May we meet again

di serClizia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** May we meet again ***
Capitolo 2: *** May we meet again 2 ***



Capitolo 1
*** May we meet again ***


“Il prossimo!”, urla l’infermiera.
La porta si apre su di un giovane uomo sui trenta con uno straccio colorato premuto sull’occhio, e la cartellina compilata all’esterno nell’altra mano.
Clarke gli indica la sedia per le visite con la penna.
Il ragazzo si siede, a disagio. Ci sono due tipi di persone che stanno a disagio a quel modo: quelli che hanno fatto qualcosa di molto stupido, o quelli che non amano gli ospedali per dei ricordi troppo brutti collegati a quel luogo. Clarke spera si tratti della prima opzione. Più facili da visitare, più aneddoti  assurdi da raccontare ai colleghi dopo qualche drink.
Potrebbe semplicemente chiedergli di farle vedere l’occhio e visitarlo subito, ma sa che ci vuole pazienza e un minimo grado di confidenza in più, con queste persone.
“Posso?”, allunga una mano, e il ragazzo le consegna la cartellina – un po’ troppo vuota per i suoi gusti. Deve essere del secondo tipo, quello che non ama gli ospedali e che di conseguenza non ama scrivere troppi dettagli nelle cartelle cliniche.
“Qui dice che ha…”, Clarke alza le sopracciglia per la sorpresa. “… un mattoncino della Lego nell’occhio?”
“Avevo,” precisa il signor B. Blake – che evidentemente non ama nemmeno scrivere il proprio nome per intero. “L’ho tolto.”
Questo sì che sarà un aneddoto divertente da dire al bar. Clarke si infila una ciocca bionda dietro l’orecchio, prima di continuare. “L’infermiera deve aver capito male. Ed è qui allora perché…?”
Il ragazzo si scosta bruscamente lo straccio dalla faccia. “Cosa ne dice, lei?”
L’occhio è completamente arrossato, con un livido marrone giallognolo dove dovrebbe esserci del bianco.
Clarke non immagina quanto possa fare male una cosa così.
Si costringe a non deglutire, e abbassa lo sguardo sulla cartellina.
“Intendo cosa ci fa qui, qui in questo ambulatorio. Non dovrebbe andare da un oculista?”
Il signor Blake si irrigidisce, lo straccio di nuovo sulla faccia – probabilmente c’è del ghiaccio dentro.
“Non posso. E sto bene, non ho bisogno di una visita. Ho solo bisogno…”, sospira. “Di antidolorifici.”
Clarke lo osserva. È stata avvertita di questi individui – quando ha iniziato il tirocinio – quelli che si fanno male apposta o fingono malori pur di avere delle droghe. Assottiglia lo sguardo, cercando di capire se sia il tipo.
“Non mi guardare così, principessa. Sono un’insegnante. D’asilo. Un bambino mi ha ficcato quella roba nell’occhio per dispetto. Non sono un drogato. Ma grazie del pensiero.”
Clarke raddrizza la schiena. Nessuno la guarda a quel modo, nessuno la apostrofa dall’alto in basso. Principessa, solo perché è bionda!
“Fossi in lei, farei meno lo spiritoso. Se io le nego gli antidolorifici – e gli antinfiammatori come dovrei fare – avrà poco da ridere stanotte. Quando si gonfierà. Quando anche chiudere le palpebre sarà come avere degli spilli infilati nel cranio. E la sottoscritta principessa, invece, farà sogni beati alla faccia del suo senso dell’umorismo.”
Un sorriso fugace gli passa sulle labbra, come se non si aspettasse una risposta a tono e la cosa lo divertisse. Dev’essere abituato a tutt’altro tipo di bionda.
Mima il gesto di chiudersi la bocca con la zip e buttare via la chiave.
Clarke rotea gli occhi e torna alla scrivania per compilare la ricetta.
Non le sfugge come lui la osservi, e indugi su di lei quando si raccoglie i capelli prima di scrivere – un’abitudine dai tempi del college, odia farsi ombra mentre scrive.
“Ecco fatto,” strappa il foglio dal ricettario e si alza, oltrepassando la scrivania, mentre Blake la imita andandole incontro. Gli passa la ricetta, che lui legge subito – ha anche dei problemi di fiducia, ovvio – e annuisce quando arriva in fondo. Grazie al cielo non fa commenti sulla sua scrittura.
“Buona fortuna con le Lego, signor B. Blake,” Clarke incrocia le braccia.
“Bellamy,” risponde lui assottigliando lo sguardo. È un po’ delusa, di solito a questo punto ci starebbe uno scambio di flirt, almeno un sorriso. Per una volta che viene un bel ragazzo a farsi visitare…
“Buona fortuna con i suoi sogni beati, Dottoressa C. Griffin.”
Clarke abbassa lo sguardo sulla targhetta del camice, gli sorride. Bellamy assottiglia di più lo sguardo – come faccia a fare quell’espressione lì con un occhio solo è oltre la sua umana comprensione – ma non reciproca.
“Clarke.”
Finalmente le sorride.
“Speriamo di rincontrarci, Clarke.”
“Speriamo di rincontrarci.”

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Capitolo 2
*** May we meet again 2 ***


AU in cui Clarke deve uccidere Bellamy prima che i terrestri inizino a torturarlo.
Note: è un prompt della giornata all'insegna dell'angst. Quindi io vi avviso... ANGST.


“Aspetta.”
Clarke prende Lexa per un braccio. Sa che per farsi valere con quella principessa guerriera deve essere dura come il marmo, impenetrabile, dallo sguardo fermo come lei.
“Voglio dirgli addio.”
Lexa annuisce, fa’ segno al suo popolo che la lascino passare.
I terrestri si aprono per lei, le fiamme delle torce che guizzano nella notte, un tintinnio di spade e orpelli a seguirli.
Bellamy è là, in fondo a quel corridoio di anime, legato a petto nudo ad un palo troppo alto per tirarlo via, troppo spesso per tagliarlo. Questi barbari hanno pensato proprio a tutto.
Quando la scorge che avanza a testa alta verso di lui, le scocca un’occhiata di avvertimento.
‘Non osare nulla, principessa.’
Tipico di lui, preoccuparsi della sua sorte quando sta per essere tagliato da mille coltelli, e ucciso. Clarke gli scocca un’occhiata torva di rimando. ‘Non dirmi cosa fare, soprattutto non ora.’
Gli arriva di fronte, e il cerchio si richiude dietro di lei.
Non c’è privacy, non c’è modo di ideare un piano di fuga, nessuna possibilità di salvarlo. Bellamy probabilmente l’aveva già capito.
Clarke ricaccia indietro le lacrime, sa che non saranno di conforto a nessuno dei due. Cerca di sorridergli, ma gli viene male, tutto storto, sotto quelle sopracciglia piegate all’ingiù.
Bellamy fa un cenno col capo, capisce che ci sta provando e non se la prende per non esserci riuscita.
“Per favore,” dice, e ha la voce ferma come non gliel’ha quasi mai sentita. “Prenditi cura di Octavia.”
Clarke annuisce, il proposito di non piangere ad un passo dall’andare a farsi fottere. “Certo.”
Le catene ai polsi tintinnano, là in alto, quando si sporge verso di lei per sussurrarle all’orecchio.
“Appena è finita, scappate. Non fare patti con queste persone, non fidarti di loro. Scappa e basta.”
Continua ad annuire, incapace di fermarsi. “Certo, Bellamy.”
“E Clarke… non è stata colpa tua.”
Clarke strizza le palpebre, una lacrima ribelle ne approfitta per spuntare fuori. “Lo… lo so.”
Bellamy ha ucciso un terrestre mentre la stava cercando. Non era sua intenzione, e non è colpa di nessuno.
Eccetto che Clarke se la sente comunque addosso, perché i terrestri lo stanno uccidendo solo per fare un dispetto a lei.
Non vuole che Bellamy m-
Non vuole che Bellamy se ne vada con il peso del suo senso di colpa. Vuole rassicurarlo.
“Non è neanche colpa tua,” gli sussurra di rimando.
“E di chi, allora?”, ribatte. “Di Jaha? Sarebbe bello poter dare di nuovo tutta la colpa a Jaha.”
Forza un sorriso, Bellamy, che sta facendo dell’umorismo per alleggerire in qualche modo questo fardello.
Clarke ridacchia di gusto, le è sempre piaciuto il senso dell’umorismo di Bellamy.
Eccetto che sarà l’ultima volta che lo sente, e i sorrisi di entrambi si spengono così velocemente come sono arrivati.
Si osservano.
Le cose da dirsi sono state dette, e cosa rimane? Tutto, e niente.
Clarke gli getta le braccia al collo.
Quando lo sente piegare la testa di lato, nel suo unico tentativo possibile di ricambiare l’abbraccio, le lacrime cominciano a scendere copiosamente.
“Mi… mi dispiace.”
“Non ti preoccupare.”
E pure Bellamy il leader ha la voce un po’ rotta.
È giunto il momento, ma Clarke non vuole farlo senza che lui sappia cosa sta succedendo.
Comincia a canticchiare, a bocca chiusa, lo stesso motivetto che ha cantato per Atom, tanto tempo fa, nella foresta.
Bellamy capisce.
Prima si irrigidisce, poi si scioglie su di lei. Annuisce, lentamente, dando il suo consenso, spaventato ma in un certo senso sollevato di non dover subire quella atroce tortura.
Clarke fa scivolare fuori la lama dalla manica, continuando a filare la melodia. Bellamy le stringe la spalla col mento, spingendola ancora di più verso di sé.
Gli piazza un bacio da qualche parte tra la guancia e la tempia. “Speriamo di incontrarci di nuovo.”
“Speriamo di incontrarci di nuovo.”
In un solo colpo, la lama si infila nella carne, trapassandogli la gola da parte a parte.
Un fiotto di sangue le imbratta la faccia, ma lei non lo lascia andare finché delle mani la staccano con forza.
Il corpo insanguinato di Bellamy è appeso al palo, senza vita.
Le tappano la bocca e non sa neanche quando ha iniziato a urlare.

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