Amelia dagli occhi dolenti

di looking_for_Alaska
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Pov: Amelia ***
Capitolo 2: *** Nuove conoscenze. POV: William ***
Capitolo 3: *** La casa che respira. POV: William ***
Capitolo 4: *** Pensieri e ricordi. POV: Amelia ***
Capitolo 5: *** L'incontro. POV: WIlliam ***
Capitolo 6: *** Gli scritti di Amelia. POV: William ***
Capitolo 7: *** La nascita di un'amicizia. POV : Amelia ***
Capitolo 8: *** Telefonate misteriose e amicizie problematiche. POV: William ***
Capitolo 9: *** L'attacco. POV: Amelia ***
Capitolo 10: *** Gelosia. POV: Amelia ***
Capitolo 11: *** Amethyst Grodwell. POV: William ***
Capitolo 12: *** A tu per tu col morto. POV: William ***
Capitolo 13: *** Il patto. POV: William ***



Capitolo 1
*** Prologo. Pov: Amelia ***


I ragazzi entrarono nella casa abbandonata. I loro passi echeggiavano, passi così piccoli e spaventati da far ridere i topi. Non ci credevano, loro. Non avevano mai davvero creduto alla mia leggenda. Ma tutti quelli che erano venuti prima di loro non avevano mai avuto paura. Non prima di mettere piede in casa mia, perlomeno. Erano in tre. C'era un ragazzo sui diciassette anni, biondo e molto muscoloso, ma che non sembrava molto intelligente. Una ragazzina sui quattordici anni, due in meno di me quando ero morta. Aveva un viso anonimo e vuoto. La tipica persona che segue la massa. L'ultimo invece, sembrava fin troppo intelligente. Occhiali rotondi, capelli rossicci, lentiggini; insomma, il tipico secchione. Ma non sempre la cultura fa l'intelligenza. Difatti, una persona con un minimo di cervello non sarebbe mai venuta qui. Un sussulto mi scosse nel profondo. Quanto ci avrebbe messo la bestia a risvegliarsi? Arrivarono al centro della stanza. Nulla di nuovo. Fu allora che lo sentii. Un ringhio profondo, nel mio stomaco. Risalì la mia gola, fino ad uscire dalle mie labbra esangui. Quanto ci avrebbero messo a capire? Il ragazzo biondo scattò, prendendo la ragazzina per un polso. Sua sorella, intuii. << Cosa diavolo è stato? >>. Il ragazzo rossiccio rabbrividì. << Probabilmente il pavimento è vecchio >>. Risi tra me e me. Lo si notava solo guardandolo : non ci credeva nemmeno lui. Sentii un dolore lancinante alle mani e quindi me le portai davanti al viso per osservarle meglio. Le unghie erano cresciute; ora erano lunghe quanto un normale dito umano, ed erano nere come la pece. Gli occhi presero a bruciarmi, e avvertii un liquido tiepido sulle guance. Sapevo che ora avevano un colorito vermiglio e piangevano sangue. I capelli iniziarono a svolazzarmi indietro, come se ci fosse un vento impetuoso. Ma nella mia casa, ormai, non c'era aria nuova da almeno duecento anni. O di più forse, io non avevo il senso del tempo, ormai. Sentii la bestia risvegliarsi, urlare e ruggire, affamata. E dalle facce dei tre ragazzi, capii che l'avevano sentita anche loro. Poi persi il controllo. Sentii solo la mia anima che veniva strappata via dal mio corpo. Provavo odio, solo odio, un odio non mio e che non mi apparteneva. La bestia si gettò sui ragazzi, li morse, li divorò, li distrusse. Il sangue schizzò sulle pareti, disegnando arabeschi bellissimi e grotteschi che solo un essere morto da tempo poteva apprezzare. Poi tutto finì come era iniziato: tornai in me e la bestia, finalmente sazia, si quietò. Mi ritirai nella mia stanza attraverso i muri, con ancora la macabra melodia delle urla di innocenti che mi risuonavano nelle orecchie.

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Capitolo 2
*** Nuove conoscenze. POV: William ***


<< Avanti, William, è tardi! >> urlò mia madre dalla stanza a fianco. Sbuffai forte. Okay, sarebbe stato un lungo viaggio, ma che palle!, be', ero un "liberatore di fantasmi", dopotutto. Il mio compito era quello di salvare i morti. Di mandarli oltre. Li portavo verso la luce. Insomma, ci siamo capiti. La mia prossima meta era un paesino sperduto del Canada, di cui nemmeno mi ricordavo il nome. Per quello però c'era mia madre. Lei sì che era un GPS vivente. Era una profetessa, o almeno voleva farsi chiamare così. Lo era sempre stata sin da piccola, e neanche fosse uno scherzo, si chiamava Cassandra. Aveva capelli castani liscissimi e lunghi fino alla schiena, era alta e magra. Molto bella, credo. Dio, era pur sempre mia madre! Di lei io avevo preso l'altezza imponente, e gli occhi blu scuro. I capelli, la corporatura e i modi di fare invece, erano di mio padre. Già, mio padre. Jacko Blake. Bello come pochi, o così lo descrivevano tutti. Ma dopo, aggiungevano, aveva qualcosa di strano. Di inquietante. Di selvaggio. La verità era questa. Jacko Blake aveva dei segreti che tuttora nessuno conosce. Nemmeno mia madre Cassandra ne sapeva qualcosa. Ogni tanto, quando cadeva in trance, balbettava di strani misteri raccolti in un diario di famiglia. Diario che non era mai stato ritrovato. Ogni tanto però parlava di una casa, una casa abbandonata, e di una certa Amelia. Un nome strano, per una ragazza del Canada. Chi sa chi era poi, questa qua. << William! >>. Mia madre aveva questa bellissima voce da cornacchia che ti perfora i timpani. << Arrivo >>. * * * Da casa mia a quel fottuto paese canadese c'erano circa cinque ore di macchina. E io dormii per tutto il tempo. Almeno finché mia madre non mi sbatté la sua dannatissima borsa sotto il naso urlacchiando : << Will, svegliati! >>. Per tutta risposta grugnii qualcosa in risposta e aprii l'occhio destro. Davanti a me c'era una bella casa dal tenue colorito arancione e giallo, che spiccava allegra su uno sfondo di cielo azzurro. Era un po' fuori mano, d'accordo, però era sempre carina. E cosa ancora più importante, da quel momento sarebbe stata la mia casa; almeno per un po'. Scendemmo dalla macchina lentamente. Mia madre mi caricò di valigie e mi ordinò con fare perentorio ( dubito conoscesse altri modi, comunque) di portarla in camera mia. Non persi tempo nel farle notare che, visto che ci eravamo appena trasferiti, non avevo ancora un'idea di quale fosse "camera mia". Quindi entrai, facendo cigolare la porta. Il pavimento era in legno e le pareti bianche. Sentii mia mamma seguirmi nel soggiorno, lasciare giù tutti gli scatoloni e venire verso di me. << Will, cerca una stanza che faccia per te, portaci la tua roba e non rompere nulla >>. Alzai gli occhi al cielo. Ora era diventata pure una maniaca dell'ordine? In ogni caso, feci quello che mi aveva detto. Girovagai per casa e arrivai in una stanza vuota, piuttosto grande e dipinta di blu. C'era un letto, che mamma doveva aver comprato circa due o tre giorni prima, segno che aveva già scelto la mia stanza ancora prima che vedessi la nuova casa. Tipico di lei. Misi giù la mia valigia e i miei due scatoloni e la raggiunsi di sotto. Stava mettendo a posto le forchette in ordine di brillantezza nel cassetto sotto il lavandino. Inutile dire che la trovavo una cosa tremendamente stupida da fare. Ma non è che le mie opinioni contassero molto, quindi evitai di esporle. Mia mamma si girò verso di me, e con uno dei suoi rari sorrisi mi chiese : << Allora, sai già dove si trova la casa abbandonata del fantasma di questa città? >>. Scossi leggermente la testa. Il suo sorriso si fece più ampio. << Poco male; lo so io >>. E iniziò a spiegarmi come raggiungerla, gesticolando con una forchetta in mano per farmi capire le direzioni. Probabilmente non si accorse del modo confuso in cui la guardavo. Ma non era un problema, mi ero sempre arrangiato da solo, alla fine. Mentre stavo uscendo dalla porta con il cappuccio della felpa tirato su a coprirmi la testa, mia mamma mi urlò dietro : << Ah, e non dimenticare che domani hai scuola! Sai dove si trova? >>. Sbuffai. << Sì >>. Il suo viso si illuminò, speranzoso. << Davvero? >>. Sorrisi tra me. Aveva sempre sperato che io fossi più come lei che come mio padre. Ma purtroppo, io non prevedevo il futuro, e non conoscevo la collocazione esatta di ogni posto segnato sulle mappe. << No >> risposi, e prima che mi insultasse, me ne andai sbattendo la porta. Guardai davanti a me. Un campo verde e una strada sterrata. La seguii in discesa, e dopo qualche minuto passai davanti a una casetta rosa. Aveva un giardinetto, dove una ragazza dai capelli corti e biondi stava innaffiando dei tulipani. La salutai con la mano, e lei ricambiò con un sorriso. Dovevo pur farmi degli amici, dopotutto. Mi avvicinai allo steccato che separava casa sua dalla strada. Lei venne verso di me. Indossava un vestito azzurro con un cardigan sottile. Okay, settembre era appena iniziato e non faceva molto freddo, ma neanche così caldo! In ogni caso, come si vestiva la gente non era affar mio. << Ciao >> le dissi con un sorriso. << Ciao >> rispose. Aveva una voce molto delicata, come se stesse per rompersi da un momento all'altro. << Sei nuovo? >>. Era carina. I capelli le arrivavano appena alle spalle ed erano lisci. La bocca era piena e rosea, gli occhi di un verde chiaro molto piacevole. Le sorrisi amichevolmente. << Eh già. Abito in quella casa là in fondo, guarda >> e gliela indicai. La vidi impallidire lievemente. << Ah... Abiti quasi vicino a lei... >> la sua vocina tremò e arretrò, fissando spaventata la strada sterrata che, dopo casa mia, si dilungava in una salita, dove c'era un bosco. In mezzo ad esso, si intravedeva qualcosa, come un muro grigio. << Lei chi? >> le chiesi, aggrottando la fronte. La ragazza sorrise, e si spostò i capelli, imbarazzata. << Nulla di serio. Solo stupide leggende del luogo >>. Mi stupii : avevo già trovato il mio fantasma? Probabilmente sì. Ma capii che se volevo farmela amica, quello non era il momento per affrontare questo argomento. << Come ti chiami? >>. Mi fece un sorrisone. << Melissa Jayson. E tu? >>. Le tesi la mano, che strinse senza esitare. << William Blake. Ma tutti mi chiamano Will >>. Melissa storse il naso. << Mmm.. Allora, be', chiamami Mel >>. Si legò i capelli con un elastico. << Be', ci si vede, Will. Ora devo tornare ad occuparmi del giardino >>. La salutai, e poi proseguii. Poco dopo mi ritrovai in paese. Okay, diciamo pure cittadina. Thorn City. Un nome scemo per una cittadina abbastanza scema. O almeno credo. Seguii la strada principale, che ora non era più sterrata ma lastricata. Camminai tranquillamente, osservando i negozi e le persone che passavano senza notarmi. Mi presi anche un gelato, per giunta. Mi rilassai all'ombra di un albero. Però poi iniziai a pensare. Okay, era il mio primo giorno in una città sconosciuta, dove c'era una casa abbandonata in cui quasi sicuramente viveva un fantasma assetato di sangue. Il mio compito era quella di disinfestarla. Ma prima di tutto, dovevo informarmi su questo fantasma, sulla casa e sulla loro storia. Pensieroso, passai davanti ad un edicola. Guardando soprappensiero i giornali esposti, un titolo catturò la mia attenzione. "AMELIA DAGLI OCCHI DOLENTI COLPISCE ANCORA". Incuriosito, lo sollevai, pagai il negoziante e tornai a casa mia. Tenni il giornale nascosto sotto il braccio, per non farlo vedere a mia madre. In fondo mi voleva bene ed era molto apprensiva riguardo alla mia salute. Filai in camera mia e aprii il giornale nella pagina interessata. << "Tre ragazzi ritrovati morti nella famosa casa di Amelia dagli occhi dolenti. I corpi sono stati ritrovati fuori dalla casa, mutilati. Ad alcuni mancavano pezzi di gambe o di braccia" >>. Cercai nell'articolo il nome di quei ragazzi. Li trovai sotto a delle foto a colori. La prima ritraeva un ragazzo biondo grande e grosso, con qualche sporadica lentiggine sul viso. "Bob Fray", lessi. Nella seconda, invece era ritratta una ragazzina dai corti capelli scuri e una espressione anonima, di nome "Jenna Grant". La terza mostrava un ragazzino che sembrava il tipico secchione, con capelli color carota e pieno di efelidi in viso. Il suo nome era Andrew Gips. Tre morti, nella stessa casa, nella stessa notte. La colpa, era attribuita ad un ipotetico fantasma. Probabilmente, anzi, quasi sicuramente, era quello che stavo cercando io. "Amelia dagli occhi dolenti ", rimuginai tra me e me. Dovevo assolutamente saperne di più, ma decisi di rimandare le immagini al giorno dopo, anche perchè fuori ormai era troppo scuro anche solo per muovere un passo. Il giorno seguente mi svegliai tardi, forse troppo; in effetti avevo circa dieci minuti per trovare la scuola, ritirare l'elenco dei miei corsi in segreteria e poi dedicarmi alle mie ricerche. Inizialmente, chiedendo a due signore anziane riuscii a raggiungere la scuola. Appena entrato una fiumana di gente mi investì, ma dando gomitate a destra e a manca riuscii a crearmi un varco per raggiungere la segreteria. Appena prima che aprissi la porta a vetri di questa però, qualcuno mi bloccò tirandomi gentilmente. << Ehy >> mi salutò una voce sottile. Mi voltai e vidi Melissa Jayson detta Mel, la ragazza del giorno prima. Ricambiai il saluto e le dissi che dovevo ritirare l'orario, e lei rispose che mi avrebbe aspettato. Dopo essermi scontrato con l'acidità della segretaria, potei finalmente godermi l'aria scolastica insieme alla mia nuova amica. << Allora, come mai ti sei trasferito qui? >> mi chiese con un sorriso. Optai per una mezza verità. << Ricerche di famiglia >> risposi vago. Aspettò che aggiungessi qualcosa, ma visto che non lo feci, decise di cambiare discorso. << Senti, se hai un po' di tempo, nella pausa pranzo ti faccio conoscere i miei amici. Ti piaceranno >> mi rassicurò. Scrollai le spalle. Mi servivano informazioni, e parlando con persone influenti di una scuola se ne ottengono sempre molte. << Che materia hai ora? >>. Lei guardò il suo orario e sbuffò. << Chimica. E tu? >>. Impallidii. Il mio tallone d'Achille che mi perseguitava ovunque. << Matematica >>. Mi accompagnò davanti alla porta della mia aula e mi salutò. La lezione si svolse come una normalissima lezione, salvo per le occhiatine curiose degli altri e per gli insulti che aveva sibilato il professor Höfmann a causa del mio ritardo abbastanza sospetto. Il tempo passò e finalmente giunse l'ora di pranzo. Mi diressi in mensa, senza sapere bene cosa fare, quando Mel mi affiancò. Stava iniziando ad essere insistente, ma avevo bisogno di lei. << Will! >> mi abbracciò come se fossimo amiconi e non ci vedessimo da una vita, cosa che mi sembrava abbastanza stupida dato che ci eravamo salutati circa quattro ore prima. Mi trascinò verso un tavolo, dove otto paia di occhi mi squadrarono dall'alto in basso. C'era un ragazzo biondo che mi lanciava occhiatacce ogni volta che Melissa mi toccava. "Un ex, molto probabilmente " constatai. Di fianco a lui, una ragazza dalla pelle color caffelatte e dai lunghi e lisci capelli scuri mi guardò. C'era qualcosa di indifeso, quasi come se si aspettasse qualcosa da me in particolare , nel modo in cui mi fissava. C'era da dire che sembrava alta sul metro e sessantacinque ed era molto carina. Vicino c'era la ragazza dal viso più scorbutico che io avessi mai visto. Aveva capelli rosso scuro scalati e mossi, occhi castani e sembrava molto piccola di altezza. Ma dal modo in cui mi guardò, capii che lei sarebbe stata la mia principale fonte di informazioni. Dopo essermela fatta amica, ovviamente. E per ultimo, c'era un ragazzo di corporatura molto piccola, dai capelli castano scuro scompigliati e dalla pelle color caffelatte, come la ragazza di prima. Probabilmente suo fratello, intuii. Mel mi prese a braccetto. << Bene! Allora, ragazzi, lui è William Blake, il mio nuovo quasi-vicino di casa. Will, loro sono Jimmy Fray, Amara Dickelson e suo fratello Austin e lei invece, è Brianna >>. Cercai di memorizzare quella piccola valanga di nomi, quando una lampadina mi si accese nella testa. << Jimmy Fray? come il ragazzo trovato morto? >> chiesi. Okay, sì, la diplomazia non era esattamente il mio forte. Il ragazzo biondo si irrigidì. In effetti assomigliava molto al tipo nella foto del mio giornale. << Sì. Bob era mio fratello >> mi rispose lentamente. Tutti mi guardavano, in attesa. Mi sedetti, e Mel si accomodò di fianco a me. << Mi dispiace molto. Deve essere stata... >> ma Brianna, la ragazza dai capelli rossi, mi interruppe. << Ma si può sapere tu chi diavolo sei? >>. Come immaginavo, non era una persona molto gentile. Sorrisi diplomaticamente. << Una povera anima che si ritrova in un posto sconosciuto con persone sconosciute >>. Amara, la ragazza dalle origini africane come intuii poi dal suo accento, mi rispose gentilmente : << Be', sei il benvenuto tra noi. Non far caso alla maleducazione di Brianna. Ti ci abituerai >>. Brianna alzò la testa e mugugnò qualcosa che somigliava molto ad un "ehy, io sono ancora qui!". Ci fu un momento di silenzio imbarazzante, che fu interrotto da Mel, che mi chiese gentilmente: << Stasera c'è una festa alle Cascate. Ti va di venire? >>. Amara mi guardò speranzosa, mentre vidi Brianna sillabare preghiere per un mio rifiuto. Ci pensai un secondo. Avevo bisogno di informazioni. Alle feste ci si ubriaca. E le persone ubriache sono dei libri aperti. Sì, ci sarei andato. << Con piacere. Dopotutto, devo cominciare a conoscere qualcuno e imparare ad orientarmi >> risi. Amara si lasciò andare in un sospiro entusiasta. << Veniamo a prenderti alle sette in punto. Fatti trovare pronto, mi raccomando >>.

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Capitolo 3
*** La casa che respira. POV: William ***


Amara e Mel passarono a prendermi alle sette in punto, come promesso. Seguirono la strada sterrata che portava verso la collina, e fecero talmente tante curve che iniziai a pensare che volessero stuprarmi e mollarmi in un vicolo (sì, lo so, sono mentalmente disturbato). Poi però, arrivammo in una specie di prato, dove la terra finiva improvvisamente in uno strapiombo. Un'enorme cascata si gettava nell'abisso, facendo un fracasso terribile. Il parco era pieno di ragazzi che ballavano, ridevano o bevevano birra. Qualcuno doveva aver attaccato delle casse da qualche parte, poiché la canzone si sentiva forte e chiara. Mel mi trascinò ( sul serio, questo suo trascinarmi come un cane stava diventando irritante) verso una tovaglia a quadretti rossi e bianchi stesa sul prato. Ci sedemmo, e dopo poco ci raggiunsero Brianna, Amara, Jimmy, Austin e un altro ragazzo che non conoscevo. Aveva capelli scuri, quasi neri, e una pelle quasi più chiara della mia. Due profondi occhi color della notte mi fissarono come se mi volessero scavare dentro. Poi mi sorrise in modo parecchio inquietante. << James West, piacere >>. Gli strinsi la mano, e sentii come se una fitta fredda mi avesse percorso il braccio, fulminandolo. La ritrassi subito. Un impercettibile sorriso gli si dipinse sul volto. Okay, diciamo che come secondo giorno non era il massimo. Non piacevo già a tre persone. Potrebbe essere un nuovo record. << Ehy, balliamo? >> mi chiese Mel facendomi gli occhi dolci. Cercai nella mia mente un modo gentile per declinare l'invito. Non trovandone nessuno, lanciai uno sguardo disperato nella direzione di Jimmy, che, prendendolo come un mio "farmi da parte" ripeté il suo stesso invito a Melissa. Che, fortunatamente, anche se di malavoglia, accettò. Guardandomi attorno, notai il modo adorante con cui Brianna guardava James, che tra l'altro si era allontanato per far ballare un'altra ragazza. Appena si accorse che la fissavo, mi lanciò un'occhiataccia e se ne andò. Io e Amara rimanemmo soli. Notai che era piuttosto imbarazzata e che non aveva idea di che cosa dire. Be', a questo potevo pensare io. << Birra? >> le chiesi sorridendo. Annuì, ricambiando il sorriso. Andai al tavolo delle "provviste", e racimolai due birre per lei. Sei birre dopo, Amara sembrava abbastanza brilla da potermi parlare di ciò che mi premeva davvero. Amelia dagli occhi dolenti. << Senti, Amara, per caso in questa città ci sono delle leggende degne di note? Qualcosa di interessante da sapere? >> iniziai. Fare la parte dell'ignorante aiutava sempre. Tentò di concentrarsi, e poi disse : << No... Oh, aspetta, sì, certo! So cosa vuoi sentire: la storia di Amelia dagli occhi dolenti >>. Trattenni un singhiozzo. Finalmente cose utili! << Sì, raccontami... Chi sarebbe questa Amelia? >>. Amara prese un respiro, come per prepararsi psicologicamente e poi, biascicando un po', cominciò a raccontare : << È il fantasma della zona. Si dice che sia una ragazza morta nel 1864, a sedici anni. È stata uccisa nella sua stessa casa. Nessuno sa da chi e perché, purtroppo. Ma posso dirti con sicurezza che chi entra in quella casa non ne esce vivo >>. Sospirai deluso. Come leggenda non era un granché. << Si narra che lei inoltre custodisca qualcosa. Non si sa bene che cosa, ovviamente >>. Ora ero più curioso. << E come mai la chiamano "Amelia dagli occhi dolenti"? >>. Un velo di paura si depositò su Amara. << Perché prima di attaccare qualcuno piange. Non lacrime vere, ovviamente. Ma sangue >>. Ora veniva la parte difficile. << Ti va di portarmi davanti a casa sua? >>. Amara scattò in piedi, barcollando. << Cosa? No! Sei impazzito? Ci ucciderà! >>. Mi alzai a sua volta e le appoggiai le mani sulle spalle. << Hai detto che uccide solo chi entra in casa sua. Be', noi non entreremo. Daremo un'occhiata da fuori, veloce, e poi ce ne andremo. Eh? Ti va? >>. Amara sembrò pensarci su, poi annuì lentamente. Sorrisi. Mi prese per mano e mi portò verso Mel e Jimmy. Toccò l'amica su una spalla e le sussurrò qualcosa all'orecchio. Dall'occhiata che mi lanciò, intuii che Amara le aveva detto che volevo andare da Amelia dagli occhi dolenti. E dalla faccia di Jimmy, sembrava che fosse la cosa più stupida del mondo. Ma lo capivo. Gli stavo chiedendo di portarmi dove era morto suo fratello. Avrei potuto andarci benissimo da solo, intendiamoci, se solo avessi saputo come arrivarci. Andarono a chiamare Brianna e poi anche James. Dato che non ci stavamo tutti in una macchina, decisero chi mi avrebbe accompagnato e chi invece se ne sarebbe stato a casa, al sicuro. Jimmy disse subito che lui non sarebbe venuto perché quel posto aveva ucciso suo fratello Bob. Amara purtroppo era un po' troppo brilla per essere ancora minimamente utile, quindi le consigliai di dormirci su. Mel, James e Brianna invece erano pronti a partire. James si mise al volante, io dal lato del passeggero e Mel e Brianna dietro. Rifacemmo la strada all'incontrario, fino a svoltare a destra al bivio. Dopo due o tre curve, eccola lì : la casa di Amelia. Si ergeva sopra la collina, solitaria. Sembrava come bruciata : le pareti erano grigie, e sembrava come se stesse per sbriciolarsi da un momento all'altro. Era grande, una villa. Anche il giardino, o meglio, il parchetto che la circondava emanava un'aura malvagia. Quando James parcheggiò davanti al cancello, alto e appuntito, sentii qualcosa scuotermi dentro, e ad un tratto, seppi cosa fare. Dovevo entrare. Scesi dalla vettura, seguito a ruota dal ragazzo dagli occhi scuri, da Mel e da Brianna. La osservai meglio. C'era come un alone grigio intorno, una spettrale essenza di morte, che intimava a chiunque di stare alla larga da quel luogo. L'erba del prato era secca, i roseti piantati tutt'intorno erano marci, annichiliti. C'era un albero, al centro del giardino, un pesco probabilmente; nemmeno una foglia lo rivestiva. Il legno era nero, scuro, come se un fuoco potente lo avesse divorato. Il cancello, nero anch'esso, non era chiuso. Appoggiai una mano su di esso e feci per spingerlo, quando una mano mi bloccò. << No >>. Mi voltai ed incrociai lo sguardo di James. << Devo entrare >>. Il ragazzo lanciò uno sguardo inquieto alla casa. << È l'effetto che fa questo posto. Dai, andiamo via >>. Ma io scossi la testa, e prima che potessero fermarmi, spinsi il cancello e lo varcai. Come misi piede sul vialetto che conduceva alla porta, seppi che qualcosa in me era cambiato. C'era una tristezza infinita, che si insinuava con insistenza tra i miei pensieri, e una paura grande, che tentava inesorabile di mangiarmi il cuore. Okay, potrò sembrarvi esagerato, ma vi giuro, la prima volta che andai alla casa, fu un'esperienza terrificante. Ma questo non mi fermò. Un passo dopo l'altro, raggiunsi la veranda fatta di legno, completamente bruciata, ma che stranamente reggeva ancora. A sinistra c'era un dondolo, e io mi avvicinai ad esso per osservarlo meglio. Aveva la stoffa strappata in più punti. Spuntavano delle molle ed era rovinatissimo. Vicino, c'era una finestra dai vetri sporchi, con ragnatele e pieni di polvere. Ci appoggiai sopra la mano e compii dei movimenti circolari per toglierle, affinché potessi poi guardare dentro. L'interno, dal poco che riuscivo a vedere, non era molto diverso da quel che avevo notato fuori. Anche dentro sembrava tutto nero a causa di un grande incendio, e nella sala d'ingresso c'era un tappeto logoro e un divano in condizioni disastrose. << Will? >> sobbalzai. Senza voltarmi, risposi bruscamente : << Taci un attimo, Melissa >>. Ma lei mi arpionò il braccio e cominciò a tirarmi verso il cancello. << Will... >> la sua voce era poco più che un sussurro terrorizzato, quindi la guardai indispettito. << Cosa c'è? >>. Poi seguii il suo sguardo. Nella finestra a destra, in alto, si intravedeva chiaramente la figura di una persona minuta alla finestra. Un attimo dopo, però, era scomparsa. Pensai che fosse stato uno scherzo dei miei occhi, quando qualcosa colpì forte il vetro della finestra da dove io prima sbirciavo, frantumandolo in mille pezzi. Una mano, bianchissima e sporca di sangue si allungò per afferrarci, e il viso di un ragazza dagli occhi che piangevano fiumi di sangue, che irrimediabilmente cadevano sui cocci della finestra e sulla veranda spuntò fuori, ruggendo. Mel saltò indietro, terrorizzata, anzi, se esiste una parola più forte per parlare di paura, ecco, pensate a quella, e moltiplicatela infinitamente. Io? Be', anche io mi spaventai, ma più per il gesto improvviso che per la sua apparizione. A dire il vero, speravo di vederla, finalmente. Quando il fantasma incrociò il mio sguardo però, qualcosa cambiò. In un attimo, l'immagine del mostro alla finestra svanì, lasciando il posto ad una ragazza minuta, dai lunghi capelli neri e lievemente mossi, con grandi occhi azzurro cielo. Mi guardò, allibita, e poi, in un battito di ciglia, scomparve. Sentii Mel tirarmi verso l'auto e questa volta non glielo impedii, troppo frastornato per fare o dire alcunché.

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Capitolo 4
*** Pensieri e ricordi. POV: Amelia ***


Scattai all'indietro, finendo contro al muro e attraversandolo. A volte dimenticavo che se non mi concentravo non potevo toccare gli oggetti. Ma ero spaventata, stranita: come poteva essere vivo? L'avevo ucciso con le mie mani! Jacko Blake era morto quindici anni prima, ne ero sicurissima. E allora come poteva essere lì, fuori dalla mia porta, a spiarmi dalla finestra della cucina? Come poteva respirare? Che fosse un fantasma anche lui? No, impossibile, era fuori discussione. Aveva toccato il vetro come se fosse la cosa più semplice del mondo, non ci aveva nemmeno pensato; per un fantasma ci volevano più di cinquant'anni di pratica anche solo per sfiorare qualcosa. No, non era come me. Ma allora chi era? Se Jacko era morto e non era un fantasma, quel viso così simile al suo a chi apparteneva? Tremai. Sperai ardentemente che Jacko fosse morto e sepolto. Non avrei augurato un'esistenza come la mia nemmeno al mio peggiore nemico. Era dal 1864 che ero imprigionata in questa casa, senza poter uscire. E come se non bastasse, se vedevo qualcuno di umano, la bestia che viveva in me da quando ero morta si risvegliava e lo uccideva in un lampo. Come potevo andare avanti? Però, d'altro canto, come potevo non farlo? Ero obbligata a vivere. E quando mi si era presentata l'occasione perfetta per morire, l'avevo scartata senza pensarci due volte. Già, Jacko. La prima volta che Jacko Blake si presentò davanti a casa mia, restai davvero stupita del fatto che la bestia non si era ancora svegliata. E poi scoprii che per qualche strana ragione, con lui non l'avrebbe mai fatto. Ricordavo che teneva in braccio una bambina, di appena pochi mesi, ancora in fasce; ma già qualche cortissimo capello scuro le spuntava dalla testa. Aveva aperto gli occhi e mi aveva fissato, senza avere la minima traccia di paura. Io, incuriosita, mi ero avvicinata e le avevo sfiorato una guancia, stupendomi del fatto che la mia bestia non aveva attaccato nemmeno lei. E ora, quel ragazzo. Mi presi la testa tra le mani, e un singhiozzo mi scosse forte. Scivolai verso terra fino a ritrovarmi rannicchiata contro il muro della cantina. Jacko era venuto da me, chiedendomi un favore, e quando mi ero rifiutata, aveva minacciato di uccidermi. Ero già morta, in effetti, ma esiste una specie di morte, un altro luogo dove andare anche per i fantasmi. Un paradiso e un inferno, se chiamarli così rende tutto più semplice. E ci sono infatti due modi per mandar via uno di noi : o lo liberi, o lo uccidi. Jacko era venuto per avere il suo favore o per uccidermi. << Tua madre aveva un debito con me >> mi ricordai che mi aveva detto quel giorno di tanto tempo fa. << Ora tu lo salderai al posto suo >>. E quando mi ero rifiutata, aveva detto che allora mi avrebbe uccisa; di conseguenza io mi ero vista obbligata ad accettare, terrorizzata di poter "morire definitivamente " nel modo sbagliato. Mi aveva promesso che alla fine, mi avrebbe liberato. E io gli avevo creduto. L'errore più grande della mia vita. Jacko mi aveva tormentato per molto tempo, finché un giorno mi aveva detto che non aveva più bisogno di me e che dovevo restituirgli ciò che mi aveva comandato di custodire. Era venuto per uccidermi, non per liberarmi. E io, in preda all'ira e alla paura, lo avevo decapitato con le mie lunghe unghie nere che mi crescevano incredibilmente quando la bestia prendeva il mio posto. O quando io le dicevo di prenderlo. Con Jacko Blake, stranamente, la bestia era sempre rimasta assopita. Sebbene fossi del tutto sicura che fosse umano, la parte più oscura del mio essere evidentemente non lo percepiva come tale. O forse era qualcosa in lui, nel suo sangue sporco e disgustoso, ad avere qualcosa di sbagliato. Sta di fatto che con lui non mi ero mai trasformata, se non di mia volontà. Ed era successo anche col ragazzo davanti alla finestra, poco fa. Ero riuscita a tornare me stessa, sebbene ci fossero anche altre persone. Ma la sua aura, non era scura come quella di Jacko. Una domanda mi tormentava, e speravo di riuscire a trovarle una risposta : chi era il ragazzo lì fuori e cosa voleva da un fantasma morto nel 1864? E poi riflettei. E se fosse venuto per uccidermi? Per punirmi per gli orrori che avevo commesso? Mi tornò in mente, tutto di un colpo e senza un apparente motivo, il modo in cui avevo ucciso tutte quelle persone innocenti. Si, era stata la bestia dentro di me, ma che differenza faceva? Loro vedevano me. Io vedevo me stessa farlo. Ero io che mi sporcavo di sangue. Gli ultimi tre che avevo ucciso, solo quattro giorni prima, acquisirono peso e forma tra i miei pensieri. E se avessi provato a fermare la bestia? Cosa sarebbe successo? Scoppiai a piangere forte, urlando per un male atroce. Il dolore che mi animava dalla mia morte era indicibile, il senso di colpa dopo aver ucciso qualcuno talmente grande da soffocarmi. Sfiorai una lacrima che mi rigava una guancia e mi sfregai forte gli occhi. Era facile parlare, per gli esseri umani. Era facile per loro, incolparmi di tutto. È vero, qui, in casa mia, la gente moriva. Ma nessuno aveva mai provato a capire me, come mi sentivo dopo tutto questo. Quelle persone avevano una famiglia ad aspettarli. Una piatto caldo. Una casa accogliente. E chi avevo io, a parte una bestia che amava uccidere persone innocenti? A parte me stessa? Non avevo un amico dal lontano 1864, e la famiglia che avevo, anche se di loro non ricordavo nulla ( quasi tutti i miei ricordi se n'erano andati quando ero morta ), non era calorosa e non mi amava, anzi. Qualcosa mi diceva che mia madre quando era in vita mi aveva odiata tanto e senza ritegno. Ma non sapevo come ero morta, ed era un quesito che mi ponevo sempre più frequentemente e a cui non ero ancora riuscita a dare una risposta. Fu allora che una fievole speranza si accese in me : e se avessi provato ad interagire con lui? Con un'altra persona viva? E se, invece che per punirmi, fosse venuto per aiutarmi? Dovevo saperlo. Ma l'unico modo per farlo, era aspettare.

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Capitolo 5
*** L'incontro. POV: WIlliam ***


Sbuffai. Erano passati due giorni da quando ero andato a casa di Amelia e non vedevo l'ora di tornarci. L'unico problema? Mia madre era stata informata dell'accaduto e non voleva più lasciarmi uscire di casa. Eh già, queste cose succedono anche ai liberatori di fantasmi. << E non pensare che sia finita qui! >> urlò. Era mezz'ora ormai che gridava. << Andare alla casa infestata senza dirmi niente? Ma sai quanto è potente quel fantasma? >>. Alzai gli occhi al cielo. << Mamma, non è successo niente. Te l'ho detto, appena mi ha visto è fuggita >>. Mia madre fece cadere un bicchiere, che si infranse. << Non è questo il punto. Potevi morire, William >>. Non replicai. Era inutile farlo, tanto non mi avrebbe ascoltato. Sospirò forte, e si sedette di fronte a me. << Will >> posò una mano sulla mia. << tu sei mio figlio e se ti dovesse mai succedere qualcosa io... >> non finì, la frase, ma si coprì il volto con l'altra mano. Mi alzai e andai ad abbracciarla, stringendola forte. Sapevo quanto aveva sofferto per la morte di papà. Non avrei permesso che succedesse ancora. << Non farò più nulla di stupido. Però lasciami tornare da Amelia. È il mio lavoro, alla fine >>. Mia madre annuì, e incrociò il mio sguardo. << D'accordo. Ma ad una condizione >>. Rabbrividii, dentro di me. Cosa si era inventata, stavolta? Fu in quel momento che Mel, Amara, Brianna, Austin e James entrarono nella stanza (ma dove erano stati per tutto il tempo?). James parlò, sogghignando. << Noi ti aiuteremo. Sappiamo chi sei, ora >>. Li fissai, sconvolto. Lo sapevano? E come diavolo l'avevano capito? Amara venne verso di me sorridendo. << Strano che tu lo chieda >>. Cosa? Io non avevo nemmeno parlato. << Non serve che tu lo faccia >> mi rispose. Storsi il naso. << Leggi nel pensiero? >>. Annuì, ridendo. James mi lanciò un'occhiata disgustata. << E io sono un mago. Il mio elemento è il fuoco >>. Brianna sbuffò. << Gasati di meno. Io, invece, posso intuire le intenzioni di una persona. Non è che sia chissà quale potere, ma è efficace >>. E visto che c'era anche Austin, aspettai che parlasse. Ma non lo fece. La sorella parlò al posto suo. << Lui può parlare con i morti >>. Mi girai per osservare il sole mattutino, che rischiarava il cielo. << Quando andiamo da Amelia? >>. Ma mia mamma scosse la testa. << Non oggi, tesoro. Dovete riposare >>. Annuii, e al tempo stesso presi una decisione : ci sarei andato da solo, quella notte. La giornata non fu per nulla produttiva : restai a casa tutto il giorno, convincendo mia madre che avevo un fortissimo mal di testa. Ma a mezzanotte, quando lei ormai dormiva, misi in atto il mio piano (oddio, forse dire "piano" è un po' esagerato, dato che dovevo soltanto uscire dalla porta d'ingresso senza fare rumore). Il che non fu un problema, visto che mia mamma aveva un sonno molto profondo. Una volta fuori, entrai nella macchina e misi in moto. Okay, niente panico. Sapevo guidare. Credo. Misi in moto, e, con molta grazia, partii. Sì, ero ancora capace. Guidai fino a casa di Amelia dagli occhi dolenti, urlacchiando quando la macchina scivolò sul fango in una piccola stradina laterale (si, lo so, sono un cagasotto, ma capitemi; era notte, stavo facendo qualcosa che mi era stato imposto di non fare e al momento stavo per fare un simpatico colloquio con un fantasma assassino. Roba da niente, insomma). Una volta arrivato, parcheggiai davanti al cancello e scesi dalla vettura. Sentii le emozioni tristi dell'altra volta inondarmi, e trascinarmi verso la casa. Spinsi il cancello per entrare, e percorsi il vialetto. Lanciai un'occhiata inquieta all'albero, sicurissimo che da un momento all'altro si sarebbe staccato dal terreno e mi sarebbe corso dietro per uccidermi (okay, okay, forse ero un tantino paranoico). E ditemi, secondo voi, quale fu la prima cosa che feci quando raggiunsi la porta d'ingresso? Bussai. Sì, ero a conoscenza del fatto che ci abitava una persona morta, ma ehy, l'educazione prima di tutto! Ebbene, la porta rimase esattamente ferma nello stesso punto. Allora, come qualsiasi persona che si accorge di aver fatto una cazzata, girai la maniglia ed entrai. L'interno della casa era forse ancora più inquietante dell'esterno. Faceva un freddo terribile, prima di tutto. Il divano che avevo notato la notte prima era mezzo storto, in mezzo al soggiorno (che era davvero ma davvero grande, per giunta, tipo quelle antiche sale da ballo). Per terra il pavimento era fatto di assi di legno sconnesse, con alcune schegge che spuntavano. L'unico dettaglio era un enorme tappeto al centro della sala : doveva essere stato blu scuro con sfumature cobalto un tempo, ma ora era solo grigio. La casa non sembrava bruciata, dentro. Ma probabilmente era per il fatto che vedevo ben poco. Improvvisamente sentii una brezza fredda alla mia destra. Mi voltai di scatto, ma non vidi nulla. Poi qualcosa mi afferrò per la gamba. Mi sollevò e mi scaraventò contro una parete. Gridai a pieni polmoni, mentre cadevo a terra, tossendo. Una nuvola di polvere si era sollevata dal pavimento e dai muri. Eccola, davanti a me : bellissima e terribile, potente e indistruttibile, una dea guerriera. Amelia dagli occhi dolenti. Quando mi riconobbe (sì, ero piuttosto convinto che si ricordasse di me) divenne, se possibile, ancora più terrificante. I capelli le volavano indietro, gli occhi piangevano così tanto sangue da inzupparle completamente il vestito, che un tempo doveva essere stato azzurro chiarissimo, molto semplice, con delle spalline sottili e lungo fino alle ginocchia. Ora era solo uno straccio insanguinato. << Ti prego >> sussurrai, tossendo. << Voglio solo parlare >>. Ruggì, mi prese per un piede e mi lanciò dall'altra parte della stanza. Questa volta però, ero più preparato, e atterrai su una gamba. << Amelia, sinceramente, è l'una di notte, sono stanco e ho fatto tutta questa strada in macchina solo per parlarti. Quindi, prima di uccidermi, potresti almeno ascoltarmi? >>. Non si trasformò, ma almeno si fermò. Levitava in aria, al centro della stanza, e mi osservava, con i suoi occhi completamente neri da dea. << Okay, ehm... Dato che sei ferma immagino che non mi ucciderai subito >> mi schiarii la voce. << Sì, bene. Okay. Penso che tu sappia chi sono io, vero? O forse no. Non lo so. Senti, ricomincio. Ieri appena mi hai visto, sei tornata normale, diciamo così. E non mi hai ucciso. Volevo sapere perché >>. Il fantasma toccò il pavimento con i piedi e al suo posto comparve la ragazza. Era davvero carina, e aveva un'espressione gentile ma guardinga dipinta sul viso e forse, lievemente ostile. << Jacko? >> sussurrò così piano che quasi non la sentii. Aveva una voce molto chiara, anche se rauca. Doveva essere molto tempo che non parlava. Si schiarì la voce, e fece un passo esitante verso di me, mentre cercavo di alzarmi. << Jacko Blake? >> ripeté. Mi bloccai. Perché Amelia dagli occhi dolenti conosceva il nome di mio padre? << No >> risposi. La vidi sorridere per un secondo, ma poi mi lanciò un'occhiata diffidente. << Sei qui per uccidermi? >>. Scossi la testa. Si avvicinò di altri due passi. << Chi sei? >>. Aveva una voce molto particolare. Chiara, delicata, musicale. << Mi chiamo William Blake e... >> in un attimo ruggì forte e iniziarono a sanguinarle gli occhi. << Un altro Blake? >> ringhiò. Tremai. << Amelia, calmati. Io non ho idea del perchè tu ce l'abbia tanto con mio padre però... >>. In un attimo tornò normale. << Jacko era tuo padre? >>. Annuii. << Sì, è morto quando avevo due anni. Quest'anno ne farò diciotto >> annunciai. Amelia mi fissò. << Non sapevo avesse un figlio >>. Scrollai le spalle. << Tu come lo conosci? >>. Amelia abbassò lo sguardo, tristemente. << Lunga storia >>. In un attimo mi sentii molto vicino a quella ragazza. Era così triste, così malinconica, così sola. L'unica cosa che desideravo in quel momento era tirarle su il morale (cosa piuttosto strana, dato che lei aveva voluto uccidermi fino ad un momento prima). << Tu cosa fai, per, ehm, divertirti? >>. Mi guardò come se fossi l'essere più idiota del mondo e in effetti, non aveva tutti i torti. << Intendi oltre ad uccidere innocenti? >>. Okay, questa me l'ero meritata. Ma ehy, stavo dialogando con un fantasma. Non è da tutti. << Be', quando eri viva dovevi pur avere qualche hobby >> le dissi, gesticolando. Incredibilmente, lei sorrise, quasi con tenerezza. << Si, in effetti si. Scrivevo. Amavo scrivere >>. La guardai, meravigliato. Amelia dagli occhi dolenti adorava scrivere. Avevamo qualcosa in comune. << Davvero? Io amo leggere cose, ehm, romantiche. Ma ti prego, non dirlo in giro >>. Immaginatevi la mia meraviglia quando scoppiò a ridere! Sarà stupido da dire, ma aveva una risata davvero bella. Cristallina, ecco. Notai che quando rideva, si portava automaticamente una mano davanti alla bocca. La trovai una cosa molto tenera, a dire il vero. << Io scrivevo cose molto varie. Buttavo su carta tutti i miei sentimenti >> mi informò. Le sorrisi. << Mi piacerebbe leggere qualcosa di tuo, allora >>. Amelia arrossì, arrotolandosi una ciocca di capelli neri e mossi sul dito. << Ma non sono nulla di che... >>. Mi misi una mano su un fianco, ridendo. << Questo lascialo giudicare a me, no? >>. Storse la bocca, poi annuì. << Va bene, d'accordo. Se aspetti un secondo, vado a cercare qualcosa... Sempre che mia madre non abbia buttato via tutto dopo la mia morte... >> e scomparve al piano di sopra. Non sapendo bene cosa fare, osservai i vari quadri appesi alle pareti. Uno ritraeva una ragazzina, sicuramente Amelia da giovane, con una donna dai capelli neri come i suoi raccolti in una crocchia severa. Di fianco ad Amelia c'era un uomo. Le teneva una mano sulla spalla, e aveva un sorriso arrogante. << Oh.. Stai guardando quella foto >>. Sobbalzai. Non l'avevo sentita arrivare. Camminava lentamente verso di me. Mi affiancò, leggiadra, senza timore. << Lei è mia madre, Annika >> mi informò alzandosi sulle punte dei piedi e indicandomela con un dito. Mi arrivava a malapena alla spalla. Era molto minuta. << Era una donna molto severa, e credo che non mi amasse molto >>. Poi spostò il dito verso l'uomo. << Di lui ho perso ogni memoria quando sono morta, ma sono abbastanza certa che sia stato il mio patrigno. Raymond, credo >>. E poi indicò la bambina. << Questa invece sono io >>. Le sorrisi. << Eri molto bella >>. Non rispose al sorriso, ma seppi che quel commento le aveva fatto piacere. Poi però si voltò, si girò e camminò verso le scale. La seguii, aspettandomi qualunque cosa... Era un fantasma assassino, in fondo, anche se ora sembrava solo un ragazzina pallida e timida. Prese un piccolo plico di fogli rovinati e vecchi. Me lo tese. << Questi sono alcuni dei miei lavori... E dentro dovrebbero esserci anche dei disegni. Adoravo disegnare >> mi disse. Li presi con cura, accarezzando la carta ingiallita con la punta delle dita. Li avrei letti appena me ne sarei andato. Cioè ora, visto che ormai erano... Guardai il mio orologio da polso. << Cazzo! >> esclamai. << Sono le sei di mattina! >>. Mia madre doveva essere già sveglia! Chissà cosa avrebbe detto se avesse visto il mio letto vuoto e la macchina che mancava! Dovevo tornare assolutamente a casa. << Amelia, è tardissimo. Mia madre non sa che sono venuto, anzi, probabilmente mi ucciderà appena lo scoprirà. Quindi, ci vediamo stasera. Anzi no. Tornerò quando avrò letto tutti i tuoi scritti, così potremo parlarne >>. Amelia rise e mi salutò con una mano. Ricambiai velocemente e mi fiondai fuori dalla porta correndo alla macchina, diretto verso casa. Forse Amelia dagli occhi dolenti non era come tutti pensavano che fosse.

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Capitolo 6
*** Gli scritti di Amelia. POV: William ***


Eravamo seduti al tavolo. Mia madre mi osservava in un modo così incazzato che iniziai a pensare che sarei morto di lì a poco. Alla mia destra sedevano Amara e Brianna, mentre alla mia sinistra c'erano Mel, Austin e James. << Ti avevamo chiaramente detto che non potevi tornarci senza di noi >> iniziò Melissa. Scossi la testa, pronto a difendermi, ma Amara alzò una mano e mi bloccò. << Ti rendi conto di quanto tu ci abbia fatto preoccupare? Da solo, con un fantasma assassino! >>. Tentai di parlare. << Amelia non è... >>. Intervenne Brianna. << Amelia non è cattiva, stavi per dire? Cazzo, William, ha ucciso più persone lei di un serial killer in vent'anni di attività! >>. James si schiarì la voce, borbottando sottovoce : << Quello che hai detto non ha senso... >> Brianna gli tirò un pugno sul braccio. << Stai zitto una buona volta >>. Poi calò il silenzio. E fu mia madre a interromperlo. Lessi la delusione sul suo viso, e mi fece sentire così triste, che mi chiesi come avessi potuto disobbedirle così. << Io so che è il tuo lavoro, William >> sussurrò, con calma. << Ma se succederà un'altra volta una cosa simile, tu non lo farai più. Non so perchè questo fantasma ti dia così alla testa, ma tu sei sotto la mia responsabilità e sei mio figlio ed è mio dovere proteggerti. Quindi, se mi disobbedirai ancora, smetterai di liberare le persone morte. Sarai un ragazzo qualunque che va a scuola e poi ti troverai un lavoro estivo. D'accordo? >>. Abbassai lo sguardo, sconfitto, e annuii docilmente. Mia madre allora si alzò, e senza dire altro, se ne andò in camera sua, lasciando me e i miei amici soli. Aspettai altre prediche, sperando ardentemente che non ce ne fossero. << Amico, noi apprezziamo molto ciò che fai, ma vogliamo che ci rendi partecipi. Ora siamo una squadra >>. Alzai la testa di scatto e guardai malissimo James. << Ah sì? E chi lo avrebbe deciso? >>. Amara si intromise. << Era da tempo che ti aspettavamo. Mia nonna era una profetessa, come tua madre, e mi ha detto che la nostra compagnia sarebbe stata completa solo quando un liberatore di fantasmi si sarebbe unito a noi >>. Scrollai le spalle. << E se io non volessi? >>. Amara restò con la bocca socchiusa, senza sapere cosa rispondermi. Potevo benissimo farlo. Potevo scacciarli malamente da casa mia e dalla mia vita. Ma sapevano una cosa, anche se non mi conoscevano benissimo. Non l'avrei mai fatto. Mi sarei unito a loro. << Okay, siamo una squadra >> sbuffai. << Ma ad una condizione >>. Tutti mi ascoltavano in attesa. << Io non abbandonerò Amelia. Okay, è lo spirito più potente con cui io abbia mai avuto a che fare. Ma non è solo questo : è anche una ragazzina bisognosa d'aiuto. Aveva degli hobby, da viva. E l'hanno uccisa, ragazzi. Era solo una sedicenne, e l'hanno uccisa. E io devo sapere chi è stato e perchè >>. Mi fissarono, spaventati dal tono perentorio della mia voce. Ma poi annuirono, sorridendo. Ora avevo degli amici su cui contare. Che mi avrebbero aiutato. Forse potevamo farcela, tutti insieme. Appena se ne furono andati, salii in camera mia e presi dalla mia borsa il plico di foglio che mi aveva dato Amelia. Ne sfiorai la carta, la annusai, curioso di sentire il profumo che lei aveva da viva. Tuttavia, oltre all'odore di muffa e di vecchio, quella carta non parlava di Amelia. La sua scrittura era piccola, sottile e svolazzante. Mi piacque subito. Decisi di leggere la prima pagina. << " Mio amato diario, è successo ancora" >>. Mi fermai, stupito, e guardai la firma in fondo al foglio. " Amelia Elizabeth Roberts ". Era il diario di Amelia! Doveva avermelo dato per sbaglio. Lo fissai, indeciso. Dovevo leggerlo comunque? Sapevo che me ne sarei pentito, ma dovevo saperne di più. Ripresi a leggere. << "Mio amato diario, è successo ancora. Mia madre mi ha picchiata, e stavolta pensavo che volesse uccidermi sul serio. Ho avuto tanta paura, diario. Le ho soltanto chiesto se potevo andare al ballo di fine anno, in fondo. Mi ha dato della puttana, mi ha presa per i capelli e mi ha sbattuta al muro. Mi ha picchiata talmente tanto che non so più se il liquido che sento in viso sia sangue o solo le mie stupide lacrime. Oh, caro diario, perché sono così fragile? Perchè non ho la forza di ribellarmi? Sento dei passi su per le scale. Forse è Raymond. Devo fuggire, a dopo. Amelia Elizabeth Roberts " >>. Il foglio era datato ventinove giugno 1864. Feci scorrere tutte le pagine, e raggiunsi l'ultima : diciotto dicembre 1864. Probabilmente il giorno della sua morte. Tornai indietro e lessi la seconda pagina : << " Caro diario, non ce la faccio più. Sto seriamente iniziando a pensare che la morte sia l'unica soluzione. Non posso vivere così. L'odio che ho dentro mi sta soffocando. Sono due settimane che di notte piango. Mia madre mi ha picchiata anche oggi. Non mi ricordo nemmeno perché, a dire il vero. So solo che mi ha presa per un braccio e mi ha buttata per terra. Ha iniziato a colpirmi. Ha smesso solo quando ormai tutto il tappeto era insanguinato. Raymond non c'era. Ho paura. Non voglio morire per mano sua, diario. Ma nessuno verrà a salvarmi " >> mi accorsi che non aveva firmato. La I finale di "salvarmi" era strascicata, come se fosse stata allontanata frettolosamente e non avesse avuto il tempo di poggiare il pennino. Girando le pagine, raggiunsi il quindici luglio : << " Caro diario, oggi è successo qualcosa di strano. Mamma e Raymond mi hanno portata in cantina. Mi hanno dato da bere un bicchiere di uno strano biancastro, poi mi hanno legata al muro, con le mani in alto, incatenate. Poi ho ricordi vaghi, per esempio mia mamma che dice a Raymond "divertiti" o qualcosa di simile. So che ad un certo punto lei se n'è andata, ridendo, e chiudendo la porta a chiave. Non ho altri ricordi. Credo di essermi addormentata. Quando mi sono svegliata, sentivo dolori ovunque, ed ero piena di graffi e ferite sulle cosce, sui polpacci e sul petto. Non ho idea di come sia successo. Qualcosa deve avermi morsa, oppure devo essere caduta. Probabilmente Raymond non è arrivato in tempo per difendermi " >>. Mi fermai, soffocato dalle mie stesse lacrime. Non mi ero reso conto di star piangendo. Povera, povera Amelia. Andai nel mese di agosto. << " Caro diario, ogni giorno mi portano in cantina e mi sveglio con ferite nuove. Sto iniziando a pensare che mi droghino. Ma non capisco. Perché Raymond non mi aiuta? Lui è così una brava persona. O almeno credo. Diario, ho la mente offuscata. Dormo poco, non so quello che faccio. Sono distratta, mi sento male spesso. Non capisco " >>. Saltai diverse pagine ed andai a settembre. Lessi la quarta pagina di codesto mese. << " Caro diario, ho scoperto cosa fanno quando mi portano in cantina. Stavolta ho fatto finta di bere. Mi hanno beccata, ovviamente, perché non mi sono addormentata. Ma mia madre ha detto che non era un problema ed è uscita come al solito. Raymond invece era davanti a me, diario, e si è slacciato i pantaloni. Mi ha legata al muro, mentre io stupita, non capivo. Poi mi ha strappato il vestito di dosso. Ho urlato tanto, diario. Più di quanto abbia fatto mai. Ma non è servito nulla. Mi ha picchiata, violentata, e poi, dopo avermi slegata, mi ha lasciata lì, a piangere, raggomitolata su me stessa. Se n'é andato ridendo. Sto malissimo. L'unica persona che credevo mia amica è quella che mi ha fatto più male " >>. Avevo la gola arida. No. Non era possibile. Non era lontanamente concepibile. Misi giù i fogli, e chiamai il numero di Amara, che stranamente era registrato. Le chiesi con voce tremante di venire subito a casa mia. Ero scosso da forti tremiti. Non so a che ora arrivò, non mi interessava. Quando mi vide, mi abbracciò. Così, senza che glielo chiedessi. Dovevo essere messo proprio male. << Cosa è successo? >> mi chiese, sedendosi di fianco a me. << Sto leggendo questi fogli che mi ha dato Amelia. Deve essersi sbagliata, perché questo era il suo diario. E... >> non riuscii a continuare, perciò glielo tesi. Lesse velocemente ciò che avevo letto io. Poi con le lacrime agli occhi, mi prese la mano. << O mio Dio, Will. È stata... >>. Deglutii. << Già >>. Mi stupii a pensare che avrei tanto voluto avere quel brutto bastardo tra le mani. Non avevo mai desiderato prima di fare così tanto male a qualcuno. << Ti va di continuare insieme? >> mi chiese lei con dolcezza, e io annuii. Girò qualche pagina e raggiunse l'8 novembre. Amara iniziò a leggere. << " Sono stanca. Sto morendo dentro. Raymond continua a stuprarmi, mia madre ha bruciato tutti i miei disegni davanti a me. Ho ferite ovunque, e non mi importa nemmeno più come me le procuro. Hanno ripreso a drogarmi, e io a bere. Non posso sopportare di nuovo tutto quello che ho subito quel giorno. Sai quando dicevo che sarei scappata di casa? Ecco, non lo farò. Sono nata qui e qui morirò. Non ho più la forza per respirare. I polmoni mi bruciano. Ho visto troppo sangue. Sono stanca. Ora vado a dormire, caro diario, e preghiamo insieme che io non mi risvegli più " >>. Amara alzò lo sguardo su di me. Fissavo immobile la pagina del diario, scioccato. Amelia aveva cominciato a lasciarsi morire. Ma non potevo crederci, no. L'avevo vista combattere, quella dea guerriera, e sapevo per certo che su quel diario non c'era scritto tutto. Lo usava per sfogarsi. Ma non era Amelia quella che scriveva. Era solo la parte in lei che si era arresa. Ero sicurissimo però, che non fosse tutto lì. Presi i fogli dalle mani di Amara e scorrendo le pagine, caddero per terra diversi cartoncini. Li presi, e vidi che erano in realtà disegni bellissimi. Uno ritraeva Amelia stessa mentre fissava sorridente qualcuno, l'altro sua madre. Mi stupii di come l'aveva disegnata : le labbra non avevano la piega severa che avevo visto nella foto a casa sua, anzi, sorridevano e gli occhi avevano un'espressione gentile. Sotto c'era scritto qualcosa. << "La mia mamma quando io non ci sono è felice " >>. Percepii l'innocenza e la tristezza di quella bambina tanto odiata. Dovevo andare da Amelia. Dovevo andare a chiederle spiegazioni. Mi asciugai le lacrime. << Amara, io vado da lei >> dissi frettolosamente, prendendo in mano il mio cappotto. Amara si alzò. << Vengo anch'io >>. Scossi la testa. << Amara. Per favore, non stavolta. Ho bisogno di parlare con lei da solo >>. Lei annuì. Mi abbracciò, come se fossimo amici di vecchia data, e per un attimo, sembrò proprio così. << Grazie, Amara >> sussurrai riconoscente. Mi strinse più forte. << Grazie a te per avermi chiamata >>. Poi uscii, diretto da Amelia in cerca della guerriera indistruttibile che quelle pagine mi avevano taciuto.

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Capitolo 7
*** La nascita di un'amicizia. POV : Amelia ***


Stavo guardando i miei ultimi disegni da viva. Ero nella prima stanza a destra dopo la scalinata che portava al piano di sopra. C'erano diversi quadri non miei, ma dentro un cassetto erano nascosti i miei lavori. Erano tutti dei ritratti; amavo ritrarre le persone quando loro non mi notavano. Ad un tratto però, sentii bussare imperiosamente alla porta. Stupita, andai ad aprire, chiedendomi chi potesse avere tutto questo coraggio. William Blake entrò come una furia sbattendo la porta dietro di sé. Notai che aveva gli occhi rossi di pianto, e mi chiesi cosa mai potesse essergli successo. << Ciao, Will >> gli sorrisi gentilmente, sedendomi ai piedi della scala. Ma lui restò in piedi, davanti a me. Poi dalla sua borsa tirò fuori il plico di fogli che gli avevo dato e me lo sventolò sotto il naso. << Voglio una spiegazione >> esclamò, e me li tese. Li presi. << Era il tuo diario >> mi disse. Come se non lo sapessi. Come se non lo avessi fatto apposta. << Sì, lo so, Will >>. Presi fiato, mettendomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mi sentivo a disagio. << Te l'ho dato per un motivo >>. Cadde il silenzio. William mi guardava, ansioso di sapere. << Ho bisogno di ricordare. Voglio sapere chi mi ha ucciso e perché, e forse tu puoi aiutarmi >>. Will mi lanciò uno sguardo strano. Si passò una mano tra i capelli neri e inspirò. << Non voglio vedere quel diario mai più >> sibilò. << Tu non eri così. Non sei così. Non sei una persona che si arrende. Guardati, Amelia!, sei una dea guerriera, una combattente, un mostro bellissimo e imbattibile. Non sei mai stata quella bimba paurosa che si legge lì >>. Quelle parole mi irritarono : ma non aveva capito quello avevo dovuto subire? Ciò che mi era stato inflitto non bastava? Mi prese per mano e mi tirò in piedi. << Ti giuro, leggere quelle cose mi ha sconvolto. E mi dispiace per te. Dio, Amelia, se fossi nato nella tua epoca ti avrei aiutata, ti avrei salvata >>. Sentii un liquido caldo segnarmi le guance. Impaurita, pensai che fosse sangue, invece erano soltanto lacrime di commozione. Will continuò. << Ti prometto che ti aiuterò a trovare il tuo assassino. Ti aiuterò, Amelia. Non sei più sola >>. Iniziai a piangere disperatamente. Quante volte avevo desiderato sentirmi dire quelle parole. Quante volte avevo sperato che qualcuno mi tenesse le mani come stava facendo lui adesso. Quante volte avevo desiderato qualcuno accanto. Un singhiozzo mi scosse da capo a piedi. << No? >> sussurrai. Avevo bisogno di una conferma. Avevo bisogno di un amico. << No. Ci sono io per te. Sono qui, Amelia. Sono qui per te >> e poi fece una cosa stranissima. Mi avvolse tra le sue braccia. Mi strinse forte a sé, e io appoggiai la mia testa sul suo petto. Le sue mani erano posate sulla mia schiena. Piansi contro di lui, piansi tutto il dolore che mi aveva soffocato per anni. E lui non se ne andò, non si spaventò. Restò lì. Restò lì, ad abbracciare un morto che aveva ucciso tante, troppe volte. Restò lì, a condividere le mie colpe, ad aiutarmi a portare quel peso enorme. Credo che solo in quel momento mi resi conto di che persona fantastica fosse William Blake, e di quanto poco assomigliasse effettivamente a suo padre. << Grazie >> sussurrai, così piano che pensai che non mi avesse sentito. Dopo che si staccò da me, Will mi sorrise e dalla borsa tirò fuori una scatola. Lo guardai incuriosita. << Cosa c'è lì dentro? >>. Rise. << È un gioco da tavolo. Si chiama "Monopoli". Ti insegno a giocare, dai >>. Sorrisi e annuii. Ci sedemmo per terra, dopo aver spazzato un po'. Dispose il gioco e le carte e tutto quanto e mi fece scegliere la pedina. Poi mi insegnò, avvertendomi però che in questo gioco lui era molto bravo. Giocammo per circa tre ore, forse, se non di più. Mi divertii tantissimo, risi come non facevo da tempo. E poi, verso la fine del gioco, tirai il dado. Uscì tre. << No >> Will scoppiò a ridere, per poi tornare subito serio. << Non posso aver perso. Okay, il gioco è truccato >>. Risi forte e sguaiatamente. Non mi importava se qualcuno poteva sentirmi. Dio, ero morta. Ero una ragazza fantasma che giocava a Monopoli con un ragazzo vivo, bello e simpatico. << Be', mi dispiace deluderti, ma è stata solo la fortuna del principiante >> mi informò con uno sguardo critico. Sbuffai e gli diedi un piccolo pugno sulla spalla per scherzare. Will mise il broncio. Quando mi alzai, scattò in piedi e mi abbracciò di nuovo. Io rimasi lì, bloccata dalla sorpresa, ma poi ricambiai. << Grazie della bella giornata, Amelia >> mi sussurrò. Rabbrividii. Prima di uscire mi mise in mano un libro. Lo guardai. Il titolo era "Harry Potter e la pietra filosofale". << È uno dei libri migliori degli ultimi anni. È davvero meraviglioso. Leggilo, quando hai tempo >>. Feci una smorfia sarcastica. << E quand'è che non ne ho? >>. Will mi fece un mezzo sorriso, poi uscì. Sfogliai il libro. L'avrei iniziato subito.

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Capitolo 8
*** Telefonate misteriose e amicizie problematiche. POV: William ***


<< È un pensiero abbastanza stupido >> mi informò Mel con la solita delicatezza. Stavamo passeggiando in paese, bevendo bibite in lattina. C'eravamo tutti, anche Jimmy, che però se ne sarebbe andato di lì a poco perché, usando le sue parole, "sentire parlar bene di Amelia era come uccidere una parte di lui". Giuro, non lo sopportavo. << Amelia merita di vivere come una ragazza normale >> ribattei. Vidi Jimmy voltarsi di scatto per fronteggiarmi. << Cosa? Andiamo, è un fantasma assassino! Ha ucciso mio fratello, dannazione! >>. Lo guardai con calma. << Mi dispiace, Jimmy, ma io l'ho conosciuta e non é lei che uccide >>. Jimmy mi si avvicinò pericolosamente. << Ma tu non dovevi ucciderli i fantasmi? O mandarli non so dove? >>. Sbuffai e scossi la testa. << Non posso ucciderla >>. Ci fu un istante in cui tutti fissarono tutti, finché il suo sguardo non si posò su di me. << Allora sarò io a chiamare qualcuno che lo faccia >>. Detto questo, accelerò il passo e se ne andò. Mi fermai, irrigidendo le spalle. Non potevo permettere che qualcuno facesse del male ad Amelia. Era fuori discussione. Dovevo trovare un modo per proteggerla. << Pensi davvero che lo farà? >> mi chiese sottovoce Amara. A malincuore, annuii. Sapevo che l'avrebbe fatto. Siccome ormai l'atmosfera era rovinata, decisi di andare a casa. << Ragazzi, io preferirei tornare a casa. Scusatemi, ma sono molto stanco >>. I miei amici capirono e mi accompagnarono. Mi salutarono gentilmente e mi lasciarono solo. Entrai e andai in camera mia. Mia madre non c'era; probabilmente era stata assunta da qualche parte. Sentii squillare il mio cellulare e lo tirai fuori con un po' di difficoltà dalla tasca, e guardai il nome sullo schermo : "sconosciuto". Sollevai un sopracciglio, chiedendomi chi mai potesse essere e infine risposi. << Si? >>. << Parlo con William Blake? Il liberatore di fantasmi? >> la persona dall'altro capo aveva una voce maschile, frettolosa e lievemente roca. << Si, sono io. Lei chi è? >> chiesi incuriosito. L'uomo ignorò la mia domanda. << Sono della AUF, che sta per "Associazione Uccidi fantasmi". Sono stato informato della presenza di un fantasma nella zona particolarmente problematico, quindi la AUF interverrà al suo posto >> la voce aveva un tono autoritario, ma non mi lasciai spaventare. << Invece non c'è nessun problema, sto facendo le cose con calma, ma presto lo ucciderò >> ribattei. << Mi dispiace, ma lei non è più ritenuto idoneo. In fondo ha soltanto diciassette anni ed è meglio che si dedichi alle cose adatte alla sua età. Mi dica, chi sono i suoi genitori? >>. Fui preso in contropiede dalla domanda. << Jacko Blake, liberatore come me, e Cassandra... >> ma fu interrotto bruscamente. << Jacko Blake? Liberatore di fantasmi? Ci deve essere un errore >> mi rispose cinico. << In che senso? >>. Pausa. << Jacko Blake è stato per quattro anni direttore della AUF, da sempre ne è stato un suo dipendente e il suo servizio è terminato solo quando è morto >>. Mio padre era della AUF. Mi sentii tradito, solo. Ma ormai sapevo che mio padre aveva fin troppi segreti. Deglutii forte e sussurrai stupidamente : << Ne è sicuro? >>. << Sicurissimo. Ed ora se non le dispiace, devo lasciarla >>. Esclamai : << Non potrebbe dirmi qualcosa di più sulla AUF? >>. << Cerchi sui libri >> mi rispose enigmatico e anche abbastanza scorbutico. Poi riattaccò. Feci un riassunto generale di ciò che avevo scoperto in pochi minuti di telefonata: mio padre era della AUF e questo significava che mi aveva mentito da sempre; se non liberavo Amelia l'avrebbero fatto loro, e nel modo sbagliato. Chiamai tutti i miei amici, che si presentarono sotto casa mia venti minuti dopo. Andammo in camera mia e spiegai loro cosa era successo. Mel disse : << Be', il problema dov'è se si occupano loro di Amelia? Tu forse sei troppo... Preso per capire quanto effettivamente sia pericolosa >>. Le lancia un'occhiata di fuoco. << Non hai capito proprio niente tu >>. Lei si difese, e esclamò : << Quella cosa ha ucciso Bob, William! >>. Brianna sbuffò. << Zitti un attimo. Will, è ovvio che Mel non capisca, e in tutta sincerità non capisco nemmeno io >>. Ci fu una pausa, e poi la voce lievemente rauca di Amara si fece strada tra quelle degli altri. << Io capisco, invece >>. Ci voltammo tutti verso di lei, stupiti. James si limitò a lanciarle uno sguardo curioso, mentre si accomodava alla sedia della mia scrivania. << Will, io ti capisco. Ti sei affezionato a lei e so cosa intendi quando dici " lei non è come sembra". Ho letto anche io le sue carte. Ma cerca di pensare anche agli altri: Amelia ha ucciso delle persone a noi care, dei nostri amici. E la AUF ha ragione, tu non sei la persona più idonea a liberarla, o ucciderla >>. Fissai Amara negli occhi, cercando di comunicarle tutta la mia delusione nel sentire quelle parole uscire dalla sua bocca. Mi lanciò uno sguardo di scuse. Dopo che tutti ebbero espresso la loro opinione, James parlò. << Io sono con te, amico, e ti aiuterò >>. Lo guardai, quasi scioccato. << Non guardarmi così; so cosa si prova. E vuoi sapere qualcos'altro? A me non importa di quello che ha fatto Amelia, perché se tu vuoi salvarla, io mi fido di te e so che un motivo c'é. E non voglio saperlo. Ma io sono con te >>. Alla fine del suo discorso, gli rivolsi un sorriso di gratitudine. Mel però non era d'accordo: si voltò verso di lui e ringhiò : << No, James, tu non lo appoggerai. È fuori discussione. Non puoi fare una cosa simile, non dopo che tua madre... >> James si alzò di scatto e le afferrò un polso, torcendoglielo. << Basta così >> ringhiò ad un millimetro dal suo viso. Quando la mollò, la pelle dove l'aveva stretta era arrossata e quasi come se fosse stata bruciata. Mel ci guardò uno ad uno, poi mi lanciò un'occhiata disgustata e se ne andò, sbattendo la porta. Ci fu silenzio, poi Austin balbettò insicuro << Io... Io ci sto. Sono con te >> mi sorrise timidamente. Annuii e lo ringraziai. Amara mi appoggiò, mentre Brianna mi fissò a lungo, prima di scuotere la testa. << Mi dispiace, ma no >>. Guardò un'ultima volta James, poi uscì, seguendo i passi di Melissa. Okay, ora eravamo io, James, Austin e Amara. Dovevamo trovare informazioni sulla AUF e scoprire di più, per impedire che Amelia venisse uccisa.

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Capitolo 9
*** L'attacco. POV: Amelia ***


Will entrò in casa mia come un tornado; ci mancò poco che scardinasse la porta. << Amelia! >> urlò a gran voce. << Amelia! >>. Apparvi davanti a lui, con un sopracciglio alzato. << Cosa c'é? Perché urli così? >> gli domandai. Ma era così agitato che non sembrò nemmeno notare la mia presenza. << Devi nasconderti, la AUF sarà... Dio, Amelia, è un casino... Devi nasconderti, io... >>. Camminava avanti e indietro con la faccia tra le mani. Piombai davanti a lui, che sobbalzò. << Vuoi spiegarmi cosa diavolo é successo? >> esclamai. Inspirò e parlò tutto d'un fiato. Alla fine del discorso, mi sentii vagamente male. Non so bene come descriverlo, ma da quello che mi disse Will in seguito, scomparivo e apparivo ad intermittenza. << Vogliono uccidermi? >>. Will annuì, preoccupato. Poi mi prese una mano. Ma ero arrabbiata. Era colpa sua se sarebbero arrivati, se mi avrebbero uccisa. Era stato lui a parlarne con i suoi odiosi amici. Mi trasformai e lo vidi ritrarre la mano di scatto. Ma certo, Amelia era brava e carina solo quando faceva comodo. Poi era il solito mostro. << È colpa tua! >> ruggii, e presi la prima cosa che mi capitava in mano e gliela lanciai contro. Si infranse al suolo. Arretrò spaventato dalla mia reazione, ma poi si fece avanti urlando : << Amy, sono qua per aiutarti! Te lo giuro, non li ho attirati qua apposta; e farò qualsiasi cosa per difenderti, credimi... >>. In un attimo, tornai normale. Mi resi conto però che il sangue mi rigava ancora le guance. << Ti credo! >> urlai istericamente. << Il problema é che ti credo! >>. Corsi su per le scale e non mi voltai fino a che non raggiunsi la mia camera. Entrai e sbattei forte la porta. Mi raggomitolai per terra e piansi. Gridai di rabbia. Mi disperai. So solo che ad un certo punto, non so come, mi ritrovai cullata dalle braccia di Will. Mi baciò i capelli, stringendomi fortissimo. << Non ti succederà nulla, stai tranquilla. Ti proteggerò anche a costo della mia vita >>. Quelle parole bloccarono il mio pianto e mi fecero alzare la testa. Incrociai i suoi occhi blu, seri e bellissimi, e per la prima volta provai un sentimento strano, che mi fece sentire le farfalle nello stomaco e mi fece girare la testa. Non capii di cosa si trattava. Non avevo mai provato nulla di simile prima. Will lentamente mi lasciò andare. Mi alzai, imbarazzata. Non era concepibile che finissi per piangere come una bambina tutte le volte. Dovevo iniziare a darmi un tono. Drizzai la schiena. Gli sorrisi. << Grazie. Ma ora, se non ti dispiace, vorrei che te ne andassi >>. La mia risolutezza stupì sia lui che me. Un'ombra di delusione passò nel suo sguardo. Abbassò la testa e annuì. << Scusami, Amelia. Non avrei mai voluto che succedesse una cosa simile >> sussurrò. Ma qualcos'altro catturò la mia attenzione. Un odore nuovo, che non avevo mai sentito prima. Odore di morte. Sapevo che gli altri lo percepivano quando li uccidevo, ma non l'avevo mai sentito io. E poi, una porta che sbatteva al piano di sotto. Passi. Una voce maschile che pronunciava il mio nome. Guardai Will in preda al panico. Erano arrivati quelli della AUF. In un momento, mi vennero in mente tutti i dettagli. Sapevo che Jacko Blake era della AUF. E mi ricordavo chiaramente che un giorno di circa quindici anni prima aveva portato da me una bambina, proclamandola sua figlia, chiedendomi di ucciderla. Quando lo avevo fatto, ella non era morta, ma si era risvegliata dal suo stesso sangue, piangendo. Jacko aveva riso e mi aveva detto che quella sarebbe stata l'unica in grado di salvarmi quando un giorno sarei stata in pericolo. Non sapevo cosa intendesse. Ma ora sì. Deglutii. << Devi trovare tua sorella >> lo informai di fretta. << Si chiama Amethyst. So per certo che tu non sapevi di avere una sorella fino a mezzo secondo fa, ma lei è l'unica in grado di salvarmi >>. Will mi lanciò uno sguardo scombussolato. << Sorella? >>. Sbuffai. Non c'era tempo. << Tuo padre era venuta qua quindici anni fa con una bambina in braccio, chiedendomi di ammazzarla. Dopo che lo ebbi fatto, la bambina si risvegliò. Tuo padre mi disse che un giorno Amethyst sarebbe stata la mia unica speranza >>. E sapevo che quel giorno era arrivato. Respirai. << Ti prego, Will >>. Sentii dei passi sulle scale. Stava salendo. << Lo farò. Ma adesso... >> disse. Mi trasformai. << A lui ci penso io. Riesco ad ammazzarlo, se é da solo. Tu scappa >> tirai un vaso contro la finestra, rompendola. Will iniziò a correre, ma poi indeciso, si voltò a guardarmi. << Vai! >> gridai. Tornò indietro, e fece una cosa che non mi sarei mai aspettata. Premette le labbra contro le mie. Durò meno di un secondo. Poi Will saltò dalla finestra e la porta si spalancò. L'uomo che si presentò davanti a me era in divisa militare, con un pugnale nero nella mano destra e un libro vecchissimo nell'altra. Mi gettai su di lui, ma senza paura, egli iniziò a parlare. Anzi, era più un canto, una litania. Sentii i muscoli bloccarsi e caddi a terra, urlando dal dolore. Ma non potevo farmi uccidere così. Non riuscivo a muovermi, ma con un grande fatica afferrai un pezzo di vetro vicino a me. Gemendo di dolore, glielo piantai nel piede. Il sangue zampillò, bagnandomi il viso. L'uomo gridò dal dolore, interrompendo il canto. Colsi l'occasione al volo. Mi drizzai, e gli graffiai l'addome con gli artigli. Lo presi di striscio, ma il sangue colò sul pavimento. Lui arretrò e cadde. Mi avvicinai a lui e con un artiglio gli penetrai la gola, squarciandogliela. Il pavimento si dipinse di rosso, e ormai sembrava che non ci fosse un solo punto del suo corpo che non sanguinasse. Lo pugnalai con le mie unghie e chinandomi, gli morsi il braccio, strappandogli la carne molle e puzzolente. L'ultimo gorgoglio si spense. Sputai per terra e mi rialzai a fatica. Vidi per terra il libro che doveva essergli caduto di mano. Mi chinai per prenderlo. Ma un urlo di dolore mi sfuggì dalla bocca quando sentii la mia gamba lacerarsi. L'uomo mi aveva pugnalato. Vidi la lama. Era nera. Era il pugnale nero che serviva a mandarci all'inferno. Lo estrassi con un sibilo dalla mia carne e quello, cadendo sul pavimento, tintinnò. Poi tutto divenne buio.

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Capitolo 10
*** Gelosia. POV: Amelia ***


Quando mi svegliai, era buio. Mi alzai a sedere faticosamente, e mi guardai intorno. Era così buio che non vedevo quasi nulla. Mossi la mano per portarmela ai capelli, quando urtai qualcosa. Mi voltai di scatto, pronta a uccidere il mio nemico, quando il bel viso di Will mi si parò di fronte. Si alzò improvvisamente e corse alla finestra, urlando << si è svegliata! >> alla notte. Lo guardai per qualche secondo, chiedendomi se fosse un'allucinazione o se fosse lui ad avere qualche problema. << Will, che diavolo... >> sibilai, ma lui era già accucciato ai miei piedi che mi aiutava ad alzarmi. Sorrise. << Scusa. Ero preoccupato per te, quindi ho chiesto anche ai miei amici di accompagnarmi >>. Gli strinsi forte una mano. << Sto b... >> ma una fitta lancinante alla gamba mi bloccò. Will si inginocchiò e vide il pugnale nero. Il suo viso passò dal verde al giallognolo e al viola. << Amy... Il pugnale... >> balbettò. Alzai gli occhi al cielo. << È nero. Sì, l'ho notato >> presi fiato. Se me l'avesse tolto, sarebbero potute succedere due cose: potevo salvarmi, oppure morivo dolorosamente. Will lo sapeva. Mi lanciò uno sguardo preoccupato. << Se non lo estraiamo, morirai. Però se lo estraiamo rischi la morte comunque >>. Sapevo cosa pensava. Credeva che non l'avrei estratto. Credeva che mi sarei arresa. Ma Amelia dagli occhi dolenti non si arrende mai. Inspirai. << Toglimelo >>. Will non rispose, ma la sua espressione sorpresa mi fece capire che mi vedeva come una persona debole; e non volevo che mi vedesse così. << Farà male >> mi avvertì, ma io scrollai le spalle. Sentii la sua mano poggiarsi sull'elsa. Poi l'afferrò. Un dolore lancinante mi attraversò la gamba. Urlai forte, poi mi premetti le mani sulla bocca. No. Non avrei più urlato. Will tirò e lo estrasse. Un male impossibile da descrivere mi bruciò la gamba, mi distrusse i muscoli e per un attimo pensai che mi avesse spappolato il cervello e la lingua. Poi tutto lentamente passò. Will mi teneva una mano, preoccupato. Tentò di sorridermi. << Come va? >> mi chiese. Ricambiai. << Meglio >>. E lessi nel suo sollievo, nella sua felicità tangibile, quella maledetta frase: "non sei morta". Mi sfuggì una risatina nervosa. "Non stavolta". Quando il silenzio si fece più pesante, deglutii e gli chiesi : << Prima dell'attacco tu mi hai... Uhm... >>. Will mi lanciò uno sguardo vacuo, poi parve improvvisamente capire. << Io... Eh, si be'... >> balbettò, arrossendo. Mi venne da ridere, ma cercai di trattenermi. << Scusami, so che forse non avrei dovuto ma... >> sussurrò lui ma io lo interruppi, sorridendo. << Invece ti dico grazie. Ed è stato bello.. Era il mio primo bacio >> ammisi, ad un tratto intimidita. Will mi fece un sorriso gentile, prendendomi la mano. << Allora spero che ti sia piaciuto davvero, sebbene non fosse il momento adatto. Ti ho baciata perché avevo paura di perderti >>. Espirai tutto d'un colpo, tossendo. Cosa? Paura di perdermi? Non sentivo quella frase dal 1862. << Will, io... >>. Ma un urlo ci interruppe. << William! >> una voce femminile provenne dal corridoio. Will si sistemò e raggiunse la porta, dove una ragazza dalla pelle color caffelatte e capelli castano scuro gli piombò addosso. Si vedeva che era molto preoccupata. << Ma dove diavolo ti eri cacciato? Perché non rispondevi? Pensavamo che ti avesse ucciso >>. E provai odio. Odio e odio e odio. Mi vedevano ancora come un'assassina e fare un'opera buona con una persona non significava lavarsi la coscienza. Dovevo immaginarlo. Ma faceva male comunque. Già non sopportavo più quella ragazza e una nuova sensazione si fece strada in me. "Sono gelosa? Io?" mi chiesi, stupita. Poi scrollai le spalle e drizzai la schiena. "Amelia non si fa mettere i piedi in testa da nessuno". Li raggiunsi a passo lento e risposi io al posto di Will : << No, non l'ho ancora ucciso, ma potrei sempre rimediare a questa mancanza uccidendo te >>. La ragazza impallidì e arretrò mentre io avanzavo. Poi Will mi si parò davanti. Percepivo il sangue che aveva cominciato a colarmi dagli occhi, che però appena la ragazza fu lontana da me si asciugò, scomparendo. << Amelia, ti presento Amara. È tipo la mia migliore amica da quando mi sono trasferito >>. Poi si voltò verso Amara e continuò << Amara, lei è Amelia, come avrai intuito >>. Sorrisi a denti stretti. << Piacere >> sibilai. Amara mi fronteggiò stupidamente. << Piacere mio >>. Calò un silenzio imbarazzante. Poi Amara disse : << Will... Andiamo? >>. Will stava per scuotere la testa, ma io alzai una mano e dissi : << Si, andate. Vorrei stare da sola >>. I ragazzi annuirono e scesero le scale. Attraversai i muri per vederli uscire: erano mano nella mano e parlavano tra loro. William non si voltò a cercarmi con lo sguardo prima di chiudere la porta.

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Capitolo 11
*** Amethyst Grodwell. POV: William ***


<< Continuo a non capire >> sbuffai, lanciando il libro contro il muro. Amara mi guardava, sorridendo impercettibilmente. James aveva un'aria annoiata, ma ero abbastanza sicuro che fosse divertito dal mio nervosismo. Austin era seduto davanti a me. << C'é questo qua che potrebbe aiutarla >>. Lanciai un'occhiata ad Amara, che stava per scoppiare a ridere. << Ma questo qua chi? >>. Silenzio. Poi : << L'altro fantasma, idiota >> James aveva evidentemente deciso di entrare nel discorso. << Spiegatevi meglio >> ordinai. Amara tornò in salotto con un bicchiere di succo in mano. Si sedette di fianco a me, imitata da James. << Amelia non accetta il nostro aiuto >> iniziò, << mi detesta, Will. O molto probabilmente é gelosa di te. Bene. Ma se vuoi proteggerla, devi fare in modo che si fidi di noi, così potremo aiutarla >>. Sospirai, esasperato di sentire la solita cantilena. << Amara, te l'ho già detto, non vuole il vostro aiuto >>. Erano passati due giorni ormai. Da quando Amelia ci aveva congedati bruscamente, non mi sentivo molto in vena di andarla a trovare. A volte pensavo qualcosa tipo " potrebbe venire lei da me ogni tanto". Poi mi ricordavo che era morta. Amara mi lanciò un'occhiataccia. << Will, è di questo che stavamo parlando. Abbiamo trovato questo fantasma che non é confinato in casa e che può darle una mano >>. La guardai, in attesa. << Darle una mano, come? >>. Fu Austin a rispondermi. << Le insegnerebbe come uscire da quella casa rompendo la maledizione che la lega ad essa, Amelia potrebbe uscire, fare cose, conoscere persone... Come se fosse ancora viva >>. Mi presi la testa tra le mani. Ero interessato, in effetti era una buona idea. Ma sapevo fin troppo bene come avrebbe reagito Amelia. Ma Amara non demorse. << Potresti addirittura invitarla al ballo scolastico, Will! >>. Quelle parole mi fecero alzare la testa di scatto. So per certo di aver avuto un'espressione scioccata e speranzosa al tempo stesso, perché lei mi sorrise e disse : << Potrebbe essere una possibilità. E poi la difenderebbe dalla AUF. È praticamente una persona umana, solo che é morta >>. Attesi un secondo prima di chiedere: << Qual é la trappola? >>. James parlò. << Vuole qualcosa in cambio, ovviamente. E non siamo sicuri che accetterà, insomma, è un fantasma molto vecchio e... >>. Lo interruppi. << In che anno è morto?>>. Austin mi guardava. << Intorno al 1750, ma non ne siamo certi >>. << Chi é? >>. Amara mi sfiorò la mano con la sua. << Si chiama Amethyst Grodwell >>. La mia faccia passò dal rosso al viola al giallo al verde. Scattai in piedi, dirigendomi verso la porta. << No >>. Amara mi guardò e sembrò intuire qualcosa. << La conosci? >>. Annuii leggermente. << Sì, la conoscevo. È un fantasma che fugge dalla AUF da tanti anni, ormai. Mio padre aveva preso molto a cuore l'incarico di ucciderla, riservato solo a lui. Non ci é mai riuscito, ma non so perché >>. James si passò una mano tra i capelli scuri. << Quante informazioni... >>. Gli lanciai un'occhiata di fuoco. << Avevo sette anni, che ne sapevo di chi era mio padre? Non mi importava più di tanto. Non avevo idea dell'esistenza della AUF >>. Amara mi posò una mano sulla spalla. << Ehy, calmati. Non ti stiamo giudicando, Will. Pensiamo solo che Amethyst potrebbe aiutare molto Amelia >>. Mio malgrado, annuii. Volevano la Grodwell? Okay. Ma ero abbastanza convinto che Amelia l'avrebbe squartata. Scrollai le spalle. << Come facciamo a raggiungerla? >>. << Oh, non c'é da raggiungerla. Sai, ecco, sì... Noi potremmo aver... >> e la voce di Austin morì. << Cosa? >>. Poiché non ottenevo risposta, mi alterai. << Cosa avete fatto? >>. James si schiarì la voce e bisbigliò : << Be', potremmo averla già chiamata... >>. Sentii la rabbia fluire in me con forza dirompente. Come si permettevano di non informarmi di una cosa del genere? E se fosse stato tutto un trucco? Se li avesse uccisi? << Quando? >> ringhiai. Amara chinò la testa e sussurrò: << due notti fa James é andato a casa della Grodwell, nella Virginia del Nord, ci ha parlato e l'ha condotta qui >>. Brividi gelati corsero sulla mia pelle, mentre la paura s'instillava in me. << Ora dove si trova? >>. Silenzio. Poi una ventata di aria fredda mi avvolse e un odore di vecchio, antico e con un lieve sentore di rosa canina si riversò nell'aria. << Proprio dietro di te >> mi rispose una voce.

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Capitolo 12
*** A tu per tu col morto. POV: William ***


Mi voltai di scatto. Mi trovai davanti una donna sulla quarantina, con capelli castani acconciati in boccoli perfetti e tenuti fermi sul capo da una molletta tempestata di diamanti. Gli occhi azzurri erano gelidi, e le labbra sottili tese in un sorriso. Indossava un vestito dalla gonna ampia e verde muschio, mentre il corpetto, che doveva essere davvero stretto, era di un verde più cupo, con tracce di bianco. Dovetti constatare che era una signora dall'aria aristocratica molto bella. « Quindi tu sei Amethyst » dissi, come un perfetto idiota. La donna mi sorrise, facendo un lieve inchino. « In persona, mio caro. Lieta di fare la vostra conoscenza ». Poi drizzò la schiena e alzò il mento in una posa fiera. « Siete voi ad avermi chiamata? ». Amara annuì, incapace di proferire parola. Anche io ero stupito. Amethyst sembrava qualcuno di un'epoca andata, eppure era così... viva. « Posso conoscere il motivo? ». Lanciò un'occhiata alla sedia più vicina. In quel momento realizzai che quella donna non aveva per nulla dimenticato il suo tempo. « Siediti, ti prego » la invitai, e la osservai mentre con un sorriso soddisfatto faceva ciò che le avevo chiesto. Anche noi la imitammo. Amethyst ci studiò uno ad uno, poi sorrise di nuovo. « Che bei ragazzi, e che dolce fanciulla! Mi viene da chiedermi perché dei giovani come voi abbiano chiamato una vecchia dama fantasma » e si sfiorò un boccolo con la mano. Presi fiato per parlare, ma James mi anticipò. « Abbiamo un problema con un altro fantasma ». Gli lanciai un'occhiata di fuoco. « Amelia non è un problema ». Amethyst si coprì la bocca con la mano mentre rideva. « Qui percepisco qualcosa di più del dovere, signorino William. Avete per caso un legame più profondo del dovuto, con questo caro fantasma? ». Arrossii violentemente. Non mi sentivo a mio agio, quella donna non mi ispirava sicurezza. E sapevo che se Amelia non avesse sentito che anche io mi fidavo, non le avrebbe permesso di fare nulla. « Amelia è un'amica, oltre che un fantasma ». Amethyst mi sorrise comprensiva. « Vi conoscevate da prima che morisse? ». Scossi la testa, di nuovo imbarazzato. « No... Io sono un liberatore di fantasmi, come mio padre prima di me; cioè, almeno era quello che credevo, poi ho scoperto che era un membro importante della AUF. Dicevo, Amelia è diversa dai fantasmi che ho incontrato finora. È un mostro assassino con tutti tranne che con me, e io sono riuscito a conoscerla davvero ». « E se ne é innamorato » finì Amara per me. « Io non... » tentai, ma Amethyst mi fermò sventolando una mano. « Signorino William, tesoro, è inutile negare l'evidenza. Fa perdere tempo ed è alquanto inopportuno ». Mi sentii in dovere di scusarmi e lei sorrise. « Ottimo. E potrei conoscere il nome intero della fortunata? ». James s'intromise. « Amelia Roberts ». Amethyst impallidì. « Cosa? ». Seguì una pausa. « Non capisco » cominciò. « Quando mi hanno detto che era morta, ho sofferto. Ma nessuno mi ha mai detto che... Oh, povera, cara ragazza! Cosa mai ha dovuto subire! E ora è ancora qui, a soffrire. Mi viene da chiedermi se troverà mai la pace, quella povera bambina » sospirò tristemente. Io ero incredulo. « La conosce? ». Amethyst annuì. « Ero un'amica della sua bisnonna. Eravamo molto legate, e quando è morta mi ha chiesto di aiutare tutta la sua famiglia ad andare avanti. Ed è quello che ho fatto, poi quel farabutto di Jacko Blake e i suoi seguaci prima di lui hanno iniziato a perseguitarmi e ho perso di vista Amelia e la sua famiglia... E oggi vengo a sapere che le è toccata la mia stessa sorte! Povera, dopo essere stata violentata dal suo patrigno... ». Ero ancora più stupito. « Lei lo sapeva? E non ha fatto nulla per impedirlo? ». Amethyst aveva dipinta in viso un'espressione piena di dolore e rabbia. « Mi è stato impossibile. Quando ho scoperto le cose terribili che avvenivano in quella dimora, ho tentato di fermarle. Ho fatto cadere il suo patrigno dalle scale... ma mi hanno scoperta, e bandita con un incantesimo dalla casa. Penso però, dato che ora sono morti, io possa rimettere piede là dentro, se Amelia non me lo impedisce ». Annuii. Quella donna aveva tentato di salvare Amelia, e ne aveva pagato le conseguenze. Ma ora era di nuovo qui, per tentare di portare a termine la sua promessa. Ad un tratto provai un grande rispetto per lei. La donna si schiarì la voce. « Signorino William, voglio essere sincera con voi. Io so chi siete, chi è vostra madre e chi era vostro padre. So solo io tutto il male che la vostra maledetta famiglia mi ha provocato. Ma nonostante tutto sono qui per aiutarvi. Stavolta però voglio qualcosa in cambio ». La osservai, in attesa di conoscere le sue richieste. « Voglio la morte di Cristabel Blake, secondogenita di Jacko. Dopo la morte della ragazza, voglio essere liberata e voglio raggiungere la pace ». Ma la mia mente ronzava, e mi impediva di pensare. Chi diavolo era Cristabel Blake?

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Capitolo 13
*** Il patto. POV: William ***


Amethyst sedeva davanti a me, sorseggiando té all'arancia e cannella. « Non fate il finto tonto, signorino William. Sappiamo entrambi che conoscevate Cristabel meglio di tutti » il suo tono era pratico, e lievemente cinico. Ma la mia espressione stupita non se ne andava. Cercai tra i miei ricordi quel nome, e un viso a cui associarlo. Non mi diceva nulla. « Signora Amethyst, non conosco nessuno di nome Cristabel, tanto meno col mio cognome » risposi sbuffando. Amethyst aggrottò le sopracciglia. « Come sarebbe a dire? » la sua bocca formò un ovale perfetto. « Cristabel era la figlia minore di Jacko. Me l'ha portata diverse volte, voleva che... » iniziò, ma io la interruppi. « Ha appena detto che Cristabel era figlia di Jacko? ». Amethyst annuì, ancora una volta stupefatta. « Sì, signorino William. Mi state dicendo che non conoscete vostra sorella? ». Mio malgrado, annuii. Amethyst scattò in piedi, rovesciando la tazza di té sul tavolo. Nonostante nella cucina fossero presenti anche i miei amici, il dialogo si svolgeva solo tra me e Amethyst. Avevo appena scoperto di avere una sorella, checcavolo. « Hai con te una sua foto? ». Amethyst scosse la testa, ma poi si illuminò. « Sì! Ma non é recente, risale a cinque anni fa. Me l'ha portata una donna vestita di nero. Io ero in gita turistica su una crociera diretta in Grecia; a proposito, la Grecia è proprio bella, dovresti andarci, sai? Dicevo, ero nella mia cabina, quando sento bussare. Apro la porta e mi trovo davanti questo donnino, alto poco più di un metro e cinquanta. Dice qualcosa in una lingua strana, tutta sibili e sputi... ». « Probabilmente tedesco » dice sotovoce James, facendomi ridere. « ...e mi mette in mano questa fotografia. Sinceramente non ho capito nulla di quello che mi ha detto la signora in nero, a parte "Cristabel" e " cincillà " ». Io, James, Amara e Austin ci lanciammo delle occhiate perplesse. Amara stava ridendo divertita, ma fu zittita da un'occhiataccia di James. « "Cincillà"? Ne é certa? ». Amethyst sbuffò. « Ma che ne so, ragazzo! A quei tempi avevo ben altro a cui pensare; la AUF mi stava col fiato sul collo ed era molto più cattiva e agguerrita di come é adesso ». Amethyst gesticolò aggraziatamente. « Quei pulcini erano piuttosto pericolosi, ai tempi. Ora non riescono a battere nemmeno, senza offesa, il fantasma di una bimbetta ». Strinsi i denti. « Lei non sa quanto Amelia abbia... » iniziò Amara, difendendola, ma Amethyst la bloccò di nuovo. « Frena la lingua, ragazzina. Tutti noi fantasmi abbiamo sofferto. La signorina Amelia non é diversa ». Austin scrollò la testa e chiese, con il massimo rispetto: « Come é morta lei, signora? ». Amethyst si sedette al tavolo, sospirando tristemente. « Ero su una nave. Dovevo partire per un lungo viaggio; volevo tornare da alcuni miei parenti in Irlanda e lasciare l'America per un po'. Ero nella mia cabina. Dovete sapere che ero molto ricca in vita, e lo sono tutt'ora da morta. Venivo da una famiglia aristocratica. Ebbene, mi ero dimenticata di chiudere la porta della cabina a chiave. Un uomo entrò e, non so ancora oggi come abbia fatto, mi rubò tutto i gioielli. Tentai di fermarlo, ma mi accoltellò alla schiena. Fu una ferita grave, ma non letale ». Amethyst si asciugò una lacrima col fazzoletto. « Ero molto amica con una strega potente, ai tempi. Nina Woodhen, si chiamava, credo. Sì, sono sicura che si chiamasse così. Davvero una bella ragazza, giovane e attraente. Dicevo, era una strega. Eravamo come sorelle, e quando mi trovò, riversa sul pavimento della mia cabina - ella stava appunto venendo da me per la nostra consueta passeggiata serale - io ero in fin di vita, ma riuscii a dirle di vendicarmi. Ero una persona molto viziata e vendicativa, all'epoca. Nina allora, piangendo, mi strinse una mano e mi promise che l'avrebbe fatto immediatamente. Poi chiusi gli occhi e caddi nell'incoscienza. Ma ero viva. Nina, credendomi morta, fu presa dall'odio e dalla rabbia, e con un incantesimo fece affondare la nave, creando diverse aperture nella stiva e facendo penetrare l'acqua. Ben presto ci trovammo sott'acqua. Morii annegata. Non fu la ferita ad uccidermi. Poi, non so perché, dopo un tempo indefinibile mi risvegliai. Ma ero impalpabile. Ero invisibile. C'ero e non c'ero. Mi sentivo triste e sola. E, come se non bastasse, ero legata alla nave. Potevo girare sott'acqua, visitare la nave in lungo e in largo, ma non potevo andarmene. E ben presto diventò la mia prigione. Poi incontrai un uomo. Era un sob ». « Sub, semmai » la corresse James. Amethyst agitò la mano. « Ma sì, non ha importanza. Venne questo bell'uomo vestito con una tuta da pesce che voi chiamate sub. E mi vide. Capite? Finalmente, qualcuno mi riusciva a vedere! Nemmeno i pesci percepivano la mia presenza! Fu stupito e spaventata dalla mia presenza. Incredibilmente riuscivo a capirlo, anche se parlava tramite una botola di ossigeno... ». « É una bombola di ossigeno... ». « Senti un po', sei un ragazzo o un dizionario? Fai il signorino perbene e lasciami raccontare. Dicevo, in qualche strano modo diventammo amici. Ma io non potevo vivere aspettandolo, capite? Quindi gli dissi che ero rimasta attaccata alla nave mentre stavo nuotando e che per liberarmi doveva distruggere la nave ». « Non doveva essere sveglio, se ha visto una donna sott'acqua senza bombole senza nemmeno insospettirsi ». Amethyst scrollò le spalle. « Questo non é importante. L'uomo mise degli esplosivi e fece saltare la nave. Pensavo che, dato che ero legata ad essa, io me ne sarei andata con lei; invece non é successo. Da quando mi ha salvato, ho perso le sue tracce... non ho idea di dove sia oggi ». James incrociò le braccia sul petto. « Presumo in carcere ». Amethyst gli scoccò un'occhiata infastidita. Poi si rivolse ad Austin e con un sorriso dolce, gli chiese : « Perché hai voluto sentire la mia storia, Austin? ». Austin si guardó intorno circospetto, poi sussurrò : « Perché se distruggere la nave ha liberato lei, magari distruggere la casa potrebbe liberare Amelia ». Un silenzio denso scese su di noi. « Austin... » mormorò James, ma io lo interruppi. « E se non funzionasse? ». Ero terrorizzato. Ed egoista. Se radere al suolo avrebbe liberato Amelia, io non l'avrei rivista mai più. Se ne sarebbe andata, sarebbe passata oltre. Amethyst mi lanciò una lunga occhiata. Sapevo che aveva intuito i miei pensieri. « Allora potrà girare per il mondo come me ». James si alterò e sbatté un pugno sul tavolo. « É un fantasma assassino, dannazione! Non possiamo lasciarla andare in giro da sola per il mondo ». Mi alzai. « Non sarà sola. Io sarò con lei ». Amethyst abbassò lo sguardo. « Io vi aiuterò ad abituarla al pensiero di viaggiare e vivere come un'umana. Ma dovete sapere che potrebbe andarsene, oppure che distruggere la casa la liberi » mi fissò dritto negli occhi. « Sei pronto a fare dei sacrifici per la ragazza che ami? ». Tutti mi stavano fissando, ma non mi importava. « Sono pronto ». « Bene » rispose Amethyst, con uno sguardo deciso. « Ma sappi che, in qualsiasi modo vadano le cose, voglio Cristabel Blake. E desidero ucciderla con le mie stesse mani ». Amara la osservò. « Come mai proprio lei? ». Amethyst sospirò. « Ho scoperto più avanti che l'uomo che mi ha accoltellata sulla nave era stato mandato da Jacko Blake. E che in seguito tuo padre ha ucciso tutta la mia famiglia. Io ora, voglio distruggere la sua ». « Io sono suo figlio ». « Ma non sei come lui. Stai facendo i salti mortali per salvare un fantasma. E stai parlando con un altro fantasma senza tentare di ucciderlo. Tu sei diverso, signorino William. Sei umano ». Mi resi conto solo dopo che non mi stava più dando del "voi". « Jacko Blake amava sua figlia. E Cristabel ha sempre adorato il padre, tanto da seguire le sue orme. Ora é lei il capo della AUF. E io voglio ucciderla ». Annuii. Non conoscevo quella persona. Odiavo mio padre. Ma amavo qualcuno che era morto da tempo, e che la mia pseudo-famiglia voleva portarmi via. « Sì, farò ciò che mi chiedi » risposi. « Poi ti farò passare oltre ». Amethyst sorrise. « Grazie ».

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