White Rabbit

di acchiappanuvole
(/viewuser.php?uid=12012)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** redballoon ***
Capitolo 2: *** Lizard ***
Capitolo 3: *** Ritalin ***
Capitolo 4: *** Ink ***
Capitolo 5: *** Alice Pleasance Liddell ***
Capitolo 6: *** bycicle ***
Capitolo 7: *** Doris Day baby ***
Capitolo 8: *** pin butterflies ***
Capitolo 9: *** no way back ***
Capitolo 10: *** rag doll ***
Capitolo 11: *** Bye, bye baby. Remember you're my baby ***



Capitolo 1
*** redballoon ***


~~When logic and proportion
have fallen softly dead
and White Knight is talking backwards
and the Red Queen'soff whit her head
Remember what the doormouse said:
"Feed yuor head!"
"Feed your head!"

-White Rabbit; Jefferson Airplane-


Guida creata da il blog di Lisa.


Quando era tardi, prima di prendere il Ritalin ed infilarsi a letto, prima che il Ritalin finalmente lo stendesse, Dallas andava in bagno e si inginocchiava davanti alla tazza. Ma non veniva mai fuori niente. Non riusciva a sopportare l'idea di ficcarsi un dito in gola; se ci fosse riuscito, sapeva che si sarebbe sentito meglio. Si sarebbe ripulito. Non si sarebbe sentito così pieno, e forse non sarebbe stato così schifosamente. Dallas sputava nella tazza e tirava l'acqua e tornava a letto, aspettando di addormentarsi.
All'epoca aveva ventuno anni e soffriva d'insonnia; da poco meno di due settimane si faceva di coca. Fatto la mattina, fatto la sera. Non era mai stato un ragazzo problematico. Buoni voti a scuola, una condotta soddisfacente, amici puliti. La classica vita di un figlio di buona famiglia, con un tetto sopra la testa, genitori realizzati e un fratello minore talmente carino da costringerti a rimirarti allo specchio storcendo il naso.
Talvolta si diceva che una famiglia sarebbe stato meglio non averla perché, in quel modo, il peso delle aspettative non lo avrebbe inesorabilmente schiacciato.
Faceva il barista al Salvador Blanco, un locale  come ce ne sono a migliaia nelle strade di Santa Monica, di proprietà di un messicano che aveva fatto fortuna -secondo voci indiscrete- con affari poco puliti.

-Sei mai stato innamorato Dass?-
-Nah-
-Mai?-
-No!-

E sembrava vero che non fosse mai stato innamorato; Dallas non riusciva a ricordare di avere mai  provato un attaccamento reale e sincero verso qualcuno. Non riusciva a ricordare niente al di là del puro e semplice bisogno.
Niente di davvero forte. C'erano un sacco di tipe con cui gli sarebbe piaciuto scopare - o che avrebbe scopato, se ne avesse avuta l'occasione- diavolo! Se era per quello avrebbe praticamente scopato chiunque.
Ma c'era davvero qualcuno - c'era mai stato qualcuno- che lui avesse mai desiderato con tutto se stesso?
Quando era tardi e le pasticche tardavano a fare il loro effetto, avrebbe voluto essere di nuovo al Salvador Blanco. Perché il Salvador Blanco gli piaceva: il fumo, il jukebox, le scommesse, i biliardi, le ombre dei patti illeciti. Un mondo poco cristallino, un mondo esaltante di vizi, dove se sapevi farti rispettare diventavi veramente qualcuno. Sì, per Dallas quello sciabordare ambiguo di pericolose attività era l'ancora di salvezza dal vialetto con aiuole di casa sua, dall'amore soffocante di sua madre, l'eccessiva aspettativa di suo padre, e dagli occhi ammirati di suo fratello.
Un'enorme bugia! Tutto quello che loro gli dipingevano addosso era un'enorme bugia!
Al Salvador Blanco Dallas ci lavora da tre anni. Un lavoretto come un altro per mantenersi da solo l'università, aveva detto ai suoi. Era entrato  un pomeriggio per bere qualcosa e in pratica non ne era più uscito. Francisco lo aveva assunto dopo nemmeno cinque minuti di colloquio.
-Sai versare da bere e tenere la bocca chiusa?-
-Sì-
-E allora puoi venire a lavorare qui-

Stop.
Dallas si era distinto, tutti chiedevano di lui. Perché Dallas aveva servito da bere a caio che a suo volta si riforniva di roba da tizio, e tizio era uno di quelli tosti e non lo spacciatorucolo da vicolo buio. Quindi Dallas poteva procurarla buona la roba, talvolta era riuscito anche a surclassare Francisco e a guadagnarci sopra senza che l'altro sospettasse niente.
Oh sì. Dass era proprio tagliato per l'esaltante mondo parallelo.
E adesso che ha ventuno anni e la droga che gli scorre nel sangue, Dass sente che può intraprendere il volo folle verso la downtown e diventarne il signore, le palle non gli mancano e di scrupoli ormai non sa più che farsene.
E' sempre questo che si racconta dopo che alza le ginocchia dalle piastrelle e tira l'acqua del water.
Notte dopo notte.
E' un rito. Il rito del vorrei ma non posso.
Il rito che ha per colonna sonora la musica dello stereo di Lawr.
Lawr che dorme nella stanza accanto e lascia che la musica vada per tutta la notte senza che mamma o papà dicano niente. Perché Lawr è Lawr. Una testa bruna di  tredici anni, con gli occhi verdi che guardano distante e la mente  persa in un mondo tutto suo dove nessuno della famiglia pare poter accedere.
O meglio, nessuno tranne lui  -per qualche incomprensibile concessione-.
Ora Dallas non lo ricorda bene, ma doveva aver avuto undici o dodici anni e Lawr cinque. Una domenica estiva suo padre li aveva portati entrambi al lunapark. E a suo padre Lawr già piaceva da impazzire all'epoca.
Così sensibile Lawr, con il viso da bambina, così bello, così interessato al mondo, così tutto!
Che fine faceva un anonimo ragazzetto come Dallas di fronte al "figlio scambiato dalle fate" come  sempre sua madre chiamava Lawrence.
Ad ogni modo, quel giorno in quel lunapark suo padre aveva comprato un palloncino a testa. Uno blu per lui e uno rosso per Lawr.
Ma Lawr se l'era fatto scappare, a forza di tormentare il filo legato al suo piccolo polso aveva finito per slacciarlo e lasciar volare via il palloncino. Dallas ricorda ancora il modo in cui gli occhi di suo fratello si erano ingigantiti in quello sgomento infantile che hanno i bambini che perdono qualcosa alla quale avevano subito attribuito un enorme valore.
Ora frignerà e ne vorrà un altro, si era detto Dallas, giocherellando con il suo di palloncino ben legato al polso robusto.
Lawr però non aveva frignato, era rimasto col naso all'insù non perdendo mai il palloncino di vista, come se continuando a guardarlo, a vegliarlo, il palloncino potesse pentirsi di aver spiccato il volo verso il suicidio celeste e ritornare quindi al polso del suo padrone.
A quel punto suo padre lo aveva richiamato da parte e Dallas si era già prospettato cosa il genitore volesse dirgli.
-Sei piuttosto grande per i palloncini-
-Sei stato tu a comprarmelo!-
-Altrimenti tu non lo avresti voluto?-
E Dallas aveva risposto con un'alzata di spalle.
-Tu sei un ometto, vero Dass? Non te ne fai nulla del palloncino-
Dallas a quel punto aveva fissato il suo bel palloncino blu; la sua navicella spaziale dove a bordo non c'erano fratelli minori e genitori votati a farti sentire in colpa perché il tuo maledetto palloncino sta ancora legato al polso mentre quello del tuo stupidissimo fratello ha pensato bene di filarsela.
-Tu sei un bambino generoso, non è così Dass?-
Certo, lui era generosissimo. Da quando quel marmocchio era arrivato gli era praticamente stata imposta la generosità. Dividere la stanza, i giocattoli, mangiare i cereali d'avena perché i fiocchi di cioccolato a Lawr non piacciono. Smettere di vedere le partite di baseball la domenica perché si doveva portare Lawr al parco, non guardare più la tv perché quei cartoni animati così violenti non erano educativi per Lawr, aiutarlo nei compiti scemi dell'asilo, farlo salire sul sellino posteriore della bicicletta e camminare sul lato esterno della strada e lasciare Lawr in quello interno, vicino al muretto, che almeno se una macchina deve stirare uno dei due meglio che tocchi al più grande.
Tutto doveva essere sempre e solo in funzione di Lawr.
Tanto che ormai il bambino aveva sviluppato una silenziosa dipendenza da lui che lo portava a seguirlo come un gatto, sempre alle calcagna.
Così, mentre suo padre lo istigava alla generosità che Dallas in verità non aveva ne avrebbe mai voluto avere, lui  liberava il braccio dal palloncino andando a legarlo su quello del fratello che, per la prima volta, distoglieva gli occhi dal puntino rosso nel cielo.
-Tieni! Questo è più bello!- aveva bofonchiato Dass, legandoglielo talmente stretto da rischiare di bloccargli la circolazione. Lawr lo aveva fissato a lungo e alla fine aveva sorriso. E da allora per Dallas non c'era più stata pace.

Mentre si rigirava nelle coperte dopo il secondo Ritalin, Dallas non riusciva ugualmente a chiudere occhio. La sveglia analogica lampeggiava le tre del mattino e il brusio di qualche canzone falsamente  rock lo innervosiva ogni secondo di più.

"Devi portare pazienza, lo sai che ha spesso degli incubi, se non ascolta quella musica rimane sveglio per tutta la notte"
"Lo credo bene che abbia degli incubi con quella merda che ascolta!"
"Dass per favore, in fin dei conti il volume è così basso che dubito tu riesca a sentirlo".

Oh invece lo sento mamma! Lo sento fottutamente bene il fottuto volume!
 Dallas si era alzato, stordito dal farmaco e dal nervosismo, irrompendo nella stanza di Lawr, lasciando che la porta sbattesse contro il muro. Il ragazzo sdraiato nel letto e svegliato di soprassalto si era ritrovato d'improvviso l'imponente figura del fratello maggiore davanti.
- Lo sai che esistono gli auricolari cazzo! Io lavoro! Non sono come  te che non combini niente dalla mattina alla sera, ho bisogno di dormire hai capito!- e così dicendo Dallas aveva staccato la presa dello stereo rischiando di farlo cadere.
-Scusa- un mormorio sommesso. Sono sei anni che Lawr dorme con lo stereo in attività perenne, di certo quell'improvviso scatto d'ira da parte del fratello era del tutto inaspettato e in qualche modo ingiustificato.
- Al diavolo le tue scuse! Hai tredici anni sarà anche ora che impari a dormire senza quella roba!- ed indicando lo stereo pericolosamente in bilico sul bordo del tavolo, Dallas uscì dalla stanza sbattendo energicamente la porta. Che ci provassero i suoi a saltar fuori con qualche paternale, sarebbe stato capace di zittirli per sempre.
Traballando per l'azione del farmaco si gettò nuovamente sul proprio letto, uno strano ronzio nelle orecchie che non proveniva da nessuna parte se non dalla sua testa.
- Dass...- un sussurro dapprima poi un tono più chiaro. Dallas si sforzò di alzare la testa verso la porta scorgendo Lawr sull'uscio. Ci mancava solo questa, si disse, rotolando sul materasso per mettersi dritto.
- Che vuoi?-
- Mi dispiace- la  voce di suo fratello aveva assunto quella fragilità tipica del pianto. A ben ricordare Lawr non aveva mai pianto nella sua vita se non a causa sua. Talvolta lo stato di dipendenza che il minore aveva sviluppato nei suoi confronti poteva essere paragonato allo stesso grado di dipendenza di Dass verso la droga.
- D'accordo ma ora tornatene a letto- Dallas bofonchia  la frase, i farmaci gli stanno rallentando la lucidità.
- Non riesco più a dormire. Lo sai che non ci riesco se non ascolto la musica-
- Ci...bah...ci devono essere le mie cuffie là sul comò. Prendile e attaccale al tuo stereo-.
- Se uso le cuffie la musica diventa troppo vicina, troppo vera. Non riuscirei a dormire ugualmente-
- Tu sei da psichiatra, lo sai?- così dicendo si spostò appena facendo un po' di posto sul letto.
 - Vieni qui, ma azzardati a fare casino e ti rispedisco in camera tua a pedate!-
Lawrence non se lo fece ripetere, raggiungendolo per posizionarsi al suo fianco. Dopo quell'attimo gli occhi di Dallas si chiusero per riaprirsi due ore dopo. Era inutile, qualsiasi farmaco ormai aveva una durata troppo breve per lui.
Cercò di sistemarsi meglio sul materasso ma Lawr gli si era arpionato addosso e dormiva troppo profondamente per rischiare di svegliarlo e riavviare così un'altra discussione irritante. Dass sbuffò sonoramente. Aveva il bisogno di farsi e quelle braccette magre glielo impedivano. Erano come due piccole catene che lo riconducevano a quello stato di prigionia dal quale non riusciva a liberarsi. Lawr gli si addossò maggiormente, incrociando una gamba nella sua e posizionando meglio la guancia sul petto di Dallas. Sembravano due amanti  che condividevano un letto troppo piccolo.
Dallas cercò di allentare la presa del ragazzino ma senza successo.
- Razza di piovra- borbottò finendo per passare le dita fra i capelli corvini di Lawrence. Non ricordava di averlo mai fatto nemmeno con una donna. Non concedeva tenerezze. Baci e abbracci l'avevano sempre infastidito, eppure con Lawr risultavano del tutto normali. Per un attimo ebbe l'atroce dubbio di poter essere in grado di spingersi oltre. Per rabbia, per lussuria, per rivincita. Come sarebbe stato approfittare del dolce Lawr e vedere la sua espressione di fiducia incondizionata sbriciolarsi in un terrore perpetuo?
Scosse la testa nauseato da sé stesso. Se c'era una sola cosa buona nella sua vita quella era Lawrence, perché affannarsi a volerla distruggere?
Eppure la tentazione c'era. Faceva parte della sua libertà poter distruggere tutto il mondo in cui si era ritrovato a crescere per poterne costruire uno proprio, senza pareti nitide o certezze scontate. Dallas era il caos, e in quanto tale necessitava del caos per riuscire a imporre se stesso. Era geloso della perfezione di Lawr tanto quanto ne era affascinato. Detestava tutto di lui tanto quanto lo adorava. Si trovava sempre combattuto in malati paradossi ben sapendo che un giorno lo avrebbero trascinato davvero verso qualcosa di estremo e di irreparabile. Una copia sbrigativa del giovane Olden. Una vita non vita. Sempre più spesso il disegno finale gli sembrava questo.

Alle 6.00 del mattino riuscì a liberarsi della calda morsa del fratello per potersi trascinare al bagno, svuotare la vescica, gettarsi in doccia. Era necessario trovare una soluzione immediata. Le pareti candide di casa erano diventate un controsenso alla sporcizia che gli si era depositata dentro. Perché il punto stava proprio qui. Dallas si sentiva sporco. E le droghe non gli erano servite di certo a cambiare questa sensazione, ma anzi l'avevano aumentata a dismisura. Si sentiva sporco nella mente, nei pensieri e nelle azioni. Ogni giorno peggio, ogni giorno più insopportabile.
Rientrò in stanza, Lawr disteso sul letto non dava segno di volersi svegliare, e a conti fatti era molto meglio così. Aveva un'aria serena, le labbra piegate in quello che poteva sembrava l'accenno d'un sorriso. Per Dass era insopportabile. Le sue notti facevano schifo e quello se ne stava beatamente spaparanzato ad usurpare il suo letto e a sognare chissà quali radiosi mondi.
- Fanculo!- ringhiò sedendo sul margine destro del materasso, lontano dalla presenza tiepida del fratello.
Qual'era la porta di confine da oltrepassare?
Si massaggiò la testa, gli occhi bruciavano di stanchezza e l'astinenza cominciava a pizzicargli il naso e a ribollirgli il sangue. Infilata una maglietta e dei jeans, Dass pensò di trovare rifugio in cucina. Sua madre tuttavia l'aveva preceduto e se ne stava ferma davanti la finestra con una tazza di caffè fumante e lo sguardo contemplativo.
- Giorno- Dass decise che fra sua madre e suo fratello forse era meglio la presenza della donna.
- Oh, giorno tesoro- lei lanciò uno sguardo rapido all'orologio rosso appeso al muro sopra il frigorifero - Sei molto mattiniero- sorrise - Ti preparo un paio di uova?-
Dass scosse il capo trovando improvvisamente interessante la piccola crepa sulla superficie liscia del tavolo. - No, basta un caffè -
- Scherzi?! E l'energia per studiare da dove la prendi! Ora ti faccio una bella omelette con bacon e dei pancakes -
- No mamma davvero, va benissimo solo il caffè -
- Ci metto un attimo. Abbondo con il bacon, ok?!-
In uno scatto il pugno di Dass andò a schiantarsi sul tavolo - Ti ho detto che bevo solo il caffè ci senti razza di stupida donna!-
La vide sgranare gli occhi, come quando un sasso colpisce la superficie ferma d'uno stagno creando un'increspatura sempre più vasta. Era sempre riuscito a controllarsi prima, ma l'astinenza urlava e i nervi non reggevano.
- Va bene. Solo caffè - disse la donna mantenendo una tonalità neutra per nascondere il turbamento.
- Mi dispiace-
-Non importa- sforzò un altro sorriso iniziando a pulire con un panno color limone la superficie immacolata del piano cucina.
- Mamma- Dass prese respiro, gridò mentalmente alla bestia dentro di lui di mettersi calma per cinque minuti. Il tempo di riottenere il perdono e mandare giù il caffè.
- Mamma davvero mi dispiace- si avvicinò alla donna che gli dava le spalle seguitando a passare il panno avanti indietro nello stesso punto. Dass la cinse con le braccia sussurrando un altro "mi dispiace" che ebbe quantomeno l'effetto di sentirla rilassare contro il suo petto.
- Non dovevo risponderti così. E' che sono nervoso ultimamente. Ho un sacco da studiare e talvolta mi sembra di non farcela-
-Dovresti lasciare il lavoro- contrariamente alle sue speranze il tono della donna non si era addolcito, sembrava impacciata come sempre accadeva quando era nervosa - Non hai bisogno di lavorare- proseguì
- Io e tuo padre paghiamo l'università e le spese perciò perché devi affaticarti con orari assurdi sottraendo tempo prezioso allo studio?- la sentì deglutire e la bestia dentro di lui gridò che era in trappola, che sarebbe bastato stritolarla tra le braccia come in una morsa.
- Lo so hai ragione- si sentì dire - Ma non mi va che dobbiate farvi carico di tutto-
Lei si voltò nell'abbraccio puntandogli addosso gli occhi, dello stesso dannato colore di quelli di Lawrence, per fissarlo con malcelata apprensione. Era una donna piccola, esile nella sua armatura di ossa e pelle bianca, sarebbe bastata una forte spinta per farla finire a terra e spaccarle la testa.
- I soldi non sono un problema e lo sai- gli posò ambo i palmi delle mani sulle guance e Dass avvertì il proprio corpo afflitto da un improvviso torpore, le gambe formicolavano e minacciavano un assurdo cedimento. - Se vuoi che te la dica tutta né a me né a tuo padre piace pensare che lavori chissà dove fino all'alba...-
- E' solo un bar per studenti mà...-
- Ti rende nervoso e stanco. Ultimamente stento a riconoscerti. Una volta non mi avresti mai risposto a quel modo...- e finalmente le vide le lacrime farsi largo in quelle iridi verdi e smarrite. Provò un vago senso di vittoria. L'abbracciò nuovamente e lei stavolta contraccambiò.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Lizard ***



Way back deep into the brain
Back where there's never any pain
And the rain falls gently on the town
And over the heads of all of us
And in the labyrinth of streams
Beneath, the quiet unearthly presence of
gentle hill dwellers, in the gentle hills around
Reptiles abounding
Fossils, caves, cool air heights
I am the lizard king
I can do anything

-Jim Morrison-


Sono verdi gli occhi di Lawrence. Sono verdi come l'erba del giardino potato all'inglese, come le foglie perfette degli ippocastani nel viale. Sono verdi e inghiottono, inghiottono tutto ciò che vedono per poi farlo riaffiorare come un cadavere che galleggia in una pozza limpida. E il paradosso scuote. Lawr rimane immobile nella sua ignara veste di simbolo di un mondo che Dallas sogna frantumato ma al quale non cessa di appartenere.
Quella di Lawr non è malizia, ancora non la conosce. Non si tratta nemmeno di mancanza d'affetto dato che, Dass ne è certo, i suoi spargerebbero petali di rose al suo passaggio. In verità non sa di che cosa si tratta. Che cosa voglia da lui questo ragazzino. Sono legati dal sangue ma è una congiunzione troppo debole.
E' combattuto. Ci sono due voci nella sua testa: una sussurra e chiede che rumore potrebbe mai fare un collo esile come quello di Lawr stretto forte tra le mani robuste di Dass. Un crack epico, questo è certo. Vedrebbe quegli occhi farsi più larghi dallo stupore o dall'orrore, appannarsi della condensa dell'anima e rimanere immobili. Oppure, suggerisce l'altra voce, potrebbe afferrarlo per i capelli e affondare la lingua in una bocca vergine ed il risultato sarebbe il medesimo.
- Devo andare al lavoro- Dass lo spinge da parte, uscire da quella stanza, da quella casa, non è mai stato così urgente, necessario.
- Avevi detto che oggi non dovevi lavorare- borbotta Lawrence  addossandosi al muro contro un poster dei Pink Floyd
- Mi ha chiamato il capo, pare ci sia casino e ha bisogno di una mano- si sorprende di dover giustificare quell'impellente bisogno di scappare; un animale braccato da qualcosa di nascosto in un angolo buio che minaccia di uscire e sbranare.
- E a che ora torni?-
- Cazzo ne so! Quando torno torno!-
Lawrence trascina i piedi, i pantaloni del pigiama sono troppo lunghi e gli finiscono sotto i talloni ad ogni passo; finirà col gettarsi sul letto a leggere fumetti che Dass affettuosamente chiama "trioiate" o ad ascoltare quella musica orrenda per dormire.
- Finiscila di ascoltare quella merda- lo apostrofa accucciandosi per recuperare da una scatola con lo stemma dei Lions un cd senza copertina.
- Datti a questa-
Lawr allunga una mano quasi titubante, come se la custodia del cd fosse un oggetto rovente pronto a lasciare il suo doloroso segno.
- Che cos'è?-
- Di sicuro roba migliore di quella che ti ascolti ogni sera- detto ciò non aspetta altre domande sicuramente pronte all'arrivo. Si getta sulle spalle una giacca scura, un drappo nero a coprire il quadro che nasconde l'orrore, poi giù per le scale, la porta d'ingresso. Il vialetto, il prato falciato, gli alberi  in fila come soldati di guardia. Quando sale in macchina si sente distrutto come se avesse corso per miglia senza mai fermarsi a riprendere fiato. Sotto il sedile, in un pacchetto di sigarette, Dass conserva le ultime pasticche. Solamente un paio. Scendono lungo l'esofago e attendono di risalire fino alla testa. Un ascensore veloce.
La macchina romba, ci vorrà  più di mezzora per arrivare al locale. Ma Dass sente l'adrenalina, il sangue scorre come un fiume in piena dentro le vene e casa diventa sempre più distante, sepolta dietro una nube di gas di scarico insieme a tutto quello che contiene.

La prima volta che aveva provato la droga, Dass lo ricorda bene, non era in un luogo malfamato fatto di pareti luride scrostate e neon traballanti. No. Era nella sua linda stanza, con il letto ben rifatto, i vestiti perfettamente ordinati nell'armadio e Foglie d'erba aperto sulla scrivania. Dopotutto Witman era stata la cosa più simile ad un trip mai avuta fino a quel momento. Una pastiglia giunta come una manna liberatrice. Difficile poi non provare anche tutto il resto.
Si sente euforico mentre sfreccia sull'autostrada, sente fondere il suo corpo con quello potente della macchina, la carne e l'acciaio fusi in una forza unica. E' perfezione. I limiti non esistono, l'asfalto è un fiume scuro domato, le luci delle automobili sono stelle smarrite in costellazioni monotone e lui, lui è l'astro che divora l'universo. Un universo che esplode in scintille di luce che confondono la vista, sospendono il tempo. Ma qualcosa si distorce. Qualcosa si perde. Dass avverte un ronzio fastidioso rimbombare nella testa, la nausea avanzare come una mareggiata imprevista..
"I fratelli si appartengono?"
Due occhi verdi sbucano dall'oscurità, sono frammenti di giada via via sempre più luminosi. Dass non percepisce più la strada, la direzione, probabilmente si è già andato a schiantare contro il guardrail come un fattone qualsiasi. Eppure quegli occhi non svaniscono, ma si fanno più piccoli, sono occhi di lucertola, fissi, immobili, spaventosi. Dass ferma l'auto sul ciglio della strada, quando spalanca la portiera fa appena in tempo a sporgere la testa che un conato e poi un altro lo costringono a riversare il suo idillio tossico sopra piccole macchie di sterpaglia.

 

Oh, by the way, if you'd really like to know, he went that way.
Who did?
The White Rabbit.
He did?
He did what?
Went that way.
Who did?
The White Rabbit.
What rabbit?
But didn't you just say - I mean - Oh, dear.
Can you stand on your head?

 

 


Lawr è seduto sulla poltrona di finta pelle. E' color seppia e Lawr l'ha sempre chiamata: "la cuccia del cane" poiché il suo Chow Chow immaginario non avrebbe scelto posto migliore sul quale spulciarsi se non  quel vecchio mobile anni 60. Ha le ginocchia al petto e sgranocchia patatine a ripetizione; è concentrato su di un film che avrà visto almeno un'ottantina di volte. La versione Disney di Alice in Wonderland. 
Dass si getta sul divano accanto alla poltrona. Il mondo ha un contorno fumoso, si appanna e disappanna ogni due secondi.
- Che guardi?-  e ride chiedendolo perché conosce quel film ma non ricorda il titolo.
Lawr gli lancia un'occhiata eloquente per poi tornare allo schermo.
-Sei stato tu a farmi vedere per la prima volta questo film-
- Ah si?- getta indietro la testa gli occhi non ce la fanno più.
- Sì-
-Non era quello con l’orso giallo? Quello che faceva: Pensa!Pensa!Pensa!-
-Sei ubriaco?-
-Di stanchezza. Ma cercherò di seguire la trama, sì. La trama- Dass segue le immagini, le vede ampliarsi e distorcesi nella testa, negli occhi, nella bocca come un Krishna dagli universi limitati.  Come fare a digerire tutta quella roba?

Il coniglio bianco è il vero cattivo. E' più spaventoso della regina o di qualsiasi altro essere presente in quell'incubo psichedelico. Il coniglio si fa  inseguire, lo fa volutamente, Dass ne è  certo, e quella cretina di Alice gli va appresso ingenua com'è! Il coniglio sa benissimo dove portarla, gode al pensiero di farle perdere la testa.
Zac!
Lawrence continua a sgranocchiare, gli occhi riflettono i bagliori azzurrognoli dello schermo, le ginocchia gli restano incollate allo sterno come fossero un tutt’uno. Poco distante Dass ruota la testa da una parte all'altra, la muove lentamente tirando su di tanto in tanto con il naso. Come diavolo faranno le gambe a portarlo fino in camera diventa una seria domanda con difficile risposta.
-Hai preso il raffreddore?-
-Nh?-
Lawrence abbandona la falsa attenzione concessa fino a quel momento ad un film per bambini; Dass sa bene che in realtà suo fratello non ha fatto altro che studiarlo da quando ha rimesso piede in casa.
- Ti cola il naso- prosegue lasciando a mezz’aria la mano che fra le dita mal cela un'altra patatina.
-No- Dallas borbotta - Cioè si. Sì mi cola il naso. Ma non sono raffreddato-
Lawr ripone la patatina nel sacchetto. Ha la fronte corrugata e questo infastidisce Dallas.
- Ho solo una cazzo d'allergia-
- Ti dura da parecchio- e nel sentirlo a Dass non sembra di cogliere insinuazioni particolari.
- Già-
- E a che sei diventato allergico?-
- Deve essere colpa del cane-
E’ divertente guardare gli occhi del fratello spalancarsi stupiti per poi ricadere sulle pieghe del tappeto finto persiano.
- Peccato che non abbiamo un cane- sibila Lawr indispettito e Dass scoppia in una risata artificiosa.
- Credevo stesse sotto al tuo culo! Ormai sarà morto. Meglio, così mi passa l'allergia-
- Finiscila!-
- Oh scusa- ride ancora, il bisogno di vuotare la vescica e la totale mancanza di collaborazione delle gambe nel volerlo sorreggere.
- Non mi piace quando sei così-
-Così come?-
-Così-
- Simpatico?-
-Stupido-
Dallas tira ancora una volta su con il naso. Stupido? Quella mezza seghetta deve aver voglia di prenderle.
-Non tutti possono essere sempre brillanti come te, Lawrence Hill- allunga le gambe, le distende completamente ma la vescica non vuole ignorare lo stimolo. – Sempre seri, e belli, e composti, e intelligenti e soli. Diavolo! Ora che ci penso, com’è che lo splendore di casa non ha nemmeno uno straccio di amichetto?! Li tieni chiusi in cantina?-

Lawrence sembra farsi più piccolo, Dallas sa bene di aver toccato un tasto dolente. Lawrence è troppo introverso, troppo perso nei suoi buchi neri per riuscire ad affrontare il semplice relazionarsi con i suoi coetanei.
-Basta- mormora in quella che, ad orecchie non disturbate, suonerebbe una supplica.


“Well... I went along my merry way, and I never stopped to reason. I should've known there'd be a price to pay, someday... Someday... I give myself very good advice, but I very seldom follow it!”

-Lawr io devo vuotare la vescica- con un ordine perentorio al proprio fisico, Dallas lascia la poltrona. – Anch’io alla tua età non ero un granché coi rapporti sociali, ricordi?-
-Ora invece lo sei?!- una sottile ironia che non voleva essere malevola.
-Perspicace. Ma tu sei di bella indole, Lawr. Vedrai che si sistemerà. Tu evita di andare in giro a dire che guardi Alice nel paese delle meraviglie e sarà già un bel passo avanti-.
Lawr non dice nulla. Forse quella faccenda delle amicizie non gli stava così a cuore come era parso.
Ma Dallas deve pisciare e la conversazione può dirsi conclusa.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ritalin ***


Aveva undici anni Dass.   “Il numero magico”  aveva detto   zia Page il giorno del compleanno.  Undici anni l’undici di novembre.  Ma a Dass non era  dato sapere perché l’undici  potesse essere più magico di un sette o di un due.  E davanti alla torta dalle undici candeline aveva concluso che era una delle solite sparate da adulti per rendere un evento più speciale di quanto non sia in realtà.
“Esprimi un desiderio!” aveva suggerito sua madre con la macchina fotografica  puntata su di lui “Aspetta! Aspetta! Lawr , tesoro, mettiti vicino a tuo fratello. Ecco così. Vi voglio tutti e due vicini a soffiare sulle candeline”.  E Lawr si era arrampicato sulla sedia e la sua manina esile si era appoggiata alla schiena di Dass. Gli occhi grandi e verdi avevano scrutato con soddisfazione tutta quella composizione di panna, cioccolato e fiammelle.
“Pronti? Mi raccomando Dass ricordati il desiderio”.
E Dass aveva desiderato  e poco dopo aveva nuovamente compreso che era l’ennesima balla da adulti.

-Allora Dallas perché ti trovi qui?- chiedeva l’uomo stecchino dietro la scrivania. Un tizio dai capelli striati di grigio e gli occhialetti dalle stanghette color  menta. 
Era l’interesse sufficiente che Dass poteva prestargli prima di tornare a scuotere il capo  canticchiando qualcosa che nella sua testa aveva la stessa risonanza di uno stereo a tutto volume.
-Dallas?- l’ometto si era sporto in avanti – Non ti va di parlare con me?-


“The killer awoke before dawn
He put his boots on
He took a face from the ancient gallery
And he walked on down the hall”

-I tuoi genitori sarebbero contenti se tu parlassi un po’ con me. Sono preoccupati, lo sai? Dicono che sei un po’ troppo distratto ultimamente-


"And he walked on down the hall
He went to into the room where his sister lived
And then he paid a visit to his brother
And then he, he walked on down the hall”

-C’è qualcosa che forse ti preoccupa?-

And he came to a door, and he looked inside
"Father?"-"Yes, son?"-"I want to kill you,
Mother, I want to..."

-Che cos’è che canticchi?-
- E’ il re lucertola-
-Oh capisco- stecchino sorrideva – Anche a me piacciono molto I Doors . Certo è particolare che tu ascolti un gruppo simile-
- Sono un bambino mentalmente disturbato perché mi piacciono?-
-Certo che no!-
-Ah. E allora adesso posso tornare a casa?-
-Preferirei  ti fermassi. Abbiamo a disposizione ancora parecchi minuti. Perché non mi racconti di cosa parla la canzone che canticchi-
-Le dico il titolo così se vuole se l’ascolta-
Il tizio parve deluso, ma quella strana smorfia sulla faccia tornò immediatamente plasmata in un rassicurante sorriso. – Sì,volentieri-
-Quando sarò grande me ne tatuerò una-  e Dass non stava realmente parlando con quel grigiore dalle stanghette menta, chiuso dentro la stanza dalle pareti bianche e i quadri di cervelli appesi ai muri.  Stava parlando a se stesso.
- Una cosa?-
Era insopportabile! Perché era così scemo dal continuare a porgli tutte quelle domande sceme!
-Una lucertola-
-Ti piacciono?-
E Dass decise che il mutismo poteva perpetrarsi all’infinito. Se mai ce ne fosse stato bisogno. Ma pensava alla sua bellissima lucertola. Nera nera come le pietre d’ossidiana.  E con un guinzaglio per non farla scappare. Per lasciarla per sempre marcata sulla pelle senza che potesse mai allontanarsi.

120 dollari e un foglietto di carta bianco e verde con la prescrizione di una pozione magica chiamata Ritalin.

 -Perché io non posso?- aveva domandato Lawrence davanti ad una tazza di cereali.
-Cos’è che non puoi, tesoro?- domanda di rimando accompagnata dall’affettuoso gesto materno di pulirgli uno sbuffo di latte sopra il labbro superiore.
- Perché non posso mangiare le caramelle gialle come Dass?-
- Bisogna essere speciali e tu non lo sei!- Dass aveva anticipato la replica della madre, pulendosi  poi la bocca con il dorso della mano per cancellare inesistenti tracce di latte.  La donna l’aveva guardato con rimprovero prima di tornare a concentrarsi sulla faccetta interrogativa di Lawr.
- Quelle sono per bimbi grandi. Ma a te ne ho prese di altrettanto speciali- e così dicendo tirò fuori dalla borsa un pacchettino di liquirizie
 – Ecco, queste invece sono solo tue- aggiunse la donna.
-Ti  verrà la lingua nera- borbottò Dass guardando le rotelline  fare bella mostra dal lato trasparente di una confezione arancio brillante.  Lawr studiò ancora la confezione, il serpentello con il berrettino da baseball e la lingua arrotolata come una rotella. Lo porse a Dass sorridendo – Puoi mangiarle anche tu se vuoi-.
E questo a Dass risultò più fastidioso dell’occhiata ammonitiva che sua madre gli aveva dato poco prima.
-Non hai sentito! Quelle sono solo per te! Io non le voglio!- così dicendo aveva abbandonato il suo posto al tavolo della cucina, rigettando in malo modo la confezione di caramelle sul piano di legno lucido.
Era lui quello speciale che ingoiava le caramelle gialle insapori,con un bicchiere d’acqua che a volte non bastava a mandar giù quelle stupide pasticche che si attaccavano alla gola rischiando di soffocarlo.
Mica le trovi in uno stupido negozio di caramelle qualunque, ci vuole un tizio con gli occhiali verde menta e una grafia illeggibile per poterle avere.

One pill makes you larger,
and one pill makes you small
And the ones that mother gives you
don't do anything at all
Go ask Alice when she's ten feet tall

-E questo tipo ha a che fare direttamente coi narcotrafficanti?-
Stavano seduti su di un muricciolo di cemento grezzo dietro al Salvador Blanco, tutto intorno la desolazione di un piccolo cortile tenuto nel più assoluto degrado. Mentre domandava, Dallas ingoiava rotelle di liquirizia, ne teneva una parte tra i denti e con la mano destra srotolava la rotella fino a ridurla ad un lungo vermicello nero.
-Si, è uno tosto. Aver a che fare con lui è come avere a che fare con il demonio-
- E tu lo conosci perché?-
Dick alzava le spalle – Beh, non è che lo conosco di persona …  Mio cugino gestisce un locale  a L.A. e sa dove trovare la roba giusta. Me ne ha parlato lui.-
-Nh- Dallas sputò la liquirizia – E tu puoi mettermi in contatto con tuo cugino?-
- Cazzo Dass, quella è gente che ci va pesante. Non ha nulla a che vedere con quello al quale sei abituato qui. Quelli sono senza scrupoli-.
Richard Mellow poteva sembrava un ragazzo di limitate prospettive ma non era di certo stupido. Tuttavia quella sua prudenza veniva giudicata da Dass come codardia.  Non per niente il nomignolo “dickhead marshmallow” era diventato di uso comune al Salvador con non nascosta soddisfazione di Dallas.
-Non me ne frega niente. Voglio che mi metti in contatto con tuo cugino-
- Se vuoi roba buona posso procurartela io, ma lascia perdere quello che ti ho appena detto.-
- Ciò non toglie che l’hai detto, Dick. E tu sai quanto io sia curioso e poco incline a cambiare idea-.
Dick si guardò intorno con la stessa sensazione di un topo preso in trappola. Lui e Dass avevano stabilito quella sorta di rapporto pseudo-amichevole che si aggirava più sulla convenienza reciproca, tuttavia era difficile non notare e non aver paura di quella luce sinistra che giorno dopo giorno vedeva brillare maggiormente negli occhi di Dallas, come un presagio apocalittico.
-La mia famiglia non ha mai avuto soldi, sono nato in una roulotte ai margini di Chicago. Mio padre beveva dalla mattina alla sera e mia madre… Mia madre non poteva fare molto. Sono entrato in questo giro per necessità-.
Dass rise – Certo, ci sei stato costretto. Come tutti i reietti. E’ davvero così o era solo la strada più comoda?!-
-Fanculo Dass! Troppo facile per uno che se ne ritorna a Brentwood la sera, tra ville e aiuole, stare a giudicare quelli che le ville e le aiuole le guardano da distante-.
Dass rispose con un calcio al polpaccio sinistro che fece crollare Dick in un’esclamazione dolorosa.
-E troppo facile credere alla scenografia di ville e aiuole, Dick. Ci puoi trovare tanta merda quanta in un accampamento di roulotte-
-Poco ma sicuro- sputò Dick tenendosi il polpaccio con entrambe le mani.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Ink ***


~~

 I need a little, push push
Come and give a little, push push
If ya take a little, push push
Then you'll get a little, push push
She's lookin' fine
Flashin' like a neon sign
She thinks it's love
I said that comes with time

 
-Dovrebbe essere all’incirca così- un ultimo tocco con la pilot nera – Cioè, mi piacerebbe fosse così-
-Perché la catena?-
-Non ti piace?-
-E’ solo che mi incuriosisce-
Dass sbuffa lasciandosi cadere sul letto. Le lenzuola profumano di pulito, candeggio impeccabile. Talvolta pensa che se sua madre potesse candeggiare anche i suoi polmoni non si farebbe remore.
-L’ho semplicemente immaginato così-
-Beh è fico!- Charlie contempla lo schizzo su block notes. Una lucertola legata ad un guinzaglio.
-Lo so-
- Dove lo vorresti?-
- In realtà da nessuna parte-
-Non capisco. Credevo volessi tatuartelo-
-Una volta mi sarebbe piaciuto ma ora preferirei vederlo tatuato addosso a qualcun altro-
Charlie sogghigna –Cos’è vuoi vendermela come idea da proporre ai clienti?!-
Dass scuote la testa distratto – Affatto, dovrei essere io a decidere a chi tatuarlo. E’ una cosa mia-.
Charlie lascia la sedia sulla quale era appollaiata per mettersi cavalcioni sopra di lui. Quello che condivide con Dass è puro sesso, qualcosa che macchia l’immacolata immagine di Charlotte Clode, così eterea nel vestitino bianco estivo, nei capelli rossi raccolti e negli occhi limpidi da laghetto di montagna.
-Vuoi che sia il primo membro delle tue lucertoline?Non mi dispiacerebbe-
-Parlando di membro, dolcezza, puoi darti da fare anche subito-
-Troppo facile, Dass!- Charlie gioca, vuole essere vezzeggiata, non tenendo in considerazione il fatto che Dallas sia collegato su tutt’altro canale.
- Direi che ti si addice-
-Vaffanculo!-
- Ehi ehi, cosa direbbe il paparino se sentisse certe volgarità uscire dalle labbra della sua dolce bimba?!-
-Che ci sono cose peggiori!- sbotta Charlie buttandosi di lato preoccupandosi di mostrarsi più alterata di quanto non sia.
- A te piace il giochetto della cattiva ragazza, Charlie. E’ il tuo deterrente contro la noia-
-Vero, ma nessuno coglie come sono fatta veramente, quello che vorrei. A mio padre va bene che mi sia messa a fare tatuaggi nel tempo libero solo perché crede che sia il passatempo del periodo-
-E non è così?- Dass ride
-Cazzo Dass! Sai bene che non è così.!Lo vedi da te che ho talento, altrimenti non mi avresti chiamato per mostrarmi quel disegnetto del cavolo- indica svogliata il block notes rimasto sul pavimento.
- Sicuro tu sei un’artista!-
-C’è poco da sfottere. Tu non credi che possa farcela, vero?-
- Quando non ti vedrò più girare in Ferrari e parlare come una qualunque pupattola viziata, ti crederò-
-Patetico. Vuoi giocare a fare il pirata ma siamo sdraiati su lenzuola che profumano di lavanda in una stanza che grida “cocco di mamma”-
-Non sai nulla- quello di Dass è un sibilo.
-Ah già scusami, tu lavori al Salvador Blanco, rischi la vita tra teppistelli di terza categoria. Poi torni qui e ti bevi la spremuta fresca e mangi crostata-.
-Ti conviene non oltrepassare il confine, Charlie-
-Perché? Sono curiosa di quel che potresti fare. Per una volta fatti e niente chiacchiere!-

I am a passenger
I stay under glass
I look through my window so bright
I see the stars come out tonight
I see the bright and hollow sky
Over the city's a rip in the sky
And everything looks good tonight


E Dass sente che potrebbe provarle di essere in grado fare molte cose, immaginando quelle lenzuola improvvisamente cremisi.
Ma il giochetto di Charlie lo conosce, è una falsa porta di trasgressione. Quello che le piace è la provocazione, il rischio sicuro, l’annientarsi per poi sapere che una villa grande quanto un campo da calcio accoglierà i suoi tormenti  di bambina mai sazia. Dass può davvero paragonarsi a lei? Inverte i ruoli, la sovrasta e l’accontenta, lasciando che lei protesti fintamente,  attrice in balia del bruto. Al primo segno di gradimento Dass pensa che la cocaina è un’amante più sincera. Nella foga dell’atto la fissa negli occhi. Colore chiaro, limpido, privo di ombre e contrasti. Quello che vorrebbe trovarvi non c’è. E’ un mare troppo cristallino privo di profondità. Distoglie lo sguardo, il sudore gli appicca la maglietta alla schiena.  Il movimento è meccanico, il piacere sordo. Sul pavimento la lucertola nera sembra più grande, quasi perde i contorni fino a divenire una pozza di inchiostro sul bianco del foglio. Dass fissa quella pozza.  Ci sono fatti e non parole. C’è il Salvador Blanco e una strada da imboccare.
Charlie gli arpiona le spalle, lo abbraccia, si inarca sotto di lui e mormora, parla, cose che a Dass non interessano. Sfugge il viso dal suo e lo punta sulla porta, scoprendola leggermente aperta. Se sua madre stesse scorgendo in lacrime quello che per lei rappresenterebbe l’apice del peccaminoso, Dass lo sa, se ne ritroverebbe compiaciuto. Ma l’iride che compare  tra lo stipite e la porta è si del colore degli occhi di sua madre, ma dentro vi è qualcosa di diverso. La fissa e mille ombre attraversano quel verde osceno. Colore di una piccola lucertola. E il cuore pompa più velocemente,Charlotte Clode è ridotta ad un mero involucro, più di quanto non lo fosse prima. La macchia di inchiostro sfugge dal foglio, si espande, impregna il pavimento.
Dass non ha mai provato una sensazione simile.

I'm feelin' electric tonight
Cruising down the coast goin' 'bout 99
Got my bad baby by my heavenly side
I know if I go, I'll die happy tonight


Note: Boy’s Next door non è uno dei lavori della Yuki che ho preferito. Anzi, ad essere completamente onesta, non mi è piaciuto. Quale miglior motivo per scriverci sopra.  L’ispirazione è nata mentre ascoltavo White Rabbit dei  J.A.  Un trip senza ausilio di sostanze.  Ad ogni modo mi ha fatto tornare alla mente l’immagine del tizio con la maschera da clown, il coniglio, il coltello. Ho sempre trovato qualcosa di mancante nel modo in cui Lawr si approccia ad Adrian. E   il tassello mancate  è il rapporto con Dallas. Per questo mi è venuto alla mente questa sorta di psycho prequel che non ha assolutamente nessuna pretesa. Sebbene sia visto principalmente dal punto di vista di Dallas, il mio non è un tentativo di dare una giustificante a questo personaggio che nella storia originale appare per una paginetta ma che sembra il catalizzatore delle azioni di Lawrence. Dallas è semplicemente sbagliato, da qualunque angolazione lo si voglia guardare.
See ya
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Alice Pleasance Liddell ***


Un giorno Alice arrivò ad un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull’albero.
“Che strada devo prendere?” chiese.
La risposta fu una domanda:
-“Dove vuoi andare?”
-“Non lo so”, rispose Alice
“Allora, -disse lo Stregatto –non ha importanza

 

-Fontainbleau-
-Nh?-
-Fontainbleau. E’ lì che mi piacerebbe andare- Lawrence sporge il catalogo e Dallas vi lancia una veloce occhiata. Castello rinascimentale e parchi di perfezione. – A vederlo così sembra il posto dove chiunque vorrebbe vivere- continua il più piccolo sfiorando le immagini con la punta delle dita.
-Dove tu vorresti vivere- Dass apre una lattina di cola, ne prende un sorso e poi il contenuto finisce nel lavandino.
-Potevi darla a me se non volevi berla- borbotta Lawr senza distogliere gli occhi dal catalogo
- Era calda da fare schifo!-
-Mh. Comunque è proprio un bel posto-
-Oddio Lawr! Fattici mandare per le vacanze estive. Un po’ di esilio francese  non potrebbe che farti bene-
Lawrence accenna un sorriso senza distogliere lo sguardo da quei paesaggi talmente perfetti da sembrare irreali –Forse è così- sospira – Però su una cosa ti sbagli…-
-Cioè?- Dass siede a sua volta al tavolo della cucina, ha i capelli bagnati, portati indietro per far fronte al caldo di quella anomala primavera. Davanti a lui Lawrence ha tappezzato la superficie del tavolo  di cataloghi e libri in un ordine solo apparentemente casuale.
-Non vorrei viverci. Sembra troppo immacolato per una persona come me- Lawr d’un tratto chiude il catalogo e lo mette da parte –Meglio che mi metta a studiare- mormora non badando allo sguardo di Dass improvvisamente attento a quel “troppo immacolato per una persona come me”. Riesamina i libri, quello di matematica che Lawrence fa emergere da sotto una pila di fogli a quadretti; a lato la cartina di un parco inglese mal ripiegata, sotto una fotografia in bianco e nero. Dallas la sfila prima che il fratello possa impedirglielo. E’ la foto di una ragazzina. Dallas la esamina e con inspiegabile fastidio la rigetta in mezzo ai libri – Dimenticavo che quello che cerchi è il paese delle meraviglie- sbotta lanciando un’occhiata non a Lawr ma al cielo bianco fuori la finestra.
- Ti confondi con te stesso- e Dallas non aveva mai sentito la voce di Lawr risultare fredda come un colpo di vento invernale.
-Oh giusto!- Dass sorride ma è infastidito. Dal caldo. Da Lawr. Dalla fotografia. Esce dalla cucina sorprendendosi del fatto che il fratello non dica nient’altro. Quando prima di varcare la soglia della cucina Dass gli lancia un’occhiata, Lawrence è chino sul libro, realmente concentrato sul rassicurante susseguirsi dei numeri.

Dallas invece fugge ancora, con la rabbia e la solita astinenza che punge il naso.  Chiude alle spalle la porta della camera. Nel portapenne, sul fondo, una piccola pasticca. Inghiotte. Niente acqua. Dass si sdraia sul letto, i contorni lindi della camera si sfasano di lì a poco. “Troppo immacolato per una persona come me”.
-Che vuoi dire?- domanda Dallas al fantasma scolorito di suo fratello. Ma negli occhi compare la fotografia. Alice Pleasance Liddell. Potrebbe essere un’immagine da lasciare del tutto indifferenti se non si sapesse che è lei ad aver ispirato i libri di Carroll. L’autore è anche il fotografo che la sta ritraendo. Una bambina con un sorrisetto difficile da decifrare. Dass non può fare a meno di dirsi che quel sorriso è troppo adulto e “saputo”, ai limiti del malizioso. “Vieni con me” a questo mirano gli occhietti sotto il caschetto regolare, la luce delicata sulla guancia, mentre la boccuccia chiusa è un inno alla delicatezza, ma sembra presagire qualcosa di segreto. “Vieni con me” gli  dice la bambina più famosa della letteratura, “vedrai che ci divertiremo”: ma lo dice con una consapevolezza così compresa di sé da lasciarlo di stucco. Quel fantasma è lì, eredità senza eredi.
-Dallas?-
-Alla fine sei tu e non il coniglio-
-Come?-
-Sei tu con quel sorriso osceno!-
-Dallas!-
E Dallas sobbalza, la bambina lo ha chiamato più forte ma non è più una presenza in bianco e nero. Assomiglia di nuovo a  Lawrence ora.
-Dallas!-
-Cosa!- Dallas si butta da un lato, d’un tratto ha l’impellenza di vomitare.
-Dallas stai male?-
Dallas rigetta. Un liquido bruno, lo ha sentito salire come un lamento degli inferi  per poi riversarsi sul pavimento.
-Che schifo…- è quello che dice quando si fissa sui residui della sua droga appena collaudata –Che cazzo mi ha dato?! Testa di…-
-Dass che cosa hai preso!?-
Di nuovo quella voce.
-Non ci vengo nel tuo giardino grottesco! Non adesso, non così! Lasciami in pace!-
- E’ droga?-
E forse è quella parola a ridare i connotati alla realtà, a riempire il viso di Lawrence, a dargli concretezza mentre lo scruta dall’alto in basso con la stessa ansia di una moglie prossima alla vedovanza.
-Lawr perché sei qui?! E’ la mia stanza Cristo Santo! Quante volte ti ho detto di bussare! Che ci stanno a fare le porte!-
-Ho bussato un sacco di volte ma non rispondevi. E quando mi sono deciso ad entrare blateravi cose senza senso e i tuoi occhi andavano ovunque-
-E’ stata Alice. Comunque non dovevi entrare. Non devi mai entrare qui, ne spiarmi mentre faccio sesso con chi mi pare, ti è chiaro? Anzi, forse quello lo puoi fare. Almeno impari qualcosa!-
E Dallas forse non coglie l’improvviso rossore sul volto del suo fratellino. Lawr si allontana un istante e dopo poco è di nuovo lì che gli porge un bicchiere d’acqua.
-Vomiterò di nuovo se la bevo- sentenzia Dallas – Mai fidarsi di quelli che si chiamano Dick-
-E’ lui che ti ha dato la droga?-
- Non c’è nessuna droga-
-Credi sia così idiota!- piange Lawrence, con il rossore ancora sul viso e gli occhi color lucertola lucidi come marmo bagnato.
- Non è droga Lawr, è il caldo e…perché non te ne torni di sotto!?-
Ma Lawr non demorde, sale sul letto e gli si avvinghia contro come nelle fasi più acute dei suoi incubi.
-E’ stato solo un errore Lawr. Lo possono fare tutti un errore, no? Non serve stare a farne una tragedia. Sto già meglio, vedi che sto meglio?-
-No- Lawr lo fissa e Dallas gli pone una mano dietro la nuca e se lo tira contro, combacia la fronte con la sua – Puzzi e hai una faccia che fa schifo-
Dallas lo lascia andare e ride – Beh tra noi due sei tu quello bello, io ho preso da nostro padre-.
-Non intendevo questo- e la stretta di Lawr sotto l’effetto ancora persistente del veleno è per Dass simile alle spire di un serpente mitologico. “Stringi fino a stritolarmi”
- Potrei parlare io con mamma. Per via di Fontainbleau. Ti piacerebbe,no?-
Lawrence scuote il capo.
-Hai detto che ci volevi andare-
-Non mi importa dove vado. Basta tu ci sia. Non importa dove vado-
-Lo sai che questo è come legare una pietra al collo alla gente? E poi io voglio andare a Los Angeles. Decisamente non è posto per il piccolo di casa Hill-.
-Perché Los Angeles?-
-Beh ad esempio perché, nonostante il nome, non ha proprio nulla a che fare con gli angeli. Non ti pare un motivo sufficiente?!-
-Per questo è più rassicurante?- Dallas non comprende se quella di Lawr sia domanda o affermazione. E’ più rassicurante una città che è l’antitesi del nome che porta? Dallas crede sia così.
-Cosa c’è a L.A. che ti attira tanto, Dass?-
-L’inferno- esclama Dallas senza rendersene conto - E i soldi ovviamente. C’è lo scintillio del mondo fatuo della celluloide; una strada che si chiama Sunset Boulevard e il riso folle di Norma Desmond che incarna la discesa dalla scalinata di ogni essere umano. C’è un rutilante bagliore che fa da sipario alla Dite d’America. Ci sono gli piscopatici, gli assassini del delitto perfetto e per questo Black Dahlia sorride nel sangue alla sua fine senza giustizia. C’è la luce bianca di Lou Reed e Nico che fonde il cervello. E’ il luogo di chi non ha luogo-.
-Ma tu ce l’hai un luogo!- esclama Lawr alzandosi sui gomiti per poter fissare gli occhi del fratello.
-Brentwood non è un luogo. Non l’ho scelto io-
-Ma Brentwood fa comunque parte di Los Angeles perciò in realtà stai già dove vorresti!-
Dallas sbuffa e mentre specchia lo sguardo duro in quello del fratello non può fare a meno di dirsi che in comune non hanno proprio niente. “Sarà un corno” si dice trovando però fastidioso macchiare di sospetto la tela perfetta di una madre immacolata.
-Lo sai che non è la stessa cosa- sbuffa –Comunque c’è l’università da finire, no? Altrimenti il vecchio sbroccherà e a mamma verranno crisi di panico assurde. Sono queste le priorità, giusto?!-.
-Pà dice che diventerai un uomo importante- Lawr sembra rilassarsi abbandonandosi sul corpo di Dallas in quale invece rivela ancora del nervosismo.
-E di te che dice?-
-Niente- Lawr sorride – Credo non abbia ancora grandi piani per il sottoscritto-.
“ Lawrence è di certo speciale, talvolta non sembra nemmeno un essere umano”. Dallas ricorda quell’affermazione del padre. Dunque? Le qualità aliene di suo fratello lo assolvono dall’obbligo dettato da Mr Hill di trovare una collocazione degna di questo grande paese che è l’America?
-Qualche volta ci penso a quel che vorrei fare. Mi piacerebbe saper scrivere-.
- Sei ancora analfabeta? Alla tua età è grave-.
Lawrence lo ignora – Talvolta mi vengono in mente delle storie. Sai tipo per bambini. Vorrei essere come Perrault o i Grimm-.
-Cazzo, quelli erano furbi non c’è che dire!- Dallas si gratta la punta del naso e cerca di ricordare qualche favola. Sua madre le raccontava? Sì, la sera quando ancora doveva condividere la stanza con la pulce; lei entrava svolazzando in una nube di Chanel N. 5, forse segretamente immedesimandosi nel mito suicidatosi qualche isolato più su. Leggeva sempre le solite due favole. Cappuccetto rosso. Perché di Lupi è pieno il mondo e anche di cretine dalle mantelline rosse sulle labbra. E Biancaneve. Dallas da bambino non riusciva a comprendere perché quei personaggi fossero tanto stupidi.

“Mamma perché Biancaneve è così scema?”
“Dallas certe parole non si dicono”
“Va bene. Allora perché è tanto stupida?-
“Non è stupida, tesoro-
“Certo che lo è!” esclamava Dallas –Prima il pettine, poi il nastro e infine la mela! Portata da una vecchia nel centro di un bosco dove non vivrebbe nessuno! E’ logico che qualcosa non va. Come fa ad essere così stupida!-
“E’ solo molto buona ed ingenua, caro”.
“E’ stupida!”
E Lawr gli faceva eco “Stupida!”
“Lawr non ripetere quel che dice tuo fratello! Dallas ti ho detto mille volte che non voglio che usi certi vocaboli”.
“Perché?”
-Perché non sta bene! E poi li impara anche Lawrence!-
“Stupido è una parola. Se è una parola vuol dire che va usata”
“E’ una parola che non sta bene sulla bocca di un bambino”.
Per Dallas era frustrante “ Cosa devo dire allora mamma? Biancaneve è ?”
“Ingenua” sorrideva sua madre “ Ti concedo sciocca tutt’alpiù”
“Sciocca”
“Esatto. Invece i miei bimbi non sono sciocchini, non dicono brutte parole e non si fidano degli estranei.Vero?”
“Vero” ripeteva Lawr mentre Dallas alzava le spalle.
Una volta che la nube di Chanel aveva finito i suoi racconti e chiuso la porta della stanza dietro sé, Dallas digrignando i denti sibilava: “sciocca!” e quando i passi si erano fatti più distanti alzava un po’ di più la voce “Scema!Scema!Scema! Mamma è come quella scema della mela! Scema!”

-Una mente deviata insomma. Potrebbe essere interessante-
Lawr trae un profondo respiro – Disney era un deviato?-
-Di sicuro aveva i suoi problemi, ma ha spolverato di zucchero e melassa ogni cosa che gli è capitata sotto zampa-
- Non hai una favola preferita, Dass?-
Dallas finge di pensare – Barbablù probabilmente. Anche se quello alla fine era scemo come gli altri-
-Uccideva le sue mogli-
-E poi ci faceva dei centro tavola mi pare-
-Dallas!-
-Non è così?-
-No, chiudeva i cadaveri dentro una stanza-
-Ah già, e poi faceva il giochetto della chiave con la nuova moglie. Onestamente però una stanza di gente putrefatta non mi entusiasma-
-Pensi che le amasse?-
-Nh?-
-Le mogli- e mentre parlava Lawr gli si era fatto più vicino. Troppo vicino.
- Da morire!- ride Dallas –Tu ragioni da femminuccia Lawrance, pensi sempre di dover trovare una giustificante, un sentimento, un cazzo di motivo. Esiste anche il male fine a se stesso-
-Quindi non le amava-
-Che cazzo d’amore poteva essere!  Le vedeva, erano belle e giovani e abbastanza stupide da farsi irretire da qualsiasi idiozia luccicante. Se le scopava e nel momento in cui si era rotto le scatole giocava al macellaio. Qual’è il motivo? Lo stesso che ti porta a staccare la coda alle lucertole!- Dallas ha  il viso arrossato, la presenza di Lawrence inizia ad infastidirlo.
Si solleva costringendo Lawrence al medesimo gesto –Ora basta Lawr, tornatene di sotto. Io sto meglio-.
-Hai mangiato ciò che è tuo- mormora  il fratello minore fingendo di non aver sentito l’intimazione di Dallas.
-Eh?-
-C’è una fiaba dove qualcuno mangia una persona cara. La ricordi Dass? Ora non mi viene in mente ma ricordo questa frase-
-No, non ricordo. Possiamo finirla  con il carosello degli orrori?!-
Lawrence sembra pensarci ancora – Non riesco a capire perché mi sfugga. Però quella frase mi ha colpito-
-Le favole sono piene di tizi che mangiano altri tizi. Vuoi darti al cannibalismo?-
-Pensavo solo che…- Lawr si stringe nelle spalle – E come se fossero diventati una cosa sola-
-Chi?-
-Quelle due persone-
-Fintanto che chi ha mangiato non andrà al cesso. Ora puoi levarti di torno Hannibal Lecter!-
-Stai bene Dass?- Lawrence abbandona il letto. Il viso di Dallas non ha un bel colore ed i suoi occhi sono resi più chiari da una sorta di patina.
-Vomiterò un altro paio di volte e starò meglio- sbuffa toccandosi la testa – Ora vai!-
-Dass?-
-Che c’è ancora!-
-Non andrai a L.A senza prima dirmelo, vero?- e d’improvviso Lawrence sembra un adulto stagliato contro uno sfondo infatilmente lilla.
Dallas si massaggia le tempie. La roba non ha smesso l’effetto. La testa fa male e la voce di Lawrence è un eco stridulo, come il canale disturbato di una stazione radio.
-No- sussurra chiudendo il discorso e la porta in faccia a Lawrence.

 

Note: Dallas è abbonato a chiudere la porta sul naso di suo fratello.  La versione della favola di Biancaneve che ho riportato nel capitolo è quella del 1819 dove i tentativi di far fuori la ragazza da parte della Regina sono ben tre ( il nastro stretto intorno alla vita, il pettine avvelenato ed infine la mela)  da bambina questa versione mi lasciava sempre a bocca spalancata e non mi capacitavo di quanto Biancaneve fosse citrulla a cascarci ogni volta! In questa versione è riportata anche la fine della matrigna costretta a ballare alla cerimonia di nozze della figliastra con scarpe di ferro roventi. Mi pare che la cosa sia ripresa anche in Ludwig, altro manga della Yuki.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** bycicle ***


~~
When you gonna make up your mind
When you gonna love you as much as I do
When you gonna make up your mind
Cause things are gonna change so fast
All the white horses are still in bed
I tell you that I'll always want you near
You say that things change my dear
 

Barlock Ave non era mai stata un granché come strada, pochi alberi e palazzine dai tempi migliori. Tuttavia era un rettilineo poco trafficato, privo di particolari ostacoli, escludendo i grossi bidoni blu della spazzatura. Ma solo uno scemo avrebbe potuto sbatterci contro. Dallas lasciava sfrecciare la bicicletta avanti e indietro. Aumentava le pedalate, saliva e scendeva dal marciapiede in veloci salti che lo facevano sentire il re di quella strada dall’asfalto rovinato. Più indietro, Lawrence procedeva lentamente, aveva sette anni compiuti ma non aveva mai tolto le rotelle dalla sua bicicletta rosso fiammante. Questo era stato spesso motivo di scherno da parte degli altri ragazzini del quartiere che non perdevano occasione per ridicolizzarlo:
“Hai sette anni e vai ancora con le rotelle?” risate da clown in bocche larghe dai denti cariati.
“Devi essere proprio scemo se ancora non hai imparato! Andiamo via ragazzi quello mi sta proprio antipatico!”
Lawrence risolveva la cosa scrollando le spalle per due volte come gli aveva detto di fare sua madre, ma qualcosa bruciava negli occhi e nella gola ad ogni presa in giro.  Tuttavia la paura di togliere quelle maledette rotelle e cadere era troppa.
Dallas dal canto suo si faceva una bella manciata di affari suoi. Di difendere quel piccolo demente di suo fratello non gli passava per l’anticamera del cervello, tanto più che era perfettamente d’accordo coi marmocchi cariati.
Gli era toccato tuttavia, su pressione di sua madre, accompagnare Lawr ad esercitarsi in un’altra strada, lontana dalle boccacce maligne del quartiere.
“Che senso ha? Tanto se tiene le rotelle mica deve esercitarsi!” aveva protestato Dallas.
“E invece il fatto di accompagnarti può dargli maggior sicurezza e spingerlo ad imitarti. Sei suo fratello maggiore dovresti aiutarlo”.
L’immancabile solfa. Ma l’aveva chiesto lui di essere il fratello maggiore? C’era un regolamento scritto obbligatorio per chi aveva avuto la  disgrazia di nascere per primo?
“ Okay, lo porto sulla Barlock, lì non ci passa mai un cane”. E questo era vero, ci mancava solo che gli amici lo vedessero accompagnato dal fratello incapace. Che figura ci avrebbe fatto?!

L’ennesimo salto. Il gioco iniziava a stufarlo.
-Lawr torniamo a casa io sono stufo di andare avanti indietro-
-Ma siamo appena arrivati!- protestava il più piccolo con le mani ben salde al manubrio.
Dallas emise un sonoro sbuffo –E’ inutile che ti tieni così, tanto mica puoi cadere con quelle diavolo di rotelle! Si può sapere cosa ti fa paura?- Dass aveva girato la bici e raggiunto quella del fratello.
Lui al solito aveva scrollato le spalle.
-Mica ti obbliga qualcuno ad andarci. Se ti rompe essere preso in giro fai a meno di salirci.-
-A me piace- e dalla voce sembrava quasi che si sentisse in colpa – Immagino di poter andare lontano, oppure che sia una bicicletta volante come quella del bambino di ET-
Dass sogghigna –Non aveva le rotelle-
-E’ davvero così importante?-
-Nh?-
-Perché agli altri deve importare se la mia bici ha le rotelle o meno?-
Dallas fu spiazzato. Effettivamente che cosa cambiava per un altro? –Niente- disse istintivamente.
-E allora perché tutti mi prendono in giro?-
-Boh- Dallas si grattò la fronte sudata – E’ solo che di solito tutti alla tua età sanno andare in bicicletta e quelli che non ce la fanno sono un po’ sfigati-
-Sfigati?-
-Sì-
-Cosa significa?-
Poteva essere che il pomeriggio fosse più caldo del solito perché Dallas sudava abbondantemente.
-Sfigato significa sfigato-
Lawr parve pensarci ma in realtà quella non gli sembrava una risposta.
Dass sospirò – Senti se hai paura di cadere è normale. Tutti sono caduti la prima volta!-
-Anche tu?-
-Cavolo no!- sbuffò – Ma tanti altri sì. Mica si muore, credo-
- A scuola Charlie Roland è caduto e aveva un buco sul ginocchio, usciva un sacco di sangue che lui è svenuto-
-Và beh, ma tu non sei Charlie Roland. Quindi non è detto che ti succeda la stessa cosa-.
Lawrence aveva osservato Dallas per un po’, mordicchiandosi le labbra. Poi con un grande respiro era sceso dalla bicicletta.
-Sai toglierle?- chiese indicando le rotelline ai lati.
Dallas fu certo sorpreso. –Adesso?-
Il più piccolo annuì.
-Nemmeno per sogno. Se poi mamma lo sa mi ammazza. Non hai il caschetto, le ginocchiere e tutto il resto dell’armatura-.
Lawr non si scompose – Anche tu non porti tutta quella roba-
Spazientito il più grande dei fratelli Hill gli diede un lieve pugno sulla testa – Ma io in bicicletta ci so andare!-
-Hai paura di mamma?- era chiaramente una sfida
Dallas gonfiò il petto –Assolutamente no! E’ solo che non voglio che poi mi metta in punizione a causa tua!-
-Questo vuol dire aver paura, altrimenti non ti importerebbe!-
Cimice!
-Senti io le rotelle non le so togliere, ci vuole uno di quegli arnesi di papà-
-Fammi provare la tua-
- Sicuro! Non arrivi al manubrio e non tocchi con i piedi! Prima frigni per paura di una sbucciatura e ora vuoi lanciarti alla riscossa del trauma cranico! Beh col cacchio!-
-Parolaccia-
Dass strinse il manubrio – Ne dico quante mi pare! E ora basta torniamo a casa!-
Lawrence scosse il capo –Voglio imparare! Con te so che posso imparare! Posso imparare tutto Dallas! Farò quello che mi dici!-
Ma sì, al diavolo! Che si facesse pure male! Era stata sua madre ad insistere che lo portasse lì, che gli facesse da esempio e blablate simili. L’avrebbe accontentata. Scese dalla bici e abbassò totalmente la sella. Tentò di fare la medesima cosa con il manubrio ma la cosa era decisamente più difficile.
-Toh prova a salirci- disse notando l’improvvisa titubanza di Lawr –Allora?-
Il ragazzino fece un lungo respiro, armato di coraggio e di eccessiva fiducia nei confronti del più grande, prese posto sul sellino. A mala pena riusciva a toccare l’asfalto con le punte delle scarpe. Piegato in avanti, con le mani sudate arpionate al manubrio, sembrava una piccola caricatura da fumetto.
-Mi stai tenendo, vero?- chiese titubante
-Saresti già per terra se non ti stessi tenendo. Ora ascolta, la cosa importante è l’equilibrio e che continui a pedalare; cerca di non far ballare il twist al manubrio e tieni sempre due dita sui freni-
Lawr scosse il capo –Come faccio a fare tutte queste cose insieme!-
Dallas rise – E’ più facile farle che stare a sentire le mie chiacchiere. Io ti tengo da dietro, ok?! Quando prendi sicurezza nel pedalare ti lascio. Tu vai dritto e tutto andrà okay, non hai ostacoli-
-Che vuol dire che mi lasci!- si allarmò il piccolo
-Altrimenti come fai ad imparare! Dai, piedi sui pedali e iniziamo-. A questo punto si era trasformata in una sfida anche per Dallas.
-Ci sono qua io- disse con tono mellifluo spostando però la traiettoria non tanto verso il dritto della strada ma verso il marciapiede.
Incoraggiato, Lawrence mise ambo i piedi sui pedali ed iniziò a pedalare, il manubrio, per quanto si sforzasse di tenerlo dritto, traballava; Dallas però era dietro di lui, poteva aumentare le pedalate, ed in quel momento la strada scorreva sotto le ruote di gomma scura con piacevole soddisfazione. Ancora poco e Dallas avrebbe potuto lasciarlo. Sorridendo voltò appena la testa indietro scorgendo la figura di Dallas ferma al punto di partenza. Il sorriso si smorzò di colpo. Puntò il viso in avanti ma ormai la bici zizzagava via via maggiormente.
Un ghigno si dipinse sul viso di Dallas quando la bicicletta centrò un bidone dei rifiuti. Una frazione di secondo perché Lawrence fosse per terra a ridosso del marciapiede.
-Caspita proprio un peccato- borbottò divertito Dass avvinandosi con occhi di finta apprensione.
-Allora campione direi che hai centrato in pieno il bersaglio!- rise guardandolo dall’alto in basso.
Lawr era riverso a pancia in su, le braccia spalancate come un fantoccio crocifisso e un rivolo rosso che colorava la pelle bianca del polpaccio. Per non parlare del naso, doveva aver centrato il bidone di faccia.
-Ohi? Sei morto?- non ricevendo reazione il divertimento di Dallas cominciò a tramutarsi in preoccupazione e  visione immediata delle conseguenze. Si portò in ginocchio accanto a Lawr toccandolo leggermente.
-Lawr? Lawr? Se stai facendo finta ti uccido! Ehi! Rispondi maledizione!-
Dalle labbra di Lawr comparve un accenno di lingua, dopodiché i suoi occhi, resi di un verde ancor più brillante perché investiti dal sole, lo fissarono con scherno.
-Idiota! Stupido maledetto idiota!- ruggì Dass abbandonandosi sull’asfalto col cuore che gli batteva a mille. Non fosse stato così terrorizzato lo avrebbe preso a pedate nel sedere fino a casa.
-Sei pallido, Dass-
-Vai a cagare!
-Avrei voluto che vedessi la tua faccia!- rise Lawrence raggiungendo la mano del fratello per stringerla. Era gelida.
Dallas si tirò su di colpo liberandosi della presa – Ti sta colando sangue dal naso, cretino, non vedi?! E’ la tua di faccia che dovresti guardare! Ora quei pazzoidi a casa mi romperanno le palle per mesi!-
-Dovranno essere contenti, invece!-
Dallas gli diede un colpo sulla spalla fregandosene del lamento –E di cosa?-
-Che ho imparato ad andare in bici per merito tuo! Sarà questo che dirò. E domani farò togliere le rotelle alla mia bici-.
Dallas era sbigottito. Da un lato era soddisfatto del coraggio preso da suo fratello, dall’altro terribilmente amareggiato che alla fine tutto non si fosse concluso in uno sgargiante funerale.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Doris Day baby ***


Is this the real life?
Is this just fantasy?
Caught in a landslide
No escape from reality;
Open your eyes
Look up to the skies and see

I'm just a poor boy, I need no sympathy
Because I'm (easy come, easy go
Little high, little low)
Anyway the wind blows, doesn't really matter to me

 



Dallas tiene un libro sulle ginocchia. Non lo sfoglia né lo guarda.  Seduto sui sedili posteriori della macchina di Dick fissa gli occhi sulle pompe petrolifere che costeggiano la strada. Mostri che ininterrottamente, con quel loro su e giù, affondano la terra e succhiano sangue nero. Soldi. Dallas non ha che quella parola in testa. Soldi. Libertà. Il mondo sporco lontano da Brentwood.
-Che è quel libro?- domanda Dick lanciando un’occhiata rapida allo specchietto retrovisore.
- Sai qualcosa di libri, Dick?!-
-Non molto-
-E allora non può interessarti-.
-Fanculo- grugna Dick – Tra dieci minuti ci fermiamo, io devo pisciare e ho finito le sigarette-.
-Bene-
-Mi dici perché mi hai fatto fare il giro largo? Se non passavamo per il Salvador Blanco a quest’ora saremmo in prossimità d’arrivo-
-Dovevo prendere una cosa-.
-La tua pistola da borsetta?!-
Se Dick non fissasse la strada potrebbe vedere gli occhi di Dallas accendersi e sporcarsi d’ira sempre più mal repressa
-Esatto! E tutto sommato ,se rompi ancora il cazzo, Dicky tesoro, potrei premertela contro la tempia e liberarti il cranio dall’ingombro inutile del  cervello-
Dick deglutisce ma si concede una risatina nervosa –Così poi chi ti ci porta da mio cugino!?-
-Lo troverei comunque e non penso gli spiacerebbe sapere che ho eliminato un coglione dalla sua famiglia-
Dick accosta l’auto alla pompa di benzina – Tu sei tante belle chiacchiere ,Dallas!- e così dicendo scende, con quell’andatura alla texana e il suo immancabile cappello da rodeo calato sulla fronte come a voler gridare al mondo: “ Fermi tutti! John Wayne è arrivato!”.
Dallas stringe con forza il libro. Deve mantenere la calma o rovinerà tutto.
“Tu sei tante belle chiacchiere” anche Charlie gli aveva detto qualcosa del genere.
“Pazienta” si dice Dallas “ Pazienta”.
Dick rientra in macchina; l’aria conciliante e il sorriso meno teso. Porge a Dallas una lattina di birra, simbolo di pace quanto un ramo d’ulivo.
-Non erano molto forniti- borbotta Dick – Solo birra e qualche cola-
-La birra va bene- Dallas apre la lattina, ne prende un sorso. E’ fredda. Piacevolmente fredda.
-L’ignorante può chiedere se almeno il personaggio è interessante?-
Dick sta domandando ancora del libro, probabilmente lo colpisce il fatto che Dallas se lo sia portato dietro, come un religioso che si porta appresso la propria bibbia .
Dick pensa, è evidente, che personaggio possa essere solo sinonimo di protagonista.
-Che so’ qualche gangster! Una cattiva persona!- Dick ride senza alcun motivo
-Perché accontentarsi di essere solo una cattiva persona quando si può essere un personaggio straordinario?-
Per Dallas una “cattiva persona” non è una persona “cattiva” ma indegna di qualsiasi interesse. Mentre un personaggio straordinario , per esempio, può essere una cattiva persona da un punto di vista etico o morale, ma non per questo smette di essere un personaggio straordinario.
A Dallas non interessa che Dick dia un’opinione in proposito.

L.A  sarà  la sua Eldorado, Dass  lo sente.  Non gli interessa il mondo di luci per turisti, le leggende ottime come amo per chiunque. Lui vuole scendere nelle viscere del peccato e riemergervi come padrone assoluto. Ci vorrà tempo. Ma non troppo. Lui ha sufficiente fame e sufficiente  follia per riuscire.
Il cugino di Dick, è un tipo smilzo, anonimo, non incute alcun timore. Ma è solo un tramite. Dietro i paraventi del suo locale dal sapore d’antico sabotaggio al proibizionismo, una mano fasciata in guanti di pizzo bianco svolazza su di una nuvola di fumo di sigaro e lì invita nella sua direzione.
Seduta ad un tavolino rotondo, un bicchiere di champagne e olive in coppa cristallo, questa strana figura spiazza Dallas da subito.
-Cos’è Dick, una presa per il culo!?- sussurra feroce al compagno mentre questo in tensione totale fa segno di tacere.
-Oh, così voi siete i bambini di cui mi ha parlato Maki- civettuola, la sua voce piena di enfasi li invita a sedersi.
-Io sono Dick, il cugino di Maki- la voce di Dick è incerta – E questo è il mio amico Dallas-
-Dallas!- esclama lei – Oh ti si addice! Da dove vieni, caro?-
-Brentwood-
- Luci del paradiso!Brentwood! Beh io l’adoravo! L’adoravo! E’ stata distrutta dal sistema sai! O tu credi che l’abbiano uccisa? Ad ogni modo un mito, un autentico mito! Sto cercando di comprare dei suoi vestiti, all’ultima asta c’ero andata vicina ma un maledetto me l’ha soffiato di poco. Ed è difficile sai farla in barba a Doris!. Oh già, a proposito, molto lieta, Doris. Doris Day-.
Dallas guarda nuovamente Dick il quale può sentire l’adrenalina spaccargli il cranio.
-Noi dobbiamo trattare con te, Doris?- Dick azzarda
- Oh tesoro, chiamami Miss Day, non siamo ancora così intimi!- beve un sorso di champagne e li fissa ancora – Non amo perder tempo, quindi… Avete intenzione di sedervi?-
-Certo!- Dick obbedisce ma Dallas non fa lo stesso.
-Credo ci sia stato uno sbaglio- cerca di essere il più pacato possibile – Dick andiamo!-
-Nessuno sbaglio- e stavolta la voce di Doris tradisce una nota rude tipicamente maschile – E’ meglio che appoggi il culo sulla sedia amore, ascolta il consiglio della mamma-.
Dallas obbedisce senza smettere di fissare quella caricatura bionda dagli occhi malevoli.
-Nessuno ti ha mai insegnato a non giudicare dall’aspetto?! Parti già male pivellino- Doris si accende un cigarillo e il rossetto rosso marchia abbondantemente il filtro. – Sono qui perché Maki è un po’ speciale per me e mi ha parlato tanto del suo cuginetto e del suo amichetto che mi sono detta: “suvvia Doris, devi essere malleabile una volta ogni tanto”. Però ora sono pentita e anche molto annoiata”-.
-Io credo l’abbiano uccisa- Dallas apre bocca d’improvviso – L’ho sempre pensato-.
Doris sbatte le palpebre, prende un’altra boccata di fumo e si piega complice verso Dallas – Anch’io, tesoro. C’era troppa carne sul fuoco! E non mi importa se mi danno della complottista. Troppe nubi nere. Era depressa okay, bipolare forse. Ma non ha mai tentato di ammazzarsi prima. Gatta ci cova pulcino mio-
-Già, e poi perché voler insabbiare la faccenda così velocemente? Un mito simile! Tutti sapevano che aveva una tresca con JFK-
-Ah, quel JFK! Mai fidarti dei politici, bimbo mio. Sono capaci di prometterti il sistema solare e poi spingerti nel primo buco nero. Una povera ragazza non ha speranze di fronte a simili lupi. Io e Bobby siamo agnelli al confronto-,
Dick si contorce le dita, non capisce di cosa stanno parlando, di chi stanno parlando. Ma avverte che Dass ha preso in mano la situazione ed è meglio rimaner zitto e lasciarlo fare.
-Bobby è importante, Miss Doris?-
-Puoi chiamarmi Doris ora caro. Miss mi fa sentire una carampana- altro champagne altro fumo. Dick ha la gola secca e vorrebbe ordinare, spia verso il bancone, di Maki non c’è l’ombra.
-Comunque si Bobby è importante. Molto importante. E’ il mio maritino! L’ho conosciuto quando sono arrivata a L.A. la prima volta. Grazie a lui ho iniziato ad esibirmi nei locali. Oh secoli fa!-
Dallas sorride – Sei giovane Doris, non devono essere molti anni-
-Ah!- Doris strizza l’occhio –Dicky il tuo amico è un birichino, sa come ingraziarsi un’anziana signora. Ma non è così facile, non credere bimbo.-
-Lo so- ribatte Dallas – E ogni istante che passa me ne rendo sempre più conto. Ma a me piacciono le sfide, Doris-.
-Mmmm… le sfide hanno un colore, Dassy Dassy, e per giunta è il mio colore preferito-
Dallas stringe la mano sul giubbotto, avverte i contorni del libro, preme per sentirlo meglio.
-Forse abbiamo gli stessi gusti-,
Doris smette di fumare. E’ perfetta nel suo teatro ma Dallas sa che il serpente più piccolo può contenere molto veleno.
-Vado a incipriarmi il naso cuccioli miei. Aspettate qui e ordinate altro champagne. Maki sa quale mi piace-
E Doris lascia il tavolo. Un metro e ottanta, un fisico asciutto ben capace di difendersi. Nonostante sia palese trattarsi di un uomo, gli altri uomini in quel locale la guardano ugualmente, e ugualmente la desiderano.
Dick ha la camicia madida, si abbandona finalmente contro lo schienale della sedia e guarda Dallas che, seduto a fianco, invece appare incredibilmente sicuro di sé.
-Mi spieghi che cazzo è successo?-
-Abbiamo fatto conversazione-
-Questo l’ho intuito ma…-
Dallas si decide a volgergli lo sguardo – Tu piuttosto hai voluto farmi la sorpresina-
-Maki non mi aveva detto che avremmo avuto a che fare con una drag queen o qualunque cosa sia! Ma quel che so è che quel tizio in lustrini rosa è la chiave per avere a che fare con Bobby-.
-E noi che sappiamo di Bobby?-
-Maki è stato vago. Il fatto che fino ad ora non sia ancora venuto da me vuole palesemente dire che con questa gente ce la dobbiamo vedere da soli. Te l’ho già detto che c’è sotto roba pesante. Gesù! Che mi è saltato di darti retta! A quest’ora potrei starmene al Salvador Blanco a fare i soliti affari e bere tequila-
-Tks, a leccare il culo a Francisco vorrai dire-
-Meglio il suo che quello di qualche pluriomicida-
- Bobby?-
Dick si guarda intorno circospetto, abbassa il tono di voce –Si fa chiamare Robert Aeron Escobar. Ci siamo capiti?-
Dallas ride –Un parente alla lontana o desiderio di emulazione?!Poteva farsi chiamare Pablo  Escobar II-
-Poco da ridere.  Non è un gioco, Dass. Qui c’è dietro spaccio con la S maiuscola, prostituzione. Questa gente tiene in mano una città. Tu che diavolo vuoi esattamente?-
Dallas sospira –Te l’ho detto, farne parte-.
-Perché? Che cosa della tua vita da onesto cittadino ti turba tanto?-
Dallas ricorda il calore di Lawrence, le sue braccia avvolte attorno al busto, gli occhi. Sempre quei dannati occhi.
“Non andrai a L.A. senza prima dirmelo, vero?”
-Non è quello che voglio, Dick-
Dick alza lo sguardo al soffitto –Okay, ma perché  questo?-
-Perché è quel che sono!- la voce di Dallas si alza – Lo sento dentro ogni fibra del mio essere, capisci? No, non capisci. Non ti chiamo testa di cazzo  per niente-.
- Onestamente nessuno capirebbe- sbuffa Dick.
-Puoi andartene se vuoi. Mi interessava arrivare qui e tu hai fatto in modo avvenisse. Ora puoi anche levarti di torno-
-Eh no!- Dick afferra un’oliva dalla coppa di cristallo – Io purtroppo non ho Brentwood ad aspettarmi. Merito una parte nella faccenda-.
-Allora chiudi la bocca e lasciami  fare- Dallas alza il braccio –Ehi Maki!- grida facendo voltare tutto il locale – Doris vuole altro champagne e anche noi abbiamo un po’ sete-.
Dick sorride in direzione del  cugino facendosi più piccolo sulla sedia.
 
Voglio imparare! Con te so che posso imparare! Posso imparare tutto Dallas! Farò quello che mi dici!


Note: Credo sia chiaro a chi si riferisce Doris parlando del mito:  Marylin Monroe. Dato che ho immaginato che la famiglia Hill avesse casa a Brentwood, non potevo non citare la faccenda. Sono sempre stata fan di Marylin, contrariamente all’acidità con cui ne allude Dallas, io la trovo effettivamente un mito, nel bene e nel male. Per quanto riguarda “la bibbia” personale di Dallas, ho una chiara idea di quale genere di libro potrebbe custodire. Ma ho voluto non svelarlo, perché in realtà credo sarebbero molti i titoli che un tizio come lui potrebbe prendere in considerazione, quindi a libera fantasia vostra.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** pin butterflies ***


Disse Robert Aeron Escobar –Non farmi certe domande, perché mi costringeresti a rispondere con mezze verità; e una mezza verità è molto più pericolosa che una perfetta bugia. Lascia che ti dia un consiglio: la chiave per una grande vita sta nell’inventare prima di tutto se stessi e poi gli altri.  Essere registi, protagonisti, sceneggiatori del proprio film. La maggior parte della gente fa esattamente il contrario. Pensano di dover prima capire il mondo. Ma questo porta via molto tempo. E alla fine muoiono senza essere stati nient’altro che visitatori in un museo quando avrebbero potuto scegliere di essere le opere d’arte. Mio nonno, conosciuto anche come il re di Bogotà, si è suicidato. Mio padre si è suicidato. I miei zii si sono suicidati. Mio fratello idem. Io, al  contrario, sarò assassinato. Ne sono sicuro. Quel che non ho del tutto chiaro è se questo sia un’evoluzione nella doppia elica della mia storia famigliare, oppure un arretramento. Quel che è certo è questo: non mi prenderanno senza che io opponga resistenza-.
E Robert Aeron Escobar “Bobby” sorride. E il suo sorriso è uguale a quello delle gigantesche statue che compaiono senza preavviso nella foresta pluviale; solo che il suo è un sorriso con tanto di denti. Denti di metallo. Denti che Robert Aeron Escobar “Bobby” ha rivestito in argento. Un sorriso pericoloso. Un sorriso da gatto del Cheshire.
Un personaggio straordinario, pensa Dallas. Robert Aeron Escobar “Bobby” non ha età. Ha un’epoca.
Racconta di aver avuti degli “affari agli inferi”
Racconta di aver imparato l’arte di ipnotizzare da un mago tedesco. Spiega a Dallas che, è proprio vero, non si può obbligare nessuno a fare qualcosa che non desideri, per quanto si trovi in trance.
Racconta che uno dei suoi divertimenti preferiti da sempre è dar da mangiare agli alberi.

-Anche gli alberi mangiano: tu scavi una bella buca un paio di metri di profondità per due di lunghezza, per uno e mezzo di larghezza. Ci butti dentro della carne. Non c’è bisogno di spogliarla o di cucinarla prima. Copri bene tutto. Poi te ne torni a casa fischiettando e buon appetito-

I can't go to heaven let me go to LA
Or the far West Texas desert or an Oregon summer day
If we build a Utopia will you come and stay?
Shangri-La La La La La La La La La...

Accumulating cumulus in our backyard
My puzzle pieces fooling heaven bit by bit
Beneath this jigsaw sky I sit
And wonder wonder wonder where do I fit?


-Gli sei piaciuto bimbo di Brentwood!- Doris canticchia giocherellando con un grosso anello di diamanti, un anello volgare per il suo eccesso. Ma Doris ama gli eccessi. Sa che anche la sua morte sarà un trionfo di eccessi. La più grande fontana di luce e fuoco che L.A abbia mai visto! Seduto accanto, sulla Limousine di Robert Aeron Escobar, Dallas osserva il profilo dell’uomo dagli occhi dipinti, ricorda gli sguardi che gli hanno lanciato al caffè, l’assurdità del desiderio che quegli occhi mostravano. Dick dal canto suo, sta impettito sui sedili di pelle scura, non aveva fatto che sudare come un maiale per tutto il tempo, recitando preghiere morse fra le labbra e carezzando l’idea di uno sgabello libero al Salvador Blanco.
-Il fatto però che ti abbia fatto tanti bei discorsi non significa che tu  abbia l’accesso al regno dei cherubini, mi spiego?!- Doris gli poggia una mano sulla coscia robusta, il diamante brilla sfacciato nella luce azzurrognola della macchina.
-Però ti pare che l’impressione sia stata buona e io mi fido di ciò che dici, Doris-
Lei ride – Pulcino, dovrai fare molto più che fidarti di me-
-Capisco-
-No, in realtà non credo. Io posso aiutarti ad arrivare all’Olimpo o abbandonarti nel primo cassonetto. Sai io preferisco i cassonetti agli alberi. Perché sono naturalista e, voglio dire, agli alberi non puoi rifilare qualsiasi schifezza. C’era un tale una volta, Jeff o Jad, qualcosa di simile, adulava le mie perle, adulava la mia voce e adulava il mio culo. Un professionista davvero. Me lo sono cucinato ben bene prima di portarlo da Bobby. Credeva di avere a che fare con un travestitello starnazzante. Oddio che divertimento, gioia! Avevo capito subito che voleva fregarmi. Perché io capisco subito chi ha stoffa e chi no. Sono nata per questo! Credi che sia al fianco di Bobby solo perché sono splendida e bionda!- si batte la punta del naso con un dito – Beh cuoricino, per farla breve, gli avevo promesso campi d’oro. Sai come la volpe che promette a quel cretino di Pinocchio che se pianta una moneta nella terra morbida crescerà una pianta di soldoni. Splendida, splendida favola. E così JeffJadPinocchio mi seguiva ovunque come fossi la fata turchina ed io alla fine l’ho portato da Mangiafuoco. E Mangiafuoco ne ha fatto una bella marionetta per un paio di mesi. Quel che serviva per un lavoretto giù in Colombia. Una volta fatta, il piccolo JeffJadPinocchio ha chiesto dove fosse l’albero dei soldoni e Bobby si era premurato di portarlo sotto una grossa quercia. Siccome era pure alto abbiamo dovuto farlo dividere in due. Non saprei dirti qual’era la parte migliore. Comunque, curiosa come sono, sono andata a vederla la quercia e , oh bimbo mio santo, era magnifica. Mi ha fatto venire in mente Rossella O’Hara quando sotto la sua quercia rimira la sua Tara. Oh che scena!- Doris pare commuoversi.  -Quindi ,capisci ,per me era un affronto che quel piccolo paraculo finisse a nutrire tanta nobile creatura. Mi sono impuntata. Bobby è severo con la sua Doris ma non può obbiettare quando capisce che ho ragione. E così ho scelto personalmente dei cassonetti dentro un vicolo che eviterebbe anche Jack lo squartatore. Magnifico! Un lavoro magnifico! Immondizia all’immondizia!-
-E non fu mai trovato il corpo?-
Doris scoppiò a ridere per l’assurdità della domanda – Cielo no! Chi va a rovistare in certa spazzatura, gioia?! Non lo fanno nemmeno i cani dei poliziotti!-
-Mi stai mettendo in guardia, Doris?- Dallas sorride, si sente adrenalinico, le luci di L.A sfrecciano davanti ai suoi occhi e se ne sente parte.  Un personaggio straordinario. Dallas!
-Non essere sciocchino, io non metto in guardia,io agisco. Era solo una confidenza confettino. Tu hai delle idee buone, hai capito cosa può funzionare, il cocktail perfetto per attirare grano. Ma devi mettere tutti gli ingredienti shakerati in modo impeccabile-.
- Metafora perfetta per riferirsi a droga e puttane-
Doris sembra scandalizzata – Un bimbo di Brentwood tanto volgarotto! Non va bene cucciolo! No!  Non hai visto il mio Bobby? Non sarebbe mai così scurrile. E per abbassarmi ai tuoi termini, droga e puttane è un concetto superato che chiunque può offrire. Tu devi dargli un marchio di lusso, di qualità. Bimbi belli e ben forniti, principesse scintillanti che seducono e lasciano il mero sesso a quelle dei marciapiedi pattumiera. E roba buona, tesoro. Quella in particolare! Se vuoi che Bobby ti faccia da padrino io ci posso mettere la mano, zucchero. Ma il resto lo fai tu. Altrimenti…- ride di nuovo – Che ne dici di un frassino, gioia mia?!- e Doris ride, ride nel modo più sguaiato e perverso che Dallas abbia mai sentito.
Ma il suono della risata è la colonna sonora. E il suo marchio Dallas l’ha già in testa da parecchio tempo.
Nera Nera d’ossidiana!


Note: La figura di Doris Day è nata da un'allucinata visione di Roger l'alieno ( American Dad) e una Drag Queen.  L’ho trovata, non so perché, una figura che ispira dolcezza materna ma della quale si è praticamente certi nasconda un coltello dietro la schiena. Non so perché. E’ un connubio tra Annie Wilkes di “Misery non deve morire” e la finzione creata da  Doris Mary Anne  Kappelhoff. 

 

Rip out the wings of a butterfly
For your soul, my love
Rip out the wings of a butterfly
For your soul
This endless mercy mile
We're crawling side by side
With hell freezing over in our eyes
Gods kneel before our crime

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** no way back ***


Quel corpo emetteva la curiosa ma inconfondibile fosforescenza tipica dei corpi sul punto di diventare cadaveri.  Crollando prima in ginocchio e poi in avanti in una posa quasi ridicola, Francisco salutava il mondo, ogni piccolo mattoncino del Salvador Blanco e dei suoi segreti, svaniva dentro quel corpo non più giovane ma ché, di sicuro, avrebbe potuto campare ancora a lungo. Doveva fidarsi dell’istinto quando, soltanto un anno prima, un ragazzotto di Brentwood gli aveva chiesto lavoro. I diavoli si nascondono dietro le maschere dei bravi ragazzi. Quante volta l’aveva letto sui giornali! Ed invece aveva nutrito, prima inconsapevolmente, poi volutamente, la mente di quel ragazzotto con i trucchi del mestiere. Non bisogna lasciarsi ingannare dall’aria dimessa del Salvador Blanco, reputarlo innocuo è l’errore degli sbirri e ciò che avvantaggiava gli affari. “Delinquentelli perlopiù”. Così si dice.  E lo sceriffo taceva quando la roba buona gli arrivava a casa come un pacco di candida farina. Non era uno stupido Francisco. Dal Messico a soli dieci anni aveva imparato a stare al mondo. Il piccolo re folletto di Santa Monica. Persino gli insospettabili dagli yacht super lusso, prima di scendere verso Tijuana, facevano un salto dal vecchio Francisco. Ed ora sotto la sua faccia si allarga una pozzanghera rossa degna del più riuscito bloodymary. La morte ha svolto fin troppo bene il suo compito assegnato dalle elucubrazioni folli di Dallas Hill.  Consacrato ad un suo virus personale il ragazzotto di Brentwood ha oltrepassato la porta verso il mondo che tanto lo ossessionava.

-Terribile!- esclama la signora Hill scorgendo il titolo del giornale locale. –Hanno preso l’assassino?-
Il signor Hill annuisce voltando la pagina – Un delinquentello originario di Chicago. Richard Mellow.  Pare che le prove siano schiaccianti. Dopotutto in quel mondo non è certo una cosa straordinaria. Un po’ di pulizia ci vuole.-
La signora Hill guarda il marito con disapprovazione – E’ morto un uomo, non dovresti parlare così-
-Stando a quanto scritto qui nemmeno la vittima era una brava persona. Comunque, sia come sia, penseremo loro questa domenica in chiesa. Intanto posso dirmi sollevato del fatto che tu abbia deciso di non lavorare più a Santa Monica-
Dallas infilza l’hamburger, lo avvicina alle labbra, la carne scotta ancora – Non è certo quello il motivo, è che devo iniziare la tesi-
Il signor Hill approva con un sorriso –Bravo! Sono fiero di te!-
-Dimmi, lo conoscevi quel locale?- la signora Hill guarda il figlio con apprensione. Quando i loro sguardi si incontrano lei è la prima a distoglierlo.
- In realtà…- Dallas sospira, mette da parte la forchetta con la carne ancora infilzata, ha l’aria turbata e gli occhi lucidi – è lì che lavoravo-
Cala il silenzio come un sipario improvviso che congela la scena retrostante. La signora Hill si porta le mani alla bocca mentre il signor Hill assume la stessa rigidità di una statua.
-Che significa che lavoravi lì?-
-Quel che ho detto- Dallas lo sfida – Conoscevo anche il ragazzo che hanno messo dentro. Per me è stato uno shock scoprire che sia stato capace di spingersi a tanto-
-Buon Dio!- è tutto ciò che il signor Hill riesce a dire
-Sono già stato interrogato dalla polizia. Il mio era un lavoro part-time e non conoscevo molta gente. Okay non era un granché come locale ma non ho mai visto nulla di strano mentre ero là-
-Questo perché sei un ingenuo! Perché non hai voluto dirci che lavoravi lì?-
-Esattamente perché sapevo che l’avresti presa male, pà. La paga era buona, tutto qui. Non richiedevano requisiti che invece avrei dovuto avere in altri posti e con salari certamente più bassi. Sono fiero di poter pagare la prossima retta con quanto ho guadagnato!-
Ed il signor Hill guarda il figlio con un misto di rimprovero e di ammirazione insieme.
-Sei stato un irresponsabile a frequentare posti simili!-
-Me ne rendo conto e mi dispiace. Ora salgo nella mia stanza. Cercate di capire, il mio titolare è stato ucciso da una persona che credevo amica. Sono piuttosto sconvolto per quanto mi sforzi di non darlo a vedere-
Il padre annuisce, la signora Hill non ha più aperto bocca, si è fatta ombrosa, rigetta furiosamente un pensiero, arrabbiata con se stessa anche solo per averlo concepito.
Dallas esce dalla cucina, Lawrence è appena rientrato dalla lezione di nuoto, i capelli umidi sfuggono dall’elastico che li lega, cadono in ciocche pesanti ai lati del viso. Dallas gli lancia un’occhiata prima di dirigersi al piano di sopra.
-Buonasera anche a te!- sbotta il più giovane ricevendo un lieve cenno prima che Dass trovi rifugio nella sua tana. 

Please allow me to introduce myself
I'm a man of wealth and taste
I've been around for a long, long years
Stole many a man's soul and faith


Stanghette color menta stava seduto accanto al lettino. Un lettino scomodo, di pelle lucida, dura, che lo faceva scivolare verso il basso per quanto si sforzasse di rimanere con la schiena ben premuta allo schienale. Era la quindicesima volta che sua madre lo accompagnava da stanghette color menta. Fino ad allora Dass aveva lasciato passare in assoluto mutismo i cinquanta minuti. Lo divertiva vedere quell’uomo tentare, fingere di non irritarsi, scarabocchiare su fogli bianchi, scrivere…Chissà poi che diavolo scriveva!
-Sogni mai, Dallas?-
Il soffitto era bianco sporco, le volte precedenti non ci aveva fatto caso. C’era qualche ragnatela polverosa negli angoli, la donna delle pulizie non doveva essere diligente come lo era sua madre.
-Tutti sognano, quindi immagino che capiterà anche a te-.

Pleased to meet you
Hope you guess my name
But what's puzzling you
Is the nature of my game


-Sei contento di avere un fratello, ci vai d’accordo?-
In quell’istante stanghette color menta si era sentito vittorioso poiché gli occhi del suo reticente paziente si erano improvvisamente spostati ad osservarlo.
-Lawrence?-
-Ah è così che si chiama! Lawrence. Dimmi vai  d’accordo con Lawrence?-
-Non mi aveva domandato se sogno?-
L’uomo sorrise – Si lo avevo domandato-
-Perché sì sogno. Caramelle per lo più. E davanzali-
-Davanzali?-
A Dallas il cuore aveva battuto più forte. Perché aveva parlato di davanzali?
-Nella mia stanza c’è un davanzale-
- E la tua stanza è anche la stanza di Lawrence?-
Dallas aveva annuito mordendosi le labbra – Sogno caramelle- aveva ripetuto –Quelle di zucchero, alla frutta-

I stuck around St. Petersburg
When I saw it was a time for a change
Killed the czar and his ministers
Anastasia screamed in vain


-Ti infastidisce dover divedere la stanza?-
Dallas era scivolato più in basso sul lettino, un rumore fastidioso aveva accompagnato quello scivolare non voluto.
-Mi piacciono anche le rotelle alla liquirizia e le lucertole gommose. Le lucertole gommose le mangerei a tonnellate ma mia madre non vuole. Allora sogno. Sogno di poter fare ciò che voglio. Nel sogno sembra reale. La lucertola  sta sopra il davanzale-
-E’ una lucertola vera o stai parlando della caramella?-

I watched with glee
While your kings and queens
Fought for ten decades
For the gods they made
I shouted out,
"Who killed the Kennedys?"
When after all
It was you and me


-Dallas, mi stavi parlando del davanzale e della lucertola-
-Sta sul davanzale- il soffitto era bianco bianco ora
-E che fa? Se ne sta lì ferma?-
Dallas aveva scosso la testa – Cade- dice stringendo le mani sulla pelle dura del lettino.

Just as every cop is a criminal
And all the sinners saints
As heads is tails
Just call me Lucifer
'Cause I'm in need of some restraint


Il letto a castello, Dallas dorme sopra e Lawr sotto, le pareti non sono tappezzate a motivi scemi ma sono bianche. Come il soffitto di quel posto? No, è bianco sporco quello.
La finestra è aperta. E’ stato Dallas ad aprirla . Lawrence non ha sonno. Dallas gli ha già letto una favola, di una rana e una principessa; la principessa alla fine uccide la rana anche se questa poi torna in vita sottoforma di principe. Ma è una parte che Dallas omette ogni volta. Non gli piace. Lawr lo ascolta sempre, o almeno così sembra, con quella bontà che gli permette di rispettare e perfino di trovare una certa bellezza nei comportamenti più estremi di coloro che lo circondano. Lawr è il figlio scambiato dalle fate. Chiude gli occhi e si addormenta.

So if you meet me
Have some courtesy
Have some sympathy, and some taste
Use all your well-learned politesse
Or I'll lay your soul to waste,


La finestra è ancora aperta. Lawr riposa. Assomiglia alla loro madre, ma ha anche qualcosa del padre. Tutti e tre si somigliano, c’è in tutti e tre una sottile ripetizione di certi gesti e tratti: lo stesso tasto di pianoforte che si può premere con più o meno forza, ma che finisce per dare sempre la stessa nota.
Dallas non si sente neanche parte della stessa partitura. Il suo suono è tanto diverso.
Sul davanzale c’è una lucertola. Una lucertola vera. Una lucertola che dorme. Dallas si avvicina, forse la lucertola sogna il mondo di foglie sottostanti, quei fiori che sua madre cura con tanta pazienza, forse è lì che la lucertola ha casa.
Dallas si fa vicino. Piano perché Lawr non si svegli. Lawr che ora è sul davanzale dove stava la lucertola. E’ piccolo così rannicchiato in quel precario equilibrio. Lawr è la lucertola e la lucertola è Lawr.
Dallas lo sfiora, prima delicatamente, poi con più forza spinge.

Pleased to meet you
Hope you guessed my name, um yeah
But what's puzzling you
Is the nature of my game, um mean it, get down


-Una caramella!- dice a voce più alta col cuore nella gola – Sogno una lucertola di gomma sopra il davanzale, ma mi cade ed io piango. Poi mamma me ne compra un’altra. Tutto qui-

Qualcuno bussa alla porta, Lawrence non attende risposta ed entra con una tazza di tè fumante.
.Mamma ha detto che non ti senti bene- esordisce – Mi ha chiesto di portarti questa-
Dallas annuisce andando avanti indietro sulla sedia girevole della scrivania –Grazie-
Lawrence aspetta senza sapere bene che fare, appoggia la tazza sulla scrivania –Stavano discutendo, non ho ben capito riguardo cosa. Una persona che conoscevi è morta?-
Dallas annuisce continuando a spingersi avanti indietro –Già-
-Mi dispiace-
-Mh mh-
-Era un tuo amico?-
-No- gira su se stesso con la sedia e recupera la tazza.
-Scotta-
-E’ lo stesso- Dallas sorride –Sei stato a nuoto?-
Lawrence sbuffa, come se suo fratello non sapesse che l’unico sport che Lawrence apprezza è il nuoto –Pare. Perché ridi?-
L’altro lo guarda sorpreso –Sto ridendo?-
-Tipo Joker, sì- Lawrence rabbrividisce come se la pelle fosse ancora bagnata
-Wow, questo vorrebbe dire che vivrei in una città come Gotham! Figo!-
-Dass per caso hai preso…-
Dallas prende un sorso di tè, la lingua brucia ma lui non fa una piega –Sai Lawr, devo iniziare la tesi. Non mi concentro se te ne stai lì a fissarmi-
Lawr socchiude gli occhi – Non sapevo stessi...-
-Beh sì, ci sono parecchie cose che non sai e viceversa. E’ la normalità, giusto? –
-Bene- Lawr tormenta una ciocca scura con le dita –Buona tesi-
Dallas lo saluta infantilmente con la mano. Ascolta Lawr uscire dalla stanza, allontanarsi, ascolta i passi lungo il corridoio, imboccare le scale. Più nulla.
Scoppia a ridere. La teneva li premuta nella gola quella risata, deve addirittura mettere una mano davanti alla bocca perché non sia troppo forte da farsi sentire ai piani inferiori.
Ricorda la faccia di Dick, Dick talmente fatto da non saper nemmeno pronunciare il proprio  nome. Il coltello e il sangue sulle mani, sui pantaloni, ovunque.
A Maki non importerà.
Doris sarà fiera. Lo stesso colore della passione nel retro del Salvador Blanco. Che meraviglioso contrasto!
L’agnello da sacrificare è stato immolato alla causa e lui rimira il capolavoro dalle torri d’avorio di Brentwood. Un’ultima notte ancora. C’è così tanto da preparare, tanto, tanto da pianificare!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** rag doll ***


Now that I’ve lost everything to you
You say you wanna start something new
And it’s breakin’ my heart you’re leavin’
Baby, I’m grievin’
But if you wanna leave, take good care
I hope you have a lot of nice things to wear
But then a lot of nice things turn bad out there

 

 

 


Dissolvenza  in nero sulla linda casa di Brentwood. Dallas sistema le proprie cose dentro una borsa, poca roba a nascondere un bel pacchetto di soldi. Ci ha scritto sopra un biglietto: l’inizio. E la cosa lo eccita in modo quasi sessuale. Perché finalmente la sua biografia invertebrata comincerà ad assumere le prime tracce di uno scheletro. Qualcosa che l’avvicina al nitore di un inizio preciso, alla suddivisione dei buoni e dei cattivi, alla struttura complessa delle vite complesse. Prende in mano il modellino di una Mustang regalatogli da Dick, lo getta nella borsa tra gli indumenti. E’ un promemoria. C’è un momento in cui la vita comincia a riempirsi di morti. Luogo comune dove tutti prima o poi si va a finire. Al momento, nella testa di Dallas, è intesa come un verbo che si coniuga soltanto alla seconda e alla terza persona del singolare e del plurale.


-Starai via molto?-

E’ l’ultima volta che Lawrence lo fisserà con aria imbronciata seduto sulla sponda del letto; le braccia a stringere le spalle, le gambe incrociate sulla trapunta scura.

-Devi darmi una definizione di molto- ribatte Dallas chiudendo la cerniera della borsa – Voilà!-
.Dovresti essere tu a darmi una definizione di molto, Dallas- Lawr è serio – Non ho nemmeno capito dove vai-
-Quante domande fratellino, non sei contento di sbarazzarti di me? Perché io sono molto contento di non vedere più quei tuoi occhiacci scrutarmi di continuo-
Lawrence incassa ma non lo da a vedere, la paura non gli permette di replicare come vorrebbe. Aveva sentito quel momento avvicinarsi, il presentimento pungergli il cuore anno dopo anno. Aveva osservato il segreto di Dallas in silenzio, sperando che si rivelasse e lo comprendesse nei suoi piani. Il segreto è una strana malattia. Non si è scoperta una cura contro il segreto, per tenere a bada il segreto. Il segreto che ti fa da migliore amico e da nemico prediletto: il paradosso del segreto che non vive –che giace in eccitata animazione sospesa- finché prima lo si uccide e poi lo si resuscita, lo si mette in funzione. Il segreto che non infetta finché non cessa di essere segreto, finché non lo si condivide, non lo si dissemina, non lo si contagia. Il segreto racconta come nessuno. Il segreto sa che tutti contano su di lui.

-Voglio venire con te!- Lawrence si alza in piedi, scatta e si avvicina alla borsa come se questa potesse improvvisamente contenere anche lui insieme agli altri oggetti di Dallas.
Suo fratello non lo guarda, controlla la lunga fila di cd e ne sceglie uno da portare con sé.
-Baby, Baby it’s a wild world- canticchia lanciando un’occhiata eloquente alla volta di uno sguardo troppo verde.
-Dallas!-
-Lo sai che a volte i tuoi occhi hanno lo stesso colore della ganja?!- indica poi la finestra –Quando il cielo è pieno di nubi si fanno più scuri e, sì, ricordano le foglie di ganja- ridacchia e apre le braccia come a volervi inglobare la propria stanza – Puoi fare una bella caccia al tesoro qui dentro!- strizza l’occhio e si volta nuovamente, inutilmente, verso la borsa. Gli occhi di Lawrence sono lucidi, i denti tormentano le labbra, la mano si aggrappa alla dannata borsa e, come nulla fosse, Dallas la scaccia come si trattasse di una mosca fastidiosa.
-Perché?- domanda Lawr – Perché la mia esistenza è sempre stata un problema per te!- lo getta fuori così  il suo di segreto, il suo timore, il desiderio della risposta, il terrore della risposta. Dallas è rigido per un istante. Allunga la mano e gli stringe il braccio, lo stringe per qualche secondo e poi se lo tira contro con violenza. Lawrence sbatte contro il corpo robusto del fratello. Una mano di Dallas gli afferra una ciocca di capelli scuri dietro la nuca e tira indietro con prepotenza. Il viso di Lawr è trattenuto nell’obbligo di fissarlo.
-Ti ho maledetto fin dal primo vagito che hai emesso- confessa Dallas –Ero un bambino e tuttavia avevo già la sfrontatezza di maledire l’innocenza- tira con più forza e Lawrence stringe i denti per il dolore. –Ho desiderato sporcarti un sacco di volte per sentirmi meno corrotto e abbassarti a me. E lo desidero ancora, cosa credi- Dallas si piega, preme con rabbia contro le labbra di Lawrence, viola il suo candore con la foga dell’adulto. Di scatto lo lascia, lo fissa con terrore, gli occhi verdi sono specchi dove riflettersi e inorridire, i suoi occhi da sempre sono il monito più insopportabile. – A me doveva succedere! Perché! Ed ora mi biasimi se voglio salvarti e salvare me stesso!-
Il più giovane scuote il capo, è scosso e tuttavia non cede di un passo – Non ha importanza! Potrei volere la stessa cosa! Te lo sei mai chiesto?-
Dallas scoppia a ridere istericamente – Oh cazzo! Sei proprio il bimbo delle fate! Non conosci la realtà Lawr, non la percepisci nemmeno ora. Sei strafatto di te stesso da quando qualche alieno ha deciso di abbandonarti su questo pianeta per darmi il tormento- lo allontana con una spinta – Cos’è mi ami? Hai qualche complesso? La cosa divertente è che non mi conosci neanche un po’. Non mi vedi e questa è la tua maggior disgrazia-
Lawr deglutisce, è stordito, spaventato, allunga una mano nel tentativo di afferrare Dallas, ma non ci riesce, la sua mano si chiude a pugno sull’aria. – Io ti vedo Dallas. E da un po’ di tempo non stai bene e…-
Ride ancora Dallas. Come riderebbe Doris Day a sentire tante menate – Tu vuoi assolvere il mondo “che non sta bene” ma te l’ho già detto una volta, non corroderti la testa pensando che dietro ogni cosa ce ne sia un’altra a giustificarla. Perché non è così!- improvvisamente calmo, Dallas controlla l’orologio. Dovrà essere alla fermata dell’autobus entro quindici minuti. Afferra la borsa e stavolta Lawr non tenta di fermarlo. Si è abbandonato sul letto come una bambola rotta. Il cuore e le tempie martellano, lo stomaco fa male. Vorrebbe urlare e lo distrugge maggiormente il sapere che non servirebbe a nulla.
Dallas si ferma sulla porta –Vado a salutare mamma e papà! Entrambi sono contenti del mio viaggio a San Diego- si volta un’ultima volta sorridendo - Luogo ideale per scrivere una tesi, no?-
Lawrence piange e non ribatte.
“Non andrai a L.A. senza dirmelo, non è vero?”
Dissolvenza completa.

 

You know I’ve seen a lot of what the world can do
And it’s breakin’ my heart in two
Because I never wanna see you a sad boy
Don’t be a bad boy
But if you wanna leave, take good care
I hope you make a lot of nice friends out there
But just remember there’s a lot of bad and beware

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Bye, bye baby. Remember you're my baby ***


Oh, where have you been, my blue-eyed son?
Oh, where have you been, my darling young one?
I met a young woman whose body was burning,
I met a young girl, she gave me a rainbow,
I met one man who was wounded in love,
I met another man who was wounded with hatred,
And it's a hard, it's a hard, it's a hard, it's a hard,
It's a hard rain's a-gonna fall.
Oh, what'll you do now, my blue-eyed son?
Oh, what'll you do now, my darling young one?
I'm a-goin' back out 'fore the rain starts a-fallin',
Then I'll stand on the ocean until I start sinkin',
But I'll know my song well before I start singin',


Ada Hill si china a baciare le labbra sempre più azzurre del suo principe preferito. Alle sue spalle, Leonard Simon Hill le preme una mano sulla spalla e strozza gemiti che ricordano il rauco gracchiare di corvi rimasti rinchiusi per  millenni in qualche torre buia. Tutto questo nel quadro di asettiche mattonelle grigie e un neon traballante come luce di pietà sopra i loro capi chini. Porteranno il senso di colpa con loro per sempre, come un anello al dito che non è possibile sfilare.
Dallas Hill  immagina la scena da dietro la pesante porta dell’obitorio. Non entrerà a carezzare le guance gelide della sua piccola lucertola disubbidiente. Uscirà di lì a poco a fumare un sigaro, nella calura dell’asfalto rovente, nella girandola perpetua di Los Angeles.
“Moccioso idiota” pensa guardando verso l’alto. Un palloncino rosso si leva sopra le esalazioni di monossido di carbonio, procede la sua rotta verso l’alto, su, ancora su! Palloncino stupido sfuggito dalla mano  di qualche proprietario stupido!
Dallas serra i denti. Pensa al tizio che ha fatto fuori le sue puttane. Al tizio che ha fatto fuori suo fratello. Ennesimo psicopatico in una città di psicopatici!
Pensa al tizio e alle sue mani sul corpo di suo fratello, dentro suo fratello.
Pensa al tizio e al sangue di Lawr.
Pensa a Lawr e al suo tradimento.
Perché, se due cose devono appartenersi, devono appartenersi per sempre. Non era così? Non aveva detto qualcosa del genere dentro una linda stanza di Brentwood? Fottuto bugiardo!
Puttanella bugiarda! Quanto ci avevano messo quegli occhi  di lucertola e quella mani immacolate a corrompersi, a vendersi nella sporcizia di L.A?
Per amore? Per amore di Dallas?
“Vuoi rimanere con me? E allora rimarrai con me ma alle condizioni mie! E mai! Dico mai! Potrai svignartela! O diventi cibo per gli alberi!!
“Moccioso idiota hai avuto anche la faccia tosta di farti ammazzare da un altro!”
E questo brucia nel petto, calcia nello stomaco come un tempo calciava la droga e lo costringeva a vomitare.
Ma Dallas è lontano da quel riflesso . Lo ha seppellito. Giù, giù, molto più giù di dove seppelliranno suo fratello.
Dì buono c’è che come non lo avrà  lui, nemmeno il pazzo lo avrà più. Oh questo è certo! E Dallas farà in modo di farglielo sapere, di dirgli quanto l’amore di Lawrence fosse la favola che suo fratello si era sempre raccontato fin da bambino. Non importa chi fosse il principe. Il principe è un elemento di contorno.  In tutte le favole è solo l’emblema di una qualche distorta  idea di felicità. Prima lo era stato lui. E poi era toccato a qualcun altro. Qualcuno più furbo. Questo Dallas lo concede.
Ma Lawrence Hill non ha mai amato Adrian Vattelapesca! Sia chiaro! Sia chiaro!
Anche ora, in quell’obitorio, sulla pelle c’è il suo marchio legato saldo al guinzaglio! Nera nera d’ossidiana!
Il puntino rosso è svanito nel cielo.

The End

Note: Come già detto questa ff non ha pretese. Manco potrebbe averle in realtà. E’ come aprire un quadernuccio e trovarci appunti sparsi a ricostruire la vita di una buona famiglia di Brentwood.  Adrian e Lawrence sono angeli nel cielo e Dallas finirà nel suo inferno come un povero diavolo. Tanti saluti al personaggio straordinario^^. Una mia amica mi ha chiesto che senso abbia? Ma in realtà a me viene spontaneo dire che non deve esserci un senso, che Dallas all’inizio non doveva essere Damien Thorn per forza, ha seguito la sua strada perché la via nera lo attraeva di più. E’ un po’ il classico di tanti personaggi negativi. Perché è questo: solo un personaggio negativo. Ma non per questo potevo privarlo di sprazzi di umanità. Altrimenti cosa avrebbe potuto spingere Lawrence a cercarlo? Per la verità mi sono spesso detta che Dallas in realtà fosse solo un pretesto, ma questa sarebbe tutta un’altra storia. Un’altra cosa che mi è stata fatta notare è che Lawrence non emerge mai per ciò che è. Ed infatti non ho fatto in modo che questo accadesse. Pari pari al manga della Yuki chi saprebbe definire Lawrence e quello che fa?! Il filo del suo comportamento sta solo nel ragazzo emo/sarcastico/depresso/vittima? No. Per me Lawrence è più paravento di quel che sembra. Per questo non gli ho creduto fino in fondo. :P

Diamo i dovuti crediti: Nella storia ci sono vari spezzoni di canzoni: Doors, Tori Amos, Queen., Bon Dylan, Jefferson Airplane, Lana del Rey… E citazioni prese da Alice nel Paese delle Meraviglie e Peter Pan.
La foto di Alice Liddle è questa: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/72/Alice_Liddel_-_Beggar_Girl.jpg sulla quale si sono scritti  fiumi di inchiostro. Sia come sia, a me serviva per dare ancor più il senso di distorsione nel mondo di questi due fratelli.
Penso di aver detto tutto.
Bye Bye

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3248802