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Ho aperto la zip della borsa senza pensare a nulla. Non
provavo felicità per il cambiamento, né tristezza per le persone che lasciavo.
Anche perché non avevo proprio nessuno da lasciare. Non ho mai avuto troppi
amici, giusto un paio in 17 anni di vita, e comunque, se ne erano andati molto
prima di me. Detestavo apertamente le persone che sino ad ora si erano occupate
della mia “educazione”, e lei se ne era andata da ormai un mese e mezzo.
Ho aperto il mio cassetto per prendere ciò che mi
apparteneva. Cioè quasi nulla. Un paio di jeans, una tuta da ginnastica un po’
lisa, un paio di maglioni, una felpa, due magliettine, qualche mutanda orribile
e altrettanti calzettoni. La divisa, cioè calzoni neri, camicia bianca, golfino
grigio e mocassini, dovevo lasciarli là. Non proprio una gran perdita. Dal mio
comodino ho preso il mio album da disegno, il blocco degli schizzi e l’astuccio
con gli strumenti da disegno: le cose più preziose che possedevo. E che mi
aveva regalato lei.
Ho messo tutto nella borsa, non proprio ordinatamente, senza
scordarmi la scatola di latta che conteneva le foto dei miei genitori, qualche
spicciolo trovato qua e là e un pacchetto mezzo finito di Marlboro Light rubato
dall’armadietto del bidello. Mi viene voglia di fumarmene una, ma sicuramente
non ne avrei il tempo materiale. Beh, lo farò nella nuova casa del fratellone.
Da quello che so è una maxivilla, troverò un posto dove
fumare in santa pace in tanto spazio, come l’ho trovato in questo edificio
fatiscente.
Quando ho chiuso la borsa nera dell’Istituto dell’Aiuto
all’Innocente, nobile nome per un orfanotrofio gestito da suore che sapevano di
rancido come le loro credenze, mi sono posto ancora la Domanda delle Domande: perché non mi ha cercato prima? Perché si
faceva vivo solo adesso?
Nessuno mi aveva dato una risposta precisa. Era sembrata una
cosa naturale: Tuo fratello ti è venuto a prendere, ora è lui il tuo tutore.
Devi essergli riconoscente e ringraziarlo…
Il mio fratellastro è ricco, anzi ricchissimo. Lo è sempre
stato, credo. Sua madre era una contessa, e mio padre possedeva quelle 7-8
industrie che permettevano una vita comodamente lussuosa.
Una vita che mi era stata tolta quando avevo 4 anni.
Io aspettavo a casa i miei genitori, nel mio lettino, mentre
la baby sitter guardava la TV,
credo. Loro stavano tornando a casa da un party. A quanto mi hanno raccontato,
mio padre era un po’ brillo, e la strada era ghiacciata.
Li hanno trovati il giorno dopo.
La macchina era in fondo ad una scarpata, capovolta.
Morto sul colpo mio padre, morta dissanguata mia madre. La Contessa ha accalappiato
tutto quello che poteva accalappiare, il figliolo era minorenne ma ha avuto la
sua fetta d’eredità ed io… ho avuto un posto assicurato all’orfanotrofio. La
mia fregatura è stata che i miei non erano sposati.
La Contessa non aveva dato
il consenso al divorzio. Io ero considerato un figlio illegittimo, anche perché
mio padre non aveva fatto ancora testamento.(previdente, eh?). Così la prima ed
ultima volta che ho visto il mio fratellastro è stato al funerale. Dopo
esattamente 13 anni era nell’ufficio di Suor Gertrude, a firmare le carte che
facevano di lui il mio tutore.
Mi guardo intorno per vedere se mi sono scordato qualcosa.
Ah, si, ecco: sul davanzale della finestra aperta avevo appoggiato il mio
cappello con la visiera. Un altro regalo di lei. Un altro suo ricordo.
Me lo calco bene in testa e lo sguardo mi cade sul vetro
della finestra. La mia figura riflessa è trasparente, diafana, quasi
inesistente. “Stai per iniziare una nuova vita” dico a quel riflesso, quasi per
convincerlo, quasi per convincermi.
Prendo un bel respiro e mi chiedo se dovrò lottare anche
contro mio fratello per mantenere la mia acconciatura. Ho i capelli lunghi,
candidi come quelli di mio padre, e da lui ho ereditato anche il colore dei
miei occhi, dorati come una moneta da 50 centesimi. Anche mio fratello ha i
capelli candidi e lunghi, ma a lui conferiscono un aspetto elegante, raffinato…
io ho l’aspetto di un vero teppista, di un vero duro.
Getto indietro la testa con aria sicura, prima di girarmi
verso il letto, chiudere la borsa e gettarmela su una spalla.
Alla porta è comparsa Suor Gertrude, la superiora. Il suo
odore, un disgustoso mix di incenso, muffa e cucina si sente a distanza. Un
sorrisetto quasi soddisfatto compare sul volto flaccido. “Sei pronto,
Inuyasha?”
Mio fratello Sesshomaru non mi è
venuto a prendere. Ha mandato il suo autista, su una lussuosa auto nera, che ha
fatto correre tutti gli inquilini dell’Istituto contro la cancellata per
rimirarla ed invidiarmi.
“Il Signor Sesshomaru ha avuto
una riunione urgente con i soci della sua holding, e non è riuscito a venire”
spiega con una riverenza questo essere, altro un metro e tappo, dalla pelle di
uno strano colorito. Mi fa quasi schifo… “Io sono il suo maggiordomo, il mio
nome è Jaken,”prosegue “vi Porterò a casa io. Le
ultime formalità verranno sbrigate via posta” Detto
ciò prende umilmente la mia borsa e la mette nel baule della mia auto.
Faccio per salire, ma Suor
Gertrude mi trattiene. “E te ne vai così…? Non ringrazi nemmeno?” La classica
goccia che fa traboccare il vaso…Mi volto, lo sguardo sfrontato: “Beh, grazie,
Suor Pinguina per avermi rotto i coglioni per 13
lunghissimi anni”
La bocca della Madre Superiora si
stringe, sembra il culo di una gallina. Gli altri ragazzini sghignazzano, e
giurerei di aver sentito pure Suor Matilda e Suor Teresa trattenere una
risatina.
“Fa così perché è nervoso” dice
Suor Gertrude a Jaken, come giustificazione. Alzo gli occhi al cielo, mi volto
e mi siedo in auto, nel sedile posteriore.
Dopo un saluto formale, Jaken
entra in auto e mette in moto.
Rimango in silenzio a lungo.
Avrei un sacco di domande da fare a quel’ometto, ma mi si bloccano tutte. Non
so praticamente nulla su Sesshomaru, a parte che la Taisho Corporation,
ereditata da nostro padre, è in continua e irrefrenabile espansione. A rompere
il silenzio è Jaken.
“Il Signor Sesshomaru ci tiene ad
informarvi che la settimana prossima inizierà la scuola.”
Anche da ricco devo subire?
“Ah” rispondo semplicemente.
“E’ una scuola privata, e le serve
la divisa. Il sarto verrà per prenderle le misure domani mattina.”
“Ah.” rispondo. Un’altra divisa.
Fantastico.
Jaken tace per qualche minuto.
Forse allibito dalle mie poche parole. “E… beh, ha creduto anche opportuno che
voi vi rifaceste il guardaroba…ecco…”
“Quindi?”
“…Quindi questa è sua…” e mi
passa, estraendola da un cassetto, una tessera color argento.
La prendo con le dita e la
guardo. “SuperCredit Silver” leggo, sopra il logo, $C$. Più in sotto, il mio nome e cognome e un codice. “Che
cos’è?” chiedo.
Dallo specchietto retrovisore vedo
Jaken strabuzzare gli occhi già sporgenti “Non lo sapete…? Beh, è una carta di
credito… i suoi soldi sono in banca ma lei può
utilizzare quella per pagare…è la più pubblicizzata per i giovani…”
La guardo nuovamente. Le
letterine cromate cambiano colore alla luce. “Ah.”
“Il signor Sesshomaru mi ha detto
di accompagnarla a far compere… con la sua carta di credito…”
“E quanto posso spendere?”
“Beh, non so quanto ha in banca ma… il Signor Sesshomaru mi ha consigliato di non
superare i 5000…”
5000? Non ho mai pensato
potessero esistere tanti soldi… e ora io posso anche arrivare ad una cifra
simile… per comprare quello che voglio!“Aaaah…”
Poco dopo Jaken parcheggia la
macchina nel centro della città a pochi passi dai negozi più rinomati. Mi apre
la portiera con eleganza, mentre la gente ci guarda incuriosita. Temo anche di
essere arrossito lievemente.
“Se posso darle un consiglio, il
negozio alla vostra destra vende grandi firme della moda.”
Meccanicamente mi dirigo alla mia destra. Grandi firme della moda…
Esco un ora
dopo, Jaken è carico di borse. Ho compratojeans, un’infinità di magliette, felpe
e felpine, una giacca e un paio di fantastiche scarpe
nere.. Di fronte c’è un negozio di telefonia. E’ un attimo per me entrare,
seguito da un barcollante Jaken, ed uscire con un cellulare a cui manca solo
vita propria. Beh, magari non era nemmeno l’ultimo modello, ma non ne ho mai
posseduto uno. E l’unico che ho visto da vicino è stato quello di… no, meglio
non pensarci.
Corriamo. Rientriamo in un altro
negozio di articoli sportivi, dove faccio incetta di tute e scarpe da ginnastica
e, giusto per strafare, un pallone di cuoio e un tascapane.
Dal negozio di
musica tutti i cd di persone che ho sentito solo per radio. Dalla fumetteria porto via 15 volumi di un manga di cui avevo letto solo i primi due numeri e altri 5 o 6 copie di
altrettanti fumetti.
Torniamo in auto con tanti di
quei pacchetti che non immaginavo potessi mai possedere.
Jaken li sistema a fatica nel
bagagliaio e di fianco a me, mentre io sono stregato dal cellulare.
“Ho visto cosi tanti pacchi solo
con la signorina Sara” mi rivela Jaken, asciugandosi il sudore dalla fronte con
un fazzoletto.
“E chi è?” chiedo.
“Come, non lo sapete?” dice,
mettendo in moto l’auto e facendo manovra. “è la fidanzata del signor
Sesshomaru. Cioè, escono insieme. Ovviamente i Tabloid parlano già di nozze
imminenti, ma ciò non è assolutamente vero. Beh, ecco, da parte del signor
Sesshomaru sicuramente no. Lei è una top model… Ah, eccola!” Dice, indicandomi
un cartellone che pubblicizza una marca di intimo.
La modella è vestita solo di nere
mutande di pizzo, si copre il petto con un braccio e con l’altra mano sembra
sventolare un reggiseno.
“Che gran pezzo di…”mi sfugge.
Jaken annuisce,lo sguardo meno depresso del solito
La villa è situata nel quartiere
alto della città. Ha un porticato immenso, un giardino infinito, una salone e chissà quant’altro.
Jaken ha anche detto che ha una piscina, nel retro, metà all’aperto e metà al
chiuso. “Ma oggi non si può utilizzare. Ci sono i manutentori…”
La mia camera è immensa. Il letto
è matrimoniale, con la coperta blu, c’è una libreria vuota, che riempio in
parte con i fumetti, un gigantesco armadio ad angolo, una grossa scrivania e il mobile Tv, con tanto di Tv con DVD(Jaken mi ha dovuto
spiegare l’utilizzo) e stereo.
Sono esterrefatto. Il telefono suona,
e Jaken va a rispondere, mentre io, quasi stordito, comincio ad aprire le buste
e i pacchetti e a riponete le cose nell’armadio.
Pochi minuti dopo sento suonare
il campanello della porta, e Jaken salire le scale. “E’ arrivato
Sesshomaru?”chiedo.
“Oh, no, non ancora. Ha chiamato
dalla sua auto, sta tornando a casa e mi ha chiesto se andava
tutto bene. Alla porta era la vicina di casa. Io preparo da mangiare, la cena
sarà pronta tra un’ora. E’ tutto a posto?”
Annuisco velocemente. “Mi sto
ambientando…”dico, inserendo il CD di un duo femminile russo nello stereo.
Quando Jaken richiude al porta, alle mie spalle, prendo i miei album e l’astuccio
dalla borsa e li ripongo sulla scrivania. Ma ora non ho l’ispirazione.
Abbassando un po’ la musica, mi butto sul letto e mi viene in mente lei.
Il suo nome è Kikyo, ed è
splendida. Ha 19 anni, due in più di me, e con lei ho vissuto i quattro mesi
più belli della mia vita. Lei è una volontaria, studia per diventare
infermiera, è venuta all’Istituto come aiuto alla Dottoressa che ci visitava.
Ma lei, al contrario della Dottoressa, che veniva una volta alla
settimana, era li tutti i pomeriggi. Il suo luogo era l’infermeria, dove, tra
un attacco di vomito e un mal di testa, rimaneva quieta china sui suoi libri di
medicina.
Io ero praticamente sempre in
infermeria. Con il mio carattere, che ammetto non è proprio cordiale, ero
praticamente tutti i giorni a farmi disinfettare un labbro spaccato o a farmi
fasciare le nocche della mano. “Sei davvero un disastro!” diceva sempre Kikyo,
con il suo bellissimo sorriso. E si avvicinava a me per curarmi con quel suo
profumo caldo, buono… dolce come lei. Mentre ero li
lei attaccava sempre discorso. Su tutto. Mi chiedeva come stessi li dentro, mi domandava se Suor Gertrude avesse sempre
puzzato così, come aveva perso il dente davanti Suor Caterina…Mi raccontava
anche di lei, certo.
E mi faceva ridere. A volte mi
rimproverava, mai con cattiveria, per ciò che combinavo. Ma poi sorrideva: “In
fondo, mi fai fare una pausa da quelle pallose tavole di anatomia!”
Un giorno, dopo una bella
scazzottata con un coglioncello della mia età, Kikyo
mi stava medicando un occhio nero. Mentre era voltata per prendere una pomata,
mi era scappato un colpo di tosse.
“Di un po’” disse “non è che uno
dei piccoli ti ha attaccato qualcosa?” prese il fonendoscopio e mi disse di
alzarmi la maglia. Istintivamente me la tolsi. Lei rimase un po’ interdetta, poi
poggiò lo strumento sul mio petto e mi auscultò il respiro.
Temevo che il cuore mi
esplodesse.
“Inuyasha, c’è qualcosa che non
va?” mi chiese. Io scossi la testa velocemente. Poi però presi la mano che
aveva sul mio petto. La guardai negli occhi… ci baciammo… e da li nacquero i
quattro bellissimi mesi insieme. Al pomeriggio mi infiltravo in infermeria, a
volte dopo aver rubato qualcosa dalla dispensa, e passavamo i pomeriggi
insieme.
Tutto ciò era pericoloso, una
volta mi dovette nascondere, mezzo nudo, nell’armadietto delle scope. Un’altra
volta sono uscito sul cornicione. Ma il gioco valeva la candela… Se solo quei
pinguini con un cactus nel sedere avessero saputo gli
“atti impuri” che capitavano spesso e volentieri sotto il loro naso!
Ma Kikyo non era felice. “Ci
scopriranno. E ti puniranno, Inuyasha. E probabilmente mi cacceranno fuori dalla scuola per infermiere.” Temeva la mia Kikyo, e a
ragione. Ma nei miei 17 anni appena compiuti io ero il re del mondo. Avrei
fatto tutto e più per restare con lei.
Mi regalò l’album da disegno e
l’astuccio, consapevole della mia passione per i fumetti. Io le feci un
ritratto, e, durante una gita in città, entrai in un negozio di bigiotteria e
rubai una collanina per lei. Kikyo un po’ si arrabbio,
un po’ apprezzò, e mi regalò il cappello.
Poi, però, la paura ebbe la
meglio. “Inuyasha, Ho chiesto il trasferimento.”
Cosa? “Come puoi lasciarmi,
Kikyo? Non… non puoi non è giusto io… iomi sono …” innamorato di lei… Lei
piangeva a testa bassa,piccoli singhiozzi scuotevano il suo corpo, le lacrime
solcavano quelle bellissime, vellutate guance. “Non è possibile stare insieme,
Inuyasha, cerca di capire…”
Mi scostai da lei, Presi una
boccetta di medicinali e la gettai contro il muro, mandandola in frantumi. “Mi
hai solo illuso…”
“No, no, ti prego, non dire
così…” singhiozzò, scuotendo la testa.
Uscii dalla porta sbattendola e
mi diressi verso il mio posticino segreto, quello che usavo per fumare, con la
vista annebbiata. Non so quanto stetti li. So solo che finii il pacchetto che
avevo rubato da uno degli elettricisti che erano venuti due giorni prima per il
nuovo lampione nel cortile.
E quando tornai tra i dormitori,
seppi che Kikyo se ne era andata.
La voce di Jaken, al di la della porta, mi richiamò alla realtà, annunciandomi
che la cena era in tavola e che Sesshomaru era tornato.
Mi cambiai, mettendomi la mia
vecchia tuta, e scesi le scale con il cuore in gola.
Sesshomaru, giacca e cravatta,
stava già aspettando, seduto in sala da pranzo, capotavola. L’altro posto
apparecchiato, il mio, era dall’altro capo del tavolo.
“Buonasera, Inuyasha.” Mi saluta.
I suoi occhi d’oro incontrano i miei.
Nessuna espressione. Non sembra
felice di vedermi, ma neppure scocciato. E nemmeno la sua voce tradisce alcuna
emozione. Mica male come primo incontro tra fratelli.
“Buo -
buonasera Sesshomaru.” Dico sedendomi al mio posto. La prima cosa che mi manda
in crisi è la quantità di posate, piatti e piattini e
bicchieri.
“Si inizia da quelle esterne.” Mi
spiega mio fratello, notando il mio momento di disorientamento. Lo imito mentre si mette il tovagliolo sulle ginocchia. “Ehm…
volevo… ringraziarti… prima di tutto.”
“Di niente.” Taglia corto. Si
versa un goccio di vino rosso nel bicchiere, mentre Jaken, in guanti bianchi,
arriva con un vassoio di insalata di mare. Serve, in perfetto silenzio,
Sesshomaru e poi me. In quel’esatto momento scopro di avere una fame
incredibile.
Ceniamo in silenzio. Io che mi
ingozzo e Sesshomaru, molto raffinatamente, che pasteggia, lanciandomi, di
tanto in tanto, gelide occhiate di disapprovazione. Mi dispiace, ma ho troppa
fame. Ed il cibo è troppo buono. La cena finisce con una fetta di torta al
limone.
Sesshomaru prende la parola.
“Jaken ti ha informato che domanimattina il sarto verrà a prenderti le
misure per la divisa?”
Annuisco, masticando la torta.
“Che scuola è?” Domando. “E’ la
Shinoku HighSchool.
È un’ottima scuola. Non la più prestigiosa della città, ma per te andrà
senz’altro più che bene.”
Non mi piace molto il tono in cui
l’ha detto, ma cerco di sorvolare.
“E Jaken mi ha anche informato
che oggi hai fatto compere.”
“Si, ho comprato tutto quello che
mi serve. Credo.”
“Anche la roba che ti servirà per
la scuola?”
Rimango in silenzio. A quello non
ci avevo proprio pensato. “Ho comprato un tascapane.”
Sesshomaru alza un attimo le
sopracciglia e volge lo sguardo altrove.
“Domani dovrai fare altre compere
allora.” Si pulisce l’angolo della bocca con il
tovagliolo, poi lo poggia a lato del piatto e si alza.
“Desideri altro?”
Si. Desidererei sapere PERCHE’. Mi limito ad annuire piano.
“Non ho mai posseduto una
bicicletta…”dico. Che cosa stupida che ho detto. Mi faccio i complimentoni da solo…
“Oh. Bene, domani potrai prendere
anche quella.” Il telefono suona ancora. Jaken
risponde.
“Sesshomaru… volevo chiederti
un’altra cosa…”
Jaken entra con il cordless in mano. “Signor Sesshomaru, la signorina Sara è
al telefono.”
Sesshomaru alza gli occhi al
cielo e mormora: “Che croce…” poi ad alta voce mi guarda. “Puoi scusarmi?”
“Si, si…A dopo…”
Con il cordless
in mano, Sesshomaru esce dalla stanza. Aspetto qualche minuto, poi mi alzo e
decido di andare in camera. Quando mio fratello avrà finito, scenderò per
parlargli. Passo per il salone. Lui è seduto sulla poltrona, con la faccia più
neutra di questa terra.
E con una voce altrettanto
neutra… “Ti ho detto di smetterla di andare a dire a Troiella
3000 che noi ci sposeremo a giugno…”
Scommetto che ci sarebbe da
ridere.
Nella mia stanza mi butto sul
letto. Anzi, volendo provare l’effetto di un letto del genere ci entro dentro
in mutande. Senza volendo, mentre cerco le parole del discorso che voglio fare
a Sesshomaru, piombo in un meraviglioso sonno riposante.
Non importa che tu sia leone o
gazzella. L’importante è che tu inizi a correre.
Non importa che tua sia lo
spazzino del quartiere o il papabile Uomo-Finanza dell’anno.
L’importante è che tu ti
riconosca allo specchio.
E Sesshomaru no Taisho, 31 anni,
al mattino faceva fatica a riconoscersi allo specchio. Gli occhi gonfi, la
barba che spuntava qua è la, i capelli completamente aggrovigliati, il naso
gocciolante e anche un filino di bavetta luccicante che sembrava lucidalabbra
sbavato. Non riusciva a tenere alzata la testa e anche la spalla non rispondeva
completamente ai suoi comandi. Le braccia ciondoloni, le gambe di piombo, lo
stomaco in subbuglio.
Non era certo uno che salutava
cantando i primi raggi del sole. Semmai li salutava insultandoli.
Mentre recuperava l’uso della
mano destra, necessaria per impugnare il rasoio elettrico ultra tecnologico a
27 lamine rotanti, massaggianti, spruzzanti cremina
idratante e, probabilmente, anche confortanti, Sesshomaru cercava di ricordarsi
prima di tutto chi fosse, e poi quali erano i piani di quel giorno.
Aveva una riunione, ma non si
ricordava a che ora. Aveva un pranzo con qualcuno, ma non si ricordava chi.
Succedeva qualcosa, ma non ricordava cosa. Doveva comprare delle azioni, ma non
si ricordava quali. Doveva telefonare, ma non si ricordava il numero. Doveva
incontrare una persona importante, ma non si ricordava quanto importante.
Doveva inviare una e-mail… ma lui aveva una casella e -mail?
La rasatura, profonda e perfetta,
era seguita da una doccia rigenerante. Sotto la schiuma del bagnoschiuma Denim (per l’uomo che non deve chiedere MAI) Sesshomaru
iniziava a ricordarsi la propria identità, ma non le cose che dovevano
succedere quel giorno.
Dopo l’asciugatura si spazzolava
la chioma, e se la lisciava anche con un po’ di gel, in modo da sembrare sempre
ordinatissimo.
Il dopobarba pizzicava un po’, ma
il risultato lo lasciava sempre soddisfatto. Gli piaceva sapere di uomo.
Scese per una veloce colazione
nella solita lunga vestaglia di seta nera.
Jaken servì pronto il succo
d’arancia e il cornetto alla crema. Mentre sorseggiava il succo entrò, con la
solita aria sfatta e brigosa, suo fratello Inuyasha. Rimase un po’ interdetto
dal notare che aveva addosso la divisa blu della scuola, ovviamente indossata
Inuyasha Version: giacca sbottonata, colletto
impossibile, pantaloni il più possibile a vitabassa e scarpe slacciate.
“Ammiro il tuo attaccamento alla
divisa” disse il fratello maggiore, con la solita voce fredda. “La indossi
addirittura per venire a colazione…”
Addentando una brioche, Inuyasha
alzò un sopracciglio. “Sesshomaru…devo farlo.”Rispose, mentre Jaken posava sul tavolo il cappuccino. “Oggi è il primo
giorno di scuola”
Sesshomaru si chiuse in un
dignitoso silenzio, mentre una gocciolina gli scendeva dalla guancia.
“Beh, buona fortuna” disse
infine, alzandosi. “Abbottonati quella giacca, almeno. È una scuola decorosa,
quella. Cerca di esserlo anche tu. Insomma, almeno un minimo.” Stava per
andarsene quando, con la coda dell’occhio, vide il fratello stringere
convulsamente il tovagliolo. “Cosa hai?”
“E’ da una settimana che cerco di
parlarti, se non l’hai capito.” Ringhiò l’altro.
Davvero? Non se ne era accorto…
“Come ben sai, sono molto impegnato. Ne parleremo stasera. Ora vai o farai
tardi.”
Detto ciò, si incamminò al piano di sopra,
lasciando il ringhiante fratellino a trangugiare la colazione.
Quando, un dieci minuti dopo,
scese le scale, vestito di tutto punto, per andare a lavoro, Inuyasha se ne era
già andato. Al suo posto c’era seduta una bambina, le gambette
che ciondolavano dalla sedia, la divisa alla marinara azzurra. I capelli a caschetto con un buffo codino di lato.
“…E da questo anno useremo i
pennelli in disegno…”raccontava ad un disinteressato Jaken,intento a spolverare
un mobile.
Sentendo i passi dietro di lei la
bambina si girò, mettendosi in ginocchio sulla sedia. “Buongiorno Signor
Sesshomaru!” salutò allegramente, sfoderando un radioso sorriso.
“Buongiorno Rin,
non dovresti essere a scuola?”
“Iniziamo alle 8 e mezza, ho
ancora 40 minuti di tempo!” rispose la bambina, mostrando l’orologino
rosa al suo polso.
“Oh, finalmente hai imparato a
leggere l’ora…!”
Lei annuì, contenta.
“Però dovresti sapere che la tua
scuola non è vicinissima. E non puoi arrivare tardi il tuo primo giorno di
scuola…”
“Dice che non faccio in tempo?”il
faccino della bimba era un misto di delusione (per aver calcolato male) e di
preoccupazione (per arrivare in ritardo)
“Temo di si. Ma non preoccuparti.
Ti ci accompagnerà Jaken.” Il sorriso della bimba si riaccese, mentre Jaken si
voltò, scontento, verso il padrone. “Proprio ora?”
“Si, Jaken, proprio ora.”detto
ciò Sesshomaru si girò e lasciò la stanza.
“Buona giornata, signor
Sesshomaru!” gridò ridendo la bambina.
“Ma guarda te se devo anche
accompagnare stà mocciosa vicina di casa…” brontolò Jaken,
appoggiando lo spolverino.
Una AstonMartin nera e lucida serve per due cose: 1: farla
andare velocissimo. 2: suscitare invidia e ammirazioni. Fermo all’ingorgo
mattutino Sesshomaru non andava certo veloce,ma stava suscitando proprio
invidia e ammirazione. Mentre era praticamente fermo si dedicò al palmare e ai
vari appuntamenti che proponeva. Ma non essendo capace di usarlo non aveva
memorizzato niente, e lo gettò nel sedile del passeggero. Nel farlo, notò con
la coda dell’occhio la macchina di fianco alla sua. Una raffinata e fiammante Porsche
Carrera. A guidarla c’era una donna che con una mano
teneva il volante sportivo e con l’altra si metteva il rossetto, aiutata dallo
specchietto retrovisore.
‘Per una donna, l’esatto utilizzo
dello specchietto…’ pensò Sesshomaru. Nel frattempo la donna, nella sua giacca
blu scuro, si era accesa una sigaretta ed aveva abbassato il finestrino.
Sesshomaru notò che non era affatto brutta, anzi. Era una bella moretta dai
capelli legati dietro alla nuca e dall’aria tra lo snob, lo stressato e il
pensieroso tipico delle donne in carriera. Sesshomaru pensò addirittura di
abbozzare il suo sorrisetto seducente. Ma mentre si
controllava con la lingua di non aver nulla tra i denti (che avrebbero rovinato
il sorrisetto) il telefono squillò e la voce
pigolante della sua segretaria gli ricordò TUTTI ma proprio TUTTI gli impegni
della giornata.
Sesshomaru meditò di impiccarsi e
la moretta riuscì a passare davanti a lui.
I ragazzi fanno un casino
allucinante davanti alla scuola. Si sente strillare agli amici, si sentono i
motorini arrivare e partire, si sente il vociare incessante ed intenso. Ed io,
estraneo a tutto ciò, mi sento bloccato dal varcare il cancello.
Mi siedo su un muretto, gettando
il tascapane ai miei piedi. Prendo una sigaretta dal pacchetto e me la accendo.
L’ultima sigaretta prima del fatidico evento. Intorno a me, i ragazzi
incontrano nuovamente gli amici dopo le vacanze. Sento stralci di
conversazione, mare, ombrelloni, beachvolley,
piscine.
Beh, non è che ne sia intimorito.
Ma è che non mi trovo a mio agio. Sento che quello non è il mio posto. Però il
mio posto non era nemmeno all’Istituto.
Probabilmente il mio posto non
esiste.
Forse ho fatto l’entrata
sbagliata. Prima che me ne renda conto, ho preso il blocco degli schizzi dallo
zaino…
La limousine è lunghissima. Si
ferma davanti alla scuola ed io esco. Sono fantastico. Ho una pelliccia di
visone bianca sulla divisa, medaglioni d’oro al collo. Mi aggiusto il cappello,
calcandomelo bene sulla testa, in modo che scenda anche un po’ sul viso.
Sogghignando sotto i miei occhiali da sole, entro dal cancello tra due ali di
folla. Tutti sono a bocca aperta. Gli occhi delle ragazze cuoriformi. Qualcosa
mi plana sulla spalla. Lo prendo. E’ un reggiseno rosso con un numero di
telefono scritto in una coppa e nell’altra ‘VIDEOCHIAMAMI’.
Lo metto nella tasca interna
della pelliccia e continuo l’attraversata del cortile.
La campanella suona, come per
salutarmi…
… e la campanella suona per
davvero….
Infilo nuovamente il blocco nel
tascapane ed entro a passo svelto nel cortile, guardandomi in continuazione
intorno.
Una ragazzina mi passa davanti e
sale i gradini che portano all’ingresso. All’ultimo inciampa e per poco non si
schianta a terra. E non si schianta a terra perché di riflesso l’ho trattenuta
per la schiena.
Lei si rialza. Una ragazzina
carina, dai lunghi capelli corvini, e due grandi occhi castani. “Grazie… il
primo giorno e faccio già una pessima figura!” ridacchia, un po’ rossa in viso.
Io alzo le spalle e mi guardo
intorno. “Sai dov’è la classe 4^C?”
Lei mi guarda un po’ stordita e
mi indica le scale. “Dovrebbe essere la seconda porta a sinistra.”
Annuisco e vado.
“HEY!” strilla lei. “Nemmeno un
grazie?”
“Ah, si, grazie. Ciao.”
“E comunque io mi chiamo…” Ma il
suo nome viene soffocato dal brusio delle persone che entrano.
Oh, beh.
Alle 9 Sesshomaru scoprì di dover
ricevere qualcuno. Quel qualcuno era l’Amministratore Delegato della FederInc., facente parte del
Gruppo Ragno.
Il Gruppo Ragno era un colosso
dell’industria informatica, e la
FederInc.,
assorbita l’anno prima, altro non era che un’azienda di Antifurti.
Quindi, un settore completamente
differente dal suo. Quindi, non aveva ancora capito quale affare gli stava per
proporre l’Amministratore Delegato.
Mentre si scervellava cercando di
immaginarsi quale fosse lo scopo dell’incontro, la segretaria pigolosa l’avvisò dell’arrivo.
“Fallo accomodare” disse
distrattamente, mentre alzandosi toglieva, come d’abitudine, il salvaschermo del PC dalla scritta rotante “Sesshomaru The
Boss”.
Dei passi lo fecero voltare
verso…
…verso la moretta della Porsche…
“KaguraOnigumo, piacere.” Disse porgendogli la mano.
Mi sono seduto nell’ultimo banco,
in fondo all’aula che va piano piano riempiendosi.
Vedo che le coppie dei banchi si siedono automaticamente ai loro posti, come se
non fosse mai arrivata l’estate. Ogni tanto qualcuno mi guarda incuriosito.
Ed infine entra un ragazzo alto e
abbronzato, con un piccolo codino. Due ragazze al primo banco lo guardano
estasiate. “Ciao Miroku…!” esclamano in coro. Lui le saluta con un sorriso
abbagliante, e gli chiede come stanno, mentre, con la coda dell’occhio, guarda
altrove.
L’altrove è una bella ragazza dai
capelli lunghissimi, fisico atletico, che sta parlando con due ragazze, una
bionda con due codini che sfiorano terra ed una dai capelli corti e bluastri.
“Quest’anno dove ti siedi?” le
chiede la ragazza dai capelli biondi.” Oh, beh, solito posto, chiaro!”dice,
incamminandosi verso il banco davanti al mio, e appoggiando la cartella sulla
sedia. Uno sguardo. “Ciao!” mi saluta.
Borbotto un saluto di rimando e
lei capisce che non voglio parlare.
Miroku, il ragazzo che l’ha
seguita con lo sguardo pur sbirciando di tanto in tanto nella scollatura delle
ragazze al primo banco si dirige verso di lei. Sembrando intuire le intenzioni
lei getta la cartella nella sedia di fianco alla sua.
Lui fa un gesto di noncuranza.
“Volevo solo chiederti come stavi, Sango.”
“Tutto bene, tutto bene…” risponde
semplice lei.
“Mi fa piacere. Anche quest’anno
sarai il capitano della squadra di pallavolo?”
“Certamente.”
“e tuo fratello gioca ancora a
Pallacanestro?”
“si, quest’anno gioca in una
squadra importante, gli Spiders.”
“Forti… ed è occupato il posto di
fianco al tuo?”
“Si.”
“Ah… oh, beh. Mi siederò qua
dietro.”dice rivolto verso di me. “Tu devi essere nuovo… io sono Miroku.”mi
porge la mano, che io stringo.
“Inuyasha.”
“Posso sedermi vicino a te?”
Alzo le spalle, e lui lo prende
per un si. Sango pare un po’ scocciata, e si dirige nuovamente verso le ragazze
con cui parlava prima.
“Beh, Inuyasha, da dove vieni?”
attacca discorso lui.
Mentre penso a cosa rispondergli
per fare una discreta figura (Australia? Marte?) il professore entra.
Capitolo 4 *** Everybody's got his own businesses ***
Capitolo 4: I’m not Superman
Capitolo 4: Everybody’s got his own businesses.
A Miroku, il mio vicino di banco, il lampo di genio è
arrivato all’ultima ora del mattino.
“Dì, Inuyasha, ti andrebbe di giocare a calcetto? Abbiamo
una squadra, qua a scuola… uno degli attaccanti si è diplomato l’anno scorso, e
quindi…”
Li per li non ho fatto molto caso
alle sue parole. Le ho prese come gocce nel fiume di cose che mi ha raccontato
durante la mattinata, (tra le quali figuravano le taglie di reggiseno di tutta
la parte femminile della classe) ma dopo 5 secondi di
silenzio assorto… “Beh, è forte la squadra?” gli domando quasi senza rendermene
conto.
“Certo!” risponde Miroku, lo sguardo tra l’emozionato e
l’esaltato.
Un po’ di movimento certo non mi farà male… e qualche bella
rissa nemmeno. Ho proprio voglia di sfogarmi. “Va bene” rispondo semplicemente.
Lui salta in piedi.”Fantastico!!”
esclama, con aria realizzata. “Oggi pomeriggio abbiamo i primi allenamenti.
Vieni, vero?”
“Oggi non era in previsione ginnastica…” dico, ripensando
all’orario. Non ho niente da mettermi e di certo non posso giocare a calcetto
in divisa.
Miroku pare deluso, ma si riprende in un istante. “Beh,
almeno vieni a vedere….!”
Non avendo nulla di meglio da fare, annuisco, mentre la
campanella suona segnando la pausa pranzo. Mi dirigo verso il chiosco della
scuola, nel corridoio, notato durante una delle mie frequenti visite in bagno
(causate non dalla prostata, ma dal prolungato fischio delle mie orecchie messe
alla dura prova dall’intenso chiacchierio del mio vicino di banco).
Indeciso tra un panino rucola – pomodori – fontina –
mortadella e un semplice tonno –provolone – maionese – caciocavallo, non mi
accorgo che una ragazza si è affiancata a me.
“Comunque non mi hai ancora detto come ti chiami.”
“Caciocavallo!” trasalgo, soprappensiero, voltandomi verso
la voce.
E’ la ragazza di stamattina. Ma non ha altro da fare?
“Caciocavallo? Strano nome…. O è il cognome?”
Cerco disperatamente di mantenere un certo contegno. “No, è
la mia decisione riguardo il panino.”
A quanto pare il contegno non so nemmeno dove stia di casa.
Pensa, Inuyasha, pensa a qualcosa di intelligente da dire….
“E’ buono il caciocavallo?” Sono un imbecille.
Lei mi guarda sgranando gli occhini bruni, mentre io cerco
di suicidarmi stringendo la tracolla della tascapane.
“Veramente non lo so… sono allergica al tonno e non ho mai
assaggiato quel panino” risponde lei con semplicità. “Ti consiglio l’altro…
oppure la pizza.”
“Ah…” Pensa, Inuyasha, pensa a qualcosa di intelligente da
dire….non puoi fare la figura del deficiente…pensa pensapensapensa
“Allora vada per la pizza.”
Grazie cervello per essere andato in ferie proprio ora.
“Comunque io mi chiamo Kagome”
KaguraOnigumodev’essere una che a letto si mette in completo di
pelle ed utilizza un frustino.
Sorella di NarakuOnigumo, Signore e Padrone del Gruppo Ragno, sua socia
d’affari e sua legale. Sicura, precisa, esauriente,fredda e dura come una stele di marmo.
Nel suo Tailleur blu scuro, dalla sapiente scollatura, KaguraOnigumo aveva fatto la sua
proposta, aveva esposto la documentazione, aveva risposto alle domande di
Sesshomaru prima che quest’ultimo aprisse bocca.
Sesshomaru aveva studiato le sue movenze, aveva ascoltato
attentamente le parole della donna, aveva memorizzato i punti salienti ed
infine si era abbandonato allo schienale della sedia, quando lei ebbe finito di parlare.
“L’offerta è senza dubbio vantaggiosa…”
Disse lasciando in sospeso la frase e fissandola negli occhi cremisi.
“Ma?” incalzò lei, un lampo di impazienza le attraversò lo
sguardo.
Sesshomaru si alzò, avvicinandosi al piccolo mobile bar
nell’angolo vicino alla finestra. “Brandy? Whiskey?”
chiese con finta noncuranza alla donna.
Lei trattenne un fremito. “Brandy, grazie”
L’uomo versò il whiskey per lui e
il brandy per Kagura e glielo portò, in silenzio, con
calma esasperante.
Lei lo sorseggiò, senza staccare gli occhi da Sesshomaru,
come un gesto di sfida.
“Ma le reali intenzioni di suo fratello quali sono,
signorina Onigumo?”
Lei assunse un’espressione ovvia. “Ampliare il volume
d’affari, ricercare nuovi settori, formare una holding,
se è possibile”
“Formare una holding…” ripeté
Sesshomaru, cantilenando il liquore. “Effettivamente, due colossi che si
uniscono con un determinato punto d’incontro possono formare una potenza globale
di indiscutibile livello… La Taisho Corp.
Si avvallerebbe dell’indiscutibile, raffinata esperienza del Gruppo Ragno per i
nuovi macchinari, per la ricerca di nuovi mercati…. E Perché no, anche per
nuovi prodotti…Ma il Gruppo Ragno quali vantaggi potrebbe avere?”
Pronta, la risposta della donna. “Ho fatto qualche calcolo.
Il volume d’affari triplicherebbe, per entrambe le società. Il nome della
Taisho Corp è un marchio di qualità…e sarebbe
un’ulteriore garanzia per i prodotti futuri…”
Sesshomaru annuì piano. Socchiuse gli
occhi pensieroso. “Voglio massima chiarezza sulla vostra situazione
finanziaria...”
“Anche noi…”
“…Prima della finale decisione.” L’uomo si alzò, l’incontro
era terminato. Anche Kagura, si alzò dalla poltrona
di pelle, in una maniera molto più morbida e
inconsapevolmente sensuale di Sesshomaru, che inconsciamente apprezzò.
I due si strinsero la mano. “Le porterò personalmente tutta
la documentazione…Mio fratello ha incaricato me di portare a termine questo
affare ed io lo farò da capo a fondo…”
“Ci lavoreremo insieme, allora.” Annuì l’uomo. “Detesto
incaricare gli altri per una cosa che sta a cuore a
me..”
Avvertì un moto di disagio nella donna, che sapientemente lo
nascose, salutò cordialmente e se ne andò.
Quando la porta fu chiusa, Sesshomaru si lasciò cadere sulla
sua poltrona di pelle.
“Belle Tette…” mormorò, colpito.
La squadra di calcetto è formata prevalentemente da idioti.
Oltre a Miroku come portiere che da solo può bastare, dovrei
fare i conti con due punk come difensori, un altro attaccante dai capelli lunghi
e spettinati che si la le arie da calciatore vissuto e
infine un ragazzino minuto, tremolante che adocchia la panchina ogni minuto,
con la speranza di finirci presto.
Miroku, nella sua tenuta da portiere (noto un paio di ragazzine
nascoste tra i pali della tribuna che se lo mangiano con gli occhi) me li
presenta: i due punk si chiamano Hakkaku e Ginta. Il ragazzino tremolante è Hojo,
mentre quello con i capelli lunghi è il capitano, Koga.
Mi guarda con sfida. Mi sta antipatico già a pelle…
“Ah, e questo è il nostro mister!” Esclama, esaltato Miroku,
indicandomi l’ultimo entrato nella palestra.
“Questa mummia?” commento a mezza voce.
“Questa mummia è il vice preside” spiega il vecchietto,tutto torto e con
due occhi enormi, avvicinandosi a me ed esaminandomi con quegli occhietti
rotanti. Non ha l’aria di essersela presa per il mio commento, ma vorrei che un
tombino mi si aprisse sotto i piedi. “Piacere, sono il professor Totosai.”
Sotto la guida di Totosai, i miei
compagni di squadra iniziano lo pseudo allenamento. A
parte Koga, che devo ammetterlo, è velocissimo, gli
altri lasciano un po’ a desiderare. Miroku corre con il petto in fuori per
farsi ammirare dalle ragazzine, che squittiscono. I due punk non se la cavano
male. Hojo è doppiato. Per 2 volte.
Alla fine dell’allenamento il prof. Totosai
mi chiede un parere.
Tutto ciò che riesco a dire è un bel poco entusiasmante “Che
schifo…”
Mi arriva un pallone addosso da Koga,
che prendo al volo. “Vediamo allora cosa sai fare, brillante novellino!” Si,
questo qua mi sta proprio sugli zebedei.Getto la
giacca a terra, deciso a dare spettacolo.
Palleggio un po’. Testa, petto, ginocchia, piedi. Non sono
male con i palleggi, sento Hojo soffocare un “uau.”
“Non servono queste cazzatine in
una partita…” mi ricorda Koga.
Questo è vero.
Ed è per dimostrare la mia netta superiorità a questo gruppo
di mammolette che così, al volo, miro alla porta,
dove Miroku mi guarda.
Il pallone entra, velocissimo e preciso, all’incrocio dei
pali. Il portiere non ha nemmeno avuto il tempo di tentare una parata.
“Hai ragione, Kaga, in una partita
ci vuole precisione.”
Detto ciò, fischiettando, raccolgo da terra la mia giacca e
me la getto su una spalla e guadagno l’uscita.
“Come diavolo mi ha chiamato?”
“Credo Kaga…”
Sulla porta della palestra incontro nuovamente la ragazza
della mensa. Kagome, giusto?
“Hey! Sei davvero bravo, sai!” si
complimenta. “Forse il nostro istituto la smetterà di fare figure oscene ad
ogni partita!”
“TSK! Dipende se vorrò davvero mettere in palio la mia
reputazione giocando con loro…”
“Guarda che tu qui dentro non hai una reputazione da
difendere.” Puntualizza lei, sopracciglia aggrottate.
“Non dirmi che anche tu sei fai la coda per contenderti una
goccia di sudore di Miroku… sappilo, siete in tante… dovrai lottare”
Lei sbuffa. “Spero tu stia scherzando… ho appena finito
l’allenamento di pallavolo, nella palestra a fianco. Sono venuta a ritirare le
mie amiche. Si, le fan di Miroku.” Dice, indicando le ragazze sogghignanti alla
tribuna: Miroku si è tolto la maglietta e ora si sta coreograficamente bagnando
la testa con una bottiglietta d’acqua
Al fianco di Sagome compare la ragazza che si è seduta
davanti a me questa mattina. “Quindi hai DAVVERO accettato di venire a giocare
a calcetto? Ti sei DAVVERO lasciato abbindolare da Miroku?”
…Grazie per la fiducia…
“Comunque io sono Sango.”
“SAAANGO!” eccolo qua. Appunto, l’abbindolatore. Deve avere
il dono del teletrasporto. Non era dall’altra parte
della palestra? “Vedo che ti stai già complimentando con il nostro nuovo
bomber!” Non pare preoccuparsi di essere bagnato e torso nudo. Anzi, sembra che
stia mostrando la sua supercorazza nuova di pacca. Sango scuote la testa e alza
gli occhi al cielo. Kagome si morde le labbra per non ridere. “Miroku, vatti a
mettere qualcosa addosso. Non vedi che spaventi le signorine?”
Kagome e Sango ridono. Miroku sfodera il broncio.
“Invidioso.” Commenta.
Le ragazze si voltano per andarsene, il mio compagno sfodera
un sorriso tonto mentre saluta Sango. Poi si volta
verso di me, gli occhi fiammeggianti. “Dunque: puoi prenderti, farti e montarti
tutte le ragazze della scuola. Anche tutte insieme, se
ci riesci. Ma Sango scordatela, chiaro?”
Ah-ha! Allora il Re Marpione ha un
punto debole. Beh, gli è andata bene. Non mi piacciono le ragazze più alte di
me.
Kagura rientrò alla FederInc. che era quasi buio e i
dipendenti se ne erano andati quasi tutti.
Gettò spazientita la ventiquattrore sulla scrivania del suo
ufficio e si diresse verso il minibar, da qui estrasse una bottiglia di acqua
fredda, che tracannò tutta d’un sorso.
“Non dovevi farlo” la voce, più gelida dell’acqua che aveva
appena bevuto, la fece trasalire.
Si voltò di scatto verso la porta. Cosa non doveva fare?
“Buona sera, Naraku… Cosa..
cosa non dovevo fare?”
“Bere l’acqua gelida. Poi ti fa male il pancino.”
La donna nascose un piccolo sospiro di sollievo, mentre l’uomo si avvicinava
lentamente verso di lei, i pochi passi che rimbombavano negli uffici deserti.
“Allora, mia bella sorellina, come è andato il tuo colloquio? Hai stuzzicato la
curiosità di Sesshomaru?”
La donna gli raccontò del colloquio, di come il suo
interlocutore fosse stato sulle sue, delle domande che aveva posto e di come le
fosse sembrato aperto alla possibilità.
“Oh, Kagura…. Sesshomaru è un uomo
molto astuto. E un tipo tosto… Ma sono sicuro che riusciremo ad arginare le sue
barriere…”
Le sfiorò la guancia, in un buffetto. “Ho fatto proprio bene
a mandare avanti la mia bellissima sorellina. Certo, che se ti fossi sciolta
questo stretto chignon…”
“Beh, non sarei sembrata molto seria, non
credi?” Kagura cercò con noncuranza di
svincolarsi dalle attenzioni del fratello.
“Oh, ma saresti stata più irresistibile, Kagura.” Con un gesto fluido e secco le raggiunse il fermaglio e
glielo tolse. La chioma corvina della donna le cadde sulle spalle. “Devi fare
di più, con il signor Sesshomaru. E’ una preda che non possiamo perdere.”
“Certo, farò del mio meglio… già domani richiederò la
documentazione dalla contabilità e fisserò con lui un altro appuntamento…”
“Esatto! Proprio questo volevo da te.” Narakule si avvicinò di più, mentre lei, fingendo
indifferenza e cercando di celare il proprio cuore in tumulto, pretese di
calamitare la sua attenzione verso un piccolo bonsai sul davanzale della finestra.
Naraku le cinse la vita. “Un altro appuntamento con
il signor Sesshomaru. E altri ancora. Non solo di lavoro.”
“Mi stai chiedendo di andare a letto con Sesshomaru?”
deglutì la donna, sentendo il fiato del fratello sul collo. “Esatto Kagura. Conto sul tuo savoir-faire. Di certo non gli farai
credere nei doppi fini del tuo interesse…vero?”
“E se io non volessi?”
La braccia di Naraku
si serrarono come una morsa attorno a lei. “Non volevi fare tante cose, Kagura. Ma poi ti ho convinta…”
E così sono rimasto
incastrato in questa squadra di sfigati senza speranza. Correndo come un
disperato negli allenamenti, solo per voltarmi e vedere 4di loro arrancare con
la lingua a penzoloni. Almeno Koga
mi fa divertire. E’ molto più veloce, e permaloso come una femminuccia. Lo
prendo in giro, lo affianco nella corsa, e lui corre ancora più veloce, ai
limiti dello sforzo umano, per frapporre metri fra me e lui.
La cosa andrebbe avanti senza
fine. Un po’ come Willy Coyote e MeepMeep
lo Struzzo.
Con il pallone però non mi
batte. So giocare davvero bene. Meglio comunque di tutti loro. Ho un controllo
notevole, tengo sempre la palla tra i piedi, quasi mi fanno annoiare. Anche se
devo dire che Miroku sta migliorando come portiere. Se si concentra riesce a
pararne qualcuna. Se non sa che ci sono delle ragazzine in giro.
E si avvicina, sempre di più
il giorno della prima partita. Un’altra scuola della città. Il Prof.Totosai dice che hanno un
paio di giocatori incredibilmente capaci. Beh, si vedrà.
Per il resto la mia vita sta
andando come quella dei miei coetanei. Più o meno. In mensa i primi giorni
cercavo di starmene in disparte, lieto di avere qualche istante per lavorare su
un mio disegno. Peccato che Miroku non fosse del mio stesso parere. E nemmeno
Kagome. Sembra trovarmi simpatico. Non so come faccia. E comunque, per somma
gioia del mio compagno di banco, di squadra e di mensa, si tira sempre dietro
la sua migliore amica. Ovvero Sango. Non ho ancora fatto menzione sulla mia provenienza.
E’ anche vero che tutti sanno chi è mio fratello. Pensavo, inizialmente, di
trovarmi davanti uno stuolo di famigliole felici, rampolli da invidiare per il
fatto di avere madre e padre a coprirgli le spalle e a
fargli vedere il mondo.
Beh, mi sbagliavo. Pare che
le famiglie Mulino Bianco non siano più di moda. I genitori di Miroku sono due
artisti circensi. Separati, ma che lavorano sotto lo stesso tendone. Suo padre
è l’uomo cannone (giuro, non sto scherzando, quando me l’ha raccontato stavo per
ribaltarmi dalla sedia), che ha una relazione con una contorsionista, e sua
madre una domatrice di leoni, risposata con un giocoliere. Lui abita in città
praticamente da solo, a parte quel paio di settimane l’anno che il circo
transita qui. Quand’era piccolo ha girato con il circo. Ha imparato anche
qualche gioco di carte e sostiene di avere un certo feeling con le bestie
feroci. Questa credo che l’abbia sparata solo per far
colpo su Sango, però. Poi i suoi si sono separati e hanno deciso di affidarlo a
collegi privati per fargli avere un’educazione al di fuori del circo.
Kagome vive in un tempio Zen
con sua madre, suo fratello e suo nonno. Il padre non l’ha nemmeno nominato.
Brutta aria, eh? E’ una ragazzina allegra, carina. Mi ricorda qualcuno, anche
se non riesco a capire chi. A volte eccessivamente logorroica,
come Miroku. Mi ha chiesto se questo pomeriggio l’accompagno
a ritirare il bambino a cui fa da baby sitter nella
scuola qui vicino. “Arrivo sempre molto prima che suoni la campanella, e mi
annoio ad aspettare da sola.”
Sango è un po’ più taciturna.
Miroku mi ha informato che sua madre è morta da poco, e lei si è chiusa un po’
a riccio. Ha un gran fisico e ho notato in classe che è anche una secchionazza.
Quindi, ricapitolando,
nessuno dei ragazzi che ho conosciuto sino ad ora ha una famiglia normale. Ecco
perché non mi sento così a disagio, dopotutto.
D’altronde, con Sesshomaru i
rapporti sono ridotti al minimo. Parliamo lo stretto necessario, non sono
ancora riuscito ad avere con lui una discussione decente. L’altro giorno, pur
di intavolare una conversazione, ho fatto un commento sulla forma delle
forchette. Lui mi ha guardato un po’ di sbieco, temo che abbia pensato che mi
sia dato all’alcool.
Jaken non fa che lodare le
sue qualità: la sua raffinatezza, il suo fiuto negli affari, il suo fascino.
Credo che ne sia innamorato e che sogni di portarselo a letto. Stasera glielo
chiedo.
A proposito del fratellone: ieri sera il rotocalco televisivo ha annunciato
la sua rottura con Sara. Pare sia stato lui a scaricare lei. Mi domando come si
possa scaricare una gnocca simile. Forse mio fratello è gay come il suo
maggiordomo. Peccato, mi sarebbe piaciuto conoscere quei due
melo… cioè, lei, dal vivo.
“Ma perché fai la baby sitter?”
Certo, il mio forte non è mai
stata la conversazione. Soprattutto iniziarne una. Io e Kagome siamo davanti
alle scuole elementari ad aspettare il suo pupillo, bicicletta in mano.
“Mi diverto. È un bambino
divertente.” Spiega semplicemente. “E poi ci guadagno su qualcosina.
Sai, i suoi genitori lavorano fino a tarda sera. Sono dei miei vicini di casa.”
Annuisco. La campanella della
scuola trilla, e una valanga di bambocci si riversano nel cortile, pronti a
saltare addosso ai genitori. Sembrano un gregge di pecore.
“Fai qualcosa sabato sera?”
Mi chiede Kagome, cercando il bambino tra i mocciosi.
Scuoto la testa. “Perché?”
“Beh, perché mi andava di
uscire… e volevo chiederti se facevi un giro con me.”
Intraprendente la ragazza…
“Mi stai chiedendo un appuntamento?”
“Oh, no! Assolutamente no!”
Risponde lei piccata. Ah. Credevo…
“E’ una cosa che volevo
chiedere anche a Sango, o a Miroku… volevo semplicemente uscire…” Sembra che mi
stia prendendo per un pazzo, e anche un marpione. Probabilmente penserà che
l’influenza di Miroku è davvero nociva.
Trova il bambino con lo
sguardo, lo chiama: “SHIPPO! SONO QUIII!”
Arriva trotterellando una
specie di peluche. Mi guarda storto. “E tu chi sei? Non sarai mica il nuovo
ragazzo di Kagome!”
…. Eh. No. Pare che mi sia
preso il mio due di picche qualche secondo fa.
Kagome pare imbarazzata, mi
presenta e carica Shippo sul seggiolino della sua
bici. “Ci accompagni fino a casa?”
Devo finire un paio di
bozzetti, e tra l’altro ho anche una marea di compiti. “Uhm. Ma no, dai. Sono
sicuro che conosci di già la strada…” Lei fa un piccolo broncio, poi mi saluta
e parte, con Shippo che scuote la testolina. Faccio
in tempo a sentire solo un suo commento: “Questo non è un gentiluomo, Kagome. Fossi in te lo scaricherei subito.”
Al terzo incontro con KaguraOnigumo Sesshomaru aveva
notato che la scollatura era più profonda del solito. E che qualche ciocca di
capelli corvini era scivolata dallo chignon. E ora che annusava meglio l’aria, notava
anche il profumo era più intenso del solito. Ebbe la certezza che quella donna
stava velatamente tentando di sedurlo constatando come lentamente accavallava
le gambe, mentre esponeva la situazione finanziaria dell’azienda.. Gli scappò un sorrisetto
divertito.
Ecco perché NarakuOnigumo non aveva si era
ancora fatto fisicamente vivo… Preferiva mandare avanti la sua civettuolissima e spudorata sorella.
“Che tattica subdola e
insulsa” borbottò fra sé e sé, concentrandosi sulla presentazione. Inutile.
Ormai la sua testolina chiomata era persa altrove. Sesshomaru non era il tipo d’uomo
che cadeva a terra al primo suono di tacco femminile. Ma non disdegnava la
compagnia del gentil sesso. E con il suo charme (sarebbe stato ipocrita non
ammetterlo) faceva letteralmente impazzire le donne. Pensò alla donna davanti a
lui che stava portando avanti quella stupida tattica. Poteva farle credere di
provare interesse, senza comunque andare oltre. Di certo però si toglieva lo
sfizio finale.
Allora poteva far finta di
cascarci. Lanciarla su qualche letto dell’hotel Excelsior
e poi far finta che nulla fosse successo.Magari rifiutando l’offerta del Gruppo Ragno. Eheheh…
questo si che sarebbe stato un colpo basso… forse
distruttivo per l’ego di Miss Onigumo. Indubbiamente
divertente per il suo.
“Stai pensando di giocare con il topo, Miss Onigumo? Non ti sei accorta che il gatto sono io..”pensò, alzandosi dal tavolo alla fine della presentazione.
I due si strinsero la mano, Kagura piegando le labbra color rubino in un sorrisetto malizioso, Sesshomaru alzando un sopracciglio.
“Mio fratello ci teneva a
conoscerla al più presto.” Estrasse una busta color
crema dalla ventiquattrore e la porse all’uomo. “Un’occasione potrebbe essere
il ricevimento di questo sabato a Villa Esprit in onore del compimento del
restauro .”
Sesshomaru prese la busta tra
le dita e la aperse delicatamente. “Avete donato direttamente voi il denaro
necessario per il restauro della Villa, i miei complimenti.”
Kagura chinò il collo da cigno, falsamente modesta. “Io e
mio fratello siamo dei grandi cultori d’arte. E’ stato un piacere per noi
rendere omaggio alla nostra città restituendogli uno dei suoi gioielli più
preziosi.”
Oh, questo era il momento di
attaccare… “Di certo suo fratello se ne intende di gioielli…” commentò l’uomo,
piegando il foglio dell’invito ed inserendolo nella sua agenda, senza smettere
di fissare la donna.
Dal suo canto, Miss Onigumo era rimasta piacevolmente sorpresa dalla sua frase.
Nascose un moto di trionfo scostandosi una ciocca dal volto, poi si accomiatò
da Sesshomaru e uscì dall’ufficio.
Quando fu uscita, lui si
sedette sulla poltrona di pelle, estrasse uno dei suoi cubani dal portasigari e
se lo accese, pregustandosi la scena.
La cena è servita allo stesso
orario di tutte le sere, ed è l’unico momento in cui vedo mio fratello. Mi sono
deciso a parlargli e a chiedergli come mai mi ha ritirato dall’Orfanotrofio,
tipo pacco postale. Ho imparato a conoscerlo quanto basta
per non pensare alla storia del buon samaritano.
Ci sediamo a tavola e lancio
la bomba tra l’antipasto e il primo. “Devo chiederti una cosa” sembra che abbia
suscitato il suo interesse. “E’ importante per me.”
“L’AstonMartin scordatela.”
Ecco, quest’uomo mi fa
ribollire il sangue nelle vene. “Non ho nemmeno la patente, se non l’hai
notato.” Ringhio, stringendo la forchetta così forte
che potrei deformarla.
“Ah. E vuoi la patente?”
Getto la forchetta sul tavolo
e mi alzo. “Vorrei solo sapere perché cazzo mi hai
portato qui dopo 13 anni. Vorrei sapere se ti sei svegliato una mattina e ti
sei ricordato che da qualche parte di questa sfottuta città avevi un fratello.”
“Fratellastro, prego.”
Risponde lui, gelido, pulendosi la bocca. Questo mi blocca. Fratellastro.
Puntualizza bene questo fatto. Noi siamo parenti solo per metà. E non è detto
che questa sia la metà più importante. “Tra poco avrai 18 anni.” Spiega.
“Nostro padre ha lasciato una cospicua eredità a tutti i membri maggiorenni
della famiglia No Taisho. A patto che, all’apertura
del testamento famigliare, siano presenti TUTTI i maggiorenni recanti il
cognome No Taisho.”
Fece una pausa. “Se tu non
fossi presente, io non potrei godere di questa eredità. Siamo rimasti solo noi
due.”
Rimango basito. La bocca
mezza aperta.
“Quando avrai la tua parte di
eredità, potrai andartene di qui, Inuyasha. Oppure restare. Parte delle aziende
sotto il mio nome, fondamentalmente, spetterebbero di diritto pure a te. Anche
se non ti ci vedo alla guida di nessuna di loro.”
“Pensavo che tua madre fosse
riuscita a fare piazza pulita di tutta la mia eredità.”
Sesshomaru scuote lievemente
la testa. “Pare che non sia affatto così. Nostro padre ha redatto il testamento
famigliare quando stava per lasciare mia madre,
pensando all’eventualità di avere un figlio anche dalla sua nuova compagna. Mia
madre di questo non ne era al corrente, altrimenti
avrebbe fatto fuoco e fiamme per farlo sparire. L’ho scoperto io, per caso,
tramite il notaio di famiglia. Così è nata la mia decisione di venirti a
cercare.”
Non riesco più a stare in
questa stanza. Mi è passata la fame. Ed è finito pure l’ossigeno.
Esco e vado nella mia camera.
E’ solo ed esclusivamente una
questione di denaro. No, non conta il legame di sangue, né il sentimento
fraterno. Non vale nemmeno la curiosità di conoscere una parte della famiglia
vista solo il giorno di un funerale importante.
E’ solo questione di denaro.
Ecco cosa vale per Sesshomaru No Taisho. Il denaro.
Potevo aspettarmi altro? Io
sono un disilluso, un duro. Ma dentro di me, a sentire le parole di mio
fratello, si è sbriciolato. Ho avuto una famiglia per soli quattro anni. E
basta.
Mi getto sul copriletto blu. Ho
voglia di dormire o di disegnare? Forse nessuna delle due. Anzi, decisamente
nessuna delle due. Così mi alzo, prendo il giubbotto ed esco dalla stanza. E
dalla casa. Brancolo per le viuzze semideserte della città.
Mi muovo nella penombra,
immerso nei miei pensieri. Nei miei ricordi.
Mia madre aveva un profumo
buonissimo. Un qualcosa che ancora adesso associo ai biscotti. Non so perché.
Non mi ricordo di averglieli mai visti fare. Ed era bella. Forse perché era mia
madre e la vedevo splendida.
A mio padre piaceva giocare
con me. Ricordo le nostre partite a palla nel salotto, con il pallone che
schizzava da tutte le parti e colpiva i mobili. Ricordo che mi portava sempre
sulle spalle, e che io mi sentivo un gigante, lassù.
L’ultimo ricordo di loro è
mia madre avvolta in un vestito di seta blu, pronta per uscire, e mio padre che
l’aiutava a chiudere la collana.
Poi io sono andato a dormire,
e loro a morire tra le lamiere di un’auto.
“Inuyasha?”
Mi volto, sentendomi
chiamare. Vicino ad un bidone dell’immondizia, sacco in mano, una tuta
sgualcita addosso e la sigaretta in bocca, c’è Miroku. “E che ci fai da queste
parti?”
“io… passeggio….”
“E io getto il rudo.” Spiega, espirando il fumo. “Ti va di bere qualcosa
su da me?”
Ma si, dai. Niente di meglio da
fare.
Dopo dieci minuti, con la mia
birra in una mano e la sigaretta nell’altra, mi accorgo di non aver spiaccicato
parola. E mi accorgo che, stranamente, nemmeno Miroku l’ha fatto. Un breve
sguardo, e mi accordo che quello che ho davanti non è il Miroku che conosco. E’
taciturno, trasandato e nei suoi occhi noto solo una lieve malinconia.
“Stavo aspettando una
chiamata dai miei. Dovevano telefonarmi il mese scorso. Ma, sai. Il circo porta
via molte energie. E da anche tanti pensieri.”
Si, mi fa un po’ pena. Chissà
se tutte le ragazzine sbavanti della scuola si immaginano il Miroku che ho
davanti, il ragazzo che getta uno sguardo al telefono ogni minuto, solo in un
vuoto appartamento.
Decido di sollevargli un po’
il morale.
“Sono cresciuto in un orfanotrofio,
sai?”
“Di quelli che si vedono nei
film, grigi, con le suore?”
E’
sabato sera, e io ho disegnato per tutto il pomeriggio. I fumetti che ho letto
mi hanno ispirato, e sto studiando dei personaggi per un fumetto tutto mio,
cercando di accostargli anche una storia di senso vagamente compiuto.
Sino
ad ora ne ho creato uno, con vari bozzetti e sua sulla
sua figura. Il nome che gli ho dato, provvisoriamente, è Ike.
Mi piace questo nome, ha l’aria di essere un tipetto
tosto.
E’ora
di andare. Stasera ci troviamo a casa di Miroku. Quando ha saputo dell’invito
che mi aveva fatto Kagome è andato giù di testa, e ha organizzato un festino in
men che non si dica,
invitando qualsiasi persona di sua conoscenza (stranamente ho sentito parlare relativamente
di pochi inviti femminili, al di fuori di Sango e Kagome.)
Gli
ho promesso che sarei passato prima per aiutarlo nei preparativi e per
mostrargli i miei schizzi. Gliene ho parlato, e ho scoperto che anche lui adora
i fumetti. Però non lo dice in giro perché dice che sono un po’ da NERDS.
Qualcuno prima o poi si degnerà di spiegarmi l’etimologia di questa parola…
Salto
giù dalle scale, in tempo per vedere Sesshomaru fare la sua comparsa in un
raffinato tight nero. Non ho la più pallida idea di dove sia
diretto, né tanto meno mi interessa.
Jaken
chiede se saremo presenti per la cena, ed entrambi rispondiamo negativamente.
Dietro al maggiordomo verdognolo compare una bambinetta
con il broncio. Ci siamo presentati qualche giorno fa. Si chiama Rin, è figlia dei vicini di casa. Da quel poco che si è
lasciato sfuggire Jaken, i suoi sono delle Star Hollywoodiane, sempre in giro
per lavoro e fermamente convinti della filosofia, dilagante tra il jet-set, che i bambini siano dei piccoli adulti, e che se
trattati da tali, possono badare benissimo a sé stessi. Per ciò, Rin abita praticamente da sola alla tenera età di 8anni,
domestici che la servono esclusi. E giusto perché la solitudine non le piace
particolarmente, si auto invita tutti i giorni a casa
nostra. La cosa più sorprendente, è che Sesshomaru è tutto fuorché infastidito
da ciò, anzi. Sembra lieto della
presenza della bambina. Più lieto che della mia presenza, indubbiamente.
“Quindi
non cenerà qui, signor Sesshomaru?” esclama. La guardo basito.
Mio
fratello non si fa mai mancare il suo solito aplomb, e come se fosse la cosa
più normale del mondo, risponde alla bambina. “Ho un party di lavoro, Rin. Mi dispiace non cenare con te questa sera. Spero che
tu non ti offenda.”
Lei
mantiene un po’ il musetto imbronciato. “Un pochino si. Questa settimana non è
mai stato in casa…!”
“Ho
avuto delle giornate pesanti.”
“Mi
porterà prima o poi a un galà?”
“…
ne parliamo tra qualche anno, Rin. Intanto, se non
vuoi cenare da sola, Puoi fermarti qui. Jaken ti preparerà la cena e tu potrai
stordirlo di racconti.”
Lei
sembra rasserenarsi, rivolgendosi verso di me. “Nemmeno tu ti fermi, Inuyasha?”
“Ho
una festa con dei miei amici.”rispondo semplicemente. A volte Sesshomaru mi inquieta.
E se fosse un pedofilo, oltre che a un conclamato stronzo?
Il
“Festino” di Miroku è riuscito benissimo, secondo lui. La festa dell’anno. Io,
sinceramente, non ci vedo nulla di emozionante in questa baraonda generale.
Kagome è arrivata con tre sue amichette dall’aria tonta che si guardano
preoccupate intorno. Sango è arrivata da sola, un po’ sul
tardi. Miroku ha avuto una trasfigurazione quando
l’ha vista. Le ha stappato una bottiglia di birra con le dita della mano e gliel’ha
portata brandendola come se fosse il tedoforo con la Torcia Olimpica,
per incassare un “NO” da parte della ragazza, e gettare la birra a me. Che
avevo già in mano la mia. Per fortuna in quel momento ho visto Koga avvicinarsi, spalleggiato dalle brutte copie di JohnnyRotten e SidVicious, e ho fatto appena in
tempo a sputare dentro la birra appena stappata, prima di porgerla, in gesto
d’amicizia tra compagni di squadra.
“Oh,
finalmente hai capito che non ti conviene farmi la guerra.”
Si vanta, tracannando un gran sorso.
Alzo
la mia bottiglietta in segno di saluto. “Sei fortunato che io sia sano come un
pesce…” Mi giro e mi dirigo verso Kagome e le sue amichette.
“Questa
sua uscita non l’ho capita…”
“Secondo
me, Koga, quello li non ha
tutte le rotelle a posto…”
“Anche
secondo me. Beh, almeno la birra è fresca. Ed è anche la mia marca preferita”
“Ciao”
Le
amiche di Kagome trasalgono quando mi vedono arrivare,
poi si mettono a ridacchiare.
“Oh!
Ciao Inuyasha! Ma non doveva essere una festicciola tranquilla tra pochi
amici?”
Mi
guardo intorno. Lo sguardo mi cade nei divanetti occupati dalle coppiette in
vena di effusioni. Tre ragazzi stanno ballando sopra il tavolo e un altro si è
confuso tra il muro e la sua ragazza. Bacia il muro e si appoggia alla ragazza,
giustamente seccata. Non ho mai visto nessuno di loro in vita mia. Ah, no, ecco
Hojo: dalla faccia credo voglia teletrasportarsi
in un’altra dimensione.“In
teoria…Diciamo che Miroku ha calcato un po’ la mano con gli inviti…”
“A
te sembra che stia importunando Sango?”
Li
guardo. Miroku sta stordendo di parole l’amica di Kagome, urlando per farsi
sentire al di sopra della musica assordante, mentre lei cerca di frapporre dei
centimetri preziosi tra di loro. La folla di certo non
l’aiuta.
“Ma
no. Ci sta solo parlando…”
Kagome
ride. “Povera Sango…”
L’entrata
di Sesshomaru al party era stata accolta dagli sguardi piacevolmente sorpresi dei
presenti. Anche se aveva il privilegio di frequentare modelle ed attrici, non
era il tipo che amava gettarsi anima e corpo in serate mondane.
Ma
qui c’era di mezzo un affare, e una sfida. E per Sesshomaru erano due cose a cui nonpoteva
rinunciare.
Salutò
alcune sue conoscenze con il suo tono impassibile e si intrattenne lo stretto
necessario con loro, poi si diresse verso il tavolo del buffet, dove il
cameriere gli porse un bicchiere di spumante.
“Sono
contenta che sia venuto, Signor Sesshomaru.”
Kagura,
avvolta nel suo abito da sera blu scuro, gli si era avvicinata senza che lui se
ne accorgesse minimamente. Ebbe modo di apprezzare un’altra qualità della
donna. Sara, e le ragazze come lei, trovavano le feste mondane delle mere
occasioni per mostrarsi in pubblico con pochi centimetri di
stoffa addosso, sicure di calamitare l’attenzione sulle loro curve, e
accontentandosi solo di quello.
La
donna che aveva davanti, invece, aveva classe. Indubbia classe. E non era
facile trovarne in giro.
“Signorina
Onigumo, questo è un appuntamento imperdibile.” Indicò con un lieve cenno del bicchiere l’immensa
scalinata, gli stucchi e gli affreschi restaurati. “Avete fatto fare un ottimo
lavoro, devo complimentarmi con voi.”
“Ci
siamo avvalorati solo di professionisti nel settore. Focalizziamo la nostra
attenzione sulle cose che ci stanno a cuore, sia che
si tratti di affari o meno.”
“Ho
il piacere di conoscere suo fratello stasera?”
“Certamente.
Se vuole seguirmi, la sta attendendo al piano superiore.”
La
gente inizia ad andarsene attorno all’una di notte. Se fossi stato uno dei
vicini, avrei già chiamato la protezione civile alle 11. Tiro un sospiro di
sollievo. Io mi stavo decisamente annoiando. E anche Kagome e Sango, visto che
sono rimaste nello mio stesso punto per tutto il tempo. Miroku invece è stato
trascinato qua e là per la casa dalle amiche di Kagome, conteso come se fosse
stato un pezzo di pane. Ho notato che Sango sembrava quasi infastidita da
questa cosa e gli ha lanciato un paio di sguardi di sbieco, mentre scambiava
qualche parola con Kagome. E un paio anche con me, tentando di allacciare
conversazione.
Ad
ogni modo, il padrone di casa è riuscito finalmente a divincolarsi e sta
salutando le persone. Praticamente manca poco che li mandi fuori a calci. Sango
ci saluta anche lei e cerca di guadagnare l’uscita, ma
Miroku para il suo tentativo di fuga frapponendosi tra lei e la porta. Sta
migliorando come portiere. Decisamente.
Kagome
sbadiglia. “Credo che andrò anche io a casa. Ormai è tardi.”
“Passa
a prenderti tua madre?”
“No.
Sono in bicicletta.”
“Ma
sei scema ad andare in bici da sola di notte?”
Mi
guarda infastidita. “Non ero da sola. Ero con le mie amiche. Ma sono sparite.”
Sbuffa. “Se tu fossi davvero un gentiluomo mi chiederesti se volessi compagnia
per andare a casa”
“Se
tu non me l’hai chiesto significa che non vuoi, perciò…” Stringe gli occhi. Non
credo di aver dato al risposta giusta, anche se per me
era la più sensata. “Quando cavolo siete complicate voi donne…”
Ed
eccoci qua, rimasti solo noi 4. Kagome, Miroku, Sango
ed io. Miroku sembra anche un po’ brillo. Sango invece è chiaramente scocciata.
“Dai,
rimanete ancora un secondo…Voi non lo sapete, ma Inuyasha è un vero artista… e
adesso ci vuole far vedere i suoi schizzi!”
COSA?
L’Avvocato
del Diavolo.
Ecco
quale film gli ricordava NarakuOnigumo.
Beh, fisicamente diverso da Al Pacino, ma con lo
stesso identico modo di fare.
Gelido,
di una compostezza impressionante persino per una statua di marmo com’era lui,
il Presidente del Gruppo Ragno era un’autentica sfinge. Una sfinge dalle
venature viscide. Il volto era perfetto, con una vaga somiglianza a quello
della sorella, e la moda dei capelli lunghi aveva colpito anche lui. Gli occhi
penetranti, impassibili, indagatori, che scrutavano il suo interlocutore con
insistenza, per studiarlo. Sesshomaru pensò di trovarsi di fronte ad un vero e
proprio avversario.
Si
era mostrato lieto di fare la sua conoscenza, in quella stanza affrescata e
illuminata da costose lampade in stile liberty. La stretta di mano era stata
ferma ed energica. Il mezzo sorriso che mostrava però
aveva un che di inquietante.
Si
erano accomodati nelle due poltrone di pelle nera che completavano
l’arredamento della stanza, modello Frau, mentre Kagura rimaneva in piedi, appoggiata morbidamente al
bracciolo della poltrona del fratello. Si era premurata di chiamare un
cameriere per una bottiglia di spumante.
La
conversazione era stata puramente ed esclusivamente formale. L’accordo aveva
dominato la loro discussione, seppure affrontata in modo blando e superficiale.
Sesshomaru aveva rifiutato un sigaro cubano che gli porgeva l’uomo.
“Non
le dispiace se invece io lo fumo?”
“Assolutamente”,
aveva risposto, degustando lo spumante. Notò che la donna aveva girato il volto
dalla parte opposta a quella del fratello, e aveva soffocato un colpo di tosse quando la nuvola di fumo l’aveva raggiunta.
Qualcuno
bussò alla porta e Naraku lo invitò ad entrare. Era
un politico molto noto in città che voleva congratularsi personalmente con il
Signor Onigumo, e scambiare quattro chiacchiere.
Sesshomaru si alzò, velatamente lieto che l’incontro fosse finito.
“La
prego di non andarsene subito” si raccomandò Naraku.
“Tra poco verrà scoperto il vero gioiello di questa
casa, la fontana dei quattro spiriti posta in giardino, e tornata all’antico
splendore. Dovrò anche fare un piccolo intervento.” Concluse,
falsamente modesto.
“Non
mancherò.” Fu la risposta dell’uomo, stringendogli la mano. Fece per salutare
allo stesso modo Kagura, ma lei lo precedette. “Io
invece vi accompagno al piano basso. Sono sparita per un po’ di tempo, ho
mancato di fare gli onori di casa.” Il fratello annuì
in sua direzione.
Uscirono
nel corridoio e Sesshomaru notò un antiquato ascensore. “E’ stato restaurato
anche quello?”
“Certamente!
Ma non abbiamo ancora avuto il via libera definitivo per l’utilizzo del
pubblico. Ma se vuole, le faccio fare volentieri un giro turistico.”
L’uomo
annuì, soffocando un sorriso sornione ed entrarono. La donna gli mostrò come la
porta si chiudeva tramite una leva. “E’ di fine 800, uno dei primi esemplari di
ascensori costruiti in città.”Spiegò
mentre premeva il pulsante d’avorio.
“Esiste
un modo per bloccarlo?” domandò Sesshomaru con noncuranza. Lei gli indicò un
altro tasto d’avorio. Senza dire nulla, Sesshomaru lo premette.
Lei
lo guardò colpita. Di certo si aspettava che di far centro, ma non cosi presto.
E non lì.
“Ti ho sorpresa, non è vero?” pensò, mentre un mezzo sorriso si faceva strada sul
suo volto e lui si avvicinava sempre di più alla donna. Notò un lampo di
soddisfazione nel suo sguardo. Doveva credere di averlo in pugno, di aver vinto
la partita. Si avvicinò sempre di più a lei, finché la sua schiena non fu
contro la parete lignea.
E
poi si chinò sulle labbra rubino.
“Sei
davvero molto bravo!” si complimentò Sango, guardando i miei schizzi a metà con
Kagome, che annuiva.
“Hai
fatto un corso per fumettista?”
“Autodidatta…”
Miroku
sta raccattando qua e la l’immondizia residua della
festa, gettandola rumorosamente nel grande sacco nero. “Darmi una mano no?”
Bofonchia
“Sei
tu il padrone di casa!” Sango non frena di certo le risposte lapidarie
Kagome
mi chiede che nome ho dato al personaggio. “Beh. È
provvisorio. Ike.”
“E
cosa fa Ike?”
Alzo
le spalle. Non lo so, non ci ho ancora pensato
Miroku
si getta sul divano accanto a me. “Beh, Ike è… Ike è un mannaro.”
Kagome
sorride. Prende una biro e si mette a scrivere.“Si, ha l’aria da mannaro… E… fa
parte di un clan di mannari!”
Dovrei
protestare, in fondo l’opera è mia. Ma non lo faccio, inizio ad avere sonno.
Incrocio le braccia con aria scettica e mi getto contro lo schienale,
lasciandoli fantasticare. Tanto alla fine il fumetto è mio e io decido di cosa
farne. Se andare avanti o meno e se seguire i loro
consigli non richiesti.
Anche
Sango pare presa “Si… e questo Clan di Mannari è contro un clan di Vampiri!”
suggerisce, mentre Kagome scrive.
“Giusto!
I Vampiri e i Mannari sono sempre stati nemici!” esclama Miroku.
In
poco tempo la storia si è delineata. Il mio personaggio si chiama IkeLeChien, fa parte del Clan LeChien, ed è un Mannaro. Combatte contro i Vampiri per il
dominio sulla città. E’ un ribelle, ama le moto e le bistecche al sangue.
“Sai,
ti somiglia un po’”. Nota Kagome, guardando il disegno e poi me. “Se solo tu
gli facessi i capelli lunghi…”
Sbuffo.
Forse è vero. D’altronde sono egocentrico. Che male c’è?
“E
se noi quattr ci mettessimo d’impegno per fare questo
fumetto? Potrebbe diventare un successo mondiale!”
Miroku,
ti ho già capito. Stai inventando patetiche scuse per star più tempo con Sango…
“Un
fumetto scritto da quattro ragazzi che diventa un best seller? Hai bevuto
troppo Miroku, vai a lavarti la faccia…”
“No,
Inuyasha, Miroku ha ragione. Potrebbe diventare un successo underground. Eddai… che abbiamo da perdere? E’ per far passare il tempo!”
Lo difende Kagome “Tu Sango che ne pensi?”
“…che
ci starebbe bene anche una medium, tra i personaggi.”
“Già!
E una cacciatrice di vampiri!”
“E
anche un guerriero che combatte contro i demoni!”
Alzo
gli occhi al cielo. “E un mago no?”
“CERTO!
Anche un mago! Inuyasha sei un GENIO!” Mi copro la faccia con un cuscino.
Miroku è proprio scemo.
All’apertura
dell’ascensore, nessuno avrebbe potuto mai immaginare che l’impeccabile coppia
al suo interno fosse appena stata la protagonista di
una scena degna di un ottimo film erotico.
Così,
mentre Kagura si era aggiustata il rossetto e si
domandava se le mutandine fossero al loro giusto
posto, Sesshomaru sfoderava il suo consueto, irreprensibile sguardo fintamente
annoiato, con il sopraccitato trofeo di biancheria intima in tasca.
I
due presero strade opposte, come se nulla fosse accaduto. Sesshomaru si domandò
quanti secondi passassero prima che NarakuOnigumo venisse a conoscenza del “Fatto dell’Ascensore”.
Forse
lo sapeva di già. Forse c’era una telecamera nascosta da qualche parte. La cosa
non lo preoccupava minimamente. Sarebbe stata comunque ottima pubblicità per
lui, se quel’ipotetico filmato fosse stato divulgato.
Kagura si
disperse nella folla, conversando amabilmente con diverse personalità di spicco
dell’alta società cittadina, fingendosi presa dagli onori di casa.
Abituata
sin da piccola a non mostrare i propri sentimenti, a tenere tutto dentro, dalla
gioia più pura alle lacrime più amare, riusciva perfettamente a fare due cose
contemporaneamente. Una era quella che tutti vedevano. L’altra, in quel
momento, era soffocare le lacrime.
Il
suo compito era svolto. Ora che ci mettesse pure quella maledetta firma sul
contratto, e Basta, Basta. Basta. Prima
o poi doveva finire questa tortura. Lei aveva un cervello. Un ottimo cervello.
Era dotata di una spiccata predisposizione per la conversazione e pure di fiuto
negli affari. Avrebbe potuto dirigere da sola l’intero Gruppo Ragno. Ma sua fratello si divertiva da morire a costringerla a umiliarsi, ad usare il suo corpo per i
propri scopi come la più stupida delle vallette televisive.
Ma
doveva ammetterlo. Almeno questa volta le era andata bene. Lui non era stato il
solito uomo calvo, pelato e sgraziato verso il cui veniva
lanciata dal fratello. Sesshomaru aveva fascino, indubbiamente. Ed era un uomo
di un bellezza incantevole.
E
di una sensualità (eh si, un piccolo brivido se l’era permesso, al ricordo di
ciò che era accaduto qualche minuto prima) che
stordiva. Se lei fosse stata libera di
sceglierlo, allora quella sarebbe stata una delle serate più trionfali
della sua vita. Ma gli era stato imposto. E per questo non riusciva ad
assaporare appieno quel minuto glorioso.
Eccolo
là, a proposito, che guardava con sguardo tediato un nobile cialtrone. Non
scorreva sangue blu nelle sue vene? Se non ricordava male sua madre era una
Baronessa. O una Contessa?
Non
aveva molta importanza. Basta. L’aveva fatto e questo era quello che contava.
Il fatto che il suo sguardo d’oro zecchino ora l’aveva trapassata non aveva
nessuna importanza.
E
il fatto che posasse la flute di spumante tra le
labbra, guardandola come a brindare al suo successo non era per nulla
rilevante.
Un
brusio verso il giardino calamitò l’attenzione dei presenti. Si voltarono tutti
verso il prato. Il momento di Naraku era arrivato. Kagura scivolò tra la folla e lo raggiunse, fingendosi
raggiante.
“Bravissima
sorellina. Eccellente mossa” Brindò Naraku, seduto a
suo fianco nell’automobile scura che li riportava a casa. Gettò uno sguardo
distratto fuori dal finestrino. Il vetro era rigato
dall’improvvisa pioggia che era caduta sul party. Festa rovinata a metà,
comunque. La notte era già fonda, e dopo il suo entusiasmante discorso, molta
gente era già andata a casa. “Ora manca solo l’atto conclusivo di questo tuo
capolavoro.”
Sfiorò
viscidamente la guancia della donna con un suo dito freddo come il marmo. Lei
si costrinse a sorridere. Ti prego,
lasciami stare questa sera. Pensò. Ho
già fatto quello che volevi. Non ti è bastato?
Il
telefono dell’uomo suonò all’improvviso, e la sua attenzione fu calamitata da
un altro interlocutore. Kagura riuscì a sospirare
mestamente con un piccolo cenno di sollievo e a girare lo sguardo fuori dal finestrino.
Le
auto erano ferme, in fila al semaforo. Tutti macchinoni
di grossa cilindrata che riportavano a casa la gente dopo il party.
Un’AstonMartin nera e brillante,
scintillante sotto la pioggia. Macchina lussuosa, e non tanto comune, nemmeno
fra i ranghi più abbienti. Bisognava aver gusto e classe, per sceglierla.
E
alla guida, c’era lui! I capelli di seta... non poteva confonderli. Il volto
serio, impeccabile. Gli occhi d’oro.
Kagura si
lasciò sfuggire un mezzo sorriso triste. Doveva
aspettarselo, da un uomo che sfoderava tutto quel fascino e che sceglieva un
ascensore per far sua una donna, che possedesse l’auto di JamesBond.
Come
se fosse stato chiamato, Sesshomaru si volse di scatto verso la donna. Il
semaforo divenne immediatamente verde, ma per una frazione di secondo, i loro
sguardi si incontrarono attraverso i vetri appannati e rigati.
Kagura si
sorprese a formulare una muta preghiera. Liberami.
Pedalare veloci sotto la pioggia. Rischiando di scivolare sull’asfalto viscido.
Dovrebbe essere una dannata seccatura. Ed invece è una cosa che mi piace da
impazzire. Mi fa sentire libero, con le ali.
Sembra
che anche Kagome si senta cosi. Passa attraverso una pozzanghera, i piedi per
aria, “Yaaaa!!!!” urla.
Io
getto la testa all’indietro, la bocca aperta, la lingua fuori. Se lei non mi
avesse chiamato sarei andato dritto contro un bidone della spazzatura. Ridiamo
per il rischio corso. “Hai sete, IkeLeChien?” mi urla.
“Hai
previsto con il tuo occhio interiore, KittyLee?” Le rispondo, con il nome della medium
del fumetto, deciso a tavolino mezz’ora fa.
Kagome
frena. La bicicletta stride e le occorre qualche metro per fermarsi
definitivamente. “Ecco, questa è casa mia!” Urla, indicando il tempio scintoista
alla sua sinistra.
“E’
inquietante!”
Mi
da una spinta lieve sul braccio. “Ma che dici! E’ antico e accogliente!”
“Avete
qualche fantasma dentro o solo un mostro chiuso in cantina?”
Lei
ride, la pioggia che continua a gettarsi su di noi “Beh… ho un fratello!”
“Non
c’è mostro peggiore, ne so qualcosa pure io!”
Si
scuote la testa bagnata, estraendo le chiavi dalla borsetta zuppa, non smettendo
di sorridere.“Allora… io entro!”
“Si,
meglio che ti sbrighi, sennò ti bagni.”
Scoppia
ancora a ridere. O questa ragazza è ubriaca, o io ho un futuro da comico.
“Buona
notte Inuyasha. Grazie per avermi accompagnato.”
“Figurati.
Avevo giusto voglia di farmi una doccia gratis…”
E
lei sorride di nuovo, spingendo la bicicletta nel vialetto d’ingresso. “Ci
vediamo Lunedì a scuola…”
“Sempre
che tu non abbia il raffreddore…”
“Attento,
LeChien… anche voi Mannari siete vulnerabili!”
La
luce del lampione la colpisce. E io penso che sia davvero carina. Forse è la semisocurità. O forse è la serata appena trascorsa.
Forse ho dimenticato Kikyo. No. Questo è
impossibile. E’ li, in un angolo del mio cuore e bussa di tanto in tanto,
appena prima che io mi addormenti, o in un attimo di distrazione e di
riflessione.
Chissà
cosa starà facendo Kikyo in questo momento. Forse è nella sua casa calda, su un
libro di medicina, o sta già dormendo. Magari dividendo il letto con un altro
ragazzo. Con uno che non è cresciuto in un orfanotrofio. Magari sta avendo una
storia giusta.
“’Fanculo, Inuyasha.” Mi sgrido rimettendomi a pedalare
forte. Questa è la mia Nuova Vita, e non c’è posto per lei. Non ha voluto che
ci fosse posto per lei.
Questa
è la mia Nuova Vita. E c’è posto per altre. Per tante altre. Magari Miroku in
questo momento ha fatto breccia nel cuore di Sango, si è dichiarato a lei e le ha giurato amore ed eterna fedeltà, mentre io consolerò
tutte le altre. Magari c’è posto per Kagome, anche se lo trovo improbabile.
Improvvisamente
mi aggredisce l’ispirazione. Non vedo l’ora di tornare a casa e mettermi
all’opera. Mio dio, che davvero quei i matti mi abbiano contagiato, con la
storia del fumetto? Che mi abbiano plagiato e coinvolto?
E’
contagiosa così tanto, la stupidità?
Probabilmente
si, perché sto ridendo come un matto tutto solo, pedalando sotto un diluvio.
_____________________________-
Capitolo alquanto prolisso… devo dire…
non ho proprio il dono della sintesi. Ad ogni modo…
Grasssie mille per le
recensioni.
Mi fanno molto piacere. Fatemi sapere se
la storia vi piace… anche dei suggerimenti piccini possono essere ben accetti. (ho detto PICCINI e POSSONO. Ora non riempitemi di richieste
pseudomelense… vi prego. Hi hihi. Risata sadica.)
Capitolo 7: I’ve got some beers and The Highway’s free… And I’ve got you
and you’ve got me
Capitolo 7:
Different, Same Lives
La
professoressa Kaede è la più tediosa di tutto il
corpo docente e anche la preside della scuola. Ed insegna anche una materia per
la quale non sono per niente portato: Matematica.
Perciò,
nelle sue ore, disconnetto la rete LAN che collega il mio cervello all’ambiente
circostante e mi faccio i fantastici fatti miei.
Sapendo
che Kaede è soprannominata Occhio-di-Lince (veramente prima di un incidente con
l’ombrello la prima parola del suo soprannome era plurale), non posso nemmeno
immergermi in una qualche attività alternativa. A parte lo scambio, nascosto e
pericoloso, di messaggi con Miroku.
Al
pomeriggio ci sarebbe stata la prima partita della stagione, e devo ammettere
di essere un po’ teso. La squadra a cui andiamo incontro
si fa chiamare New Team e Koga assicura che hanno un
portiere e un cannoniere spettacolari. E’ anche vero che quello che dice Kogaè da prendere con le pinze.
Ad
ogni modo, Totosai è in smania perché questo sarà il
vero, primo, sicuro test della squadra. Secondo me, sotto sotto,
conosce già gli esiti tragici. Sono sicuro che Miroku oggi in porta farà una
pessima figura. In questi giorni ha la testa altrove, si perde in un bicchier
d’acqua e non si accorge quasi delle ragazzine dagli occhini cuoriformi che lo
circondano perennemente. O, almeno, le saluta più distrattamente del solito.
Forse
sta covando qualche strana malattia. O forse la sua malattia si trova nel banco
davanti, che scrive appunti su appunti.
Kagome
a quest’ora dovrebbe avere Lettere con il professor Myoga.
Un altro che, in quanto a verve nello spiegare ne ha da vendere.
Lunedì,
come volevasi dimostrare, aveva un gran raffreddore. Durante il pranzo abbiamo
paragonato il suo naso ad una di quelle patate arrosto in simil
plastica che la mensa ci ha gentilmente offerto.
Secondo
Miroku ha una cotta per me. Non credo. E’ solo curiosa: sono l’ultimo arrivato,
non sa nulla del mio passato, e vorrebbe conoscermi meglio. Almeno credo. Guardo
l’orologio. Mancano 10 minuti alla fine di questa tortura. Poi magari la
incontrerò nei corridoi.
“Vedo
che ti annoi, No Taisho.” Occhio-di-Lince ha colpito dritto nel segno. “Avanti,
vieni un po’ alla lavagna, così, per passare il tempo e fare un esercizio…”
Sbuffo.
“Se le dicessi che non ne sono capace lei mi lascerebbe stare?”
“No,
il mio compito è quello di insegnarti.”
“Il
suo compito è quello di rompere i cosiddetti…” borbotto, alzandomi. E da come
mi guarda la prof, direi che oltre ad essere Occhio-di-Lince è anche dotata di un orecchio
sopraffino…
“Non
si tirerà indietro proprio adesso, spero.”
Kagura
guarda fissa negli occhi d’oro l’uomo, seduto sulla sua poltrona di pelle al di
là della scrivania. Lui sembrava tentennare, ha espresso perplessità e ha
fatto… “un po’ troppe domande”, secondo il gusto della donna.
Domande
che non dovevano essere poste, secondo i suoi piani. Sesshomaru No Taisho
avrebbe dovuto mostrare una certa malleabilità,
dopo il loro incontro di sabato. O almeno così funzionava di solito. Anche
se sapeva già che Sesshomaru non era un uomo come gli altri.
Era
stato abbastanza frustrante per Kagura notare lo
sguardo freddo e impassibile dell’uomo su cui si era permessa di fantasticare,
nei momenti di calma e solitudine, quando aveva varcato la soglia dell’ufficio
per il loro consueto incontro.
“Questo è quello che ti meriti per
esserti lasciata andare a fantasie da stupida mocciosa” si sgridò, appoggiandosi a sua volta allo schienale
della sedia ed accavallando le gambe, avendo cura di non far trapelare alcuna
emozione dal suo viso.
“Diciamo
che a livello teorico non c’è da sapere più di questo.”
L’uomo si era alzato e aveva raggiunto il solito mobile bar.
“Brandy,
giusto?”
“Gin,
se non le dispiace”
Sesshomaru
prese atto del tono usato dalla donna e sorrise dentro di sé. “E’ dannatamente seccata” si disse,
porgendole il bicchiere. Poi si fermò vicino a lei. “Al prossimo incontro spero
ci sia anche suo fratello. Riuniremo i responsabili e delineeremo sulla carta i
termini dell’accordo.” Bevve un sorso del suo whiskey. “ e poi decideremo.”
Va bene, Kagura.
O la va o la spacca. Pensò la donna,
alzandosi lentamente dalla poltrona. “Quindi questo è il nostro ultimo incontro
a due? Dovremmo spenderlo al meglio, non crede?” I loro volti erano distanziati
solo da una manciata di millimetri. Kagura poteva
sentire il suo profumo, fresco e virile, e il lieve aroma del whiskey che aveva appena sorseggiato.
“Ho
un incontro molto importante tra poco” spiegò impassibile Sesshomaru, notando
piacevolmente il malcelato sconcerto della donna. “Ma possiamo riparlane in
un’altra sede. Magari al ristorante Chateau d’Arbois, questa sera stessa.”
“Potrei
avere degli impegni, per questa sera.”
Sesshomaru
appoggiò nuovamente il bicchiere alle labbra. “Si, potrebbe.”
“Sarà
meglio che vada.”
“Attendo
una sua e-mail di conferma.” Aprì un cassetto e ne estrasse una busta chiusa.
“Questo è per lei. La pregherei di aprirla in separata sede, se non le
dispiace.”
Accomiatasi,
Kagura si diresse sicura verso l’ascensore. Appena le
porte scorrevoli si chiusero, e accertatasi di trovarsi da sola, guardò la
busta. Poteva forse essere un messaggio? Aveva forse intuito quanto era sotto
sorveglianza e si era affidato ad una missiva scritta? Strappò la busta
furiosamente.
Dentro,
avvolte in una piccola carta velina, stirate e lavate, c’erano le mutandine che
aveva perso sabato sera.
Rimase
a bocca aperta. “Brutto figlio di….”
La
cosa peggiore è che ci sono davvero delle persone che si sono venute a
guardare. Sugli spalti vedo non solo Sango e Kagome, che mi saluta agitando la
mano. (Leggo il suo labbiale
“In bocca al Lupo!” E mi viene in mente IkeLeChien), ma anche tanti altri ragazzi della scuola,
soprattutto femmine.
Ritorno
presso gli altri della squadra. Hojo è tutt’uno con la panchina e sta pregando tutti gli dei dell’Olimpo che non ci sia bisogno di lui. Koga sta facendo stretching,
mentre una ragazzina invasata, dai due voluminosi codini strilla
incessantemente il suo nome, prima di venire ricoperta
da striscioni e oggetti vari lanciati dal Miroku Fan Club. Un momento, quello
non era un fumogeno?
Miroku
si scalda con una corsetta sul posto, mentre Ginta e Hakkaku cercano di imitare Koga
nel riscaldamento. Io l’ho già fatto, abbondantemente, prima. Non ne vedo
l’utilità di farlo ora solo per farsi vedere dalle ragazzine. Queste cose non
le capirò mai.
Ad
ogni modo, Totosai viene a darci le ultime
indicazioni. E’ talmente agitato che sputacchia qua e là pezzetti di bava dalla
bocca sdentata. Che schifo. Cercare di mancarli è per noi un ottimo
allenamento…
Il
New Team esce dagli spogliatoi. Koga indica il
cannoniere fenomenale e il portiere. “Come si chiamano?” domanda Miroku.
“Holly e Benji.” Risponde. Ginta commenta dicendo che sembrano degli
sfigata. “Guarda quello che razza di capelli che ha…” Aggiunge. Gli
chiedo se lo specchio ha casa sua è un optional. Lui fa segno di non capire ma io lascio perdere. Mi pare già una risposta
adeguata.
Miroku
si è impossessato di un pallone e li guarda con sfida. “E’ ora di fargli vedere
di cosa siamo capaci” esclama.
Poi
fa una piroetta, palleggia la palla, la alza al cielo e urla “WILDCATS!”
Il
pubblico femminile è in delirio. Io non resisto più. Con il muto ma pieno
appoggio degli altri miei compagni di squadra, prendo la palla dalle sue mani e
gliela calcio fortissimo nello stomaco.
Il
professor Totosai approva annuendo.
Al
secondo tempo siamo sotto di 1 a
0, e io mi sono pure beccato un ingiusto cartellino giallo. I gemelli Derrik,della squadra avversaria
stavano tentando un numero da circo (Miroku ha detto di averne visto uno
simile, durante la sua infanzia girovaga): uno di loro catapultava l’altro
verso di me per prendermi la palla. Per fortuna l’ho visto in tempo e l’ho
fermato con un destro secco. Cartellino giallo.
Totosai
ci urla (sempre sputacchiando) un sacco di istruzioni inutili. Passarsi la
palla… gioco di squadra… Le FASCE, LE FASCE! Hakkaku
ha eroicamente tentato di spiegargli che non stiamo cercando di vincere il
mondiale, ma è stato rispedito in campo accompagnato da insulti di vario
genere.
Il
cannoniere avversario e Koga si tirano scarpate di
santa ragione, io ho il mio bel daffare con i gemelli, che si sono ripresi dal
colpo precedente.
Koga
prende possesso della palla, si avvicina velocemente alla porta, ma è marcato
da Holly e da uno dei gemelli… Dai, stupido, passa, passa, cazzo! E
invece no, vuole fare il super eroe. Piuttosto che passarmela preferirebbe
tagliarsi le noci. Ed infattiHolly
prende la palla e si lancia a tutta velocità verso la porta avversaria, Ginta tenta di fermarlo, inutilmente, Hakkaku
si getta ai suoi piedi per tentare di braccarlo.
Grazie
ai due però lui ha diminuito la velocità. Riesco a prendergli la palla dal
piede, proprio mentre annuncia una cannonata colossale
contro Miroku, che non trova niente di meglio da fare che pararsi i gioielli di
famiglia, e mi dirigo verso il portiere mentre Holly
rimane a guardare per terra con la bocca spalancata ed in preda a chissà quali
flashback di una chissà quale sua vita precedente.
“Questa
non me la pari!!!!” Avverto. Ho i gemelli davanti. Koga è libero.
Beh,
te la scordi la palla, bello mio, piuttosto la ributto indietro. E così faccio.
Ginta la riprende e la passa subito a Koga, che tira in porta.
…Benji la respinge…
….
Mio colpo di testa…
GOL!!!!!!
1 a 1!!!!
Il
fischio finale dell’arbitro arriva mentre tento una
maldestra piroetta all’indietro, finendo su un Miroku festante e atterrandolo
con una scarpata sulle gengive.
Il
pareggio insperato con cui avevamo debuttato ci ha fatto perdere la testa.
Negli spogliatoi urliamo slogan da stadio mentre ci
facciamo la doccia a suon di gavettoni.
Koga ha
promesso che se vinceremo il campionato si taglierà i capelli.
“Così
è troppo facile!” ribatto io. “Facciamo che se vinciamo ti spulci la chioma, Kaga”
Mi
lancia addosso una panchina.
Miroku
la para.
Baraonda
generale.
Trovo
Kagome e l’intero Miroku Fan Club davanti alla porta dello spogliatoio.Queste ultime strillano estasiate a nell’ammirare Miroku post doccia, anche se noto che un
paio di loro mi guardano con gli occhi lucidi e ridacchiando tra di loro.
Kagome
si complimenta con me. “Vedi che questa testa serve a qualcosa?” dice,
picchiettandomi scherzosamente la fronte.
Koga
passa e ci guarda inizialmente sbalordito, poi arrabbiato. Non ci toglie gli
occhi di dosso e va a sbattere contro un muro, tra le risatine generali. La
ragazzina che ho visto strillare dagli spalti gli si getta al collo, acclamando
l’eroe dei suoi sogni. “Ayame, dacci un fottuto taglio!” sbotta lui, uscendo infuriato dalla
palestra. “Inuyasha, ai prossimi allenamenti ti faccio fuori!”
“Che
gli hai fatto?”
Alzo
le spalle. “A parte averlo chiamato Kaga ed avergli
dato del pulcioso nulla…”
“INUYASHA!”
Miroku
si guarda attorno, impaziente. “Kagome, non hai visto per caso Sango?”
“E’
andata via appena prima della fine della partita, suo fratello non si è sentito
bene agli allenamenti di basket” spiega. “L’ho avvertita che avete vinto via sms.” Aggiunge, vedendo la faccia dispiaciuta di Miroku.
Il
mio stomaco brontola sonoramente, e tutti si guardano attorno impauriti,
temendo un cedimento strutturale della palestra. Tossisco imbarazzato.“Ho una
fame incredibile. Vado a mangiare qualcosa al bar.”
“Ti
spiace se vengo anche io?” mi domanda Kagome. Se vuole…
“Io
vado a casa, la fame mi è passata.” Brontola Miroku, scuro in volto, suscitando
la preoccupazione e l’abbattimento delle sue fan. Kagome cerca di fargli
cambiare idea “Dai, Miroku, vieni a mangiare qualcosa con noi…riprendi le
energie.” Lui borbotta qualcosa sulla valanga di
compiti da fare e si dirige fuori dalla palestra con
un mesto saluto. Quindi, per la merenda ci siamo solo io e Kagome.
“Il
raffreddore ti è passato un po’, il tuo naso non sembra più una patata
abbrustolita.” Noto, ingoiando il mio trancio di pizza
alla salsiccia, funghi e peperoni. Volevo prenderne una intera,
ma ho scordato il portafoglio a casa e non avevo abbastanza spiccioli in tasca.
Dovrò tenermi la fame sino a sera, dannazione.
“Te l’ho detto che non era grave.” Lei
sgranocchia un toast e sorseggia il suo succo di frutta, poi estrae un quaderno
dallo zaino e me lo porge. “Ho scritto qualcosa per il fumetto. Magari ti da
delle idee”Lo apro e lo sfoglio velocemente, spiegandole che a casa l’avrei guardato meglio. Leggo qualcosa su un debole tra il
guerriero e la cacciatrice di vampiri che mi fa
storcere il naso.
“Beh,
allora, come sta andando?” mi domanda, finendo l’ultimo pezzo ditoast.
“Cosa?”
“Il
tutto!”
“Tutto cosa?”
“Beh,
sei in una nuova scuola, con dei nuovi amici, come ti sembra?”
“…
Ah, quel tutto.” Ci penso un attimo. E’ difficile da spiegare. Ora che ci
penso, il cambiamento è stato così drastico ed improvviso che forse non l’ho
ancora metabolizzato bene. “E’… completamente diverso…” riesco solo a dire,
tracannando un sorso di coca-cola.
“Non
ti è dispiaciuto lasciare i tuoi amici, nella precedente scuola?”
Soffoco
una mezza risata.“Proprio no!”
“Dovevi
trovarti parecchio male… ma abitavi sempre qui in
città o ti sei proprio trasferito? Non ci hai ancora raccontato nulla di te.”
Non
pensi, Kagome, che un motivo ci sarà pure? “Non c’è nulla da dire. Abitavo in un’altra
zona della città.” Rispondo evasivo. Guardo l’orologio e penso che la scusa di
Miroku sui compiti non era tanto falsa.
“Devo
andare anche io” mi precede. “Vado a ritirare Shippo.”
Usciamo
in cortile a prendere le biciclette, il cielo che non promette nulla di buono. Quasi
quasi, però, non mi dispiacerebbe un bel giro in bici
sotto l’acquazzone, come sabato sera. Vorrei proporlo a Kagome, ma temo che il
piccolo Shippo non gradisca la doccia improvvisa. E
poi c’è anche da dire che non sarebbe lo stesso, con un moccioso in mezzo alle
scatole.
“Dovremmo
trovarci una sera, per discutere sul fumetto. Tu che ne dici?”
Trasalgo
“Io e te?”
“No,
tutti e quattro!” risponde piccata. “hai la mania degli appuntamenti tu! Cosa
c’è, ne vuoi uno?”
“Si.”
La risposta è uscita da sola. Forse l’ha detta qualcuno dietro di me. No, siamo
da soli. Dannazione. “Cioè, no, non lo voglio un appuntamento con te. Nemmeno
morto.”
Lei
aggrotta le sopracciglia e apre la bocca offesa.
“Nel
senso che… ecco… io” Sento il rumore dei miei arti che scivolano lungo gli
specchi su cui mi sto arrampicando. “Cioè… non è che tu mi faccia schifo. E’
che…”
Lei
ora mi guarda con un sopracciglio alzato. Sta pensando a che stronzata possa inventarmi per salvare la faccia. Vabbè, basta, non mi vengono in mente altri modi, per
evitare che la bicicletta mi arrivi in testa e per farla smettere di parlare
con me: “E’ che non sapevo come chiedertelo. Ti va di andare al cinema?”
“No.”
“Meglio,
tanto mi fanno schifo i film che ci sono adesso.”
“Anzi
si.” …questo era per dispetto?
“Non
c’è che dire, sei una ragazza incredibilmente solida sulle tue posizioni”
Lei
monta sulla bicicletta, fulminandomi con lo sguardo. “Questa sera.”
Alzo
le spalle. Non ho nulla di meglio da fare. Si allontana senza smettere di
tentaredi
incenerirmi con gli occhioni castani.
Così
sono davanti al multisala, guardando nervosamente
l’orologio. Dovevo prevederlo che sarebbe stata in ritardo cronico… Manca ormai
poco all’inizio del film. Decido di andare a prendere i biglietti, almeno non
rimarremo a secco.
Che
diavolo di film vorrebbe vedere Kagome?
Scarto
quelli melensi. Mi potrebbero procurare dei disturbi alla digestione.
Quelli
d’azione? Mmm, potrebbe essere. Ma dubito che a lei
piaccia un film tutto sparatorie ed esplosioni. Anche se a me non
dispiacerebbe.
C’è
un film comico. Opto per quello. Possiamo farci un paio di risate, almeno.
Torno
all’entrata con i biglietti in mano e i popcorn dall’altra giusto in tempo per
vederla arrivare, scusandosi ripetutamente per il ritardo.
La
guardo bene. Diamine, è proprio vestita da appuntamento. Abitino a fantasia grigio e verde, stivali bassi e un cappellino
floscio in testa che le dà un’aria bohemienne. Noto
anche il lieve ombretto sugli occhi. Ho creato un mostro.
“OH!
Hai preso i biglietti!!” esclama, arrossendo
lievemente. “E anche i popcorn…!”
.
“Si, mi devi 7soldi…” Il rossore le scompare. “E i popcorn sia ben chiaro che sono miei.” I suoi occhi diventano una fessura sottile,
mentre apre sgarbatamente la borsetta rossa e mi sgancia in mano i soldi,
avendo ben cura di conficcarmi le unghie nel palmo della mano. Temo che se la
sia presa per qualcosa, ma non capisco cosa…
“Oh,
Signorina Onigumo… concedetemi una tregua, almeno
durante il pasto…”
Così
Sesshomaru No Taisho l’aveva interrotta, davanti ad un
raffinato piatto di alta cucina, mentre spiegava l’ultimo sviluppo della FederInc.
Lei
inizialmente si indispettì, ma badò bene a non farlo vedere. Suo fratello non
si era raccomandato altro che lei si mostrasse rilassata
e disponibile verso il suo interlocutore. Ma di che cosa si poteva parlare con
un uomo del genere? Di certo lui non iniziava la conversazione, si aspettava
che tu facessi i salti mortali per intrattenerlo.
E
lei non era di certo una donna abituata a farlo. In genere era l’esatto
opposto. Focalizzò la sua attenzione su uno dei lampadari del ristorante,
sorseggiando il vino rosso. La serata si preannunciava lunga, sempre sperando
che andasse tutto a buon fine. Sesshomaru le sembrava disinteressato, quella
sera.
Insomma,
quella cena iniziava ad essere pesante. E nervosamente pensò che tutto ciò non giovava di certo all’affare…
Come
poteva non essere un po’ meno impostato con lei, dopo sabato sera?
Kagura
pensò a come, in quegli ultimi 3giorni, si era sorpresa più volte a pensare
all’ascensore di Villa Esprit e a quei pochi minuti di passione condivisi con
l’uomo seduto al suo stesso tavolo. Aveva dovuto faticare parecchio per non
dargli del tu, durante il loro incontro odierno. Avrebbe avuto solamente voglia
di intavolare una conversazione in via del tutto confidenziale, ed aveva anche
sognato, la sera precedente, un loro improbabile e furioso amplesso nel suo
ufficio, sopra quel fornitissimo mobile bar.
Invece,
si trovava davanti un muro di marmo. Liscio, bellissimo, perfetto,
ma freddo come il ghiaccio.
E
lei non poteva permettersi di agire diversamente da come stava facendo in quel
momento. Almeno poteva chiedergli chi aveva lavato e stirato le sue mutandine…
dubitava che l’aveva fatto personalmente.
La
cena si concluse dopo qualche brandello di blanda conversazione e dopo un
liquore come digestivo. Sembrava che Sesshomaru apprezzasse i liquori e i vini
pregiati, li beveva gustandoli, ma non ne abusava.
Si
alzarono da tavola dopo che l’uomo aveva discretamente pagato il conto e si
diressero verso l’uscita. L’aria fresca li investì in pieno, l’autunno era alle
porte e si stava già facendo sentire. Kagura si
accese una sigaretta seccata. La serata aveva raggiunto un bivio cruciale.
“Pensavo
le desse fastidio il fumo” notò Sesshomaru. Vide un lampo di sorpresa negli
occhi della donna. “L’ho notato sabato sera, quando suo fratello ha deciso di
accendersi quell’orribile sigaro.”
“Mi
da fastidio l’odore del sigaro, lo detesto tanto quanto lo ama Naraku. Ma non sono una fumatrice incallita. Qualcuna di
tanto in quanto, giusto per il sapore.”
“Come
quando è imbottigliata nel traffico” La donna lo guardò ancora più sorpresa.
Doveva averla vista in giro, e il fatto che lui l’avesse notata le fece
indiscutibilmente piacere.
“Immagino
che sia venuta con un autista, questa sera.”
La
donna rispose affermativamente. “Arriverà in pochi minuti, appena lo chiamerò.”
“Non
occorre, la mia auto è a pochi passi. Sempre che non le dispiaccia.”
“Affatto”
rispose lei. La situazione stava decisamente migliorando.
Si
incamminarono verso l’AstonMartin,
e la donna gli fece i complimenti per l’auto. “E’ davvero un gioiellino di gran classe, signor Sesshomaru”.
“Un
gioiellino che se non si sa usare può diventare una
trappola.” L’accarezzò con lo sguardo, mentre si
sedeva all’interno e la metteva in moto. Il motore rispose rumorosamente.
“Vuole che l’accompagni subito a casa, o gradisce un drink a casa mia?”
Kagura
guardava incuriosita gli scaffali del salotto di casa No
Taisho. Un sorriso divertito si fece strada sul suo volto. Tra la miriade di
DVD di proprietà del padrone di casa, vi era tutta la serie completa dei film
di 007.
Sesshomaru
rientrò nella stanza, due drink in mano, e ne porse uno alla donna.
“Vedo
che lei è un fan di JamesBond”
“L’ha
capito dai film o dall’AstonMartin?”
Lei
sorrise sorniona. “Dal suo gusto in fatto di donne, Sesshomaru.” Appoggiò il suo bicchiere e si avvicinò alle labbra
dell’uomo.
Le
dita di lui le accarezzarono la schiena, stringendola a sé. Una mano corse
verso i suoi capelli, liberandoli delicatamente dall’acconciatura. I boccoli
castani della donna le caddero morbidamente sulle spalle, mentre lui percorreva
il suo collo con le labbra e con le mani si insinuava sotto il vestito di seta
leggera.
La
sollevò come se fosse una piuma, le gambe sottili di lei che gli cingevano la
vita, e si diresse verso le scale che portavano in camera sua. Quasi inciampò
nei gradini, rischiando di ruzzolare dalla gradinata
abbracciato alla donna, ed arrivarono a tentoni alla porta della camera.
Si,
il film è stato uno spasso, davvero. Ho riso sino alle lacrime (e io non sono
uno dalla risata facile) ed è piaciuto anche a Kagome, che ha smesso di fare la
musona. Siamo usciti dal cinema ricordandoci a vicenda le battute e le
situazioni comiche, circondati da persone che facevano più o meno la stessa
cosa.
“Caspita,
come è tardi!” esclama, guardando l’orologio, affrettando il passo verso la
bicicletta.
Mi
propongo di accompagnarla a casa. Questa volta il tempo è clemente verso di
noi, ma il multisala è troppo vicino a casa sua, e la
nostra pedalata dura solo pochi minuti.
“Ti
ringrazio per la serata.” Mi dice lei, frenando vicino all’entrata del tempio.
“Però… lo vuoi un consiglio da me?”
“Spara”
“Quando
inviti fuori una ragazza… pagale almeno il biglietto del cinema!”
Ah,
ecco per cosa se l’era presa. “Potevi dirmelo prima… rivuoi indietro i soldi?”
“Ma
sei scemo?”
Ok, credo
non li rivolga indietro. Vorrei chiederle se vuole
almeno metà dei popcorn che mi sono mangiato io.
“Allora,
ci vediamo domani a scuola?”
“Certo.”
Rimaniamo
per qualche secondo inspiegabilmente immobili a guardarci. Il silenzio è
interrotto solo da un cane che abbaia in lontananza.
“Quindi,
ci vediamo domani a scuola”
“Ovviamente”
Kagome
si avvia verso il vialetto, bici alla mano, quando mi ricordo del suo quaderno,
che ho nella tracolla. “Aspetta!”
Lei
si ferma come se non aspettasse altro e io mi avvicino, quaderno alla mano.
“L’ho letto prima di uscire. Hai delle belle idee, sai? Una gran fantasia…ho
già disegnato qualcosa.”forse
ho esagerato con i complimenti, perché lei spiana un sorriso a cento denti.
“E’
una cosa carinissima quella che mi dici!” esclama, prendendo il quaderno dalle
mie mani. “Vorrei diventare una scrittrice da grande, o una sceneggiatrice, mi
fa davvero piacere che tu apprezzi quello che scrivo.”
“Figurati”
Altro
secondo di silenzio. Poi lei decide di darmi un bacio sulla guancia in segno di
ringraziamento. Ci fissiamo un istante dritti negli
occhi. E poi il secondo bacio è direttamente sulle labbra. Dura poco,
pochissimo. Lei si stacca e mi guarda sorpresa. “Scusami, io non… volevo…”
“Non
ti preoccupare…niente di grave…”
“Cioè,
eri lì ed io…”
“Per
fortuna che c’ero io e non il professor Myoga…” sdrammatizzo.
Lei
sorride un po’ nervosa. “E’ meglio che io vada a letto.”
“Anche
io ci vengo. Cioè, ci vado. Nel mio letto.” Inuyasha, oh, svegliati, sei
diventato scemo?Forse è il sapore delle
sue labbra alla fragola che mi sento addosso. Possibile che in quella frazione
di secondo abbia attecchito così tanto, quel maledetto burrocacao
fruttato?
Ulteriore
momento di silenzio pesante. “E se te ne dessi un altro?”Chiedo. Evviva la
sincerità. “Sempre che non ti dia fastidio”
Lei
rimane un po’ stupita, ci pensa qualche secondo. Poi annuisce piano. E allora
la bacio di nuovo.
E
il sapore di fragola entra tra le mie labbra e si stabilisce direttamente nella
mia testa
Kagura
pensava di non aver nemmeno più bisogno di respirare. Abbandonata fra i
cuscini, le lenzuola che la avvolgevano come un elegante e provocante vestito
da sera, la donna non osava nemmeno aprire gli occhi per paura di spezzare
l’incantesimo a cui era stata avvinta.
Sentiva
la presenza di Sesshomaru accanto a lei, che la sfiorava con il suo corpo
perfetto e caldo. Bastava quel contatto accennato per farla rimanere sopra le
nuvole, così vicina alle stelle che lui le aveva fatto raggiungere qualche secondo prima.
Lui
sorrideva sornione, mentre scivolava lentamente in un sonno soddisfatto. Sentì
la donna muoversi a fianco a lui, e aprì gli occhi per guardarla. Si era messa su
un fianco, e sembrava guardarlo quasi incantata. Nell’oscurità della camera
poteva individuare gli occhi carmini brillare fissi sui suoi. I capelli erano
scompigliati e, sciolti, avvinghiavano tutto il cuscino. Ne prese una ciocca,
la più vicina alla spalla e se la attorcigliò alle dita, giocherellandoci
distratto. Assolutamente delizioso.
Fu
lei a rompere il silenzio. “Allora, ti senti un po’ come JamesBond?”
“Non
ho ancora sparato a nessuno oggi. E nessuno mi ha ancora tentato di uccidermi.”
Kagura
sorrise lievemente. Sapeva che sarebbe stato meglio rivestirsi ed andarsene,
che ogni minuto passato li dentro la trascinava verso
un baratro da cui era impossibile uscirne. Ormai era una donna adulta. Ed
illudersi non era più concesso. Tanto meno in una situazione come la sua. E
poi, diamine! Non era mica a letto con uomo qualunque, che si gettava ai suoi
piedi grazie alla sua bellezza. Sesshomaru era fatto tutt’altra,
incredibile pasta. Bastava fissarlo, passare poche ore con lui per capire che
per chiunque era impossibile farsi strada tra quegli occhi gelidi. Eppure… che
male avrebbe fatto una piccola fantasia? Un infantile appiglio scivoloso nei
momenti bui? Momenti che, Kagura lo sapeva bene,
sarebbero ritornati non appena varcata la soglia di quella lussuosa camera.
Voleva protrarre quel momento sublime finchè le era
concesso. “Qual è la tua Bond Girl preferita?”
Sesshomaru
ci pensò un attimo. Beh, il bikini di Ursula Andress
l’aveva catapultato direttamente dall’infanzia alla pubertà nell’arco di una sola
scena. Oppure c’era anche l’intrigante Octopussy. Era
difficile scegliere. La guardò un attimo, studiandola. “VesperLynd, in Casinò Royale.”
Decise. “Bella. Ed infida.”
Kagura si
voltò dall’altra parte. Non aveva visto quel film, ma dalla descrizione che ne
aveva fatto Sesshomaru capì che lui poteva aver intuito qualcosa. “Non la
conosco come Bond Girl.”
“Dovresti
guardarlo quel film.” Le accarezzò la schiena morbida con una mano. “Non ne ho
voglia di riportarti a casa”
Lei
si alzò piccata. “Non c’è problema. Chiamo subito il mio autista” Gettò le
gambe giù dal letto e fece per alzarsi, ma l’uomo la trattenne delicatamente
per le spalle. “Non mi hai capito…”
Stamattina
ho in mente solamente una canzone di HAIR, un musical in cui sono incappato
qualche giorno fa facendo zapping televisivo.
“Leeeet
the Sun shineeee…. Let the sunshineeee in! theSunshine
in!!!!” continuo a canticchiare, dentro di me.
Questa
mattina ho visto Kagome solo per un istante, prima che venisse
trascinata via dalla marea di gente che andava verso il suo corridoio, a
campanella suonata. Mi ha sorriso e mi ha salutato con la mano. Anche io l’ho
salutata. Forse non ho sorriso molto. Non lo so. Mi sento addosso
uno sguardo un po’ fesso.
L’ha
notato anche Miroku, chiedendomi se stessi bene. “Perché?”
“Oh,
nulla… mi sembri un po’ assente, stamattina. Hai litigato con tuo fratello, per
caso? Ti ha fatto un’altra dichiarazione allucinante?”
Faccio
no con la testa. Forse dovrei dirgli di ieri sera. Per informarlo, ecco. Ma poi
penso che sia un fatto privato. Mio e di Kagome. E poi, anche volendo, la sua
attenzione è stata calamitata altrove. Sango è appena entrata, un secondo prima del professor Myoga.
Ha lo sguardo basso e non saluta nessuno. Si siede al suo posto in silenzio e
apre lo zaino.
Myoga
inizia la lezione, facendoci aprire il libro in una determinata pagina.
La
guardo e sbuffo. Mio dio, proprio oggi dovevamo studiare poesie lamentose e
sospiranti? Una volta tanto che ero di buon umore, mi sarebbe piaciuto
conservarlo…
La
poesia scelta da Myoga parla della morte del fratello
del poeta. Cancello a matita il nome del fratello dal titolo e la sostituisco
con quello del mio, di fratello. A fianco allego un ritratto stilizzato del
sottoscritto che strozza il sopraccitato consanguineo. Tiro una gomitata a
Miroku per mostrarglielo e lui ridacchia piano.
Poi,
improvvisamente, Sango si alza. “Professore, posso uscire qualche minuto? Non
mi sento affatto bene.”
Myoga
accorda, sicuro che Sango, da eccellente e onesta studentessa qual è, non stia
fingendo. Lei esce rifiutando l’accompagnamento di Miroku per andare in
infermeria. “Faccio da sola, grazie”
Il
mio compagno si risiede al suo posto, preoccupato. Continua a fissare la porta
da dove è uscita la ragazza.
“Andiamo…
è una donna. Avrà le sue cose” tento di convincerlo.
Lui
non sembra ascoltarmi. Dieci minuti dopo abbiamo appreso che il poeta in
questione in esilio ha saputo che il fratello ci ha lasciato le penne, ed
invece di festeggiare come avrei fatto io (o come Sesshomaru avrebbe fatto in
caso contrario), si è lasciato prendere da riflessioni deprimenti e scrivendoci
sopra una poesia.
Sai
che roba, io dovrei averne un’antologia…
“Professore,
posso andare a controllare che Sango stia bene?” domanda Miroku alzandosi di
scatto.
Myoga
sbuffa, da quel suo microscopico beccuccio. “Va bene, puoi andare” Non fa in
tempo a finire la frase che lui è in corridoio.
“Posso
andare anche io?” domando.
“Oh,
no, Inuyasha. Tu adesso mi ripeti quello che ho spiegato sino ad ora.”
…
Ma che ho fatto di male al corpo docente?
Miroku
capì che Sango si trovava in quell’aula vuota solo
perché aveva sentito un debole singhiozzo, nonostante la porta chiusa. Aprì
piano e tuffò dentro la testa castana. “Tutto bene?”
La
ragazza era seduta su un banco, le gambe penzoloni, un fazzoletto in mano e le
guance rigate dalle lacrime. “No. Cioè si. Torno subito in classe, non
preoccuparti, vai pure.”
Il
ragazzo invece entrò, chiudendo la porta alle sue spalle. “Cosa sta succedendo,
Sango?”
“Niente.”
“Per
favore. Se fosse nulla non piangeresti così.” Si avvicinò di più a lei,
appoggiandole piano una mano sulla spalla, quasi come se Sango fosse stata una
tigre pronta a rivoltarglisi contro. “Non è per tua mamma, vero? E’ per caso per tuo fratello? So che è
stato male ieri…”
I
singhiozzi di Sango si fecero più intensi, lei affondò il viso fra le mani.
“E’
grave?”
“Non
so cosa abbia!” urlò lei, di rabbia impotente. “Non ci dicono nulla. Ieri sono
andata a prenderlo, quando mi hanno chiamato che è stato male ad allenamento.
Era svenuto.” Miroku le porse il suo fazzoletto, vedendo che quello della
ragazza era ormai inutilizzabile. “Ma il suo allenatore e il preparatore
atletico hanno detto che è stato solo un calo di pressione e l’hanno rimandato
a casa. Lui non ha voluto assolutamente farsi visitare da nessuno. Io non ci
credo che non abbia nulla.”
“Beh,
può capitare, durante un allenamento che…”
“Da
quando è negli Spiders mio fratello non è più lo
stesso. Fa allenamenti massacranti quasi tutti i giorni. E’ scontroso e non
ascolta nessuno. A volte arriva a casa con la faccia imbambolata. Sembra…quasi…
drogato!” Scoppiò di nuovo in singhiozzi. “Io ….non sono capace di fare la
sorella maggiore… non riesco a badare a lui… mio papà conta su di me ed io… lo
sto deludendo…”
“No,
non dire così!” Miroku prese il volto della ragazza tra le mani, asciugandolo
dalle lacrime con le sue dita. “Sei una ragazza fantastica, responsabile,
matura… Tuo fratello sta passando forse un periodaccio, forse è sotto stress…
dopo quello che è successo… è in un’età particolare,
Sango. Ci siamo passati tutti!”
“E
se non fosse cosi?”
“Se
non fosse così allora ci andremo fino in fondo.
Vedremo cosa ha il ragazzo.” Sango smise di singhiozzare. “Non sei sola. Potrai
contare sempre sulle persone che ti circondano.”
Lei
lo guardò un attimo interrogativa, cercando di capire
se le parole di Miroku altro non fossero che una tattica per farla capitolare
ai suoi piedi o se lui fosse davvero sincero. Doveva davvero iniziare a
guardare il ragazzo sotto un’altra luce? D’altronde, le era stato vicino anche
quando era morta sua madre, pochi mesi addietro, assicurandole il suo aiuto,
nel caso lei ne avesse avuto bisogno. Lì per lì l’aveva presa per una frase
fatta, come tutte quelle che le erano state dette in quei giorni. Ma ora che l’aveva ancora davanti, e che gli tendeva ancora la mano,
Sango pensò che probabilmente non conosceva nulla di Miroku.
“Gr…Grazie.” Balbettò, soffiandosi ancora una volta il naso.
“Ti ho sporcato il fazzoletto…”
“Oh,
pazienza… sono fatti per quello, no?”
“Grazie
Miroku, sei davvero un amico. Vado a sciacquarmi il viso e torno in classe.”
… un amico…
Mentre
lei usciva dall’aula vuota, il ragazzo si domandò se poteva bastargli questo.
Sango ora aveva degli altri problemi, altre preoccupazioni. Di certo non si
sarebbe permessa il lusso di pensare a trovarlo più simpatico. O ad innamorarsi
addirittura di lui.
Quindi,
questo doveva bastargli, per il momento. Lui le sarebbe stato a fianco, e
magari lei, in un futuro forse non troppo lontano, l’avrebbe considerato
diversamente da un amico.
Forse.
Ed
Eccola! Kagome è li, in mezzo al corridoio, circondata dall’ondata di alunni
affamati diretti in mensa. Cerco di raggiungerla, ma tra me e lei compare
improvvisamente Sango. Lei la guarda, le fa un cenno di intesa, poi
l’accompagna nel bagno femminile.
“A
dopo” mi fa segno. Sbuffo. Dannazione alle donne e ai loro problemi.
Recupero
Miroku e lo trascino in mensa. Dalla faccia non sembra che abbia una fame
particolare, ma me ne frego altamente. Io mangerei un bue di traverso.
“Allora,
cosa aveva Sango?”
“Problemi
in casa.” Sta sul vago. Probabilmente quello che le ha detto è un’informazione
riservata.
“Gravi?”
Fa
cenno con la testa. “abbastanza”.
Noto
Koga e compagnia bella in fila per la mensa. Lui mi
guarda come se volesse infilarmi nello scaldavivande
al posto del risotto. Io alzo il mento per chiedergli che diavolo voglia da me.
Lui abbandona la fila per venirci incontro.
“Che
sia ben chiaro: non osare ripetere l’incontro di ieri sera con Kagome.”
Miroku
ci guarda entrambi senza capire.
“E
tu chi sei per dirlo?”
“C’ero
prima io, pezzo di…”
“Hai
preso il numerino al banco salumi, Kaga?”
Sento
che adesso mi salta addosso per tentare di sbranarmi. Dai, fatti sotto, è da un
po’ che ho voglia di spaccarti la faccia. E ora che so che sei anche un mio
rivale, lo farò con più gusto. Vedo che il suo sguardo lampeggia altrove, per
poi ritrarsi dallo scontro e ritornare in fila. Noto anche io che la
professoressa Kaede è entrata in mensa.Maledizione a tutto il corpo docente, ce l’hanno con me e mi tolgono tutto il divertimento. E’ una
congiura.
Miroku
mi batte la spalla. “Scusa ma… Cosa voleva dire?”
“Sono
stato al cinema con Kagome.”
“E
non mi hai chiamato? Ci sarei venuto volentieri!”
Proprio
tu non capisci, Miroku? Sono circondato da una massa di babbei.
VesperLynd. Davvero lui l’aveva paragonata a Vesper ? Sogghignò, mentre navigava in internet dal suo ufficio.
Peccato
che lei non avesse visto il film (o almeno così aveva detto). Se però non si sbagliava (cosa che raramente accadeva), Kagura
avrebbe visto a breve il film in questione, e così avrebbe conosciuto VesperLynd, la donna che aveva
catturato il cuore di JamesBond,
e che era morta suicida, oppressa dai sensi di colpa per averlo tradito,
rinchiudendosi in un ascensore veneziano mentre stava questo affondando.
Indubbiamente
si sarebbe emozionata, a sentirsi paragonata al personaggio (e all’interprete,
soprattutto).
Che
dire. Sesshomaru ci sapeva fare davvero con le donne.
Il
telefono dell’ufficio suonò. Una chiamata esterna. “Ciao, Signor Sesshomaru!”
“Buongiorno,
Rin. Sei già tornata da scuola?”
“Certo!
Volevo chiederle una cosa…” sentì la bambina prendere un bel sospiro “Domani
sera ho il saggio di violino. Mi viene a vedere?”
Sesshomaru
diede un’occhiata veloce all’agenda di pelle nera. Libero. “Se lo desideri…”
“AH,
Grazie Signor Sesshomaru!!”
Che
ci poteva fare. Lui le donne le faceva impazzire. Non importava l’età. Anche se Rin era,
ovviamente, un discorso diverso.. Quando posò il
ricevitore, lo sguardo di Sesshomaru si perdette al di fuori della vetrata.
Pensò che fondamentalmente, non aveva mai visto due
occhi color rubino.
“Finalmente!” esclamo, all’uscita della
scuola, quando riesco a raggiungere Kagome. Lei mi saluta ridendo. Poi
rimaniamo un attimo a guardarci imbarazzati. E adesso?
“E’
tutto il giorno che ti rincorro!” esclama.
“Anche
io!” Guardo l’orologio. “Devi andare a prendere Shippo,
immagino…”
Lei
annuisce. “Mi accompagni come al solito?”
La
scorterei sulla luna, se me lo chiedesse.Così pedaliamo verso la scuola elementare.
Prima
di svoltare l’angolo, però, le passo davanti e la costringo a fermarsi. Cioè,
praticamente le faccio da muro, non ha molta altra scelta.
“HEY!
Vuoi farmi cadere?” Protesta.
“No,
volevo darti questo.” Mi avvicino a lei e la bacio. Non mi accorgo neanche che
ho lasciato cadere la bicicletta. Era tutto il giorno che volevo sentire di
nuovo il sapore di fragola. E da come getta le braccia
attorno al mio collo, anche lei non vedeva l’ora di fare lo stesso. La stringo
in vita e la sollevo appena, mentre il bacio finisce e i nostri occhi sono così
vicini. Mi sento stupidamente contento. Lei mi sorride e mi bacia di nuovo.
Sento che potremmo andare avanti all’infinito cosi.
“Quindi
noi stiamo più o meno insieme?”
“Credo
di si, tu che dici?” le domando. Ti prego Kagome…ora
però non diventarmi scema come le ragazzine insipide della tua età… Scordatelo
che io mi arrampichi sul cavalcavia dell’autostrada
per scriverti una dedica…
Sentiamo
la campanella della scuola elementare suonare. “Shippo
ci aspetta” mi ricorda lei.
“E
tu lascialo aspettare…”
“Inuyasha!”
mi rimprovera. “Ci accompagni a casa?”
Dovrei
fare una marea di compiti. Ma me ne frego altamente. “Si, non si sa mai che vi
perdiate…”
“Inuyasha!”
La
casa di Kagome, il famoso tempio scintoista, ha davvero un’aria accogliente, al
di là del vialetto d’ingresso. I giardini e le aiuole sono curate al dettaglio.
Kagome mi ha spiegato che se ne occupa suo nonno.
“Mio
fratello al momento non è in casa. Arriverà tra poco. Mia cugina ha detto che
lo passava a prendere lei, oggi.”
Shippo
continua a saltellarci intorno, prima alla ricerca della merenda, poi dei
pennarelli, poi del telecomando. Cerco uno sgabuzzino, un mobile, una pentola.
Qualsiasi cosa in cui possa rinchiuderlo.
Kagome
tira fuori un libro dallo zaino.“Io dovrei studiare Scienze… tu?”
Non
credo che riuscirò a concentrarmi tanto. “Non ho molto da fare…” mento.
“Cosa?
Oggi hai avuto Myoga e non ti ha lasciato nulla da
fare? Ma non ci credo nemmeno se lo vedo!”
“Myoga ha già fatto abbastanza oggi. A fine lezione avevo un
4. Direi che basta…” ringhiò, sedendomi di fianco a
lei.
“Ecco,
per evitare che io prenda un voto simile domani, è il caso che io invece
studi…”
Sbuffo.
E allora che ci sono venuto a fare qui?
Passa
una mezz’ora buona con lei china sui libri e io che faccio incetta di cibarie
dalla dispensa e guardo i cartoni con Shippo. Ogni
tanto lei alza lo sguardo e mi rifila un’occhiataccia, ma io non le do molto
peso.
Quando
finalmente Shippo sembra abbastanza preso dai cartoni
animati, io scivolo verso Kagome. Metto la mia testa contro la sua.
“Sto
studiando…” mi rammenta lei. Le do un buffetto sulla guancia.
“Sto
studiando…”Un
bacino sulla nuca…
“INUYASHA,
A CUCCIAAA!!!!”
…permalosa…
“Sono
a casa!” La voce di un ragazzino interrompe ogni mio tentativo di distrazione
di Kagome. Lei si alza. “Ti presento mio fratello”
Il
ragazzino, molto somigliante a Kagome, entra nella stanza.
“Lui
è Souta. Souta, lui è
Inuyasha.”
Il
ragazzino mi studia un attimo. Ha lo stesso sorriso della sorella, e anche i
suoi occhioni curiosi. “Sei quello nuovo, vero?
Kagome mi ha parlato molto di te!”
“Non
è vero!” grida lei imbarazzata.
“Permesso.
Kagome, sei in casa?”
“Ah, c’è anche mia cugina.” Kagome si affaccia
alla porta. “Entra pure, vieni!”
Io
mi alzo, aggiustandomi i pantaloni. Che scocciatura tutte
queste presentazioni…
“Ti
presento una persona…” sento che dice all’altra. Sento anche una leggera
risatina. La cugina deve aver intuito qualcosa.
“Inuyasha,
ti presento…”
KIKYIO.
…Ahi
dura terra, perché non t’apristi…
“Vi
conoscete già?” Kagome è sorpresa. Io non so cosa rispondere. Gli occhi di
Kikyo sono così sbarrati che temo possano schizzarle fuori
dalle orbite da un momento all’altro.
“Nel
senso… che ci siamo già visti.” Riesce solo a dire.
Io
annuisco. Forse con un po’ troppa veemenza. Anzi, direi troppa.
Tutto
ciò è surreale, è impossibile. E’ inaccettabile. Mi hanno sempre detto che il
mondo era piccolo. Ma COSI’ piccolo è ridicolo.
“A
scuola. Dove ero prima… lei… lei faceva assistenza” Perché diavolo la voce non smette di tremarmi? Sento le gambe molli… e una goccia di
sudore si fa strada sulla mia fronte.
Lei
ci guarda sospettosi. “Un momento, Kikyo… ma non avevi fatto assistenza solo
all’Istituto dell’Aiuto all’Innocente?”
Appena
finita la frase Kagome si tappa la bocca, intuendo di aver capito troppo. Ma
comunque troppo poco.
Io
cado all’indietro. Non ho più forze per restare in piedi…
Capitolo 7: I’ve got some beers and The Highway’s free… And I’ve got you
and you’ve got me
Capitolo 9:
Così il Destino Gioca
con Noi.
“Alzagli
le gambe, è un calo di pressione.”
“Così
va bene?” …sento che le gambe mi vengono alzate il più
in alto possibile.
“Basta
meno, Kagome, non deve per forza stracciarsi. Tu, Souta,
portami un bicchiere di acqua zuccherata”
Socchiudo
gli occhi. L’immagine offuscata che ho dinnanzi prende lentamente la forma di
Kikyo, china su di me. Non può essere vero…“…Inuyasha…?”
E
invece lo è davvero. Perdo di nuovo i sensi.
“Bentornato
nel mondo dei vivi!”
A
salutarmi è Kagome, questa volta. Mi guardo attorno confuso. Sono coricato su
un letto, in una cameretta piccola, ma ordinata e
piena di fotografie e poster.
“Sei
in camera mia”, spiega, passandomi un bicchiere d’acqua. Mi accorgo di avere la
gola riarsa, lo bevo in un sol botto. “abbiamo fatto una faticaccia a portarti
sin qui! A peso morto sembri fatto di piombo.”
Si
siede di fianco a me, scostandomi una ciocca dal viso. “Kikyo mi ha detto
tutto…”
Non
riesco nemmeno a guardarla in faccia. Che ore sono? Quanto è durata la nostra
storia? Un paio d’ore? Aspetto la parola FINE guardando il poster di JustinTimberlake. “Mi dispiace”
“…
e di cosa? Non è mica colpa tua!”
Oddio,
Kagome. Ero più che consenziente, con tua cugina. Numi del cielo, perché non
riesco a togliermi dalla testal’immagine di Kikyo che mi bacia
togliendosi il camice?
“Non
è colpa tua se i tuoi genitori sono morti e sei cresciuto in un orfanotrofio,
non è stata una tua libera scelta, no?”
La
guardo di sottecchi. Comincio a sperare che Kikyo non abbia raccontato proprio
tutto a sua cugina. “Cosa ti ha detto precisamente?” azzardo.
Lei
arrossisce lievemente. “Mi ha raccontato che ti ha conosciuto all’orfanotrofio,
che eri un teppistello che faceva a pugni con gli
altri… ma che però eri solo e che sei un ragazzo così dolce…”
Sopprimo
un sospiro di sollievo. Kikyo non si è tradita, e forse una storia tra me e
Kagome può ancora esserci. Se solo riuscissi a togliermi l’immagine di sua
cugina dalla testa…
“Non
ti devi vergognare. Tu mi piaci per quello che sei”
Kagome
giocherella nervosa con il nodo alla marinara della divisa, guardando per
terra. E ora si, mi vergogno da morire. E non solo perché sono un mezzo
delinquente cresciuto da rancide suore, ma perché ho davanti una ragazza che mi
sta offrendo il suo completo appoggio e il suo affetto... mentre io non sono
sicuro di aver ancora dimenticato la ragazza che amavo. Che guarda caso,
maledetto il fato, è una sua stretta parente. Mi sembra di prenderla in giro.
Ma non voglio che tra me e lei finisca ciò che è appena iniziato. Sino a
mezz’ora fa io mi sentivo bene, prossimo al paradiso. Tentavo di distrarla
dallo studio per baciarla e per avere le sue attenzioni.
Ed
ora vorrei solo scappare il più lontano possibile. Mi sento un verme. Forse dovrei
raccontarle tutto. Ma se lo facessi, lei non ne vorrebbe più sapere di me… O
detesterebbe la cugina… e questo credo che non giovi allo spirito famigliare.
“Deve
essere stata dura per te, crescere senza papà e mamma. Io non ce l’avrei mai fatta. Sono stata così male per l’assenza di
un solo genitore… se non avessi avuto mia madre, mio
fratello e mio nonno non so come avrei fatto.”
Si
porta le ginocchia al petto e se le abbraccia, guardandomi con i suoi occhioni profondi.
“Tuo
papà è morto?” la domanda mi viene spontanea. Sembra quasi che lei mi stia
chiedendo di fargliela.
Lei
scuote la testa. “Quando ero piccola, e Souta era
appena nato, mio papà se ne è andato con un’altra donna. Un pomeriggio sono
rientrata da scuola e ho trovato i miei impegnati in una litigata pazzesca.
Papà faceva le valigie. Però non ho badato a questo, perché lui viaggiava
spesso per lavoro… Ma urlavano così tanto... Mia madre
diceva che lo odiava, che non lo voleva più vedere. Lui invece lo incolpava di
non averlo mai capito, che lo teneva in una gabbia, che lui non la voleva
sposare, ma che l’aveva fatto perché mia madre mi aspettava. Poi ha preso la
valigia e mi ha visto. Mi ha accarezzato, io ho iniziato a piangere. Mia madre
mi ha strappato dalle sue mani e lui se ne è andato sbattendo la porta.
L’ho
sentito per telefono, per il mio compleanno. Poi a Natale. E poi non ho più
voluto parlare con lui. E lui non ha più chiamato. So che si è risposato con
quella donna, e che ha avuto un altro figlio.”
Kagome
ha le lacrime agli occhi, ma le trattiene. Io mi mordo le labbra e mi avvicino
a lei, che mi appoggia la testa castana sulla spalla.
Gli
racconto brevemente la mia storia. “Le nostre famiglie sono l’uno l’opposto
dell’altra.” Conclude lei.
E’
vero. Noi siamo dai lati opposti dalle barricate.
Lei
è la figlia della prima moglie, vittima dell’abbandono. Io sono il figlio
dell’amante, della seconda compagna, la causa della distruzione di un
matrimonio.
Lei
che, nonostante suo padre, ha avuto una famiglia e tanto amore. Io che, nato
dall’amore di due persone, sono cresciuto tra l’indifferenza e il freddo di
mura grigie. Lei, solare, amichevole e sorridente. Io, tormentato dai miei
fantasmi, che vivo nell’ombra di un mezzo sorriso. Eppure siamo li, su un letto
color glicine, appoggiati l’uno all’altro. Siamo gli opposti che si attraggono.
E ora nella mia mente non c’è più l’immagine di un’aspirante infermiera.
Strofino
la mia guancia sulla nuca di Kagome, l’abbraccio. Lei alza il suo volto. Mi
bacia.
Uno
scroscio di pioggia che spazza via l’aridità.
Sesshomaru
scosse la testa, una smorfia di insoddisfazione sul volto perfetto. Il sorriso
di circostanza di Kagura si spense improvvisamente,
il cuore che le mancava di un battito. Gli occhi di Naraku
diventarono due fessure. Lampeggiano un istante verso la sorella, che
deglutisce piano. Movimento che non sfugge agli occhi d’oro di Sesshomaru. Gli
altri membri del Consiglio d’Amministrazione iniziarono a sudare freddo.
“Sarebbe
il caso, Signor Sesshomaru, che lei spiegasse meglio le sue intenzioni a
riguardo.” Aveva sibilato il patron del Gruppo Ragno.
“Perché non ci espone tutte le sue perplessità in merito?”
“Con
piacere”. Sesshomaru si alzò, telecomando alla mano, e lo puntò verso il
proiettore. Un grafico comparve sul muro. Kagura
soffocò un gemito.
All’uscita
della riunione, Naraku aveva preso il braccio della
sorella e l’aveva stretto talmente forte da farle venire un livido istantaneo.
“Si può sapere che cazzo hai combinato, stupida?”
Sibilò, trascinandola per il corridoio, verso l’uscita.
Lei
soffocò un mugolio di dolore. “Assolutamente nulla. Ho fatto ciò che mi hai
chiesto…”
“Davvero?
E dove li ha presi quei grafici? Le azioni? I risultati contabili delle altre
aziende che abbiamo assorbito?”
“Io
non ne ho la più pallida idea…l’hai detto anche tu che era un osso duro…”
“Ti
dico la mia teoria? Ti ha aperto le gambe così bene che tu gli hai spiattellato
vita, morte e miracoli del Gruppo Ragno… o mi
sbaglio?”
Finalmente
la donna riuscì a divincolarsi dalla morsa. “Appunto, ti sbagli” aveva le lacrime
agli occhi. “Vado un attimo alla toilette” mormorò, prima di sparire nella
porta a lato.
“Ti
aspetto in macchina. Non la passi liscia, Kagura.”
Scivolò
dentro veloce e si sedette su un gabinetto, chiudendo la porta, la testa tra le
mani tremanti, cercando di cacciare indietro le lacrime.
Sapeva
cosa l’aspettava. Naraku era un pazzo violento che
lei aveva avuto la sfortuna di avere come fratello. Cercò di calmarsi, pensando
a come sfuggire alla serata che l’aspettava. Non era la prima volta che tentava
la fuga, da quando, appena adolescente, lui aveva
iniziato ad infliggerle i suoi soprusi. Prima sembravano, agli occhi dei suoi
genitori, semplici ragazzate di un fratello maggiore un po’ bullo. Poi le cose
erano peggiorate sempre di più.
Oppure,
idea che prendeva sempre più corpo dentro di lei, di farla finita,
definitivamente. Una manciata di pillole, accompagnata da un litro di vodka, o
un tuffo dal tetto dell’edificio e sarebbe stata libera per sempre. Sentì la
porta del bagno aprirsi e dei passi cadenzati entrare.
“Esci”
disse una voce ferma, maschile, che lei riconosceva bene.
Tentò
di darsi un contegno, nonostante la voce tremante: “Non si entra nel bagno
delle signore…”
“Kagura, esci.”
Si
passò le mani sotto gli occhi, per cancellare le tracce di trucco colato, ed
aprì la porta. Abbozzò un sorriso. “Sesshomaru, essere a capo dell’azienda ti da il diritto di entrare in tutte le toilette?”
Lui
la guardò, studiandola attraverso gli occhi dorati. “Sorpresa della mia
presentazione?”
“Spiacevolmente
sorpresa, si” con finta noncuranza la donna si lavò le mani. “Siamo dispiaciuti
che tu ci reputi un’azienda sanguisuga”
“Tuo
fratello non l’ha presa affatto bene”
“Era
sicuro che io avessi svolto bene il mio compito di mediatrice finanziaria.”
Lui
le si avvicinò, posandole la mano nel punto che Naraku aveva stretto così forte, pochi minuti prima. Kagura si morse le labbra. “Una delusione palpabile, quella
di Naraku.” Commentò. “Era
sicuro che tu mi avessi completamente obnubilato con
le tue arti amatorie…”
Lei
si ritrasse di scatto. Sentiva salirle agli occhi lacrime di rabbia e di
frustrazione. Era caduta come una stupida sotto quello sguardo dorato. Lui le
aveva teso un vero tranello. E lei… stupida, stupida, stupida! Aveva anche
noleggiato quello stramaledetto DVD di JamesBond e si era sentita orgogliosa di essere stata paragonata
a VesperLynd.
Doveva
capirlo, però, che lui aveva intuito tutto. Era troppo sagace per farsi
abbindolare in quella maniera subdola.
Sesshomaru
la stava guardando trattenendo a stento un mezzo sorriso soddisfatto. Diamole la stoccata finale, pensò.
“E
poi, è risaputo che Suo fratello non è solo un uomo d’affari… leciti. Si sa che
ha mani un po’ ovunque.” Lei si era irrigidita ulteriormente, la sua faccia una
smorfia unica di furore. “… e io non voglio che il mio nome, e quello della mia
azienda, venga trascinato in una qualche inchiesta su
riciclaggio, aggiotaggio o chissà che altro, Signorina Onigumo.”
“Si,
ha ragione, Signor Sesshomaru. Mio fratello è una piovra. E avrà quello che
vorrà.” Era lontana un millimetro dagli occhi dell’uomo “Lecito o meno.”
Lui
la spinse, fermo ma delicato, contro il muro. “Mi piacciono le donne furiose e
minacciose…” Sfiorò il suo naso con quello di Kagura.
“…Vesper.”
“Lasciami andare. Non peggiorare le cose.” Lo
pregò, volgendo la faccia di lato.
Lui
continuò a sfiorare con le labbra il suo volto “Magari tuo fratello potrebbe
pensare che un altro appuntamento sistemerebbe le cose…” Si fermò interdetto,
vedendo che una lacrima aveva solcato la guancia della donna.
“Io
non sono una puttana.”
Si
allontanò da lei di un paio di passi. “Non l’ho mai pensato.” Fondamentalmente
era una menzogna, ma a Sesshomaru era scivolata tra le labbra prima ancora che
lui si rendesse conto di averla pensata.
“Devo
andare. Mio fratello mi aspetta, e non voglio farlo arrabbiare ulteriormente.” Sospirò Kagura, asciugandosi la
guancia con il dorso della mano e avviandosi verso la porta.
“Parli
come una bambina intimorita dal genitore manesco.”
Commentò l’uomo, infilandosi le mani in tasca e guardandola serio.
“Credimi.
E’ ben peggio.”
Sango
si avvicinò a Miroku guardandosi intorno, come se avesse paura che qualcuno la
vedesse. “Ti volevo chiedere una cosa” Il volto del ragazzo si illuminò
d’immenso. “Ma deve restare tra noi due, chiaro?”
Miroku
annuì, impaziente. Qualsiasi desiderio, richiesta, pensiero di Sango era musica
per le sue orecchie pronte ad obbedire.
“Questa
sera mio fratello ha una partita di basket. Voglio che tu venga con me. Vorrei
che mi dessi un parere sulle loro condizioni fisiche.”
“Certo.
A che ora?”
“Alle
20.00. non dire nulla a nessuno. Nemmeno a Inuyasha. Non vorrei che vengano messe in giro strane chiacchiere riguardo a noi.”
“Sarò
muto come una tomba”
L’ho
visto entrare in classe come se avesse un missile legato dietro alla schiena.
Ha saltato a piè pari il tavolo atterrando sulla sedia di fianco a me. Mi sono
domandato con quale tipologia di proteine si fosse alimentato
alla mattina. Miroku è sempre stranamente pimpante, di fronte agli altri. Ma
così era a dir poco preoccupante.
“Ho
una cosa fantastica da dirti, ma che non posso dirti.”
“E
allora stai zitto.”
Sbuffò.
“Ma non posso tacere, è troppo bella!” Prende un bel respirane. E’ emozionato.
Il sorriso gli sfiora le orecchie. “Sango mi ha chiesto un appuntamento!”
gongola a mezza voce.
Non
ci credo nemmeno se lo vedessi qui davanti ai miei
occhi.
“Credici,
scemo! E’ per stasera. Ha usato una scusa un po’ stupidina…”
ridacchia, il pensiero rivolto altrove. Mi racconta della partita di Basket.
“Ci
deve essere qualcosa sotto. Sango non è il tipo da proporti di uscire.”
Lui
tossisce. “Cioè… tutta la storia non te la posso dire… ma sappi che è
impensabile che sia una scusa!”
Questa
storia non mi convince. “Anche io ho una novità.”
“Spara!”
“Stò…. Uscendo con Kagome.”
“Non
ci credo nemmeno se lo vedo.”
Miroku,
per l’ennesima volta dimostri la tua neurodeficienza.
Ai bambini dovrebbero impedire di
prendere degli strumenti musicali in mano…
A
questo pensava Sesshomaru, pentendosi di non essersi portato i tappi di cera
per le orecchie. Jaken era in piedi in mezzo al corridoio tra le sedie del
piccolo auditorium della scuola di Rin, incaricato al
servizio fotografico.
Sino
ad ora si erano alternati sul palco un piccolo coro di stonatissimi
mocciosi, un infante pianista confusionario, e un chitarrista che aveva
abbandonato il fascio di luce piangendo, dopo che una corda della chitarra si
era rotta. Quella sera Sesshomaru non avrebbe avuto bisogno di nessuna
camomilla per dormire.
Rin,
avvolta in un abitino rosso fiorato, un fermaglio luccicante di HelloKitty nei capelli, entrò
leggermente rossa in viso. Aveva imbracciato il suo violino e si era messa a
suonare, un pochino stentata, L’Inno alla Gioia di Beethoven.
Aveva
finito la piccola esecuzioni tra gli scrosci di
applausi di tutti i genitori presenti in sala e i flash impazziti di Jaken, che
si districava tra la macchina fotografica e la videocamera, timoroso di aver
perso un qualche momento dell’esibizione e di far montare su tutte le furie il
suo padrone. La bambina aveva fatto un paio di inchini, sorridendo imbarazzata,
e quando era riuscita a scorgere Sesshomaru tra la folla aveva agitato la mano
furiosamente, radiosa.
Mentre
lei usciva dal palco, e Sesshomaru ripiombava in uno stato catatonico, saliva
sul palco una minuta flautista dai voluminosi capelli candidi.
Quando
finalmente la tortura sonora giunse alla fine,
Sesshomaru ordinò a Jaken di andare da Rin, che stava
ricevendo le congratulazioni di altri genitori ed insegnanti, e di chiederle se
voleva un passaggio a casa.
Appena
vide il maggiordomo avvicinarsi la bambina volse le spalle alle altre persone
quasi senza salutare, e corse verso Sesshomaru, saltando con un agile e
imprevisto balzo anche il povero Jaken, che cadde a terra tremante.
“Allora,
le è piaciuto il mio pezzo, signor Sesshomaru?” domandò, con gli occhi tremanti
dall’emozione.
“Diciamo
che sei stata l’unica che non mi ha fatto rimpiangere di aver scordato a casa i
tappi per le orecchie.”
La
bambina saltellò dalla gioia: “Davvero? Davvero? Oh, come sono contenta, come
sono contenta! Ho provato e riprovato, mi sono esercitata tantissimo per questo
saggio! Lei non sa come sono contenta!”
Jaken,
l’attrezzatura per la videoregistrazione a tracolla che gli impediva i
movimenti, li aveva finalmente raggiunti, madido di sudore.
“E
a te sono piaciuta Jaken?”
“Pant… pant… la penso come il
signor Sesshomaru…”
“OH!
Grazie Jaken, sei fantastico!”Rin
abbracciò di slancio il maggiordomo, che rovinò nuovamente a terra.
La
bambina dai voluminosi capelli bianchi passò accanto ai due. Rin la salutò con calore, mentre lei fece un piccolo cenno
con la mano.
“…invidiosa?”
commentò l’uomo.
“No,
no! Lei è sempre così. E’ la mia amica Kanna. E la
signorina che è venuta a prenderla credo proprio che sia sua cugina. Me ne ha
parlato tanto…”
Sesshomaru
si volse un poco, nel punto indicato dallo sguardo di Rin.
E inizialmente rimase di stucco, anche se tentò di non darlo a vedere. Poi
decise che la cosa era sicuramente ridicola. La donna verso cui Kanna andava incontro, e che in quel momento aveva
incrociato lo sguardo rubino con il suo d’oro, era KaguraOnigumo.
“La
conosce, signor Sesshomaru?” a Rin non scappava mai
nulla?
“…di
vista…”
“Buonasera,
Signor No Taisho”
“Buonasera
Signorina Onigumo”
Un
silenzio imbarazzato scese su di loro. Rin decise di
romperlo “Ha sentito, signorina Onigumo, com’è stata
brava Kanna?”
La
bambina dai capelli bianchi volse intimidita lo sguardo al pavimento,
nascondendo il viso tra la chioma.
“Si,
sono proprio orgogliosa di lei. Anche tu sei stata molto brava. Sei Rin, giusto? Kanna mi ha parlato
molto di te. Non sapevo che tu e il signor No Taisho foste parenti.”… Nipote? Cuginetta? Sorellastra? Figlia Segreta? Si domandò la
donna, avendo cura di incrociare lo sguardo di Sesshomaru il meno possibile.
“Oh,
no!” rispose la bambina, con semplicità. “Il Signor Sesshomaru è il mio vicino
di casa. Praticamente sono sempre a casa sua a svuotargli il frigo, e così ho
pensato che avrebbe gradito che gli dedicassi il mio saggio!”
“Che
pensiero carino…”
“grazie!”
Un
altro velo di silenzio cadde tra i quattro.
“Kanna! Perché non ci facciamo offrire un bel gelato, visto
che siamo state così brave?”
“…”
“…”
“Per
me va bene…” mormorò l’altra bambina.
Kagura
tentò di rimediare. “Forse è un po’ tardi Kanna…
dovremmo andare a casa…”
“Oh,
suvvia! Parliamo di un gelato, non di una cena intera!” insistette Rin. “Andiamo, Kanna, recuperiamo
gli strumenti e poi andiamo a prenderci il nostro gelato!” Detto ciò, prese
l’altra bambina per un braccio e la trascinò verso il palco.
“Aspettateci
li! Non muovetevi!” Si raccomandò, prima di sparire dietro tra le quinte.
“Jaken,
valle a dare una mano.” Ordinò Sesshomaru al maggiordomo, che, trattenendo un
gemito di sconforto, si diresse, con l’attrezzatura sempre addosso, verso il
posto dove si erano dirette Rin e Kanna.
“…”
“…”
“…”
“…com’è
piccolo il mondo, eh?”
“Già…”
l’uomo fissò di sottecchi la donna. Anche con addosso un
paio di semplici pantaloni neri ed un cappottino grigio, risultava elegante
tanto quanto con addosso un vestito da sera.
“quindi…
immagino che abbia avuto una discussione con suo fratello, ieri?”
Lei
annuì, fingendo noncuranza. “Intende adottare un’altra strategia. Non si vuole
lasciar sfuggire un alleato come lei.”
“…
che tipo di strategia, Vesper?”
Lei
lo guardò indecisa sul da farsi. “Diciamo, James, che dovrà stare molto attento.” Le
bambine erano rispuntate, dalle quinte, con gli strumenti e gli spartiti in
mano. “Non abbiamo molto tempo”
“Per
le soffiate di stampo spionistico-industriale o per il
gelato?”
“Per
entrambi.” Mormorò. “Possiamo trovarci in un altro luogo.”
“Più
tardi va bene?
“Per
me sarà difficile, ma ci proverò. A Mezzanotte precisa nel parcheggio sul retro
del Centro Commerciale.”
“Allora,
dove ci portate per questo gelato?”
“Quindi?”
“Quindi
non mi hai dato nemmeno un bacio.” Miroku,
imbronciato, uscì dalla palestra degli Spider Basket Team finendo ancora i
dolciumi gommosi che aveva comprato al bar un’ora prima.
Sango
alzò gli occhi al cielo, esasperata. Quel dannato ragazzo non cambiava davvero
mai!
“Nemmeno
per ringraziamento!” insistette lui, guardandola accigliato. “non dovresti
giocare così con i sentimenti di un tuo amico, Sango. Ogni tuo diniego è una
pugnalata al cuore!” si picchiò il petto, fingendo una stilettata sulla parte
sinistra.
Sango
non potè trattenere un sorriso. “Eravamo venuti qui per un motivo.”
“Ah.
Già.” Miroku finì di succhiare, tentando di darsi un tono sensuale, una caramellina. “Secondo me sono
steroidi e anabolizzanti.”
“E
me lo dici così?” Sango era shockata. Suo fratello, a dodici anni, riempito di
steroidi e anabolizzanti?
“E’
da quando li ho visti entrare in campo che penso a
come dirtelo.” Miroku si infilò un’altra caramellina
in bocca. “Questo è l’unico modo che mi veniva in mente. Deve essere
l’influenza di Inuyasha.”
“E
adesso cosa facciamo? Li denunciamo?”
“Non
abbiamo le prove. Possiamo filmarli per la prossima partita e potremmo cercare
di recuperare dagli archivi della società la cartella sanitaria di Kohaku. O fargli fare un prelievo del sangue coatto.”
Gli
occhi di Sango si riempirono di lacrime di frustrazione. “Ma intanto mio
fratello continuerà ad assumere quelle schifezze!”
“Non
abbiamo altra scelta, mi dispiace…” Miroku sembrava davvero dispiaciuto, mentre
l’abbracciava e le accarezzava i capelli. “Vedrai andrà tutto bene. Davvero.
Studieremo un piano e Tireremo tuo fratello fuori dai
guai, va bene?”
Sango
annuì, passandosi velocemente le dita sugli occhi. Cercò di sorridere. In
fondo, non sapeva bene perché, ma il ragazzo le ispirava fiducia. “Hai ancora
qualche caramellina?”
Miroku
guardò il contenitore di cartone vuoto. “Oh… pensavo che ce ne fossero ancora…”
Poi le rivolse uno sguardo terrorizzato, mentre gli occhi le puntavano sui
capelli: “Oddio… te li ho rovesciati in testa mentre
ti abbracciavo!”
“MIROKU!”
Per
attirare meno sguardi possibili, Sesshomaru aveva deciso di lasciare a casa l’AstonMartin e di “prendere in
prestito” l’utilitaria personale di Jaken.
Alle
23.58 era appostato in un luogo buio del parcheggio indicato dalla donna, e si
guardava intorno nella speranza che lei comparisse da un momento all’altro.
Alle
23.59 la sua mente vagava tra i film di JamesBond (Maledetta la sua mania su quei film… ogni tanto si
immedesimava troppo nel personaggio. Beh, poteva andargli peggio. C’è chi
adorava Tre Metri Sopra il Cielo.) e si faceva strada verso di lui il pensiero
che Kagura si sarebbe presentata spalleggiata da un
paio di sicari. Magari nascosti sul tetto pronti a far
fuoco su di lui, bersaglio mobile. E lui non aveva la sua semiautomatica con
se. Sbuffò, scrocchiandosi le dita. O la smetteva di
guardarsi quei film, o cercava il modo di avere la licenza d’uccidere.
Certo
che era stato proprio un cretino, a paragonare Kagura
a Vesper. Vesper aveva
tradito Bond, dannazione. Gran bella gnocca quanto
vuoi, ma Bond ci aveva quasi rimesso le penne in
Casinò Royale, oltre ad una discreta razione di
scorno.
“Sesshomaru,
basta con queste Cazzate…” tentò di convincersi.
Eppure da NarakuOnigumo ci
si doveva aspettare di tutto. I suoi rapporti con la mafia locale erano ben più
di una chiacchiera qualsiasi.
In
quel momento, un’altra piccola e scalcinata utilitaria entrò nel parcheggio,
illuminando l’angolo buio dove Sesshomaru stava attendendo.
L’auto
parcheggiò vicino a lui, e Kagura abbassò il
finestrino. “Sali tu qui o salgo io li?”
Sesshomaru
guardò la macchina storcendo il naso. “Non ho mai fatto l’antitetanica, non mi
fido, vieni tu qui.”
La
donna sospirò e scese dalla macchina entrando in quella dell’uomo. “Non è che
la tua sia messa meglio.”
“E’
quella del mio maggiordomo”
“E
quella li è quella del giardiniere.”
“Lo
tenete alla fame, quel povero giardiniere?”
“Non
credo che tu elargisca un salario più alto al tuo maggiordomo, Sesshomaru.”
Touchè.
“Parliamo
di cose serie. Che intenzioni ha Naraku.”
“Cercherà
di corrompere quanti più funzionari statali per farti mettere il bastone fra le
ruote. Inizialmente sarà burocrazia, poi controlli frequenti in azienda, e alla
fine farà in modo che trovino un presunto falso in bilancio, o qualche strano
“traffico” o altra grave irregolarità.”
“Carino,
il gioco sporco.”commentò. “Tutto questo se non
sottoscrivo l’accordo, vero?”
Lei
annuì. “Tra due giorni dovrò richiamarti, per proporti un altro incontro, e ti
presenterò un nuovo accordo, lievemente modificato, ma il succo sarà sempre
quello. Tu dovrai firmarlo, se vorrai essere al sicuro da ogni problema.
Dopodiché, se non andrà ancora bene, Naraku inizierà
il… Gioco Sporco. Cercherà di portarti all’esasperazione finché non cederai.”
“Io
non ho intenzione di cedere.”
“E
allora preparati ai guai, Sesshomaru.” Sembrava dispiaciuta. “…James….”
“E’
un’altra parte del piano di tuo fratello, quella di spifferarmi tutto in
anticipo?”
Lei
scosse la testa. “Sono qui di mia spontanea volontà. Per uscire di casa mi sono
dovuta travestire da inserviente e manomettere le telecamere di sicurezza. Mio
fratello ha occhi ovunque.” Sospirò. “Avevo intenzione di mettere un manichino
sotto le coperte per simulare il mio corpo, pensa un po’. Ma non ho trovato alcun
manichino. E stasera, ad ogni modo, mio fratello non sarà in casa prima delle
3. Riunione d’affari in altra città.”
“Leciti?”
“Dubito…”
Sesshomaru
gettò il collo all’indietro, come per stiracchiarsi. “Come faccio a fidarmi di
te?”
“…
hai ragione, io sono Vesper” la donna sospirò di
nuovo. “Non ho nulla per convincerti.Fai come meglio credi.”
“La
privacy a casa vostra non esiste?” Kagura rivolse a
Sesshomaru uno sguardo incuriosito. “Hai detto che dovevi mettere un manichino
sotto le coperte. In genere succede agli adolescenti che scappano. Non mi dire
che tuo fratello controlla anche la tua camera.”
Lei
deglutì, lo sguardo perso altrove. “Come ti ho detto, mio fratello controlla
tutto.”
“Soprattutto
la sorella.”
Lei
annuì.
“E
forse pensi che io, che sarei un osso più duro di tuo
fratello, ti possa liberare. Vero?”
Lei
lo fulminò con lo sguardo, come se l’avesse insultata. “Sono una donna adulta
ed indipendente. Cosa mi credi, una damigella in una torre che aspetta il
Principe Azzurro? Dico, ma tu credi di aver l’aria di un fottuto
Principe Azzurro?”
Strinse
i pugni, ciocche di capelli sparse sul volto in fiamme. “Per chi diavolo mi hai
preso, per un’idiota?”
Sesshomaru
si avvicinò il suo volto al suo e le prese il mento tra le dita. “Ti ho già
detto che adoro le donne furiose e minacciose?”
Le
loro labbra si incontrarono, solo per pochi istanti. Mentre Sesshomaru
l’attirava a sé, accarezzandole il petto, lei si ritrasse con una malcelata
smorfia di dolore sul volto.
L’uomo
rimase interdetto. Un suo pregio inconfondibile era la sua delicatezza. Tutte
le sue amanti impazzivano per il suo “tatto magico”
“…un po’ troppo focoso, forse?”
“No.
Scusami. Io… Devo andare.” Aprì la portiera e scappò sull’altra macchina,
mettendola in moto. Un ultimo sguardo all’uomo, e poi sparì nella notte,
accelerando rumorosamente.
Sesshomaru
rimase qualche istante a fissare il volante. Poi guardò la strada da dove era
sparita la donna e pensò che quello che aveva visto fosse
solo la punta di un iceberg.
Oltre
al talento del disegno, possiedo pure il talento di fare più cose in una volta:
per la precisione, lavorare al fumetto bevendo una coca cola sgranocchiando
patatine e fumando una sigaretta.
Si,
in effetti il bolo di cibo che ho in bocca non un
sapore molto gradevole, e cinque minuti fa ho tentato di disegnare con la
sigaretta mentre mi fumavo una patatina, ma il tempo è denaro, io non ne ho
molto e ho tante cose da fare. Di cui nutrirmi è la più importante, ovviamente.
Ormai
è da un mese e mezzo che questa è la mia stanza. E sono dieci giorni esatti che
io e Kagome stiamo insieme, tra alti e bassi. I bassi sono
dovuti al sottoscritto, principalmente. In parte perché… beh, non ci
sono abituato a queste cose. Per quanto stia bene con
Kagome, incontrare le sue amichette ridacchianti mi fa sempre venire l’acidità
di stomaco. Ed in parte perché… Beh, so che ciò fa di me uno stronzo, ma non riesco a non pensare che Kikyo sia sua
cugina. E non riesco a smettere di pensare a lei.
Penso
al sollievo che provavo quando la vedevo scendere alla
fermata dell’autobus dall’altro lato della strada, penso al cuore che mi
mancava di un battito quando la vedevo attraversare il corridoio, penso a
quando mi infilavo di nascosto nell’infermerie.
…
Penso a quando ci baciavamo. Penso alle mie mani sotto
la sua maglia leggera. Penso alle sue mani sulla mia schiena.
…
Penso al pavimento fresco, e ai nostri corpi caldi. Ai baci, alla sua voce, ai
suoi capelli che mi solleticavano la faccia,alle mie labbra sulle sue, sul suo
collo, sul suo petto…
…io
impazzisco, giuro. Finisco sigaretta e coca cola praticamente in contemporanea.
Getto la matita di lato, La camera è piena di nebbia
al tabacco. Se entrasse Jaken si incazzerebbe di
brutto. Apro la finestra, e lascio che l’aria fresca di fine ottobre entri
nella mia stanza e spinga fuori il fumo.
Mi
sforzo di pensare a Miroku, che vuole organizzare una festa di Halloween, questo fine settimana. E pretende che io mi
travesta, come lui. Non so proprio da che parte iniziare. Da cosa posso
vestirmi? Il mio fumetto non è ancora così famoso da tentare un cosplay. Però il mannaro potrebbe andare bene, come
travestimento. Chissà da cosa si vestirà Kagome.
Kagome.
La sto prendendo in giro? Sbatto la testa sul davanzale della
finestra quattro o cinque volte. Io ai trent’anni
non ci arriverò mai, continuando così. Diventerò un alcolizzato e morirò sotto
un ponte in preda alle mie turbe mentali. Quando sono con Kagome mi sento sulla
montagna più alta del mondo. Lei è così morbida, dolce… e sa di vaniglia. Io ho
sempre adorato la vaniglia, mangerei quintali di gelato con questo gusto. E poi
mi abbraccia e mi tiene stretto così tanto che sembra che voglia fondersi con
me. Ripenso a ieri, che, approfittando di uno Shippo
ipnotizzato dai cartoni, ci siamo lanciati sotto il tavolo per un paio di
minuti. Quando siamo riemersi lei era rossa come un peperone e tentava di far
finta di nulla, mordicchiandosi le labbra per non ridere. Quando sono con lei
non penso mai a Kikyo. Beh, quasi mai. Kagome ha la bruttissima abitudine di
nominarmi sua cugina, ogni tanto. Ma quando lei non c’è… Kikyo si fa strada
nella mia testa e bussa alle mie meningi, forza la serratura ed entra. Non si
può vivere così…
BIIIIP BIIIIP! Il telefono reclama la mia attenzione. E’ un
messaggio. Kagome:
“Ciao Inu!
Cosa stai facendo? Avevo una mezza voglia di andare a fare un giro, stasera.”
Sorrido.
“Per me va bene, Dove vuoi andare?”Mi dirigo verso il bagno con
il cellulare in mano. Kagome odia l’odore di fumo, mi ha già chiesto un paio di
volte di smettere. Io diciamo che ho ridotto. Un po’. Beh, giusto la sigaretta
del mattino, prima di andare a scuola…
“Una Cioccolata al bar vicino a casa
mia?”
“Ok, parto tra
cinque minuti.”
Sul
pianerottolo incontro mio fratello, che esce dallo “studio” del piano. Lo
saluto distrattamente e lui risponde allo stesso modo. Come sempre, in questi
ultimi giorni non ci siamo parlati molto,ma noto che sembra diverso. La sua
faccia è impassibile, ma il suo umore mi sembra più variabile ed imprevedibile.
Un secondo prima sta cenando tranquillo, degustando il
vino come suo solito e ascoltando con aria distratta le notizie del
telegiornale. Un attimo dopo si alza di scatto e va al pc
a controllare la posta. Poi guarda il cellulare, il palmare (che è praticamente
la stessa cosa del computer) e torna alla sua sedia come se niente fosse.
Deve
esserci di mezzo quella donna che ho visto sgattaiolare da casa un paio di
settimane fa…L’ho vista solo di sfuggita… ma aveva un
posteriore niente male. Sesshomaru ha gusto per queste cose, devo rendergliene
atto.
“AH,
Inuyasha!” esclama. Che vuole adesso? Mi volto, guardandolo di traverso.
“Ti
pregherei di smettere di fumare in
camera.”
“La
camera è mia, che fastidio ti dà? Non la devi usare tu, no? E poi tengo la
porta chiusa.”
“L’odore
di fumo passa ovunque. E io lo odio.” Si volta e scende dalle scale.
Lo
mando a quel paese silenziosamente e proseguo per i miei affari.
Sesshomaru
entrò nel salotto a pianoterra. Jaken stava mettendo in ordine i cuscini del
divano.
“Non
c’è Rin stasera?” domandò al maggiordomo.
“Oh,
no, signor Sesshomaru, la bambina questa sera rimarrà a casa. I suoi genitori
sono tornati da Los Angeles e rimarranno qui sino a domenica sera. E’ passata
cinque minuti fa, mentre lei era in bagno, si è scusata per non poter restare
stasera e ha aggiunto che passerà domani pomeriggio, dopo la scuola.”
Sesshomaru
annuì. Non capiva l’atteggiamento di Rin verso i suoi
genitori. La lasciavano costantemente sola, non si curavano molto di lei, ma
non appena chiamavano prospettando un loro ritorno (in genere regalandole un
preavviso di poche ore, se non minuti), la bambina andava in brodo di giuggiole
e perdeva la testa. Si abbandonò su una poltrona, accendendo la televisione senza
prestargli tuttavia grande attenzione. Forse anche lui era stato così da
piccolo, nei confronti di suo padre. Cercò di concentrarsi per ricordarsi
qualcosa, ma gli venne in mente soltanto la rabbia provata
quando se ne era andato di casa con “quella donna”.
La
televisione gli proponeva soltanto programmi inutili. Dopo un annoiato zapping
decise di spegnerla e di dedicarsi ad un libro. Prima, però, passò davanti al
computer e gettò un’occhiata alla casella di posta elettronica. Qualche spam (Enlargeyourpenis! Prometteva una mail. Come se lui ne avesse bisogno…), una mail di lavoro e un’altra newsletter di un quotidiano
finanziario. Nessuna e-mail interessante.
E
dopo la telefonata di qualche giorno prima, nessun segno di vita da parte di Kagura. Come gli aveva detto durante il loro ultimo
incontro (Numi del Cielo, ma davvero Sesshomaru si era presentato su quella
carretta di Jaken?) aveva ricevuto la chiamata da lei e da suo fratello, come
ultimo tentativo, giusto un paio di giorni più tardi. Lui aveva tergiversato,
rimanendo più sul no che sul si, e negando un ulteriore incontro
chiarificatore. La voce di Naraku, al telefono,
tradiva un malcelato disappunto, preludio a una tempesta che la sorella gli
aveva preannunciato. E che sino a quel momento non si era verificata, ma tant’è, erano passati solo pochi giorni.
Forse lei è riuscita a calmarlo e a
lasciar perdere. Pensò Sesshomaru,
dirigendosi verso la libreria e cercando un qualche volume da sfogliare. O forse lui ha sfogato al
sua ira su di sua sorella. Disgustato, l’uomo gettò il libro sullo
scaffale. Prontamente, Jaken ripristinò la sua esatta collocazione.
Non
aveva modo di contattare la donna. Certo, aveva il suo indirizzo e-mail, e
anche il suo cellulare aziendale. Ma di certo a Naraku
non sarebbe passato inosservato un contatto tra loro al di fuori dell’orario di
lavoro. Quando l’aveva sfiorata, sull’auto, lei si era ritratta dolorante. Che
diavolo aveva?
Inuyasha
irruppe nella stanza, puntando verso il corridoio. “Io esco.”
Giusto,
un bel giro in macchina l’avrebbe distratto e gli avrebbe scrollato di dosso la
noia. “Jaken, la giacca.”
Come
se il maggiordomo l’avesse sempre a portata di mano,Sesshomaru si trovò la giacca addosso
con le chiavi dell’auto in tasca. Suo fratello lo notò. “Esci anche tu?”
“No,
vado a farmi una doccia a casa dei vicini.” Rispose
sarcastico. Inuyasha roteò gli occhi dorati al cielo. “Dove vai?”
“Al
Tempio scintoista.” Sesshomaru espresse sorpresa per
l’alto valore spirituale del fratello.
“Vado
a prendere la mia ragazza”
“Hi!
Ti sei messo con una monaca! Crescere fra le pinguine
ti ha fatto male…”lo stuzzicò.
Inuyasha
lo salutò con il dito medio alzato. “Sesshomaru, ma vai a cagare…”
Brrr. Fa
freddo. Anche se mi sono imbottito bene e ho una sciarpa di
un metro avvolta intorno alla faccia, andare in bici a fine ottobre è
terribile.
Se
poi quella benedetta ragazza si muovesse… la sto
aspettando sotto casa da un quarto d’ora ormai. Mi soffio sulle mani: l’aria mi
ha reso le dita dei ghiaccioli.
Vedo
un’ombra muoversi nel vialetto buio del Tempio: “Era ora!” le urlo.
L’ombra
arriva sotto il lampione. Dannazione, non è Kagome, è Kikyo. E le gambe mi
ritornano molli molli.
“Ciao.”
Biascico, fingendo che il tremore sia dato solo dal freddo.
“Ciao”
risponde, guardano per terra. “Kagome arriva subito.” Si infila le mani in
tasca nervosamente, giocherellando con le scarpe. “Non sapeva cosa mettersi…”
Mi
assale il dubbio che anche lei viva qui.
“Oh,
no. Ero solo qui per cena…!” Risponde. “Senti… Inuyasha, io…”
“ECCOMI!”
Kagome percorre il vialetto in tre balzi e mi è subito al fianco, schioccandomi
un bacio sulla guancia. Sprizza gioia da tutti i pori, mentre io cerco di
affogarmi nella sciarpa. “Ti ho fatto aspettare molto?”
“Altroché!”
“Scusami…
andiamo per la cioccolata?”
Annuisco.
E gradirei anche alla svelta. Kagome si volta verso sua cugina. “Vuoi unirti a
noi?Qua la cioccolata è buonissima!”
Cosa?
Ma sei pazza? Lei non può vedere, ma io credo di aver perso qualsiasi colore
dalla faccia, a parte una vaga sfumatura blu morte. Faccio furiosamente segno
di no con la testa a Kikyo. Ti prego, ti scongiuro. Non venire, non venire, non
venire! La cioccolata è anche afrodisiaca…
Per
mia somma fortuna, Kikyo pare aver capito la situazione. “No, grazie… domani ho
lezione alle 8.00. Divertitevi, e tornate a casa presto! Saluta e si dirige nella
parte opposta alla nostra, sparendo ben presto dietro ad un angolo, quasi
andando di corsa. Dal sollievo vorrei vomitare…
Kagome
mi bacia. “Avevo davvero voglia di vederti. Sai, non ho molta voglia di andare
a prendermi una cioccolata. In casa ci siamo solo io e mio fratello. Nonno è ad
una gita per la terza età, e mamma è uscita con due sue colleghe. Ti va di
entrare?”
“Ma
tu non sei normale!” abbaio. “Mi lasci qui fuori a congelare perché non sai
cosa metterti per poi rimanere in casa?”
“Io
sono in ritardo solo perché mio fratello stava occupando il bagno!” protesta
lei. “Secondo te, ci impiego un quarto d’ora per decidermi poi di mettere jeans
e maglietta?”
…ho
il dubbio che Kikyo mi abbia detto una bugia e sia uscita
apposta proprio in quel momento… “Va bene, entriamo…”biascico, mentre la seguo per il vialetto. Da
come cammina, e dalla distanza che ci separa, direi che le ho rovinato il buon
umore.
Suo
fratello mi accoglie calorosamente, come se non vedesse l’ora di vedermi.
Sembra che straveda per me, e mi invita a una partita a playstation
di Tekken. Guardo Kagome, che non ricambia,
preferendo una parete a me, e poi di nuovo Souta. Che
diamine. Vorrei proprio giocarci…
“Kagome,
ti scoccia se…”
“SI!”
La sua faccia è terribile. Mi faccio piccino piccino in un angolino a terra, mentre Souta è madido di sudore. “Facciamo un’altra volta, è
meglio…”
Sesshomaru
decise di dirigersi fuori città, verso le prime colline e di lanciare la sua
auto in velocità sui tornanti. Al terzo semaforo rosso, con la pazienza ormai
in scadenza, si abbandonò sul sedile sbuffando. E in quel momento il suo
cellulare suonò. Guardò il display colorato. Numero Privato.
“Si?”
“James?”
Dalla
sorpresa l’uomo si riscosse, dando un involontario colpo al clacson. L’uomo
davanti a se alzò il braccio per accompagnarlo a quel paese.
“Si?
Vesper, sei
tu?” Inutile dirlo, usare quei nomi in codice, adottati la sera che l’aveva
portata nella sua stanza, era una cosa che lo intrigava. Il fascino dei loro
incontri praticamente proibiti, e il
pericolo latente che sovrastava la frequentazione della donna, lo attirava.
“Ho
poco tempo, ti disturbo?”
“Dimmi”
“Sono
in una cabina telefonica davanti al pub Black Friar”
“Libera
uscita?” Sesshomaru fece partire il programma di navigazione satellitare sul
palmare. Il Pub non era molto lontano da dove si trovava lui. “ti manca la
compagnia per far baldoria?”
“Se
non hai nulla di meglio da fare…”
Il
semaforo divenne verde e Sesshomaru seguì le indicazioni stradali del palmare.
Io
adoro la famigliare regola ferrea che impone ai ragazzini di andare a letto
alle dieci. E adoro i ragazzini obbedienti come Souta, che
seguono alla lettera, quasi senza lamentarsi, gli ordini delle sorelle
maggiori. E adoro il fatto che, finalmente, sono riuscito a far togliere il
broncio a Kagome. Un po’ facendole vedere il fumetto, che sta crescendo, e un
po’ facendo gli occhi dolci e abbracciandole le spalle.
Ma
la cosa che adoro più di qualsiasi altra cosa al mondo, è che il divano di casa
Higurashi (Santi numi, che cognome impronunciabile
che ha la mia ragazza) sia così comodo per le pomiciate
adolescenziali.
E
che Kagome si stia lasciando andare più di ogni mia più rosea aspettativa. Non
avere nessun moccioso fra le scatole porta davvero i suoi frutti. Ci stiamo
baciando da dieci minuti, quando praticamente senza accorgermene è finita
letteralmente a cavalcioni sulle mie ginocchia. Non frena nemmeno
l’esplorazione della mia mano sotto la sua maglietta. La stringo ancora di più
verso di me. “Hey! Vacci piano!” protesta,
abbandonando per un istante le mie labbra. Ha le guance in fiamme, e io mi
sento la gola riarsa. Forse è meglio lasciar perdere perchénon so bene fino a che punto riescirei ad
arrivare senza perdere la testa e non fermarmi. Però la
continuo a tenere sulle mie ginocchia, qualche centimetro vitale più
lontano da me.
“Hai
deciso da cosa vestirti per la festa di Miroku?” mi domanda lei.
Alzo
le spalle. “Mannaro, credo.”
“Hai
la fissa con i Mannari!” Ridacchia. “Invece il mio vestito è una sorpresa.”
Dai,
dimmelo. Cerco di convincerla. Lei scuote la testa. La bacio di nuovo. I suoi
occhi castani le brillano.
Sentiamo
un rumore di chiavi nella toppa di casa, e io mi ritrovo improvvisamente ad
avere il joystick della playstation
fra le mani, al posto della mia ragazza, mentre al mio fianco Kagome è nella
mia stessa identica posizione con l’aria più innocente del mondo. Comincio a
pensare che questa sia una tecnica già rodata, a casa Higurashi.
“Oh!
Ciao Mamma!”
“Ciao
Tesoro!” La mamma di Kagome mi guarda stupita e poi mi sorride. “OH, ciao! Tu
devi essere Inuyasha! Kagome mi ha parlato molto di te!”
“MAMMA!”
“’sera,
eh!” Forse è ora di andare a casa. Mi alzo. “Bene, Kagome, tua madre è
arrivata, quindi tu… tu non hai più bisogno di compagnia… non hai più paura,
no?” Sono un pessimo attore, non riesco a nascondere nemmeno la più blanda
forma di imbarazzo.
“Esatto!”
esclama Kagome. Lei sembra più naturale. “Ti accompagno al vialetto.”
“Già,
non si sa mai che mi perda…”
La
madre di Kagome cinguetta un saluto, che io ricambio. “Torna presto a
trovarci!” si raccomanda.
Kagome
mi trascina fuori. “Santo cielo, che imbarazzo!” commenta, arrivati alla mia
bicicletta. Smentisco di essermi trovato in difficoltà. Mi chino verso di lei
per baciarla. “Hai fatto proprio bene ad invitarmi fuori, questa sera…”
sussurro, a fior di labbra. “Si, lo so che sono un
genio” mi risponde, ridendo.
“I
tuoi vanno fuori spesso?” lei scuote la testa “Saper cogliere la palla al balzo
è un’arte!”
“Allora
la prossima volta verrai a casa mia.” E’ un invito,
non può mancare, e infatti annuisce. Ci scambiamo la
buona notte. Anche se devo dire che dopo il nostro scontro sul divano io ci
impiegherò un po’ di tempo per addormentarmi. Forse prima dovrei farmi una
doccia gelata…
L’AstonMartin era lanciata ai 140 all’ora sui tornanti delle colline fuori dalla città, ma Kagura non ne sembrava per niente intimorita. Sesshomaru
teneva bene il volante, e la sua guida era pulita e sicura.
La donna ruppe il silenzio:
“Ti vedo bene come pilota di rally”
Lui
scosse la testa: “Il rally e da rozzi. La Formula Uno è decisamente al
mio livello.”
Sterzò
verso una piccola stradina che portava al parcheggio di un punto panoramico
delle colline. Frenò e spense il motore. “Che bella vista” commentò Kagura, liberandosi dalla cintura di sicurezza. “Non lo
conoscevo questo posto.” Scivolò sul sedile e si avvicinò all’uomo, avvicinando
il viso al suo collo.
Lui
non ricambiò, lo sguardo fisso alla città illuminata. “Perché l’altra sera ti
sei ritratta? Ti faceva male qualcosa?”
Lei
finse sorpresa. “Non ne avevo molta voglia… e poi in un parcheggio di un
supermercato non mi sentivo sicura e…”
L’uomo
le rivolse uno sguardo scettico, prima di passare la mano nel punto esatto in
cui l’aveva passata l’ultima sera che si erano visti. Anche questa volta, Kagura trasalì impercettibilmente. Senza aspettare altro,
Sesshomaru armeggiò con i bottoni della camicetta, non dando adito alle debole scuse della donna. Lei gli prese le mani con
fermezza. “Ti prego, lascia stare.”
I
loro occhi si incontrarono.“Naraku se l’è presa con
te?” La donna sembrò esitare un attimo, poi annuì piano.
“E
tu stai cercando di rimediare a quello che lui giudica “un tuo errore”?”
Questa
volta lei scosse la testa. “Sarebbe più facile, se io cercassi di convincerti a
tornare sui tuoi passi, ad accettare l’accordo, ma non ci provo nemmeno a
farlo. Riuscirei di certo a farti cambiare idea, non è vero Sesshomaru? Tu sei sagace,
determinato, irremovibile. E so che questa battaglia non potrei vincerla. E lo
sa anche Naraku.” Si ritrasse sul suo sedile “Per
questo ha deciso che giocherà tutte le sue carte illecite. Per fartela pagare.”
L’uomo
alzò le spalle.
“Già
dalla prossima settimana inizierà quello che già di ho
raccontato la volta scorsa. Intimidazioni burocratiche e via dicendo.
Guardatene bene, Sesshomaru.” Aprì il finestrino dell’auto e si accese una
sigaretta. “Non pensare davvero che io ti stia chiedendo di liberarmi da lui.
E’ una cosa che posso fare anche da sola, non sono un’idiota.”
“E
allora perché mi hai chiamato?” Anche l’uomo aprì il finestrino, infastidito
dal fumo.
Lei
rimase in silenzio un secondo.“Per prendere una boccata d’aria fresca.” Rispose
semplicemente. “E’ meglio che mi riporti indietro, ora.”
“E
se ti portassi a casa mia? Così, per farti prendere un’ulteriore boccata d’aria
fresca”
Lei
sorrise amaramente. “Sei uno che mira dritto al punto,
eh?” Inspirò un’altra boccata di tabacco. “Non mi dispiacerebbe nemmeno sulla
macchina, però…”
“Scordati”
rispose Sesshomaru, quasi offeso, avviando l’auto. “L’AstonMartin è SACRA.”
Si,
la doccia gelata era quello che ci voleva. Mi infilerò sotto le coperte, ora,
con l’ultimo numero di un fumetto che ho appena preso, e mi sveglierò domani
come se niente fosse.
Apro
la porta del bagno ed esco in corridoio. Dalle scale sento delle voci soffuse
che si avvicinano. Mi ritrovo davanti mio fratello con una bella donna mora,
diversa dalle modelle che pensavo frequentasse. Probabilmente è la stessa donna
che ho visto uscire di casa.
“Buona notte, he!”
ecco due che andranno sino in fondo questa sera…
Lei
mi guarda un po’ incuriosita, poi mi saluta appena, mentre mio fratello mi
lancia uno sguardo di vittoria “Molto meglio della tua monachella…”
Sesshomaru,
ma vai a cagare…
Una
boccata d’aria fresca. E’ quello che ci vuole per chi vive chiusa tra uffici e
ville lussuose e fredde, sognando un’esistenza al di fuori da
quelle quattro mura. Una boccata d’aria fresca per illudersi di essere libera
da obblighi e costrizioni.
Una
boccata d’aria fresca e pura, che sa di uomo, che ti sfiora la pelle come se
fosse prezioso velluto, sfilandoti gli indumenti con fermezza e dolcezza allo
stesso momento, al buio che tu hai voluto che ci fosse nella camera, per
nascondere al suo sguardo dorato quei marchi infami sul tuo corpo.
Un
colpo di vento che ti scioglie i capelli, che ti spinge tra le sue braccia, che
ti lega a lui e che ti trascina sui cuscini.
Una
tempesta che ti prende in pieno, ti porta in alto, ti fa perdere la cognizione
del tempo e dello spazio, che ti da le vertigini, che
toglie il respiro.
E
alla fine, un soffio gentile di primavera, che ti ridona piano l’ossigeno.
“Devo
andare.” La voce di Kagura è quasi spezzata.
L’incanto è finito, Mezzanotte è passata e Cenerentola è tornata coperta di
cenci.
“Ti
accompagno”
“Grazie”
“Dovresti
prenderla più spesso, la tua razione d’aria fresca”Sesshomaru percepisce il sorriso
triste di Kagura, nell’oscurità. “Hai ragione. Per
esempio ogni giovedì, nello stesso punto dove ero stasera, alla stessa ora.” Sospira. “Se ci saranno ulteriori occasioni, te lo farò
sapere.”
“Non
devi rischiare troppo.”
Devo
fare un’altra doccia fredda! Dannato Sesshomaru, i muri di questa casa sembrano
fatti di cartone!
“Allora
state davvero insieme, eh!”
Finalmente
Miroku si è convinto. Pare quasi deluso, a dire il vero. Stiamo per entrare in
campo, la seconda partita del campionato, e lui fa una corsetta sul posto per
riscaldarsi. “E a che punto sei arrivato, brutto
mascalzone?” ridacchia.
Lo
guardo di sbieco. “Non sono un maiale tuo pari.”
“Ti
sconsiglio di farlo sapere a Koga” mi sussurra.“Ha una cotta per lei dai tempi delle medie,
l’anno scorso è riuscito pure a strapparle un invito per una cena da McDonald. Ma dopo di quello lei le ha dato tutti due di
picche.”
Guardo
Koga, alle spalle di Miroku. Mi guarda con occhi di
fuoco, ha in mano un pallone che colpisce continuamente con l’altro pugno, come
se fosse la faccia di qualcuno. Probabilmente la mia. Mi nasce il sospetto che
lui abbia capito prima di Miroku che io e Kagome
stiamo insieme.
Miroku
non se ne accorge. “Dopo la partita andiamo a fare spesa per la festa?”
Ah,
cavolo è vero. La festa. E’ domani sera. E io devo ancora trovarmi un vestito.
L’arbitro chiama le formazioni e noi entriamo in campo. Individuo Kagome sugli
spalti, mi saluta agitando la mano. Le sue amichette ridacchiano come sempre,
sembra che non facciano altro nella vita, mentre Sango, sembra quasi inebetita.
Miroku la saluta saltellando ripetutamente, ma lei sembra non rendersene conto,
mentre il Miroku Fan Club impazzisce.
Mi
guardo allo specchio, infilandomi i denti finti. Così il mio travestimento è
perfetto. Questo è un tocco di classe. Tra i bauli della soffitta ho trovato un
paio di pantaloni di pelle nera (temo che mio fratello abbia passato un periodo
punk, alla mia età) e una vecchia pelliccia, probabilmente appartenuta alla
contessa. Una vecchia canotta strappata e le zanne
finte completano l’abbigliamento. Passando per il corridoio, all’uscita, ho
causato un attacco cardiaco a Jaken, mentre Rin,
vestita da adorabile streghetta, si è messa a ridere,
applaudendo e mi ha fatto una foto. Mio fratello si è vergognato, un’ulteriore
volta, del suo albero genealogico. Poi ha mugugnato qualcosa sul dove fossero finiti i pantaloni di pelle che tanto aveva cercato.
Inforco
la bici e mi dirigo verso casa Higurashi. Durante il
tragitto incontro un sacco di bambini travestiti, gli faccio qualche verso e
loro ridono e fingono timore.
Io
adoro questa festa.
Arrivo
al tempio che Kagome sta percorrendo il vialetto, Sango con lei. Trovo sia un
miracolo la loro puntualità
E’
avvolta da un lungo cappotto nero e si è tirata il cappucci
quasi sugli occhi. Intravedo occhiaie truccate e rivoli di sangue. Sangue
invece è chiaramente una strega con il cappello a punta. Saluta. Questa sera
sembra più sollevata.
“Ma
allora non ti sei travestito da mannaro!”esclama Sango, guardandomi bene.
“CERTO!
cosa credi che sia questo?” Le domando piccato.
“…
un transessuale…” ride Kagome. “Sai quel’è invece il mio vestito?” getta il
cappotto a terra. Indossa un camice bianco, opportunamente sporcato di tintura
rossa. Ha i collant strappati e addirittura gli zoccoli del Dr Scholl’s. In testa un cappellino con una crocetta rossa.
Oh, maledizione…
“Sono
un’infermiera KILLER!” esclama, estraendo un gigantesco, finto bisturi. “La mia
cuginetta mi ha aiutato nel realizzare il mio
vestito!”
…Io
odio questa festa…
PLIN
PLON. Suono io il campanello mentre Kagome nasconde di
nuovo il bisturi abnorme e Sango si ritocca la matita nera intorno agli occhi.
La musica che viene dall’interno dell’appartamento di Miroku mi indica che non
siamo i primi. Ci apre la porta niente di meno che il conte Dracula
in persona. Il padrone di casa ha badato ai minimi particolari. Ha anche in
mano un bicchiere contenente liquido rosso, e ha decorato la casa con ragnatele
finte, zucche e candele d’ogni sorta. Ginta si è
lanciato a fare il DJ su un cartone a forma di bara.
“Eccovi! Temevo vi avesse rapito Jack O’Lantern!”
esclama. “Sango, stai benissimo vestita da strega!”
“AH,
Grazie!”dal tono che ha usato, sembra che lei non
l’abbia preso proprio per un complimento. “E pensare che ti ho anche dato una
mano per decorare la casa!”
Miroku
però è la felicità fatta a persona. “Ed è per questo che la festa è un successone!”
Koga ci
si avvicina, avvolto in chilometri di carta igienica. Complimentoni
per l’originalità…Una Mummia in formato convenienza a tre veli super
resistente. Chissà se è di quelli che proteggono la natura?
“Hey, Inuyasha, mi spieghi cosa c’entra un transessuale per Halloween?”
Si,
io odio questa festa…
Eccomi
qui, con il decimo capitolo! Fatemi sapere cosa ne pensate, vi prego! Potrebbe
andarne del destino della Ff e dei suoi
personaggi…consigli e commenti costruttivi sono fantasticamente accetti.
Ringrazio
intanto chi ha commentato sino ad ora… danke, dankedanke!
AH:
nessuno ha notato la dualità delle vicende di Inuyasha e Sesshomaru? Sono due
fratelli diversi, con vite diverse date dalla loro diversa età e dall’ambiente
di cui fanno parte, però…
…però
non notate che, in fondo, gli succedono le stesse cose?
Forse
sto dando un po’ troppo spazio alla coppia Sesshomaru - Kagura.
Ma, cribbio, mi piacciono troppo…
Novembre
è un mese che scivola via tra le dita come sabbia. E’ il preludio alle
festività invernali, al Natale, alla fine dell’anno.
E’
il mese in cui l’autunno scatena tutta la sua potenza, riversando sulla testa
delle persone gelide piogge scroscianti, accompagnate da un vento freddo o da
una spessa coltre di nebbia pungente.
Per
questo validissimo motivo ho smesso di andare a scuola in bicicletta, mi faccio
portare da Jaken, insieme a Rin. L’automobile nera con l’autista fa comunque un
certo effetto.
Kagome
invece arriva in autobus con Sango e le sue amichette insopportabilmente
ridacchianti. Mi piacerebbe sapere che diavolo si dicono tutto il tempo.
Probabilmente le chiederanno se mi comporto come
l’eroe di quel romanzo stupido sugli adolescenti. Pare che non abbiano in testa
altro che quelle stupidaggini. Sia ben chiaro, io voglio davvero bene a Kagome,
ma arrampicarmi su un cavalcavia per scrivere che con lei mi sento 3Metri sopra
il Cielo mi pare la cosa più idiota di questo mondo. Sono
sicuro che la mia ragazza è intelligente abbastanza da capire che queste sono
emerite cazzate e che io non farò mai una cosa del genere. Anche perché alla
mia pellaccia infame ci tengo terribilmente.
Ad
ogni modo, quasi senza accorgermene, siamo alla fine di Novembre, sempre tra
alti e bassi. Gli alti sono dati dal fatto che ogni pomeriggio sono a casa di Kagome (anche se mi costringe a fare i compiti…), i bassi
sono sempre gli stessi.
Già,
perché a distanza di un mese e mezzo, ormai, dall’inizio della nostra storia,
io non riesco a non fissare la foto di Kikyo posta sulla parete del corridoio
di casa Higurashi.
“Bella
vero?” mi ha detto una volta Kagome. “Gliel’ha fatta mio nonno un giorno che
era in giardino. Gli è venuta così bene… sembra fatta da un fotografo esperto,
vero?”
Kagome…
mi dispiace pensarlo, davvero, ma è il soggetto che rende la foto bellissima, e
non l’abilità del tuo ottuagenario e lamentoso nonnino.
BASTA
PENSARE A KIKYO!! Mi sgrido, tirando mi un pizzicotto
sul braccio. Ho deciso che faccio così ogni volta che mi accorgo di pensare
alla cugina della mia ragazza. E il mio braccio è tutto un livido già da un bel
po’… questo fa di me un autolesionista?
Per
distrarmi dai miei pensieri e dal mio braccio livido e dolorante focalizzo la
mia attenzione sul mio compagno di banco.
Simo
in un’ora libera, la professoressa Kaede quel giorno è impegnata con un’altra
classe e noi siamo sotto la custodia di Myoga, che, non avendo la sua ora di
lezione, decide di lasciarsi andare a sproloqui simil-filosofici con chi lo degna di attenzione. In tutta la classe, solo Sango e la
sua compagna di banco, Tsuya.
Miroku
sta tranquillamente leggendo il mio fumetto. Finito quello che dovrebbe essere
il “primo volume”, sono andato alla biblioteca della scuola e l’ho fatto
rilegare. Figura molto meglio ed è più facile da leggere.
Allungo
il naso sul capitolo della storia che Miroku legge. E’ il primo scontro di Ike LeChien, contro uno strano demone,
metà donna e metà millepiedi, salvando, senza volerlo, la vita a Kitty Lee, l’unica che, a parte lui,
riesce a vedere il demone.
“Non
hai trovato un nome adeguato al demone…” nota Miroku. “ E come ti è venuto in
mente un essere così mostruoso?”
“Avevo
mangiato pesante…” mi giustifico “ …idee, per il nome?”
Lui
ci pensa un po’ su, appoggiando il volume al banco. “Mukadeioro”suggerisce. Poi nota la mia faccia
perplessa. “E’ un essere mitologico giapponese, metà donna e metà millepiedi” spiega,
con aria saggia.
Sembra che qualcun altro abbia avuto la mia stessa cena. “E come titolo del fumetto?
Cosa proponi? Provvisoriamente l’ho chiamato come il protagonista. Che ne
dici?”
Miroku scuote la testa. “Dire qualcosa
che richiami la condizione di mannaro quale Ike è.
Qualcosa del tipo WereIke.”
No, non mi piace.
“Full
Moon Ike?”
Nemmeno questo. Mi ricorda Full Metal Alchemist.
“Lords of Full Moon?”
Storce il naso. “Sembra Lord of The
Ring. CI SONO! Moonlight Shadow…chenedici?”
Non suona affatto male. Apro il mio
blocco da disegno. Ho già in mente la copertina. Mentre getto giù uno schizzo
veloce, la lampadina sulla testa di Miroku rimane accesa.
“Di un po’, Inuyasha… non manca tanto a
Capodanno… dobbiamo inventarci qualcosa…”
Capodanno? E ci pensi al 24 di Novembre?
Sango accarezzava la testa del suo
fratellino infortunato. Una brutta storta ad allenamento e il coach aveva preferito lasciarlo a casa per la prossima
partita. Ovviamente lui aveva preso malissimo l’esclusione, e lacrime di rabbia
impotente gli rigavano le guance.
“Se fosse capitato adHakudoshi avrebbero fatto di tutto per rimetterlo in
sesto!” fremette, abbandonandosi all’abbraccio della sorella.
Sango deglutì. Forse sarebbe riuscita ad
estorcere a Kohaku qualche informazione utile. “In
che senso rimetterlo in sesto?”
“Vitamine” Il ragazzino si asciugò le
guance con una manica della tuta, tirando su con il naso. “Fisioterapia. E un
po’ di antidolorifici”
“E’ così importante Hakudoshiper la squadra?”
Lui annuì. “E poi è il cugino del
presidente. Lui non può stare in panchina.”
“Kohaku, non
fa bene prendere porcherie, lo sai…”
Lui sbuffò, alzandosi nervosamente di
scatto. “Che cavolo! Ho detto che sono vitamine!”
“E le prendete tutti?”
“Mi stai facendo il terzo grado, Sango?”
Lei rispose affermativamente. “Voglio
sapere cosa prende mio fratello per aver messo su quella massa muscolare in
così poco tempo, per svenire ad allenamento e per avere quella resistenza
durante la partita.”
“Ci stiamo massacrando di allenamenti!”
urlò lui, dirigendosi zoppicante verso la camera. “Sminuisci così il mio
impegno?” lei lo seguì. “Scusami!” gli urlò. “sono solo preoccupata. Da quando
la mamma è morta mi sembri cambiato così tanto… e io a volte non mi sento
capace di aiutarti.”
Lui la guardò, lo sguardo addolcito. “Lo
so, Sango.” Si gettò tra le sue braccia. “Non preoccuparti. Va tutto bene” E la
sorella, rispondendo all’abbraccio, sperò con tutte le sue forze che fosse vero.
Questa sera devo mangiare alla svelta.
Ho appuntamento al cinema con Kagome, e non ho assolutamente intenzione di
arrivare in ritardo.
Sesshomaru mi guarda come sempre
schifato, ma la cosa non mi interessa minimamente, come al
solito. Rin invece, è allegra e chiacchierona come al
solito. Mi ha chiesto se mi rivesto da Mannaro, perché
alcune sue amichette vorrebbero vedermi. Potrei anche farlo, a 8 anni non sanno
cosa sia un trans. Credo.
“Signor Sesshomaru, è gia nevicato in
montagna, quando mi porterà a sciare?” Chiede Rin, arrotolando gli spaghetti
alla forchetta.
Mio fratello si pulisce l’angolo della
bocca. “Il prossimo weekend apriranno gli impianti, Rin. Jaken può chiedere ai
tuoi genitori se sono d’accordo a farti passare un fine settimana in montagna.”
“…E dove?” mi infilo nella
conversazione. Non ho mai provato a sciare, potrebbe anche essere divertente.
“Sul monte Hakurei”
risponde semplicemente Sesshomaru. “Abbiamo una baita lassù. A nostro padre
piaceva la montagna.”
“Davvero? Mi ricordavo una casa al mare,
ma la baita no…”
“Eri troppo piccolo per andare a sciare
in montagna e tua madre amava il mare.” Si infilò un
altro piccolo boccone in bocca.
“Che fine ha fatto la casa al mare?”
domando, fingendo indifferenza. Potrebbe essere utile per una scappatella
romanticacon
Kagome. O per la festa di Capodanno tanto auspicata da Miroku.
“L’abbiamo venduta.” Il tono di mio
fratello è secco, non ammette ulteriori domande. Ma visto che ormai l’argomento
è affrontato, allora vado sino in fondo. Mal che vada
mi tira il piatto di pasta al pomodoro addosso.
“E la baita in montagna me la
presteresti?”
Lui appoggia le posate al piatto. Non mi
pare un buon segno. “Quando?” sibila.
Cerco di mantenere la massima calma, fissando
Rin che mi guarda con i suoi giganteschi occhioni
limpidi. “Per Capodanno.” Rispondo. “Volevo fare una festicciola con un paio di
amici”
“Mpf!”
risponde lui, alzando le spalle. “Prenditela pure anche per tutta la settimana.
Non vado in vacanza quando c’è tutta quella gente.”
“E io invece sarò alle Maldive con mamma
e papà!” esclama Rin sprizzando gioia da tutti i pori.
Sono sbalordito. Rimango a bocca aperta
con la forchetta a mezz’aria. Che diavolo sta prendendo a mio fratello, tanto
geloso delle sue cose? Quale demone dell’inferno si è impossessato del suo
corpo? O si tratta di un extraterrestre venuto ad invaderci ed impiantatosi nel
suo cervello?
“Mangia, che si raffredda” ordina lui,
glaciale.
Beh, visto che siamo nelle spese e lui
sembra tanto in buona…
“Sesshomaru, posso provare a guidare
l’Aston Martin?”
Mio fratello mi guarda di sbieco per
dieci minuti filati, immobile, dall’altro lato del tavolo. Immagino che sia un NO.
Alla
fin fine, l’Aston Martin non è poi così SACRA… pensò Kagura,
lasciandosi scappare un sorrisetto soddisfatto, mentre scivolava di nuovo sul
sedile del passeggero, aggiustandosi la gonna e la camicetta. Fosse anche un pochino più comoda…
Anche Sesshomaru si rimise a posto i
vestiti, le gote ancora rosse dal caldo. Girò la chiavetta e abbassò di un paio
di dita il finestrino della lussuosa automobile. “Non lo facevo in auto da quando avevo 19anni.” Confidò, guardando il paesaggio panoramiche che il parcheggio offriva. La luna
era piena e illuminava l’erba dell’aiuola davanti alla quale avevano
parcheggiato, stelo per stelo. “Dici che dovrò iniziare ad usare l’auto di
rappresentanza , che è più comoda, o ricominciamo con
gli hotel?”
Kagura ridacchiò di nuovo. “Non fare
troppe storie. Questa volta avevo solo pochissimo tempo”
“Vuoi che ti riporti indietro subito?”
La penombra lunare faceva sembrare il viso della donna di marmo, frutto di un
fine scultore.
Il sorriso di Kagura si incrinò. La fine
della sua “Boccata d’Aria” era arrivata prima del solito. Guardò l’orologio al
suo polso. Doveva essere di ritorno a Villa Onigumo
entro 40 minuti. “Avviamoci” disse, sospirando debolmente. Sesshomaru sfiorò la
sua mano, prima di inserire la marcia e tornare indietro.
Quello era stato il quarto giovedì di
incontri segreti che si concedevano. Avevano accuratamente evitato di tornare a
casa di Sesshomaru, e si erano incontrati in anonimi hotel di periferia, un
paio dei quali avevano fatto arricciare il naso raffinato dell’uomo. Tranne
quella sera che Kagura aveva poco tempo,e il sedile dell’Aston Martin era
stata la loro scomoda alcova.
“Apri il cruscotto” disse Sesshomaru,
gli occhi sulla strada. Dentro la donna trovò un cellulare. “Inutile dire di
fare attenzione a non farti scoprire. Ho pensato che questo sarebbe stato più
comodo.”
Lei lo prese. Era un modello un po’ datato, ma piccolo e poco ingombrante: perfetto da tenere
nascosto. Ringraziò. Poi si rivolse di nuovo all’uomo: “Hai avuto già problemi
con Naraku?”
“Si” rispose semplicemente lui. Giusto
un paio di giorni prima si era verificato un pignolo controllo da parte della autorità competenti sulla situazione
finanziaria della Taisho Corp. Grazie alla segnalazione di Kagura, però,
Sesshomaru era riuscito a far dare una “sistemata” in tempo ai registri
aziendali. Poi due importanti clienti avevano misteriosamente ed
improvvisamente annullato un paio di ordini molto importanti..
“Tutte cose che riesco ad arginare”
“E’ solo l’inizio…” sospirò lei. Indicò
il punto esatto a cui accostare per farla scendere.
“Grazie di nuovo.” Si avvicinò a lui e lo salutò ulteriormente con un bacio.
“Tuo fratello non va mai fuori dalle scatole per più giorni di fila? Odio aver fretta
per certe cose…”
La frase strappò un sorriso triste alla
donna. “Ci vediamo Giovedì prossimo, se tutto va bene. Buona notte, James”
“Buona notte, Vesper”
Questa volta con il film abbiamo
sbagliato di brutto. Un polpettone noioso e senza fine, decisamente troppo
impegnativo per le nostre menti libere e leggere. Abbiamo quindi impegnato il
tempo a sbaciucchiarsi. Kagome adora pomiciare, ma prima o poi dovrò farle
presente lo squilibrio ormonale che crea. E’ un disagio vero e proprio, e qui
si dovrà pur far qualcosa, no? Altrimenti potrebbe davvero finire tutto con
l’esplosione del mio corpo, come sostiene Miroku.
Ma sono sicuro che a Capodanno gli farò
la festa, a questa ragazzina. A proposito: “Kagome, cosa fai a Capodanno?”
Lei alza le spalle. “Mi sembra un po’
presto per pensarci, no?”
“Beh, mio fratello mi lascia la baita in
montagna, sull’Hakurei, e Miroku aveva intenzione di
organizzare una festicciola…”
Lei sorride estasiata, applaudendo. “Io
ADORO sciare!” Beate te, io non so nemmeno da che parte si infilino
quei due stecchi. “Lo prendo per un si?”
Lei mi getta le braccia al collo. “Solo
se mi prometti che passeremo un po’ di tempo io e te da soli…”
Ecco, brava Kagome, così ti voglio. Gli
ormoni (che stranamente hanno le fattezze di Miroku) festeggiano la vittoria,
stappando una bottiglia e dandomi il cinque.
“SI! E VAI!” Miroku balza sul banco,
l’emblema della vittoria. Una nike senz’ali e
provvista di braccia e testa in persona. Il resto della classe lo guarda
basita. La professoressa non è ancora in classe, questo è vero, ma a nessuno
pare un valido motivo per saltare sui banchi.
“Perdonatelo, è scemo” spiego, tirandolo
giù a forza. Gli tiro anche una botta in testa per farlo rinsavire.
“Tuo fratello è un angelo!” urla lui.
Vorrei farglielo conoscere, cambierebbe idea in un secondo. “Faccio subito partire
il foglio delle adesioni!”
Il foglio delle Adesioni?
“Certo! Per la settimana in
montagna!”Strappa un foglio dal quaderno e lo divide in tre colonne. Poi inizia
a riempirlo con i nomi della miriade di persone che lui conosce. “Nella colonna in mezzo segniamo chi viene solo per il
Capodanno. Nella Terza invece chi viene per tutta la settimana, partendo il 28
dicembre e tornando il 4 Gennaio”
“MA SEI CRETINO?” urlo, vedendo la lista
di nomi che si fa di istante in istante più lunga.
“Togli subito queste persone! Vuoi che devastiamo la casa e che mio fratello ci
uccida??”
Lui protesta “Oh, andiamo, è anche casa
tua! Fatti valere un pochino!” Guardo la lista: “Togli immediatamente KAGA
dall’Elenco!” sono a conoscenza che la mia voce ha assunto un tono eccessivamente
isterico.
“Credo che Inuyasha non voglia tutte
quelle persone tra i piedi. E non gli do torto!” si intromette Sango. La
ringrazio con un cenno della testa.A
sentire le parole della ragazza Miroku si da una
calmata. “Tu ci sarai?”
Lei alza le spalle. “Non so, non credo.
Vorrei, ma devo sentire se mio padre è in ferie e…”
“Sango, ti prego. Anche solo per una
sera. O due. Mi bastano poche ore per rendermi l’uomo più felice di questo Pianeta…”
“Inuyasha…” mi chiama, tenendo alla
larga Miroku con il righello. “Cancellami da quell’elenco
per l’amor dei Numi…”
“Guarda che viene anche Kagome…”
Tsuya, di fianco a lei, alza la mano:
“Anche io vengo volentieri…ma solo per la notte di Capodanno…”
Sango sbuffa.
Attraverso l’atrio deserto, diretto agli
spogliatoi. Quella spaccaballe di Kaede mi ha
trattenuto in classe per parlare di un mio disastroso compito e io sono in
ritardo per l’allenamento.
“HEY! INUYASHA!” mi sento chiamare da
una voce che mi fa alzare gli occhi al cielo dall’esasperazione. Mi volto quanto basta per vedere Koga che
mi raggiunge. “Ho saputo varie notizie su di te…”
“Tipo?”
“Tipo quella della festa in montagna a cui non mi hai invitato.” Ringhia.
“Ho le mie buone ragioni” ribatto,
imboccando le scale. Lui mi trattiene per un braccio. “Senti, so che tu stai
con Kagome Higurashi”
“…. Sono i dannatissimi cazzi miei, mi pare.”
Lui ringhia. “indubbiamente. Spero solo
per te che si comporti meglio che come ha fatto in precedenza. Con tutti gli altri”
Incrocio le braccia,
guardandolo scettico. Cosa non si inventa un povero scemo per evitare che la
donna dei suoi sogni cada in braccio ad altri?
“Sappi che il passatempo preferito di
Kagome è quello di illudere i ragazzi e poi di abbandonarli in un angolo quando
meno se lo aspettano” sibila.
Alzo gli occhi al cielo. Questa cosa
potrebbe non essere poi tanto falsa, conoscendo la cugina…
Koga indica un
angolo dell’atrio. Seguo il suo dito con lo sguardo. Nell’angolo delle
fotocopiatrici Hojo ha in mano una risma di fogli, e
guarda imbambolato la macchina delle fotocopie. “Sappi che lui non è stato
sempre cosi!” detto ciò il mio compagno di squadra scende le scale. Mi scappa
da ridere.
“Ah, e comunque io sarò presente tutta
la settimana!”
“Attrezzerò il giardino con una cuccia
per cani” rispondo, seguendolo con la mia solita calma menefreghista.
Lui si volta: “Se tu non lo sai ancora,
mio padre è proprietario di un’azienda di trasporti per il turismo. Ci faremo
portare sull’Hakurei in un pullman completamente
gratuito.”
Questo potrebbe essere positivo.
“Puoi farlo solo se mi prometti che starai alla larga da me e Kagome e che non ci romperai le
scatole con le tue storie assurde.”
Lui fa spallucce e scende le scale. Al
basso, nascosta dalla ringhiera, vedo la solita ragazzina (Ayame,
mi pare che si chiami) che lo segue sempre. Lo sta fissando come se volesse
mangiarselo. Sorrido. Ho un’idea…
“Vesper?Puoi parlare?”
“Si, James”
“Domani
sera non riuscirai proprio ad uscire?”
“No…
mi dispiace. Perderemo un giovedì…”
“Peccato”
L’uomo rispose nel cassetto della scrivania un pacchetto rosso, impreziosito da
un piccolo nastro dorato. “Pazienza. Mi avvierò verso casa.”
“Non
mi dire che sei ancora in ufficio a quest’ora!” finse sorpresa la donna. In
realtà, era tornata a casa da poco più di venti minuti.
“Avevo
alcune faccende da sbrigare. E tu? Non mi dire che farai una vigilia
tradizionale… non ce lo vedo proprio quel bastardo di
tuo fratello con il maglione rosso fatto a mano dalla prozia…”
Le
sentì sospirare dall’altro capo del telefono. “L’apparenza prima di tutto.”
Rimase un attimo in silenzio. “quando riusciremo a vederci?” La donna aprì un
cassetto del comò e infilò una mano curata sotto tutte
le sue preziose maglie. Le dita sottili sfiorarono un pacchettino blu, ornato
di un fiocco d’argento.
“Capodanno?”
“Non
lo so… ho una stupida festa di società… vuoi venire? La organizziamo sempre a
Villa Esprit…”
“Uhm…non
credo sia il caso, con Naraku nei paraggi. Ora devo
andare. Jaken è specializzato in cene natalizie, e voglio arrivare prima al
cenone, prima che mio fratello spazzoli tutto.”
“C’è
anche Rin?”
“No,
è alle Maldive con i suoi genitori” disse Sesshomaru, una piccola punta di
rammarico nella sua voce. “Buon Natale, Vesper.”
“Già.
Si dice così” sospirò la donna. “Buon Natale, James”
Nel
suo studio casalingo, Naraku spense l’intercettatore
ambientale. Kagura sapeva di essere controllata, ma di certo non si aspettava
una cimice nascosta nella sua camera. Per l’uomo non era di certo una sorpresa
quello che aveva sentito. Non ci voleva un genio per capire con chi sua sorella stesse parlando, e la farsa nel nome falso era
totalmente inutile. Un sorriso maligno si fece strada fra le sue labbra
sottili. Quella stupida le sarebbe stata di nuovo utile. Ma non ora. Uscendo
dallo studio, incontrò i suoi cuginetti, Kanna e Hakudoshi che, uscendo
dalla stanza della bambina, scendevano le scale verso la sala da pranzo, dove
l’attendevano i loro genitori, venuti per festeggiare la vigilia di Natale.
“A Natale sono tutti più buoni” pensò Naraku, avviandosi
anche lui verso la sala da pranzo. “E lo
sarò anche io. Ma poi…”
Eccomi prolissa come al
solito! Mi ero ripromessa un “giro di boa” al decimo
capitolo… e invece sono all’undicesimo e stò ancora
cincischiando!
Beh, ad ogni modo, spero vi piaccia…
questo capitolo risente della mia partenza (solo per un weekend, ahimè) tra le
Nevi delle Dolomiti (per la precisione, Cortina d’Ampezzo) con il mioTatone.
Spero di tornare lunedì con un bel
capitolo chiaro in mente!
Grazie a tutte, commentate, e ricordate
che le critiche, anche le più negative, sono moooolto
costruttive per la sottoscritta! Buon Weekend!
Quando era
bambina, Kagura sognava di scappare di casa e di avventurarsi nel mondo. Per questa ragione, il
suo gioco preferito nei suoi lunghi pomeriggi di solitudine, era quello di
scovare passaggi segreti nella siepe che segnava il confine tra il grande giardino di Villa Onigumo e
la strada, e di inventare piani per evadere da quella che si stava rivelando
sempre di più una rigida prigione. Aveva addirittura preparato uno zaino con il
minimo indispensabile e l’aveva nascosto in una cavità tra il muretto e la
siepe.
Il nascondiglio
era stato cosi ben arguito che quello zaino era
rimasto lì, dimenticato, per ben più di 15 anni. L’aveva ritrovata un giovedì notte,
per caso, mentre tornava dalla sua“Boccata d’Aria”.
Era fradicio, putrido, corroso dalle intemperie e dagli anni. Ma nessuno l’aveva trovato. Kagura
l’aveva fissato un po’, toccandolo e ritoccandolo, accarezzando stupita la tela
consunta. E poi l’aveva sostituito. Anzi, meglio. L’aveva
“aggiornato”, usando una borsa da
palestra per contenere lo stretto indispensabile per una fuga improvvisa. Che sarebbe potuta accadere in qualsiasi minuto come mai. Addirittura vi aveva nascosto dei
soldi in una bustina. Poi, era tornata al suo lavoro, alla sua
vita miserabile. Intervallata dalle sue “Boccate d’Aria”.
Miroku ha il blocco
degli appunti in mano, su cui ha segnato minuziosamente vita, morte e miracoli della nostra “settimana
bianca” sull’Hakurei. Mi ha
convinto (leggi stressato
sino allo sfinimento) a noleggiare l’attrezzatura da snowboard, promettendomi
(minacciandomi) che mi avrebbe insegnato a scivolare giù dalle piste. E così carico la mia tavola e la borsa degli scarponi.
Il pulmino
promesso da Koga è fermo
sotto casa mia, luogo di ritrovo di quelli che Mirokuha ribattezzato “I nostri Allegri Compagni di Neve”.
Secondo me siamo solo un
branco di idioti…
Kagome mi
chiede di caricare anche i suoi sci e io l’accontento,
ricevendo un bacio come premio. Ha avuto cura di portare la borsetta che le ho regalato a Natale… La calda felpa rossa che lei mi ha
regalato l’ho infilata in valigia, La metterò in montagna.
Miroku si
schiarisce la voce, guardandosi attorno con aria assorta. “Ci siamo tutti?” Ci
guardiamo tutti l’un con
l’altro. Ha decisamente preso troppo sul serio il
ruolo da organizzatore.
“Facciamo
l’appello!”
“Ma smettila!” urla Koga.
Miroku fa orecchie da mercante.
“Allora, in
ordine di importanza: SANGO!”
Di fianco a Kagome la ragazza fa cenno della sua presenza. Alla fine è
riuscita a venire, pare che suo padre sia in ferie per un paio di settimane e
che lei sia riuscita a vincere i sensi di colpa per non essere a casa a badare
a suo fratello. E ha anche portato gli sci, così farà
compagnia a Kagome. Miroku
le sorride, lei sbuffa.
“INUYASHA”
“Si…” rispondo
svogliato. Sento Koga
borbottare un ‘purtroppo.’
“KAGOME!”
“Pronta!”
“KOGA”
“Vedi un po’ te, ho portato il pullman.”
“GINTA!
HAKKAKU!”
I
due urlando di rimando, alzando i fustini di birra portati in dote.
“Perfetto, per
il momento ci siamo tutti!” conclude, contento. Il
resto delle persone (tra le quali, ufficialmente, ci saranno pure le amichette
di Kagome, Tsuya e Hojo) ci raggiungeranno
per Capodanno. La mia “invitata segreta” di cui ne ho parlato solo a Miroku,
minacciandolo di morte se si lasciava sfuggire qualcosa, sarebbe arrivata il
giorno dopo, con mezzi propri. Ho pensato che sarebbe stato meglio così, in
quanto il mio penoso rivale non aveva molte remore a lasciarla sul marciapiede,
se non addirittura ad abbandonarla al primo autogrill.
Occupiamo i
posti, io e Kagome nel posto in fondo, mentre Koga si piazza nel sedile davanti
al nostro, guardandomi con aria di sfida, e Miroku
riesce ad occupare quello vicino aSango, proponendole la condivisione dell’I-pod. La ragazza lo guarda
sospirando, poi accetta.
L’autista,
dipendente del padre di Koga,
accende il navigatore satellitare e ci informa che ci
impiegheremo circa 3 ore e mezza, per arrivare a destinazione. Koga continua a fissarmi. Se sta cercando una scusa per attaccar
briga, che sappia pure che la sta trovando. Ho voglia dimettergli
le mani in faccia.
Per fortuna Ginta e Hakkaku intuiscono il pericolo, ed iniziano a cantare
a squarciagola canzoni storpiate einni da osteria. A loro si
uniscono anche Miroku e, con mia sorpresa, pure le
ragazze.
Rimaniamo solo
io e Koga a fissarci in
cagnesco. Sarà un viaggio molto lungo….
L’afferrò per il
polso con una forza tale che lei temette riuscisse a
romperglielo. La trascinò verso di sé e la imprigionò tra lui e il muro, i suoi
occhi di fuoco negli occhi rubini della sorella. Come
previsto, come al solito, lei
non era una donna timorosa. Neppure ora, conscia del pericolo a cui stava andando incontro, non abbassava lo sguardo
neppure per un istante.
“Dimenticatelo, Naraku” sibilò, cercando di
divincolarsi dalla morsa del fratello. “Io non sono una fottuta bambola.”
“Parla bene”L’ammonì
lui, con la sua solita voce, calma e pericolosa allo stesso tempo. “Frequentare
il Signor NoTaisho ti ha fatto diventare scurrile, oltre che
stupidamente incosciente”
Lei strattonò di
nuovo il polso, con il solo risultato che lui glielo strinse ancora più forte. “Tu
fai esattamente quello che dico io, ora. Chiaro Kagura?
Adesso lo chiami, fissi un appuntamento,vi trovate e inizi a
estorcergli informazioni. Voglio rovinare quell’uomo e tu mi aiuterai a farlo.”
Per tutta
risposta lei gli sputò dritto in faccia.
Lo schiaffo che
le colpì il viso fu praticamente simultaneo e le fece
girare la faccia sino a farla sbattere contro il muro.
Kagura
sentì in bocca il sapore del sangue, ma tornò a fissare negli occhi il
fratello, mentre l’uomo si ripuliva la faccia dalla saliva. “Brutta viscida
bastarda…” La scosse, facendole sbattere la testa contro il muro. Kagura fisicamente non era forte, e di certo non riusciva a
difendersi. “Ti do un’altra possibilità…”
“Tienitela la
tua dannata possibilità!” esclamò, divincolandosi. Riuscì a colpire con un
calcio una gamba dell’uomo, guadagnando un istante di piccola distrazione,
vitale per permetterle di scivolare via tra le viscide braccia del fratello. Ma la corsa durò poco. Naraku era riuscito a raggiungerla e ad afferrarla
per i capelli. “Vedrò diusare i miei metodi, allora…”
le sussurrò nell’orecchio, trascinandola al piano superiore, vincendo le
resistenze della sorella.
Come al solito, nessuno era venuto in
suo aiuto.
Il mondo è tutto
sommerso da un metro e mezzo di neve. In tutta la mia vita, non ne ho mai vista
così tanta. Ne sono estasiato. Rimango a fissarla a bocca aperta, mentre i miei
compagni scendono rumorosamente e ridono, contenti di essere arrivati a
destinazione. La baita è grande, appena fuori
dal paese, ma comunque con la strada maestra comoda, dove c’è
anche la fermata dello Ski
Bus per portarci direttamente agli impianti di risalita.
Apro la porta di
casa, incitato dagli altri. La prima cosa che mi si para davanti è il salotto. Grandissimo, tutto di legno, con un grosso camino in un angolo e la
legna ammonticchiata di fianco, pronta per essere accesa.
Sempre al piano
terra c’è la cucina, spaziosa, in muratura.
Il bagno ricorda
molto quello principale di casa mia: color sabbia, e
con un’immensa Jacuzzi in un
angolo, che Miroku prenota.
“Santo cielo, è
fenomenale!” mormora Kagome, stupita. “Andiamo a
vedere il piano di sopra!”
Saliamo le scale
di legno, e il primo piano è formato da un altro salottino, con vista sul
balcone e sulla vallata, e da 4 camere da letto, che occupiamo lanciandoci
dentro i nostri bagagli.
Miroku
cerca di convincere Sango a dormire con lui, mentre
lei si difende (ridendo, però) a colpi di borsetta. Il terzo ed ultimo piano,
quello mansardato, è chiuso a chiave da una porta appena sopra le scale. Dev’essere la camera di Sesshomaru. Immagino che sia lussuosa ed immensa,
megalomane quant’è.
Ginta e Hakkaku
si stanno già rotolando sui letti della loro camera, e approfitto dell’attimo
di distrazione diKoga (che per tutto il viaggio non ci ha lasciato
stare un secondo), per portare Kagome di peso nella
camera dove ho gettato i nostri bagagli e barricarci dentro.
Abbiamo scelto
bene. E’ la camera con la finestra che dà sulla vallata. Lei mi getta le
braccia al collo e le sue labbra sono mie in un secondo. “Credo che Sango si aspetta che io dorma con lei…” mormora lei. Il mio
cuore perde un battito. STAI SCHERZANDO, VERO? Vorrei urlarle, ma cerco di trattenermi. D’altronde, se lei vuole così, è
perché non si sente pronta… e anche se mi sfugge il motivo di questa sua indecisione, non posso di
certo forzarla. Deglutisco. “…. Meglio con Sango che
con Koga….” Balbetto, cercando di consolarmi ad alta voce.
Lei ride,
dandomi un buffetto sulla guancia. “Non ho detto che
lo farò.”
Ah, gioia del
mondo… c’è ancora speranza dunque? Il mio piano di convincimento però viene interrotto dal continuo
bussare di un Koga
disperato.
“Di un po’, Kagome… ma perché quell’idiota
fa così?”
“Mi viene dietro
dalle medie…”
“….e tu non hai fatto nulla con lui?”
“Certo che no!
Sono uscita con lui l’anno scorso, ma è stato solo per farlo tacere.”
“Sicura? Nemmeno
un bacio?”
“Inuyasha, non ti fidi di me?” sibila, pericolosa.
No,
non posso permettermi nessun errore… “Io mi fido ciecamente, assolutamente, incondizionatamente
di te…”
Aveva chiuso la
porta a chiave.
Quella viscida,
piccola bastarda non avrebbe dovuto
scappare, questa volta. Naraku
si diresse verso il suo studio e alzò la cornetta del telefono. Prima di
comporre il numero si fermò un istante. Era sicuro che non si potesse far
nulla? Sua sorella ormai era scappata dal suo
controllo, e di certo, cocciuta com’era, non sarebbe tornata dalla parte della
ragione. Neppure il suo “trattamento” le aveva fatto
abbassare la cresta. Quella sciocca donna andava fatta
sparire. Ormai era una mina vagante per NarakuOnigumo, un danno più che
un’utilità. Compose il numero con calma. Per fortuna che lui
aveva sempre le persone giuste a portata di mano. Come
Kageromaru, per esempio a cui stava giusto telefonando in quel momento, che lui
chiama “affettuosamente” DDT, per la velocità e l’efficacia, con cui eliminava
gli insetti. Come sua sorella, per esempio.
“Kageromaru, ti trovi nei paraggi,
per caso?”
Sentiva dolori
dappertutto. Alzarsi era una vera impresa. Temette inizialmente che i polsi
fossero spezzati. Mosse le dita piano, recuperando a poco a poco la
sensibilità.
Le lacrime le
pizzicarono gli occhi. “Non ora, Kagura” ordinò a sé stessa,
tentando di scendere dal letto. Una fitta di dolore proveniente dal fianco la
lasciò senza fiato e la costrinse a cadere di nuovo sulle lenzuola. Forse la
costola era rotta. Deglutì, soffocando un gemito di dolore e tentando di
recuperare la concentrazione. L
porta era inutilizzabile come via di fuga, Naraku aveva avuto la cura di chiuderla. Cercò di
recuperare il fiato e di mandar giù le lacrime. Questa volta l’avrebbe fatta
fuori, ne era sicura. L’avrebbe consegnata a qualcuno
di quei suoi sinistri “collaboratori”, che l’avrebbero uccisa in modo atroce.
Non poteva
permetterglielo. Piuttosto si sarebbe uccisa con le sue stesse mani. Si diresse
zoppicando verso la porta finestra del balcone e l’aprì. L’aria fredda di fine
dicembre le accarezzò il viso, donandole un momentaneo sollievo. Si avvicinò
alla ringhiera lentamente, lo sguardo offuscato e guardò giù, verso il prato.
Un piano di altezza sarebbe bastato per assicurarle la
morte? O l’erba avrebbe attutito al caduta,
consegnandola all’agonia?
Un’idea
improvvisa attraversò la mente della donna, ridonandole forza. Si asciugò gli
occhi da quelle dannate lacrime che erano scappate al suo controllo, e strinse
i pugni. Non poteva darla vinta a Naraku. Lei ce l’avrebbe fatta, anche se ferita, anche se umiliata, con
le sue sole forze. Tornò in camera, verso quel maledetto letto, verso quei suoi maledetti vestiti strappati sparsi sul tappeto
persiano. Aprì l’armadio e scelse l’unico paio di jeans a sua disposizione e un
paio di stivaletti bassi e comodi. Si infilò la maglia
stringendo i denti, soffocando il dolore con la sua rabbia e la sua
determinazione.
Poi si diresse
verso il suo beauty case e prese le forbici per unghie. Si gettò sulle lenzuola
e vi affondò la lametta. Doveva far presto, essere veloce e precisa.
Tagliò le
lenzuola a metà e le annodò fra di
loro, arrotolandole per aumentare la resistenza. Poi ne legò un’estremità alla
ringhiera. Prima di gettare la corda così formata dal balcone, buttò alcuni
cuscini sul prato, per aiutarla ad attutire la caduta.
“Presto!” Si incitò, vedendo l’auto scura di quel tirapiedi di Naraku, Kageromaru
entrare dal viale d’ingresso della villa e parcheggiare nel cortile. Prese un
bel respiro. L’adrenalina le aveva raggiunto la testa
e non le attutiva in parte il male.
Ora lei era
decisa più che mai a liberarsi, e nessuno l’avrebbe fermata.
Si calò,
goffamente, dal balcone. Rischiò di scivolare, ma strinse i denti e i pugni e
continuò la discesa, incurante del pugnale che le sembrava di avere infilato
nel fianco.
Raggiunse terra
saltando, appoggiando male la caviglia. Un’altra fitta, ma non era tempo di
curarsene. Si gettò verso la siepe, verso il suo passaggio segreto, correndo
più forte che poteva. Raggiunse la borsa nascosta, la prese
al volo, strisciando contro il muro, riempiendosi di terra e foglie.
Raggiunse un
punto in cui la rete aveva ceduto e che lei aveva alzato. Vi si
infilò sotto, puntellandosi con i gomiti, e strisciò fuori. Corse in
strada, l’attraversò, e sparì tra i vicoli della
città, sempre correndo.
Corse, gettandosi
frenetiche occhiate alle spalle, finché non raggiunse
un parco pubblico. Si nascose dietro dei cespugli, per riprendere fiato. La
vista era annebbiata. I rumori giungevano lontani alle sue orecchie. Il dolore
al fianco era straziante, il petto era perforato da mille aghi invisibili, e la
caviglia si muoveva appena.Sentì le mani
appiccicose e se le guardò. Non sapeva come ma si era tagliata, e anche
piuttosto profondamente. Non poteva andare avanti così, non
sarebbe andata da nessuna parte in quelle condizioni. Doveva essere
medicata, e anche se sarebbe stato un rischio decise di attraversare il parco e
dirigersi verso il pronto soccorso. Si impose un
ultimo sforzo. Il sole stava calando, e l’oscurità l’avrebbe
nascosta meglio.
Il telefono
cellulare di Sesshomaru squillò giusto a metà film.
Mise in pausa il dvd che
stava guardando e rispose.
“Ja…James.”
La voce femminine dall’altro lato del telefono era afona.:
non prometteva nulla di buono. Sesshomaru si alzò dal
divano: “Dimmi, Vesper.”
“Sono scappata. Ce l’ho fatta. Sono al pronto
soccorso. Io… io ti chiedo scusa ma…
non mi lasciano andare da sola… e…”
“Arrivo.”disse
semplicemente l’uomo, chiudendo la conversazione. Prese la giacca e fece per
uscire. Si fermò a metà porta, pensieroso. Poi decise di chiamare il
maggiordomo.
Jaken quasi si materializzò
vicino a lui. “Prepara
la mia roba. E il fuoristrada. Appena torno, partiamo
per l’Hakurei. Arriverò con
una persona.”
“Ma sull’Hakurei
c’è suo fratello, signore…” tentò di rammentargli l’essere verdognolo.
Sesshomaru
fece spallucce: “Non mi faccio problemi a sbatterli fuori da casa mia.”
Parcheggiò l’AstonMartin nel posto dei
portatori di handicap perché non aveva né tempo né voglia ditrovare
parcheggio, e ad ogni modo una probabile multa sarebbe risultata una bazzecola
per lui. Si diresse all’entrata del pronto soccorso, dove riuscì a rintracciare
l’ambulatorio in cui avevano vistato Kagura e vi
entrò, sebbene contro il parere dell’infermiera dell’accettazione, che tentò
invano di fermarlo con voce pigolante.
Quando varcò la soglia della porta quasi non la
riconobbe.
Kagura
era seduta sul lettino delle visite, addosso
il camice dei pazienti. Un braccio e una caviglia fasciata, lo
sguardo a terra. Quando lo sentì entrare alzò lo
sguardo verso di lui. Si guardarono un istante senza parlare. “Ti ho
disturbato. Mi dispiace.” Disse poi, lei. “Mi basta
solo che tu mi accompagni alla stazione, per il resto non ci sono problemi, me
la cavo da sola.”
“Cosa ti ha fatto?”
Kagura si
mise a ridere tristemente. “Sono uscita dalla finestra calandomi con le lenzuola.
Proprio come nei film.”
“Cosa ti ha fatto?” ripeté lui, meccanicamente.
Lei si premette
una mano sugli occhi. L’ultima cosa che voleva in quel momento era la pietà di Sesshomaru nel vederla in quelle condizioni. “Niente che
possa accadere di nuovo.” Rispose cercando di far
assumere alla sua voce un tono fermo.
L’uomo si avvicino ai suoi vestiti, gettati su una sedia, in un
angolo. “Vestiti. Ti porto fuori di qui.”
“Non voglio che
tu mi veda. Esci, per favore.”
Sesshomaru
varcò la porta e si appoggiò alla parete, aspettando. Aveva cacciato entrambi
nei guai, facendo di Kagura la sua amante. Indubbiamente
la colpa di ciò che le era successo era sua.
“Fottuto
bastardo” sibilò, quando l’immagine di Naraku gli
stuzzicò la mente. In quel momento lei riemerse dalla stanza, pallida.
“Adesso andiamo
a denunciare Naraku.” Propose
lui, prendendole il borsone di mano. “Dopo questo non
può passarla liscia”
Lei scosse la
testa. “Io voglio vivere. Punto. E per farlo devo allontanarmi
di qui il più velocemente possibile”
Si guardarono
per un altro istante, poi si diressero senza dire nulla al banco
dell’accettazione, dove lei firmò le dimissioni e un medico informò Sesshomaru che la donna aveva una costola incrinata e una
brutta storta, auspicando almeno una settimana di completo riposo. Fece
intendere, comunque, che aveva capito dalla visita
quello che le era successo. “Per ogni altra evenienza, potete rivolgervi a noi.” Concluse, guardandolo negli occhi.
Sempre senza
dire nulla l’aiutò a sedersi in auto e arrivò in pochissimi minuti a casa sua,
in un silenzio doloroso, interrotto solo dai sussulti di Kagura quando affiancavano
un’auto.
Jaken li
accolse sul viale d’ingresso. “La signora ha bagaglio?” domandò, cercando di
nascondere la sua curiosità verso la donna che il suo padrone stava aiutando ad adagiarsi sui sedili posteriori
del fuoristrada. Sesshomaru gli indicò la borsa all’interno
dell’auto sportiva, e il maggiordomo si diresse a prelevarla celermente.
Sesshomaru
fece per sedersi al fianco della donna, ma lei lo bloccò. “Vorrei stare da
sola, se non ti dispiace.”
Lui annuì, prese una coperta dal baule e gliela gettò sopra, coprendola. Lei lo
ringraziò debolmente, tentando un sorriso, prima di accasciarsi lungo il
sedile.
Quando il maggiordomo mise in moto l’auto e
partì, Kagura si concesse il lusso di piangere
silenziosamente, mordendo la coperta per non farsi sentire.
“Vai veloce, e
non fermarti per nessuna ragione” Ordinò Sesshomaru a
Jaken, che annuì obbediente.
Koga ha tentato per tutta la serata di farmi
bere.
In parte c’è
riuscito, perché mi gira un po’ la testa e mi sono gettato a torso nudo sulla
neve, seguito, tra l’altro da Miroku e Ginta.
Hakkaku è collassato sul divano e Koga invece faceva i bicipiti al
bancone con i boccali di birra, presumibilmente da collezione, che erano appesi al muro.
Sango ha
ripreso tutto con il cellulare e sostiene che diventeremo il nuovo fenomeno di Youtube.
Però il piano di Koga non è riuscito alla perfezione, perché il
sottoscritto è riuscito ad arginare gli ostacoli e a non finire come lui,
addormentato con la fronte appoggiata al tavolo e le braccia ciondoloni.
Entro nella
camera con Kagome. Sinceramente mi tremano le
ginocchia. Non dovrei essere cosi nervoso.
Anche lei, però noto che non è perfettamente a suo
agio. Guarda il letto, accarezza il copriletto in
piuma con una mano. “Sembra caldo, non è vero?”
Sentissi il sottoscritto quanto è caldo in questo momento… La neve di
prima si scioglierebbe istantaneamente a contatto con il mio corpo. Deglutisco.
“io… vado a
mettermi il pigiama.” Dice lei, frugando nella sua valigia e sparendo in bagno.
Io annuisco,
guardandomi intorno. Cosa faccio nel frattempo?
Accendo le candele? Non ci sono candele.
Potrei spargere
dei fiori sul letto, ma non ci sono neppure quelli.
Rimango in piedi come un perfetto allocco, a guardarmi attorno sbuffando. Poi
decido, finalmente, di cambiarmi e di infilarmi almeno i pantaloni del pigiama,
sperando che servano a poco.
Magari Kagomesta indossando un completino
molto segoso e facile da togliere…
Illuso. La mia
ragazza esce dal bagno con addosso un
piaga rosa con i coniglietti. Poco libidinoso, per i miei gusti. Si infila sotto le coperte guardandomi e sorridendo
imbarazzata.
“Staraili tutta sera?”
Oh,
beh, certo che no. La seguo sotto il piumone e mi
sdraio di fianco a lei.
Sono teso come una corda di violino, ed in genere questo non
aiuta a fare “bella figura”.
Siamo sdraiati
su di un fianco e ci guardiamo.
“E adesso?” dice lei.
Ok, ho capito che prenderò l’iniziativa io. Anche se tentenno un po’. Ah, dannata agitazione. Mi
avvicino e la bacio, stringendola a me. Lei risponde al mio contatto e al mio bacio, e questo è un buon segno. Muovo le mie mani sotto
la sua maglietta, temendo una sua reazione negativa, che però non avviene. Le mie labbra si posano sul suo
collo e la sento mugugnare di piacere. Ciò mi dà soddisfazione e mi sprona a
continuare. Rotolo su di lei, proseguendo la mia esplorazione.
Mi accarezza il petto, la schiena, facendomi rabbrividire. Sto letteralmente
impazzendo. Senza accorgermene la mia mano scivola dentro i suoi pantaloni del
pigiama. “Aspetta!” mi ferma. Cavoli, lo sapevo che stavo correndo troppo…
“Io… beh, ecco…
io non l’ho mai fatto…” mi confida, un po’ imbarazzata.
In quel momento
vorrei dirle lo stesso, quasi a rincuorarla. Ma
sarebbe una bugia ingiusta nei suoi confronti. Ho davanti a me una ragazza
stupenda, innocente, che si fida di me e dei miei sentimenti. E io devo essere il più possibile sincero, con lei.
“Io invece si…”
sembra sorpresa. “Però pochissimo!” cerco di
aggiustare.
“Beh… almeno uno
dei due sa come si fa, no?” sorride, un
pochino tesa. “e… con chi l’hai fatto?”
“Oh… non la
conosci…” balbetto io. “E’ una storia lontana
lontana…Anzi,
forse non mi ricordo nemmeno come si fa!”
Kagome
sorride. Sembra che la rilassi l’idea di non conoscere la persona che mi ha
strappato la mia prima volta.
Le nostre labbra
si incontrano di nuovo, e io sono deciso a proseguire
le mie carezze.
“Aspetta!” Ma che c’è ancora?
“C’è qualcosa
che non va?”
Lei si annoda al
suo dito una ciocca di capelli. “Ehm… dovremmo usare le precauzioni, no?”
Beh, giusto.
Meno male che uno dei due ha la testa… “E’ vero… dai, tirale fuori!”
“Ma io non ce le ho!” protesta. Oh, cavoli.
“Dovrebbe portarle l’uomo, non la donna!”
Da dove salta
fuori questo galateo? Ah, dannazione. E ora? Aspetta
un attimo. MIROKU! Lui si è portato appresso una confezione “Formato Famiglia”
di profilattici!
Mi catapulto fuori dal letto, divelgo la porta e
cerco il mio amico. Si trova nella stanza di fronte alla nostra, addormentato
scompostamente sui cuscini, ancora vestito. Noto, tra
l’altro, che Sango è addormentata vicino a lui.
Lo sveglio a
schiaffi, scuotendolo per il bavero della felpa.
“Checazzo
vuoi!” mugugna. “Stai cercando di farmi vomitare?” Addosso ha un impressionante
odore di alcool, ma non è questo che a me interessa
ora.
“Dove hai i profilattici? Dimmelo subito!” sibilo,
scuotendolo sempre più forte. “DAMMELI, MIROKU!”
Lui biascica
qualcosa, indicando debolmente la sua valigia. La raggiungo in un balzo e la
apro, vuotandola sul pavimento per cercare meglio. Alchè si sveglia anche Sango.
“Inuyasha, cosa stai cercando?”
“Fatti i cazzi tuoi!” sbotto, scavando tra
il quintale di stronzate
che si è portato dietro il mio amico.Finalmente trovo la confezione tanto cercata. La alzo come un trofeo.
Sembra quasi che brilli di luce propria.
“Sono i miei
assorbenti, per caso?” farfuglia Sango, rimettendosi
a dormire. Ragazzi miei, che brutta situazione che
crea l’alcool.
Ritorno
saltellando gioiosamente in camera e chiudo la porta a chiave. Doppia mandata.
Per sicurezza sposto anche il comodino contro la porta. Facciamo che sposto
anche l’altro.
Poi raggiungoKagome, che, sul letto,
non ha fatto altro che guardarmi sbalordita. “Sai, te lo devo proprio dire. Tu
mi spaventi.”
Oh no, no, Kagome. Non ho proprio intenzione di spaventarti. La bacio
con foga e lei mi risponde, stringendomi a sè.
Scivolo ancora sotto le coperte, raggiungendola.
E questa volta lei non mi ferma più…
Arrivarono alla
baita che erano passate le due di notte. Sesshomaru si stupì nel trovare le luci spente e il
silenzio. Aveva temuto il peggio per la sua povera abitazione di montagna, e ringraziò mentalmente il suo buonsenso che gli aveva fatto
chiudere a chiave la sua preziosa camera mansardata.
Scese dal
fuoristrada e aprì la portiera posteriore. Kagura era
nella stessa posizione di quando
erano partiti, sdraiata sul sedile, avvolta nella coperta. Sembrava
addormentata. L’uomo provò a scuoterla dolcemente, mentre Jaken
apriva la porta di casa ( e si lamentava a bassa voce del disordine creato dai
ragazzi). Lei si mosse appena, aprendo gli occhi gonfi. “dove
siamo?”
“Sull’Hakurei, a casa mia.” Rispose
semplicemente, aiutandola ad alzarsi. Lei rabbrividì dal freddo, e appena
appoggiò il piede a terra non poté fare a meno di trattenere una smorfia di
dolore. Lui le tastò la caviglia. Si era ulteriormente gonfiata. La sollevò,
prendendola in braccio. “Come una principessa.”
Mormorò la donna, chiudendo nuovamente gli occhi e abbandonandosi contro di
lui.
Sesshomaru,
con Kagura fra le braccia, entrò nella baita,
cercando di mantenere un comportamento tranquillo nonostante i suoi occhi
vedessero solo bottiglie mezze vuote e resti di cibo. Al primo piano le luci
erano spente. Intravide un ragazzo addormentato con la testa contro il
tavolino. Si annotò mentalmente di farlo presente al fratello e raggiunse il
secondo piano, aprendo la porta. Varcò la soglia della sua lussuosa camera e
appoggiò la donna sul morbido materasso, coperto da un copriletto di pelo di
lupo.
Kagura si
guardò intorno, spaesata. “Sai che non ho nemmeno un pigiama?”constatò. L’uomo
si avvicinò ad una cassettiera e ne prese uno dei suoi, il più pesante, e
glielo porse. Lei ringraziò, un piccolo sorriso triste sul volto, poi gli chiese di voltarsi. Lui lo
fece, mentre si cambiava. Quando si voltò,
pronto per la notte, lei era già scivolata sotto le coperte, e pareva aver già
trovato il sonno.
Sesshomaru
la guardò per qualche istante, prima di raggiungerla. Le sfiorò la guancia con
una mano, stupendosi di quanto fosse fredda ed umida.
Lei si mosse appena, voltandosi verso di lui, cercando inconsciamente il
contatto. Sembrava estremamente stanca, e nelle ciglia
era ancora intrappolata qualche lacrima. Sesshomaru
spense la luce e si sdraiò sui cuscini, al suo fianco.
Capitolo Lungo e pieno di avvenimenti, nevvero? Spero che sia di
vostro gradimento. Scusatemi per due cose: la prima, per averlo postato
troppo frettolosamente. So che non è il massimo, e già oggi ho fatto la corsa
per qualche modifica urgente. La seconda, per il tema che ho
trattato, a proposito di Kagura. Probabilmente
darà fastidio a qualcuno, e sono sicura di averlo
trattato con molta superficialità. Chiedo scusa.
Kagura
sentiva il viscerale bisogno di farsi una doccia. Di strofinare via dalla sua
pelle d’avorio il sudiciume con cui Naraku l’aveva
contagiata. Sentiva ogni poro del suo corpo impregnato di sudiciume, e si domandò,
stirandosi le membra intorpidite ed indolenzite, come aveva fatto ad addormentarsi la sera prima senza essersi gettata sotto
l’acqua bollente come era suo solito fare.
Forse
perché non aveva quelle ferite e la stanchezza di una corsa verso la libertà.
Aprì gli occhi gonfi, trovandosi un po’ spaesata in quel letto semisconosciuto,
in quella stanza di legno, avvolta nella luce del primo mattino, che filtrava
tra le pesanti tende scure. L’uomo al suo fianco dormiva profondamente, il viso
seminascosto dal cuscino, i capelli sparsi sul cotone delle lenzuola e sulla
coperta di pelo bianco. In un altro momento Kagura non avrebbe fatto altro che
guardarlo sino al suo risveglio, senza sfiorarlo, senza destarlo.
Ma
ora si sentiva troppo sporca per stare in quel letto ancora. Scivolò dalle coltri caldi, rabbrividendo sensibilmente al contatto
con l’aria più fresca della stanza. La caviglia le faceva ancora male, e anche
il fianco non era migliorato granché, ma il suo bisogno di sentirsi pulita era
superiore al dolore. Si alzò piano, trattenendo un gemito ed avanzò verso la
porta che aveva adocchiato dall’altro lato della stanza, varcandola.
Il
bagno era piccolo, ma non meno rifinito della stanza, dalle piastrelle color
madreperla e con una vasca da bagno sul quale era stata aperta una finestra,
che donava una vista mozzafiato sulla valle e sull’alba. Kagura chiuse la porta
alle sue spalle, cercando di fare il meno rumore possibile, e girò il rubinetto
dell’acqua calda, al massimo che poteva.
C’erano
volte in cui lei aveva bisogno di immergersi nell’acqua bollente, fino quasi ad
ustionarsi, per purificare la sua pelle da ciò con cui era stata a contatto.
Appena
l’acqua calda prese il posto di quella fredda, riempiendo mano a mano la vasca,
Kagura si tolse il pigiama e lo lasciò cadere a terra, scivolando lentamente
lungo la superficie liscia. Rimase dentro la vasca immobile, con le ginocchia
strette contro il petto, mentre il livello e il calore coprivano il suo corpo
martoriato.
Sentì
bussare, e una voce maschile dall’altra parte le chiese cosa stesse facendo,
aprendo di un centimetro la porta.
“Voglio
solo fare un bagno, non entrare per favore.” Rispose
lei, appiattendosi verso il fondo della vasca. La porta non si mosse di un
millimetro.
“Nel
mobiletto sopra il lavandino trovi bagnoschiuma e shampoo. Ci sono degli
asciugamani puliti?”
Lei
si guardò attorno e rispose negativamente, non trovando la minima traccia di un
telo per asciugarsi.
“Te
li posso portare?”
Kagura
ci pensò un attimo, poi rispose di si.
“Hai
fame?” domandò di nuovo l’uomo, sempre nascondendosi dietro alla superficie
lignea.
Lo
stomaco della donna sembrava pieno di cemento, eppure non aveva mangiato nulla
da almeno mezza giornata. “Per il momento no, grazie”
“Ti
porterò la colazione” rispose semplicemente Sesshomaru, ignorando l’ultima sua
affermazione. “Torno tra poco” La porta venne chiusa
di nuovo, e Kagura dopo aver preso l’occorrente per il bagno nel luogo indicato
dal padrone di casa, si abbandonò all’acqua schiumosa e bollente, e ai suoi
pensieri vuoti.
L’unica
musica che ci era davvero permesso di ascoltare, all’Orfanotrofio, era la
musica lirica, e quella sacra, ovviamente. Quelle dannate suore l’adoravano. Io
no di certo, ma qualche aria o qualche motivetto
famoso sono rimasti assorbiti dal mio cervello per inerzia.
La
musica che emetteva ogni singola cellula del mio corpo era la Marcia Trionfale dell’Aida di
Verdi.[*]. C’è soddisfazione a svegliarsi così. La musica gloriosa non cessava neppure mentre sbadigliavo, mentre incontravo gli occhioni neri, ubriachi di sonno e di tenerezza di Kagome,
e neppure quando, dopo il bacio del buongiorno, lei mi rivelava che sapevo di
uova marce.
Niente
e nessuno avrebbe potuto intaccare il mio buonumore, questa mattina. Kagome si
avvicina ancora di più a me, la stringo forte le sussurro parole tenere
all’orecchio e le bacio le guance morbide. Non sapevo nemmeno che esistessero
simili vezzeggiativi, matant’é,
sono su di una nuvoletta, immerso nella nebbia della felicità, e non mi rendo
conto di sembrare completamente rintronato.
Sento
il suo stomaco brontolare: “Sto per svenire dalla fame” mi rivela. “Troppo
esercizio fisico” aggiunge come scusa, ridendo.
“Se
dici così mi fai sentire in colpa…” scherzo io, le mani sulla sua schiena.
“Sono proprio un idiota a far affaticare così una ragazza!”
“Non
sei affatto cavaliere, Inuyasha…” rincara lei, un broncio giocoso che le
increspa le labbra rosa.
“Andiamo
a far colazione?”
Lei
annuisce. “Farmi trovare direttamente a letto dagli altri mi imbarazzerebbe un
po’…”
Ci
alziamo, io praticamente saltello sul pavimento, mentre mi infilo un paio di
jeans e la felpa rossa che mi ha regalato. Quando mi volto verso Kagome, lei
sta guardando terrorizzata il lenzuolo.
“Ho
fatto un macello!”mormora, coprendosi la bocca con le mani. “L’ho sporcato
tutto!”
In
effetti…. Ma oggi sono contento, ottimista e trovo una soluzione a tutto. Apro
un armadio e trovo delle lenzuola pulite. Tiro via dal letto quelle sporche e
ne faccio fagotto.
“Allora,
io distraggo gli altri, tu lo porti al piano di sotto, poi cerchiamo la
lavanderia e lo buttiamo dentro la lavatrice. Se qualcuno lo vede, gli diciamo
che Koga mi ha tirato un pugno e che il naso mi è
sanguinato per una buona mezz’ora, ok?”
Lei
annuisce. E’ sulla mia stessa nuvola, avvolta nella mia stessa nebbia, e
scivolerà via tutto come l’olio.
Libero
la porta dal mobilio cercando di fare il minimo rumore, e infilo la testa fuori dalla porta, guardandomi attorno con circospezione.
Sento dell’acqua scrosciare da qualche parte, nella casa. Probabilmente
qualcuno dei nostri amici si è già svegliato e sta cercando ristoro dai postumi
dentro la vasca da bagno. Spero solo che non si affoghi nessuno. La porta della
camera di fronte alla nostra è ancora aperta, e Sango e Miroku dormono praticamente
nella stessa posizione in cui li avevo lasciati:
Miroku su un fianco, rivolto verso la ragazza, lei supina e scomposta. Sento
anche un lieve russare nell’aria, e con mia sorpresa mi accorgo che è di Sango.
Mi avvicino a Miroku. “Grazie graziegraziegraziegrazie!!!” sussurro, ad un centimetro dalle sue
orecchie. Lui non fa nessun movimento. La mia stupidità mi porta a fargli uno
scherzo, approfittando del suo sonno pesante. Gli prendo una mano,
innocentemente appoggiata vicino al suo mento, e l’appoggio sul seno di Sango.
Guardo Kagome, in cerca di approvazione, lei tiene premuta la mano alle labbra
e ride a crepapelle, cercando di non far rumore. Gli faccio segno di fare
silenzio ed esco in punta di piedi dalla stanza, ed insieme ci dirigiamo verso
le scale, guardandoci e sorridendo complici. E arrivati in prossimità della
cucina…
“Ja…Jaken?” Rimango di stucco, alla vista del maggiordomo ai
fornelli della cucina, intento a scaldare latte e thè.
Per poco a Kagome non cade il fagotto di lenzuola di mano. Mio fratello ci ha addirittura dotato di servitù?
“Buongiorno,
Signorino Inuyasha.” Mi saluta, con un lieve cenno del capo. “Oh, buongiorno,
Signor Sesshomaru!” saluta con più veemenza, lo sguardo oltre alle mie spalle.
Mi
volto, gli occhi sbarrati, la bocca che tocca terra.
Mio
fratello, calmo, placido ed imperturbabile, scende l’ultimo gradino delle
scale.
Faccio
fatica ad emettere monosillabi, figurarsi a dire una frase per intero.
Lui
adocchia le lenzuola che Kagome ha in mano. “Non vi soddisfaceva il servizio
del bucato?” domanda, una vena di ironia nella sua voce pacata.
Kagome
rimane interdetta, guarda freneticamente le lenzuola e poi risponde, quasi
gridando: “Gli ho tirato un pugno!”
Sesshomaru
alza un sopracciglio, Jaken ridacchia dietro la manica del vestito, ed io
riesco a recuperare un poco di lucidità. “Si! Il mio naso ha sanguinato per
tutta notte!” esclamo, torcendomi il setto nasale come per dare prova della
situazione.
Il
sopracciglio di Sesshomaru rimane alzato. “La lavanderia è nella porta a
destra” dice, indicando. Kagome si lancia verso di essa.
“La prossima volta trovate un’altra scusa, per favore.
Questa è stupida ed assurda, e di certo non sei il primo ad usarla.”
Quando
Kagome sparisce completamente nella lavanderia, io riesco a riprendere la quasi
totalità del mio self control.“Ma si
può che cazzo ci fai qui!!?”
“Questa
è casa mia e ci vengo quando ne ho voglia” mi risponde
lui, aprendo pensieroso i vari sportelli della cucina.
“Hai
detto che questa settimana l’avresti lasciata a me, che vieni mai qui quando c’è troppa gente…” Alzo la tenda della cucina,
istericamente, guardando fuori. La neve brilla al sole del mattino, ferendomi
gli occhi. Non si vede anima viva.“C’è troppa, troppa gente per te,
Sesshomaru!”
Mio
fratello sbuffa, chiudendo uno sportello di scatto. “Si può sapere Jaken dove
diavolo sono i vassoi?”
“Oh,
ve ne prendo subito uno!” esclama l’altro, scivolando lungo il pavimento verso
l’angolo più nascosto della cucina.
“Sesshomaru,
te ne devi andare” dico fermamente, ricordandomi quello che mi ha detto Miroku
sul farmi valere. “Abbiamo organizzato la nostra settimana, siamo in 8 persone,
più una che dovrebbe arrivare oggi, non facciamo nulla di male, Per Capodanno
arriverà altra gente, è vero ma non ti distruggeremo
casa. Ti prego, ti prego ti prego… Vai via…Anche in Hotel, se preferisci… Ne ho
visto uno sulla strada per entrare in paese, è gigantesco, è un Grand Hotel, sembra meraviglioso…perché non vai li?”
“Perché
questa è casa mia e io non sono da solo” sbotta, versando l’acqua calda per il thè nella teiera. La mano mi sembra molto incerta, si
stacca anche un paio di volte dal manico caldo del pentolino caldo. Prendo una
delle presine dal piano e gliela porgo. Lui la utilizza da sottobicchiere per
la tazza.
“Beh,
Jaken lo puoi sempre stagnare da qualche altra parte…” cerco di suggerire.
“Oppure lo lasci qui… non credo che le ragazze sappiano davvero cucinare…”
Sesshomaru
appoggia con forza il brick sul fornello. “Non mi
riferivo a lui.”
Ah
ecco. Scommettiamo che lo stronzo che ho davanti ha
deciso di farsi una settimana romantica sulle nevi proprio ora?
Jaken
torna verso i fornelli, togliendo delicatamente il tutto dalle mani di
Sesshomaru, che le agita un po’ sommessamente per fare abbassare la temperatura
impressa sulle dita.
Poi
punta gli occhi contro i miei “Sono con una persona che ha avuto un incidente.”
“E
perché non è all’ospedale?” Koga, torso nudo e con i
pantaloni a vita estremamente bassa, sceglie proprio quel momento per scendere
ciondolando dalle scale, borbottare un saluto in una qualche lingua
incomprensibile per poi avventarsi sul frigo, prendere una bottiglia d’acqua e
tracannarla tutta d’un sorso.
“Perché
non è un grosso incidente. Ha solo bisogno di molto riposo.” Spiega mio
fratello, guardando disgustato l’ultima comparsa in cucina.“indubbiamente vi divertirete molto di più
voi in hotel.” Aggiunge, rimanendo shockato da come il
mio compagno ha accartocciato la bottiglia ormai vuota lasciandosi scappare un
tenue rutto. Poi Koga ci guarda, lo sguardo perso.
“Siete parenti?”
Gli
spiego a grandi linee la situazione e lui mi guarda come se stessi
dicendo una montagna di stupidaggini. “Non vedo il problema:”
dice, alzando le spalle. “La casa è grande, c’è posto per tutti. E poi noi
staremo fuori tutto il giorno a sciare. A proposito, Vestiti che è già tardi e
dobbiamo anche trovare un povero disperato disposto a farti da maestro.”detto
ciò alza le spalle ed esce dalla cucina.
Io
e Sesshomaru rimaniamo a fissarci. “… io non voglio il minimo rumore, in questa
casa, chiaro?”
Devo
essere sincero, onde evitare spiacevoli sorprese: mio fratello ha l’aria di chi
potrebbe chiamare i vigili del fuoco per placare gli schiamazzi notturni di un
gruppo di adolescenti in libera uscita. “L’ultimo dell’anno saremo circa una
ventina di persone.”
Rimane
a bocca aperta. “Stai scherzando?” Faccio segno di no con la testa. Lui
appoggia le dita alle tempie, come se fossero percorse da una fitta improvvisa.
“Voglio questo posto pulito ed in ordine per il pomeriggio del primo Gennaio. E
la prima persona che cerca di salire il primo gradino delle scale che arrivano in
camera mia viene defenestrato dal sottoscritto. E non
voglio gente ubriaca e vomitante in giro, e non voglio musica alta e confusione
gratuita, chiaro?”
Vorrei
fargli presente che c’è un maggiordomo pagato per pulire tutto, e che è un
maledetto, fottuto ed insopportabile guastafeste, ma Kagome è comparsa improvvisamente dal nulla
in tempo per sentire i termini dell’accordo. Mi prende sottobraccio e con un
sorriso imbarazzato ringrazia più di una volta mio fratello. La guardo
sbalordito. “Avanti…” mi sibila “Fai lo stesso”
Dannazione,
non ho nessun motivo per ringraziare questo stro… Kagome
mi pesta il piede con tutta la sua forza. “Gr… gr…azie, Sesshomaru” dico tra i
denti.
La
colazione è pronta sul vassoio che mio fratello strappa dalle mani del
maggiordomo. “Cercami degli asciugamani puliti” gli ordina, salendo le scale
con le stoviglie sul vassoio pericolosamente in bilico.
Io
sospiro, scuotendo la testa. Dicevo che niente e nessuno poteva rovinarmi il
buonumore? Mi sbagliavo.
In
quel momento al piano di sopra, si sente un urlo indignato, seguito dal
fortissimo rumore di una mano che si abbatte pesantemente su una guancia.
SCIAK!
“Deve
essersi svegliata Sango…” denota Kagome.
“Secondo
me anche Miroku…” aggiungo.
Kagura
si era abbandonata contro lo schienale della vasca, lo sguardo perso nello
spicchio di cielo e nuvole che vedeva dalla finestra, immersa nell’acqua ancora
calda. Si era strofinata ogni centimetro del corpo con tutta la foga che
possedeva, quando sentì la porta della camera, al di là del muro, aprire e
chiudersi. Un leggero bussare la fece voltare verso la porta del bagno.
“Ti
stai ancora lavando?”
Lei
rispose affermativamente, osservando la pelle delle dita, divenuta grinzosa.
“Ho
la colazione”
Udì
di nuovo la porta aprirsi e la voce pigolante del maggiordomo annunciare che
aveva portato gli asciugamani. L’uomo di disse di
portare su il bagaglio e poi la porta si richiuse.
Di
nuovo Sesshomaru bussò. “Posso portarteli?
Lei
scivolò il più possibile nell’acqua insaponata, prima di rispondere si.
Sesshomaru
entrò, appoggiò i teli su una sedia vicino alla vasca e, prima di uscire, la
informò dell’ubicazione del phon. “Fai presto, o la colazione si raffredderà.”
Lei
voleva rispondergli nuovamente che non aveva fame, ma riuscì solo ad annuire. E
a ringraziare. Lui le gettò uno sguardo dorato e poi uscì, richiudendo la
porta.
Un
quarto d’ora dopo Kagura zoppicando uscì dal bagno, i
capelli ancora un poco umidi e il pigiama nuovamente addosso. Si diresse verso
il tavolino rotondo dove era appoggiata la colazione, sotto lo sguardo di
Sesshomaru, che, seduto su una poltrona si era permesso di accendere la tv,
lasciandola comunque ad un volume piuttosto basso. Senza dire nulla lei si verso un po’ di thè – tiepido-
e prese una piccola fetta di pane e marmellata, andando poi a sedersi sul
letto.
“Tutto
qui?” Sesshomaru aveva alzato un sopracciglio. “Non è poco?”
“Non
ho molta fame” rispose lei semplicemente, masticando il pane.
L’uomo
alzò le spalle. Quando la parca colazione della donna fu ultimata, lei si
rifugiò di nuovo sotto le coperte, portandosi le ginocchia al petto e sedendosi
con la schiena contro i cuscini appoggiati alla testiera. Rimasero entrambi in
quelle posizioni, i loro sguardi rivolti verso la televisione, le loro menti altrove.
“MIROKU,
CAZZO, SPOSTATI!!!” urlò, senza cercando inutilmente
di fermarmi senza cadere.
La
discesa non è molto ripida, e stò provando in tutti i
modi a fare una figura degna su quella maledettissima tavola di legno che mi
hanno messo ai piedi.
Siamo
arrivati agli impianti che era troppo tardi per noleggiare un maestro, e così i
miei cosiddetti amici si sono offerti
di insegnarmi. Nella fattispecie, i due poveri dementi sono Miroku e Koga. Gli altri hanno tutti gli sci ai loro piedi, e mi
sembrano di gran lunga più stabili.
Il
mio sospetto, reso ancora più valido dal fatto che, seguendo le indicazioni del
mio rivale non riesco a stare in piedi, è che quest’ultimo stia cercando
apposta di farmi lasciare le piume sulle nevi.
Miroku
mi da giusto qualche indicazione a caso, più impegnato a tenere stretto alla
guancia una palla di neve. Teme che Sango gli abbia spostato la mascella,
questa mattina. Non me la sono sentita di dirgli la verità, oggi non ho proprio
voglia di morire, e d’altronde, lui è così sicuro di essere capace di
palpeggiamenti sonnambuli che mi pare davvero inutile rivelargli che sono io
l’autore dello scherzo.
Nel
frattempo Kagome, Sango e gli altri due scivolano leggeri e felici lungo il
pendio della montagna, fermandosi ogni tanto per guardare in che situazione
(critica) sono io, sbeffeggiandomi scherzosamente.
Koga ha
tentato di farsi bello agli occhi della mia ragazza esibendosi in un salto
spericolato.
E’
finito fuori pista, nel bosco, e l’abbiamo trovato solo perché lo snowboard e
le caviglie ancora saldamente attaccate alla sue superficie
sporgevano di qualche centimetro dalla neve. Tirarlo fuori di li non è stato molto facile, ma comunque tutto documentato
dalla fotocamera di Kagome.
Un
altro problema che riscontro è quello degli impianti di risalita. Mi sono
seduto anticipatamente sulla prima seggiovia, trovandomi con le chiappe sulla
neve e il seggiolino che mi passava ad un millimetro dalla testa. Alla seconda
sono sceso ruzzolando e travolgendo e persone davanti a noi. Lo skilift mi è
scivolato dal cavallo dei pantaloni e sono arrivato in cima aggrappandomi con
le mani al manubrio, mentre la mia faccia strusciava per terra.
A
metà mattinata Miroku esige fermarsi per la “pausa bombardino”. Il Bombardino,
di cui ignoravo l’esistenza, è una bevanda calda a base di liquore all’albume
d’uovo, rhum, panna e una spolverata di cacao.
E’
una delle cose più deliziose che mi sia mai infilato in bocca. Mi riscalda
(ormai le mie frequenti cadute mi hanno portato ad avere la neve persino nelle
mutande) e divento anche un pochino più spericolato. Ah, e riesco anche a
capire dove sbagliavo nelle curve. Insomma, è una bevanda miracolosa e voglio
portarmene a casa un barile intero. Koga, si getta in
gola anche una grappa, prima di gettarsi lungo una pista nera, accucciato sulla
tavola per andare più veloce. E’ seguito dai due punk sugli sci, da Sango, da
Miroku (sempre con la palla di neve premuta sulla guancia).
Kagome
mi stampa un bacio sulle labbra. “Brr.. sono fredde!” commenta, un sorriso sul suo viso dolce.
Strofino il mio naso contro il suo, il bacio degli esquimesi. Il vento ci porta
alle orecchie le imprecazioni di Koga, a valle.
“Vorrà dire che poi le scalderemo stasera…” rispondo malizioso. La notte
precedente è stata così incredibile che non vedo l’ora di rifarla al più
presto. Se Kagome me lo chiedesse, mi spoglierei qui e mi rotolerei con lei
sulla neve.
Ma
lei si mordicchia il labbro inferiore, pensierosa:
“Sai, Inuyasha… io penso che… visto che c’è tuo fratello in giro per casa…
fosse sarebbe meglio non farlo… dopo stamattina…insomma, io mi sento così imbarazzata…”
Devo
avere addosso l’espressione più scandalizzata
dell’universo, da come mi guarda la mia ragazza con aria colpevole. Mi da un
buffetto sulla guancia. “Su, non fare così…” mormora, dandomi un altro bacio
per convincermi. Vedendo che non mi muovo di un centimetro si lascia scivolare
a valle.
Maledetto
Sesshomaru. Io lo odio. Lo voglio vedere defunto appeso ad una trave della sua
dannatissima camera mansardata.
Mi
lancio ad una velocità folle lungo il pendio, incurante del pericolo di
spaccarmi il collo. Forse Koga aveva ragione quando mi ha messo in guardia dalle malie di Kagome,
lei mi ha usato per liberarsi dall’ingombrante imene e per poi gettarmi via.
AH, ma che vado a pensare! Nemmeno Miroku partorirebbe pensieri così stupidi.
Sono talmente arrabbiato che quando cado a terra, per la milionesima volta,
continuando la mia folle corsa verso il resto del gruppo con la schiena e la
testa in avanti, quasi non me ne rendo conto. Riesco a tornare in me solamente quando vado a sbattere dolorosamente contro un
cumulo di neve, non prima di aver falciato Sango, trascinandola con me nella
neve.
“Ginta…L’hai filmato, vero?”
Spero
che a KAGA vengano le emorroidi in questo momento.
Sesshomaru
rientrò nella baita un’ora dopo che ne era uscito, con una borsa recante la
firma di una boutique in mano. Lasciò la pesante giacca da neve a Jaken e
chiese se suo fratello fosse già rientrato, ricevendo
una risposta negativa.
Salì
le scale e bussò alla porta prima di aprirla. Kagura era ancora seduta sul
letto, avvolta nelle coperte, accanto un pacchetto
mezzo vuoto di biscotti e la televisione accesa. Avevano pranzato un paio d’ore
prima, ed evidentemente lo stomaco le si era aperto.
L’uomo
appoggiò la borsa sulla poltrona. “Ti ho preso la giacca e il pigiama.” Disse
semplicemente, togliendosi le scarpe bagnate e spostandole con noncuranza in un
angolo.
Lei
annuì. Quella richiesta era stata l’unica frase che aveva formulato in tutta la
mattinata, porgendogli i soldi che aveva nella borsa, e che Sesshomaru aveva
rifiutato. “Sei mia ospite” aveva spiegato.
Si
alzò cercando di non appoggiare troppo la caviglia e si avvicinò alla borsa
esaminandone il contenuto. Erano esattamente della sua misura, segno che
Sesshomaru era davvero un così acuto osservatore come lei aveva supposto, e
anche provvisto di un ottimo gusto. “Ti ringrazio” disse nuovamente, tornando
al letto. “Sono molto belli.” Sesshomaru si era seduto sulle coltri. “Va
meglio?”
“La
caviglia stà migliorando e il fianco non mi uccide
più ogni volta che mi muovo.” Rispose lei, abbozzando
un sorriso. Poi si avvicinò a lui e gli cinse le
spalle con le braccia. “Non so davvero come ringraziarti” disse stringendosi a
lui. L’uomo appoggiò le mani delicatamente sulle sue spalle, non stringendola,
ma nemmeno allontanandola. La donna avvicinò il viso al suo e gli appoggiò le
labbra sulle sue. Sesshomaru non rispondeva al bacio, cosa altamente
insolita per lui, così lei si stacco, mentre un’aria ferita le si dipingeva in
volto. “Non mi vuoi più? Ti ripugno?”
Lui
le scostò una ciocca di capelli dal viso, scuotendo la testa quasi
impercettibilmente. Kagura poteva giurare di aver visto un lampo di tristezza
attraversare le iridi d’oro dell’uomo.
“Sesshomaru,
io ti voglio…” lo pregò, baciandolo nuovamente. “Solo tu riesci a farmi
dimenticare tutto questo…” Questa volta lui la fermò direttamente.
“Non
ti senti ancora bene.” Disse semplicemente, accompagnandola sulle coperte. “Ti
farei solo male, e non credo che tu abbia bisogno di questo, ora.”
Le
lacrime pizzicarono nuovamente gli occhi, che richiuse con forza. Sentì l’uomo
alzarsi dal letto. “Ti prego resta” le scappò dalle labbra.
Lui
si liberò dal maglione e dai pantaloni e si infilò nuovamente sotto le coperte
con lei. La donna gli scivolò accanto, cercando il contatto e il calore del suo
corpo, il profumo dei suoi capelli, il rumore del suo respiro.
Lui
la lasciò fare, cingendole le spalle con un braccio. Kagura affondò il viso sul
suo petto e lasciò che le lacrime uscissero dal suo cuore pesante.
“Cosa
succederà adesso?” disse tra i singhiozzi. “Ti ho trascinato nel fango,
Sesshomaru… ora sei nei guai anche te…e la colpa è solo mia! Mi dispiace… Mi
dispiace!”
Lui
la zittì. “Nei guai mi ci sono sempre ficcato da solo, non preoccuparti.”
“Fammi
andare… ormai sto meglio, posso cavarmela. Scapperò lontano e cercherò di non
farmi trovare da Naraku…”
“Non
fare la stupida.” La rimproverò, accarezzandole i capelli scompigliati.
“Non
ne vale la pena, Sesshomaru…!”
Lui
la baciò. “E’ il solo modo per farti tacere questo?” chiese, baciandola
nuovamente. “Kagura, smettila di dire stronzate.” Lo
infastidiva la bassa considerazione che lei mostrava per sé stessa, ma capiva
anche quanto potesse essere doloroso per una donna
affrontare quello che doveva affrontare Kagura in quel momento.
Kagura
lo guardò negli occhi, senza riuscire a smettere di lacrimare, e, nonostante
tutto il suo sforzo per rimanere lucida e riuscire a pensare di cavarsela da
sola, non poté fare a meno di concedersi il lusso di credere in Sesshomaru e di
abbandonarsi al suono tranquillizzante della sua voce.
Un
gruppo di pulcini bagnati. Ecco cosa sembriamo, appena scesi dallo SkiBus davanti alla baita. Io non mi sento più le chiappe,
Kagome hai il viso color ciliegia, adHakkaku si è gelato il moccio attaccato al naso e
all’ultima “pausa pisciatina”, prima di prendere lo SkiBus, le urla terrorizzate di Miroku hanno fatto venire a
conoscenza il resto della vallata del fatto che il freddo “gliel’aveva fatto diventare minuscolo” Io ho tentato di
sdrammatizzare dicendogli che tanto nessuno l’avrebbe notato.
Ci
avviamo doloranti e claudicanti lungo il breve sentiero che arriva alla baita,
quando uno strano animale dal giubbotto rosa e i codini castani si lancia
squittendo contro Koga, facendolo rovinare a terra,
coinvolgendo, con le loro sci e racchette, anche
Kagome e Sango, che impreca come uno scaricatore di porto, nella caduta.
“AYAME????” L’espressione di Koga è di
terrore allo stato puro, mentre, sogghignando maleficamente aiuto Kagome ad
alzarsi e Miroku tenta di aiutare Sango, che si dibatte come un’anguilla in
preda ad un attacco epilettico, per stare in piedi nonostante il ghiaccio. Io e
il mio amico ci lanciamo un’occhiata complice e soffochiamo una risatina.
Voglio gustarmi questa scena secondo per secondo.
La
ragazza è il ritratto della gioia. “Si, sono proprio io!” squittisce, alzandosi
sempre abbracciata a Koga. “Sono venuta qui per te! Facciamo la settimana bianca insieme, non sei
contento?”
“NO!”
Lei
rimane sorpresa, le lacrime che le salgono agli occhi.
“Cioè…
la casa è piccola…non c’è più posto…”
Decido
di intervenire, per rendere la scena ancora migliore. “Ma se proprio stamattina
hai fatto notare a me ea mio fratello che la casa è così grande che c’era posto per
tutti!”
Se
gli sguardi potessero uccidere, quello di Koga mi avrebbe annientato all’istante. “Non è vero….”
Ringhia.
“Oh
si, si. Te l’ho proprio sentito dire!”
“Ero
ubriaco…”tenta di giustificarsi. Ma ormai Ayame è
attaccata come una cozza al suo braccio.
“Mi
ha invitato Inuyasha… e ho fatto questo lungo viaggio da sola solo per te…”
Koga la
guarda inquieto.“In che senso da sola?”
Lei
sbatte le ciglia e alza il mento, orgogliosa. “Ho preso il treno dalla città e
sono arrivata sino all’ultima stazione. Poi dovevo prendere la corriera, ma
purtroppo l’ho persa. Per fortuna che un simpatico camionista mi ha dato un
passaggio sino al paese!”
La
fissiamo tutti a bocca aperta per un paio di minuti filati. “stai scherzando
vero?” balbetta Kagome. Purtroppo Ayame scuote la
testa.
“…E
i tuoi genitori te l’hanno lasciato fare?” domanda Sango.
“Oh,
non gliel’ho detto!” Ribatte la diretta interessata. “Loro non volevano venire qui, a loro non interessa la montagna. E non volevano
nemmeno che ci venissi da sola. Allora ho fatto di testa mia… e sono qua!”
“Vuoi
per caso dire che sei scappata di casa? ”
Lei
annuisce, soddisfatta, gonfiando il petto.
Lentamente,
le facce di tutti si voltano verso di me, fissandomi infuriati. Cerco supporto
da Kagome, invano. Miroku se ne lava le mani.
“Declino
ogni responsabilità” cerco di cavarmi d’impiccio “Che diavolo ne potevo sapere
io che questa era davvero deficiente?”
Koga mi
lancia la tavola, che schivo per un pelo. “Andremo nei casini, per questo!”
urla, imbestialito, assalendomi. Ci troviamo a ruzzolare nella neve, lui che
cerca di strozzarmi, io che cerco di togliermelo di dosso rifilandogli dei
calci nello stomaco. La sua furia però non sembra placarmi e allora cerco di
azzannargli un braccio.
Jaken
si catapulta fuori dalla porta, urlandoci di smettere
perché il signor Sesshomaru vuole SILENZIO e SILENZIO ci deve essere.
Cerchiamo
di ridarci un contegno, mentre Sango convince Ayame,
finalmente, a chiamare a casa per tentare di tranquillizzare i suoi genitori.
“Sesshomaru… non ne vale la pena…”
Poteva
una frase così semplice, detta senza alcuna offesa rivolta a lui, farlo
arrabbiare così tanto? L’uomo si sentiva indignato per quello che le labbra di
Kagura si erano lasciate sfuggire.
Come
diavolo poteva pensare una donna come lei che non valesse la pena cercare di
salvarle il collo?
Sesshomaru
abbassò la testa per guardarla meglio. Si era addormentata – nuovamente- e il suo
collo da cigno era piegato sul suo petto, come per essere cullata dal battito
del suo cuore.
Lui
non era un uomo abituato ai sentimentalismi, ai colpi di testa, agli slanci
effettivi improvvisi. Sesshomaru era un uomo razionale, cinico e calcolatore,
di cui le donne subivano il fascino. E lui le lasciava fare, concedendo quanto
bastava per cui loro si sentissero a loro agio e
sicure di aver fatto colpo.
Era
stato così con tutte le donne che aveva incrociato negli ultimi 15 anni della
sua vita.
Tutte
tranne una. Che donna ancora non era, ma solamente una bambina dai grossi occhi
vivi, dalla fantasia galoppante, e dalla risata argentina e contagiosa.
Rin
l’aveva colpito sin da quando gli aveva rivolto la
parola la prima volta, alla tenera età di tre anni.
Il
suo cane era scappato dal cancello e si era infilato in quello aperto della
casa di Sesshomaru, appena rientrato dall’ufficio. Lui era sceso dalla macchina
e si era trovato davanti alla bambina che aveva visto tante volte, nella casa
confinante. Non l’aveva mai vista così da vicino, e la studiò un attimo.
“Io
sono Rin, signore!” esclamò lei con voce squillante. “Cercavo il mio cane, mi
tolgo subito d’impaccio!”
Lui
aveva alzato le spalle. “Fai pure”
Woody, il
cane, ritornò dalla padroncina, che lo afferrò per il collare e lo condusse,
fingendo di sgridarlo, verso l’uscita. Poi si era rivolto verso Sesshomaru,
sorridendogli radiosa. “Arrivederci signore! Quando vuole può venire a prendere
il thè nel giardino con me!”
Sesshomaru
era rimasto fermo vicino all’automobile, salutandola con un lieve cenno della
mano. Vederla così vicino, sentirla parlare, aveva reso quella bambina tangibile e reale. E la sua solare
spontaneità, diversa dall’affettata cortesia di cui era circondato, gli era
rimasta impressa.
E
ora c’era anche Kagura. Era iniziata come un gioco, era proseguita come una
sfida, e si era trovato più coinvolto di quanto lui osasse
ammettere persino a sé stesso.
Sino
a qualche anno prima avrebbe risposto sicuro che non
ne valeva la pena, penare tanto per la felicità di una donna che sarebbe
divenuta una compagna appiccicosa, melensa e capricciosa, ora, complice forse
l’età o la situazione, la sua risposta non sarebbe stata così certa. E nemmeno
così negativa, probabilmente.
SBAM!
Ayame
chiude la porta alle sue spalle, imprigionando Koga
con lei in una delle stanze da letto. Noi ci guardiamo tutti negli occhi e
scoppiamo a ridere in simultanea.
“Koga ti prego, vieni qui!”
“VAI
VIA!” Rumori di corsa e di colluttazione. “Ti ho detto di lasciarmi stare!”
Qualcosa
veniva rovesciato. Koga
cercava di aprire al porta disperatamente.
“La
chiave ce l’ho io…” La voce di Ayame
tentava di essere maliziosa.
“Dammela!”
“Prenditela…”
“RIMETTITI
QUELLA MAGLIA, NUMI DEL CIELO!”
Noi ci rotoliamo a terra dalle risate. Non riuscivamo
a smettere. Miroku sembrava in preda ad un attacco epilettico.
Mio
fratello compare dalle scale, lo sguardo imbronciato. “Vi avevo detto di non
fare confusione…” sibila, stringendo i pugni.
Sango
è la prima a parlargli, asciugandosi gli angoli degli occhi. “Ci scusi, ma ci
sono due nostri amici che hanno qualche problema…”
“di
incomprensione…” conclude Miroku, i crampi allo stomaco.
“TU
SARAI MIO!”
“VAI
VIAAA!!!”
Sesshomaru
ci guarda scandalizzato. “Ma che diavolo…”
Ayame
apre improvvisamente la porta, in reggiseno. Hakkaku
fischia, mentre noi applaudiamo e Ginta ulula.
“Si
è buttato dalla finestra!” balbetta, sconsolata.
Mio
fratello scuote la testa e scende al piano di sotto, mentre noi ci sporgiamo
dalla finestra per prendere in giro Koga.
[*]
La marcia dell’Aida è anche L’Inno Nazionale dell’Egitto.
I
fatti qui narrati durante la sciata sono tutti capitati per davvero..
Questa
volta è un calcio ben assestato a colpire lo stomaco di Miroku e a farlo sbattere
contro la parete dietro. Sango non ha preso bene la fotografia “artistica” che
il mio amico ha fatto del suo deretano mentre era
chinata sotto il tavolo a raccogliere l’orecchino.
D’altro
canto, però, Miroku non si è scomposto più di tanto, e si stacca dalla parete
con un sospiro, per poi tornare a rifornire il mobile bar. Ormai è un buon
incassatore.
Dalla
cucina provengono i profumini deliziosi del cibo che
Jaken sta preparando, mentre Koga è ancora alle prese
con Ayame e i suoi ormoni impazziti. Quella ragazzina
non pare capire il disinteresse (per non dire il rifiuto assoluto) che lui
prova nei suoi confronti.
Ginta e Hakkaku sono impegnati a montare la consolle da Dj e ad apportare modifiche all’impianto audio della casa.
I due, papabili futuri ingegneri, sono riusciti a fare in modo di isolare
acusticamente il terzo piano dal resto della casa: un bel materasso piantato in
mezzo alle scale non appena mio fratello e la sua ospite si ritireranno nelle
loro stanze.
La
ragazza in questione, che ho scoperto con non poca difficoltà che si chiama
Kagura, l’abbiamo vista solo una volta, giusto questa mattina, quando
finalmente si è sentita nelle condizioni di scendere le scale e presentarsi a
colazione. E’ pressoché muta e musona come mio fratello, quei due si sono
proprio trovati. Miroku e Koga sono d’accordo
comunque che sia “una
topa da 100 e lode”. Questo pomeriggio so che sono usciti per fare un giro
in paese.
“Hey! Terra chiama Inuyasha, ci sei???”
la voce di Kagome mi riporta al mio lavoro: la sto aiutando ad apparecchiare il
buffet e la tavolata immensa. Riprendo a posare piattini e bicchierini
colorati. Ecco cosa è costretto a fare un pover’uomo
per tenersi buona la propria donna… Anche se i “buoni
propositi” di Kagome di tenermi a bada non sono andati a buon fine (L’ultima
volta è stato giusto questa mattina, chiusi in bagno.), sono costretto a fingere una sottospecie di
mansuetudine e di affabilità in sua presenza: le tempeste umorali di Kagome
arrivano all’improvviso, quando meno uno se lo aspetti, e soprattutto per le
cose più idiote. E con Koga nelle vicinanze non posso
permettermi di farle mettere il broncio: ci vorrebbe un attimo per quel
bastardo per fondarsi al suo fianco proclamandosi suo consolatore.
“OH,
Inuyasha!” mi chiama Miroku, guardando il cellulare: “Gli altri stanno
arrivando”
Di già?
Ginta e Hakkaku mi chiedono il permesso di spostare una libreria di
qualche centimetro, per riuscire ad utilizzare la spina elettrica che c’è
dietro. Glielo accordo e mi avvicino per aiutarli. La spingiamo di lato quanto
basta, non riuscendo però a impedire che oscilli pericolosamente.
PUM!
Ci
voltiamo verso l’oggetto che è precipitato dall’ultimo scaffale in alto della
libreria. E’ una videocassetta, senza nessuna etichette
che possa descrivere il suo contenuto.
“Che
diamine è?”
“Magari
è un porno” suggerisce Miroku. Esprimo la mia perplessità a riguardo, ma
nessuno mi ascolta, come sempre.
“Si,
dai, Guardiamolo!” gridano Ginta ed Hakkaku all’unisono. Sango fa notare che la televisione
della taverna ha solamente il lettore dvd. “Si, ma
quella del salottino al piano di sopra ha anche il videoregistratore per le vhs!” ribatte Kagome, che ha lo sguardo sempre attento.
Ma
si, dai, diamoci un’occhiata… che male può fare una cassetta? Ci avviamo verso
il piano di sopra e ci sistemiamosalottino, ma Koga
mi ferma prima che io infili la cassetta nel videoregistratore. Ha l’aria
preoccupata. “Inuyasha, ho sentito una volta una storia strana:” inizia, deglutendo. “Una volta un gruppo di ragazzi hanno
trovato una cassetta anonima, senza etichette né altro, l’hanno guardata.
C’erano strane immagini, strane cose”
“AH,
si, l’ho vista anche io!” lo interrompe Miroku. “E’ PornAcrobatic! Fantastico!”
“No,
non è quello idiota….” Koga continua a tenermi
stretto il braccio. “Insomma, te la faccio breve: quando la cassetta è finita,
è suonato il telefono, e una voce ha detto che sarebbero morti tra 7giorni. E
così è stato!”
Su
di Koga sono puntati tutti i nostri sguardi di
compatimento. Compreso quello di Ayame.
“Quello
è un film. Si chiama The Ring…”
“Ma
è tratto da una storia vera!” protesta, sedendosi su un divano. “Vedrete. Mi
auguro solo che quella non sia la cassetta in questione.”
Ayame ne
approfitta per strofinarsi contro di lui. “Ho un po’ paura, Koga….”
Miagola.
“Zitta
e non guardare” l’ammonisce lui, mettendole un cuscino del divano davanti agli
occhi. Ayame protesta dicendo che con il cuscino non
respira tanto bene, ma lui fa orecchie da mercante.
Io
spingo la cassetta e schiaccio il tasto play. Sullo schermo lattiginoso della
televisione compaiono tante righe bianche e nere e il rumore assordante della
cattiva ricezione. Ci portiamo le mani alle orecchie
infastiditi, tranne Koga che salta sul divano
con le mani nei capelli urlando istericamente “INIZIAVA COSI’! INIZIAVA COSI’!”
Poi
la taverna al piano di sotto, inquadrata dalla parte del mobile verso il
divano, sul quale si sedeva, dopo qualche istante…
Mio
fratello Sesshomaru. Nel video doveva avere circa Tredici anni, i capelli
lunghi e candidi come adesso, un paio di brufoli sulle guance una chitarra a
tracolla. Tossicchiò un attimo, poi si sedette, imbracciando la chitarra.
Inutile
dirlo: scoppiamo tutti a ridere a crepapelle.
“Il
primo provino di tuo fratello!” ride Sango, le lacrime agli occhi. “Aveva
stile, non c’è che dire!”
Miroku
è per terra. “Questa è meglio di un porno!” e io sono d’accordo con lui.
Nel
video, mio fratello inizia a pizzicare le corde della chitarra, concentrato, e
poi inizia a cantare:
“I come from down in the valley
where mister when you're young
They bring you up to do like your daddy done
Me and Mary we met in high school
when she was just seventeen
We'd ride out of this valley down to where the fields were green
We'd go down to the river
And into the river we'd dive
Oh down to the river we'd ride”
“Beh,
dai, però è bravo!” commenta Kagome. Poi la videocamera si muove appena e una
voce fuori campo tossisce. Sesshomaru si deconcentra e sbaglia un accordo.
Allora non si stava filmando da solo?
“Then I got Mary
pregnant
and man that was all she wrote”
“ECCO, NON
PRENDERE ESEMPIO DA LUI!” esclama limpida la voce fuori campo, una nota
divertita ed irriverente nella sua voce.
Sesshomaru si distrae nuovamente, questa volta gli scappa un mezzo sorriso.
Si sforza di rimanere serio e di continuare a suonare, ma non ce la fa. Gli
scappa di nuovo da ridere. “Papà, cavoli!
Non mi sei d’aiuto!”
PAPA’?dall’altro capo della del video c’era mio padre?
Anche i miei amici smettono di ridere, Miroku alza il volume del
televisore, mentre io mi avvicino, senza accorgermene allo schermo. PAPA’? Mi manca il respiro. Fatti vedere, papà, ti prego, fatti
vedere...supplico in silenzio. Il mio spasmodico desiderio ora è solo uno. Fatti vedere, fatti inquadrare papà TI
PREGO, TI SCONGIURO…
Ma di mio padre rimane la voce fuori campo che canzona Sesshomaru sul
modo in cui prende la chitarra e su come canta. “Se il BOSS ti sentisse si ritirerebbe!” “beh, si, ma solo perché ha
trovato uno migliore di lui!” Sesshomaru ride, imbracciando nuovamente la
chitarra e sforzandosi di tornare serio. “da
capo. E questa volta non intrometterti!” “Come sei NOIOSO Sesshomaru.” Mio fratello incomincia di nuovo a suonare. La
telecamera si sposta appena, per riprenderlo da un’altra angolazione.
Involontariamente, un angolo dell’inquadratura finisce per riflettersi contro
lo specchio. Ed eccolo li! Mio padre. Se ne vede solo un pezzettino, che io
mangio avidamente con gli occhi. Ha un pullover arancione, i suoi capelli
legati in una coda, e il viso seminascosto dalla telecamera. Sento le lacrime
pizzicarmi gli occhi. Papà… se non fosse successo l’incidente, il protagonista del video potevo
essere io. Mio padre sposta di nuovo l’inquadratura, zoomando il viso
concentrato di mio fratello, e la sua immagine riflessa allo specchio non si
vede più.
Io non mi muovo, agognando un altro riflesso rubato. La suoneria del
cellulare di Miroku ci fa trasalire tutti. Sento il mio amico che risponde, mi
sembra lontano mille chilometri. Qualcuno, che dal profumo riconosco in Kagome
mi viene accanto e mi passa un braccio attorno alle spalle, posando lievemente
le sue labbra sulla mia guancia. So che può sentire il sapore del sale, ma non
posso fare a meno di stare li, ipnotizzato dallo
schermo televisivo, ad aspettare un’altra immagine di mio padre, anche un solo
pezzo del corpo, una mano, un braccio, una ciocca di capelli. Un’altra volta il
suono della sua voce.
“Gli altri sono arrivati” annuncia Miroku a mezza voce, il tono meno irruento del solito. “Andiamo giù a prenderli, ragazzi.”
Dice, facendo cenno agli altri, che lo seguono in silenzio. Davanti alla Tv
rimaniamo solo io e Kagome.
La cassetta finisce pochi secondi dopo, interrotta da un fruscio e dalle
righe bianche e nere. Probabilmente era rovinata.
Rimango qualche istante come in trance a guardare quelle righe, a
malapena il rumore fastidioso mi colpisce le orecchie. Kagome cinge le mie
spalle con le sue braccia, stringendomi forte. “Vuoi che riavvolga il nastro?”
Scuoto la testa. Se lo rivedessi un’altra volta rischierei davvero di
scoppiare a frignare come un dannato moccioso.
Mi volto e sprofondo la testa nei capelli di Kagome. Restiamo così per
qualche minuto, finche non sentiamo il vociare eccitato degli altri al piano di
sotto.
“Dobbiamo andare” dico, cercando di nascondere i miei occhi arrossati.
Lei mi da un bacio e annuisce.
“Non credo di aver mai visto così tanta neve in vita mia!” esclamò a
mezza voce Kagura, scavalcando un cumulo a lato della strada, rischiando di
sbilanciarsi e cadere. “E fiocca ancora!”
“Non c’è mai stata così tanta neve da più di cinquant’anni”
la informò Sesshomaru, Aiutandola a sorreggersi, reggendo in perfetto
equilibrio le borse.
Quel pomeriggio Kagura gli aveva chiesto di fare un giro in centro,
sentendosi meglio. Così si erano diretti verso la via principale del Paese e la
donna si era lasciata andare agli acquisti, sembrava che il suo umore
migliorasse, pur restando sempre tesa. Quando un’auto le passava di fianco sobbalzava,
e seguitava a calarsi sulle orecchie il cappello di pelo e ad aggiustarsi gli
occhiali da sole sugli occhi.
“Guarda che ormai c’è buio. Se non te li togli non vedrai nulla.”
Lei sembrò non dargli ascolto e cambiò discorso: “Avrei voglia di una
cioccolata calda…”
Sesshomaru la guidò verso un delizioso bar in un angolo. “Qui è
eccezionale. Anche se la specialità della casa è il gelato allo yogurt con i
lamponi caldi.”
I due entrarono e si sedettero in un angolo del locale, avendo cura di
evitare la vetrina. Solo dopo essersi guardata attentamente intorno Kagura si
rilassò sulle poltroncine di velluto.
“Tirati via gli occhiali, per favore…” insistette l’uomo. “Mi sembra di
essere al bar con RayCharles…”
Alla donna scappò un risolino: “Ma io non sono nera e non suono il
piano…”
“Era un modo di dire…”bofonchiò l’altro, ordinando alla cameriera la
specialità della casa e una cioccolata con panna.
“Non hai ancora comprato nulla per questa sera” notò poi. Lei lo guardò
interrogativa. “Dovrei mettermi in ghingheri per un
cenone di capodanno con tuo fratello e i suoi amici?”
Sesshomaru scosse la testa. “Non ho la minima intenzione di dividere
nemmeno un mezzo pasto con quella banda di esagitati. Notando il tuo miglioramento,
mi sono permesso di prenotare un tavolo per due al Maxim,
il ristorante all’inizio della via.”
Lei appoggiò la fronte alle mani, scuotendo la testa. “Se non te la senti
possiamo anche restare in camera.” Aggiunse, vedendo
la sua espressione attonita.
“No, no, affatto!” Kagura sorrise. “è che, vista la situazione, mi pare
una cosa una po’ incosciente.”
“Anche se ti riconoscesse qualcuno, credi che ti farebbero qualcosa, qui,
davanti a tutti?
Lei annuì.
“Allora terremo gli occhi aperti”
Kagura si protese sul tavolo, verso l’uomo. Gli
occhi rossi che lo fissavano intensamente sopra le lenti scure.“Sesshomaru,
questo non è un film di 007. Questa è la realtà, e rischiamo davvero di
rimetterci il collo.”
“Tu non ti preoccupare.” La cameriera arrivò con l’ordinazione. “Pensa
solo a cosa metterti stasera.”
Kagura sospirò, non troppo convinta.
Le tre amiche ridacchiose di Kagome si sono
lanciate addosso a lei abbracciandola ed emettendo gridolini
festanti. Poi l’hanno strattonata in bagno, “Adesso ci devi raccontare tutto!”
bisbiglia curiosa una di loro, avida di notizie. Le altre annuiscono, mentre la
mia ragazza cerca di puntellarsi con i piedi per frenare l’irruenza delle
ragazze. “Inuyasha, aiuto!” mi chiama.
“Divertiti, tesoro!” rispondo di rimando. Mi dispiace
ma io con questa storia non voglio averci nulla a che fare…
Saluto Tsuya e il suo trolley leopardato, Nobunaga che la guarda imbambolato e constato che la faccia
di Hojo è di un color verde militare. “Che fai,
vomiti? Di già?” Lo prende in giro Koga.
“No, le curve…” fa appena in tempo a spiegare lui, prima di correre fuori
e di riempire un cumulo di neve con i suoi succhi gastrici.
Però sarei curioso di sapere cosa si dicono quelle. Curiosità che, tra
l’altro mi esprime pure Miroku. Gli rispondo che non sono affari suoi.
“La finestrella del bagno è aperta, sai, prima c’è andato Hakkaku…e dal giardino dovrebbe sentirsi tutto…”
Miroku dovrebbe fare la spia, da grande. Fingo indifferenza. “Non ho
intenzione di turbare la privacy di Kagome…” Mento. “Piuttosto, passami una
birra.”
Mentre Miroku si volta verso il tavolo per prenderla io sguscio fuori,
salutando di passaggio i neoarrivati. Corro verso il
giardino e attorno alla casa, sino alla famigerata finestra del bagno, ancora
aperta.
Mi ci piazzo sotto, maledicendomi per non aver preso su la giacca e
aguzzo l’udito.
… “Kagome, ti prego, dicci!Cosa avete fatto?”
…. “Stiamo morendo di curiosità!”
… “Ed invidia…”
…. “Beh, si, l’abbiamo fatto…” risponde Kagome
timidamente. Avverto il suo disagio anche senza guardarla in viso. Non vorrei
essere proprio nei suoi panni. In quel momento mi volto e, quasi rischiando
l’infarto, la mia faccia si ritrova a dieci centimetri netti da quella di
Miroku.
“Idiota” leggo sulle sue labbra,mentre mi porge
la birra.
Gli faccio segno di tacere e di andarsene, ma lui scuote la testa e si
accuccia di fianco a me. Ci provo con la forza, ma
rischio di fare troppo rumore. Mi prendo la birra furioso
e ne tracanno un gran sorso. Spero solo che Kagome parli bene di me…
… “OHMIODIO! Ma tutto?”
… “Beh, si Eri, perché, si può fare a metà?” Miroku soffoca dalle risate,
mentre io soffoco nella birra.
… “E com’è stato?”
… “…beh, Yuka, bello…”
…. “Ti ha fatto male? Perché se ti ha fatto male allora lui non era
l’uomo giusto per te! L’ho letto ovunque, se lui è l’uomo giusto non senti
dolore, ma senti la musica e gli angeli cantare!”
A questa sia io che Miroku facciamo fatica a non svenire dalle risate. Ma
è scema o cosa?
“Eri, ha fatto sesso per la prima volta, non ha sniffato della cocaina…”
“… e ti è piaciuto?”
“Beh… la prima volta… non tanto… fisicamente, intendo” si affretta a
dire. Io smetto di ridere, Miroku no. “Però gia dalla
seconda volta è stato nettamente migliore!” Brava Kagome, così si fa. La mia
birra ha un gusto migliore e Miroku mi da una pacca sulla spalla,
congratulandosi.
“E lui l’aveva già fatto?”
Questa cosa sembra imbarazzare Kagome, mentre risponde affermativamente.
“Io non lo farei mai con qualcuno che ha già avuto un’altra donna prima
di me!”
Yuka sbuffa, Ayumi
incalza.“…quanto è lungo?”
Silenzio. Non so cosa darei per vedere il gesto di Kagome. Dopo qualche
istante però si sentono dei commenti positivi. Altro punto in più per la mia
Kagome. Alzo la birra in suo onore mentre il mio amico
mima un applauso.
“Io non lo farei mai con uno che ce l’ha così.
Secondo me… è nocivo!”
“…”
“…”
“…”
Yuka tossicchia “Comunque, dicevamo. Avete
usato però…?”
“Si, si! Assolutamente, tutte le volte. Gli abbiamo rubati a Miroku. Sai,
la sua scorta personale…quella per ogni evenienza.”
Miroku pare contrariato, e io gli prometto che glieli restituirò. “Non
quelli usati, spero!” bisbiglia, sentendosi in diritto di finire la mia birra,
per poi gettarla in giardino.
“Ma ti ha detto che ti amava, che tu sei la sua vita per lui e che lui è
niente senza te?”
Tutte le ragazze danno segno di impazienza.
“Secondo me non è giusto. Lui ti ha costretto a
farlo così presto…” è sempre Eri ad essere in disaccordo su questa cosa…
“Guarda che c’ero anche io, ed ero pienamente
consenziente!” Altroché! Vorrei
aggiungere.
“Si, ma non è giusto. Non è romantico
farlo così presto!”
Le altre sbuffano, ma Eri risponde piccata: “Edward
non avrebbe mai proposto a Bella di farlo così presto! Per questo che il loro
amore sarà eterno. Perché hanno aspettato.”
“….”
“Mi dispiace. Non prendertela però…” Kagome prende un bel respiro. “E’
meglio che tu taccia perché non ne hai nemmeno la più pallida idea di cosa io
stia parlando. E sappilo, ti perdi una cosa grandiosa.”
“La mia sarà grandiosa perché avrò aspettato!”
“Si, e così tanto che lui appena avrà sentore dell’arrivo della patata
durerà dai 5 ai 10secondi.” Ride Ayumi.
Mi pare esperta la ragazza. “O forse sarà già in età da viagra”
“Non è vero! Quando uno ama
davvero per tutta la vita dura tutta la notte!”
“… orpo, presentamelo!”
“Credimi, mio fratello è ingegnere e ha appena dato un esame di
idraulica: non funziona così”
Miroku ed io ci poniamo la stessa domanda: E questo che c’entra?
La tensione è palpabile anche da fuori la casa.
E’ Kagome interviene per sedare la disputa. “Ragazze, è meglio che
andiamo fuori, o gli altri finiranno il buffet!”
Yuka sospira, sognante. “non vedo l’ora di
farlo anche io…” Miroku si offre volontario, alzando la mano,egli tiro una botta ridendo, facendogli cenno
di rientrare.
“Santo cielo… si sono moltiplicati come conigli!” commentò Kagura,
varcando la soglia della baita. Sesshomaru si guardò intorno, la rabbia che gli
montava dentro. Ce ne erano TROPPI…
Il buffet era già svuotato, una paio di idioti
ballavano su un tavolo mentre una ragazza molto disinibita mostrava il
completino rosso adatto all’occasione.
Le sue raccomadnazioni su un comportamento
pressoché civile e sul livello di baccano contenuto erano state ignorante.
Inoltre, in molti sembravano già ubriachi. Alle 7 di sera.
Kagura ebbe la brillante idea di levarsi di impiccio. “Ci metterò un po’
a prepararmi. Filo di sopra mentre tu sculacci tuo
fratello, ok?” disse, prima di scivolare tra i
ragazzi (un paio dei quali, per ulteriore
fastidio di Sesshomaru, l’avevano anche guardata ammiccando e fischiando).
“I-NU-YA-SHA!”
“Sono qui!” Si materializzò il ragazzo a suo fianco, con l’aria più
innocente e tranquilla dell’universo.
“Quali erano i patti?”
“Poco baccano mentre tu sei in casa, niente adolescenti ubriachi e privi
di sensi, niente pozze di vomito e niente musica a volumi stratosferici. Ah, mi
hai anche ricordato che siamo esseri umani e non scimmie assatanate.”
L’uomo gli indicò stizzito la baraonda generale, mentre Ginta, capito il problema, abbassava lentamente, ma progressivamente,
il volume dello stereo.
“Beh. Siamo un po’ in tanti e, sai, Siamo giovani e pieni di energia… ma
ti giuro che al tuo ritorno – si, lo so che stasera
andrai a mangiare fuori con Kagura, me l’ha detto Jaken- troverai questo posto
come nuovo.” Lo sguardo del ragazzo vagò un attimo per la casa. “Più o meno.”
“Inuyasha, io giuro che…”
“Mi dispiace interromperti, ma avrei una questione più urgente da
sottoporti. Puoi venire al piano di sopra?”
Sesshomaru lo seguì, di malavoglia, mentre lanciava frecciate ai ragazzi
che lo circondavano e che, vedendolo si fermavano, un po’ interdetti ed
inquietati da quella presenza. Persino Ayame smise di
tormentare Koga, per qualche secondo, e Sango si
avvicinò preoccupata a Miroku, quasi cercasse protezione.
Arrivati davanti al televisore Inuyasha si schiarì la voce: “Ho trovato
una cassetta.”
Oh cribbio,
questo mi vuole ricattare. Sesshomaru scelse di fingere indifferenza.
“Cassetta?”
Inuyasha annuì gravemente, accendendo il video. Le immagini scorsero
davanti agli occhi dell’uomo, che non si mosse di un millimetro. “Quindi?” Beh, non cantavo nemmeno male.
“Ne hai altre? Con papà, intendo.”
Tutto qui? “Da qualche
parte credo di averne qualcuna.”
“Ti spiacerebbe se le guardassi?”
“Perché mai?”
“Per vedere papà.” Rispose con diretta, disarmante semplicità Inuyasha,
giocherellando con il telecomando. “Mi ricordo troppo poco di lui. Non mi
ricordavo nemmeno della sua voce.”
Sesshomaru ci pensò un attimo.“Ci sono immagini di una famiglia a cui non appartieni.”
“Il ricordo di papà appartiene anche a me.”
Rispose con fierezza il fratellino, lo sguardo alto. “Non è solo appannaggio
tuo.”
L’uomo studiò il ragazzo che aveva davanti a sé. Con la maturità era
arrivato alla conclusione che il fratellastro non era la causa del divorzio dei
suoi genitori. I rapporti tra loro erano gelidi già da anni, prima che suo
padre si trovasse un’altra donna. Ma sua madre era una Contessa, e quel
matrimonio d’apparenza serviva a Inuno Taisho per pararsi le spalle finanziariamente, e per
fornire, comunque, un appiglio fintamente stabile all’unico figlio che aveva.
Poi però aveva avuto quella relazione, da
cui era nato Inuyasha, che aveva preso il suo posto. Fondamentalmente, Inuyasha
non aveva colpa di essere nato. Era stata colpa di quella donna. Ma il fatto che la sua risata infantile avesse rapito
il cuore di suo padre era una cosa che a Sesshomaru non era mai andata giù.
Aveva allontanato quel genitore che sentiva sempre più distante e distratto da
sé, arrivando quasi ad odiarlo, finché un giorno il giornale non gli aveva
dato la notizia che il cadavere di InuNo Taisho, importante imprenditore della città, era stato
trovato imprigionato nelle lamiere della sua auto, insieme a quello della sua
nuova compagna.
E da li aveva nascosto le cassette, perché sua madre cercava di
distruggere tutte le prove dell’esistenza dell’ex marito dalle loro abitazioni.
Chissà come aveva fatto quella a sfuggirgli. Forse ci aveva messo su le mani
Jaken, prima di sua madre, salvandola.
“Vedrò cosa trovo.” Disse semplicemente. “Non so sinceramente che fine
abbiano fatto.” fingendo noncuranza, si avviò
verso le scale che conducevano al piano superiore.
“Ah, Sesshomaru…” lo chiamò nuovamente il fratellastro. “comunque quella
non era l’unica cassetta che ho trovato.”
Ora l’espressione seria era sparita, lasciando il posto ad un sorrisetto
ambiguo e canzonatorio. “Devo davvero
farti i miei complimenti….!”
L’altro strinse le dita al legno del corrimano.“E allora impara dal
maestro.” Commentò sforzandosi di trattenersi dal picchiare il ragazzo e
salendo le scale in preda ad un leggero nervoso.
…Fregato…idiota.
Estraggo la cassetta dal videoregistratore e la porto in camera,
nascondendola dentro la valigia. Poi torno al piano inferiore. Speriamo che mio
fratello levi le tende alla svelta. La sua presenza in questa casa è un’ombra
sulla festa.
Kagura era in piedi davanti alla televisore, attonita,
il telecomando ancora in mano.
“Kagura Onigumo, imprenditrice, sorella e socia di NarakuOnigumo, è scomparsa da un
paio di giorni da casa. Si ipotizza l’allontanamento volontario, ma il fratello
non si sente di tralasciare la pista del rapimento di persona.
Il viso di Naraku, in primo piano, con la sua
espressione falsamente preoccupata, aveva invaso lo schermo.
“Sono molto
preoccupato per mia sorella. Non si era mai allontanata senza avvisare nessuno,
è molto strano da parte sua, vorrei che ci desse sue notizie…”L’inquadratura
si era allargata, rivelando i suoi cuginetti, Kanna e Hakudoschi, fra le sue
braccia, falsamente confortanti. “Noi
l’aspettiamo sempre, vogliamo solo sapere, da lei o dai suoi sequestratori,
come sta e cosa possiamo fare per portarla indietro.”
Kanna affondò la testa tra le spalle, gli
occhi a terra, Hakudoshi le rivolse uno sguardo
esasperato.
“Noi saremmo
disposti a fare qualsiasi cosa, per riabbracciare Kagura. Non è vero bambini?”
Il bambino annuì di riflesso, Kanna ciondolò un
poco la testa.
Poi lo schermo della televisore si spense
improvvisamente, tra lampi d’elettricità, bucato dal telecomando lanciato da
Kagura.
La donna aveva il fiatone, lacrime che le correvano lungo le gote pallide
e colpivano il pavimento di legno. Sentiva il proprio cuore pulsarle nelle
tempie, più forte del suono della musica due piani più in basso. Si accasciò
sulle ginocchia, sembrava spossata. Qualsiasi
cosa.
Sesshomaru era entrato dalla porta in tempo per vedere La parte finale
dell’intervista e la reazione di Kagura. Le si avvicinò,
posandole una mano sulla schiena. “Mi dispiace” sospirò lei, asciugandosi le
lacrime dagli occhi. Tremava.
“Oh, non è importante. Rin ha fatto la stessa cosa con il
joystick della Wii un paio di settimane fa.” L’aiutò
a rialzarsi e a sedersi sul letto. “Vuoi che disdica al Maxim?”
“Assolutamente no!” la donna si asciugò le lacrime. Un lampo di
determinazione degli occhi rubino. “Non permetterò a Naraku
di rovinarmi ancora. Non gli permetterò di rovinarci.” Prese poi il telefono
della camera e l’elenco telefonico. Lo scorse e poi compose il numero sotto gli
occhi di Sesshomaru, che la guardava senza capire.
“Pronto, Polizia Cittadina? Buonasera, sono
Kagura Onigumo. Ho appena visto il servizio al
telegiornale su di me” spiegò, la voce pacata e
serena. “Ho avuto un alterco con mio fratello e ho deciso di prendermi una
vacanza rilassante, lontana dai clamori della civiltà. Oh come?” Kagura
ridacchiò. “Si, davvero, glielo giuro agente, sono sola soletta. E contenta di
esserlo, in questo momento. Mi stavo giusto per immergere in una Jacuzzi fumante in compagnia di un buon libro e un
bicchiere di vino.” Inventò, con voce sensuale,
strizzando l’occhiolino all’uomo di fronte, che la guardava senza parole. “Volevo
quindi tranquillizzare gli animi di tutte le persone che sonoin pensiero per me.” Ridacchiò
ancora. Sesshomaru si spostò con una punta di fastidio, fingendo di provare
interesse per il telecomando conficcato nel televisore. “Oh, agente, io le
auguro un felicissimo capodanno. A lei e a tutta la caserma. Siete in tanti
stasera?” Sesshomaru sbuffò, provando ad estrarre l’oggetto di plastica. “Oh…
allora fate un brindisi anche in mio onore. Auguri, e grazie per la
chiacchierata.” CLICK.
“Che immaginazione!” commentò infastidito Sesshomaru. Kagura lo guardò
complice. “Per il momento va bene così. Vado a preparami.”
Gli schioccò un bacio sulla guancia. “Scusa se non ti invito, ma faremmo tardi
per la cena.”
Non sono ubriaco. Non lo sono affatto. Sennò a quest’ora starei vomitando
come Koga e Hakkaku. Invece
sono qui, disteso sulla neve con qualcosa
in mano, (la grappa l’abbiamo già finita una mezz’ora fa…. La vodka? Ce n’era
ancora? O è gin?”) guardando le stelle e conversando amabilmente con Sango e
Miroku a proposito delle Tre Civette sul comò. Non ho mai capito come avessero
fatto a fare l’amore con la figlia del dottore.
“Ma le civette non sono femmine?” domanda ad alta voce Sango. Miroku
scuote la testa convinto. “Sennò lesbicherebbero con la figlia del
dottore.”
Sango gli dà ragione. “Pensa che scena!”
“Inuyasha!”
Ecco, Kagome! Stavamo giusto parlando di far l’amore con il comò. No,
dentro. No, sopra. “Ti va di usare un comò?”
“Inuyasha, sei ubriaco!”
Scuoto la testa, l’ostinazione alcolica che mi da forza. “Assolutamente.
Non vedi? Sto benissimo!”
“Ma sei a torso nudo nella neve!”
AH, cavoli, è vero. E allora perché non avevo freddo? “Beh, anche Sango
lo è!”
“Non è vero!” urla lei, tastandosi. Miroku era già all’erta… “E’ Yuka che ha tentato il topless.”
Kagome mi Aiuta ad alzarmi. “Stupido…” borbotta. Vedo che anche lei non è
molto stabile. “Mio fratello è tornato?”
“Si, e già da un pezzo, non ricordi? Appena è rientrato nella sua stanza Ginta e Hakkaku hanno alzato il
materasso mentre tu e Miroku avete iniziato a cantare “siamo noi, siamo noi, il
paradiso siamo noi…”
Ah, già è vero! “Che ore sono?”
“Manca un minuto a mezzanotte….”
L’anno volta l’angolo, scompare dalla nostra
vista e io sono con la mia Kagome… Comincio a sentire il freddo. Lei capisce e
mi sorride, porgendomi la giacca. Me la infilo e la stringo a me, premendo le
mie labbra sulle tue. Lei protesta appena “Sai di vino…” “E tu di vodka alla
pesca.” L’anno nuovo ci deve trovare
mentre ci baciamo.
La stringo nuovamente a me. Me la farei così, sulla neve, al freddo, in
mezzo a tutti.
“CINQUE….”
Non ci stacchiamo più, le passo una mano tra i capelli.
“QUATTRO”
Sono grato all’anno vecchio. Mi ha portato via
dall’istituto, mi ha fatto accarezzare l’amore impossibile di Kikyo e mi ha
dato l’amore tangibile di Kagome.
“TRE”
Voglio iniziare l’anno nuovo con le sue labbra sulle mie. Voglio sentire
la fragola e la vaniglia nella mia testa.
“DUE”
Voglio Kagome con me per tutto l’anno nuovo, per l’anno nuovo ancora e
così via, finché esisteranno gli anni e i capodanno da
festeggiare.
“UNO”
“CAZZO!”Miroku su precipita in mezzo a noi,
interrompendoci, si getta sulla neve bocconi e vomita qualsiasi cosa abbia
sparsa per il suo corpo, sotto le risate di Sango e Koga.
“MEZZANOTTE!!!”
Mi getto di nuovo nelle braccia di Kagome. “PRESTO!” Un bacio. Un altro.
Un altro ancora.
“Buon anno, Inuyasha.”
“Buon anno Kagome…”
Sango ci raggiunge e ci abbraccia. Lo stesso fanno Ginta
ed Hakkaku. Miroku tenta di unirsi, ma lo
allontaniamo schifati con i piedi. Koga è braccato da
Ayame e ci guarda disperato.
La mia festività preferita è indubbiamente Capodanno, anche se tecnicamente
ho iniziato l’anno nuovo guardando Miroku vomitare nella neve, ma poco importa.
Sotto i fuochi d’artificio, le labbra sono ancora quelle di Kagome.
I fuochi d’artificio esplosero
dall’altra parte della finestra. Sesshomaru li guardò per un secondo poi i suoi
occhi dorati ritornarono sulla donna avvinta a lui, tra le lenzuola scomposte
del letto. Le dita delle loro mani si intrecciarono, mentre la passione non si
esauriva.
“Buon Anno, Kagura…”
“Auguri, Sesshomaru.”
Auguri a tutte ragazze! Aggiornamento in
Extremis, prima di partire per il Capodanno, (starò via un paio di giorni, non
preoccupatevi!) sempre sulle Dolomiti.
Grazie mille per le continue recensioni.
Grazie soprattutto a Mikamey, Beverly Rose, Alia_chan, MyImmagination, Kirarachan, smartina86… spero di non aver dimenticato
nessuna!
Grazie a tutte voi, spero che anche
questo capitolo sia di vostro gradimento.
Passate un buon Capodanno e iniziatene
uno nuovo che spero sia splendido!!!
+
NOTE:La canzone cantata/suonata da Sesshomaru è
The River di BruceSpringsteen. Il Boss è il mio cantante preferito, e non
vedevo l’ora di riuscire a infilare uno dei suoi capolavori qua dentro.
Ascoltatela pure. Può sembrare un po’ triste… ma è
cosi bella!
Il
bar con la specialità del Gelato allo Yogurt con sciroppo caldo di lamponi
esiste davvero, è a Cortina, ed è una cosa da sballo…
Il
dialogo delle ragazze nel bagno: Non me ne vogliano le fan di Twilight… ma
a metà volume mi erano cascate le balle dallo smielume.
Per questo mi sono rifiutata di leggere anche il secondo. La frase “mio fratello
studia ingegneria ecc…” l’ho sentita veramente in un dialogo molto simile a
questo in un bagno di una spiaggia a Riccione qualche anno fa.(io ero in fila,
non partecipavo attivamente alla discussione) E mi ha lasciato estremamente
perplessa. Tutt’ora non ho trovato essere vivente
(ingegneri laureati compresi) capace di darmi una spiegazione scientifica a
questa frase, che quindi catalogo sotto il nome di CAZZATA.
Forse
qualcuna di voi avrà qualcosa da ridire sull’abuso che faccio nella FF
dell’alcool. Non ho intenzione di urtate i sentimenti di nessuno, bevete con moderazione (ma chi
sarà mai poi questo Moderazione?) e non guidate in basa, please.
Io non lo faccio mai.
Aprì
gli occhi, serena come non si sentiva ormai da tempo. La sera precedente si
erano scordati di chiudere le tende della finestra e la luce del primo mattino
dell’anno invadeva la stanza e le feriva gli occhi. Si portò il lenzuolo sopra
la testa, mettendosi in ombra gli occhi rubino. Al suo fianco, Sesshomaru
seguitava a dormire, senza essere minimamente disturbato dal sole che lo
inondava, ricoprendolo d’oro. Kagura lo guardò per un attimo, incantata. Gli accarezzò
una guancia e sfiorò le sue labbra con un dito, ricevendo in cambio un mugolio
quasi infastidito, che la fece sorridere, abbandonandosi sul cuscino, senza
riuscire a staccare gli occhi dalla visione del suo uomo (si, perché non poteva
chiamarlo altrimenti. Sesshomaru era il suo
uomo. Suo.) addormentato come un bambino. Il suo stomacò brontolò
lievemente: pareva che l’anno nuovo le avesse anche riportato l’appetito, oltre
che al buonumore. Si alzò dalletto leggera, avendo cura di non scoprire né di svegliare
l’altro. Si stiracchiò, sbadigliando e stropicciandosi la faccia: si sentiva
proprio in forma. Si sentiva come se dentro si sé
fosse scattato qualcosa, un meccanismo che aveva riaperto il suo cuore e aveva
spazzato via il dolore, permettendole di respirare a pieni polmoni. Si sentiva
forte, invincibile. Posò lo sguardo allo specchio: per la
prima volta dopo tanto tempo si vedeva davvero bella, e non solo: Si vedeva viva. Il suo corpo non presentava
più alcun segno di violenza, né lividi né graffi. La sua pelle era rosa,
liscia, morbida e pregna del profumo di Sesshomaru. I suoi capelli le
ricadevano, morbidi e lucidi sulle spalle, incorniciando il viso, riposato e
disteso. Gli occhi rossi brillavano tra rimasugli di trucco sbavato.
Nell’impeto della sera precedente, non si era curata di toglierlo, e sorrise
nuovamente alla vista di quel “disastro” che in altre occasioni le disegnava in
volto un’espressione emaciata e arcigna. E poi c’era il collo. Elegante, da
cigno, che lei muoveva con grazia e che conferiva ancora più slancio alla sua
figura, mentre se lo sfiorava con le affusolate mani.
Gettò
un’altra occhiata all’uomo alle sue spalle, trovandolo ancora addormentato, e decise
di svegliarlo solo con la colazione in mano, come per ricambiargli il favore
che le aveva fatto nei giorni precedenti. Si infilò quindi dei vestiti e aprì
la porta delle scale.
E
si trovò davanti ad un misterioso materasso che ostruiva le scale.
Rimase
di stucco. “Che diavolo hanno combinato quei mocciosi stanotte?” domandò a
bassa voce, provando a spostarlo. Che diamine! L’avevano ben incastrato.
Ma
quella mattina Kagura si sentiva forte ed invincibile. Prese un bel respiro e
tirò un gran calcio al materasso, che si piegò e scivolò lungo le scale con un
morbido botto.
La
donna gettò un’altra occhiata all’interno della camera. Sesshomaru, con sua
grande sorpresa, non si era mosso di un millimetro. “Ma che sonno pesante che
ha stamattina!” si disse, pensando alle serate precedenti, quando bastava un
suo sussulto nel suo sonno agitato o un suo singhiozzo per fargli aprire gli
occhi. Chiuse la porta e scese piano le scale, guardandosi attorno.
I
ragazzi dovevano essersela spassata parecchio la sera prima. Ovunque c’erano
bottiglie vuote o semivuote e immondizia di vario
genere. Nell’aria aleggiava anche un acre odor di tabacco. E forse anche di un
altro genere di fumo. Le camere erano tutte aperte e Kagura, lanciando
un’occhiata in una di loro,vide cinque ragazzi che dormivano per terra, aggrovigliati l’un
con l’altro. Uno di loro aveva anche una tavoletta del water infilata al collo,
mentre ad un altro gli era stata decorata la faccia con un pennarello nero.
In
un’altra stanza riconobbe il ragazzo con il codino, amico del fratello di
Sesshomaru, addormentato con una bottiglia in una mano vicino ad una ragazza
dai lunghi capelli corvini, che aveva visto in quella casa anche prima del
capodanno.
Scese
di nuovo le scale, rischiando anche di scivolare sui gradini bagnati da qualche
bibita. Anche sui divani del salotto della taverna vi erano addormentati dei
partecipanti, tra bottiglie, cuscini, resti di razzi e mortaretti e pozzanghere
di fango date dalla neve sciolta portata da fuori.
Quando
varcò la porta della cucina si trovò davanti il fratello di Sesshomaru, che,
con la scopa in mano, cercava, imprecando, di ramazzare per terra in preda ai
postumi di quella che sembrava essere stata una tremenda sbronza di Capodanno.
Al tavolo, un ragazzo con lunghi capelli castani, torso nudo, che intingeva i
biscotti nel liquido marroncino della tazza di fronte a lui.
E’
dannatamente, maledettamente, fottutamente difficile
cercare di essere presente e di coordinare giustamente i movimenti, quando si
ha un mal di testa colossale, le retine bruciate dalla luce e gli arti che non
rispondono ai comandi. E’ da mezz’ora, credo, che sto cercando di togliere
qualche grammo di immondizia dal pavimento, con risultato pressoché nullo,
desiderando più di ogni altra cosa al mondo un’aspirina. E di certo quel
deficiente di Koga fa tutto fuorché darmi una mano.
Quella sottospecie di fogna umana fa tranquillamente colazione, come se fosse
al bar davanti a scuola, invece di muovere le chiappe e mettere a posto questo
casino prima che mio fratello ficchi il naso fuori dalla
sua camera e ci scotenni.
Sento,
lontano un miglio, qualcuno che entra in cucina. Devo guardarla per qualche
istante per riconoscerla.
“Sei… sei la donna di mio fratello, vero?”
Lei
annuisce, sembra quasi divertita: “Ti ricordi di me, allora? Buon segno.”
“Che
diavolo ci fai quaggiù? C’è anche lui?” Mi sento già spacciato.
“Oh,
no, stai tranquillo. Tuo fratello dorme come un bambino. Io sono solo scesa per
la colazione. Dov’è Jaken?”
Koga le
spiega che, onde evitare problemi durante la festa, l’avevamo
rinchiuso nella sua stanza con un mobile davanti alla porta.
“Giusta
precauzione”. Mormora la donna,
guardando il casino che ci circonda.
“C’è
del caffelatte nel brick, se vuoi, me ne sono appena
fatto una scodella….” Aggiunge Koga,
con fare da cavaliere. Kagura guarda il pentolino indicato e vedo che annusa
con aria perplessa, e ci fanotare che non ha affatto l’odore del caffelatte. Po guarda la
vicina bottiglia di Bayless, la crema di whiskey e la prende in mano. E’ vuota. “Di un po’. Non starai mica facendo colazione a biscotti e Bayless, vero?”
Lui
alza le spalle con noncuranza e noi ci scambiamo uno sguardo quasi preoccupato.
Poi
lei inizia a cercare l’occorrente per la colazione, mentre un'altra voce,
questa volta femminile, fà il suo ingresso nella
cucina. “Miroku è sull’orlo del coma etilico, secondo me…” esordisce Sango, le
occhiaie che toccano terra , non prima di aver
salutato, con tono incuriosito, Kagura.
“Beh,
a me non è sembrato più molesto del solito, ieri sera.”
“Koga… ha vomitato per un quarto d’ora e poi ha cercato di
farsi il portaombrelli…”
“E
ti ricordi cosa è successo fra di voi sulle scale?” Cerco
di farle ricordare, sogghignando.
Lei
si gratta il mento e mi guarda allarmata.
“Oh,
Aspirina, Aspirina!!” esclamo trovandola, in una
credenza, questa panacea per il doposbronza. Me ne
lancio un paio in bocca e il resto lo getto sul
tavolo. Koga ne prende subito una.
“Cos’è
successo tra di noi?” domanda Sango, guardandomi quasi
terrorizzata.
“Diciamo
che vi abbiamo chiesto di trovarvi una stanza…” Rispondo, con finta semplicità,
mentre traffico con un sacco dell’immondizia, dove infilo tutto quello che trovo
sotto il naso. “Ma non preoccuparti. Dopo quella frase lui si è addormentato –
si, sulle scale- e tu sei uscita a fare il pupazzo di neve con Kagome.” Forse. Questa parte non me la ricordo molto bene.
Sango
non si ricorda nulla. Si siede mortificata di fronte a Koga,
che le dice che il problema vero è se Miroku si ricordasse qualcosa. In effetti c’è da sperare che il mio amico non si renda
conto di aver pomiciato pesantemente con la ragazza dei suoi sogni solo mentre
erano entrambi sotto l’effetto dell’alcool.
Kagura
sembra cercare di trattenere una risata. Di certo Sesshomaru avrebbe avuto
molto da ridire riguardo alla piega selvaggia che aveva preso la festa. E
poteva giurare che le sorprese non fossero finite lì: noi
tre non abbiamo l’aria di essere stati
molto presenti la sera precedente. Forse a causa dell’oblio alcolico ci siamo anche
dimenticati le scene migliori. Mi viene in mente anche la famosa frase: in vino veritas. E
mi salta pure in testa il dubbio atroce di
aver parlato con Kagome di sua cugina Kikyo. Cavoli. Ricordo vagamente che la
mia ragazza aveva ricevuto unsms
di auguri per il nuovo anno dalla cugina… Ho detto qualcosa in quell’occasione? Ho fatto un commento? QUALE commento?
Sango
mi fa riavere dai miei dubbi interiori chiedendomi che fine abbia fatto Kagome.
“Dorme
come un sasso nella Jacuzzi insieme alle sue amiche.” Rispondo, seguitando a raccattare immondizia. “La vasca è
vuota, non preoccuparti” La sera precedente il livello di ubriacatura delle sue
amiche mi ricordo che era diventato molto fastidioso.
Una cercava di infrattarsi con qualcuno, un’altra
aveva addosso la sbronza triste e piagnucolava seduta
sul divano, da sola un’altra faceva discorsi senza capo né coda con Tsuya, che
sembrava in trance.
“Buongiorno
a tutti. Buon anno anche. E’ stata bella la festa?”
Ed
ecco, direttamente dall’oltretomba, o dal video di Thriller di MichaelJackson, il signor
Miroku.
Kagura
varcò la porta portando in bilico un grosso vassoio carico per la colazione.
Miroku, l’ultimo arrivato con la faccia da zombie, si era anche proposto di
aiutarla, ma la donna non si era fidata molto.
In
ogni caso, aveva tutta l’intenzione di fare quel favore che Inuyasha le aveva
chiesto: Trattenere il fratello il più possibile in camera. Un lavoretto facile facile per Kagura, ed anche
piacevole da svolgere. Era uscita dalla cucina mentre
Miroku sospirava che quel genere di fortune capitavano tutte agli altri.
Mise
il vassoio sul tavolo e si inginocchiò sul letto, posando le labbra sulla
guancia di Sesshomaru. Lui non fece nemmeno una piega, quasi fosse
stato narcotizzato. Kagura lo scosse leggermente sussurrando il suo
nome, ma il risultato fu solo qualche mugolio di poca importanza.
Si
lasciò scivolare i vestiti di dosso ed indossò solamente una leggera
vestaglietta di seta che aveva acquistato il giorno prima.
“Sesshomaru…
svegliati, coraggio… sono quasi tutta nuda e ho bisogno che qualcuno mi
scaldi…”
L’uomo
spalancò gli occhi, più sveglio che mai, mentre la donna si metteva a ridere.
“Quasi” Bofonchiò lui, sfiorando la seta
di cui era vestita. “Sei più coperta di un’esquimese.”
Protestò, mentre una mano scioglieva la cintura. Kagura si ritrasse, giocosa.
“Non si fa nulla senza una buona colazione!”
Sesshomaru
si mise a sedere: pareva contrariato. Chiese alla donna se l’avesse preparata
lei e, alla sua risposta affermativa, emise uno sbuffo divertito. “Sei sicura
di saper accendere i fornelli?”
Kagura
aprì la bocca, fingendo sdegno, mentre gli portava sul letto il vassoio. “Non
sono una mocciosetta viziata come lei, signor No Taisho”Nel dirlo
urtò involontariamente una fetta di pane ricoperta di marmellata, sporcandosi
il polso.
L’uomo
la prese e se la portò alla bocca, pulendola lentamente con le labbra. Kagura
lo guardò incantata: ogni gesto di quell’uomo, ogni
volta che lui la sfiorava le regalava una scarica di brividi.
“Sei
un disastro” le mormorò, continuando la sua esplorazione del polso della donna,
senza staccare un istante gli occhi d’oro dai suoi. “Cosa hai intenzione di
fare oggi?”
“Io
pensavo di non muovermi da questo letto…” ridacchiò la donna, con fare
malizioso.
Sesshomaru
l’attirò a sé. “Hai ragione… c’è troppo freddo fuori.”
Prima
che la baciasse, però, Kagura si infilò la fetta di
pane e marmellata in bocca. “Scusami, ma devo riprendere energie…” si
giustificò con finta innocenza. A Sesshomaru comparve uno dei suoi mezzi sorrisi
che a lei piacevano tanto, mentre si abbandonava sui cuscini. “Gradisce un po’
di televisione, signorina Onigumo, durante la sua
Petite Dejeuner?” La sera precedente, prima di
uscire, avevano fatto sostituire da Jaken la televisione distrutta con quella del
salottino al piano inferiore, così da potere utilizzare la televisione… e di
togliere a suo fratello la possibilità di vedere qualche altra cassetta
raccattata in giro per la casa. Kagura annuì, mentre sullo schermo comparivano
le notizie dei festeggiamenti dei capodanni da tutte le parti del mondo.
“Ma come hanno passato il Capodanno i
Vip?” Fu la sciocca ed inutile
domanda dell’annunciatrice, mentre partiva il servizio.
Starlette
e relativi pigmalioni su Yacht sul Mar Rosso…
Attorucoli
e comparse televisive nei locali alla moda della capitale…
Imprenditori
milionari sulle nevi delle località sciistiche più esclusive…
…e
una bella foto di Sesshomaru No Taisho e di Kagura Onigumo
al ristorante Maxim alle pendici dell’Hakurei.
“Lontano dagli uffici della Taisho Corp, l’ex fidanzato della Top
Model Sara preferisce la Top Manager
della FederInc, data per
scomparsa sino a qualche ora prima, diventando un uomo galante, affascinante e
attento verso la sua elegantissima partner. Dopo la cena, la coppia più
esclusiva della finanza si è dileguata, probabilmente verso lo
chalet che No Taisho ha nelle vicinanze…”
“Ma
quella non è la donna di tuo fratello?” aveva chiesto Miroku, puntando il
coltello sporco di marmellata alla televisione della cucina.
E’
proprio lei… ma guarda te che bella cenetta che si è
concesso mio fratello… Sotto a quella maschera da duro impassibile pare che si
nasconda un romanticone…splendido, altro materiale
per sfotterlo.
Sango
rimane a bocca aperta a fissare lo schermo: “E’ la sorella di NarakuOnigumo!” esclama,
guardando Miroku. Lui annuisce. “Il presidente della squadra di tuo fratello,
giusto?”
“Devo
parlare con quella donna….”
“Non
ora, Sango. Io non gli interromperei se fossi in te…”
Sesshomaru
rimase senza parole. A Kagura cadde il cibo di mano. “Te l’avevo detto…”
“Che
diamine, Kagura, non facevo altro che guardare a destra e a manca…”
La
donna aveva le lacrime agli occhi, il sorriso che aveva qualche
minuto prima scomparso del tutto. “Ci hanno trovato…” Si alzò in piedi,
in preda all’agitazione. “Devo andarmene subito.”
“Non
essere stupida…”
“Sesshomaru,
mio fratello sarà già in strada per venire qui. E’
meglio che non mi trovi.” Si gettò sulla propria roba, arruffandola e
buttandola dentro il borsone.
“E,
di grazia, dove vorresti andare?”
“Chiamerò
un taxi, andrò verso la città, conosco un ricettatore, mi farà avere subito un
passaporto falso e prenderò il primo aereo per l’estero…”
“Devo
fornirti anche una pistola o lotterai a mani nude?” domandò sarcastico l’uomo,
fermandola. “Ascoltami: Adesso, con calma
facciamo le valige e ci avviamo verso la città. Con Calma. E poi, sempre con calma, rimarrai per un po’ di tempo a
casa mia, finché non troviamo il modo di far fuori tuo fratello. Giuridicamente
parlando, non fisicamente.”
Kagura
provò a replicare, ma lui la zittì. “Naraku è un
castello di sabbia. Sembra bello e solido, ma basta un colpo di vento ben assestato per farlo cadere.
Vedrai che se lavoriamo in squadra riusciremo ad ottenere grandi risultati,
Kagura. Che ne dici?”
La
donna annuì, sforzandosi di credere all’uomo, nonostante il suo cuore,
improvvisamente divenuto pesante come un macigno, le dicesse il contrario.
“Ottimo.
Allora sistemi tu le valigie, per favore? Io vado ad avvisare Jaken del
cambiamento di programma.”
L’uomo
si vestì e si avviò verso la porta, aprendola.“Che diavolo ci fa un materasso
lì?”
Oh
merda, merda, merdamerda. Ho appena finito di dare una raccattare
velocemente l’immondizia e mio fratello si è presentato nella taverna. Mi sento
già spacciato, ma alzo lo sguardo con sfida. I miei amici mi spalleggiano, loro
sono i miei alleati. Questo sino a che Sesshomaru non si avvicina a noi: quel
branco di pecore si defila in un battibaleno.
Mi
fissa con quei suoi gelidi occhi dorati: “Dov’è Jaken?”
Gli indico
il mobile dietro al quale è nascosta la porta della stanza del maggiordomo,
cercando di spiegare l’ipotetico fastidio che ci arrecava. Mio fratello sposta
il mobile con una mano sola: stupefacente, la sera prima ricordo vagamente che
eravamo in tre a spostarlo.
Jaken
spalanca la porta, gettandosi verso Sesshomaru con gli occhi lucidi, ringraziandolo
infinitamente per averlo liberato dalla prigionia a cui
era stato costretto da “quei delinquenti”.
Attendo
da un momento all’altro un destro ben assestato dal padrone di casa, ma, meraviglia, Sesshomaru dice al maggiordomo che
dovranno tornare subito in città per affari, e di preparare l’auto
immediatamente.
“Il
primo dell’anno?” domanda scettico Miroku. Gli mormoro di non peggiorare la
situazione, se non vuole trovarsi decapitato.
Mio
fratello fa spallucce e scompare nuovamente al piano superiore, senza fare
accenno alcuno nello stato disastroso in
cui si ritrova la casa e i relativi occupanti. La cosa mi lascia letteralmente
a bocca aperta. Ci deve essere qualcosa sotto, senza ombra di dubbio.
“E’
andata molto meglio di quanto pensassimo, eh!” esclama Koga,
riemergendo da una cassapanca. “Forse preferisce ucciderti in privato” ipotizza
Sango, e questa cosa mi pare molto plausibile. Kagome apre la porta del bagno,
la testa fra le mani. “Inuyasha, forse è meglio che mettiamo tutto a posto,
prima che scenda tuo fratello…”
Kagura
scese dal fuoristrada solamente quando fu parcheggiato
nel garage chiuso. Aveva fatto tutto il viaggio coricata
sul sedile posteriore, come all’andata. Ma questa volta non era riuscita a
chiudere occhio, né tanto meno a calmare i battiti scatenati e dolorosi del suo
cuore. Si era aspettata uno speronamento, uno sparo,
per tutta la durata del viaggio. Più di una volta Sesshomaru l’aveva accusata
di essere eccessivamente paranoica.
Quando
si trovò nel salotto principale della villa, l’uomo le
aveva detto di comportarsi come se fosse a casa sua. Kagura si era guardata
attorno, con una fitta al cuore: se la baita sull’Hakureile era sembrata immediatamente un caldo rifugio dalle
sue disgrazie, la villa cittadina di Sesshomaru ora si mostrava ai suoi occhi
come un’immensa prigione dorata.
“C’è
qualcosa che non va?” le domandò l’uomo, notando la sua aria spaesata. Lei si sedette
sconsolata su un divano, mentre lui rimaneva in piedi a guardarla.
“Penso
solo che ogni mio tentativo di fare quello che desidero vada a vuoto.”
Sesshomaru
la guardò attentamente. Da quel poco che conosceva Kagura, da quel poco che
conosceva di lei, di certo poteva dedurre che la vita d’ufficio e gli impegni
sociali non le andavano prettamente a genio.
“Non
desideri stare qui? Per il momento sei al sicuro.”
La
donna scosse la testa. “Al sicuro…? L’unico posto in cui vorrei essere sarebbe
lontano da qui, non so neppure io dove, ma di certo in un ambiente molto
diverso. Senza nessuno che mi dica cosa fare o non fare.
Senza minacce concrete o velate. Senza maschere da indossare.”
“Deduco
che ti spiaccia stare qui.” L’uomo si sedette a suo
fianco, senza guardarla. “Me ne rammarico. Cercherò di rendere il tuo soggiorno
il più breve possibile.”
La
donna si portò le ginocchia al petto. Non sapeva cosa dire, per cancellare
quella nota di rabbia nella sua voce. “Non te la prendere. Io sono contenta che
tu cerchi di aiutarmi, andando pure nei guai per causa mia. Te ne sarò grata
per tutta la vita.”
Grata per tutta la vita. Era riuscita a dire solo quello, a esprimere
gratitudine verso tutto quello che Sesshomaru stava facendo per lei. Non era
riuscita a spiegargli la serenità che provava al
mattino a svegliarsi al suo fianco, alla meraviglia con cui lo guardava
addormentato, e nemmeno alla gioia selvaggia che le esplodeva in petto quando i
loro corpi venivano travolti dalla passione.
Era
riuscita solamente a ringraziarlo. E lui non aveva replicato. Erano rimasti
l’uno a fianco dell’altra, in silenzio, sul divano candido del lussuoso
salotto. Fu ancora la donna a rompere il silenzio tra di
loro.
“Quando
facevo l’università, sono riuscita ad avere il permesso dai miei genitori di
andare a studiare all’estero. Ho scelto la Francia. La
trovavo pregna di arte, di storia. La sentivo libera e indipendente tra le dita
dei libri che leggevo, tra le tele che guardavo. Sono stata a Parigi per 7
mesi: i più belli della mia vita. Ho conosciuto tanta gente diversa da quella
da cui ero circondata di solito. Ho riso, ho scherzato, hocantato… In poche
parole: ho vissuto la vita che desideravo. Pensavo di riuscire a finire l’anno
accademico laggiù, di fare quello successivo e di laurearmi, per poi andare a
vivere li. Sentivo di appartenere completamente a quella città.”
“E
perché sei tornata?”
“Naraku mi chiamò, un giorno. I miei genitori avevano fatto
un incidente in elicottero: stavano sorvolando la baia, e si sono trovati in
mezzo ad uno stormo di gabbiani. Nel fare una manovra azzardata mio padre ha
inabissato l’elicottero, e sono morti. Sono tornata dando l’arrivederci ai miei
amici, ben conscia di non rivederli mai più. Naraku
mi ha chiesto di rimanere e di aiutarlo nelle aziende. Subito non ne volevo
sapere. Ma lui è stato convincente.”
“Tuo
fratello è sempre stato così bastardo?”
Kagura
annuì. “Colpa dei miei genitori. Lui era il primogenito, l’erede. Gli davano ragione in tutto e per tutto, ne esaltavano il
suo carattere arrogante, definendolo deciso.
Io ero la sorellina minore, non completamente voluta, presentata a lui come
una specie di bambola, che doveva giocare con lui, a quello che desiderava.
Dovevo mostrargli rispetto perché lui
era più grande. E più intelligente. Non ho passato dei grandi anni, in quella
casa.”
Sesshomaru
annuì. Lui aveva scelto la strada che stava percorrendo. A Kagura era stata
imposta, invece. Ora capiva la soggezione che provava nei confronti del
fratello, del suo timore di essere sempre seguita, controllata. E poteva
comprendere il suo desiderio di volare via da quella vita e di affacciarsi sul
mondo.
In
quel momento Sesshomaru, per la prima volta forse nella sua vita, si sentì
sfiorato dalla gelida lama sottile dell’inadeguatezza. Non sapeva bene come
gestire la situazione, come far fronte ad una guerra finanziaria tra lui e
un’altra azienda colossale e contemporaneamente di riuscire a dare conforto alla
donna che sedeva al suo fianco. Una donna che lui sentiva, inspiegabilmente,
importante.
Trovandosi
spiazzato da questi pensieri, Sesshomaru reagì solamente appoggiando una mano
sulla suaspalla,
in un gesto che, se ne rese conto persino lui, risultò di gran lunga più freddo
di quelli a cui l’aveva abituata. “Dammi informazioni utili, e tuo fratello
finirà fuori pista.”
Kagura
lo guardò un secondo. Ciò che desiderava, in quel preciso istante, era
solamente quello di riuscire a credergli, di riuscire a sentirsi sicura fra le
sue braccia. Almeno di avere qualcuno dalla sua parte, che la capisse almeno un
po’. Ma il gesto e la frase la disorientarono, e nel cuore dubbioso e prevenuto
della donna si fece largo l’ipotesi di essere una pedina in un gioco ad
eliminazione.
Di
essere, anche per Sesshomaru, una bambola.
Fece
scivolare la mano dell’uomo dalla sua spalla. “Ho bisogno di una doccia calda”
“Se
ti va di usare la Jacuzzi al piano di sopra, potrei tenerti
compagnia. Così, per assicurarti protezione…”
Ma
lei scosse la testa. “Non adesso, Sesshomaru.” Disse, avviandosi verso il
bagno.
L’uomo
rimase sul divano, immerso nei suoi pensieri.
Capitolo incentrato su Kagura e
Sesshomaru, la coppia adulta della fic. So che è un
capitolo un po’ misero. Cercherò di scriverne alla svelta un altro. Spero che
sia di vostro gradimento, perlomeno!
“Va
bene, Miroku: allora ti dirò questo:La sera di Capodanno tu e Sango avete
bellamente pomiciato sulle scale della baita, e se noi non vi avessimo
interrotto, probabilmente ci avreste deliziati con una lezione di anatomia approfondita.”
Miroku
mi guarda scettico, prima di ricordarmi che io sono un
idiota.
“Guarda
che non sto scherzando: ci sono almeno una decina di testimoni. Che più o meno
se lo ricordano.”
“…Se
avessi anche solo sfiorato Sango me lo ricorderei
bene.”
“Eri
ad un soffio dal coma etilico.”
“E
poi lei mi avrebbe fermato”
“Anche
lei non era proprio in condizioni ottimali.”
Siamo
i primi nello spogliatoio vuoto, mentre ci cambiamo per il primo allenamento
post-natalizio. Con tutto quello che ho mangiato (e bevuto), temo di aver perso
quasi completamente la forma. Oggi avevo il fiatone dopo aver corso per il
cortile per arrivare in orario a lezione, cosa che, prima delle vacanze di
natale non mi era mai capitato.
Koga
entra grugnendo un saluto e gettando la borsa su una panchina, prima di
fissarla con odio, le mani sui fianchi.
Miroku
gli domanda che cosa abbia.
“Ayame ha raccontato a
tutti che in montagna gli sono saltato addosso.”
Questa
scena me l’ero persa…
“Non
è avvenuta, idiota! E non ero così penosamente
ubriaco. Per chi mi hai preso, per quel cretino che hai di fianco?” ringhia,
indicando Miroku, che si gratta il mento pensieroso.“Il problema è che per tutti io intendo anche i suoi genitori.”
Io
e Miroku emettiamo un sibilo d’orrore. Provo abbastanza disprezzo per Koga, ma non da augurargli una simile disgrazia!
Si
lascia cadere sulla panchina, grattandosi la testa. “Suo padre vuole uccidermi.
Ed il problema è che sono miei vicini di casa. Per evitare la morte questa
mattina mi sono calato dalla finestra del bagno.”
Mi
domando a cosa voglia arrivare Ayame con tutte queste
sceneggiate.
“A
saltarmi addosso!” urla il diretto interessato, saltando sulla panchina come se
fosse posseduto. “Quella è una pazza invasata, ha giurato che si metterà con me
e farà il possibile per convincermi! Mezzi leciti o meno!”
Ginta, Hakkaku e Hojo entrano
contemporaneamente nella stanza. I primi due confidano a Koga
di essere molto dispiaciuti, e concordano che è stato uno
vero amico, e che la sua memoria rimarrà scolpita nei loro cuori. Hojo invece gli consiglia invece di provare a trovare un
biglietto aereo per il Nicaragua, sfruttando i last
minute proposti dall’agenzia che ha sotto casa. “Non costano poi così tanto!”
assicura.
“Almeno
tu sei sicuro che tra di voi non è successo nulla.
Cosa che non si può dire di quel cretino lì!” aggiunge Ginta,
puntando il naso verso Miroku, che mi lancia uno sguardo angosciato.
Mentre
ci dirigiamo verso il campo il mio amico mi ferma, gli occhi velati di lacrime.
“Davvero è successo? Quello tra me e Sango?”
Annuisco
gravemente. So che è dura da accettare, ma Miroku dovrà farsi forza e guardare
avanti. Gli appoggio una mano sulla spalla, mentre lui punta lo sguardo a
terra, svuotato da tutte le energie, con il mondo sulle spalle.
“Io
voglio morire”
“Su,
dai, tanto nemmeno lei se lo ricorda…”
“…
ma lo sa?”
Non
posso mentirgli. “Gliel’abbiamo detto la mattina seguente… così, per prenderla
in giro. Si è detta molto disgustata dal suo comportamento sotto l’effetto
dell’alcol. Suvvia, vi siete solo baciati. Per un bel po’ e con molta lingua, è
vero, ma solo baciati… ”
“Voglio
morire…”
Cerco
di fargli coraggio: è giovane, ha tutta la vita davanti a sé per fare cazzate
peggiori. Lui mi guarda, con aria seria: “Inuyasha, se tu sei veramente mio
amico… adesso mi tiri una pallonata e mi mandi all’Ospedale con un forte trauma
cranico. Sarà un dolore più sopportabile di questo.”
Sospiro
e decido di tentare di scuoterlo alla mia maniera: “Miroku: quando fai il
melodrammatico sei più insopportabile di un gatto attaccato ai maroni.”
Kagura
aveva visitato la villa in lungo e in largo. Si era concessa una nuotata nella
piscina interna, aveva tentato di rilassarsi nella vasca idromassaggio, poi
aveva passato in rassegna tutti i film presenti nella
videoteca personale di Sesshomaru, senza trovarne qualcuno di suo interesse.
Si
sentiva abbattuta, stanca e senza forze, in una casa che percepiva fredda e
pesante, e provava timore persino a mettere un piede in giardino. L’angoscia la
stava attanagliando, e l’agitazione non la faceva smettere di guardarsi intorno
torcendosi le mani.
Aveva
voglia di sentire la voce di Sesshomaru, ma non si azzardava minimamente a
chiamarlo in ufficio o sul cellulare. Temeva che avesse problemi più gravi, in
quel momento. E poi voleva dimostrare un po’ di forza, di carattere: e
soprattutto non voleva essere una petulante e assillante rompiscatole.
Percorse
il piano delle camere in lungo e in largo, curiosando qua e là, mentre Jaken
era intento nelle sue faccende. Si introdusse nella camera
del fratello di Sesshomaru e si guardò attorno: niente di particolare, la
stanza comune di un adolescente: in disordine, con l’odore di fumo che
aleggiava nell’aria che la invitava. Ed ecco, ad acuire la tentazione,
un pacchetto di sigarette mezzo pieno sulla scrivania. La donna se ne accese
una, aspirando avidamente una boccata di aroma di tabacco. Lo sguardo le cadde
sugli altri oggetti presenti sulla scrivania. Un malloppo di fogli infilati
alla rinfusa in un blocco da disegno attirò la sua attenzione. Li prese in
mano: bozzetti di visi, di mani, di corpi e di armature futuristiche. Sorrise.
Il ragazzino aveva un certo talento per il disegno. Guardò poi un blocchetto
rilegato, e lo sfogliò, rimanendo piacevolmente colpita. Un fumetto
artigianale…
Ne
leggiucchiò qualche pagina, mentre finiva la sigaretta. Il ragazzo doveva
essere un principiante autodidatta: nonostante il talento dimostrato, vi erano
alcuni tratti che non proprio perfetti, come le espressioni dei volti dei
personaggi o i capelli scompigliati dal vento.
Prese
una matita e un carboncino da un barattolo ed uno dei blocchi intonsi: Erano
quasi dieci anni che non disegnava, da quando era
stata strappato quel sembiante di libertà che aveva assaporato per pochi mesi e
che le era rimasto scolpito nel cuore. Da quando era salita su quel’aereo che
le faceva lasciare Parigi e i suoi sogni.
Dopo
aver finito la sigaretta, uscì dalla stanza e si posizionò su un tavolo rivolto
verso la finestra sul giardino. Fece scorrere il suo sguardo sull’erba, sui cespugli
ben curati, sui rami secchi delle piante, senza trovare nessun soggetto
interessante. Infine, gli occhi scovarono uno specchio alla parete. Fissò un
attimo il suo riflesso, studiandone i lineamenti. Li trovava marcati,
spigolosi. La mano si mosse sul foglio e Kagura iniziò a delineare i contorni
del suo volto.
“Buongiorno!”
salutò una voce squillante alle sue spalle. La donna trasalì, voltandosi di
scatto. La bambina, che identificò come quella piccola
impicciona della vicina di casa che sembrava avere un debole per Sesshomaru e
andava a scuola con sua cugina Kanna, era appena
entrata dalla porta, e con solare irruenza le si era avvicinata, allungando il
collo per guardare nel foglio, curiosa. Si chiamava Rin, giusto?
“Allora
lei deve essere la fidanzata del Signor Sesshomaru, vero?”
Fidanzata? “Beh, non proprio…” balbetto, cercando di riflesso di
nascondere il foglio. Ma la bambina non demordeva e, con il suo largo sorriso,
continuava a muovere la testa per capirne il contenuto. “Sta scrivendo?”
Kagura
rispose negativamente.
“Sta
disegnando?”
Questa
volta, abbastanza scocciata, la donna annuì.
“Che
bello, adoro disegnare… e cosa disegna?”
“Un
ritratto…”
La
bambina emise un mugolio di gioia. “Davvero? E di chi?”
“Boh. Mio, credo… ma non mi riesce bene…”
“E
allora faccia il ritratto di qualcun altro!” rispose semplicemente. “Perché non
lo fa del signor Sesshomaru?”
La
donna lo guardò scettica. Era indecisa se risponderle malamente
o meno, ma decise di essere gentile con quella piccola rompiscatole, almeno per
quella volta.
“Non
riesco a disegnare chi non ho davanti.”
“Allora
disegni me!” squittì, piantandosi, sorridente e con gli occhi spalancati, di
fronte alla donna.
Quella
mocciosa era davvero ossessiva…
Miroku
percorreva in lungo e in largo il suo appartamento, in preda ad un forte stato
di agitazione. Aveva evitato Sango subito dopo gli allenamenti: mentre lei,
Inuyasha e Kagome andavano a fare merenda al bar della scuola aveva finto un
impegno improvviso e si era dileguato in fretta e furia. Giocherellando
nervosamente con il cellulare, decise che quella era stata un’autentica cazzata, e che avrebbe dovuto affrontare Sango e quello che
aveva fatto.
Sotto
l’effetto dell’alcol.
“Santi
Numi, ha detto che il suo comportamento è stato disgustoso!” Disse al suo riflesso nello specchio. “Disgustoso baciarmi?” saltellò sul
posto, sbuffando e guardando lo schermo del telefono. “In vino veritas.” Si grattò la testa, si
disfò il codino e se lo rifece un paio di volte, sempre scontento del
risultato. “In vino veritas” si ripeté ancora, per
convincersi. Prese una sigaretta dal pacchetto e se l’accese.
Sango non aveva ne fatto menzione, pur sapendolo. Il fatto che non l’avesse
evirato poteva anche essere un fatto positivo. Magari nel suo subconscio Sango
aveva un debole per lui. Magari nel subconscio di Sango lui era più che un
semplice amico. Come poteva far diventare conscio l’ipotetico subconscio,
alcool a parte?
IPNOSI!
Ottima idea. Avrebbe cercato su Google informazioni
sull’ipnosi. Oh, che diamine. Che cosa idiota.
“In
vino veritas” riflesse di nuovo sulla frase. Gettò la
cenere per terra. Un altro vantaggio del vivere da soli è che si poteva pulire
più o meno quando si voleva. In genere, quando si avevano ospiti o quando ormai
si rischiava il tetano a muoversi per casa senza stivali di gomma.
Decise
che era inutile rimuginarci ulteriormente: non avrebbe trovato da solo la
soluzione al suo dubbio atroce. “Molti problemi sono dati dalla mancanza di
comunicazione. Succede spessissimo nelle coppie. Figurarsi nelle non-coppie” si
fece forza, cercando il numero di Sango nella rubrica del telefonino. Esitò un attimo prima di dare l’invio per la chiamata. Gli
tremavano le dita. Davvero Sango gli faceva questo effetto? Avrebbe dato un
rene per ricordare almeno un secondo del loro bacio alcolico.
Schiacciò
il pulsante e aspettò la risposta, la gola riarsa, la sigaretta che finiva.
“Pronto?”
“Sa-
Sango?”
“Ciao Miroku!”Sango si sforzava a mantenere una voce neutra. “hai bisogno?”
“Beh
si.” Deglutì. Coraggio, non stava dichiarando guerra all’Afghanistan… “Volevo
sapere una cosa… riguardante quello che è successo in montagna. Noi non ne
abbiamo più parlato.”
Un
secondo di silenzio. Miroku sentì la ragazza prendere fiato dall’altro capo del
telefono. No, non poteva, non poteva, ma cosa gli era saltato in mente? Cosa
gli diceva la testa? Doveva avere il coraggio di parlargliene a quattrocchi, di
vedere la sua espressione, di studiare i suoi occhi…
“Di cosa?”
“Hai
poi parlato con la signorina Onigumo?” –Maledetto
vigliacco!!!!- si sgridò, picchiandosi la fronte con
il palmo della mano per punirsi. Senti un sospiro di sollievo appena
percettibile: probabilmente Sango stava scegliendo quale divinità ringraziare…
“No, non l’ho neppure più chiesto ad
Inuyasha, sinceramente. Non ne ho il coraggio… non saprei sinceramente che
dire…”
Parli con uno che di coraggio ne ha da
vendere, invece! Pensò il ragazzo,
dandosi sempre dell’idiota. “Posso aiutarti in qualche modo?”
“Non voglio coinvolgerti ulteriormente…”
“Oh,
suvvia, Sanguccia! Ti ho detto che ti avrei aiutato,
no? Dai, domattina andiamo insieme da Inuyasha, e gli chiediamo se possiamo
parlare con lei. Non ci potrà dire di no! Andremo a casa sua e tu le parlerai.
Sono sicura che quando sarai da lei saprai farle le domande giuste…Non potrà
non aiutarti. E se questo non sarà utile, beh, almeno ci avrai provato. No?”
“Grazie, sei davvero un amico.”
Si
augurarono la buonanotte e interruppero la conversazione. “Sarò anche un tuo amico, ma cavoli, mi hai dato un metro di lingua!” protestò
Miroku al telefono spento.
Usare
l’aggettivo pesante per identificare
quella giornata era un eufemismo. E anche infernale
suonava troppo soft. Mentre l’auto sportiva scivolava tra il traffico della
tangenziale, Sesshomaru si sentiva allo stesso tempo spossato e infuriato.
Tutti i guai che erano precipitati sulla Taisho Corp. in quel giorno erano
sicuramente riconducibili a NarakuOnigumo, e si sentiva uno stupido ad essersi invischiato in
quel modo così stupido, per una donna. Ma
che diavolo mi è preso? Continuava a ripetersi, mentre la mente non
lasciava l’ufficio e i suoi problemi. Ma
cosa mi è passato per il cervello? Doveva trovare una soluzione, e alla
svelta. Ponderò seriamente l’idea di Kagura di partire per l’estero. L’avrebbe
messa su un aereo per qualche altro continente e sarebbe tutto tornato nella
norma. Per lui per lo meno. Naraku avrebbe notato che
la sorella non era più con lui e avrebbe smesso di tormentarlo. Mera illusione constatò, sospirando. Naraku non era tipo da mollare la sua presa. Gli aveva
gettato la sorella tra le braccia nel tentativo di mettere le grinfie sulla sua
azienda, e di certo non avrebbe lasciato per così poco. Però magari la partenza di Kagura era poteva essere un
diversivo per fargli guadagnare tempo. E’
una donna adulta e vaccinata. Se la caverà. Si disse per convincersi.
Entrò
nel cortile della villa e parcheggiò l’auto, mentre sentiva crescere in lui la
fretta per affrontare il discorso con Kagura. D’altronde, lei non voleva essere
libera? E allora che lo fosse, così avrebbe fatto un favore ad entrambi!
Varcò
la soglia dell’abitazione e la voce di Rin arrivò alle sue orecchie. Ecco, una
nota positiva. La bambina lo salutò, correndogli incontro sorridendo, come
sempre. Poi aggrottò lo sguardo e lo guardò meglio: “C’è qualcosa che non va?”
domandò. “Avete l’aria sciupata…!”
Senza
rendersene conto Sesshomaru si strofinò la faccia. “E’ il lavoro Rin, sono
molto stanco questa sera…”
“Ci
sono dei guai?” chiese con noncuranza, mentre giocherellava con il bordo del maglioncino. A volte sembrava che quella bambina fosse
telepatica…
“Qualcuno
si...” rispose, abbassandosi per arrivare all’altezza
della bambina. “Ti fermi a cenare?”
Lei
scosse la testa: “La lascio riposare, questa sera.
Domani ho una gita con la scuola, e voglio andare a letto presto…” rispose con
dolcezza. Poi gli si avvicinò e gli bisbigliò all’orecchio,
facendo barriera con la mano: “Ho conosciuto meglio la signorina Kagura:
approvo pienamente, è un’ottima fidanzata per lei!”
L’uomo
si sforzò di sorridere, sentendosi in imbarazzo. “Ma non è la mia fidanzata”
rispose, sempre in sussurri.
Lei
lo guardò con aria contrariata: “Vi baciate?”
La
domanda lo lasciò un attimo interdetto. Se era per quello, allora facevano
anche altre cose… annuì.
“Siete
stati in vacanza insieme?”
Anche
qui doveva dare una risposta affermativa. Anche se proprio di una vacanza non
era stata, quanto più di una fuga.
“Ora
vivete insieme, no?”
Beh,
per cause di forza maggiori. E poi era una cosa molto provvisoria. Dovette rispondere di nuovo affermativamente.
“E
Kagura ha usato la sua carta di credito?”
“Nelle
migliori boutique dell’Hakurei…” fu costretto ad ammettere.
Rin
aprì le braccia: “E allora è la sua fidanzata. Non vedo cosa ci sia di
complicato!”
Sesshomaru
le scompigliò i capelli. La semplicità con cui Rin affrontava tutto era
disarmante. La bambina sorrise ulteriormente al contatto, inclinando la testa.
“Rin,
non devi dire a nessuno che Kagura si trova qui, ben inteso?” si raccomandò
l’uomo
“Adesso
vi lascio soli.” C’era una nota mesta nella frase, mentre si infilava il cappotto
e si dirigeva verso la porta. Si fermò, la manina sulla maniglia, voltandosi
nuovamente verso di lui: “Mi promette una cosa?”
“Se
posso…”
“Se
si sposa con la signorina Kagura, mi promette che non vi trasferirete lontano e
che potrò venire a trovarvi come adesso?Anche quando avrete dei bambini?”
L’uomo
sospirò, esasperato “Rin…”
“E’
giusto per mettere le cose in chiaro…”
“Ti
prometto che non ci saranno questo genere di problemi.”
Lei
lo fissò un po’ pensierosa, conscia che la sua risposta fosse
stata, in qualche modo, raggirata. Decise che per quella sera le poteva
bastare, ed uscì nell’aria fresca.
Seduta
ad una scrivania, le dava le spalle. Era chinata su un foglio di carta, così
intenta e concentrata che non l’aveva nemmeno sentito arrivare. Si avvicinò
alla donna cercando di non fare il minimo rumore, sbirciando nel foglio.
Era
il ritratto di Rin. Sorridente, con gli occhi birbanti spalancanti, il viso
appoggiato alle mani e i gomiti sul tavolo. Ciocche di capelli ribelli le
incorniciavano il viso e le inondavano il maglioncino.
“Non
sapevo che fossi un’artista.” Si complimentò, cercando di mantenere un tono
distaccato e neutrale.
Lei
quasi trasalì, volgendosi di scatto. Lo sguardo rubino catturò quello dorato
dell’uomo, che sentì un brivido corrergli lungo la schiena. La studiò
piacevolmente sorpreso. Quella che aveva davanti sembrava quasi un’altra
persona: I capelli neri erano raccolti morbidamente con una matita, che sbucava
sulla testa. Era sporca di carboncino sul naso, le labbra rosee erano schiuse
in una piccola smorfia serena e gli occhi sembravano brillare come due bracieri
accesi.
“Bentornato!”
esclamò la donna, alzandosi in piedi, abbandonando il lavoro, mentre cercava di
pulirsi le dita macchiate strofinandosele le une con le altre. “Tutto bene?”
Sesshomaru prese il foglio tra le dita, senza rispondergli.
“Oh,
è una sciocchezzuola. Mi ha chiesto lei di farglielo. Non disegnavo da anni e
mi ci è voluto un sacco di tempo per…”
“E’
davvero bello” mormorò, notando quanto fosse stata delicata a disegnare le
guance morbide della bambina, e con che precisione aveva riprodotto i suoi
occhi vivaci. “Sei davvero brava.”
Alla
donna comparve un sorriso compiaciuto. “Studiavo Arte, all’università. A Parigi
avevo perfezionato la tecnica…”
“E
poi ti sei laureata in Economia? Che spreco…” l’uomo appoggiò il foglio sul
tavolo, delicatamente, pensando di metterlo in cornice, una volta ultimato.
“Tutto
bene?” ripeté la Kagura,
un lampo d’apprensione nello sguardo.
Sesshomaru
capì di non doverle mentire. “No. Non va affatto bene.” La guardò nuovamente,
mentre le sue labbra si stringevano in una morsa penosa. Provò una fitta nel
vederla incupirsi e non riuscì a fermarsi dal cingerla
in vita. “Ma non è nulla di grave.” Posò le labbra sul suo collo. Se fosse
partita non avrebbe più visto le sue dita stringere una matita e non l’avrebbe
più fatta trasalire entrando mentre era concentrata.
Non avrebbe più ritratto Rin, né avrebbe sorpreso il suo naso sporco di grigio.
Le sue braccia non avrebbero più stretto la sua vita sottile, e i suoi capelli
raccolti così casualmente non avrebbero solleticato il suo viso.
Non
era decisamente una buona idea che lei partisse. “Non
è nulla che non si possa tranquillamente affrontare” aggiunse, raggiungendo le
sue labbra preoccupate.
Incontro
Kagura mentre scendiamo dalle scale e noto che mi guarda di sottecchi.
“Hai
bisogno?” le chiedo rudemente. Trovo che questa donna
sia insulsa. Non parla mai, non si sa che diavolo voglia né che diamine faccia,
e il fatto che sia la fidanzata di mio fratello non fa che rendermela più
antipatica.
“Ho
preso in prestito una matita e un carboncino da te.”
Rivela con leggerezza.
Ringhio:
“Sei entrata nella mia stanza mentre non c’ero?”
Lei
annuisce con aria menefreghista. “Non avevo nulla di meglio da fare.”
Non
sopporto queste cose: Crede di essere la padrona della casa solo perché si
scopa il proprietario?
Lei
si ferma, volgendomi le spalle. La vedo scuotere la testa
mentre mi dà dell’idiota. “Il tuo fumetto non è male. Devi curare meglio
i dettagli.”
“Ah,
ha fatto buona lettura la signora? Se vuole domani le posso portare a casa
qualcosa di suo gradimento… ama la letteratura straniera?” domano ironico. Sono
furioso per la sua intromissione. Non le ho chiesto nessun tipo di consiglio e
non è stata invitata a varcare la soglia di camera mia. Ha sbagliato letto per
caso?
Si
volta offesa, gli occhi che sembrano schizzarle fuori dalle
orbite. “Sei un perfetto imbecille.” Sibila. “Sono entrata nel tuo dannato porcile senza volerlo, chiaro? Ti ho addirittura fatto un complimento per quel
tuo lavoro da principiante. Certo, ti ho preso qualcosa, ma avrei potuto far
finta di nulla ed intascarmi il tutto senza dirti nulla. Non preoccuparti,
razza d’asino che non sei altro. Domani prenderò i miei strumenti e ti
restituirò le tue cazzatine.”
Vorrei
mandarla a quel paese, ma mi trattengo. Non so neppure io come faccio. Lei
prosegue per le scale, stizzita. Spero che la sua sistemazione qui sia
provvisoria: non credo di poter resistere a lungo in queste condizioni.
Poco Kagome/Inuyasha e tanta (troppa?)
Kagura. La sto tirando un po’ per le lunghe, divagando qua e la: il finale si
sta avvicinando passo dopo passo, e voglio essere sicura che ci siano i
tasselli messi al posto giusto.
Spero che questo Capitolo vi piaccia
(più dello scarso precedente, almeno).
Il
passo quasi marziale con cui Sango e Miroku sono entrati in classe stamattina
mi ha fatto temere il loro arruolamento nella legione straniera per espiare le
loro colpe alcoliche. Mi si avvicinano, sedendosi di fronte e fissandomi decisi
e con le braccia conserte. “Siete della CIA?” mi viene da domandargli.
“Inuyasha, sii serio: dobbiamo chiederti un
favore molto importante.” Inizia Sango.
Ho
i miei dubbi sul quanto Miroku possa essere serio in
questo momento, ma visto che è Sango a parlare posso almeno avere qualche
riserva a riguardo.
“Devo
parlare con Kagura Onigumo.”
“Quindi?
Parlaci, che cosa sono, un centralino?”
Miroku
alza gli occhi al cielo. È palese che sta tentando disperatamente di fare la
persona seria e composta per impressionare la ragazza. “Ok,
buttiamola così: Inuyasha, possiamo venire a casa tua a parlare con la donna
che si porta a letto tuo fratello?”
Alzo
le spalle. Non vedo il motivo per cui chiedermelo.
“Fate pure… tanto è sempre in casa.”
Sango,
guardandosi le unghie, mi spiega il motivo della richiesta. Suo fratello
continua a comportarsi in modo strano, a partecipare ad estenuanti allenamenti,
e a mettere su massa muscolare molto velocemente.
“Troppo”
aggiunge Miroku, guardandola seriamente.
“Il
presidente degli Spiders, la squadra di Kohaku, è niente di meno che il fratello di Kagura. Forse
lei sa qualcosa che può aiutarci…”
“Mi
sembra una stronzata” concludo. “Queste sono solo
vostre supposizioni. Sango, tu sei preoccupata per Kohaku,
e posso capirlo… ma se non ci fosse nulla sotto?
Andiamo, è una squadra di Under 14, non di certo professionisti di Serie A.”
Sango
scuote la testa. “Sono una persona razionale, Inuyasha, per chi mi hai preso?
Non sono una schizzata paranoica, so che a Kohaku sta
succedendo qualcosa e ne voglio capire esattamente il grado di gravità.”
“Ok, come vuoi. Stasera passa pure prima di cena. Tanto lei
è sempre a casa a non fare un tubo…”
Miroku
mi chiede se sono impegnato questo pomeriggio, e io
gli rispondo di si. L’entrata della professoressa Kaede interrompe il mio amico
dal chiedermi che cosa mi trattenga fuori casa.
Le
mie labbra percorrono il suo collo, la sento deglutire, come se stesse cercando
di controllarsi. Le mie mani percorrono i suoi fianchi, impazienti di tuffarsi
sotto la stoffa della divisa scolastica. Le mie dita, senza essere fermate,
slacciano i bottoni della camicetta, mentre il respiro di Kagome si fa più
pesante. Mi accarezza la schiena, mi aiuta a sfilare la maglia. Torniamo a
baciarci, rotolando sul materasso del suo letto, fra i
peluche a forma di animali e i cuscini colorati. La casualità degli
eventi ha voluto che oggi pomeriggio la madre di Kagome, usufruendo di un
permesso di lavoro, abbia deciso di portare figlio
minore e infante vicino di casa al luna park in città. Il Nonno invece, è
impegnato in una qualche attività con la sua combriccola di ottuagenari
compari.
Abbiamo
tutto il tempo che vogliamo, possiamo prendercela con estrema calma. Ed io sono una persona meticolosa in certe cose, non mi piace aver fretta.
“Inuyasha…”
mugola, mentre assalgo i gancetti del reggiseno fiorato che indossa. Dannati
cosi, mi ci impiglio sempre e faccio una fatica atroce a toglierli. Quasi quasi glielo strappo di dosso.
“Inuyasha….”
Ripete. “Si, Kagome, un attimo che questo affare si è incastrato….”
“Inuyasha!”
protesta, spingendosi via dalle mie braccia. Rimango stupido, a braccia aperte
e con il suo reggiseno finalmente staccato in mano. “C’è qualcosa che non va?”
“…
Li hai, vero?” mi chiede, guardandomi seria, mentre si copre,
incomprensibilmente pudica.
“…
non li prendevi tu, alla frutta?” ricordo male, forse? Lei alza gli occhi al
cielo, un mugolio spazientito. “Ti ho già detto che li deve portare l’uomo”.
Beh, certo, un po’ di cavalleria… E adesso? Facciamo senza?
Kagome
mi fissa come se avessi detto la peggiore eresia di questa terra, mi strappa il
reggiseno di mano e se lo infila in tutta fretta. “E adesso tu li vai a prendere nella farmacia qua
all’angolo…!”
“Non
mi accompagni?”
“Scherzi?
Mi conoscono tutti in quartiere!” strilla, rossa in volto dall’imbarazzo. Tira
fuori il porta monete dallo zaino e lo apre,
porgendomi alcune monetine. “Possiamo fare a metà con la spesa…”
Scuoto
la testa. Sarò un vero cavaliere. Seppure scocciato, mi infilo le scarpe e mi
dirigo velocemente verso la porta. Lei mi chiama,
ricordandomi che sono a torso nudo. Già… afferro la giacca, e me la infilo,
senza nulla sotto, chiudendomela sino al collo, e poi corro fuori, più veloce
che posso.
In
tre balzi ho percorso la scalinata del tempio, in meno di un secondo sono
arrivato alla fine del vialetto d’entrata, saltando il cancello come uno degli
ostacoli nell’ora di ginnastica a scuola, atterro sul marciapiede a piedi pari
(pavoneggiandomi anche un po’) e mi lanciò a folle velocità verso la farmacia
più vicina.
Giro
l’angolo con una leggera derapata e mi getto sul distributore automatico come
un assetato su una fonte d’acqua. Litigo con le monetine che non vogliono
entrare e che si incastrano: con un paio di pugni ben assestati però è tutto a
posto. Seleziono la confezione desiderata da Kagome (Frutti tropicali – con
nuovo gusto Papaia) e ripercorro, sempre a velocità della luce, la strada del
ritorno. Stessa derapata all’angolo, stesso salto agile della staccionata.
Faccio la gradinata a testa bassa, e quando ne arrivo alla fine mi concedo di
voltarmi con il pugno alzato, come RockyBalboa.
Spalanco
la porta di casa sfoderando il mio migliore sorriso da seduttore e sventolando
la confezione così agognata.
Kagome
mi viene incontro, completamente vestita
e con un’aria terrorizzata sul volto.
“Sono
tornati! Le giostre erano chiuse.” sibila a bassa
voce, agitando la maglia della divisa di fronte ai miei occhi. “Nascondila!”
Dannazione.
La confezione non entra nelle tasche minuscole della giacca… non riesco nemmeno
ad ancorarla ai pantaloni della divisa… Kagome, risoluta, me la strappa di mano
e la getta sotto un mobile. Il gatto, presente nella sala, nota il movimento e,
come da sua natura diabolica, insegue l’oggetto, infilandosi sotto il mobile.
Kagome lo lascia fare, troppo preoccupata per altro.
Poi
finge che io sia entrato solo ora, salutandomi ad alta voce. Io rimango come un
fesso con la maglia in mano, mentre sua madre si affaccia dalla cucina e mi
saluta calorosamente. Nascondo la maglia dietro la schiena, rispondendo al
saluto.
E
poi dalle scale scende Souta, che mi corre incontro
con gli occhi spalancati come se avesse una visione mistica… seguito da Kikyo.
Perché
diavolo ogni volta che la vedo il cuore manca di un
battito? Perché, nonostante quello che provo per Kagome, per quello che stiamo
vivendo insieme, non riesco a guardare Kikyo normalmente? A salutarla, a
parlarle come se niente fosse? Lei è acqua passata, no? Posso capire
l’imbarazzo a trovarmela davanti… ma questo mi sembra
eccessivo.
Deglutisco,
torcendo le mani nella maglia.
Ci
salutiamo, mentre la madre di Kagome mi dice di accomodarmi e chiede se
gradisco una merenda. Nel risponderle negativamente, cercando di sembrare
normale nonostante abbia ancora il fiatone dalla corsa precedente e stia
sudando come un pinguino nel Sahara, la maglia mi sfugge di mano e cade per
terra.
“Come
mai hai la maglia in mano, Inuyasha?” mi domanda la signora Higurashi,
incuriosita.
Rimango
senza parole, lo sguardo completamente perso nel vuoto, il cervello in tilt. Mi
metto le mani nei capelli.
“Oh
no… è successo di nuovo!” esclamo, senza capire il perché di questa mia uscita.
“Kagome, posso usare un attimo il bagno?” Annuisce, basita, le labbra aperte a
O. Mi fiondo in bagno urlando uno “scusatemi!”
Mi
getto più e più volte l’acqua in faccia, invocando il mio self control. Santi
numi, ma perché tutte queste situazioni surreali devono capitare al
sottoscritto?
Quando
esco dal bagno Kagome mi guarda scuotendo la testa. “Sai che improvvisi proprio
da schifo?”
“Saresti
riuscita a fare di meglio?” rispondo irritato. Lei piega la testa di lato,
riflettendo. “In effetti no…” ammette.
“Cosa
facciamo? Andiamo a fare i compiti in camera mia o usciamo?”
Non
voglio stare in questa casa un minuto di più. Sia per la figura fatta sia
perché quando c’è Kikyo nei paraggi mi sento mancare l’aria. Propongo di andare
a casa mia. O su Marte, a discrezione di Kagome.
Prende
la sua giacca e ci avviamo verso l’uscita, in tempo per vedere la scena più
raccapricciante della mia vita:
Quel
maledetto gattaccio di casa Higurashi è riuscito a spingere da sotto il mobile
la scatola di profilattici, che è stata prontamente raccolta dalla madre di
Kagome, che se la rigira tra le mani. Sto per avere un altro mancamento, la vista
inizia ad offuscarmi, mentre la donna chiama Kikyo a sé. Consegna alla nipote
la confezione, sibilando, allarmata: “Questi devono essere tuoi, nascondili
prima che li vedano Kagome e il suo ragazzo e si facciano strane idee!”
Kikyo
non replica, rimanendo solamente a bocca aperta, fissando la scatola con gli
occhi sbarrati. Non nega, non annuisce, non fa nulla. Ma la cosa peggiore è
che, dopo qualche secondo di gelido smarrimento, mentre la zia si allontana
borbottando, lei alza gli occhi su di me.
Credo
di essere diventato una statua di marmo. Sento freddo e non riesco a muovermi
di un millimetro. Riesco a malapena a deglutire, mentre Kagome, a mio fianco,
abbozza un sorrisetto imbarazzato e mi trascina via.
Riesco
a togliere lo sguardo da Kikyo solo perché la mia ragazza chiude la porta fra
me e lei.
Arriviamo
alla fermata dell’autobus senza parlare, quasi correndo, sollevati nel vedere
il mezzo pubblico che arriva. Ci saliamo e solamente quando siamo seduti
tiriamo entrambi un sospiro. Di pena il mio, di sollievo quello di Kagome. Mi
accarezza una guancia. “Andiamo, mia madre non ci ha scoperti. E mia cugina non
farà la spia…” La cosa non mi rincuora, e lei lo nota. “Davvero. La conosco
bene, è sempre stata dalla mia parte, siamo cresciute praticamente insieme,
siamo quasi sorelle.” Mi viene da piangere. Non posso
continuare così. Kagome DEVE sapere. Per quanto doloroso sarà, devo rivelare a
Kagome quello che c’è stato tra me e Kikyo. Il mio cuore è stretto in una morsa
angosciosa, lo stomaco è in rivolta, la testa mi gira e ho la gola riarsa. Non
riesco neppure a respirare bene.
“Inuyasha,
non stai bene?”
Scuoto
la testa. Ho voglia di vomitare. Kagome mi mollerà, mi odierà, mi farà a pezzi.
Ma non posso nasconderle questo in eterno. Mi prende la mano. “E’ fredda…”
mormora, accucciandosi a me. “Inuyasha, sei rimasto davvero così sconvolto?”
Annuisco.
Mi stringe la mano, appoggiando la testa sulla mia spalla. Perdo il mio sguardo
fuori dal finestrino.“Visto l’imprevisto, chiamiamo
Sango e Miroku e ci troviamo da te prima?”
“Digli
di arrivare tra un paio d’ore, almeno.” Mormoro.
“Prima dobbiamo parlare”
“Inuyasha,
a casa tua c’è la ragazza di tuo fratello e il tuo maggiordomo e…”
“Non
preoccuparti. Voglio solo parlare.”
Chiudo
la porta di camera mia dietro alle mie spalle, appoggiandomi, come se fosse di
pesante pietra. Il macigno sullo stomaco si è fatto ancora più pesante. Kagome
si toglie la giacca, guardansi intorno allegramente curiosa, ignara di ciò che
devo dirle. L’abbraccio forte, tuffando il naso sui suoi capelli. Poi la bacio.
Potrebbe essere l’ultimo bacio che lei mi regala. Potrebbe essere l’ultima
volta che sento il suo profumo, il suo respiro sul mio.
Penso
a quello che ho passato con lei e vorrei tornare indietro, far finta di nulla
come ho fatto sino ad ora, cacciando il passato dentro ad un cassetto e
guardando solo al presente. Ma Kagome merita una persona sincera al suo fianco.
Io ho deciso che sarò sincero con lei.
Poi
lei deciderà se vorrà tenermi ancora con sé.
“Inuyasha,
cosa ti succede?” sento la preoccupazione nella sua voce. Ci sediamo sul
tappeto, a gambe incrociate, l’uno di fronte all’altro. Non riesco a guardarla
negli occhi, così focalizzo la mia attenzione visiva sulle mie ginocchia.
“Devo
dirti una cosa che non ti farà piacere. Che ti ferirà, probabilmente, e ti farà
incazzare da morire. Mi odierai dopo, ma io devo
dirtela.”
Sento
i suoi occhi puntati su di me, la sua massima attenzione calamitata sulle mie
parole, le nocche delle mani che si stringono convulsamente tra
di loro. “Riguarda il tuo passato?”
Annuisco
gravemente.
“Ti
ricordi che ti ho detto che prima di te c’era stata un’altra? Che non era la
prima esperienza?” Sento che lei trattiene il respiro. “Ti ricordi che ho detto
che tu non la conoscevi?” Prendo un bel respiro profondo. “Non è vero”
“Non
mi importa chi è, l’importante è che…”
“Si
trattava di Kikyo”
Se
il silenzio avesse un proprio peso specifico, quello che è sceso sulla camera,
sulla casa in questo momento, sarebbe di tonnellate e tonnellate. Proseguo, a
fatica. “Kikyo ed io ci siamo conosciuti nell’infermeria, come ben sai.
Passavamo ore a parlare. E poi… siamo diventati qualcosa di più. Vedi il mio
set da disegno? Me l’ha regalato lei. E anche il cappellino. Poi lei se ne è
andata, mi ha lasciato, perché sapeva che quella storia era sbagliata. E io
sono tornato ad essere solo. Poi mio fratello mi è venuto a prendere e… il
resto lo sai.”
“Mi
avete mentito…” bisbiglia Kagome, gli occhi lucidi fissi su di me. “Tu mi hai mentito mentre io mi donavo a te. Lei mi ha mentito
parlandomi di te come un moccioso scapestrato, un futuro delinquente,
sconsigliandomi di continuare la nostra storia.” Mi
sento un verme, il più infido degli insetti. “Perché, Inuyasha?” Si stringe le ginocchi al petto, senza smettere di fissarmi.
Scatta
in piedi, gli occhi fiammeggianti, pieni di odio.“E adesso pensi che io non
soffra?” urla. “Credi forse che io sia una stupida, che si fida del primo che
incontra? Sai perché mi sono fidata di te? Sai perché ho fatto l’amore con te?”
Pesta
un piede per terra. “Perché io TI AMO, Inuyasha. Perché credevo di essere
importante per te. Perché voglio far parte della tua vita, perché voglio che tu
faccia parte della mia!”
“Tu
sei importante per me, Kagome.” Mi alzo anche io, l’abbraccio senza essere
ricambiato. “Tu sei la cosa più preziosa che mi sia mai
capitata. Tu sei la cosa più bella che io
potessi mai desiderare. E il solo pensiero di perderti mi fa impazzire.” Accarezzo i suoi capelli. Kagome non si muove. “Così come
il pensiero di farti soffrire. O di mentirti. Io voglio essere alla tua
altezza.”
“Amavi
Kikyo?”domanda a bruciapelo. Ormai il recinto è aperto e il gregge esce
correndo.“Si.”
“E
ami me?” La guardo negli occhi. Sono Lucidi, ma allo stesso tempo brillano di
una rabbia selvaggia, feroce. Occhi che potrebbero uccidere. Bellissimi occhi
castani che vorrebbero strappare il cuore dal petto. “Si.”
“Riesci
ad amare due ragazze in così poco tempo, Inuyasha?” la sua voce trema, ma è
roca, dura.
Scuoto
la testa. “Kikyo è stata la prima che mi abbia visto come una persona, con un
carattere, qualità, pensieri. Come una persona vera, non come un volto tra gli
altri, come un penoso scarto che sarà sempre un nessuno.”
“Se
Kikyo non ti avesse lasciato, e tu mi avresti incontrato, tu l’avresti lasciata
per me?”
Rimango
in silenzio. Questa domanda non me l’aspettavo, mi ha completamente spiazzato.
“La nostra storia era sbagliata.” Mormoro soltanto.
“Non aveva futuro.”
Improvvisamente
Kagome sembra senza energie, spossata, svuotata. Si appoggia alla parete e si
lascia scivolare per terra. “non è una risposta.” Mormora, gli occhi puntati
contro la finestra imperlata d’acqua che da sul
giardino. Fuori il cielo è grigio, piove. Mi siedo di fronte a lei. Non parliamo più
finché un messaggio di Miroku ci avvisa che sono in arrivo.
“Hey, che faccia…. Sembri passato sotto un tir!” esclama
Miroku, entrando con Sango in casa. Gli intimo di
lasciar perdere, ma lui continua, imperterrito. “…eravate soli questo
pomeriggio! Oh, no, non mi dire che hai fatto cilecca!”
“MIROKU,
SE CI TIENI AD ARRIVARE ALLA MAGGIORE ETA, FATTI I CAZZI TUOI, CHIARO?”
“…allora
hai fatto davvero cilecca….!”
Vedo
con la coda dell’occhio Sango che parlotta con Kagome, che le fa segno che
parleranno dopo. Poi la ragazza si rivolge a me. “Dunque, è in casa? “
“Si,
al piano di sopra… andiamo, prima finiamo questa storia e meglio è.”
A
Kagura pareva quasi aver raggiunto la pace dei sensi. Aveva chiesto a
Sesshomaru se poteva acquistare colori e pennelli, giusto per rimettersi in
carreggiata e per passare il tempo.
Come
risposta, si era vista recapitare in tarda mattinata una fornitura di
attrezzatura che sarebbe bastata per ridipingere la Cappella Sistina.
Così,
battezzando una stanza luminosa come proprio atelier,
si era messa davanti al cavalletto e aveva tracciato su di una piccola tela il
primo paesaggio che le tornava piacevolmente in mente: La vista dei monti innevati
e baciati dal sole del mattino di cui poteva godere dalla camera di Sesshomaru
sull’Hakurei.
Era
sicura che l’uomo avrebbe apprezzato il suo lavoro, e pensò che si sarebbe
sentita meno in debito con lui, proponendogli la veduta del posto che lui amava
tanto.
Il
bussare deciso alla porta distolse la sua concentrazione dalla riproduzione
delle vette scintillanti e dei tetti del paese di montagna. Pensò fosse il
maggiordomo, venuto a la tisana che aveva richiesta.
“Avanti”
Con
sua sorpresa, la testa di Inuyasha fece capolino dalla porta. “Ciao. C’è una mia
amica che ti deve parlare. Dai, Sango entra.”
TUC!
Un pugno aveva colpito il ragazzo sulla fronte, mentre una voce femminile gli
dava dell’idiota e lui si lamentava.
Questa
volta dalla porta si fecero vedere la ragazza di Inuyasha e l’altra moretta che
soffriva di amnesia post sbronza il primo giorno dell’anno.
“Le
chiediamo scusa, signora Kagura, la disturbiamo?” domandò la prima. Kagura alzò
le spalle. Ormai l’avevano interrotta, tanto valeva sentire che cosa cercassero.
L’altra
ragazza prese un respiro e fece qualche passo dentro la stanza, seguita dalla
sua amica, da Inuyasha che si toccava accigliato la fronte e da un altro di
quei ragazzi che aveva visto sulla baita.
“Mi
chiamo Sango, e volevo chiederle un paio di cose sulla squadra degli Spiders.” Disse, tutto d’un fiato.
Kagura si irrigidì, posando il pennello nella brocca d’acqua a suo fianco. “So
che lei è la sorella del presidente, il signor Onigumo…”
Sango le raccontò dei suoi sospetti, del comportamento del fratello, dei suoi
infortuni miracolosamente curati.
“Quindi?”
domandò la donna, a racconto finito. “Io cosa c’entro?”
“Se
lei potesse chiedere a suo fratello di fare una verifica, in modo da sapere se
i preparatori danno qualcosa di illecito ai ragazzi…”
Kagura
scoppiò a ridere. “Tu credi davvero che se succedesse qualcosa in quella
squadra mio fratello non lo saprebbe? C’è dentro anche mio cugino, cosiddetta
stella del basket giovanile. E ad ogni modo, direi che io e Naraku
non ci rivolgeremo più la parola a lungo. Spero. Per
sempre, gradirei.”
Intervenne
il ragazzo con il codino. “Lei pensa che …?”
“E
anche se lo pensassi e se ve lo dicessi, voi cosa fareste? Lo direste alla
polizia? Sarebbe una cosa abbastanza inutile, credetemi.”
Sango
dichiarò che avrebbe fatto ritirare suo fratello dalla squadra. “Se ci riesci…”
commentò la donna, riprendendo in mano il pennello e rimettendosi al lavoro.
La
ragazza di Inuyasha avanzò un’ipotesi. “Almeno se lei ci dicesse dove cercare,
noi potremmo….”.
Kagura
sospirò, esasperata. Oramai si era stufata di essere circondata da gente che
scambiava la vita reale per un videogioco ben riuscito. Si rivolse ironica alla
ragazzina.“Potreste calarvi dal tetto e rubare le informazioni segrete? Chi sei, KimPossible?”Al
ragazzo con il codino scappò un sorrisetto. Sango, posò lo sguardo sconsolato a
terra. “Ho capito. Ragazzi, andiamo. Ci scusi se le abbiamo fatto perdere
tempo.”
Anche
gli altri biascicarono tiepidi saluti, avviandosi verso la porta. Inuyasha si
attardò un attimo, fissandola con un sopracciglio alzato: “Non sapevo della tua
vena artistica” si avvicinò al cavalletto. “cosa dipingi?”
Kagura
gli rispose. Inuyasha fissò per qualche secondo la tela dipinta, annuendo.
“Proprio bella…” mormorò, prima di avviarsi verso l’uscita.
Quando
fu sola, la donna gettò nuovamente il pennello nella brocca e si massaggiò le
tempie con le dita. “Stupidi ragazzini” bisbigliò. Aveva perso l’ispirazione e
aveva infranto quella barriera di serenità che aveva eretto in quel pomeriggio.
La
pioggia non aveva accennato a smettere per tutto il pomeriggio, e si era
trasformata in un temporale con i fiocchi con il crescere delle ore. Appena
dopo mezzanotte la casa era immersa nel più totale silenzio, gli occupanti
tutti addormentati. Non furono svegliati dal fortissimo rombo del tuono, ma
dall’urlo della sirena del sistema d’allarme che squarciò l’aria pochi istanti
dopo.
Sesshomaru
e Kagura si svegliarono di soprassalto, un tuffo al cuore. Dopo un attimo di
smarrimento, l’uomo provò ad accendere inutilmente la luce. Si alzò quindi
precipitosamente dal letto e si infilò un paio di pantaloni, sotto lo sguardo
terrorizzato della donna. Aprì precipitosamente il cassetto del suo comodino e
ne estrasse un grosso astuccio di legno nero, che aprì. Prese l’oggetto e cercò
di nasconderlo volgendo le spalle a Kagura.
“Che
cos’è, Sesshomaru?” domandò la donna, intuendo cosa contenesse
la scatola. “Ti prego, non uscire.”
“Resta
qua.” Fu l’ordine perentorio. Lei scosse la testa, coprendosi il volto con le
mani.
“Sesshomaru,
metti via quella pistola e torna qui da me, ti prego.”
L’uomo
ripeté il suo ordine,ed
uscì sul pianerottolo.
Esco
dalla mia stanza con gli occhi gonfi di sonno, facendomi luce con l’accendino.
Questa
notte è un incubo, ho faticato come un matto per addormentarmi ed ora questo
dannato allarme che mi ha fatto saltare sul letto. Non va neppure la luce.
Sulle
scale vedo mio fratello, che scende lentamente le scale con un oggetto in mano
che non riesco ad identificare. Vedendomi, mi fa segno di avvicinarmi a lui e
mi sussurra di cedergli l’accendino. Nel farlo, vedo davvero cosa ha in mano.
“Una
pistola?” bisbiglio. “Tu hai una pistola?”
“No,
è un dentifricio!”sibila lui, alterato. “Fila su di sopra, e stacci. Guarda se
funziona il telefono. E stai zitto.”
“Ma
sei impazzito ad usare quel coso??”
Lui
non mi risponde, e scende un altro paio di gradini. “Jaken?” chiama, nessuna
risposta. Salgo le scale sino al pianerottolo, quasi del tutto immerse
nell’oscurità.
Un
lampo le illumina completamente, proprio nel momento in cui la ragazza di
Sesshomaru decide di uscire dalla camera. Rischiamo l’infarto
entrambi e soffochiamo un urlo terrorizzato, io gettandomi all’indietro,
cadendo sul sedere. Lei lasciandosi scivolare lungo lo stipite della porta, una
mano premuta convulsamente contro la bocca.
E’
bianca come un cencio e sta tremando visibilmente nella vestaglia bianca in cui
è avvolta. Si rivolge verso le scale: “Sesshomaru, torna su,”
supplica, senza alzarsi da terra. Mio fratello non l’ascolta, le fa cenno di
tacere e ripete: “Jaken?”
La
sirena smette di urlare, sentiamo una porta aprirsi cigolando e un fascio di
luce illuminare il piano di sotto. Stringo convulsamente il corrimano delle
scale. Kagura si lascia scappare un singhiozzo, mordendosi le mani. Non riesco
a capire tutta questa sua paura. Sento che mormora che non può continuare a
vivere così. “Jaken?”
“Sono
qui, mio signore!” esclama il maggiordomo, comparendo dal nulla in fondo alle
scale, puntandoci con la torcia. Tutti e tre facciamo un salto, sfiorando per
la terza volta il colpo apoplettico. C’è da ringraziare il self control di mio
fratello se ora non si ritrova con la testa piena di piombo.
Sesshomaru
gli sibila che è un idiota e gli tira un pugno in testa. “C’è stata
un’intrusione?” gli chiede poi.
“No,
Signore, è caduto un lampo molto vicino a noi, ha fatto saltare la luce e
impazzire l’allarme.” Spiega, come se fosse colpa sua.
“Vi siete spaventati?”
Sesshomaru
non gli risponde, volgendogli le spalle e dirigendosi verso di noi, la pistola
puntata a terra.
“Tutto
a posto, tornate a letto.”
Aiuta
Kagura a rialzarsi. Sta tremando ancora e le guance non sembrano aver
riacquistato colore. “Non si può continuare così.”
Mormora, prima di entrare nella loro stanza, mentre io ritorno nella mia.
Kagura
sentiva freddo mentre Sesshomaru rimetteva al proprio
posto l’arma. Basta. Dopo questo, la decisione era
stata presa e non sarebbe tornata indietro. Non poteva continuare a sussultare
per ogni minimo rumore, né vivere in un perenne stato d’angoscia.
Si
avvicinò all’uomo, che nel frattempo si era seduto sul letto. Si slacciò la
vestaglia, facendola cadere a terra,restando nuda
davanti a Sesshomaru. Si avvicinò lentamente e si sedette a cavalcioni sulle
sue ginocchia. Riempì i propri polmoni con il suo profumo, come a volerlo
imprimere a fuoco nella propria memoria. Gli sfiorò con le dita ancora fredde
dalla paura le orecchie puntute, il collo, i capelli, la schiena. Accarezzò con
le labbra il suo volto, le sue labbra, che ricambiarono.
Le
sue mani corsero lungo la schiena nuda di lui, percorrendo ogni centimetro di
pelle, mentre si sentiva stringere al petto. Gli cinse i fianchi con le gambe,
incrociandole sulla schiena e bloccandolo a sé. Le labbra di lui percorsero il
mento affilato, il collo, sino ad affondare nel solco dei suoi seni. Strappò a Kagura
un ansimo, mentre una lacrima gli scappò dalle lunghe ciglia brune. Quella
sarebbe stata la loro ultima notte insieme.
“Inuyasha,
di ai tuoi amici di trovarsi questa sera davanti al
Pub Black Friar a mezzanotte in punto.”
Guardo
basito Kagura, distogliendo occhi ed attenzione dalla mia colazione. Lei è in
piedi, davanti a me, con una tazza delle sue tisane bollenti in mano. Mi guarda
seria, decisa. “Tuo fratello questa sera ha una cena d’affari, e noi avremo un
lavoro da svolgere.”
Ok ragazze,
tenete duro che ormai siamo alla fine. Tre, forse quattro
capitoli massimo.
Riuscite a sopportarmi ancora? (si, vero?) Coraggio, io sono messa peggio di voi, con
l’influenza e i malanni qua e là.
“Prima
che tu esca, volevo farti vedere una cosa.” Disse Kagura, aiutandolo a farsi il
nodo alla cravatta, sottolineando il fine dell’operazione con un veloce bacio.
“E’ un regalo per te.” Lo prese per mano, portandolo nella stanza che aveva
adibito a studio di pittura. Accese la luce. “Spero che ti piaccia, ma voglio
che tu sia sincero.”
Sul
cavalletto, di fronte a lui, una tela dipinta ritraeva un paesaggio che lui
conosceva molto bene. “E’ l’Hakurei?” domandò, non riuscendo a nascondere
completamente la sua sorpresa.
La
donna annuì. “Devo ancora rifinirlo, ma morivo dalla voglia di fartelo vedere…”
L’uomo
si avvicinò ulteriormente alla tela. Notò i rami dei pini che spuntavano dalla
neve, i candelotti di ghiaccio che scendevano agli angoli dei tetti, la funivia
nel versante di fronte, la luce che faceva scintillare la neve. “Ti piace?”
domandò Kagura, mordicchiandosi il labbro.
“E’ davvero bello.” Mormorò annuendo. “Te lo
ricordi davvero bene, pur avendolo visto così poco.”
Si avvicinò a lei, che sorrideva compiaciuta. “Ne è valsa la pena svaligiare
quel negozio di articoli da disegno…” Le cinse la vita con le braccia, posando
le labbra sulle sue. “Stasera farò un po’ tardi, non aspettarmi alzata..”
Strofinò il naso contro la sua fronte. “Se non riesco a resisterti potrò
svegliarti?”
Kagura
deglutì, stringendolo forte, lottando contro le proprie lacrime. “Certamente …”
L’uomo si stupì dell’intensità dell’abbraccio, ma pensò che, da quando viveva
con lui, avevano passato tutte le serate insieme, e che lei, sicuramente,
detestava più rimanere in casa da sola di notte, che di giorno. Tantopiù dopo lo spavento della notte precedente.
“Allora
buonanotte Kagura.”
“Anche
a te. Fai una buona cena.”
Guardò
la sua schiena scendere le scale ed uscire dalla porta, e impedirsi dal
corrergli incontro e raccontargli tutto fu la cosa più difficile della sua
vita.
“Per
me tuo fratello si è trovato una schizofrenica per fidanzata” commenta Miroku,
dando l’ultimo tiro alla sigaretta, prima di lanciarla in un tombino, facendo
centro. “Prima ci parla come se volessimo scalare l’Everest a piedi nudi, e poi
ti dice di trovarci qui a mezzanotte, facendo la misteriosa su un certo
“lavoretto” che dobbiamo fare.”
Non
ha tutti i torti, ma non riesco a togliermi dalla testa la faccia terrorizzata
di Kagura di ieri sera. “Almeno oggi è sabato e domani si dorme”
Kagome
mi pare agitata, si guarda attorno freneticamente. “Per me stiamo facendo una cazzata.
Ci metteremo nei guai.” Non abbiamo più
parlato da ieri pomeriggio, si scioglie dai miei abbracci, sembra più fredda.
Sospiro, finendo anche la mia sigaretta e lanciandola nello stesso tombino di
in cui l’ha lanciata Miroku, mancandolo.
Sango
invece è risoluta. E’ ferma, appoggiata ad una cabina telefonica, con le
braccia incrociate, impaziente ma concentrata.Le chiedo se ha portato la telecamera come mi ha chiesto Kagura e lei mi
risponde con un semplice cenno del capo, rivolgendosi verso lo zainetti ai suoi
piedi.
Miroku
si offre volontario per andare a fare un giro di birra al pub alle nostre
spalle. “Kagura ha detto di aspettare qui e non ci muoveremo di un millimetro”
sentenzia Sango, dura. “Se vuoi andare e abbandonare tutto fai pure. Io non mi
muovo.” Miroku si rimette a cuccia senza dire altro.
Sbuffo,
guardandomi attorno. In che diavolo di postaccio ci troviamo… Non passa anima
viva, a parte gli avventori ubriachi del Pub, che sembra gente a dir poco
raccomandabile. Ci siamo solo noi quattro davanti ad una cabina telefonica. E
una ragazza bionda incappucciata che arriva dalla parte opposta del
marciapiede.
“Per
me ci ha tirato un pacco clamoroso ed ora se ne starà in casa a ridere alle
nostre spalle facendosi tuo fratello.” Commenta Miroku.
Gli
ricordo che mio fratello è davvero ad una cena d’affari.
“E
allora si starà facendo il maggiordomo!”
La
frase raccoglie le esclamazioni disgustate di noi tre, e addirittura della
ragazza bionda che nel frattempo si è avvicinata alla nostra cabina telefonica,
fermandosi a pochi passi da noi.
La
fissiamo stupiti. La riconosco a malapena, sotto il cappuccio della sua corta
giacca nera da dove spuntano le ciocche chiare.
“Ka
– Kagura?” balbetta la mia ragazza. “Ma che cavolo
hai fatto ai capelli?”
“E’
una parrucca” Spiega, abbassandosi un poco il cappuccio, come per darci le
prove, rivelando anche un paio di occhiali che sembrano da vista e lenti a
contatto colorate.
“E
hai trovato tutto il necessaire per
il travestimento nel guardaroba di Sesshomaru?” Domando ironico. Lei mi guarda,
con un sopracciglio alzato. “Idiota” bofonchia. “Mai fatto acquisti online?”
“Con
la carta di credito di mio fratello no, purtroppo. Ma se me la prestasse non
comprerei una parrucca.”
“Io
invece un vestito da cantante anni ’70. Sai, tipo ABBA.” Rivela invece Miroku.
Sango
ci ricorda che non ci siamo trovati per fantasticare sui fantastici acquisti
con carta di credito altrui. Kagura gli fa un cenno di ringraziamento, poi ci
chiede di seguirla.
“Si
può sapere dove andiamo?” gli chiedo.
“Ad
incastrare mio fratello” mi risponde con voce ovvia.
Kagome
domanda, preoccupata, se andremo nei guai.
“Non
se farete quello che vi dirò.”
Attraverso
un dedalo di viuzze anonime e di vicoli puzzolenti di urina, ci ritroviamo in
una delle strade principali della città, quasi davanti ad un grosso palazzo illuminato.
Kagura ci fa segno di seguirla, nell’ombra dei cespugli di un’aiuola. Noto un
gigantesco logo a forma di ragno rosso sovrasta il cancello d’ingresso, da cui
si intravede la cabina del guardiano notturno illuminata. “Benvenuti al Gruppo
Ragno.” Commenta la donna. La sua mascella è serrata, vedo i tratti del suo
volto contratti nella tensione.
“Ora
dovrete ascoltarmi bene: Mi serve qualcuno molto abile a parlare con le
persone, a fingersi ubriaco e a prendere tempo. Chi di voi ne è capace?”
Inutile
dirlo, tutti quanti puntiamo l’indice verso Miroku, che ci guarda sorpreso.
“Hey! Io non fingo mai di essere ubriaco!” protesta.
“Bene.
Tu, ragazzo con il codino…”
“Miroku.”
“Va
bene, Miroku. Avete portato la bomboletta spray?” Sango annuisce, aprendo lo zaino
e prendendo le due bombolette, dandole a Kagura, che le porge a me e a Miroku.
“Ora vi dirigerete verso quella parte, e farete dei graffiti sul muro
dell’azienda. Condite il tutto con schiamazzi e urla, come se foste ubriachi.”
“Perché?”
chiedo.
“Quel’angolo
è ripreso da una telecamera a circuito chiuso. Il guardiano che vedete nel
gabbiotto non si darà pena di chiamare la ronda interna per allontanare due
ubriachi dal muro e interverrà personalmente. Dovrete cercare di farli perdere
più tempo possibile, mi raccomando. Noi tre invece ci introdurremo dentro alla
cabina, dove ci sono anche le telecamere di sicurezza. Sango, che mi sembra più
atletica, farà da palo verso l’interno. Dovrai correre tra i gradini d’ingresso
ed accucciarti dietro il secondo grosso vaso decorativo. Tu, invece…”
“Kagome”
risponde lei, il cuore che le sembra scoppiare nel petto.
“Tu
invece farai da palo verso l’esterno. Ti metterai tra l’ingresso e la porta del
gabbiotto e controllerai quando arriva la guardia. Intesi? Io invece manipolerò
i video della sorveglianza. Li farò andare indietro di un paio d’ore e li farò
scorrere sullo schermo come se fossero registrati sul momento. In questo modo
avremo tempo per fare le cose con calma.”
Miroku
chiede quanto tempo le occorre.
“Mi
bastano 3 minuti. Dopo che avrò finito con le telecamere, se sarete ancora
impegnati con la guardia, Kagome chiamerà Miroku al cellulare. Dovrai fingere
che sia tua madre, preoccupata per il tuo ritardo e ti farai trascinare via da Inuyasha.
In realtà, andrete all’entrata qua dietro, e scavalcherete il cancello. Noi vi
attenderemo li. Non essendo attive le telecamere non avrete problemi ad
entrare. Capito?”
Annuiamo
tutti quanti. Sento l’adrenalina che si diffonde dentro di me, e una sensazione
di esaltazione che mi pervade come un prurito. Miroku ridacchia, pronto
all’azione, Kagome pare un po’ preoccupata. Sango sembra seria e decisa.
“Mi
raccomando. Questo non è un gioco, chiaro? Se qualcuno ha paura è meglio che se
ne vada ora, perché quando dirò via, non ci si potrà più tirare indietro, e io
ho bisogno di gente sveglia.”
Kagome
mi sembra titubante. “Se non credi di farcela, nessuno ti obbliga. Puoi
rimanere qui, o andare a casa, Kagome. Nessuno ti giudicherà per questo”, le
dico, cercando di suonare il più dolce possibile, appoggiandole una mano sulla
spalla. Lei scuote la testa, risoluta e offesa. Scrolla le spalle per togliere
la mia mano di dosso: “Non sono una bambina” protesta.
Io
e Miroku attraversiamo la strada sorreggendoci a vicenda e barcollando
visibilmente, ridendo a squarciagola e cantando canzoni sconce. Arrivati al
muro, mi ci appoggio ridendo come un matto e incito il mio amico a fare il
disegno della mia sagoma sui mattoni. Miroku, che non è padrone
dell’equilibrio, alza la bomboletta, prendendo la mira come se fossi un
bersaglio. Il primo colpo mi colpisce in petto e io sembro trovare la cosa di
un’ilarità sorprendente.
Cretino di un guardiano, muoviti.
Il
secondo colpo mi colora una ciocca di capelli di nero. Il terzo mi fa una riga
sul collo. Ormai inizio a spazientirmi, e vedo che anche Miroku inizia a dare
segni di cedimento. Ride più forte, nervosamente, quasi isterico.
“Hey,
ragazzini, andate a far casino da qualche altra parte!”
Kagura
scivolò velocemente dentro alla cabina del guardiano, dirigendosi
immediatamente verso il terminale che regolava le telecamere di sicurezza.
Inserì il codice di sicurezza per sbloccarne le operazioni, staccò le
registrazioni e mandò indietro i filmati. Gettò un’occhiata a Kagome, che
guardava ansiosa alla strada, le orecchie tese per captare la voce del
guardiano che litigava con i due finti ubriachi, e a Sango, accucciata dietro
il vaso indicato, perfettamente mimetizzata nell’oscurità.
A
– 1 ora e 45 minuti il nastro si bloccò. Dannazione!
Esclamò tra sé e sé. Beh, non aveva tempo. Avrebbero avuto un quarto d’ora in
meno. Sincronizzò l’orologio con la partenza del filmato e fece cenno a Kagome
di lasciare il suo posto. Seguita anche Sango, la donna si diresse a passo
svelto, cercando di fare il minor rumore possibile, verso l’entrata dal retro. Si
nascosero dietro alcuni bidoni della spazzatura e Kagome fece partire la
telefonata concordata. Dopo pochi minuti i due ragazzi scavalcarono il cancello
e si ritrovarono con loro.
La
prima parte dell’operazione era passata..
Per
entrare nell’edificio dobbiamo scassinare una porta: ci pensa Miroku, usando la
carta di credito del sottoscritto, la $C$, dato che
sono l’unico che l’ha con se. L’abilità con cui apre la serratura il mio amico
è quasi inquietante. “Andiamo, ragazzi, sono cresciuto in un circo!” dice come
spiegazione, sorridendo furbo. Infilo la carta nella tasca sul retro dei jeans,
senza rimetterla nel portafoglio. D’ora in poi terrà gli occhi aperti con
questo qua in giro…
Guardandoci
in continuazione attorno, ci dirigiamo verso un ufficio, seguendo Kagura. Il
cuore mi batte così forte che sembra pulsarmi in gola. Guardo Kagome, notando
il sudore che le imperla la fronte. Le prendo la mano e cerco di sorriderle
rassicurante. Lei stringe la mia mano e mi si sforza di sorridermi di rimando.
E’ una piccola cosa, ma basta per farmi sentire
meglio.
Kagura
si arresta improvvisamente, e noi sbattiamo l’uno contro l’altro. “Shhhh! Volete far meno casino!” sibila lei, gli occhi fuori dalle orbite.
Si
dirige verso un muro, che pare spoglio, e toglie un pannello quasi invisibile
dal muro. Dietro vi è una piccola tastiera numerica, vedo che digita un codice
e un pezzo di parete scorre di lato, rivelando una porta. Rimaniamo stupefatti.
Sango sussurra che pensava che queste cose esistessero solo nei film.
“Evidentemente sono tratti da fatti realmente accaduti.”
Commenta Kagome, alleggerendo la tensione.
A
Kagura sfugge uno sbuffo che pare quasi divertito,
prima di entrare dalla porta. Le domando dove ci
stiamo dirigendo: “Nel luogo più segreto del Gruppo Ragno. Il Laboratorio.”
Ci
guardiamo l’uno con l’altri, Kagome bofonchia che
forse era meglio stare a casa. Miroku invece si ricorda di ResidentEvil, e per questa sua triste uscita si prende uno
scappellotto da tutti, Kagura compresa.
La
seguiamo, percorrendo un lungo corridoio, illuminato solo da una metallica e
fioca luce di sicurezza. Arriviamo ad un’altra porta, un altro pannello con una
plancia a forma di mano a fianco.
“Bene,
ora arriva la parte difficile. Avremo poco, pochissimo tempo. Questo è un
lettore di impronte digitali, nel database dell’azienda le mie sono registrate
con l’autorizzazione ad entrare ovunque. Conoscendo mio fratello, comunque, le
avrà messe in zona d’allarme e non appena io verrà
effettuato il riconoscimento, scatterà l’allarme e la porta in fondo al
corridoio si chiuderà. Non vi saranno sirene o simili, ne sono certa. Mio
fratello preferisce prendere gli intrusi senza fare troppa confusione, per poi
pensarci personalmente.” Ecco, ora il panico inizia a
serpeggiare tra noi quattro. “Tuttavia” prosegue Kagura, cercando di mostrarsi
il più calma possibile“La porta scorrevole d’entrata al corridoio si può bloccare.
Basta che qualcuno la fermi con forza e cerchi di sollevarla. Andrà fuori binario
e la fotocellula la darà erroneamente chiusa. Inuyasha e Miroku, mi sembrate
abbastanza forti per farcela. Kagome e Sango, voi
andrete a metà corridoio e controllerete che abbiano successo.
Se non ce la faranno, allora scappate fuori il velocemente, altrimenti
tornerete qui.”
“E
tu?”
Kagura
alzò le spalle. “troverò un modo per uscire. Se tutto andrà bene, e la porta
del laboratorio si aprirà, allora entreremo tutti, tranne Miroku, che dovrà
stare di guardia all’entrata del corridoio. Mi raccomando il più assoluto
silenzio. Intesi?”
Annuiamo
tutti, e Kagura ci chiede la videocamera. Ci posizioniamo secondo le sue
istruzioni, le orecchie all’erta e i sensi vigili, pronti a scattare.
Come
aveva previsto, la porta inizia improvvisamente a scorrere. Facciamo una fatica
dannata per tentare di bloccarla, la superficie è scivolosa e d è molto
pesante. Faccio cenno a Kagome e a Sango di avvicinarsi velocemente. Ho paura
di non farcela.
Ci
puntelliamo contro lo stipite. Cazzo, è più dura di
quanto pensassi... Scivolo…
“Avanti,
Inuyasha!”Mi incita Kagome. “Forza!” viene verso di me, prende la porta fra le
mani e la tira. Sango cerca inizialmente di chiamare Kagura, ma poi corre anche
lei in nostro aiuto. In quattro, con enorme sforzo, riusciamo almeno a bloccarla.
Provo a sollevarla per farla uscire dal binario. Il primo tentativo va a vuoto.
Il secondo anche.
Guardo
Kagome, che mi incita nuovamente, i suoi occhioni
cioccolato sgranati e affaticati.
Riprendo
fiato, rilasso un secondo i muscoli e poi spingo nuovamente.
TUNF!
La
porta scorrevole finalmente esce dal binario e si sposta di lato, rimanendo
comunque incastrata. Il movimento è talmente improvviso che perdiamo tutti e
quattro l’equilibrio e cadiamo per terra, gli uni sopra gli altri.
Dal
fondo del corridoio, Kagura fa segno di tacere.
La
mando silenziosamente a cagare con un cenno della mano, mentre Miroku si rialza
e si posiziona come concordato, facendo segno di proseguire.
“Che
cosa se ne fa il Gruppo Ragno di un laboratorio chimico?” domanda stupita Kagome,
osservando, stupita quanto noi altri,le provette e gli apparecchi che ci
circondano. “Credevo che vi occupaste d’altro…”
“Ufficialmente
si.” Spiega Kagura, riprendendo con la telecamera il laboratorio. “Questa è una
zona sperimentale dell’azienda. E’
una sezione farmaceutica, fino ad ora pressoché illegale. Qui vengono raffinate e composte sostanze chimiche con lo scopo
di creare farmaci per il mercato nero. Non di certo aspirine,
eh!”
Apre
un cassetto, ne estrae alcuni documenti, che riprende, mentre Kagome le fa luce
con la torcia, sbirciando.
Sango,
con la voce tremante, le chiede che tipo di farmaci siano quelli prodotti.
“Farmaci
per aumentare il rendimento fisico e le prestazioni atletiche.” Risponde semplicemente, prima di chiedermi di aprire una
cella frigorifera che si trova vicino a me. Sbircio dentro. Ci sono sacche di
sangue umano, barattoli di polveri, provette di liquidi giallognoli. “In poche
parole doping?” domando schifato.
Kagura
annuisce, mentre punta la telecamera verso il frigorifero. Vedo Sango
appoggiarsi ad una parete, come se stesse collassando.
“Il
mercato delle sostanze dopanti è molto più redditizio
di quello dei comuni farmaci, che sono tra l’altro, sottoposti a numerose prove
e controlli. La specialità di questo progetto, chiamato Miasma Project, è
quello di ricercare soluzioni per eliminare ogni traccia di sostanza dal
sangue, per evitare i controlli sugli atleti.”
“E
questi farmaci vengono testati su mio fratello?”
Domanda Sango, ormai sull’orlo di una crisi di nervi.
“Se
è per questo vengono testati anche su mio cugino Hakudoshi. E sugli altri membri della squadra. A Naraku servivano cavie, e una squadra di pallacanestro
offriva una buona copertura.” sospirò.
“Non
ci posso credere…” gemette Sango. Kagome mi cedette la torcia e corse ad
abbracciarla per confortarla.
Kagura
le sgridò. “Avrete da smoccolare dopo. Adesso dobbiamo finire il lavoro.”
Riprende
le celle i macchinari. Poi ci fa cenno di tacere, e a voce alta ripete la
storia del Miasma Project, poi toglie di nuovo l’audio dal video e lo spegne.
“Qui abbiamo finito”
Kagome
chiede se possiamo andare, ma Kagura scuote la testa. “Dobbiamo fare una visita
al piano di sopra.” Faccio coraggio a Kagome e a Sango
e la seguiamo. Mi sento un po’ un paladino della giustizia, galvanizzato
dall’idea di far sbattere in galere un bastardo che ha avvelenato la vita del
fratello di Sango, e chissà quali altri crimini. Kagura sembra avercela davvero
tanto nei suoi confronti. Mi domando se tutto questo possa avere attinenza con
la sua storia con Sesshomaru e con il suo improvviso ingresso nella nostra
vita. Recuperiamo Miroku, infrattato come un ninja dietro ad una pianta ornamentale, e ci avviamo verso
un ascensore.
La
targhetta della porta indica che questo è l’ufficio di Kagura Onigumo. Lei si domanda a bassa voce per quale motivo suo
fratello non l’abbia fatta togliere. “Forse spera che facciate pace…” ipotizza
Miroku. E anche per quest’altra sua infelice uscita si merita gli scappellotti
da parte di tutti.
Kagura
rovista in una cassettiera. La chiude imprecando. “La carta di credito
aziendale se la sono ripresa, eh!”
“Era
questo quello che cercavamo?” domando, un po’ adirato.
Lei
mi da dell’idiota. Fa forzare la serratura dell’armadio a muro a Miroku, poi
sposta pile di scartoffie e di faldonidi documenti,
rivelando una piccola cassaforte. La apre e prende le carte al suo interno.
Riaccende la telecamera con l’audio e spiega i vari conti all’estero delle
aziende, i bilanci falsificati e gli appalti illeciti.
Poi
rimette tutto al suo posto. Sango chiede se abbiamo finito.
Lei sembra pensarci un attimo. Si mordicchia il labbro, lo sguardo assorto
rivolto verso terra. “C’è un’ultima parte da registrare. Andate fuori.
Avvisatemi se vedete la ronda notturna.” Senza capire, ci avviamo verso
l’uscita. “Aspetta, tu Kagome puoi restare.”
La
mia ragazza mi getta uno sguardo preoccupato. “Fai ciò che ti senti.” Le
mormoro. “Io rimango qua contro la porta. Per qualsiasi cosa fammi un segno e
io sarò qua dentro, ok? Se
vediamo la guardia ti vengo a prendere in un secondo. Non ti lascio da sola”
“Va
bene” mi risponde, prima di alzarsi sulle punte dei piedi e baciarmi
velocemente. “Mi fido di te.”
E’
come se dello sciroppo alla frutta mi scendesse nella gola riarsa. Mi sento
sollevato, mi è sparito il macigno sullo stomaco. Respiro profondamente e vado
fuori, non prima di aver avvisato Kagura che per qualsiasi ulteriore problema,
dovrà vedersela con me.
La
ragazzina reggeva la telecamera fissa sul suo volto, illuminandola con la
torcia. Si erano sedute l’una di fronte all’altra, nell’ufficio vuoto.
La
donna prese un bel respiro, togliendosi la parrucca e le lenti a contatto.
“Mi
chiamo Kagura Onigumo, sono la sorella del Presidente
del Gruppo Ragno, e General Manager della Feder inc. Quello che avete visto in questo filmato è
solamente un blando elenco dei reati commessi da mio fratello NarakuOnigumo. Reati di cui io
stessa sono stata, mio malgrado, complice.” Il fiato
le mancava. Quello che aveva dentro, quel blocco di calcare che le si era formato attorno al cuore in tutti quegli anni,
stava per cedere. E non davanti all’uomo che aveva cercato di darle sicurezza,
che l’aveva soccorsa quando aveva bisogno e che
l’aveva tenuta stretta a sé, augurandole la buona notte, una manciata di ore
prima.
Sesshomaru
meritava una persona forte e determinata al suo fianco, e lei non sopportava di
mostrarsi da meno.
Ora
si trovava davanti ad una ragazzina che sentito parlare dell’inferno in cui era
vissuta solamente tra le righe di cronaca nera di un giornale, o qualche
spezzone di servizio al telegiornale.
Eppure,
ormai Kagura aveva raggiunto il suo limite, e non imbeva altro da fare che
scavalcare la barriera e tuffarsi.
Un
singhiozzo si fece breccia nel petto, un terremoto che coinvolse tutto il
corpo. Perle salate scapparono dalle sue ciglia, riversandosi sulle guance pallide
e magre.
“A
tutti i reati commessi daNarakuOnigumo,
vanno aggiunti quelli rivolti alla mia persona.” Iniziò.
Dieci
minuti dopo, Kagome e Kagura fanno la loro uscita sul corridoio. La mia ragazza
mi si avvicina e mi abbraccia, sconvolta. Le chiedo cosa sia successo, ma lei
scuote la testa. “A me nulla” bisbiglia. Le chiedo altre
spiegazione, ma lei scuote di nuovo la testa.
“Ora
possiamo andare” annuncia Kagura, le braccia incrociate strette al petto, lo
sguardo basso. La parrucca sulla testa è storta, Sango glielo fa notare e
l’aiuta ad aggiustarla. Non riesco ad afferrare quello che è accaduto. E’ come
se l’avessero scambiata con un’altra persona. Non è più la donna dritta, fredda
e determinata che ci ha fatto entrare qua dentro. Sembraun’adolescente nervosa, china su se
stessa, dalle spalle racchiuse per proteggersi e lo sguardo schivo di chi non
riesce a sostenere il giudizio della gente.
Ci
avviamo verso il corridoio in perfetto silenzio, verso l’ascensore. Kagura
spinge il pulsante, e l’ascensore torna a salire.
“La
guardia deve averlo richiamato prima, per la ronda a qualche piano sotto.” Spiega stancamente.
Quando
si aprono le porte, la guardia è di fronte a noi.
Sia
i nostri cuori che il suo smettono di battere. Per un lungo istante rimaniamo a
fissarci a bocca aperta, increduli davanti a quello a cui
ci troviamo. Poi lui azzarda un movimento veloce alla radio che porta alla
cintola.
Gli
sono addosso in un baleno, spingendolo contro la parete dell’ascensore e
colpendolo con un destro alla mascella, il suo sangue sulle mie nocche.Lo prendo per i capelli e cerco di
trascinarlo fuori, ma questo bastardo riesce ad estrarre la pistola d’ordinanza
dalla fondina. Miroku lo vede e gli afferra il braccio, cercando di far puntare
la pistola altrove. Un colpo parte.
Guardo
terrorizzato i miei amici, trovandoli ancora in piedi. Non ha colpito nessuno,
per fortuna, ma il proiettile è sibilato abbastanza vicino a
Kagome da farmi perdere la testa.
La
rabbia che mi monta dentro è spaventosa. Con due pugni riesco a lanciarlo
contro una parete, e un calcio ben assestato allo stomaco gli faccio perdere i
sensi. Avrei voglia di ridurlo ad un pezzo di carne sanguinante,
ma Sango mi intima di smettere, che non c’è tempo e che tra un po’
avremo tutti i guardiani addosso.
Ci
lanciamo dentro l’ascensore. Kagura preme il pulsante del parcheggio
sotterraneo. L’ascensore comincia a muoversi e noi guardiamo febbrilmente i
numeri che si illuminano, temendo, piano dopo piano, di trovarci le pistole
puntate alla testa.
Kagura
scivola per terra. “Siamo spacciati…” piagnucola. “E’ la fine…”
Kagome
le è al fianco, le prende la testa tra le mani, la fissa negli occhi.
“Smettila” sibila. “Smettila di fare così. Dopo tutto
quello che ti ha fatto, vuoi dargliela vinta?”
Kagura
scuote la testa, tremando. “siamo in trappola…”
“SMETTILA!”
urla la mia ragazza, una voce che non ho mai sentito prima e che non mi sarei
mai aspettato che potesse appartenerle. “TI HO DETTO DI SMETTERLA!”
Kagura
sembra quasi calmarsi, deglutisce, tira su con il naso. “Non è ancora finita.”
Mormora di nuovo Kagome, abbracciandola. Sento che le sussurra qualcosa
all’orecchio, qualcosa che fa quasi sorridere la donna e che sembra darle un po’
di forza. Si rialza in piedi, asciugandosi le guance. “Cercheremo di uscire dal
parcheggio. Ci sono le uscite di sicurezza che sono vicine al muro di cinta.
Dannazione!” esclama, tirando un pugno contro la parete lignea. “Se solo
sapessi che macchine ci sono in parcheggio e se solo avessi le chiavi…”
“Dunque,
vediamo…” Miroku si fruga in tasca, tra lo stupore generale. “Io qui ho una
chiave di una Bmw, di una moto Yahama
e di una PorscheCarrera.”
“…!”
Nessuno
di noi riesce a trovare le parole per commentare quello a cui
abbiamo assistito.
“Beh,
non guardatemi con quella faccia, suvvia! Mentre voi due eravate barricate
nell’ufficio, io ho curiosato un po’ intorno…e nell’ufficio lì vicino ho
trovato queste!”
Sango
è allibita. Sconcertata, anche. “E le hai prese su …così?”
“Ho
pensato che potessero tornare utili…. Ho avuto ragione, no?” Ridacchia,
incontrando i nostri sguardi scettici. La mano mi corre sul portafoglio. Lo
sento al sicuro nella tasca dei jeans. “D’ora in poi ti terrò MOLTO d’occhio…”
La
porta dell’ascensore si apre e noi corriamo dentro il parcheggio. E’ vuoto.
Miroku impreca. Sperava di trovare la moto.
“La Porsche!”
urla Sango, indicandola. Kagura sembra sollevata: “La mia piccola macchinina!”
gioisce, correndogli incontro, seguita da noi.
Le
sirene d’allarme iniziano a suonare, mentre Kagura mette in moto e, appena
prima che io riesca a chiudere la portiera dell’auto, sgasa al massimo e si
lancia, a folle velocità, verso la sbarra dell’entrata al parcheggio.
Sento
i miei tre amici, pressati nel sedile dietro, trattenere il
fiato terrorizzati. Io, anche. La sbarra cede senza problemi, e Kagura,
dimostrando una guida impeccabilmente sportiva, percorre a tutta velocità il
vialetto d’ingresso, puntando al cancello d’entrata principale. Nel gabbiotto,
il guardiano ci vede avvicinare e scappa a gambe levate.
“Kagura…
no…” imploro. “Ci ammazziamo…!”
“Stai
tranquillo.”
“Kagura,
non voglio morire!”
“Non
preoccuparti!”
Mi
volto verso i tre dietro. Voglio morire con l’immagine di Kagome impressa nella
retina. Kagome e Sango sono ancorate saldamente a Miroku, trasfigurato dal
terrore. Allungo la mano verso la mia ragazza, che l’afferra disperata.
“TI
AMO SANGO, TI HO SEMPRE AMATA!” rivela Miroku. Sango lo guarda sorpresa.
“Non…non cerchi di palparmi un’ultima volta?”
Il
cancello cede all’urto e si apre a metà, permettendoci di uscire.
Ci
guardiamo l’uno con l’altro, ebbri d’adrenalina, e scoppiamo a ridere fragorosamente,
applaudendo e urlando come texani al rodeo.
Anche
Kagura sembra ridere. “La prossima fermata è la vostra” annuncia, imboccando il
viale principale della città. Affronta le curve in derapata, precisa. Schiva le
poche auto in strada e imbocca una traversa. Poi frena, all’improvviso. Mi
indica un edificio illuminato. “La caserma della Polizia. Portateci il video.
Dite che l’avete trovato o che altro. Non dite che eravate presenti. Statene
fuori.” Scendiamo uno dopo l’altro dall’auto. Prima di chiudere la portiera
affaccio la testa dentro all’abitacolo. Kagura sembra sollevata, le brillano
gli occhi. E’ davvero bella, ha un qualcosa di elegante in sé, affascinante.
“Adesso capisco cosa ci trovi in te Sesshomaru” scherzo. Lei mi guarda, con un
sopracciglio alzato, un mezzo sorriso. “Sei davvero una bond
girl…”
Lei
scoppia a ridere, picchiettando le unghie sul volante. “Esatto. Io sono Vesper.”Mi fa segno di andare. “Devo andare a
disfarmi dell’auto. Un vero peccato, tra l’altro.”
“Ci
vediamo a casa. Acqua in bocca con mio fratello?”
“Puoi
dirglielo anche subito. Lo verrà sapere.”
Chiudo
lo sportello e la saluto con un cenno della mano.
“E’
forte, tua cognata.” Scherza Sango.
“E’ come…una Charlie’sAngel.”
“Nah. Mio fratello è appassionato dei film di JamesBond. Lei è Vesper. L’ha detto lei.”
Kagome
è rimasta in silenzio, guarda la vettura sportiva allontanarsi rombando. “Alla
fine del film, Vesper muore.” Dice gravemente, prima
di avviarsi verso la stazione di polizia.
C’era
la luna piena. Si, dalla città non si vedeva, ma la luna piena era lassù, e
illuminava tutta la scogliera, rendendola argentata, magica, fatata.
Kagura
era appoggiata all’auto, gli occhi chiusi, i suoi capelli castani mossi dalla
brezza che saliva dal mare. Si stava ascoltando. Sentiva i battiti ora regolari
del suo cuore, sentiva il proprio respiro calmo e profondo, il naso e le
orecchie pizzicate dal freddo pungente della notte. Sentiva la stanchezza
salire piano piano dalle gambe. E si sentiva serena.
E libera. Anche se libera non lo era ancora. Ma ormai c’era quasi, era arrivata
alla fine del suo percorso di dolore, di speranza, di lotta. Ora poteva
respirare, poteva sentire il vento freddo fra i capelli, sulle guance. La testa
le girava, forse a causa di tutto il trambusto della notte.
Aprì
gli occhi. La strada alle sue spalle era deserta. Non era una zona molto
trafficata. Forse da qualche coppietta in cerca di intimità, dato lo
spettacolare panorama sulla baia e sulle luci della città, lontana.
Lontana
2ore di folle corsa alla guida di una PorcheCarrera ferita prima da un cancello, e poi dal guard-rail
che aveva divelto dal bordo di quella strada panoramica. Le venne da ridere,
guardando quel gioiellinodal muso ammaccato e graffiato,
pensando alla cura che ne aveva avuto un tempo che sembrava così lontano.
Davvero pensava di essersi affezionato a quel’ammasso di lamiere? Davvero non
aveva trovato altro modo che riversare il suo affetto su di un oggetto
inanimato?
Pensò
cosa fosse successo se al posto della sua auto ci fosse stata la preziosa Aston
Martin di Sesshomaru. Immaginò la sua faccia stravolta, gli occhi fuori dalle orbite, i gemiti strazianti e le urla di
disperazione. Rise nuovamente, ma questa volta tristemente.
Sesshomaru
al suo ritorno a casa avrebbe trovato un letto vuoto e freddo, e un fratello
con i sensi di colpa che cercava di dargli spiegazioni. E un quadro finito che
ritraeva un paradiso terrestre. E i vestiti che le aveva comprato, e i pennelli
che aveva usato, le tisane profumate che si faceva alla
mattina, e il ritratto di Rin da incorniciare.
Si
ripeté che per Sesshomaru lei era più un peso che altro. Che avrebbe reso la
sua vita infernale, con mille preoccupazioni e chissà che altro.
Lui
ci sarebbe rimasto indubbiamente male, forse addirittura ne avrebbe sofferto.
Ma poi si sarebbe fatto una ragione e avrebbe voltato il suo sguardo altrove.
Quest’ultimo pensiero le strinse il cuore. Alla fine lei sarebbe stata
dimenticata anche dall’uomo che l’aveva fatta sentire viva e importante. Forse
lui avrebbe anche provato rabbia nei suoi confronti.
Si
riscosse. Era giunto il momento di scrivere il capitolo finale.
Il
trillo del cellulare la fece distrarre nuovamente. Guardò il display.
Sesshomaru. Doveva rispondere?
Le
avrebbe fatto male parlare con lui un’ultima volta. L’avrebbe fatta desistere
dai suoi propositi, forse? No. Ormai aveva deciso, e quando lei prendeva una
decisione, nulla poteva smuoverla. Il telefonino non dava segno di voler
smettere. La testa le girò di nuovo, e Kagura sentì lo spasmodico bisogno di
sentire la voce del suo uomo. Un’ultima volta.
“Pronto?”
“Kagura, dove diavolo
sei? Sono tornato adesso a casa.”
“Io…”
cosa dirgli? Sembrava furioso. Temeva forse di essere stato tradito? “Io sono
fuori a fare una passeggiata, Sesshomaru. Avevo bisogno d’aria.”
“Vengo a prenderti. Stai ferma dove sei.”
“No,
no.. vai a letto, Sesshomaru. Vai a dormire. Va tutto
bene. Tra un po’ staremo tutti bene.”
“…Kagura… te lo ripeto nuovamente. Dove
sei. RISPONDI CAZZO!”
“Devo
ringraziarti di tutto. Dell’aiuto che mi hai dato, del tetto sopra la testa.. di tutto. Devo ringraziarti per essermi stato vicino. Sei
stato fantastico.”
“Dove sei?” ripeté meccanicamente, una
nota di panico fra le sue parole.
“Non
si poteva continuare così. Così ho preso la mia decisione. Tuo fratello ti
spiegherà tutto. Mi ha aiutato molto sai? Ma non
coinvolgerlo ulteriormente: ha 17anni…”
“Cosa stai dicendo…?”
“Se
tutto va bene, Naraku si troverà una bella gatta da
pelare. Ma io, Sesshomaru, non ci sarò.”
“…stai partendo?”
“Più
o meno si.”
“Kagura. Stai ferma.Non.Farlo.”
“Non
ho altra scelta.”
“Kagura…”
“Ti
amo.” Le parole erano uscite dalle sue labbra da sole, come sospinte da una
brezza magica. Chiuse la conversazione, come per spezzare un incantesimo, e
guardò il cellulare come se fosse improvvisamente d’oro zecchino. Aveva detto a
Sesshomaru che l’amava… Ora lui avrebbe sofferto ulteriormente.
Si
sentì improvvisamente in colpa per le parole dette. E si sentì ancor peggio a
capire che le sentiva davvero.
Ma
ormai era tardi.
Il
cellulare ricominciò nuovamente a suonare. E lei lo lasciò cadere nel vuoto.
Ora
doveva concentrarsi di nuovo. Era ancora più difficile, ma doveva.
Si
guardò attorno nuovamente, per far mente locale. Poi si avvicinò al ciglio
della scogliera e guardò giù. Nel buio, sentiva le onde infrangersi contro le
rocce. Il mare era mosso, la corrente era maggiore.
“Molto
meglio” decise.Calcolò la traiettoria:
il punto di impatto sarebbe stato inizialmente la roccia, poi l’acqua
sottostante.E le onde avrebbero fatto
il loro dovere.
Si
avviò verso la macchina e abbassò i finestrini. Lo sguardo le cadde sulla
parrucca bionda abbandonata sul sedile del passeggero. La prese in mano,
valutando cosa farsene. Decise di lasciarla dove l’aveva presa, e nel voltarsi,
lo sguardo le cadde su una tessera argentata, che brillava alla luce lunare. La
prese in mano, riconoscendo la carta di credito di Inuyasha. Doveva essergli
caduta dalla tasca durante la fuga.
“Che
idiota…” mormorò, scuotendo la testa, e infilandosela nella tasca del giubbotto.
Tastò una tasca interna della giacca, e ne estrasse l’oggetto morbido. La
parrucca rossa e corta, che aveva preso insieme a
quella bionda non l’aveva usata. Oh beh.
Prese
un bel respiro e mise in moto la macchina. Ora c’era la parte più difficile. E
delicata.
Ci
avviciniamo alla fine…
Uff! ci ho messo un bel po’ a scrivere questo capitolo! Avevo
intenzione inizialmente di fare una cosa diversa ma… ma poi ho cambiato idea.
Il perché lo spiegherò a Fanfiction finita.
Commentate,
gente, commentate! Comincio a temere che la mia Fic
non piaccia più così tanto…
(sempre
e comunque Infinite Grazie a chi commenta sempre…)
(Well now, everything
dies, baby, that’s a fact But maybe everything that dies someday comes back)
Lo
schermo della televisione trasmetteva le immagini sensazionali dell’arresto di NarakuOnigumo, avvenuto a metà
mattinata.
I
poliziotti cercavano di allontanare i cronisti, mentre accompagnavano l’uomo
ammanettato dentro alla caserma. Lui proseguiva a testa alta, il volto
scoperto, le labbra sottili serrate, aveva l’aria di chi stesse
subendo solo una dannata seccatura.
Il
suo avvocato faceva sapere che le accuse formulate a suo carico erano
totalmente prive di qualsiasi fondamento, e che il proprio assistito sarebbe
stato libero nell’arco delle prossime ore.
“Poche ore fa è stata individuata la PorscheCarrera
di proprietà di Kagura Onigumo. L’autovettura si troverebbe
in mare, ai piedi della scogliera della strada panoramica a due ore dalla città.
I sommozzatori stanno lavorando per il difficile recupero del mezzo, ma in
questo momento non è dato sapere se sia stato rinvenuto il cadavere della donna
al suo interno. Ci colleghiamo direttamente sul posto…”
L’immagine
si spostò sul viso di un uomo, comandante della sezione dei sommozzatori della
polizia. Sullo sfondo, l’immagine della strada panoramica che correva lungo la
baia.
“La corrente in questo tratto è molto forte,
è difficile riuscire a recuperare l’automobile” spiegò, parlando ad alta
voce per farsi sentire sopra il rombo delle onde e il fischio incessante del
vento.
“Avete rinvenuto il corpo al suo
interno?”
“No, i finestrini sono stati
precedentemente abbassati, come per far entrare l’acqua più velocemente. Siamo riusciti a vedere nell’abitacolo, e a scoprire che è vuoto,
ma dobbiamo ancora controllare il baule.”
Il cronista incalzò: “E’ possibile che
il corpo sia potuto uscire da uno dei finestrini?”
“Si, è una cosa plausibile: come dicevo
la corrente è molto forte, per questo non siamo ancora riusciti a ispezionare i
fondali attigui. Le condizioni del meteo non ce lo
permettono, purtroppo. Sarà già tanto se riusciremo a portare in strada l’auto
entro oggi.”
“Si può parlare di suicidio?”
“Alla luce degli elementi direi di si. E’ stata formulata anche l’ipotesi di omicidio, ma non
vi sono tracce di frenata o di collisione sull’asfalto, e le testimonianze
portano ad un allontanamento volontario della signorina Onigumo.”
La
voce fuori campo aggiungeva che testimonianze molto importanti erano state
depositate di prima mattina da Sesshomaru No Taisho e dal fratello minorenne, a quanto pare coinvolto nella registrazione del video che
aveva permesso di inchiodare NarakuOnigumo.
Le
immagini lo mostravano in completo scuro e occhiali da sole nonostante la giornata
uggiosa, seguito dal fratello che si calcava in continuazione il berretto sulla
testa e gettava sguardi nervosi ai giornalisti, mentre uscivano dalla stazione
di polizia ed entravano nell’auto scura.
Spense
la televisione e si lasciò cadere sul materasso. Le gocce di pioggia
picchiettavano disordinatamente contro i vetri della finestra. La luce filtrava
fiocamente dalle finestre oscurate dalle tende.
Si
sentiva spossato, svuotato da tutte le energie. Eppure dentro di se ruggiva una
rabbia feroce. Quella mattina, al commissariato, aveva incrociato lo sguardo
di Naraku, ammanettato ma ancora sicuro di poterla
scampare anche quella volta. Solo il suo enorme autocontrollo gli aveva
impedito di ammazzarlo di botte. Avrebbe dovuto cancellargli quel sorriso
mellifluo a suon di pugni, fargli sputare tutti i denti, spaccargli la
mascella, fargli vomitare sangue. Ma questo non avrebbe giovato alla causa, né
avrebbe rimediato a ciò che era successo a Kagura.
Love, love is a verb
Love is a doing word
Fearless on my breath
A ciò che era successo…
Kagura
aveva fatto la sua scelta. La via più breve, più vigliacca.E aveva avuto la faccia tosta di rispondere
al telefono e di intavolare con lui l’ultima, assurda conversazione.
Gentle impulsion Shakes me makes me lighter
Fearless on my breath
Gli
aveva detto che l’amava. E poi si era gettata dalla scogliera. Dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei, ecco il
ringraziamento. L’aveva tradito.
Teardrop on the fire
Fearless on my breath
Ma potevadavverobiasimarla?Potevadavveroessere
in collera verso di lei?Aveva un senso questa rabbia sorda che
affaticava il suo respiro? Kagura era vissuta attraverso l’inferno, e quello
che aveva passato lui lo sapeva a malapena. La polizia non gli aveva ancora
permesso di visionare il video, anche se suo fratello Inuyasha era coinvolto
nella registrazione.
Nine night of matter
Black flowers blossom
Fearless on my breath
Doveva
ammettere che aveva avuto fegato, il ragazzo, prima ad
immischiarsi, con i suoi amici, in una situazione del genere, e poi a voler
deporre testimonianza. Aveva raccontato di essere stato solo lui e Kagura, la
sera precedente, ad introdursi nella sede del Gruppo Ragno. Ma di certo i
poliziotti non avrebbero impiegato molto tempo a rintracciare gli altri membri
della banda, anche se Inuyasha aveva cercato
disperatamente di proteggerli.
Black
flowers blossom
Fearless on my breath
Proteggere…
Se
Kagura glielo avesse permesso, lui l’avrebbe fatto. A costo di far costruire
una fortezza circondata da guardie.
Eppure,
ne era sicuro, non era quello che lei avrebbe voluto. Vivere sotto scorta,
passare le sue giornate e le sue notte con il terrore
fisso dello spettro del passato, non era la vita che la sua donna desiderata. E allora, forse, per lei era stato meglio
così.
Teardrop on the fire
Fearless on my breath
Ma
non era crudele il destino, a concedere come unica via d’uscita la morte, ad
una persona che aveva sofferto già così tanto?
Kagura meritava tutto il
compianto possibile, tutta la pietà che non aveva avuto in vita, avrebbe dovuto
veder restituite tutte le lacrime che aveva versato.
Water is
my eye Most faithful mirror
Fearless on my breath
E che non uscivano dai suoi
occhi. Non ci riusciva. Neppure sforzandosi, neppure volendolo. Nemmeno una
lacrima solitaria. Aveva gli occhi più asciutti che mai.
Quand’era che aveva pianto
l’ultima volta?
Teardrop on the fire of a confession
Fearless on my breath
Quando era morto suo padre.
Aveva pianto in silenzio, in camera sua, soffocando i singhiozzi sul cuscino,
per non far vedere a sua madre, impegnata con la battaglia legale, che stava
male per la morte di colui che li aveva abbandonati per costruirsi un’altra
famiglia.
Most faithful mirror
Fearless on my breath
Che idiota che era stato a
provare rancore verso di lui per così tanto tempo. Aveva perso tempo
inutilmente mettendo giù il muso, perdendo così il tempo prezioso che suo padre
chiedeva di passare con lui. “Sesshomaru,
perché non andiamo di nuovo a sciare? Io e te… facciamo una vacanza da uomini,
come ai vecchi tempi?”
Teardrop on the fire
Fearless on my breath
Come
ai tempi del filmato che aveva scovato Inuyasha. Tempi che non sarebbero più
tornati. Come gli attimi passati con Kagura.
Kagura, la bella moretta dall’aria
snob ed impegnata sulla sua Porsche sportiva, ferma ad un semaforo.
Kagura
che entrava nel suo ufficio, avvolta nel tailleur dalla scollatura compiacente,
alta sui suoi vertiginosi tacchi a spillo, seria con la ventiquattrore in mano.
Elegantemente
avvolta nella seta nera del suo abito da sera, accaldata e affannata contro la
radica dell’ascensore vintage dove l’aveva avuta la
prima volta.
Una
pantera che graffiava tra le sue braccia in una stanza di un motel di quart’ordine.
Una
colomba dalle ali spezzate, persa tra le coperte voluminose del suo letto, in
un pigiama gigantesco per la sua figura esile.
L’artista
concentrata, dal naso sporco di carboncino, intenta in un ritratto.
La
sognatrice che perdeva il suo sguardo fuori dalla
finestra, giocherellando con una ciocca di capelli, con la testa altrove, in un
luogo dove il cielo non era così grigio, e dove la pioggia non era così gelata
da corrodere le ossa.
Stumbling
a little
Kagura non c’erapiù.Kagura aveva
abbandonato il suo corpo alle onde del mare, aveva fatto riempire i suoi
polmoni di sale.
Come VesperLynd. (Maledetto quel
soprannome che le aveva dato.)Ma lui non aveva nemmeno il lusso di poter
seppellire il suo corpo, al momento. Stumbling a little
Doveva far cambiare a Jaken
quelle maledette lenzuola. Erano pregne del suo profumo. Sarebbe impazzito a
sentirlo di continuo.
.
Che
cosa ho fatto…. Che casino ho combinato…
“Smettila
di angustiarti. Non è colpa tua.” Ripete meccanicamente Miroku. Kagome e i miei
amici hanno bellamente ignorato la mia richiesta di starmi alla larga, e sono
corsi a casa mia appena dopo il telegiornale.Si sentono responsabili quanto me della tragedia. “Non hai spinto tu Kagura giù dalla rupe, no?”
“L’ho
lasciata andare…” mio fratello è furioso. Letteralmente fuori
da ogni grazia divina. Ieri notte, quando sono tornato, seduto sul
divano, continuando a tentare di chiamare al telefono.
Ho
capito subito che Kagura non era rientrata prima di me, e gli ho spiegato
tutto. Ha urlato che sono stato un deficiente, che un moccioso di diciassette
anni dovrebbe farsi i fottuticazzi
suoi e ha giurato che mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani se fosse
capitato qualcosa a Kagura. Stava per uscire di casa per andare a cercarla,
chissà dove. Gli ho risposto che sarei andato con lui.
Abbiamo
girato in silenzio per ore ed ore, senza una meta precisa. Siamo passati più
volte davanti all’edificio del Gruppo Ragno, davanti al Pub che era il nostro
punto di ritrovo, davanti a Villa Onigumo, mentre Sesshomaru
cercava in continuazione di telefonarle.
Poi,
alla fine, siamo tornati a casa. E ho chiesto a mio fratello un avvocato. Sarei
andato dalla polizia e avrei lasciato la mia testimonianza. Era tutto quello
che potevo fare.
Ho
evitato di nominare i miei amici. Cercherò il più possibile di
tenere Kagome e gli altri fuori da questa storia, anche se i poliziotti
avranno già capito che non potevamo essere da soli.
“Non
voglio che finiate nei guai…” guardo Kagome, le dita della sua mano intrecciata
con la mia. E’ preoccupata, ma non sembra spaventata. “Abbiamo scelto noi di
finirci. Lei ci aveva avvertito, ma noi siamo andati avanti comunque.”
“Perché
non pensavamo che accadesse tutto questo.” Sbotta
Miroku. Sango gli getta un’occhiata assassina. “Io l’avrei fatto anche con una
pistola puntata alla tempia.”
Mi
strofino la faccia con le mani. Mi sento a pezzi, non ho dormito un solo
secondo. Non ho nemmeno mangiato, ma il mio stomaco sembra pieno di sassi.
Dico
a Kagome che ho bisogno di sapere esattamente quello che le ha detto Kagura
nell’ufficio. Probabilmente i poliziotti me lo chiederanno.
“Non
occorre che tu glielo dica. Lo farò io.” Risponde determinata. Le chiedo di smetterla.
Non c’è bisogno di fare l’eroina.
Lei
scuote la testa e mi pianta i suoi occhi marroni, duri e impassibili in faccia.
“Non riusciresti ad essere credibile. E io voglio prendere le mie
responsabilità. Ci troveranno comunque. Quindi, tanto vale che ci presentiamo
tutti quanti al commissariato.” Guarda gli altri, per
avere sostegno.
Sango
annuisce. “Parlerò con Kohaku. Era una delle cavie di
Naraku, questa storia lo interessa particolarmente.”
“I
miei genitori sono in Russia per il concorso circense internazionale, credete
davvero che molleranno tutto per venirmi a sostenere in una deposizione? O ad
un processo?”
Sango
lo guarda come se avesse detto un’eresia. “Certo, sono
i tuoi genitori.”
“E
allora? Credi che basti?” ride nervosamente. “Vivo da solo da quando avevo
quattordici anni, li vedo a malapena due settimane l’anno. Non esiste Natale,
Capodanno o Compleanno con loro. Loro sono in un mondo a parte nel quale io non
c’entro più nulla. Sono la stregua di un traditore, ho lasciato il circo per vivere come una persona normale, e i casini che combino
sono solamente fatti miei.”
“Non
dire stupidaggini!”
“Non
sto dicendo cazzate!” esclama, scattando in piedi. Ha gli occhi lucidi, la
mascella contratta, i pugni chiusi. Sembra sul punto di esplodere. “Questa è la
mia famiglia, Sango. Io sono il frutto di un preservativo rotto e di una
distrazione nel calcolare il termine per l’interruzione di gravidanza. E tu che
ti lamenti perché devi fare la lavatrice e cucinare, e che oltre che da sorella
maggiore devi fare anche da madre a Kohaku. Ti
lamenti che tuo padre è apprensivo e che ti ha chiamato cento volte al giorno mentre eravamo in montagna. Piangi perché tua
madre è morta, ma lei non ti ha abbandonato. Lei non c’è più perché era ammalata da tempo, ma ha lottato sino alla fine per non
lasciarvi. Non sei cresciuta da sola e non hai imparato che quel piccolo pomodorino strano che hai triturato in quantità industriale
nell’insalata si chiama peperoncino e brucia da morire. Lo sai perché te
l’hanno detto, non perché l’hai mangiato!”
Nella
stanza scende il silenzio. Kagome si stringe a me.
“Mi
dispiace, Miroku… io non sapevo...” Sango si alza e si avvicina al mio amico,
abbracciandolo, cercando di rincuorarlo. “esatto. Tu non lo sapevi. Non lo sa
nessuno. E a nessuno interessa sapere se c’è dell’altro in me a parte l’amico
stupido che ama stare al centro dell’attenzione e organizzare festini.”
Beh,
io lo sapevo. Era uno dei pochi argomenti seri che io e Miroku affrontiamo. Mi
chiama spesso alla sera, per una birra a casa sua o un
giro in bicicletta. Si morde sempre il labbro quando
parlo di Kagome.
“Beato
te che ce l’hai una ragazza” ha sospirato una volta.
Ed era un tono triste, sconsolato. Non di certo quello che ci si aspetta da
lui.
Lo
guardo, abbracciato a Sango.
“Davvero
ti sei mangiato una scodella di peperoncino?”
Sembra
che gli torni un barlume di sorriso. “E’ bastata una cucchiaiata. Sono stato
male per giorni.”
Ci
scappa un sorriso a tutti e quattro. Poi di nuovo il silenzio, interrotto da
Sango.
“Bene.
Ed ora, che facciamo?”
“Andiamo
dalla polizia. Con i nostri genitori. E se ce l’hanno
anche un avvocato non farebbe schifo.” Decide Kagome. “Miroku, tu… dovrai
starne fuori… temo.”
“Naaah.” Estrae il cellulare. “chiamo le pagine utili e
cerco un avvocato.”
Gli
dico, magnanimo, che gli presto il mio. Lui mi ringrazia, e accetta volentieri.
“Qual’ora servissero anche i miei genitori, gli
manderò una mail.”
“Si,
quelli non te li posso prestare.”
“Hai
pur sempre un tutore legale, no?”
“Si,
certo, vaglielo a chiedere di essere anche il tuo.
Come risposta diventerai il nuovo paralume della lampada d’ingresso.”
“Il
che equivale ad un no…”
Seduti
al tavolo della cucina di Kagome, la mia ragazza sta finendo di raccontare con
voce tremante quello che è successo.
Dall’altro
lato del tavolo, immobili come statue, sua madre e Kikyo pendono dalle sue
labbra. Mi tormento le dita delle mani, e il mio sguardo nervoso saetta da un
volto all’altro.
Kagome
mi ha detto di far parlare lei, che io probabilmente avrei peggiorato le cose,
e non le avevo dato torto: ma di certo gli sguardi delle due donne che abbiamo
davanti non sembrano propensi ad una reazione civile. Soprattutto nei miei
confronti. Kikyo vedo che mi fissa un paio di volte con odio.
Quando
Kagome finisce, cerca la mia mano con la sua sotto il tavolo. Ecco il momento
del giudizio. Intreccio le dita con le sue e le stringo forte. Saremo insieme ad affrontare questo momento.
Anche
se maledico come non mai la mia predisposizione naturale a ficcarmi nei guai.
La
madre di Kagome sospira, sconsolata, abbattuta. “E adesso?” geme, sostenendosi
la testa con la mano. “Non ci salteremo fuori tanto facilmente… Ma cosa vi è
saltato in testa…? E quella disgraziata…ah, se ce l’avessi
tra le mani…la strozzerei personalmente! Prendersi gioco in questo modo della
fiducia e dell’ingenuità di un gruppo di ragazzini!”
Vedo
che Kagome sta per ribattere qualcosa a proposito, ma è Kikyo ad interromperla.
“Te
l’avevo detto zia, che dovevi impedire a Kagome di frequentare Inuyasha!” esclama,
con mia somma sorpresa. La guardo stupito. Pensavo che si sarebbe schierata
dalla nostra parte, che avrebbe compreso la situazione.Ma quella che ho davanti non sembra più la
ragazza che ho conosciuto all’orfanotrofio, è una statua di marmo.
Kagome
scatta in piedi, picchiando un pugno sul tavolo. Reazione che sorprende tutti
quanti, me compreso.
“Sappiamo
tutte e due qual è il motivo per cui speri che smetta
di stare con Inuyasha!” urla rabbiosa. Io mi sento sull’orlo di un baratro.
Pericolosamente aggrappato alla roccia friabile. Kikyo deglutisce, ma non perde
la calma. “A parte il motivo per cui ti voglio bene e
non voglio che ti rovini con un…”
“PERCHE’ VORRESTI ANCORA PORTARELO A LETTO, VERO?”
“Kagome,
Ma che dici!” protesta sua madre. La faccia di Kikyo è indescrivibile. È
persino arretrata di un qualche passo. “Cosa diavolo stai dicendo…?”
“Inuyasha
mi ha detto tutto!”
“Non
so di cosa tu stia parlando. Chissà che idee strane ti
ha messo in testa il tuo ragazzo”
sibila, cercando di darsi un contegno e di risultare credibile, calcando
l’ultima parte della frase con un sibilo di disprezzo.
Sua
madre ci guarda boccheggiando come un pesce. Probabilmente ha capito tutto, ma
cerca disperatamente di non crederci. Io cerco il modo di sprofondare dalla sedia.
Forse riuscendo a scivolare sotto il tavolo posso raggiungere la porta e
sgattaiolare fuori…
“Inuyasha,
è vero che tu e Kikyo avete avuto una storia, e neppure così tanto innocente,
quando lavorava nell’Istituto?”
Sono
costretto ad annuire, a metà tra il tavolo e il pavimento.
Questa
volta a scattare in piedi è la madre di Kagome. “Kikyo, è vero?”
La
nipote guarda per terra, furiosa. Mi getta uno sguardo. “Non è una cosa di cui ne vado fiera…”
Questa
frase mi fa più male di una pugnalata al cuore. Amore o no, credevo che Kikyo fosse
stata la prima persona che vedesse veramente qualcosa di positivo in me, e non
un promesso avanzo di galera. Credevo che mi capisse, che mi apprezzasse. Ho
creduto di essere amato dopo tanto tempo.
“Kikyo,
non ho parole!” esclama scandalizzata la madre di Kagome. “Approfittarsi così
della fiducia e dell’ingenuità di un ragazzino!”
“Beh,
lui era consenziente!” esclama lei, a parziale discolpa.
Alzo
il dito medio. “Perché non sapevo di scoparmi la più grande stronza
dell’universo.”
Nella
cucina scende il silenzio. Kikyo è indignata. Vedo che gli occhi le si riempiono di lacrime di rabbia.
A
Kagome scappa da ridere. Le passo un braccio attorno alla vita e l’attiro a me.
“Per fortuna che hai una cugina totalmente diversa.”
La
madre di Kagome si accascia su una sedia. “Io non ho parole.” Mormora. E’ ora
che io dia l’aria di essere una persona matura e che dica qualcosa di
intelligente. “Signora, in questo momento abbiamo un altro problema ben più
grave che questa parodia di Soap Opera che le è capitata in casa.” E’ tutto quello che riesco a dire.
Annuisce,
guardandomi fissa negli occhi. “Chiamo un avvocato, e poi andremo tutti al
commissariato. Ci saranno anche i vostri amici?”
“Probabilmente
Sango è già là” risponde Kagome, sorridendo. “Grazie mamma.”
Lei
sospira. “Ho sempre pensato di avere una figlia intelligente e giudiziosa, e
ringraziavo la sorte perché non si drogava, non frequentava cattive compagnie,
era un’ottima studentessa ed aveva un cuore grande. E’ buffo come a causa di
questo tuo cuore sia finita nei guai.”
Vedo
che Kikyo sembra voler dire qualcosa, ma la zia la fulmina con lo sguardo, e
allora tace, fremente di rabbia.
Credo
che i Natali in famiglia non saranno più sereni come un tempo…
Entriamo
in commissariato insieme, tutti e quattro, seguiti dai nostri genitori, tra i
flash dei fotografi. Ci teniamo per mano gli uni con gli altri. Sento una
stretta allo stomaco atroce, quando vedo il commissario venirci incontro e
accompagnarci dentro la caserma, facendosi scudo con il proprio corpo per
evitare di farci riprendere, ed urlando ai cronisti che siamo minori e per tale
tutelati.
Ci
ascoltano separatamente, iniziano da Miroku, che entra quasi baldanzoso,
seguendo una poliziotta donna molto avvenente. Sango alza gli occhi al cielo,
esasperata. “Per fortuna che amava solo ed esclusivamente me…E’ proprio vero
che davanti alla morte si dicono un sacco di cose stupide.”
Io
e Kagome ci guardiamo e sorridiamo. Prima o poi se ne renderà conto anche lei,
no?
La
seconda ad essere chiamata a deporre è Kagome. Dopo pochi minuti che entra
nella stanza, mi squilla il telefono. E’ un numero che non conosco, ho quasi
timore che un cronista abbia avuto il mio numero di telefono. O, beh.
“Pronto?”
“Inuyasha, sono Kikyo.”
Un
tuffo al cuore. Praticamente un mezzo infarto. Sango mi guarda con aria
interrogativa e allora mi alzo, raggiungendo la finestra.
“Cosa
vuoi?”
“Volevo chiederti scusa per prima” risponde. Sento la sua voce tremare. “Mi dispiace tanto, davvero.” singhiozza.
“Io non volevo insultarti. Non penso che
tu sia un delinquente, un deficiente e chissà che altro…”
Deglutisce,
riprendendo fiato. “Oddio, dopo che hai
trascinato mia cugina in ‘sto casino un po’ deficiente
credo che tu lo sia…”
Non
riesco a capire. “E allora perchè quella scenata? Perché hai sparlato male di
me con la madre di Kagome e hai tentato di metterci il bastone tra le ruote?”
“Non lo so. Invidia, forse. Rabbia
perché… lei poteva, e io no.” Sento che singhiozza nuovamente, e mi si stringe il
cuore. “Sono tornata all’Istituto, sai?
Volevo venirti a trovare. Però tu te ne eri già andato. E, per la privacy, non
mi hanno potuto dire chi ti era venuto a prendere. Così, ti avevo perso.”Racconta. “Poi… dopo pochi giorni… ti ho visto. Presentato come il ragazzo di mia
cugina minore. Cielo, come mi sono arrabbiata! Perché se solo non fossi
scappata come una codarda, se solo avessi corso il rischio – e ne valeva la pena!-
ora io e te saremmo stati insieme, e in montagna potevo esserci io, e i
profilattici che mia zia ha trovato potevano essere davvero i nostri… e ora ci
sarei io con te li…”
Sento
il mio stomaco farsi sempre più pesante, come pressato da una valanga di
detriti. “Kikyo… non sarebbe funzionata comunque.” È una cosa a cui non credo proprio fermamente, in verità. Ma non voglio
dare appigli a cui aggrapparsi, a cui illudersi. “E
se… il destino ha voluto così, un motivo c’era.”
“Il destino ti ha portato comunque da
me… anche se tra le braccia di un’altra.” Ride tristemente. “Come
per sbeffeggiarmi, per schiaffeggiarmi per il mio errore.”
Sento
il poliziotto che chiama Sango. Ci scambiamo uno sguardo e la saluto con il
cenno della mano. Lei raccoglie la borsetta, mi guarda preoccupata. Gli faccio
cenno, con il pugno chiuso, di essere forte e lei mi sorride, annuendo.
“Tra
poco tocca a me.” Sospiro. “Devo andare, Kikyo.”
“Già. Hai ragione. Scusa se ti ho
disturbato. Scusa se ti ho insultato prima. E’ questo quello che dovevo dirti.
Dovevo solo chiederti scusa. Ma temo di essere andata oltre.”
“Non
fa niente.” Deglutisco. “Ti ha fatto bene sfogarti un po’.”
“Si, forse si.” Finge di ammettere. “In bocca al lupo Inuyasha. Stai vicina a mia
cugina. Fa tanto la dura ma…”
“Kagome
è una tipetta tosta. Ma non preoccuparti. Non la
lascio. Ciao.”
Chiudo
la conversazione, giocherellando con il cellulare, picchiettandolo contro i
miei incisivi, appoggiato al davanzale della finestra, con lo sguardo che si
perde tra le nuvole grigie.
Sento
dei passi alle mie spalle, e mi volto in tempo per vedere entrare nel corridoio
Sesshomaru. Indossa sempre gli occhiali scuri. Forse non ha sempre lo sguardo
impassibile e neutro. Lo saluto con un cenno del capo. “Novità?”
Scuote
lievemente la testa. “Il mare è a forza sette, non riescono nemmeno a
recuperare l’auto.” Aggiunge, sedendosi su una sedia.
“Il
prossimo sono io. Mi sembra di essere dal dottore.” Cerco di sdrammatizzare.
“Questa volta ci faranno vedere il filmato, credo”
“Sarebbe
ora” mormora. “Sono proprio curioso di vedere il frutto del vostro duro lavoro.”
Evita
di voltarsi verso di me, lasciando vagare lo sguardo dall’altro lato del
corridoio, quello dove sono spariti i miei amici.
“Mi
dispiace.” Gli sussurro.
“L’hai
già detto.”
“Quando
sono uscito di casa è entrata Rin. Aveva le lacrime agli occhi. Ho visto che
correva sulle scale cercandoti.”
“Si,
sono uscito in corridoio, mi chiamava disperatamente.”
Sbuffò. “Le è dispiaciuto molto per Kagura. Sai come sono fatte le bambine.
Tutte romanticherie, favole e happy ending. E quando
si accorgono che la realtà è ben diversa vanno giù di testa. Ha fatto una mezza
crisi isterica sul pianerottolo delle scale.”
Mi
volto di nuovo verso la finestra. “Non succede solo alle bambine, Sesshomaru.”
Alla
fine del filmato, resto allucinato.
La
parte del racconto di Kagura, al quale ha assistito solo Kagome per me è quasi
surreale. Così come non riesco a capacitarmi di come una persona sia riuscita a
indossare una maschera di coriacea e determinata donna per così tanto tempo.
Avevamo intuito che suo fratello le avesse fatto un torto davvero grande, ma
non mi sarei mai aspettato una storia di prevaricazione e violenza come questa.
Come è potuto accadere che nessuno si rendesse conto di quello che le stava capitando?
E
la mia ragazza, a sentire quella storia allucinante, cosa avrà provato? Cosa
starà provando in questo momento?
E
mio fratello?
Mi
volto verso Sesshomaru, seduto al mio fianco al tavolo di acciaio della stanza
degli interrogatori in cui siamo stati introdotti. Si è tolto gli occhiali, ma
non mostra segni di nessuna emozione.
“Lo
sapevi?”
Lui
annuisce.
“E
non hai fatto nulla?” sento la rabbia montarmi dentro. Mio fratello è un tale
codardo?
“Non
ho fatto in tempo. Mi avete preceduto” risponde freddamente, alzandosi in piedi
e rimettendosi gli occhiali. “Lei e la sua fretta di merda”credo
di sentirlo sibilare. Esce, lasciandomi solo con l’avvocato e il commissario,
che mi guarda e sospira.
Mi
spiega che, se voglio, potrò non testimoniare al processo. Le mie deposizioni verranno comunque prese in considerazione.
Scuoto
la testa. “Purtroppo non ne so di più. Ma non mi tiro indietro. NarakuOnigumo è un bastardo e le
deve pagare tutte. Per quello che ha fatto a Kohaku,
e per quello che ha fatto a Kagura.”
Il
commissario sbuffa, quasi divertito. “Una generazione di eroi duri a morire, la
vostra.”commenta ironico. “Nemmeno i tuoi amici hanno intenzione di mancare”
Mi
accomiato da lui. Esco dalla stanza con la testa che quasi mi gira. Ho bisogno
d’aria. Ho bisogno di Kagome e dei miei amici.
Mi
fermo sulle scale, eccola, davanti al distributore di lattine, con Sango e
Miroku. Mi volge la schiena, non mi può vedere. Sospiro. La vita mi ha concesso
una possibilità, una via d’uscita, una scappatoia. Volente o nolente devo
essere grato davvero a mio fratello per avermi “prelevato” dall’Istituto e per
avermi messo in una scuola privata “ma non troppo esclusiva”.
Anche
se i suoi scopi erano altri (ma poi, lo saranno stati
veramente?) alla fine quello che mi è andato in tasca è tutto a favore mio.
Tanto di cappello alla mia fortuna, anche se, lamentoso come sono, la denigro
in continuazione.
Scendo
lentamente i gradini. Kagome si volta e mi vede. Mi saluta con un sorriso, e io
le rispondo allo stesso modo. Mi abbraccia forte, mi stampa un bacio sulle
labbra. “Da grande non voglio fare né la scrittrice né la sceneggiatrice” mi
rivela. “Voglio fare la giornalista. Voglio portare alla luce casi come questo,
sbatterli in prima pagina, farli conoscere al mondo intero e fare in modo che
non accadano più. O che almeno accadano di meno.”
Le
accarezzo la testa. Apprezzo Kagome, spero che porti la sua incantata
determinazione per sempre dentro di sé. Anche se penso che a 15anni ha una
visione della vita diversa da quando ne avrà 25. Ma magari
mi sbaglio io.
Con
la coda dell’occhio vedo Miroku e Sango che si siedono in un angolo. Lei sembra
ringraziarlo per esserle stata vicino, lui sembra in prossimità dell’Empireo.
Propongo a Kagome di andarci a bere la bibita che ha preso dal distributore da
un’altra parte. Lei annuisce. “Lasciamoli soli.” Bisbiglia. “Forse questa è la
volta buona”
“Si aggrava la posizione per NarakuOnigumo…” CLICK!
“..accusato anche di
violenza privata nei confronti della sorella…” CLICK!
“… oggi sono stati interrogati anche due
giovani membri della squadra di basket, gli Spiders…”
CLICK!”
“…Siamo sul luogo dove ha avuto il
finale la tragica vita di Kagura Onigumo. Presso
questa strada qualcuno ha depositato fiori e pensieri per la giovane donna…” CLICK! Il televisore si spense.
Sesshomaru
passeggiò pensieroso per la stanza. Si avvicinò all’armadio e ne aprì l’anta.
Poi premette contro il pannello del fondo e lo fece scorrere. Una piccola
cassaforte comparve davanti ai suoi occhi. Digitò il codice segreto sulla
tastiera e l’aprì. Ne estrasse un voluminoso fascicolo, che gettò a terra.
Pensò che poteva essere utile, mentre richiudeva lo
scomparto segreto e l’anta dell’armadio. Lo sfogliò distrattamente. Certo, il
video conteneva, in pochi minuti, il doppio delle informazioni che lui aveva
raccolto nel fascicolo da tre mesi a quella parte.
Però
c’erano dati interessanti. Emissioni inquinanti, per esempio. Gli scarichi che
finivano direttamente nelle falde acquifere della città. Di questo non c’era
menzione nel video.
Era
difficile trovare un reato a cui il signor NarakuOnigumo non avesse preso
parte.
Sesshomaru
sapeva che proprio in quel momento la polizia stava arrestando, finalmente
incastrati dopo tanto tempo, i suoi collaboratori più stretti. Chissà se altri
erano riusciti a fuggire?
Di
sicuro ci avrebbe impiegato anni a raccogliere i capi d’imputazione necessari
per incastrarlo così bene come c’erano riusciti, con la stolta e coraggiosa
avventatezza di chi non ha ben chiaro a cosa va incontro,Inuyasha e i suoi amici. E Kagura.
Gettò
il volume sul comodino. Si sentiva stanco e aveva voglia(o bisogno?) di dormire. Si gettò sul
letto.
Jaken
non aveva ancora cambiato le lenzuola. Sarebbe impazzito a sentire quel
profumo…
Tuffò
il viso nel cuscino a fianco del suo.
Per
quella notte poteva anche andare…
“Non
vedo perché tu te la debba prendere con me!” protesta Miroku, a gambe
incrociate sul letto.
Io,
infuriato come non mai, sto cercando sul su pc le
tracce della sua colpevolezza. Frugo tra la cronologia dei siti internet che ha
frequentato ultimamente.
“Maglia
e uncinetto?” esclamo, cliccando sul sito indicato.
Lui sbuffa. “E’ un hobby come un altro. Tu disegni fumetti, io faccio la
maglia, problemi??”
“Non
vedo perché tu sia così sicuro che te l’abbia rubata io la carta di credito!”
“Perché
ho notato la tua abilità nello scassinare porte. E che non ti fai problemi a
infilarti in tasca chiavi non tue.”
Lui
sbuffa nuovamente. “Credi allora che deruberei un amico?”
“SI”
rispondo, entrando scocciato nel sito della banca, per la gestione dei
movimenti della carta di credito. “Adesso guardiamo subito qual è stato
l’ultimo acquisto.”
Miroku
mi si avvicina e addita trionfante la schermata. “AH! Piccolo prelievo da
sportello automatico. E pagamento di un biglietto di sola andata per Parigi.” Mi guarda, dall’alto verso il basso. “Io ti sembro scappato
in Francia?”
Lo
mando a quel paese. Speravo di averlo incastrato. Ormai mi sentivo un paladino
della giustizia.
“Puoi
provare a guardare chi ha acquistato il biglietto… prova a telefonare alla
compagnia aerea…”suggerisce.
Alzo
le spalle. “Lasciamo perdere. Ha preso la tariffa economy,
non ha speso tanto. Blocco la carta e basta.”
Digito
sul cellulare il numero verde.
“E
non ti interessa sapere chi è l’emigrante?”
“Conosco
già abbastanza stronzi…”
Il prossimo sarà L’EPILOGO! Spero di non
avervi deluso con la mia storia. So che molte di voi sono amanti degli Happy Ending come Rin. Ma gli Happy Ending
li trovo così banali e scontati… e poi io amo fare le cose un po’ complicate…
(se non si era CAPITO!!!) – Grazie a chi ha letto,
mille grazie a chi ha pure commentato!!!!-
PS: il “sottotitolo” del titolo (mmm…carina questa frase) è una frase tratta dalla canzone Atlantic City di BruceSpringsteen. (KIRARACHAN: Ho già
preso i Biglietti per andarlo a vedere aROMA!!!!)Invece, la canzone all'inizio è "Teardrops" dei Massive Attack: è la canzone, per chi segue DrHouse, con coi viene accompagnata la morte di Hamber nell'episodio "il cuore di Wilson".
Capitolo 20 *** EPILOGO: Meet me in the Land of Hope and Dreams. ***
EPILOGO:
EPILOGO:
Meet Me in the Land of Hope
and Dreams.
-5
anni dopo-
Cerco
con tutte le mie forze di non far notare il tremolio delle mie mani, mentre
posiziono la busta di plastica, portata dal corriere espresso questa mattina,
al centro del tavolo.
Kagome,
davanti a me, sorride radiosamente, gli occhi piedi di orgoglio ed emozione. E’
impaziente di vedere il contenuto della busta, e non fa nulla per nasconderlo.
Miroku sfoggia un sorriso più largo nel suo repertorio: “Sono eccitato!”
esclama,e
Sango, chetamburella con le dita sulla
superficie del tavolo alza gli occhi al cielo “E dov’è la novità?”
“Che aspetti?” mi domandaimpaziente Kagome.
Riprendo
la busta tra le dita e la squarcio senza pietà. Dentro, un’altra busta di
carta. La apro cerimoniosamente, come fosse il
sarcofago di una qualche sacra reliquia.
Ne
estraggo il frutto di cinque anni di schizzi, disegni, pensieri ed idee. Il
riscatto della mia vita. Anni passati in un orfanotrofio ti insegnano ad essere
determinato, a sacrificarti per raggiungere i tuoi obbiettivi, a lottare per la
vittoria su chi ti ha creduto un fallito ancor prima di darti una sola
possibilità.
Tra
le mie mani c’è il mio fumetto. Il
primo volume. Nonostante abbia disegnato di mio pugno la copertina, e
nonostante il lavoro sulla scritta del titolo, lo trovo ancora più bello di
come potessi immaginarlo.
“MOONLIGHT
SHADOW” è scritto in uno stile calligrafico, rosso sangue. Tra le due parole vi
è una fetta di luna crescente. Sotto, a guardarla, Ike Le Chien,
che rivolge le spalle al lettore. I capelli argentei sono raccolti in una lunga
coda. Una mano è infilata nella tasca della giacca di pelle, l’altra è
sull’elsa della sua spada luccicante, appoggiata alla spalla.
Sfoglio
le pagine disegnate, i miei amici e la mia ragazza che scorrono avidamente i
disegni.
Kagome
mi stampa un bacio sulla guancia. Mi giro e gliene stampo uno sulle labbra. La
mia felicità non è descrivibile in questo momento. “Spero solo che capiti in
mano ad una di quelle dannate pinguine.” Sogghigno, mentre Miroku stappa la bottiglia di spumante
che ha portato da casa. Sango guarda il retro copertina, la bocca aperta ad O.
Poi mi tira un buffetto sul petto, prima di passare il fumetto a Miroku.
“Questo Fumetto è dedicato a Kagome, Miroku e
Sango- I VERI
ideatori di quello che state leggendo!!” Legge il mio amico, guardandomi
stupito. Kagome esclama che non era necessario. Io sbuffo. “Se non avessi
scritto nulla, mi avreste rotto le scatole per tutta la mia intera esistenza
dandomi del bastardo ingrato…” spiego, fingendo un tono scocciato.
Miroku
e Sango fanno un cenno affermativo con la testa. La mia ragazza prova a farmi
credere che non è vero, ma se la ride sotto i baffi.
Riempiamo
i bicchieri di spumante e li alziamo: “Al fumettista più idiota che ci sia in
giro!” brinda Miroku.
“Al
NERD che ce l’ha fatta!” esclama Sango.
Kagome
grida: “Al mio artista preferito!”
Li
guardo tutti e tre. Come ho fatto a vivere per diciassette anni senza di loro?
Non ne potrei fare mia a meno, e di certo anche il mio passato non sarebbe
sembrato così lontano senza i miei amici. E la mia ragazza, soprattutto.
“A
voi tre,maledetti
LECCACULO.” Brindo, prima di vuotare tutto il bicchiere con un sorso. “…non
avrete mai i miei soldi!” fingo di ringhiare, sbattendo il vetro sul tavolo.
Sango
e Miroku si guardano e fingono di andarsene, “Te l’avevo detto che era solo
fatica sprecata…” sospira lei.
Kagome
scuote la testa. “Sapevo che lasciarsi scappare Koga
sarebbe stata una leggerezza imperdonabile”
Le
mostro la lingua. Poi mi rivolgo a Miroku, che nel frattempo ne ha approfittato
per trascinare Sango addosso a sé. “Perché non organizzi una bella festa in mio
onore?”
Lui
alza il bicchiere, uno dei suoi sorrisi inquietanti sulle labbra. “Già fatto.”
Lo fisso senza capire. O, meglio, vorrei non averlo capito.
Il
campanello suona. Insistentemente.
Belle
Ile en Mer, Francia
La
luce era perfetta.
Il
tramonto inondava di calore le scogliere e rendeva le onde salate di lava
incandescente. La sabbia sembrava una distesa di polvere dorata e scintillante
tra le rocce dell’insenatura. La brezza serale saliva dal
mare fresca, scompigliando impertinente i cespugli che crescevano
selvaggi sulle rocce e al limite della scogliera. La primavera era esplosa in
tutta la sua vitalità, e l’isola era un tripudio di colori e profumi.
Tolse
la macchina fotografica professionale dalla custodia e la posizionò sul treppiedi, facendo ben attenzione a non farla cadere.
Con quello che l’aveva pagata!
Puntò
l’obbiettivo verso un angolo della caletta, dove le rocce scendevano dolcemente
verso il mare, aspettando il momento opportuno per catturare l’onda che si
infrangeva contro di esse.
CLICK!
Ottimo.
Un paio di altre fotografie e per quel giorno poteva bastare. Si guardò attorno
alla ricerca di un soggetto interessante. Facendo schermo agli occhi con la
mano, cercò la bambina, per controllarla.
Lei
se ne stava a piedi nudi sul bagnoschiuma, i jeans
chiari arrotolati appena sotto il ginocchio, le piccole dita che cercavano tra
i detriti conchiglie o sassolini dalla forma strana. La vide raccogliere
qualcosa e studiarlo in controluce; probabilmente l’ennesimo coccio di vetro
levigato dall’acqua. Aveva una fissazione per gli oggetti che il mare
restituiva a riva, l’affascinavano a tal punto da passare ore e ore a raccoglierle.
Sembrava perdere la nozione del tempo.
La
donna sorrise, prima di decidere di risalire lungo il sentiero della scogliera,
volendo sfruttare al massimo quella luce magnifica,
che sarebbe scomparsa da li a poco. Mentre stava recuperando l’attrezzatura,
sentì una voce allegra salutare dal sentiero, e un ragazzo magro, dai
lineamenti delicati e la chioma castana e ribelle comparire lungo le rocce.
Anche
la bambina interruppe il suo lavoro e alzò lo sguardo, salutandolo con un
sorriso e agitando la manina.
Lui
fu sulla sabbia con pochi balzi, arrivando alle spalle della donna.
“Tutto
bene?” domandò, indicando la fotocamera.
“Certo.
La luce è favolosa. Questa spiaggia sembra fatta apposta per le foto al
tramonto.” Gli mostrò, sul piccolo schermo, le ultime
foto, incontrando il parere positivo del ragazzo. “L’ente Turistico avrà un bel
catalogo fotografico aggiornato, quest’anno!”
“Dillo,
avanti, che l’idea di rendermi tua socia al cinquanta per cento è stato un
grande affare, Jakotsu!” si pavoneggiò lei, beandosi
dei complimenti dell’altro. Adorava sentire la voce del suo amico tessere le
sue lodi, anche solo per scherzo. Era un gioco che facevano da
quando si erano conosciuti, quello di prendersi in giro a vicenda in
ogni situazione.
Jakotsu gemette,
falsamente stanco di quella messinscena. “E’ stata l’idea migliore della mia
vita!” cantilenò per l’ennesima volta, provocando il sorriso soddisfatto della
donna.
Si
arrampicarono entrambi lungo il sentiero. “Io giuro che non capisco come tu
riesca a salire di qui con quelle infradito!” protestò lei, inerpicandosi
faticosamente, puntellando le scarpe da ginnastica contro la roccia friabile,
tra le risatine di scherno dell’altro.
Scattò
qualche foto da un punto panoramico del sentiero, focalizzando l’attenzione sui
fiori primaverili cresciuti nei luoghi più impensabili.
“Direi
che può bastare” decise, guardando la spiaggia, dove la bambina seguitava la
sua raccolta. La fissò pensierosa, mordicchiandosi il labbro inferiore. Il
ragazzo la fissò, intuendo che stesse rimuginando su
qualcosa. Ormai si capivano con un solo sguardo, si conoscevano talmente da intuinre, nei movimenti dell’altro, un esatto pensiero o un
particolare stato d’animo. Le domandò cosa avesse.
“Sai,
mi ha chiesto di suo padre.”
Il
ragazzo si passò una mano tra i capelli. Questa cosa era improvvisa, ma non
sembrava meravigliato più di quel tanto. “Di già? E cosa gli hai risposto?”
“Che
abita molto molto lontano da
qui. E poi sono stata salvata dal campanello d’ingresso. Ma ho solo rimandato la
faccenda.”
“Prima
o poi vorrà conoscerlo, lo sai. E’suo diritto.” Sospirò, attorcigliandosi una
ciocca di capelli alle dita sottili. “Quando sarà grande chiamerà suo padre
senza dirtelo, te lo ritroverai qui sull’isola, magari nel giorno delle sue
nozze e…”
La
donna alzò gli occhi al cielo, esasperata. “Non dovevo regalarti quel maledetto
DVD… Lo sapevo da quando siamo tornati dal cinema e ti
sei messo a cantare “Dancing Queen” in strada.”
Lui
fece spallucce. “Dovevi aspettartelo. Lo sai che adoro gli ABBA”
“In
ogni caso, non sono pronta a queste domande.” Tagliò
corto lei. “Nella sua scuola materna ci sono figli di genitori divorziati, e
qualcuno di loro non vive più nell’isola. C’è anche una vedova lo sai. Ma tutti
i bambini sanno chi e dove sono i loro padri. E lei no.” Sospirò scuotendo la
testa bruna: “Non so cosa risponderle. Si, lo so, che
un giorno mi avrebbe chiesto dove è finito suo padre. Ma non pensavo a 4 anni.”
“Shiori è una bambina sveglia. E forse… forse è giunto il
momento di contattarlo…”
La
donna scosse la testa. “Per lui, per tutti, io sono morta. Kagura fa parte del
passato. Ora ho un’identità nuova…”
“…falsa”
“E
una vita nuova. Lui mi crede un corpo senza vita trasportato dalla corrente tra
un oceano e l’altro. Ho fatto una scelta, e non tornerò indietro. Anche se a
volte mi domando cosa sia successo dopo il mio finto decesso.”
“Che
visione romantica che hai del cibo per pesci” commentò ironico. Poi tornò a
fissarla, serio. “Kagura, in questi cinque anni non hai più avuto un uomo – ed
io non so sinceramente come tu faccia a reggerti ancora in piedi. Scruti tua
figlia di giorno in giorno, rallegrandoti delle piccole somiglianze che ha con
lui. A volte ti sento anche piangere di notte…”
“Dimenticavo
del tuo orecchio bionico.”
“Che
scema. Abbiamo in comune un muro eccessivamente sottile. Così come tu mi sentivi quando portavo a casa Bankotsu…”
“Eravate
fastidiosamente rumorosi. Devi ammetterlo. Sono andata ad infilare le cuffie
antirumore più di una volta a Shiori!”
“…io
sento te piangere di notte. So che lo disegni. Ho dato un’occhiata ai tuoi
schizzi –non l’ho fatto apposta, giuro. Posso capire quanto ti manchi. E’ un
uomo così bello… e sensuale…e…”
“E
lontano.” Concluse lei, decisa. “La nostra storia non sarebbe funzionata
comunque, Jak, è inutile. A lui piace la sua vita.
Ama passare da un ufficio ad una cena d’affari. Adora le auto sportive e non
disdegna uscire con le modelle. Tutte cose che a me non mancano per niente.”
“Tu
non sei mai stata una modella.”
“L’eccezione
che conferma la regola.” Sbuffò. Quando il suo amico cercava di farla parlare
di Sesshomaru, di farle ricordare i suoi sentimenti, lei si irritava
all’istante. “Io bramavo la libertà. Ed è quella che ho ottenuto. E voglio
viverla sino all’ultimo. Me la merito.”
Rimasero
in silenzio un attimo, a guardare il sole che scendeva lentamente.
“Me
lo ricordo il giorno in cui hai scoperto di essere incinta. Ci conoscevamo da
appena un mese.” Ricordò lui, quasi emozionato. “Piangevi come una vite
tagliata.”
“Non
era una cosa che avevo previsto”
“Non
volevi tenerla, perché non eri sicura di chi fosse il padre. Ma poi ti ho
chiesto di darle una possibilità, che avremmo fatto il test di compatibilità
genetica appena nata.”
Kagura
abbassò lo sguardo, colpevole.“Ho davvero pensato di non tenere mia figlia?”
Jakotsu
annuì. “Oh si. E posso capirti. Dopo tutto quello che
hai passato… ma poi quando è nata… e l’hai avuta tra le braccia… non volevi
nemmeno che l’infermiera la lavasse!”
Kagura
sorrise. Non aveva creduto ai colpi di fulmine finché quel fagottino bianco e
rosa le era stato messo in braccio.
“Non
pensavi nemmeno fosse necessario un test genetico, vero? Non ti interessava
più. Lei era tua figlia. Punto, in ogni caso. L’abbiamo fatto solo perché
l’avevo pagato in anticipo.”
“Il
tuo regalo di compleanno…” rise lei, ricordando. “Un bel test di compatibilità
genetica per mia figlia!”
“Oh, beh.Non faccio mai
regali banali.” Si vantò lui. “E quando è risultato che avevi solo il 50% di
compatibilità genetica, e quindi faceva di te la madre di Shiori,
e non anche la sorella, hai pianto di gioia.”
“Come
una vite tagliata.”
“Altroché! Avevi un ricordo
di lui che sarebbe stato con te per sempre. Il regalo più prezioso che ti
potesse mai fare.”
“Non
credo abbia avuto davvero l’intenzione di farmi un regalo del genere.
Sesshomaru non è proprio l’uomo da famiglia.” Sospirò
lei, un sorriso mesto sulle labbra rubino.
“Magari
ti sbagli.”
Kagura
scosse la testa. “Non mi sbaglio mai, su queste cose. Come con te e Bankotsu…”
Il
ragazzo fece segno di darci un taglio. “Dammi tregua. Ero un fanciullo ingenuo
e innamorato.”
La
donna colse l’occasione al volo per tentare di cambiare discorso.“Tsk! Eri? ti conosco bene, ci
ricascheresti.”
“Non
stiamo parlando di me.” troncò l’altro, intuendo le
sue intenzioni. “Dicevo: non credi che varrebbe la pena contattarlo? Fargli
sapere che ha una figlia? È un suo diritto saperlo. Pensaci bene. Io sono
l’unica figura maschile nella vita di Shiori.”
“…
figura maschile…?” esclamò scoppiando a ridere Kagura.“Ma se sono più maschile io di te…!”
“Uffa!
Quanto sei puntigliosa oggi…!” sbuffò, cercando di trattenere una risata “Io
parlo solo per il vostro bene e tu…”
Shiori si
alzò dal bagnasciuga, le ginocchia sporche di sabbia bagnata. La mano era
alzata, come per mostrare un trofeo.
“Maman! Un crabe!” esclamò
in francese, la lingua che padroneggiava meglio. Kagura aguzzò la vista. Era
proprio un granchio quello che la sua piccola aveva trovato.
Le
gridò di lasciarlo libero. Un po’ scocciata, la bambina lo lasciò libero sulla
sabbia. Il granchio sgattaiolò via, muovendo le chele, forse ringraziando la
donna per aver intercesso alla sua liberazione.
“Convincimi
che non lo vorresti davvero.” Jakotsu non demordeva.
Conosceva la sua debolezza e girava il coltello nella piaga. Kagura non
riusciva ad afferrare il senso di questa sua insistenza. La curiosità di
conoscere il suo leggendario(come l’aveva soprannominato in uno delle loro
schermaglie giocose) uomo? Oppure per quel sentimento, più forte del tempo,
della morte e dei chilometri, che unisce alcune fortunate persone, rendendo
partecipe l’uno delle gioie e dei dolori dell’altro, e che viene
riassunto nella parola amicizia?
“Non
lo accetterà mai. Mi odierà, e non ha tutti i torti, sinceramente.”
“Finché
non provi non lo saprai davvero.”
Shiori si era messa a tappezzare una montagnola di sabbia
con le quello che aveva raccolto nel pomeriggio. Kagura
sospirò. Neppure Jakotsu era a conoscenza di quante
volte aveva iniziato a scrivere lettere, per poi strapparle. A comporre il
numero, per poi riagganciare. Più di una volta si era sorpresa a navigare in
internet alla ricerca di voli aerei.
“E come faccio? lo chiamo e gli dico ‘Ciao, sono Kagura, ti ricordi di me? Oh, non
preoccuparti, non sono morta, sono solo su un’isoletta francese… ah, lo sai che
abbiamo una figlia in comune?’”
Jakotsu
sembrò prendere in considerazione l’idea. “Beh, io sono sempre per le cose
dirette e sincere.” Il volto del ragazzo si illuminò
improvvisamente: “Ho un’idea. Mandagli una foto di Shiori.
Scattala adesso, mentre gioca. Da questo esatto punto, con questa esatta luce.
Inviagliela e vediamo cosa succede. Non scrivergli altro.”
“E
cos’è, il gioco degli indovinelli?” sbottò sarcastica. Tuttavia giocherellava
con indecisione con la macchina fotografica appesa al collo.
“Sesshomaru
deve meritarsi la sua famiglia. Se
non è interessato, non capirà e lascerà perdere. Altrimenti…”
Its getting colder in this ditch where I lie Im feeling older and Im
wondering why
I heard they told her it was tell and live or die
I didnt know her but I know why she lied
I didnt know her but I know why she died
Kagura
scosse la testa, guardando la figlia. Era un’idea senza senso. Un desiderio
irrealizzabile. Ma la tentava, più di qualsiasi altra cosa negli ultimi cinque,
fantastici anni della sua esistenza. I migliori che si potesse mai augurare. E
forse li stava per gettare nel nulla con un gesto irrazionale, per un ricordo
che sembrava di giorno in giorno più una fantasia, un sogno, che un fatto
concreto.
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
Ma cosa mi salta
in testa…pensò. Dannazione, doveva
ammettere che Jakotsuaveva
ragione.
Scrutava
i lineamenti delicati della figlia, trovando ogni giorno qualcosa in più di suo
padre. Il profilo nobile, le labbra sottili, il naso…Almeno non aveva ereditato
i suoi occhi d’oro! Sarebbe impazzita, a trovarseli addosso
ogni giorno.
And we wont go down
Di
notte gli capitava spesso di sognarlo, era vero anche questo. E al risveglio
dai suoi sogni, nel buio della sua stanza e tra le lenzuola di semplice cotone
del suo letto vuoto, non poteva evitare da venire
accolta tra le braccia della nostalgia più struggente.
I heard them say that dreams should stay in your head
Well I feel ashamed of the things that Ive said
Put on these chains and you can live a free life
Well Id rather bleed just to know why I die
Aveva
una figlia, la libertà che sempre aveva desiderato. Un socio d’affari che era
anche il suo migliore –ed unico- amico. Viveva in un paradiso terrestre. Eppure
le mancava qualcosa. Devo essere
impazzita del tutto. Si disse.
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
Poi
inquadrò Shiori, ignara del suo tormento interiore.
Ignara di quello che aveva vissuto, dell’inferno in cui era cresciuta la sua
mamma prima di metterla al mondo, in una calda sera di inizio settembre.
Mise
a fuoco bene l’obbiettivo. Sua figlia, la sua bellissima bambina, meritava una
foto veramente artistica, un piccolo capolavoro per ritrarre quel gioiello che
aveva fatto nascere.
La
brezza tolse i capelli candidi dalla faccia della bambina, per un istante,
permettendo al sole morente di illuminare il suo faccino concentrato sulla
sabbia.
CLICK!
And we wont go down
And we wont go down
And we wont go down
And we wont go down
All I know is that fear has got to go
This time around
Kagura guardò Jakotsu,
che non nascondeva un sorriso trionfante, e allo stesso tempo, caldo e
confortante. “Non funzionerà mai, lo sai.”
Lui
alzò le spalle, guardando l’orizzonte con aria sognante. “Chissà.” Disse
solamente.
Anche
la donna perse il suo sguardo verso l’ultimo raggio di sole che scompariva nel
mare. La brezza aumentò, e il vento le baciò il viso. Ecco, un’altra cosa per cui valeva la pena vivere: le sorprese.
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
And we wont go down
And we wont go down
And we wont go down
FINE.
NOTE
DELL’AUTRICE.
Ho
iniziato a scrivere questa Fanfiction ben 3 anni fa.
Per anni è rimasta tra i file obsoleti del mio pc, interrotta al capitolo 4.
Quando
l’ho iniziata a scrivere, avevo finito da poco le scuole superiori, mi stavo
affacciando alla realtà adulta, ma avevo bene in testa cosa si provava ad avere
17/18 anni. Avevo intenzione di scrivere principalmente a proposito di Kagome e
Inuyasha, con qualche sprazzo su Sango e Miroku e qualcun altro su Sesshomaru
–Kagura.
A
distanza di soli 3 anni mi sono ritrovata a prediligere la coppia “adulta”
della storia, riuscendo meglio ad inserirla in un contesto ben preciso, a
formulare pensieri e riflessioni, a descrivere situazioni, più adatte a loro
che ad una coppia di adolescenti.
Per
questo la storia sembra iniziata in un modo e finita in un altro.
Spero
che comunque vi sia piaciuta lo stesso.
Io
mi sono divertita molto a scriverla, e spero di avere l’ispirazione per tornare
al più presto con un’altra Ff.
Voglio
ringraziare coloro che hanno letto, anche solo di sfuggita, la mia storia. E
anche chi l’ha inserita tra i suoi preferiti. (sino ad
ora ben 29persone!!!) Un altro grazie va in particolare alle ragazze che hanno
commentato: i vostri post mi hanno spronata molto a portare a termine questi
20capitoli.
La
canzone da cui prende il titolo la Fanfiction è degli Hanson, e il testo lo trovate nella parte finale di questo
epilogo, con la funzione di “titoli di coda”. Mi piaceva il ritmo, è
spensierato, ma allo stesso tempo ho trovato le parole velatamente malinconiche.
Anche
il titolo dell’Epilogo è tratto da una canzone: manco a dirlo, di BruceSpringsteen ( MA VA???)
SHIORI
è una bambina, Hanyou come Inuyasha, che si incontra
nei primi capitoli della storia. Non volevo creare un personaggio nuovo, e lei
era l’unica che poteva risultare “passabile” figlia di Sesshomaru e Kagura. (grazie ai capelli candidi…)
JAKOTSU:
si, lo so. E’ un po’ OOC. Mi sono permessa di
“plasmarlo” per inserirlo nella storia.
KAGURA:
(il mio personaggio preferito di Inuyasha) avevo pensato inizialmente di farla
morire davvero. Fatta fuori daNaraku.
Ma la Takahashi
era già stata abbastanza sadica con lei, facendole passare una vita di melma
per poi illuderla e farla morire. Ma fai morire SHIPPO, piuttosto!!!
SESSHOMARU:
… e chi se lo dimenticherebbe uno così?? Se esistesse
nella vita reale, non ci sarebbe la crisi delle nascite al mondo.