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di aniretacs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Adoro osservare la gente occupata in piccole mansioni quotidiane. In particolar modo, adoro guardarla viaggiare.

Stazioni, aeroporti, fermate dei pullman,...sono quei luoghi di incontro dove completi sconosciuti si trovano a condividere pochi metri quadrati di ossigeno, attendendo il mezzo che permetterà loro di collegare due distinti momenti della loro giornata. O, addirittura, della loro vita.
Amo osservare queste persone, interrogarmi sulle loro vite e creare delle vere e proprie storie di cui loro sono i protagonisti.
Stanno tornando o stanno fuggendo dalle loro miserabili vite?
Stanno partendo per poche ore, per pochi giorni o hanno un biglietto di sola andata e la speranza di dimenticarsi, un giorno, di tutto ciò che si stanno lasciando alle spalle?
Stanno partendo per lavoro/studio o per l'illusione di potersi creare un nuovo e felice futuro?

E' un semplice passatempo che mi ha insegnato mia madre. Anche lei fantasticava. Anche lei viaggiava. Anche lei sognava. O almeno lo faceva fino a quando non conobbe l'uomo che poi avrebbe sposato, e che, in seguito, sarebbe diventato mio padre.
L'uomo che ha spezzato le ali all'uccello che aveva il dono di volare più lontano e più in alto nel cielo.
Dopo aver ancorato mia madre a una vita che non le apparteneva, si è convinto che l'unico compito di un padre di famiglia fosse di "portare a casa i soldi". Così, ora passa tutto il suo tempo libero, non impegnato dal lavoro, in troppi bar a bere troppi alcolici. E torna a casa solamente la sera, per cena, per ricevere il suo "meritatissimo" piatto di cibo e per insultare me e mia madre per un qualche fantasioso motivo che solo lui conosce.

Ma finché porta a casa il denaro per finanziare il mio futuro, poco mi importa.
Finché non tenta di spezzare anche le mie di ali, faccio finta che non me ne importi nulla.

...........................................................

Ora sono in treno.
Di fronte a me siede un uomo sulla quarantina, ora impegnato al telefono.
Dal suo aspetto e abbigliamento (capelli sono ordinatamente pettinati; occhiali con una montatura semplice che gli conferiscono un'aria da intellettuale; giacca e cravatta; per non parlare della valigetta in pelle con cui viaggia)deduco che sia un uomo in carriera. Ne sono certa.
La sua conversazione al telefono sembra animarsi. 
Forse è al telefono con il suo capo d'ufficio. Ma i suoi modi di fare e il suo tono di voce sembrano troppo autoritari. Probabilmente è lui il capo.
Magari sta discutendo con la moglie. Lancio un'occhiata alla sua mano sinistra. Niente anello sull'anulare. Okay, allora sta discutendo con la ex-moglie. Così è più realistico.
Riesco già a immaginare una ricca donna ben curata, disperata a causa degli orari impossibili del marito, del fatto che preferisca l'ufficio trascurando lei e i loro progetti di creare una fam...

«Siamo in arrivo a: ****** centrale.» La voce registrata echeggia in tutto il vagone, riportandomi alla realtà annunciando la mia fermata.

Non sto fuggendo. Non fisicamente almeno. O almeno così mi convinco. Sto viaggiando verso il mio futuro. Parafrasando, sto per raggiungere la mia città universitaria, dove domani inizieranno ufficialmente le lezioni del mio secondo anno. Nulla di che, insomma.

Lancio un ultimo sguardo all'uomo in carriera: sta ancora discutendo animosamente al telefono. 
Perché amo contemplare completi sconosciuti impegnati in così semplici atti di vita quotidiana, come parlare al telefono? Perché guardandoli vivere, spero che un giorno riesca finalmente a capire cosa significhi davvero "vivere" e provare dei sentimenti, che non siano la rabbia. Di quella ne ho già abbastanza.

Mi alzo dal sedile accennando un debole e triste sorriso, e mi dirigo verso l'uscita.
Mi fermo davanti le due portiere attendendo che sia aprano e mi permettano di fuggire. Volevo dire, uscire.
Come me altra, gente comincia ad accalcarsi davanti alle due porte. Troppe persone in un luogo troppo stretto. Adoro esaminare le persone e i loro strambi comportamenti, ma odio interagire con loro.
Finalmente il mezzo si ferma.
Io e le altre persone ci urtiamo impercettibilmente gli uni contro gli altri a causa della frenata. Comincio a sentirmi improvvisamente claustrofobica.

Le porte si aprono. 
Non do loro neanche il tempo di aprirsi del tutto che scendo immediatamente sul primo scalino. Faccio un respiro profondo grata di essere finalmente fuori. Aria. 
Mi ricompongo prontamente e mi preparo a scendere l'ultimo gradino e allontanarmi definitivamente dal mezzo di latta.

Ho ancora un piede sul treno quando, per uscire, qualcuno non decide di gettarsi, letteralmente, fuori venendomi addosso come un uragano.
Vengo scaraventata violentemente a terra.
Sento le persone attorno a me, borbottare frasi tipo: "Ma che modi!", "I giovani d'oggi e le buone maniere..!"
Sento il mio aggressore a pochi centimetri da me alzarsi da terra. E senza nemmeno voltarsi, controllare come stessi, o aiutare ad alzarmi...comincia ad andarsene.
Mi tiro leggermente su facendomi leva su un gomito e ancora scioccata urlo:

     «MA CHE CAZZO!?!?!» 
L'aggressore se ne davvero sta andando. Mi da le spalle. Lo osservo. E' molto alto, slanciato e magro. Porta dei pantaloni neri attillati e un felpa nera con il cappuccio, che probabilmente è sceso durante l'impatto con ME. I suoi capelli sono biondi come l'oro, sotto la luce di questo tardo pomeriggio, e in disordine in stile "Ehi, guarda mi sono appena svegliato". O forse sono scompigliati perché IL TIPO MI E' LETTERALMENTE SALTATO ADDOSSO!!!

     «Chiedo umilmente perdono per aver ostacolato la tua gloriosa discesa, COGLIONEEE!!!» , urlo mentre alcuni passanti si avvicinano a me assicurandosi che stia bene.

E proprio quando pensavo di aver assistito ad un atto di stupidità umana abbastanza evidente, il mio aggressore, senza voltarsi (non sia mai), tira fuori una mano dalla tasca e alza il dito medio nella mia direzione.
Il dito medio. A ME. Come se fossi stata io a gettare LUI da un treno.

Spalanco la bocca, scioccata, come se volessi urlargli qualcosa contro, ma mi ritrovo improvvisamente senza parole. 
Il fatto è che non credo esistano degli insulti abbastanza pesanti da esprimere a pieno tutta la mia rabbia e indignazione che quel figlio di Satana mi sta facendo bollire dentro.

E mentre sento le mani di qualche gentile passante afferrarmi per le spalle e finalmente aiutarmi ad alzare, mormoro per un ultima volta: «Coglione!»

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Ciao amici!
Questa è la prima storia "seria" che scrivo. Nonché, è la cosa più personale che abbia mai deciso di scrivere. 

Chiedo scusa se, soprattutto la prima metà del capitolo, risulta alquanto pesante. Il fatto è che la storia avrà a che fare con un tema delicato, ovvero quello dei cosiddetti "disturbi mentali" (in particolare, la depressione). Per questo motivo ci tenevo a far un po' capire le ragioni di fondo per cui la nostra protagonista reagirà in un certo modo piuttosto che in un altro, quando la storia andrà avanti.

Spero che abbiate trovato questo capitolo, anche solo un po', interessante. E prometto che la questione con il ragazzo si animerà presto...abbiate pazienza!
 

Comunque, continuate a sorridere,
Un bacione e a presto,
Cate xx

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Esco di fretta dall'aula non appena la lezione termina. 
Tiro fuori dalla borsa il mio telefono per leggere l'ora. Segna le 16.03. L'appuntamento è alle 16.30. Non riuscirò mai ad attraversare l'intera città in mezz'ora. Accelero leggermente il passo mentre percorro i vari corridoi dell'università. Rinfilo la mano nella borsa nel tentativo di tirarne fuori il più fedele amico che abbia mai avuto. Il mio MP3. Ma ovviamente non lo trovo. Diciamo che ho questo particolare e innato talento di non trovare mai nulla nelle borse. Un tempo arrivai a pensare che, forse, tutto dipendesse dalla loro grandezza, così iniziai ad andare in giro con borse dalle dimensioni più ridotte. Questa esperienza mi ha portato a constatare un'unica cosa: più sono piccole e più aumentano le probabilità che io non trovi, al loro interno, ciò che sto cercando. Fatto sta che del mio MP3, ora, non c'è traccia. Sto quasi per rinunciare alla mia disperata ricerca, quando sento qualcuno afferrarmi per un gomito e tirarlo all'indietro fino a farmi voltare di 180°, in modo da poterlo fronteggiare.

Mi ritrovo avanti ad un familiare viso maschile. Il ragazzo solleva le sue folte sopracciglia che conferiscono al volto dei lineamenti quasi asiatici. E sorride, come per incitarmi a dire qualcosa.

     «Mmmh... Allora?» dico imbarazzata. Mi sta guardando con una strana espressione, come se mi stessi dimenticando di qualcosa.

     «Allora?!? Davvero Allyson?» Ora il ragazzo finge un'espressione offesa, senza però mai smettere di sorridere. E' una di quelle persone che tiene ai suoi amici più di qualunque altra cosa al mondo. E, a quanto pare, considera anche me una di loro. Inizialmente, ho voluto avvisarlo, molte volte, di non affezionarsi troppo. Ma ciò avrebbe portato solamente a molte domande a cui io avrei dovuto dare delle risposte. Ma io non voglio. Così non l'ho fatto. Sinceramente, non credo di aver mai fatto nulla per meritarmi la sua amicizia. Ne' quella di chiunque altro, se è per questo.

     «Beh, prima di tutto: ciao Ally! Anche per me è bello rivederti. Secondo: beh, nulla. E' solo che sei tornata in città, non si sa quando, dato che non hai detto niente a NESSUNO; e, conoscendoti, so già che probabilmente ti sei richiusa nella tua stanza per tutto questo tempo, senza vedere NESSUNO. » dice. «E per la cronaca, con "nessuno" intendo me. Quindi sì, mi sento un po' offeso.»

Beh, per quanto avessi davvero tentato di tenerlo lontano da me, il ragazzo mi conosce veramente bene. Per quanto qualcuno possa mai essere in grado di conoscermi, ovviamente.
Non sono mai stata una ragazza facile, socievole o particolarmente incline a fare nuove esperienze, esattamente il contrario il suo contrario. Lo scorso anno ha frequentato tutti i seminari e laboratori che la nostra facoltà offriva, e andava ad almeno 3 feste alla settimana. Mentre io restavo nella mia camera, sotto la mia coperta di pile a leggere un libro o a guardare un film in streaming.
Siamo esattamente l'uno l'opposto dell'altro, eppure, per un qualche motivo a me ignoto, lui ha scelto me. Mi ha scelta come sua amica.

      «Ciao, Calum.» Dico lentamente, a mo' di scuse. «Sono tornata solamente ieri, che non è stata una giornata particolarmente facile per me, tra l'altro. Quindi spero mi perdonerai.»

      «Capisco.» risponde appoggiando la schiena al muro e incrociando le braccia al petto. «E dimmi, la causa della tua difficile giornata ha, per caso, a che fare con quel bernoccolo che hai in fronte, e che stai inutilmente tentando di nascondere con i capelli?»

     «Emmmh...diciamo che ho solo incontrato un cafone, ieri in stazione.» dico, aggiustandomi in fretta i capelli sulla fronte, cercando di coprire il danno.
Il suo sguardo si rabbuia per un breve millisecondo. Se non fossi così dannatamente brava ad osservare le persone, non me ne sarei accorta. Calum si stacca dal muro e fa dei lenti passi verso di me. Istintivamente, indietreggio. Ma presto, troppo presto, le mie spalle toccano la parete opposta a quella in cui Calum era appoggiato pochi secondi fa.

     «E come è messo il "cafone"?» chiede con un tono di voce pericolosamente profondo, e allungando una mano per scostare i miei capelli dal viso ed esaminare il mio eroico bernoccolo. «Spero tu gli abbia fatto molto male. In aggiunta a un paio di occhi neri!»
Non credo di essermi mai trovata così VICINO a Calum. E il mio corpo inizia a notarlo. Il mio cuore comincia a battere velocemente. Molto velocemente. Troppo velocemente. Sento la mente più annebbiata e confusa del solito. Calum è uno dei ragazzi fisicamente più bello e attraente che abbia mai incontrato. Lui è alto, magro, ma con muscoli, di cui non sapevo l'esistenza, posizionati in punti strategici. Non che lo abbia mai visto senza maglietta, o che so io, ma mi basta osservare le sue braccia per immaginare quei muscoli. E le sue braccia... con tutti quegli intricati viavai di venette sporgenti che sembrano rincorrersi per l'intera lunghezza dei suoi avambracci. CRISTO, LE SUE BRACCIA.

Scioccata dalla direzione che i miei pensieri stavano prendendo, mi stacco dal muro e sgattaiolo, con fare scattoso, sotto il suo braccio ancora teso.
     «Beh...i- io... Sai, Calum!?» tento di dire mentre inizio a incamminarmi lungo il corridoio. «Potresti essere un buon amico se non fosse per il tuo pessimo tempismo. Devo scappare. Ciao, Cal.» parlo a raffica, senza nemmeno voltarmi, perché non voglio che veda quanto sia sconvolta dai miei stessi pensieri.

      «"Potrei essere"?? Vuoi dire che non lo sono già? Così ferisci i miei sentimenti!» Mi urla dietro. Lo immagino incrociare le braccia al petto e accentuare un finto broncio, come quello di un triste bimbo offeso. «Sappi che dovrai farti perdonare per questo, piccola Ally!»

     «Ciao, Calum!» continuo a camminare.

     «Ed è meglio che ti inventa qualcosa di EPICO. Non mi accontento di poso, sai?!»

Raggiungo l'uscita. Mentre apro il portone in legno massiccio, decido di voltarmi per un ultima volta. Il ragazzo è esattamente dove l'ho lasciato. Ha messo da parte il broncio da bambino offeso e, ora, mi sta mostrando, orgoglioso, uno dei suoi sorrisi più sgargianti.
     «Ci si vede, Calum.» dico accennando un lieve e triste sorriso. Esco e mi chiudo alle spalle il portone.

Una volta fuori, mi lascio cadere su di esso. Il cuore mi batte ancora a mille e mi gira la testa. "Non ho idea di perché tu lo stia facendo proprio ora." penso, "Ma ho capito a che gioco stai giocando. E io NON POSSO prenderne parte. Tu meriti di meglio, Cal."

..........

Ancora presa dai miei pensieri, tiro fuori il telefono per controllare l'ora. 16:17. Oh, merda. Inizio a correre come non credo abbia mai corso in tutta la mia vita. Come se un branco di cani rabbiosi mi stessero dando la caccia per strappare la vita via da me.
Ho promesso a mia madre che, se volevo tentare (fingere) di avere una vita normale, e andarmene da casa per un altro anno accademico, non avrei dovuto saltare alcuna seduta dalla psicologa.
Ora come ora, ODIO andare in terapia. Soprattutto dopo l'ultima ricaduta. Da allora, tutto è più grigio, più freddo e più distaccato. E mi sento come se non ci fosse via di uscita da questo stato. E se anche ci fosse, io non credo riuscirò mai a trovarla.

Riesco già a scorgere in lontananza il grande edificio in cemento armato che dovrò frequentare come fosse la mia seconda casa. Sto ancora correndo. "Perché fermarmi ora?!" penso, incitando me stessa. 
Scorgo a avanti a me una figura che si fa avanti tra la gente a spintoni e gomitate piene di rabbia repressa. Conosco bene quel sentimento. Ma, concentrata come sono sulla mia disperata corsa contro il tempo, non faccio più di tanto caso al ragazzo. O, almeno non lo faccio fino al momento in cui sento una gomitata in pieno stomaco. Non è stato uno scontro particolarmente violento, ma abbastanza improvviso da farmi perdere l'equilibrio. Mi sbilancio pericolosamente all'indietro, fino a che non finisco addosso a, quello che poi scoprirò essere, un uomo in bicicletta. Così, finiamo tutti e tre a terra: io, l'uomo e la sua bicicletta.

Sto quasi per accettare la crudeltà dell'universo nei miei confronti, quando, alzandomi da terra, riconosco la tonalità di biondo del ragazzo della gomitata. E' lui. Scommetterei la mia stessa anima sul fatto che quello è lo stesso ragazzo della stazione. E' lui. Ha lo stesso "tocco" delicato di un elefante in un negozio di cristalli. Ed anche questa volta è voltato di spalle e se ne sta andando.

Senza neanche rendermene conto, la mia bocca si apre, e ciò che ne esce è un:
«COGLIONE!»
E questa volta non rimango neanche più di tanto sorpresa quando vedo la risposta: un dito medio puntato esattamente verso la mia direzione.

_______________________________________________________________________________

Ciao amici,
come state? Se state leggendo questo secondo capitolo, grazie! 

E' comparso Caluuuuum!!!!! Ed è accaduto un casino! eheh;)
Mentre stavo scrivendo delle sua braccia e di quelle piccole vene...credo di essermi lentamente quasi innamorata di quel ragazzo. Ho  20 anni, caspiterina, e una vita (ancora)! Non mi posso più permettere queste cose;P

E si è anche scoperto il nome della nostra protagonista. Urràh. Si chiama Allyson. Per gli amici Ally, e per i nemici...si vedrà tra un paio di capitoli.

Ora vi lascio,
Grazie ancora per leggere. Keep smiling:)
Vi voglio bene xx

Cate 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Le opzioni sono due: o la gomitata ricevuta oggi era più forte e violenta di quanto abbia in realtà percepito, o la bicicletta era più dura e spigolosa rispetto a tutte le altre bici in circolazione.
Questo perché quando mi sono alzata, dopo aver passato un’ora seduta a “chiacchierare” nello studio della Dott.ssa Kells, ho iniziato ad avvertire dolori in parti del corpo che ero sicura non avessero subito urti e/o particolari danni negli ultimi due giorni.
Credo che la mia terapista abbia avuto un piccolo attacco di panico quando mi ha vista entrare.
Vedendomi in questo stato ha pensato di aver completamente fallito con me. Ha creduto che fossi passata dal farmi del male al tentare il suicidio gettandomi in mezzo a una carreggiata durante l’ora di punta. Mah… non esattamente il mio stile: troppo poche possibilità di riuscita, secondo la mia opinione. 
In effetti, immagino di non essere proprio un bel vedere, in questo momento. Ho un bernoccolo in piena fronte e lividi ovunque; i miei skinny jeans si sono strappati in vari punti (anche se sembrano quasi fatti apposta); ho un’enorme macchia di olio lungo la coscia che ha la forma di una catena di bicicletta; la mia maglietta bianca è diventata di uno strano colore tra il grigio e il marrone a causa della polvere, credo; per non parlare dei miei capelli. Non li ho ancora visti allo specchio, e non sono particolarmente sicura di volerlo fare, ora come ora.
Così mi sono ritrovata costretta a dare delle spiegazioni e a passare, dal parlare dai problemi che affliggono il mio essere, al mio desiderio di prendere quel cafone per i capelli e portarlo a spasso come un cagnolino al guinzaglio fino a quando tutto ciò che mi rimane di lui, tra le mani, è il ciuffo biondo che si ritrova in testa.
La risposta ricevuta è stata:
     «Forse dovremo iniziare a lavorare anche sulla tua rabbia, Allyson. Non vorrei che arrivassi al punto di non riuscire più a controllarla e che prenda il sopravvento sulle tue azioni.» 
Oh, non immagina neanche quanto desideri perdere il controllo se mai avessi l’”ONORE” di incontrarlo nuovamente.
«Allyson, non voglio nasconderti il fatto che sono davvero preoccupata. Pensavo che l’estata ti avrebbe fatto bene. E invece, eccoti qui ora…completamente distrutta.» continua la dottoressa.
Il problema di fondo con il mio particolare disturbo dell’umore è che quando i miei demoni non prendono interamente possesso della mia mente, ho questa forte scarica di rabbia che mi divora da dentro. Mi fa sentire come cieca di fronte all’intero mondo, a tutti i sentimenti…eccetto l’odio. E mi fa sentire potente, come se potessi distruggere tutto ciò che mi circonda. Come se potessi distruggere tutto ciò che provo. Come se potessi distruggere il mio corpo. Come se potessi distruggere me stessa.
Contrariamente all’opinione comune, parlare con un esperta di questi sentimenti non ha avuto l’effetto di calmarmi. Anzi, il contrario. Ora, a ogni passo dolorante che compio verso casa, la mia rabbia cresce e bolle dentro di me tanto da sentire quasi le pulsazioni fin sotto le tempie.
Una macchina non me la posso permettere, e gli autobus urbani sono troppo affollati per i miei gusti…dunque non mi rimane che zoppicare sofferente verso il campus.
*****
Il campus. Non è un vero e proprio campus. Io e Calum lo chiamiamo così perché somiglia a quelle strutture tipiche dei college americani. Ad essere sinceri non gli somiglia neanche più di tanto, se non per la funzione che svolge.
E’ semplicemente un grosso e altrettanto vecchio edificio che funge da residence universitario. Contiene un centinaio di camere che vengono affittate da studenti e studentesse fuori sede. Io e Calum alloggiamo qui dallo scorso anno. E’ qui ci siamo conosciuti. Due povere matricole spaesate.
Entro nella mia camera. La mia compagna di stanza è già dentro. E’ distesa a pancia in giù sul suo letto, intenta a dipingersi le unghie di un rosso corallo molto acceso. E’ uno degli esseri umani più belli e perfetti che abbia mai visto. E’ altissima, magrissima ma, allo stesso tempo, ha tutte le curve al loro posto. Una lunga chioma di capelli biondi e leggermente ondulati contornano due occhi color oceano. Ed è allegra. E’ sempre così dannatamente allegra e felice che la rende quasi insopportabile.
Appena mi vede sgrana i suoi meravigliosi occhioni blu.
     «WOOOOAH, ALLY» dice alzando le mani appena “smaltate”. «Sono più che sicura che manchi ancora un mese ad Halloween!»
     «HAAA. Simpatica.» dico lanciando letteralmente la borsa la borsa sul letto.
     «No, seriamente Ally. Devo preoccuparmi? Sembra che ti abbia appena investito un tram!»
     «Oh grazie, Sjana. Se ti interessa non sei la prima a farmelo notare. Comunque ho semplicemente avuto una giornata difficile.» Di nuovo, aggiungo a me stessa.
     «Sì, lo vedo», conclude.
Rovescio tutto il contenuto della mia borsa sul letto tornando alla ricerca del mio Mp3. Ma, nulla. Tasto in vano la borsa ormai vuota, sperando che fosse rimasto, in qualche modo, incastrato dentro. Non è uno di quei dispositivi di ultima generazione. Lo ho da più tempo di quanto ricordi, e ha un grandissimo valore affettivo. Sono seria se dico che è come un amico per me. Il migliore. C’è tutta la mia musica lì dentro. Tutto il mio mondo. Tutta la mia vita. Ci rimarrei davvero a pezzi se venisse perduto.
     «Terra chiama Allyson! Prontoo!?!» fa Sjana muovendo una mano davanti al suo viso come per incitarmi a tornare con i piedi per terra.
     «S-sì, scusa» dico cercando sulla scrivania, e poi sul comodino e nei vari cassetti. «Hai per caso visto il mio Mp3 in giro? Sono sicura di averlo preso quando sono uscita questa mattina. Ma ora non lo trovo da nessuna parte.»
     «No, non l’ho visto.» risponde sorridendomi in modo particolarmente strano. E’ come se fosse divertita, da me. E...aspetta. Io riconosco quello sguardo. Mi sta analizzando. Mi sta scrutando divertita!
     «Emmh… Che c’è??» dico infastidita. Questo è ciò che faccio io. Osservare ed esaminare le persone è il mio passatempo. Nessuno, e dico nessuno, può farlo su di me.
     «Non mi hai sentito per davvero? Oppure stai usando la scusa dell’Mp3 per non parlare dell’”argomento Calum”?» Sjana è la mia compagna di stanza già da un anno, ed è una ragazza davvero sveglia. Ma quando inizia a parlare di ragazzi (ovvero sempre), i discorsi tendono sempre a degenerare.
     «Calum? Cosa ha fatto Calum?» chiedo.
     «E’ carino. Ecco cosa ha fatto!» risponde secca, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
     «Okeeeeeeiii! Questo credo di averlo già notato»
     «Tutto qui??» Mi guarda scioccata come se avessi appena imprecato. Apre la bocca ma la richiude subito, come realizzando che probabilmente non avrei mai compreso. Infine aggiunge semplicemente:
     «E comunque è passato di qui e ti cercava. Voleva sapere se avevi già in mente qualcosa?»
      «Se ho in mente, cosa di preciso?» chiedo non capendo di cosa stesse parlando.
     «Qualcosa per farti perdonare, sciocchina» esclama ridacchiando, come se fosse già al corrente di tutto. «Cosa mi combinate voi due quando non sono nei paraggi?»
     «Parli sul serio?» Chiedo cogliendo esattamente ciò a cui stava alludendo.
     «Allyson MacMorran, sei impossibile!» esclama ora quasi alterata dalla mia reazione. Si alza rabbiosamente in piedi puntandomi un dito dall’unghia rossa contro «Sai bene quanto me, quante ragazze in facoltà venderebbero la propria anima al diavolo per passare un paio d’ore con lui. Per non parlare di cosa farebbero per passarci una notte intera…»
     «O.k.a.y., Sjana. Credo di aver colto il punto.» La interrompo sentendomi in imbarazzo per Calum.
     «No, a me non sembra» picchiettandomi una spalla con il suo dito ancora puntato. «TU. Tu, ragazza fortunata, che ne hai la possibilità, che fai??? Gli volti le spalle? Perché gli volti le spalle, Ally?» mi chiede ora sembrando disperata.
     «Non credo sia…Sì, ecco, non credo io sia in suo tipo» dico scegliendo attentamente le parole «Cioè, arriverebbe il momento in cui lo farei inevitabilmente soffrire, e non voglio che accada. Tu invece ...sì, tu saresti perfetta per lui.» aggiungo accennando un triste e forzato sorriso, e pensando davvero ogni singola parola.
     «Pfff, sciocchezze! E poi non è me che vuole, dolcezza» dice facendomi l’occhiolino e poi tornarsene sul suo letto. «E comunque, no problem. Se proprio non vuoi saperne nulla di Calum, non disperare: quest’anno abbiamo una vasta gamma di scelta!» Una vasta gamma di scelta? Ma cosa…? Sta parlando di essere umani o cosa? «Aspetta di vedere il suo compagno di stanza. Sembra un gattino. Il gattino più sexy che abbia mai visto, ovviamente.» Il gattino più sexy?! Oh. Giove. Credo di sentirmi male. «Per non parlare dei ragazzi della camera di fronte. Oh. Mio. Dio, Ally! Sono due biondi. Uno ha due bicipiti ENORMI. Scommetto riuscirebbe a sollevarci entrambe: una con un braccio e l’altra con l’altro. L’altro ragazzo, aihme, l’ho visto di sfuggita: sembrava avere fretta!»
     «Nooo! Che peccato!» Dico imitando il suo tono di voce, canzonandola. In risposta, mi becco una cuscinata in faccia.
     «Sai una cosa, Sjay? Vado a farmi una camomilla, ora. Sai, per smorzare un po’ i nervi dopo questa giornata. E ma gari anche per dimenticare la conversazione che abbiamo appena avuto, eh?»
     «Sei cattiva con me, Allyson. Stai attenta o dovrai pensare a un modo per farti perdonare anche da me» dice facendomi l’occhiolino e tornando così all’”argomento Calum”, come direbbe lei. Lo ha fatto apposta. Ovvio, che lo ha fatto apposta. 
Non dico nulla. In risposta le rilancio il cuscino, colpendola in pieno. Ed esco dalla camera.
Una volta che mi sono chiusa la porta alle spalle faccio un lungo respiro profondo. Anche se solo per 10 minuti, a volte i frivoli discorsi di Sjana mi fanno dimenticare di tutto il resto. Ma ora che sono nuovamente sola, quel turbinio di pensieri, di rabbia e di tristezza torna ad impossessarsi del mio corpo e della mia mente. E sento che non è intenzionato a darmi pace, ma continuerà a tentare di farmi impazzire per ancora un lungo periodo di tempo.
*****
Mi sono sempre chiesta da quale pulpito la gente possa affermare che cucinare sia un’attività rilassante e che “non ti fa pensare”. E’ anche vero che non stia esattamente cucinando, ma semplicemente preparando una comunissima camomilla. Ed è sufficiente a stressarmi l’anima.
Metti su l’acqua sul fornello (o il pranzo/cena in forno) e aspetti che bolla (che il cibo si cuocia). Aspetti. E qual è la prima cosa che un essere umano si trova a fare mentre aspetta un qualsiasi cosa? Pensare. Pensa a tutto e a niente. Ma comunque pensa. E per me, ogni secondo che passo con queste voci nella mia testa è come una condanna a morte. Un peso troppo grande su delle spalle troppo esili.
L’acqua bolle. Prendo il pentolino, con un guanto, e verso il contenuto bollente in una tazza e inserisco al suo interno una busta di camomilla.
Non ho voglia di berla qui, da sola. Ho bisogno di un’altra dose di chiacchiere insensate di Sjana. Così decido di tornarmene in camera. Esco dalla cucina comune. Il tempo di girare l’angolo che porta al corridoio sul quale si affacciano tutte le camere che mi scontro con quello che inizialmente sembra una montagna. Una figura interamente vestita di nero. Il contenuto della tazza si versa inevitabilmente sul mio torso.
     «AAAAHHHHHHHHHHHH!» urlo in reazione al contatto del liquido bollente con la mia pelle. Afferro di corsa il tessuto della maglietta, impregnato della sostanza, e lo tiro leggermente in avanti tentando di allontanarlo il più possibile dal mio busto.
Ecco un breve resoconto della mia situazione attuale: ho un bernoccolo in piena fronte; sono ricoperta di lividi; non riesco a camminare se non zoppicando; ed ora anche una dannata ustione in petto?!?! STIAMO SCHERZANDO? Sì, perché deve essere un dannato scherzo di cattivo gusto.
Alzo lo sguardo e osservo la figura allontanarsi: porta delle Converse nere ormai troppo consumate per essere indossate; degli skinny jeans che avvolgono, quasi perfettamente, le sue gambe; ed una larga felpa altrettanto nera. Un cappuccio gli copre il capo. Ma non ho bisogno di vederlo. Riesco come ad avvertire quella particolare sfumatura di biondo.
Lo osservo tirare fuori, dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni, un mazzo di chiavi. E continuo ad osservarlo mentre apre la porta ed entra in una delle camere che si affacciano su questo corridoio. Tutto ciò, come se non si fosse neanche accorto di essersi scontrato con qualcuno.
     “Ora basta! Questa cosa, di qualunque cosa si tratti deve finire. Ora so dove vivi. E da ciò non ne uscirà nulla di buono, per te, coglione.” Penso, mentre mi avvio, rabbiosa, verso la porta in cui il ragazzo è appena entrato.
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Ciao amici,

Ammetto che non so cosa pensare di questo capitolo: prima mi piace, dopo 10 min non ne sono poi così convinta, poi non mi piace affatto, e infine torna a piacermi. Boh.

Comunque sappiate, che questa è l'ultima parte di quella che può essere considerata una sorta di "introduzione" alla storia. Dal prossimo capitolo le cose cominceranno ad animarsi. Urrah.  E Ally si troverà ad affrontare il "cafone". Ops.
 Il motivo per cui non mi convince al 100%, è perchè è un capitolo alquanto statico. Non succede un granchè, a dirla breve. Volevate sapere come andava la prima seduta della protagonista e ho cercato di riassumere un po' ciò che le passa per la testa, IN QUESTO PRECISO MOMENTO. Il resto verrà svelato più avanti ecco perchè non ho potuto scrivere più di tanto.
Spero, almeno, che abbiate trovato, anche solo un po' divertente Sjana. E' una ragazza particolare, l'esatto contrario di Allyson.

Sappiate solo che ogni singolo personaggio rappresenta una determinata parte della società nei confronti dei cosiddetti disturbi mentali.

Grazie ancora a chi sta leggendo. Vi voglio bene :*
E anche se questo non è il capitolo più interessante che ci possa essere, non abbandonatemi. Abbiate pazienza. Giuro che dal prossimo, le cose saranno più divertenti (per quanto "divertente" possa essere questo tema).

Vi voglio bene,

Keep smiling 
Cate xx


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Qualcosa si sta muovendo in me. Non sono ancora in grado di rendermene conto. Non so neanche se sarò mai in grado di accorgermene. Non so quando, come ne' perché tutto ciò stia accadendo proprio ora. Non so se lo scoprirò mai. Ma qualcuno mi sta portando a galla. A galla dall' oceano di confusione e autodistruzione in cui stavo annegando. O forse... mi sta spingendo ancora più in profondità.

*****

Senza pensarci due volte, mi ritrovo davanti alla sua porta, battendo con tutta la forza che ho per farmi sentire, e per farmi aprire. Se mi vedesse qualcuno, ora, in preda a quest'attacco di collera, mi prenderebbero e porterebbero direttamente in un manicomio.

So che tutto questo è sbagliato. Suvvia, le persone normali accetterebbero la cosa e continuerebbero a vivere. Le persone normali hanno il cosiddetto istinto di sopravvivenza, che li blocca dal fare cazzate. Tu invece, Ally, stai cercando guai, stai correndo loro incontro. Oh cristo, ditemi che non sto davvero parlando con me stessa!
Sembra come se qualcosa si stia letteralmente impossessando di me facendomi perdere ogni capacità di controllo e l'uso della ragione.
Faccio un respiro profondo per tentare di ricompormi un po', consapevole dell'effetto negativo che questo sentimento ha su di me. Tutto inutile.

La porta si apre.

«Ciao!» dice il possessore dei due enormi pettorali (che un misera e povera T-shirt nera sta tentando di contenere) che mi trovo davanti. Credo sia uno dei ragazzi adocchiati da Sjana. Quello che avrebbe dovuto sollevare me e lei contemporaneamente. Sì, sono più che certa che sarebbe in grado di farlo.

Imbarazzato dal mio silenzio, il ragazzo aggiunge:
«Sono arrivato da poco e ancora non conosco quasi nessuno. Piacere, sono Ashton.»

Il ragazzo è poco più alto di me e ha il volto di un bambino cresciuto troppo in fretta. Mi sta sorridendo e due profonde fossette compaiono ai lati del suo viso. Se fossi in grado di provare un qualsiasi tipo di sentimento, avrei già stretto quel bambino un po' troppo cresciuto tra le braccia assicurandogli che tutto sarebbe andato per il meglio. Anche se, probabilmente, non avrei creduto ad una singola parola che sarebbe fuoriuscita dalla mia bocca.
Ha i capelli mossi che gli cadono, sbarazzini, sugli occhi, e sono biondi. I miei muscoli si irrigidiscono immediatamente al solo pensiero di QUELLA particolare sfumatura di biondo, che tutta via non combacia con quella del ragazzo che mi trovo di fronte.

«No. Non sei tu!» mi sfugge dalle labbra.

«Oh! Sono più che certo che sia questo il nome che mia madre mi ha dato quando sono nato!» esclama estendendo ancora di più il suo sorriso e facendo diventare quelle due fossette ancora più profonde.

«Io non intendevo...Scusa...Volevo solo...» Che figura di me**a , «Senti, io devo parlare con il tuo amico. L'ho visto entrare qui.» dico indicando la porta alle sue spalle.

«Emmmh...non credo sia una buona idea. Non potevi arrivare in un momento più sbagliato...»spiega. Il suo sorriso si spegne improvvisamente, lasciando posto ad un'espressione particolarmente dispiaciuta. Ma mai rimandare a domani ciò che può essere fatto oggi, no?

«Fidati, è il momento giusto, il luogo giusto e... scommetto che anche le stelle siano tutte allineante, oggi, per evidenziare quanto GIUSTO sia questo MOMENTO! »

«Mi piacerebbe aiutarti, davvero. Ma non credo sia il caso di...» Sto iniziando ad alterarmi. Non lo lascio neanche terminare la frase che lo afferro per un braccio, come in una forte stretta di mano, e lo tiro a me.

«Ashton! E' il tuo nome, vero?» chiedo mantenendo la stretta e iniziando a ruotargli attorno.

«Ehmm...sì.» risponde, confuso, il ragazzo.

Una volta che mi sono assicurata di essere posizionata esattamente nel punto in cui devo essere, ribatto:
«Bene, Ash! E' stato un vero piacere conoscerti. Ora devo andare. Ciao!»
Un malefico sorriso si impossessa del mio volto. Interrompo il contatto, lasciandogli il braccio. Faccio un passo indietro. E proprio mentre lo osservo sgranare gli occhi, in realizzazione di ciò che sta per accadere, gli sbatto la porta in faccia chiudendolo fuori dalla sua stessa camera. E, di conseguenza, chiudendo, ME, al suo interno.

*****

Sento Ashton battere alla porta, pregandomi di aprire. Troppo tardi, caro. 
Wow. Non ricordo abbia mai fatto nulla del genere in tutta la mia vita. Non so neanche cosa sia questa "cosa" che ho appena fatto. Come dovrei chiamarla? Un dispetto? Di qualsiasi cosa si tratti SONO CERTA di non averla mai fatta prima. Semplicemente, non ho mai fatto. Sono sempre stata chiusa in me, nella mia stanza, guardando la vita scorrermi addosso. Ed ora cosa mi ritrovo a fare? Un dispetto? Uno di quei semplici atti di quotidianità che tanto amo osservare dagli altri?
E' successo tutto così in fretta. E' come se il mio corpo e i miei pensieri fossero stati due entità distinte. La mia mente pensava, mai il mio corpo reagiva a modo suo. Come aveva previsto la Dott.ssa Kells, ho perso il controllo! E per cosa poi?

«Brava! Complimenti, sei dentro! E ora?» chiede una voce alle mie spalle, distraendomi dal mio flusso di pensieri. Bella domanda: e ora?
Negli ultimi due giorni, sono stata talmente presa da questa improvvisa esplosione di rabbia e da questa sensazione di potenza assoluta, che non mi sono mai fermata a meditare su come avrei reagito, o cosa avrei detto una volta che mi fossi trovata avanti al mio misterioso cafone.

Mi volto verso la voce che mi ha parlato. Sul bordo di uno dei due letti che occupano la stanza principale siede un ragazzo. Tento di esaminarlo meglio, nella fioca luce del tardo pomeriggio che penetra dall'unica finestra nella stanza. Gli skinny neri, combaciano; le vecchie converse nere, combaciano; la larga felpa altrettanto nera con tanto di cappuccio ancora alzato, combacia. E' lui.

E' seduto con il corpo inclinato in avanti, gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa retta tra le mani. Fissa un punto indefinito a terra. Sembra un'anima in pena. Quasi che mi dispiacerebbe per lui se non fosse per i danni fisici che mi ha procurato negli ultimi due giorni.

«Ora parliamo.» dico usando un tono il più autoritario possibile.

«E di cosa dovremmo mai parlare noi due, dolcezza?» dice senza neanche tirare su la testa, come se non fossi nemmeno degno di essere osservata negli occhi durante un discorso.
E poi...non mi ha chiamata dolcezza, vero?

«"Dolcezza"?!» chiedo, sbalordita.

«Beh, non conosco il tuo nome.» Spiega come fosse un dato di fatto, e senza nascondere un vena di disprezzo nella sua voce.

«Ne' lo saprai mai» rispondo secca, «dobbiamo parlare di te, di me, e di...» Mi interrompe prima che possa terminare la frase.

«"Di me e di te"?» chiede ripetendo le ultime parole che sono stata in grado di pronunciare «non vuoi neanche dirmi il tuo nome e già vuoi parlare di noi? Non ti sembra di correre un po' troppo, dolcezza?» dice ponendo particolare enfasi sull'ultima parola. Sa che mi da fastidio, e continua ad usarla. Coglione.
Le sue mani, impegnate a reggere il suo pesante testone, continuano a impedirmi di vedere il suo volto, e tutto ciò che riesco ad esaminare è la sua voce. E non mi piace. Non mi piace nulla di lui.

«Parliamo di ME; di TE; di TE che ti fiondi come una furia addosso a ME mentre scendo un dannato treno, e rischio di fratturarmi tutte le ossa; di TE che mi rispondi alzandomi un dito medio, come se fosse stata colpa mia; di TE che mi spingi, facendomi cadere su di un tizio in bicicletta; di TE che mi dedichi di nuovo un dito medio, perché, a quanto pare, è stato di nuovo colpa mia; e di TE che mi fai versare una tazza di liquido BOLLENTE, addosso!» termino la paternale.

Non risponde. Ma ride. Ride di gusto.

«Lo trovi divertente? Guardami, cazzo, e dimmi cosa ci trovi di così dannatamente divertente!» gli ordino alzando la voce, e chiaramente infastidita dal suo comportamento.

Contro ogni mia aspettativa, il ragazzo alzo lo sguardo verso di me. Dannata luce troppo fioca e dannato cappuccio in testa, non riesco ancora a distinguerlo in volto. Ma lui riesce ad vedere me e si lascia scappare un "Ohh" divertito, chiaramente riferito alla mia condizione fisica attuale: ai miei jeans macchiati di olio di catena di bicicletta; alla mia maglietta coperta di polvere di strada e bagnata di camomilla bollente; ai miei capelli arruffati e al mio meraviglioso bernoccolo in piena fronte!

«Immagino già cosa vuoi dirmi. Dolcezza!»

«Ti ho già detto di non chiamarmi in quel modo. E dubito tu sappia qualcosa. Coglione!» rispondo a denti stretti.

Evidentemente il mio nomignolo non è stato granché apprezzato, perché improvvisamente il ragazzo si alza e fa come per scaraventarsi contro di me. La furia chiaramente dipinta in volto. Ma, a circa mezzo metro di distanza da me, si blocca di colpo serrando violentemente i pugni e i muscoli della mascella, come se stesse lottando contro se stesso per evitare di fare una cazzata.

A questa distanza riesco a definire bene i suoi contorni. E' dannatamente alto, cosa che non avevo notato prima dato che durante i nostri precedenti incontri, prima che potessi davvero accorgermi di lui, finivo per trovarmi stesa a terra, dolorante (e da laggiù tutti sembrano particolarmente alti). 
Durante il suo scatto di furia il cappuccio è scese dal suo capo. Una leggera barbetta incolta gli copre parte del volto, facendo risaltare il lipring nero che, delicatamente, buca l'angolo sinistro del suo labbro inferiore, Gli occhi del colore del cielo primaverile quando il sole splende alto a mezzogiorno. E finalmente, riesco a definire la particolare tonalità dei suoi capelli: sono di un biondo più scuro d'inverno.

Dopo un lungo minuto di totale silenzio, il ragazzo sembra ricomporsi.
«Quello che vuoi dirmi è che sono uno stronzo, un bastardo, un figlio di puttana e qualche altro prevedibile e scontato insulto.» spiega guardandomi dall'alto, utilizzando la propria altezza come mezzo per incutere terrore. E ci sarebbe riuscito se non fosse che tutta quest'arroganza non fa altro che alimentare l'ira in me. Vorrei strappargli il collo a morsi. Agggh!

«Sai cos'è preoccupante? Il fatto che tu sappia di essere così e, tuttavia, non sembra che voglia far nulla per impedirlo. E, perché no?, magari anche per migliorarti!»

Il ragazzo scoppia in una vivace risata.
«Sei ridicola. Vieni qui a sputare sentenze e neanche mi conosci. Vieni qui a parlare di "migliorarsi", ma ti sei vista? Tutta rabbia e parole sprezzanti. Una rabbia che ora ti convinci a scaricare su di me. Ma la domanda è: cos'è che ti fa provare tutto questo disprezzo nella tua piccola inutile vita? Da cosa ti stai nascondendo?» questo non è affatto il modo in cui avrei pensato questo confronto potesse concludere.

«TU non sai nulla di me. TU, mi fai disprezzare la mia piccola e inutile vita! TU sei l'unico ad usare parole sprezzanti e prive di senso.» sibilo tra i denti.

«Già. Chiamiamola legittima difesa. Infondo non sono io a ritrovarmi in camera di un completo estraneo, ad importunarlo perché nessuno mi ha aiutato ad alzarmi per strada.»

«Sei uno stronzo. Ecco cosa sei. » Sentenzio stringendo le mani a pugni. Solo dio sa la forza di volontà che sto mettendo per non prenderlo a pugni. La cosa più frustrante è che mi sembra di discutere con un 13enne, anziché con un giovane uomo di 19-20 anni. E' esasperante.

«Eccolo, il famoso e patetico insulto con cui credi di potermi ferire.»

«Non è colpa mia se questa parola ti rispecchia alla perfezione.» sputo senza neanche pensare.

Il ragazzo non risponde subito. Rimaniamo in silenzio per un paio di minuti. Sento i suoi occhi penetrare nei miei come alla ricerca di qualcosa. Tento di ricambiare lo sguardo, di analizzare la persona in piedi a pochi centimetri da me. Ma è come fissare una parete completamente bianca. Nulla. Nulla di significativamente rilevante da poter usare come arma. Lo sento scavare all'interno dei miei pensieri, mentre io non ho assolutamente nulla per ferirlo. Si sta nascondendo. Si sta proteggendo. Da me.Ormai questa è una guerra.

«Sì» esclama, semplicemente, dopo un po'.

«Sì, cosa?» chiedo confusa, tentando di non interrompere il contatto visivo. Non sarò io a perdere questa battaglia.

«E' colpa tua se ti trovi in queste condizioni fisiche ora. Di certo non è colpa mia se sei invisibile ai miei occhi. Invisibile agli occhi della gente per strada. Invisibile agli occhi del mondo. Semplicemente, è come se non esistessi.»

Tutta la rabbia accumulata negli ultimi due giorni sembra improvvisamente dissolversi, lasciando il posto a qualcosa di più pericoloso. Mi sento come nuda di fronte al mio cecchino.

Sono sempre stata io a cercare l'invisibilità. Tentare di eclissarmi con lo sfondo del mondo per osservare l'intero universo vivere e mettersi in funzione. Ho sempre aspettato in disparte lasciandomi trasportare dalla mia vita, e non viceversa.

Ho sempre cercato l'invisibilità. Ho sempre cercato la solitudine. Ho chiuso la vera me, la parte più fragile del mio essere, in un posto molto nascosto nel mio cuore. Lontano da occhi indiscreti. Lontano da tutti. Ed ora mi ritrovo davanti a un completo estraneo che tenta di leggermi dentro, di scavare negli abissi più profondi del mio essere, solamente con lo scopo di ferirmi, a causa di qualcosa più grande di noi che non riusciamo a controllare.
Perché lui è come me.
Certi cose, ceri comportamenti, certe verità nascoste dietro a sguardi e a parole apparentemente senza senso, sei in grado di comprenderli solamente se vivi e provi simili pene a quelle dell'altro.

Quello che provo ora? Paura. Paura che tutte le difese che ho costruito tra me e il mondo possano essere fatte distruggere. Paura che l'universo possa finalmente vedermi: fragile, spezzata, completamente distrutta al mio interno.
Con il tempo mi sono auto-educata a stare lontano dalle persone, a evitare contatti inutili, con lo scopo di proteggermi. Questo ha fatto crescere uno spesso e impenetrabile muro di ghiaccio intorno al mio cuore. Un muro che ha intorpidito tutte le mie emozioni, rendendomi apatica nei confronti di tutto ciò che mi circonda. Ma ora, è come se una piccola crepa si stia formando sullo strato più esterno del ghiaccio. Fa male, quasi fisicamente. 
Non avrei mai pensato che la prima emozione che fossi in grado di provare, dopo tanto tempo, fosse la paura.

Quello che accade ora? Si chiama istinto di sopravvivenza. Non credevo avessi mai potuto provarlo...forse perché non ho mai avuto nulla da difendere così ardentemente.

Alzo il pugno chiuso contro di lui, cercando di colpirlo al viso. Il ragazzo però è più rapido e blocca il mio pugno a mezz'aria tenendo il mio polso, con forza, nella sua mano.
Cerco in qualche modo di liberarmi, ma tutti i tentativi sono vani, Tento allora di colpirlo con l'altra mano, ma il ragazzo afferra anche questa e mi spinge con forza contro il muro in cartongesso, provocando un sonoro tonfo.
Il ragazzo mi sta spaventando.
Mi sta letteralmente schiacciando sotto il peso del suo corpo; mi tiene i polsi fermi contro il freddo muro e i suoi occhi, in cui è tornata la furia più pura, inchiodano, minacciosi, i miei. Sento il cuore martellarmi nel petto, sento l'adrenalina corrermi nelle vene, tra i miei muscoli intorpiditi.
Il ragazzo avvicina ancora di più il viso al mio.

«Non farlo mai più» mi avverte stringendo i denti. In una diversa situazione, avrei potuto ribattere con qualcosa, ma quegli occhi azzurri, con tutto ciò che nascondono dietro, mi fissano in modo così minaccioso che perdo ogni briciolo di coraggio di dire nulla.

«ALLY?» Sento, prima, la voce di Calum chiamarmi dal corridoio dall'altra parte della parete alle mie spalle, e poi Ashton borbottare qualcosa. Il ragazzo che ho chiuso deve aver chiamato rinforzi.

«Allora è Hayley, eh?» chiedendo il mio nome. Non rispondo. Mi limito a scuotere la testa. Mi sento talmente distrutta dentro che ho paura di sentire la mia stessa voce spezzarsi nel bel mezzo di un discorso. Notando il mio silenzio, continua «Non fai più tanto la spavalda, eh Hayley?» mi schernisce, sorridendo perfidamente e continuando a fissarmi dritto negli occhi.

«TUTTO A POSTO LI DENTRO?» chiede la voce proveniente da fuori.

La presa del ragazzo sui miei polsi si fa sempre più stretta, mi sta facendo male.
Mi lasci sfuggire un debole «lasciami», ma il ragazzo non si muove di un centimetro.

«Lasciami» ripeto con più convinzione, «lasciami, cazzo!» esclamo iniziando a dimenarmi.

«Vedi di non rompermi più, Hayley, altrimenti giuro che te la faccio pagare.»

«LASCIAMI, DANNAZIONE!» urlo rafforzando i miei tentativi di liberarmi dall'inflessibile presa del ragazzo.

«ALLY! CHE STA SUCCEDENDO?» chiede Calum preoccupato , in risposta alle mie urla. Nel frattempo qualcuno riprende a battere alla porta e muovere la maniglia nel tentativo di aprirla. Darei qualsiasi cosa per raggiungere il ragazzo dall'altra parte della parete.

Sono stufa di questa situazione. Sono stufa della persona che ho di fronte. Voglio solo porre più distanza possibile tra me e lui. Non voglio più vederlo. Avrò anche i miei problemi, ma lui non è di certo messo meglio. 
Una volta che ho capito che tutti i miei tentativi di liberarmi sono inutili, gli assesto una ginocchiata nei gioielli di famiglia.
Il ragazzo si piega in avanti dal dolore, lasciando andare i miei polsi. 
Non perdo un attimo di tempo e approfitto di questo momento per sgattaiolare via, e correre ad aprire e uscire fuori dalla porta.

Una volta fuori trovo Calum (e Ashton) ad aspettarmi, e mi fiondo tra le sue braccia. Sento il ragazzo inizialmente sorpreso da quest'improvviso contatto, ma una volta che avvolgo le mie braccia intorno al suo busto, lui non esita a ricambiare l'abbraccio.

Sento il mio "aggressore" seguirmi fuori dalla porta.
«STRONZA! GIURO CHE TI FACCIO MALE!» mi urla contro.

Calum istintivamente, indietreggia facendomi scudo con il suo corpo e, contemporaneamente, stringendomi ancora di più a se'. Mentre Ashton blocca l'amico.
«LUKE, cazzo! DATTI UNA CALMATA.»

Luke.
"Poco mi importa delle tue minacce, perché ora mi sento al sicuro e protetta".Penso, affondando il mio viso tra le braccia del ragazzo che mi tiene strettaal suo corpo, e inspirando in un grande respiro il suo profumo a me tantofamiliare.

 

______________________________________________________________

Woah. Questo capitolo è lungo o.O

Prima di tutto chiedo scusa per il ritardo, ma "qualcuno" ha deciso di annunciare un nuovo Derpcon. E così, senza pensarci, mi sono messa a disegnare. Anche se già me ne sono pentita...insomma, non ho più l'età per questi concorsi! Non riesco a stare dietro ai voti, all'uni, e alla mia vita contemporaneamente. Pfff, la vecchiaia!

Comunque:

1) da una prima lettura sembra che abbia descritto Ashton come un "quasi culturista" (hahaha) e Luke come una sottospecie di criminale che picchia le donne. E tutto in un unico capitolo. Wow. Forse è meglio che la interrompa questi miei tentativi di scrittura;)

2) Calum <3

3) Hey, hey, Hayley, won't you save meeeeeee!
 

Tengo molto a questa storia (per quanto confusionaria sia), ma ammetto che mette tanta angoscia anche a me, sia a scriverla che rileggerla.

Quindi pensavo, nel frattempo, di pubblicare, in un opera a parte, tante piccole OneShot/Imagine sui ragazzi (magari su argomenti più allegri e vivaci), e pensavo di farlo SU RICHIESTA. 
Potreste richiedermi qui, su Wattpas o su twitter,.. ciò che volete leggere e io ve lo scrivo.
Interesserebbe a qualcuno?

Grazie ancora a chi legge, sia qui che su Wattpad...vi voglio bene <3
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo,
keep smiling 
e a presto

Cate xx

 

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