Familie

di General_Winter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


AVVERTIMENTI INIZIALI: prima fanfiction nel fandom, spero che possa piacere. Non garantisco l'IC per i personaggi propri dell'opera originale. C'è una grande presenza di OC, quindi forse non sarà facile ricordarsi di tutti subito, ma farò del mio meglio per caratterizzarli in modo diverso. Perdonatemi la faccenda di Gilbert, ma, nel mio malato immaginario, l'albinismo di Gilbert è dovuto al fatto che la Prussia non esista più come Nazione. Essendo perciò la storia ambientata prima del 1947, data ufficiale della scomparsa della Prussia, Gilbert non è albino. Detto questo, buona lettura :)
 

                                      PROLOGO


Se Germania si fosse dovuto guardare intorno, lanciando occhiate verso le altre Nazioni europee, avrebbe sicuramente fatto una pragmatica osservazione: era, relativamente, il più giovane. Non aveva nulla da invidiare a nessuno, chiaramente, in ogni discussione era sempre riuscito a farsi valere e a esprimere la sua opinione.
Ma il sapere di essere addirittura più giovane dello sprovveduto e dolce Feliciano, faceva nascere in lui un ché di perplesso. Se avesse dovuto fare un visione generale del suo essere Nazione, si accorgeva di non essere nemmeno conscio di tutti i suoi territori: infatti, alcuni luoghi della Germania, Ludwig non li aveva mai visitati.
Non aveva mai dato troppo peso a questo problema, ma comunque si stava dando da fare per risolverlo. La soluzione prevedeva di andare almeno due volte al mese, molto spesso di domenica, a visitare musei e castelli contenenti la storia precedente alla sua dichiarazione di esistenza come Impero Tedesco, in quanto, della storia successiva ne era, a volte tristemente, consapevole.
Tutto questo trascinandosi dietro un quasi sempre reticente Gilbert. Infatti, molto spesso nolente, il prussiano era costretto ad  accompagnarlo nei suoi excursus storici sorbendosi annoiato le spiegazioni delle guide turistiche riguardanti fatti che lui aveva vissuto in prima persona.
Più volte si era proposto lui di raccontare come erano andate le cose, ma Ludwig, conoscendo la megalomania del fratello maggiore, era certo che l’albino avrebbe gonfiato a dismisura ogni sua vittoria e minimizzato ogni sconfitta, facendola passare per qualcosa da niente.
No, il tedesco voleva ascoltare gli avvenimenti da un punto di vista imparziale.
Nonostante tutto, durante le spiegazioni di ogni tour, Gilbert non era mai stato troppo fastidioso, sorbendosi ogni parola e limitandosi a bofonchiare a denti stretti ogni volta che, a suo parere, le informazioni date erano sbagliate e che le sue sconfitte non fossero disfatte così eclatanti come venivano presentate dalle sorridenti signorine che spiegavano.

Quindi, quella volta, mentre erano in visita a Schloss der Mittelweg, a Ludwig era parso parecchio strano che il fratello maggiore si intromettesse costantemente e rumorosamente nelle delucidazioni storiche fatte dalla guida, interrompendo il giro e attirando l’attenzione degli altri turisti, oppure che si guardasse costantemente intorno, come se temesse che potesse sbucare fuori un fantasma da una delle porte chiuse del castello.
Il gruppo giunse in quello che doveva essere al tempo un salotto: il pavimento era coperto da sfarzosi tappeti color porpora, colore che si riprendeva sulle tende che coprivano le vetrate; una decina di poltroncine bruno-dorate erano sparse in tutta la sala in quella che sembrava una confusione a modo suo comunque ordinata; mobili in legno scuro erano addossati alle pareti, tra di questi un lucido pianoforte a coda nero, e un camino prendeva buona parte di un muro portante.
E fu lì che la guida li fece fermare « E qui » esordì lei « Abbiamo, a mio parere, il dipinto migliore di tutto il castello! » e, con un cenno della mano, indicò il ritratto di gruppo posto sopra il focolare.
La donna sorrise, guardandolo con ammirazione « Non si sa quasi nulla di questo quadro, tranne che è stato commissionato da Otto von Bismarck in persona; infatti, come ho detto poco fa, lui, anche se per un periodo relativamente breve, visse in questo castello … Non si sa chi siano i soggetti ritratti, potrebbero essere i figli dei duchi dei territori circostanti oppure i figli dei generali dell’esercito prussiano, infatti sono tutti molto giovani. Si sono provate a fare molte ipotesi, ma nessuna sembra essere definitiva o veritiera.
Ciò non toglie la bellezza a questo quadro! Tutti i soggetti sembrano non avere più di venticinque anni, ma nonostante questo tutti i maschi portano una divisa militare dell’epoca che sembra essere di alto rango. E poi non trovate che sia maschi che femmine siano molto belli? Personalmente, mi piacciono ragazzo dietro a tutti » elencò, indicando un giovane dai capelli biondi molto chiari che si appoggiava ad una spada a due mani che sembrava conficcata nel direttamente pavimento « e lui » disse ancora la guida, questa volta indicando un ragazzo vicino al primo, un po’ più basso, con i capelli dello stesso colore, però più lunghi e legati in un’alta coda di cavallo, con una frangia che gli copriva quasi interamente l’occhio destro e due ciocche che gli incorniciavano il volto « Non sono bellissimi? Tutti i personaggi di questo dipinto hanno un loro fascino, basti pensare a quei due gemelli là » continuò la ragazza, mostrando due ragazzi, alla sinistra del primo citato, praticamente identici, in divisa militare, con i capelli castano scuro, corti, ma entrambi con una grossa ciocca di capelli più lunghi alla base del collo che si raccoglievano in una coda appoggiata sulla spalla sinistra uno e sulla destra l’altro. Sorridevano raggianti e felici « oppure alla ragazza lì seduta al centro » disse ancora, puntando lievemente col dito la figura centrale di una ragazza seduta su una specie di scranno, il fisico longilineo e morbido fasciato in un pregiato abito malva chiaro, i lunghi capelli castani lasciati liberi come una morbida cortina sulle spalle, gli occhi verde intenso fissi davanti a sé e il sorriso lieto e tranquillo che può avere una madre.
« Sono tutti meravigliosi, ma i due primi che ho citato restano i miei preferiti … credo di essermi innamorata di loro! » scherzò, ridendo, la giovane guida, prima di distogliere l’attenzione di tutti i visitatori dal quadro per condurli nella stanza successiva.
Ludwig si accinse a seguirli, ma vedendo che il fratello maggiore rimaneva immobile al centro della stanza a fissare il quadro, lo richiamò « Forza, andiamo, Gilbert » nessuna risposta alla domanda e nessun movimento, ma una parola appena sussurrata uscì dalle labbra dell’albino « Familie … ».
Germania si preoccupò e si avvicinò all’albino, prendendolo per un braccio.
Nel fare ciò, per un istante, un singolo momento, a Ludwig sembrò di vedere una minuscola goccia di cristallo rotolare giù per lo zigomo di Prussia. Solo un’impressione, a quanto pareva, dato che, appena incrociò il suo sguardo con quello del fratello, quella lacrima sembrava non essere mai esistita.
Nonostante ciò, il viso di Gilbert era contratto in un’espressione seria e lo fissava con intensità.
Attirò l’attenzione del fratello minore con una voce seria e determinata, come Ludwig non l’aveva mai sentita uscire dalla bocca di Gilbert « West, siediti » ordinò categorico, mentre lui si accomodava su una delle poltroncine della sala « È vietato sedersi lì » fece notare Germania, indicando vicino a dove era seduto Prussia un cartello, che vietava in cinque lingue diverse di toccare gli oggetti antichi della sala.
Il prussiano squadrò il cartello, ne prese il piedistallo metallico con l’intenzione di voltarlo, per scoprire poi, infastidito, che i divieti erano stampati anche sull’altro lato.
Sbuffò « Questa è casa mia e ci posso fare quello che voglio: sono gli altri che ci sono entrati senza permesso! E, comunque, il prossimo giro turistico è tra 45 minuti … » disse, non badando al fatto che sembrasse quasi un bambino petulante.
Poi si voltò a guardare di nuovo il quadro e, senza guardare il fratello minore, parlò « Ludwig, quella che ti voglio raccontare ora è una storia molto lunga, perciò gradirei che ti sedessi e mi ascoltassi attentamente fino alla fine, perché quello che ti sto per dire non lo troverai mai su nessun libro di storia … ».
Osservò attentamente il biondo sedersi, per poi guardare nuovamente il quadro appeso alla parete. Sospirò « Dimmi un po’, West, non riconosci proprio nessuno? » chiese alludendo al dipinto « Occhio a quello che rispondi! Mi potrei offendere! » rise triste e rassegnato Prussia.
Indugiando ancora un po’ sul fratello maggiore, Ludwig si voltò ad osservare meglio la pittura: no, non gli sembrava di riconoscere nessuno degli undici soggetti rappresentati. Non la ragazza centrale, ne quelle sedute ai suoi fianchi, ne il bambino biondo di al massimo 11 anni ai suoi piedi. Neppure i due gemelli o il biondo con la coda.
Nemmeno il ragazzo con i capelli biondo scuro con il ciuffo ribelle al lato del viso, gli occhi verdissimi come un prato e la pelle lattea, cosparsa di lentiggini appena visibili sul naso, vicino ai due gemelli. Neanche il ragazzo ben piazzato, con gli occhi e i capelli neri un po’ spettinati, che stava vicino al biondino, oppure quello alla sua sinistra con i capelli castano scuro, gli occhi violetti e gli occhiali, che assomigliava incredibilmente ad Austria, se non  fosse stato per una lunga cicatrice che gli partiva da sotto l’orecchio, attraversava inquietante tutta la guancia e arrivava fino all’angolo della bocca, deturpando il suo viso altrimenti  tanto bello. E nemmeno …
Germania osservò meglio il ragazzo centrale dietro a tutti, riconoscendo in lui qualcosa di famigliare. I capelli erano talmente biondi da rasentare quasi il bianco, ma lasciare comunque un alone dorato. Il viso sottile di pelle bianca era attraversato da un ghigno compiaciuto, l’espressione di chi ha raggiunto l’apice, di chi ha ottenuto tutto e non ha intenzione di condividere nulla con nessuno. Eppure negli occhi si leggeva tristezza e il pittore era stato tanto bravo da riuscire a catturare quel particolare. Quei bellissimi occhi violacei. Per un singolo istante Ludwig credé che si trattasse di Russia. Guardò più attentamente: no, quegli occhi non erano viola, erano blu, blu di …
« Prussia … » sussurrò il biondo, riconoscendo, in quel dipinto, il fratello maggiore.
Gilbert rise affranto con la sua risata strana e stridula « Kesesese, già, quel magnifico ragazzo là dietro sono io ai tempi d’oro! Quando ancora ero potente. Quando ancora esistevo … »
D’un tratto si fece serio, squadrando il minore con i suoi sanguigni occhi « West, quella gallina che ci faceva da guida non sa niente! O meglio, non potrebbe mai sapere nulla … Non è vero che nessuno sa nulla di questo quadro: io posso dirti tutto. È vero, l’ha commissionato Bismarck. È vero, in quel quadro sono meraviglioso. Quella che ha scambiato per un maschio è una ragazza, si chiamava Andrea e quello … » la sua voce era stata un crescendo di tono ad ogni parola, tentando comunque di tenerlo moderato per non richiamare l’attenzione del gruppo di visitatori che si trovavano poche stanze più in là.
La voce di Gilbert, in quel momento, ebbe un fremito nel fare la rivelazione « Quello è il ritratto della famiglia Bielschmidt » Quelle parole furono un colpo dritto al cuore per Ludwig.
L’albino si alzò, indicando ad uno ad uno i soggetti ritratti, a partire dalla ragazza bionda con la coda accanto a lui « Andrea Bielschmidt, ducato di Sassonia » elencò, passando poi al corpulento accanto a lei « Christian Bielschmidt, regno di Baviera e Michael Bielschmidt, Principato di Wurttemburg » disse ancora, menzionando il sosia di Austria con lo sfregio. Passò poi ai gemelli « Hans e Johannes Bielschmidt, Mecklemburg e Oldenburg e, ancora » mostrò il lentigginoso vicino ai gemelli « Mark Bielschmidt, ducato di Baden » Poi puntò il dito sulla donna centrale e il bambino ai suoi piedi « Petra e Karl Bielschmidt, ducato di Hesse e Hoenzollem » ogni parola si faceva sempre più acuta, come se l’albino stesse per scoppiare in lacrime al solo rinominare i vecchi parenti.
« E, infine » guardò le due belle ragazze ai fianchi di Petra, entrambe con meravigliosi occhi celesti. Sospirò « Annie e Helene Bonnefoy, Alsazia e Lorena … per loro ho combattuto guerre contro il mio migliore amico per averle dalla mia parte …  » la voce di Prussia si spense, ma poi riprese la parola, ancora serio.
« Bruder, quella che ti voglio raccontare ora è la storia di come sei nato … e non intendo spiegarti il fatto di come nascono i bambini, credo che tu e Feliciano abbiate sperimentato già fin troppo » disse per smorzare un po’ la tensione che si era creata e rise vedendo le guance del biondo imporporarsi di fronte a quell’affermazione.
Di quella dimostrazione di giubilo rimase solo un sorriso amaro « Ludwig, questo è il racconto di come la grande e potente Prussia rimase immobile a guardare la caduta di chi era a lui più caro »




Angolo autrice:
Spero vi sia piaciuta e non vi abbia annoiata. Forse in questa storia non ci saranno coppie, ma per il compleanno di Russia, garantisco una one-shot rosso fuoco. Più avanti nella storia compariranno Francis e Feliciano. Se avete domande riguardo qualche parte della storia, non esitate a chiedere. Ricordo anche che lasciare anche solo un piccolo commento non è cancerogeno.
A presto, baci.
Lupus_in_fabula

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo più lungo del precedente, cercherò di spezzettarlo il più possibile, spero che piaccia. Ci sentiamo in fondo, se mai riuscirete ad arrivarci.

                                   CAPITOLO I


Schloss der Mittelweg, Sassonia, 29 dicembre 1870


Le dolci note del pianoforte impregnavano l’aria della stanza, perdendosi nelle orecchie dei presenti e nei crepitii del fuoco acceso per riscaldare l’ambiente. La soave musica che usciva dalle mani del pianista era, però, sovrastata a volte da irregolari stridii metallici: nella stessa stanza, due spade cozzavano tra di loro in continuazione, ma bellamente ignorate da quasi tutti i presenti.
Sassonia eseguì un ultimo affondo, prima di disarmare Wurttemburg e appoggiare la lama sotto la sua giugulare.

La ragazza ghignò  vittoriosa vedendo il fratello alzare le mani in segno di resa e dargliela vinta per la sesta volta « Va bene, sei a zero … arriverà, un giorno, qualcuno che non riuscirai a battere, Andrea » sospirò Michael, riprendendo la sciabola precedentemente caduta a terra. La ragazza scosse la testa decisa, sorridendo.


Gli altri presenti nella stanza ridacchiarono. Il musicista smise i suonare, voltandosi stizzito verso i due contendenti, facendo sobbalzare il ciuffo ribelle color miele « Avete finito ora o ne avete ancora per molto? »

Michael rise forte « Oh, e andiamo Baden! Non ti stiamo facendo nulla di male, non ti è mica arrivata una stoccata sul pianoforte! » rispose rivolto al fratello pianista, che esasperato si rimise seduto sullo sgabello e riprese la sua sonata da dove l’aveva lasciata.


Il ducato di Hesse, Petra, alzò gli occhi dal suo ricamo per guardare i fratelli « Dai, smettetela e non urlate » li richiamò con la voce dolce che poteva avere una madre « E poi, Andrea e Michael, non è salutare allenarsi con la spada in un salotto, anche se grande come questo » li rimproverò, passando distrattamente una mano tra i suoi capelli castani e voltando lo sguardo verso Baviera, seduto poco distante da lei, intento a leggersi un libro con in braccio il piccolo Hoenzollern.

 « Petra ha ragione » intervenne in quel momento Hans, senza alzare gli occhi dalla scacchiera dove stava giocando con il gemello Johannes « Tutto questo urlare e sferragliare non mi sta facendo concentrare … »« Scacco matto! » esclamò in quel momento Oldenburg, spostando con una rapida mossa la torre.
Mecklemburg, vedendo il suo re circondato da pedine avversarie, chinò sconsolato il capo, al suono la risatina beffarda del gemello. Hans alzò la testa verso il resto della famiglia « Mi dovete una vittoria a scacchi ».

Christian, ormai stanco di tenere Karl in braccio, posò il fratellino a terra e si rivolse all’altro fratello, pragmatico « Hans, avresti perso comunque: ti abbiamo distratto quando Johannes stava per fare l’ultima mossa, non sarebbe cambiato nulla » disse calmo e ovvio Baviera. Mecklemburg non ribatté all’osservazione del fratello maggiore e si limitò solamente a guardarlo storto.

Una nota stonata in quella melodia perfetta squarciò l’aria e tutti si voltarono verso Mark « Avete smesso di ciarlare o dovrò sopportarvi ancora per delle ore? Purtroppo questa è l’unica sala del castello dove c’è un pianoforte, quindi io non mi posso spostare, siete voi che ve ne dovete andare! » sbottò il pianista « Dai, Mark, non essere così acido! » disse Michael, avvicinandosi al fratello mettendogli un braccio intorno alle spalle, massaggiandosi distrattamente la cicatrice.

Baden si scrollò velocemente la presa del fratello per poi guardarlo torvo « Non toccarmi più, Wurttemburg, o giuro che ti taglio le mani » sussurrò in direzione del moro. Michael rise e arretrò leggermente alzando le mani in segno di resa « Accidenti Mark! Anche questa mattina hai fatto colazione con latte e simpatia, vedo … » ribatté ironico, prima di voltarsi verso sua sorella Sassonia « Giusto Andrea? Ehi! Andrea … »

L’attenzione della ragazza era stata rapita da un’insolita immagine: una carrozza nera fendeva la neve di dicembre germanica. Risaltava come una macchia d’inchiostro su un quaderno immacolato. Il vento gelido smuoveva le criniere dei cavalli scuri quanto la carrozza e visibilmente stremati. Un cocchiere imbacuccato la guidava verso l’entrata del castello, lungo il viale. Lo stemma di un’aquila candida portante nelle zampe uno scettro e un orbe era stampato sulla porta d’entrata.

Nel riconoscere quel simbolo, Sassonia scattò , uscendo dalla stanza sotto gli sguardi attoniti di tutti. Hesse si girò verso la vetrata e notò anche lei il carro signorile. Sorrise con la calma e la posatezza che la contraddistinguevano « Capisco, abbiamo visite importanti » disse e si accinse ad alzarsi, invitando i fratelli a seguirla e chiamando nell’atrio del castello tutti i domestici al loro servizio.


Nel frattempo, Sassonia era corsa all’entrata e, incurante della bufera di neve che fuori imperversava, spalancò la porta.

La carrozza si fermò in quel momento di fronte alla scalinata della reggia. La porticina si aprì e da questa scesero due meravigliose ragazze dai lunghi capelli biondi e gli occhi cerulei, le quali si stringevano convulsamente le pellicce intorno alle spalle per sopportare il clima di dicembre della  regione teutonica.

Andrea le fissò stupita, prima di riprendersi e correre loro incontro, abbracciandole di slancio entrambe.

Lacrime di commozione cominciarono a scendere dagli occhi del ducato germanico. Anche le altre due ragazze strinsero forte Andrea, ricambiando l’effusione d’affetto che Sassonia aveva manifestato nei loro confronti non appena le aveva riconosciute.


Un urlo di sorpresa risuonò alle spalle delle fanciulle « Alsazia! Lorena! » gridò Mecklemburg quando vide le due sorelle francesi tra le braccia di un’estasiata Sassonia. Anche lui corse loro incontro, seguito dal gemello Oldenburg che le aveva appena riconosciute « Cosa ci fate voi qui? » chiese Hans con trasporto.

Un battito di mani precedette la risposta: Petra li aveva raggiunti e aveva cominciato a parlare con il suo solito buon senso « Su, su, andiamo, se sono qui significa che hanno fatto un viaggio molto lungo, lasciamole prima riposare, poi potremmo fare loro delle domande » si rivolse poi alle sorelle Bonnefoy con un sorriso « È passato molto tempo e se siete qua penso che sia per il problema che c’è ora sul fronte a Ovest da qui. Annie, Helene, non fatevi problemi: voi due siete sempre benvenute a casa Bielschmidt »

Una nuova voce, maschile e non proprio giovanissima, s’intromise in quel discorso « Mai sentito parole più ponderate e veritiere. Noto con piacere che non sei cambiata dall’ultima volta che vi ho vista, fräulein Petra ».

Nel riconoscere la voce, otto fratelli  tedeschi scattarono sull’attenti « Che onore!  Non aspettavamo la sua visita, Herr Bismarck » fece Petra.


Il grande capo prussiano si fece avanti, prendendo la mano di Hesse e baciandole con riverenza il dorso « Il fronte di guerra al momento è abbastanza calmo e sotto controllo da potermi permettere di non pensarci per qualche giorno … » disse, per poi rivolgersi ai restanti componenti della famiglia, partendo dal più vecchio di età apparente dopo Petra, Christian, il regno di Baviera, ancora sull’attenti « Rue, Christian, rue … non c’è bisogno di tutte queste formalità, anzi, dovrei essere io a farle al vostro cospetto ».

All’ordine impartito, Baviera si mise a riposo, parlando comunque con riverenza al condottiero « Non è assolutamente vero, Herr Kommandant! Come procede sul fronte francese, signore? Io e i miei fratelli siamo sempre pronti ad offrire i nostri servigi, non lo dimentichi! » Bismarck fece un gesto con la mano « Non ve ne è bisogno: questa verrà ricordata come guerra Franco-Prussiana, perciò l’unico stato che deve prendersi la responsabilità delle proprie azioni è la Prussia. Io devo fare in modo che gli altri ducati germanici non ne rimangano troppo coinvolti »

Baviera annuì e lo stesso fecero Oldenburg, Mecklemburg, Wurttemburg, Baden e Sassonia. Proprio su di lei si posò lo sguardo di Otto, che sorrise rassegnato e bonario notando che le gambe della ragazza erano fasciate da pantaloni, anche abbastanza stretti « Vedo che non hai ancora smesso di fingerti un maschio, Andrea … » La ragazza scosse la testa « E che ancora non parli per nascondere la tua voce femminile … so perfettamente che per le donne è impossibile raggiungere un campo di battaglia, ma stare sul fronte è qualcosa che non augurerei a nessuno, meno che meno a te » affermò, dandole un bacio sulla fronte come avrebbe fatto un padre per calmare la figlia. Il generale era ben consapevole del desiderio di Sassonia di combattere, ma lo avrebbe sempre soffocato: bastava solo la sua Prussia a lordarsi le mani di sangue.

In quel momento, una folata gelida si insinuò tra i lembi di pelle scoperti dei presenti, ricordando a tutti che erano rimasti fuori dal castello, al freddo.

Petra batté le mani un’ennesima volta, ordinando ai domestici di preparare le stanze per gli ospiti e invitando tutti ad entrare « Ma come? Entrate ignorandomi completamente? » fece in quel momento una voce alle loro spalle, che congelò sul posto tutti i fratelli germanici. Il tono era arrogante e  carico di ironia, ma non sembrava realmente offeso per le loro azioni. I fratelli Bielschmidt si voltarono, gridando tutti all’unisono una sola parola

« BRUDER! ».


Infatti, appena fuori dalla carrozza, stava un ragazzo che cercava di coprirsi con un lungo cappotto pesante.

Quasi tutti i ducati corsero incontro al fratello maggiore, chi con alcune lacrime di commozione e gioia e chi con versi di sorpresa. In quel momento nessuno badò ai brividi di freddo che si insinuavano sotto i vestiti o alla neve che raggiungeva, gelata, le ginocchia.


Gilbert li osservò con gli occhi stanchi e lo sguardo spossato, così in contrasto con il tono di voce arrogante e sicuro con cui li aveva chiamati. Nonostante ciò il sorriso, o per meglio dire il ghigno, era rimasto intatto: supponente e vanaglorioso come i fratelli Bielschmidt lo avevano sempre ricordato.

Baden lo abbracciò di slancio, lo stesso fecero Wurttemburg, Hoenzollern, Oldenburg e Mecklemburg; Hesse gli diede un dolcissimo e castissimo bacio sulla guancia; Baviera gli strinse con impeto la mano, affibbiandogli una calorosa e fraterna pacca sulle spalle, non risparmiandosi però una battutina che, sapeva, avrebbe ottenuto solo una risposta megalomane dal fratello « Sei sceso per ultimo, eh, Gilbert? » Il prussiano ghignò come era solito fare « I migliori fanno sempre un’entrata trionfale alla fine! ».
Poi, sorpreso, si mise a contare mentalmente i suoi fratelli.

Si voltò infine di scatto: Sassonia era rimasta in cima alle scale. Gli occhi blu di Prussia del ragazzo si scontrarono con quelli della sorella, molto simili ai suoi, solo leggermente più chiari. Questi lo scrutavano, seri e severi. Gilbert salì lentamente un gradino alla volta, con le folate di vento gelido che smuovevano e scombinavano leggermente i suoi abiti.

Si pose davanti ad Andrea, con le mani in tasca e la guardò con un broncio quasi bambinesco, prima di cominciare a parlare a raffica « Sì, lo so, sono un idiota che fa sempre tutto da solo e non ti interpella mai se ci sono questioni riguardanti una guerra » si bloccò e sorrise stanco « Sarebbe ciò che mi diresti se tu ti decidessi a parlare, ma suppongo che non lo farai. Comunque, mi perdonerai? ».

Lo sguardo di Andrea vacillò per qualche secondo, prima di riempirsi di lacrime. Il ducato, troppo orgoglioso per farsi vedere in quel momento di debolezza, rintanò la testa nel petto del ragazzo davanti a lei, annuendo lentamente alla domanda da lui posta e scoppiando in un pianto silenzioso. Gilbert l’abbracciò stretto, posando un bacio delicato sui suoi capelli biondi, prima di rientrare insieme a tutti.
 

I domestici si erano dati da fare non appena avevano sentito gli ordini di Hesse, per questo trovò la sua camera già pronta per l’utilizzo. I fiocchi di neve cadevano lenti dietro alle finestre della calda stanza, appannando i vetri. Gilbert si tolse ogni singolo abito umido e congelato dal clima invernale della sua terra. I tessuti strusciavano sui muscoli del suo corpo, ricadendo sul letto con morbidi fruscii.

Sorrise, Prussia, al pensiero che era finalmente tornato a casa, dai suoi fratelli, anche se per un tempo molto breve. Non avrebbe sprecato nemmeno un istante di quei giorni a lui concessi per stare con la sua famiglia, tutto il tempo sarebbe rimasto con loro. Un dubbio pervase, però, in quel momento, la mente della nazione: perché Bismarck lo aveva lasciato tornare? Era vero, il fronte occidentale non stava dando particolari problemi, ma non gli sembrava il caso di abbandonarlo, soprattutto lui che ne era il diretto interessato. Doveva parlare con il suo comandante.

In quel preciso momento, la porta si aprì, interrompendo il filo dei suoi pensieri. Una giovane cameriera si fece avanti con riverenza « Herr Otto von Bismarck desidera vederla, Herr Gilbert Bilschmidt » Prussia, ghignando, sussurrò tra sé e sé « Parli del diavolo … »
 

Il condottiero si trovava in uno dei tanti studi del castello. Il fuoco era stato acceso, riscaldando tutto l’ambiente. La bella scrivania in mogano era tappezzata da ogni genere di lettere, trattati e dichiarazioni, segno che l’uomo non si dava pace dal lavoro nemmeno quando si era promesso un periodo di riposo.

Gilbert entrò senza bussare, ben consapevole che ormai quell’uomo era anche fin troppo abituato alla sua baldanza « Volevi vedermi, Otto? » chiese informale, tanto era il tempo che i due avevano passato insieme e tanto stretto il legame che avevano formato, come quello tra un padre e un figlio maggiore; come quello che potevano avere solo una Nazione e capo particolarmente affiatati come loro « Perché, sai, anch’io ti vorrei parlare ».

Otto alzò lo sguardo dai documenti, invitando il suo stato a sedersi su una delle poltrone di fronte alla scrivania « Credo che il mio discorso sia più importante del tuo, a meno che noi non vogliamo parlare della stessa cosa. Comunque, cosa volevi chiedermi? » domandò, prendendo da un’anta della scrivania una bottiglia di cristallo contenente un liquore ambrato. Gilbert osservò il liquido cadere in due bicchieri di vetro, uno dei quali fu poi posto sotto i suoi occhi. Fissò Bismarck « Perché abbiamo abbandonato il fronte in questo momento? ».

Il tappo vitreo tintinnò più forte quando fu posta quella domanda.

L’uomo si fece pensieroso, lisciandosi i baffi « Proprio di questo ti volevo parlare, ma non ho potuto farlo prima, durante il viaggio » rispose, cercando fra i fogli sparsi sulla scrivania. Quando trovò ciò cercava, lo passò a Prussia, lasciandolo accanto al bicchiere non ancora toccato.

Una lettera.

Gilbert la lesse, lentamente, cercando di capire ogni singola parola, ma tutto ciò che c’era scritto sembrava assurdo e impossibile ad ogni riga. L’orrore e l’incredulità si dipinsero sul suo volto non appena comprese l’effettivo significato di quella missiva.
Non che lo accettasse.
 « Che cosa significa?! » urlò contro il suo capo, accartocciando il messaggio.
Era irreale ciò che era stato segnato su quella carta. Irreale e stupido. Il biondo gridò ancora « Ti ho chiesto che cosa significa! » in quell’accorata richiesta erano mescolate tutta la voglia di chiedere informazioni, la paura di ottenerle e il terrore che tutto ciò che avesse appena letto fosse vero.

Bismarck sospirò « Quello che hai appena letto, Prussia. Non penso che tu sia così stupido da non capire. Nemmeno io sono d’accordo su ciò che c’è lì scritto, ma purtroppo bisogna guardare la cosa da un punto di vista molto pragmatico: un impero tedesco unito è più forte e saldo di tanti ducati, a volte persino in conflitto tra di loro. E quel genere di unità è necessaria per dare man forte alla nostra guerra. Perciò è stato deciso che tra non molto verrà istituito l’Impero Tedesco, con la consecutiva abolizione di tutti i regni e le marche germanici » disse grave.
Gilbert sbatté la mano sul tavolo, facendo ondeggiare le carte e tintinnare i bicchieri. Uno sguardo di puro odio si stendeva sul suo viso « E tu pensi veramente che te lo lascerò fare? » la sua voce era poco più che un sibilo di rabbia.


All’udire quelle parole, Bismarck scattò, abbandonando per qualche istante la sua solita compostezza « Gilbert Bielschmidt » raramente usava il suo nome umano, lo faceva solo per richiamare tutta la sua attenzione
« Ormai tutto è stato deciso, non ci possiamo opporre. Fra qualche settimana, i signori dei ducati germanici si riuniranno per stabilire la nascita di un nuovo impero, di cui sarà a capo la Prussia. È una visione a cui ti devi abituare, nel bene o nel male. Io non potrò mai veramente capire il legame che c’è tra te e i tuoi fratelli, dato che sono secoli di storia quelli che vi legano, ma il loro tempo ormai è finito. Forse per te potrà sembrare un’ingiustizia, ma tu sei una Nazione e non puoi comprendere il punto di vista degli uomini. Tutti infatti direbbero che hanno vissuto troppo. Prendi Sassonia » le sue labbra si piegarono in un sorriso malinconico al ricordo di quella ragazza che si ostinava a voler essere maschio « tu, Prussia, la tratti come se fosse la tua sorellina, ma, forse, non ti rendi conto che ha mille anni. Lei ha visto cambiare quest’Europa infinite volte, vedendo scomparire centinaia di Nazioni e in tutti questi cambiamenti è rimasta quasi indenne. Purtroppo, in questo ennesimo cambiamento non ne uscirà viva, come non lo faranno il resto dei tuoi fratelli. Per questo siamo tornati: ti sto dando la possibilità di passare insieme i loro ultimi giorni di vita »

Strinse i denti, Prussia, sibilando maledizioni « Avrei preferito non saperlo » sussurrò poi. In pochi momenti, nella sua testa si affollarono immagini e ricordi di tempi andati e la malinconia lo pervase.

Ancora poche settimane e tutto ciò a cui stava pensando non sarebbe più stato reale « Non dire idiozie, Gilbert » lo rimproverò il condottiero « Vorresti dirmi che avresti preferito non conoscere nulla e un giorno tornare a casa e renderti conto che i ducati germanici non esistevano più? » gli chiese Bismarck, con sguardo severo « Fidati di me, è molto meglio saperlo ora, così puoi goderti appieno i loro ultimi tempi ».

La Nazione annuì lentamente, con fare grave. Le sue labbra sembravano incollate tra loro, ma, seppur con immenso sforzo, riuscì a porre la domanda che più gli premeva « Loro lo sanno? ».

Il generale fece un cenno di diniego col capo « No, ma probabilmente tra pochi giorni arriveranno annunci e messaggeri da parte dei loro capi. Se vuoi dirglielo tu, nessuno te lo impedisce ».
Un altro ringhio di disapprovazione uscì dalle labbra di Prussia « È proprio necessario? Non si può farne a meno? ».

L’uomo scosse la testa « A meno che tu non voglia cadere assieme ai tuoi fratelli: se la Prussia perdesse questa guerra, nulla impedirebbe alla Francia di espandere i suoi territori ben oltre il Reno ».
Il biondo non demorse « Potrei parlare con Francis! Potrei negoziare! Morirò io purché lasci andare i miei fratelli! » nel dire quelle parole, aveva ingoiato un boccone amaro di orgoglio: non lo entusiasmava arrendersi così facilmente, ma per salvare i suoi fratelli avrebbe fatto anche altro.

Bismarck si oppose « Non ti stai nemmeno rendendo conto di quello che dici.  Questo è solo un tuo egoistico desiderio, Gilbert: sei disposto a mettere in pericolo le sorti della guerra  per delle Nazioni che comunque non sopravivranno ancora a lungo » fece serio, tentando di far ragionare il suo interlocutore, che sembrava però non voler ascoltare e, testardo, si impuntava sul proprio concetto di giustizia « Non capisci, Otto? Io sono disposto a riportare a Francia sia Alsazia che Lorena, sono pronto a morire per salvare la mia famiglia! »
« Ma non pensi che io non sia pronto a veder morire la mia Nazione?! Non pensi che non sono disposto a restituire quei due territori dopo che li ho ottenuti con tanti sacrifici?! Non ci sei di mezzo solo tu, ma il bene di tutto il territorio germanico! Ormai è già stato tutto deciso, Gilbert, non ci si può fare più nulla! »

Niente, ormai non si poteva contrastare. I suoi fratelli da lì a poco avrebbero smesso di esistere. La consapevolezza investì l’impero: non ci sarebbero più stati i sorrisi di Petra, gli sguardi di Andrea, le pacche fraterne di Christian, gli abbracci di Karl, la complicità di Hans e Johannes e nemmeno i battibecchi tra Michael e Mark. Un groppo si formò nella gola del biondo e i conati si fecero sentire prepotenti nella bocca del suo stomaco. Si posò una mano sulle labbra e represse l’istinto di vomitare. Guardò il suo condottiero « Credo che andrò a riferire questo discorso agli altri » cercando di restare più calmo e neutrale possibile.
 

Quando , però, si ritrovò di fronte alla stanza dove stavano tutti i suoi fratelli, il cuore gli si bloccò. Sentiva la melodia di un pianoforte e le parole confortanti dei Hesse.

No.

Non voleva che tutto quello finisse. Non voleva vedere le lacrime dei suoi fratelli di fronte alla notizia della loro imminente morte. Voleva che tutto restasse com’era, voleva poter vincere la guerra senza sacrifici di alcun genere, voleva vivere una vita lunga con i suoi fratelli.

Tutto ad un tratto Gilbert perse tutta la sua convinzione. Si girò, dando le spalle alla grossa porta, pronto a scappare come un codardo, ma la porta si aprì, rivelando il viso paffuto e gli occhi grigi del piccolo Karl, Hoenzollern. Lo sguardo della Nazione più piccola si illuminò e corse ad abbracciare il fratello maggiore « Gilbert! Gilbert! Siamo tutti contentissimi di vederti di nuovo! Dai! Entra e rimani con noi!  » gridò entusiasta, mentre Prussia lo stringeva a sé.

Karl lo guidò nella stanza e Prussia non aveva più scuse per non fare i conti con la realtà. Tutta la famiglia Bielschmidt si voltò verso di loro, tutti sorridendo per la presenza di Prussia, il fratello che li aveva sempre protetti. Gilbert si morse l’interno della guancia: quella volta non ci sarebbe riuscito.

Tutti lo osservano come se si aspettassero che lui mostrasse qualcosa, ma l’unica cosa che fece il biondo fu guardarsi intorno e chiedere « Dove sono Alsazia e Lorena? ».

Petra si premurò di rispondergli « Erano stanche per il viaggio e si sono ritirate nelle loro camere. E tu, invece? Non sei stanco? Anche noi stavamo per andare a dormire » disse calcando l’ultima parte e fissando con sguardo di rimprovero il piccolo Karl, che si era prontamente nascosto dietro le gambe di Gilbert.

Sorrise « Hai intenzione di andare a letto tardi, eh? Fratellino … ». Anche Hesse addolcì gli occhi alle parole del fratello maggiore nei confronti di Karl, per poi puntarli sul ragazzo più grande « Volevi qualcosa, bruder? » chiese poi.

La consapevolezza lo investì in quel momento. Giusto. Doveva parlare. Doveva dare loro la notizia. Doveva … « Io volevo chiedervi se volevate fare un ritratto con me »

Stupido. Stupido e vigliacco Gilbert. Non si era mai aspettato un comportamento simile da se stesso. La grande, potente e temuta Prussia si era così spaventata di fronte alla realtà tanto da non volerla nemmeno pronunciare. Si insultò mentalmente per quella codardia.

Nel frattempo, gli altri fratelli si stavano scambiando occhiate perplesse « E perché mai? » chiese Hans, accanto al suo gemello Johannes.

Il biondo li squadrò. Ad un occhio poco attento, potevano sembrare irriconoscibili fisicamente l’uno dall’altro, se non fosse stato per il codino di capelli scuri che portavano ognuno su una spalla diversa: Oldenburg sulla sinistra e Mecklemburg sulla destra. Ma il resto dei fratelli sapevano riconoscerli con un solo sguardo e da tempo avevano smesso di cascare in quello stupido scherzo in cui i due gemelli si scambiavano la posizione della ciocca per confondere il resto della famiglia.
Ma anche se fossero stati completamente identici, si capiva immediatamente che Hans fosse più impulsivo e, a volte, persino più infantile del fratello Johannes, più calmo e posato.

« Perché non potremmo invece farci una fotografia? » domandò a quel punto Oldenburg. A volte era un loro vizio completarsi frasi e domande a vicenda.

Gilbert sorrise ancora, ma questa volta si leggeva perfettamente il suo sguardo amareggiato.
Questo non sfuggì agli attenti occhi cerulei di Sassonia e a quelli scuri e indagatori di Baviera.
Nonostante si atteggiassero a fratelli minori, Andrea e Christian aveva più esperienza di tutta la famiglia. Entrambi erano nati alla morte di Sacro Romano Impero e avevano osservato tutta l’Europa cambiare. Avevano pianto quando erano morte le loro due sorelle Franconia e Svevia e  avevano festeggiato quando la loro famiglia si era allargata con l’arrivo di Hans, Johannes, Petra e lo stesso Gilbert. Perciò ogni singola azione compiuta da Prussia urlava loro che qualcosa non andava, nessuno lo conosceva meglio di loro. Lasciarono correre per quella volta, attribuendo il tutto alla stanchezza del fratello causata dalla guerra.


« Perché le fotografie sono in bianco e nero. Vuoi forse privare il magnifico della sua colorazione? » chiese ironico Gilbert, ma con falso tono narcisista, che non scappò alle orecchie degli stati più antichi.

Petra si intromise « Ha ragione Gilbert. Ormai, con l’arrivo della fotografia, pochi si fanno ancora i ritratti, perché attirati dalla novità. Noi abbiamo tutto il tempo per farcele, invece per un ritratto di famiglia non è così. E, sono sicura, la tecnologia progredirà ancora e le foto saranno a colori, un giorno  e, se anche questo fosse tra cento anni, noi non moriremo di certo, no? »

A quelle parole, un nodo si formò alla gola di Prussia, come il cappio di una forca: povera, dolce ed innocente Petra, non sai quanto ti sbagli!

Il biondo si costrinse a stirare un ghigno sul suo volto e, con un tono palesemente falso, affermò « Vedo che siamo tutti d’accordo, no? Vada per il ritratto, farò chiamare un pittore perché venga il prima possibile, per non perdere tempo! Scusate, ma ora vado a dormire perché sono molto stanco. A domani » parlò tutto d’un fiato, senza riprendere aria e uscì dalla stanza, chiudendo la porta e bloccandosi appena fuori.


Lo sguardo severo di Bismarck, che aveva atteso all’esterno del salotto, lo squadrò da capo a piedi: la sua Prussia teneva lo sguardo e la testa bassi, incurvando le spalle in avanti. Era attraversato da piccoli spasmi e, nonostante sapesse di essere osservato dal suo capo di stato, non si vergognava delle grosse e lucenti lacrime che cadevano verso il pavimento, ma che tentava in tutti i modi di trattenere: la potente Prussia non poteva e, soprattutto, non doveva dimostrarsi debole.

Cercò di calmare il respiro e gli ansiti « Non ci sono riuscito, herr Bismarck. Sono stanco ora, credo che andrò a dormire » disse, ingoiando un paio di bocconi di amaro orgoglio represso.

Si avviò verso la sua camera, ben consapevole che la sua nottata sarebbe stata tutt’altro che tranquilla.


Angolo autrice:
Spero vi sia piaciuto e non vi abbia annoiato. Avvertimento: io non so il tedesco, quindi ogni parola in lingua germanica presente in questa storia è presa da Google Translate; se, a differenza mia, conoscete il tedesco e vedete degli errori, segnalatemeli che li correggerò il prima possibile. Secondo avvertimento: Schloss der Mittelweg me lo sono inventato di sana pianta, forse esiste davvero un castello con questo nome in Sassonia, ma non era mia intenzione copiarlo o prenderlo come esempio.
 Ringrazio Braveheart_99, girasole98 e Nikkith che  hanno messo la storia tra le ricordate e Braveheart_99 che ha anche recensito il prologo: spero che questo capitolo abbia una formattazione migliore. Cercherò di aggiornare una volta a settimana ma non prometto nulla. Ricordo che lasciare anche solo un pensiero o una recensione che dice che devo smettere di scrivere e darmi all'ippica non uccide nessuno.
Al prossimo capitolo, anche se arriverà la one-shot per il compleanno di Russia :3
Baci by Lupus.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Le parti scritte tra i due trattini "-" sono appunto scritte, in quanto parole di Sassonia, che non parla.

CAPITOLO II

Schloss der Mittelweg, Sassonia, 30 Dicembre 1870


La neve aveva cessato il suo lento cadere. La notte infernale era appena passata, ma Gilbert era certo che sarebbero state tali anche le successive. Aveva continuato a girarsi nel letto, disturbato dagli incubi in ogni momento che aveva abbassato la guardia, cedendo le sue palpebre al sonno. Aveva visto i suoi fratelli sparire in una nuvola di polvere o in un turbinio di fiamme. Lo avevano accusato della loro morte, di non essere riuscito a proteggerli come aveva promesso. Aveva scorto lo sguardo deluso di Hesse, quello arrabbiato di Baviera e quello implorante di Sassonia. Poi aveva smesso di dormire, ma il problema non si era risolto, dato che era stato tormentato dai suoi pensieri.

Rimpiangeva di non avere nascosta, da qualche parte in camera, alcuna bottiglia di liquore, dove annegare i suoi dispiaceri. Forse poteva andare in cantina o nelle cucine, ma dubitava che avessero qualcosa di troppo diverso dalla birra e quella era troppo leggera per fargli perdere il filo delle sue memorie.

Lo sguardo della Nazione fu attirato fuori dalla finestra. Una carrozza si dirigeva nella loro direzione, come aveva fatto la sua la sera prima. Non sembrava portare stemmi di alcun genere, probabilmente era un messaggero. E Gilbert conosceva molto bene l’infausta notizia che stava per portare.

Corse fuori dalla sua camera, cercando di raggiungere il più velocemente possibile l’ingresso, implorando mentalmente che nessuno dei suoi fratelli l’avesse vista.

Spalancò l’entrata, andando incontro al cocchiere, ignorando altamente di essere poco vestito in mezzo alla bianca coltre di neve. Brividi gelidi gli percorrevano le braccia e la schiena, ma non importava nulla, avrebbe resistito. Aveva sperimentato il campo di battaglia troppe volte per essere spaventato da del misero gelo.

Non badò all’occhiata sconcertata lanciatagli dal cocchiere, che non fece, però, domande. Gilbert schioccò le dita, spiccio « Sei qui per consegnare dei messaggi ai fratelli Bielschmidt? »

Confuso, il corriere annuì. Prussia gli tese, impaziente ed infreddolito, la mano « Dalle a me! » ordinò, facendo sobbalzare l’uomo per l’impeto usato in quelle parole « Ve-veramente, mi era stato comandato di darle solamente a fräulein Petra Bielschmidt … » tentò di protestare, lievemente intimorito dallo sguardo determinato e non disposto a rifiuti di Gilbert « Le consegnerò io stesso a Petra, ora dammele e vattene » quasi urlò.

Spaventato, il messaggero consegnò le missive alla Nazione per poi far voltare i cavalli ed andarsene, mentre gli equini nitrivano infastiditi. Gli osservò sparire oltre i cancelli del castello e oltre l’orizzonte.

Posò poi la sua attenzione sui fogli di carta che teneva tra le mani. Li avrebbe strappati e si sarebbe dimenticato di quella follia, se essa non fosse stata così reale.

Aprì delicatamente una lettera, leggendone il contenuto: vi erano dentro scuse di ogni tipo, motivi sul perché e data e luogo dell’incontro.

Almeno ora conosceva il giorno in cui dover dir loro addio per sempre: 17 gennaio.

Mai, come in quel momento, l’arrivo di una data l’aveva spaventato tanto.

Lui aveva visto e deciso i giorni delle battaglie, aveva determinato le ore di un attacco senza mai perdere la fiducia in se stesso o avere rimorsi su quello che stava per fare. Aveva confermato guerre nel giro di pochi giorni. Ma mai un giorno gli era sembrato incredibilmente vicino.

Strinse ancora di più la carta, mentre rientrava, con l’unica consolazione che i suoi fratelli non avrebbero avuto mai a quelle missive. Però era ignaro che quella scena era stata seguita con attenzione da due muti occhi celesti, sorpresi e sospettosi, che lo avevano osservato per tutto il tempo da una delle torri del castello.

Andrea scese di corsa tutte le scale che la separavano dall’entrata, con in testa i mille pensieri di ciò che era accaduto fuori. Il battere dei tacchi degli stivali contro il marmo del pavimento produsse un rumore impossibile da non sentire, che attirò l’attenzione di Prussia.

Arrivata in cima alla scalinata che si trovava nell’atrio del castello con il fiatone, fece percepire la sua presenza con un profondo colpo di tosse, che fece sobbalzare la Nazione che ancora leggeva le lettere.

Un lampo di timore e un brivido di paura passarono negli occhi e lungo la schiena di Prussia, che cercò in tutti i modi di nasconderli dallo sguardo serio ed inquisitorio della sorella.

Andrea scese le scale lentamente, non staccando i suoi occhi dalla carta stretta tra le mani del prussiano.

Appena Gilbert intuì dove era caduto lo sguardo della sorella, appallottolò lentamente i documenti e se li infilò in tasca. Questo non fece altro che insospettire di più Sassonia, che indicò minacciosamente col dito il  rigonfiamento della giacca del fratello.


Un sentiero di salvezza si presentò di fronte ai piedi del biondo. Ingoiò la saliva, vergognandosi profondamente per quello che stava per fare.

Gilbert sorrise falsamente e con voce fintamente innocente chiese « Cosa c’è Andrea? Scusa, ma non ti capisco, potresti essere più chiara? » puntò tutto sull’immenso orgoglio del ducato, facendosi schifo da solo.
Sassonia lo guardò allibita, boccheggiando e chiedendosi mentalmente se Prussia stesse scherzando o facesse sul serio. Digrignò i denti e batté il piede sul pavimento, ringhiando sommessamente.

La Nazione più estesa continuò con la sua strategia, maledicendosi ogni secondo di più « Ancora non intendo, potresti parlare per una buona volta? » domandò vedendo chiaramente la biondina mordersi la lingua e l’interno della guancia.

Il ducato germanico tentò allora, di slancio, di afferrare il contenuto delle tasche di Gilbert, fallendo, in quanto il ragazzo la evitò e le bloccò le mani, afferrandole i polsi e guardandola dritta nei suoi allarmati occhi celesti.

Andrea si morse il labbro nel vedere il determinato sguardo del fratello, che le diceva mutamente di non doversi intromettere in quella faccenda.


La ragazza capì l’antifona, anche se non si era minimamente data per vinta, e con uno strattone delle braccia si liberò dalla stretta di Prussia, appena in tempo perché in atrio vi entrasse Petra che, con la sua solita melodiosa e dolce tonalità di voce, li invitasse nell’altra sala a far colazione.

Con un’ultima occhiata di avvertimento a Sassonia, si rivolse a Hesse con un sorriso e la seguì, appiattendo il più possibile le lettere quasi stracciate che aveva cacciato nella giacca, mentre perfettamente lo sguardo furioso e sospettoso di Andrea perforargli la schiena prima di entrare nella sala da pranzo.

« Be’, direi proprio che Gilbert nasconde qualcosa di grosso e noi non credo proprio che staremo buoni, soprattutto non dopo lo spettacolino che avete appena dato … » una voce potente rimbombò per tutto il salone.

Allarmata, Andrea si voltò, per poi rilassarsi nell’incontrare gli occhi neri di Baviera, che scendeva lentamente le scale, quando, molto probabilmente, prima aveva assistito a tutta la scena da poco distante.

Sassonia assentì alle parole del fratello, prima di dirigersi assieme a lui verso la sala da pranzo.
 

Le uova e la pancetta ben cotta sembravano ancora sfrigolare nei piatti di ceramica di tutti i fratelli seduti al tavolo, ma quella volta un nodo alla bocca dello stomaco aveva scacciato la fame dal corpo di Gilbert. Spiluccava con poca voglia gli affettati della sua colazione, troppo impegnato di pensare al destino di tutte le persone che in quel momento lo circondavano.

Un marcato colpo di tosse lo distolse dalle sue ponderazioni. Alzò di scatto la testa appoggiata alla mano, per vedere dieci teste che lo guardavano stranite, quasi in attesa che lui parlasse.

L’unica cosa che notò, però, fu il posto vuoto a capotavola, di fronte a lui « Dov’è Otto? » chiese all’improvviso.

Johannes parlò « Herr Bismarck se ne è andato stamattina, molto presto, per motivi politici, che però non ha voluto specificare … » concluse, con una nota di dubbio nella voce.


Uno sbuffo tra il divertito e il rassegnato uscì dalle labbra, diventate per un secondo troppo sincere, del prussiano « Sì, se ne sarà andato sicuramente per quel motivo … » mormorò tra sé e sé, tornando ad abbassare la testa. Bisbiglio che, pur indistinto, era giunto alle orecchie di tutti i presenti.

Fu immediatamente interrogato da Hans « Cosa hai detto, bruder? ». Nel sentirsi chiamato di causa un’altra volta, alzò di nuovo lo sguardo dal suo piatto ancora pieno « Assolutamente niente! » si affrettò a chiarire immediatamente Prussia.

Baden, senza la sua solita acidità, intervenne « Cosa ti sta succedendo, bruder? È da quando sei tornato ieri che sembri strano … » spiegò Mark, mentre si infilava in bocca una generosa porzione di uova.

Sentendosi punto sul vivo, il prussiano saltò letteralmente sulla sedia, alzandosi in piedi, sotto lo sguardo stupito di tutti, mentre i sospetti di Andrea e Christian si facevano sempre più marcati.

« Non vi dovete preoccupare di nulla! » ordinò urlando Gilbert, per poi vergognarsi nel vedere l’espressione allarmata dei fratelli e delle due francesi « Me ne vado … » biascicò a mezza voce, cercando di nascondere il rossore che era calato sui suoi zigomi.

Boccheggiando come un pesciolino, Petra riprese la parola, cercando di apparire calma, nonostante le reazioni del fratello maggiore « Ma … m-ma Gilbert , la colazione! » esclamò, con la voce che vibrava, nonostante volesse nascondere l’insicurezza nel dire quella frase.

Con un tuffo al cuore, Prussia la ignorò, sussurrando « Non ho più fame … » prima di andarsene.

Anche Baviera e Sassonia si alzarono, attirando l’attenzione di tutti « E voi dove andate? » chiese Wurttemburg, girando la testa verso le nazioni più antiche, facendo ondeggiare i capelli castani
« A far luce su questa faccenda » mise immediatamente in chiaro Christian, che se ne andò seguito da Andrea.
 

Un ennesimo conato squarciò l’aria quieta del bagno privato della camera da letto di Gilbert. Il prussiano si era infatti chiuso alla toilette, non essendo riuscito a sostenere un secondo di più gli sguardi spaesati dei suoi fratelli. Un grosso senso di nausea gli aveva bloccato lo stomaco, impedendogli di mandare giù ancora un solo boccone. E in quel momento era relegato di fronte alla tazza del gabinetto, sentendo la bile risalire lungo la gola.

Si passò la manica del polso sulla bocca quando fu sicuro di essersi sfogato abbastanza.

Tre forti colpi alla porta lo avvisarono che qualcuno era venuto a controllare il suo stato di salute, mentre stava cercando di eliminare quel saporaccio dalla sua bocca con dell’acqua « Chi è? » domandò, cercando di tenere il tono di voce più normale possibile.

Senza nemmeno rispondere, Sassonia e Baviera irruppero nella camera, entrambi fin troppo determinati per andarsene senza nemmeno un’informazione strappata dalle labbra del fratello. Gilbert capì immediatamente che stava per cominciare uno dei conflitti più complicati che avrebbe mai dovuto affrontare. Sarebbe iniziate una gara di testardaggine, ma il vincitore era tutt’altro che deciso.

« Gilbert, noi tre dobbiamo parlare » sentenziò immediatamente Christian.
« Sul serio? Parla anche Andrea? » domandò ironico l’interpellato, notando, però, solo allora il plico di fogli e la stilografica tenuti in mano dalla ragazza. Lei infatti si sedette alla scrivania, togliendo il tappo alla penna e cominciando a scrivere alacremente. Una serpentina nera uscì dalla punta della penna e andò a posarsi su un foglio, prima che questo venisse alzato per mostrare una chiara calligrafia

-Cosa ti sta succedendo, bruder?-

Prussia fece la cosa che aveva fatto per la maggior parte del tempo da quando era tornato a Schloss der
Mittelweg: ghignare e mentire.

« Assolutamente nulla. Siete voi che vi fate strani pensieri »
« Bugiardo! » intercalò il regno di Baviera
-Ti stai comportando in modo strano sin da quando sei arrivato a casa e sono quasi certa che non sia per colpa della guerra. Ti ho visto affrontare conflitti più gravi più tranquillamente-
« Vi sto dicendo che non ho nulla … e smettetela di essere così sospettosi! » disse, distendendo di più il sorriso tirato.
« Sappiamo che ti sta succedendo qualcosa, Gilbert, e non ce ne andremo prima che tu ci abbia detto di cosa si tratta! » esclamò Christian, mentre stava ormai perdendo tutta la calma per colpa della cocciutaggine di Prussia.
« Nulla di cui dobbiate preoccuparvi! »
-Allora qualcosa c’è!-

Il prussiano si morse la lingua per la rivelazione appena fatta.
« Davvero! Non c’è nien… » non poté finire la bugia che uno scintillio metallico gli passò pericolosamente vicino alla testa, prima che un assordante rumore di porcellana infranta riempisse la camera: Sassonia aveva tirato un coltello contro il volto di Prussia, che era rimasto immobile nel vedere la lama passargli troppo vicino all’orecchio e schiantarsi contro un vaso.

La pazienza della sorella era stata ampiamente superata. Baviera le bloccò la mano destra per impedirle di fare una pazzia come quella, lievemente irritato dal comportamento infantile e pericoloso della ragazza.

Si voltò poi verso Prussia « Se non è nulla di cui preoccuparsi, allora perché sei corso in bagno a rimettere? Sai perfettamente che puoi dirci tutto … » concluse magnanimo il regno germanico.

E Gilbert, a quelle parole dette con tutta la semplicità e tranquillità del mondo, quasi cedette. Fu quasi tentato di dire tutto, di parlare della creazione dell’Impero Tedesco e della loro imminente morte. Sentiva il torrente di parole premere contro le sue labbra, ansioso di uscire e rivelare la verità.

Forse, se avesse parlato, si sarebbe tolto il peso che lo opprimeva e sarebbe riuscito a vivere in serenità quelle ultime settimane, senza dover continuare a mentire …

Qualcuno bussò alla porta, distogliendo i presenti dai loro pensieri « Avanti! » ordinarono all’unisono i due fratelli. Un giovane maggiordomo si fece mestamente avanti, con riverenza « Herr Gilbert, herr Christian, fräulein Andrea, il pittore è arrivato » annunciò serio, sorprendendo tutti i fratelli Bielschmidt.

L’espressione sconcertata di Prussia parlava da sola « Impossibile! Non l’ho nemmeno fatto chiamare! » gridò.

Il cameriere, avendo sentito il tono di Gilbert e avendo notato la ceramica in frantumi, assunse una nota molto spaventata nella voce, che cominciò a tremare mentre tentava di dare spiegazioni « L’ha convocato Herr Bismarck quando è arrivato ad Hannover infatti, a detta sua, ha trovato il Kaiser che gli ha riferito le sue volontà, Herr Bielshmidt ed ha detto che è partito subito, in quanto lui stesso riferisce di avere un debito con lei. Se vuole seguirmi … » invitò cortesemente, lievemente sollevato di poter lasciare quel posto il prima possibile.

La conversazione precedente era inesorabilmente caduta nel dimenticatoio, tranne per il prussiano, che fu però ben contento di abbandonare i fratelli nella sua stanza, ma, nonostante questi non avessero ancora ottenuto le risposte che cercavano, nulla li avrebbe fermati, il prima possibile, da un ennesimo assalto al biondo. Lo seguirono nella sua visita al ritrattista.


L’artista era davanti alla porta d’entrata di spalle, ancora all’esterno, mentre dava le direttive al cocchiere ed ad alcuni servitori riguardo tele, cavalletti, tavolozze e colori. La sua voce argentina e quasi infantile che riempiva tutta l’aria circostante era impossibile da non riconoscere.

Molto sorpreso e spaesato, Gilbert incollò il suo sguardo sulle spalle minute del giovane, sul fisico longilineo e sui capelli rossicci. Forse un aspetto comune, ma quel sottile ciuffo arricciato non lasciava dubbi: solo una persona al mondo poteva possedere quella ciocca sbarazzina che sfidava la legge di gravità.

« FELICIANO! » sentendosi chiamato, l’italiano si voltò, sorridendo raggiante non appena i suoi occhi castano chiaro incontrarono quelli blu di Gilbert.

Abbandonò immediatamente i lavoratori, che borbottarono alcuni improperi sottovoce, per raggiungere in cima alle scale la Nazione stupefatta e dubbiosa « Cosa ci fai qui? » domandò Prussia non appena Italia si fu avvicinato abbastanza perché il biondo non dovesse urlare.

Un rosso congestionato comparve sulle sue gote non appena l’italiano, in uno slancio di affetto, lo  abbracciò. Ci mise qualche secondo prima di riprendersi dalle emozioni esplicite tipiche della Nazione mediterranea e ricambiare mestamente l’abbraccio.

Veneziano sorrise ancora, tenendo gli occhi chiusi « Sono qui per richiesta del Signor Bismarck di fare un ritratto a te e alla tua famiglia, Gilbert! »
« Ho capito, ma in realtà chiedevo cosa ci facessi tu in Prussia »
« Cercavo te! Non ho ancora potuto sdebitarmi per l’immenso aiuto che mi hai dato cinque anni fa contro il Signor Austria e questo, non appena il signor Bismarck me lo ha chiesto, mi sembrava il minimo! » la voce di Feliciano aveva avuto un calo ricordando la sua guerra intrapresa contro Roderich, la nazione che lo aveva allevato come un figlio, per poi opporsi alla sua voglia si libertà ed indipendenza.

« Tranquillo, Italien, te l’ho già detto che l’ho fatto anche per un mio interesse. Comunque, perché, ora che puoi, non sei insieme a tuo fratello? » ricordò Gilbert l’espressione di pura gioia che aveva preso possesso del viso dell’italiano non appena si era ricongiunto con Romano dopo secoli di separazione.

Un ennesimo dolce sorriso si stese sul volto di Italia « Ora è diverso: perché so per certo che se avessi voglia di vederlo, di abbracciarlo, di stare con lui, lo posso. Abbiamo tutta un’eternità da passare insieme, gli posso tranquillamente concedere qualche anno per- »

« FELICIÈN! » una voce morbida e vellutata che sembrava provenire da uno strumento musicale ben suonato che dalle corde vocali di una persona interruppe il discorso di Veneziano: una ragazza bionda dal soffice accento francese vestita con un lungo abito verde acqua corse incontro alla nazione italiana, abbracciandolo stretto e schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia.

« Oh! Signorina Alsazia! È davvero molto tempo che non ci si vede! Come stai? » chiese l’Italia del Nord non appena si fu ripreso dalla sorpresa « Très bien, mon petit rayon de soleil! Troppo tempo, come va da te in Italia? Sai perfettamente come può andare a me e a mia sorella Lorena, non puoi non aver sentito nulla a riguardo ciò che sta succedendo tra m. Bielschmidt e mon cousin Francis … » concluse Annie un po’ cupa sulle ultime informazioni.
Feliciano annuì serio « Certamente che ho sentito, una guerra non passa di certo inosservata e poi-»

« FELI-CHEN! » la nazione italica fu interrotta ancora, questa volta, però, da una voce chiaramente teutonica. Un ragazzino biondo, con i capelli ben pettinati corse verso di loro, seguito dall’altra regione e da Baden, Wurttemburg, Mecklemburg, Oldenburg ed Hesse, che li raggiunsero.

Ci furono baci, saluti e pacche fraterne sulle spalle, e ancora risate e parole. Tutti i fratelli entusiasti di rivedere l’amico italiano … be’, quasi tutti …

Come se fosse stato chiamato un’ennesima volta, Veneziano si voltò, nonostante fosse sicuro che il suo nome non fosse vibrato nell’aria riempita delle loro chiacchiere: i suoi occhi castani si scontrarono con due zaffiri e due ossidiane che lo fissavo molto intensamente, quasi con superiorità e ribrezzo.

L’atmosfera si fece improvvisamente pesante non appena tutti si accorsero della presenza di Baviera e Sassonia, che avevano assistito a tutta la scena in disparte.

Un brivido di timore percorse le ossa di Italia quando notò la posa rigida e la mascella serrata dei due ducati più antichi. Abbassò lo sguardo « Signor Baviera … Signorina Sassonia, è un onore rivedervi … » sussurrò non molto convinto, avvicinandosi inconsapevolmente a Prussia, mentre una sensazione di fastidio e nervoso cominciava a circolargli nelle vene.

La voce di Christian era così bassa e imperativa che non sembrava nemmeno la sua « Herr Vargas, sarà lei che farà il dipinto? Mi auguro che le venga bene, ma la sua fama di artista è riconosciuta in tutto il mondo, vedremo di non preoccuparci più di tanto. Ora, se vuole scusarci … » e si eclissò insieme ad Andrea.

Gilbert seguì i fratelli con lo sguardo fino a che non scomparvero, stringendo poi la mano attorno ad un braccio di Feliciano « Vieni con me, Veneziano, dobbiamo metterci d’accordo per il ritratto … » fece vago, prendendolo con sé e portandoselo in camera.

Arrivati nella stanza, il prussiano chiuse la porta, concentrandosi sull’altra Nazione « Feliciano, io ti devo fare una domanda. Tu sei stato a contatto con Otto, non è così? »
Il ragazzo annuì.
« Hai … hai sentito qualcosa a riguardo di quello che sta succedendo al territorio germanico? »

Vargas temporeggiò prima di dire « Ho sentito alcune voci … nulla di chiaro … c’è stato un accenno da parte del signor Bismarck ad un suo collega, ma ho cercato di non impicciarmi troppo … poi mi ha mandato qui prima di dirigersi verso Versailles »

Lo stupore si dipinse sopra il volto del teutonico « A Versailles? Ma è impazzito?! In pieno territorio nemico?! »

« Sembra che voglia ufficialmente umiliare il fratellone Francia … » fece mesto Nord Italia « Comunque è vero, Gilbert? Davvero tutti i ducati germanici moriranno per dar vita ad un nuovo stato? » domandò quasi sull’orlo delle lacrime al pensiero che tutta la famiglia germanica sarebbe presto scomparsa, anche lei …

Prussia non rispose, ma il suo silenzio valeva più di mille parole. Calde lacrime silenziose cominciarono a scendere dagli occhi ambrati di Veneziano. Nascose il viso tra le mani, ripensando ai volti allegri dei fratelli teutonici.

Due forti braccia gli circondarono le spalle e la minuta Nazione si voltò improvvisamente verso il biondo, riversando un fiume di scuse « Perdonami Prussia, sono qui a piangere come un bambino e nemmeno penso a te, che è sicuramente più doloroso veder perdere così la propria famiglia, è solo che sono tutti così simpatici, anche se Sassonia e Baviera sono un po’ più freddi, ma non meritano di fare quella fine e poi ho pensato a cosa farei io se mi fosse portato via Romano, proprio ora che ci siamo riunito dopo tanto tempo! »

Un dolce sorriso si fece strada sul volto del ragazzo dagli occhi blu « Non preoccuparti per me, Feliciano, sto bene » mentì, prima di fare una raccomandazione « Solo … non fare una parola di questo argomento finché resterai qui, va bene? »

Incassando la testa nel petto del prussiano, l’italiano annuì, trovando ingiusto che i ducati germanici non potessero sapere della loro fine.

 
 

La tana del lupo:
Scusate il ritardo e spero che vi piaccia il capitolo. Ringrazio Frosty lily, che ha recensito lo scorso capitolo, ceci the hedgehog che ha messo la storia tra i preferiti e Generale di Capo Urano, nikkith e Queen Giulietta che hanno messo la storia tra le seguite.
Ciao e baci J

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Ed ecco, a grande richiesta (?) il tanto atteso (?) terzo capitolo di Familie 

CAPITOLO III

14 Gennaio 1871, Schloss der Mittelweg, Sassonia

 
Il quadro era definitivamente pronto. La velocità e la bravura di Feliciano non avevano eguali.

Tutti i soggetti erano riusciti magnificamente. Le vesti, i volti, i capelli erano incredibilmente simili agli originali. Anche gli occhi, constatò Gilbert, osservando se stesso. Le sue iridi blu rispecchiavano perfettamente la tristezza di un terribile segreto celato.

« Perché mi hai disegnato uno sguardo del genere, Veneziano? » domandò all’altro occupante della stanza,  che sorseggiava del the da una tazzina di porcellana, seduto ad un tavolino.

Nord Italia abbassò la ceramica dalla bocca, guardando serio e triste l’amico « Scusami, Gilbert, ma non sono riuscito a disegnarti del tutto falso. I tuoi occhi erano talmente tristi che non era possibile ritrarli completamente normali »

Prussia annuì.
Nelle due settimane precedenti il prussiano era stato tutto il tempo vicino ad Italia, poiché in sua compagnia Sassonia e Baviera non si avvicinavano, troppo infastiditi dalla presenza del tenero italiano.

« Prussia? »
« Sì, Feliciano? »
« Io, fra poco, dovrò partire. Hai intenzione di tenere tutto nascosto per tre giorni? Vuoi davvero tenerli all’oscuro di tutto fino alla fine? »

Il biondo chiuse gli occhi « Sono arrivato fino a qui, non vedo perché non dovrei andare fino alla fine »
L’italiano posò la tazza sul tavolino « Ho capito. Non sono nessuno per impedirtelo »

Gilbert esplose in uno scatto d’ira « Prova a metterti nei miei panni, Italia! Tu non potrai mai capire! »
Quella frase, detta con rabbia, ebbe l’effetti di spaventare il Nord Italia, che si era rannicchiato sulla sedia, con gli occhi chiusi e le mani a coprire la faccia, come se temesse che il prussiano lo volesse colpire.

Prussia sospirò, avvicinandosi all’amico, inginocchiandosi di fronte a lui, abbassandogli le mani e abbracciandolo forte.

Rimasero in silenzio senza dire nulla, stretti insieme, cercando di sostenersi a vicenda.
Il prussiano inspirò il fresco profumo di Veneziano, di olive e agrumi. Strinse di più la stoffa  tra le dita, affondando maggiormente il viso nella spalla dell’italiano.

« Herr Beilschmidt, la carrozza di herr Vargas è arriv- » il domestico si bloccò nel vedere il padrone immerso in un intimo abbraccio con l’amico, il quale si staccò, guardando in basso con un po’ di imbarazzo, prima di mormorare « Arrivo ».

Veneziano se ne sarebbe andato, Gilbert sarebbe rimasto solo per ancora due giorni per poi ritrovarsi ancora più solo. Si maledì per quei pensieri, per quella situazione e per non poterla impedire.

Accompagnò l’italiano fino alle scale, per poi vederlo rivolgergli un sorriso stanco e triste e scendere.
Proprio appena arrivò in fondo, Italia fu letteralmente investito dai restanti fratelli, tutti rattristati dalla sua partenza.

« Parti di già? Che peccato … » si lamentò il piccolo Karl « Ti va di restare ancora un po’? il posto non ci manca! » lo invitò Wurttemburg « Esatto! Resta ancora qualche giorno, mon petit! » gridò Annie.

Feliciano scosse la testa, nervoso « Purtroppo non posso, devo andare subito! » glissò le domande Italia.
« Va bene, allora. Però, mi raccomando, torna a trovarci presto! » lo invitò Hesse, dandogli un bacio.
« Ve, non so se sarà possibile … » mormorò quasi impercettibilmente, ma quel sussurro non passò inosservato da tutti.
« E perché mai? Se posso chiederlo, herr Vargas … » una voce profonda, baritonale, sicura e sospettosa bloccò il brusio di tutti i presenti: Baviera era appena alle spalle di Nord Italia, seguito dall’immancabile sorella Andrea.

Il ragazzo deglutì « No è che … in questo periodo sono molto impegnato … sa, la riunificazione … »

« Eppure questo non le ha impedito di venire fino a qui per fare un semplicissimo ritratto che poteva benissimo fare un giorno in cui sarebbe stato libero da impegni politici. Infondo, noi abbiamo tempo … » disse assottigliando gli occhi.

« Sì, ma io non volevo farvi aspettare troppo » si giustificò l’italiano, sempre più incerto, mentre Gilbert se ne stava zitto, in cima alle scale, sperando che l’amico non si lasciasse sfuggire nulla.

« Feliciano, non devi andare? » lo esortò con un sorriso tirato. Christian lo impedì « No, fratello, voglio conoscere la risposta di herr Vargas. Lo sai che detesto non sapere le cose. Come per esempio il fatto che ci stai tenendo nascosto da due settimane … che c’è pensavi non sapessimo che moriremo tra una settimana? » chiese retorico, fermando il fiato di tutti i presenti con quella rivelazione, rallentando il tempo e creando un irreale silenzio nell’atrio tanto che si sentì il flebile sussurro di Veneziano « Due giorni, in realtà … ».

Sassonia lo guardò impietrita, mentre Baviera chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie, bisbigliando tra sé « Allora è peggio di quanto pensassi … grazie dell’informazione, herr Vargas, ora può pure andare … » lo lasciò libero.

Prussia rimase immobile a quella rivelazione. Come faceva Christian a saperlo? Eppure aveva cercato di tenere tutto nascosto, di stare il più lontano possibile dai due fratelli più sospettosi … allora come …?

Il lampo di un’idea lo colse nella mente, fin troppo assurda come fin troppo plausibile « Hai bluffato, vero, bruder? T-tu non sapevi nulla, hai solo tentato la sorte … »
« Pensavo ci arrivassi prima, Gilbert … è parecchio tempo che ci conosciamo … » fece, duro e sarcastico.
« Ve, scusami Gilbert, perdonami »
« N-non importa, Feliciano … vai a casa »
« Ve, ma io … »
« VATTENE, ITALIA! » urlò furioso, ma con se stesso, non con il povero Feli.

Quando il portone si chiuse tutti gli occhi si posarono su Prussia, incapace di pensare ad alcunché. Timidamente, una voce perplessa si levò alle spalle dello stato più esteso « Gilbert, rispondici: è vero quello che ha detto Feliciano? » il biondo non si degnò nemmeno di guardare sua sorella Hesse. Non voleva vedere il suo dolce viso stravolto dall’incertezza e dal dolore. Poteva sentirle su di sé, le lacrime non versate dagl’occhi orgogliosi dei fratelli Beilschmidt.

No, non voleva vedere i loro volto sconvolti e offesi.

Vergognandosi di se stesso, Gilbert fece un respiro profondo, chiudendo gli occhi e correndo lontano da quell’incubo che era diventato l’atrio del suo castello. Corse e non si voltò indietro. Non voleva sapere nulla: non se lo stavano seguendo per chiedere più spiegazioni, non se lo volevano insultare, non se erano infuriati con lui. Prussia voleva solo sparire e ridare la vita ai fratelli con la sua morte.

Si rinchiuse in camera, ignorando in tutti i modo le lacrime che avevano cominciato a rigargli il viso. Mai si era sentito più sporco e vile. Mai si era sentito più debole.

Si accasciò con la schiena contro la porta, appoggiando la mano sugli occhi, in un patetico tentativo di fermare il pianto. La bocca gli si era seccata e forti singhiozzi gli risalivano per la gola.

Si rese conto in quel momento quanto grande era stato l’errore di tenere nascosto il tutto. Ora, probabilmente, i fratelli lo odiavano, reclamando una spiegazione che non avrebbe avuto il coraggio di dare. Già li immaginava, mentre lo guardavano con disgusto, per togliere definitivamente lo sguardo da lui, andandosene con il rimpianto di non poterlo portare con loro verso la fine. Già li vedeva mentre, pieni i rancore, lo abbandonavano per sempre.

Era proprio quello che non poteva sopportare, Gilbert: la solitudine. Il pensiero di restare con la sola compagnia di se stesso lo faceva star male. E sapere che chi lo aveva lasciato lo aveva fatto con odio, gli stringeva il cuore in una dolorosa morsa che non accennava a smettere.

All’improvviso un sussurro che sembrava provenire da un mondo onirico, e non da dietro la porta, squarciò l’aria. Una voce che Prussia aveva sentito solo poche volte, in occasioni estremamente rare. Una voce tanto sottile e delicata che sembrava il dolce canto del vento tra i germogli primaverili. Eppure le parole avevano la furia di un uragano, la durezza del diamante e l’amarezza dell’inferno

« Sei un debole, Gilbert. Un debole ed un vigliacco »

Prussia sentì il pianto pervadere quella frase e le lacrime tornarono ad inondare anche le sue guance « Hai ragione. Perdonami, Sassonia … »
 

 

 

 

15 Gennaio 1871, Schloss der Mittelweg, Sassonia.

 
Si era addormentato lì, contro la porta. Ora la schiena e ogni arto gli rimproveravano quella stoltezza. Si sentiva tutta la spina dorsale bloccata. Con dei sinistri “crack” lungo tutto il corpo, si rimise in piedi. Con gli occhi ancora bagnati di pianto e sonno, guardò la pendola: erano le tre del mattino. Probabilmente nessun altro era sveglio. Meglio: nessuno lo avrebbe rimproverato. La catena dei suoi pensieri si spezzò  non appena arrivò al motivo per cui si era segregato in camera sua.

Sentì di nuovo lo stomaco contrarsi. Voleva dimenticare tutto, anche solo per qualche ora.

L’idea arrivò all’improvviso e, nonostante sembrasse quella giusta, Gilbert si fece ribrezzo da solo per quanto fosse caduto in basso.

Prussia uscì dalla sua stanza, stando ben attento a far meno rumore possibile: voleva lasciar dormire i fratelli che ancora ci riuscivano, dopo la notizia ricevuta il pomeriggio precedente.

Si diresse verso le cucine, contento nel constatare che nessuno dei domestici si aggirasse da quelle parti a quell’ora.

Frugò sulle mensole e tra gli scaffali, cercando il suo boccale da birra. Sorrise, trovandolo in alto su una mensola. L’aquila nera si stagliava lucida sullo smalto bianco puro.

Contò mentalmente tutti i boccali dei fratelli, corrugando la fronte: ne mancavano due.

Scosse la testa, scendendo dalla sedia sulla quale era salito per raggiungere la mensola.

Scese le scale che portavano alla cantina.
Accese una lanterna, rabbrividendo per il gelo che aleggiava nell’aria. Il suo fiato si condensava ad ogni respiro.

Botti e botti di legno vuote o piene di birra correvano lungo i muri sia a destra che a sinistra: il segreto più interessante di Schloss der Mittelweg era appunto la riserva sotterranea che nascondeva, a detta di Prussia, una delle birre migliori fatte tra tutti i ducati germanici.

Posò la luce su un tavolo vicino ad una botte, aprendo il boccale, pronto a spillare la birra, quando una voce raggiunse le sue orecchie « Quella che ti farò provare, Andrea, a mio parere è la migliore! » la voce tranquilla, quasi divertita, di Christian fece sobbalzare il biondo, che voltò la testa.

Sassonia e Baviera si stavano dirigendo verso di lui e non appena lo notarono, si fermarono nel bel mezzo del corridoio della cantina, con i propri boccali ben stretti in mano.

Il silenzio calò come una pesante cortina su tutti i presenti e Prussia distolse immediatamente lo sguardo, maledicendosi per la sua debolezza.

« Cosa ci fai qui, Prussia? » domandò il moro guardandolo.

Il biondo deglutì: lo aveva chiamato “Prussia”, non “bruder” « Ho un magnifico motivo per essere qui … voi invece? » chiese, cercando di deviare il discorso.

Christian scosse la testa « Fidati, il nostro motivo è migliore del tuo! » disse, spillando la birra da una botte e portandosi la ceramica al volto, bevendo un lungo sorso di quel nettare divino.

Appoggiò poi il suo boccale sul tavolo, prendendo quello della sorella, riempiendolo e passandoglielo, mentre lei continuava a fissare insistentemente con fare arrabbiato Prussia.

« Ah! La birra tedesca è la migliore di sempre, non pensate? » disse Baviera entusiasta, sorprendendo entrambi con il suo tono allegro.

A Gilbert si strinse il cuore. Le lacrime stavano tornando a sgorgare dai suoi profondi occhi blu. Si morse il labbro inferiore, tentando in tutti  i modi di non versarle e di mantenere un tono di voce saldo « Mi dispiace … mi dispiace per tutto … avrei dovuto impedirlo si da subito» si scusò Prussia, piegando la testa e guardando a terra, troppo impaurito dallo sguardo e le ingiurie che avrebbero potuto lanciargli i fratelli.

Una mano si posa sulla sua spalla. Confuso, Gilbert alza lo sguardo: Baviera e Sassonia sono seri, ma nessun aria di rabbia o odio pervade i loro occhi.

Quella constatazione è una pugnalata al fianco per il biondo « Bruder, noi non siamo arrabbiati per ciò che ci sta per accadere; siamo solo infastiditi dal fatto che non ce l’hai fatto sapere. Ti fidi così poco di noi? Cosa pensavi che avremmo fatto? Ucciso i capi di stato? Impedito la venuta dell’Impero Germanico? Siamo nazioni, Gilbert … per quanto ci decantiamo immortali, le decisioni degli uomini condizioneranno per sempre la nostra esistenza. Noi abbiamo vissuto a lungo, io e Andrea in modo particolare. Abbiamo visto andarsene per sempre Svevia e Franconia e non ci siamo mai illusi che non avremmo fatto la loro fine, un giorno o l’altro. Quel giorno è ormai arrivato e non ha senso per noi farci l’animo cattivo contro qualcosa che non possiamo impedire »


« Non voglio che mi lasciate da solo. Io mi faccio tanto grande e magnifico, ma anch’io ho paura di qualcosa e questo qualcosa è la solitudine. Non potete andarvene, non voglio restare da solo, non potrei sopravvivere … »

Christian rise leggero, come fa un amorevole genitore quando sente i grandi e insensati sogni del figlio
piccolo « Tu non sarai da solo Gilbert. Sta per nascere un nuovo stato, un nuovo fratello. Ci sarà lui a farti compagnia … »


Il biondo sbuffò « Un nuovo fratello al prezzo di dieci: un affare » in una singola frase riversò tutto il sarcasmo, l’amarezza e la tristezza che quella situazione stava portando nella sua vita.

« Sarà un bambino, Gilbert: dovrai prenderti cura di lui finché non sarà maturo per prendere le sue decisioni. Fino a quel momento sarai così impegnato che non ti renderai nemmeno conto del tempo che starà passando, fino a quando non ti volterai indietro e ti accorgerai che di noi sarà rimasto solo un vago ricordo che ti farà sorridere il cuore. Non puoi lasciarti andare, bruder. L’Impero Tedesco conta su di te per poter esistere … »

Il sorriso tranquillo e quasi rassegnato del fratello fu la goccia che fece traboccare il vaso di Gilbert.
Il pianto sgorgò, ma non fece nulla per fermarlo.

Aveva messo da parte l’orgoglio, non gli importava nulla della sua magnificenza. Si sentiva solamente uno stupido per aver sprecato le ultime settimane di vita della sua famiglia per scappare dal fantasma della paura di perderli.

Con uno scatto abbracciò i due ducati, stringendoli forte a sé. Dopo un attimo di sorpresa, i due ricambiarono silenziosi quell’effusione di affetto, versando anche loro calde lacrime al pensiero di non poter vedere ancora per molto il loro caro Prussia.

 « Siete i fratelli più magnifici che una nazione possa desiderare. Siete migliori di me, sono io con la mia codardia che merito di andarmene, non voi » affermò il prussiano.

Andrea lo spinse distante, guardandolo come se fosse pazzo, per poi sorridere in modo dolcissimo. Baviera, che la conosceva dalla nascita, interpretò per il fratello quegli sguardi « Non devi pensare minimamente ad una cosa del genere. Ora però devi andare anche dagl’altri. Saranno sicuramente ancora svegli. Sono i nostri ultimi giorni, non vorrai certo farli passare scappando ancora, no? »

Gilbert li abbracciò di nuovo « Certo che no! » affermò con la sua solita spavalderia appena tornata, seppur con gli occhi ancora rossi di pianto.

Afferrò il suo boccale ancora pieno, alzandolo al cielo per fare un brindisi  « A chi se ne sta per andare, ma non per sempre. Sono certo che, dovunque si troveranno, continueranno a guidare i miei passi! Prost! »
 

 
 
LA TANA DEL LUPO:
Eeeeee sono tornata con questo capitolo e probabilmente pubblicherò anche una One-shot rossa che, sono sicura, piacerà a pochi.
Ringrazio Frosty lily che ha recensito anche l’ultimo capitolo. Tenete duro! (?) Alla fine non mancano che due o tre capitoli.
Baci Lupus_in_fabula.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV


 
15 Gennaio 1871  Schloss der Mittelweg, Sassonia
 
Lasciati Sassonia e Baviera ancora nelle cantine, si avviò velocemente ai piani superiori.
I suoi passi veloci rimbombavano contro il marmo dei pavimenti, creando un’ eco che si espanse per tutti i saloni e i corridoi e che non passò del tutto inosservato.

Nonostante fosse interessato a parlare con i suoi fratelli, non poté non fermarsi quando una lieve voce con accento francese lo chiamò alle spalle.
A loro non ci aveva pensato …
« Gilbért … ».
Il biondo si voltò lentamente, fino ad incontrare lo sguardo serio e spaventato di Helene.

Gli occhi blu, tanto simili sia a quelli di Francis quanto a quelli di Sassonia da essere una pugnalata al cuore, lo fissavano intimoriti « Gilbért … è tutto vero quello che è venuto fuori l’altra sera? » chiese incredula, avvicinandosi di qualche passo.

Il prussiano la guardò con malcelata tristezza, dandogli così una muta risposta, mentre il cuore gli si fermava al pensiero di quell’’ingiustizia: Alsazia e Lorena non gli appartenevano eppure veniva decisa anche la loro vita, falciandola come una lama su delicati steli di fiori.

L’abbracciò forte quando lei gli buttò le braccia al collo, singhiozzando disperata sconnesse parole in francese.
Passarono ancora alcuni minuti prima che il suo pianto si calmasse e diventasse silenzioso, prima che flebili parole di aiuto uscissero dalle labbra della ragazza « Ti prego, Prussia, promettimi una cosa: promettimi che resterai vicino a Francis! Nonostante i tempi duri … siete amici! Stagli vicino quando non ci saremo più! E non fargli fare cose avventate! » supplicò, prima di tornare a piangere.

Gilbert le baciò piano i capelli, in una muta risposta affermativa alla sua promessa, prima di riaccompagnarla nella sua camera.

Francia ne sarebbe uscito distrutto. Amava con tutto il suo cuore quelle due ragazze, con la stessa dolcezza e lo stesso fare protettivo di un fratello maggiore. Nell’identico modo in cui Prussia amava i suoi fratelli.
Ma per il francese sarebbe stato più duro: Alsazia e Lorena gli erano state letteralmente strappate via dalle braccia e non le avrebbe mai più riviste. Le preghiere di Helene erano inutili, Francis non lo avrebbe mai perdonato.
La osservò per qualche secondo, mentre si addormentava accanto alla sorella.

Chiuse piano la porta, mentre la sua attenzione veniva catturata dalle dolci e malinconiche note di un pianoforte.

Fece per avvicinarsi alla sala dove si trovava lo strumento, quando fu colto da un’idea che lo riportò in camera propria a prendere la custodia di stoffa di uno strumento a lui molto caro.
Il metallo lucido del flauto rifletteva i suoi occhi blu colmi di rimpianto.
 

Baden si fermò un’ennesima volta, non staccando le dita dai candidi e lucidi tasti del pianoforte. Chiuse gli occhi verdi, incerto sul se e come continuare a imbrattare quel vuoto pentagramma con nuove note piene di tristezza e amarezza.

Intrecciò le dita, chinando il capo e tentando di reprimere le lacrime che minacciavano di uscire dai suoi occhi.
Silenziosamente, maledì il fratello che non aveva riposto alcuna fiducia in lui e quello che se ne era appena andato da quella stanza, lasciandolo senza dire una sola parola, anche dopo che era entrato e aveva passato delle ore con lui su un divano della stanza a baciarsi e mordersi le labbra, a cercare un appiglio in quella surreale situazione, per quanto malsano, labile e poco definito.

Si passò le dite tra i capelli chiari,quasi disperato e frustrato per le proprie azioni, quando, con un cigolio la porta si aprì, rivelando la figura del Prussiano che teneva stretto fra le mani il prezioso flauto traverso.
Gli occhi verdi del ducato ebbero un guizzo, per poi tornare immediatamente freddi e distaccati.
« Ciao bruder… »
« Ciao Prussia ».

Il tono palesemente distaccato con cui aveva espresso quell’unico saluto faceva facilmente intuire la rabbia nascosta sotto strati di acidità e ironia che per anni aveva usato come protezione.
Prussia lo guardò a lungo, continuando a tenere stretto il proprio strumento, indeciso su cosa fare e cosa dire.
« Perdonami, bruder, per non avertelo detto » l’orgoglio prussiano era stato messo a dura prova con quella semplice richiesta di scuse.

L’altro fu quasi tentato di ignorarlo, di non rispondergli, pensando che fosse quello che si meritava. Stava per morire e il fratello che avrebbe dovuto proteggerlo lo aveva tenuto all’oscuro di tutto.
« E perché dovrei farlo? » No, in effetti non aveva ragioni per farlo.
« Perché ti sei rifiutato di dircelo? Se solo lo avessi saputo, se solo… » probabilmente, se avesse conosciuto la notizia magari le proprie scelte sarebbero state diverse: avrebbe passato più tempo coi propri fratelli, sarebbe stato meno acido, avrebbe evitato di proibire il proprio letto a Wuttemburg che per tutte le settimane
precedenti aveva richiesto di entrarci.


Ormai era tutto vano, presto ogni suo ricordo e ogni sua gioia sarebbero diventati neve al sole. E cercava patetico conforto nella musica, ma, quella cara amica che non lo aveva mai abbandonato e lo aveva sempre sostenuto, sembrava essere inutile in quel momento.

Nessuna delle note che aveva scritto in quel requiem per la propria famiglia sembrava portare il dolore che sentiva dentro, risultando completamente inutili.
« Ti va di suonare qualcosa con me? ».

Sembrò risvegliarsi dal proprio pessimismo con quell’inaspettata domanda.
Alzò lo sguardo stupito, incrociando i serissimi occhi del Prussiano, che teneva stretto tra le sottili dita diafane il flauto argentato.

Il lucido metallo brillava sotto la sottile luce delle candele e del caldo focolare che illuminava e riscaldava tutto l’ambiente.
Senza nemmeno ricevere il consenso, Gilbert si avvicinò al pianoforte, studiando lo spartito con gli occhi, passando ogni rigo del pentagramma.
« Sembra bello … come s’intitola? »
« … Requiem für eine Familie… ».
Il groppo di lacrime si fermò nella gola di Gilbert. Cercò con fatica di inghiottirlo, mentre tirava fuori il proprio
ghigno spavaldo, quasi del tutto fuori luogo.


Se ne rese conto e le sue labbra si stirarono in un sorriso stanco e rassegnato, mentre le dita portavano alla bocca il freddo e lucido metallo del flauto.

L’aria dai polmoni gli uscì un po’stentata per l’ansia e l’iniziale tristezza, diventando via via più tranquillo mentre eseguiva le note trascritte sul pentagramma, senza guardare tuttavia il fratello minore che, dal canto suo, lo osservava con gli occhi sgranati e quasi ricolmi di lacrime.

Ricacciò indietro il pianto mentre si sistemava adeguatamente sullo sgabello e riprendendo la propria composizione da dove era arrivato Prussia col flauto.
Il castello intero si colmò di drammatiche note eseguite con tristezza e consapevolezza, ricamate di lacrime, di scuse e di parole non dette.

Il maggiore si distraeva con la musica, provando a non pensare a cosa ogni singola tonalità della melodia significasse. Il dolore, la gioia, il rimpianto, la dolcezza era quasi palpabili mentre cercava di concentrarsi unicamente sull’esecuzione, ignorando il restringersi del proprio cuore a ogni movimento delle dita.

Inutile lottare contro una tempesta che sta per distruggere il giardino a cui hai lavorato con cura e impegno, amando tutti i singoli fiori che hai coltivato, vedendoli crescere e sbocciare nella loro più bella fioritura.
Quella volta doveva solo rassegnarsi e osservare come l’impetuoso vento ne avrebbe strappato a uno a uno i delicati petali.

Quando l’ultima nota fu suonata da entrambi i musicisti, un silenzio pesante e quasi irreale sommerse ogni anfratto di tutto il castello.

Gilbert non riusciva nemmeno ad alzare lo sguardo sul fratello, mentre riponeva con cura il proprio prezioso strumento, trattandolo con le premure che avrebbe riservato a un amante.
Si decise poi a guardare Baden che lo fissava quasi in impaziente attesa, con i suoi occhi smeraldini completamente sgranati, magari aspettandosi parole che forse il Prussiano non avrebbe mai avuto il coraggio di dire.
« Grazie per la sonata, Baden… ».
Si vergognò per ciò che disse. Si morse la lingua, mentre il fratello minore chinava il capo, sconsolato e abbattuto.

Stringendo tra i denti il labbro inferiore, abbracciò le spalle del ducato che aveva ripreso a mettere in ordine i foglio senza più degnare di uno sguardo il regno più grande.
Mark si irrigidì tra i muscoli di Prussia, sorpreso per l’inaspettato gesto.

Probabilmente era meglio così. Ogni frase di scusa sarebbe stata superflua e non sentita.
Un caldo, rassicurante, fraterno abbraccio valeva più delle mille parole intrappolate nella gola di entrambi. Presto sarebbe stato il momento delle urla e delle lacrime. Ma non era quello il momento.
« Danke, bruder… »
« Bitte… ».



LA TANA DEL LUPO:
E, a grande richiesta, ecco il nuovo capitolo di Familie. Questo lo dedico ad Eisen_im_blut, perché mi sprona ogni volta che la vedo e a Regina Acqua perché sa attendere tanto.
Faccio comunque notare che ho aggiunto l'avvertimento "incest" appunto per la situazione di Baden e Wurttrmburg, anche perché ora in Germania esiste appunto una ragione chiamata "Baden-Wurttemburg"
A presto, sperando che la storia continui a piacervi.
Lupus.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


 

CAPITOLO V


15 Gennaio 1871  Schloss der Mittelweg, Sassonia
 


Era quasi riuscito a dormire alla fine. Si era spogliato e coricato nel letto; non era riuscito a dormire tutta la notte, ma almeno tre ore le aveva passate con gli occhi chiusi, anche se era una stanchezza dettata dalla troppa tensione non scaricata.
Erano le cinque del mattino quando si alzò, complice l’insonnia di cui soffriva da lungo tempo e la volontà di voler passare più tempo possibile con i fratelli.
Anche se dubitava che ci fosse qualcuno sveglio a quell’ora.
Si rivestì, incamminandosi poi per i vuoti e desolati corridoi del castello. L’eco dei suoi passi rimbombava in ogni sala, ancora completamente buie. Un sorriso amaro gli si increspò sulle labbra ricordando che anni addietro ripercorreva quelle stesse grandi stanze in compagnia di Sassonia, che si azzardava addirittura a pronunciare qualche parola, sottovoce, temendo che qualcun altro potesse sentirla.
E lui le chiedeva ogni volta di ripetere, ma non perché non capisse, ma perché amava sentire la sottile e flautata voce della sorella. Andrea allora quasi si infuriava, ma comunque ripeteva, forse per quell’orgoglio che voleva dimostrare a tutti di non dipendere in continuazione dal proprio mutismo.


Dei passi ovattati dalle pareti del castello attirarono la sua attenzione.
Si fermò di fronte alla porta scura della stanza da cui provenivano i passi leggeri.
Bussò, sperando che l’occupante, certamente infastidito, lo facesse entrare; si stupì quando la voce di Michael, che lo invitò dentro, risuonò incredibilmente calma.
Il ducato, in pantaloni e camicia, camminava avanti e indietro, brandendo tra le mani una sciabola.
Tutti i mobili della stanza erano sfregiati, i vasi distrutti e i cuscini sventrati; eppure l’espressione sul volto di Wurttemburg era di pura tranquillità.

La sua bocca si allargò in un smisurato sorriso, quasi insano e raccapricciante.
«Oh, Preußen! Meno male che sei arrivato! Non trovo Andrea, ma tu vai benissimo! » e, detto questo, gli lanciò una sciabola della stessa dimensione, che il Prussiano afferrò al volo per l’impugnatura.
Non riuscì nemmeno a elaborare mentalmente l’idea di un duello che fu costretto a parare un affondo ben mirato di Michael.
I suoi riflessi di guerriero e l’abitudine alle battaglie gli permisero di evitare anche gli altri due colpi scagliati.
Con velocità, precisione ed esperienza riuscì in poco tempo a disarmare il fratello, basito dalla facilità con cui l’altro lo aveva battuto.

Guardò la propria arma per terra con occhi increduli prima di spostare l’attenzione sul volto serio e attento di Prussia.
Una risatina leggera e isterica gli uscì dalle labbra, mentre distoglieva ancora lo sguardo. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, mentre si buttava sul letto sfatto e si copriva il viso con l’avambraccio, senza smettere di ridere.
Gilbert lo guardò preoccupato, mentre il ducato prendeva la parola: « E così il ducato di Wurttemburg se ne andrà da questo mondo come perdente… ».

Quelle parole fecero gelare il sangue e seccare la gola dell’albino.
Il ragazzo disteso sul letto fece scorrere i propri occhi viola sull’intera figura del maggiore, fermandosi quando la sua espressione afflitta.
Un sorriso falso e tirato si estese sul suo volto stanco: « Oh, tranquillo … non è così male! ».
Una bugia visibile anche col buio. Michael era un’antica potenza, in quel momento lontana e distante, forse ormai persa per sempre.
E ora stava per scomparire, per fare posto a una nuova nazione che non comprendeva ancora nulla della guerra. Uno scambio svantaggioso, ma che era obbligato a fare.

Gilbert si sedette sul letto, accanto a lui, osservando ogni particolare di quel volto mentre il fratello teneva gli occhi chiusi e pensava a chissà quale segreto che sarebbe rimasto celato per sempre nella sua testa.
Le dita del Prussiano vagarono nell’aria fino a raggiungere la pelle del volto di Michael.
Questi sobbalzò sul posto quando sentì i polpastrelli tracciare il segno della cicatrice, dall’orecchio fino quasi alle labbra. Una delle tante che sfregiavano il suo corpo, ma quella la considerava una delle più importanti.
« Sassonia quando entra in guerra non perdona … non capisco perché ti ostini a non portarla con te: guarda che vinceresti di sicuro! ».
Ci scherzò sopra, ma era chiaro che quell’onta, quella deturpazione del suo volto se la fosse legata al dito e che non avesse perdonato del tutto Andrea.
Ma non aveva senso continuare a portare un rancore così grande quando da tempo erano una famiglia. Le famiglie erano sempre un disastro e le famiglie immortali un disastro eterno.
E l’unica consolazione che restava a Michael era di voler provare a battere almeno una volta la sorella in un duelle di scherma, ma, da quanto ne sapeva Prussia, non ci era ancora riuscito.
L’abilità guerriera di Sassonia continuava a sorpendere il mondo intero.

« Io non rimpiango nulla delle mie azioni, Gilbert; nulla della mia vita … nonostante i problemi, ho amato sin dall’inizio questa famiglia. Solo che … pensavo che avrei potuto amarla ancora per molto tempo, invece vengo a sapere che non è più così. Io non rimpiango nulla, ma non posso negare di essere spavantato.
Io so come la vedono Andrea e Christian, ma io non sono così saggio. Io, insieme a te, sono il fratello cazzone di questa famiglia. Io non ho mai pensato che dopo secoli di immortalità sarebbe sopraggiunnta la morte. Non lo avevo mai considerato… ».
Nonostante gli fosse scappato un sorriso per quel piccolo e volgare intercalare del fratello riguardo i loro caratteri, la serietà tornò a impossessarsi del suo volto non appena il discorso andò avanti.
Si guardò le mani, non sapendo come rispondere, intrecciando tra loro le dita.

Gli era capitato di osservare immobile il dissolversi nel vento di un essere immortale: Sacro Romano Impero gli era parso così fragile allora, mentre guardava impotente sotto gli occhi tristi di Sassonia e Baviera, che avevano visto anche la morte di Svevia e Franconia, con l’Impero.
Ma non riusciva a spiegare a Wurttemburg qualcosa di simile. Christian e Andrea erano lì da più tempo, non come lui, ideale immigrato dalla Terra Santa, giunto in Europa per spandere sangue nemico e spargere le proprie opinioni facendole passare per verità assoluta.
La morte lo aveva toccato con roghi e cadute dei grandi generali che lo avevano guidato.
E Gilbert si rifiutava ancora di credere alla natura umana che portava gli uomini a venire seppelliti sotto lastre di pietra, immobili, a diventare tutt’uno con la terra, abbandonando i propri cari ancora sopra la superficie del suolo a piangerli, pieni di dolore.
E negava di credere che la stessa cosa sarebbe successa anche alle nazioni immortali che avevano camminato e combattuto per secoli al suo fianco o contro di lui.

« Perdonami, Michael. Ti direi tutte le parole di conforto di questo mondo, ma credo che non potrò mai provare quello che state provando vuoi in questo momento. So solo che presto tornerò a essere solo come una volta ».
Forse non avrebbe dovuto abituarsi alla sensazione di essere circondato dal calore e dall’affetto di una famiglia.
Scosse la testa deciso, scacciando quel pensiero: non avrebbe mai dovuto nemmeno pensarlo. Non avrebbe mai dovuto rimpiangere il tempo trascorso insieme, abiurando la loro compagnia.

Loro avevano già perdonato i suoi errori, decisioni che aveva preso pensando di agire nel loro bene, ma che li avevano fatti soffrire ancora di più. Si erano sentiti offesi per essere stati messi in disparte riguardo qualcosa che li vedeva come protagonisti e anche perché era sembrato che Gilbert, nonostante li conoscesse da tempo, non si fidasse di loro e della loro capacità di giudizio.
Non se lo sarebbe mai più perdonato.

« Scusami. Scusami per aver tenuto nascosto tutto. Per non essermi fidato di voi »
« Nah … se la famiglia è rimasta come la ricordo, tutti in questo castello ti abbiamo già perdonato. Non devi lasciarti andare, saremo noi allora a doverci scusare per averti lasciato solo e triste. Sono i nostri ultimi giorni insieme, non passarli col muso lungo. Fa’come hai sempre fatto, trattaci come ci hai sempre trattato. I nostri devono sempre essere pronunciati col tono lieto di sempre e non come parole serie e tristi, dette con troppo rispetto. Noi siamo e saremo sempre noi, anche quando scompariremo non andremo distante da te, non ti lasceremo mai solo ».

E non avrebbe mai ammesso che un groppo alla gola gli stava impedendo di respirare e che le lacrime gli avevano appannato gli occhi per l’ennesima volta in quei giorni.
Si alzò in piedi, dirigendosi verso la porta, sentendo in cuor proprio che non sarebbe riuscito a resistere un secondo di più in quella camera dove l’aria si stava facendo pesante come il piombo.
« Grazie. E scusami… ».
Wurttemburg gli sorrise: « Tranquillo. E vedi di dormire: quelle occhiaie non ti rendono magnifico come ti decanti di essere… ».
Seguì il consiglio, ritirandosi nella propria camera a riprendere le ore di sonno perse in quei giorni.
 

Quei giorni di vita stavano passando un mondo all’incontrario,  come la guerra: dormiva di giorno, tirava tardi la notte e non riusciva a fidarsi delle persone a lui più care, temendole come nemici.
Ma la conversazione con Michael lo aveva portato a rilassarsi, almeno per quel tempo che lo permise di poter dormire, riuscendo a fregare anche l’insonnia che lo attanagliava da lungo tempo.

Non poté dire di essersi svegliato sentendosi meglio, anche perché, i crampi della fame stavano cominciando a farsi sentire nuovamente e divennero infine anche più dolorosi quando si ricordò che l’unica cosa che aveva messo in pancia era della birra.
Perciò, alle quattro del pomeriggio, non incontrando nessuno dei fratelli nei corridoi, si diresse verso le cucine.

Le lucide piastrelle di ceramica rifulgevano di un bagliore rosato e aranciato di un sole che era già in procinto di calare oltre le nuvole.
Anche il rame di ogni pentola appesa si illuminava di raggi solari. I tegami pendevano dalle mensole e affilati coltelli giacevano accanto ai taglieri in legno.
Da lì a poco i domestici avrebbero cominciato a preparare la cena, ma Gilbert era troppo affamato per aspettare ancora che tre ore che lo separavano dalla calda pietanza posata sul tavolo.

Una cesta di mele sotto una credenza faceva al caso suo.
Verdi brillanti, appoggiate una sull’altra in una torre smeraldina che minacciava di rotolare per terra al minimo soffio di vento.
Ne agguantò una, soppesandola tra le dita e strofinandone la buccia col polsino della camicia, prima di addentarla con un soddisfatto morso.
Troppo impegnato a sgranocchiare il frutto per godersi quel sapore succoso, dolce e un po’ aspro, e per rendersi conto che in pochi bocconi l’aveva già terminata e ne aveva presa un’altra.
La paura di potersi un’altra volta ritrovare senza cibo gli impediva di assaporare ogni vivanda in ogni suo aspetto, continuando a trangugiare ogni pietanza.

La guerra era un mondo al contrario, ma gli aveva comunque affinato le abilità strategiche e sensoriali.
E i suoi sensi lo misero subito in guardia, avvisandogli che nelle cucine non era più solo.
Non era un domestico: questi lo avrebbe formalmente salutato appena fosse entrato nella stanza.
Si voltò di scatto. Piedi che correvano sul pavimento, posate cadute per terra e pentole semoventi.
Un sorriso amaro gli si dipinse sul volto mentre faceva guardingo alcuni passi, come a fingere che non avesse visto dove fosse andato.

Sospirò: doveva giocare a rincorrere un dispettoso topolino.


ANGOLO AUTRICE:
Chiedo scusa per il ritardo, ma questa fic sta diventando un parto. Mancano al massimo altri due o tre capitoli. Poi basta long per un po'. Al massimo qualche raccolta.
General_Winter

 

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