La Stagione delle Nebbie

di Absynthe_sea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il governatore ***
Capitolo 3: *** Il nuovo arrivato ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO


Visto dal mare che lo circondava, il castello di Aisling era un'apparizione prodigiosa. 
Costruito su un atollo in tempi tanto antichi da varcare i confini della storia per entrare nelle nebulose lande della leggenda, era quella una costruzione che dominava il mare che le stava intorno con fiduciosa noncuranza, come chi si permetta il lusso di mostrarsi condiscendente con un amico che ritiene sincero e oltremodo affidabile. D'altra parte, il mare era la migliore protezione che Aisling potesse desiderare e c'era chi, fra i più anziani ospiti del castello, diceva che una volta quella fosse la roccaforte di un re -di quale re, però, non avrebbero saputo dirlo. In questa leggenda doveva esserci un fondo di verità, o almeno questo era quanto veniva da pensare a chiunque vedesse quel luogo per la prima volta. Aisling, raggiungibile solo tramite una barcaccia che faceva da traghetto, appariva come dal nulla davanti agli occhi dei nuovi venuti; avvolto da una nebbia che a tratti sarebbe potuta sembrare innaturale, si palesava solo quando era ormai troppo tardi per averne un colpo d'occhio e abituarsi alla sua presenza incombente. Si rimaneva sconvolti ad osservarne le torri e i bastioni merlati, i ballatoi e le torrette assolutamente deserte, ché -ad eccezione dei due addetti al ponte levatoio- non c'erano guardie di sorta in quel maniero. E a cosa sarebbero servite? Quel luogo era troppo isolato e distante dalla costa perché si potesse tentare una fuga. I prigionieri, gli 'ospiti', come preferiva chiamarli il governatore dell'isola, un ometto piuttosto basso e tendente alla pinguedine come alla calvizie, erano liberi di muoversi per il castello a loro piacimento. Nessuno era mai fuggito da Aisling, ma soprattutto nessuno ci aveva mai nemmeno provato. Era come se il fatto stesso di trovarsi lì fosse una motivazione sufficiente per rimanervi.

Quel giorno, contrariamente alla consuetudine, una figura si aggirava sui ballatoi con passo claudicante. Si trattava di un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquanta, con folti capelli grigi a sovrastare un volto che mostrava i solchi di qualche ruga sulla fronte spaziosa e ai lati della bocca. Gli occhi, scuri e mobilissimi, erano sormontati da cespugliose sopracciglia ancora nere. Non era particolarmente alto ma la figura snella, avvolta in un vecchio tabarro verde scuro, lo slanciava. A giudicare dal suo passo tranquillo a dispetto della zoppia e dalla familiarità frutto di lunga frequentazione con cui si approcciava ai merli del bastione principale, sarebbe stato facile scambiarlo per una sentinella. Niente di più falso. 
Quell'uomo che scendeva con pazienza i sei gradini, andando dal ballatoio del torrione alla sala superiore della torretta che ospitava le uniche due guardie del castello, non era nient'altro che un ospite. Un prigioniero, per usare un termine che nessuno, ad Aisling, sembrava gradire. 
Con affabile noncuranza, l'uomo bussò una singola volta alla porta di legno che aveva davanti, quindi entrò senza dare il tempo agli occupanti di rispondere. Le due guardie se ne stavano sedute davanti a un tavolaccio e non si diedero pena di nascondere le carte da gioco che avevano in mano o la pipa serrata fra le labbra. Entrambi gli uomini sollevarono il capo verso il nuovo venuto, accennando un saluto silenzioso, poi tornarono al loro gioco. 
Affatto turbato da quella mancanza di considerazione, l'uomo diede loro le spalle e si diresse alla finestrella che -priva di imposte- dava direttamente sul mare, in direzione di una terraferma tanto lontana e irraggiungibile da sembrare inesistente. A questo pensava l'uomo, osservando quella sterminata distesa d'acqua che, parecchi metri più in basso, si infrangeva contro le rocce che formavano le fondamenta stesse di Aisling. 
Da quanto tempo era lì? Non lo ricordava -o forse si impediva di ricordarlo. Comunque più che abbastanza per avere imparato alcune cose sulla loro prigione e anche sui loro carcerieri. Aisling non era un carcere come gli altri: a parte la libertà di movimento concessa agli ospiti del castello, era piuttosto facile scoprire le altre stranezze del luogo. Il difficile era capirle. 
In tutto il castello non esistevano guardie né secondini. Benché quello venisse considerato, e con qualche ragione, il più sicuro carcere del regno, le uniche due guardie presenti in tutta la maestosa costruzione erano quei due tizi che alle sue spalle continuavano il loro gioco, assolutamente privi di preoccupazioni o di un qualsiasi temperamento marziale. A loro andava aggiunto lo stimatissimo Lord Naberius, il governatore dell'isola e della prigione. A parte loro e gli ospiti, che in quel momento ammontavano a otto, il castello era abitato dal solo personale di servizio: un cuoco, sei fra camerieri e cameriere, un maggiordomo. L'enorme castello di Aisling, di cui si diceva che avesse almeno un centinaio di stanze private, una decina di sale da pranzo e almeno quattro saloni da ricevimento, era abitato da diciannove persone in tutto. 
Accigliato, l'uomo si appoggiò con i gomiti al davanzale in dura pietra e puntellando la guancia con il palmo della mano destra ritornò a osservare il mare con la svogliatezza figlia della consuetudine. 
Il castello era sempre silenzioso, ma in quelle ore a ridosso dell'alba sembrava più simile a un cimitero. La colazione non sarebbe stata servita prima di un'ora e fino a quel momento non si sarebbe vista anima viva nei corridoi, né nei salotti adibiti a sale comuni. 
In quel posto -rifletté l'uomo al davanzale, che si chiamava Bran e quel giorno compiva sessantadue anni- si perdeva non solo la cognizione del tempo ma anche del luogo. Il succedersi di giorni tutti apparentemente uguali nella loro monotonia avviliva lo spirito, reso mansueto dalle libertà e dai piccoli piaceri che non erano negati a quanti fossero graditi ospiti del governatore. Era facile dimenticare lo scorrere del tempo, ma quello che era più inquietante per Bran era il dimenticare in che luogo si trovassero, il non essere più sicuro che ci fosse effettivamente un altro mondo oltre quell'imperscrutabile e gargantuesca distesa d'acqua salata.
D'un tratto, mettendo bruscamente fine alle sue elucubrazioni, l'uomo sollevò il capo, mostrandosi più attento. Aguzzò la vista, che aveva ancora buona nonostante l'età, scorgendo un triangolo bianco che si stagliava nel verde acqua dell'oceano. 
Senza distogliere lo sguardo da quella che era inequivocabilmente una vela, incapace di reprimere il sorriso che gli stava nascendo sulle labbra, Bran cercò di richiamare l'attenzione di una delle guardie. 
«Di' un po', Lugh. Che giorno è oggi?»
L'altro, impegnato a gettare la carta che gli avrebbe fatto perdere la partita, grugnì. 
«Giovedì, credo.»
Quindi aveva visto giusto. 
Il castello riceveva rifornimenti due volte al mese, sempre di sabato mattina. Le vettovaglie arrivavano a bordo del medesimo brigantino adibito a traghetto, al comando del capitano Charon, che aveva il compito di trasportare sull'isola i prigionieri. Essendo quel giorno un giovedì, non poteva trattarsi dei rifornimenti. Era passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che avevano potuto fregiarsi dell'onore di avere un nuovo ospite. Un anno, o forse due, stimò Bran mentre si stringeva addosso il vecchio tabarro e sgusciava alle spalle delle guardie, diretto alle scale che lo avrebbero portato ai piani inferiori.
«Fossi in voi mi sbrigherei a concludere» si lasciò scappare da sopra la spalla, quando ormai aveva già iniziato a scendere i gradini. 
«Ne è arrivato uno nuovo».

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Capitolo 2
*** Il governatore ***


IL GOVERNATORE
 
Quando bussarono alla porta del suo ufficio, stabilmente piantato al primo piano del castello, proprio a metà strada fra i due saloni principali, il governatore di Aisling stava completando la propria solitaria colazione spalmando della marmellata dall'insolito colore giallo paglierino su un crostino di pane nero e duro. 
A dispetto di quanto di peggio potessero dire i suoi sottoposti e gli stessi ospiti di quella augusta prigione, Liam Finnegan era un uomo semplice e generalmente ben disposto nei riguardi degli altri e della vita in generale. Benché il suo aspetto fosse tutt'altro che piacente, essendo basso di statura e abbastanza rotondo da somigliare a un barilotto coperto da un panciotto di tweed, il governatore aveva in sé una sorta di magnetismo dovuto ai suoi bellissimi occhi grigio-verdi e al calore della sua voce che sapeva mostrarsi autoritaria senza essere feroce. A queste qualità, che non bastavano certo a sopperire alla mancanza di capelli e al naso aquilino, aggiungeva una nota di naturale dolcezza a una nobiltà d'animo che lo faceva sembrare un eroe d'altri tempi, sempre capace di una inusitata gentilezza che finiva per confondere l'interlocutore. 
Posando con gesti misurati -ché mai nessuno lo aveva visto compiere un gesto o pronunciare una sola parola avventata in tutta la sua vita- il coltello sul tavolo, con il lato sporco puntellato al bordo del vasetto di confettura, il governatore rispose alla chiamata di chi, oltre la pesante porta in ciliegio, reclamava le sue attenzioni con meno garbo di quanto fosse giusto a quell'ora del mattino. 
«Entrate» disse, con il suo usuale tono gentile, mentre si sporgeva in avanti sul tavolo con le mani giunte, in attesa. 
Lugh, una delle due guardie, con indosso solita divisa color tortora decorata solo dalla fascia bianca a bandoliera e dagli alamari in avorio, fece il suo ingresso nell'ufficio richiudendo la porta alle sue spalle e battendo i talloni con un gesto fiacco si mise sull'attenti. 
«Riposo, riposo.» biascicò il governatore, guardandolo con aria sorniona.
«Allora, McBride, cosa c'è da far tanto baccano a quest'ora?»
Palesemente a disagio, l'uomo si agitò. Era raro avere una qualche novità da comunicare, dunque i suoi incontri con il governatore si erano limitati a un paio di volte in occasione delle visite periodiche che questi faceva alla torretta della guardia. 
«Un nuovo arrivo, signore.»
Il governatore si accigliò. 
«Ne siete sicuro?»
«Come che Dio esiste, signore. Abbiamo avvistato la nave del Capitano Charon e ci è stato comunicato il messaggio convenzionale con le bandiere.»
«Quanto tempo fa?»
«Circa mezz'ora. Attraccheranno a breve al Piccolo Approdo.»
Il Piccolo Approdo, ovvero la banchina dove venivano fatti sbarcare i nuovi ospiti di Aisling, chiamata così in contrapposizione all'Approdo vero e proprio, una sorta di molo in miniatura dotato di un altrettanto piccolo argano per lo scarico dei rifornimenti bimestrali.
Lord Naberius -così lo chiamavano fra loro i prigionieri del castello, affibbiandogli al contempo un titolo, quello di Lord, che non gli apparteneva, unito al nome del guardiano infernale a tre teste, in altre culture noto come Cerbero- sorrise e annuì. 
«Va bene, McBride. Potete andare.»
Rispettosamente la guardia salutò e girò sui tacchi. 
Prima di tornare alla sua colazione, il governatore aspettò di essere rimasto solo. Poi, quando il rumore dei passi della guardia si fu allontanato a sufficienza, tornò a concentrarsi sul suo crostino, rimuginando silenziosamente sulla notizia che gli era appena giunta. Un nuovo ospite ad Aisling, figurarsi! Erano passati ventisei mesi dall'ultimo arrivo, quello di Lady Maeve Lynch. La giovane donna era giunta al castello con pochissima scorta, segno che almeno quanto a violenza non rappresentava un gran pericolo, e dissipando rapidamente i timori dei più maligni si era adagiata sull'esistenza all'interno di Aisling con una leggerezza che aveva dell'assurdo. Sembrava quasi fosse in villeggiatura, tanto poco sembrava angustiarsi per la sua situazione. Al governatore, ma soprattutto all'uomo, non era parso vero di trovarsi davanti una donna tanto piena di buon senso quanto illustri erano i suoi natali. 
Ora, nell'imminenza dell'arrivo di un nuovo ospite, non gli rimaneva che sperare che tutto andasse per il meglio, esattamente come l'ultima volta. A rimanersene sempre lì, chiusi in quel castello assediato dal mare e dalla nebbia, facilmente si diveniva restii alle novità, si disse mentre metteva via i resti della sua ben povera colazione e si drappeggiava sulle spalle la mantella nera bordata da una sottile filigrana d'oro.  Fatto questo, si lisciò con cura i baffetti grigi e prese il suo bastone da passeggio con il pomello in avorio cesellato nell'effigie di un gufo, quindi uscì dallo studio e prese a percorrere il breve corridoio che, costeggiando uno dei saloni di quel piano, portava fino all'ingresso principale. 
Lì, in piedi di fronte all'alto portone decorato dai bassorilievi che raccontavano una storia d'armi e d'amori come era in uso un tempo, attese che il Primo ufficiale del Capitano Charon gli venisse incontro, cosa che accadde poco dopo. Nestor O'Riley era un bell'uomo, temprato dal mare. Piuttosto alto rispetto alla media e imbellito nei suoi lineamenti aguzzi da una folta zazzera di capelli rossi, del tutto antitetici agli occhi scuri. Questi si incastrarono nei suoi e il governatore si limitò a salutarlo con un cenno del capo. 
L'altro fece un breve e rigido inchino, tipico di chi è abituato alla dura e sbrigativa vita militare. 
«I documenti del prigioniero, signor governatore. E i dispacci dalla capitale.»
E ovviamente, così dicendo, non si riferiva certo alla capitare del regno, quanto piuttosto a quella della contea, dove aveva sede il Palazzo di Giustizia da cui dipendeva, fra gli altri, anche il carcere di Aisling. Liam Finnegan graziosamente sorrise e prese le carte, congedando l'uomo con una sincera stretta di mano e il suggerimento di passare dalle cucine per approfittare della colazione e rifocillarsi. Quanto a lui, sarebbe tornato nel suo ufficio a leggere i dispacci e sbrigare il lavoro burocratico che un nuovo ospite presso di loro comportavano, in attesa che il prigioniero venisse portato alla sua presenza. 
Questo avvenne poco dopo, ché era piegato da nemmeno un'ora sulle scartoffie da compilare quando nuovamente bussarono alla sua porta. Al suo solito cortese invito ad entrare, l'altra guardia -di nome Neil, scortò all'interno dell'ufficio un uomo non particolarmente alto, dalla carnagione incredibilmente candida e gli occhi di un azzurro tanto slavato da sembrare trasparenti. Aveva disordinati capelli color dell'oro rosso e lineamenti piuttosto apprezzabili, non ultimo il profilo greco che ostentava nella sua posa altera, benché i catenacci gli serrassero le mani dietro alla schiena. Portava la barba abbastanza lunga da rendere sfuggente il mento, le labbra, carnose e ferme, si intravedevano appena. 
«Quelli non saranno necessari.» intimò il governatore, alludendo ai ceppi e alle catene, quindi abbassò il capo iniziando a scartabellare alla ricerca dei documenti di quell'uomo. Quando li ebbe trovati, dopo essersi accarezzato i baffi con una punta di soddisfazione, infilò i suoi occhialetti rotondi cerchiati d'osso e lesse ad alta voce. 
«Fionn, figlio di Adam Niwl. Sarà un piacere avervi fra i nostri ospiti.»
L'altro si schiarì la gola, poi parlò con voce arrochita. 
«Vi ringrazio, signore.»
«Secondo le usanze di Aisling avete diritto a formulare una domanda, dopodiché verrete scortato ai vostri alloggi. Avrete libertà di muovervi in tutto il castello come vi parrà più opportuno, vi è vietato il solo ingresso alle cucine e alle segrete.»
Qui il governatore fece una pausa, osservando il sussulto che aveva scosso il suo interlocutore.
«Oh, non preoccupatevi. Le segrete sono inutilizzate da almeno un secolo. Non ricorriamo alla tortura, qui. Anzi, scoprirete che il castello può essere molto confortevole».
Fece ancora una pausa, poi riprese.
«Beh, più confortevole della Bastiglia, certamente. Voi siete stato alla Bastiglia, è esatto?»
L'uomo annuì e il governatore sorrise.
«La colazione è alle otto del mattino, il pranzo a mezzogiorno, la cena alle sette. Potete andare a letto e alzarvi quando più vi aggrada. Siete libero di parlare con tutti gli altri ospiti del castello e con il personale di servizio. Se invece preferiste leggere, potrete usufruire della biblioteca. Avete inoltre facoltà di indicare una vostra richiesta particolare: un cibo preferito o un oggetto. Nei limiti del possibile, vedremo di accontentarvi.»
Il governatore pronunciò tutte queste parole con il sorriso sulle labbra e il tono di un oste che stia vantando i pregi della propria locanda, cosa che a Fionn Niwl dovette apparire inappropriata vista la situazione. Avvedendosi di ciò, Lord Naberius si affrettò a domandare: 
«Dunque, signor Niwl. Volete formulare la vostra domanda?»
L'altro lo guardò come avrebbe potuto guardare un pazzo. Prima di parlare, si guardò meglio intorno e si massaggiò i polsi che nel frattempo la guardia aveva liberato dai ceppi. 
«Che razza di carcere è questo?» chiese, con una voce bassa e roca.
Indignato dall'utilizzo di quel termine, il governatore si alzò in piedi senza tuttavia perdere il suo contegno né il sorriso gentile che gli ornava il volto. 
«Aisling è molto più che un carcere. Questo castello, che vi piaccia o no, sarà la vostra nuova casa.»
«Fino a quando?»
«Una sola domanda, signor Niwl. Una sola domanda.»
Fionn Niwl abbassò il capo, confuso, poi annuì. 
Il governatore gli porse la sua mano tesa e l'altro non impiegò molto tempo a stringerla, una stretta vigorosa ma cortese. 
«Benvenuto ad Aisling. Ora verrete scortato ai vostri alloggi. Per qualunque richiesta, parlate con il signor Duval, il nostro impagabile maggiordomo».
Il governatore tornò a sedersi mentre il nuovo ospite veniva invitato a uscire dalla stanza dalla guardia. Solo in quel momento, l'uomo si voltò per porre una domanda al suo anfitrione. 
«Perché... perché sono qui?»
Liam Finnegan scrollò le spalle. 
«Questo temo che dovrete scoprirlo da solo, signor Niwl.»

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Capitolo 3
*** Il nuovo arrivato ***


IL NUOVO ARRIVATO

 

Fionn Niwl entrò nei suoi nuovi alloggi, come li aveva graziosamente definiti il governatore, con quel misto di timore reverenziale e diffidenza che contraddistingue chi per la prima volta mette piede in un posto nuovo, con l'aggravante che quel posto era stato preparato per lui a sua insaputa. Non lo aveva scelto, eleggendolo a sua nuova casa. Si era trovato lì, non proprio dove lo avevano messo ma quasi. Una testimonianza vivente che spesso le cose non vanno come programmato e che se ribellarsi ai rovesci della fortuna è un dovere, resta pur vero che spesso si è costretti a combattere contro forze soverchianti e in quei casi la forza bruta non è necessariamente la sola tattica adottabile. 
Quanto a Fionn, lui aveva scelto di accettare quanto sarebbe stato posto sul suo cammino, se non altro per dimostrare a sé stesso che non era ancora morto. Potevano anche seppellirlo in quella prigione perduta in mezzo all'oceano ma non sarebbero mai riusciti a piegarlo. 
Con pazienza, aspettò che la guardia se ne andasse, quindi si dedicò a una superficiale ispezione della camera che gli era stata assegnata. Non si poteva certo dire che gli ospiti di Aisling se la passassero male: l'ambiente era piuttosto spazioso e arredato con un certo gusto, il letto a baldacchino sembrava comodo e le lenzuola profumavano di bucato fresco. C'era anche un mobiletto basso accanto a letto contenente un vaso da notte di bronzo e un paio di pantofole nuove, e poco distante un lavacro di porcellana sostenuto da un'intelaiatura di ferro battuto decorata da foglie d'acanto. Nell'angolo opposto a quello riservato al lavacro, trovavano spazio due poltrone foderate di velluto borgogna -colore che riprendeva il broccato dei tendaggi- in legno laccato d'oro, forse leggermente troppo sfarzose, poste di fronte a un tavolino basso per il tè. Dirimpetto, proprio davanti alla grande vetrata, un piccolo scrittoio della fine del secolo precedente faceva bella mostra di sé, ospitando un candelabro a tre bracci con altrettante candele nuove, una lucerna e una mezza risma di fogli intonsi, una piuma d'oca e un calamaio colmo d'inchiostro. 
Smarritosi in tanto eccesso di comodità per un carcerato, Fionn abbassò lo sguardo, incrociando il tappeto che copriva il pavimento in marmo pario. In preda alla confusione, raggiunge il letto e quasi ci sprofondò dentro da quanto era morbido il materasso. Con lentezza, come se ogni gesto rischiasse di distoglierlo dai suoi pensieri, si tolse gli stivali e riuscì finalmente ad allungarsi sul letto. 
C'era qualcosa che non gli tornava in tutta quella storia. Aveva un bel dire il governatore, ma quella rimaneva una prigione -una prigione di cui nessuno sapeva nulla, che non aveva nemmeno mai sentito nominare, e certamente la più lussuosa che avesse mai visto. Certo, anche alla Bastiglia era possibile ottenere certe comodità, ma tutto dipendeva dal rango del prigioniero e dalla categoria a cui apparteneva. Quelli da 'cinque lire', come lui stesso era stato catalogato dopo l'arresto avvenuto in occasione delle rivolte che avevano preceduto la presa del carcere da parte dei rivoluzionari, non avevano diritto che al vitto e all'alloggio. E il governatore della Bastiglia era assai meno accomodante del signor Finnegan di Aisling. In fin dei conti, quando era stato liberato in seguito alla presa della Bastiglia, aveva creduto di poter tornare alla libertà, rifarsi una vita lontano da Parigi e dall'odioso regno di Francia -ché, lui lo aveva capito, i giacobini non erano certo meglio dei Borboni. Quello che non aveva previsto, invece, era che appena tornato sulla sua isola natia, la verde terra d'Irlanda, avrebbe trovato ad attenderlo un intero manipolo di gendarmi pronti a prenderlo, impacchettarlo, mandarlo nell'Ulster e da lì imbarcarlo per la sua destinazione finale -Aisling, per l'appunto.
Ciò che non gli riusciva proprio di capire era il perché. Insomma, aveva sì partecipato alle sommosse parigine ma senza ricoprire alcun ruolo di primo piano. Dunque era improbabile che in patria fossero a conoscenza delle sue colpe. Ma se così era, perché era stato nuovamente arrestato? Perché era finito ad Aisling? 
Vinto più dalla stanchezza della traversata in mare che dal peso delle domande, a quel punto Fionn abbandonò il filo dei suoi pensieri, scivolando lentamente nel placido oblio di un sonno profondo e senza sogni. 


A svegliarlo di soprassalto fu il suono secco e duro del legno che veniva battuto. 
Si sollevò di scatto sul letto e certamente sarebbe rotolato giù se non avesse avuto i riflessi abbastanza pronti. Ancora intontito si guardò intorno e gli ci vollero alcuni secondi per mettere a fuoco la sua stanza e ricordare dove si trovava. Aisling. La sua nuova casa.
Bussarono ancora e stavolta fu abbastanza pronto da rispondere. 
«Entrate».
SI parò davanti a lui un uomo sulla sessantina che reggeva un vassoio d'argento con sopra un paio di tazze fumanti e qualche piattino coperto da alcuni tovaglioli. 
Fionn scese dal letto adocchiandolo mentre quello richiudeva la porta alle sue spalle e poggiava il vassoio sul tavolinetto di fronte alle poltrone, rivolgendogli poi un largo sorriso. 
«Voi siete il maggiordomo, il signor Duval?» domandò, con qualche esitazione. 
«Buon Dio, spero proprio di no! Brandon McKneel, giovanotto. Ma puoi chiamarmi Bran».
L'uomo gli tese la mano e Fionn riuscì a stento a stringerla, inebetito da tante buone maniere unite a quell'atteggiamento cameratesco. Avrebbe voluto dire qualcosa ma tutto ciò che gli venne alle labbra fu 
«Quanto... quanto ho dormito?»
Bran sorrise, da quel vecchio furbone che era. Si passò una mano sul bel panciotto blu scuro a scacchi verdi -tipico di un certo clan irlandese, se solo Fionn si fosse dato pena di ricordarlo- e dal taschino trasse fuori un orologio a cipolla. 
«Un paio d'ore, almeno. Visto che avevi saltato la colazione, mi sono permesso...»
E accompagnò queste parole scoprendo i piatti che aveva portato su con il vassoio. C'era un assortimento di marmellate, del miele e qualche panino ancora croccante. Il tè, ebbe modo di notare Fionn, era servito all'irlandese, senza latte né zucchero. 
«Vi ringrazio, signor McKneel».
Bran fece un gesto vago con la mano e sorrise di nuovo.
«Bran, solo Bran. Bando alle smancerie. Fra noi ospiti di Aisling non sono necessarie. Serviti pure, ragazzo».
E come a voler dare l'esempio, si sedette a sua volta su una delle due poltrone, prendendo il tè con quelle sue mani agili. 
Fionn lo squadrò con una certa insistenza, mentre a sua volta prendeva posto preparandosi a consumare il suo primo pasto in quel luogo. 
Quel Bran, oltre che un tipo singolare, era anche un bell'uomo -decise- nonostante l'età. Alto, bel portamento. I vestiti erano tutti estremamente puliti, proprio come la sua persona. Oltre al panciotto che aveva già notato, indossava una camicia bianca priva di merletti e altri fastidiosi orpelli, e dei pesanti pantaloni di fustagno dal curioso colore cangiante, dal blu scuro al marrone. 
Senza lasciarsi pregare ulteriormente, sopraffatto dai morsi della fame, Fionn spezzò un panino, fragrante e ancora caldo, e prese a intingerlo nel miele. 
«Fa sempre così?» domandò, guardando fuori dalla finestra e notando che, nonostante fossero appena le undici, il sole sembrava già aver fatto la sua storia in quella giornata. 
Il suo interlocutore scrollò le spalle. 
«E questa è la buona stagione!» rispose, bevendo dalla sua tazza.
«La buona stagione?»
«Certamente, ragazzo. La prassi vuole che Aisling riceva rifornimenti dall'isola ogni due settimane. Beh, hai visto la nave del Capitano Charon -a proposito, lo hai conosciuto? No? Peccato, un tipo singolare.
«Dicevo, la nave del Capitano Charon--»
«Non ha un nome?» domandò ancora Fionn. 
Bran parve accigliarsi. Evidentemente non gli piaceva essere interrotto.
«Lo ha, un nome. Ma noi ospiti non lo pronunciamo mai.»
Fionn annuì e l'altro poté riprendere il suo discorso.
«Quella benedetta nave, insomma, l'hai. Può trasportare provviste per dei mesi, ed è esattamente quello che fa. Il mare qui è quasi sempre navigabile, tranne per alcune tempeste invernali. Purtroppo però, con l'arrivo dell'autunno inizia la stagione delle nebbie, e a quel punto ogni comunicazione con la terra ferma viene sospesa -e così anche i rifornimenti».
Fionn ascoltava rapito, desideroso di apprendere quanto più possibile sul luogo che lo ospitava.
Bran trincò allegramente l'ultimo sorso di tè, quindi posò la tazza sul vassoio e con calma serafica tirò fuori dal panciotto una fiaschetta d'argento. Ne svitò il tappo e con la grazia che sembrava connaturata in ogni suo movimento, si riempì nuovamente la tazza.
«Acquavite, della migliore» mormorò.
«Ne vuoi?»
Fionn rifiutò con un cortese cenno del capo e il buon vecchio Bran, ripresa fra le mani la tazza di porcellana danese, continuò a parlare.
«Dove ero rimasto? Ah, i rifornimenti. Ecco, devi sapere che durante la stagione delle nebbie il castello, come lo chiamiamo noi, non può essere scorto dal mare -né chi è all'interno del castello può vedere oltre un palmo dal naso fuori dalle mura.»
«E quando dovrebbe iniziare?»
Bran si strinse nelle spalle.
«Non ha una data precisa. Inoltre, ti accorgerai che c'è una diversa concezione del tempo, qui».
Il reduce della Bastiglia annuì, tuffando altro pane nel miele e portandoselo alla bocca.
«Ci sono altri ospiti, oltre a noi due?»
Bran annuì con vigore.
«Oh, certamente. Aisling ha sette altri ospiti, esclusi i presenti».
«Vorreste... vorresti parlarmi di loro?»
«Posso fare molto di più, ragazzo. In effetti, non sono venuto solo a portarti la colazione: sono venuto a prenderti. Gli altri ci aspettano nella sala comune del piano inferiore».
Fionn si mostrò subito imbarazzato e Bran, da quella vecchia volpe che era, indagò subito in merito. Gli bastò un'occhiata inquisitrice perché l'altro uomo, più giovane e meno a suo agio in quella situazione, parlasse.
«Non ho abiti puliti. Mi hanno portato qui senza bagaglio e senza effetti personali».
Con un sorrisetto complice, Bran indicò il settimanile e l'armadio che figuravano nell'angolo alla sua destra. Entrando nella stanza, Fionn non li aveva notati, forse perché disposti in un angolo reso cieco dalla porta aperta. In effetti, all'interno dei due mobili c'erano più abiti di quanti Fionn ne avesse mai posseduti, addirittura più di quanto ne avrebbe potuti desiderare. 
Non avendo più scuse e avendo terminato la colazione, si convinse a lavarsi e vestirsi con quegli abiti nuovi. Scelse una casacca acquamarina e un paio di comodi pantaloni di velluto. Niente calze alte, niente parrucconi, niente cipria. Anche perché, a giudicare da Bran, sembrava che quegli ammennicoli non fossero particolarmente in voga, da quelle parti. Non quanto a Parigi, almeno.
Quando Bran rientrò nella stanza, ché era rimasto fuori per concedere al novellino la giusta intimità, Fionn stava sistemandosi i capelli riavviando il poderoso ciuffo. 
Entrambi, in silenzio, si diressero verso la porta.
Prima di uscire, Fionn osò finalmente porre la domanda che lo aveva tormentato per tutto il tempo della vestizione. 
«Bran... tu perché sei qui?»
L'uomo scosse il capo, imperterrito.
«Mai, ragazzo. Mai fare questa domanda a nessuno degli ospiti. Ricordalo».
Sorpreso da quella variazione nel tono di voce di quell'uomo tanto strano e gentile, Fionn si fermò.
«Perché?»
«Nessuno ama parlare del proprio passato, qui. Ad Aisling non ci si vanta».

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