God Help The Girls

di punk_is_dad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***



Capitolo 1
*** I ***


God Help The Girls

 
What does a witch kid want for her birthday?
A haunted dollhouse.
 

I

Avevano organizzato tutto da settimane, ma Anna Mae non era comunque convinta che funzionasse. In più quella mattina avrebbe avuto un'esercitazione di chimica e la chimica era in cima alla lista delle cose che odiava e non capiva, preceduta solo dai pantaloni a zampa e le persone che odiano i gatti. Le altre avevano tentato di rassicurarla, Sevil, che in chimica andava benissimo, le aveva ripetuto fino allo sfinimento che le avrebbe fatto copiare tutto senza problema, ma Anna Mae non sembrava affatto fiduciosa. Lidia e Regina, che avevano architettato il tutto, ne erano molto offese.
Il piano, illustrato su una pagina rosa pallido del diario di Regina, era semplicissimo: cosa Anna Mae temesse le altre non lo riuscivano a capire. Non saranno state Ferris Bueller, ma erano annoiate e stufe e audaci quel poco che bastava per motivarle a scappare da scuola a metà mattina per andare al mare. Alle 10 Sevil e Anna Mae, dopo l'esercitazione di chimica, avrebbero avuto un'ora libera, e anche Regina. Sarebbero uscite senza che nessuno dicesse nulla, si erano messe d'accordo con una loro compagna per dire agli insegnanti che erano venute a prenderle i genitori, e quelli non avrebbero fatto tre rampe di scale per tutto l'oro del mondo (l'ascensore era rotto), figuriamoci per controllare delle firme. Lidia, invece, sarebbe scappata: avrebbe chiesto di andare in bagno e sarebbe uscita dall'entrata secondaria che dava sul cortile. Al parcheggio dietro la scuola le altre l'avrebbero aspettata nella macchina di Regina, pronte a partire.
Il fatidico giorno, il 29 maggio, le ragazze si erano attrezzate molto poco per la scuola e molto per la fuga. Sevil non aveva nemmeno una penna, ma ripiegato ad arte sul fondo dello zaino c'era un asciugamano da spiaggia e nella giacca gli occhiali da sole, Regina aveva il costume da bagno addosso e in macchina infradito e crema solare, Lidia aveva la borsa da spiaggia nello zaino, nascosta alla meno peggio. Solo Anna Mae si era portata due libri di chimica, quaderni e altre mille cose, oltre alla roba da mare che aveva dato a Regina per non destare sospetti (o magari per stare quei cinque minuti da sole nel parcheggio a pomiciare).
Alle 9:55 Anna Mae stava finendo di copiare l'ultima risposta di chimica, Regina stava fissando l'orologio con una certa insistenza, e Lidia chiese di andare in bagno.
- Con lo zaino?
- Già.
- E perché mai?
- Mi serve.
- Per far cosa?
- Cose che se fosse una donna capirebbe, professore.
- Va bene, vai pure.
Solo Lidia di tutta la scuola, probabilmente, poteva permettersi di rispondere così agli insegnanti. Pensare che le permettessero di farlo per stima o simpatia non era del tutto sbagliato, essendo lei una studentessa modello, ma la verità era che insieme alla stima e alla simpatia c'era anche una sottile vena di paura. Giravano delle voci su Lidia, voci che né lei né le sue migliori amiche confermavano né smentivano. Erano pettegolezzi stupidi, ma da quando aveva predetto, con gli occhi fissi in una pozzanghera, che Lee Yoo-Jung – il suo compagno di banco – si sarebbe fatto male da lì a un mese, e due settimane dopo Lee si era rotto un polso cadendo dalla bici, tutti avevano iniziato ad aver paura di lei. La chiamavano Lidia la strega, e a lei piaceva un sacco. Si inventava cose e la prendevano sul serio. Molti le chiedevano predizioni e interpretazioni di sogni o strani eventi (una ragazza del primo anno le chiese di mettersi in contatto con lo spirito della nonna morta da poco per chiederle perché non aveva lasciato nulla in eredità a suo padre).
Seguita dagli sguardi di tutti, meno che dell'imbarazzatissimo professore, Lidia uscì dalla classe alle 9:57. Scese le scale con lo zaino in spalla e arrivata al piano terra controllò che non ci fosse nessuno, poi uscì. Quando la campanella suonò era ormai in cortile e camminava a passo svelto. Arrivò alla macchina di Regina prima delle altre, che scesero con tutta calma insieme a dei compagni di classe e li lasciarono nel cortile a leggere e copiare i compiti solo dopo aver ricordato loro di dire che stavano uscendo coi genitori per visite mediche non ben specificate. Alle 10:10 salirono tutte in macchina e partirono per il mare.


Nota: la storia partecipa al contest di Marge86 "Sperimentiamo sulla struttura" (
link al contest). 
Cercherò di aggiornare (i capitoli in tutto sono nove) ogni due o tre giorni. Ringrazio per prima Marge86, poi chi legge, chi commenta, e chi mi ha sopportato mentre scrivevo. 
x

PS: se non sapete chi è Ferris Bueller mi dispiace per voi.

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Capitolo 2
*** II ***


II


Man mano che si allontanavano dalla scuola il cuore di Anna Mae si faceva più leggero. La fuga era stata più semplice del previsto, e ormai banchi e professori le sembravano lontani anni luce. In quel momento esistevano solo loro quattro, in macchina, dirette al mare, con Regina e Sevil che sedute davanti cantavano insieme alla radio, e dietro Anna Mae che tentava di mettersi il reggiseno del costume mentre Lidia la prendeva in giro. La musica era terribile, ma la compagnia eccellente, e la consapevolezza di essere libere da filosofia, matematica e ginnastica rendeva il viaggio ancora migliore.
- No, ok allora, il tizio strano che ha tutti quei cappellini della Supreme mi ha chiesto di uscire! - disse Regina a un certo punto.
- Oddio, che inquietante! - fece Lidia.
- Te che gli hai detto? - disse Sevil.
- No, ovvio che no! Si veste malissimo e sembra anche stupido, poi è brutto. Fosse stato coso, come si chiama, quello bello dell'ultimo anno con gli occhi azzurri e le fossette, lui ok, ma cappellino tamarro no di certo.
- Sì come no, ora quello chiede a te di uscire! Che gli hai detto? - chiese Anna Mae, preoccupata. Loro quattro e sua madre erano le uniche persone al mondo a sapere che lei e Regina stavano insieme, e le andava benissimo così. A scuola sarebbe stato il nuovo grande gossip e l'ultima cosa che voleva era essere popolare, mentre a casa sarebbe stato solo orribile.
- Che stavo con un'altra persona ed era una cosa abbastanza seria.
- Abbastanza?
- La prossima volta che uno mi chiede di uscire lo mando da te direttamente allora, ok?
- Sì, così lo picchio.
- Probabile, guarda! Quella che si è fatta male con la maniglia della porta! - disse Lidia, ridendo.
- Ho picchiato contro la porta e la maniglia mi ha lasciato un livido!
- Sì va beh!
Continuarono così fino al parcheggio, dove c'erano solo altre due macchine. Le ragazze, ancora ridendo, tirarono fuori infradito, creme, borse, asciugamani, pranzi al sacco e quant'altro, lasciando nel bagagliaio libri e quaderni. Dopo aver chiuso la macchina, controllato che fosse chiusa bene e controllato un'altra volta perché da quando al padre di Regina avevano provato a rubarla lei era diventata quasi paranoica, si incamminarono nella pineta verso la spiaggia.
Attraversarono la pineta trascinando le conversazioni interrotte in macchina, parlarono del ragazzo che aveva chiesto a Regina di uscire (“Uno sfigato assurdo! Posta tutti quegli stati da testa di cazzo su Facebook poi: “non so se le donne sono nate dalla costola dell'uomo, ma di sicuro non dal cervello” ma sarai intelligente te, stronzo di merda”), di quali materie e professori stessero perdendo in quel momento (“A volte penso sul serio di cavarmi gli occhi con la penna, quando inizia l'ora di filosofia”), di quanto Anna Mae si fosse lamentata e avesse avuto paura per nulla, dato che era andato tutto come previsto e un'incantevole giornata al mare le stava aspettando. Quando uscirono dalla pineta si fermarono un momento ai primi metri di sabbia, in totale estasi davanti alle onde pigre che si lasciavano cadere sulla spiaggia deserta. Era tutto perfetto.  

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Capitolo 3
*** III ***


 
III


Camminarono qualche minuto prima di decidere dove fermarsi. Non c'era nessun altro, solo due lunghe file di orme che si allontanavano. Regina fu la prima a spogliarsi, stese l'asciugamano e si sdraiò, bella e luminosa nella luce della tarda primavera. I capelli legati alla meglio risplendevano dorati, e Anna Mae si trovò a pensare che era proprio fortunata ad amare ed essere amata da una ragazza come Regina. Le sorrise a lungo prima di togliersi anche lei i pantaloni e la camicia per rimanere solo col costume – fucsia a fiori bianchi. Regina ricambiò il sorriso e la trovò stupenda, con i fianchi morbidi e il fucsia brillante del costume sulla pelle nera.
- Anna, tesoro, quando hai finito puoi levarti un attimo? Sei sulla mia borsa.
- Sev, sei solo gelosa.
- Sì, del tuo culone, ora spostati dai.
Sevil ci mise dei secoli per mettersi il costume: quella mattina si era ricordata all'ultimo di prenderlo e l'aveva buttato nello zaino appena prima di uscir di casa. Coperta dall'asciugamano retto da Lidia, sgomitando per infilarselo dal verso giusto senza restare incastrata nei vari spacchi strategici e provocanti, alla fine ce la fece anche lei. Il suo costume intero pagato un occhio della testa le stava benissimo e ne era veramente soddisfatta, dato che al negozio nemmeno se l'era provato. Quando Sevil ebbe finito, anche Lidia si tolse il vestito che aveva un che di monacale, accollato e con le maniche, per restare nel suo ultimo acquisto, un bikini leopardato fluo (“Cosmo dice che è super glam!”).
Mentre Regina e Lidia si stavano ancora dando la crema solare, Anna Mae e Sevil – che erano più scure e non rischiavano un'ustione di terzo grado come le altre due, che invece parevano vampiri – tirarono fuori dalle borse qualcosa da mangiare e il diario della Sorellanza.
Sebbene fossero soltanto in quattro, avevano scelto di chiamarsi una sorellanza. Avevano regole – stupide – e riti – ancora peggio. Tenevano un diario in cui scrivevano, disegnavano e attaccavano cose, era talmente zeppo di fiori e foto e altro che la copertina era deformata e l'elastico che lo chiudeva si era rotto e l'avevano sistemato alla buona con delle spille da balia. Sulla copertina avevano attaccato delle foto di loro quattro, vestiti di alta moda che sognavano di indossare un giorno sul red carpet al fianco di qualche attore bello e abbronzato, Leonardo DiCaprio da giovane, animali carini che facevano cose stupide – un leopardo che leccava la testa pelata di un uomo – e qualsiasi altra cosa trovassero divertente o bella. Al centro della copertina, davanti, c'era una foto di loro quattro che sorridevano in camera di Anna Mae, c'erano state almeno tre ore per farne una che piacesse a tutte; sul retro invece al centro c'era una vecchia foto di Anna Mae, Sevil e Lidia a sedici anni, una accanto all'altra in riva al mare. Era stata scattata prima che conoscessero Regina e lei aveva voluto che la tenessero perché era davvero bella. Tutte intorno c'erano le foto di ognuna di loro insieme a Regina in vari posti – nel salotto di Lidia, al parco, in centro.
- Possiamo cancellare una cosa dalla nostra lista! – disse Anna Mae, cercando una penna nella borsa di Regina, mentre Sevil iniziava a mangiare.
La lista era piuttosto breve, scritta su una pagina vuota, col titolo evidenziato in violetto.

Cose da fare prima della fine della scuola
1) guardare almeno due film fighi* 
* fighi vuol dire che non fanno piangere!!! [nella calligrafia di Sevil]
2) decidere dove andare quest'estate!!!!!!
3) NON NOMINARE NEMMENO PER SBAGLIO DOUGLAS BOOTH!! PENA LA MORTE! L'UNICO ROMEO È LEONARDO DI CAPRIO!!!
4) andare al mare
5) maratona di Harry Potter
6) When Marnie Was There!! (se quella stronza di Regina non lo guarda prima da sola)
7)

 
La scrittura era quella ordinata di Lidia; il punto numero 3 inserito dopo aver visto Romeo+Juliet per la millesima volta, stipate sul letto di Sevil con gli occhi incollati al computer per due ore con i fazzoletti in mano e i commenti acidi di Anna Mae che sosteneva non ci fosse un film peggiore al mondo, nonostante in fondo piacesse anche a lei, ma non lo avrebbe mai ammesso.


 

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Capitolo 4
*** IV ***


 IV


Passarono lunghe ore a sonnecchiare, leggere, mangiare frutta e fotografarsi i piedi nella sabbia. Sdraiate al sole sudavano e oziavano, e non credevano di aver mai avuto meno pensieri per la testa. Il cielo era limpido e la sabbia calda, le ragazze bevevano passandosi le bottigliette d'acqua e avevano le guance arrossate, i capelli gonfi della brezza. Era tutto piacevole e bello. Anna Mae giocava distratta affondando le dita nella sabbia, guardando Sevil che semisdraiata masticava intenta una mela, i capelli neri sciolti e gli occhi nascosti dagli occhiali da sole scurissimi. Lidia ascoltava la musica sdraiata a pancia in giù, il reggiseno slacciato nella speranza di abbronzarsi almeno un pochino. Regina guardava il cielo e aveva le vertigini, non c'era una nuvola e l'azzurro brillante le faceva male agli occhi.
- Quest'estate non ci sono – disse Sevil a un certo punto.
Un momento di silenzio, le altre si ripresero dal torpore, Lidia si tolse le cuffie e si mise a sedere. Tre paia di occhi su Sevil.
- Cosa? Perchè?
- Andiamo a Istanbul, dai nonni. Partiamo appena cominciano le vacanze.
- Allora dobbiamo fare la gita il prima possibile.
- Mi dispiace un sacco.
- Ma no, tranquilla. Non è colpa tua!
Silenzio. Sevil con gli occhi fissi sulla sabbia, le altre imbarazzate e tristi.
Alla fine Anna Mae sospirò e disse:
- Sev non fartela prendere male, dai! Non sai cosa darei per andare in Turchia! Ci sono i tuoi cugini poi, insomma dai, non è così male! Io invece mi becco una settimana a fare da babysitter ai miei nipoti stupidi. Sette giorni con dei bambini, io.
Le altre risero, anche Sevil. Regina ammirava tantissimo il modo in cui Anna Mae affrontava la sua famiglia. La sopportava e ne rideva, e non se la prendeva mai perché ormai aveva imparato che non serviva a nulla. Regina avrebbe voluto essere più come lei, più stoica e inflessibile, ma finiva per addormentarsi piangendo dopo ogni cena di famiglia dove si parlava di omosessuali (“Non ho nulla contro di loro, ma ormai è come una moda! Dalla parrucchiera quella signora che pulisce in chiesa ha detto che una che conosce ha una figlia che dice di essere bisessuale! Una ragazzina!”) o della teoria gender – da quando sua zia aveva scoperto la cosa non faceva che parlarne, male ovviamente – o, ancor peggio, dei vegani (“Sono sempre così presuntuosi, si credono meglio di noi perché mangiano tofu o altre robe da capre!”). I suoi genitori non erano interessati a nulla che si allontanasse dal normale stile di vita dell'occidentale medio, tutto ciò che era particolare o stravagante non li toccava, e non ci pensavano nemmeno. Finché si trattava di altre persone, altre famiglie. Che la loro figlia fosse lesbica e che stesse con una vegana lo avrebbero scoperto troppo tardi, quando Regina e Anna Mae ormai convivevano da qualche anno e stavano insieme da molto e avevano iniziato a pensare al matrimonio. I genitori di Regina erano andati a trovarle per festeggiare i ventisette anni della figlia. Suo padre aveva il completo buono, quello che usava per andare a messa, la cravatta bordeaux che gli avevano regalato le sue donne – come gli piaceva chiamare sua moglie e Regina – mentre sua madre era stata ore davanti all'armadio aperto, prima di scegliere le scarpe di Chanel nuove e il suo vestito elegante a fiori. Seduti sul divano nell'appartamento di Regina e Anna Mae, quando la madre di Regina chiese, sorridendo gentile, se almeno Anna Mae il ragazzo ce l'avesse, mancò poco che avessero entrambi un infarto: l'espressione sorpresa di Anna Mae e la risata di Regina (“No, certo che non ce l'ha, mamma! È la mia ragazza, sarebbe imbarazzate se avesse un ragazzo, no?”).

- Potremmo andare al mare dalla mattina alla sera, eh? - disse Anna Mae dopo un lungo silenzio.
- La mia casa in campagna è libera per tutto giugno, se volete possiamo andarci anche per una settimana. Non c'è molto, ma è carina. - disse Regina.
- Dev'essere carino in campagna! - disse Sevil con un piccolo sorriso.
- Oh, sì! Quando ero piccola adoravo andarci! Ci sono tipo dieci case e il paesino più vicino è a un quarto d'ora a piedi da lì, però ha il giardino più carino del mondo! È piccolo ma ci sono le margherite e le campanule blu e nel giardino vicino c'è questa siepe di rose gigantesca!
Anna Mae stava per dire qualcosa, quando le squillò il cellulare. Era sua mamma, che voleva sapere cosa voleva per pranzo. Due eterni secondi di panico dopo, si ricordò cosa si erano accordate di dire (“Mamma, senti, si mangia fuori. Dobbiamo studiare, si va in biblioteca. Non so quando si torna, però.” “Ah, ok allora. Divertitevi!” “Ah ah ah, grazie mamma”) e tutto filò liscio. Appena riattaccò le altre iniziarono a ridere.
- Perché non glielo avevi detto prima? - disse Lidia.
- Perché lo decidiamo sempre all'ultimo! Sarebbe stato sospetto!
- Di sicuro, guarda.

 

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Capitolo 5
*** V ***


V


All'una faceva parecchio caldo, il sole era alto sopra le loro teste e le ragazze si pentirono di non aver portato un ombrellone. Nonostante l'afa, ci misero mezz'ora per alzarsi dagli asciugamani e un'eternità per decidere cosa portarsi dietro. Pranzarono in pineta, sedute a un tavolo da picnic, con il leggero terrore di essere invase dalle formiche. Si erano portate panini, frutta – un sacco di frutta – e litri di acqua. Anna Mae aveva anche una bottiglia di acqua aromatizzata che in teoria avrebbe dovuto aiutare contro lo stress, ma essendo Anna Mae stressata sempre e comunque, non pareva funzionasse poi molto. Mangiarono con tutta calma, sedute scomposte, chiacchierando. Si lanciarono palline di mollica di pane, e Sevil quasi soffocò, ridendo mentre beveva. Lidia e Anna Mae stavano improvvisando un duetto stonato di Peach dei Front Bottoms, quando Regina ricevette un messaggio e dopo aver visto il mittente si rifiutò di leggerlo. Lo fecero le altre al posto suo e dalle loro espressioni capì di aver fatto bene ad averne paura.
- “Ieri notte ti ho sognata, eravamo insieme nel bosco e guardavamo le stelle. Ce l'avevo durissimo quando mi sono svegliato!! vediamoci qualche volta” - lesse ad alta voce Lidia, ridendo – Aiuto, che cazzo di problemi ha questo?
- O mio Dio, ve lo giuro, se mi scrive un'altra volta vado sotto casa sua e lo picchio talmente forte che lo staccano dal marciapiede con la paletta!
- Ma chi è? Quello dei capellini di nuovo?
- No, magari! Uno che ho conosciuto al campo estivo tipo due anni fa. È disgustoso, veramente. Ogni volta che mi chiede cosa sto facendo e glielo dico mi fa: che faresti se fossi lì con te? Con tanto di faccina ammiccante. Che schifo!
- Digli che sei lesbica, scusa. Lo dico io che non lo sono, quando mi rompono le palle! - disse Sevil.
- Ci ho provato: mi ha chiesto come facessimo sesso. E dei video.
- Bloccalo, Regs. - disse Anna Mae.
- Mi scriverebbe da qualche altra parte o dal cellulare di un suo amico. Non ho scampo.
- Tranquilla, gli mando una maledizione, una di quelle stronze, sai, tipo che si piscia addosso ogni volta che vede una macchina o qualcosa del genere!
- Ti prego, Lids! Ti scongiuro fallo!
Sospiri e risatine.
- La quarta regola non mente mai. - disse Regina alla fine, con la testa tra le mani.
Le regole dalla Sorellanza delle Vergini (il nome completo, e ironico, dato che due di loro non lo erano, una sosteneva fosse una disgustosa invenzione del patriarcato, e l'ultima semplicemente non era interessata a rapporti intimi con altre persone) erano scritte nel loro diario in penna azzurra glitterata, nella calligrafia elegante di Anna Mae:

 
1) dirci sempre la verità
2) una volta al mese almeno fare qualcosa tutte e tre quattro insieme [corretta dopo aver conosciuto Regina e averla ammessa alla Sorellanza]
3) un a day-trip?? gita di un giorno all'anno in un posto figo [riscritta da Lidia]
4) i ragazzi fanno schifo
5) Lidia è una strega [aggiunta dopo l'incidente di Lee, con una penna blu non glitterata]

In verità Lidia non era una strega né possedeva poteri divinatori, ma le piaceva credere di non esser del tutto come le altre persone e trovare un lato soprannaturale nelle piccole cose che non capiva, dalle nuvole che sembravano volti urlanti a gatti neri che la seguivano per strada. La sua fama di strega la rendeva misteriosa e strana, e questo le dava un senso di potere e di sicurezza che le dava forza. La sua fiducia fu una solida base per la sua autostima, e il suo distratto riconoscere di non essere poi così brutta divenne un malcelato orgoglio di essere prima carina e infine bella. Così quando quindici anni dopo, mentre era in vacanza, seduta nel suo abito azzurro non-ti-scordar-di-me fuori da un grazioso caffè parigino, un cameriere che lavorava per pagarsi gli studi all'École nationale supérieure des beaux-arts le disse che era bellissima e lei gli disse di saperlo (“oh, lo so” in tono gentile e malizioso), lui rise un sacco e la invitò a uscire e lei accettò. Era un ragazzo buono e romantico, gli occhi neri sempre sorridenti, il suo accento straniero pesante che la faceva ridere tantissimo. Si innamorò del sorriso di Lidia, dell'espressione sognante che le illuminava il volto ogni volta che parlava di Harry Potter (cosa che faceva spesso), della sua fama di strega di quando andava al liceo. Le chiedeva di raccontargli tutto di lei, della sua vita, delle sue amicizie, la ascoltava e la faceva ridere, la dipingeva spesso e le ripeteva così tanto che era il suo amore che quando era piccola la loro figlia pensava che il nome di sua madre fosse “amore mio”. Vissero insieme per diciotto felicissimi anni, sedici dei quali con la loro figlia, Junie. Quando Lidia morì – aveva quarantacinque anni e un cancro che la divorò in poche settimane – lui dipinse diciotto albe e nessun tramonto: a lei i tramonti non piacevano, le mettevano tristezza e i colori erano troppo accesi. Lui finì la sua vita da solo nella loro casa in campagna, fece del curare il giardino tanto amato da Lidia la sua missione, e gli riuscì difficile amare qualsiasi persona nella sua vita, tranne la figlia – gli occhi luminosi e il portamento elegante della madre – che si trasferì all'estero per lavoro ma non perse mai i contatti con il padre.
 

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Capitolo 6
*** VI ***


VI


Dopo aver pranzato, digerito e sonnecchiato, decisero che era ora di andare a farsi un bagno. Si avvicinarono speranzose all'acqua, si bagnarono i piedi e Regina, gridando, tornò a corsa sulla sabbia asciutta (“Ma è troppo fredda! Siete pazze!”). Le altre la presero in giro e alla fine la convinsero a entrare, e mentre camminava un passetto alla volta, lenta e tremolante, verso di loro, Sevil la raggiunse e la spinse in acqua. Un lampo del biondo dei capelli in aria e dell'azzurro elettrico del costume, Regina cadde urlando e appena fu completamente bagnata iniziò a insultare Sevil, che qualche metro più indietro rideva soddisfatta. Quando Regina si alzò e fece per rincorrerla, trovò delle alghe e scivolò cadendo di nuovo in acqua. Tra risa e maledizioni, solo Anna Mae si avvicinò per aiutarla e le sorrise quel suo sorriso dolce che non le aveva mai visto rivolgere ad altri. Regina le sorrise a sua volta e, ignorando i commenti delle altre due (“Mi fate venire il diabete!”), le prese la mano e si tirò su. Le venne in mente come, giusto due anni prima, si sentiva fuori posto con le amiche di Anna Mae e non riusciva a immaginare che fossero anche sue amiche, che la trattassero con quella confidenza rilassata e quell'affetto sincero come mai nessuno aveva fatto. Ripensò al giorno in cui Anna Mae le aveva presentato le altre e si era sentita in imbarazzo davanti a loro, così unite che sembravano sorelle.
- Ti ricordi quando mi hai fatto conoscere Sev e Lidia? - chiese ad Anna Mae, una volta stabile sulle sue gambe e lontana dalla chiazza di alghe.
- Sì, Lids pensava le avrei presentato il mio ragazzo.
Anna Mae aveva chiesto aiuto alle sue amiche, prima di chiedere a Regina di uscire. Non aveva specificato a chi lo volesse chiedere, però, e loro non erano state troppo insistenti – più che altro grazie a Sevil, che aveva tenuto il segreto che Anna Mae le aveva confidato quando avevano quattordici anni e non voleva uscire con un ragazzo simpaticissimo e carino del loro anno. Si erano conosciute tramite un'amica comune, Anna Mae e Regina, e durante un'assemblea si erano sedute vicino e avevano passato due ore a cercare di non ridere ogni volta che il professore che parlava del postimpressionismo si perdeva nelle sue stesse frasi. Avevano iniziato a incrociarsi dappertutto e piano piano avevano cominciato a parlarsi e conoscersi. Quando, una mattina d'aprile, Anna Mae incontrò Regina da sola al parcheggio dietro la scuola, dovette raccogliere tutto il coraggio che aveva in corpo prima di chiederle se uno di quei giorni avesse voluto andare a fare un giro o a vedere un film insieme a lei perché le piaceva davvero tanto e stare insieme a lei era sempre così bello. Regina rimase lì, non di sasso – come pensò con terrore Anna Mae – ma solo sorpresa.
- Uscire insieme tipo un appuntamento o così a caso? - chiese Regina senza nemmeno accorgersene.
- Oh, ehm, non lo so! Cioè decidi tu! - disse Anna Mae, che voleva solo sotterrarsi.
- Oh, beh, allora... appuntamento? Insomma, sempre se è ok! - disse Regina, che si sentiva una perfetta idiota a chiedere alla ragazza che le aveva chiesto di uscire per un appuntamento se voleva uscire per un appuntamento.
- Certo! Perfetto! Decidi tu cosa vuoi fare, per me va bene tutto, se vuoi ci mettiamo d'accordo dopo o ci sentiamo oggi pomeriggio, eh?
- Okay, se vuoi posso darti un passaggio al ritorno e decidiamo.
- Grazie mille, davvero!
E si incamminarono verso scuola senza riuscire a smettere di sorridere, rosse in viso e col cuore a mille.
Il buonumore di Anna Mae, fatto più unico che raro, sopravvisse anche alla cena con la famiglia di suo fratello – lui era pieno di sé, la moglie noiosa, i bambini iperattivi – e non si guastò nemmeno dopo le numerose battute di suo padre sul fatto che finalmente la vedessero sorridente e felice.
Per Regina fu un'ottima serata, pizza per cena e sua madre le chiese se le andasse di accompagnarla alla spa la settimana dopo. Una volta finito di sparecchiare, Regina salì in camera sua per studiare (“Ho della roba di matematica da finire” “Tranquilla tesoro, vai pure”) e chiuse a chiave la porta. Sopra ai libri lasciati lì da metà pomeriggio aprì il suo diario e col cuore che si dimenava nella cassa toracica come se volesse scappare, scrisse:
ANNA MAE MI HA CHIESTO DI USCIRE!!!! A me!!! lei che è bellissima e intelligente e interessante e simpatica!!! ha chiesto di uscire a me!! e quello stronzo di L. le va dietro da mesi!!!! sono così felice che potrei morire, ma preferisco morire dopo esser uscita con lei. È sempre così carina, poi quando si veste di azzurro o di rosa mi piace un sacco perché ha la pelle veramente nera e sembra una ninfa splendente!! Oddio non ci posso credere. Sono troppo fortunata!

 

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Capitolo 7
*** VII ***


VII

 
Nella tasca interna del diario della Sorellanza c'era una cassetta, motivo principale per cui ci voleva veramente molta pazienza per chiuderlo per bene. Era stato uno dei primi apporti di Regina al diario: suo padre aveva un vecchio registratore portatile che funzionava con le cassette. Aveva fatto un lavoro eccezionale, ci era stata tantissimo ma ne era valsa la pena. C'erano Let It Be e Hand In Glove (“È tipo su due gay no?” “Boh io pensavo fosse su una prostituta che ha un ragazzo.” “Boh”), La Valse D'Amélie, I'm Kissing You Now e la registrazione fatta a scuola di una conversazione tra loro quattro e una loro amica, Lea.

[fruscii e voci indistinte]
Regina: Sta registrando secondo voi?
Lea: Penso di si, la lucina rossa è accesa.
Lidia: Sevil ha il ragazzo e non ci dice chi è!
[risate, grida di meraviglia e sgomento ]
Anna Mae: Guarda 'sta stronza!
Sevil: Fatevi i cazzi vostri ok?!
Lidia: Regola uno, stronzetta!
Anna Mae: E regola quattro!
Sevil: Ma state zitte, sul serio, rompipalle che siete!
[Lea ride]
Lea: Lo conosciamo?
Sevil: No.
Regina: È figo?
Sevil: Già.
Lea: Che culo però, Sev. Io non ne trovo nemmeno uno sfigato!
Lidia: Tutti gli uomini sono sfigati.
Anna Mae: Oh, ma falla finita, Lids!
Lidia: Posso anche stare zitta, le cose non cambiano!
Lea: Sev, devi dirci qualcosa.
Sevil: [Sospira] No?
Lea: Dove vi siete conosciuti?
Sevil: Al parcheggio della biblioteca, mi ha quasi distrutto la bici con la moto.
[Risatine]
Sevil: È sceso e mi ha chiesto scusa e mi ha offerto un caffè. Ho accettato solo per il caffè.
Anna Mae: Sì sì, come no! E poi?
Sevil: Era meno peggio di quello che mi aspettavo.
Regina: Menomale, però. Che bello.
Lea: In ogni caso, se dovesse rivelarsi uno stronzo, lo pestiamo.
Sevil: Oh, siete troppo gentili!
Lidia: Per te questo e altro. Siamo come sorelle, o tipo le cacciatrici di Artemide, che vivono insieme e tutto.
Anna Mae: Siamo cacciatrici vergini!
[Ridono]
Lidia: Simpatiche che siete! Ho ragione, comunque, e lo sapete anche voi, stronze cacciatrici vergini che non siete altro.
[Fine della registrazione, fruscii che sfumano in Blue di Marina And The Diamonds]

“Stronze cacciatrici vergini” era il motivo per cui, delle tante conversazioni che aveva registrato, Regina aveva deciso di metterci questa. La faceva ridere e le piaceva immaginarle in un bosco al seguito di Artemide, armate di arco e frecce – non ad uccidere animali, però. Furono le stesse parole che disse Sevil mentre una accanto all'altra facevano il morto in acqua, galleggiando fianco a fianco, gli occhi al cielo. Il grido di battaglia seguito da Sevil in piedi nell'acqua, intenta a schizzare le altre, diede inizio a una lunga lotta tutte contro tutte. Rumorose e felici, continuarono la loro guerra, con Anna Mae che perse il pezzo di sopra del costume mentre Regina la spingeva in acqua, Sevil che si fermò un momento ad urlare “C'È UNA CAZZO DI MEDUSA” quando in realtà era un sacchetto di plastica, e le altre che si buttarono tutte insieme su di lei, finché Lidia non rischiò di affogarla sedendosi sopra di lei. Sevil ricambiò tirandola per i piedi da dietro quando la pace era stata fatta, mentre chiacchierava tranquilla di scarpe con Anna Mae e Regina.

 

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Capitolo 8
*** VIII ***


VIII


Erano le 17:30, Regina lo vide dal cellulare mentre cambiava canzone. Le prese male a pensare che presto avrebbero dovuto salire in macchina e tornare a casa. Le sembrava di essere in paradiso, un piccolo angolo di paradiso che apparteneva solo a loro, che sdraiate sulla sabbia calda in silenzio non si rendevano più conto dello scorrere del tempo. Regina stava ascoltando la musica insieme a Anna Mae, Sevil a pancia in giù leggeva una rivista, una gamba distesa e una piegata, Lidia scarabocchiava sul loro diario. Non avevano niente di cui preoccuparsi, non avevano niente da fare, non stavano che bene.
Mentre Sevil stava alzando la testa dalla sua rivista per leggere alle altre l'oroscopo, vide due ragazzi che tornavano alla macchina e, prendendo lo sguardo di Sevil per un invito, si fermarono per fare due chiacchiere.
- Ciao! – dissero.
- Ciao – disse Sevil.
- Che fate di bello?
- Nulla.
- Uhm.
Uno dei ragazzi pensò: “Che sfiga trovarle solo ora! Avremmo potuto passare il pomeriggio insieme!”. Una delle ragazze pensò: “Ma che cazzo vogliono questi da noi?”.
- Avete saltato scuola per venire al mare, eh?
- Anche se l'avessimo fatto non lo verremmo a dire a voi, - disse Lidia – e poi sono tipo le sei ormai, non so che orari avessero le lezioni quando andavate voi al liceo, ma le nostre sono finite da un pezzo.
I ragazzi risero, divertiti. Avevano almeno venticinque anni, non erano nemmeno brutti, ma per Lidia erano solo sfigati. Dal modo in cui erano tutti contenti di parlare con delle ragazze molto più piccole di loro a come si credevano tanto simpatici – e a quei bermuda a fiori inguardabili. Odiava i ragazzi in generale, di quelli che conosceva non ne avrebbe salvati che uno o due. Le dispiaceva un po' che né Anna Mae né Regina odiassero con il suo stesso ardore gli uomini, ma trovava il suo conforto in Sevil, acida e cinica come lei, che disprezzava la maggior parte del genere umano, trovandolo quando troppo di strette vedute, quando troppo rumoroso, quando troppo attaccato all'idea di normale e di convenzionale. In cima alla loro lista nera c'erano gli adolescenti maschi bianchi e etero, e quando Sevil presentò alle altre il suo misterioso ragazzo, furono tutte stupite che cadesse proprio in quella categoria.
Il ragazzo di Sevil era bello, e la sua gentilezza compensava i suoi interessi banali – sport, auto, birretta con gli amici – e questo era bastato perché Sevil facesse un'eccezione. Con lui si sentiva felice: la trattava bene, la riempiva di complimenti, le faceva piccoli regali, la accompagnava nei posti, le faceva i compiti di inglese. Era convinta di aver trovato quello giusto. Si stava innamorando di lui e ne era entusiasta. L'amore la rendeva più socievole e di buonumore, così che Lidia era rimasta sola nella sua battaglia contro coccole e coppiette. Piano piano se ne accorsero tutti, che Sevil non era più acida come prima, non la ripugnava più il genere maschile, e non riusciva a non essere felice di aver conosciuto il suo Primo Amore. Lidia era combattuta tra l'esser felice che Sevil fosse felice, e l'esser triste per esser l'unica delle quattro a non uscire con nessuno, a non conoscere nemmeno qualcuno degno di una cotta.
Per quanto Sevil fosse entusiasta del suo ragazzo, lui lo era doppiamente. Era felice una volta con Sevil e una con Kala, la compagna di classe che frequentava ormai da anni. Riuscì a destreggiarsi tra le due per sette interi mesi, ma alla fine decise di affrontare la merda umana che era – le parole che Sevil aveva usato per spiegare la cosa alle altre – e confessare i suoi crimini alle due ragazze. Kala la prese meglio del previsto: non urlò, non se ne andò, non lo picchiò nemmeno. Sevil le piaceva e non sapeva bene perché, ma non voleva fare una scenata davanti a lei. Sevil cercò di non piangere mentre capiva quanto si fosse illusa in quei mesi, ma non ce la fece. Pianse e singhiozzò per qualcosa come un'ora intera, mentre gli altri due tentavano di consolarla (“Va tutto bene, tesoro, non piangere per questo stronzo!” “Dai, Sev, non piangere per favore!” “Stai zitto, verme. Non parlarle”). Quando non ebbe più lacrime, si ricompose e vide la situazione con più chiarezza. Per quanto lui le avesse mentito e l'avesse tradita – anche se tecnicamente era lei ad essere l'amante – non sapeva se sarebbe riuscita ad odiarlo.
Ci riuscì. Uscì con Kala e alla fine divenne una sorta di abitudine, insultarlo tra cucchiaiate di gelato e Bridget Jones. Quella con Kala si trasformò in un'amicizia duratura, e se da lì all'università la sorellanza non si fosse lentamente persa di vista, si sarebbe unita anche lei.
Mentre erano sedute sulla spiaggia, il 29 maggio, Sevil era ancora contenta del suo ragazzo, non riusciva a credere di aver incontrato qualcuno come lui e di provare qualcosa nei suoi confronti che non fosse disprezzo e vago disgusto. I due ragazzi che cercavano di essere simpatici e alla mano, ma che fallivano miseramente, il sole meno intenso, la sabbia tra le dita, i capelli crespi di acqua marina, tutto sembrava irreale, e lontano, veramente lontano dalla loro fuga, dalle facce stanche e annoiate dei compagni di classe, dall'orologio di plastica da due soldi sopra la lavagna che muoveva lento le lancette. Dovevano ritornare a casa, ormai era ora di andare, il cuore di Sevil si fece d'un tratto pesante e sospirò.
- Ragazze, dobbiamo andare.
- Che ore sono?
- Quasi le sei.
- Cazzo, di già?
- Sì.
I ragazzi sembravano vagamente delusi. La conversazione era morta e le ragazze non erano minimamente interessate a loro. Provarono un'ultima volta a stabilire un contatto, ma di nuovo fallirono.
- Noi andiamo via tra un'oretta, vi serve un passaggio?
- No, abbiamo la macchina al parcheggio.
- Oh, ok.
Le ragazze passarono il viaggio di ritorno quasi in silenzio, come in rispettoso ricordo della giornata trascorsa. Erano stanche ma felici, ancora piene di sabbia e del rumore del mare. Lidia si appisolò, la testa sulla spalla di Sevil. La musica a volume basso faceva da malinconico sottofondo al ritorno a casa. Guardavano fuori dal finestrino e ogni tanto commentavano il paesaggio (“Un cavallo!” “Il tizio nella macchina accanto si sta scaccolando!”), ridevano un poco ma poi calava nuovamente un pesante silenzio pigro. Quando arrivarono a casa – prima Lidia, poi Anna Mae, poi Sevil e infine Regina – si fecero la doccia e cenarono senza dire molto della loro giornata. Una volta a letto ripensarono con un largo sorriso a quelle ore di felicità rubate alla scuola e allo studio. Era stata proprio una bella idea.
“Da rifare” fu l'unica cosa che Regina scrisse sul suo diario, prima di metterlo insieme alla penna sotto il cuscino e addormentarsi.  

 

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Capitolo 9
*** IX ***


IX


L'ultima volta che si incontrarono tutte e quattro insieme fu quasi una coincidenza. Avevano ventidue anni. Dopo l'ultimo anno di liceo fu sempre più difficile passare del tempo assieme e tenere viva la loro amicizia. Senza sapere bene come o perché, smisero via via di scriversi, di telefonarsi. Ci tenevano tutte alla loro amicizia, ma avevano talmente tante cose per la testa e talmente tante novità nelle loro vite, che non ce la fecero a mantenere i contatti. Studiavano cose diverse in città diverse; all'inizio avevano aggiunto una nuova regola alla Sorellanza:

 
6) incontrarsi ogni due settimane [scritto da Regina con una penna quasi finita]
 
ma dopo i primi mesi dovettero cambiarla in

 
6) incontrarsi ogni due settimane una volta al mese [penna rossa a gel, calligrafia di Regina]


purtroppo però, non riuscirono a rispettare a lungo nemmeno questa. Trovare un giorno in cui fossero tutte libere diventava sempre più difficile, stressante e inutile – una volta il treno di Anna Mae e Regina ebbe un guasto e ci misero quattro ore a tornare a casa, quando le altre due ormai dovevano ripartire, una per la festa di compleanno del nonno, l'altra per delle lezioni. Alla fine avevano semplicemente smesso di vedersi.
Ci soffrirono tutte, in modi diversi. Anna Mae e Regina, che vivevano insieme con altri due ragazzi in un appartamentino squallido a venti minuti dall'università, non si sentirono troppo sole: si consolavano a vicenda e si facevano forza l'un l'altra. Il carattere amabile di Anna Mae e la vivacità di Regina permisero loro di farsi presto nuovi amici, che però non sostituirono la Sorellanza, nemmeno un po'. Sevil prendeva il treno ogni mattina e tornava a casa stanca morta, il malumore era diventato parte di lei, ma aveva al suo fianco la gentile e leale Kala, che a suon di mousse au chocolat e lunghi abbracci la tirava su. Lidia invece stava da sua nonna, vecchina ficcanaso e pettegola, per quanto dolce e simpatica, e non vedeva l'ora di fare un anno all'estero. Pensavano tutti che le avrebbe fatto bene cambiare aria: non riusciva a farsi degli amici, o meglio, non ne cercava neanche, si addormentava piangendo perché le sue amiche le mancavano e non era possibile che nessuna di loro si volesse sforzare un pochino in nome della Sorellanza. Aveva tenuto lei il diario, e lo custodiva gelosamente. Ogni tanto lo apriva e lo sfogliava, guardando con rimpianto quelle pagine piene di cuori, fiori, poesie e foto. Quando salì sull'autobus, dopo il loro ultimo incontro, si mise a piangere, tra gli sguardi preoccupati e imbarazzati della gente.
Erano andate tutte a trovare Lea, che aveva avuto uno splendido bambino di 3,2 kg. Le aveva invitate quando era tornata a casa, felice e un po' spaventata. Il suo ragazzo era innamorato del loro bambino, e non faceva che guardarlo con un sorriso ebete sulla faccia. Non volevano sposarsi – Lidia pensò che fosse un peccato, perdere un'altra occasione per stare tutte e quattro di nuovo insieme a parlare di matrimoni e vestiti da sposa e bouquet. Era il 23 aprile, il tempo era bello e il bambino allegro, quando il campanello sorprese Lea e Lidia che parlavano di tutto e di nulla attorno alla culla. Erano Sevil, Anna Mae e Regina: si erano incontrate al portone, davanti ai citofoni. Avevano regali per il neonato e per Lea – Le fiabe di Beda il Bardo, una tutina verde acqua, fiori e cioccolatini. Furono accolte con baci e abbracci a non finire, passarono almeno tre ore a chiacchierare, raccontandosi delle loro vite, sedute sul divano tra tazze di tè e biscotti e giocattoli e pappette.
Quando se ne andarono, insieme, si fermarono un po' vicino all'auto di Regina, parcheggiata lì davanti. Si abbracciarono ridendo e Lidia fu grata di non aver pianto, non in quel momento almeno. Chiacchierarono ancora qualche minuto, dicendosi cose che non avevano importanza, senza riuscire a dire le parole più sincere (“Mi mancate un sacco, non ce la faccio ad affrontare un altro anno senza di voi, vi prego non perdiamoci di vista, vi prego, vi prego, Dio aiutaci” pianse Lidia nel cuscino quella notte). Si diedero appuntamento per un caffè da qualche parte uno di quei giorni, ma tutte sapevano che non ci sarebbero mai andate. Si salutarono con un ultimo, lunghissimo e straziante abbraccio, poi salirono chi in macchina chi sul bus, dirette ognuna verso la propria vita, più felice e serena di quanto avrebbero mai immaginato.

 
Fine

 
Nota: ringrazio di nuovo chi ha letto e/o commentato e sono felicissima di essere arrivata al primo posto :) 
 

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