Non è mai troppo tardi per sorridere di LazySoul (/viewuser.php?uid=126100)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
cap_1
Autore: LazySoul
Titolo della fic: Non è mai troppo
tardi per sorridere
Lunghezza della fic: long-fic
Pacchetto scelto: Sorriso-Pianto
Personaggi principali: Fred
Weasley, Mirtilla Malcontenta
Genere: Generale, Introspettivo,
Triste
Avvertimenti: Nessuno
Raiting: Verde
Note dell’autore: 1)
“Senti-Il-Profumo-E-Non-La-Puzza” me lo sono inventato, mentre gli altri
prodotti di Zonco li ho trovati facendo alcune ricerche su internet
Non
è mai troppo tardi per sorridere
CAPITOLO 1
{Quarta regola di mamma Molly: avere sempre rispetto
dei morti, soprattutto quelli che potrebbero vendicarsi}
Gennaio
1990
Sulla
scrivania i grandi occhi gialli di Mrs. Purr si spostavano ogni due secondi,
studiando ogni movimento dei ragazzi che le erano seduti di fronte. Gazza era
dovuto correre in Sala Grande per una questione urgente che implicava un
Folletto della Cornovaglia che si era introdotto nella scuola mettendo alle
strette alcuni studenti del primo anno, lasciando alla gatta il compito di
sorvegliare i gemelli Weasley, beccati più volte a gironzolare nei pressi della
Foresta Proibita.
Fred
e George, con un sorriso furbesco stampato in volto, studiavano a loro volta il
pelo color polvere, i baffi vibranti, la coda guizzante e le orecchie a punta
di Mrs. Purr, aspettando il momento migliore per agire.
Già
da più di una settimana si aspettavano di venir convocati nell’ufficio del
signor Gazza e avevano fatto di tutto per accelerare il più possibile i tempi,
assicurandosi di essere visti da più testimoni per volta mentre si dirigevano
furtivamente verso la Foresta Proibita, anche se non avevano mai avuto
intenzione di addentrarvisi, o almeno non ancora.
Quando
avevano elaborato il piano avevano sperato Gazza si portasse dietro Mrs. Purr
per catturare più facilmente il Folletto della Cornovaglia – che i gemelli
Weasley avevano catturato durante le vacanze di Natale ed avevano liberato solo
quella mattina, creando il diversivo perfetto per avere l’ufficio di Gazza a
loro disposizione.
Percy,
il loro amato fratello perfetto,
aveva raccontato l’anno precedente che giravano molte storie a proposito del
contenuto dei cassetti della scrivania nell’ufficio del custode e loro, curiosi
undicenni, avevano voluto accertarsene di persona. Peccato che nessuno li
avesse avvisati del terribile odore di pesce che albergava in quel triste e
ristretto stanzino, altrimenti avrebbero prima ingerito un po’ di pozione
“Senti-Il-Profumo-E-Non-La-Puzza” di Zonco. 1)
Intanto
Mrs. Purr continuava a non perderli di vista un solo istante e il tempo filava
via alla velocità di una Nimbus 1990.
Fu
George a prendere l’iniziativa e, alzatosi dal suo posto a sedere, incominciò a
dirigersi verso quella che sembrava la ciotola per la pappa della gatta,
tirando fuori dalla tasca un sacchetto con dentro alici marinate con della
Pozione Soporifera e lasciandole cadere accidentalmente nel piattino rosa su
cui c’era scritto in nero “Kitten”.
Mrs.
Purr era una gatta seria e dedita al suo lavoro, ma un animale prima di tutto, per
questo motivo non riuscì a resistere e in due balzi aveva già raggiunto la sua
ciotola, dando le spalle ai gemelli.
Fred
si alzò a sua volta e, battuto il cinque col gemello, iniziò a frugare tra i
cassetti della scrivania, mentre George si occupava del piccolo mobiletto alla
destra della porta.
Mrs.
Purr nel frattempo cominciava a barcollare, quasi si fosse ubriacata, e, nel
giro di pochi secondi, era a terra, profondamente addormentata.
«Trovato
qualcosa, Fred?», chiese il fratello, tirando fuori dall’armadio un completo
elegante che doveva avere una trentina d’anni – come testimoniavano i buchi
causati dalle tarme e il tanfo che emanava – ed era ormai inutilizzabile: «Io
penso di aver appena riesumato un reperto archeologico ancora più antico e
puzzolente della prozia Tess».
Entrambi
fecero una smorfia prima di ridacchiare e tornare alla ricerca di… beh, non
avevano idea di cosa stessero cercando, ma erano certi che l’avrebbero trovato.
George
stava soppesando su una mano un sacchetto di “Caccabombe” e sull’altra uno di “Dolci
Singhiozzini”, indeciso su quale tenersi, ma propenso a sgraffignare entrambi,
quando Fred richiamò la sua attenzione.
Dal
fondo di uno dei cassetti della scrivania di Gazza era venuto fuori un foglio
di pergamena piegato più volte su se stesso che aveva un aspetto antico e
rovinato; era classificato come “altamente pericoloso”.
«Bravo»,
disse George, dando una pacca sulla spalla al fratello: «Questo è il genere di
cose inutilizzabili che speravo proprio di non trovare».
Fred
sorrise mentre confutava la teoria del fratello: «Se fosse come dici tu, perché
non è sulla scrivania accanto a tutte le altre pergamene bianche e inutili?
Perché è contrassegnata con la scritta “altamente pericoloso”?»
George
aggrottò le sopracciglia e rifletté un istante prima di fare spallucce: «Prendila,
se ci tieni; è comunque una pergamena bianca in più».
Fred
la infilò in una delle grandi tasche della divisa, certo che quella non fosse
una normale pergamena, ma qualcosa in più.
Sentirono
dei passi avvicinarsi e si affrettarono a chiudere cassetti e ante, prima di
tornare seduti nelle sedie davanti alla scrivania.
Pochi
istanti dopo entrò nell’ufficio Gazza che, con tono brusco, scacciò i ragazzi
dall’ufficio, dicendo che in quel momento doveva occuparsi di questioni più
serie di due mocciosi in cerca di guai e che li avrebbe convocati poi in futuro
se avessero continuato a non rispettare le regole della scuola.
I
gemelli Weasley non se lo fecero ripetere due volte e raggiunsero il corridoio
con quattro veloci falcate. Avevano appena svoltato l’angolo verso le scale che
portavano ai piani superiori, quando sentirono l’urlo furioso di Gazza e i suoi
passi che si avvicinavano.
Qualcosa
suggerì loro che il custode si fosse reso conto dello stato della gatta e che
avesse intenzione di vendicarsi.
Senza
bisogno di dirsi nulla iniziarono a correre e, per mettere in difficoltà
l’uomo, presero strade diverse: George prese la scala che portava direttamente
al quarto piano, mentre Fred quella che portava al secondo.
Il
signor Gazza, che aveva raggiunto una certa età e si stancava facilmente,
avrebbe preferito dare le dimissioni e ritirarsi in una spiaggia deserta con la
sua inseparabile gatta, ma dato che lo stipendio da custode non era
particolarmente generoso, aveva calcolato che avrebbe dovuto lavorare ancora
una decina di anni prima di poter vivere di rendita per il resto della propria
vita. La cosa che odiava di più in assoluto erano i mocciosi e l’impossibilità
di dare loro qualche bella punizione, come le torture che decenni prima
venivano utilizzate per premiare i
ragazzini meritevoli. Ecco, il signor
Gazza, senza pensarci due volte, avrebbe preso i due nuovi Weasley e li avrebbe
legati per i piedi al soffitto, tenendoli lì per qualche giorno, come giusta
punizione per aver osato drogare la
sua povera e amata gatta.
Quando
Fred e George si separarono, Gazza si fermò, considerando le tre opzioni che
aveva davanti: come prima cosa avrebbe potuto fare dietro front, per andare ad
assicurarsi che Mrs Purr stesse bene e poi raggiungere il preside Silente per
metterlo a conoscenza del comportamento dei gemelli, la seconda opzione era
quella di seguire quello che aveva preso le scale per il secondo piano e
accontentarsi di beccarne solo uno, la terza possibilità era uguale a quella
precedente solo che al posto del secondo piano sarebbe dovuto andare al quinto.
Alla
fine optò per il ragazzo che era corso al secondo piano, il quale aveva meno
possibilità di sfuggirgli raggiungendo la torre di Grifondoro.
Nel
frattempo Fred, accortosi di avere il signor Gazza alle calcagna, decise di
fare l’unica mossa che il custode non si sarebbe mai immaginato e che gli
avrebbe permesso di sfuggirgli: si nascose nel bagno delle ragazze infestato
dalla famigerata Mirtilla Malcontenta.
Il
giovane Weasley sapeva che il “fantasma del gabinetto”, come l’aveva
scherzosamente soprannominata con suo fratello, avrebbe potuto fare la spia col
custode, ma sperava di riuscire a tenerla buona il tempo necessario per far
perdere le proprie tracce.
Si
chiuse la porta del bagno alle spalle e corse verso uno dei cubicoli,
nascondendovisi all’interno.
Con
tutti i sensi all’erta sentì i passi del custode produrre un forte e ininterrotto
“tum-tum” contro il pavimento in pietra, mentre continuava a correre, superando
il bagno delle ragazze del secondo piano.
Non
aveva ancora finito di riprendere fiato – corto a causa della corsa – che
iniziò a ridacchiare più silenziosamente possibile, dandosi da solo il cinque,
in mancanza del suo gemello.
«Ehm,
ehm», sentì qualcuno schiarirsi la voce e, interrompendo lo sfogo di ilarità,
si voltò verso il gabinetto alle sue spalle, dal quale spuntava per metà il
corpo perlaceo di Mirtilla Malcontenta.
La
ragazza aveva come suo solito i
capelli dritti e scuri schiacciati sul viso, e gli occhiali dalle lenti spessi
che sembravano ingrandire smisuratamente i suoi occhi neri e perennemente
lucidi di lacrime.
«Cosa
ci fai tu qui?», chiese, con la voce fastidiosa e acuta, mentre emergeva
completamente dalla tazza del water e stringeva con forza le braccia al petto:
«Perché ridi?»
Il
volto stravolto dalla rabbia del fantasma scatenava ulteriormente l’ilarità di
Fred ma, come sua madre aveva insegnato a lui e i suoi fratelli, bisognava
portare rispetto per i morti, soprattutto a quelli che non se ne erano ancora
andati del tutto e che quindi avrebbero potuto essere vendicativi.
«Mi
dispiace, Mirtilla», disse, sorridendole – non sapeva perché, ma sperava che
lei avrebbe ricambiato e si sarebbe mostrata a sua volte felice, cosa che non
accadde: «Sono riuscito a seminare Gazza, è per questo che sono contento».
Mirtilla
scosse le spalle con noncuranza e fece una smorfia: «Non tollero che si rida
nel mio bagno!», esclamò, lagnandosi.
«Non
ti stanchi a stare sempre chiusa qui dentro a piangere?», chiese ingenuamente
l’undicenne, mentre immaginava quanto sarebbe stato fico avere il potere di attraversare i muri, fare scherzi ai vivi,
spaventarli e spiarli, spettegolando poi dei segreti di tutti con tutti.
L’espressione
sul viso di Mirtilla Malcontenta s’indurì e un tic nervoso le fece chiudere
ripetutamente l’occhio destro: «Cos’altro dovrei fare?!», urlò, fluttuando ad
una velocità sovrumana a due centimetri dal viso di Fred Weasley, sul volto del
quale scomparve il sorriso.
«Sono
morta! Non c’è nessun tipo di divertimento quando si è morti! Tutto ciò che si
ha è il rimpianto!», si sfogò il fantasma, aumentando sempre più il volume
della voce, a mano a mano che andava avanti col suo discorso.
Fred
abbassò lo sguardo: «Oh», sospirò, prima di sorridere: «So di cosa hai bisogno!
Ti ci vuole un amico che ti tiri su di morale!»
Mirtilla
Malcontenta allontanò il viso da quello del bambino e lo studiò con occhio
critico per qualche istante: lentiggini, capelli rossi, occhi azzurri e un
sorriso smagliante in volto; assomigliava in modo impressionante ad un
ragazzino di Grifondoro che aveva conosciuto in vita e di cui non ricordava il
nome.
«Un
amico...», mormorò il fantasma, sedendosi sulla tazza del gabinetto, mentre con
le mani si sistemava la gonna della divisa di Corvonero.
Mirtilla
pensava alla sua vita, al fatto che non avesse mai avuto una vera amica,
altrimenti quel giorno del lontano 1943 non sarebbe corsa in bagno a piangere,
ma avrebbe raggiunto una persona cara con cui sfogare la sua tristezza. Aveva
sempre pensato di non essere una persona abbastanza socievole da meritarsi
l’affetto di un altro essere umano ed ora quel ragazzino pieno di lentiggini
voleva esserle amico?
Lei
non aveva bisogno di amici!
«Vattene
via!», urlò lei, sollevandosi nuovamente in piedi, prima di iniziare ad ululare
tra le lacrime e di svanire nel gabinetto da cui era venuta.
Fred
non riusciva a sopportare il pensiero di aver fatto piangere una ragazza. Certo, tecnicamente, lei era un
fantasma, non era propriamente viva e
si divertiva quando altre persone erano disperate, ma questo non voleva dire
che non gli dispiacesse per lei. Avrebbe voluto chiederle com’era morta e
perché aveva deciso di rimanere nel mondo dei vivi come fantasma, ma sapeva che
erano questioni delicate; mamma gli aveva detto più volte di non inimicarsi un
fantasma e lui non aveva intenzione di disobbedire.
«Volevo
solo farti sorridere», sussurrò, abbassando il capo, dispiaciuto per non esser
riuscito nell’impresa che si era prefissato, o forse semplicemente offeso per
il fatto che lei non avesse voluto accettare la sua proposta di amicizia.
Fred
Weasley abbandonò il suo rifugio solo quando si fu accertato che Gazza non era
più nei paraggi, mentre si allontanava dal bagno delle ragazze del secondo
piano, sentì il forte desiderio di tornare presto a fare visita a Mirtilla
Malcontenta: voleva farla sorridere.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
cap_2
CAPITOLO 2
{Terza regola di mamma Molly: non ridere delle
disgrazie altrui}
Febbraio
1990
Fred
e George erano stati messi in punizione dal signor Gazza per un intero mese,
durante il quale avevano dovuto aiutare la Professoressa Sprite a mettere in
ordine le serre, catalogando le piante e concimandole; anche se il custode non
aveva rinvenuto nessuna prova che fossero stati proprio loro due a far
addormentare la sua gatta per ore e ore.
George
avrebbe voluto trovare un modo per fargliela pagare, mente Fred stava tutto il
suo tempo libero sulla strana pergamena che aveva rinvenuto dall’ufficio del
signor Gazza, da bravo fratello ascoltava distrattamente le parole del gemello
e i suoi piani malefici per riconquistare l’orgoglio perduto, ma dentro di sé
sentiva che quel semplice foglio giallastro racchiudeva in sé qualcosa di
importante.
Dopo
lo scontro che aveva avuto con Mirtilla Malcontenta non era più riuscito a
tornare nel bagno delle ragazze del secondo piano per mantenere la sua promessa;
anche perché tra i pomeriggi di punizione e le ore spese nel vano tentativo di
rivelare il mistero della pergamena, non aveva avuto molto tempo per portare a
compimento il suo piano.
I
primi di Febbraio, Fred decise di cercare in Biblioteca degli incantesimi che
avrebbero potuto aiutarlo con la vecchia pergamena e chiese a George una mano.
Non dovette insistere molto e alla fine decisero di provare a turno delle
possibili frasi che potessero permettere loro di svelare i segreti di quel –
apparentemente – semplice oggetto.
I
volumi che consultarono in Biblioteca non furono di nessun aiuto, provarono
decine e decine di incantesimi, ma nulla apparve sulla superficie della
pergamena che rimaneva vuota e inutile.
Una
volta, George, stanco di essere preso in giro da “un pezzo di carta”, provò a
scriverci sopra il suo tema di Trasfigurazione; l’unico risultato che ottenne
fu la scomparsa delle parole che a mano a mano stava scrivendo e, dopo pochi
secondi, la piuma con cui stava imbrattando la pergamena prese fuoco,
provocandogli una lieve ustione. Venne accompagnato in infermeria dal gemello,
dove Madama Chips curò la mano con un unguento color lavanda dall’odore
nauseabondo; nel giro di qualche minuto George era tornato come nuovo e,
convinto sempre di più del potenziale della pergamena, corse con Fred nel
dormitorio di Grifondoro, dove ricominciarono i tentativi di svelare il mistero
“del pezzo di carta”.
«Svelati!»,
«Mostra il tuo contenuto!», «Apriti sesamo!», furono alcuni dei loro meno
fantasiosi tentativi, mentre: «Oh, foglio bianco, colorati presto, sopra il
banco, svelati lesto!», fu una delle frasi più complesse che venirono loro in
mente.
Il
giorno di San Valentino decisero di prendersi una pausa e di approfittare della
festa per fare qualche scherzo in giro. Spedirono, per esempio, una scatolina
di cioccolatini soporiferi a Mrs. Purr, un biglietto d’amore da parte di un
“Ammiratore segreto” alla McGranitt, a Cedric Diggory fecero trovare sul suo
banco, durante la lezione di Divinazione, un messaggio da parte di un rivale in
amore, che lo minacciava di rapire la sua amata Cho e di fuggire con lei in
luoghi sperduti, a Marcus Flitt spedirono un tortino al cioccolato da parte di
una “Amante del Quidditch e dei giocatori di Quidditch”, a Kain Montague arrivò
una rosa da parte di Marietta Edgecombe, a Marietta Edgecombe un biglietto
d’amore da parte di Marcus Belby e a Marcus Belby una poesia d’amore firmata da
Kain Montague.
Ad eccezione delle ore di lezione, George passò tutto il suo tempo attaccato ad
un volume di incantesimi che aveva preso in Biblioteca, sempre alla ricerca di
un indizio che avrebbe potuto aiutarlo a svelare il mistero della pergamena.
Fred invece aveva deciso di rispettare la promessa fatta a se stesso e, dopo
aver trovato nei giardini della scuola un mazzolino di fiori di campo color
giallo acceso, era entrato nel bagno delle ragazze del secondo piano,
chiudendosi la porta alla spalle.
Appena
si fu abituato alla penombra, fece alcuni passi in avanti, guardandosi intorno;
sentiva chiaramente il suono strozzato di qualcuno che cercava invano di
trattenere le lacrime e i singhiozzi.
Seduta
sotto la struttura centrale dei lavandini si trovava la figura perlacea di
Mirtilla Malcontenta che, con le lacrime agli occhi, guardava il cielo plumbeo
oltre le bifore della stanza.
Una
volta che si fu voltata verso la porta, notò la figura del ragazzino che le
aveva chiesto di essere amici qualche giorno prima... o erano passate solo
poche ore?
«Perché
sei tornato?», gli chiese, cercando di nascondere coi lunghi capelli scuri i
suoi occhi colmi di lacrime. Il suo tono di voce era scontroso e stridulo,
sembrava una povera bestia ferita e lasciata a soffrire sola nel mezzo di una
foresta: come avrebbe potuto la bestia fidarsi nuovamente delle persone?
Fred
sorrise, ignorando l’antipatia del fantasma, e si fece più vicino: «È San
Valentino, nessuna ragazza dovrebbe sentirsi sola oggi», disse, porgendole i
fiori di campo che aveva nascosto dietro alla schiena fino a quel momento.
Mirtilla
scosse il capo, guardando quel dono con gli occhi ancora umidi per il pianto di
poco prima: «Cosa me ne dovrei fare?», chiese, assottigliando lo sguardo.
Lei
non aveva mai ricevuto in dono dei fiori in vita sua, nessuno aveva mai pensato
che alla bruttina e timida Mirtilla sarebbe piaciuto ricevere un piccolo
pensiero simile. Guardava il colore brillante e sano di quel semplice mazzolino
di fiori di campo e provò per un breve secondo qualcosa, un sentimento diverso dal desiderio di vendetta e
malinconia che aveva accumulato in quasi cinquant’anni di non-vita, qualcosa di
genuino e dolce che le fece venir voglia di sorridere.
In
quell’istante si sentì un forte rumore alla porta del bagno e, senza che Fred e
Mirtilla riuscissero a vedere chi fosse stato, qualcuno lanciò a pochi passi da
loro una Caccabomba e un SuperPallaGomma di Drooble; in pochi
secondi la stanza si riempì di un forte odore nauseante, mentre numerosi
palloncini color genziana cominciavano a duplicarsi e a riempire ogni angolo
libero della stanza.
Mirtilla,
con un ululato di disperazione era fuggita nel suo solito cubicolo per piangere
e ideare una vendetta, mentre Fred, deluso di non essere riuscito nel suo
intento di far sorridere il fantasma, lasciò il mazzolino di fiori accanto ai
lavandini e, tappandosi il naso con le dita, uscì di corsa dal bagno, spostando
decine e decine di palloncini che ormai erano ovunque.
Quando
Gazza venne a sapere pochi minuti dopo dell’accaduto, chiese ad una strillante
Mirtilla Malcontenta chi fosse stato, ma non ottenne risposte soddisfacenti.
Nuotando in un mare di palloncini color genziana, con una molletta per stendere
chiusa sul naso, arrivò ad alcune finestre che riuscì ad aprire con un po’ di
olio di gomito, per far uscire l’odore nauseabondo della Caccabomba, mentre per
i palloncini ci sarebbero voluti alcuni giorni prima che si sgonfiassero
autonomamente.
A
fine giornata quello non fu l’unico scherzo ben riuscito, infatti anche quelli
dei gemelli Weasley ottennero risultati soddisfacenti: Gazza e la sua gatta,
per esempio, non si presentarono a cena, probabilmente avevano assaggiato
entrambi i dolcetti soporiferi, la Professoressa McGranitt guardava il Preside
Silente con uno strano sguardo da pesce lesso che non le si addiceva per
niente, Cedric Diggory non si allontanò dalla sua ragazza per un solo istante,
guardando ogni essere umano di sesso maschile che le si avvicinava con uno sguardo
assassino, Marcus Flitt mostrava il biglietto che gli era stato recapitato con
il tortino al cioccolato ad ogni persona che gli capitava davanti, nella vana
speranza di trovare l’“Amante del
Quidditch e dei giocatori di Quidditch”, Kain Montague, Marietta Edgecombe e
Marcus
Belby invece si erano inseguiti per tutto il giorno; Kain voleva invitare
Marietta ad uscire, Marietta voleva ringraziate Marcus per il dolce pensiero e
Marcus si nascondeva ogni volta che vedeva Kain nelle vicinanze. Gli
appartenenti al triangolo amoroso ci avevano messo ore prima di capire che
erano stati tutti presi in giro da un misterioso buffone, anche se Marcus rimase
talmente segnato dalla giornata che non smise per giorni di evitare – per
sicurezza – Kain Montague.
George
non prestò molta attenzione alla riuscita dei loro scherzi, troppo occupato a
strapazzare la pergamena con tutti gli incantesimi che gli venivano in mente,
mentre Fred non riuscì a ridere delle espressioni deluse o confuse delle loro
povere vittime; tutto quello a cui riusciva a pensare era al dolore che aveva
causato a Mirtilla lo scherzo della Caccabomba
e del SuperPallaGomma di Drooble. Gli
venne in mente una delle frasi preferite di sua mamma: «Ragazzi, non si ride
delle disgrazie altrui» e pensò che da quel momento in poi avrebbe trovato il
modo di fare scherzi che facessero ridere tutti, nessuno escluso.
Nel
bagno delle ragazze del secondo piano intanto, Mirtilla Malcontenta non aveva
smesso di piangere un solo momento, mentre cercava con tutte le sue forze di
fantasma di far scoppiare quegli stupidi palloncini. A fine giornata, dopo non
aver ottenuto nessun risultato, decise di trasferirsi momentaneamente nel bagno
dei Prefetti.
Mirtilla
tornò nel suo adorato cubicolo solo dopo un paio di giorni e su insistenza del
preside Silente che la rassicurò più volte che non c’erano più palloncini; una
volta tornata nel suo regno ci impiegò un po’ di tempo prima di notare il
mazzolino di fiori adagiato su uno dei lavandini e di riconoscere i fiori – ora
non più sgargianti e pieni di vita come due giorni prima – che le aveva portato
quel ragazzino dai capelli rossi.
Un
sorriso spontaneo e dolce le comparve sul viso per solo un breve istante, prima
che la tristezza, la malinconia e la solitudine tornassero a gelarle i
lineamenti perlacei in una smorfia di dolore.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
cap_3
CAPITOLO 3
{Seconda regola di mamma Molly: non essere scortesi}
Marzo
1990
Il
signor Gazza, senza un apparente motivo, mise in castigo i gemelli Weasley,
dopo che trovò nuovamente la sua gatta sotto sedativi. Fred e George tentarono
in tutti i modi di fargli notare che era ingiusto dare la colpa a loro se
qualsiasi cosa fuori dal comune accadeva ad Hogwarts, ma il custode non prestò
loro attenzione e mise in mano ad entrambi una scopa, invitandoli a pulire i
gabinetti dell’intero castello.
I
gemelli Weasley non protestarono più perché in fondo era vero che era stata
colpa loro, anche se il signor Gazza non aveva nessuna prova al riguardo.
L’idea
era stata di George, che voleva tornare nell’ufficio del custode per scoprire
se, nascosto in qualche cassetto, ci fosse scritto l’incantesimo che avrebbe
permesso loro di svelare i segreti della pergamena. Avevano approfittato del
pomeriggio libero settimanale del custode, non pensando alla gatta che,
immancabilmente, si trovava nella sua cuccetta nell’ufficio del signor Gazza.
Avevano dovuto drogarla per poter svolgere le ricerche indisturbati ed erano
rimasti tremendamente delusi quando non avevano trovato nulla di nulla che
potesse essere loro utile, tranne alcuni articoli di Zonco sequestrati dal
custode, che avevano sgraffignato senza pensarci due volte.
Avevano
cercato di far ragionare il signor Gazza, quando era venuto a chiamarli per
metterli in castigo, nel modo più cortese possibile, consapevoli che – come
diceva la loro mamma – essere scortesi col prossimo non avrebbe portato nulla
di buono, ma non aveva funzionato come avevano sperato.
«Ci
dividiamo i piani?», chiese George, guardando il fratello con un’espressione
piena di sconforto, mentre maneggiava la scopa in modo buffo e poco
professionale.
Il
gemello annuì, sconsolato a sua volta dal terribile compito che li attendeva.
«Io
quelli dispari!», disse George, alzando una mano, con un sorriso furbesco
stampato in volto: «Buona fortuna col “fantasma del gabinetto”!», esclamò,
ridacchiando contento, mentre si allontanava per adempire ai suoi doveri.
Fred
fece una piccola smorfia inizialmente, poi però pensò che non vedeva Mirtilla
Malcontenta da parecchio tempo e voleva ancora trovare il modo di farla
sorridere e diventare suo amico, così decise di andare subito verso il bagno
delle ragazze del secondo piano, per chiacchierare con lei e cercare di
sollevarle il morale.
Nel
tragitto verso il bagno incrociò suo fratello Percy, che gli lanciò uno sguardo
di disapprovazione: «Cosa ci fai con quella scopa, Fred?», gli chiese,
fermandosi davanti a lui.
«Gazza
ha messo in punizione me e George», spiegò, sollevando le spalle, per far
capire al fratello che era tutto nella norma.
Percy
sospirò e con espressione annoiata e delusa fece gesto a Fred di andare ovunque
dovesse andare e continuò lungo il corridoio, diretto probabilmente verso la
Sala Grande, dove presto si sarebbe tenuto il pranzo.
Fred
considerò molto triste la vita di suo fratello maggiore; sempre annoiato, triste,
depresso e dedito al dovere; e si chiese se si fosse mai davvero divertito
almeno una volta. Quel pensiero lo portò a pensare nuovamente a Mirtilla e al
suo desiderio di farla ridere; doveva solo capire come fare...
Una
volta raggiunto il bagno delle ragazze del secondo piano vi si chiuse dentro e,
ignorando il compito assegnatogli da Gazza, si guardò intorno, aguzzando la
vista e l’udito, nel tentativo di individuare la figura perlacea del “fantasma
del gabinetto.”
Fu
sorpreso di trovare Mirtilla Malcontenta fluttuare vicino ad una delle bifore
della stanza, con in mano un mazzolino di fiori ormai secchi e ingrigiti dal
tempo.
Senza
rendersene conto Fred sorrise: «Sono i fiori che ti ho regalato, quelli?», chiese,
avvicinandosi a lei.
La
ragazza sussultò, guardando il nuovo
arrivato con gli occhi sbarrati dalla sorpresa. Tentò di nascondere dietro di
sé i fiori, per non far capire al rosso quanto avesse gradito quel piccolo
dono, ma fu tutto vano; attraverso il corpo perlaceo della ragazza infatti quel
semplice mazzolino di fiori era ugualmente ben visibile, come se avesse
continuato a tenerlo contro il petto.
«Ancora
tu?», chiese Mirtilla, fingendosi infastidita dall’improvvisa visita, mentre in
realtà avrebbe voluto sorridergli.
Mirtilla
malcontenta era un fantasma prima di tutto, il suo compito era tormentare i
vivi, non fraternizzare con loro, come facevano Nick-Quasi-Senza-Testa o il
Frate Grasso; aveva un’etica ed una certa fama, non poteva fare finta di niente
ed abbassare tutte le sue difese per il primo ragazzino che sembrava essere più
gentile rispetto agli altri. Semplicemente non era nella sua natura.
«Come
stai?», chiese Fred, mettendo in mostra i suoi denti leggermente storti,
decidendo di lasciar perdere il discorso “mazzolino di fiori”, avendo notato
come la ragazza sembrasse imbarazzata quando lui li aveva nominati poco
prima.
«Come
pensi che possa stare?!», esclamò lei, corrucciando la fronte ed arricciando le
labbra: «Sono triste!», spiegò, abbassando lo sguardo: «E sola», aggiunse,
fluttuando verso i lavandini, dove appoggiò i fiori che continuava a nascondere
dietro alla schiena.
«Ora
ci sono io qua con te!», disse Fred, provando a tirarle su il morale. Si chiese
di cosa avrebbe potuto parlarle per farla sentire meno sola e triste e pensò
che magari lei avrebbe potuto aiutarlo col mistero della pergamena.
Senza
pensarci due volte lasciò cadere la scopa a terra e tirò fuori dalla tasca del
mantello il famoso pezzo di carta che negli ultimi mesi era diventato
l’ossessione sua e di suo fratello.
«Io
e George abbiamo trovato questa, ti va di aiutarmi a capire a cosa serve?», le
chiese, mostrandole il foglio bianco piegato più volte su se stesso.
Mirtilla
si voltò appena e lanciò un’occhiata indifferente all’oggetto che il ragazzino
stava sventolando con sguardo trionfale: «È solo una stupida pergamena», disse
lei, godendo solo per pochi istanti dell’espressione ferita del rosso, prima di
sentire qualcosa di diverso... forse sentire
non era il verbo giusto, lei in fondo era un fantasma che non aveva più molta
dimestichezza con i sentimenti umani, ma dentro di sé, da qualche parte, percepì che si era comportata male, che
era stata scortese con un ragazzo che aveva sempre cercato di farla sorridere e
farla sentire bene.
Se
Mirtilla Malcontenta fosse ancora stata abituata ai sentimenti umani avrebbe
classificato quella percezione come senso
di colpa e pentimento, ma erano anni ormai che non faceva altro che provare –
in ricordo della sua vita passata – delusione, solitudine, tristezza e un forte
desiderio di vendetta, per questo motivo ignorò quella percezione e continuò ad infierire: «E tu sei solo uno stupido
ragazzino che vuole vedere qualcosa di bello in tutto ciò che incontra!»
Mirtilla
prese in mano il mazzolino di fiori e lo lanciò contro il ragazzo, colpendolo
al petto: «Non voglio la tua pietà, non voglio questi orribili fiori, non
voglio un amico come te! Non me ne faccio nulla di un amico! Voglio solo
piangere e far sentire gli altri come mi sono sentita io quando mi è stata
strappata via la vita! Tu, tutti i tuoi amici, i tuoi compagni, i tuoi parenti
non siete niente! Sorridi pure quanto
vuoi, illuditi che la vita sia bella ed appagante, ma non venire qui a
prendermi in giro!», il tono di voce del fantasma si era fatto sempre più
stridulo e fastidioso a mano a mano che andava avanti col discorso, facendo
male alle orecchie del giovane Weasley che, malgrado la sua naturale
predisposizione al riso e all’allegria, si ritrovava con involontarie lacrime
agli occhi e il forte desiderio di piangere.
Lui
non voleva prenderla in giro, lui voleva essere davvero suo amico e gli
dispiaceva infinitamente che lei non volesse, forse per orgoglio, forse perché
era ormai abituata alla sua solitudine ed era spaventata dall’idea di cambiare
quella che per anni e anni era stata la sua quotidianità. Fred guardò i fiori
appassiti che aveva raccolto tre settimane prima per la ragazza e si chiese
dove avesse sbagliato e perché gli dispiacesse così tanto aver fallito nel suo
tentativo di renderla felice.
Un
sorriso cattivo e malvagio comparve sul volto di Mirtilla Malcontenta che,
ignorava la morsa del senso di colpa che le attanagliava lo stomaco e
continuava ad infierire: «Prendi quella scopa, quell’inutile pergamena, questi
orribili fiori e vattene via! Io non ho bisogno di avere amici per stare bene!»,
urlò con la vocetta graffiante, fluttuando intorno al ragazzo.
Fred
alzò di scatto il volto: «Questa è una bugia e lo sai benissimo!», urlò,
sentendo le prime lacrime rigargli il viso, mentre faceva come il fantasma gli
aveva detto e raccoglieva da terra la scopa e i fiori che, fragili,
continuavano a perdere petali e foglioline.
«Tu
sei cattiva», disse il giovane Weasley, guardando dritto in faccia Mirtilla: «Ora
capisco perché non hai amici che ti vogliono bene!»
Dopo
quelle parole il ragazzo se ne andò, trattenendo solo per pochi passi il pianto
che gli scuoteva il petto con forza. Si lasciò poi cadere a terra contro la
parete del corridoio dove, raccolte le ginocchia vicino al petto, permise alle
lacrime di arrossargli e consumargli occhi e gote.
Si
disse che non avrebbe più provato ad essere gentile con Mirtilla Malcontenta,
perché era stata scortese, quando lui aveva provato ad essere gentile ed anche
perché lo aveva fatto piangere, cosa che cercava sempre di evitare perché lo
faceva sentire debole.
A
pochi passi di distanza intanto una disperata Mirtilla cercava invano di
raccogliere i pochi resti di quei fiori che negli ultimi giorni l’avevano
confortata e fatta sentire in un certo modo amata. Si pentiva di quello che
aveva detto e si sentiva tremendamente in colpa, anche se non sapeva tradurre a
parole ciò che le imperversava nel petto, sapeva nel profondo di aver
sbagliato. Avrebbe voluto urlare a quel ragazzino che aveva mentito, che la
vita valeva la pena di essere vissuta e che aveva un significato, che quei
fiori non erano orribili, ma bellissimi e che sì, aveva bisogno di un amico. Ma
dalle sue labbra non uscì nemmeno una parola, erano tutte stipate tra le corde
vocali e l’orgoglio le impediva di farle uscire.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
cap_4
CAPITOLO 4
{Prima regola di mamma Molly: perdonare, sempre (a
meno che non sia proprio impossibile)}
Aprile
1990
I
gemelli Weasley ricevettero per il loro compleanno quattro pacchetti di
Cioccorane a testa, due pacchetti di Gelatine tutti i gusti +1 da dividere e
una strilettera inviata dalla madre che aveva saputo – molto probabilmente Percy
aveva fatto la spia – delle numerose punizioni che avevano ricevuto dal custode
durante l’anno.
Fred
e George finsero indifferenza quando ricevettero la lettera, non volevano
mostrare di esserci rimasti male di fronte all’intera Sala Grande, ma una volta
soli nella camera che dividevano con altri due studenti del primo anno
Grifondoro, decisero che avrebbero trovato un modo per farla pagare a quel
ficcanaso perfettino di nome Percy Weasley.
Essere
sgridati dalla mamma non era mai una bella cosa, soprattutto quando ci si
ritrova di fronte a centinaia di altre persone, compresi professori e un
ghignante e soddisfatto signor Gazza.
«Dobbiamo
architettare un piano», disse George, sedendosi sul suo letto e battendo il
pugno con l’altra mano aperta: «Percy non la passerà liscia questa volta»,
promise, guardando il gemello, in attesa del sostegno che si aspettava di
ottenere.
George
aveva notato che Fred negli ultimi tempi sembrava avere sempre qualcosa in
mente, come se non riuscisse a liberarsi di un pensiero ricorrente. Aveva
provato a chiedergli spiegazioni, ma il gemello gli aveva semplicemente detto
di lasciar perdere, perché non era nulla; ovviamente George non gli aveva
creduto e ogni tanto continuava a tartassarlo per cercare di carpirgli le
informazioni minime indispensabili che gli avrebbero permesso di aiutarlo.
«Fred?»,
chiamò George, infastidito dall’apatia del fratello: «Ci sei?»
L’altro
non rispose, mentre fissava la pergamena misteriosa tra le sue mani.
Nella
stanza calò per pochi secondi un silenzio di tomba, prima che fosse proprio Fred
a spezzarlo: «Pensi che, come dice mamma, bisogna sempre perdonare le persone a
cui vogliamo bene?», chiese, guardando a lungo il gemello.
George,
che pensava si stesse riferendo al colpo basso di Percy, scosse la testa: «Oh,
no, fratellino! Non avremo nessuna pietà o perdono per lui! Ha fatto la spia
alla mamma, merita la nostra ira», disse, puntando un dito contro il fratello e
guardandolo con sguardo serio: «Non provarci nemmeno a farmi cambiare idea»,
aggiunse, certo che, se il gemello avesse detto qualcosa a proposito di tutte
le volte che Percy li aveva difesi a casa quando erano più piccoli e
combinavano numerosi guai, avrebbe ceduto.
«Siamo
poi sicuri che sia stato lui? E se fosse stato il signor Gazza?», chiese Fred,
rinunciando a ciò su cui stava rimuginando in precedenza, per dare corda al
fratello.
George
sbarrò gli occhi e socchiuse appena le labbra: «Dici che ne avrebbe il
coraggio?», domandò sconvolto, tamburellando con l’indice sul suo mento: «Dobbiamo
indagare», decise alla fine, alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta
della stanza.
Quando
si rese conto di non esser stato seguito, si voltò verso il gemello che, ancora
seduto sul suo letto, scrutava la misteriosa pergamena con uno strano sguardo
perso: «Vieni con me?», gli chiese, facendo un paio di passi verso di lui.
Fred
alzò lo sguardo e sorrise debolmente: «Sì, volevo prima passare in biblioteca»,
disse, posando ciò che aveva in mano nelle tasche della divisa scolastica: «Poi
ti raggiungo», aggiunse.
«Non
ti sei ancora arreso con quella stupida pergamena? Dovremmo pensare ad uno
scherzo coi fiocchi oggi, per celebrare il nostro compleanno!», disse George,
sentendo chiaramente che il gemello gli stava nascondendo qualcosa.
«Tu
indaga, io intanto vado in biblioteca, ci vediamo poi di nuovo qui per pensare
ad uno scherzo», lo rassicurò Fred, alzandosi a sua volta e superando il
fratello, per correre giù dalle scale.
George
era perplesso, ma decise di fare come gli era stato detto e di andare a
chiedere chiaramente a Percy se era stato lui a fare la spia con la mamma e, se
così non fosse stato, avrebbe pensato ad una vendetta coi fiocchi per far
capire al custode con chi aveva a che fare.
Fred
si sentiva in colpa per aver mentito al fratello, ma non aveva avuto il
coraggio di dirgli la verità su ciò che era successo, o forse sarebbe meglio
dire non successo, con Mirtilla Malcontenta.
Erano
passate due settimane circa dall’accaduto e Fred non riusciva a togliersi dalla
mente le parole che il fantasma aveva detto per farlo soffrire. “Ma perché?”,
continuava a chiedersi, tormentando quella povera pergamena e se stesso, senza
trovare il coraggio di fare nulla in particolare.
Solo
il giorno del suo compleanno gli erano venute in mente le parole di sua madre: «Tesoro,
si devono sempre perdonare le persone a cui si vuole bene, perché noi vorremmo
che loro, quando noi sbagliamo, ci permettano di fare ammenda, per questo
motivo dobbiamo dare loro la stessa possibilità. Solo la morte può impedire il
perdono, Fred» e aveva deciso di dare una seconda possibilità a Mirtilla
Malcontenta.
Era
pronto ad entrare nel bagno femminile del secondo piano e dire chiaro e tondo a
quella ragazza che era stata cattiva
e crudele, ma che le avrebbe dato una seconda occasione per farsi perdonare e
ritirare tutte le cattiverie che aveva detto.
Durante
il tragitto però, si sa, l’animo umano è volubile, e Fred finì col non essere
poi più tanto sicuro di quello che avrebbe fatto o detto una volta che avesse
superato la soglia del regno di Mirtilla Malcontenta. Sperava quasi di non
incontrarla o di trovare il bagno occupato da qualche altra persona che gli
avrebbe impedito di discorrere in privato col fantasma.
Fermatosi
davanti alla porta del bagno si guardò intorno e, non vedendo nessuno, si
decise ad entrare.
Come
sempre l’unica luce del bagno proveniva dalle bifore della stanza, che
permettevano al pallido e timido sole di inizio Aprile di illuminare il
pavimento in pietra e di creare giochi di colore con le gocce d’acqua che
perdevano da uno dei rubinetti.
L’unico
suono della stanza era il pianto che proveniva da uno dei cubicoli; era un
pianto disperato che faceva fremere il cuore di Fred perché, malgrado lei lo
avesse ferito, lui voleva ancora farla sorridere.
Mosse
pochi passi e poi aprì la porticina in legno, ritrovandosi di fronte una
Mirtilla Malcontenta accucciata accanto al gabinetto, le gambe strette al petto
e il viso nascosto dalle braccia.
Non
fu poi molto sorpreso di vederla piangere, in fondo era quello che aveva fatto
per anni, senza che nessuno avesse mai provato a confortarla, eppure qualcosa
dentro di lui gli diceva di essere parte, in qualche modo, del dolore provato
dalla ragazza e voleva a tutti i
costi rimediare.
Si
sedette accanto a lei, fissandola per alcuni secondi prima di sorridere appena:
«Ciao», disse semplicemente, ricevendo come risposta uno stridulo e brusco: «Vattene
via».
Fred
non si diede per vinto e prese dalla tasca la misteriosa pergamena,
rigirandosela tra le mani:
«Io
e mio fratello abbiamo rubato questa dall’ufficio di Gazza», disse, sbirciando
ogni tanto in direzione del fantasma accanto a sé: «Solo che non riusciamo a
capire a cosa serva», continuò, spiegando il foglio davanti a sé: «Sappiamo che
nasconde qualcosa, ma non riusciamo a capire cosa, abbiamo provato con
tantissimi incantesimi, abbiamo letto libri su libri ma niente, non riusciamo a
capire quale sia il suo segreto», spiegò, sospirando appena.
Mirtilla,
che avrebbe voluto mostrarsi scontrosa e antipatica come al solito, non poté
fare a meno di sorridere: «Io conosco questa pergamena», disse, mostrando a
Fred il suo viso rigato da trasparenti lacrime: «È opera di alcuni ragazzi...
saranno passati vent’ anni da quando l’ho vista per l’ultima volta in
circolazione», aggiunse.
Quando
Fred si voltò sorpreso verso di lei, Mirtilla cercò in tutti i modi di
nascondere il suo sorriso, ma ormai il ragazzo l’aveva visto: «Stai sorridendo»,
constatò lui, con gli occhi che gli luccicavano per la contentezza e
l’orgoglio.
«Non
montarti la testa», disse lei, brusca, voltando il capo dall’altra parte,
offesa.
«Sai
qual è il segreto della pergamena, quindi?», chiese Fred, guardando con
crescente speranza la figura perlacea accanto a sé, lei però continuava a
guardare da un’altra parte e nuove lacrime le rigavano le guance.
«Mirtilla,
stai bene?», chiese lui, allungando una mano, nel vano tentativo di appoggiarla
sulla spalla della ragazza per consolarla, ma si fermò a mezz’aria, conscio che
non sarebbe riuscito a toccarla neanche se avesse voluto.
Lei
rimase in silenzio per pochi istanti poi, voltando il viso verso di lui, disse:
«Mi dispiace per quello che ho detto, non volevo essere cattiva... anzi, non voglio esserlo, ma è più forte di me».
Fred
sospirò, poi sorrise: «Ti perdono», disse, togliendosi dal petto un peso che
era stanco di portare: «Amici?», propose, sporgendo la mano destra verso di
lei.
Mirtilla
appoggio le sue dita su quelle del ragazzo, facendo attenzione a non passarci
attraverso, e sorrise timidamente: «Amici».
Si
guardarono negli occhi per alcuni istanti, poi Mirtilla allontanò la sua mano e
si asciugò con la manica della divisa le perenni lacrime che rigavano il suo
viso.
Rimasero
per un po’ in silenzio, entrambi persi nei propri pensieri; Fred faticava
ancora a credere di esser riuscito finalmente a far sorridere Mirtilla Malcontenta
ed era fiero di se stesso e dei consigli di sua mamma dato che, senza di loro,
probabilmente a quel punto si sarebbe trovato ancora in camera sua a rimuginare
su cosa avesse sbagliato con la ragazza.
Mirtilla intanto cominciava a capire quanto le diverse emozioni piacevoli della
vita le erano mancate e che voleva continuare a chiacchierare con quel
ragazzino, magari non sempre, ma ogni tanto, per sentirsi di nuovo bene. Questo
non voleva dire che avrebbe smesso di tormentare chiunque l’avesse presa in
giro, o di ridere malignamente delle ragazzine col cuore spezzato che venivano
a frignare nel suo regno, o di piangere ogni volta che la nostalgia per la vita
fosse venuta a bussare alla porta della sua anima.
«Devi
dire: “Giuro di non avere buone intenzioni”», disse lei, guardando la pergamena
che il suo nuovo amico stringeva ancora tra le mani: «E poi, quando hai finito,
il contro incantesimo è: “Fatto il misfatto”».
Gli
occhi di Fred si illuminarono: «Mirtilla, sei una grande!», disse, tirando
subito fuori la bacchetta per provare.
«Ora
ti dispiacerebbe lasciarmi un po’ sola... non sono abituata a troppa
compagnia, rischio di diventare odiosa da un momento all’altro», spiegò lei,
stringendosi nelle spalle.
Il
ragazzo posò bacchetta e pergamena in una delle tasca della divisa e si sollevò
in piedi: «Ci vediamo, allora?», domandò, sorridendo appena.
«Vienimi
a trovare quando vuoi», disse lei facendo un veloce gesto con la mano.
Fred,
emozionato per aver scoperto l’incantesimo, il contro incantesimo e per esser
riuscito a far sorridere l’introversa Mirtilla malcontenta, corse verso la sala
comune e poi verso la sua stanza, ansioso di parlare con George e di provare
con lui la formula suggeritagli dal fantasma.
Nel
frattempo nei bagni, Mirtilla non piangeva, ma rimaneva comunque accucciata sul
pavimento su cui era morta anni prima, a guardare il muro vuoto di fronte a sé.
Aveva sempre pensato che il pianto fosse liberatorio; che fosse il modo
migliore per allontanare da sé il senso di vuoto ed inadeguatezza che si era
portata con sè da quando era una semplice e timida ragazza di tredici anni. In
pochi mesi invece aveva scoperto che sarebbero stati necessari un sorriso e
un’amicizia per sentirsi meglio. Promise a se stessa di non essere troppo
scontrosa in futuro, anche se temeva che non ci sarebbe riuscita.
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Capitolo 5 *** Epilogo ***
Epilogo
EPILOGO
{Prima e unica regola di Fred Weasley: sorridere,
ridere e amare la vita, sempre}
Maggio
1998
Mirtilla
Malcontenta e Nick-Quasi-Senza-Testa, durante le battaglie, si divertivano a
salutare le anime dei defunti – che solo i fantasmi potevano vedere –
consigliando loro di non tornare sotto forma di fantasma perché non ne sarebbe
valsa la pena e di correre verso la luce.
Così
avevano fatto durante la prima battaglia di Hogwarts e così decisero di fare anche
nella seconda.
Speravano
vivamente di riuscire a convincere tutti ad andare in Paradiso o Inferno o
qualsiasi cosa ci fosse dopo la morte, anche perché ritrovarsi come vicino
fantasma un crudele Mangiamorte non sarebbe stato carino. Già dovevano sopportare
il Barone Sanguinario e il rumore insopportabile delle sue catene, per non
parlare dei piagnistei senza fine della Dama Grigia e le battute prive di
spirito del Frate grasso.
No,
era meglio che non arrivassero nuovi arrivi fantasmi, altrimenti Mirtilla
avrebbe trovato un modo per abbandonare il suo caro cubicolo, anche se sarebbe
stato difficile, per andare ad infestare qualche altro edificio, magari la
Stramberga Strillante...
«Ne
arriva un altro», disse Nick, con tono sconsolato, mentre fluttuava sul
soffitto della Sala Grande affiancato da Mirtilla, che per una volta aveva
deciso di abbandonare il bagno delle ragazze del secondo piano.
«Ci
penso io», disse lei con la sua vocetta fastidiosa, abbassandosi per
raggiungere Madama Chips, che stava cercando di rianimare un corpo ormai privo
di vita.
Accanto
al corpo c’era una figura perlacea-trasparente che piangeva e cercava
inutilmente di rientrare nel proprio corpo.
«Non
puoi», disse Mirtilla, appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo che le
dava le spalle: «Tutto quello che devi fare ora è seguire la luce».
Quando
il ragazzo si voltò verso di lei, la ragazza sentì una forte fitta al petto: «Sei
tu», disse semplicemente, riconoscendo uno dei pochi ragazzi ad Hogwarts che
avrebbe potuto definire suoi amici.
«Ciao
Mirtilla», disse lui, sorridendo appena tra le lacrime: «Sono morto, vero?»
Fred
tornò a guardare il suo corpo e il modo affannato e disperato di Madama Chips,
che tentava invano di farlo svegliare.
«Temo
di sì», disse lei, con gli occhi pieni di lacrime – come al solito, anche se
per la priva volta nella sua non-esistenza non piangeva per se stessa, ma per
qualcun altro.
Fred
annuì appena: «Devo seguire la luce, dici?», mormorò, lo sguardo perso in uno
spazio non ben definito di fronte a sé.
«A
meno che tu non abbia qualcosa in sospeso», disse Mirtilla, che per la prima volta
in vita sua avrebbe voluto che qualcuno diventasse fantasma, così da poter
stare insieme ed essere amici per sempre.
«Ne
ho di cose in sospeso, ma nulla che potrei portare avanti da fantasma...»,
sussurrò il volto perlaceo di Fred: «Ho amato la vita, mi sono divertito e ho riso
tanto da star male. Non mi resta altro che accettare l’epilogo di questa mia
grande avventura, sperando che George non se la prenda troppo con me».
Rimasero
entrambi in silenzio per un istante, poi Fred si voltò verso di lei per l’ultima
volta: «È stato bello conoscerti, Mirtilla, e ricordati di sorridere ogni tanto.
Addio».
Mirtilla,
con un groppo in gola non riuscì a dire nemmeno una parola, ma mosse piano la
mano, in segno di saluto.
L’istante
dopo l’anima perlacea di Fred era scomparsa.
FINE
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