Cenere

di Lady A
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In vino veritas ***
Capitolo 2: *** Follia ***



Capitolo 1
*** In vino veritas ***


Cenere
 
 
[Oscar]
 
Il sole sta tramontando, cullato dal dolce incanto amaranto dell’abbraccio del cielo che si tinge progressivamente di un rosso vivo. Il pianto antico del vento accompagna con fitta solerzia, la fine di questa fredda giornata di febbraio dove i miei pensieri non sono altro che minuscoli frammenti di pulviscolo. Un veleno di nome dolore, mi scorre implacabilmente nelle vene, mischiandosi al mio sangue per affluire con vigore, ai rizomi feriti del cuore. Nella mia mente, solo lo spazio per una mite preghiera.

Signore fa qualcosa per Fersen, fa che l’amore gli dia la felicità completa, lo merita con tutto il cuore e fa, che io riesca a dimenticarlo per sempre.

E’ per lui che ho deciso di lasciare la Guardia di Sua Maestà, ed è per lui, per questo mio triste amore negato che d’ora in poi, voglio vivere come un uomo, allontanando da me ogni fonte di debolezza, cancellando per sempre l’esistenza di quei sentimenti che hanno carezzato e fatto traboccare inutilmente il mio cuore di donna, quei stessi sentimenti che alla fine, mi hanno obbligata a dirgli addio e a porre fine alla nostra amicizia. Non la dimenticherò mai Conte di Fersen, come forse, mai mi dimenticherò di voi e di quell’appassionante amore che inconsapevolmente, siete riuscito a far sorgere in me, né il calore delle vostre braccia e l’ammaliante dolcezza del vostro sguardo quando la sera del ballo mi avete stretta a voi. Era un freddo dicembre ma vicino a voi, il gelo si plasmava in mite zefiro. Se aveste saputo che donna ero quando ci siamo conosciuti, forse allora avrei avuto qualche possibilità… era questo che desideravate dirmi nel nostro ultimo e infelice incontro, vero Fersen? Ma tra le mie lacrime e quelle che effimere attraversavano il firmamento, ho preferito mettervi a tacere, non ascoltarvi, non conoscere quell’umiliante verità. Non avrebbe avuto senso.
Mentre mi perdo nei dedali spinosi di questi pensieri, cavalcando di ritorno da Versailles dopo aver informato della mia decisione la Regina, mi volto in direzione di André.
«Portami a bere, André…».
L’unico riverbero di felicità in grado di allietare la mia esistenza. Bere a tal punto da dimenticare tutto e tutti. 
 
 
[André]
 
Il sole sta tramontando, presto l’ombra profonda e solitaria della notte avvolgerà ogni cosa da rendere indistinguibili i profili delle case, degli alberi e delle persone e a quel punto, calerà inesorabilmente anche su di me, sul mio occhio destro, spegnendolo come quello sinistro. E io lo temo. Temo terribilmente l’avvento di quel momento. Non ho ancora alcuna certezza, solo il dottor Lasonne potrà proclamare il verdetto finale della mia condanna. E se ciò davvero accadesse cosa farò? Come farò a vegliare su di lei e a proteggerla come ho sempre fatto e come per sempre desidero fare?

«Portami a bere, André…».

Nella cupa silenziosità del calar della notte, la sua richiesta risuona come un freddo ordine e io l’accontento.

Cosa ti succede Oscar? Continui a pensare a lui, al Conte di Fersen?

Cullati dal silenzio notturno e dalla dolce luce della luna che amabilmente avvolge il velo del cielo, cavalchiamo verso le vie di Parigi. Raggiungiamo un quartiere modesto, abbastanza tranquillo. Smontiamo da cavallo, dirigendoci alla Bonne Table. E’ qui che vengo di solito, cercando di annegare nella dolce e stordente compagnia dell’alcool il mio amore per lei. Sei più triste e silenziosa del solito questa sera e con dolore ne comprendo il motivo. Ordiniamo la prima bottiglia di vino Borgogna e prendiamo posto intorno ad un tavolino più intimo e isolato degli altri. Meglio che non si accorgano di noi. La nobiltà e i sovrani sono visti sempre con maggior odio da parte del popolo, tutto ciò, porterà prima o poi all’insorgere di qualcosa di irreparabile, forse inimmaginabile. Ti verso il primo bicchiere di vino, cercando con tutto me stesso un contatto diretto con i tuoi occhi, quando delle urla improvvise attirano la nostra attenzione.

«Ehi bellezza che ne dici di venire a scaldarmi il letto? Ti darò molto denaro!».

«Mi lasci immediatamente!».

Un uomo molto robusto, di mezz'età, dall’aspetto sbrindellato e probabilmente ubriaco, sta disturbando una ragazza dinanzi l’indifferenza totale dei presenti. Nessuno sembra voler intervenire. Prima che la situazioni degeneri, li raggiungo.

«Calma, non te la prendere amico, lasciala in pace, non vedi che non vuole?». Gli parlo gentilmente, poggiandogli una mano sulla spalla nel tentativo di lenirlo, ma lui non sembra propenso al dialogo. Irato e barcollante per via dei fumi dell’alcool, fa per sferrarmi un pugno che eludo con un’enorme facilità, gettandolo senza fatica e con un sorriso divertito, contro un tavolino libero. Quell’uomo era così ubriaco che finisce per addormentarsi pacatamente lì, come se nulla fosse accaduto.

«Vi ringrazio, siete stato gentile…». Quasi dimentico di lei, incontro il volto della ragazza. Ha dolci occhi verdi e lunghi e mossi capelli castani che le lambiscono delicatamente le spalle e il petto. Dall’espressione del viso e della fermezza della sua voce, trapela un’eleganza innata, un’onda di fierezza e orgoglio molto simile a quello di Oscar. Ne rimango colpito. «Rischiavate di essere coinvolto eppure siete intervenuto lo stesso, vi ringrazio. Il mio nome è Geneviève Dumas».
Avverto una strana suggestione quando incontro la pienezza del suo sguardo. Mi allunga la mano e io ricambio, preda di un insolito imbarazzo.
«Si figuri… io sono André Grandier».
Non appena pronuncio il mio nome, avverto Geneviève aumentare inspiegabilmente la stretta. I suoi occhi sgranano repentini, ebbri di un sentimento molto simile allo stupore.

«Geneviève! Geneviève!! Mia sorella sta male, accorrete presto!».

Un giovane ragazzo biondo, coperto quasi interamente da stracci e dai piedi scalzi, accorre trafelato nella locanda, attirando l’attenzione di tutti.
«Ti raggiungo subito Lionel, non preoccuparti, sai già cosa devi fare!».
Geneviève lo rassicura dolcemente, strizzandogli amichevolmente l’occhio. Tuttavia la sua mano è ancora unita alla mia e sembra non aver alcuna intenzione di lasciarla.
«André Grandier voi… verrete ancora qui?». Si rivolge nuovamente a me, annullando finalmente la presa e voltandosi di profilo.
«Certamente…». Rispondo solo, accennando un sorriso.
«Spero di incontrarvi ancora, vi devo molto…». La sua voce si forgia in un mite e apprensivo sussurro. Una gentile carezza del vento. La seguo con lo sguardo e non mi sfugge il tenero sorriso che mi rivolge poco prima di lasciare la locanda. 
«André chi era quella donna? La conosci?». Mi volto e con sorpresa vedo Oscar alle mie spalle.
«No Oscar, non l’ho mai vista prima». Guardo il suo volto. Dal tenue rossore che le intinge deliziosamente le gote, deve aver già bevuto l’intera bottiglia di vino.
«Che strano, da come ti ha guardato mi è sembrato il contrario…». Un’ambigua nota di presunzione nella sua voce.

Non frequento altre donne al di fuori di te, dovresti saperlo Oscar.

Mi avvicino al bancone e ordino altre due bottiglie di Borgogna. Insieme riprendiamo posto al tavolino. E di nuovo il silenzio si frappone dolorosamente tra noi. Sono nuovamente invisibile ai suoi occhi. Sono lucidi, a cosa pensi Oscar? Ancora lui?
Mi ritrovo ad ordinare altro vino. Anch’io stasera ho bisogno di dimenticare.
 
 
[Oscar]
 
 
Silenziosa e delicata, la luna muore a poco a poco nel freddo crepuscolo del cielo, dove il sole si appresta a sorgere e a omaggiare di tenera rugiada di vita, l’alba di un nuovo giorno. Una fitta nebbia avvolge ogni cosa. Tutto è indistinguibile e confuso ai miei occhi.  Un dolore lancinante alla testa mi porta via il respiro. Avanzo lentamente, a fatica, sostenuta da André che regge le redini dei nostri cavalli, guidandoli dolcemente verso casa. Nella mia mente, solo un misero spazio per frammenti incolori di ricordi e pensieri che si fondono indissolubilmente tra loro.
Fersen.
Un barlume di triste e dolorosa lucidità.
Il suo nome risorge dalle ceneri incandescenti della mia memoria, fossilizzando il mio cuore e la mia anima, imbrattandoli di un nefasto e vischioso colore. Ma poi di nuovo i violenti fumi dell’alcool riprendono a fluire con prepotenza nel mio sangue, annullando ogni cognizione di tempo e vita, gettandomi in un limbo di incoscienza, fragilità e apatia. Il respiro si ferma. Tutto prende impetuosamente a girare. Siamo ormai giunti nei miei appartamenti, ma non ho stimoli né forze per muovermi. Mi accascio a terra, ma tu André, ancora una volta mi sorreggi. Non ho neanche la forza di allontanarti, di scansarti. Ti prego, lasciami in pace. Il giorno che sta lentamente per nascere si preannuncia particolarmente rigido, o forse, sono semplicemente io a non percepire umanamente alcun calore. Mi aiuti disfarmi della pesante giacca della mia divisa. Un po’ barcollante, mi prendi tra le braccia per condurmi a letto e io te lo lascio fare. Chiudo gli occhi nel saggiare la morbida consistenza del cuscino e del caldo piumone. Ti sento vicino. Mi sei incredibilmente vicino. Mi guardi e lentamente accosti una mano al mio volto. Una carezza. Apro gli occhi e solo in quel momento mi accorgo di non aver ancora allentato la presa intorno al tuo collo. Ci fissiamo per un lungo istante. Il mattino si colora dei primi sprazzi di luce. Avverto il cuore fermarsi e il tuo respiro scivolare inesorabilmente su di me. Rabbrividisco. La dolcezza del tuo sguardo, mi toglie il respiro, sciogliendo inaspettatamente qualcosa in me. Un nodo, il gelo, quell’unico riverbero di razionalità. Socchiudo gli occhi e sussurro il tuo nome sottovoce. Con una mano tremante ti accarezzo lievemente il viso, incontrando in un inaspettato bacio, le tue morbide labbra.
 
 
[André]
 
Un bacio; questo bacio ha il potere di arrestare all’infinito lo scorrere irremovibile del tempo e della vita, ubriacando e colmando della sua calda essenza il cuore e la ragione. Le nostre labbra si incontrano e sfiorano come in un chiaroscuro di luci e ombre. Con una mano, mi spingi maggiormente contro la tua bocca e il tuo corpo, mentre con l’altra, percorri lentamente i sentieri del mio viso. Scivoli dalla fronte, all’occhio, alla guancia, al mento fino al centro del mio petto. Io ti amo Oscar. Ti amo da impazzire, come un folle. Vorrei gridartelo, sussurrartelo. Vorrei… ma non posso. Cosa stiamo facendo?
Non è me che vuoi, lo so bene… lo sai bene.
«Oscar…». Eludendo il tuo sguardo lucido, languido, mi sposto lentamente da te. Ma ancora una volta mi sorprendi, mi uccidi. Le tue piccole mani stringono la mia schiena. Carezze inaspettate, fanno vibrare di passione il mio cuore e ridestare di tangibile desiderio il mio corpo. Bacio appena la tua fronte e i tuoi biondi capelli, ed esercito una piccola pressione sulle tue spalle per allontanarmi da te. Ma tu non vuoi. Le tue labbra timide e inesperte, ancora impregnate da dolci rivoli di vino, riprendono ad assaporarmi. Teneramente allenti il nodo del fazzoletto intorno al mio collo, privandomi della giacca di fustagno e infine della camicia, che silenziosamente, si accasciano ai piedi del letto. Dolcemente esasperato, imprigiono il tuo viso tra le mani.
«Ti prego guardami Oscar. Io non sono il Conte di Fersen».
«Non lasciarmi André…». Le tue labbra umide di baci, tremano nel sussurrare il mio nome e i tuoi occhi brillano di pura e splendida rugiada. Temo d’impazzire. Con le mani sfioro lentamente, attraverso la fine stoffa di lino, i tuoi fianchi, soffermandomi poi, alle tenerissime curve del tuo seno, ancora costretto dalle fasce. Ti bacio con esasperante lentezza, prima di perdere del tutto la ragione. Ti libero da ogni cosa. Bacio, venero e assaporo la tua bianca pelle, i tuoi seni, il tuo ventre. Affondo e mi perdo inesorabilmente in esso, nella sua rovente profondità. La fredda stanza, si riempie in breve dei nostri caldi sospiri, mentre fuori impazza un inaspettato temporale. Esso ha spazzato via la luce nascente del sole, oscurando tristemente il Mondo.
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Follia ***


Cenere

 
 [André]

L’alba è sorta da molte ore agli occhi al Mondo. Un nuovo giorno è nato ma esso non assaporerà mai le carezze delicate del sole. L’oscurità ha crudelmente inghiottito ogni viva fonte di luce e speranza. Un terribile temporale impazza facinoroso e inarrestabile, sradicando case e alberi, spezzando inesorabilmente via vite umane, straripando torrenti, laghi e fiumi, abbattendo le statiche barriere di volontà imposte dell’uomo e dalla Natura. Un fulmine sconquassa violento il petto del cielo, ridestandomi bruscamente dalle densi coltri del sonno. Apro l’occhio e il buio mi avvolge nella sua più completa intensità. La mia vista è nuovamente offuscata da un impalpabile velo di nebbia, che lentamente, si dissolve in barlumi di vacuità. Temo sempre di più l’arrivo del giorno in cui essa diventerà la mia unica compagna di vita, la mia condanna all’ombra eterna. Lentamente, mi muovo tra le caldi coperte che pacatamente, lambiscono il mio corpo fino al busto. Un mite ricordo soffia imperioso e ardente sui sentieri della mia ragione. Mi volto e ciò che vedo mi lascia senza fiato. I suoi biondi capelli sono disordinatamente sparsi sul cuscino, come una pioggia di stelle. I fugaci bagliori della tempesta ne illuminano la bianca pelle, splendente come la luna Regina del cielo. Le sue labbra dolcemente schiuse, che di deliziosa Ambrosia hanno teneramente nutrito il mio corpo, i miei sensi e il mio spirito, tremano appena, immerse in un labile confine tra sogno e realtà. Improvvisamente però, il mio respiro si ferma. Il mio cuore vibra di una triste nota di agonia. Ancora persa nei dedali velati del suo riposo, piccole scie di rugiada le solcano e bagnano irrimediabilmente il viso, morendo sul freddo candore delle lenzuola. La vedo muoversi lentamente, piegando le labbra in una smorfia di pura sofferenza. In balia di questo infelice tormento, la nostra pelle nuda si incontra e si sfiora, il mio cuore la cerca ma non la trova. Poi dalla sua bocca una triste e lacerante verità.

«Fersen…».

Lo sussurra, lo implora, lo prega, lo sogna una volta e poi all’infinito, come una condanna.
Avverto il mio corpo tremare. Un freddo pungente discende inesorabilmente su di me, lambendo di gelo la mia anima, togliendomi per un secondo il respiro e forse la vita. E’ questa la morte? I battiti del cuore si disperdono in un oceano liquido di infinita amarezza e agonia. Ancora una volta l’oscurità totale cala silenziosamente su di me. L’eco di un tuono si disperde improvviso tre le mura della stanza, mettendo in allerta i miei sensi.

E’ sempre lui che pensi e ami, Oscar.
Le tue labbra sono colme solo del sapore del suo nome, ed è pensando a lui che questa notte hai sospirato calde note di intensa passione.
Eppure per un attimo mi sono illuso, sono stato proprio uno sciocco Oscar, lo ammetto!

Un lampo rischiara nuovamente di vita il buio segreto del mio sguardo. Ancora accanto a lei su questa tiepida alcova di sole spine, raccolgo stancamente le mie vesti. La pioggia continua a battere incessante, la osservo attraverso i vetri offuscati delle finestre. Sono lacrime del cielo. Con l’angoscia nel cuore, sfiorato da questo suono bagnato, mi alzo e mi rivesto velocemente. Il suo odore di donna carezza ancora il tessuto dei miei vestiti. Con cautela, la contemplo un’ultima volta, vorrei rubarle un ultimo bacio, ma non lo faccio. In silenzio mi allontano, ma un rumore alle mie spalle, un denso fruscio di coperte, pone definitivamente fine alla mia esistenza. E’ la mia triste discesa verso la città di Dite, si spalancano le porte dell’Inferno.
 


[Oscar]

L’ennesimo grido del cielo si abbatte su di me, ridestandomi dalle ceneri opache del sonno. Una profonda oscurità dipinge di gocce di fiele, il cobalto intenso della volta celeste. Un senso di nausea opprime le pareti del mio stomaco avvezze ormai da anni, ai sapori intensi e stordenti dell’alcool, nettare Divino della mia esistenza. Lentamente apro gli occhi e un’inesorabile emicrania frena per alcuni istanti il flusso lieve del mio respiro. Un gelo improvviso, rasenta il mio corpo e il mio cuore, facendomi rabbrividire. Stancamente, mi muovo tra la fredda marea delle lenzuola, che come mite pioggia scivolano e carezzano le insolite nudità della mia pelle. In un fugace attimo realizzo il perché. Il cuore e il Mondo si fermano, i miei occhi si colmano di incertezza e sgomento. Ricordi inaspettati di un’insensata passione, attraversano e incendiano di disonore gli orli della mia ragione. Velocemente, mettendomi a sedere, guardo dinanzi a me, riconoscendo tra il limbo delle ombre, la sua figura. E’ immobile e di spalle, come pietrificato.
«Dimmi che non è vero André…». Sussurro trafelata. Una feroce inquietudine si espande silenziosa e istantanea nel mio petto. Smarrita, lo osservo in attesa di ascoltare alle sue parole, ma lui indugia statico nella sua impenetrabile posizione.
«Dannazione André, rispondi!».

Signore, fa che non sia vero!
Non può essere vero!

«E’ soltanto un brutto sogno Oscar… E’ questo che vuoi che ti dica?».
In un secondo, la sua voce quiete ma tagliente pone fine ad ogni mia labile illusione. In quell’istante smetto di respirare e forse di vivere. Spire letali di fuoco bruciano di rancore le mura della mia esistenza.
«Come hai potuto André?!». Grido sconvolta, stringendo i pugni con violenza. Le mie labbra tremano intrepide. A fatica, trattengo un singulto d’orrore.
«Hai ragione, l’alcool mi ha annebbiato la mente, ti chiedo scusa… scusa davvero Oscar. Spero tu potrai perdonarmi…».
Impeccabilmente miti e arrendevoli, le sue parole si mischiano incolori, allo scroscio eterno del cielo. In un attimo, scivolo inerme e desolata nel ricordo del suo respiro sul mio collo, sui miei seni e sul mio cuore, ancora madidi dall’ardore dei suoi baci.

«Ti prego guardami Oscar. Io non sono il Conte di Fersen».
«Non lasciarmi André…».
 
Com’è potuto accedere?
Come ho potuto fare questo a me stessa e al mio amore per Fersen?
 
A passi lenti, senza mai voltarsi indietro, André abbandona i miei appartamenti. Con il respiro trattenuto e il terrore guizzante nel petto, scosto bruscamente le coperte, gettandole con frustrazione, sul pavimento. Il mio corpo trema nuovamente in balia del gelo della vita. Da molte stagioni, l’inverno giace in me. Alzandomi, copro il seno con un braccio, raccogliendo con l’altro, i miei indumenti gettati vergognosamente a terra. Mi rivesto velocemente, rianimando la stanza con il vellutato tepore del camino. I singulti infiniti del cielo si confondono con quelli silenti del cuore. L’eco amaro di quei baci bollenti e famelici e di quegli affondi delicati ma profondi, riprendono indecorosamente vita nella mia mente e con essi, affiora la morte.

Cosa ne sarà adesso della nostra amicizia, André?

Un lampo violento alle mie spalle illumina fugacemente il letto. Nei miei occhi aleggia lo sgomento. Un alone vermiglio imbratta il puro candore del lenzuolo. Un’istante dopo divampa spaurito tra le fiamme. Inerme, si dimena e si logora, spirando infine, in un triste cumolo cenere.


 
[André]

L’oscurità scivola lentamente in un orizzonte spoglio di stelle. E’ una notte senza luna, senza vita. Seduto su una poltrona, socchiudo distrattamente l’occhio rimasto, carezzato da una suadente melodia. In questo momento vorrei essere lì con lei, ad osservare le sue dita scorrere seducenti, sui tasti del pianoforte. Nutrirmi all’infinito della sua bellezza ed eleganza per custodirla gelosamente nell’avanzare della mia irrimediabile condanna. Ma la morte è discesa su di noi. Non un’ulteriore parola di biasimo dalle sue labbra dopo l’accaduto. Solo fredda e cruda indifferenza sul suo volto altero e imperscrutabile. Una maschera di ghiaccio. Interminabili silenzi riempiono le nostre esistenze. Da quella sera, i nostri sguardi non si sono più incontrati. Da quella sera, non esisto più per lei e forse, nemmeno per me stesso.

«André! André!!».
La voce della nonna mi ridesta dai miei pensieri. Mi volto verso di lei, che mi osserva preoccupata del piano superiore.
«Mi hanno detto che ieri mattina sei andato dal dottore, per quale motivo, André?».
«Niente di particolare nonna, una semplice… visita di controllo. Ha detto che l’occhio destro se la cava bene anche da solo». La tranquillizzo, indicando con un dito, una delle mie fonti di agonia.
«Mi fa molto piacere saperlo, André. Vedi, ero un po’ preoccupata per te, sì, il tuo comportamento era alquanto strano».
«Ah, non ti preoccupare, sto benissimo!». Rido per illudere me stesso. Rido per celare a lei e al Mondo la mia amara disperazione: Diventerò cieco. Per un attimo, il mio cuore smette di battere. Un fremito di terrore scuote il mio corpo. Mi alzo, raggiungendo mia nonna nelle cucine, desideroso di placare con l’alcool, i miei tormenti.
«André!».
Il suo richiamo risuona come un’amorevole rimprovero. Stringendo una bottiglia di vino e un bicchiere, mi ritrovo a sorridere impercettibilmente, voltandomi per guardarla.
«Sì?».
«Per favore, invece di perdere tempo a bere, dammi una mano. Porta questo vassoio a Madamigella Oscar!».
«Sì… sì, certo nonna, vado subito». Immediato, cedo alla sua richiesta.

Con disagio, reggendo il vassoio, entro nei suoi appartamenti. E’ seduta al pianoforte, i tasti si alternano velocemente sotto le sue eleganti dita, le stesse che hanno carezzato e denudato con passione e tenerezza, il mio corpo.
«Grazie André».
Le parole fluiscono gelide dalle sue labbra. Non un misero sguardo tra di noi. In silenzio, rimango ad ascoltarla e ad osservarla. Meravigliosa e leggiadra, esegue lo spartito con innata solerzia. Senza mai guardarmi, si alza e stringendo la tazzina, mi supera lentamente, fermandosi di spalle.  
«Bene Oscar, buona notte».
Mi congedo da lei, come da rito.
«Aspetta devo parlarti!».
E’ un ordine e io mi fermo all’istante.
«A prescindere da quello che è successo l’altra notte, avrei preso comunque questa decisione…».

Deglutisco a fatica.

Cosa stai cercando di dirmi Oscar?

«Dal momento che ho deciso di vivere come un uomo volevo dirti che non intendo più continuare ad avere il tuo aiuto, André. Vedi, ancora non so quale sarà il mio prossimo incarico, ma appena lascerò la Guardia Reale non avrò più alcun bisogno di te, sarai libero di fare tutto quello che desideri. Voglio cominciare a vivere per conto mio, senza appoggiarmi a nessuno. Buona notte».
Nessuna emozione nelle sue parole. Impassibile, si allontana nel gelo della stanza.   

Il respiro si spezza, la mia vita si spezza. Rabbia e frustrazione defluiscono inarrestabili nelle vene, sostituendosi al sangue.

Cosa hai intenzione di fare, Oscar?
Per quanto tempo ancora continuerai ad inseguire il miraggio di Fersen?
Vuoi fuggire da lui, dalla Regina e ora anche da me. Vuoi vivere come un uomo, ma credi davvero che questo ti impedirà di continuare a soffrire?
E’ una scelta inutile!
Tu sei una donna, Oscar.
Una splendida donna e non potrai mai cambiare la tua vera natura.
L’altra notte ti sei svelata per ciò che sei…
Non tagliarmi fuori dalla tua vita, Oscar!
 
Intimamente inquieto, la raggiungo.
In breve, la mia ragione si intinge di follia.
 
 

 

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