David e Sarah: The Origins

di Pervinca95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo incontro ***
Capitolo 2: *** La goccia che ha fatto traboccare il vaso ***
Capitolo 3: *** Intervista ***



Capitolo 1
*** Il primo incontro ***


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Il primo incontro







La sveglia suonò proprio nell'esatto momento in cui il mio romantico sogno stava raggiungendo il momento clou. 
Mi rigirai tra le lenzuola, allungai un braccio per spegnere quell'aggeggio infernale e tornai a bearmi nel mio stato di semi coscienza. Per ripararmi dalla molesta luce che filtrava attraverso le imposte, sotterrai la testa sotto al cuscino e mi concentrai sul mio sogno, cercando di continuarlo dal punto in cui si era interrotto. 
Rivangai la stessa scena a ripetizione, senza però riuscire a concentrami del tutto sulla sua benedetta continuazione. 
Maledissi mentalmente la sveglia per aver fatto fin troppo bene il suo dovere e riluttante mi decisi ad uscire dal letto. 
Osservai le cifre sul display della mia nemica e sbadigliai. Erano soltanto le 5.30 a.m. e le lezioni del mio primo giorno di scuola al Manhattan College sarebbero iniziate alle 8 in punto.
Avevo sempre avuto una specie di ossessione per la puntualità. Credevo mi fosse sorta alle medie, magari prima. Avevo sempre impostato la sveglia con mezz'ora di anticipo rispetto all'orario a cui mi sarei dovuta svegliare per non essere in ritardo; con quel metodo da me brevettato arrivavo, giorno dopo giorno, in anticipo. 
Mi trascinai al bagno e, dopo essermi goffamente tolta il pigiama con delle sorridenti papere gialle stampate sulla stoffa, entrai nella doccia. Senza prestare attenzione aprii il getto d'acqua fredda e venni inondata da una cascata ghiacciata che in meno di un secondo riuscì a svegliarmi. In preda allo shock, con un colpo secco virai la manopola sull'acqua calda e mi ci posizionai sotto nel tentativo di scaldarmi e riprendermi dal trauma. Come risveglio non era stato esattamente dei più piacevoli.
Più i minuti trascorrevano e più sentivo la tipica agitazione per il primo giorno di scuola condensarsi nello stomaco. Avevo paura di non parlare con nessuno e di non riuscire a fare amicizie. Oddio, come si faceva a fare amicizia? 
Mi ero sempre sentita ridicola nel dovermi presentare con un "ciao, io sono Sarah, tu come ti chiami?" 
Farlo mi faceva sentire una stupida bamboccia senza dignità. Sarebbe stato molto più facile se avessi portato un cartellino col mio nome attaccato alla maglietta, almeno non sarei stata costretta a presentarmi. 
Purtroppo alle medie non avevo stretto molte amicizie e le uniche che avevo fatto erano volate su un aereo per i più disparati stati d'America. Quando si dice la fortuna. 
Perciò era come se anche io mi fossi appena trasferita in un quartiere straniero. Non conoscevo nessuno, il che mi rendeva estremamente nervosa. 
La scuola superiore che avevo scelto, anche se non possedeva il tipico nome di tutte le scuole superiori dato che si chiamava Manhattan College, era composta da due istituti. 
Il primo era un normale college frequentato dagli studenti diplomati. Il secondo era un semplice liceo. Molto spesso coloro che uscivano da questo secondo istituto decidevano di frequentare il primo. Dopotutto risiedevano nello stesso edificio e la retta universitaria non era troppo costosa. 
Non sapevo se anche io, come molti, avrei deciso d'iscrivermi a quel college. Avrei desiderato esplorare nuovi stati e provare la vita del campus piuttosto che rimanere nella mia culla per tutta la vita. 
Ma c'era ancora tempo, precisamente quattro anni, prima che mi toccasse prendere in esame quell'ipotesi. 
Uscii dalla doccia con la pelle d'oca e mi avvolsi in un asciugamano. Raggiunsi lo specchio e cominciai a pettinare i capelli con delle spazzolate poco gentili, prendendo i nodi per le corna ed annientandoli. Una volta finito mi sentii la testa leggera tant'era stata la forza con cui avevo tirato le mie povere ciocche. Un giorno sarei rimasta calva. 
Nonostante la brutalità con cui solitamente li districavo, avevo sempre amato i miei capelli. Probabilmente per il loro color nocciola chiaro, o forse per il nuovo taglio che avevo chiesto alla parrucchiera e che mi donava particolarmente. Insomma, quel che era era, fatto stava che li amavo. 
Fino a qualche mese prima li avevo lasciati crescere fino ai gomiti, poi avevo pensato che un piccolo cambiamento prima delle superiori ci sarebbe stato bene. In quel modo avrei potuto creare una linea di demarcazione tra medie e liceo anche da un punto di vista estetico. E così li avevo fatti tagliare fino alle spalle. Inizialmente, vedendo le mie amate ciocche cadere sotto i colpi delle forbici, ero stata tentata di scappare, ma mi ero fatta coraggio ed avevo atteso di vedere il risultato finale. 
Con tutta sincerità dovevo ammettere di esserne rimasta piacevolmente sorpresa. 
Li asciugai in fretta e furia, temendo di essere in ritardo sulla tabella di marcia, e sospirai angosciata. Poche ore e sarei salita sul bus che mi avrebbe scortata fino alla mia nuova scuola. 
Potevo farcela, sarei riuscita a fare amicizia e sarei tornata a casa col sorriso. Sarebbe stato sufficiente essere me stessa e... e cercare di non risultare antipatica o cadere dalle scale o sbattere da qualche parte. 
Inosservata, ma visibilmente simpatica. Sarebbe stato quello il mio mantra per il resto della giornata. 





                                                                       *  *  *





Avevo fatto a malapena colazione e di conseguenza avevo ingurgitato la mia pasticca per gli attacchi di panico quasi a stomaco vuoto. 
Io ed il mio simpatico organo eravamo troppo tesi per riuscire a buttare giù qualcosa di commestibile. 
Anche se mio fratello maggiore Cameron non aveva fatto altro che pressarmi a mangiare, alla fine si era dovuto arrendere pure lui. Lo sapeva che quando ero agitata non riuscivo proprio a farcela. 
Quel che sicuramente era certo era che appena mi fossi calmata mi sarebbe venuta una fame tale da trasformarmi in una cannibale. Per non parlare dei simpatici lamenti e ringhi che il mio stomaco avrebbe fatto espandere per le aule come saluto ai miei nuovi compagni di corsi. 
Inosservata, ma visibilmente simpatica. Certo, come no. 
I miei genitori, purtroppo, essendo medici e lavorando assiduamente, quella mattina non mi avevano potuta aiutare nella titanica impresa di tranquillizzarmi. Ne avrei avuto un estremo bisogno, sebbene sapessi che non sarebbe servito a molto. In compenso mi avevano augurato buona fortuna la sera precedente, poco prima che andassi a dormire. 
In un certo senso andava bene così. In quel momento, mentre ero piazzata alla fermata del bus ed il sole picchiava dritto sulla mia faccia, avrei avuto soltanto bisogno di un'amica. Ecco, quella sarebbe riuscita in parte a calmarmi. 
Lanciai un'occhiata distratta al mio orologio da polso. Il bus, se non avevo calcolato male, sarebbe dovuto arrivare dopo qualche minuto. Nel frattempo avrei provato a bearmi del calore degli scottanti raggi estivi sulla pelle. 
Neanche un minuto più tardi mi sentivo andare a fuoco. Fui costretta a rintanarmi all'ombra come una marmotta che tenta di scappare da un'aquila. 
Non sapevo se avessi fatto la scelta giusta, sempre che ce ne fosse stata una, ma per quel primo giorno avevo optato per una semplice maglietta grigia a mezze maniche, un po' larga, con la simpatica scritta "troublemaker", degli attillati pantaloni neri e delle Converse nere, per non parlare del mio zaino nero della Eastpak. Insomma, mi pareva di essere abbastanza colorata. Probabilmente sarei subito stata presa per un'emo o per una punkettara, ma non importava. Vestirmi con abiti colorati non avrebbe rispecchiato il mio umore da condannata a morte. 
Appena scorsi spuntare il tipico pulmino giallo, il mio cuore cominciò a dimenarsi impazzito. Mio Dio, sarei morta di crepacuore ancor prima di metterci piede sopra. E se avessi iniziato a sudare e di conseguenza a puzzare? 
Non ebbi modo di darmi una risposta perché quella scatoletta di latta mi raggiunse in quattro e quattr'otto.
L'autista aprì le porte del veicolo ed immediatamente venni travolta da una miriade di schiamazzi simili a versi di pterodattili.  
Con la coda dell'occhio vidi un sacco di giovani teste voltarsi per guardarmi attraverso il finestrino. Che situazione imbarazzante. Odiavo essere fissata come una cavia da laboratorio. Quelle simpatiche testoline non avevano mai visto un essere umano tutto vestito di nero, con una faccia da zombie e l'andatura di un carcerato? La cosa mi meravigliava alquanto. 
Strinsi una spallina dello zaino in una mano e mi feci coraggio, salendo il primo gradino del mezzo e cercando di mostrarmi sicura di me. 
Quando varcai il corridoio del bus evitai d'incontrare gli occhi di chi mi osservava e mi concentri sulla ricerca di un posto libero. 
Fortunatamente ne trovai subito uno, o meglio due, in seconda fila, così mi ci fiondai con un aggraziato scatto da pantegana, come se da un secondo all'altro avessero potuto portarmeli via. 
Mi accomodai dal lato del finestrino e sospirai già più rilassata. Il primo ostacolo l'avevo superato, adesso non rimaneva che... be', tutta la giornata. 
Potevo farcela. Ormai ci ero dentro e non potevo tirarmi indietro, sarebbe stato ridicolo.  
Per tutto il viaggio non feci altro che tenere lo sguardo fisso fuori dal finestrino. E forse non ero quello il modo migliore per fare nuove amicizie, ma non avrei saputo con chi parlare. Dietro di me, a giudicare dalle voci e dai loro argomenti, si erano piantate due aspiranti cheerleaders che non avevano fatto altro che lamentarsi per non aver trovato dei posti in ultima fila accanto al "gran figo e ai suoi amici altrettanto fighi". Testuali parole, talmente profonde da aver toccato le corde del mio cuore. 
Davanti a me, invece, erano sedute due ragazze che si apprestavano ad iniziare il terzo anno. Avevo sentito soltanto qualche discorso riguardante i vari professori, poi avevano cominciato a raccontare le loro estati all'insegna del divertimento e della baldoria. Solo le mie estati erano tranquille e prive di azione? A sentire le loro, la domanda mi era sorta spontanea. 
Per il restante tragitto continuai ad origliare le conversazioni delle simpatiche tizie che mi circondavano. Perlomeno mi erano utili a non farmi focalizzare sulla mia ansia. 
Quando il bus parcheggiò e spalancò le porte, acciuffai il mio zaino e mi catapultai al di fuori, evitando così di rimanere imbottigliata nella ressa di scimmie che spintonavano come se avessero avuto furia di raggiungere quella specie di carcere. 
Dopo circa cinque metri arrestai il passo e mi soffermai ad ammirare l'edificio in mattoncini rossi che si stendeva oltre un grande giardino curato ricco di alberi e vialetti che conducevano all'ingresso della scuola. Distesi all'ombra o con la schiena contro i tronchi, vidi un sacco di studenti rilassarsi e chiacchierare tra loro. 
E nel ritrovarmi davanti a quel tipo di pacifica atmosfera, invece che sentirmi intimorita, mi sentii improvvisamente immersa anch'io nella tranquillità. 
Alzai la testa ed osservai incuriosita lo stemma della mia nuova scuola. 
<< Chiedi aiuto alla Madonna? >> mi canzonò una voce maschile dalle spalle. 
Mi voltai a guardare il prioritario della bocca da cui era uscita quella simpatica insinuazione ed i miei glaciali occhi azzurri si schiantarono su un paio di beffardi occhi castani. Ma non solo, perché dietro a quell'animale dalle fattezze umane si trovavano altri tre ragazzi alti più o meno quanto lui. 
Lanciai un'occhiata indagatrice a tutti ed infine tornai a concentrarmi sul presunto boss dai capelli castano chiaro e dai tratti del viso delicati, ma al contempo decisi. Avrei osato dire quasi affascinanti. 
<< Come, scusa? >> domandai battendo le ciglia e cercando di apparire più pacifica possibile. Magari avevo soltanto sentito male, non era necessario che gli augurassi una peste bubbonica immediata.
Al contrario delle mie previsioni, il tipo si aprì in un sorrisetto carico di divertimento e derisione. Volse la testa verso i suoi amici e li guardò come se mentalmente stesse loro dicendo: "una povera sfigata". 
Sollevai un sopracciglio infastidita e strinsi la spallina dello zaino. << Be', mentre tu cerchi di mettere insieme tre parole per darmi una risposta, io mi avvio >> tagliai corto con un tono profondamente schernente. 
Ruotai le suole delle mie scarpe sul vialetto ciottoloso e ricominciai a camminare verso l'entrata. Non sapevo perché, ma mi sembrava di avvertire un paio di occhi castani trafiggermi la schiena. 
Quella giornata stava iniziando nel migliore dei modi ed il mio mantra era già andato a farsi benedire. 
Inosservata, ma visibilmente simpatica. Come no, più facile a dirsi che a farsi.





                                                                      *  *  * 





Dopo aver preso il foglio su cui erano elencate le mie lezioni, i vari orari, il numero del mio armadietto ed il regolamento della scuola, misi finalmente piede in aula. 
Non appena entrai, notai che alcuni studenti avevano già preso posto ai piccoli banchi dalla lucida superficie verde acqua. Senza soffermarmi troppo ad osservarli, imboccai uno tra i quattro stretti corridoi tra le file e lanciai occhiate ad alcuni tavolini liberi. 
La scelta era ardua. Quale sedia avrebbe avuto l'onore di sorreggere il mio regale didietro? 
Stranamente mi fece simpatia un banco in penultima fila. Non aveva niente di particolare rispetto agli altri, ma il mio cervello si era fissato che sarebbe stato quello il fortunato. Mi sedetti con cautela, evitando di fare troppo rumore per non attirare gli occhi degli altri addosso, ed appoggiai la cartella sul pavimento apparentemente pulito. 
Mi guardai attorno incuriosita ed osservai le nuche dei miei compagni di corso. 
Da quella visuale mi risultava piuttosto difficile farmi un'idea o esprimere un giudizio su ciascuno dei presenti. Ma non avevo nemmeno intenzione di cambiare posto solo per studiare le loro facce. Al novantanove percento delle probabilità sarei passata per pazza. 
Sospirai e spiegai il foglio con gli orari per leggerlo con attenzione. 
Tra una lezione e l'altra avevamo dieci minuti di pausa, e sapevo già che li avrei spesi per prendere i libri dall'armadietto ed andare in bagno. Alla seconda ora di quel giorno avevo storia americana, che sarebbe potuta essere estremamente noiosa come anche meravigliosamente interessante. Tutto stava nelle mani del professore. 
Avevo sempre ritenuto che la storia di per sé fosse bella, ma la differenza la faceva di sicuro il modo in cui il professore la spiegava e la faceva vivere. Non avevo senso elencare una serie di fatti senza la giusta e dovuta enfasi. 
Sentendo dei rumori ed essendo una persona fin troppo curiosa, alzai la testa e guardai in direzione della porta. 
Ed ecco che, grazie alla sfortuna di cui godevo da tempo immemore, i miei occhi atterrarono sul simpatico tizio che poco prima si era fatto beffa di me. E tanto per rincarare la mia dose di sfortuna, notai che non era nemmeno solo, ma possedeva un fedele seguace al suo fianco. 
Possibile che solo io mi ritrovassi sola come un cane? Tutti sembravano aver già fatto amicizia o conoscersi da tempo immemore. Il mio destino prevedeva forse un'eterna solitudine? Se così fosse stato mi sarei ritirata su una montagna come il Grinch ed avrei spedito maledizioni a destra e a manca. 
Gli occhi dello sfrontato ragazzo incontrarono i miei per una manciata di secondi, prima che io facessi una smorfia sprezzante con la bocca e riportassi l'attenzione sul foglio tra le mani. Di sicuro sarebbe stato lui quello a cui avrei scagliato più maledizioni. 
Evidentemente il fatto di essere stato schifato non gli andò a genio, perché immediatamente dopo avvertii dei passi farsi più vicini e poco più tardi intravidi pure un paio di consumate sneakers che... Oh sì! Sì, perdinci! Mi avevano superata e se ne stavano andando. Una volta ogni tanto anche io avevo qualche colpo... oh mio Dio, no!
Mi ricordai troppo tardi che dietro di me c'era soltanto un banco libero. Perché? Perché diamine mi ero messa in penultima fila? 
Strinsi la carta tra le mani e contrassi la mascella per il nervoso. Dovevo ricordarmi di non affidarmi più alle amicizie che il mio cervello stringeva con i banchi. 
<< Guarda chi si rivede >> sentii pronunciare con un tono divertito dalla bestia alle mie spalle. 
Oh Signore. Ma perché anche agli idioti era stata data la parola? Andava tolta a loro e regalata agli animali, avrebbero sicuramente fatto dei discorsi più intelligenti. 
Alzai gli occhi al cielo ed invocai mentalmente pietà per un qualche peccato che con molte probabilità dovevo espiare. 
<< Ehi >> mi chiamò una seconda voce maschile altrettanto derisoria. << Guarda che sta dicendo a te. >>  
Il troglodita alle mie spalle sghignazzò come un celebroleso. << Forse è sorda o non capisce la nostra lingua >> buttò là facendo scoppiare a ridere l'altro cretino con cui condivideva il cervello. 
Che simpaticoni. Fra tutti quelli che avrei potuto beccare il primo giorno di scuola, mi ero imbattuta in due deficienti colossali con la voglia di sfottere. La mia solita sfacciata fortuna. 
Udendo altre risatine da iene e commenti derisori sulla mia persona, sbattei le mani sul banco e mi voltai verso di loro. Ero già giunta al limite della sopportazione. 
Li fulminai con lo sguardo uno dopo l'altro, infine mi soffermai sul boss delle bestie che mi stava osservando con un sorrisetto sfrontato. << Capisco questa lingua più di quanto possa capirla tu >> sputai inferocita, spostando poi la mia furia sul suo amico. << Ah, e per inciso, non ho bisogno che tu faccia da tramite tra me ed il tuo compagno di giochi. Riconosco quando un pallone gonfiato dotato di sola maleducazione mi sta rivolgendo la parola >> conclusi secca, zittendo il tizio dai capelli scuri e gli occhi altrettanto scuri contro cui mi ero scagliata. 
Il troglodita alle mie spalle si accomodò come fosse stato su un'amaca ed adagiò le sue sudicie scarpe sul banco, a pochi centimetri da me. 
Sollevai un sopracciglio e squadrai infastidita le suole delle sue sneakers, poi, lentamente, portai i miei fumanti occhi su di lui. 
Lo stupido ragazzo se ne stava con le braccia incrociate sul petto in una posa disinvolta, mentre sul suo viso da rubacuori era stampato un sorrisetto provocatorio. 
Ero pericolosamente tentata di alzarmi, prendere il banco e rovesciarglielo addosso. 
<< Pallone gonfiato dotato di sola maleducazione? >> ripeté con un tono beffardo. << Che brutta opinione che hai di me >> aggiunse fintamente affranto. 
<< E non credo cambierà, perciò non ti sforzare nemmeno di rimediare >> asserii aprendomi in un falso sorriso carico di pungente ironia. << Potresti solo peggiorare le cose. >>
Ruotò la testa verso il suo amico ed entrambi si sorrisero complici. << Sentito, Kevin? >> gli disse con un sfumatura derisoria capace di mandarmi il sangue al cervello. << Non vuole diventare nostra amica. >> 
In quel momento, mentre ero intenta ad incenerire con un'occhiata quelle due fecce immonde, percepii un certo silenzio in aula. Ed infatti quando mi voltai notai che il professore aveva appena fatto il suo ingresso nella stanza.
Rivolsi tutta la mia attenzione sull'uomo alto e barbuto che da quell'istante sarebbe divenuto il mio insegnante di calcolo e provai a non considerare i due primitivi dietro di me. Anzi, speravo che l'attaccapanni in alluminio attaccato alla parete si staccasse e cascasse sulle loro teste vuote. Ero sicura che per tutta la scuola si sarebbe propagato uno stupendo rimbombo. 
Il professore sorrise benevolo e si presentò in fretta, per poi passare a parlare in linee generali del programma che avremmo affrontato insieme a lui nel corso dell'anno. Seguii con attenzione ogni sua parola, cercando di annotare mentalmente qualsiasi informazione utile. Almeno fino a quando il mio infallibile udito da pipistrello non captò dei movimenti sospetti alle mie spalle. 
<< La ragazzina ha i gusti difficili, forse non siamo all'altezza dei suoi standard per esserle amici >> insinuò il tizio deplorevole di nome Kevin. Cos'aveva avuto il coraggio di dire, quel cretino?
Mi voltai di scatto e ridussi gli occhi a due fessure. << Ragazzina? Oh, perché tu quanti anni avresti, grand'uomo? >> sibilai a bassa voce per non farmi sentire dall'insegnante. 
Quanto avrei voluto spaccargli la faccia a furia di librate. Osava chiamarmi ragazzina quando lui stesso aveva la mia età. Già quel dettaglio denotava quanto poco intelligente fosse. 
<< Sbaglio o è maleducazione origliare i discorsi altrui? >> s'intromise l'animale fomentatore della mia ira, rivolgendomi uno sguardo da sapientino beffardo. << Fino a prova contraria, senza considerare il fatto che il Galateo è dalla mia parte, tra noi sei tu la maleducata >> concluse sollevando un sopracciglio, per poi pennellarsi un sorriso da schiaffi. 
Strinsi le mani in due pugni per trattenermi dal mettergliele attorno al collo e gli restituii uno sguardo di sfida. << Scommetto che non sai nemmeno cosa sia il Galateo. >> 
<< Potrei sorprenderti >> ribatte sicuro di sé. 
Spalancai le braccia in un gesto eloquente. << Illuminami. >> 
Ma chi si credeva di essere? Avrebbe dovuto guardarsi di meno allo specchio ed usare di più il cervello. Non riuscivo a decidere chi fosse più stupido tra lui ed il suo cagnolino. 
Abbassò di poco la testa e si sedette composto sulla sedia, successivamente riportò i suoi ambrati occhi nei miei e mi osservò di sottecchi con un odioso sorrisetto divertito. << Come vuoi >> acconsentì. Se credeva d'intimorirmi con la sua brutta copia dello sguardo di Edward Cullen si sbagliava di grosso. << La prima regola è: non giocare col fuoco >> sussurrò prima di piegarsi per prendere un paio di libri dal suo zaino consunto e sgualcito. Li posizionò sul banco sotto il mio sguardo carico di scetticismo e sul suo volto apparve un ghigno quasi diabolico. << Perché prima o poi ti bruci >> sibilò con misurata lentezza. Il resto avvenne ad una tale velocità da lasciarmi stordita. 
Non sapevo perché e non mi spiegavo come potesse essere successo, ma un attimo dopo avevo gli occhi dell'intera classe piantati addosso, i libri del troglodita erano per terra e la mia mano si trovava sul banco del cretino. 
<< Perché lo hai fatto? >> esclamò con teatrale stupore, il maledetto. Spalancò le braccia e si sollevò sulle gambe posteriori della sedia, restando in equilibrio purtroppo. 
Per una decina di secondi rimasi boccheggiante dinanzi a quell'accusa ingiustificata, non riuscivo ancora a capacitarmi di cosa fosse successo. Fortuna che il mio cervello reagì in fretta, facendomi chiudere la bocca e schiarendomi la questione.
<< Cosa? >> sbottai riducendo gli occhi a due fissare per fulminarlo. << Sei stato tu! Hai fatto tutto da solo per poi scaricare la colpa su di me! >> 
<< Questa è bella >> s'intromise il suo amico, o meglio, complice. << Ti ho vista lanciargli i libri con questi occhi >> dichiarò con un tono di denuncia, indicandosi i globi oculari. 
<< Allora dovresti andare dall'oculista >> ribattei secca. 
<< Che sta succedendo qua? >> La voce del professore mi fece sobbalzare sul posto. Mio Dio. Mi ero praticamente scordata di dove fossi. Alzai il mio sguardo implorante su di lui e mi morsi un labbro.
<< Non ho fatto nulla, glielo giuro >> affermai portandomi le mani sul petto. Non poteva non credermi. Non avevo una faccia da criminale come quella bestia immonda dietro di me. 
<< Non solo mi butti i libri a terra per ripicca, in più giuri il falso? >> mi canzonò il suddetto malvivente. << Scandaloso >> aggiunse scuotendo la testa con un'espressione indignata che riuscivo a scorgere attraverso la coda dell'occhio. 
Prima o poi quella testa gliel'avrei staccata a morsi. Stupido essere senza educazione.
Ignorai le sue inutili parole e congiunsi le mani per poi rivolgermi all'insegnante. << Non ho fatto niente di tutto ciò di cui vengo accusata. Mi creda, la prego. >> 
Lui esaminò il mio sguardo supplichevole e subito dopo sospirò. Sentivo di averlo in pugno, non poteva non provare pietà per la mia situazione disperata. << Signorina... >>
<< Anderson. Sarah Anderson >> mi presentai frettolosamente. 
Il professore annuì distrattamente. << Signorina Anderson, parlando in termini giuridici tutte le prove vertono contro di lei. Cosa dovrei pensare? >> 
Sgranai gli occhi e per un attimo mi ritrovai a boccheggiare basita. Si era bevuto il cervello quell'uomo? << Ma è stato lui >> insistetti indicando con un braccio il criminale che stava bellamente ghignando. Mi girai a guardarlo e per poco non gli misi le mani intorno al collo. << Diglielo! >> sbraitai furiosa. 
Le opzioni erano due: o si decideva a parlare o gli avrei fatto sputare le parole a furia di calci nello stomaco. 
Sollevò il suo maledetto sopracciglio ed incrociò le braccia sul petto muscoloso. << Cosa dovrei dire? I miei libri sono finiti per terra, la tua mano era sul mio banco e persino... >> Corrugò la fronte e dirottò lo sguardo sul suo amico. << Scusa, come ti chiami? >> gli chiese rischiando di farmi cadere il mento a terra. Quel demoniaco ragazzo ne sapeva una più del diavolo. 
<< Kevin Torn >> si presentò il subdolo complice. 
<< Ecco >> asserì il troglodita, tornando su di me con una scrollata di spalle. << Persino Kevin ti ha vista. >> Poi sollevò il capo e si focalizzò sul professore. << Non bastano queste prove? >> 
L'insegnante sospirò seccato e mosse un braccio per indicarmi la porta. << Le chiedo di uscire e non rientrare per il resto dell'ora, signorina Anderson. La prossima volta sono sicuro che rifletterà molto più a lungo prima di comportarsi come ha fatto oggi. >> 
Quelli erano un branco di pazzi! Come poteva un insegnante farsi dire cosa fare da una mezza cartuccia con una faccia da schiaffi come quel demonio? Ero a dir poco basita.
Mi morsi l'interno guancia per la rabbia e, cercando di sfoderare l'ultimo briciolo di orgoglio rimastomi, raccolsi silenziosamente la mia roba e mi recai a testa alta fuori dall'aula. 





                                                                        *  *  *





Qual era il mio mantra? Oh, certo. Inosservata, ma visibilmente simpatica. Peccato che poi fosse spuntato dal sottosuolo un deplorevole essere che aveva deciso di rendermi quella giornata, e probabilmente anche le successive, un inferno. 
Ed in quel preciso momento ero fuori dalla mia classe, a scontare una pena ingiusta e priva di senso. 
Controllai il mio orologio ed arricciai le labbra mentre contavo i secondi che mi separavano dal mettere le mani addosso a quella feccia. Eccome se gliele avrei messe! Ancora pochi secondi e lo avrei fatto tornare a casa con la faccia gonfia e le braccia al posto delle gambe. 
La campanella suonò nell'esatto istante in cui il mio countdown mentale proclamò il numero zero con tanto di "gong". Per precauzione mi sgranchii le dita delle mani e stiracchiai le altre parti del corpo. 
Un fiume di gente cominciò a riversarsi nel corridoio, alimentando la mia rabbia per non aver cominciato col piede giusto come tutti gli altri. 
E poi, mentre il mio sguardo da killer era collocato sulla porta dell'aula, lo vidi. 
Stava ridendo, lo scemo. Be', avrebbe smesso di farlo molto presto. 
Con la rapidità di una gazzella e la grazia di un facocero percorsi il breve tragitto che ci divideva. Mi sembrava di vedere rosso e sentire la testa fumare tant'ero infuriata. << Tu >> esordii, compiendo gli ultimi passi. 
Il mentecatto si girò a guardarmi insieme al suo amico altrettanto cretino e sorrise divertito. << Te la sei spassata qua fuori? >> osò domandarmi con la sua schifosissima ironia.  
Agguantai la sua camicia e lo spinsi debolmente contro il muro, invece di sbattercelo come avrei voluto. La mia forza era davvero deplorevole, mi sarei dovuta iscrivere in una qualche palestra per sollevare pesi e diventare Maciste due la vendetta. << Lurido verme che non sei altro >> ringhiai vicina al suo viso. << Per colpa tua il mio primo giorno di scuola sta andando a farsi benedire. Chi ti credi di essere, eh? >> sbraitai strattonandolo come un'isterica. 
<< Oh oh, la ragazzina è nervosa >> commentò il suo stupido amico. A lui avrei pensato a tempo debito. Avevo in mente una succulenta tortura per quella feccia. 
Il re degli idioti, invece, sorrise sfrontato e sollevò un sopracciglio. << Ti conviene lasciarmi andare, potrebbe passare qualche professore e... sai com'è, non mi ci vorrebbe niente a sfoderare di nuovo le mie doti di attore >> affermò divertito, dopodiché mi afferrò il polso e si abbassò su di me senza mai allontanare i suoi occhi dai miei. Deviò verso il mio orecchio ed avvertii il suo respiro fresco contro il collo, segno inequivocabile che stava ghignando. << Ricordati la prima regola del Galateo, può esserti utile >> sussurrò intimidatorio. Credeva davvero di potermi far paura? Che cretino.
Mi ritrassi schifata e lo squadrai con uno sguardo di sfida. << È una minaccia? >> 
<< Forse >> replicò con quel suo tipico sorrisetto da schiaffi. 
<< Allora tu ricorda questo >> pronunciai avvicinandomi appena per guardarlo dritto nei suoi attenti occhi ambrati. << Se il fuoco brucia, il ghiaccio congela >> sibilai con fermezza. 
Il suo sorrisetto sfrontato si allargò. << È una minaccia? >> 
Scrollai le spalle e stavolta fui io a dipingermi un sorriso beffardo sul viso. << Forse. >> 
E detto ciò, diedi loro le spalle e mi diressi verso la nuova lezione con una sensazione di vittoria condensata nello stomaco. 
Da quel momento in poi il mio mantra sarebbe stato un altro, non più uno remissivo. Ma uno decisamente più battagliero. 
Perché quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.










Angolo autrice:


Come avrete letto dalla descrizione di "The Origins", questo progetto ha il compito di mettere luce sul rapporto di solo odio che David e Sarah avevano prima che tutto si evolvesse in "Keep Your Eyes Open". 
Spero con tuuuuutto il cuore di strapparvi un sorriso o una risata e anche di permettervi di conoscere in tutto e per tutto questi due fanciulli.  *_* 
Inoltre volevo aggiungere, per chi non facesse parte del gruppo Facebook, che i capitoli di questa raccolta non saranno necessariamente collegati tra loro e che non usciranno con puntualità ogni settimana. 
Ah, ultimissima cosa! Per chi mi seguisse su Wattpad e si stesse chiedendo perché ho cancellato KYEO tra le storie pubblicate, vi dico subito che ho in mente un altro progetto. Questo 2016 è iniziato bene devo dire ahahah. 
Bando alle ciance, il progetto è quello di riscriverla tutta al passato remoto e migliorarla da una punto di vista sintattico, formale, grammaticale e chi più ne ha più ne metta. 
Prevedo un lavoro colossale -.- ma quando sarà pronta, sono sicura che sarò finalmente orgogliosa di farvela leggere come meritate di leggerla: in modo fluido, senza errori e con maggior trasporto. 
Ah, ed un'altra cosa ahahah. Sì lo so, non me ne vado più ahahah. 
Ma ci tenevo a ringraziare una ragazza, Marta, che mi ha dato quest'idea di "The Origins" in forma di raccolta che personalmente amo. GRAZIE ANCORA!!! <3 
Ok, ho finito davvero adesso *faccia da angioletto*
Un bacione a tutte e GRAZIE DI TUTTO! <3 






























































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Capitolo 2
*** La goccia che ha fatto traboccare il vaso ***


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La goccia che ha fatto traboccare il vaso



















Mi ero alzata col piede sbagliato e la luna decisamente storta. 
Il giorno prima non me n'era andata bene nemmeno una per colpa di un grandissimo idiota che si era divertito a rendermi difficile persino andare al bagno. 
David Trent. Il più grande imbecille nella storia degli imbecilli. 
Lo conoscevo da quanto? Due settimane? Forse qualcosa di più, ma ciò non raffigurava un valido motivo per infastidirmi quotidianamente. 
Non ci piacevamo e se fossimo stati rinchiusi in una stanza molto probabilmente ci saremmo scannati, ma la mia tattica era molto semplice: evitarlo come la peste. Ovviamente la sua era molto distante da quella da me adottata. Lui non aveva intenzione di evitarmi, bensì di condannarmi ad una vita scolastica d'inferno. La cosa lo faceva sentire in pace col mondo e con se stesso evidentemente. Mi chiedevo come riuscisse ad addormentarsi con la coscienza sporca che si ritrovava. 
Ogni santissimo giorno dal nostro primo dannato incontro, il cretino metteva a punto un articolato sistema di scherzi cattivi, trabocchetti, dispetti e prese in giro contro la sottoscritta. Il giorno prima, ad esempio, mi aveva beccata in piena faccia con quella sua stupida palla da football. Lo aveva fatto apposta, non era stata una sfortunata coincidenza. Non a caso un secondo prima di voltarmi a parlare con la mia nuova amica Clarice, gli avevo visto il pallone sottobraccio. 
L'idiota mi aveva colpita così forte da farmi volare distesa per terra con una conseguente spedizione in infermeria per tamponare il sangue dal naso. A risentirne era stato anche il mio povero sedere, non abituato ad ammortizzare dei tonfi tanto violenti. Per le successive ore ero stata costretta a camminare con le gambe divaricate e l'andatura di un bradipo. Il deficiente se l'era risa di gusto insieme ai suoi amici scimmioni fino a fine giornata, indicandomi ogni qual volta gli passassi davanti. 
Se credeva che mi sarei tramutata nello zimbello del Manhattan College si sbagliava di grosso. 
Quel giorno ero più che decisa a fargliela pagare. Non me ne fregava nulla della civiltà e della sana educazione. Quell'essere spregevole me l'aveva fatta calpestare e successivamente gettare nel gabinetto. Voleva la guerra? Guerra sarebbe stata. Si era messo contro la persona sbagliata, gli avrei fatto vedere i cosiddetti sorci verdi.
Salii sul pulmino giallo ardente di rabbia. Lo sguardo mi saettò, quasi fuori dal mio controllo, fino all'ultima fila di divanetti. Ed ecco che in mezzo agli altri scimmioni con cui condivideva i neuroni, svettava il capo gorilla in tutta la sua sfrontata arroganza. 
Strinsi le mani a pugno ed inspirai a fondo per dare un freno alla mia irresistibile voglia di caricare contro di lui e spaccargli il naso. Perciò mi limitai a percorrere il corridoio con una postura fiera in direzione del posto che Clarice mi riservava quotidianamente. 
<< Ma guarda chi c'è. >> La sua voce derisoria ed impertinente raggiunse le mie sensibili orecchie, infastidendole. << Pensavo che oggi saresti stata a farti ricostruire il naso. >> 
Gli scimmioni accanto a lui scoppiarono a ridere come dei celebrolesi fomentando la mia ira. Ma non dovevo cedere, non in quel momento. 
Nonostante l'immane sforzo che stavo compiendo, costrinsi i miei piedi a fermarsi in prossimità del mio sedile. Sorrisi a Clarice e la salutai con un gesto della mano prima di sedermi con cautela. 
<< Come stai? >> mi domandò indicando il mio regale didietro. << Ieri hai fatto un gran bel volo. >> 
Sospirai nel tentativo di smorzare la rabbia che mi provocava il ricordo e mi strinsi nelle spalle. << Oggi meglio, ma mi fa ancora un po' male a sedermi o piegarmi >> ammisi sconsolata. << Ieri sera l'ho passata a spalmarmi una puzzolente ed appiccicosa pomata su tutto il sedere. Non puoi immaginarti la gioia nel momento in cui le mutande mi aderivano come una seconda pelle. >> Alzai gli occhi al cielo e scossi appena la testa. Quell'esperienza traumatica mi avrebbe segnata a vita. 
Nonostante la disperazione, la risata ilare di Clar mi strappò un sorriso. Mi girai per guardarla e scorsi un luccichio divertito nelle sue iridi scure. 
<< Almeno tu non dovresti ridere delle mie disgrazie >> la ripresi scherzosamente. 
<< Sì, lo so, però... >> Le sue parole furono interrotte da un'altra risata che cercò di coprire con una mano davanti alla bocca. << Insomma, voglio dire, non riesco a trattenermi se penso che le mutande... >> Ottimo. La mia amica rideva di me e delle mie mutande senza un briciolo di tatto. E non riusciva nemmeno a mantenere un contegno dal momento che si stava sbellicando con tanto di lacrime.  
<< Be', perché non conosci i retroscena >> buttai là stuzzicando la sua curiosità. 
Spalancò subito gli occhi e mi fissò con aspettativa. << Oddio ti prego, dimmene almeno uno. Giuro che poi non riderò più. >> 
Frapposi una mano fra di noi e le rivolsi un'occhiata ammonitrice. << Aspetta a dirlo. Sono sicura che appena ti avrò confessato che per evitare che le mutande mi si incollassero addosso avevo avuto la geniale idea di sventolarmi il sedere con un asciughino, non riuscirai a... >> L'acuto da topo che le uscì dalla bocca ed il piccolo saltello che fece sul sedile prima di esplodere in una risata da pazza, mi fecero sgranare gli occhi basita. Ma eravamo sicuri che quella fosse la stessa ragazza pacata e moderata che avevo conosciuto io? Com'era stato possibile che in così poco tempo le avessi fatto perdere il lume della ragione? 
Per tutto il restante tragitto, la mia amica non smise di svuotarsi i polmoni a furia di risate. Ogni qual volta sembrava calmarsi, le bastava puntare gli occhi su di me per ricominciare a sbellicarsi. Se avessi avuto un cetriolo sulla fronte avrebbe riso meno, ne ero sicura. Evidentemente il suo punto debole erano le mutande, bastava che le si parlasse di quelle per farle perdere la testa. Dovevo segnarmelo: mai più nominare quella parola. 
Quando il pulmino arrestò la corsa davanti alla scuola, mi alzai dal posto per infiltrarmi nel trenino umano. Clar si apprestò a raccogliere il suo zaino da terra e, tra uno scatto di ridarella e l'altro, si posizionò dietro di me in attesa che io m'immettessi nella fila. 
Il deficiente lo vidi avvicinarsi con la coda dell'occhio. Avrei aspettato il momento più propizio per tagliargli la strada e magari pestargli un piede. Non che quello screzio mi bastasse come vendetta, ma era pur sempre un buon inizio. 
Appena fu vicino, senza degnarlo di uno sguardo...
<< Ecco naso storto. >> Che cos'aveva osato far uscire da quel forno? Piccolo demente con fattezze di fagiano, come si permetteva di offendere il mio nasino? 
Con un scatto fulmineo gli sbarrai il passaggio e mossi un gomito all'indietro, colpendolo nel fianco. Sentii lo stupendo suono del suo lamento strozzato riempirmi le orecchie. Oh, quella sì che era musica celestiale. Avrei dovuto registrarla e metterla come suoneria dei messaggi. 
<< Raddrizza la schiena, Trent >> lo canzonai lanciandogli un'occhiata beffarda. 
I suoi occhi si mossero rapidi fino ad incontrare i miei. A giudicare dal modo in cui erano arcuate le sue sopracciglia e dalla forza penetrante del suo sguardo, lo scimmione era arrabbiato. Molto arrabbiato. E a me quanto fregava della cosa? Meno di zero, esattamente. 
Tornai a rivolgergli le spalle con una piacevole sensazione di soddisfazione nello stomaco. Era quello ciò di cui necessitavo per raggiungere la mia pace interiore. Restituirgli pan per focaccia, oltre che picchiarlo, era diventato il mio cibo quotidiano. 
La fila man mano scorreva con flemma. Non avevo mai capito il perché di quella lentezza, neanche ci fossero stati dei lavori in corso o un restringimento di carreggiata. Insomma, quei bradipi dovevano solo procedere dritto e poi scendere tre gradini, cosa accidenti impediva loro di farlo in fretta? 
Improvvisamente il ginocchio destro mi cedette e per riflesso mi aggrappai ai capelli della ragazza davanti, la quale, povera disgraziata, gettò la testa all'indietro ed urlò dal dolore. Ad ogni modo quella chioma da raperonzolo mi aveva salvata da caduta certa. Le ero grata. 
<< Scusami, non volevo >> cercai di rimediare appena la tizia si volse a guardarmi con un'occhiata di fuoco. << Io... >> Un momento. Ma il ginocchio non era ceduto da solo. La rotazione del mio capo fu talmente rapida che per un attimo vidi il re degli scimmioni girare come un fantasma davanti ai miei occhi. Mi ripresi con alcuni battiti di ciglia e dirottai la mia ira su quello spregevole essere. << Tu. Sei stato tu a farmi quasi cadere >> lo accusai con il mio minaccioso dito. << Hai fatto quello stupido giochino del ginocchio su di me. Davvero originale >> commentai con una smorfia. 
Il gorilla aggrottò la fronte e si stampò un'espressione scettica in faccia. << Ma se le sei andata addosso apposta? >> 
<< Ma che cavolo dici? >> sbottai sconvolta. Dopotutto cosa dovevo aspettarmi dal predicatore del falso se non menzogne? 
Mi voltai verso la ragazza e scossi il capo. << Ti prego non dargli retta. È solo un idiota che non sa quello che dice. >> Perché avevo l'impressione che quelle mie parole fossero state vane? La tizia era abbagliata dal deficiente. Lo guardava come fosse stato il sole o una sorta di visione paradisiaca che le stava facendo comprendere quale fosse il suo obiettivo nella vita. 
<< Ah sì? >> intervenne quella specie di attore da quattro soldi. Tornai a concentrarmi su di lui e gli rivolsi uno sguardo raggelante. 
Incrociò le braccia sul petto e sulle sue labbra si pennellò un mezzo sorriso maligno. << Eppure fino a poco fa te e la tua amica non facevate altro che invidiarle i capelli. Che strana coincidenza che tu ti trovassi proprio dietro di lei e che ti sia aggrappata alla sua testa. >> 
<< Invidiarle i capelli? >> ripetei basita. Quel cretino sarebbe stato capace di mandare in galera un'innocente come me con le sue idiozie.
La faccia da schiaffi di Kevin Torn spuntò poco sopra la spalla di Trent. << Sì, ho sentito anche io che ne stavate parlando, specialmente tu, Anderson. >> 
<< Oh, quindi oltre che una visita dall'oculista devi anche farti dare una controllatina all'udito >> ipotizzai con l'acidità che mi traboccava da ogni poro. 
Due contro una, che vigliacchi. Ma non importava, potevano pure essere in dieci, avrei vinto comunque. 
<< Quindi neghi tutto? >> Il capo scimmione sollevò un sopracciglio e mi fissò con malcelato divertimento.
<< Certo che nego. E poi cos'avrei dovuto invidiarle? Sono capelli normalissimi. >> Spostai frettolosamente lo sguardo sulla ragazza e le posai una mano sulla spalla. << Con tutto il rispetto, ovviamente. >> 
Mi stava odiando. Eccome se lo stava facendo. Le sue iridi blu sprizzavano saette di fuoco contro di me come se cercassero d'incenerirmi. 
<< Tu non sei normale >> affermò con un tono di disprezzo. 
Ritrassi il capo e mi portai le mani sui fianchi, evitando di focalizzarmi sulle risate dei due scemi dietro di me. << Qual è il tuo problema? Ti ho chiesto scusa, mica l'ho fatto apposta. Offendere non credo sia la scelta più diplomatica per mettere fine a questa inutile discussione. >> 
<< Hai definito i miei capelli "normalissimi" >> precisò strizzando la bocca risentita. 
<< Be', no, ma io non intendevo che sono banali o non sono belli >> mi corressi in difficoltà. << Stavo solo dicendo che... Insomma, in un certo senso... >> 
<< Sarah, ma che sta succedendo? >> Oh Dio, finalmente una voce amica. 
Mi voltai a guardare Clarice che si stava facendo spazio tra i due cretini per accorrere in mio aiuto. Al suo sguardo interrogativo risposi con uno supplichevole. 
Era tutta colpa di quel deficiente dai capelli sbarazzini se ero finita in quella situazione imbarazzante. 
<< Oh, tu sei l'altra invidiosa >> la appellò la ragazza con una smorfia stizzita. 
La mia amica strinse gli occhi e la guardò come se fosse impazzita. << Come, scusa? >> 
<< Hai sentito benissimo >> ribatté quella vipera. 
Ero giunta al limite della sopportazione. Se non fossi uscita in fretta da quel pulmino avrei rischiato di scoppiare ed incendiare tutto con la mia ira. 
Afferrai Clarice per un polso e piantai gli occhi sull'altezzosa tipa che mi trovavo davanti. << Sai una cosa? Adesso mi hai proprio stufata. Ti ho già fatto le mie scuse, se non hai intenzione di accettarle poco me ne frega. >> La superai trascinandomi dietro la mia amica, ma poco prima di scendere i gradini mi fermai e rivolsi lo sguardo sulla schiena della ragazza. << E comunque, per la cronaca, hai dei capelli normalissimi. Tiratela di meno >> conclusi secca. Lanciai un'occhiata d'odio al babbuino, che nel frattempo sfoggiava un ghigno divertito, ed infine mi decisi ad uscire da quella scatola gialla. 
Mi sistemai lo zaino sulla spalla e sbuffai per allentare lo stress. 
<< La mattinata è cominciata proprio bene >> constatò Clar, dando voce ai miei pensieri. 
Ed il peggio era che mancava ancora molto prima che finisse. 





                                                                       *  *  *





La terza lezione del giorno avevo avuto la sfacciata fortuna di condividerla con la vipera incontrata sul pulmino. E pensare che anche tutti gli altri mercoledì avevo avuto quella lezione in comune con lei. Il fatto che non l'avessi mai notata, denotava quanto fossi attenta agli esseri umani che mi circondavano. Sarebbero potuti essere degli alieni con quattro occhi e due nasi, non me ne sarei accorta. 
Ad ogni modo scoprii come si chiamava: Jessica Wright. Già il nome mi faceva antipatia. L'avrei vista bene accanto all'idiota, sarebbero stati una coppia perfettamente bilanciata. La stupidità di lei sarebbe stata compensata dall'arroganza dell'altro, come anche l'altezzosità dell'una sarebbe stata equilibrata dalla malvagità del celebroleso. Due esseri tanti brutti interiormente non li avevo mai incontrati.  
Ero sicura che se un giorno quei due si fossero messi in società per rovinare le vite altrui, il cielo si sarebbe oscurato ed il male avrebbe annientato il bene. A quel punto gli storici non avrebbero più chiamato solo il Medioevo periodo buio
Quando suonò la campanella che avvertiva dell'inizio della pausa pranzo, mi alzai dal banco e raccolsi i libri. Uscii dall'aula e camminai spedita verso il mio armadietto, cercando di schivare tutti i bovini che correvano in direzione della mensa. Sembrava che non mangiassero da mesi tant'era la foga con cui percorrevano i corridoi. 
Immisi il codice ed aprii lo sportello di latta a cui, internamente, avevo incollato con una gomma da masticare l'orario delle lezioni. Tenevo sempre due foglietti, uno nello zaino e l'altro lì dentro, così avrei potuto impararmelo più in fretta. Clarice aveva adottato il mio stesso metodo, ritenendolo efficace e semplice. 
Sì, ero un genio. 
Sistemai ordinatamente i libri e richiusi l'anta bloccandola col lucchetto. 
Avevo un impellente bisogno di andare in bagno, speravo che non ci fosse la coda o sarei stata costretta ad infiltrarmi in quello dei maschi. Non ne avevo mai avuto il coraggio, ma più volte avevo visto delle ragazze chiedere ai ragazzi di poter entrare. Dopotutto dalla loro parte non c'era mai la fila. 
Raggiunsi la toilette ed entrai soltanto con la testa per osservare quante tipe ci fossero dentro. Fortunatamente solo due. Sarebbe stata una cosa fattibile. 
Mi misi in coda ed aspettai che arrivasse il mio turno. Quando finalmente ebbi la possibilità di entrare, sospirai di gioia. La liberazione era vicina. 
E proprio mentre ero accovacciata nella mia scomoda posizione per non toccare la tazza apparentemente pulita del water, udii dei rumori sospetti provenire dall'anticamera del bagno. Assomigliavano a dei bisbigli, ma non ne ero sicura. 
Mi sforzai per terminare in fretta e furia di fare pipì e sobbalzai nel sentire la porta principale della toilette sbattere pesantemente. 
Ma cosa cavolo stava succedendo? 
Mi risistemai rapidamente e cercai di girare la serratura improvvisamente bloccata. 
Alzai gli occhi al cielo e sbattei un palmo contro il pannello di plastica. << Trent, so che sei tu. Apri questa porta >> comandai seccata. 
<< Anderson, sbaglio o non hai tirato lo sciacquone? Sei così incivile? >> mi canzonò quella testa di carciofo. 
Ed ecco che la rabbia ricominciava ad incendiami le vene. << Qui l'unico incivile sei tu! Apri questa dannata porta o la butto giù! >> sbottai picchiandoci contro un pugno. 
<< Sono curioso di vedertela sfondare. >> La sua risatina schernente mi penetrò le orecchie come degli spilli. Ero sul punto di staccare quella dannata porta dai cardini e sbattergliela in faccia a ripetizione. 
Sbuffai furiosa. << Il tuo braccio destro dove l'hai lasciato? Anzi no, fammi indovinare, è fuori dal bagno a controllare che nessuno entri >> sibilai con gli occhi ridotti a due fessure. Ci avrei messo la mano sul fuoco che fosse come avevo detto. Era sempre così: lui mi rendeva la vita un inferno e quell'altro demente si assicurava che nessuno si frapponesse fra il suo piano malefico e me. 
<< Ci stai facendo il callo, noto >> mi beffeggiò quella pustola immonda. << Perciò dovresti anche sapere che non ti aprirò mai la porta. >> Certo che lo sapevo.
<< La speranza che tu possieda un briciolo di coscienza è l'ultima a morire >> sputai con disprezzo. Ma cosa volevo sperare? Quell'infido essere non sapeva neanche cosa volesse dire la parola umanità. 
In preda alla rabbia e alla frustrazione allungai il braccio per tirare la cordicella dello sciacquone. Istantaneamente il demente scoppiò a ridere. 
<< Ti diverte così tanto il rumore dello scarico? >> soffiai acida. << Perché non cominci a passare tutta la giornata attaccato alla tazza se la cosa ti fa sbellicare a tal punto? >> 
In risposta ottenni soltanto risate strozzate. E per più di un attimo sperai che ne rimanesse soffocato. 
Poi, quando sentii qualcosa ribollire nel water, la mia testa si voltò a rallentatore verso quel rumore minaccioso. C'era qualcosa di conficcato sul fondo. Un rotolo intero di carta igienica? Come cavolo ci era finito? E perché avevo un brutto presentimento? 
Oh Cristo! 
L'acqua stava risalendo rapidamente fino a...
<< Oh mio Dio! >> gridai schiacciandomi contro la porta. Era straboccata e si stava riversando sul pavimento in direzione delle mie scarpe nuove di zecca. No no, le scarpe di tela no. Tutto, ma non quelle.
Iniziai a saltellare sul posto in un disperato quanto vano tentativo di non bagnarmele. Appena sentii quell'acqua putrida entrarmi nelle suole ed inzupparmi i calzini, rabbrividii inorridita. Mio Dio, si trovava pure la mia pipì in quella cascata puzzolente. 
<< Apri questa schifosissima porta! >> strillai battendoci più colpi a ripetizione. << Trent giuro che ti spacco la faccia se non mi liberi di qui! >> 
<< Per un po' d'acqua? Aspetta che arrivi roba solida prima di minacciare >> sghignazzò da un altro punto del bagno. Probabilmente il maledetto si era seduto sopra il lavandino. Quanto avrei voluto uscire dalla mia trappola ed usarlo come mocio umano.
Aspetta. Cos'aveva detto? 
Sgranai gli occhi e cercai di fondermi con la porta. << Quale roba solida? >> domandai terrorizzata. 
Oh mio Dio, no. Già la vedevo. Una massa informe di roba marrone e rivoltante stava avanzando a passo di marcia contro di me. 
<< Oh Gesù! Gesù! >> gridai cercando un appiglio alle pareti. Ma perché il destino doveva essere tanto infame con me? Stavo per essere sommersa da una valanga di letame senza alcuna possibilità di fuga. Ed in più dovevo sorbirmi le risate sguaiate di quel cretino. 
Le dita sudate mi scivolavano in continuazione contro la superficie liscia dei pannelli, facendomi assomigliare ad un gatto isterico. Ma perché proprio a me? Avrei voluto piangere. 
Un rumore ovattato focalizzò la mia attenzione sul water. Scossi la testa a rallentatore mentre la mia bocca si apriva per formare una O perfetta. Sarei stata sommersa. 
Vedevo quell'onda anomala di cacca fetida sovrastarmi col suo puzzo e la sua rapida ascesa. 
No, non potevo morire in quel modo indignitoso. << Fammi uscire! Fammi uscire, sta per straripare tutto! >> strillai con un tono talmente acuto da perforarmi i timpani. 
Troppo tardi. L'esercito di letame iniziò a ricadere sul pavimento e ad avanzare verso le mie scarpe già rovinate dall'acqua putrida. 
<< Trent! >> ringhiai furente. << Tirami fuori di qui! >>
<< Lo farei, ma sai com'è. C'è troppa acqua, non vorrei bagnarmi >> rispose con un tono falsamente dispiaciuto. Lo avrei ucciso tra atroci sofferenze. 
<< Non preoccuparti, c'è così tanta cacca che non ti distingueresti >> sputai acida. << Saresti nel tuo habitat naturale >> aggiunsi mentre osservavo quella schifosa ondata avvicinarsi sempre di più. 
Oddio no, mancava poco prima che mi sommergesse. Ma quanta ne facevano le ragazze? Possibile che non riuscissero a trattenersi per farla nel loro gabinetto? 
Come una pazza in preda alla disperazione iniziai a saltellare per aggrapparmi in cima alla porta. Accidenti alla mia bassezza! Non riuscivo neanche ad andarci vicina. 
Se mi fossi trovata in una qualche storia romantica, un cavaliere valoroso sarebbe sicuramente accorso in mio aiuto. Invece me ne stavo lì a saltare come un gatto sciancato in mezzo ad una mare di sterco. 
<< Porta fortuna, Anderson, guarda il lato positivo >> mi sfotté quell'idiota con una risatina odiosa. 
Non lo ascoltavo nemmeno più. La mia testa si muoveva a scatti tra il flusso inarrestabile di cacca e la porta. Ero spacciata. 
Nel momento in cui percepii qualcosa di consistente e bagnato attraversare i piccoli fori delle mie Converse, rabbrividii nauseata ed alzai gli occhi al cielo in una supplica furente. 
Emisi un ringhio frustrato e mi trattenni dallo scalpitare per evitare che pezzi di quello schifo volassero a destra e a manca. 
<< Eccola che arriva fino a qua con la sua andatura da mietitrice >> commentò lo spacciato. << Anderson, sei tu? >> osò chiedere rivolgendosi a quella massa di sterco. 
Aveva superato il limite. E di molto anche. 
Tremai dalla rabbia e mi distanziai dalla porta per fissarla con uno sguardo inceneritore. Dopodiché alzai una gamba e tirai più calci contro quel maledetto pannello, riuscendo, dopo vari tentativi, a spaccare la serratura. 
Mossi dei lenti passi fuori dal gabinetto per poi dirottare i miei occhi accecati d'ira sul deficiente. Quell'essere infernale se ne stava seduto sul ripiano in mezzo ai lavandini con un ginocchio stretto al petto e la testa appoggiata al muro. 
<< Guarda chi si rivede >> disse mentre un sorrisetto beffardo gli incurvava le labbra. 
Mi precipitai con un passo deciso nella sua direzione fino a stringere le mani attorno ad un suo braccio. << Lo vuoi fare un bagnetto? >> 
<< Perché, non ti è piaciuto il regalo? >> Le sue sopracciglia si sollevarono impertinenti.  
Gli tirai uno strattone talmente forte da fargli perdere l'appiglio ed appoggiare di scatto i piedi per terra, in mezzo all'acqua putrida e alla cacca. << Mi piace condividere >> asserii con un sorrisetto vittorioso mentre i suoi occhi si accendevano di collera. 
Un attimo dopo mi ritrovai con le spalle al muro e la sua figura imponente a precludermi qualsiasi via di fuga. Le sue iridi ambrate ardevano di rabbia, ma poco me ne importava. La mia furia superava di gran lunga la sua. E se pensava che la mia vendetta avesse raggiunto il capolinea si sbagliava di grosso. 
<< Hai scelto di sfidare la persona sbagliata >> mi minacciò con un tono basso. Si distanziò in fretta e mi rivolse un sorriso tanto inquietante quanto cattivo. << Sei ancora troppo pulita, un po' di colore non guasterebbe >> affermò. E prima che riuscissi a capire cos'avesse intenzione di fare, venni letteralmente sommersa da uno schizzo di letame ed acqua. 
Per degli istanti rimasi immobile, sotto shock. Mi sentivo i vestiti, i capelli e la faccia bagnati di... 
Aprii di scatto gli occhi e strinsi i denti provocandomi quasi male alla mandibola. Vedevo rosso. Stavo per trasformarmi in Hulk o in un Sayan di quarto livello. 
Inspirai a fondo per evitare che la vena sulla fronte mi scoppiasse ed infine decisi di restituirgli pan per focaccia. Mossi il piede e gli tirai uno schizzo di quella roba addosso, fortunatamente riuscendo a colpirlo dato che l'idiota, prevedendo la mia mossa, si era spostato fulmineo. 
<< Sei tu che hai scelto di sfidare la persona sbagliata >> soffiai osservando con orgoglio come la cacca gli ricadesse dai capelli. Che opera d'arte che ero stata capace di generare. Me ne compiacevo. 
La sua camminata rapida contro di me mi destò da quei soddisfacenti pensieri facendomi temere che avesse deciso di mettermi le mani addosso. Se così fosse stato sarei stata pronta allo scontro. Gliene avrei date di santa ragione fino a fargli scordare il grande pezzo di cacca che era. 
Sì, mi voleva picchiare, glielo leggevo in faccia. Ottimo. Era giunto il momento di sfoderare la mia arma segreta. 
Appena fu abbastanza vicino caricai il braccio destro e lo scagliai contro il suo naso. Ma che piacevole scricchiolio che avevo udito! Altra musica celestiale per le mie orecchie. 
Lo scimmione si piegò appena su se stesso mentre si copriva il punto colpito con entrambe le mani. << Ma che str... >> 
Gli assestai un altro colpo sulla testa e feci sfumare il suo insulto in un lamento di dolore. Che momento appagante. Finalmente, dopo più di due settimane, riuscivo a sfogare i miei nervi. 
<< Chissà se domani sarai a farti ricostruire il naso >> lo beffeggiai con un'espressione  irrisoria. Detto ciò, e soddisfatta della mia performance, mi diressi alla porta per lasciarmi alle spalle tutto quel mare di sterco, compreso Trent. 
Appoggiai la mano sulla maniglia ed improvvisamente venni strattonata all'indietro per i capelli. Ci mancò poco che non mi si staccassero dalla cute. 
Caddi sul mio traumatizzato sedere e mi immobilizzai schifata non appena le mie mani entrarono in contatto con tutto l'orrore nauseabondo che galleggiava sul pavimento. 
Emisi un ringhio rabbioso e mi rialzai in fretta e furia per scagliarmi di nuovo contro quel maledetto essere. Prima che la mia mano si scontrasse con la sua guancia ed il suo pugno mi arrivasse dritto in faccia, la porta si aprì di colpo. 
<< Ma che sta succedendo qua?! >> strillò una custode, osservando inorridita la scena. 
Trent nascose immediatamente il braccio con cui fino ad un attimo prima mi avrebbe colpita e la sua espressione mutò in una neutra. << È scoppiato il water. Ho sentito urlare e sono entrato per dare una mano. >> Mio Dio, quant'era falso! Proprio uno schifosissimo bugiardo. 
<< Confermi? >> mi domandò la donna. 
Aprii la bocca con l'intento di smentire ogni singola parola e raccontare per filo e per segno com'erano andate le cose, ma poi riflettei sulle conseguenze alla quale sarei andata incontro se fossi stata costretta a dire davvero tutto. In quel tutto erano compresi anche i pugni che avevo tirato al gorilla e l'abbattimento della porta. 
<< Sì >> asserii con uno sguardo deciso. La presidenza era proprio l'ultimo posto in cui avevo intenzione di mettere piede. 
La custode sospirò affranta ed osservò il disastro per terra. Dopodiché tornò a studiarci e ci fece segno di uscire da lì. << Venite, dovete chiamare i vostri genitori per farvi venire a prendere. Non potete stare con questi vestiti. >> 
Le sfilammo accanto come dei cagnolini ubbidienti e la seguimmo allo sportello vicino all'ingresso. O meglio, io la seguii, perché quando la signora si accomodò alla sua sedia guardò oltre le mie spalle spaesata. << Ma dov'è il ragazzo? >> 
Lanciai occhiate attorno a me ed infine scrollai le spalle. Poteva benissimo essere andato a buttarsi da un ponte, la cosa non mi sfiorava di striscio. << Non lo so >> ammisi disinteressata. 
La donna sospirò ancora e scosse il capo. 
<< Posso chiamare? >> domandai cercando di velocizzare i tempi. Non potevo starmene in quelle condizioni, puzzolente e fradicia, mentre lei se ne stava a compiangere quell'anima perduta per strada. Non vedevo l'ora di infilarmi sotto la doccia e ripulirmi da tutto quello schifo. 
Afferrai la cornetta del telefono e composi il numero, memore che mia mamma si trovasse in casa. 
Alla fin fine quella mattinata non era andata male. Nonostante mi fossi rotolata nel letame avevo avuto una piccola rivincita su quel babbuino malefico. 
E non sarebbe finita lì. Ero intenta a collezionarne molte, ma molte altre. 
 










Angolo dell'autrice: 


Buon pomeriggiooooo! 
Prima di tutto voglio ringraziarvi per essere arrivate/i fin qua a leggere! *_*
In seconda istanza spero di avervi strappato un sorriso con questo secondo episodio >.< insomma, me lo auguro davvero. 
Ah, e ci tenevo ad aggiungere che da domani risponderò a tuuuuuutte le recensioni che mi avete lasciato al capitolo di KYMO. *____* 
Per chi si stesse chiedendo quando arriverà il nuovo capitolo di KYMO vi dico che lo pubblicherò domenica prossima XD 
Oggi ho pubblicato questa seconda one-shot per tenervi compagnia durante l'attesa. Spero di esserci riuscita *_*
Ok, bando alle ciance! Vi ringrazio di cuore per tuuuuutto ciò che fate per me!! 
Un bacione gigantesco a todos! <3
A prestooooooo!!! 


Federica~




















































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Capitolo 3
*** Intervista ***


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Intervista







Secondo anno del liceo





Eravamo ad ottobre. Era ormai quasi un mese che facevo parte del club di giornalismo. 
Mi piaceva un sacco stare dietro all'editoria dei giornalini scolastici o correggere le interviste effettuate dai miei colleghi. 
Avevo anche fatto amicizia con un ragazzo molto gentile e disponibile. Timothy. 
Lui era entrato nel club già dal primo anno, perciò si era offerto di farmi da mentore e di aiutarmi in ogni lavoro. 
Era piacevole trascorrere del tempo con lui. Mi faceva ridere, dimostrava sempre di essere ben educato e soprattutto sapeva ascoltare. Una caratteristica non da poco. Lo consideravo un amico importante, uno su cui poter fare affidamento in qualsiasi evenienza. 
Peccato che quel giorno fosse assente e che non potesse essere al mio fianco nell'impresa titanica che mi avevano appioppato senza scrupoli. 
Dovevo intervistare niente poppò di meno che la squadra di football. Mi chiedevo a chi sarebbe interessato leggere un articolo su quelle stupide scimmie da circo. 
Il solo pensiero che in mezzo a quegli obbrobri ci fosse Trent mi faceva venire l'ulcera. 
Purtroppo non mi ero potuta opporre alla schifosa decisione dei miei carissimi colleghi. Quella era la prima intervista che mi permettevano di fare, cos'avrei potuto controbattere? 
C'era da dire che avevano avuto davvero un fiuto infallibile. La squadra di football. Che idea geniale farmi avvicinare a Trent pur sapendo che tutto si sarebbe risolto con manate e pallonate in faccia. 
Era già noto a mezza scuola, se non a tutta, che non potevamo vederci. Non ci voleva un grande intuito a capirlo. 
Ogni volta che c'incontravamo partivano insulti, litigi, urla, prese in giro e molto altro. Non eravamo ancora arrivati alla violenza fisica, ma quel passo sarebbe stato compiuto a breve. Ci mancava davvero poco, specialmente da parte mia. 
Già una volta gli avevo mollato un pugno in piena faccia, speravo di poter replicare. Era il mio sogno nel cassetto. 
Che ragazza romantica che ero. 
Se qualcuno mi avesse chiesto qual era il mio più grande sogno, avrei esibito
un sorriso angelico ed avrei risposto con un laconico: "spaccare la faccia a Trent". 
Ebbene sì, non desideravo altro. 
Forse quel giorno avrei potuto realizzare il mio sogno. Me lo auguravo vivamente. 
<< La squadra in questo momento si trova in palestra >> m'informò Annalise, tenendo il foglio degli orari in mano. Si sistemò gli occhiali sul naso ed alzò lo sguardo. << Bastano dieci domande. >> 
Annuii distratta e mi recai alla porta. La mia pazienza si stava già diluendo per lasciar spazio alla rabbia. Ero sicura che appena avessi messo piede in quella benedetta palestra sarei stata bombardata dalle pallonate. 
<< Ah, Sarah. >> 
Voltai il capo verso Annalise e la fissai inespressiva. 
<< Sii professionale, ne va della nostra reputazione >> mi avvertì con un sorrisetto. 
Razza di cretina. Cosa credeva? Che mi sarei attaccata ai capelli di tutti i giocatori ed avrei scatenato una rissa? Per chi mi aveva presa? Sapevo essere più professionale di tutti loro messi insieme se la circostanza lo richiedeva. Non c'era certo bisogno che quella maniaca del controllo me lo ricordasse. 
Uscii dall'aula e m'incamminai per il corridoio deserto con passo deciso e testa alta. 
Ero già nervosa, ma per far tappare la bocca a quella cretina avrei mantenuto la calma ed avrei fatto le domande assegnatemi senza dar spago a nessun imbecille. 
Torn e Trent non avevano speranza. Non sarei stata al loro stupido ed infantile giochetto. 
Svoltai in un altro corridoio e scesi le scale ad alta velocità. 
<< Non si corre per le scale >> mi sgridò il professor Slow. Che andasse pure a farsi benedire, quell'impiccione con la testa grossa. Voleva farmi credere che non era mai andato di fretta in vita sua? Ipocrita col capoccione. 
Più acquistavo tranquillità e più cercavano di farmela perdere. Una congiura. 
Rallentai il passo ed aspettai che quel lombrico con una mongolfiera sul collo mi superasse, dopodiché riacquistai la mia andatura da sterminatrice. 
Ero più che intenzionata a prendere due scimmie da una parte, fare quelle benedette domande e andarmene. Il tutto nel minor tempo possibile. Meno respiravo la stessa aria di Trent, meglio stavo. 
Una volta giunta dinanzi al massiccio portone della palestra, sbuffai per distendere i nervi. Inspirai ed espirai con lenti movimenti delle braccia, sperando che quella tecnica mi aiutasse a rilassarmi. 
Strinsi l'elastico della coda di cavallo come fosse stato una di quelle fasce che i samurai si legano in fronte e scossi la testa velocemente. 
Ero pronta. Avevo raccolto tutta la pazienza. 
Spinsi il maniglione antipanico e misi piede nella palestra. 
Col foglio delle domande ben stretto al petto, sgranai gli occhi dinanzi a quel covo di scimmioni che si lanciavano palle sia coi piedi che con le mani. 
Sarebbero bastate poche parole per riassumere quell'inferno: Pearl Harbor. 
Palloni dalla forma allungata particolarmente minacciosa schizzavano come missili da una parte all'altra e si schiantavano a terra o contro le pareti. Mi meravigliavo che non rimanessero i solchi nei muri. 
Ero più che certa che se avessi beccato una di quelle bombe addosso sarei stata trascinata via. Probabilmente avrei sfondato parete dopo parete e sarei approdata in un altro paese. 
Mi chiedevo come avrei fatto ad attraversare quel campo di battaglia senza uscirne ammaccata. E se ne avessi presa una in faccia? Le alternative erano due: ne sarei rimasta segnata a vita rincretinendomi oppure avrei dovuto cercare un bravo chirurgo estetico per rifarmi il viso. 
Sospirai piuttosto spaventata dalle prospettive non proprio rosee e mi feci coraggio. 
Sarebbe stato un bagno di sangue, ma dovevo farcela. Dovevo arrivare dall'altra parte e chiedere a quel panzuto di coach di darmi cinque minuti per quella maledetta intervista. 
Avanzai tenendo lo sguardo puntato sui cavernicoli che mitragliavano l'aria. Non potevo perderne neanche uno di vista. 
Accelerai il passo con una leggera corsetta e deglutii un blocco d'ansia. 
Dio mio, quella era l'impresa più coraggiosa che avessi mai affrontato. Se fossi arrivata sana e salva dalla sponda opposta avrei gettato a terra quel foglio e lo avrei calpestato con una risata folle. 
Mi fermai di colpo per evitare di essere linciata da una pallonata. Chi cavolo era quello sgorbio che l'aveva tirata contro di me? 
Ruotai il capo con uno sguardo a dir poco omicida e squadrai ognuno di quei macachi alla ricerca del colpevole. Nel mio cervello svettava già un nome. 
Appena inquadrai quella feccia immonda scorsi un sorrisetto di sfida sulla sua faccia da schiaffi. 
Schifosissimo verme. Aveva tentato di colpirmi. 
Con la coda dell'occhio guardai la palla abbandonata a pochi metri da me. Avrei voluto sferrargli un calcio micidiale ed indirizzarla contro quel sacco d'immondizia, ma mi ero promessa che sarei stata superiore a qualsiasi giochetto. 
Dovevo mantenere la calma ed essere professionale. Alla facciaccia di Annalise la perfettina. 
M'impetii sfoggiando tutta la mia superiorità e continuai a procedere in direzione del coach. Dopo poco quel cerebroleso mi vide. Finalmente, ecchecavolo.
Arcuò le sopracciglia confuso ed aspettò che lo raggiungessi per dare adito ai suoi dubbi. 
<< Sei in punizione? >> mi chiese incrociando le possenti braccia sul petto. 
Nella mia scuola succedeva spesso che coloro i quali venivano messi in punizione fossero spediti in palestra per sistemare gli attrezzi o in biblioteca per catalogare i libri e risistemare quelli che venivano lasciati disordinatamente sui tavoli. 
Non erano dei castighi esemplari, ma semplicemente dei moniti affinché venisse rispettato l'ambiente scolastico. 
<< No, sono qui per un'intervista. Faccio parte del club di giornalismo >> spiegai sventolando il foglio. << Ruberò soltanto dieci minuti. >> E speravo che fossero anche meno di dieci. Concedere due minuti del mio tempo a Trent e marmaglia era già troppo. 
<< Ok. >> Annuì con vigore e si dondolò da un piede all'altro. Sembrava fosse trepidante per qualcosa. << Chiedimi pure, sono pronto. >>
Oh. 
Poverino. 
C'era stato un errore di comunicazione. Mea culpa. 
Non sapevo come dargli la notizia, sembrava così contento... Ma chi se ne fregava, avrei fatto due domande anche a lui. Al diavolo Annalise e la sua scaletta. 
Impugnai la penna e mi avvicinai al muro per poter appoggiare il foglio. Stupidamente non mi ero portata neanche una cartellina rigida su cui collocare quel pezzo di carta. 
<< Mi parli brevemente della sua carriera, dei successi ottenuti nel football e del suo ingresso in questa scuola >> improvvisai. 
Dopo dieci minuti mi resi conto che quella era stata la domanda peggiore che avessi potuto fargli. Non la smetteva più di parlare. Era un fiume in piena. 
Ogni tanto facevo vagare lo sguardo per tutto il suo massiccio corpo alla disperata ricerca di un interruttore. Se solo gli fosse accidentalmente arrivata una pallonata sul capo mezzo spelacchiato si sarebbe chetato, invece niente. La fortuna non era dalla mia parte. 
Di tutto ciò che mi aveva raccontato avevo appuntato sì e no quattro frasi. Io godevo del potere della sintesi, lui evidentemente no. 
<< Oh sì, una carriera davvero lodevole >> lo interruppi con un sorriso falsissimo. << E ora mi dica, quest'anno il suo obiettivo è vincere il torneo di football contro tutte le altre squadre scolastiche? Un sì o un no sono sufficienti. >> Annuii delle mie parole senza perdere il sorriso angelico. 
Speravo che cogliesse alla lettera la mia velata intimidazione. Volevo una risposta secca e concisa, niente racconti sui suoi preistorici tempi di gloria. 
Si batté un pugno sul petto ed assunse un'espressione da guerriero. << Porterò questa squadra in alto alle classifiche. Fosse l'ultima cosa che faccio. Loro batteranno tutte quelle femminucce spaurite ed alzeranno la coppa dei vincitori. >> Cavolo. Un bel discorso da... fanatico. Non era altro che quello. 
Ad ogni modo apprezzavo il suo sforzo di concisione. 
Scrissi alcune parole chiave del suo discorso ed infine gli sorrisi. << La ringrazio per il tempo che mi ha dedicato. >> Sarebbe stato lui a dovermi ringraziare. Avevo sprecato un quarto d'ora per ascoltare la sua storia dagli albori. << Le dispiace se faccio qualche domanda alla squadra? >> Indicai le scimmie che si allenavano con una falsissima espressione d'entusiasmo. 
Avrei potuto vomitare. 
Controllò l'orologio attorno al suo imponente polso ed annuì. Che magnanima concessione dopo tutto quello che le mie delicate orecchie erano state costrette a sopportare. Non solo panzuto e logorroico, pure ingrato. 
<< Puoi andare, tanto l'allenamento era quasi finito. >>  
Andare dove? In mezzo al bombardamento per essere usata come bersaglio? Voleva scherzare? 
<< Ehm, mi scusi, non è che potrebbe chiamare qui la squadra? >> domandai con un tono amichevole. Razza d'imbecille, cosa gli costava usare quello stupido fischietto al collo per attirare l'attenzione degli scimmioni? Per cosa lo utilizzava se no? Per sforzarsi al gabinetto? 
Ero circondata da un branco d'idioti. 
Fu tanto clemente da esaudire il mio desiderio. In poco tempo mi ritrovai una ventina di paia d'occhi addosso. 
Una situazione per nulla imbarazzante insomma. 
Quel cerebroleso ovviamente non era stato così geniale da usare il fischietto, ma aveva urlato come un fruttivendolo per dire che c'era una ragazza che voleva conoscerli. 
Che mente eccelsa. Un vero genio. E che scelta di parole azzeccata. "Conoscerli". Ovvio, io ero scesa fin lì per conoscerli in quanto loro grandissima fan. 
Ma perché non godevo di una forza sovrannaturale? Un manrovescio, a quel demente, non glielo avrei certo negato. 
<< Sono tutti tuoi >> m'informò con una pacca sulla spalla, prima di andarsene. 
Che notizia rassicurante. 
Deglutii un malloppo d'insulti ed avanzai verso quei caproni con le facce da ebeti. 
Il tanto atteso momento era arrivato. Che gioia. 
<< Chi si rivede >> mi canzonò quel deficiente di Torn, mettendosi la palla sottobraccio. << Pensavo ci conoscessimo già >> continuò con un sorriso beffardo facendo ridacchiare i suoi amici mentecatti. 
Non lo considerai neanche di striscio. Dovevo mantenere la calma ed essere professionale. 
Spiegai il foglio con le domande e mi fermai in loro prossimità. << Si tratta di un'intervista per il giornalino scolastico. Dovete solo rispondere. Pensi di farcela? >> aggiunsi rivolta a Torn. Il mio sopracciglio sollevato e la mia espressione neutra speravo gli facessero intuire la bassa considerazione che avevo di lui. 
In un contesto animale, se io fossi stata una tigre lui sarebbe stato un lombrico. 
<< Spara >> m'incitò con un cenno del capo. 
Ottimo. Il babbeo aveva capito chi dettava legge. 
Mentre osservavo l'ordine dei quesiti sul foglio, avvertii quelle scimmie avvicinarsi e disporsi attorno a me. Volevano forse imprigionarmi? Ero pronta a difendermi con le maniere forti se la situazione lo avesse richiesto. Non mi sarebbe affatto dispiaciuto riempire Torn e Trent di calci nello stomaco. 
<< Allora, a quanti tornei avete partecipato finora? >> 
Alzai il capo ed osservai alcune delle facce che mi circondavano. Tutti che si guardavano in attesa che qualcuno parlasse. Probabilmente stavano attuando una collaborazione di neuroni per poter rispondere a quella complicatissima domanda. 
<< Uno, questo è il primo >> prese parola Bradly Thomson. << L'anno scorso non abbiamo partecipato perché la squadra non era ancora al completo. Mancavano le riserve. >> 
Nonostante facesse parte delle tre T mi sembrava il più sveglio del gruppetto. Meno male, possedeva un neurone in più rispetto ai suoi compagni di gioco. 
Annuii per la sua soddisfacente risposta ed in cambio ottenni un sorriso. 
Oh santo cielo. Cos'era tutta quella stucchevole gentilezza? Ovviamente un tranello. 
Da circa un mese si era sparsa la voce che io piacessi a Thomson, ma ci credevo molto poco. Ero sicura che fosse una trappola architettata dal simpaticissimo Trent. Probabilmente quell'ottuso essere demoniaco credeva che in quel modo mi sarei avvicinata al suo amico, me ne sarei infatuata e sarei rimasta a pezzi dopo aver scoperto che era tutto falso. 
Poveri illusi, con me non attaccava. Ero mille volte più scaltra di loro. 
Appoggiai il foglio sul palmo aperto e la penna sulla carta. Provai a riportare quelle parole, ma come risultato ottenni soltanto un buco nel foglio. 
Accidenti a me e alla cartellina che avevo dimenticato. Come facevo a scrivere? 
Stavo facendo la figura delle demente. 
Un paio di scarpe da ginnastica entrarono nel mio campo visivo. Sollevai la testa ed incontrai gli occhi azzurri di Thomson, sulla bocca aveva un sorriso amichevole. 
Mi diede le spalle e mi lanciò un'occhiata da sopra la spalla. << Metti il foglio sulla mia schiena. >>
Oh. Be', quello non me l'ero aspettata. 
Alcuni suoi amici sghignazzavano e si tiravano delle gomitate. Sembrava quasi che sapessero qualcosa che a me sfuggiva. Probabilmente qualcosa che aveva a che fare con la sospetta cordialità di Thomson.
In ogni caso, il ragazzone si stava rivelando utile perciò accettai la sua offerta ed appoggiai il foglio sulla sua schiena. Mi avvicinai e scrissi rapidamente ciò che aveva detto. 
<< Quante ore vi allenate a settimana? >> Misi distanza tra me e Thomson e feci scorrere lo sguardo tra quelle teste vuote. 
Ancora una volta, prima di rispondere, era necessario che connettessero i loro cervelli. 
In quel momento mi resi conto che mancava qualcuno all'appello. 
I miei occhi saettarono da una scimmia all'altra senza risultati, dopodiché estesi il raggio visivo e lo feci rimbalzare da un punto ad un altro della palestra. 
Beccato. 
Trent se ne stava con le spalle appoggiate ad un muro poco distante da noi, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo serio puntato sulla sottoscritta. Era la prima volta che vedevo un'espressione intelligente sulla sua faccia da beota. 
Ma poi perché mi stava fissando in quel modo? Sembrava ci fosse qualcosa che lo infastidiva e che al contempo lo faceva scervellare. 
<< Sei ore. >> Voltai la testa di scatto e mi concentrai su Torn. << L'anno scorso erano quattro. Oltre alla normale ora di educazione fisica che fanno tutti, alla fine delle lezioni rimaniamo per gli allenamenti. >> 
<< Tutti i giorni o solo alcuni? >> 
Torn alzò una mano e contò con le dita. << Il lunedì, mercoledì e venerdì. Due ore ogni pomeriggio >> rispose grattandosi la nuca. Pure le pulci aveva. 
Posai il foglio sulla schiena di Thomson ed appuntai quelle informazioni. Aveva talmente tanti muscoli che la penna scivolava che era una meraviglia. Pareva di scrivere su un tavolo. 
<< Allora perché oggi vi state allenando? >> domandai corrugando la fronte. La faccenda non quadrava. Era martedì e le lezioni non erano ancora terminate sebbene mancassero pochi minuti. 
Bradly Thomson ridacchiò e girò il capo per guardarmi con la coda dell'occhio. << Il coach domani non c'è, quindi ha spostato l'allenamento alle ultime due ore di oggi. >>
<< Quindi avete saltato due lezioni >> constatai basita. Ma sì, era meglio sfornare degli scimmioni analfabeti piuttosto che far loro perdere due ore di palla avvelenata, o come cavolo si chiamava quello sport.
<< Perspicace, Anderson >> mi sfotté una voce dannatamente raccapricciante. Trent stava avanzando tra i suoi compari con un sorrisetto derisorio. 
Idiota. 
No, dovevo mantenere la calma. Non ero scesa fin lì per una rissa. 
Si accostò al suo amicone ed insistette a fissarmi con quel maledetto sorrisino da sberle. 
Feci finta di non sentire un certo prurito alle mani e spostai lo sguardo sul foglio. 
<< Quali sono i vostri obiettivi per questo torneo? >> lessi con un sonoro sbuffo. 
<< Che diavolo di domanda è? >> 
Fulminai quel sacco di letame fatiscente e strinsi una mano a pugno. << Una domanda molto semplice. Preferisci che ti faccia lo spelling? >> 
I suoi occhi si accesero di sfida. << Sì, lo gradirei. Di tutta la frase. >> 
Che immane pezzo di sterco. Voleva impedirmi di essere professionale con le sue stupide frecciatine da bimbo ottuso? Ottimo, lo avrei evitato. 
Passai in rassegna i volti degli altri giocatori e sollevai un sopracciglio. << Qualcuno un po' più sveglio che abbia capito? >> 
Tutti muti. Che branco di pecore addomesticate. Nessuno che osasse fiatare senza il permesso di quel bovino di Trent. 
<< Forse ci arrivi da sola >> mi pungolò l'essere demoniaco. << Secondo te una squadra per cosa si allena? >> 
Mi stava per uscire il fumo dalle orecchie. Ero una pentola vicina all'ebollizione. 
Staccai il foglio dalla schiena di Thomson e m'impettii con fare di superiorità. << Lascia che ti spieghi come funziona un'intervista >> pronunciai facendo ruotare la penna tra le dita. << Io faccio le domande, tu rispondi. >> 
Forse era un meccanismo troppo difficile per essere compreso dal suo unico neurone solitario. 
Un angolo della sua bocca si sollevò in un sorrisino sghembo. Appena iniziò ad avanzare lentamente verso di me, vidi alcuni suoi amici ridacchiare e guardarmi come se fossi stata una povera sfigata. Il che, neanche a dirlo, contribuiva a farmi salire il sangue al cervello. 
<< Lascia che ti dia qualche delucidazione in merito >> sussurrò Trent con un tono altamente irrisorio. Si fermò ad un passo dal mio viso ed arcuò la schiena per conficcare il suo sguardo nel mio. << Tu fai le domande, io decido a cosa rispondere >> soffiò, una vena canzonatoria nella voce. 
La mia mano stava per partire per stamparsi sul suo viso. Ci mancava davvero poco. Ero più che prossima all'esaurimento nervoso. 
Professionalità. Professionalità. 
Non dovevo stare al suo giochetto. 
Sollevai un sopracciglio, sorpassai quel cretino e raggiunsi Thomson. << Mi puoi prestare un attimo la schiena? >> domandai senza avere la pazienza di attendere una risposta. 
Gli appiccicai il foglio addosso ed impugnai la penna come fosse stato un coltello. << La squadra... non ha... obiettivi >> sillabai mentre lo scrivevo. Il deficiente voleva sfidarmi? Ottimo, sarebbe venuto fuori un bell'articolo. 
Prima che finissi di fare il gambino all'ultima lettera, il pezzo di carta mi venne tolto barbaramente da sotto le dita. 
Mi voltai di scatto, livida di rabbia, e scagliai il mio truce sguardo su Trent. << Ridammelo subito >> ordinai avanzando verso di lui. 
Si rigirava il foglio tra le mani con un sorrisino beffardo. Appena giunsi a pochi centimetri dal suo corpo, sollevai una mano per riprendere possesso di ciò che mi apparteneva. 
Quella feccia purulenta fece rapidamente scattare il braccio in alto. << Vieni a prendertelo >> mi sfidò con un cenno del capo. 
I suoi amici scimmioni, ad eccezione di Thomson, scoppiarono a ridere come se non avessero mai visto niente di più esilarante. I miei nervi ne stavano risentendo parecchio, sentivo la vena sulla fronte pulsare. 
Giunta al limite della sopportazione, strinsi i pugni e scaraventai gli occhi su ognuno di quei naufragati neuronali. << Vi consiglio d'incamminarvi allo spogliatoio. L'intervista per voi è finita >> sibilai minacciosa. << Avete dieci secondi di tempo per sparire dalla mia vista >> aggiunsi vedendo che nessuno muoveva un passo. Tutti mi fissavano ammutoliti, chi sghignazzando chi serio. Quel branco d'idioti aveva ovviamente bisogno di tempo per comprendere il senso della mia intimidazione. 
Speravo ci mettessero poco perché a breve mi sarei scatenata in tutta la mia furia. Non ci tenevo a fare troppe vittime. Trent era più che sufficiente.
<< E perché dovremmo obbedire? >> osò controbattere Torn, incrociando le braccia sul petto. 
Il mio sguardo divenne più tagliente di una lama. << Perché se ci tieni alla tua... >>
<< Andate >> comandò il capo scimmione. Era talmente maleducato che non era stato capace di farmi finire la frase. 
Ad ogni modo sembrava avesse pronunciato la parolina magica. Due minuti più tardi la palestra era vuota, quelle pustole si erano defilate tra schiamazzi e risate. 
Idioti, non sapevano far altro che ridere. 
I miei occhi schizzarono nuovamente su Trent, ancora col braccio alzato ed il foglio penzoloni. 
<< Ridammelo >> soffiai con una calma letale. 
<< Te lo devi guadagnare >> contrattaccò. Il suo maledetto sorriso impertinente riaffiorò prepotentemente. 
<< Non devo guadagnarmi un bel niente. È mio. >>
<< Non più. >>
Lo odiavo. Cavolo, se lo odiavo. Non possedeva un briciolo di umanità. Era stato messo al mondo per dannare la vita altrui, in particolare la mia. 
Agguantai un suo bicipite e mi alzai sulle punte per tendere con le dita a quel benedetto foglio. Mi sentivo un koala appeso al tronco di un albero. 
Avevo appena scaricato tutta la dignità nel gabinetto. 
<< Dai, ci sei quasi. Un altro saltino >> mi sfotté quell'essere spregevole con un tono falsamente cordiale. << Che vita difficile quella dei nani. Scommetto che al supermercato chiami sempre qualcuno per farti prendere le cose dal terzo scaffale. >> Che pezzo di cacca colossale. 
Il terzo scaffale era tra i più bassi, più precisamente tra quelli rasoterra. 
Gli strappai il foglio di mano e mi ritrassi infervorata. << Davvero divertente, Trent. Ogni giorno mi dimostri di essere un orfano mentale >> sputai secca. << Ed ora abbi la decenza di rispondere a qualche domanda o potrei decidere di scrivere l'articolo secondo il mio gusto personale. So fare brutta pubblicità gratuitamente. >> Sfoderai un sorrisetto di scherno e puntai lo sguardo sui quesiti. << Dunque, quando sei entrato a far parte della squadra? >> 
Incrociò le braccia sul petto. << Lo sanno tutti. >> 
Piegai il foglio, lo posai sul palmo aperto ed appoggiai sopra la penna. << Lo sanno... tutti... tranne... lui >> dissi scrivendolo. Si rifiutava di rispondere? Perfetto, avrei dato sfogo alla fantasia. 
<< Carino che tu inventi ciò che, poverina, non capisci >> asserì con un tono canzonatorio. << Perché non appoggi il foglio per terra? Saresti più vicina al tuo livello di altezza. >> 
Sbuffai lentamente dal naso. Ero prossima all'esplosione. Mi sentivo un container di benzina vicino ad una fiamma. 
Lo perforai con lo sguardo. << Credi di essere spiritoso? >> 
<< Lascio giudicare agli altri. >> Scrollò le spalle e mostrò la sua solita espressione da schiaffi. 
<< Te lo dico io, allora >> sbottai. Stesi le braccia lungo il corpo e mi protesi in avanti col busto. << Non sei affatto spiritoso. Sei solo un cerebroleso con un ego infinito che crede di poter fare quel che cavolo gli pare con chi gli pare. Il fatto che tu ti porti dietro quel branco di scimmie ammaestrate denota quanto tu, da solo, non sia altro che un lombrico. >> Al diavolo la professionalità. Ero arrivata al limite della sopportazione. 
Sollevò un sopracciglio. << Un lombrico a capo di un branco di scimmie? Che cosa insolita. >> 
Avrei voluto sbattere i piedi per terra e subito dopo azzannarlo alla giugulare. Bastava che respirasse per darmi sui nervi. Se poi apriva bocca per dare adito a quelle cretinate, mi scoppiava la vena sulla fronte.
Ridussi gli occhi a due fessure. << Intendevo in senso figurato, ma da un mentecatto del tuo calibro cosa dovevo aspettarmi? >> 
<< C'è altro? >> domandò, le labbra stirate in un mezzo sorriso derisorio. 
Sembrava che ciò che gli avevo urlato fino ad un attimo prima fosse soltanto un gioco per lui.
<< Con te gli insulti non sono mai abbastanza >> sputai. << Stimoli molto la mia fantasia. >> 
Il suo sorrisetto si allargò.
Trasportò un braccio sotto la maglietta sportiva ed inclinò il capo. Per qualche stupido motivo i miei occhi furono calamitati dalla zona di pelle che aveva scoperto con quel gesto. Ebbi soltanto il tempo di scorgere due linee che conducevano verso l'orlo dei pantaloncini, dopodiché mi riscossi da quell'orribile distrazione e risollevai la testa di scatto. 
<< Perché non metti in pratica ciò che ha formulato la tua fantasia, allora? >> mi sfidò, lo sguardo dritto nel mio. Il tono beffardo non lo abbandonava mai. Era il suo marchio di fabbrica. 
Gli puntai un indice contro con risoluzione. << Puoi giurarci. Avrò tutte le occasioni per riempirti dei miei originali insulti. Ogni giorno me ne dai motivo. >> 
Razza d'idiota. Non c'era certo bisogno che mi spronasse lui ad insultarlo. Avevo circa un miliardo di ragioni per farlo. 
Sghignazzò spudoratamente e s'incamminò verso la porta che conduceva allo spogliatoio. Boccheggiai spiazzata dalla sua maleducazione. 
Come si permetteva di superarmi ed andarsene? 
Inferocita come un bue a cui hanno pestato una zampa per dispetto, lo rincorsi e lo strattonai per un braccio. << Non ho finito con le domande. Dove credi di scappare? >>  
Girò la testa e mi rivolse uno sguardo di sufficienza. << Ho finito io. Vuoi costringermi a restare? >> Gli angoli della sua bocca s'incresparono beffardi. << Questa non è un'intervista, ma un sequestro di persona. Complimenti alla professionalità. >>
Avrei voluto avere quattro mani per prenderlo a schiaffi ripetutamente. Non c'era davvero niente che in quel momento desiderassi di più. 
<< Cosa ne vuoi sapere tu di professionalità? >> sbraitai su tutte le furie. << Avevi un semplicissimo compito: rispondere a delle domande. Immagino che un solo neurone non ce la facesse >> dichiarai sprezzante. << Comunque non m'importa nulla, farò con... >>
<< A me sembra che t'importi parecchio >> ribatté sfrontato. 
Avanzai di un passo, lo sguardo minaccioso conficcato nel suo. << Stavo finendo di parlare >> sibilai. Odiavo essere interrotta. Era una delle cose che mi mandava più in bestia assieme a Trent. 
Quel bubbone umano mi osservava divertito, poi d'un tratto le sue palpebre si abbassarono e gli occhi si appoggiarono sulle mie labbra. << E quindi? >> mi stuzzicò alzando un sopracciglio. Il suo sguardo tornò nel mio. 
Per circa cinque secondi lo fissai con tutto l'odio che covavo nei suoi confronti, dopodiché misi in tasca il foglio con un colpo secco. << Va' al diavolo. >> 
Gli diedi le spalle e m'incamminai risoluta verso il portone. 
Era un maledettissimo cretino, non potevo perderci altro tempo. Ne avevo sprecato già abbastanza. 
<< Mi stai spezzando il cuore, Anderson >> mi canzonò dietro con una risatina malevola. 
Dio solo sapeva quanto avrei voluto fare inversione e correre a staccargli la testa. Mi sarei tolta una soddisfazione. 
In tutta risposta gli mostrai il dito medio senza arrestare il mio passo combattivo. 
Ero stata fin troppo fine. Quell'essere nauseabondo si meritava molto peggio.
Spinsi il maniglione antipanico con forza e sgusciai fuori dalla palestra. 
Divorai metro dopo metro con una furia crescente fino a giungere nell'aula assegnata al club di giornalismo. 
Annalise si voltò a guardarmi confusa. Evidentemente la mia faccia parlava da sé. 
<< È successo qualcosa? >> domandò con una punta di rimprovero nella voce. Cosa diamine voleva quella deficiente? 
Percorsi i pochi passi che mi dividevano dalla sua scrivania e ci schiaffai sopra il foglio. << Ecco le informazioni che ti servivano. >> 
Guardò quel pezzo di carta con diffidenza, come se sospettasse che avessi fatto un pessimo lavoro. << Mancano delle risposte >> constatò stringendo gli occhi. << Ed alcune non credo siano fedeli alla verità. >>
<< Sono le risposte che andrai a procurarti da sola >> dichiarai decisa. << Io abbandono questo club. >>
Non le diedi il tempo di sparare qualche stupido giudizio da odiosa so-tutto-io. Mi fiondai alla porta ed uscii sbattendomela alle spalle. 
Ne avevo fin sopra i capelli di tutta quella gente idiota. Volevo solo tornarmene a casa a lanciare maledizioni a Trent. 
Quello schifosissimo pezzo di sterco me l'avrebbe pagata. Era tutta colpa sua se avevo abbandonato il club. Era colpa sua per tutto ciò che mi andava storto. 
Non vedevo l'ora che arrivasse il quarto anno, così me ne sarei andata da quella patetica scuola e non l'avrei più rivisto per tutta la vita. 
Dovevamo stare divisi. Eravamo due poli opposti senza punto d'incontro. 
Io il ghiaccio, lui il fuoco.

































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