I'm a monster

di rocchi68
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2 ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


Chiuso in un ospedale con zero possibilità di uscire prima di sera, ecco dove stavo. Non che mi importasse essere sotto sorveglianza di dottori e infermieri che facevano la ronda solo per vedere se ero in grado di respirare o di andare in bagno senza ridurmi da schifo.
Ormai però nello schifo ci ero immerso talmente a fondo che faticavo a capire come riuscissi anche solo a pensare.
Non avevo mai ricevuto una lezione di vita come qualche giorno prima, anche se di botte ne prendevo da una vita.
Credevo di esserci abituato…e invece.
Accerchiato da una decina di armadi con spranghe di ferro e bastoni: mi fecero passare un brutto quarto d’ora.
Sicuramente sarei riuscito a vincere se fosse stato uno scontro leale, ma nelle risse da strada c’è solo una regola.
La regola è che non ci sono regole. Vince chi resta in piedi ed è in grado di tornare a casa sulle sue gambe. Allo sconfitto resta solo il disonore di leccarsi le ferite e il sentirsi uno schifo.
La testa aveva subito molti danni e mi avevano spaccato tutto. Il naso era andato, lo zigomo sinistro annientato, i bernoccoli della testa pulsavano da far schifo, l’occhio destro era nero come il carbone e quello sinistro era chiuso e faticava ad aprirsi. La fronte era costellata di cicatrici e da quello che mi aveva detto il medico, qualcuno me l’aveva aperta con un bel taglierino.
Mi avevano fratturato il polso della mano destra, incrinato qualche costola, spaccato per bene le gambe: insomma mi avevano ridotto come un puzzle.
 
I dottori parlavano di una prognosi compresa tra 4 settimane e 3 mesi, ma io non volevo saperne di restare in quel postaccio.
“Tra quanto potrò uscire di qui?” Chiesi al primo infermiere che dopo molto tempo passava a controllare le mie condizioni.
“Dovrà restare qui per almeno un mese e poi il primario deciderà se lasciarla uscire o se continuerà a restare qui dentro. Tutto dipende da come risponderà il suo corpo alle cure che abbiamo intenzione di sottoporle.” Per un attimo prese a controllare non so quali valori vitali e poi se ne uscì per informare i diretti superiori.
“Poveri stupidi: io non resterò un minuto di più in questo posto. Le vostre cure potete ficcarvele nel culo, io questa sera me ne ritorno a casa.” Quelle parole le dissi più che altro verso il muro dato che in quella stanza ero solo io ad essere sotto osservazione.
 
Era arrivata la primavera, ma nel mio cuore era sempre e solo inverno. Nel mio cuore l’inverno comandava su tutto, ma questo era abbastanza evidente.
Ridursi al primo anno delle superiori in ospedale con non so quante parti del corpo ancora integre era proprio una cosa di cui andare fieri.
Ma da dove avevo cominciato a ridurmi così?
Forse da quando quel pirata della strada, che non trovarono mai, travolse i miei genitori, lasciandomi solo al mondo.
Questo succedeva esattamente alla fine del quinto anno di elementari e fu solo grazie alle battaglie legali di una mia zia ricca che il giudice decise di lasciarmi a vivere in autonomia.
La sorella di mio padre era schifosamente ricca e per un moto di bontà verso un poveraccio mi concedeva un assegno mensile pari a 1000 dollari sui quali io facevo completo affidamento.
Non ne volle sapere di prendersi a carico della mia sfortuna nella sua megavilla, ma preferì lasciarmi da solo nell’appartamento che condividevo con scarafaggi e altri insetti striscianti.
Con solo 1000 dollari per vivere e con tutte le bollette e le spese che avevo, questo assegno non mi avrebbe mai permesso di campare senza qualche sotterfugio.
Non sto parlando di bische clandestine o di traffico di roba strana, ma di qualcosa di molto meglio: le risse da strada pagano bene se vinci, mentre se perdi…beh ti andrà meglio la prossima volta.
Se solo i miei fossero ancora vivi probabilmente non approverebbero questa strada e non mi sarei mai ficcato in questo vicolo cieco.
Avevo un ottima intelligenza, avevo ottime capacità e tutto se ne era andato da quando decisi di vendermi alla vendetta.
La vendetta è un fuoco che dà valore ad una vita insulsa ed è la sveglia che ti aiuta ad alzarti la mattina.
È una scarica di pura adrenalina che ti scorre nel corpo e della quale tu non puoi fare a meno.
La vendetta è essenziale come l’aria che respiri e senza di essa ti senti incompleto.
Fu così che dalla prima media iniziai a combattere per sopravvivere. Combattevo con chiunque: ragazzi più grandi, ragazzi più piccoli, ragazze, vecchi decrepiti, purché mi pagassero.
La media scolastica non era poi così buona come mi aspettavo, ma il Preside pur di non vedermi più, ogni anno aumentava tutti i miei voti di almeno 3 tacche, solo per portarmi alla sufficienza.
 
In ambito di donne invece la mia pessima fama non mi aiutava e non a caso mi attirai la simpatia di due strani tipi che mi sostenevano sempre. Mi sembravano come il gatto e la volpe con la piccola differenza che loro mi seguivano per divertirsi alle mie spalle.
“Mi piacerebbe molto uscire con te. Ti va?” Era il mio ultimo tentativo per quell’anno, se avessi fallito sarei stato costretto a presentarmi al ballo di fine scuola da solo o con qualcuno travestito da ragazza.
“Non voglio uscire con te. Mi sono innamorato di Harold del club di lotta.” Un'altra volta il mio cuore si era spezzato in mille pezzi e anche in questa situazione fui costretto a raccoglierne i cocci e ad andarmene con la coda tra le gambe.
“Ecco l’ennesimo due di picche.” Una ragazza del secondo anno mi aveva scartato per stare con un mingherlino con gli occhiali. Perché non me ne andava bene una? Uno di quei 2 imbecilli di cui vi parlavo mi stava prendendo per il culo e non si erano accontentati di quello che avevo subito, ma continuavano a rincarare la dose.
“Congratulazioni Scott sei arrivato a 50 rifiuti nel giro di 3 anni. Nessuno batterà mai il tuo record.” I due imbecilli che rispondono al nome di Duncan e Mike stavano già sfilando sotto i miei occhi con striscioni, coriandoli e trombette da stadio e non avevano rispetto per i miei sentimenti. Avevo le lacrime desiderose di scendere, ma non volevo farmi vedere da quei due in quello stato pietoso.
“Brutti bastardi.” Raccolsi una parte delle mie forze e dopo aver caricato per due volte il gancio destro, i due rantolavano al suolo. Non mi ero fermato a questi innocui pugnetti, ma avevo proseguito con una testata micidiale sulla fronte.
Mi allontanai quindi dal luogo del massacro, mentre i due cercavano di rialzarsi, aiutandosi l’uno con l’altro.
“Forse era meglio lasciarlo cuocere nel suo brodo.” Mike era colui che aveva un pizzico di buon senso tra i due, mentre Duncan era una furia scatenata.
“Ne sono convinto anch’io.” Dopo aver ricevuto una lezione simile, ne sarebbe stato convinto anche il più duro dei somari.
 
In quegli anni di scuola avevo piegato tutti sotto il mio volere e infatti perfino i bulli più grandi mi temevano. Potevano essere in due, in cinque, in venti, alla fine li avrei schiacciati come insetti.
Fu così che giunsi alle tanto sospirate scuole superiori anche se non capisco come mai, i miei pochi conoscenti lo considerassero uno scoglio più duro rispetto agli altri.
Se vi chiedete se alla fine sono andato al ballo…beh sì ci sono andato e ho pure fatto a botte con due ragazzi del secondo anno, prima di essere sbattuto fuori dalla sicurezza comandata dal Preside in persona.
Fortunatamente ero capitato in un orario dove potei passare il resto del tempo a fare quello che facevo meglio.
Andai nel vicolo dove lavorava Greg e dopo avermi preparato come solo lui sapeva fare, affrontai un ragazzo delle superiori alle quali lasciai qualche bel ricordino. Alla fine della giornata ero tornato a casa con un guadagno di 150 dollari e con qualche leggero livido sul braccio destro.
 
Giunsi quindi alla presentazione e al discorso del Preside dove dormii tutto il tempo e giunto in classe occupai il posto migliore per seguire i cadaveri dei professori: ultima fila banco a sinistra verso la finestra e addio mondo.
Dormire in classe era una gioia per il mio cervello, mentre per la mia compagna era un immensa tortura. Povera lei: bionda, occhi chiari, maglione verde, pantaloni viola, scarpe con tacco nero e bassa quanto un tappo da spumante. Era una tipa strana: parlava di aure, leggeva quelle degli altri e non si arrabbiava quando russavo più forte degli altri.
Forse vuole uccidermi mentre dormo: questa era l’unica possibilità.
Era molto carina, aveva un certo fascino, eppure non avevo più nessuna intenzione di provarci con le ragazze.
Le ragazze sono tutte uguali: se non possiedi una delle qualità che interessa loro, non ti cagano nemmeno di striscio, se invece sei bello e hai i soldi ecco che diventi il figo più figo della scuola.
E poi sono sempre in calore, si strusciano ovunque e vogliono farsi coccolare dagli altri ragazzi.
Più che delle ragazze mi sembrano dei cani a cui piace mostrarsi.
 
Durante una ricreazione di qualche tempo addietro eravamo rimasti in classe io, quella strana tipa, Mike e la sua nuova ragazza, Rossa fiammante come la chiamavo io.
Rossa fiammante, ficcanaso di prima categoria iniziò a dire qualcosa riguardo lavoro, futuro e animali indifesi da proteggere contro test scientifici: argomenti che non mi interessavano un fico secco.
“E tu Scott cosa fai quando esci da scuola?” Se avessi avuto voglia di parlare probabilmente non sarei stato a dormire senza mai alzare lo sguardo e poi gli altri avevano sempre le stesse cose da fare. Loro andavano al cinema, a studiare e a fare scemenze come se non ci fosse un domani, mentre io dovevo portarmi il pane a casa.
“2 combattimenti al giorno, a volte anche 3.” Era davvero noioso quando gli altri mi chiedevano qualcosa, ma per mia fortuna succedeva raramente. I professori non mi interrogavano mai e i miei compagni non si sognavano nemmeno lontanamente di parlarmi, se non in casi davvero particolari.
“Ho capito. Ti piacciono i picchia duro della sala giochi in centro. Lo sospettavo.” Rossa fiammante era proprio un oca senza cervello.
“Non credo che siano i combattimenti che intendeva lui, vero?” La bionda lettrice di anime aveva colpito nel segno e infatti finii con l’annuire.
“Sono un mercenario.”
“Un che cosa scusa?” Era proprio vero che chi si somiglia si piglia, dannazione. Nemmeno Mike aveva capito cosa facessi fuori da quel carcere di malati mentali.
“Sono un lottatore prezzolato demente. Vengo pagato per far del male ai bravi ragazzi, o ai cattivi a richiesta. Posso battere chiunque in ogni istante, ma lo faccio solo se mi pagano…e più che bene. Non sono fedele a nessuno, tranne che al Dio dollaro con qualche eccezione per l’euro o per lo yen, perché quando sei dentro non puoi fare troppe storie. Sono un flagello, avete mai sentito parlare di quel tipo che dove passa non cresce più l’erba? Io sono anche peggio.” Detto questo tornai nel mondo dei sogni, mentre gli altri dementi continuavano a parlottare tra loro.
“E quindi se ti dicessi che uno di quinta mi rompe le scatole, tu potresti…” Quel discorso mi stava davvero interessando e aveva suscitato il mio interesse.
“Un semplice occhio nero costa una cifra, mentre se vuoi che resti a casa per due settimane il prezzo aumenta. Non ti consiglio di chiedermi tutto l’anno perché potrebbe costarti un patrimonio. Tutto dipende da quanto vuoi spendere.”
“Non dirmi che…” Mike prese a fissarmi con intensità come se fosse lui il bersaglio di quel possibile attacco.
“Io attacco chiunque. Non mi faccio nessuno scrupolo. Nel mio giro non conosco nessuno. Non avrei mai pietà, né per gli amici né tanto meno per donne, vecchi, bambini o ragazzi più grandi. Chi mi paga, compra i miei servigi ed io non faccio domande.” La campanella aveva appena decretato la fine delle ostilità e questo significava ritornare a dormire.
 
Ero ancora chiuso in ospedale e i ricordi a saltoni tornavano a torturarmi con la loro morale che io non capivo.
Osservai l’orologio che giganteggiava sulla parete e notai che erano già le 21.
“È ora di andare.” Dissi mentre raccoglievo le cose dal comodino e mentre facevo un fagotto per tornare a casa.
“Anche se non mi reggo in piedi, questo non significa che non sia in grado di curarmi da solo.” Non ero attaccato a nessuna macchina in particolare e infatti dopo essermi alzato, presi a camminare per l’ospedale. Giunsi all’ascensore e dopo averlo preso con qualche difficoltà uscii da quel postaccio.
“Se credevano che sarei rimasto a marcire in attesa di sentirmi meglio, probabilmente non hanno mai conosciuto Scott il vendicatore.”
Dopo circa un ora ero arrivato a casa e l’indomani come se fosse normale andare a scuola coperto di bende, varcai la porta della classe e mi sedetti per riprendere qualche ora di sonno.
Solo la mia compagna di banco notò quello che mi ero fatto e notò anche gli sbuffi e il stringere i denti che caratterizzavano i miei rari movimenti.
 
Uscito da quella strana scuola non vedevo l’ora di tornare a casa, riprendermi, guarire in fretta per poi vendicarmi poco alla volta degli armadi che mi avevano riempito di pugni.
“Ehi Scott. Aspetta un attimo.” Non conoscevo nemmeno il nome della mia compagna di classe e per comodità la chiamavo semplicemente La biondina.
“Cosa vuoi? Se si tratta di menare qualcuno dovrai aspettare qualche giorno.” Mi ero avvicinato ad una panchina e mi ero seduto con il chiaro intento di riprendere fiato.
“Così malridotto non riusciresti a pestare nemmeno un sacco da boxe, mi puoi spiegare cosa ti è successo?” Era la prima volta che una ragazza si preoccupava per me, ma tanto sapevo che lo faceva solo per pietà. Chi mai potrebbe interessarsi di un ragazzo che non possiede nulla e chi mai potrebbe provare qualcosa per qualcuno che non avrà mai futuro?
“Tre giorni fa ho menato il figlio della gang del mio quartiere e ieri è venuto con qualche scagnozzo a menarmi per bene. La prossima volta mi divertirò io.” Anche ridere mi provocava un grande dolore, mentre lei sembrava schifata per quello che le avevo detto.
“Tu sei l’unico che va in cerca di rogne. Non appena ti sentirai meglio, potresti venire a trovare mio padre e lui potrebbe insegnarti qualcosa sulla lotta.”
“Non ho bisogno di nessuno. Non ho bisogno di un nonnetto che mi spieghi come combattere. Io combatto da quando tu avevi ancora il ciuccio e quindi non rompermi le scatole.” Raccolsi le forze che avevo recuperato e dopo essermi alzato, mi avviai verso casa.
 
Eppure durante il lungo viaggio di ritorno iniziai a riflettere su cosa significava quella roba a cui ero stato testimone.
Mi ci vollero quasi 2 mesi prima che il mio corpo si riprendesse completamente dal martirio che mi avevano regalato e quando tornai in piene forze, fu la cara Dawn, sì ho imparato il suo nome, a portarmi da suo padre.
Tipo molto strano quello scoiattolo ricattatore.
“Se non vieni con me da mio padre dico al Preside cosa combini fuori da scuola e lui potrebbe avvertire le forze dell’ordine. Ti conviene seguirmi.”
“E cosa ti fa credere che io accetti ordini da te? Potrei sempre riempirti di pungi e spedirti a casa dal caro paparino con un pacco espresso.” Mi ero appena alzato dalla mia sedia ed ero pronto a tornare nei vicoli per guadagnare qualcosa.
“Anche se continui a ripetere che picchi chiunque, tu non alzeresti mai il dito contro le donne e questo lo so perché Mike e Duncan mi hanno raccontato dei continui rifiuti delle medie.” Quei due non appena mi sarebbero capitati sotto mano li avrei ridotti in polvere.
“Un bel record. Comunque è vero, io le donne non le voglio picchiare.”
“Mi sembra strano che un ragazzo come te non abbia ancora la fidanzata. Insomma sei un tipo interessante e poi…” Quella bionda parlava troppo per i miei gusti.
“Dawn io non farò mai il ripiego. Ho smesso di cercare l’amore perché con me una ragazza è destinata a soffrire. Io non so nulla di cosa abbia bisogno una ragazza per essere felice e se tu pensi che io possa diventare il tuo fidanzato, perché a te sta bene così, mi dispiace deluderti. Io non sono interessato.”
Ero un vero infame, un grande stronzo, ma era meglio essere così, piuttosto che deludere le persone che mi conoscevano e che mi volevano bene.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autore.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ho intenzione di proporvi un giochino interessante.
In questo primo capitolo ho inserito delle piccole parti riadattate da alcuni anime che mi piacevano molto.
Sono curioso di vedere se riuscite a capire quali sono.
Unico indizio: sono divertenti e i protagonisti sono molto strani.
 

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Capitolo 2
*** Cap 2 ***


Fu così che per non so quale motivo, lei mi portò a casa sua dove suo padre mi aspettava per conoscermi.
Ci scambiammo un occhiata intensa e capii quasi da subito che io non ero accetto in quella struttura e ancora meno accettava la mia vicinanza, che io non desideravo, a sua figlia.
“Mostrami ciò che sai fare.” Mi disse con aria di sfida dopo avermi portato in una palestra lì vicino.
Partii con le solite combo che utilizzavo abitualmente: pugnazzo sullo stomaco e testata in fronte.
Cercavo di colpirlo in ogni modo e tutte le volte le mie tecniche migliori si ribaltavano contro di me.
“Può bastare.” Dawn aveva fatto da arbitro e mentre il nonnetto era bello fresco e riposato, io ero ferito nell’orgoglio.
“Hai una buona tecnica e una buona dose di forza, ma nella mia palestra ci vuole di più per vincere.” Gli allievi presero ad applaudire il loro sensei mentre io mi leccavo le ferite.
“Non finisce qui.”
“Vedi Scott se sei venuto qui c’è un motivo. Quello che ti chiedo è di diventare mio allievo. Cosa ne pensi?” Per un attimo la mia mentre venne tormentata da quel dubbio, ma alla fine venni a capo del problema.
“La mia risposta è no. La mia preparazione va bene così com’è e poi non avrei i soldi per pagarla delle sue lezioni. Declino l’offerta, mi dispiace maestro.” Dissi l’ultima parola più per sbeffeggiarlo che per altro.
“Lasci perdere sensei. È solo un idiota che non capisce nulla.” Un omaccione di colore si era affiancato al nonnetto e presi a scrutarlo con attenzione. Nonostante la stazza aveva la mia età eppure non sembrava così minaccioso come voleva farmi credere.
“Beverly perché non vi sfidate un po’?” Il maestro aveva preso posto in centro e decise di arbitrare l’incontro.
“Cosa ne dici pivello?” Mi chiese con un’aria di superiorità che non sopportavo.
“Più sono grossi più fanno rumore quando cadono.” Risposi con un ghigno, ma complice l’ultima lotta, le botte che mi ero preso mesi prima e che credevo assorbite e la fatica che mi portavo dietro, riuscì a battermi in pochi minuti.
“Deboluccio l’amico.” Disse ai suoi compagni, mentre per l’ennesima volta cercavo di alzarmi.
“Non ora.” Urlai più a me stesso che a quelle persone.
Crollai al suolo come un sacco di patate e il mio maestro dopo un attimo di osservazione passiva decise di portarmi in ospedale.
 
“Ecco dove si era cacciato.” Il dottore che mi aveva in cura si sorprese di rivedermi vivo e vegeto.
“Perché scusi?” Il nonnetto si era fatto seguire da Dawn e dal gigante Beverly e stava parlottando con quello strambo dottore.
“Due mesi fa lo abbiamo ricoverato a seguito di una rissa. Dopo essersi fatto medicare e quanto altro è scappato. La cosa strana è che con tutte le botte che si è preso, era un miracolo se era in grado di stare in piedi.” Il dottore prese ad elencare tutto ciò che mi era capitato, ma nel frattempo io mi ero già svegliato.
Dopo aver controllato fuori dalla stanza che non ci fosse nessuno, mi diedi di nuovo alla fuga e anche questa volta riuscii a cavarmela.
Tornai a casa e dopo essermi riposato per una settimana iniziai a colpire uno alla volta tutti gli armadi che avevano osato malmenarmi per bene.
Nel frattempo ero tornato a scuola e scoprii dopo molto tempo che quel Beverly era diventato pure mio compagno di classe. Le sfighe non cessano mai e ti seguono per l’eternità.
 
La biondina mi costrinse di nuovo a far visita a suo padre e dopo un attimo di incertezza, decisi di unirmi a loro e iniziai a seguire le sue lezioni. Mi interessava solo di migliorare la tecnica, nulla più e poi li avrei mandati al diavolo.
“Scott il prossimo mese inizia il torneo Under 18 di lotta e avevamo intenzione di iscriverti con Beverly per vedere chi fosse il migliore del paese.” Il sensei mi mostrò il foglio d’iscrizione e notai che il primo premio in palio consisteva in una cifra pari ad almeno 5 assegni della zia spilorcia.
“Accetto.” Dissi e presi ad allenarmi con maggiore intensità per ottenere il premio che tanto sognavo.
Dawn invece non era contenta che passassi così tanto tempo con gli allenamenti anziché vedermi con lei, ma in fin dei conti ero stato chiaro: lei per me non era nemmeno un’amica era solo una conoscente rompiscatole.
Quando avrei capito che lei per me era qualcosa in più di un’amica, allora sarebbe stato troppo tardi.
 
Le cose procedevano discretamente, mi ero sbarazzato della gang del quartiere e gli allenamenti mi stavano rendendo sempre più forte e tecnico di quanto non fossi all’inizio della mia avventura.
Un giorno accadde qualcosa di strano e ora ve la racconto nei dettagli.
“È permesso?” Urlarono 6 individui che anni prima facevano parte di quella palestra. Il sensei era ancora assente e tranne per me, Beverly, Dawn e qualche nuova leva possiamo dire che quell’area era quasi deserta.
“Chi siete e cosa volete?” Era Beverly il capo qualora mancasse il boss e infatti fu lui a prendere la parola.
“Ti sei dimenticato di me? Abbiamo un affare in sospeso.” Da dietro i 5 gorilla comparve un omaccione molto pesante che aveva un affare in sospeso con il mio amico.
“Voi statene fuori.” I ragazzini erano spaventati e dopo averli fatti uscire da una porta sul retro tornai a controllare la situazione.
I due presero a menarsi con rabbia, ma uno dei gorilla aveva preso in mano un bastone ed era pronto a colpire a tradimento il mio amico.
“Beverly è davvero tosto.” Uno di quegli scemi aveva preso parola per dire una fesseria. Beverly era il fiore all’occhiello della palestra e di questo ne era a conoscenza mezza città.
“Quel tipo mi ha stufato.” Uno di loro prese il bastone ed era pronto a colpirlo alle spalle. Fu a questo punto che decisi di intervenire.
Gli presi la testa con una mano e con un ringhio lo feci voltare a me.
“Cosa pensi di fare?” Chiesi con rabbia e con un pizzico di cattiveria.
“Scott.” Beverly si era distratto come uno stupido e l’uomo che aveva a terra gli tirò una violenta testata sui denti, mandandolo dopo qualche pungo Ko.
Al contrario il gorilla con in mano il bastone me lo diede in testa causandomi un taglio profondo sulla fronte dal quale non mi sottrassi. Mi aveva procurato un bel taglio e il sangue prese a coprirmi una parte del volto.
“Adesso mi hai proprio rotto.” Con un rapido movimento lo mandai a nanna e dopodiché mi fiondai contro gli altri, dandogli una bella lezione.
Il capo era rimasto da solo, ma fu in quel momento che entrò il sensei il quale mandò via i ragazzi, lasciandomi con un palmo di naso.
“Possibile che quando manco io, deve scorrere il sangue?” Presi a toccarmi la fronte e dopo essere andato in bagno, mi feci medicare dalla povera Dawn che fu costretta a farci da infermiera.
 
Escluso questo triste episodio, giunse il giorno tanto atteso del torneo e secondo i tabelloni io e Beverly avremmo potuto affrontarci solo in finale.
I sedicesimi e i quarti furono delle autentiche passeggiate e l’importante per me era essere arrivato almeno tra i primi 4.
Fu durante una delle gare di Beverly che qualcosa dentro di me iniziò a rompersi.
Terminato l’incontro dell’omaccione, la bella Dawn era corsa a baciarlo rendendo chiara anche ai più stupidi che quei due ormai stavano insieme.
A dire il vero, il dubbio mi era sorto qualche giorno prima quando li avevo visti a scuola camminare a braccetto.
 
Almeno adesso qualcuno era davvero felice, ma dentro di me sentivo il cuore pesante come un macigno.
In quella strana semifinale eravamo rimasti io, Beverly, Brick, ragazzo di 16 anni di una scuola vicina e il Fulmine campione in carica per 3 anni consecutivi.
“La prima semifinale metterà di fronte Scott e Brick, mentre le seconda vedrà il confronto tra Beverly e il Fulmine.” Il nostro maestro ripeteva come una nenia quella frase da circa un ora e stava facendo tutti gli scongiuri del caso.
“Brick ha vinto per pura fortuna e negli ultimi tempi il Fulmine ha perso la sua leggendaria velocità. Nel caso in cui uno di voi due perda, l’altro riuscirà sicuramente a vincere.”
“Non la deluderò maestro.” Beverly aveva iniziato con grandi proclami, mentre io avevo preferito restare in silenzio.
 
Lunedì 23 aprile era prevista la giornata delle semifinali, mentre il mercoledì successivo sarebbe stato la grande giornata della finale.
Il primo incontro vide di fronte me e il povero Brick che in pochi minuti venne distrutto senza nemmeno riuscire a portare a segno un colpo.
La seconda semifinale vedeva di fronte Beverly e quel Fulmine che secondo me era troppo forte per il mio amico.
Infatti l’incontro terminò con una pesante sconfitta del mio amico e dopo averlo soccorso, andai faccia a faccia con il finalista.
“Cosa vuoi?” Mi chiese mentre si asciugava il sudore che gli copriva il volto.
“Voglio batterti. Ci vediamo mercoledì Fulmine.” Allungai la mano per aspettare la sua stretta di mano e nell’atto del confronto ci scambiammo sguardi che promettevano fuoco e fiamme.
“I due contendenti sono pronti per il loro scontro. Guardate che sguardi carichi di sfida.” Il telecronista sparava cazzate senza fine e infatti uscendo dal ring, volsi la mia attenzione verso di lui il quale si zittì all’istante.
 
I due giorni che mancavano alla sfida passarono abbastanza velocemente e mi presentai nello spogliatoio dello stadio con tutto l’equipaggiamento necessario per vincere.
“Sei pronto Scott?” Il mio sensei era entrato proprio mentre mi stavo sistemando.
“Certo maestro.”
“Come mai indossi i guanti oggi?” La mia peculiarità era proprio quella di combattere a mani nude, ma come potevo dirgli la verità senza passare per un codardo.
“Beverly li indossava sempre e desidero che anche una parte di lui vinca quando batterò il Fulmine.” Lui se ne uscì soddisfatto, ma dentro di me sapevo che sarei uscito sconfitto dal confronto. Il motivo per cui lo so con tanta certezza è che martedì sera ero stato vittima di un agguato e un gruppetto di 5 persone mi aveva spezzato la mano destra. Non riuscivo nemmeno a chiuderla, per questo motivo indossavo i guanti: nessuno si doveva accorgere di quella situazione.
 
Ero entrato nello stadio concentratissimo, ma anche se non lo fossi stato, tanto il risultato non sarebbe cambiato.
“Potete cominciare.” L’arbitro decretò l’inizio del match ed iniziai a studiare il ragazzo che avevo davanti.
“Lo sai Scott.”
“Cosa?” Chiesi mantenendo la guardia ben alta.
“Nella mano ci sono ben 27 ossa e spezzarne un paio causa dolori lancinanti.” Era lui il maledetto che aveva assoldato un team di assassini per farmi perdere la sfida.
“Non vedo l’ora di combattere.”
“Ho notato che sei un tipo molto forte e se non avessi fatto così, avrei dovuto rinunciare al titolo. Nel ring si sale per vincere o perdere e non per farsi massacrare, ma se tu vuoi finire male, non sarò io a mettermi in mezzo. Ti chiedo solo questo: perché lo fai?” Mi chiese abbassando per un secondo la guardia e osservando il pubblico che era accorso numeroso.
“Il perché non lo so nemmeno io.”
“Ci sarà un motivo.” Se non fosse per quello che mi aveva fatto, poteva anche starmi simpatico.
“Molti credono che sia per il valore che do a certe cose come l'impegno e la parola d'onore, ma il vero motivo è un altro. Mi hanno insegnato che non ci si deve mai arrendere e bisogna sempre lottare costi quel che costi.”
“Ti hanno detto la verità e mi piacerebbe lottare con te al meglio delle nostre possibilità, ma ho uno sponsor importante e i tifosi sono qui per me.” Sembrava sincero, ma non ne ero ancora convinto.
“Tu lotti per tutti loro, io lotto per me stesso. È per questo motivo che perderò contro di te, se avessi anche solo una persona che tiene a me, allora potrei rialzarmi all’infinito e batterti, ma così non è.” L’arbitro era intervenuto dopo il nostro breve dialogo per sincerarsi che tutto andasse bene ed entrambi scattammo come molle.
Non riuscivo a tirare nemmeno un pugno ed ero costretto ad utilizzare il sinistro che di per se non avrebbe mai fatto male nemmeno ad una mosca.
“Scott ha alzato una buona guardia, ma in questi ultimi 3 minuti sta giocando sulla difensiva, cosa ne pensa maestro Chef?” Il telecronista della tv locale stava riportando i suoi pensieri su quel match e chiedeva l’opinione di un esperto in materia come l’ospite alla sua sinistra.
“Scott è una macchina da guerra, ma non capisco questa sua strategia. Con la sua tecnica e velocità avrebbe potuto tirare almeno una decina di pungi e invece zero. L’unica possibilità è che voglia far stancare il Fulmine, ma questo può essere un errore. Tutti sanno che il campione in carica è in grado di resistere senza patire la stanchezza anche per più di 2 ore, ma probabilmente lo sfidante non ne è a conoscenza.” Invece si sbagliavano, conoscevo perfettamente le sue doti e sapevo che aveva una resistenza migliore anche della mia, ma senza il destro ero innocuo come un neonato.
Riuscii a resistere ancora per una manciata di minuti e poi stanco di quella situazione, abbassai leggermente la guardia, scoprendo il fianco e consentendogli di mandarmi al tappeto per almeno 2 minuti.
 
Il primo premio di 5000 dollari era andato a farsi benedire e il secondo premio non era nulla a confronto.
Il Presidente della commissione mi passò l’assegno e le telecamere mi chiesero di mettermi in posa con il premio e con il vincitore che sorrideva radioso.
Avevo perso, avevo dolore, mi sfottevano e mi chiedevano pure le foto.
Non sopportavo più quella situazione e presi un microfono.
“Sapete cosa me ne faccio di questo assegno? Questo.” Presi quel minuscolo foglietto e lo spezzettai in una miriade di pezzettini di carta e me ne andai verso gli spogliatoi.
 
Nemmeno qui le cose andavano come speravo: il mio maestro consolava la coppietta che era venuta ad assistere allo spettacolo, mentre io cercavo con immensa fatica di mettermi gli abiti da strada.
Avevo appena finito di mettermi la giacca e andai verso gli altri.
“Maestro ci vediamo domani.” Dissi con la speranza che mi avrebbe accettato di nuovo dopo tutto il caos che gli avevo causato.
“Aspetta un minuto Scott.” Dawn si era appena alzata e mi tirò un ceffone che mi sorprese un po’.
“Perché?” Chiesi non capendo il motivo di quel gesto tanto violento da parte sua.
“Con il destro che possiedi, avevi una decina di occasioni per battere il Fulmine, ma tu non hai sfoderato l’arma segreta perché ti sei venduto. Questa è l’unica possibilità per il comportamento che hai tenuto un ora fa su quel ring.” Beverly si era alzato con tutta la sua mole e si era affiancato alla fidanzata come se avesse paura che potessi far del male a quel povero fiorellino.
“Anche se vi dicessi che non mi sono venduto, non capireste.” Dissi negando con il capo e prendendo in mano il borsone con tutta la mia roba.
“Cosa non capiremmo?”
“Lasciate perdere. Avete ragione voi: mi sono venduto in cambio di metà dell’assegno del Fulmine. Per 200 fottuti dollari non ne valeva la pena di perdere facendo il figo, è meglio perdere con 2500 dollari in tasca.” In verità non avevo ricevuto nemmeno la fotocopia di un centesimo da quella battaglia, ma loro non dovevano saperlo.
“Sei la sciagura della mia palestra e lottando come oggi, hai disonorato gli abiti che hai indossato e hai disonorato me, il tuo maestro. Per quanto riguarda il tuo desiderio di tornare domani ti dico solo questo: vattene non voglio vederti più.” Il maestro mi andò via in malo modo ed io vedendo i segni d’assenso anche degli altri due, mi sentii morire.
Senza di me tutto sarebbe andato meglio e decisi di preparare l’occorrente per l’ultimo viaggio della mia vita.
Tornai a casa, presi una lettera e iniziai a scrivere. Non avevo nemmeno idea di come cominciare e così iniziai a pensare solo ai pochi momenti belli che avevo vissuto in loro compagnia.
 
Caro maestro, quando riceverà questa lettera per me sarà ormai tardi.
Lei ha perfettamente ragione sul mio conto: io sono solo uno stupido ragazzo che ha deciso di combattere con una mano spezzata e questo ha umiliato la sua palestra. Sappia che non mi sono venduto per soldi e mai l’avrei fatto, ma questo ormai non è importante per dove devo andare.
Mi dispiace dirle che non possiedo denaro per i danni che le ho causato e per il disonore che le ho provocato.
Lo sa, era da tanti anni che non venivo accettato da qualcuno e dopo molto tempo credevo di aver trovato una famiglia che mi accettasse, mi sono illuso ancora.
Dopo aver perso anche questa parte della mia famiglia ho deciso di non volermi più, ho deciso di buttarmi per sempre, in poche parole, ho deciso di andarmene.
Finita questa lettera, prenderò la bici, percorrerò il centro, la imbucherò e mi fermerò a prendere un gelato alla nocciola e menta (ne ho davvero bisogno). Tornerò quindi a casa e distruggerò i pochi ricordi felici che mi sono rimasti.
Un po’ difficile distruggere qualcosa di felice, laddove nemmeno io so, dove e cosa sia la felicità. Ogni cosa di questa casa mi ricorda solo momenti tristi e privi di amore, ma non importa.
Se devo distruggere qualcosa, tanto vale che mi distrugga.
Purtroppo mi fa troppo schifo vivere così, ma ormai è troppo tardi per cambiare.
Vede maestro, tutti mi ripetevano che in vita ci si riconosce solo quando si fa parte di un gruppo.
Ho capito solo ora di essere fuori da ogni gruppo.
Le persone normali mi hanno isolato da quando sono venuto al mondo e gli altri mi accettano solo perché sono peggio di me. Da questa situazione non c’è via d’uscita: o si diventa grandi di spirito o ci si abbassa a diventare un nessuno.
Di grandezza di spirito non ne ho: è già tanto se vado in chiesa una volta all’anno e il diventare un nessuno non mi piace.
Io non ho futuro e non ho voglia di vivere per strada mescolato ai barboni e sotto le intemperie: si diventa strani e non voglio impazzire. Non voglio diventare cattivo e far paura alle persone che mi guardano e per questo motivo ho deciso di caricare l’ultima arma.
L’arma che mio padre usava per difendere la vita mia e di mia madre, io la utilizzerò per interrompere tutto. Io fermerò il loro volermi bene e potrò finalmente rivederli: non mi sgrideranno mai e anzi mi accoglieranno, dopo molto tempo, a braccia aperte.
Da piccolo molti mi dicevano che l’arma migliore è l’intelligenza e mi consigliavano di guardare dei film a riguardo per coltivare tutto ciò.
Per paura ho venduto anche la mia intelligenza e ora mi ritrovo incapace di scrivere persino due righe senza fare errori.
Lo sa, molte volte me lo sono chiesto. Come sarebbe stato? Forse come uno di quei film che loro mi consigliavano, dove la vicina sente lo sparo, la polizia arriva e trovano il suicida con la pistola vicina alla tempia. Uno degli agenti volta il corpo del ragazzo e si rattrista per una giovane vita spezzata e gettata nel cesso. Un ultimo messaggio, un telefono che squilla, gli agenti che ti dicono tizio è morto senza soffrire, gente ipocrita che finge di essere infelice al funerale e cose così.
Se potessi, vorrei andarmene facendo sparire il mio corpo, ma Dio ha detto che questo non è giusto. Quando uno muore, il corpo deve restare in testimonianza di quanto abbia fatto schifo nella vita terrena e ormai il mio schifo ha ricoperto ogni singola fibra del mio essere. Il mio schifo è talmente schifoso che rischia di contagiare anche le persone che mi sono state vicine in questi ultimi periodi.
Probabilmente è per questo che mia zia non mi ha mai voluto con se nella sua megavilla, sono stato sempre e solo un enorme errore. La mia vita è un errore continuo, io sono la calamita di guai più grande che conosca e per questo in molti mi hanno evitato come un lebbroso.
La mia nascita è stata un errore, tutto nella mia vita è dannatamente sbagliato.
Per una volta volevo fare qualcosa di giusto, volevo un gran finale e invece.
Ho sbagliato di nuovo anche quello che era impossibile da sbagliare.
Che tristezza, non ci sarà nessun colpo di scena nella storia di Scott: una storia completamente inutile.
Ma lo sa maestro, io sono a posto con me stesso. Per la prima volta nella mia vita faccio qualcosa di grande senza fare del male a nessuno e questo mi gratifica molto.
Il resto me l’hanno insegnato o hanno provato a spiegarmelo, ma questa volta sono io a fare qualcosa per me.
Maestro sono sereno, non credere.
Mi saluti i ragazzi della palestra e soprattutto Beverly e sua figlia.
La ringrazi per il tempo che ha perso inutilmente in mia compagnia e dica a Beverly di prendersene cura, altrimenti giuro che torno dall’Inferno e lo prendo a pugni.
Gli dica che ho scritto due righe su cosa migliorare, ma forse lei, maestro, sa che deve migliorare a subire i colpi e che dovrebbe alzare un po’ di più la guardia.
La abbraccio e la saluto con tutta la forza. Non lasci che vi sottomettano.
Non mi dimenticate.
Addio, il vostro
Scott.”
 
Avevo appena imbustato il tutto e quando giunse alla loro casa, sono certo che anche loro avranno pensato di essersi liberati di un peso.
Di Scott nessuno ha bisogno e saluto anche questa casa che da ora in poi sarà felice senza di me.
Scott vs Vita 0-1.
Anche questo confronto l’avevo perduto alla grande, ma forse mi andrà meglio la prossima volta…se ci sarà. Io non avevo mai vinto…ero sempre stato un perdente che si credeva vincente.
 
BANG.
 
Uno sparo nel cuore della notte.
Uno solo.
Un rivolo di sangue che cola.
 
Addio mondo, questa è la fine.
La fine di Scott il reietto.
 
Questa è la mia fine.
La mia…fine.
 
 
 
 
Angolo Autore.
Rispondo per prima cosa al quesito che ho lanciato nel capitolo precedente.
Per la parte dove Scott viene rifiutato dalla ragazza e le seguenti prese per il culo ad opera dei suoi amici ho preso spunto dal primo episodio di Slam Dunk.
Una parte del dialogo tra Mike, Dawn, Scott e la Rossa fiammante (Zoey se non l’avete capito) è ripreso invece dall’episodio 38 verso il 7 minuto o giù di lì di Ultimate Muscle.
Questa è la mia prima storia dove il buono muore, ma purtroppo prima o poi doveva succedere che mi imbattessi in questo campo.
Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo e vi propongo come l’altra volta lo stesso giochino.
La lettera, che ho accuratamente modificato, l’ho presa dal libro di un autore italiano che tratta del suicidio di un amico del protagonista.
Per quanto riguarda il titolo del libro posso anche dirvi che si rifà al cognome di un cantante abbastanza famoso.
Basta indizi: altrimenti diventa troppo semplice e non è divertente.
Fatemi sapere se avete qualche idea a riguardo.
Alla prossima.
 
 
 

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