Dissidia's Games di Atra (/viewuser.php?uid=852990)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Scegliere e sopravvivere ***
Capitolo 3: *** Tutto secondo le previsioni ***
Capitolo 4: *** Qualcosa di sbagliato ***
Capitolo 5: *** Il duello imprevisto ***
Capitolo 6: *** Scelte ed errori ***
Capitolo 7: *** Promesse ***
Capitolo 8: *** All'Inferno ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Il suo riflesso si mosse lentamente verso di lei, il fruscio
della sua veste che le accarezzava le orecchie.
Sollevò una mano per sfiorare se stessa nello specchio, il
bracciale dorato tintinnò con due brevi colpetti cristallini
contro il vetro, mentre il suo dito scivolava via, lasciando una
leggera traccia che era svanita subito dopo.
Socchiuse lievemente le labbra e subito un sospiro le sfuggì
fra i denti, gettando un fugace alone di condensa sullo specchio.
Il suo sguardo fu più veloce dell'intenzione e Cosmos si
ritrovò a fissare il proprio riflesso.
Quegli occhi profondamente azzurri tradivano un sentimento che non era
mai riuscita a decifrare ma che sentiva assolutamente come parte di
lei.
Era strano: era la Dea dell'Armonia. Come poteva essere che proprio
dentro di lei si nascondesse qualcosa di non previsto, di illeggibile,
che turbava la sua quiete interiore?
Inclinò leggermente la testa, i lunghi capelli biondi le
scivolarono lungo la spalla e rimasero a ondeggiare instabili per
alcuni secondi.
Si sentiva così? Instabile.
Ma no, lei aveva i piedi ben saldi a terra. Lei aveva sempre accettato
tutto serenamente: la vittoria, la sconfitta, la morte.
Il sacrificio.
Era come un tarlo nella mente, un fastidioso e sfuggente rumore di
sottofondo nell'Armonia che tanto rappresentava.
Un'idea da folli, direbbe qualcuno. Ma c'è sempre una causa
più grande per cui tutto vale, per cui ogni gesto non
è mai estremo, per cui il limite è labile quanto
l'altezza del cielo, in continuo sviluppo.
La stessa causa per cui Cosmos si guardava allo specchio a ogni inizio,
trovando sempre qualcosa di diverso in ciò che era stata e
non capendone il motivo.
Il suo mento si sollevò di poco e i suoi occhi si strinsero
per individuare l'ennesima differenza di quella volta.
Il marmo della sua pelle non aveva subito nessuna scalfitura, il corpo
era sempre snello e giovane, fasciato dalla stretta veste bianca che
scendeva a terra e si allargava sul pavimento come un enorme giglio dai
petali tremanti.
I due capi dell'abito che le scendevano morbidamente dalla base del
collo disegnavano delle curve perfette a un soffio dai fianchi, appena
mosse dal leggero alzarsi e abbassarsi del petto della dea.
La cintura dorata attorno alla vita era l'unico elemento che stonava
con l'insieme di linee morbide e armoniose, disegnando sul suo busto
delle spezzate che risalivano fino al petto.
No, quel giorno c'era un'altra
piega brusca sul suo corpo.
Gli angoli della sua bocca erano rivolti innaturalmente verso il basso,
il labbro inferiore leggermente tremante.
Cos'era quell'amarezza che pesava sulla sua lingua, sulla sua bocca,
sul suo cuore e sul suo respiro?
Cosmos se lo chiese in silenzio, abbassando involontariamente lo
sguardo sul riflesso della luce lunare sulla sua cintura e poi
riposandolo con titubanza sullo specchio.
Ma quello che vide non era più il suo riflesso.
La donna che la guardava, però, le somigliava terribilmente.
Una massa disordinata di capelli rosso scarlatto le incorniciava un
viso aguzzo ma estremamente affascinante.
Cosmos ebbe l'impressione che fosse una di quelle espressioni che si
ricordano per tutta una vita.
Il riflesso le strizzò un occhio azzurro, mentre l'altro
marrone continuò a scrutarla e a farle sentire la pressione
del suo sguardo, che le immobilizzò il respiro.
Il torso della donna era avvolto in un corpetto in pelle nera e
percorsa da venature profonde e fitte. Il busto lasciava scoperte le
braccia a partire dalle spalle e una sottile striscia di pelle appena
sopra l'ombelico e in corrispondenza del torace si apriva in tre
strette fessure orizzontali, lasciando poi che i due lembi di pelle
nera cadessero oltre la nuca e si confondessero con la massa di capelli
rossicci.
Una lunga gonna nera a doppio velo le accarezzava le gambe, tranne in
un punto laterale dove un ampio spacco lasciava intravedere la pelle
nuda e gli alti stivali lucidi.
La gonna cadeva lunga dall'altro lato con i bordi strappati e sdruciti
che si adagiavano al suolo in una forma quasi tentacolare.
Una fascia in cuoio nero cingeva il braccio destro, mentre sul sinistro
era allacciato un bracciale che riportava un ciondolo a spirale dalle
trame molto strette.
La vita era circondata da una cintura simile a quella che possedeva
Cosmos, ma di un bell'argento luccicante e appena sopra il punto in cui
cominciava la gonna era tatuata la stessa spirale del ciondolo.
Le labbra arcuate e rosse della donna si tesero in un sorriso
canzonatorio, prima di fare l'occhiolino con l'occhio marrone e
dileguarsi nel nulla.
Cosmos sfiorò istintivamente la superficie normalmente
fredda dello specchio, scoprendola stranamente calda e pulsante.
L'altra sua mano si posò sul petto, dove il suo cuore
fremeva come un uccellino in gabbia, dandole la lenta e spossante
sensazione che qualcuno la stesse soffocando.
La dea batté più volte gli occhi, ma il suo
riflesso era tornato con tutti i suoi interrogativi (e uno in
più) che lei non aveva più voglia di stare a
sentire.
I pensieri che frullavano in testa non l'avrebbero aiutata in quella
situazione.
E probabilmente la sua angoscia era davvero dovuta ai Giochi: questo
era sempre stato il suo ultimo pensiero prima di lasciare lo specchio.
Lo era stato per volte ormai eterne.
Ma ci credeva fermamente ogni ricorrenza, come se fosse l'unica
spiegazione così potente da poter persino essere in grado di
deformare la realtà.
Poteva essere così, dopotutto.
Doveva
essere così.
*
* *
I Giochi.
L'unico
modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Carte
bianche e nere, i guerrieri dell'Armonia e della Discordia si sfidano a
duello in un'Arena, chiamati in battaglia dagli dei.
L'unica
scelta è farsi scegliere.
Farsi
scegliere è vivere.
E'
firmare con il sangue un trionfo, una sconfitta, un finale inaspettato,
un pronostico troppo sicuro.
E'
sentirsi padrone del filone di sorti che scorre lento tra le fessure
dell'armatura, che sfiora il filo della spada, che viene mosso dal
fiato dei guerrieri.
Gli dei
li guarderanno scontrarsi, respingersi, cercarsi e caricarsi senza un
lamento, un grido, un insulto.
L'unico
modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
La carta
bianca rovescerà quella nera e allora la schiera di Cosmos
brillerà di un nuovo adepto.
La carta
nera fagociterà quella bianca e allora la schiera di Chaos
sfoggerà un'altra recluta.
E il dio
perdente giocherà la sua nuova carta, ben cosciente che
l'equilibrio premierà sempre la parte a sfavore.
Nessuno
sarà parziale.
Nemmeno
i Guerrieri.
Non ai
Giochi.
Perché
l'unico modo per
sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Salve a tutti!
Sono felice di poter cominciare questa bella avventura qui in Dissidia,
con gli splendidi e bravissimi autori che ho conosciuto e con quelli
che spero di conoscere.
Piccola precisazione: ho adattato leggermente i caratteri dei
personaggi (come Cosmos) alle esigenze della mia storia, ma dato che
l'opzione "leggermente OOC" non c'era ho dovuto rassegnarmi a non avere
attenuanti.
Per quanto riguarda le regole dei Giochi, non preoccupatevi: saranno
spiegate dovutamente nel prossimo capitolo, quindi quei pochi paragrafi
scritti diversamente sono solo una sorta di "vademecum" con cui il
Prologo termina.
Ok, credo di aver detto tutto. Ringrazio anticipatamente chi
vorrà lasciarmi un commento/una critica o chi ha
semplicemente letto e vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Ciao!
|
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Capitolo 2 *** Scegliere e sopravvivere ***
Era seduto al lungo tavolo ovale, i gomiti di due braccia poggiati
saldamente sulla superficie in legno. Una terza mano tamburellava
impaziente con gli artigli, mentre la quarta ciondolava pigramente dal
bracciolo del suo trono.
Le ali membranose e nere si allungavano frementi dietro di lui, di
tanto in tanto dando un colpetto allo schienale del trono e producendo
uno schiocco sonoro quando ne incontravano la superficie solida.
Davanti a lui lo scranno dorato di Cosmos era ancora vuoto.
Chaos fece scivolare lo sguardo sulla fessura che separava nettamente
il tavolo in due metà precise: quella rivolta verso di lui
era in ebano: scuro, grezzo, incisivo.
La metà di Cosmos era di legno di betulla: chiaro, liscio e
dalle venature delicatamente sfumate.
La fessura fra le due parti del tavolo faceva intuire che si potesse
aprire, ma quello era uno spettacolo che avrebbero ammirato
successivamente.
Il mazzo delle ventisette carte di Chaos si trovava alla sua destra e
in quel momento la mano poggiata sul bracciolo del trono si mosse per
prenderlo e far scorrere per l'ennesima volta fra gli enormi artigli
ogni singola pedina.
Chaos non ebbe alcun rimpianto nell'osservare i volti di ogni
guerriero, consapevole che almeno più della metà
sarebbero stati vittima dei membri di Cosmos, ma altrettanto conscio
che i rimanenti sarebbero stati i migliori di cui servirsi per la
guerra contro la dea.
Chaos sparpagliò le carte nere sulla sua metà del
tavolo e queste risaltarono sulla sua superficie scura mostrando le
figure corrispondenti muoversi realmente all'interno dei loro riquadri
rossastri.
Mentre passava un artiglio sulle ultime due carte, una figura chiara
entrò silenziosamente nel suo campo visivo e
attirò la sua attenzione.
Cosmos si sedette lentamente, le mani in grembo e lo sguardo perso fra
le venature del legno. Alla sua sinistra era comparso il suo mazzo di
ventiquattro carte bianche incorniciate d'oro, ma lei lo
degnò di una singola occhiata.
Chaos non poté fare a meno di notare un certo turbamento
attraversare gli occhi azzurri dell'eterna rivale, cogliendo la sottile
ironia del contrasto fra il suo apparente stato d'animo e l'Armonia che
lei rappresentava.
E lui? Come si sentiva, lui?
In quel momento traboccava d'impazienza, sicuro che avrebbe dominato i
Giochi e l'imparzialità ferrea che li regolava.
Si sentiva sicuro. Tranquillo.
Ma lui rappresentava la
Discordia. Il disordine.
Una breve risata sorpresa gli sfuggì tra i denti lunghi e
affilati, riportando l'attenzione di Cosmos alla realtà che
stava vivendo.
-Cosmos-. Chaos accarezzò come al solito il nome della
rivale mentre lo pronunciava, allargando la bocca in un sorriso che
pregustava già le battaglie che si sarebbero susseguite da
lì a poco.
-Chaos-. La dea aveva appena sollevato di scatto lo sguardo sul rivale
e in quel momento lo stava guardando, le sopracciglia leggermente
aggrottate ma una luce di determinazione negli occhi.
Quello era l'unico momento in cui i due dei si fronteggiavano in prima
persona, anche se indirettamente attraverso due mazzi di carte e un
tavolo da gioco.
Un interrogativo lampeggiò per un istante nella mente di
Chaos, toccando un suo nervo scoperto: perché non
trasformare quello scontro indiretto in uno diretto? Cosa ci voleva
abbattere Cosmos in quel "quando" e "dove" sconosciuti persino a loro
stessi?
Lei non se lo sarebbe aspettato.
Ma Chaos non era uno stupido: aveva la strana sensazione che quella
fosse un'idea banale e scontata perché già
vagliata troppe volte, come le parole ripetute fino all'ossessione che
perdono di significato. Non sapeva quando
né dove,
ma ci aveva già pensato molte volte, giungendo sempre alla
stessa conclusione.
La sua vita era sempre stata un susseguirsi di azioni ridondanti, da
quando era in lotta con Cosmos. Ma non per questo aveva smesso di
sentirsi padrone delle proprie scelte, concedendosi la soddisfazione di
far andare qualcosa per il verso opposto, di contrastare la somiglianza
delle situazioni, qualche volta.
O almeno, ne aveva l'impressione.
Questa volta toccò a Cosmos interrompere il flusso di
pensieri del rivale, cominciando a dividere meticolosamente le carte in
piccoli mazzi, che allineava poi davanti a sé.
Il suo sguardo osservò con un tuffo al cuore i visi dei suoi
personaggi nelle ventiquattro carte.
Cosmos indugiò su di esse con gli occhi.
Non sapeva perché, ma ci pensava ogni volta che i Giochi
dovevano iniziare: i Guerrieri difficilmente si sarebbero fatti
giudicare alla leggera, bastava osservarli per dire che erano dei veri
eroi.
Non era trattarli come bestie in una gabbia, sceglierli semplicemente?
No, non avrebbero fatto questo ai loro Guerrieri.
Avrebbero fatto di peggio,
infatti.
Li avrebbero messi di fronte a una decisione assolutamente prevedibile:
morire o vivere.
Sopravvivenza.
Avrebbero dato loro la scelta di farsi scegliere, di sopravvivere.
E l'avrebbero fatto nel modo più efficace e crudele insieme:
facendoli combattere.
L'istinto per la battaglia, il valore, la loro stessa
mentalità di Guerrieri avrebbero fatto il resto, inducendoli
a dare la miglior prova per farsi scegliere.
Per sopravvivere,
avrebbero detto loro, ma il concetto era solo il senso inverso di
quella strada che portava alla fine dei Giochi.
Il binomio era semplice: scegliere-sopravvivere.
E nessuna delle due parti avrebbe mai compreso perfettamente l'altra.
Così come fra vincitore e vinto non ci sarebbe stata nessuna
corrispondenza: il vincitore sarebbe stato scelto, il vinto avrebbe
cessato la propria esistenza.
In virtù di cosa? Di un più debole attaccamento
alla vita? Assurdo.
Di una semplice condizione di inferiorità? Probabile.
Di una fredda e studiata scelta di chi gioca la carta? Certo.
I Giochi erano crudeltà: sofferta amaramente da Cosmos,
gustata nel semplice sapore della sfida da Chaos.
Ma avevano una regola. Ed era l'imparzialità.
Ogni squilibrio sarebbe stato immediatamente compensato e ormai i due
dei avevano capito come sfruttarlo a proprio favore: avevano trovato
dei Guerrieri sacrificabili,
da schierare in caso di perdita già annunciata dalla propria
precedente vittoria.
E non andava mai diversamente da come era stato previsto: i Guerrieri sacrificabili erano
studiati per essere inferiori al nemico che avrebbero fronteggiato, in
modo da uscire sempre vinti dallo scontro, in cui avrebbero trionfato
sempre gli stessi campioni, che avrebbero poi combattuto nell'ennesimo
ciclo.
Ecco perché gli adepti scelti, quasi sempre gli stessi, si
ritrovavano (anche se raramente) insieme a condividere dei frammenti di
un passato perduto, riguardante una situazione molto simile.
Ed ecco perché le schiere di Cosmos e Chaos contavano lo
stesso numero di membri, anche se il dio della Discordia aveva delle
carte in più: nei Giochi era impossibile schierare
nell'Arena più di una pedina alla volta e il numero di
duelli era limitato. L'esito pilotato faceva il resto.
A una vittoria, seguiva
il rimedio contrario.
A ogni sconfitta,
seguiva la certezza opposta.
Queste erano le regole impresse nella mente di Cosmos e Chaos, senza
che dovessero anche solo cercare di ricordarsele.
Ma allora a cosa servivano i Giochi, se l'esito era già
stato calcolato sin dall'inizio?
Cosmos non poteva porsi questa domanda, perché per lei era
sempre la sua prima partecipazione ai Giochi. A guidarla era il suo
istinto, che probabilmente ricordava molto meglio della sua mente.
E questa era anche la motivazione per cui i Giochi esistevano ancora.
Per quanto riguardava i Guerrieri, loro si trovavano e si caricavano
senza una parola.
Bastava non dargli alternative. O meglio, una gli era concessa, ma era
scomoda.
L'unico
modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Ma questo valeva anche per i due dei.
-Cominciamo-.
Chaos pronunciò quella parola incurante dello strano sapore
di ripetizione che essa aveva, ma concentrandosi sul più
gradito brivido di eccitazione che sentì scivolargli lungo
la schiena.
Cosmos risollevò nuovamente la testa di scatto e
annuì brevemente con il capo, prima di sollevare le mani
dalle carte e allacciarle di nuovo in grembo.
Le due metà del tavolo si separarono definitivamente: quella
rivolta verso Cosmos scivolò nella sua direzione fino a
sfiorarle con un clangore cristallino la cintura in vita; quella
rivolta verso Chaos cigolò leggermente mentre si spostava
contro il suo corpo.
Ora i due dei erano separati da un largo spazio centrale in cui
vorticavano dense spirali di fumo nebuloso e nessuno dei due poteva
più vedere nulla dell'altro se non la luce, flebile
attraverso i vapori che si contorcevano, che illuminava d'oro le carte
di Cosmos e di rosso quelle di Chaos.
In alto la nebbia si addensò velocemente, nascondendo dietro
a una compatta cortina grigio-blu le prime immagini che si stavano
formando in un intrico di linee così leggere da richiamare
il tratto sottile di una matita.
Improvvisamente il fumo superiore si spostò velocemente
verso il basso come la sabbia che scivola in una clessidra, lasciando
vuoto lo spazio sovrastante e ottenebrando quello inferiore.
In alto brillavano in oro e rosso i volti animati di Cosmos e Chaos: la
dea batteva lentamente gli occhi e socchiudeva le labbra, mentre il dio
sollevava il mento ed esibiva il suo sorriso scintillante e letale come
un rasoio, le lunghe corna rosse e ricurve che sfioravano la cornice
del riquadro che lo conteneva.
Ai lati delle loro figure era disegnato uno zero, per indicare che i
contendenti non avevano ancora alcun Guerriero fra le loro schiere.
Ancora per poco
- pensò Chaos, abbassando lo sguardo sulle sue carte.
Sotto ai loro visi che volteggiavano sopra allo spazio fra le due
metà del tavolo comparve il numero uno in numeri romani, a
segnare l'inizio del primo duello.
E fu in quel momento che Cosmos e Chaos si lanciarono il primo sguardo
ostile da quando si trovavano l'uno di fronte all'altro.
-Cominciamo- annunciò Cosmos, allungando la mano verso il
primo dei dodici mazzi di carte che aveva davanti. Il primo mazzo...che
in realtà era una carta sola.
I loro volti in alto cominciarono a splendere d'oro e di rosso, mentre
le loro immagini si mescolavano, si sovrapponevano, si attraversavano e
si scontravano.
La danza del Bene e del Male, dell'Armonia e della Discordia, dell'oro
e del rosso, di un mondo e di un altro.
Piccole scintille dorate come rugiada al sole e scarlatte come sangue
fresco piovvero nella nebbia sottostante, facendola ruggire mentre
stringeva se stessa con i propri tentacoli.
Il rosso prevalse sull'oro e splendette come il sole al tramonto:
l'immagine di Chaos si ingrandì e lui capì
istintivamente che era il suo turno.
La sua mano scattò in avanti ad afferrare una carta prima
che il pensiero di farlo gli attraversasse la mente.
Il suo artiglio nero ne coprì quasi completamente il nome,
mentre la posava davanti a sé e l'immagine vivida annuiva e
si voltava per allontanarsi camminando lungo un sentiero invisibile
perché oscurato dalle tenebre.
La nebbia continuò ad agitarsi, facendo intravedere nelle
fessure lasciate dai tentacoli un paesaggio in costruzione.
Chaos abbassò lo sguardo sulla carta, ora completamente
rossa, che teneva in mano.
La prima G del nome risplendeva a lettere infuocate, scavando la
propria figura in rilievo sulla carta.
Cominciavano.
Cominciamo, yeeee!
...ehm...no, credo dovrete aspettare fino a sabato per il primo duello,
dato che lunedì ricomincio la scuola...maledizione. Prometto
di aggiornare ogni sabato, però!
Intanto godetevi l'ultimo capitolo tranquillo (che è solo il
secondo, il che è preoccupante), perché dal
prossimo non avremo tregua e scatenerò l'inferno! Ma
tranquilli, ci andrò piano.
Chaos e Cosmos hanno parecchie carte ciascuno, ma non dimenticatevi che
queste sono eliminatorie, quindi durante gli scontri il numero di
guerrieri si assottiglierà.
Purtroppo non posso far scontrare i guerrieri con le loro nemesi,
perché qualcuno va eliminato ed ecco che entrano in scena i
personaggi sacrificabili, che ho pescato in massa dagli altri Final
Fantasy...alcuni
di loro vi sorprenderanno perché daranno molto filo da
torcere ai loro avversari. E forse qualcuno di quelli che ho scelto non
ve lo aspetterete, ma vedremo quando sarà il momento.
Spero che abbiate capito le regole, che ho cercato di delineare il
più chiaramente possibile nel capitolo, cercando anche di
progredire con la storia.
Allora, appuntamento a sabato con il primo duello, per cui vi ho dato
un piccolo, semplice indizio.
Alla prossima!
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Capitolo 3 *** Tutto secondo le previsioni ***
La nebbia si diradò, rivelando dietro di sé un
buio opprimente e pesante, che sovrastava un paesaggio spoglio e
deserto.
Un soffio leggero di vento e i bagliori sparsi di alcune stelle si
rivelarono facendo capolino dalle nuvole nere e spesse, che scivolarono
via come una coperta.
La tenue luce degli astri sfiorò il profilo squadrato di
alcune rocce e l'orlo di crateri più o meno profondi,
disegnando l'immagine della superficie lunare con le sue imperfezioni e
chiaroscuri.
Il silenzio e la completa immobilità del luogo furono
interrotti dal sibilo di qualcosa che fendeva l'aria cadendo e
improvvisamente il buio tornò a calare parzialmente sulla
luna quando una figura nera e ammantata coprì una porzione
di cielo, proiettando sul terreno un'ombra che si ingrandiva sempre di
più man mano che il suo proprietario si avvicinava.
Il fruscio del mantello che sbatteva contro il vento sollevatosi
improvvisamente, l'aria che scivolava sul corpo in caduta libera, poi
finalmente la figura atterrò sulla cima di un cumulo di
rocce accatastate le une sulle altre.
Golbez sollevò le mani artigliate e si sistemò il
manto dietro le spalle, prima di guardarsi intorno in quell'ambiente
così familiare illuminato nuovamente dalla luce delle stelle.
Lo stregone si chiese per quale motivo si trovasse lì e cosa
dovesse accadere, perché stava cominciando a imparare che
nulla avveniva per caso nell'universo di Dissidia.
Avrebbe saputo tutto molto
presto.
Beh, quasi
tutto.
Cosmos rimase a osservare lo stregone mentre si guardava in giro senza
tuttavia scendere dalla montagna di pietre.
Lo sguardo della dea tornò ad abbassarsi sui mazzi di carte
che aveva davanti. Poteva permettersi di sprecare la nemesi di Golbez?
Cecil le restituì uno sguardo determinato dalla sua carta,
in cima al quarto mazzo, come se volesse trasmetterle la sua voglia di
combattere per lei. Ma lui non poteva sapere contro chi si sarebbe
misurato.
Quella era una decisione di Cosmos, e la dea sapeva che davanti al
grande Golbez c'era solo una cosa da fare.
Ma doveva farla per bene
e doveva sperare
che tutto non andasse secondo le previsioni. Il tempo aveva insegnato
alla sua coscienza, che era la parte di lei incapace di dimenticare,
quanto facesse male sacrificare qualcuno.
Soprattutto quella
persona.
Ma doveva farlo e lo avrebbe fatto per un obiettivo superiore. Il tempo
poteva aver anche toccato le corde della sua compassione, ma era ancora
abbastanza forte da non cedere al lusso di quell'incanto.
Le sue dita scivolarono fino al nono mazzo e misero da parte la carta
di Gidan Tribal, che fece un mezzo salto mortale di lato e
atteggiò il viso in una smorfia di protesta.
Sotto la sua carta, un paio di occhioni gialli e spauriti incrociarono
lo sguardo addolorato ma fermo di Cosmos, prima che la figura annuisse
e si incamminasse con passo dondolante verso l'uscita del suo villaggio.
Lo avrebbe sacrificato.
Ma, ne era certa, sarebbe stato un gran duello.
E forse non sarebbe stato così opportuno fare previsioni
affrettate.
Golbez non aveva smesso un secondo di guardarsi intorno, vigile e
attento.
Non gli sfuggì quindi la piccola ombra nera che apparve
dietro una grossa roccia, per poi ritrarsi ancora di più e
sparire alla vista.
Lo stregone si riportò il manto dietro le spalle e si
preparò a distruggere il pietrone con un incantesimo per
sorprendere chiunque vi si stesse nascondendo dietro, ma
improvvisamente quello rotolò via da solo, rivelando uno
scricciolo nascosto dietro, gli occhioni gialli che sbatterono
impauriti un istante prima di individuare la figura che troneggiava
sulla montagna sopra di lui.
Golbez fece per scendere a guardare da vicino quello che inizialmente
sembrava un bambino inoffensivo, ma in quel momento la roccia che si
era spostata prima si sollevò in aria roteando e su di essa
comparvero incise alcune parole:
L’unico
modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Combattere
per essere scelti dagli Dei o rinunciare e morire? A voi la prima
scelta, Guerrieri.
Vivi socchiuse gli occhi e sul suo viso da pupazzo si disegnarono due
linee orizzontali e splendenti.
Essere scelti o morire?
Si potrebbe pensare che quelle parole non avessero significato per il
bambino che era. Ma Vivi era forte e anche se non era umano aveva un
cuore grande e uno straordinario spirito di sacrificio.
Non sapeva come fosse finito lì, non ricordava nulla della
sua vita precedente, ma sapeva che c'era qualcosa che lo legava al
presente che stava vivendo. Forse era la strana sensazione di
déjà-vu che l'aveva colto non appena si era
incamminato fuori dal Villaggio dei Maghi Neri, lo sfondo della sua
carta e la prigione in cui aveva inconsapevolmente vissuto fino a quel
momento.
Oppure era il legame di familiarità che lo legava a quello
strano tipo che somigliava a una scimmia e che aveva notato per una
frazione di secondo prima che l'ordine imperioso di Cosmos avesse avuto
la precedenza.
Qualunque cosa fosse, Vivi era un bambino che ne aveva viste tante
nella sua vita precedente e la sua esperienza aveva plasmato la sua
coscienza tanto da fargli pensare che fosse inutile morire per un
semplice rifiuto di combattere.
Non aveva paura. C'era stato un tempo in cui aveva tremato al solo
pensiero di una battaglia, ma in quel momento sapeva che poteva
farcela. Sapeva che quell'uomo davanti a lui era tremendamente alto e
grosso, ma lui era piccolo e veloce. E poi, Vivi sapeva usare delle
magie più grandi di lui.
Il concetto della morte, purtroppo, aveva insegnato a lui
più di quanto ne avesse bisogno e sapeva che stava
combattendo per una causa superiore più importante della sua
stessa vita. Lui lo aveva fatto e aveva vinto, una volta.
Perché non avrebbe potuto vincere anche quel duello?
Ricordava un tempo in cui la morte lo aveva spaventato più
di ogni altra cosa. Ma durante una battaglia non aveva mai avuto la
possibilità di chiedersi cosa ci fosse dopo quella vita
così corta che gli era stata donata e in generale aveva
imparato a impegnarsi al massimo perché la sua esistenza lo
lasciasse senza rimpianti.
E l'unico rimpianto che Vivi aveva sempre avuto era di essere stato
debole, una volta. Da lì in poi, non aveva mai rifiutato un
aiuto agli amici.
E non lo avrebbe rifiutato nemmeno a chi l'aveva chiamato lì
e si era fidato di lui.
Fu con quel pensiero che Vivi strinse forte il suo ramo, Caos di Zeus,
e lo fece roteare fra le mani, prima di batterlo con forza per terra.
Il suo nome si incise con uno scricchiolio sul lato destro della roccia.
Non poteva essere
altrimenti: quella scelta era nel sangue di Vivi.
Golbez sorrise sotto l'elmo: il piccolo sembrava determinato.
Non era il tipo da far del male ai bambini per puro sadismo e il
piccoletto sembrava anche inoffensivo, ma se gli si poneva davanti una
decisione così scontata...non aveva proprio altra scelta.
Questo lo fece sentire manipolato ancora una volta e lui sapeva cos'era
il rimpianto per ciò che era stato fatto attraverso un se
stesso non cosciente delle proprie azioni.
Ma non aveva proprio scelta:
avrebbe fatto i conti con la propria coscienza in un secondo momento.
Il suo mantello schioccò deciso dietro le sue spalle e lo
stregone fece un passo in avanti.
Il suo nome comparve con uno stridio sul lato sinistro della roccia e
questa si illuminò, prima di rompersi in mille pezzi con uno
schianto che poteva significare solo una cosa.
I Giochi potevano
iniziare.
Fu Golbez ad attaccare per primo: lo stregone si slanciò in
avanti e scagliò tre globi oscuri contro il rivale, che
balzò all'indietro sulle gambe pur corte. Tuttavia le sfere
lo seguirono, fino a quando non vennero abbattute dal Firaga di Vivi
che, una volta tornato a terra, si preparò a scagliarne un
altro direttamente contro Golbez, salvo dover affrontare altri cinque
globi che stavano arrivando rapidamente e in successione.
Il maghetto innalzò un Protega contro cui essi si
schiantarono uno dopo l'altro, prima di voltarsi rapidamente e
sorprendere Golbez, che si era appena teletrasportato proprio alle sue
spalle, in atto di attaccarlo con un Raggio Cosmico. Vivi fece roteare
il bastone e respinse l'avversario con un Blizzaga, senza poi dargli
tregua e continuando a scagliare a raffica altre magie elementali, che
Golbez schivò senza troppa difficoltà.
Improvvisamente lo stregone si sollevò in aria e la sua mano
scattò in alto: una grossa roccia dietro di lui
cominciò a fluttuare, prima di iniziare a cadere in
picchiata verso Vivi.
Il piccolo mago si buttò velocemente di lato e si nascose
dietro un pietrone, mentre quello scagliato da Golbez si abbatteva a un
soffio dal suo cappello a punta. Tuttavia in quel momento lo stregone
apparve improvvisamente accanto a lui e lo colpì
violentemente con il pugno, sollevandolo in alto.
Golbez poi lo raggiunse e lo spedì lontano con un Raggio
Cosmico, prima di teletrasportarsi davanti a Vivi e fermarne la corsa
afferrandolo per le spalle, sferrandogli poi un calcio nel ventre e
tentando di gettarlo sotto di sé per fargli compiere un volo
di oltre cinquanta metri.
Il maghetto però era molto veloce e si afferrò
saldamente a una gamba di Golbez, non mollando la presa nemmeno quando
lo stregone scalciò rabbiosamente. Il mago cercò
allora di farlo desistere roteando in aria e lanciando un Thundaga alla
propria gamba destra, ma Vivi riuscì in qualche modo a
evocare un Reflex, che rispedì la magia al mittente.
Sfruttando poi la distrazione dell'avversario e lo slancio della
rotazione che lui stava compiendo, il maghetto si staccò
dalla sua gamba e scagliò un Blizzaga dritto verso l'elmo di
Golbez, prima di evocare un Levita che rallentasse la sua caduta. Lo
stregone schivò prontamente il grosso blocco di ghiaccio
appuntito che stava sfrecciando verso la sua testa e si
gettò in picchiata all'inseguimento di Vivi, che non fu in
grado di notarlo fino a quando non l'altro non gli si
teletrasportò davanti e non lo sorprese con un manrovescio
così potente da scagliarlo ancora più in alto di
prima, per poi raggiungerlo e bersagliarlo di Raggi Cosmici che Vivi
non fu in grado di schivare in volo.
L'ultimo attacco spedì il maghetto a impattare contro
un'imponente roccia, che crollò su se stessa e lo
seppellì.
Lo stregone atterrò elegantemente a terra, fissando per
parecchi secondi il punto in cui il piccolo mago era
scomparso, senza che quest'ultimo desse qualche segnale di vita.
Nessun segno di esultanza turbò l'immobilità del
suo corpo e con questo si risparmiò la delusione di vedere
troppo presto dei raggi di luce bluastra filtrare dalle fessure fra un
frammento di roccia e l'altro, prima che le pietre fossero sbalzate via
da un Vivi in Trance e pronto a combattere nuovamente.
Golbez ebbe appena il tempo di meravigliarsi per la tenacia di quel
bambino, prima di vederselo arrivare addosso volando come una freccia e
con la mano splendente della luce rossa di un Firaga.
Lo stregone si teletrasportò lontano, ma Vivi
riuscì velocemente a compiere un mezzo giro e a colpire il
corpo dell'altro con i piedi mentre spariva, con il risultato di
trovarsi coinvolto nel teletrasporto. Una volta ricomparso, il maghetto
fece esplodere il Firaga contro Golbez, facendolo poi seguire da un
Idro che si abbatté violentemente sulla corazza dello
stregone, fortunatamente abbastanza resistente.
Golbez passò alla controffensiva e colse l'occasione in cui
Vivi stava evocando un Bio per scagliare tre globi neri, che
cominciarono a emettere raggi rossi a intermittenza. Vivi
innalzò un Protega contro cui i laser si infransero, ma
quando le sfere impattarono contro la sua barriera si generò
un'esplosione che sbalzò all'indietro il maghetto. A questo
punto Golbez schizzò avanti per non dargli tregua, ma Vivi
non si fece trovare impreparato: attese lo stregone con un Flare
già pronto nella mano destra ma l'avversario, da buon
esperto, se ne accorse subito e scartò a sinistra durante la
sua corsa, ingannando Vivi, che si inclinò leggermente nella
direzione del suo nemico per non perderlo di vista. A questo punto
Golbez si teletrasportò a destra e colpì il
maghetto con un Raggio Cosmico, che però si
abbatté sull'ennesimo Protega. Vivi attraversò
poi i pezzi della sua stessa barriera e si gettò
sull'avversario; questa volta il suo Flare andò a segno e
Golbez cadde a terra con uno schianto, avvolto dalle fiamme
non-elementali. Il maghetto lo seguì in picchiata,
Assimilando la propria magia per concentrarla tutta in un punto e
quando arrivò a sfiorare il terreno con il suo ramo
generò un'onda d'urto che sollevò letteralmente
il corpo di Golbez alla portata di Vivi, il quale lo spedì
lontano con un Blizzaga che si piantò dritto nel petto del
rivale, ammaccandogli la corazza.
Lo stregone riacquistò il controllo dei suoi movimenti un
soffio prima di sbattere contro una roccia e la usò come
punto d'appoggio per ripiombare sul nemico, mentre una certa sottile
esaltazione cominciava a pervaderlo, mista al sottile timore di essere
sopraffatto da un semplice bambino...abile e veloce, ma pur sempre un bambino.
-Creatura dell'oscurità!- evocò Golbez, calando
in picchiata su Vivi ed entrando contemporaneamente in
modalità EX.
Lo stregone si fuse nell'aspetto con il suo drago nero e si
abbatté sul maghetto nel momento stesso in cui lui stava per
scagliare un Antima. Golbez attraversò incolume la magia che
si stava formando e trascinò sul terreno il maghetto fino a
schiantarlo contro l'ennesima roccia, poi puntò i piedi sul
bambino e saltò velocemente indietro con una capriola,
scagliandogli addosso in seguito una serie di fulmini neri.
Quando la polvere e il fumo sollevati si diradarono, Golbez emise un
fischio di ammirazione dall'alto di una roccia: il maghetto era ancora
in piedi, riparato da un Protega che lo stregone non aveva notato nella
foga degli attacchi.
Gli occhi di Vivi ammiccarono, il ramo splendette più forte
e improvvisamente un Meteor sibilò in aria, diretto proprio
verso Golbez, che sorrise dietro all'elmo e sollevò un
braccio per contrastarlo a sua volta con la stessa magia.
La meteora di Vivi si scontrò con quella di Golbez e le due
magie cozzarono violentemente in una cascata di scintille e faville che
piovvero addosso ai due maghi.
La concentrazione dello stregone era evidente: gli artigli tremavano e
l'armatura cominciò a splendere di viola, mentre il ramo di
Vivi vibrava di continuo e il bambino faticava a tenerlo fra le mani.
Improvvisamente Golbez emise un gemito di sforzo e anche la seconda
mano si avvicinò alla prima, scagliando un secondo Meteo che
si fuse con il primo nel devastante Bimeteo.
Uno schianto e la meteora potenziata schizzò in avanti,
attraversando e distruggendo la magia di Vivi e travolgendo nella sua
folle corsa proprio il piccolo mago, fino a quando non si
schiantò contro un'altra roccia e si dissolse in un turbine
di fiamme e scintille. Golbez scattò immediatamente avanti,
respirando durante la corsa l'aria che sapeva già del sapore
agrodolce della vittoria.
Non volendo ripetere lo stesso errore di poco prima, lo stregone
continuò a infierire su Vivi sferrandogli un calcio dal
basso e teletrasportandosi in alto per colpirlo con una raffica di
raggi laser. Mentre il maghetto, ormai incosciente, cominciava la sua
caduta libera, lo stregone evocò una roccia enorme, che
precipitò velocemente sopra Vivi e lo seppellì
sotto di sé con uno schianto tremendo.
Golbez rimase a fluttuare in aria, la testa del drago che ondeggiava
leggermente sulla sua spalla sinistra e le braccia conserte, mentre la
polvere si disperdeva sotto di lui.
Faceva male.
Faceva molto male.
Aveva paura.
Perché aveva paura? Era davvero importante avere paura, in
un momento del genere?
Quando il mondo è addosso a te, quando una roccia vecchia
come il mondo è addosso al corpicino esile e gracile di un
bambino che è troppo, davvero troppo chiamare pupazzo...
Quando non puoi sanguinare, non puoi sudare, non puoi piangere e allora
la percezione del tuo corpo diventa un sordo e persistente dolore che
è la misura di ciò che hai dato e subito in un
gioco pericoloso e crudele.
Ma Vivi aveva dato abbastanza?
Se lo chiese affannosamente, mentre sentiva qualcosa abbandonarlo sotto
il peso opprimente della roccia sotto di lui.
Poteva chiamarla vita?
Ma una vita non durava tanto tempo, durante il quale si poteva lesinare
sui sorrisi e un po' meno sulle lacrime, perché tanto ci
sarebbe stato un domani che avrebbe cambiato tutto?
Quanto tempo aveva avuto per compiere quel cammino così
breve che lui voleva tanto poter chiamare vita? E quanto
tempo gli rimaneva adesso per completarlo?
Vivi cercò di muovere i piedi, ma li sentiva stranamente
freddi e non rispondevano ai suoi comandi.
Si chiese se avesse dato abbastanza. Se ci fosse stata abbastanza forza
in lui da non farlo sembrare un peso, un caso perso, un progetto
fallito. Oppure se fosse sempre crollato a terra, anche quando gli
sembrava di essersi alzato sopra tutti.
Il maghetto non sentì più nemmeno le gambe ed
ebbe quella spaventosa sensazione di cadere nel vuoto anche con il
terreno sotto la schiena. E sopra
il petto.
Vivi sollevò a fatica una mano a sfiorare il suo ramo,
poggiato sul suo torace.
Quanto amore aveva dato, nel suo infinitamente piccolo? E quanto ne
aveva ricevuto? Avrebbe saldato i suoi conti in credito o in debito?
Il bambino strinse gli occhi fino a quando non si confusero con il buio
sopra e attorno a lui, quel buio che aveva nascosto i suoi occhi per un
tempo immenso.
Tutto sommato, sperava di aver dato più amore di quanto ne
avesse ricevuto.
Improvvisamente la roccia che opprimeva il suo fragile corpicino si
sollevò e si posò lì accanto.
La figura di Golbez troneggiò su di lui, la mano ancora
levata nell'atto di spostare la pietra con la magia.
Vivi non aveva più le forze di alzarsi. Sentiva solo un gran
freddo divorargli il corpo e raggiungere il suo petto con la
velocità di una marea.
Fu in quel momento che poté chiedersi cosa ci sarebbe stato
per lui dopo la morte.
Il pensiero gli attraversò la mente veloce come una freccia,
come il brivido di dolore e di paura che gli scosse tutto il corpo.
Non poteva farci niente, era più forte di lui.
Cosa ci sarebbe stato per
lui? Il destino era uguale per tutti oppure ognuno
riceveva per quanto aveva dato nella vita?
Vivi pensò al nonno. Non poteva credere che il suo destino
fosse stato esattamente lo stesso di quello di chi aveva ucciso molte
persone e ne aveva comandate tante altre come burattini.
Il nonno aveva dato sicuramente molto più amore di quanto
Vivi era riuscito a restituire. E, se c'era una giustizia al mondo,
questo avrebbe contato qualcosa.
Ma se ci fosse stata una giustizia al mondo, quel bambino sarebbe morto
in modo diverso.
Oppure no.
Perché forse non era questione di giustizia.
Vivi trasse un respiro tremolante e guardò Golbez sopra di
lui. Lo stregone lo osservò in silenzio e immobile.
Lo sguardo del maghetto si rovesciò al cielo e subito si
perse, assorbito dalla meravigliosa immensità del firmamento.
Immaginò che lassù splendessero le luci di tutte
le esistenze di ogni mondo conosciuto, ammiccando e oscurandosi nei
momenti altalenanti della vita.
Il bambino cercò la propria, istintivamente e senza
chiedersi come l'avrebbe trovata in mezzo a quelle altre tutte uguali.
Improvvisamente una stella cadente tracciò una linea netta e
scintillante in cielo. Fu la durata di un battito di ciglia, ma Vivi lo
colse e ne fu felice.
Insomma, era vero che alla fine della vita si trovavano tutte le
risposte alle domande che tormentavano le notti insonni e i giorni
troppo cupi.
Non importava davvero chi era o cos'era, da dove veniva e dove sarebbe
andato.
Importava che lui, un bambino, avesse avuto l'opportunità di
vivere una vita completa nello stesso tempo in cui qualcun altro della
sua età imparava i primi passi.
In un anno aveva combattuto, riso, pianto; aveva avuto paura, speranza,
forza e coraggio. E anche se li stava lasciando dietro di
sé, sapeva che la loro essenza avrebbe composto la forma con
cui avrebbe cominciato una nuova avventura.
Una nuova avventura con se stesso, con quella sua determinazione e con
quel suo grande cuore, che non importava non battesse realmente nel suo
petto.
Vivi si rese conto che non riusciva più a muovere le mani e
che non percepiva più il duro e liscio del ramo che aveva
incanalato tutta la sua magia, che sentiva scivolare via dal suo corpo
e disperdersi nell'aria e nel terreno.
Ma non si sentiva perduto. Non più.
Vivi chiuse gli occhi e il mondo svanì dietro di essi.
C'era solo il freddo che risaliva sul suo petto.
C'era solo il fuoco della scia che stava lasciando dietro di
sé, sotto di sé, sopra di sé.
Il suo
fuoco.
Per la prima volta Vivi sorrise, ma lui non poté vedersi
dietro le palpebre serrate e Golbez non lo notò sopra il
capo chino per rispetto.
Il freddo raggiunse il petto del maghetto e durò un secondo.
Il tempo che gli bastò per spalancare gli occhioni gialli
un'ultima volta e far rotolare lungo la guancia nera una piccola
lacrima di bambino.
Poi i suoi occhi si spensero.
Golbez non poté fare a meno di meravigliarsi per quel
piccolo miracolo che era appena accaduto.
Come era riuscito a piangere, quel pupazzo?
Lo stregone non se lo richiese una seconda volta, affidandosi
all'ipotesi che qualcosa dovesse essersi compiuto nel piccolo cuore di
un essere così grande.
Si chinò rispettosamente e sfiorò con una mano
quella del maghetto, ancora posata sul suo ramo.
Vivi aveva combattuto bene e non si era tirato indietro. Era morto con
un onore che Golbez non aveva mai visto in un bambino e questo bastava
a guadagnarsi il suo rispetto.
Uno stridio lo distrasse dal corpo inanimato e Golbez notò
che un'altra pietra si era sollevata in aria e riportava una nuova
scritta:
L'unico
modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
La
prima scelta è stata compiuta dal volere degli dei.
Posate
le armi e leggete il vostro destino.
Golbez lanciò un ultimo sguardo al piccolo Vivi, prima di
ravviarsi il mantello sulle spalle e attendere il primo verdetto,
già previsto dagli dei.
Golbez,
sei un Guerriero di Chaos.
Vivi
Orunitia è caduto per la dea Cosmos.
Lo stregone non riuscì a reprimere un moto di soddisfazione:
la battaglia non era stata semplice, ma alla fine l'aveva spuntata lui.
Tutto era andato come
previsto.
Un bagliore rossastro riflesso sulla sua armatura attirò la
sua attenzione, mentre il corpo di Vivi veniva investito da una luce
bianca.
Golbez abbassò lo sguardo su se stesso e si
scoprì anche lui attraversato da un raggio luminoso e rosso
scarlatto, mentre le stelle si spegnevano nel cielo nero sopra di lui,
che sembrava cominciare a pesare sull'Arena avvolgendola in mille spire
di oscurità.
Lo stregone lanciò un ultimo sguardo al cadavere del suo
avversario che veniva assorbito dal cielo, prima di essere inghiottito
anche lui nel buio assoluto.
Eccomi, come
promesso!
Allora, primo scontro, prima morte...VI PREGO: non uccidetemi se ho
sacrifiicato Vivi per primo! Sappiate che ha fatto molto male anche a
me (infatti gli ho reso un piccolo tributo, come è giusto
che sia per questo personaggio che ci fa sempre tanta tenerezza), ma ho
pensato a come sarebbe stato un bel duello fra Golbez e Vivi e...non ho
resistito.
Spero che abbiate apprezzato il primo abbinamento: qui va tutto come
previsto e avete anche visto come funzionano di solito i Giochi.
Ok, tenete bene a mente questo di
solito, hehe.
Ringrazio tantissimo chi ha mostrato così tanto entusiasmo
per questa storia già al secondo capitolo e chi legge e
recensisce!
Un saluto e a sabato prossimo! Ciao!
|
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Capitolo 4 *** Qualcosa di sbagliato ***
La carta di Vivi divenne opaca fra le mani di Cosmos, mentre lei si
mordeva un labbro per sopportare il rimpianto della prima sconfitta e
perdita.
Il primo sacrificio.
La carta di Gidan davanti a lei chinò rispettosamente il
capo al termine dell'ennesimo salto mortale, onorando la morte di
quello che era sempre stato un grande amico per lui.
Uno schiocco proveniente dall'alto attirò gli sguardi dei
due: un "uno" si disegnò accanto all'espressione compiaciuta
di Chaos, mentre lo zero rimase, appesantito dal pensiero della vita
spezzata di Vivi, a lato del viso di Cosmos. In seguito un "due" in
numeri romani si sottoscrisse al primo numero, per indicare
l’inizio del secondo combattimento.
In quel momento Golbez, avendo superato la propria prova, comparve al
fianco di Chaos, che lo degnò appena di uno sguardo prima
che la sua attenzione venisse catturata dal movimento dei due ritratti,
che ripresero a mescolarsi e attraversarsi per determinare il turno
successivo.
Come previsto,
quella volta toccò a Cosmos.
E, di nuovo come
previsto, quella volta doveva vincere lei.
I Giochi sarebbero stati ancora feroci e perfetti.
Un ultimo sguardo alla carta opaca di Vivi, poi la dea fece scorrere il
dito lungo la linea dei suoi mazzi di carte, indecisa su chi schierare.
I suoi occhi si soffermarono parecchio su una carta e sul ragazzo
raffigurato, che tendeva un enorme arco sfoderando un bel sorriso caldo.
Dietro di lui altre sei armi erano sospese in aria, mentre sullo sfondo
si estendeva uno sconfinato e rigoglioso prato fiorito.
La mano della dea ebbe un guizzo e la carta scelta fu spostata e posata
davanti a tutte le altre, mentre la figura corrispondente si
allontanava con un cenno determinato del capo, l'arco che scompariva
insieme alle altre armi in un bagliore dorato.
La dea si convinse di aver fatto la scelta giusta e lanciò
uno sguardo di sfida al suo avversario, che ricambiò
sollevando appena un angolo della bocca.
Nel frattempo la nebbia al centro della stanza riprese a perdersi in
grovigli e contorsioni, lasciando intravedere l'Arena successiva.
Il silenzio invadeva completamente le strade lastricate da ciottoli
usurati e sconnessi della città di Fynn. Il muschio si era
insinuato nelle fessure fra una pietra e l’altra, a volte
così in profondità da creparle in certi punti.
Le case, dai muri di un triste e sporco color cemento e i tetti blu che
svettavano contro il cielo azzurro limpido, sorgevano fra le vie
secondo un ordine non preciso, ma tutte poste davanti a un imponente
castello, le cui torri svettavano contro il profilo delle montagne.
Tutto intorno si estendeva il mare, che ammiccava placido e leggermente
increspato alla luce del sole, spirando una brezza appena pungente che
si infrangeva sulle alte e spesse mura in pietra della città.
In quel momento un leggero rumore di passi spezzò il
silenzio della vasta Arena, mentre il Guerriero di Cosmos percorreva la
strada principale, accompagnato dal sempre più preciso
tintinnio delle armi le une contro le altre.
Firion provò una leggera inquietudine quando
riscoprì in se stesso una forte sensazione di
déjà-vu, percependo la presenza di ricordi legati
a quel luogo, ma chiusi a doppia mandata in una qualche regione della
sua mente.
Il ragazzo si fermò accanto ad una casa e
incrociò le braccia con uno sbuffo, convincendosi che
lambiccarsi il cervello per nulla faceva solo male. E tutto sommato
aveva ragione, perché ciò che non è
possibile comprendere in prima istanza si può solo aspettare
che diventi più chiaro.
Anche perché
non avrebbe dovuto attendere molto.
Chaos sorrise, osservando Firion dare un calcio al muro della casa e
appoggiarvisi contro con la spalla.
Intanto Golbez continuò a osservare il dio mentre percorreva
le carte con le dita e cercava di scegliere rapidamente per non dare
tempo all'avversario di abituarsi all'ambiente.
Non che ce ne sia il
pericolo - pensò in quel momento Chaos gettando
un'occhiata a Firion, che si stava addirittura appisolando.
Una delle figure nelle carte di Chaos ebbe un fremito improvviso, ma il
dio scosse la testa: capiva bene la sua voglia di vendetta, ma
avrebbe schierato la persona interessata in un secondo momento, anche
se gli sarebbe piaciuto vedere un duello fra vecchi...amici.
Contro Firion non aveva altra scelta se non perdere. Era tutto
previsto.
Le sue dita continuarono a scorrere sui volti delle sue pedine,
soffermandosi qualche volta, ma passando sempre oltre...fino a quando
non si bloccarono su una carta che Chaos stava persino per saltare con
lo sguardo.
Non l'aveva quasi mai usata, lo dicevano le infinite volte che aveva
compiuto gli stessi gesti.
Era una donna...forse.
Una lunga treccia rossa scivolava lungo la sua spalla sinistra fino a
sfiorare un ampio, scoperto petto virile dai muscoli tesi e lucidi
sotto la pelle grigiastra.
Un paio di ali nere e appuntite si aprì alle sue spalle e il
viso, evidentemente femminile, si sollevò e si
rivelò illuminato dal bagliore degli occhi color cremisi e
dal suo sorriso letale. Poi la persona spiccò il volo e
presto la sua figura divenne un'ombra confusa contro le luci
sfolgoranti della città alle sue spalle.
In quel momento l'immagine dell'Arena sfarfallò, come se ci
fosse qualche problema nella ricezione, ma Chaos se ne accorse appena,
distratto da un movimento che riportò il suo sguardo sul
tavolo. Infatti, la figura nella carta appena accanto a quella della
prescelta e che il dio voleva scegliere al posto di quella che aveva
effettivamente schierato storse il naso e lo arricciò.
Un'altra in una carta vicina sollevò il mento e
incurvò le labbra rosse in un sorriso beffardo. Chaos
soffiò una risata:
-Un imperatore, un tiranno e la sua manipolatrice...dovreste intendervi
bene insieme-.
Improvvisamente l’immagine dell’Arena venne
catturata da un vortice che si muoveva lento, ma che dissolse
rapidamente le case, le strade, il cielo, il mare e...Firion.
Firion sbatté assonnato le palpebre e nello stesso momento
l'Arena attorno a lui svanì, per poi cambiare rapidamente
conformazione.
La casa alla quale lui era appoggiato scomparve semplicemente,
facendolo ruzzolare a terra e sfiorare con la testa il bordo di
qualcosa di più basso e squadrato. A parte questo, il
guerriero non ebbe assolutamente l'impressione di sprofondare nel vuoto
o di essere catturato da un vortice, anche perché il
cambiamento era avvenuto quasi istantaneamente, sostituendo il
pavimento della prima Arena con quello della seconda e così
accadde anche per l’ambiente circostante.
Poteva significare qualcosa, questo?
Comunque quando Firion si rialzò in piedi, sfregandosi le
mani l'una sull'altra e borbottando imprecazioni, la sua sorpresa di
fronte al nuovo spazio attorno a lui fu grande.
Il sentiero di pietra era lungo e stretto. I bordi rialzati bianchi
come il marmo riflettevano la luce arancione che attraversava la cupola
trasparente posta alla sommità dell'estremità a
nord, in cui la strada si immetteva oltrepassando un'enorme apertura ad
arco. Da lì si ripartivano due enormi decorazioni simili ad
ali, impreziosite da fregi dorati e ricche di sporgenze e incavature.
Il pavimento del sentiero era trasparente a partire
dall'estremità sud, lasciando intravedere la vertiginosa
voragine che si apriva proprio sotto, le cui pareti in roccia azzurra
si perdevano improvvisamente nell'oscurità profonda e
ingorda.
Oltre la seconda metà del sentiero, il pavimento digradava
nella più solida pietra, come se fosse stato colpito da una
pietrificazione progressiva e incompiuta.
Dei solchi irregolari, simili a quelli scavati dalle unghie di
chissà quale bestia guidata da una furia tanto cieca,
percorrevano in lunghezza tutta la pavimentazione.
Più in alto le pareti rocciose si avvicinavano le une alle
altre fino a lasciare intravedere solo un cielo rosso sangue, reso
però purpureo dal vetro violaceo attraverso cui si scorgeva.
Il viso ancora rivolto verso l'alto, Firion posò
distrattamente la punta del piede sul pavimento trasparente, prima di
abbassare lo sguardo e fare un balzo indietro, emettendo un verso
sorpreso:
-Woah! Ma qui si cade!-.
Si guardò attorno ancora per un po', prima di cominciare a
convincersi che forse il pavimento c'era, avendoci posato sopra un
piede appena due secondi prima.
Constatato questo, Firion provò nuovamente a percorrere il
sentiero e fu sollevato di osservare che, dopo circa cinque passi, non
era ancora precipitato di sotto.
Soddisfatto di questo clamoroso successo, seppur rabbrividendo per la
sensazione di vertigine, il guerriero passò ad analizzare la
situazione più nel complesso e si pose finalmente la
domanda, anzi le domande
fondamentali:
-Ma cosa diavolo è successo e dove sono, adesso?-.
Oh, le risposte non
sarebbero certamente state un problema.
Come per sottolinearlo, la luce arancione in fondo al corridoio divenne
ancora più forte, costringendo Firion a schermarsi gli occhi
con la mano.
Poi una figura nera comparve in mezzo alla fonte luminosa, oscurandola
parzialmente a seconda dei suoi movimenti. Improvvisamente la luce si
esaurì e l'ambiente rimase illuminato solo dalla debole
finestrella in alto, mentre la figura davanti a Firion si avvicinava
sempre di più.
Dapprima il guerriero scorse le sue enormi dimensioni: alta
più di tre metri e massiccia, era impossibile non notare la
sua imponenza; poi le sue ali si spalancarono: larghe, aguzze e lucide
al riflesso della finestra.
Infine i suoi capelli scarlatti, che ondeggiarono stretti in una
treccia, risaltarono naturalmente nell'ambiente così poco
illuminato, come una fresca macchia di sangue su un tessuto rovinato
dal tempo.
Quando la figura si fermò, Firion poté scorgerne
il vasto petto virile scoperto e lucido. Una lunga gonna nera, coperta
sul davanti da un drappo bianco che sfumava verso l'orlo in un color
rossiccio, si allargava sul pavimento ai suoi piedi, ondeggiando
brevemente contro le sue gambe.
La figura sollevò lentamente un braccio, muovendo una dopo
l'altra le dita che terminavano con un lungo artiglio, e
puntò la mano aperta verso Firion.
Un sorriso si disegnò sulle sue labbra sottili, punte dai
canini lunghi e lucenti.
Adele degnò appena di uno sguardo l’ambiente che
la circondava. Mille ricordi si risvegliarono dentro di lei,
così come il suo potere di Strega, che si rivelò
affamato e implacabile come sempre.
L’umano davanti a lei la guardava con una certa deferenza,
quasi intimorito dalla sua presenza. Adele ne fu compiaciuta e questo
riportò ad aleggiare sul suo viso la sua solita aura di
superiorità e disprezzo nei confronti di esseri che erano
nati per servire e non per dominare.
Non immaginò nemmeno che anche lei fosse una semplice pedina
in un gioco più importante della sua sete di potere e
dominio assoluto. L’egoismo l’aveva resa
indifferente al mondo e questo era sempre stato il suo sbaglio.
E, dato che non era mai cambiata nemmeno quando ne aveva avuto una
seconda opportunità, probabilmente avrebbe continuato a
sbagliare.
Qualcosa di sbagliato.
Cosmos osservò Adele e Firion studiarsi reciprocamente e si
domandò cosa fosse andato storto.
Fu sollevata del fatto che la sua pedina avesse sopportato bene il
cambio di Arena: probabilmente l’interferenza
nell’immagine aveva dato l’impressione di un
mutamento devastante che non si era effettivamente verificato nella
realtà.
La dea sollevò uno sguardo confuso sul suo rivale, che fece
semplicemente spallucce e accennò con il mento alle due
pedine in gara, mentre in quel momento la solita scritta compariva per
dichiarare l’inizio del secondo duello.
L’unico modo
per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Combattere per
essere scelti dagli Dei o rinunciare e morire? A voi la prima scelta,
Guerrieri.
Cosmos intrecciò le mani in grembo, inquieta, cercando di
convincersi che probabilmente la selezione casuale delle arene non
aveva funzionato a dovere.
Sì, doveva essere stato questo.
Sperava fosse stato solo
questo.
Adele, la mano ancora sollevata e tesa verso Firion, sorrise nel
leggere le parole scritte sulla pietra del pavimento.
Rinunciare?
Non l’aveva mai fatto.
Morire? Non
l’avrebbe permesso.
Combattere?
Avrebbe fatto di più, per se stessa.
La Strega ritrasse la mano, mentre le sue ali si sollevavano e
tendevano dietro le sue spalle, permettendole di alzarsi in volo fino a
sfiorare solo la terra con i piedi.
Il suo nome fu scritto accanto al testo sul pavimento e Adele
sollevò il mento, inebriata dal potere che cominciava a
scorrerle nelle vene.
Neanche Firion esitò.
La figura davanti a lui sembrava davvero potente e pericolosa, ma lui
sentiva di avere un’arma più forte che non
rientrava fra quelle di cui era equipaggiato.
Quella si trovava nel suo cuore ed era un motivo per combattere.
Un sogno.
Un sogno non solo per se stesso ma anche per gli altri. Qualcosa per
cui combattere senza tenere in particolare conto la propria vita, con
l’accettazione di sacrificarla di fronte alla
necessità e a una causa più importante.
Questo era ciò che gli era stato insegnato e questo era
ciò che avrebbe messo in pratica, per il mondo, per i suoi
amici e...sì, anche per se stesso.
Perché aveva imparato che chi combatte unicamente per i
propri obiettivi, è solo di fronte
all’imprevedibilità della vita.
Era arrivato il momento di promuovere ciò in cui credeva
nell’unico modo possibile: combattendo.
Firion afferrò il suo arco e prese una freccia tra le dita.
Mentre il proiettile toccava la corda, il suo nome si
affiancò a quello di Adele.
La battaglia poteva
avere inizio.
Adele batté le ali e si sottrasse alla freccia scagliata da
Firion, la quale si perse nell’oscurità oltre
l’apertura ad arco. La Strega contrattaccò subito
scendendo in picchiata su di lui e scagliandogli un raggio luminoso,
che lui evitò scartando di lato. Poi, velocissimo, estrasse
la ferula e mirò alla figura dell’avversaria,
ancora vicina a lui nell’atto di alzarsi di quota.
Adele si voltò improvvisamente e scagliò un Flare
contro il proiettile, che fu rispedito al mittente avvolto da fiamme
non-elementali. Firion fece un balzo indietro e poi si sottrasse con
una capriola all’ennesimo raggio della strega, vedendosela
subito dopo arrivare addosso con gli artigli protesi in avanti. Prima
che potesse anche solo pensare di spostarsi sul muretto del corridoio
per evitarla, lei l’aveva già afferrato per il
mantello e sollevato, per poi lanciarlo oltre il corridoio, nel vuoto.
Fortuna volle (non proprio, ma meglio che niente) che Adele avesse
calibrato male la sua poderosa forza e avesse scagliato Firion
esattamente contro la roccia alla sua destra. Così al
guerriero non restò altro da fare che estrarre la sua
Longinus e conficcarla nella parete per fermare la propria caduta.
Rimasto così appeso alla sua lancia, riuscì ad
accorgersi appena in tempo della Strega che gli si stava avventando
nuovamente contro: il guerriero di Cosmos lasciò la presa
sul manico della lancia e ruzzolò a terra, proprio sopra una
delle due ali che si dipartivano dall’estremità
del sentiero opposta a quella da cui era giunto lui.
Un raggio luminoso si abbatté esattamente dove si sarebbe
trovata la sua testa, se Firion non fosse rotolato a destra,
afferrandosi poi a una sporgenza della decorazione per rimettersi in
piedi.
Il guerriero sguainò la spada e la portò davanti
al viso in tempo per parare un altro raggio, poi scattò
rapidamente in avanti per compiere l’offensiva. Il primo
fendente si abbatté sul braccio di Adele, che respinse la
lama semplicemente colpendone il piatto con l’altra mano. A
questo punto Firion torse il braccio e tentò un affondo
verso il fianco scoperto della Strega, ma questa eresse una barriera
che, oltre a difenderla, sbalzò all’indietro il
guerriero, facendo precipitare nel vuoto la sua spada.
Firion finì pericolosamente sull’orlo della
decorazione e Adele non perse un secondo a buttarsi contro di lui per
finirlo.
Il guerriero di Cosmos precipitò insieme alla Strega, ma
riuscì ad afferrarle la gonna per evitare di cadere nel
vuoto. Adele scalciò furiosamente, ma Firion rimase
saldamente appeso e si lasciò cadere solo quando fu sicuro
di atterrare sul muretto del sentiero.
La Strega rimase sospesa da terra all’altra
estremità e fu a quel punto che Firion sollevò un
sopracciglio:
-Accidenti, sei forte! Ma...posso farti una domanda?-.
La Strega strinse i pugni senza rispondere, probabilmente studiando la
prossima strategia.
Il guerriero rinsaldò la presa sul coltello che teneva
dietro la schiena, sguainato durante la caduta, e chiese con aria
innocente:
-Ma tu sei maschio o femmina?!-.
Adele scattò in avanti con un ruggito infuriato e a quel
punto anche Firion si slanciò verso di lei (o di lui?!)
correndo sul muretto del sentiero. Quando arrivò alla giusta
distanza, ruotò il braccio a destra per colpirla con il
pugnale, ma lei lo disarmò, scacciando la lama come se si
trattasse di una mosca, e con un pugno fece sbilanciare Firion
all’indietro, scagliandolo nuovamente nel vuoto.
Per un orribile secondo il guerriero pensò che sarebbe morto
così, precipitando all’infinito, ma
improvvisamente Adele spiccò il volo e gli si
avventò contro, afferrandolo per le spalle con gli artigli
affilati.
In quel momento il guerriero sentì una presenza estranea che
cercava di infilarsi nella sua mente, contemporaneamente alla fitta di
dolore provocata dalle unghie della Strega che gli trapassavano la
carne.
Adele stava cercando di
impossessarsi del suo corpo per assorbirne la forza vitale.
Firion scalciò debolmente e cercò di opporsi al
controllo mentale della Strega, concentrandosi su qualcosa che non
fosse il vuoto sotto di lui o la dolorosa sensazione della carne
lacerata.
Così pensò con tutte le sue forze al suo sogno e
alla grande speranza che lo alimentava.
Poteva esserci qualcuno che avrebbe potuto strappargliela?
Aveva giurato che avrebbe ceduto la propria vita per questo, non che
avrebbe rinunciato alla ragione stessa per cui era un sognatore.
E la differenza tra lui e un sognatore qualsiasi era che lui aveva i
mezzi per poter concretizzare ciò in cui sperava
così ardentemente.
Firion strinse la mano attorno al manico della sua ascia.
Quello era un buon mezzo.
Il guerriero la estrasse dalla cintura e menò un poderoso
fendente al fianco della Strega, approfittando della sua distrazione.
Adele fu ferita solo superficialmente, ma l’attacco la colse
così tanto di sorpresa da costringerla a interrompere il
controllo mentale e ad allentare la stretta sulle spalle del guerriero.
Nel frattempo Firion, liberatosi definitivamente della sua presa, le si
arrampicò sulla schiena e brandì il pugnale, che
conficcò poi nell’attaccatura dell’ala
sinistra di Adele, tranciandola di netto con un guizzo del polso.
La Strega precipitò di colpo, prima di raddoppiare gli
sforzi sull’ala destra e riprendere lentamente quota,
lanciando un ringhio di dolore e rabbia.
Firion non si fece intimidire: puntò i piedi sulla schiena
della Strega e, conficcando la punta della scarpa nella ferita appena
inferta, spiccò un balzo che gli permise di raggiungere il
sentiero sospeso.
Una volta atterrato, si voltò velocemente per non perdere di
vista la Strega, che si stava preparando, non senza un certo sforzo, a
lanciare un’Ultima, l’arco di un sorriso che le
increspava i lineamenti contratti.
Il guerriero di Cosmos approfittò un’altra volta
della sua distrazione e incoccò una freccia, che poi
scagliò con tutta la forza di cui disponeva.
Il proiettile lasciò una scia luminosa in aria e
volò rapido, conficcandosi al centro del petto di Adele e
trapassandolo da parte a parte.
La Strega interruppe la magia e si piegò su se stessa,
lanciando un grido straziante.
Poi si irrigidì tutta e la sua mano artigliò
l’aria invano, prima di precipitare con tutto il suo peso nel
vuoto abisso di un luogo che lei stessa aveva voluto fosse costruito,
in un passato troppo lontano.
Firion rimase a fissare a lungo il punto in cui Adele era scomparsa,
fino a quando una scritta non si tracciò sotto i suoi piedi:
L'unico modo per
sceglierli è dargli un motivo per farlo.
La prima scelta
è stata compiuta dal volere degli dei.
Posate le armi
e leggete il vostro destino.
Firion si rimise l’arco a tracolla e guardò con
rimpianto la sua Longinus, ancora conficcata nella roccia.
Firion,
sei un Guerriero di Cosmos.
La
Strega Adele è caduta per il dio Chaos.
Mentre il paesaggio attorno a lui cominciava a sparire, Firion non ebbe
tempo di avere paura. Anche perché la sua mente era occupata
da un solo pensiero, che l’aveva tormentato per tutta la
durata del combattimento.
Finalmente aveva avuto la risposta che cercava.
-Ma allora...Adele è donna!-.
Eccomiiiii!
Allora, prima di tutto chiedo umilmente scusa per il ritardo; avrei
dovuto pubblicare ieri ma sostanzialmente i problemi sono stati due:
mancanza di connessione (che salta proprio quando ne hai bisogno,
quella maledetta!) e tempi ristretti (per mia somma gioia).
Però adesso ci sono e da ora in poi, costi quel che costi,
pubblicherò ogni sabato, anche a costo di venire
personalmente a casa vostra a portarvi il capitolo in cartaceo!
Sapete, potrei farlo veramente.
Ok, bando alle cose inquietanti, in questo capitolo cominciamo a vedere
che qualcosina va storto...qualcosa di insignificante come il mutamento
dell'Arena (che non nuoce più di tanto alle pedine
perché è un po' lo stesso principio di quando il
vincitore vede scomparire attorno a sé il paesaggio
dell'Arena per poi ritrovarsi fisicamente nello stesso ambiente di
Cosmos e Chaos), ma si comincia sempre con i piccoli
problemi...
Spero che l'abbinamento Firion-Adele vi sia piaciuto. L'ho trovato
calzante anche per i motivi che ho spiegato nel capitolo stesso: lei
senza scrupoli ed assetata di potere, lui con un sogno di pace da
realizzare.
E poi Adele è anche un tiranno e dato che Firion in passato
si è dovuto misurare con l'Imperatore...insomma, mi
è sembrato interessante metterli l'uno contro l'altro.
Per chi mi conosce, si doveva aspettare l'intrusione di FFVIIII in
questa fanfiction. E poi, il personaggio di Adele mi ha sempre
incuriosita molto...nel videogioco originale le è stato dato
pochissimo spazio e...sì, non si è ancora capito
se sia maschio o femmina. Bah, io ho usato il femminile per riferirmi
al termine "Strega", che è lo stesso principio di FFVIII
ogni volta che si parla di Adele, poi non lo so...
Spero si sia abbastanza capito: la seconda Arena è il
Lunatic Pandora (non ho potuto esplicitarlo perché Adele non
se n'è ricordata totalmente), eh!
Non avendo null'altro da chiarire...chiedo ancora scusa per il ritardo
e vi do appuntamento a sabato prossimo (sarò puntuale, eh!)!
Ciaaao!
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Capitolo 5 *** Il duello imprevisto ***
La carta di Adele atterrò sul tavolo proprio mentre un alone
di densa nebbia ne oscurava completamente l'immagine. Chaos, la mano
destra ancora levata dopo averla lanciata, la degnò di un
solo sguardo carico di disprezzo e delusione: quanto al resto,
bastarono le espressioni disgustate delle due figure che anche in
precedenza avevano dimostrato il loro disaccordo sulla scelta compiuta
dal dio.
Golbez alle sue spalle osservò la superficie opaca della
carta riflettere lo scintillio prodotto dall' "uno" che si
disegnò in alto accanto al volto di Cosmos, ora
più rilassato. Successivamente comparve anche un "tre" in
numeri romani, ad annunciare l'inizio del terzo combattimento.
Ma in quel momento lo stregone spostò lo sguardo sul tavolo
della dea, dove presumeva si trovasse ancora la carta di Vivi. Dentro
di lui cominciava a maturare la repulsione per quei Giochi tanto
crudeli quanto inutili. Davvero non c'era altra scelta tra combattere e
morire? Perché nessuno di loro aveva ancora osato andare
oltre i limiti? Era così assurdo persino pensarlo?
Una forte sensazione di angoscia colpì lo stomaco di Golbez
con una stilettata gelida, prima che l'improvvisa comparsa di Firion lo
distogliesse dai suoi pensieri.
Il ragazzo sorrise trionfante a Cosmos, che annuì lentamente
e lasciò che il suo primo guerriero si sedesse a gambe
incrociate alla destra del suo scranno, con le mani posate sul mento e
i gomiti piantati sulle cosce, tutto concentrato nell'osservare la
nebbia al centro dello spazio.
I volti di Cosmos e Chaos in alto cominciarono a mescolarsi per la
terza volta, determinando, come previsto, il turno di Chaos.
Il dio decise che era il momento di dare una svolta decisiva alla gara
e cominciò a cercare con lo sguardo una carta che non era
mai mancata nel suo mazzo. Era come se ci fosse sempre stata. Sentiva
che, in qualche modo, per questo la pedina che rappresentava non
l'avrebbe mai tradito.
Chaos la prese finalmente fra le dita e insinuò lo sguardo
tra le fessure dell'enorme elmo sulla testa del guerriero raffigurato,
che non ebbe bisogno di un lungo contatto visivo:
disincastrò l'arma dal terreno e subito la sua figura prese
ad affondare in un mare di tenebre che lo inghiottì famelico
e senza lasciarne traccia.
Immediatamente lo sguardo del dio fu catturato dal turbinio frenetico
della nebbia al centro della stanza e allora si sistemò
meglio sulla sedia, pronto a godersi lo spettacolo.
Inizialmente c'era solo nebbia: densa, palpabile, soffocante, malsana.
Il mondo si nascondeva dietro di essa come dietro a una maschera, come
lo scenario su un palco nascosto da un pesante e ondeggiante sipario.
In quel momento la nebbia cominciò a fremere lentamente,
perdendo gradualmente consistenza e lasciando intravedere i primi
contorni del paesaggio che celava. Quando il fumo si diradò
completamente, comparve l’interno del Santuario di Chaos.
Un enorme scalone centrale ricoperto da un immacolato tappeto rosso
conduceva fino a un trono dalle linee aspre ma solenni
nell’insieme. Due poderosi colonnati dividevano la stanza in
tre navate e agli angoli erano poste le statue dei quattro demoni
elementali, ognuna affiancata da due fiaccole. Il soffitto era crollato
per un pezzo, rivelando un cielo ricoperto da nuvole così
dense e immobili da sembrare piombo, mentre vortici di vento si
abbassavano a inglobare nel loro movimento una miriade di bioccoli di
polvere, assoggettati così al loro volere...come pedine.
Una profonda macchia di opaca oscurità si aprì
improvvisamente davanti al trono e una figura cominciò ad
emergere dal buio, salendo lentamente e lasciando che lunghi e ricurvi
tentacoli di quel mare di tenebre scivolassero giù dalle
lunghe corna del suo elmo.
L'uomo comparve nell'Arena senza violare il perfetto silenzio che la
dominava...perlomeno, fin quando la sua enorme spada non
colpì il pavimento incidendovi una tacca profonda e facendo
richiudere la voragine sotto i suoi piedi. Poi Garland si
aggiustò il mantello viola, mentre la luce delle fiaccole si
rifletteva su ogni piastra della sua armatura, mandando un bagliore
luminoso ma al tempo stesso sinistro.
Il braccio destro di Chaos rimase immobile per qualche secondo,
vigilando sull’innocuo silenzio che riempiva ogni angolo.
La sua spada tintinnò contro l’elmo quando lui se
la mise in spalla, ruotando il busto per guardarsi intorno e muovendo
qualche passo nell’ambiente.
Lì, dove la
sua storia continuava a tornare, incatenata al flusso del Tempo.
Garland era l’unico che conservava il ricordo di ogni ciclo e
che quindi conosceva a memoria il procedimento dei Giochi. Aveva
combattuto con ogni pedina possibilmente sacrificabile di Cosmos e ne
era sempre uscito vincitore...quando era tutto previsto.
Il guerriero si domandò per la prima volta come sarebbe
stato un duello imprevisto.
Per la prima volta.
Ironia della sorte, probabilmente.
Cosmos osservò Garland nell’Arena: il volto
demoniaco inciso sull’elmo ne rendeva l’espressione
del viso imperscrutabile, ma l’aura di rispettoso potere che
emanava non lasciava dubbi sulla sua interpretazione.
C’era solo una pedina che avrebbe potuto contrastarlo e lei
non poteva schierarla...
...perché
no?
La donna sussultò e abbassò lo sguardo su Firion,
alla sua destra:
-Hai detto qualcosa, Firion?- gli sussurrò, nascondendo il
turbamento.
Il guerriero si volse a guardarla confuso:
-Io? - cadde dalle nuvole - No di certo: non credo sia sportivo
insultare il nemico...anche perché devo ammettere che ha un
gran bel paio di orecchini sull'elmo- precisò annuendo
vigorosamente. La dea ignorò il resto della frase e si
fermò alla negazione di Firion.
Ma allora...chi aveva
parlato?
Non sapendo spiegarselo, provò a convincersi di essersi
semplicemente immaginata quelle due parole, che l'avevano profondamente
tentata.
Le sue dita cominciarono a scorrere sulle carte, ma quando giunsero
sull'ennesima carta da sacrificare...
Che
crudeltà, Cosmos.
La dea sentì chiaramente quelle tre parole, così
come percepì in modo definito il suo viso farsi freddo come
il marmo e successivamente la voce preoccupata di Firion:
-Cosmos...va tutto bene?-.
Lei lanciò un fugace sguardo a Chaos, che non sembrava
essersi accorto di nulla, e poi soffiò:
-C'è qualcuno che...-.
Il
tempo scorre, ricordalo.
-Qualcuno che...?-
la incalzò Firion.
L'istinto
non pensa due volte.
-Cosmos?-.
Vittoria
invece di sacrificio: scambio equo.
Ma lei non avrebbe vinto
quel turno. Era stato stabilito così.
Quando
l'ordine è alterato, non fare previsioni.
Effettivamente qualcosa
di anomalo era già successo. Forse...
Cosmos abbassò le palpebre tremanti, la testa
improvvisamente leggera e dolente. Dietro di esse, mille spirali
danzavano al battito affannoso del suo cuore.
Quando riaprì gli occhi, abbassò lo sguardo sulla
prima carta che aveva davanti, raffigurante un bell'uomo che si portava
la spada davanti al viso e lo tagliava in due metà speculari.
La
scelta a loro. Che decidano gli opposti.
Le sue dita sfiorarono delicatamente e meccanicamente la figura, che
abbassò lentamente la spada e annuì con un cenno
del mento.
Non
ti sei mai chiesta cosa significhi essere...pedine?
Il massiccio portone del Santuario di Chaos si spalancò,
rivelando una figura aggraziata che camminava poggiando appena i piedi
a terra. Garland si voltò all’improvviso,
guardando dall’alto della scalinata il nuovo arrivato, e la
sua spada scivolò dalla sua spalla per piantarsi con uno
schianto nella pietra del pavimento.
Guerriero della Luce si fermò sulla soglia e scosse appena
la testa, lasciando che i capelli bianchi sfuggiti all’elmo
gli scivolassero dietro le spalle.
L’uomo sollevò lo scudo, mentre l’altro
braccio rimaneva perpendicolare al pavimento, la spada che ondeggiava
lentamente come la veste bianca sotto l’armatura violacea.
In quel momento le nubi intraviste attraverso la spaccatura del
soffitto cominciarono a ruggire e a contorcersi, assumendo un colore
viola acceso striato di scuro. Il vento soffiò
più forte, scompigliando nuovamente i capelli di Guerriero e
facendo tintinnare gli orecchini di Garland.
Sulla parte di soffitto non crollata si disegnarono stridendo alcune
parole.
L’unico modo
per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Combattere per
essere scelti o rinunciare e morire: a voi la prima scelta.
Guerriero fu il primo a
riabbassare il mento.
La sua fedeltà a Cosmos era tutto ed era evidente che
avrebbe combattuto fino alla morte per far parte delle schiere della
dea dell’Armonia.
Non avrebbe permesso a nessuno di sostituirlo.
Guerriero fece un passo avanti e il suo nome comparve con uno schianto
alla sinistra della scritta.
Aveva sempre avuto un
motivo per farsi scegliere.
Garland non poté fare a meno di ammirare la mancanza di
esitazione dell’avversario, il cui nome ora brillava alla
sinistra della scritta incisa rozzamente nella pietra.
Ma anche lui aveva ben poco a cui pensare: quell’incontro era
stato totalmente inaspettato, ma invece di sentirsi turbato
percepì nettamente l’eccitazione tendergli tutti i
nervi del corpo. In fondo, si trattava sempre di uno scontro con
Guerriero.
E poi, se voleva sapere cosa avesse provocato un cambiamento
così radicale nelle regole dei Giochi, doveva uscire vivo da
quel duello. E qualcosa gli diceva che non sarebbe stato facile come le
altre volte.
La sua mano si chiuse saldamente sull’elsa dello spadone e lo
estrasse dal pavimento, riportandolo sulla propria spalla; il suo nome
comparve con un clangore cristallino alla destra della scritta.
Il duello imprevisto
poteva iniziare.
Caricarono insieme: Guerriero si gettò in avanti senza una
parola, mentre Garland balzò giù dalla scalinata
roteando la spada; si incontrarono con un clangore metallico e subito
si separarono in una danza letale.
La seconda volta il vantaggio fu di Garland, che fu addosso
all’avversario e manovrò lo spadone per menargli
un fendente. Guerriero schivò prontamente e balzò
all’indietro, incontrando il muro dietro di sé e
dandosi la spinta per il terzo assalto.
La pedina di Cosmos volò oltre l’avversario e
ruotò la spada per assestargli un colpo da dietro, ma
Garland lo intercettò con una piroetta e parò con
un contraccolpo tale da spedire Guerriero contro una colonna, che si
spezzò in due.
Il braccio destro di Chaos lo seguì per non dargli tregua e
Guerriero fu costretto a sollevare lo scudo per parare due colpi
tremendamente potenti, prima di scivolare via dalla portata
dell’avversario mentre la colonna abbattuta si piegava su se
stessa.
Garland si gettò all’inseguimento di Guerriero,
che sfrecciava tra una colonna e l’altra posando di tanto in
tanto i piedi sui pilastri. Improvvisamente quest’ultimo si
voltò e le lame cozzarono un’altra volta, mentre i
due atterravano. Guerriero imbracciò lo scudo, che si
illuminò di azzurro e respinse l’avversario con
uno schianto tremendo. Il contraccolpo fece slittare di qualche passo i
piedi di Guerriero, prima che lui spiccasse un balzo per raggiungere
Garland, che era finito contro il muro aprendo una breccia profonda.
La spada della pedina di Cosmos guizzò veloce cercando una
fenditura nella guardia del nemico, che brandì velocemente
lo spadone e annullò la distanza con la lama avversaria,
prima di cambiare verso della rotazione con cui si stava difendendo e
tentare di colpire le rapide gambe di Guerriero, che parò
con lo scudo e si servì di esso come punto
d’appoggio per fare una capriola in aria e puntare i piedi
contro lo stesso Garland.
Ma ad aspettarlo trovò ancora una volta lo spadone, che gli
scivolò da sotto gli stivali; il Guerriero di Chaos
scagliò quindi l’avversario contro la colonna che
aveva davanti, ma l’altro la colpì con i piedi e
ne ricavò un ulteriore slancio per rigettarsi contro
Garland, che a sua volta stava schizzando verso di lui.
Le spade si incrociarono ancora mentre precipitavano, ma questa volta
Guerriero liberò subito la sua non appena toccò
terra, tentando un fendente da dietro lo scudo. Garland
arretrò fuori portata, ma l’avversario si
gettò in avanti e lo colpì al petto con il piatto
della lama, facendo rimbombare l’armatura, prima di fare una
capriola e sferrargli un calcio potente.
Garland barcollò all'indietro ma rimase in piedi e subito
levò rabbioso la spada verso Guerriero, che intanto era
atterrato su una mezza colonna.
Dai movimenti fluidi e più determinati dei due guerrieri si
poteva intuire una sola cosa: il riscaldamento
era appena finito.
Chaos rimase immobile a fissare i due guerrieri scrutarsi, i corpi
appena scossi dal respiro accelerato.
Dentro di lui c'era una grande irritazione: che diavolo aveva fatto Cosmos?
Che cosa le era passato per la mente?
Già...che cosa?
La tregua fu brevissima: Guerriero balzò giù
dalla colonna portando la spada sopra la testa e calandola
sull’avversario a una velocità impressionante.
Garland ruotò su se stesso e il suo spadone deviò
la traiettoria della lama avversaria, incontrando con un tintinnio lo
scudo di Guerriero, che l’aveva prontamente sollevato.
Garland disincastrò la spada e fece un passo indietro,
subito compensato dal nuovo assalto di Guerriero. La pedina di Chaos
menò un colpo di taglio verso la testa
dell’avversario, che si abbassò per poi allungare
il braccio armato per colpire l’incavo tra collo e spalla del
nemico, incontrando però il braccio sollevato dell'altro.
Allora la sua spada si illuminò di azzurro e
rilasciò un’onda d’urto che
scagliò Garland nuovamente contro il muro e Guerriero contro
una colonna per il contraccolpo.
Garland questa volta non rimase incastrato e sfruttò la sua
posizione per camminare sul muro e raggiungere la terrazza sovrastante.
L’avversario lo seguì subito dopo rimbalzando
sulla colonna contro cui era finito e uscendo a sua volta all'aperto,
per poi lanciarsi a tutta velocità sul Guerriero di Chaos,
che lo respinse al momento giusto con il piatto della lama e lo fece
volare per parecchi metri fino a colpire una roccia.
Guerriero si riprese subito e attaccò di nuovo mulinando la
spada.
Non appena l’avversario ebbe anche solo sfiorato terra per
darsi un altro slancio ed attaccarlo dall’alto, Garland
piantò lo spadone nel terreno e aprì una crepa
profonda in cui Guerriero finì incastrato fino alla vita.
La pedina di Cosmos fece in tempo a sollevare lo scudo per ripararsi da
un fendente dall’alto e successivamente interpose la sua
spada fra lui e l’ennesimo attacco di taglio.
I due strinsero i denti, per niente intenzionati a cedere alla
pressione dell’altro.
Fu Guerriero a perdere per primo la presa, ma solo per liberarsi dal
terreno con uno strattone e una capriola, prima di scagliarsi contro
Garland, a un soffio di distanza da lui. I due arretrarono insieme come
schegge, colpendosi con una raffica di fendenti e affondi che trovarono
superficialmente il ventre di Garland e il fianco di Guerriero.
Durante lo scontro ravvicinato, la pedina di Chaos lanciò
improvvisamente in alto il suo spadone, prima di afferrare Guerriero
per le spalle e rovesciarlo per scagliarlo verso terra.
Mentre l’avversario cadeva, lo spadone fischiò
accanto alla sua mano e Garland lo brandì per calarlo in
picchiata contro Guerriero, che toccò terra con uno schianto
e rotolò velocemente via da Garland, prima di rialzarsi in
piedi e mirare con un balzo alla schiena dell’avversario,
colpendolo e incidendo delle crepe profonde nelle piastre metalliche.
Garland si girò improvvisamente con un ringhio e il piatto
del suo spadone si abbatté con forza sul taglio della lama
di Guerriero, che non poté nulla contro la spinta
straordinaria dell'avversario.
La pedina di Cosmos fu sbalzata lontano e colpita ripetutamente e senza
tregua da Garland. Un fendente dal basso scagliò Guerriero
incredibilmente in alto e fu in quel momento che Garland
piantò la spada a terra per caricare un attacco speciale con
cui intendeva terminare il duello.
Ma non aveva fatto i conti con la tenacia di Guerriero: in quel momento
un oggetto luminoso e rotante colpì Garland in pieno volto e
lo sbalzò lontano, privo della propria spada. In seguito la
pedina di Cosmos imbracciò nuovamente lo scudo che gli aveva
scagliato a tutta velocità e si gettò contro
l'avversario, che era finito contro una roccia ma si era già
alzato in piedi, tuttavia inerme.
Garland spiccò un balzo per evitare la lama di Guerriero,
che si limitò a poggiare un piede sulla roccia e seguirlo in
aria, riuscendo a sorprenderlo alle spalle con un fendente al fianco
sinistro che scagliò l'avversario a terra.
Guerriero roteò la spada e si lanciò in una
rapidissima picchiata per dare il colpo finale al nemico, ma Garland
nella caduta era riuscito a toccare terra con un piede ed aveva
così raggiunto un punto più lontano.
Il braccio destro di Cosmos fendette la terra con la lama prima di
essere colpito da Garland, che gli si scagliò contro a tutta
velocità trascinandolo con sé verso la sua spada,
ancora piantata nel terreno.
Puntando la lama a terra, Guerriero rallentò la loro corsa e
spazzando in seguito il terreno sotto le gambe dell'avversario lo
costrinse a saltare, permettendogli di infilarsi sotto di lui e
riprendere a spingerlo verso lo spadone in posizione di vantaggio,
sfruttando una rincorsa presa all'ultimo minuto.
Tuttavia, non appena arrivò a un soffio dalla lama affilata,
Garland afferrò l'impugnatura della sua arma e la
calò pesantemente su Guerriero. L'avversario parò
prontamente con lo scudo, ma le braccia tremanti lo fecero
dubitare in fretta della duratura tenuta della sua guardia.
Così fece scivolare via la lama scartando di lato, per poi
scattare nuovamente in avanti e sorprendere Garland con un colpo di
piatto della lama, che incontrò brevemente la spada
dell'avversario mentre lui la risollevava dopo il fendente schivato da
Guerriero, e che poi si abbatté sull'armatura
dell'avversario.
L'impatto spedì Garland nella breccia del pavimento che dava
sull'interno del Santuario, facendolo cadere di sotto. Un balzo e
Guerriero fu sopra di lui, ma ancora una volta Garland si difese,
puntandogli i piedi in pancia e allontanandolo.
Guerriero fece una capriola in aria e, toccata una colonna con i piedi,
tornò direttamente all'attacco, ma fu poi costretto a
scartare largamente a destra per evitare l'ascia da guerra in cui
Garland aveva trasformato la sua arma. Mosse qualche passo sulla
colonna più vicina per aumentare la velocità
della corsa ed avere un buon punto d'appoggio da cui saltare. Una volta
a mezz'aria, scagliò nuovamente il suo scudo contro Garland,
che però non si fece ingannare due volte e portò
la spada davanti al viso. L'oggetto fu così rispedito al
mittente a velocità raddoppiata, schiantandosi contro la
colonna su cui Guerriero aveva appena camminato e tagliandola appena
sopra la metà, per poi andarsi a conficcare in quella
retrostante.
Garland si scagliò contro Guerriero per sorprenderlo in
mancanza dello scudo e le spade cozzarono nuovamente. Anche senza
protezione, la pedina di Cosmos sapeva difendersi egregiamente con la
spada, ma ben presto le braccia cominciarono a tremargli per lo sforzo
e dovette pensare a un altro modo per tener testa a Garland mentre
cercava di recuperare lo scudo.
In quel momento le sue spalle toccarono la mezza colonna dietro di lui
e Garland disincastrò il suo spadone per tramutarlo in ascia
e abbatterlo con forza su di lui. Guerriero ne approfittò
egregiamente per sgusciare via prima che l'ascia si schiantasse dove
poco prima c'era la sua testa, penetrando nella pietra e sgretolandola.
Garland estrasse in fretta l'arma, tornata sotto forma di spadone, e la
calò nuovamente su Guerriero, che si stava girando in quel
momento con la spada già brandita. Sfruttò la
rotazione per parare ancora più efficacemente il fendente
avversario, puntando i piedi per non concedergli nemmeno un centimetro.
Poi disincastrò rapidamente la lama e compì un
affondo che sfiorò di punta il fianco di Garland, prima di
essere deviato da uno scarto dello spadone, squarciando la difesa di
Guerriero.
Sull'armatura della pedina di Cosmos si disegnò una profonda
crepa, tanto che si cominciò a intravedere parte della veste
sottostante.
Guerriero non stette a guardarsi il petto due volte e si
scagliò contro l'avversario con un grugnito. Garland lo
accolse prontamente con lo spadone sollevato, che poi fece ruotare
appoggiando il pomo sul palmo della mano per cominciare l'offensiva
contro Guerriero dopo aver parato un suo fendente.
Era ciò che l'avversario stava aspettando: invece di
arretrare per schivare, Guerriero si gettò sullo spadone e
compì un balzo che gli permise di essere colpito dal piatto
della lama e spedito contro l'ultima colonna.
Prima di schiantarsi contro la pietra Guerriero vi piantò la
spada, che gli permise di darsi lo slancio per portarsi sul lato destro
di essa e recuperare il suo scudo ancora incastrato, finendo poi contro
il muro e rimbalzando su di esso per tornare sulla colonna a
disincastrare l'arma. In quel momento lo spadone di Garland si
abbatté sulla pietra, che franò sotto i piedi di
Guerriero. Fortunatamente la spada della pedina di Cosmos rimase al suo
posto e il proprietario la recuperò con un balzo,
dirigendola subito contro l'avversario potenziata di una luce azzurra
il cui impatto sbalzò Garland contro l'imponente trono al
termine della scalinata.
Guerriero caricò nuovamente in avanti per scontrarsi con
Garland, che non si fece cogliere impreparato: entrambe le armi erano
potenziate e una furia cieca li costringeva a cercare ogni modo per
concludere quel duello che li stava vedendo in parità
assoluta.
Le armi cozzarono insieme alle grida liberatorie dei due e allora
l'esplosione fu tremenda: Guerriero fu sbattuto contro il portone e
riuscì a tenersi a uno dei due battenti spalancati per
evitare di essere sbalzato fuori dall'Arena e perdere così
lo scontro; Garland si schiantò contro il muro appena sopra
il trono e aprì una profonda breccia che fece intravedere
alcuni lembi di cielo violaceo.
I due combattenti scivolarono a terra e lo sguardo di sfida che si
scambiarono chiarì che nessuno di loro avrebbe concesso la
vittoria all'avversario.
In quel momento la scritta sopra le loro teste si illuminò
di nuovo:
L'unico
modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Avete
fatto la vostra scelta.
Ora
tocca alle Divinità.
Guerriero e Garland rimasero immobili ad osservare le parole che
avevano sostituito le altre scolpite in precedenza. Poi i loro occhi si
incrociarono nuovamente e questa volta le armi si abbassarono.
Avevano fatto del loro meglio: evidentemente non era bastato.
Oppure era stato...troppo?
Cosmos e Chaos si scambiarono un lungo sguardo, proprio come le loro
pedine nell'Arena.
-Non possiamo farli continuare- cominciò Chaos,
tamburellando con gli artigli sul tavolo.
Cosmos si risparmiò il commento velenoso che le stava
salendo alle labbra: Guerriero aveva impegnato parecchio Garland e non
aveva dubbi sul fatto che avrebbe potuto spuntarla. Ma poteva essere
anche il contrario e lei non poteva permettersi di perdere il suo
braccio destro.
L'unico
modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
La dea sussultò nuovamente, attirando su di sé lo
sguardo di Firion e Golbez.
Mi
pare che abbiano mostrato a sufficienza i loro buoni motivi.
Cosmos si sentì nuovamente fragile e confusa, ma
cercò di non darlo a vedere e posò una mano
appena fremente sulla superficie del suo tavolo:
-Concordo. Chiudiamolo qui-.
Uno scricchiolio attirò l'attenzione dei due Guerrieri,
costringendoli a puntare nuovamente lo sguardo sul soffitto e a seguire
l'apparizione graduale di una nuova frase:
L'unico
modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
La
scelta è stata compiuta dal volere degli dei.
Posate
le armi e leggete il vostro destino.
Garland piantò la spada nel terreno e incrociò le
braccia, mentre Guerriero infilò la spada nel fodero e
risollevò il viso ansioso.
Sapeva che il gioco non valeva solo la sua candela, ma quella di Cosmos
e di tutta la sua schiera di guerrieri. Come avrebbe potuto guardarla
ancora in faccia se avesse perso?
Non avrebbe potuto con i sensi perché sarebbe morto per
decisione divina, ma qualcosa dentro di lui avrebbe continuato a
tormentarlo come un coltello che si gira e rigira in una ferita,
allargandola, scavandola, torturandola.
Uno stridio e il destino piombò addosso a entrambi, in
picchiata come un drago ad ali spiegate:
Garland,
sei un Guerriero di Chaos.
Il Guerriero afferrò la spada e la lanciò in
aria, compiaciuto del fatto di aver superato l'avversario.
L'altro curvò la schiena come se fosse stato colpito, il
volto deluso di Cosmos che gli invadeva la mente e
l'oscurità dietro le palpebre chiuse.
Un altro graffiare sulla roccia lo costrinse a risollevare la testa e
la comparsa di un'altra frase acquietò il suo dispiacere:
Guerriero della Luce,
sei un Guerriero di Cosmos.
L'uomo drizzò la schiena e sollevò il mento,
l'accenno di un sorriso sollevato che gli incurvò
leggermente gli angoli delle labbra.
Lo spadone tornò nelle mani di Garland e cozzò
violentemente contro l'armatura:
-Non accetto la parità, Guerriero!- ruggì,
scattando in avanti e avvicinandosi pericolosamente all'avversario, che
rispose prontamente sguainando la spada e lanciandosi contro di lui, in
silenzio.
A metà strada, i due Guerrieri sbatterono contro una
barriera invisibile, che si increspò come la superficie
dell'acqua colpita da una goccia.
Nessuno
contraddice la volontà degli dei.
Obbedite al loro volere e non al vostro Ego.
La frase comparve proprio sopra la barriera che li aveva separati,
prima che un vento anomalo spazzasse via il paesaggio attorno a loro,
che cominciò a sgretolarsi e sbiadire come una vecchia
fotografia.
Guerriero osservò stranito il pavimento polverizzarsi sotto
i suoi piedi e i muri ridursi in sabbia, sospinta poi dal vento verso
di lui, che ne venne attraversato. Si voltò confuso, solo
per rendersi conto che anche lui stava diventando polvere.
Stava tornando da lei.
Ehi, ciao a tutti e
buon weekend!
Questo capitolo comincia ad aggiungere un po' di pepe alla storia.
Perdonatemi se il duello di oggi non è stato originalissimo,
ma non ho resistito a darvi la mia versione dello scontro
Guerriero-Garland.
Spero abbiate apprezzato il combattimento...che è
stranamente finito in parità. E questa è una cosa
anomala quasi quanto l'assurda scelta di Cosmos di schierare Guerriero
quando sapeva benissimo che avrebbe dovuto perdere il duello. Ma, a
quanto pare, gli dei hanno ancora
il controllo dei Giochi, quando vogliono. Tuttavia questo non
può portarli a pilotare tutti i risultati, perché
il sistema intero dei Giochi ne risentirebbe...diciamo che la struttura
è stata creata per essere in un certo modo e di conseguenza
i cambiamenti sono poco accetti. Capirete cosa sto dicendo nel prossimo
capitolo: ho anticipato questa spiegazione perché l'ho
trovata necessaria...ovviamente io non posso scrivere capitoli chiari e
tranquilli e di conseguenza so di essere stata alquanto sibillina in
questo. Se avete domande scrivetemele pure, mi raccomando!
Ringrazio intanto (sarò noiosa, ma perdonatemi) tutti voi
che leggete e recensite questa storia (e che arrivate ogni volta alla
fine dei miei strazianti papiri) e vi do appuntamento a sabato
prossimo! Ciaaaao!
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Capitolo 6 *** Scelte ed errori ***
Chaos osservò l'Arena svanire completamente, prima che uno
schiocco attirasse la sua attenzione verso l'alto. Accanto alle
immagini degli dei entrambi gli "uno" furono sostituiti da dei "due"
che non variarono la condizione di equilibrio tra Armonia e Discordia.
Mentre un "quattro" in numeri romani si disegnava sotto il "tre", Chaos
si domandò ancora cosa diavolo fosse passato per la mente di
Cosmos.
A dire la verità, non gli era sembrata ascoltare se stessa e
gli era apparsa ben consapevole del rischio che stava correndo
schierando Guerriero, ma al tempo stesso la decisione era stata
più forte del timore.
I suoi pensieri furono interrotti dalla comparsa di Guerriero e
Garland: il primo scambiò uno sguardo intenso con Cosmos,
prima di battere una mano sulla spalla di Firion e posizionarsi dietro
lo scranno della dea; Garland degnò appena di uno sguardo
Golbez, affiancandosi poi a Chaos e posando la mano sul tavolo accanto
alla sua.
Il rimescolamento delle due immagini in alto terminò proprio
in quel momento, lasciando prevalere la figura di Cosmos.
Il sistema dei turni continuava a funzionare bene, almeno. Chaos non
poté fare a meno di osservare questo, mentre aspettava che
la sua avversaria scegliesse chi schierare.
A quel punto la domanda era una sola: con la parità del
recente scontro, Cosmos aveva superato il rischio di vedere sacrificata
una sua pedina?
Il sacrificio toccava a lui, quindi?
Cosmos abbassò lo sguardo sulle carte, incerta su cosa fare.
Lei aveva vinto il secondo duello; nel terzo non aveva perduto nessuno
perché non aveva sacrificato alcuna pedina, pur essendo il
suo turno di farlo. Il quarto duello doveva logicamente vedere un
sacrificio delle pedine di Chaos e il suo sorpasso sull'avversario.
I Giochi erano anche questo: strategia.
Strategia e...rischio.
Soprattutto
rischio.
Cosmos si riscosse immediatamente dalle sue riflessioni e
incrociò in quel momento lo sguardo di Chaos, carico di
accusa e contemporaneamente perso in profonde riflessioni.
Solo allora divenne pienamente consapevole dell'azione appena compiuta,
perché dopotutto l'importanza di qualcosa diventa chiara
solo quando non si può più tornare indietro.
Ma lei...cosa aveva
fatto?
La
scelta giusta.
Ma cosa c'era di giusto in quei Giochi? Davvero il suo fine
giustificava i suoi mezzi?
Se
vuoi, puoi sempre cercarli altrove, Cosmos.
No, questo non era proprio da lei. Avrebbe portato avanti la missione
in cui credeva, dopotutto. E dato che non aveva tempo né la
possibilità di cercare altri mezzi, doveva rassegnarsi a
quella crudeltà.
Ma...doveva rassegnarsi lei?!
Cosmos fece vagare lo sguardo sulle carte sul tavolo e si
infilò una mano fra i capelli per percorrerne la lunghezza
con le dita. Un gesto molto umano il suo, quasi banale ma che denotava
tutto il suo nervosismo.
Le sue pedine non le sembravano rassegnate, ma non sapevano niente del
loro ruolo effettivo. Avrebbero combattuto a testa bassa e si sarebbero
fatti usare docilmente.
Cosmos si chiese cosa avrebbero fatto se avessero anche soltanto
sospettato il subdolo gioco che gli dei avevano tessuto, giocoforza o
meno, su di loro per manovrarli come burattini.
In quel momento gli occhi della dea si sollevarono in risposta alla
pungente sensazione di avere addosso lo sguardo di qualcuno: Golbez le
restituì un'occhiata ferma e a lei sembrò che
avesse letto tutti i suoi pensieri, dal primo all'ultimo. I suoi occhi
erano un invito a gettare la maschera, ma lei non poteva permettersi di
lasciarsi convincere. L'aveva fatto una volta e aveva rischiato grosso.
L'altra sua mano scivolò quindi fino al terzo mazzo e
recuperò la carta che aveva pensato di schierare sin da
quando aveva perso Vivi.
Il ragazzino raffigurato si strinse le braccia al petto con cipiglio
agguerrito e annuì rapidamente, prima di avviarsi a passo
svelto fuori da un villaggio verdeggiante. Contemporaneamente, la
nebbia al centro della stanza reagì avvolgendosi su se
stessa e Golbez liberò la dea dal suo sguardo indagatore.
La dea si lasciò sfuggire un sospiro: sperava almeno di aver
avuto la giusta intuizione, schierando un guerriero da non sacrificare.
Sabbia. Sabbia a perdita d'occhio. Il sole la rendeva rovente senza
pietà, non risparmiando il minimo angolo.
Un soffio di vento sollevò una nuvola di granelli finissimi,
mentre tutt'intorno le dune si abbassavano rapidamente di livello per
poi riformarsi da un'altra parte. Il paesaggio cambiò quindi
la sua conformazione, rimanendo tuttavia un mistero per chi lo
attraversava.
Perché c'era anche chi aveva il coraggio di
attraversare il deserto di Bikanel.
Dove infatti la sabbia si sparpagliava in linee ondulate, delle
impronte apparivano il tempo di un battito di ciglia, perché
ricoperte subito dopo. Più avanti, una sagoma resa sfocata
dall'aria tremolante e rovente arrancava verso un gruppo di rocce e
rovine sparpagliate di cui si intravedeva appena il profilo in
controluce. A dispetto del suo avanzare difficoltoso e faticoso, il
ragazzo procedeva a testa alta, una mano posata sull'elsa della sua
spada.
Improvvisamente il Cavalier Cipolla si fermò e si
schermò gli occhi con la mano, sbuffando. Odiava i posti
così scoperti e vasti, perché non offrivano alcun
dato che gli permettesse di elaborare una strategia d'attacco o di
fuga. Si stava dirigendo verso quel gruppo di detriti e rocce
rappresentante l'unico elemento che interrompeva la monotonia del
deserto e che forse rappresentava un punto di partenza accettabile; ma
un punto di partenza...per
dove?
Il Cavalier Cipolla deglutì forte per non pensarci, per non
pensare che forse tutto il suo raziocinio non sarebbe bastato a tirarlo
fuori da quel posto, in cui solo la giusta alchimia fra
casualità e fortuna costituiva l'unica via di scampo.
Il ragazzo riprese a camminare con più vigore, deciso a
dimostrare anche in quella situazione la pasta di cui era fatto e
ignaro di essersi dimenticato un fattore importante nella sua
equazione: casualità,
fortuna
e...l'incognita: la
scelta.
Chaos capì immediatamente che Cosmos aveva fatto il suo
stesso ragionamento; secondo entrambi gli dei, quindi, toccava a lui
sacrificare. Tuttavia, aveva la carta che faceva proprio al caso del bambino e non
esitò a schierarla con il sorriso di chi non vede l'ora di
sapere cosa sarebbe successo.
Intanto la figura rappresentata sollevò il viso dopo essersi
inchinata, ravviandosi poi i lunghi boccoli con la mano che non teneva
la spada. Mentre lei si allontanava percorrendo i corridoi di un enorme
castello, Garland accanto al suo padrone borbottò una
risata e Chaos capì di aver giocato bene la sua
carta; questo per un semplicissimo motivo: lo sapevano tutti che lei adorava i bambini.
Di lei era stato detto che non si commuoveva nemmeno davanti a un bimbo
in lacrime. Era stata il flagello dei traditori della sua patria, la
spada di una regina manipolata, il baluardo di una principessa delicata
ma detentrice di un potere immenso, lo smacco di un cavaliere
perennemente scavalcato.
Una regina, una principessa, un cavaliere.
Una favola
era stata la sua vita, ma la sua vita non era stata una favola.
Una volta Beatrix aveva imparato ad essere umana. O meglio, aveva
imparato a riscoprire come
essere umana; e no, non l'aveva imparato da sola: le era stato
insegnato da chi aveva saputo accogliere il suo pentimento e la sua
spada, che aveva finalmente capito contro chi rivolgere.
Fino a quando non era stata sola, Beatrix si era sentita libera. Come
se combattere dalla parte giusta fosse stato sufficiente per concludere
in pari l'enorme debito di quella moltitudine di vite sacrificate. Come
se aver imparato cosa fossero l'amicizia e l'amore le avesse
automaticamente fatto dimenticare il rimorso e l'odio.
Si sbagliava.
Beatrix raccolse la Save The Queen da terra mentre si sollevava in
piedi dalla posizione inginocchiata in cui si trovava. Dall'alto della
torre in rovina poteva abbracciare con lo sguardo l'immenso e secco
deserto attorno a lei, riflesso perfetto dell'aridità che
sentiva dentro.
La shogun glaciale e implacabile era sola e quella
solitudine aveva risvegliato in lei dei richiami che non avrebbe mai
più desiderato udire, perché suonavano
terribilmente come ordini e lei aveva passato una vita intera ad
obbedire, senza chiedersi cosa fosse giusto o sbagliato. Proprio per
quello per lei era così naturale ascoltarli.
Si ravviò i capelli dal viso, sfiorando leggermente la benda
metallica che portava all'occhio destro, e poi impugnò
più saldamente l'elsa della spada, arrendendosi al suo
freddo istinto da soldato; così, dato che non c'era nessuno
accanto a lei che la potesse aiutare a ritrovare quell'altra se stessa
con cui, tutto sommato, stava bene, Beatrix rivestì i panni
della shogun che era stata.
Da quel momento, le domande diventarono estranee alla sua mente. Il
sole era freddo, la roccia era morta, il cielo era pesante e il bambino era il suo
prossimo bersaglio.
Il Cavalier Cipolla si fermò sbuffando proprio ai piedi del
cumulo di rocce e si posò le mani sulle ginocchia,
inspirando avidamente l'aria.
Era circondato da rovine antiche semisepolte: torri abbattute a
metà o emergenti dalla sabbia, scheletri di macchinari e di
abitazioni e un ammasso di detriti ammucchiati. Quello era
ciò che da lontano aveva scambiato per un cumulo di rocce,
senza avere la possibilità di distinguere alcuni frammenti
di mura ancora parzialmente dipinte in ocra e rossiccio scoloriti dalla
sabbia e dal sole.
Sorrise sicuro: forse avrebbe potuto combinare qualcosa con quei vecchi
resti. Anzi, ci sarebbe riuscito sicuramente. Quando c'era in gioco la
sopravvivenza, una mente acuta non poteva che diventare ancora
più geniale.
Il ragazzino si guardò intorno e cominciò a
riflettere. Fu in quel momento che un baluginio attirò la
sua attenzione; all'inizio pensò che fosse solo il riflesso
del sole su una macchina, dato che in quel posto sembravano essercene
molte. Tuttavia, guardando meglio si accorse che lo scintillio era
troppo nitido per provenire dalla superficie metallica di un
macchinario mezzo sepolto dalla sabbia e incrostato di ruggine.
Istintivamente il Cavalier Cipolla sguainò la sua spada e ne
osservò il riflesso del sole sulla lama, rimanendone
istantaneamente accecato.
In contemporanea un vortice spazzò la sabbia davanti a lui,
facendo emergere delle parole incise a marchio infuocato:
L’unico
modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Combattere per essere scelti o rinunciare e morire: a voi la prima
scelta.
Beatrix guardò con indolenza la scritta sotto di lei e poi
spostò lo sguardo sul ragazzino, che aveva anche lui
sguainato la spada e la lasciava pendere dalla mano inerte.
La shogun si chiese se fosse a tal punto senza cuore da massacrare
anche un bambino. L'immagine fugace di un piccoletto dagli occhi dorati
con un cappello da Merlino le balenò dietro le palpebre e
lei di riflesso rinsaldò la presa sulla spada;
sì, ne sarebbe stata in grado, soprattutto in quel momento.
Perché i bambini rappresentavano il punto fermo a cui lei
avrebbe sempre voluto tornare per poter ripartire in modo diverso.
In modo giusto.
Beatrix piegò le ginocchia e si preparò a saltare
in basso, mentre il suo nome compariva accanto alla scritta nella
sabbia.
Non poteva farci niente: invidiava quell'età innocente
esattamente quanto odiava la sensazione di avere le mani sporche di
sangue. E per sfogare la sua frustrazione cosa c'era di meglio di
imbrattarsi con sangue innocente?
Una via di fuga.
Il Cavalier Cipolla la vide in quella scritta a terra, con ancora negli
occhi la luce riflessa dal lucido metallo della sua spada e di quella
della donna sulla torre che in quel momento stava per avventarsi su di
lui.
Non amava combattere, perché al fendente di una spada
preferiva l'affondo di un'intuizione, ma questo non l'avrebbe mai
ammesso a nessuno. Perché dare agli adulti un motivo in
più per escluderlo, oltre alla sua tenera età?
Quella era una scelta che stava facendo con il cuore, ma
paradossalmente quella volta anche la sua ragione gli stava suggerendo
di gettarsi nel duello.
Una via di fuga per concatenazione di azioni: a una ne succede un'altra
e poi un'altra ancora. In entrambi i casi, vittoria o sconfitta,
qualcosa di diverso sarebbe successo.
Il Cavalier Cipolla si aggiustò l'elmo sulla testa, prima di
tendere la spada in avanti e provare qualche fendente, mentre anche il
suo nome si aggiungeva a quello di Beatrix.
Anche quel duello era pronto a iniziare.
Beatrix saltò, la Save The Queen sollevata sopra la testa.
Il Cavalier Cipolla la vide un attimo prima che lei atterrasse su di
lui e si fece velocemente di lato. La shogun allora menò
subito un colpo di taglio che sfiorò il fianco
dell'avversario, prima di incontrare la sua spada e vacillare per il
contraccolpo, dato che era atterrata su un ginocchio.
Successivamente il Cavalier Cipolla non le diede nemmeno il tempo di
rialzarsi e si gettò all'attacco. Beatrix evitò
il primo affondo rotolando in avanti, per poi allungare la spada dietro
di sé a proteggersi la schiena da un attacco alle spalle.
L'arma dell'avversario scivolò sulla sua lama e un Fuocoga
la colpì proprio mentre si voltava, scagliandola
all'indietro contro il mucchio di detriti. Il suo corpo si
schiantò su un enorme pezzo di muro, ma fortunatamente la
corazza che portava la protesse alla bell'e meglio. Immediatamente vide
il Cavalier Cipolla prendere lo slancio per non darle tregua e allora
portò la spada davanti al viso, caricando uno Shock che
liberò subito dopo tagliando l'aria davanti a sé
con la lama. La scarica elettrica si abbatté sulla spada
dell'avversario, che la lasciò subito cadere nella sabbia
per evitare di prendere la scossa.
Beatrix ne approfittò subito per scattare in avanti e
gettarsi sull'arma del Cavalier Cipolla, ma quest'ultimo fu veloce a
riprenderla e parare il fendente in cui la shogun aveva trasformato
alla fine la sua azione. Scagliò un altro Fuocoga, che
stavolta si abbatté sul Reflex prontamente innalzato
dall'avversaria e fu rispedito indietro, sbalzato contro una torre
emergente dalla sabbia.
L'istante di confusione successivo al colpo ricevuto non gli
impedì di scorgere il baluginio dell'ennesima scarica
elettrica, che riuscì quindi a evitare infilandosi
nell'incavatura di una decorazione, finendovi tuttavia incastrato. Il
successivo Shock si abbatté a metà strada contro
la sua spada, che lui aveva lanciato in una tempestiva decisione fra la
sua arma e la sua vita.
La lama cadde roteando a terra in un crepitio di fulmini, prima di
conficcarsi saldamente nella sabbia.
A quel punto, Beatrix abbassò la lama:
-Non muoverti, bambino-
disse mentre si avvicinava rapidamente, la Save The Queen che si
illuminava in progressione con i suoi passi di corsa.
Subito dopo il suo Megafolgore schiantò la base della torre
e provocò un'esplosione di fuoco e scariche elettriche che
la fecero crollare su se stessa.
Beatrix atterrò oltre la struttura abbattuta e si
ravviò annoiata i capelli, conservando però un
briciolo di attenzione all'ambiente che la circondava. Il che per lei
fu un bene, perché le permise di intercettare con lo sguardo
la pioggia di shuriken che le stava per precipitare addosso. Si
abbassò subito, coprendosi il viso con il piatto della spada
e sentendo le lame sfiorarle il corpo. Una di esse rimbalzò
sulla sua corazza, mentre un'altra si conficcò esattamente
sotto la base del collo.
Non appena la pioggia terminò, il braccio della shogun si
allungò immediatamente a strapparlo via, scoprendo con
sollievo che l'armatura l'aveva protetta ancora una volta e che la sua
era solo una ferita superficiale.
Beatrix si rialzò in tempo per difendersi dal travolgente
attacco a doppie lame del Cavalier Cipolla, entrato in
modalità EX, classe Ninja. Sollevò la spada per
parare un duplice fendente, ma improvvisamente l'avversario
compì un salto, colpì il piatto della Save The
Queen con i piedi e tentò di sfregiarne la proprietaria
mentre era ancora in aria. Beatrix si sottrasse per miracolo
all'attacco facendo scivolare un piede nella sabbia e inarcando la
schiena. Le due spade passarono a un soffio dal suo viso, prima di
incontrare la sua arma nel momento in cui il Cavalier Cipolla le stava
abbassando per tranciarla in due.
-Io non sono un ragazzino-
disse lui a denti stretti, prima di puntare nuovamente i piedi sulla
Save The Queen e fare una capriola all'indietro per allontanarsi da
lei. Beatrix si prese un secondo per scrollare i grossi boccoli in un
atteggiamento indifferente:
-No di certo. Infatti ho detto che sei un bambino e io dico
che abbiamo giocato abbastanza- ribatté, un sopracciglio
alzato. Il Cavalier Cipolla incrociò le lame davanti al viso
arrossato:
-Perché dovete tutti fermarvi alle apparenze?! -
sbottò improvvisamente - Io SEMBRO un bambino, ma NON LO
SONO...qui!-
strillò, battendosi poi una mano sul petto con l'elsa di una
delle due spade.
Beatrix sentì un gelo travolgente risalirle dalle gambe a
paralizzarle i muscoli: quelle erano le stesse parole che aveva
pronunciato da piccola quando le era stata contestata la sua ambizione
più grande: essere soldato.
Si era creduta matura abbastanza da pretendere che anche gli altri
vedessero in lei un cambiamento che era difficile persino da esternare
spontaneamente.
Così aveva rovinato la sua vita in virtù di
dimostrarsi più forte, sempre più forte. Aveva
rovinato la sua vita per ribaltare le apparenze. Per combattere non
solo i pregiudizi dell'età, ma anche quelli del suo sesso.
Se avesse aspettato qualche anno, la sua voglia di vendetta forse si
sarebbe quietata e molti più uomini sarebbero stati in vita.
Forse avrebbe anche avuto una migliore reputazione.
La sua stretta sulla Save The Queen si strinse per contrastare la
nausea che la stava assalendo.
Meglio
morire che vivere una vita del genere.
Lentamente la sua spada si illuminò di verdognolo, ma
stranamente la cosa non la sorprese.
-Se vuoi dimostrarlo, cambia atteggiamento- lo ammonì,
disgustata dei propri ricordi. Dopo così tanti anni...se ne
pentiva ancora?!
La spada scintillò ancora più forte, quasi
rispondendo alla repulsione che provava per se stessa.
-E tu cosa ne sai?! Non crederai che ti ascolti seriamente solo
perché sei una saggia
adulta- si accigliò il Cavalier Cipolla, mentre
passava da Ninja a Saggio.
Beatrix non vide più. Erano mille spirali che danzavano
davanti a lei, sotto di lei, sopra di lei e dentro di lei. Erano i
pezzi di se stessa e del suo senno, che aveva lentamente perso per
strada.
La Trance la sopraffece completamente, cogliendola di sorpresa. Beatrix
non era mai riuscita a raggiungere il limite con nessuno dei suoi
avversari.
Ma, certo, non aveva mai combattuto contro chi era intenzionato a
sprecare le sue possibilità, come aveva fatto lei. No, il
bambino non avrebbe capito niente, proprio come lei in un tempo
infinitamente lontano, a soli dieci anni.
Meglio
morire, sì.
-Perché so cosa vuol dire - disse semplicemente, caricando
in avanti, mentre l'aria si attorcigliava in una spirale dietro di lei
- E con il senno di poi avrei voluto che qualcuno mi avesse ucciso
prima di tutto quanto-.
La Save The Queen si sollevò verso il cielo rapida come un
fulmine e si caricò di energia elettrica, senza coprire le
parole della shogun, che continuò:
-E dato che per me non è stato fatto... - un Bufera del
Cavalier Cipolla si abbatté inutilmente sulla lama della
spada, mentre questa calava verso il basso - ...a te penserò
io-.
Quando la Save The Queen si conficcò nella sabbia, l'Estasi
Siderale della shogun sollevò un turbine di polvere e
spaccò il secco terreno più solido centinaia di
metri più in basso, creando una crepa larga e profonda da
cui il Cavalier Cipolla si sottrasse appena in tempo con un balzo.
Beatrix compì un salto e superò la crepa per poi
avventarsi in silenzio sull'avversario, colpendo con foga e schivando i
suoi colpi senza difficoltà.
Tornato ninja, il Cavalier Cipolla scartò a sinistra per
allontanarsi dal profondo abisso, ma i colpi incalzanti di Beatrix gli
davano poco tempo per pensare a una mossa intelligente che avrebbe
potuto salvarlo.
Uno Shock si abbatté oltre la sua spalla, colpendo una
macchina e facendola esplodere in una miriade di pezzi metallici e
particelle di sabbia.
Fu quando un grosso pistone lo colpì alla nuca, cogliendolo
di sorpresa, che si rese conto di quanto ciò che era appena
successo potesse giocare a suo favore. La macchina, l'esplosione e...la
crepa.
Beatrix lo incalzò più velocemente con affondi e
fendenti che l'avversario faticava sempre di più a evitare,
sentendo i primi sintomi della stanchezza intorpidirgli i sensi.
Tuttavia, il suo nuovo piano gli imponeva di resistere ancora un po'
mentre arretrava verso una grossa macchina abbandonata. Un affondo al
fianco, un fendente a sinistra, un balzo per evitare di avere la lama
fra le gambe e poi...il metallo freddo contro le spalle.
In quel momento Beatrix caricò una potente Megafolgore e la
calò sul Cavalier Cipolla, che riuscì solo a
schivarla e non ad allontanarsi.
La spada della shogun collise con il metallo dietro di lui,
penetrandolo come burro e raggiungendo i circuiti, che si riattivarono
nel momento stesso in cui furono distrutti per sempre. La grossa
macchina esplose e l'onda d'urto scagliò lontano i due
guerrieri, che volarono in aria come la nuvola di sabbia sollevatasi
contemporaneamente.
Improvvisamente l'aria attorno a Beatrix si increspò e il
suo corpo incontrò resistenza in volo, cominciando subito
una caduta vertiginosa che terminò sull'orlo della crepa, ma
con ancora il terreno sotto i piedi.
Mentre la luce verdastra emanata dalla sua pelle si estingueva e la
spada le sfuggiva di mano per il doloroso riflesso di muovere le nocche
contratte per troppo tempo, a Beatrix non sfuggì una figura
che, illuminata dall'ultimo baluginio della Save The Queen, scompariva
inghiottita dalle tenebre della crepa.
Nonostante il dolore alle dita, le sue mani si serrarono sul bordo
frastagliato per nascondere a se stessa il tremore.
Stava cadendo, il Cavalier Cipolla.
Il mondo sembrava essersi capovolto, tuttavia una ferita nel cielo era
ancora visibile sopra di lui, anche se stava rapidamente rimarginandosi.
No, lui non sarebbe
guarito.
Aveva solo quattordici anni il Cavalier Cipolla, ma non era ingenuo
come gli altri ragazzini della sua età. Sapeva quando doveva
dire che certe cose erano fatte per essere così come le si
guardava e la morte era una di queste.
Le sue doppie lame grattarono la terra più compatta e
rocciosa fino a quando non trovarono un appiglio a cui ancorarsi.
Così lui rimase sospeso, i suoi frenetici pensieri ad
occupargli completamente la mente al posto della paura.
Erano davvero così simili, lui e lei? Lui era ciò
che lei era stata da bambina? Anche lei voleva essere accettata come
pari dagli uomini, voleva dimostrare di essere immatura esteriormente
ma matura interiormente?
E allora perché aveva desiderato che qualcuno l'avesse
uccisa, in passato? Non aveva ottenuto quello che aveva voluto?
Le era sembrata una donna fredda, implacabile e con un grande tormento
interiore. Questo era quello che era diventata? Era a questo che
l'aveva portata il suo desiderio di affermarsi su tutto e tutti?
Ma lui non voleva questo. Lui voleva solamente un po' di considerazione
da parte degli adulti. O
no?
Quando diceva di essere adulto dentro...era davvero solo per essere
accettato? Quante volte aveva preferito cavarsela da solo? Quante porte
aveva sbattuto in faccia a chi cercava di aiutarlo solo
perché era un bambino che ancora non sapeva nulla della vita?
Essere adulti davvero significava essere invincibili, indipendenti,
infallibili?
Una volta cresciuto davvero,
come sarebbe diventato?
Nessuno gli avrebbe più offerto il suo aiuto, la sua
esperienza, la sua amicizia; lui sarebbe stato solo un bambino nel
corpo di un adulto, perché sarebbe cresciuto solo con se
stesso. E a furia di dimostrare il proprio valore agli altri, avrebbe
finito per odiarli tutti, così come già odiava
chi lo chiamava bambino e chi lo contraddiceva con la sua esperienza da
adulto.
La prima sua lama tremò e cominciò a scivolare
verso il basso, incidendo un solco profondo nella terra.
Il Cavalier Cipolla sollevò il volto sudato verso l'alto e
incontrò lo sguardo glaciale ma al tempo stesso diverso
della sua avversaria.
No, non sarebbe diventato uguale a lei. Ma, come lei, non sarebbe stato
felice. Tuttavia, l'aveva capito troppo tardi, quando aveva sprecato
tutta la sua vita perseguendo l'obiettivo sbagliato e aveva fallito nel
duello che più avrebbe dovuto rendere ragione alle sue
qualità di guerriero di Cosmos; e anche se sentiva che c'era
qualcosa di profondamente sbagliato in quello, non riusciva a non
trovare il lato positivo di quella redenzione avvenuta in punto di
morte, a soli quattordici anni.
Il lato positivo era che almeno se ne sarebbe andato con la
consapevolezza di come funzionava il mondo, il suo mondo, e con
una maggiore conoscenza di se stesso, anche se non riusciva ancora a
ricordare il proprio nome. Forse era proprio per quello che non gli
veniva in mente: in realtà, non aveva mai saputo chi era veramente.
Ma, mentre la lama della spada scivolava ancora più verso il
basso e trascinava anche l'altra nel suo movimento, il Cavalier Cipolla
si impose di non pensare al lato negativo.
Non ci pensò nemmeno quando le lame, prima una e poi
l'altra, si staccarono definitivamente dal terreno e lui
ricominciò a precipitare.
Fortunatamente la morte non gli avrebbe permesso di rimpiangere il
cambiamento che avrebbe potuto operare in sé, ora che aveva
tutti i dati del suo problema.
L'unico
modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
La scelta è stata compiuta dal volere degli dei.
Posate le armi e leggete il vostro destino.
Beatrix si allontanò violentemente dal bordo della crepa e
fece cadere la spada con un clangore.
Sapeva che il momento più duro dopo aver ucciso una persona
non era quello appena successivo alla sua morte, ma forse quella volta
era diverso: sentiva qualcosa di profondamente sbagliato in
ciò che era appena successo. Non solo perché, per
la prima volta nella sua vita, aveva appena perso il controllo di se
stessa, ma anche perché i suoi ricordi non l'avevano resa
più fredda di quanto fosse, anzi.
I suoi pensieri furono interrotti dal verdetto degli dei, che si incise
come una condanna sulla sabbia.
Beatrix,
sei una guerriera di Chaos.
Cavalier Cipolla è caduto per la dea Cosmos.
Mentre un turbine soffocante di sabbia cominciava ad avvolgerla come
una spirale, Beatrix sembrò vedere l'aria incresparsi ancora
una volta, come quando si era salvata da morte sicura; e prima di
scomparire definitivamente, lo avrebbe giurato sulla testa della sua
amata regina, le parve di intravedere lo stesso punto sporcato dalla
pennellata di un riflesso rossiccio.
Eccomi, scusate il
ritardo immenso ma sono appena stata a un diciottesimo e oggi
è stato un pomeriggio da "studio disperato".
Forse questo è un capitolo un po' diverso da quelli a cui
siete abituati; è molto più introspettivo, ma
questo ha un suo perché: avete visto che è
successo davvero il peggio, ovvero che ha vinto la pedina sacrificabile, cosa che è avvenuta per molti e vari motivi.
Ma avete visto anche che Beatrix ha vinto in seguito a una
concatenazione di rivelazioni su se stessa che l'hanno portata a
perdere il controllo e a raggiungere uno stato che non ha mai vissuto,
ovvero la Trance. A questo punto nemmeno Cavalier Cipolla, uno dei
pezzi importanti di Cosmos, ha potuto molto ed è stato
sopraffatto.
Ho lasciato degli indizi sparsi nel capitolo che lasciano anche pensare
alle anomalie presenti, a livello caratteriale e a
livello puramente concreto, in questo duello.
Sappiate che ogni singola cosa sarà spiegata più
avanti, ovviamente. Spero tuttavia di non avervi confuso troppo le idee.
Forse Cavalier Cipolla è un po' OOC, me ne rendo conto.
Tuttavia, è vero anche che l'ho rapportato (con i dovuti
distinguo, come ho specificato, dove possibile, nel capitolo) con un
personaggio di cui ho cercato di intuire la storia non raccontata per
dare origine a tutti gli eventi che effettivamente capitano. E poi, va
incontro a una rivelazione notevole sulla sua vita, che deriva da una
mia interpretazione personale.
Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando. Scusate anche la
lunghezza piuttosto eccessiva del capitolo (nei prossimi
mi regolerò, promesso!) e i continui cambi di
prospettiva: in questo capitolo mi sembravano tuttavia necessari per
non lasciare nulla al caso.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e appuntamento a sabato prossimo!
Ciaaaaaao!
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Capitolo 7 *** Promesse ***
Gli occhi azzurri di Cosmos si spalancarono di colpo, mentre il respiro
le si fermava in gola. La dea cercò di portarsi una mano al
torace, ma tremava così tanto da non riuscire a tenere fermo
il braccio.
-Cosmos!-. La voce di Guerriero alla sua sinistra le giunse chiaramente
alle orecchie e la sua stretta salda sulle spalle le diede la
stabilità di cui aveva bisogno. Firion si era intanto alzato
in piedi e teneva attonito fra le mani la carta di Cavalier Cipolla,
raffigurante ormai il vuoto nulla. Guerriero si chinò su di
lei:
-E questo era previsto, Cosmos?- le sussurrò nervosamente in
un orecchio. La dea piegò amaramente gli angoli delle labbra
verso il basso: aveva ragione a chiederglielo e a dubitare di lei.
Persino le pedine, che non conoscevano le regole dei Giochi, avevano il
sospetto che qualcosa fosse andato storto.
Purtroppo la sua era stata una concatenazione di mosse sbagliate: la
prima era stata aver schierato Guerriero quando in realtà
avrebbe dovuto sacrificare una pedina; la seconda essersi creduta
più furba dei Giochi e quindi essersi convinta di aver
aggirato il sacrificio obbligatorio al turno successivo; la terza aver
scelto uno dei suoi pezzi importanti in virtù di questa
convinzione.
-No, Guerriero. Non era mia intenzione... - mormorò,
prendendo la carta dalle mani di Firion e sfiorandola con la punta
delle dita - Non so davvero cosa...-.
-...cosa stia succedendo?- la interruppe lui, fissando con rabbia il
"tre" comparso accanto al volto di Chaos, in alto. Incurante delle loro
preoccupazioni e confusioni, il sistema dei Giochi proseguì
il suo lavoro segnando anche l'inizio del quinto duello.
Nello stesso momento Beatrix comparve fra Golbez e Garland, fissando
entrambi con fierezza e ravviandosi i boccoli. Chaos la
osservò un po' sorpreso, ma le scoccò comunque
uno sguardo d'approvazione.
Cosmos osservò quella scena con il rimpianto di chi sa che
le cose sarebbero potute andare diversamente, quindi la domanda di
Guerriero tornò a rimbombarle nella mente.
Prima di chiedersi cosa stesse succedendo ai Giochi, c'era
però una domanda ancora più impellente che la
tormentava, ovvero: cosa stava succedendo a lei?
Era lei che
aveva scelto. Lei
che aveva mosso le carte,
lei che aveva rischiato, deciso, sbagliato. Ora se ne
pentiva, ma a quadro completo è sempre più facile
individuare le strade giuste e discernerle da quelle sbagliate.
-Accidenti. Così non va- sentì improvvisamente
dire a qualcuno e subito lei sollevò il viso per dargli
ragione e assumersi tutte le sue responsabilità; tuttavia,
Firion le restituì uno sguardo agitato e le
indicò freneticamente qualcosa in alto. La dea
alzò gli occhi e le bastò un secondo per rendersi
conto che non era solo lei ad avere qualche problema riguardo alle
proprie scelte.
A rimescolamento già avvenuto, la sua immagine copriva quasi
completamente quella di Chaos e quello significava solo una cosa: era di nuovo il suo
turno.
-Neanche questo è normale, vero Cosmos?- le
domandò inquieto Firion. La dea annuì soltanto,
riabbassando poi lo sguardo sulle proprie carte.
-E adesso come sceglierai?- la incalzò nuovamente il
ragazzo. Guerriero sbuffò sonoramente:
-Forse se le lasciamo un po' di tranquillità
riuscirà a prendere la decisione più conveniente-
commentò seccamente, afferrando il compagno per le spalle e
spingendolo verso il basso per farlo sedere sul pavimento. Poi,
ignorando i borbottii di Firion, si voltò verso la dea:
-Io credo che i Giochi ti abbiano dato una possibilità in
più, Cosmos. Cerca di sfruttarla bene- le disse, accennando
un debole sorriso di incoraggiamento, velato dall'amarezza per la
perdita di Cavalier Cipolla.
La dea sollevò le sopracciglia e si sentì
rincuorata, tutto sommato: le sue pedine erano confuse e scettiche, ma
si fidavano ancora di lei.
Era piuttosto improbabile che i Giochi avessero stravolto anche il
sistema dei turni per favorirla ancora, ma questo Guerriero non poteva
saperlo.
C'era un'altra cosa di cui le sue pedine non potevano essersi rese
conto, ma che lei aveva notato molto bene: il duello precedente si
sarebbe dovuto concludere in maniera diversa e non solo con la
morte di Cavalier Cipolla.
Cosmos ripensò all'esplosione della macchina nel deserto, a entrambi i
guerrieri che venivano sbalzati lontano, al solo corpo della
sua pedina che trovava il nero vuoto sotto di sé...a quello
di Beatrix che raggiungeva pericolosamente la crepa e poi...impattava. Ma
contro cosa? E l'aria attorno a lei...
-Cosm...?-.
-Zitto, Firion!-.
Il rimbrotto di Guerriero la riportò bruscamente alla radice
originale del suo pensiero, facendole accantonare momentaneamente
quelle riflessioni, per cui in aggiunta disponeva di ben pochi indizi.
Anomalie o meno, ora aveva una possibilità in più
e non poteva permettersi di rischiare ancora, né tantomeno
di perdersi in pensieri fuorvianti.
A quel punto Cosmos osservò le sue carte con attenzione e le
considerò tutte, sacrificabili e indispensabili; di una cosa
era certa: questa volta non avrebbe rischiato affatto, anche se
ciò significava assegnare un valore differente a ogni sua
pedina. Nei Giochi le perdite avevano tutte un peso diverso e lei in
quel momento doveva rischiare quella minima.
Teoricamente il sacrificio sarebbe dovuto toccare a Chaos, ma aveva
sbagliato già una volta, come poteva essere sicura di
schierare uno dei suoi guerrieri più forti e vederlo morire
in altre circostanze anomale? Solitamente i turni non indicavano
soltanto chi doveva schierare per primo una pedina, ma anche chi
presumibilmente avrebbe vinto il duello, dato che chi muoveva per primo
sceglieva i suoi guerrieri più forti; tuttavia, era appena
stato il turno di Cosmos e lei aveva perso inaspettatamente la sua
pedina...no, non voleva
né poteva rischiare
oltre.
Sei
una codarda, Cosmos.
La dea ritirò di scatto la mano dalla carta che stava
esaminando e quasi la rovesciò, facendo spaventare la figura
rappresentata, a cui partì un colpo di mitragliatore che
fece crollare il lampadario del suo studio.
Dimmi
che davvero non avevi intenzione di schierare quell'incapace.
Cosmos strinse le dita attorno al bracciolo del suo trono, osservando
ancora un attimo il tipo dai capelli lunghi cercare di sistemare il
lampadario e prendere irrimediabilmente la scossa, guardato a vista da
un ragazzo moro raffigurato su un'altra carta, il quale scosse la testa
e poi prese a fissare altrove.
Nessuna delle sue pedine era incapace. Di questo era certa e non
avrebbe fatto delle differenze sulla base di quel criterio.
E
allora come sceglierai?
Chi avrebbe
scelto?
Avrebbe schierato chi poteva darle un'ottima garanzia di successo, ma a
cui al tempo stesso poteva rinunciare. Le faceva male pensare questo,
ma era la sostanziale differenza fra un guerriero sacrificabile e uno
indispensabile. Inoltre, qualsiasi pedina persa implicava una diversa e
unica qualità in meno fra le sue schiere.
Mentre pensava questo, Cosmos raggiunse con le dita la carta che
rispondeva ai suoi prerequisiti e fece per prenderla in mano, quando...
Hai
già perso la voglia di rischiare per il tuo fine nobile?
La mano della dea si bloccò a mezz'aria e le dita tornarono
verso il palmo in un pugno che strinse solo l'aria.
Stai
perdendo un'occasione d'oro, dea dell'Armonia.
I polpastrelli sfiorarono nervosamente il palmo e Cosmos
esitò ancora.
Che
follia, Cosmos...
Una follia.
Era stata follia
la sua; nessun rischio, solo follia.
Come era folle stare ad ascoltare una voce che proveniva da dentro lei
stessa e non certo dalla sua parte razionale, dato che se ne stava
servendo proprio in quel momento. La consapevolezza di essere in se stessa la
tranquillizzò e la riscosse dal torpore.
-Cosmos?-.
-Guerriero, zitto!-.
-Ho deciso- annunciò seccamente Cosmos, mentre la mano
calava sulla carta che si era riproposta di schierare. Il ragazzo
raffigurato strinse i pugni borchiati lungo i fianchi e poi
sferrò qualche colpo all'aria, prima di voltarsi e camminare
per una strada lastricata che lasciava intravedere in lontananza il
mare scintillante e le navi ormeggiate che dondolavano lentamente.
Cosmos,
sei folle!
Al centro della stanza la nebbia si agitò, allungandosi e
restringendosi.
No, ascoltare quella voce senza provenienza era folle, doveva
tenerlo a mente.
Non si sarebbe più concessa il lusso di un secondo pensiero.
Quella era una promessa...e
non la
faceva solo
a se stessa.
Il lampo disegnò nettamente il profilo del parafulmine con
la sua luce fredda ed improvvisa, illuminando anche la pioggia fitta
che cadeva senza interruzione da nubi così nere da dar
l'impressione che in cielo si fosse aperta una voragine senza confini.
La Piana dei Lampi tornò subito nella solita, pesante
penombra resa ancora più soffocante dalla nebbiolina umida
che avvolgeva ogni cosa e illuminata sporadicamente dalla luce rossa
sprigionata dai parafulmini, che assorbivano la carica elettrica e la
scaricavano a terra.
Un altro fulmine fendette improvvisamente l'aria con un sibilo e si
schiantò a terra, accanto a una profonda pozzanghera d'acqua
che ne diffuse il riflesso violaceo e biancastro tutt'intorno: sulla
superficie bagnata delle rocce e del terreno, sulla parete del
parafulmine più vicino e sul volto del ragazzo che vi si
trovava accanto.
Essendo lì impossibile trovare riparo dalla pioggia, era
completamente fradicio e i vestiti aderivano perfettamente al corpo
come una seconda pelle: la maglia nera lasciava intravedere le linee
scolpite dei pettorali e il gilet rosso era lucido d'acqua. I pantaloni
blu elettrico pendevano flosci lungo le gambe e vi si incollavano
quando lui le piegava, infastidito dalla sensazione del bagnato sulla
pelle.
Ma ciò che più lo irritava era la pietosa
condizione della sua cresta: sollevando una mano a tastarla,
scoprì con orrore che aveva cominciato a pendere tutta da
una parte della sua testa. Dannazione, quello sì che era un
guaio.
Improvvisamente un fulmine fu attirato dalla torre a cui era appoggiato
e Zell Dincht fece un balzo a destra per evitare di essere seccato sul
posto.
Forse quello avrebbe aiutato a tenere in piedi la cresta, ma non lui...
A quel punto Zell sbuffò e si grattò la tempia,
su cui era disegnato un vistoso tatuaggio tribale:
-Se devo prendermi una polmonite, spero sia per una buona ragione-
borbottò, strofinandosi poi il naso per scaramanzia.
Forse una buona ragione c'era. Sicuramente però sarebbe
stata più comoda la polmonite.
Il dio della Discordia distolse rapidamente lo sguardo dalla figura di
Zell, concentrandosi sulla successiva carta da schierare.
Garland gli si fece subito accanto e accennò con il mento
alla figura nell'Arena:
-Non puoi rischiare, lo sai. Tocca a te sacrificare- gli disse
semplicemente, ben attento a non farsi sentire dagli altri due, che se
ne stavano in disparte a osservare la situazione. Chaos emise un
sospiro falsamente scocciato:
-I Giochi cominciano a diventare noiosi, Garland. Solo Cosmos ha il
piacere del divertimento e non lo apprezza nemmeno- osservò,
tamburellando distrattamente con le dita su una carta; lo sguardo
sicuro che gli restituì la figura lo irritò
leggermente e gli fece stringere i denti. Garland scosse la testa ed
emise uno sbuffo:
-L'importante è vincere
sì, ma devi saperlo fare bene, Chaos - gli
ricordò, prima di indicare la carta toccata dal dio - Lui
potrebbe andare bene, anche perché sarebbe un combattimento
ad armi pari-.
-Potrebbe darci dei problemi, se dovesse unirsi a noi. Il ragazzo
è piuttosto impulsivo- obiettò Chaos scettico.
-Per quello non c'è problema - nella voce di Garland il dio
percepì un leggero sorriso, mentre il guerriero sollevava il
pollice a indicare Beatrix alle sue spalle - E non mi sembra che sia
l'unico da disciplinare- aggiunse, alzando leggermente la voce per
farsi sentire da un altro ragazzo raffigurato in una carta poco
lontana, il quale sollevò la spada irritato e
voltò il viso sprezzante, nascondendo così lo
sfregio sulla fronte.
Chaos inspirò brevemente, prima di convincersi a prendere in
mano la carta da schierare. Il ragazzo batté i pugni l'uno
contro l'altro, prima di allontanarsi baldanzosamente lungo delle lande
ghiacciate, senza nemmeno prendersi la briga di fare un cenno al
proprio padrone.
-L'avevo detto, io- commentò Chaos, contrariato. Garland
preferì non ribattere, seguendo attentamente i movimenti di
Zell nell'Arena.
Comparve in cima a un parafulmini, ma nello stesso momento una scarica
elettrica si abbatté su di esso. Il ragazzo fece appena in
tempo a evitarlo compiendo una capriola all'indietro, nel vuoto; non
appena una sporgenza inferiore della torre gli sfilò davanti
al viso durante la caduta, lui tese le braccia e vi si appese,
sfruttando immediatamente lo slancio ottenuto per compiere un'altra
capriola e atterrarvi sopra in piedi.
Snow Villiers espirò di colpo il fiato trattenuto fino ad
allora e si guardò contrariato il cappotto già
completamente fradicio, poi il suo sguardo esplorò tutto
intorno il paesaggio monotono e tristemente battuto dalla pioggia
incessante, fino a perdersi nella densa nebbia all'orizzonte.
Un tuono rimbombò banale e inoffensivo in lontananza e la
luce innocua di un lampo illuminò brevemente le fitte righe
tracciate nell'aria dalle gocce di pioggia, che chiamava quasi
all'inerzia e al torpore.
No, quello non era certamente il posto adatto a uno come lui, che
andava alla perenne ricerca di qualcosa o qualcuno per cui combattere,
di una promessa da mantenere, di una prova di forza, di un modo per
risolvere la propria vita da solo e con ogni mezzo possibile. Questo
l'aveva reso estremamente egoista, ma di un egoismo fondato ancora
sulla preoccupazione che, ovunque lui andasse, ognuno stesse bene e si
fidasse di lui.
Snow non l'aveva mai ritenuto un concetto sbagliato e non lo era
totalmente, se visto dalla sua prospettiva e supportato da tanti buoni
propositi che non avevano mai trovato una concretezza effettiva.
Tuttavia, nella vita spesso contano soprattutto le azioni messe in
pratica, che Snow stesso aveva da sempre stimato superiori a tutto,
tant'era che alla sua età i buoni propositi erano ormai solo
una favola per bambini. Era stato quello a farlo pendere
inesorabilmente dalla parte di Chaos, insieme al leggero ma insistente
risentimento verso se stesso e verso la serie di insuccessi che aveva
inanellato quasi come una collana incatenata al cuore. Ciò
l'aveva spinto in un circolo vizioso che aggiungeva fallimento al
fallimento, determinato e testardo com'era a volersi riscattare per un
passato che era diventato ormai troppo grande per lui e che non
riusciva a impedire che lo inseguisse ovunque andasse. Era come avere
alle calcagna tutte le persone che erano passate attraverso la sua
vita, avevano cercato protezione presso di lui, non l'avevano trovata e
per questo se n'erano andate, deluse e immemori della sua esistenza.
Snow avrebbe anche potuto dimenticarsi di ognuna di loro se avesse
voluto, ma il ricordo vivo della prima persona che aveva tradito in
quel senso e che, nonostante tutto, aveva dato tutta se stessa per lui,
continuava a innescare ricordi a catena, quasi fossero legati tutti a
doppio filo.
Nessuno aveva detto che la vita era facile. Nemmeno lui l'aveva mai
ammesso, perché l'aveva sempre nascosto dietro una maschera
di spavalderia che gli tornava sempre comoda, seppur fastidiosa.
Tutte queste riflessioni affiorarono nella mente di Snow cogliendolo di
sorpresa: dopotutto, lui non era nemmeno tipo da autoanalisi, ma era
anche vero che in un posto del genere non c'era molto altro da fare.
Improvvisamente un movimento dal basso attirò la sua
attenzione e gli fece dimenticare tutti i suoi pensieri: era un ragazzo
e stava camminando verso il suo parafulmine. Il ragazzo notò
subito l'espressione pensierosa dipinta sul suo viso: che anche lui si
stesse chiedendo cosa diavolo ci faceva lì?
C'era un solo modo per scoprirlo. Chiederglielo.
-Ehi, tu!-.
La voce colse Zell di sorpresa e lui reagì subito tendendo
ogni singolo nervo del corpo, gli occhi che saettavano ovunque e il
viso che li assecondava.
-Dovresti guardare in alto- gli suggerì la voce, leggermente
divertita.
Zell rovesciò il collo e la pioggia gli entrò
negli occhi, scorrendogli sulle guance come lacrime fredde e
insensibili.
-Magari su un parafulmine, cosa ne dici?- lo canzonò ancora
la voce. Istintivamente lui strinse i pugni e si mise sulla difensiva:
-Oh, fin lì c'ero arrivato!- mentì, individuando
poi la figura di un ragazzo contro la luce dell'ennesimo lampo.
-Io mi chiamo Snow Villiers e tu?- si sgolò il tipo,
agitando largamente la mano. Zell sollevò un sopracciglio:
-Io sono Zell Dincht - rispose, alzando la voce per farsi sentire oltre
il rimbombo di un tuono - Ma tu cosa ci fai tu lì sopra?!-.
Snow allargò le braccia:
-Io preferirei chiedere cosa
ci facciamo noi qui,
se permetti- lo corresse, il dito sollevato.
Quasi volendo capitare a proposito, la torre parafulmini opposta a
quella su cui si trovava Snow si illuminò di rosso e su di
essa comparve una frase:
L’unico
modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Combattere per essere scelti o rinunciare e morire: a voi la prima
scelta.
Zell perse tutto il residuo interesse per la sua cresta e
deglutì rumorosamente.
Cosa doveva fare? Di solito non era un attaccabrighe; quando si metteva
a litigare con qualcuno
era sempre lui
a cominciare e non era mai arrivato (o riuscito) a mettergli le mani
addosso. Non che non volesse, beninteso, ma...
Il ragazzo scosse forte la testa e miriadi di goccioline schizzarono
tutto intorno. No, così non andava bene: era un guerriero di
Cosmos: non poteva permettersi di tirarsi indietro e in quello non
aveva mai avuto problemi, irruento com'era. Era inoltre abituato a
obbedire ai comandi senza porsi troppe domande, no?
Sollevò il mento per squadrare ancora una volta il suo
presunto avversario e per la prima volta si rese conto che nemmeno lui
portava armi.
Uno scontro alla pari.
Da dove proveniva lui, era l'unico a servirsi di soli pugni e calci e
in questo si era sempre ritenuto un maestro, ma ora come avrebbe
appurato il suo primato?
Oh quello era semplice: nell'unico
modo possibile.
Distese le dita, facendo scricchiolare le nocche e tintinnare le
borchie dei guanti, poi le gambe si sciolsero automaticamente,
diventando agili e scattanti.
Il suo nome si scrisse alla destra della scritta e Zell
saltellò sul posto, pronto ad accogliere il duello.
Quando il suo avversario scelse di combattere, Snow non ebbe
più dubbi.
Di primo acchito avrebbe detto che era un incapace totale, ma ora che
si era messo in posizione di combattimento non l'avrebbe nemmeno
pensato una seconda volta. Tuttavia, gli guardò le braccia
mingherline e gli sfuggì un sorriso: tutt'al più
avrebbe potuto tempestargli il petto di pugni, prima di essere
scacciato via come una mosca.
Quella volta avrebbe mantenuto la promessa con cui si era impegnato:
avrebbe contribuito alla causa di Chaos, fosse l'ultima cosa che faceva.
Insomma, quando era così facile come poteva tirarsi
indietro? Almeno nessuno avrebbe più potuto dire che era
arrogante e chiacchierone, perché si serviva delle parole
per coprire i suoi frequenti fallimenti.
Snow batté le nocche le une contro le altre e
sentì il dispositivo PMA che portava sul cappotto accendersi
ed emettere il solito ronzio che precedeva l'ondata travolgente di
potenza fisica con cui gli sollecitava i nervi.
E mentre ne veniva travolto, il suo nome si inscrisse sulla torre
parafulmini.
Zell lo vide saltare giù dal parafulmini e si
tirò velocemente indietro. Snow atterrò mezzo
secondo dopo nel punto in cui prima si trovava lui e il terreno si
piegò in una profonda voragine, da cui il ragazzo si
liberò per incalzare subito dopo l'avversario, che fece leva
sul piede e spiccò un altro balzo all'indietro per schivare
un gancio sinistro. La sua schiena impattò all'improvviso
contro una torre parafulmini e il pugno di Snow vi si piantò
fino al polso, sfiorando l'orecchio sinistro di Zell, che colse
l'occasione per sferrare un montante dritto al mento dell'avversario,
disincastrandogli violentemente la mano e scagliandolo in aria. A
questo punto puntò il piede nella larga breccia aperta dal
pugno di Snow e si diede la spinta per raggiungere l'avversario, che in
quel momento si riprese e lo accolse con una sforbiciata. Zell fu
scagliato violentemente a terra, ma una mano allungata all'ultimo
minuto lo salvò da un impatto molto doloroso e gli permise
di fare leva per ruotare le gambe di lato e rimettersi velocemente in
piedi, in tempo per tornare ad attaccare l'avversario appena atterrato.
Tentò un colpo al fianco destro, schivato da Snow che poi
contrattaccò con un pugno dritto al costato scoperto
dell'avversario. Zell ruotò su se stesso e ignorò
il dolore, sollevando la gamba e dirigendo un calcio all'incavo tra
spalla e collo di Snow, il quale però l'agganciò
con il braccio e tirò velocemente verso di sé nel
tentativo di arrivare con il pugno al ventre dell'altro.
Nel momento stesso in cui sentì che si stava sbilanciando
paurosamente addosso a Snow, Zell fece leva sul piede ancora piantato
saldamente a terra e saltò, il che gli permise di sferrare
un poderoso calcio al petto dell'avversario, che lasciò
immediatamente andare la sua gamba. A questo punto Zell
compì una rovesciata con cui si rimise in equilibrio, per
poi stringere i pugni e scattare avanti per cominciare una seconda
offensiva. Snow gli afferrò il pugno, diretto alla sua
guancia, e gli torse il braccio mentre l'altra mano scattava avanti a
colpirgli il ventre, ma Zell strinse i denti e si scansò
velocemente sul lato del braccio sofferente, che per effetto del
movimento ruotò ancora, mentre la spalla cominciava a
scricchiolare dolorosamente.
Trovatosi, dopo la rotazione, con le spalle rivolte verso il petto di
Snow, colse subito l'occasione per assestare una, due, tre gomitate al
costato dell'avversario, costringendolo a lasciargli il braccio per
allontanarsi.
Il guerriero di Cosmos trattenne un sibilo di dolore quando
cercò di recuperare la mobilità della spalla
destra, rendendosi immediatamente conto che non avrebbe più
potuto usarla in quelle condizioni.
Dannazione, aveva ancora un asso nella manica o era già
spacciato?
La tregua fra i due contendenti durò il tempo di un respiro,
prima che l'aria sibilasse nuovamente per effetto dei loro corpi
gettati l'uno contro l'altro.
Mentre si piegava sulle proprie ginocchia a evitare un gancio sinistro,
Zell lasciò che la sua mente fosse invasa dalla familiare
presenza che era legata a lui fisicamente e spiritualmente.
Ce l'aveva l'asso nella manica, ce
l'aveva eccome.
Snow cambiò repentinamente traiettoria del gancio e lo
piantò sulla schiena dell'avversario, piegandolo in due. Un
gemito strozzato sfuggì alle labbra di Zell, prima che il
successivo calcio al torace gli rovesciasse il viso verso l'alto,
mentre la sua schiena sbatteva contro il terreno reso scivoloso dalla
pioggia. Il pugno di Snow calò pesantemente sul terreno dove
poco prima c'era la testa dell'avversario, che era riuscito a rotolare
via in fretta. Il ragazzo si domandò come diavolo facesse a
essere così coriaceo, ma improvvisamente il bagliore di
un'Energia gli diede la spiegazione, oltre ad avvisarlo dell'imminente
colpo in arrivo, che riuscì comunque a intravedere con la
coda dell'occhio.
Snow piroettò su se stesso e parò il pugno di
Zell sollevando la gamba, afferrandogli poi l'altro polso con cui stava
provando un secondo gancio e tentando di torcerglielo come aveva fatto
prima. Tuttavia, Zell non si fece sorprendere un'altra volta e
seguì con il braccio il verso della rotazione che stava
compiendo Snow, portandosi vicinissimo a lui e raggiungendogli il
ventre con una violentissima ginocchiata, grazie anche allo slancio
ottenuto, rincarando poi la dose con un pugno nel medesimo punto.
Snow cadde all'indietro e si vide sovrastato da Zell, il petto che si
alzava e abbassava velocemente e l'acqua mista a sudore che gocciolava
dalle ciglia e dai capelli.
Gli sembrò impossibile di aver fallito di nuovo. Non gli
sembrò giusto.
La fredda pioggia gli andò negli occhi e Snow si
sentì deriso, dato che gli fece scorrere sulle guance calde
lacrime che NON erano di fallimento.
La frustrazione gli calò addosso quasi più
pesante della sconfitta e lui chiuse gli occhi, preparandosi al colpo
finale.
Le
solite promesse da mercante, Snow.
Mille spirali danzarono nel buio dietro le sue palpebre e
improvvisamente si sentì costretto a riaprire gli occhi, nel
momento stesso in cui un riflesso rosso sangue gli riempiva lo sguardo.
Snow sentì il corpo tornare a rispondere e si
stupì addirittura di essersi abbattuto per così
poco.
No, non poteva fallire. Non ancora.
Non era ancora finita,
era una promessa.
L'ennesima, ma era comunque una promessa.
Ciao a tutti, meno
male che ce l'ho fatta a pubblicare! Sì, perché
ho una brutta notizia da darvi (giusto per iniziare bene la nota): al
mio paese è saltata la connessione internet e purtroppo la
stanno sistemando, ma non si sa entro quale lasso di tempo. Oggi (e
domani, per chi mi segue anche su FFVIII) riuscirò a
sfruttare la connessione di mio fratello per pubblicare, ma in
via eccezionale, perciò non so proprio se la prossima
settimana riuscirò a pubblicare in tempo. In caso, non
appena avrò nuovamente la possibilità,
aggiornerò subito. Mi dispiace tanto, ma non
dipende da me.
Intanto questo è il capitolo con cui vi
lascio (temporaneamente!): ho deciso di schierare Zell
perché devo contaminarvi fino alla nausea con FFVIII (e chi
è stato attento avrà anche individuato qualche
altro personaggino che fa capolino dalle carte...eheh!) e poi
perché volevo assolutamente inserire un duello a mani nude.
Da qui la scelta di schierare Snow per Chaos.
Il duello si spezza a metà perché nel prossimo
capitolo deve accadere qualcos'altro e non volevo che fosse troppo
pesante...mi spiace che sia durato relativamente poco, ma non
è ancora finito, eh!
Anche questo duello non era previsto, l'avete notato? Questi Giochi si
fanno sempre più strani...e qui si spiega anche la
principale anomalia nel duello precedente!
Io spero che non vi stiate perdendo in tutto questo casino che ho
creato, sto cercando di essere il più chiara possibile, ma
voglio anche le intuizioni arrivino strada facendo.
Io vi saluto e ci leggiamo al prossimo aggiornamento, che
cercherò di fare il prima possibile, promesso!
Ciaaaaao e scusatemi ancora!
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Capitolo 8 *** All'Inferno ***
Il pugno di Zell calò inesorabilmente sull'avversario ancora
disteso sul terreno bagnato.
Un colpo di reni, poi le nocche dell'altro scricchiolarono contro la
stretta ferrea e salda di Snow, che gli aveva afferrato e fermato la
mano a mezz'aria.
Il braccio di Zell tremò per il violento impatto, che aveva
soffocato all'improvviso tutta la potenza di quello che aveva
evidentemente creduto essere il colpo finale di quel duello. Le dita di
Snow premettero più a fondo sulle sue nocche evitando
accuratamente le borchie dei suoi guanti e Zell sentì le
ossa gemere, il dolore che si diramava dal braccio destro fino alle
punte dei capelli.
Mentre si puntellava sui piedi per riacquistare l'equilibrio, si rese
conto che quell'istante sembrava così congelato da dargli
l'impressione che, in qualche modo, dovesse averne paura.
Congelato.
Fu quando cominciò a pensarlo, che si rese conto di aver
freddo.
La pioggia continuava a battere sferzante sui loro corpi ormai bagnati,
ma non si era sollevato nessun alito di vento.
Le dita, ancora imprigionate nella morsa di ferro di Snow, cominciarono
a intorpidirsi come se l'afflusso di sangue si fosse improvvisamente
ridotto e uno strano formicolio sulla pelle lo costrinse istintivamente
a ritrarre la mano, forzando per strapparla alle dita dell'altro.
Per strapparla.
Zell indietreggiò ansimando, impressionato dalla forza
sovrumana del suo avversario: quasi non sentiva più la mano!
Il suo sguardo cercò velocemente la sua destra, come per
assicurarsi che fosse ancora attaccata al suo polso.
Non lo era più.
Il dolore esplose come una bomba incendiaria in tutto il suo corpo e
prese possesso di ogni suo angolo, rendendo il sangue fuoco vivo nelle
sue vene e poi più su, fino al cervello.
Il polso terminava all'improvviso, senza sanguinare ma avvolto da una
sottile polvere bianca e brillante alla luce dell'ennesimo lampo.
I suoi occhi guizzarono alla sua mano, ancora stretta in quella di
Snow, e il fuoco si fece più avido. Più furioso. Disperatamente
furioso.
Zell era destrimane. Lui salutava, beveva, mangiava, scriveva, apriva,
chiudeva, afferrava principalmente con la destra. Lui combatteva con la
destra.
Il ragazzo aprì e mosse le dita della sinistra, che era
ancora al suo posto, così strana adesso che era sola e
asimmetrica.
No, non sarebbe più stata la stessa cosa, dannazione.
Un tonfo gli fece suo malgrado sollevare gli occhi su Snow, che aveva
appena lasciato cadere la sua mano, sul viso un'espressione disgustata;
il moncone, completamente ghiacciato, giacque sotto la pioggia,
divenuto ormai un elemento del paesaggio innaturale e inverosimile.
E inutile.
Zell non esitò a pensarlo, mentre i suoi occhi si
stringevano per opporsi alle lacrime che stavano per traboccare dalle
palpebre.
Le mani erano la sua materia prima e lui ne aveva appena persa una.
Il sangue bollente affluì in quantità maggiore
all'altra mano, rispondendo alla furia che lentamente stava
ottenebrando il sentimento di disperazione non più tradotto
in lacrime.
Qualcosa pulsò dietro ai suoi occhi per poi trasmettere un
impulso dritto alla sua mente, rimbalzando quasi come contro una
membrana elastica lungo tutti i nervi.
Ifrid, il suo G.F. delle fiamme, si svegliò completamente e
subito il fuoco non lasciò altro spazio nella sua mente,
alimentando la sua rabbia così bisognosa di forza per
metterla in pratica.
Per la prima volta Zell non strinse i pugni per dimostrare qualcosa
agli altri o a se stesso. Non strinse i pugni per rispondere, per
reagire, per essere secondo.
Quella volta li strinse per cercare di sostituire qualcosa che aveva
perduto, non importava quanto fosse impossibile.
Quella volta li strinse perché lui, che trovava sempre il
lato migliore delle cose, doveva ancora trovare il sapore giusto a quel
momento.
Lui, che non si sentiva più se stesso. Ma d'altronde, senza
una mano, lui non sarebbe più stato lo stesso.
Snow abbassò lo sguardo sul braccio in risposta al pizzicore
che si stava lentamente diffondendo sotto la sua pelle,
attraversandogli la carne fino a penetrargli nelle ossa come miriadi di
spine terribilmente affilate e voraci.
La sua mente riuscì appena a realizzare che stava succedendo
qualcosa di strano quando gli stessi aghi che credeva gli stessero
trapassando internamente il braccio fuoriuscirono dalla carne,
lacerandogli la pelle e strappando a brandelli la manica del cappotto.
Per una frazione di secondo il dolore lo rese cieco nei sensi e nella
mente e non gli permise di formulare l'ovvio interrogativo che cercava
disperatamente di venire a galla, mentre altre spine trasparenti come
vetro, fredde come ghiaccio, dure come diamante spuntavano anche sulla
sua spalla.
Il ragazzo si morse profondamente un labbro per trattenere un urlo
disumano nello stesso momento in cui la crescita delle spine si
arrestava con ultimo, micidiale spasmo; lentamente sentì la
carne del braccio sinistro indurirsi e divenire più fredda,
lenendo anche piuttosto velocemente il dolore.
Snow non ebbe bisogno di guardarsi il braccio una seconda volta per
appurare che cosa stesse diventando: ne aveva abbattuti così
tanti di quegli esseri maledetti che ne conosceva l'anatomia alla
perfezione.
Sapeva dove, come, quando colpirli.
Sapeva dove, come, quando colpivano e conosceva la forza di cui erano
dotati, così come ne conosceva gli ampi limiti.
Sapeva che la loro unica arma era il dolore che li trascinava avanti,
il rimorso di aver esaurito il loro tempo e di aver firmato la loro
condanna, volenti o nolenti.
I Cie'th erano stati uomini e donne una volta, ma non per questo lui
aveva provato più o meno rimorso nello spezzare le loro
vite, forse perché al posto loro avrebbe tanto voluto che
qualcuno troncasse il suo tormento.
Anche lui in quel momento, con il braccio di un Cie'th innestato sul
suo solito corpo da mortale, sentiva un rimorso diverso pulsare insieme
al suo cuore. Non era ancora abbastanza per fargli perdere la ragione
ma era sufficiente a farlo sentire diverso, come se potesse in qualche
modo utilizzarlo a proprio vantaggio per affermarsi sul mondo, non solo
per dimostrare di saper tradurre in azioni le sue parole ma anche per
poter finalmente andare a capo e cominciare una nuova frase nella sua
storia, anche se in quello stato era decisamente un paradosso.
Non si sentiva affatto finito nella condanna che pur gravava su di lui,
la condanna dei pregiudizi altrui, dell'opinione di lui radicata negli
altri; si sentiva invece potente, sentiva di essere in grado di
rimediare a ogni tipo di errore commesso, a ogni promessa disattesa,
diventando paladino di se stesso e degli altri.
Lo sguardo cadde sulla mano di Zell, che aveva così
brutalmente strappato dal suo corpo dopo averla congelata. In un primo
momento aveva creduto di aver abusato del potere di Nix e Stiria, le
sue Esper gemelle del ghiaccio, quando la sua intenzione era solo di
evocarle per sorprendere l'avversario; tuttavia, ora poteva dirsi quasi
certo che anche quello avesse fatto parte della sua trasformazione.
Ci fu un bagliore, riflesso dalla pozzanghera ai suoi piedi, e gli
occhi di Zell cominciarono a emettere una luce rossastra, come fossero
le porte per l'Inferno che gli era scoppiato dentro.
Snow invece sentiva il sangue gelato nelle vene, ne sentiva i cristalli
nel respiro, sotto la lingua, fra le ciglia. Era ghiaccio puro,
trasparente, inscalfibile, solido, concreto e immobile, senza alcun
tremore del corpo, del fiato o della voce. Era diamante pronto a
sporcarsi di sangue e si sentiva più lucidamente arrabbiato,
più consapevolmente in se stesso dell'altro.
Si sentiva più profondamente condannato,
nonostante tutto.
Perché se alle porte dell'Inferno infuriavano le fiamme,
nelle sue viscere, dove si trovavano i dannati più nefandi,
più furiosi, più giustamente sofferenti, a
bruciare era qualcos'altro.
A bruciare era il ghiaccio che li conquistava centimetro dopo
centimetro, come la neve perenne d'inverno, come la marea divoratrice
della sabbia, come la rabbia avida ma subdola.
Questa volta fu Zell ad attaccare per primo trascinando in aria il
pugno sinistro, ora diventato un nucleo pulsante di fiamme. Snow si
abbassò e rotolò in avanti per evitarlo,
sollevando subito il braccio da Cie'th per afferrare la maglia
dell'avversario e tirarlo verso di sé.
Zell assecondò il movimento ma fu svelto a cambiare la
traiettoria del suo gancio, calandolo pesantemente sull'altro anche per
effetto della forza di gravità.
Questa volta per Snow fu più difficile scansare il colpo,
che si abbatté per metà sul terreno scavando una
profonda voragine ma sfiorò anche la spalla destra
dell'avversario. Le fiamme consumarono presto il tessuto del cappotto e
poi cominciarono a divorare avidamente la carne; Snow lanciò
un tremendo urlo di dolore, ma riuscì a mantenere la
lucidità necessaria per guidare il braccio
da Cie'th ad afferrare il collo di Zell e lanciarlo lontano,
contro una torre parafulmini.
Lo schianto che seguì soffocò persino il tremendo
rimbombo di un tuono, seguito dallo scricchiolio di vertebre e altre
ossa. La torre ondeggiò un attimo nella pioggia battente ma
resistette all'impatto così come il corpo di Zell, che si
riprese appena in tempo per subire la nuova offensiva di Snow.
Il braccio da Cie'th penetrò nel muro della torre
appena sopra l'incavo tra spalla e collo di Zell, il quale
sgusciò via per assestare un calcio al fianco scoperto di
Snow, prima di essere steso dal violento manrovescio che l'altro gli
sferrò con la mano umana.
Il ragazzo vide il braccio ornato di spuntoni affilati avvicinarsi
velocemente alla sua gola e sollevò la mano sinistra per
difendersi; le fiamme avvolsero immediatamente le aguzze spine
ghiacciate, che cominciarono a piegarsi sotto l'effetto del calore, e
Snow si ritrasse urlando nuovamente. Prima che potesse allontanarsi del
tutto, Zell chiuse le dita sul polso dell'altro in una stretta ferrea e
i suoi occhi cominciarono a splendere di una luce sempre più
rossa, così come crebbe il ruggito delle fiamme misto alle
grida dell'altro, che tentava inutilmente di liberarsi.
Il suo polso cominciò a scricchiolare e improvvisamente Snow
spalancò gli occhi, sicuramente rendendosi conto delle
intenzioni dell'avversario.
Le sue labbra impallidirono vistosamente da tanto lui le strinse,
mentre un nuovo urlo affiorava dalla sua bocca e il suo corpo
cominciava a tremare tutto. Improvvisamente altri spuntoni di ghiaccio
fendettero le fiamme che avvolgevano il suo braccio e si infilarono
nelle fessure tra le dita di Zell, il quale riuscì a
ritrarsi appena in tempo per non perdere anche l'altra mano ma
approfittò della sua buona posizione per sferrare un
violento calcio al petto dell'avversario, che volò a
schiantarsi sulla stessa torre precedentemente colpita.
Mentre questa volta il parafulmini crollava su se stesso e si abbatteva
a terra in una nuvola di pioggia e polvere, Zell si lanciò
in avanti a incalzare il nemico, il quale lo stava già
aspettando con i pugni levati. Il ragazzo allora cambiò
velocemente traiettoria ancora in corsa, inclinandosi per colpire il
fianco sinistro dell'avversario, ma Snow non si fece ingannare e si
affrettò a coprire anche quel punto appena un secondo prima
dell'impatto con Zell, che quindi scartò velocemente a
sinistra e colpì più forte che poteva con la
destra.
Con la destra.
Il dolore lancinante che provò lo fece piegare su se stesso
e quasi non si rese conto degli enormi spuntoni ghiacciati che gli
trapassavano il ventre e cozzavano contro le sue ossa. Zell ne
afferrò l’estremità che sporgeva con la
mano che ancora emanava fiamme, sollevando con gli occhi pieni di
lacrime il moncone sanguinante fino a quando il liquido rosso non
colò nel fuoco stesso con uno sfrigolio.
Snow strappò malamente la mano dal suo corpo, portandosi via
anche alcuni brandelli di pelle già fusi con il ghiaccio per
effetto del calore elevato, e Zell crollò in ginocchio con
un buco enorme nello stomaco, la mano stavolta ben lontana dalla
ferita. L'avversario lo afferrò per i capelli e gli
sollevò la testa con uno strattone per guardarlo negli
occhi, che Zell faticò a vedere a causa del fitto velo di
incoscienza che stava calando su di lui.
Solo la Junction lo teneva ancora attaccato per i brandelli di qualche
filo alla sua vita ma Ifrid non sembrava in grado di dargli la forza
necessaria per lanciarsi un Energiga che avrebbe potuto rimetterlo in
sesto.
Allora...era davvero
finita.
Zell,
ti stai arrendendo? Questo non sembri affatto tu.
Zell sollevò stranito il moncone che ancora stillava
copiosamente sangue e poi riportò lo sguardo su Snow, che
ora sembrava troppo occupato a constatare i danni sul suo braccio
congelato per aver detto una cosa del genere.
Comunque no, non era più lui da quando il suo avversario gli
aveva strappato una mano. Si sentiva inutile, ridotto a
metà. Forse era solo la metà di se stesso, con
una mano amputata.
E
dimmi, cosa rimarrà a Cosmos di te, se muori ora?
Beh, con un buco enorme nello stomaco cosa avrebbe potuto fare?
Era assurdo che stesse pensando a quelle follie quando magari avrebbe
dovuto pentirsi di tutti gli errori che aveva compiuto nell'arco della
sua breve vita da diciassettenne. In fondo non era bene morire con
ancora dei conti in sospeso con se stessi.
Forse
hai un conto in sospeso con qualcun'altro, ci hai pensato?
Aveva giurato di combattere per Cosmos, quando lei l'aveva scelto. Lo
aveva giurato perché era sicuro che fosse facile mantenere
la promessa. Avventato e determinato com'era, si credeva invincibile.
Fino a quando qualcuno non gli aveva strappato una mano.
E allora, cosa avrebbe dovuto fare? Per lui era impossibile combattere
senza uno dei suoi fedeli pugni, compagni di una vita, cresciuti e
diventati forti come lui, capaci di uccidere un mostro e accarezzare un
gattino abbandonato.
Zell sentì di nuovo le lacrime riempirgli gli occhi e
scendere lungo le sue guance e questo lo fece arrabbiare ancora di
più.
Era meglio morire che sopportare quel tormento psicologico un secondo
di più.
Beh,
allora dovrò prendere la drastica decisione.
Si sentì sollevato, suo malgrado: finalmente nessuno gli
chiedeva più nulla o gli ricordava i suoi doveri.
Mentre attorno a lui l'aria si increspava e avvolgeva in mille spirali,
Zell fu folgorato da un'ultima rivelazione mentre chiudeva gli occhi: quella era la voce di Cosmos o
si sbagliava?!
Improvvisamente il suono di una risatina lo fece trasalire.
Quella risata.
L'avrebbe riconosciuta fra mille anche solo per il brivido di
irritazione che gli faceva ogni volta scivolare lungo la colonna
vertebrale.
Era quella risata
che spesso lo aveva fatto rinchiudere in camera a prendere a pugni il
muro, il pavimento, l'armadio, il tavolo.
Era quella risata
che lo aveva fatto sentire piccolo, sminuito, ridicolo, inutile.
Era quella risata
che lo aveva reso quello che era ora: determinato a dimostrare la sua
grandezza agli altri. A dimostrare di non essere da meno.
Ci sarebbe riuscito anche senza una mano e con un buco nella pancia?
Non era una domanda pertinente, dannazione, non aveva più
valore ciò che si era detto appena dieci secondi prima.
Almeno, non quando entrava in gioco lui.
Zell spalancò gli occhi e guardò fisso davanti a
sé, già consapevole di chi si sarebbe trovato
davanti.
Snow era scomparso e al posto suo su di lui troneggiava
un’altra figura.
Zell digrignò i denti dietro le labbra serrate e
sollevò il mento per incontrare un paio di occhi color
ghiaccio.
Al contatto visivo, il sorriso di Seifer Almasy si allargò.
Salve a tutti, che
bello tornare a pubblicare!
Chiedo perdono ma, oltre ai problemi con internet, queste sono state
settimane molto impegnative per me e...non è ancora finita!
Per questo chiedo anticipatamente scusa: non sono più in
grado di mantenere l'appuntamento settimanale (almeno per ora) e quasi
sicuramente non mi farò viva ogni settimana, ma
saltuariamente.
Davvero, sto facendo del mio meglio ma ultimamente arrivo a sera che il
mio cervellino mi abbandona e senza di lui non riesco a mettere in fila
più di due parole che abbiano un senso.
Coooomunque, bando alle lagne e veniamo al capitolo!
Lo so, questa volta mi sono...ehm, fatta prendere un po' la mano (ok, dopo
questa mi ritiro per almeno cinquant'anni), ma l'idea di amputarla a
Zell ha un suo senso perché per lui è tutto,
principalmente la sua arma. Zell sarebbe lo stesso senza i suoi pugni?
Io sinceramente credo di no e già senza una mano
è stato difficile ritrovare l'essenza del suo personaggio.
Infatti avete visto che la sua immagine ha acquisito dei contorni
diversi, anche più aggressivi se vogliamo, e da qui le sue
diverse intenzioni nel combattimento.
La rabbia focosa di Zell (non a caso gli ho assegnato Ifrid) si
contrappone al gelo di Snow (il riferimento alla zona più
profonda dell'Inferno è liberamente ispirato a Dante) e alla
freddezza con cui gli ha strappato la mano. Il braccio di Snow si
trasforma in quello di Cie'th e in questo mi sono ispirata a
"Lightning Returns", dove effettivamente il primo stadio della
trasformazione in Cie'th interessa il braccio, anche se mi sono presa
qualche libertà nella descrizione per farla meglio quadrare
con il contesto.
Quanto alla fine del capitolo, la questione è da rimandare
al prossimo, in cui sarà tutto spiegato!
Al termine di questa nota chilometrica ringrazio chi mi
legge/recensisce e vi do appuntamento al primo sabato in cui
riuscirò a pubblicare, promesso!
Ciaaaaao!
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