deimos sorrise malevolo. << Ucciderti non mi servirebbe a nulla, io non sono parte del tetraedro. Anche se l'idea è alquanto allettante. >> 
<< Be', se vuoi aggiungerti alla lista dei miei potenziali assassini fai pure >> affermò Gea, cercando di mascherare il panico con un velo d'ironia. << Tre sono troppo pochi anche secondo me. >> 
Lui si passò la lingua sui denti con aria divertita. << Per ora preferisco godermi lo spettacolo di come cercherai di sfuggire a morte certa e, quando questa arriverà, voglio poter scorgere tutte le sfumature di paura che attraverseranno i tuoi occhi. >> 
<< Sei più simpatico di quanto immaginassi >> commentò la ragazza. << E, se mi è concesso sapere, come mai sei venuto a cercarmi? Ancora non l'ho capito. >> 
<< Ho trovato tutti gli altri elementi, mi mancavi solo tu all'appello >> disse spiccio lui. << Chi detiene il mio potere deve conoscere le sue pedine. >>
<< Non credo di essere una tua pedina, di questo ne sono più che sicura >> controbatté Gea. << Anche perché altrimenti preferirei di gran lunga la morte. >> 
<< Fatto sta che è mio dovere raccogliere i quattro elementi. Devo tenervi vicini se voglio sfruttare al meglio il carattere distruttivo di ciascuno. Mi servite >> tagliò corto il ragazzo. Incrociò le braccia sul petto e reclinò la testa per scrutarla da sotto le ciglia nere. 
<< Quindi mi stai dicendo che se non ti trovi vicino a noi non puoi usufruire del tuo potere al cento per cento >> constatò Gea. 
Deimos annuì con riluttanza. << Ne userei solo l'ottanta per cento. >> 
<< E non ti basta? >>
Il ragazzo la fulminò con lo sguardo e issò la testa. << No, non mi basta. Non sopporto non poter sfruttare a pieno la mia dote. >> 
La fanciulla l'osservò senza proferire parola. Le era inconcepibile pensare che una sola persona potesse ambire a tanto. O forse, più semplicemente, non poteva capirlo perché non era mai stata ambiziosa. Nessuno le aveva insegnato che avrebbe dovuto sempre mirare al massimo per se stessa. Aveva sempre creduto che la sua vita fosse già il massimo. 
Ed invece adesso si rendeva conto che era sempre stata una questione di misure.
<< Che cosa devo fare adesso? >> chiese con un filo di voce. 
<< Allenarti il più possibile. Devi arrivare al livello degli altri, o almeno avvicinarti >> rispose il ragazzo, muovendo dei passi per la stanza.
Gea lo seguì con lo sguardo e corrugò la fronte. << Perché mi dici tutto questo? A te cosa giova aiutarmi? >>
Deimos si bloccò sul posto e si voltò a guardarla inarcando un sopracciglio. << Aiutarti? Mi sembrava di averti già detto che io non aiuto nessuno >> sibilò freddamente. << Se ti ho detto tutte queste cose è perché devi fare in modo di non farti uccidere. Non m'importa nulla della tua vita, ma se uno solo incarnasse tutti gli elementi io non potrei più adoperare il mio potere. >> I suoi zaffiri si scurirono brutali. << Perciò vedi di non farti ammazzare, o sarò io ad uccidere te, in un modo o nell'altro. >>
<< Mi troveranno prima o poi, e a quel punto che cosa dovrei fare? Combattere? >> domandò sconvolta la ragazza. Deglutì terrorizzata. << Non avrò nemmeno il tempo di guardarli in faccia. Mi avranno già uccisa. >>
<< Per questo dovrai allenarti a destreggiare i tuoi poteri. >>
<< Non saprei neanche da dove cominciare >> ammise scuotendo la testa con afflizione.
A Deimos spuntò un mezzo sorriso disumano. << Questo è evidente. Non possiedi un briciolo di maturità, permetti alla paura di sopraffarti ed agire al posto tuo. Sei totalmente incapace di dominare le emozioni e la mente. Verrai uccisa subito. >> 
Gea strabuzzò gli occhi, impressionata da ciascuna delle parole pronunciate con freddezza dal ragazzo. 
<< Perché non piangi adesso? >> la provocò divertito. << Fa' vedere quanto sei debole. >>
La giovane strinse i denti e le mani cominciarono a tremarle per la rabbia. << Non piango per gli idioti >> sibilò truce. 
Deimos sorrise con aria di sfida. << Mi godrò tutti i momenti in cui crollerai durante gli allenamenti a cui ti sottoporrò. Ed ogni volta, ogni singola volta, ti farò rimpiangere le offese che mi hai rivolto. >>
<< Tu? Tu mi vuoi allenare? >> 
<< Fatti trovare pronta alle cinque >> ordinò senza mezze misure. << Niente ritardi, o rimpiangerai anche quelli. >> Un attimo dopo era sparito nel buio; dissolto come un'ombra nella notte. 






                                                                       * * *






Gea non ebbe più modo di riaddormentarsi. 
La sua mente aveva preso a metabolizzare le notizie che le erano state sparate addosso come proiettili. Più ci rifletteva più si rendeva conto che non sarebbe stata in grado di affrontare nulla di tutto quello che l'aspettava. 
Tre persone le davano la caccia, cercando di accaparrarsi la sua morte, e nel mentre lei doveva sottoporsi agli allenamenti di un pazzo.
Aveva provato a convincersi che era tutto uno scherzo di cattivo gusto, ma ogni volta la sua mente le aveva riprodotto davanti agli occhi la sua trasformazione.
Che cosa avrebbe dovuto fare? Lanciarsi dal balcone, per un attimo, le sembrò la via più saggia da percorrere.
Una notte aveva cambiato tutto, anzi, poche ore avevano cancellato tutto ciò che lei aveva costruito con sacrifici e fatica. 
Ma era inutile continuare a pensare alla sua vita precedente, a come tutto scorresse nella monotonia e nella tranquillità. Quella vita non esisteva più, era solo un ricordo.
Si sedette sul bordo del letto e strinse le gambe al petto cercando di proteggersi da tutte quelle novità inattese. 
Possedeva il potere del tempo, e allora perché non riusciva a bloccarlo proprio in quel momento? Voleva trattenere quel poco che le rimaneva prima dell'incontro con Deimos. E si sarebbe aggrappata a quell'istante con le unghie e con i denti, se solo fosse stato materiale. 
Ma, in fondo, a cosa le sarebbe servito? Prima o poi avrebbe dovuto affrontare tutto. Era inutile scappare o aggirare la situazione, perché quella l'avrebbe sempre attesa dietro ogni angolo. 
Lanciò un'occhiata all'orologio del salotto e contò i minuti che la dividevano dal folle ragazzo. Solo quattro. 
Tornò con la testa tra le gambe e chiuse gli occhi. Sarebbero stati i minuti più lunghi della sua vita. 
Odiava l'idea di dover rivedere quel tizio che aveva l'ambizione di distruggerla. Non voleva nemmeno pensare a quali allenamenti l'avrebbe sottoposta. Più provava ad immaginarli, più le veniva voglia di fare le valigie e scappare. 
Forse non sarebbe neppure arrivata a scontrarsi con gli altri tre elementi. Con molte probabilità sarebbe morta prima. 
Sollevò la testa e strinse gli occhi con fioca determinazione. 
Non poteva lasciarsi morire in quel modo. Doveva difendere la sua vita con tutte le forze, perché era sua, e nessuno aveva il diritto di rubargliela.
Si alzò, le gambe pesanti, e cercò nell'armadio una tuta da ginnastica. Afferrò dei pantaloni neri, una maglietta bianca e una felpa rossa provvista di cappuccio. 
Avrebbe fatto vedere a quell'insolente ragazzo di cos'era capace. O almeno ci avrebbe provato.
Si cambiò in fretta e raccolse i lunghi capelli in un'alta coda di cavallo, poi si diresse in cucina e si sforzò di mangiare qualcosa, malgrado lo stomaco fosse ancora stretto in una morsa. Bevve un lungo sorso di latte e si asciugò la bocca con il dorso della mano. 
Non aveva dormito, ma per lo meno quella scarsa colazione l'avrebbe aiutata a reggersi in piedi. 
Chiuse l'anta del frigorifero e per poco non le venne un colpo nel vedere Deimos che la fissava dal muro. 
Si portò una mano sul cuore ed inspirò profondamente. << Lo sai che esistono le porte? >> gli chiese con un filo di voce. 
<< Fa parte dell'addestramento. >> Sul volto del ragazzo fece capolino un sorriso diabolico. << Devi sempre stare all'erta. La prossima volta non mi limiterò a stare fermo, quindi se fossi in te terrei alta la guardia. >> 
Quel tipo era pazzo. Glielo avrebbe voluto dire in faccia e apertamente, ma sapeva che poi glielo avrebbe fatto scontare durante l'allenamento. Perciò si limitò a guardarlo con astio, nella speranza che la sua testa prendesse fuoco. << Quando cominciamo? E dove? Di sicuro non in una zona pubblica, perché credo che ti farebbero arrestare per massacro di una giovane indifesa. >>
<< Andremo molto lontano da qui >> rispose lui. << Nell'Arizona settentrionale. >>
Gea spalancò gli occhi per la sorpresa e retrocesse di un passo. << È... è a venti ore di macchina da qui. Ed io non ho la macchina, e con te non ci salirei mai... >>
<< Ci materializzeremo là >> la interruppe avvicinandosi. << Attaccati a me e vedi di non farmi perdere altro tempo. >> 
La ragazza lo fulminò con lo sguardo ed afferrò un lembo della sua maglietta nera. << Va bene così? >> chiese con stizza. 
Non le arrivò alcuna risposta, ma un secondo dopo lo scenario della sua cucina non esisteva più. 
Il vento freddo le fece svolazzare i capelli e un senso di vertigine le attanagliò lo stomaco. 
Abbandonò la presa sulla maglietta di Deimos e si lasciò cadere in ginocchio con le mani adagiate sulla gelida roccia rossa.  
Chiuse gli occhi e cercò di regolarizzare il respiro. Aveva paura delle altezze. E trovarsi a pochi centimetri da uno strapiombo come quello, non era esattamente benefico per la sua mente. 
<< Alzati >> le ordinò con tono di dura intransigenza. << Subito. >>
Gea deglutì spaventata ed aprì gli occhi. Per metri e metri si stendevano solo ammassi di roccia corrosa con strapiombi vertiginosi. Non esisteva vegetazione: non un albero, non un fiore. Nessuna forma di vita. 
Quel paesaggio le ricordava qualcosa, lo aveva già visto da qualche parte. Forse in una cartolina. 
Sgranò gli occhi e si voltò a guardare il giovane così velocemente da procurarsi un capogiro. << Questo è il Grand Canyon >> esclamò sgomenta. 
Deimos la osservò impassibile. << O ti alzi o ti butto di sotto >> sibilò minacciosamente. 
Dal suo letale sguardo, Gea capì che non stava affatto scherzando. 
Si fece coraggio e si mise a sedere sui talloni, poi con una lentezza disarmante si alzò in piedi, prestando attenzione a non guardare mai di sotto.
<< La velocità non è un optional >> la raggelò lui. << E ora comincia a correre, devi tonificare la massa muscolare, altrimenti il tuo corpo non sarà mai in grado di reggere la trasformazione. >> 
Gea non se la sentì di replicare, aveva ancora paura che quel pazzo la potesse spingere nel burrone. 
Osservò la distesa di roccia sconnessa che le si presentava davanti agli occhi. In alcuni punti delle vette acuminate si ergevano dal terreno, infilzando l'aria e chiunque ci fosse caduto sopra. Dei macigni grossi quanto automobili erano parcheggiati senza logica in varie zone della cima piatta su cui si trovava. Ed alcuni pilastri di pietra, dalle condizioni precarie, erano conficcati nel suolo come colonne in un teatro romano. 
Si rese presto conto che le altre cime non avevano niente di tutto ciò che popolava la sua. 
Solo una persona avrebbe potuto pensare così nei dettagli ad un modo per massacrarla: Deimos. 
<< Muoviti >> ringhiò il ragazzo. 
Gea non se lo fece ripetere due volte. Cominciò a correre in linea retta, saltando di fronte agli ostacoli e deviando in prossimità dei macigni di pietra. 
Passò accanto ad una colonna e questa tremolò pericolosamente, si girò a guardarla e commise lo sbaglio di non prestare attenzione a cos'avesse davanti. 
Sotto i suoi piedi si aprì una crepa tanto grande da farla precipitare. Lanciò un urlo e si aggrappò prontamente al suolo che si sgretolava sotto la disperazione delle sue dita. 
Tentò di conficcare le punte delle scarpe nella parete di terra alla quale era attaccata, ma ogni tentativo si rivelò inutile. Ogni movimento la faceva scivolare sempre più in basso, sempre più verso la fine. 
Strinse gli occhi ed urlò per il forte dolore alle braccia. Sentiva i muscoli in tensione che si strappavano sotto quell'immane sforzo di tenerla in vita per altri secondi. 
D'un tratto un'ombra le oscurò la vista e la ragazza si costrinse ad alzare la testa. La prima cosa che i suoi occhi misero a fuoco fu un sorriso di puro e sadico divertimento; alzò di poco lo sguardo ed incontrò gli zaffiri blu di Deimos. 
Il ragazzo la osservava con le braccia incrociate al petto, facendole intuire che non l'avrebbe aiutata. Perché lui non aiutava mai, come aveva già ampiamente chiarito. 
Gea abbassò la testa e una goccia di sudore le scivolò lungo il viso per gettarsi nel burrone. Era sicura che prima o poi avrebbe raggiunto anche lei quella goccia, magari di sua volontà. 
<< Reagisci >> le intimò Deimos, tirando un calcio ad alcuni ciottoli di terra che le si riversarono sulla faccia e sui capelli. 
La giovane affondò le unghie nel terreno e cercò d'issarsi, ma uno strappo sonoro del muscolo del braccio destro le impedì di proseguire. Si morse il labbro inferiore con forza e lo spaccò, procurandosi una nuova ferita. 
<< Reagisci >> le ripeté impassibile, stavolta schiacciandole una mano sotto lo stivale. Gea liberò un grido straziato e chiuse gli occhi in un disperato quanto inutile tentativo di contenere il dolore. Ad ogni respiro sentiva la polvere terrosa entrarle nei polmoni e graffiarli. 
Il braccio le bruciava come se qualcuno ci avesse gettato sopra delle ceneri incandescenti. 
<< È questo quello che succede a chi abbassa la guardia >> soffiò il ragazzo con una cattiveria tale da farle venire voglia di afferrargli la caviglia e trascinarlo con sé nello strapiombo. 
Doveva reagire, e non perché glielo aveva imposto lui, ma perché ne andava della sua vita. 
Aprì gli occhi con determinazione e strinse forte i denti mentre compiva il secondo tentativo di sollevarsi. Riuscì ad appoggiare un gomito sul terreno e, usandolo come ancora, issò il resto del corpo. Ogni centimetro che conquistava le costava una fatica senza pari, ogni centimetro che perdeva le costava la vita. 
Alla fine, con un rapido movimento, fu in grado di giungere distesa sul suolo. 
Ringraziò silenziosamente il cielo e si abbandonò stremata. Qualsiasi muscolo del corpo le doleva, i polmoni le bruciavano per lo sforzo e la testa le pesava come un macigno. 
<< Mai. Abbassare. La. Guardia >> scandì Deimos, rifilandole un calcio alla spalla sinistra e rigettandola nel burrone. 
Il cuore di Gea ebbe un sobbalzo così potente da stordirla. Afferrò il terreno per la seconda volta, graffiandosi le dita per sorreggersi e respirando a fatica. 
Il sudore le gocciolava dalla fronte fino al mento. 
<< Che stai facendo? C'ero riuscita! >> urlò fuori di sé per la rabbia. Le veniva da piangere tant'erano la frustrazione e l'ira che le incendiavano le vene.
Deimos si abbassò sulle ginocchia e sorrise mellifluo. << Perché non ti metti a frignare? In fondo è questo che vorresti fare, non è vero? >> le chiese con tono divertito e viscidamente sadico. << Fammi vedere quanto sei debole. >>
<< Non... sono... debole >> ribatté lei, digrignando i denti. 
Mentre tentava di risollevarsi, i suoi palmi sudati scivolarono sul terriccio, ricoprendosi di tagli, e il suo corpo slittò sempre più in basso. Sempre più verso il buio.
Gridò spaventata e cercò d'incastrare le unghie nel suolo per arrestare la caduta. Trovò un punto d'appiglio e ci si aggrappò con una mano, mentre con l'altra tastava la roccia per scoprire una piccola crepa in cui conficcare le dita e sollevarsi. 
Non era un piano geniale, ma non sapeva quale altra carta giocarsi. La situazione non le offriva molte alternative. 
<< Troppo lenta >> affermò il ragazzo, alzandosi. 
Gea lo vide mentre sollevava un piede; il secondo dopo si ritrovò ad urlare per lo spasimo. 
Le sue dita ferite si trovavano di nuovo sotto il peso del corpo del ragazzo, che la fissava impassibile.
<< Lasciami, lasciami! >> strillò con le lacrime che premevano per uscire. 
Lanciò un grido agghiacciante quando il giovane aumentò la pressione e portò anche l'altro piede sulla sua mano ormai bianca per via della mancanza di sangue. 
<< Basta! >> sbottò tremando. 
Non ce la faceva più. Le spalle erano così doloranti da mancarle di supporto e le braccia le sentiva molli come gelatina. 
<< Debole >> asserì lui con tono viscido. << Lenta >> aggiunse lapidario. << Ma più di tutto, totalmente incapace >> concluse, calcando particolarmente su quella parola. 
Aveva intuito come la ragazza non tollerasse quell'aggettivo se rivolto a lei. Per spronarla a reagire aveva bisogno di farla arrabbiare, di condurla al limite sia fisicamente che psicologicamente. 
<< Stai zitto! >> sbraitò infatti, riprendendo possesso della sua mano. Sbatté un pugno a terra e varie scariche elettriche si diffusero lungo il suolo. 
Deimos sorrise compiaciuto, poi compì una capriola all'indietro ed atterrò su un braccio per evitare di essere centrato dalle scariche elettriche. Scansò le restanti saette blu che si diramavano nella sua direzione e sollevò la testa con aria divertita. 
Gea ringhiò fra i denti, preda della rabbia cieca. Un secondo dopo la terra tremò impetuosa, provocando la caduta di alcune colonne di roccia. 
Una pedana di terra si alzò dal precipizio, crescendo in larghezza man a mano che saliva; si arrestò solo quando la sua superficie entrò in contatto con le scarpe della ragazza, servendole da appoggio. 
Gea riuscì finalmente ad uscire dal baratro a cui era appesa e scansionò l'area circostante alla ricerca di Deimos, che nel mentre doveva essersi nascosto per sferrarle un attacco a sorpresa. 
Gli occhi della ragazza si accesero come fiamme ardenti, un'onda violenta di energia la investì come uno tsunami. 
Abbassò la testa e notò che il cerchio intorno al suo ombelico stava irradiando una luce forte ed intensa; automaticamente fece scorrere l'indice lungo l'incisione ed inspirò profondamente. 
Un vigore puro le si diramò in ogni angolo del corpo, persino tra i capelli, ed una luce gialla la rivestì come una sfera protettiva. 
Le pulsavano le tempie tant'era la furia che le incendiava i pensieri. Una furia cieca indirizzata ad una sola persona. 
Improvvisamente la terra sotto i suoi piedi si sgretolò in un cumulo di sabbia informe. Le sue gambe furono catturate dalla rena e la immobilizzarono, impedendole qualsiasi movimento. Cercò di allontanare la sabbia che pian piano la stava sommergendo, ma ogni tentativo si rivelò vano. 
<< Debole >> la canzonò la voce di Deimos. La ragazza alzò la testa di colpo e lo vide. Seduto sui talloni e con gli avambracci appoggiati alle ginocchia la stava osservando beffardo. 
Gea tremò di rabbia e si costrinse a sollevare un braccio; chiuse la mano libera a pugno, tenendo gli occhi incollati a quelli del giovane, e la sabbia che aveva intorno si tramutò in roccia solida. 
Sorrise con aria di sfida e si liberò dalla terra che la circondava. Il ragazzo le restituì il medesimo sorriso e si eresse dritto in piedi. 
Gea ne approfittò per far emergere dal suolo una delle tante pietre dalla punta acuminata che avrebbe rivolto contro di lui. 
Con un gesto della sua mano la pietra si mosse a gran velocità contro il ragazzo, che però non mostrava la minima intenzione di spostarsi. Il cuore della ragazza prese a battere frenetico.
Un secondo prima che la punta gli trafiggesse la testa, la pietra esplose in mille minuscoli pezzi. 
<< Tu crei >> le disse. << Io distruggo >> terminò indicandosi col pollice. 
La giovane ridusse gli occhi a due sottili fessure ed elevò nuovamente una mano. Il suo movimento fu seguito da decine di pietre affilate che si sollevarono in aria, sospese tra l'attacco e la tregua.
Un'occhiata di Gea bastò per farle scagliare una dopo l'altra contro Deimos. La velocità con cui si mossero non sarebbe stata rilevabile da occhio umano; nell'aria rimanevano solo piccole scie colorate, uniche testimoni del loro passaggio. 
Deimos le lanciò un sorriso di scherno ed evitò di distruggere le pietre che gli si scagliavano contro, in compenso decise di evitarle utilizzando le sue spiccate doti atletiche. 
Ogni volta andava vicino a farsi colpire, ma solo per un folle desiderio di pericolo. 
Posizionò un mano a terra e ci buttò sopra tutto il peso del corpo, schiacciandosi al suolo poco prima che una freccia rocciosa lo colpisse da dietro. Successivamente, con una veloce rotazione del busto, si voltò in modo da colpire con un piede un'altra pietra, riducendola in pezzi. Ma altri dardi si stavano muovendo nella sua direzione, e così si tirò su con un balzo ed iniziò a correre con un sorriso borioso stampato in faccia. 
Gea scattò in avanti e si mise ad inseguirlo, mentre, una dopo l'altra, le rocce che saettavano sopra la sua testa in direzione del nemico, si frantumavano a causa dell'azione del potere di Deimos. 
Corse a perdifiato lungo tutta la cima, fino a che non scelse di passare all'attacco. Issò una mano e dal suolo emerse una colonna di roccia che sbarrò la strada al ragazzo. Approfittò del suo momento di blocco per saltargli sulle spalle, ma fu prontamente afferrata per un polso e sbalzata a metri di distanza. 
Accusò malamente il colpo, strisciando sul terreno ricco di ciottoli e schegge appuntite, fino ad arrivare vicina alla sporgenza su cui si era trovata poche ore prima. 
Chiuse gli occhi e sentì l'energia defluire dal suo corpo e ritornare nel cerchio di linee intrecciate. Rotolò ancora per pochi centimetri ed infine si trovò distesa supina, proprio sul bordo del precipizio, con le braccia escoriate e ricoperte di tagli; della felpa che indossava non rimanevano che piccoli ed inutili brandelli. 
Cercò di rialzarsi, ma i dolori ai muscoli e alle ossa le impedirono di compiere qualsiasi tentativo. 
Scelse di alzare gli occhi al cielo. Le palpebre le pesavano come pezzi di piombo, ma voleva, più di ogni altra cosa, guardare quella volta celeste che tanto amava. 
Se quella era la fine, avrebbe almeno voluto portare con sé il ricordo del sole che le donava il calore di una madre, degli uccelli che volavano liberi nell'aria, del vento che le accarezzava la pelle, delle nuvole che fluttuavano leggere, delle sfumature di colore che il cielo sapeva creare, ma soprattutto, della gioia che quella vista le donava da sempre, ricordandole che non era sola, che non lo era mai stata, e che quel mondo, adesso, si trovava racchiuso nei suoi occhi. 
Chiuse le palpebre e sorrise per un'ultima volta, prima di sprofondare nell'oblio caldo e protettivo della mente. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***






I raggi del sole le riscaldavano il volto, producendo un gioco di luci e ombre sulla sua pelle. 
Intorno imperava il silenzio, solo un debole vento muoveva l'aria stagnante. 
Le palpebre di Gea tremarono per un breve istante. Si sentiva persa in un mondo diverso da quello che era abituata a vedere. Lì tutto era nero, oscuro, pericoloso. 
Improvvisamente tutto le sembrò dissolversi; il buio che prima aleggiava davanti ai suoi occhi fu sostituito da una debole luce che man a mano diveniva sempre più intensa.  
Solo quando si ritrovò a strizzare gli occhi si rese conto che fino a quel momento era stata addormentata, e che quella luce altro non era che il sole.
Aprì gli occhi e fu subito costretta a portarsi una mano sul volto per ripararsi dai raggi luminosi e caldi. 
Una folata di vento le scompigliò i capelli raccolti in una coda e alcuni ciuffi le si posarono sulle labbra, per poi ricadere dolcemente sul petto. Si sollevò a sedere per capire dove si trovasse e gemette per il dolore che aveva provato nel compiere quel piccolo gesto. Si guardò subito le mani e le trovò piene di tagli. Rabbrividì schifata; aveva sempre odiato la vista del sangue, fin da quando era piccola. Le dava la nausea anche solo vederlo. 
Le braccia versavano nelle stesse condizioni delle mani, anch'esse ricolme di ferite più o meno brutte... o almeno quello era ciò che riusciva a scorgere dagli strappi sulla sua felpa nuova di zecca. Le veniva una rabbia omicida se pensava che proprio due giorni prima aveva fatto i salti mortali per potersela permettere e che ora era ridotta ad un cumulo di brandelli informi. 
Mosse il braccio destro per sfilarsela dalle spalle, ma dovette fermarsi immediatamente e strabuzzare gli occhi. Il dolore che le si era propagato in tutto il corpo, come miriadi di scariche elettriche, le bastò per farla arrestare. 
<< Oh cavolo >> sussurrò con la bocca secca. Adesso ricordava tutto. Nella sua mente riaffiorò l'immagine di lei sospesa nel precipizio e le sue orecchie riprodussero quel sonoro strappo che aveva accompagnato uno dei suoi tanti gridi disperati. E ora ricordava anche un altro particolare... Deimos. Il maledetto. 
Si guardò intorno per cercarlo con lo sguardo, ma anche lì dovette bloccarsi e sgranare gli occhi. Quello era un incubo, e Deimos una bestia. 
L'aveva lasciata nell'esatto punto in cui era svenuta, fregandosene altamente del fatto che avrebbe potuto benissimo cascare nel precipizio. 
Gea chiuse gli occhi ed inspirò a fondo nel tentativo di non farsi prendere dal panico a causa della sua paura dell'altezza. Cominciò a slittare all'indietro per raggiungere una zona di terra più centrale, calibrando il peso del corpo e tastando il terreno con le mani. 
Ogni volta che i suoi palmi toccavano il suolo, un bruciore nuovo le incendiava i tagli, riaprendo alcune ferite e creandone di nuove. 
Espirò pesantemente e riaprì gli occhi per vedere quanto lontana si trovasse dal punto di partenza. Fece una smorfia non appena si rese conto che si trattava solo di circa un metro. Doveva sforzarsi di più se voleva riposarsi e sospirare di sollievo. 
<< Dai Gea, ce la puoi fare >> s'incoraggiò. Un ultimo sforzo e poi avrebbe potuto tornare a vivere, invece che stare sul filo del rasoio. La sua vita non le era mai stata così cara come da quando aveva cominciato quella specie di allenamento/ tortura con il pazzo. 
Chiuse gli occhi nuovamente, riempì i polmoni di aria pulita e, facendo appello a tutto il suo coraggio, si alzò in piedi. 
Le pareva di avere ancora meno equilibrio del solito, e la raffica di vento che l'aveva fatta inizialmente vacillare non aiutava di certo. 
Si costrinse ad aprire gli occhi e, senza sprecare tempo ad osservare quanto profondo fosse il baratro, corse fino ad una zona di terra più piana e centrale. 
Si gettò malamente a sedere su una roccia e strinse le mani su di essa, ancorandosi come se temesse che da un momento all'altro quella potesse scomparire. 
Gea si guardò attorno, col fiatone e un sorriso a colorarle il volto. Ce l'aveva fatta, ci era riuscita. Una risata le sfuggì dal cuore. Adesso poteva anche godersi lo spettacolo di quelle infinite montagne rosse che aveva sempre e solo visto in cartolina. Dovette constatare che erano davvero bellissime, nonostante non ci fosse un briciolo di vegetazione ad arricchirle apparivano perfette così com'erano. La cartolina che aveva visto non aveva reso giustizia alla loro meraviglia. 
La ragazza sorrise ed alzò la testa al cielo. Il sole s'imbatté sul suo viso e fu costretta a chiudere gli occhi. Nella sua mente tornarono a galla i ricordi sepolti di quando aveva sette anni e andava al mare in Florida con i suoi genitori. Amava stendersi sul suo delfino gonfiabile di nome Elba e rivolgere il viso al sole, per poi vedere tutto blu una volta riaperti gli occhi. Le piaceva immaginare che fossero tutti dei grandi Puffi. 
Ma ormai quei bei tempi erano passati. Adesso non vedeva una spiaggia da... forse l'ultima volta era stata proprio quando aveva sette anni. I suoi genitori non si erano mai minimamente curati dei suoi desideri, come di tutto il resto, per questo non avevano battuto ciglio quando lei aveva deciso di andare a vivere da sola. 
Gea sospirò ed abbassò la testa per riaprire gli occhi. Oh, un grande Puffo era proprio davanti a lei a braccia conserte. 
<< Che bello rivederti >> sputò Gea con rabbia. Lo odiava dal profondo del cuore, sia per cosa le aveva fatto sia per i suoi modi rudi, ed era sicura che più in là lo avrebbe odiato per molti altri innumerevoli motivi.
Deimos continuò a fissarla con uno sguardo imperscrutabile e privo di emozioni. << Se pensi che per oggi il tuo addestramento sia concluso ti sbagli di grosso >> le disse freddo. << Ho già dovuto aspettare che tu ti svegliassi. >> Voltò la testa di lato e fece una smorfia disgustata con la bocca. 
<< Di solito non svengo per divertimento >> ribatté Gea con risentimento. << Probabilmente qualcuno non ha tenuto conto di trovarsi davanti ad una ragazza. >> 
<< Il che è del tutto irrilevante >> tagliò corto il ragazzo, tornando a guardarla. << Forse tu non hai capito cosa c'è in gioco, o forse... >> Un sorriso diabolico si fece largo sul suo volto. << Forse sai di essere troppo debole per farcela, e su questo ti dò pienamente ragione. Non ce la farai mai, verrai uccisa ancor prima di capirci qualcosa in tutta questa storia. >> 
Gea rimase spiazzata dalla crudeltà del ragazzo. Non poteva davvero essere così subdolo e meschino, ed invece più lo conosceva più si rendeva conto che Deimos era esattamente come appariva.
<< Sta' zitto >> fu tutto ciò che Gea si sentì di dire. Stava cominciando a credere che, in fondo, quel pazzo assassino avesse ragione. Lei era solo una ragazza di diciotto anni, come poteva reggere tutta quella situazione? Prima o poi avrebbe ceduto, lo sapeva... o almeno credeva di saperlo. 
<< La verità è, per voi umani, un tallone d'Achille >> asserì Deimos con un sorriso divertito. << Fate davvero pena. Vi fate sopraffare dalle emozioni, dalle parole... Non siete degni di esistere >> sputò infine. 
<< Parli come se tu fossi tanto diverso dagli esseri umani >> disse Gea, seria come poche volte lo era stata. Si era stufata di quel tipo indisponente e che soprattutto la faceva sentire una nullità; voleva metterlo a tacere una volta per tutte. << Dopotutto anche tu hai ereditato il tuo potere, proprio come me >> concluse aprendosi in un sorriso beffardo. 
Deimos la fissò per un minuto interminabile, senza proferire parola. Poi le si avvicinò lentamente e si fermò proprio quando il suo braccio destro non si ritrovò difronte al viso della ragazza. Alzò la manica della maglietta e le mostrò un tatuaggio che gli percorreva tutto l'avambraccio. Era formato da spesse linee nere che, in alcuni punti si riunivano in vortici, in altri si allungavano verso il basso o verso l'alto. 
Se da un lato Gea trovava quel tatuaggio completamente assurdo, dall'altra lo riteneva irrimediabilmente affascinante. Era incredibile come quelle linee precise si assemblassero per dare vita ad una strana figura senza forma e come riuscissero a stimolarle l'immaginazione nel vano tentativo di conferirgli un significato. 
Avrebbe tanto voluto seguire con un dito il percorso di una di quelle linee, ma era fuori discussione toccare Deimos. 
<< Il mio potere viene tramandato di padre in figlio, e questo è il marchio che contraddistingue la mia famiglia >> le spiegò, abbassando la manica della maglia. La fulminò con i suoi occhi blu notte ed incrociò le braccia al petto. << Non posso essere paragonato ad un umano. Chi detiene un potere come il mio, indipendente da qualsiasi altro, non è un semplice umano come te al quale viene conferita per caso una facoltà che non sa nemmeno gestire. >> 
<< Grazie molte >> commentò sarcastica Gea. << Anche se ci terrei a specificare che 
adesso pure io sono provvista di un potere, o meglio, più d'uno, quindi faresti meglio a non considerarmi una 'semplice umana'. >>
<< Fatto sta che continui a comportarti come tale >> la freddò il ragazzo, con uno sguardo gelido. << Non sai tenere a freno le emozioni, ti lasci sopraffare, sei debole mentalmente... Tutte caratteristiche degli umani. >> 
<< Tu invece non hai emozioni? Zero sentimenti? >> 
<< Sono stato educato in modo diverso >> rispose soltanto, freddo e distaccato come sempre. 
Gea tacque e il silenzio calò su di loro, pesando come un macigno sulle spalle della ragazza. Non sapeva perché, ma Gea si sentiva come se avesse appena posto una domanda scottante, facendo riaffiorare brutti ricordi nella mente di Deimos. Probabilmente, però, era solo una sua sciocca sensazione. 
<< Posso farti una domanda? >> si ritrovò a chiedere d'un tratto. 
Deimos sollevò un sopracciglio. << Che vuoi sapere? >> 
<< Quanti anni hai? Non sembri tanto più grande di me >> 
Il ragazzo sorrise sprezzante e Gea pregò di poterlo incenerire con uno sguardo. Dopotutto aveva fatto una domanda come un'altra, non c'era bisogno di essere tanto maleducati anche solo con un sorriso. 
<< Evidentemente questo è un argomento tabù per te, dato che è ben la seconda volta che non vuoi rispondere >> attaccò Gea, scrollando le spalle. << O forse sei come le donne e non vuoi rivelare la tua età >> concluse con un'ultima frecciatina. 
La ragazza abbassò la testa, ma fu subito costretta a rialzarla per via della mano di Deimos che, con una velocità strabiliante, si era chiusa intorno alla sua gola. Fu sospinta all'indietro e finì distesa sulla roccia, mentre Deimos continuava a tenerle la mano stretta al collo e le veniva sopra. 
Gea aprì la bocca per respirare e il ragazzo pose una mano vicino alla sua testa per sorreggersi. Sorrise maligno mentre la giovane cominciava a scalciare per liberarsi dalla sua presa. << Non ti conviene metterti contro di me >> le disse aumentando la pressione delle dita. 
Gea richiuse la bocca e strinse i denti. Lo odiava con tutta se stessa, e non tollerava che lui la facesse sentire così debole. Lei non era affatto una rammollita, se voleva avrebbe potuto... staccargli la testa. Forse. 
<< Non sai nemmeno reagire ad un attacco così elementare >> sputò Deimos con disgusto e divertimento. << È addirittura inutile che io ti addestri, non sarai mai capace di arrivare al pari degli altri tre elementi. Sarai sempre un gradino sotto a tutti. >> 
Basta, era ciò che la mente di Gea ripeteva ad ogni tagliente parola del ragazzo. Per troppo tempo le avevano fatto credere di essere inferiore a qualsiasi essere vivente sulla faccia della Terra. Ma adesso tutto questo doveva finire. 
Portò una mano intorno al polso di Deimos e gli occhi ambra in quelli del ragazzo. 
Lei non era debole, non era inferiore a nessuno, non era lenta, e soprattutto, non era un'incapace.
Delle piccole scariche blu saettarono intorno alla mano di Gea. Deimos se ne accorse, ma decise di non spostarsi di un millimetro. Voleva vedere fin dove la ragazza era capace di spingersi, fin dove la rabbia la conduceva. 
Dannazione, lei ci aveva sempre creduto, aveva sempre ritenuto di essere un gradino sotto a tutti. A volte non aveva nemmeno provato a dare il meglio di sé perché sapeva di non potercela fare. Le avevano fatto perdere la fiducia in se stessa, nessuno aveva mai creduto nelle sue potenzialità... nemmeno i suoi genitori. 
Quel pensiero le aprì una voragine di dolore nello stomaco. Una nullità, un'incapace, ecco cosa rappresentava per i suoi. 
Strinse gli occhi e un fulmine cadde vicino alle loro teste. Deimos si voltò di scatto e sorrise compiaciuto nel notare il cratere che il fulmine blu aveva lasciato sul suolo. 
Odiava tutte quelle sensazioni, le aveva sempre odiate. Aveva cercato di sotterrarle con strati e strati di terra, di dimenticarle, ma ora si presentava questo ragazzo e faceva riemergere tutto. No, non glielo avrebbe permesso. Né ora né mai. 
Le saette blu intorno alla mano di Gea avvolsero quella di Deimos come lingue di fuoco, senza però procuragli dolore. 
Il ragazzo sollevò un sopracciglio e le rivolse un sorriso arrogante. << Tutto qui quello che sai fare? >> la stuzzicò stringendo ancor di più le dita attorno alla sua gola. 
<< Basta! >> gridò a quel punto Gea, stanca delle sue parole. E fu proprio con quell'ultima esplosione di rabbia che le scariche presero vita e rilasciarono la loro energia devastante. Deimos sgranò gli occhi un secondo prima di essere sbalzato a metri di distanza, la terra tremò pericolosamente e un secondo fulmine colpì il suolo. 
Il ragazzo atterrò con leggiadria su un piede e si fermò a guardare la conca prodotta dal secondo dardo cascato dal cielo. Stavolta era profonda metri ed assomigliava ad un pozzo, ma la cosa più sorprendente era la sua ampiezza. Era sicuro che in larghezza raggiungesse addirittura i quattro metri. 
Un lieve dolore gli salì dalla mano fino ad irradiarsi su per la spalla. Sollevò la manica della maglietta e scorse delle piccole, ma molteplici abrasioni che ricoprivano la mano e l'avambraccio. Finalmente era riuscito a scalfirlo. Deimos sorrise compiaciuto e rivolse lo sguardo alla ragazza, che adesso stava contemplando i due crateri sul terreno. 
Non era sicura di essere stata proprio lei a crearli e, anche se così fosse stato, non se ne era accorta. Forse avrebbe dovuto imparare davvero a controllare i suoi poteri. Se solo si fosse trovata in mezzo a della gente avrebbe potuto fare del male a qualcuno o addirittura... uccidere. 
Portò gli occhi su Deimos, che si teneva il braccio destro ricoperto di piccole ferite con una mano, e rimase inorridita. Era stata davvero lei a fargli quello? Lo detestava, d'accordo, ma non voleva di certo ucciderlo. 
Gea alzò un braccio ed indicò con l'indice quello del ragazzo. << Sono... sono stata io? >> chiese deglutendo a vuoto. 
<< Secondo te? >> rispose Deimos sollevando un sopracciglio. Quella risposta le bastò per congratularsi con se stessa per ciò che gli aveva fatto. Era di un'antipatia fuori dal comune il tipo; non solo lei si preoccupava per il male che gli aveva fatto, ma lui rispondeva pure con arroganza. 
<< Ben ti sta >> borbottò Gea, sollevandosi in piedi. Adesso le dispiaceva soltanto di non averlo incenerito con un bel fulmine assestato sulla testa. Doveva imparare ad avere più mira. << Ah, e un'altra cosa >> aggiunse inchiodandolo con lo sguardo, << non ti azzardare mai più a mettermi le mani addosso. >> 
Deimos rimase a fissarla impassibile, poi sorrise con cattiveria. << Pensi che lo faccia volentieri? Preferirei evitare qualsiasi tipo di contatto con una rammollita come te. >>
Gea strinse per la rabbia i pugni doloranti. << Allora siamo in due, perché io preferirei evitare qualsiasi tipo di contatto con un pazzo assassino come te. >> 
<< Pazzo assassino? >> ripeté il giovane, con un velo di scetticismo sul volto. << Se non sbaglio sei ancora viva. >> 
Gea per poco non gli saltò alla giugulare per sbranarlo come un cane feroce. Dovette inspirare a fondo per calmarsi, oppure avrebbe commesso una pazzia. 
<< Ora capisco perché dicevi di non essere umano >> asserì lei, incrociando le braccia al petto. << Evidentemente non sei dotato di un cuore. Non ti potrebbe stare accanto nemmeno un cane >> concluse con un'alzata di spalle.
Deimos sorrise divertito ed inclinò la testa di lato, permettendo al sole di creare delle ombre sul suo viso. << Eppure tra le ragazze umane riscuoto molto successo. >>
<< Non è possibile >> lo lapidò sicura. << Nessuna pazza potrebbe avere il coraggio di stare con te. È impossibile che tu abbia la ragazza. >>
<< Eppure così è >> tagliò corto guardandola dall'alto con un che di superiorità. 
Un sopracciglio di Gea scattò in alto. << Pensavo tu non avessi sentimenti. >> 
<< Il che non m'impedisce di avere le mie avventure >> rispose il ragazzo, sorridendo sfacciato. 
Sul volto di Gea si fece largo un'espressione disgustata. Le dava la nausea immaginarsi Deimos in atti... intimi con una ragazza. 
L'attenzione della giovane fu presto carpita dal sole che man a mano moriva dietro l'orizzonte, oltre le spalle di Deimos. Il paesaggio intorno a lei si tinse di sfumature rosse e arancioni. Una sensazione di calore e tranquillità le si diffuse per il corpo, facendola sorridere e voltare di trecentosessanta gradi per ammirare la bellezza di quel posto da ogni angolazione possibile. 
Le ombre cominciarono ad avanzare da dietro le sue spalle, ricoprendo le rocce rosse e stendendo un velo scuro come se fosse stata una coperta. Presto anche su di lei sarebbe stata gettata quella coperta fredda. Rabbrividì per una folata di vento e si strinse nelle spalle. Mai come in quel momento si sentì sola al mondo. Sola in mezzo alla natura incontaminata, sola in quella situazione surreale, sola in mezzo al buio. 
Il sole scomparve oltre una montagna e la temperatura calò con esso. 
<< Attaccati a me >> le ordinò Deimos, avvicinandosi. Gea si voltò a guardarlo ed allungò un braccio per afferrare la sua maglietta. Lanciò un'ultima occhiata carica di nostalgia attorno a sé; perché, nonostante fosse stata una giornata dura e dolorosa, aveva amato quel posto, il più bello che avesse mai visto. 
Un secondo dopo lo scenario roccioso fu sostituto dal suo salotto malmesso e disordinato. 
Avrebbe dovuto dare una ripulita al più presto, perché di certo un coltello piantato nel muro e altri sparsi per terra non rientravano nella normalità. 
Gea abbandonò la maglietta di Deimos per dirigersi in cucina. << Se vuoi ho del disinfettante >> gli disse fermandosi a guardarlo, sperando che la degnasse di una risposta.
<< Cosa dovrei farmene? >> le chiese brusco. 
La ragazza incrociò le braccia sul petto ed appoggiò il peso su una gamba. << Be', fai te, solitamente lo si usa per pulirsi le ferite, ma se non vuoi puoi anche farti venire un'infezione. >> Fece spallucce e proseguì verso la cucina. 
La penombra faceva da padrona in tutta la casa. Come la sera prima, solo la luce proveniente dai lampioni rischiarava l'ambiente e rendeva possibile camminare per la casa senza rischiare d'inciampare. 
Accese la luce della piccola cucina e si tolse la felpa con solo il braccio sinistro, cercando di sforzare il meno possibile l'altro. Gettò quel cumulo di brandelli sul tavolo e aprì il frigorifero per prendere uno sformato di verdure da mettere in microonde. 
Si sentiva senza forze tanta era la fame che aveva. Non ricordava nemmeno più cos'era stata l'ultima cosa che aveva mangiato. 
<< Credo che tu ti sia presa troppe libertà >> sentì dire alle sue spalle. Si volse a guardare Deimos e sgranò gli occhi. Teneva i coltelli di quella mattina tra le mani e li stava osservando con un sorriso maligno. 
<< Posa quei coltelli >> gli ordinò con un tono di voce perentorio. 
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei e i suoi occhi blu come la notte luccicarono in modo sinistro. << Tu dai ordini a me? >> le domandò quasi divertito. << Evidentemente ci sono molte cose che non hai ancora capito. >> Il suo sguardo si fece improvvisamente duro e letale. Gea retrocesse di svariati passi fino a ritrovarsi con le spalle contro la portafinestra; adesso sì che aveva paura. Era in trappola, a meno che non si fosse lanciata dal terrazzo per abbracciare la morte.
Il flebile fischio del microonde le fece voltare la testa, ed un secondo dopo un coltello le sfiorò il collo. 
Sgranò gli occhi nel rendersi conto che quel pazzo le stava lanciando i coltelli addosso, proprio come quella mattina. 
<< Numero uno: mai prendersi gioco di me >> sibilò afferrando un secondo pugnale. Scagliò anche quello con una velocità sorprendente, piantandolo nel legno della portafinestra, ad un millimetro dal suo fianco destro. << Numero due: mai osare darmi ordini >> proseguì con uno sguardo gelido, facendo rabbrividire Gea dalla punta dei piedi fino a quella dei capelli.
Aspettò che le arrivasse addosso un terzo coltello, ma nulla si mosse nell'aria. Evidentemente il pazzo aveva finito le armi a sua disposizione. La ragazza fece un passo in avanti sulle gambe tremolanti ed appoggiò una mano sul tavolo per sorreggersi. 
Aveva gli occhi sgranati e delle gocce di sudore le scendevano dal viso per ricadere sulla superficie di legno. Era stanca, sfinita, esausta, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente, e quel maledetto le lanciava coltelli contro. 
Uno schianto ed un urlo risuonarono per la casa. 
Gea adesso si trovava mezza distesa sul tavolo, con il braccio destro piegato dietro la schiena e la faccia premuta sulla superficie legnosa. Deimos le stava dietro, con la bocca a pochi centimetri dal suo orecchio. << E numero tre: mai abbassare la guardia >> sussurrò spietato, conficcando il terzo coltello a un millimetro dal naso della ragazza. 
Subito dopo diede uno strattone al braccio di Gea, facendole liberare un grido straziato che riempì l'appartamento. La giovane annaspò per il dolore lancinante al muscolo, che man mano le stava facendo informicolare l'intero arto.
<< Lasciami >> bisbigliò, mordendosi un labbro per evitare di urlare nuovamente. 
In risposta il ragazzo le tirò ancora di più il braccio. << Urla pure, magari qualcuno verrà a salvarti >> le disse sorridendo con cattiveria. 
Gea espirò tremolante e chiuse gli occhi per impedire alla sua mente di focalizzarsi sul dolore lancinante. Non avrebbe urlato per nulla al mondo, tutto pur di non dargliela vinta. 
<< Alla tua ragazza riservi lo stesso trattamento quando ti ordina qualcosa? >> si ritrovò a chiedere con rabbia. << Oppure uno ancora più violento di questo? >>  
Gea riaprì gli occhi nel momento in cui il petto del ragazzo entrò in contatto con la sua schiena. << Regola numero uno? >> le domandò divertito. 
<< Stammi lontano >> ringhiò lei.
<< Sbagliato >> rispose Deimos con un sorriso beffardo stampato in faccia. Le strattonò di nuovo il braccio e Gea emise un verso strozzato carico di patimento. Chiuse gli occhi e si abbandonò alla pressione che il ragazzo continuava a compiere. Avrebbe tanto voluto richiamare a sé quei benedetti poteri che si ritrovava, ma era troppo stanca anche solo per respirare. 
<< Se non vuoi che ti rompa il braccio, chiedi perdono >> le sibilò all'orecchio. 
Gea riaprì gli occhi e sollevò un sopracciglio. << Piuttosto preferirei morire >> fu la sua lapidaria risposta. 
Deimos sorrise divertito e la lasciò andare, senza però allontanare il suo corpo da quello della ragazza. << La prossima volta non ti andrà così di lusso, tienilo bene a mente >> sussurrò minaccioso, prima di scomparire nel buio.


                                                                      * * *

Indossò dei pantaloncini elasticizzati blu ed una maglietta a maniche corte bianca. Sollevò il lenzuolo con l'unico braccio con cui le era possibile compiere movimenti, e s'immerse nel letto. Sciolse i capelli e chiuse gli occhi, sfinita. 
Dopo la sparizione di Deimos, si era lasciata scivolare tutta tremolante per terra. Aveva avuto paura che quel folle le potesse davvero spezzare il braccio. "Piuttosto preferirei morire", no, piuttosto avrebbe dovuto stare zitta. Non sapeva nemmeno lei come le fosse uscita quella frase, sapeva solo che non era riuscita a fermarla. Se solo Deimos non l'avesse lasciata... Rabbrividì d'istinto e si raggomitolò su un fianco. Non voleva pensare a cosa sarebbe successo se il pazzo maledetto non si fosse fermato. 
Quella giornata poteva essere catalogata tra le più faticose della sua vita. E forse svettava persino in prima posizione. Probabilmente avrebbe dovuto catalogarla anche tra le più brutte, ma le era impossibile dal momento che aveva amato il Grand Canyon. 
Sorrise al ricordo di quelle immense distese rosse, del sole che baciava e riscaldava le rocce, del vento freddo e inebriante, del cielo azzurro che sembrava possibile toccare con un dito, degli uccelli che volavano liberi. Quello sì che era il paradiso. 
Con quest'ultima immagine stampata nella mente e un piccolo sospiro, Gea finalmente si addormentò. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ciao a tutte! :) 
Innanzitutto buone feste, spero che le stiate passando e che le passerete nel migliore dei modi ;) vi auguro il meglio del meglio! <3
Proprio l'altra notte ho cominciato a ragionare sulle mie storie e sono arrivata ad una conclusione. Basta con le attese incessanti e le promesse di capitoli a breve. Ci tengo a voi, a ciascuna, perciò voglio essere sincera. 
E ci tengo anche all'emozione di pubblicare qualcosa, di vedere come reagite e sapere cosa ne pensate. Perciò eccomi di nuovo qua!
Dato che avevo scritto qualche capitolo di questa storia e tutt'ora la sto portando avanti, ho deciso di postare questo capitolo. 
Prima di tutto però vorrei chiarire determinate cose. 
Tra modelli e manichini: l'ultimo capitolo, per quanto mi dispiaccia, l'avevo un po' trascurato. La settimana scorsa ho ricominciato a scriverlo, ma non so davvero dire quando lo pubblicherò. Il tutto per una serie di fattori che vanno dalla mia voglia personale che a volte va in letargo, a cause di forza maggiore tipo la mancanza di tempo. Ma questo non significa che la a lascerò in sospeso per ancora chissà quanto tempo, eh eh eh. 
Dalla settimana prossima, ovvero da lunedì, riprenderò in mano quello che avevo buttato giù e lo concluderò. Basta con le scuse e basta con la pigrizia. Se mi mancherà la voglia... mi mollerò un ceffone e mi metterò a lavoro ;) Ciò significa che entro la settimana prossima Tra modelli e manichini sarà conclusa! *lacrime disperate* 
Keep your eyes open: altra questione lasciata in sospeso. Allora qui la faccenda è un po' più complessa perché non è che mi manchi la voglia di scriverla, anzi! L'unico fatto è che sto mettendo a puntino un sistema perfetto con cui Sarah e David possano sconfiggere quei mostri una volta per tutte. Voi vi chiederete, ma non lo avevi già programmato prima di scrivere la storia? Ebbene no, ahahahah. La qui presente si fa prendere dalla scrittura senza manco sapere cosa ci sarà nel prossimo capitolo o peggio come far finire la storia. *applauso* 
Mamma mia, a volte (cioè molto spesso) mi chiedo anche io se sono scema o cosa. Insomma, sto architettando un sistema con cui quei mostri possano essere uccisi, cercando di far incastrare come un puzzle tutte le cose.
Qui non saprei proprio dirvi quando sarò in grado di pubblicare, ma spero presto. Le idee più geniali mi vengono la notte ahahahah! Ok c'è poco da ridere -.- serietà prego -.- vedrò di postare qualcosa sui nostri due coraggiosi giovani (*_*) tra due settimane. 
Mmm... credo di aver detto tutto riguardo le storie in sospeso... ma se volete farmi altre domande chiedete pure :) 
Nel frattempo ho deciso di pubblicare ogni settimana un capitolo de I poteri del tetraedro per tenervi compagnia durante l'attesa ;) spero possa essere una compagnia piacevole >\\<
Ovviamente quando non pubblicherò vi farò sapere, anche perché dovrò studiare per l'università e dare gli esami, ma ciò a cui tengo è il fatto di NON sparire come avevo fatto. 
E va bien \(^.^)/ ho detto tutto! 
Vi auguro ancora BUONE FESTE!!! <3 Un bacione immenso, GRAZIE di esserci sempre e buona lettura!!! 















<< Svegliati, stupida umana >> sentì dire da una voce profonda. 
Ancora mezza addormentata, Gea credette che si trattasse soltanto di un sogno, così si girò su un lato e sistemò il cuscino sopra la testa. 
<< Be', l'hai voluto tu. Odio ripetermi >> continuò a dire quell'odiosa voce, adesso con una nota di divertimento. 
La ragazza avvertì il materasso inclinarsi, dopodiché un sonoro "zac" risuonò per la stanza. 
Che cose strane che succedevano nel suo sogno... Addirittura riusciva a sentire una risata cristallina accanto al suo orecchio, come se fosse reale... Aprì gli occhi di colpo e lanciò il cuscino a terra, facendo volare con esso delle ciocche di capelli. 
Si bloccò ad osservare quella scena agghiacciante, senza trovare la forza di constatare cosa fosse successe ai suoi stupendi capelli dorati. 
<< Che... che cosa hai fatto? >> chiese con un filo di voce. Non riusciva a staccare gli occhi dai suoi fili d'oro riversi sul pavimento. 
Alzò una mano e si sfiorò la testa, per poi scendere fino a quando avrebbe trovato qualcosa da toccare. Poco sotto la spalla le sue dita scivolarono nel vuoto. Non c'era più nulla. Fino a pochi minuti prima i capelli arrivavano a toccarle i gomiti, adesso si sentiva come spogliata e denudata. Priva di protezione. 
<< Sei un maledetto! >> urlò voltandosi a guardare Deimos. Il ragazzo era assolutamente a suo agio, con un sorriso maligno pennellato sul viso ed un'espressione soddisfatta. 
Alla vista di una tale faccia da schiaffi, Gea scattò con l'intenzione di sferrargli un pugno, ma fu prontamente bloccata ed atterrata. 
Deimos le bloccò le mani ai lati della testa e sorrise divertito. << Pensavi di potermi picchiare? Poverina. >>
La ragazza strinse i denti e cercò inutilmente di liberarsi. Ogni sforzo era vano, ogni strattone uno spreco di forze. Le faceva ancora male il braccio, perciò i suoi movimenti risultavano più lenti e faticosi. 
<< Levati >> ordinò incatenando gli occhi a quelli del ragazzo. 
Deimos mosse la bocca in una smorfia compiaciuta. << Se no che mi fai? >>
<< Ti faccio saltare tutti i denti con una testata >> ringhiò Gea, chiudendo le mani a pugno. 
<< Sei davvero spassosa. >> 
<< Mai quanto te >> ribatté rapidamente. << Ti ho detto di toglierti. >>
Il giovane scosse la testa senza far scomparire quel sorrisetto indisponente dalle labbra. << Perché non provi a spostarmi? >> le domandò con aria di sfida. << Il tuo allenamento comincia da ora. >>
<< Sei uno... >> Gea si morse il labbro, arrestando in tempo l'offesa che stava per rivolgergli. Sapeva bene che se solo lo avesse provocato la situazione sarebbe degenerata a suo sfavore. 
<< Si? Stavi per dire qualcosa? >> la stuzzicò stringendo le mani attorno ai suoi polsi. << Sono tutt'orecchi. >> 
<< Nulla, non stavo dicendo nulla >> tagliò corto Gea, furiosa come solo in quei due giorni si era ritrovata ad essere. 
<< Allora agisci, sto aspettando. >>
La ragazza abbassò lo sguardo sul corpo di Deimos. Non si era ancora accorta di come fosse vestito, non che gliene importasse più di tanto. Aveva una maglietta a maniche corte nera e dei pantaloni del medesimo colore, per concludere indossava gli stessi stivaletti pece del giorno prima. Ma non era questo ciò che interessava a Gea... Il suo ginocchio si trovava molto vicino al punto X del ragazzo. Avrebbe potuto colpirlo e poi ribaltare la situazione, sferrandogli un pugno in pieno viso. 
Rialzò lo sguardo ed incontrò gli occhi blu notte del ragazzo. Solo in quel momento Gea si ritrovò a pensare che avesse dei lineamenti perfetti: duri, ma delicati. Il tutto incorniciato da dei capelli color ebano: scompigliati, ma ordinati. In quel ragazzo tutto appariva essere in contraddizione. Non c'era nulla di preciso in lui, era tutto un'incognita. 
Senza interrompere il contatto visivo, la ragazza piegò rapidamente la gamba e lo colpì. Gli occhi di Deimos si spalancarono per un nano secondo dal dolore. Non si era aspettato un attacco così... basso. 
Gea approfittò di quel momento di debolezza per spingerlo di lato e sedersi a cavalcioni su di lui. Caricò il pugno e lo fece partire in direzione del viso del giovane, contratto in una smorfia di dolore. 
L'impatto delle nocche di Gea con lo zigomo di Deimos arrivò poco dopo. Il ragazzo fu costretto a piegare la testa di lato e Gea ritrasse la mano, sfregandosi subito dopo le dita. Finalmente ci era riuscita. L'aveva colpito per ben due volte senza che lui se l'aspettasse. Le facevano male le nocche, ma il dolore era niente in confronto alla soddisfazione che stava provando. 
Sorrise beffarda e si spostò dal corpo del ragazzo, che era rimasto immobile e con gli occhi chiusi. Che si crogiolasse pure nel suo dolore, a lei ne aveva fatte patire di peggiori. 
Si alzò dal letto e mosse un passo, ma prima che il suo piede destro potesse toccare il pavimento si ritrovò a battere la testa contro l'anta dell'armadio. 
La ragazza lanciò un urlo non appena avvertì un braccio di Deimos avvolgerle la vita rudemente e spingerla contro una parete, facendole picchiare un'altra volta la fronte. 
<< Regola numero tre? Te la ricordi, stupida umana? >> le ringhiò il ragazzo nell'orecchio. 
Mai abbassare la guardia, si ripeté Gea nella mente. Strinse i denti, in collera con se stessa per non averci pensato prima. 
Deimos le tirò i capelli e la ragazza fu costretta a reclinare la testa all'indietro, finendo per incontrare i suoi occhi incolleriti. Sullo zigomo aveva una striscia rossa, il ricordo che gli aveva lasciato poco prima delle sue nocche. 
<< La pagherai cara >> le alitò sul viso con aria minacciosa. 
<< E per cosa, di grazia? >> domandò furibonda Gea. << Sei stato tu a dirmi che dovevo liberarmi, io ho solo fatto quel che hai detto. >>
Un sopracciglio di Deimos scattò verso l'alto. << Infatti, dovevi liberarti, non colpire. >>
<< Non avevi specificato, la prossima volta fallo >> tagliò corto Gea, afferrando il braccio del ragazzo attorno alla sua vita per allontanarlo. 
Deimos le lasciò andare i capelli, ma continuò a tenerla stretta al suo corpo. 
Il silenzio piombò pesantemente nella stanza e Gea si ritrovò ad abbandonare le mani sul braccio del giovane, ponendo dunque fine a qualsiasi tentativo di staccarlo. 
Che cosa stava succedendo? Perché il pazzo assassino non si muoveva o non le faceva del male? 
Quell'atmosfera era surreale e priva di logica. Un minuto prima stavano lottando, mentre adesso lui la teneva vicina al suo petto senza proferire parola. Che stesse architettando qualcosa? Non c'era da fidarsi, eppure... il cuore di Gea cominciò a battere più velocemente, ma non per la paura. 
Avendo abbassato la testa non riusciva a guardarlo negli occhi per capire quali intenzioni avesse, l'unica cosa che vedeva era il muro davanti a sé. 
Sentì il respiro del ragazzo sulla spalla e subito dopo il braccio attorno alla sua vita era sparito. 
<< Vestiti, e fai presto >> le disse prima di uscire fulmineo dalla camera. 
Gea rimase immobile sul posto, incapace di spiegarsi cosa fosse successo in quei secondi interminabili. Era stata solo una sua impressione o... il respiro che aveva sentito sulla sua spalla era... accelerato? Non era possibile, insomma, stava parlando di Deimos non di un tipo qualunque. 
Scosse la testa e, dopo aver preso dei vestiti dall'armadio, si diresse in bagno. 


                                                                      *  *  *


Erano approdati di nuovo nel Grand Canyon. Il vento freddo le fece librare i capelli nell'aria tersa.
Si strinse nella felpa ed ammirò il paesaggio deserto ed incontaminato. Sentiva già un profondo legame con quella terra. Era come se percepisse il battito cardiaco di ogni roccia e di ogni granello di quella sconfinata landa. Più precisamente era in grado di avvertire la vita scorrere in quel posto come la linfa che popolava le sue vene durante la trasformazione. 
<< Cominciamo >> sentenziò Deimos, incrociando le braccia sul petto. Si guardò per un attimo intorno, dopodiché tornò ad osservare la ragazza che nel frattempo si stava raccogliendo i capelli in una crocchia. << Corri, come ieri. Devi aumentare la velocità e la prontezza nel rispondere agli ostacoli. >>
Gea annuì e prese un grosso respiro, alla fine scattò in avanti ed iniziò a correre. 
Non era la stessa altura del giorno prima, questa era molto più estesa e sconnessa. La ragazza saltò in prossimità di una roccia appuntita e sterzò violentemente appena un'altra scoppiò in mille pezzi per opera di Deimos. 
Un frammento la raggiunse violentemente sul viso e fu costretta a fermarsi e portare una mano sullo zigomo. Tolse le dita e vide i suoi polpastrelli imbrattati di sangue. 
Dio, quanto le dava fastidio quella vista. Chiuse gli occhi per un momento e cercò di regolarizzare il respiro agitato. Ogni volta che vedeva del sangue sentiva le forze venirle meno e gli urti di vomito salire. Ma non poteva fermarsi, non stavolta. Doveva continuare a correre e dimostrare che era capace di tutto se solo lo avesse voluto. 
Aprì gli occhi e si passò la mano sulla guancia per togliere una goccia di sangue che stava inesorabilmente scivolando. Dopodiché ricominciò a correre, senza prestare attenzioni al bruciore intenso del taglio. 
Stava seguendo un percorso a caso, andava a dritto e curvava in prossimità degli ostacoli, oppure li superava saltando. Tutto questo le faceva ricordare la sua vita. Non aveva una meta precisa, non sapeva cosa l'attendesse poco più in là di quanto i suoi occhi riuscissero a vedere. Era tutto un'incognita. Affrontava gli ostacoli ed andava avanti, senza mai sapere dove i suoi piedi sarebbero atterrati, se su un terreno solido, se in uno strapiombo. 
Era forse questo il bello della vita? La sua totale imprevedibilità? 
Un vento forte si alzò all'improvviso, ridestando Gea dai suoi pensieri filosofici. Arrestò il passo, si guardò in giro ed aggrottò la fronte. Intorno ai suoi piedi sabbia e piccoli sassi iniziarono a muoversi di moto circolare, alzandosi man mano in altezza, fino a che, dopo pochi secondi, non si ritrovò intrappolata in quella gabbia.
Allungò una mano per cercare di superare la coltre di sabbia che le vorticava velocemente attorno, ma non appena le sue dita entrarono in contatto con quel muro, tanti sottili tagli le ricoprirono la pelle.
Ritrasse la mano di scatto e se la portò al petto con una smorfia di dolore dipinta sul volto. L'opzione "correre contro la parete di sabbia" era fallita. Non poteva certo rischiare di essere ridotta in poltiglia. Doveva trovare assolutamente un'altra via di fuga, e in fretta anche, perché le pareti di sabbia si stavano stringendo sempre di più intorno al suo corpo.
Alzò la maglietta e passò un dito sulle linee intorno all'ombelico, chiuse gli occhi ed inspirò a fondo. Un'energia ormai familiare le si riversò in tutto il corpo come l'onda di uno tsunami, facendola tremare e vacillare sul posto. 
Stavolta percepiva qualcosa di diverso... si sentiva stranamente più forte del giorno prima. 
Istintivamente alzò una mano e l'allungò in direzione del muro davanti ai suoi occhi. Non sapeva nemmeno lei cosa stesse facendo, sapeva solo che era la cosa giusta, che la terra le avrebbe ubbidito. 
Sfiorò con un polpastrello la colonna di sabbia e questa improvvisamente si solidificò, diventando un vero e proprio muro, ma tenendola ancora intrappolata. 
Alzò la testa ed osservò il cielo. Non c'era nemmeno una nuvola, tutto appariva limpido e tranquillo. Appariva, infatti. 
Sorrise tra sé e sé e chiuse gli occhi. Riusciva a percepire distintamente l'elettricità che permeava la volta celeste. Era come se i suoi occhi interiori fossero in grado di vedere un'enorme ed estesa rete elettrica sospesa in aria. 
Si concentrò sull'intensità di cui doveva disporre il fulmine che stava andando a creare, affinché anche lei non venisse deflagrata durante l'impatto col muro di pietra. 
Mano a mano che il dardo pregno di elettricità si formava, Gea avvertiva dentro di sé un'energia crescere come la lava che risale un vulcano. Quando la sentì arrivare all'apice aprì gli occhi e il fulmine cascò dal cielo fino a finire sulla colonna solida. Inizialmente non successe nulla, poi gli occhi della ragazza videro delle vene blu estendersi lungo tutta la parete. Sparirono per un secondo, l'attimo dopo una forte esplosione risuonò per il Grand Canyon. 
Frammenti di pietra volarono come frecce in tutte le direzioni, senza mai avvicinarsi a Gea. 
Uno schiocco di dita ridusse in cenere i massi; la ragazza alzò lo sguardo e vide Deimos, seduto su una roccia rialzata di alcuni metri da terra. 
Di colpo la vista le si annebbiò e l'energia che prima sentiva scorrere nelle sue vene defluì dal corpo, tornando a nascondersi nelle linee intrecciate sulla pancia. 
A quel punto, Gea crollò a terra. Le ginocchia le si piegarono istintivamente e, se non avesse avuto la prontezza di mettere le mani avanti, sarebbe finita faccia al suolo. 
Cominciò a respirare sempre più affannosamente, totalmente stremata dalla trasformazione. Forse il pazzo aveva ragione, era necessario che si fortificasse, altrimenti il suo corpo non sarebbe più stato in grado di reggere a nessuno sforzo. Ne andava della sua vita. Non poteva permettersi di sbagliare. 
Una goccia di sudore le scivolò dalla fronte fino a depositarsi sul suolo. Gea chiuse gli occhi e la bocca con l'intento di regolarizzare il respiro agitato. Il cuore le batteva furiosamente, come se stesse cercando di scappare, almeno lui, da quella situazione. 
<< Ricomincia a correre, subito >> le ordinò Deimos, perentorio. 
<< Non... non ce la... faccio >> fu tutto quello che Gea riuscì a dire, tra la gola secca e il fiato corto. Aveva bisogno di riposare, sentiva che tutte le forze le stavano venendo lentamente meno. 
<< Ho detto subito >> insistette il ragazzo, scendendo dalla sua roccia. Mosse dei passi cadenzati fino a giungere difronte alle mani di Gea. 
La giovane alzò la testa per incontrare gli occhi di Deimos, ma tutto ciò che vide fu... il nulla. L'aria le frustò violentemente il viso ed i piccoli sassi per terra le lacerarono la felpa, graffiandole le braccia e la pelle su tutto il fianco sinistro. 
La sua folle corsa si arrestò solo quando colpì con la schiena un macigno di pietra. 
Un gemito strozzato le scappò dalle labbra, perdendosi nella desolazione di quella terra sconfinata. Deimos l'aveva colpita brutalmente, sferrandole un calcio come se fosse stata una palla da calcio. 
Gea, adesso accasciata al suolo, aprì gli occhi faticosamente. La prima cosa che poté constatare fu la traiettoria del suo volo. A terra si trovava una lunga scia, ripulita da tutti i ciottoli che prima l'abitavano. Quel maledetto le aveva fatto percorrere all'incirca una decina di metri su un fianco. 
La ragazza si alzò da terra tremolante e malconcia. Doveva pagarla, gli avrebbe fatto rimpiangere il giorno in cui era nato. 
<< Volevo solo riposare un attimo! >> urlò Gea, puntando gli occhi su quelli del ragazzo. 
Deimos, prima perso a guardare un burrone, voltò la testa e la guardò indifferente. << Non avrai tempo di riposare quando loro ti attaccheranno >> le disse lapidario. Un secondo dopo le era vicino, a pochi passi dal suo corpo provato dalle fatiche della giornata. << Finora mi sto trattenendo, se cominciassi a fare sul serio non dureresti nemmeno un secondo. >>
Gea strinse i pugni e contrasse la mascella. Non sapeva cosa replicare perché, una volta tanto, doveva dargli ragione. Non appena finiva di usare i suoi poteri si sentiva svenire,  come poteva fronteggiare ben tre tizi che avevano come unico intento quello di ucciderla?
<< Cosa devo fare, allora? >> chiese tenendo lo sguardo rivolto a terra. 
<< Datti una mossa a migliorare... Sempre che tu ne sia capace >> rispose divertito Deimos. 
Gea alzò gli occhi sul viso del giovane, risoluta come poche volte era stata. Deimos le restituì lo sguardo e per qualche secondo nessuno parlò più. 
Il vento soffiava leggero sull'altura, spostando i ciuffi ribelli di Gea e scompigliando i capelli di Deimos. 
Ad interrompere quel contatto visivo fu la ragazza; si tolse la felpa per poi lanciarla sulla roccia contro la quale aveva sbattuto, successivamente prese a correre. 
Deimos la seguì con lo sguardo. Sollevò il mento e continuò a fissarla mentre lei scansava le pietre e prendeva sempre più velocità. 
Spostò gli occhi su una colonna di pietra sotto la quale di lì a poco sarebbe passata Gea. Era traballante e malmessa, tante sottili crepe decoravano la sua superficie non più liscia. Deimos sorrise soddisfatto ed aspettò il momento più propizio per farla saltare in aria. Ancora qualche passo della ragazza e... Non appena ci fu sotto, il giovane fece spezzare la roccia in due parti. La parte superiore scivolò rapidamente su quella inferiore. Vide la ragazza voltare la testa di scatto, alzare una mano e ridurre in sabbia il macigno. Dopodiché ritornò a correre, seppur con qualche difficoltà dovuta ai brutti colpi di prima.
Sul viso di Deimos comparve un mezzo sorriso. Quella ragazza lo incuriosiva profondamente, aveva un carattere forte e debole al tempo stesso. Non sapeva mai cosa aspettarsi da lei, come quella mattina. 
Ma adesso era giunto il momento di mettere in atto ciò che la sua mente aveva elaborato. 
Gea nel frattempo continuava a cercare di fare del suo meglio, nonostante provasse dolore in qualsiasi parte del corpo. Non voleva che quel pazzo la vedesse ancora come un'incapace. Era stanca di non sentirsi mai all'altezza di nulla. 
Le faceva male tutto, ma non poteva fermarsi, non ora che stava dimostrando quanto lei valesse veramente. 
<< Basta così >> gridò Deimos, alzando un braccio. 
Gea arrestò i suoi passi e si volse a guardarlo. Che in lui fosse nata quella cosa chiamata umanità? Aveva forse intuito che nelle sue condizioni era dura portare avanti l'allenamento? 
Ne dubitava fortemente. Lo conosceva da poco meno di due giorni, ma se c'era una cosa che aveva capito fin da subito era che il pazzo non aveva pietà per nessuno. Tantomeno per lei. 
<< Cosa c'è? >> domandò avvicinandosi lentamente al ragazzo. L'espressione di Deimos, come sempre, non tradiva alcuna emozione. Era un gioco arduo cercare di capire cosa gli stesse frullando per la testa. 
<< Vuoi che il tuo addestramento, per oggi, finisca prima? >> le chiese serio. 
Domanda troppo sospetta, pensò la ragazza. Non c'era alcun dubbio: Deimos nascondeva qualcosa che sicuramente non le sarebbe piaciuto.
<< Se ti rispondessi di sì? >> rispose Gea, osservandolo con diffidenza. 
Il giovane incrociò le braccia sul petto ed un sorriso maligno apparve sul suo bel viso. << Dovrai affrontare una sola prova, poi avrai il resto della giornata libera. >>
<< Che tipo di prova? >> 
<< Prima devi dirmi se accetti. >>
<< Non stringo patti col diavolo. >>
Deimos sollevò un sopracciglio e s'indicò divertito. << Sarei io il diavolo? >>
<< Vedi qualcun altro più spietato di te in questo momento? >> rispose sarcastica Gea. 
Il ragazzo coprì velocemente i centimetri che li dividevano, fino a far combaciare le punte dei suoi stivali con quelle delle scarpe di Gea. La giovane abbassò la testa e puntò gli occhi sulle braccia di lui, mentre Deimos la fissava dall'alto senza alcuna espressione. << Regola numero uno? >> fiatò sui suoi capelli, facendoli vibrare appena. 
Gea si passò la lingua sulle labbra spaccate e distolse lo sguardo, per poi posarlo sul suolo. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di sentirla rispondere come un cagnolino ubbidiente. Era fuori discussione. 
<< Sei muta per caso? >> la canzonò, senza alcuna ombra di divertimento nella voce. << O forse la paura ti ha bloccato la lingua? >> 
Gea sollevò la testa di scatto ed incatenò i suoi occhi a quelli blu del ragazzo. << Non ho paura di te >> confessò risoluta.
Deimos restò a scrutarla a lungo, sorpreso dalla risposta che gli aveva dato. Ed era vero, in quel momento non percepiva nessuna paura provenire dal corpo di lei. 
<< Faresti bene ad averne, invece. >>
<< Perché dovrei? >> insistette Gea con fare sicuro. 
Il ragazzo fece un mezzo sorriso e le prese il mento tra due dita. Le sollevò ancor di più la testa ed avvicinò la sua. << Perché tra poco conoscerai cosa sia la paura vera >> sussurrò sul suo viso. << Quella che non ti fa ragionare e t'immobilizza, quella che ti conduce alla pazzia o alla morte. >> 
Gea non ebbe il tempo di rispondere, Deimos la sollevò da terra e se la caricò su una spalla con una facilità disarmante. 
<< Che stai facendo?! Lasciami immediatamente! >> 
Nonostante le urla disperate di Gea, il ragazzo appariva assolutamente tranquillo, addirittura divertito. Camminava spedito verso il burrone che aveva osservato precedentemente e teneva stretta la ragazza, che continuava a dimenarsi e a colpirlo inutilmente. 
Non appena fu vicino al precipizio sorrise maligno. Finalmente avrebbe scoperto di cosa era veramente capace quella ragazza... Sempre se fosse sopravvissuta.
<< Mettimi giù! Tu sei pazzo! >> urlava ancora Gea. 
<< Come vuoi >> rispose con un'alzata di spalle. E la lasciò andare, giù, sempre più, verso il buio, quel buio che non diventa più luce, verso la fine. 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***



Il cuore le balzò nel petto. La testa le pulsò violentemente. Una scarica di adrenalina le annebbiò la vista. Gli occhi per poco non le uscirono fuori dalle orbite nel momento in cui si rese conto che sotto di sé imperava il vuoto. E lei ci stava cadendo. 
Il viso rilassato e impassibile di Deimos si allontanava sempre più velocemente dalla sua vista, diventando mano a mano più piccolo.
Stava precipitando. Inesorabilmente. 
Gea chiuse gli occhi, strizzandoli con forza nel tentativo di svegliarsi da quell'incubo. Dalla sua bocca non uscì un grido, qualsiasi parte del suo corpo era paralizzata. 
Il cuore le batteva sempre più forte ad ogni metro che conquistava verso la fine. 
Improvvisamente la paura fu sostituita da qualcos'altro: panico, puro e devastante. 
Aprì gli occhi di scatto e volse la testa ad osservare quanto poco mancasse allo schianto. Gocce di sudore le furono spazzate via dal vento. 
Cosa doveva fare? C'era forse qualche modo per salvarsi? Non riusciva a ragionare lucidamente. La mente le era andata totalmente in tilt. L'unica parola che galleggiava nella sua testa come un relitto, era quella che più temeva: morte. 
Schiantata in un burrone, del suo corpo non avrebbero ritrovato che pezzi sparsi qua e là. Sempre se qualcuno l'avrebbe rinvenuta. 
Scosse il capo con violenza e delle lacrime le uscirono dagli occhi con disperazione. Non voleva morire. Dannazione, lei amava la sua vita! 
I metri che la dividevano dal suolo diminuivano sempre di più. Gea osservò il suolo, piangendo. Iniziò a dimenarsi nell'aria, in un vano tentativo di arrestare quella discesa implacabile verso il patibolo.
<< No >> sussurrò debolmente. << No! >> ripeté più forte. Gli occhi le si sgranarono, il suo sguardo mutò in uno di puro terrore, il cuore per poco non le scoppiò nel petto.
Di lì a poco tutte le sue sofferenze sarebbero giunte al capolinea. 
Le passarono davanti agli occhi i volti di sua madre e suo padre. Nonostante l'avessero sempre considerata poco e l'avessero fatta soffrire, lei li amava. Volevo esserci per loro, anche se per lei non c'erano mai stati. E ci sarebbe stata.
La terra tremò impetuosamente. Deimos, che osservava la scena dall'alto con totale impassibilità, fu costretto ad allontanarsi dal bordo del precipizio che pian piano si stava sgretolando. 
Grandi e piccoli massi ricaddero giù per la parete rocciosa, rotolando furiosamente e provocando frastuoni assordanti. 
Gea abbassò le palpebre ed attese. Una strana convinzione si era impadronita di lei; la rabbia faceva da padrona, comandava le sue azioni e la faceva agire istintivamente.
Ancora qualche metro e... Spalancò gli occhi con determinazione e il suo corpo si fermò prima che toccasse terra. 
I giganti di roccia che stavano precipitando si arrestarono con lei, sospesi tra la tregua e lo schianto. 
Tutto era immobile, congelato in quel preciso momento. Il vento aveva smesso di sbattere contro il viso della ragazza, il cielo sembrava lo sfondo di una cartolina, non più vivo. 
Tutto senza tempo. 
Gea allungò un braccio e toccò il suolo, dopodiché piegò le gambe e si ritrovò a carponi. Era viva. Ci era riuscita. 
Il corpo le tremava per la paura provata, il cuore batteva frenetico, lo stomaco le faceva male, ma il suo volto era finalmente rilassato. Lacrime di felicità le rigarono le guance, riportandola alla realtà. Aveva visto la morte da vicino, eppure era riuscita a sconfiggerla. 
Un singhiozzo le scosse le spalle rabbiosamente. Mai nella vita aveva saggiato un terrore così vero, così grande. Era dunque questo il potere di Deimos? 
Non ebbe modo di pensarci a lungo perché un forte conato di vomito le risalì dalla gola fino a farla rigettare. 
Sentiva tutti i postumi dello shock pesarle sulle spalle come un edificio di piombo. 
Finì di vomitare e, dopo aver tossito per qualche breve istante, si passò un lembo della maglietta sulle labbra. 
Compì lo sforzo di alzarsi in piedi sulle gambe tremolanti, fece qualche passo e si avvicinò ad una parete rocciosa. Si lasciò cadere a sedere e chiuse gli occhi, stremata. 
<< Sei ancora viva >> sentì dire da una voce odiosa con aria di sufficienza. 
La ragazza sollevò le palpebre e fulminò Deimos, in piedi davanti a lei. << Come mai non sei rimasto immobilizzato insieme a tutto il resto? >> chiese con rabbia.
Deimos la fissò senza battere ciglio. << Non lo so >> rispose in un sussurro. << Comincio a credere che i tuoi poteri siano legati ai miei più di quanto avessi immaginato >> aggiunse stringendo gli occhi. 
Gea abbassò la testa dolorante e circondò le gambe, tenendole vicine al petto. << Ho superato la prova, posso tornare a casa ora? >>
Sentì la mano del ragazzo stringerle un braccio e tirarla in piedi. Gli occhi di Gea saettarono in quelli di Deimos, che le restituì lo sguardo. L'avvicinò al suo petto e le passò un braccio attorno ai fianchi per sorreggerla. Gea abbassò gli occhi sulla maglietta di lui e li chiuse, sfinita ed annientata da quella mattinata. Senza rendersene conto appoggiò la fronte sul suo petto e strinse in una mano la sua maglia, mentre l'altra andò a posarla sul suo braccio.  
Non appena i due sparirono da quello scenario, un immenso boato risuonò per il Grand Canyon.


                                                                      *  *  *


Era distesa sul letto da chissà quanto tempo ormai. 
Dopo essere approdata in casa in compagnia di Deimos, lui l'aveva lasciata andare di colpo, come se si fosse scottato, e lei era caduta pesantemente a terra. 
Gea aveva alzato la testa per dirgliene quattro, ma il ragazzo era già sparito, volatilizzato nel nulla. 
Era andata a cucinarsi qualcosa velocemente, nonostante il suo stomaco si rifiutasse ancora di mandare giù i bocconi. Le era stato difficile finire tutta la sua porzione d'insalata di pollo, ma alla fine ce l'aveva fatta. 
Aveva sparecchiato e si era gettata sul letto a peso morto. 
I pensieri le si erano affollati nella mente come uno sciame d'api, rumorosi e pungenti. Ogni qual volta tentava di addormentarsi davanti ai suoi occhi ricompariva quel precipizio. Inutile dire che ancora non era riuscita ad assopirsi. 
Le sarebbe piaciuto staccare, anche solo per un attimo, la spina del cervello. Dimenticare tutto e cadere nell'oblio. Invece non riusciva a fare né l'uno né l'altro. La sua mente era più sveglia che mai e la sua memoria le faceva rivivere quegli attimi di puro terrore. 
Riusciva a sentire il vento schiaffeggiarla brutalmente impedendole di respirare, il sudore colarle dalla fronte per poi essere spazzato via, il corpo scosso dai tremiti, il panico assalirla fino a farla quasi impazzire... Si portò le mani tagliuzzate tra i capelli e si volse su un fianco. 
Non voleva più rivivere quel momento. La sue mente chiedeva pietà, eppure era proprio lei che continuava ad infliggerle quella tortura.  
Non avrebbe mai creduto che proprio il pensiero dei suoi genitori le avrebbe dato la forza di reagire. L'avevano fatta soffrire così tanto... così spesso... Quando aveva detto loro che avrebbe cambiato casa, nessuno dei due aveva battuto ciglio. Suo padre aveva annuito e sua madre le aveva detto un semplice "ok". 
Il cuore di Gea in quel momento si era spezzato per l'ennesima volta. Era uscita dalla stanza e si era rifugiata nella sua cameretta, si era seduta sul letto ed era rimasta immobile a guardare il vuoto. Perché i suoi genitori non tenevano a lei? Era forse colpa sua? Non si era impegnata abbastanza affinché loro l'amassero? Non sapeva ancora la risposta. 
Fin da piccola la lasciavano sola in casa, mentre loro andavano a farsi qualche girata dalla mattina alla sera. Mai una volta che l'avessero portata con loro. 
In quei giorni Gea stava nella sua piccola camera a giocare con le bambole, inventandosi storie divertenti che la facevano ridere. Era sempre stata una bambina solitaria. 
Poi arrivò il tempo di andare a scuola e con esso il periodo più buio della sua vita. Fin da subito i suoi genitori la fecero sentire una fallita. Il fatto di avere, ogni tanto, dei piccoli insuccessi scolastici non veniva visto di buon occhio dai due. 
Ogni giorno le ricordavano che tutti i bimbi della sua età sapevano già leggere e scrivere, mentre lei non era ancora in grado di fare nessuna delle due cose. Quando Gea, a sei anni, rispose loro che gli altri sapevano già leggere e scrivere perché i rispettivi genitori glielo avevano insegnato, si prese uno schiaffo in pieno viso. 
Sua madre ritrasse la mano subito dopo e si piegò sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza. "Quando si è incapaci di raggiungere un obiettivo si dà la colpa agli altri, non è vero Gea?" le disse duramente. 
Quelle parole rimasero impresse a fuoco nella mente della piccola. 
Di lì in poi tutte le volte che mancava una meta che si era prefissa, si sentiva un'incapace. Ad ogni insuccesso i suoi genitori la guardavano quasi con pietà, come se sapessero che per lei era impossibile arrivare al livello degli altri. Durante la cena i suoi discorrevano spesso delle doti dei figli dei loro amici, escludendo Gea da qualsiasi elogio. 
Né sua madre né suo padre le avevano mai dato l'imput a dare del suo meglio. Già all'età di dodici anni Gea era convinta che per quanto si potesse sforzare sarebbe sempre stata una spanna sotto tutti. E allora a cosa serviva impegnarsi? A nulla. I suoi genitori l'avrebbero costantemente vista come un'incapace e lei avrebbe solo sofferto ulteriormente. 
A diciassette anni sentì il forte impulso di uscire da quella casa in cui veniva incompresa da tutti. Non poteva passare la sua intera esistenza ad auto commiserarsi.
I suoi genitori le pagarono l'affitto per i primi due anni, intimandole di trovarsi un lavoro perché non avrebbero speso altro denaro. Per la prima volta, fecero la felicità della loro unica figlia.
Scacciando quei pensieri la ragazza s'issò a sedere sul letto. Aveva bisogno di una doccia, così, almeno fisicamente, si sarebbe tolta un po' di pesantezza. 
Si tolse i vestiti sporchi e sgualciti e li lanciò alla rinfusa sul pavimento. Entrò dentro la doccia ed aprì il getto d'acqua calda, lasciandosela scivolare sui capelli e sulla pelle.
Abbassò la testa e delle ciocche di capelli le s'incollarono sul viso. In quei due giorni di addestramento aveva visto in faccia la morte più volte. Quel maledetto di Deimos l'aveva sempre spinta a compiere azioni fuori dall'ordinario. Prima o poi a lei sarebbe toccato rimetterci la vita, se lo sentiva. Quando si tira troppo la corda poi va a finire che si spezza. 
Afferrò lo shampoo con stizza e cominciò ad insaponarsi la testa. 
Le aveva persino tagliato i capelli, i suoi amati capelli lunghi e ondulati. Almeno per quello, però, gliel'aveva fatta pagare. 
Sorrise al ricordo delle sue nocche sul viso del ragazzo. Di una cosa sola si pentiva... di non avergli tirato il pugno sul naso. Ma non importava, era sicura che avrebbe avuto modo di rimediare molto presto. 
Sollevò il viso e chiuse gli occhi per permettere all'acqua di cancellare la stanchezza. Scotolò i capelli e spazzò via i residui di schiuma, dopodiché afferrò il sapone e se lo passò sul corpo. La sua mano si fermò all'altezza delle linee intrecciate attorno all'ombelico. Abbassò lo sguardo ed osservò quel simbolo tanto banale quanto potente. Incredibile come solo due linee le avessero cambiato la vita. 
Non aveva ancora avuto modo di metabolizzare e fermarsi a riflettere su come la sua esistenza fosse stata stravolta. Tutto quel susseguirsi imprevedibile di eventi le aveva persino tolto la forza di ragionare. 
Inizialmente aveva creduto si trattasse di un incubo, ma poi... incarnare la terra non era certo il suo sogno nel cassetto, però non poteva nemmeno dire che la cosa le dispiacesse. 
Doveva sentirsi onorata di un tale privilegio. Evidentemente non era così incapace come la ritenevano i suoi genitori. In quei due giorni aveva affrontato prove a cui, era sicura, nessuno dei figli, che i suoi tanto elogiavano, avrebbe resistito. 
Terra... le sembrava tuttora irreale. Aveva accettato la sua condizione e non si era posta troppe domande. Se c'era qualcosa che riusciva a spaventarla era non conoscere le risposte. Ad esempio: chi erano aria, acqua e fuoco? Davvero non era possibile arrivare ad un compromesso di pace? Avrebbe dovuto lottare per forza? Non sapere le risposte la mandava in panico. Le faceva salire l'ansia ed una pesante nuvola di agitazione le si condensava nello stomaco.
Scosse la testa per scacciare quei pensieri e si abbandonò sotto il getto d'acqua. 


                                                                       *  *  * 


Erano ormai giunte le sette e mezza di sera. Dopo aver fatto la doccia era persino riuscita ad addormentarsi. La stanchezza era stata talmente tanta che nemmeno la rievocazione del precipizio aveva potuto far nulla.
Si era svegliata riposata e stranamente rilassata. 
Prima di preparare da mangiare decise di uscire per andare in farmacia a comprare delle garze che le potessero ricoprire le tante ferite sulla schiena e sul fianco. 
Indossò dei pantaloni lunghi neri ed una maglietta bianca a maniche corte. Sistemò i capelli con le mani e, afferrate le chiavi e la borsa, uscì di casa. 
Percorse le piccole vie tra i palazzi a passo svelto, finché non sbucò nel grande viale costernato di alberi e prati in cui aveva passeggiato di ritorno dalla biblioteca.
Non era calato del tutto il sole. All'orizzonte s'intravedeva ancora una corona di luce rossa che dipingeva il cielo di mille sfumature calde. Sul trono sedeva il sole, accecante di fulgore e perfezione.
Gea rimase ad osservare quello scenario, lo stesso di due giorni prima. Mentre le auto sfrecciavano veloci, la ragazza pensò che il tempo della volta celeste si fosse fermato. E così anche lei arrestò i suoi passi per ammirare quello spettacolo di colori. 
Una dolce malinconia le adombrò il viso, facendola sentire sola e troppo piccola, troppo indifesa. Chissà cosa le avrebbe riservato il futuro... Morte per mano degli altri tre elementi oppure vita? Sospirò afflitta e tornò a percorrere la strada. 
La sua vista fu catturata da un pesco in fiore. Il cuore le batté forte per un attimo. 
Era lo stesso che aveva sognato e che aveva rivisto il giorno dopo... Non capiva perché, ma sentiva un forte ed indissolubile legame con quell'albero. 
Accelerò il passo e scavalcò la bassa recinzione attorno al prato, sul quale svettava un grosso cartello con su scritto "non calpestare le aiuole".
Raggiunse il pesco e posò una mano sul tronco. Una scarica di energia le trapassò il corpo, facendole sgranare gli occhi per lo stupore. Sotto le sue dita si accese una debole luce gialla che pian piano crebbe d'intensità. 
Gea si guardò attorno, sperando che nessuno notasse quel bagliore. Stranamente la gente continuava ad andare avanti per la sua strada senza considerarla. Non che fosse un male, ma... era come se lei fosse improvvisamente diventata invisibile. 
Tornò con gli occhi sul tronco non appena la luce gialla divenne accecante come il sole. Strinse le palpebre e cercò d'intravedere qualcosa in tutto quel bagliore. 
Una scarica le risalì dal braccio fino alla nuca, dopodiché confluì alla pancia. Precisamente nelle linee intrecciate attorno al suo ombelico. 
Gli occhi di Gea si spalancarono di colpo. Si piegò su se stessa, aprì la bocca, ma tenne ferma la mano incollata alla corteccia. Era come se le fosse arrivato un pugno nello stomaco, ma... era piacevole. 
La luce si spense di colpo e Gea cadde a terra, ansimante e sudata. 
Appoggiò le mani sulla fredda erba ed una goccia di sudore le scivolò dalla fronte. Che cosa era stato? Perché adesso si sentiva improvvisamente debilitata? 
Sollevò la testa ed osservò la strada che poco prima stava percorrendo. Una donna si volse a guardarla con sospetto, poi rigirò la testa e continuò a camminare. Probabilmente l'aveva scambiata per una drogata o alcolizzata. 
Cercò di alzarsi, ma un forte capogiro la colse inaspettatamente, facendola ripiombare a terra. Chiuse gli occhi nella speranza che presto il mondo intorno a lei avrebbe smesso di girare vorticosamente. Si mise a sedere ed appoggiò la testa sulle braccia, ma aveva la stessa sensazione di mal di mare anche ad occhi chiusi. Di lì a poco avrebbe vomitato, se lo sentiva. 
Perché le dovevano andare tutte storte? Possibile che fosse diventata così tanto sfortunata?
<< Che diavolo stai facendo? >> sentì dire dalla voce dei suoi incubi. Di male in peggio, pensò la ragazza. 
<< Sto male, mi gira la testa >> rispose flebilmente, senza muoversi di un millimetro.
<< Chi è questa ragazza? >> domandò una voce acuta e perforante. Gea fece una smorfia con la bocca e cercò di tapparsi le orecchie con le braccia. 
<< Che stavi facendo qua? >> insistette Deimos. 
<< Nulla >> fu tutto ciò che Gea riuscì a pronunciare. 
<< Ma, insomma, chi è, amore? >> 
Nel sentire che Deimos veniva chiamato "amore", per poco Gea non vomitò schifata. Dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per impedirsi di farlo. 
Alzò la testa e sospirò nel tentativo di rilassare i muscoli. Aprì gli occhi ed osservò le due figure che le stavano difronte. 
Una ragazza dai lunghi capelli tinti di biondo la guardava con stupidità, forse perché incapace di comprendere cosa stesse succedendo. Il suo braccio era avvinghiato a quello dell'essere spregevole. Dal suo canto lui teneva gli occhi puntati su di lei a terra, come sempre con indifferenza. 
<< Vattene a casa >> le ordinò Deimos, impassibile.
<< Se ci riuscissi lo farei >> ribatté Gea stizzita, portandosi due dita sulle tempie. 
<< Non sei in grado di alzarti? >> le chiese con un tono di scherno. 
<< Ti ho detto che mi gira la testa. Non riesco a stare in piedi. >>
<< Dobbiamo accompagnarla a casa, amore >> intervenne la bionda, tirando il braccio del ragazzo. 
Gea osservò la ragazza e le sorrise amichevolmente. << Non ti preoccupare, appena mi passa vado da sola. >> 
<< Ma no, tesoro >> insistette lei. << Potrebbe succederti qualcosa. Sarà meglio che ti si accompagni. >>
<< Posso chiamare un taxi, non c'è bisogno, davver... >>
<< Forza, prova ad alzarti >> la interruppe Deimos, mettendosi vicino a lei. 
Gea abbassò la testa ed un nuovo capogiro la investì. Decise di non dargli troppo peso e fece leva sulle mani per sollevarsi. Si alzò lentamente, come se si trovasse su una tavola da surf e dovesse recuperare l'equilibrio. 
Le gambe le tremarono per un istante, incapaci di sorreggerla, e Gea fece per ricadere a terra, ma fu prontamente afferrata da Deimos per le braccia. 
Il respiro freddo del ragazzo si scontrò contro la pelle calda del collo di Gea, facendola rabbrividire.
<< Povera cara, non riesci proprio a stare in piedi >> esclamò la bionda, portandosi una mano davanti alla bocca. 
<< È inverosimile questa situazione >> borbottò Gea, non appena Deimos passò a sorreggerla dalla vita. Ancora una volta si trovavano troppo vicini. La ragazza sentiva il petto di lui a stretto contatto con la sua schiena.  
<< Se ci fosse un altro burrone non esiterei a gettarti dentro >> le fiatò nell'orecchio. 
<< Solo che stavolta ti porterei giù con me >> ringhiò Gea. 
Un sorriso divertito si pennellò sulle labbra di Deimos. La lasciò andare di scatto e Gea cadde a terra come un sacco di patate. Era già la seconda volta in un giorno che le faceva quello scherzetto. I pantaloni neri le si sporcarono di verde e la maglietta le si sollevò di poco sulla schiena. 
<< Oh, Deimos, ti è caduta! >> constatò la bionda, prendendosi le guance tra le mani. << Poverina... >>
Gea volse la testa per fulminare il ragazzo mentre lui le sorrideva beffardo. Se solo fossero stati da soli e ne avesse avuto la forza, gli avrebbe volentieri fatto sparire quel sorriso da schiaffi. 
Deimos mosse dei passi in avanti, superandola. Si piegò sui talloni e portò le braccia all'indietro. << Sali >> ordinò indicandosi la schiena. 
Gea strabuzzò gli occhi e scosse la testa vigorosamente. << No, non se ne parla. >> 
<< Ma cara, non c'è altro modo >> disse l'altra ragazza, guardandola con un misto di preoccupazione e pietà. 
Gea deglutì a vuoto e portò gli occhi sulla schiena di Deimos. Aveva cambiato maglietta, adesso era nera e... aderente. Si poteva notare la curvatura perfetta della spina dorsale scendere sino al sedere.
Gea scosse la testa e si risvegliò dal torpore. Il mondo intorno a lei ricominciò a vorticare, così comprese che non aveva altra scelta. 
Allungò un braccio ed afferrò una spalla del ragazzo. Deimos le passò una mano sotto la coscia e l'avvicinò a sé, dopodiché fece la stessa cosa anche con l'altra gamba.
S'issò in piedi e Gea prontamente gli strinse le spalle, impaurita di cadere. 
<< Se fossimo da soli non farei di certo il facchino. Ti farei arrivare a casa tua a calci >> sibilò tra i denti.
<< Se fossimo da soli ti prenderei io a calci >> contrattaccò Gea a bassa voce, per non farsi sentire dalla bionda.
<< Dove abiti, tesoro? >> le chiese quest'ultima. 
<< Non lontano da qui, v'indicherò la strada via via. >> Sorrise alla ragazza ed allungò una mano. << Comunque io sono Gea, piacere. >>
<< Il piacere è tutto mio, io sono Brittany >> le rispose stringendo vigorosamente la sua mano. 
Deimos le fece fare un piccolo saltello sulla sua schiena e si volse a guardare Brittany. << Puoi andare a casa, non c'è bisogno che venga anche tu. >> 
<< Ma, amore... >> si lamentò lei, chiudendo le mani a pugno e piegando il labbro inferiore.
<< Vengo dopo, lascia la finestra aperta >> tagliò corto cominciando a camminare. 
<< Va bene tesoro! Ciao Gea! >> urlò felice la ragazza, alle loro spalle.
Gea si voltò a guardarla e la salutò con la mano, sorridendole. Era una brava ragazza, peccato che dovesse stare con un maledetto del calibro di Deimos.
<< È lei la tua ragazza? >> si ritrovò a chiedere Gea, presa dal corso dei suoi pensieri.
Tornò con la testa dritta ed attese la risposta del giovane... che non la stava calcolando minimamente.
<< Ti ho fatto una domanda >> affermò innervosita. 
Sporse il viso sulla spalla del ragazzo e cercò di scrutare la sua espressione. Impassibile, come sempre. 
Il sole era ormai calato. Sulle strade non si riflettevano più le ombre scure dei palazzi, tutto era uniforme adesso. I lampioni emettevano come sempre la loro debole luce, rendendo un po' più nitida la vista.
Deimos percorse il marciapiede che costeggiava il parco, per poi immettersi nelle piccole vie che Gea aveva precedentemente attraversato.
Il buio cominciava ad infastidire la ragazza. La faceva sentire scoperta, come se avesse gli occhi di qualcuno puntati addosso. Del resto la sua vita era cambiata in una notte...
<< Eri tu che mi seguivi quella sera, vero? >> chiese ad un certo punto. 
<< Sì, ero io. >> 
Svoltarono in un'altra stretta via. Una folata di vento caldo li investì totalmente, facendo vibrare i loro capelli. 
<< Che ci facevi vicina a quell'albero? >> le domandò gelidamente. 
<< Non vedo perché dovrei risponderti, tu non lo fai mai. >> 
<< Se la metti così significa che me lo dirai con la forza. >>
<< Perché t'interessa tanto? >> 
<< Perché io so cos'è quell'albero per te >> sputò fuori, scatenando un'ondata di curiosità nella ragazza. 
<< E cioè? Qualcosa di cattivo? >> chiese agitandosi. 
<< Se lo vuoi sapere, prima rispondimi. >>
Gea sospirò e strinse la maglietta di Deimos tra le dita di una mano. << Stavo camminando, poi... mi sono sentita attirare dal pesco... mi sono avvicinata ed ho avuto l'istinto di toccarlo >> confessò mordendosi un labbro. 
<< Cosa è successo quando l'hai toccato? >>  
<< Sì è sprigionata una luce gialla, ho sentito come... delle scariche in tutto il corpo. La luce ha cominciato a crescere d'intensità fino a che non si è spenta di colpo. Poi sono crollata a terra, sfinita. >>
Deimos giunse davanti al condominio di Gea e si piegò leggermente in avanti con la schiena. << Passami le chiavi >> ordinò staccando una mano dalla sua gamba.
La ragazza frugò nella borsa e raccolse il mazzo; lo porse a Deimos e dopo poco cominciarono a salire le scale. 
Appena in casa, il giovane si diresse a passo svelto nella camera da letto e la lanciò malamente sul materasso. 
Si volse a guardarla ed incrociò le braccia sul petto. << Hai raccolto energia, troppa, per questo adesso ti senti così >> le disse lapidario. << Il tuo corpo non la regge. >>
<< Quindi per me cosa sarebbe quel pesco? Un distributore di energia? >> domandò Gea aggrottando la fronte.
<< Si chiamano punti alfa, ogni elemento ne ha uno. I punti alfa sono come l'elettricità per gli apparecchi elettronici. Se ogni tanto non li metti in carica, muoiono >> spiegò fissandola coi suoi occhi profondi. 
Gea sbatté le palpebre velocemente ed abbassò la testa. << Mi stai dicendo che potrei morire se non entrassi in contatto col mio punto alfa? >>
<< Sì. >> 
<< E... ogni quanto dovrei assorbire energia? >> domandò Gea con la gola secca. Perché ogni notizia che quel folle le dava la lasciava profondamente turbata? 
<< Ogni quanto ne sentirai il bisogno. Lo saprai tu stessa. Hai detto che oggi ti sentiva attratta dall'albero, no? È in questo modo che il tuo punto alfa ti richiama a sé. >>
<< Ok >> fu l'unica risposta di Gea. Non aveva più parole, si sentiva stanca e la testa le girava ancora. Aveva ricevuto più notizie in quei due giorni che in tutta la sua vita.
Le tempie cominciarono a pulsarle e chiuse gli occhi, espirò lentamente e si portò le mani tra i capelli. 
<< Ne hai assorbita troppa. Devi farla uscire dal tuo corpo, altrimenti rischieresti di danneggiarti per sempre >> le disse Deimos, avvicinandosi. Pose il palmo della mano sulla fronte di Gea e le alzò la testa. << Mi hai sentito, stupida umana? >> le chiese duro.
La ragazza aprì gli occhi e le fronde degli alberi presero a muoversi violentemente. << Sì, ho sentito >> sibilò stizzita. 
<< Allora preparati, perché vivrai la notte più lunga della tua vita >> le riferì Deimos, aprendosi in un sorriso maligno e divertito al tempo stesso.















Angolo dell'autrice:

Ciaoooooooo!!!
Avevo detto "basta ritardi" e domenica mi sono scordata di postare il capitolo ahahahah. Mamma mia, sono proprio un caso perso -.- 
Mi è venuto in mente stanotte ahahah stavo per appisolarmi e BAM! 
Perdonate questo piccolo ritardo >\\< 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto :) nonostante gli errori che di sicuro ce ne sono a bizzeffe...
Intanto vi aggiorno con le altre storie!
Per via delle feste, caccia disperata ai regali e pranzi dai parenti non ho avuto molto tempo per scrivere, però qualcosa di Tra modelli e manichini ho buttato giù. 
Questa settimana dovrei pubblicare la fine *piange*
Keep your eyes open arriverà la settimana dopo suppongo... Non posso dirlo con assoluta certezza, però vi avvertirò :D
Ho detto todos \(^.^)/ 
GRAZIE MILLE DI TUTTO! Vi mando un bacione enorme!!! 
A domenica! 
Baci baci <3 <3 <3 
Ah! E BUON CAPODANNO!!!! :*

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***



Un soffio caldo le mosse i capelli. Era tutto buio. Non vedeva nulla. Poteva solo sentire. Fare affidamento sui suoi sensi.
Il clima era umido, pesante, pregnante d'acqua. Aveva come la percezione che di lì a poco si sarebbe scatenato un temporale. 
Mosse le scarpe e sentì dei ciottoli spostarsi sotto le sue suole. Si piegò sui talloni e sfiorò il suolo con una mano: secco. Le sue dita incontrarono delle sottili crepe, poi delle radici, infine un piccolo cespuglio dai rami pungenti. 
Alzò la testa ed osservò il cielo. Non c'erano né stelle né luna, sembrava che il sole fosse calato da poco. Eppure era tutto così buio...
<< Dove siamo? >> chiese alzandosi in piedi e perdendo il suo sguardo nel vuoto.
<< California. Deserto del Mojave. >> La voce di Deimos le giunse dalle spalle, spaventandola. Gea si mosse di scatto e voltò la testa verso di lui. 
Arrestò il respiro nel momento in cui si rese conto di trovarsi a pochi millimetri dal suo viso. 
Il respiro del ragazzo s'imbatté sulla sua fronte e le palpebre di Gea si abbassarono lentamente. 
Adesso che la sua vista si stava abituando a quell'oscurità, riusciva a distinguere la maglietta di Deimos. Alzò il viso e portò gli occhi sul mento del giovane... poi sulla bocca... sul naso... infine sui suoi spietati occhi blu. 
Quelle pozze di zaffiro fuso la stavano fissando intensamente. Gea si sentì scoperta, come se lui fosse in grado di leggerle l'anima, di scavarle nella memoria, di trovare la chiave dei suoi pensieri più reconditi.
<< Non è mai una buona idea girarsi verso il nemico >> le fiatò sul viso. 
<< Tu sei il nemico? >> chiese la ragazza, piegando la testa di lato. << Pensavo che i miei nemici fossero solo aria, fuoco e acqua. >>
Un sorriso sghembo colorò il viso del giovane. << E se ti dicessi che sto solo cercando di ucciderti? >> 
Gea tacque per qualche istante. Quel pensiero le era passato per la mente svariate volte in quei due giorni. Però... adesso... non le sembrava possibile che lui la volesse davvero eliminare. 
Raccolse coraggio e guardò con risolutezza gli occhi di Deimos. << Penserei che stai mentendo. >>
<< Da cosa lo dedurresti? >> 
<< Dal fatto che sono ancora qua. >> 
Il ragazzo abbassò la testa ed afferrò i capelli di Gea, tirandoli all'indietro con cattiveria per farle alzare il viso. << Magari ancora per poco >> sussurrò gelidamente, con un sorriso divertito pennellato sulle labbra. << Mai sentito parlare di morte lenta e dolorosa? >>
Un sopracciglio di Gea scattò verso l'alto. << Stai cercando d'impaurirmi, vero? Vuoi usare il tuo potere su di me, solo che non ti riesce. >> Un sorriso beffardo si stampò sul viso della ragazza. 
<< Non hai idea di come agisca il mio potere >> le disse in un bisbiglio. << Insinuo il terrore nella mente delle persone e le lascio impazzire gradualmente. >> 
Gli occhi di Deimos si fecero glaciali. Gea rabbrividì ed abbassò gli occhi sul suo collo, persa nei suoi pensieri. Era davvero un potere quello di cui Deimos disponeva? Oppure... una maledizione? Si cibava della paura e la faceva nascere volontariamente. Quante persone aveva già colpito in questo modo?
<< Paura adesso? >> le chiese serio, tirandole di nuovo i capelli. 
Una smorfia di dolore si affacciò sul viso della ragazza. Riportò gli occhi in quelli di lui e scosse di poco la testa. << No, mi dispiace, non ancora. >> 
Il ragazzo sorrise divertito e la lasciò andare di colpo. << Trasformati >> ordinò perentorio. 
Gea retrocesse di un passo per mettere le distanze tra il suo corpo e quello di Deimos, dopodiché alzò la maglietta e fece scorrere un dito sul cerchio di linee intrecciate. Inspirò a pieni polmoni e l'energia fluì in tutto il suo corpo, ma stavolta con una furia dirompente. 
Gea si piegò sulle ginocchia e strabuzzò gli occhi. Stava male, molto male. Le mancava il fiato, non riusciva a stare sulle sue gambe e il cuore le batteva troppo veloce. 
<< Libera energia, oppure muori. Scegli tu >> asserì il ragazzo, incrociando le braccia sul petto e guardandola con indifferenza. 
<< C... come fac... faccio a... liberarla? >> domandò Gea a fatica. Sentiva la lingua pesante come piombo e la bocca completamente asciutta. 
Deimos le si avvicinò a passo cadenzato. Appena le fu accanto la spinse a terra e le posò la suola dello stivale sulla testa, facendo pressione. 
<< Che stai facendo?! >> urlò Gea. E la terra tremò violentemente. 
Il peso della scarpa di Deimos venne sostituito da una mano che le afferrò i capelli e la sollevò in piedi. La schiena di Gea entrò in contatto col petto del ragazzo. Lui la strinse al suo corpo, facendoli aderire perfettamente. << Forza, piccola stupida umana, scatenati >> le sussurrò nell'orecchio con un tono derisorio. 
Una goccia cadde dal cielo sulla fronte sudata della ragazza. La prima di una lunga serie. 
La pioggia iniziò a scendere impetuosa su di loro, bagnandoli all'istante e raffreddandoli. 
Gea strinse i denti per la rabbia e caricò il gomito. Fece per colpire Deimos, ma questi seppe fermarla prontamente. 
<< Tutto qui? >> la canzonò divertito. 
<< Sta' zitto! >> gridò Gea fuori di sé. Uno schianto assordante fece vibrare l'aria e tremare la terra. Un fulmine squarciò il cielo e per un istante il deserto fu illuminato da una luce blu. Gli occhi di Gea e quelli di Deimos poterono mettere a fuoco una montagna rocciosa, non troppo distante da loro, spaccata a metà. 
La mano del ragazzo, ferma sul costato di Gea, risalì velocemente fino a chiudersi attorno alla sua gola. Strinse la presa, mentre le mani di lei cercavano disperatamente di allontanarlo, e la lanciò a metri e metri di distanza. 
La pioggia le frustò il viso come uno schiaffo d'aghi, impedendole quasi di tenere gli occhi aperti. 
Nel momento in cui Gea emise un ringhio di frustrazione, cinque fulmini toccarono il suolo e il tempo si fermò. Appoggiò rapidamente una mano a terra ed arrestò la sua corsa nel buio. Non ebbe il tempo di riprendersi che un cerchio di fuoco si eresse attorno a lei. 
Gli occhi di Gea si spalancarono per lo spavento e il tempo tornò a scorrere. I fulmini sparirono dallo sfondo del cielo ed altri caddero, avvicinandosi sempre di più a loro. 
Una gamba del pantalone le prese fuoco e la ragazza lanciò un urlo straziato. 
<< Fermalo! Fermalo! >> gridò cercando di spegnere le fiamme con le mani. 
Deimos comparve oltre il cerchio di fuoco. La fissava immobile, con un'espressione concentrata. 
Un altro strillo dilaniato dal dolore rimbombò per il deserto. Undici fulmini caddero a terra. 
Sprazzi di scariche elettriche si formarono attorno al corpo di Gea, rivestendola di una luce azzurra. La ragazza chiuse gli occhi e tremò violentemente. 
Deimos osservava la scena con distacco, in attesa di una reazione da parte di Gea che tardava ad arrivare.   
I pali dell'alta tensione lì vicino mossero i loro cavi. Intense saette blu avvolsero i fili come edera. I cespugli agitarono i loro piccoli rami e altri fulmini colpirono senza pietà la terra. 
Gea aprì gli occhi di colpo. Erano blu e accecati dalla rabbia. I cavi dell'alta tensione esplosero impetuosamente, zolle di terra saltarono in aria per metri e metri, una faglia squarciò il suolo, e il fuoco, avvolto dall'elettricità della giovane, retrocesse dalla sua gamba fino a scomparire. 
Deimos non era solito sorprendersi, ma in quel momento i suoi occhi tradirono ciò che provava. Stupore e incredulità aleggiavano sul suo volto. Non aveva mai visto nulla di simile. Nessuno che riuscisse a placare il fuoco, se non l'acqua. 
Non si era aspettato che lei riuscisse a spegnere le fiamme, la sua primaria intenzione era stata quella di condurla al limite della sopportazione per farle disperdere energia. 
Continuò a tenere lo sguardo puntato sulla ragazza. Gea respirava affannosamente, il pantalone le si era bruciato completamente e la gamba, fino al ginocchio, presentava ustioni e sangue. 
I suoi occhi erano ancora blu. Un blu vivo, accesso, magnetico, elettrico. Alzò la testa e puntò quei fanali su Deimos. << Soddisfatto ora? >> gli chiese con rabbia. 
Il giovane non rispose, ma di una cosa era certo. Quella ragazza stava compiendo passi da gigante nell'addestramento. Fino a due giorni prima non sapeva cosa fosse il suo potere, adesso era in grado di maneggiarlo e liberare una potenza fuori dal comune.
La vista di Gea si offuscò per un istante e la testa le cominciò a pesare come un macigno. Chiuse gli occhi e cadde a terra. 




                                                                    *  *  *



Gea aprì gli occhi nella sua camera da letto. I caldi raggi del sole facevano capolino dalla finestra lasciata aperta, gettando fasci di luce sul pavimento. 
Si portò una mano sulla fronte e piegò le labbra in una smorfia. Le faceva male tutto. Non c'era un punto del suo corpo che ne fosse immune. 
Si sollevò a sedere e per poco non le venne un colpo nel trovare Deimos in piedi davanti al suo letto. 
<< Che cosa ci fai qui? >> gli chiese col cuore che batteva all'impazzata.
Deimos appoggiò la testa all'armadio dietro di sé e la guardò senza espressione. << Controllavo >> disse soltanto, calando le mani nelle tasche dei pantaloni neri.
Gea corrugò la fronte. << Controllavi? E cosa? >> 
<< Te >> rispose secco il ragazzo. 
Il cuore di Gea ebbe un sussulto, ma stavolta non per la paura. Si schiarì la voce ed abbassò la testa, facendo ricadere dei ciuffi di capelli sul suo viso. << Sei qui da molto? >> chiese flebilmente.
Una pausa da parte di Deimos fece battere furiosamente il cuore della ragazza. << Da tutta la notte >> confessò infine. 
Gea sgranò gli occhi e sollevò il viso per guardarlo. << Ma non dovevi andare da Brittany? >>
<< Impara questa cosa subito, umana, io non devo mai nulla >> la gelò, lanciandole un'occhiata minacciosa. 
La ragazza rimase a scrutarlo in silenzio, e così faceva anche lui con lei. 
<< Posso sapere perché mi stavi controllando? >> domandò ad un certo punto Gea. 
<< Per vedere se morivi. >> 
<< Oh, grazie, che pensiero carino >> affermò con ironia lei, facendosi scappare un sorriso. 
<< Peccato che sei ancora viva >> asserì Deimos, divertito.
<< Un vero peccato. Mi dispiace che non sia andata come speravi... La prossima volta cercherò d'impegnarmi ad esaudire il tuo desiderio. >> Gea sorrise solare e fece per scendere dal letto. Un dolore acuto alla gamba le impedì qualsiasi movimento. 
La sua mente scattò rapidamente a ritroso. Immagini varie si affollarono nella sua testa: fulmini, deserto, acqua... fuoco. 
Sentiva ancora le fiamme sulla sua pelle che la divoravano. Aveva provato il dolore fisico più grande ed insopportabile della sua vita. 
<< Ieri... ho liberato abbastanza energia, vero? >> chiese senza alzare lo sguardo. 
<< Abbastanza da non essere fuori pericolo, però. >> 
La ragazza aggrottò le sopracciglia e portò gli occhi in quelli di Deimos. << Che significa? >> 
<< Che non hai disperso ancora tutta l'energia assorbita, ma solo una parte, seppur considerevole >> spiegò il giovane, incrociando le braccia sul petto. 
<< E quindi ho rischiato di non superare la notte, giusto? >> 
Deimos scrollò le spalle e si staccò dall'armadio. << Ieri hai liberato una quantità di energia spropositata, ma ne avevi assorbita molta di più evidentemente. Nelle condizioni in cui il tuo corpo versava ieri sera, non era detto che saresti sopravvissuta. Ancora tanta energia in un fisico debilitato... Avevi un'alta percentuale di morire, ma stranamente non è successo >> concluse riducendo gli occhi a due fessure. 
<< Mi rendo conto che ti dispiaccia >> affermò Gea, sollevando un sopracciglio.
Un sorriso sghembo apparve sul volto del ragazzo. << Non puoi neanche immaginare quanto. >>
Gea si alzò dal letto con molta fatica. Non riusciva ad appoggiare il piede sinistro a terra tanto le faceva male. Indossava ancora i vestiti della sera prima: il pantalone bruciato e la maglietta stropicciata e sporca. 
Abbassò lo sguardo e mise a fuoco la sua gamba. Il sangue le si era incrostato e macchie nere le rivestivano la pelle. Una visione raccapricciante. 
Una doccia le avrebbe fatto bene, forse. Con un pizzico di fortuna avrebbe anche trovato qualche vecchia garza in uno dei cassetti del bagno. 
Saltellò fino alla porta e si voltò a guardare Deimos. Lui le stava guardando le escoriazioni del polpaccio con aria assorta. 
<< Hai fame? >> gli chiese.
Il ragazzo portò gli occhi in quelli di Gea e la fissò atono. Non rispose verbalmente e non fece alcun cenno con la testa, semplicemente la superò e si diresse in cucina.
Gea lo seguì, seppur con una certa lentezza, a balzelli. Raggiunse il pianale di marmo e si aggrappò per riprendere fiato. Aprì il frigorifero, mentre Deimos si accomodava su una sedia, e frugò al suo interno. 
<< Ti piace il latte? >> gli domandò continuando a scrutare gli scomparti. 
<< Abbastanza da non vomitarlo. >>  
<< Mi fa piacere, perché da bere ho solo quello >> affermò Gea, chiudendo l'anta del frigo con un gomito. 
Appoggiò una mano sul pianale e fece leva per sollevarsi e raggiungere uno sportello più alto in cui di solito teneva delle merendine. 
Afferrò il piccolo pomello in ceramica e spalancò d'impeto l'anta. Una busta di piccole brioche le ricadde sul viso, poi un'altra di fette biscottate ed infine un sacchetto di farina. 
<< Sei un'incapace >> l'appuntò gelidamente il ragazzo. 
Gea richiuse lo sportello sbattendolo e si girò a guardare Deimos. << Non vedi in che condizioni mi hai ridotta? Un aiuto sarebbe gradito ogni tanto >> sbottò piegandosi a raccogliere i pacchetti caduti. 
<< Io non aiuto mai >> le ricordò in un sibilo. << E in quelle condizioni ti sei ridotta tu stessa, se solo fossi stata in grado di reagire... Ma ti riveli essere sempre un'incapace >> le disse con un sorriso maligno stampato sul volto. Aveva calcato particolarmente sull'ultima parola per infastidirla. Sapeva bene quanto odiasse essere appellata in quel modo.
Gli occhi di Gea caddero sul sacchetto di farina che aveva in mano. Lo soppesò e se lo rigirò fra le mani per svariati secondi. 
Lo odiava. Odiava quell'essere che se ne stava seduto nella sua cucina. Aveva giocato fin troppo con i suoi sentimenti, facendole rivivere i momenti più brutti della sua infanzia. 
Doveva fargliela pagare. Vendetta, era la parola che aleggiava nella sua mente. Vendetta in polvere. 
Si alzò da terra ed aprì velocemente il pacchetto, con un rapido gesto del braccio riversò parte del contenuto sul viso, sui capelli e sugli abiti del ragazzo.
Deimos rimase immobile, con la testa bassa, per un minuto buono. La ragazza nel frattempo lo guardava con ira, aspettandosi una sua reazione violenta. Non le interessava, voleva fargliela pagare più di qualsiasi altra cosa. 
Deimos sollevò la testa lentamente e puntò gli occhi, brucianti di rabbia, sul viso di Gea. 
Un secondo dopo aveva afferrato la ragazza per il collo e l'aveva distesa sul tavolo. Gea aprì la bocca per respirare, ma la morsa attorno alla sua gola era troppo stretta per farle passare ossigeno. 
<< Mi hai davvero stancato >> sibilò Deimos. 
Per la prima volta, Gea capì che quella sarebbe stata davvero la fine. Lui l'avrebbe uccisa. Vedeva quella convinzione nei suoi occhi furenti di collera.
Qualcuno bussò alla porta. Gea sgranò gli occhi e Deimos allentò la presa per puntare lo sguardo sul corridoio. 
Altri colpi alla porta rimbombarono per la casa silenziosa. Qualcuno era venuto a salvarla? Gea ringraziò il cielo e si issò dal tavolo, scansando Deimos malamente.
Si avviò alla porta saltellando e l'aprì con uno scatto, come se quella fosse una via di salvezza dalla furia del folle.
<< Ciao Gea >> la salutò un ragazzo, sorridendole. 
<< Oh, ciao George >> esclamò la ragazza, aprendosi in un sorriso di vera felicità. 
Era un suo compagno di corso con cui aveva legato particolarmente. Alto, biondo e occhi castani. Fin dal primo giorno erano andati d'accordo. Lui l'aveva aiutata a trovare le classi e lei gli aveva dato delle lezioni private di biologia. Si erano divertiti tanto in quei giorni...
<< Erano un po' di giorni che non ti vedevo a scuola, quindi... >> il ragazzo si passò una mano sulla nuca e sorrise. << Avevo pensato di venire a vedere come stavi. >>
Gea gli appoggiò una mano sul braccio. << Hai fatto benissimo, mi fa sempre piacere rivederti >> disse allegra. << Ho... avuto un po' da fare in questi giorni e... >>
<< Cos'hai fatto alla gamba?! >> domandò di slancio il ragazzo, sgranando gli occhi. Si piegò sulle ginocchia e passò un dito sulle escoriazioni. 
Sul volto di Gea si dipinse una smorfia di dolore. << Sono caduta, cioè, mi sono bruciata... cadendo >> inventò sul momento.
<< Dove sei caduta? Sopra un falò? >> chiese George, impressionato. 
<< No... ehm, una... marmitta... Sì una marmitta di una moto, ci ho sbattuto ed era a bollore >> buttò là, scrollando le spalle. 
<< Gea, devi andare in ospedale. È grave >> asserì il ragazzo, sollevandosi in piedi. I suoi occhi furono catturati da qualcosa, o meglio, da qualcuno, oltre le spalle della ragazza. << Oh, beh... Non sapevo che... >> balbettò a disagio.
Gea corrugò la fronte e lo guardò senza capire. << Non sapevi cosa? >> chiese storcendo la testa di lato. 
<< Che tu avessi un ragazzo >> asserì George, puntando i suoi occhi castani in quelli della giovane.
Gea si voltò di scatto. Dietro di lei, attaccato al muro con una spalla, si trovava Deimos. Li stava osservando intensamente e con rabbia. Evidentemente il fatto di essere stato interrotto poco prima di ucciderla non gli era andato a genio.
<< No... no, non è così. Noi non stiamo insieme >> disse frettolosamente la ragazza, tornando con gli occhi sul suo amico. 
George sorrise rassicurato ed alzò la testa per rivolgersi a Deimos. << Molto piacere di conoscerti. >>
Brividi freddi attraversarono la schiena di Gea. Avrebbe voluto dire a George di non infastidire o parlare a quel maledetto, ma poi non avrebbe saputo come spiegare la cosa. 
Sperava solo che Deimos non si mostrasse per quello che era veramente anche col suo amico. 
Gli occhi di George improvvisamente si sgranarono. Si portò le mani tra i capelli con disperazione, cercando di strapparseli. Gea, inorridita, gli afferrò le braccia nel tentativo di fermarlo. 
<< George! George! >> gridò impaurita. 
Il ragazzo si lasciò cadere sulle ginocchia e scosse la testa violentemente. Lanciò un urlo terrorizzato e cominciò a piangere. 
Gea si piegò per toccarlo, con le mani tremolanti. Non sapeva cosa fare, che cosa gli stava succedendo? Poi, come un lampo, un pensiero le attraversò la mente. Deimos.
Si volse a guardarlo con rabbia. Sul viso del ragazzo aleggiava un sorriso divertito ed i suoi occhi erano incatenati a George. 
Gea si alzò da terra e gli si piazzò davanti. << Smettila subito! Lo stai facendo impazzire! >> gridò, per coprire gli urli dell'amico. 
Deimos non staccava gli occhi da George. Sembrava non sentirla nemmeno. Ad un certo punto mosse una mano e la lanciò contro la parete difronte. La ragazza sbatté la testa al muro e scivolò a terra. In meno di un secondo si era rialzata e si era scagliata contro il petto di Deimos, riempiendolo di pugni e schiaffi colmi d'ira. << Lascialo stare! Lui non c'entra nulla! >> 
Nessun pugno sembrava scalfirlo ed allontanare la sua attenzione da George, riverso al pavimento. Gea si voltò per guardare il suo amico. Aveva gli occhi sgranati dal terrore e faticava a respirare. Nel momento in cui si portò una mano sul cuore, quello di Gea smise di battere per la paura. 
Guardò con disperazione prima Deimos e poi George. Non sapeva cosa fare, come fermare tutto quello che stava accadendo. George stava rischiando un infarto... Senza pensare a niente si alzò sulle punte e portò la bocca su quella di Deimos. 
Il ragazzo spalancò gli occhi per la sorpresa e mise fine al contatto visivo che lo legava a George. 
Gea portò una mano sulla sua nuca e lo attirò maggiormente a sé. Che cosa stava facendo? Il cuore le batteva furiosamente nel petto, tanto che sentiva il suo lontano eco nelle orecchie. 
Deimos mosse impercettibilmente le labbra e socchiuse gli occhi. Portò una mano sulla schiena della ragazza e l'avvicinò rudemente al suo corpo. Gea appoggiò il palmo aperto della mano sul suo petto e si staccò di qualche centimetro dal viso del ragazzo. 
<< Che diavolo stavi facendo? >> le chiese gelidamente, senza lasciarle alcuna possibilità di fuga dalle sue forti braccia. 
<< I... io... >> balbettò lei, guardando la maglietta del ragazzo. Non poteva certo confessare che aveva fatto tutto quello per salvare George... Anche se senza alcuna ombra di dubbio Deimos lo aveva già capito.
<< Ne pagherai le conseguenze >> asserì lapidario, scansandola malamente. Si avvicinò al corpo di George, che aveva ripreso a respirare normalmente, e gli diede un calcio per farlo uscire dalla casa. 
<< Che stai facendo?! >> sbottò Gea. 
Deimos chiuse la porta sbattendola e si voltò a guardarla. << Regola numero uno? >> chiese avvicinandosi minacciosamente a lei. 
La ragazza retrocesse di alcuni passi, deglutendo a vuoto e saltellando a causa della gamba dolorante. << Va' al diavolo >> ringhiò arrivando a sbattere contro la testata del divano.
Deimos le fu davanti in un secondo. Appoggiò le mani ai lati del corpo di Gea e sorrise con cattiveria. << Sei in trappola >> constatò divertito. 
La ragazza deglutì di nuovo e mantenne lo sguardo incatenato a quello del giovane. << Non osare toccarmi >> sibilò rabbiosamente. 
<< Perché se no che mi fai? In queste condizioni? >> la canzonò spietato. << Non riesci nemmeno a richiamare i tuoi poteri... o sbaglio? >> le chiese con un sorriso sadico dipinto sul volto. 
Gea strinse i pugni ed irrigidì la mascella. Era definitivamente in trappola, nessuno avrebbe bussato di nuovo alla porta, salvandola. 
Deimos le afferrò il mento con forza e le alzò la testa. << Allora? Che cosa mi fai? >> 
La prima cosa che le venne in mente fu quella che fece: gli sputò nel viso. Non perché le servisse a difendersi, ma per dimostrargli quanto schifo le facesse. 
Il ragazzo rimase impassibile; la sua espressione non si alterò neanche per un attimo. Teneva gli occhi puntati in quelli di Gea... Si passò una mano sulla guancia ed eliminò lo sputo. << Ti va di giocare, eh? >> domandò in un sussurro agghiacciante. << Allora giochiamo... E tu sarai il giocattolo >> concluse stringendo la presa sul mento della ragazza. Dopodiché si avventò sulle sue labbra famelicamente, mordendole e succhiandole. 
Gea cercò di spingerlo via con tutte le sue forze. Picchiò dei colpi sul suo petto e gli tirò i capelli, ma ogni tentativo si rivelò futile. Solo uno spreco di energie. 
Un qualcosa di non identificabile si stava muovendo nello stomaco della ragazza. Da una parte era disgustata da quel bacio violento, da una parte... le piaceva e ne voleva sempre di più. Era forse impazzita?
Deimos le sollevò la maglietta e portò una mano sulla sua schiena nuda. L'avvicinò al suo petto e le lasciò il mento. 
Le labbra della ragazza cominciarono a rispondere agli attacchi di quelle del ragazzo, dapprima con lentezza, poi con maggiore vigore. Intrufolò le dita fra i suoi capelli sporchi di farina e li strinse, ma non per allontanarlo, bensì per il contrario. 
Deimos la sollevò e la mise a sedere sulla testata del divano, allontanò la bocca da quella della ragazza e si fermò a guardarla. Per la seconda volta i suoi occhi tradirono quello che provava. In quel momento unica e pura eccitazione. 
Gea gli restituì lo sguardo col respiro accelerato. Sentiva di avere gli occhi lucidi e le guance leggermente arrossate. Non sapeva cosa stesse facendo, aveva smesso del tutto di pensare e ragionare. 
Il ragazzo abbassò gli occhi sul collo della giovane. Le prese rudemente i capelli con una mano e glieli tirò su una spalla, facendole piegare la testa di lato. Avvicinò la bocca alla sua pelle e cominciò a baciarla. Schiuse le labbra su un piccolo tratto del collo ed attaccò a leccarlo avidamente. 
Gea chiuse gli occhi e fece scivolare una mano sugli addominali scolpiti del ragazzo. Quest'ultimo rispose mordendole piano la pelle, dopodiché proseguì nella sua scia bollente di baci fino alla clavicola. 
Un debole gemito sfuggì dalle labbra della ragazza quando Deimos salì con le dita su per la sua schiena nuda. Allontanò la bocca dalla sua pelle calda e morbida e ritornò sulle sue labbra. 
Sentì la ragazza rispondere con impeto al bacio, e ciò contribuì a farlo eccitare ancora di più. Le morse il labbro inferiore ed introdusse la lingua nella sua bocca. Subito dopo portò una mano su un lato del suo viso e la avvicinò a sé. 
La mente di Gea si era totalmente scollegata. In quel momento non riusciva a pensare a Deimos come colui che poco prima aveva cercato di ucciderla. E lui, dal suo canto, non era in grado di controllare ciò che desiderava in quel momento, nonostante fosse sempre stato capace di dominarsi. 
La ragazza gli alzò la maglietta sulla pancia ed infilò una mano al di sotto. Sfiorò con la punta delle dita la sua pelle ed un brivido di piacere le attraversò la schiena. I muscoli del ragazzo si tesero come corde di violino sotto i suoi polpastrelli. 
Il bacio fu interrotto bruscamente da Deimos. Incastrò i suoi occhi blu liquido con quelli accesi della ragazza e nessuno osò rompere quel silenzio pregno di respiri agitati. 
Adesso entrambi avrebbero fatto i conti con la realtà. 
Gea abbassò lo sguardo e fece scivolare la sua mano dal corpo di Deimos. Si stava lentamente rendendo conto di ciò che era successo tra di loro. Qualcosa che non doveva esistere. Che non sarebbe mai dovuto esserci. Lui era Deimos, non un ragazzo qualunque. Le aveva fatto passare le pene dell'inferno dal primo momento in cui si erano visti. E ora... 
Sentì la mano del ragazzo scendere con calma dalla sua schiena fino a scomparire. 
Eppure quel bacio... le era piaciuto. Tanto, troppo. 
Deimos continuò ad osservare Gea. Quella stupida umana gli aveva quasi fatto perdere il controllo. Avrebbe dovuto punirla lanciandola dalla terrazza, ma... stranamente avrebbe avuto voglia di replicare il loro contatto ravvicinato.
<< Almeno come giocattolo non sei inutile >> le disse derisorio. 
<< Non sono un giocattolo >> replicò Gea, furente. Alzò la testa e fissò gli occhi del ragazzo. << Tantomeno il tuo. >>
Deimos si stampò sul viso un sorriso da schiaffi. << Fossi in te non ci giurerei. >>
<< Va' dalla tua ragazza a giocare >> rispose lei di getto, appoggiando una mano sul suo petto per spostarlo. 
Deimos le prese il polso e lo strinse. << Più mi provochi e peggiori saranno le conseguenze per te. Non ti conviene >> la minacciò divertito. 
Gea lo fulminò con lo sguardo e strinse i denti per tenere chiusa la bocca e non farsi uscire l'insulto che aveva sulla punta della lingua. 
Strattonò la mano e riprese possesso del suo polso. Dopodiché tornò coi piedi per terra e si diresse di gran carriera alla porta. La aprì e cercò George, ma di lui non c'era più alcuna traccia, né sul pianerottolo né giù per le scale. 
Richiuse la porta, sbattendola con rabbia, e si volse a guardare Deimos. << Che cosa gli hai fatto?! Impazzirà?! >> 
Il ragazzo fece dei passi in avanti e sorrise. << Chi lo sa >> rispose vago, prendendosi gioco della pazienza della giovane. 
<< Adesso basta, hai superato il limite. Stai rendendo la mia vita un inferno. Riprenditela con me, fa' quello che ti pare, sarò in grado di sopportarlo... Ma non ti azzardare a toccare le persone a cui tengo >> sibilò Gea, furente di rabbia. 
Deimos rimase in silenzio, ad osservarla come se fosse stata un moscerino. << Non impazzirà >> disse soltanto, scrollando le spalle e dirigendosi in cucina. Si mise a sedere su una sedia ed afferrò la bottiglia del latte. L'aprì e bevve avidamente, facendo scivolare qualche goccia fredda lungo il suo collo. 
La ragazza lo seguì saltellando. << Ne sei sicuro? >> 
Deimos scolò l'ultimo sorso e si girò a guardarla. << Io sono sempre sicuro di quello che dico >> affermò perforandola coi suoi occhi blu. << Non sbaglio mai. >>
Un sopracciglio di Gea scattò verso l'alto. << Non è che questa tua convinzione presuntuosa mi faccia stare tranquilla. >> Abbassò lo sguardo a terra e meditò un attimo. << Ma non mi resta altro che fidarmi. >>
Deimos si alzò improvvisamente e le si parò davanti. La ragazza sollevò lo sguardo sul suo viso ed attese. Solo per un secondo Gea si perse a studiare le labbra morbide e rosate del giovane, poi scosse la testa dandosi della scema e fissò i suoi occhi. Erano profondi come pochi, tanto profondi che non si riusciva a vederne il fondo. Le ricordavano il colore del mare in tempesta... Pericoloso, ma al tempo stesso affascinante. 
Deimos sollevò una mano, senza interrompere il loro contatto visivo, e se la portò dietro il collo. Afferrò la maglietta e se la sfilò in un gesto fluido. A Gea per poco non uscirono gli occhi fuori dalle orbite. Istintivamente la sua vista fu calamitata dagli addominali perfettamente scolpiti sulla sua pancia. 
<< Lavamela >> le ordinò tagliente, lanciandole la maglia sul viso. 
Gea si risvegliò dal piacevole torpore nel quale si era abbandonata e si tolse la sua T-shirt sporca di farina dalla faccia. << Non ci penso nemmeno. Lavatela da solo >> rispose con stizza.
<< Tu l'hai sporcata e tu me la laverai. >> 
<< Durante gli allenamenti mi hai insudiciato così tante magliette che a quest'ora dovresti fare il lavandaio per pulirle tutte >> asserì Gea, facendosi scappare un sorriso per l'immagine di Deimos con una cuffia in testa che strofinava le sue maglie.
Il ragazzo si avviò al frigorifero, lo aprì, frugò al suo interno ed infine ne tirò fuori un cartone di aranciata.
<< Sei così tanto disidratato? >> lo prese in giro Gea, incrociando le braccia al petto.
Deimos stappò il tappo ed impugnò la bottiglia come fosse un'arma. Un sorriso di sadico divertimento gli si dipinse sul volto. << Ora avrai un motivo in più per lavarmela >> disse prima di rovesciare il contenuto freddo del cartone sulla testa e sui vestiti della ragazza. 
Gea lanciò un urlo ed una pozza arancione si formò attorno ai suoi piedi. 
Deimos gettò la bottiglia vuota sul tavolo e si fermò a studiare il suo capolavoro. I capelli, ora appiccicosi, le si erano incollati al viso ed i vestiti aderivano alle sue forme come carta trasparente. 
<< Adesso ne hai più d'una da lavare, umana >> la appuntò divertito, dandole le spalle e dirigendosi al bagno. 
La collera che in quel momento Gea stava provando era fuori dal comune. Si sentiva umiliata. Nessuno le aveva mai riservato un trattamento simile. Essere considerata un giocattolo... una schiava... Corse su un piede contro la schiena di Deimos per colpirlo con tutta la sua forza, ma lui la precedette e l'afferrò per i fianchi; successivamente se la caricò su una spalla.
<< Lasciami, schifoso animale! >> gridò lei, battendo ripetutamente dei colpi sulla sua pelle.
Deimos continuò a camminare verso il bagno come se niente fosse. La gettò dentro la doccia e con una mano al collo la fermò contro la parete di piastrelle bianche. Prese lo spruzzino ed aprì l'acqua, impostandola sul massimo della fredda. 
Gea si dimenò non appena il getto ghiacciato le bagnò la faccia e i vestiti. Gridò in un disperato tentativo di chiedere aiuto ed iniziò a tremare per il freddo. 
<< Vediamo se ti si rinfrescano le idee >> disse il ragazzo, sorridendo con cattiveria. 
<< Maledetto. >> 
<< Forse devo bagnare di più la testa >> ipotizzò divertito, puntando lo spruzzo sui suoi capelli. 
Gea voltò il viso per evitare di non respirare. Si sarebbe ammalata di polmonite, e tutto per colpa di... quel dannato essere che si stava divertendo a vederla soffrire come un cane.
Le cominciarono a battere i denti e le unghie delle mani assunsero una colorazione violacea. 
Se solo fosse riuscita a richiamare i suoi poteri... Pure loro sembravano averla abbandonata.
La ragazza portò lo sguardo su Deimos e lo fulminò con ira. Abbassò gli occhi sulla cintura dei suoi pantaloni e decise di fargliela pagare. Prese in una mano la fibbia argentata e, con uno strattone, lo tirò con sé sotto la doccia. 
Approfittò di quel momento di sorpresa del ragazzo per strappargli di mano lo spruzzino e puntarlo contro di lui. 
<< Mai sentito dire che la vendetta è un piatto che va servito freddo? >> lo canzonò con rabbia. 
Deimos chiuse l'acqua con una gomitata e la inchiodò con i suoi occhi felini. << Adesso hai superato il limite >> sibilò tirandola a sé per la maglietta. 
<< Tu lo hai superato da molto >> rispose a tono Gea, senza staccare gli occhi dai suoi. 
Nel bagno risuonarono i deboli battiti delle gocce d'acqua che cadevano a terra. Una calma elettrica aleggiava nella stanza. 
Deimos si avvicinò ulteriormente alla giovane ed abbassò la testa. << Spero che almeno uno di quei tre ti uccida presto >> le fiatò sul viso.
<< Mi auguro di poter essere io ad ucciderti, con le mie mani >> contrattaccò con aria di sfida lei. 
<< Non riesci a stare zitta? >> le domandò furente. 
<< No, non ci riesco. È un effetto collaterale causato dallo sprecare tempo con te >> sputò fuori.
Deimos fece un mezzo sorriso e scosse la testa. << Tu non hai ancora capito con chi hai a che fare. Te l'ho già detto, più mi provochi e peggiori saranno le conseguenze. >>
Gea strinse le mani a pugno ed abbassò il viso. Alzò un braccio e colpì il petto del ragazzo. << Sono stufa delle tue minacce >> disse in un sussurro. Batté un altro colpo sui suoi pettorali duri come una lastra di marmo. << Sono stanca dei tuoi modi. >> Strinse gli occhi e mosse il capo, dopodiché alzò lo sguardo sul viso di Deimos. << Prima o poi, puoi giurarci, io ti farò sparire. E quando lo farò, sarà per sempre >> sibilò fra i denti. 
<< A meno che io non ti uccida prima, per esempio... adesso >> affermò il giovane, aprendosi in un sorriso maligno.
<< Sei un maledetto >> ringhiò Gea. 
<< Così dicono >> rispose lui, scrollando le spalle. Le passò un braccio attorno alla vita e l'avvicinò a sé. Gea posò le mani sui suoi avambracci per liberarsi da quella gabbia letale, ma non riuscì a spostarsi neanche di un millimetro. Il suo corpo desiderava ardentemente quel genere di contatto, la sua mente lo ripudiava. Prima di allora non si era mai trovata tanto in disaccordo con se stessa.
Il ragazzo infilò lo spruzzino nel suo apposito spazio e riaprì l'acqua, stavolta calda, puntandola su di loro. Tornò a guardare Gea negli occhi e la mise con le spalle al muro. 
<< Non. Mi. Toccare >> soffiò la ragazza, scandendo ogni parola. 
Deimos sollevò un sopracciglio in segno di sfida. << Quindi... >> Posò una mano sul suo collo. << Questo non posso farlo? >> 
<< No. >>
<< E... >> Si avvicinò al corpo della giovane e fece scendere le mani sui suoi fianchi coperti dalla maglietta bagnata. La alzò e mise le dita sulla sua pelle. << Questo nemmeno? >>
<< No. >> 
Con uno scatto la prese per i glutei e la sollevò da terra. Gea lanciò un grido per lo spavento e si resse alle sue spalle. 
<< Questo? Posso farlo? >> chiese con un sorriso. 
<< No! Decisamente no! >> strillò la ragazza, con la voce di due ottave più alta. 
Deimos accostò il suo bacino a quello di Gea e la immobilizzò tra il suo corpo e le piastrelle. Portò le mani esperte sulla sua schiena e le sollevò la maglietta. 
<< No! Maledetto essere venuto dagli inferi! Non puoi toccarmi! >> sbottò lei. 
Il ragazzo sorrise divertito e le leccò un lembo di pelle sul collo. Dopodiché salì con la bocca fino a portarla su quella della ragazza, che non aveva smesso per un attimo di urlargli contro. 
Gea cercò con tutte le sue forze di tenere le labbra sigillate, almeno fino a quando Deimos non le marcò il contorno della bocca con la punta della lingua. A quel punto si vide costretta  ad annientare tutte le barrire che aveva sapientemente eretto.
Schiuse piano le labbra e Deimos la baciò con irruenza. Spostò le mani dalla sua schiena alla sua pancia, massaggiandola poco delicatamente. Eppure a Gea, quel suo modo di fare mentre la baciava, le piaceva. 
Lo attirò a sé e piegò la testa di lato per poter approfondire il bacio. Deimos non se lo fece ripetere due volte, insinuò la lingua nella bocca della ragazza e la strinse al suo petto, continuando a toccarle la pancia. 
L'acqua calda diede vita ad una nuvola di vapore che appannò i vetri della doccia e lo specchio sopra il lavandino. Lo scroscio si abbatteva indifferente sui loro corpi surriscaldati dalla passione. 
Gea interruppe il bacio per riprendere fiato e Deimos ne approfittò per sfilarle la maglietta e gettarla a terra. Dopodiché si riavvicinò con urgenza al corpo della ragazza e fece entrare in contatto la loro pelle calda. Il respiro di entrambi si mozzò per un istante. 
Deimos deglutì e fissò il reggiseno nero di Gea. Avrebbe voluto strapparglielo di dosso, ma si limitò, per il momento, a fiondarsi sui tratti non coperti. 
La ragazza passò le mani tra i capelli del giovane mentre lui le baciava e succhiava la pelle, lasciandole dei piccoli marchi rossi.
Gea conficcò le unghie nella sua schiena e liberò un gemito di piacere. Stava provando qualcosa che non aveva mai provato prima. La vista le si era annebbiata, ma non per il vapore, bensì per qualcos'altro. 
Deimos faticava a controllarsi e a tenere il cervello collegato. Quell'umana gli stava facendo uno strano effetto, anche se decisamente piacevole.
Alzò la testa e guardò il volto della ragazza. Aveva le guance arrossate, gli occhi lucidi ed i capelli bagnati e scomposti che le davano un'aria più selvaggia. 
La lasciò scivolare lentamente coi piedi per terra, senza mai staccare le mani dal suo corpo e senza mai allontanare gli occhi da quelli di lei. 
Gea portò le dita sui suoi pettorali ed abbassò lo sguardo. Aveva ceduto un'altra volta, eppure sembrava non pentirsene. Le era piaciuto così tanto avere le sue mani e la sua bocca sul suo corpo... Ma non avrebbe dovuto piacerle. Lui era Deimos. 
<< Non deve più succedere >> sussurrò la ragazza. << Mai più. >> Alzò la testa e puntò gli occhi in quelli di Deimos, risoluta. 
Lui la fissava intensamente, senza proferire parola. Teneva ancora le mani strette sui suoi fianchi e non sembrava avere intenzione di allontanarle. 
Gea deglutì in difficoltà e spostò gli occhi sulla parete appannata della doccia. << Adesso... esco e... dopo che sarò uscita faremo conto che non sia successo nulla >> affermò titubante. Annuì fra sé e sé e si spostò di lato per passare. 
Deimos la trattenne un secondo prima che lei mettesse piede fuori dalla doccia. << Non mi faccio mai dire cosa fare >> le fiatò in un orecchio. Dopodiché la lasciò uscire e chiuse l'anta della doccia, si tolse gli ultimi indumenti e li lanciò sul pavimento del bagno. 
Gea sbatté la porta dietro di sé e corse a prendere un asciugamano nell'armadio. 
Che diamine stava succedendo fra di loro? Perché non riusciva ad imporsi sul suo cervello e ad allontanarlo? Di quel passo... Non voleva pensarci. Sapeva dove sarebbero arrivati. Ma non sarebbe successo. Oh no. Non sarebbe successo. Lei era una ragazza normale: romantica, sognatrice. Non avrebbe sprecato la sua prima volta con... quel maledetto. 
Nelle sue fantasie si era sempre vista con un bravo ragazzo che l'amava veramente, il cosiddetto principe azzurro. A giudicare da Deimos, il principe azzurro sembrava essere stato ucciso... 
Sbuffò, arrabbiata con se stessa, e si sfregò i capelli nel panno. 
Che cosa le stava prendendo? Possibile che fosse diventata così... pazza? Adesso si era messa a pensare alla sua prima volta. Il cervello le era di sicuro andato in corto circuito. 
Odiava il suo essere stata tanto debole difronte a Deimos. Lui la considerava un giocattolo... e lei, con il suo atteggiamento, lo aveva assecondato facendoglielo credere. 
Doveva assolutamente darsi una calmata, un freno, qualsiasi cosa sarebbe andata bene, l'importante era far in modo che nulla di tutto quello capitasse di nuovo. 
Eppure quando aveva sentito le sue mani sul suo corpo... 
Lanciò via l'asciugamano e prese una maglietta pulita. Nel mettersela scorse tanti piccoli segni rossi sulla sua pelle, proprio in prossimità del seno. Gea sgranò gli occhi e ne toccò uno con la punta di un dito. Quel maledetto... 
S'infilò la maglia e tornò a cercare nell'armadio qualche garza che le potesse fasciare la gamba. Ne trovò una sfilacciata, ma abbastanza lunga da poterle ricoprire tutta la zona lesa. Si fasciò tutto il polpaccio, fino al ginocchio, trattenendo urla di dolore e mordendosi il labbro inferiore. Dopodiché si mise un paio di pantaloni puliti da ginnastica, di modo che non le strizzassero la gamba. La biancheria l'avrebbe sostituita in un altro momento, era meglio non rischiare. 
Si mise a sedere sul letto e puntò lo sguardo per terra. Un maledetto tarlo le stava torturando la mente. Sapeva che se Deimos le si fosse riavvicinato, se l'avesse sfiorata, se l'avesse baciata, lei non avrebbe avuto la forza di opporsi. Eppure doveva trovare quella forza, perché lei, per lui, era solo un giocattolo. Non si sarebbe mai abbassata ad essere considerata e trattata come tale. Quella cosa doveva finire con la stessa velocità con cui era iniziata. 
Si alzò risoluta ed andò a fare colazione. La cucina era un disastro, avrebbe anche dovuto rimettere a posto e ripulire.
Il pensiero che fosse ancora mattina e che fossero già successe una marea di cose impreviste le metteva i brividi. Che cos'altro le avrebbe riservato quella giornata?
Se poi pensava a George... doveva chiamarlo, sapere come stava, se ricordava qualcosa. 
Le venivano lacrime di frustrazione al ricordo di come il suo amico aveva dovuto soffrire. E poi per cosa? Solo per il divertimento di colui che... lei prima aveva baciato. Il suo debole atteggiamento la disgustò ancora di più. 
Mangiò voracemente una merendina e si mise a pulire, tanto per tenere occupata la mente.
Peccato che il viso sconvolto di George le tornasse continuamente davanti agli occhi. 
Asciugò rapidamente il pavimento e gettò lo scottex bagnato, dopodiché corse a prendere il suo cellulare in camera. Sfogliò ansiosamente la rubrica ed avviò una chiamata.
Uno squillo. Due squilli. Il cuore di Gea batteva come un forsennato. Tre squilli. 
<< Dai, rispondi >> disse fra i denti, cominciando a battere un piede per terra. 
Nulla, non c'era verso che George le rispondesse. Passò un minuto prima che Gea riattaccasse il telefono, sospirando.
Se non le rispondeva allora sarebbe andata a trovarlo a casa. Sempre nella speranza che, nelle sue condizioni, fosse riuscito a ritrovare la via. 
<< Chiamavi la polizia? >> Gea sussultò nel sentire quella voce così all'improvviso. 
Si voltò a guardare Deimos e per poco la mandibola non le toccò il pavimento. 
Indossava solo un asciugamano corto attorno ai fianchi. I capelli bagnati gli ricadevano in parte sui profondi occhi blu e in parte gli stavano alla rinfusa rendendolo ancora più bello, se possibile. 
Per un secondo Gea scese con lo sguardo e ristudiò i suoi addominali scolpiti che finivano in una V piuttosto... Risalì in fretta e cercò di mostrarsi indifferente. 
<< No, chiamavo un sicario >> rispose con un sorrisetto a presa in giro. << E ora vestiti e sparisci. >>
<< Mi hai lavato la maglietta? >> le domandò passandosi una mano fra i capelli.
<< Nemmeno per sogno. >>
<< Allora non me ne posso andare >> concluse con un sorriso divertito. << Pagherai le conseguenze di ogni tua disubbidienza. >>
<< Piuttosto te le vado a comprare >> affermò Gea. Si avviò verso l'armadio, prese una borsa e ci gettò dentro il cellulare. << Tornerò fra poco. Non ti dirò di non muoverti di qui perché se te ne andassi mi faresti solo un favore. >> Entrò nel bagno e si sistemò i capelli bagnati in una coda alta. Si passò un po' di blush sulle guance ed aprì la finestra per far sparire quella soffocante nuvola di vapore caldo. 
<< Ti sei scordata di un piccolo particolare >> disse Deimos, bloccandole l'uscita dal bagno.
Gea aggrottò la fronte e sollevò un sopracciglio. << E cioè? >>
<< Addestramento >> rispose lapidario, incrociando le braccia sul petto e sorridendo maligno. 
La ragazza rimase immobile a guardarlo. In effetti se n'era scordata, ma non l'avrebbe mai ammesso. << Oggi non riesco a richiamare i miei poteri >> sussurrò con una smorfia infastidita. 
<< È normale, il tuo corpo è andato in corto circuito dopo ieri sera. Per qualche giorno probabilmente non sentirai più i tuoi poteri, almeno fino a quando non avrai tonificato la tua massa muscolare ed avrai liberato tutta l'energia immagazzinata >> le spiegò con un'alzata di spalle. 
<< Quindi oggi l'addestramento è focalizzato sul rafforzamento del tono muscolare? >> chiese Gea, cercando di non mostrarsi preoccupata. << Ti ricordo che ho una gamba messa male e ci terrei a non finire su una sedia a rotelle a diciotto anni. >>
Deimos sorrise sghembo. << Questo dipende da te. >> 
L'avrebbe preso a pugni in quel preciso istante, ma si trattenne, altrimenti le avrebbe fatto passare le pene dell'inferno durante l'allenamento. Ma chissà perché, già se lo aspettava.








Angolo dell'autrice:

BUON ANNO!!! Vi auguro il meglio per questo 2015 :)
Ho aggiornato con un giorno di anticipo perché domani non ci sarò per tutto il giorno, quindi non potrò pubblicare. 
Intanto vi tengo aggiornate sulle altre due storie: 
- Tra modelli e manichini l'ho finita *^* mamma mia, non vi dico cosa ho provato quando ho messo il punto dopo l'ultima parola. A parte la soddisfazione... lacrime */\* 
Però pubblicherò il capitolo martedì perché devo scrivere il messaggio finale e poi rileggere tuuuuuutto quello che ho buttato giù. 
- Keep your eyes open non ho ancora scritto nulla, ma in compenso l'ho riletta tutta *_* perciò ho spolverato un po' la mia memoria e si é riaccesa in me la voglia folle ed incontrollabile di scrivere la fine *_* 
Siamo messe bene ragazze ahahahahah ;D volere é potere! 
Ok, questo 2015 sta partendo bene su questo versante ahahahah
Per quanto riguarda questo capitolo che ho appena pubblicato lascio a voi i commenti ;P
GRAZIE ANCORA DELLA PAZIENZA!!! 
Vi mando un enorme bacione e a martedì con la fine di... Sigh... Sob... Tra modelli e manichini!!!!!!!!!!! *fuochi d'artificio*

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***







Stranamente non erano approdati in nessun luogo deserto e oltre i confini dello Iowa. 
Si trovavano in una comune e banale palestra, popolata da altri esseri umani come lei. Da una parte si sentiva protetta, almeno Deimos non avrebbe potuto lanciarla in qualche dirupo o incendiarle una gamba. 
Si guardò attorno. Uomini già muscolosi sollevavano pesi di piombo, ragazze della sua età o più grandi si sforzavano di compiere vari esercizi di tonificazione, altri correvano sui tanti tapis roulant e la maggior parte si asciugava il sudore sul viso con un asciugamano. 
La sala era enorme, divisa in varie parti da basse pareti colorate. Odore di sudore e deodorante restavano sospesi nell'aria, pesando sui corpi affaticati delle persone.
La ragazza abbassò lo sguardo sui suoi vestiti. Aveva indossato dei pantaloncini neri elasticizzati, una larga maglietta bianca ed una felpa rossa. Se c'era qualcosa, in quella situazione, che la rendeva felice era che, per una volta, la sua felpa non sarebbe stata ridotta in brandelli come era successo alle precedenti. 
<< Sali su un tapis roulant >> le ordinò Deimos, dietro di lei e con le braccia incrociate sul petto.
Gea si volse a guardarlo accigliata. << Ti devo ricordare le condizioni della mia gamba sinistra? >>
Deimos le rivolse uno sguardo di sufficienza. << Fa' quello che ho detto. Subito. >>
<< Faccio fatica ad appoggiare il piede a terra, non posso... >>
<< Oppure non vuoi? >> le chiese con un sorriso di scherno. << Non sei capace nemmeno di correre per qualche minuto? >>
Gea lo guardò con odio e, senza dire un'altra parola, si diresse all'attrezzo. Salì sul rullo nero ed appoggiò il piede. Le faceva male, molto male. Delle fitte di dolore le risalirono per tutta la gamba fino alla testa, provocandole dei brividi. Istintivamente portò una mano sul polpaccio e chiuse gli occhi per contenere la sofferenza, si morse un labbro ed inspirò profondamente. 
Sfregò le dita sulla fasciatura e riaprì gli occhi. La mano le era diventata improvvisamente calda, e ciò contribuiva a darle un po' di sollievo. Un sollievo che... sembrava aumentare sempre di più. Abbassò lo sguardo sulla sua gamba e poi lo rialzò alla ricerca di Deimos. 
Dov'era il maledetto quando serviva? Pareva sparito nel nulla, come ogni volta. 
Allontanò la mano e si avvicinò al quadro di controllo del tapis roulant. Lo attivò ed inserì i pochi dati che le chiedeva.
<< Impostalo per quindici minuti >> disse il ragazzo, comparendo alla sua sinistra. Si appoggiò con un gomito all'attrezzo, in una posa disinvolta, e puntò gli occhi su di lei.
<< Dov'eri finito? >> gli chiese Gea, con un misto di rabbia e sollievo. 
<< Sentivi la mia mancanza? >> la canzonò divertito. 
La ragazza avviò il tapis roulant e il rullo prese a scorrere lentamente. Incatenò gli occhi a quelli di lui e s'inumidì le labbra. << È successa una cosa >> disse soltanto. 
<< Aumenta la pendenza e porta la velocità a quattro >> le comandò spostando lo sguardo sul quadro elettronico dell'attrezzo. << So cos'è successo. >>
Gea sgranò gli occhi e fece come le aveva detto. << In che senso sai cos'é successo? Tu non eri qui mentre... >>
<< Ho sentito la tua energia che fluiva in un altro punto del tuo corpo >> tagliò corto Deimos, riportando gli occhi in quelli di lei. << Ne riparleremo dopo, adesso pensa a fare quello che ti ho detto. >> 
La ragazza rimase a fissarlo ancora per qualche istante, dopodiché sospirò pesantemente e si concentrò sull'esercizio. 
Non ci stava capendo più nulla, era totalmente confusa. Un minuto prima faticava ad appoggiare il piede per terra, adesso era in grado di camminare senza problemi. Sentiva ancora delle piccole fitte di dolore, certo, ma nulla di preoccupante. 
Perciò, oltre ad avere poteri come quelli di tempo ed elettricità possedeva anche... un potere curativo. Questo significava la svolta. Avrebbe potuto curarsi ogni qual volta si fosse fatta male, senza dover soffrire per giorni e giorni. 
Ma... Gea corrugò la fronte e spostò lo sguardo su un ragazzo poco distante da lei, senza realmente vederlo. Se non poteva usare gli altri suoi poteri per vari giorni... perché quello era riuscita a farlo funzionare? E quali altri poteri possedeva? Erano finiti oppure se ne celavano ancora? 
Mille domande le affollavano la mente. Domande a cui avrebbe dovuto trovare una risposta al più presto, altrimenti avrebbe rischiato d'impazzire.
La sua vita era diventata un grande punto interrogativo, e lei si era trasformata in un'incognita persino per se stessa. Pensava di conoscersi... eppure ogni giorno scopriva qualcosa di nuovo. 
<< Porta la velocità a sei >> le ordinò Deimos, risvegliando Gea dai suoi pensieri. 
La ragazza allontanò gli occhi dal tizio su cui li aveva inconsciamente posati, che adesso la stava pure guardando, ed ubbidì alle parole di Deimos. 
Adesso continuare a camminare le tornava quasi impossibile, perciò diede il via ad una piccola corsa. Si sentiva già spossata, nonostante fossero passati solo pochi minuti dall'inizio dell'allenamento. 
Era davvero una frana in ginnastica, si sentiva una vecchietta a tutti gli effetti. 
Volse lo sguardo alla sua destra, verso le altre persone che correvano sui tapis roulant. Perché sembravano non fare punta fatica mentre lei era già con la lingua di fuori? 
Un briciolo d'invidia misto ad ammirazione si radicò nella ragazza. Doveva darsi da fare, altrimenti quel pazzo accanto a lei l'avrebbe torturata e presa in giro fino a farle esalare l'ultimo respiro. 
Con non poca fatica si sganciò la felpa e se la tolse. Allungò una mano per appoggiare la felpa sul corrimano dell'attrezzo, cercando di rimanere in equilibrio durante la corsa e non rotolare via in modo poco dignitoso. Lasciò la presa, sicura di aver centrato il corrimano, e la felpa cadde a terra, ai piedi di Deimos.
Gea fulminò il suo indumento e poi alzò lo sguardo sul ragazzo. 
<< Me la raccatteresti? >> gli chiese, col tono più gentile che avesse a disposizione.
Deimos abbassò la testa ed osservò la felpa con indifferenza. << Ovvio che no >> rispose secco. 
La vena sulla fronte della ragazza cominciò a pulsare convulsamente. << Ti ho chiesto un favore, potresti anche farmelo. >>
Deimos le rivolse un sorriso divertito. << Non faccio favori. E porta la velocità a sette. >> 
<< Ovvio che no >> lo canzonò Gea, lanciandogli uno sguardo di sfida. 
Deimos le restituì l'occhiataccia, smettendo di sorridere. Tra i due calò il gelo, sopra le loro teste sembrava andare a formarsi una nuvola di elettricità. 
<< Scusa... >>  La voce di un ragazzo sopraggiunse alle orecchie dei due, che si voltarono entrambi di scatto. Un giovane piuttosto muscoloso dagli occhi del colore degli aghi di pino ed i capelli castani rigorosamente ingellati, si presentò davanti ai loro occhi. 
Gea si ricordò di sorridere gentilmente ed il ragazzo riprese a parlare. 
<< Questa felpa è tua? >> le chiese porgendogliela. 
<< Sì, è mia. Mi era caduta. Grazie mille per avermela raccattata >> rispose cordialmente. 
Lui le sorrise e gliel'appoggiò sul corrimano. << Allora, ci si vede in giro. >> 
Gea annuì ed il ragazzo la salutò con un gesto della mano. Dopodiché la giovane tornò ad osservare il centro di comando del tapis roulant e portò la velocità al livello successivo. 
Un urlo la costrinse a voltarsi di colpo. Posò lo sguardo su una figura inginocchiata a terra e che, con disperazione, si teneva le mani fra i capelli... ingellati. 
Sgranò gli occhi e li portò su Deimos, che per l'appunto stava guardando il ragazzo che poco prima le aveva raccolto la felpa. 
<< Fermati >> gli sibilò sconcertata. Deimos volse la testa verso di lei, gli occhi per niente amichevoli che lanciavano lampi di rabbia, la mascella contratta e le braccia conserte sul petto. 
Un fiotto di gente si radunò attorno al ragazzo, steso sul pavimento. Due uomini lo aiutarono ad alzarsi e lo trasportarono fuori dalla sala, mentre il giovane faceva vagare lo sguardo, totalmente perso in chissà quale mondo. 
<< Perché l'hai fatto?! >> gli sbraitò Gea contro, cercando di mantenere un tono basso per non farsi sentire dagli altri. Arrestò l'esercizio e scese dall'attrezzo. << Non ti aveva fatto nulla, e tu l'hai attaccato senza dargli modo di difendersi. Sei sleale >> gli vomitò addosso con rabbia. 
Deimos la fissò immobile, poi si aprì in un sorriso di scherno. << Non ho mai detto che avrei giocato pulito. >> 
Per poco non le cadde il mento a terra. Come poteva essere così cattivo? Non provava pietà per nessuno, nemmeno per se stesso, ne era sicura. 
<< Che cosa ti aveva fatto?! >> gli chiese nuovamente, indicando con un braccio la porta da cui la sua vittima era appena uscita.
<< Quello che non doveva fare. >>
<< Ovvero? >>
Deimos mosse un passo in avanti, con una calma letale ed uno sguardo felino. Gea rabbrividì per un attimo, ma non si spostò quando lui le si parò davanti e le prese rudemente il mento con una mano. << Intromettersi >> le fiatò gelidamente sul viso. << Chi lo fa, ne paga le conseguenze. Quarta regola >> disse divertito. 
Gea sollevò un sopracciglio e prese il polso del ragazzo per cercare di allontanarlo. << Che fai? Ogni volta che qualcosa non ti va giù aggiungi una nuova regola? Vuoi arrivare a dettare i nuovi dieci comandamenti? >> lo canzonò, irritata di non riuscire a spostare la sua mano.
Deimos si aprì in un sorriso sghembo e la lasciò andare. Si guardò attorno ed adocchiò un altro attrezzo, specifico per i muscoli d'interno coscia. Ce n'era solo uno libero, gli altri tre erano occupati da alcune ragazze. 
<< Fai quello >> le ordinò, indicandoglielo con un cenno del capo. Gea si sporse per vedere di cosa si trattasse; rimase sorpresa quando si rese conto che non l'avrebbe costretta a sollevare cinquecento chili sulle spalle.
<< Ok >> asserì tranquillamente. Raccolse la sua felpa dal corrimano, se l'appoggiò su una spalla e si avviò verso l'attrezzo. Deimos la seguì a ruota, piazzandosi accanto a lei non appena si sedette sulla poltroncina imbottita.
La ragazza osservò le varie lastre di piombo collegate all'attrezzo, tutte marchiate con un numero a seconda di quanto fossero pesanti. 
Afferrò una stanghetta ed impostò dieci chili. 
<< No, di più >> la riprese lui. << Almeno venti. >>
Gea sollevò gli occhi al cielo ed inserì venti chili. Sentì un braccio di Deimos appoggiarsi sulla testata della sua poltroncina, ma evitò di farci caso ed avviò l'esercizio. 
Chiuse le gambe con molta fatica, considerato il peso che doveva sollevare. Già dopo il primo sforzo l'interno coscia le bruciava intensamente. 
Continuò a ripetere lo stesso movimento ed alzò la testa per guardare le ragazze vicine a lei. 
La mora davanti teneva lo sguardo fisso su Deimos. Sembrava avesse visto chissà quale angelo sceso dal cielo, e a Gea venne quasi da ridere. Le sarebbe piaciuto raccontarle tutto ciò che quel maledetto le aveva fatto patire fino a quel momento. 
Accanto alla mora si trovava una ragazza con un caschetto ribelle e disordinato. Lanciava sguardi sia a Deimos che a lei stessa, come se fosse ammaliata da... un qualcosa che Gea non riusciva a comprendere. 
Un pensiero le attraversò la mente come un lampo. Le gambe le cedettero per un momento ed i pesi sbatterono violentemente. Si riprese all'istante, abbassò la testa e continuò a compiere un'altra serie di esercizi. 
Non aveva proprio pensato che agli occhi degli altri loro potessero sembrare una coppietta. Per Gea era già impossibile immaginarlo. 
Giustamente chi li vedeva non sapeva nulla del perché loro fossero lì insieme e del perché lui le stesse così col fiato sul collo mentre lei faceva gli esercizi. Se solo avessero saputo... 
<< Basta così >> asserì Deimos, staccandosi dalla poltrona. Gea alzò la testa e lasciò andare i pesi lentamente, per evitare un altro schianto come quello di poco prima. 
Si liberò dall'attrezzo con cautela e seguì il ragazzo, che nel frattempo si stava dirigendo in un'altra area dell'enorme sala, precisamente verso un sacco da boxe piantato a terra. 
La giovane deglutì pesantemente e lanciò un'occhiata ai ragazzi che svolgevano esercizi lì vicino. Alcuni la squadravano da capo a piedi e poi ruotavano il corpo per continuare ad osservarla, altri non la consideravano minimamente. E Gea preferiva di gran lunga questi ultimi. 
Odiava essere fissata, e in quella situazione, in cui era l'unica ragazza in detta zona della palestra, il suo odio schizzava alle stelle. 
Fece finta di non avvertire varie paia di occhi maschili su di lei e si concentrò su Deimos.
<< Devi prenderlo a calci >> le spiegò molto sbrigativamente. << Ricorda solo che quando lo colpisci, il colpo ritorna indietro >> concluse incrociando le braccia sul petto, stranamente divertito.
Gea lo guardò con sospetto, dopodiché si aprì in un sorriso di scherno. << Immaginerò che questo sacco sia tu, così verrà tutto più naturale. >>
Un sopracciglio del ragazzo saettò verso l'alto e la sua bocca s'incurvò in un mezzo sorriso. Appoggiò sia la schiena che la testa ad un colonna bianca alla destra della giovane e le piantò gli occhi addosso. Si sarebbe goduto lo spettacolo. 
Gea si legò la felpa attorno alla vita ed osservò il sacco nero. Si sentiva sotto esame, non solo perché Deimos la fissava, ma anche perché c'erano un sacco di altri occhi che la seguivano. E poi quel sorriso... Che cosa stava a significare? 
Gea toccò il sacco per assicurarsi che non ci fosse nulla di strano. Tastò la superficie e si rese conto che non solo era dura, ma che l'intero sacco pesava svariati chili. Le sarebbe stato difficile spostarlo di molto.
La ragazza si allontanò di poco dall'oggetto e cercò di focalizzarsi su come colpirlo. Un attacco laterale sarebbe stato più d'effetto, forse, rispetto ad uno frontale. 
Aveva visto fare quel genere di cose solo nei film, e lì le era sembrato così facile...
Piegò le braccia e le avvicinò al petto, dopodiché compì una rapida rotazione del busto e colpì con violenza il sacco. Si spostò di una ventina di centimetri circa, con grande stupore di Gea. 
La ragazza abbassò la gamba e portò gli occhi su Deimos, apparentemente immobile nella posizione in cui lo aveva lasciato. Eppure qualcosa era cambiato nella sua espressione. Un velo di sorpresa velava le sue iridi profonde. 
<< Continua, non mi pare di averti detto di fermarti >> le disse lapidario, mostrandosi indifferente. 
Gea sorrise tra sé e sé, orgogliosa di aver fatto incrinare la maschera di pietra di Deimos. 
Tornò a concentrarsi sul sacco da boxe e caricò un nuovo calcio con la gamba destra. Un'altra rapida rotazione del busto per darsi lo slancio e percosse l'oggetto con una forza divampante. Il sacco stavolta si inclinò molto più di prima, ad occhio e croce di circa quaranta centimetri.
Ci stava prendendo gusto a colpire quell'attrezzo, sentiva di poter scaricare tutta la frustrazione, lo stress, l'ansia, la paura, e tutto ciò che aveva provato in quei giorni. Traeva forza da tutte quelle emozioni. 
Dal primo giorno in cui aveva conosciuto Deimos si era sentita minacciata. Un cerbiatto nel mirino di uno spietato cacciatore. 
Sferrò un altro colpo violento e i suoi occhi si ridussero a due fessure. 
Le aveva fatto rivivere le esperienze passate con una brutalità degna di uno psicopatico assassino. Proprio quando aveva deciso di buttarsi il passato alle spalle e cominciare una nuova vita, lui l'aveva fatta ripiombare in quell'oscurità pregna di spiacevoli sensazioni.
Incapace. 
Strinse i denti e scagliò un pugno contro il sacco, carica di una rabbia devastante. 
Inutile. 
Subito dopo lo percosse con un calcio e lo fece oscillare di circa cinquanta centimetri per parte.
Inferiore.
Non tornò ad appoggiare il piede per terra e caricò un nuovo colpo.
Stupida umana. 
Liberò un ringhio iroso e concluse con un pugno frontale, tanto potente quanto doloroso per le sue nocche. 
Aveva la fronte madida di sudore, il respiro accelerato e i muscoli doloranti. Ma, nonostante ciò, sentiva di stare molto meglio. 
<< Non male >> commentò un ragazzo poco distante da lei. Gea portò lo sguardo sul tipo che evidentemente l'aveva osservata per tutta la durata dell'esercizio, ed abbozzò un sorriso. Infine spostò gli occhi su Deimos. Lui la stava fissando con un misto di curiosità e superbia. Sembrava non capacitarsi di come lei fosse riuscita a muovere quel sacco di chissà quanti chili. 
Gea gli rivolse un sorriso beffardo e Deimos le lanciò un'occhiata raggelante, di cui la ragazza non si curò minimamente. Gli si avvicinò e lui l'afferrò per un braccio, la strattonò a sé ed abbassò la testa. << L'allenamento non è ancora finito, ti farò sparire quel sorrisino prima che cali il sole. Puoi giurarci >> le sussurrò nell'orecchio.
Gea voltò il viso e puntò gli occhi in quelli minacciosi del ragazzo, sorridendo a mo' di sfida. << Provaci, se ti riesce. >>
<< Vedrai >> tagliò corto lui, lasciandola andare. 
I due rimasero incatenati l'uno nello sguardo dell'altra per svariati secondi. La ragazza provava un misto di piacere mischiato ad un senso di vittoria nel vedere come la maschera impassibile di Deimos s'incrinasse ogni volta che riusciva a compiere qualcosa di cui lui non la riteneva capace. 
Da lì in poi si sarebbe sicuramente messa d'impegno per far perdere il controllo a quel pallone gonfiato. Avrebbe dato del suo meglio in qualsiasi esercizio l'avesse sottoposta a svolgere. Tanto per godersi, ancora una volta, un abbozzo di stupore sul suo volto duro e spietato. 
<< Allora, qual è il prossimo? >> gli chiese con un sorriso strafottente. 
Deimos incrociò le braccia al petto e la scrutò intensamente. Voleva fare la presuntuosa? Ne avrebbe pagato le conseguenze, come chiunque altro. 
<< Sollevamento pesi >> asserì incolore. Le fece strada sino all'attrezzo e si voltò a rivolgerle un cenno del capo. << Venti chili per parte e venti sollevamenti. >>
Gea osservò l'attrezzo. Era costruito similmente ad una ghigliottina, o almeno a lei ricordava quella. In sospensione si trovava un bilanciere d'acciaio ai cui estremi erano posizionati dei dischi di piombo, tutti etichettati con un numero. Lanciò una rapida occhiata alle istruzioni affisse sulla parete laterale dell'attrezzo. Le pareva di capire che avrebbe dovuto caricarsi sulle spalle quell'asta pesantissima e farle fare movimenti verticali. 
<< Venti chili sono troppi >> ribatté, riportando gli occhi sul ragazzo. << Potrei rischiare di farmi seriamente male alla schiena. >>
Deimos sollevò il mento e le sue labbra s'incresparono in un sorriso divertito. << Ti tiri indietro quindi? >> 
Gea contrasse la mascella e chiuse la mani a pugno. Non voleva tirarsi indietro, non difronte a lui. Da una parte il suo orgoglio la spingeva ad accettare quella velata sfida, dall'altra parte la ragione si faceva prepotentemente largo nella sua mente. Voleva bene a se stessa... e non avrebbe voluto spingere il suo corpo oltre quei limiti che pensava di possedere, ma... il sorriso di Deimos le faceva salire una rabbia tale che...
<< D'accordo >> mormorò prendendo i dischi di piombo da venti chili e posizionandoli nel bilanciere. Solo per sollevare quei pesi aveva compiuto uno sforzo immane e le sue braccia doloranti la supplicavano di fermarsi. 
Andò a collocarsi sotto l'asta e, non appena le sue spalle entrarono in contatto con l'acciaio freddo, l'afferrò con le mani sudate.
Rimase un attimo immobile, consapevole che non appena avesse staccato il bilanciere dal supporto tutto il peso dei dischi le si sarebbe riversato addosso come uno tsunami, travolgendola, schiacciandola. 
Strinse i denti ed inspirò avidamente. Piegò di poco le ginocchia e, lentamente, staccò l'asta. Il peso di quaranta chili le piombò sulle spalle, sulla schiena, sul collo e sulle gambe con una velocità quasi nauseante. 
Riusciva a malapena a reggersi in piedi, non osava nemmeno immaginare come avrebbe potuto sollevarlo. 
Le braccia le lanciavano grida di dolore; Gea abbassò la testa ed una goccia di sudore le scivolò sulla fronte. 
<< N... non ce la... >> 
<< Ti arrendi? >> La voce profonda e divertita di Deimos le inondò le orecchie come acido. Odiava sentirlo prendersi gioco di lei, specialmente nei momenti in cui avrebbe fatto volentieri a meno di averlo attorno. 
Per il suo bene avrebbe dovuto ammettere la resa, ma... sempre quel suo maledetto orgoglio le impediva di abbassare la testa difronte ad una sfida. 
Le gambe tremolanti della ragazza si stesero con lentezza. Non gliel'avrebbe data vinta, per nulla al mondo. Strinse più forte il bilanciere e sentì i suoi muscoli tendersi e gonfiarsi per lo sforzo.
Inspirò profondamente, cosa di cui si era dimenticata dal momento che aveva smesso di respirare non appena quel peso le era calato addosso. 
Riusciva a sentire perfettamente il rimbombo dei battiti del suo cuore nelle orecchie. Quel suono la confortava, ricordandole che era viva. Forse ancora per poco.
Con enorme fatica assunse una postura eretta e puntò i suoi ardenti occhi in quelli inespressivi di Deimos. << Uno >> contò, ricalandosi giù.
Ripiegò le gambe e fece attenzione a non perdere l'equilibrio e cadere rovinosamente a terra. Se pensava che avrebbe dovuto ripetere quel movimento per altre diciannove volte le veniva da vomitare. 
Da quando aveva conosciuto Deimos aveva sempre avuto l'impressione di essersi caricata sulle spalle un macigno. Adesso le sembrava che quel peso si fosse materializzato per schiacciarla definitivamente, ricordandole che lei era troppo piccola, esile e debole per poterlo sorreggere. 
Gli occhi di Gea si accesero di una nuova determinazione. Quella non era più una sfida tra lei e Deimos, ma tra se stessa e quel maledetto fardello che si era sempre sentita sulle spalle. 
Lo avrebbe eliminato una volta per tutte. Stese di nuovo le gambe e compì il secondo sollevamento. 
Era stufa di sentirsi oppressa da quella situazione inverosimile, dai ricordi del passato, dalla sua costante paura di non essere all'altezza. Si morse il labbro inferiore ed issò il bilanciere per la terza volta. 
Lei era quello che era e nessuno avrebbe potuto dirle quanto valesse, di cosa fosse capace e cosa potesse capire. Dannazione, nemmeno lei stessa si conosceva così a fondo. Da qualche giorno non comprendeva più quali fossero i suoi limiti, sicuramente li già aveva superati più di una volta. E allora chi avrebbe potuto osare dirle di cosa fosse o non fosse capace? Nessuno, a volte nemmeno lei stessa. 
Delle gocce di sudore ricaddero sul bianco e lucido pavimento. Anche il quarto sollevamento era andato a segno, nonostante ogni millimetro conquistato le fosse costato fatica. 
Attraverso ogni perla di sudore sentiva che il fardello, che per tanto aveva abitato sulle sue spalle, scivolava via, abbandonandola per sempre. 
Ancora sedici immani sforzi e si sarebbe liberata definitivamente di quella nuvola oscura e pesante che aleggiava su di lei ormai da troppo tempo. Doveva vincere lei, era diventata una questione di principio. Una questione di libertà o di prigionia. 
Durante gli allenamenti dei giorni precedenti aveva costantemente creduto di non uscirne viva. Deimos la sottoponeva a delle sessioni strazianti, ma... perché quando lui le diceva che era debole, incapace, un fallimento, lei si faceva schiacciare da quelle parole affilate? Se non avesse mai sentito su di sé il peso di ogni singola parola che i suoi genitori le avevano rivolto contro, forse quel fardello non si sarebbe mai posato su di lei, opprimendola ed annebbiandole la vista. Perché sì, aveva perso di vista chi fosse realmente, troppo concentrata su quello che non era: debole, incapace, una fallita. 
Si era convinta di falsità, aveva costruito l'immagine che aveva di se stessa su delle bugie. Per questo motivo viveva ogni giorno in equilibrio precario, pronta a cadere ed essere schiacciata. 
Ma adesso era giunto il momento di fare i conti con se stessa. Non era debole, altrimenti avrebbe gettato la spugna fin dal primo momento in cui Deimos le era apparso davanti. Non era un fallimento, almeno non per se stessa, e questo era ciò che più le interessava. Ma soprattutto, non era quella parola che da anni la bloccava e la faceva soffrire. I suoi genitori non avevano mai creduto in lei, ma questo non premetteva che nemmeno lei avrebbe dovuto credere in se stessa. Per la prima volta nella sua vita voleva provare quella cosa chiamata fiducia nelle proprie capacità. 
Compì il decimo sollevamento ed altre gocce di sudore si mischiarono a quelle già presenti sul pavimento. Gea le osservava soddisfatta. In ogni goccia erano racchiusi il dolore di quando sua madre l'aveva appellata con quella parola tagliente, la fatica di quando aveva cercato di evadere dalla gabbia che si era costruita attorno e le lacrime di quando si era resa conto di non riuscirci. 
Deimos la scrutava impassibile. Era sicuro che non avrebbe resistito a lungo, e se doveva proprio essere sincero l'aveva data per spacciata al primo sollevamento. 
Sapeva che lei avrebbe accettato la sfida, ormai cominciava a conoscerla. Aveva imparato a comprendere come il suo orgoglio la spingesse a non arrendersi, ma c'era anche qualcos'altro che non le permetteva di mollare. Un qualcosa che aveva a che fare con quella parola che lei tanto odiava: incapace. 
La osservò mentre respirava affannosamente, con le gambe tremolanti, e riusciva a sollevare il bilanciere per l'undicesima volta. 
Se avesse perso la concentrazione anche per un solo secondo, molto probabilmente si sarebbe fatta gravemente male alla schiena. Ma più la guardava e più si rendeva conto che la mente di lei era avvolta da uno schermo di piombo, incapace di fargli capire a cosa stesse pensando. Sembrava in lotta con se stessa, da una parte il suo corpo la pregava di smettere, pur continuando ad assisterla, dall'altra la sua determinazione ad andare avanti era irremovibile.  
Deimos, per la prima volta in vita sua, si ritrovò ad essere curioso. Voleva conoscere il motivo per il quale lei non si lamentava o lo pregasse di far terminare l'esercizio. Era sicuro che non si trattasse solo di orgoglio, lo leggeva negli occhi della ragazza, ardenti di un fuoco vivo. 
Ogni volta che l'appellava come incapace o debole, la sua espressione cambiava. Si riempiva di rabbia e risoluzione e riusciva a compiere cose di cui pure lei stessa si sorprendeva. A quel punto non si trattava solo di orgoglio, ma dietro quelle parole c'era sicuramente un significato che la spingeva a sorpassare i suoi limiti. 
Nella mente di Deimos si affollarono le immagini del giorno precedente, di quando la ragazza era stata in grado di liberare una quantità spropositata di energia. Non aveva mai visto niente di simile, per quanto conoscesse a fondo il potere distruttivo di ogni elemento. 
Al quattordicesimo sollevamento Gea si fermò per riprendere fiato. Chiuse gli occhi e strinse i denti. Ancora sei ultimi sforzi e le sue braccia avrebbero smesso di lanciare fitte di dolore. Aveva le spalle a pezzi, sentiva distintamente le sue ossa sfrigolare sotto il peso del bilanciere. Ma non poteva arrendersi proprio in quel momento, non al punto in cui era arrivata, conquistandosi centimetro dopo centimetro.
Stese ancora le gambe e si ricordò di respirare, nonostante il dolore ormai la deconcentrasse. Avrebbe tanto voluto gettare quell'asta per terra e liberarsene, ma sarebbe stata veramente libera? Di sicuro no. Per essere libera doveva continuare a tenersela sulle spalle e sopportarla fino alla fine. 
La sollevò per la quindicesima volta e si ricalò giù espirando. Ancora cinque. 
Persino le braccia e le mani avevano cominciato a tremarle. Le dita le scivolavano sull'acciaio bagnato dal sudore, rendendole più difficile mantenere salda la presa. Avrebbe voluto piangere da quanto male le facevano i muscoli. Sollevarsi di un centimetro le sembrava un'impresa impossibile, un dolore insopportabile. Non riusciva neanche più a reggersi sulle gambe. 
Strinse gli occhi e liberò un silenzioso verso di frustrazione. Non voleva mollare proprio adesso che era arrivata così vicina a raggiungere la chiave di quella maledetta gabbia che si era costruita attorno. Aveva la sua occasione di afferrarla e liberasi dalle mura costruite su bugie e falsità, ma... era così difficile. Voleva quella chiave più di ogni altra cosa, ma il suo corpo la stava abbandonando. 
Scosse la testa di poco per cercare di dimenticarsi del dolore e stese piano le ginocchia. 
Deimos non le staccava gli occhi di dosso. Era consapevole che la ragazza non riuscisse più a sopportare quel peso sulle spalle, pian piano stava cedendo. Il corpo e le forze la stavano decisamente abbandonando, ma sembrava che lei non se ne volesse fare una ragione. Nonostante tutto, continuava a combattere per arrivare alla meta.
Il sedicesimo sollevamento fu un'impresa più ardua di quanto Gea si sarebbe mai aspettata. Le braccia per poco non le avevano ceduto, rendendo vani tutti i suoi sforzi. 
Doveva sbrigarsi a compiere gli ultimi quattro o il suo corpo sarebbe andato in corto circuito prima che lei avesse potuto avere l'occasione di stringere una mano attorno alla sua chiave.
Gea dammi il tuo meglio, si gridava nella mente. Doveva farcela, non aveva altra scelta. 
Lo doveva a se stessa, come ricompensa di tutti quegli anni di sofferenza. 
Si sollevò per la diciassettesima volta, col cuore che le batteva furiosamente e la mente quasi totalmente invasa dal dolore. 
Lo doveva a se stessa, per tutte le volte che aveva gettato la spugna ancor prima di provarci. 
Con un immane sforzo di forza e concentrazione eseguì anche il diciottesimo sollevamento. 
Lo doveva a se stessa, per tutto l'odio e la rabbia che aveva nutriti nei suoi stessi confronti ogni volta che pensava di non essere in grado di fare ciò che amava. 
Una lacrima le accarezzò la guancia, come se avesse voluto confortarla. Si era odiata così tanto negli anni precedenti... aveva detestato i suoi limiti, quegli stessi limiti che chiunque avrebbe potuto tranquillamente superare, il suo essere inferiore, la sua insicurezza, la sua incapacità che spiccava prepotentemente in ogni situazione.
La lacrima scese con lentezza sul suo mento e le labbra le tremarono per lo sforzo di trattenersi dal piangere. 
A testa bassa sollevò il bilanciere. Ancora uno. Solo uno e sarebbe stata libera. 
Aveva perso se stessa dentro un mare di bugie, ma adesso la vera Gea stava ritornando a galla, imprigionata da fin troppo tempo dentro i limiti di quattro mura. 
Ad ogni insuccesso aveva sentito il suo cuore spezzarsi e sbriciolarsi. Ma ora... la lacrima cadde al suolo mischiandosi alle gocce di sudore... Ora quelle briciole di cuore le sentiva risalire dal baratro nero in cui erano cadute e rimescolarsi tra di loro, saldate da quella cosa chiamata fiducia. Come quelle briciole salivano, le gocce di fardello cadevano a terra, disperdendosi fuori da lei ed abbandonandola.
Strinse i denti e con uno slancio issò l'asta d'acciaio. 
Bloccò il bilanciere nel supporto e si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato. Venti. La fine. Era libera. 
Nonostante il dolore diffuso, un sorriso vero si pennellò sulle sue labbra. Ce l'aveva fatta, e quella poteva benissimo definirsi la prima grande vittoria della sua vita. 
Deimos la guardava dall'alto, ancora una volta sorpreso. Non si sarebbe immaginato di vederla terminare quell'esercizio fuori dalla sua portata. Aveva scelto di farle fare proprio quell'attrezzo, ma soprattutto con quei pesi, per provocarla e vedere scomparire quel suo sorrisetto strafottente una volta che l'avesse supplicato di farla smettere.
Voleva godersi il momento in cui lei avrebbe mollato, per poi farglielo pesare come solo lui sarebbe stato capace di fare, magari conducendola alla pazzia. Invece... quella stupida umana aveva mandato in fumo tutti i suoi piani... ma da una parte si era anche guadagnata un minimo di rispetto e considerazione da parte del ragazzo. Evidentemente non era così incapace e debole come si era ritrovato a credere più volte.
<< Per oggi può bastare >> asserì lapidario e freddo come una lastra di ghiaccio. 
Gea annuì ed alzò la testa per incontrare i suoi occhi. Sorrise e fece una smorfia con la bocca. << E figurati che stavo per chiederti quale fosse il prossimo esercizio >> disse ironicamente. 
Un sorriso sghembo si affacciò sulle labbra di Deimos. << La prossima volta sarà l'ultima cosa che ti verrà in mente di chiedermi. Puoi starne certa. >>
La ragazza assunse una postura eretta, incrociò le doloranti braccia al petto e sollevò un sopracciglio. << Suona tanto come una minaccia >> notò.
<< Potrebbe esserlo >> restò sul vago Deimos, senza far sparire il sorrisetto beffardo.
<< Chissà perché, ma me lo immaginavo >> concluse Gea, arricciando il naso infastidita. << Che ore sono? >> chiese puntando gli occhi su di una grande vetrata. 
Il sole era ancora alto nel cielo, non come a mezzogiorno, ma di sicuro non doveva essere troppo tardi. 
<< Le cinque, e per stavolta il tuo allenamento finisce qui >> rispose il ragazzo, avvicinandosi con passi cadenzati. Gea riportò velocemente lo sguardo su di lui e scrutò i suoi movimenti. Il giovane si fermò a pochi centimetri dal suo corpo provato dalle fatiche del pomeriggio. << Dobbiamo fare il punto della situazione >> le disse con un tono di voce irremovibile. 
La ragazza annuì ed abbassò la testa. Sapeva già di cos'avrebbero parlato: del suo quarto potere, se così si poteva chiamare. Ne voleva sapere di più, e se ci fosse stato qualcuno che le avrebbe potuto dare delle risposte, quel qualcuno era davanti a lei.
Alzò gli occhi e vide che la ragazza dal caschetto disordinato li stava osservando. Ancora una volta sembrava ammaliata, sognante. 
Gea spostò lo sguardo sul viso di Deimos, che non aveva allontanato gli occhi da lei neanche per un attimo, e si schiarì la voce. << Potremmo andare dentro lo spogliatoio o in bagno per teletrasportarci? Qui daremmo un po' troppo nell'occhio. >> 
Il ragazzo non rispose e non fece alcun cenno con la testa, si mosse soltanto verso un punto ancora non definito. Gea lo seguì dopo aver lanciato un'ultima occhiata alla ragazza da sopra la spalla. Stava continuando a seguirli con lo sguardo. Inspiegabilmente un brivido scese lungo la schiena di Gea, non le piacevano tutte quelle attenzioni indesiderate. Sentiva qualcosa di... 
<< Muoviti >> le ordinò Deimos, svoltando l'angolo ed uscendo dalla sala. 
La ragazza si ridestò dai suoi pensieri e lo raggiunse con una piccola corsa.




                                                                        *  *  *




Dopo essersi chiusi alle spalle la porta di un piccolo e buio bagno di servizio, erano passati alla luce calda della casa della ragazza. 
Gea aveva sospirato stancamente e si era seduta sul divano, Deimos aveva preferito appoggiarsi al muro e guardare fuori dalla finestra. 
<< Quindi i miei poteri sono quattro? >> spezzò il silenzio lei, stringendosi le gambe al petto.
<< Per ora >> puntualizzò Deimos, spostando gli occhi su Gea. << Potresti averne altri. Più ne avrai e più sarai un bocconcino appetibile per aria, acqua e fuoco. >> Un sorriso cattivo si fece largo sul viso del giovane. << Il che rende tutto più divertente. >> 
Gea lo fulminò con lo sguardo. << Sì, davvero molto spassoso. >> Sospirò e si passò le dita sulle tempie. << Avevi detto che non sarei riuscita a richiamare i miei poteri, allora perché sono stata in grado di guarirmi? >> 
<< Molto probabilmente perché il tuo quarto potere funziona in modo diverso dagli altri >> ipotizzò Deimos.
<< Che vuoi dire? >> 
<< Tempo, elettricità e terra li richiami spontaneamente, anche quando non ne hai bisogno, perché seguono i tuoi stati d'animo, il tuo umore. Il potere curativo non ha nulla a che vedere con tutto ciò, ma riesci a richiamarlo solo quando ne hai un bisogno indispensabile >> spiegò incrociando le braccia al petto. 
La giovane abbassò la testa ed appoggiò il mento sulle ginocchia, assorta nei suoi pensieri. << E se questo potere fosse emerso solo grazie all'assorbimento di energia dal mio punto alfa? Se così non fosse, perché non sono riuscita a scoprirlo prima? >> 
<< Non tutti i poteri si manifestano insieme. Alcuni possono svilupparsi col tempo. Sicuramente il fatto di aver assorbito energia ha contribuito a risvegliare questa dote che avevi sepolta da qualche parte. >> 
La ragazza annuì e riportò gli occhi su Deimos. << Ho liberato abbastanza energia oggi? Suppongo che questo quarto potere mi prosciughi un bel po' di forze. >>
<< Abbastanza da essere fuori pericolo >> rispose concisamente lui. 
Gea sospirò tranquillizzata e si strinse nella felpa. Finalmente avrebbe potuto passare una notte senza avere la costante minaccia di una morte dietro l'angolo. 
<< Posso sapere quali poteri hai tu? Ovviamente oltre a tutto ciò che riguarda distruzione e terrore >> gli chiese, incuriosita di capire quanto Deimos fosse diverso da lei.  
Il ragazzo alzò il mento ed appoggiò la nuca al muro. << Teletrasporto >> tagliò corto. 
<< E lo hai scoperto dopo o lo sapevi fin da subito? >> 
<< Nella mia famiglia i poteri principali vengono trasmessi di padre in figlio. L'unica dote che non ha a che vedere con il filo conduttore dei poteri varia da persona a persona. È una sorta di albero il cui tronco rappresenta la facoltà base, i rami, invece, sono i vari poteri che ognuno ha, diversi l'uno dall'altro >> affermò con un tono incolore. 
<< Perciò sei nato con questi poteri e successivamente hai scoperto quale fosse l'altra tua dote. >>
<< Solitamente lo scopriamo all'età di sei anni, ma dipende dal tipo di addestramento a cui si è sottoposti. In casi rari si apprende in anticipo. >>
<< E tu quando l'hai scoperto? >> domandò Gea, certa che lui facesse parte di quella cerchia ristretta. 
<< A tre anni >> rispose secco. Per poco la ragazza non si strozzò con la saliva che stava deglutendo. Avrebbe tanto voluto sapere che tipo di addestramento aveva dovuto sopportare per scoprire con tre anni di anticipo il suo potere. Non riusciva a capacitarsi di come un bambino tanto piccolo fosse in grado di tollerare tutto quello. 
<< E quando hai iniziato il tuo addestramento? >> 
<< A due anni. È fondamentale imparare fin da subito a controllare un potere come il mio. Distruzione e terrore nelle mani di un bambino... >> Un sorriso sadico e divertito si affacciò sulla sua bocca. << Non puoi lontanamente immaginare cosa significhi. >> 
<< Ai bambini piace sperimentare >> asserì Gea, mentre nella sua mente si affollavano immagini di catastrofi e disastri vari.
Il sorriso del ragazzo si allargò ancor di più. << Esattamente. >>
Un brivido freddo scosse il corpo di Gea. Si era immaginata che Deimos fosse sempre stato spietato, ma... che lo fosse fin dalla tenera età era sconvolgente. Ormai si poteva considerare un veterano. 
<< Hai detto che per funzionare, il tuo potere deve essere vicino a quello dei quattro elementi, quindi... usavi il carattere distruttivo dei poteri dei nostri predecessori? Ammesso che gli attuali aria, acqua e fuoco siano giovani come me. >>
<< Sì, usavo il loro >> affermò Deimos, staccandosi dal muro. 
<< Ma tu li hai mai visti? Intendo gli attuali tre elementi che vogliono farmi fuori >> domandò la ragazza, osservandolo mentre si avvicinava ad una finestra. 
<< No, so solo che possiedono il loro potere da anni, chi più chi meno. Quando un elemento muore e il potere passa ad un altro lo avverto e, se non si trova troppo lontano, riesco ad individuarlo. >> La trafisse con lo sguardo. << Come è successo con te. Ma negli altri tre casi erano troppo lontani affinché potessi andare a vedere di chi si trattasse. >> 
Gea annuì e tornò a posare il mento sulle ginocchia. Sperava solo che lo scontro con gli altri elementi avvenisse il più tardi possibile, almeno non fino a quando non fosse stata in grado di manovrare con cura i suoi poteri.
Tutto ciò a cui poteva aggrapparsi era una speranza, vana o meno che fosse. 
Sbadigliò assonnata e si stropicciò gli occhi con entrambe le mani, come faceva sempre da piccola. Si alzò lentamente dal divano e poggiò lo sguardo su Deimos, ancora in piedi accanto alla finestra. << Vado a fare una doccia >> lo informò, senza aspettarsi una risposta.  
E così fu, perché il ragazzo non la calcolò minimamente. Teneva gli occhi puntati sull'orizzonte, assorto in chissà quali pensieri. 
Gea rimase a fissarlo in silenzio. Avrebbe voluto sapere su quali canali fossero sintonizzate le sue riflessioni. Sempre se non si fosse trattato di pensieri riguardanti i vari modi per ucciderla, di quelli avrebbe fatto a meno. 
Spostò lo sguardo sullo stereo ridotto a pezzi, avrebbe dovuto sistemare quel casino il prima possibile. Odiava il disordine, odiava tutto ciò che non le era possibile controllare. 
Affrettò il passo verso l'armadio per prendere biancheria e vestiti puliti e si chiuse in bagno, con la speranza che nel frattempo Deimos non le sfasciasse la casa. 




                                                                       *  *  *




Dopo una lunga doccia rilassante, Gea era uscita dal bagno ed aveva gettato un'occhiata nel salotto. Del ragazzo nessuna traccia, ancora una volta si era volatilizzato nel nulla. 
Si era asciugata i capelli ed aveva deciso di dare una sistemata all'appartamento. Sentiva il pressante bisogno di compiere qualcosa di normale, un'azione quotidiana che faceva parte della vita di qualsiasi comune persona. Aveva necessità di tornare un po' in contatto con la sua vita di sempre. 
In poco più di un'ora era riuscita a pulire tutta la casa da cima a fondo. Per passarsi il tempo aveva selezionato un po' di musica che le aveva tenuto compagnia durante quell'attività. 
Successivamente aveva riprovato a chiamare George, ma continuava a non risponderle nessuno dall'altro capo. Gli aveva lasciato un messaggio in segreteria per chiedergli come stesse, senza menzionare nulla riguardo ciò che era successo.  
Quando ormai si erano fatte le otto di sera era passata in cucina per prepararsi qualcosa da mangiare: una fetta di carne e degli spinaci. Una cena semplice che però l'avrebbe rimessa presto in forze. 
Le facevano male tutti i muscoli, persino le ossa, anche se era certa che i veri dolori li avrebbe sentiti il giorno seguente. Preferiva non pensarci, specialmente se considerava che avrebbe dovuto proseguire con l'allenamento in quelle condizioni. 
Aveva velocemente ripulito il pianale della cucina, sistemato i piatti in lavastoviglie e si era recata a letto. Prima di addormentarsi un pensiero le aveva attraversato la mente come un lampo, e quel pensiero era rivolto a due persone: i suoi genitori. 





Angolo dell'autrice:

Salve a tutte! 
Grazie di essere giunte a leggere sino a qua :) 
Questo capitolo è moooolto incentrato su Gea e sulla sua lotta interiore. Però si comincia ad avere qualche informazione su Deimos... ovviamente il nostro bel fusto non si è sbilanciato troppo, figuriamoci! Ahahahah
Spero che il capitolo non sia risultato troppo e noioso e scusatemi per gli errori che avrete trovato >.< l'ho riletto e ricorretto, ma sicuramente qualcuno mi è sfuggito. I maledetti si nascondono... *sguardo di fuoco*
Per quanto riguarda Keep your eyes open: questa settimana ho scritto ben poco, quasi nulla. Avrò messo il punto ad una frase... Mamma mia che vergogna ahahahah 
Vi spiego, non è che mi mancasse la voglia, solo che domani ho un esame e mi sono buttata a corpo morto sullo studio :) ma cercherò di rimediare la settimana prossima col capitolo... Spero...
Sul fronte de I poteri del tetraedro ci vediamo domenica prossima!!! 
Vi mando un bacione enorme ed un abbraccione!! <3 
GRAZIE MILLE DI TUTTO! 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***





<< Rialzati! >> le urlò contro Deimos, furente di rabbia. 
Gea si rotolò su un fianco mentre si teneva le braccia strette sul grembo, attanagliata dai postumi del calcio che le aveva appena rifilato nella pancia.
Erano trascorsi tre giorni da quel pomeriggio in palestra. In quel lasso di tempo Deimos aveva insistito per farla esercitare con gli attrezzi, di modo da farle tonificare la massa muscolare. 
Nonostante gli sforzi ed i traguardi raggiunti, Gea adesso si trovava a terra, con lo scenario del Grand Canyon alle spalle ed un vento freddo a scuoterle le membra. 
<< Ti ho detto di alzarti! >> sbraitò il ragazzo, cominciando ad avvicinarsi a lei a grandi falcate. 
Gea aprì gli occhi ricolmi di lacrime e strisciò all'indietro per allontanarsi da lui. 
Si stavano cimentando in un corpo a corpo, proprio come sarebbe successo tra lei e gli altri elementi. Per i primi venti minuti era riuscita a tenergli testa, ma quando Deimos aveva cominciato a mettercisi con maggiore impegno lei non aveva fatto altro che incassare botte senza essere in grado di contrattaccare. 
L'ennesimo calcio nella pancia le aveva quasi fatto uscire gli occhi dalle orbite. Aveva le mani e le braccia ricolme di graffi e tagli, uno zigomo violaceo, le labbra spaccate, i capelli disordinati e sporchi di terriccio ed i pantacollant sgualciti, sudici e rotti. 
<< Basta... Ti prego, basta >> lo supplicò col fiato corto, scivolando ancora più lontana. 
Deimos non considerò le sue parole e le si parò davanti. La guardò per un istante, dopodiché si abbassò sui talloni e le prese il mento tra due dita. << Pregherai anche loro di fermarsi? >> le domandò gelidamente. Fece scivolare la mano sul suo collo e strinse la presa. << Oppure li pregherai di ucciderti? >> 
Gea appoggiò una mano sul polso del ragazzo, senza però essere in grado di stringere. I suoi poteri non erano ancora tornati a farsi sentire e le forze la stavano decisamente abbandonando. Faticava persino a tenere gli occhi aperti, il respiro le usciva spezzato e sempre più lentamente, come se stesse per addormentarsi di un sonno perpetuo.
<< Lasciami... Perfav... >> La gola le si chiuse di scatto. Il ragazzo la stava strozzando senza pietà, senza curarsi che in quel modo l'avrebbe uccisa. Gea strabuzzò gli occhi. 
Dimenò le gambe e scosse la testa mentre l'aria che riusciva a respirare diminuiva ogni secondo di più. Caricò una gamba e colpì la testa del ragazzo con un ginocchio, riuscendo a liberarsi. 
Si alzò traballante e corse il più lontana possibile, lasciandosi cadere a sedere in prossimità di una roccia. Appoggiò la testa contro il masso freddo e guardò nella direzione del pazzo assassino. Deimos si stava toccando la tempia sinistra, proprio nel punto in cui lo aveva colpito. Quando allontanò la mano, le sue dita erano sporche di sangue. 
Il ragazzo alzò lo sguardo ed incontrò quello di Gea. Negli occhi di entrambi si leggevano l'odio, la rabbia... la sete di vendetta. 
Deimos si alzò in piedi ed un secondo dopo l'aveva afferrata per i capelli, facendole reclinare la testa all'indietro. Prima che la ragazza riuscisse a colpirlo, la scagliò lontana, facendole strisciare il corpo a terra per metri e metri. 
In un attimo le fu addosso, la voltò a pancia in su e si sedette sul suo bacino, stavolta assicurandosi di averle bloccato le gambe. 
Gea si dimenò ed allungò un braccio per sferrargli un pugno, ma i suoi polsi furono prontamente immobilizzati sopra la sua testa da una mano di Deimos. 
<< Maledetto schifoso >> ringhiò fra i denti, rinvigorita dalla rabbia che le scorreva come fuoco nelle vene. 
<< Te la farò pagare >> sibilò il giovane, assetato di vendetta. 
Un mezzo sorriso si affacciò sulle labbra spaccate di Gea. Sollevò di poco la testa ed accorciò la distanza fra i loro volti. << Illuso >> sussurrò prima di colpirlo sul naso con la fronte. 
Di riflesso Deimos le lasciò i polsi ed allentò i muscoli. Approfittando di quel momento, la ragazza invertì le posizioni e lo colpì nuovamente sul naso con un pugno. Glielo avrebbe voluto rompere, così avrebbe capito cosa significasse rimanere senza ossigeno. 
Quando Gea fu pronta a percuoterlo per una seconda volta, Deimos le colpì la schiena con un ginocchio, facendo scivolare il corpo della ragazza in avanti. 
La bloccò poggiando le mani sulla sua maglietta. I loro occhi s'incatenarono ed i respiri si mescolarono. 
Gea scorse altro sangue uscirgli dal naso e, per un momento, ma solo per un momento, si sentì in colpa. Ma non avrebbe dovuto, dopotutto lui aveva tentato di strangolarla, quello era il minimo che lei potesse fargli. 
Dal sopracciglio sinistro, invece, il sangue continuava a scendere copiosamente, ricoprendogli la tempia e la guancia. Senza pensarci la ragazza alzò una mano e la poggiò delicatamente vicino alla sua ferita. Quando aveva caricato il ginocchio non aveva pensato a quanto male avrebbe potuto fargli, voleva solo liberarsi. 
Cercò di scrutare la gravità del taglio intorno a tutto quel sangue, ma le fu praticamente impossibile.
<< Sarebbe meglio pulire questa ferita, potrebbe infettarsi >> notò Gea, spostandogli di lato la testa per tentare di capire quanto fosse lungo il taglio. 
<< Non ho bisogno di nulla >> rispose freddamente Deimos. 
<< Invece sì, credo sia profondo. >> 
Il ragazzo si voltò, le afferrò la mano con cui lo stava toccando e la trafisse con i suoi zaffiri spietati. << Non voglio l'aiuto di una stupida umana mossa dalla compassione e colma di sensi di colpa. Preferisco la morte >> sputò con cattiveria. 
Gea ritrasse la testa, colpita da tanta crudeltà. Strinse gli occhi, incapace di comprendere perché si comportasse in quel modo, e d'istinto gli mollò uno schiaffo. << Scusa se sono umana ed ho dei valori diversi dai tuoi. Non sono stata cresciuta come te, non sono stata abituata a non provare emozioni e ad essere una macchina insensibile. Provo emozioni, sensi di colpa anche se non piacevoli e fuori luogo, compassione e tutto quello che può provare una persona quando si rende conto di aver fatto del male ad un'altra senza nemmeno volerlo. Volevo colpirti, d'accordo, ma non spaccarti il sopracciglio. 
Ogni volta che mi chiami umana, sappi, che lo prendo come un complimento, perché sono fiera di avere dei sentimenti, perciò ti consiglio di cambiare offesa. Quella, per me, non lo è >> affermò con rabbia, afferrandolo per il colletto della maglietta. << Ed ora fai poche storie ed andiamo a disinfettare questa cavolo di ferita. >> 
<< Credi per davvero di potermi parlare con questo tono? >> le chiese divertito. << E di potermi ordinare qualcosa? Devi aver battuto forte la testa se pensi che te lo lascerò fare. >>
<< Mi preparerò alle conseguenze >> tagliò corto Gea. << Dopo che ti avrò sistemato questo taglio potrai cercare di farmi quello che ti pare, saprò difendermi >> disse con un'alzata di spalle ed un sorriso strafottente. 
Una fila di denti bianchissimi si mostrò sul viso del ragazzo. << Ci conto. >> 




                                                                       *  *  *




<< Ok, alza la testa >> ordinò la ragazza, tenendo del cotone bagnato in mano. 
Deimos si sedette su una sedia della cucina e sollevò il viso, puntando gli occhi su quello della giovane. 
Gea, dal canto suo, nemmeno se ne accorse. Era troppo concentrata a togliere il sangue dalla sua guancia e dalla sua mandibola cercando di non fargli male. 
Dopo qualche secondo fu costretta a gettare via il primo batuffolo, completamente impregnato di sangue. Ne prese un altro e lo passò sotto l'acqua fredda. Tornò dal ragazzo ed appoggiò le dita sotto il suo mento per tenergli la testa sollevata. 
Con una cura dedita ai particolari, Gea risalì per tutto il viso man mano che lo puliva, finché non giunse alla tempia e al sopracciglio. 
Lo stomaco le si accartocciò mentre passava il cotone sul taglio. In primis perché sapeva che gli stava facendo male, in secundis perché pian piano si accorgeva di quanto fosse lunga e profonda la ferita. 
Deglutì con la gola secca e prese un altro bianco batuffolo immacolato. Lo bagnò con dell'acqua gelida e continuò il suo percorso da dove lo aveva interrotto. 
Ad una velocità sorprendente il bianco veniva sostituito dal rosso vermiglio. 
Più cotone buttava e più si sentiva in colpa per ciò che aveva fatto. Non si era certo immaginata che gli avrebbe procurato una simile lacerazione, anche se forse avrebbe dovuto aspettarselo vista la forza con cui aveva scagliato il ginocchio contro la sua testa. 
Gettò via un'altra nuvoletta rossa e scrutò la portata del taglio. Gli si era gonfiata tutta la zona intorno alla ferita, che ad occhio e croce era lunga quattro centimetri. 
Gea deglutì nuovamente ed afferrò un altro pezzo di cotone per bagnarlo col disinfettante.
<< Adesso brucerà parecchio >> lo avvisò stringendo i denti, come se avesse dovuto sopportare lei quel dolore. 
Deimos non batté ciglio, nemmeno quando la ragazza posò il cotone pregno di liquido verde sul suo squarcio. Solo un guizzo della mandibola lo tradì, facendole capire che stava provando dolore.
Gea picchiettò il batuffolo sulla zona lesa per qualche altro secondo, dopodiché aprì un cerotto bianco rivestito da uno strato di garza e glielo posizionò con attenzione e delicatezza sul taglio. << Fatto >> disse in un sospiro.
Deimos sollevò una mano e si tastò la fronte. Gli frizzava oltre ogni dire, ma aveva sopportato dolori molto più grandi di quello. Il trucco era non pensarci, far finta che non esistesse anche quando sembrava impossibile. 
La ragazza ripulì il tavolo e gettò via ciò che era superfluo. Il telefono le squillò in quel preciso istante. Rimase per un attimo in ascolto della suoneria, cercando di capire se si trattasse davvero del suo cellulare o se se lo fosse immaginato; in seguito si avviò correndo in camera da letto, sperando che fosse George a chiamarla.
<< Pronto? >> chiese col fiatone. 
<< Ehilà Gea! >> strillò una voce acuta e perforante. 
<< Ciao Rose >> disse con una smorfia, delusa di scoprire che non si trattasse del ragazzo. Rose le stava simpatica, l'aveva conosciuta durante il corso di biochimica l'anno prima. A volte era così esuberante che faceva fatica a starle dietro, dopo un'uscita con lei si sentiva stanca morta, come se fosse dovuta stare dietro ad un bambino. Aveva perso il conto di quante volte l'avesse salvata dall'essere investita. 
 << Che mi racconti, bellezza? È quasi una settimana che non ti fai vedere. >> Un risolino accompagnò le sue parole. << Si tratta forse di un ragazzo? >>
Gea ritrasse la testa e sgranò gli occhi. << No, no assolutamente. Io... non sono stata molto bene. Sai, l'influenza >> inventò sul momento, gesticolando con la mano libera ed annuendo a se stessa. 
<< E perché non me l'hai detto, sciocchina? Sarei venuta ad aiutarti, potevo andare a comprarti delle medicine o prepararti qualcosa di caldo. >> 
La ragazza si grattò la testa e si sedette sul letto. << Sì, già, non ci avevo pensato... Cioè, non volevo essere di peso, quindi... ma ora sto bene, non c'è nessun problema >> affermò annuendo di nuovo. 
Rose sospirò. << Gea, per me non sarai mai di peso, fidati. Siamo amiche! >> strillò ridacchiando. << Quindi... dato che ora stai bene... ti volevo chiedere una cosa. >> 
<< Spara. >> 
<< Ecco, stasera ci sarebbe una festa... >>
<< Una festa >> ripeté la ragazza. Proprio in quel momento Deimos fece capolino nella stanza, appoggiandosi con la schiena al muro e fermandosi ad osservarla.
<< Esattamente, è a casa di Dylan, sempre che quella reggia possa essere chiamata casa >> borbottò Rose. << Sai, lui è pieno di soldi, i suoi genitori non ci sono e... >>
<< Sì, la storia più vecchia del mondo. I suoi non ci sono e lui si dà alla pazza gioia con i soldi dei suoi vecchi. Capito >> asserì Gea, passandosi una mano fra i capelli. Alzò la testa e trovò Deimos, in piedi davanti a lei, che la fissava con un sopracciglio sollevato. Fece finta di non vederlo e spostò lo sguardo per terra. 
<< Ti devo chiedere un favore. Ti prego, ti prego, ti prego! >> squittì l'altra giovane con la voce sempre più stridula. 
<< Vuoi che ti accompagni, giusto? >> domandò Gea. 
<< Lo faresti? Ti prego! Le altre ragazze hanno già la macchina piena. Ci saranno anche Melanie, Jude, Dena, Annie e Becky, che mi hanno espressamente incaricata di trascinarti con noi. Non te ne pentirai, e non ci staremo troppo. Quando vorrai andare via, noi ubbidiremo ai tuoi ordini... Dai, ti prego, ti scongiuro, ti supplico, t'imploro vieni con noi. >> 
<< Oh, be'... >> Gea si spostò i capelli su una spalla e giocò con qualche ciocca. << Se me lo chiedi in questo modo così appassionato... Credo che potrei fare uno strappo alle regole e venire. >>
<< Sì! Sì! Sì! >> gridò felice Rose. << Ci divertiremo un mondo, te lo assicuro. >>
Le ultime parole famose, pensò Gea, ma rise comunque per l'entusiasmo dell'amica. << Se lo dici tu, mi fido. >> 
<< E fai bene, ragazza mia >> le sussurrò imitando una voce maschile. << Ok, ti passerò a prendere verso le nove, d'accordo? >> 
<< Perfetto >> confermò Gea, sorridendo. 
<< Ah, e ti consiglio di metterti quel vestitino che ti ho regalato l'anno scorso per il compleanno. Non l'hai ancora messo e sono curiosa di vedere come ti sta, perciò non è più un consiglio, ma un ordine >> la minacciò scherzosamente, facendole scappare una risata. Quanto le era mancata la sua vita. Prima di quel momento non se ne era davvero resa conto. Quell'uscita con le amiche le sarebbe sicuramente servita per tornare in contatto con la piacevole realtà che aveva vissuto fino a sei giorni prima.
<< Vedrò di fare il possibile, ma non ti prometto nulla. Effetto sorpresa. A dopo Rose >> la salutò ridacchiando. 
Riattaccò poco dopo e mise il cellulare in carica, altrimenti quella sera sarebbe rimasta fuori dal mondo con solo un dieci percento di batteria. 
<< Non ci andrai >> pronunciò perentorio Deimos. 
Gea alzò la testa lentamente e gli lanciò uno sguardo di sufficienza. << Non vedo perché non dovrei. >>
Il ragazzo le restituì un'occhiata fredda come una lastra di ghiaccio dell'Antartide. << Là fuori ci sono tre elementi pronti a farti fuori, potrebbero essere lontani come vicini. >>
<< E dovrei proprio incontrarli ad una festa di adolescenti? >> domandò scettica la ragazza, incrociando le braccia al petto. << Non mi pare possibile. >> 
Un sorriso di scherno si affacciò sulle labbra di Deimos. << Quel tuo piccolo cervello limitato ha mai preso in considerazione l'ipotesi che potessero tenerti d'occhio? Presumo di no, altrimenti non saremmo qui a discuterne >> concluse con una scrollata di spalle.
<< E sentiamo, grande cervellone, cosa proponi che io faccia? Dovrei rinchiudermi qua dentro finché non verranno loro a bussarmi alla porta? Scordatelo. Finché non vedrò la loro ombra e non sentirò la loro minaccia, vivrò la mia vita come ho sempre fatto >> ribatté decisa Gea, alzandosi dal letto. Gettò un'occhiata alla sveglia sul comodino per calcolare quanto tempo avesse per fare una doccia, ripulire le ferite, cucinare la cena e prepararsi per la festa. Erano appena scoccate le quattro del pomeriggio, cinque ore le sarebbero più che bastate. 
Passò accanto al ragazzo per raggiungere l'armadio, ma quest'ultimo le sbarrò la strada con un braccio. Gea arrestò il passo e rimase ad osservare il suo avambraccio muscoloso con entrambe le sopracciglia sollevate. Se credeva di poterle mettere i bastoni fra le ruote si sbagliava di grosso. Avrebbe rivisto le sue amiche, e niente e nessuno sarebbe stato capace di impedirglielo. 
Il braccio ben presto fu sostituito dall'intero corpo di Deimos. La giovane alzò lo sguardo ed incontrò gli zaffiri insensibili che era abituata a vedere da sei giorni. Deimos, dal canto suo, aveva la testa leggermente piegata di lato e la guardava dall'alto con un che di superiorità. 
<< Hai due opzioni >> iniziò Gea, mostrando due dita. << O ti levi di torno con le buone >> disse abbassando il medio. << O ti faccio sparire con le cattive >> concluse con un sorriso angelico. 
Deimos le afferrò il polso prima che potesse abbassare la mano e lo strinse rudemente. << Apri bene le orecchie. Se quei tre ti uccidessero non m'importerebbe minimamente, anzi credo che andrei a stringergli la mano. Ma si dà il caso che io non potrei usare il mio potere se solo uno di voi incarnasse tutti gli elementi. Uccisa te che sei la più debole, nulla li fermerebbe dal farsi fuori l'uno con l'altro, quindi ubbidisci agli ordini e non muoverti da qui >> le sibilò a pochi centimetri dal viso. << Sono stato abbastanza chiaro? >>
<< Cristallino >> rispose la ragazza, annuendo vigorosamente. << Solo che io non prendo ordini da te... il che immagino complichi le cose... >> disse con una finta espressione pensierosa, prendendosi gioco del giovane.
Deimos l'avvicinò a sé con uno strattone poco delicato e si piegò su di lei, tanto che Gea fu costretta ad incurvare la schiena. << Esci da questa casa e ti farò rimpiangere il giorno in cui sei nata >> le alitò in faccia minacciosamente. 
La rabbia montò nella ragazza, facendole irrigidire i muscoli del viso. << Io andrò a quella festa >> scandì lentamente. << In caso mi trovassero vorrà dire che farò del mio meglio per sopravvivere. Del resto è quello che faccio ogni giorno con te >> sputò, riprendendo possesso della sua mano.  
I due rimasero a guardarsi in cagnesco per una svariata quantità di tempo. Sembrava che né l'uno né l'altra volessero essere il primo o la prima ad abbassare lo sguardo. 
Infine uno strano sorriso di scherno e colmo di cattiveria si affacciò sul viso del giovane. << Vai pure. Spererò con tutto me stesso che ti trovino e che ti polverizzino. Mi godrò lo spettacolo della tua paura, di quando cercherai di scappare e di quando ti uccideranno. I deboli non hanno ragione di esistere, sopperiranno sempre ai più forti. E tu non hai motivo di vivere >> affermò con una crudeltà tale da scuotere Gea. 
Per un istante la ragazza rimase senza fiato e senza parole. Ciò che aveva detto, per quanto lei non lo condividesse, le faceva male. 
Sentì una morsa nello stomaco ed un groppo chiudersi nella sua gola. 
E lei, stupidamente, gli aveva anche curato la ferita. A lui, lui che non si faceva problemi a procurarne a lei, sia fisiche che non. 
Non ribatté niente, sia perché il cervello le era andato in tilt, sia perché sapeva che la voce le sarebbe uscita spezzata. 
Abbassò lo sguardo e sorpassò il ragazzo, cercando di mostrarsi, almeno esteriormente, immune alle sue parole. Per nulla al mondo gli avrebbe fatto intravedere lo squarcio che le aveva appena aperto dentro.  
Nella sua mente si diceva solo una parola: forte. Se la ripeteva continuamente, sia per darsi un contegno e non crollare sia per evitare di pensare ad altro. 
Aprì l'armadio, prese la biancheria pulita e si diresse al bagno senza mai voltarsi a guardare Deimos. Lui non esisteva, non esisteva. E con queste rimbombanti parole nella testa, Gea chiuse la porta ed una lacrima le rotolò sulla guancia. 




                                                                      *  *  *




Lo odiava. Con tutta se stessa. Maledetto il giorno in cui si era presentato nella sua camera. Maledetto il momento in cui le aveva rivelato chi fosse. Maledetto lui e tutta la sua stirpe. 
Le aveva fatto rivivere i dolori del passato, creandogliene di nuovi. L'aveva condotta allo stremo delle forze, prendendosi gioco delle sue debolezze. Le aveva sputato addosso le peggiori cattiverie, non curandosi della sua fragilità. 
Perché la verità era quella. Nonostante si fosse sempre mostrata forte... in realtà, dentro di sé, era fragile come un vaso di cristallo. Bastava che un piccolo sasso le venisse scagliato contro e lei andava in pezzi. 
Con rabbia tirò un pugno allo sportello della doccia, facendolo vibrare. L'acqua continuava a scivolarle sul corpo e sul viso, mescolandosi alle lacrime calde e salate. 
Cercava di convincersi di essere forte, ma difronte a parole velenose come lingue di serpenti ed alle difficoltà, sentiva quel cristallo tremare. Perché sapeva, sapeva che di lì a poco sarebbe scoppiato. 
Per quanto potesse ripetersi la parola "fregatene", non riusciva mai del tutto a dimenticare, ma anzi, sembrava che la sua mente le facesse il meschino scherzo di calcare e ricalcare sulle brutte esperienze. 
Si odiava per quella debolezza. Desiderava essere forte e capace di lasciarsi tutto alle spalle con un soffio, ma non riusciva a farlo. Ogni offesa che le veniva rivolta contro rimaneva impigliata dentro di lei, come una mosca in una ragnatela, e le ci voleva tutto il tempo del mondo per digerirla ed aspettare la prossima. 
Ed ora... lui, quel maledetto... le aveva detto che non meritava di esistere. Con quale diritto? Con quale presunzione? Quanto avrebbe desiderato trovare le parole giuste e fargli rimangiare ciò che aveva detto, ma in quel momento era rimasta così duramente colpita che non aveva nemmeno compiuto lo sforzo di cercare una risposta tagliente. 
Le aveva fatto troppo male. E lei non era capace di procurare un male simile a qualcuno, forse era per questo che il suo cervello aveva deciso di staccare la spina e non si era premurato di farle uscire qualcosa dalla bocca. Lei era troppo buona, troppo sensibile, troppo umana. 
Avrebbe voluto fargli del male, urlargli contro qualcosa di deplorevole, ma alla fine sapeva che si sarebbe sentita in colpa e sarebbe stata peggio di lui. 
Era sempre per la sua sensibilità che gli aveva curato quella ferita, nonostante lui non si fosse minimamente fatto un esame di coscienza per quelle che aveva procurato a lei. 
Quanto era stata stupida. Si sarebbe presa a schiaffi se solo non le fosse costato fatica. Più si mostrava gentile nei suoi confronti e più lui la prendeva per debole. La prossima volta avrebbe contato fino a dieci prima di aiutarlo. 
Se poi ripensava a quando lo aveva baciato... lì sì che era stata debole. Non avrebbe mai dovuto commettere quello sbaglio, anche se non poteva negare a se stessa che quel bacio le era piaciuto, e molto anche. 
Ma doveva pur sempre ricordarsi che aveva baciato colui che aveva tentato di ucciderla più volte e che adesso le aveva riversato addosso un mare di cattiverie. In poche parole, un mostro. Lei ai suoi occhi, ne era certa, non era altro che una nullità, un peso, un oggetto. Niente di più e forse qualcosa di meno. Non poteva permettersi di abbassare nuovamente la guardia con un essere simile, ma soprattutto era certa che non si sarebbe mai più presentata una situazione come quella di tre giorni prima. Non doveva ripetersi. 
Se il passato aveva un scopo era quello d'insegnare, e lei era sempre stata una brava alunna. 
Uscì dalla doccia e si avvolse in un asciugamano, legandolo sul petto. Afferrò un pettine e districò i capelli bagnati e non più lunghi come un tempo. Anche per quello doveva stringere la mano al mostro. Dal gomito adesso le arrivavano poco sotto le spalle. 
Lanciò delle occhiate al suo riflesso nello specchio e non poté fare a meno di notare le labbra spaccate, lo zigomo sinistro livido e le sue braccia piene di graffi e taglietti. 
Prima o poi gli avrebbe fatto ripagare ogni offesa, ogni dolore ed ogni oltraggio. Questione di tempo, pensò mentre posava il pettine di legno nel cassetto adiacente al lavandino. 
Si asciugò in fretta ed indossò la biancheria pulita, dopodiché passò a detergere i capelli col phon continuando a pettinarli con le mani. 
Dieci minuti più tardi aveva terminato, così spalmò una pomata sullo zigomo per far assorbire più velocemente il sangue nei capillari. Quella sera, senza ombra di dubbio, avrebbe dovuto mettersi il fondotinta, altrimenti quel livido sarebbe spiccato come una lucina su un albero di Natale.
Aprì di poco la porta e si affacciò per cercare di scorgere la figura di Deimos. 
Il suo obiettivo era: arrivare in camera in biancheria, indossare qualcosa di comodo e scegliere cos'avrebbe messo per la sera. 
Del mostro sembrava non esserci traccia, probabilmente aveva deciso di dileguarsi. 
Gea raggiunse rapidamente la camera e s'infilò una tuta da ginnastica, poi rimase a scrutare l'interno dell'armadio con uno sguardo pensieroso. 
Cominciava ad essere grata a quella festa, così avrebbe tenuto la mente lontana da pensieri dolorosi. 
I suoi occhi caddero su una scatola rosa adornata da un fiocco bianco dipinto sul cartone. Era il regalo di Rose. Lo tirò fuori e tolse il coperchio, stese l'abito sul letto e restò ad esaminarlo titubante. 
Si trattava di un tubino nero in cotone con le maniche a tre quarti, uno scollo a barchetta e... una lunghezza discutibile. 
Da una parte le maniche a tre quarti le avrebbero fatto comodo per coprire i tagli sulle braccia ed il cotone avrebbe reso il vestito leggero, quindi non avrebbe sofferto il caldo, però il fatto che le sarebbe arrivato massimo dieci centimetri sotto il sedere non la entusiasmava più di tanto. 
Si voltò alla ricerca di qualcosa di più lungo, ma se vedeva qualcosa di più sobrio voleva anche dire maniche corte o, peggio ancora, sbracciato. 
Sospirò sconfitta e chiuse l'armadio. Rose sarebbe stata di sicuro accontentata ed in fin dei conto doveva ammettere che quell'abito non era affatto male. Per una volta nella vita poteva permettersi di osare e fregarsene di tutto. 
Afferrò un paio di bassi stivaletti neri in pelle con un leggera catena argentata ad avvolgere la caviglia e si diresse al cassettone, sul quale risiedeva il suo cofanetto di gioie. 
Rovistò per qualche minuto, finché non optò per una serie di braccialetti argentati e degli orecchini mediamente lunghi del medesimo colore. 
Sorrise soddisfatta, con gli occhi che le brillavano per l'eccitazione di indossare tutta quella roba, ed appoggiò ogni cosa che aveva scelto sul letto. 
Camminò fino alla cucina e si rimboccò le maniche per preparare da mangiare. 
Si erano già fatte le sei e mezza, tutta colpa del fatto che era rimasta sotto la doccia per una quantità di tempo spropositato. Aveva avuto la possibilità di usare il bagnoschiuma quattro volte e farsi lo shampoo tre volte, oltre al balsamo.
Frugò nel frigorifero e ne estrasse una confezione di uova biologiche, che appoggiò sul bancone, e degli asparagi che mise a lessare. 
Tornò in camera a prendere il suo telefono ed impostò della musica per tenersi compagnia. 
La prima canzone che partì fu "Up" di Olly Murs e Demi Lovato. 
Gea cominciò a muoversi a ritmo mentre si spostava per la cucina, intonando di tanto in tanto qualche strofa. 
A momenti agitava il mestolo come una bacchetta da direttore di orchestra, a momenti come un microfono, divertendosi a cantare per gli asparagi e sorridendo per ciò che stava facendo. Quella sì che era la normalità, la pace, la serenità che aveva perduto. 
Quando le voci dei due cantanti cominciarono a dissolversi, un'altra melodia prese il posto della precedente intonando le note di "I Lived" degli OneRepublic. 
Gea sorrise contenta. Le piacevano le canzoni con un ritmo vivace e che al tempo stesso riuscivano ad esprimere qualcosa di positivo. La tiravano su di morale e la spronavano più di qualsiasi altra cosa. 
Stavolta canticchiò per tutta la durata della canzone, senza mai perdere il sorriso e senza mai smettere di muoversi. Alternava una piroetta ad un giro del mestolo nella pentola, e quando abbandonava il suo microfono improvvisato si lasciava andare alle danze, seguendo il ritmo e la vitalità della melodia.  
Mezz'ora di balli dopo si trovava a tavola, con un maggiore appetito e con l'umore decisamente migliorato. Mangiò voracemente la sua omelette di asparagi e continuò ad intonare le diverse canzoni con la bocca chiusa. Sciacquò il suo piatto, evitando di metterlo in lavastoviglie per perdere un po' di tempo, pulì il bancone, il tavolo e spazzò il pavimento.
Con una nuvola di eccitazione nello stomaco si diresse in camera, pronta ad indossare tutto ciò che aveva scelto. 
Si tolse rapidamente la tuta, tolse anche le spalline al reggiseno ed infilò il tubino, facendolo scendere il più possibile sulle gambe, ma sembrava una battaglia persa in partenza. Più lo tirava in giù e più che quello ritornava in su, facendosi beffa dei suoi sforzi. 
Per di più, come si era aspettata, il vestito era più che aderente; le sembrava di avere addosso un panno bagnato da quanto ricalcava le sue forme. 
Si riflesse nel lungo specchio affisso dietro la porta e rimase a studiarsi assorta. 
Il vestito le stava indubbiamente bene, non faceva una piega da nessuna parte e scendeva perfettamente lungo la linea sinuosa del suo fisico. Lo scollo a barchetta le piaceva particolarmente, ma la lunghezza... le arrivava più o meno dieci centimetri sotto il sedere. Guardò negli occhi il suo riflesso e si ammiccò divertita. << Chi se ne frega, Gea >> si disse scrollando le spalle. 
Tornò al letto ed indossò sia i braccialetti che gli orecchini, sostituendoli a quelli che già aveva. Prese dal cassettone un paio di calzini corti e li mise sotto gli stivaletti. 
Si ammirò allo specchio con occhio critico e ne rimase più che soddisfatta. Sapeva essere un giudice molto severo con se stessa, non incline alle inflessioni.  
Trotterellò fino al bagno ed estrasse la sua trousse di trucchi. Stese un velo leggero di fondotinta per coprire il più possibile il livido sullo zigomo, dopodiché lo fissò con qualche pennellata di cipria. Accese i faretti sopra il lavandino per osservare meglio la visibilità del livido e poté constatare con piacere che lo si notava appena. 
Si passò un po' di fard sugli zigomi ed infine impugnò la matita. Disegnò un tratto leggero sulla palpebra superiore, vicino all'attaccatura delle ciglia, ed un altro all'interno dell'occhio. Sfumò il tratto di matita nella coda esterna dell'occhio, donandogli un effetto allungato e più felino. Ripeté lo stesso procedimento per l'altro occhio e concluse con più passate di mascara. 
Osservò il risultato e ad alzò un pollice verso lo specchio. 
Sistemò le onde naturali dei suoi capelli con le dita e scotolò la testa all'in giù per movimentare la chioma. 
Tornò in camera da letto e si specchiò per il giudizio finale. Annuì e sorrise soddisfatta. Aveva prestato attenzione a tutti i particolari e non si era dimenticata di nulla. Poteva dire di aver fatto un buon lavoro. 
Guardò l'ora sul telefono e si congratulò con se stessa per il suo tempismo impeccabile. Aveva ancora mezz'ora di tempo per preparare la borsa e prendere il giubbotto. 
Afferrò dall'armadio una borsa nera che le avevano regalato i suoi zii un anno prima e la riempì di fazzoletti, caramelle, cerotti, portafoglio e cellulare. Mentre passava accanto al comodino vide con la coda dell'occhio il suo caricabatterie ancora attaccato alla presa. Lo staccò e se lo mise in borsa, per lo meno se le si fosse scaricato il cellulare avrebbe potuto ricaricarlo in qualsiasi momento. Il che la faceva sentire molto più tranquilla. Ogni volta che era fuori e vedeva la percentuale di carica scendere in modo precipitoso, le saliva l'ansia. 
Raggiunse il salotto e chiuse l'unica finestra che aveva tenuto aperta, controllò che anche il gas in cucina fosse chiuso e prese il suo burro di cacao dal tavolino a muro nell'ingresso per passarselo sulle labbra. 
S'infilò anche il giubbotto nero di pelle ed andò a sedersi su una sedia della cucina, in attesa che Rose le suonasse al citofono.
<< Oh cavolo >> esclamò alzandosi in piedi e correndo al bagno. Afferrò rapidamente il suo spazzolino e si lavò i denti, stando ben attenta a non rovinare il trucco. In quel momento il campanello diffuse per la casa il suo suono acuto e stridente. 
Sputò l'ultima boccata d'acqua e si asciugò in fretta e furia. Corse nell'ingresso, acciuffò le chiavi, chiuse la porta e si precipitò per le scale. 




                                                                      *  *  *




<< Mio Dio, che casa >> commentò mentre passavano davanti ad una maestosa abitazione decorata con stucchi bianchi e dorati. Otto enormi colonne erano piantate sulla facciata e sorreggevano parte dell'immenso tetto a capanna. Davanti si stendevano dei bassi gradini bianchi che andavano a sfociare in un grande viale di ciottoli, costernato dal più ampio giardino che avesse mai visto. 
Fasci di luce venivano proiettati sulla facciata da una dozzina o più di faretti incastonati nel terreno, conferendogli un'aria quasi fiabesca. 
Gea abbassò il finestrino e si sporse per guardare meglio, incantata dalla bellezza di quell'abitazione. 
Al centro del viale di ciottoli imperava una fontana in marmo bianco e decorata da venature dorate, in ripresa dello stile degli intarsi. Sulla superficie della vasca più bassa erano incuneati altri piccoli fari, i cui fasci di luce argentata s'intrecciavano e convergevano in un unico punto: l'apice della fontana, rappresentato da una scultura a bocciolo.
Gli occhi della ragazza si spostarono sul portico d'ingresso: la magnificenza assoluta.
Sul timpano erano addirittura intagliati dei disegni floreali, alcuni raffiguranti delle ghirlande di fiori, altri delle spirali simili a soffi d'aria. In linea retta con timpano, ai suoi lati, si ergevano due enormi terrazzi circolari, decorati da delle sottili ringhiere bianche anch'esse rivestite di stucchi. 
La casa, se così poteva essere chiamata, si innalzava su quattro livelli. Tutt'intorno si scorgeva un giardino curato e ricco di sculture fatte con le piante. Una rappresentava un cigno con ali sfavillanti di mille colori per via dei diversi fiori impiegati nella sua realizzazione. 
<< Dimmi te se questa può essere considerata una casa >> borbottò Rose, alla ricerca di un parcheggio. 
<< Decisamente no >> rispose Gea, sedendosi composta sul sedile. << Non ho mai visto niente di simile, solo in foto. >>
<< E non hai ancora visto tutto! >> esclamò l'altra, battendo una mano sul volante. << Ho sentito dire che sul retro ci sono ben tre piscine, tutte immerse in uno scenario diverso. Una è circondata dalle palme ed ha l'acqua calda, la seconda è costruita sotto delle rocce da cui sgorga l'acqua e la terza ha la vasca idromassaggio ed intorno una quantità industriale di sabbia, tanto che sembra di stare al mare. >>
<< Mio Dio >> sussurrò Gea, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata. << Immagino che le sue feste siano le migliori di tutta la scuola. >> 
<< Puoi ben dirlo! >> Rose ridacchiò su di giri e strinse una mano a pugno. << E finalmente ci siamo anche noi, non vedo l'ora di essere lì dentro >> squittì entusiasmata. 
<< Be' adesso sono curiosa di vedere gli interni... Credo che per tutta la durata della festa starò a scrutare ogni angolo di questa reggia >> ammise la ragazza dai capelli ondulati, sorridendo divertita. 
Rose sterzò violentemente per rubare il parcheggio ad un'altra auto che stava per infilarcisi. Si voltò a guardare Gea e le strizzò l'occhio. << Mi raccomando, poi riferiscimi tutto. >> 
Quest'ultima sorrise scuotendo la testa e le fece segno di assenso col pollice. 
<< Benissimo, ed ora andiamo a cercare le altre ragazze! >> gridò Rose, spalancando lo sportello. 
Camminarono per qualche metro, finché non giunsero difronte all'imperioso cancello dorato, in stile reggia di Versailles, che limitava il confine tra la casa e l'esterno. 
<< Gea! Rose! >> urlarono più voci, richiamando la loro attenzione. Gea si voltò e vide le sue cinque amiche venirle in contro. Sorrise e le abbracciò una ad una. 
<< Saremo le più belle di tutta la casa >> affermò Dena, la rossa del gruppo, annuendo vigorosamente. 
<< Oh, su questo non ci piove! >> le diede man forte Melanie, strizzando l'occhio e sorridendo maliziosa. 
Gea rise di gusto ed appoggiò un avambraccio sulla spalla di Becky. 
<< E guardate Gea che ha indossato il vestito che le ho regalato! >> esclamò Rose, battendo le mani. << Sapevo già di aver buon gusto, ma... adesso ne ho avuto la prova schiacciante. >> 
Becky si voltò a guardare Gea e sorrise. << Cos'é che non sta bene alla nostra ragazza? >> domandò retoricamente. 
<< Un sacco di cose, te lo assicuro >> rispose divertita l'interpellata. 
<< Ci sei mancata, Gea >> le disse affettuosamente Annie, aprendo le braccia ed avvicinandosi per abbracciarla. 
La ragazza sorrise e la strinse a sé, appoggiando il mento sulla sua spalla. Aveva fatto bene ad andare a quella festa. Non le importava l'evento in sé, ma era felice di avere finalmente la possibilità di passare del tempo con le sue amiche. 
<< Ok, non resisto, abbraccione di gruppo! >> affermò Jude, precipitandosi ad abbracciare le altre due. 
Un secondo dopo tutte e sette le ragazze si stavano stringendo tra le braccia.
<< Da fuori sicuramente appariremo come un enorme baco da seta >> notò Melanie, scoppiando a ridere.
<< O magari come delle ubriache >> ipotizzò Dena.
<< O forse penseranno che qua sotto stiamo picchiando qualcuna e che coi nostri corpi stiamo facendo scudo per non far scoprire il misfatto >> pronunciò Jude, con un tono di voce indagatore. 
Le altre ragazze scoppiarono a ridere e sciolsero l'abbraccio. 
<< Jude ma da dove ti vengono? La tua ipotesi era la più elaborata di tutte. >> Becky ridusse gli occhi a due fessure e le puntò un dito contro. << Tu mi nascondi qualcosa. >>
Gea ridacchiò divertita e tirò una leggera gomitata al braccio di Jude. << Confessa che ti sei fatta una cultura con le puntate di RIS Delitti Imperfetti. Ormai sei in gabbia, ammettilo >> la minacciò scherzosamente. 
Jude sospirò teatralmente e si portò una mano sul cuore. << E va bene... Lo ammetto, io sono una fanatica di RIS! >> 
Tutte le ragazze spalancarono la bocca e trattenere il fiato come se quella confessione le avesse turbate. 
Gea ammiccò a Becky e si spostò una ciocca di capelli con nonchalance. << Il caso è chiuso, vostro onore. >> 
<< Ottimo lavoro, Agente 00Gea >> si congratulò Becky, stringendole una mano. << Un'altra medaglia per il vostro impegno. >>
Una fragorosa risata risuonò tra le ragazze, dopodiché si avviarono oltre il cancello, addentrandosi nel vivo della festa. 
Il portico cominciava a pullulare di gente con bicchieri colorati tra le mani ed una musica assordante si espandeva fino alla strada. La maggior parte dei ragazzi che Gea vedeva frequentavano la sua scuola, altri sembravano molto più grandi, probabilmente del college. Dena si fece largo tra la folla ed alzò un braccio per farsi vedere dalle altre. Un ragazzo le afferrò il braccio e l'avvicinò a sé. Dena sollevò un sopracciglio e gli pestò un piede col tacco, facendolo allontanare dolorante. 
Gea rise e scosse la testa divertita. 
Quando finalmente raggiunsero l'ingresso della villa, tutte quante spalancarono la bocca. 
<< Per tutti i lampadari >> pronunciò Annie con gli occhi fuori dalle orbite. 
Gea si guardò attorno ammirata. Non aveva mai visto tanto lusso in vita sua. L'ingresso era cinque volte il suo appartamento, il lampadario affisso al soffitto le ricordava quelli ottocenteschi, esattamente in stile Luigi XIV. Milioni di pendenti di cristallo risplendevano come gemme di rugiada, creando tanti piccoli arcobaleni che s'infrangevano l'uno sulla superficie dell'altro. 
La luce che proiettavano si rifletteva sul marmo bianco, dorato e rosa del pavimento, donando un effetto lucente e di classe.
Davanti alle ragazze si stendevano due incurvate rampe di scale, entrambe convergenti all'atrio del piano superiore adornato da quattro svettanti colonne bianche. Il capitello ionico di ogni colonna riportava incise delle lettere latine, oltre che dei ghirigori floreali. 
<< Pazzesco >> commentò Rose, forse senza nemmeno accorgersene. 
<< Ehi ragazze! >> gridò una voce maschile. Tutte quante puntarono gli occhi su un giovane che stava venendo loro in contro, accompagnato da altri ragazzi. 
<< Dylan >> lo salutò Jude, sorridendo. 
Il ragazzo si parò davanti a loro e mise una mano in tasca, mentre nell'altra teneva un bicchiere rosso. Aveva un fisico palestrato, capelli castani scolpiti col gel e due occhi azzurri grandi come fanali. 
<< Spero che la festa vi piaccia >> disse sorridendo. << I giubbotti e le borse li potete lasciare nella cabina armadio in fondo al corridoio. Ma prima le presentazioni, conosco solo Jude quindi... >> Fece vagare lo sguardo su tutte le ragazze e lo posò in particolar modo su Gea. Rimase a fissarla per qualche istante, fino a che non fu Jude a richiamare la sua attenzione.
<< Loro sono Rose, Melanie, Dena, Becky, Annie e Gea >> affermò indicandole una per una. << Ma se non sbaglio anche tu devi fare delle presentazioni >> concluse tirandogli una leggera gomitata. 
<< Giusto >> si riprese lui, passandosi una mano fra i capelli e voltandosi a guardare i suoi amici. << Loro sono Robert, Christopher e William. >> 
I tre ragazzi avanzarono e strinsero le mani di ciascuna delle ragazze, elargendo sorrisi ed atteggiandosi per dare più nell'occhio. 
A Gea facevano quasi male i muscoli della faccia a forza di sorridere, era certa che di lì a poco le sarebbe presa una paralisi. 
<< Be' allora noi andiamo ad attaccare i giubbotti, ci vediamo in giro ragazzi >> si congedò Rose, salutandoli con la mano e con uno sguardo malizioso.
Per riuscire ad appendere i giubbotti e le borse dovettero aspettare in coda per circa un quarto d'ora. La gente sembrava aumentare sempre di più e la casa cominciava a popolarsi come un acquario, con pesci che guizzano e sgusciavano da una parte all'altra. 
Gea si rese presto conto che l'alcool scorreva a fiumi, non che si fosse immaginata di andare ad una festa a base di bevute analcoliche, ma nemmeno di vedere un bancone stracolmo di bottiglie di Vodka, Martini, Rum, Grappa ed un'altra miriade di alcolici. 
La musica divenne ancora più assordante e le ragazze si videro costrette ad urlarsi nelle orecchie pur di riuscire a capirsi. 
Poco dopo ognuna aveva preso una sua strada, chi perdendosi nella folla come Gea, chi correndo ad inseguire qualche ragazzo come Rose. 
Gea si fece largo tra le persone che ballavano e scolavano alcolici come fossero acqua e si creò un varco per raggiungere la cucina. 
<< Oh eccoti! >> esclamò non appena vide Annie. Si precipitò da lei, che nel frattempo si stava rimpizzando di crostini, e sospirò stremata. << Meno male che ti ho trovata, cerchiamo di stare vicine almeno io e te. Le altre le ho già perse a destra e a manca >> si lamentò gettando un'occhiata sul cibo. Sembrava molto appetitoso...
Afferrò un crostino con la maionese, le olive ed il salmone e lo scrutò. 
<< Sono buoni, assaggiali. Io sono sicura che passerò l'intera serata qui a mangiare, se vorrai farmi compagnia ne sarò più che felice >> le disse sorridendo. 
Gea assaggiò il crostino mentre Annie la guardava in attesa di un giudizio. La ragazza masticò lentamente ed annuì, muovendo la bocca in una smorfia di apprezzamento. << Non male, vorrà dire che resterò qui con te ad abbuffarmi >> sentenziò facendo ridere l'amica. 
<< Posso farti una domanda? In realtà ne ho in mente più d'una >> pronunciò Annie, sorridendo colpevole.
<< Dimmi pure. >>
<< Perché sei mancata in questi giorni? >> 
Gea abbassò lo sguardo sul vassoio ed afferrò un salatino. << Influenza >> rispose soltanto, cercando di non far trapelare la sua incapacità nel dire bugie.
<< Mi dispiace... Avrei voluto esserti d'aiuto, dopotutto tu vivi da sola e tutto è molto più difficile >> ammise Annie, sospirando. 
Gea adagiò una mano sulla spalla dell'amica e la scosse delicatamente. << Non ti devi preoccupare, non è stato niente di che, solo un po' di febbre >> le disse con un sorriso rassicurante. << Se fosse stato qualcosa di più grave ti avrei certamente chiamata >> aggiunse tirandole scherzosamente una ciocca di capelli. 
Annie sorrise e prese un altro crostino, stavolta farcito di uova di pesce. << La prossima volta avvertimi, anche se non fosse niente di preoccupante. Altrimenti vengo a casa tua e butto giù la porta a calci >> la minacciò facendo un gesto da spaccona.
La ragazza rise ed annuì con vigore. Si sentiva in colpa se pensava che tutto quello che stava dicendo era falso, ma non poteva farci niente. Rivelare quale fosse la verità era fuori discussione, avrebbe solo finito per mettere in pericolo le sue amiche. 
<< Comunque i capelli più corti, anche se di poco, ti donano >> affermò Annie ad un certo punto. << Insomma, mi piacciono. >>
<< Grazie >> rispose calorosamente Gea. << Volevo togliere le punte e... >> Nel ripensare al gesto di Deimos le salì il sangue al cervello. Tossì e si prese una ciocca di capelli fra le dita. << Alla fine ci sono andata giù pesante, però sono contenta che il risultato ti piaccia. Non ne ero molto convinta all'inizio >> ammise con una smorfia schifata. 
<< Invece hai fatto un taglio da professionista, è molto carino >> ribadì l'amica, infilandosi in bocca un salatino. 
Deimos un parrucchiere professionista... Al solo pensiero la ragazza scoppiò a ridere. 
<< Vedo che vi state divertendo, mi fa molto piacere. >> Una voce sopraggiunse alle spalle di Gea, facendola voltare. Dylan veniva verso di loro con due bicchieri tra le mani, sorridendo e comportandosi come un bravo padrone di casa. << Ecco a voi, qualcosa per buttare giù il cibo >> disse porgendo loro i bicchieri. 
Gea prese il suo lentamente, sapendo già che non lo avrebbe mai bevuto. Ringraziò sorridendo e guardò il liquido rosso agitarsi nel bicchiere. 
<< È un punch analcolico, credo che vi possa piacere >> spiegò il ragazzo, stringendosi nelle spalle.
<< Sì, lo adoro! >> esclamò Annie, scolandoselo in un sorso. Gea la guardò impressionata e Dylan scoppiò in una risata. 
<< Quindi voi siete le amiche di Jude >> iniziò il giovane guardandole, ma soffermandosi sempre di più su Gea. 
<< Già >> confermò quest'ultima, sorridendo. << Complimenti per la casa comunque, è meravigliosa. >>
Dylan la fissò intensamente e le si avvicinò. Gea retrocesse impercettibilmente e sbatté contro il bancone. << Io ho visto qualcosa di ancor più meraviglioso, per meglio dire, qualcuna >> le sussurrò all'orecchio. 
La ragazza deglutì in difficoltà e gettò un'occhiata di aiuto all'amica, che però le restituì uno sguardo malizioso. Annie non aveva capito nulla. Doveva aiutarla, non incitarla.
<< Be', io vado a prendermi un altro po' di questo delizioso punch >> fu il colpo di grazia che colpì Gea come una lama sul collo.
Annie si allontanò trotterellando ed uscì dalla cucina, lasciandola da sola con il ragazzo. 
La giovane si schiarì la voce e portò una ciocca dietro l'orecchio. << Ehm, grazie >> riuscì a dire, totalmente impacciata. 
Dylan le rivolse un sorriso e fece scorrere gli occhi lungo tutto il suo corpo. << Grazie a te di essere venuta. A scuola non ti avevo mai vista insieme alle altre. >> 
<< Questa settimana sono stata assente ed il più delle volte non ho lezioni in comune con loro, forse è per questo che non mi hai vista >> ipotizzò Gea, cercando di allontanarsi il più possibile dal ragazzo. Ma le tornò piuttosto difficile dal momento che era praticamente in trappola.
<< Credo di sì, se no ti avrei notata. Non sei di certo una che passa inosservata >> le disse aprendosi in un mezzo sorriso.
Gea aggrottò la fronte e spostò la testa di lato. << In senso positivo o negativo? >> 
Dylan rise e fece un passo indietro, lasciandola respirare. << In senso positivo, non ti preoccupare. >> 
Gea sorrise e si guardò le mani. 
<< Ti va di vedere il gazebo sul retro? È il posto che preferisco di tutta la casa >> le confessò passandosi le dita dietro la nuca.
<< Perché no >> acconsentì Gea, annuendo. << Mi farebbe piacere. >>
Dylan l'accompagnò sino ad una porta vetrata in cucina e l'aprì, facendole un inchino ed un gesto della mano per farle capire di precederlo. La ragazza rise ed uscì nel giardino popolato da una quantità impressionante di persone, alcune già ubriache. 
La musica da discoteca risuonava squillante anche lì, grazie a delle enormi casse posizionate sull'erba fresca. Dylan le si accostò e s'immise nella folla urlante che danzava al ritmo della melodia. Gea lo seguì e dopo poco si beccò una spallata che la fece barcollare. Dylan le passò un braccio attorno alla vita e l'avvicinò a sé, facendole scudo col proprio 
corpo. 
Superarono il fiume di gente e Gea sospirò stremata. << Pensavo di rimanerci accartocciata >> disse guardandosi alle spalle. << Alcune persone ballano come scimmie impazzite >> concluse stringendo le braccia sul petto. 
Dylan scoppiò a ridere ed abbassò la testa per guardarla. << Scimmie impazzite? È un bel paragone. >>
Gea fece una smorfia con la bocca e rise. << Sì, diciamo che rende bene l'idea. >> Alzò la testa e vide che Dylan la stava osservando come... se fosse perduto. 
Il ragazzo chiuse gli occhi e tolse la mano dal fianco di lei per portarsela alla testa. Si strinse i capelli e si piegò sulle ginocchia. Gea sgranò gli occhi per lo spavento e si abbassò al suo livello per scuoterlo. << Dylan, Dylan! >> lo chiamò gridando, nonostante con la musica assordante si sentisse poco anche lei. 
Il giovane lanciò un urlo e nella mente della ragazza ripassò la scena vissuta con George e col tipo della palestra. Lui era lì: Deimos. 
Gea si alzò in piedi e scrutò gli alberi attorno a lei, alla ricerca del mostro. Un braccio le circondò i fianchi da dietro ed una mano le si chiuse sulla gola. La sua schiena entrò in contatto con un petto duro ed un respiro freddo s'infranse sulla pelle del suo collo. << Dovresti guardarti un po' di più alle spalle, non sempre i nemici attaccano frontalmente >> sibilò contro il suo orecchio, facendole reclinare la testa all'indietro. 
Gli occhi della ragazza si scontrarono con quelli blu notte di Deimos. Per un po' fra i due non volò una parola, ma continuarono a guardarsi silenziosamente. Gea sperava di poter richiamare un fulmine e scagliarlo sulla testa di lui, Deimos era tentato di spezzarle l'osso del collo e togliersi quell'impiccio dai piedi. 
<< Che cosa ci fai qui? >> gli chiese duramente. << Ma prima di rispondermi lascia stare Dylan. >>
Deimos fece spallucce e diede un calcio al ragazzo, facendolo cadere disteso per terra. << Sta bene, non gli è successo nulla di che >> affermò sorridendo con sadico divertimento. 
Gea strinse i denti e strattonò la presa di Deimos per liberarsi, ma tutto ciò che ottenne fu di essere trasportata tra gli alberi, lontana dagli occhi degli altri. 
<< Lasciami e non mi toccare! >> gridò dimenandosi. Il ragazzo la bloccò contro un tronco e le tappò la bocca con la mano. 
<< Sono qui. Loro >> disse con uno sguardo serio, facendo arrestare qualsiasi tipo di protesta da parte di Gea. 
Il corpo della ragazza s'irrigidì per la paura, si tolse la mano di Deimos dalla bocca e passò una mano fra i capelli. << Come fai a saperlo? >> 
<< Lo sento, perché i poteri legati a quell'elemento aumentano, e qui per adesso oltre a te ce n'é un altro. L'aria >> concluse lanciando un'occhiata alla mischia di gente in lontananza. 
<< Credi che mi abbia tenuta d'occhio? >> 
<< No, credo che abbia percepito il tuo potere >> ipotizzò tornando con gli occhi su di lei. << Ormai è cresciuto, e non mi riferisco solo a quello riguardante il tuo elemento. È come se tu avessi addosso una luce che si accende sempre di più. >>
Gea chiuse gli occhi ed inspirò a fondo per non farsi prendere dal panico e scappare via urlando. << Dobbiamo andarcene allora. >>
<< Ho la macchina qua fuori >> le fece presente Deimos. << Non possiamo muoverci col teletrasporto. >>
<< Perché no? >> chiese la ragazza, confusa. << Faremmo molto prima. >>
<< Perché potrebbe percepirlo e spostarsi da qui per darti la caccia. Il tuo potere non è ancora a dei livelli elevati, quindi se tu ti allontanassi con la macchina non lo percepirebbe in modo drastico, ma sarebbe come se tu continuassi ad essere qui. Lo sentirà solo quando sarai sufficientemente lontana dal suo raggio di percezione >> spiegò incrociando le braccia al petto. << E ora muoviamoci, stiamo perdendo troppo tempo. >>
Gea annuì sconvolta e ripercorsero la strada fino alla cucina, facendosi largo tra la folla. 
Raggiunsero l'ingresso colmo di gente accalcata che si dimenava al suono della musica. La ragazza si voltò verso Deimos e gli fece cenno di aspettarla mentre andava a prendere la borsa ed il giubbotto. 
Il giovane non rispose ma si arrestò sul posto, intento a scrutare minuziosamente qualsiasi volto. 
Gea attraversò il mare di corpi, venendo spinta da una parte all'altra come dall'impeto delle onde, fino a che non fu in grado d'intravedere la porta della cabina armadio. Ci si gettò dentro e scattò alla ricerca della sua roba. Svariati minuti dopo uscì vittoriosa con la borsa sulla spalla ed il giubbotto addosso. 
Un ragazzo le sbarrò la strada e le appoggiò un braccio sulla spalla. << Vai già via, bellezza? Vieni a divertirti! >> A giudicare dall'alito era decisamente ubriaco. 
Gea si scrollò il suo braccio di dosso e lo fulminò con lo sguardo. << No grazie, e ora levati di torno, ho fretta >> tagliò corto cercando di sorpassarlo da destra, ma il tipo si mosse contemporaneamente a lei e la bloccò di nuovo. 
<< Sei una gattina focosa, mi piace >> le disse ridendo e facendosi più vicino. 
<< Che diavolo stai facendo? >> la aggredì Deimos, comparendo accanto al tizio. 
Gea gli lanciò un'occhiataccia ed indicò col mento il ragazzo ubriaco. << Si diverte a bloccarmi il passaggio. >> 
Deimos allungò un braccio ed attirò la giovane contro il suo corpo. Si fece largo tra la gente ed aprì con uno scatto il portone, facendo uscire Gea. 
Un istante prima di chiudersi la porta alle spalle lanciò uno sguardo al ragazzo ubriaco, sorrise sadicamente ed un urlo straziato ed ovattato dalla musica risuonò per la casa.  













Angolo dell'autrice:

Hello! \(^.^)/ 
Scusate per il ritardo, ma proprio mi ero dimenticata di aggiornare >\\< sono un caso disperato, non c'è niente da fare. 
La settimana scorsa mi sono presa proprio una "vacanza", nel senso che non ho fatto nadaaaaaa \(^.^)/ ogni tanto ci vuole! Anche perché da questa settimana sarò sotto con lo studio T.T 
Ma comunque sia nei sette giorni precedenti non ho davvero fatto nulla, non ho scritto uno straccio di parola nemmeno di Keep your eyes open (per questo non ho aggiornato). Volevo fare uno stacco e rilassarmi un po' >.<
Ovviamente scrivere mi rilassa da morire, ma non volevo stare attaccata al computer e godermi un po' di più le belle giornate che ci sono state qua :) 
Ma da questa settimana... Si ricominciaaaaaa \(^o^)/ 
Ahahahah, GRAZIE di tutto! 
Perciò rinnovo l'appuntamento con questa storia a domenica ;) e con Keep your eyes open a non so precisamente quando... forse la prossima settimana... Sì, credo proprio di sì!
Un bacione enorme e GRAZIE!! 

~Federica~

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***





<< Dove sono le chiavi della macchina? >> domandò Gea dopo essere partiti a bordo di un suv nero. 
<< Le ha il proprietario >> rispose secco Deimos, premendo sull'acceleratore per superare una Panda rossa.  
<< Che non sei tu, immagino >> ribatté la ragazza, incrociando le braccia sul petto e guardandolo con un sopracciglio sollevato. << Come hai fatto a farla partire? >> chiese incuriosita.
<< Ho manomesso un po' di cose >> tagliò corto lui, ingranando la quarta e sfrecciando sulla strada quasi deserta. 
Svoltò ad una curva ed imboccò la direzione per l'autostrada. La ragazza guardò l'ora sullo schermo della macchina e le scappò uno sbadiglio. Erano appena le undici e mezza. Alla festa aveva trascorso più o meno due ore, anche se molto intense. 
Si rannicchiò sul sedile, voltandosi verso il finestrino, e sbadigliò nuovamente. Mentre osservava le altre macchine sfrecciare, il pensiero le corse alle amiche. Non aveva avuto nemmeno il tempo di salutarle, di abbracciarle per quella che probabilmente sarebbe stata l'ultima volta. A fine serata l'avrebbero certamente cercata e quando non l'avrebbero trovata... si sarebbero preoccupate di nuovo. Si sentiva in colpa, tremendamente in colpa. 
Loro non meritavano tutte quelle preoccupazioni, eppure lei in ogni momento dava loro modo di averne. 
Ben presto si ricordò di avere con sé il cellulare ed il carica batteria. Una nuova speranza si accese in lei, avrebbe potuto mandare un messaggio a Rose ed avvertirla che era andata via prima per qualche motivo che si sarebbe inventata più tardi. Ma come avrebbe giustificato le continue assenza da scuola? 
In quel momento non poteva tornare a casa, doveva allontanarsi il più possibile dalla sua città. E quando le sue amiche fossero andate a trovarla... come avrebbe spiegato il fatto che lei non fosse in casa?
Chiuse gli occhi e sospirò stancamente. La situazione sembrava complicarsi ogni momento di più e lei non riusciva a trovare una soluzione a niente. 
Adesso ci si metteva anche l'avvento di un elemento pronto a darle la caccia. Quel pomeriggio passato in completa tranquillità aveva rappresentato in pieno la cosiddetta calma prima della tempesta. E ora che la tormenta era arrivata lei non sapeva come gestirla, cosa fare per uscirne viva. 
La testa le martellava con lo stesso ritmo di quella musica da discoteca, confondendole i pensieri e lasciandola spossata per il vano tentativo di dar loro un ordine. 
Era stanca di scappare dalla verità, inventando storie per far credere alle sue amiche che la sua vita fosse la stessa di sempre, era stanca di essere rincorsa dalla morte ed era stanca di doversi nascondere da essa. Voleva fronteggiarla, ma sapeva bene che nelle sue attuali condizioni ne sarebbe stata sopraffatta. 
Sospirò di nuovo, svuotando i polmoni, e si addormentò stremata. 




                                                                      *  *  *




Quando si svegliò erano ancora sull'autostrada. Mille luci le saettavano davanti agli occhi a gran velocità, impedendole di distinguere dove si trovassero. 
Dopo qualche minuto comprese come le abitazioni sui fianchi della strada si facessero sempre più rade. Aggrottò la fronte mentre un presentimento si faceva largo nella sua testa. 
<< Stiamo uscendo dallo Iowa? >> chiese voltandosi a guardare Deimos. Il ragazzo teneva gli occhi puntati sulla strada, senza accennare alcun segno di stanchezza nonostante si fossero fatte le quattro del mattino. 
<< Sì >> rispose soltanto, lanciando un'occhiata allo specchietto retrovisore. << È necessario. >> 
Gea accusò il colpo con un dolore allo stomaco. Addio alla sua casa, alla sua famiglia, alla sua quotidianità ed ai suoi sogni. Tornò a guardare fuori dal finestrino e deglutì per ricacciare dentro le lacrime. Era inutile piangersi addosso, quella era la situazione e non le rimaneva altro che viverla. Sperava solo che sarebbe finito tutto molto presto. 
Tirò fuori un po' del suo coraggio e si piegò in avanti, appoggiando i gomiti sulle gambe. << Ok e dove stiamo andando di preciso? >> domandò puntando lo sguardo sul giovane. 
<< Nebraska >> le rispose spostandosi sulla corsia di sorpasso. << Nella contea di Scotts Bluff. >> 
<< Ma è al confine con lo Wyoming, non ci arriveremo mai entro oggi. >> 
<< Questo è ovvio >> affermò il ragazzo, lasciando solo una mano sul volante. << Non abbiamo ancora superato il confine dello Iowa. Senza mai fermarci ci vorranno circa dodici ore. >>
Gea annuì e posò lo sguardo sulla strada, dopodiché lo riportò su Deimos e piegò la testa di lato. << Ma non hai sonno? Per me non ci sono problemi se accostiamo e ci riposiamo un po'. Possiamo rimetterci in marcia più tardi. >> 
Deimos piegò la testa all'indietro per sgranchirsi. << Infatti stavo cercando una strada che portasse fuori dall'autostrada, vicino a qualche boscaglia >> ammise.
<< Ok, controllo io. Appena la vedo ti avverto >> propose la ragazza, spalancando gli occhi e piantando la faccia contro il finestrino. A quel punto lamentarsi non le sarebbe servito a nulla, tanto valeva darsi da fare ed operare in qualche modo. 
Dopo venti minuti, nonostante le palpebre le fossero diventate pesanti come macigni, aveva ancora lo sguardo sulla strada. Fino a quel momento nessuna via che conducesse fuori di lì si era presentata davanti ai suoi occhi. 
Ovviamente quando si cerca qualcosa... pensò la ragazza, stanca e spossata. 
Era arrivata persino a dispiacersi per colui che il giorno prima le aveva detto che non meritava di esistere. In fondo era andato a cercarla e l'aveva avvertita del pericolo, un minimo di riconoscenza doveva pur provarla nei suoi confronti. Sapeva bene che Deimos lo stava facendo solo per un suo tornaconto, punto su cui aveva insistito parecchio dal primo giorno in cui lo aveva conosciuto, però gli era comunque grata. 
Dopo tutte le cattiverie che le aveva vomitato addosso non si sarebbe aspettata di vederlo comparire alla festa per portarla via. Ed adesso sarebbero stati costretti a vivere a stretto contatto per chissà quanto tempo. 
Prima che potesse riflettere su quella notizia, gli occhi di Gea misero a fuoco una piccola strada sterrata. << Eccola! >> strillò all'improvviso, facendo un balzo sul sedile ed indicandola con un dito. 
Deimos gettò un'occhiata impassibile, dopodiché sterzò bruscamente e riuscì ad imboccarla appena in tempo. La ragazza picchiò la fronte contro il finestrino e saltellò sul posto a causa dei ciottoli sulla strada che facevano procedere scompostamente la macchina. 
<< Che schifo di strada >> borbottò mentre si teneva una mano sulla fronte per evitare di sbatterla di nuovo. 
Una ventina di metri dopo Deimos fece scivolare l'auto sul terreno non cementato, percorrendo qualche altro metro su una via inesistente. 
Si fermò solo quando la macchina non fu più visibile né dall'autostrada né dal viottolo sterrato, nascosta dietro gli alberi ed i cespugli. 
Spense il motore staccando dei fili da sotto il volante e lasciò cadere le mani sulle gambe. 
Gea si volse ad osservarlo mentre lui teneva gli occhi puntati sul cielo stellato. 
Era la prima volta che lo vedeva stanco, il che lo faceva tanto assomigliare ad un essere umano e non al mostro che conosceva. Era come se per la prima volta lui le avesse mostrato una debolezza, non curandosi di nasconderla ai suoi occhi. 
Quel gesto d'intimità fece accelerare il battito del cuore della ragazza, tanto che fu costretta ad abbassare lo sguardo per nascondere il lieve rossore che le si era diffuso sulle guance. 
Tastò il sedile alla ricerca della leva per abbassarlo e potersi distendere, ma le sue mani non trovarono niente se non sporcizia.
<< Come si fa? >> chiese indicando il sedile. << A reclinarlo. >>
Deimos portò gli occhi su di lei e la fissò trucemente. << Incapace >> l'appellò, senza muovere un muscolo. 
Un sopracciglio di Gea scattò verso l'alto in segno di stizza, dopodiché si aprì in un sorriso tanto forzato quanto falso e picchiettò le dita sulla pelle del sedile. << Caro Deimos, mi potresti cortesemente aiutare ad abbassare questo cavolo di aggeggio? >> domandò cercando di mantenere la calma. 
Un sorriso beffardo e divertito si aprì sul volto del ragazzo. << No >> le rispose secco, schioccando la lingua sul palato. 
<< Nemmeno un piccolo aiutino? >> insistette Gea, continuando a sorridere cordialmente mentre la sua palpebra destra ebbe un tic nervoso. 
<< Nemmeno >> asserì Deimos, più divertito che mai. Gli piaceva vederla perdere le staffe, e sapeva perfettamente che di lì a poco la ragazza avrebbe dato di matto. 
L'espressione sul viso di Gea cambiò radicalmente, da calma e pacata divenne furente ed omicida. << Ed invece tu, sottospecie di bestia, adesso mi dirai come si fa a smuovere questo affare, altrimenti... >>
<< Altrimenti cosa? >> la stuzzicò facendosi più vicino. << Non c'è davvero niente che tu possa fare contro di me. >> 
La giovane deglutì, conscia della verità delle sue parole, ed incrociò le braccia sul petto stizzita. << Ok, farò da sola. Non ho bisogno del tuo aiuto >> affermò decisa, aprendo lo sportello della macchina ed uscendo. Si piegò sulle ginocchia ed esaminò la base del seggiolino per scorgere qualcosa che l'avrebbe aiutata nel suo intento. Trovò una manopola e la girò in senso antiorario, facendo scendere il sedile. Sorrise vittoriosa mentre lo abbassava completamente; successivamente risalì in auto e sospirò stancamente, lasciandosi sprofondare nel suo posto. 
<< Non ci voleva poi così tanto >> commentò Deimos, guardandola. 
Gea fece scivolare lo sguardo su di lui e lo fissò con astio. << Buonanotte >> sputò fuori come se fosse stato un insulto, voltandosi su un lato e dandogli le spalle. 
Deimos sorrise divertito e reclinò anche il suo sedile. Era troppo stanco per farle pagare il tono e le offese che gli aveva rivolto, ma non appena fosse stato più sveglio le avrebbe fatto rimangiare tutto, dalla prima all'ultima parola. Questione di tempo, si disse nella mente, questione di tempo. 




                                                                      *  *  *



Ripartirono intorno alle dieci di mattina, marciando incessantemente per quattro ore, fino a che la fame non si fece sentire con prepotenza. 
Si fermarono in un'area di sosta quasi deserta e scesero dall'auto. Gea sgranchì le ossa stiracchiandosi e svuotò i polmoni con un sospiro. Cercò inutilmente di far calare il vestito sulle gambe scoperte e si accostò al fianco di Deimos mentre quest'ultimo camminava verso l'entrata del discount. 
Una volta entrati le loro strade si divisero, Gea si rifugiò nel bagno delle donne e Deimos in quello degli uomini. 
La ragazza si guardò allo specchio ed una smorfia schifata le si affacciò sulle labbra. Aveva i capelli assolutamente disordinati ed il trucco era da sistemare. Prese un pezzo di carta, lo bagnò ed eliminò le sbavature della matita, dopodiché si passò le dita fra i capelli e li districò   violentemente, senza curarsi del dolore. 
Cinque minuti dopo uscì dalla toilette e corse a prendere qualcosa da mangiare, sia per il viaggio che per pranzare. Lo stomaco le ruggiva sfacciatamente, minacciandola di farla svenire se di lì a poco non lo avesse riempito. 
Comprò un panino farcito di talmente tante cose da essere difficilmente distinguibili e vari snack salati, oltre che una bottiglia d'acqua. 
Si guardò attorno alla ricerca del ragazzo, ma di lui nemmeno una traccia. Uscì dal discount e percorse la strada fino alla macchina. Il sangue le si gelò nelle vene quando i suoi occhi non incontrarono nessuna auto, ma slittarono tranquillamente sullo sfondo dell'autostrada. 
Il panico le avvolse la mente come un guanto, bloccandole il respiro in gola e facendo crescere in lei l'ansia. 
Non poteva averla abbandonata, altrimenti perché portarla fin lì? Non aveva senso. Forse aveva solo spostato la macchina per fare benzina, perciò una volta svoltato l'angolo lo avrebbe visto. 
Deglutì e mosse faticosamente dei passi, aggrappandosi a quell'unica speranza con tutte le forze. Mano a mano accelerò la camminata, respirando più velocemente e stringendo nella mano la busta con la spesa. 
<< Dove stai andando? >> le chiese la voce che più di tutte desiderava sentire in quel momento. Gea si voltò di scatto ed incontrò gli zaffiri impassibili di sempre. Sospirò silenziosamente ed il cuore rallentò la sua folle corsa. 
<< Non avevo visto la macchina, pensavo che tu stessi facendo benzina >> gli spiegò avvicinandosi. 
<< L'ho spostata sul retro. >> Fece un cenno della testa in direzione del discount ed incrociò le braccia sul petto. << Qui ci sono le telecamere. >> 
Gea alzò gli occhi e ne scorse due sopra il tetto del negozio. 
Essendo una macchina rubata non era saggio mostrare la targa, o molto presto si sarebbero ritrovati qualche vettura della polizia alle calcagna. Non era proprio il sogno di Gea quello di essere inseguita dalla polizia oltre che da un tizio sconosciuto che la voleva uccidere. 
Si diressero silenziosamente alla vettura e mangiarono in altrettanto silenzio. 
Deimos avviò il motore non appena ebbe finito il suo panino e si rimisero in carreggiata, lontani ancora di otto ore dalla meta. 
Improvvisamente la ragazza si ricordò delle sue amiche, ma soprattutto della necessità di avvisare Rose che stava bene e che era tornata a casa da sola. 
Si piegò sul sedile e frugò nella borsa, appoggiata sul tappetino. La sua mano veniva a contatto con tutto tranne che col telefono e col caricabatterie. Estrasse i pacchetti di fazzoletti, caramelle, cerotti, il portafoglio e... del cellulare nessuna traccia. 
<< Maledetti >> ringhiò fra i denti, capovolgendo la borsa e scuotendola rudemente. 
<< Che diamine stai facendo? >> la riprese Deimos, lanciando un'occhiata alla confusione sul tappetino. 
Gea sospirò e rimise i suoi oggetti dentro la borsa. << Mi hanno rubato il telefono >> confessò con rabbia. << Di tutti proprio il mio. >> 
Deimos scrollò le spalle, totalmente disinteressato dalla notizia. 
<< Hanno trovato il pacchetto completo: cellulare e caricabatterie. Gli saranno brillati gli occhi quando l'avranno visto >> continuò a lamentarsi, infilando l'ultima confezione di fazzoletti con stizza. Si appoggiò con la schiena al sedile ed incrociò le braccia. << Maledetti loro e la loro stirpe >> concluse sbuffando rumorosamente dal naso. 
<< Non ti sarebbe servito >> pronunciò con freddezza il ragazzo. << D'ora in poi meno contatti avrai col mondo esterno e meglio sarà. Considerati morta. >>
<< Questo mi fa sentire molto meglio >> ribatté sarcasticamente Gea, facendosi scappare un sorriso. 
Portò lo sguardo sul finestrino ed ammirò come il paesaggio cambiasse man mano che si allontanavano dallo Iowa. Avevano superato il confine già da qualche ora, adesso non rimaneva che attraversare quasi per intero un altro stato. 
Le case ormai non popolavano più lo scenario naturale intorno alla strada, ma imperavano solo estese pianure rocciose colme di crepe e prive di vegetazione. 
Il sole baciava quella terra, riscaldandola ed alimentandola di vita, proprio come stava facendo con Gea. 
La ragazza sorrise e chiuse gli occhi, beandosi del calore dei raggi sul viso. 
In quel preciso istante la sua mente scattò a ritroso, ricordandole che quella era la stessa sensazione che aveva provato durante il primo giorno di allenamenti. Dopo essere svenuta si era risvegliata grazie al sole e al suo tepore sul corpo. 
Amava sentirsi riscaldata come in un abbraccio. Forse perché di caldi abbracci ne aveva sempre avuti pochi. 
Sospirò e si lasciò avvolgere dal calore, cercando, per una volta, di svuotare la mente e rilassarsi. 
Fu del tutto inutile. La consapevolezza di avere una minaccia per la sua vita a non troppi chilometri di distanza non riusciva a farla stare tranquilla. Se ci pensava le saliva l'ansia e la paura le annebbiava la vista. 
Si chiedeva cosa sarebbe successo se l'elemento l'avesse trovata prima dell'entrata in scena di Deimos. Di sicuro l'avrebbe attaccata alle spalle, e magari sgozzata. In meno di dieci secondi sarebbe stata decretata la sua fine. 
Rabbrividì e si strinse nelle spalle. Doveva mettere tutta se stessa durante l'addestramento se desiderava avere qualche possibilità di vittoria, sempre che ce ne fossero. 
Aprì gli occhi ed osservò la strada: lunga e monotona. Esattamente come vedeva la sua vita prima che venisse stravolta. Adesso la poteva definire come tortuosa, forse corta e... originale. Sì, assolutamente unica nel suo genere. 
Spostò lo sguardo sul ragazzo al suo fianco e si perse ad esaminarlo. Aveva gli occhi severi puntati sulla strada, non li staccava mai, nemmeno per un secondo. Teneva il volante con una mano in una posa disinvolta e l'altro braccio era rilassato sul poggiabraccio dello sportello. Fino a quel momento non ci aveva fatto molto caso, ma indossava una maglietta a maniche corte nera, aderente e capace di far risaltare i suoi bicipiti, oltre che tutto il resto del fisico asciutto, e dei semplici pantaloni anche loro rigorosamente neri, tra i cui passanti si snodava una cintura di pelle marrone.
<< Hai finito? >> Al suono di quella voce Gea sobbalzò e risalì con lo sguardo. 
<< Di fare cosa, per la precisione? >> domandò, facendo finta di non sapere a cosa si riferisse. 
<< Di fissarmi. >>
<< Non ti stavo fissando, guardavo il paesaggio oltre la tua testa >> inventò su due piedi, risultando convincente persino a se stessa.
Deimos staccò gli occhi dalla strada e si voltò a guardarla, sollevando un sopracciglio. << Mi prendi per scemo? >> 
<< Ho detto la verità. >>
<< Mi prendi per scemo >> constatò il ragazzo, tornando a fissare davanti a sé. << Questo aggrava di molto la tua situazione, già di per sé critica >> affermò con un mezzo sorriso. 
<< Ti riferisci al fatto che un tizio sconosciuto mi voglia morta? Perché più critica di questa non vedo altro. >> 
<< No, non a questo. Quello ti sembrerà nulla in confronto a ciò che ti capiterà per ogni tua mancanza di rispetto nei miei confronti >> l'avvisò divertito. 
Gea ritrasse la testa all'indietro e corrugò la fronte. << Ti sei dato di scemo da solo, io non l'ho detto >> sentenziò accigliata. 
<< Sottospecie di bestia? >> le ricordò. << Questo l'hai detto. >> 
<< Oh... be'... >> Gea aprì la bocca per cercare una scusa, ma non le uscì una parola. Sbuffò stizzita ed incrociò le braccia sul petto. << Ho fatto bene a dirtelo, e lo credo tutt'ora >> affermò annuendo vigorosamente. 
Sapeva perfettamente che in quel modo avrebbe complicato ulteriormente la sua situazione, ma se Deimos osava prendersi delle libertà minacciandola, allo stesso modo lei voleva potergli dire cosa pensasse di lui. 
Il ragazzo non accennò a rispondere; lo sguardo serio e distaccato era diretto alla strada e la sua mente pareva essere sospesa su un altro pianeta. Gea lo fissò in attesa di sentirlo parlare, quando capì che non avrebbe proferito parola tornò ad osservare fuori dal finestrino. 
Mille pensieri le si affollarono nella mente come uno sciame d'api. Appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi sospirando, con l'intento di mettere a tacere la confusione che sentiva dentro. Ed in quel momento, anche se per un solo istante, la sua mente si svuotò lasciandola libera. Libera dalle catene dei pensieri, libera di fluttuare in un silenzioso incognito. Libera. 




                                                                       *  *  *




I fari della macchina illuminarono una grande insegna in pietra che riportava, a scolpiti caratteri neri, il nome della città nella quale erano giunti: Scottsbluff. 
Gea non riusciva a vedere oltre la luce proiettata dai fari, ma il fatto che le uniche fonti di luce provenissero dalla loro macchina, le fece intuire che nelle vicinanze non si trovassero abitazioni. 
Si era ormai fatta l'una di notte quando Deimos uscì dall'autostrada per imboccare un'altra via. Alla ragazza parve quasi che lui fosse esperto di quella zona. 
Deimos proseguì per qualche chilometro su quella strada sperduta e lontana da qualsiasi altra, dopodiché svoltò in una ancora più stretta e sterrata. 
Gea si resse al poggiabraccio per via dell'andatura tumultuosa della macchina e strinse gli occhi per capire dove si stessero dirigendo di preciso. Nulla, non riusciva a vedere oltre la punta del suo naso. 
Circa cinque minuti più tardi i fari misero in luce una piccola casa su due piani. La facciata era verde chiaro con degli sprazzi bianchi nei punti più erosi dal vento e dall'acqua. 
Il ragazzo spense l'auto ed aprì lo sportello, facendo entrare nell'abitacolo una ventata gelida. << Scendi, siamo arrivati >> la informò con un tono di voce perentorio. 
Gea lanciò uno sguardo alla casa, ormai avvolta dal manto scuro della notte, ed ubbidì alle sue parole. Uscì dalla macchina, rabbrividendo istantaneamente per il vento ghiaccio che le entrava fin sotto il vestito, e mosse dei passi verso l'abitazione. 
Deimos le si accostò ed entrambi si fermarono dinanzi al legno antico e sciupato della porta. 
<< Le chiavi? >> gli chiese Gea, stringendosi nelle spalle per il freddo. 
<< Le ha il padrone. >> E dopo queste parole Deimos colpì violentemente il legno con un calcio, facendo spalancare la porta. 
La ragazza sgranò gli occhi e si volse a guardarlo. << Pensavo fosse tua! >> esclamò stupita. << Andavi così a colpo sicuro. >>
<< È solo perché quando passo da queste parti vengo sempre qui a dormire >> le spiegò entrando nell'ingresso. Gea lo seguì e si richiuse la porta alle spalle; la casa piombò nella totale oscurità. 
Sentì i passi del ragazzo muoversi con calma in una qualche direzione, probabilmente destra. Quando si arrestarono l'appartamento fu pervaso dal silenzio. Gea spostava la testa da una parte all'altra come se riuscisse a vedere qualcosa; all'improvviso una forte luce la costrinse a chiudere gli occhi. 
Deimos aveva trovato l'interruttore centrale dell'elettricità, rimettendola in funzione. Aprì anche quello dell'acqua e del gas, facendo risvegliare la casa dopo tutti i suoi mesi di letargo. 
La ragazza riaprì gli occhi e si guardò attorno. A sinistra si trovava un piccolo salotto dai mobili sgualciti. Il lineare divano di pelle marrone doveva essere lì da chissà quanti anni, ormai la sua imbottitura era deformata e quasi inesistente. Macchie d'inchiostro, olio e d'altro genere coprivano a tratti la sua superficie liscia e non più lucida.
Delle rigogliose piante finte decoravano quello spazio donando tristezza all'intera mobilia. I colori spenti ed opachi di tutto ciò che popolava il salotto entravano in netto contrasto con il verde accesso delle foglie finte, uniche testimoni di ciò che era sopravvissuto allo scorrere inesorabile del tempo.
Un televisore in vecchio stile provvisto di cassone era sorretto su un tavolino nero di media altezza, davanti al divano. La parete era cosparsa di piccoli quadretti dalle cornici rovinate, alcune laccate di smalto bianco solo a chiazze, altre con ammaccature sugli spigoli. 
Sotto al tavolino nero e al divano, era steso un quadrato tappeto intarsiato sugli angoli. Presentava motivi asiatici, sfumando da colori come il rosso scuro sino al nero pece e rendendo ancor più triste quella piccola stanza. 
La cucina era di modeste dimensioni, provvista soltanto di un tavolo rovinato, tre sedie, uno sporco acquaio in acciaio, un piano cottura con quattro fornelli ed un frigorifero, posizionato lontano da tutto il resto della mobilia. Alla parete erano affissi tre sportelli in legno scuro, i cui pomelli di acciaio dorato erano consumati e privi di colore nei punti in cui erano stati maggiormente toccati. 
Gea spostò lo sguardo davanti a sé, ove si ergeva una scala in legno anch'essa erosa e mangiata dal tempo. 
<< Come fai a sapere che i padroni non verranno? >> chiese continuando a guardarsi attorno. 
<< Perché ci vengo da anni e so che usano questa casa solo in estate. Durante gli altri mesi è disabitata >> le rispose sbrigativamente. 
La ragazza spostò gli occhi su di lui e corrugò la fronte. << E tu ogni anno gli fai trovare la porta aperta e la casa messa sotto sopra? >> 
<< Non sono problemi miei >> tagliò corto con un'alzata di spalle. 
<< Povera gente >> bisbigliò Gea, scuotendo la testa e sospirando. Non aveva mai provato la terribile emozione di trovarsi la casa in disordine per mano di qualche estraneo, ma sapeva che se fosse successo come minimo le sarebbe preso un infarto. 
<< È quello che direbbe una debole >> le fece notare Deimos, incrociando le braccia sul petto. << Una debole sopraffatta dalla pietà. >> 
La giovane ridusse gli occhi a due fessure, irrigidì la mascella e strinse le mani a pugno. << Non è una debolezza essere provvisti di quella cosa che in te non esiste: la pietà. >>
<< Ah no? >> la canzonò sollevando un sopracciglio. Fece dei lenti passi verso di lei. << Non è stata la pietà ad impedirti di colpirmi ieri? Durante l'allenamento? >> 
<< Ti ho colpito, per questo hai un cerotto in fronte >> ribatté prontamente Gea, alzando la testa per guardarlo negli occhi. 
<< Avresti potuto continuare quando ne avevi avuto l'occasione, eppure ti sei fermata. Farai lo stesso anche quando combatterai con gli altri elementi? >> la stuzzicò stampandosi in faccia un sorriso maligno. << Abbasserai la guardia per guardare le loro ferite e magari curarle? Se così fosse, faresti bene ad uscire di qui ed andare a farti ammazzare subito. Sei l'elemento debole fra i quattro, la tua esistenza è inutile >> concluse con un tono duro e freddo, fissandola intensamente. 
Dentro la ragazza cominciò ad ardere un fuoco. Il fuoco della rabbia. Divampò nelle sue vene e le accecò la mente. << Sono stufa di te >> sibilò a denti stretti, stringendo le mani talmente tanto da farsi diventare le nocche bianche. 
La luce nella casa scomparì per un istante, dopodiché si riaccese con più vigore. Un lampo blu saettò attorno alla mano destra di Gea e le maestose rocce di Scottsbluff tremarono debolmente. 
In quel momento di rabbia ceca, la ragazza non si rese nemmeno conto che i suoi poteri, dopo vari giorni, stavano tornando a farsi sentire. 
<< Le tue continue insinuazioni >> ringhiò tremando. << Come ti permetti?! >> gridò al culmine dell'ira. 
Il suolo vibrò sotto i loro piedi, ma Gea non ci fece caso. Deimos invece abbassò lo sguardo sulle tavole di legno del pavimento, notando che alcune si stavano staccando. Sorrise divertito e riportò gli occhi in quelli della ragazza. 
<< Mi fa piacere che tu ti stia godendo il momento >> gli disse mentre dei fulmini cadevano attorno alla casa, seguiti dai rimbombi e dagli scoppi dei tuoni. << Perché tra poco di te non rimarrà che cenere >> concluse avventandosi contro di lui. 
Col pugno destro lo colpì sul petto, espandendo le scariche elettriche sul suo corpo. Deimos accusò il colpo, venendo sbalzato all'indietro contro le scale. Recuperò in fretta, rialzandosi prima che la ragazza si precipitasse su di lui e teletrasportandosi alle sue spalle. 
Con un braccio le avvolse il collo e con l'altro le bloccò le braccia. << Sei già in gabbia? >> la canzonò divertito. 
La terra tremò violentemente, facendo cadere i quadri dalle pareti e gli utensili da cucina dagli sportelli. Per un attimo la casa rimase al buio, mentre le stanze si tingevano di una luce blu per via dei fulmini che si abbattevano implacabili a pochi metri dall'abitazione. 
Gea strinse i denti per la collera, portò un piede dietro la caviglia del ragazzo e strattonò di scatto, facendo perdere l'equilibrio ad entrambi. Caddero l'una sopra l'altro, di schiena. 
La giovane ne approfittò per liberarsi e colpirlo con un gomito nello stomaco. Deimos intercettò in tempo il colpo e con una violenta spinta la fece sbattere contro il muro. Quando la nuca di Gea colpì la parete, una faglia si spalancò nella terra. 
Il ragazzo non le diede il tempo di riprendersi, l'afferrò per la caviglia e la fece strisciare sulle assi di legno, avvicinandola a sé. 
Gea riaprì gli occhi un momento prima che le nocche di Deimos le colpissero lo zigomo già malandato. Urlò dal dolore e si posò entrambe le mani su quel punto, piegandosi su se stessa per contenere altre urla. 
La terra smise di tremare. Ma il cielo espresse con Gea il suo patimento facendo cadere un fulmine con un carico tale di energia da aprire un cratere con un diametro di oltre due metri. 
Il vetro di una finestra andò in pezzi, ma prima che le sue schegge cadessero a terra l'elettricità che permeava la casa le fece deflagrare. 
La ragazza respirò affannosamente e gli occhi le si inumidirono per il male che stava provando. Gocce di sangue le uscirono dal naso per andare a depositarsi sul freddo pavimento. 
Alla vista di quel liquido rosso, Gea tornò a puntare gli occhi su Deimos. Gli lanciò uno sguardo d'odio e l'attimo dopo si scagliò contro il suo petto. Lo atterrò e si sedette sul suo bacino senza nessuna fatica, dal momento che il ragazzo non sembrava intenzionato a contrattaccare. Sul suo volto aleggiava un sorriso di scherno e ciò contribuì a far schizzare l'ira della ragazza alle stelle. 
Caricò un pugno e lo lanciò in direzione dello stesso punto in cui lui l'aveva colpita, sperando di potergli far provare una minima parte di ciò che lei stava sopportando. 
Solo quando la mano di Gea arrivò a pochi millimetri dal suo viso, Deimos si teletrasportò in cima alle scale, facendo schiantare le nocche della ragazza contro il duro legno. 
Gea trattenne un grido di frustrazione e dolore ed i suoi occhi saettarono in quelli del ragazzo. Nonostante l'oscurità in cui la casa era piombata, eccetto che per il bagliore dei fulmini, poté cogliere la nota di divertimento che esaltava i suoi zaffiri. 
La ragazza si alzò da terra e corse per le scale con l'intento d'incenerirlo una volta per tutte.
Voleva vendetta. Vendetta per tutte le parole velenose che le aveva rivolto e per tutto il male che le aveva fatto. 
Quando giunse al secondo piano non ebbe il tempo di colpirlo, perché Deimos l'afferrò prontamente per la gola e la sollevò da terra. Un sadico sorriso si pennellò sulle labbra del ragazzo. 
Avanzò verso la parete e le sbatté la testa contro, dopodiché avvicinò il suo corpo a quello di lei per bloccarle le gambe. << È finita >> le disse divertito. << Hai perso. >> 
Nonostante le cominciasse a mancare sempre di più l'aria, Gea liberò un braccio e lo colpì sulla testa, in seguito strinse i suoi capelli fra le dita e li tirò con rabbia. 
La bocca di Deimos s'increspò in una smorfia di dolore e fu costretto ad allontanare la mano dalla sua gola. Gea si piegò appena sulle ginocchia e prese dei grossi respiri, tossendo di tanto in tanto. 
Il cielo tornò ad essere scuro e qualsiasi fulmine risalì a riposare nella volta celeste. La luce della casa, però, non tornò ad accendersi, lasciando che solo il fievole bagliore della luna illuminasse le stanze. 
La ragazza si rizzò in piedi e fulminò Deimos con lo sguardo. << Prima o poi, io ti ucciderò >> sentenziò con decisione. 
Il giovane alzò un sopracciglio ed avanzò di un passo, bloccandola con le spalle al muro. << E come pensi di riuscirci? Hai appena sprecato un'occasione a causa della tua debolezza. >> 
<< Non penso a come ci riuscirò >> confessò Gea, stampandosi un sorriso sfacciato. << Sono sicura che mi verrà tutto molto naturale. >> 
Deimos si avvicinò ancor di più ed abbassò la testa per guardarla negli occhi. Un sorriso divertito si affacciò sulle sue labbra. << Ah sì? >> sussurrò posandole le mani sui fianchi. 
Il battito cardiaco della ragazza cominciò ad aumentare. << Sì >> confermò convinta. 
Con lentezza le dita di Deimos scivolarono più in basso, verso le sue gambe nude. Gea deglutì a fatica, ma mantenne lo sguardo fisso in quello del ragazzo. Gli occhi di quest'ultimo erano lucidi, accesi e simili a quelli di un cacciatore. 
Ancorò le mani sotto le cosce della ragazza e con una leggera pressione la sollevò da terra. << Mm >> mugugnò con un mezzo sorriso, posando le labbra chiuse sul collo di Gea. << Allora sarà interessante >> alitò sulla sua pelle prima di darle un piccolo morso. 
Le mani della giovane si andarono a posare istintivamente sulle sue spalle muscolose. 
Deimos inspirò l'odore della ragazza e schiuse le labbra su un altro lembo di pelle morbida, assaggiandola e giocandoci con la punta della lingua. 
Gea reclinò la testa e chiuse gli occhi nell'intento di placare le violente emozioni che stava provando. Aveva promesso a se stessa che nulla del genere si sarebbe mai più ripetuto, eppure in quel momento stava venendo meno alla sua promessa. Stava ricommettendo lo stesso errore di quattro giorni prima. 
Il ragazzo risalì verso la sua mandibola dopo averle disseminato il collo di bollenti baci, mentre faceva scivolare le mani sotto il suo vestito sino ad alzarglielo sui fianchi. 
Gea riaprì gli occhi ed abbassò la testa sospirando di piacere. Non doveva ricadere in tentazione. Doveva allontanarlo, subito. 
Gli prese una ciocca di capelli con una mano e lo costrinse a staccare la bocca dalla sua pelle. I loro occhi offuscati dal desiderio s'incontrarono nel buio e nel silenzio della casa. Gea deglutì in difficoltà, conscia di dover mantenere fede alla sua promessa. 
Un secondo dopo si era fiondata sulla bocca del ragazzo, tappandola con la sua. 
Deimos rispose con vigore al bacio, premendo il suo corpo contro quello della giovane e reclinando la testa di lato per approfondire il loro contatto. 
Le passò una mano sulla schiena ed una la poggiò sul sedere, dopodiché la staccò dalla parete e la trasportò in una camera da letto. La premette di nuovo contro un muro e fece navigare entrambe le mani sulle sue cosce, fino al fondoschiena. 
Gea si staccò dalle labbra del ragazzo col fiato corto e lui tornò a succhiarle la pelle sul collo. Le mani di lei afferrarono i lembi della maglietta nera e la strattonarono verso l'alto. Deimos interruppe la sua scia di baci per farsi sfilare la maglia, gettata successivamente a terra. Fece poggiare i piedi di Gea sul pavimento e la voltò contro la parete per abbassarle la cerniera sulla schiena. 
Fin dal primo momento in cui l'aveva vista con quel corto vestito addosso aveva desiderato toglierglielo e baciarle ogni tratto di pelle coperto e non. 
Le tolse rapidamente il giubbotto di pelle, fece scivolare la zip, le abbassò la stoffa sulle spalle e le spostò i capelli da una parte, tirandoli appena. In seguito piegò la testa e poggiò la bocca sul retro del suo collo, schiudendo le labbra per assaggiarne il sapore. Gea si lasciò sfuggire un gemito e chiuse gli occhi, totalmente in balia del piacere. 
Quel debole gemito eccitò maggiormente il ragazzo, che le premette una mano sulla pancia per avvicinarla al suo corpo e che spostò la bocca sotto il suo orecchio destro. 
Nel frattempo le fece scendere il vestito lungo i fianchi, lasciandolo cadere a terra. 
Gea si voltò verso di lui, lo guardò negli occhi per qualche istante ed infine si alzò sulle punte per baciarlo, ma non dovette alzarsi di troppo visto che Deimos abbassò la testa per incontrare le sue labbra. 
Le posò le mani sulla schiena mentre quelle della ragazza si andarono ad intrecciare dietro il suo collo. 
Ormai la mente di entrambi si era scollegata. Gea non sentiva più la voce che le ricordava tutti i dolori che le aveva fatto provare e Deimos non sentiva più quella che gli ricordava che lei era solo una stupida umana. 
La sollevò di poco da terra e la gettò nel letto, facendo lamentare sonoramente le molle. 
La ragazza si accigliò e lo fulminò con lo sguardo. << Non sono un sacco di patate >> gli fece presente, sorreggendosi sui gomiti. 
Deimos salì sul materasso con un ginocchio e si portò avanti coi palmi delle mani, dimezzando le distanze tra i loro corpi. << Avrai un motivo in più per uccidermi >> le disse divertito, con un'alzata di spalle. 
Gea gli passò una mano dietro il collo e lo avvicinò al suo viso, alzò la testa e sorrise beffarda. << Lo sai che potrei ucciderti proprio in questo momento? >> gli mormorò nell'orecchio. 
Deimos spostò gli occhi in quelli di lei e le fece un cenno di sfida col capo. << Provaci. >> 
La ragazza abbassò lo sguardo sul suo petto, sollevò una mano e ne posò il palmo su un pettorale scolpito. Deimos continuava a guardarla con lo sguardo acceso dal desiderio, in attesa del suo attacco. 
Una leggera scarica blu avvolse la mano della giovane, senza però intaccare il corpo del ragazzo. Stava cercando di calibrare il carico di energia della scarica di modo da non procuragli troppo male. Sapeva che non si sarebbe meritato un trattamento così di lusso, ma sapeva anche che non avrebbe voluto ucciderlo. O almeno, non in quel momento. 
Quando si ritenne soddisfatta, lasciò scivolare l'elettricità oltre il suo arto, ma era perfettamente conscia che lui l'avrebbe fermata. E così fece. Le afferrò il polso e lo allontanò da sé, ma Gea aveva già messo in conto quel piccolo particolare. Lo colpì sotto il cavallo dei pantaloni, ribaltò le posizioni ed appoggiò la mano sul suo petto rilasciando la scarica. 
Una smorfia infastidita si dipinse sul volto del ragazzo che artigliò le dita sui suoi fianchi e la fece rotolare sotto di sé. Nonostante i tentativi di Gea di liberarsi, le prese il braccio con cui lo aveva colpito e lo strattonò all'indietro, contro il materasso, facendola distendere a pancia in giù. Le bloccò l'arto dietro la schiena e si piegò su di lei. << Hai fallito >> le bisbigliò all'orecchio. 
Un grugnito di frustrazione sfuggì dalle labbra della ragazza. Da quella posizione non riusciva a muoversi, era letteralmente immobilizzata sotto la forza del ragazzo. Per quanto ogni volta si sforzasse di batterlo, le era impossibile superarlo dal punto di vista fisico, sia in velocità che potenza. Inoltre più lo colpiva e peggiori erano le conseguenza per lei.
Si risvegliò dai suoi pensieri non appena avvertì la bocca di Deimos sfiorarle una scapola e risalire sino alla spalla destra. Il ragazzo appoggiò la mano libera sul fondo della schiena della ragazza, dove si intravedevano le fossette di Venere, e la fece scorrere verso l'alto con lentezza, seguendo il percorso della spina dorsale. 
Gea chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore; portò il braccio salvo sul lenzuolo e lo strinse appena. La sua schiena s'incurvò istintivamente al passaggio della mano calda e grande del ragazzo. 
Deimos raggiunse il retro del suo collo e le lasciò il polso che aveva immobilizzato, dopodiché puntellò i palmi delle mani sul materasso e si distese sul corpo di Gea, mantenendo parte del peso sulle braccia muscolose per non schiacciarla. 
Non appena il suo petto entrò in contatto con la schiena calda di lei, entrambi fremettero per l'eccitazione. 
Un respiro spezzato uscì dalle labbra del ragazzo, confondendosi col debole gemito di Gea. 
Insinuò una mano sotto il corpo della giovane e la bloccò in corrispondenza della pancia, dopodiché schiuse le labbra sul suo solco in mezzo alle scapole e cominciò a baciarne avidamente la pelle. 
Gea piegò la testa in avanti, appoggiando la fronte sul lenzuolo e respirando affannosamente. Non aveva mai provato delle sensazioni simili, si sentiva la mente leggera ed il corpo scollegato. Ad ogni contatto desiderava sempre di più, stava diventando avida di piacere.
Deimos continuò la sua scia risalendo sino al collo. Sfiorò con la punta del naso la mandibola della ragazza e successivamente le morse il lobo dell'orecchio. << Girati >> le ordinò con voce roca. 
La ragazza fremette per il suo tono rauco e si voltò a pancia in su, portando immediatamente gli occhi in quelli accesi di lui. Si scrutarono a lungo, come se volessero esaminare l'uno la reazione dell'altra. 
Più Gea lo guardava e più si rendeva conto di quanto fosse paranormale quella situazione. Un momento prima si stavano quasi uccidendo, quello dopo erano mezzi nudi nel letto. Non poteva negare a se stessa quanto fosse attratta fisicamente da Deimos, ormai era lampante. Non era nemmeno in grado di resistergli, lei che aveva sempre seguito ciò che le diceva la testa. 
Deimos, dal canto suo, non riusciva a comprendere cosa lo spingesse a tanto. Nessuna umana era mai stata capace di fargli perdere il controllo. Un conto era andare a letto con una solo per passare il tempo e sfogare la voglia del momento, un conto era desiderarla a tal punto da non capire più cosa stesse facendo. E lui desiderava quella stupida umana più di chiunque altra, ma al contempo la odiava per l'effetto che gli faceva e per il potere che esercitava su di lui. 
Vide un lampo attraversarle gli occhi, come se avesse realizzato qualcosa. 
<< Brittany >> fu tutto ciò che le uscì dalla bocca. Spostò la testa di lato e sospirò debolmente. Il ragazzo rimase a fissarla; riusciva a leggere i sensi di colpa che la attanagliavano dal modo in cui teneva rigida la mascella e dallo sguardo colpevole che aveva assunto. 
<< E allora? >> le chiese indifferente. 
Gea riportò gli occhi in quelli di lui, stupita. << È la tua ragazza >> gli ricordò. 
<< Un passatempo come un altro >> precisò Deimos, scrollando le spalle. 
La giovane si accigliò e si sollevò sui gomiti. << Non m'interessa cosa tu pensi di lei, so per certo che quella disgraziata tiene a te. Non le farò questo torto >> affermò decisa. Abbassò gli occhi e li posò sul lenzuolo stropicciato. << E poi è stata così gentile con me >> sussurrò flebilmente. Al ricordo di quella volta nel parco si sentì ancora più in colpa. Brittany l'aveva aiutata spontaneamente, nonostante fosse una sconosciuta. Era così che le stava restituendo il favore? 
Un sorriso di scherno si affacciò sul volto del ragazzo. Arretrò dal letto e si alzò in piedi, attirando gli occhi della giovane su di sé. 
<< Vorrà dire che andrò a trovarmi un altro giocattolo >> sentenziò dirigendosi alla porta. 
La palpebra di Gea ebbe un guizzo per la rabbia; scese rapidamente dal letto, corse fino a bloccargli l'uscita e gli puntò un dito contro. << Bada a come parli! >> gridò. << Non sono un giocattolo, né tuo né di nessun altro. >> 
Deimos la prese per i fianchi ed un secondo dopo l'aveva bloccata contro la parete. Le alzò il mento con due dita e con uno scatto incollò le labbra a quelle di lei. 
Gea sgranò gli occhi e tentò di allontanarsi in qualsiasi modo, ma il ragazzo le teneva la testa ferma con una mano. Le morse il labbro inferiore e lo tirò leggermente, dopodiché insinuò la lingua nella sua bocca in un bacio avido e passionale. 
La ragazza posò le mani sulle sue spalle premendo per spostarlo, ma il tutto con scarsi risultati, perciò passò a percuoterlo con dei pugni sul petto. 
Deimos le afferrò entrambi i polsi e glieli bloccò ai lati della testa, senza mai smettere di baciarla. A lei non rimasero che le gambe come ultima arma, ma prima che potesse provare a colpirlo lui la riportò sul letto, distendendola sotto di sé. 
Si staccò dalle labbra di Gea e la fissò freddamente nonostante le iridi incendiate dal desiderio. 
<< Vatti a cercare un vero giocattolo e lasciami stare >> sputò con rabbia la ragazza. 
Deimos sorrise divertito ed abbassò la bocca sulla sua clavicola, tracciandone il contorno con la punta della lingua. << Dovresti badare più te a come parli >> alitò sulla sua pelle. << Ogni parola potrebbe ritorcertisi contro. E fra noi due sono io quello più forte >> le ricordò sfiorandole il collo col naso. 
<< Se tu mi portassi più rispetto forse sarei meno aggressiva >> gli ringhiò contro, trattenendo a stento un gemito. 
<< Rispetto? >> ripeté sollevando un sopracciglio e posando gli occhi nei suoi. << Non lo porto a chi è inferiore a me. >>
<< Va' al diavolo >> ribatté Gea, strattonando i suoi polsi. << Sei solo un pallone gonfiato con la mente tarata da stupide convinzioni. >> 
Un attimo dopo a quelle parole, la ragazza si trovava in ginocchio con le mani di Deimos una attorno alla gola e l'altra sulla fronte. 
<< Ci metto un secondo a spezzarti l'osso del collo >> sibilò crudelmente al suo orecchio. << Ritira quello che hai detto. >>
Delle gocce di sudore freddo scivolarono sulla schiena della giovane. Aveva paura che la potesse uccidere per davvero quella volta, nessuno avrebbe suonato al campanello e lui non aveva motivi per cui fermarsi. Ma da una parte le costava una fatica immane rimangiarsi quelle parole. Perché lui la poteva offendere e lei doveva stare zitta? 
Ogni volta che le dava di giocattolo la faceva degradare come persona. Il suo valore veniva calpestato brutalmente e sminuito. Era stufa di subire, di essere umiliata ed offesa senza avere il diritto di replica. 
Strinse i denti e cacciò fuori tutto il coraggio che le era rimasto. << Fallo. Perché non mi rimangerò quel che ho detto. Ed anche se lo facessi continuerei a pensarlo, non cambierebbe niente >> affermò chiudendo gli occhi e strizzandoli in attesa della fine. 
Di colpo vide tutto nero. Il suo corpo cadde sul materasso. Esanime. 








Angolo dell'autrice:

Ciauuuuu! 
Ed ecco che mi sono scordata tutto quello che volevo dire... Vabbé, improvviserò! 
Innanzitutto vi prego di perdonarmi per gli errori che sicuramente avrete riscontrato in questo capitolo >\\< l'ho riletto e ricorretto per la centesima volta, ma sono sicura che qualche schifosello mi sia sfuggito. 
In secondo luogo, non so perché, ma questo capitolo non mi convince più di tanto... Cioè, mentre lo scrivevo mi piaceva da morire, ma adesso che l'ho riletto con occhio più critico e puntiglioso c'è qualcosa che non mi convince... Non saprei nemmeno cosa. 
Spero che comunque vi sia piaciuto *^* me lo auguro *^* 
Poi... volevo dire un'altra cosa... Ah sì, no, devo dire due cose!
First of all: Keep your eyes open sta procedendo piuttosto tranquillamente, nel senso che sto scrivendo il capitolo e che arriverà questa settimana :)
E poi, la seconda notizia è che, per chi non lo sapesse ancora, ho creato un gruppo su Facebook in cui posterò spoiler, informazioni sul procedimento delle storie, sugli aggiornamenti, eccetera... Per chi ne volesse far parte basta andare sul mio profilo efp, sotto il mio Avatar, accanto alle altre due caselle (quella per mandare un messaggio e quella per mettere tra gli autori preferiti) c'è un bottoncino con due omini. Cliccate lì e verrete trasportate nel gruppo :) 
*sa di averlo spiegato schifosamente, ma fa finta di nulla*
Credo di aver detto tutto... Vi ringrazio come sempre!!! GRAZIE DI TUTTO!!
Un bacione e alla settimana prossima ;)


Federica~

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***






Aprì gli occhi quando un fascio di luce le colpì la faccia come uno schiaffo. Mugolò e si stese supina portando una mano sopra la fronte. 
Le doleva la testa ed aveva freddo fino alle ossa. Non ricordava con precisione il modo in cui si era addormentata. Sulla sua vista sembrava essere stato calato un tendone nero da teatro; dopo ciò il nulla. Doveva essere svenuta, ovviamente per mano di Deimos. 
Aveva creduto sino alla fine che l'avrebbe uccisa, invece le aveva solo fatto perdere i sensi. Evidentemente gli faceva troppo comodo per sbarazzarsene. 
Ciò che più le dava fastidio era la sua stessa debolezza. Non aveva tenuto fede alla promessa che si era fatta giorni prima e, peggio ancora, non si era sentita minimamente in colpa. 
Aveva trasgredito al suo stesso comando senza curarsi delle conseguenze. Fin dove si sarebbe spinta? Avrebbe bruciato la sua prima volta con quell'essere mostruoso? 
Una smorfia di frustrazione comparve sul suo viso. Aveva sbagliato. E solo in quel momento sentiva tutti i postumi gravarle addosso. 
Deimos aveva già una ragazza splendida, nonostante la poca considerazione che lui ne avesse. Era stata così gentile nei suoi riguardi... In quel modo le sembrava di aver sputato e calpestato quell'atto di premura e dolcezza. 
Nella mente cominciò a chiedere perdono a Brittany. Sapeva che era del tutto inutile, ma erano le poche parole spontanee che erano sorte in lei. 
Di una cosa era certa: non sarebbe successo di nuovo. Era sicura che se se ne fosse convinta avrebbe potuto resistere alla tentazione. 
Le mani di Deimos sul suo corpo, la sua bocca sulla sua, sul collo, sulla schiena... Un brivido di piacere la riportò alla realtà. Avrebbe resistito a tutto quello, per quanto difficile sarebbe stato. Anzi, non ci sarebbe stato bisogno di resistere a nulla dal momento che avrebbe messo le cose in chiaro con lui. Subito.
Si alzò dal letto con un saltello e raccolse il suo vestito da terra. Lo infilò in fretta ed uscì dalla camera con la speranza che nessun agguato la prendesse alla sprovvista. 
A passo felpato si diresse al bagno per sciacquarsi il viso ed eliminare le tracce di trucco. Le costò molta fatica e dolore struccarsi con un po' d'acqua e di carta igienica, specialmente sugli occhi. 
Qualche minuto dopo iniziò a scendere le scricchiolanti scale, neutre spettatrici dello scontro di quella notte. 
Prima che il suo piede toccasse il parquet, la porta d'ingresso si aprì. 
I suoi occhi saettarono rapidi in quelli di Deimos. Entrambi rimasero a fissarsi per una quantità di tempo imprecisata. Il silenzio regnava sovrano nella casa, una muta osservatrice di quegli attimi di apparente calma. 
La mente della ragazza si era improvvisamente svuotata. Aveva dimenticato il motivo per il quale era scesa come una furia al piano di sotto. Adesso ciò che più le premeva sapere era dove Deimos fosse andato quella mattina, perché i suoi capelli erano disordinati, i suoi occhi più lucidi del solito e la sua maglietta leggermente sollevata su un fianco. 
Il ragazzo si richiuse la porta alle spalle e mosse dei passi verso la cucina. Gea si risvegliò dal suo torpore e lo seguì frettolosamente. Lo vide mentre apriva degli sportelli e guardava al loro interno, forse alla ricerca di qualcosa da mangiare. 
<< Dove sei stato? >> gli chiese incrociando le braccia sul petto ed appoggiandosi alla colonna della porta con una spalla. 
Deimos non la degnò né di uno sguardo né di uno straccio di risposta. Continuava ad aprire le piccole ante ad intervalli regolari, dopo aver appurato che non ci fosse nulla di ancora commestibile. 
Un piede della ragazza cominciò a battere con impazienza sul pavimento. << Ti ho fatto una domanda >> asserì innervosita. Non sapeva con precisione che risposta aspettarsi, anche se dentro di sé credeva di conoscerla. Voleva solo che lui lo confessasse guardandola negli occhi. 
Gea corrugò la fronte ed abbassò per un momento lo sguardo. Perché il fatto che lui fosse andato a divertirsi con qualche tizia le dava tanto fastidio? E addirittura voleva che glielo confessasse apertamente, come se a lei fosse dovuto interessare. 
Ritrasse la testa di scatto, schifata dai suoi stessi pensieri. Era ovvio che non le importasse cosa lui faceva con le altre, le dava solo fastidio il fatto che lui fosse andato a trovarsi un rimpiazzo, trattandola alla stregua di un oggetto. 
Rialzò gli occhi e li posò su Deimos, che in quel momento stava scrutando l'interno del frigorifero, dandole le spalle. 
<< Fa' come ti pare, persevera nel tuo mutismo >> concluse muovendo la mano con nonchalance. << Parlerò io, tanto per mettere qualche cosa in chiaro >> riprese a dire, stringendo le braccia sul petto. << Prima di tutto, quel che è successo stanotte non capiterà ancora. Tieni le tue mani lontane da me e vai a sollazzarti con chi ti pare, proprio come hai fatto stamattina, la cosa non mi riguarda >> puntualizzò appoggiando la nuca alla colonna. << Secondo punto... >>
<< Tieni le tue mani lontane da me? >> ripeté Deimos, chiudendo l'anta del frigo e voltandosi a guardarla. Nei suoi occhi duri e spietati saettò una sfumatura di divertimento. 
Gea sollevò un sopracciglio. << Vuoi che ti faccia lo spelling? >> 
Meno di un secondo dopo lui si trovava davanti al corpo della ragazza. << Non gioco mai a mio sfavore >> sibilò vicino al suo viso. << Specialmente quando si tratta di favorire una debole umana come te >> sputò tagliente, incatenandola ai suoi occhi e non permettendole di abbassarli. 
<< Non so di cosa tu stia parlando >> gli rispose frettolosamente. E invece lo sapeva benissimo. 
<< Regola numero uno? >> le chiese duramente, guardandola dall'alto con impassibilità e superiorità. 
Mai prendersi gioco di me, si ripeté lei nella mente. Un flebile ringhio di frustrazione le uscì dalle labbra e fu costretta ad abbassare lo sguardo per evitare di far trasparire la rabbia contro se stessa. Avrebbe dovuto formulare quell'ordine in maniera diversa, Deimos era troppo astuto per non leggere tra le righe. 
<< Ammettilo >> le bisbigliò gelidamente ad un orecchio. << Ammettilo che lo stai facendo solo per salvarti. Perché sai bene che se ti toccassi perderesti il controllo come stanotte >> continuò aprendosi in un sorriso spietato. << Ma io non rendo le cose facili a nessuno, men che meno a te. >> 
Gea alzò la testa con rabbia e lo fissò trucemente. << Va' al diavolo. >> 
Deimos circondò la mandibola della ragazza con una mano, stringendo la presa ed alzandole ancora di più la testa. << E tu ci verrai con me >> rispose con un sorriso maligno. << L'allenamento di oggi sarà il tuo ingresso all'inferno. >>




                                                                    *  *  *




<< Ho bisogno di mangiare e di vestiti più comodi >> asserì ad un certo punto Gea, mentre cercava di sistemare la finestra rotta. 
Dopo l'ultima affermazione del ragazzo, quest'ultimo le aveva impartito l'ordine di riparare ciò che aveva distrutto durante la notte. L'addestramento avrebbe avuto luogo il pomeriggio in una località ancora non precisata. 
Gea afferrò una sedia dalla cucina e la portò sotto la grande finestra. Per quanto trovasse riluttante l'idea di obbedire agli ordini del mostro, non poté fare altrimenti. Le ultime parole che le aveva rivolto non la facevano stare tranquilla. Se quello che le aveva fatto sopportare sino a quel momento non era l'inferno, allora non sapeva davvero come classificarlo. 
Montò sulla sedia malridotta mentre Deimos se ne stava sul divano con entrambe le braccia e la nuca adagiate sulla testata. I suoi occhi erano persi sul soffitto bianco ricolmo di sottili crepe. Issò la testa e puntò lo sguardo sulla schiena della ragazza. << La cosa non m'interessa >> le disse con un tono neutro. 
Il basso tacco di uno stivale di Gea fece traballare la sedia violentemente, rischiando di farla cadere. Si piegò di poco sulle ginocchia e ritrovò l'equilibrio, nonostante alcune gocce di sudore le andarono ad imperlare la fronte per lo spavento; dopodiché si risollevò e stese le braccia per strattonare la tenda della finestra accanto. 
Deimos si godeva la scena senza battere ciglio e senza la minima intenzione di muovere un dito per aiutarla. Dopotutto lui non aiutava mai. 
Con uno strattone più forte degli altri, Gea staccò il bastone della tenda dai supporti, perdendo l'equilibrio e sbilanciandosi all'indietro. Per un istante sgranò gli occhi ed il cuore le zompò nel petto, l'attimo dopo si trovava col sedere a terra ed un dolore bruciante sopra il sopracciglio sinistro. 
Lanciò malamente il bastone da un lato e portò entrambe le mani sulla fronte, ripiegandosi su se stessa. Un sibilo di dolore le risuonò fra i denti non appena le sue dita sfiorarono la parte lesa. Sentiva la pelle lacerata e qualcosa di duro conficcato nella ferita. 
Durante la caduta la sua testa aveva urtato contro lo sciupato telaio di legno della finestra. Uno spaventoso presagio s'insinuò nella mente della ragazza. Voltò la testa con lentezza ed osservò il punto in cui aveva picchiato. Una striscia di sangue copriva l'assenza di un pezzo di legno, un pezzo che adesso si trovava nella sua ferita. 
Con gli occhi spauriti tornò a posare un dito sopra il sopracciglio. Sentiva qualcosa di duro insinuato nella pelle, non era né troppo grande né troppo piccolo. Ma nonostante ciò le faceva ribrezzo ed un male soffocante. 
<< Che diamine hai fatto? >> le chiese duramente Deimos, non spostandosi di un millimetro dalla sua comoda posizione. Nel vedere che Gea rimaneva a terra e non sembrava intenzionata a rispondere, decise di alzarsi e pararlesi di lato. << Stavolta sono io che ti ho fatto una domanda >> puntualizzò tirandole un non troppo delicato calcio alla gamba. 
La ragazza, con una mano sulla ferita, alzò lo sguardo piantando i suoi occhi impauriti su di lui. Era la prima volta, da quando si erano conosciuti nove giorni prima, che lei gli mostrava il suo sguardo atterrito. 
Deimos strinse i suoi zaffiri per capire cosa celasse sotto la mano, senza però riuscire ad intravedere niente. Con un nervosismo crescente le afferrò un polso e la issò in piedi. La trascinò sino al retro del divano, la prese per i fianchi e la mise a sedere sulla testata. 
<< Togli la mano >> le ordinò spazientito. 
Gea scosse la testa, temendo che persino quel movimento le potesse far entrare più in profondità la robusta scheggia. Da una parte voleva rimanere immobile e non toccare quel pezzo di legno per paura di provare ancora più male, dall'altra non desiderava altro che quella situazione terminasse presto. 
Il ragazzo le prese l'avambraccio e le scostò malamente la mano dalla zona coperta. Immediatamente i suoi occhi si focalizzarono su una brutta ferita da cui dipartivano strisce di sangue colanti lungo il profilo del suo viso; solo dopo qualche secondo intravide un'asimmetrica punta marrone fuoriuscire di poco dallo squarcio. 
Le prese il mento tra pollice ed indice e le reclinò la testa di lato per poter scrutare meglio di cosa si trattasse. 
Avvicinò il corpo a quello di lei ed alzò una mano. Non appena un suo dito si posò sulla lacerazione, sentì la ragazza sussultare e liberare un mugolio di dolore. Evitò di curarsene e salì col dito, facendolo imbrattare di sangue. Tastò un duro rigonfiamento dal diametro di circa un centimetro ed infine si dedicò ad analizzare la punta marrone, prestando attenzione a non farla penetrare completamente.
Non gli ci volle molto a capire che si trattava di una scheggia di legno. 
Si allontanò da lei e quest'ultima fece saettare i suoi occhi spalancati dalla paura in quelli di Deimos. << È molto grave? >> chiese con apprensione. 
Lui non le rispose, si limitò a muoversi per la stanza fino a raggiungere la cucina. Aprì i vari cassetti, richiudendoli con violenza quando non trovava ciò che gli interessava. Una fila di posate apparì sotto il suo sguardo, agguantò un coltello dalla punta acuminata e tornò nel salotto. 
Nel vederlo, Gea spalancò gli occhi atterrita. << No, ti prego >> lo supplicò scendendo dalla testata del divano e ritraendosi. 
<< O ti fermi o giuro che te lo lancio addosso >> la minacciò, rigirandosi la lama fra le dita con maestria. 
La ragazza deglutì spaventata, ma non per ciò che le aveva detto, bensì perché sapeva che di lì a poco quel coltello sarebbe entrato nella sua carne. 
<< Vieni qui >> le ordinò freddamente. 
Gea osservò prima il suo volto, impassibile come sempre, e poi la lama tagliente. Aveva una cocente voglia di scappare di lì e rifugiarsi da qualche parte insieme alla sua scheggia. Nessuno le avrebbe dovute toccare. 
Gli zaffiri di Deimos erano più adombrati del solito e più profondi dell'oceano. La tenevano nel mirino come una preda, pronti a captare ogni sua più insignificante mossa. 
La ragazza si ritrovò presto imprigionata in quello sguardo senza nemmeno capacitarsi di come fosse accaduto. Sospirò tremante e mosse dei passi verso di lui. 
Prima si fosse decisa a tirare fuori il coraggio, prima sarebbe stata libera dalla paura. Anche se sapeva benissimo che ciò che la stava sospingendo ad avanzare non era il coraggio, ma solo il desiderio di porre fine a quel dolore insopportabile. 
Quando gli giunse davanti abbassò la testa, sperando che con un colpo solo le facesse uscire la scheggia. Non guardarlo mentre le ficcava il coltello nella ferita avrebbe forse contribuito a farle sentire meno male. O almeno questa era l'unica speranza alla quale poteva aggrapparsi. 
Deimos piegò di poco il capo per guardarla dall'alto. Riusciva a percepire il terrore della ragazza espandersi nella stanza mano a mano che i secondi trascorrevano. Gli era sempre piaciuto quell'odore, ma per la prima volta in tutta la sua vita non si curò di assaporarlo. 
Passò un braccio attorno alla vita di Gea e la sollevò di poco da terra per trasportarla in cucina e metterla a sedere sul tavolo. 
Le spostò la testa di lato e posò i suoi attenti occhi sulla punta di legno che avrebbe dovuto estrarre. Il respiro della ragazza si fece più concitato in contemporanea alla velocità con cui Deimos le avvicinò il coltello alla fronte. 
Appena Gea avvertì la fredda lama sulla pelle, la sua mano scattò ad agguantare la maglietta del giovane. 
Lentamente e con una precisione meticolosa, Deimos posizionò la sommità del coltello sotto quella del pezzo di legno. I suoi occhi e la sua mente non si distrassero nemmeno per un secondo durante il compimento di quell'azione. 
Le dita sudate della ragazza si strinsero attorno al tessuto nero, stropicciandolo e conferendogli una forma innaturale. 
Deimos posizionò un polpastrello sul lato visibile della scheggia e compì una leggera pressione contro la lama, di modo da bloccare quel frammento tra il suo dito ed il coltello. In contemporanea fece slittare il tutto verso l'alto, permettendo alla scaglia di cominciare a fuoriuscire. 
Le labbra di Gea assunsero una smorfia di dolore e la presa sulla maglia del ragazzo si fece più forte. 
Con lentezza la scheggia risalì lungo tutta la ferita fino ad abbandonare per sempre la fronte della giovane. Deimos estrasse l'ultimo millimetro con le dita sporche di sangue e lo sguardo vigile. Quel frammento era lungo due centimetri o poco più, e fortunatamente non sembrava essersi spezzato in nessun punto. 
Gea comprese che la sua tortura era terminata quando sentì il ragazzo lanciare il coltello sul tavolo. Istintivamente e col cuore più leggero, appoggiò la fronte sul petto di Deimos. Sospirò stremata e chiuse gli occhi, senza mai allentare la stretta sulla sua maglietta. 
Il giovane abbassò lo sguardo e le fissò i capelli. << Che stai facendo? >> le domandò con un tono duro. 
<< Grazie >> sussurrò piano lei, non spostandosi di un millimetro. Si sentiva stranamente bene in quella posizione, ma ciò che la faceva stare meglio era la consapevolezza che lui le fosse accanto. Non si spiegava il perché ed in quel momento non voleva nemmeno conoscerlo. 
Il ragazzo rimase immobile, ad osservarla dalla sua alta visuale per vari istanti. 
Quel contatto non gli stava dispiacendo, bensì l'opposto. Ogni volta che sentiva l'umana a contatto col suo corpo, la sensazione che provava gli piaceva e lo incuriosiva. Come ogni cosa a lui nuova e priva di spiegazione, anche questa lo faceva innervosire. 
Non sopportava l'idea di avere una parte di sé fuori controllo ed incapace da gestire. Non se la causa scatenante era una debole e sciocca umana. 
Con un veloce scatto degno di un temibile felino, afferrò la mandibola della ragazza e la costrinse ad alzare la testa. Una smorfia si affacciò sul volto della giovane che, nonostante gli occhi le fossero diventati pesanti, puntò lo sguardo in quello di lui. 
Deimos le rivolse un'occhiata raggelante, priva di umanità e colma di rabbia. Provava un odio profondo per quella ragazza. 
Lui non aiutava mai, ed invece fino ad un istante prima le stava medicando una ferita. Ancora una volta quell'umana lo aveva fatto agire diversamente da come era solito fare. Avrebbe voluto ucciderla, proprio in quel momento, proprio mentre lo guardava con quegli occhi annebbiati dalla stanchezza. 
Scese con la mano fino a posarla sul suo collo. Non strinse, non mosse un dito, rimase fermo ad osservarla. 
Il battito del cuore della ragazza aumentò la corsa. Teneva ancora stretta la maglia di Deimos, ormai inumidita dal sudore nel punto coperto dal suo palmo.  
Fece scivolare lo sguardo sulle morbide labbra del ragazzo, sigillate in una dura posa. Bramava ardentemente un contatto più ravvicinato, anche se in quel modo sarebbe venuta meno a tutte le regole che si era imposta di rispettare. Doveva ricordarsi di Brittany e non pensare ad altro. 
Lasciò la sua maglia ed abbassò la testa per evitare di cedere a quell'irresistibile tentazione. Deimos fece altrettanto, scostando di scatto la mano e dandole le spalle per recarsi nel salotto. Non doveva essere lui ad ucciderla, ci avrebbero pensato gli altri elementi. 
Fino a quel momento, avrebbe solo dovuto trattenersi. 










Angolo dell'autrice:

Buona domenica!!! :)
Vediamo se stavolta mi ricordo tutto quello che voglio dire... Andiamo con ordine. 
Malgrado questo capitolo sia più corto degli altri, come avrete notato, è di fondamentale importanza. Il vino bono sta nella botte piccola ;) 
Ahahahah, a parte questo momento di smatto... Deimos fa una cosa che MAI aveva fatto prima, e per prima mi riferisco a tutti i suoi... Ops, ma voi non sapete ancora l'età del nostro fusto... Muahahahahah!!! *rotola*
Mamma mia come sto diventando dispettosa e cattivella O.O ahahahah 
E pensare che avrei voluto fare un angolo dell'autrice serio... Ma Vabbé, abbiamo appurato più volte che tutti i miei piani sono destinati a fallire miseramente >.< 
Dunque torniamo a noi! Dicevo... ah sì, questo capitolo è di fondamentale importanza, perché da ambo le parti qualcosa sta cambiando *sguardo malizioso* 
*Si mette gli occhiali da sole e si stampa un sorriso sghembo in faccia* Gea comincia a sentire qualcosa di diverso per Deimos, qualcosa che va oltre l'odio. Non vi anticipo nulla, ma nel prossimo capitolo Gea entrerà proprio in crisi per questo fatto, fino a... Ops di nuovo, mi stava scappando qualcosa di grosso, ma che monella che sono... AHAHAHAH!! 
Come mi diverto male ahahahah
Comunque vi metterò uno spoiler sul gruppo di Facebook ^_^ e per chi non facesse parte del gruppo ma volesse conoscere lo spoiler, può mandarmi un messaggio privato o scriverlo nella recensione :D 
Insomma, provvederò in qualsiasi modo pur di tenervi aggiornate ;)
Ah, e preparate già da ora una poltrona comoda perché il prossimo capitolo non sarà lungo, di più! Una roba infinita! 
Arriviamo poi a Keep your eyes open \(^.^)/ come ho già fatto sapere sul gruppo, il capitolo è "work in progress" nel senso che non ho avuto molto tempo per scrivere dato che mi sto preparando per un esame e quindi lo sto ancora scrivendo. Mi mancano un po' di parti per completarlo, dato che sto cercando di farlo luuuuuuungo per ripagarvi in minima parte della luuuuuuuunga attesa. Tutto in proporzione ahahahah
Ma conto di finirlo questa settimana :) 
Ed adesso credo di aver detto davvero tutto... Miracolo!
GRAZIE DI CUORE della pazienza, delle recensioni stupende e di tutto!!!
GRAZIEEEEE!! <3
Un bacione enorme e a domenica prossima su questo fronte ;)


 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Mettetevi pure comode... Fatto? Perché questo capitolo è decisamente il più luuuuungo che abbia mai scritto ahahahah.
Un bacione a tutte e buona lettura!!!












Erano trascorsi tre lunghi giorni dalla mattina in cui Gea era caduta dalla sedia. 
Il pomeriggio di quella giornata si era trasformato in un vero e proprio inferno. Pochi minuti dopo che Deimos si era trasferito nel salotto, lui le aveva annunciato che l'addestramento sarebbe stato anticipato. 
Non le aveva dato modo di ribattere, le aveva afferrato un braccio e l'aveva trascinata in un luogo lontano e sconosciuto ai suoi occhi: la Valle del Fuoco, in Nevada. 
Un'immensa vallata di montagne rocciose dai colori più sfumati entro le gradazioni del rosso era apparsa sotto lo sguardo impressionato della ragazza. Millenni di azione di vento ed acqua avevano reso quello scenario talmente bello da mozzare il fiato, scolpendo ogni roccia di arenaria come fossero sculture. 
Fu proprio a causa di quegli attimi di estasi che Gea non ebbe la prontezza di ripararsi dal primo colpo del ragazzo. 
Per tutte e cinque le ore di allenamento, Deimos non le lasciò un solo secondo per riprendersi, bombardandola di attacchi ripetuti e violenti. Ogni qual volta cadeva a terra, lui le ordinava di alzarsi, ed ogni qual volta lei riusciva a colpirlo, lui l'attaccava con maggiore potenza. 
Vari scoppi risuonarono per la Valle del Fuoco durante quel pomeriggio. Cime rocciose franarono impetuosamente, fulmini pregni di elettricità squarciarono il cielo e lingue di fuoco riscaldarono l'ambiente. 
Per quanto la stanchezza della ragazza fosse insopportabile e le rendesse impossibile reggersi in piedi, fu sempre capace di non farsi toccare dal fuoco che Deimos richiamava per attaccarla alle spalle. Creò barriere di terra e destreggiò le potenzialità del suo elemento con maggiore facilità e sicurezza, rendendosi conscia dei progressi che stava compiendo.  
Di lì ai tre giorni successivi il ragazzo non la fece riposare un attimo. In ogni momento la sottoponeva a degli sforzi immani per il suo fisico già debilitato dalla fatica. 
Solo la mattina del quarto giorno le concesse di recuperare le energie, sospendendo temporaneamente l'allenamento. 
<< Posso farti una domanda? >> chiese ad un certo punto Gea, mentre si trovavano entrambi seduti sul divano. 
<< L'hai appena fatta >> le rispose atono, perseverando a mantenere lo sguardo sul soffitto. 
La ragazza corrugò la fronte e decise di voltarsi verso di lui, incrociando le gambe sul rivestimento sciupato del sofà.
<< Non era quella la domanda >> asserì stizzita.
<< Eppure il tono era interrogativo e hai chiesto se potevi farne solo una >> le fece presente, sollevando la testa e puntando gli occhi divertiti su di lei. << La prossima volta presta attenzione a ciò che dici. >> 
Gea storse la bocca e gli rivolse un'occhiata infastidita. Mai che le rendesse le cose facili, nemmeno nei momenti di pace. 
Sbuffò dal naso ed abbandonò l'idea di parlargli. Si sarebbe dedicata a qualcosa di certamente più fruttifero per se stessa, come medicarsi le ferite. Sperava di non rimanere troppo a corto di energie dal momento che quel genere di potere le risucchiava tutte le forze. 
Posò le mani sulle tempie e chiuse gli occhi, piegandosi leggermente in avanti. Aveva scoperto, qualche giorno prima, che se il suo influsso curativo veniva irradiato dalle tempie, ogni parte del suo corpo veniva sanata. Era come se una scarica le venisse trasmessa dalla testa sino alla punta dei piedi. 
Le sue mani divennero gradualmente più calde; la sua schiena fu scossa da un leggero tremito non appena il flusso invisibile cominciò a penetrarle nelle tempie e a propagarsi nel resto del corpo. Attraverso gli occhi della mente riusciva a vedere quanto quel manto curativo si estendeva dentro di lei, muovendolo ove ce n'era più bisogno e saltando in corrispondenza dei punti sani. Il tutto per calibrare l'assorbimento delle energie. 
Ogni più piccolo taglio si risanò con una velocità impressionante, ogni livido scomparì senza lasciare traccia del suo passaggio e tutti i dolori muscolari si spensero come la fiamma di una candela su cui viene soffiato un alito di vento.   
Con lentezza la giovane staccò le mani dalle tempie e sollevò le palpebre. 
Schiuse di poco le labbra per respirare affannosamente, come dopo una lunga e faticosa corsa, ed un brivido la scosse per intero. 
<< Quanta energia hai usato? >> le chiese Deimos, osservandola impassibile. 
<< Circa... >> Il fiato corto le impediva di parlare fluidamente. Tossì forte e si passò una mano sulla fronte sudata. Quella era la seconda volta che si curava integralmente, la prima le era capitata dopo il pomeriggio infernale nella Valle del Fuoco. In ambedue le circostanze aveva provato sia freddo che caldo contemporaneamente ed era stata in grado di percepire quanta energia avesse sfruttato per medicarsi. << Il cinquanta percento >> gettò fuori d'un fiato. Questa volta, però, si sentiva peggio della prima. Nonostante non avesse medicato niente di troppo grave le mancavano totalmente le forze. Aveva la bocca asciutta e priva di saliva, il cuore che batteva furiosamente e la vista a tratti annebbiata. 
<< Troppa >> asserì lapidario il ragazzo. << Considerato che l'ultima volta che hai usato questo potere risale a quattro giorni fa e che il tuo fisico non si è ancora ripreso. >> 
Gea si passò una mano sugli occhi e si sorresse la testa. Deimos aveva ragione. Aveva fatto troppo affidamento sulla sua facoltà, sfruttandola anche quando non era necessario. In quel momento stava pagando tutta la leggerezza con cui aveva agito.
Tossì di nuovo e stese le pesanti gambe per alzarsi dal divano. Aveva un urgente bisogno di mangiare e bere. Il suo corpo lo richiedeva a gran voce. 
Si sollevò faticosamente e mosse dei passi in direzione della cucina. Si sorresse alla porta e sbatté più volte le palpebre per mettere a fuoco la stanza. Chiuse gli occhi nel momento in cui fu investita da un capogiro tanto forte da farle attorcigliare lo stomaco. 
Si sentiva male, troppo male. Avrebbe voluto lasciarsi cadere a terra e rannicchiarsi su se stessa, in attesa di addormentarsi. 
<< Datti una mossa >> le sibilò Deimos, adesso vicinissimo al suo corpo.
<< Non... Non ce la faccio >> rispose lei con la bocca impastata e sollevando di poco le palpebre. Abbassò la testa e la scosse. << Gira tutto. >>  
Sentì il ragazzo muovere dei passi oltre di lei, ma non si curò di alzare lo sguardo per capire cosa stesse facendo. 
I suoni intorno si fecero sempre più ovattati e lontani, gli occhi le si chiusero completamente e la mente si apprestò a raggiungere lo stato confusionale antecedente ad uno svenimento.
Uno scroscio d'acqua ghiacciata le venne scagliato addosso con lo stesso impeto delle onde che s'infrangono sugli scogli. 
Si riprese di scatto, sbarrando gli occhi e rizzandosi dritta in piedi. Puntò lo sguardo su Deimos, che sorrideva soddisfatto e beffardo con un'enorme pentola in mano. Il secondo dopo la gettò malamente nel tinello, facendo rimbombare per la casa un fastidioso suono metallico. 
Gea strinse gli occhi in una smorfia seccata, dopodiché, quando la pentola smise di sbattere contro l'acciaio dell'acquaio, raggiunse il tavolo e si sorresse. << Mi sento molto meglio ora >> affermò mentre tante pesanti gocce picchiettavano sul pavimento. << Anche se credo che un po' meno acqua avrebbe sortito lo stesso effetto >> concluse spostandosi delle ciocche bagnate dal viso. 
Deimos scrollò le spalle con disinteresse e si appoggiò al pianale della cucina con il fondoschiena. Incrociò le braccia sul petto e lanciò uno sguardo dal basso verso l'alto alla ragazza, osservando come i vestiti le aderissero addosso. 
Gea non si accorse di quell'occhiata, troppo intenta ad impugnare un lembo della sua maglietta per strizzarlo e far cadere un fiotto d'acqua. Aveva trovato qualche indumento in un cassetto dell'armadio in camera, qualche giorno prima. Le magliette, tutte rigorosamente bianche, le stavano decisamente grandi ed i pantaloni rischiava di perderli ad ogni passo se non li bloccava sui lati con una molletta. 
Appena ebbe terminato di togliersi un po' d'umido di dosso, andò ad uno sportello della cucina e lo aprì. << Non c'è più nulla da mangiare >> notò sospirando. 
<< Cambiati >> le ordinò duramente Deimos. Non aggiunse altro, ma la ragazza capì nell'immediato che sarebbero andati a comprare qualcosa. 
Salì le scale a gran velocità, reggendosi i pantaloni come fosse stata un'ampia gonna ottocentesca, e corse nella sua camera. 




                                                                       *  *  *




Si materializzarono nel centro commerciale più lontano dalla contea di Scottsbluff, in modo da disperdere le loro tracce un po' ovunque. 
Gea si guardò attorno. Quel posto era gremito di gente, non le sarebbe stato troppo difficile perdersi. Gli occhi le caddero sulla mano di Deimos, vicina alla sua. 
Un secondo dopo si stava mentalmente dando della scema, offendendo il suo cervello per il raccapricciante pensiero che aveva formulato. 
Si passò le mani sopra i capelli raccolti in un'alta crocchia, in un goffo tentativo di dissimulare l'imbarazzo che l'aveva colta. Durante quel rapido sguardo alla mano di Deimos, il suo cuore aveva persino accelerato la corsa, e tuttora non sembrava essere intenzionato a darsi una calmata, il che contribuiva a farla innervosire. 
Camminarono sino all'ingresso del supermercato, Gea afferrò un carrello della spesa e raggiunse il ragazzo, che ovviamente non si era fermato ad aspettarla. 
Proseguirono silenziosamente per i lunghi ed ampi corridoi, fermandosi di tanto in tanto per acciuffare qualche confezione di cibo precotto, qualche altra di merendine ed alcune di frutta. Quando giunsero nella zona frigoriferi, Deimos si allontanò per prendersi due bottiglie di birra mentre Gea era intenta a scegliere il gusto del suo yogurt. La sua indecisione oscillava fra quello alla fragola, dolce e quasi stucchevole, e quello bianco, aspro e quasi amaro. Osservò entrambi i vasetti per svariati secondi, infine ripose quello alla fragola. 
Quando tornò al carrello, del ragazzo non c'era più alcuna traccia. 
La giovane spostò la testa in tutte le direzioni per rintracciarlo con lo sguardo. I capelli neri di Deimos non svettarono mai alla sua vista, così decise di uscire da quel corridoio per cercarlo negli altri vicini. 
Mentre il carrello scivolava tranquillamente sul pavimento lucente del supermercato, gli occhi di Gea individuarono lo scompartimento allestito per gli indumenti. 
Virò con violenza e ci si diresse a passo spedito. Non ricordava nemmeno più quand'era stata l'ultima volta che aveva sostituito la sua biancheria, le sembravano passati secoli. Superò di gran carriera tutte le persone intorno e si arrestò di scatto solo quando giunse dinanzi a ciò che le interessava. Si piegò sulle ginocchia ed afferrò due pacchi di mutandine, ognuna che ne conteneva quattro paia. Gettò il tutto nel carrello e si alzò in piedi alla ricerca di qualche reggiseno della sua taglia. Appena mise a fuoco il cartellino che ne indicava la terza, si precipitò a prenderne tre diversi. Erano sobri ma al contempo decorati da dei merletti dai colori tenui. Depositò anche quelli nel carrello e passò a squadrare ed analizzare i vestiti appesi. Non le interessava che fossero stupendi, ma essenzialmente comodi, anche se... una parte remota in lei desiderava che fossero altresì carini. Carini da vedere. 
Non voleva apparire agli occhi di Deimos come una barbona senza la minima cura di sé. 
Appena si rese conto del corso dei suoi pensieri, sbuffò sonoramente e riprese a darsi mentalmente della scema. 
Con lo sguardo passò in rassegna le varie magliette a maniche corte. Ne prese alcune con uno scollo a barchetta ed un tessuto più attillato sul resto del busto, altre più larghe e monospalla. Acciuffò anche due felpe, entrambe color verde scuro, ed infine si dedicò alla scelta dei pantaloni. 
Optò sia per dei comodi leggins neri che per dei jeans a sigaretta. Mise più paia di ambedue nel carrello e sospirò soddisfatta. Poteva ben dire di essersi rifatta l'armadio, e l'idea di poter finalmente indossare qualcosa di grazioso la rallegrava ulteriormente. 
Prima di uscire dal corridoio gli occhi le caddero su due paia di pantaloncini, uno nero e l'altro di jeans chiaro, ma entrambi con lo stesso particolare decorativo. La tasca sul sedere era infatti abbellita da un ricamo in stoffa ricalcante la forma dei fiori. Si avvicinò ad osservarli meglio e se li rigirò tra le mani, combattuta se prenderli entrambi. 
Di lì a poco sarebbe stata estate, e nonostante fosse solo maggio faceva già abbastanza caldo da potersi permettere un abbigliamento decisamente più estivo. Fu quel pensiero a convincere Gea a buttare anche quegli ultimi indumenti nel carrello.
Navigò per gli altri corridoi alla ricerca di Deimos. Ormai lo aveva perso di vista da più di un quarto d'ora ed era sicura che lui avrebbe ordito una qualche vendetta nei suoi confronti. 
Le sembrava incredibile il fatto che fossero già trascorsi tredici giorni da quando si erano incontrati, o meglio, scontrati. Malgrado l'odio che lei nutriva nei suoi confronti doveva ammettere che aveva cominciato ad abituarsi alla presenza del ragazzo. Ne avrebbe potuto fare volentieri a meno, specialmente durante gli allenamenti, ma ormai non sapeva immaginare una situazione come quella che le era toccata senza di lui. 
Anche se fin dall'inizio non aveva mai sprecato una mezza parola di conforto o d'incoraggiamento nei suoi confronti, era sempre stato capace di mostrarle la forza che risiedeva in lei coi fatti. Nel corso di quei giorni Gea aveva capito come Deimos non agisse mai con le parole, ma solo con eventi pratici. 
Lo individuò con la coda dell'occhio in uno scompartimento di abiti maschili. Deimos si volse a guardarla e camminò nella sua direzione, tenendo su una spalla alcuni vestiti che aveva scelto. 
Gea lo osservò per tutta la durata della sua avanzata sino al carrello. I capelli neri, la maglietta a maniche corte nera, i pantaloni neri e gli stivali neri uniti al color pece del suo enigmatico tatuaggio sull'avambraccio destro, lo rendevano irrimediabilmente irresistibile ai suoi occhi. Lo spesso velo di mistero e pericolo che lo ricopriva, poi, non faceva altro che incrementare quell'attrazione, quando invece avrebbe dovuto vedersi bene dallo stargli lontana. 
Deimos gettò i vestiti nel carrello e le rivolse un'occhiata penetrante. << Cosa manca adesso? >> 
La ragazza portò gli occhi nel ricolmo telaio di acciaio per farsi venire in mente cosa potesse mancare ancora all'appello. << Il bagnoschiuma, lo shampoo e il balsamo >> disse dopo qualche secondo di riflessione. 
Si avviarono nell'apposito scompartimento e Gea lasciò il manico del carrello per dirigersi sotto l'immenso scaffale contenente i più disparati e colorati saponi. 
Si sollevò sulle punte ed afferrò un bagnoschiuma al gusto di pesca, lo aprì e ne annusò l'odore. 
<< Scordatelo, non mi metterò mai addosso qualcosa che sa di zucchero >> la freddò Deimos, comparendo al suo fianco. 
<< Non sa di zucchero >> ribatté lei, guardandolo con astio. << Sa di pesca. >>
<< Che è dolce >> precisò il ragazzo, prendendo una tubo nero su cui compariva a caratteri cubitali la scritta "man". << Questo va benissimo >> asserì lanciandolo nel carrello. 
Gea sollevò un sopracciglio e strinse le labbra. << Non per mettere in discussione la tua vista, ma io ti sembro un uomo? No, perché hai appena preso un bagnoschiuma da uomo. >> 
Un sorriso beffardo si stampò sulla bocca del giovane. << E quindi? Problemi? >>  
<< Direi proprio di sì visto che se tu non vuoi profumare di pesca, io non voglio puzzare di uomo >> ribatté Gea, incrociando le braccia sul petto. 
<< Problemi tuoi, non miei >> tagliò corto lui, divertito dall'espressione minacciosa della ragazza. 
<< Bene >> asserì quest'ultima, stizzita. << Se la metti così, risolveremo il problema in modo molto civile >> affermò lanciando anche il suo bagnoschiuma nel carrello. << Tu avrai il tuo ed io il mio. >> 
La successiva scelta dello shampoo e del balsamo spettò solo a Gea dal momento che il bagnoschiuma di Deimos fungeva anche per i capelli e che lui non utilizzava il balsamo. 
<< Finito >> annunciò lei, una volta dopo aver posato l'ultimo flacone. << Possiamo andare a pagare. >>
Il ragazzo sollevò entrambe le sopracciglia e le rivolse un sorriso di scherno. Le afferrò un polso e l'attimo dopo il corridoio del supermercato fu sostituito dall'ingresso della loro piccola dimora. 
Gea per un attimo non disse una parola, la sua mente doveva ancora metabolizzare quel repentino cambiamento di panorama, dopodiché sgranò gli occhi e li puntò su Deimos. << Ma non abbiamo pagato! >> esclamò scandalizzata. << È contro la legge, ed io non ho mai trasgredito all'autorità. >>
<< Vivi in una casa non tua, sali su una macchina rubata... E mi vieni a dire che non hai mai trasgredito alla legge? >> le chiese con un sopracciglio ancora sollevato ed un mezzo sorriso divertito. 
Gea spostò lo sguardo sul muro vicino, pensierosa. << Be', un tempo non ero una criminale... >> borbottò. Un sorriso sfacciato si pennellò sulle sue labbra e riportò gli occhi in quelli accesi del ragazzo. << Ma sono sicura che giungerò all'apice di questa mia nuova carriera solo quando ti avrò ucciso >> affermò sicura. 
Deimos allontanò le mani dal carrello e le si avvicinò con passo cadenzato, senza mai interrompere il loro contatto visivo e contribuendo a far accelerare il battito cardiaco di lei. 
Quando le giunse davanti, Gea fu costretta ad alzare la testa per mantenere lo sguardo nel suo. 
<< Dimentichi sempre il solito particolare >> le soffiò sul viso con un sorriso sbruffone. << Potrei essere più veloce io. >> 
La giovane deglutì nonostante fosse a corto di saliva. La vicinanza di Deimos cominciava a farle uno strano quanto destabilizzante effetto. 
<< Vedremo >> rispose frettolosamente, scivolando di lato per liberarsi dalla gabbia costruita dal corpo di lui. Dedicò la sua attenzione al carrello e cominciò a svuotarlo in silenzio. 
Non le piaceva quella sconvolgente sensazione che provava in presenza del ragazzo. Da un po' di giorni aveva notato come il suo cuore fosse impazzito e come ogni fibra del suo corpo la spingesse ad instaurare un contatto fisico con lui. Non era normale. 
Appoggiò bruscamente i vestiti sul tavolo e passò a raccogliere le buste con la frutta. Si diresse ad aprire uno sportello e li posò all'interno. 
Lei lo odiava. Non gli stava nemmeno un po' simpatico, quello che provava nei suoi confronti era pura attrazione fisica. Su quel punto la sua mente aveva concordato già qualche tempo prima. Ma adesso doveva spiegarsi il motivo di ogni battito accelerato del cuore. 
Agguantò le confezioni di cibo precotto e le depositò nel frigo. 
Che cosa le stava succedendo? Probabilmente l'agitazione per la minaccia dell'elemento, lo stress provocato dagli strazianti allenamenti e la lontananza dalla sua routine quotidiana ormai morta e sepolta, l'avevano temporaneamente resa più fragile a livello mentale. Era per quel motivo che non riusciva a controllare il suo cuore ed i suoi assurdi pensieri su Deimos. 
Il ragazzo appoggiò una spalla al muro e continuò ad osservarla mentre lei si dava da fare a sistemare i viveri. I suoi poteri erano cresciuti drasticamente dalla prima volta in cui erano approdati nel Gran Canyon. Non sembravano nemmeno più appartenere alla stessa persona. Adesso era diventata capace di maneggiare il suo elemento e calibrarne la potenza, anche se con molti sforzi. Il fatto che lei disponesse di altre facoltà era sia un punto a favore che a sfavore. Da una parte le permetteva di disporre di più risorse, ma dall'altra le risucchiava con molta più rapidità le energie. 
In quei giorni l'aveva messa a dura prova, facendola allenare per più ore consecutive, con lo scopo di estendere la sua resistenza. Requisito fondamentale per non farsi uccidere nel giro di pochi minuti durante uno scontro.
<< Fatto >> annunciò Gea, stringendo il fiocco che aveva fatto su un fianco della maglietta. << Possiamo anche cenare adesso. Si sono già fatte le otto di sera >> dichiarò dopo aver lanciato un'occhiata al piccolo e malridotto orologio sopra il frigorifero. 
Deimos si staccò dalla parete ed entrò in cucina. Si accomodò su una sedia e piantò gli occhi sulla ragazza. << Allora muoviti a riscaldare qualcosa >> la spronò. 
Un sopracciglio di lei scattò verso l'alto. << Non sono la tua serva, se vuoi mangiare te lo devi preparare da solo. >> 
<< Qui chi fa le regole sono io >> ribatté lui, guardandola freddamente. << O ti sbrighi ad ubbidire o sarà l'ultima cosa a cui avrai il coraggio di opporti. >> 
<< Non mi fai paura >> contrattaccò Gea, incrociando le braccia sul petto e gettandogli un'occhiata di sfida. 
Deimos si aprì in un gelido sorriso. << Darò fuoco ai tuoi vestiti. >> 
La ragazza rimase immobile per qualche secondo, poi si voltò stizzita e raggiunse il frigorifero per prendere una confezione di verdura ed una di carne impanata. Richiuse con violenza lo sportello, facendo tremare le bottiglie di birra di Deimos, e tornò al piano da cottura. Acciuffò una padella e la sbatté su un fornello. << Odioso >> borbottò mentre accendeva il fuoco con un fiammifero. 
Il ragazzo si gustò l'intera la scena con un sorriso divertito sulle labbra. Godeva nel vedere come quell'umana perdesse le staffe ad ogni sua insinuazione o per qualsiasi suo stuzzicamento. Era sicuro che non se ne sarebbe mai stancato. 
Proseguì ad osservarla mentre faceva saltare gli spinaci nella padella con un'espressione indispettita. 
<< Almeno da bere lo prendi tu >> gli disse risentita. 
<< Potrei decidere di ridurre in cenere anche il tuo bagnoschiuma >> affermò prontamente lui, allargando il suo sorriso maligno. 
<< D'accordo >> tagliò corto Gea, spegnendo la fiamma con uno scatto. << Stai pure comodo. >>
Si diresse a prendergli la birra dal frigo e gliela piantò davanti alla faccia, lanciandogli contemporaneamente uno sguardo di fuoco. Riempì per se stessa un bicchiere con l'acqua della cannella ed infine posò i piatti e le posate sul tavolo. 
Trasportò la padella con la carne e quella con gli spinaci su dei piccoli pezzi di stoffa che aveva trovato in un cassetto e si sedette sulla sedia con un sospiro. 
La fame le stava annebbiando la vista ed aumentare la salivazione. Benché si fosse ripresa con lo scroscio di acqua ghiacciata, sentiva l'impellente bisogno di mangiare qualcosa per recuperare le forze. 
Aspettò che Deimos finisse di riempirsi il piatto e successivamente infilzò una fetta di carne per passarla nel suo. 
Dopo il primo boccone sollevò lo sguardo sul ragazzo. << Dov'è che vai tutte le sere? >> gli chiese con curiosità. Giorni prima si era accorta che ogni notte Deimos usciva con la macchina e tornava solo alle prime luci dell'alba, a volte più tardi. Riposava qualche ora nell'altra camera della casa e dopodiché la torturava con l'allenamento. 
Il ragazzo portò i suoi zaffiri nelle gemme d'ambra di lei e scolò un sorso di birra. << In un pub >> rispose conciso. 
Gea ingoiò un nuovo boccone ed abbassò gli occhi sul suo bicchiere. << Voglio venirci anch'io stasera >> sentenziò mentre metteva una forchettata di spinaci nel suo piatto. 
Deimos non rispose e non accennò alcun segno di opposizione, si limitò a mangiare come lei. 
Un quarto d'ora più tardi la ragazza stava sciacquando le stoviglie con il poco detersivo al limone che aveva trovato nello sportello sotto il tinello. Deimos si era invece trasferito sul sofà, come al solito nella sua posa disinvolta. Gambe aperte, braccia sulla testata del divano e sguardo perso sul soffitto. 
La ragazza gli lanciò una breve occhiata. Avrebbe desiderato conoscere quali pensieri gli frullassero per la testa, il perché di quello sguardo assorto e soprattutto cosa combinava tutta la notte in un pub. Ma quello lo avrebbe scoperto quella sera stessa. 
Si asciugò le mani in uno straccio ed uscì dalla cucina con i suoi vestiti nuovi sulle braccia. << Vado a prepararmi >> annunciò senza essere minimamente presa in considerazione. 
Non se ne curò più di tanto, ormai ci era abituata. Salì in fretta le scale e si chiuse nella sua spaziosa camera. 
Voleva indossare qualcosa di carino, ma non troppo elaborato, per non dare l'impressione di aver speso del tempo a pensarci. 
Dispose sul letto tutti i capi che aveva preso. Osservò i jeans, ma il suo sguardo saettò subito sui pantaloncini neri. Sarebbero stati eccessivi? Nella sua mente già si vedeva con quegli shorts, la larga maglietta grigia monospalla, il suo giubbotto di pelle nero e gli stivaletti. Quell'abbinamento le piaceva da impazzire. Ma forse sarebbe stato meglio qualcosa di più sobrio? Non era mai stata in un pub, ma era certa che non ci andassero persone altolocate e di buon costume. 
E se avesse avuto freddo? Di giorno faceva abbastanza caldo, ma la sera le temperature precipitavano di qualche grado. Per togliersi ogni dubbio si avviò alla finestra e l'aprì, mise fuori la testa ed inspirò a pieni polmoni. Constatò che non faceva affatto freddo, solo un debole vento tiepido rendeva l'aria meno calda e pesante. 
Richiuse la finestra e tornò ad osservare i vestiti sparpagliati sul materasso. E meno male che non avrebbe dovuto starci a pensare troppo. 
Si sfregò le dita sulla bocca in un gesto nervoso e spostò lo sguardo da destra a sinistra. Infine afferrò i pantaloncini e la maglietta che aveva selezionato. Cambiò rapidamente anche la biancheria e si vestì in fretta. Corse al bagno e si scrutò nello specchio. Aveva ancora i capelli raccolti nella crocchia, solo che adesso alcuni ciuffi uscivano disordinatamente conferendole un'aria più stanca. 
Tolse l'elastico e si pettinò i capelli con le mani, dopo aver appurato che nei cassetti dell'unico piccolo mobile attaccato alla parete non ci fosse nulla. 
Li scotolò più volte a testa in giù ed infine, con un colpo secco, rizzò il capo. Riprese a passarci le dita per donargli un'aria più ordinata ed infine se li passò su una spalla. 
Pizzicò le guance per farle arrossare, si osservò un'ultima volta e saettò nuovamente nella camera per indossare il giubbotto e prendere la borsa. 
<< Ho fatto >> asserì mentre scendeva di corsa per le scale. Deimos spostò gli occhi su di lei e rimase a fissarla, facendo scorrere lo sguardo per tutta la sua altezza. 
Prima che Gea spostasse la testa verso di lui, Deimos aveva già distolto i suoi zaffiri. Si alzò dal divano e la precedette mentre uscivano di casa e salivano sull'auto.
<< Perché prendiamo la macchina? >> domandò la ragazza, chiudendo lo sportello. 
<< Mi piace l'alta velocità >> le rispose conciso. 
Deimos avviò il motore ed uscirono dalla piccola via in retromarcia. 
La giovane si schiarì la voce e puntò gli occhi, aperti come fanali, sulla strada deserta davanti a loro. << Quanto alta? >> domandò con un filo di voce. Si stava già pentendo della sua scelta di seguirlo. 
Un mezzo sorriso divertito si affacciò sul volto del ragazzo nel momento in cui premette sull'acceleratore. << Il massimo. >>
<< Oh mio Dio >> bisbigliò piano lei. Si voltò di scatto ed impugnò il tessuto della cintura per allacciarsela. Sospirò lentamente e bloccò le mani sudate sotto le gambe. 
Non le sarebbe potuta venire un'idea peggiore. Seguire un pazzo assassino amante della velocità sostenuta. 
Deimos sterzò ad una curva ed ingranò la quarta, sprofondò quasi completamente sull'acceleratore e la macchina emise un rombo metallico simile ad un ringhio. 
Mentre saettavano veloci, quasi volando sull'asfalto, il ragazzo volse la testa per guardare la giovane. Avvertiva la sua paura diffondersi nell'abitacolo, il che lo divertiva sfacciatamente. 
Nel vederla in una posa rigida, con gli occhi sgranati e che deglutiva pesantemente, gli scappò un sorriso. 
Gea girò il capo verso il ragazzo, ma sembrò non vederlo realmente, dopodiché tornò a guardare la strada. Un secondo dopo, ripresasi dal suo torpore, fece calamitare i suoi occhi su Deimos e, se possibile, li spalancò ancora di più. << Ma guarda la strada! >> gridò indicandola con un braccio. 
Per la prima volta, le orecchie della ragazza udirono la risata di Deimos. Era una risata profonda, divertita ed indubbiamente attraente. 
Gea mostrò nonchalance e si risedette composta sul sedile; in realtà quel suono ilare uscito dalla bocca del ragazzo le aveva fatto accelerare il battito del cuore e tingere le guance di un lieve rossore. 
Ora che ricordava meglio, non era la prima volta che lo sentiva ridere. Quando le aveva tagliato i capelli aveva udito una risata cristallina accanto all'orecchio, ma in quel momento lui aveva riso per qualcosa che aveva fatto da solo, e non per qualcosa che lei aveva detto. 
Quel pensiero la fece agitare ancora di più e sentì distintamente il rimbombo del suo cuore nelle orecchie. 
Persa nei suoi pensieri non si accorse di quando Deimos ingranò la quinta, di quando la macchina raggiunse il massimo di velocità, di quando uscirono dall'autostrada e di quando parcheggiarono dinanzi ad un locale rivestito da sudici pannelli neri. 
Si risvegliò solamente appena sentì la portiera del ragazzo spalancarsi. Sobbalzò sul posto e slacciò velocemente la cintura per seguirlo sul marciapiede. Non aveva la minima intenzione di rimanere da sola in quel posto poco illuminato e ricolmo di gente che fumava e beveva come se non ci fosse un domani. 
Si accostò al suo fianco e, prima di entrare nel pub, si volse a guardare il parcheggio. 
Per lo più si trovavano uomini seduti sulle loro ingombranti moto. Ognuno con qualche strano alcolico tra le mani, i vestiti sudici ed un sigaro tra le labbra. Il cemento era disseminato di mozziconi di sigarette e di verdi pezzi di vetro, che risplendevano come gocce di rugiada sotto la fioca luce dei lampioni. 
Rabbrividì d'istinto e lasciò che la porta le si chiudesse alle spalle. Una volta dentro, per poco non vomitò a causa del forte odore di fumo che aleggiava sospeso nell'ambiente. 
Tossì violentemente e continuò a marciare dietro la schiena di Deimos, gettandosi occhiate intorno per una panoramica più completa del locale. 
Era piuttosto grande, ma sudicio ed ammobiliato senza gusto e criterio. Divanetti rossi spiccavano come una goccia d'inchiostro nero su un foglio bianco, i faretti incassati nel basso soffitto proiettavano una soffusa luce verde, tanto fastidiosa quanto sgraziata, ed il lungo bancone in legno su cui venivano posati gli alcolici era ricolmo di polvere ed incisioni fatte col coltello. I disseminati tavoli da biliardo, ormai scoloriti e sciupati dal tempo, raccoglievano intorno a loro uomini amanti del gioco d'azzardo che ad ogni turno sbattevano sul piano delle banconote stropicciate. 
Lungo le luride pareti un tempo bianche, erano incassati i divanetti rossi e i tavoli in legno scuro su cui altri uomini, spalleggiati da svestite cameriere del pub, si sfidavano in giochi di carte. Urla, musica, rumori di vetro in pezzi e di palmi sbattuti sui pianali risuonavano per quell'ambiente caotico. 
Deimos si andò a sedere su un divanetto, il cui corrispondente tavolo aveva già tre giocatori. Lui divenne il quarto, lasciandola da sola in quella bolgia. Non la degnò di uno sguardo, nemmeno quando lei lo fissò con astio. Prese le carte che gli venivano consegnate e gettò sul tavolo una banconota da cinquanta dollari.
<< Qui si gioca peso, ragazzi >> gridò un uomo, con ilarità, alla vista di quel denaro. Gli altri si accesero le loro sigarette e versarono sul pianale di legno altri soldi. 
Gea sbuffò sonoramente e si andò a sedere su uno sgabello girevole del bancone, poco distante dal tavolo di Deimos e da cui poteva avere una perfetta visuale di lui. 
<< Qualcosa da bere, bellezza? >> le domandò l'uomo sulla cinquantina dietro il banco. 
La ragazza scosse il capo e mantenne lo sguardo fisso sul ragazzo. Gli avrebbe voluto staccare le gambe e le braccia in quel momento, ma dopotutto era stata lei a volerlo seguire. Non doveva certo aspettarsi che lui le stesse accanto. Deimos si stava comportando come se lei non esistesse. 
Lo vide lanciare l'ultima carta che gli era rimasta in mano e sorridere sghembo. Aveva vinto. 
Gli altri tre batterono i pugni sul tavolo e mostrarono la loro indignazione con urla ed insulti a chissà quale divinità. Uno dei tre si tolse la sigaretta di bocca e la scagliò malamente sul pavimento, non premurandosi di spegnerla. 
Riniziarono a giocare e Deimos mise in palio tutto ciò che aveva appena conquistato, facendo brillare tre paia di occhi. 
Mentre Gea seguiva ogni mossa del loro gioco, specialmente quelle compiute dal giovane, i suoi occhi furono calamitati da una ragazza in abiti succinti che si avvicinava a passo spedito al loro tavolo. Si sedette accanto a Deimos e gli passò una mano sui pettorali, per poi sorridere maliziosa e sussurrargli qualcosa nell'orecchio con le sue labbra vermiglie.
Nel momento in cui lui sorrise, Gea fu seriamente tentata di scagliare un fulmine sulla testa di entrambi. 
Contrasse la mascella per il nervoso e si voltò a guardare il barman. << Ehi, tu, dammi qualcosa da bere >> ordinò incollerita. 
L'uomo le ammiccò con un sorriso e si apprestò a prepararle la sua specialità. 
Gea non gli prestò molta attenzione, perché riportò subito gli occhi sui due. Adesso la ragazza rideva e si rigirava fra le mani una bottiglia di birra. Ne bevve un lungo sorso ed accavallò le gambe guardando intensamente il giovane, il cui sguardo si fece spavaldo nel momento in cui vinse per la seconda volta. 
Altre urla indignate si sollevarono nell'aria insieme alle scie di fumo spirate dalle sigarette. 
Deimos sorrise sbruffone mentre gli altri tre esigevano la rivincita. Con un gesto del capo gli concesse ciò che volevano e rimise il bottino al centro del tavolo. 
<< Ecco a te >> la distrasse il barman, mettendo sul sudicio bancone il suo bicchiere. Gea lo strinse senza chiedersi cosa ci fosse al suo interno e ritornò a guardare la scena. 
La giovane svestita passò un braccio sulle spalle di Deimos e quest'ultimo le strappò la bottiglia di mano per berne qualche sorso. Lei sorrise melliflua e si chinò a baciarlo sul collo. 
Per poco a Gea non partì un embolo alla vista di quel gesto, così avvicinò la bocca al suo bicchiere e ne buttò giù un lungo assaggio. 
Quando ebbe deglutito abbassò lo sguardo per osservare il suo drink. Era quasi amaro, ma il sapore non le dispiaceva affatto. Tutto lo zucchero a cui i suoi occhi avevano assistito l'aveva già schifata abbastanza. 
<< Ehi dolcezza >> l'appellò un uomo sulla trentina, sedendosi sullo sgabello difronte al suo.
Una smorfia infastidita si affacciò sul viso della ragazza. << Tutto ma non dolcezza >> si lamentò bevendo un nuovo sorso. 
L'uomo rise ed appoggiò un gomito sul bancone, per osservarla. << D'accordo, non ti chiamerò più così >> affermò mettendo le mani avanti, divertito. << Perciò posso sapere il tuo nome? >> 
Lei abbassò il bicchiere e se lo rigirò tra le mani. Piantò gli occhi in quelli neri e vispi dell'uomo e rimase in silenzio per un attimo. << Clara >> mentì alla fine, senza battere ciglio. Stava cominciando a venirle più naturale dire bugie. Tanto che a volte non capiva nemmeno lei se quel labile confine tra vero e falso lo avesse superato oppure no. Soprattutto quando ciò riguardava i suoi pensieri su Deimos. 
<< Piacere Clara, io sono James >> si presentò il tipo, porgendole la mano. 
<< Piacere >> rispose incolore lei, dandogli la stretta. 
<< Che ci fa una ragazza come te in un locale come questo? >> le chiese indicando con un braccio il caos che regnava attorno. 
Gea lanciò un'occhiata oltre le spalle di James per controllare quali altre libertà si stesse prendendo la svestita. Il suo cuore ebbe un violento sussulto quando vide che la ragazza era passata a toccarlo sotto la maglietta e che Deimos le stava massaggiando una coscia. 
Si schiarì la voce e riportò gli occhi sull'uomo. << Mi ero persa con la macchina e sono entrata qua per chiedere delle informazioni >> rispose prima di scolarsi tutto il contenuto del bicchiere.
<< Dovevi essere assetata >> notò James, sorridendo divertito. 
<< Sì molto >> asserì convinta Gea, annuendo vigorosamente. Perché la sua mente non registrò quelle parole come assetata di liquidi, ma di vendetta. << E tu come mai ti trovi qui? >> gli chiese, sentendo le sue guance riscaldarsi per via dell'alcool che stava rapidamente entrando in circolo. 
<< Ogni tanto passo da queste parti per aiutare mio zio con la gestione del bar >> le spiegò con una scrollata di spalle. Si aprì in un sorriso malizioso e le scoccò un'occhiata esaminatrice mentre lei si toglieva la giacchetta di pelle. << E credo proprio di aver scelto la serata giusta. >> 
Gea si sventolò con una mano a causa del caldo soffocante che l'aveva colta e rise per l'affermazione dell'uomo. << La serata giusta per cosa? >> 
James si sollevò di poco dallo sgabello ed avvicinò la bocca al suo orecchio. << Se vuoi te lo mostro >> sussurrò sfiorandole con la punta del naso la spalla scoperta.   
La ragazza si ritrasse al suo tocco, ma una spinta da dietro la sospinse in avanti, così le labbra dell'uomo si scontrarono con la sua calda pelle. James scambiò quello scatto improvviso per un incitamento e la baciò sulla spalla. 
Un brivido di disgusto attraversò il corpo della ragazza, che pose le mani sul petto dell'uomo per allontanarlo. Credette di possedere una forza fuori dal comune quando, appena dopo il contatto con la maglietta di James, questo venne sbalzato all'indietro e gettato sul pavimento. 
Ma nel momento in cui il suo sguardo si abbatté su Deimos, i cui zaffiri sembravano fusi in un fuoco ardente, si rese conto che non era stata lei a compiere quell'azione. Il ragazzo mosse dei rapidi passi verso di lei, le afferrò un polso stringendolo con forza e la trascinò fuori dal locale. Non si diressero alla macchina, ma camminarono nel buio della notte per qualche metro; infine lui la spinse in uno stretto vicolo lontano dalla vista di tutti. L'attimo dopo approdarono nella loro casa. 
Le luci erano spente e l'oscurità regnava incontrastata, ma come sempre il candido bagliore della luna rendeva più visibile l'ignoto. 
Gea ritrasse la sua mano e si sfregò il polso dolorante. Lanciò il giubbotto e la borsa per terra e camminò nell'ingresso. Deimos le sbarrò il passaggio e la spinse malamente indietro. << Dove credi di andare? >> le chiese con durezza. 
<< A dormire, così tu poi tornare dalla svestita >> replicò stizzita lei, cercando di superarlo.
Il ragazzo incrociò le braccia sul petto e si spostò di lato, impedendole di avanzare. << Perché tu saresti vestita >> ribatté guardandola con scetticismo. 
Gea alzò la testa di colpo e catturò gli occhi del ragazzo in uno sguardo colmo d'ira. << Mi stai paragonando a quella? No perché se è così puoi anche dirlo chiaramente >> affermò gesticolando. Sospirò e scosse il capo. << Sono stufa di te >> sbottò tremando. L'alcool le stava rendendo più difficile mantenere la concentrazione, cominciava a non capire nemmeno lei cosa le sue labbra stessero confessando. << Devi lasciarmi in pace, sei sempre... >> Fece roteare gli occhi seccata e sbuffò rumorosamente. << Dentro >> concluse in un lamento. Dentro alla sua testa ed insediato in ogni pensiero. Lo odiava per quell'effetto che riusciva a scatenare su di lei, incanalando le sue riflessioni verso un'unica direzione. << Vattene >> disse con un filo di voce, battendo un pugno sul suo petto. << Devi sparire >> continuò con più vigore, ringhiando fra i denti. 
Doveva vaporizzarsi dalla sua mente e non lasciare traccia del suo passaggio. Doveva lasciarla libera di vivere la sua vita come aveva sempre fatto. Doveva allontanarsi da lei il più possibile, perché la sua vicinanza cominciava a turbarla emotivamente e non più solo fisicamente. Doveva dissolversi nel nulla come un'ombra nel buio. 
Deimos le agguantò entrambi i polsi e li strinse, dopodiché la fece retrocedere fino al muro e glieli bloccò sopra la testa. << E se anche fosse? >> le domandò con cattiveria a pochi centimetri dal viso. << Se ti stessi paragonando a quella? >> 
Gea contrasse la mascella ed incatenò i suoi furenti occhi negli zaffiri brucianti di lui. << Preferirei la morte >> sputò sdegnata. 
<< Potrei accontentarti >> contrattaccò tagliente il ragazzo. 
<< E allora fallo! >> sbraitò lei, tentando di riprendere possesso delle sue mani. << Muoviti! Nessuno te lo impedirà! >> 
Il tempo parve fermarsi mentre i loro sguardi rimanevano incastrati l'uno in quello dell'altra. Entrambi tesi come corde di violino dal nervosismo lampante. 
La notte li avvolgeva coi suoi brillanti occhi come una silenziosa spettatrice, ed il debole vento sembrò arrestarsi per trattenere il respiro. 
Improvvisamente Deimos incollò le labbra a quelle della ragazza. Gea si ritrasse di scatto, ma lui non le permise d'interrompere il bacio violento che aveva innescato. 
Le lasciò i polsi e fece passare un braccio dietro la sua schiena per attirarla a sé. Le lambì le labbra con urgenza e la schiacciò alla parete, non concedendole vie di fuga. 
La giovane si ritrovò a rispondere a quel contatto, dapprima con lentezza, ma poi con maggiore vigore, alzandosi sulle punte ed artigliando le mani sulle sue spalle. 
Deimos la sollevò da terra, permettendole di intrecciare le gambe attorno ai suoi fianchi, e la trasportò a tentoni per l'ingresso. La schiena di lei sbatté contro un altro muro e quest'ultima mugolò di dolore sulla bocca del ragazzo. Interruppe il bacio e si distanziò di qualche centimetro dal suo volto. 
Quegli zaffiri accesi e liquidi le scossero le membra, facendola rabbrividire. Il cuore le batté più rapidamente, lo stomaco le si contrasse e le guance le si colorirono di rosa. Scosse la testa, frustrata da quelle inspiegabili emozioni, ed appoggiò la fronte sulla spalla di Deimos. << No, no >> biascicò in un lamento. 
<< Ti ha baciata? >> le chiese di punto in bianco, con un tono roco e freddo. 
Il battito di Gea si velocizzò ulteriormente e sollevò la testa per riportare gli occhi in quelli di lui. << E a te che importa? >> gli domandò con un cenno del capo. 
Deimos la fece scivolare di colpo contro la parete e le prese la mandibola in una mano, stringendola. << Vi ammazzo entrambi >> le sibilò con un tono da brividi. I suoi occhi erano duri e penetranti come lance di piombo. << Rispondi >> ordinò aumentando la presa e facendo dolere la ragazza. 
<< Non mi ha baciata >> buttò fuori lei, scacciando la sua mano con uno schiaffo. 
Un sorrisino inquietante si affacciò sul viso del giovane. << Non le sai dire le bugie >> la ghiacciò prendendole l'avambraccio destro e rigirandoglielo dietro la schiena. 
Malgrado i modi discutibili, quelle parole la fecero emozionare. Perché si rese conto che Deimos era la sola ed unica persona capace di smascherarla quando mentiva, sebbene avesse imparato a dire bugie con più maestria. 
<< Dimmi dove >> proseguì il ragazzo, fissandola trucemente. << O ti spezzo il braccio. >> 
Gea non rispose, mantenne lo sguardo dritto nel suo per vari istanti, scrutando ed analizzando ogni sfumatura dei suoi occhi furenti. La pupilla era leggermente dilatata ed il blu notte delle iridi sprizzava lampi di elettricità e stoccate di fuoco. 
Scottata da quella vista, si ritrovò ad abbassare la testa e ad indicare con un cenno la spalla scoperta. Non capiva a cosa gli servisse sapere dove l'uomo l'aveva toccata; per quanto quel contatto l'avesse disgustata, nemmeno lei se ne curava ormai più di tanto.  
Gli occhi di Deimos furono calamitati dal punto indicato. Si fece più vicino ed appoggiò la bocca sulla base del collo di Gea, schiuse le labbra e ne assaporò il sapore con la punta della lingua. La ragazza abbassò la testa e sfiorò col mento la sua tempia, lasciandosi sfuggire un gemito appena lui scese a lambirle ogni centimetro di pelle sulla spalla. 
La gustò con avidità, non permettendo che un solo millimetro rimanesse immune al suo tocco e al suo marchio. Le morse piano la clavicola e successivamente la leccò. Risalì sfiorandole il collo con la punta del naso e portò le labbra a qualche centimetro da quelle della ragazza. << Altri punti? >> le chiese rauco e deglutendo. Stava facendo appello a tutto il suo autocontrollo per non gettarsi sulla bocca della giovane; il che contribuì ad aumentare il suo impellente desiderio di lei.  
Gea mantenne lo sguardo sulle labbra di Deimos e scosse piano la testa. Solo a quel punto lui le lasciò il braccio, la staccò dalla parete e la trascinò sino al divano. La distese sotto di sé con poca delicatezza e riportò la bocca sulla sua. 
La ragazza gli strinse le braccia attorno al collo e sollevò la testa per assecondarlo ed approfondire il contatto. Deimos introdusse la lingua nella sua bocca ed abbassò il petto per farlo incontrare con quello di lei, provocando ad entrambi un brivido di eccitazione.
Nello stesso istante si allontanarono l'uno dalla bocca dell'altra, come se per la prima volta i loro pensieri fossero stati sintonizzati sullo stesso canale. 
Due accesi e velati zaffiri si scontrarono con due lucenti frammenti d'ambra. I loro respiri agitati si fecero padroni della scena, scoppiando la bolla di silenzio nella stanza. Rimasero in quella posizione, immobili, per più di un minuto, poi Gea abbassò lo sguardo sulla maglietta di lui ed allungò le mani verso un suo lembo. 
La trascinò verso l'alto con una lentezza disarmante, approfittandone per sfiorargli la pelle con le nocche. 
Se lui aveva voluto precedentemente ricalcare sul punto in cui James l'aveva toccata, lei voleva fare altrettanto su ogni centimetro tastato dalle mani della svestita. 
Deimos la fissava con la sua solita impassibilità mentre lei gli faceva arrivare la maglia sui pettorali. Si sollevò di poco e se la fece sfilare, dopodiché assecondò la ragazza nel ribaltamento delle posizioni. Gea si sedette sul suo bacino ed adagiò le mani sul suo petto, lo guardò intensamente e da ultimo si allungò per far combaciare le loro labbra. Deimos le andò in contro alzando la testa e passandole una mano tra i capelli per tenerla ferma. 
Si stuzzicarono a vicenda, marcando con la punta della lingua i contorni della loro bocca e mordendosi le labbra quando esigevano un contatto più profondo.
La ragazza fece scivolare la bocca sul collo di Deimos, riempiendolo di baci e dedicandosi con maggiore cura sui punti che aveva visto essere stati toccati dalla svestita. Passò la lingua su una lunga striscia di pelle e si precipitò ad assaporare quella di un pettorale. 
Il ragazzo aprì le labbra e ne uscì un verso gutturale. 
Quell'umana gli faceva un effetto totalmente diverso rispetto a tutte le altre. Riusciva a fargli perdere la testa con un bacio ed il controllo con un tocco; ed inoltre lui cominciava a sentire l'insopportabile necessità di sentirla vicina e solo sua. 
Le ancorò le mani sui fianchi, si sollevò a sedere e con bramosia le tirò la maglia verso l'alto. Gea interruppe il suo minuzioso lavoro per alzare le braccia e farsi scivolare via la maglietta. Deimos gettò quell'inutile ostacolo per terra e fece navigare le dita fino all'impedimento del reggiseno di lei, dopodiché avvicinò la bocca e la baciò poco sotto la stoffa. 
La ragazza gli passò le mani tra i capelli e strinse alcune ciocche, mentre lui stava lentamente raggiungendole l'ombelico. Le fece inarcare la schiena ed insinuò la lingua nella sua cavità sulla pancia, facendole scappare più di un gemito. 
Ci si dedicò per svariati secondi, torturandola piacevolmente, infine risalì con la bocca, marcando il passaggio dei suoi bollenti baci su vari tratti della sua pancia.
Con una spinta sulla spalla, Gea lo fece distendere di nuovo e si gettò su di lui. Il ragazzo le strinse la schiena tra le sue forti braccia, bloccandola contro di sé, e si avvicinò per far scontrare le loro labbra. 
Un bacio passionale e frenetico fu quello che scaturì dal loro contatto. 
La mente della ragazza era ormai annebbiata dal piacere, tanto che non le importava più nulla se Deimos era colui che fino a poco prima l'aveva fatta soffrire. In quel momento avrebbe potuto dargli tutta se stessa. Desiderava il ragazzo più di chiunque altro, ma non solo da un punto di vista fisico. Le sarebbe piaciuto potersi svegliare la mattina ed averlo accanto, e non saperlo nel letto di un'altra. Le sarebbe piaciuto che lui la guardasse con occhi diversi, e non solo come una debole umana. Le sarebbe piaciuto che il suo duro cuore, in quegli istanti, battesse forte, e non che lo facesse solo il suo. 
Con un velo di tristezza, interruppe il bacio. 
Nella penombra di quella stanza, due respiri agitati si confusero come correnti opposte di un vento e due paia di occhi si esaminarono minuziosamente. 
Gea deglutì in difficoltà e sospirò piano nel momento in cui abbassò lo sguardo sulle sue mani. Che cosa le stava succedendo? Non riusciva a capirsi. Si sentiva persa in una fitta nebbia, senza sapere dove andare e senza una luce che le desse qualche indizio.  
Odiava non avere risposte immediate. Aveva sempre avuto i suoi pensieri e la sua vita sotto controllo, quel repentino cambiamento la faceva sentire spaesata. 
Deimos continuava a fissarla con la sua solita impassibilità. Leggeva nel volto di lei che qualcosa la stava turbando. Ma a lui non interessava. Ciò che desiderava era il puro ed unico soddisfacimento fisico. Non gli importava di conoscere i pensieri di quella stupida umana, né tantomeno i suoi problemi. 
Così sarebbe dovuto essere. 
Invece il ragazzo si ritrovò ad essere curioso di quel velo di tristezza che le aveva adombrato gli occhi. 
Risalì la sua schiena con una mano e le afferrò i capelli, per poi tirarli malamente e farle alzare la testa. Gea fu costretta a riportare gli occhi nei suoi con una smorfia di dolore. 
<< Parla >> le comandò freddamente. 
Un sopracciglio di lei scattò verso l'alto. << Ciao >> pronunciò. 
Deimos diede uno strattone ai suoi capelli. << Mi stai prendendo in giro? >> le ringhiò in faccia. 
Un sorriso beffardo si stampò sul volto della giovane. << Mi hai detto di parlare ed io l'ho fatto. La prossima volta presta più attenzione a ciò che dici >> concluse, ripetendo la frase che lui le aveva rivolto quel pomeriggio.
Sulle labbra del ragazzo spuntò un mezzo sorriso di sfida. << Stai infrangendo la prima regola. >>
<< Anche tu stai infrangendo una delle mie regole >> gli fece notare, restituendogli uno sguardo competitivo. 
<< E cioè? >> le chiese alzando un sopracciglio. 
<< Tieni le tue mani lontane da me >> ribatté lei, perdendo qualsiasi tipo di sorriso. Da un lato desiderava avere le sue mani sul suo corpo, ciò la faceva stare bene, ma dall'altro lo detestava perché sapeva che lui era mosso solo da una ricerca di appagamento fisico. 
Un sorriso sbruffone apparve sulla bocca di Deimos. << Solo che io non devo temere le conseguenze. >>
<< Tu credi? >> gli domandò scettica. Un attimo dopo la terra tremò violentemente ed un boato simile ad un tuono risuonò per la valle deserta, giungendo sino a loro. << Io no >> asserì Gea, guardandolo con un misto di sicurezza e superiorità. 
Il giovane le lasciò i capelli e fece scivolare le dita al di sotto, stringendole attorno al suo esile collo. << Forse ci tieni a replicare il modo in cui ti sei addormentata qualche giorno fa >> la minacciò, facendo una leggera pressione con la mano ed avvicinando il collo di lei alla sua bocca. Schiuse le labbra su un lembo di pelle e ne tracciò il contorno con la punta della lingua. 
<< Non puoi fare così >> sussurrò la ragazza, faticando a rimanere concentrata. 
<< Cos'è che non posso fare? >> le chiese all'orecchio in un roco bisbiglio, prima di morderle il lobo. 
<< Non puoi fare questo >> rispose Gea, abbassando la testa sul suo collo per baciarlo lascivamente. << E nemmeno questo >> mormorò contro il suo lobo, prima di morsicarlo.
Deimos capovolse rapidamente le posizioni, imperando sopra di lei. << E se invece volessi farlo? >> le domandò con uno sguardo perforante. 
Il cuore della ragazza accelerò la corsa e lei si ritrovò ad abbassare gli occhi in imbarazzo. Quando li rialzò lo scenario era cambiato, non erano più distesi sul divano, ma sul suo letto. Si guardò attorno spaesata e per ultimo calamitò le sue gocce d'ambra negli zaffiri profondi di Deimos. Non proferì parola, le bastava quel momento di pace per stare bene. 
Voleva cogliere qualsiasi sfumatura di colore dei suoi occhi per imprimerle nella mente e farle tornare a tenerle compagnia quando avesse desiderato. 
Socchiuse le palpebre e sollevò di poco il mento per approssimare le distanze tra la sua bocca e la guancia di lui. Dischiuse le labbra e ci depositò un piccolo bacio, che non aveva niente a che vedere con l'urgenza e la passione di poco prima. 
Lo baciò delicatamente anche sullo zigomo ed infine riportò la testa sul cuscino. Sbadigliò assonnata e si sfregò gli occhi con le mani. 
Deimos non allontanò lo sguardo dal suo viso, perseverando ad osservarla con freddezza ed indifferenza. Non riusciva a comprendere quell'umana, era più complessa di quanto si era immaginato la prima volta che l'aveva vista. E ciò non gli faceva nemmeno più capire se stesso. Perché quell'ultimo gesto, quei tocchi delicati delle sue labbra, gli erano piaciuti. Tanto. Troppo. 
Si sollevò di scatto per mettere più distanza possibile tra di loro e scese dal letto. 
<< Non dormi qui? >> gli chiese Gea in un sussurro biascicato, prima che lui aprisse la porta.
Deimos si fermò con la mano sulla maniglia. << No >> rispose con un tono duro. 
<< Cattivo >> borbottò la ragazza, addormentandosi di schianto l'attimo dopo. 
Si volse a guardarla senza una reale espressione. I suoi occhi, luccicanti nel buio della notte, erano letali come lame e più profondi del fondo dell'oceano. Osservò come i capelli le si sparpagliassero sul cuscino, come il suo petto si sollevasse ad ogni lento respiro, come le sue rosee labbra fossero schiuse e dannatamente invitanti, come le gambe le venissero avvolte dal lenzuolo ad ogni movimento, come il suo volto fosse rilassato. 
Gli sfuggì un ringhio rabbioso ed uscì dalla camera sbattendosi la porta alle spalle. Poco più tardi, il rimbombo di un pugno contro la parete fece tremare la casa. 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***







La ragazza si svegliò con un forte mal di testa. Strinse gli occhi e rotolò nel letto, mugolando infastidita. Cos'era successo la notte prima? I suoi pensieri erano confusi e privi di una qualsiasi logica. Ricordava la serata nel pub malridotto, la gente che popolava i banchi da gioco, la svestita che posava le mani su Deimos... Una rabbia ceca le invase la mente come la lava di un vulcano pronto ad eruttare, infuocandola e facendo ardere in lei un odio profondo per la tipa. Ma nel momento in cui l'immagine di James che veniva sbalzato via per averla sfiorata le riaffiorò tra i ricordi, l'odio si dissolse come fumo ed un leggero rossore le colorò le guance. Un piccolo sorriso spuntò sulle sue labbra e gli occhi le brillarono di una strana felicità, diversa da qualsiasi altra. 
Rotolò ancora nel letto e nascose la faccia tra i cuscini. 
Ripercorse mentalmente il modo in cui Deimos l'aveva allontanata dal pub, i suoi occhi furenti, la lite una volta essere approdati in casa e... il modo in cui si erano baciati. 
Perché il cuore le stava battendo forte? Sprofondò ancora di più tra i cuscini e strizzò gli occhi. Deimos non era un ragazzo normale. Era crudele, spietato, potente, pericoloso, dannatamente affascinante e tremendamente sexy. 
Si morse un labbro ed espirò. Eppure lei si sentiva attratta da qualsiasi sua sfaccettatura, sebbene al tempo stesso le odiasse profondamente. 
Più volte nell'arco di una singola giornata la sfiorava il pensiero di ucciderlo o torturarlo, per tutto ciò che le faceva patire e per il modo irrispettoso con cui era avvezzo trattarla. 
Era ancora dell'idea che prima o poi gliel'avrebbe fatta pagare, per tutto. Persino per il semplice fatto che solo lui riusciva a smascherarla quando mentiva e per ogni battito che le aveva fatto perdere.
Però mettere in pratica i piani omicidi che la sua mente sfornava quotidianamente era ben diverso dal pensarli. 
Sbatté la testa contro il materasso e si alzò sbuffando. Detestava quel genere di sensazioni sconvolgenti che aveva cominciato a provare. Si sentiva nuda, esposta, debole. 
Avrebbe dovuto smettere di vedere Deimos sotto una luce diversa da quella di mostro e assassino. Lui non era umano, normale o comune. Lui era pericoloso. 
Agguantò una maglietta dall'armadio e la indossò frettolosamente, ma decise di lasciare i pantaloncini neri della sera prima. 
Si fermò ad osservare le ante in legno del mobile mentre la sua mente tornava a mostrarle prepotentemente le immagini della notte passata. 
Ed ora che ci pensava... Sgranò gli occhi e le sue guance si tinsero di rosso. Perché gli avevo dato quei due baci? Uno sulla guancia ed uno sullo zigomo. 
Deglutì a fatica e si passò una mano sulla fronte. Era stata sicuramente colpa dell'alcool che aveva ingerito. Eppure... non era quella la causa, lo sapeva bene. Ben altro si celava sotto quei due innocenti baci, qualcosa che ancora non riusciva a comprendere. La stessa cosa non ben identificata che la rendeva felice e al tempo stesso nervosa, che le faceva attorcigliare lo stomaco ed annebbiare la mente. 
Vagò con lo sguardo, in difficoltà, ed infine scacciò tutti quegli assurdi pensieri, concentrandosi su ben altro: la colazione.
Scese le scale come un fulmine e si precipitò in cucina. La casa avvolta nel silenzio e riscaldata dal caldo tepore del sole la fece riconcentrare sull'unica persona di cui in quel momento avrebbe fatto volentieri a meno.
Il cuore le iniziò a battere più velocemente e la familiare stretta allo stomaco si fece risentire. 
Tornò al piano di sopra prestando attenzione a far scricchiolare il meno possibile i logori gradini e si avviò verso l'altra stanza della casa. 
Le pareva impossibile che Deimos stesse ancora dormendo. Non sarebbe stato da lui. O forse... si trovava fuori casa, come ogni notte ed ogni mattina. 
L'immagine della svestita si stampò con sfacciataggine nella mente della ragazza, facendola innervosire. Aprì di poco la porta e sbirciò al suo interno. 
Il letto era sfatto e la maggior parte dei mobili erano distrutti. Pezzi di legno, vetri, pomelli di ceramica, viti, vestiti e qualsiasi altro oggetto un tempo presente sulla scrivania, adesso giacevano a terra in condizioni pietose. 
<< Che stai facendo? >> le domandò una voce dalle spalle, cogliendola di sorpresa. Gea sobbalzò e sbatté la porta, chiudendola. Si volse lentamente e, non appena i suoi occhi incontrarono due furenti zaffiri blu, deglutì a fatica. 
Deimos teneva le braccia strette al petto e la mascella contratta. Con uno scatto le afferrò la gola e la inchiodò contro il muro. << Rispondi alla domanda >> sibilò a denti stretti. 
<< Stavo solo controllando se eri in casa >> rispose a tono la ragazza, prendendo il polso di Deimos tra le mani per allontanarlo.
<< E questo ti dà il diritto di entrare nella mia stanza? >> proseguì duramente il ragazzo, non calcolando minimamente gli sforzi di Gea. Strinse le dita sul suo collo e mantenne le distanze tra i loro corpi. 
La giovane si morse un labbro ed assottigliò lo sguardo. << E questo mi vieta di entrare nella tua stanza? Non mi pare che tu abbia messo qualche cartello o chiuso a chiave >> fece notare, sollevando un sopracciglio. 
<< Hai voglia di fare dello spirito? >> ringhiò lui, scuotendola brutalmente e facendole battere la nuca alla parete. Gea liberò un mugolio di dolore e strinse i denti. 
Quella reazione esagerata da parte di Deimos le fece sorgere vari sospetti. C'era forse qualcosa che le voleva tenere nascosto? Qualcosa che aveva a che fare col disordine della camera? Come al solito la sua mente sapeva affollarsi di domande senza risposta. 
Il ragazzo aumentò la presa e Gea si ritrovò a sollevare la testa in un disperato tentativo d'incanalare più ossigeno possibile. 
Puntò i suoi sofferenti occhi in quelli di Deimos e rabbrividì l'attimo dopo. Non lo aveva mai visto tanto nervoso, forse perché lui di solito era capace di non mostrare nulla di sé. Persino i suoi stati d'animo a volte erano un mistero. Invece, in quell'esatto momento, era uscito dal suo guscio di piombo per mostrarlesi realmente. 
Gli occhi blu sprizzavano elettricità e rabbia come dardi infuocati, velandogli la vista ed inibendo la sua mente. Le avrebbe voluto spezzare l'osso del collo, lo si poteva leggere in ogni pagliuzza scura delle sue iridi. 
<< Sta' lontana da quella stanza >> sibilò minacciosamente. << O la prossima volta non ti andrà liscia come adesso. >> Si allontanò di scatto e le gettò un'ultima occhiata carica d'odio. Con un cenno del capo le indicò di sparire dalla sua vista, comando al quale Gea fu costretta ad obbedire, malgrado la rabbia le cominciasse a ribollire nelle vene sostituendo la paura. 
Mosse dei lenti passi per il corridoio col capo chino e la mente ricolma di supposizioni. Aveva davvero potuto pensare, anche solo lentamente, di vedere Deimos sotto una luce diversa? Colui che fino ad un attimo prima aveva, per l'ennesima volta, tentato di strozzarla.
Strinse le mani a pugno e gli occhi le si inumidirono per la rabbia. Quanto era stata stupida, ma soprattutto... debole. Lei, per lui, non era assolutamente nulla. Ed invece lei aveva iniziato a riservargli un posto nella sua vita, rendendosi ciò che aveva sempre detestato sentirgli dire: stupida e debole umana.  
Smise di avanzare e si volse di colpo verso il ragazzo. Alzò un braccio e gli puntò un dito contro. << Ti odio, più di quanto tu possa immaginare e più di quanto io stessa riesca a concepire >> ringhiò fra i denti, tremando piano. Deimos la osservò con impassibilità e le braccia strette al petto. << La prossima volta, fammi un favore >> continuò Gea, pregna d'ira. << Non trattenerti, ma cerca seriamente di spezzarmi l'osso del collo. Così, una volta per tutte, arriveremo alla resa dei conti e vedremo chi farà fuori l'altro per primo >> concluse richiudendo la mano a pugno. 
Il giovane non rispose e nessuna emozione attraversò i suoi occhi, si limitò a seguire con lo sguardo la ragazza mentre scendeva le scale e si precipitava al piano di sotto.




                                                                       *  *  *




<< Dov'è la mia colazione? >> esordì Deimos una volta essere entrato in cucina. 
Gea continuò a sciacquare il suo piatto evitando di far caso al ragazzo. Solo il suo cuore decise di reagire alle parole di lui, battendo più rapidamente. Si diede mentalmente della stupida e chiuse l'acqua con stizza. 
<< Ti ho fatto una domanda >> insistette il giovane, con un tono di voce profondo.
Gea, incapace di tacere ancora, si volse a guardarlo e sollevò un sopracciglio. << E questo mi costringerebbe a rispondere? Mi dispiace, ma non funziona così. Esiste una cosa chiamata libero arbitrio >> concluse afferrando un panno ed iniziando ad asciugare il piatto. 
Deimos avanzò con passo cadenzato e le si parò a pochi centimetri di distanza. 
La ragazza riusciva a percepire il suo respiro sui capelli, ma evitò di sollevare la testa e continuò a prestare attenzione a ciò che stava facendo. 
<< Nervosa? >> pronunciò raucamente Deimos, fissandola dall'alto. 
Quella sola parola contribuì a far galoppare il cuore della giovane e a farle sgranare gli occhi per la sorpresa. Non rispose, bensì finse che ciò che le aveva detto non l'avesse scossa minimamente. 
Una mano le afferrò bruscamente il mento e così fu costretta ad alzare la testa. << Che vuoi? >> sputò fuori con rabbia. 
<< La mia colazione >> rispose con impassibilità lui.
<< Fattela. >>
<< Gli ordini qui li do io. >> 
<< Sei gentilmente pregato di fartela da solo >> si corresse a quel punto Gea. 
<< Se hai voglia di scherzare hai trovato la persona sbagliata >> dichiarò Deimos con un nervosismo crescente. 
La ragazza mostrò un mezzo sorriso beffardo. << È proprio qui che ti sbagli. Non stavo affatto scherzando, né prima né ora. >>
Un pesante silenzio piombò nella casa. I due rimasero immobili, intenti a scrutarsi minuziosamente. Il vento smise di soffiare mentre un raggio di sole si andò a posare su un occhio della ragazza, illuminandolo e facendone risaltare il caldo colore.
Il gorgoglìo dell'acqua che veniva incanalata nel tubo del lavandino decretò l'inizio di un nuovo scontro. 
Sia Gea che Deimos si mossero nel medesimo istante, la prima avanzando di un passo per colpire, il secondo teletrasportandosi nel salotto per evitare l'attacco. Un nuovo sguardo colmo d'odio saettò tra i due, incrementando l'elettricità nella casa. 
<< Ci tieni così tanto a morire? >> la canzonò Deimos, alzando il mento in segno di sfida. 
Un sorrisetto beffardo comparve sul viso della ragazza. << Ma tanto non mi uccideresti >> affermò convinta. << Hai avuto così tante occasioni... eppure, nonostante ciò, sono ancora qua. >> Incrociò le braccia sul petto ed appoggiò una spalla alla porta della cucina. << Se tu mi uccidessi non potresti più usufruire del potere distruttivo del mio elemento, e tu non vuoi questo, no? Sai, non sono così stupida come credi >> concluse gettandogli un'occhiata fulminante. 
Un attimo dopo si ritrovò con le spalle al muro e Deimos a bloccarle qualsiasi via di fuga. 
Il cuore le perse più di un battito e l'odiosa stretta allo stomaco si palesò nuovamente. S'insultò mentalmente e cercò di mostrarsi sicura di sé, mantenendo uno sguardo glaciale ed una postura disinvolta. Lui non si sarebbe mai dovuto accorgere di quelle sconvolgenti emozioni che la sua sola presenza aveva cominciato a scatenare dentro di lei. Mai. 
<< Trascuri sempre i particolari >> soffiò il ragazzo. Una luce di sadico divertimento gli illuminò gli occhi. << Potrei decidere di cambiare i miei piani e privare il mondo della tua inutile esistenza. Oppure sarei sempre in grado di torturarti fino a condurti ad un passo dalla morte >> sussurrò abbassando la testa ed avvicinandosi al volto di Gea. << Così potrei godermi ogni accenno di paura nei tuoi occhi, ogni tuo lungo secondo in prossimità della fine, ogni supplica nei miei confronti... Finché non sarai tu stessa a pregarmi in ginocchio di ucciderti >> concluse perforandola con lo sguardo. 
<< Perché non lo metti in pratica nell'allenamento di oggi? >> lo sfidò con un cenno del capo. 
<< Oggi niente allenamento >> rispose prontamente lui. << Ma potresti essere accontentata presto, prima di quanto ti aspetti >> aggiunse mostrando un mezzo sorriso enigmatico. 
Gea rimase in silenzio, strinse gli occhi confusa e sbuffò pesantemente dal naso. 
Evitò di soffermarsi più del necessario su quell'ultima affermazione, prendendola come l'ennesima minaccia, e spostò lo sguardo in basso mentre la sua mente veniva affollata da altri innumerevoli pensieri. Deimos seguì con gli occhi l'ultima mossa compiuta dalla ragazza, soffermandosi a scrutarle il volto assorto. 
<< Non hai dormito qui, vero? >> chiese di punto in bianco Gea, tornando ad incatenare i loro sguardi. Non sapeva spiegarsi il perché, ma quella domanda le premeva sulla punta della lingua da un bel po'. Era sicura di conoscere la risposta, ma proprio come il giorno prima desiderava che lui lo ammettesse... sebbene sapesse che non le importava più di tanto ciò che avrebbe risposto. Le interessava soltanto confermare i suoi sospetti. 
Il ragazzo appoggiò le mani al muro, ai lati della testa della ragazza. << Dovresti saperlo ormai >> disse con la sua contraddistintiva impassibilità. 
<< Sapere cosa? >> chiese Gea, mantenendo a stento la calma. << Che ogni notte la passi con... >> Si morse un labbro volontariamente ed abbassò lo sguardo. << Insomma sono affari tuoi, non m'interessano >> si riprese all'ultimo, bruciando di rabbia dentro. 
Un conto era avere dei sospetti, un conto era vedere che quelle supposizioni equivalevano alla realtà effettiva dei fatti. Si odiava per ciò che stava provando, più di quanto in quel momento stesse odiando il ragazzo. Deimos le doveva essere indifferente, perché tra loro non ci sarebbe mai stato niente e non ci sarebbe mai dovuto essere qualcosa. 
Lui era lo stesso identico mostro di quattordici giorni prima. Non era cambiato nulla. Ma forse non era quello il fulcro della questione, forse stava cambiando qualcun altro: lei stessa. 
<< Con? >> le domandò divertito il ragazzo. 
Gea alzò di scatto la testa e lo fulminò con un'occhiata. << Immagino tu lo sappia. Puoi anche smetterla di fare lo svampito >> affermò innervosita. 
Deimos sollevò un sopracciglio ed un sorriso sghembo si pennellò sulle sue labbra. << Ti dà fastidio, per caso? >> 
<< No, affatto >> tagliò corto lei con un'alzata di spalle. 
<< Come non ti dava fastidio nemmeno ieri sera >> la canzonò sempre più divertito. 
La ragazza strinse i denti ed irrigidì la mascella. << Stavolta sei tu che hai voglia di scherzare? Perché in questo momento sono la persona meno adatta per assecondarti. >> 
Deimos le si avvicinò con un sorriso beffardo. << Nervosa perché sai che ci ho preso in pieno? >> le soffiò in un orecchio. 
Gea strinse le mani a pugno e le portò sul petto di lui. Gli agguantò la maglietta e la strinse tra i palmi. Il ragazzo tornò a guardarla negli occhi e mosse un piccolo passo in avanti. 
<< Stai parlando di me per coprire te stesso?>> gli domandò lei. << Perché non mi pare che ieri sera tu abbia avuto delle reazioni molto normali. Sbaglio o qualcosa infastidiva anche te? >> 
Deimos contrasse la mascella e l'istante dopo volse di scatto la testa, in direzione della porta d'ingresso. La giovane corrugò la fronte ed esaminò come il suo sguardo fosse cambiato tanto repentinamente. Adesso i suoi occhi erano attenti, duri e severi, come se riuscissero a vedere oltre lo spesso pannello in legno della porta. 
Gli strattonò la maglietta e deglutì faticosamente. << Cosa c'è? >> chiese intimorita. 
Deimos non rispose, si limitò a spostarsi e a muovere dei frettolosi passi verso il salotto. Guardò fuori dalla finestra e liberò un ringhio rabbioso. << È qui >> fu tutto ciò che pronunciò. 
Il cuore della ragazza si fermò per un istante ed i suoi occhi si spalancarono per la paura. Brividi di freddo le scossero il corpo e la congelarono sul posto. Non aveva bisogno di chiedere chi fosse giunto sin lì, sapeva perfettamente a chi si riferissero quelle parole. 
Una quantità infinita di pensieri le sciamarono nella testa, ognuno sconnesso dall'altro ed ognuno riguardante la sua vita. Era giunto il momento di combattere e mettere in pratica ciò che aveva duramente e faticosamente appreso durante i suoi allenamenti. 
Sarebbe stata in grado di sopravvivere? Deglutì pesantemente mentre la sua mente formulava un unico pensiero: fuga. 
Aveva paura, talmente tanta da farle venire voglia di piangere. Avrebbe voluto chiedere più tempo, dopotutto lei maneggiava il suo potere da poco più di dieci giorni mentre gli altri elementi da anni, chi più chi meno. 
Sarebbe morta, anche se avesse combattuto con tutte le sue forze. Ne era certa, malgrado fosse sempre stata una che fino alla fine non si dava per vinta. Ma difronte a quella schiacciante verità non poteva che chinare il capo e prenderne atto. 
Le mani iniziarono a tremarle vistosamente, rendendole difficile persino legare i capelli in una coda di cavallo. Schiuse le labbra per parlare, ma dalla sua bocca non uscì altro che un respiro agitato. Si passò le dita sul viso e chiuse gli occhi nel tentativo di calmarsi e non morire d'infarto. Non sapeva cosa fare. Si sentiva messa con le spalle al muro, in una situazione che non le dava tante scelte. Se non l'unica: combattere. 
Riaprì gli occhi con decisione ed inspirò a fondo. Avrebbe sfruttato la sua unica opportunità di sopravvivenza sino alla fine. Anche se fosse fuggita avrebbe continuato ad essere inseguita dalla morte, perciò tanto valeva affrontarla subito. 
Si avviò alla porta d'ingresso con lentezza, mentre dentro di lei aveva luogo una vera e propria guerra tra la parte che le suggeriva di fuggire e quella che le comandava di lottare. Una volta uscita da quella casa non avrebbe più potuto tornare indietro, né coi fatti pratici né con la sua scelta. Afferrò la maniglia della porta con la mano tremula e sudata. 
Il cuore le batteva furiosamente, come a volerle uscire dal petto. 
<< Che stai facendo? >> le domandò Deimos con indifferenza, osservandole la nuca. 
Gea tacque per vari secondi. Non sapeva nemmeno lei cosa stesse facendo. O forse sì... Voleva riprendersi in mano la sua vita più di qualsiasi altra cosa. Odiava quel continuo fuggi fuggi a cui si stava remissivamente abituando. Adesso che aveva l'occasione di battersi con l'unico elemento che fino a quel momento l'aveva individuata non poteva tirarsi indietro. 
Vincendo avrebbe potuto raccogliere un piccolo pezzo di quella vita andata in frantumi quattordici giorni prima. 
Inspirò a fondo ed alzò gli occhi al soffitto in una silenziosa preghiera. Dopodiché si schiarì la gola ed abbassò la maniglia. << Vado a dare il mio meglio >> rispose in un sussurro, più a se stessa che a Deimos.
Il ragazzo sorrise soddisfatto ed accorciò la distanza che li divideva. Le prese un braccio e, prima che Gea avesse modo di rendersene conto, si teletrasportarono sulla piatta cima della montagna rocciosa dietro la casa in cui avevano vissuto. 
Il forte vento le mosse i capelli come una frusta, colpendola sul viso. Se li tolse faticosamente dalla bocca e retrocesse di qualche passo per osservare meglio la distesa sulla quale Deimos l'aveva condotta. Assomigliava tanto a quella del Grand Canyon, teatro dei suoi primi allenamenti. Solo il colore della terra cambiava: se la prima era rossa, questa era banalmente marrone, ricoperta di ciottoli e rivestita da qualche ispido cespuglio. 
<< Perché mi hai portata qui? >> domandò stringendo gli occhi. 
Deimos la osservò intensamente, portando le mani sul petto e privandola di una risposta. 
Un rapido scatto focalizzò l'attenzione della ragazza, che spostò lo sguardo davanti a sé. Sgranò gli occhi ed una scarica di terrore le inondò il corpo come un'onda violenta, quando a pochi metri di distanza vide il suo nemico. Una ragazza. 
Gea corrugò la fronte ed avanzò di un passo. Era sicura di aver già visto quel caschetto ribelle e disordinato da qualche parte, il tutto accompagnato da uno sguardo... ammaliato. 
Il cuore le balzò nel petto non appena le tornò alla mente il giorno trascorso in palestra. Era lì che aveva visto quella ragazza, dapprima seduta sull'attrezzo davanti a lei e successivamente che la fissava mentre se ne andavano. In quell'occasione aveva avvertito una strana sensazione, come di pericolo. 
Ma se Deimos era in grado di avvertire la presenza degli altri elementi... perché non aveva notato quella tipa? La mente della giovane si riempì di punti interrogativi ed ipotesi campate in aria, mentre la paura si faceva strada dentro di lei. 
La ragazza col caschetto volse la testa verso Gea e le sorrise con cattiveria dopo averla scrutata minuziosamente. Dopodiché portò i suoi occhi grigi sul ragazzo ed il sorriso le si allargò, mutando in uno amichevole. << Ciao Deimos >> pronunciò con un tono di voce pacato. Quest'ultimo le rivolse un cenno del capo. 
Il cuore di Gea smise di battere. Quei due si conoscevano.









Angolo dell'autrice:

Ehm, ehm... che dire... Innanzitutto ciao a tutte!!! 
Mi trovo un po' in difficoltà persino io in questo momento ahahahah, non so davvero che dire. 
Ragazze, questo sarà l'angolo autrice più corto della storia XD
Insomma, chi se lo sarebbe mai aspettato che Deimos stesse mentendo su tutto? O.O
Lascio a voi i giudizi su di lui *sospira sconsolata* 
Un bacio a tutte!!!! GRAZIE DI CUORE!!! <3 
E probabilmente a domenica col nuovo capitolo ;) 


Federica~

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***










Le aveva mentito. Mentito su tutto. Fin dall'inizio. E lei ci aveva sempre creduto. Mai una sola volta le era passato per la testa il sano dubbio che lui potesse ingannarla. No, lei si era stupidamente fidata. Senza tanti perché e senza tanti ma.
Solo in quel momento comprese come quello "stupido e debole umana" rispecchiasse la realtà. 
Avrebbe dovuto fargli i complimenti, perché come attore valeva davvero molto. Neanche per un istante le aveva dato modo di poter pensare che tutte le sue parole fossero false. Per rendere più credibile il tutto era persino andato a recuperarla durante la festa ed insieme si erano rifugiati in quella casa. Ed invece lui l'aveva solo portata in gabbia, imprigionandola tra quelle quattro mura fino a che non fosse giunto il momento propizio per consegnarla nelle mani della morte. Era solo per quel maledetto motivo che lui conosceva quella casa, e non perché ci si fermava quando passava da quelle parti. Ma lei era stata così stupida da dare per vero anche quello. Come era stata stupida a non pesare sul piatto della bilancia le sue parole: "ma potresti essere accontentata presto, prima di quanto ti aspetti". 
Aveva trascurato quello e tutti gli altri dettagli sparpagliati nell'arco di quei giorni, ognuno dei quali conteneva la vera realtà. 
Deimos aveva avuto ragione su tutto: lei trascurava sempre i particolari. E lui lo sapeva bene, per questo aveva giocato sporco infilando la verità solo in quei maledetti dettagli. 
"Non gioco mai a mio sfavore", quelle parole rimbombarono prepotentemente nella testa della ragazza, facendole inumidire gli occhi per la rabbia. 
Era stata tradita dall'unica persona su cui avesse fatto affidamento. Il cuore le si strinse e lo stomaco le si contorse, facendole venire la nausea. Dalla stessa persona per cui aveva cominciato a provare quelle violente emozioni che riuscivano a farla star bene e che al tempo stesso la confondevano. 
In contemporanea allo sbocciare di quelle sensazioni dentro di lei, lui aveva trascorso il tempo a tramare con un altro elemento riguardo la sua morte. Quanto poteva essere stata stupida? Talmente tanto da non rendersi conto di nulla. 
E adesso era sola. Sola, usata e tradita. Deimos si era solo divertito con lei, nulla di ciò che c'era stato tra di loro aveva avuto valore. Almeno non per lui. Persino la sera precedente, quando aveva scagliato via James, stava recitando. E lei si era così tanto interrogata su quel gesto... Stupida e debole umana. 
Avrebbe voluto piangere fino a non sentire più nulla intorno a sé, ma la rabbia le impediva di arrendersi. Desiderava la vendetta più di qualsiasi altra cosa, più di quanto l'avesse mai desiderata prima. 
Le aveva mentito sin dal primo momento in cui si erano incontrati, aveva portato avanti la farsa torturandola negli innumerevoli allenamenti, l'aveva massacrata psicologicamente sino a portarla al limite, l'aveva usata come un giocattolo ed adesso l'aveva condotta davanti al nemico senza fornirle neanche una risposta alla sua domanda. 
E quel giorno... quel maledetto pomeriggio... Era rimasta sorpresa quando lui aveva deciso di farla allenare in una banale palestra popolata da comuni esseri umani. Ed invece anche in quel particolare si celava più di quanto avrebbe potuto immaginare. 
L'aveva condotta sin lì per mostrare agli occhi dell'altro elemento quanto fosse poco elevato il suo livello. E proprio quando lei si stava accorgendo della presenza minacciosa di quella ragazza, lui le aveva ordinato di muoversi, facendola distrarre. 
Gea tremò per l'ira. Aveva pianificato tutto a tavolino, dimostrandosi dieci volte più scaltro di quanto avesse immaginato. 
L'avrebbe pagata. Una volta per tutte. 
Una scarica elettrica saettò attorno al braccio destro della ragazza. Puntò gli occhi ricolmi di collera su Deimos, del quale si sarebbe occupata più tardi, e successivamente sulla giovane. 
Quest'ultima incrociò le braccia sul petto e si dondolò sui piedi. << Se permetti comincerei io, così la finiamo subito >> annunciò strizzandole l'occhio. << Ti prometto che non ti farò soffrire molto. >> 
Gea strinse le mani a pugno ed irrigidì talmente tanto la mascella da farsi male. L'altra ragazza sorrise divertita e l'attimo dopo sparì dallo scenario roccioso. Gea rimase immobile nella sua posizione, guardandosi a destra e a sinistra per individuare la nemica. 
Questa le apparve accanto, sospesa nell'aria, un secondo prima che la colpisse in faccia con un violento calcio. Gea sgranò le palpebre per il dolore e barcollò fin quando non perse l'equilibrio e cadde al suolo. Si portò una mano su tutta la parte destra del viso e respirò a fatica. Un intenso sapore di sangue le si diffuse nella bocca, mescolandosi alla saliva, ma prima che potesse sputarne un fiotto una mano le afferrò i capelli e le strattonò la testa all'indietro. Mugolò di dolore e strinse i denti con rabbia. 
<< Oh, poverina, ti ho fatto un bel po' di male, eh? >> la prese in giro l'altra, ridendo subito dopo. 
Gea agguantò rapidamente il braccio con cui la stava tenendo e liberò una forte scarica elettrica. La ragazza lanciò un urlo acuto e si allontanò di qualche passo, permettendo a Gea di alzarsi in piedi e mettere maggiore distanza tra di loro. 
Quest'ultima si piegò sulle ginocchia e sputò per terra, lasciandosi in bocca un forte sapore ferrugginoso. Dopodiché puntò le gemme d'ambra sulla sua avversaria e le aprì una faglia sotto i piedi, sperando di farla precipitare nel vuoto. Ma la giovane si dissolse nell'aria un'altra volta, sparendo nel nulla. 
Gea rimase immobile come la volta precedente, ormai conscia di come funzionasse quell'attacco. Avrebbe dovuto contrattaccare nel momento in cui si fosse palesata, né prima né dopo. 
Si concentrò su ogni minimo rumore e su ogni spostamento di vento, in quel momento assente. Nel preciso istante in cui avvertì un leggerissimo e quasi impercettibile alito di vento dietro di lei, si voltò di scatto e colpì col gomito il viso della nemica, scagliandola a terra. 
Quest'ultima si rialzò immediatamente e saettò contro l'altra ad una velocità sorprendente, sospinta dal suo stesso elemento. Mentre Gea si preparava a difendersi dall'imminente attacco, non si accorse che poco dietro le sue spalle si stava ergendo una colonna d'aria capace di raccogliere ogni ciottolo dalla superficie rocciosa. 
Un millesimo di secondo prima che l'avversaria le si scagliasse addosso, questa scomparve nuovamente, facendo perdere il pugno di Gea nel vuoto. La ragazza fu agguantata per le braccia e strattonata all'indietro fino a farle sorpassare il muro di aria e ciottoli. 
Urlò dallo spasimo per ogni piccolo e più grande frammento di terra solida che le veniva schiaffato sul volto e sul corpo, provocandole dei tagli e squarciandole in alcuni punti i vestiti. 
<< Immagino faccia piuttosto male >> le disse con una nota di divertimento la ragazza col caschetto. 
Gea ringhiò tra i denti e si guardò intorno, ma l'aria ed i ciottoli cominciarono a rotearle attorno sempre più velocemente sino ad impedirle di vedere oltre quella parete. Si era già trovata in una situazione simile negli allenamenti con Deimos, ma in quel caso il vento era meno forte ed i pezzi di terra non le arrivavano continuamente addosso, procurandole nuove ferite. 
Il cerchio cominciò a stringersi e la velocità del vento s'intensificò, tanto da livellare i ciottoli in delle lame affilate. La giovane sgranò gli occhi impaurita e si strinse sul suo posto in un disperato tentativo di ripararsi.
<< Prima non mi riferivo solo al dolore fisico >> sussurrò la voce dell'avversaria, oltre la colonna d'aria. << Fa male essere pugnalati alle spalle, non trovi? >> le domandò retoricamente e con un tono divertito. 
Quelle parole, per Gea, ebbero lo stesso effetto della benzina sul fuoco. La incendiarono di rabbia a tal punto da farle liberare un grido ricolmo d'ira. La terra tremò violentemente ed il cielo si scurì d'un colpo, sostituendo il suo accesso e pacifico celeste con un tenebroso blu straziato di sfumature nere. 
La ragazza incarnante l'elemento dell'aria alzò il naso al cielo ed osservò quel repentino cambiamento con stupore. 
Gea espirò pesantemente dal naso mentre varie scariche elettriche le si diramavano attorno al corpo; appena le lame di terra le sfiorarono le braccia, tagliandola e graffiandola, il suo sguardo s'intensificò e le saette blu esplosero in un boato. 
Nello stesso istante tre fulmini squarciarono la volta celeste, espandendo il loro grottesco rimbombo per la valle.  
Ciascun ciottolo presente nella colonna d'aria fu distrutto. Le loro briciole furono espirate verso l'alto di quel vortice e ricaddero come pioggia su tutta l'area circostante, insabbiando ogni millimetro di terra. 
L'artefice di quell'evento senza precedenti oltrepassò il muro d'aria e puntò i suoi furenti occhi sulla nemica, che nel frattempo aveva ammirato sbalordita la scena. 
Gea non perse tempo e si precipitò contro la ragazza, approfittando del suo attimo di distrazione per colpirla sul collo con una gomitata. Poco prima di cadere, questa si dissolse nell'aria, ripresentandosi un secondo dopo alle spalle dell'altra. Le rifilò una ginocchiata nella  schiena, facendole quasi uscire gli occhi dalle orbite per il dolore, e successivamente le agguantò una caviglia. Gea tentò di liberarsi dimenandosi e tirando calci al nulla, ma quando  la sua avversaria iniziò a farla roteare sul suolo, come fosse stata un giavellotto, non ebbe più modo di contrattaccare. Fu scagliata via con la stessa facilità con cui sarebbe stata lanciata una mela. 
Rimbalzò di tanto in tanto sul duro terriccio mentre il vento la sospingeva con violenza, impedendole di respirare. Con difficoltà fu in grado di aprire gli occhi e mettere a fuoco il vicino dirupo. Il cuore le perse più di un battito; artigliò le dita sul suolo con disperazione, fin tanto da lasciare delle lunghe strisce per terra, e dopo vari tentativi riuscì a bloccare la sua corsa. 
Sospirò di sollievo e si rialzò in piedi, seppur con fatica. 
Non aveva affatto intenzione di permettere a quella ragazza di surclassarla. Le avrebbe fatto vedere di cosa era capace, malgrado il poco tempo che aveva avuto a disposizione per comprendere le potenzialità dei suoi poteri. 
Strinse una mano ricolma di ferite, non curandosi dell'intenso bruciore procurato dai tagli. L'avrebbe fatta sparire, e lo stesso avrebbe poi fatto con il traditore. Polvere erano e polvere sarebbero tornati ad essere.
La giovane dal caschetto ribelle le lanciò un sorriso sbruffone, dopodiché alzò la testa ed osservò il cielo. Gea fece altrettanto, perdendo il suo sguardo nel vuoto. 
Dopo pochi secondi il vento cominciò a soffiare in circolo, dapprima piano, poi con maggiore violenza. Una grande sfera ellittica iniziò a prendere forma nell'aria, solidificandosi man mano che cresceva in larghezza. 
Gea strinse gli occhi confusa e tornò a guardare l'altra ragazza. Non capiva che cosa volesse farci con quell'enorme bolla. Se la sua primaria intenzione era quella di impressionarla si sbagliava di grosso. Ormai nulla era più in grado di lasciarla senza parole. 
Un suono sordo si espanse per la valle, attirando di nuovo l'attenzione della giovane. La grande ellisse si mosse verso l'alto e successivamente verso il basso, spostando correnti d'aria opposte. 
Appariva pesante e quindi difficile da traslare, ma ciò che preoccupava la ragazza era la sua funzione. Che cosa le avrebbe potuto fare una bolla sospesa nell'aria? 
La risposta le giunse pochi istanti dopo, quando si ritrovò a correre a gran velocità lungo la superficie rocciosa della montagna. 
<< Che fai, scappi? >> le urlò dietro la nemica, scoppiando a ridere. 
Gea volse per un attimo la testa e si guardò alle spalle. Quell'enorme palla la stava inseguendo con fin troppa celerità per essere pesante qualche tonnellata. 
Adesso aveva capito quale fosse la sua funzione. 
Tornò a puntare lo sguardo davanti a sé nonostante l'ansia avesse iniziato a divorarla e la paura di sbagliare una mossa la stesse logorando. Non doveva inciampare, non doveva perdere l'equilibrio, non doveva scivolare, non doveva distrarsi. L'avvenimento di anche una sola di quelle eventualità avrebbe decretato la sua fine. 
Il vento la colpiva da più lati: contro la faccia facendole inumidire gli occhi e rendendole meno nitida la vista, contro il fianco destro facendole volare i capelli e frustandole il viso, e contro il fianco sinistro opprimendola in una sorta di stretta gabbia. 
Avvertì un fruscio proprio sopra di sé e sollevò il capo, notando che la palla si era trasferita su di lei, ma che aveva anche diminuito di gran lunga le sue dimensioni. 
Di colpo questa le piombò contro. Gea fece appena in tempo a deviare la corsa e a scansarsi un secondo prima di essere schiacciata. 
La solida bolla si schiantò sul suolo, spaccandolo sotto il suo peso ed originando una profonda buca. La ragazza arrestò il passo per riprendere fiato ed osservare con orrore quanto fosse andata vicina alla morte. Il cuore le batteva furiosamente, non solo per lo sforzo della corsa, ma principalmente per la paura che in quel momento le rendeva difficile persino pensare. 
La palla si liberò dal terreno e caricò nuovamente contro di lei. 
Gea strabuzzò gli occhi e si tuffò da un lato, salvandosi in corner per la seconda volta. 
La bolla si scagliò a terra, facendo volare pezzi di terriccio in ogni direzione, ma subito dopo si risollevò con più rapidità rispetto al precedente tentativo. 
Grazie alle sue ridotte dimensioni adesso possedeva la capacità di librarsi in aria con maggiore velocità e di spostare meglio il suo peso. In poche parole si era trasformata in un'arma letale. 
La giovane rotolò su un fianco mentre la palla si precipitava sul punto in cui si era trovata un secondo prima. Altri frammenti di terra saettarono con violenza nell'aria, uno dei quali colpì la ragazza sulla tempia, stordendola per qualche secondo. 
Malgrado l'ennesima ferita, si alzò rapidamente in piedi e ricominciò a correre senza una meta, ma con la sola viva speranza di salvarsi. Si bloccò di scatto, scivolando per giunta su un piede, quando ad alcuni metri di distanza vide la sfera: immobile e pronta all'attacco. 
Mosse dei passi indietro, sentendosi in trappola e priva di ulteriori forze per ricominciare a scappare. 
Ma era davvero quello ciò che aveva desiderato? Scappare? Più fuggiva e più si sentiva in trappola, avvertendo che quelle quattro mura entro cui si stava riparando si stringevano sempre di più attorno a lei, fino a soffocarla. 
Perché non riusciva ad essere tanto coraggiosa da affrontare ciò che le impediva di essere libera? 
Retrocesse ancora, mantenendo lo sguardo puntato sull'ostacolo davanti a lei. 
Per quanto si sforzasse di essere temeraria, finiva sempre con lo scappare. Prendeva una decisione, promettendosi cose impossibili per i suoi standard, e poco dopo si smentiva venendo meno a ciascuna promessa. 
Era imprigionata in un guscio. Un guscio dal quale cercava di uscire ma dal quale veniva sempre risucchiata. Ed il problema risiedeva in lei. 
Quando si prometteva qualcosa che andava oltre la linea tracciata col gessetto nella sua mente, fin dal primo istante in cui la formulava, era lei stessa a non crederci. 
Poco prima si era detta che avrebbe affrontato il suo nemico dando il meglio di sé e smettendo di fuggire. Ed in quel momento cosa stava facendo? L'esatto opposto. 
Nonostante la rabbia, la paura aveva avuto la meglio, prendendo il comando della sua mente. 
Uscire dal guscio significava essere coraggiosi, non solo con le parole e coi pensieri, significava assumersi le responsabilità delle proprie azioni, significava vivere a dispetto di tutto, significava fare affidamento su se stessi. 
E lei, per quanto sgomitasse per evadere da quel buco in cui era intrappolata, non ne era capace. Non perché non volesse, ma perché mancava di credo. 
Doveva metterselo in testa. Per una volta nella vita avrebbe dovuto essere coraggiosa, e ci sarebbe riuscita. La paura le era legittima, ma non in quel momento. Non quando ne andava della sua vita. 
Finché fosse stata bloccata dal terrore non avrebbe potuto vedere alcuna luce fuori dal guscio. Voleva vivere per sempre nel buio? Strizzata dalle gabbie della prigionia? No. Non era quello che desiderava.  
Prese un grosso respiro e chiuse gli occhi per un istante. 
Le labbra le tremarono per la paura, ma subito le morse con violenza facendole bruciare. 
Sollevò le palpebre con lentezza e si focalizzò sul nemico. Si ordinò mentalmente di muovere un passo, ma i suoi piedi non si spostarono di un millimetro. Ancora una volta il terrore la stava immobilizzando, suggerendole di scappare. 
Non era pronta ad affrontare tutto quello. Ma non voleva nemmeno continuare a farsi rincorrere per tutta la vita. 
Senza più pensare a nulla, col rimbombo del cuore nelle orecchie, con la fronte madida di sudore, con le gambe pesanti e con gli occhi sbarrati dalla paura, avanzò di un passo. E di un altro ancora. Sempre più in fretta. Sempre meno convinta, ma sempre più emozionata per ciò che stava facendo.  
Quella fila di passi si trasformò presto in una corsa, dapprima lenta, ma che man mano acquistava velocità. Il vento freddo le accarezzava la pelle, facendola sentire viva e ghiacciandole il sudore sulla fronte. 
Le sue pesanti gambe si decisero ad assecondarla in quella follia e presero a muoversi con maggiore rapidità. 
La letale palla d'aria, a metri di distanza, s'issò dal suolo ed avviò una corsa contro di lei. Più Gea la vedeva avvicinarsi e più il suo istinto di sopravvivenza le consigliava di deviare in extremis. Ed invece la ragazza continuò per quella linea retta che l'avrebbe portata a scontrarsi con la bolla. 
Le sembrava di stare correndo contro lo spesso muro della sua paura. 
Se lo sentiva. Quella volta lo avrebbe distrutto e sarebbe passata al di là di esso, dove risiedeva il coraggio. 
Strinse i denti mentre l'aria la frustava tagliente ed il cuore le picchiava ferocemente nel petto.
Il cielo si scurì maggiormente ed un profondo frastuono simile ad un borbottio si propagò per la volta celeste. I ciottoli e ciò che ne rimaneva iniziarono ad agitarsi sul suolo, vibrando sotto l'intenso tremito della terra. 
Sì, lei ce l'avrebbe fatta. Sarebbe andata contro se stessa ed avrebbe abbattuto un nuovo ostacolo. 
Davanti all'ultimo metro che la separava dalla palla, la ragazza batté con più forza un piede per terra e da essa emerse una pedana in pietra. Mantenendo il ritmo della corsa montò su questa e si slanciò in avanti, in un salto. 
Le sembrò di vivere quel momento a rallentatore. 
Sospesa in aria, aprì le gambe ed allungò un braccio verso il basso, posandolo sulla sfera sopra la quale stava saltando e che nel frattempo stava spazzando via la pedana da lei creata. Dalla mano liberò la più intensa scarica elettrica che avesse mai realizzato. 
Il cielo scoppiò in un rombo assordante. Otto fulmini si scagliarono sul suolo aprendo profonde faglie e crateri. La montagna sulla quale si trovavano si spaccò in due parti uguali, mentre dalle altre vicine si staccarono enormi massi che rotolarono giù per le pendici, inondando l'area di frastuoni ed immensi polveroni. 
Gea atterrò malamente, rotolando a terra per diversi metri. Nel medesimo istante la solida sfera scoppiò con uno schianto assordante, simile a quello di un tuono. L'aria liberata saettò in tutte le direzioni con una potenza fuori dal comune, facendo perdere l'appiglio della ragazza, che venne sbalzata in prossimità del dirupo. 
Il forte vento erose le rocce della montagna, livellando le loro punte acuminate, sradicando ogni cespuglio dal suolo e facendo volare alla rinfusa le briciole ed i ciottoli. 
Appena quel turbinio finì, Gea riuscì ad alzare la testa. I capelli le si erano riempiti di terriccio e le ferite sulle mani, sulle gambe e sul viso le si erano sporcate con la sabbia dei sassolini, causandole un bruciore intenso. 
Ma ce l'aveva fatta. Solo quello valeva per lei. Per una volta era stata ciò che avrebbe voluto essere ed aveva affrontato la paura, dimostrando quanto fosse forte.
Le scappò una silenziosa risata liberatoria e tremò violentemente per l'adrenalina che girava ancora in circolo nelle sue vene. 
Dall'altro lato della cima, Deimos aveva osservato ogni singolo attimo di quello scontro con indifferenza. Nonostante ciò, non aveva mai allontanato i suoi zaffiri da Gea. 
L'aveva seguita in ogni mossa, captando la sua stanchezza, la sua paura e la rabbia che le accendeva ad intermittenza lo sguardo. 
Neanche per una volta era stato capace di prevedere quale sarebbe stato il prossimo attacco della ragazza. Specialmente l'ultimo. 
Quando l'aveva vista porsi difronte al suo nemico con coraggio, ma tremando al tempo stesso, si era chiesto che cosa accidenti avesse intenzione di fare. Ancora un'altra volta lo aveva sorpreso. 
L'energia che aveva sprigionato con quella mossa, considerando quella che già aveva disperso, gli diede l'ennesima conferma che la giovane fosse migliorata tanto rapidamente quanto grandemente. I fenomeni naturali che riusciva a scatenare ne erano la prova. 
<< L'hai allenata bene >> gli disse la giovane col caschetto, avvicinandosi a lui. << Non c'è che dire >> aggiunse con un sorriso compiaciuto. 
Deimos non rispose ed entrambi mantennero lo sguardo su Gea, che nel mentre era riuscita a mettersi carponi. Quest'ultima respirò affannosamente mentre delle gocce di sudore le scivolavano dalla fronte.
<< Ma adesso manca il colpo di grazia >> annunciò l'incarnante dell'aria con un tono divertito. Poco dopo si volatilizzò nel suo stesso elemento e scomparve nel nulla. 
Gea poggiò un piede a terra e si arrestò in attesa di darsi lo slancio necessario per alzarsi.  Si sentiva prosciugata di ogni forza, ma non poteva permettersi il lusso di mollare tutto proprio in quel momento. Avrebbe desiderato distendersi e godersi il suo traguardo, ma c'era qualcos'altro che avrebbe dovuto fare prima. 
Improvvisamente la sua gola venne circondata da un braccio sconosciuto. La ragazza sgranò gli occhi mentre veniva strattonata all'indietro ed una mano le veniva posata sulla testa. Agitò un gomito e tentò di liberarsi senza ottenere risultati. 
La stretta attorno al suo collo si fece più decisa, impedendole di respirare. E fu a quel punto che agì d'istinto: trattenne il respiro, operando una forte pressione sullo sterno e sul torace, s'incurvò in avanti, trasportando la sua aggreditrice con lei, ed alzò una gamba all'indietro con ferocia, colpendo la sua nemica nella pancia. 
Questa si allontanò di colpo, trattenendo a stento un sibilo di dolore tra le labbra. Ma non perse tempo, e si precipitò ancora su Gea, rifilandole un pugno nel viso, una gomitata sulla tempia già ferita ed infine un potente calcio nello stomaco. 
La ragazza fu sospinta a qualche metro di distanza, strisciando sul terreno. Teneva gli occhi sgranati e la bocca spalancata. Lo stomaco le doveva incommensurabilmente; se lo sentiva dilaniato, accartocciato, ridotto in poltiglia. 
Tossì con vigore e si rimise carponi. Portò una mano sotto il seno e strinse gli occhi per cercare di sopportare le brutali fitte che il suo organo le mandava una dietro l'altra. 
Il sangue della ferita sulla tempia le colò lungo il profilo del viso, bagnandole alcuni capelli e gocciolandole dal mento. La vista di tutto quel liquido rosso la fece rabbrividire e sudare al tempo stesso, indebolendola come prima di uno svenimento.
Sputò un fiotto di saliva mescolata a sangue e s'incurvò su se stessa appena le salì il primo rigurgito. Sigillò le labbra per evitare di vomitare ed espirò piano dal naso. 
Lo stomaco le lanciò una nuova stilettata in contemporanea ad un violento urto di vomito che la fece tossire e rigettare, rendendo vani i suoi tentativi di trattenersi. 
In quel preciso istante Deimos contrasse la mascella ed irrigidì i muscoli delle braccia conserte sul petto.
Colei che incarnava l'elemento dell'aria osservò Gea con uno sguardo neutro, dopodiché alzò un braccio con leggiadria e dalla sua mano fu scagliata una raffica di vento.   
Una raffica di vento indirizzata ad una sola persona. 
Gea tossì per una volta ancora ed infine si passò un lembo della maglietta sulla bocca, tremando a causa del sudore che le si raffreddava sulla pelle. Improvvisamente fu sbalzata in aria, a circa un metro di altezza, e poi gettata a terra come fosse stata un peso morto. 
Mugolò di dolore mentre si trovava distesa al suolo, con la faccia contro la dura e sconnessa superficie. << Basta >> biascicò in un flebile sussurro spezzato dallo spasimo. 
Era arrivata allo stremo delle forze, non riusciva nemmeno più ad alzarsi o a muovere un muscolo. Persino parlare le costava fatica. 
Un'altra raffica l'attaccò lateralmente, facendola strascicare sino ad una roccia contro la quale sbatté la nuca. << Basta >> piagnucolò picchiando una mano sul terriccio. 
Perché doveva soffrire tanto? Perché nessuno poteva accorrere a salvarla? 
La testa le pulsava sia dentro che in superficie, impedendole di creare pensieri di senso compiuto ed accavallando immagini sconnesse riguardanti cose futili o il suo passato. 
Avrebbe solo voluto addormentarsi... non chiedeva tanto. 
Nel momento in cui le palpebre le si stavano per chiudere, venne scaraventata verso un'altra area della cima da una terza raffica. 
Ricadde sul suolo con un tonfo sordo mentre la rabbia cominciava a ribollirle nelle vene. Perché non poteva essere lasciata in pace? Lei voleva solo dormire. Perché le veniva impedito? 
Il cielo emise un flebile rombo e la vegetazione sulle pendici della montagna si agitò silenziosamente. 
Non stava chiedendo tanto, solo un po' di quiete. Desiderava perdersi nell'oblio entro cui stava sprofondando e non sentire più dolore. Perché non glielo permettevano? 
Ambivano a vederla patire tra le loro barbarie fino a che non avesse esalto l'ultimo respiro. 
Li odiava. Talmente tanto che si sarebbe attaccata alla vita con le unghie e con i denti pur di non esaudire il loro desiderio. 
Fu attaccata da un potente alito di vento che la scagliò ancora una volta ad un metro di altezza per poi farla precipitare pesantemente. 
<< Ho detto basta! >> gridò con tutto il fiato che le era rimasto nei polmoni, aprendo gli occhi di scatto e schiantando un pugno sul terreno. Nello stesso istante una decina di saette pregne di elettricità si diramarono dalla sua mano per tutta la superficie rocciosa e svariati fulmini lacerarono lo sfondo alle sue spalle, illuminandolo di una spettrale luce bluastra. 
Il suolo fu attraversato da una scossa che, man mano che avanzava, depositava il suo marchio sotto forma di profonde crepe. Ognuna delle quali si diramava in numerosi bracci, specchio dei fulmini che continuavano implacabilmente a schiantarsi a terra.
Gea respirò affannosamente mentre la vista le si offuscava ogni secondo di più. Mantenne la testa sollevata ancora per un po', sentendo che il dolore stava lentamente svanendo. 
Successivamente appoggiò una guancia sulla fredda e ghiaiosa terra, chiuse gli occhi ed espirò flebilmente. Pensieri confusi ed immagini prive di significato le sciamarono per la mente, allontanandola gradualmente dalla realtà. Una realtà che la stava facendo soffrire e contro cui aveva lottato coraggiosamente per sentirsi libera. 
Il suo respiro si fece più calmo e le palpebre le tremarono per un istante, rilassandosi subito dopo. Il tanto atteso oblio la risucchiò in una spirale di anestetica pace, ponendo fine a tutti i suoi contatti col mondo esterno.
Adesso era libera.  




                                                                     *  *  *




Trascorsero una notte ed un giorno, finché non giunse la sera. 
Il sole ricoprì l'intera valle coi suoi caldi raggi, mitigando il colore delle rocce e delle montagne. 
Un debole vento si levò nell'aria, facendo danzare con eleganza le tende della camera di Gea. Mano a mano che quella stella infuocata calava, i bianchi muri assumevano roventi sfumature, rendendo l'ambiente più leggero ed etereo, quasi come fosse una nuvola. 
Le palpebre della ragazza si mossero impercettibilmente. Sentiva che il suo corpo stava riesumando dalle viscere dell'oblio e che la sua mente stava rientrando in contatto con ciò che la circondava.
Percepì un intenso bruciore alla testa e disseminati dolori muscolari. Arricciò il naso infastidita ed aprì un occhio con sonnolenza, dopodiché effettuò la stessa cosa con l'altro. 
Mise a fuoco il letto sul quale si trovava e successivamente l'armadio davanti a lei. Trovò strano che nel paradiso fosse presente la stessa mobilia della casa nella quale aveva vissuto. Ma che soprattutto fosse ancora capace di avvertire dolore fisico. 
Le scappò un sorriso divertito ed uno sbuffo dal naso. Dunque non era morta. 
Ricordava con difficoltà cosa fosse successo dopo che era stata scagliata a terra per la seconda volta. Già in quel momento la sua mente aveva iniziato a dare i primi segnali di cedimento. Forse aveva continuato a combattere, o forse era svenuta. 
Non lo rammentava e non le interessava nemmeno. Il fatto di essere ancora viva le bastava e avanzava. 
Strinse gli occhi e si guardò le mani, adesso fasciate sino ai gomiti con delle bianche bende, e subito dopo si tastò la fronte, avvolta anch'essa in un sottile strato di garza che le girava intorno alla testa. 
Qualcuno le aveva disinfettato e bendato le ferite. Il pensiero le corse a Deimos, ma nell'immediato una rabbia ceca le accese lo sguardo. L'aveva tradita e data in pasto al nemico pur sapendo che nelle sue attuali condizioni non avrebbe potuto vincere. 
Se l'aveva ingannata su un fatto tanto grande... su quante cose le aveva ancora mentito? 
La fiducia che aveva fin da subito nutrito nei suoi riguardi si era dissolta nel nulla. E non si sarebbe mai più ricostruita, ne era certa. 
Strinse le gambe al petto ed appoggiò il mento su un ginocchio, perdendosi ad osservare il pavimento. 
Era arrabbiata, sì, ma ciò che più la faceva soffrire era il fatto di essere stata delusa. 
Ogni pensiero positivo su Deimos era crollato come un castello di sabbia costruito sull'acqua. E pensare che lei aveva addirittura investito il suo tempo nel credere che tra loro... Quanto era stata stupida. Deimos era crudele, spietato, freddo e privo di sentimenti. Perché avrebbe dovuto cambiare la sua natura per lei? 
Per tutte quelle ragioni si sentì delusa dalle sue stesse aspettative, probabilmente campate in aria, ma in cui lei, anche senza volerlo ammettere, aveva creduto. 
In dei momenti provava più rabbia per se stessa che per la pugnalata alle spalle che aveva ricevuto. Era stata troppo ingenua. Aveva sbagliato tutto. Ancora. 
Sospirò con stanchezza e posò la fronte sulle braccia, chiudendosi a riccio. 
Che cosa le avrebbe riservato il futuro? Ma, soprattutto, che fine aveva fatto la sua nemica? Dubitava di averla eliminata... quindi... perché lei era ancora viva? Dopotutto la sua avversaria aveva avuto la possibilità di ucciderla e le era sembrata piuttosto determinata a farlo. Che cos'era successo? 
<< Finalmente >> asserì con freddezza una voce a lei perfettamente nota. 
Gea alzò la testa di colpo ed il suo cuore accelerò la corsa. Deimos si trovava con le spalle al muro, le braccia conserte sul petto e gli occhi rivolti a lei. Lo sguardo era lo stesso di sempre: profondo e imperscrutabile, non capace di rivelare emozioni. 
<< Vattene >> sibilò la ragazza, lanciandogli un'occhiata carica d'odio. 
Un sorriso sprezzante si delineò sulle labbra del giovane, che appoggiò la nuca alla parete e la guardò dall'alto. << Perché se no che mi fai? >> domandò divertito. 
<< Vattene >> ripeté lei, chiudendo le mani in due pugni. Odiava doverlo vedere proprio in quel momento, ma più di ogni altra cosa detestava le sensazioni che ancora riusciva a farle provare. 
<< Non prendo ordini da nessuno >> le rispose fissandola con disinteresse. << Pensavo di aver già chiarito questo punto. >> 
Lo sguardo di Gea si fece più tagliente. << Ah sì? >> gli domandò con sottile ironia. << Però dall'altro elemento ti sei fatto impartire qualche ordine, o sbaglio? Il luogo, il giorno, l'ora... O dovrei credere che hai deciso tutto tu? >> 
Deimos issò la testa e contrasse la mascella. << Cambia il tono >> le comandò infastidito. 
<< Peccato che questo sia l'unico di cui dispongo al momento >> ribatté lei, scrollando le spalle con rabbia. << Non ti va bene? Quella è la porta >> concluse indicandogliela col mento. 
Il ragazzo rimase in silenzio e perdurò a fissarla come fosse stata un insignificante moscerino non degno di considerazione. 
<< Non voglio più vederti >> continuò a sfogarsi Gea, scuotendo la testa ed abbassandola subito dopo. << Mi hai gettata nelle mani del nemico pur sapendo che non sarei riuscita a vincere. Ti sei preso la libertà di decidere quale fosse la fine giusta per me... >> Scese dal letto e le mani le tremarono per il nervoso. << Hai giocato con la mia vita come se non valesse nulla! >> gridò puntando gli occhi sul ragazzo. << Come hai potuto?! Con quale diritto?! Sei solo uno schifoso traditore, troppo codardo per uccidermi con le proprie mani e marcio fino al midollo >> sputò con disprezzo. << Ma ti devo fare i miei più vivi complimenti, perché hai organizzato tutto senza tralasciare neanche un particolare. Se solo tu non mi schifassi tanto, sarei persino in grado d'inchinarmi >> affermò sicura. << Ma vogliamo parlare del perché conoscevi questa casa? O del perché siamo dovuti andare in quella maledetta palestra? Conosci le risposte alla lettera. E adesso le conosco pure io, perciò sarò così clemente da non farti sprecare fiato. Anche se sono sicura che non lo avresti sprecato di tua spontanea volontà... il problema nemmeno si poneva >> ragionò sul momento, abbassando per un attimo lo sguardo. 
Deimos sorrise divertito e si staccò dalla parete. << Sei davvero spassosa >> asserì avanzando di un passo. 
Gea ritornò a puntarlo con gli occhi ridotti a due fessure. << Me la spasserò anche io quando ti leverai da questa camera e più in generale dal mondo. >> 
<< Hai molte probabilità di anticiparmi >> le disse con un sorriso cattivo. 
<< E sentiamo, stavolta per mano di chi dovrei morire? Di qualche altro elemento con cui hai instaurato un bel contratto omicida o della tua amichetta tanto simpatica? >> chiese con amara ironia. << Chiunque sia lo accoglierò a braccia aperte, non fatevi problemi. >> Rise nervosamente e scosse la testa. << Sono stata così stupida a fidarmi di te. Voglio dire, chi riporrebbe fiducia in una persona che fin da subito ti lancia coltelli addosso? Ma ovvio, solo la sottoscritta. Però lasciamelo dire, hai fatto il tuo ingresso in scena in modo epico ed hai concluso ancora meglio. Non me lo sarei mai aspettata, e pensare che credevo di aver già visto tutto >> dichiarò annuendo con una smorfia di meraviglia, come se stesse soppesando quegli eventi. << E quindi da questo momento in poi sarai pure tu un mio nemico giurato... Hai fatto bene ad unirti ai miei potenziali assassini. Tre erano troppo pochi anche secondo i miei standard >> concluse perdendo lo sguardo a terra. 
Stava usando l'ironia per difendersi, per celare quanto male le facesse tutta quella situazione, per non rischiare di scoppiare in lacrime ad ogni parola. Il pensiero che Deimos fosse diventato un suo avversario la faceva soffrire più di quanto credesse. Dirlo ad alta voce aveva reso quella verità dieci volte più pesante e reale. Che cosa avrebbe fatto da quel momento in poi? Dove sarebbe andata a vivere? Mille punti interrogativi, come sempre privi di risposta, le inondarono la mente e le fecero salire l'ansia. 
Aveva paura. Paura che i suoi giorni fossero ormai segnati e che proprio in quell'istante fosse partito il conto alla rovescia.  
Deimos scrutò il volto preoccupato e cupo della ragazza. Non dovette faticare a immaginare che cosa la turbasse, lo sapeva perfettamente. Il che non lo scompose di una virgola, ma anzi, lo divertì. 
<< Toglimi una curiosità >> pronunciò Gea, posando le sue velate gemme d'ambra sul ragazzo. << Perché ti sei innervosito quando, alla finestra, hai notato che l'altro elemento era arrivato? Anche in quel momento stavi recitando? >> 
Era solo una speranza la sua, ma desiderava con tutto il cuore che equivalesse alla realtà. Forse si stava solo illudendo... o forse non voleva rassegnarsi a quella dolorosa svolta. Sperava che Deimos in quel breve lasso di tempo non avesse recitato e che avesse fatto calare la maschera. Lo desiderava ardentemente. Aveva bisogno di sentirglielo dire, ma si sarebbe accontenta anche di un silenzio. 
<< L'interpretazione è fondamentale >> le rispose aprendosi in un mezzo sorriso di scherno. Un brivido corse lungo la schiena della giovane. Era ovvio, che cosa si era aspettata? Lui non teneva neanche un po' a lei, perché si sarebbe dovuto arrabbiare alla vista della sua complice? Non avrebbe avuto senso. 
Un'altra speranza le venne strappata via con brutalità. 
<< Giusto >> affermò mostrandosi sicura di sé e non fragile come, invece, si sentiva dentro. << Saresti stato da Oscar. In due settimane non mi hai mai dato motivo di pensare che tu stessi tramando qualcosa. Ma dimmi un po', dato che ormai siamo finiti in un questo piacevole momento di confidenze >> disse aprendosi in un finto sorriso. << Che fine ha fatto la tua amichetta? >> 
<< Se n'è andata >> tagliò corto Deimos, ritornando al suo sguardo freddo. 
<< Oh, capisco >> esclamò la ragazza, ridacchiando subito dopo a causa del nervoso. << Le si saranno accavallati gli impegni, poverina. L'agenda di un assassino deve essere molto fitta, e tu lo dovresti sapere bene >> sputò con spregio. << E quindi mi chiedo... perché sono ancora viva? >> 
Il ragazzo sollevò il mento e la guardò dall'alto. << Non è ancora giunta la tua ora >> affermò solennemente. 
Gea strinse gli occhi e scosse piano la testa. << Tu credi di poter continuare a giocare con la mia vita? Ma chi diavolo pensi di essere?! >> sbottò all'ultimo, muovendo dei passi in avanti. << Non hai il diritto di decidere quando, come e dove dovrò passare all'altro mondo >> proseguì fino a giungergli davanti. Alzò un braccio e gli puntò un dito sul petto. << Ti sei divertito abbastanza, lurido traditore che non sei altro. Adesso tocca a me. E sappi che non ci andrò leggera, né con te né con chiunque ti porterai dietro >> ringhiò fra i denti. << Quella benedetta ora arriverà anche per te. >> 
Deimos sorrise divertito ed abbassò la testa per avvicinare il viso a quello di lei. << Cerca di non smentirti >> le disse soltanto, fissandola intensamente. Un secondo dopo il dito della ragazza rimase sospeso nel vuoto. Deimos era sparito. 
Un ringhio di frustrazione vibrò nell'aria. 















Angolo dell'autrice:

Hello!! \(^.^)/ 
Ho fatto i salti mortali per scrivere questo capitolo in tempo e poterlo pubblicare oggi, nel giorno prescelto per gli aggiornamenti XD
Ce l'ho fattaaaaaaa!! *fuochi d'artificio*
Spero vi sia piaciuto >\\< 
Povera Gea... Le sta passando di tutti i colori. Cucciola *^* 
E Deimos... ehm ehm, no non dirò nulla, mi devo trattenere! Qualsiasi cosa riguardante il nostro bel tipo la lascio a voi ahahahah XP
Vi ringrazio di cuore per tutte le stupende recensioni che ogni volta mi lasciate *_* mi fanno così tanto piacereeeee! GRAZIE!! <3
E noi ci rivediamo domenica prossima con il nuovo capitolo ;) 
Nel frattempo pubblicherò qualche spoiler sul gruppo di Facebook e continuerò a scrivere Keep your eyes open \(^.^)/ 
Ah, ovviamente a chi non fa parte del gruppo e volesse conoscere lo/gli spoiler manderò tutto in un messaggio privato :) 
Un bacione enorme e a prestooooooooo!!! <3 
GRAZIE!!! 



Federica~

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***








La ragazza si svegliò sul freddo pavimento della camera. 
La notte prima aveva deciso di dormire sotto al letto, per sentirsi più riparata in caso di un'improvvisa aggressione. Avrebbe dovuto allontanarsi da quella casa il prima possibile, ne era conscia, ma quella sera, dopo aver discusso con Deimos, non se l'era sentita di andarsene. 
Non sapeva cosa l'avesse trattenuta. Ma in ogni caso non avrebbe saputo dove andare. 
Prima avrebbe dovuto organizzarsi: portare del cibo, l'acqua, delle coperte, gli indumenti e qualsiasi altra cosa che le avrebbe potuto far comodo. 
Quel giorno avrebbe preparato le scorte e si sarebbe incamminata per strada, in direzione del centro cittadino della contea di Scottsbluff. 
Stesa supina com'era e con l'impossibilità di cambiare posizione, decise di appoggiare la fronte sulle braccia e rimanere immobile per qualche altro minuto. Sospirò distrutta mentre il pensiero le correva ancora una volta a Deimos. 
Quella notte aveva a malapena chiuso occhio. Non solo per il timore che qualcuno potesse ucciderla nel sonno, ma anche perché non riusciva a capacitarsi di quel repentino cambiamento nelle vicende della sua vita. Il colpo era stato talmente grande che la sua mente non era ancora stata in grado di metabolizzarlo. 
Per quanto le costasse ammetterlo, quel ragazzo dai pericolosi occhi blu le sarebbe mancato. Dopo oltre due settimane si era abituata ad averlo vicino come una presenza alleata. Ed invece... non lo era mai stato. Le aveva sempre mentito. 
L'aveva fatta soffrire tanto, sia fisicamente che psicologicamente, ma quello era di sicuro il dolore più grande che le avesse arrecato. 
Ricordò la sera nel pub ed il modo in cui aveva scagliato via James. 
Gli occhi, seppur chiusi, le si inumidirono. Perché aveva dovuto giocare coi suoi sentimenti? Voleva farsi beffa di quanto debole fosse? Ci era riuscito. Perché sì, lei era debole, fragile, insicura, sensibile... in una parola: umana. Ed amava esserlo, sebbene in momenti come quello avrebbe preferito essere insensibile come Deimos. Di sicuro non avrebbe sofferto. 
"L'interpretazione è fondamentale". Quelle poche parole l'avevano annientata. 
Era tutto vero, non se lo stava immaginando, non lo stava nemmeno sognando. Non era un incubo, era la realtà. 
E allora a cosa le serviva essere coraggiosa se ogni volta che lottava non otteneva nulla di positivo? Era solo uno spreco di energie. Dichiarava guerra ad una schifosa realtà che non sarebbe cambiata. Non ne valeva la pena darsi tanto da fare. Che avesse lottato o meno la sua sorte sarebbe rimasta invariata. 
Una lacrima di frustrazione le scivolò sul pavimento. 
Aveva voglia di evadere, scappare, fuggire in una terra remota e non essere più ritrovata. Non voleva quella vita, le faceva schifo. La detestava. Aveva sopportato abbastanza, non ce la faceva più, era giunta al limite. Al limite di tutto, sia fisicamente che psicologicamente. 
Più si dava da fare per spezzare quelle catene che le impedivano di essere libera e più queste si saldavano attorno ai suoi polsi. 
Se avesse potuto togliersi di dosso il suo potere come un vestito, a quell'ora lo avrebbe già bruciato. Non lo voleva, non lo aveva mai desiderato. Perché proprio a lei? Era davvero un privilegio? Oppure solo un pesante fardello? 
Ai suoi occhi appariva più come una condanna a morte. 
Strinse i denti mentre le labbra le si incurvavano per lo sforzo di trattenere le lacrime. 
In quel momento avrebbe tanto voluto essere stretta tra le braccia di sua madre. Avrebbe voluto chiudere gli occhi con la certezza di trovarsi al sicuro ed essere cullata dolcemente. 
Ed invece era rimasta sola. I suoi genitori non sapevano dove si trovasse e probabilmente non erano interessati a saperlo, le sue amiche non avrebbero mai potuto capire che tipo di situazione stava vivendo e l'unica persona che le era stata vicina l'aveva tradita. 
Era sola, a gestire una vita che odiava e che l'assediava di ostacoli. 
Nessuno l'avrebbe potuta capire. Nessuno avrebbe potuto comprendere quale fosse il suo attuale stato d'animo, neanche se lo avesse descritto nei particolari. 
Odiava tutto di quella dannata vita. La faceva sentire sola, debole, insicura... incapace. 
A che scopo persistere a lottare quando tutto verteva sempre verso il peggio? Tanto valeva lasciarsi andare, chiudere gli occhi ed attendere la morte. Tante fatiche risparmiate e tanti dolori in meno da sopportare.
Batté un pugno per terra e scoppiò in un pianto dirotto. Perché sapeva che quel mare di pensieri non equivaleva alla realtà. Sapeva che si stava facendo ancora più male nel dirsi mentalmente cose dettate dalla frustrazione, dalla rabbia e dal dolore. 
Quella vita non le faceva schifo, ma l'amava ogni giorno di più. 
Quel potere, se avesse potuto, non se lo sarebbe tolto di dosso, ma l'avrebbe custodito e curato. 
E non si sarebbe data per vinta, non sarebbe fuggita, ma avrebbe continuato a lottare per conquistare il suo diritto alla vita. Un diritto che le spettava tanto quanto quello di essere felice. 
Questa era la vera Gea. Non quella accecata dal dolore che riusciva a vedere solo il bicchiere mezzo vuoto. Non quella giunta allo stremo della sopportazione che voleva lasciarsi andare per farsi doppiamente male. 
La vera Gea era quella stessa ragazza che stava piangendo disperatamente, distesa sotto a un letto, perché la vita le aveva già lasciato troppo ferite da risanare, perché le era solo concesso di desiderare un abbraccio da sua madre e perché odiava pensare cose negative che andavano contro se stessa. 
Pianse ancora. Tanto. Pianse per tutto ciò era stata costretta a reggere sulle spalle, per i suoi genitori, per la sua vecchia vita, per le sue amiche, per il male che si era fatta coi suoi stessi pensieri, per essere rimasta sola, per la paura di ciò che il futuro le avrebbe riservato, per il semplice fatto di piangere, per la delusione, per il dolore fisico che le era stato inferto, per la forza che aveva mostrato pur nelle difficoltà, per i muri mentali che aveva abbattuto con coraggio, per Deimos e per se stessa. 
Quando infine la ragazza aprì gli occhi e sollevò la testa con le guance ed il mento bagnati, si rese conto di una cosa. Adesso, aveva metabolizzato. 




                                                                      *  *  *




Dopo aver appurato che la casa fosse vuota, si diresse di corsa nel bagno per darsi una ripulita. Aveva ancora i capelli pieni di terriccio ed i vestiti sporchi addosso. 
Chiuse la porta a chiave e si tolse velocemente le bende attorno agli avambracci e alla fronte, cercando di non pensare a Deimos. Lui era morto. Non esisteva più. 
Entrò con urgenza nella doccia e si beò della sensazione dell'acqua calda sul corpo. Quel piacevole tepore era persino in grado di alleviarle il bruciore delle numerose ferite. 
Sospirò di sollievo e chiuse gli occhi per portare il viso sotto al getto. 
L'acqua che scivolava a terra, producendo tanti ticchettii, si colorò di rosso a testimonianza del sangue incrostato che veniva spazzato via. 
S'insaponò i capelli talmente tante volte che le mani, passandole su di essi, emettevano un suono simile a quello di uno slittamento. 
Per svariati minuti si lasciò cullare sotto quel getto caldo come fosse stato un abbraccio, finché la coscienza non le ricordò quale fosse il piano per quel giorno.
Chiuse l'acqua con un velo di tristezza e rabbrividì nell'aprire l'anta della doccia, quando l'aria fredda le si incollò sul corpo bagnato. Si lamentò mentalmente e zampettò sino all'asciugamano più grande che era riuscita a trovare poco prima. 
Dopodiché si rivestì con degli abiti puliti: una semplice maglietta a maniche corte e dei lunghi pantaloni neri. Stava cominciando a prediligere troppo il nero, il che non andava affatto bene. Quel colore le ricordava in maniera spudorata Deimos.
La ragazza scosse la testa per scacciare quell'assillante pensiero e si concentrò sulle bende, sprecando più di dieci minuti per riporle sugli avambracci ed attorno alla fronte. 
Appena ebbe finito si guardò allo specchio. Sullo zigomo destro aveva un'enorme chiazza violacea ed un leggero rigonfiamento sul sopracciglio, mentre tutto il lato sinistro del viso era ricoperto di graffi e tagli più o meno rimarginati. Insomma, un bello spettacolo, pensò Gea con una smorfia schifata. 
Raccolse i capelli bagnati in un'alta coda e si diresse a capo chino in camera. La sua mente era stata invasa da tutto il mare di pensieri riguardante la quantità di viveri che si sarebbe dovuta portare dietro. Non voleva che fossero troppi, altrimenti la borsa sarebbe stata pesante e l'avrebbe rallentata, ma non voleva nemmeno che fossero pochi, costringendola a morire di fame dopo un giorno. 
<< Guarda chi si vede >> pronunciò una voce conosciuta, facendo spaventare Gea. 
Gli occhi della ragazza si sgranarono per la paura e per la sorpresa nel notare che davanti a lei si trovasse la tipa col caschetto. Deglutì con la gola improvvisamente secca e retrocesse di un passo, incapace di proferire parola. 
L'altra giovane sorrise divertita ed incrociò le braccia sul petto. << Hai preso un bel po' di botte mi pare di notare, eh? Forse ci sono andata troppo pesante >> asserì con un'alzata di spalle. 
Gea corrugò la fronte e socchiuse gli occhi. << Dipende da quale fosse il tuo scopo. >> 
<< Non ucciderti >> rispose l'avversaria, mostrandosi sicura di ciò che diceva. << Ma prima di tutto fammi presentare. Il mio nome è Ninlil, e come avrai notato incarno l'elemento dell'aria >> concluse strizzandole l'occhio. 
<< E cosa vuoi da me? >> domandò Gea con diffidenza. 
Ninlil arricciò le labbra e sbuffò dal naso. << Non sei molto amichevole, ma c'era da aspettarselo. A nessuno piacerebbe essere ridotto in fin di vita e poi ritrovare il proprio carnefice a qualche metro di distanza >> borbottò scuotendo la testa. 
<< Dimmi cosa vuoi >> ringhiò fra i denti l'altra ragazza. 
<< Solo parlare >> rispose con serietà Ninlil, trasformando il suo sguardo divertito in uno più profondo. 
<< Non voglio ascoltarti >> tagliò corto Gea, voltandosi per uscire dalla stanza. 
<< Avrai tante domande... Sicura di non voler conoscere le risposte? >> le domandò con voce suadente, facendole arrestare il passo. 
Desiderava delle risposte più di ogni altra cosa. Da quando tutta quella situazione aveva avuto inizio non aveva mai ottenuto uno straccio di spiegazione, ma era sempre stata costretta ad accettare. 
<< E va bene >> asserì tornando a guardare la sua avversaria. << Voglio sapere tutto. >>
Ninlil sorrise e si sedette sul ciglio del letto, mentre Gea rimase immobile nella sua posizione per scrutare ogni sua mossa. 
<< Da dove vuoi che cominci? >> le chiese la prima. 
<< Perché non vuoi uccidermi? >> 
<< Perché sono per te la stessa cosa che Deimos è stato finora nei tuoi confronti. >> 
Gea sollevò un sopracciglio. << E quindi un mostro? >> domandò retoricamente. << Non so quanto ti convenga rispondere alle mie domande. Non ti stai facendo una bella reputazione. >>
Ninlil si aprì in un sorriso divertito ed accavallò le gambe. << Sei simpatica, mi piaci. Ma comunque no, non mi riferivo al lato di mostro, ma a quello di alleata >> affermò iniziando a dondolare un piede. << Non voglio il tuo potere e non m'interessa ucciderti. >> 
La ragazza dai lunghi capelli dorati scosse la testa confusa. << Ma allora perché quello scontro? Che cosa volevi ottenere? >> 
<< Non ero io quella che voleva ottenere qualcosa, ma una persona che conosci molto bene >> le disse con uno sguardo serio. 
Gea contrasse la mascella mentre il cuore le cominciava a battere più rapidamente. << È stato lui ad organizzare tutto? >> domandò con un filo di voce. Se la schiarì un secondo dopo per dare l'impressione che non fosse troppo provata da quella rivelazione. 
Ninlil annuì. 
<< Oh >> esclamò la ragazza, sentendo il cuore andarle in pezzi e le lacrime avanzare. << Allora diceva la verità: non si fa mai dare ordini da nessuno >> notò con un magone incastrato nella gola e perdendo lo sguardo sul pavimento. << Almeno su una cosa non ha mentito >> borbottò con stizza.
<< Forse dovresti sbilanciarti solo alla fine >> le suggerì Ninlil. 
Gea rialzò gli occhi spaesata e li posò sulla ragazza. Che cos'altro avrebbe dovuto sapere? Quelle poche notizie le sarebbero bastate a farla soffrire per i prossimi giorni. Perché mettere altra carne sul fuoco? 
<< Deimos mi trovò esattamente un giorno dopo la mia prima trasformazione, avvenuta circa due anni fa >> cominciò a spiegare la giovane. << Ma non mi allenò, se è questo che ti stai chiedendo. Sapevo già tutto. Perché per una fortuita coincidenza fu mio nonno il mio predecessore. Quand'ero piccola mi mostrava dei giochi con l'aria, o mi faceva librare in volo quando ero più triste >> ricordò con un sorriso rivolto al pavimento. << Mi raccontò tutto ciò che c'era da sapere sul mondo dei quattro elementi e sul suo in particolare. Il giorno in cui morì fu anche il giorno in cui il suo potere passò nelle mie mani, ma purtroppo non feci in tempo a dirglielo >> dichiarò in un sospiro. << Ad ogni modo sperimentai le potenzialità del mio elemento da sola, dapprima con scarsi risultati, successivamente giunsi a controllarlo alla perfezione. Deimos da quel giorno non lo rividi più. Ricomparve circa sei mesi più tardi per controllare quanto fosse cresciuto il mio potere. >> 
Gea si sedette a terra e strinse le gambe contro il petto. 
<< Gli mostrai tutto ciò di cui ero capace e ne rimase soddisfatto, anche se non me lo disse verbalmente. Dopo quell'episodio sparì ancora una volta nel nulla >> affermò Ninlil, voltandosi a guardare Gea. << Una settimana e mezzo fa, però, si è fatto di nuovo vivo e mi ha parlato di te. Anche se devo confessare che mi ero già accorta della tua presenza, sin dal primo giorno in cui ti sei trasformata. >> 
<< Che cosa ti ha detto? >> domandò la ragazza seduta a terra, calibrando l'apprensione nel suo tono. 
<< In realtà non molto >> rispose l'altra, alzando il naso al soffitto. << Ad esempio non ero a conoscenza del fatto che tu possedessi un altro potere oltre a quello inerente al tuo elemento. È stato abbastanza... scioccante >> ammise con una risatina. Abbassò la testa e riportò gli occhi sulla sua interlocutrice. << Mi illustrò il suo piano ed accettai. >>
<< E qual era di preciso questo piano, se non volevi uccidermi? >> 
<< Farti credere che ti volessi uccidere >> dichiarò di getto, lasciando Gea sbalordita. 
<< Ma... Non... >> balbettò quest'ultima, incapace di esprimere verbalmente i suoi pensieri. << Non ci capisco più nulla >> concluse scuotendo la testa. << Che senso aveva tenermi all'oscuro di tutto e farmi credere una cosa simile? >> 
Ninlil sorrise ed appoggiò le braccia sulle gambe, allungandosi in avanti. << Credi davvero che se tu avessi saputo che non ti avrei uccisa avresti dato il meglio di te? Lottando sino alla fine nonostante tutto? >> 
Gea sollevò il capo e la guardò con gli occhi spalancati dalla sorpresa. 
<< Durante uno scontro con Deimos non ti saresti impegnata tanto a fondo, perché saresti stata conscia del fatto che non ti avrebbe uccisa >> riprese a dire Ninlil. << Invece difronte ad un'effettiva minaccia di morte come la mia avresti combattuto al massimo delle tue capacità pur di salvarti. Ed è ciò che hai fatto >> notò strizzandole l'occhio. << Il piano di Deimos era perfetto. >> 
Gea boccheggiò per un istante, mentre la mente le si affollava di pensieri riguardanti il ragazzo ed un piacevole dolore le opprimeva lo stomaco. Non l'aveva tradita, non era stata pugnalata alle spalle, non aveva complottato per ucciderla. Gli occhi le si illuminarono per il sollievo ed il cuore le accelerò la corsa. << Quindi... era solo un modo per mettermi alla prova? Una sorta di allenamento? >> domandò ansiosa. 
L'altra ragazza annuì. << L'unico intento di Deimos era quello di appurare il tuo effettivo livello. Puoi considerarlo un allenamento, ma direi che si sia trattato più di un esame. >> 
<< E tu perché hai accettato? >> 
<< Be'... >> Ninlil abbassò lo sguardo a terra e riprese a dondolare il piede. << Non sono affatto interessata a prevaricare sugli altri elementi, a meno che uno di questi non mi attacchi. Sono a conoscenza del fatto che acqua e fuoco non siano tipi socievoli, ma che abbiano intenzione di ucciderci entrambe. E allora ho pensato, perché non unire le mie forze a quelle di un altro elemento che la pensa esattamente come me? >> Riportò gli occhi su Gea e le sorrise amichevolmente. << È solo per questo motivo che ho deciso di accettare. Per di più avrei avuto l'occasione di confrontarmi con te e scoprire, come Deimos, quanto elevato fosse il tuo livello. >> 
Gea si passò una mano sui capelli e sospirò pesantemente. << Mi sembra tutto ancora più inverosimile di quanto non lo sia stato finora. Il mio cervello sta per esplodere >> si lamentò in un altro sospiro. << Ma com'è che sai che acqua e fuoco ci vogliono morte? >> domandò guardinga. 
<< Lo so perché di recente mi sono quasi ritrovata faccia a faccia con entrambi >> dichiarò l'altra, tornando seria. << E dico quasi perché appena mi sono resa conto della loro presenza mi sono volatilizzata il più lontano possibile. Ma ti assicuro che le loro intenzioni non erano delle più pacifiche. Altrimenti perché non presentarsi subito invece di rimanere nell'ombra ed inseguirmi? >>
<< Hai percepito i loro poteri? >> le domandò Gea, rabbrividendo. 
<< Sono talmente tanto estesi che sarebbe stato impossibile non avvertirli >> ammise Ninlil con una smorfia infastidita. << Da ciò che Deimos mi ha detto, so che acqua possiede la sua facoltà da quattro anni mentre fuoco da cinque. Nel frattempo hanno potenziato così tanto il loro potere che anche se si trovassero a chilometri di distanza li riuscirei a percepire, Deimos sicuramente più di me. Lui possiede un raggio di percezione molto più esteso rispetto a tutti noi, anche se non è in grado di localizzare le loro posizioni. >> 
<< In realtà io non riesco ad avvertire proprio nulla >> confessò la ragazza dai lunghi capelli dorati, sentendosi la più svantaggiata di tutti. 
L'incarnante dell'aria sorrise divertita. << Oh, ma è normale. Io ho acquisito questa capacità dopo un anno dalla prima trasformazione. Di questo non ti devi preoccupare. Ad ogni modo per adesso quei due sono solo sulle nostre tracce >> riprese a dire, alzandosi in piedi e cominciando a camminare per la stanza. << Non so se si siano alleati o meno, ma questo conta relativamente. Prima o poi si dovranno uccidere a vicenda se vogliono raggiungere il loro scopo. >> 
La ragazza coi lunghi capelli dorati annuì assente. La sua vita stava deviando su un'altra strada ancora una volta, dimostrandosi imprevedibile e del tutto originale. Ma in quel momento c'era qualcos'altro che le interessava più della minaccia degli altri due elementi.
<< E quindi non mi ha tradita >> affermò con un filo di voce, guardando il pavimento. 
<< Direi proprio di no >> dichiarò Ninlil. << Ti ha mentito solo affinché il suo piano non fosse mandato in fumo. E sai una cosa? >> domandò ridacchiando ilare. 
Gea alzò la testa incuriosita. << Cosa? >>  
<< Credo che mi abbia tenuto nascosto l'altro tuo potere per renderti meno appetibile ai miei occhi, in caso io avessi deciso di cambiare idea ed ucciderti >> ipotizzò sorridendole. << Deimos è geniale, non c'è che dire. >> 
Il cuore della ragazza seduta a terra si mise a correre per l'emozione ed un sorriso le spuntò istintivamente sulle labbra. Il sollievo che il ragazzo non fosse divenuto suo nemico e che non l'avesse pugnalata alle spalle la rincuorò a tal punto da farle scappare una risatina. Aveva ancora tante domande che le frullavano per la testa, ma avrebbe preferito che fosse proprio Deimos a darle quelle risposte. 
<< E quindi tu sei la mia nuova alleata >> si affrettò a dire, schiarendosi la voce per velare la gioia che quella notizia le aveva donato. Si alzò in piedi ed avanzò verso la sua ex avversaria.
<< Se mi accetti sì >> disse quest'ultima in una risata. 
Gea annuì e le sorrise amichevolmente, porgendole subito dopo la mano. << Non mi sono ancora presentata, il mio nome è Gea... e come avrai notato incarno la terra >> concluse con una risatina. 
Ninlil ricambiò la stretta e le lanciò un'occhiata colpevole. << Mi dispiace di averti fatto tanto male, quando ti ho vista vomitare mi si è stretto il cuore, ma non potevo fermarmi. E mi dispiace anche di averti punzecchiata con le mie parole, ma lo facevo solo per farti scatenare. Scusami davvero. Il massimo che ho potuto fare per farmi, in parte, perdonare è stato disinfettarti e fasciarti le ferite. >> 
<< Oh >> esclamò l'altra ragazza, stupita e delusa al tempo stesso. << Quindi sei stata tu a mettermi queste bende? >> 
Aveva creduto che fosse stato Deimos sin dal primo istante in cui le aveva viste, sebbene le fosse risultato impossibile persino immaginarlo. Ma ovviamente lui non avrebbe mai fatto una cosa simile per lei, avrebbe significato tenerci. Non era proprio il suo caso. 
<< Ho cercato di fare del mio meglio >> le rispose con un sorriso sincero. 
<< Grazie mille >> concluse Gea, sorridendole di rimando. << Dopo tutta questa chiacchierata penso di poter abbandonare l'ascia di guerra e mettere una pietra sopra a questa faccenda. Saremo alleate, nel bene e nel male >> dichiarò porgendole di nuovo la mano. 
Ninlil annuì vigorosamente. << Nel bene e nel male. >> Agguantò la sua mano e si diedero una stretta vigorosa. 




                                                                       *  *  *




L'incarnante dell'aria se ne andò poco dopo, ritornando nella casa di sua nonna in Oregon. 
Gea rimase da sola, ma con i suoi pensieri a tenerle compagnia. 
Si sedette sul letto ed appoggiò i gomiti sulle ginocchia, si prese il viso tra le mani ed osservò il pavimento. 
Non riusciva ancora a crederci, le sembrava quasi impossibile che tutto ciò che aveva creduto sino a qualche ora prima fosse sbagliato. 
Deimos le aveva mentito su tutto, ma solo per tenere nascosto qualcosa di ancora più grande. Da una parte la mandava in bestia sapere che l'avesse fatta soffrire tanto, durante quello scontro, esclusivamente per appurare il suo livello. Ma dall'altra era felice che non l'avesse tradita. Quella nuova certezza la sollevava più di ogni altra cosa. 
Sospirò pesantemente e si diresse al piano di sotto per cucinarsi il pranzo. 
"L'interpretazione è fondamentale". Quelle parole le tornarono prepotentemente alla mente, facendola distrarre e sbattere contro lo spigolo del tavolo della cucina. 
Si lamentò per il dolore e si massaggiò delicatamente la zona lesa. 
Allora non stava mentendo nemmeno con quell'affermazione, sebbene lei l'avesse creduta in riferimento alla pugnalata alle spalle. Ed invece in quella frase a doppia lama aveva nascosto la verità, facendola convincere del falso. 
Ma perché non le aveva confessato tutto la sera prima? Perché aveva continuato a tenerla all'oscuro? 
Quelle e tante altre domande assillarono la ragazza per tutta la durata del pranzo. Non si rese nemmeno conto di non aver condito l'insalata, finendo per mangiarla così com'era. 
Pensandoci bene, la sera prima, Deimos non aveva mai controbattuto al suo sfogo. L'aveva lasciata parlare a ruota, prendendosi gioco di lei di tanto in tanto. 
Si era solo divertito. Divertito nel vederla furente e distrutta dall'accaduto. 
Gea ripose il suo piatto con stizza, facendolo sbattere contro il duro acciaio del lavello. Si asciugò le mani nel panno vicino e lo tirò con rabbia contro il pianale. 
Quando si girò per uscire dalla cucina, il cuore le zompò nel petto e gli occhi le si sgranarono per la sorpresa. Si riprese un secondo dopo, schiarendosi la voce ed assumendo uno sguardo torvo.
<< Che ci fai qui? >> chiese al ragazzo che se ne stava appoggiato alla colonna della porta con un sorrisetto strafottente pennellato sulle labbra. 
Quest'ultimo sollevò un sopracciglio. << Perché, non posso starci? >> 
<< No, non puoi >> ribatté immediatamente lei, incrociando le braccia sul petto.
<< E chi me lo impedirebbe? >> domandò divertito il ragazzo. << Tu? Una debole umana? >>
<< No >> affermò Gea, fulminandolo con lo sguardo. << Solo un'umana molto incavolata. >>
<< Sembra divertente >> le rispose sollevando il mento e guardandola con superiorità.  
La giovane ridusse gli occhi a due fessure ed avanzò di un passo. << Nello stesso modo in cui ti sei divertito ieri sera? Sai, Ninlil è venuta a farmi visita poco fa e mi ha detto un sacco di cose interessanti riguardo... >> 
<< So perfettamente di cosa ti ha parlato >> la interruppe Deimos, tornando al suo sguardo profondo e letale. 
Gea rimase in silenzio per qualche istante, dopodiché corrugò la fronte e gli lanciò un'occhiata sospettosa. << Ci hai spiate? >> 
<< Non spreco mai il mio tempo >> le rispose tagliente. 
<< E allora com'è che sai tutto? >> 
<< Non sai fare due più due? >> 
La giovane inspirò profondamente ed irrigidì la mascella. << Peccato che con te, anche per le cose più ovvie, non si possa mai essere sicuri del risultato >> affermò innervosita. 
<< Eravamo d'accordo >> tagliò corto lui, staccandosi dal legno della colonna per dirigersi al frigorifero. 
Gea lo seguì con lo sguardo. << E non avresti potuto dirmelo tu? Magari ieri sera? >>  
Deimos estrasse una bottiglia di birra e la stappò con un colpo secco del palmo, facendo schizzare il tappo di alluminio contro la parete. Ne bevve un sorso e riportò gli occhi sulla giovane. << Non spreco mai il mio tempo >> ribadì con freddezza, prima di scolare un altro po' di liquido. 
La palpebra destra della ragazza tremò a causa di un tic nervoso. Avrebbe desiderato rompere qualcosa sopra la sua testa, magari aprendogliela in due parti. 
<< Hai idea di che nottata tu mi abbia fatto passare? >> sibilò battendo una mano sul tavolo. << Per non parlare di quando stamani mi sono ritrovata Ninlil in camera. Non è stata proprio una bella sorpresa. >> 
Deimos appoggiò la schiena al muro vicino e persistette ad osservarla con distacco. << La cosa non m'interessa >> rispose soltanto, trangugiando un altro assaggio della sua birra. 
<< Mi pare ovvio! >> sbottò Gea, ribattendo la mano sul duro legno così forte da farsela informicolare. << Tu non ti preoccupi mai delle conseguenze che le tue azioni possono avere sugli altri. Non solo mi hai usata come un oggetto per capire fino a che punto avrei resistito sotto gli attacchi di Ninlil, ma quando ne hai avuto l'opportunità non mi hai nemmeno rivelato la verità >> affermò disgustata. << Perché la tua etica ti permette di fregartene di tutto. Sei libero di giocare con... >>
<< Adesso basta >> ringhiò il ragazzo, scurendo il suo sguardo.
<< No, tu adesso mi fai finire >> ribatté lei, puntandogli un dito contro. << Ne ho tutto il diritto, mio caro. Credi di poter fare come accidenti ti pare e poi ricevere ringraziamenti e complimenti? Forse la tua amica svestita ti avrebbe fatto anche l'applauso, ma fortunatamente il mondo è vario e non tutti hanno delle fette di prosciutto davanti agli occhi. >> 
<< Che c'entra lei adesso? >> le domandò Deimos innervosito, riducendo i suoi zaffiri a due fessure. 
<< Lei c'entra sempre >> rispose di getto Gea, accompagnando le sue parole con un gesto della mano. << Ed ora ho intenzione di ottenere tutte le risposte che ancora mi mancano all'appello. Perciò cominciamo: conoscevi questa casa perché ti eri messo d'accordo con Ninlil sul luogo in cui si sarebbe tenuto il nostro scontro? >> 
Sul volto del giovane si affacciò un sorriso di scherno. << Credi davvero che ubbidirò ai tuoi ordini? Pensi di poterti rivolgere a me in questo modo? >> 
<< Prendo esempio dal maestro >> rispose lei, indicandolo col mento. << Occhio per occhio, dente per dente. >> 
Un elettrico silenzio piombò su di loro, mentre si lanciavano occhiate minatorie e sguardi colmi d'odio. L'orologio sopra il frigorifero continuò a scandire i secondi col suo inconfondibile ticchettio, incrementando la tensione nell'aria.
All'improvviso Deimos sorrise con cattiveria. << Sarebbe stato meglio che tu fossi rimasta uccisa durante lo scontro. Avresti rappresentato un problema in meno >> affermò scandendo lentamente ogni parola, come a voler marcare ancora di più il messaggio. 
Il cuore della ragazza sobbalzò e le pupille le si dilatarono per un momento. Da ultimo strinse i denti e chiuse le mani a pugno. 
Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla crollare. Non si sarebbe messa a piangere davanti a lui. Il fatto che non gliene importasse niente della sua vita, dopotutto, non era una novità. E allora perché ogni volta quelle parole la facevano soffrire? Perché sarebbe stata capace di accettarle se dette da chiunque altro, ma non da lui? 
Deglutì il fastidioso magone che le si era condensato nella gola ed uscì di scatto dalla cucina. 
Se lo sentiva, stava per cedere. Non avrebbe retto ancora per molto avendo sotto gli occhi quel sorrisino maligno che a lui veniva tanto naturale. Oltre al danno anche la beffa, pensò con asprezza la ragazza. 
Mise un piede sul primo gradino con l'intento di allontanarsi il più possibile, ma davanti a lei si materializzò il giovane a bloccarle il passaggio. << Te ne vai a frignare in camera? >> la canzonò divertito. << Perché non piangi qui? >> 
Gea ridusse gli occhi a due fessure ed alzò un braccio per colpirlo. Ma Deimos le bloccò il polso un secondo prima dell'impatto. << Forza, piangi >> la incitò scuotendola rudemente e trafiggendola con lo sguardo. 
La ragazza abbassò la testa ed il labbro inferiore le tremò per lo sforzo di trattenersi. << Smettila >> sussurrò flebilmente. 
Il giovane le afferrò il mento con forza e le alzò il capo, permettendo ai loro occhi d'incatenarsi. Gli zaffiri di lui erano profondi e vigili, le gemme d'ambra di lei stanche e lucide. 
Deimos la fissò intensamente, dopodiché si piegò in avanti ed avvicinò il viso a quello della ragazza. Il cuore di Gea accelerò i battiti in contemporanea all'ormai familiare fitta allo stomaco. 
<< Ti ho detto di piangere >> le ordinò con durezza.
La giovane contrasse la mascella e strattonò il suo polso per riprenderne possesso. << Piuttosto mi faccio cavare gli occhi >> ribatté infervorata. 
Deimos sorrise divertito e la lasciò andare. Incrociò le braccia sul petto e continuò ad osservarla con un'aria sbruffona. 
Gea sollevò un sopracciglio. << Adesso mi fai passare? >> 
<< Non volevi delle risposte? >> le ricordò indicandola con un gesto del capo. 
La ragazza sgranò leggermente gli occhi, sbalordita da quell'improvvisa concessione. Annuì vigorosamente e seguì il giovane in cucina. Si sedette sul tavolo ed osservò Deimos mentre si appoggiava con la schiena alla finestra difronte a lei. 
Alzò gli zaffiri sulla sua figura e tornò alla solita espressione impassibile. << Ho scelto io il luogo in cui si sarebbe tenuto lo scontro. E per pura coincidenza ho trovato questa casa lo stesso giorno in cui ho effettuato il primo sopralluogo >> rispose concisamente, tenendola imprigionata nel suo sguardo. 
Nonostante si fosse aspettata una risposta simile, il cuore di Gea sobbalzò. Scoprire che quasi tutti i suoi sospetti rispecchiassero la realtà le fece quasi senso. 
<< Qual era il vero scopo dell'allenamento in palestra? >> domandò subito dopo, schiarendosi la voce. 
<< Allenarti >> tagliò corto il ragazzo. 
<< E perché si trovava lì anche Ninlil? >> insistette lei, incrociando le braccia sul petto. << Non venirmi a dire che si è trattata solo di una coincidenza, perché lei abita in Oregon. Non credo che abbia fatto un abbonamento in una palestra dello Iowa. >> 
<< Lei è apparsa dopo il nostro arrivo >> spiegò Deimos, appoggiando un piede al muro. << Si trovava nei paraggi, e probabilmente dopo aver captato il tuo potere ha deciso di vedere di persona chi tu fossi. >> 
<< Quindi non mi hai portata lì per mostrarle il mio livello? >> indagò ancora la ragazza. 
Il giovane alzò la testa e la osservò dall'alto. << No. >> 
Il cuore di Gea stavolta batté più velocemente per la gioia ed il sollievo. 
<< E... >> iniziò a dire, richiamando a gran voce i suoi neuroni in quel momento intenti a festeggiare. << Avevi programmato il nostro scontro solo per appurare quanto fossero cresciuti i miei poteri? >> 
Deimos rimase in silenzio per vari istanti, facendole intuire che ci fosse qualche altro motivo nascosto sotto a quella decisione. 
<< Quello che hai combattuto tu rappresenta un possibile scontro con un elemento possedente il proprio potere da anni >> si decise a dire dopo poco. << Il livello è quello, se non più alto. >>
Gea corrugò la fronte e strinse gli occhi. << Quindi lo avresti fatto anche per farmi prendere coscienza del calibro di un combattimento con uno dei tre elementi? >> domandò sorpresa. 
Un sorriso beffardo si affacciò sul volto del ragazzo. << Il fatto che tu abbia miseramente perso dimostra quanto tu sia nettamente inferiore rispetto a loro. >> 
La ragazza rimase di sasso, ma non per le ultime parole da lui pronunciate, bensì per ciò che le aveva fatto intendere. Non l'aveva né tradita né usata come un oggetto. Di conseguenza si sentì rinascere dalle ceneri dei suoi precedenti pensieri nocivi. 
Un sorriso le spuntò istintivamente sulle labbra, ma vide bene di farlo morire subito per non far comprendere al giovane quale fosse la lunghezza d'onda delle sue riflessioni. 
<< Sì, eh già >> butto là, abbassando la testa e guardando a terra. << Si si, devo migliorare >> asserì mentre la mente le approdava su un altro pianeta. << Eh sì, giusto >> continuò a blaterare senza rendersi conto che il ragazzo stesse avanzando verso di lei. 
Le alzò il capo col dorso della mano dopo averla afferrata per la gola. << La smetti? >> le domandò con uno sguardo penetrante e severo.
Gea lo guardò smarrita. << Di fare cosa? >> 
<< Borbottare cose senza senso >> la riprese innervosito. 
<< Oh >> esclamò lei con un'espressione stupita. << Eh, ah, già, be', sì, oh, mm, eh >> lo stuzzicò, scoppiando a ridere immediatamente dopo, appena Deimos la spinse distesa sul tavolo. 
Il ragazzo si piegò su di lei e strinse di poco la presa attorno al suo collo. << Ti avevo detto di smetterla >> sibilò sul suo viso. 
Gea rise, se possibile, ancora più forte e si portò una mano sulla pancia per il dolore agli addominali. 
Deimos sollevò un sopracciglio. << Ti ha dato di volta il cervello? >> domandò con durezza. 
<< No, be', cioè, io... Oddio >> disse da ultimo lei, tappandosi la bocca e riprendendo a ridere di gusto. << Lo sto rifacendo >> riuscì a dire tra le sue stesse risa. 
Il ragazzo la osservò con apparente impassibilità, finché non tradì la sua solida maschera con un piccolo sorriso sghembo. << La finisci? >> la esortò agguantandola sotto le ginocchia e facendola slittare verso di sé. 
Gea sigillò le labbra, facendo appello a tutto il suo autocontrollo per trattenersi dall'esplodere ancora, e puntò gli occhi lucidi e divertiti su di lui. 
Si fissarono intensamente per una svariata quantità di minuti, tanto che Gea finì per perdere il sorriso e Deimos finì per abbassarsi ulteriormente sul corpo di lei senza rendersene conto. 
Il respiro di entrambi si fece più concitato e le palpebre della ragazza calarono istintivamente, facendole socchiudere gli occhi. 
Il giovane avvicinò il volto a quello di lei, alternando lo sguardo tra la sua bocca e le sue gemme d'ambra. Si arrestò solo quando le sue labbra giunsero a pochi millimetri da quelle di Gea. Quest'ultima deglutì un malloppo di emozioni ed il battito del cuore le rimbombò sonoramente nelle orecchie. 
Non riusciva a pensare a nulla in quel momento, se non a quanto quel genere di contatto con lui le fosse mancato. A quanto, più in generale, le fosse mancato quel ragazzo dopo aver creduto di averlo perso. 
<< Altre domande? >> le chiese con un tono più profondo. 
<< In realtà sì >> rispose Gea, annuendo piano. 
Deimos si abbassò sulla sua bocca e le lambì le labbra con avidità. Succhiò il suo labbro inferiore e ne delineò il contorno con la punta della lingua, dopodiché pose le mani ai lati della sua testa ed appoggiò il petto su quello della ragazza. << E cioè? >> sussurrò rauco, prima di baciarla nuovamente. 
La giovane gli passò le braccia dietro al collo ed insinuò una mano tra i suoi capelli, accarezzandoglieli e giocando di tanto in tanto con alcune ciocche. 
Quei piccoli gesti eccitarono come non mai il ragazzo, che prese a baciarla con urgenza ed un desiderio impellente. Le posò una mano sul fianco sinistro e le sollevò di poco la maglietta, facendo scivolare le dita al di sotto. Gea mugolò di piacere appena avvertì il caldo palmo del giovane adagiato sulla pancia, intento a massaggiarla con prepotenza ma al tempo stesso delicatezza. 
<< Tu... >> provò a dire mentre si allontanava dalla bocca di lui per riprendere fiato. << Conosci anche... >> Non le fu concesso di concludere la frase. Deimos si rifiondò sulle sue labbra, stuzzicandole con lentezza sia coi denti che con la lingua. Le alzò ancor di più la maglietta fino a raggomitolargliela sotto al seno e successivamente si allontanò per togliersi la sua. 
La gettò malamente a terra e ritornò coi suoi profondi zaffiri su Gea, che nel frattempo si era rimessa a sedere. Mantenendo lo sguardo l'uno in quello dell'altra, le aprì le gambe e si posizionò nel mezzo, dopodiché le afferrò i lembi della maglia e la fece salire lentamente. 
La ragazza sollevò le braccia e qualche istante dopo la sua maglietta si trovava accanto a quella di lui sul pavimento. 
Deimos le posò una mano sulla schiena e l'avvicinò a sé con uno scatto. Nello stesso istante Gea approssimò le distanze tra i loro volti e catturò le sue labbra in un nuovo bacio. Gli circondò il collo con le braccia e si sollevò di poco, facendo coincidere i loro corpi e provocando un fremito ad entrambi. 
Con la mano sulla schiena della ragazza, il giovane la tenne premuta contro di sé, impedendole di spostarsi di un solo millimetro. 
<< Non hai concluso la domanda >> le fiatò sulla bocca, spostandosi subito dopo sul suo collo. 
Le tirò i capelli di lato e le fece inclinare la testa. Chiuse gli occhi e la baciò con bramosia su un lembo di pelle, salendo man mano che ne rendeva umido un altro. 
<< Conosci di persona... anche gli altri... elementi? >> domandò Gea, faticando a rimanere concentrata. 
Deimos giunse a succhiarle avidamente un anfratto sotto l'orecchio e la ragazza si ritrovò ad aggrapparsi ai suoi fianchi nudi. Fece scorrere le mani sugli addominali del giovane con lentezza, gustandosi la sensazione della sua pelle sotto i polpastrelli, ed infine le passò sulla schiena. 
Deimos liberò un verso gutturale sul suo collo, dopodiché ritornò a baciarla con urgenza, operando una pressione per farla distendere nuovamente sul tavolo. 
La pelle della giovane entrò in contatto col freddo pianale di legno, che la fece rabbrividire ed inarcare istintivamente. Il ragazzo fece scivolare una mano sotto la sua schiena e si adagiò sul suo corpo, calibrando il peso per evitare di schiacciarla. 
<< No >> rispose brevemente, al termine di un bacio e prima di un altro. 
Gea registrò quella risposta senza prestarci attenzione. Era molto più interessata ad avvolgere il collo del ragazzo con le braccia e a rispondere al suo famelico bacio. Curvò la testa di lato e si allontanò di poco per prendere il suo labbro inferiore tra i denti. Lo tirò leggermente e lo morsicò piano, facendogli vibrare le corde vocali nell'emissione di un rauco gemito.
Deimos si avventò ancora sulla bocca della giovane e fece scivolare le dita fin sotto le sue ginocchia; la sospinse contro il suo bacino e le fece incrociare le gambe attorno ai suoi fianchi, conducendo i movimenti di lei con le mani. Solo alla fine andò a posare le mani sotto al reggiseno della ragazza. 
<< Quindi... >> riprese a dire Gea, venendo subito zittita dalle labbra di lui. << Tu non... li hai... mai visti? >> fu capace di dire tra un breve bacio e l'altro. 
Deimos le passò la bocca sulla clavicola e successivamente alla base del collo, mentre i muscoli sulla schiena gli si tendevano per ogni leggero sfioramento delle dita della ragazza. 
Le lambì una lunga scia di pelle con la lingua e la sentì dapprima fremere sotto di sé, da secondo aumentare la presa attorno ai suoi fianchi. 
Col respiro già corto risalì ad impegnarle la bocca in un nuovo bacio pregno di passione. 
La giovane gli graffiò le spalle, tese per lo sforzo di non schiacciarla, e lo strinse maggiormente a sé, come a volergli impedire di abbandonarla di nuovo e farla così soffrire. 
Ripensò alla sensazione di quella mattina e la paragonò a ciò che stava provando in quel momento. Prima la disperazione, adesso invece si sentiva completa. Non s'interrogò sul perché, ma preferì godersi ogni sottigliezza delle emozioni che riusciva a percepire grazie alla vicinanza del ragazzo.
<< No >> pronunciò Deimos, riprendendo a baciarla subito dopo. 
Gea rispose a quel contatto con desiderio, ma molto presto si vide costretta ad allontanarlo e a puntare gli occhi in quelli accesi del ragazzo. << Giuralo >> gli intimò con un cenno del capo. 
Voleva potersi fidare di nuovo, e per buona parte ci era già riuscita, ma la grandezza delle bugie che le aveva raccontato di giorno in giorno non le permettevano di mettere una pietra sopra tutto da un momento all'altro. Metà di quella fiducia che era andata perduta si sarebbe ricostruita solo col tempo. 
Deimos la inchiodò col suo sguardo impassibile e pericoloso. << Non credo nei giuramenti >> rispose tagliente. 
Gli occhi della ragazza si fecero più tristi e supplichevoli. << Davvero non li conosci personalmente? >> domandò in un sussurro. 
Il giovane si fermò ad osservare la nota di afflizione che le adombrava le gemme d'ambra. << No, non li ho mai visti >> replicò di getto, mantenendosi impassibile. 
Gea annuì piano e spostò la testa di lato, appoggiando la guancia sul solido legno e perdendo lo sguardo nel vuoto. 
Perché non riusciva a fidarsi? Lo desiderava con tutta se stessa, eppure non ne era in grado. Su ogni altra risposta che le aveva dato non aveva dubitato un attimo a crederci, ma quando il discorso si spostava sugli altri elementi... Aveva paura. Paura che quel tradimento tanto temuto si avverasse davvero. Paura che fidandosi sarebbe stata distrutta dal dolore un'altra volta. Invece se non gli avesse creduto avrebbe potuto ripararsi, in qualche modo. Forse non le avrebbe fatto tanto male. Forse avrebbe potuto difendersi. 
Deimos scrutò il volto della ragazza con distacco. Riusciva a leggerle in faccia quali fossero i suoi pensieri. Sicuramente non gli credeva; il che non lo toccava minimamente. 
O, ancora una volta, così avrebbe dovuto essere. 
Perché invece quella cosa lo infastidiva parecchio, sebbene se lo fosse aspettato dal primo momento in cui aveva ordito il suo piano. E lo infastidiva ancor di più sapere di essere infastidito, quando da sempre lui non regalava importanza a niente e nessuno. 
Le afferrò il mento con un nervosismo crescente e le voltò la testa. 
<< Mi fai male >> si lamentò lei con una smorfia seccata, schiaffeggiandogli la mano. << A volte potresti essere più delicato. Hai la grazia di un cinghiale >> concluse, trattenendo a stento un sorriso divertito. 
Deimos sollevò un sopracciglio ed il suo nervoso, in parte, scemò. << Non puoi pensare di rivolgerti a me così >> la riprese con freddezza. 
Gea assunse un'espressione altezzosa e gli lanciò un'occhiata di sufficienza. << È così che mi rivolgo a chi è inferiore a me >> affermò, tornando subito dopo seria. << Non so se ti ricorda qualcosa. >> 
Un mezzo sorriso sbruffone apparve sul volto del giovane. << Sì >> asserì, sollevandosi dal corpo di lei. Gea si mise a sedere e lo seguì con lo sguardo mentre lui si raccoglieva la maglietta da terra. Dopo poco quella stessa maglia le arrivò dritta in faccia. << Lavamela e prepararmi il pranzo, in fretta umana >> le sussurrò all'orecchio, prima di morsicarle il lobo. 
La ragazza si tolse quel panno dal viso con stizza, dopodiché si volse a fissare con astio la schiena nuda del giovane che svoltava in direzione delle scale. 
Liberò uno sbuffo contrariato, scese dal tavolo, indossò la sua maglietta e si avviò ai fornelli. 
Per quanto si potesse mostrare irritata da quegli ordini, al pensiero di cucinare qualcosa solo per Deimos il cuore le batté furiosamente. 
Si sarebbe impegnata con tutta se stessa. Si rimboccò simbolicamente le maniche ed un tenero sorriso le spuntò sulle labbra. 






Angolo dell'autrice:

Buona domenica!! 
Stavolta cercherò di fare mente locale e scrivere un angolo dell'autrice dignitoso ;) quindi... ehm ehm...
Innanzitutto mi auguro con tutto il cuore che questo capitolo vi sia piaciuto! Sono state svelate un bel po' di cose e scopriamo che Deimos in realtà non l'ha tradita, sebbene le abbia mentito più e più volte sin dall'inizio. 
Ed ovviamente Gea adesso fa fatica a fidarsi completamente di lui, ma questo è naturale. 
E poi c'è Ninlil (sono sicura che scoprirete da sole il perché di questo nome ahahah, quindi evito di dirvelo io) che non è ciò che sembrava essere, e dunque una nemica. 
Dopo questo sunto lascio a voi i commenti ;) 
Ah! Volevo dire un'altra cosa, di cui mi scuso profondamente! 
Mi dispiace tantissimo di non aver risposto alle vostre stupende recensioni al capitolo precedente >.< vi prego perdonatemi! Le ho lette tutte e mi hanno fatto tanto tanto piacere, non potete capire quanto! 
Non ho risposto per mancanza di tempo dal momento che volevo riuscire a scrivere sia questo nuovo capitolo che quello di "Keep your eyes open" entro oggi. Scusatemi davvero! 
In compenso spero vi possa far piacere sapere che tra qualche oretta arriverà il nuovo capitolo dell'altra storia sopracitata :) 
Ebbene sì, dopo mezzo secolo, due ere glaciali ed una di disgelo, arriverà anche quel capitolo! 
Un bacio a tutte!!! GRAZIE DI CUORE!! 
A domenica prossima ;) 


Federica~

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***









<< Fa schifo >> asserì il ragazzo, facendo sbattere la forchetta sul piatto. 
Gea sollevò un sopracciglio ed inspirò profondamente, al fine di controllare la rabbia. << Come, prego? >> domandò riducendo gli occhi a due fessure. 
Deimos si lasciò andare contro lo schienale della sedia, spalancò le gambe ed abbandonò un braccio sul tavolo, in una posa disinvolta e provocatoria. Puntò i suoi indifferenti zaffiri sulla ragazza ed un sorriso da bambino cattivo gli si affacciò sul volto. << Fa schifo >> ripeté schioccando la lingua al palato. 
Un pesante silenzio calcò la scena. Gea irrigidì i muscoli delle braccia e strinse i denti, provocandosi male alla mandibola. 
Si era impegnata fin troppo per quel maledetto essere a cui interessava semplicemente calpestarle l'orgoglio. Avrebbe dovuto condirgli le verdure col detersivo e le uova con il dentifricio, invece di sprecare tempo per preparargli qualcosa di buono. 
Al pensiero di quanto fosse stata felice a cucinare per lui, le si accartocciò lo stomaco e la rabbia la infammiò.
Batté una mano sul tavolo e si sporse in avanti. << Che cosa, di preciso, farebbe schifo? >> chiese fulminandolo con lo sguardo.
<< Tutto >> le rispose scandendo quella parola con un'espressione divertita. 
La ragazza si ritrasse di scatto ed espirò lentamente. Avrebbe voluto ucciderlo seduta stante. Odiava quel suo sorrisetto beffardo e quella sua posa strafottente, sebbene da una parte ne fosse terribilmente attratta. 
<< Non me ne frega nulla, adesso te lo mangi >> affermò con durezza, indicandogli il piatto col mento. << Mi hai fatto sprecare minuti preziosi per cucinartelo. E sappi che qui non sei l'unico che non ama sprecare il proprio tempo >> lo canzonò con uno sguardo di sfida. Adagiò le mani sul tavolo e si sporse verso di lui. << Quindi, adesso, tu pulirai tutto ciò che hai nel piatto. Lo voglio vedere splendere >> concluse con un tono più basso, ma altrettanto minatorio. 
I loro occhi rimasero incatenati nuovamente, mentre nella casa ripiombava il più religioso silenzio. Deimos la fissava con scherno, Gea lo squadrava con rabbia. 
Nessuno dei due abbassò lo sguardo, ma persistettero a scrutarsi come due pericolosi felini prima di un attacco. Da una parte regnava la figura leggiadra di un puma nero dagli occhi di zaffiro, da una parte la sinuosità di una tigre dagli occhi d'ambra. 
Il ragazzo diede un colpo al piatto e lo fece slittare verso la giovane. << Mangialo >> le ordinò con un mezzo sorriso provocatorio. 
Un sopracciglio di Gea scattò verso l'alto. Se credeva di metterla in difficoltà si sbagliava di grosso. Non si sarebbe tirata indietro a quella muta sfida appena lanciatale. Ne andava del suo orgoglio già brutalmente calpestato. 
Fece slittare una sedia sul pavimento e ci si sedette. Agguantò la forchetta usata da Deimos e se la rigirò tra le dita mentre teneva lo sguardo puntato sul pasto difronte a lei. 
Il cuore le stava già battendo più rapidamente. Ma non per ciò avrebbe dovuto fare, bensì per un motivo molto più futile e a cui non avrebbe dovuto dare peso. 
Si sentiva emozionata al solo pensiero di utilizzare la stessa posata del ragazzo. Lei che schifava mangiare dove aveva mangiato qualcun altro. Lei che schifava la condivisione di un bicchiere o di una semplice forchetta persino con un familiare. Eppure, in quel momento, non le dava affatto fastidio, ma, anzi, il fatto che quel gesto intimo avvenisse con Deimos la elettrizzava. 
Deglutì ed inforcò una piccola quantità di spinaci. Se li portò lentamente alla bocca col cuore a mille e chiuse le labbra attorno ai denti della posata. La verdura le slittò sulla lingua e le papille gustative si attivarono istantaneamente, facendole percepire un sapore stucchevole. 
Le pupille le si dilatarono per lo shock, ma la giovane persistette a masticare come se niente fosse. 
Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vedere la sua espressione schifata. A costo di finirsi tutto il pasto e rischiare di vomitarlo. 
Ingoiò il bolo di spinaci con difficoltà e ripose la forchetta sul piatto. Le sembrava di aver appena mangiato un dolce rivoltante al gusto di verdura. 
<< È buonissimo >> pronunciò con convinzione, riportando gli occhi su Deimos. 
Il ragazzo la stava osservando divertito e con una luce sinistra nelle iridi. Incrociò le braccia sul petto e piegò la testa di lato. << Quindi non ti dispiacerà finirlo >> affermò con uno sguardo di sfida. 
Gea si morse la lingua per evitare di sputargli addosso una serie infinita d'improperi. Quel maledetto si stava ancora una volta divertendo a metterla in difficoltà. Ma più di ogni altra cosa odiava il suo astuto modo di ribaltare le situazioni, finendo per metterla sempre con le spalle al muro. 
<< Assolutamente no >> asserì lei con una smorfia d'indifferenza. << Peccato che io abbia già pranzato >> continuò a dire, mostrando un finto sorriso ed alzandosi dalla sedia. 
Se voleva essere libera avrebbe dovuto allontanarsi il più possibile da quella cucina. A meno che il maledetto non avesse intenzione d'inseguirla col piatto anche nelle altre stanze. 
<< Non vorrei appesantirmi troppo >> sentenziò scuotendo il capo. 
Deimos sollevò un sopracciglio e persistette ad osservarla compiaciuto. 
<< Quindi... >> pronunciò Gea, muovendo dei lenti passi verso la porta. << Oh, già, devo lavarti la maglietta! >> esclamò schioccando le dita, grata a quel diversivo. << Non c'è tempo da perdere, vado subito. >> 
Uscì dalla cucina, sospirando di sollievo, e si diresse a passo spedito in direzione delle scale. 
Sobbalzò per lo spavento subito dopo, appena Deimos le bloccò il passaggio. << Dove credi di scappare? >> le domandò derisorio. 
<< Scappare... che parolone >> borbottò la ragazza, sbuffando dal naso. << Sto solo andando a lavarti la maglietta, come da tua richiesta >> affermò con un sorriso angelico e congiungendo le mani. 
<< Strano che tu sia obbediente >> notò lui, avanzando di un passo e facendola retrocedere verso la cucina. << Sembra tu voglia sfuggire dal tuo piatto >> indagò divertito. 
Gea alzò una mano e gli diede qualche leggera pacca sul petto. << Ma no, cosa vai a pensare >> dichiarò continuando a sorridere falsamente. << È solo che il dovere chiama. E quando chiama, bisogna rispondere. >> 
<< Lo stesso vale per il tuo pasto >> la freddò Deimos, aprendosi in un sorriso beffardo. 
<< Ops, la linea è caduta >> esclamò lei, con un'espressione stupita. << Peccato, non potrò rispondere, ma incarico te di farlo >> concluse con una nuova pacca, prima di sgattaiolare via. 
Sorpassò il ragazzo e ringraziò mentalmente il cielo di essere riuscita a liberarsi da quella situazione. Se avesse mangiato quella schifezza che aveva cucinato... Le venivano i brividi al solo pensiero. Come aveva potuto scambiare lo zucchero col sale? Non le era mai successo prima, era sempre stata attenta in cucina, ma evidentemente aveva pensato così tanto a quel maledetto che la vista le si era appannata. 
Doveva smettere d'incentrare il novantanove percento dei suoi pensieri su quell'essere privo di cuore. Come se lui perdesse tempo a ragionare su di lei. 
Quella riflessione fece rattristare gli occhi della ragazza, che subito dopo li sgranò ed emise un breve grido acuto. Deimos l'aveva agguantata per la vita e l'aveva bloccata un'altra volta. 
Spinse la giovane contro di sé ed abbassò la testa per portare le labbra vicine ad un suo orecchio. << Forse avresti bisogno di un po' di zuccheri prima di lavarmi la maglietta >> le sussurrò raucamente, calcando sulla parola "zuccheri". 
Gea deglutì pesantemente, col cuore impazzito dall'emozione, e gettò il capo all'indietro per incontrare gli zaffiri penetranti di lui. << Li lascio a te, mi sembri un po' deperito in questi giorni >> dichiarò con lo stesso sorriso tirato. 
Il ragazzo sollevò un sopracciglio nello stesso istante in cui un mezzo sorriso divertito si delineava sulla sua bocca. << Ammettilo. Quell'immondizia che hai cucinato fa schifo. >> 
<< Innanzitutto ti ringrazio per il complimento >> affermò con ironia la giovane. << Ed in secondo luogo non fa schifo, è... delizioso >> concluse stringendosi nelle spalle. 
Deimos fece scivolare la mano sulla pancia di Gea, poi sul solco in mezzo ai seni, sul suo collo ed infine attorno alla sua mandibola. Le sospinse la testa ancora più indietro ed avvicinò il viso a quello di lei. << Allora mangialo >> scandì perentoriamente, tenendola incatenata ai suoi occhi. 
Il battito cardiaco della ragazza ebbe un picco di frequenza accelerata. 
Si ritrovò a sbattere le palpebre più volte e a dischiudere le labbra a causa del respiro leggermente più concitato. Gli zaffiri di Deimos furono catturati nell'immediato da quell'ultimo piccolo gesto, e si soffermarono ad osservare rapiti la bocca della giovane. 
Appena Gea se ne rese conto, il cuore le balzò nel petto e lo stomaco le lanciò una piacevole fitta. 
<< D'accordo >> sentenziò sgusciando dalla sua presa ed allontanandosi di scatto dal corpo di lui.
Si diresse a passo spedito in cucina, senza degnare il giovane di ulteriori sguardi, e si sedette al tavolo, ancora una volta davanti al piatto incriminato. 
Deimos la seguì con calma ed un sorriso beffardo stampato in viso. Riprese la sua postazione di capotavola ed incrociò le braccia al petto in attesa di godersi lo spettacolo. 
<< Prego >> la canzonò indicandole il pasto col mento. 
Gea deglutì con la gola secca ed agguantò la forchetta, gesto che la emozionò nuovamente. 
Stavolta inforcò una grande dose di spinaci con convinzione, cercando di non pensare al sapore che avrebbero avuto. Se li portò alla bocca rapidamente e cominciò a masticare in fretta per sentire il meno possibile il sapore nauseante. 
Un brivido le scese lungo la schiena e la celerità con cui stava mangiando si dimezzò all'istante. 
Buttò giù di colpo, rischiando di strozzarsi, e passò a raccogliere un'altra forchettata di quella verdura stucchevole. Si passò due dita sulla fronte ed osservò quasi con terrore gli spinaci. Da quell'episodio in poi li avrebbe odiati profondamente, tanto quanto stava odiando il ragazzo in quel momento. Avrebbe voluto sbattergli il piatto in faccia e togliergli quel sorrisino divertito e derisorio. Ed invece lei se ne doveva stare lì ad intossicarsi lo stomaco con quella schifezza rivoltante che era riuscita a generare. 
Portò alla bocca anche quella forchettata ed un intenso sapore zuccherato le invase la cavità orale, giungendole persino al naso. 
Quanto cavolo di zucchero ci aveva messo? Anche se fosse stato sale sarebbe stato impossibile mangiarlo senza fare, subito dopo, una visita all'ospedale. 
Deimos si godeva la scena con sadico divertimento. La determinazione e la caparbietà di quell'umana lo sorprendevano e dilettavano al tempo stesso. Ai suoi occhi era l'unica persona del tutto imprevedibile e alla quale desiderava far perdere le staffe per vederla reagire. 
Sebbene avesse cominciato a conoscerla, e quindi ad immaginare come avrebbe risposto alle sue provocazioni, c'era sempre un qualcosa che riusciva a stupirlo. 
La ragazza ingoiò pesantemente anche quell'ultimo boccone di spinaci e sospirò piano, sollevata nel notare che l'infame verdura non fosse più presente nel piatto. 
I suoi occhi si posarono distrattamente sulla fetta di carne, ma fece finta di non averla vista e portò lo sguardo sul giovane. << Finito >> dichiarò rivolgendogli un'occhiata vittoriosa. 
Deimos sollevò un sopracciglio in un'espressione scettica. << Non mi pare proprio >> affermò spalancando le gambe. << Hai ancora quella gustosa fetta d'immondizia. >> 
Gea abbassò la testa sul piatto, mentre mentalmente insultava il ragazzo, e sgranò gli occhi con finto stupore. << Oh, non l'avevo vista. Meno male che me lo hai detto tu. >> Si aprì in un sorriso tirato e riprese la forchetta tra le dita. << Ma mi manca il coltello, che peccato, non posso tagliarla... e quindi nemmeno mangiarla >> asserì afflitta. 
Deimos fece slittare sul pianale di legno il coltello da lui precedentemente usato e sorrise beffardo. << Adesso hai tutto. >> 
<< Troppo gentile >> sputò la giovane, elargendo un nuovo sorriso. 
Tagliò un grosso pezzo di carne e rimase ad osservarlo con un'espressione impassibile, malgrado lo stomaco le si stesse accartocciando schifato. 
Probabilmente gli spinaci, in confronto, erano stati niente. Quella fetta ricolma di olio d'oliva e zucchero sarebbe sicuramente stata peggio. 
Senza pensarci due volte mise in bocca quel trancio e poco dopo si ritrovò a masticare faticosamente. 
<< È pure dura >> borbottò disgustata. 
<< Come? >> 
<< È pure buona >> affermò voltandosi verso il ragazzo e masticando con un grande sorriso stampato in faccia. << Sentissi che roba >> aggiunse con un gesto della mano. 
<< Immagino la finirai tutta allora >> pronunciò lui, sollevando un sopracciglio. 
Alla giovane scappò un risolino isterico. << Ma ovvio. Sarebbe uno spreco buttare una delizia simile >> disse annuendo e mantenendo un'espressione amichevole, sebbene dentro di sé stesse scagliando le peggiori maledizioni.
Deglutì di colpo e riportò gli occhi sulla fetta di carne. Ne tagliò lentamente un altro grosso pezzo, mentre la convinzione l'abbandonava sempre più, e se lo infilò in bocca. 
Il primo istinto fu quello di vomitare. Su quell'anfratto ci doveva essere andata particolarmente pesante con lo zucchero. Il sapore era nauseante.
Si portò una mano davanti alla bocca e chiuse gli occhi come per darsi coraggio e concentrarsi sulla masticazione. 
<< È... >> iniziò a dire, mentre i granelli le si scioglievano sulla lingua diffondendo un gusto stucchevole. 
<< È? >> la incitò divertito il ragazzo. 
Gea scosse la testa e rabbrividì per la spiacevole sensazione di percepire l'olio mischiarsi all'acquolina dolce. << Divina, divina >> asserì convinta, inspirando profondamente. 
Una bassa risata di Deimos le giunse alle orecchie, provocando il battito accelerato del suo cuore. Riaprì gli occhi e li puntò sul giovane, nel tentativo di potersi imprimere nella mente la sua espressione ilare. 
Lo stomaco l'attanagliò con una piacevole fitta e le guance le si colorirono di rosa. 
Quegli zaffiri profondi la stavano osservando con uno sguardo totalmente diverso dal solito. Lo sguardo divertito di un comune ragazzo della sua incognita età, e non quello di un essere crudele ed estremamente potente. Un sorriso altrettanto genuino gli illuminava le scure iridi divenute lucide, conferendogli un'aria più giovane e spensierata. 
E fu proprio in quell'istante che Gea si rese conto che la fitta maschera di nebbia di Deimos era stata dissipata dalla luce di quella risata. 
Il cuore le accelerò la corsa ed uno spontaneo sorriso, nel vederlo felice, le spuntò sulle labbra. 
Non sapeva per quanto ancora il sole avrebbe impedito alle coltre nubi di tornare ad incastrarsi e rigenerare la maschera, ma fino a quel momento si sarebbe goduta quell'espressione ilare e fresca. Quella sfaccettatura del ragazzo che non aveva mai visto. Quella sfumatura che lo rendeva... umano.
Appena dopo si ricordò d'ingoiare il boccone pastoso che insisteva a masticare da troppo tempo. Il bolo le scese lentamente e con difficoltà, tanto che si dovette aiutare tirandosi un colpo sul petto per evitare di rimanere soffocata. 
<< Mio Dio >> sospirò scuotendo piano la testa, una volta scampato il pericolo.  
Deimos sollevò un sopracciglio e le lanciò un'occhiata beffarda. << Non era divino? >> la canzonò sollevando la testa e guardandola dall'alto con un che di provocatorio.
Gea sorrise falsamente ed alzò un dito al cielo. << Proprio per questo invocavo Lui >> rispose stringendosi nelle spalle. << Sicuro tu non voglia favorire? >> chiese un attimo più tardi, indicandogli il piatto. 
<< Mangia >> le ordinò perentorio e con un cenno del capo.  
<< Galante come sempre >> ribatté la giovane, sorridendogli pacifica. Gli lanciò mentalmente una nuova maledizione inerente alla peste bubbonica e ritornò a tagliare la carne, dividendola in due parti uguali corrispondenti ai prossimi due bocconi. 
Inforcò il primo con enorme disgusto e se lo portò frettolosamente in bocca. Masticò alla velocità della luce, coprendosi nuovamente con una mano per impedirsi di sputare come avrebbe desiderato. 
Buttò giù di colpo come fosse stata una pasticca, biascicando subito dopo a causa del sapore rivoltante. 
Inspirò per darsi coraggio ed affondò con violenza i denti della forchetta nell'ultimo trancio. << Schifoso maledetto >> borbottò a bassa voce contro il pezzo di carne.
<< Come? >>
<< Che tu sia benedetto >> si corresse voltandosi a guardare il ragazzo ed aprendosi in un nuovo bugiardo sorriso. Deimos le rivolse l'ennesima espressione sadicamente divertita e mantenne gli occhi fissi su di lei. 
Quella situazione lo stava dilettando più di quanto si sarebbe potuto immaginare. 
Non solo provava gusto nel vedere fin dove l'orgoglio riuscisse a spingere quell'umana, ma inoltre se la spassava ogni qual volta la sentiva blaterare offese varie o lamenti, ed ogni volta che gli rifilava quelle risposte ironiche ed imprevedibili. 
La osservò mentre masticava l'ultimo boccone con una mano davanti alla bocca e gli occhi chiusi, quasi come se stesse pregando. 
<< Saporito? >> la stuzzicò aprendosi in un mezzo sorriso derisorio. 
Gea sostituì la mano con cui si copriva e la mosse in un gesto simile ad un saluto. << Le mie papille gustative stanno gioendo >> affermò scuotendo il capo. << Un connubio di sapori... >> Rabbrividì. << Troppo buono, troppo buono >> dichiarò prima d'ingoiare il bolo della libertà. 
Riaprì gli occhi, gettò la forchetta nel piatto e si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. 
Appoggiò la schiena alla sedia e si portò le mani sullo stomaco, chiedendogli mentalmente perdono. << Prima o poi riproporrò questo delizioso piatto per fartelo assaggiare >> annunciò voltandosi a guardare Deimos. << Non sia mai che tu sia sfavorito rispetto a me >>  concluse sorridendo maligna. 
Il ragazzo continuò ad osservarla divertito e con le braccia conserte sul petto. << Stai battendo la fiacca, umana. Va' a lavarmi la maglietta >> le ordinò fissandola intensamente. 
Gea sollevò un sopracciglio e si alzò dalla sedia. Oltrepassò il giovane e si diresse verso il piccolo e logoro salotto. << Col cavolo >> borbottò tra sé e sé. 
Deimos la raggiunse un istante dopo. Le afferrò un polso e la tirò in piedi, impedendole di lasciarsi sprofondare nel divano. << Stai rischiando >> le sibilò a pochi millimetri dal viso. 
Le gemme della ragazza si scontrarono con due furenti zaffiri screziati di sfumature più scure. Il cuore le batté automaticamente più forte ed un brivido le si diramò per tutto il corpo dal punto in cui l'aveva toccata. 
Perché le faceva quell'effetto? Da un po' di giorni si sentiva quasi in imbarazzo quando lui le si avvicinava troppo, proprio come in quel momento. 
Abbassò la testa in difficoltà e fece vagare lo sguardo per terra. Che cosa le stava succedendo? Perché il suo corpo si stava surriscaldando ed il cuore le batteva ogni secondo più veloce? E perché il cervello non era più in grado di sussisterla e farle formulare una risposta sensata? 
Il ragazzo la strattonò malamente. << Regola numero uno? >> le domandò con un tono duro e freddo. 
Gea deglutì in difficoltà e mantenne la testa reclinata. Non sapeva nemmeno cosa dire, voleva solo allontanarsi da lui e tornare a respirare. Quella vicinanza la stava facendo agitare più del naturale, rendendole persino dura concentrarsi sulle parole del ragazzo. 
<< Io... >> pronunciò con la gola secca, interrompendosi subito dopo. 
Deimos le alzò la testa spazientito e le bloccò il mento con una mano. E fu allora che successe ciò non si sarebbe aspettato.
Un qualcosa, nello sguardo di lei, per la prima volta in tutta la sua vita, gli fece battere più rapidamente il cuore. 
Sgranò impercettibilmente i suoi zaffiri mentre osservava gli occhi lucidi della ragazza, le sue guance rosate, le sue labbra schiuse e la sua espressione simile a quella di un cerbiatto smarrito. 
Appena si rese effettivamente conto di ciò che gli stava accadendo, l'allontanò di scatto e riprese possesso del suo freddo sguardo impassibile. 
<< Fa' ciò ti ho detto >> le ordinò con durezza. << O le conseguenze saranno decisamente peggiori >> concluse lanciandole un'occhiata gelida e minatoria. 
Gea annuì, incapace di ribattere come avrebbe fatto di consueto. Corse a recuperare la maglietta in cucina e si precipitò al piano superiore. 




                                                                        *  *  *




Che diavolo era successo al suo cuore? Lui non provava emozioni come gli umani. Era stato addestrato e cresciuto in modo diverso da loro. 
Non conosceva l'amore, l'amicizia, la pietà o l'affetto familiare. Solo la strategia, la crudeltà, la scaltrezza e la devastazione. 
Quello sconosciuto qualcosa che gli aveva fatto battere il cuore non era ammissibile. Non era da lui. 
Un basso ringhio gli vibrò tra i denti. 
Quell'umana aveva cominciato a fargli uno strano effetto. L'unica sino a quel momento che avesse fatto smuovere qualcosa dentro di lui.
Ed ogni volta che la toccava desiderava sempre di più. Desiderava ciò che desiderava da ogni altra ragazza con cui era stato, ma in modo diverso. 
Con le altre non era capace di farsi trasportare, ma rimaneva sempre in sé. Ed invece quando si trattava di quell'insignificante umana, anche attraverso un solo tocco, perdeva il controllo. Faticava a rimanere concentrato sui suoi obiettivi e staccava la spina del cervello, alla stessa maniera degli umani. 
Quegli ottusi e deboli umani guidati solo da patetiche emozioni e che non meritavano di esistere. Esattamente come lei.
Avrebbe dovuto ucciderla ed eliminare il problema, così gli era stato insegnato.
Non circuire, non scappare, eliminare.
Ma in quel caso il suo potere ne avrebbe risentito e l'elemento terra non si sarebbe mai più incarnato in nessun altro essere.  
Solo per quel dannato motivo doveva trattenersi dall'eliminarla con le sue mani. 
Ma avrebbe intensificato i suoi allenamenti e l'avrebbe fatta giungere allo stremo delle forze. Giorno dopo giorno, finché queste non l'avrebbero abbandonata una volta per tutte. 
E si sarebbe divertito a vedere quella stessa luce che prima le illuminava gli occhi e che gli aveva fatto battere il cuore, spegnersi inesorabilmente. In quel modo avrebbe eliminato il problema. 
Avrebbe assistito a quello spettacolo come al più bello della sua vita. E non avrebbe provato rimorsi o pietà, ma solo soddisfazione.
Perché lui non era umano. E quel cuore, da sempre avvolto in una corazza di piombo, non si sarebbe mai più permesso di battere per lei. Non avrebbe mai più trasgredito alla sua dura etica. Non avrebbe mai più commesso errori.
Mai più. 












Angolo dell'autrice: 

Hello! 
Primo segno di umanità in Deimos \(^.^)/ e continui dubbi di Gea che non capisce cosa le stia succedendo \(^.^)/ 
I pensieri di Deimos, ovviamente, verranno approfonditi. E così succederà anche per quelli di Gea :) 
Il tutto nel prossimo capitolo che sarà decisamente più lungo! 
Per adesso non anticipo nulla e vi lascio crogiolare come sempre U.U
Ah, e per chi l'altra volta me lo avesse chiesto, il nome Ninlil è il nome della dea sumera dell'aria :) per questo l'ho scelto :)
Un bacione a todos!!! A prestooooooo!! (Spero domenica!) 



Federica~

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***










Era trascorso un giorno da quell'episodio. Quello strano episodio che aveva coinvolto emotivamente entrambi i ragazzi. 
Gea si rotolò nel letto, avvolta nella larga maglietta che aveva trovato giorni prima per farle da pigiama. 
Si stese supina ed aprì le braccia. Puntò gli occhi sul soffitto e si lasciò trasportare dalla rapida corrente dei suoi pensieri. 
C'erano tante cose che non riusciva a capire. Forse troppe. Tanti punti interrogativi e punti esclamativi le affollavano la mente. 
Che cos'era quella cosa che provava in presenza di Deimos? E perché giorno dopo giorno la avvertiva crescere e radicarsi più in profondità? Poteva percepire le radici di quella strana emozione entrarle nelle viscere, sconvolgerle i pensieri e farle perdere il controllo del cuore. 
Era forse affezione nei confronti del ragazzo? Probabile. 
Le sarebbe stato inutile negare quanto si fosse effettivamente attaccata a quell'essere mostruoso e privo di sentimenti. Per quanto lo detestasse, la verità era che le sarebbe stato difficile fare a meno di lui. 
Diciassette giorni, contò mentalmente la ragazza. Diciassette giorni che si conoscevano e che, per così dire, convivevano. 
Ed invece le sembrava essere passata una vita. E forse era davvero così. Perché la sua vecchia vita era letteralmente passata, e non sarebbe mai più tornata indietro. 
Per la prima volta, quella certezza non la sconfortò. Adesso aveva qualcosa per cui lottare, aveva degli obiettivi, aveva delle responsabilità da cui sarebbe dipeso il suo futuro, aveva qualcuno per cui valesse la pena continuare a... 
Sgranò gli occhi ed il cuore le balzò nel petto. Che cosa aveva appena pensato? 
Si sistemò su un fianco e si strinse il cuscino al petto, come fosse stato un peluche e allo stesso tempo uno scudo contro ciò che aveva formulato nella mente. 
Quel qualcuno... Il volto che le era apparso automaticamente davanti agli occhi era stato quello di Deimos. Quel qualcuno non era altri che lui. Quel maledetto essere che stava vertendo come il sole per i pianeti all'interno della sua testa. Tutto ruotava attorno a lui. E non esisteva altro, nemmeno la minaccia di acqua e fuoco. 
Come poteva permettersi una simile noncuranza per se stessa e la sua vita? 
Deimos non era minimamente interessato a lei, perché lei avrebbe dovuto interessarsi a lui? 
Sospirò piano e focalizzò lo sguardo sulle scure assi di legno del pavimento. 
Doveva smettere di vederlo in modo diverso da come lo aveva visto nei primi giorni. Lui era lo stesso. E lei stava cambiando per lui. O almeno ciò che provava stava mutando. 
Ma che cosa provava di preciso? Un qualcosa di strano, confuso, forte, sconvolgente, incondizionato, ma al tempo stesso tenero, dolce, delicato e piacevole. Una sorta di affezione che le faceva desiderare di avere quel ragazzo sempre vicino, di sapere che i suoi occhi cercavano solo lei, di sapere che il suo cuore batteva solo per lei, di trovarselo accanto ogni mattina, di vedere ancora quegli zaffiri ilari, di sentire di nuovo la sua risata nelle orecchie, di sapere che lui era solo suo. 
Nascose la faccia nel cuscino e scosse il capo. Perché doveva farsi del male? Perché non poteva provare tutto quello per un altro ragazzo? Magari uno dolce, che la rispettasse e che tenesse a lei? 
Ma non era questo ciò desiderava realmente. 
Aveva mentito a se stessa. Fin dall'inizio. Esattamente come Deimos le aveva mentito per nascondere il suo piano. 
Poteva considerare di essere stata beffeggiata per ben due volte. 
Perché lei lo sapeva. In realtà lo sapeva da tempo. Lo aveva capito fin dal primo momento in cui il suo cuore aveva battuto più forte. Lo aveva dimostrato con due piccoli gesti che le erano nati da quello stesso muscolo che adesso picchiava impazzito contro il suo petto. Lo aveva appreso minuto dopo minuto e giorno dopo giorno. 
Lei lo sapeva. Sapeva cos'era quel sentimento che provava per Deimos. Ma non lo aveva voluto accettare. Non poteva accettarlo. Se solo lo avesse realmente riconosciuto avrebbe sofferto ancora di più. E non poteva permetterselo. 
Invece relegando quella verità nei meandri più bui e profondi di se stessa e facendo finta di niente ne sarebbe rimasta meno coinvolta e meno ferita. 
Ma negli ultimi giorni si era resa conto di quanto quel sentimento premesse per affiorare a galla. Lo aveva sentito crescere e sbocciare definitivamente. Se da principio ogni battito accelerato aveva sortito l'effetto di linfa ed aveva fatto nascere in lei un tenero bocciolo, adesso quella gemma era fiorita. Il pomeriggio precedente ne era stata la prova. Appena lui le si era avvicinato il suo cuore era impazzito e la sua mente si era scollegata. 
Si odiava per quella debolezza. Una debolezza che non sarebbe dovuta esistere. 
Batté un pugno sul cuscino con disperazione. 
Perché proprio lui? La parte più istintiva di sé non desiderava nessun altro, ma la parte più coscienziosa le comandava di stare alla larga da quel ragazzo. 
Aveva sempre dato ragione alla testa, ma... in quel caso... seppur avesse seguito la ragione sapeva che si sarebbe fatta male. Avrebbe sofferto in tutti i modi: se lo avesse evitato, se gli fosse stata vicina, se avesse riconosciuto quel sentimento che faticava a nominare persino nella mente, e se avesse fatto finta di nulla. 
Ma, sia con l'una che con l'altre ipotesi, la sua posizione non sarebbe cambiata. Deimos non l'avrebbe mai vista in modo diverso, ma, anzi, l'avrebbe sempre considerata un giocattolo o una debole umana. E nel frattempo si sarebbe andato a sollazzare con altre ragazze, ad esempio con la svestita... o con Brittany. 
Quel nome le fece stringere lo stomaco. Come poteva farle una cosa simile? 
Eppure non riusciva ad evitarlo, neanche se avesse voluto. Dopotutto entrambe si trovavano sulla stessa barca ormai. Entrambe provavano qualcosa per quel maledetto essere venuto dagli inferi ed ambedue non erano corrisposte. Non le rimaneva altro che diventare egoista e non pensare più a Brittany. Si sarebbe concentrata solo su se stessa, evitando di riflettere su ciò che provava per Deimos, per quanto le sarebbe stato possibile. 
Sebbene fosse certa che al ragazzo, di lei, non importasse nulla, c'erano comunque dei tenui bagliori d'incertezza che la facevano vacillare. Ad esempio, perché si era tanto arrabbiato quando il tizio del pub l'aveva toccata? Perché aveva voluto lasciare il suo marchio sul punto sfiorato da James? E perché l'aveva soccorsa quando le era entrata la scheggia nella carne, seppur avesse messo in chiaro la sua intenzione di non aiutare mai nessuno, tantomeno lei? 
Piccoli dubbi in un mare di fatti più concreti che la rendevano certa della sua idea: a Deimos non importava niente di lei. Altrimenti perché condurla costantemente al confine con la morte? Era ovvio che, ai suoi spietati occhi, la sua vita non avesse valore. Difatti le aveva chiarito più volte che la sua esistenza fosse del tutto superflua ed inutile. 
Come poteva, dopo tutto quello, sentire qualcosa per lui? O era pazza o era pazza. 
Ma da un lato quel sentimento la rendeva felice, la faceva sentire completa, la faceva sentire costantemente sospesa in aria come una mongolfiera dal fuoco. 
Eppure sapeva che prima o poi si sarebbe schiantata al suolo. Il doloroso decollo sarebbe stato inevitabile, ed una parte di lei sarebbe stata mutilata insieme a quello schianto. 
Quanto ancora avrebbe resistito a nascondere ciò che provava? Quando le sarebbe diventato impossibile guardare Deimos negli occhi con la consapevolezza che quegli stessi occhi non l'avrebbero mai vista diversamente? Per quanto avrebbe sopportato il suo sguardo impassibile e le sue parole taglienti? E fin quanto sarebbe stata capace di stargli accanto senza farsi irreparabilmente male?   
Sospirò nuovamente ed una lacrima le scivolò sulla guancia. 




                                                                       *  *  *




Il ragazzo si materializzò nell'ingresso della casa. 
Aveva i capelli disordinati e tracce di rossetto sullo scollo a V della maglietta. I suoi freddi zaffiri perlustrarono la cucina ed il salotto, entrambi silenziosi e privi della presenza di Gea. 
Digrignò i denti e salì rapidamente le scale. 
L'umana doveva essere ancora a letto a dormire beatamente, ignara di ciò che quella giornata le avrebbe riservato. Qualcosa che non avrebbe potuto immaginare. 
Deimos spalancò la porta con un calcio e volse la testa in direzione della ragazza. La trovò distesa per obliquo, con la testa abbandonata sul cuscino stretto tra le esili braccia fasciate dalle garze, le labbra schiuse che liberavano un flebile respiro e le gambe nude l'una sull'altra. 
Le si avvicinò con passo deciso e si arrestò una volta esserle giunto davanti. Incrociò le braccia sul petto e la osservò con impassibilità. 
Quel giorno, durante l'allenamento, le avrebbe fatto rimpiangere ognuna di quelle libertà che aveva osato prendersi. Ma più di tutto le avrebbe fatto pagare molto caro l'effetto che riusciva a scatenare su di lui. Ogni traccia di quell'espressione smarrita che gli aveva rivolto il pomeriggio precedente sarebbe stata spazzata via dalla paura, dal dolore e dalla fatica. 
In confronto lo scontro con Ninlil le sarebbe sembrato una passeggiata.
Mosse un passo avanti, quando improvvisamente i suoi zaffiri furono catturati da un particolare. Un particolare collocato sulle ciglia della ragazza, bagnate e quasi brillanti sotto la luce del sole, e su una chiazza umida del cuscino. Lacrime.
Il suo sguardo non si alterò nemmeno per un secondo. Rimase impassibile e freddo come sempre. 
Non aveva mai visto l'umana piangere, ma era certo che sarebbe stato un bello spettacolo a cui assistere. Avrebbe potuto infierire sulla sua nauseante debolezza fino a farla precipitare nella depressione. Ma ormai sapeva che quella sciocca umana, per quanto potesse soffrire, non lo dimostrava mai con sguardi abbattuti o atteggiamenti sconfortati. Difronte a lui reagiva con rabbia e scatenava il suo potere, dimostrandosi più forte di quanto lei stessa immaginasse. 
Ma fu in quel momento, vedendo quelle ciglia luccicanti e quella chiazza bagnata, che il ragazzo si rese conto di come l'umana sapesse nascondersi. 
Se davanti ai suoi occhi rispondeva con tenacia, una volta sola liberava la sua enorme fragilità. Due antipodi in una stessa persona, esattamente come ogni umano.
Ed ancora una volta in Deimos nacque quella curiosità che non aveva mai avuto per nessuno. La curiosità di sapere quale fosse stata la causa di quelle lacrime. 
Le si avvicinò ulteriormente e piegò la testa all'indietro per osservarla con distacco. << Svegliati umana >> ordinò incolore. 
Gea liberò un mugolio e le palpebre le vibrarono piano; appena dopo il suo volto si rilassò e lei tornò a respirare con lentezza. 
Il ragazzo sollevò un sopracciglio ed abbassò il capo, guardandola di sottecchi tra i suoi ciuffi ribelli. Odiava ripetersi, specialmente quando si trattava di favorire l'umana. 
Fin dal principio si era rifiutata di obbedire ai suoi ordini senza curarsi delle conseguenze, ma soprattutto aveva dimenticato la minaccia in ogni regola che le aveva imposto. 
Sorrise con sadico divertimento mentre un'idea gli balenava per la mente. Uscì dalla stanza e si diresse al bagno. 
Le avrebbe riservato un risveglio tutt'altro che piacevole. Un risveglio che l'avrebbe fatta ravvedere su molte cose. 
Raccattò una bacinella in plastica nascosta nello sportello sotto il lavandino e la riempì di acqua ghiacciata fino all'orlo. 
Si teletrasportò davanti al letto della giovane per non sprecare nemmeno una goccia durante il tragitto a piedi e gliela puntò sopra la testa. Sorrise divertito e capovolse l'intero contenuto della tinozza su di lei. 
Gea si svegliò di colpo. Scattò come una molla e si allontanò dal flusso freddo che le veniva riversato addosso. Si alzò dal materasso e mantenne gli occhi sgranati mentre apriva le braccia per evidenziare le condizioni in cui era stata ridotta. 
L'acqua le gocciolava copiosamente dai capelli raccolti nella coda, dalle labbra, dal mento, dalle ciglia e dalla lunga maglietta. 
Rabbrividì per il gelo che l'aveva colta e rimase immobile in quella posizione, temendo che ogni spostamento d'aria l'avrebbe fatta tremare. Solo le sue gemme d'ambra si mossero in direzione del giovane col fine di fulminarlo. << Era necessario? >> domandò con stizza. 
Deimos lanciò la bacinella a terra, facendola roteare sul pavimento, e sorrise sghembo. << Impara ad obbedire agli ordini, umana >> la canzonò con un'occhiata minatoria. 
Gea alzò un dito e lo indicò con scetticismo. << Ai tuoi ordini? Non ci penso proprio >> affermò convinta. 
Il ragazzo le rivolse uno sguardo derisorio ed incrociò le braccia sul petto. << Credi di avere scelta? Sei così ottusa da non aver ancora capito che non puoi far nulla contro di me? >> 
La giovane strinse i denti e richiuse le mani a pugno, colpita nel segno dalle sue parole. Perché aveva ragione: lei non poteva davvero nulla contro di lui. Assolutamente nulla. Se non era stata capace di battere Ninlil, contro quel maledetto non avrebbe avuto nessuna speranza. Da una parte lo odiava profondamente, ma dall'altra... Il cuore le batté più forte e si ritrovò costretta ad abbassare la testa. 
<< Vado a cambiarmi >> blaterò in fretta, dirigendosi di gran carriera verso la porta. Ancora una volta sentiva la necessità di scappare da quei dannati occhi che stavano cominciando a confonderla e a far salire a galla ciò che aveva sapientemente sotterrato. 
Uscì dalla camera sotto lo sguardo impassibile e, al tempo stesso, indagatore di Deimos. 
Qualcosa, in quell'umana, era cambiata. Fin dal pomeriggio precedente gli era apparso come se lei stesse cercando di evitarlo o addirittura di scappare in sua presenza. 
Ma, dopotutto, non gli importava minimamente. Quell'umana non aveva valore ai suoi occhi. E lui non era solito sprecare il proprio tempo. 




                                                                        *  *  *




Qualche ora più tardi i piedi dei due giovani si posarono sul sassoso terreno dello Utah.
La ragazza volse il capo in ogni direzione, girando su se stessa per poter avere una visione a trecentosessanta gradi di quel luogo fino ad allora sconosciuto ai suoi occhi. 
Sorrise incantata nell'ammirare la magnificenza che si espandeva sotto il suo raggio visivo. 
Le sembrava di essere approdata in una terra senza tempo, sebbene fosse stato proprio il suo scorrere inesorabile a trasformare quel paesaggio nel corso dei decenni. 
La mano calda del sole si appoggiavano con delicatezza su centinaia di archi in pietra rossa che si estendevano sulle sconnesse montagne rocciose. Al di là di ogni arco si allargavano altre distese all'apparenza infinite. Solo il contrasto con l'azzurro intenso del cielo sembrava porre loro una fine, delineando un confine. 
Dalla roccia sulla quale si trovava, Gea riusciva a godere di una visione quasi totale di quello spettacolo naturale. Si sentiva una spettatrice difronte ad un'orchestra di archi senza corde, ma pur sempre capaci di produrre una dolce melodia. E nelle sue orecchie, come per magia, risuonò la musica di un tempo lontano, un tempo nel quale gli agenti atmosferici avevano trasformato quel luogo in un paradiso, scolpendo ogni roccia con cura fino ad estrarne una scultura. 
E mentre il sole baciava quella terra come fosse stata una figlia, mentre gli uccelli battevano le loro ali della libertà e attraversavano la volta celeste, mentre le lucertole godevano dell'abbraccio dei caldi raggi e mentre il tempo scorreva frenetico in ogni angolo del mondo, Gea sorrideva grata. Grata di essere nata e di aver avuto la possibilità di esplorare, anche solo con gli occhi, quel posto modellato dalle mani della perfezione. 
Alzò il naso al cielo ed inspirò a pieni polmoni. << Grazie >> sussurrò flebilmente, ridendo piano subito dopo. 
Si volse a guardare Deimos e gli sorrise felice. << Grazie >> ripeté annuendo. 
Il ragazzo la fissò col suo imperturbabile sguardo senza scomporsi di una virgola. Osservò come gli occhi della giovane fossero accesi, gioiosi e lucenti, al pari di quelli di una bambina a cui viene regalato il regalo più bello. 
Stupida umana, pensò con rabbia. Presto quel sorriso le sarebbe stato strappato brutalmente per essere rimpiazzato da una smorfia di dolore. E solo in quel preciso istante sarebbe stato lui a sorridere. 
<< Preparati >> la avvertì duramente, richiamando la sua attenzione di nuovo rivolta al paesaggio. Non le diede il tempo di voltarsi che scattò nella sua direzione. 
Appena Gea girò la testa, Deimos sparì. Un millesimo di secondo dopo le si materializzò davanti, ma la ragazza non se ne rese conto, troppo intenta a cercarlo con lo sguardo dalla parte sbagliata. 
E così accusò il primo forte colpo contro il collo. Un colpo che le chiuse per un istante la gola, la fece traballare e subito dopo cadere a terra. 
La ragazza si posò una mano sul collo e sgranò gli occhi. Perché l'aveva colpita con tanta violenza? Non che tutte le altre volte l'avesse percossa con gentilezza, ma in quel momento le era apparso più violento del solito, come se ci fosse stato un motivo. 
<< Terza regola >> le sussurrò con freddezza all'orecchio, mentre l'agguantava per i capelli e glieli tirava malamente all'indietro. << Mai. Abbassare. La. Guardia >> scandì in un soffio, prima di scagliarla contro al suolo e farle battere la testa. 
Gea liberò un ringhio di dolore e di rabbia e posò una mano sul terreno, provocando la formazione di una voragine proprio sul punto in cui si trovava il ragazzo. Deimos le lasciò andare i capelli e si teletrasportò su una roccia più alta rispetto al livello su cui giaceva la giovane. 
Quest'ultima si alzò in piedi traballando e puntò gli occhi furenti, e da una parte addolorati, su di lui. << Tre giorni. Tre giorni sono passati dallo scontro con Ninlil >> gridò agitando un braccio tremante nella sua direzione. << E tu lo sai bene. Sai bene che non ho ancora recuperato le forze perché non posso usare quel dannato potere curativo. Sai bene che le mie ferite si devono ancora rimarginare. E sai bene che i miei poteri non funzionano al cento per cento per no so quale motivo. Ma tu mi attacchi ugualmente >> sputò riducendo gli occhi a due fessure. << E lo fai con una ferocia degna di ciò che sei. Adesso ti credo, sai? Tu non sei umano >> asserì scuotendo piano il capo. << Sei solo uno schifoso e deplorevole mostro con un cuore di pietra ed una lingua tagliente. Un maledettissimo vigliacco che gode nel veder soffrire coloro che tanto disprezza. Ma sappi che il male è come un boomerang, prima o poi torna al mittente >> concluse lanciandogli uno sguardo perforante. 
Deimos rimase della stessa dura espressione. Per tutta la durata dello sfogo non aveva accennato un'emozione, se non un guizzo della mandibola alla parola "mostro". 
Quell'umana aveva superato di troppo il limite entro cui doveva stare. Stavolta le avrebbe fatto pagare ogni singola offesa come non aveva mai fatto prima. 
E l'avrebbe fatto a suo modo, senza trattenersi. 
La ragazza lanciò un urlo e si prese la testa tra le mani. Sgranò gli occhi e gridò di nuovo, atterrita da ciò che i suoi occhi vedevano. Il buio. Era tutto nero. Ma c'era un qualcosa dentro quell'oscurità, un qualcosa che la sua mente registrava come di estremamente pericoloso. Ma lei era in gabbia. Aveva le spalle e le gambe bloccate e nessuno l'avrebbe potuta salvare. Era sola in quel luogo senza tempo e senza spazio. 
Un dolore acuto le perforò la testa e le ginocchia le cedettero di schianto, facendola riversare a terra. 
Liberò un nuovo urlo mentre avvertiva quella presenza minacciosa avvicinarsi sempre più a lei. Nel suo cervello sapeva che quell'essere l'avrebbe uccisa nella maniera più atroce e dolorosa possibile. Non conosceva il perché, ma sapeva che sarebbe successo. 
Scalciò con disperazione, ma le sue gambe non riuscirono a farla allontanare da quel luogo oscuro. Eppure lei continuava a muoverle come se stesse correndo, perché rimaneva sempre nel solito punto? 
Gridò ancora e scosse la testa con violenza. Il cuore le batteva furiosamente nel petto ed il fiato corto le impediva di respirare in modo regolare. 
Il panico ed il terrore le avevano monopolizzato i pensieri, rendendola schiava di entrambi. 
Rotolò sullo sconnesso terriccio ed urlò con tutta l'aria che le era rimasta nei polmoni. 
La presenza oscura si mosse di nuovo, fino a farsi sentire vicina al suo viso. E lei continuava a cercare di scappare senza riuscire a muovere effettivamente un solo passo. Le sembrava di spostarsi, eppure il suo corpo non compiva neanche una delle mosse che lei faceva, ma rimaneva sempre nella stessa immobile posizione. 
Si sentiva ingabbiata nel suo stesso corpo. 
E fu proprio quella sensazione che cominciò a smuovere qualcosa nella mente della ragazza. Un qualcosa che per un attimo dissolse il buio e le mostrò la reale luce del sole, per poi farla ripiombare nell'oscurità abitata dalla minacciosa entità. 
Ma fu quello sprazzo di luce a scatenare dei pensieri positivi in lei. 
Deimos corrugò la fronte e ritrasse la testa, mantenendo lo sguardo puntato sulla giovane. Sentiva il suo potere spegnersi ad intervalli, come se l'umana in dei momenti fosse in grado di creare una barriera mentale per impedirgli di agire. 
Gea tastò la terra con una mano ed afferrò dei ciottoli, stringendoli con forza. Doveva creare un collegamento col mondo reale, un qualcosa che le facesse avvertire dolore e focalizzasse il suo cervello su quello. 
Un urlo risuonò nel buio di ciò che i suoi occhi riuscivano a vedere. E subito dopo fu seguito da un nuovo grido tanto acuto da farle accapponare la pelle e lanciare uno strillo spaventato. 
Che cosa stava succedendo? Sarebbe stata lei la prossima ad essere uccisa barbaramente? 
Strinse i ciottoli fino a farsi bruciare il palmo. No, nulla di ciò che sentiva e vedeva era vero. Era solo un brutto scherzo della sua mente. Non doveva lasciarsi impressionare, perché quella non era la realtà. 
Contrasse la mascella e liberò un ringhio tra i denti. Lei si trovava in quel luogo paradisiaco che poco prima aveva ammirato con entusiasmo, e non in quel posto buio e apparentemente vuoto. 
Uno sprazzo di luce illuminò l'oscurità come un lampo che squarcia il cielo, e per più di un attimo gli occhi della ragazza tornarono a vedere la realtà che la circondava. Sentì il cinguettio ilare di un uccello che appena dopo mutò in un grido grottesco diffuso attraverso l'eco di quella gabbia cupa entro cui era mentalmente intrappolata. 
Scosse la testa e batté il palmo insanguinato per terra, provocandosi nuove ferite mentre l'entità minacciosa le si avvicinava con rapidità. Strillò con rabbia, disperazione, frustrazione, paura e forza. Ed intanto la sua fronte s'imperlava di sudore bagnandole la benda ed alcuni ciuffi di capelli. 
Ripensò agli archi di pietra e agli uccelli che volavano liberi nel cielo, al sole che baciava quella terra e alla felicità che aveva provato poco prima, ma ogni pensiero fu accompagnato dal bruciante terrore per quella presenza che le stava per saltare addosso. E così, nemmeno per un attimo, riuscì ad allontanarsi dall'oscurità che la teneva prigioniera. 
Scalciò ed agitò le braccia per allontanare l'entità che sentiva aveva spiccato il balzo per piombarle addosso e ridurla in brandelli. 
E fu proprio un secondo prima che la morte le crollasse addosso che lanciò l'ultimo urlo addolorato e spezzato dalla sofferenza. In realtà gridò un nome. Non il nome di sua madre, non di suo padre, non di una sua amica, non di Dio, ma del suo carnefice: Deimos. 
E lo fece con una tale forza da risvegliare in lei tutti i piacevoli sentimenti che provava per lui. Tutti i momenti che nella sua mente aveva annoverato come belli. Tutte le volte che lo aveva sentito ridere. Tutte le volte che aveva visto i suoi occhi illuminarsi come quelli di un normale ragazzo. Tutte le volte che l'aveva presa in giro facendola divertire. E tutte le volte che, anche se lui non lo avrebbe mai ammesso, l'aveva aiutata. 
E mentre le sue guance si tingevano di rosa ed il suo cuore batteva emozionato, l'oscurità si dissipò dalla sua mente, facendola tornare a respirare l'aria pulita della realtà circostante. 
Sbatté le palpebre più volte, con stanchezza, e rimase distesa a terra. Puntò gli occhi sul terriccio accanto al suo volto e lo esaminò come fosse stato ciò che di più bello potesse esistere. Dopodiché spostò lo sguardo sul cielo e lo ammirò estasiata, con le labbra dischiuse ed il respiro corto. 
Ci era riuscita. Era riuscita a liberarsi da quella gabbia buia che le impediva di muoversi. E paradossalmente ne era stata in grado grazie al suo carnefice. Sospirò stremata e chiuse gli occhi, ma l'oscurità che le piombò sulle iridi la spaventò a tal punto da farle risollevare le palpebre. Temeva che la presenza minacciosa si potesse ripresentare in ogni angolo buio e terminare ciò che lei aveva interrotto. 
Rabbrividì inorridita ed assunse una posizione fetale, come a volersi proteggere. 
Deimos nel frattempo la osservava con freddezza, senza mostrare lo sconcerto che gli bruciava nelle vene. Nessuno era mai riuscito a contrastare il suo potere, nessuno fino a quel momento. Perché quella stupida umana ci era riuscita? 
Ringhiò tra i denti mentre la rabbia per quell'avvenimento senza precedenti infiammava ogni fibra del suo smisurato ego. 
Piantò il suo irato sguardo a terra ed espirò con rabbia. Evidentemente quell'umana non era né debole né stupida se era stata capace di avere un tanto grande controllo sulla sua mente. Se era stata in grado di rendersi conto che ciò che le veniva proiettato non equivaleva alla realtà. 
Sentì la ragazza tossire e tornò a posare gli occhi sul suo corpo stremato e steso al suolo. 
Senza ulteriori pensieri scese dalla roccia sulla quale si trovava e la raggiunse. Una volta esserle giunto dinanzi, si piegò sui talloni e le scrutò il volto stanco. 
I loro occhi s'incontrarono in quell'istante. La rabbia che popolava gli zaffiri del ragazzo si spense di colpo, mentre osservava le gemme d'ambra lucide e provate di lei. 
Non si dissero niente. Gea allungò un braccio verso di lui e Deimos lo afferrò per sollevarla e rimetterla in piedi. Le posò una mano sul costato mentre la giovane gli si avvicinava per posare la testa sul suo petto, trattenendosi dal chiudere gli occhi.
Il giovane la scrutò per svariati istanti, sentendo il respiro agitato di lei scontrarsi contro la sua maglietta. Dopodiché, con lo stesso silenzio col quale erano arrivati, sparirono da quel paradisiaco paesaggio: spettatore di un sentimento che stava iniziando a sbocciare.




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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***










Neanche un secondo dopo raggiunsero la loro abitazione nella contea di Scottsbluff. 
Le suole delle loro scarpe toccarono le consumate assi di legno dell'ingresso, facendole scricchiolare sotto il loro peso. 
Gea rimase immobile nella sua posizione, con la testa sul petto del ragazzo e gli occhi ancora aperti, sebbene fossero sempre più spenti e stanchi. 
Quella visione raggelante le aveva mandato in tilt il cervello e le aveva prosciugato ogni forza. Da una parte sapeva che era stato l'effetto del potere di Deimos, ma dall'altra temeva che quell'entità misteriosa le ripiombasse addosso quando meno se lo sarebbe aspettata. 
Solo per questo motivo si costringeva a non chiudere gli occhi, perché nel buio che le sarebbe calato sulle iridi avrebbe ancora potuto risiedere la minaccia. E lei ne era estremamente terrorizzata. 
Il ragazzo abbassò la testa ed osservò con distacco l'umana, come se fosse stata un moscerino deplorevole. Sentiva il respiro di lei contro la maglietta ed il calore del suo corpo contro il palmo della mano. 
Quella sensazione non lo infastidì come avrebbe dovuto, ma anzi, gli fece venire voglia di avvicinare ulteriormente la giovane a sé. 
Appena se ne rese conto contrasse la mascella ed irrigidì i muscoli delle braccia. Ma non allontanò la mano dal costato della ragazza.
E fu proprio quel gesto rivendicatorio, in netto contrasto coi suoi pensieri, a farlo innervosire. Perché diamine non voleva togliersi di dosso quell'appiccicosa umana? Eppure fino ad un momento prima era stato intenzionato a farla crogiolare nel dolore e nella pazzia, a farle assaggiare il suo letale potere e a farla soffrire come una bestia. Almeno sin quando non le aveva sentito urlare il suo nome in quel modo supplichevole e colmo di patimento. 
In quel preciso istante non aveva provato pietà, ma qualcosa di diverso. Qualcosa che gli aveva fatto sgranare gli occhi ed aveva contribuito ad affievolire il suo potere, permettendole di trovare una via per liberarsi. 
Perché quell'inutile umana era capace di provocargli un tale effetto? 
Si era ripromesso di fargliela pagare, eppure non ci era riuscito. Lui. Lui che non si era mai fermato dinanzi a niente, lui che non conosceva i sentimenti, lui che era sempre stato spietato, lui che non si era mai fatto scrupoli nel far soffrire qualcuno. Che accidenti gli stava succedendo? 
Strinse la presa sul fianco della ragazza fino a farle liberare un mugolio di dolore. Gea alzò la testa e puntò gli occhi in quelli profondi e accesi di lui. << Mi stai facendo male >> si lamentò con una smorfia della bocca. 
<< Allora spostati >> sibilò con durezza Deimos, incatenandola al suo sguardo. 
<< Mm >> mormorò Gea, mentre le palpebre le divenivano più pesanti e la mente cominciava a scollegarsi. << Ah >> aggiunse dondolandosi sui talloni ed annuendo assente. << Sì >> concluse voltandosi e muovendo qualche passo verso le scale. 
Per un attimo la vista le si appannò e le gambe le cedettero, ma prontamente si resse alla parete con un braccio. << Uh >> esclamò in un sospiro, scuotendo il capo. 
Ci era andata vicina. Vicina a cadere rovinosamente a terra e a rischiare che le si chiudessero gli occhi. Si sentiva come se avesse bevuto due bottiglie di vodka e non dormisse da giorni. Le gambe la sorreggevano con precarietà, le era iniziato un forte mal di testa e non era quasi più in grado di ragionare lucidamente. Ma non avrebbe chiuso gli occhi per nulla al mondo, altrimenti la minacciosa entità l'avrebbe uccisa in modo atroce. Avrebbe resistito e sarebbe rimasta sveglia finché ne fosse stata capace. 
Scosse ancora una volta il capo e sbatté le palpebre più volte nel tentativo di destarsi, dopodiché riprese a barcollare fino alla ringhiera delle scale, alla quale si aggrappò con tutte le sue forze, e salì il primo gradino.
Deimos la osservava con impassibilità mentre compiva quegli immani sforzi per raggiungere la sua camera. 
Sapeva bene il perché di quel malessere generale che Gea stava sopportando. Era un effetto collaterale causato dalla presenza invasiva che il suo cervello aveva dovuto sostenere e contrastare, fino ad espellere. Se solo non fosse stata in grado di liberarsi, la sua mente si sarebbe rassegnata ed abituata a quella presenza sino a condurla alla pazzia. Uno stato mentale dal quale non sarebbe mai più tornata indietro.
Un forte tonfo risvegliò il ragazzo dai suoi pensieri. I suoi freddi zaffiri si focalizzarono sul corpo della giovane schiacciato contro i gradini. 
Gea si lamentò tra i denti con qualche inafferrabile borbottio e fece leva sulle braccia per risollevarsi, ma si ritrovò a sbuffare poco dopo, appena si rese conto che non ne era capace. 
<< E dai >> biascicò scocciata. << Alzati >> si ordinò picchiettando una mano sul legno scolorito di uno scalino. 
Il ragazzo la osservò ancora per qualche istante mentre lei sbuffava ed agitava un braccio in preda a degli stanchi piagnucolii, infine mosse dei passi nella sua direzione e si piegò per afferrarle il polso che muoveva in aria. La volse su un fianco e le agguantò anche l'altro polso, riuscendo così a sollevarla e rimetterla in piedi. << Ora datti una mossa e sparisci dalla mia vista >> le fiatò sul viso col suo tono freddo e duro. 
Gea strinse gli occhi già mezzi chiusi ed inclinò la testa di lato. Liberò i polsi dalla sua presa e gli passò le braccia dietro al collo, facendo leva per avvicinarsi al corpo del giovane. 
Deimos non si mosse di un solo millimetro, ma i suoi zaffiri divennero più attenti e dei minuziosi esaminatori del volto di lei. 
<< Perché, tu dove vai? >> domandò la ragazza, con un tono indagatore. << Al pub? >>
Il giovane sollevò un sopracciglio e le rivolse un cenno del capo. << E se anche fosse? >> la provocò con una nota di sfida nella voce. 
<< No >> biascicò Gea, stringendogli il collo tra le braccia e nascondendo la testa su una sua spalla per merito della posizione più elevata di cui godeva. 
<< No cosa? >> insistette Deimos, voltando di poco il capo fino a far scontrare il suo sguardo contro i capelli della giovane. 
<< Non andrai... da nessuna parte >> affermò lei in un sussurro assonnato. << Rimarrai qua con me >> aggiunse mettendo la fronte a contatto col suo collo. 
<< Tu non puoi darmi ordini >> la riprese lui con un tono più basso e rauco, mentre i suoi occhi si perdevano ad esaminare le sfumature di colore dei capelli della giovane. 
<< Ti prego >> mugolò Gea. 
<< Supplica finché vuoi, umana >> la canzonò con un sorrisetto derisorio. << La situazione non cambierà. >> 
<< Ma dai >> biascicò in un lamento. 
Appena dopo, con un piccolo balzello, intrecciò le gambe dietro la schiena del ragazzo e premette il corpo contro il suo. 
Deimos le passò le mani sui fianchi ed istintivamente l'avvicinò a sé. << Che stai facendo? >> le domandò con un tono serio ed assottigliando lo sguardo. 
Gea si strinse maggiormente al giovane e per un attimo chiuse gli occhi, riaprendoli subito dopo con fatica. << Ho paura >> fiatò sul collo di lui, tremando al ricordo di ciò che aveva sopportato una decina di minuti prima. << Non te ne andare >> sussurrò in una preghiera. 
Il ragazzo contrasse la mascella, ma non proferì parola. 
C'era un qualcosa dentro di lui che premeva per accettare la supplica della giovane, ma la parte più razionale non era minimamente intenzionata a cedere. Odiava quel qualcosa che lo confondeva e che gli aveva fatto battere il cuore il giorno precedente, ma più di tutto odiava quell'umana: l'unica capace di provocargli una tale confusione, di fargli sorgere pensieri non suoi e di farlo agire diversamente da come era abituato. 
Eppure quando la sentiva vicina, proprio come in quel momento, non provava fastidio, bensì il contrario. Gli piaceva. Ma si trattava di un piacere a lui estraneo e che non aveva niente a che vedere con quello che percepiva con altre ragazze. Un piacere tanto forte da destabilizzarlo e farlo innervosire. 
Strinse i denti con forza mentre avvertiva il respiro caldo e pacato di Gea contro la pelle. Dopodiché si decise a salire le scale nell'intento di scollarsi l'umana di dosso il prima possibile. Più lei gli sarebbe stata lontano e meglio sarebbe stato per lui. Non la voleva tra i piedi né tantomeno tra i pensieri; un'inutile umana non era degna di scatenargli un simile effetto. 
Raggiunse la camera della ragazza, entrò rapidamente e si diresse a passo spedito al letto sfatto ed ancora bagnato. Non se ne curò affatto, si piegò sul materasso, spinse le mani contro i fianchi della giovane e l'allontanò dal suo corpo, sentendo istantaneamente una ventata fredda contro il torace. 
Gea ricadde sul letto con un mugolio, successivamente si raggomitolò su un fianco e continuò a dormire come stava facendo da qualche minuto.  
E così non si accorse di quando Deimos inclinò la testa per osservarla da una diversa angolazione, di quando i suoi penetranti zaffiri si focalizzarono su una lunga striscia rossa sul suo collo, di quando le si avvicinò per prenderle il mento tra due dita e stringerlo con forza, di quando le voltò la testa per appurare quanto fosse esteso quel marchio provocato dal colpo che le aveva scagliato addosso e di quando la lasciò andare per teletrasportarsi in qualche luogo lontano. 




                                                                       *  *  *




Si svegliò molte ore più tardi, quando ormai il sole stava calando dietro l'orizzonte e la volta celeste assumeva calde sfumature. 
Sbatté le palpebre rapidamente e corrugò la fronte per il lieve mal di testa che ancora le martellava le tempie. Dopodiché si sollevò sui gomiti e lanciò un'occhiata alle leggere tende della finestra che venivano smosse dal vento con una grazia ammaliatrice. 
<< Ti sei svegliata >> esclamò una voce femminile, facendola spaventare. 
Ninlil entrò nella stanza a grandi passi e con un sorriso ad illuminarle il pallido incarnato. I vispi occhi le ricaddero sul letto bagnato e stropicciato, così sollevò le sopracciglia e continuò ad esaminarlo con stupore. << Che cosa è successo qui? >> domandò poco dopo. 
Gea si tirò a sedere, incrociò le gambe e prese a giocherellare con le dita. << È stato Deimos >> rispose mentre le farfalle spiccavano il volo nel suo stomaco. << Per svegliarmi, stamattina. >> 
L'incarnante dell'aria alzò la testa e fissò il volto della giovane, intenta ad osservarsi le mani. 
<< Gea >> la richiamò spostando il capo per cercare di guardarla negli occhi. La ragazza portò immediatamente le sue gemme d'ambra su Ninlil ed attese in silenzio. 
La giovane dal caschetto ribelle camminò per la stanza fino a che non decise di sedersi per terra, difronte all'altra. << Sono qui anche per questo motivo >> riprese a dire, fissandola intensamente. 
L'espressione di Gea divenne lo specchio della confusione che aleggiava nella sua testa. << Per il letto? >> domandò stringendo gli occhi. 
Ninlil ridacchiò divertita e scosse il capo. << Non per quello, ma per un qualcosa che ha a che vederci >> affermò ritornando seria e scrutando il volto della ragazza davanti. Successivamente inspirò profondamente e si grattò i capelli, fece vagare lo sguardo per il pavimento ed infine piegò una gamba per giocare coi lacci delle scarpe. << In realtà sono qui da un po' >> confessò piano. << Non che avessi intenzione di spiare o cose simili, ma volevo solo venire a trovare la mia alleata >> dichiarò accennando un piccolo sorriso. 
Gea ascoltava quelle parole col battito accelerato. Per qualche strana ragione immaginava quale piega avrebbe preso la conversazione e cosa avessero visto gli occhi di Ninlil. 
<< Perciò voglio sapere... >> continuò a dire l'incarnante dell'aria, prendendosi una pausa. << Cosa c'è tra te e Deimos? >> domandò infine, alzando la testa e puntando gli occhi in quelli di Gea. 
Il cuore della ragazza ebbe un balzo. Odiava le domande dirette, ma più di tutto odiava quando le venivano poste da qualcuno che sembrava sapere la verità e che aveva solo bisogno di una conferma. 
Scrollò le spalle e si mostrò tranquilla. << Niente >> rispose soltanto, scuotendo di poco il capo.
Ninlil tornò ad osservare i lacci colorati della sua scarpa e riprese a giocarci con una mano. << Tanto per chiarire le cose: non te l'ho chiesto perché ho qualche interesse per lui, ma solo perché vorrei che tu mi potessi considerare un'amica. Cioè... >> Sospirò dal naso e si cimentò a sciogliere un nodo. << Mi rendo conto che per te non sia facile fidarti di me dopo ciò che ti ho fatto, ed immagino che considerarmi un'amica vada ben oltre le tue aspettative... Però credo anche che tu stia facendo troppo affidamento solo su te stessa >> asserì alzando gli occhi su di lei. Le lanciò un'occhiata penetrante e piegò una gamba per avvolgerla con un braccio. << Da quello che ho visto sei molto coinvolta da ciò che provi, ed immagino che per te non sia facile gestire la situazione. Insomma, stiamo parlando di Deimos non di un ragazzo qualunque >> prorompette battendo le mani sulla gamba. << Un pezzo di ghiaccio sprigiona molto più calore rispetto a lui... e con questo credo di aver chiarito abbastanza >> concluse con un gesto della mano. 
Gea deglutì faticosamente e si sfiorò la fascia sulla fronte in un gesto nervoso. << Tu... Cosa hai visto di preciso? >> domandò restituendole lo sguardo.
<< Sono arrivata nel momento in cui eravate davanti alla porta d'ingresso. Tu avevi la testa appoggiata sul suo petto e Deimos teneva una mano sul tuo fianco >> ricordò Ninlil. Subito dopo alzò gli occhi al cielo e sospirò pesantemente. << Te lo giuro, non volevo spiare. Solo che vedervi così vicini mi ha fatto sorgere qualche domanda, ed allora sono rimasta per cercare delle risposte. Ho fatto bene, male, non lo so. Ma in quel momento... >> Agitò le mani alla ricerca di qualche parola, infine rilassò le spalle e riportò lo sguardo in quello di Gea. << Se ti senti offesa da questa mia noncuranza nei confronti della tua privacy, mi dispiace. Mi dispiace tanto, perché vorrei che le cose tra noi migliorassero, e non il contrario. >>
La giovane dai capelli dorati si guardò le mani e poi il polso destro, attorno al quale si trovava un sottile braccialetto d'oro regalatole dalla sua ormai deceduta nonna. Cominciò a farlo roteare intorno alla benda con lentezza, come quando era piccola e non sapeva cosa fare. << Non sono né offesa né arrabbiata >> pronunciò pacatamente. << Mi sento solo... >> Lasciò il braccialetto e puntò gli occhi per terra. << Denudata >> ammise stringendo le sue gemme d'ambra e fissando l'altra ragazza. 
<< Quindi Deimos ti piace? >> 
<< No >> esclamò Gea, sgranando gli occhi e sobbalzando sul posto. 
Ninlil si aprì in un sorriso soddisfatto. << Hai risposto troppo in fretta, o meglio, hai negato troppo in fretta. >> 
<< Non ho mentito >> ribatté l'incarnante della terra, scuotendo la testa. 
<< Eppure il tuo corpo ha appena affermato il contrario >> le fece notare l'altra, persistendo a sorridere. << Sapevi che quando mentiamo il nostro cervello manda un impulso capace di farci compiere piccolissimi e velocissimi movimenti coi muscoli della bocca o, più in generale, del viso? >> le domandò retoricamente. << E tu ne hai già fatti due >> la freddò con uno sguardo divertito. << Sono un'acuta osservatrice, che ci vuoi fare >> si vantò stringendosi nelle spalle. 
Gea rimase di sasso. Immobile. Non sapeva a quale scusa attaccarsi per continuare a negare. Tutto ciò che diceva sembrava rivelarsi una lama a doppio taglio che finiva per colpire lei. Avrebbe dovuto dire la verità, ma riconoscere ciò che realmente provava per quel ragazzo dai taglienti occhi cobalto la faceva sentire ancora una volta denudata. Priva di protezione e quindi più facile da ferire. 
Sbatté le ciglia ed abbassò lo sguardo sul lenzuolo stropicciato sotto le sue gambe. << Io... >> pronunciò con la bocca improvvisamente asciutta. << Non so che dire >> terminò scuotendo piano il capo. 
<< D'accordo >> affermò Ninlil, sorridendole. << È normale che tu non voglia aprirti con me, almeno non subito. Però vorrei dirti qualcos'altro... E questo qualcosa stavolta ha a che vedere con Deimos. >> 
Il cuore della giovane dai capelli dorati iniziò a battere più rapidamente. << Cosa? >> domandò schiarendosi la voce e posando gli occhi sulla sua interlocutrice. 
Ninlil strinse le gambe al petto e si dondolò sul posto. << Per quanto tu possa crederci, anche lui è preso da te. E molto, oserei dire. >> 
<< Mi vede solo come un giocattolo >> confessò di getto Gea, senza curarsi di quanto si stesse esponendo. 
<< Davvero? >> chiese scetticamente l'incarnante dell'aria, sollevando un sopracciglio. << Ed un semplice giocattolo riesce ad inibire così tanto le sue percezioni? >> 
Gea corrugò la fronte e strinse gli occhi. << Che vuoi dire? >> 
<< Voglio dire che Deimos non si è accorto della mia presenza >> sganciò di botto l'altra, fissandola intensamente. << Ero a pochi metri di distanza da voi e lui non se n'è reso conto. Capisci cosa significa? >>  
La ragazza scosse la testa mentre il cuore premeva per uscirle dal petto. 
<< Significa che era così tanto preso da te da non aver fatto caso a nulla di ciò che lo circondava >> dichiarò Ninlil, aprendosi subito dopo in un sorriso. << Credi ancora di essere vista come un giocattolo? Fossi in te mi farei qualche altra domanda. >> 
Le guance di Gea si colorarono di rosa e le mani le sudarono per l'emozione. Le poche speranze che aveva custodito gelosamente e che si erano man mano affievolite tornarono ad accendersi di una nuova luce. << Ma... >> pronunciò intrecciandosi le dita in un gesto imbarazzato. << Cioè... Lui è... >> 
<< Oh be', sarò sincera, inizialmente ne sono rimasta sorpresa anch'io >> mise in chiaro la giovane dal caschetto ribelle. << Anzi più che altro mi sembrava impossibile, conoscendo il soggetto >> precisò stendendo le gambe ed allungandosi per toccare le punte delle scarpe. << Però poi l'ho trovata una cosa così carina... Siete belli da vedere >> ammise con un grande sorriso. 
Gea abbassò la testa e sorrise teneramente. << Tu credi che lui potrebbe tenere, anche solo un po', a me? >> domandò emozionata. 
Ninlil inspirò profondamente, piantò i palmi delle mani a terra e puntò lo sguardo sulla ragazza difronte. << Conosco molto poco Deimos, perciò mi baso soprattutto su ciò che vedo. Se c'è una cosa che ho appreso nell'immediato è che lui non fa mai trapelare niente, quindi torna scomodo sbilanciarsi su un qualcosa che non viene mostrato. Dopo ciò che ho visto oggi potrei anche dirti di sì, ma avrei bisogno di più prove per dare un giudizio effettivo. Quella di oggi non è sufficiente, può significare molto come poco >> asserì seria in volto. << Tu sei la persona che lo conosce meglio in assoluto. Perciò ti rimando la domanda: credi che lui potrebbe tenere a te? >> 
Gli occhi della ragazza dai capelli dorati vagarono per la stanza in una pausa riflessiva. Il fatto che fosse stata riconosciuta come la persona che conosceva meglio Deimos la fece sentire ancora più vicina al giovane. << A volte credo di sì, ma il più delle volte penso il contrario >> ammise tornando a guardare l'altra. << Ogni azione che compie smentisce la precedente. Se prima c'è qualcosa che mi fa pensare che possa tenere a me, subito dopo ce n'è un'altra che mi fa convincere dell'opposto. È... complicato >> dichiarò gesticolando con le mani e stringendo gli occhi. << Con lui non si può mai essere sicuri di niente, è... un'incognita vivente. Un'incognita nel quale tutto è il contrario di tutto >> concluse in un sospiro. 
Ninlil sorrise. << Sai, da come lo hai descritto si capisce che lo conosci bene >> affermò con sommo stupore di Gea. << Ho sempre pensato che solo chi conosce a fondo una persona possa faticare a descriverla. E non mi riferisco al fatto dell'affibbiare aggettivi, quello lo sanno fare tutti. Ma quando si tratta di trovare delle parole che ritraggano la profondità di una persona... be', lì solo quei pochi che la conoscono davvero si trovano in difficoltà. Perché misurano il peso di ogni parola affinché nessuna di queste la snaturi o renda male l'idea, e perché sanno che la sua interiorità è così profonda che non esistono aggettivi con significati tali da poter essere intesi dalla superficialità degli altri >> terminò continuando a sorriderle. << E questo è ciò che hai appena fatto con Deimos. Nessuno meglio di te avrebbe potuto descriverlo in modo tanto generale quanto preciso. >> 
L'incarnante della terra abbassò la testa e si passò i capelli su una spalla, cercando di dissimulare l'emozione che faticava a farla star ferma. Improvvisamente sorrise e tornò a puntare lo sguardo sull'altra ragazza. << Avevi ragione: sei un'acuta osservatrice. Non ti sfugge nulla. >> 
<< Ma solo quando si tratta degli altri >> precisò Ninlil, arricciando il naso. << Quando, invece, si tratta di me stessa trascuro molti particolari >> confessò stringendosi nelle spalle e ridacchiando. << Come ogni essere umano, dopotutto. Sono più brava a guardare nel giardino del vicino che nel mio. >>  
Gea sorrise complice e strinse le gambe al petto. << Ti ringrazio >> affermò annuendo. << Grazie di essermi stata d'aiuto. >> 
Ninlil mosse una mano come a voler scacciare una mosca. << È troppo presto per ringraziarmi. Prima ho intenzione di aiutarti a trovare le risposte che cerchi >> dichiarò ammiccando nella sua direzione. 
La giovane dai capelli dorati inclinò il capo incuriosita. << E in che modo? >> 
<< Di questo non ti devi preoccupare. Penserò a tutto io >> le rispose posandosi una mano sul petto. Dopodiché guardò l'ora sul suo orologio da polso e si alzò da terra. << Ed ora è meglio che vada, altrimenti a casa mi daranno per dispersa. >> 
Gea scese dal letto e le si avvicinò mentre si lisciava i vestiti stropicciati. << Ti voglio ringraziare comunque >> affermò sorridendo. << Mi ha fatto bene parlare con te. >> 
Ninlil le restituì il sorriso e si strinse nelle spalle. << Ne sono contenta. Anche perché senza che tu te ne sia accorta sono riuscita a farti aprire, seppur di poco. Ma quel poco mi è bastato per appurare ciò che inizialmente pensavo >> dichiarò mentre gli occhi le s'illuminavano di una luce soddisfatta. 
<< E cioè? >> domandò l'altra, guardandola confusa. 
L'incarnante dell'aria le posò una mano sulla spalla e le rivolse un tenero sorriso. << Che sei innamorata. >> 




                                                                       *  *  *




Non le aveva dato il tempo di controbattere. Immediatamente dopo quella frase, il debole peso che sentiva sulla spalla si era dissolto nell'aria, e con quello Ninlil. 
Per svariati minuti rimase immobile nella sua posizione, con gli occhi sgranati ed il cuore impazzito. Solo successivamente si sedette sul letto e cercò di calmarsi con dei profondi respiri. 
Sapeva bene quanto quell'ultima affermazione equivalesse alla realtà. Lo sapeva da tempo. 
Ma non aveva mai voluto riconoscerlo, giungendo persino ad evitare di pronunciare quelle poche parole nella mente. 
Ed invece ci aveva pensato Ninlil a rendere il tutto ancora più vero. 
Da una parte non poteva negare che la cosa la rendesse dieci volte più emozionata e più viva di quanto non fosse già, ma dall'altra aleggiava sempre lo stesso timore. 
Ma in quel momento sentiva che la felicità per quel sentimento riusciva a superare qualsiasi paura, persino quella di non essere ricambiata. 
Gea sorrise tra sé e sé senza accorgersene. 
Sentire pronunciate quelle fatidiche parole non aveva messo in risalto gli aspetti negativi di ciò che provava per Deimos, bensì ogni minuscola sfumatura positiva. 
Aveva percepito una scarica elettrica attraversarle corpo e mente, facendola ridestare dal torpore. Ed improvvisamente l'argine che aveva eretto per contenere i suoi sentimenti era stato scavalcato e distrutto dalla forte corrente di emozioni. 
Si alzò con decisione ed andò davanti alla finestra per ammirare il cielo stellato. Inspirò a pieni polmoni l'aria tersa, appoggiò la testa al pannello in legno della finestra e puntò lo sguardo verso l'orizzonte buio. 
Che si fosse nascosta oppure no avrebbe sofferto nella stessa identica misura. 
Deimos non l'avrebbe mai ricambiata e le loro strade, prima o poi, si sarebbero allontanate per sempre. 
Che differenza avrebbe potuto fare ammettere a se stessa quella verità che ormai faticava a soffocare? Probabilmente nessuna. Perché che lo confessasse oppure no quel sentimento c'era, ed ogni giorno diveniva sempre più grande. 
Avrebbe cavalcato l'onda di quell'emozione finché le sarebbe stato concesso, finché non si sarebbe schiantata contro la terra ferma. Perché sì. Quella era la verità, dolorosa o meno.
Lei era innamorata di Deimos. 




                                                                         *  *  *




Qualche ora più tardi, dopo una doccia rilassante, dopo aver sostituito le lenzuola del letto e dopo aver cenato in completa solitudine, si sedette sul divano. 
La rabbia la divorava. Deimos era sparito da chissà quanto tempo ed ancora non si premurava di farsi rivedere. 
Molto probabilmente si trovava in compagnia di qualche simpatica svestita con cui avrebbe trascorso quasi tutta la notte. Del resto era ciò che faceva ogni santa volta. 
Lo sentiva rientrare in casa solo alle prime luci dell'alba o in certe occasioni persino più tardi.   E se all'inizio non le importava affatto, adesso cominciava a darle piuttosto fastidio. 
Sobbalzò impaurita appena sentì un sassolino picchiare contro la finestra vicina a lei. Si voltò a guardarla mentre il cuore prendeva a batterle furiosamente. 
Non riusciva a vedere nitidamente cosa si celasse al di fuori, per farlo avrebbe dovuto attaccare la fronte al vetro e coprire il riflesso della luce con le mani. Ma aveva paura. Paura che lì fuori, nella desolazione attorno all'abitazione, si aggirasse qualcuno che in quel momento la stava spiando. 
Sgranò gli occhi inorridita e deglutì con la gola secca. Che cosa avrebbe dovuto fare? Nascondersi? 
Già faticava a pensare, muoversi sarebbe stato uno sforzo immane. E poi temeva che proprio quando lei si fosse mossa, quel qualcuno ne avrebbe approfittato per introdursi nella casa. 
Le mani iniziarono a sudarle e presto divennero fredde come pezzi di ghiaccio. 
Non avrebbe nemmeno potuto chiudere la porta a chiave dal momento che non possedeva una chiave. Chiunque sarebbe potuto entrare in qualsiasi momento senza compiere fatica e senza lasciare tracce. 
Quell'ultimo pensiero l'agitò ulteriormente. Forse si trattava di ladri che avevano avuto la geniale idea di presentarsi quando lei era sola in casa. Probabilmente avevano spiato le loro abitudini ed avevano compreso che a quell'ora c'era solo la sua misera presenza a popolare quelle quattro mura. 
Saltò sul posto e liberò un breve urlo quando un altro sassolino venne lanciato contro il vetro. Il rimbombo del battito del cuore le riempì le orecchie. 
Non sapeva cosa fare, si sentiva esposta con qualsiasi mossa avrebbe deciso di compiere. 
Che fossero ladri o meno avrebbe dovuto forzare le sue gambe tremanti ad allontanarsi di lì prima che quel qualcuno la vedesse. 
O forse quella figura nascosta nell'oscurità l'aveva già vista? 
E fu in quel momento che la sua mente scattò a ritroso, riportandola a quella stessa mattina. Ma più precisamente all'incubo a cui i suoi occhi avevano assistito. 
Buio. Le labbra le tremarono ed un brivido le scosse la schiena. Grida. Le pupille le si dilatarono ed anche le mani iniziarono a fremere. Morte. Il suo viso perse ogni traccia di colore e gli occhi le si inumidirono. 
Era la stessa identica situazione, solo che adesso doveva fronteggiarla nella realtà. 
E come nella visione non riusciva a muovere un muscolo per scappare, nonostante la sua mente glielo comandasse a gran voce. 
Oltre la finestra imperava la stessa oscurità che le aveva già una volta impedito di scrutare cosa si celasse al suo interno. Davanti ai suoi occhi atterriti cominciarono ad accavallarsi immagini della visione ed immagini della realtà, fino a che queste due percezioni non si fusero insieme mandandola in corto circuito. 
E quindi quella presenza era tornata per portare a termine ciò che lei aveva interrotto. E la stava aspettando là fuori. O forse sarebbe entrata molto presto in casa.
Le veniva da piangere, gettarsi a terra, raggomitolarsi e chiedere venia a quell'entità dannata che le voleva strappare la vita. 
Al terzo rimbalzo contro il vetro, Gea gridò con tutto il fiato che aveva in gola e si rannicchiò in un angolo del divano, fissando con gli occhi sgranati la finestra. 
Perché si divertiva ad atterrirla in quel modo? Perché non l'attaccava subito? Che cosa stava aspettando? 
Il silenzio ritornò a piombare sulla casa, rendendo l'intera circostanza ancora più inquietante e macabra. Il cielo rombò piano, mentre al di sopra delle imponenti nuvole varie scariche elettriche strisciavano come serpenti. 
Il cuore della ragazza continuò a battere all'impazzata, dando l'impressione di voler scappare da quella spettrale situazione. 
E così Gea decise di approfittare di quell'apparente calma per allontanarsi dalla sua postazione. Appoggiò un piede a terra e poco dopo scattò sulle gambe tremanti in direzione delle scale, ma prima che le raggiungesse un sasso più grosso dei precedenti spaccò la finestra e rotolò per il salotto. 
Nel sentire i frammenti di vetro cadere sul pavimento con degli schianti acuti, Gea sgranò gli occhi e si piegò sui talloni. Si tappò le orecchie con le mani e gridò a perdifiato, finché la gola non le divenne arsa e la costrinse a tossire. 
<< Basta! >> strillò scuotendo il capo. << Basta! >> 
Rimase immobile a tremare, mentre ancora una volta il silenzio riempiva le stanze. Dopo poco si volse lentamente a guardare il sasso che era rotolato quasi sino a lei. Con gli occhi annebbiati dal terrore riuscì a mettere a fuoco un pezzo di carta legato attorno alla pietra. Piegò la testa e lesse l'ordine impresso con l'inchiostro. 
"Esci." 
Il cuore le perse più di un battito e dovette schiudere le labbra per respirare affannosamente. 
Che cosa significava? Perché la presenza oscura la voleva fuori di lì? 
Deglutì con fatica e si guardò attorno. 
Forse perché essendo un'entità capace di muoversi nel buio non poteva esporsi alla luce delle lampade della casa. Perciò finché fosse stata sotto un fascio luminoso sarebbe stata al sicuro, per quanto di sicurezza si potesse parlare. 
Eppure quella precaria convinzione non la tranquillizzava, perché era sicura che quella presenza avrebbe trovato una qualsiasi altra maniera per ucciderla. 
Con un rapido scatto corse sino alla cucina, si piegò dietro al tavolo ed aprì un basso cassetto entro cui, qualche tempo prima, aveva intravisto una torcia. 
Rovistò tra le cianfrusaglie con le dita tremanti e lanciando continuamente occhiate al salotto. Alla fine impugnò il pesante manico dell'oggetto e lo estrasse dal contenitore. Appurò che funzionasse e si precipitò alla porta d'ingresso. 
Stava compiendo una pazzia, ma non aveva altra scelta se non quella di fronteggiare il nemico. Questa volta avrebbe usato i suoi poteri con la speranza di uscirne vittoriosa. 
Col cuore in gola ed ogni parte del corpo scossa dai tremiti, uscì dalla casa. Fu subito investita da un vento più freddo del solito che la fece rabbrividire ulteriormente. Mosse il fascio di luce della torcia da una parte all'altra con frenesia, col timore che in ogni angolo buio si potesse materializzare l'entità. 
Dopodiché avanzò di svariati passi, costeggiando tutta la facciata della casa e staccando di tanto in tanto qualche pezzo d'intonaco con la spalla. 
Il suo respiro agitato risuonava nella silenziosa desolazione man mano che si allontanava dalla casa e dalla sua luce.  
Proseguì a camminare con cautela, sentendo la paura crescere ad ogni passo e gonfiarsi dentro al petto. Lanciò uno sguardo alle sue spalle per tenere d'occhio la casa dalla quale si stava distanziando ed infine riprese la ricerca della presenza minacciosa. 
<< Che cavolo stai facendo? >> l'aggredì dalle spalle una voce conosciuta. 
Gea gridò spaventata ed un fulmine toccò la terra dietro l'abitazione, squarciando l'oscurità. 
Si voltò di scatto con gli occhi fuori dalle orbite ed inondò il ragazzo con la luce della torcia. 
Deimos gliela strappò di mano e la gettò malamente a terra, dopodiché afferrò la giovane per un polso e si teletrasportarono nel salotto della loro casa. 
<< Che diamine stavi facendo? >> le sbraitò nel viso, scuotendola rudemente. 
Gea continuò a respirare in modo agitato, ma senza riuscire a proferire parola. Osservò gli zaffiri del giovane in quel momento scuri, furenti e spietati; dopodiché scosse la testa come a volersi risvegliare dal suo stato di shock e la rabbia s'impadronì nuovamente di lei. << Tu dov'eri? >> gridò colpendolo sul petto con un pugno. << Dov'eri quando avevo bisogno di te? >> continuò, sentendo le lacrime premere per uscire. 
<< Hai bisogno di una balia? >> la canzonò con uno sguardo accecato dall'ira ed un tono tagliente. Le agguantò entrambi i polsi e li strinse tra le mani fino a farle male. << Che cosa stavi facendo là fuori? >> ripeté fra i denti. 
La ragazza ridusse gli occhi a due fessure e ritrasse la testa. << Come puoi essere così crudele? >> domandò con un filo di voce. << Tu non hai idea di quello che ho passato in quei maledetti minuti >> affermò rinvigorita dalla rabbia. << E adesso spunti dal nulla per aggredirmi con la tua cattiveria? Ma chi pensi di essere? >> sbottò strattonando le mani.
Deimos la lasciò andare e si volse per darle le spalle. Camminò per la stanza con le mani nelle tasche dei pantaloni e con la stessa furia di un leone rinchiuso in una cella, alla fine scaricò la collera sferrando un calcio al vaso della pianta finta con tanta forza da ridurlo in pezzi.  
Gea sobbalzò spaventata e si abbracciò in un gesto protettivo. 
<< Rispondi alla domanda >> sibilò il ragazzo, tornando a posare i suoi alterati occhi su di lei. << Che cosa ci facevi là fuori? >>
<< C'era... qualcuno >> confessò la giovane. << Ha... ha lanciato tre sassi contro la finestra e poi... >> Puntò lo sguardo a terra e ricercò l'ultima pietra, individuandola nell'immediato. << E poi quella >> concluse indicandola con un dito. 
Deimos spostò i suoi zaffiri sull'oggetto in questione e si avvicinò per raccoglierlo. Lo soppesò con dei piccolo balzelli sul palmo ed infine staccò il pezzo di carta, leggendo ciò che c'era scritto. 
Gea lo osservò mentre contraeva la mascella ed irrigidiva i muscoli delle braccia. 
<< E tu obbedisci al primo sconosciuto che ti comanda qualcosa? >> la riprese, accartocciando il foglietto nella mano. 
<< Tu non capisci >> ribatté lei, scuotendo il capo. << Era... era tornato >> affermò mentre la paura l'assaliva di nuovo. Le grida di quella mattina le risuonarono nelle orecchie. << Voleva finire quello che aveva lasciato incompiuto. Voleva finire me una volta per tutte >> asserì con le mani tremanti e gli occhi pieni di lacrime.
Il ragazzo assottigliò lo sguardo. << Di chi diavolo stai parlando? >> domandò spazientito. 
Gea voltò la testa e posò le sue spaurite gemme d'ambra su di lui. << Lo sai di chi >> asserì mentre una lacrima le scivolava sulla guancia. Difronte a quella vista, le pupille del giovane si dilatarono impercettibilmente ed ogni muscolo del suo corpo si tese. 
<< Aveva ucciso tutti >> continuò a dire la ragazza. << Gli mancavo solo io. Ed allora ha visto bene di attaccarmi una volta calato il sole, così si sarebbe potuto di nuovo muovere nell'ombra senza farsi vedere >> disse scoppiando in un pianto dirotto. << Che cosa potevo fare? Rimanere qua dentro in attesa di essere uccisa? Volevo solo difendermi e fronteggiarlo con tutti i miei mezzi. >> 
Deimos rimase immobile ad osservare come le lacrime scendessero dal volto della giovane e  ricadessero a terra. Non aveva mai visto l'umana piangere, ma aveva sempre immaginato che sarebbe stato un bello spettacolo. Eppure nel vedere quei grandi occhi arrossati, quelle labbra tremanti e quell'espressione distrutta non provò niente che fosse riconducibile al divertimento. 
<< Non esiste quella minaccia che credi tu >> le disse con freddezza. 
<< Ed invece sì che esiste >> sbottò Gea, battendo un piede al suolo. << Cosa ne vuoi sapere tu? Non eri nemmeno qua perché probabilmente ti stavi sollazzando con qualche altra svestita. >> 
<< Quello che faccio non sono affari tuoi >> tagliò corto lui, scoccandole un'occhiata tagliente. << Preoccupati di più della tua sanità mentale >> sputò poi con cattiveria. 
La ragazza accusò quel colpo come se fosse stato un pugno nello stomaco. Sgranò gli occhi e le venne voglia di vomitare. 
Qualsiasi desiderio di controbattere svanì di colpo dalla sua mente, e così si limitò a tacere e a dirigersi verso le scale. 
Le salì in fretta, quasi correndo, finché non giunse nel suo porto sicuro costituito dalla camera. Sbatté la porta con violenza, come se quella fosse una risposta a ciò che le aveva detto, e si lasciò scivolare a terra.
E mentre Gea si prendeva la testa tra le mani e piangeva a dirotto, Deimos soppesò ancora una volta il sasso che teneva tra le dita. Lo lanciò in aria quattro volte con una calma calcolatrice, mantenendo il suo imperturbabile sguardo puntato sulla finestra rotta. Solo alla fine, con uno scatto d'ira, mosse il braccio talmente veloce da scagliare la pietra oltre il vetro. 
Ed essa volò in mezzo all'oscurità, la attraversò rapida come un uccello, la squarciò con la sua precisa traiettoria, finché non cadde al suolo con un tonfo sordo, inglobandosi al buio. 




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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***









Gea non chiuse occhio per tutta la notte. Rimase seduta a terra, con le spalle contro la porta e gli occhi gonfi ad osservare il soffitto. 
Studiò ogni piccola e grande crepa intessuta nel vecchio intonaco ormai logoro. Seguì la traiettoria delle fenditure con attenzione, trasformando quel passatempo in un gioco.
Per tutta la notte non fece altro, evitando per quanto le fosse possibile di pensare al ragazzo. 
Lui non meritava il suo tempo. E forse non se l'era mai meritato. 
Quando un raggio di sole le toccò la scarpa, abbassò lo sguardo sul rinvigorito legno scuro del pavimento e sospirò stancamente. Ma non perché si sentisse assonnata, bensì per un altro genere di stanchezza. Si sentiva spossata dalle ferite che giorno dopo giorno continuava a collezionare. Nessuna di queste aveva il tempo di risanarsi che nell'immediato ne sorgevano di nuove. 
Per questo motivo le sembrava di essere senza forze, perché tra l'una e l'altra non aveva né il tempo di assimilare né di rafforzarsi. Come se stesse cercando di rialzarsi dopo una caduta, ma con continuità le venissero lanciati addosso dei pesi tali da impedirle di darsi lo slancio. 
E lei stava cominciando ad essere stanca di quelle insistenti stoccate. Prima o poi avrebbe smesso di provare a sollevarsi e sarebbe rimasta a terra, in balia del destino.
Ma sapeva bene che non se lo sarebbe mai realmente concesso, perché, per quanto le costasse ammetterlo, per quello spietato ragazzo dagli occhi cobalto avrebbe continuato a tentare e ritentare finché non avesse ottenuto qualcosa.  
Forse era stupida, pazza, illusa, ma non le interessava. Non se si trattava di Deimos.
Lo stomaco le ruggì rumorosamente, ricordandole che era giunta l'ora di nutrirsi e di smuoversi dalla sua scomoda posizione. 
Si alzò da terra tra smorfie di dolore e stiracchiamenti vari, dopodiché uscì dalla stanza e percorse il breve tratto di corridoio che la divideva dalle scale. Mentre passava davanti al bagno, la porta si aprì. 
I freddi occhi del ragazzo saettarono sul volto di Gea, la quale evitò di ricambiare il suo sguardo e di considerarlo. E così la giovane lo superò senza degnarlo della sua attenzione, nonostante il cuore le battesse furiosamente come a volerle ricordare chi lui fosse. 
Scese le scale di volata e si precipitò nella cucina per riprendere fiato. Si posò una mano sul petto e liberò un sospiro profondo. Ma appena avvertì un gradino scricchiolare, spalancò gli occhi e si costrinse ad indossare un'espressione neutra ed indifferente. Si diresse al frigorifero e ne estrasse una bottiglia di latte, in seguito passò ad aprire uno sportello della cucina per raccattare un bicchiere da riempire con la sua bevanda. 
Deimos mise piede nella cucina proprio in quel momento. Esaminò da capo a piedi la ragazza mentre chiudeva la confezione del latte e si sedeva al tavolo col suo bicchiere, e contrasse la mascella. L'umana aveva scelto di far finta che lui non esistesse. Quella novità avrebbe dovuto fargli piacere considerato il suo desiderio di non volerla tra i piedi, eppure gli dava terribilmente fastidio. Un fastidio che non era in grado di spiegarsi. 
Mosse dei passi per la stanza fino a raggiungere la bottiglia del latte alle spalle di Gea, si appoggiò al pianale e cominciò a bere alcuni sorsi di quel liquido freddo. 
Nel frattempo la ragazza aveva la destabilizzante sensazione che la nuca le venisse perforata da due paia di gelidi zaffiri. Il cuore continuò a rimbalzarle nel petto con crescente velocità, finché non si decise a scolare di getto il contenuto del bicchiere e scappare da quella cucina divenuta improvvisamente troppo stretta. 
La sua sedia slittò sul pavimento con uno stridio tale da spezzare il silenzio, e ciò contribuì ad agitare ancor di più la ragazza, che dissimulò il suo stato interiore con uno sguardo ricolmo d'indifferenza. 
Con una minuziosa manovra del braccio riuscì a depositare il bicchiere nel tinello, davanti a cui si trovava il ragazzo in una posa disinvolta. Si premurò di non sfiorarlo nemmeno per sbaglio mentre ritraeva la mano. Una volta riuscita nel suo intento si lodò mentalmente e si avviò fuori dalla cucina. 
Sospirò per distendere i nervi ed inspirò a pieni polmoni nel tentativo di darsi un contegno e persistere nel suo intento di evitarlo. 
Non sapeva che cos'avrebbe voluto ottenere con quell'atteggiamento, ma le era venuto spontaneo fin dal primo momento in cui lo aveva visto uscire dal bagno con la coda dell'occhio. L'affermazione della sera prima le aveva fatto troppo male per far finta di nulla. A mente più lucida si era resa conto che la visione vissuta a causa di Deimos non aveva niente a che vedere con ciò che le era successo la sera precedente. Ma lì per lì, mentre era accecata dalla paura, non aveva avuto modo di accorgersene ed aveva preso quell'ipotesi per vera. 
Raggiunse la finestra incriminata e si piegò di poco sulle ginocchia per esaminare quanto grande fosse il danno provocato dal quarto sasso. 
Un debole vento le accarezzò il viso e le smosse alcuni capelli sulle tempie. Alzò un dito e picchiettò su un tratto di vetro rimasto intatto, ma appena il suo polpastrello ci entrò in contatto questo cadde a terra e raggiunse gli altri frammenti. 
<< No >> esclamò colpevole, osservando il cimitero di vetri sotto i suoi piedi. Li smosse con la punta della scarpa come a volerli rianimare ed infine se ne allontanò per ricercare con lo sguardo qualcosa che potesse tappare il buco alla finestra. 
Gli occhi le caddero sui cocci disseminati sul pavimento, un tempo facenti parte di un vaso. 
Ancora non aveva ben chiaro il perché dell'ira che aveva infervorato il ragazzo la sera prima. Le sembrava strano che si fosse arrabbiato solo perché lei era uscita di casa. O forse le stava nascondendo qualcosa a cui lei era andata molto vicina? Un qualcosa che non voleva che lei scoprisse e che probabilmente aveva a che fare con l'entità sconosciuta che aveva lanciato i sassi. 
Sospirò pesantemente e mantenne lo sguardo sui cocci. Su quante cose la stava ancora tenendo all'oscuro? Quando avrebbe potuto rifidarsi di lui e smettere di sospettare? 
Le sue gemme d'ambra si velarono di tristezza e nostalgia. Scosse la testa per scacciare quei pensieri e riprese la sua ricerca da dove l'aveva interrotta. 




                                                                       *  *  * 




Ogni secondo contribuiva ad aumentare il nervosismo di Deimos. 
Odiava l'atteggiamento indifferente dell'umana, che oltretutto stava andando avanti da svariate ore. Se da principio si era ripromesso di adottare la stessa indifferenza per tenersela lontana dai piedi, adesso faticava a mantenere la calma. 
Dopo essersi fatto una lunga doccia ed aver indossato una nuova maglietta e dei nuovi pantaloni rigorosamente neri, si teletrasportò in cucina. Puntò gli occhi sulla schiena della ragazza ed incrociò le braccia al petto. << Preparami il pranzo, umana >> le ordinò perentorio. 
Il cuore di Gea sobbalzò emozionato. Era la prima volta in quella giornata che le rivolgeva la parola, peccato che lo avesse fatto per comandarle qualcosa a cui lei non aveva intenzione di ubbidire. 
Evitò accuratamente di considerare le sue parole e di conseguenza la sua presenza, e continuò a tagliare i finocchi in piccoli pezzi. 
Deimos contrasse la mascella innervosito e mosse dei rapidi passi in direzione della ragazza. Le afferrò il polso con cui impugnava il coltello, la strattonò verso di sé e le prese la mandibola in una mano per alzarle la testa. << Ti conviene smetterla >> le disse tra i denti, stringendo la presa. 
Gea puntò i suoi neutri occhi in quelli accesi di lui e rimase in silenzio, ma per poco dal momento che le risultava impossibile non rispondergli. << E a te conviene lasciarmi in pace >> ribatté con un tono tagliente. << Ho un coltello in mano, potrei lanciartelo addosso da un momento all'altro. >> 
<< E credi che mi farei colpire da una stupida umana come te? >> la canzonò con cattiveria, perforandola con lo sguardo.
La ragazza strinse i denti ed aumentò la stretta delle dita attorno all'arma. Qualche tempo prima sarebbe stata seriamente tentata dall'idea di scagliargli quell'oggetto contundente addosso, ma adesso... adesso odiava la sola idea di potergli fare del male. 
Deimos le lanciò un sorrisetto derisorio. << Fallo. Colpiscimi >> la incitò scuotendola. << O forse non ne hai il fegato? >> 
<< Sta' zitto >> sibilò Gea, assottigliando lo sguardo. 
Il ragazzo le si avvicinò di un passo. << Reagisci, umana >> la canzonò mantenendo la stessa espressione dissacrante. Abbassò la testa e con le labbra giunse a pochi millimetri dall'orecchio di lei. << È quello che vuoi, no? >> la stuzzicò fiatando contro la sua pelle. La giovane trattene il respiro ed istintivamente gli agguantò la maglietta, stringendola tra le dita. 
<< Scarica la rabbia >> le sussurrò con un tono più basso, muovendole il polso per puntarsi il coltello contro al petto. 
Gea deglutì faticosamente ed osservò come la punta della lama si trovasse a contatto con la maglietta di Deimos. Perché lui stava facendo tutto quello? Perché la stuzzicava a colpirlo? Che cosa cercava di ottenere? 
<< Che cosa ti dice che non lo farò veramente? >> gli chiese, nascondendo l'agitazione. 
Il ragazzo sorrise divertito ed avvicinò ulteriormente la bocca al suo orecchio, finendo per sfiorarlo. << La tua debolezza >> rispose tagliente. 
<< Meglio essere deboli che degli assassini >> replicò di getto lei. 
Deimos allargò il sorriso e fece scivolare le dita sopra la mano di Gea, provocando il battito accelerato del cuore della ragazza. Ma appena il coltello le venne strappato dalla presa poco salda e le venne puntato sull'addome, sgranò gli occhi e le si mozzò il respiro. 
<< Solo che i deboli periscono, ed indovina per mano di chi? >> le domandò con ironia in un roco sussurro.  
La giovane gli strinse la maglietta e digrignò i denti. Perché riusciva sempre a metterla con le spalle al muro? Ma soprattutto, perché a lui veniva tanto naturale ferirla o pensare di ucciderla? Quella era l'ennesima schiacciante prova che il ragazzo non tenesse a lei, ma che la considerasse un oggetto da poter usare a suo piacimento. 
Ripensando a quanto il giorno prima si fosse interrogata proprio su quella questione, si sentì una sciocca. Aveva perso tempo per qualcosa che non esisteva, ma che lei desiderava ad ogni costo. Talmente tanto da farle vedere spiragli di luce in una valle di oscurità. 
Deimos percepì il cambio di umore della ragazza dalla sua volontà di non reagire. Aveva ormai imparato che quando lei si rifiutava di controbattere verbalmente o attaccare fisicamente, qualcosa la stava turbando. E come ogni volta si ritrovò ad essere curioso dei suoi pensieri. 
Senza riflettere, abbassò la testa ed andò a posare la bocca sul collo della giovane, schiudendo le labbra per risentire quel sapore che tanto gli piaceva. 
Gea spalancò gli occhi per lo stupore ed il cuore le iniziò una rapida corsa. 
Il ragazzo gettò il coltello per terra, che con il suo atterraggio sulle piastrelle provocò la propagazione di un metallico ticchettio per la stanza, e le passò la mano su un fianco. Salì con le labbra su un altro piccolo tratto di pelle e lo mordicchiò piano, prima di assaporarlo  con la lingua ed allontanarsi quel tanto che bastava a sfiorarle la mandibola con la punta del naso. << La devi smettere, umana >> le fiatò sul viso, a pochi centimetri dalla bocca. 
Gea deglutì pesantemente mentre il suo sguardo si focalizzava sulle labbra del giovane. << Non sto facendo nulla >> ribatté a bassa voce.  
Deimos le passò una mano sulla schiena e l'avvicinò a sé, dopodiché piegò la testa di lato e piantò i suoi velati e duri zaffiri sulla bocca di lei. << La devi smettere di evitarmi >> dichiarò sfiorando impercettibilmente le labbra di Gea con le sue. 
Il cuore della ragazza sobbalzò stupito. E lo fece sia per quel gesto delicato che per quelle parole inattese. 
<< Perché, ti dà noia? >> lo stuzzicò stringendo il lembo della sua maglietta nel palmo sudato.  
<< Non ti conviene scherzare col fuoco >> la redarguì espirando sulla sua bocca e facendo scivolare entrambe le mani sui suoi fianchi. 
Gea mosse un piccolo passo in avanti e si morse un labbro, gesto che fece scurire le iridi del giovane. << E a te non conviene tergiversare >> sussurrò inclinando la testa. << Altrimenti continuerò ad evitarti. >> 
Deimos rimase in silenzio, con lo sguardo perso sulla bocca di lei. Successivamente strinse la presa sui suoi fianchi e la sollevò da terra; le passò una mano sotto la coscia destra e l'altra andò a posarla sulla sua schiena, premendo il corpo della ragazza contro di sé. 
La giovane avvinghiò le gambe attorno al suo bacino e gli circondò il collo con le braccia, mentre entrambi insistevano ad osservarsi e scrutarsi con delle espressioni concentrate e decisamente perdute l'una in quella dell'altro. 
<< Mi devi rispondere >> sussurrò Gea, tirandogli una ciocca di capelli con delicatezza. 
Il ragazzo sorrise beffardo e le toccò il mento con le labbra, mantenendo gli occhi socchiusi. << Io non devo mai niente, umana >> le ricordò con un tono provocatorio.
<< D'ora in poi adotterò anch'io questa tua filosofia di vita >> asserì lei, depositando un piccolo bacio su un angolo della sua bocca. << E ricomincerò ad evitarti. >> 
Quel delicato gesto scatenò in Deimos un qualcosa di non ben identificabile, ma che per la seconda volta in vita sua gli fece battere il cuore. E così deglutì pesantemente e persistette ad osservare le labbra di Gea, in quel momento estremamente vicine. 
Un secondo dopo la schiena della giovane si scontrò contro il muro, e la sua bocca venne tappata da quella famelica di lui. La baciò con passione e avidità, come un assetato che dopo giorni s'imbatte in una fonte d'acqua. 
Spostò la mano dalla sua schiena, premendo ogni dita contro il corpo della ragazza, e la fece risalire sino al suo viso, posizionando il palmo sulla sua guancia accaldata. E nel frattempo le morse piano il labbro inferiore in modo tale da stuzzicarla e farle liberare un mugolio di piacere. 
Gea rafforzò la stretta delle gambe attorno al bacino di Deimos e lo avvicinò a sé, ma in compenso gli tirò una ciocca di capelli e lo distanziò dalla sua bocca. I loro respiri agitati si fusero l'uno in quello dell'altra, mentre nella stanza regnava solo il rumore della lancetta dei secondi che scandiva l'inesorabile scorrere del tempo.
<< Non mi hai dato una risposta >> mormorò flebilmente lei. Il cuore le batteva talmente veloce che fece persino fatica a sentire le sue stesse parole. 
Deimos sorrise divertito e fece pressione col palmo per alzarle la testa. << E non l'avrai >> dichiarò appoggiando le labbra sul suo collo. Iniziò a succhiarle un lembo di pelle con lentezza, alternando la punta della lingua ai denti e provocando lo scollegamento del cervello della ragazza. Quest'ultima gli agguantò la corta manica della maglietta e la strinse nella mano sudata, riducendola ad un brandello spiegazzato ed umido. Contrasse l'addome ed appoggiò la nuca contro al muro, mentre manteneva gli occhi chiusi e si lasciava sfuggire un sospiro di piacere. 
Il giovane, nell'udire quel flebile verso, si sentì scuotere da un fremito che lo indusse ad intensificare la velocità dei bollenti baci che le disseminava sul collo. 
Non gli era mai successo. Mai successo di sentirsi tanto coinvolto in un rapporto di quel tipo. Non era in grado di pensare lucidamente e di controllarsi, ma era preda dell'istinto e dell'atmosfera. Desiderava quell'umana più di qualsiasi altra al mondo. L'unica che fosse capace, pur non muovendo un dito, di inibire la sua ragione e risvegliare i suoi sensi. 
Gli sarebbe bastata una volta. Una volta sola ed era certo che tutti quegli strani effetti che riusciva a scatenare in lui sarebbero svaniti. 
Le morse il lobo dell'orecchio ed in contemporanea premette il bacino contro quello della ragazza. << Chi è George? >> le domandò di punto in bianco, con un tono rauco e severo. 
Gea riaprì gli occhi, li strinse confusa ed abbassò la testa per cercare il suo sguardo. << Perché? >> chiese con un filo di voce. 
Deimos le marcò il profilo della mandibola con la punta del naso, dopodiché puntò i suoi lucenti zaffiri nelle gemme d'ambra di lei. << Rispondi >> le ordinò duramente. << Chi è? >> ripeté con un cenno del capo. 
La ragazza sbatté velocemente le palpebre. << Perché io dovrei risponderti se tu non lo fai mai? >> ribatté stizzita. << Non ci penso nemmeno. >> 
Il giovane rimase in silenzio e fece scivolare la mano che le teneva sul viso verso il suo fianco. Ci si ancorò ed in contemporanea alzò il mento in un gesto di sfida, guardandola con un'espressione impassibile. << Una a testa >> pronunciò atono. << Tu rispondi alle mie domande ed io risponderò alle tue. >> 
Il cuore di Gea sobbalzò per lo stupore di quella concessione. Avrebbe potuto rivolgergli tutti i quesiti che le assillavano da sempre la mente e liberarsi di una parte di quei fastidiosi tarli. Ma davvero lui le avrebbe risposto? O si trattava solo di una trappola? Per una volta decise di accantonare i sospetti e di comportarsi da ingenua.  
<< Adesso rispondi >> le comandò perentoriamente, fissandola con intensità. 
La ragazza riemerse dai suoi pensieri e senza accorgersene si ritrovò incastrata nel freddo sguardo di lui. Deglutì e si schiarì la voce. << È un mio compagno di corsi. Un amico >> specificò sentendosi in dovere di farlo. << Lo hai visto una volta sulla porta di casa mia. >>
Deimos la fissò per qualche altro secondo, infine le si avvicinò e deviò la bocca in direzione del suo collo. Ci poggiò le labbra e le schiuse per baciarla lascivamente. 
La giovane tornò a strizzare il lembo di maglietta che teneva in una mano e trattenne a stento un gemito. << Perché me lo hai chiesto? >> domandò d'un fiato. 
Le leccò un tratto di pelle sino alla clavicola e si soffermò su di essa per morderla piano. << Lo hai nominato nel sonno l'altra notte >> le rispose affondando le dita nel suo fianco. 
La mente di Gea scattò a ritroso nella speranza di ricordarsi in quale sogno fosse stato presente George, ma non rammentò niente. Però il desiderio di conoscere in che condizioni fosse stato realmente ridotto dopo l'attacco di Deimos non le si era mai allontanato dalla testa. Probabilmente doveva essere stato quello a spingerla a nominarlo. 
Ma subito dopo i suoi pensieri furono catturati da un'altra lunghezza d'onda. << E tu come fai a saperlo? Ogni notte stai fuori >> affermò con una nota di fastidio. 
Il ragazzo inspirò l'odore della sua pelle e spostò una mano sotto la sua maglietta. << Hai fatto una domanda di troppo, umana >> le fece notare, risalendo con la bocca fino a portarla davanti a quella di lei. << Come sai che ogni notte esco? >> le fiatò sul viso, fissandole le labbra. 
Nel notare dove si fossero posati i suoi occhi, lo stomaco le fece varie capriole e le si contrasse emozionato. 
<< Ti sento rientrare presto la mattina, ogni volta >> confessò depositando una mano dietro al suo collo. << Che cosa fai là fuori? >> domandò con la gola secca. Poteva immaginare quale sarebbe stata la risposta, e se da una parte odiava il fatto di averglielo chiesto, dall'altra desiderava sentirsi dire qualcosa di diverso da ciò che aveva sempre supposto. 
Deimos avvicinò il viso al suo, inclinò la testa e le sfiorò le labbra, facendo palpitare il cuore di Gea. << Gioco, bevo e mi diverto con qualche umana >> tagliò corto con un tono rauco. 
Gli occhi della ragazza si velarono di tristezza. Che cosa si era aspettata dopotutto? Che lui le dicesse che andava ad aiutare le vecchiette in giro per il mondo? Era scontato che passasse ogni santa notte a sollazzarsi con qualche tipa. Altrimenti perché tornava sempre coi capelli arruffati e la maglietta raggrinzita? 
Al pensiero che altre ragazze si fossero prese la libertà di passargli le dita tra i capelli, il suo stomaco si accartocciò infastidito. Istintivamente acciuffò una ciocca di Deimos e la strinse nella mano. 
Il giovane avvertì i muscoli di lei irrigidirsi e tendersi. E così, senza pensare, appoggiò le labbra su quelle della ragazza per lambirle con lentezza. Le alzò ulteriormente la maglietta e fece vagare le dita fin dietro la sua schiena, in modo da tenerla premuta contro di sé. 
Gea iniziò a rispondere a quel pacato bacio con stupore. Uno stupore causato dalla calma con cui stava avvenendo quel contatto, una calma mai esistita prima. Le palpebre le calarono pesantemente e lei si lasciò trasportare dalla docile corrente in cui la sua mente stava fluttuando. Dimenticò i pensieri che la stavano assillando, il tempo, lo spazio, la situazione nella quale viveva, la minaccia degli elementi e lo strano avvenimento della sera precedente. Ma in compenso si abbandonò al calore che le si propagava nelle vene e le offuscava ogni sorta di riflessione negativa. 
Accarezzò la nuca del giovane e rilassò ogni muscolo contratto, mentre lui non mostrava intenzione di voler approfondire il bacio, ma si limitava ad accarezzarle le labbra. 
Poco dopo lo scenario cambiò. La schiena di Gea non si trovò più a contatto con il muro, ma si vide sorretta dalla mano del ragazzo, che nel frattempo non aveva allontanato la bocca dalla sua. 
La giovane gli circondò il collo con le braccia e si strinse a lui, provocando una tanto più grande eccitazione in Deimos da fargli innescare un bacio frenetico e passionale. 
E mentre i loro respiri agitati si confondevano nel silenzio della stanza, il ragazzo mosse dei passi in avanti finché il suo stinco sinistro non si scontrò contro la copertura in legno del letto. 
Operò una pressione contro i fianchi di lei e la fece cadere sul materasso, interrompendo così il loro contatto. Due accesi ed intensi zaffiri s'incatenarono con due lucide e velate gemme d'ambra. Mantenendo lo sguardo fisso in quello del giovane, Gea premette i palmi sul lenzuolo e si sospinse all'indietro. Un attimo più tardi Deimos si precipitò sul corpo della ragazza, la stese sotto di sé e continuò a fissarla coi suoi penetranti occhi. 
Per un minuto buono si osservarono e scrutarono reciprocamente, senza rendersi conto che man mano i loro volti approssimavano le distanze. Solo quando il ragazzo le contrassegnò il contorno delle labbra con la punta della lingua, si resero conto di quanto fossero vicini.
In contemporanea al battito accelerato del cuore, Gea espirò un debole gemito ed appoggiò una mano sul costato di lui. In risposta a quel mugolio, Deimos le prese un labbro tra i denti e lo morse piano, dopodiché fremette ed avviò un nuovo avido bacio. 
E mentre le sollevava la maglietta sulla pancia fino a raggomitolargliela sopra al reggiseno, introdusse la lingua nella sua bocca per accendere ed intensificare il loro contatto. 
La giovane gli passò una mano sotto la maglia e gli accarezzò la pelle del ventre, per poi salire e sfiorare gli addominali con dei tocchi leggeri. I muscoli del ragazzo si tesero ed un brivido gli corse lungo la schiena, scuotendolo talmente forte da innescare il battito accelerato del suo cuore. 
Si staccò di colpo dalle labbra di Gea e le scagliò contro i suoi annebbiati ed interrogativi zaffiri. Perché lei era capace di fargli battere tanto forte quell'organo? Perché gli succedeva solo quando era insieme a lei? Che poteri aveva quella dannata umana? 
Fissò intensamente le gemme di colei che si era impossessata dei suoi pensieri come se avesse potuto trovarci delle risposte. Ma nello scandagliare quei grandi e docili occhi, ogni domanda fu spazzata via dalla sua mente come l'oscurità viene diramata dalla luce di un faro. E così le sue palpebre si socchiusero istintivamente ed il suo volto tornò ad avvicinarsi a quello di lei. Posò le labbra sul suo collo, toccandolo appena, mentre con un gomito si puntellò sul materasso e l'altra mano l'adagiò sul suo fianco nudo. << Perché odi la parola "incapace"? >> le chiese inspirando l'odore della sua pelle. 
Quella domanda, per un attimo, la spiazzò. Non si sarebbe mai aspettata un simile interesse da parte sua per il suo passato e più in generale per lei stessa. Se da una parte ne era felice, dall'altra avrebbe preferito un altro tipo di quesito. Odiava ricordare i motivi per cui a lungo si era sentita inferiore a tutti e per colpa dei quali si era sempre limitata a fare il minimo. Dei motivi che potevano essere incarnati in due persone: i suoi genitori. 
<< È... una storia lunga >> disse soltanto, deglutendo in difficoltà. 
Deimos sollevò la testa e puntò i suoi duri occhi in quelli di lei. << Rispondi >> le ordinò con freddezza. 
Gea abbassò lo sguardo e sospirò piano. << È... diciamo che... cioè... ha a che vedere col motivo per cui vivo da sola >> pronunciò, senza accorgersi del modo attento con cui la stava osservando il ragazzo. << E quindi... coi miei genitori. Loro... >> s'interruppe per buttare giù il magone che le si stava formando nella gola e schiarì la voce. << Loro non mi hanno mai vista come una figlia di cui... andare fieri. E... >> Strinse gli occhi e deglutì nuovamente. << Gli altri erano costantemente un gradino al di sopra di me. Mi hanno sempre ritenuta... >> La voce le tremò per un istante, così sospirò e cercò di distendere la tensione. << Un'incapace in tutto >> confessò infine in un sofferto sussurro. 
Dopo ciò, il silenzio piombò pesantemente su di loro. 
Il giovane rimase a scrutare la tristezza che le aveva adombrato il volto, mentre lei evitava di alzare lo sguardo ed incontrare gli zaffiri di lui. Sentiva di essersi esposta troppo, raccontandogli qualcosa che con molte probabilità non gli interessava nemmeno. E magari adesso la vedeva ancora più debole di quanto già non la vedesse. O in alternativa dava ragione ai suoi genitori, dal momento che anche lui l'aveva più volte appellata incapace.
Appena percepì le labbra del ragazzo che si schiudevano sul suo collo, il cuore le zompò nel petto e gli occhi le si spalancarono. 
<< Mm >> le disse soltanto, con un tono atono. Ma bastò quel borbottio per far emozionare la giovane, perché le sembrò quasi che lui fosse in disaccordo con ciò che avevano sempre ritenuto i suoi genitori. 
<< Tocca a me adesso >> si ricordò d'un tratto. << Perciò... perché vuoi che smetta di evitarti? >> domandò con un filo di voce. Desiderava ardentemente avere quella risposta. Perché a seconda di cosa le avrebbe detto avrebbe potuto capire se lui tenesse a lei oppure no. Il fatto che poco prima le avesse intimato di smetterla le faceva presagire qualcosa di positivo. Ma come al solito, quando si trattava di quel misterioso ragazzo, tutto poteva essere il contrario di tutto. 
Deimos irrigidì i muscoli delle spalle e salì con la bocca fino a portarla su quella di lei. 
Non sapeva nemmeno lui perché voleva che l'umana lo considerasse. Sapeva solo che quell'essere evitato gli scatenava un fastidio immenso. Perché esigeva gli occhi dell'umana e la sua attenzione rivolti su di sé, e non su qualcos'altro o qualcun altro. 
Intensificò la velocità e la passionalità del bacio appena si rese conto di un'altra verità. 
Gea gli alzò la maglietta sul petto e con l'altra mano passò a toccargli i capelli, mentre lui si abbassava sul suo corpo per farli entrare in contatto. 
Le morse un labbro e subito dopo lo succhiò con avidità, per poi riprendere a baciarla famelicamente. 
Lui voleva quell'umana per sé. Solo per sé. Non era intenzionato a condividerla con nessuno. 
Le sfilò la maglia e la gettò frettolosamente da una parte, dopodiché assecondò le dita di lei che premevano per togliergli la sua. E così nel giro di pochi secondi entrambe le loro t-shirt atterrarono sul pavimento riscaldato dai raggi del sole. 
Deimos piantò i palmi sul materasso e si calò piano sul fisico della ragazza, mentre lei gli stringeva le braccia attorno al petto come in un abbraccio. 
Gea alzò la testa e lui si fiondò di colpo sulla sua bocca, impegnandola in un bollente bacio frenetico. 
Si stuzzicarono per svariati minuti, concedendosi a malapena il tempo di respirare. Appena lei si allontanava, lui subito la cercava come se quelle labbra fossero il suo ossigeno, e viceversa. 
Si distanziarono poco dopo, quando i loro respiri si fecero troppo agitati per permettere loro di continuare. Ma in compenso furono i loro occhi ad incontrarsi. Si fissarono con un'intensità tale che nessuno dei due si rese conto che, a causa del potere di Gea, il tempo si era fermato. 
La lancetta dei secondi al piano di sotto si congelò appena prima d'inaugurare le due del pomeriggio, risparmiando che l'atmosfera non venisse spezzata dal suo tetro rintocco. E così successe agli uccelli nel cielo, le cui ali si arrestarono tra un battito e l'altro, ad ogni persona nel mondo, all'acqua nei fiumi, agli alberi smossi dal vento e a qualsiasi essere animato e non. L'intero pianeta si trasformò in una cartolina. 
Deimos abbassò la testa e scese a baciarle un lembo di pelle non coperto dal reggiseno. In contemporanea ad un sospiro della ragazza, il tempo tornò a scorrere ed il mondo riprese a respirare.   
E mentre il giovane le solleticava quel tratto con la lingua e con i denti, Gea fremette ed avvinghiò le gambe attorno ai suoi fianchi per trattenerlo a sé. Nel sentire l'eccitazione di lei crescere, di riflesso, quella del ragazzo fece altrettanto. Capovolse di scatto le posizioni e portò Gea su di sé, tenendola premuta contro il suo corpo con una mano sulla schiena e una sul costato. 
Dopodiché sollevò la testa in contemporanea all'abbassamento di essa da parte della giovane. La baciò lascivamente sulla spalla sinistra e lei posò la bocca sul suo collo. 
Quest'ultima dischiuse le labbra ed assaggiò la pelle del ragazzo quasi con timidezza, come se avesse paura di fargli del male. Successivamente intensificò l'urgenza di quei piccoli ed umidi baci scendendo verso la sua clavicola. 
Deimos appoggiò il capo sul cuscino ed emise un tremulo sospiro, mentre le sue mani calavano sulla pancia della giovane sino a raggiungerle il bottone dei pantaloni. Li sbottonò e fece pressione per farglieli scendere sotto al sedere. Gea andò in suo soccorso e si rizzò dal suo corpo per toglierseli definitivamente, tra varie goffe mosse, e lanciarli a terra. Per un attimo i suoi occhi furono catturati dai vestiti che già giacevano sul pavimento come memorie delle loro azioni, ma solo per poco dal momento che il ragazzo l'afferrò per un polso e la tirò di nuovo su di sé. La chiuse tra le sue forti braccia e si avventò sulla sua bocca, causando lo scollegamento del cervello di entrambi. 
Il cuore della giovane sembrò smettere di battere quando lui fece navigare le sue abili dita sino al gancetto del reggiseno. Poco meno di un secondo dopo, un debole ticchettio risuonò per la stanza assieme ai loro respiri mozzati.  
Deimos interruppe il bacio e sollevò la testa. << Perché mi dà fastidio >> le mormorò in un orecchio con un tono estremamente rauco. E prima che Gea riuscisse a collegare quelle parole alla domanda che poco tempo prima gli aveva rivolto, lui ribaltò le posizioni e tornò ad imperare su di lei.  
I loro lucidi occhi s'incontrarono ancora e non si staccarono per i minuti successivi. Nessuno dei due sembrava volersi privare dello sguardo dell'altro, come se quel gesto riuscisse ad alimentare di vita entrambi. Deimos analizzò minuziosamente le sfumature color ocra che serpeggiavano tra le iridi della ragazza, mentre quest'ultima scandagliò il blu tenebroso dei suoi zaffiri alla ricerca di un'emozione. Ma non riuscì a definire in modo preciso nulla di ciò che gli attraversava gli occhi, capaci d'immagazzinare ma non di riflettere. 
Gli passò una mano sulla nuca e si sporse in avanti per depositare un bacio sul suo mento, dopodiché glielo prese tra i denti e lo morse piano. 
Il giovane fremette e si abbassò su di lei, contraendo i muscoli delle spalle per non schiacciarla. Percorse con la lingua una striscia sul suo collo per poi iniziare a baciarne un tratto con ardore. Gea gemette e gli serrò una ciocca di capelli tra le dita, mentre istintivamente s'inarcava contro il ragazzo. 
<< Perché quella sera mi hai voluto seguire al pub? >> le domandò, proseguendo con la scia di baci sino alla clavicola. 
<< Volevo... >> Deglutì pesantemente ed espirò di piacere. << Volevo uscire di casa >> riuscì a dire in un soffio. 
Deimos sorrise sulla sua pelle e portò una mano sotto al reggiseno, ancora in equilibrio precario, per appoggiarla su un suo seno e stringere la presa. Gea lanciò un urletto sorpreso e nell'immediato le sue guance si surriscaldarono.
<< La verità >> le intimò il giovane, abbassando il bacino sul suo e facendole sentire la sua condizione. 
La ragazza soffocò a stento un gemito appena le labbra di lui ripresero a succhiarle un lembo non coperto dal reggiseno. << Io... >> Strinse i denti ed impugnò con più forza la ciocca che teneva tra le dita, mentre Deimos le spostava quell'impedimento dal petto e passava a stuzzicarle un seno. 
<< Tu? >> la incitò fiatando sulla sua pelle. Le infilò una mano sotto la schiena e l'avvicinò ulteriormente a sé, per poi tornare a ricoprirle il seno di baci e fameliche stoccate con la punta della lingua. 
Gea tremò per un istante, piegò le gambe e le serrò intorno ai fianchi di lui. << Volevo vedere... cosa facevi la notte >> pronunciò con difficoltà. Dopodiché, incapace di resistere oltre, costrinse il ragazzo ad alzare la testa e a portare la bocca sulla sua. 
Si baciarono con frenesia e trasporto, a tratti con più delicatezza e a tratti con urgenza, ma senza darsi tregua. 
La giovane premette le mani sulle sue spalle e Deimos l'assecondò nella sua volontà d'invertire ancora una volta le posizioni, trasportandola distesa su di sé. 
Adagiò una mano sulla schiena di lei e la fece navigare lentamente, godendosi ogni centimetro di morbida e calda pelle, sino al suo fondoschiena. Lì si soffermò e la massaggiò con un tocco leggero, sfiorandola con i polpastrelli e facendole venire i brividi. 
Gea ansimò sulla sua bocca e se ne allontanò per deglutire un cumulo di emozioni assolutamente nuove. Con un colpo secco della testa gettò i capelli da un lato, incrementando l'eccitazione del ragazzo, e si abbassò a lambire un suo pettorale. Ci giocò sia con la lingua che con le labbra, senza rendersi conto che secondo dopo secondo le iridi del giovane si facevano più scure e liquide. 
Quest'ultimo esalò un verso gutturale e contrasse ogni muscolo esposto al tocco della ragazza. Con urgenza fece scontrare il bacino a quello di lei e la riportò sotto di sé, si teletrasportò in piedi sul pavimento, lasciandola per un attimo perplessa, e si tolse rapidamente i pantaloni, prima di estrarre una bustina e buttarla sul materasso. Tornò a gattoni sul letto, mantenendo i suoi profondi zaffiri fissi in quelli di Gea, e fece leva sui palmi per distendersi sul suo corpo. La ragazza gli circondò il collo proprio mentre lui faceva entrare in contatto i loro caldi petti ed approssimava le distanze tra i loro volti. Inclinarono entrambi la testa e si osservarono le labbra a vicenda, inspirando l'uno il respiro agitato dell'altra. Gea mosse impercettibilmente il capo e gli accarezzò la guancia con la punta del naso. << Adesso me lo dici quanti anni hai? >> domandò flebilmente, disegnando motivi circolari sulla sua pelle.
Deimos socchiuse gli occhi, ammaliato da quel delicato tocco, e nascose la faccia sul suo collo. Inspirò l'odore dei suoi capelli ed infine dischiuse le labbra su un osso della sua mandibola. << Uno in più di te >> confessò delineando il percorso fino alla sua bocca con dei tocchi leggeri. << Quasi venti >> precisò prima d'impegnarla in un bacio incandescente.
Il cuore della ragazza batté rapido come un uccello. Le sembrava impossibile che lui stesse rispondendo alle sue domande. Non poteva sapere se ciò che le diceva fosse la verità, ma non sospettava nemmeno che le sue risposte fossero false. E tutto ciò contribuiva a riporre dei nuovi mattoni sul muro della sua fiducia per lui.
Il giovane incrementò l'intensità del bacio ed introdusse una mano sotto la sua schiena, facendo pressione per sollevarla e metterla cavalcioni su di sé. Gea appoggiò le mani sulle sue spalle e si allontanò dalle labbra del ragazzo per piegare la testa di lato e far cadere i fastidiosi capelli da una parte. Deimos non si perse niente di quel gesto, ma la osservò intensamente, faticando a staccarle gli occhi di dosso anche solo per un istante. 
Fece navigare la sua mano per tutta la schiena della giovane e da ultimo esercitò un'improvvisa pressione per avvicinarla a sé. Quest'ultima si strinse al corpo del ragazzo ed abbassò il capo per condurre la bocca davanti alla sua. 
Ancora una volta rimasero a scrutarsi da vicino, con gli occhi semichiusi ed il respiro corto. Era la prima volta che Deimos si prendeva così tanto tempo prima di concludere un rapporto. Con qualsiasi altra ragazza era solito far presto per raggiungere il suo culmine, invece da quell'umana desiderava di più. Voleva sentirla gemere e farle provare piacere, voleva sentirla abbandonata tra le sue braccia e vedere i suoi occhi appannati dalla passione. Ma più di ogni altra cosa, bramava sentirla sua. Un desiderio che non aveva mai provato per nessun'altra. 
Le agguantò la mandibola con una mano e strinse la presa, dopodiché con una rapida mossa fece scontrare le loro labbra, suggellando un nuovo ardente bacio. 
Gea fece scivolare un braccio sulla schiena di lui e prese a vezzeggiare la sua pelle con la punta delle dita, in un tocco tanto delicato quanto destabilizzante per la mente del ragazzo.
E così Deimos inserì una mano tra i loro corpi, risalì la pancia della giovane e raggiunse un suo seno, sul quale pose il palmo ed iniziò a giocarci con delicatezza ed al contempo ruvidità. La ragazza soffocò un gemito sulla sua bocca e gli morse un labbro, come se si fosse trattata di una punizione. La gola di lui vibrò di un ringhio gutturale e subito dopo la riportò distesa sotto di sé. La premette contro il materasso mentre lei gli cingeva i fianchi con le gambe, e nonostante il respiro spezzato si spostò a baciarle lascivamente il collo. Non le lasciò un solo centimetro di pelle privo della sua umida scia, ma al contrario provvide a depositare più marchi possibili. 
Le inclinò la testa di lato e deviò il suo tragitto in direzione dello zigomo. << Hai pianto stanotte? >> le domandò in un rauco soffio. 
Gea riaprì gli occhi ed il cuore le perse nuovi battiti. << Perché... >>
<< Sono io che faccio le domande, umana >> la redarguì mordendole il lobo con forza. 
La ragazza mugolò di un dolore misto a piacere e sospirò piano, mentre lui le succhiava il punto che appena prima avevano assaggiato i suoi denti. << Sì >> mormorò debolmente. 
Quella risposta provocò l'istintivo irrigidimento dei muscoli del giovane, che di conseguenza reagì baciandole un lembo di pelle sul collo con maggiore famelicità. 
Gea gli strinse i fianchi con tenacia e gli circondò il collo con le braccia, facendosi scappare un altro gemito capace di far fremere il ragazzo. 
E così quest'ultimo si allontanò di scatto da lei, si sedette e sfilò via i boxer. Il cuore della giovane probabilmente si arrestò per svariati secondi mentre lo osservava aprire la bustina che poco tempo prima aveva buttato sul letto. 
Non ci aveva ancora pensato, ma era davvero sicura di ciò che stava facendo? Dopotutto lui non era un ragazzo normale, ma colui che le aveva fatto patire le peggiori torture sia fisiche che psicologiche, che il giorno precedente le aveva dato di pazza, che ogni notte la lasciava sola ed in preda alla tristezza, che aveva annientato la sua fiducia, che sembrava non essersi mai pentito di niente di ciò che le aveva fatto, ma di cui lei si era perdutamente innamorata. Forse era pazza, forse c'era qualcosa di sbagliato in lei, o forse molto più semplicemente il suo cuore seguiva delle strade opposte a quelle tracciate dalla ragione. Ed in quel momento, mentre la sua mente veniva affollata da congetture, le bastò incontrare i liquidi e taglienti zaffiri per cui aveva perso la testa perché ogni dubbio venisse spazzato via. 
Non le servì altro. Nient'altro per sentirsi sicura del passo che stava compiendo. 
Deimos fissò intensamente l'umana, come se stesse cercando qualcosa nel suo sguardo. Un qualcosa che non sapeva neanche lui cosa fosse. Dopodiché ritornò con lenti gattoni sul corpo della ragazza, senza mai interrompere il loro contatto visivo. Con una mano raggiunse l'elastico delle sue mutandine ed esercitò una pressione per farle scendere sino alle ginocchia. 
Gea deglutì emozionata ed in contemporanea al battito cardiaco sempre più accelerato le luci della casa si accesero e spensero per varie volte, ma senza che i due se ne accorgessero. Mosse le gambe e riuscì a far calare quell'ultimo indumento sino ai piedi, per poi liberarsene e sentire il suo leggere tonfo sul parquet. 
Il giovane avvicinò le labbra a quelle di lei, unendo il suo respiro affannoso a quello tremulo della ragazza, e portò una mano sotto una sua coscia per farle allargare le gambe. Gea strinse le sudate dita sulle sue forti spalle mentre lo stomaco le lanciava dolori piacevoli e liberava in volo qualsiasi genere di farfalla. 
Al di fuori di quella stanza e della soglia di casa, tutto ciò che risiedeva sul terreno vibrò impercettibilmente, ogni cespuglio si agitò come smosso dal vento e le montagne rocciose emisero delle note gravi in riflesso ai massi che calavano lungo le loro pareti. 
E mentre i loro sguardi si trovavano persi l'uno in quello dell'altra, Deimos entrò appena dentro Gea, mozzando il respiro di entrambi. Lei aumentò la presa, sempre più scivolosa, sulle sue spalle e lui strinse i denti. 
La luce riprese ad accendersi e spegnersi ad intervalli irregolari, mentre il televisore nel salotto cominciò a traballare sul suo precario tavolino nero. Le fronde degli alberi del centro cittadino della contea di Scottsbluff frustarono rapide l'aria, facendo alzare più volte il naso dei passanti. 
E come un alito di vento, il respiro agitato di Deimos s'imbatté sulle labbra dischiuse della giovane. 
<< Deimos >> pronunciò in un tremulo soffio lei. << Io non ho... >> Ma non ebbe il tempo di concludere il suo avvertimento che il ragazzo la penetrò con un colpo secco e le tappò la bocca con la propria, soffocando il suo grido di dolore. 
Gli occhi le si sgranarono, il televisore al piano di sotto scoppiò in un boato, il cuore le batté rapido, i cespugli si dimenarono violentemente, lo stomaco le si contrasse, ed i sassi sul terreno saltarono come fossero stati chicchi di mais nell'olio bollente. 
Le lambì le labbra freneticamente, senza darle il tempo di rispondere ai baci, e successivamente insinuò la lingua nella sua bocca. In contemporanea a ciò, diede il via ai suoi movimenti dentro di lei, crescendo man mano in intensità e velocità. 
Gea strinse le gambe attorno al suo bacino, mentre il dolore improvviso che aveva provato veniva meno, e gli afferrò una ciocca di capelli per tirarla con forza. Deimos si staccò dalle sue labbra ed espirò ansante sul suo viso, alzò gli zaffiri e li schiantò nelle gemme lucide ed annebbiate di lei. Distanziò di poco la testa per osservarla meglio ed in quel preciso istante il suo cuore palpitò frenetico. Palpitò per le sue guance rosse, per le sue labbra dischiuse ed umide di baci, per la luce che le accendeva le iridi, per gli scompigliati e dorati capelli che le scendevano su una spalla e per il gemito che le uscì dalla bocca. 
Strinse i denti e si riavvicinò al viso della ragazza; con la pressione delle labbra le fece voltare la testa e scese a delineare e marcare con la lingua il contorno della sua mandibola. 
Aumentò il vigore delle spinte, facendo fremere entrambi, e Gea liberò altri velati mugolii di piacere mentre nella mano continuava a stringere i capelli del giovane. 
Deimos chiuse gli occhi e tremò impetuosamente, avvertendo che il suo culmine si stava approssimando. E così, dopo le ultime intense stoccate, entrambi raggiunsero il loro amplesso. 
Gli alberi smisero di agitarsi, i sassi ripiombarono a terra, la luce si spense definitivamente, le montagne rocciose tacquero ed i cespugli s'immobilizzarono. Tutto tornò alla normalità. 
I respiri affannati dei due riempirono la stanza. Gea allentò la presa sui capelli di lui e s'inumidì le labbra, abbassò la testa e cercò lo sguardo del ragazzo. Ma non trovò niente dal momento che lui teneva il viso nascosto sulla sua spalla ed alitava sulla sua pelle sudata, facendola rabbrividire. 
La giovane socchiuse le palpebre e gli sfiorò i capelli scompigliati prima col naso e poi con la bocca, in un gesto dolce e delicato. Deimos sgranò gli zaffiri mentre il suo cuore ricominciava ad accelerare, e così si allontanò di scatto da lei, si alzò da letto sotto gli occhi confusi della ragazza, e senza degnarla di uno sguardo ricominciò a vestirsi.
Gea agguantò il lenzuolo e se lo tirò addosso mentre si sollevava a sedere. Perché la stava abbandonando subito dopo ciò che c'era stato tra loro? Gli si era concessa totalmente, gli aveva donato cuore e anima, non poteva non averlo notato.
Le si inumidirono gli occhi mentre il pensiero di aver commesso un madornale errore le bazzicava per la mente. Eppure lei non sentiva di aver sbagliato, ma, anzi, fino ad un minuto prima era stata la persona più felice del mondo. Le era quasi sembrato che lui ci mettesse più attenzione mentre la toccava, come se stesse cercando di non farle del male, ad eccezione di quando aveva infranto la sua verginità con brutalità. Ma quell'atto glielo aveva già perdonato.
Lo guardò mentre si calava la maglietta sugli addominali con il suo solito sguardo impenetrabile. 
Era forse perché troppo accecata dall'amore che non vedeva il reale errore che aveva compiuto? Non voleva crederci, non voleva credere di essere solo un giocattolo per lui. Ed invece quel martellante e doloroso dubbio iniziò a consolidarsi sempre di più. Perché la stava trattando esattamente come tutte le ragazze con cui si divertiva, se non peggio. 
Non le aveva rivolto neanche uno sguardo da quando entrambi avevano raggiunto l'apice. Ai suoi occhi probabilmente doveva essere un'entità invisibile e non degna della sua attenzione. Al pari di un giocattolo di cui si era stancato. 
Il cuore le esplose nel petto, e ciascuna scheggia s'irradiò verso ogni angolo del corpo fino a conficcarsi in qualche organo e procurarle un'accecante dolore. 
Il ragazzo chiuse il bottone dei pantaloni e si avviò di gran carriera alla porta. L'aprì, se la sbatté alle spalle e si arrestò nel corridoio. I suoi zaffiri si persero sul consumato parquet che conduceva alle scale. 
Che diavolo gli stava succedendo? Perché dopo aver posseduto l'umana il suo cuore non smetteva di agitarsi? Cosa c'era che non andava in lui? 
Strinse le mani a pugno e digrignò i denti. Aveva immaginato che una volta averla fatto sua, ogni effetto della sua vicinanza si sarebbe spento come una fiamma immersa nel mare. Ed invece non era così. Non si era placato assolutamente nulla, ma forse si era raddoppiato. 
Che accidenti di potere aveva quell'umana su di lui? Perché avrebbe voluto tornare in quella stanza e distendersi accanto a lei? Esattamente come uno schifoso e debole umano. 
Ringhiò frustrato e si precipitò al piano di sotto con una furia fuori dal comune. Odiava non avere la situazione in pugno, ed in quel caso sentiva che qualcosa d'irrazionale ed ingestibile gli stava sfuggendo di mano. Qualcosa che non era in grado di comandare, ma da cui era spinto ad obbedire. E lui detestava sentirsi impotente. 
Uscì dalla casa ed alzò i suoi gelidi zaffiri al cielo. Ma più di tutto odiava quell'umana: la vera causa della sensazione irrazionale e d'impotenza che provava. 
Un basso vortice di vento si alzò intorno ai piedi del ragazzo. Un secondo dopo, lui era sparito nel nulla. 



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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***



















Si materializzò in un vicolo buio. Ma non in uno a caso, bensì nello stesso dove, in preda alla rabbia, aveva condotto l'umana per allontanarla dal locale. 
Ed adesso la stessa furia gli ribolliva nelle vene come lava, infiammando ogni sua fibra.  
Espirò pesantemente e puntò lo sguardo sullo scuro e freddo cemento adombrato dai palazzi. Strinse le mani in due pugni e contrasse la mascella. 
Nella sua mente continuavano ad affollarsi domande prive di risposta e desideri privi di logica. 
Lui non era umano. Lui non conosceva i sentimenti. Lui era emotivamente pari ad una lastra di ghiaccio. Eppure da quando aveva conosciuto l'umana qualcosa aveva iniziato a sciogliersi. Lentamente. Come un blocco congelato che viene posto vicino alla fiamma di una candela. 
Sollevò la testa ed osservò il cielo azzurro tra la stretta fessura dei tetti degli edifici. 
Avrebbe dovuto fare come gli era stato insegnato: eliminare il problema. La causa. E lì se ce n'era una era quell'umana, capace di generare in lui delle calde sensazioni, di farlo divertire, di concentrare i suoi pensieri su di lei e di fargli battere il cuore. 
Gea rimase ferma nel letto, con lo sguardo perso sul pavimento e gli occhi gonfi di lacrime. Il suo cervello non era ancora stato in grado di rassegnarsi a ciò che era successo. Non le sembrava vero. Non poteva esserlo. Era davvero stata usata? Una parte le gridava a gran voce dì sì, un'altra le sussurrava che doveva esserci una spiegazione. Ma una spiegazione a cosa? I fatti parlavano chiaro. Lui se n'era andato senza degnarla di un'occhiata. 
Non che si fosse aspettata che l'avrebbe stretta a sé e che sarebbero rimasti insieme nel letto, ma... era stato il modo in cui si era alzato e rivestito, per poi sbattersi la porta alle spalle, che l'aveva ferita più di ogni altra cosa. 
Una lacrima le scivolò lungo la guancia mentre le labbra le s'incurvavano nel tentativo di trattenersi. 
Gli zaffiri del ragazzo si fecero più taglienti. Era sempre stato coerente e sincero con se stesso, almeno fino a quando l'umana non aveva fatto il suo ingresso. Da quel momento qualcosa aveva iniziato ad agitarsi e a farlo entrare in conflitto con la parte razionale di sé. 
Il suo cervello si era spaccato in due fronti: quello che sapeva la verità e la teneva segreta, e quello che gli faceva sputare minacce per rimanere coerente con se stesso. 
Perché per quanto l'avesse minacciata di morte, per quanto si fosse convinto che non l'avrebbe uccisa per un suo tornaconto, nonostante tutto, non era quello il vero motivo. Forse da principio lo era stato, ma dopo un po' si era trasformato in una copertura. La realtà era diventata un'altra. 
Una seconda lacrima le ricadde sul lenzuolo. Alzò la testa al soffitto e si morse un labbro. Non voleva crederci. Probabilmente si trattava solo di un incubo e molto presto si sarebbe svegliata. E se così non fosse stato... se così non fosse stato avrebbe fatto i conti con se stessa. Perché la colpa era solo sua, esclusivamente sua. Si era illusa di potergli far battere il cuore, di potergli far provare qualcosa per lei, di poter essere diversa dalle altre. Ed invece così non era stato. Per lui sarebbe sempre e solo stata una delle tante, un'ennesima conquista. Un ennesimo giocattolo con cui divertirsi e poi lanciare da una parte. Dopotutto cos'aveva creduto di possedere in più delle altre? In più di Brittany? Era stata solo più stupida di tutte loro. Perché nonostante sapesse chi lui fosse in realtà, gli si era concessa totalmente. Gli aveva donato il cuore, facendoselo calpestare, e gli aveva donato il corpo, facendoglielo usare. 
Un forte singhiozzo le uscì dalle labbra e le sue dita si strinsero con più forza attorno al bianco lenzuolo. 
La realtà era diventata un'altra. Perché c'era un motivo per il quale lui si era sempre rifiutato di ucciderla. Un motivo patetico e da umani. 
Digrignò i denti ed abbassò il capo per riabituare i suoi zaffiri all'ombra del vicolo. 
La verità era che non avrebbe sopportato la perdita di quell'umana. Se averla tra i piedi gli dava fastidio, non averla gliene avrebbe dato ancora di più. Non conosceva il perché, ma sapeva che avrebbe odiato non poterla più prendere in giro, non farla arrabbiare, non poterla baciare, non guardarla mentre non se ne accorgeva, ed ogni minima cosa che faceva ogni giorno. Lui voleva quell'umana per sé. Solo per sé.
E tutto ciò entrava in netto contrasto con la sua ragione. Perché lui non era quello. Lui era colui che non aveva mai avuto pietà per nessuno, che aveva sempre eliminato i problemi, che aveva alle spalle una marea di vittime, che non si era mai fermato dinanzi a niente e che non conosceva i sentimenti. 
Mosse dei passi in direzione della strada illuminata dal sole, perpendicolare alla sua. Mantenne il capo basso e l'impenetrabile sguardo rivolto al cemento. 
Odiava la confusione che da tempo gli offuscava i pensieri come nebbia. Ed odiava ciò che gli stava succedendo. Qualcosa fuori dalla sua portata e che non era in grado di gestire. 
Calciò con violenza uno sporco bidone di alluminio, facendolo piombare rumorosamente a terra e rotolare per qualche metro. 
Il corpo della ragazza venne scosso da un altro singhiozzo. Nascose il viso nel lenzuolo e si asciugò il viso, mentre nuove implacabili lacrime la inondavano. Tremò per il freddo e si rannicchiò di più su se stessa, chiudendosi a bozzolo. 
Si faceva rabbia da sola. Perché nonostante tutto non riusciva a pentirsi di ciò che aveva fatto. Lei amava quel ragazzo. Lo stesso che le aveva nuovamente mandato in frantumi il cuore e che se n'era scappato chissà dove. Lo amava. Anche se la stava facendo soffrire, anche se per lui lei non contava niente, anche se probabilmente si era recato al pub per divertirsi con qualcun'altra. Era stupida, o forse no. Forse era accecata dall'amore come lo si può essere dal sole, ed adesso vedeva tutto in modo diverso, con nuovi colori. 
Ma quel sentimento l'avrebbe condotta ad una perpetua sofferenza, le avrebbe fatto vivere momenti di gioia e subito dopo momenti di dolore. E allora la domanda le sorgeva spontanea: il gioco valeva davvero la candela? 
Il bidone rotolò ancora, finché non cadde dal marciapiede e produsse una vibrazione metallica. Le orecchie di Deimos si riempirono di quel rumore mentre i suoi occhi si perdevano verso l'orizzonte. 
Nella sua mente sciamarono le immagini dell'umana sotto di sé, dei suoi occhi lucidi ed annebbiati dal piacere, delle sue labbra rosse, della sua pelle accaldata. Rivisse la sensazione di calore che aveva provato per l'intera durata del loro rapporto, un calore non solo corporeo, ma più profondo ed intenso. Un calore che gli aveva offuscato la vista, che lo aveva spinto a farle provare piacere, che lo aveva fatto procedere con lentezza, ma che più di tutto gli aveva fatto battere il cuore. Proprio come in quel momento. 
Ringhiò frustrato e scosse la testa come un leone in gabbia. 
Gea si tirò il lenzuolo sotto al viso ed espirò pesantemente. Puntò lo sguardo sulla finestra ed osservò la distesa di rocce che si snodava sotto al sole. Per un attimo non pensò a niente, ma si concentrò sul paesaggio. Le sembrava inutile piangersi addosso, ed in effetti lo era, ma le veniva spontaneo. Era come se non fosse in grado di controllare i suoi occhi; la mente ordinava loro di smettere, eppure questi si rifiutavano. Sembravano intenzionati a svuotarla. A farle toccare con mano quella tristezza che non riusciva ad ingabbiare dentro di sé. A ricordarle che era umana e non destinata a sopportare per sempre. A farle capire che, nonostante tutto, nonostante i continui dolori, nonostante le difficili sfide, nonostante gli alti ostacoli, lei era ancora lì, ancora viva e ancora in piedi. 
Il giovane s'incamminò fuori dal vicolo e svoltò nella strada illuminata dal sole. Portò le mani nelle tasche dei pantaloni e procedette a testa bassa, perso nei suoi pensieri. 
La realtà era diventata un'altra. Perché per quanto si ostinasse a non volerlo accettare, lui aveva iniziato a provare strane cose che prima della conoscenza con l'umana non sapeva cosa fossero. Le emozioni. Ed era stata proprio lei a fargliele esplodere nel corpo come una supernova. 
La odiava per questo. Perché si era ritrovato a sperimentare sensazioni diverse dalla rabbia, dall'indifferenza, dalla freddezza, dalla spietatezza, dalla crudeltà. Ma qualcos'altro era emerso a galla, facendolo sentire debole e confuso. Qualcosa che ancora non riusciva a decifrare. Qualcosa che aveva a che fare col volere l'umana accanto a sé e tutta per sé, col fastidio di vederla piangere, col desiderio di averla sempre, con la curiosità di scrutare ogni sua mossa e con la quasi irrefrenabile voglia di tornare indietro e baciarla.
Contrasse la mascella ed alzò lo sguardo rabbioso sulla porta scura e sudicia del pub. 
Gea abbassò la testa con rassegnazione. Aveva avuto la prova definitiva del sospetto che da tempo le martellava le tempie. Era inutile illudersi ancora. Avrebbe solo continuato a farsi del male e a pagarne le conseguenze. Lui non aveva mai tenuto a lei, e continuava a fregarsene. Un amaro sorriso le comparve sulle labbra umide di lacrime. Si faceva pena da sola, in quel momento come non mai. Se pensava che proprio il giorno prima si era ritrovata lì con Ninlil ad ipotizzare su cosa lui provasse per lei, si sentiva tremendamente ridicola. Era ovvio che la domanda non se la sarebbe mai dovuta nemmeno porre. Ma aveva deciso d'illudersi anche su quello, ed adesso le sue lacrime erano la risposta. 
Perché sì, lei era solo un giocattolo. Nulla di più. 
Si morse un labbro ed alzò gli occhi al soffitto, mentre altre gocce di tristezza le solcavano il volto. Si dondolò sul posto e liberò un tremulo sospiro nel tentativo di calmarsi. 
Forse era lei a non essere capace di far affezionare le persone a sé. Forse era lei a sbagliare. Dopotutto non era stata in grado di tenersi i suoi genitori vicini, ma aveva sempre fatto pensare loro cose negative, non era stata all'altezza di mantenere dei rapporti con le sue amiche, ma le aveva allontanate da sé e riempite di menzogne, e non era stata capace di farsi amare dall'unica persona di cui non avrebbe potuto fare a meno. 
Forse era davvero così, forse i suoi genitori ci avevano sempre visto giusto. Lei era un'incapace. 
Attraversò la nociva coltre di fumo che opacizzava l'ambiente squallido del locale e si sedette al bancone. 
Non degnò di uno sguardo nessun essere vivente, ma focalizzò l'attenzione sulle incisioni zeppe di polvere nel legno. In una lesse la parola "love", che gli fece scurire le iridi e ritrarre la testa disgustato. Quegli schifosi umani avevano così poca originalità che riproponevano sempre le solite insignificanti e vuote parole. 
<< Che ti porto, amico? >> gli chiese una voce maschile. 
<< Una birra >> rispose secco, senza alzare gli zaffiri sul suo interlocutore. 
L'uomo si abbassò sotto al banco, aprì un piccolo frigorifero ed estrasse una bottiglia in vetro che adagiò davanti a lui. << Ecco a te, bello >> annunciò stappandola. 
Deimos l'afferrò con svogliatezza, come se gli facesse fatica sollevarla, ed infatti la fece strisciare sul legno graffiato e colmo di piccoli fori. Se la portò alla bocca e ne bevve un sorso, per poi tenerla a penzoloni tra le dita e farla oscillare. 
Per la prima volta in vita sua non sapeva niente. Non sapeva cosa ci stava facendo lì dentro, non sapeva quale sarebbe stata la sua prossima mossa, non sapeva che cosa fosse quella cosa che gli si agitava nello stomaco insieme alla rabbia, non sapeva che ore fossero, non sapeva nulla. Si stava lasciando trasportare dall'istinto. 
L'istinto di volersi allontanare il più possibile dalla causa dei suoi problemi: l'umana. 
Se non era in grado di ucciderla... Strinse il collo della bottiglia tra le dita e contrasse i muscoli delle braccia. Se non era capace di eliminarla avrebbe comunque potuto abbandonarla al suo destino e non rivederla mai più. Poco male se l'avrebbero uccisa gli altri due elementi. Ed era certo che almeno uno di quei due l'avrebbe trovata presto, perché i suoi poteri stavano crescendo ogni giorno di più ed erano ormai percepibili da chilometri di distanza. Persino più percepibili dell'unico potere di Ninlil. 
Ed una volta che si fosse trovata faccia a faccia con acqua o fuoco, la sua fine sarebbe stata decretata. Le sarebbe stato quasi impossibile salvarsi. Un elemento possedente il controllo del proprio potere da anni contro lei che lo destreggiava da poche settimane... non c'erano storie, sarebbe stata distrutta. 
Scolò un altro sorso e batté la bottiglia sul bancone senza nemmeno rendersene conto. 
E lui non avrebbe interferito. Ma avrebbe lasciato che le cose si evolvessero nel modo più giusto: con la sconfitta dei deboli e la sopravvivenza dei più forti. Esattamente secondo la sua etica. 
La ragazza si liberò del lenzuolo e raccolse i suoi indumenti da terra. L'indossò rapidamente, proprio come aveva fatto lui poco prima, e si fermò nel centro della stanza. 
Si sentiva indolenzita in qualsiasi punto del basso ventre, sicuramente a causa del modo brutale e deciso con cui era entrato il lei, disintegrando la sua verginità. 
Già quel piccolo segnale le avrebbe dovuto far capire quanto poco lui tenesse a lei. Ma era stata troppo sciocca per darci peso. 
In quel momento provava l'impellente bisogno di farsi una doccia e cancellare i ricordi dei suoi baci e delle sue mani sulla pelle, ma un'altra parte di lei, la più forte, voleva tenere quei marchi su di sé. Forse perché sarebbero stati gli ultimi, forse perché a prescindere dall'esito si era sentita bene e vicina a lui più di quanto non fosse mai stata. 
Si avvicinò alla finestra, si strinse nelle spalle e posò la testa contro il pannello in legno, perdendosi ad osservare il perfetto connubio di sole, terra ed aria.
La base della bottiglia roteò sul pianale, mentre gli zaffiri del giovane seguivano quel movimento con distacco. La riagguantò fulmineo e se la riportò alla bocca. 
<< Sei tornato >> esclamò una voce femminile, attirando la sua attenzione. Voltò la testa e schiantò il suo freddo sguardo sulla mora in abiti succinti che gli si stava avvicinando. La squadrò da capo a piedi senza interesse, dopodiché tornò ad osservare la sua birra.
<< Ieri sera te ne sei andato in fretta e furia >> continuò a dirgli, prendendolo sottobraccio e mettendo il broncio. << Mi sei mancato >> sussurrò lascivamente contro il suo orecchio. Subito dopo posò le sue vermiglie labbra sul collo del ragazzo e le dischiuse per depositarci un bacio. 
Deimos rimase esteriormente impassibile, mentre dentro di lui si condensava una nube di fastidio misto a rabbia. Fastidio per quel gesto non richiesto, e rabbia per il semplice fatto di aver provato fastidio. 
La ragazza gli appoggiò una mano sui pettorali e cominciò a farla scendere verso il basso. 
Nella mente del giovane ricomparvero ad intermittenza i ricordi degli occhi lucidi dell'umana, delle sue sottili e calde dita che gli accarezzavano la pelle, dei baci che gli aveva disseminato per il collo... Contrasse la mascella e bloccò la mano dell'altra. << Sparisci >> sibilò innervosito, voltandosi a guardarla con ferocia. 
La mora ritrasse la testa ed arricciò il naso. << Stai scherzando, vero? >> 
<< Non amo ripetermi >> tagliò corto lui con durezza. Infine tornò a focalizzarsi sulla sua birra e ne bevve un nuovo lungo sorso, non calcolando più di uno sguardo la ragazza accanto a sé, che successivamente girò i tacchi ed andò a cercare qualche altro cliente. 
La rabbia lo stava divorando. Perché aveva provato repulsione per quel gesto, quando fino ad un giorno prima ne sarebbe stato eccitato. E perché, per un attimo, aveva desiderato che quella mano non fosse della mora svestita, ma dell'umana... della sua umana. 
Digrignò i denti e sbatté con violenza la bottiglia, facendola rompere contro il pianale. 
<< Ehi, amico. Qualcosa non va? Mi pari piuttosto agitato >> commentò un tipo, ridendo da dietro il bancone. 
Deimos sollevò la testa di scatto appena dopo aver riconosciuto la risata dell'uomo. I suoi zaffiri si fecero letali e profondi nell'istante in cui incontrarono due iridi nere e divertite. 
Non ci vide più dalla furia. 
Si alzò in piedi, appoggiò una mano sul pianale e si diede lo slancio per sorpassarlo. 
<< Che fai, bello? >> lo canzonò l'uomo. << Questa parte è limitata ai... >> Non concluse la frase che la sua testa si rovesciò di lato ed il naso iniziò a sanguinargli. 
Deimos lo agguantò per la maglietta e lo sbatté contro le mensole al muro piene di bottiglie. Le mensole si spezzarono e le bottiglie franarono a terra, riempiendo l'ambiente di stridenti rumori di vetri in pezzi. E mentre le ragazze urlavano spaventate e gli uomini ordinavano loro di fermarsi, il giovane gli tirò una violenta testata contro la fronte. 
L'uomo gridò per il dolore e mostrò i denti come un lupo rabbioso, colpì i gomiti del suo aggressore e gli fece piegare le braccia, allentando così la stretta che lo teneva prigioniero. Un sorriso di divertimento misto a scherno si pennellò sulle labbra del giovane, che si abbassò prontamente sulle ginocchia e scansò il pugno che gli veniva rivolto contro. Si risollevò fulmineo, prese l'uomo per il colletto e lo scagliò oltre il bancone, facendolo cadere sul sudicio e pesticciato pavimento. Ed in contemporanea ai rantolii addolorati che uscivano dalla bocca della sua vittima, depose i palmi sul pianale e lo scavalcò con la leggiadria di un puma. 
<< Niente scazzottate nel mio locale! >> strillò un uomo sulla cinquantina, senza essere minimamente considerato.
Deimos avanzò con lentezza. Una volta essere giunto accanto al corpo riverso a terra piegò la testa di lato e lo ammirò divertito. Gli posò un piede sul petto, all'altezza delle costole, e premette, facendo lamentare l'uomo. 
Di colpo il sorriso che gli illuminava sadicamente le iridi si spense, ed i suoi zaffiri assunsero delle sfumature rabbiose. Affondò la suola dello stivale con foga, mentre un urlo si levava al soffitto e copriva un inquietante rumore proveniente dalla cassa toracica dell'uomo. 
Un secondo dopo alcuni raccapricciati spettatori si precipitarono a fermare Deimos. In due lo afferrarono per le braccia e lo tirarono indietro, altri tre invece si piegarono sulla vittima gorgogliante. 
Il ragazzo si liberò dalle loro strette e s'incamminò furente verso la porta del locale, ma prima di uscire lanciò un'ultima occhiata raggelante al tizio che aveva massacrato di botte. Un sorrisetto compiaciuto gli incurvò le labbra. Aveva ottenuto la sua vendetta. Perché quell'uomo non era altri che colui che tempo addietro aveva osato toccare l'umana. James.  




                                                                        *  *  * 




Gea entrò in bagno per cancellare l'impronta invisibile delle lacrime. 
Si guardò nello specchio e sospirò stancamente. Aveva gli occhi ancora rossi, i capelli scompigliati e le labbra gonfie. Si fece un'alta coda di cavallo e risciacquò la faccia con l'acqua ghiacciata, come se si fosse voluta svegliare da quell'incubo. Peccato che non lo fosse. 
Si sfregò l'asciugamano sulla pelle, sbuffò nel ritrovare il suo riflesso pallido nello specchio ed uscì con una postura afflitta. 
<< Ho importanti novità >> pronunciò con ilarità una voce conosciuta. 
La ragazza sobbalzò sul posto e sgranò gli occhi nel vedere Ninlil davanti a lei, con le mani congiunte e le iridi luccicanti. 
<< Mio Dio >> borbottò portandosi una mano sul cuore. << Ma non puoi bussare alla porta? Un giorno mi farai morire d'infarto. Questa è la terza volta che mi fai un'imboscata. >> 
La giovane incarnante dell'aria ridacchiò divertita e le scoccò una strana occhiata. << In realtà non è la terza >> asserì schiarendosi la voce. << Ma prima sediamoci in salotto, così staremo più comode. >> Le indicò le scale con un cenno del capo e la precedette, mentre la mente di Gea si affollava di punti interrogativi. 
Si accomodarono sul divano, entrambe incrociando le gambe e posizionandosi l'una davanti all'altra. 
Ninlil si sfregò le dita, sgranchì le spalle e sorrise amichevolmente. << Tu lo sai che vorrei diventare tua amica, no? >>
<< Sì, lo so >> affermò Gea, annuendo innocentemente. 
<< Ecco, quindi... insomma spero che non la prenderai male questa confessione >> dichiarò frettolosamente l'altra, gesticolando con foga. << Perché ieri sera sono stata io a lanciare i sassi, ma prima che tu mi possa giudicare negativamente lasciami spiegare >> concluse mettendo le mani avanti, come a voler fermare le sue parole. 
La ragazza dai capelli dorati ritrasse la testa e sbatté più volte le palpebre. << Davvero eri tu? >> 
La sua interlocutrice espirò pesantemente ed annuì. << So di averti spaventata a morte, infatti sono stata tentata più di una volta di smettere, ma volevo ottenere una risposta >> confessò guardandola con intensità. 
Gea strinse gli occhi confusa e rannicchiò le gambe contro al petto. << Una risposta a cosa? >> 
Ninlil sorrise soddisfatta e schioccò la lingua al palato. << Alla tua domanda di ieri. Ti avevo promesso che ti avrei aiutata >> affermò ammiccandole. << Ed adesso ho una risposta, ma prima fammi spiegare per filo e per segno come sono andate le cose. >> 
<< Deimos non tiene a me, neanche un po' >> disse di getto l'incarnante della terra con un tono atono. << Te lo assicuro >> sussurrò perdendo lo sguardo sul tappeto consunto. 
Per una manciata di secondi nella casa non volò una mosca. Il silenzio si fece padrone della scena. Almeno fino a quando Ninlil non batté le mani davanti al volto di Gea, facendola sobbalzare e ridestare dai suoi pensieri.
<< Ti sbilanci sempre troppo presto >> la rimproverò con uno sguardo severo. << Impara ad ascoltare di più e a giudicare di meno. Forse riuscirai a vedere le cose in modo diverso e a scoprire che niente è come appare. >> 
La ragazza dai capelli dorati rimase zitta, ma soppesò quelle parole con cura, finendo per annuire e rivolgere le sue lucide gemme d'ambra su quella strana giovane che sembrava conoscerla fin troppo bene. << Ti ascolto >> asserì piano. 
<< Perfetto >> esclamò l'altra, mettendosi più comoda. << Allora partirò dal principio. E quando dico "principio" non mi riferisco al lancio dei sassi, perché quello è stato solo l'epilogo >> iniziò a dire, non permettendo a Gea di distogliere lo sguardo. Perché con quel vago incipit calamitò totalmente la sua attenzione su di sé. << Il fulcro della questione era capire se lui tenesse a te. E allora ho pensato: esiste un modo migliore per scoprirlo se non quello di fingere che tu sia in pericolo? La risposta era tanto ovvia quanto superflua >> affermò con un'alzata di spalle. << Perciò ho macchinato il mio piano e ieri sera mi sono data da fare per rintracciare Deimos. È stata un'impresa a dir poco ardua dal momento che quando sono approdata qui c'eri solo tu. Ho dovuto modificare la mia tabella di marcia e prendermi dei minuti per riflettere sul modo in cui avrei dovuto procedere. >> Fece una pausa e si passò una mano tra i corti capelli. << Stavo perdendo le speranze, non avevo la più pallida idea di dove lui fosse andato a cacciarsi, ma poi improvvisamente mi sono ricordata di ciò che avevi detto quando eravate sulle scale. Gli avevi chiesto se sarebbe andato al pub, e così ho pensato che forse avrei potuto trovarlo lì. Devo ammettere che non è stato per niente un male origliare la vostra conversazione >> confessò con un risolino. << Mi sono volatilizzata nel centro cittadino ed ho chiesto informazioni ai passanti riguardo a qualche pub. Circa un'ora dopo ho beccato il posto giusto, e finalmente ho individuato Deimos, piegato su un tavolo da biliardo e circondato da ragazze e uomini con sigari tra le labbra. Ma di tutte le fanciulle che gli giravano intorno, solo una si prendeva la libertà di toccarlo e baciarlo dappertutto >> dichiarò stizzita. 
Gea deglutì un groppo di rabbia e storse la bocca. 
<< Mi dava fastidio vedere quella sciacquetta stargli tanto appiccicata, ma non per gelosia, bensì perché quella ragazza non eri tu >> continuò a dire, accennando un piccolo sorriso e facendo sorridere la giovane di rimando. << Quindi dopo aver inquadrato dove lui si trovasse, mi sono precipitata nuovamente da te. Ti ho lanciato dei sassi contro la finestra con l'unico intento di farti uscire di casa per controllare chi ci fosse. Alla fine, dato che tu non assecondavi il mio volere, sono dovuta ricorrere alle maniere forti, per non dire drastiche. >> Puntò lo sguardo sulla finestra rotta alle spalle di Gea ed arricciò le labbra. << Di tutte le idee geniali che ho avuto questa è stata sicuramente la peggiore >> ammise annuendo a se stessa, dopodiché tornò a guardare la ragazza davanti a sé. << Ma era necessario, altrimenti avresti vanificato i miei sforzi e mandato in fumo il mio piano. Non potevo permettertelo, mi dispiace. Volevo quella risposta ad ogni costo >> affermò risoluta. << E così, dopo averti quasi uccisa dallo spavento, sono riuscita a sbloccarti e a farti uscire. Mi veniva da piangere dalla gioia, te lo giuro. >> Ridacchiò al ricordo e trasportò Gea con sé nella risata. << Me ne sono andata dopo averti vista costeggiare la casa con la torcia. Ed indovina dove sono andata? >>
<< Da Deimos. >>
<< Esattamente >> esclamò battendo una mano sull'altra. << Mi sono materializzata fuori dalla porta del locale. Ho preso un grosso respiro e, sfoderando tutte le mie doti di attrice melodrammatica, sono entrata di corsa dentro al pub. Ho vagato con un finto sguardo spaventato da una parte all'altra, anche se in realtà avevo già individuato Deimos, ed infine mi sono diretta come una furia da lui. Ho tirato una spallata alla cozza che gli stava appiccicata, l'ho afferrato per un braccio e l'ho fatto voltare dalla mia parte. >>
Gea spalancò le braccia e le protese verso Ninlil. << Posso abbracciarti? >> domandò seria.
La giovane col caschetto rise. << Perché? >> 
<< Per la spallata alla svestita >> rispose l'altra, sorridendo divertita. 
Ninlil le ammiccò e stese le braccia per avvolgerla nell'abbraccio. << Sapevo che avresti apprezzato il mio gesto >> asserì ridendo. 
La ragazza dai lunghi capelli dorati le sfregò un palmo sulla schiena ed appoggiò la testa sulla sua spalla. << Grazie davvero di tutto, non solo della spallata >> mormorò con un tenero sorriso. 
L'incarnante dell'aria sciolse l'abbraccio e la guardò intensamente negli occhi. << Non mi ringraziare, lo faccio volentieri >> disse stringendosi nelle spalle. Le lanciò un'occhiata penetrante e si aprì in un sorriso malizioso. << E vuoi sapere cos'ho detto a Deimos? Ma, soprattutto, come ha reagito? >> 
Il cuore di Gea batté frenetico. << Sono tutt'orecchi. >> 
Ninlil sospirò sognante. << Questa è la parte più bella di tutto il racconto. Ma facciamo un passo indietro e riprendiamo da dove ci siamo fermate. Come ti ho detto gli ho agguantato un braccio e l'ho fatto voltare verso di me, nel frattempo la cozza si lamentava e mi offendeva con la sua lingua velenosa, ma l'ho evitata ed ho proseguito col mio piano. Figuriamoci se mi facevo mettere i bastoni fra le ruote da lei >> dichiarò con un'alzata di spalle. << Deimos quando mi ha vista ha sollevato un sopracciglio, appena dopo mi ha chiesto che cosa ci facevo lì. Col mio sguardo smarrito ed impaurito gli ho detto che ero stata in casa vostra, che avevo frugato in ogni stanza e in ogni dove, ma che di te non c'erano tracce. In poche parole che eri sparita, ma che percepivo la tua presenza nei dintorni. Gli ho quasi gridato in faccia che qualcuno doveva averti tirata fuori di lì con la forza, perché una finestra era rotta, la porta d'ingresso era spalancata ed un cassetto della cucina era aperto. La sua reazione mi ha fatta sghignazzare di soddisfazione. Ad ogni parola lo vedevo contrarre i muscoli e stringere la stecca da biliardo tra le dita, alla fine l'ha lanciata sul tavolo da gioco e si è precipitato fuori dal pub. Il suo sguardo era talmente accecato dall'ira che nessuno ha osato ostacolargli il cammino fino alla porta. Poco dopo immagino che si sia teletrasportato da te, ed io me ne sono potuta tornare a casa mia. La mia risposta l'avevo già ottenuta >> asserì con un largo sorriso. << Perché posso assicurarti, dalle sfumature che ho letto nei suoi occhi, dai suoi gesti e dai suoi atteggiamenti, che la rabbia che lo ha pervaso deriva da qualcosa di più profondo e nascosto, di cui forse non si è nemmeno accorto. E cioè dalla preoccupazione. >> Il suo sguardo si fece serio e profondo. << Per meglio dire, dalla paura di perderti. >> 
Il cuore di Gea balzò nel petto e le guance le si tinsero di rosa. Era davvero la verità quella? O forse una nuova mera illusione? Come al solito, i gesti di quel misterioso ragazzo dagli occhi cobalto si opponevano tra loro, riuscendo a farla sprofondare in uno stato confusionale. 
<< Quando mi ha trovata era furioso >> sussurrò guardando l'altra di sottecchi. << Ha persino rotto un vaso con un calcio. Credevo fosse impazzito. >> 
Ninlil sorrise. << Ma infatti Deimos è uscito fuori di testa. >> Si sporse in avanti e le iridi grigio scuro le si accesero di soddisfazione. << Quel che ho visto mi è bastato per trarre le mie conclusioni. Perché che tu ci creda oppure no, lui è pazzo di te. >> 




















Angolo dell'autrice: 

Buona Pasqua a tutte!! <3 
Mi raccomando, mangiate tante uova *_* viva la cioccolata! \(^.^)/ 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto *^* ho fatto i salti mortali per finirlo entro oggi >\\< e sono felicissima di esserci riuscita *^* 
Soddisfazioni di una vita ahahah! 
Volevo però informarvi che il prossimo capitolo (the BIG) arriverà con un po' di ritardo, perché durante questa settimana voglio portare a termine Keep your eyes open e mi dedicherò alla scrittura di quel chapter :) 
*si prepara al lancio dei coltelli* 
Detto ciò, volevo ringraziarvi tutte di cuore!!! GRAZIE DI TUTTO!! *_*
Ah, ed informo chi ancora non lo sapesse che se volete partecipare al gruppo Facebook riguardante le mie storielle (in cui posto avvisi, spoiler e altre cose superflue XD) potete andare sul mio profilo efp, sotto il mio Avatar ci sono tre bottoncini. Il terzo di questi vi spedirà al gruppo :) 
Ancora GRAZIE A TUTTE!!! <3
Un bacione e alla prossima *_*

Federica~

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***
















Erano trascorsi tre giorni da quando avevano condiviso quel momento tanto intimo. E di Deimos ancora nessuna traccia. Sembrava essersi dissolto nel nulla. 
Gea si lasciò sprofondare sul divano e sospirò annoiata. Appoggiò un gomito sulla testata e puntò lo sguardo sulla finestra, oltre cui la pioggia si abbatteva furiosamente al suolo. 
In quei due giorni di completa solitudine aveva avuto tempo per pensare e riflettere a mente lucida. Ed era arrivata ad una conclusione: non si pentiva. Di niente. 
Probabilmente era qualcun altro ad essersi pentito di ciò che c'era stato fra loro. Qualcuno che per più di settantadue ore non si era fatto vivo. Qualcuno che aveva deciso di ferirla volontariamente, ma di cui lei era innamorata. 
Durante le tre notti trascorse aveva sempre tenuto teso l'orecchio con la speranza di sentirlo camminare nel corridoio, eppure non aveva mai udito il pavimento scricchiolare. 
Di conseguenza un assillante dubbio le si era incuneato nella testa come una spina. E se lui avesse deciso di abbandonarla sul serio? Non poteva crederci e non aveva neanche speso del tempo per ritenerlo possibile, ma con quel ragazzo dagli occhi gelidi nulla poteva mai esser dato per scontato. 
Aveva cercato di mantenere libera la mente e di non crogiolarsi tra i ricordi passati, per quanto belli o brutti potessero essere. Aveva voluto focalizzarsi sul presente. Un presente che non riusciva a vivere sul momento, ma solo quando diveniva passato. Perché si era resa conto di quanto spesso avesse speso il suo tempo presente per rivangare su azioni o pensieri trascorsi. Come se non fosse mai stata in grado di godersi ogni secondo prima che diventassero parte del suo passato. 
Perciò ogni qual volta il corso delle sue riflessioni si spostava su Deimos e sui loro momenti, lei occupava la mente con qualcos'altro di pratico. Cucinava, puliva la casa, lavava la sua biancheria, si esercitava coi poteri o si sottoponeva a stancanti sessioni di ginnastica. 
Il tutto finalizzato ad un unico obiettivo: evitare di sprecare il presente per logorarsi sul passato.  
Chiuse gli occhi e sbadigliò stancamente, beandosi del suono rilassante della pioggia. Da sempre, sentire quel violento ticchettio, le donava una sensazione di calore e tranquillità. Durante i temporali era solita affacciarsi dalla finestra o uscire sul pianerottolo di casa per inspirare l'odore della pioggia e bearsi della sua freschezza pura. 
Si raggomitolò su se stessa mentre l'orologio di cucina scandiva le dieci di sera. Sospirò profondamente, svuotando i polmoni e decontraendo i muscoli, e sorrise tra sé e sé. In quel momento si sentiva bene. In pace con se stessa, col mondo, con i suoi poteri e con quella realtà. 
Alcune gocce iniziarono a colpire il vetro della finestra, propagando un leggero frastuono per la casa. Gea riaprì le stanche gemme d'ambra e per un attimo fece vagare lo sguardo per la stanza, concedendosi di notare quanto quell'ambiente fosse vuoto senza la presenza del ragazzo. Ma immediatamente dopo cambiò la lunghezza d'onda delle sue riflessioni, anche se, dopo aver salito le scale, essersi lanciata di schianto sul letto e dopo essersi raggomitolata su un fianco, il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi fu per quell'unica persona che aveva cercato di tenere lontana dalla testa con ogni forza. Deimos. 




                                                                         *  *  *




Due perforanti e furiosi occhi blu spiccarono nel buio di una landa desolata. E mentre la pioggia scavava l'umida terra, la figura di un ragazzo si levò sotto quell'incessante ed impetuoso scroscio. 
Ben presto i suoi vestiti divennero fradici ed alcune ciocche di capelli gli ricaddero sulla fronte, confondendo le gocce che scendevano da esse con quelle che cadevano dal cielo. 
Aveva messo in atto ciò che la sua mente aveva iniziato a formulare dopo aver posseduto l'umana. E cioè allontanarsi da lei. Abbandonarla al suo destino in attesa che qualcuno la trovasse e la uccidesse. Ma in quei tre dannati giorni di lontananza non aveva fatto altro che pensarla. Si era odiato in ogni singolo istante, ma la rabbia che provava in quel momento era di gran lunga superiore a qualsiasi altra.
Perché lei gli era entrata nelle vene, si era insinuata nella sua testa come una fastidiosa mosca non lasciandogli un briciolo di spazio per pensare ad altro. Stava monopolizzando i suoi pensieri ed i suoi ragionamenti. Addirittura le sue azioni. 
Perché non era del tutto vero che le si era allontanato per tre giorni; dopo il primo si era materializzato fuori dalla casa per scrutare da una finestra se lei si trovasse al suo interno. Appena dopo averla vista mentre puliva il salotto con uno sguardo distratto, si era immobilizzato sul posto ed aveva perso più di un'ora ad osservarla. 
Una volta resosi conto di ciò, aveva deglutito un mattone di nervosismo e si era teletrasportato in Kansas, sperando di distogliere la mente da quell'insignificante umana. 
Ed invece la sua speranza si era dimostrata vana. Perché nemmeno per un solo istante il suo pensiero si era scollato da quella ragazza dai grandi occhi d'ambra. Nemmeno per sbaglio.
Che cosa gli aveva fatto? Dov'era andato a finire quell'essere spietato che si divertiva nel mietere vittime? Chi era adesso se non era capace di sbarazzarsi neanche di una sola umana? 
Strinse le mani in due pugni con una forza tale da farsi sbiancare le nocche. 
Se ripensava al momento in cui, senza riflettere, l'aveva spiata per assicurarsi che nessuno l'avesse trovata, sentiva crescere il disprezzo nei suoi stessi confronti. 
Che cos'avrebbe fatto se non l'avesse vista lì, in quel salotto, a sbrigare delle faccende? 
Scosse la testa come un leone in gabbia e liberò un basso ringhio gutturale. 
Lo sapeva. Lo sapeva bene. 
Avrebbe messo a soqquadro il mondo pur di ritrovarla. Perché oramai non era più capace di concepire l'idea di perderla definitivamente. 
Lui. E una stupida umana. 
Alzò la testa e si sforzò di mantenere gli occhi aperti sotto l'incessante pioggia. 
Per colpa di quell'essere aveva persino iniziato a provare cosa significasse avere un cuore che batte per qualcuno. Lo aveva schifosamente trasformato in un debole umano. Quegli umani che aveva sempre ripudiato e disgustato. 
Ed adesso si trovava a condividere le loro stesse emozioni, pur non sapendo di cosa si trattassero. Sapeva per certo una sola cosa. Che desiderava quella ragazza dagli occhi di cerbiatto. Un desiderio che andava ben oltre il piano fisico. 
La rabbia si abbatté su di lui come uno tsunami. Gridò nel buio avvolgente della notte fino a svuotarsi i polmoni e a tremare per le violente e contrastanti emozioni che combattevano dentro di lui. 
D'un tratto una colonna di tutti e quattro gli elementi si levò dal suolo con una forza ed una velocità travolgenti. La terra si spezzò in più parti, generando delle immense zolle traballanti sotto cui si agitavano dei fluidi rossi simili alla lava. 
Deimos posò i suoi penetranti zaffiri su una di queste. Essa scoppiò di schianto con un potente boato, facendo sollevare in aria il fluido misto di fuoco e terra. 
Una dopo l'altra, sotto il suo sguardo, si autodistrussero, dando vita ad uno spettacolo di fuoco e devastazione. 
La colonna dei quattro elementi si sollevò sino al cielo, inglobandosi alla volta celeste.
Per un attimo nulla sembrò mutare, poi, senza preavviso e con una potenza sconvolgente, il cielo parve scoppiare. 
Un fragore assordante si abbatté sulla terra, facendola tremare sotto le propagazioni di quel suono. Un secondo dopo, come conseguenza di ciò, la volta celeste si tinse di rosso, di sfumature marroni, di crepe azzurre e sprazzi bianchi. Come se i quattro elementi fossero stati inglobati al cielo. 
In varie parti del mondo molti nasi si alzarono per aria, molte persone pensarono che fosse arrivata la fine e molti animali iniziarono a comportarsi stranamente. 
Deimos restò immobile. Gli occhi perforanti puntati verso lo scuro orizzonte, la mascella contratta ed il respiro agitato. 
La sua mente fu attraversata da una marea di pensieri. Neanche uno escludeva l'umana. 
Strinse i denti con fervore ed espirò lentamente, rilassando i muscoli delle spalle. 
Quando ripensava a quella ragazza, il primo istinto che nasceva dentro di lui era quello di vederla, di saperla vicina, di avere la certezza che sarebbe sempre stata sua. 
E così, senza interrogarsi più su nulla, senza badare alla sua parte razionale, seguì l'istinto. 
Un millesimo di secondo dopo le sue suole toccarono il corridoio del primo piano della loro casa. 
Fendette l'oscurità col sul tagliente sguardo ed avanzò verso la camera di Gea, mentre tanti ed innumerevoli ticchettii provocati dall'acqua che scendeva dalla sua figura risuonavano sul pavimento. 
La vide, dopo due giorni, dormire su un fianco, con le spalle che si abbassavano ed alzavano regolarmente, con le gambe nude una sull'altra e con i capelli sparsi sul cuscino di fianco. I suoi occhi non tradirono nessuna emozione, rimasero fissi sul corpo della ragazza senza un'apparente espressione. Ma a differenza di come si mostrava esteriormente, qualcosa si mosse nel suo stomaco. Non conosceva cosa fosse, ma in quel momento non gli interessò nemmeno saperlo. 
E così seguì ancora una volta l'istinto, evitando la ragione. 
Le assi di legno cigolarono sotto la sua lenta avanzata, fino a che un suo ginocchio non si depositò sul materasso. A quel punto si fermò. 
Scrutò la schiena della giovane, coperta da una bianca e lunga maglietta, mentre la sua mente si svuotava di qualsiasi pensiero. 
Il silenzio gli piombò addosso come un velo di nebbia, avvolgendolo e facendolo entrare in contatto coi suoi sensi. Udì distintamente il respiro calmo e regolare di Gea, il fruscio delle tende, il flebile rintocco dell'orologio al piano inferiore, la fresca brezza primaverile sul viso ed i versi degli animali notturni. 
Immerso in quel mondo di sensazioni, procedette verso la ragazza. 
Allungò un braccio e lo posò oltre il suo corpo, rinchiudendola in una sorta di gabbia. Dopodiché si soffermò ad osservarla dall'alto della sua posizione, percorrendo coi suoi impassibili occhi il profilo del volto rilassato della giovane.
Alcune gocce di pioggia gli scivolarono dai capelli, oltrepassando l'aria e spezzando la bolla di tempo sospeso che si era creata. Una dopo l'altra ricaddero sulla pelle calda di Gea, che d'istinto strinse gli occhi e mugolò infastidita.
Deimos scrutò con attenzione le smorfie della ragazza ed il modo in cui aveva arricciato il naso. Le scrutò come se non avesse mai visto niente di simile, con uno sguardo penetrante, ma al contempo incantato. 
Appena il viso della giovane fu colpito da altre gocce, Gea aprì gli occhi, tenendoli semichiusi per la sonnolenza. 
Si voltò a pancia in su ed incontrò lo sguardo ammaliato e perforante del ragazzo che per giorni aveva popolato i suoi pensieri. Il cuore di entrambi sobbalzò per l'emozione proprio nell'esatto momento in cui i loro occhi si ritrovarono incatenati.
Gea alzò una mano ed andò a posarla su una guancia del giovane, come a volersi assicurare che non si trattasse di un sogno. << Sei tutto bagnato >> mormorò assonnata. << Dove sei stato? >>
Deimos non le staccò, per un solo istante, lo sguardo di dosso ed evitò di risponderle. In compenso si piegò su di lei e catturò le sue labbra in un tanto avido quanto lento bacio. Come se per giorni lui non avesse aspettato altro, come se quel contatto gli fosse mancato disperatamente. 
E mentre il cuore del ragazzo dai taglienti zaffiri batteva all'unisono con quello della ragazza dai grandi occhi d'ambra, una nuova colonna si generò dal cielo, risucchiando i quattro elementi in un vortice concentrico che man mano si abbassava e dimezzava le sue dimensioni, dissolvendo nell'aria la sua massa. 
Silenziosamente e con rapidità il blu profondo della notte tornò a fare da sfondo ad una parte del pianeta, mentre le zolle di terra traballanti sopra i fluidi infuocati si arrestarono come colpite da un improvviso sonno. 
Deimos si allontanò dalle labbra della giovane e ricominciò a fissare i suoi occhi lucidi e stanchi. 
<< Resti? >> domandò flebilmente lei, toccandogli i capelli sulla fronte.
Non rispose. La osservò per un'altra manciata di secondi come per voler capire cosa, non a livello fisico, lo attraesse tanto di quell'umana. Perché sentiva qualcosa, qualcosa d'inspiegabile che lo spronava a rimanere accanto a lei e a non separarsene. 
Contrasse la mascella ed indurì lo sguardo. Odiava quella nuova ed estranea sensazione di dolore quasi fisico che provava quando non la vedeva. 
Lui che non era mai dipeso da niente e nessuno, adesso aveva bisogno di sentire un'umana al suo fianco e di saperla sua. 
Si alzò di scatto dal letto, facendo rimanere la mano di Gea a mezz'aria, e si avviò verso la porta, come a voler scappare da tutto ciò che gli stava offuscando la ragione e risvegliando delle sensazioni a lui mai appartenute.
<< Ti prego >> sussurrò la ragazza, col risultato di farlo arrestare sul posto. 
Avrebbe dovuto fregarsene e non ascoltare la sua supplica, proprio come aveva sempre fatto. Ed invece si volse a guardarla, infrangendo le sue stesse abitudini. 
Scagliò i suoi impassibili e freddi zaffiri nelle gemme d'ambra di Gea, restando ad osservarla per più di un minuto. Alla fine, seguendo per l'ennesima volta l'istinto, tornò sui suoi passi.
Avanzò verso il letto, levandosi la maglietta fradicia durante il tragitto, e montò con un ginocchio sul materasso. 
Non pensò a nulla. Non pensò a quanto quel gesto fosse in contrasto con se stesso, non pensò alla lotta che gli infuriava dentro, ma si fece trasportare, forse per la prima volta, dalla sua volontà. 
Si stese supino, con la nuca contro la testata in legno del letto, ed allungò un braccio verso la ragazza. Le afferrò un polso e la trascinò bruscamente contro di sé, provocandole quasi un infarto per la sorpresa. 
Gea sorrise e gli circondò il petto con un braccio. << Perché hai v...? >>
<< Sta' zitta >> la interruppe freddamente e perforandola con lo sguardo. 
La ragazza ridacchiò ed appoggiò la testa su una sua spalla, chiudendo gli occhi e beandosi del suo calore. 
E mentre lei sprofondava nel mondo dei sogni con un sorriso sulle labbra, Deimos le studiò il volto con meticolosità, scoprendo la presenza di alcune lentiggini sul suo naso e di vari lividi e graffi sparsi qua e là. Le spostò i capelli dal collo e si allungò per constatare se la striscia rossa che aveva visto giorni prima fosse scomparsa. I suoi attenti zaffiri la individuarono subito, ma il colore si era mutato in uno più livido. Passò le dita sulla striscia con delicatezza, mentre nella mente gli si ripresentava prepotentemente il ricordo del giorno in cui l'aveva colpita proprio in quel punto. 
Ritrasse la mano e seguì con gli occhi il braccio di lei posato sul petto. Le sfiorò ogni taglio ed ogni altra sorta di ferita con la punta dei polpastrelli, fino a giungere alle dita affusolate e magre. 
Allontanò la mano e spostò lo sguardo sui suoi lunghi capelli, a tratti debolmente mossi dal vento. E poi, mentre seguiva le loro onde, le palpebre gli divennero più pesanti; fino a che non si chiusero e lo fecero calare nel suo primo sonno tranquillo. 













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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***






















Non appena un raggio di sole gli toccò la gamba, Deimos si svegliò. Sollevò la testa, appoggiata su quella della ragazza, ed abbassò immediatamente lo sguardo. 
Sollevò un sopracciglio nel notare come una gamba di Gea avesse preso il sopravvento sulle sue e come metà del suo corpo fosse stato sotterrato sotto quello esile di lei.  
Ma ciò che più attirò la sua attenzione fu la sensazione di qualcosa di bagnato sul petto. Sollevò una mano e si tastò l'addome, risalendo in prossimità del volto della giovane. Appena le sue dita tastarono una sostanza liquida e appiccicosa, strinse gli occhi ed alzò la mano per portarsela davanti alla faccia. 
Non gli ci volle molto a capire di cosa si trattasse. 
Si tolse la ragazza di dosso con un colpo secco, facendola cadere di sotto dal letto, e scattò in piedi come una molla.
Gea si tastò un braccio dolorante e si mise a sedere sul pavimento sul quale era atterrata. << Ma sei pazzo? >> biascicò fulminandolo con lo sguardo. 
<< Fai proprio schifo, umana >> affermò disgustato il ragazzo, afferrando il lenzuolo per pulirsi il petto. 
La giovane si alzò in piedi ed incrociò le braccia con un'espressione alterata. << Come mai questo complimento? >> domandò battendo un piede sul parquet. 
Deimos puntò gli occhi in quelli di lei e la osservò di sottecchi con la sua solita impassibilità. << Sbavi, umana. Sei disgustosa >> la appuntò freddamente. 
Gea ritrasse la testa e sul suo volto si affacciò un sorriso divertito. << Ti ho sbavato? >> 
<< Ne vai fiera? >> la reguardì lanciando il lenzuolo sul letto. << Mettiti della carta in bocca d'ora in poi. >>
La ragazza rise di gusto ed avanzò verso di lui. << Non mi succede quasi mai. Evidentemente avevo la bocca troppo aperta >> ipotizzò tra le risate. Gli tirò una leggera pacca sugli addominali e continuò a ridere. << Questi tuoi muscoli di marmo mi hanno slogato la mascella. È stato come dormire su un tavolo... Dev'essere stato per questo motivo che ho tenuto la bocca spalancata >> dichiarò divertita.
Deimos osservò come le brillassero gli occhi ad ogni parola. Così, senza spostare l'attenzione dalle sue gemme d'ambra, le afferrò un polso e l'attirò contro di sé. << Lo trovi tanto divertente? >> le domandò, mantenendo un'espressione seria e fredda. 
Il cuore della ragazza si agitò impetuosamente, scagliandosi contro il suo petto come se cercasse di uscirne. 
Scrollò le spalle. << Noto che il tuo senso dell'umorismo non è aumentato di una virgola >> lo provocò con un sorriso beffardo. 
<< Trovo divertenti ben altre cose >> contrabattè il giovane, trafiggendola con lo sguardo. 
<< Mm >> borbottò pensierosa Gea, sorridendo divertita. << Tipo fare i dispetti alle vecchiette o rubare i giocattoli ai bambini? >> 
Deimos si aprì in un sorriso maligno. << Te lo mostro. >> 
Un secondo dopo, senza che alla ragazza fosse stato dato il tempo di pronunciare parola, piantarono i piedi sul terreno sassoso della montagna memore del combattimento tra aria e terra. 
Gea si guardò intorno, riconoscendo le crepe sul terreno e la lunga faglia scavata tra le rocce. << Questa è... >> iniziò a dire, ritrovandosi ad urlare spaventata un attimo dopo. Il suo intero corpo si trovò sospeso nel vuoto, trattenuto da un imminente schianto solo dalla mano di Deimos. 
La ragazza agitò le gambe nell'aria ed alzò la testa per fulminare l'essere mostruoso che la teneva appesa al filo del rasoio, tra vita e morte. Lui le rivolse un sorrisetto divertito, piegandosi sui talloni con un'espressione vendicativa. << Questo >> scandì. << È ciò che mi diverte >> asserì con un derisorio cenno del capo.  
<< Tirami su >> gridò furente la giovane.
Deimos scoprì i suoi bianchi denti in un sorriso beffardo. << Stavo pensando di fare l'opposto. >>
Una folata di vento alzò la lunga maglietta di Gea, mostrando le sue mutande alla vallata deserta. La ragazza rabbrividì e si agitò per coprirsi, non notando gli sguardi compiaciuti del giovane. 
<< Accidenti >> sbottò, spazientita dai suoi vani tentativi. Tornò a rivolgere la sua attenzione al mostro sopra di lei e cercò di allungare un braccio verso di lui. << Ti ho detto di tirarmi su >> sbraitò, mentre la sua mano scivolava contro la roccia. 
<< Cosa ci guadagnerei? >> le domandò sollevando un sopracciglio in un gesto provocatorio. 
Gea sbuffò rumorosamente ed annuì esasperata. << Ok, va bene, ti cucinerò pranzo e cena. >>
<< Della tua immondizia non so che farmene >> ribatté lui con un'espressione schifata. << Impegnati di più, umana >> la canzonò, stavolta serio in volto. 
<< Mi fa male il polso >> si lamentò la ragazza. 
<< Sbrigati. >> 
<< Non lo so... >> farfugliò lei, confusa dal dolore ai tendini. << Farò tutto quello che vuoi, ma tirami su. >>
Deimos sorrise soddisfatto, e così si sollevò in piedi issando con sé la ragazza. Allungò un braccio e le circondò i fianchi, avvicinandola al suo corpo e permettendole di posare i piedi nudi a terra. Gea adagiò una mano su un bicipite del giovane e si voltò a guardare il precipizio, facendosi sfuggire un sospiro di sollievo. 
Il ragazzo la osservò divertito, mentre nella sua mente sciamavano idee su come renderle un inferno quella giornata. Se la sarebbe spassata facendole perdere le staffe ogni santo secondo.
Abbassò la testa ed alitò nell'orecchio della giovane, procurandole dei brividi lungo la schiena. << Tutto, umana >> le ricordò con un ghigno. 
Gea volse il capo e puntò le sue vispe gemme d'ambra nei suoi accesi zaffiri. << Era per dire, non farò mai tutto quello che vuoi >> ribatté con uno sguardo di sfida.
Deimos alzò un sopracciglio e le rivolse un sorriso derisorio. << Tu credi? >> 
<< Lo credo >> affermò con sicurezza lei. 
Il ragazzo, con uno scatto, la strinse a sé, premendo il corpo della giovane contro il suo. La sollevò di poco da terra ed avanzò in direzione del precipizio. 
Gea sgranò gli occhi, mentre il cuore le batteva furiosamente, e lanciò occhiate da una parte all'altra come alla ricerca di un aiuto. Sbuffò spazientita e batté il palmo contro il bicipite del ragazzo. << Ok, va bene. Tutto >> concesse esasperata. 
Deimos si arrestò ed allargò il suo sorriso compiaciuto. Un secondo dopo misero piede nell'ingresso della silenziosa casa, facendo scricchiolare le assi di legno. 
Il ragazzo le tolse il braccio dai fianchi e le rivolse un cenno del capo con un'espressione sbruffona. << Vammi a preparare qualcosa di davvero commestibile. >> 
Gea sollevò un sopracciglio. << Ciò che cucino è sempre commestibile >> rispose, calcando sulla parola "sempre". 
<< Anche l'immondizia lo è >> le fece notare con uno sguardo impassibile. << Vedi di non ripetere gli stessi errori e datti una mossa: ho fame >> le ordinò freddamente, dandole le spalle per avviarsi verso il salotto. 
La ragazza strinse le mani in due pugni, trattenendosi a stento dallo scagliargli addosso un fulmine. << Buongiorno anche a te comunque >> borbottò stizzita, prima di dirottare verso la cucina. 




                                                                        *  *  *





Sbatté le uova con violenza e spense la fiamma con un colpo secco. << Puoi venire >> pronunciò innervosita, gettando il contenuto della piccola e consumata padella in un piatto.
Per quella volta non si era sentita affatto emozionata nel cucinargli la colazione, ma anzi, sperava di aver sbagliato un'altra volta gli ingredienti così da fargli andare di traverso il boccone.
Voltò la testa ed il cuore le sobbalzò nel vedere il ragazzo proprio dietro di lei, a pochi centimetri dalla sua schiena ed ancora a petto nudo.
<< Cos'è quella pappa giallastra? >> le domandò schifato, osservando ciò che c'era nel piatto da sopra la sua spalla. 
<< Sono uova strapazzate >> gli fece notare stizzita, ruotando di poco il busto. << Sono buone e tu le mangerai. >>
Il giovane spostò gli occhi in quelli di lei e la fissò con distacco. << Non è detto >> affermò aprendosi in un sorriso beffardo. << Adesso non ho fame. >>
Gea inspirò profondamente e si morse l'interno guancia. << Cos'hai detto, scusa? >> chiese con uno sguardo pericoloso, appoggiando una mano sul pianale. 
Deimos avanzò di un passo e le ancorò le mani sui fianchi. << Devi fare tutto quello che voglio >> le fiatò in un orecchio. << Perciò taci, umana >> concluse mordendole il lobo con forza. 
La ragazza mugolò di dolore e ritrasse la testa per fulminarlo con lo sguardo. << Non puoi minimamente immaginare quanto io ti odi >> sputò infervorata. 
Lui le rivolse un'occhiata di sufficienza mentre sulla sua bocca rimaneva pennellato un sorriso derisorio. << Sprechi un sacco di fiato >> notò divertito. << Per le prossime tre ore dovrai stare muta. Prova a parlare e ne pagherai le conseguenze >> la minacciò in un sibilo, prima di darle le spalle e tornare nel salotto. 
Gea tese i muscoli per il nervoso e sbatté il piatto sul pianale, dopodiché guardò le uova e decise di mangiarle lei. 
Le ingurgitò con rabbia, quasi strozzandosi tra un boccone e l'altro. Si pentiva amaramente di avergli concesso quel "tutto", avrebbe dovuto immaginarselo che nella mente contorta di un mostro quella parola fosse il sinonimo di "qualsiasi tortura".  
Ma lei non aveva nessunissima intenzione di farsi prevaricare da un tipo simile. Avrebbe ordito la sua vendetta senza che lui si rendesse conto di nulla.
Sorrise tra sé e sé e posò il piatto nell'acquaio. 
<< Umana vieni qua >> le ordinò perentoriamente il ragazzo. Gea si armò del suo sorriso migliore e trotterellò fino al salotto, piazzandosi davanti a lui, seduto sul sofà in una posa disinvolta. 
Deimos la osservò da capo a piedi, soffermandosi sul punto in cui la sua maglietta smetteva di coprirle le gambe, dopodiché le indicò il televisore ormai distrutto. << Toglilo di qui, mi dà fastidio >> comandò con durezza. 
La ragazza annuì accondiscendete e si avvicinò a ciò che rimaneva dell'elettrodomestico, lo issò di peso e si mosse con fatica per la stanza. 
<< Portalo in cucina, sul tavolo >> aggiunse il giovane, seguendola con lo sguardo. 
Gea si avviò in direzione della suddetta stanza ed obbedì all'ordine, sospirando stancamente appena ebbe finito. 
<< Anzi >> prorompette Deimos, pennellandosi un sorriso maligno sulle labbra. << Perché non lo porti al piano di sopra? >> 
La ragazza si volse di scatto a guardarlo, lanciandogli occhiate omicide. Aprì la bocca per ricoprirlo d'insulti, ma si fermò appena in tempo, ricordandosi della minaccia.
Il giovane sollevò un sopracciglio. << Vuoi dirmi qualcosa? >> la canzonò con uno sguardo di sfida. 
Gea inspirò a fondo e si costrinse a sorridere, scuotendo la testa e riflettendo sulla sua vendetta. Si caricò tra le braccia il pesante televisore e camminò sino alle scale, osservandole con astio. 
Salì il primo gradino e sospirò già stanca. Deimos adagiò un braccio sulla testata del divano, per godersi lo spettacolo da una posizione più comoda, e ghignò divertito. 
Per lui non esisteva nulla di più spassoso che vedere l'umana perdere le staffe e fare la caparbia. Gli piaceva il modo in cui lo guardava quando qualcosa non le andava giù ed il modo in cui a volte reagiva, sorprendendolo con le sue battute colme d'ironia. Oppure quando arricciava il naso e rideva forzatamente per trattenersi dall'offenderlo. 
Nel frattempo la ragazza aveva raggiunto gli ultimi scalini, madida di sudore sia per il caldo che la fatica. Appoggiò il televisore sul pianerottolo del primo piano e lo fece scivolare con la pressione delle mani. 
Si asciugò la fronte e lo spinse per un altro metro, mettendolo in un rientro del corridoio. Dopodiché sospirò stremata e camminò rapida verso la sua camera. Aveva un'urgente bisogno di farsi una doccia e cambiarsi quella maglietta sudata ed appiccicosa. Solo dopo essersi rilassata avrebbe ordito e perfezionato il suo piano contro Deimos. 
Rovistò nell'armadio ed afferrò un paio di pantaloncini di jeans, un'attillata maglietta a mezze maniche con scollo a barchetta e della biancheria pulita. 
Con quella roba in mano si diresse al bagno e si chiuse dentro, pur sapendo che se il mostro avesse voluto scovarla non sarebbe stata certamente una porta a fermarlo.
Con quel timore a farle salire l'ansia, si lavò in fretta e furia, rivestendosi alla velocità della luce. Pettinò i capelli con le dita e li legò in un'alta coda, strizzandosi poi le guance per renderle più rosate. 
Si diede un'ultima controllatina allo specchio ed infine fece scattare la serratura, spaventandosi nel trovare il ragazzo appoggiato alla colonna della porta con una mano. Le rivolse un'occhiata impassibile ed alzò la testa per osservarla con aria minacciosa. << Ti ho chiamata più volte, umana >> le disse freddamente.
Gea sollevò un sopracciglio, mordendosi la lingua per trattenere una battuta, e s'indicò con un gesto della mano, cercando di fargli capire che adesso era davanti a lui. 
<< Devi portare fuori la spazzatura >> le ordinò perentoriamente, sorprendendola. 
La ragazza annuì con nonchalance, abbassandosi per passare sotto al braccio di Deimos. Quest'ultimo si volse per guardarla scendere le scale, esaminò ogni movimento delle sue gambe, delle sue braccia e della sua coda di cavallo con un'espressione profonda. Infine si aprì in un sorrisino grottesco e la raggiunse in cucina. La vide chiudere il sacchetto dell'immondizia ed estrarlo con cautela. Richiuse lo sportello e si diresse verso la porta sotto il pericoloso quanto divertito sguardo del giovane. 
Come fosse stata una freccia, una lama d'aria tagliò il fondo del sacchetto, facendo riversare il suo puzzolente contenuto per terra. 
Gea rimase immobile, spaventata se guardare o meno, dopodiché si decise a voltare la testa con lentezza. I suoi scioccati occhi si posarono su un cumulo di rifiuti non più commestibili e sprigionanti un odore nauseante. 
Espirò innervosita e chiuse le sue gemme d'ambra per mantenere il controllo. Deimos intanto la guardava palesemente divertito. Si gustò il momento in cui la giovane gettò lo sfondato sacchetto sul pavimento ed accorse a procurarsene un altro, camminando con la pesantezza di un bisonte. 
Lei lo sapeva. Sapeva perfettamente che quel simpatico scherzetto era opera del mostro. Bastava alzare la testa e guardare quel sorriso beffardo che si era stampato in faccia per capirlo. 
Se tratteneva la rabbia e gli insulti era solo per la consolante vendetta che stava progettando. Così, spinta dalla speranza di avere la sua rivincita, in pochi minuti raccolse tutta la spazzatura, aiutandosi con una vecchia scopa rinvenuta giorni prima. 
Appena ebbe raccolto il sudicio rivolse un sorriso trionfante a Deimos e si affrettò a buttare il sacco fuori da quella casa. 
Il ragazzo si staccò dalla parete con un sorrisino per quell'umana tanto orgogliosa e si trasferì nel salotto, lasciandosi sprofondare nel divano. Chiuse gli occhi e si distese, andando ad appoggiare la testa su un bracciolo. 
Gea rientrò in casa, guardandosi a destra e a manca in attesa di un attacco a sorpresa. Ma invece dell'attacco, la sua vista si posò sul giovane: rilassato e... non protetto. Un sorriso quasi inquietante si affacciò sul suo volto, mentre la sua mente architettava tutto nei minimi particolari. 
A passo felpato corse fino alla cucina, affacciandosi di tanto in tanto per controllare il mostro. Aprì uno sportello della credenza e raccolse un piccolo barattolo con su scritto una parola che le fece brillare gli occhi: "chilli". 
Lanciò un'altra occhiata al salotto, dopodiché si nascose il piccolo contenitore nei pantaloni e recuperò una bacinella da sotto il lavello. La riempì d'acqua fredda, ma, non soddisfatta della sua temperatura, ci versò anche dei cubetti di ghiaccio. La testò su una mano e rabbrividì. 
Ridacchiò silenziosamente tra sé e sé e s'incamminò verso il salotto con la pesante bacinella tra le mani. Si nascose dietro al divano, mettendosi dapprima seduta sui talloni e poi sollevandosi sulle ginocchia. 
Il cuore iniziò a batterle furiosamente e lo stomaco le si contorse per l'emozione. 
Si spronò mentalmente a far funzionare il piano ed estrasse dalla tasca il peperoncino in polvere, stappandolo delicatamente. Si alzò in piedi e puntò gli occhi sul viso del ragazzo, perdendosi per un attimo a contemplare la sua bellezza ed i suoi lineamenti contrastanti. Scosse la testa e sospirò piano, riprendendo pieno controllo della sua mente. Si abbassò verso le rosee labbra del giovane ed allungò la boccetta di peperoncino per far ricadere parte del contenuto sulla sua bocca.
Ma proprio un secondo prima che il suo dito inclinasse il contenitore, le labbra di lui si stesero in un sorriso. << Credi che non ti abbia sentita? >> la canzonò scagliando i suoi zaffiri nelle gemme di lei. Non le diede il tempo di controbattere che le agguantò il polso e con uno scatto la portò distesa su di sé. << Quanto sei stupida >> la appuntò con un tono derisorio. 
<< Avresti anche potuto starci per una volta >> sbottò Gea, fulminandolo con lo sguardo. << Cosa ti costava stare fermo per dieci secondi? Devi sempre rovinare tutto >> si lamentò con uno sbuffo. 
Deimos sollevò un sopracciglio e sorrise sghembo. << Hai parlato. >>
<< E quindi? >> sbraitò lei. << Ho anch'io il diritto di esprimere quel che penso e tu non potrai... >> Si arrestò di colpo, strabuzzando gli occhi per la sua dimenticanza. Fece vagare gli occhi da destra a sinistra e viceversa, cercando di dissimulare l'errore commesso. Dopodiché diede qualche pacca sul petto del ragazzo e gli rivolse un sorrisino forzato. << È stato un piacere... Addio >> concluse di colpo, scappando via da lui e precipitandosi alle scale. 
Deimos le si parò davanti un secondo prima che lei salisse sul primo gradino. << Dove credi di scappare? >> le domandò con un profondo scetticismo dipinto sul volto. 
Gea lo fissò per qualche secondo, incapace d'inventare una scusa o meglio una via di fuga, ma poco dopo nella sua mente saettò un'idea.
<< Oh >> si lamentò, piegandosi su se stessa. << Sto male >> fiatò toccandosi lo stomaco. << Sto per vomitare, me lo sento. >>
<< Che patetica attrice >> la freddò il ragazzo, avanzando nella sua direzione. 
Gea avvistò le scarpe di Deimos vicine ai suoi piedi e si volse rapidamente per correre in cucina. 
Non si accorse nemmeno di come successe, sentì solo il cuore premerle contro il petto e la testa sbandarle. Fatto sta che si ritrovò con la schiena attaccata al muro e Deimos difronte a lei che le teneva le mani ancorate sui fianchi. 
<< Certe cose dovresti averle ormai chiare, umana >> le fiatò sul viso con un sorriso di scherno. << Contro di me non hai speranze. >>
<< Forse mi sottovaluti troppo >> ribatté lei con uno sguardo di sfida. 
<< O forse ti sopravvaluti tu >> controbatté lui, piantandole i suoi zaffiri addosso. 
Nessuno dei due disse un'altra parola, ma si limitarono ad osservarsi intensamente, a tratti facendo cadere lo sguardo sulle reciproche labbra. 
Deimos fece calare le mani sulle sue gambe e la sollevò da terra, facendosi più vicino al suo corpo.
La ragazza deglutì emozionata ed abbassò lo sguardo. << Voglio delle risposte >> pronunciò a bassa voce. << Sai su cosa >> aggiunse imbarazzata. 
Il giovane esaminò il suo viso con impassibilità, dopodiché decise di avvicinarsi ed inspirare il suo odore sul collo. Chiuse gli occhi e le sfiorò con le labbra la spalla, per poi risalire fin sotto l'orecchio. Quel profumo gli era mancato giorno e notte. L'unico profumo che lo rilassasse e che gli facesse smuovere qualcosa nello stomaco. 
<< Perché sei tornato? >> mormorò Gea, spostando la testa verso di lui. 
<< Perché posso farlo >> rispose secco. 
<< Sto dicendo sul serio. >>
<< Anch'io. >>
La ragazza strinse i denti e lo staccò da sé con stizza. << Sai una cosa? Sono davvero stufa >> affermò fissandolo dritto nei suoi freddi zaffiri. << Sono stufa di non avere mai una risposta concreta, ma solo fatti a metà. Dopo ciò che c'è stato tra noi sei scappato e ti sei ripresentato solo ieri notte dopo quasi quattro giorni >> sputò rabbiosa e gesticolando. << Come dovrei reagire? Cosa dovrei pensare? Ogni volta che tra noi succede qualcosa, subito dopo faccio finta di nulla, ma stavolta non ce la faccio proprio. Stavolta non è come le altre >> precisò alzando il tono di voce. << Perciò non voglio delle risposte, ma le esigo come fossero un diritto. E forse sono stupida a chiedertele, sapendo che non mi risponderai mai >> ammise con un mesto sorriso. << Ma non ce la faccio a continuare così, sempre sommersa da enormi punti interrogativi, perciò tanto vale provare, ormai non ho più nulla da perdere >> concluse in un sospiro. 
Deimos rimase in silenzio e la osservò con un'espressione imperturbata e distaccata. Leggeva la sofferenza dell'umana sul suo volto e nei suoi lucidi occhi speranzosi. E fu proprio quella visibile sofferenza a fargli automaticamente aprire la bocca. << Mettiti in testa una cosa, umana >> pronunciò con uno sguardo freddo quanto il suo tono. << Da me non otterrai mai nulla di ciò che hai chiesto. Puoi anche metterti l'anima in pace e giocare a darti delle risposte da sola. La cosa non mi riguarda >> dichiarò trafiggendola con i suoi glaciali zaffiri. << Torno da chi voglio e quando voglio, non devo dare spiegazioni a nessuno >> terminò secco.
La ragazza si sentì travolgere dalla rabbia e fece pressione per tornare coi piedi per terra. << Me lo aspettavo. Purtroppo ti conosco fin troppo bene per non sapere che avresti evitato di rispondermi. Quindi sai cosa? >> domandò sollevando un sopracciglio e fulminandolo. << Io chiudo. Per me non esisti più. D'ora in poi ti considererò uno sconosciuto che non ha il diritto di toccarmi. Mi sottoporrò solo agli allenamenti, per tutto il resto sarai come morto. Ed ora lasciami andare >> ordinò duramente, vedendo che il giovane non le permetteva di poggiare i piedi per terra. 
Deimos la guardò impassibile, come se le sue parole non lo avessero scalfito neanche di striscio, ma poi alzò una mano e le afferrò il viso, riportando gli occhi di lei nei suoi. < Sta' ferma >> pronunciò con freddezza e minacciosamente. << Scalcia ancora una volta e il mio volto sarà l'ultimo che vedrai. >> 
Gea scosse la testa frustrata e gli tirò un pugno sul petto. << Perché fai così? >> sbottò con gli occhi lucidi. << Perché non ti rendi conto che hai davanti a te una persona e non un oggetto? >> gli domandò con uno sguardo supplichevole e addolorato. Talmente addolorato che Deimos irrigidì i muscoli e contrasse la mascella per il fastidio. << Sono umana. Me lo ripeti sempre, eppure sembra che tu te lo scorda in continuazione. E allora mi chiedo: se sai che sono umana e debole, come fai a non accorgerti che mi stai facendo del male? >> sbottò con le gemme d'ambra piene di lacrime. << Sei costantemente in contraddizione, come adesso. Sembra che quello che ti ho detto non ti abbia minimamente toccato, come se tu non avessi preso in considerazione neanche una parola. Quando dico che sono stufa non mi riferisco solo al fatto di non avere mai spiegazioni sulle tue azioni, ma anche al fatto di non essere mai presa sul serio. Una mia parola, per te, non vale nulla. E allora, se ciò che dico non ha valore, quanto valore posso avere io? Esattamente quanto quello di un giocattolo >> asserì mordendosi un labbro e tirando su col naso. << Ma sappi che i giocattoli, dopo un po', si rompono >> affermò mentre le lacrime le rigavano le guance. << E questo giocattolo >> mormorò indicandosi. << Adesso è giunto al suo punto di rottura >> concluse fissando intensamente il ragazzo. 
Per svariati secondi nessuno dei due aprì più bocca. Il silenzio piombò nella casa e su di loro come una manto di umida nebbia: pesante e offuscante. 
Deimos osservò come le lacrime le scendessero sino al mento per poi gettarsi in caduta libera sul pavimento. Un attimo dopo, le fece appoggiare i piedi per terra ed abbassò la testa per cercare i suoi occhi bassi. 
<< Smettila >> le ordinò innervosito, appoggiando le braccia ai lati della sua testa. 
La ragazza sollevò lo sguardo in quello duro di lui e si morse le labbra tremule. << Non voglio essere considerata un giocattolo >> asserì scuotendo il capo. Immediatamente dopo si fiondò sul ragazzo e lo abbracciò, nascondendo l'umido viso sul suo petto nudo e chiudendo le braccia attorno ai suoi fianchi. << Deimos, ti prego >> bisbigliò tra i singhiozzi. 
Il giovane rimase di sasso per il gesto inaspettato. Abbassò la testa ed osservò Gea in tutta la sua fragilità e la sua debolezza. Per un attimo si sentì travolgere dalla strana e nuova sensazione di volerla proteggere, ma subito dopo ritornò al suo sguardo freddo ed impassibile. << Ti considero per ciò che sei, umana >> affermò con durezza, guardandole i capelli. 
<< E cioè? >> domandò lei, evitando di guardarlo nei suoi zaffiri. 
Deimos tacque, ma in compenso la spinse contro il muro e si abbassò a posare le labbra sulla sua spalla. Le baciò un lembo di pelle con avidità e lentezza, gustandone il sapore ed inspirandone l'odore. Infine scese verso la spalla e la morse, facendo mugolare di dolore la ragazza. << Mia >> le fiatò in un orecchio in un roco sussurro. 
Il cuore di Gea proruppe in un battito accelerato, gli occhi le si sgranarono e le lacrime si arrestarono sul momento. << Che hai detto? >> chiese con un filo di voce. 
Il ragazzo ritrasse la testa e piantò i suoi zaffiri profondi e perforanti nelle sorprese gemme d'ambra di lei. << Sei mia, umana >> ripeté serio in volto. << Non farmelo ridire ancora. >>
La giovane deglutì emozionata mentre le farfalle le sciamavano nello stomaco. << "Mia" come un oggetto? >> 
Deimos si aprì in un beffardo sorriso sghembo. << Se dicessi di sì? >> la provocò sollevando un sopracciglio. 
<< Ti tirerei uno schiaffo talmente forte da farti ruotare la testa di trecentosessanta gradi >> ribatté lei, innervosita. 
Il ragazzo sorrise divertito ed avvicinò la bocca a quella di Gea, fermandosi una volta esserci giunto a pochi millimetri di distanza. In pochi secondi gli sguardi di entrambi tramutarono in due seri e incantati, come se il mondo circostante si fosse dissolto ed esistessero solo loro. Il cuore di Deimos si agitò mentre le osservava le labbra con desiderio. << Mia e basta >> bisbigliò in risposta, quasi senza rendersene conto. Dopodiché le catturò quelle tanto bramate labbra in un bacio lento e profondo, portandole una mano su una guancia per farle alzare la testa. 
Gea chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla corrente delle sue emozioni. 
Anche se era stato solo un sussurro, lo aveva sentito. Aveva perfettamente udito quel "mia e basta". Poche parole che le avevano riempito il cuore e fatto dimenticare tutta la sofferenza per quell'essere apparentemente privo di sentimenti. 
Perché con quella mormorata affermazione lui le aveva dato una risposta al suo timore più grande: essere un giocattolo. Ed invece ai suoi occhi cobalto lei non era come le altre, non era un misero oggetto con cui dilettarsi, ma era quella persona da cui era voluto tornare e con cui aveva scelto di dormire. 
Gli strinse le mani attorno al collo e sorrise sulla sua bocca, riempiendolo poi di veloci baci a stampo. 
<< Smettila >> le intimò lui con durezza, rispondendo d'istinto ad un altro piccolo bacio. 
Gea si distanziò e gli sorrise solare. 
Deimos la osservò come se fosse impazzita e mosse alcuni passi all'indietro, indicandole con un cenno la cucina. << Ho fame >> asserì lapidario. << Preparami da mangiare. >> 
La ragazza si staccò dalla parete con ancora quel largo sorriso, enigmatico agli occhi del giovane. 
E così, quest'ultimo, incuriosito dall'improvvisa quanto strana felicità di lei, decise di sedersi su una sedia della cucina per osservarla attentamente. Studiò ogni suo singolo movimento ed ogni guizzo sul suo volto, inclinando a volte la testa per esaminarla meglio. E fu così che si ritrovò istintivamente ad affibbiare un aggettivo a quell'umana; un aggettivo che non aveva mai sprecato per nessuna e che non era solito usare nemmeno nei pensieri. 
Invece quella parola gli risuonò nella mente con una potenza tale da fargli battere il cuore. Perché sì, ai suoi occhi quell'umana era diventata indubbiamente bella.

















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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***



























La ragazza parò il primo colpo abbassandosi sulle ginocchia. Ruotò il corpo e con un rapido scatto sollevò la gamba, ma un attimo prima che il suo calcio si abbattesse su Deimos, quest'ultimo si teletrasportò a metri di distanza. 
Gea si asciugò la fronte madida di sudore e respirò affannosamente. Era già stanca, sebbene avessero appena cominciato l'allenamento. Il caldo soffocante del deserto nel quale erano giunti non faceva altro che contribuire alla sua spossatezza. 
Si guardò attorno ancora una volta, sicura di poter riconoscere quel posto. Lo aveva già visto da qualche parte, forse in una foto, eppure non riusciva a dargli un nome. 
La sua mente ricordava perfettamente quelle basse montagne di fine roccia, quelle infinite distese desolate, quel suolo sgretolato e intarsiato di crepe e quel cielo terso e azzurro che arricchiva l'ambiente, facendolo apparire vivo.
<< Dove siamo? >> domandò sempre più incuriosita. 
<< Nevada >> rispose secco il giovane. << Deserto Black Rock. >> 
Gea sgranò gli occhi per la sorpresa, mentre la sua mente ripercorreva a frammenti la gita scolastica di qualche anno prima. Li avevano portati a visitare con mano il letto di un lago preistorico ormai prosciugatosi da migliaia di anni. Aveva amato quella giornata, si era sentita in simbiosi con la natura ed infinitamente minuscola difronte a tanta grandezza.
Si sentì afferrare i capelli dalle spalle e chiudere la gola con una mano. Reclinò la testa all'indietro ed incontrò due accesi occhi color cobalto che la osservavano freddamente. << Terza regola? >> le fiatò sul viso. 
La ragazza strinse i denti per il dolore e scagliò un gomito contro il suo stomaco, senza però riuscire a colpirlo in quanto il suo colpo fu rapidamente intercettato. 
<< Illusa >> la canzonò con un sorrisetto derisorio. 
<< Ride bene chi ride ultimo >> ribatté Gea con uno sguardo di sfida. Gli agguantò il polso della mano con cui le teneva la gola e liberò una scossa elettrica. Deimos la lasciò immediatamente andare e si smaterializzò appena in tempo, prima che la ragazza gli mollasse un pugno in piena faccia. 
Non ebbe neanche un minuto per cercare il giovane, che attorno alla sua figura si eresse un vortice di vapore caldo e soffocante. Gea girò su se stessa come un animale in gabbia, mentre il suo intero corpo si ricopriva di gocce di sudore. 
<< Accidenti >> borbottò in difficoltà. Il vapore intanto continuava a salire verso il cielo, rendendole poco nitida la vista oltre il vortice che le si era creato attorno. Si sventolò con una mano in un disperato tentativo di respirare aria fredda, ma tutto ciò che ottenne furono delle pesanti ed umide ventate contro il viso. 
Allungò un dito verso la parete, ma non arrivò nemmeno a sfiorarla dal momento che la pelle le si scottò prima. In preda alla disperazione si sollevò la maglietta, ormai appiccicata alla pelle, e provò a respirarci attraversò con scarsi risultati. 
Si riabbassò la maglia e si piegò sui talloni, stanca e stremata per la mancanza di ossigeno e per la disidratazione alla quale stava andando in contro. Tastò il suolo con una mano e le calarono le palpebre, mentre nella mente immaginava che s'innalzassero delle mura di terra entro le quali avrebbe potuto ripararsi. Riaprì gli occhi con convinzione, sforzandosi di mantenerli aperti, e batté un pugno sul terreno. Un leggero tremito fu seguito dallo scaturire di quattro possenti muri di roccia che conversero sopra la sua testa, rinchiudendola in una sorta di gabbia di terra. Gea prese un grosso respiro, finalmente libera d'inalare aria pulita, e posò due dita su una parete, dalla quale immediatamente si estese un basso tunnel che l'avrebbe condotta oltre il vortice di vapore. Si mise carponi e si mosse rapidamente entro le strette mura che aveva generato, scorgendo la luce dopo solo un metro percorso. 
Avanzò ancora più in fretta ed uscì dal passaggio, si sollevò in piedi e respirò affannosamente, godendosi la vista del cielo e del sole cocente. 
Non le fu dato molto tempo per riprendersi, perché Deimos la colpì da dietro, facendole cedere un ginocchio e destabilizzando il suo equilibrio. Il ragazzo approfittò di quel momento per spingerla con forza e farla scivolare al suolo per qualche metro.  
Gea finì distesa supina con non pochi graffi sulle braccia. Ma senza darsi minuti di recupero, piantò i palmi per terra e si risollevò per cercare con gli occhi il giovane. Non lo vide da nessuna parte, segno che di lì a poco l'avrebbe nuovamente colpita. 
Rimase ferma sul posto e si focalizzò sugli spostamenti attorno a sé. Se con Ninlil aveva la possibilità di concentrarsi sugli improvvisi movimenti dell'aria, con Deimos quella possibilità non esisteva. Lui si teletrasportava da un punto a un altro con una velocità sorprendente senza smuovere un filo d'aria, quasi come un fantasma. 
La ragazza abbassò lo sguardo sull'asciutto terreno e lo esaminò senza un reale interesse. E fu in quei secondi che si rese conto di un particolare che fino a quel momento aveva sempre trascurato. Ad ogni teletrasporto Deimos non spostava l'aria, ma appoggiava i piedi per terra e ne muoveva i ciottoli o anche i più piccoli granelli di polvere. Sorrise trionfante e deviò la sua attenzione sul controllo completo del suo stesso elemento. Passò una mano sotto la maglia e seguì il percorso delle linee intrecciate attorno al suo ombelico col dito, inspirando a fondo. Avvertì un'onda d'energia risalirle fino al petto, spingere verso le spalle, diramarsi tra le braccia, e scendere fino ai piedi. Sbatté le palpebre più volte mentre la pura linfa vitale che le scorreva nelle vene la rendeva viva e piena di energie. 
E poi, d'un tratto, percepì un infimo spostamento di terriccio alle sue spalle. Si volse di scatto, generando delle ulteriori crepe sul suolo, e scagliò un pugno verso il viso del ragazzo, ma questo prontamente piegò la testa d'un lato e lo scansò. Le rivolse un sorriso di scherno e le afferrò il mento tra le dita, costringendola ad alzare il viso. 
Gea cercò di liberarsi con scarsi risultati, finché non abbandonò i suoi vani tentativi e puntò le sue accese gemme d'ambra negli zaffiri derisori di lui. 
<< Ti sei trasformata >> notò Deimos, sollevando un sopracciglio. 
<< Non posso dire lo stesso di te >> ribatté infastidita lei. << Sei il mostro di sempre. >> 
Il ragazzo allargò il suo derisorio sorriso sghembo ed avvicinò il viso al suo. << Non ti conviene parlarmi così, umana >> la minacciò con un tono rauco. Le fissò intensamente le labbra, rosse come bacche di biancospino, mentre il cuore della giovane si muoveva ad un ritmo sostenuto. 
<< Perché, se no che mi fai? >> gli domandò con un filo di voce. 
Deimos si abbassò su di lei e le prese il labbro inferiore tra i denti, per poi stringerlo con forza. Gea mugolò di dolore e cercò di allontanarsi, ma lui le passò un braccio dietro la schiena e l'attirò contro di sé. Allentò la presa dei denti e li sostituì con la punta della lingua, spazzando via una piccola goccia di sangue dovuta al morso. 
<< Non provocarmi >> le fiatò con un velo di minaccia ed una sfumatura di ammonimento.  
La ragazza si sollevò sulle punte ed allungò il corpo contro quello di lui, passandogli le braccia dietro al collo. << Dovresti iniziare a non provocarmi nemmeno tu >> gli sussurrò a pochi centimetri dalla bocca. << Potrebbero esserci delle conseguenze anche per te. >>
Il giovane la strinse a sé e sorrise beffardo. << Dipende da che tipo di provocazione parli >> affermò allusivo, piegandosi sul suo collo. << Le conseguenze potrebbero anche piacermi >> le mormorò raucamente all'orecchio. 
Gea socchiuse gli occhi e gli lambì il mento con le labbra, sebbene sapesse che non era quello il momento per lasciarsi andare. Perché nella sua mente era già comparsa a caratteri cubitali la parola "vendetta", ma non una dolorosa. Avrebbe solo voluto fargli presente che lei non era da sottovalutare e che certamente non era inferiore a lui per autocontrollo. 
Il respiro accelerato di Deimos le inondò l'orecchio, facendole battere il cuore e spingendola a scendere sul suo collo. Gli succhiò un tratto di pelle con lentezza, giocandoci con la lingua e con le labbra fino a lasciargli un segno rosso. Si distanziò per osservare il marchio che gli aveva impresso e fece salire le mani sui suoi addominali da sopra la maglietta. Accarezzò con decisione il suo petto ed infine si stese per arrivare al suo orecchio. << Mai abbassare la guardia >> gli sussurrò un attimo prima di rilasciare una scarica elettrica dai palmi.
Deimos atterrò di schiena dopo un volo di qualche metro, ma non ebbe il tempo di rialzarsi che Gea gli si sedette sul bacino e gli posò le mani sulle spalle per tenerlo incollato al suolo. Due taglienti zaffiri si scontrarono con le gemme trionfanti della ragazza, tornata normale dopo aver fatto passare le dita sul suo intreccio concentrico sulla pancia. << Come si sta nei miei panni? >> gli domandò ironicamente, sollevando un sopracciglio. 
Il giovane ribaltò le posizioni con uno scatto e bloccò i polsi di Gea sul terreno. << Perché non me lo dici tu? >> ribatté con uno sguardo di sfida.
La ragazza arricciò il naso e fece una smorfia con la bocca. << Non comodi. >>
Deimos la osservò con attenzione e freddezza. I suoi occhi cobalto si mossero sul volto di lei, dove focalizzarono dei nuovi graffi su una guancia, poi salirono verso le sue braccia, anch'esse ricoperte di corti e superficiali taglietti, alcuni che buttavano ancora sangue ed altri rossi e sporchi di terra. La lasciò andare di scatto, come se le sue mani avessero preso fuoco. Si alzò in piedi e le rivolse un cenno del capo. << Per oggi basta così >> asserì secco. 
Gea strinse gli occhi confusa. Da quando aveva avuto inizio l'allenamento aveva notato che qualcosa era cambiata. Non era riuscita a capire di cosa si trattasse, almeno non fino a quel momento. Perché adesso che rimetteva insieme tutti i tasselli, tutti i ricordi sui vecchi addestramenti a cui l'aveva sottoposta si rendeva conto che era mancata una cosa: la ferocia. 
Il cuore le batté furiosamente nell'esatto momento in cui la sua mente realizzò che Deimos si era trattenuto dal colpirla, che si era teletrasportato più del solito per non replicare ai suoi attacchi e che le uniche volte che le aveva messo le mani addosso non era stato violento come di consueto. 
<< Muoviti >> la spronò perentorio. La ragazza riprese controllo del suo corpo e si sollevò da terra, sfuggendo allo sguardo di lui per l'imbarazzo di ciò che aveva realizzato un attimo prima. Deimos le afferrò un polso e la strattonò verso di sé, cercò di scrutarle il volto nascosto senza successo ed infine si smaterializzarono da quel posto, lasciando solo una bassa nuvola di polvere attorno alle loro ormai scomparse figure. 
Riapparvero subito dopo nell'ingresso della loro casa, illuminata dal caldo sole del pomeriggio. La giovane alzò la testa e puntò le sue luminose gemme d'ambra negli zaffiri impassibili di lui. Si guardarono senza parlare, senza pretese o aspettative, ma solo per il bisogno di osservarsi. 
<< Eccoti Gea >> esclamò una voce conosciuta, facendo voltare entrambi. Ninlil coprì la distanza che li divideva con delle ampie falcate, posizionandosi accanto a loro con un ampio sorriso. << Ho da darti una bella notizia >> affermò rivolgendosi a lei. << Anzi due >> si corresse ridacchiando. 
Gea sgranò gli occhi per la sorpresa. << Davvero? >> domandò eccitata. 
L'incarnante dell'aria annuì vigorosamente e le prese una mano, spostando poi l'attenzione su Deimos. << Mica ti dispiace se te la rubo un attimo, vero? >> chiese sbattendo le ciglia. 
Il giovane scrollò le spalle e si diresse alla cucina. << Tienitela pure >> disse con un tono freddo e distaccato. 
Sia Ninlil che Gea gli fulminarono la schiena, dopodiché si spostarono nel salotto e si misero comode sul divano. 
<< Che mi devi dire? >> domandò entusiasta la ragazza dai lunghi capelli dorati. 
<< Non ci crederai mai >> iniziò a dire l'altra, saltellando sul posto. << Ma ho incontrato una persona che conosci bene. Ok, parto dall'inizio, così non si capisce niente >> blaterò in fretta e gesticolando ossessivamente. << Ieri sono andata nello Iowa, o meglio, in casa tua per controllare che non ci fosse stato qualche movimento sospetto, del tipo tutto divorato dalle fiamme o allagato. Ma fortunatamente era tutto intatto. Solo che mentre ero dentro qualcuno ha bussato alla porta. >> Si portò una mano sul petto ed intensificò lo sguardo. << Ti giuro, ho rischiato l'infarto. Perciò spero non ti arrabbierai se per la paura ho fatto volare un po' di cose. >>
Gea scosse la testa e sorrise. << Tanto sono sicura che tornerai a mettere tutto in ordine >> affermò ironicamente. 
<< D'accordo >> concesse divertita la giovane col caschetto. << Ma torniamo al dunque >> si riprese battendo le mani. << Alla porta era George >> esclamò su di giri, alzando il tono proprio sul nome del ragazzo. << Voleva vederti, ma gli ho detto che ero tua cugina e che tu eri partita per qualche settimana a causa della morte di un parente a te caro >> terminò soddisfatta. 
<< Wow >> fu tutto ciò che riuscì a dire l'altra. << E ti sei inventata tutto sul momento? >> chiese impressionata. 
L'incarnate dell'aria spostò una ciocca di capelli con nonchalance. << Esatto >> affermò con vanto. << Ma questo non è importante, piuttosto... >> Lasciò cadere la frase con un sorriso malizioso e le prese le mani fra le sue. << Mi ha chiesto quando saresti tornata perché aveva un urgente bisogno di parlarti. >>
<< Mio Dio, e tu che hai risposto? >> le domandò Gea, quasi impaurita. 
<< Ho detto che saresti tornata stasera per prendere dei vestiti e che poi saresti subito ripartita dato che la tua famiglia, straziata dal dolore, ti voleva vicina >> dichiarò con un'alzata di spalle ed un largo sorriso. 
La giovane dagli ondulati capelli dorati spalancò la bocca. << Non ci credo >> mormorò scioccata. 
<< Credici >> esclamò Ninlil ilare. << Lui si farà trovare sotto casa tua alle sette in punto, tu lo farai salire e così ti dirà ciò che ti deve dire. Non ti preoccupare ti aiuto io a scegliere i vestiti, e ho portato anche una mia trousse di trucchi. Sarai perfetta. >>
Gea boccheggiò incredula, dopodiché deglutì ed inspirò a fondo. << Ci sono un po' di falle nel tuo piano >> notò stringendo gli occhi. << Innanzitutto, secondo la tua versione dei fatti,  tu saresti una mia parente, perciò dovresti stringerti nel dolore insieme a me. Secondo, considerando il finto morto a cui sono molto affezionata, dovrei essere triste ed una sorta di straccio ambulante, non farmi trovare in ghingheri e truccata come un quadro, pronta a riceverlo. Terzo, come arriverei fino a casa mia? >> domandò alzando le spalle con un eloquente gesto delle mani. 
Ninlil alzò tre dita e sorrise furbescamente. << Primo, sarò passata come la parente insensibile e distaccata, ma non importa. Qualcuno così c'è sempre nelle famiglie. Secondo, il dolore potrebbe aver fatto emergere il tuo lato ribelle e comunque ti truccherò poco, non sarà una cosa vistosa. Terzo, io non potrò portarti in quanto mi dissolvo tramite il mio elemento, ma qui c'è una persona che può farlo benissimo >> affermò alzando il tono di voce e guardando in direzione della cucina. 
Gea scosse la testa con poca sicurezza. << Non credo che sia una buona idea. >>
La giovane davanti a lei si posizionò un dito sulle labbra e le fece segno di stare zitta. Dopodiché alzò lo sguardo e lo puntò verso l'altra stanza. << Deimos? >> lo chiamò con un sorriso divertito. << Gea stasera deve tornare a casa sua, servirebbe che tu l'accompagnassi. Potresti farlo? >>
L'interpellato si affacciò al salotto con una birra in mano ed uno sguardo serio. << No >> tagliò corto appoggiandosi al muro con una spalla.
La giovane dai lunghi capelli dorati si volse a guardarlo mentre il cuore le batteva come fosse impazzito dentro al petto. Osservò la sua postura disinvolta e sciolta in netto contrasto con la rigidità della sua fredda espressione. 
<< Come no? >> ribatté Ninlil risentita, alzandosi in piedi. << È una questione importante, deve andarci per forza. >>
Deimos sollevò un sopracciglio. << Dovrebbe importarmi? >> 
<< Non ti costa nulla, spenderesti giusto due secondi >> insistette la ragazza, con uno sguardo alterato. 
<< Non spreco nemmeno due secondi per i comodi degli altri >> la freddò con un'occhiata tagliente. 
Ninlil sospirò esasperata e si batté le mani sulle gambe. Si voltò verso Gea e gli indicò il ragazzo con un cenno del capo. << Diglielo tu >> sentenziò avvilita. 
La giovane tornò a guardare Deimos. Il cuore le sobbalzò appena si rese conto che lui la stava già osservando con intensità. Abbassò la testa imbarazzata e si alzò dal divano in fretta e furia, gli andò in contro, lo afferrò per un polso e sollevò lo sguardo sui suoi impassibili zaffiri. << Puoi venire un attimo? >> gli chiese con un tono basso. 
Il ragazzo la fissò con la sua contraddistintiva imperscrutabilità, infine acconsentì alla sua richiesta teletrasportando entrambi nella camera al piano di sopra. << Parla >> le ordinò perentorio. 
<< Devo andare, probabilmente deve informarmi su qualcosa d'importante che ha a che fare con la scuola, con le mie amiche o con i miei genitori. Sono scomparsa all'improvviso senza dare spiegazioni, qualcuno avrà iniziato a sospettare o a preoccuparsi. Non posso far finta di nulla >> concluse stringendogli il polso. << Ti prego >> aggiunse con uno sguardo supplichevole. 
Deimos rimase immobile, senza dare accenni di assenso o meno. Si limitò a scrutare le sue grandi gemme lucide e stranamente stanche. << Dieci minuti >> le concesse freddamente, continuando a studiare il suo volto spossato. 
Gea si aprì in un sorriso ed annuì. << Grazie >> pronunciò felice, prima di allontanarsi sotto l'attento sguardo del giovane. 





                                                                        *  *  * 





Ninlil aveva mantenuto fede alle sue parole, truccandola con solo un po' di mascara ed un velo di blush sugli zigomi. Le aveva anche lasciato qualche salvietta struccante per poi evitarle di scorticarsi la pelle con l'asciugamano. 
Insieme avevano scelto come si sarebbe vestita, con dei semplici pantaloni neri ed una maglietta bianca monospalla. Qualcosa di semplice che non desse troppo nell'occhio e destasse sospetti agli occhi di George. 
Gea infilò gli stivaletti neri e si volse a guardare l'altra ragazza. << Comunque non ho ancora capito quale sia la seconda buona notizia >> dichiarò confusa.
<< La seconda riguardava la mia trousse di trucchi >> le rispose divertita e strizzandole l'occhio. 
L'incarnante della terra ridacchiò e scosse la testa. << Be', ad ogni modo ti devo ringraziare per tutto. Fai sempre tanto per me >> ammise con un tenero sorriso. 
<< Lo faccio volentieri >> le confessò l'altra, passandole una mano sul braccio. << Ora vai, se no farai tardi e Deimos potrebbe ripensarci >> la sollecitò sorridendo. << Ci vediamo presto. >>    
Gea annuì e l'abbracciò fraternamente, dopodiché la salutò per un'ultima volta e si precipitò verso le scale. 
Le scese di gran carriera, ritrovandosi stremata e col fiatone all'ultimo gradino. Non s'interrogò molto su quell'inconsuetudine, cercò il ragazzo con lo sguardo e lo vide che, ancora una volta, la stava già osservando con quei suoi profondi zaffiri scrutatori. Le andò in contro senza dire una parola, ma solo persistendo a tenerle gli occhi addosso come se lei fosse stata una calamita. 
Man mano che lui le si avvicinava, Gea alzava la testa per non allontanarsi dal suo sguardo. Quando si ritrovarono a pochi centimetri, il cuore della ragazza riprese a bussare impazzito contro al suo petto, facendo nascere un lieve rossore sulle sue gote. Deimos la prese per un gomito, ispezionò ancora il suo viso e, in un silenzio tombale, sparirono da quella casa sotto gli occhi compiaciuti di Ninlil. 
Posarono i piedi sullo sporco pavimento dell'appartamento di lei, adesso ricoperto di fogli sparsi, di piccoli oggetti un tempo posti per bellezza sui soprammobili e di polvere. 
Gea si guardò attorno impressionata. Per lei che odiava il disordine, quello era un incubo. << Mio Dio >> sussurrò sconvolta, mentre il suo sguardo vagava da una parte all'altra come alla ricerca di uno sprazzo di ordine. 
Il campanello suonò proprio in quel momento, facendola sobbalzare per lo spavento. Si avviò al citofono, ma venne prontamente trattenuta da Deimos che la tirò verso di sé. << Dieci minuti, umana >> le mormorò minacciosamente ad un orecchio. << Un secondo di più e del tuo amico rimarrà solo il ricordo >> terminò con freddezza, prima di lasciarla andare. 
La ragazza annuì preoccupata e si precipitò alla cornetta del citofono. << Chi è? >> 
<< Sono George >> rispose il giovane dal portone del condominio. 
<< Scendo io, qui in casa... è tutto in disordine >> ammise lanciando un'occhiata a Deimos, che nel frattempo si era appoggiato ad un muro e la stava controllando. 
Ripose la cornetta con un colpo secco e, senza più voltarsi a guardare quell'essere dai profondi occhi cobalto capaci di destabilizzarla, aprì la porta e corse giù per le scale. 
Dopo pochi gradini si aggrappò con forza alla ringhiera a causa di un improvviso capogiro, si fermò di colpo e chiuse gli occhi, avvertendo la stessa sensazione d'instabilità. 
Respirò lentamente e si concentrò sui rumori della città, fino a che non smise di vorticarle tutto attorno e poté ricominciare a scendere gli scalini. 
Raggiunse lo stretto portone in vetro ed uscì fuori dallo stabilimento con un sorriso stampato sulle labbra. << George >> pronunciò vedendo l'amico che tirava calci ai sassolini con le mani nelle tasche. 
Il ragazzo si voltò a guardarla e sorrise felice, la raggiunse con delle rapide falcate e l'abbracciò stretta. << Sei dimagrita >> notò sollevandola di poco da terra. 
Gea ridacchiò e ritrasse la testa per mettere distanza tra i loro volti troppo vicini. << Non saprei, è tanto che non mi peso >> affermò con un'alzata di spalle. << Ma dimmi di te, come stai? >> domandò sorridendo. 
George sciolse l'abbraccio e riportò le mani nelle tasche. << Sto bene adesso >> dichiarò guardandola con intensità. 
<< Ti sei ripreso da... cioè, sei stato male quella volta che sei venuto a trovarmi >> tentò di spiegarsi lei, intrecciando le dita per il nervoso. << Non so se ti ricordi. >> 
<< Oh sì >> esclamò il biondo. << Ricordo tutto, ma adesso è passato >> affermò con un sorriso. << Nei giorni successivi sono stato piuttosto male, aveva continuamente mal di testa e mi sentivo stanco. Probabilmente si è trattata di un po' d'influenza >> concluse facendo spallucce. << E tu invece? >> 
<< Io sto bene >> rispose Gea annuendo. 
George si grattò la testa e la guardò di sottecchi. << Ho saputo del tuo parente, mi dispiace molto. >> 
La ragazza assunse una finta espressione triste e sospirò. << Già, anche a me. Pazienza. >> Sgranò gli occhi di colpo, rendendosi conto di ciò che aveva detto, ed iniziò a gesticolare. << Cioè, voglio dire, bisogna essere pazienti... la morte prima o poi arriva per tutti. >> Assottigliò lo sguardo e ragionò sulle sue parole. Scosse la testa inorridita ed alzò gli occhi sul giovane. << Detta così è un po' brutta, però stavo cercando di dire che... insomma è normale e... anche se ci si soffre... moriremo tutti >> concluse secca, facendo calare il silenzio. 
Gea deglutì sotto la stranita occhiata di George, aspettandosi il momento in cui la sua bugia sarebbe stata scoperta. D'un tratto, con sua grande sorpresa, lui scoppiò a ridere. << Sei diventata leggermente pessimista >> la canzonò divertito. 
Lei ridacchiò e scosse la testa. << No, non è vero. >> 
<< Scherzo >> le disse scompigliandole i capelli. << Certe cose si fa fatica a spiegarle, tutto qua >> la rassicurò stringendosi nelle spalle. 
<< Già >> confermò la giovane, sorridendo. << Come va a scuola? Le ragazze come stanno? >> 
<< Bene, ti hanno cercata molto. Praticamente ogni giorno compreso oggi >> la informò, facendole venire una stretta al cuore. << In realtà hai fatto preoccupare tutti >> le confessò in un sussurro. 
Gea fece vagare gli occhi e si morse un labbro. << Mi dispiace così tanto >> mormorò con la voce rotta. << Avrei voluto rimanere in contatto con voi, ma mi hanno rubato il cellulare ed ancora non sono riuscita a prenderne uno nuovo. Per di più non ricordo a memoria i vostri numeri >> aggiunse esasperata, abbassando la testa. << Sono successe così tante cose nel frattempo... Scusatemi >> fiatò stancamente. S'inumidì le labbra e tornò a guardare il ragazzo con gli occhi lucidi. << Potresti far sapere alle ragazze che sto bene, che dovrò stare lontana ancora per un po' di tempo e che... insomma che mi mancano? >> 
George annuì e le sorrise teneramente. << Sta' tranquilla >> asserì avvolgendola tra le braccia. << Capiranno. A loro interessa che tu stia bene >> sussurrò baciandole i capelli. 
La giovane tirò su col naso e si ritrasse ancora una volta, stranita dall'essere tra le braccia di qualcun altro che non fosse Deimos. << Grazie George >> gli disse sorridendo e muovendo un passo all'indietro. << Lo apprezzo molto. >>
<< Figurati. >> Le sorrise e tirò un leggero calcio ad un gruppo di sassolini sul cemento. 
Per un attimo tra i due calò il silenzio, poi George si passò una mano fra i capelli e la guardò imbarazzato. << Tua cugina credo ti abbia detto che volevo parlarti >> buttò là schiarendosi la voce. << E tu ti sarai chiesta di cosa, immagino. >> 
Gea annuì e seguì lo sguardo basso di George, fino a puntare anche lei gli occhi sulla strada. E mentre lui parlava, la vista le si offuscò e per un attimo non udì più la voce dell'amico. Scosse la testa e strizzò gli occhi per riprendersi da quell'improvviso malessere, ma senza risultati. Perché iniziò a sudare freddo e caldo in contemporanea, a prosciugarsi di saliva, a tremare senza neanche rendersene conto e a sentire la testa confusa e pesante. 
<< Gea? >> la chiamò preoccupato il ragazzo. 
Le gambe le cedettero di colpo e lei cadde al suolo senza avere la possibilità di reagire. Le palpebre le calarono d'istinto, mentre il mondo circostante si allontanava sempre più dalle sue percezioni e persino George che urlava il suo nome e la scuoteva divenivano come parte di un sogno. 
Nella sua mente confusa sciamarono vorticosamente una marea di immagini: terra, sole, erba, foglie e fauna, fino a che una forte luce non anticipò la visione di un albero. Il suo albero. Il pesco. 
Cercò di allungare un braccio e di toccarlo. Ne sentiva il bisogno, sentiva un richiamo impellente e quasi doloroso, ma man mano che quella necessità aumentava le sue forze scemavano.
Dopo pochi secondi si sentì sollevare da terra e stringere contro un petto muscoloso, mentre una familiare e rassicurante sensazione le giungeva sino al cuore. << Deimos >> pronunciò faticosamente in un flebile bisbiglio. 
<< È il tuo punto alfa? >> le domandò con un tono freddo e severo. 
La ragazza annuì ed appoggiò la testa contro il suo petto, respirando sempre più faticosamente. 
Un istante più tardi i piedi di Deimos si posarono sull'erba del verde prato che costeggiava la strada. Senza perdere altro tempo la portò davanti al tronco del pesco e la fece sedere per terra. << Allunga una mano >> le ordinò in fretta, osservando il volto della giovane farsi più bianco ogni secondo che passava. 
Gea si rannicchiò su se stessa e tremò violentemente come colta da uno spasmo. << Non... ries... >> mormorò senza fiato. 
<< Morirai >> le fece presente lui, irrigidendo i muscoli dell'intero corpo. << Sbrigati, umana >> quasi le urlò contro. 
Vedendo che la giovane non era in grado di alzare neanche un dito e che le sue condizioni peggioravano drasticamente, ringhiò fra i denti e le afferrò un polso. Le tirò il braccio e le fece toccare il tronco col palmo della mano.
Immediatamente una luce accecante si propagò per l'ambiente, costringendo Deimos a voltare la testa e a ridurre gli occhi a due fessure. E mentre l'energia defluiva nel corpo di lei grazie alla mano che lui le teneva incollata all'albero, il ragazzo stringeva i denti per contenere il lancinante dolore che si diramava dalle sue dita sino alla spalla. Un dolore simile a tante scariche elettriche avvolte attorno alle vene e ad aghi conficcati nella pelle con intervalli regolari. 
Per un attimo gli tremarono le spalle e si lasciò sfuggire un lamento, ma immediatamente dopo riacquistò il controllo e tornò al suo imperturbabile sguardo. 
Gea riaprì gli occhi e sbatté le palpebre con vigore, sentendosi riemergere dalle ceneri secondo dopo secondo. Appena fu in grado di ragionare con lucidità, fece caso alla stretta attorno al polso, ma non riuscì a scorgere nulla oltre la violenta luce che rischiava di accecarla. 
Deimos si allontanò di scatto ed allontanò anche la mano della ragazza dal tronco. Si alzò in piedi e si voltò a guardare la giovane, ancora seduta a terra, ma con un colorito di nuovo vivo. 
Gea scosse la testa stordita ed alzò lo sguardo, facendolo vagare tra le fronde del suo pesco. Dopodiché si girò e lo puntò sul ragazzo, sentendosi aggrovigliare lo stomaco alla vista del suo braccio destro. << Mio Dio >> esclamò preoccupata, sollevandosi con rapidità e raggiungendolo in fretta. Inorridì per quello scenario raccapricciante e gli prese una mano, alzando poi le sue spaurite gemme d'ambra sui suoi freddi zaffiri. << Come è successo? Che... che hai fatto? >> domandò agitata. 
E mentre Deimos la osservava senza proferire parola, tante piccole gocce di sangue si snodavano tra le decine di tagli sulla sua pelle e precipitavano sulla fresca erba. << Il tuo punto alfa >> disse soltanto, indicandolo con un cenno del capo per poi tornare a studiare l'espressione preoccupata di lei. 
Quando Gea riabbassò gli occhi sul suo braccio, non c'era più alcun verde vivo sotto i loro piedi, ma solo il legno scuro delle assi della loro casa nella contea di ScottsBluff. 
<< Va medicato subito >> asserì la ragazza, correndo in cucina per prendere uno strofinaccio pulito e bagnarlo con l'acqua fredda. Tornò da lui e glielo appoggiò su mezzo braccio, tamponando delicatamente sulle ferite. << Perché il mio punto alfa ti ha fatto questo? >> domandò sempre più agitata. 
Deimos la osservò con impassibilità. << Perché ero troppo vicino >> tagliò corto. << Non posso avvicinarmi ai punti alfa di nessuno dei quattro elementi mentre qualcuno di voi raccoglie energie. >> 
<< E allora perché? >> sbottò Gea, alzando gli occhi su di lui. 
Il giovane la fissò con distacco e freddezza. << Togliti, umana >> le ordinò duramente, ritraendo il braccio e spostandosi di lato per superarla. La ragazza gli ostacolò il passaggio e premette le mani sul suo petto per spingerlo indietro. << No, tu adesso mi spieghi perché hai dovuto rischiare tanto >> insistette innervosita. 
<< La prossima volta impara a riconoscere in tempo quando hai bisogno di energia >> la reguardì con un tono alterato. << Da morta non mi servi >> sputò lanciandole un'occhiata raggelante. 
Gea boccheggiò spiazzata, ma non per ciò che le aveva detto, bensì per ciò che le aveva fatto intendere tra le righe. Ed improvvisamente nella sua mente riemerse la sensazione della stretta attorno al polso che aveva avvertito poco prima. Ricollegò rapidamente tutti i tasselli ed il cuore le perse più di un battito consecutivo. 
Aveva rischiato per salvarle la vita, sopportando il dolore della pelle che gli si squarciava secondo dopo secondo. E lo aveva fatto con la consapevolezza di ciò che avrebbe dovuto patire, mettendo lei e la sua vita al primo piano. 
La giovane si aprì in un sorriso raggiante e si alzò sulle punte per catturare le sue labbra in un bacio a stampo. 
Il cuore di Deimos ebbe un sussulto per il gesto inaspettato ed iniziò a battere più rapidamente. << Che stai facendo? >> le domandò in un sibilo, guardandola negli occhi col suo freddo sguardo. 
<< Nulla >> rispose lei, stringendosi nelle spalle. Tornò ad osservare il malridotto braccio del ragazzo con attenzione ed istintivamente alzò una mano per posarla sulla sua pelle dilaniata. Sentì il sangue bagnarle il palmo, ma non si lasciò deconcentrare. Si focalizzò su quelle ferite come se fossero sue, e così le dita le divennero gradualmente più calde sotto gli zaffiri straniti di lui. Uno dopo l'altro i tagli si rimarginarono senza lasciare cicatrici ed il sangue venne riassorbito al loro interno come sotto l'effetto di un trucco cinematografico.
Gea staccò la mano e sorrise soddisfatta del risultato ottenuto. << Adesso sei come nuovo >> commentò entusiasta. << Come si dice? >> lo canzonò beffarda. 
<< Hai fatto il tuo dovere >> tagliò corto lui, superandola e spostandosi in cucina. 
La giovane lo seguì ed incrociò le braccia sul petto, stizzita. << La prossima volta ti lascerò crogiolare nelle tue sofferenze. >>
<< Non ci sarà una prossima volta >> la freddò Deimos, prendendo una bottiglia d'acqua dal frigo. << Perché se succederà di nuovo ti lascerò morire >> affermò stappandola e bevendo dei lunghi sorsi. 
<< Ogni giorno più simpatico >> notò lei, annuendo con una finta espressione compiaciuta. << Devi dirmi qual è il tuo segreto, perché una persona più simpatica di te non l'ho mai incontrata >> lo sbeffeggiò con un sorriso sornione. 
Deimos le scagliò contro i suoi pericolosi zaffiri. << Vuoi fare dello spirito? >> 
<< Non mi permetterei mai >> si difese la ragazza, mettendo le mani avanti. << Di solito sei tu il burlone >> concluse facendo spallucce. 
Un attimo dopo i suoi polsi si ritrovarono bloccati al muro e le sue gemme d'ambra trafitte da due profondi occhi cobalto. << Hai raggiunto il limite, umana >> le sibilò sul viso. << Datti un freno. >> 
<< Perché non cominci a prendere le cose un po' meno sul serio come... >>
<< Come? >> la spronò sollevando un sopracciglio.
Gea assottigliò lo sguardo e scrutò i suoi freddi ed irritati zaffiri. << Che ti prende? Sei strano da... >> La sua mente scattò a ritroso fino al momento in cui si erano divisi e lei era scesa da George per parlare. Sgranò gli occhi e deglutì. << Dov'è lui? >> 
<< È vivo >> le rispose soltanto, inchiodandola col suo intenso sguardo. << Peccato che tu non abbia sentito cos'aveva da dirti >> la canzonò con un sorriso maligno. << Siete patetici, voi umani. >> 
<< Cos'ha detto? >> gli domandò con un tono severo. << Dimmelo. >>
Deimos allargò il suo crudele sorriso e le strinse i polsi. << Perché dovrei? >> 
<< Potrebbe essere qualcosa d'importante, devo saperlo >> insistette lei, strattonando le sue mani. 
<< Dipende da cosa reputi importante >> la derise con un'alzata di spalle. << Una pietosa dichiarazione d'amore di un bamboccio potrebbe rientrare nei tuoi standard. >> 
La giovane ritrasse la testa confusa. << Dichiarazione? George? >> domandò, più a se stessa che al ragazzo. Sbatté le palpebre rapidamente e scosse piano la testa. << Non... non me lo aspettavo >> ammise sorpresa. 
Deimos si aprì in un mezzo sorriso di scherno. << Come sei ingenua. Disgustosamente ingenua >> ripeté scurendo le sue iridi e tornando serio. 
<< Hai finito di offendermi? >> sbottò lei, infervorata. << Beato tu che sei tanto perspicace, così tanto da non renderti conto che della sua dichiarazione non so che farmene e che i miei standard d'importanza sono ben più alti >> sputò agitando le mani per liberarsi. << Ti sopravvaluti un po' troppo, sai? In fin dei conti non sei tanto più intelligente di un essere umano. Anzi, sei decisamente stupido >> concluse guardandolo con astio. 
Il ragazzo alzò il mento e la osservò con un che di superiorità, senza proferire parola o attaccarla. Scandagliò le sue irate gemme d'ambra per svariati secondi, facendo accrescere il battito cardiaco della giovane, poi si spostò a studiare i lineamenti dolci del suo volto ed infine i suoi zaffiri vennero attirati dalle sue schiuse e rosate labbra. 
Le lasciò andare i polsi e si fece più vicino, abbassando la testa e prendendo il mento di lei fra le dita per alzarle il viso. << Ci sono tre cose che ancora non hai capito, umana >> le sibilò con una calma apparente, mentre i suoi occhi la fissavano con durezza. << Primo: non ti puoi rivolgere a me in questo modo >> asserì freddo. << Secondo: per ogni tua mancanza di rispetto pagherai delle conseguenze >> continuò perentorio. << E terzo: tu sei mia >> fiatò scandendo ogni parola, mentre la trafiggeva con lo sguardo. << Riprova a farti toccare come oggi e le mani del tuo amico saranno le prime a pagarne >> concluse con un'espressione seria e pericolosa. 
Gea sorrise beffarda e gli strinse la maglietta in una mano. << Quindi era per questo che eri strano >> notò guardandolo con gli occhi illuminati dalla gioia. << Me n'ero accorta, ma non credevo che... >>
<< Hai intenzione di sprecare ancora fiato? >> la interruppe innervosito. << Sta' zitta >> comandò duramente. 
La giovane si accigliò e lo fulminò con un'occhiata. << Credi di potermi dire quello che devo o non devo fare? Se credi che ubbidirò ai tuoi ordini solo perché usi quello sguardo minaccioso ti... >> Deimos le strinse la mascella e si avventò famelico sulla sua bocca. Le lambì le labbra con urgenza, quasi impedendole di riprendere fiato tra una stoccata e l'altra. Poi la sollevò da terra e la strinse a sé mettendole le mani sulla schiena da sotto la maglietta. 
Il cuore di Gea si agitò per le tante emozioni che s'infrangevano le une contro le altre dentro il suo stomaco. Gli allacciò le gambe attorno ai fianchi e gli tirò la t-shirt verso la testa per togliergliela. Il ragazzo si staccò dalla sua bocca e si lasciò sfilare l'indumento, dopodiché passò ad eliminare anche la maglietta di lei e a lanciarla per terra. 
I loro occhi s'incatenarono ed i loro respiri agitati si confusero l'uno in quello dell'altra. E mentre ciò avveniva, nella mente della giovane si fece largo una curiosità. Più che una curiosità, un bisogno nato dalla vista di quei profondi ed imperscrutabili zaffiri. 
Adagiò le mani sulle spalle di Deimos e lo fissò con intensità. << Voglio sapere di più >> mormorò decisa. 
<< Su cosa? >> le domandò il ragazzo, dirottando le labbra sul suo collo. Assaporò un lembo di pelle e risalì con la punta del naso verso la sua guancia. 
Gea gli strinse le braccia attorno al collo ed avvicinò la bocca al suo orecchio. << Su di te >>  sussurrò piano. 
Il giovane si distanziò e la guardò dritta negli occhi, mentre il suo sguardo cambiava e diveniva nuovamente serio e distaccato. << Ad esempio? >> domandò, con grande sorpresa di lei. Si sarebbe aspettata una risposta secca e negativa, ma mai una concessione simile. 
<< Perché non parli mai della tua famiglia? >> gli chiese incuriosita. << E perché una volta hai detto che ti chiamano "maledetto"? >> 
Sul volto di Deimos comparve un mezzo sorriso enigmatico. << Così dicono >> ricordò. 
<< Chi lo dice? >> insistette Gea, strizzando gli occhi. << E perché non nomini mai la tua famiglia? >> 
Il ragazzo la fissò con impassibilità per svariati istanti, alla fine si aprì in un crudele quanto beffardo sorriso. << Perché sono stato ripudiato >> confessò quasi divertito. 
La giovane sgranò le sue gemme e boccheggiò, mentre il suo cervello si affollava di punti interrogativi. << Che... In che senso? Perché? >> riuscì a chiedere, totalmente confusa. 
Deimos allargò il suo inquietante e spietato sorriso, reclinò leggermente la testa all'indietro e schioccò la lingua al palato. << Ho ucciso mio padre. >> 

















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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***
























Gea sgranò gli occhi. Il cuore le perse svariati battiti. Le tempie le martellarono come se stessero cercando di ribellarsi a quell'agghiacciante notizia e per un attimo rimase immobile, la mente svuotata. 
Guardò il ragazzo in quei suoi imperturbabili e sadicamente divertiti zaffiri, cercando una giustificazione alle sue parole. Perché non poteva essere vero, probabilmente si stava divertendo a prenderla in giro, oppure era solo curioso di vedere come avrebbe reagito al suo scherzo. Ma quella probabilità svanì dalla sua mente appena dopo pochi secondi. Deimos non era un tipo che scherzava, almeno non in quelle rare volte che parlava di se stesso.
Un brivido le percorse la schiena, facendole venire la pelle d'oca. << Dici sul serio? >> domandò rauca. 
Il giovane alzò un sopracciglio e le rivolse un sorriso di scherno. << Secondo te? >> la canzonò avvicinandosi al suo volto e perforandola con lo sguardo. 
Gea scrutò il blu intenso e misterioso di quegli enigmatici e dannati occhi, si snodò tra le sfumature più chiare e sprofondò in quelle più scure, ritrovandosi a boccheggiare come se la  profondità di quel blu simile al colore del mare notturno la stesse sommergendo. 
Agitò le ciglia e s'inumidì le labbra. << Perché? >> chiese scuotendo la testa. << Perché l'hai fatto? >>
Deimos la fissò impassibile, non accennò a rispondere e nemmeno a lasciarla andare. Le sue mani si trovavano ancora ancorate sui fianchi nudi della ragazza mentre le gambe di lei non sembravano intenzionate a farlo allontanare. 
Lo sguardo della giovane si fece supplichevole e le sue esili dita provarono a scuotergli le spalle. << Perché l'hai fatto? Dimmelo, ti prego >> implorò, bisognosa di sentirsi dire che esisteva un motivo, un qualcosa che non lo facesse apparire un vero mostro. 
Il ragazzo insistette ad osservarla con la sua solita imperturbabilità, intenzionato a non darle risposte. Ma le sue stesse intenzioni crollarono non appena le vide abbassare la testa e sospirare piano, come se si sentisse sconfitta e delusa. 
Irrigidì la mascella e le guardò intensamente il volto. << Perché meritava di morire >> affermò con durezza. 
Gea alzò gli occhi su di lui ed il cuore le batté furiosamente. << Quindi non è stato un incidente. >> 
<< Non lo avrei permesso >> le rispose con un mezzo sorriso raggelante. << Certe cose vanno fatte di persona. >> 
La giovane deglutì un malloppo di emozioni e scosse la testa. << Non è possibile >> borbottò sconvolta. << Non può essere vero. Deve esserci un motivo >> insistette, guardandolo smarrita. << C'è qualcosa, vero? >> domandò riprovando a scuoterlo. E mentre la mente le si affollava di macabre immagini su quel ragazzo per cui provava il sentimento più intenso, il cuore le iniziò a martellare talmente forte da riempirle le orecchie. << Ti prego, ti prego. Deimos, ti scongiuro aiutami a capire >> lo implorò con le lacrime agli occhi. << Che motivo avevi? >> 
Deimos scandagliò le gemme lucide di lei, leggendoci un miscuglio di disperazione e speranza. << E se non ci fosse? >> la provocò rivolgendole una fredda occhiata. 
Gea accusò quella risposta come un pugno nello stomaco, agitò il capo e gli tirò uno schiaffo sulla spalla. << C'è >> affermò convinta. << Stai solo cercando di farmi impaurire con le tue stupide risposte vaghe >> sbraitò esasperata, alzando gli occhi al cielo. 
Il ragazzo abbozzò un mezzo sorriso divertito e si avvicinò di un piccolo passo, facendo risalire le mani sin sotto al reggiseno di lei. Inclinò la testa ed inspirò sul suo collo, chiudendo gli occhi per farsi trasportare dal profumo della sua pelle. Per svariati istanti non si mosse, ma continuò ad assaporare con l'olfatto quell'odore tanto inebriante e rilassante per i suoi sensi. << Hai paura? >> le domandò ad un certo punto, con un tono rauco. 
Il cuore della giovane palpitò. << Dovrei averne? >> ribatté, chiudendo le dita dietro alla sua nuca per trattenerlo a sé. 
Deimos le sfiorò il profilo della mandibola con la punta del naso. << Dovresti starmi alla larga >> soffiò minacciosamente, ma con una sfumatura quasi vellutata nella voce. 
Gea rabbrividì appena gli sentì ripassare quell'immaginario percorso col suo freddo respiro. << Forse >> accondiscendette in un flebile sussurro, stringendogli i fianchi tra le gambe. 
<< Però? >> la spronò a continuare, facendole voltare la testa con la pressione delle labbra per baciarla sull'estremità sinistra della mandibola. 
La ragazza rilasciò un tremulo sospiro e socchiuse gli occhi, cercando di richiamare a sé tutto l'autocontrollo disponibile. << Però prima mi devi delle risposte >> dichiarò beffarda, prima di tirargli delle ciocche di capelli e farlo allontanare.  
Deimos si distanziò di quel poco necessario per guardarla negli occhi, reclinò la testa all'indietro e sulle sue labbra si pennellò un sorriso inquietante. << Te ne pentirai molto presto. >>
Gea inspirò a fondo e sollevò di poco il viso, si morse un labbro e lo guardò intensamente. Non se ne sarebbe pentita, lo sapeva. Più di ogni altra cosa le premeva trovare un senso al suo gesto, un qualcosa che non lo snaturasse davanti ai suoi occhi. Per quanto lo avesse definito un mostro, non voleva che quella definizione gli calzasse davvero addosso. Ma se così fosse stato, sapeva che lo avrebbe comunque amato. Nulla lo avrebbe fatto allontanare dal suo cuore. Abbassò lo sguardo ed osservò il pavimento. << Adesso me lo dici perché lo hai ucciso? >> domandò con un filo di voce. 
Il giovane studiò il battito delle ciglia di lei, scrutò la sua espressione preoccupata ma al tempo stesso distesa e il modo in cui i capelli le ricadevano sul viso. Per una quantità imprecisata di secondi non le staccò i suoi zaffiri di dosso, come se gli fosse quasi diventato impossibile non scavare tra i suoi occhi ed i suoi lineamenti alla ricerca di un riflesso di ciò che stava pensando. Poi posò lo sguardo sul muro dietro di lei e rivangò con la mente tra i suoi ricordi. << Ho iniziato un allenamento a due anni >> iniziò a dire, mentre i suoi zaffiri si facevano più scuri e taglienti. Gea alzò la testa e lo osservò, stupita di averlo sentito parlare. << Mi addestrava mio padre, giorno e notte. Avevo otto ore di tregua al giorno, il resto venivano spese per allenarmi. >> 
La ragazza strinse le sue gemme d'ambra e cercò i suoi occhi. << Che tipo di allenamento era? >> domandò sconvolta. 
Deimos puntò il suo freddo sguardo nel suo. << Estremo >> rispose atono. << Quotidianamente ad un passo dalla morte. >> 
<< Avevi solo due anni >> bisbigliò la giovane, scuotendo il capo e rabbrividendo. 
<< Quando si ha la necessità d'imparare a dominare un potere come il mio, l'età non conta >> asserì secco il ragazzo. << Prima si apprende il controllo e meglio è >> aggiunse, perforandola coi suoi glaciali zaffiri. << Ogni giorno scatenavo i caratteri distruttivi dei quattro elementi, cercando di esercitarli in base al mio volere. Per ogni errore commesso mio padre me la faceva pagare >> ricordò, irrigidendo istintivamente i muscoli. 
Gea carpì la tensione del giovane e gli accarezzò piano la nuca, passando le dita tra i suoi capelli. A quel gesto il cuore del ragazzo batté più rapido e le sue spalle si rilassarono, mentre lo sguardo gli scese sulle labbra di lei. 
<< In che modo ti puniva? >> mormorò delicatamente Gea. 
Deimos risalì con gli occhi nei suoi e rimase in silenzio. La mente gli ripropose i suoi ricordi quasi con sfacciataggine, facendogli percepire ogni dolore che per anni aveva sopportato sulla sua pelle. << Rimbalzo >> pronunciò tagliente. << Questo era il secondo potere di mio padre >> asserì reclinando indietro la testa e stampandosi un sorriso derisorio sulle labbra. << Appena perdevo il controllo di un elemento, lui lo rimbalzava su di me. Doveva servirmi a non commettere di nuovo errori. >> 
La ragazza ridusse gli occhi a due fessure ed inclinò il capo. << In che senso lo rimbalzava su di te? >> domandò confusa. 
Deimos tornò serio ed il suo sguardo imperscrutabile, una sorta di maschera di piombo incapace di far trapelare emozioni. << Se mentre cercavo di contenere e manovrare il fuoco, questo sfuggiva al mio controllo, quell'elemento mi piombava addosso per rimbalzo, divorandomi fino a che non ero in grado di liberarmi e riassumerne il controllo >> spiegò con impassibilità, scrutando gli occhi sconvolti e atterriti di lei.  
Gea restò pietrificata dalle immagini che le si avviluppavano nella mente come serpenti, dopodiché sbatté le palpebre e boccheggiò sconcertata. << Hai delle cicatrici? >> fu la prima cosa che riuscì a dire dopo vari secondi di silenzio. 
<< Alcune >> tagliò corto lui, persistendo ad osservarla. << Sono sempre riuscito a riassumere il controllo in tempo, ogni giorno più rapidamente del precedente. >>
La ragazza abbozzò un sorriso. << Me lo immaginavo >> sentenziò con un amaro divertimento, prima di tornare seria. << Per questo l'hai ucciso? >> domandò con un tono basso e pacato.  
Il giovane le rivolse una fredda e distaccata occhiata. << L'ho ucciso per il solo gusto di vederlo soffrire mentre bruciava nelle fiamme. >> 
<< Ma se il suo potere era quello del rimbalzo come hai fatto ad evitare che te lo scagliasse contro? >> 
Deimos sorrise beffardo ed avvicinò il viso a quello di lei. << Mai abbassare la guardia >> le soffiò in un orecchio, facendola rabbrividire. << Ogni regola ha un suo perché >> sussurrò divertito, prima di prenderle il lobo tra i denti e morsicarlo. 
Gea lo strinse a sé e virò la testa per respirare sul suo collo. << A che età? >> domandò con difficoltà, mentre il ragazzo le baciava la clavicola.
<< Sette anni >> rispose sbrigativo, tornando a posare la bocca sulla sua pelle calda e vellutata. Aumentò la pressione delle mani sul costato della giovane e l'avvicinò al suo petto, risalendo poi con le labbra per lambirle ogni lembo del collo. 
<< Quindi sei considerato "maledetto" dalla tua famiglia e... ne sei stato diseredato dall'età di sette anni? >> si sforzò di chiedere, sempre più assuefatta dai suoi baci. 
Deimos la staccò dalla parete e la trasportò sul tavolo della cucina, la spinse distesa e si piegò su di lei. << Sì >> espirò sul suo viso, prima di congiungere le loro labbra con urgenza. 
Fu a quel punto che Gea scollegò la mente e si lasciò trasportare dal fiume in piena delle sue emozioni e dei suoi desideri. Allacciò ancora più saldamente le gambe attorno ai fianchi di lui e gli posizionò un braccio sulla schiena per stringerlo a sé.  
Il ragazzo reagì insinuando la lingua nella sua bocca e baciandola con più passione. Si abbassò ulteriormente sul suo corpo, fino ad entrare in contatto con la sua pelle surriscaldata, e lasciò vagare le mani lungo le sue gambe coperte dai pantaloni. Spostò le labbra sul suo mento, mordendolo piano, e poi sul profilo della sua mandibola, mentre Gea espirava pesantemente e gli stringeva i capelli fra le dita. << Mi racconterai altro su di te? >> gli domandò in un bisbiglio, sollevando la testa per baciarlo su una guancia. 
Deimos rabbrividì sul suo collo e chiuse gli occhi per inspirare il suo profumo. << Forse >> sussurrò rauco, prima di tapparle la bocca con la sua. 
Il cuore della ragazza si agitò come le ali di un condor, librandosi nel suo petto. Perché quell'unica parola valeva quanto un'enorme concessione, la più grande fino a quel momento. Significava immetterla nella sua misteriosa vita, farle conoscere gli aspetti oscuri e mai svelati ad anima viva. Significava renderla partecipe del suo vissuto. 
Gea sorrise sulle sue labbra e lo strinse a sé con forza, come se avesse voluto fondersi con lui. Un attimo dopo, sotto la sua schiena non si trovava più la dura e solida piattaforma di legno, ma il morbido materasso della sua camera. 
Nella penombra di quella stanza, rischiarata solo dalla tenue luce della luna e delle stelle, i loro respiri agitati si confusero in una nuvola di passione. Deimos si distanziò dal viso della ragazza e la fissò coi suoi velati zaffiri, resi più scuri dal buio della camera. << Hai paura adesso? >> le domandò secco, insistendo ad osservarla con intensità. 
La giovane gli restituì lo sguardo, sentendosi scuotere dalla forza con cui la guardava. << Lo sai >> disse soltanto, riferendosi al suo potere.  
<< Rispondi >> ordinò perentorio, non lasciandole via di fuga dai suoi occhi. 
Gea cercò di leggere le sfumature dei suoi zaffiri come fossero state pagine criptate di un libro. L'unica cosa che riuscì a carpire, in quella spessa coltre d'imperscrutabilità, fu la sua necessità di avere una risposta, come se da quella fosse dipeso qualcos'altro. 
Scosse piano la testa e gli posò una mano dietro al collo. << Non ho paura di te >> sussurrò con decisione. 
Per qualche secondo il ragazzo non si mosse, ma persistette a scrutare con attenzione le sue iridi ambrate, dopodiché si abbassò su di lei e riavvicinò le labbra alle sue. Le sfiorò piano, con lentezza, come se fossero state talmente delicate da potersi rompere. 
Gea sollevò il mento e catturò la sua bocca in un piccolo bacio, ricambiato immediatamente da lui. Dopodiché fece pressione sulle sue spalle e si distese sul suo corpo, appoggiò le braccia sul petto del ragazzo e prese ad osservarlo con intensità. Deimos adagiò una mano sulla schiena di lei e l'altro braccio se lo portò dietro la testa, avendo così la possibilità di guardarla negli occhi. Per un minuto buono nessuno dei due si mosse, entrambi persi nei reciproci sguardi, poi la giovane si allungò su di lui ed inclinò la testa. << Rimani qui stanotte? >> 
<< No >> rispose secco il ragazzo, rivolgendole una fredda occhiata. 
Un sopracciglio di Gea scattò verso l'alto in contemporanea ad un nervosismo crescente. << E dove vai di bello? >> 
<< Dove mi pare >> tagliò corto lui con uno sguardo impassibile e distaccato. << Non devo renderne conto a te, umana. >>
<< Bene >> ribatté stizzita la giovane, mordendosi l'interno guancia per la rabbia. << Bene >> ripeté gesticolando. << Buona serata, allora >> concluse acida, rotolando via dal suo corpo e scendendo dal letto. Aprì le ante dell'armadio e prese una delle lunghe magliette  bianche che usava come pigiama, dopodiché si avviò al bagno e ci si chiuse dentro senza mai voltarsi a guardare il ragazzo. 
Non lo capiva, non capiva assolutamente nulla di lui. Le sembrava un rompicapo troppo difficile da risolvere; appena credeva di aver compreso qualcosa, subito lui riusciva a mandare in fumo il suo punto d'arrivo. 
Sbuffò irritata e calò i pantaloni con stizza, lanciandoli con un calcio una volta essere riuscita a sfilarli. Avrebbe tanto voluto seguirlo per fulminare ogni svestita che gli si avvicinava e su cui lui osava posare gli occhi. Peccato che lei non godesse del teletrasporto e che non sarebbe stata realmente capace di compiere uno sterminio. 
Indossò la maglietta ed aprì la porta, percorse il piccolo tratto che la divideva dalla sua stanza e lanciò una triste occhiata al letto ormai vuoto. 
Probabilmente era per il suo passato tanto buio e privo di affetto che lui non era capace di attaccarsi a qualcuno. Nessuno gli aveva mai insegnato cosa fosse l'amore, ma in compenso aveva dovuto vedere e sopportare cose terribili fin dalla tenera età di due anni. Quanto aveva dovuto tollerare per arrivare ad uccidere suo padre a soli sette anni? Se da una parte il suo gesto appariva estremo e agghiacciante, da una parte non gliene faceva una colpa. 
Sospirò afflitta e continuò a guardare il punto in cui poco prima si trovava lui. 
Se nessuno gli aveva mai regalato esperienze belle ed insegnato sentimenti positivi, ci avrebbe provato lei, nel suo piccolo. La rabbia l'abbandonò con la stessa velocità con la quale le era montata ed un piccolo sorriso si affacciò sulle sue labbra. La sola idea di poter vedere, un giorno, un briciolo di spensieratezza sul volto di quel ragazzo dai profondi occhi cobalto le bastava per perdonargli qualsiasi sofferenza che le aveva arrecato. 
Si sentì tirare i capelli e sobbalzò impaurita; buttò indietro la testa e le sue gemme d'ambra rimasero inchiodate da due impassibili e attenti zaffiri. << Ridi da sola, umana >> ruppe il silenzio Deimos, sollevando un sopracciglio. 
<< Sei qui >> notò lei, allargando il suo sorriso mentre il cuore le scalpitava per la gioia. 
<< Che occhio >> la canzonò beffardo, passandole un braccio attorno alla vita per attirarla a sé. 
Gea si girò e si alzo sulle punte per allacciargli le braccia dietro al collo. << Avevi detto che non saresti rimasto >> gli ricordò non smettendo di sorridere. << Pensavo te ne fossi già andato. >> 
Il ragazzo lesse la felicità negli occhi della giovane e d'istinto si abbassò sulle sue labbra per congiungerle alle sue. La baciò con lentezza e trasporto, assaporando il suo sapore come se per quei pochi minuti di lontananza gli fosse già mancato. Le prese il viso tra le mani e Gea posò le sue sui dorsi del giovane, accarezzandoli delicatamente. 
Quando si allontanarono per riprendere fiato i loro sguardi corsero l'uno in quello dell'altra. Perché c'era stato qualcosa di diverso in quel loro contatto, qualcosa che aveva trasportato entrambi più del solito, qualcosa che Gea conosceva ormai bene e che Deimos invece non riusciva a comprendere. Aveva sentito il suo stomaco aggrovigliarsi e una sorta di elettricità scorrergli nelle vene, elettrizzandolo come mai gli era successo. Da quella scarica era nato in lui il momentaneo desiderio di donarle qualcosa di più, di tenerla vicina e di proteggerla tra le sue braccia. 
Osservò i tratti del volto della giovane nella penombra di quella sera quasi estiva, scrutò i suoi occhi luminosi e ne rimase imprigionato. Di conseguenza il suo freddo cuore si surriscaldò ed iniziò a battere con maggiore rapidità. 
<< Dormi con me? >> gli chiese Gea, stringendo i suoi polsi e guardandolo con uno sguardo supplichevole. 
La fissò ancora, senza proferire parola, poi si piegò di poco e la sollevò da terra, passandole le braccia sotto le ginocchia. La ragazza si aggrappò al suo collo mentre il cuore cercava di uscirle dal petto e le guance le si coloravano. 
La trasportò lentamente sino ad un lato del letto, tenendola ben stretta a sé come se gli potesse scivolare da un momento all'altro, dopodiché l'adagiò sul materasso e le fece un cenno del capo. << Va' più in là >> le comandò con freddezza. 
Gea sorrise felice e rotolò da una parte per fargli posto accanto. Appena il ragazzo si distese a centimetri di distanza da lei, quest'ultima vide bene di eliminare quel divario spingendosi vicino a lui. Gli passò un braccio sul petto, adagiò una gamba sulle sue e posizionò la testa su una sua spalla. 
<< Invadi il mio spazio vitale, umana >> la riprese duramente, voltandosi per guardarla. Ma quando lo fece la giovane si era già addormentata, come sempre di schianto. Studiò il suo volto rilassato per qualche secondo, poi alzò una mano e le spostò delle ciocche di capelli da una guancia fin dietro l'orecchio. Continuò a guardarla con attenzione ed interesse, quasi come fosse stata una calamita, fino a che le sue palpebre non si fecero pesanti e tutto divenne buio. Non il buio che aveva sempre conosciuto, ma uno diverso e piacevole. Un buio caldo. 
















 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***























Il sole fece capolino dalla stretta fessura lasciata aperta tra le vetrate della finestra. Le tende oscillarono elegantemente ed un soffio di vento caldo s'intromise come un ladro nella stanza. 
Le molle del letto cigolarono sotto il peso di due corpi addormentati che cambiavano posizione. Deimos si voltò su un fianco mentre Gea assecondava il suo movimento, ricopiandolo. Senza che se ne accorgessero si trovarono l'uno attaccato all'altra, perfettamente combacianti come pezzi di un puzzle. 
Il respiro calmo del giovane si scontrò contro la nuca di lei, che si svegliò poco dopo, appena rabbrividì per quei soffici aliti freddi. Aprì gli occhi assonnata ed osservò tutto ciò che riusciva a rientrare nel suo campo visivo: una parte del letto sfatto, il muro sporco e sciupato, la finestra mezza aperta da cui entrava quel soffocante vento ed il pavimento a tratti illuminato dalla luce. Poi si concentrò sulle sue altre percezioni sensoriali. E così fece caso al corpo più che prossimo al suo e al respiro contro i suoi capelli. 
Per un attimo rimase delusa di non essersi ritrovata un braccio del ragazzo a cingerla dolcemente. Ma lo sapeva, la dolcezza e Deimos erano due poli avversi, persino mentre lui dormiva. 
Con grande attenzione e lentezza si voltò sul fianco opposto per osservarlo dormire. Non aveva mai visto la sua espressione rilassata e priva del solito muro d'impassibilità. Invece in quel momento avrebbe finalmente potuto vederlo senza barriere, difese, inoffensivo, umano. 
Quando posò le gemme d'ambra sul suo viso si sentì scuotere da un forte battito del cuore. Non tanto perché la sua bellezza spiccava incredibilmente, ma perché vedendo quei tratti sereni, quelle labbra socchiuse, quei ciuffi scomposti ricadergli sulla fronte e quelle palpebre distese, la prima parola che la sua mente ammaliata fu in grado di pensare fu quella che più di tutte, forse, la elettrizzava. Mio. 
Perché lo sentiva. Sentiva che tra loro qualcosa si andava saldando ogni giorno di più. Qualcosa che forse, nei suoi sogni e nelle sue speranze, prima o poi si sarebbe ingradito e consolidato. E aveva tratto conferma di ciò esattamente il giorno prima, e quello prima ancora, e quello ancora prima. Quando era tornato e l'aveva baciata in quel modo tanto diverso dal solito, quando le aveva detto di essere sua, quando aveva prestato attenzione a non farle del male durante l'allenamento, quando la sera precedente si era chinato sulle sue labbra per baciarla nuovamente in quel modo strano e quando aveva accettato per la seconda volta di dormire con lei. 
Stavolta non era la sua immaginazione. Qualcosa, lo sentiva, stava cambiando. 
Si sporse di poco e socchiuse gli occhi per sigillare le sue schiuse labbra con le proprie. Deimos mosse impercettibilmente la bocca ed aprì lentamente gli occhi, proiettando i suoi zaffiri liquidi sul viso appena distanziatosi della ragazza. 
La guardò tra il freddo e l'assonnato, quasi come se ancora non riuscisse a comprendere niente di ciò che stava succedendo e che lo circondava. 
Gea sorrise raggiante e si portò le mani sotto al viso. << Buongiorno >> lo salutò, divertita dalla sua espressione spaesata. << È mattina, siamo sul pianeta Terra, più precisamente in Nebraska e più dettagliatamente nella contea di ScottsBluff, gli uccelli cinguettano felici ed il sole bacia questa landa desolata >> concluse canzonatoria. 
Deimos scurì lo sguardo e la gelò con la sua raggelante occhiata. << Vuoi passare il resto della giornata appesa ad un precipizio? >> le domandò minacciosamente.  
<< No >> rispose lei con un sorriso beffardo. Gli afferrò un braccio e se lo strinse al petto. << Voglio stare vicina vicina >> lo prese in giro con una vocina stridula.
<< Scollati >> le ordinò perentoriamente, cercando di ritrarre il suo arto. 
Gea piegò il labbro inferiore e lo guardò con una marcata e teatrale tristezza. << Perché? Non mi vuoi vicina vicina? >> insistette facendosi più vicina con un balzello. 
Il ragazzo scrollò il braccio e la guardò con durezza. << No. Sbavi e sei appiccicosa. >> 
<< Non è bello infierire così su una fanciulla >> lo ammonì scuotendo la testa. << Queste sono cose che non si fanno. >> 
<< Me ne frego >> tagliò corto, strattonando l'arto e di conseguenza la giovane.
<< No >> s'impuntò lei, sorridendo angelicamente. << Rimarremo così per sempre. >> 
Deimos si fermò e riportò i suoi seri occhi cobalto in quelli scherzosi di Gea. La osservò intensamente per qualche secondo, perso in chissà quali pensieri, dopodiché la sua bocca si distese in un sorriso sghembo e con rapidità la sovrastò, imprigionandola sotto di sé. << D'accordo. >> 
Il cuore della ragazza si agitò, correndo rapido sulle rotaie delle emozioni che in quel momento le offuscavano la mente e le facevano dolere lo stomaco. Non oppose alcuna resistenza quando il giovane le ancorò i polsi contro il materasso e la imprigionò col suo letale sguardo felino. 
Nel giro di pochi secondi l'atmosfera cambiò radicalmente. Entrambi si ritrovarono a scrutare le lucide iridi dell'altro, non soffermandosi sul proprio riflesso, ma scavando in profondità dentro ogni singola sfumatura. Calde da una parte, fredde dall'altra. Due opposti che in quegli istanti ardevano di una reciproca curiosità. 
Appena lei si rese conto della cocente intensità con cui Deimos la stava osservando, distolse lo sguardo verso il basso, pur non sapendo dove puntarlo, e le guance le si accesero. 
Aveva sempre odiato essere fissata, la metteva in soggezione. Anche se in quel preciso istante non era per la soggezione che si era ritrovata a fuggire dai suoi occhi cobalto. Quell'intensità scandagliante la scuoteva come una scarica elettrica, inebriandola e facendole battere rapidamente il cuore. 
Il giovane non distolse lo sguardo neanche per un attimo, quasi come se gli fosse impossibile. Da un po' di tempo a quella parte sentiva uno strano quanto pressante impulso di studiarle il volto, di carpire ogni suo abbozzo di sorriso o di qualsiasi altra espressione. 
Perciò inclinò leggermente la testa e seguì la traiettoria invisibile tracciata dallo sguardo basso di Gea, per poi risalire ad osservare le sue gote colorate e la sua fronte corrugata. 
La ragazza schiarì la voce, imbarazzata, ed evitò di alzare gli occhi. << Dovremmo... >> Deglutì e s'inumidì le labbra. << Fare colazione >> buttò là senza quasi rendersi conto di ciò che aveva detto. La sua mente non si stava affatto concentrando su se stessa, ma solo su quei profondi occhi che si sentiva addosso più di ogni altra volta. Ed era proprio questo a scuoterla tanto. Forse si stava solo sbagliando, forse si trattava di una sua sciocca impressione, ma percepiva qualcosa di diverso nel modo in cui la stava fissando, qualcosa di... forte. 
Deimos si abbassò su di lei e premette il corpo contro quello della giovane, ingabbiandola sotto il suo peso. Gea fu costretta a voltarsi per guardarlo appena sentì la cassa toracica schiacciarsi sotto quella pressione. << Mi stai spiaccicando >> gli fece presente cercando di divincolarsi. 
Il ragazzo stirò le labbra in un mezzo sorriso divertito ed abbandonò tutto il proprio peso su di lei, che immediatamente rilasciò un'esclamazione e rise. 
<< Perché non provi a liberarti? >> la sfidò lasciandole andare i polsi e seguendo le sue gemme d'ambra. << Il tuo allenamento comincia adesso. >> 
<< Non respiro >> si lamentò ridendo la ragazza. Aprì le gambe e scalciò come una forsennata, mentre appoggiava le mani sulle spalle nude e possenti di lui e tentava di allontanarlo. << Mio Dio, ma quanto pesi? >> borbottò già stremata. 
<< Impegnati >> la esortò con un'occhiata impassibile. << Se uno degli altri elementi ti piombasse addosso cosa faresti? >> 
Gea si fermò a guardare quei severi occhi cobalto e rifletté sulle sue parole. Probabilmente avrebbe rilasciato una scarica elettrica, perché in quanto a forza fisica era nettamente inferiore a chiunque. Non avrebbe mai potuto scrollarsi di dosso qualcuno senza usare i suoi poteri.   
<< Usa la forza fisica >> le ordinò perentorio, come se avesse intuito il corso dei suoi pensieri. 
La giovane corrugò la fronte e piegò la testa. << Potrei fare molto prima con una scossa elettrica o fermando il tempo. >>
<< Fai troppo affidamento sui tuoi poteri >> la riprese con uno sguardo penetrante. << Se succedesse di nuovo che per del tempo tu non li potessi usare, cosa faresti? Non sai difenderti. Sei debole >> concluse secco e quasi con disprezzo. 
Gea strinse gli occhi, infastidita da quell'ultima parola che da un po' di giorni non gli aveva più sentito pronunciare. Sapeva bene che aveva ragione e che in un corpo a corpo senza l'uso delle facoltà lei sarebbe stata annientata dopo pochi secondi, ma la irritava comunque il tono sprezzante con cui le aveva ricordato ciò. 
<< D'accordo >> asserì cupa, meditando su un modo per ribaltare le loro posizioni e liberarsi. 
A Deimos non sfuggì il repentino cambiamento d'umore della ragazza, ma non se ne curò più di tanto. Conosceva ormai quanto lei fosse orgogliosa ed infastidita da un paio di parole, ma allo stesso tempo sapeva che solo quando veniva stuzzicata riusciva a concentrarsi e ad agire freddamente. 
<< Datti una mossa >> la spronò duramente. << A quest'ora saresti già morta. >> 
Gea lo fulminò con lo sguardo e nello stesso istante con la mano destra gli afferrò il braccio destro e glielo strattonò sulla sua schiena nuda. Premette con forza l'altra mano sulla sua spalla reclinata e, aiutandosi col braccio che gli stava trattenendo, ribaltò le posizioni, facendolo finire disteso sotto di sé. << Soddisfatto ora? >> lo canzonò innervosita. 
Con un rapido scatto, afferrandola sotto le ginocchia, Deimos la riportò con la schiena sul materasso e le strinse i polsi contro il lenzuolo, mantenendosi distante dal suo corpo. << Non sai nemmeno contrattaccare ed opporre resistenza >> affermò riluttante. << Lenta, debole ed incapace >> sputò infine, bloccandola dentro il suo gelido sguardo. << Pensi possa bastare? >> 
La ragazza si morse un labbro con forza e per un attimo tremò dalla rabbia. Le sembrava di essere appena ripiombata ai primi tempi dell'addestramento. A quando i momenti più brutti della sua infanzia le erano stati schiaffati in faccia senza pietà e a quando il rapporto tra lei e Deimos era fatto solo di freddezza e violenza. Le sembrava che tutti i passi in avanti fatti tra di loro fossero stati improvvisamente cancellati. Ed era questo, più di ogni altra cosa, a riempirla di rabbia. 
Rilasciò una scarica elettrica contro le mani del giovane e lo allontanò da sé. Deimos si teletrasportò vicino all'armadio ed incrociò le braccia sul petto, guardandola con durezza. << Cambiati. Hai due minuti >> disse prima di smaterializzarsi e non darle il tempo di ribattere. 
Gea si sollevò furente dal letto e sbatté i piedi fino all'armadio. Afferrò i primi pantaloncini che le capitarono e la prima maglietta su cui i suoi occhi si posarono. Si cambiò in fretta e richiuse le ante con forza, facendole sbattere tra loro. 
Com'era possibile che fossero arrivati a quel punto? Si erano svegliati nel migliore dei modi e nel giro di pochi secondi l'umore era decollato a picco. Ciò che più di tutto Gea non riusciva a spiegarsi era il perché di quell'improvvisa freddezza che lui le stava riservando. Sembrava ritornato ai primi giorni, a quando la massacrava psicologicamente e fisicamente, appellandola nel modo che più detestava. Eppure gli aveva anche raccontato come mai odiasse essere considerata un'incapace. Possibile che non gli fosse minimamente interessato? Probabilmente era così dal momento che aveva ricominciato a chiamarla in quel modo. 
Si lasciò cadere a sedere sul letto frustrata e sbuffò rumorosamente. 
Deimos arrivò un secondo dopo, indossando una canottiera nera e dei nuovi pantaloni rigorosamente neri. Gea per più di un attimo ammirò la bellezza del ragazzo e fu tentata di buttarsi tra le sue braccia, ma ben presto riassunse il controllo della sua mente ed il suo sguardo tornò livido. << Bene >> affermò stizzita, alzandosi e raggiungendolo << Andiamo. >> 
Il giovane studiò il volto adirato di lei con disinteresse ed impassibilità, cosa che non sfuggì alla ragazza e che la fece arrabbiare ancora di più. Odiava quella sua improvvisa volontà di cancellare tutto ciò che c'era tra loro e di trattarla come agli albori della loro conoscenza, frapponendo un muro. Ed odiava anche il modo disinteressato con cui riusciva ad azzerare tutto. 
Persa nei suoi sciamanti pensieri non si rese conto di quando Deimos l'agguantò per un polso ed il pavimento sotto i loro piedi fu sostituito da uno più ciottoloso e polveroso. Una folata di vento caldo le smosse i capelli e la larga maglietta, facendole spostare l'attenzione sullo spazio circostante. Una sola occhiata le bastò per riconoscere le crepe sul terreno, le rocce scolpite dagli agenti atmosferici, ma più di ogni altra cosa la lunga falla scavata nel suolo che divideva quell'immensa montagna in due parti. Ricordò confusamente il momento in cui, lottando contro Ninlil, aveva squarciato la distesa rocciosa e storse la bocca in una smorfia. Non le piaceva rivangare con la mente quel momento, proprio quando aveva creduto che Deimos l'avesse pugnalata alle spalle. 
Sentì il suo braccio piegarsi e premere contro la sua schiena, mentre con la stessa velocità il suo corpo veniva ruotato e schiacciato a quello del giovane. << Lenta >> le sibilò ad un orecchio, aumentando la stretta sul suo arto e facendole stringere i denti per il dolore. 
La rabbia momentaneamente assopita tornò a scorrerle nelle vene e ad incendiarle lo sguardo. Mosse il braccio libero all'indietro, contro il corpo del ragazzo, ma il suo gomito venne bloccato poco prima che riuscisse a colpirlo. 
<< Patetica >> la schernì lui con disprezzo.   
Gea ribollì di frustrazione ed ira, così tanto che il suolo tremò impetuosamente ed i rari cespugli nelle vicinanze si agitarono come se volessero sradicarsi e scappare. 
Strattonò entrambe le sue braccia e nel medesimo istante pestò con forza un piede del giovane, piegandosi poi sulle ginocchia per cercare di liberarsi nella maniera più goffa che conoscesse. Non ci riuscì. Dopo pochi secondi di dimenamento si ritrovò spossata ed ancora artigliata nella presa di Deimos. 
Grugnì scoraggiata e sbuffò rumorosamente, svuotando i polmoni e scacciando alcuni ciuffi ricadutile sul viso. 
<< A quest'ora saresti già morta >> la reguardì il giovane, lasciandola andare con una leggera spinta. 
Lei si voltò a guardarlo innervosita ed incrociò le braccia sul petto, mentre lui le si avvicinava nuovamente e la fissava con freddezza. La girò di schiena e le si pose dietro, poi le passò un braccio attorno al collo e strinse di poco, chiudendo appena la gola della ragazza. 
<< Cosa stai...>>
<< Quando vieni attaccata da dietro, che sia per la gola o per un braccio, colpisci prima lo stomaco col gomito, poi il piede col tallone ed infine la faccia con un pugno >> le spiegò sbrigativo. << La sequenza deve essere veloce. >> 
Gea annuì, sorpresa dal fatto che, per la prima volta, le stesse insegnando qualcosa senza attendere che fosse lei ad escogitare un qualche modo per liberarsi. 
<< Muoviti, fallo >> le ordinò stringendole il collo e facendole alzare di poco la testa. 
La giovane si concentrò sulle istruzioni ricevute ed assottigliò lo sguardo. Caricò un gomito e lo scagliò contro lo stomaco del ragazzo, immediatamente dopo gli pestò il piede con forza ed infine lanciò un pugno verso il suo viso, ma stavolta trattandosi dal fargli male. 
Deimos si allontanò di un passo e reclinò il capo all'indietro, inclinandolo appena di lato, e la osservò con impassibilità mentre lei si voltava a guardarlo. La ragazza puntò le sue gemme d'ambra negli zaffiri freddi di lui e gli sorrise eccitata. << Qual è la prossima mossa? >> domandò entusiasta. Le stava cominciando a piacere imparare delle tecniche di autodifesa per l'eventualità che i suoi poteri fossero stati inattivi. Più che altro le piaceva quella sorta di complicità che si creava tra lei ed il giovane mentre collaboravano insieme. La rabbia di poco prima scemò completamente e le sue iridi luccicarono elettrizzate. 
Deimos le fece cenno di dargli la schiena un'altra volta e lei immediatamente ubbidì. Sentì i passi del ragazzo farsi più vicini in contemporanea al battito accelerato del suo cuore, ma si costrinse a rimanere concentrata sulla lezione e scosse la testa. 
Le circondò le spalle con le braccia e strinse la morsa, dopodiché l'avvicinò al suo petto ed accrebbe la forza con cui la stava comprimendo. << Piegati in avanti >> le fiatò in un orecchio con un tono perentorio, ma facendola comunque rabbrividire. << Apri le gambe, oscilla con le spalle per eludere il nemico ed infine allunga rapidamente le braccia per prendergli una gamba e tirarla. >> 
Gea annuì piano e piegò la schiena in avanti, sentendo il petto del ragazzo aderire completamente. Mosse le spalle come le aveva detto, cercando di dare l'impressione di non riuscire a liberarsi, ed aprì le gambe. Tra queste, ne intravide una di Deimos e prontamente allungò le braccia per afferrargliela. Strinse le dita attorno alla sua caviglia e con vigore gli strattonò la gamba tra le sue, facendolo cadere di botto per terra. 
La giovane si volse subito a guardarlo con apprensione. << Ti ho fatto male? >> domandò mentre lui si rialzava immediatamente.
Deimos sollevò un sopracciglio e la perforò con un'occhiata. << Secondo te? >> 
<< Credo che stasera passeggerai per casa con un deambulatore >> scherzò lei,  sorridendogli divertita. << Ma non ti preoccupare, te la metterò io la pomatina per i dolori >> lo prese in giro con un'alzata di spalle. 
Il ragazzo le si avvicinò con un mezzo sorriso poco rassicurante ed allungò un braccio fino a chiuderle la gola in una mano. << Concentrati, umana, o stasera sarai tu a metterti la pomata da sola. >>  
Gea alzò gli occhi al cielo e sbuffò teatralmente. << Hai sempre troppo senso dell'umorismo, nessuno può batterti >> affermò ironicamente, prima di tornare a concentrarsi sulla mano che le artigliava la gola. << Che devo fare? >> 
<< Puoi farti strozzare >> ribatté Deimos con un sorrisino irriverente. 
<< L'altra opzione? >> 
<< Stringi il polso del nemico ed in contemporanea mettigli una mano sul gomito, gli ruoti il braccio ed appena si piegherà gli tiri una ginocchiata o nel viso o nello stomaco >> spiegò rapido, fissandola intensamente. 
La giovane mise in pratica le indicazioni fornite con velocità, ma rifiutandosi di rifilargli l'ultimo colpo nello stomaco. E così dopo essere riuscita a farlo piegare lo lasciò immediatamente andare, come per timore di fargli male anche solo toccandolo. 
<< Sono un portento >> si vantò dandosi delle pacche sulle spalle. Dalla sua posizione non ancora eretta, Deimos le agguantò una caviglia e la strattonò, facendola gridare per lo spavento e cadere distesa per terra. Le fu subito addosso, le bloccò i polsi contro il suolo ciottoloso e le scagliò addosso i suoi zaffiri illuminati dal caldo sole del mattino. 
Gea gli rivolse uno sguardo di sfida e sorrise beffarda. << Fatti sotto, montone. >> 
Il ragazzo sollevò un sopracciglio e la guardò con freddezza. << Ti è bastato molto poco per montarti la testa, umana. >> 
<< Non è che ti dispiacerebbe lasciarmi qualche minuto di gloria visto che oggi è stata la prima volta che sono stata in grado di atterrarti? >> lo riprese lei, fulminandolo con lo sguardo. << Grazie >> concluse stizzita. 
A Deimos scappò un sorriso divertito e si piegò di più sul corpo della giovane, fino a nascondere il viso sul suo collo e ad ispirare l'odore della sua pelle, in quel momento misto al profumo della terra. Gea irrigidì i muscoli e trattenne il respiro, mentre il cuore cominciava a batterle furiosamente e le farfalle le svolazzavano nello stomaco. 
Mosse la testa e sfiorò la mandibola del ragazzo con le labbra. << Perché non la smetti di chiamarmi umana? >> sussurrò con un filo di voce. 
Deimos si ritrasse e la osservò. << Perché è ciò che sei >> rispose soltanto, con freddezza.
<< Solo questo? >> lo interrogò lei, scavando nei suoi zaffiri alla ricerca di qualcosa che le dimostrasse il contrario. << Solo una debole ed incapace umana? >> insistette, sentendo un magone premerle contro la gola al pronunciare di quelle parole. 
Il ragazzo intensificò la profondità con cui la stava osservando e rimase in silenzio. Scrutò le lucide e speranzose gemme d'ambra di lei senza proferire parola, ma con un meticolosità che non aveva mai riservato a nessuno. Dopo un minuto buono si alzò da terra e rivolse lo sguardo verso le altre montagne nelle vicinanze. << È ora di andare >> asserì distaccato. 
Gea per un attimo sgranò gli occhi, ma poi si ricompose e si sollevò. Scrollò la polvere dai vestiti e gli si avvicinò con la testa bassa. Non sapeva come interpretare quella mancata risposta, quel silenzio che aveva scelto piuttosto che ferirla o renderla felice. Ma che fosse stato per un motivo o per un altro, il fatto che lui non volesse pronunciarsi la fece sprofondare in una profonda tristezza, come se fino a quel momento lei fosse stata la sola a compiere dei passi avanti nel loro rapporto. 
Deimos girò la testa ed osservò il viso cupo e perso tra i pensieri della ragazza. Le afferrò un gomito ed in meno di un secondo piombarono nella loro casa. Gea alzò la testa e si guardò attorno disorientata, mentre il giovane persisteva a mantenere gli occhi fissi sul suo volto e a studiare ogni cambiamento delle sue espressioni. La vide passare da una sperduta ad una afflitta, per poi sentirle uscire dalle labbra un flebile sospiro. 
Tutto ciò servì soltanto a farlo innervosire per un motivo totalmente oscuro alla sua ragione. L'unica cosa certa era che gli dava fastidio. Fastidio vedere quei grandi occhi da cerbiatto perdere la loro vitalità e rabbuiarsi per una qualsiasi causa, rendendola atona e senza forze.
Seguì la ragazza in salotto e prima che potesse sedersi sul divano le afferrò un polso e la risollevò. << Dacci un taglio >> le ringhiò rabbioso, soffocando il lamento di lei. 
<< Ma cosa vuoi? >> sbottò Gea, scaldandosi di secondo in secondo. << Sei sempre tu a rovinare tutto col tuo atteggiamento. E poi dici a me di darci un taglio? >> gridò indicandosi sconcertata. 
<< Vuoi una risposta? >> ribatté lui, riservandole un'occhiata gelida e crudele. << Sei esattamente come qualsiasi altra umana sulla faccia di questa terra, chiamarti diversamente servirebbe solo a fare un distinguo che non esiste >> affermò con una calma disarmante. 
La ragazza ritrasse la testa come a voler attutire il colpo, deglutì scossa dall'ira e si costrinse a mantenere un'espressione imperturbabile. << Sai invece, secondo me, qual è la verità? >> domandò retoricamente, riducendo gli occhi a due fessure. << Che sei solo un codardo >> sputò con disprezzo. << Sei troppo codardo per ammettere che le cose sono cambiate per entrambi >> sibilò con le gemme che divenivano sempre più lucide. << Hai solo paura >> concluse tirandogli un pugno sul petto.
Deimos le strinse anche l'altro polso e la fece retrocedere di qualche passo, tenendola imprigionata nel suo tagliente sguardo. << E cosa dovrebbe essere cambiato? >> le domandò freddamente. 
<< Lo sai anche tu >> tagliò corto lei, sentendosi attaccare bruscamente con le spalle al muro. << So che lo senti, perciò smettila di fare il finto tonto e guarda in faccia la realtà. >>
<< Non è cambiato nulla, umana. Se vuoi illuderti del contrario fa' pure >> la freddò con un'occhiata penetrante. 
Gea scosse la testa frustrata. << Perché devi fare così? >> sbraitò guardandolo dritto negli occhi. << La tua è solo paura di cambiare, di provare emozioni e di diventare debole. >> 
Il ragazzo la schiacciò alla parete con un scatto improvviso, facendole persino sbattere la nuca. << Tu non sai nulla di me >> le sibilò minacciosamente a pochi centimetri dal viso. << Un'altra parola ancora e potrebbe essere la tua ultima. >> 
<< Non sono i sentimenti a renderti debole, ma solo la paura e questo tuo continuo scappare da te stesso >> gli gridò in faccia, sentendo le lacrime offuscarle la vista. << Sei stato educato in un modo, ma questo non preclude il fatto che tu possa cambiare >> aggiunse, inghiottendo il magone e respirando affannosamente. 
Deimos la osservò in silenzio e con durezza, avvertendo il respiro agitato di lei infrangersi contro la sua pelle. 
<< Stammi alla larga >> le intimò infine, lasciandola andare e girandosi per uscire dalla stanza. 
Per qualche istante la giovane rimase immobile nella sua posizione, poi, vedendolo allontanarsi verso la porta d'ingresso, gli corse dietro con disperazione, temendo che stesse per abbandonarla definitivamente. << No, Deimos >> urlò afferrandogli un braccio. 
Il giovane si volse a guardarla impassibile. << Lasciami >> le ordinò con una calma letale. 
Gea assunse un'espressione risoluta ed andò a frapporsi tra lui e la porta. << Smettila di scappare, lo hai già fatto troppe volte >> gli ricordò con un tono severo.
Lui la fissò con una freddezza tale da farla rabbrividire e farla sentire tanto piccola quanto impotente, ma non disse una parola. 
<< Ogni volta che senti qualcosa di nuovo cerchi di riassumere il controllo di te comportandoti come sempre ed azzerando tutto, esattamente come stamattina >> affermò la ragazza, guardandolo con serietà. Fece una pausa e sospirò afflitta, avanzando sino a prendergli la canottiera tra le mani. << Non ti chiedo di cambiare, ma solo di accettare per la prima volta dei sentimenti positivi >> concluse con uno sguardo supplichevole. 
Deimos osservò le grandi e lucide gemme di lei, dopodiché contrasse la mascella e strinse le mani in due pugni. << Non ho nessun sentimento positivo da accettare. Non è cambiato niente. >> Un secondo dopo, le mani di Gea rimasero sospese nel vuoto.  
 




Angolo dell'autrice:

Era da un un po' di tempo che non scrivevo un angolo autrice :'( 
Ma adesso eccomi qua! 
Innanzitutto volevo scusarmi per questo ritardo abnorme, ma tra esami e la partenza in un posto privo di wi-fi e dove è raro trovare anche il 3G ho dovuto per forza ritardare >.< 
E poi volevo anche scusarmi per questo capitolo -.- il più brutto che io abbia mai scritto e che non amo per nulla. E voi direte, perché allora l'hai tenuto così? Bella domanda ahahahah. No, in realtà la risposta c'è. La parte finale mi è venuta di getto, senza averla programmata e senza nemmeno il tempo di chiedermi cosa stessi scrivendo, complicandomi la vita perché adesso non so Deimos cosa dovrebbe fare o come dovrebbe reagire conoscendo il tipo non zuccheroso. E di solito quando mi succede questa cosa significa che il capitolo dopo sarà ricco di roba perché la mia fantasia viene stimolata all'eccesso. Quindi ho deciso di lasciare tutto così ed infatti ho già in mente qualcosa per il prossimo mega capitolone *sguardo malefico*
Perciò scusatemi immensamente per quest'orrido capitolo >.< 
Il prossimo credo che sarà il penultimo... o l'ultimo... no forse il penultimo... devo riflettere...
Ed arriverà... fatemi fare un rapido conto... questa domenica la vedo dura, perciò credo mercoledì prossimo! 
Vi mando un bacione enorme e vi auguro di trascorrere delle belle vacanze!! Scusateeeeee!!! 
<3

Federica~

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***




























Gea abbassò la testa, puntò i velati occhi sulle polverose assi di legno e sospirò piano. 
Non pensò a nulla. Nella mente le sciamarono le immagini di quei precedenti minuti: del modo in cui l'aveva guardata, della freddezza che le aveva riservato e della furia con cui era scappato. 
Per la prima volta non aveva bisogno d'interrogarsi su nulla. Conosceva le ragioni di ogni azione del ragazzo, dall'atteggiamento distaccato adottato fin da quando si erano svegliati sino a quello rabbioso di un attimo prima. Sapeva di averlo messo con le spalle al muro, di averlo costretto a guardare in faccia la realtà che lui tentava d'ignorare e sminuire pur di non sentirsene coinvolto. 
La giovane rialzò lo sguardo e si diresse lentamente in cucina. Aprì il frigorifero e bevve dei sorsi di latte dal suo cartoccio gocciolante e brinato. Sentì distintamente il percorso di quel liquido freddo scenderle per la gola e rinfrescarla, ispessire i tessuti disidrati del suo corpo e proseguire verso il suo stomaco. 
Dopo altre lunghe sorsate ripose la confezione nel ripiano delle bibite e si spostò al lavello per lavarsi le mani. Osservò, con uno sguardo vuoto, l'acqua scontrarsi contro la sua pelle e dividersi in vari scrosci, immaginando di tenere le dita sotto la cascata naturale di una sorgente. Roteò i palmi ed inclinò la testa per seguire gli eleganti movimenti dell'acqua attorno alle sue mani. 
<< Cosa sarebbe cambiato? >> l'aggredì una voce da dietro, facendola sobbalzare impaurita. Si voltò di scatto e strabuzzò gli occhi nel ritrovarsi il ragazzo vicinissimo e con uno sguardo adirato. << Parla, umana >> le sibilò spazientito. 
Gea deglutì, ancora scossa dal suo improvviso arrivo, mentre il cuore le rimbalzava nel petto e la mente le si liberava da tutti i pensieri che non ruotavano intorno al giovane. Avvertì l'acqua battere contro l'alluminio del lavello e si girò per chiudere il rubinetto, percependo nel medesimo istante i passi di Deimos farsi più vicini. 
Quando sentì un respiro agitato contro i capelli ed i suoi occhi intravidero due mani ancorate al pianale, ai lati del suo corpo, si ritrovò a trattenere il fiato emozionata.
<< Devo farti uscire le parole con la forza? >> la minacciò con un tono di voce profondo ed alterato. << Girati >> ordinò perentorio. 
La ragazza espirò pesantemente e si mordicchiò l'interno guancia per l'ansia. Un secondo dopo si volse di nuovo a guardarlo, ma stavolta con una completa rotazione del corpo. Alzò lo sguardo sui suoi scuri occhi furenti e si sentì scuotere come se una scarica elettrica l'avesse attraversata da parte a parte. Fu in quel momento che pensò che esistessero davvero degli sguardi capaci di uccidere. 
<< Cosa vuoi? >> gli domandò atona, senza distogliere l'attenzione dai suoi zaffiri.
Deimos contrasse la mascella e strinse la presa sul pianale, facendosi più vicino al viso di lei. << Cos'è cambiato? >> ripeté in fretta, non curandosi del fatto che odiasse ribadire le stesse cose più volte.
<< Nulla >> asserì Gea, rivolgendogli un'occhiata inespressiva. << Lo hai detto anche tu. >> 
<< Parla, umana >> le soffiò con un tono più basso, ma dieci volte più intimidatorio. 
<< Non ho nulla da dirti >> tagliò corto lei, rispondendo al suo sguardo furibondo con uno piatto. << E ora, se vuoi scusarmi, ho altre cose da fare >> concluse stringendosi nelle spalle e muovendo un piccolo passo di lato, per sviare dalla gabbia nella quale era chiusa.
Con uno scatto Deimos l'afferrò per un braccio e la tirò rapidamente indietro, facendole sbattere il fondoschiena contro il pianale. << Tu non vai da nessuna parte >> le sibilò sul viso, guardandola con una profondità tagliente. 
La giovane deglutì in difficoltà e mantenne gli occhi in quelli minacciosi di lui. Riempì i polmoni e si torturò il labbro inferiore per l'agitazione. 
Deimos seguì quegli ansiosi movimenti della ragazza con uno sguardo severo e freddo. Le lasciò il braccio e ritornò a posare la mano sul pianale, ma stavolta più vicina al corpo di lei. << Te lo richiedo per la terza volta, umana >> l'avvertì adirato. << Cosa dovrebbe essere cambiato? >> scandì piano, incatenandola ai suoi zaffiri penetranti. 
Gea abbassò la testa e mosse gli occhi lungo il pavimento come se fosse stata alla ricerca di qualcosa. Si schiarì la voce imbarazzata, sentendo sopra il suo capo il peso di due pozzi scuri, e sospirò lentamente. << Perché me lo chiedi se per te è tutto uguale a prima? >> domandò esasperata. Alzò il suo stanco sguardo su quello del giovane e fissò con intensità la freddezza delle sue iridi. << Mi vedi ancora come la debole ed incapace umana che non merita di essere chiamata per nome. Non mi consideri neanche al tuo pari. Cosa dovrebbe essere cambiato? Assolutamente nulla. È tutto uguale ai primi giorni >> affermò con un filo di voce, sentendo qualcosa dentro di sé fare male come se fosse sul punto di rottura. 
Il ragazzo persistette a scrutare i suoi occhi avviliti e vuoti con uno sguardo impassibile. << E per te? >> domandò rapido, senza distogliere l'attenzione dalle sue gemme. 
Il cuore di Gea sobbalzò sorpreso. 
Spalancò leggermente gli occhi mentre una marea di emozioni le inondavano le iridi e la pupilla, facendola dilatare. << Io... >> balbettò stupita, sbattendo le ciglia in difficoltà. << Io nulla. Per me... >> Abbassò la testa, incapace di reggere ancora la forza dello sguardo di Deimos e s'inumidì le labbra. << Non è cambiato nulla >> concluse in un soffio.
Per qualche secondo non sentì altro che il battito del suo cuore rimbombarle nelle orecchie. Poi, di colpo, senza avere il tempo di metabolizzare quell'improvviso cambio di visuale, si ritrovò con il mento e parte della mascella stretta in una mano del ragazzo. D'istinto spostò gli occhi in quelli pericolosi di lui ed aggrottò la fronte in una smorfia di dolore.  
<< Stai mentendo >> l'attaccò con un tono infastidito e quasi schifato. << La verità, umana. Voglio la verità. >> 
<< Te l'ho già detta >> ribatté in fretta Gea, prendendogli il polso tra le dita per provare ad allontanarlo. 
A quel punto Deimos mosse un altro piccolo passo avanti e le alzò il mento per continuare a tenere i loro sguardi uniti. Il cuore della ragazza si dimenò agitato per quella vicinanza, tanto da farle sentire il proprio battito persino nelle tempie.
<< La verità >> le sibilò sul viso, stavolta con un tono basso, ma apparentemente più calmo. 
La giovane scrutò il blu profondo e letale di quel paio di zaffiri di cui si era innamorata, avvertendo le farfalle compierle delle piroette nello stomaco. << Io... >> bisbigliò emozionata. << Io... >> ripeté, sentendo il battito impazzito del cuore farle quasi male. Spostò lo sguardo sul frigorifero e successivamente lo fece vagare per il resto della cucina, ma senza mai riuscire a posarlo sul ragazzo. Infine lo fece cadere a terra con un sospiro. << Io non ti odio. Non più >> affermò piano, quasi come se sperasse di non essere sentita. 
Deimos osservò le palpebre semichiuse di lei con uno sguardo diverso: senza la sua solita impassibilità, ma con qualcosa d'intenso e pacato che oscurò la rabbia di prima. Abbassò lentamente la testa sul collo della giovane e si fermò in prossimità del suo orecchio, contro il quale fece scontrare il suo freddo respiro. 
Gea rabbrividì e girò appena il viso, finendo per sfiorare con una guancia quella di lui. Entrambi socchiusero gli occhi nel medesimo istante. Ed in contemporanea si mossero anche l'attimo seguente, quando lei gli circondò i fianchi con le braccia e lui le si avvicinò ulteriormente. Gea alzò la testa e si mise sulle punte per arrivare ad inspirare il suo profumo sul collo e poi sfregarci delicatamente le labbra. Deimos, in tutta risposta, le mise una mano sulla schiena e la strinse a sé, successivamente sollevò il capo e le respirò tra i capelli, muovendo la bocca sulla sua chioma dorata. 
Rimasero in quella posizione per svariato tempo, senza considerare le lancette dell'orologio e nemmeno ciò che li circondava oltre quella casa. Sia per l'uno che per l'altra, in quel momento, non esisteva niente all'infuori di loro. Persino il giovane non prestò attenzione a nulla che non riguardasse la ragazza che teneva stretta a sé. 
Poi Gea ritornò a posare i piedi per terra e a distanziarsi dal corpo di lui il giusto necessario per poter tenere la testa bassa. Il ragazzo sollevò le labbra dai suoi capelli e le agguantò i fianchi per metterla a sedere sullo stretto spazio del pianale. Cercò lo sguardo di lei, ma tutto ciò che i suoi zaffiri incontrarono furono delle lunghe ciglia ad incorniciare delle grandi palpebre rosate. Avvicinò la bocca al viso di Gea e puntò verso il suo zigomo sinistro, socchiuse gli occhi e dischiuse le labbra, facendo traballare il cuore di entrambi. 
La ragazza gli passò una mano sul costato e lo avvicinò a sé, mentre lui le sfiorava la pelle con le labbra e scendeva verso il suo orecchio. Le morsicò piano il lobo e ci respirò contro, poi salì sul padiglione e lo stuzzicò con la punta della lingua, fino a ritornare in basso e baciarle ancora una volta il lobo. << Gea >> le sussurrò roco contro la pelle, prima di rispostarsi sul suo viso e sfiorarle le labbra con le sue. 
La giovane aprì gli occhi di scatto come se fosse appena stata svegliata da una doccia ghiacciata, mentre il cuore le ricominciava a picchiare contro il petto ad una velocità disumana. 
<< Hai... hai... >> balbettò scossa, ritraendosi e guardandolo nei suoi penetranti zaffiri. << Hai pronunciato il mio nome >> notò sbigottita, sbattendo le palpebre in rapida successione per appurare che non si trattasse di una sua allucinazione. << Lo hai detto. >>  
Deimos le rivolse uno sguardo impassibile, ma questa volta con una sfumatura diversa dal solito, difficile da interpretare. << Non ti ci abituare >> l'ammonì serio, riavvicinandosi al suo viso e puntando gli occhi sulle sue labbra. << Umana >> concluse con un sorrisetto beffardo. E poi, senza darle il tempo di lamentarsi, la baciò d'impeto. 
Gea reagì con un attimo di ritardo, sorpresa da un gesto dopo l'altro del ragazzo. Gli posò una mano dietro al collo e strinse dei suoi capelli tra le dita, accarezzandoli di tanto in tanto. 
E mentre lui piegava la testa di lato per approfondire il loro contatto e si faceva più prossimo al suo corpo, lei gli circondò le gambe con le proprie e portò la mano libera sul suo viso. 
Per del tempo rimasero così allacciati, senza sentire il bisogno di riprendere fiato e di allontanarsi. Deimos ridusse la passionalità del bacio e le lambì le labbra lentamente, giocandoci coi denti e divertendosi nel sentire i mugolii di rimprovero della giovane. 
Quando poi fu Gea a morsicargli il labbro inferiore per vendetta, lui sorrise sghembo e dirottò la testa sul suo collo. Sfregò la punta del naso per tutta la sua lunghezza, sino alla clavicola; solo successivamente, con calma, risalì lungo la sua pelle calda ed espirò dalle labbra. 
La ragazza chiuse gli occhi ed appoggiò la fronte sulla spalla di lui. Lo strinse a sé come se le fosse mancato disperatamente, sentendo quasi il bisogno di piangere. << Non te ne andare più >> sussurrò con la voce spezzata, ricordando la lite di poco prima ed il modo in cui era fuggito per l'ennesima volta.
<< Posso fare quel che voglio >> le ribatté con le labbra contro l'orecchio. 
<< Allora portami con te >> suggerì la giovane, accarezzandogli i capelli sul collo. 
Deimos alzò la testa e le prese il mento in una mano per guardarla negli occhi. Due intensi zaffiri liquidi incontrarono un paio di lucide gemme d'ambra. Da quel momento, per entrambi, il tempo sembrò arrestarsi. 
Non si dissero niente. Restarono immobili, come se attraverso quella sorta di unione dei loro sguardi riuscissero a trovare le risposte alle domande che puntualmente si stabilivano sulle punte delle loro lingue. Deimos abbassò il suo velato sguardo sulle labbra della ragazza ed avvicinò il viso al suo. << Mm >> rispose soltanto, a metà tra un assenso ed un borbottio meditativo. Detto ciò le sfiorò la bocca ed insieme socchiusero gli occhi, mentre i loro nasi si toccavano ed i loro respiri combaciavano.  
Gea si morse un labbro e corrugò la fronte. << Ma... in tutto questo tempo... sei mai andato da Brittany? >> domandò di getto, avvertendo il cuore batterle freneticamente. Non sapeva come e perché le fosse venuta in mente quella domanda, ma adesso che si era ritrovata a formularla ad alta voce desiderava soltanto conoscere la risposta. 
Deimos alzò il mento e la osservò di sottecchi. << No >> pronunciò serio, adagiandole le mani sul costato ed avvicinandola a sé. 
La ragazza sollevò il capo e piantò le sue grandi gemme negli zaffiri impassibili di lui. << Quindi state ancora insieme >> constatò con una sfumatura addolorata nello sguardo. 
Il giovane studiò quella sfumatura con un'intensità tale da farle agitare le farfalle nello stomaco, dopodiché appoggiò il peso delle spalle sulle mani e si piegò su di lei. << Sei l'unica a darci peso >> le fece notare con una fredda occhiata. << Per me non vale nulla, né quell'umana né il nostro rapporto >> concluse secco.
A causa della forza con cui continuò a guardarla, Gea fu costretta ad abbassare la testa e a nascondere il viso arrossato dal suo sguardo penetrante. Deglutì imbarazzata e si schiarì la voce. << Hai mai chiamato un essere umano per nome? >> domandò dopo un breve ragionamento spontaneo. Aveva notato già da tempo come lui non si fosse mai premurato di pronunciare neanche il nome di Ninlil o di qualsiasi altro essere vivente con cui era entrato in contatto. Forse si stava sbagliando, ma pensare che probabilmente lei fosse stata l'unica, fino a quel momento, ad essere stata appellata col suo nome la fece emozionare più di qualsiasi altra volta. 
Deimos le fissò i capelli con uno sguardo impassibile, poi le passò una mano sotto al mento e le sollevò la testa. Le scagliò i suoi occhi cobalto addosso, senza sapere che bastasse solo quel gesto per far impazzire il cuore della ragazza, ed inclinò il capo. << Dove vuoi arrivare? >> le chiese con un'occhiata seria, ma al contempo guardinga. 
<< Da nessuna parte >> rispose in fretta lei, sgranando le sue gemme. << Era solo una curiosità >> aggiunse scrollando le spalle e cercando di risultare convincente. 
Il giovane si aprì in un sorrisetto beffardo ed avvicinò il viso a quello di lei. << Non sai mentire >> le scandì a pochi centimetri dalla bocca, guardandola dritta negli occhi. 
<< Non ho mentito >> s'intestardì Gea, lasciando ricadere le braccia in grembo e fulminandolo con lo sguardo. 
<< Mm >> borbottò divertito lui, abbassando la testa e sfiorandole uno zigomo con la punta del naso. << Davvero? >> soffiò sulla sua pelle, scendendo verso la mandibola mentre la giovane socchiudeva gli occhi assuefatta. 
Quest'ultima gli agguantò un lembo della canottiera e lo sigillò tra le dita. << Davvero >> mormorò con una quasi impercettibile stonatura d'incertezza. 
Il ragazzo percepì quella nota insicura ed allargò il suo sorriso compiaciuto. Operando una leggera pressione della labbra su un suo zigomo le fece inclinare la testa e sbatté le sue lunghe ciglia nere sulla sua pelle, facendole il pizzicorino. << La verità >> sussurrò guardando i suoi occhi socchiusi. Poi si calò verso il suo collo, percorrendo ogni tratto di pelle con la bocca semichiusa. << Voglio la verità >> ripeté, stavolta sotto la forma di un comando. 
Gea deglutì a vuoto mentre le labbra di lui iniziavano a lasciarle degli umidi baci lungo il collo, deconcentrandola dal suo intento di mentire. << Devi smetterla >> soffiò insieme ad un mugolio di piacere. 
<< Perché? >> la stuzzicò, alzandole la maglietta sulla schiena e toccandole la pelle con il palmo della mano. 
La ragazza rabbrividì sotto quel tocco e si morse un labbro. << Sei proprio un ignorante >> asserì scuotendo il capo. 
Deimos sorrise malizioso sul suo collo e riportò il viso davanti a quello di lei. << Rispondi >> le ordinò, incatenandola al suo intenso sguardo. 
Lei sospirò piano e posò gli occhi sulla mano che teneva stretta attorno alla sua canottiera. << Era solo per sapere... cioè, una curiosità... insomma volevo soltanto capire se... >> Gli strizzò il lembo di tessuto mentre il cuore le correva una storica maratona. << Se magari avevo... qualcosa di diverso o... >> Deglutì imbarazzata e corrugò la fronte. << O di speciale rispetto agli altri. Non che io dia importanza a queste cose ovviamente >> si corresse da ultimo, ridacchiando istericamente. 
Il giovane mantenne uno sguardo imperturbabile fino alla fine del suo contorto discorso, poi, osservando il lieve rossore che le si era propagato sulle guance, si piegò su di lei, quasi come se ne fosse stato improvvisamente calamitato. Gea alzò la testa appena avvertì le labbra di lui a contatto col suo orecchio. Gli circondò il collo con le braccia e lo avvicinò a sé, cercando di sentirlo ancora più vicino di quanto già non fosse. 
Deimos fece scendere le mani lungo i fianchi della ragazza e le fece incurvare la schiena contro di sé, poi le morse il lobo tanto forte da lasciarle il segno dei suoi denti, e la strinse contro il suo petto. << Gea >> soffiò rauco, facendo impazzire, per la seconda volta, il cuore della nominata. 
Perché a lei bastò quella risposta. Pronunciando di nuovo il suo nome stava rispondendo al suo dubbio, pur senza darle una certezza vera e propria. Ma ormai aveva imparato ad amare anche quel suo tratto misterioso e mai prevedibile, sapendo di non doversi mai aspettare una risposta certa, ma di dover sempre interpretare i suoi gesti e le sue parole. 
E lei, in quel momento, interpretò quel ribadire del suo nome come un assenso, come se lui stesse facendo un distinguo tra lei e chiunque altro, mettendola in una posizione più elevata e facendola sentire diversa, ma infinitamente speciale.   
La giovane sorrise felice e nascose il viso sulla spalla di lui. 
Deimos ritrasse la testa ed abbassò i suoi zaffiri sulla ragazza, riuscendo a vedere solo metà del suo volto illuminato dalla gioia. E prima che se ne rendesse conto, difronte a quel sorriso, il suo freddo cuore cominciò a battere rapidamente, scaldandosi di battito in battito. 





                                                                         *  *  *





Dopo poco Gea era saltata giù dal suo appoggio precario ed aveva annunciato che era giunta l'ora di cucinare il pranzo. Tutta baldanzosa aveva spinto Deimos fuori dalla cucina e si era figuratamente rimboccata le maniche. 
Il ragazzo non aveva opposto resistenza e si era teletrasportato al piano superiore per fare una doccia. 
Ma appena la giovane aveva aperto il frigorifero e ne aveva esaminato il contenuto, era rimasta ad osservare il vuoto più totale con uno sguardo disgustato. 
Aveva richiuso lo sportello con lentezza e si era precipitata per le scale per avvertire Deimos.
Bussò alla porta del bagno, sentendo lo scroscio dell'acqua, ed attaccò l'orecchio al pannello in legno. << Non c'è nulla da mangiare >> gridò per farsi sentire. << Il frigo è vuoto >> aggiunse, credendo di essere stata poco specifica. 
Non udendo alcuna risposta, abbassò la maniglia e con cautela immise la testa nel bagno. 
Il cuore le batteva già furiosamente a causa delle immagini poco caste che le avevano iniziato a vorticare per la mente fin dal primo momento in cui aveva sentito l'acqua abbattersi sul corpo del giovane.
Diede una rapida occhiata all'interno, mentre il vapore le si appiccicava sul viso come un panno bagnato. E fu proprio in quella rapida occhiata che i suoi occhi si abbatterono impetuosi su Deimos totalmente bagnato che usciva dalla cabina doccia. 
<< Oh mio Dio, ma sei nudo >> strillò con la voce di due ottave più alta. 
Il ragazzo si volse a guardarla con un'espressione distaccata. << Tu fai la doccia vestita? >> le domandò sollevando un sopracciglio. 
Gea boccheggiò sbigottita ed assottigliò lo sguardo. << Ma mettiti un asciugamano, per l'amore di Dio, sei ancora nudo >> esclamò lanciando più di un'occhiata al suo fisico statuario. 
<< E tu stai ancora guardando >> le fece notare, mentre una miriade di gocce d'acqua gli scendevano dai capelli sulla fronte. 
La ragazza assunse un'espressione risentita, come se fosse stata appena accusata ingiustamente, e ritrasse il capo stizzita. Chiuse la porta ed incrociò le braccia sul petto in attesa che lui uscisse dal bagno e la degnasse di una risposta. 
Scosse la testa appena le venne in mente l'immagine di Deimos che la fissava con quei profondi occhi blu da sotto i capelli neri sgocciolanti. Sospirò per darsi un contegno e si concentrò sui passi che percepiva provenire dall'interno. 
<< Che vuoi? >> le domandò secco, aprendo la porta di colpo e facendo spaventare Gea.  
La giovane compì una completa e lenta rotazione del busto e posò le sue gemme su di lui. Per poco non scivolò a terra, incastrata tra i suoi stessi piedi, quando si rese conto di quanto vicino lui fosse. Ma più di tutto di quanto poco vestito fosse dal momento che teneva solo un asciugamano legato poco sotto ai fianchi, lasciando scoperta una marcata V che terminava sotto il panno umido. 
E mentre il ragazzo la scrutava coi suoi sconvolgenti occhi cobalto tra i piccoli ciuffi che gli ricadevano sulla fronte, lei si interrogava mentalmente su come lui riuscisse a risultare tanto pericoloso quanto affascinante. 
In extremis si ricordò del motivo per cui era corsa fin lì e della domanda che le aveva fatto. Si ricompose in fretta, sbatté le ciglia a ripetizione e si costrinse a guardare solo i suoi zaffiri. << Non c'è nulla da mangiare >> disse poco dopo. << Nada de nada >> enfatizzò gesticolando. 
<< Vatti a vestire >> le ordinò con un cenno del capo ed un tono perentorio. 
La ragazza si guardò ed aprì le braccia in un gesto eloquente. << Sono già vestita >> gli fece notare tornando a posare le sue gemme su di lui. 
Deimos le rivolse un'occhiata raggelante. << Vai >> sibilò con una vena minacciosa. Dopodiché la superò e si diresse verso la sua camera, senza più degnare la giovane di uno sguardo. 
Gea lo seguì con gli occhi fino a che non lo vide chiudersi la porta alle spalle. Sollevò un sopracciglio stranita ed infine si affrettò a raggiungere il suo armadio. Ne tirò fuori un paio di pantaloncini di jeans ed una maglietta bianca con un semplice scollo a barchetta. 
Da qualche giorno il caldo stava diventando cocente, specialmente durante le ore del primo pomeriggio. Era avvertibile nell'aria come la primavera stesse sempre più giungendo al termine e l'estate bussasse alle porte. 
Ma in quel momento non era questo a scuotere e far scervellare la ragazza. 
Si cambiò rapidamente e corse di volata nel bagno per darsi una sistemata ai capelli e provare a dar loro una parvenza d'ordine. Appena la sua immagine si rifletté allo specchio, sulla sua faccia comparve una smorfia schifata. Buttò la testa all'ingiù e si pettinò quel cespuglio con le dita, stringendo i denti per il dolore e costringendosi a non avere pietà. 
Risollevò il capo ed osservò ancora una volta il suo riflesso. << Oh mio Dio >> sussurrò sconvolta, notando una sorta di criniera rigonfia attorno al viso. 
Sbuffò spazientita, inviando coloro a cui i capelli, comunque messi, stavano perfettamente, e li raccolse in fretta in una treccia su una spalla. Si diede gli ultimi ritocchi con le dita ed infine sciacquò la faccia già abbondantemente sudata con l'acqua fredda. 
Un minuto dopo corse verso la sua stanza, indossò i suoi unici stivaletti neri ed agguantò la borsa. Si precipitò per le scale con una furia ingiustificata, senza che ne conoscesse nemmeno lei il motivo. 
Arrestò la sua maratona solo quando mise piede nel salotto e lo trovò vuoto. A quel punto si dondolò sui talloni e puntò lo sguardo sulle punte delle sue scarpe, in attesa che il ragazzo scendesse. 
Neanche un attimo dopo sentì le assi di legno dietro di lei scricchiolare. Si volse e trovò un paio di accesi zaffiri che la fissavano. Gea lanciò solo una breve occhiata al modo in cui lui fosse vestito: maglietta aderente nera, pantaloni del medesimo colore e stivaletti neri. 
<< Dove andiamo? >> gli domandò entusiasta, aprendosi in un sorriso. 
<< A mangiare >> tagliò corto lui, muovendo un passo nella sua direzione.  
<< Pensavo a giocare a bocce >> rispose sarcastica la giovane, alzando la testa per guardarlo negli occhi. << Secondo me avresti fatto impazzire un sacco di vecchiette >> aggiunse divertita. 
Deimos le passò un braccio attorno alla vita e l'avvicinò a sé. << Valgono ancora tutte le regole >> soffiò sul suo viso, perforandola con lo sguardo. << Ognuna delle tre. >>
La ragazza sorrise ilare e si alzò sulle punte per baciarlo su una guancia. << D'accordo >> asserì sulla sua pelle, un secondo prima di ritrarsi. 
Il giovane cercò subito le sue gemme d'ambra e le scrutò minuziosamente, leggendoci non altro che una felicità incondizionata. Si abbassò su di lei e la strinse maggiormente al suo corpo, dirottando la bocca verso il suo orecchio. << Dopo ti consiglio di continuare quello che hai innescato >> le soffiò con un tono roco.
<< Se no? >> lo stuzzicò Gea, circondandogli il collo mentre il cuore le batteva a ritmo sostenuto.
Le sfregò la punta del naso sul collo ed infine tornò su lentamente, passando le labbra schiuse lungo tutto la risalita. << Ci penso io a farlo >> affermò aprendosi in un sorrisetto sfacciato. 
La ragazza rabbrividì appena lui le si distanziò per poterla guardare negli occhi e, prima che la sua mente se ne rendesse conto, il panorama della loro casa era stato sostituito da quello di una strada deserta in un luogo ancor più deserto. 
Gli slacciò le braccia dal collo e si guardò attorno. Il suo sguardo confuso si focalizzò sull'insegna malmessa di un ristorante tipicamente americano. 
Dalla vetrata poteva già scorgere dei tavolini rossi incorniciati da dei divanetti in pelle del medesimo colore e due o più carte del menù poste come sipario tra una postazione e l'altra. 
<< Dove siamo? >> domandò, continuando a studiare ciò che la circondava. 
<< Texas >> rispose secco il giovane, avviandosi verso il ristorante puntato da lei. 
Gea lo rincorse ed insieme varcarono l'ingresso, facendo suonare un campanellino posto da monito sopra la porta. 
Un vecchio uomo corse subito verso di loro e sorrise calorosamente. Congiunse le mani e guardò prima l'uno e poi l'altra . << Un tavolo per due? >> chiese rallegrato. 
Deimos annuì con un freddo cenno del capo e seguì l'anziano cameriere mentre li conduceva ad un tavolino attaccato alla parete di vetro che dava sulla strada. Durante il percorso le orecchie della giovane udirono più di un risolino sommesso e di qualche commento di apprezzamento nei confronti di qualcuno a lei sconosciuto. 
Si voltò a guardare il tavolo da cui provenivano gli schiamazzi ed immediatamente capì. Un gruppetto di cinque ragazze, probabilmente straniere a giudicare dall'accento, stavano insistentemente fissando Deimos con degli sguardi divertiti e sognanti.
<< Ecco a voi >> la ridestò l'uomo, mostrando ad entrambi il tavolino apparecchiato. 
In quel momento odiò profondamente quel vecchio signore tanto gentile ed affabile. Non perché le fosse diventato d'un tratto antipatico, ma perché aveva dato loro una postazione parallela e troppo vicina al gruppetto d'invaghite. 
Si costrinse a sorridere al cameriere e si sedette davanti al ragazzo. 
<< Torno fra poco >> si congedò il primo, sorridendo. 
Gea afferrò il menù e si volse a guardare infastidita le cinque giovani che continuavano a puntare Deimos, ignorando la sua presenza forse ritenuta superflua. 
Sbuffò dal naso e squadrò ciascuna di loro, mentre nello stomaco le si agitava una nube di nervosismo. Prima d'ogni cosa ispezionò i loro capelli: tutti impeccabili e privi di quel fastidioso crespo che a lei era sorto poco prima. Infastidita passò a studiare il modo in cui erano vestite, non curandosi del fatto che potesse sembrare sfacciata o maleducata. 
<< Che stai facendo? >> la riprese lui con un tono gelido.  
La ragazza sbuffò innervosita e portò lo sguardo sul menù. << Nulla >> tagliò corto. 
Deimos sorrise beffardo ed appoggiò un braccio sopra la testata del divanetto, spalancò le gambe e la osservò mentre era intenta a leggere le pietanze con un'aria crucciata.  
<< Scelto >> annunciò un secondo dopo lei, abbassando il cartoncino e portandosi una mano sotto al mento. << Tu che prendi? >>
<< Bacon Cheeseburger >> rispose in fretta, voltandosi a guardare il gruppetto di ragazze.
Gea sollevò un sopracciglio e picchiettò le dita sul tavolo con un'espressione spazientita. Sentì delle vocine stridule pronunciare un civettuolo "ciao" e dovette trattenersi dal generare un fulmine a cinque bracci e colpire ciascuna di quelle teste. 
<< Siete pronti, ragazzi? >> pronunciò l'anziano signore, ripresentandosi da loro con un sorriso solare. 
<< Sì >> affermò rapidamente Gea, riaprendo il menù. << Per me un'omelette con bacon e spinaci ed una bottiglietta d'acqua naturale. >>
<< Bacon Cheeseburger ed una birra >> ordinò il giovane, attirandosi gli occhi di lei addosso. 
Il cameriere se ne andò ringraziandoli e la ragazza tornò al suo sguardo innervosito rivolto al gruppo di straniere. Le fulminò una per una, ovviamente senza essere considerata da nessuna. 
<< Devo comprare un nuovo balsamo >> asserì scocciata, arricciando il naso e spostando l'attenzione sul ciuffetto che fuoriusciva dal termine della sua treccia. 
Non udendo neanche uno straccio di borbottio da parte del ragazzo, alzò la testa e fissò infastidita il suo profilo. 
<< Se vuoi puoi andare a conoscerle >> buttò là, cercando di mantenere un tono di voce pacifico e non acido come invece avrebbe preferito. 
Deimos portò i suoi zaffiri divertiti su di lei e premette i palmi sul tavolo per fare leva ed alzarsi. 
<< Stai scherzando? >> esclamò a bassa voce la ragazza, afferrandogli d'istinto un polso per trattenerlo.
<< Gelosa? >> la canzonò lui, sollevando un sopracciglio e piegandosi verso di lei con un sorriso malizioso. 
Gea strinse i denti e gli lanciò un'occhiata fulminante. << Quanto ancora hai voglia di divertirti? >> 
Il ragazzo scrollò le spalle e le alzò ulteriormente la testa, prendendole il mento tra due dita. Poi, di scatto, prima che lei si potesse lamentare, le tappò la bocca con la sua e la baciò con avidità e possesso.
Alle orecchie della giovane giunsero dei borbottii delusi a cui rispose con un sorriso sulle labbra di Deimos. 
Quando si allontanarono i loro occhi corsero l'uno alla ricerca dell'altra. Si osservarono senza delle reali espressioni, ma solo con una travolgente intensità che non fece loro notare l'arrivo del cameriere. Gea abbassò lo sguardo sul suo piatto con un leggero imbarazzo per quel piccolo spettacolo che li aveva visti protagonisti, Deimos invece persistette ad osservarla come se fosse stato alla ricerca di qualcosa sul suo volto. 
E quando, d'un tratto, lei distese le labbra in un timido ma felice sorriso, il suo cuore batté più rapido, mostrandogli il frutto della sua ricerca.   




























Angolo dell'autrice:

Buongiorno!!!
Innanzitutto scusate per il ritardo, ma ieri sera non mi si connetteva nulla ed è stata una battaglia persa -.-  
Secondo, questo che avete appena letto è il penultimo capitolo della storia. Il prossimo, ovvero l'ultimo, arriverà credo con un po' di ritardo >\\< questa settimana ho un sacco di cose da fare e forse avrò molto poco tempo per scrivere il mega capitolone che ho in mente. Ma penso che potrebbe arrivare domenica prossima :) 
Terzo punto ;) questa storia sarà seguita da un continuo. Ovviamente le cose tra Deimos e Gea si devono ancora sistemare e ci sono ancora una marea di punti interrogativi sia su di lui che sui poteri di lei, per non parlare poi degli altri due elementi. Di tutto questo: della maturazione e del saldamento del loro rapporto e delle lotte con acqua e fuoco parlerò nel seguito *_* sarà molto più dinamico rispetto a questa prima parte della storia! 
E quarto \(^.^)/ quando arriverà questo seguito? Non vorrei farvi aspettare troppo, quindi credo che dopo aver scritto un po' di capitoli comincerò a pubblicare. Penso mi ci vorrà un mese :) quindi all'incirca dopo un mesetto potrete cominciare a leggere il continuo *_*
Penso di aver detto tutto... ovviamente se volete sapere altro fate pure domande! 
Un bacione gigante a tutte!!! <3 
GRAZIE DI TUTTO <3
Buone vacanze!!!! 


Federica~

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***

























<< Non usciremo di qui finché non avremo pagato il conto >> s'impuntò Gea, lanciando un'occhiataccia al ragazzo seduto davanti a sé. 
Quest'ultimo sollevò un sopracciglio e le rivolse un sorriso derisorio. << Davvero? >> 
<< Eccome >> ribatté convinta lei, battendo un pugno sul tavolo. Si sporse in avanti e si guardò attorno con circospezione, per poi ritornare a puntare le sue gemme su di lui. << Deve finire questa cosa del "prendi e fuggi", e se proprio non puoi fare a meno di compiere cattive azioni, almeno per stavolta fai uno sforzo e comportati civilmente >> sussurrò con un tono perentorio. 
<< Mi stai dicendo che ho una cattiva influenza? >> le domandò divertito, fissandola coi suoi penetranti zaffiri. 
<< Be' >> iniziò a dire la ragazza, ritraendosi con un'espressione meditativa. << Non sei esattamente uno stinco di santo, la tua fedina penale è leggermente, ma proprio leggermente, sporca e non ti fai scrupolo ad insozzarla ancora di più... ma ci si può lavorare >> concluse ironica con un'alzata di spalle. << Se oggi compi questa bella azione, ovvero pagare il conto, sono sicura che ti potrai aggiudicare un piccolo spazio in paradiso >> concluse annuendo. 
<< E cosa dovrei farmene di un piccolo spazio in paradiso? >> le domandò calcando sulla parola "piccolo". Dopodiché abbassò la testa e fissò una mano di Gea sul tavolo. Osservò la sua pelle ricoperta di piccoli tagli e sbucciature su qualche nocca, poi il modo in cui le sue dita affusolate si stendevano sul pianale in legno, apparendo estremamente fragili. Rialzò gli occhi e la guardò di sottecchi con un'intensità tale da far battere il cuore della giovane ad una velocità olimpionica. << Te l'ho già detto >> le sussurrò con un tono rauco ed un sorriso sghembo. 
<< Che cosa? >> chiese confusa lei, osservando la mano di Deimos farsi più vicina alla sua mentre il battito cardiaco le pulsava nelle orecchie. 
Le dita del ragazzo le avvolsero delicatamente il polso e le sfiorarono quasi distrattamente la pelle. Subito dopo il sorriso del giovane si distese in uno beffardo. << Che tu verrai con me >> dichiarò perforandola con la forza dei suoi travolgenti zaffiri. << All'inferno >> sibilò un secondo prima che Gea capisse quali fossero le sue intenzioni ed entrambi scomparissero da quel piccolo ristorante. 




                                                                     *  *  *





Appena dopo giunsero nell'ingresso della loro casa. Gea alzò immediatamente la testa e scagliò i suoi adirati occhi sul ragazzo. << Ti costa così tanto comportarti almeno per una volta come una persona normale? >> sbottò frustrata. 
Deimos la osservò con un sorrisetto provocatorio stampato in faccia e le si avvicinò di un piccolo passo. << Perché non dici cos'è che ti dà davvero fastidio? >> le domandò con uno sguardo penetrante. 
Gea arretrò di poco e corrugò la fronte, sentendo scorrere delle gocce di sudore freddo sulla schiena. << Non c'è nulla che mi dia più fastidio del tuo atteggiamento da ladro incallito >> ammise incerta, scuotendo il capo. 
Il giovane continuò ad avanzare con un'espressione divertita e beffarda al tempo stesso. << Davvero? >> insistette inclinando la testa e passandosi la lingua sulle labbra.
<< Esattamente >> tagliò corto lei, prima di sbattere la schiena contro la parete e rimbalzare in avanti, finendo per scontrarsi contro il petto del ragazzo. Alzò lo sguardo di scatto e rimase prigioniera degli occhi color del mare notturno di lui. Deglutì in difficoltà e meditò su una rapida via di fuga con cui salvarsi, o meglio, su una scusa plausibile da propinargli prima che le facesse sputare quello che la sua mente aveva stupidamente pensato. 
Ma quando Deimos la spinse contro il muro e le precluse qualsiasi scappatoia col suo corpo, il cervello della giovane andò nel panico. 
<< Credo di dover vomitare >> buttò là con nonchalance. << L'omelette mi deve aver scombussolato lo stomaco >> aggiunse con un'espressione sofferente. << Perciò... se non vuoi prenderti una vomitata in piena faccia... come dire... >> temporeggiò gesticolando lentamente. << Dovresti spostarti e farmi raggiungere la meta, o meglio, il canestro >> affermò riducendo gli occhi a due fessure. << Non so se la metafora ha reso bene il concetto. >> 
Deimos sorrise sghembo e le appoggiò una mano sul fianco, per poi spostarla sulla sua schiena ed alzarle la maglietta. << Due cose ancora non ti sono chiare, umana >> dichiarò, calcando sulla parola "umana" di proposito per farla indispettire. In tutta risposta Gea arricciò il naso e strinse i denti. 
Con un rapido scatto la fece cozzare contro di sé e la guardò con un che di superiorità, non abbassando la testa. << Non puoi mentirmi >> le fece presente, mentre sulla bocca gli si delineava un sorriso provocatorio. Fece scorrere una mano lungo la schiena della ragazza ed in contemporanea si piegò su di lei per avvicinare le loro bocche. 
Si studiarono vicendevolmente, senza rendersi conto che man mano i loro occhi si socchiudevano e che l'avvolgente atmosfera creatasi li isolava dal resto del mondo. 
Gea fissò le labbra del giovane col cuore impazzito e la mente leggera, ed istintivamente alzò una mano per prendergli la maglietta e stringerla. Nello stesso istante Deimos accorciò le distanze e le sfiorò la bocca con la propria, aumentò la presa sulla sua schiena ed alzò gli occhi in quelli socchiusi di lei. << E non puoi nascondermi nulla >> sussurrò con un tono beffardo, ridestando la giovane dal corso dei suoi pensieri. 
Quest'ultima puntò le sue gemme nei profondi zaffiri del ragazzo e si schiarì la voce. << E cosa ti starei nascondendo? >> riuscì a chiedere, sperando che lui si stesse sbagliando. 
Deimos la indicò con un piccolo cenno del capo e si aprì in un ghigno divertito. << Il motivo per cui volevi tanto che pagassi il conto. >>  
<< È quello che ti ho detto: una semplice questione di principio >> ribatté annuendo e scrollando le spalle. 
Il giovane le passò una mano sotto la maglietta e le accarezzò la schiena con dei movimenti decisi e possessivi. Il che contribuì ad accelerare il ritmo cardiaco di Gea, che per un attimo abbassò lo sguardo e si concentrò sulla bocca del ragazzo. 
<< È inutile che continui a mentirmi >> le bisbigliò divertito, sollevandola improvvisamente da terra e muovendosi verso il salotto. La mise a sedere sulla testata del divano ed appoggiò le mani ai lati del suo corpo, facendosi di nuovo vicino al suo viso. << Dillo >> le ordinò con un tono profondo, incatenandola ai suoi severi zaffiri.  
Gea rimase a fissarlo in silenzio per qualche istante, mentre dentro di sé infuriava una guerra contro se stessa per essersi fatta incastrare e scoprire ancora. Alla fine sbuffò sconfitta ed abbassò la testa, guardandosi le gambe con aria assorta. << È solo una stupidaggine, insomma, non... >> Si morse un labbro in difficoltà, non rendendosi conto che il ragazzo seguiva con lo sguardo ogni suo più minimale gesto. << Tra gli umani funziona così a volte... cioè, quando il ragazzo paga un pranzo o una cena alla ragazza... insomma, è come se si trattasse di un appuntamento e... >> Scalciò piano coi piedi, mentre le guance le si coloravano di rosso, e si strinse nelle spalle. << Volevo solo che il pranzo di oggi... ci assomigliasse. Ma è solo una stupidaggine, non ci ho dato poi così tanto peso >> mentì con un'altra alzata di spalle. 
Deimos sollevò un sopracciglio ed avvicinò il viso a quello della ragazza, sfiorandole una ciocca di capelli con la bocca per farle alzare la testa. << Ah no? >> le domandò canzonatorio. 
<< No, affatto. E comunque se sapevi tutto potevi evitare di farmelo dire >> ribatté stizzita, scostandosi dal suo tocco. 
Il giovane si ritrasse appena e la seguì con gli occhi mentre lei, indispettita, si girava per non guardarlo in faccia. Un sorriso compiaciuto si affacciò sulla bocca di Deimos, che subito le si avvicinò e le accarezzò i capelli con il naso e le labbra, inspirando tra essi e facendosi strada verso il suo orecchio. << Quanto sei umana >> le sussurrò contro il padiglione, afferrandole l'elastico della treccia e tirandolo rudemente per attirare la sua attenzione e farla voltare. 
<< Quanto sei subdolo >> contrattaccò Gea, tornando a posare gli occhi su di lui. 
Si osservarono per qualche istante. Due grandi occhi da cerbiatto avvolti dalla profondità di due zaffiri blu notte. Poi il ragazzo accorciò rapidamente le distanze tra i loro volti e la baciò d'impeto, quasi rischiando di farla cadere all'indietro se non fosse stato per la mano con cui la teneva stretta a sé. 
La giovane si allungò come un gatto contro il suo petto ed allacciò le braccia dietro il suo collo. Gli morse il labbro inferiore per dispetto e sorrise sulla sua bocca non appena lo sentì ringhiare infastidito. Subito dopo lo strinse ancor di più a sé e rispose con passione ai frenetici baci con cui il ragazzo le impediva quasi di respirare.
Con la mano libera la prese sotto un ginocchio e le alzò la gamba per condurre i suoi movimenti finalizzati a circondargli i fianchi. Dopodiché la sollevò dalla scomoda testata del divano e la teletrasportò con sé al piano superiore, nella camera da letto di lei. 
La distese sotto il suo corpo senza mai staccarsi dalla sua bocca, come se non fosse più in grado di farne a meno, e le alzò la maglietta fin sotto al seno. 
Gea fece pressione contro le sue spalle per farlo alzare ed il ragazzo si fermò istantaneamente, distanziandosi dalla sua bocca. I loro respiri affannati si miscelarono, senza più sapere dove iniziava l'uno e dove finiva l'altro. E lo stesso fecero i loro occhi, incatenati come per effetto di due potenti calamite. 
La ragazza allungò le braccia e chiuse le dita attorno ai lembi della maglietta di lui, cominciando poi a sollevargliela lentamente. E Deimos, per tutta la durata di quel gesto, la scrutò minuziosamente, leggendo tra le righe di ogni più sottile sfumatura delle sue gemme ambrate, finché non fu costretto ad interrompere quel contatto visivo per farsi sfilare la maglia. 
Gea la gettò sul comodino lì vicino ed alzò il mento per far ricombaciare le loro labbra. Espirarono rapidamente l'uno sulla bocca dell'altra, a pochi millimetri di distanza. Infine il giovane si abbassò completamente su di lei e la baciò con trasporto, aumentando l'intensità del loro contatto ad ogni carezza che le mani della ragazza gli depositavano sulla schiena.  
<< Deimos? >> lo chiamò lei in un sussurro, distanziandosi quel tanto che bastava a riprendere fiato. 
Il cuore del ragazzo accelerò i battiti nel sentire pronunciare il proprio nome. << Che c'è? >> le rispose secco, calandosi sul suo collo e cominciando a baciarlo appassionatamente. Le morse piano la pelle e, dopo averla sentita mugolare, ci passò la punta della lingua, addolcendo la forza dei baci che le stava seminando. 
<< Mi chiamerai ancora per nome? >> gli domandò speranzosa, mentre aumentava la presa attorno alla sua schiena e si solleva per inspirare l'odore dei suoi capelli. Chiuse gli occhi e sfregò le labbra su alcune ciocche del ragazzo, quasi non accorgendosi della mano di lui sulla propria schiena che la stava sollevando. 
E così, appena un attimo dopo, entrambi si ritrovarono seduti l'uno davanti all'altra. 
Deimos le afferrò rapidamente la maglietta e la fece sparire dalla sua vista in un batter di ciglia. E la giovane, dal canto suo, si protese verso di lui e chiuse le labbra sulle sue in un tenero bacio privo di urgenza, come se intendesse soltanto imprimere quel momento nelle loro menti. Appoggiò le mani sulle sue spalle muscolose e gli si avvicinò ulteriormente, sospinta anche dal palmo del ragazzo premuto sulla sua schiena. 
Quest'ultimo inclinò la testa ed intrecciò la lingua a quella di Gea, innescando in tal modo una miccia nei corpi di entrambi. La giovane aumentò la pressione sulle sue spalle e lo spinse disteso sul materasso con un colpo secco, mettendo bruscamente fine al loro bacio. 
Due ardenti zaffiri saettarono in due offuscate gemme ambrate con una rapidità tale da sembrare quasi che i loro sguardi non si fossero mai allontanati. 
<< Non mi hai risposto >> bisbigliò Gea, stendendo le braccia ed adagiando le mani sul suo petto marmoreo. 
Deimos non proferì parola, ma si limitò a leggere e snodarsi tra le gradazioni chiare e calde degli occhi della ragazza. Come ogni altra volta, riuscì a decodificare le emozioni che attraversavano le sue iridi, traducendo la luminosità che le contraddistingueva in una viva speranza in una sua risposta affermativa. Poi abbassò lo sguardo e lo posò sulle sue guance arrossate e sulle sue labbra gonfie di baci, sentendosi irrimediabilmente attrarre da tutto ciò su cui i suoi zaffiri si posavano. 
Si sollevò leggermente, posando una mano sul letto per sorreggersi, ed avvicinò il volto a quello della giovane. Poi le portò l'altra mano sul collo e sorrise sfacciatamente ad un centimetro dalle sue labbra. << Non sono tenuto a rispondere ad ogni tua domanda >> le fece presente, inclinando la testa e sfregando le loro bocche. 
Gea socchiuse gli occhi assuefatta e gli passò una mano sulla nuca, accarezzandogli i capelli con dei delicati tocchi. << E non puoi fare un'eccezione per stavolta? >> sussurrò mentre gli sfiorava il naso con la punta del proprio. << Mi accontenterei anche di un monosillabo >> aggiunse con un sorriso divertito. 
Il cuore del ragazzo cominciò a sbattere contro il suo petto ad una velocità sostenuta, ma non quanto quella a cui stava correndo quello della giovane. 
E così lui si ritrovò a deglutire e a fissare con intensità la bocca di Gea sempre più vicina alla sua. Un secondo dopo capovolse le posizioni e si distese sul fisico di lei, prendendole i polsi e bloccandoglieli contro il lenzuolo. Le rivolse uno sguardo tanto famelico quanto travolgente e si precipitò a succhiare e lambire quelle labbra che lo riempivano di desiderio anche solo guardandole. 
Gea mugolò in segno di protesta non appena cercò di muovere le mani che le teneva ferme, ma appena un secondo più tardi smise di lamentarsi e si fece trasportare dal passionale bacio che le stava annebbiando il cervello. 
E proprio nel momento in cui lei riuscì a sfuggire dalla presa fatta più lente e ad intrecciare le dita tra i capelli del giovane, questi si allontanò di scatto. Alzò la testa e puntò il suo sguardo divenuto improvvisamente freddo sul muro, come se riuscisse a vedere qualcosa al di là di esso. 
Gea lo osservò confusa, poi quella sua confusione si trasformò in allarme quando lo vide scendere di volata dal letto e fermarsi in mezzo alla stanza. 
<< Che sta succedendo? >> domandò preoccupata mentre si tirava a sedere. 
Gli imperscrutabili e glaciali occhi di Deimos rimasero fissi su un preciso punto della parete. << Dobbiamo andarcene da qui >> asserì lapidario, voltandosi a guardarla con durezza. << Adesso. >>
La ragazza sgranò le sue gemme, impaurita, e si catapultò fuori dal letto. Raccolse la sua maglietta, indossandola in tutta fretta, e lo raggiunse prima che lui uscisse dalla camera e si recasse nella propria. Gli agguantò un braccio e lo fece girare parzialmente verso di sé. << È quello che penso io? >> domandò con la paura dipinta negli occhi e le gola secca. << Acqua e fuoco? >> 
<< Datti una mossa >> la reguardì secco, prima di scrollarsi la sua mano di dosso e ricominciare a camminare. 
Gea lo seguì con lo sguardo ed infine sbuffò stressata. Rientrò nella sua stanza e raccolse le sue due felpe dall'armadio, poi la sola biancheria pulita che le era rimasta e qualche maglietta. Il resto lo avrebbe comprato in seguito, o almeno sperava di poterne avere l'occasione. 
Corse al bagno e, non sapendo cosa prendere, troppo scossa dai mille pensieri che le si aggrovigliavano nella mente, afferrò un rotolo di carta igienica. Si caricò tutto tra le braccia e corse al piano di sotto, più precisamente nella cucina. Gettò il carico sul tavolo ed andò a cercare un sacchetto nello sportello sotto l'acquaio in modo da poterci mettere dentro tutto ciò che aveva raccatto. Non trovò nulla. 
Esasperata dalla situazione e dalle mancate risposte di Deimos, sbatté la piccola anta e ripercorse le scale alla velocità della luce. Strappò via il lenzuolo dal letto e tornò al piano inferiore per usarlo come sacchetto. 
Il ragazzo apparve alle sue spalle, con una nuova maglietta addosso, mentre lei si stava sforzando di arrotolare il telo per farci un nodo. 
<< Ferma >> le ordinò con freddezza, raggiungendola e strappandole il lenzuolo dalle mani. Gea lo osservò assorta, mentre lui riusciva nell'impresa che lei aveva appena fallito. Poi entrambi sollevarono la testa nel medesimo istante, e con essa anche i loro sguardi si abbatterono l'uno sull'altra. 
Deimos percepì la paura della ragazza riempire la stanza, e quello stesso terrore riuscì a vederlo riflesso nelle sue iridi accese. Per un attimo, mentre scrutava quei grandi occhi da cerbiatto, la sua mente scattò a ritroso come una molla improvvisamente lasciata andare. Ripercorse in rapida successione ogni ricordo in cui quella strana umana che gli faceva battere il cuore sorrideva e rideva, in cui si addormentava di schianto sul suo petto, in cui si arrabbiava per tutte le volte che la prendeva in giro e in cui gli mostrava le infinite sfaccettature del suo carattere. 
Di una sola cosa fu sicuro in quel momento: che non avrebbe permesso a nessuno di portargli via quell'umana. Era sua, e nessuno avrebbe dovuto osare strappargliela dalle mani. 
<< Muoviamoci >> ringhiò tra i denti, avvicinandosi a lei e stringendole un gomito tra le dita. 
Gea deglutì e lo guardò con un velo di apprensione. << Non tradirai di nuovo la mia fiducia, vero? >> gli domandò con un filo di voce. 
Deimos la fissò con un'impassibilità tale da farle contorcere lo stomaco per l'ansia. Per vari secondi non proferì parola, facendo accrescere lo stato di agitazione della ragazza. Poi le afferrò il mento con due dita e le alzò bruscamente la testa, avvicinò il suo viso e la trafisse con uno sguardo tanto profondo quanto il mare tempestoso racchiuso in quelle iridi. << Dammi un motivo >> le sussurrò a pochi centimetri dalle labbra. 
E poi, prima che quelle parole acquistassero un senso nella mente di Gea, entrambi abbandonarono quella casa: compagna silenziosa delle loro vicende, fida osservatrice di mille nascenti sentimenti e leale rifugio delle loro anime. 


















LA STORIA AVRÀ UN SEGUITO A BREVE XD QUESTO È SOLO L'INIZIO!




Angolo dell'autrice:

Buonaseraaaaa!! Quanto tempo, eh? >.< 
Scusatemi davvero, mi sono fatta prendere dalle vacanze e addio a tutto -.- 
Ma passiamo al capitolo! Inizialmente avevo intenzione di farlo più lungo, ma poi, non so, ho cominciato a ritenere più giusto che fosse così. 
Non volevo mettere troppa carne sul fuoco prima di concludere e quindi ho deciso di focalizzarmi solo sui due baldi giovani e sull'imminente minaccia. 
Adesso però non vedo l'ora di cominciare a scrivere il seguito *_* 
Ma dovrò andare un po' per gradi perché prima ho intenzione di focalizzarmi sul seguito di Keep Your Eyes Open >.< 
Ma so già che, per quanto mi possa prescrivere degli ordini mentali, farò come la mia fantasia comanda e scriverò tutti i seguiti insieme -.- 
Sul gruppo Facebook vi terrò continuamente aggiornate su quale sto scrivendo e magari vi pubblicherò anche degli spoiler *_* siiiiiiii!! Questa cosa mi elettrizza da morire ahahahah!
Questo significa che per un po', ovviamente, sparirò da Efp, ma solo nel senso che non pubblicherò nulla di nessuna storia per del tempo */\* 
Non so dirvi per quanto di preciso perché prima devo cominciare a scrivere ed avere un po' di materiale sottomano, ma vi farò sapere tutto sul gruppo! 
Cos'altro dire su questo finale de "I poteri del tetraedro"... ah sì, l'ultima risposta di Deimos appare un po' ambigua e non chiara, ed oltretutto nn sappiamo nemmeno dove la porta, ma volevo proprio che fosse così. In fondo Deimos è un tipo abbastanza misterioso e come una volta ha detto Gea "con lui tutto può voler dire il contrario di tutto, niente è sicuro". In un certo senso la sua risposta rende ancora più aperto il finale... o magari è solo una mia impressione O.o 
Mi faccio sempre un sacco di rigirii mentali su ogni cosa -.- abbiate pazienza -.- 
Insomma, che altro dire, mi sono divertita davvero tanto a scrivere questa storia! La amo al pari di tutte le altre e mi rende felicissima sapere che anche a voi sia piaciuta *_* è una soddisfazione immensa! \(^.^)/ 
E con questo concludo il mio piccolo arrivederci ;) 
Vi ringrazio di tutto!!! E da domani comincerò a rispondere a tutte le recensioni a cui non ho risposto in passato \(^.^)/ scusatemi per tutti i ritardi >\\< 
Vi voglio bene <3 
Un bacione a tutte!!!!!!

Federica~

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