Ubriaco perso

di garakame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ubriaco perso cap 1 ***
Capitolo 2: *** Ubriaco perso cap 2 ***
Capitolo 3: *** Ubriaco perso cap 3 ***
Capitolo 4: *** ubriaco perso cap 4 ***



Capitolo 1
*** Ubriaco perso cap 1 ***


Come sempre tutti i personaggi appartengono a Ryoko Ikeda, scrivo solo per diletto, non per lucro.

UBRIACO PERSO

“Dai, bello, smettila di ubriacarti e vieni di là con me, che ci divertiamo”. La voce proveniva da una bionda provocante, dal trucco accentuato sulle labbra e sulle guance, ma non volgare con gli enormi seni che sporgevano dal bustino e mettevano in risalto la vita sottile e i fianchi larghi e forti.
L’uomo guardava la donna che nel frattempo gli aveva messo una mano sulla spalla, la guardava ma non la vedeva e non la sentiva. Era come se davanti a lei ci fosse un fantasma, la donna si rese conto che il giovane soldato seduto al tavolo, con la divisa umida, aderente al corpo e gli occhi stanchi e cerchiati, non la vedeva. Era come se fosse stata trasparente.
Lo vide stringere il boccale di vino, tra le mani, talmente forte che i polpastrelli erano diventati bianchi per lo sforzo.
L’uomo distolse lo sguardo dalla donna, guardò il vino, bevve un altro sorso. Avrebbe voluto fregarsene di tutto e di tutti, giacere con quella donna in un letto sporco, invaso dai pidocchi, concentrarsi sulle sensazioni del suo corpo e non pensare a nulla.
Era tentato di stringere a sè quella donna e immergere il viso nei seni pieni. Ma poi c’era sempre lei, nella sua mente, nei suoi occhi, nel suo sangue.
Era lei che avrebbe voluto vedere, lì accanto a lui. Vestita in maniera provocante, con i capelli lunghi, biondi, spettinati, il corpo sinuoso, messo in risalto dal bustino e dalla lunga gonna.
“Smamma, cocca, non è aria. Lui non fa per te.”
La donna guardò l’altro soldato scocciata, se ne andò via.
Alain rivolse lo sguardo ad Andrè, seduto con il boccale tra le mani, un altro sorso di quel liquido più simile all’aceto che al vino.
”Perché non sei venuto alla Bonne Table? Ti stavamo aspettando”. Andrè sospirò.
“Come hai fatto a trovarmi, Alain?” Il soldato sorrise al compagno d’armi e gli disse:
“Ti conosco, amico mio. So quando vuoi essere lasciato in pace, ma non ti lascio commettere delle sciocchezze.” L’uomo si sedette accanto ad Andrè, ordinò un boccale di vino e rimase ad aspettare lo sfogo dell’amico.
Andrè lo guardò, lo sguardo corrucciato e vuoto di una persona persa.
“Anche oggi l’hai vista, no? È stato un inferno, ogni volta che le passavo accanto era come se non mi vedesse, come se fossi un fantasma.” Sbattè il boccale ormai vuoto sul tavolo.
“ E poi ci si è messo anche il tempo, le esercitazioni sotto la pioggia sono un inferno. Ho preso tanta di quell’acqua da farmi venire i reumatismi per i prossimi 50 anni, sempre che ci arrivi. Ma chi cavolo me lo fa fare di fare ‘sta vita, per lei.”
Sospirò, si mise una mano sul volto, quasi come si vergognasse a far vedere i suoi sentimenti, a mettere a nudo la sua anima.
Alain gli sorrise, bevve un sorso della brodaglia che l’oste gli aveva portato, fece una smorfia e si rivolse al soldato.
“Se il nostro comandante ti sembra insensibile e non ti guarda, forse è perché ha un bel po’ di grattacapi con i superiori, il generale Bouillet mi sembra un gran rompi coglioni. Non deve essere facile sopportarlo. Ho visto che non corre buon sangue tra il comandante e il generale.”
Fece una smorfia di disgusto, si stiracchiò e si appoggiò allo schienale della sedia facendola scricchiolare.
“Ehi, Andrè. Ma sei proprio sicuro che lei non provi niente per te? Guarda che ultimamente il comandante mi è sembrato un po’ strana. A te sembra che non ti guardi, ma dopo che sei passato ti segue con lo sguardo, tu non la vedi, ma io si.”
L’occhiataccia che gli diede Andrè fu più che eloquente.
“Per me non c’è niente da fare, io sono solo il servo, non mi posso più ritenere nemmeno suo amico. Una volta si, una volta si confidava, mi cercava per chiedermi consigli, era veramente bello ascoltarla, starle vicino, ma ora… per lei sono praticamente un estraneo, viviamo nella stessa casa, ma è come se non ci conoscessimo più. Mi piacerebbe farla finita.”
Alain scattò in piedi, prese per il bavero della giacca Andrè, lo strattonò e gli disse con voce gelida:
“Non ci provare, non voglio sentirti dire mai più una cosa del genere. Hai una vita, non sprecarla inutilmente, non te lo permetto, hai capito?”
Andrè lo guardò stupito, chinò la testa, Alain lo lasciò andare, riprese la sedia che era caduta e si risedette al tavolo.
Andrè mormorò un scusa ad Alain, un hai ragione a testa bassa e tutto ritornò come prima. L’ira di Alain, che si era creata in poco tempo, aveva lasciato il posto al solito carattere simpatico.
Andrè lo sapeva fin troppo bene che lui aveva ragione.
Gli tornò in mente la piccola Diane, il suo sorriso dolce, fragile come una farfalla bianca.
La giovane si era tolta la vita e questo suo fratello non se lo sarebbe mai perdonato.
Era passato il periodo dei se:se fossi stato più attento, se le fossi stato più vicino, se non fossi costretto a fare questo lavoro, se fossi più ricco, se se se se forse lei sarebbe ancora viva.
Quante volte Andrè aveva sentito il compagno d’armi ripetere queste parole, all’infinito.
Ora lei non c’era più a lui non restavano che il rimorso e il dolore per la perdita.
Ma Alain era un uomo forte; spesso si ripeteva per farsi forza:
“Bisogna andare avanti, la vita continua, deve continuare sempre.”
Per alleggerire l’atmosfera Alain si rivolse ad Andrè con un:
“Perdonato” dandogli una pacca sulla spalla destra, gli sorrise e aggiunse:
“Senti un po’, ma perché non gli e lo riprovi a dire con le buone che la ami. Visto che la prima volta hai sbagliato, l’hai spaventata, lei non ti ha voluto, ma alla seconda non ti dirà di no. Se come mi dici, lei non è la persona che vuole far vedere, ma è diversa, perché non ci riprovi e non la fai tua".
Andrè si mise a ridere, fino alle lacrime, una risata quasi isterica.
“No, ma scherzi con Oscar non è possibile, se provassi solo a toccarla con un dito, mi ritroverei scuoiato vivo, da Oscar prima, da mia nonna e dal generale dopo.
Mi vuoi vedere morto? continua a darmi questi consigli e non mi vedrai più, veramente”. Alain gli sorrise, pensò che se riusciva a fare di queste battute era una buona cosa.
Alain continuò a bere il vino, Andrè decise che era venuto il momento di tornare a casa, Oscar gli aveva dato una licenza per un giorno per poter vedere sua nonna.
In un primo momento le aveva detto di no, ma ripensandoci non aveva voglia di starsene in caserma a dormire, sarebbe tornato a casa e avrebbe dormito nel suo letto.
Si alzò in piedi barcollando. Fece un saluto all’amico e sempre barcollando uscì dalla bettola.
Alain, finì di bere, pagò l’oste e corse dietro ad Andrè, non sarebbe arrivato molto lontano, ubriaco fradicio com’era.
L’amore era strano, poteva rendere le persone immensamente felici o portarle alla disperazione più nera.
“Sei sicuro di riuscire a tornare a casa in queste condizioni?” Alain guardava Andrè dal basso, non era per niente sicuro che riuscisse a tornare a casa sano e salvo.
“Ma si, ti dico di si… Tanto mi porta il mio cavallo, non è la prima volta, né che sono ubriaco, né che mi riporta a casa sano e saalvooo. Ora, non preoccuparti e vai a dormire, se no domani ti sveglierai con il mal di testa.”
Andrè sorrise ad Alain per tranquillizzarlo, ma l’alcol iniziava a fare effetto, la testa girava ed era sempre più leggera, la bocca impastata.
“Ci vediamo, domani”. Andrè spronò il cavallo che iniziò la marcia al trotto. Alzò la mano sinistra in segno di saluto e si diresse verso palazzo Jarjayes.

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Capitolo 2
*** Ubriaco perso cap 2 ***



Ho le lacrimucce agli occhi per quelle gentilissime donzelle che mi hanno recensito... grazie grazie grazie mille.

A Voi il continuo della storia, che è già pronta e non sarà molto lunga.

fatemi sapere. sono contentaaaa ^_^





Ubriaco Perso 2






La pioggia fitta, ma leggera continuava a cadere. Andrè alzò il viso verso il cielo, sentì il vento freddo penetrargli nelle ossa, la pioggia inzuppargli i vestiti.
Questo freddo, non lo sento solo sulla pelle, pensava, non è fastidiosa la pioggia sul mio viso, mi rinfresca, mi fa sentire vivo.
È il freddo che ho dentro che mi fa star male, un freddo che mi porto nel cuore da troppi anni.
La testa iniziava a fargli male, aveva bevuto troppo, doveva correre a casa.
Voleva arrivare a Palazzo il più presto possibile, aveva parecchie cose da fare, doveva parlare ad Oscar.
Quella notte doveva starlo ad ascoltare a costo di farle male, veramente male. Oscar nella sua stanza non riusciva a dormire bene, erano già passate le undici da un bel pezzo, ma il sonno non arrivava.
Si girava e rigirava nel letto.
Aveva leggiucchiato un libro, le scartoffie che si era portata dall’ufficio, ma nemmeno quelle erano servite a farle appesantire le palpebre.
Troppi avvenimenti importanti, tanti pensieri per la testa. Erano questi i motivi per cui non le riusciva di addormentarsi.
Quando sentì aprirsi improvvisamente la porta di camera sua rimase un po’ stupita, ma non più di tanto.
Pensò che se si fosse addormentata, lo spavento o forse lo stupore sarebbe stato più grande, ma così, no.
Voltò semplicemente di scatto la testa per vedere chi, ma sapeva già chi era, aveva osato entrare in camera sua sbattendo furiosamente la porta.
Solo due persone avrebbero osato tanto, suo padre, che in quel momento era fuori Parigi e Andrè.
Lo guardò, sollevò le sopraciglia in segno di stupore, chiuse il libro che aveva tra le mani e lo appoggiò al comodino; non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere da parte del suo ex valletto.
Andrè entrò nella stanza come una furia.
Quando vide Oscar seduta sul letto, con la camicia da notte di batista bianca, i capelli spettinati, gli occhi arrossati e cerchiati dalle occhiaie, si fermò un momento poi entrò nella stanza barcollando, ma deciso.
Lei capì che era ubriaco, stanco, fradicio e infreddolito.
La sua pelle sapeva di vino, scadente oltretutto, e di umido.
“Andrè, cosa…?”.
“Taci” Un ordine perentorio; un urlo di dolore dal profondo.
Oscar corrugò le sopraciglia.
Lui si avvicinò al letto, determinato, ma ad ogni passo vacillava sulle gambe.
Era a pochi passi dal letto.
“Non sopporto più il tuo comportamento.” Sbottò, tremante di rabbia.
Un altro passo verso il letto.
“Ogni maledetto giorno è come se non esistessi per te.” Mise il ginocchio destro sul letto che si abbassò a causa del peso di entrambi.
Oscar lo guardava, gli occhi azzurri spalancati per lo stupore, si ritrasse sul letto, spaventata, l’unica cosa che pensò fu;
“ti prego, Dio fallo tornare in se, fai tornare l’amico che avevo un tempo. Quest’uomo non lo conosco più”.
La prese per le braccia, la scosse una, due, tre volte, urlandole in faccia tutto l’odio che sentiva nei suoi confronti.
“Non riesco più a sopportare la tua totale indifferenza, non sono un oggetto da buttare, quando non serve più. Ti ho servito e amato per più di 20 anni, ma ora non posso più patire quello che mi stai facendo.
Il tuo disprezzo, il tuo odio nei miei confronti…".
Dicendole questo la sua collera diminuiva, la presa alle braccia della donna perdeva forza.
Si sentì improvvisamente stanco, come se avesse vissuto per mille anni una vita vuota, priva di gioie, ricca di dolori, come se lo sforzo per dirle quelle parole lo avesse svuotato di ogni energia.
Le si accasciò addosso e si addormentò.
Oscar rimase per due minuti buoni a bocca aperta. Non poteva credere a quello che era successo.
Si riscosse dallo stupore quando sentì bussare allo stipite della porta spalancata.
La nonna di Andrè era corsa preoccupata, suo nipote aveva usato tutta l’aria che aveva nei polmoni per fare quella bella scenata, aveva svegliato tutto il palazzo.
“Madamigella, lo perdoni. Io..” Oscar si portò un dito sulle labbra, come per dire all’anziana di fare silenzio.
La governante si avvicinò al letto, vide il nipote mezzo sdraiato su Oscar e si scandalizzò.
“Ma guarda questo pezzo d’asino, come si comporta. Ci penso io a dargli una bella lezione.”
“No, ti prego, non svegliarlo.” Oscar pronunciò queste parole, talmente piano che anche la nonna fece fatica a udirle in maniera chiara.
“Ma, Madamigella Oscar, non è conveniente che un uomo e una donna dormano nello stesso letto e".
“E…. E cosa potrebbe mai accadermi, nonna. Guarda tuo nipote, ti sembra nella condizione di potermi nuocere?” Oscar guardò l’uomo sdraiato sul letto.
A parte la terribile puzza di vino, dormiva profondamente con un aria angelica.
“No, avete ragione.” Oscar le sorrise.
“Non preoccuparti, conosco Andrè. Poi sospirò e aggiunse:
“Penso che domani lui non si ricordi di questa notte. Ti prego di non sgridarlo e non dirgli niente e ora buona notte, vai a dormire che si sta facendo tardi.”
La nonna assentì, spense la candela sul comodino, uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Oscar rimase sola con lui, il respiro pesante di Andrè era regolare, fuori la pioggia ticchettava sui vetri.
I minuti passavano lenti, cadenzati da questi suoni.
La donna sospirò. Sei proprio un pezzo d’asino, almeno prima di addormentarti potevi fare qualche cosa.
Si stupì dei suoi pensieri, arrossì, ma cosa sto dicendo? Sorrise tra se.
Per la prima volta nella sua lunga vita vissuta da uomo, stava desiderando di essere amata come una donna, in senso fisico.
Inaspettatamente Andrè si mosse per mettersi più comodo. Mise anche l’altra gamba sul letto allacciò Oscar con entrambe le braccia, come se fosse un cuscino.
Lei rimase ferma nel letto con Andrè sul lato sinistro del suo corpo, che la teneva stretta come per non farla scappare via.
Il respiro dell’uomo era pesante, le solleticava il collo, il suo braccio sinistro era sotto la sua schiena, quello destro sul suo seno.
Sarà una lunga notte, pensò mi sarà difficile dormire.

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Capitolo 3
*** Ubriaco perso cap 3 ***


Oscar si trova in una strana situazione, non le è mai capitata una cosa del genere. Come andrà a finire? Leggete e vedrete, spero vi piaccia.
Grazie infinite per tutte le visite e i commenti. Gli ho apprezzati davvero tanto.

Ecco un altro capitolo per voi. L'aggiornamento nei prossimi giorni, con l'ultimo capitolo.

A voi la lettura.





Ubriaco Perso 3





Nel buio della stanza si sentiva il ticchettio della pioggia sempre più forte, il rumore delle foglie mosse dal vento.
La donna aprì gli occhi, svegliata dal rumore esterno. Si era addormentata, forse per meno di un ora, vinta dalla stanchezza della giornata e dalla sorpresa della sera.
Tentò di muoversi ma si ricordò che nel letto non era sola. Guardò fuori, sbadigliò.
La pioggia che poche ore prima scendeva lenta era diventata più intensa e scrosciante. Volse lo sguardo verso il peso sulla sua sinistra.
Era incredibile come l’uomo che dormiva sdraiato per metà sul suo corpo avesse un sonno così tranquillo, rilassato.
Il respiro era ritmico, reso pesante dalla quantità di vino ingurgitata.
Doveva aver bevuto parecchio per essere così sconvolto da entrare in camera mia, sbattendo quasi giù la porta e… Oscar si coprì gli occhi con la mano destra, ripensò alle sue parole, alla sua rabbia.
Aveva perfettamente ragione, lei lo sapeva. Lo stava trattando talmente male, con il suo distacco, la sua freddezza.
Non lo faceva apposta, cercava di renderlo uguale agli altri soldati, proprio perché sapeva che era in pericolo.
Sapeva che i suoi compagni lo ritenevano un - cane dei nobili, una spia del comandante - Era già finita in maniera disastrosa una volta; lo avevano pestato a sangue per questo motivo. Non voleva che succedesse ancora.
L’unico modo era comportarsi come aveva fatto fino ad ora.
Era difficile non chiamarlo nel suo ufficio la sera, chiedergli di uscire con lei, andare a bere insieme, come facevano una volta.
Un formicolio alla gamba sinistra la fece trasalire, cercò di muovere l’arto addormentato ma era bloccata dal corpo di Andrè.
Si mosse molto lentamente per non svegliarlo, cercando di dare un po’ di sangue all’arto intorpidito dal peso dell’uomo.
Andava meglio. I suoi pensieri ripresero incessanti.
Era come se una voce, una seconda voce non molto diversa da quella che sentiva ogni giorno quando si rivolgeva agli altri, le stesse facendo il resoconto della sua vita.
Era interna, c’era sempre nella sua mente, le diceva cosa doveva o non doveva fare.
La voce della sua anima.

"E allora, Oscar…. Cosa vuoi fare della tua vita? Ti decidi o no a cambiare, prima che sia troppo tardi?
Ti vuoi svegliare? guarda che l’uomo che hai accanto prima o poi si stuferà di te, surrogato di donna fredda e insipida.
E non mi venire a dire che sei un uomo, perché non è vero e lo sai bene. Lo sai ogni volta che ti pieghi in due dal dolore al basso ventre, lo sai perché non sei forte come un uomo e non pensi, non ti muovi, non bevi e non mangi come un uomo, perché non sei un uomo."

Sbuffò come per voler scacciare quella voce tanto antipatica, per zittirla, ricacciarla nella sua coscienza, in un angolo buio, per non sentirla più.
Guardò Andrè, gli accarezzò i riccioli neri del capo.
"Andrè mi ama troppo per farmi del male, cosa sarebbe successo se non fosse crollato?
Non lo so, ma di sicuro non mi avrebbe fatto soffrire, non una seconda volta.
So che ha un animo dolce, sensibile, non farebbe del male al suo peggior nemico, se ne avesse uno, ma non ne ha.
Non si è vendicato neppure di Bernard, dopo che lo aveva privato della vista. Se è diventato così aggressivo, scostante, è solo per colpa mia.
Il mio comportamento lo ha portato a questo. A diventare una persona, arida, aggressiva, collerica." Pensò la donna.
Se lo strinse al corpo, un gesto inusuale per lei, come per volersi far perdonare tutto il male che gli stava arrecando.
Guardò fuori concentrandosi sulla pioggia che scendeva sempre più forte, quasi senza accorgersene la sua mano iniziò ad accarezzarlo.
Gli sfiorò, i capelli, il collo, la schiena, con gesti lenti, ritmici, dolci.
Non voleva svegliarlo, non era questo il suo intento. Si fermò appena si accorse che il respiro di lui era cambiato.
Ora Andrè la guardava, si era svegliato.
Uno sguardo intenso, triste forse, ma non arrabbiato.
Oscar non fece nulla, non pensò a niente. L’uomo cambiò posizione, scavalcando il corpo di Oscar da sinistra a destra.
Si rimise nella stessa posizione appoggiando per metà il suo corpo, gamba sinistra, cuore, braccio sulla parte destra della donna.
Il letto si spostò, a causa del movimento.
Oscar sentì che Andrè si muoveva ancora, scese verso l’incavo del collo, ne respirò la fragranza, dicendo a voce chiara, non impastata dal vino o dal sonno:
“Che buon odore”. Risalì con lo sguardo verso il suo viso, per guardarla negli occhi, avvicinò le sue labbra verso quelle di lei, un bacio lento, languido, che le fece schiudere le labbra e le lasciò brividi per tutto il corpo.
Lei lo guardò stupita.
Lui le sorrise dicendole: “Ti amo.”
L’abbracciò stretta, si rimise nella stessa posizione e si riaddormentò soddisfatto.
Oscar non riusciva a credere a quello che aveva visto e sentito.
In poco meno di tre minuti, Andrè si era riaddormentato, questa volta sul lato destro, come se non fosse successo nulla.
C’era davvero qualche cosa che non andava.
Stava facendo apposta o dormiva veramente? Sembrava serio e ben sveglio quando le aveva ripetuto per l’ennesima volta che l’amava.
Questo “Ti amo” era stato detto in maniera serena, sincera.
Aveva gli occhi spalancati nel buio della notte, sentiva il respiro regolare dell’uomo sdraiatole accanto.
Aveva quasi smesso di piovere, ora il rumore della pioggia non le dava un gran fastidio, il ticchettio insistente alla finestra le faceva compagnia, era un rumore costante simile a quello che sentiva più vicino, ma non le riusciva di dormire lo stesso.
“Ti amo”, detto in quel modo, l’aveva spiazzata, lasciata senza parole.
Poi il bacio così dolce e l’abbraccio, un gesto di pochi secondi, caldo, avvolgente.
Le aveva trasmesso affetto e protezione.
Sentiva nelle orecchie quel “Ti amo”, non sussurrato o urlato con rabbia e dolore.
La voce era uscita chiara e calma, ma decisa, una frase non biascicata nel dormiveglia, incomprensibile.
Ti amo, quante volte se l’era sentito dire ultimamente.
Ma mai in maniera così dolce, mai.
Le era venuto il dubbio che lui non dormisse, che stesse facendo finta, che la stesse prendendo in giro, in maniera subdola per tutto il male che gli stava arrecando.
La sua indifferenza e freddezza lo avevano portato a questo gesto estremo nei suoi confronti.
Ancora una volta Andrè le stava dicendo che soffriva per colpa sua.
Se non glielo diceva con le parole lei riusciva a comprenderlo lo stesso con il suo modo di comportarsi, con i suoi silenzi.
A volte le parole per chiarirsi erano superflue, bastava un solo sguardo per capire cosa gli voleva dire.
Cosa sarebbe successo se lui non si fosse addormentato, se avesse continuato a dirle che la odiava perché era fredda e insensibile, se.
Ancora i se, la voce interna di Oscar aveva ripreso il sopravvento.
"Cosa avresti fatto se lui ti avesse detto che voleva fare l’amore con te? Dimmelo Oscar."
Oscar sospirò, “Non lo so” si rispose.
"E se ti avesse violentata?" Ancora la voce.

“No questo, no.” Si rispose nella sua testa, con voce decisa. "So che non mi avrebbe mai fatto del male, perché mi ama troppo.
Mi fido di lui ciecamente, di questo sono sicura. Ma è anche vero che lo sto portando all’esasperazione; io non so amare.
Oddio, non l’ho mai fatto, non saprei nemmeno renderlo felice.
Non mi considero una donna, non sono mai stata capace di un gesto dolce, affettuoso. Sono sempre vissuta in maniera rigida e fredda."
Sospirò e lo guardò dormire tranquillo. I suoi pensieri continuarono nella sua mente.
"L’unica cosa che so è che lo amo, ma non so se troverò mai il coraggio di dirglielo.
Non so come fare ad amare e a lasciarmi andare. Ma non riesco a capire come lui possa amarmi.
Non sono per niente femminile, nei modi, nel portamento, nel carattere.
Eppure mi ama." E' assurdo, pensava.
Oscar guardò il soffitto triste, la voce sembrava essersi dissolta, se n’era ritornata quieta in una parte nascosta della sua anima.
Sospirò, guardò fuori, ora non pioveva più.

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Capitolo 4
*** ubriaco perso cap 4 ***



Andrè non ricorda nulla di quello che è successo la notte precedente e Oscar come si comporterà con lui?


Ho le lacrimucce agli occhi per quelle gentilissime donzelle che mi hanno recensito... grazie grazie grazie mille.

A Voi l'ultimo capitolo della storia.

fatemi sapere. sono contentaaaa ^_^


Ubriaco Perso 4





Le nuvole scure si erano dissolte e lasciavano il posto al chiarore della luna.
Decise che era venuto il momento di cambiare posizione.
Molto lentamente scivolò verso la testata del letto, stando attenta a non svegliarlo. Si alzò appoggiandosi sugli avambracci, Andrè si lamentò nel sonno.
Riuscì ad accostare i cuscini alle testata del letto e vi appoggiò la schiena.
Andrè mugolò qualche cosa di incomprensibile. Guardando il suo viso corrucciato, Oscar notò che aveva la stessa espressione arrabbiata di quando era bambino e non gli riusciva di fare qualche cosa.
Notò anche che nonostante i suoi movimenti lui non l’aveva mai lasciata, la teneva le braccia intorno alla vita, il viso era appoggiato al suo ventre.
Lei lo guardò intenerita e pensò che non l’ abbandonava nemmeno nel sonno. Passarono altri minuti, forse ore.
Fuori la notte si faceva sempre più pallida. Alzò le mani verso il cielo, si stiracchiò sentì la spina dorsale allungarsi, una sensazione di benessere dopo la lunga notte quasi immobile.
Si riappoggiò ai cuscini. La notte stava lasciando il posto alle prime luci dell'alba.
Gli uccellini cinguettavano sul davanzale della finestra, svegliati dal chiarore soffuso.
È quasi ora di alzarsi, un sospiro, mi dispiace alzarmi, pensò. “In fondo non è male dormire con lui”.
Si mise una mano sulla bocca, “ma che mi prende? Guardò l'uomo che dormiva appoggiato a lei.
“E si, mi piacerebbe proprio che si svegliasse.” Sorrise tra se, gli accarezzò la testa.
Pensò che era troppo ubriaco per svegliarsi, avrebbe continuato a dormire ancora per un bel po'.
“Meglio così” realizzò imbarazzata, non avrò problemi a rivestirmi.

Non ricordava proprio nulla. Anche ora che era in caserma, seduto sulla sua branda, non riusciva a capire cosa fosse successo la sera precedente.
Si era risvegliato sul letto di Oscar, vestito, con un gran mal di testa e un senso di nausea che non lo aveva ancora abbandonato.
Ma lei non c’era più, poteva sentire ancora il suo profumo e il calore del suo corpo, anche se era solo una sensazione.
Non era la prima volta che si ubriacava o che tentava di placare la sua sete d'amore con l'alcool, era abituato a bere, raramente gli capitava di stare male dopo essersi ubriacato.
Questa volta era andata in modo diverso, il suo corpo aveva deciso di punirlo, con un gran mal di testa post sbornia, si sentiva davvero male.
Cercò di concentrarsi, cosa difficile visto il dolore pulsante alla tempia destra.
Si reggeva la testa, pesante come un macigno con entrambe le mani.
Gli altri soldati stavano facendo le cose di sempre. Chi giocava a carte, chi riposava, chi si rattoppava divisa o calze, chi puliva stivali o fucili.
Quella era una tarda mattina tranquilla, priva di esercitazioni.
Andrè si sentiva strano, come se non avesse riposato bene, durante la notte, eppure aveva dormito anche se non si ricordava dove, anzi se lo ricordava bene, ma ere davvero il letto di Oscar?
"Ehi Andrè, hai una faccia." Ammiccò Alain con un sorriso sornione.
Andrè alzò lo sguardo verso la voce, "Non urlare, mi scoppia la testa" Alain sorrise, il suo tono di voce era normale, nè più alto nè più basso del solito.
"Che cosa hai combinato ieri sera, a parte la sbornia?" Andrè sollevò il capo a fatica.
"Nulla, sono andato dritto a dormire" biascicò una risposta, mentre il suo cervello continuava la frase con un nel letto sbagliato, ma sono andato a dormire.
Alain gli sorrise, aveva capito che doveva lasciarlo in pace, andò a sedersi al tavolo dove gli altri commilitoni giocavano a carte.
Andrè si sdraiò sulla branda, molto lentamente, si mise un braccio sugli occhi.
“Vorrei sapere che cosa è successo, cosa ci facevo nella stanza di Oscar? Aspetta....” si concentrò meglio per fare mente locale.
Gli era difficile ricordare cosa era successo dopo che era arrivato a palazzo, ma si ricordava molto bene di una cosa.
“Sono tornato a casa, sono andato nella stanza di Oscar” Spalancò gli occhi.
“Ero molto arrabbiato, questo lo ricordo bene” – deglutì – “ma poi che cos'è successo?”
La sua mente non ricordava nulla, come le pagine ingiallite di un vecchio diario mai terminato.
Ricordava di essere entrato come una furia nella sua camera e poi più nulla.
Si alzò di scatto, per un attimo vide tutto buio, gli girò la testa, fece un respiro profondo che placò il senso di nausea e il giramento di testa improvviso.
Uscì dalla camerata dirigendosi verso l'ufficio del comandante.
Oscar stava controllando dei dispacci che le aveva mandato il generale Bouillet.
La sua mente vagava tra la scrittura fitta e precisa del generale e quello che era accaduto la notte precedente.
Non che fosse successo molto, ma la cosa le aveva lasciato una sensazione positiva - bella.
Ripensò al “ti amo” detto da Andrè, era sveglio o faceva finta di dormire? non era ancora riuscita a capirlo, ma tanto che differenza poteva fare? Sapeva dei suoi sentimenti.
Sentì bussare alla porta, trasalì, diede una risposta decisa.
Riuscì a rimanere impassibile, ma si stupì di come ci era riuscita, quando si vide sulla soglia Andrè.
Lui si chiuse la porta alle spalle e si appoggiò. Lei lo guardò aspettando la sua richiesta.
“Oscar sono venuto per chiederti se”. Si schiarì la voce.
“Se ecco, io….” Oscar spalancò gli occhi, e aspettò che continuasse. Andrè si sentì ancora più strano, imbarazzato.
“Ecco, volevo chiederti se per caso ieri notte sono entrato nella tua camera e”, Si mise una mano dietro la testa.
Lei alzò un sopraciglio, gli sorrise. Ora aveva la conferma che cercava, lui aveva dormito veramente, per tutta la notte, ma non lo fece finire di parlare:
“Ma cosa dici, Andrè. Tu ieri notte sei venuto da me e poi te ne sei andato”.
Lui la guardò con aria sempre più stupita, “Ma io questa mattina mi sono ritrovato nel tuo”, temendo che lei si arrabbiasse nel sentire che lui era entrato nella sua stanza e si era ritrovato nel suo letto, rimase zitto, pensando alle parole da dire.
La guardò serio: “Continua Andrè, non ti mangio mica.“
Lui aggrottò le sopraciglia "Ma io non ho fatto nulla?"
Lei seria, anche se le era difficile non scoppiargli a ridere in faccia:
"Non hai fatto niente, mi hai augurato la buona notte e te ne sei andato a dormire."
Andrè non riusciva a capire come mai si trovava nel letto di Oscar.
“Sarò sonnambulo”, disse ad alta voce.
“Come?” fece lei, “Sei sonnambulo?” si alzò dalla sedia spostandosi verso di lui.
Andrè abbassò lo sguardo e aggiunse: “la nonna mi diceva che ogni tanto, fin da piccolo, mi alzavo nel mezzo della notte e me ne andavo in giro per la casa, poi me ne tornavo a letto e continuavo a dormire.
Beh questa mattina mi sono risvegliato nel tuo letto, il brutto è che non ricordo niente”.
Lei lo guardò, gli sorrise, pensando, se tu sapessi come è stato bello averti accanto per tutta la notte.
“Capisco, hai trovato il mio letto comodo?”
L’uomo si toccò il collo: “a dire il vero non molto, mi sono svegliato più stanco di prima e indolenzito, come se avessi dormito con tre cuscini anziché con uno”.
Lei gli andò vicino, le ci volle tutto il suo auto controllo per non raccontargli quello che era successo la notte precedente, per non raccontargli come lo aveva tenuto abbracciato per tutta la notte, come il suo corpo era stato avvolto e scaldato dal suo tepore.
Si accorse di stare arrossendo, solo perché era vicino a lui, perché ripensava a quella notte, a quel contatto.
Per nascondere il suo disagio si voltò verso la finestra, mostrandogli le spalle e disse ad alta voce:
“Se sei così stanco faresti meglio ad andarti a riposare, questo pomeriggio ci sono le esercitazioni. Oggi è una bella giornata, ti garantisco che non sarà una passeggiata. Ho intenzione di sfinirvi.”
Andrè capì che era arrivato il momento di congedarsi.
Oscar si era allontanata di nuovo da lui, gli aveva parlato con voce fredda e distaccata.
Non riusciva a capire il suo comportamento, così disponibile poco prima di nuovo fredda in questo momento.
“Bene, Comandante, la lascio al suo lavoro”. Disse in tono altrettanto gelido.
Fece il saluto militare, girò sui tacchi e fece per aprire la porta. Stava per lasciare la stanza, la testa china, da cane bastonato.
Lei si rese conto che era stata troppo dura con lui, doveva fare qualche cosa per sollevargli un po' il morale, per fargli capire che lei stava cambiando.
Non poteva avvicinarsi a lui, buttargli le braccia al collo e abbracciarlo, baciarlo.
Non era da lei, non era il modo di comportarsi di Oscar Françoise De Jarjayes.
Ma nello stesso tempo il suo corpo la tradiva perché voleva farlo, voleva dimostrargli che lo amava. Mente e corpo in conflitto.
Si sentiva male, non riusciva a controllare il suo corpo, stava tremando. Si alzo, andò vicino alla finestra, appoggiò la fronte al vetro freddo, sospirò.
Il battito del cuore si stava calmando, un respiro più profondo.
A voce alta e decisa prima che lui uscisse dall'ufficio disse:
“Sai Andrè, quando vai ad ubriacarti almeno fallo in una bettola decente, con vino buono, non mi piace l'odore del vino andato a male.”
Si sentì chiudere la porta alle spalle.
Sospirò, aveva sentito quello che gli aveva detto? Continuò il suo discorso, quasi un sussurro:
“Quando dormi sei molto bello, Andrè, ma parli molto e dici e fai cose insensate." guardò fuori dalla finestra.
Il cielo azzurro chiaro spruzzato qua e la da nuvole di fumo in movimento le faceva pensare ai bei tempi di quando loro due si sdraiavano sul prato di palazzo e guardavano le nuvole formare delle figure.
Perché doveva essere così, perché doveva rovinare sempre tutto? Si girò per sedersi alla scrivania.
Il viso triste. Solo quando alzò lo sguardo trasalì, spaurita.
Se lo vide appoggiato alla porta sorridente.
Lei ricambiò il suo sorriso con uno timido.
Abbassò gli occhi verso le scartoffie.
Il lavoro poteva aspettare, era convinta che le cose tra loro sarebbero cambiate, molto presto.



Fine



 

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