Dissidia's Games

di Atra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Scegliere e sopravvivere ***
Capitolo 3: *** Tutto secondo le previsioni ***
Capitolo 4: *** Qualcosa di sbagliato ***
Capitolo 5: *** Il duello imprevisto ***
Capitolo 6: *** Scelte ed errori ***
Capitolo 7: *** Promesse ***
Capitolo 8: *** All'Inferno ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il suo riflesso si mosse lentamente verso di lei, il fruscio della sua veste che le accarezzava le orecchie.
Sollevò una mano per sfiorare se stessa nello specchio, il bracciale dorato tintinnò con due brevi colpetti cristallini contro il vetro, mentre il suo dito scivolava via, lasciando una leggera traccia che era svanita subito dopo.
Socchiuse lievemente le labbra e subito un sospiro le sfuggì fra i denti, gettando un fugace alone di condensa sullo specchio.
Il suo sguardo fu più veloce dell'intenzione e Cosmos si ritrovò a fissare il proprio riflesso.
Quegli occhi profondamente azzurri tradivano un sentimento che non era mai riuscita a decifrare ma che sentiva assolutamente come parte di lei.
Era strano: era la Dea dell'Armonia. Come poteva essere che proprio dentro di lei si nascondesse qualcosa di non previsto, di illeggibile, che turbava la sua quiete interiore?
Inclinò leggermente la testa, i lunghi capelli biondi le scivolarono lungo la spalla e rimasero a ondeggiare instabili per alcuni secondi.
Si sentiva così? Instabile.
Ma no, lei aveva i piedi ben saldi a terra. Lei aveva sempre accettato tutto serenamente: la vittoria, la sconfitta, la morte.
Il sacrificio.
Era come un tarlo nella mente, un fastidioso e sfuggente rumore di sottofondo nell'Armonia che tanto rappresentava.
Un'idea da folli, direbbe qualcuno. Ma c'è sempre una causa più grande per cui tutto vale, per cui ogni gesto non è mai estremo, per cui il limite è labile quanto l'altezza del cielo, in continuo sviluppo.
La stessa causa per cui Cosmos si guardava allo specchio a ogni inizio, trovando sempre qualcosa di diverso in ciò che era stata e non capendone il motivo.
Il suo mento si sollevò di poco e i suoi occhi si strinsero per individuare l'ennesima differenza di quella volta.
Il marmo della sua pelle non aveva subito nessuna scalfitura, il corpo era sempre snello e giovane, fasciato dalla stretta veste bianca che scendeva a terra e si allargava sul pavimento come un enorme giglio dai petali tremanti.
I due capi dell'abito che le scendevano morbidamente dalla base del collo disegnavano delle curve perfette a un soffio dai fianchi, appena mosse dal leggero alzarsi e abbassarsi del petto della dea.
La cintura dorata attorno alla vita era l'unico elemento che stonava con l'insieme di linee morbide e armoniose, disegnando sul suo busto delle spezzate che risalivano fino al petto.
No, quel giorno c'era un'altra piega brusca sul suo corpo.
Gli angoli della sua bocca erano rivolti innaturalmente verso il basso, il labbro inferiore leggermente tremante.
Cos'era quell'amarezza che pesava sulla sua lingua, sulla sua bocca, sul suo cuore e sul suo respiro?
Cosmos se lo chiese in silenzio, abbassando involontariamente lo sguardo sul riflesso della luce lunare sulla sua cintura e poi riposandolo con titubanza sullo specchio.
Ma quello che vide non era più il suo riflesso.
La donna che la guardava, però, le somigliava terribilmente.
Una massa disordinata di capelli rosso scarlatto le incorniciava un viso aguzzo ma estremamente affascinante.
Cosmos ebbe l'impressione che fosse una di quelle espressioni che si ricordano per tutta una vita.
Il riflesso le strizzò un occhio azzurro, mentre l'altro marrone continuò a scrutarla e a farle sentire la pressione del suo sguardo, che le immobilizzò il respiro.
Il torso della donna era avvolto in un corpetto in pelle nera e percorsa da venature profonde e fitte. Il busto lasciava scoperte le braccia a partire dalle spalle e una sottile striscia di pelle appena sopra l'ombelico e in corrispondenza del torace si apriva in tre strette fessure orizzontali, lasciando poi che i due lembi di pelle nera cadessero oltre la nuca e si confondessero con la massa di capelli rossicci.
Una lunga gonna nera a doppio velo le accarezzava le gambe, tranne in un punto laterale dove un ampio spacco lasciava intravedere la pelle nuda e gli alti stivali lucidi.
La gonna cadeva lunga dall'altro lato con i bordi strappati e sdruciti che si adagiavano al suolo in una forma quasi tentacolare.
Una fascia in cuoio nero cingeva il braccio destro, mentre sul sinistro era allacciato un bracciale che riportava un ciondolo a spirale dalle trame molto strette.
La vita era circondata da una cintura simile a quella che possedeva Cosmos, ma di un bell'argento luccicante e appena sopra il punto in cui cominciava la gonna era tatuata la stessa spirale del ciondolo.
Le labbra arcuate e rosse della donna si tesero in un sorriso canzonatorio, prima di fare l'occhiolino con l'occhio marrone e dileguarsi nel nulla.
Cosmos sfiorò istintivamente la superficie normalmente fredda dello specchio, scoprendola stranamente calda e pulsante.
L'altra sua mano si posò sul petto, dove il suo cuore fremeva come un uccellino in gabbia, dandole la lenta e spossante sensazione che qualcuno la stesse soffocando.
La dea batté più volte gli occhi, ma il suo riflesso era tornato con tutti i suoi interrogativi (e uno in più) che lei non aveva più voglia di stare a sentire.
I pensieri che frullavano in testa non l'avrebbero aiutata in quella situazione.
E probabilmente la sua angoscia era davvero dovuta ai Giochi: questo era sempre stato il suo ultimo pensiero prima di lasciare lo specchio.
Lo era stato per volte ormai eterne.
Ma ci credeva fermamente ogni ricorrenza, come se fosse l'unica spiegazione così potente da poter persino essere in grado di deformare la realtà.
Poteva essere così, dopotutto.
Doveva essere così.


*   *   *


I Giochi.

L'unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.

Carte bianche e nere, i guerrieri dell'Armonia e della Discordia si sfidano a duello in un'Arena, chiamati in battaglia dagli dei.
L'unica scelta è farsi scegliere.
Farsi scegliere è vivere.
E' firmare con il sangue un trionfo, una sconfitta, un finale inaspettato, un pronostico troppo sicuro.
E' sentirsi padrone del filone di sorti che scorre lento tra le fessure dell'armatura, che sfiora il filo della spada, che viene mosso dal fiato dei guerrieri.
Gli dei li guarderanno scontrarsi, respingersi, cercarsi e caricarsi senza un lamento, un grido, un insulto.
L'unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.

La carta bianca rovescerà quella nera e allora la schiera di Cosmos brillerà di un nuovo adepto.
La carta nera fagociterà quella bianca e allora la schiera di Chaos sfoggerà un'altra recluta.
E il dio perdente giocherà la sua nuova carta, ben cosciente che l'equilibrio premierà sempre la parte a sfavore.
Nessuno sarà parziale.
Nemmeno i Guerrieri.
Non ai Giochi.
Perché l'unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.





Salve a tutti!
Sono felice di poter cominciare questa bella avventura qui in Dissidia, con gli splendidi e bravissimi autori che ho conosciuto e con quelli che spero di conoscere.

Piccola precisazione: ho adattato leggermente i caratteri dei personaggi (come Cosmos) alle esigenze della mia storia, ma dato che l'opzione "leggermente OOC" non c'era ho dovuto rassegnarmi a non avere attenuanti.
Per quanto riguarda le regole dei Giochi, non preoccupatevi: saranno spiegate dovutamente nel prossimo capitolo, quindi quei pochi paragrafi scritti diversamente sono solo una sorta di "vademecum" con cui il Prologo termina.
Ok, credo di aver detto tutto. Ringrazio anticipatamente chi vorrà lasciarmi un commento/una critica o chi ha semplicemente letto e vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Ciao!

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Capitolo 2
*** Scegliere e sopravvivere ***


Era seduto al lungo tavolo ovale, i gomiti di due braccia poggiati saldamente sulla superficie in legno. Una terza mano tamburellava impaziente con gli artigli, mentre la quarta ciondolava pigramente dal bracciolo del suo trono.
Le ali membranose e nere si allungavano frementi dietro di lui, di tanto in tanto dando un colpetto allo schienale del trono e producendo uno schiocco sonoro quando ne incontravano la superficie solida.
Davanti a lui lo scranno dorato di Cosmos era ancora vuoto.
Chaos fece scivolare lo sguardo sulla fessura che separava nettamente il tavolo in due metà precise: quella rivolta verso di lui era in ebano: scuro, grezzo, incisivo.
La metà di Cosmos era di legno di betulla: chiaro, liscio e dalle venature delicatamente sfumate.
La fessura fra le due parti del tavolo faceva intuire che si potesse aprire, ma quello era uno spettacolo che avrebbero ammirato successivamente.
Il mazzo delle ventisette carte di Chaos si trovava alla sua destra e in quel momento la mano poggiata sul bracciolo del trono si mosse per prenderlo e far scorrere per l'ennesima volta fra gli enormi artigli ogni singola pedina.
Chaos non ebbe alcun rimpianto nell'osservare i volti di ogni guerriero, consapevole che almeno più della metà sarebbero stati vittima dei membri di Cosmos, ma altrettanto conscio che i rimanenti sarebbero stati i migliori di cui servirsi per la guerra contro la dea.
Chaos sparpagliò le carte nere sulla sua metà del tavolo e queste risaltarono sulla sua superficie scura mostrando le figure corrispondenti muoversi realmente all'interno dei loro riquadri rossastri.
Mentre passava un artiglio sulle ultime due carte, una figura chiara entrò silenziosamente nel suo campo visivo e attirò la sua attenzione.
Cosmos si sedette lentamente, le mani in grembo e lo sguardo perso fra le venature del legno. Alla sua sinistra era comparso il suo mazzo di ventiquattro carte bianche incorniciate d'oro, ma lei lo degnò di una singola occhiata.
Chaos non poté fare a meno di notare un certo turbamento attraversare gli occhi azzurri dell'eterna rivale, cogliendo la sottile ironia del contrasto fra il suo apparente stato d'animo e l'Armonia che lei rappresentava.
E lui? Come si sentiva, lui?
In quel momento traboccava d'impazienza, sicuro che avrebbe dominato i Giochi e l'imparzialità ferrea che li regolava.
Si sentiva sicuro. Tranquillo.
Ma lui rappresentava la Discordia. Il disordine.
Una breve risata sorpresa gli sfuggì tra i denti lunghi e affilati, riportando l'attenzione di Cosmos alla realtà che stava vivendo.
-Cosmos-. Chaos accarezzò come al solito il nome della rivale mentre lo pronunciava, allargando la bocca in un sorriso che pregustava già le battaglie che si sarebbero susseguite da lì a poco.
-Chaos-. La dea aveva appena sollevato di scatto lo sguardo sul rivale e in quel momento lo stava guardando, le sopracciglia leggermente aggrottate ma una luce di determinazione negli occhi.
Quello era l'unico momento in cui i due dei si fronteggiavano in prima persona, anche se indirettamente attraverso due mazzi di carte e un tavolo da gioco.
Un interrogativo lampeggiò per un istante nella mente di Chaos, toccando un suo nervo scoperto: perché non trasformare quello scontro indiretto in uno diretto? Cosa ci voleva abbattere Cosmos in quel "quando" e "dove" sconosciuti persino a loro stessi?
Lei non se lo sarebbe aspettato.
Ma Chaos non era uno stupido: aveva la strana sensazione che quella fosse un'idea banale e scontata perché già vagliata troppe volte, come le parole ripetute fino all'ossessione che perdono di significato. Non sapeva quandodove, ma ci aveva già pensato molte volte, giungendo sempre alla stessa conclusione.
La sua vita era sempre stata un susseguirsi di azioni ridondanti, da quando era in lotta con Cosmos. Ma non per questo aveva smesso di sentirsi padrone delle proprie scelte, concedendosi la soddisfazione di far andare qualcosa per il verso opposto, di contrastare la somiglianza delle situazioni, qualche volta.
O almeno, ne aveva l'impressione.

Questa volta toccò a Cosmos interrompere il flusso di pensieri del rivale, cominciando a dividere meticolosamente le carte in piccoli mazzi, che allineava poi davanti a sé.
Il suo sguardo osservò con un tuffo al cuore i visi dei suoi personaggi nelle ventiquattro carte.
Cosmos indugiò su di esse con gli occhi.
Non sapeva perché, ma ci pensava ogni volta che i Giochi dovevano iniziare: i Guerrieri difficilmente si sarebbero fatti giudicare alla leggera, bastava osservarli per dire che erano dei veri eroi.
Non era trattarli come bestie in una gabbia, sceglierli semplicemente?
No, non avrebbero fatto questo ai loro Guerrieri.
Avrebbero fatto di peggio, infatti.
Li avrebbero messi di fronte a una decisione assolutamente prevedibile: morire o vivere.
Sopravvivenza.
Avrebbero dato loro la scelta di farsi scegliere, di sopravvivere.
E l'avrebbero fatto nel modo più efficace e crudele insieme: facendoli combattere.
L'istinto per la battaglia, il valore, la loro stessa mentalità di Guerrieri avrebbero fatto il resto, inducendoli a dare la miglior prova per farsi scegliere.
Per sopravvivere, avrebbero detto loro, ma il concetto era solo il senso inverso di quella strada che portava alla fine dei Giochi.
Il binomio era semplice: scegliere-sopravvivere.
E nessuna delle due parti avrebbe mai compreso perfettamente l'altra.
Così come fra vincitore e vinto non ci sarebbe stata nessuna corrispondenza: il vincitore sarebbe stato scelto, il vinto avrebbe cessato la propria esistenza.
In virtù di cosa? Di un più debole attaccamento alla vita? Assurdo.
Di una semplice condizione di inferiorità? Probabile.
Di una fredda e studiata scelta di chi gioca la carta? Certo.
I Giochi erano crudeltà: sofferta amaramente da Cosmos, gustata nel semplice sapore della sfida da Chaos.
Ma avevano una regola. Ed era l'imparzialità.
Ogni squilibrio sarebbe stato immediatamente compensato e ormai i due dei avevano capito come sfruttarlo a proprio favore: avevano trovato dei Guerrieri sacrificabili, da schierare in caso di perdita già annunciata dalla propria precedente vittoria.
E non andava mai diversamente da come era stato previsto: i Guerrieri sacrificabili erano studiati per essere inferiori al nemico che avrebbero fronteggiato, in modo da uscire sempre vinti dallo scontro, in cui avrebbero trionfato sempre gli stessi campioni, che avrebbero poi combattuto nell'ennesimo ciclo.
Ecco perché gli adepti scelti, quasi sempre gli stessi, si ritrovavano (anche se raramente) insieme a condividere dei frammenti di un passato perduto, riguardante una situazione molto simile.
Ed ecco perché le schiere di Cosmos e Chaos contavano lo stesso numero di membri, anche se il dio della Discordia aveva delle carte in più: nei Giochi era impossibile schierare nell'Arena più di una pedina alla volta e il numero di duelli era limitato. L'esito pilotato faceva il resto.
A una vittoria, seguiva il rimedio contrario.
A ogni sconfitta, seguiva la certezza opposta.
Queste erano le regole impresse nella mente di Cosmos e Chaos, senza che dovessero anche solo cercare di ricordarsele.
Ma allora a cosa servivano i Giochi, se l'esito era già stato calcolato sin dall'inizio?
Cosmos non poteva porsi questa domanda, perché per lei era sempre la sua prima partecipazione ai Giochi. A guidarla era il suo istinto, che probabilmente ricordava molto meglio della sua mente.
E questa era anche la motivazione per cui i Giochi esistevano ancora.
Per quanto riguardava i Guerrieri, loro si trovavano e si caricavano senza una parola.
Bastava non dargli alternative. O meglio, una gli era concessa, ma era scomoda.
L'unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Ma questo valeva anche per i due dei.

-Cominciamo-.
Chaos pronunciò quella parola incurante dello strano sapore di ripetizione che essa aveva, ma concentrandosi sul più gradito brivido di eccitazione che sentì scivolargli lungo la schiena.
Cosmos risollevò nuovamente la testa di scatto e annuì brevemente con il capo, prima di sollevare le mani dalle carte e allacciarle di nuovo in grembo.
Le due metà del tavolo si separarono definitivamente: quella rivolta verso Cosmos scivolò nella sua direzione fino a sfiorarle con un clangore cristallino la cintura in vita; quella rivolta verso Chaos cigolò leggermente mentre si spostava contro il suo corpo.
Ora i due dei erano separati da un largo spazio centrale in cui vorticavano dense spirali di fumo nebuloso e nessuno dei due poteva più vedere nulla dell'altro se non la luce, flebile attraverso i vapori che si contorcevano, che illuminava d'oro le carte di Cosmos e di rosso quelle di Chaos.
In alto la nebbia si addensò velocemente, nascondendo dietro a una compatta cortina grigio-blu le prime immagini che si stavano formando in un intrico di linee così leggere da richiamare il tratto sottile di una matita.
Improvvisamente il fumo superiore si spostò velocemente verso il basso come la sabbia che scivola in una clessidra, lasciando vuoto lo spazio sovrastante e ottenebrando quello inferiore.
In alto brillavano in oro e rosso i volti animati di Cosmos e Chaos: la dea batteva lentamente gli occhi e socchiudeva le labbra, mentre il dio sollevava il mento ed esibiva il suo sorriso scintillante e letale come un rasoio, le lunghe corna rosse e ricurve che sfioravano la cornice del riquadro che lo conteneva.
Ai lati delle loro figure era disegnato uno zero, per indicare che i contendenti non avevano ancora alcun Guerriero fra le loro schiere.
Ancora per poco - pensò Chaos, abbassando lo sguardo sulle sue carte.
Sotto ai loro visi che volteggiavano sopra allo spazio fra le due metà del tavolo comparve il numero uno in numeri romani, a segnare l'inizio del primo duello.
E fu in quel momento che Cosmos e Chaos si lanciarono il primo sguardo ostile da quando si trovavano l'uno di fronte all'altro.
-Cominciamo- annunciò Cosmos, allungando la mano verso il primo dei dodici mazzi di carte che aveva davanti. Il primo mazzo...che in realtà era una carta sola.
I loro volti in alto cominciarono a splendere d'oro e di rosso, mentre le loro immagini si mescolavano, si sovrapponevano, si attraversavano e si scontravano.
La danza del Bene e del Male, dell'Armonia e della Discordia, dell'oro e del rosso, di un mondo e di un altro.
Piccole scintille dorate come rugiada al sole e scarlatte come sangue fresco piovvero nella nebbia sottostante, facendola ruggire mentre stringeva se stessa con i propri tentacoli.
Il rosso prevalse sull'oro e splendette come il sole al tramonto: l'immagine di Chaos si ingrandì e lui capì istintivamente che era il suo turno.
La sua mano scattò in avanti ad afferrare una carta prima che il pensiero di farlo gli attraversasse la mente.
Il suo artiglio nero ne coprì quasi completamente il nome, mentre la posava davanti a sé e l'immagine vivida annuiva e si voltava per allontanarsi camminando lungo un sentiero invisibile perché oscurato dalle tenebre.
La nebbia continuò ad agitarsi, facendo intravedere nelle fessure lasciate dai tentacoli un paesaggio in costruzione.
Chaos abbassò lo sguardo sulla carta, ora completamente rossa, che teneva in mano.
La prima G del nome risplendeva a lettere infuocate, scavando la propria figura in rilievo sulla carta.
Cominciavano.



Cominciamo, yeeee!
...ehm...no, credo dovrete aspettare fino a sabato per il primo duello, dato che lunedì ricomincio la scuola...maledizione. Prometto di aggiornare ogni sabato, però!
Intanto godetevi l'ultimo capitolo tranquillo (che è solo il secondo, il che è preoccupante), perché dal prossimo non avremo tregua e scatenerò l'inferno! Ma tranquilli, ci andrò piano.

Chaos e Cosmos hanno parecchie carte ciascuno, ma non dimenticatevi che queste sono eliminatorie, quindi durante gli scontri il numero di guerrieri si assottiglierà.
Purtroppo non posso far scontrare i guerrieri con le loro nemesi, perché qualcuno va eliminato ed ecco che entrano in scena i personaggi sacrificabili, che ho pescato in massa dagli altri Final Fantasy...alcuni
di loro vi sorprenderanno perché daranno molto filo da torcere ai loro avversari. E forse qualcuno di quelli che ho scelto non ve lo aspetterete, ma vedremo quando sarà il momento.

Spero che abbiate capito le regole, che ho cercato di delineare il più chiaramente possibile nel capitolo, cercando anche di progredire con la storia.
Allora, appuntamento a sabato con il primo duello, per cui vi ho dato un piccolo, semplice indizio.
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Tutto secondo le previsioni ***


La nebbia si diradò, rivelando dietro di sé un buio opprimente e pesante, che sovrastava un paesaggio spoglio e deserto.
Un soffio leggero di vento e i bagliori sparsi di alcune stelle si rivelarono facendo capolino dalle nuvole nere e spesse, che scivolarono via come una coperta.
La tenue luce degli astri sfiorò il profilo squadrato di alcune rocce e l'orlo di crateri più o meno profondi, disegnando l'immagine della superficie lunare con le sue imperfezioni e chiaroscuri.
Il silenzio e la completa immobilità del luogo furono interrotti dal sibilo di qualcosa che fendeva l'aria cadendo e improvvisamente il buio tornò a calare parzialmente sulla luna quando una figura nera e ammantata coprì una porzione di cielo, proiettando sul terreno un'ombra che si ingrandiva sempre di più man mano che il suo proprietario si avvicinava.
Il fruscio del mantello che sbatteva contro il vento sollevatosi improvvisamente, l'aria che scivolava sul corpo in caduta libera, poi finalmente la figura atterrò sulla cima di un cumulo di rocce accatastate le une sulle altre.
Golbez sollevò le mani artigliate e si sistemò il manto dietro le spalle, prima di guardarsi intorno in quell'ambiente così familiare illuminato nuovamente dalla luce delle stelle.
Lo stregone si chiese per quale motivo si trovasse lì e cosa dovesse accadere, perché stava cominciando a imparare che nulla avveniva per caso nell'universo di Dissidia.
Avrebbe saputo tutto molto presto.
Beh, quasi tutto.

Cosmos rimase a osservare lo stregone mentre si guardava in giro senza tuttavia scendere dalla montagna di pietre.
Lo sguardo della dea tornò ad abbassarsi sui mazzi di carte che aveva davanti. Poteva permettersi di sprecare la nemesi di Golbez?
Cecil le restituì uno sguardo determinato dalla sua carta, in cima al quarto mazzo, come se volesse trasmetterle la sua voglia di combattere per lei. Ma lui non poteva sapere contro chi si sarebbe misurato.
Quella era una decisione di Cosmos, e la dea sapeva che davanti al grande Golbez c'era solo una cosa da fare.
Ma doveva farla per bene e doveva sperare che tutto non andasse secondo le previsioni. Il tempo aveva insegnato alla sua coscienza, che era la parte di lei incapace di dimenticare, quanto facesse male sacrificare qualcuno.
Soprattutto quella persona.
Ma doveva farlo e lo avrebbe fatto per un obiettivo superiore. Il tempo poteva aver anche toccato le corde della sua compassione, ma era ancora abbastanza forte da non cedere al lusso di quell'incanto.
Le sue dita scivolarono fino al nono mazzo e misero da parte la carta di Gidan Tribal, che fece un mezzo salto mortale di lato e atteggiò il viso in una smorfia di protesta.
Sotto la sua carta, un paio di occhioni gialli e spauriti incrociarono lo sguardo addolorato ma fermo di Cosmos, prima che la figura annuisse e si incamminasse con passo dondolante verso l'uscita del suo villaggio.
Lo avrebbe sacrificato. Ma, ne era certa, sarebbe stato un gran duello.
E forse non sarebbe stato così opportuno fare previsioni affrettate.

Golbez non aveva smesso un secondo di guardarsi intorno, vigile e attento.
Non gli sfuggì quindi la piccola ombra nera che apparve dietro una grossa roccia, per poi ritrarsi ancora di più e sparire alla vista.
Lo stregone si riportò il manto dietro le spalle e si preparò a distruggere il pietrone con un incantesimo per sorprendere chiunque vi si stesse nascondendo dietro, ma improvvisamente quello rotolò via da solo, rivelando uno scricciolo nascosto dietro, gli occhioni gialli che sbatterono impauriti un istante prima di individuare la figura che troneggiava sulla montagna sopra di lui.
Golbez fece per scendere a guardare da vicino quello che inizialmente sembrava un bambino inoffensivo, ma in quel momento la roccia che si era spostata prima si sollevò in aria roteando e su di essa comparvero incise alcune parole:
L’unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Combattere per essere scelti dagli Dei o rinunciare e morire? A voi la prima scelta, Guerrieri.


Vivi socchiuse gli occhi e sul suo viso da pupazzo si disegnarono due linee orizzontali e splendenti.
Essere scelti o morire?
Si potrebbe pensare che quelle parole non avessero significato per il bambino che era. Ma Vivi era forte e anche se non era umano aveva un cuore grande e uno straordinario spirito di sacrificio.
Non sapeva come fosse finito lì, non ricordava nulla della sua vita precedente, ma sapeva che c'era qualcosa che lo legava al presente che stava vivendo. Forse era la strana sensazione di déjà-vu che l'aveva colto non appena si era incamminato fuori dal Villaggio dei Maghi Neri, lo sfondo della sua carta e la prigione in cui aveva inconsapevolmente vissuto fino a quel momento.
Oppure era il legame di familiarità che lo legava a quello strano tipo che somigliava a una scimmia e che aveva notato per una frazione di secondo prima che l'ordine imperioso di Cosmos avesse avuto la precedenza.
Qualunque cosa fosse, Vivi era un bambino che ne aveva viste tante nella sua vita precedente e la sua esperienza aveva plasmato la sua coscienza tanto da fargli pensare che fosse inutile morire per un semplice rifiuto di combattere.
Non aveva paura. C'era stato un tempo in cui aveva tremato al solo pensiero di una battaglia, ma in quel momento sapeva che poteva farcela. Sapeva che quell'uomo davanti a lui era tremendamente alto e grosso, ma lui era piccolo e veloce. E poi, Vivi sapeva usare delle magie più grandi di lui.
Il concetto della morte, purtroppo, aveva insegnato a lui più di quanto ne avesse bisogno e sapeva che stava combattendo per una causa superiore più importante della sua stessa vita. Lui lo aveva fatto e aveva vinto, una volta. Perché non avrebbe potuto vincere anche quel duello?
Ricordava un tempo in cui la morte lo aveva spaventato più di ogni altra cosa. Ma durante una battaglia non aveva mai avuto la possibilità di chiedersi cosa ci fosse dopo quella vita così corta che gli era stata donata e in generale aveva imparato a impegnarsi al massimo perché la sua esistenza lo lasciasse senza rimpianti.
E l'unico rimpianto che Vivi aveva sempre avuto era di essere stato debole, una volta. Da lì in poi, non aveva mai rifiutato un aiuto agli amici.
E non lo avrebbe rifiutato nemmeno a chi l'aveva chiamato lì e si era fidato di lui.
Fu con quel pensiero che Vivi strinse forte il suo ramo, Caos di Zeus, e lo fece roteare fra le mani, prima di batterlo con forza per terra.
Il suo nome si incise con uno scricchiolio sul lato destro della roccia.
Non poteva essere altrimenti: quella scelta era nel sangue di Vivi.

Golbez sorrise sotto l'elmo: il piccolo sembrava determinato.
Non era il tipo da far del male ai bambini per puro sadismo e il piccoletto sembrava anche inoffensivo, ma se gli si poneva davanti una decisione così scontata...non aveva proprio altra scelta. Questo lo fece sentire manipolato ancora una volta e lui sapeva cos'era il rimpianto per ciò che era stato fatto attraverso un se stesso non cosciente delle proprie azioni.
Ma non aveva proprio scelta: avrebbe fatto i conti con la propria coscienza in un secondo momento.
Il suo mantello schioccò deciso dietro le sue spalle e lo stregone fece un passo in avanti.
Il suo nome comparve con uno stridio sul lato sinistro della roccia e questa si illuminò, prima di rompersi in mille pezzi con uno schianto che poteva significare solo una cosa.
I Giochi potevano iniziare.

Fu Golbez ad attaccare per primo: lo stregone si slanciò in avanti e scagliò tre globi oscuri contro il rivale, che balzò all'indietro sulle gambe pur corte. Tuttavia le sfere lo seguirono, fino a quando non vennero abbattute dal Firaga di Vivi che, una volta tornato a terra, si preparò a scagliarne un altro direttamente contro Golbez, salvo dover affrontare altri cinque globi che stavano arrivando rapidamente e in successione.
Il maghetto innalzò un Protega contro cui essi si schiantarono uno dopo l'altro, prima di voltarsi rapidamente e sorprendere Golbez, che si era appena teletrasportato proprio alle sue spalle, in atto di attaccarlo con un Raggio Cosmico. Vivi fece roteare il bastone e respinse l'avversario con un Blizzaga, senza poi dargli tregua e continuando a scagliare a raffica altre magie elementali, che Golbez schivò senza troppa difficoltà. Improvvisamente lo stregone si sollevò in aria e la sua mano scattò in alto: una grossa roccia dietro di lui cominciò a fluttuare, prima di iniziare a cadere in picchiata verso Vivi.
Il piccolo mago si buttò velocemente di lato e si nascose dietro un pietrone, mentre quello scagliato da Golbez si abbatteva a un soffio dal suo cappello a punta. Tuttavia in quel momento lo stregone apparve improvvisamente accanto a lui e lo colpì violentemente con il pugno, sollevandolo in alto.
Golbez poi lo raggiunse e lo spedì lontano con un Raggio Cosmico, prima di teletrasportarsi davanti a Vivi e fermarne la corsa afferrandolo per le spalle, sferrandogli poi un calcio nel ventre e tentando di gettarlo sotto di sé per fargli compiere un volo di oltre cinquanta metri.
Il maghetto però era molto veloce e si afferrò saldamente a una gamba di Golbez, non mollando la presa nemmeno quando lo stregone scalciò rabbiosamente. Il mago cercò allora di farlo desistere roteando in aria e lanciando un Thundaga alla propria gamba destra, ma Vivi riuscì in qualche modo a evocare un Reflex, che rispedì la magia al mittente. Sfruttando poi la distrazione dell'avversario e lo slancio della rotazione che lui stava compiendo, il maghetto si staccò dalla sua gamba e scagliò un Blizzaga dritto verso l'elmo di Golbez, prima di evocare un Levita che rallentasse la sua caduta. Lo stregone schivò prontamente il grosso blocco di ghiaccio appuntito che stava sfrecciando verso la sua testa e si gettò in picchiata all'inseguimento di Vivi, che non fu in grado di notarlo fino a quando non l'altro non gli si teletrasportò davanti e non lo sorprese con un manrovescio così potente da scagliarlo ancora più in alto di prima, per poi raggiungerlo e bersagliarlo di Raggi Cosmici che Vivi non fu in grado di schivare in volo.
L'ultimo attacco spedì il maghetto a impattare contro un'imponente roccia, che crollò su se stessa e lo seppellì.
Lo stregone atterrò elegantemente a terra, fissando per parecchi secondi il  punto in cui il piccolo mago era scomparso, senza che quest'ultimo desse qualche segnale di vita.
Nessun segno di esultanza turbò l'immobilità del suo corpo e con questo si risparmiò la delusione di vedere troppo presto dei raggi di luce bluastra filtrare dalle fessure fra un frammento di roccia e l'altro, prima che le pietre fossero sbalzate via da un Vivi in Trance e pronto a combattere nuovamente.
Golbez ebbe appena il tempo di meravigliarsi per la tenacia di quel bambino, prima di vederselo arrivare addosso volando come una freccia e con la mano splendente della luce rossa di un Firaga.
Lo stregone si teletrasportò lontano, ma Vivi riuscì velocemente a compiere un mezzo giro e a colpire il corpo dell'altro con i piedi mentre spariva, con il risultato di trovarsi coinvolto nel teletrasporto. Una volta ricomparso, il maghetto fece esplodere il Firaga contro Golbez, facendolo poi seguire da un Idro che si abbatté violentemente sulla corazza dello stregone, fortunatamente abbastanza resistente.
Golbez passò alla controffensiva e colse l'occasione in cui Vivi stava evocando un Bio per scagliare tre globi neri, che cominciarono a emettere raggi rossi a intermittenza. Vivi innalzò un Protega contro cui i laser si infransero, ma quando le sfere impattarono contro la sua barriera si generò un'esplosione che sbalzò all'indietro il maghetto. A questo punto Golbez schizzò avanti per non dargli tregua, ma Vivi non si fece trovare impreparato: attese lo stregone con un Flare già pronto nella mano destra ma l'avversario, da buon esperto, se ne accorse subito e scartò a sinistra durante la sua corsa, ingannando Vivi, che si inclinò leggermente nella direzione del suo nemico per non perderlo di vista. A questo punto Golbez si teletrasportò a destra e colpì il maghetto con un Raggio Cosmico, che però si abbatté sull'ennesimo Protega. Vivi attraversò poi i pezzi della sua stessa barriera e si gettò sull'avversario; questa volta il suo Flare andò a segno e Golbez cadde a terra con uno schianto, avvolto dalle fiamme non-elementali. Il maghetto lo seguì in picchiata, Assimilando la propria magia per concentrarla tutta in un punto e quando arrivò a sfiorare il terreno con il suo ramo generò un'onda d'urto che sollevò letteralmente il corpo di Golbez alla portata di Vivi, il quale lo spedì lontano con un Blizzaga che si piantò dritto nel petto del rivale, ammaccandogli la corazza.
Lo stregone riacquistò il controllo dei suoi movimenti un soffio prima di sbattere contro una roccia e la usò come punto d'appoggio per ripiombare sul nemico, mentre una certa sottile esaltazione cominciava a pervaderlo, mista al sottile timore di essere sopraffatto da un semplice bambino...abile e veloce, ma pur sempre un bambino.
-Creatura dell'oscurità!- evocò Golbez, calando in picchiata su Vivi ed entrando contemporaneamente in modalità EX.
Lo stregone si fuse nell'aspetto con il suo drago nero e si abbatté sul maghetto nel momento stesso in cui lui stava per scagliare un Antima. Golbez attraversò incolume la magia che si stava formando e trascinò sul terreno il maghetto fino a schiantarlo contro l'ennesima roccia, poi puntò i piedi sul bambino e saltò velocemente indietro con una capriola, scagliandogli addosso in seguito una serie di fulmini neri.
Quando la polvere e il fumo sollevati si diradarono, Golbez emise un fischio di ammirazione dall'alto di una roccia: il maghetto era ancora in piedi, riparato da un Protega che lo stregone non aveva notato nella foga degli attacchi.
Gli occhi di Vivi ammiccarono, il ramo splendette più forte e improvvisamente un Meteor sibilò in aria, diretto proprio verso Golbez, che sorrise dietro all'elmo e sollevò un braccio per contrastarlo a sua volta con la stessa magia.
La meteora di Vivi si scontrò con quella di Golbez e le due magie cozzarono violentemente in una cascata di scintille e faville che piovvero addosso ai due maghi.
La concentrazione dello stregone era evidente: gli artigli tremavano e l'armatura cominciò a splendere di viola, mentre il ramo di Vivi vibrava di continuo e il bambino faticava a tenerlo fra le mani.
Improvvisamente Golbez emise un gemito di sforzo e anche la seconda mano si avvicinò alla prima, scagliando un secondo Meteo che si fuse con il primo nel devastante Bimeteo.
Uno schianto e la meteora potenziata schizzò in avanti, attraversando e distruggendo la magia di Vivi e travolgendo nella sua folle corsa proprio il piccolo mago, fino a quando non si schiantò contro un'altra roccia e si dissolse in un turbine di fiamme e scintille. Golbez scattò immediatamente avanti, respirando durante la corsa l'aria che sapeva già del sapore agrodolce della vittoria.
Non volendo ripetere lo stesso errore di poco prima, lo stregone continuò a infierire su Vivi sferrandogli un calcio dal basso e teletrasportandosi in alto per colpirlo con una raffica di raggi laser. Mentre il maghetto, ormai incosciente, cominciava la sua caduta libera, lo stregone evocò una roccia enorme, che precipitò velocemente sopra Vivi e lo seppellì sotto di sé con uno schianto tremendo.
Golbez rimase a fluttuare in aria, la testa del drago che ondeggiava leggermente sulla sua spalla sinistra e le braccia conserte, mentre la polvere si disperdeva sotto di lui.

Faceva male.
Faceva molto male.
Aveva paura.
Perché aveva paura? Era davvero importante avere paura, in un momento del genere?
Quando il mondo è addosso a te, quando una roccia vecchia come il mondo è addosso al corpicino esile e gracile di un bambino che è troppo, davvero troppo chiamare pupazzo...
Quando non puoi sanguinare, non puoi sudare, non puoi piangere e allora la percezione del tuo corpo diventa un sordo e persistente dolore che è la misura di ciò che hai dato e subito in un gioco pericoloso e crudele.
Ma Vivi aveva dato abbastanza?
Se lo chiese affannosamente, mentre sentiva qualcosa abbandonarlo sotto il peso opprimente della roccia sotto di lui.
Poteva chiamarla vita? Ma una vita non durava tanto tempo, durante il quale si poteva lesinare sui sorrisi e un po' meno sulle lacrime, perché tanto ci sarebbe stato un domani che avrebbe cambiato tutto?
Quanto tempo aveva avuto per compiere quel cammino così breve che lui voleva tanto poter chiamare vita? E quanto tempo gli rimaneva adesso per completarlo?
Vivi cercò di muovere i piedi, ma li sentiva stranamente freddi e non rispondevano ai suoi comandi.
Si chiese se avesse dato abbastanza. Se ci fosse stata abbastanza forza in lui da non farlo sembrare un peso, un caso perso, un progetto fallito. Oppure se fosse sempre crollato a terra, anche quando gli sembrava di essersi alzato sopra tutti.
Il maghetto non sentì più nemmeno le gambe ed ebbe quella spaventosa sensazione di cadere nel vuoto anche con il terreno sotto la schiena. E sopra il petto.
Vivi sollevò a fatica una mano a sfiorare il suo ramo, poggiato sul suo torace.
Quanto amore aveva dato, nel suo infinitamente piccolo? E quanto ne aveva ricevuto? Avrebbe saldato i suoi conti in credito o in debito?
Il bambino strinse gli occhi fino a quando non si confusero con il buio sopra e attorno a lui, quel buio che aveva nascosto i suoi occhi per un tempo immenso.
Tutto sommato, sperava di aver dato più amore di quanto ne avesse ricevuto.
Improvvisamente la roccia che opprimeva il suo fragile corpicino si sollevò e si posò lì accanto.
La figura di Golbez troneggiò su di lui, la mano ancora levata nell'atto di spostare la pietra con la magia.
Vivi non aveva più le forze di alzarsi. Sentiva solo un gran freddo divorargli il corpo e raggiungere il suo petto con la velocità di una marea.
Fu in quel momento che poté chiedersi cosa ci sarebbe stato per lui dopo la morte.
Il pensiero gli attraversò la mente veloce come una freccia, come il brivido di dolore e di paura che gli scosse tutto il corpo.
Non poteva farci niente, era più forte di lui.
Cosa ci sarebbe stato per lui? Il destino era uguale per tutti oppure ognuno riceveva per quanto aveva dato nella vita?
Vivi pensò al nonno. Non poteva credere che il suo destino fosse stato esattamente lo stesso di quello di chi aveva ucciso molte persone e ne aveva comandate tante altre come burattini.
Il nonno aveva dato sicuramente molto più amore di quanto Vivi era riuscito a restituire. E, se c'era una giustizia al mondo, questo avrebbe contato qualcosa.
Ma se ci fosse stata una giustizia al mondo, quel bambino sarebbe morto in modo diverso.
Oppure no. Perché forse non era questione di giustizia.
Vivi trasse un respiro tremolante e guardò Golbez sopra di lui. Lo stregone lo osservò in silenzio e immobile.
Lo sguardo del maghetto si rovesciò al cielo e subito si perse, assorbito dalla meravigliosa immensità del firmamento.
Immaginò che lassù splendessero le luci di tutte le esistenze di ogni mondo conosciuto, ammiccando e oscurandosi nei momenti altalenanti della vita.
Il bambino cercò la propria, istintivamente e senza chiedersi come l'avrebbe trovata in mezzo a quelle altre tutte uguali.
Improvvisamente una stella cadente tracciò una linea netta e scintillante in cielo. Fu la durata di un battito di ciglia, ma Vivi lo colse e ne fu felice.
Insomma, era vero che alla fine della vita si trovavano tutte le risposte alle domande che tormentavano le notti insonni e i giorni troppo cupi.
Non importava davvero chi era o cos'era, da dove veniva e dove sarebbe andato.
Importava che lui, un bambino, avesse avuto l'opportunità di vivere una vita completa nello stesso tempo in cui qualcun altro della sua età imparava i primi passi.
In un anno aveva combattuto, riso, pianto; aveva avuto paura, speranza, forza e coraggio. E anche se li stava lasciando dietro di sé, sapeva che la loro essenza avrebbe composto la forma con cui avrebbe cominciato una nuova avventura.
Una nuova avventura con se stesso, con quella sua determinazione e con quel suo grande cuore, che non importava non battesse realmente nel suo petto.
Vivi si rese conto che non riusciva più a muovere le mani e che non percepiva più il duro e liscio del ramo che aveva incanalato tutta la sua magia, che sentiva scivolare via dal suo corpo e disperdersi nell'aria e nel terreno.
Ma non si sentiva perduto. Non più.
Vivi chiuse gli occhi e il mondo svanì dietro di essi.
C'era solo il freddo che risaliva sul suo petto.
C'era solo il fuoco della scia che stava lasciando dietro di sé, sotto di sé, sopra di sé.
Il suo fuoco.
Per la prima volta Vivi sorrise, ma lui non poté vedersi dietro le palpebre serrate e Golbez non lo notò sopra il capo chino per rispetto.
Il freddo raggiunse il petto del maghetto e durò un secondo.
Il tempo che gli bastò per spalancare gli occhioni gialli un'ultima volta e far rotolare lungo la guancia nera una piccola lacrima di bambino.
Poi i suoi occhi si spensero.

Golbez non poté fare a meno di meravigliarsi per quel piccolo miracolo che era appena accaduto.
Come era riuscito a piangere, quel pupazzo?
Lo stregone non se lo richiese una seconda volta, affidandosi all'ipotesi che qualcosa dovesse essersi compiuto nel piccolo cuore di un essere così grande.
Si chinò rispettosamente e sfiorò con una mano quella del maghetto, ancora posata sul suo ramo.
Vivi aveva combattuto bene e non si era tirato indietro. Era morto con un onore che Golbez non aveva mai visto in un bambino e questo bastava a guadagnarsi il suo rispetto.
Uno stridio lo distrasse dal corpo inanimato e Golbez notò che un'altra pietra si era sollevata in aria e riportava una nuova scritta:
L'unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
La prima scelta è stata compiuta dal volere degli dei.
Posate le armi e leggete il vostro destino.

Golbez lanciò un ultimo sguardo al piccolo Vivi, prima di ravviarsi il mantello sulle spalle e attendere il primo verdetto, già previsto dagli dei.
Golbez, sei un Guerriero di Chaos.
Vivi Orunitia è caduto per la dea Cosmos.

Lo stregone non riuscì a reprimere un moto di soddisfazione: la battaglia non era stata semplice, ma alla fine l'aveva spuntata lui.
Tutto era andato come previsto.
Un bagliore rossastro riflesso sulla sua armatura attirò la sua attenzione, mentre il corpo di Vivi veniva investito da una luce bianca.
Golbez abbassò lo sguardo su se stesso e si scoprì anche lui attraversato da un raggio luminoso e rosso scarlatto, mentre le stelle si spegnevano nel cielo nero sopra di lui, che sembrava cominciare a pesare sull'Arena avvolgendola in mille spire di oscurità.
Lo stregone lanciò un ultimo sguardo al cadavere del suo avversario che veniva assorbito dal cielo, prima di essere inghiottito anche lui nel buio assoluto.

Eccomi, come promesso!
Allora, primo scontro, prima morte...VI PREGO: non uccidetemi se ho sacrifiicato Vivi per primo! Sappiate che ha fatto molto male anche a me (infatti gli ho reso un piccolo tributo, come è giusto che sia per questo personaggio che ci fa sempre tanta tenerezza), ma ho pensato a come sarebbe stato un bel duello fra Golbez e Vivi e...non ho resistito.
Spero che abbiate apprezzato il primo abbinamento: qui va tutto come previsto e avete anche visto come funzionano di solito i Giochi. Ok, tenete bene a mente questo di solito, hehe.
Ringrazio tantissimo chi ha mostrato così tanto entusiasmo per questa storia già al secondo capitolo e chi legge e recensisce!
Un saluto e a sabato prossimo! Ciao!

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Capitolo 4
*** Qualcosa di sbagliato ***


La carta di Vivi divenne opaca fra le mani di Cosmos, mentre lei si mordeva un labbro per sopportare il rimpianto della prima sconfitta e perdita.
Il primo sacrificio.
La carta di Gidan davanti a lei chinò rispettosamente il capo al termine dell'ennesimo salto mortale, onorando la morte di quello che era sempre stato un grande amico per lui.
Uno schiocco proveniente dall'alto attirò gli sguardi dei due: un "uno" si disegnò accanto all'espressione compiaciuta di Chaos, mentre lo zero rimase, appesantito dal pensiero della vita spezzata di Vivi, a lato del viso di Cosmos. In seguito un "due" in numeri romani si sottoscrisse al primo numero, per indicare l’inizio del secondo combattimento.
In quel momento Golbez, avendo superato la propria prova, comparve al fianco di Chaos, che lo degnò appena di uno sguardo prima che la sua attenzione venisse catturata dal movimento dei due ritratti, che ripresero a mescolarsi e attraversarsi per determinare il turno successivo.
Come previsto, quella volta toccò a Cosmos.
E, di nuovo come previsto, quella volta doveva vincere lei.
I Giochi sarebbero stati ancora feroci e perfetti.
Un ultimo sguardo alla carta opaca di Vivi, poi la dea fece scorrere il dito lungo la linea dei suoi mazzi di carte, indecisa su chi schierare.
I suoi occhi si soffermarono parecchio su una carta e sul ragazzo raffigurato, che tendeva un enorme arco sfoderando un bel sorriso caldo.
Dietro di lui altre sei armi erano sospese in aria, mentre sullo sfondo si estendeva uno sconfinato e rigoglioso prato fiorito.
La mano della dea ebbe un guizzo e la carta scelta fu spostata e posata davanti a tutte le altre, mentre la figura corrispondente si allontanava con un cenno determinato del capo, l'arco che scompariva insieme alle altre armi in un bagliore dorato.
La dea si convinse di aver fatto la scelta giusta e lanciò uno sguardo di sfida al suo avversario, che ricambiò sollevando appena un angolo della bocca.
Nel frattempo la nebbia al centro della stanza riprese a perdersi in grovigli e contorsioni, lasciando intravedere l'Arena successiva.

Il silenzio invadeva completamente le strade lastricate da ciottoli usurati e sconnessi della città di Fynn. Il muschio si era insinuato nelle fessure fra una pietra e l’altra, a volte così in profondità da creparle in certi punti.
Le case, dai muri di un triste e sporco color cemento e i tetti blu che svettavano contro il cielo azzurro limpido, sorgevano fra le vie secondo un ordine non preciso, ma tutte poste davanti a un imponente castello, le cui torri svettavano contro il profilo delle montagne.
Tutto intorno si estendeva il mare, che ammiccava placido e leggermente increspato alla luce del sole, spirando una brezza appena pungente che si infrangeva sulle alte e spesse mura in pietra della città.
In quel momento un leggero rumore di passi spezzò il silenzio della vasta Arena, mentre il Guerriero di Cosmos percorreva la strada principale, accompagnato dal sempre più preciso tintinnio delle armi le une contro le altre.
Firion provò una leggera inquietudine quando riscoprì in se stesso una forte sensazione di déjà-vu, percependo la presenza di ricordi legati a quel luogo, ma chiusi a doppia mandata in una qualche regione della sua mente.
Il ragazzo si fermò accanto ad una casa e incrociò le braccia con uno sbuffo, convincendosi che lambiccarsi il cervello per nulla faceva solo male. E tutto sommato aveva ragione, perché ciò che non è possibile comprendere in prima istanza si può solo aspettare che diventi più chiaro.
Anche perché non avrebbe dovuto attendere molto.

Chaos sorrise, osservando Firion dare un calcio al muro della casa e appoggiarvisi contro con la spalla.
Intanto Golbez continuò a osservare il dio mentre percorreva le carte con le dita e cercava di scegliere rapidamente per non dare tempo all'avversario di abituarsi all'ambiente.
Non che ce ne sia il pericolo - pensò in quel momento Chaos gettando un'occhiata a Firion, che si stava addirittura appisolando.
Una delle figure nelle carte di Chaos ebbe un fremito improvviso, ma il dio scosse la testa: capiva bene la sua voglia di vendetta, ma avrebbe schierato la persona interessata in un secondo momento, anche se gli sarebbe piaciuto vedere un duello fra vecchi...amici.
Contro Firion non aveva altra scelta se non perdere. Era tutto previsto.
Le sue dita continuarono a scorrere sui volti delle sue pedine, soffermandosi qualche volta, ma passando sempre oltre...fino a quando non si bloccarono su una carta che Chaos stava persino per saltare con lo sguardo.
Non l'aveva quasi mai usata, lo dicevano le infinite volte che aveva compiuto gli stessi gesti.
Era una donna...forse. Una lunga treccia rossa scivolava lungo la sua spalla sinistra fino a sfiorare un ampio, scoperto petto virile dai muscoli tesi e lucidi sotto la pelle grigiastra.
Un paio di ali nere e appuntite si aprì alle sue spalle e il viso, evidentemente femminile, si sollevò e si rivelò illuminato dal bagliore degli occhi color cremisi e dal suo sorriso letale. Poi la persona spiccò il volo e presto la sua figura divenne un'ombra confusa contro le luci sfolgoranti della città alle sue spalle.
In quel momento l'immagine dell'Arena sfarfallò, come se ci fosse qualche problema nella ricezione, ma Chaos se ne accorse appena, distratto da un movimento che riportò il suo sguardo sul tavolo. Infatti, la figura nella carta appena accanto a quella della prescelta e che il dio voleva scegliere al posto di quella che aveva effettivamente schierato storse il naso e lo arricciò. Un'altra in una carta vicina sollevò il mento e incurvò le labbra rosse in un sorriso beffardo. Chaos soffiò una risata:
-Un imperatore, un tiranno e la sua manipolatrice...dovreste intendervi bene insieme-.
Improvvisamente l’immagine dell’Arena venne catturata da un vortice che si muoveva lento, ma che dissolse rapidamente le case, le strade, il cielo, il mare e...Firion.

Firion sbatté assonnato le palpebre e nello stesso momento l'Arena attorno a lui svanì, per poi cambiare rapidamente conformazione.
La casa alla quale lui era appoggiato scomparve semplicemente, facendolo ruzzolare a terra e sfiorare con la testa il bordo di qualcosa di più basso e squadrato. A parte questo, il guerriero non ebbe assolutamente l'impressione di sprofondare nel vuoto o di essere catturato da un vortice, anche perché il cambiamento era avvenuto quasi istantaneamente, sostituendo il pavimento della prima Arena con quello della seconda e così accadde anche per l’ambiente circostante.
Poteva significare qualcosa, questo?
Comunque quando Firion si rialzò in piedi, sfregandosi le mani l'una sull'altra e borbottando imprecazioni, la sua sorpresa di fronte al nuovo spazio attorno a lui fu grande.
Il sentiero di pietra era lungo e stretto. I bordi rialzati bianchi come il marmo riflettevano la luce arancione che attraversava la cupola trasparente posta alla sommità dell'estremità a nord, in cui la strada si immetteva oltrepassando un'enorme apertura ad arco. Da lì si ripartivano due enormi decorazioni simili ad ali, impreziosite da fregi dorati e ricche di sporgenze e incavature.
Il pavimento del sentiero era trasparente a partire dall'estremità sud, lasciando intravedere la vertiginosa voragine che si apriva proprio sotto, le cui pareti in roccia azzurra si perdevano improvvisamente nell'oscurità profonda e ingorda.
Oltre la seconda metà del sentiero, il pavimento digradava nella più solida pietra, come se fosse stato colpito da una pietrificazione progressiva e incompiuta.
Dei solchi irregolari, simili a quelli scavati dalle unghie di chissà quale bestia guidata da una furia tanto cieca, percorrevano in lunghezza tutta la pavimentazione.
Più in alto le pareti rocciose si avvicinavano le une alle altre fino a lasciare intravedere solo un cielo rosso sangue, reso però purpureo dal vetro violaceo attraverso cui si scorgeva.
Il viso ancora rivolto verso l'alto, Firion posò distrattamente la punta del piede sul pavimento trasparente, prima di abbassare lo sguardo e fare un balzo indietro, emettendo un verso sorpreso:
-Woah! Ma qui si cade!-.
Si guardò attorno ancora per un po', prima di cominciare a convincersi che forse il pavimento c'era, avendoci posato sopra un piede appena due secondi prima.
Constatato questo, Firion provò nuovamente a percorrere il sentiero e fu sollevato di osservare che, dopo circa cinque passi, non era ancora precipitato di sotto.
Soddisfatto di questo clamoroso successo, seppur rabbrividendo per la sensazione di vertigine, il guerriero passò ad analizzare la situazione più nel complesso e si pose finalmente la domanda, anzi le domande fondamentali:
-Ma cosa diavolo è successo e dove sono, adesso?-.
Oh, le risposte non sarebbero certamente state un problema.
Come per sottolinearlo, la luce arancione in fondo al corridoio divenne ancora più forte, costringendo Firion a schermarsi gli occhi con la mano.
Poi una figura nera comparve in mezzo alla fonte luminosa, oscurandola parzialmente a seconda dei suoi movimenti. Improvvisamente la luce si esaurì e l'ambiente rimase illuminato solo dalla debole finestrella in alto, mentre la figura davanti a Firion si avvicinava sempre di più.
Dapprima il guerriero scorse le sue enormi dimensioni: alta più di tre metri e massiccia, era impossibile non notare la sua imponenza; poi le sue ali si spalancarono: larghe, aguzze e lucide al riflesso della finestra.
Infine i suoi capelli scarlatti, che ondeggiarono stretti in una treccia, risaltarono naturalmente nell'ambiente così poco illuminato, come una fresca macchia di sangue su un tessuto rovinato dal tempo.
Quando la figura si fermò, Firion poté scorgerne il vasto petto virile scoperto e lucido. Una lunga gonna nera, coperta sul davanti da un drappo bianco che sfumava verso l'orlo in un color rossiccio, si allargava sul pavimento ai suoi piedi, ondeggiando brevemente contro le sue gambe.
La figura sollevò lentamente un braccio, muovendo una dopo l'altra le dita che terminavano con un lungo artiglio, e puntò la mano aperta verso Firion.
Un sorriso si disegnò sulle sue labbra sottili, punte dai canini lunghi e lucenti.

Adele degnò appena di uno sguardo l’ambiente che la circondava. Mille ricordi si risvegliarono dentro di lei, così come il suo potere di Strega, che si rivelò affamato e implacabile come sempre.
L’umano davanti a lei la guardava con una certa deferenza, quasi intimorito dalla sua presenza. Adele ne fu compiaciuta e questo riportò ad aleggiare sul suo viso la sua solita aura di superiorità e disprezzo nei confronti di esseri che erano nati per servire e non per dominare.
Non immaginò nemmeno che anche lei fosse una semplice pedina in un gioco più importante della sua sete di potere e dominio assoluto. L’egoismo l’aveva resa indifferente al mondo e questo era sempre stato il suo sbaglio.
E, dato che non era mai cambiata nemmeno quando ne aveva avuto una seconda opportunità, probabilmente avrebbe continuato a sbagliare.

Qualcosa di sbagliato.
Cosmos osservò Adele e Firion studiarsi reciprocamente e si domandò cosa fosse andato storto.
Fu sollevata del fatto che la sua pedina avesse sopportato bene il cambio di Arena: probabilmente l’interferenza nell’immagine aveva dato l’impressione di un mutamento devastante che non si era effettivamente verificato nella realtà.
La dea sollevò uno sguardo confuso sul suo rivale, che fece semplicemente spallucce e accennò con il mento alle due pedine in gara, mentre in quel momento la solita scritta compariva per dichiarare l’inizio del secondo duello.
L’unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Combattere per essere scelti dagli Dei o rinunciare e morire? A voi la prima scelta, Guerrieri.

Cosmos intrecciò le mani in grembo, inquieta, cercando di convincersi che probabilmente la selezione casuale delle arene non aveva funzionato a dovere.
Sì, doveva essere stato questo.
Sperava fosse stato solo questo.

Adele, la mano ancora sollevata e tesa verso Firion, sorrise nel leggere le parole scritte sulla pietra del pavimento.
Rinunciare? Non l’aveva mai fatto.
Morire? Non l’avrebbe permesso.
Combattere? Avrebbe fatto di più, per se stessa.
La Strega ritrasse la mano, mentre le sue ali si sollevavano e tendevano dietro le sue spalle, permettendole di alzarsi in volo fino a sfiorare solo la terra con i piedi.
Il suo nome fu scritto accanto al testo sul pavimento e Adele sollevò il mento, inebriata dal potere che cominciava a scorrerle nelle vene.

Neanche Firion esitò.
La figura davanti a lui sembrava davvero potente e pericolosa, ma lui sentiva di avere un’arma più forte che non rientrava fra quelle di cui era equipaggiato.
Quella si trovava nel suo cuore ed era un motivo per combattere.
Un sogno. Un sogno non solo per se stesso ma anche per gli altri. Qualcosa per cui combattere senza tenere in particolare conto la propria vita, con l’accettazione di sacrificarla di fronte alla necessità e a una causa più importante.
Questo era ciò che gli era stato insegnato e questo era ciò che avrebbe messo in pratica, per il mondo, per i suoi amici e...sì, anche per se stesso.
Perché aveva imparato che chi combatte unicamente per i propri obiettivi, è solo di fronte all’imprevedibilità della vita.
Era arrivato il momento di promuovere ciò in cui credeva nell’unico modo possibile: combattendo.
Firion afferrò il suo arco e prese una freccia tra le dita. Mentre il proiettile toccava la corda, il suo nome si affiancò a quello di Adele.
La battaglia poteva avere inizio.

Adele batté le ali e si sottrasse alla freccia scagliata da Firion, la quale si perse nell’oscurità oltre l’apertura ad arco. La Strega contrattaccò subito scendendo in picchiata su di lui e scagliandogli un raggio luminoso, che lui evitò scartando di lato. Poi, velocissimo, estrasse la ferula e mirò alla figura dell’avversaria, ancora vicina a lui nell’atto di alzarsi di quota.
Adele si voltò improvvisamente e scagliò un Flare contro il proiettile, che fu rispedito al mittente avvolto da fiamme non-elementali. Firion fece un balzo indietro e poi si sottrasse con una capriola all’ennesimo raggio della strega, vedendosela subito dopo arrivare addosso con gli artigli protesi in avanti. Prima che potesse anche solo pensare di spostarsi sul muretto del corridoio per evitarla, lei l’aveva già afferrato per il mantello e sollevato, per poi lanciarlo oltre il corridoio, nel vuoto.
Fortuna volle (non proprio, ma meglio che niente) che Adele avesse calibrato male la sua poderosa forza e avesse scagliato Firion esattamente contro la roccia alla sua destra. Così al guerriero non restò altro da fare che estrarre la sua Longinus e conficcarla nella parete per fermare la propria caduta.
Rimasto così appeso alla sua lancia, riuscì ad accorgersi appena in tempo della Strega che gli si stava avventando nuovamente contro: il guerriero di Cosmos lasciò la presa sul manico della lancia e ruzzolò a terra, proprio sopra una delle due ali che si dipartivano dall’estremità del sentiero opposta a quella da cui era giunto lui.
Un raggio luminoso si abbatté esattamente dove si sarebbe trovata la sua testa, se Firion non fosse rotolato a destra, afferrandosi poi a una sporgenza della decorazione per rimettersi in piedi.
Il guerriero sguainò la spada e la portò davanti al viso in tempo per parare un altro raggio, poi scattò rapidamente in avanti per compiere l’offensiva. Il primo fendente si abbatté sul braccio di Adele, che respinse la lama semplicemente colpendone il piatto con l’altra mano. A questo punto Firion torse il braccio e tentò un affondo verso il fianco scoperto della Strega, ma questa eresse una barriera che, oltre a difenderla, sbalzò all’indietro il guerriero, facendo precipitare nel vuoto la sua spada.
Firion finì pericolosamente sull’orlo della decorazione e Adele non perse un secondo a buttarsi contro di lui per finirlo.
Il guerriero di Cosmos precipitò insieme alla Strega, ma riuscì ad afferrarle la gonna per evitare di cadere nel vuoto. Adele scalciò furiosamente, ma Firion rimase saldamente appeso e si lasciò cadere solo quando fu sicuro di atterrare sul muretto del sentiero.
La Strega rimase sospesa da terra all’altra estremità e fu a quel punto che Firion sollevò un sopracciglio:
-Accidenti, sei forte! Ma...posso farti una domanda?-.
La Strega strinse i pugni senza rispondere, probabilmente studiando la prossima strategia.
Il guerriero rinsaldò la presa sul coltello che teneva dietro la schiena, sguainato durante la caduta, e chiese con aria innocente:
-Ma tu sei maschio o femmina?!-.
Adele scattò in avanti con un ruggito infuriato e a quel punto anche Firion si slanciò verso di lei (o di lui?!) correndo sul muretto del sentiero. Quando arrivò alla giusta distanza, ruotò il braccio a destra per colpirla con il pugnale, ma lei lo disarmò, scacciando la lama come se si trattasse di una mosca, e con un pugno fece sbilanciare Firion all’indietro, scagliandolo nuovamente nel vuoto.
Per un orribile secondo il guerriero pensò che sarebbe morto così, precipitando all’infinito, ma improvvisamente Adele spiccò il volo e gli si avventò contro, afferrandolo per le spalle con gli artigli affilati.
In quel momento il guerriero sentì una presenza estranea che cercava di infilarsi nella sua mente, contemporaneamente alla fitta di dolore provocata dalle unghie della Strega che gli trapassavano la carne.
Adele stava cercando di impossessarsi del suo corpo per assorbirne la forza vitale.
Firion scalciò debolmente e cercò di opporsi al controllo mentale della Strega, concentrandosi su qualcosa che non fosse il vuoto sotto di lui o la dolorosa sensazione della carne lacerata.
Così pensò con tutte le sue forze al suo sogno e alla grande speranza che lo alimentava.
Poteva esserci qualcuno che avrebbe potuto strappargliela?
Aveva giurato che avrebbe ceduto la propria vita per questo, non che avrebbe rinunciato alla ragione stessa per cui era un sognatore.  
E la differenza tra lui e un sognatore qualsiasi era che lui aveva i mezzi per poter concretizzare ciò in cui sperava così ardentemente.
Firion strinse la mano attorno al manico della sua ascia.
Quello era un buon mezzo.
Il guerriero la estrasse dalla cintura e menò un poderoso fendente al fianco della Strega, approfittando della sua distrazione. Adele fu ferita solo superficialmente, ma l’attacco la colse così tanto di sorpresa da costringerla a interrompere il controllo mentale e ad allentare la stretta sulle spalle del guerriero.
Nel frattempo Firion, liberatosi definitivamente della sua presa, le si arrampicò sulla schiena e brandì il pugnale, che conficcò poi nell’attaccatura dell’ala sinistra di Adele, tranciandola di netto con un guizzo del polso.
La Strega precipitò di colpo, prima di raddoppiare gli sforzi sull’ala destra e riprendere lentamente quota, lanciando un ringhio di dolore e rabbia.
Firion non si fece intimidire: puntò i piedi sulla schiena della Strega e, conficcando la punta della scarpa nella ferita appena inferta, spiccò un balzo che gli permise di raggiungere il sentiero sospeso.
Una volta atterrato, si voltò velocemente per non perdere di vista la Strega, che si stava preparando, non senza un certo sforzo, a lanciare un’Ultima, l’arco di un sorriso che le increspava i lineamenti contratti.
Il guerriero di Cosmos approfittò un’altra volta della sua distrazione e incoccò una freccia, che poi scagliò con tutta la forza di cui disponeva.
Il proiettile lasciò una scia luminosa in aria e volò rapido, conficcandosi al centro del petto di Adele e trapassandolo da parte a parte.
La Strega interruppe la magia e si piegò su se stessa, lanciando un grido straziante.
Poi si irrigidì tutta e la sua mano artigliò l’aria invano, prima di precipitare con tutto il suo peso nel vuoto abisso di un luogo che lei stessa aveva voluto fosse costruito, in un passato troppo lontano.
Firion rimase a fissare a lungo il punto in cui Adele era scomparsa, fino a quando una scritta non si tracciò sotto i suoi piedi:
L'unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
La prima scelta è stata compiuta dal volere degli dei.
Posate le armi e leggete il vostro destino.

Firion si rimise l’arco a tracolla e guardò con rimpianto la sua Longinus, ancora conficcata nella roccia.
Firion, sei un Guerriero di Cosmos.
La Strega Adele è caduta per il dio Chaos.

Mentre il paesaggio attorno a lui cominciava a sparire, Firion non ebbe tempo di avere paura. Anche perché la sua mente era occupata da un solo pensiero, che l’aveva tormentato per tutta la durata del combattimento.
Finalmente aveva avuto la risposta che cercava.
-Ma allora...Adele è donna!-.


Eccomiiiii!
Allora, prima di tutto chiedo umilmente scusa per il ritardo; avrei dovuto pubblicare ieri ma sostanzialmente i problemi sono stati due: mancanza di connessione (che salta proprio quando ne hai bisogno, quella maledetta!) e tempi ristretti (per mia somma gioia).
Però adesso ci sono e da ora in poi, costi quel che costi, pubblicherò ogni sabato, anche a costo di venire personalmente a casa vostra a portarvi il capitolo in cartaceo!
Sapete, potrei farlo veramente.
Ok, bando alle cose inquietanti, in questo capitolo cominciamo a vedere che qualcosina va storto...qualcosa di insignificante come il mutamento dell'Arena (che non nuoce più di tanto alle pedine perché è un po' lo stesso principio di quando il vincitore vede scomparire attorno a sé il paesaggio dell'Arena per poi ritrovarsi fisicamente nello stesso ambiente di Cosmos e Chaos), ma si comincia sempre con i piccoli problemi...
Spero che l'abbinamento Firion-Adele vi sia piaciuto. L'ho trovato calzante anche per i motivi che ho spiegato nel capitolo stesso: lei senza scrupoli ed assetata di potere, lui con un sogno di pace da realizzare.
E poi Adele è anche un tiranno e dato che Firion in passato si è dovuto misurare con l'Imperatore...insomma, mi è sembrato interessante metterli l'uno contro l'altro.
Per chi mi conosce, si doveva aspettare l'intrusione di FFVIIII in questa fanfiction. E poi, il personaggio di Adele mi ha sempre incuriosita molto...nel videogioco originale le è stato dato pochissimo spazio e...sì, non si è ancora capito se sia maschio o femmina. Bah, io ho usato il femminile per riferirmi al termine "Strega", che è lo stesso principio di FFVIII ogni volta che si parla di Adele, poi non lo so...
Spero si sia abbastanza capito: la seconda Arena è il Lunatic Pandora (non ho potuto esplicitarlo perché Adele non se n'è ricordata totalmente), eh!
Non avendo null'altro da chiarire...chiedo ancora scusa per il ritardo e vi do appuntamento a sabato prossimo (sarò puntuale, eh!)! Ciaaao!

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Capitolo 5
*** Il duello imprevisto ***


La carta di Adele atterrò sul tavolo proprio mentre un alone di densa nebbia ne oscurava completamente l'immagine. Chaos, la mano destra ancora levata dopo averla lanciata, la degnò di un solo sguardo carico di disprezzo e delusione: quanto al resto, bastarono le espressioni disgustate delle due figure che anche in precedenza avevano dimostrato il loro disaccordo sulla scelta compiuta dal dio.
Golbez alle sue spalle osservò la superficie opaca della carta riflettere lo scintillio prodotto dall' "uno" che si disegnò in alto accanto al volto di Cosmos, ora più rilassato. Successivamente comparve anche un "tre" in numeri romani, ad annunciare l'inizio del terzo combattimento.
Ma in quel momento lo stregone spostò lo sguardo sul tavolo della dea, dove presumeva si trovasse ancora la carta di Vivi. Dentro di lui cominciava a maturare la repulsione per quei Giochi tanto crudeli quanto inutili. Davvero non c'era altra scelta tra combattere e morire? Perché nessuno di loro aveva ancora osato andare oltre i limiti? Era così assurdo persino pensarlo?
Una forte sensazione di angoscia colpì lo stomaco di Golbez con una stilettata gelida, prima che l'improvvisa comparsa di Firion lo distogliesse dai suoi pensieri.
Il ragazzo sorrise trionfante a Cosmos, che annuì lentamente e lasciò che il suo primo guerriero si sedesse a gambe incrociate alla destra del suo scranno, con le mani posate sul mento e i gomiti piantati sulle cosce, tutto concentrato nell'osservare la nebbia al centro dello spazio.
I volti di Cosmos e Chaos in alto cominciarono a mescolarsi per la terza volta, determinando, come previsto, il turno di Chaos.

Il dio decise che era il momento di dare una svolta decisiva alla gara e cominciò a cercare con lo sguardo una carta che non era mai mancata nel suo mazzo. Era come se ci fosse sempre stata. Sentiva che, in qualche modo, per questo la pedina che rappresentava non l'avrebbe mai tradito.
Chaos la prese finalmente fra le dita e insinuò lo sguardo tra le fessure dell'enorme elmo sulla testa del guerriero raffigurato, che non ebbe bisogno di un lungo contatto visivo: disincastrò l'arma dal terreno e subito la sua figura prese ad affondare in un mare di tenebre che lo inghiottì famelico e senza lasciarne traccia.
Immediatamente lo sguardo del dio fu catturato dal turbinio frenetico della nebbia al centro della stanza e allora si sistemò meglio sulla sedia, pronto a godersi lo spettacolo.

Inizialmente c'era solo nebbia: densa, palpabile, soffocante, malsana. Il mondo si nascondeva dietro di essa come dietro a una maschera, come lo scenario su un palco nascosto da un pesante e ondeggiante sipario.
In quel momento la nebbia cominciò a fremere lentamente, perdendo gradualmente consistenza e lasciando intravedere i primi contorni del paesaggio che celava. Quando il fumo si diradò completamente, comparve l’interno del Santuario di Chaos.
Un enorme scalone centrale ricoperto da un immacolato tappeto rosso conduceva fino a un trono dalle linee aspre ma solenni nell’insieme. Due poderosi colonnati dividevano la stanza in tre navate e agli angoli erano poste le statue dei quattro demoni elementali, ognuna affiancata da due fiaccole. Il soffitto era crollato per un pezzo, rivelando un cielo ricoperto da nuvole così dense e immobili da sembrare piombo, mentre vortici di vento si abbassavano a inglobare nel loro movimento una miriade di bioccoli di polvere, assoggettati così al loro volere...come pedine.
Una profonda macchia di opaca oscurità si aprì improvvisamente davanti al trono e una figura cominciò ad emergere dal buio, salendo lentamente e lasciando che lunghi e ricurvi tentacoli di quel mare di tenebre scivolassero giù dalle lunghe corna del suo elmo.
L'uomo comparve nell'Arena senza violare il perfetto silenzio che la dominava...perlomeno, fin quando la sua enorme spada non colpì il pavimento incidendovi una tacca profonda e facendo richiudere la voragine sotto i suoi piedi. Poi Garland si aggiustò il mantello viola, mentre la luce delle fiaccole si rifletteva su ogni piastra della sua armatura, mandando un bagliore luminoso ma al tempo stesso sinistro.
Il braccio destro di Chaos rimase immobile per qualche secondo, vigilando sull’innocuo silenzio che riempiva ogni angolo.
La sua spada tintinnò contro l’elmo quando lui se la mise in spalla, ruotando il busto per guardarsi intorno e muovendo qualche passo nell’ambiente.
Lì, dove la sua storia continuava a tornare, incatenata al flusso del Tempo.
Garland era l’unico che conservava il ricordo di ogni ciclo e che quindi conosceva a memoria il procedimento dei Giochi. Aveva combattuto con ogni pedina possibilmente sacrificabile di Cosmos e ne era sempre uscito vincitore...quando era tutto previsto.
Il guerriero si domandò per la prima volta come sarebbe stato un duello imprevisto.
Per la prima volta. Ironia della sorte, probabilmente.


Cosmos osservò Garland nell’Arena: il volto demoniaco inciso sull’elmo ne rendeva l’espressione del viso imperscrutabile, ma l’aura di rispettoso potere che emanava non lasciava dubbi sulla sua interpretazione.
C’era solo una pedina che avrebbe potuto contrastarlo e lei non poteva schierarla...
...perché no?
La donna sussultò e abbassò lo sguardo su Firion, alla sua destra:
-Hai detto qualcosa, Firion?- gli sussurrò, nascondendo il turbamento.
Il guerriero si volse a guardarla confuso:
-Io? - cadde dalle nuvole - No di certo: non credo sia sportivo insultare il nemico...anche perché devo ammettere che ha un gran bel paio di orecchini sull'elmo- precisò annuendo vigorosamente. La dea ignorò il resto della frase e si fermò alla negazione di Firion.
Ma allora...chi aveva parlato?
Non sapendo spiegarselo, provò a convincersi di essersi semplicemente immaginata quelle due parole, che l'avevano profondamente tentata.
Le sue dita cominciarono a scorrere sulle carte, ma quando giunsero sull'ennesima carta da sacrificare...
Che crudeltà, Cosmos.
La dea sentì chiaramente quelle tre parole, così come percepì in modo definito il suo viso farsi freddo come il marmo e successivamente la voce preoccupata di Firion:
-Cosmos...va tutto bene?-.
Lei lanciò un fugace sguardo a Chaos, che non sembrava essersi accorto di nulla, e poi soffiò:
-C'è qualcuno che...-.
Il tempo scorre, ricordalo.
-Qualcuno che...?- la incalzò Firion.
L'istinto non pensa due volte.
-Cosmos?-.
Vittoria invece di sacrificio: scambio equo.
Ma lei non avrebbe vinto quel turno. Era stato stabilito così.
Quando l'ordine è alterato, non fare previsioni.
Effettivamente qualcosa di anomalo era già successo. Forse...
Cosmos abbassò le palpebre tremanti, la testa improvvisamente leggera e dolente. Dietro di esse, mille spirali danzavano al battito affannoso del suo cuore.
Quando riaprì gli occhi, abbassò lo sguardo sulla prima carta che aveva davanti, raffigurante un bell'uomo che si portava la spada davanti al viso e lo tagliava in due metà speculari.
La scelta a loro. Che decidano gli opposti.
Le sue dita sfiorarono delicatamente e meccanicamente la figura, che abbassò lentamente la spada e annuì con un cenno del mento.
Non ti sei mai chiesta cosa significhi essere...pedine?

Il massiccio portone del Santuario di Chaos si spalancò, rivelando una figura aggraziata che camminava poggiando appena i piedi a terra. Garland si voltò all’improvviso, guardando dall’alto della scalinata il nuovo arrivato, e la sua spada scivolò dalla sua spalla per piantarsi con uno schianto nella pietra del pavimento.
Guerriero della Luce si fermò sulla soglia e scosse appena la testa, lasciando che i capelli bianchi sfuggiti all’elmo gli scivolassero dietro le spalle.
L’uomo sollevò lo scudo, mentre l’altro braccio rimaneva perpendicolare al pavimento, la spada che ondeggiava lentamente come la veste bianca sotto l’armatura violacea.
In quel momento le nubi intraviste attraverso la spaccatura del soffitto cominciarono a ruggire e a contorcersi, assumendo un colore viola acceso striato di scuro. Il vento soffiò più forte, scompigliando nuovamente i capelli di Guerriero e facendo tintinnare gli orecchini di Garland.
Sulla parte di soffitto non crollata si disegnarono stridendo alcune parole.
L’unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Combattere per essere scelti o rinunciare e morire: a voi la prima scelta.

Guerriero fu il primo a riabbassare il mento.
La sua fedeltà a Cosmos era tutto ed era evidente che avrebbe combattuto fino alla morte per far parte delle schiere della dea dell’Armonia.
Non avrebbe permesso a nessuno di sostituirlo.
Guerriero fece un passo avanti e il suo nome comparve con uno schianto alla sinistra della scritta.
Aveva sempre avuto un motivo per farsi scegliere.

Garland non poté fare a meno di ammirare la mancanza di esitazione dell’avversario, il cui nome ora brillava alla sinistra della scritta incisa rozzamente nella pietra.
Ma anche lui aveva ben poco a cui pensare: quell’incontro era stato totalmente inaspettato, ma invece di sentirsi turbato percepì nettamente l’eccitazione tendergli tutti i nervi del corpo. In fondo, si trattava sempre di uno scontro con Guerriero.
E poi, se voleva sapere cosa avesse provocato un cambiamento così radicale nelle regole dei Giochi, doveva uscire vivo da quel duello. E qualcosa gli diceva che non sarebbe stato facile come le altre volte.
La sua mano si chiuse saldamente sull’elsa dello spadone e lo estrasse dal pavimento, riportandolo sulla propria spalla; il suo nome comparve con un clangore cristallino alla destra della scritta.
Il duello imprevisto poteva iniziare.

Caricarono insieme: Guerriero si gettò in avanti senza una parola, mentre Garland balzò giù dalla scalinata roteando la spada; si incontrarono con un clangore metallico e subito si separarono in una danza letale.
La seconda volta il vantaggio fu di Garland, che fu addosso all’avversario e manovrò lo spadone per menargli un fendente. Guerriero schivò prontamente e balzò all’indietro, incontrando il muro dietro di sé e dandosi la spinta per il terzo assalto.
La pedina di Cosmos volò oltre l’avversario e ruotò la spada per assestargli un colpo da dietro, ma Garland lo intercettò con una piroetta e parò con un contraccolpo tale da spedire Guerriero contro una colonna, che si spezzò in due.
Il braccio destro di Chaos lo seguì per non dargli tregua e Guerriero fu costretto a sollevare lo scudo per parare due colpi tremendamente potenti, prima di scivolare via dalla portata dell’avversario mentre la colonna abbattuta si piegava su se stessa.
Garland si gettò all’inseguimento di Guerriero, che sfrecciava tra una colonna e l’altra posando di tanto in tanto i piedi sui pilastri. Improvvisamente quest’ultimo si voltò e le lame cozzarono un’altra volta, mentre i due atterravano. Guerriero imbracciò lo scudo, che si illuminò di azzurro e respinse l’avversario con uno schianto tremendo. Il contraccolpo fece slittare di qualche passo i piedi di Guerriero, prima che lui spiccasse un balzo per raggiungere Garland, che era finito contro il muro aprendo una breccia profonda.
La spada della pedina di Cosmos guizzò veloce cercando una fenditura nella guardia del nemico, che brandì velocemente lo spadone e annullò la distanza con la lama avversaria, prima di cambiare verso della rotazione con cui si stava difendendo e tentare di colpire le rapide gambe di Guerriero, che parò con lo scudo e si servì di esso come punto d’appoggio per fare una capriola in aria e puntare i piedi contro lo stesso Garland.
Ma ad aspettarlo trovò ancora una volta lo spadone, che gli scivolò da sotto gli stivali; il Guerriero di Chaos scagliò quindi l’avversario contro la colonna che aveva davanti, ma l’altro la colpì con i piedi e ne ricavò un ulteriore slancio per rigettarsi contro Garland, che a sua volta stava schizzando verso di lui.
Le spade si incrociarono ancora mentre precipitavano, ma questa volta Guerriero liberò subito la sua non appena toccò terra, tentando un fendente da dietro lo scudo. Garland arretrò fuori portata, ma l’avversario si gettò in avanti e lo colpì al petto con il piatto della lama, facendo rimbombare l’armatura, prima di fare una capriola e sferrargli un calcio potente.
Garland barcollò all'indietro ma rimase in piedi e subito levò rabbioso la spada verso Guerriero, che intanto era atterrato su una mezza colonna.
Dai movimenti fluidi e più determinati dei due guerrieri si poteva intuire una sola cosa: il riscaldamento era appena finito.

Chaos rimase immobile a fissare i due guerrieri scrutarsi, i corpi appena scossi dal respiro accelerato.
Dentro di lui c'era una grande irritazione: che diavolo aveva fatto Cosmos? Che cosa le era passato per la mente?
Già...che cosa?

La tregua fu brevissima: Guerriero balzò giù dalla colonna portando la spada sopra la testa e calandola sull’avversario a una velocità impressionante. Garland ruotò su se stesso e il suo spadone deviò la traiettoria della lama avversaria, incontrando con un tintinnio lo scudo di Guerriero, che l’aveva prontamente sollevato.
Garland disincastrò la spada e fece un passo indietro, subito compensato dal nuovo assalto di Guerriero. La pedina di Chaos menò un colpo di taglio verso la testa dell’avversario, che si abbassò per poi allungare il braccio armato per colpire l’incavo tra collo e spalla del nemico, incontrando però il braccio sollevato dell'altro. Allora la sua spada si illuminò di azzurro e rilasciò un’onda d’urto che scagliò Garland nuovamente contro il muro e Guerriero contro una colonna per il contraccolpo.
Garland questa volta non rimase incastrato e sfruttò la sua posizione per camminare sul muro e raggiungere la terrazza sovrastante. L’avversario lo seguì subito dopo rimbalzando sulla colonna contro cui era finito e uscendo a sua volta all'aperto, per poi lanciarsi a tutta velocità sul Guerriero di Chaos, che lo respinse al momento giusto con il piatto della lama e lo fece volare per parecchi metri fino a colpire una roccia.
Guerriero si riprese subito e attaccò di nuovo mulinando la spada.
Non appena l’avversario ebbe anche solo sfiorato terra per darsi un altro slancio ed attaccarlo dall’alto, Garland piantò lo spadone nel terreno e aprì una crepa profonda in cui Guerriero finì incastrato fino alla vita.
La pedina di Cosmos fece in tempo a sollevare lo scudo per ripararsi da un fendente dall’alto e successivamente interpose la sua spada fra lui e l’ennesimo attacco di taglio.
I due strinsero i denti, per niente intenzionati a cedere alla pressione dell’altro.
Fu Guerriero a perdere per primo la presa, ma solo per liberarsi dal terreno con uno strattone e una capriola, prima di scagliarsi contro Garland, a un soffio di distanza da lui. I due arretrarono insieme come schegge, colpendosi con una raffica di fendenti e affondi che trovarono superficialmente il ventre di Garland e il fianco di Guerriero.
Durante lo scontro ravvicinato, la pedina di Chaos lanciò improvvisamente in alto il suo spadone, prima di afferrare Guerriero per le spalle e rovesciarlo per scagliarlo verso terra.
Mentre l’avversario cadeva, lo spadone fischiò accanto alla sua mano e Garland lo brandì per calarlo in picchiata contro Guerriero, che toccò terra con uno schianto e rotolò velocemente via da Garland, prima di rialzarsi in piedi e mirare con un balzo alla schiena dell’avversario, colpendolo e incidendo delle crepe profonde nelle piastre metalliche.
Garland si girò improvvisamente con un ringhio e il piatto del suo spadone si abbatté con forza sul taglio della lama di Guerriero, che non poté nulla contro la spinta straordinaria dell'avversario.
La pedina di Cosmos fu sbalzata lontano e colpita ripetutamente e senza tregua da Garland. Un fendente dal basso scagliò Guerriero incredibilmente in alto e fu in quel momento che Garland piantò la spada a terra per caricare un attacco speciale con cui intendeva terminare il duello.
Ma non aveva fatto i conti con la tenacia di Guerriero: in quel momento un oggetto luminoso e rotante colpì Garland in pieno volto e lo sbalzò lontano, privo della propria spada. In seguito la pedina di Cosmos imbracciò nuovamente lo scudo che gli aveva scagliato a tutta velocità e si gettò contro l'avversario, che era finito contro una roccia ma si era già alzato in piedi, tuttavia inerme.
Garland spiccò un balzo per evitare la lama di Guerriero, che si limitò a poggiare un piede sulla roccia e seguirlo in aria, riuscendo a sorprenderlo alle spalle con un fendente al fianco sinistro che scagliò l'avversario a terra.
Guerriero roteò la spada e si lanciò in una rapidissima picchiata per dare il colpo finale al nemico, ma Garland nella caduta era riuscito a toccare terra con un piede ed aveva così raggiunto un punto più lontano.
Il braccio destro di Cosmos fendette la terra con la lama prima di essere colpito da Garland, che gli si scagliò contro a tutta velocità trascinandolo con sé verso la sua spada, ancora piantata nel terreno.
Puntando la lama a terra, Guerriero rallentò la loro corsa e spazzando in seguito il terreno sotto le gambe dell'avversario lo costrinse a saltare, permettendogli di infilarsi sotto di lui e riprendere a spingerlo verso lo spadone in posizione di vantaggio, sfruttando una rincorsa presa all'ultimo minuto.
Tuttavia, non appena arrivò a un soffio dalla lama affilata, Garland afferrò l'impugnatura della sua arma e la calò pesantemente su Guerriero. L'avversario parò prontamente  con lo scudo, ma le braccia tremanti lo fecero dubitare in fretta della duratura tenuta della sua guardia. Così fece scivolare via la lama scartando di lato, per poi scattare nuovamente in avanti e sorprendere Garland con un colpo di piatto della lama, che incontrò brevemente la spada dell'avversario mentre lui la risollevava dopo il fendente schivato da Guerriero, e che poi si abbatté sull'armatura dell'avversario.
L'impatto spedì Garland nella breccia del pavimento che dava sull'interno del Santuario, facendolo cadere di sotto. Un balzo e Guerriero fu sopra di lui, ma ancora una volta Garland si difese, puntandogli i piedi in pancia e allontanandolo.
Guerriero fece una capriola in aria e, toccata una colonna con i piedi, tornò direttamente all'attacco, ma fu poi costretto a scartare largamente a destra per evitare l'ascia da guerra in cui Garland aveva trasformato la sua arma. Mosse qualche passo sulla colonna più vicina per aumentare la velocità della corsa ed avere un buon punto d'appoggio da cui saltare. Una volta a mezz'aria, scagliò nuovamente il suo scudo contro Garland, che però non si fece ingannare due volte e portò la spada davanti al viso. L'oggetto fu così rispedito al mittente a velocità raddoppiata, schiantandosi contro la colonna su cui Guerriero aveva appena camminato e tagliandola appena sopra la metà, per poi andarsi a conficcare in quella retrostante.
Garland si scagliò contro Guerriero per sorprenderlo in mancanza dello scudo e le spade cozzarono nuovamente. Anche senza protezione, la pedina di Cosmos sapeva difendersi egregiamente con la spada, ma ben presto le braccia cominciarono a tremargli per lo sforzo e dovette pensare a un altro modo per tener testa a Garland mentre cercava di recuperare lo scudo.
In quel momento le sue spalle toccarono la mezza colonna dietro di lui e Garland disincastrò il suo spadone per tramutarlo in ascia e abbatterlo con forza su di lui. Guerriero ne approfittò egregiamente per sgusciare via prima che l'ascia si schiantasse dove poco prima c'era la sua testa, penetrando nella pietra e sgretolandola.
Garland estrasse in fretta l'arma, tornata sotto forma di spadone, e la calò nuovamente su Guerriero, che si stava girando in quel momento con la spada già brandita. Sfruttò la rotazione per parare ancora più efficacemente il fendente avversario, puntando i piedi per non concedergli nemmeno un centimetro. Poi disincastrò rapidamente la lama e compì un affondo che sfiorò di punta il fianco di Garland, prima di essere deviato da uno scarto dello spadone, squarciando la difesa di Guerriero.
Sull'armatura della pedina di Cosmos si disegnò una profonda crepa, tanto che si cominciò a intravedere parte della veste sottostante.
Guerriero non stette a guardarsi il petto due volte e si scagliò contro l'avversario con un grugnito. Garland lo accolse prontamente con lo spadone sollevato, che poi fece ruotare appoggiando il pomo sul palmo della mano per cominciare l'offensiva contro Guerriero dopo aver parato un suo fendente.
Era ciò che l'avversario stava aspettando: invece di arretrare per schivare, Guerriero si gettò sullo spadone e compì un balzo che gli permise di essere colpito dal piatto della lama e spedito contro l'ultima colonna.
Prima di schiantarsi contro la pietra Guerriero vi piantò la spada, che gli permise di darsi lo slancio per portarsi sul lato destro di essa e recuperare il suo scudo ancora incastrato, finendo poi contro il muro e rimbalzando su di esso per tornare sulla colonna a disincastrare l'arma. In quel momento lo spadone di Garland si abbatté sulla pietra, che franò sotto i piedi di Guerriero. Fortunatamente la spada della pedina di Cosmos rimase al suo posto e il proprietario la recuperò con un balzo, dirigendola subito contro l'avversario potenziata di una luce azzurra il cui impatto sbalzò Garland contro l'imponente trono al termine della scalinata.
Guerriero caricò nuovamente in avanti per scontrarsi con Garland, che non si fece cogliere impreparato: entrambe le armi erano potenziate e una furia cieca li costringeva a cercare ogni modo per concludere quel duello che li stava vedendo in parità assoluta.
Le armi cozzarono insieme alle grida liberatorie dei due e allora l'esplosione fu tremenda: Guerriero fu sbattuto contro il portone e riuscì a tenersi a uno dei due battenti spalancati per evitare di essere sbalzato fuori dall'Arena e perdere così lo scontro; Garland si schiantò contro il muro appena sopra il trono e aprì una profonda breccia che fece intravedere alcuni lembi di cielo violaceo.
I due combattenti scivolarono a terra e lo sguardo di sfida che si scambiarono chiarì che nessuno di loro avrebbe concesso la vittoria all'avversario.
In quel momento la scritta sopra le loro teste si illuminò di nuovo:
L'unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Avete fatto la vostra scelta.
Ora tocca alle Divinità.

Guerriero e Garland rimasero immobili ad osservare le parole che avevano sostituito le altre scolpite in precedenza. Poi i loro occhi si incrociarono nuovamente e questa volta le armi si abbassarono.
Avevano fatto del loro meglio: evidentemente non era bastato.
Oppure era stato...troppo?

Cosmos e Chaos si scambiarono un lungo sguardo, proprio come le loro pedine nell'Arena.
-Non possiamo farli continuare- cominciò Chaos, tamburellando con gli artigli sul tavolo.
Cosmos si risparmiò il commento velenoso che le stava salendo alle labbra: Guerriero aveva impegnato parecchio Garland e non aveva dubbi sul fatto che avrebbe potuto spuntarla. Ma poteva essere anche il contrario e lei non poteva permettersi di perdere il suo braccio destro.
L'unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
La dea sussultò nuovamente, attirando su di sé lo sguardo di Firion e Golbez.
Mi pare che abbiano mostrato a sufficienza i loro buoni motivi.
Cosmos si sentì nuovamente fragile e confusa, ma cercò di non darlo a vedere e posò una mano appena fremente sulla superficie del suo tavolo:
-Concordo. Chiudiamolo qui-.

Uno scricchiolio attirò l'attenzione dei due Guerrieri, costringendoli a puntare nuovamente lo sguardo sul soffitto e a seguire l'apparizione graduale di una nuova frase:
L'unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
La scelta è stata compiuta dal volere degli dei.
Posate le armi e leggete il vostro destino.

Garland piantò la spada nel terreno e incrociò le braccia, mentre Guerriero infilò la spada nel fodero e risollevò il viso ansioso.
Sapeva che il gioco non valeva solo la sua candela, ma quella di Cosmos e di tutta la sua schiera di guerrieri. Come avrebbe potuto guardarla ancora in faccia se avesse perso?
Non avrebbe potuto con i sensi perché sarebbe morto per decisione divina, ma qualcosa dentro di lui avrebbe continuato a tormentarlo come un coltello che si gira e rigira in una ferita, allargandola, scavandola, torturandola.
Uno stridio e il destino piombò addosso a entrambi, in picchiata come un drago ad ali spiegate:
Garland, sei un Guerriero di Chaos.
Il Guerriero afferrò la spada e la lanciò in aria, compiaciuto del fatto di aver superato l'avversario.
L'altro curvò la schiena come se fosse stato colpito, il volto deluso di Cosmos che gli invadeva la mente e l'oscurità dietro le palpebre chiuse.
Un altro graffiare sulla roccia lo costrinse a risollevare la testa e la comparsa di un'altra frase acquietò il suo dispiacere:
Guerriero della Luce, sei un Guerriero di Cosmos.
L'uomo drizzò la schiena e sollevò il mento, l'accenno di un sorriso sollevato che gli incurvò leggermente gli angoli delle labbra.
Lo spadone tornò nelle mani di Garland e cozzò violentemente contro l'armatura:
-Non accetto la parità, Guerriero!- ruggì, scattando in avanti e avvicinandosi pericolosamente all'avversario, che rispose prontamente sguainando la spada e lanciandosi contro di lui, in silenzio.
A metà strada, i due Guerrieri sbatterono contro una barriera invisibile, che si increspò come la superficie dell'acqua colpita da una goccia.
Nessuno contraddice la volontà degli dei.
Obbedite al loro volere e non al vostro Ego.

La frase comparve proprio sopra la barriera che li aveva separati, prima che un vento anomalo spazzasse via il paesaggio attorno a loro, che cominciò a sgretolarsi e sbiadire come una vecchia fotografia.
Guerriero osservò stranito il pavimento polverizzarsi sotto i suoi piedi e i muri ridursi in sabbia, sospinta poi dal vento verso di lui, che ne venne attraversato. Si voltò confuso, solo per rendersi conto che anche lui stava diventando polvere.
Stava tornando da lei.


Ehi, ciao a tutti e buon weekend!
Questo capitolo comincia ad aggiungere un po' di pepe alla storia. Perdonatemi se il duello di oggi non è stato originalissimo, ma non ho resistito a darvi la mia versione dello scontro Guerriero-Garland.
Spero abbiate apprezzato il combattimento...che è stranamente finito in parità. E questa è una cosa anomala quasi quanto l'assurda scelta di Cosmos di schierare Guerriero quando sapeva benissimo che avrebbe dovuto perdere il duello. Ma, a quanto pare, gli dei hanno ancora il controllo dei Giochi, quando vogliono. Tuttavia questo non può portarli a pilotare tutti i risultati, perché il sistema intero dei Giochi ne risentirebbe...diciamo che la struttura è stata creata per essere in un certo modo e di conseguenza i cambiamenti sono poco accetti. Capirete cosa sto dicendo nel prossimo capitolo: ho anticipato questa spiegazione perché l'ho trovata necessaria...ovviamente io non posso scrivere capitoli chiari e tranquilli e di conseguenza so di essere stata alquanto sibillina in questo. Se avete domande scrivetemele pure, mi raccomando!
Ringrazio intanto (sarò noiosa, ma perdonatemi) tutti voi che leggete e recensite questa storia (e che arrivate ogni volta alla fine dei miei strazianti papiri) e vi do appuntamento a sabato prossimo! Ciaaaao!

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Capitolo 6
*** Scelte ed errori ***


Chaos osservò l'Arena svanire completamente, prima che uno schiocco attirasse la sua attenzione verso l'alto. Accanto alle immagini degli dei entrambi gli "uno" furono sostituiti da dei "due" che non variarono la condizione di equilibrio tra Armonia e Discordia.
Mentre un "quattro" in numeri romani si disegnava sotto il "tre", Chaos si domandò ancora cosa diavolo fosse passato per la mente di Cosmos.
A dire la verità, non gli era sembrata ascoltare se stessa e gli era apparsa ben consapevole del rischio che stava correndo schierando Guerriero, ma al tempo stesso la decisione era stata più forte del timore.
I suoi pensieri furono interrotti dalla comparsa di Guerriero e Garland: il primo scambiò uno sguardo intenso con Cosmos, prima di battere una mano sulla spalla di Firion e posizionarsi dietro lo scranno della dea; Garland degnò appena di uno sguardo Golbez, affiancandosi poi a Chaos e posando la mano sul tavolo accanto alla sua.
Il rimescolamento delle due immagini in alto terminò proprio in quel momento, lasciando prevalere la figura di Cosmos.
Il sistema dei turni continuava a funzionare bene, almeno. Chaos non poté fare a meno di osservare questo, mentre aspettava che la sua avversaria scegliesse chi schierare.
A quel punto la domanda era una sola: con la parità del recente scontro, Cosmos aveva superato il rischio di vedere sacrificata una sua pedina?
Il sacrificio toccava a lui, quindi?

Cosmos abbassò lo sguardo sulle carte, incerta su cosa fare.
Lei aveva vinto il secondo duello; nel terzo non aveva perduto nessuno perché non aveva sacrificato alcuna pedina, pur essendo il suo turno di farlo. Il quarto duello doveva logicamente vedere un sacrificio delle pedine di Chaos e il suo sorpasso sull'avversario.
I Giochi erano anche questo: strategia. Strategia e...rischio.
Soprattutto rischio.
Cosmos si riscosse immediatamente dalle sue riflessioni e incrociò in quel momento lo sguardo di Chaos, carico di accusa e contemporaneamente perso in profonde riflessioni.
Solo allora divenne pienamente consapevole dell'azione appena compiuta, perché dopotutto l'importanza di qualcosa diventa chiara solo quando non si può più tornare indietro.
Ma lei...cosa aveva fatto?
La scelta giusta.
Ma cosa c'era di giusto in quei Giochi? Davvero il suo fine giustificava i suoi mezzi?
Se vuoi, puoi sempre cercarli altrove, Cosmos.
No, questo non era proprio da lei. Avrebbe portato avanti la missione in cui credeva, dopotutto. E dato che non aveva tempo né la possibilità di cercare altri mezzi, doveva rassegnarsi a quella crudeltà.
Ma...doveva rassegnarsi lei?!
Cosmos fece vagare lo sguardo sulle carte sul tavolo e si infilò una mano fra i capelli per percorrerne la lunghezza con le dita. Un gesto molto umano il suo, quasi banale ma che denotava tutto il suo nervosismo.
Le sue pedine non le sembravano rassegnate, ma non sapevano niente del loro ruolo effettivo. Avrebbero combattuto a testa bassa e si sarebbero fatti usare docilmente.
Cosmos si chiese cosa avrebbero fatto se avessero anche soltanto sospettato il subdolo gioco che gli dei avevano tessuto, giocoforza o meno, su di loro per manovrarli come burattini.
In quel momento gli occhi della dea si sollevarono in risposta alla pungente sensazione di avere addosso lo sguardo di qualcuno: Golbez le restituì un'occhiata ferma e a lei sembrò che avesse letto tutti i suoi pensieri, dal primo all'ultimo. I suoi occhi erano un invito a gettare la maschera, ma lei non poteva permettersi di lasciarsi convincere. L'aveva fatto una volta e aveva rischiato grosso.
L'altra sua mano scivolò quindi fino al terzo mazzo e recuperò la carta che aveva pensato di schierare sin da quando aveva perso Vivi.
Il ragazzino raffigurato si strinse le braccia al petto con cipiglio agguerrito e annuì rapidamente, prima di avviarsi a passo svelto fuori da un villaggio verdeggiante. Contemporaneamente, la nebbia al centro della stanza reagì avvolgendosi su se stessa e Golbez liberò la dea dal suo sguardo indagatore.
La dea si lasciò sfuggire un sospiro: sperava almeno di aver avuto la giusta intuizione, schierando un guerriero da non sacrificare.

Sabbia. Sabbia a perdita d'occhio. Il sole la rendeva rovente senza pietà, non risparmiando il minimo angolo.
Un soffio di vento sollevò una nuvola di granelli finissimi, mentre tutt'intorno le dune si abbassavano rapidamente di livello per poi riformarsi da un'altra parte. Il paesaggio cambiò quindi la sua conformazione, rimanendo tuttavia un mistero per chi lo attraversava.
Perché c'era anche chi aveva il coraggio di attraversare il deserto di Bikanel.
Dove infatti la sabbia si sparpagliava in linee ondulate, delle impronte apparivano il tempo di un battito di ciglia, perché ricoperte subito dopo. Più avanti, una sagoma resa sfocata dall'aria tremolante e rovente arrancava verso un gruppo di rocce e rovine sparpagliate di cui si intravedeva appena il profilo in controluce. A dispetto del suo avanzare difficoltoso e faticoso, il ragazzo procedeva a testa alta, una mano posata sull'elsa della sua spada.
Improvvisamente il Cavalier Cipolla si fermò e si schermò gli occhi con la mano, sbuffando. Odiava i posti così scoperti e vasti, perché non offrivano alcun dato che gli permettesse di elaborare una strategia d'attacco o di fuga. Si stava dirigendo verso quel gruppo di detriti e rocce rappresentante l'unico elemento che interrompeva la monotonia del deserto e che forse rappresentava un punto di partenza accettabile; ma un punto di partenza...per dove?
Il Cavalier Cipolla deglutì forte per non pensarci, per non pensare che forse tutto il suo raziocinio non sarebbe bastato a tirarlo fuori da quel posto, in cui solo la giusta alchimia fra casualità e fortuna costituiva l'unica via di scampo.
Il ragazzo riprese a camminare con più vigore, deciso a dimostrare anche in quella situazione la pasta di cui era fatto e ignaro di essersi dimenticato un fattore importante nella sua equazione: casualità, fortuna e...l'incognita: la scelta.

Chaos capì immediatamente che Cosmos aveva fatto il suo stesso ragionamento; secondo entrambi gli dei, quindi, toccava a lui sacrificare. Tuttavia, aveva la carta che faceva proprio al caso del bambino e non esitò a schierarla con il sorriso di chi non vede l'ora di sapere cosa sarebbe successo.
Intanto la figura rappresentata sollevò il viso dopo essersi inchinata, ravviandosi poi i lunghi boccoli con la mano che non teneva la spada. Mentre lei si allontanava percorrendo i corridoi di un enorme castello, Garland accanto al suo padrone borbottò una risata e Chaos capì di aver giocato bene la sua carta; questo per un semplicissimo motivo: lo sapevano tutti che lei adorava i bambini.

Di lei era stato detto che non si commuoveva nemmeno davanti a un bimbo in lacrime. Era stata il flagello dei traditori della sua patria, la spada di una regina manipolata, il baluardo di una principessa delicata ma detentrice di un potere immenso, lo smacco di un cavaliere perennemente scavalcato.
Una regina, una principessa, un cavaliere.
Una favola era stata la sua vita, ma la sua vita non era stata una favola.
Una volta Beatrix aveva imparato ad essere umana. O meglio, aveva imparato a riscoprire come essere umana; e no, non l'aveva imparato da sola: le era stato insegnato da chi aveva saputo accogliere il suo pentimento e la sua spada, che aveva finalmente capito contro chi rivolgere.
Fino a quando non era stata sola, Beatrix si era sentita libera. Come se combattere dalla parte giusta fosse stato sufficiente per concludere in pari l'enorme debito di quella moltitudine di vite sacrificate. Come se aver imparato cosa fossero l'amicizia e l'amore le avesse automaticamente fatto dimenticare il rimorso e l'odio.
Si sbagliava.
Beatrix raccolse la Save The Queen da terra mentre si sollevava in piedi dalla posizione inginocchiata in cui si trovava. Dall'alto della torre in rovina poteva abbracciare con lo sguardo l'immenso e secco deserto attorno a lei, riflesso perfetto dell'aridità che sentiva dentro.
La shogun glaciale e implacabile era sola e quella solitudine aveva risvegliato in lei dei richiami che non avrebbe mai più desiderato udire, perché suonavano terribilmente come ordini e lei aveva passato una vita intera ad obbedire, senza chiedersi cosa fosse giusto o sbagliato. Proprio per quello per lei era così naturale ascoltarli.
Si ravviò i capelli dal viso, sfiorando leggermente la benda metallica che portava all'occhio destro, e poi impugnò più saldamente l'elsa della spada, arrendendosi al suo freddo istinto da soldato; così, dato che non c'era nessuno accanto a lei che la potesse aiutare a ritrovare quell'altra se stessa con cui, tutto sommato, stava bene, Beatrix rivestì i panni della shogun che era stata.
Da quel momento, le domande diventarono estranee alla sua mente. Il sole era freddo, la roccia era morta, il cielo era pesante e il bambino era il suo prossimo bersaglio.

Il Cavalier Cipolla si fermò sbuffando proprio ai piedi del cumulo di rocce e si posò le mani sulle ginocchia, inspirando avidamente l'aria.
Era circondato da rovine antiche semisepolte: torri abbattute a metà o emergenti dalla sabbia, scheletri di macchinari e di abitazioni e un ammasso di detriti ammucchiati. Quello era ciò che da lontano aveva scambiato per un cumulo di rocce, senza avere la possibilità di distinguere alcuni frammenti di mura ancora parzialmente dipinte in ocra e rossiccio scoloriti dalla sabbia e dal sole.
Sorrise sicuro: forse avrebbe potuto combinare qualcosa con quei vecchi resti. Anzi, ci sarebbe riuscito sicuramente. Quando c'era in gioco la sopravvivenza, una mente acuta non poteva che diventare ancora più geniale.
Il ragazzino si guardò intorno e cominciò a riflettere. Fu in quel momento che un baluginio attirò la sua attenzione; all'inizio pensò che fosse solo il riflesso del sole su una macchina, dato che in quel posto sembravano essercene molte. Tuttavia, guardando meglio si accorse che lo scintillio era troppo nitido per provenire dalla superficie metallica di un macchinario mezzo sepolto dalla sabbia e incrostato di ruggine.
Istintivamente il Cavalier Cipolla sguainò la sua spada e ne osservò il riflesso del sole sulla lama, rimanendone istantaneamente accecato.
In contemporanea un vortice spazzò la sabbia davanti a lui, facendo emergere delle parole incise a marchio infuocato:
L’unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Combattere per essere scelti o rinunciare e morire: a voi la prima scelta.


Beatrix guardò con indolenza la scritta sotto di lei e poi spostò lo sguardo sul ragazzino, che aveva anche lui sguainato la spada e la lasciava pendere dalla mano inerte.
La shogun si chiese se fosse a tal punto senza cuore da massacrare anche un bambino. L'immagine fugace di un piccoletto dagli occhi dorati con un cappello da Merlino le balenò dietro le palpebre e lei di riflesso rinsaldò la presa sulla spada; sì, ne sarebbe stata in grado, soprattutto in quel momento. Perché i bambini rappresentavano il punto fermo a cui lei avrebbe sempre voluto tornare per poter ripartire in modo diverso.
In modo giusto.
Beatrix piegò le ginocchia e si preparò a saltare in basso, mentre il suo nome compariva accanto alla scritta nella sabbia.
Non poteva farci niente: invidiava quell'età innocente esattamente quanto odiava la sensazione di avere le mani sporche di sangue. E per sfogare la sua frustrazione cosa c'era di meglio di imbrattarsi con sangue innocente?

Una via di fuga.
Il Cavalier Cipolla la vide in quella scritta a terra, con ancora negli occhi la luce riflessa dal lucido metallo della sua spada e di quella della donna sulla torre che in quel momento stava per avventarsi su di lui.
Non amava combattere, perché al fendente di una spada preferiva l'affondo di un'intuizione, ma questo non l'avrebbe mai ammesso a nessuno. Perché dare agli adulti un motivo in più per escluderlo, oltre alla sua tenera età?
Quella era una scelta che stava facendo con il cuore, ma paradossalmente quella volta anche la sua ragione gli stava suggerendo di gettarsi nel duello.
Una via di fuga per concatenazione di azioni: a una ne succede un'altra e poi un'altra ancora. In entrambi i casi, vittoria o sconfitta, qualcosa di diverso sarebbe successo.
Il Cavalier Cipolla si aggiustò l'elmo sulla testa, prima di tendere la spada in avanti e provare qualche fendente, mentre anche il suo nome si aggiungeva a quello di Beatrix.
Anche quel duello era pronto a iniziare.

Beatrix saltò, la Save The Queen sollevata sopra la testa. Il Cavalier Cipolla la vide un attimo prima che lei atterrasse su di lui e si fece velocemente di lato. La shogun allora menò subito un colpo di taglio che sfiorò il fianco dell'avversario, prima di incontrare la sua spada e vacillare per il contraccolpo, dato che era atterrata su un ginocchio.
Successivamente il Cavalier Cipolla non le diede nemmeno il tempo di rialzarsi e si gettò all'attacco. Beatrix evitò il primo affondo rotolando in avanti, per poi allungare la spada dietro di sé a proteggersi la schiena da un attacco alle spalle. L'arma dell'avversario scivolò sulla sua lama e un Fuocoga la colpì proprio mentre si voltava, scagliandola all'indietro contro il mucchio di detriti. Il suo corpo si schiantò su un enorme pezzo di muro, ma fortunatamente la corazza che portava la protesse alla bell'e meglio. Immediatamente vide il Cavalier Cipolla prendere lo slancio per non darle tregua e allora portò la spada davanti al viso, caricando uno Shock che liberò subito dopo tagliando l'aria davanti a sé con la lama. La scarica elettrica si abbatté sulla spada dell'avversario, che la lasciò subito cadere nella sabbia per evitare di prendere la scossa.
Beatrix ne approfittò subito per scattare in avanti e gettarsi sull'arma del Cavalier Cipolla, ma quest'ultimo fu veloce a riprenderla e parare il fendente in cui la shogun aveva trasformato alla fine la sua azione. Scagliò un altro Fuocoga, che stavolta si abbatté sul Reflex prontamente innalzato dall'avversaria e fu rispedito indietro, sbalzato contro una torre emergente dalla sabbia.
L'istante di confusione successivo al colpo ricevuto non gli impedì di scorgere il baluginio dell'ennesima scarica elettrica, che riuscì quindi a evitare infilandosi nell'incavatura di una decorazione, finendovi tuttavia incastrato. Il successivo Shock si abbatté a metà strada contro la sua spada, che lui aveva lanciato in una tempestiva decisione fra la sua arma e la sua vita.
La lama cadde roteando a terra in un crepitio di fulmini, prima di conficcarsi saldamente nella sabbia.
A quel punto, Beatrix abbassò la lama:
-Non muoverti, bambino- disse mentre si avvicinava rapidamente, la Save The Queen che si illuminava in progressione con i suoi passi di corsa.
Subito dopo il suo Megafolgore schiantò la base della torre e provocò un'esplosione di fuoco e scariche elettriche che la fecero crollare su se stessa.
Beatrix atterrò oltre la struttura abbattuta e si ravviò annoiata i capelli, conservando però un briciolo di attenzione all'ambiente che la circondava. Il che per lei fu un bene, perché le permise di intercettare con lo sguardo la pioggia di shuriken che le stava per precipitare addosso. Si abbassò subito, coprendosi il viso con il piatto della spada e sentendo le lame sfiorarle il corpo. Una di esse rimbalzò sulla sua corazza, mentre un'altra si conficcò esattamente sotto la base del collo.
Non appena la pioggia terminò, il braccio della shogun si allungò immediatamente a strapparlo via, scoprendo con sollievo che l'armatura l'aveva protetta ancora una volta e che la sua era solo una ferita superficiale.
Beatrix si rialzò in tempo per difendersi dal travolgente attacco a doppie lame del Cavalier Cipolla, entrato in modalità EX, classe Ninja. Sollevò la spada per parare un duplice fendente, ma improvvisamente l'avversario compì un salto, colpì il piatto della Save The Queen con i piedi e tentò di sfregiarne la proprietaria mentre era ancora in aria. Beatrix si sottrasse per miracolo all'attacco facendo scivolare un piede nella sabbia e inarcando la schiena. Le due spade passarono a un soffio dal suo viso, prima di incontrare la sua arma nel momento in cui il Cavalier Cipolla le stava abbassando per tranciarla in due.
-Io non sono un ragazzino- disse lui a denti stretti, prima di puntare nuovamente i piedi sulla Save The Queen e fare una capriola all'indietro per allontanarsi da lei. Beatrix si prese un secondo per scrollare i grossi boccoli in un atteggiamento indifferente:
-No di certo. Infatti ho detto che sei un bambino e io dico che abbiamo giocato abbastanza- ribatté, un sopracciglio alzato. Il Cavalier Cipolla incrociò le lame davanti al viso arrossato:
-Perché dovete tutti fermarvi alle apparenze?! - sbottò improvvisamente - Io SEMBRO un bambino, ma NON LO SONO...qui!- strillò, battendosi poi una mano sul petto con l'elsa di una delle due spade.

Beatrix sentì un gelo travolgente risalirle dalle gambe a paralizzarle i muscoli: quelle erano le stesse parole che aveva pronunciato da piccola quando le era stata contestata la sua ambizione più grande: essere soldato.
Si era creduta matura abbastanza da pretendere che anche gli altri vedessero in lei un cambiamento che era difficile persino da esternare spontaneamente.
Così aveva rovinato la sua vita in virtù di dimostrarsi più forte, sempre più forte. Aveva rovinato la sua vita per ribaltare le apparenze. Per combattere non solo i pregiudizi dell'età, ma anche quelli del suo sesso. Se avesse aspettato qualche anno, la sua voglia di vendetta forse si sarebbe quietata e molti più uomini sarebbero stati in vita. Forse avrebbe anche avuto una migliore reputazione.
La sua stretta sulla Save The Queen si strinse per contrastare la nausea che la stava assalendo.
Meglio morire che vivere una vita del genere.
Lentamente la sua spada si illuminò di verdognolo, ma stranamente la cosa non la sorprese.
-Se vuoi dimostrarlo, cambia atteggiamento- lo ammonì, disgustata dei propri ricordi. Dopo così tanti anni...se ne pentiva ancora?!
La spada scintillò ancora più forte, quasi rispondendo alla repulsione che provava per se stessa.
-E tu cosa ne sai?! Non crederai che ti ascolti seriamente solo perché sei una saggia adulta- si accigliò il Cavalier Cipolla, mentre passava da Ninja a Saggio.
Beatrix non vide più. Erano mille spirali che danzavano davanti a lei, sotto di lei, sopra di lei e dentro di lei. Erano i pezzi di se stessa e del suo senno, che aveva lentamente perso per strada.
La Trance la sopraffece completamente, cogliendola di sorpresa. Beatrix non era mai riuscita a raggiungere il limite con nessuno dei suoi avversari.
Ma, certo, non aveva mai combattuto contro chi era intenzionato a sprecare le sue possibilità, come aveva fatto lei. No, il bambino non avrebbe capito niente, proprio come lei in un tempo infinitamente lontano, a soli dieci anni.
Meglio morire, sì.
-Perché so cosa vuol dire - disse semplicemente, caricando in avanti, mentre l'aria si attorcigliava in una spirale dietro di lei - E con il senno di poi avrei voluto che qualcuno mi avesse ucciso prima di tutto quanto-.
La Save The Queen si sollevò verso il cielo rapida come un fulmine e si caricò di energia elettrica, senza coprire le parole della shogun, che continuò:
-E dato che per me non è stato fatto... - un Bufera del Cavalier Cipolla si abbatté inutilmente sulla lama della spada, mentre questa calava verso il basso - ...a te penserò io-.

Quando la Save The Queen si conficcò nella sabbia, l'Estasi Siderale della shogun sollevò un turbine di polvere e spaccò il secco terreno più solido centinaia di metri più in basso, creando una crepa larga e profonda da cui il Cavalier Cipolla si sottrasse appena in tempo con un balzo.
Beatrix compì un salto e superò la crepa per poi avventarsi in silenzio sull'avversario, colpendo con foga e schivando i suoi colpi senza difficoltà.
Tornato ninja, il Cavalier Cipolla scartò a sinistra per allontanarsi dal profondo abisso, ma i colpi incalzanti di Beatrix gli davano poco tempo per pensare a una mossa intelligente che avrebbe potuto salvarlo.
Uno Shock si abbatté oltre la sua spalla, colpendo una macchina e facendola esplodere in una miriade di pezzi metallici e particelle di sabbia.
Fu quando un grosso pistone lo colpì alla nuca, cogliendolo di sorpresa, che si rese conto di quanto ciò che era appena successo potesse giocare a suo favore. La macchina, l'esplosione e...la crepa.
Beatrix lo incalzò più velocemente con affondi e fendenti che l'avversario faticava sempre di più a evitare, sentendo i primi sintomi della stanchezza intorpidirgli i sensi. Tuttavia, il suo nuovo piano gli imponeva di resistere ancora un po' mentre arretrava verso una grossa macchina abbandonata. Un affondo al fianco, un fendente a sinistra, un balzo per evitare di avere la lama fra le gambe e poi...il metallo freddo contro le spalle.
In quel momento Beatrix caricò una potente Megafolgore e la calò sul Cavalier Cipolla, che riuscì solo a schivarla e non ad allontanarsi.
La spada della shogun collise con il metallo dietro di lui, penetrandolo come burro e raggiungendo i circuiti, che si riattivarono nel momento stesso in cui furono distrutti per sempre. La grossa macchina esplose e l'onda d'urto scagliò lontano i due guerrieri, che volarono in aria come la nuvola di sabbia sollevatasi contemporaneamente.
Improvvisamente l'aria attorno a Beatrix si increspò e il suo corpo incontrò resistenza in volo, cominciando subito una caduta vertiginosa che terminò sull'orlo della crepa, ma con ancora il terreno sotto i piedi.
Mentre la luce verdastra emanata dalla sua pelle si estingueva e la spada le sfuggiva di mano per il doloroso riflesso di muovere le nocche contratte per troppo tempo, a Beatrix non sfuggì una figura che, illuminata dall'ultimo baluginio della Save The Queen, scompariva inghiottita dalle tenebre della crepa.
Nonostante il dolore alle dita, le sue mani si serrarono sul bordo frastagliato per nascondere a se stessa il tremore.

Stava cadendo, il Cavalier Cipolla.
Il mondo sembrava essersi capovolto, tuttavia una ferita nel cielo era ancora visibile sopra di lui, anche se stava rapidamente rimarginandosi.
No, lui non sarebbe guarito.
Aveva solo quattordici anni il Cavalier Cipolla, ma non era ingenuo come gli altri ragazzini della sua età. Sapeva quando doveva dire che certe cose erano fatte per essere così come le si guardava e la morte era una di queste.
Le sue doppie lame grattarono la terra più compatta e rocciosa fino a quando non trovarono un appiglio a cui ancorarsi. Così lui rimase sospeso, i suoi frenetici pensieri ad occupargli completamente la mente al posto della paura.
Erano davvero così simili, lui e lei? Lui era ciò che lei era stata da bambina? Anche lei voleva essere accettata come pari dagli uomini, voleva dimostrare di essere immatura esteriormente ma matura interiormente?
E allora perché aveva desiderato che qualcuno l'avesse uccisa, in passato? Non aveva ottenuto quello che aveva voluto?
Le era sembrata una donna fredda, implacabile e con un grande tormento interiore. Questo era quello che era diventata? Era a questo che l'aveva portata il suo desiderio di affermarsi su tutto e tutti?
Ma lui non voleva questo. Lui voleva solamente un po' di considerazione da parte degli adulti. O no?
Quando diceva di essere adulto dentro...era davvero solo per essere accettato? Quante volte aveva preferito cavarsela da solo? Quante porte aveva sbattuto in faccia a chi cercava di aiutarlo solo perché era un bambino che ancora non sapeva nulla della vita?
Essere adulti davvero significava essere invincibili, indipendenti, infallibili?
Una volta cresciuto davvero, come sarebbe diventato?
Nessuno gli avrebbe più offerto il suo aiuto, la sua esperienza, la sua amicizia; lui sarebbe stato solo un bambino nel corpo di un adulto, perché sarebbe cresciuto solo con se stesso. E a furia di dimostrare il proprio valore agli altri, avrebbe finito per odiarli tutti, così come già odiava chi lo chiamava bambino e chi lo contraddiceva con la sua esperienza da adulto.
La prima sua lama tremò e cominciò a scivolare verso il basso, incidendo un solco profondo nella terra.
Il Cavalier Cipolla sollevò il volto sudato verso l'alto e incontrò lo sguardo glaciale ma al tempo stesso diverso della sua avversaria.
No, non sarebbe diventato uguale a lei. Ma, come lei, non sarebbe stato felice. Tuttavia, l'aveva capito troppo tardi, quando aveva sprecato tutta la sua vita perseguendo l'obiettivo sbagliato e aveva fallito nel duello che più avrebbe dovuto rendere ragione alle sue qualità di guerriero di Cosmos; e anche se sentiva che c'era qualcosa di profondamente sbagliato in quello, non riusciva a non trovare il lato positivo di quella redenzione avvenuta in punto di morte, a soli quattordici anni.
Il lato positivo era che almeno se ne sarebbe andato con la consapevolezza di come funzionava il mondo, il suo mondo, e con una maggiore conoscenza di se stesso, anche se non riusciva ancora a ricordare il proprio nome. Forse era proprio per quello che non gli veniva in mente: in realtà, non aveva mai saputo chi era veramente.
Ma, mentre la lama della spada scivolava ancora più verso il basso e trascinava anche l'altra nel suo movimento, il Cavalier Cipolla si impose di non pensare al lato negativo.
Non ci pensò nemmeno quando le lame, prima una e poi l'altra, si staccarono definitivamente dal terreno e lui ricominciò a precipitare.
Fortunatamente la morte non gli avrebbe permesso di rimpiangere il cambiamento che avrebbe potuto operare in sé, ora che aveva tutti i dati del suo problema.

L'unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
La scelta è stata compiuta dal volere degli dei.
Posate le armi e leggete il vostro destino.

Beatrix si allontanò violentemente dal bordo della crepa e fece cadere la spada con un clangore.
Sapeva che il momento più duro dopo aver ucciso una persona non era quello appena successivo alla sua morte, ma forse quella volta era diverso: sentiva qualcosa di profondamente sbagliato in ciò che era appena successo. Non solo perché, per la prima volta nella sua vita, aveva appena perso il controllo di se stessa, ma anche perché i suoi ricordi non l'avevano resa più fredda di quanto fosse, anzi.
I suoi pensieri furono interrotti dal verdetto degli dei, che si incise come una condanna sulla sabbia.
Beatrix, sei una guerriera di Chaos.
Cavalier Cipolla è caduto per la dea Cosmos.

Mentre un turbine soffocante di sabbia cominciava ad avvolgerla come una spirale, Beatrix sembrò vedere l'aria incresparsi ancora una volta, come quando si era salvata da morte sicura; e prima di scomparire definitivamente, lo avrebbe giurato sulla testa della sua amata regina, le parve di intravedere lo stesso punto sporcato dalla pennellata di un riflesso rossiccio.



Eccomi, scusate il ritardo immenso ma sono appena stata a un diciottesimo e oggi è stato un pomeriggio da "studio disperato".
Forse questo è un capitolo un po' diverso da quelli a cui siete abituati; è molto più introspettivo, ma questo ha un suo perché: avete visto che è successo davvero il peggio, ovvero che ha vinto la pedina sacrificabile, cosa che è avvenuta per molti e vari motivi.
Ma avete visto anche che Beatrix ha vinto in seguito a una concatenazione di rivelazioni su se stessa che l'hanno portata a perdere il controllo e a raggiungere uno stato che non ha mai vissuto, ovvero la Trance. A questo punto nemmeno Cavalier Cipolla, uno dei pezzi importanti di Cosmos, ha potuto molto ed è stato sopraffatto.
Ho lasciato degli indizi sparsi nel capitolo che lasciano anche pensare alle anomalie presenti,
a livello caratteriale e a livello puramente concreto, in questo duello. Sappiate che ogni singola cosa sarà spiegata più avanti, ovviamente. Spero tuttavia di non avervi confuso troppo le idee.
Forse Cavalier Cipolla è un po' OOC, me ne rendo conto. Tuttavia, è vero anche che l'ho rapportato (con i dovuti distinguo, come ho specificato, dove possibile, nel capitolo) con un personaggio di cui ho cercato di intuire la storia non raccontata per dare origine a tutti gli eventi che effettivamente capitano. E poi, va incontro a una rivelazione notevole sulla sua vita, che deriva da una mia interpretazione personale.
Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando. Scusate anche la lunghezza piuttosto eccessiva del capitolo (nei prossimi mi regolerò, promesso!) e i continui cambi di prospettiva: in questo capitolo mi sembravano tuttavia necessari per non lasciare nulla al caso.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e appuntamento a sabato prossimo! Ciaaaaaao!

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Capitolo 7
*** Promesse ***


Gli occhi azzurri di Cosmos si spalancarono di colpo, mentre il respiro le si fermava in gola. La dea cercò di portarsi una mano al torace, ma tremava così tanto da non riuscire a tenere fermo il braccio.
-Cosmos!-. La voce di Guerriero alla sua sinistra le giunse chiaramente alle orecchie e la sua stretta salda sulle spalle le diede la stabilità di cui aveva bisogno. Firion si era intanto alzato in piedi e teneva attonito fra le mani la carta di Cavalier Cipolla, raffigurante ormai il vuoto nulla. Guerriero si chinò su di lei:
-E questo era previsto, Cosmos?- le sussurrò nervosamente in un orecchio. La dea piegò amaramente gli angoli delle labbra verso il basso: aveva ragione a chiederglielo e a dubitare di lei. Persino le pedine, che non conoscevano le regole dei Giochi, avevano il sospetto che qualcosa fosse andato storto.
Purtroppo la sua era stata una concatenazione di mosse sbagliate: la prima era stata aver schierato Guerriero quando in realtà avrebbe dovuto sacrificare una pedina; la seconda essersi creduta più furba dei Giochi e quindi essersi convinta di aver aggirato il sacrificio obbligatorio al turno successivo; la terza aver scelto uno dei suoi pezzi importanti in virtù di questa convinzione.
-No, Guerriero. Non era mia intenzione... - mormorò, prendendo la carta dalle mani di Firion e sfiorandola con la punta delle dita - Non so davvero cosa...-.
-...cosa stia succedendo?- la interruppe lui, fissando con rabbia il "tre" comparso accanto al volto di Chaos, in alto. Incurante delle loro preoccupazioni e confusioni, il sistema dei Giochi proseguì il suo lavoro segnando anche l'inizio del quinto duello.
Nello stesso momento Beatrix comparve fra Golbez e Garland, fissando entrambi con fierezza e ravviandosi i boccoli. Chaos la osservò un po' sorpreso, ma le scoccò comunque uno sguardo d'approvazione.
Cosmos osservò quella scena con il rimpianto di chi sa che le cose sarebbero potute andare diversamente, quindi la domanda di Guerriero tornò a rimbombarle nella mente.
Prima di chiedersi cosa stesse succedendo ai Giochi, c'era però una domanda ancora più impellente che la tormentava, ovvero: cosa stava succedendo a lei?
Era lei che aveva scelto. Lei che aveva mosso le carte, lei che aveva rischiato, deciso, sbagliato. Ora se ne pentiva, ma a quadro completo è sempre più facile individuare le strade giuste e discernerle da quelle sbagliate.
-Accidenti. Così non va- sentì improvvisamente dire a qualcuno e subito lei sollevò il viso per dargli ragione e assumersi tutte le sue responsabilità; tuttavia, Firion le restituì uno sguardo agitato e le indicò freneticamente qualcosa in alto. La dea alzò gli occhi e le bastò un secondo per rendersi conto che non era solo lei ad avere qualche problema riguardo alle proprie scelte.
A rimescolamento già avvenuto, la sua immagine copriva quasi completamente quella di Chaos e quello significava solo una cosa: era di nuovo il suo turno.
-Neanche questo è normale, vero Cosmos?- le domandò inquieto Firion. La dea annuì soltanto, riabbassando poi lo sguardo sulle proprie carte.
-E adesso come sceglierai?- la incalzò nuovamente il ragazzo. Guerriero sbuffò sonoramente:
-Forse se le lasciamo un po' di tranquillità riuscirà a prendere la decisione più conveniente- commentò seccamente, afferrando il compagno per le spalle e spingendolo verso il basso per farlo sedere sul pavimento. Poi, ignorando i borbottii di Firion, si voltò verso la dea:
-Io credo che i Giochi ti abbiano dato una possibilità in più, Cosmos. Cerca di sfruttarla bene- le disse, accennando un debole sorriso di incoraggiamento, velato dall'amarezza per la perdita di Cavalier Cipolla.
La dea sollevò le sopracciglia e si sentì rincuorata, tutto sommato: le sue pedine erano confuse e scettiche, ma si fidavano ancora di lei.
Era piuttosto improbabile che i Giochi avessero stravolto anche il sistema dei turni per favorirla ancora, ma questo Guerriero non poteva saperlo.
C'era un'altra cosa di cui le sue pedine non potevano essersi rese conto, ma che lei aveva notato molto bene: il duello precedente si sarebbe dovuto concludere in maniera diversa e non solo con la morte di Cavalier Cipolla.
Cosmos ripensò all'esplosione della macchina nel deserto, a entrambi i guerrieri che venivano sbalzati lontano, al solo corpo della sua pedina che trovava il nero vuoto sotto di sé...a quello di Beatrix che raggiungeva pericolosamente la crepa e poi...impattava. Ma contro cosa? E l'aria attorno a lei...
-Cosm...?-.
-Zitto, Firion!-.
Il rimbrotto di Guerriero la riportò bruscamente alla radice originale del suo pensiero, facendole accantonare momentaneamente quelle riflessioni, per cui in aggiunta disponeva di ben pochi indizi.
Anomalie o meno, ora aveva una possibilità in più e non poteva permettersi di rischiare ancora, né tantomeno di perdersi in pensieri fuorvianti.
A quel punto Cosmos osservò le sue carte con attenzione e le considerò tutte, sacrificabili e indispensabili; di una cosa era certa: questa volta non avrebbe rischiato affatto, anche se ciò significava assegnare un valore differente a ogni sua pedina. Nei Giochi le perdite avevano tutte un peso diverso e lei in quel momento doveva rischiare quella minima.
Teoricamente il sacrificio sarebbe dovuto toccare a Chaos, ma aveva sbagliato già una volta, come poteva essere sicura di schierare uno dei suoi guerrieri più forti e vederlo morire in altre circostanze anomale? Solitamente i turni non indicavano soltanto chi doveva schierare per primo una pedina, ma anche chi presumibilmente avrebbe vinto il duello, dato che chi muoveva per primo sceglieva i suoi guerrieri più forti; tuttavia, era appena stato il turno di Cosmos e lei aveva perso inaspettatamente la sua pedina...no, non voleva né poteva rischiare oltre.
Sei una codarda, Cosmos.
La dea ritirò di scatto la mano dalla carta che stava esaminando e quasi la rovesciò, facendo spaventare la figura rappresentata, a cui partì un colpo di mitragliatore che fece crollare il lampadario del suo studio.
Dimmi che davvero non avevi intenzione di schierare quell'incapace.
Cosmos strinse le dita attorno al bracciolo del suo trono, osservando ancora un attimo il tipo dai capelli lunghi cercare di sistemare il lampadario e prendere irrimediabilmente la scossa, guardato a vista da un ragazzo moro raffigurato su un'altra carta, il quale scosse la testa e poi prese a fissare altrove.
Nessuna delle sue pedine era incapace. Di questo era certa e non avrebbe fatto delle differenze sulla base di quel criterio.
E allora come sceglierai?
Chi avrebbe scelto?
Avrebbe schierato chi poteva darle un'ottima garanzia di successo, ma a cui al tempo stesso poteva rinunciare. Le faceva male pensare questo, ma era la sostanziale differenza fra un guerriero sacrificabile e uno indispensabile. Inoltre, qualsiasi pedina persa implicava una diversa e unica qualità in meno fra le sue schiere.
Mentre pensava questo, Cosmos raggiunse con le dita la carta che rispondeva ai suoi prerequisiti e fece per prenderla in mano, quando...
Hai già perso la voglia di rischiare per il tuo fine nobile?
La mano della dea si bloccò a mezz'aria e le dita tornarono verso il palmo in un pugno che strinse solo l'aria.
Stai perdendo un'occasione d'oro, dea dell'Armonia.
I polpastrelli sfiorarono nervosamente il palmo e Cosmos esitò ancora.
Che follia, Cosmos...
Una follia. Era stata follia la sua; nessun rischio, solo follia.
Come era folle stare ad ascoltare una voce che proveniva da dentro lei stessa e non certo dalla sua parte razionale, dato che se ne stava servendo proprio in quel momento. La consapevolezza di essere in se stessa la tranquillizzò e la riscosse dal torpore.
-Cosmos?-.
-Guerriero, zitto!-.
-Ho deciso- annunciò seccamente Cosmos, mentre la mano calava sulla carta che si era riproposta di schierare. Il ragazzo raffigurato strinse i pugni borchiati lungo i fianchi e poi sferrò qualche colpo all'aria, prima di voltarsi e camminare per una strada lastricata che lasciava intravedere in lontananza il mare scintillante e le navi ormeggiate che dondolavano lentamente.
Cosmos, sei folle!
Al centro della stanza la nebbia si agitò, allungandosi e restringendosi.
No, ascoltare quella voce senza provenienza era folle, doveva tenerlo a mente.
Non si sarebbe più concessa il lusso di un secondo pensiero. Quella era una promessa...e non la faceva solo a se stessa.

Il lampo disegnò nettamente il profilo del parafulmine con la sua luce fredda ed improvvisa, illuminando anche la pioggia fitta che cadeva senza interruzione da nubi così nere da dar l'impressione che in cielo si fosse aperta una voragine senza confini.
La Piana dei Lampi tornò subito nella solita, pesante penombra resa ancora più soffocante dalla nebbiolina umida che avvolgeva ogni cosa e illuminata sporadicamente dalla luce rossa sprigionata dai parafulmini, che assorbivano la carica elettrica e la scaricavano a terra.
Un altro fulmine fendette improvvisamente l'aria con un sibilo e si schiantò a terra, accanto a una profonda pozzanghera d'acqua che ne diffuse il riflesso violaceo e biancastro tutt'intorno: sulla superficie bagnata delle rocce e del terreno, sulla parete del parafulmine più vicino e sul volto del ragazzo che vi si trovava accanto.
Essendo lì impossibile trovare riparo dalla pioggia, era completamente fradicio e i vestiti aderivano perfettamente al corpo come una seconda pelle: la maglia nera lasciava intravedere le linee scolpite dei pettorali e il gilet rosso era lucido d'acqua. I pantaloni blu elettrico pendevano flosci lungo le gambe e vi si incollavano quando lui le piegava, infastidito dalla sensazione del bagnato sulla pelle.
Ma ciò che più lo irritava era la pietosa condizione della sua cresta: sollevando una mano a tastarla, scoprì con orrore che aveva cominciato a pendere tutta da una parte della sua testa. Dannazione, quello sì che era un guaio.
Improvvisamente un fulmine fu attirato dalla torre a cui era appoggiato e Zell Dincht fece un balzo a destra per evitare di essere seccato sul posto.
Forse quello avrebbe aiutato a tenere in piedi la cresta, ma non lui...
A quel punto Zell sbuffò e si grattò la tempia, su cui era disegnato un vistoso tatuaggio tribale:
-Se devo prendermi una polmonite, spero sia per una buona ragione- borbottò, strofinandosi poi il naso per scaramanzia.
Forse una buona ragione c'era. Sicuramente però sarebbe stata più comoda la polmonite.

Il dio della Discordia distolse rapidamente lo sguardo dalla figura di Zell, concentrandosi sulla successiva carta da schierare.
Garland gli si fece subito accanto e accennò con il mento alla figura nell'Arena:
-Non puoi rischiare, lo sai. Tocca a te sacrificare- gli disse semplicemente, ben attento a non farsi sentire dagli altri due, che se ne stavano in disparte a osservare la situazione. Chaos emise un sospiro falsamente scocciato:
-I Giochi cominciano a diventare noiosi, Garland. Solo Cosmos ha il piacere del divertimento e non lo apprezza nemmeno- osservò, tamburellando distrattamente con le dita su una carta; lo sguardo sicuro che gli restituì la figura lo irritò leggermente e gli fece stringere i denti. Garland scosse la testa ed emise uno sbuffo:
-L'importante è vincere sì, ma devi saperlo fare bene, Chaos - gli ricordò, prima di indicare la carta toccata dal dio - Lui potrebbe andare bene, anche perché sarebbe un combattimento ad armi pari-.
-Potrebbe darci dei problemi, se dovesse unirsi a noi. Il ragazzo è piuttosto impulsivo- obiettò Chaos scettico.
-Per quello non c'è problema - nella voce di Garland il dio percepì un leggero sorriso, mentre il guerriero sollevava il pollice a indicare Beatrix alle sue spalle - E non mi sembra che sia l'unico da disciplinare- aggiunse, alzando leggermente la voce per farsi sentire da un altro ragazzo raffigurato in una carta poco lontana, il quale sollevò la spada irritato e voltò il viso sprezzante, nascondendo così lo sfregio sulla fronte.
Chaos inspirò brevemente, prima di convincersi a prendere in mano la carta da schierare. Il ragazzo batté i pugni l'uno contro l'altro, prima di allontanarsi baldanzosamente lungo delle lande ghiacciate, senza nemmeno prendersi la briga di fare un cenno al proprio padrone.
-L'avevo detto, io- commentò Chaos, contrariato. Garland preferì non ribattere, seguendo attentamente i movimenti di Zell nell'Arena.

Comparve in cima a un parafulmini, ma nello stesso momento una scarica elettrica si abbatté su di esso. Il ragazzo fece appena in tempo a evitarlo compiendo una capriola all'indietro, nel vuoto; non appena una sporgenza inferiore della torre gli sfilò davanti al viso durante la caduta, lui tese le braccia e vi si appese, sfruttando immediatamente lo slancio ottenuto per compiere un'altra capriola e atterrarvi sopra in piedi.
Snow Villiers espirò di colpo il fiato trattenuto fino ad allora e si guardò contrariato il cappotto già completamente fradicio, poi il suo sguardo esplorò tutto intorno il paesaggio monotono e tristemente battuto dalla pioggia incessante, fino a perdersi nella densa nebbia all'orizzonte.
Un tuono rimbombò banale e inoffensivo in lontananza e la luce innocua di un lampo illuminò brevemente le fitte righe tracciate nell'aria dalle gocce di pioggia, che chiamava quasi all'inerzia e al torpore.
No, quello non era certamente il posto adatto a uno come lui, che andava alla perenne ricerca di qualcosa o qualcuno per cui combattere, di una promessa da mantenere, di una prova di forza, di un modo per risolvere la propria vita da solo e con ogni mezzo possibile. Questo l'aveva reso estremamente egoista, ma di un egoismo fondato ancora sulla preoccupazione che, ovunque lui andasse, ognuno stesse bene e si fidasse di lui.
Snow non l'aveva mai ritenuto un concetto sbagliato e non lo era totalmente, se visto dalla sua prospettiva e supportato da tanti buoni propositi che non avevano mai trovato una concretezza effettiva.
Tuttavia, nella vita spesso contano soprattutto le azioni messe in pratica, che Snow stesso aveva da sempre stimato superiori a tutto, tant'era che alla sua età i buoni propositi erano ormai solo una favola per bambini. Era stato quello a farlo pendere inesorabilmente dalla parte di Chaos, insieme al leggero ma insistente risentimento verso se stesso e verso la serie di insuccessi che aveva inanellato quasi come una collana incatenata al cuore. Ciò l'aveva spinto in un circolo vizioso che aggiungeva fallimento al fallimento, determinato e testardo com'era a volersi riscattare per un passato che era diventato ormai troppo grande per lui e che non riusciva a impedire che lo inseguisse ovunque andasse. Era come avere alle calcagna tutte le persone che erano passate attraverso la sua vita, avevano cercato protezione presso di lui, non l'avevano trovata e per questo se n'erano andate, deluse e immemori della sua esistenza.
Snow avrebbe anche potuto dimenticarsi di ognuna di loro se avesse voluto, ma il ricordo vivo della prima persona che aveva tradito in quel senso e che, nonostante tutto, aveva dato tutta se stessa per lui, continuava a innescare ricordi a catena, quasi fossero legati tutti a doppio filo.
Nessuno aveva detto che la vita era facile. Nemmeno lui l'aveva mai ammesso, perché l'aveva sempre nascosto dietro una maschera di spavalderia che gli tornava sempre comoda, seppur fastidiosa.
Tutte queste riflessioni affiorarono nella mente di Snow cogliendolo di sorpresa: dopotutto, lui non era nemmeno tipo da autoanalisi, ma era anche vero che in un posto del genere non c'era molto altro da fare.
Improvvisamente un movimento dal basso attirò la sua attenzione e gli fece dimenticare tutti i suoi pensieri: era un ragazzo e stava camminando verso il suo parafulmine. Il ragazzo notò subito l'espressione pensierosa dipinta sul suo viso: che anche lui si stesse chiedendo cosa diavolo ci faceva lì?
C'era un solo modo per scoprirlo. Chiederglielo.

-Ehi, tu!-.
La voce colse Zell di sorpresa e lui reagì subito tendendo ogni singolo nervo del corpo, gli occhi che saettavano ovunque e il viso che li assecondava.
-Dovresti guardare in alto- gli suggerì la voce, leggermente divertita.
Zell rovesciò il collo e la pioggia gli entrò negli occhi, scorrendogli sulle guance come lacrime fredde e insensibili.
-Magari su un parafulmine, cosa ne dici?- lo canzonò ancora la voce. Istintivamente lui strinse i pugni e si mise sulla difensiva:
-Oh, fin lì c'ero arrivato!- mentì, individuando poi la figura di un ragazzo contro la luce dell'ennesimo lampo.
-Io mi chiamo Snow Villiers e tu?- si sgolò il tipo, agitando largamente la mano. Zell sollevò un sopracciglio:
-Io sono Zell Dincht - rispose, alzando la voce per farsi sentire oltre il rimbombo di un tuono - Ma tu cosa ci fai tu lì sopra?!-.
Snow allargò le braccia:
-Io preferirei chiedere cosa ci facciamo noi qui, se permetti- lo corresse, il dito sollevato.
Quasi volendo capitare a proposito, la torre parafulmini opposta a quella su cui si trovava Snow si illuminò di rosso e su di essa comparve una frase:
L’unico modo per sceglierli è dargli un motivo per farlo.
Combattere per essere scelti o rinunciare e morire: a voi la prima scelta.

Zell perse tutto il residuo interesse per la sua cresta e deglutì rumorosamente.
Cosa doveva fare? Di solito non era un attaccabrighe; quando si metteva a litigare con qualcuno era sempre lui a cominciare e non era mai arrivato (o riuscito) a mettergli le mani addosso. Non che non volesse, beninteso, ma...
Il ragazzo scosse forte la testa e miriadi di goccioline schizzarono tutto intorno. No, così non andava bene: era un guerriero di Cosmos: non poteva permettersi di tirarsi indietro e in quello non aveva mai avuto problemi, irruento com'era. Era inoltre abituato a obbedire ai comandi senza porsi troppe domande, no?
Sollevò il mento per squadrare ancora una volta il suo presunto avversario e per la prima volta si rese conto che nemmeno lui portava armi.
Uno scontro alla pari. Da dove proveniva lui, era l'unico a servirsi di soli pugni e calci e in questo si era sempre ritenuto un maestro, ma ora come avrebbe appurato il suo primato?
Oh quello era semplice: nell'unico modo possibile.
Distese le dita, facendo scricchiolare le nocche e tintinnare le borchie dei guanti, poi le gambe si sciolsero automaticamente, diventando agili e scattanti.
Il suo nome si scrisse alla destra della scritta e Zell saltellò sul posto, pronto ad accogliere il duello.

Quando il suo avversario scelse di combattere, Snow non ebbe più dubbi.
Di primo acchito avrebbe detto che era un incapace totale, ma ora che si era messo in posizione di combattimento non l'avrebbe nemmeno pensato una seconda volta. Tuttavia, gli guardò le braccia mingherline e gli sfuggì un sorriso: tutt'al più avrebbe potuto tempestargli il petto di pugni, prima di essere scacciato via come una mosca.
Quella volta avrebbe mantenuto la promessa con cui si era impegnato: avrebbe contribuito alla causa di Chaos, fosse l'ultima cosa che faceva.
Insomma, quando era così facile come poteva tirarsi indietro? Almeno nessuno avrebbe più potuto dire che era arrogante e chiacchierone, perché si serviva delle parole per coprire i suoi frequenti fallimenti.
Snow batté le nocche le une contro le altre e sentì il dispositivo PMA che portava sul cappotto accendersi ed emettere il solito ronzio che precedeva l'ondata travolgente di potenza fisica con cui gli sollecitava i nervi.
E mentre ne veniva travolto, il suo nome si inscrisse sulla torre parafulmini.

Zell lo vide saltare giù dal parafulmini e si tirò velocemente indietro. Snow atterrò mezzo secondo dopo nel punto in cui prima si trovava lui e il terreno si piegò in una profonda voragine, da cui il ragazzo si liberò per incalzare subito dopo l'avversario, che fece leva sul piede e spiccò un altro balzo all'indietro per schivare un gancio sinistro. La sua schiena impattò all'improvviso contro una torre parafulmini e il pugno di Snow vi si piantò fino al polso, sfiorando l'orecchio sinistro di Zell, che colse l'occasione per sferrare un montante dritto al mento dell'avversario, disincastrandogli violentemente la mano e scagliandolo in aria. A questo punto puntò il piede nella larga breccia aperta dal pugno di Snow e si diede la spinta per raggiungere l'avversario, che in quel momento si riprese e lo accolse con una sforbiciata. Zell fu scagliato violentemente a terra, ma una mano allungata all'ultimo minuto lo salvò da un impatto molto doloroso e gli permise di fare leva per ruotare le gambe di lato e rimettersi velocemente in piedi, in tempo per tornare ad attaccare l'avversario appena atterrato.
Tentò un colpo al fianco destro, schivato da Snow che poi contrattaccò con un pugno dritto al costato scoperto dell'avversario. Zell ruotò su se stesso e ignorò il dolore, sollevando la gamba e dirigendo un calcio all'incavo tra spalla e collo di Snow, il quale però l'agganciò con il braccio e tirò velocemente verso di sé nel tentativo di arrivare con il pugno al ventre dell'altro.
Nel momento stesso in cui sentì che si stava sbilanciando paurosamente addosso a Snow, Zell fece leva sul piede ancora piantato saldamente a terra e saltò, il che gli permise di sferrare un poderoso calcio al petto dell'avversario, che lasciò immediatamente andare la sua gamba. A questo punto Zell compì una rovesciata con cui si rimise in equilibrio, per poi stringere i pugni e scattare avanti per cominciare una seconda offensiva. Snow gli afferrò il pugno, diretto alla sua guancia, e gli torse il braccio mentre l'altra mano scattava avanti a colpirgli il ventre, ma Zell strinse i denti e si scansò velocemente sul lato del braccio sofferente, che per effetto del movimento ruotò ancora, mentre la spalla cominciava a scricchiolare dolorosamente.
Trovatosi, dopo la rotazione, con le spalle rivolte verso il petto di Snow, colse subito l'occasione per assestare una, due, tre gomitate al costato dell'avversario, costringendolo a lasciargli il braccio per allontanarsi.
Il guerriero di Cosmos trattenne un sibilo di dolore quando cercò di recuperare la mobilità della spalla destra, rendendosi immediatamente conto che non avrebbe più potuto usarla in quelle condizioni.
Dannazione, aveva ancora un asso nella manica o era già spacciato?
La tregua fra i due contendenti durò il tempo di un respiro, prima che l'aria sibilasse nuovamente per effetto dei loro corpi gettati l'uno contro l'altro.
Mentre si piegava sulle proprie ginocchia a evitare un gancio sinistro, Zell lasciò che la sua mente fosse invasa dalla familiare presenza che era legata a lui fisicamente e spiritualmente.
Ce l'aveva l'asso nella manica, ce l'aveva eccome.

Snow cambiò repentinamente traiettoria del gancio e lo piantò sulla schiena dell'avversario, piegandolo in due. Un gemito strozzato sfuggì alle labbra di Zell, prima che il successivo calcio al torace gli rovesciasse il viso verso l'alto, mentre la sua schiena sbatteva contro il terreno reso scivoloso dalla pioggia. Il pugno di Snow calò pesantemente sul terreno dove poco prima c'era la testa dell'avversario, che era riuscito a rotolare via in fretta. Il ragazzo si domandò come diavolo facesse a essere così coriaceo, ma improvvisamente il bagliore di un'Energia gli diede la spiegazione, oltre ad avvisarlo dell'imminente colpo in arrivo, che riuscì comunque a intravedere con la coda dell'occhio.
Snow piroettò su se stesso e parò il pugno di Zell sollevando la gamba, afferrandogli poi l'altro polso con cui stava provando un secondo gancio e tentando di torcerglielo come aveva fatto prima. Tuttavia, Zell non si fece sorprendere un'altra volta e seguì con il braccio il verso della rotazione che stava compiendo Snow, portandosi vicinissimo a lui e raggiungendogli il ventre con una violentissima ginocchiata, grazie anche allo slancio ottenuto, rincarando poi la dose con un pugno nel medesimo punto.
Snow cadde all'indietro e si vide sovrastato da Zell, il petto che si alzava e abbassava velocemente e l'acqua mista a sudore che gocciolava dalle ciglia e dai capelli.
Gli sembrò impossibile di aver fallito di nuovo. Non gli sembrò giusto.
La fredda pioggia gli andò negli occhi e Snow si sentì deriso, dato che gli fece scorrere sulle guance calde lacrime che NON erano di fallimento.
La frustrazione gli calò addosso quasi più pesante della sconfitta e lui chiuse gli occhi, preparandosi al colpo finale.
Le solite promesse da mercante, Snow.
Mille spirali danzarono nel buio dietro le sue palpebre e improvvisamente si sentì costretto a riaprire gli occhi, nel momento stesso in cui un riflesso rosso sangue gli riempiva lo sguardo. Snow sentì il corpo tornare a rispondere e si stupì addirittura di essersi abbattuto per così poco.
No, non poteva fallire. Non ancora.
Non era ancora finita, era una promessa. L'ennesima, ma era comunque una promessa.




Ciao a tutti, meno male che ce l'ho fatta a pubblicare! Sì, perché ho una brutta notizia da darvi (giusto per iniziare bene la nota): al mio paese è saltata la connessione internet e purtroppo la stanno sistemando, ma non si sa entro quale lasso di tempo. Oggi (e domani, per chi mi segue anche su FFVIII) riuscirò a sfruttare la connessione di mio fratello per pubblicare, ma in via eccezionale, perciò non so proprio se la prossima settimana riuscirò a pubblicare in tempo. In caso, non appena avrò nuovamente la possibilità, aggiornerò subito.  Mi dispiace tanto, ma non dipende da me.
Intanto questo è il capitolo con cui vi lascio (temporaneamente!): ho deciso di schierare Zell perché devo contaminarvi fino alla nausea con FFVIII (e chi è stato attento avrà anche individuato qualche altro personaggino che fa capolino dalle carte...eheh!) e poi perché volevo assolutamente inserire un duello a mani nude. Da qui la scelta di schierare Snow per Chaos.
Il duello si spezza a metà perché nel prossimo capitolo deve accadere qualcos'altro e non volevo che fosse troppo pesante...mi spiace che sia durato relativamente poco, ma non è ancora finito, eh!
Anche questo duello non era previsto, l'avete notato? Questi Giochi si fanno sempre più strani...e qui si spiega anche la principale anomalia nel duello precedente!
Io spero che non vi stiate perdendo in tutto questo casino che ho creato, sto cercando di essere il più chiara possibile, ma voglio anche le intuizioni arrivino strada facendo.
Io vi saluto e ci leggiamo al prossimo aggiornamento, che cercherò di fare il prima possibile, promesso!
Ciaaaaao e scusatemi ancora!

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Capitolo 8
*** All'Inferno ***


Il pugno di Zell calò inesorabilmente sull'avversario ancora disteso sul terreno bagnato.
Un colpo di reni, poi le nocche dell'altro scricchiolarono contro la stretta ferrea e salda di Snow, che gli aveva afferrato e fermato la mano a mezz'aria.
Il braccio di Zell tremò per il violento impatto, che aveva soffocato all'improvviso tutta la potenza di quello che aveva evidentemente creduto essere il colpo finale di quel duello. Le dita di Snow premettero più a fondo sulle sue nocche evitando accuratamente le borchie dei suoi guanti e Zell sentì le ossa gemere, il dolore che si diramava dal braccio destro fino alle punte dei capelli.
Mentre si puntellava sui piedi per riacquistare l'equilibrio, si rese conto che quell'istante sembrava così congelato da dargli l'impressione che, in qualche modo, dovesse averne paura.
Congelato.
Fu quando cominciò a pensarlo, che si rese conto di aver freddo.
La pioggia continuava a battere sferzante sui loro corpi ormai bagnati, ma non si era sollevato nessun alito di vento.
Le dita, ancora imprigionate nella morsa di ferro di Snow, cominciarono a intorpidirsi come se l'afflusso di sangue si fosse improvvisamente ridotto e uno strano formicolio sulla pelle lo costrinse istintivamente a ritrarre la mano, forzando per strapparla alle dita dell'altro.
Per strapparla.
Zell indietreggiò ansimando, impressionato dalla forza sovrumana del suo avversario: quasi non sentiva più la mano!
Il suo sguardo cercò velocemente la sua destra, come per assicurarsi che fosse ancora attaccata al suo polso.
Non lo era più.
Il dolore esplose come una bomba incendiaria in tutto il suo corpo e prese possesso di ogni suo angolo, rendendo il sangue fuoco vivo nelle sue vene e poi più su, fino al cervello.
Il polso terminava all'improvviso, senza sanguinare ma avvolto da una sottile polvere bianca e brillante alla luce dell'ennesimo lampo.
I suoi occhi guizzarono alla sua mano, ancora stretta in quella di Snow, e il fuoco si fece più avido. Più furioso. Disperatamente furioso.
Zell era destrimane. Lui salutava, beveva, mangiava, scriveva, apriva, chiudeva, afferrava principalmente con la destra. Lui combatteva con la destra.
Il ragazzo aprì e mosse le dita della sinistra, che era ancora al suo posto, così strana adesso che era sola e asimmetrica.
No, non sarebbe più stata la stessa cosa, dannazione.
Un tonfo gli fece suo malgrado sollevare gli occhi su Snow, che aveva appena lasciato cadere la sua mano, sul viso un'espressione disgustata; il moncone, completamente ghiacciato, giacque sotto la pioggia, divenuto ormai un elemento del paesaggio innaturale e inverosimile.
E inutile.
Zell non esitò a pensarlo, mentre i suoi occhi si stringevano per opporsi alle lacrime che stavano per traboccare dalle palpebre.
Le mani erano la sua materia prima e lui ne aveva appena persa una.
Il sangue bollente affluì in quantità maggiore all'altra mano, rispondendo alla furia che lentamente stava ottenebrando il sentimento di disperazione non più tradotto in lacrime.
Qualcosa pulsò dietro ai suoi occhi per poi trasmettere un impulso dritto alla sua mente, rimbalzando quasi come contro una membrana elastica lungo tutti i nervi.
Ifrid, il suo G.F. delle fiamme, si svegliò completamente e subito il fuoco non lasciò altro spazio nella sua mente, alimentando la sua rabbia così bisognosa di forza per metterla in pratica.
Per la prima volta Zell non strinse i pugni per dimostrare qualcosa agli altri o a se stesso. Non strinse i pugni per rispondere, per reagire, per essere secondo.
Quella volta li strinse per cercare di sostituire qualcosa che aveva perduto, non importava quanto fosse impossibile.
Quella volta li strinse perché lui, che trovava sempre il lato migliore delle cose, doveva ancora trovare il sapore giusto a quel momento.
Lui, che non si sentiva più se stesso. Ma d'altronde, senza una mano, lui non sarebbe più stato lo stesso.

Snow abbassò lo sguardo sul braccio in risposta al pizzicore che si stava lentamente diffondendo sotto la sua pelle, attraversandogli la carne fino a penetrargli nelle ossa come miriadi di spine terribilmente affilate e voraci.
La sua mente riuscì appena a realizzare che stava succedendo qualcosa di strano quando gli stessi aghi che credeva gli stessero trapassando internamente il braccio fuoriuscirono dalla carne, lacerandogli la pelle e strappando a brandelli la manica del cappotto.
Per una frazione di secondo il dolore lo rese cieco nei sensi e nella mente e non gli permise di formulare l'ovvio interrogativo che cercava disperatamente di venire a galla, mentre altre spine trasparenti come vetro, fredde come ghiaccio, dure come diamante spuntavano anche sulla sua spalla.
Il ragazzo si morse profondamente un labbro per trattenere un urlo disumano nello stesso momento in cui la crescita delle spine si arrestava con ultimo, micidiale spasmo; lentamente sentì la carne del braccio sinistro indurirsi e divenire più fredda, lenendo anche piuttosto velocemente il dolore.
Snow non ebbe bisogno di guardarsi il braccio una seconda volta per appurare che cosa stesse diventando: ne aveva abbattuti così tanti di quegli esseri maledetti che ne conosceva l'anatomia alla perfezione.
Sapeva dove, come, quando colpirli.
Sapeva dove, come, quando colpivano e conosceva la forza di cui erano dotati, così come ne conosceva gli ampi limiti.
Sapeva che la loro unica arma era il dolore che li trascinava avanti, il rimorso di aver esaurito il loro tempo e di aver firmato la loro condanna, volenti o nolenti.
I Cie'th erano stati uomini e donne una volta, ma non per questo lui aveva provato più o meno rimorso nello spezzare le loro vite, forse perché al posto loro avrebbe tanto voluto che qualcuno troncasse il suo tormento.
Anche lui in quel momento, con il braccio di un Cie'th innestato sul suo solito corpo da mortale, sentiva un rimorso diverso pulsare insieme al suo cuore. Non era ancora abbastanza per fargli perdere la ragione ma era sufficiente a farlo sentire diverso, come se potesse in qualche modo utilizzarlo a proprio vantaggio per affermarsi sul mondo, non solo per dimostrare di saper tradurre in azioni le sue parole ma anche per poter finalmente andare a capo e cominciare una nuova frase nella sua storia, anche se in quello stato era decisamente un paradosso.
Non si sentiva affatto finito nella condanna che pur gravava su di lui, la condanna dei pregiudizi altrui, dell'opinione di lui radicata negli altri; si sentiva invece potente, sentiva di essere in grado di rimediare a ogni tipo di errore commesso, a ogni promessa disattesa, diventando paladino di se stesso e degli altri.
Lo sguardo cadde sulla mano di Zell, che aveva così brutalmente strappato dal suo corpo dopo averla congelata. In un primo momento aveva creduto di aver abusato del potere di Nix e Stiria, le sue Esper gemelle del ghiaccio, quando la sua intenzione era solo di evocarle per sorprendere l'avversario; tuttavia, ora poteva dirsi quasi certo che anche quello avesse fatto parte della sua trasformazione.
Ci fu un bagliore, riflesso dalla pozzanghera ai suoi piedi, e gli occhi di Zell cominciarono a emettere una luce rossastra, come fossero le porte per l'Inferno che gli era scoppiato dentro.
Snow invece sentiva il sangue gelato nelle vene, ne sentiva i cristalli nel respiro, sotto la lingua, fra le ciglia. Era ghiaccio puro, trasparente, inscalfibile, solido, concreto e immobile, senza alcun tremore del corpo, del fiato o della voce. Era diamante pronto a sporcarsi di sangue e si sentiva più lucidamente arrabbiato, più consapevolmente in se stesso dell'altro.
Si sentiva più profondamente condannato, nonostante tutto.
Perché se alle porte dell'Inferno infuriavano le fiamme, nelle sue viscere, dove si trovavano i dannati più nefandi, più furiosi, più giustamente sofferenti, a bruciare era qualcos'altro.
A bruciare era il ghiaccio che li conquistava centimetro dopo centimetro, come la neve perenne d'inverno, come la marea divoratrice della sabbia, come la rabbia avida ma subdola.

Questa volta fu Zell ad attaccare per primo trascinando in aria il pugno sinistro, ora diventato un nucleo pulsante di fiamme. Snow si abbassò e rotolò in avanti per evitarlo, sollevando subito il braccio da Cie'th per afferrare la maglia dell'avversario e tirarlo verso di sé.
Zell assecondò il movimento ma fu svelto a cambiare la traiettoria del suo gancio, calandolo pesantemente sull'altro anche per effetto della forza di gravità.
Questa volta per Snow fu più difficile scansare il colpo, che si abbatté per metà sul terreno scavando una profonda voragine ma sfiorò anche la spalla destra dell'avversario. Le fiamme consumarono presto il tessuto del cappotto e poi cominciarono a divorare avidamente la carne; Snow lanciò un tremendo urlo di dolore, ma riuscì a mantenere la lucidità necessaria per guidare il braccio da Cie'th ad afferrare il collo di Zell e lanciarlo lontano, contro una torre parafulmini.
Lo schianto che seguì soffocò persino il tremendo rimbombo di un tuono, seguito dallo scricchiolio di vertebre e altre ossa. La torre ondeggiò un attimo nella pioggia battente ma resistette all'impatto così come il corpo di Zell, che si riprese appena in tempo per subire la nuova offensiva di Snow.
Il braccio da Cie'th penetrò nel muro della torre appena sopra l'incavo tra spalla e collo di Zell, il quale sgusciò via per assestare un calcio al fianco scoperto di Snow, prima di essere steso dal violento manrovescio che l'altro gli sferrò con la mano umana.
Il ragazzo vide il braccio ornato di spuntoni affilati avvicinarsi velocemente alla sua gola e sollevò la mano sinistra per difendersi; le fiamme avvolsero immediatamente le aguzze spine ghiacciate, che cominciarono a piegarsi sotto l'effetto del calore, e Snow si ritrasse urlando nuovamente. Prima che potesse allontanarsi del tutto, Zell chiuse le dita sul polso dell'altro in una stretta ferrea e i suoi occhi cominciarono a splendere di una luce sempre più rossa, così come crebbe il ruggito delle fiamme misto alle grida dell'altro, che tentava inutilmente di liberarsi.
Il suo polso cominciò a scricchiolare e improvvisamente Snow spalancò gli occhi, sicuramente rendendosi conto delle intenzioni dell'avversario.
Le sue labbra impallidirono vistosamente da tanto lui le strinse, mentre un nuovo urlo affiorava dalla sua bocca e il suo corpo cominciava a tremare tutto. Improvvisamente altri spuntoni di ghiaccio fendettero le fiamme che avvolgevano il suo braccio e si infilarono nelle fessure tra le dita di Zell, il quale riuscì a ritrarsi appena in tempo per non perdere anche l'altra mano ma approfittò della sua buona posizione per sferrare un violento calcio al petto dell'avversario, che volò a schiantarsi sulla stessa torre precedentemente colpita.
Mentre questa volta il parafulmini crollava su se stesso e si abbatteva a terra in una nuvola di pioggia e polvere, Zell si lanciò in avanti a incalzare il nemico, il quale lo stava già aspettando con i pugni levati. Il ragazzo allora cambiò velocemente traiettoria ancora in corsa, inclinandosi per colpire il fianco sinistro dell'avversario, ma Snow non si fece ingannare e si affrettò a coprire anche quel punto appena un secondo prima dell'impatto con Zell, che quindi scartò velocemente a sinistra e colpì più forte che poteva con la destra.
Con la destra.

Il dolore lancinante che provò lo fece piegare su se stesso e quasi non si rese conto degli enormi spuntoni ghiacciati che gli trapassavano il ventre e cozzavano contro le sue ossa. Zell ne afferrò l’estremità che sporgeva con la mano che ancora emanava fiamme, sollevando con gli occhi pieni di lacrime il moncone sanguinante fino a quando il liquido rosso non colò nel fuoco stesso con uno sfrigolio.
Snow strappò malamente la mano dal suo corpo, portandosi via anche alcuni brandelli di pelle già fusi con il ghiaccio per effetto del calore elevato, e Zell crollò in ginocchio con un buco enorme nello stomaco, la mano stavolta ben lontana dalla ferita. L'avversario lo afferrò per i capelli e gli sollevò la testa con uno strattone per guardarlo negli occhi, che Zell faticò a vedere a causa del fitto velo di incoscienza che stava calando su di lui.
Solo la Junction lo teneva ancora attaccato per i brandelli di qualche filo alla sua vita ma Ifrid non sembrava in grado di dargli la forza necessaria per lanciarsi un Energiga che avrebbe potuto rimetterlo in sesto.
Allora...era davvero finita.
Zell, ti stai arrendendo? Questo non sembri affatto tu.
Zell sollevò stranito il moncone che ancora stillava copiosamente sangue e poi riportò lo sguardo su Snow, che ora sembrava troppo occupato a constatare i danni sul suo braccio congelato per aver detto una cosa del genere.
Comunque no, non era più lui da quando il suo avversario gli aveva strappato una mano. Si sentiva inutile, ridotto a metà. Forse era solo la metà di se stesso, con una mano amputata.
E dimmi, cosa rimarrà a Cosmos di te, se muori ora?
Beh, con un buco enorme nello stomaco cosa avrebbe potuto fare?
Era assurdo che stesse pensando a quelle follie quando magari avrebbe dovuto pentirsi di tutti gli errori che aveva compiuto nell'arco della sua breve vita da diciassettenne. In fondo non era bene morire con ancora dei conti in sospeso con se stessi.
Forse hai un conto in sospeso con qualcun'altro, ci hai pensato?
Aveva giurato di combattere per Cosmos, quando lei l'aveva scelto. Lo aveva giurato perché era sicuro che fosse facile mantenere la promessa. Avventato e determinato com'era, si credeva invincibile.
Fino a quando qualcuno non gli aveva strappato una mano.
E allora, cosa avrebbe dovuto fare? Per lui era impossibile combattere senza uno dei suoi fedeli pugni, compagni di una vita, cresciuti e diventati forti come lui, capaci di uccidere un mostro e accarezzare un gattino abbandonato.
Zell sentì di nuovo le lacrime riempirgli gli occhi e scendere lungo le sue guance e questo lo fece arrabbiare ancora di più.
Era meglio morire che sopportare quel tormento psicologico un secondo di più.
Beh, allora dovrò prendere la drastica decisione.
Si sentì sollevato, suo malgrado: finalmente nessuno gli chiedeva più nulla o gli ricordava i suoi doveri.
Mentre attorno a lui l'aria si increspava e avvolgeva in mille spirali, Zell fu folgorato da un'ultima rivelazione mentre chiudeva gli occhi: quella era la voce di Cosmos o si sbagliava?!
Improvvisamente il suono di una risatina lo fece trasalire.
Quella risata. L'avrebbe riconosciuta fra mille anche solo per il brivido di irritazione che gli faceva ogni volta scivolare lungo la colonna vertebrale.
Era quella risata che spesso lo aveva fatto rinchiudere in camera a prendere a pugni il muro, il pavimento, l'armadio, il tavolo.
Era quella risata che lo aveva fatto sentire piccolo, sminuito, ridicolo, inutile.
Era quella risata che lo aveva reso quello che era ora: determinato a dimostrare la sua grandezza agli altri. A dimostrare di non essere da meno.
Ci sarebbe riuscito anche senza una mano e con un buco nella pancia?
Non era una domanda pertinente, dannazione, non aveva più valore ciò che si era detto appena dieci secondi prima. Almeno, non quando entrava in gioco lui.
Zell spalancò gli occhi e guardò fisso davanti a sé, già consapevole di chi si sarebbe trovato davanti.
Snow era scomparso e al posto suo su di lui troneggiava un’altra figura.
Zell digrignò i denti dietro le labbra serrate e sollevò il mento per incontrare un paio di occhi color ghiaccio.
Al contatto visivo, il sorriso di Seifer Almasy si allargò.




Salve a tutti, che bello tornare a pubblicare!
Chiedo perdono ma, oltre ai problemi con internet, queste sono state settimane molto impegnative per me e...non è ancora finita! Per questo chiedo anticipatamente scusa: non sono più in grado di mantenere l'appuntamento settimanale (almeno per ora) e quasi sicuramente non mi farò viva ogni settimana, ma saltuariamente.
Davvero, sto facendo del mio meglio ma ultimamente arrivo a sera che il mio cervellino mi abbandona e senza di lui non riesco a mettere in fila più di due parole che abbiano un senso.

Coooomunque, bando alle lagne e veniamo al capitolo!
Lo so, questa volta mi sono...ehm, fatta prendere un po' la mano (ok, dopo questa mi ritiro per almeno cinquant'anni), ma l'idea di amputarla a Zell ha un suo senso perché per lui è tutto, principalmente la sua arma. Zell sarebbe lo stesso senza i suoi pugni? Io sinceramente credo di no e già senza una mano è stato difficile ritrovare l'essenza del suo personaggio. Infatti avete visto che la sua immagine ha acquisito dei contorni diversi, anche più aggressivi se vogliamo, e da qui le sue diverse intenzioni nel combattimento.
La rabbia focosa di Zell (non a caso gli ho assegnato Ifrid) si contrappone al gelo di Snow (il riferimento alla zona più profonda dell'Inferno è liberamente ispirato a Dante) e alla freddezza con cui gli ha strappato la mano. Il braccio di Snow si trasforma in quello di Cie'th e in questo mi sono ispirata a "Lightning Returns", dove effettivamente il primo stadio della trasformazione in Cie'th interessa il braccio, anche se mi sono presa qualche libertà nella descrizione per farla meglio quadrare con il contesto.
Quanto alla fine del capitolo, la questione è da rimandare al prossimo, in cui sarà tutto spiegato!
Al termine di questa nota chilometrica ringrazio chi mi legge/recensisce e vi do appuntamento al primo sabato in cui riuscirò a pubblicare, promesso!
Ciaaaaao!

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