Aki's Bike

di anicos89_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** DUE CUORI VELOCI ***
Capitolo 2: *** L'AROMA DELL'AKI'S ***
Capitolo 3: *** STARE VICINE. STARE DISTANTI. ***
Capitolo 4: *** RIVEDERSI ***
Capitolo 5: *** USCIRE [ALLO SCOPERTO] ***
Capitolo 6: *** INSIEME ***



Capitolo 1
*** DUE CUORI VELOCI ***


CAPITOLO 1 - DUE CUORI VELOCI

Tokyo. Inverno. Quel giorno era gelido. I respiri diventavano vapore a contatto con l’aria. 
Le strade erano gremite di persone che si muovevano all‘unisono come un banco di sardine. Il suono dei passi si disperdeva nel rumoreggiare dei motori. 
L’ultimo bus era ormai partito. Correva la ragazza dai castani capelli che fluttuavano nel vapore del suo affannato respiro. «Fermo! Fermo!» -Gridava agitata.
Piegata sulle ginocchia dalla spossante corsa. Le mani poggiate sulle cosce: «Accidenti! Non ci voleva!» Ripeteva con il fiato corto.
Afferrò il suo foulard rosso e se lo strappò con forza dal collo; poi lo ripose per metà nella borsa.«Dannazione!»Continuava senza darsi pace.
Era inverno, eppure quella ragazza vestiva in modo poco consono per la stagione. Da sotto il giubbotto aperto si intravedeva una maglietta color carminio con sopra una stampa nera raffigurante un gufo con grandi occhi di colore giallo intenso.
I fuseaux grigi a righe bianche coprivano gambe dalle linee morbide. La gonna corta di jeans con strappi sulle tasche. E ai piedi delle Converse che un tempo dovevano essere bianche. Sfidava il freddo per un look fashion. 
Farfugliava nervosamente sotto gli sguardi attoniti dei passanti.
Ormai, il bus era perso. La ragazza andava avanti e indietro sul marciapiede con atteggiamento rabbioso e senza darsi pace.
D’un tratto, la sua attenzione si spostò su una ragazza intenta a coprire la sella della sua grintosa Yamaha Bolt nera grafite.
«Ehi tu!» Le si rivolse la giovane in modo sgarbato e alquanto confidenziale.
La ragazza si spostò la ciocca di capelli che aveva davanti agli occhi:«Dici a me?»
«Sì, tu! Questa moto è tua?» -Chiese frettolosamente poggiando la mano sul serbatoio tiepido.
«Certo che è mia!»Le rispose la ragazza non avendo ancora ben chiare le sue intenzioni.
«Mi daresti un passaggio?»Aveva un atteggiamento deciso, e decisamente sfrontato.
«Mi spiace. Non è mia abitudine dare passaggi agli estranei.»La ragazza riabbassò la testa folta di quei lucenti capelli neri.
«Shiba! Io sono Shiba! Adesso me lo dai un passaggio?»Non riusciva a stare ferma, come se dovesse andare prima che la neve nelle sue tasche si sciogliesse.
«Non accetti un “no” come risposta, vero?»Disse la ragazza continuando a tenere la testa abbassata.
«Non oggi!»Rispose in modo determinato.
«Lo immaginavo! D’accordo. Sali!»Le sorrise in modo rassegnato. Con quel volto dai lineamenti maturi e marcati di sensualità. 
Il volto della giovane si illuminò: «Te ne sono davvero grata!»
«Ehi Ehi! -La ragazza la riprese mentre stava per salire sulla moto:«Intendi salire così?»Continuò indicandole il capo.
«Così come?»Chiese la giovane.
La ragazza le porse un casco nero con stelle ai lati viola scuro:«Metti questo!» 
«V-Va bene!» -Disse spazientita.
«Bene. Adesso possiamo andare! Guidami tu.» 
«Certo!»La giovane salì sulla moto e si avvinghiò come un polipo alla ragazza.
Con un accennato sorriso la ragazza disse:«A quanto pare non c‘è bisogno che ti dica di tenerti forte!»Abbassò la visiera. Accese il motore. E la moto, con un rombo, partì.
L’inconfondibile profumo della pelle che emanava la giacca della motociclista. Il rumore prepotente e aggressivo del motore. Il vento freddo sulle mani. Poggiata con la testa sulla schiena della ragazza, riusciva a percepire il suo respiro e l’aumento dei battiti del suo cuore ogni volta che dava che accelerava. 
La strada scorreva in fretta, come se la stesse osservando dal finestrino di un treno.
«E adesso dove vado?»-Domandò la ragazza prima di un incrocio.
«A destra!»Aprì per un attimo gli occhi, e rispose con voce turbata. Poi li richiuse, di nuovo. E ad ogni curva, serrava i suoi occhi ancor più ermeticamente.
Quella corsa le parve interminabile. La giovane apriva gli occhi solo per indicarle la strada da prendere.
Dopo alcuni chilometri, la moto, finalmente, si fermò.
«È qui?» -Domandò tirandosi su la visiera.
«Oh, sì! Quella strega del mio capo mi avrebbe licenziata se avessi ritardato ancora. Davvero, io non so come ringraziarti!»Scese dalla moto. E diede la ragione della sua frenetica fretta. Avrebbe anche potuto dirgliela prima, ma era troppo presa dal panico per il ritardo in cui si trovava e dal terrore della velocità.
«Se vuoi ringraziarmi… dimmi il tuo nome!»La ragazza si tolse il casco e lasciò fluire i suoi capelli scalati. Sorrideva sagacemente fissandola negli occhi.
La giovane le ridiede il casco. Poi rispose con un velo d‘imbarazzo:«Il mio nome è Atsuko!»
«Keiko!»La ragazza le disse il suo nome mentre si riprendeva il casco. Poi, con lo  sguardo vorticoso, disse:«Ci si vede, Atsuko!»
«Ciao!»Si guardarono per qualche secondo. Poi Atsuko la salutò con la mano, e le riservò un tiepido sorriso. E senza nient’altro da dire entrò con rapidità nel locale.
La corsa era finita.
Una volta varcata la soglia, la porta del locale si chiuse alle sue spalle.
La ragazza con la giacca di pelle “vissuta” e dall’aspetto che dava soggezione, sogghignava guardando, dal vetro della porta, Atsuko che si scusava chinando il capo come un Bobblehead. 
Divertita e affascinata da quella ragazza, cingeva stretto nella sua mano un foulard rosso.
La corsa era finita?




 

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Capitolo 2
*** L'AROMA DELL'AKI'S ***


CAPITOLO 2 - L'AROMA DELL'AKI'S

Dal loro primo incontro, i giorni trascorsero divenendo una settimana.
L’Aki’s Cafè -il posto in cui lavorava Atsuko- era un locale che aveva sempre un gran seguito di clienti, o sarebbe più giusto dire che erano le mise graziose delle cameriere ad avere una certa popolarità su di essi.
La capienza del locale era scarsa: pochi tavoli coperti da tovaglie ricamate color ocra. Le sedie erano intrecciate in vimini e con la seduta coperta da cuscini color rosso.
Le pareti erano state dipinte di un colore ciano deciso, e su vi erano stati appesi alcuni quadri raffiguranti vecchie stampe pubblicitarie. 
Le cameriere non avevano la solita divisa cliché: le gonne era leggermente a palloncino e non troppo corte da lasciar intravedere l‘intimo; da a sotto sbucava il merletto rosa pastello che richiamava il colore del grembiule. Niente codini: ogni ragazza portava i capelli come riteneva più comodo e consono per il loro lavoro.
Benché Atsuko detestasse quella divisa che metteva troppo in risalto la sua femminilità, non poteva esimersi dall’indossarla.  
La giornata lavorativa era iniziata come tante altre. Nel Cafè c’erano ancora pochi clienti,  ma un vociferare fastidioso si udiva sempre più molesto. Un gruppo di ragazzi in divisa scolastica stava attirando l’attenzione per il loro comportamento poco consono e irrispettoso: riservavano apprezzamenti volgari alle cameriere e palpeggiamenti occasionali quando esse passavano vicino al loro tavolo.
Non potendone più d‘innanzi a quell‘atteggiamento rozzo, Atsuko si avvicinò imbestialita verso un giovane del gruppo -un ragazzo con la faccia ancora ricoperta dall’acne e dalle mani villane. 
«Hai intenzione di ordinare?» Atsuko l’afferrò per il polso e lo strattonò.
«Ehi, ehi! Aspetta il tuo turno!»Il ragazzo rise sguaiatamente. Poi cercò la complicità degli amici che risero a loro volta.
«Come ti permetti? Sei solo un lurido!»Atsuko divenne come un bollitore, mancava solo che le uscisse il fumo dalle orecchie per quanto fosse fuori di sé.
Il ragazzo ridacchiò e offensivamente disse:«Se vi vestite così è perché volete che vi vengano fatte certe cose.» 
A quelle parole, Atsuko caricò il braccio come una molla: era pronta a sferrargli uno schiaffo che gli avrebbe fatto girare la testa attorno al collo. Ma il polso della ragazza venne bloccato prima del gesto.«Sta’ indietro, Atsu!»Il fumo di sigaretta accompagnò quella richiesta.  
«Ma, Akiko-san!»Akiko era la proprietaria. Una donna sulla sessantina -o forse più- dal temperamento discutibile e dallo sguardo minaccioso. 
Aveva la sigaretta sempre accesa. La lunga gonna che scendeva su gambe smagrite. Una maglietta coperta da uno scialle dal colore del manto erboso. 
Guance scavate. Naso pronunciato. I capelli sciolti e sfibrati.
Tuttavia, quella donna emanava un’aura di sensualità ormai impolverata dal tempo passato. 
Il suo aspetto era ingannatore. Il tempo potrà anche cambiare una persona fuori, ma quella luce che custodiscono gli occhi è qualcosa di immutabile.
Akiko portò la sigaretta, rigorosamente senza filtro, fra le labbra. 
Pareva un’amazzone: in mano brandiva una mazza da baseball dal legno ormai usurato: «Voi qui non siete i benvenuti!»Intimò ai ragazzi.
«Che cazzo vuoi, vecchia!? Non ci fai paura!»Uno dei ragazzi si rivolse in malo modo.
Akiko soffiò fuori il fumo da un angolo della bocca. Poi disse riferendosi a sé:«Spero non mi costi molto..» 
Allungò il braccio fin dietro la sua schiena. Strinse saldamente l’impugnatura della mazza. E poi la fece abbattere come una cometa sul tavolo. Un forte rumore, pareva uno scoppio, ma il tavolino rimase stranamente intatto -solo alcuni bicchieri e il portatovaglioli ne uscirono malridotti. 
I ragazzi indietreggiarono. Gli occhi sbarrati. Uno di loro, con voce impaurita, disse:«Questa… Questa è tutta pazza! Filiamo!»In fretta e furia presero le loro cianfrusaglie. Velocemente si precipitarono fuori dal locale. 
Akiko soffiò ancora una volta il fumo dall’angolo della bocca e abbassò la mazza. 
Atsuko era intimorita, ma anche piena di ammirazione. 
«Stupidi bambocci. Fanno solo perdere tempo.»Parlava mentre si allontanava verso la stanza posta dietro al bancone. 
«Ah, Atsu! Fai accomodare quella cliente che se ne sta impalata da 10 minuti vicino alla macchinetta delle sigarette.»  
Alcuni troverebbero anomalo trovare una macchinetta per le sigaretta nell’angolo di un Cafè, ma la signora Akiko era una donna, giusto un po’, anomala.
«Ke-Keiko!?»Atsuko era sorpresa di vederla. D‘istinto cercò, invano, di nascondere con le mani la divisa. Allora, non se ne rese conto, ma Keiko era una di quelle ragazze che facevano girare gli uomini per strada e che facevano venire il complesso di inferiorità alle altre donne. Una presenza difficile da non notare. Ma, a quanto pare, al loro primo incontro, Atsuko ci era riuscita. 
Se ne stava lì in piedi. Alta e slanciata. La maglia basic color fango che sbucava da sotto la giacca di pelle. Il seno voluttuoso. I fianchi sinuosi. I jeans sbiaditi a coprire gambe longilinee; con le pieghe messe dentro agli stivali neri allacciati in modo sciatto. 
Un volto accattivante con quello sguardo profondo e gli occhi intensi contornati da una linea nera carbone; il naso piccolo; il sorriso intrigante accennato da labbra ciliegia.
Non che Atsuko avesse avuto qualcosa da invidiarle, anche se, quando la guardava, inconsciamente, un po’ d’invidia non poteva fare a meno di provarla.
«Ciao!»Keiko alzò la mano e le sorrise accennando un sorriso. Quel suo “accennare” era dannatamente affascinante.
«Da-Da quanto sei li?»Chiese immaginandosi già la risposta.
«Da un po‘,» -Era proprio la risposta che Atsuko si era immaginata, ma che sperava non fosse.
«Hai visto tutto?»Richiese con voce smorzata.
«Beh, a dire il vero, vista la situazione, stavo per andarmene.»Disse Keiko con un filo di umorismo. 
Atsuko avrebbe voluto dirle che quella a cui aveva assistito era una situazione rara e casuale, ma, in realtà, non era affatto casuale e non era per niente rara. 
Per qualche strano motivo, l’aria divenne carica di tensione, e le due ragazze smisero di parlare. Entrambe si applicavano per non far incrociare i loro sguardi: una guardava su, l’altra guardava giù; una a destra, l’altra a sinistra.
«Prendi qualcosa?»Disse Atsuko spezzando l‘incessante manfrina.
«Un caffè lungo senza zucchero.»Keiko ordinò senza esitazione, come in attesa di quella domanda. 
Si sedette su uno dei tanti sgabelli posti di fronte al bancone. Poggiò a terra sia la sua borsa a sacco marrone che il casco dal nero opacizzato. 
Guardava ammirata la schiena di Atsuko mentre  preparava il caffè. 
«Ecco tieni.»Atsuko sorrise mentre la servì.
«Ti ringrazio.»Keiko agitò la tazzina e fece mescolare la crema corposa che aveva formato la schiuma ambrata del caffè.
Mentre ella beveva il caffè, Atsuko la fissava con aria di attesa.
«Cosa c’è?»Domandò Keiko.
«Nulla. Com’è il caffè? Buono?»Chiese storcendo le labbra.
«Sì, lo è.»Lo sguardo di Keiko era un qualcosa di indefinibile, troppo.
«Adesso debbo andare.»Diede una veloce occhiata al suo orologio e scese dallo sgabello. Prese il casco e mise la borsa a tracolla. Dopo aver salutato Atsuko, s’incammino, a passo lento verso l’uscita. 
«Oh, quasi dimenticavo.»Dalla borsa tirò fuori un foulard rosso:«Il tuo foulard si era impigliato nella mia moto. Ho pensato che ti servisse.»Di certo, sarebbe stato più sincero dire che si era “impigliato” nella sua mano.
«Sei venuta fin qui solo per riportarmelo? Sei stata… gentile.»Atsuko rimase colpita dal dalla ragazza. In tutta quella severità in cui era cresciuta, rimaneva sempre destabilizzata dai piccoli gesti di gentilezza nei suoi confronti.
Quando Atsuko allungò la mano per riprendersi il foulard, le dita delle due ragazze si sfiorarono per millesimi di secondo. 
«Hai le dita gelide.»Atsuko rimase raggelata da quelle mani.
«Dicono che chi ha le mani fredde è innamorato, e chi le ha calde è malato. Io non saprei. Ma credo che un fondo di verità ci sia: fredde o calde, l’amore è un po’ simile a una malattia.»La ragazza parlò in modo affabile con quella sua voce profonda.
Atsuko non rispose: rimase impressionata da quel pensiero e dallo sguardo con cui fu espresso.
«Beh, ci si vede.»Keiko chinò il capo in segno di saluto.
Atsuko si guardò intorno come se non sapesse cosa fare, poi scattò da dietro al bancone:«Keiko! Aspetta!» 
La ragazza si voltò:«Sì?» 
«Dopo domani ci sarà una festa privata al locale per il Festival delle Maschere. Non so… Se ti va di venire.»Atsuko guardava a un po’ il pavimento e un po’ il viso della ragazza.
«Se posso, verrò volentieri.»Keiko rispose guardandola negli occhi. La sua bocca non sorrise, ma il suo sguardo sembrò farlo.
«Alle 20.00!»Le ricordò Atsuko.
Keiko fece ancora un cenno con la testa prima di uscire. 
Atsuko rimase immobile a guardarle la schiena coperta dalla pelle nera.
La osservava da dietro al vetro del Cafè. La scia del profumo della giacca si era mischiato all’aroma del caffè. Era ignara che nell’aria c’era anche odore del cambiamento. 
Il corpo della ragazza dai lisci capelli castani era ormai preda di un brivido sconosciuto.

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Capitolo 3
*** STARE VICINE. STARE DISTANTI. ***


CAPITOLO 3 - STARE VICINE. STARE DISTANTI.

E arrivò il giorno del festival.
Per le strade si udivano gli scoppi dei botti in lontananza. I bambini, col viso coperto da variegate maschere, scorrazzavano come infaticabili grilli da ogni parte. 
Tutto il quartiere si agghindava a festa. I venditori iniziavano ad allestire le loro bancarelle. Le insegne e le vetrine degli esercizi commerciali erano addobbate con colori vistosi, ma non esagerati. Un odore goloso si percepiva nell’aria.
C’erano tutti i buoni propositi per vivere un incantevole serata di festa.

Ad Atsuko sembrava che il tempo di quella giornata non passasse mai. Era a lavoro, eppure faceva delle continue pause -senza motivo apparente- appoggiandosi all‘arco della porta di servizio.
Guardando quel comportamento assai inusuale, Akiko le andò vicino: «Guarda che il locale regge anche se non sostieni l’arco della porta.» 
«Akiko-san! No. Ecco. Io…»Goffamente cercava di giustificarsi.
«BlaBlaBla! Se stai poco bene, va a riposarti. Altrimenti, ritorna a lavoro! Pelandrona!»Akiko le fece un’ironica ramanzina.
«S-Subito!»Atsuko scattò sull’attenti e ritornò alle sue mansioni.
Aveva la testa fra le nuvole, e sentiva un vuoto allo stomaco. Non riusciva ad avere il suo solito brio. Qualcosa la disturbava, solo che non sapeva bene cosa fosse.

Durante il pomeriggio, anche il locale cominciò a prepararsi per la serata: 
gli sgabelli vennero postati nello scantinato del locale. Ad Akiko non era mai piaciuto lo sfarzo o il mettersi in evidenza. Avete presente quando dicono che i cani assomigliano ai loro padroni? Ecco! Quel locale rispecchiava la sua proprietaria. 

Ormai la sera era arrivata. Le strade erano straripanti di persone. La musica tradizionale faceva da sottofondo ad un chiacchiericcio allegro. 
Più le ore passavano e più il Cafè iniziava a gremirsi di amici. 
Qualcuno si sedeva comodamente sui divanetti, mentre gli altri se ne restavano a discutere in piedi o si appoggiavano, indelicatamente, con le natiche contro i tavolini.
Lo stereo suonava un mix di musica che spaziava tra vari generi.
Tutti si divertivano trasportati da un’atmosfera rilassata e giocosa, tranne lei: 
Atsuko aveva l’inclinazione a voltarsi ogni volta che la campanella annunciava l’apertura della porta. Si sentiva irrequieta. 
Nella confusione, udì chiamare il suo nome dalla direzione opposta a cui stava andando. Si girò. E quella distrazione la fece andare a sbattere:«Accidenti! Mi dispiace!»Atsuko si strofinò la punta del naso dolente. E quando riaprì gli occhi, si accorse che si era scontrata con Keiko.
«Sera!»La ragazza la saluto con un veloce cenno della mano. Sempre con addosso quella sua giacca di pelle, come fosse una parte del suo corpo. Gli occhi truccati di nero. Un profumo corposo e fresco.  
«E-Ehi! Alla fine… sei venuta.»L’espressione di Atsuko, da tutta la giornata persa nel vuoto, divenne raggiante.
«Sono un po’ in ritardo.»Disse mentre si toglieva la borsa con vicino attaccata una piccola e sfiziosa tartaruga di peluche.
«Non importa.»Atsuko la rassicurò vivacemente.
«Acchaaan! Dai vieni!»Dal fondo del locale, una ragazza gridava ad alta voce il nome di Attuo -storpiandolo amichevolmente.
«A quanto pare ti richiedono.»Keiko indicò la ragazza che agitava come una forsennata il braccio.
«Già.»Disse con non poco imbarazzo. «Dammi pure la tua borsa e il casco! Io intanto torno subito!»Atsuko le sradicò da mano sia il casco che la borsa. E la lasciò da sola lì, spiazzata.

 Keiko si guardava attorno con sguardo come a voler dire: Ma cosa ci faccio io qui?
Andò al bancone ad ordinare qualcosa da bere, poi si allontanò da quella massa euforica che non poco la faceva sentire fuori luogo.
Quando Atsuko ritornò, non riuscì più a trovarla. Chiese ad un paio di ragazzi se l’avessero vista; e dopo un po’, uno di loro gli consigliò di guardare sul retro.
Keiko si era rifugiata sul retro del locale che affacciava su una stradina secondaria illuminata da lampioni a luci arancio scuro. 
«Sei sparita!»Sollevata, Atsuko si avvicinò alla ragazza.
«Ehi! Io… Io non sono abituata a quello…»Riferendosi alla baldoria all’interno.
Atsuko abbassò lo sguardo, quasi si sentisse mortificata per averla invitata.
Entrambe si sedettero su una panchina dal colore verde ormai usurato dalla ruggine.
Stando insieme, quella serata stava diventando meno fredda del solito.
«Vuoi bere un’altra birra?»Chiese Atsuko additando la bottiglia che Keiko aveva in mano.
«Birra? Ma questa non è birra…»Le fece notare.«..è solo gassosa!» 
«Gassosa?!Atsuko non riusciva a capacitarsi che fosse solo della frizzante gassosa.
«Pensi che tutti quelli che hanno una moto siano “brutti, sporchi e cattivi”?»Disse sorseggiando la bibita.
Atsuko non riusciva più ad alzare la testa. Mentre Keiko continuava a sorridere. In un certo senso, la ragazza, si rese conto che basandosi sull’abbigliamento di Keiko, si era lasciata ingannare da uno stereotipo che l’aveva fatta incappare in una gaffe.
«Ti ho delusa?»Le chiese Keiko. 
«No!»Esclamò guardando il suo viso che sorrideva ammiccante.
Lo sguardo di Atsuko si riabbassò fisso a guardare i suoi piedi. Quella sua gaffe, l’aveva messa leggermente a disagio.
«È da molto che lavori qui?»Dopo aver visto la reazione di Atsuko, Keiko pensò fosse meglio cambiare discorso.
«Da quattro… o forse cinque mesi.»Atsuko rispose non molto convinta- «Ogni mattina è una gara per arrivare in tempo.» -Continuò sospirando.
«Abiti lontano?»
«Per adesso alloggio a scrocco da una mia amica. Spero di poter presto affittare un appartamento mio.»Atsuko prese un po‘ di tempo prima di fargli la stessa domanda. Non si sarebbe stupita se gli avesse detto che lavorava come modella per un catalogo di intimo «E tu lavori?» 
«Sì. Sono un insegnante!»
Sul volto di Atsuko si stampò un’espressione buffa e ridicola: gli occhi simili a quelli di una civetta e la bocca semiaperta.
«Colpita? Immagino. Dal mio aspetto non si direbbe. Ma insegno arte alle superiori.»
«Alle superiori? Ma quanti anni hai?»
«Ne ho 26.»
«Ma… Hai solo un anno in più di me e già insegni in una scuola superiore?! Fu devastata da quella scioccante rivelazione. A dire il vero, forse non era propriamente devastata, ma, pensando bene alla minima differenza di età, e confrontano i suoi mediocri traguardi, un po’ scioccata lo rimase. 
«Già. Volevano persino fare un servizio in tv su di me!»
«Davvero?»Disse con espressione meravigliata.
«Veramente, no!»Keiko rise di cuore per la sua ingenuità.
«Ehi! Ma non prendermi in giro!»Atsuko si voltò dall’altra parte mettendo il broncio.
«Scusa, scusa.»Keiko cercava di trattenersi dal ridere.
Si stavano davvero divertendo a sorridere insieme. E continuarono a parlare senza curarsi del tempo. Tra le loro spalle c’era la distanza di un palmo. Senza che se ne rendessero conto, i minuti trascorsero davvero velocemente.
«Atsuko…»Keiko la guardò e la strinse con lo sguardo. Atsuko non riuscì a parlare: venne inghiottita da quegli occhi dalle iridi grigie.«..voglio rivederti!»
Il cuore di Atsuko sussultò. Nessuna parola riuscì ad uscire dalla sua bocca. All’innalzarsi continuo del suo petto, si evinceva che la sua respirazione era aumentata.  
Ma proprio quando stava per pronunciare qualcosa, fu interrotta.
«Tu ragassa!» -Un ragazzo dai capelli in disordine e visibilmente brillo si avvicinava con passo claudicante alle ragazze- «Ma perché sono arrivato fin qui?! Ohhh! La testa mi gira! Ah, ricordo! Sei ardendemente desiderata dal tuo ragasso…» Il tipo singhiozzò « E io adesso me ne…me ne vado a vomitare! Masato, dove sei? Vieni a tenermi la testa!!!» Urlava fastidiosamente mentre a passo indeciso ritornava nel locale.
Sentendo che Atsuko aveva il ragazzo, Keiko si alzò in piedi:«Mi spiace. Non sapevo fossei fidanzata. Mi sento ridicola.»Keiko si grattava nervosamente dietro la nuca.
«Non devi! Cioè..»Ciò che Atsuko voleva dire le si smorzò in gola. 
«È meglio che vada. Potresti ridarmi le mie cose?»Keiko iniziò a sentirsi colpevole per quello che aveva poco prima detto ad Atsuko.
«Ma non c’è bisogno che vai!»-Atsuko cercava di convincerla a rimanere. 
«Atsuko! Ti prego!»La voce ferrea di Keiko non volle saperne di restare. 
Atsuko scosse la testa in segno di dissenso, ma decise di non andare oltre. Entrò nel locale e andò a prendere le sue cose. Keiko l’attese sul retro, per evitare di passare fra quelle persone in pieno entusiasmo.
«Tieni»Le tese la borsa. Keiko la prese per la fibbia, ma Atsuko la trattenne per qualche istante prima di lasciarla.
«Mi sono divertita, grazie. E…»Non riuscì a pronunciare l’ultima parola. 
Entrambe non riuscirono a dirla. Entrambe non volevano dirla. 
Si salutarono, formalmente, un’ultima volta, inchinando il capo.

La osservava mentre andava via. E, per qualche arcana ragione, ad Atsuko, pian piano, si riaprì quel vuoto come una voragine nello stomaco.
Fece qualche passo indietro, continuando a guardare Keiko allontanarsi. Poi si voltò facendo ondeggiare i suoi capelli. 
Dalla tasta posteriore dei suoi jeans sbucava la testa di un peluche.


* * *

[Spazio riservato all'autore]
Salve a voi.
Sono l'autrice di questa storia. Forse dovrei spendere due parole su di me, ma preferisco lasciar parlare i miei racconti.
Aki's Bike è collegata ad un'altra mia storia: Katsura to Minako. Diciamo che potrebbe essere il prequel sul personaggio di Atsuko.
Non saprei che altro dire, magari potreste dirmi voi qualcosa, sempre se volete.
Alla prossima!


 

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Capitolo 4
*** RIVEDERSI ***


CAPITOLO 4 - RIVEDERSI

La luna in alto nel cielo era visibile nella sua pienezza. 
La serata era umida e fredda.
Le cameriere che avevano finito di lavorare e gli ultimi clienti stavano uscendo dall’Aki’s Cafè.
Gli sgabelli capovolti a testa in giù sul bancone e le sedie sui tavolini. 
Atsuko era rimasta a pulire. La ragazza spazzava il pavimento con spossatezza; quando un ultimo cliente aprì la porta e fece tentennare la campanella. Atsuko, senza neanche voltarsi, si rivolse in modo seccato.«Siamo chiusi!» 
«Se vuoi vado via!» 
Atsuko riconobbe quella voce dal tono profondo. Si voltò, cercando di non mostrarsi troppo felice di vederla.«Ciao, Keiko.» Poggiò la scopa contro il muro, prima di andarle incontro.
«Ciao a te.»Keiko le sorrise in modo titubante per ciò che era avvenuto tra di loro la sera della festa.
«Vuoi un caffè?»Atsuko sapeva perché Keiko era lì, tuttavia, cercava di temporeggiare. 
La ragazza fece cenno di sì con la testa. Atsuko prese uno sgabello da sopra il bancone e la fece accomodare. Le preparò il caffè con un lieve sorriso allegro sul viso. 
«Come mai sei qui?»Disse dopo averle servito il caffè.
«Mhm!»Keiko, che aveva iniziato a sorseggiare il caffè, si scostò la tazzina dalle labbra«Ho perso il mio peluche!»
«Un peluche?»Atsuko lo chiese con l’espressione di chi, palesemente, fosse già a conoscenza della risposta.
«Sì!  È un piccolo peluche a forma di tartaruga. L‘hai visto?»Domandò ansiosamente.
Atsuko si prese qualche istante di pausa, poi rispose:«I-Io… credo di sì.»Atsuko sembrava quasi delusa per aver acconsentito così facilmente a rispondere. Mise la mano sotto al bancone e tirò fuori il peluche:«Tieni!»
Quando Keiko vide il peluche, si sentì sollevata:«Oh, grazie! È molto importante!»
«Non c’è di che.»Anche se l’aveva restituito, Atsuko si sentiva in colpa per averglielo sottratto, ma cosa avrebbe dovuto fare? Voleva rivederla.

Un cellulare squillò: era di Atsuko. La ragazza si allontanò da Keiko per rispondere. Sussurrava e rispondeva a monosillabi:«Sì. Certo. No. Lo so. Non saprei. Forse.»Il suo sguardo era turbato e adirato«Sto lavorando. Ti richiamo.»Staccò la chiamata e storse il naso. 
«Brutta chiamata?»Chiese Keiko alla reazione della ragazza.
Atsuko chinò il capo ad asciugare dei bicchieri gocciolanti di acqua«Era... mia madre. A volte i genitori si dimenticano che il cordone ombelicale è stato tagliato alla nascita. Non credi?» 
«Non saprei. Sono cresciuta in orfanotrofio.»Le confessò Keiko prima di bere un altro sorso di caffè.
«Io… mi spiace.»Atsuko si fermò da quello che stava facendo.
«E di cosa? Non è mica stata colpa tua.»La ragazza la guardò divertita.
«Sono stata… indelicata.» Atsuko ne rimase afflitta. 
«Non potevi mica saperlo. Se ti fa stare meglio, sono stata amata lo stesso come una figlia. Quel peluche mi fu regalato al mio 14° compleanno dalla suora che mi ha cresciuta. Non me ne sono mai separata. Quando tutti mi dicevano che ero una poco di buono, lei mi spronava a credere in me. Fu l’unica madre che io abbia mai conosciuto e che abbia amato.»Keiko le confidò una parte di sé. La sua voce divenne malinconica e i suoi occhi velati di lacrime.  
«Amata…»Atsuko ripensava a quella parola -“amata”- con aria amareggiata.
«Tu non lo sei stata?»Chiese Keiko. 
Atsuko si poggiò al bancone con i gomiti e tenne la testa bassa:«Mio padre è un avvocato. Mia madre un chirurgo. Sono figlia unica, quella discutibilmente amata e riverita. Avevano la mania di controllare la mia vita: loro mi iscrissero a nuoto; ad equitazione; a danza; a  tennis. E sempre loro mi iscrissero alla facoltà di legge. Mi hanno persino combinato il fidanzamento. E io?»Sbuffò sarcastica«Importava a qualcuno ciò che volevo Io? Qualche tempo fa gli dissi di voler smettere di esaudire i loro capricci. Mia madre quasi non svenne. Mio padre mi diede un freddo ultimatum:“Se continui gli studi ti permetto di resta a casa, altrimenti…“»Atsuko imitava la durezza con cui suo padre le parlò«Ed eccomi qui! A fare la cameriera con una paga minima e una divisa che odio indossare.»
«Per una volta, hai fatto quello che volevi tu, no?»Keiko poggiò la sua mano su quella della ragazza.
«Ma mi è costato!»Atsuko sfilò la sua mano«E comunque, quel peluche… non l’avevi perso: ce l’avevo io.»Decise di dirglielo. In fondo, mentire non faceva parte del suo carattere. 
Parlando con Keiko, sentiva che avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa. Come se ella avrebbe accolto qualsiasi confessione. Atsuko si sentiva in colpa per essersi comportante in modo tanto subdolo nei suoi confronti. 
Keiko la guardava senza pronunciare parola. 
«Non hai niente da dire?»Esortò Atsuko.
A quella domanda, Keiko tirò indietro la testa facendo smuovere aggraziatamente i capelli. Poi la ragazza scoppiò a ridere. Quasi le uscivano le lacrime, le stesse che aveva trattenuto, e che erano mutate da tristi a divertite.
«Che cosa ridi?»Atsuko non capiva il motivo per cui Keiko ridesse tanto. Ne rimase quasi infastidita.
«Io…»Cercava di soffocare il riso«..ti presi il foulard.»
«Tu cosa..»Atsuko non riuscì a finire la frase che si mise a ridere a sua volta.
Il loro era un ridere d‘imbarazzo: erano state entrambe infantili e subdole pur di rivedersi.

Quando smisero di ridere, Atsuko le chiese se le andasse di mangiare qualcosa, ma, vista l’ora tarda, Keiko dovette rifiutò:«Credo sia meglio di no.»Guardò la ragazza con uno sguardo dispiaciuto.
Insieme restarono a chiacchierare ancora un po’del più e del meno. Non erano importanti gli argomenti della conversazione, lo era solo il fatto che parlassero.
Ma mentre stavano parlando, la porta si aprì ed entrò un giovane ragazzo con indosso un doppiopetto blu notte, che gli dava un'aria decisamente benestante.«Acchan!»Disse il ragazzo.
«Kohei!»Atsuko rimase spiazzata nel vederlo arrivare.
Il ragazzo dall’aspetto elegante, dai capelli ingellati e le scarpe lustrate, iniziò a dirigersi dietro al bancone. Atsuko le andò incontro e fermò i suoi passi mettendogli una mano sullo sterno.«Kohei, lei è la mia amica Keiko!»Atsuko cercava di togliersi da quel momento spinoso.
«Oh, molto piacere.»Era una ragazzo gradevole ed era educato. Gli tese la mano.«Io sono il ragazzo di Atsuko!»Keiko, per un attimo, esitò a stringerla.«Piacere!»Disse Keiko guardando Atsuko.
Il ragazzo si riavvicinò ad Atsuko e la tirò a sé abbracciandola per i fianchi.«Avevo voglia di vederti.»Disse sussurrando teneramente.
«Non ora, Kohei!»Atsuko lo allontanò.
Vedendo quella scena, Keiko decise fosse meglio andarsene senza dir nulla. Ancora una volta, si sentì una sciocca.
Con la coda dell’occhio, Atsuko vide che la ragazza stava andando via.«Keiko!»Esclamò scostando il ragazzo che la bloccava come un leone con la preda.
Il ragazzo rimase disarmato da quell'allontanamento. Ma non si preoccupo poi tanto di quell'azione, visto che Atsuko era sempre stata restia ad effusioni in pubblico.  
Keiko si fermò di fronte alla porta senza voltarsi.
«A cena, domani sera?»Chiese Atsuko quasi implorando.«Ti prego..»
Keiko si voltò, la guardò con occhi sconcertati, e le disse:«Buonanotte!»
La porta si chiuse. Atsuko rimase ancora una volta in piedi, così, senza andare né avanti né dietro. Rimase solo immobile.  
Nel frattempo, il ragazzo si era allontano verso il bagno. Atsuko si guardava in giro come se non sapesse da che parte andare per chiedere aiuto. Con una mano si scompigliò i capelli in segno di confusione. Poi corse fino alla porta, l’aprì di colpo e andò incontro alla ragazza. Keiko era già salita sulla moto e aveva la mano sulla frizione. Atsuko le afferrò il braccio per fermarla.«Aspetta!»
Keiko tirò su la visiera, ma non disse nulla. Atsuko la guardò negli occhi, che attraverso quel casco integrale non davano giustizia a quello sguardo intrigante.
«Dannazione!»Atsuko prese con due dita il cinturino posto sotto al casco di Keiko, poi la tirò a sé e poi la baciò. Gli occhi della ragazza si sorpresero. Tolse la mano dalla frizione, e quando cercò di toccarla, Atsuko si scostò. 
Attraverso la giacca di pelle si percepiva il battito del cuore di Keiko. Atsuko la guardò morbosamente, poi deglutì e ritornò di corsa al Cafè, ma non prima di essersi voltata ancora una volta, per lanciarle uno sguardo che pareva baciarla di nuovo.
Oppresso dal casco, si udì un lieve sospiro della ragazza. Keiko si sfilò un guanto. Con l'indice e il medio sfiorò la parte che Atsuko aveva baciato e, immaginando le labbra soffici con cui era stato dato quel bacio, se le poggiò sulla bocca. Mai un bacio tanto lontano e freddo era stato così caldo e vicino. 
Partì a cavallo della sua moto che rombante sfidava i battiti del suo cuore.

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Capitolo 5
*** USCIRE [ALLO SCOPERTO] ***


CAPITOLO 5 - USCIRE [ALLO SCOPERTO]

Keiko non riuscì ad ignorare quel bacio che Atsuko volle trasmetterle. Pensò che forse aveva frainteso quel gesto. Che forse non aveva chiaro ciò che Atsuko davvero voleva. Ma non aveva altri modi per conoscere la verità se non quella di affrontarla.  
La sera seguente, Keiko decise di aspettare, pazientemente, fuori dal locale in cui lavorava Atsuko. Non riusciva a liberarsi delle sensazioni che quella ragazza riusciva a farle provare: erano così calde da avvolgerla quando sentiva freddo; inebrianti da farle annusare il suo profumo lì dove essa non c'era; elettriche da percorrerle il corpo al suo pensiero.
Keiko si poggiò con la schiena di fronte al muro adiacente alla porta del Café. 
Aveva la mani scoperte e infreddolite; se le portava a guscio davanti alla bocca cercando di riscaldarle col respiro.
La sciarpa a quadri grigi e bianco cenere le copriva il collo. Le sue gambe tremavano e il busto era leggermente piegato in avanti dal freddo gelido. Il cielo diventava sempre più cupo e nuvoloso. Ma l'idea di vedere Atsuko, mosse nella ragazza una costanza tale che neanche una tempesta avrebbe potuto smuovere.
Quasi due quarti d’ora passarono prima che Atsuko uscisse: «Ehi! Che ci fai qui fuori? Si gela!» -Quando la vide, le andò subito incontro.
«Io... non volevo disturbarti a lavoro.» Il naso di Keiko era rosso come quello di un ubriaco. Aveva il fiato corto per il freddo: «Domani non ho lezione. Ti va di andare a cena?»Ma il suo volto infreddolito venne riscaldato da un caloroso sorriso.
Atsuko rimase rapita di fronte a quella persona che non aveva rinunciato benché il freddo tagliente. Atsuko le passò di fianco e la lasciò mezzo metro indietro; poi si voltò e le disse ammiccante: «Che fai, non vieni?» 
Keiko la guardò, le sorrise rallegrata, e le fece un cenno d’intesa.

Attraversarono quasi tutto il quartiere. Qualche negozio era ancora aperto, gli altri avevano già abbassato le serrande. Parlarono per tutto il tragitto sino al posto in cui avrebbero cenato.
«Siamo arrivate!» Keiko indicò un'insegna con su scritto in italiano umoristico: Da Giggino: le migliori Pizze ve le diamo solo noi!
Era un locale abbastanza isolato, eppure la clientela non mancava. 
Le pareti erano di un azzurro acceso. I paesaggi del Sud Italia erano ammirevolmente dipinti su lucide mattonelle bianche che occupavano tutta una parete. 
Si respirava un travolgente profumo di pizza. Il fuoco ardeva scoppiettante e riscaldava il salone. 
La farina aleggiava intorno al robusto pizzaiolo vestito di bianco, che da dietro ad un vetro spianava l’impasto cullandolo con canti di musica tradizionale.
Atsuko guardava tutto attorno come fosse entrata in un mondo che mai aveva visto. Un sorriso gioioso e un'espressione piacevolmente sorpresa illuminarono il suo viso. 
Quel locale emanava la stessa atmosfera delle accoglienti mura di una casa. I clienti sorridevano felici. Sembrava che tutti i problemi fossero stati lasciati fuori da quella piccola porta in ferro. Tutti sembravano essere un'unica famiglia.
Vennero fatte accomodare ad un tavolo rotondo in granito basalto con un’unica gamba, a forma di colonna, a sorreggerlo. 
«Ti piace?» Keiko guardava il volto della ragazza e non poteva fare a meno di sorridere insieme a lei.
«Mi piace? È incredibile!»Rispose con un sorriso a denti stretti. 
Una cameriera si accostò al tavolo con in mano un menù.
«Kei!?» Esclamò basita la ragazza.
«Sabrina!»Keiko sembrava conoscerla, anche perché quella ragazza aveva abbreviato il suo nome in modo confidenziale.
Le due iniziarono a parlare, mentre Atsuko fu messa da parte dalla loro conversazione. 
Quella Sabrina era una ragazza dalla femminilità di donna. Aveva un aspetto cinematografico: un viso tondeggiante e senza imperfezioni; occhi verde smeraldo; labbra carnose rese ancora più da baciare da un rossetto rosso tenue; un neo sotto al labbro sinistro che le dava un’aria da diva; i capelli lunghi tirati all’insù dalle sfumature del legno; un seno procace e dei fianchi provocanti. Ogni centimetro di quella ragazza emanava sensualità. Ed era solo a lavoro.
«Oh! Lei è Atsuko! Una mia amica. Questa è Sabrina, una mia… amica.»Keiko si rese conto che c’era anche Atsuko al tavolo con lei.  
«Piacere!»Atsuko chinò il capo contro voglia.
Sabrina le fece un'espressione che avrebbe fatto sbocciare un fiore e la salutò con un comune: «Ciao!» 
Messe di fianco, la ragazza aveva la bellezza di una farfalla dai colori vivaci, mentre Atsuko era più simile a un bruco.  
Keiko strinse un angolo del menù che Sabrina le stava passando, ma la ragazza continuava a tenerlo saldo dall’altra parte. Entrambe si guardavano profondamente. Atsuko fu seccata da quella scenetta: si alzò leggermente dalla sedia e strappò il menù dalle loro mani: «Appena siamo pronte ti chiamiamo noi!»Disse con un sorriso sprezzante.
La ragazza salutò Keiko e ritornò al suo lavoro.
Atsuko si sentiva infastidita senza sapere bene il perché. 
Teneva gli occhi fissi sul menù senza considerare la persona che aveva di fronte. Keiko non riusciva a spiegarsi cosa fosse successo. Cercava di attirare l’attenzione di Atsuko con lunghi sospiri, ma invano: la ragazza continuava a non darle retta. Disorientata, Keiko guardava in giro cercando di capire se ci fosse stato qualcosa che l'avesse disturbata.
«Atsuko? Ehi!»Keiko picchiettava con il dito sul menù che la ragazza aveva messo di fronte alla sua faccia. 
La ragazza abbassò un poco il menù e rispose stizzita: «È da molto che vi conoscete?»  
«Con Sabrina?»Chiese Keiko.
«Sì!»Il suo atteggiamento era ancora distaccato: portò di nuovo il menù davanti alla sua faccia come fosse un paravento.
Keiko sbuffò e sbuffò ancora. Con l’indice abbassò il menù e rivelò: «Stavamo insieme!» 
Atsuko strizzò gli occhi, ma non disse una parola. 
«Ti da fastidio… che io sia stata con una ragazza?» 
Atsuko richiuse il menù con forza. «Ordiniamo?»Disse con un sorriso forzato.
Keiko annuì, con la speranza che quel malumore fosse dato dalla fame e che sarebbe scomparso con una buona cena.
Fu un cameriere a servire le ragazze con due pizze margherita dal profumo e dall’aspetto incredibili. Mordendo un singolo spicchio di pizza si riusciva ad assaporare tutta la genuinità del pomodoro; la mozzarella a rondelle si era sciolta su quel colore rosso intenso; il basilico emanava il suo aroma inconfondibile di fresco.
Nessuna delle due ragazze parlò molto. Tra un boccone e l’altro si limitavano a fare apprezzamenti su quella bontà.
Quando finirono di mangiare, Keiko andò a pagare il conto e salutò la sua amica da lontano, giusto con un cenno della mano, mentre Atsuko aspettava vicino alla porta.
Le temperature si erano abbassate e prese a nevicare.
«Nevica!»Esclamò Keiko grattandosi la testa e guardando in alto.
«Ma  va?» Rispose beffarda Atsuko.
Keiko la prese per il bicipite: «Che succede? È da tutta la serata che mi tratti con superbia!»Non lo dimostrava, ma certi atteggiamenti nei sui confronti riuscivano a ferirla. 
«Lasciami!»Atsuko disarcionò la presa della ragazza, che rimase pietrificata da quella reazione.
Atsuko uscì dal locale e, sotto quella neve incessante, iniziò a camminare a passo veloce. 
«Ehi! Aspettami!»Keiko si alzò il colletto della giacca e la seguì.
Atsuko non rallentò. Le gambe di Keiko erano più alte delle sue, così la raggiunse subito e fermò la sua corsa. Questa volta la bloccò per il polso: «Ti ho detto di aspettare!» 
Atsuko venne costretta a voltarsi: «Ero gelosa, ok?!» Rispose ad alta voce stringendo gli occhi. La neve scioltasi sui capelli le percorreva il volto, le spalle, tutto quel corpo che fremeva. La voce titubante, ma schietta e sincera usciva da quelle labbra vibranti.
«Gelosa?»Keiko lasciò la presa quasi come se le fossero mancate le forze d’innanzi a quelle parole che come frecce scoccarono fino a conficcarsi nel suo cuore.
Atsuko teneva gli occhi chiusi e tirò fuori tutto quanto: «Non mi ero mai sentita così. Ma quando hai parlato con quella ragazza... ho avuto una morsa allo stomaco. Ho capito che il mio volerti rivedere nasconde qualcosa di più profondo! E tutto questo mi fa pau-»Keiko la interruppe stringendola contro il suo petto. Le sue mani erano intrecciate con i capelli bagnati della ragazza. 
Atsuko le strinse forte la giacca di pelle sui fianchi.
«Anche per me è lo stesso.» Parlava Keiko mentre la neve le si posava sulla bocca e sulle sue parole.
Atsuko alzò la testa e poggiò il mento sullo sterno della ragazza. Keiko tirò all’indietro i capelli bagnati che la ragazza aveva davanti agli occhi. 
I loro sguardi erano trepidanti. Lo volevano entrambe. Si volevano entrambe.
 

 



 
 

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Capitolo 6
*** INSIEME ***


CAPITOLO 6 - INSIEME

Insieme sotto l’incessante neve che dal cielo cadeva in tormenta.
Con l'attesa nella voce, Keiko le chiese se le andasse di seguirla nel suo appartamento, che si trovava poco distante. Atsuko non riuscì a rifiutare, pur sapendo cosa sarebbe potuto succedere.  
Quando arrivarono, la mano di Keiko tremava, mentre cercava di inserire la chiave nella serratura.
«D’Elia… Chi è?»-Le domandò Atsuko dopo aver letto il nome inciso sulla targhetta.
«Il mio cognome!» -Rispose Keiko dopo aver aperto a fatica la pesante porta- «Non avendo un cognome, presi quello di Suor Marianne.» -Continuò mentre digitava la temperatura del riscaldamento sul display.
Non sapeva come, ma Atsuko riusciva a notare il cambiamento del tono nella sua voce quando parlava della sua infanzia: l’abbracciò da dietro mentre era di spalle, quasi a confortarla. 
La ragazza rimase per un attimo spiazzata, ma non oppose nessuna resistenza a quella dolce presa.
Atsuko cinse il cursore dorato della giacca di pelle e lo fece scendere fino ad aprire la cerniera. La giacca finì a terra producendo un acuto metallico provocato dalla cerniera che aveva raschiato sul pavimento. 
Keiko si voltò verso di lei e fece lo stesso: aprì la cerniera; poggiò le mani sotto al giubbotto, sopra le spalle, e glielo sfilò facendolo cadere delicatamente dalle sue braccia fino al suolo.
Non riuscivano a dire nulla. Si consumavano con gli occhi. Keiko fu la prima a distogliere lo sguardo. Si chinò e raccolse gli indumenti che erano a terra, per poi sistemarli sull'attaccapanni. Atsuko sbuffò tenendo la bocca chiusa, per non far accorgere a Keiko il suo disappunto per quella interruzione. 
Keiko si sedette su una sedia per potersi togliere più comodamente gli stivali.
Guardando lo stupore della ragazza che si guardava in giro, le disse: «Sono in affitto!»
Atsuko le rispose ironica: «Quindi non sei ricca? Che peccato!»
Inaspettatamente, Atsuko le si mise di fronte e la tentava con occhi ammaliatori. Ma proprio mentre stava per toccarla, sentì qualcosa di caldo e peloso strofinarsi contro le sue caviglie. Per lo spavento si gettò sulle gambe di Keiko.
«Che succede?!» -Esclamò perplessa.
«Qualcosa mi ha sfiorata!» -Disse raccapricciata Atsuko.
«Oh, ma quello è il mio gatto Potato!»-Gli fece notare Keiko.
«Potato?»  -Domandò con un’espressione incredula.
«Sì, guardalo! Il suo musetto assomiglia a una patata.» 
Keiko rideva pensando all’esagerata reazione della ragazza. Era davvero splendida. Atsuko era rapita da quel viso ancora bagnato e dai capelli che lo coprivano senza intaccarne la bellezza.
Le accarezzò l’incavo del collo. Keiko smise di ridere sotto quel esitante tocco. Le fermò la mano che stava per avanzare: «Atsuko, vorrei fare una doccia!»-La sua espressione divenne autorevole.
La ragazza rimase confusa da quella richiesta, ma si alzò dalle sue gambe.
«Io vado in bagno. Fa’ come se fossi a casa tua!»  -Keiko le fece un sorriso spezzato e si diresse verso il bagno.
Atsuko rimase in piedi, immobile. Non fu capace di fare come se fosse a casa sua.
Scrutava quella casa che sembrava uscita da una rivista.
Il pavimento in cotto. Le mura color gessato e pitturate in stile stucco veneziano.
Sulla destra era posta la cucina murata in legno ciliegio e la tavola da pranzo con quattro posti. Sulla sinistra c’erano il divano e la poltrona in cuoio beige; un tavolino di legno con delle riviste; una libreria stracolma di libri; e una lettiera per gatti in un angolo. Un enorme finestrone in alto affacciava direttamente sul cielo. 
Era tutto in ordine, se non per quanto riguardava i libri che erano sparsi un po’ da ogni parte e su ogni ripiano ancora disponibile. 
In fondo, dietro la tavola da pranzo, c’era una porta che conduceva a due stanze ai lati delle pareti: il bagno e la camera da letto.

Atsuko cercava da qualche parte uno straccio, anche un tovagliolo di carta, per asciugarsi i capelli e il viso.
Non riuscendo a trovare nulla, decise di entrare furtivamente in bagno per arraffare un asciugamano. Fece scorrere la porta a scrigno di legno senza far rumore, ma non si rese conto che Keiko: «Che stai facendo?» -Chiese mentre agitava i capelli con una mano.
«Ce-Cercavo un asciugamano.» -Atsuko guardava altrove con imbarazzo, come se Keiko non avesse avuto indosso l'asciugamano a coprirle quel corpo sinuoso.
Il cuore le batteva forte. Il suo respiro aveva fame d’aria. Il solo immaginare le faceva tremare le gambe.
Keiko allungò la mano facendo passare il braccio vicino al volto di Atsuko e prese l’asciugamano che si trovava dietro la ragazza. Poi glielo tese e con accento giocoso disse: «Prego!» 
Atsuko lo strappò dalle sue mani e scappò via come un fulmine a ciel sereno senza dire nulla.
Dopo poco, Keiko uscì dal bagno con indosso una tuta grigia e delle pantofole blu. 
«Il bagno è libe-» -Atsuko scappò in bagno a testa bassa senza guardarla e senza aprir bocca.
Keiko si avvicinò alla porta e bussò: «Ti ho preparato qualche vestito sul mobiletto.»  
«Mhm-hm!» -Mugugnò con voce strozzata Atsuko.
Nella doccia, Atsuko riusciva a sentire distintamente il profumo della ragazza. Si morse le labbra dal nervoso e sbatte il palmo contro le mattonelle per distogliere la sua attenzione da quel forte desiderio.

Per ingannare l'attesa. Keiko si sedette sul divano a leggere un libro. Le parole che stava leggendo scorrevano veloci. Atsuko rimase quasi mezz’ora in bagno, ma la ragazza non se ne accorse.
Uscita dal bagno, Atsuko si sedette a peso morto sul divano accanto a lei. Il libro che la ragazza stava leggendo ondeggiò.
«Rilassante la doccia?»-Domandò tenendo lo sguardo sul libro.
«Sì, molto! Ma perché porti gli occhiali?»  -Le chiese Atsuko indicandole il volto.
Keiko si abbassò la montatura a forma tondeggiante: «Di solito uso le lentine, ma in casa metto gli occhiali.» 
Dopo quella risposta, Atsuko prese uno dei tanti libri posti sul tavolo: «Kei, cosa leggi?»
Keiko, che nel frattempo aveva ripreso la lettura, le rispose a stento: -Leggo… Piccole Donne.»
Atsuko guardò la copertina del libro che aveva in mano: Orgoglio e Pregiudizio. 
Non era una gran lettrice -non aveva abbastanza pazienza, ma decise di aprirlo e leggere almeno la prefazione. 
Si intrattenerono sedute sul divano a leggere. Non troppo vicine, non troppo distanti. Il condizionatore aveva riscaldato il salone con una tiepida calura.
Così, passarono i minuti, prima che Atsuko decidesse di prendere dalle mani di Keiko il libro che la ragazza stava leggendo con tanto trasporto: «Ehi, ma che fai? No, non chiuderlo!!» -Scongiurò senza essere ascoltata- «Ecco! Adesso ho perso il segno.»
Atsuko lanciò il libro sul tavolino. Il suo sguardo era risoluto.
«Kei, posso baciarti?» -Le chiese senza incertezza.
La ragazza rimase disorientata: «Perché me lo chiedi?»
«Te lo sto chiedendo perché sembra che tu voglia evitarlo. Io…» -Atsuko abbassò qualche istante la testa prima di rialzarla con decisione: «..voglio sapere se anche tu lo vuoi!»-La guardò penetrante.
A quelle parole, Keiko si avvicinò a lei e si poggiò con il mento sulla spalla della ragazza. «Atsuko…» -Sussurrò sensualmente- «Lo voglio!» -Le spostò i capelli ancora umidi dietro l’orecchio e le disse ancora: «Ti voglio!»
A quell’ultima parola sussurrata con tanta delicatezza Atsuko trattenette a stento un lamento.
Keiko si alzò in piedi e si diresse verso la camera la letto, ma prima si voltò e chiese smaliziata: «Che fai, non vieni?»
Atsuko sorrise entusiasta; si sollevò dal divano e la seguì bramosamente. 

Insieme di fronte al letto si baciavano appassionatamente. Si attraevano come due poli. Tocchi irrefrenabili sui loro corpi. Nel loro addome vibrava la calda voglia. 
Non riuscivano a smettere di toccarsi, stringersi, baciarsi. Erano calde. Persino il loro sudore lo era. Keiko le sollevò le braccia e le tolse la maglietta. Le accarezzò i suoi piccoli seni privati del regiseno. 
Poi fu Atsuko a toglierle la parte superiore. e scoprire quel seno corposo metà privato dal reggiseno nero in pizzo. 
Entrambe erano belle come un arcobaleno dopo la tempesta, ma anche impaurite come tartarughe appena uscite dal loro guscio pronte a sperimentare il mondo. 
Si baciarono ancora e ancora. Atsuko camminava pericolosamente all'indietro sino ad arrivare a toccare con la fossa poplitea l'inferiorità del letto senza pediera. Saliva pericolosamente trascinandosi sui gomiti. Keiko la braccava da sopra con atteggiamento felino. Sensibilmente le baciò l'addome; il petto; il collo; il mento; le labbra; il naso; la fronte; i capelli. Avrebbe baciato tutto quel corpo accaldato. Stuzzicava con il suo naso quello di Atsuko. Le baciò il labbro superiore, poi quello inferiore, prima di darle un bacio vorace. Le loro lingue si possedevano l'una con l'altra senza darsi pace. Le loro mani si insinuavano curiose e smaniose. Non riuscivano a stare ferme. Accarezzavano i loro corpi in ogni modo.
Di colpo, Atsuko le chiese di fermarsi. Finalmente poterono riprendere fiato. 
Il volto della ragazza era intimidito e avvampato. «Ferma! Aspetta!» -La fermò mettendole una mano sul ventre.
Keiko frenò quel desiderio carnale. 
Atsuko, vistosamente ansimanete, si coprì gli occhi con i palmi delle mani.
«Il mio cuore batte forte.» -Respirava docilmente. Le mani nascondevano i suoi occhi. Le sue guance avevano il colore del frutto della melagrana.
Keiko le prese il polso e adagiò la mano di Atsuko sul proprio petto: «Com'è?» -Domandò riferendosi ai battiti del cuore. 
«Veloce!» -Rispose la ragazza. 
«È così da quando mi hai chiesto se potevi baciarmi.» -La guardò teneramente come se si stesse per sciogliere.
«Perché i tuoi occhi sembrano piangere quando li guardo?» -Atsuko le accarezzò una guancia.
«Perché sono guardati da ciò che stavano cercando da tanto tempo.» -Negli occhi di Keiko trasparivano le profonde ferite di cui il suo cuore portava le cicatrici della solitudine.
«E cosa cercavano?» -In cuor suo, Atsuko voleva un’unica risposta.
Keiko si insinuò nel cuore della ragazza e gliela rubò per poi donargliela: «Te!» 
A quelle parole Atsuko sorrise malinconica e le chiese teneramente: «Dove sei stata tutto questo tempo?» Keiko indicò il cuore della ragazza con l'indice. Allorché, Atsuko le richiese: «E io dov'ero?» -Questa volta, Keiko prese l’indice di Atsuko e indicò il suo cuore.
«Perché ci abbiamo messo tanto a trovarci?» -Chiese Atsuko aspramente.
Keiko le rispose in modo sereno: «Ora siamo insieme.»
Atsuko le accarezzò la nuca con entrambe le mani. Poi spinse il viso della ragazza verso il suo e lo baciò con trascinante passione. 
Gli argini dei loro sentimenti esitanti avevano ceduto alla straripante passione. 
Erano un tutt'uno come la vastità del cielo che si specchia nell'immensità del mare. 
Il suono del loro amore ruppe il timpano dell'etichetta dal nome pregiudizio. Fecero risuonare una melodia che solo loro udivano.
La notte trascorse inebriata da ciò di cui era stata testimone.

La mattina seguente, Atsuko si svegliò da sola in quel tiepido letto che odorava ancora  di quella ripetitiva notte di passione. 
Spettinata e assonnata si alzò dal letto avvolta nel plaid. Camminò sino ad arrivare nel salone. Notò che sul tavolo c'era un biglietto: Ben svegliata. Sono uscita presto per una riunione improvvisa. Buona giornata! p.s: Apri il forno. A quel post scriptum Atsuko inarcò il sopracciglio. 
Andò ad aprire il forno e venne avvolta dal dolce profumo inebriante sprigionato da un piatto contenente muffin dall'aspetto invitante.
Dopo aver preso due muffin, richiuse il forno. Si accomodò sul divano per mangiare, curandosi di non far cadere briciole tra i cuscini.
Finito di mangiare,  con un movimento della mano si spostò con sensualità i capelli all'indietro. Si guardava attorno sorridendo beata e ripensando accaldata a quello che era successo. Ma la felicità e l'amore sono complici doppiogiochisti: la prima è un arma a doppio taglio pronta a colpire appena il cuore gli da' il via libera.

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