This Time Around

di Evilcassy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Brand New Life ***
Capitolo 2: *** And.... Now? ***
Capitolo 3: *** Daily Routine. ***
Capitolo 4: *** Everybody's got his own businesses ***
Capitolo 5: *** This Way Life Goes. ***
Capitolo 6: *** Le monde des desires ***
Capitolo 7: *** Different, Same Lives ***
Capitolo 8: *** Knockin' on Heaven's door. ***
Capitolo 9: *** Così il Destino Gioca con Noi. ***
Capitolo 10: *** Quel che porta l'Autunno. ***
Capitolo 11: *** Moonlight Shadow ***
Capitolo 12: *** Rise and Fall ***
Capitolo 13: *** C'è posto per tutti... Forse. ***
Capitolo 14: *** ...And a Happy New Year! ***
Capitolo 15: *** Tornare con i piedi per Terra ***
Capitolo 16: *** Affrontare ***
Capitolo 17: *** ... Decidere... ***
Capitolo 18: *** ... Agire... ***
Capitolo 19: *** ...Terminare. ***
Capitolo 20: *** EPILOGO: Meet me in the Land of Hope and Dreams. ***



Capitolo 1
*** Brand New Life ***


Capitolo 1: Brand new Life

Capitolo 1:  Brand new Life.

 

Ho aperto la zip della borsa senza pensare a nulla. Non provavo felicità per il cambiamento, né tristezza per le persone che lasciavo. Anche perché non avevo proprio nessuno da lasciare. Non ho mai avuto troppi amici, giusto un paio in 17 anni di vita, e comunque, se ne erano andati molto prima di me. Detestavo apertamente le persone che sino ad ora si erano occupate della mia “educazione”, e lei se ne era andata da ormai un mese e mezzo.

Ho aperto il mio cassetto per prendere ciò che mi apparteneva. Cioè quasi nulla. Un paio di jeans, una tuta da ginnastica un po’ lisa, un paio di maglioni, una felpa, due magliettine, qualche mutanda orribile e altrettanti calzettoni. La divisa, cioè calzoni neri, camicia bianca, golfino grigio e mocassini, dovevo lasciarli là. Non proprio una gran perdita. Dal mio comodino ho preso il mio album da disegno, il blocco degli schizzi e l’astuccio con gli strumenti da disegno: le cose più preziose che possedevo. E che mi aveva regalato lei.

Ho messo tutto nella borsa, non proprio ordinatamente, senza scordarmi la scatola di latta che conteneva le foto dei miei genitori, qualche spicciolo trovato qua e là e un pacchetto mezzo finito di Marlboro Light rubato dall’armadietto del bidello. Mi viene voglia di fumarmene una, ma sicuramente non ne avrei il tempo materiale. Beh, lo farò nella nuova casa del fratellone.

Da quello che so è una maxivilla, troverò un posto dove fumare in santa pace in tanto spazio, come l’ho trovato in questo edificio fatiscente.

Quando ho chiuso la borsa nera dell’Istituto dell’Aiuto all’Innocente, nobile nome per un orfanotrofio gestito da suore che sapevano di rancido come le loro credenze, mi sono posto ancora la Domanda delle Domande: perché non mi ha cercato prima? Perché si faceva vivo solo adesso?

Nessuno mi aveva dato una risposta precisa. Era sembrata una cosa naturale: Tuo fratello ti è venuto a prendere, ora è lui il tuo tutore. Devi essergli riconoscente e ringraziarlo…

Il mio fratellastro è ricco, anzi ricchissimo. Lo è sempre stato, credo. Sua madre era una contessa, e mio padre possedeva quelle 7-8 industrie che permettevano una vita comodamente lussuosa.

Una vita che mi era stata tolta quando avevo 4 anni.

Io aspettavo a casa i miei genitori, nel mio lettino, mentre la baby sitter guardava la TV, credo. Loro stavano tornando a casa da un party. A quanto mi hanno raccontato, mio padre era un po’ brillo, e la strada era ghiacciata.

Li hanno trovati il giorno dopo.

La macchina era in fondo ad una scarpata, capovolta.

Morto sul colpo mio padre, morta dissanguata mia madre. La Contessa ha accalappiato tutto quello che poteva accalappiare, il figliolo era minorenne ma ha avuto la sua fetta d’eredità ed io… ho avuto un posto assicurato all’orfanotrofio. La mia fregatura è stata che i miei non erano sposati.

 La Contessa non aveva dato il consenso al divorzio. Io ero considerato un figlio illegittimo, anche perché mio padre non aveva fatto ancora testamento.(previdente, eh?). Così la prima ed ultima volta che ho visto il mio fratellastro è stato al funerale. Dopo esattamente 13 anni era nell’ufficio di Suor Gertrude, a firmare le carte che facevano di lui il mio tutore.

Mi guardo intorno per vedere se mi sono scordato qualcosa. Ah, si, ecco: sul davanzale della finestra aperta avevo appoggiato il mio cappello con la visiera. Un altro regalo di lei. Un altro suo ricordo.

Me lo calco bene in testa e lo sguardo mi cade sul vetro della finestra. La mia figura riflessa è trasparente, diafana, quasi inesistente. “Stai per iniziare una nuova vita” dico a quel riflesso, quasi per convincerlo, quasi per convincermi.

Prendo un bel respiro e mi chiedo se dovrò lottare anche contro mio fratello per mantenere la mia acconciatura. Ho i capelli lunghi, candidi come quelli di mio padre, e da lui ho ereditato anche il colore dei miei occhi, dorati come una moneta da 50 centesimi. Anche mio fratello ha i capelli candidi e lunghi, ma a lui conferiscono un aspetto elegante, raffinato… io ho l’aspetto di un vero teppista, di un vero duro.

Getto indietro la testa con aria sicura, prima di girarmi verso il letto, chiudere la borsa e gettarmela su una spalla.

Alla porta è comparsa Suor Gertrude, la superiora. Il suo odore, un disgustoso mix di incenso, muffa e cucina si sente a distanza. Un sorrisetto quasi soddisfatto compare sul volto flaccido. “Sei pronto, Inuyasha?”

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Capitolo 2
*** And.... Now? ***


Capitolo 2: And… Now

Capitolo 2: And… Now?

 

Mio fratello Sesshomaru non mi è venuto a prendere. Ha mandato il suo autista, su una lussuosa auto nera, che ha fatto correre tutti gli inquilini dell’Istituto contro la cancellata per rimirarla ed invidiarmi.

“Il Signor Sesshomaru ha avuto una riunione urgente con i soci della sua holding, e non è riuscito a venire” spiega con una riverenza questo essere, altro un metro e tappo, dalla pelle di uno strano colorito. Mi fa quasi schifo… “Io sono il suo maggiordomo, il mio nome è Jaken,”prosegue “vi Porterò a casa io. Le ultime formalità verranno sbrigate via posta” Detto ciò prende umilmente la mia borsa e la mette nel baule della mia auto.

Faccio per salire, ma Suor Gertrude mi trattiene. “E te ne vai così…? Non ringrazi nemmeno?” La classica goccia che fa traboccare il vaso…Mi volto, lo sguardo sfrontato: “Beh, grazie, Suor Pinguina per avermi rotto i coglioni per 13 lunghissimi anni”

La bocca della Madre Superiora si stringe, sembra il culo di una gallina. Gli altri ragazzini sghignazzano, e giurerei di aver sentito pure Suor Matilda e Suor Teresa trattenere una risatina.

“Fa così perché è nervoso” dice Suor Gertrude a Jaken, come giustificazione. Alzo gli occhi al cielo, mi volto e mi siedo in auto, nel sedile posteriore.

Dopo un saluto formale, Jaken entra in auto e mette in moto.

Rimango in silenzio a lungo. Avrei un sacco di domande da fare a quel’ometto, ma mi si bloccano tutte. Non so praticamente nulla su Sesshomaru, a parte che la Taisho Corporation, ereditata da nostro padre, è in continua e irrefrenabile espansione. A rompere il silenzio è Jaken.

“Il Signor Sesshomaru ci tiene ad informarvi che la settimana prossima inizierà la scuola.

Anche da ricco devo subire?

“Ah” rispondo semplicemente.

“E’ una scuola privata, e le serve la divisa. Il sarto verrà per prenderle le misure domani mattina.

“Ah.” rispondo. Un’altra divisa. Fantastico.

Jaken tace per qualche minuto. Forse allibito dalle mie poche parole. “E… beh, ha creduto anche opportuno che voi vi rifaceste il guardaroba…ecco…”

“Quindi?”

“…Quindi questa è sua…” e mi passa, estraendola da un cassetto, una tessera color argento.

La prendo con le dita e la guardo. “SuperCredit Silver” leggo, sopra il logo, $C$. Più in sotto, il mio nome e cognome e un codice. “Che cos’è?” chiedo.

Dallo specchietto retrovisore vedo Jaken strabuzzare gli occhi già sporgenti “Non lo sapete…? Beh, è una carta di credito… i suoi soldi sono in banca ma lei può utilizzare quella per pagare…è la più pubblicizzata per i giovani…”

La guardo nuovamente. Le letterine cromate cambiano colore alla luce. “Ah.”

“Il signor Sesshomaru mi ha detto di accompagnarla a far compere… con la sua carta di credito…”

“E quanto posso spendere?”

“Beh, non so quanto ha in banca ma… il Signor Sesshomaru mi ha consigliato di non superare i 5000…”

5000? Non ho mai pensato potessero esistere tanti soldi… e ora io posso anche arrivare ad una cifra simile… per comprare quello che voglio!“Aaaah…”

Poco dopo Jaken parcheggia la macchina nel centro della città a pochi passi dai negozi più rinomati. Mi apre la portiera con eleganza, mentre la gente ci guarda incuriosita. Temo anche di essere arrossito lievemente.

“Se posso darle un consiglio, il negozio alla vostra destra vende grandi firme della moda. Meccanicamente mi dirigo alla mia destra. Grandi firme della moda…

Esco un ora dopo, Jaken è carico di borse. Ho comprato  jeans, un’infinità di magliette, felpe e felpine, una giacca e un paio di fantastiche scarpe nere.. Di fronte c’è un negozio di telefonia. E’ un attimo per me entrare, seguito da un barcollante Jaken, ed uscire con un cellulare a cui manca solo vita propria. Beh, magari non era nemmeno l’ultimo modello, ma non ne ho mai posseduto uno. E l’unico che ho visto da vicino è stato quello di… no, meglio non pensarci.

Corriamo. Rientriamo in un altro negozio di articoli sportivi, dove faccio incetta di tute e scarpe da ginnastica e, giusto per strafare, un pallone di cuoio e un tascapane.

Dal negozio di musica tutti i cd di persone che ho sentito solo per radio. Dalla fumetteria porto via 15 volumi di un manga di cui avevo letto solo i primi due numeri e altri 5 o 6 copie di altrettanti fumetti.

Torniamo in auto con tanti di quei pacchetti che non immaginavo potessi mai possedere.

Jaken li sistema a fatica nel bagagliaio e di fianco a me, mentre io sono stregato dal cellulare.

“Ho visto cosi tanti pacchi solo con la signorina Sara” mi rivela Jaken, asciugandosi il sudore dalla fronte con un fazzoletto.

“E chi è?” chiedo.

“Come, non lo sapete?” dice, mettendo in moto l’auto e facendo manovra. “è la fidanzata del signor Sesshomaru. Cioè, escono insieme. Ovviamente i Tabloid parlano già di nozze imminenti, ma ciò non è assolutamente vero. Beh, ecco, da parte del signor Sesshomaru sicuramente no. Lei è una top model… Ah, eccola!” Dice, indicandomi un cartellone che pubblicizza una marca di intimo.

La modella è vestita solo di nere mutande di pizzo, si copre il petto con un braccio e con l’altra mano sembra sventolare un reggiseno.

“Che gran pezzo di…”mi sfugge.

Jaken annuisce,  lo sguardo meno depresso del solito

 

La villa è situata nel quartiere alto della città. Ha un porticato immenso, un giardino infinito, una salone e chissà quant’altro. Jaken ha anche detto che ha una piscina, nel retro, metà all’aperto e metà al chiuso. “Ma oggi non si può utilizzare. Ci sono i manutentori…”

La mia camera è immensa. Il letto è matrimoniale, con la coperta blu, c’è una libreria vuota, che riempio in parte con i fumetti, un gigantesco armadio ad angolo, una grossa scrivania e il mobile Tv, con tanto di Tv con DVD(Jaken mi ha dovuto spiegare l’utilizzo) e stereo.

Sono esterrefatto. Il telefono suona, e Jaken va a rispondere, mentre io, quasi stordito, comincio ad aprire le buste e i pacchetti e a riponete le cose nell’armadio.

Pochi minuti dopo sento suonare il campanello della porta, e Jaken salire le scale. “E’ arrivato Sesshomaru?”chiedo.

“Oh, no, non ancora. Ha chiamato dalla sua auto, sta tornando a casa e mi ha chiesto se andava tutto bene. Alla porta era la vicina di casa. Io preparo da mangiare, la cena sarà pronta tra un’ora. E’ tutto a posto?”

Annuisco velocemente. “Mi sto ambientando…”dico, inserendo il CD di un duo femminile russo nello stereo.

Quando Jaken richiude al porta, alle mie spalle, prendo i miei album e l’astuccio dalla borsa e li ripongo sulla scrivania. Ma ora non ho l’ispirazione. Abbassando un po’ la musica, mi butto sul letto e mi viene in mente lei.

 

Il suo nome è Kikyo, ed è splendida. Ha 19 anni, due in più di me, e con lei ho vissuto i quattro mesi più belli della mia vita. Lei è una volontaria, studia per diventare infermiera, è venuta all’Istituto come aiuto alla Dottoressa che ci visitava. Ma lei, al contrario della Dottoressa, che veniva una volta alla settimana, era li tutti i pomeriggi. Il suo luogo era l’infermeria, dove, tra un attacco di vomito e un mal di testa, rimaneva quieta china sui suoi libri di medicina.

Io ero praticamente sempre in infermeria. Con il mio carattere, che ammetto non è proprio cordiale, ero praticamente tutti i giorni a farmi disinfettare un labbro spaccato o a farmi fasciare le nocche della mano. “Sei davvero un disastro!” diceva sempre Kikyo, con il suo bellissimo sorriso. E si avvicinava a me per curarmi con quel suo profumo caldo, buono… dolce come lei. Mentre ero li lei attaccava sempre discorso. Su tutto. Mi chiedeva come stessi li dentro, mi domandava se Suor Gertrude avesse sempre puzzato così, come aveva perso il dente davanti Suor Caterina…Mi raccontava anche di lei, certo.

E mi faceva ridere. A volte mi rimproverava, mai con cattiveria, per ciò che combinavo. Ma poi sorrideva: “In fondo, mi fai fare una pausa da quelle pallose tavole di anatomia!”

Un giorno, dopo una bella scazzottata con un coglioncello della mia età, Kikyo mi stava medicando un occhio nero. Mentre era voltata per prendere una pomata, mi era scappato un colpo di tosse.

“Di un po’” disse “non è che uno dei piccoli ti ha attaccato qualcosa?” prese il fonendoscopio e mi disse di alzarmi la maglia. Istintivamente me la tolsi. Lei rimase un po’ interdetta, poi poggiò lo strumento sul mio petto e mi auscultò il respiro.

Temevo che il cuore mi esplodesse.

“Inuyasha, c’è qualcosa che non va?” mi chiese. Io scossi la testa velocemente. Poi però presi la mano che aveva sul mio petto. La guardai negli occhi… ci baciammo… e da li nacquero i quattro bellissimi mesi insieme. Al pomeriggio mi infiltravo in infermeria, a volte dopo aver rubato qualcosa dalla dispensa, e passavamo i pomeriggi insieme.

Tutto ciò era pericoloso, una volta mi dovette nascondere, mezzo nudo, nell’armadietto delle scope. Un’altra volta sono uscito sul cornicione. Ma il gioco valeva la candela… Se solo quei pinguini con un cactus nel sedere avessero saputo gli “atti impuri” che capitavano spesso e volentieri sotto il loro naso!

Ma Kikyo non era felice. “Ci scopriranno. E ti puniranno, Inuyasha. E probabilmente mi cacceranno fuori dalla scuola per infermiere.” Temeva la mia Kikyo, e a ragione. Ma nei miei 17 anni appena compiuti io ero il re del mondo. Avrei fatto tutto e più per restare con lei.

Mi regalò l’album da disegno e l’astuccio, consapevole della mia passione per i fumetti. Io le feci un ritratto, e, durante una gita in città, entrai in un negozio di bigiotteria e rubai una collanina per lei. Kikyo un po’ si arrabbio, un po’ apprezzò, e mi regalò il cappello.

Poi, però, la paura ebbe la meglio. “Inuyasha, Ho chiesto il trasferimento.”

Cosa? “Come puoi lasciarmi, Kikyo? Non… non puoi non è giusto io… io  mi sono …” innamorato di lei… Lei piangeva a testa bassa,piccoli singhiozzi scuotevano il suo corpo, le lacrime solcavano quelle bellissime, vellutate guance. “Non è possibile stare insieme, Inuyasha, cerca di capire…”

Mi scostai da lei, Presi una boccetta di medicinali e la gettai contro il muro, mandandola in frantumi. “Mi hai solo illuso…”

“No, no, ti prego, non dire così…” singhiozzò, scuotendo la testa.

Uscii dalla porta sbattendola e mi diressi verso il mio posticino segreto, quello che usavo per fumare, con la vista annebbiata. Non so quanto stetti li. So solo che finii il pacchetto che avevo rubato da uno degli elettricisti che erano venuti due giorni prima per il nuovo lampione nel cortile.

E quando tornai tra i dormitori, seppi che Kikyo se ne era andata.

 

La voce di Jaken, al di la della porta, mi richiamò alla realtà, annunciandomi che la cena era in tavola e che Sesshomaru era tornato.

Mi cambiai, mettendomi la mia vecchia tuta, e scesi le scale con il cuore in gola.

Sesshomaru, giacca e cravatta, stava già aspettando, seduto in sala da pranzo, capotavola. L’altro posto apparecchiato, il mio, era dall’altro capo del tavolo.

“Buonasera, Inuyasha.” Mi saluta. I suoi occhi d’oro incontrano i miei.

Nessuna espressione. Non sembra felice di vedermi, ma neppure scocciato. E nemmeno la sua voce tradisce alcuna emozione. Mica male come primo incontro tra fratelli.

Buo - buonasera Sesshomaru.” Dico sedendomi al mio posto. La prima cosa che mi manda in crisi è la quantità di posate, piatti e piattini e bicchieri.

“Si inizia da quelle esterne.” Mi spiega mio fratello, notando il mio momento di disorientamento. Lo imito mentre si mette il tovagliolo sulle ginocchia. “Ehm… volevo… ringraziarti… prima di tutto.

“Di niente.” Taglia corto. Si versa un goccio di vino rosso nel bicchiere, mentre Jaken, in guanti bianchi, arriva con un vassoio di insalata di mare. Serve, in perfetto silenzio, Sesshomaru e poi me. In quel’esatto momento scopro di avere una fame incredibile.

Ceniamo in silenzio. Io che mi ingozzo e Sesshomaru, molto raffinatamente, che pasteggia, lanciandomi, di tanto in tanto, gelide occhiate di disapprovazione. Mi dispiace, ma ho troppa fame. Ed il cibo è troppo buono. La cena finisce con una fetta di torta al limone.

Sesshomaru prende la parola. “Jaken ti ha informato che domani  mattina il sarto verrà a prenderti le misure per la divisa?”

Annuisco, masticando la torta. “Che scuola è?” Domando. “E’ la Shinoku High School. È un’ottima scuola. Non la più prestigiosa della città, ma per te andrà senz’altro più che bene.

Non mi piace molto il tono in cui l’ha detto, ma cerco di sorvolare.

“E Jaken mi ha anche informato che oggi hai fatto compere.

“Si, ho comprato tutto quello che mi serve. Credo.”

“Anche la roba che ti servirà per la scuola?”

Rimango in silenzio. A quello non ci avevo proprio pensato. “Ho comprato un tascapane.”

Sesshomaru alza un attimo le sopracciglia e volge lo sguardo altrove.

“Domani dovrai fare altre compere allora. Si pulisce l’angolo della bocca con il tovagliolo, poi lo poggia a lato del piatto e si alza. “Desideri altro?”

Si. Desidererei sapere PERCHE’. Mi limito ad annuire piano.

“Non ho mai posseduto una bicicletta…”dico. Che cosa stupida che ho detto. Mi faccio i complimentoni da solo…

“Oh. Bene, domani potrai prendere anche quella. Il telefono suona ancora. Jaken risponde.

“Sesshomaru… volevo chiederti un’altra cosa…”

Jaken entra con il cordless in mano. “Signor Sesshomaru, la signorina Sara è al telefono.

Sesshomaru alza gli occhi al cielo e mormora: “Che croce…” poi ad alta voce mi guarda. “Puoi scusarmi?”

“Si, si…A dopo…”

Con il cordless in mano, Sesshomaru esce dalla stanza. Aspetto qualche minuto, poi mi alzo e decido di andare in camera. Quando mio fratello avrà finito, scenderò per parlargli. Passo per il salone. Lui è seduto sulla poltrona, con la faccia più neutra di questa terra.

E con una voce altrettanto neutra… “Ti ho detto di smetterla di andare a dire a Troiella 3000 che noi ci sposeremo a giugno…”

Scommetto che ci sarebbe da ridere.

Nella mia stanza mi butto sul letto. Anzi, volendo provare l’effetto di un letto del genere ci entro dentro in mutande. Senza volendo, mentre cerco le parole del discorso che voglio fare a Sesshomaru, piombo in un meraviglioso sonno riposante.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Daily Routine. ***


Capitolo 3: Daily routine

Capitolo 3: Daily routine.

                                

Non importa che tu sia leone o gazzella. L’importante è che tu inizi a correre.

Non importa che tua sia lo spazzino del quartiere o il papabile Uomo-Finanza dell’anno.

L’importante è che tu ti riconosca allo specchio.

E Sesshomaru no Taisho, 31 anni, al mattino faceva fatica a riconoscersi allo specchio. Gli occhi gonfi, la barba che spuntava qua è la, i capelli completamente aggrovigliati, il naso gocciolante e anche un filino di bavetta luccicante che sembrava lucidalabbra sbavato. Non riusciva a tenere alzata la testa e anche la spalla non rispondeva completamente ai suoi comandi. Le braccia ciondoloni, le gambe di piombo, lo stomaco in subbuglio.

Non era certo uno che salutava cantando i primi raggi del sole. Semmai li salutava insultandoli.

Mentre recuperava l’uso della mano destra, necessaria per impugnare il rasoio elettrico ultra tecnologico a 27 lamine rotanti, massaggianti, spruzzanti cremina idratante e, probabilmente, anche confortanti, Sesshomaru cercava di ricordarsi prima di tutto chi fosse, e poi quali erano i piani di quel giorno.

Aveva una riunione, ma non si ricordava a che ora. Aveva un pranzo con qualcuno, ma non si ricordava chi. Succedeva qualcosa, ma non ricordava cosa. Doveva comprare delle azioni, ma non si ricordava quali. Doveva telefonare, ma non si ricordava il numero. Doveva incontrare una persona importante, ma non si ricordava quanto importante. Doveva inviare una e-mail… ma lui aveva una casella e -mail?

La rasatura, profonda e perfetta, era seguita da una doccia rigenerante. Sotto la schiuma del bagnoschiuma Denim (per l’uomo che non deve chiedere MAI) Sesshomaru iniziava a ricordarsi la propria identità, ma non le cose che dovevano succedere quel giorno.

Dopo l’asciugatura si spazzolava la chioma, e se la lisciava anche con un po’ di gel, in modo da sembrare sempre ordinatissimo.

Il dopobarba pizzicava un po’, ma il risultato lo lasciava sempre soddisfatto. Gli piaceva sapere di uomo.

Scese per una veloce colazione nella solita lunga vestaglia di seta nera.

Jaken servì pronto il succo d’arancia e il cornetto alla crema. Mentre sorseggiava il succo entrò, con la solita aria sfatta e brigosa, suo fratello Inuyasha. Rimase un po’ interdetto dal notare che aveva addosso la divisa blu della scuola, ovviamente indossata Inuyasha Version: giacca sbottonata, colletto impossibile, pantaloni il più possibile a vita  bassa e scarpe slacciate.

“Ammiro il tuo attaccamento alla divisa” disse il fratello maggiore, con la solita voce fredda. “La indossi addirittura per venire a colazione…”

Addentando una brioche, Inuyasha alzò un sopracciglio. “Sesshomaru…devo farlo.”  Rispose, mentre Jaken posava sul tavolo il cappuccino. “Oggi è il primo giorno di scuola”

Sesshomaru si chiuse in un dignitoso silenzio, mentre una gocciolina gli scendeva dalla guancia.

“Beh, buona fortuna” disse infine, alzandosi. “Abbottonati quella giacca, almeno. È una scuola decorosa, quella. Cerca di esserlo anche tu. Insomma, almeno un minimo.” Stava per andarsene quando, con la coda dell’occhio, vide il fratello stringere convulsamente il tovagliolo. “Cosa hai?”

“E’ da una settimana che cerco di parlarti, se non l’hai capito.” Ringhiò l’altro.

Davvero? Non se ne era accorto… “Come ben sai, sono molto impegnato. Ne parleremo stasera. Ora vai o farai tardi.”

 Detto ciò, si incamminò al piano di sopra, lasciando il ringhiante fratellino a trangugiare la colazione.

Quando, un dieci minuti dopo, scese le scale, vestito di tutto punto, per andare a lavoro, Inuyasha se ne era già andato. Al suo posto c’era seduta una bambina, le gambette che ciondolavano dalla sedia, la divisa alla marinara azzurra. I capelli a caschetto con un buffo codino di lato.

“…E da questo anno useremo i pennelli in disegno…”raccontava ad un disinteressato Jaken,intento a spolverare un mobile.

Sentendo i passi dietro di lei la bambina si girò, mettendosi in ginocchio sulla sedia. “Buongiorno Signor Sesshomaru!” salutò allegramente, sfoderando un radioso sorriso.

“Buongiorno Rin, non dovresti essere a scuola?”

“Iniziamo alle 8 e mezza, ho ancora 40 minuti di tempo!” rispose la bambina, mostrando l’orologino rosa al suo polso.

“Oh, finalmente hai imparato a leggere l’ora…!”

Lei annuì, contenta.

“Però dovresti sapere che la tua scuola non è vicinissima. E non puoi arrivare tardi il tuo primo giorno di scuola…”

“Dice che non faccio in tempo?”il faccino della bimba era un misto di delusione (per aver calcolato male) e di preoccupazione (per arrivare in ritardo)

“Temo di si. Ma non preoccuparti. Ti ci accompagnerà Jaken.” Il sorriso della bimba si riaccese, mentre Jaken si voltò, scontento, verso il padrone. “Proprio ora?”

“Si, Jaken, proprio ora.”detto ciò Sesshomaru si girò e lasciò la stanza.

“Buona giornata, signor Sesshomaru!” gridò ridendo la bambina.

“Ma guarda te se devo anche accompagnare stà mocciosa vicina di casa…” brontolò Jaken, appoggiando lo spolverino.

 

Una Aston Martin nera e lucida serve per due cose: 1: farla andare velocissimo. 2: suscitare invidia e ammirazioni. Fermo all’ingorgo mattutino Sesshomaru non andava certo veloce,ma stava suscitando proprio invidia e ammirazione. Mentre era praticamente fermo si dedicò al palmare e ai vari appuntamenti che proponeva. Ma non essendo capace di usarlo non aveva memorizzato niente, e lo gettò nel sedile del passeggero. Nel farlo, notò con la coda dell’occhio la macchina di fianco alla sua. Una raffinata e fiammante Porsche Carrera. A guidarla c’era una donna che con una mano teneva il volante sportivo e con l’altra si metteva il rossetto, aiutata dallo specchietto retrovisore.

‘Per una donna, l’esatto utilizzo dello specchietto…’ pensò Sesshomaru. Nel frattempo la donna, nella sua giacca blu scuro, si era accesa una sigaretta ed aveva abbassato il finestrino. Sesshomaru notò che non era affatto brutta, anzi. Era una bella moretta dai capelli legati dietro alla nuca e dall’aria tra lo snob, lo stressato e il pensieroso tipico delle donne in carriera. Sesshomaru pensò addirittura di abbozzare il suo sorrisetto seducente. Ma mentre si controllava con la lingua di non aver nulla tra i denti (che avrebbero rovinato il sorrisetto) il telefono squillò e la voce pigolante della sua segretaria gli ricordò TUTTI ma proprio TUTTI gli impegni della giornata.

Sesshomaru meditò di impiccarsi e la moretta riuscì a passare davanti a lui.

 

I ragazzi fanno un casino allucinante davanti alla scuola. Si sente strillare agli amici, si sentono i motorini arrivare e partire, si sente il vociare incessante ed intenso. Ed io, estraneo a tutto ciò, mi sento bloccato dal varcare il cancello.

Mi siedo su un muretto, gettando il tascapane ai miei piedi. Prendo una sigaretta dal pacchetto e me la accendo. L’ultima sigaretta prima del fatidico evento. Intorno a me, i ragazzi incontrano nuovamente gli amici dopo le vacanze. Sento stralci di conversazione, mare, ombrelloni, beachvolley, piscine.

Beh, non è che ne sia intimorito. Ma è che non mi trovo a mio agio. Sento che quello non è il mio posto. Però il mio posto non era nemmeno all’Istituto.

Probabilmente il mio posto non esiste.

Forse ho fatto l’entrata sbagliata. Prima che me ne renda conto, ho preso il blocco degli schizzi dallo zaino…

 

La limousine è lunghissima. Si ferma davanti alla scuola ed io esco. Sono fantastico. Ho una pelliccia di visone bianca sulla divisa, medaglioni d’oro al collo. Mi aggiusto il cappello, calcandomelo bene sulla testa, in modo che scenda anche un po’ sul viso. Sogghignando sotto i miei occhiali da sole, entro dal cancello tra due ali di folla. Tutti sono a bocca aperta. Gli occhi delle ragazze cuoriformi. Qualcosa mi plana sulla spalla. Lo prendo. E’ un reggiseno rosso con un numero di telefono scritto in una coppa e nell’altra ‘VIDEOCHIAMAMI’.

Lo metto nella tasca interna della pelliccia e continuo l’attraversata del cortile.

La campanella suona, come per salutarmi…

… e la campanella suona per davvero….

Infilo nuovamente il blocco nel tascapane ed entro a passo svelto nel cortile, guardandomi in continuazione intorno.

Una ragazzina mi passa davanti e sale i gradini che portano all’ingresso. All’ultimo inciampa e per poco non si schianta a terra. E non si schianta a terra perché di riflesso l’ho trattenuta per la schiena.

Lei si rialza. Una ragazzina carina, dai lunghi capelli corvini, e due grandi occhi castani. “Grazie… il primo giorno e faccio già una pessima figura!” ridacchia, un po’ rossa in viso.

Io alzo le spalle e mi guardo intorno. “Sai dov’è la classe 4^C?”

Lei mi guarda un po’ stordita e mi indica le scale. “Dovrebbe essere la seconda porta a sinistra.”

Annuisco e vado.

“HEY!” strilla lei. “Nemmeno un grazie?”

“Ah, si, grazie. Ciao.”

“E comunque io mi chiamo…” Ma il suo nome viene soffocato dal brusio delle persone che entrano.

Oh, beh.

 

Alle 9 Sesshomaru scoprì di dover ricevere qualcuno. Quel qualcuno era l’Amministratore Delegato della Feder Inc., facente parte del Gruppo Ragno.

Il Gruppo Ragno era un colosso dell’industria informatica, e la Feder Inc., assorbita l’anno prima, altro non era che un’azienda di Antifurti.

Quindi, un settore completamente differente dal suo. Quindi, non aveva ancora capito quale affare gli stava per proporre l’Amministratore Delegato.

Mentre si scervellava cercando di immaginarsi quale fosse lo scopo dell’incontro, la segretaria pigolosa l’avvisò dell’arrivo.

“Fallo accomodare” disse distrattamente, mentre alzandosi toglieva, come d’abitudine, il salvaschermo del PC dalla scritta rotante “Sesshomaru The Boss”.

Dei passi lo fecero voltare verso…

…verso la moretta della Porsche…

Kagura Onigumo, piacere.” Disse porgendogli la mano.

 

Mi sono seduto nell’ultimo banco, in fondo all’aula che va piano piano riempiendosi. Vedo che le coppie dei banchi si siedono automaticamente ai loro posti, come se non fosse mai arrivata l’estate. Ogni tanto qualcuno mi guarda incuriosito.

Ed infine entra un ragazzo alto e abbronzato, con un piccolo codino. Due ragazze al primo banco lo guardano estasiate. “Ciao Miroku…!” esclamano in coro. Lui le saluta con un sorriso abbagliante, e gli chiede come stanno, mentre, con la coda dell’occhio, guarda altrove.

L’altrove è una bella ragazza dai capelli lunghissimi, fisico atletico, che sta parlando con due ragazze, una bionda con due codini che sfiorano terra ed una dai capelli corti e bluastri.

“Quest’anno dove ti siedi?” le chiede la ragazza dai capelli biondi.” Oh, beh, solito posto, chiaro!”dice, incamminandosi verso il banco davanti al mio, e appoggiando la cartella sulla sedia. Uno sguardo. “Ciao!” mi saluta.

Borbotto un saluto di rimando e lei capisce che non voglio parlare.

Miroku, il ragazzo che l’ha seguita con lo sguardo pur sbirciando di tanto in tanto nella scollatura delle ragazze al primo banco si dirige verso di lei. Sembrando intuire le intenzioni lei getta la cartella nella sedia di fianco alla sua.

Lui fa un gesto di noncuranza. “Volevo solo chiederti come stavi, Sango.”

“Tutto bene, tutto bene…” risponde semplice lei.

“Mi fa piacere. Anche quest’anno sarai il capitano della squadra di pallavolo?”

“Certamente.”

“e tuo fratello gioca ancora a Pallacanestro?”

“si, quest’anno gioca in una squadra importante, gli Spiders.”

“Forti… ed è occupato il posto di fianco al tuo?”

“Si.”

“Ah… oh, beh. Mi siederò qua dietro.”dice rivolto verso di me. “Tu devi essere nuovo… io sono Miroku.”mi porge la mano, che io stringo.

“Inuyasha.”

“Posso sedermi vicino a te?”

Alzo le spalle, e lui lo prende per un si. Sango pare un po’ scocciata, e si dirige nuovamente verso le ragazze con cui parlava prima.

“Beh, Inuyasha, da dove vieni?” attacca discorso lui.

Mentre penso a cosa rispondergli per fare una discreta figura (Australia? Marte?) il professore entra.

 

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Dovute spiegazioni:

Sesshomaru è un uomo di potere, e come tutti gli uomini di potere, ha le sue manie.

La Aston Martin è una macchina dalla madonna. Non a caso, è l’auto di James Bond. (ahhh… Daniel Craig…)

Ma anche la Porsche Carrera 911 non è male.

Feder in tedesco significa Piuma .

La ragazza dai codini biondi che sfiorano terra e quella dai capelli corti e bluastri non vi ricordano nessuno?

E comunque, di stronzate ne leggerete ancora parecchie.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Everybody's got his own businesses ***


Capitolo 4: I’m not Superman

Capitolo 4: Everybody’s got his own businesses.

 

A Miroku, il mio vicino di banco, il lampo di genio è arrivato all’ultima ora del mattino.

“Dì, Inuyasha, ti andrebbe di giocare a calcetto? Abbiamo una squadra, qua a scuola… uno degli attaccanti si è diplomato l’anno scorso, e quindi…”

Li per li non ho fatto molto caso alle sue parole. Le ho prese come gocce nel fiume di cose che mi ha raccontato durante la mattinata, (tra le quali figuravano le taglie di reggiseno di tutta la parte femminile della classe) ma dopo 5 secondi di silenzio assorto… “Beh, è forte la squadra?” gli domando quasi senza rendermene conto.

“Certo!” risponde Miroku, lo sguardo tra l’emozionato e l’esaltato.

Un po’ di movimento certo non mi farà male… e qualche bella rissa nemmeno. Ho proprio voglia di sfogarmi. “Va bene” rispondo semplicemente.

Lui salta in piedi.”Fantastico!!” esclama, con aria realizzata. “Oggi pomeriggio abbiamo i primi allenamenti. Vieni, vero?”

“Oggi non era in previsione ginnastica…” dico, ripensando all’orario. Non ho niente da mettermi e di certo non posso giocare a calcetto in divisa.

Miroku pare deluso, ma si riprende in un istante. “Beh, almeno vieni a vedere….!

Non avendo nulla di meglio da fare, annuisco, mentre la campanella suona segnando la pausa pranzo. Mi dirigo verso il chiosco della scuola, nel corridoio, notato durante una delle mie frequenti visite in bagno (causate non dalla prostata, ma dal prolungato fischio delle mie orecchie messe alla dura prova dall’intenso chiacchierio del mio vicino di banco).

Indeciso tra un panino rucola – pomodori – fontina – mortadella e un semplice tonno –provolone – maionese – caciocavallo, non mi accorgo che una ragazza si è affiancata a me.

“Comunque non mi hai ancora detto come ti chiami.

“Caciocavallo!” trasalgo, soprappensiero, voltandomi verso la voce.

E’ la ragazza di stamattina. Ma non ha altro da fare?

“Caciocavallo? Strano nome…. O è il cognome?”

Cerco disperatamente di mantenere un certo contegno. “No, è la mia decisione riguardo il panino.”

A quanto pare il contegno non so nemmeno dove stia di casa.

Pensa, Inuyasha, pensa a qualcosa di intelligente da dire….

“E’ buono il caciocavallo?” Sono un imbecille.

Lei mi guarda sgranando gli occhini bruni, mentre io cerco di suicidarmi stringendo la tracolla della tascapane.

“Veramente non lo so… sono allergica al tonno e non ho mai assaggiato quel panino” risponde lei con semplicità. “Ti consiglio l’altro… oppure la pizza.”

“Ah…” Pensa, Inuyasha, pensa a qualcosa di intelligente da dire….non puoi fare la figura del deficiente…pensa pensa pensa pensa “Allora vada per la pizza.”

Grazie cervello per essere andato in ferie proprio ora.

“Comunque io mi chiamo Kagome”

 

Kagura Onigumo dev’essere una che a letto si mette in completo di pelle ed utilizza un frustino.

Sorella di Naraku Onigumo, Signore e Padrone del Gruppo Ragno, sua socia d’affari e sua legale. Sicura, precisa, esauriente,  fredda e dura come una stele di marmo.

Nel suo Tailleur blu scuro, dalla sapiente scollatura, Kagura Onigumo aveva fatto la sua proposta, aveva esposto la documentazione, aveva risposto alle domande di Sesshomaru prima che quest’ultimo aprisse bocca.

Sesshomaru aveva studiato le sue movenze, aveva ascoltato attentamente le parole della donna, aveva memorizzato i punti salienti ed infine si era abbandonato allo schienale della sedia, quando lei ebbe finito di parlare.

“L’offerta è senza dubbio vantaggiosa…” Disse lasciando in sospeso la frase e fissandola negli occhi cremisi.

“Ma?” incalzò lei, un lampo di impazienza le attraversò lo sguardo.

Sesshomaru si alzò, avvicinandosi al piccolo mobile bar nell’angolo vicino alla finestra. “Brandy? Whiskey?” chiese con finta noncuranza alla donna.

Lei trattenne un fremito. “Brandy, grazie”

L’uomo versò il whiskey per lui e il brandy per Kagura e glielo portò, in silenzio, con calma esasperante.

Lei lo sorseggiò, senza staccare gli occhi da Sesshomaru, come un gesto di sfida.

“Ma le reali intenzioni di suo fratello quali sono, signorina Onigumo?”

Lei assunse un’espressione ovvia. “Ampliare il volume d’affari, ricercare nuovi settori, formare una holding, se è possibile”

“Formare una holding…” ripeté Sesshomaru, cantilenando il liquore. “Effettivamente, due colossi che si uniscono con un determinato punto d’incontro possono formare una potenza globale di indiscutibile livello… La Taisho Corp. Si avvallerebbe dell’indiscutibile, raffinata esperienza del Gruppo Ragno per i nuovi macchinari, per la ricerca di nuovi mercati…. E Perché no, anche per nuovi prodotti…Ma il Gruppo Ragno quali vantaggi potrebbe avere?”

Pronta, la risposta della donna. “Ho fatto qualche calcolo. Il volume d’affari triplicherebbe, per entrambe le società. Il nome della Taisho Corp è un marchio di qualità…e sarebbe un’ulteriore garanzia per i prodotti futuri…”

Sesshomaru annuì piano. Socchiuse gli occhi pensieroso. “Voglio massima chiarezza sulla vostra situazione finanziaria...

“Anche noi…”

“…Prima della finale decisione.” L’uomo si alzò, l’incontro era terminato. Anche Kagura, si alzò dalla poltrona di pelle, in una maniera molto più morbida e inconsapevolmente sensuale di Sesshomaru, che inconsciamente apprezzò.

I due si strinsero la mano. “Le porterò personalmente tutta la documentazione…Mio fratello ha incaricato me di portare a termine questo affare ed io lo farò da capo a fondo…”

“Ci lavoreremo insieme, allora.” Annuì l’uomo. “Detesto incaricare gli altri per una cosa che sta a cuore a me..”

Avvertì un moto di disagio nella donna, che sapientemente lo nascose, salutò cordialmente e se ne andò.

Quando la porta fu chiusa, Sesshomaru si lasciò cadere sulla sua poltrona di pelle.

“Belle Tette…” mormorò, colpito.

 

La squadra di calcetto è formata prevalentemente da idioti.

Oltre a Miroku come portiere che da solo può bastare, dovrei fare i conti con due punk come difensori, un altro attaccante dai capelli lunghi e spettinati che si la le arie da calciatore vissuto e infine un ragazzino minuto, tremolante che adocchia la panchina ogni minuto, con la speranza di finirci presto.

Miroku, nella sua tenuta da portiere (noto un paio di ragazzine nascoste tra i pali della tribuna che se lo mangiano con gli occhi) me li presenta: i due punk si chiamano Hakkaku e Ginta. Il ragazzino tremolante è Hojo, mentre quello con i capelli lunghi è il capitano, Koga. Mi guarda con sfida. Mi sta antipatico già a pelle…

“Ah, e questo è il nostro mister!” Esclama, esaltato Miroku, indicandomi l’ultimo entrato nella palestra.

“Questa mummia?” commento a mezza voce.

“Questa mummia è il vice preside” spiega il vecchietto,  tutto torto e con due occhi enormi, avvicinandosi a me ed esaminandomi con quegli occhietti rotanti. Non ha l’aria di essersela presa per il mio commento, ma vorrei che un tombino mi si aprisse sotto i piedi. “Piacere, sono il professor Totosai.”

 

Sotto la guida di Totosai, i miei compagni di squadra iniziano lo pseudo allenamento. A parte Koga, che devo ammetterlo, è velocissimo, gli altri lasciano un po’ a desiderare. Miroku corre con il petto in fuori per farsi ammirare dalle ragazzine, che squittiscono. I due punk non se la cavano male. Hojo è doppiato. Per 2 volte.

Alla fine dell’allenamento il prof. Totosai mi chiede un parere.

Tutto ciò che riesco a dire è un bel poco entusiasmante “Che schifo…”

Mi arriva un pallone addosso da Koga, che prendo al volo. “Vediamo allora cosa sai fare, brillante novellino!” Si, questo qua mi sta proprio sugli zebedei.Getto la giacca a terra, deciso a dare spettacolo.

Palleggio un po’. Testa, petto, ginocchia, piedi. Non sono male con i palleggi, sento Hojo soffocare un “uau.

“Non servono queste cazzatine in una partita…” mi ricorda Koga.

Questo è vero.

Ed è per dimostrare la mia netta superiorità a questo gruppo di mammolette che così, al volo, miro alla porta, dove Miroku mi guarda.

Il pallone entra, velocissimo e preciso, all’incrocio dei pali. Il portiere non ha nemmeno avuto il tempo di tentare una parata.

“Hai ragione, Kaga, in una partita ci vuole precisione.

Detto ciò, fischiettando, raccolgo da terra la mia giacca e me la getto su una spalla e guadagno l’uscita.

“Come diavolo mi ha chiamato?”

“Credo Kaga…”

 

Sulla porta della palestra incontro nuovamente la ragazza della mensa. Kagome, giusto?

Hey! Sei davvero bravo, sai!” si complimenta. “Forse il nostro istituto la smetterà di fare figure oscene ad ogni partita!”

“TSK! Dipende se vorrò davvero mettere in palio la mia reputazione giocando con loro…”

“Guarda che tu qui dentro non hai una reputazione da difendere. Puntualizza lei, sopracciglia aggrottate.

“Non dirmi che anche tu sei fai la coda per contenderti una goccia di sudore di Miroku… sappilo, siete in tante… dovrai lottare”

Lei sbuffa. “Spero tu stia scherzando… ho appena finito l’allenamento di pallavolo, nella palestra a fianco. Sono venuta a ritirare le mie amiche. Si, le fan di Miroku.” Dice, indicando le ragazze sogghignanti alla tribuna: Miroku si è tolto la maglietta e ora si sta coreograficamente bagnando la testa con una bottiglietta d’acqua

Al fianco di Sagome compare la ragazza che si è seduta davanti a me questa mattina. “Quindi hai DAVVERO accettato di venire a giocare a calcetto? Ti sei DAVVERO lasciato abbindolare da Miroku?”

…Grazie per la fiducia…

“Comunque io sono Sango.”

“SAAANGO!” eccolo qua. Appunto, l’abbindolatore. Deve avere il dono del teletrasporto. Non era dall’altra parte della palestra? “Vedo che ti stai già complimentando con il nostro nuovo bomber!” Non pare preoccuparsi di essere bagnato e torso nudo. Anzi, sembra che stia mostrando la sua supercorazza nuova di pacca. Sango scuote la testa e alza gli occhi al cielo. Kagome si morde le labbra per non ridere. “Miroku, vatti a mettere qualcosa addosso. Non vedi che spaventi le signorine?”

Kagome e Sango ridono. Miroku sfodera il broncio. “Invidioso.” Commenta.

Le ragazze si voltano per andarsene, il mio compagno sfodera un sorriso tonto mentre saluta Sango. Poi si volta verso di me, gli occhi fiammeggianti. “Dunque: puoi prenderti, farti e montarti tutte le ragazze della scuola. Anche tutte insieme, se ci riesci. Ma Sango scordatela, chiaro?”

Ah-ha! Allora il Re Marpione ha un punto debole. Beh, gli è andata bene. Non mi piacciono le ragazze più alte di me.

 

Kagura rientrò alla Feder Inc. che era quasi buio e i dipendenti se ne erano andati quasi tutti.

Gettò spazientita la ventiquattrore sulla scrivania del suo ufficio e si diresse verso il minibar, da qui estrasse una bottiglia di acqua fredda, che tracannò tutta d’un sorso.

“Non dovevi farlo” la voce, più gelida dell’acqua che aveva appena bevuto, la fece trasalire.

Si voltò di scatto verso la porta. Cosa non doveva fare? “Buona sera, Naraku… Cosa.. cosa non dovevo fare?”

“Bere l’acqua gelida. Poi ti fa male il pancino.” La donna nascose un piccolo sospiro di sollievo, mentre l’uomo si avvicinava lentamente verso di lei, i pochi passi che rimbombavano negli uffici deserti. “Allora, mia bella sorellina, come è andato il tuo colloquio? Hai stuzzicato la curiosità di Sesshomaru?”

La donna gli raccontò del colloquio, di come il suo interlocutore fosse stato sulle sue, delle domande che aveva posto e di come le fosse sembrato aperto alla possibilità.

“Oh, Kagura…. Sesshomaru è un uomo molto astuto. E un tipo tosto… Ma sono sicuro che riusciremo ad arginare le sue barriere…”

Le sfiorò la guancia, in un buffetto. “Ho fatto proprio bene a mandare avanti la mia bellissima sorellina. Certo, che se ti fossi sciolta questo stretto chignon…”

“Beh, non sarei sembrata molto seria, non credi?” Kagura cercò con noncuranza di svincolarsi dalle attenzioni del fratello.

“Oh, ma saresti stata più irresistibile, Kagura. Con un gesto fluido e secco le raggiunse il fermaglio e glielo tolse. La chioma corvina della donna le cadde sulle spalle. “Devi fare di più, con il signor Sesshomaru. E’ una preda che non possiamo perdere.”

“Certo, farò del mio meglio… già domani richiederò la documentazione dalla contabilità e fisserò con lui un altro appuntamento…”

“Esatto! Proprio questo volevo da te.” Naraku le si avvicinò di più, mentre lei, fingendo indifferenza e cercando di celare il proprio cuore in tumulto, pretese di calamitare la sua attenzione verso un piccolo bonsai sul davanzale della finestra. Naraku le cinse la vita. “Un altro appuntamento con il signor Sesshomaru. E altri ancora. Non solo di lavoro.”

“Mi stai chiedendo di andare a letto con Sesshomaru?” deglutì la donna, sentendo il fiato del fratello sul collo. “Esatto Kagura. Conto sul tuo savoir-faire. Di certo non gli farai credere nei doppi fini del tuo interesse…vero?”

“E se io non volessi?”

La braccia di Naraku si serrarono come una morsa attorno a lei. “Non volevi fare tante cose, Kagura. Ma poi ti ho convinta…”

La donna deglutì e chinò la testa.

“Brava, sorellina…”

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** This Way Life Goes. ***


Capitolo 5: Let me Blow your mind

Capitolo 5: This way life goes.

 

E così sono rimasto incastrato in questa squadra di sfigati senza speranza. Correndo come un disperato negli allenamenti, solo per voltarmi e vedere 4di loro arrancare con la lingua a penzoloni. Almeno Koga mi fa divertire. E’ molto più veloce, e permaloso come una femminuccia. Lo prendo in giro, lo affianco nella corsa, e lui corre ancora più veloce, ai limiti dello sforzo umano, per frapporre metri fra me e lui.

La cosa andrebbe avanti senza fine. Un po’ come Willy Coyote e MeepMeep lo Struzzo.

Con il pallone però non mi batte. So giocare davvero bene. Meglio comunque di tutti loro. Ho un controllo notevole, tengo sempre la palla tra i piedi, quasi mi fanno annoiare. Anche se devo dire che Miroku sta migliorando come portiere. Se si concentra riesce a pararne qualcuna. Se non sa che ci sono delle ragazzine in giro.

E si avvicina, sempre di più il giorno della prima partita. Un’altra scuola della città. Il Prof. Totosai dice che hanno un paio di giocatori incredibilmente capaci. Beh, si vedrà.

Per il resto la mia vita sta andando come quella dei miei coetanei. Più o meno. In mensa i primi giorni cercavo di starmene in disparte, lieto di avere qualche istante per lavorare su un mio disegno. Peccato che Miroku non fosse del mio stesso parere. E nemmeno Kagome. Sembra trovarmi simpatico. Non so come faccia. E comunque, per somma gioia del mio compagno di banco, di squadra e di mensa, si tira sempre dietro la sua migliore amica. Ovvero Sango. Non ho ancora fatto menzione sulla mia provenienza. E’ anche vero che tutti sanno chi è mio fratello. Pensavo, inizialmente, di trovarmi davanti uno stuolo di famigliole felici, rampolli da invidiare per il fatto di avere madre e padre a coprirgli le spalle e a fargli vedere il mondo.

Beh, mi sbagliavo. Pare che le famiglie Mulino Bianco non siano più di moda. I genitori di Miroku sono due artisti circensi. Separati, ma che lavorano sotto lo stesso tendone. Suo padre è l’uomo cannone (giuro, non sto scherzando, quando me l’ha raccontato stavo per ribaltarmi dalla sedia), che ha una relazione con una contorsionista, e sua madre una domatrice di leoni, risposata con un giocoliere. Lui abita in città praticamente da solo, a parte quel paio di settimane l’anno che il circo transita qui. Quand’era piccolo ha girato con il circo. Ha imparato anche qualche gioco di carte e sostiene di avere un certo feeling con le bestie feroci. Questa credo che l’abbia sparata solo per far colpo su Sango, però. Poi i suoi si sono separati e hanno deciso di affidarlo a collegi privati per fargli avere un’educazione al di fuori del circo.

Kagome vive in un tempio Zen con sua madre, suo fratello e suo nonno. Il padre non l’ha nemmeno nominato. Brutta aria, eh? E’ una ragazzina allegra, carina. Mi ricorda qualcuno, anche se non riesco a capire chi. A volte eccessivamente logorroica, come Miroku. Mi ha chiesto se questo pomeriggio l’accompagno a ritirare il bambino a cui fa da baby sitter nella scuola qui vicino. “Arrivo sempre molto prima che suoni la campanella, e mi annoio ad aspettare da sola.

Sango è un po’ più taciturna. Miroku mi ha informato che sua madre è morta da poco, e lei si è chiusa un po’ a riccio. Ha un gran fisico e ho notato in classe che è anche una secchionazza.

Quindi, ricapitolando, nessuno dei ragazzi che ho conosciuto sino ad ora ha una famiglia normale. Ecco perché non mi sento così a disagio, dopotutto.

D’altronde, con Sesshomaru i rapporti sono ridotti al minimo. Parliamo lo stretto necessario, non sono ancora riuscito ad avere con lui una discussione decente. L’altro giorno, pur di intavolare una conversazione, ho fatto un commento sulla forma delle forchette. Lui mi ha guardato un po’ di sbieco, temo che abbia pensato che mi sia dato all’alcool.

Jaken non fa che lodare le sue qualità: la sua raffinatezza, il suo fiuto negli affari, il suo fascino. Credo che ne sia innamorato e che sogni di portarselo a letto. Stasera glielo chiedo.

A proposito del fratellone: ieri sera il rotocalco televisivo ha annunciato la sua rottura con Sara. Pare sia stato lui a scaricare lei. Mi domando come si possa scaricare una gnocca simile. Forse mio fratello è gay come il suo maggiordomo. Peccato, mi sarebbe piaciuto conoscere quei due melo… cioè, lei, dal vivo.

 

 “Ma perché fai la baby sitter?”

Certo, il mio forte non è mai stata la conversazione. Soprattutto iniziarne una. Io e Kagome siamo davanti alle scuole elementari ad aspettare il suo pupillo, bicicletta in mano.

“Mi diverto. È un bambino divertente.” Spiega semplicemente. “E poi ci guadagno su qualcosina. Sai, i suoi genitori lavorano fino a tarda sera. Sono dei miei vicini di casa.”

Annuisco. La campanella della scuola trilla, e una valanga di bambocci si riversano nel cortile, pronti a saltare addosso ai genitori. Sembrano un gregge di pecore.

“Fai qualcosa sabato sera?” Mi chiede Kagome, cercando il bambino tra i mocciosi.

Scuoto la testa. “Perché?”

“Beh, perché mi andava di uscire… e volevo chiederti se facevi un giro con me.

Intraprendente la ragazza… “Mi stai chiedendo un appuntamento?”

“Oh, no! Assolutamente no!” Risponde lei piccata. Ah. Credevo…

“E’ una cosa che volevo chiedere anche a Sango, o a Miroku… volevo semplicemente uscire…” Sembra che mi stia prendendo per un pazzo, e anche un marpione. Probabilmente penserà che l’influenza di Miroku è davvero nociva.

Trova il bambino con lo sguardo, lo chiama: “SHIPPO! SONO QUIII!”

Arriva trotterellando una specie di peluche. Mi guarda storto. “E tu chi sei? Non sarai mica il nuovo ragazzo di Kagome!”

…. Eh. No. Pare che mi sia preso il mio due di picche qualche secondo fa.

Kagome pare imbarazzata, mi presenta e carica Shippo sul seggiolino della sua bici. “Ci accompagni fino a casa?”

Devo finire un paio di bozzetti, e tra l’altro ho anche una marea di compiti. “Uhm. Ma no, dai. Sono sicuro che conosci di già la strada…” Lei fa un piccolo broncio, poi mi saluta e parte, con Shippo che scuote la testolina. Faccio in tempo a sentire solo un suo commento: “Questo non è un gentiluomo, Kagome. Fossi in te lo scaricherei subito.”

 

 

Al terzo incontro con Kagura Onigumo Sesshomaru aveva notato che la scollatura era più profonda del solito. E che qualche ciocca di capelli corvini era scivolata dallo chignon. E ora che annusava meglio l’aria, notava anche il profumo era più intenso del solito. Ebbe la certezza che quella donna stava velatamente tentando di sedurlo constatando come lentamente accavallava le gambe, mentre esponeva la situazione finanziaria dell’azienda.. Gli scappò un sorrisetto divertito.

Ecco perché Naraku Onigumo non aveva si era ancora fatto fisicamente vivo… Preferiva mandare avanti la sua civettuolissima e spudorata sorella.

“Che tattica subdola e insulsa” borbottò fra sé e sé, concentrandosi sulla presentazione. Inutile. Ormai la sua testolina chiomata era persa altrove. Sesshomaru non era il tipo d’uomo che cadeva a terra al primo suono di tacco femminile. Ma non disdegnava la compagnia del gentil sesso. E con il suo charme (sarebbe stato ipocrita non ammetterlo) faceva letteralmente impazzire le donne. Pensò alla donna davanti a lui che stava portando avanti quella stupida tattica. Poteva farle credere di provare interesse, senza comunque andare oltre. Di certo però si toglieva lo sfizio finale.

Allora poteva far finta di cascarci. Lanciarla su qualche letto dell’hotel Excelsior e poi far finta che nulla fosse successo.  Magari rifiutando l’offerta del Gruppo Ragno. Eheheh… questo si che sarebbe stato un colpo basso… forse distruttivo per l’ego di Miss Onigumo. Indubbiamente divertente per il suo.

“Stai pensando di giocare con il topo, Miss Onigumo? Non ti sei accorta che il gatto sono io.. pensò, alzandosi dal tavolo alla fine della presentazione.

I due si strinsero la mano, Kagura piegando le labbra color rubino in un sorrisetto malizioso, Sesshomaru alzando un sopracciglio.

“Mio fratello ci teneva a conoscerla al più presto. Estrasse una busta color crema dalla ventiquattrore e la porse all’uomo. “Un’occasione potrebbe essere il ricevimento di questo sabato a Villa Esprit in onore del compimento del restauro .

Sesshomaru prese la busta tra le dita e la aperse delicatamente. “Avete donato direttamente voi il denaro necessario per il restauro della Villa, i miei complimenti.

Kagura chinò il collo da cigno, falsamente modesta. “Io e mio fratello siamo dei grandi cultori d’arte. E’ stato un piacere per noi rendere omaggio alla nostra città restituendogli uno dei suoi gioielli più preziosi.

Oh, questo era il momento di attaccare… “Di certo suo fratello se ne intende di gioielli…” commentò l’uomo, piegando il foglio dell’invito ed inserendolo nella sua agenda, senza smettere di fissare la donna.

Dal suo canto, Miss Onigumo era rimasta piacevolmente sorpresa dalla sua frase. Nascose un moto di trionfo scostandosi una ciocca dal volto, poi si accomiatò da Sesshomaru e uscì dall’ufficio.

Quando fu uscita, lui si sedette sulla poltrona di pelle, estrasse uno dei suoi cubani dal portasigari e se lo accese, pregustandosi la scena.

 

La cena è servita allo stesso orario di tutte le sere, ed è l’unico momento in cui vedo mio fratello. Mi sono deciso a parlargli e a chiedergli come mai mi ha ritirato dall’Orfanotrofio, tipo pacco postale. Ho imparato a conoscerlo quanto basta per non pensare alla storia del buon samaritano.

Ci sediamo a tavola e lancio la bomba tra l’antipasto e il primo. “Devo chiederti una cosa” sembra che abbia suscitato il suo interesse. “E’ importante per me.”

“L’Aston Martin scordatela.”

Ecco, quest’uomo mi fa ribollire il sangue nelle vene. “Non ho nemmeno la patente, se non l’hai notato. Ringhio, stringendo la forchetta così forte che potrei deformarla.

“Ah. E vuoi la patente?”

Getto la forchetta sul tavolo e mi alzo. “Vorrei solo sapere perché cazzo mi hai portato qui dopo 13 anni. Vorrei sapere se ti sei svegliato una mattina e ti sei ricordato che da qualche parte di questa sfottuta città avevi un fratello.

“Fratellastro, prego.” Risponde lui, gelido, pulendosi la bocca. Questo mi blocca. Fratellastro. Puntualizza bene questo fatto. Noi siamo parenti solo per metà. E non è detto che questa sia la metà più importante. “Tra poco avrai 18 anni.” Spiega. “Nostro padre ha lasciato una cospicua eredità a tutti i membri maggiorenni della famiglia No Taisho. A patto che, all’apertura del testamento famigliare, siano presenti TUTTI i maggiorenni recanti il cognome No Taisho.”

Fece una pausa. “Se tu non fossi presente, io non potrei godere di questa eredità. Siamo rimasti solo noi due.”

Rimango basito. La bocca mezza aperta.

“Quando avrai la tua parte di eredità, potrai andartene di qui, Inuyasha. Oppure restare. Parte delle aziende sotto il mio nome, fondamentalmente, spetterebbero di diritto pure a te. Anche se non ti ci vedo alla guida di nessuna di loro.

“Pensavo che tua madre fosse riuscita a fare piazza pulita di tutta la mia eredità.

Sesshomaru scuote lievemente la testa. “Pare che non sia affatto così. Nostro padre ha redatto il testamento famigliare quando stava per lasciare mia madre, pensando all’eventualità di avere un figlio anche dalla sua nuova compagna. Mia madre di questo non ne era al corrente, altrimenti avrebbe fatto fuoco e fiamme per farlo sparire. L’ho scoperto io, per caso, tramite il notaio di famiglia. Così è nata la mia decisione di venirti a cercare.

Non riesco più a stare in questa stanza. Mi è passata la fame. Ed è finito pure l’ossigeno.

Esco e vado nella mia camera.

E’ solo ed esclusivamente una questione di denaro. No, non conta il legame di sangue, né il sentimento fraterno. Non vale nemmeno la curiosità di conoscere una parte della famiglia vista solo il giorno di un funerale importante.

E’ solo questione di denaro. Ecco cosa vale per Sesshomaru No Taisho. Il denaro.

Potevo aspettarmi altro? Io sono un disilluso, un duro. Ma dentro di me, a sentire le parole di mio fratello, si è sbriciolato. Ho avuto una famiglia per soli quattro anni. E basta.

Mi getto sul copriletto blu. Ho voglia di dormire o di disegnare? Forse nessuna delle due. Anzi, decisamente nessuna delle due. Così mi alzo, prendo il giubbotto ed esco dalla stanza. E dalla casa. Brancolo per le viuzze semideserte della città.

Mi muovo nella penombra, immerso nei miei pensieri. Nei miei ricordi.

Mia madre aveva un profumo buonissimo. Un qualcosa che ancora adesso associo ai biscotti. Non so perché. Non mi ricordo di averglieli mai visti fare. Ed era bella. Forse perché era mia madre e la vedevo splendida.

A mio padre piaceva giocare con me. Ricordo le nostre partite a palla nel salotto, con il pallone che schizzava da tutte le parti e colpiva i mobili. Ricordo che mi portava sempre sulle spalle, e che io mi sentivo un gigante, lassù.

L’ultimo ricordo di loro è mia madre avvolta in un vestito di seta blu, pronta per uscire, e mio padre che l’aiutava a chiudere la collana.

Poi io sono andato a dormire, e loro a morire tra le lamiere di un’auto.

 

“Inuyasha?”

Mi volto, sentendomi chiamare. Vicino ad un bidone dell’immondizia, sacco in mano, una tuta sgualcita addosso e la sigaretta in bocca, c’è Miroku. “E che ci fai da queste parti?”

“io… passeggio….”

“E io getto il rudo.” Spiega, espirando il fumo. “Ti va di bere qualcosa su da me?”

Ma si, dai. Niente di meglio da fare.

 

Dopo dieci minuti, con la mia birra in una mano e la sigaretta nell’altra, mi accorgo di non aver spiaccicato parola. E mi accorgo che, stranamente, nemmeno Miroku l’ha fatto. Un breve sguardo, e mi accordo che quello che ho davanti non è il Miroku che conosco. E’ taciturno, trasandato e nei suoi occhi noto solo una lieve malinconia.

“Stavo aspettando una chiamata dai miei. Dovevano telefonarmi il mese scorso. Ma, sai. Il circo porta via molte energie. E da anche tanti pensieri.”

Si, mi fa un po’ pena. Chissà se tutte le ragazzine sbavanti della scuola si immaginano il Miroku che ho davanti, il ragazzo che getta uno sguardo al telefono ogni minuto, solo in un vuoto appartamento.

Decido di sollevargli un po’ il morale.

“Sono cresciuto in un orfanotrofio, sai?”

“Di quelli che si vedono nei film, grigi, con le suore?”

Annuisco.

“Che scelta di merda…”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Le monde des desires ***


Capitolo 6: Le monde des désires

Capitolo 6: Le monde des réves

 

 

E’ sabato sera, e io ho disegnato per tutto il pomeriggio. I fumetti che ho letto mi hanno ispirato, e sto studiando dei personaggi per un fumetto tutto mio, cercando di accostargli anche una storia di senso vagamente compiuto.

Sino ad ora ne ho creato uno, con vari bozzetti e sua sulla sua figura. Il nome che gli ho dato, provvisoriamente, è Ike. Mi piace questo nome, ha l’aria di essere un tipetto tosto.

E’ora di andare. Stasera ci troviamo a casa di Miroku. Quando ha saputo dell’invito che mi aveva fatto Kagome è andato giù di testa, e ha organizzato un festino in men che non si dica, invitando qualsiasi persona di sua conoscenza (stranamente ho sentito parlare relativamente di pochi inviti femminili, al di fuori di Sango e Kagome.)

Gli ho promesso che sarei passato prima per aiutarlo nei preparativi e per mostrargli i miei schizzi. Gliene ho parlato, e ho scoperto che anche lui adora i fumetti. Però non lo dice in giro perché dice che sono un po’ da NERDS. Qualcuno prima o poi si degnerà di spiegarmi l’etimologia di questa parola…

Salto giù dalle scale, in tempo per vedere Sesshomaru fare la sua comparsa in un raffinato tight nero. Non ho la più pallida idea di dove sia diretto, né tanto meno mi interessa.

Jaken chiede se saremo presenti per la cena, ed entrambi rispondiamo negativamente. Dietro al maggiordomo verdognolo compare una bambinetta con il broncio. Ci siamo presentati qualche giorno fa. Si chiama Rin, è figlia dei vicini di casa. Da quel poco che si è lasciato sfuggire Jaken, i suoi sono delle Star Hollywoodiane, sempre in giro per lavoro e fermamente convinti della filosofia, dilagante tra il jet-set, che i bambini siano dei piccoli adulti, e che se trattati da tali, possono badare benissimo a sé stessi. Per ciò, Rin abita praticamente da sola alla tenera età di 8anni, domestici che la servono esclusi. E giusto perché la solitudine non le piace particolarmente, si auto invita tutti i giorni a casa nostra. La cosa più sorprendente, è che Sesshomaru è tutto fuorché infastidito da ciò, anzi. Sembra lieto della presenza della bambina. Più lieto che della mia presenza, indubbiamente.

“Quindi non cenerà qui, signor Sesshomaru?” esclama. La guardo basito.

Mio fratello non si fa mai mancare il suo solito aplomb, e come se fosse la cosa più normale del mondo, risponde alla bambina. “Ho un party di lavoro, Rin. Mi dispiace non cenare con te questa sera. Spero che tu non ti offenda.”

Lei mantiene un po’ il musetto imbronciato. “Un pochino si. Questa settimana non è mai stato in casa…!”

“Ho avuto delle giornate pesanti.”

“Mi porterà prima o poi a un galà?”

“… ne parliamo tra qualche anno, Rin. Intanto, se non vuoi cenare da sola, Puoi fermarti qui. Jaken ti preparerà la cena e tu potrai stordirlo di racconti.

Lei sembra rasserenarsi, rivolgendosi verso di me. “Nemmeno tu ti fermi, Inuyasha?”

“Ho una festa con dei miei amici.”rispondo semplicemente. A volte Sesshomaru mi inquieta. E se fosse un pedofilo, oltre che a un conclamato stronzo?

 

Il “Festino” di Miroku è riuscito benissimo, secondo lui. La festa dell’anno. Io, sinceramente, non ci vedo nulla di emozionante in questa baraonda generale. Kagome è arrivata con tre sue amichette dall’aria tonta che si guardano preoccupate intorno. Sango è arrivata da sola, un po’ sul tardi. Miroku ha avuto una trasfigurazione quando l’ha vista. Le ha stappato una bottiglia di birra con le dita della mano e gliel’ha portata brandendola come se fosse il tedoforo con la Torcia Olimpica, per incassare un “NO” da parte della ragazza, e gettare la birra a me. Che avevo già in mano la mia. Per fortuna in quel momento ho visto Koga avvicinarsi, spalleggiato dalle brutte copie di Johnny Rotten e Sid Vicious, e ho fatto appena in tempo a sputare dentro la birra appena stappata, prima di porgerla, in gesto d’amicizia tra compagni di squadra.

“Oh, finalmente hai capito che non ti conviene farmi la guerra. Si vanta, tracannando un gran sorso.

Alzo la mia bottiglietta in segno di saluto. “Sei fortunato che io sia sano come un pesce…” Mi giro e mi dirigo verso Kagome e le sue amichette.

 

“Questa sua uscita non l’ho capita…”

“Secondo me, Koga, quello li non ha tutte le rotelle a posto…”

“Anche secondo me. Beh, almeno la birra è fresca. Ed è anche la mia marca preferita”

 

“Ciao”

Le amiche di Kagome trasalgono quando mi vedono arrivare, poi si mettono a ridacchiare.

“Oh! Ciao Inuyasha! Ma non doveva essere una festicciola tranquilla tra pochi amici?”

Mi guardo intorno. Lo sguardo mi cade nei divanetti occupati dalle coppiette in vena di effusioni. Tre ragazzi stanno ballando sopra il tavolo e un altro si è confuso tra il muro e la sua ragazza. Bacia il muro e si appoggia alla ragazza, giustamente seccata. Non ho mai visto nessuno di loro in vita mia. Ah, no, ecco Hojo: dalla faccia credo voglia teletrasportarsi in un’altra dimensione.  “In teoria…Diciamo che Miroku ha calcato un po’ la mano con gli inviti…”

“A te sembra che stia importunando Sango?”

Li guardo. Miroku sta stordendo di parole l’amica di Kagome, urlando per farsi sentire al di sopra della musica assordante, mentre lei cerca di frapporre dei centimetri preziosi tra di loro. La folla di certo non l’aiuta.

“Ma no. Ci sta solo parlando…”

Kagome ride. “Povera Sango…”

 

L’entrata di Sesshomaru al party era stata accolta dagli sguardi piacevolmente sorpresi dei presenti. Anche se aveva il privilegio di frequentare modelle ed attrici, non era il tipo che amava gettarsi anima e corpo in serate mondane. 

Ma qui c’era di mezzo un affare, e una sfida. E per Sesshomaru erano due cose a cui non  poteva rinunciare.

Salutò alcune sue conoscenze con il suo tono impassibile e si intrattenne lo stretto necessario con loro, poi si diresse verso il tavolo del buffet, dove il cameriere gli porse un bicchiere di spumante.

“Sono contenta che sia venuto, Signor Sesshomaru.

Kagura, avvolta nel suo abito da sera blu scuro, gli si era avvicinata senza che lui se ne accorgesse minimamente. Ebbe modo di apprezzare un’altra qualità della donna. Sara, e le ragazze come lei, trovavano le feste mondane delle mere occasioni per mostrarsi in pubblico con pochi centimetri di stoffa addosso, sicure di calamitare l’attenzione sulle loro curve, e accontentandosi solo di quello.

La donna che aveva davanti, invece, aveva classe. Indubbia classe. E non era facile trovarne in giro.

“Signorina Onigumo, questo è un appuntamento imperdibile. Indicò con un lieve cenno del bicchiere l’immensa scalinata, gli stucchi e gli affreschi restaurati. “Avete fatto fare un ottimo lavoro, devo complimentarmi con voi.

“Ci siamo avvalorati solo di professionisti nel settore. Focalizziamo la nostra attenzione sulle cose che ci stanno a cuore, sia che si tratti di affari o meno.”

“Ho il piacere di conoscere suo fratello stasera?”

“Certamente. Se vuole seguirmi, la sta attendendo al piano superiore.

 

La gente inizia ad andarsene attorno all’una di notte. Se fossi stato uno dei vicini, avrei già chiamato la protezione civile alle 11. Tiro un sospiro di sollievo. Io mi stavo decisamente annoiando. E anche Kagome e Sango, visto che sono rimaste nello mio stesso punto per tutto il tempo. Miroku invece è stato trascinato qua e là per la casa dalle amiche di Kagome, conteso come se fosse stato un pezzo di pane. Ho notato che Sango sembrava quasi infastidita da questa cosa e gli ha lanciato un paio di sguardi di sbieco, mentre scambiava qualche parola con Kagome. E un paio anche con me, tentando di allacciare conversazione.

Ad ogni modo, il padrone di casa è riuscito finalmente a divincolarsi e sta salutando le persone. Praticamente manca poco che li mandi fuori a calci. Sango ci saluta anche lei e cerca di guadagnare l’uscita, ma Miroku para il suo tentativo di fuga frapponendosi tra lei e la porta. Sta migliorando come portiere. Decisamente.

Kagome sbadiglia. “Credo che andrò anche io a casa. Ormai è tardi.”

“Passa a prenderti tua madre?”

“No. Sono in bicicletta.”

“Ma sei scema ad andare in bici da sola di notte?”

Mi guarda infastidita. “Non ero da sola. Ero con le mie amiche. Ma sono sparite.” Sbuffa. “Se tu fossi davvero un gentiluomo mi chiederesti se volessi compagnia per andare a casa”

“Se tu non me l’hai chiesto significa che non vuoi, perciò…” Stringe gli occhi. Non credo di aver dato al risposta giusta, anche se per me era la più sensata. “Quando cavolo siete complicate voi donne…”

Ed eccoci qua, rimasti solo noi 4. Kagome, Miroku, Sango ed io. Miroku sembra anche un po’ brillo. Sango invece è chiaramente scocciata.

“Dai, rimanete ancora un secondo…Voi non lo sapete, ma Inuyasha è un vero artista… e adesso ci vuole far vedere i suoi schizzi!”

COSA?

 

L’Avvocato del Diavolo.

Ecco quale film gli ricordava Naraku Onigumo. Beh, fisicamente diverso da Al Pacino, ma con lo stesso identico modo di fare.

Gelido, di una compostezza impressionante persino per una statua di marmo com’era lui, il Presidente del Gruppo Ragno era un’autentica sfinge. Una sfinge dalle venature viscide. Il volto era perfetto, con una vaga somiglianza a quello della sorella, e la moda dei capelli lunghi aveva colpito anche lui. Gli occhi penetranti, impassibili, indagatori, che scrutavano il suo interlocutore con insistenza, per studiarlo. Sesshomaru pensò di trovarsi di fronte ad un vero e proprio avversario.

Si era mostrato lieto di fare la sua conoscenza, in quella stanza affrescata e illuminata da costose lampade in stile liberty. La stretta di mano era stata ferma ed energica. Il mezzo sorriso che mostrava però aveva un che di inquietante.

Si erano accomodati nelle due poltrone di pelle nera che completavano l’arredamento della stanza, modello Frau, mentre Kagura rimaneva in piedi, appoggiata morbidamente al bracciolo della poltrona del fratello. Si era premurata di chiamare un cameriere per una bottiglia di spumante.

La conversazione era stata puramente ed esclusivamente formale. L’accordo aveva dominato la loro discussione, seppure affrontata in modo blando e superficiale. Sesshomaru aveva rifiutato un sigaro cubano che gli porgeva l’uomo.

“Non le dispiace se invece io lo fumo?”

“Assolutamente”, aveva risposto, degustando lo spumante. Notò che la donna aveva girato il volto dalla parte opposta a quella del fratello, e aveva soffocato un colpo di tosse quando la nuvola di fumo l’aveva raggiunta.

Qualcuno bussò alla porta e Naraku lo invitò ad entrare. Era un politico molto noto in città che voleva congratularsi personalmente con il Signor Onigumo, e scambiare quattro chiacchiere. Sesshomaru si alzò, velatamente lieto che l’incontro fosse finito.

“La prego di non andarsene subito” si raccomandò Naraku. “Tra poco verrà scoperto il vero gioiello di questa casa, la fontana dei quattro spiriti posta in giardino, e tornata all’antico splendore. Dovrò anche fare un piccolo intervento.” Concluse, falsamente modesto.

“Non mancherò.” Fu la risposta dell’uomo, stringendogli la mano. Fece per salutare allo stesso modo Kagura, ma lei lo precedette. “Io invece vi accompagno al piano basso. Sono sparita per un po’ di tempo, ho mancato di fare gli onori di casa. Il fratello annuì in sua direzione.

Uscirono nel corridoio e Sesshomaru notò un antiquato ascensore. “E’ stato restaurato anche quello?”

“Certamente! Ma non abbiamo ancora avuto il via libera definitivo per l’utilizzo del pubblico. Ma se vuole, le faccio fare volentieri un giro turistico.

L’uomo annuì, soffocando un sorriso sornione ed entrarono. La donna gli mostrò come la porta si chiudeva tramite una leva. “E’ di fine 800, uno dei primi esemplari di ascensori costruiti in città. Spiegò mentre premeva il pulsante d’avorio.

“Esiste un modo per bloccarlo?” domandò Sesshomaru con noncuranza. Lei gli indicò un altro tasto d’avorio. Senza dire nulla, Sesshomaru lo premette.

Lei lo guardò colpita. Di certo si aspettava che di far centro, ma non cosi presto. E non lì.

“Ti ho sorpresa, non è vero?” pensò, mentre un mezzo sorriso si faceva strada sul suo volto e lui si avvicinava sempre di più alla donna. Notò un lampo di soddisfazione nel suo sguardo. Doveva credere di averlo in pugno, di aver vinto la partita. Si avvicinò sempre di più a lei, finché la sua schiena non fu contro la parete lignea.

E poi si chinò sulle labbra rubino.

 

“Sei davvero molto bravo!” si complimentò Sango, guardando i miei schizzi a metà con Kagome, che annuiva.

“Hai fatto un corso per fumettista?”

“Autodidatta…”

Miroku sta raccattando qua e la l’immondizia residua della festa, gettandola rumorosamente nel grande sacco nero. “Darmi una mano no?” Bofonchia

“Sei tu il padrone di casa!” Sango non frena di certo le risposte lapidarie

Kagome mi chiede che nome ho dato al personaggio. “Beh. È provvisorio. Ike.”

“E cosa fa Ike?”

Alzo le spalle. Non lo so, non ci ho ancora pensato

Miroku si getta sul divano accanto a me. “Beh, Ike è… Ike è un mannaro.

Kagome sorride. Prende una biro e si mette a scrivere.“Si, ha l’aria da mannaro… E… fa parte di un clan di mannari!”

Dovrei protestare, in fondo l’opera è mia. Ma non lo faccio, inizio ad avere sonno. Incrocio le braccia con aria scettica e mi getto contro lo schienale, lasciandoli fantasticare. Tanto alla fine il fumetto è mio e io decido di cosa farne. Se andare avanti o meno e se seguire i loro consigli non richiesti.

Anche Sango pare presa “Si… e questo Clan di Mannari è contro un clan di Vampiri!” suggerisce, mentre Kagome scrive.

“Giusto! I Vampiri e i Mannari sono sempre stati nemici!” esclama Miroku.

In poco tempo la storia si è delineata. Il mio personaggio si chiama Ike LeChien, fa parte del Clan LeChien, ed è un Mannaro. Combatte contro i Vampiri per il dominio sulla città. E’ un ribelle, ama le moto e le bistecche al sangue.

“Sai, ti somiglia un po’”. Nota Kagome, guardando il disegno e poi me. “Se solo tu gli facessi i capelli lunghi…”

Sbuffo. Forse è vero. D’altronde sono egocentrico. Che male c’è?

“E se noi quattr ci mettessimo d’impegno per fare questo fumetto? Potrebbe diventare un successo mondiale!”

Miroku, ti ho già capito. Stai inventando patetiche scuse per star più tempo con Sango…

“Un fumetto scritto da quattro ragazzi che diventa un best seller? Hai bevuto troppo Miroku, vai a lavarti la faccia…”

“No, Inuyasha, Miroku ha ragione. Potrebbe diventare un successo underground. Eddai… che abbiamo da perdere? E’ per far passare il tempo!” Lo difende Kagome “Tu Sango che ne pensi?”

“…che ci starebbe bene anche una medium, tra i personaggi.

“Già! E una cacciatrice di vampiri!”

“E anche un guerriero che combatte contro i demoni!”

Alzo gli occhi al cielo. “E un mago no?”

“CERTO! Anche un mago! Inuyasha sei un GENIO!” Mi copro la faccia con un cuscino. Miroku è proprio scemo.

 

All’apertura dell’ascensore, nessuno avrebbe potuto mai immaginare che l’impeccabile coppia al suo interno fosse appena stata la protagonista di una scena degna di un ottimo film erotico.

Così, mentre Kagura si era aggiustata il rossetto e si domandava se le mutandine fossero al loro giusto posto, Sesshomaru sfoderava il suo consueto, irreprensibile sguardo fintamente annoiato, con il sopraccitato trofeo di biancheria intima in tasca.

I due presero strade opposte, come se nulla fosse accaduto. Sesshomaru si domandò quanti secondi passassero prima che Naraku Onigumo venisse a conoscenza del “Fatto dell’Ascensore”.

Forse lo sapeva di già. Forse c’era una telecamera nascosta da qualche parte. La cosa non lo preoccupava minimamente. Sarebbe stata comunque ottima pubblicità per lui, se quel’ipotetico filmato fosse stato divulgato.

Kagura si disperse nella folla, conversando amabilmente con diverse personalità di spicco dell’alta società cittadina, fingendosi presa dagli onori di casa.

Abituata sin da piccola a non mostrare i propri sentimenti, a tenere tutto dentro, dalla gioia più pura alle lacrime più amare, riusciva perfettamente a fare due cose contemporaneamente. Una era quella che tutti vedevano. L’altra, in quel momento, era soffocare le lacrime.

Il suo compito era svolto. Ora che ci mettesse pure quella maledetta firma sul contratto, e Basta, Basta. Basta.  Prima o poi doveva finire questa tortura. Lei aveva un cervello. Un ottimo cervello. Era dotata di una spiccata predisposizione per la conversazione e pure di fiuto negli affari. Avrebbe potuto dirigere da sola l’intero Gruppo Ragno. Ma sua fratello si divertiva da morire a costringerla a umiliarsi, ad usare il suo corpo per i propri scopi come la più stupida delle vallette televisive.

Ma doveva ammetterlo. Almeno questa volta le era andata bene. Lui non era stato il solito uomo calvo, pelato e sgraziato verso il cui veniva lanciata dal fratello. Sesshomaru aveva fascino, indubbiamente. Ed era un uomo di un bellezza incantevole.

E di una sensualità (eh si, un piccolo brivido se l’era permesso, al ricordo di ciò che era accaduto qualche minuto prima) che stordiva. Se lei fosse stata libera di sceglierlo, allora quella sarebbe stata una delle serate più trionfali della sua vita. Ma gli era stato imposto. E per questo non riusciva ad assaporare appieno quel minuto glorioso.

Eccolo là, a proposito, che guardava con sguardo tediato un nobile cialtrone. Non scorreva sangue blu nelle sue vene? Se non ricordava male sua madre era una Baronessa. O una Contessa?

Non aveva molta importanza. Basta. L’aveva fatto e questo era quello che contava. Il fatto che il suo sguardo d’oro zecchino ora l’aveva trapassata non aveva nessuna importanza.

E il fatto che posasse la flute di spumante tra le labbra, guardandola come a brindare al suo successo non era per nulla rilevante.

Un brusio verso il giardino calamitò l’attenzione dei presenti. Si voltarono tutti verso il prato. Il momento di Naraku era arrivato. Kagura scivolò tra la folla e lo raggiunse, fingendosi raggiante.

 

“Bravissima sorellina. Eccellente mossa” Brindò Naraku, seduto a suo fianco nell’automobile scura che li riportava a casa. Gettò uno sguardo distratto fuori dal finestrino. Il vetro era rigato dall’improvvisa pioggia che era caduta sul party. Festa rovinata a metà, comunque. La notte era già fonda, e dopo il suo entusiasmante discorso, molta gente era già andata a casa. “Ora manca solo l’atto conclusivo di questo tuo capolavoro.

Sfiorò viscidamente la guancia della donna con un suo dito freddo come il marmo. Lei si costrinse a sorridere. Ti prego, lasciami stare questa sera. Pensò. Ho già fatto quello che volevi. Non ti è bastato?

Il telefono dell’uomo suonò all’improvviso, e la sua attenzione fu calamitata da un altro interlocutore. Kagura riuscì a sospirare mestamente con un piccolo cenno di sollievo e a girare lo sguardo fuori dal finestrino.

Le auto erano ferme, in fila al semaforo. Tutti macchinoni di grossa cilindrata che riportavano a casa la gente dopo il party.

Un’Aston Martin nera e brillante, scintillante sotto la pioggia. Macchina lussuosa, e non tanto comune, nemmeno fra i ranghi più abbienti. Bisognava aver gusto e classe, per sceglierla.

E alla guida, c’era lui! I capelli di seta... non poteva confonderli. Il volto serio, impeccabile. Gli occhi d’oro.

Kagura si lasciò sfuggire un mezzo sorriso triste. Doveva aspettarselo, da un uomo che sfoderava tutto quel fascino e che sceglieva un ascensore per far sua una donna, che possedesse l’auto di James Bond.

Come se fosse stato chiamato, Sesshomaru si volse di scatto verso la donna. Il semaforo divenne immediatamente verde, ma per una frazione di secondo, i loro sguardi si incontrarono attraverso i vetri appannati e rigati.

Kagura si sorprese a formulare una muta preghiera. Liberami.

 

Pedalare veloci sotto la pioggia. Rischiando di scivolare sull’asfalto viscido. Dovrebbe essere una dannata seccatura. Ed invece è una cosa che mi piace da impazzire. Mi fa sentire libero, con le ali.

Sembra che anche Kagome si senta cosi. Passa attraverso una pozzanghera, i piedi per aria, “Yaaaa!!!!” urla.

Io getto la testa all’indietro, la bocca aperta, la lingua fuori. Se lei non mi avesse chiamato sarei andato dritto contro un bidone della spazzatura. Ridiamo per il rischio corso. “Hai sete, Ike LeChien?” mi urla.

“Hai previsto con il tuo occhio interiore, Kitty Lee?” Le rispondo, con il nome della medium del fumetto, deciso a tavolino mezz’ora fa.

Kagome frena. La bicicletta stride e le occorre qualche metro per fermarsi definitivamente. “Ecco, questa è casa mia!” Urla, indicando il tempio scintoista alla sua sinistra.

“E’ inquietante!”

Mi da una spinta lieve sul braccio. “Ma che dici! E’ antico e accogliente!”

“Avete qualche fantasma dentro o solo un mostro chiuso in cantina?”

Lei ride, la pioggia che continua a gettarsi su di noi “Beh… ho un fratello!”

“Non c’è mostro peggiore, ne so qualcosa pure io!”

Si scuote la testa bagnata, estraendo le chiavi dalla borsetta zuppa, non smettendo di sorridere.“Allora… io entro!”

“Si, meglio che ti sbrighi, sennò ti bagni.

Scoppia ancora a ridere. O questa ragazza è ubriaca, o io ho un futuro da comico.

“Buona notte Inuyasha. Grazie per avermi accompagnato.”

“Figurati. Avevo giusto voglia di farmi una doccia gratis…”

E lei sorride di nuovo, spingendo la bicicletta nel vialetto d’ingresso. “Ci vediamo Lunedì a scuola…”

“Sempre che tu non abbia il raffreddore…”

“Attento, LeChien… anche voi Mannari siete vulnerabili!”

La luce del lampione la colpisce. E io penso che sia davvero carina. Forse è la semisocurità. O forse è la serata appena trascorsa.

 Forse ho dimenticato Kikyo. No. Questo è impossibile. E’ li, in un angolo del mio cuore e bussa di tanto in tanto, appena prima che io mi addormenti, o in un attimo di distrazione e di riflessione.

Chissà cosa starà facendo Kikyo in questo momento. Forse è nella sua casa calda, su un libro di medicina, o sta già dormendo. Magari dividendo il letto con un altro ragazzo. Con uno che non è cresciuto in un orfanotrofio. Magari sta avendo una storia giusta.

“’Fanculo, Inuyasha.” Mi sgrido rimettendomi a pedalare forte. Questa è la mia Nuova Vita, e non c’è posto per lei. Non ha voluto che ci fosse posto per lei.

Questa è la mia Nuova Vita. E c’è posto per altre. Per tante altre. Magari Miroku in questo momento ha fatto breccia nel cuore di Sango, si è dichiarato a lei e le ha giurato amore ed eterna fedeltà, mentre io consolerò tutte le altre. Magari c’è posto per Kagome, anche se lo trovo improbabile.

Improvvisamente mi aggredisce l’ispirazione. Non vedo l’ora di tornare a casa e mettermi all’opera. Mio dio, che davvero quei i matti mi abbiano contagiato, con la storia del fumetto? Che mi abbiano plagiato e coinvolto?

E’ contagiosa così tanto, la stupidità?

Probabilmente si, perché sto ridendo come un matto tutto solo, pedalando sotto un diluvio.

 

 

 

 

 

_____________________________-

Capitolo alquanto prolisso… devo dire… non ho proprio il dono della sintesi. Ad ogni modo…

Grasssie mille per le recensioni.

Mi fanno molto piacere. Fatemi sapere se la storia vi piace… anche dei suggerimenti piccini possono essere ben accetti. (ho detto PICCINI e POSSONO. Ora non riempitemi di richieste pseudomelense… vi prego. Hi hi hi. Risata sadica.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Different, Same Lives ***


Capitolo 7: I’ve got some beers and The Highway’s free… And I’ve got you and you’ve got me

Capitolo 7:

Different, Same Lives

 

La professoressa Kaede è la più tediosa di tutto il corpo docente e anche la preside della scuola. Ed insegna anche una materia per la quale non sono per niente portato: Matematica.

Perciò, nelle sue ore, disconnetto la rete LAN che collega il mio cervello all’ambiente circostante e mi faccio i fantastici fatti miei.

Sapendo che Kaede è soprannominata Occhio-di-Lince (veramente prima di un incidente con l’ombrello la prima parola del suo soprannome era plurale), non posso nemmeno immergermi in una qualche attività alternativa. A parte lo scambio, nascosto e pericoloso, di messaggi con Miroku.

Al pomeriggio ci sarebbe stata la prima partita della stagione, e devo ammettere di essere un po’ teso. La squadra a cui andiamo incontro si fa chiamare New Team e Koga assicura che hanno un portiere e un cannoniere spettacolari. E’ anche vero che quello che dice Koga  è da prendere con le pinze.

Ad ogni modo, Totosai è in smania perché questo sarà il vero, primo, sicuro test della squadra. Secondo me, sotto sotto, conosce già gli esiti tragici. Sono sicuro che Miroku oggi in porta farà una pessima figura. In questi giorni ha la testa altrove, si perde in un bicchier d’acqua e non si accorge quasi delle ragazzine dagli occhini cuoriformi che lo circondano perennemente. O, almeno, le saluta più distrattamente del solito.

Forse sta covando qualche strana malattia. O forse la sua malattia si trova nel banco davanti, che scrive appunti su appunti.

Kagome a quest’ora dovrebbe avere Lettere con il professor Myoga. Un altro che, in quanto a verve nello spiegare ne ha da vendere.

Lunedì, come volevasi dimostrare, aveva un gran raffreddore. Durante il pranzo abbiamo paragonato il suo naso ad una di quelle patate arrosto in simil plastica che la mensa ci ha gentilmente offerto.

Secondo Miroku ha una cotta per me. Non credo. E’ solo curiosa: sono l’ultimo arrivato, non sa nulla del mio passato, e vorrebbe conoscermi meglio. Almeno credo. Guardo l’orologio. Mancano 10 minuti alla fine di questa tortura. Poi magari la incontrerò nei corridoi.

“Vedo che ti annoi, No Taisho.” Occhio-di-Lince ha colpito dritto nel segno. “Avanti, vieni un po’ alla lavagna, così, per passare il tempo e fare un esercizio…”

Sbuffo. “Se le dicessi che non ne sono capace lei mi lascerebbe stare?”

“No, il mio compito è quello di insegnarti.

“Il suo compito è quello di rompere i cosiddetti…” borbotto, alzandomi. E da come mi guarda la prof, direi che oltre ad essere Occhio-di-Lince è anche dotata di un orecchio sopraffino…

 

“Non si tirerà indietro proprio adesso, spero.

Kagura guarda fissa negli occhi d’oro l’uomo, seduto sulla sua poltrona di pelle al di là della scrivania. Lui sembrava tentennare, ha espresso perplessità e ha fatto… “un po’ troppe domande”, secondo il gusto della donna.

Domande che non dovevano essere poste, secondo i suoi piani. Sesshomaru No Taisho avrebbe dovuto mostrare una certa malleabilità, dopo il loro incontro di sabato. O almeno così funzionava di solito. Anche se sapeva già che Sesshomaru non era un uomo come gli altri.

Era stato abbastanza frustrante per Kagura notare lo sguardo freddo e impassibile dell’uomo su cui si era permessa di fantasticare, nei momenti di calma e solitudine, quando aveva varcato la soglia dell’ufficio per il loro consueto incontro.

“Questo è quello che ti meriti per esserti lasciata andare a fantasie da stupida mocciosa” si sgridò, appoggiandosi a sua volta allo schienale della sedia ed accavallando le gambe, avendo cura di non far trapelare alcuna emozione dal suo viso.

“Diciamo che a livello teorico non c’è da sapere più di questo. L’uomo si era alzato e aveva raggiunto il solito mobile bar.

“Brandy, giusto?”

“Gin, se non le dispiace”

Sesshomaru prese atto del tono usato dalla donna e sorrise dentro di sé. “E’ dannatamente seccata” si disse, porgendole il bicchiere. Poi si fermò vicino a lei. “Al prossimo incontro spero ci sia anche suo fratello. Riuniremo i responsabili e delineeremo sulla carta i termini dell’accordo. Bevve un sorso del suo whiskey. “ e poi decideremo.”

Va bene, Kagura. O la va o la spacca. Pensò la donna, alzandosi lentamente dalla poltrona. “Quindi questo è il nostro ultimo incontro a due? Dovremmo spenderlo al meglio, non crede?” I loro volti erano distanziati solo da una manciata di millimetri. Kagura poteva sentire il suo profumo, fresco e virile, e il lieve aroma del whiskey che aveva appena sorseggiato.

“Ho un incontro molto importante tra poco” spiegò impassibile Sesshomaru, notando piacevolmente il malcelato sconcerto della donna. “Ma possiamo riparlane in un’altra sede. Magari al ristorante Chateau d’Arbois, questa sera stessa.

“Potrei avere degli impegni, per questa sera.

Sesshomaru appoggiò nuovamente il bicchiere alle labbra. “Si, potrebbe.”

“Sarà meglio che vada.”

“Attendo una sua e-mail di conferma.” Aprì un cassetto e ne estrasse una busta chiusa. “Questo è per lei. La pregherei di aprirla in separata sede, se non le dispiace.

Accomiatasi, Kagura si diresse sicura verso l’ascensore. Appena le porte scorrevoli si chiusero, e accertatasi di trovarsi da sola, guardò la busta. Poteva forse essere un messaggio? Aveva forse intuito quanto era sotto sorveglianza e si era affidato ad una missiva scritta? Strappò la busta furiosamente.

Dentro, avvolte in una piccola carta velina, stirate e lavate, c’erano le mutandine che aveva perso sabato sera.

Rimase a bocca aperta. “Brutto figlio di….”

 

La cosa peggiore è che ci sono davvero delle persone che si sono venute a guardare. Sugli spalti vedo non solo Sango e Kagome, che mi saluta agitando la mano. (Leggo il suo labbiale “In bocca al Lupo!” E mi viene in mente Ike LeChien), ma anche tanti altri ragazzi della scuola, soprattutto femmine.

Ritorno presso gli altri della squadra. Hojo è tutt’uno con la panchina e sta pregando tutti gli dei dell’Olimpo che non ci sia bisogno di lui. Koga sta facendo stretching, mentre una ragazzina invasata, dai due voluminosi codini strilla incessantemente il suo nome, prima di venire ricoperta da striscioni e oggetti vari lanciati dal Miroku Fan Club. Un momento, quello non era un fumogeno?

Miroku si scalda con una corsetta sul posto, mentre Ginta e Hakkaku cercano di imitare Koga nel riscaldamento. Io l’ho già fatto, abbondantemente, prima. Non ne vedo l’utilità di farlo ora solo per farsi vedere dalle ragazzine. Queste cose non le capirò mai.

Ad ogni modo, Totosai viene a darci le ultime indicazioni. E’ talmente agitato che sputacchia qua e là pezzetti di bava dalla bocca sdentata. Che schifo. Cercare di mancarli è per noi un ottimo allenamento…

Il New Team esce dagli spogliatoi. Koga indica il cannoniere fenomenale e il portiere. “Come si chiamano?” domanda Miroku.

Holly e Benji.” Risponde. Ginta commenta dicendo che sembrano degli sfigata. “Guarda quello che razza di capelli che ha…” Aggiunge. Gli chiedo se lo specchio ha casa sua è un optional. Lui fa segno di non capire ma io lascio perdere. Mi pare già una risposta adeguata.

Miroku si è impossessato di un pallone e li guarda con sfida. “E’ ora di fargli vedere di cosa siamo capaci” esclama.

Poi fa una piroetta, palleggia la palla, la alza al cielo e urla “WILDCATS!”

Il pubblico femminile è in delirio. Io non resisto più. Con il muto ma pieno appoggio degli altri miei compagni di squadra, prendo la palla dalle sue mani e gliela calcio fortissimo nello stomaco.

Il professor Totosai approva annuendo.

 

Al secondo tempo siamo sotto di 1 a 0, e io mi sono pure beccato un ingiusto cartellino giallo. I gemelli Derrik,della squadra avversaria stavano tentando un numero da circo (Miroku ha detto di averne visto uno simile, durante la sua infanzia girovaga): uno di loro catapultava l’altro verso di me per prendermi la palla. Per fortuna l’ho visto in tempo e l’ho fermato con un destro secco. Cartellino giallo.

Totosai ci urla (sempre sputacchiando) un sacco di istruzioni inutili. Passarsi la palla… gioco di squadra… Le FASCE, LE FASCE! Hakkaku ha eroicamente tentato di spiegargli che non stiamo cercando di vincere il mondiale, ma è stato rispedito in campo accompagnato da insulti di vario genere.

Il cannoniere avversario e Koga si tirano scarpate di santa ragione, io ho il mio bel daffare con i gemelli, che si sono ripresi dal colpo precedente.

Koga prende possesso della palla, si avvicina velocemente alla porta, ma è marcato da Holly e da uno dei gemelli… Dai, stupido, passa, passa, cazzo! E invece no, vuole fare il super eroe. Piuttosto che passarmela preferirebbe tagliarsi le noci. Ed infatti Holly prende la palla e si lancia a tutta velocità verso la porta avversaria, Ginta tenta di fermarlo, inutilmente, Hakkaku si getta ai suoi piedi per tentare di braccarlo.

Grazie ai due però lui ha diminuito la velocità. Riesco a prendergli la palla dal piede, proprio mentre annuncia una cannonata colossale contro Miroku, che non trova niente di meglio da fare che pararsi i gioielli di famiglia, e mi dirigo verso il portiere mentre Holly rimane a guardare per terra con la bocca spalancata ed in preda a chissà quali flashback di una chissà quale sua vita precedente.

“Questa non me la pari!!!!” Avverto. Ho i gemelli davanti. Koga è libero.

Beh, te la scordi la palla, bello mio, piuttosto la ributto indietro. E così faccio. Ginta la riprende e la passa subito a Koga, che tira in porta.

Benji la respinge…

…. Mio colpo di testa…

GOL!!!!!!

1 a 1!!!!

Il fischio finale dell’arbitro arriva mentre tento una maldestra piroetta all’indietro, finendo su un Miroku festante e atterrandolo con una scarpata sulle gengive.

 

Il pareggio insperato con cui avevamo debuttato ci ha fatto perdere la testa. Negli spogliatoi urliamo slogan da stadio mentre ci facciamo la doccia a suon di gavettoni.

Koga ha promesso che se vinceremo il campionato si taglierà i capelli.

“Così è troppo facile!” ribatto io. “Facciamo che se vinciamo ti spulci la chioma, Kaga

Mi lancia addosso una panchina.

Miroku la para.

Baraonda generale.

Trovo Kagome e l’intero Miroku Fan Club davanti alla porta dello spogliatoio.  Queste ultime strillano estasiate a nell’ammirare Miroku post doccia, anche se noto che un paio di loro mi guardano con gli occhi lucidi e ridacchiando tra di loro.

Kagome si complimenta con me. “Vedi che questa testa serve a qualcosa?” dice, picchiettandomi scherzosamente la fronte.

Koga passa e ci guarda inizialmente sbalordito, poi arrabbiato. Non ci toglie gli occhi di dosso e va a sbattere contro un muro, tra le risatine generali. La ragazzina che ho visto strillare dagli spalti gli si getta al collo, acclamando l’eroe dei suoi sogni. “Ayame, dacci un fottuto taglio!” sbotta lui, uscendo infuriato dalla palestra. “Inuyasha, ai prossimi allenamenti ti faccio fuori!”

“Che gli hai fatto?”

Alzo le spalle. “A parte averlo chiamato Kaga ed avergli dato del pulcioso nulla…”

“INUYASHA!”

Miroku si guarda attorno, impaziente. “Kagome, non hai visto per caso Sango?”

“E’ andata via appena prima della fine della partita, suo fratello non si è sentito bene agli allenamenti di basket” spiega. “L’ho avvertita che avete vinto via sms.” Aggiunge, vedendo la faccia dispiaciuta di Miroku.

Il mio stomaco brontola sonoramente, e tutti si guardano attorno impauriti, temendo un cedimento strutturale della palestra. Tossisco imbarazzato.“Ho una fame incredibile. Vado a mangiare qualcosa al bar.”

“Ti spiace se vengo anche io?” mi domanda Kagome. Se vuole…

“Io vado a casa, la fame mi è passata.” Brontola Miroku, scuro in volto, suscitando la preoccupazione e l’abbattimento delle sue fan. Kagome cerca di fargli cambiare idea “Dai, Miroku, vieni a mangiare qualcosa con noi…riprendi le energie. Lui borbotta qualcosa sulla valanga di compiti da fare e si dirige fuori dalla palestra con un mesto saluto. Quindi, per la merenda ci siamo solo io e Kagome.

 

“Il raffreddore ti è passato un po’, il tuo naso non sembra più una patata abbrustolita. Noto, ingoiando il mio trancio di pizza alla salsiccia, funghi e peperoni. Volevo prenderne una intera, ma ho scordato il portafoglio a casa e non avevo abbastanza spiccioli in tasca. Dovrò tenermi la fame sino a sera, dannazione.

 “Te l’ho detto che non era grave.” Lei sgranocchia un toast e sorseggia il suo succo di frutta, poi estrae un quaderno dallo zaino e me lo porge. “Ho scritto qualcosa per il fumetto. Magari ti da delle idee”Lo apro e lo sfoglio velocemente, spiegandole che a casa l’avrei guardato meglio. Leggo qualcosa su un debole tra il guerriero e la cacciatrice di vampiri che mi fa storcere il naso.

“Beh, allora, come sta andando?” mi domanda, finendo l’ultimo pezzo di  toast.

“Cosa?”

“Il tutto!”

Tutto cosa?”

“Beh, sei in una nuova scuola, con dei nuovi amici, come ti sembra?”

“… Ah, quel tutto.” Ci penso un attimo. E’ difficile da spiegare. Ora che ci penso, il cambiamento è stato così drastico ed improvviso che forse non l’ho ancora metabolizzato bene. “E’… completamente diverso…” riesco solo a dire, tracannando un sorso di coca-cola.

“Non ti è dispiaciuto lasciare i tuoi amici, nella precedente scuola?”

Soffoco una mezza risata.“Proprio no!”

“Dovevi trovarti parecchio male… ma abitavi sempre qui in città o ti sei proprio trasferito? Non ci hai ancora raccontato nulla di te.

Non pensi, Kagome, che un motivo ci sarà pure? “Non c’è nulla da dire. Abitavo in un’altra zona della città.” Rispondo evasivo. Guardo l’orologio e penso che la scusa di Miroku sui compiti non era tanto falsa.

“Devo andare anche io” mi precede. “Vado a ritirare Shippo.”

Usciamo in cortile a prendere le biciclette, il cielo che non promette nulla di buono. Quasi quasi, però, non mi dispiacerebbe un bel giro in bici sotto l’acquazzone, come sabato sera. Vorrei proporlo a Kagome, ma temo che il piccolo Shippo non gradisca la doccia improvvisa. E poi c’è anche da dire che non sarebbe lo stesso, con un moccioso in mezzo alle scatole.

“Dovremmo trovarci una sera, per discutere sul fumetto. Tu che ne dici?”

Trasalgo “Io e te?”

“No, tutti e quattro!” risponde piccata. “hai la mania degli appuntamenti tu! Cosa c’è, ne vuoi uno?”

“Si.” La risposta è uscita da sola. Forse l’ha detta qualcuno dietro di me. No, siamo da soli. Dannazione. “Cioè, no, non lo voglio un appuntamento con te. Nemmeno morto.”

Lei aggrotta le sopracciglia e apre la bocca offesa.

“Nel senso che… ecco… io” Sento il rumore dei miei arti che scivolano lungo gli specchi su cui mi sto arrampicando. “Cioè… non è che tu mi faccia schifo. E’ che…”

Lei ora mi guarda con un sopracciglio alzato. Sta pensando a che stronzata possa inventarmi per salvare la faccia. Vabbè, basta, non mi vengono in mente altri modi, per evitare che la bicicletta mi arrivi in testa e per farla smettere di parlare con me: “E’ che non sapevo come chiedertelo. Ti va di andare al cinema?”

“No.”

“Meglio, tanto mi fanno schifo i film che ci sono adesso.

“Anzi si.” …questo era per dispetto?

“Non c’è che dire, sei una ragazza incredibilmente solida sulle tue posizioni”

Lei monta sulla bicicletta, fulminandomi con lo sguardo. “Questa sera.”

Alzo le spalle. Non ho nulla di meglio da fare. Si allontana senza smettere di tentare  di incenerirmi con gli occhioni castani.

 

Così sono davanti al multisala, guardando nervosamente l’orologio. Dovevo prevederlo che sarebbe stata in ritardo cronico… Manca ormai poco all’inizio del film. Decido di andare a prendere i biglietti, almeno non rimarremo a secco.

Che diavolo di film vorrebbe vedere Kagome?

Scarto quelli melensi. Mi potrebbero procurare dei disturbi alla digestione.

Quelli d’azione? Mmm, potrebbe essere. Ma dubito che a lei piaccia un film tutto sparatorie ed esplosioni. Anche se a me non dispiacerebbe.

C’è un film comico. Opto per quello. Possiamo farci un paio di risate, almeno.

Torno all’entrata con i biglietti in mano e i popcorn dall’altra giusto in tempo per vederla arrivare, scusandosi ripetutamente per il ritardo.

La guardo bene. Diamine, è proprio vestita da appuntamento. Abitino a fantasia grigio e verde, stivali bassi e un cappellino floscio in testa che le dà un’aria bohemienne. Noto anche il lieve ombretto sugli occhi. Ho creato un mostro.

“OH! Hai preso i biglietti!!” esclama, arrossendo lievemente. “E anche i popcorn…!”

. “Si, mi devi 7soldi…” Il rossore le scompare. “E i popcorn sia ben chiaro che sono miei.” I suoi occhi diventano una fessura sottile, mentre apre sgarbatamente la borsetta rossa e mi sgancia in mano i soldi, avendo ben cura di conficcarmi le unghie nel palmo della mano. Temo che se la sia presa per qualcosa, ma non capisco cosa…

 

 

“Oh, Signorina Onigumo… concedetemi una tregua, almeno durante il pasto…”

Così Sesshomaru No Taisho l’aveva interrotta, davanti ad un raffinato piatto di alta cucina, mentre spiegava l’ultimo sviluppo della Feder Inc.

Lei inizialmente si indispettì, ma badò bene a non farlo vedere. Suo fratello non si era raccomandato altro che lei si mostrasse rilassata e disponibile verso il suo interlocutore. Ma di che cosa si poteva parlare con un uomo del genere? Di certo lui non iniziava la conversazione, si aspettava che tu facessi i salti mortali per intrattenerlo.

E lei non era di certo una donna abituata a farlo. In genere era l’esatto opposto. Focalizzò la sua attenzione su uno dei lampadari del ristorante, sorseggiando il vino rosso. La serata si preannunciava lunga, sempre sperando che andasse tutto a buon fine. Sesshomaru le sembrava disinteressato, quella sera.

Insomma, quella cena iniziava ad essere pesante. E nervosamente pensò che tutto ciò non giovava di certo all’affare…

Come poteva non essere un po’ meno impostato con lei, dopo sabato sera?

Kagura pensò a come, in quegli ultimi 3giorni, si era sorpresa più volte a pensare all’ascensore di Villa Esprit e a quei pochi minuti di passione condivisi con l’uomo seduto al suo stesso tavolo. Aveva dovuto faticare parecchio per non dargli del tu, durante il loro incontro odierno. Avrebbe avuto solamente voglia di intavolare una conversazione in via del tutto confidenziale, ed aveva anche sognato, la sera precedente, un loro improbabile e furioso amplesso nel suo ufficio, sopra quel fornitissimo mobile bar.

Invece, si trovava davanti un muro di marmo. Liscio, bellissimo, perfetto, ma freddo come il ghiaccio.

E lei non poteva permettersi di agire diversamente da come stava facendo in quel momento. Almeno poteva chiedergli chi aveva lavato e stirato le sue mutandine… dubitava che l’aveva fatto personalmente.

La cena si concluse dopo qualche brandello di blanda conversazione e dopo un liquore come digestivo. Sembrava che Sesshomaru apprezzasse i liquori e i vini pregiati, li beveva gustandoli, ma non ne abusava.

Si alzarono da tavola dopo che l’uomo aveva discretamente pagato il conto e si diressero verso l’uscita. L’aria fresca li investì in pieno, l’autunno era alle porte e si stava già facendo sentire. Kagura si accese una sigaretta seccata. La serata aveva raggiunto un bivio cruciale.

“Pensavo le desse fastidio il fumo” notò Sesshomaru. Vide un lampo di sorpresa negli occhi della donna. “L’ho notato sabato sera, quando suo fratello ha deciso di accendersi quell’orribile sigaro.

“Mi da fastidio l’odore del sigaro, lo detesto tanto quanto lo ama Naraku. Ma non sono una fumatrice incallita. Qualcuna di tanto in quanto, giusto per il sapore.

“Come quando è imbottigliata nel traffico” La donna lo guardò ancora più sorpresa. Doveva averla vista in giro, e il fatto che lui l’avesse notata le fece indiscutibilmente piacere.

“Immagino che sia venuta con un autista, questa sera.

La donna rispose affermativamente. “Arriverà in pochi minuti, appena lo chiamerò.

“Non occorre, la mia auto è a pochi passi. Sempre che non le dispiaccia.”

“Affatto” rispose lei. La situazione stava decisamente migliorando.

Si incamminarono verso l’Aston Martin, e la donna gli fece i complimenti per l’auto. “E’ davvero un gioiellino di gran classe, signor Sesshomaru”.

“Un gioiellino che se non si sa usare può diventare una trappola. L’accarezzò con lo sguardo, mentre si sedeva all’interno e la metteva in moto. Il motore rispose rumorosamente. “Vuole che l’accompagni subito a casa, o gradisce un drink a casa mia?”

 

Kagura guardava incuriosita gli scaffali del salotto di casa No Taisho. Un sorriso divertito si fece strada sul suo volto. Tra la miriade di DVD di proprietà del padrone di casa, vi era tutta la serie completa dei film di 007.

Sesshomaru rientrò nella stanza, due drink in mano, e ne porse uno alla donna.

“Vedo che lei è un fan di James Bond

“L’ha capito dai film o dall’Aston Martin?”

Lei sorrise sorniona. “Dal suo gusto in fatto di donne, Sesshomaru. Appoggiò il suo bicchiere e si avvicinò alle labbra dell’uomo.

Le dita di lui le accarezzarono la schiena, stringendola a sé. Una mano corse verso i suoi capelli, liberandoli delicatamente dall’acconciatura. I boccoli castani della donna le caddero morbidamente sulle spalle, mentre lui percorreva il suo collo con le labbra e con le mani si insinuava sotto il vestito di seta leggera.

La sollevò come se fosse una piuma, le gambe sottili di lei che gli cingevano la vita, e si diresse verso le scale che portavano in camera sua. Quasi inciampò nei gradini, rischiando di ruzzolare dalla gradinata abbracciato alla donna, ed arrivarono a tentoni alla porta della camera.

 

 

Si, il film è stato uno spasso, davvero. Ho riso sino alle lacrime (e io non sono uno dalla risata facile) ed è piaciuto anche a Kagome, che ha smesso di fare la musona. Siamo usciti dal cinema ricordandoci a vicenda le battute e le situazioni comiche, circondati da persone che facevano più o meno la stessa cosa.

“Caspita, come è tardi!” esclama, guardando l’orologio, affrettando il passo verso la bicicletta.

Mi propongo di accompagnarla a casa. Questa volta il tempo è clemente verso di noi, ma il multisala è troppo vicino a casa sua, e la nostra pedalata dura solo pochi minuti.

“Ti ringrazio per la serata.” Mi dice lei, frenando vicino all’entrata del tempio. “Però… lo vuoi un consiglio da me?”

“Spara”

“Quando inviti fuori una ragazza… pagale almeno il biglietto del cinema!”

Ah, ecco per cosa se l’era presa. “Potevi dirmelo prima… rivuoi indietro i soldi?”

“Ma sei scemo?”

Ok, credo non li rivolga indietro. Vorrei chiederle se vuole almeno metà dei popcorn che mi sono mangiato io.

“Allora, ci vediamo domani a scuola?”

“Certo.”

Rimaniamo per qualche secondo inspiegabilmente immobili a guardarci. Il silenzio è interrotto solo da un cane che abbaia in lontananza.

“Quindi, ci vediamo domani a scuola”

“Ovviamente”

Kagome si avvia verso il vialetto, bici alla mano, quando mi ricordo del suo quaderno, che ho nella tracolla. “Aspetta!”

Lei si ferma come se non aspettasse altro e io mi avvicino, quaderno alla mano. “L’ho letto prima di uscire. Hai delle belle idee, sai? Una gran fantasia…ho già disegnato qualcosa. forse ho esagerato con i complimenti, perché lei spiana un sorriso a cento denti.

“E’ una cosa carinissima quella che mi dici!” esclama, prendendo il quaderno dalle mie mani. “Vorrei diventare una scrittrice da grande, o una sceneggiatrice, mi fa davvero piacere che tu apprezzi quello che scrivo.

“Figurati”

Altro secondo di silenzio. Poi lei decide di darmi un bacio sulla guancia in segno di ringraziamento. Ci fissiamo un istante dritti negli occhi. E poi il secondo bacio è direttamente sulle labbra. Dura poco, pochissimo. Lei si stacca e mi guarda sorpresa. “Scusami, io non… volevo…”

“Non ti preoccupare…niente di grave…”

“Cioè, eri lì ed io…”

“Per fortuna che c’ero io e non il professor Myoga…” sdrammatizzo.

Lei sorride un po’ nervosa. “E’ meglio che io vada a letto.”

“Anche io ci vengo. Cioè, ci vado. Nel mio letto.” Inuyasha, oh, svegliati, sei diventato scemo?  Forse è il sapore delle sue labbra alla fragola che mi sento addosso. Possibile che in quella frazione di secondo abbia attecchito così tanto, quel maledetto burrocacao fruttato?

Ulteriore momento di silenzio pesante. “E se te ne dessi un altro?”Chiedo. Evviva la sincerità. “Sempre che non ti dia fastidio”

Lei rimane un po’ stupita, ci pensa qualche secondo. Poi annuisce piano. E allora la bacio di nuovo.

E il sapore di fragola entra tra le mie labbra e si stabilisce direttamente nella mia testa

 

 

sarò stata abbastanza esaustiva?

Mah!

Boh!

Chissà!

Ad ogni modo ringrazio di avere letto sino qui!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Knockin' on Heaven's door. ***


Capitolo 8:

 

 

Capitolo 8:

Knockin’ on Heaven’s door.

 

Pura…

Incredibile…

Impareggiabile Estasi.

Kagura pensava di non aver nemmeno più bisogno di respirare. Abbandonata fra i cuscini, le lenzuola che la avvolgevano come un elegante e provocante vestito da sera, la donna non osava nemmeno aprire gli occhi per paura di spezzare l’incantesimo a cui era stata avvinta.

Sentiva la presenza di Sesshomaru accanto a lei, che la sfiorava con il suo corpo perfetto e caldo. Bastava quel contatto accennato per farla rimanere sopra le nuvole, così vicina alle stelle che lui le aveva fatto raggiungere qualche secondo prima.

Lui sorrideva sornione, mentre scivolava lentamente in un sonno soddisfatto. Sentì la donna muoversi a fianco a lui, e aprì gli occhi per guardarla. Si era messa su un fianco, e sembrava guardarlo quasi incantata. Nell’oscurità della camera poteva individuare gli occhi carmini brillare fissi sui suoi. I capelli erano scompigliati e, sciolti, avvinghiavano tutto il cuscino. Ne prese una ciocca, la più vicina alla spalla e se la attorcigliò alle dita, giocherellandoci distratto. Assolutamente delizioso.

Fu lei a rompere il silenzio. “Allora, ti senti un po’ come James Bond?”

“Non ho ancora sparato a nessuno oggi. E nessuno mi ha ancora tentato di uccidermi.

Kagura sorrise lievemente. Sapeva che sarebbe stato meglio rivestirsi ed andarsene, che ogni minuto passato li dentro la trascinava verso un baratro da cui era impossibile uscirne. Ormai era una donna adulta. Ed illudersi non era più concesso. Tanto meno in una situazione come la sua. E poi, diamine! Non era mica a letto con uomo qualunque, che si gettava ai suoi piedi grazie alla sua bellezza. Sesshomaru era fatto tutt’altra, incredibile pasta. Bastava fissarlo, passare poche ore con lui per capire che per chiunque era impossibile farsi strada tra quegli occhi gelidi. Eppure… che male avrebbe fatto una piccola fantasia? Un infantile appiglio scivoloso nei momenti bui? Momenti che, Kagura lo sapeva bene, sarebbero ritornati non appena varcata la soglia di quella lussuosa camera. Voleva protrarre quel momento sublime finchè le era concesso. “Qual è la tua Bond Girl preferita?”

Sesshomaru ci pensò un attimo. Beh, il bikini di Ursula Andress l’aveva catapultato direttamente dall’infanzia alla pubertà nell’arco di una sola scena. Oppure c’era anche l’intrigante Octopussy. Era difficile scegliere. La guardò un attimo, studiandola. “Vesper Lynd, in Casinò Royale.” Decise. “Bella. Ed infida.”

Kagura si voltò dall’altra parte. Non aveva visto quel film, ma dalla descrizione che ne aveva fatto Sesshomaru capì che lui poteva aver intuito qualcosa. “Non la conosco come Bond Girl.”

“Dovresti guardarlo quel film.” Le accarezzò la schiena morbida con una mano. “Non ne ho voglia di riportarti a casa”

Lei si alzò piccata. “Non c’è problema. Chiamo subito il mio autista” Gettò le gambe giù dal letto e fece per alzarsi, ma l’uomo la trattenne delicatamente per le spalle. “Non mi hai capito…”

 

 

Stamattina ho in mente solamente una canzone di HAIR, un musical in cui sono incappato qualche giorno fa facendo zapping televisivo.

Leeeet the Sun shineeee…. Let the sun shineeee in! the Sun shine in!!!!” continuo a canticchiare, dentro di me.

Questa mattina ho visto Kagome solo per un istante, prima che venisse trascinata via dalla marea di gente che andava verso il suo corridoio, a campanella suonata. Mi ha sorriso e mi ha salutato con la mano. Anche io l’ho salutata. Forse non ho sorriso molto. Non lo so. Mi sento addosso uno sguardo un po’ fesso.

L’ha notato anche Miroku, chiedendomi se stessi bene. “Perché?”

“Oh, nulla… mi sembri un po’ assente, stamattina. Hai litigato con tuo fratello, per caso? Ti ha fatto un’altra dichiarazione allucinante?”

Faccio no con la testa. Forse dovrei dirgli di ieri sera. Per informarlo, ecco. Ma poi penso che sia un fatto privato. Mio e di Kagome. E poi, anche volendo, la sua attenzione è stata calamitata altrove. Sango è appena entrata, un secondo prima del professor Myoga. Ha lo sguardo basso e non saluta nessuno. Si siede al suo posto in silenzio e apre lo zaino.

Myoga inizia la lezione, facendoci aprire il libro in una determinata pagina.

La guardo e sbuffo. Mio dio, proprio oggi dovevamo studiare poesie lamentose e sospiranti? Una volta tanto che ero di buon umore, mi sarebbe piaciuto conservarlo…

La poesia scelta da Myoga parla della morte del fratello del poeta. Cancello a matita il nome del fratello dal titolo e la sostituisco con quello del mio, di fratello. A fianco allego un ritratto stilizzato del sottoscritto che strozza il sopraccitato consanguineo. Tiro una gomitata a Miroku per mostrarglielo e lui ridacchia piano.

Poi, improvvisamente, Sango si alza. “Professore, posso uscire qualche minuto? Non mi sento affatto bene.”

Myoga accorda, sicuro che Sango, da eccellente e onesta studentessa qual è, non stia fingendo. Lei esce rifiutando l’accompagnamento di Miroku per andare in infermeria. “Faccio da sola, grazie”

Il mio compagno si risiede al suo posto, preoccupato. Continua a fissare la porta da dove è uscita la ragazza.

“Andiamo… è una donna. Avrà le sue cose” tento di convincerlo.

Lui non sembra ascoltarmi. Dieci minuti dopo abbiamo appreso che il poeta in questione in esilio ha saputo che il fratello ci ha lasciato le penne, ed invece di festeggiare come avrei fatto io (o come Sesshomaru avrebbe fatto in caso contrario), si è lasciato prendere da riflessioni deprimenti e scrivendoci sopra una poesia.

Sai che roba, io dovrei averne un’antologia…

“Professore, posso andare a controllare che Sango stia bene?” domanda Miroku alzandosi di scatto.

Myoga sbuffa, da quel suo microscopico beccuccio. “Va bene, puoi andare” Non fa in tempo a finire la frase che lui è in corridoio.

“Posso andare anche io?” domando.

“Oh, no, Inuyasha. Tu adesso mi ripeti quello che ho spiegato sino ad ora.

… Ma che ho fatto di male al corpo docente?

 

Miroku capì che Sango si trovava in quell’aula vuota solo perché aveva sentito un debole singhiozzo, nonostante la porta chiusa. Aprì piano e tuffò dentro la testa castana. “Tutto bene?”

La ragazza era seduta su un banco, le gambe penzoloni, un fazzoletto in mano e le guance rigate dalle lacrime. “No. Cioè si. Torno subito in classe, non preoccuparti, vai pure.

Il ragazzo invece entrò, chiudendo la porta alle sue spalle. “Cosa sta succedendo, Sango?”

“Niente.”

“Per favore. Se fosse nulla non piangeresti così.” Si avvicinò di più a lei, appoggiandole piano una mano sulla spalla, quasi come se Sango fosse stata una tigre pronta a rivoltarglisi contro. “Non è per tua mamma, vero? E’ per caso per tuo fratello? So che è stato male ieri…”

I singhiozzi di Sango si fecero più intensi, lei affondò il viso fra le mani.

“E’ grave?”

“Non so cosa abbia!” urlò lei, di rabbia impotente. “Non ci dicono nulla. Ieri sono andata a prenderlo, quando mi hanno chiamato che è stato male ad allenamento. Era svenuto.” Miroku le porse il suo fazzoletto, vedendo che quello della ragazza era ormai inutilizzabile. “Ma il suo allenatore e il preparatore atletico hanno detto che è stato solo un calo di pressione e l’hanno rimandato a casa. Lui non ha voluto assolutamente farsi visitare da nessuno. Io non ci credo che non abbia nulla.”

“Beh, può capitare, durante un allenamento che…”

“Da quando è negli Spiders mio fratello non è più lo stesso. Fa allenamenti massacranti quasi tutti i giorni. E’ scontroso e non ascolta nessuno. A volte arriva a casa con la faccia imbambolata. Sembra…quasi… drogato!” Scoppiò di nuovo in singhiozzi. “Io ….non sono capace di fare la sorella maggiore… non riesco a badare a lui… mio papà conta su di me ed io… lo sto deludendo…”

“No, non dire così!” Miroku prese il volto della ragazza tra le mani, asciugandolo dalle lacrime con le sue dita. “Sei una ragazza fantastica, responsabile, matura… Tuo fratello sta passando forse un periodaccio, forse è sotto stress… dopo quello che è successo… è in un’età particolare, Sango. Ci siamo passati tutti!”

“E se non fosse cosi?”

“Se non fosse così allora ci andremo fino in fondo. Vedremo cosa ha il ragazzo.” Sango smise di singhiozzare. “Non sei sola. Potrai contare sempre sulle persone che ti circondano.

Lei lo guardò un attimo interrogativa, cercando di capire se le parole di Miroku altro non fossero che una tattica per farla capitolare ai suoi piedi o se lui fosse davvero sincero. Doveva davvero iniziare a guardare il ragazzo sotto un’altra luce? D’altronde, le era stato vicino anche quando era morta sua madre, pochi mesi addietro, assicurandole il suo aiuto, nel caso lei ne avesse avuto bisogno. Lì per lì l’aveva presa per una frase fatta, come tutte quelle che le erano state dette in quei giorni. Ma ora che l’aveva ancora davanti, e che gli tendeva ancora la mano, Sango pensò che probabilmente non conosceva nulla di Miroku.

Gr…Grazie.” Balbettò, soffiandosi ancora una volta il naso. “Ti ho sporcato il fazzoletto…”

“Oh, pazienza… sono fatti per quello, no?”

“Grazie Miroku, sei davvero un amico. Vado a sciacquarmi il viso e torno in classe.

… un amico…

Mentre lei usciva dall’aula vuota, il ragazzo si domandò se poteva bastargli questo. Sango ora aveva degli altri problemi, altre preoccupazioni. Di certo non si sarebbe permessa il lusso di pensare a trovarlo più simpatico. O ad innamorarsi addirittura di lui.

Quindi, questo doveva bastargli, per il momento. Lui le sarebbe stato a fianco, e magari lei, in un futuro forse non troppo lontano, l’avrebbe considerato diversamente da un amico.

Forse.

 

Ed Eccola! Kagome è li, in mezzo al corridoio, circondata dall’ondata di alunni affamati diretti in mensa. Cerco di raggiungerla, ma tra me e lei compare improvvisamente Sango. Lei la guarda, le fa un cenno di intesa, poi l’accompagna nel bagno femminile.

“A dopo” mi fa segno. Sbuffo. Dannazione alle donne e ai loro problemi.

Recupero Miroku e lo trascino in mensa. Dalla faccia non sembra che abbia una fame particolare, ma me ne frego altamente. Io mangerei un bue di traverso.

“Allora, cosa aveva Sango?”

“Problemi in casa.” Sta sul vago. Probabilmente quello che le ha detto è un’informazione riservata.

“Gravi?”

Fa cenno con la testa. “abbastanza”.

Noto Koga e compagnia bella in fila per la mensa. Lui mi guarda come se volesse infilarmi nello scaldavivande al posto del risotto. Io alzo il mento per chiedergli che diavolo voglia da me. Lui abbandona la fila per venirci incontro.

“Che sia ben chiaro: non osare ripetere l’incontro di ieri sera con Kagome.

Miroku ci guarda entrambi senza capire.

“E tu chi sei per dirlo?”

“C’ero prima io, pezzo di…”

“Hai preso il numerino al banco salumi, Kaga?”

Sento che adesso mi salta addosso per tentare di sbranarmi. Dai, fatti sotto, è da un po’ che ho voglia di spaccarti la faccia. E ora che so che sei anche un mio rivale, lo farò con più gusto. Vedo che il suo sguardo lampeggia altrove, per poi ritrarsi dallo scontro e ritornare in fila. Noto anche io che la professoressa Kaede è entrata in mensa.  Maledizione a tutto il corpo docente, ce l’hanno con me e mi tolgono tutto il divertimento. E’ una congiura.

Miroku mi batte la spalla. “Scusa ma… Cosa voleva dire?”

“Sono stato al cinema con Kagome.”

“E non mi hai chiamato? Ci sarei venuto volentieri!”

Proprio tu non capisci, Miroku? Sono circondato da una massa di babbei.

 

 

Vesper Lynd. Davvero lui l’aveva paragonata a Vesper ? Sogghignò, mentre navigava in internet dal suo ufficio.

Peccato che lei non avesse visto il film (o almeno così aveva detto). Se però non si sbagliava (cosa che raramente accadeva), Kagura avrebbe visto a breve il film in questione, e così avrebbe conosciuto Vesper Lynd, la donna che aveva catturato il cuore di James Bond, e che era morta suicida, oppressa dai sensi di colpa per averlo tradito, rinchiudendosi in un ascensore veneziano mentre stava questo affondando.

Indubbiamente si sarebbe emozionata, a sentirsi paragonata al personaggio (e all’interprete, soprattutto).

Che dire. Sesshomaru ci sapeva fare davvero con le donne.

Il telefono dell’ufficio suonò. Una chiamata esterna. “Ciao, Signor Sesshomaru!”

“Buongiorno, Rin. Sei già tornata da scuola?”

“Certo! Volevo chiederle una cosa…” sentì la bambina prendere un bel sospiro “Domani sera ho il saggio di violino. Mi viene a vedere?”

Sesshomaru diede un’occhiata veloce all’agenda di pelle nera. Libero. “Se lo desideri…”

“AH, Grazie Signor Sesshomaru!!

Che ci poteva fare. Lui le donne le faceva impazzire. Non importava l’età.  Anche se Rin era, ovviamente, un discorso diverso.. Quando posò il ricevitore, lo sguardo di Sesshomaru si perdette al di fuori della vetrata. Pensò che fondamentalmente, non aveva mai visto due occhi color rubino.

 

 “Finalmente!” esclamo, all’uscita della scuola, quando riesco a raggiungere Kagome. Lei mi saluta ridendo. Poi rimaniamo un attimo a guardarci imbarazzati. E adesso?

“E’ tutto il giorno che ti rincorro!” esclama.

“Anche io!” Guardo l’orologio. “Devi andare a prendere Shippo, immagino…”

Lei annuisce. “Mi accompagni come al solito?”

La scorterei sulla luna, se me lo chiedesse.  Così pedaliamo verso la scuola elementare.

Prima di svoltare l’angolo, però, le passo davanti e la costringo a fermarsi. Cioè, praticamente le faccio da muro, non ha molta altra scelta.

“HEY! Vuoi farmi cadere?” Protesta.

“No, volevo darti questo.” Mi avvicino a lei e la bacio. Non mi accorgo neanche che ho lasciato cadere la bicicletta. Era tutto il giorno che volevo sentire di nuovo il sapore di fragola. E da come getta le braccia attorno al mio collo, anche lei non vedeva l’ora di fare lo stesso. La stringo in vita e la sollevo appena, mentre il bacio finisce e i nostri occhi sono così vicini. Mi sento stupidamente contento. Lei mi sorride e mi bacia di nuovo. Sento che potremmo andare avanti all’infinito cosi.

“Quindi noi stiamo più o meno insieme?”

“Credo di si, tu che dici?” le domando. Ti prego Kagome…ora però non diventarmi scema come le ragazzine insipide della tua età… Scordatelo che io mi arrampichi sul cavalcavia dell’autostrada per scriverti una dedica…

Sentiamo la campanella della scuola elementare suonare. “Shippo ci aspetta” mi ricorda lei.

“E tu lascialo aspettare…”

“Inuyasha!” mi rimprovera. “Ci accompagni a casa?”

 

 

Dovrei fare una marea di compiti. Ma me ne frego altamente. “Si, non si sa mai che vi perdiate…”

“Inuyasha!”

 

La casa di Kagome, il famoso tempio scintoista, ha davvero un’aria accogliente, al di là del vialetto d’ingresso. I giardini e le aiuole sono curate al dettaglio. Kagome mi ha spiegato che se ne occupa suo nonno.

“Mio fratello al momento non è in casa. Arriverà tra poco. Mia cugina ha detto che lo passava a prendere lei, oggi.

Shippo continua a saltellarci intorno, prima alla ricerca della merenda, poi dei pennarelli, poi del telecomando. Cerco uno sgabuzzino, un mobile, una pentola. Qualsiasi cosa in cui possa rinchiuderlo.

Kagome tira fuori un libro dallo zaino.“Io dovrei studiare Scienze… tu?”

Non credo che riuscirò a concentrarmi tanto. “Non ho molto da fare…” mento.

“Cosa? Oggi hai avuto Myoga e non ti ha lasciato nulla da fare? Ma non ci credo nemmeno se lo vedo!”

Myoga ha già fatto abbastanza oggi. A fine lezione avevo un 4. Direi che basta…” ringhiò, sedendomi di fianco a lei.

“Ecco, per evitare che io prenda un voto simile domani, è il caso che io invece studi…”

Sbuffo. E allora che ci sono venuto a fare qui?

Passa una mezz’ora buona con lei china sui libri e io che faccio incetta di cibarie dalla dispensa e guardo i cartoni con Shippo. Ogni tanto lei alza lo sguardo e mi rifila un’occhiataccia, ma io non le do molto peso.

Quando finalmente Shippo sembra abbastanza preso dai cartoni animati, io scivolo verso Kagome. Metto la mia testa contro la sua.

“Sto studiando…” mi rammenta lei. Le do un buffetto sulla guancia.

“Sto studiando…”  Un bacino sulla nuca…

“INUYASHA, A CUCCIAAA!!!!

…permalosa…

 

“Sono a casa!” La voce di un ragazzino interrompe ogni mio tentativo di distrazione di Kagome. Lei si alza. “Ti presento mio fratello”

Il ragazzino, molto somigliante a Kagome, entra nella stanza.

“Lui è Souta. Souta, lui è Inuyasha.”

Il ragazzino mi studia un attimo. Ha lo stesso sorriso della sorella, e anche i suoi occhioni curiosi. “Sei quello nuovo, vero? Kagome mi ha parlato molto di te!”

“Non è vero!” grida lei imbarazzata.

“Permesso. Kagome, sei in casa?”

 “Ah, c’è anche mia cugina.” Kagome si affaccia alla porta. “Entra pure, vieni!”

Io mi alzo, aggiustandomi i pantaloni. Che scocciatura tutte queste presentazioni…

“Ti presento una persona…” sento che dice all’altra. Sento anche una leggera risatina. La cugina deve aver intuito qualcosa.

“Inuyasha, ti presento…”

 

KIKYIO.

 

…Ahi dura terra, perché non t’apristi…

 

“Vi conoscete già?” Kagome è sorpresa. Io non so cosa rispondere. Gli occhi di Kikyo sono così sbarrati che temo possano schizzarle fuori dalle orbite da un momento all’altro.

“Nel senso… che ci siamo già visti.” Riesce solo a dire.

Io annuisco. Forse con un po’ troppa veemenza. Anzi, direi troppa.

Tutto ciò è surreale, è impossibile. E’ inaccettabile. Mi hanno sempre detto che il mondo era piccolo. Ma COSI’ piccolo è ridicolo.

“A scuola. Dove ero prima… lei… lei faceva assistenza” Perché diavolo la voce non smette di tremarmi? Sento le gambe molli… e una goccia di sudore si fa strada sulla mia fronte.

Lei ci guarda sospettosi. “Un momento, Kikyo… ma non avevi fatto assistenza solo all’Istituto dell’Aiuto all’Innocente?”

Appena finita la frase Kagome si tappa la bocca, intuendo di aver capito troppo. Ma comunque troppo poco.

 

Io cado all’indietro. Non ho più forze per restare in piedi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Così il Destino Gioca con Noi. ***


Capitolo 7: I’ve got some beers and The Highway’s free… And I’ve got you and you’ve got me

 

 

Capitolo 9:

Così il Destino Gioca con Noi.

 

 

“Alzagli le gambe, è un calo di pressione.

“Così va bene?” …sento che le gambe mi vengono alzate il più in alto possibile.

“Basta meno, Kagome, non deve per forza stracciarsi. Tu, Souta, portami un bicchiere di acqua zuccherata”

 

Socchiudo gli occhi. L’immagine offuscata che ho dinnanzi prende lentamente la forma di Kikyo, china su di me. Non può essere vero…“…Inuyasha…?”

E invece lo è davvero. Perdo di nuovo i sensi.

 

“Bentornato nel mondo dei vivi!”

A salutarmi è Kagome, questa volta. Mi guardo attorno confuso. Sono coricato su un letto, in una cameretta piccola, ma ordinata e piena di fotografie e poster.

“Sei in camera mia”, spiega, passandomi un bicchiere d’acqua. Mi accorgo di avere la gola riarsa, lo bevo in un sol botto. “abbiamo fatto una faticaccia a portarti sin qui! A peso morto sembri fatto di piombo.”

Si siede di fianco a me, scostandomi una ciocca dal viso. “Kikyo mi ha detto tutto…”

Non riesco nemmeno a guardarla in faccia. Che ore sono? Quanto è durata la nostra storia? Un paio d’ore? Aspetto la parola FINE guardando il poster di Justin Timberlake. “Mi dispiace”

“… e di cosa? Non è mica colpa tua!”

Oddio, Kagome. Ero più che consenziente, con tua cugina. Numi del cielo, perché non riesco a togliermi dalla testa  l’immagine di Kikyo che mi bacia togliendosi il camice?

“Non è colpa tua se i tuoi genitori sono morti e sei cresciuto in un orfanotrofio, non è stata una tua libera scelta, no?”

La guardo di sottecchi. Comincio a sperare che Kikyo non abbia raccontato proprio tutto a sua cugina. “Cosa ti ha detto precisamente?” azzardo.

Lei arrossisce lievemente. “Mi ha raccontato che ti ha conosciuto all’orfanotrofio, che eri un teppistello che faceva a pugni con gli altri… ma che però eri solo e che sei un ragazzo così dolce…”

Sopprimo un sospiro di sollievo. Kikyo non si è tradita, e forse una storia tra me e Kagome può ancora esserci. Se solo riuscissi a togliermi l’immagine di sua cugina dalla testa…

“Non ti devi vergognare. Tu mi piaci per quello che sei”

Kagome giocherella nervosa con il nodo alla marinara della divisa, guardando per terra. E ora si, mi vergogno da morire. E non solo perché sono un mezzo delinquente cresciuto da rancide suore, ma perché ho davanti una ragazza che mi sta offrendo il suo completo appoggio e il suo affetto... mentre io non sono sicuro di aver ancora dimenticato la ragazza che amavo. Che guarda caso, maledetto il fato, è una sua stretta parente. Mi sembra di prenderla in giro. Ma non voglio che tra me e lei finisca ciò che è appena iniziato. Sino a mezz’ora fa io mi sentivo bene, prossimo al paradiso. Tentavo di distrarla dallo studio per baciarla e per avere le sue attenzioni.

Ed ora vorrei solo scappare il più lontano possibile. Mi sento un verme. Forse dovrei raccontarle tutto. Ma se lo facessi, lei non ne vorrebbe più sapere di me… O detesterebbe la cugina… e questo credo che non giovi allo spirito famigliare.

“Deve essere stata dura per te, crescere senza papà e mamma. Io non ce l’avrei mai fatta. Sono stata così male per l’assenza di un solo genitore… se non avessi avuto mia madre, mio fratello e mio nonno non so come avrei fatto.”

Si porta le ginocchia al petto e se le abbraccia, guardandomi con i suoi occhioni profondi.

“Tuo papà è morto?” la domanda mi viene spontanea. Sembra quasi che lei mi stia chiedendo di fargliela.

Lei scuote la testa. “Quando ero piccola, e Souta era appena nato, mio papà se ne è andato con un’altra donna. Un pomeriggio sono rientrata da scuola e ho trovato i miei impegnati in una litigata pazzesca. Papà faceva le valigie. Però non ho badato a questo, perché lui viaggiava spesso per lavoro… Ma urlavano così tanto... Mia madre diceva che lo odiava, che non lo voleva più vedere. Lui invece lo incolpava di non averlo mai capito, che lo teneva in una gabbia, che lui non la voleva sposare, ma che l’aveva fatto perché mia madre mi aspettava. Poi ha preso la valigia e mi ha visto. Mi ha accarezzato, io ho iniziato a piangere. Mia madre mi ha strappato dalle sue mani e lui se ne è andato sbattendo la porta.

L’ho sentito per telefono, per il mio compleanno. Poi a Natale. E poi non ho più voluto parlare con lui. E lui non ha più chiamato. So che si è risposato con quella donna, e che ha avuto un altro figlio.

Kagome ha le lacrime agli occhi, ma le trattiene. Io mi mordo le labbra e mi avvicino a lei, che mi appoggia la testa castana sulla spalla.

Gli racconto brevemente la mia storia. “Le nostre famiglie sono l’uno l’opposto dell’altra. Conclude lei.

E’ vero. Noi siamo dai lati opposti dalle barricate.

Lei è la figlia della prima moglie, vittima dell’abbandono. Io sono il figlio dell’amante, della seconda compagna, la causa della distruzione di un matrimonio.

Lei che, nonostante suo padre, ha avuto una famiglia e tanto amore. Io che, nato dall’amore di due persone, sono cresciuto tra l’indifferenza e il freddo di mura grigie. Lei, solare, amichevole e sorridente. Io, tormentato dai miei fantasmi, che vivo nell’ombra di un mezzo sorriso. Eppure siamo li, su un letto color glicine, appoggiati l’uno all’altro. Siamo gli opposti che si attraggono. E ora nella mia mente non c’è più l’immagine di un’aspirante infermiera.

Strofino la mia guancia sulla nuca di Kagome, l’abbraccio. Lei alza il suo volto. Mi bacia.

Uno scroscio di pioggia che spazza via l’aridità.

 

Sesshomaru scosse la testa, una smorfia di insoddisfazione sul volto perfetto. Il sorriso di circostanza di Kagura si spense improvvisamente, il cuore che le mancava di un battito. Gli occhi di Naraku diventarono due fessure. Lampeggiano un istante verso la sorella, che deglutisce piano. Movimento che non sfugge agli occhi d’oro di Sesshomaru. Gli altri membri del Consiglio d’Amministrazione iniziarono a sudare freddo.

“Sarebbe il caso, Signor Sesshomaru, che lei spiegasse meglio le sue intenzioni a riguardo. Aveva sibilato il patron del Gruppo Ragno. “Perché non ci espone tutte le sue perplessità in merito?”

“Con piacere”. Sesshomaru si alzò, telecomando alla mano, e lo puntò verso il proiettore. Un grafico comparve sul muro. Kagura soffocò un gemito.

 

All’uscita della riunione, Naraku aveva preso il braccio della sorella e l’aveva stretto talmente forte da farle venire un livido istantaneo. “Si può sapere che cazzo hai combinato, stupida?” Sibilò, trascinandola per il corridoio, verso l’uscita.

Lei soffocò un mugolio di dolore. “Assolutamente nulla. Ho fatto ciò che mi hai chiesto…”

“Davvero? E dove li ha presi quei grafici? Le azioni? I risultati contabili delle altre aziende che abbiamo assorbito?”

“Io non ne ho la più pallida idea…l’hai detto anche tu che era un osso duro…”

“Ti dico la mia teoria? Ti ha aperto le gambe così bene che tu gli hai spiattellato vita, morte e miracoli del Gruppo Ragno… o mi sbaglio?”

Finalmente la donna riuscì a divincolarsi dalla morsa. “Appunto, ti sbagli” aveva le lacrime agli occhi. “Vado un attimo alla toilette” mormorò, prima di sparire nella porta a lato.

“Ti aspetto in macchina. Non la passi liscia, Kagura.”

 

Scivolò dentro veloce e si sedette su un gabinetto, chiudendo la porta, la testa tra le mani tremanti, cercando di cacciare indietro le lacrime.

Sapeva cosa l’aspettava. Naraku era un pazzo violento che lei aveva avuto la sfortuna di avere come fratello. Cercò di calmarsi, pensando a come sfuggire alla serata che l’aspettava. Non era la prima volta che tentava la fuga, da quando, appena adolescente, lui aveva iniziato ad infliggerle i suoi soprusi. Prima sembravano, agli occhi dei suoi genitori, semplici ragazzate di un fratello maggiore un po’ bullo. Poi le cose erano peggiorate sempre di più.

Oppure, idea che prendeva sempre più corpo dentro di lei, di farla finita, definitivamente. Una manciata di pillole, accompagnata da un litro di vodka, o un tuffo dal tetto dell’edificio e sarebbe stata libera per sempre. Sentì la porta del bagno aprirsi e dei passi cadenzati entrare.

“Esci” disse una voce ferma, maschile, che lei riconosceva bene.

Tentò di darsi un contegno, nonostante la voce tremante: “Non si entra nel bagno delle signore…”

Kagura, esci.”

Si passò le mani sotto gli occhi, per cancellare le tracce di trucco colato, ed aprì la porta. Abbozzò un sorriso. “Sesshomaru, essere a capo dell’azienda ti da il diritto di entrare in tutte le toilette?”

Lui la guardò, studiandola attraverso gli occhi dorati. “Sorpresa della mia presentazione?”

“Spiacevolmente sorpresa, si” con finta noncuranza la donna si lavò le mani. “Siamo dispiaciuti che tu ci reputi un’azienda sanguisuga”

“Tuo fratello non l’ha presa affatto bene”

“Era sicuro che io avessi svolto bene il mio compito di mediatrice finanziaria.

Lui le si avvicinò, posandole la mano nel punto che Naraku aveva stretto così forte, pochi minuti prima. Kagura si morse le labbra. “Una delusione palpabile, quella di Naraku. Commentò. “Era sicuro che tu mi avessi completamente obnubilato con le tue arti amatorie…”

Lei si ritrasse di scatto. Sentiva salirle agli occhi lacrime di rabbia e di frustrazione. Era caduta come una stupida sotto quello sguardo dorato. Lui le aveva teso un vero tranello. E lei… stupida, stupida, stupida! Aveva anche noleggiato quello stramaledetto DVD di James Bond e si era sentita orgogliosa di essere stata paragonata a Vesper Lynd.

Doveva capirlo, però, che lui aveva intuito tutto. Era troppo sagace per farsi abbindolare in quella maniera subdola.

Sesshomaru la stava guardando trattenendo a stento un mezzo sorriso soddisfatto. Diamole la stoccata finale, pensò.

“E poi, è risaputo che Suo fratello non è solo un uomo d’affari… leciti. Si sa che ha mani un po’ ovunque.” Lei si era irrigidita ulteriormente, la sua faccia una smorfia unica di furore. “… e io non voglio che il mio nome, e quello della mia azienda, venga trascinato in una qualche inchiesta su riciclaggio, aggiotaggio o chissà che altro, Signorina Onigumo.”

“Si, ha ragione, Signor Sesshomaru. Mio fratello è una piovra. E avrà quello che vorrà.” Era lontana un millimetro dagli occhi dell’uomo “Lecito o meno.

Lui la spinse, fermo ma delicato, contro il muro. “Mi piacciono le donne furiose e minacciose…” Sfiorò il suo naso con quello di Kagura. “…Vesper.”

 “Lasciami andare. Non peggiorare le cose.” Lo pregò, volgendo la faccia di lato.

Lui continuò a sfiorare con le labbra il suo volto “Magari tuo fratello potrebbe pensare che un altro appuntamento sistemerebbe le cose…” Si fermò interdetto, vedendo che una lacrima aveva solcato la guancia della donna.

“Io non sono una puttana.”

Si allontanò da lei di un paio di passi. “Non l’ho mai pensato.” Fondamentalmente era una menzogna, ma a Sesshomaru era scivolata tra le labbra prima ancora che lui si rendesse conto di averla pensata.

“Devo andare. Mio fratello mi aspetta, e non voglio farlo arrabbiare ulteriormente. Sospirò Kagura, asciugandosi la guancia con il dorso della mano e avviandosi verso la porta.

“Parli come una bambina intimorita dal genitore manesco. Commentò l’uomo, infilandosi le mani in tasca e guardandola serio.

“Credimi. E’ ben peggio.”

 

Sango si avvicinò a Miroku guardandosi intorno, come se avesse paura che qualcuno la vedesse. “Ti volevo chiedere una cosa” Il volto del ragazzo si illuminò d’immenso. “Ma deve restare tra noi due, chiaro?”

Miroku annuì, impaziente. Qualsiasi desiderio, richiesta, pensiero di Sango era musica per le sue orecchie pronte ad obbedire.

“Questa sera mio fratello ha una partita di basket. Voglio che tu venga con me. Vorrei che mi dessi un parere sulle loro condizioni fisiche.

“Certo. A che ora?”

“Alle 20.00. non dire nulla a nessuno. Nemmeno a Inuyasha. Non vorrei che vengano messe in giro strane chiacchiere riguardo a noi.”

“Sarò muto come una tomba”

 

L’ho visto entrare in classe come se avesse un missile legato dietro alla schiena. Ha saltato a piè pari il tavolo atterrando sulla sedia di fianco a me. Mi sono domandato con quale tipologia di proteine si fosse alimentato alla mattina. Miroku è sempre stranamente pimpante, di fronte agli altri. Ma così era a dir poco preoccupante.

“Ho una cosa fantastica da dirti, ma che non posso dirti.

“E allora stai zitto.”

Sbuffò. “Ma non posso tacere, è troppo bella!” Prende un bel respirane. E’ emozionato. Il sorriso gli sfiora le orecchie. “Sango mi ha chiesto un appuntamento!” gongola a mezza voce.

Non ci credo nemmeno se lo vedessi qui davanti ai miei occhi.

“Credici, scemo! E’ per stasera. Ha usato una scusa un po’ stupidina…” ridacchia, il pensiero rivolto altrove. Mi racconta della partita di Basket.

“Ci deve essere qualcosa sotto. Sango non è il tipo da proporti di uscire.

Lui tossisce. “Cioè… tutta la storia non te la posso dire… ma sappi che è impensabile che sia una scusa!”

Questa storia non mi convince. “Anche io ho una novità.”

“Spara!”

Stò…. Uscendo con Kagome.”

“Non ci credo nemmeno se lo vedo.”

Miroku, per l’ennesima volta dimostri la tua neurodeficienza.

 

 

Ai bambini dovrebbero impedire di prendere degli strumenti musicali in mano…

A questo pensava Sesshomaru, pentendosi di non essersi portato i tappi di cera per le orecchie. Jaken era in piedi in mezzo al corridoio tra le sedie del piccolo auditorium della scuola di Rin, incaricato al servizio fotografico.

Sino ad ora si erano alternati sul palco un piccolo coro di stonatissimi mocciosi, un infante pianista confusionario, e un chitarrista che aveva abbandonato il fascio di luce piangendo, dopo che una corda della chitarra si era rotta. Quella sera Sesshomaru non avrebbe avuto bisogno di nessuna camomilla per dormire.

Rin, avvolta in un abitino rosso fiorato, un fermaglio luccicante di Hello Kitty nei capelli, entrò leggermente rossa in viso. Aveva imbracciato il suo violino e si era messa a suonare, un pochino stentata, L’Inno alla Gioia di Beethoven.

Aveva finito la piccola esecuzioni tra gli scrosci di applausi di tutti i genitori presenti in sala e i flash impazziti di Jaken, che si districava tra la macchina fotografica e la videocamera, timoroso di aver perso un qualche momento dell’esibizione e di far montare su tutte le furie il suo padrone. La bambina aveva fatto un paio di inchini, sorridendo imbarazzata, e quando era riuscita a scorgere Sesshomaru tra la folla aveva agitato la mano furiosamente, radiosa.

Mentre lei usciva dal palco, e Sesshomaru ripiombava in uno stato catatonico, saliva sul palco una minuta flautista dai voluminosi capelli candidi.

Quando finalmente la tortura sonora giunse alla fine, Sesshomaru ordinò a Jaken di andare da Rin, che stava ricevendo le congratulazioni di altri genitori ed insegnanti, e di chiederle se voleva un passaggio a casa.

Appena vide il maggiordomo avvicinarsi la bambina volse le spalle alle altre persone quasi senza salutare, e corse verso Sesshomaru, saltando con un agile e imprevisto balzo anche il povero Jaken, che cadde a terra tremante.

“Allora, le è piaciuto il mio pezzo, signor Sesshomaru?” domandò, con gli occhi tremanti dall’emozione.

“Diciamo che sei stata l’unica che non mi ha fatto rimpiangere di aver scordato a casa i tappi per le orecchie.

La bambina saltellò dalla gioia: “Davvero? Davvero? Oh, come sono contenta, come sono contenta! Ho provato e riprovato, mi sono esercitata tantissimo per questo saggio! Lei non sa come sono contenta!”

Jaken, l’attrezzatura per la videoregistrazione a tracolla che gli impediva i movimenti, li aveva finalmente raggiunti, madido di sudore.

“E a te sono piaciuta Jaken?”

Pantpant… la penso come il signor Sesshomaru…”

“OH! Grazie Jaken, sei fantastico!”Rin abbracciò di slancio il maggiordomo, che rovinò nuovamente a terra.

La bambina dai voluminosi capelli bianchi passò accanto ai due. Rin la salutò con calore, mentre lei fece un piccolo cenno con la mano.

“…invidiosa?” commentò l’uomo.

“No, no! Lei è sempre così. E’ la mia amica Kanna. E la signorina che è venuta a prenderla credo proprio che sia sua cugina. Me ne ha parlato tanto…”

Sesshomaru si volse un poco, nel punto indicato dallo sguardo di Rin. E inizialmente rimase di stucco, anche se tentò di non darlo a vedere. Poi decise che la cosa era sicuramente ridicola. La donna verso cui Kanna andava incontro, e che in quel momento aveva incrociato lo sguardo rubino con il suo d’oro, era Kagura Onigumo.

“La conosce, signor Sesshomaru?” a Rin non scappava mai nulla?

“…di vista…”

 

“Buonasera, Signor No Taisho”

“Buonasera Signorina Onigumo

Un silenzio imbarazzato scese su di loro. Rin decise di romperlo “Ha sentito, signorina Onigumo, com’è stata brava Kanna?”

La bambina dai capelli bianchi volse intimidita lo sguardo al pavimento, nascondendo il viso tra la chioma.

“Si, sono proprio orgogliosa di lei. Anche tu sei stata molto brava. Sei Rin, giusto? Kanna mi ha parlato molto di te. Non sapevo che tu e il signor No Taisho foste parenti. … Nipote? Cuginetta? Sorellastra? Figlia Segreta? Si domandò la donna, avendo cura di incrociare lo sguardo di Sesshomaru il meno possibile.

“Oh, no!” rispose la bambina, con semplicità. “Il Signor Sesshomaru è il mio vicino di casa. Praticamente sono sempre a casa sua a svuotargli il frigo, e così ho pensato che avrebbe gradito che gli dedicassi il mio saggio!”

“Che pensiero carino…”

“grazie!”

Un altro velo di silenzio cadde tra i quattro.

Kanna! Perché non ci facciamo offrire un bel gelato, visto che siamo state così brave?”

“…”

“…”

“Per me va bene…” mormorò l’altra bambina.

Kagura tentò di rimediare. “Forse è un po’ tardi Kanna… dovremmo andare a casa…”

“Oh, suvvia! Parliamo di un gelato, non di una cena intera!” insistette Rin. “Andiamo, Kanna, recuperiamo gli strumenti e poi andiamo a prenderci il nostro gelato!” Detto ciò, prese l’altra bambina per un braccio e la trascinò verso il palco.

“Aspettateci li! Non muovetevi!” Si raccomandò, prima di sparire dietro tra le quinte.

“Jaken, valle a dare una mano.” Ordinò Sesshomaru al maggiordomo, che, trattenendo un gemito di sconforto, si diresse, con l’attrezzatura sempre addosso, verso il posto dove si erano dirette Rin e Kanna.

“…”

“…”

“…”

“…com’è piccolo il mondo, eh?”

“Già…” l’uomo fissò di sottecchi la donna. Anche con addosso un paio di semplici pantaloni neri ed un cappottino grigio, risultava elegante tanto quanto con addosso un vestito da sera.

“quindi… immagino che abbia avuto una discussione con suo fratello, ieri?”

Lei annuì, fingendo noncuranza. “Intende adottare un’altra strategia. Non si vuole lasciar sfuggire un alleato come lei.”

“… che tipo di strategia, Vesper?”

Lei lo guardò indecisa sul da farsi. “Diciamo, James, che dovrà stare molto attento. Le bambine erano rispuntate, dalle quinte, con gli strumenti e gli spartiti in mano. “Non abbiamo molto tempo”

“Per le soffiate di stampo spionistico-industriale o per il gelato?”

“Per entrambi.” Mormorò. “Possiamo trovarci in un altro luogo.”

“Più tardi va bene?

“Per me sarà difficile, ma ci proverò. A Mezzanotte precisa nel parcheggio sul retro del Centro Commerciale.

“Allora, dove ci portate per questo gelato?”

 

 

 

 

 

“Quindi?”

“Quindi non mi hai dato nemmeno un bacio. Miroku, imbronciato, uscì dalla palestra degli Spider Basket Team finendo ancora i dolciumi gommosi che aveva comprato al bar un’ora prima.

Sango alzò gli occhi al cielo, esasperata. Quel dannato ragazzo non cambiava davvero mai!

“Nemmeno per ringraziamento!” insistette lui, guardandola accigliato. “non dovresti giocare così con i sentimenti di un tuo amico, Sango. Ogni tuo diniego è una pugnalata al cuore!” si picchiò il petto, fingendo una stilettata sulla parte sinistra.

Sango non potè trattenere un sorriso. “Eravamo venuti qui per un motivo.”

“Ah. Già.” Miroku finì di succhiare, tentando di darsi un tono sensuale, una caramellina. “Secondo me sono steroidi e anabolizzanti.”

“E me lo dici così?” Sango era shockata. Suo fratello, a dodici anni, riempito di steroidi e anabolizzanti?

“E’ da quando li ho visti entrare in campo che penso a come dirtelo.” Miroku si infilò un’altra caramellina in bocca. “Questo è l’unico modo che mi veniva in mente. Deve essere l’influenza di Inuyasha.”

“E adesso cosa facciamo? Li denunciamo?”

“Non abbiamo le prove. Possiamo filmarli per la prossima partita e potremmo cercare di recuperare dagli archivi della società la cartella sanitaria di Kohaku. O fargli fare un prelievo del sangue coatto.

Gli occhi di Sango si riempirono di lacrime di frustrazione. “Ma intanto mio fratello continuerà ad assumere quelle schifezze!”

“Non abbiamo altra scelta, mi dispiace…” Miroku sembrava davvero dispiaciuto, mentre l’abbracciava e le accarezzava i capelli. “Vedrai andrà tutto bene. Davvero. Studieremo un piano e Tireremo tuo fratello fuori dai guai, va bene?”

Sango annuì, passandosi velocemente le dita sugli occhi. Cercò di sorridere. In fondo, non sapeva bene perché, ma il ragazzo le ispirava fiducia. “Hai ancora qualche caramellina?”

Miroku guardò il contenitore di cartone vuoto. “Oh… pensavo che ce ne fossero ancora…” Poi le rivolse uno sguardo terrorizzato, mentre gli occhi le puntavano sui capelli: “Oddio… te li ho rovesciati in testa mentre ti abbracciavo!”

“MIROKU!”

 

Per attirare meno sguardi possibili, Sesshomaru aveva deciso di lasciare a casa l’Aston Martin e di “prendere in prestito” l’utilitaria personale di Jaken.

Alle 23.58 era appostato in un luogo buio del parcheggio indicato dalla donna, e si guardava intorno nella speranza che lei comparisse da un momento all’altro.

Alle 23.59 la sua mente vagava tra i film di James Bond (Maledetta la sua mania su quei film… ogni tanto si immedesimava troppo nel personaggio. Beh, poteva andargli peggio. C’è chi adorava Tre Metri Sopra il Cielo.) e si faceva strada verso di lui il pensiero che Kagura si sarebbe presentata spalleggiata da un paio di sicari. Magari nascosti sul tetto pronti a far fuoco su di lui, bersaglio mobile. E lui non aveva la sua semiautomatica con se. Sbuffò, scrocchiandosi le dita. O la smetteva di guardarsi quei film, o cercava il modo di avere la licenza d’uccidere.

Certo che era stato proprio un cretino, a paragonare Kagura a Vesper. Vesper aveva tradito Bond, dannazione. Gran bella gnocca quanto vuoi, ma Bond ci aveva quasi rimesso le penne in Casinò Royale, oltre ad una discreta razione di scorno.

“Sesshomaru, basta con queste Cazzate…” tentò di convincersi. Eppure da Naraku Onigumo ci si doveva aspettare di tutto. I suoi rapporti con la mafia locale erano ben più di una chiacchiera qualsiasi.

In quel momento, un’altra piccola e scalcinata utilitaria entrò nel parcheggio, illuminando l’angolo buio dove Sesshomaru stava attendendo.

L’auto parcheggiò vicino a lui, e Kagura abbassò il finestrino. “Sali tu qui o salgo io li?”

Sesshomaru guardò la macchina storcendo il naso. “Non ho mai fatto l’antitetanica, non mi fido, vieni tu qui.

La donna sospirò e scese dalla macchina entrando in quella dell’uomo. “Non è che la tua sia messa meglio.”

“E’ quella del mio maggiordomo”

“E quella li è quella del giardiniere.”

“Lo tenete alla fame, quel povero giardiniere?”

“Non credo che tu elargisca un salario più alto al tuo maggiordomo, Sesshomaru.

Touchè.

“Parliamo di cose serie. Che intenzioni ha Naraku.”

“Cercherà di corrompere quanti più funzionari statali per farti mettere il bastone fra le ruote. Inizialmente sarà burocrazia, poi controlli frequenti in azienda, e alla fine farà in modo che trovino un presunto falso in bilancio, o qualche strano “traffico” o altra grave irregolarità.

“Carino, il gioco sporco.”commentò. “Tutto questo se non sottoscrivo l’accordo, vero?”

Lei annuì. “Tra due giorni dovrò richiamarti, per proporti un altro incontro, e ti presenterò un nuovo accordo, lievemente modificato, ma il succo sarà sempre quello. Tu dovrai firmarlo, se vorrai essere al sicuro da ogni problema. Dopodiché, se non andrà ancora bene, Naraku inizierà il… Gioco Sporco. Cercherà di portarti all’esasperazione finché non cederai.

“Io non ho intenzione di cedere.”

“E allora preparati ai guai, Sesshomaru.” Sembrava dispiaciuta. “…James….”

“E’ un’altra parte del piano di tuo fratello, quella di spifferarmi tutto in anticipo?”

Lei scosse la testa. “Sono qui di mia spontanea volontà. Per uscire di casa mi sono dovuta travestire da inserviente e manomettere le telecamere di sicurezza. Mio fratello ha occhi ovunque.” Sospirò. “Avevo intenzione di mettere un manichino sotto le coperte per simulare il mio corpo, pensa un po’. Ma non ho trovato alcun manichino. E stasera, ad ogni modo, mio fratello non sarà in casa prima delle 3. Riunione d’affari in altra città.”

“Leciti?”

“Dubito…”

Sesshomaru gettò il collo all’indietro, come per stiracchiarsi. “Come faccio a fidarmi di te?”

“… hai ragione, io sono Vesper” la donna sospirò di nuovo. “Non ho nulla per convincerti.  Fai come meglio credi.”

“La privacy a casa vostra non esiste?” Kagura rivolse a Sesshomaru uno sguardo incuriosito. “Hai detto che dovevi mettere un manichino sotto le coperte. In genere succede agli adolescenti che scappano. Non mi dire che tuo fratello controlla anche la tua camera.

Lei deglutì, lo sguardo perso altrove. “Come ti ho detto, mio fratello controlla tutto.

“Soprattutto la sorella.”

Lei annuì.

“E forse pensi che io, che sarei un osso più duro di tuo fratello, ti possa liberare. Vero?”

Lei lo fulminò con lo sguardo, come se l’avesse insultata. “Sono una donna adulta ed indipendente. Cosa mi credi, una damigella in una torre che aspetta il Principe Azzurro? Dico, ma tu credi di aver l’aria di un fottuto Principe Azzurro?”

Strinse i pugni, ciocche di capelli sparse sul volto in fiamme. “Per chi diavolo mi hai preso, per un’idiota?”

Sesshomaru si avvicinò il suo volto al suo e le prese il mento tra le dita. “Ti ho già detto che adoro le donne furiose e minacciose?”

Le loro labbra si incontrarono, solo per pochi istanti. Mentre Sesshomaru l’attirava a sé, accarezzandole il petto, lei si ritrasse con una malcelata smorfia di dolore sul volto.

L’uomo rimase interdetto. Un suo pregio inconfondibile era la sua delicatezza. Tutte le sue amanti impazzivano per il suo “tatto magico”

 “…un po’ troppo focoso, forse?”

“No. Scusami. Io… Devo andare.” Aprì la portiera e scappò sull’altra macchina, mettendola in moto. Un ultimo sguardo all’uomo, e poi sparì nella notte, accelerando rumorosamente.

Sesshomaru rimase qualche istante a fissare il volante. Poi guardò la strada da dove era sparita la donna e pensò che quello che aveva visto fosse solo la punta di un iceberg.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Quel che porta l'Autunno. ***


Capitolo 10:

Capitolo 10:

Quel che porta l’autunno.

 

 

Oltre al talento del disegno, possiedo pure il talento di fare più cose in una volta: per la precisione, lavorare al fumetto bevendo una coca cola sgranocchiando patatine e fumando una sigaretta.

Si, in effetti il bolo di cibo che ho in bocca non un sapore molto gradevole, e cinque minuti fa ho tentato di disegnare con la sigaretta mentre mi fumavo una patatina, ma il tempo è denaro, io non ne ho molto e ho tante cose da fare. Di cui nutrirmi è la più importante, ovviamente.

Ormai è da un mese e mezzo che questa è la mia stanza. E sono dieci giorni esatti che io e Kagome stiamo insieme, tra alti e bassi. I bassi sono dovuti al sottoscritto, principalmente. In parte perché… beh, non ci sono abituato a queste cose. Per quanto stia bene con Kagome, incontrare le sue amichette ridacchianti mi fa sempre venire l’acidità di stomaco. Ed in parte perché… Beh, so che ciò fa di me uno stronzo, ma non riesco a non pensare che Kikyo sia sua cugina. E non riesco a smettere di pensare a lei.

Penso al sollievo che provavo quando la vedevo scendere alla fermata dell’autobus dall’altro lato della strada, penso al cuore che mi mancava di un battito quando la vedevo attraversare il corridoio, penso a quando mi infilavo di nascosto nell’infermerie.

… Penso a quando ci baciavamo. Penso alle mie mani sotto la sua maglia leggera. Penso alle sue mani sulla mia schiena.

… Penso al pavimento fresco, e ai nostri corpi caldi. Ai baci, alla sua voce, ai suoi capelli che mi solleticavano la faccia,  alle mie labbra sulle sue, sul suo collo, sul suo petto…

…io impazzisco, giuro. Finisco sigaretta e coca cola praticamente in contemporanea. Getto la matita di lato, La camera è piena di nebbia al tabacco. Se entrasse Jaken si incazzerebbe di brutto. Apro la finestra, e lascio che l’aria fresca di fine ottobre entri nella mia stanza e spinga fuori il fumo.

Mi sforzo di pensare a Miroku, che vuole organizzare una festa di Halloween, questo fine settimana. E pretende che io mi travesta, come lui. Non so proprio da che parte iniziare. Da cosa posso vestirmi? Il mio fumetto non è ancora così famoso da tentare un cosplay. Però il mannaro potrebbe andare bene, come travestimento. Chissà da cosa si vestirà Kagome.

Kagome. La sto prendendo in giro? Sbatto la testa sul davanzale della finestra quattro o cinque volte. Io ai trent’anni non ci arriverò mai, continuando così. Diventerò un alcolizzato e morirò sotto un ponte in preda alle mie turbe mentali. Quando sono con Kagome mi sento sulla montagna più alta del mondo. Lei è così morbida, dolce… e sa di vaniglia. Io ho sempre adorato la vaniglia, mangerei quintali di gelato con questo gusto. E poi mi abbraccia e mi tiene stretto così tanto che sembra che voglia fondersi con me. Ripenso a ieri, che, approfittando di uno Shippo ipnotizzato dai cartoni, ci siamo lanciati sotto il tavolo per un paio di minuti. Quando siamo riemersi lei era rossa come un peperone e tentava di far finta di nulla, mordicchiandosi le labbra per non ridere. Quando sono con lei non penso mai a Kikyo. Beh, quasi mai. Kagome ha la bruttissima abitudine di nominarmi sua cugina, ogni tanto. Ma quando lei non c’è… Kikyo si fa strada nella mia testa e bussa alle mie meningi, forza la serratura ed entra. Non si può vivere così…

BIIIIP BIIIIP! Il telefono reclama la mia attenzione. E’ un messaggio. Kagome:

“Ciao Inu! Cosa stai facendo? Avevo una mezza voglia di andare a fare un giro, stasera.

Sorrido. “Per me va bene, Dove vuoi andare?”  Mi dirigo verso il bagno con il cellulare in mano. Kagome odia l’odore di fumo, mi ha già chiesto un paio di volte di smettere. Io diciamo che ho ridotto. Un po’. Beh, giusto la sigaretta del mattino, prima di andare a scuola…

“Una Cioccolata al bar vicino a casa mia?”

Ok, parto tra cinque minuti.”

Sul pianerottolo incontro mio fratello, che esce dallo “studio” del piano. Lo saluto distrattamente e lui risponde allo stesso modo. Come sempre, in questi ultimi giorni non ci siamo parlati molto,  ma noto che sembra diverso. La sua faccia è impassibile, ma il suo umore mi sembra più variabile ed imprevedibile. Un secondo prima sta cenando tranquillo, degustando il vino come suo solito e ascoltando con aria distratta le notizie del telegiornale. Un attimo dopo si alza di scatto e va al pc a controllare la posta. Poi guarda il cellulare, il palmare (che è praticamente la stessa cosa del computer) e torna alla sua sedia come se niente fosse.

Deve esserci di mezzo quella donna che ho visto sgattaiolare da casa un paio di settimane fa…L’ho vista solo di sfuggita… ma aveva un posteriore niente male. Sesshomaru ha gusto per queste cose, devo rendergliene atto.

“AH, Inuyasha!” esclama. Che vuole adesso? Mi volto, guardandolo di traverso.

“Ti pregherei di smettere di fumare in camera.

“La camera è mia, che fastidio ti dà? Non la devi usare tu, no? E poi tengo la porta chiusa.”

“L’odore di fumo passa ovunque. E io lo odio.” Si volta e scende dalle scale.

Lo mando a quel paese silenziosamente e proseguo per i miei affari.

 

Sesshomaru entrò nel salotto a pianoterra. Jaken stava mettendo in ordine i cuscini del divano.

“Non c’è Rin stasera?” domandò al maggiordomo.

“Oh, no, signor Sesshomaru, la bambina questa sera rimarrà a casa. I suoi genitori sono tornati da Los Angeles e rimarranno qui sino a domenica sera. E’ passata cinque minuti fa, mentre lei era in bagno, si è scusata per non poter restare stasera e ha aggiunto che passerà domani pomeriggio, dopo la scuola.

Sesshomaru annuì. Non capiva l’atteggiamento di Rin verso i suoi genitori. La lasciavano costantemente sola, non si curavano molto di lei, ma non appena chiamavano prospettando un loro ritorno (in genere regalandole un preavviso di poche ore, se non minuti), la bambina andava in brodo di giuggiole e perdeva la testa. Si abbandonò su una poltrona, accendendo la televisione senza prestargli tuttavia grande attenzione. Forse anche lui era stato così da piccolo, nei confronti di suo padre. Cercò di concentrarsi per ricordarsi qualcosa, ma gli venne in mente soltanto la rabbia provata quando se ne era andato di casa con “quella donna”.

La televisione gli proponeva soltanto programmi inutili. Dopo un annoiato zapping decise di spegnerla e di dedicarsi ad un libro. Prima, però, passò davanti al computer e gettò un’occhiata alla casella di posta elettronica. Qualche spam (Enlarge your penis! Prometteva una mail. Come se lui ne avesse bisogno…), una mail di lavoro e un’altra newsletter di un quotidiano finanziario. Nessuna e-mail interessante.

E dopo la telefonata di qualche giorno prima, nessun segno di vita da parte di Kagura. Come gli aveva detto durante il loro ultimo incontro (Numi del Cielo, ma davvero Sesshomaru si era presentato su quella carretta di Jaken?) aveva ricevuto la chiamata da lei e da suo fratello, come ultimo tentativo, giusto un paio di giorni più tardi. Lui aveva tergiversato, rimanendo più sul no che sul si, e negando un ulteriore incontro chiarificatore. La voce di Naraku, al telefono, tradiva un malcelato disappunto, preludio a una tempesta che la sorella gli aveva preannunciato. E che sino a quel momento non si era verificata, ma tant’è, erano passati solo pochi giorni.

Forse lei è riuscita a calmarlo e a lasciar perdere. Pensò Sesshomaru, dirigendosi verso la libreria e cercando un qualche volume da sfogliare. O forse lui ha sfogato al sua ira su di sua sorella. Disgustato, l’uomo gettò il libro sullo scaffale. Prontamente, Jaken ripristinò la sua esatta collocazione.

Non aveva modo di contattare la donna. Certo, aveva il suo indirizzo e-mail, e anche il suo cellulare aziendale. Ma di certo a Naraku non sarebbe passato inosservato un contatto tra loro al di fuori dell’orario di lavoro. Quando l’aveva sfiorata, sull’auto, lei si era ritratta dolorante. Che diavolo aveva?

Inuyasha irruppe nella stanza, puntando verso il corridoio. “Io esco.”

Giusto, un bel giro in macchina l’avrebbe distratto e gli avrebbe scrollato di dosso la noia. “Jaken, la giacca.”

Come se il maggiordomo l’avesse sempre a portata di mano,  Sesshomaru si trovò la giacca addosso con le chiavi dell’auto in tasca. Suo fratello lo notò. “Esci anche tu?”

“No, vado a farmi una doccia a casa dei vicini. Rispose sarcastico. Inuyasha roteò gli occhi dorati al cielo. “Dove vai?”

“Al Tempio scintoista.” Sesshomaru espresse sorpresa per l’alto valore spirituale del fratello.

“Vado a prendere la mia ragazza

“Hi! Ti sei messo con una monaca! Crescere fra le pinguine ti ha fatto male…”lo stuzzicò.

Inuyasha lo salutò con il dito medio alzato. “Sesshomaru, ma vai a cagare…”

 

Brrr. Fa freddo. Anche se mi sono imbottito bene e ho una sciarpa di un metro avvolta intorno alla faccia, andare in bici a fine ottobre è terribile.

Se poi quella benedetta ragazza si muovesse… la sto aspettando sotto casa da un quarto d’ora ormai. Mi soffio sulle mani: l’aria mi ha reso le dita dei ghiaccioli.

Vedo un’ombra muoversi nel vialetto buio del Tempio: “Era ora!” le urlo.

L’ombra arriva sotto il lampione. Dannazione, non è Kagome, è Kikyo. E le gambe mi ritornano molli molli.

“Ciao.” Biascico, fingendo che il tremore sia dato solo dal freddo.

“Ciao” risponde, guardano per terra. “Kagome arriva subito.” Si infila le mani in tasca nervosamente, giocherellando con le scarpe. “Non sapeva cosa mettersi…”

Mi assale il dubbio che anche lei viva qui.

“Oh, no. Ero solo qui per cena…!” Risponde. “Senti… Inuyasha, io…”

“ECCOMI!” Kagome percorre il vialetto in tre balzi e mi è subito al fianco, schioccandomi un bacio sulla guancia. Sprizza gioia da tutti i pori, mentre io cerco di affogarmi nella sciarpa. “Ti ho fatto aspettare molto?”

“Altroché!”

“Scusami… andiamo per la cioccolata?”

Annuisco. E gradirei anche alla svelta. Kagome si volta verso sua cugina. “Vuoi unirti a noi?Qua la cioccolata è buonissima!”

Cosa? Ma sei pazza? Lei non può vedere, ma io credo di aver perso qualsiasi colore dalla faccia, a parte una vaga sfumatura blu morte. Faccio furiosamente segno di no con la testa a Kikyo. Ti prego, ti scongiuro. Non venire, non venire, non venire! La cioccolata è anche afrodisiaca…

Per mia somma fortuna, Kikyo pare aver capito la situazione. “No, grazie… domani ho lezione alle 8.00. Divertitevi, e tornate a casa presto! Saluta e si dirige nella parte opposta alla nostra, sparendo ben presto dietro ad un angolo, quasi andando di corsa. Dal sollievo vorrei vomitare…

Kagome mi bacia. “Avevo davvero voglia di vederti. Sai, non ho molta voglia di andare a prendermi una cioccolata. In casa ci siamo solo io e mio fratello. Nonno è ad una gita per la terza età, e mamma è uscita con due sue colleghe. Ti va di entrare?”

“Ma tu non sei normale!” abbaio. “Mi lasci qui fuori a congelare perché non sai cosa metterti per poi rimanere in casa?”

“Io sono in ritardo solo perché mio fratello stava occupando il bagno!” protesta lei. “Secondo te, ci impiego un quarto d’ora per decidermi poi di mettere jeans e maglietta?”

…ho il dubbio che Kikyo mi abbia detto una bugia e sia uscita apposta proprio in quel momento… “Va bene, entriamo…”  biascico, mentre la seguo per il vialetto. Da come cammina, e dalla distanza che ci separa, direi che le ho rovinato il buon umore.

Suo fratello mi accoglie calorosamente, come se non vedesse l’ora di vedermi. Sembra che straveda per me, e mi invita a una partita a playstation di Tekken. Guardo Kagome, che non ricambia, preferendo una parete a me, e poi di nuovo Souta. Che diamine. Vorrei proprio giocarci…

“Kagome, ti scoccia se…”

“SI!” La sua faccia è terribile. Mi faccio piccino piccino in un angolino a terra, mentre Souta è madido di sudore. “Facciamo un’altra volta, è meglio…”

 

Sesshomaru decise di dirigersi fuori città, verso le prime colline e di lanciare la sua auto in velocità sui tornanti. Al terzo semaforo rosso, con la pazienza ormai in scadenza, si abbandonò sul sedile sbuffando. E in quel momento il suo cellulare suonò. Guardò il display colorato. Numero Privato.

“Si?”

James?”

Dalla sorpresa l’uomo si riscosse, dando un involontario colpo al clacson. L’uomo davanti a se alzò il braccio per accompagnarlo a quel paese.

“Si? Vesper, sei tu?” Inutile dirlo, usare quei nomi in codice, adottati la sera che l’aveva portata nella sua stanza, era una cosa che lo intrigava. Il fascino dei loro incontri praticamente proibiti, e il pericolo latente che sovrastava la frequentazione della donna, lo attirava.

“Ho poco tempo, ti disturbo?”

“Dimmi”

“Sono in una cabina telefonica davanti al pub Black Friar

“Libera uscita?” Sesshomaru fece partire il programma di navigazione satellitare sul palmare. Il Pub non era molto lontano da dove si trovava lui. “ti manca la compagnia per far baldoria?”

“Se non hai nulla di meglio da fare…”

Il semaforo divenne verde e Sesshomaru seguì le indicazioni stradali del palmare.

 

Io adoro la famigliare regola ferrea che impone ai ragazzini di andare a letto alle dieci. E adoro i ragazzini obbedienti come Souta, che seguono alla lettera, quasi senza lamentarsi, gli ordini delle sorelle maggiori. E adoro il fatto che, finalmente, sono riuscito a far togliere il broncio a Kagome. Un po’ facendole vedere il fumetto, che sta crescendo, e un po’ facendo gli occhi dolci e abbracciandole le spalle.

Ma la cosa che adoro più di qualsiasi altra cosa al mondo, è che il divano di casa Higurashi (Santi numi, che cognome impronunciabile che ha la mia ragazza) sia così comodo per le pomiciate adolescenziali.

E che Kagome si stia lasciando andare più di ogni mia più rosea aspettativa. Non avere nessun moccioso fra le scatole porta davvero i suoi frutti. Ci stiamo baciando da dieci minuti, quando praticamente senza accorgermene è finita letteralmente a cavalcioni sulle mie ginocchia. Non frena nemmeno l’esplorazione della mia mano sotto la sua maglietta. La stringo ancora di più verso di me. “Hey! Vacci piano!” protesta, abbandonando per un istante le mie labbra. Ha le guance in fiamme, e io mi sento la gola riarsa. Forse è meglio lasciar perdere perché  non so bene fino a che punto riescirei ad arrivare senza perdere la testa e non fermarmi. Però la continuo a tenere sulle mie ginocchia, qualche centimetro vitale più lontano da me.

“Hai deciso da cosa vestirti per la festa di Miroku?” mi domanda lei.

Alzo le spalle. “Mannaro, credo.”

“Hai la fissa con i Mannari!” Ridacchia. “Invece il mio vestito è una sorpresa.”

Dai, dimmelo. Cerco di convincerla. Lei scuote la testa. La bacio di nuovo. I suoi occhi castani le brillano.

Sentiamo un rumore di chiavi nella toppa di casa, e io mi ritrovo improvvisamente ad avere il joystick della playstation fra le mani, al posto della mia ragazza, mentre al mio fianco Kagome è nella mia stessa identica posizione con l’aria più innocente del mondo. Comincio a pensare che questa sia una tecnica già rodata, a casa Higurashi.

“Oh! Ciao Mamma!”

“Ciao Tesoro!” La mamma di Kagome mi guarda stupita e poi mi sorride. “OH, ciao! Tu devi essere Inuyasha! Kagome mi ha parlato molto di te!”

“MAMMA!”

“’sera, eh!” Forse è ora di andare a casa. Mi alzo. “Bene, Kagome, tua madre è arrivata, quindi tu… tu non hai più bisogno di compagnia… non hai più paura, no?” Sono un pessimo attore, non riesco a nascondere nemmeno la più blanda forma di imbarazzo.

“Esatto!” esclama Kagome. Lei sembra più naturale. “Ti accompagno al vialetto.”

“Già, non si sa mai che mi perda…”

La madre di Kagome cinguetta un saluto, che io ricambio. “Torna presto a trovarci!” si raccomanda.

Kagome mi trascina fuori. “Santo cielo, che imbarazzo!” commenta, arrivati alla mia bicicletta. Smentisco di essermi trovato in difficoltà. Mi chino verso di lei per baciarla. “Hai fatto proprio bene ad invitarmi fuori, questa sera…” sussurro, a fior di labbra. “Si, lo so che sono un genio” mi risponde, ridendo.

“I tuoi vanno fuori spesso?” lei scuote la testa “Saper cogliere la palla al balzo è un’arte!”

“Allora la prossima volta verrai a casa mia. E’ un invito, non può mancare, e infatti annuisce. Ci scambiamo la buona notte. Anche se devo dire che dopo il nostro scontro sul divano io ci impiegherò un po’ di tempo per addormentarmi. Forse prima dovrei farmi una doccia gelata…

 

L’Aston Martin era lanciata ai 140 all’ora sui tornanti delle colline fuori dalla città, ma Kagura non ne sembrava per niente intimorita. Sesshomaru teneva bene il volante, e la sua guida era pulita e sicura.

La donna ruppe il silenzio:

“Ti vedo bene come pilota di rally”

Lui scosse la testa: “Il rally e da rozzi. La Formula Uno è decisamente al mio livello.

Sterzò verso una piccola stradina che portava al parcheggio di un punto panoramico delle colline. Frenò e spense il motore. “Che bella vista” commentò Kagura, liberandosi dalla cintura di sicurezza. “Non lo conoscevo questo posto.” Scivolò sul sedile e si avvicinò all’uomo, avvicinando il viso al suo collo.

Lui non ricambiò, lo sguardo fisso alla città illuminata. “Perché l’altra sera ti sei ritratta? Ti faceva male qualcosa?”

Lei finse sorpresa. “Non ne avevo molta voglia… e poi in un parcheggio di un supermercato non mi sentivo sicura e…”

L’uomo le rivolse uno sguardo scettico, prima di passare la mano nel punto esatto in cui l’aveva passata l’ultima sera che si erano visti. Anche questa volta, Kagura trasalì impercettibilmente. Senza aspettare altro, Sesshomaru armeggiò con i bottoni della camicetta, non dando adito alle debole scuse della donna. Lei gli prese le mani con fermezza. “Ti prego, lascia stare.”

I loro occhi si incontrarono.“Naraku se l’è presa con te?” La donna sembrò esitare un attimo, poi annuì piano.

“E tu stai cercando di rimediare a quello che lui giudica “un tuo errore”?” 

Questa volta lei scosse la testa. “Sarebbe più facile, se io cercassi di convincerti a tornare sui tuoi passi, ad accettare l’accordo, ma non ci provo nemmeno a farlo. Riuscirei di certo a farti cambiare idea, non è vero Sesshomaru? Tu sei sagace, determinato, irremovibile. E so che questa battaglia non potrei vincerla. E lo sa anche Naraku.” Si ritrasse sul suo sedile “Per questo ha deciso che giocherà tutte le sue carte illecite. Per fartela pagare.”

L’uomo alzò le spalle.

“Già dalla prossima settimana inizierà quello che già di ho raccontato la volta scorsa. Intimidazioni burocratiche e via dicendo. Guardatene bene, Sesshomaru.” Aprì il finestrino dell’auto e si accese una sigaretta. “Non pensare davvero che io ti stia chiedendo di liberarmi da lui. E’ una cosa che posso fare anche da sola, non sono un’idiota.

“E allora perché mi hai chiamato?” Anche l’uomo aprì il finestrino, infastidito dal fumo.

Lei rimase in silenzio un secondo.“Per prendere una boccata d’aria fresca.” Rispose semplicemente. “E’ meglio che mi riporti indietro, ora.”

“E se ti portassi a casa mia? Così, per farti prendere un’ulteriore boccata d’aria fresca”

Lei sorrise amaramente. “Sei uno che mira dritto al punto, eh?” Inspirò un’altra boccata di tabacco. “Non mi dispiacerebbe nemmeno sulla macchina, però…”

“Scordati” rispose Sesshomaru, quasi offeso, avviando l’auto. “L’Aston Martin è SACRA.”

 

Si, la doccia gelata era quello che ci voleva. Mi infilerò sotto le coperte, ora, con l’ultimo numero di un fumetto che ho appena preso, e mi sveglierò domani come se niente fosse.

Apro la porta del bagno ed esco in corridoio. Dalle scale sento delle voci soffuse che si avvicinano. Mi ritrovo davanti mio fratello con una bella donna mora, diversa dalle modelle che pensavo frequentasse. Probabilmente è la stessa donna che ho visto uscire di casa.

 “Buona notte, he!” ecco due che andranno sino in fondo questa sera…

Lei mi guarda un po’ incuriosita, poi mi saluta appena, mentre mio fratello mi lancia uno sguardo di vittoria “Molto meglio della tua monachella…”

Sesshomaru, ma vai a cagare…

 

Una boccata d’aria fresca. E’ quello che ci vuole per chi vive chiusa tra uffici e ville lussuose e fredde, sognando un’esistenza al di fuori da quelle quattro mura. Una boccata d’aria fresca per illudersi di essere libera da obblighi e costrizioni.

Una boccata d’aria fresca e pura, che sa di uomo, che ti sfiora la pelle come se fosse prezioso velluto, sfilandoti gli indumenti con fermezza e dolcezza allo stesso momento, al buio che tu hai voluto che ci fosse nella camera, per nascondere al suo sguardo dorato quei marchi infami sul tuo corpo.

Un colpo di vento che ti scioglie i capelli, che ti spinge tra le sue braccia, che ti lega a lui e che ti trascina sui cuscini.

Una tempesta che ti prende in pieno, ti porta in alto, ti fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio, che ti da le vertigini, che toglie il respiro.

E alla fine, un soffio gentile di primavera, che ti ridona piano l’ossigeno.

“Devo andare.” La voce di Kagura è quasi spezzata. L’incanto è finito, Mezzanotte è passata e Cenerentola è tornata coperta di cenci.

“Ti accompagno”

“Grazie”

“Dovresti prenderla più spesso, la tua razione d’aria fresca”  Sesshomaru percepisce il sorriso triste di Kagura, nell’oscurità. “Hai ragione. Per esempio ogni giovedì, nello stesso punto dove ero stasera, alla stessa ora. Sospira. “Se ci saranno ulteriori occasioni, te lo farò sapere.

“Non devi rischiare troppo.”

 

 

Devo fare un’altra doccia fredda! Dannato Sesshomaru, i muri di questa casa sembrano fatti di cartone!

 

 

“Allora state davvero insieme, eh!”

Finalmente Miroku si è convinto. Pare quasi deluso, a dire il vero. Stiamo per entrare in campo, la seconda partita del campionato, e lui fa una corsetta sul posto per riscaldarsi. “E a che punto sei arrivato, brutto mascalzone?” ridacchia.

Lo guardo di sbieco. “Non sono un maiale tuo pari.”

“Ti sconsiglio di farlo sapere a Koga” mi sussurra.  “Ha una cotta per lei dai tempi delle medie, l’anno scorso è riuscito pure a strapparle un invito per una cena da McDonald. Ma dopo di quello lei le ha dato tutti due di picche.

Guardo Koga, alle spalle di Miroku. Mi guarda con occhi di fuoco, ha in mano un pallone che colpisce continuamente con l’altro pugno, come se fosse la faccia di qualcuno. Probabilmente la mia. Mi nasce il sospetto che lui abbia capito prima di Miroku che io e Kagome stiamo insieme.

Miroku non se ne accorge. “Dopo la partita andiamo a fare spesa per la festa?”

Ah, cavolo è vero. La festa. E’ domani sera. E io devo ancora trovarmi un vestito. L’arbitro chiama le formazioni e noi entriamo in campo. Individuo Kagome sugli spalti, mi saluta agitando la mano. Le sue amichette ridacchiano come sempre, sembra che non facciano altro nella vita, mentre Sango, sembra quasi inebetita. Miroku la saluta saltellando ripetutamente, ma lei sembra non rendersene conto, mentre il Miroku Fan Club impazzisce.

 

Mi guardo allo specchio, infilandomi i denti finti. Così il mio travestimento è perfetto. Questo è un tocco di classe. Tra i bauli della soffitta ho trovato un paio di pantaloni di pelle nera (temo che mio fratello abbia passato un periodo punk, alla mia età) e una vecchia pelliccia, probabilmente appartenuta alla contessa. Una vecchia canotta strappata e le zanne finte completano l’abbigliamento. Passando per il corridoio, all’uscita, ho causato un attacco cardiaco a Jaken, mentre Rin, vestita da adorabile streghetta, si è messa a ridere, applaudendo e mi ha fatto una foto. Mio fratello si è vergognato, un’ulteriore volta, del suo albero genealogico. Poi ha mugugnato qualcosa sul dove fossero finiti i pantaloni di pelle che tanto aveva cercato.

Inforco la bici e mi dirigo verso casa Higurashi. Durante il tragitto incontro un sacco di bambini travestiti, gli faccio qualche verso e loro ridono e fingono timore.

Io adoro questa festa.

Arrivo al tempio che Kagome sta percorrendo il vialetto, Sango con lei. Trovo sia un miracolo la loro puntualità

E’ avvolta da un lungo cappotto nero e si è tirata il cappucci quasi sugli occhi. Intravedo occhiaie truccate e rivoli di sangue. Sangue invece è chiaramente una strega con il cappello a punta. Saluta. Questa sera sembra più sollevata.

“Ma allora non ti sei travestito da mannaro!”esclama Sango, guardandomi bene.

“CERTO! cosa credi che sia questo?” Le domando piccato.

“… un transessuale…” ride Kagome. “Sai quel’è invece il mio vestito?” getta il cappotto a terra. Indossa un camice bianco, opportunamente sporcato di tintura rossa. Ha i collant strappati e addirittura gli zoccoli del Dr Scholl’s. In testa un cappellino con una crocetta rossa. Oh, maledizione…

“Sono un’infermiera KILLER!” esclama, estraendo un gigantesco, finto bisturi. “La mia cuginetta mi ha aiutato nel realizzare il mio vestito!”

…Io odio questa festa…

 

PLIN PLON. Suono io il campanello mentre Kagome nasconde di nuovo il bisturi abnorme e Sango si ritocca la matita nera intorno agli occhi. La musica che viene dall’interno dell’appartamento di Miroku mi indica che non siamo i primi. Ci apre la porta niente di meno che il conte Dracula in persona. Il padrone di casa ha badato ai minimi particolari. Ha anche in mano un bicchiere contenente liquido rosso, e ha decorato la casa con ragnatele finte, zucche e candele d’ogni sorta. Ginta si è lanciato a fare il DJ su un cartone a forma di bara.

Eccovi! Temevo vi avesse rapito Jack O’Lantern!” esclama. “Sango, stai benissimo vestita da strega!”

“AH, Grazie!”dal tono che ha usato, sembra che lei non l’abbia preso proprio per un complimento. “E pensare che ti ho anche dato una mano per decorare la casa!”

Miroku però è la felicità fatta a persona. “Ed è per questo che la festa è un successone!”

Koga ci si avvicina, avvolto in chilometri di carta igienica. Complimentoni per l’originalità…Una Mummia in formato convenienza a tre veli super resistente. Chissà se è di quelli che proteggono la natura?

Hey, Inuyasha, mi spieghi cosa c’entra un transessuale per Halloween?”

Si, io odio questa festa…

 

 

 

Eccomi qui, con il decimo capitolo! Fatemi sapere cosa ne pensate, vi prego! Potrebbe andarne del destino della Ff e dei suoi personaggi…consigli e commenti costruttivi sono fantasticamente accetti.

Ringrazio intanto chi ha commentato sino ad ora… danke, danke danke!

AH: nessuno ha notato la dualità delle vicende di Inuyasha e Sesshomaru? Sono due fratelli diversi, con vite diverse date dalla loro diversa età e dall’ambiente di cui fanno parte, però…

…però non notate che, in fondo, gli succedono le stesse cose?

Forse sto dando un po’ troppo spazio alla coppia Sesshomaru - Kagura. Ma, cribbio, mi piacciono troppo…

 

 

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Capitolo 11
*** Moonlight Shadow ***


Capitolo 11:

Capitolo 11:

Moonlight Shadow

 

 

Novembre è un mese che scivola via tra le dita come sabbia. E’ il preludio alle festività invernali, al Natale, alla fine dell’anno.

E’ il mese in cui l’autunno scatena tutta la sua potenza, riversando sulla testa delle persone gelide piogge scroscianti, accompagnate da un vento freddo o da una spessa coltre di nebbia pungente.

Per questo validissimo motivo ho smesso di andare a scuola in bicicletta, mi faccio portare da Jaken, insieme a Rin. L’automobile nera con l’autista fa comunque un certo effetto.

Kagome invece arriva in autobus con Sango e le sue amichette insopportabilmente ridacchianti. Mi piacerebbe sapere che diavolo si dicono tutto il tempo. Probabilmente le chiederanno se mi comporto come l’eroe di quel romanzo stupido sugli adolescenti. Pare che non abbiano in testa altro che quelle stupidaggini. Sia ben chiaro, io voglio davvero bene a Kagome, ma arrampicarmi su un cavalcavia per scrivere che con lei mi sento 3Metri sopra il Cielo mi pare la cosa più idiota di questo mondo. Sono sicuro che la mia ragazza è intelligente abbastanza da capire che queste sono emerite cazzate e che io non farò mai una cosa del genere. Anche perché alla mia pellaccia infame ci tengo terribilmente.

Ad ogni modo, quasi senza accorgermene, siamo alla fine di Novembre, sempre tra alti e bassi. Gli alti sono dati dal fatto che ogni pomeriggio sono a casa di Kagome (anche se mi costringe a fare i compiti…), i bassi sono sempre gli stessi.

Già, perché a distanza di un mese e mezzo, ormai, dall’inizio della nostra storia, io non riesco a non fissare la foto di Kikyo posta sulla parete del corridoio di casa Higurashi.

“Bella vero?” mi ha detto una volta Kagome. “Gliel’ha fatta mio nonno un giorno che era in giardino. Gli è venuta così bene… sembra fatta da un fotografo esperto, vero?”

Kagome… mi dispiace pensarlo, davvero, ma è il soggetto che rende la foto bellissima, e non l’abilità del tuo ottuagenario e lamentoso nonnino.

BASTA PENSARE A KIKYO!! Mi sgrido, tirando mi un pizzicotto sul braccio. Ho deciso che faccio così ogni volta che mi accorgo di pensare alla cugina della mia ragazza. E il mio braccio è tutto un livido già da un bel po’… questo fa di me un autolesionista?

Per distrarmi dai miei pensieri e dal mio braccio livido e dolorante focalizzo la mia attenzione sul mio compagno di banco.

Simo in un’ora libera, la professoressa Kaede quel giorno è impegnata con un’altra classe e noi siamo sotto la custodia di Myoga, che, non avendo la sua ora di lezione, decide di lasciarsi andare a sproloqui simil-filosofici con chi lo degna di attenzione. In tutta la classe, solo Sango e la sua compagna di banco, Tsuya.

Miroku sta tranquillamente leggendo il mio fumetto. Finito quello che dovrebbe essere il “primo volume”, sono andato alla biblioteca della scuola e l’ho fatto rilegare. Figura molto meglio ed è più facile da leggere.

Allungo il naso sul capitolo della storia che Miroku legge. E’ il primo scontro di Ike LeChien, contro uno strano demone, metà donna e metà millepiedi, salvando, senza volerlo, la vita a Kitty Lee, l’unica che, a parte lui, riesce a vedere il demone.

“Non hai trovato un nome adeguato al demone…” nota Miroku. “ E come ti è venuto in mente un essere così mostruoso?”

“Avevo mangiato pesante…” mi giustifico “ …idee, per il nome?”

Lui ci pensa un po’ su, appoggiando il volume al banco. “Mukadeioro”  suggerisce. Poi nota la mia faccia perplessa. “E’ un essere mitologico giapponese, metà donna e metà millepiedi” spiega, con aria saggia.

Sembra che qualcun altro abbia avuto la mia stessa cena. “E come titolo del fumetto? Cosa proponi? Provvisoriamente l’ho chiamato come il protagonista. Che ne dici?”

Miroku scuote la testa. “Dire qualcosa che richiami la condizione di mannaro quale Ike è. Qualcosa del tipo WereIke.

No, non mi piace. 

Full Moon Ike?”

Nemmeno questo. Mi ricorda Full Metal Alchemist.Lords of Full Moon?”

Storce il naso. “Sembra Lord of The Ring. CI SONO! Moonlight Shadowche ne dici?”

Non suona affatto male. Apro il mio blocco da disegno. Ho già in mente la copertina. Mentre getto giù uno schizzo veloce, la lampadina sulla testa di Miroku rimane accesa.

“Di un po’, Inuyasha… non manca tanto a Capodanno… dobbiamo inventarci qualcosa…”

Capodanno? E ci pensi al 24 di Novembre?

Sango accarezzava la testa del suo fratellino infortunato. Una brutta storta ad allenamento e il coach aveva preferito lasciarlo a casa per la prossima partita. Ovviamente lui aveva preso malissimo l’esclusione, e lacrime di rabbia impotente gli rigavano le guance.

“Se fosse capitato ad Hakudoshi avrebbero fatto di tutto per rimetterlo in sesto!” fremette, abbandonandosi all’abbraccio della sorella.

Sango deglutì. Forse sarebbe riuscita ad estorcere a Kohaku qualche informazione utile. “In che senso rimetterlo in sesto?”

“Vitamine” Il ragazzino si asciugò le guance con una manica della tuta, tirando su con il naso. “Fisioterapia. E un po’ di antidolorifici”

“E’ così importante Hakudoshi  per la squadra?”

Lui annuì. “E poi è il cugino del presidente. Lui non può stare in panchina.”

Kohaku, non fa bene prendere porcherie, lo sai…”

Lui sbuffò, alzandosi nervosamente di scatto. “Che cavolo! Ho detto che sono vitamine!”

“E le prendete tutti?”

“Mi stai facendo il terzo grado, Sango?”

Lei rispose affermativamente. “Voglio sapere cosa prende mio fratello per aver messo su quella massa muscolare in così poco tempo, per svenire ad allenamento e per avere quella resistenza durante la partita.

“Ci stiamo massacrando di allenamenti!” urlò lui, dirigendosi zoppicante verso la camera. “Sminuisci così il mio impegno?” lei lo seguì. “Scusami!” gli urlò. “sono solo preoccupata. Da quando la mamma è morta mi sembri cambiato così tanto… e io a volte non mi sento capace di aiutarti.

Lui la guardò, lo sguardo addolcito. “Lo so, Sango.” Si gettò tra le sue braccia. “Non preoccuparti. Va tutto bene” E la sorella, rispondendo all’abbraccio, sperò con tutte le sue forze che fosse vero.

 

Questa sera devo mangiare alla svelta. Ho appuntamento al cinema con Kagome, e non ho assolutamente intenzione di arrivare in ritardo.

Sesshomaru mi guarda come sempre schifato, ma la cosa non mi interessa minimamente, come al solito. Rin invece, è allegra e chiacchierona come al solito. Mi ha chiesto se mi rivesto da Mannaro, perché alcune sue amichette vorrebbero vedermi. Potrei anche farlo, a 8 anni non sanno cosa sia un trans. Credo.

“Signor Sesshomaru, è gia nevicato in montagna, quando mi porterà a sciare?” Chiede Rin, arrotolando gli spaghetti alla forchetta.

Mio fratello si pulisce l’angolo della bocca. “Il prossimo weekend apriranno gli impianti, Rin. Jaken può chiedere ai tuoi genitori se sono d’accordo a farti passare un fine settimana in montagna.

“…E dove?” mi infilo nella conversazione. Non ho mai provato a sciare, potrebbe anche essere divertente.

“Sul monte Hakurei” risponde semplicemente Sesshomaru. “Abbiamo una baita lassù. A nostro padre piaceva la montagna.”

“Davvero? Mi ricordavo una casa al mare, ma la baita no…”

“Eri troppo piccolo per andare a sciare in montagna e tua madre amava il mare. Si infilò un altro piccolo boccone in bocca.

“Che fine ha fatto la casa al mare?” domando, fingendo indifferenza. Potrebbe essere utile per una scappatella romantica  con Kagome. O per la festa di Capodanno tanto auspicata da Miroku.

“L’abbiamo venduta.” Il tono di mio fratello è secco, non ammette ulteriori domande. Ma visto che ormai l’argomento è affrontato, allora vado sino in fondo. Mal che vada mi tira il piatto di pasta al pomodoro addosso.

“E la baita in montagna me la presteresti?”

Lui appoggia le posate al piatto. Non mi pare un buon segno. “Quando?” sibila.

Cerco di mantenere la massima calma, fissando Rin che mi guarda con i suoi giganteschi occhioni limpidi. “Per Capodanno.” Rispondo. “Volevo fare una festicciola con un paio di amici”

Mpf!” risponde lui, alzando le spalle. “Prenditela pure anche per tutta la settimana. Non vado in vacanza quando c’è tutta quella gente.”

“E io invece sarò alle Maldive con mamma e papà!” esclama Rin sprizzando gioia da tutti i pori.

Sono sbalordito. Rimango a bocca aperta con la forchetta a mezz’aria. Che diavolo sta prendendo a mio fratello, tanto geloso delle sue cose? Quale demone dell’inferno si è impossessato del suo corpo? O si tratta di un extraterrestre venuto ad invaderci ed impiantatosi nel suo cervello?

“Mangia, che si raffredda” ordina lui, glaciale.

Beh, visto che siamo nelle spese e lui sembra tanto in buona…

“Sesshomaru, posso provare a guidare l’Aston Martin?”

Mio fratello mi guarda di sbieco per dieci minuti filati, immobile, dall’altro lato del tavolo. Immagino che sia un NO.

 

Alla fin fine, l’Aston Martin non è poi così SACRA… pensò Kagura, lasciandosi scappare un sorrisetto soddisfatto, mentre scivolava di nuovo sul sedile del passeggero, aggiustandosi la gonna e la camicetta. Fosse anche un pochino più comoda…

Anche Sesshomaru si rimise a posto i vestiti, le gote ancora rosse dal caldo. Girò la chiavetta e abbassò di un paio di dita il finestrino della lussuosa automobile. “Non lo facevo in auto da quando avevo 19anni.” Confidò, guardando il paesaggio panoramiche che il parcheggio offriva. La luna era piena e illuminava l’erba dell’aiuola davanti alla quale avevano parcheggiato, stelo per stelo. “Dici che dovrò iniziare ad usare l’auto di rappresentanza , che è più comoda, o ricominciamo con gli hotel?”

Kagura ridacchiò di nuovo. “Non fare troppe storie. Questa volta avevo solo pochissimo tempo”

“Vuoi che ti riporti indietro subito?” La penombra lunare faceva sembrare il viso della donna di marmo, frutto di un fine scultore.

Il sorriso di Kagura si incrinò. La fine della sua “Boccata d’Aria” era arrivata prima del solito. Guardò l’orologio al suo polso. Doveva essere di ritorno a Villa Onigumo entro 40 minuti. “Avviamoci” disse, sospirando debolmente. Sesshomaru sfiorò la sua mano, prima di inserire la marcia e tornare indietro.

Quello era stato il quarto giovedì di incontri segreti che si concedevano. Avevano accuratamente evitato di tornare a casa di Sesshomaru, e si erano incontrati in anonimi hotel di periferia, un paio dei quali avevano fatto arricciare il naso raffinato dell’uomo. Tranne quella sera che Kagura aveva poco tempo,  e il sedile dell’Aston Martin era stata la loro scomoda alcova.

“Apri il cruscotto” disse Sesshomaru, gli occhi sulla strada. Dentro la donna trovò un cellulare. “Inutile dire di fare attenzione a non farti scoprire. Ho pensato che questo sarebbe stato più comodo.

Lei lo prese. Era un modello un po’ datato, ma piccolo e poco ingombrante: perfetto da tenere nascosto. Ringraziò. Poi si rivolse di nuovo all’uomo: “Hai avuto già problemi con Naraku?”

“Si” rispose semplicemente lui. Giusto un paio di giorni prima si era verificato un pignolo controllo da parte della autorità competenti sulla situazione finanziaria della Taisho Corp. Grazie alla segnalazione di Kagura, però, Sesshomaru era riuscito a far dare una “sistemata” in tempo ai registri aziendali. Poi due importanti clienti avevano misteriosamente ed improvvisamente annullato un paio di ordini molto importanti.. “Tutte cose che riesco ad arginare”

“E’ solo l’inizio…” sospirò lei. Indicò il punto esatto a cui accostare per farla scendere. “Grazie di nuovo.” Si avvicinò a lui e lo salutò ulteriormente con un bacio.

“Tuo fratello non va mai fuori dalle scatole per più giorni di fila? Odio aver fretta per certe cose…”

La frase strappò un sorriso triste alla donna. “Ci vediamo Giovedì prossimo, se tutto va bene. Buona notte, James

“Buona notte, Vesper

 

Questa volta con il film abbiamo sbagliato di brutto. Un polpettone noioso e senza fine, decisamente troppo impegnativo per le nostre menti libere e leggere. Abbiamo quindi impegnato il tempo a sbaciucchiarsi. Kagome adora pomiciare, ma prima o poi dovrò farle presente lo squilibrio ormonale che crea. E’ un disagio vero e proprio, e qui si dovrà pur far qualcosa, no? Altrimenti potrebbe davvero finire tutto con l’esplosione del mio corpo, come sostiene Miroku.

Ma sono sicuro che a Capodanno gli farò la festa, a questa ragazzina. A proposito: “Kagome, cosa fai a Capodanno?”

Lei alza le spalle. “Mi sembra un po’ presto per pensarci, no?”

“Beh, mio fratello mi lascia la baita in montagna, sull’Hakurei, e Miroku aveva intenzione di organizzare una festicciola…”

Lei sorride estasiata, applaudendo. “Io ADORO sciare!” Beate te, io non so nemmeno da che parte si infilino quei due stecchi. “Lo prendo per un si?”

Lei mi getta le braccia al collo. “Solo se mi prometti che passeremo un po’ di tempo io e te da soli…”

Ecco, brava Kagome, così ti voglio. Gli ormoni (che stranamente hanno le fattezze di Miroku) festeggiano la vittoria, stappando una bottiglia e dandomi il cinque.

 

 

“SI! E VAI!” Miroku balza sul banco, l’emblema della vittoria. Una nike senz’ali e provvista di braccia e testa in persona. Il resto della classe lo guarda basita. La professoressa non è ancora in classe, questo è vero, ma a nessuno pare un valido motivo per saltare sui banchi.

“Perdonatelo, è scemo” spiego, tirandolo giù a forza. Gli tiro anche una botta in testa per farlo rinsavire.

“Tuo fratello è un angelo!” urla lui. Vorrei farglielo conoscere, cambierebbe idea in un secondo. “Faccio subito partire il foglio delle adesioni!”

Il foglio delle Adesioni?

“Certo! Per la settimana in montagna!”Strappa un foglio dal quaderno e lo divide in tre colonne. Poi inizia a riempirlo con i nomi della miriade di persone che lui conosce. “Nella colonna in mezzo segniamo chi viene solo per il Capodanno. Nella Terza invece chi viene per tutta la settimana, partendo il 28 dicembre e tornando il 4 Gennaio”

“MA SEI CRETINO?” urlo, vedendo la lista di nomi che si fa di istante in istante più lunga. “Togli subito queste persone! Vuoi che devastiamo la casa e che mio fratello ci uccida??

Lui protesta “Oh, andiamo, è anche casa tua! Fatti valere un pochino!” Guardo la lista: “Togli immediatamente KAGA dall’Elenco!” sono a conoscenza che la mia voce ha assunto un tono eccessivamente isterico.

“Credo che Inuyasha non voglia tutte quelle persone tra i piedi. E non gli do torto!” si intromette Sango. La ringrazio con un cenno della testa.  A sentire le parole della ragazza Miroku si da una calmata. “Tu ci sarai?”

Lei alza le spalle. “Non so, non credo. Vorrei, ma devo sentire se mio padre è in ferie e…”

“Sango, ti prego. Anche solo per una sera. O due. Mi bastano poche ore per rendermi l’uomo più felice di questo Pianeta…”

“Inuyasha…” mi chiama, tenendo alla larga Miroku con il righello. “Cancellami da quell’elenco per l’amor dei Numi…”

“Guarda che viene anche Kagome…”

Tsuya, di fianco a lei, alza la mano: “Anche io vengo volentieri…ma solo per la notte di Capodanno…”

Sango sbuffa.

 

Attraverso l’atrio deserto, diretto agli spogliatoi. Quella spaccaballe di Kaede mi ha trattenuto in classe per parlare di un mio disastroso compito e io sono in ritardo per l’allenamento.

“HEY! INUYASHA!” mi sento chiamare da una voce che mi fa alzare gli occhi al cielo dall’esasperazione. Mi volto quanto basta per vedere Koga che mi raggiunge. “Ho saputo varie notizie su di te…”

“Tipo?”

“Tipo quella della festa in montagna a cui non mi hai invitato.” Ringhia.

“Ho le mie buone ragioni” ribatto, imboccando le scale. Lui mi trattiene per un braccio. “Senti, so che tu stai con Kagome Higurashi”

“…. Sono i dannatissimi cazzi miei, mi pare.”

Lui ringhia. “indubbiamente. Spero solo per te che si comporti meglio che come ha fatto in precedenza. Con tutti gli altri

Incrocio le braccia, guardandolo scettico. Cosa non si inventa un povero scemo per evitare che la donna dei suoi sogni cada in braccio ad altri?

“Sappi che il passatempo preferito di Kagome è quello di illudere i ragazzi e poi di abbandonarli in un angolo quando meno se lo aspettano” sibila.

Alzo gli occhi al cielo. Questa cosa potrebbe non essere poi tanto falsa, conoscendo la cugina…

Koga indica un angolo dell’atrio. Seguo il suo dito con lo sguardo. Nell’angolo delle fotocopiatrici Hojo ha in mano una risma di fogli, e guarda imbambolato la macchina delle fotocopie. “Sappi che lui non è stato sempre cosi!” detto ciò il mio compagno di squadra scende le scale. Mi scappa da ridere.

“Ah, e comunque io sarò presente tutta la settimana!”

“Attrezzerò il giardino con una cuccia per cani” rispondo, seguendolo con la mia solita calma menefreghista.

Lui si volta: “Se tu non lo sai ancora, mio padre è proprietario di un’azienda di trasporti per il turismo. Ci faremo portare sull’Hakurei in un pullman completamente gratuito.

Questo potrebbe essere positivo.

“Puoi farlo solo se mi prometti che starai alla larga da me e Kagome e che non ci romperai le scatole con le tue storie assurde.

Lui fa spallucce e scende le scale. Al basso, nascosta dalla ringhiera, vedo la solita ragazzina (Ayame, mi pare che si chiami) che lo segue sempre. Lo sta fissando come se volesse mangiarselo. Sorrido. Ho un’idea…

 

Vesper?Puoi parlare?”

“Si, James

“Domani sera non riuscirai proprio ad uscire?”

“No… mi dispiace. Perderemo un giovedì…”

“Peccato” L’uomo rispose nel cassetto della scrivania un pacchetto rosso, impreziosito da un piccolo nastro dorato. “Pazienza. Mi avvierò verso casa.”

“Non mi dire che sei ancora in ufficio a quest’ora!” finse sorpresa la donna. In realtà, era tornata a casa da poco più di venti minuti.

“Avevo alcune faccende da sbrigare. E tu? Non mi dire che farai una vigilia tradizionale… non ce lo vedo proprio quel bastardo di tuo fratello con il maglione rosso fatto a mano dalla prozia…”

Le sentì sospirare dall’altro capo del telefono. “L’apparenza prima di tutto.” Rimase un attimo in silenzio. “quando riusciremo a vederci?” La donna aprì un cassetto del comò e infilò una mano curata sotto tutte le sue preziose maglie. Le dita sottili sfiorarono un pacchettino blu, ornato di un fiocco d’argento.

“Capodanno?”

“Non lo so… ho una stupida festa di società… vuoi venire? La organizziamo sempre a Villa Esprit…”

“Uhm…non credo sia il caso, con Naraku nei paraggi. Ora devo andare. Jaken è specializzato in cene natalizie, e voglio arrivare prima al cenone, prima che mio fratello spazzoli tutto.

“C’è anche Rin?”

“No, è alle Maldive con i suoi genitori” disse Sesshomaru, una piccola punta di rammarico nella sua voce. “Buon Natale, Vesper.”

“Già. Si dice così” sospirò la donna. “Buon Natale, James

 

Nel suo studio casalingo, Naraku spense l’intercettatore ambientale. Kagura sapeva di essere controllata, ma di certo non si aspettava una cimice nascosta nella sua camera. Per l’uomo non era di certo una sorpresa quello che aveva sentito. Non ci voleva un genio per capire con chi sua sorella stesse parlando, e la farsa nel nome falso era totalmente inutile. Un sorriso maligno si fece strada fra le sue labbra sottili. Quella stupida le sarebbe stata di nuovo utile. Ma non ora. Uscendo dallo studio, incontrò i suoi cuginetti, Kanna e Hakudoshi che, uscendo dalla stanza della bambina, scendevano le scale verso la sala da pranzo, dove l’attendevano i loro genitori, venuti per festeggiare la vigilia di Natale.

“A Natale sono tutti più buoni” pensò Naraku, avviandosi anche lui verso la sala da pranzo. “E lo sarò anche io. Ma poi…”

 

 

Eccomi prolissa come al solito! Mi ero ripromessa un “giro di boa” al decimo capitolo… e invece sono all’undicesimo e stò ancora cincischiando!

Beh, ad ogni modo, spero vi piaccia… questo capitolo risente della mia partenza (solo per un weekend, ahimè) tra le Nevi delle Dolomiti (per la precisione, Cortina d’Ampezzo) con il mio  Tatone.

Spero di tornare lunedì con un bel capitolo chiaro in mente!

Grazie a tutte, commentate, e ricordate che le critiche, anche le più negative, sono moooolto costruttive per la sottoscritta! Buon Weekend!

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Rise and Fall ***


Capitolo 12:

Capitolo 12:

Rise and Fall.

 

 

Quando era bambina, Kagura sognava di scappare di casa e di avventurarsi nel mondo. Per questa ragione, il suo gioco preferito nei suoi lunghi pomeriggi di solitudine, era quello di scovare passaggi segreti nella siepe che segnava il confine tra il grande giardino di Villa Onigumo e la strada, e di inventare piani per evadere da quella che si stava rivelando sempre di più una rigida prigione. Aveva addirittura preparato uno zaino con il minimo indispensabile e l’aveva nascosto in una cavità tra il muretto e la siepe.

Il nascondiglio era stato cosi ben arguito che quello zaino era rimasto lì, dimenticato, per ben più di 15 anni. L’aveva ritrovata un giovedì notte, per caso, mentre tornava dalla sua “Boccata d’Aria”. Era fradicio, putrido, corroso dalle intemperie e dagli anni. Ma nessuno l’aveva trovato. Kagura l’aveva fissato un po’, toccandolo e ritoccandolo, accarezzando stupita la tela consunta. E poi l’aveva sostituito. Anzi, meglio. L’aveva “aggiornato”, usando una borsa da palestra per contenere lo stretto indispensabile per una fuga improvvisa. Che sarebbe potuta accadere in qualsiasi minuto come mai. Addirittura vi aveva nascosto dei soldi in una bustina. Poi, era tornata al suo lavoro, alla sua vita miserabile. Intervallata dalle sue “Boccate d’Aria”.

 Miroku ha il blocco degli appunti in mano, su cui ha segnato minuziosamente vita, morte e miracoli della nostra “settimana bianca” sull’Hakurei. Mi ha convinto (leggi stressato sino allo sfinimento) a noleggiare l’attrezzatura da snowboard, promettendomi (minacciandomi) che mi avrebbe insegnato a scivolare giù dalle piste. E così carico la mia tavola e la borsa degli scarponi.

Il pulmino promesso da Koga è fermo sotto casa mia, luogo di ritrovo di quelli che Miroku ha ribattezzato “I nostri Allegri Compagni di Neve”. Secondo me siamo solo un branco di idioti…

Kagome mi chiede di caricare anche i suoi sci e io l’accontento, ricevendo un bacio come premio. Ha avuto cura di portare la borsetta che le ho regalato a Natale… La calda felpa rossa che lei mi ha regalato l’ho infilata in valigia, La metterò in montagna.

Miroku si schiarisce la voce, guardandosi attorno con aria assorta. “Ci siamo tutti?” Ci guardiamo tutti l’un con l’altro. Ha decisamente preso troppo sul serio il ruolo da organizzatore. 

“Facciamo l’appello!”

Ma smettila!” urla Koga. Miroku fa orecchie da mercante.

“Allora, in ordine di importanza: SANGO!”

Di fianco a Kagome la ragazza fa cenno della sua presenza. Alla fine è riuscita a venire, pare che suo padre sia in ferie per un paio di settimane e che lei sia riuscita a vincere i sensi di colpa per non essere a casa a badare a suo fratello. E ha anche portato gli sci, così farà compagnia a Kagome. Miroku le sorride, lei sbuffa.

“INUYASHA”

“Si…” rispondo svogliato. Sento Koga borbottare unpurtroppo.’

“KAGOME!”

“Pronta!”

“KOGA”

Vedi un po’ te, ho portato il pullman.”

“GINTA! HAKKAKU!”

I due urlando di rimando, alzando i fustini di birra portati in dote.

“Perfetto, per il momento ci siamo tutti!” conclude, contento. Il resto delle persone (tra le quali, ufficialmente, ci saranno pure le amichette di Kagome, Tsuya e Hojo) ci raggiungeranno per Capodanno. La mia “invitata segreta” di cui ne ho parlato solo a Miroku, minacciandolo di morte se si lasciava sfuggire qualcosa, sarebbe arrivata il giorno dopo, con mezzi propri. Ho pensato che sarebbe stato meglio così, in quanto il mio penoso rivale non aveva molte remore a lasciarla sul marciapiede, se non addirittura ad abbandonarla al primo autogrill.

Occupiamo i posti, io e Kagome nel posto in fondo, mentre Koga si piazza nel sedile davanti al nostro, guardandomi con aria di sfida, e Miroku riesce ad occupare quello vicino a Sango, proponendole la condivisione dell’I-pod. La ragazza lo guarda sospirando, poi accetta.

L’autista, dipendente del padre di Koga, accende il navigatore satellitare e ci informa che ci impiegheremo circa 3 ore e mezza, per arrivare a destinazione. Koga continua a fissarmi. Se sta cercando una scusa per attaccar briga, che sappia pure che la sta trovando. Ho voglia di  mettergli le mani in faccia.

Per fortuna Ginta e Hakkaku intuiscono il pericolo, ed iniziano a cantare a squarciagola canzoni storpiate e  inni da osteria. A loro si uniscono anche Miroku e, con mia sorpresa, pure le ragazze.

Rimaniamo solo io e Koga a fissarci in cagnesco. Sarà un viaggio molto lungo….

 

L’afferrò per il polso con una forza tale che lei temette riuscisse a romperglielo. La trascinò verso di sé e la imprigionò tra lui e il muro, i suoi occhi di fuoco negli occhi rubini della sorella. Come previsto, come al solito, lei non era una donna timorosa. Neppure ora, conscia del pericolo a cui stava andando incontro, non abbassava lo sguardo neppure per un istante.

“Dimenticatelo, Naraku” sibilò, cercando di divincolarsi dalla morsa del fratello. “Io non sono una fottuta bambola.

“Parla bene”  L’ammonì lui, con la sua solita voce, calma e pericolosa allo stesso tempo. “Frequentare il Signor No Taisho ti ha fatto diventare scurrile, oltre che stupidamente incosciente”

Lei strattonò di nuovo il polso, con il solo risultato che lui glielo strinse ancora più forte. “Tu fai esattamente quello che dico io, ora. Chiaro Kagura? Adesso lo chiami, fissi un appuntamento,  vi trovate e inizi a estorcergli informazioni. Voglio rovinare quell’uomo e tu mi aiuterai a farlo.

Per tutta risposta lei gli sputò dritto in faccia.

Lo schiaffo che le colpì il viso fu praticamente simultaneo e le fece girare la faccia sino a farla sbattere contro il muro.

Kagura sentì in bocca il sapore del sangue, ma tornò a fissare negli occhi il fratello, mentre l’uomo si ripuliva la faccia dalla saliva. “Brutta viscida bastarda…” La scosse, facendole sbattere la testa contro il muro. Kagura fisicamente non era forte, e di certo non riusciva a difendersi. “Ti do un’altra possibilità…”

“Tienitela la tua dannata possibilità!” esclamò, divincolandosi. Riuscì a colpire con un calcio una gamba dell’uomo, guadagnando un istante di piccola distrazione, vitale per permetterle di scivolare via tra le viscide braccia del fratello. Ma la corsa durò poco. Naraku era riuscito a raggiungerla e ad afferrarla per i capelli. “Vedrò di  usare i miei metodi, allora…” le sussurrò nell’orecchio, trascinandola al piano superiore, vincendo le resistenze della sorella.

Come al solito, nessuno era venuto in suo aiuto.

 

Il mondo è tutto sommerso da un metro e mezzo di neve. In tutta la mia vita, non ne ho mai vista così tanta. Ne sono estasiato. Rimango a fissarla a bocca aperta, mentre i miei compagni scendono rumorosamente e ridono, contenti di essere arrivati a destinazione. La baita è grande, appena fuori dal paese, ma comunque con la strada maestra comoda, dove c’è anche la fermata dello Ski Bus per portarci direttamente agli impianti di risalita.

Apro la porta di casa, incitato dagli altri. La prima cosa che mi si para davanti è il salotto. Grandissimo, tutto di legno, con un grosso camino in un angolo e la legna ammonticchiata di fianco, pronta per essere accesa.

Sempre al piano terra c’è la cucina, spaziosa, in muratura. 

Il bagno ricorda molto quello principale di casa mia: color sabbia, e con un’immensa Jacuzzi in un angolo, che Miroku prenota.

“Santo cielo, è fenomenale!” mormora Kagome, stupita. “Andiamo a vedere il piano di sopra!”

Saliamo le scale di legno, e il primo piano è formato da un altro salottino, con vista sul balcone e sulla vallata, e da 4 camere da letto, che occupiamo lanciandoci dentro i nostri bagagli.

Miroku cerca di convincere Sango a dormire con lui, mentre lei si difende (ridendo, però) a colpi di borsetta. Il terzo ed ultimo piano, quello mansardato, è chiuso a chiave da una porta appena sopra le scale. Dev’essere la camera di Sesshomaru. Immagino che sia lussuosa ed immensa, megalomane quant’è.

Ginta e Hakkaku si stanno già rotolando sui letti della loro camera, e approfitto dell’attimo di distrazione di Koga (che per tutto il viaggio non ci ha lasciato stare un secondo), per portare Kagome di peso nella camera dove ho gettato i nostri bagagli e barricarci dentro.

Abbiamo scelto bene. E’ la camera con la finestra che dà sulla vallata. Lei mi getta le braccia al collo e le sue labbra sono mie in un secondo. “Credo che Sango si aspetta che io dorma con lei…” mormora lei. Il mio cuore perde un battito. STAI SCHERZANDO, VERO? Vorrei urlarle, ma cerco di trattenermi. D’altronde, se lei vuole così, è perché non si sente pronta… e anche se mi sfugge il motivo di questa sua indecisione, non posso di certo forzarla. Deglutisco. “…. Meglio con Sango che con Koga…. Balbetto, cercando di consolarmi ad alta voce.

Lei ride, dandomi un buffetto sulla guancia. “Non ho detto che lo farò.”

Ah, gioia del mondo… c’è ancora speranza dunque? Il mio piano di convincimento però viene interrotto dal continuo bussare di un Koga disperato.

“Di un po’, Kagome… ma perché quell’idiota fa così?”

“Mi viene dietro dalle medie…”

“….e tu non hai fatto nulla con lui?”

“Certo che no! Sono uscita con lui l’anno scorso, ma è stato solo per farlo tacere.

“Sicura? Nemmeno un bacio?”

Inuyasha, non ti fidi di me?” sibila, pericolosa.

No, non posso permettermi nessun errore… “Io mi fido ciecamente, assolutamente, incondizionatamente di te…”

 

 

Aveva chiuso la porta a chiave.

Quella viscida, piccola bastarda non avrebbe dovuto scappare, questa volta. Naraku si diresse verso il suo studio e alzò la cornetta del telefono. Prima di comporre il numero si fermò un istante. Era sicuro che non si potesse far nulla? Sua sorella ormai era scappata dal suo controllo, e di certo, cocciuta com’era, non sarebbe tornata dalla parte della ragione. Neppure il suo “trattamento” le aveva fatto abbassare la cresta. Quella sciocca donna andava fatta sparire. Ormai era una mina vagante per Naraku Onigumo, un danno più che un’utilità. Compose il numero con calma. Per fortuna che lui aveva sempre le persone giuste a portata di mano. Come Kageromaru, per esempio a cui stava giusto telefonando in quel momento, che lui chiama “affettuosamente” DDT, per la velocità e l’efficacia, con cui eliminava gli insetti. Come sua sorella, per esempio.

Kageromaru, ti trovi nei paraggi, per caso?”

 

Sentiva dolori dappertutto. Alzarsi era una vera impresa. Temette inizialmente che i polsi fossero spezzati. Mosse le dita piano, recuperando a poco a poco la sensibilità.

Le lacrime le pizzicarono gli occhi. “Non ora, Kagura ordinò a stessa, tentando di scendere dal letto. Una fitta di dolore proveniente dal fianco la lasciò senza fiato e la costrinse a cadere di nuovo sulle lenzuola. Forse la costola era rotta. Deglutì, soffocando un gemito di dolore e tentando di recuperare la concentrazione. L porta era inutilizzabile come via di fuga, Naraku aveva avuto la cura di chiuderla. Cercò di recuperare il fiato e di mandar giù le lacrime. Questa volta l’avrebbe fatta fuori, ne era sicura. L’avrebbe consegnata a qualcuno di quei suoi sinistri “collaboratori”, che l’avrebbero uccisa in modo atroce.

Non poteva permetterglielo. Piuttosto si sarebbe uccisa con le sue stesse mani. Si diresse zoppicando verso la porta finestra del balcone e l’aprì. L’aria fredda di fine dicembre le accarezzò il viso, donandole un momentaneo sollievo. Si avvicinò alla ringhiera lentamente, lo sguardo offuscato e guardò giù, verso il prato. Un piano di altezza sarebbe bastato per assicurarle la morte? O l’erba avrebbe attutito al caduta, consegnandola all’agonia?

Un’idea improvvisa attraversò la mente della donna, ridonandole forza. Si asciugò gli occhi da quelle dannate lacrime che erano scappate al suo controllo, e strinse i pugni. Non poteva darla vinta a Naraku. Lei ce l’avrebbe fatta, anche se ferita, anche se umiliata, con le sue sole forze. Tornò in camera, verso quel maledetto letto, verso quei suoi maledetti vestiti strappati sparsi sul tappeto persiano. Aprì l’armadio e scelse l’unico paio di jeans a sua disposizione e un paio di stivaletti bassi e comodi. Si infilò la maglia stringendo i denti, soffocando il dolore con la sua rabbia e la sua determinazione.

Poi si diresse verso il suo beauty case e prese le forbici per unghie. Si gettò sulle lenzuola e vi affondò la lametta. Doveva far presto, essere veloce e precisa.

Tagliò le lenzuola a metà e le annodò fra di loro, arrotolandole per aumentare la resistenza. Poi ne legò un’estremità alla ringhiera. Prima di gettare la corda così formata dal balcone, buttò alcuni cuscini sul prato, per aiutarla ad attutire la caduta.

“Presto!” Si incitò, vedendo l’auto scura di quel tirapiedi di Naraku, Kageromaru entrare dal viale d’ingresso della villa e parcheggiare nel cortile. Prese un bel respiro. L’adrenalina le aveva raggiunto la testa e non le attutiva in parte il male.

Ora lei era decisa più che mai a liberarsi, e nessuno l’avrebbe fermata.

Si calò, goffamente, dal balcone. Rischiò di scivolare, ma strinse i denti e i pugni e continuò la discesa, incurante del pugnale che le sembrava di avere infilato nel fianco.

Raggiunse terra saltando, appoggiando male la caviglia. Un’altra fitta, ma non era tempo di curarsene. Si gettò verso la siepe, verso il suo passaggio segreto, correndo più forte che poteva. Raggiunse la borsa nascosta, la prese al volo, strisciando contro il muro, riempiendosi di terra e foglie.

Raggiunse un punto in cui la rete aveva ceduto e che lei aveva alzato. Vi si infilò sotto, puntellandosi con i gomiti, e strisciò fuori. Corse in strada, l’attraversò, e sparì tra i vicoli della città, sempre correndo.

Corse, gettandosi frenetiche occhiate alle spalle, finché non raggiunse un parco pubblico. Si nascose dietro dei cespugli, per riprendere fiato. La vista era annebbiata. I rumori giungevano lontani alle sue orecchie. Il dolore al fianco era straziante, il petto era perforato da mille aghi invisibili, e la caviglia si muoveva appena.  Sentì le mani appiccicose e se le guardò. Non sapeva come ma si era tagliata, e anche piuttosto profondamente. Non poteva andare avanti così, non sarebbe andata da nessuna parte in quelle condizioni. Doveva essere medicata, e anche se sarebbe stato un rischio decise di attraversare il parco e dirigersi verso il pronto soccorso. Si impose un ultimo sforzo. Il sole stava calando, e l’oscurità l’avrebbe nascosta meglio.

Il telefono cellulare di Sesshomaru squillò giusto a metà film. Mise in pausa il dvd che stava guardando e rispose.

JaJames.”

La voce femminine dall’altro lato del telefono era afona.: non prometteva nulla di buono. Sesshomaru si alzò dal divano: “Dimmi, Vesper.

“Sono scappata. Ce l’ho fatta. Sono al pronto soccorso. Io… io ti chiedo scusa ma… non mi lasciano andare da sola… e…”

“Arrivo.”disse semplicemente l’uomo, chiudendo la conversazione. Prese la giacca e fece per uscire. Si fermò a metà porta, pensieroso. Poi decise di chiamare il maggiordomo.

Jaken quasi si materializzò vicino a lui. “Prepara la mia roba. E il fuoristrada. Appena torno, partiamo per l’Hakurei. Arriverò con una persona.

Ma sull’Hakurei c’è suo fratello, signore…” tentò di rammentargli l’essere verdognolo.

Sesshomaru fece spallucce: “Non mi faccio problemi a sbatterli fuori da casa mia.”

 

Parcheggiò l’Aston Martin nel posto dei portatori di handicap perché non aveva né tempo né voglia di    trovare parcheggio, e ad ogni modo una probabile multa sarebbe risultata una bazzecola per lui. Si diresse all’entrata del pronto soccorso, dove riuscì a rintracciare l’ambulatorio in cui avevano vistato Kagura e vi entrò, sebbene contro il parere dell’infermiera dell’accettazione, che tentò invano di fermarlo con voce pigolante.

Quando varcò la soglia della porta quasi non la riconobbe.

Kagura era seduta sul lettino delle visite, addosso il camice dei pazienti. Un braccio e una caviglia fasciata, lo sguardo a terra. Quando lo sentì entrare alzò lo sguardo verso di lui. Si guardarono un istante senza parlare. “Ti ho disturbato. Mi dispiace. Disse poi, lei. “Mi basta solo che tu mi accompagni alla stazione, per il resto non ci sono problemi, me la cavo da sola.

Cosa ti ha fatto?”

Kagura si mise a ridere tristemente. “Sono uscita dalla finestra calandomi con le lenzuola. Proprio come nei film.

Cosa ti ha fatto?” ripeté lui, meccanicamente.

Lei si premette una mano sugli occhi. L’ultima cosa che voleva in quel momento era la pietà di Sesshomaru nel vederla in quelle condizioni. “Niente che possa accadere di nuovo. Rispose cercando di far assumere alla sua voce un tono fermo.

L’uomo si avvicino ai suoi vestiti, gettati su una sedia, in un angolo. “Vestiti. Ti porto fuori di qui.”

“Non voglio che tu mi veda. Esci, per favore.

Sesshomaru varcò la porta e si appoggiò alla parete, aspettando. Aveva cacciato entrambi nei guai, facendo di Kagura la sua amante. Indubbiamente la colpa di ciò che le era successo era sua.

Fottuto bastardo” sibilò, quando l’immagine di Naraku gli stuzzicò la mente. In quel momento lei riemerse dalla stanza, pallida.

“Adesso andiamo a denunciare Naraku.” Propose lui, prendendole il borsone di mano. “Dopo questo non può passarla liscia”

Lei scosse la testa. “Io voglio vivere. Punto. E per farlo devo allontanarmi di qui il più velocemente possibile”

Si guardarono per un altro istante, poi si diressero senza dire nulla al banco dell’accettazione, dove lei firmò le dimissioni e un medico informò Sesshomaru che la donna aveva una costola incrinata e una brutta storta, auspicando almeno una settimana di completo riposo. Fece intendere, comunque, che aveva capito dalla visita quello che le era successo. “Per ogni altra evenienza, potete rivolgervi a noi. Concluse, guardandolo negli occhi.

Sempre senza dire nulla l’aiutò a sedersi in auto e arrivò in pochissimi minuti a casa sua, in un silenzio doloroso, interrotto solo dai sussulti di Kagura quando affiancavano un’auto.

Jaken li accolse sul viale d’ingresso. “La signora ha bagaglio?” domandò, cercando di nascondere la sua curiosità verso la donna che il suo padrone stava aiutando ad adagiarsi sui sedili posteriori del fuoristrada. Sesshomaru gli indicò la borsa all’interno dell’auto sportiva, e il maggiordomo si diresse a prelevarla celermente.

Sesshomaru fece per sedersi al fianco della donna, ma lei lo bloccò. “Vorrei stare da sola, se non ti dispiace. Lui annuì, prese una coperta dal baule e gliela gettò sopra, coprendola. Lei lo ringraziò debolmente, tentando un sorriso, prima di accasciarsi lungo il sedile.

Quando il maggiordomo mise in moto l’auto e partì, Kagura si concesse il lusso di piangere silenziosamente, mordendo la coperta per non farsi sentire.

“Vai veloce, e non fermarti per nessuna ragione” Ordinò Sesshomaru a Jaken, che annuì obbediente.

 

 

 

 

Koga ha tentato per tutta la serata di farmi bere.

In parte c’è riuscito, perché mi gira un po’ la testa e mi sono gettato a torso nudo sulla neve, seguito, tra l’altro da Miroku e Ginta.

Hakkaku è collassato sul divano e Koga invece faceva i bicipiti al bancone con i boccali di birra, presumibilmente da collezione, che erano appesi al muro.

Sango ha ripreso tutto con il cellulare e sostiene che diventeremo il nuovo fenomeno di Youtube.

Però il piano di Koga non è riuscito alla perfezione, perché il sottoscritto è riuscito ad arginare gli ostacoli e a non finire come lui, addormentato con la fronte appoggiata al tavolo e le braccia ciondoloni.

Entro nella camera con Kagome. Sinceramente mi tremano le ginocchia. Non dovrei essere cosi nervoso. Anche lei, però noto che non è perfettamente a suo agio. Guarda il letto, accarezza il copriletto in piuma con una mano. “Sembra caldo, non è vero?”

Sentissi il sottoscritto quanto è caldo in questo momento… La neve di prima si scioglierebbe istantaneamente a contatto con il mio corpo. Deglutisco.

“io… vado a mettermi il pigiama.” Dice lei, frugando nella sua valigia e sparendo in bagno.

Io annuisco, guardandomi intorno. Cosa faccio nel frattempo? Accendo le candele? Non ci sono candele.

Potrei spargere dei fiori sul letto, ma non ci sono neppure quelli. Rimango in piedi come un perfetto allocco, a guardarmi attorno sbuffando. Poi decido, finalmente, di cambiarmi e di infilarmi almeno i pantaloni del pigiama, sperando che servano a poco.

Magari Kagome sta indossando un completino molto segoso e facile da togliere…

Illuso. La mia ragazza esce dal bagno con addosso un piaga rosa con i coniglietti. Poco libidinoso, per i miei gusti. Si infila sotto le coperte guardandomi e sorridendo imbarazzata.

Starai li tutta sera?”

Oh, beh, certo che no. La seguo sotto il piumone e mi sdraio di fianco a lei. Sono teso come una corda di violino, ed in genere questo non aiuta a fare “bella figura”.

Siamo sdraiati su di un fianco e ci guardiamo.

E adesso?” dice lei.

Ok, ho capito che prenderò l’iniziativa io. Anche se tentenno un po’. Ah, dannata agitazione. Mi avvicino e la bacio, stringendola a me. Lei risponde al mio contatto e al mio bacio, e questo è un buon segno. Muovo le mie mani sotto la sua maglietta, temendo una sua reazione negativa, che però non avviene. Le mie labbra si posano sul suo collo e la sento mugugnare di piacere. Ciò mi dà soddisfazione e mi sprona a continuare. Rotolo su di lei, proseguendo la mia esplorazione. Mi accarezza il petto, la schiena, facendomi rabbrividire. Sto letteralmente impazzendo. Senza accorgermene la mia mano scivola dentro i suoi pantaloni del pigiama. “Aspetta!” mi ferma. Cavoli, lo sapevo che stavo correndo troppo…

“Io… beh, ecco… io non l’ho mai fatto…” mi confida, un po’ imbarazzata.

In quel momento vorrei dirle lo stesso, quasi a rincuorarla. Ma sarebbe una bugia ingiusta nei suoi confronti. Ho davanti a me una ragazza stupenda, innocente, che si fida di me e dei miei sentimenti. E io devo essere il più possibile sincero, con lei.

“Io invece si…” sembra sorpresa. “Però pochissimo!” cerco di aggiustare.

“Beh… almeno uno dei due sa come si fa, no?” sorride, un pochino tesa. “e… con chi l’hai fatto?”

“Oh… non la conosci…” balbetto io. “E’ una storia lontana lontana…Anzi, forse non mi ricordo nemmeno come si fa!”

Kagome sorride. Sembra che la rilassi l’idea di non conoscere la persona che mi ha strappato la mia prima volta.

Le nostre labbra si incontrano di nuovo, e io sono deciso a proseguire le mie carezze.

“Aspetta!” Ma che c’è ancora?

“C’è qualcosa che non va?”

Lei si annoda al suo dito una ciocca di capelli. “Ehm… dovremmo usare le precauzioni, no?”

Beh, giusto. Meno male che uno dei due ha la testa… “E’ vero… dai, tirale fuori!”

“Ma io non ce le ho!” protesta. Oh, cavoli. “Dovrebbe portarle l’uomo, non la donna!”

Da dove salta fuori questo galateo? Ah, dannazione. E ora? Aspetta un attimo. MIROKU! Lui si è portato appresso una confezione “Formato Famiglia” di profilattici!

Mi catapulto fuori dal letto, divelgo la porta e cerco il mio amico. Si trova nella stanza di fronte alla nostra, addormentato scompostamente sui cuscini, ancora vestito. Noto, tra l’altro, che Sango è addormentata vicino a lui.

Lo sveglio a schiaffi, scuotendolo per il bavero della felpa.

Che cazzo vuoi!” mugugna. “Stai cercando di farmi vomitare?” Addosso ha un impressionante odore di alcool, ma non è questo che a me interessa ora.

Dove hai i profilattici? Dimmelo subito!” sibilo, scuotendolo sempre più forte. “DAMMELI, MIROKU!”

Lui biascica qualcosa, indicando debolmente la sua valigia. La raggiungo in un balzo e la apro, vuotandola sul pavimento per cercare meglio. Alchè si sveglia anche Sango. “Inuyasha, cosa stai cercando?”

“Fatti i cazzi tuoi!” sbotto, scavando tra il quintale di stronzate che si è portato dietro il mio amico.  Finalmente trovo la confezione tanto cercata. La alzo come un trofeo. Sembra quasi che brilli di luce propria.

“Sono i miei assorbenti, per caso?” farfuglia Sango, rimettendosi a dormire. Ragazzi miei, che brutta situazione che crea l’alcool.

Ritorno saltellando gioiosamente in camera e chiudo la porta a chiave. Doppia mandata. Per sicurezza sposto anche il comodino contro la porta. Facciamo che sposto anche l’altro.

Poi raggiungo Kagome, che, sul letto, non ha fatto altro che guardarmi sbalordita. “Sai, te lo devo proprio dire. Tu mi spaventi.

Oh no, no, Kagome. Non ho proprio intenzione di spaventarti. La bacio con foga e lei mi risponde, stringendomi a . Scivolo ancora sotto le coperte, raggiungendola.

E questa volta lei non mi ferma più…

 

Arrivarono alla baita che erano passate le due di notte. Sesshomaru si stupì nel trovare le luci spente e il silenzio. Aveva temuto il peggio per la sua povera abitazione di montagna, e ringraziò mentalmente il suo buonsenso che gli aveva fatto chiudere a chiave la sua preziosa camera mansardata.

Scese dal fuoristrada e aprì la portiera posteriore. Kagura era nella stessa posizione di quando erano partiti, sdraiata sul sedile, avvolta nella coperta. Sembrava addormentata. L’uomo provò a scuoterla dolcemente, mentre Jaken apriva la porta di casa ( e si lamentava a bassa voce del disordine creato dai ragazzi). Lei si mosse appena, aprendo gli occhi gonfi. “dove siamo?”

“Sull’Hakurei, a casa mia.” Rispose semplicemente, aiutandola ad alzarsi. Lei rabbrividì dal freddo, e appena appoggiò il piede a terra non poté fare a meno di trattenere una smorfia di dolore. Lui le tastò la caviglia. Si era ulteriormente gonfiata. La sollevò, prendendola in braccio. “Come una principessa. Mormorò la donna, chiudendo nuovamente gli occhi e abbandonandosi contro di lui.

Sesshomaru, con Kagura fra le braccia, entrò nella baita, cercando di mantenere un comportamento tranquillo nonostante i suoi occhi vedessero solo bottiglie mezze vuote e resti di cibo. Al primo piano le luci erano spente. Intravide un ragazzo addormentato con la testa contro il tavolino. Si annotò mentalmente di farlo presente al fratello e raggiunse il secondo piano, aprendo la porta. Varcò la soglia della sua lussuosa camera e appoggiò la donna sul morbido materasso, coperto da un copriletto di pelo di lupo.

Kagura si guardò intorno, spaesata. “Sai che non ho nemmeno un pigiama?”constatò. L’uomo si avvicinò ad una cassettiera e ne prese uno dei suoi, il più pesante, e glielo porse. Lei ringraziò, un piccolo sorriso triste sul volto, poi gli chiese di voltarsi. Lui lo fece, mentre si cambiava. Quando si voltò, pronto per la notte, lei era già scivolata sotto le coperte, e pareva aver già trovato il sonno.

Sesshomaru la guardò per qualche istante, prima di raggiungerla. Le sfiorò la guancia con una mano, stupendosi di quanto fosse fredda ed umida. Lei si mosse appena, voltandosi verso di lui, cercando inconsciamente il contatto. Sembrava estremamente stanca, e nelle ciglia era ancora intrappolata qualche lacrima. Sesshomaru spense la luce e si sdraiò sui cuscini, al suo fianco.

Capitolo Lungo e pieno di avvenimenti, nevvero? Spero che sia di vostro gradimento. Scusatemi per due cose: la prima, per averlo postato troppo frettolosamente. So che non è il massimo, e già oggi ho fatto la corsa per qualche modifica urgente. La seconda, per il tema che ho trattato, a proposito di Kagura. Probabilmente darà fastidio a qualcuno, e sono sicura di averlo trattato con molta superficialità. Chiedo scusa.

 

 

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Capitolo 13
*** C'è posto per tutti... Forse. ***


Capitolo 13:

Capitolo 13:

C’è posto per tutti… Forse.

 

 

Kagura sentiva il viscerale bisogno di farsi una doccia. Di strofinare via dalla sua pelle d’avorio il sudiciume con cui Naraku l’aveva contagiata. Sentiva ogni poro del suo corpo impregnato di sudiciume, e si domandò, stirandosi le membra intorpidite ed indolenzite, come aveva fatto ad addormentarsi la sera prima senza essersi gettata sotto l’acqua bollente come era suo solito fare.

Forse perché non aveva quelle ferite e la stanchezza di una corsa verso la libertà. Aprì gli occhi gonfi, trovandosi un po’ spaesata in quel letto semisconosciuto, in quella stanza di legno, avvolta nella luce del primo mattino, che filtrava tra le pesanti tende scure. L’uomo al suo fianco dormiva profondamente, il viso seminascosto dal cuscino, i capelli sparsi sul cotone delle lenzuola e sulla coperta di pelo bianco. In un altro momento Kagura non avrebbe fatto altro che guardarlo sino al suo risveglio, senza sfiorarlo, senza destarlo.

Ma ora si sentiva troppo sporca per stare in quel letto ancora. Scivolò dalle coltri caldi, rabbrividendo sensibilmente al contatto con l’aria più fresca della stanza. La caviglia le faceva ancora male, e anche il fianco non era migliorato granché, ma il suo bisogno di sentirsi pulita era superiore al dolore. Si alzò piano, trattenendo un gemito ed avanzò verso la porta che aveva adocchiato dall’altro lato della stanza, varcandola.

Il bagno era piccolo, ma non meno rifinito della stanza, dalle piastrelle color madreperla e con una vasca da bagno sul quale era stata aperta una finestra, che donava una vista mozzafiato sulla valle e sull’alba. Kagura chiuse la porta alle sue spalle, cercando di fare il meno rumore possibile, e girò il rubinetto dell’acqua calda, al massimo che poteva.

C’erano volte in cui lei aveva bisogno di immergersi nell’acqua bollente, fino quasi ad ustionarsi, per purificare la sua pelle da ciò con cui era stata a contatto.

Appena l’acqua calda prese il posto di quella fredda, riempiendo mano a mano la vasca, Kagura si tolse il pigiama e lo lasciò cadere a terra, scivolando lentamente lungo la superficie liscia. Rimase dentro la vasca immobile, con le ginocchia strette contro il petto, mentre il livello e il calore coprivano il suo corpo martoriato.

Sentì bussare, e una voce maschile dall’altra parte le chiese cosa stesse facendo, aprendo di un centimetro la porta.

“Voglio solo fare un bagno, non entrare per favore. Rispose lei, appiattendosi verso il fondo della vasca. La porta non si mosse di un millimetro.

“Nel mobiletto sopra il lavandino trovi bagnoschiuma e shampoo. Ci sono degli asciugamani puliti?”

Lei si guardò attorno e rispose negativamente, non trovando la minima traccia di un telo per asciugarsi.

“Te li posso portare?”

Kagura ci pensò un attimo, poi rispose di si.

“Hai fame?” domandò di nuovo l’uomo, sempre nascondendosi dietro alla superficie lignea.

Lo stomaco della donna sembrava pieno di cemento, eppure non aveva mangiato nulla da almeno mezza giornata. “Per il momento no, grazie”

“Ti porterò la colazione” rispose semplicemente Sesshomaru, ignorando l’ultima sua affermazione. “Torno tra poco” La porta venne chiusa di nuovo, e Kagura dopo aver preso l’occorrente per il bagno nel luogo indicato dal padrone di casa, si abbandonò all’acqua schiumosa e bollente, e ai suoi pensieri vuoti.

 

 

L’unica musica che ci era davvero permesso di ascoltare, all’Orfanotrofio, era la musica lirica, e quella sacra, ovviamente. Quelle dannate suore l’adoravano. Io no di certo, ma qualche aria o qualche motivetto famoso sono rimasti assorbiti dal mio cervello per inerzia.

La musica che emetteva ogni singola cellula del mio corpo era la Marcia Trionfale dell’Aida di Verdi.[*]. C’è soddisfazione a svegliarsi così. La musica gloriosa non cessava neppure mentre sbadigliavo, mentre incontravo gli occhioni neri, ubriachi di sonno e di tenerezza di Kagome, e neppure quando, dopo il bacio del buongiorno, lei mi rivelava che sapevo di uova marce.

Niente e nessuno avrebbe potuto intaccare il mio buonumore, questa mattina. Kagome si avvicina ancora di più a me, la stringo forte le sussurro parole tenere all’orecchio e le bacio le guance morbide. Non sapevo nemmeno che esistessero simili vezzeggiativi, ma tant’é, sono su di una nuvoletta, immerso nella nebbia della felicità, e non mi rendo conto di sembrare completamente rintronato.

Sento il suo stomaco brontolare: “Sto per svenire dalla fame” mi rivela. “Troppo esercizio fisico” aggiunge come scusa, ridendo.

“Se dici così mi fai sentire in colpa…” scherzo io, le mani sulla sua schiena. “Sono proprio un idiota a far affaticare così una ragazza!”

“Non sei affatto cavaliere, Inuyasha…” rincara lei, un broncio giocoso che le increspa le labbra rosa.

“Andiamo a far colazione?”

Lei annuisce. “Farmi trovare direttamente a letto dagli altri mi imbarazzerebbe un po’…”

Ci alziamo, io praticamente saltello sul pavimento, mentre mi infilo un paio di jeans e la felpa rossa che mi ha regalato. Quando mi volto verso Kagome, lei sta guardando terrorizzata il lenzuolo.

“Ho fatto un macello!”mormora, coprendosi la bocca con le mani. “L’ho sporcato tutto!”

In effetti…. Ma oggi sono contento, ottimista e trovo una soluzione a tutto. Apro un armadio e trovo delle lenzuola pulite. Tiro via dal letto quelle sporche e ne faccio fagotto.

“Allora, io distraggo gli altri, tu lo porti al piano di sotto, poi cerchiamo la lavanderia e lo buttiamo dentro la lavatrice. Se qualcuno lo vede, gli diciamo che Koga mi ha tirato un pugno e che il naso mi è sanguinato per una buona mezz’ora, ok?”

Lei annuisce. E’ sulla mia stessa nuvola, avvolta nella mia stessa nebbia, e scivolerà via tutto come l’olio.

Libero la porta dal mobilio cercando di fare il minimo rumore, e infilo la testa fuori dalla porta, guardandomi attorno con circospezione. Sento dell’acqua scrosciare da qualche parte, nella casa. Probabilmente qualcuno dei nostri amici si è già svegliato e sta cercando ristoro dai postumi dentro la vasca da bagno. Spero solo che non si affoghi nessuno. La porta della camera di fronte alla nostra è ancora aperta, e Sango e Miroku dormono praticamente nella stessa posizione in cui li avevo lasciati: Miroku su un fianco, rivolto verso la ragazza, lei supina e scomposta. Sento anche un lieve russare nell’aria, e con mia sorpresa mi accorgo che è di Sango. Mi avvicino a Miroku. “Grazie grazie grazie grazie grazie!!!” sussurro, ad un centimetro dalle sue orecchie. Lui non fa nessun movimento. La mia stupidità mi porta a fargli uno scherzo, approfittando del suo sonno pesante. Gli prendo una mano, innocentemente appoggiata vicino al suo mento, e l’appoggio sul seno di Sango. Guardo Kagome, in cerca di approvazione, lei tiene premuta la mano alle labbra e ride a crepapelle, cercando di non far rumore. Gli faccio segno di fare silenzio ed esco in punta di piedi dalla stanza, ed insieme ci dirigiamo verso le scale, guardandoci e sorridendo complici. E arrivati in prossimità della cucina…

Ja…Jaken?” Rimango di stucco, alla vista del maggiordomo ai fornelli della cucina, intento a scaldare latte e thè. Per poco a Kagome non cade il fagotto di lenzuola di mano. Mio fratello ci ha addirittura dotato di servitù?

“Buongiorno, Signorino Inuyasha.” Mi saluta, con un lieve cenno del capo. “Oh, buongiorno, Signor Sesshomaru!” saluta con più veemenza, lo sguardo oltre alle mie spalle.

Mi volto, gli occhi sbarrati, la bocca che tocca terra.

Mio fratello, calmo, placido ed imperturbabile, scende l’ultimo gradino delle scale.

Faccio fatica ad emettere monosillabi, figurarsi a dire una frase per intero.

Lui adocchia le lenzuola che Kagome ha in mano. “Non vi soddisfaceva il servizio del bucato?” domanda, una vena di ironia nella sua voce pacata.

Kagome rimane interdetta, guarda freneticamente le lenzuola e poi risponde, quasi gridando: “Gli ho tirato un pugno!”

Sesshomaru alza un sopracciglio, Jaken ridacchia dietro la manica del vestito, ed io riesco a recuperare un poco di lucidità. “Si! Il mio naso ha sanguinato per tutta notte!” esclamo, torcendomi il setto nasale come per dare prova della situazione.

Il sopracciglio di Sesshomaru rimane alzato. “La lavanderia è nella porta a destra” dice, indicando. Kagome si lancia verso di essa. “La prossima volta trovate un’altra scusa, per favore. Questa è stupida ed assurda, e di certo non sei il primo ad usarla.

Quando Kagome sparisce completamente nella lavanderia, io riesco a riprendere la quasi totalità del mio self control.  “Ma si può che cazzo ci fai qui!!?

“Questa è casa mia e ci vengo quando ne ho voglia” mi risponde lui, aprendo pensieroso i vari sportelli della cucina.

“Hai detto che questa settimana l’avresti lasciata a me, che vieni mai qui quando c’è troppa gente…” Alzo la tenda della cucina, istericamente, guardando fuori. La neve brilla al sole del mattino, ferendomi gli occhi. Non si vede anima viva.“C’è troppa, troppa gente per te, Sesshomaru!”

Mio fratello sbuffa, chiudendo uno sportello di scatto. “Si può sapere Jaken dove diavolo sono i vassoi?”

“Oh, ve ne prendo subito uno!” esclama l’altro, scivolando lungo il pavimento verso l’angolo più nascosto della cucina.

“Sesshomaru, te ne devi andare” dico fermamente, ricordandomi quello che mi ha detto Miroku sul farmi valere. “Abbiamo organizzato la nostra settimana, siamo in 8 persone, più una che dovrebbe arrivare oggi, non facciamo nulla di male, Per Capodanno arriverà altra gente, è vero ma non ti distruggeremo casa. Ti prego, ti prego ti prego… Vai via…Anche in Hotel, se preferisci… Ne ho visto uno sulla strada per entrare in paese, è gigantesco, è un Grand Hotel, sembra meraviglioso…perché non vai li?”

“Perché questa è casa mia e io non sono da solo” sbotta, versando l’acqua calda per il thè nella teiera. La mano mi sembra molto incerta, si stacca anche un paio di volte dal manico caldo del pentolino caldo. Prendo una delle presine dal piano e gliela porgo. Lui la utilizza da sottobicchiere per la tazza.

“Beh, Jaken lo puoi sempre stagnare da qualche altra parte…” cerco di suggerire. “Oppure lo lasci qui… non credo che le ragazze sappiano davvero cucinare…”

Sesshomaru appoggia con forza il brick sul fornello. “Non mi riferivo a lui.”

Ah ecco. Scommettiamo che lo stronzo che ho davanti ha deciso di farsi una settimana romantica sulle nevi proprio ora?

Jaken torna verso i fornelli, togliendo delicatamente il tutto dalle mani di Sesshomaru, che le agita un po’ sommessamente per fare abbassare la temperatura impressa sulle dita.

Poi punta gli occhi contro i miei “Sono con una persona che ha avuto un incidente.

“E perché non è all’ospedale?” Koga, torso nudo e con i pantaloni a vita estremamente bassa, sceglie proprio quel momento per scendere ciondolando dalle scale, borbottare un saluto in una qualche lingua incomprensibile per poi avventarsi sul frigo, prendere una bottiglia d’acqua e tracannarla tutta d’un sorso.

“Perché non è un grosso incidente. Ha solo bisogno di molto riposo.” Spiega mio fratello, guardando disgustato l’ultima comparsa in cucina.  “indubbiamente vi divertirete molto di più voi in hotel. Aggiunge, rimanendo shockato da come il mio compagno ha accartocciato la bottiglia ormai vuota lasciandosi scappare un tenue rutto. Poi Koga ci guarda, lo sguardo perso. “Siete parenti?”

Gli spiego a grandi linee la situazione e lui mi guarda come se stessi dicendo una montagna di stupidaggini. “Non vedo il problema:” dice, alzando le spalle. “La casa è grande, c’è posto per tutti. E poi noi staremo fuori tutto il giorno a sciare. A proposito, Vestiti che è già tardi e dobbiamo anche trovare un povero disperato disposto a farti da maestro.”detto ciò alza le spalle ed esce dalla cucina.

Io e Sesshomaru rimaniamo a fissarci. “… io non voglio il minimo rumore, in questa casa, chiaro?”

Devo essere sincero, onde evitare spiacevoli sorprese: mio fratello ha l’aria di chi potrebbe chiamare i vigili del fuoco per placare gli schiamazzi notturni di un gruppo di adolescenti in libera uscita. “L’ultimo dell’anno saremo circa una ventina di persone.

Rimane a bocca aperta. “Stai scherzando?” Faccio segno di no con la testa. Lui appoggia le dita alle tempie, come se fossero percorse da una fitta improvvisa. “Voglio questo posto pulito ed in ordine per il pomeriggio del primo Gennaio. E la prima persona che cerca di salire il primo gradino delle scale che arrivano in camera mia viene defenestrato dal sottoscritto. E non voglio gente ubriaca e vomitante in giro, e non voglio musica alta e confusione gratuita, chiaro?”

Vorrei fargli presente che c’è un maggiordomo pagato per pulire tutto, e che è un maledetto, fottuto ed insopportabile guastafeste, ma Kagome è comparsa improvvisamente dal nulla in tempo per sentire i termini dell’accordo. Mi prende sottobraccio e con un sorriso imbarazzato ringrazia più di una volta mio fratello. La guardo sbalordito. “Avanti…” mi sibila “Fai lo stesso”

Dannazione, non ho nessun motivo per ringraziare questo stro… Kagome mi pesta il piede con tutta la sua forza. “Grgrazie, Sesshomaru” dico tra i denti.

La colazione è pronta sul vassoio che mio fratello strappa dalle mani del maggiordomo. “Cercami degli asciugamani puliti” gli ordina, salendo le scale con le stoviglie sul vassoio pericolosamente in bilico.

Io sospiro, scuotendo la testa. Dicevo che niente e nessuno poteva rovinarmi il buonumore? Mi sbagliavo.

In quel momento al piano di sopra, si sente un urlo indignato, seguito dal fortissimo rumore di una mano che si abbatte pesantemente su una guancia. SCIAK!

“Deve essersi svegliata Sango…” denota Kagome.

“Secondo me anche Miroku…” aggiungo.

 

Kagura si era abbandonata contro lo schienale della vasca, lo sguardo perso nello spicchio di cielo e nuvole che vedeva dalla finestra, immersa nell’acqua ancora calda. Si era strofinata ogni centimetro del corpo con tutta la foga che possedeva, quando sentì la porta della camera, al di là del muro, aprire e chiudersi. Un leggero bussare la fece voltare verso la porta del bagno.

“Ti stai ancora lavando?”

Lei rispose affermativamente, osservando la pelle delle dita, divenuta grinzosa.

“Ho la colazione”

Udì di nuovo la porta aprirsi e la voce pigolante del maggiordomo annunciare che aveva portato gli asciugamani. L’uomo di disse di portare su il bagaglio e poi la porta si richiuse.

Di nuovo Sesshomaru bussò. “Posso portarteli?

Lei scivolò il più possibile nell’acqua insaponata, prima di rispondere si.

Sesshomaru entrò, appoggiò i teli su una sedia vicino alla vasca e, prima di uscire, la informò dell’ubicazione del phon. “Fai presto, o la colazione si raffredderà.

Lei voleva rispondergli nuovamente che non aveva fame, ma riuscì solo ad annuire. E a ringraziare. Lui le gettò uno sguardo dorato e poi uscì, richiudendo la porta.

 

Un quarto d’ora dopo Kagura zoppicando uscì dal bagno, i capelli ancora un poco umidi e il pigiama nuovamente addosso. Si diresse verso il tavolino rotondo dove era appoggiata la colazione, sotto lo sguardo di Sesshomaru, che, seduto su una poltrona si era permesso di accendere la tv, lasciandola comunque ad un volume piuttosto basso. Senza dire nulla lei si verso un po’ di thè – tiepido- e prese una piccola fetta di pane e marmellata, andando poi a sedersi sul letto.

“Tutto qui?” Sesshomaru aveva alzato un sopracciglio. “Non è poco?”

“Non ho molta fame” rispose lei semplicemente, masticando il pane.

L’uomo alzò le spalle. Quando la parca colazione della donna fu ultimata, lei si rifugiò di nuovo sotto le coperte, portandosi le ginocchia al petto e sedendosi con la schiena contro i cuscini appoggiati alla testiera. Rimasero entrambi in quelle posizioni, i loro sguardi rivolti verso la televisione, le loro menti altrove.

 

“MIROKU, CAZZO, SPOSTATI!!!” urlò, senza cercando inutilmente di fermarmi senza cadere.

La discesa non è molto ripida, e stò provando in tutti i modi a fare una figura degna su quella maledettissima tavola di legno che mi hanno messo ai piedi.

Siamo arrivati agli impianti che era troppo tardi per noleggiare un maestro, e così i miei cosiddetti amici si sono offerti di insegnarmi. Nella fattispecie, i due poveri dementi sono Miroku e Koga. Gli altri hanno tutti gli sci ai loro piedi, e mi sembrano di gran lunga più stabili.

Il mio sospetto, reso ancora più valido dal fatto che, seguendo le indicazioni del mio rivale non riesco a stare in piedi, è che quest’ultimo stia cercando apposta di farmi lasciare le piume sulle nevi.

Miroku mi da giusto qualche indicazione a caso, più impegnato a tenere stretto alla guancia una palla di neve. Teme che Sango gli abbia spostato la mascella, questa mattina. Non me la sono sentita di dirgli la verità, oggi non ho proprio voglia di morire, e d’altronde, lui è così sicuro di essere capace di palpeggiamenti sonnambuli che mi pare davvero inutile rivelargli che sono io l’autore dello scherzo.

Nel frattempo Kagome, Sango e gli altri due scivolano leggeri e felici lungo il pendio della montagna, fermandosi ogni tanto per guardare in che situazione (critica) sono io, sbeffeggiandomi scherzosamente.

Koga ha tentato di farsi bello agli occhi della mia ragazza esibendosi in un salto spericolato.

E’ finito fuori pista, nel bosco, e l’abbiamo trovato solo perché lo snowboard e le caviglie ancora saldamente attaccate alla sue superficie sporgevano di qualche centimetro dalla neve. Tirarlo fuori di li non è stato molto facile, ma comunque tutto documentato dalla fotocamera di Kagome.

Un altro problema che riscontro è quello degli impianti di risalita. Mi sono seduto anticipatamente sulla prima seggiovia, trovandomi con le chiappe sulla neve e il seggiolino che mi passava ad un millimetro dalla testa. Alla seconda sono sceso ruzzolando e travolgendo e persone davanti a noi. Lo skilift mi è scivolato dal cavallo dei pantaloni e sono arrivato in cima aggrappandomi con le mani al manubrio, mentre la mia faccia strusciava per terra.

A metà mattinata Miroku esige fermarsi per la “pausa bombardino”. Il Bombardino, di cui ignoravo l’esistenza, è una bevanda calda a base di liquore all’albume d’uovo, rhum, panna e una spolverata di cacao.

E’ una delle cose più deliziose che mi sia mai infilato in bocca. Mi riscalda (ormai le mie frequenti cadute mi hanno portato ad avere la neve persino nelle mutande) e divento anche un pochino più spericolato. Ah, e riesco anche a capire dove sbagliavo nelle curve. Insomma, è una bevanda miracolosa e voglio portarmene a casa un barile intero. Koga, si getta in gola anche una grappa, prima di gettarsi lungo una pista nera, accucciato sulla tavola per andare più veloce. E’ seguito dai due punk sugli sci, da Sango, da Miroku (sempre con la palla di neve premuta sulla guancia).

Kagome mi stampa un bacio sulle labbra. “Brr.. sono fredde!” commenta, un sorriso sul suo viso dolce. Strofino il mio naso contro il suo, il bacio degli esquimesi. Il vento ci porta alle orecchie le imprecazioni di Koga, a valle. “Vorrà dire che poi le scalderemo stasera…” rispondo malizioso. La notte precedente è stata così incredibile che non vedo l’ora di rifarla al più presto. Se Kagome me lo chiedesse, mi spoglierei qui e mi rotolerei con lei sulla neve.

Ma lei si mordicchia il labbro inferiore, pensierosa: “Sai, Inuyasha… io penso che… visto che c’è tuo fratello in giro per casa… fosse sarebbe meglio non farlo… dopo stamattina…insomma, io mi sento così imbarazzata…”

Devo avere addosso l’espressione più scandalizzata dell’universo, da come mi guarda la mia ragazza con aria colpevole. Mi da un buffetto sulla guancia. “Su, non fare così…” mormora, dandomi un altro bacio per convincermi. Vedendo che non mi muovo di un centimetro si lascia scivolare a valle.

Maledetto Sesshomaru. Io lo odio. Lo voglio vedere defunto appeso ad una trave della sua dannatissima camera mansardata.

Mi lancio ad una velocità folle lungo il pendio, incurante del pericolo di spaccarmi il collo. Forse Koga aveva ragione quando mi ha messo in guardia dalle malie di Kagome, lei mi ha usato per liberarsi dall’ingombrante imene e per poi gettarmi via. AH, ma che vado a pensare! Nemmeno Miroku partorirebbe pensieri così stupidi. Sono talmente arrabbiato che quando cado a terra, per la milionesima volta, continuando la mia folle corsa verso il resto del gruppo con la schiena e la testa in avanti, quasi non me ne rendo conto. Riesco a tornare in me solamente quando vado a sbattere dolorosamente contro un cumulo di neve, non prima di aver falciato Sango, trascinandola con me nella neve.

Ginta…L’hai filmato, vero?”

Spero che a KAGA vengano le emorroidi in questo momento.

 

Sesshomaru rientrò nella baita un’ora dopo che ne era uscito, con una borsa recante la firma di una boutique in mano. Lasciò la pesante giacca da neve a Jaken e chiese se suo fratello fosse già rientrato, ricevendo una risposta negativa.

Salì le scale e bussò alla porta prima di aprirla. Kagura era ancora seduta sul letto, avvolta nelle coperte, accanto un pacchetto mezzo vuoto di biscotti e la televisione accesa. Avevano pranzato un paio d’ore prima, ed evidentemente lo stomaco le si era aperto.

L’uomo appoggiò la borsa sulla poltrona. “Ti ho preso la giacca e il pigiama.” Disse semplicemente, togliendosi le scarpe bagnate e spostandole con noncuranza in un angolo.

Lei annuì. Quella richiesta era stata l’unica frase che aveva formulato in tutta la mattinata, porgendogli i soldi che aveva nella borsa, e che Sesshomaru aveva rifiutato. “Sei mia ospite” aveva spiegato.

Si alzò cercando di non appoggiare troppo la caviglia e si avvicinò alla borsa esaminandone il contenuto. Erano esattamente della sua misura, segno che Sesshomaru era davvero un così acuto osservatore come lei aveva supposto, e anche provvisto di un ottimo gusto. “Ti ringrazio” disse nuovamente, tornando al letto. “Sono molto belli.” Sesshomaru si era seduto sulle coltri. “Va meglio?”

“La caviglia stà migliorando e il fianco non mi uccide più ogni volta che mi muovo. Rispose lei, abbozzando un sorriso. Poi si avvicinò a lui e gli cinse le spalle con le braccia. “Non so davvero come ringraziarti” disse stringendosi a lui. L’uomo appoggiò le mani delicatamente sulle sue spalle, non stringendola, ma nemmeno allontanandola. La donna avvicinò il viso al suo e gli appoggiò le labbra sulle sue. Sesshomaru non rispondeva al bacio, cosa altamente insolita per lui, così lei si stacco, mentre un’aria ferita le si dipingeva in volto. “Non mi vuoi più? Ti ripugno?”

Lui le scostò una ciocca di capelli dal viso, scuotendo la testa quasi impercettibilmente. Kagura poteva giurare di aver visto un lampo di tristezza attraversare le iridi d’oro dell’uomo.

“Sesshomaru, io ti voglio…” lo pregò, baciandolo nuovamente. “Solo tu riesci a farmi dimenticare tutto questo…” Questa volta lui la fermò direttamente.

“Non ti senti ancora bene.” Disse semplicemente, accompagnandola sulle coperte. “Ti farei solo male, e non credo che tu abbia bisogno di questo, ora.

Le lacrime pizzicarono nuovamente gli occhi, che richiuse con forza. Sentì l’uomo alzarsi dal letto. “Ti prego resta” le scappò dalle labbra.

Lui si liberò dal maglione e dai pantaloni e si infilò nuovamente sotto le coperte con lei. La donna gli scivolò accanto, cercando il contatto e il calore del suo corpo, il profumo dei suoi capelli, il rumore del suo respiro.

Lui la lasciò fare, cingendole le spalle con un braccio. Kagura affondò il viso sul suo petto e lasciò che le lacrime uscissero dal suo cuore pesante.

“Cosa succederà adesso?” disse tra i singhiozzi. “Ti ho trascinato nel fango, Sesshomaru… ora sei nei guai anche te…e la colpa è solo mia! Mi dispiace… Mi dispiace!”

Lui la zittì. “Nei guai mi ci sono sempre ficcato da solo, non preoccuparti.

“Fammi andare… ormai sto meglio, posso cavarmela. Scapperò lontano e cercherò di non farmi trovare da Naraku…”

“Non fare la stupida.” La rimproverò, accarezzandole i capelli scompigliati.

“Non ne vale la pena, Sesshomaru…!”

Lui la baciò. “E’ il solo modo per farti tacere questo?” chiese, baciandola nuovamente. “Kagura, smettila di dire stronzate.” Lo infastidiva la bassa considerazione che lei mostrava per sé stessa, ma capiva anche quanto potesse essere doloroso per una donna affrontare quello che doveva affrontare Kagura in quel momento.

Kagura lo guardò negli occhi, senza riuscire a smettere di lacrimare, e, nonostante tutto il suo sforzo per rimanere lucida e riuscire a pensare di cavarsela da sola, non poté fare a meno di concedersi il lusso di credere in Sesshomaru e di abbandonarsi al suono tranquillizzante della sua voce.

 

Un gruppo di pulcini bagnati. Ecco cosa sembriamo, appena scesi dallo SkiBus davanti alla baita. Io non mi sento più le chiappe, Kagome hai il viso color ciliegia, ad Hakkaku si è gelato il moccio attaccato al naso e all’ultima “pausa pisciatina”, prima di prendere lo SkiBus, le urla terrorizzate di Miroku hanno fatto venire a conoscenza il resto della vallata del fatto che il freddo “gliel’aveva fatto diventare minuscolo” Io ho tentato di sdrammatizzare dicendogli che tanto nessuno l’avrebbe notato.

Ci avviamo doloranti e claudicanti lungo il breve sentiero che arriva alla baita, quando uno strano animale dal giubbotto rosa e i codini castani si lancia squittendo contro Koga, facendolo rovinare a terra, coinvolgendo, con le loro sci e racchette, anche Kagome e Sango, che impreca come uno scaricatore di porto, nella caduta.

“AYAME????” L’espressione di Koga è di terrore allo stato puro, mentre, sogghignando maleficamente aiuto Kagome ad alzarsi e Miroku tenta di aiutare Sango, che si dibatte come un’anguilla in preda ad un attacco epilettico, per stare in piedi nonostante il ghiaccio. Io e il mio amico ci lanciamo un’occhiata complice e soffochiamo una risatina. Voglio gustarmi questa scena secondo per secondo.

La ragazza è il ritratto della gioia. “Si, sono proprio io!” squittisce, alzandosi sempre abbracciata a Koga. “Sono venuta qui per te! Facciamo la settimana bianca insieme, non sei contento?”

“NO!”

Lei rimane sorpresa, le lacrime che le salgono agli occhi.

“Cioè… la casa è piccola…non c’è più posto…”

Decido di intervenire, per rendere la scena ancora migliore. “Ma se proprio stamattina hai fatto notare a me e  a mio fratello che la casa è così grande che c’era posto per tutti!”

Se gli sguardi potessero uccidere, quello di Koga mi avrebbe annientato all’istante. “Non è vero….” Ringhia.

“Oh si, si. Te l’ho proprio sentito dire!”

“Ero ubriaco…”tenta di giustificarsi. Ma ormai Ayame è attaccata come una cozza al suo braccio.

“Mi ha invitato Inuyasha… e ho fatto questo lungo viaggio da sola solo per te…”

Koga la guarda inquieto.“In che senso da sola?”

Lei sbatte le ciglia e alza il mento, orgogliosa. “Ho preso il treno dalla città e sono arrivata sino all’ultima stazione. Poi dovevo prendere la corriera, ma purtroppo l’ho persa. Per fortuna che un simpatico camionista mi ha dato un passaggio sino al paese!”

La fissiamo tutti a bocca aperta per un paio di minuti filati. “stai scherzando vero?” balbetta Kagome. Purtroppo Ayame scuote la testa.

“…E i tuoi genitori te l’hanno lasciato fare?” domanda Sango.

“Oh, non gliel’ho detto!” Ribatte la diretta interessata. “Loro non volevano venire qui, a loro non interessa la montagna. E non volevano nemmeno che ci venissi da sola. Allora ho fatto di testa mia… e sono qua!”

“Vuoi per caso dire che sei scappata di casa? ”

Lei annuisce, soddisfatta, gonfiando il petto.

Lentamente, le facce di tutti si voltano verso di me, fissandomi infuriati. Cerco supporto da Kagome, invano. Miroku se ne lava le mani.

“Declino ogni responsabilità” cerco di cavarmi d’impiccio “Che diavolo ne potevo sapere io che questa era davvero deficiente?”

Koga mi lancia la tavola, che schivo per un pelo. “Andremo nei casini, per questo!” urla, imbestialito, assalendomi. Ci troviamo a ruzzolare nella neve, lui che cerca di strozzarmi, io che cerco di togliermelo di dosso rifilandogli dei calci nello stomaco. La sua furia però non sembra placarmi e allora cerco di azzannargli un braccio.

Jaken si catapulta fuori dalla porta, urlandoci di smettere perché il signor Sesshomaru vuole SILENZIO e SILENZIO ci deve essere.

Cerchiamo di ridarci un contegno, mentre Sango convince Ayame, finalmente, a chiamare a casa per tentare di tranquillizzare i suoi genitori.

 

 

“Sesshomaru… non ne vale la pena…”

Poteva una frase così semplice, detta senza alcuna offesa rivolta a lui, farlo arrabbiare così tanto? L’uomo si sentiva indignato per quello che le labbra di Kagura si erano lasciate sfuggire.

Come diavolo poteva pensare una donna come lei che non valesse la pena cercare di salvarle il collo?

Sesshomaru abbassò la testa per guardarla meglio. Si era addormentata – nuovamente- e il suo collo da cigno era piegato sul suo petto, come per essere cullata dal battito del suo cuore.

Lui non era un uomo abituato ai sentimentalismi, ai colpi di testa, agli slanci effettivi improvvisi. Sesshomaru era un uomo razionale, cinico e calcolatore, di cui le donne subivano il fascino. E lui le lasciava fare, concedendo quanto bastava per cui loro si sentissero a loro agio e sicure di aver fatto colpo.

Era stato così con tutte le donne che aveva incrociato negli ultimi 15 anni della sua vita.

Tutte tranne una. Che donna ancora non era, ma solamente una bambina dai grossi occhi vivi, dalla fantasia galoppante, e dalla risata argentina e contagiosa.

Rin l’aveva colpito sin da quando gli aveva rivolto la parola la prima volta, alla tenera età di tre anni.

Il suo cane era scappato dal cancello e si era infilato in quello aperto della casa di Sesshomaru, appena rientrato dall’ufficio. Lui era sceso dalla macchina e si era trovato davanti alla bambina che aveva visto tante volte, nella casa confinante. Non l’aveva mai vista così da vicino, e la studiò un attimo.

“Io sono Rin, signore!” esclamò lei con voce squillante. “Cercavo il mio cane, mi tolgo subito d’impaccio!”

Lui aveva alzato le spalle. “Fai pure”

Woody, il cane, ritornò dalla padroncina, che lo afferrò per il collare e lo condusse, fingendo di sgridarlo, verso l’uscita. Poi si era rivolto verso Sesshomaru, sorridendogli radiosa. “Arrivederci signore! Quando vuole può venire a prendere il thè nel giardino con me!”

Sesshomaru era rimasto fermo vicino all’automobile, salutandola con un lieve cenno della mano. Vederla così vicino, sentirla parlare, aveva reso quella bambina tangibile e reale. E la sua solare spontaneità, diversa dall’affettata cortesia di cui era circondato, gli era rimasta impressa.

E ora c’era anche Kagura. Era iniziata come un gioco, era proseguita come una sfida, e si era trovato più coinvolto di quanto lui osasse ammettere persino a sé stesso.

Sino a qualche anno prima avrebbe risposto sicuro che non ne valeva la pena, penare tanto per la felicità di una donna che sarebbe divenuta una compagna appiccicosa, melensa e capricciosa, ora, complice forse l’età o la situazione, la sua risposta non sarebbe stata così certa. E nemmeno così negativa, probabilmente.

 

SBAM!

Ayame chiude la porta alle sue spalle, imprigionando Koga con lei in una delle stanze da letto. Noi ci guardiamo tutti negli occhi e scoppiamo a ridere in simultanea.

Koga ti prego, vieni qui!”

“VAI VIA!” Rumori di corsa e di colluttazione. “Ti ho detto di lasciarmi stare!”

Qualcosa veniva rovesciato. Koga cercava di aprire al porta disperatamente.

“La chiave ce l’ho io…” La voce di Ayame tentava di essere maliziosa.

“Dammela!”

“Prenditela…”

“RIMETTITI QUELLA MAGLIA, NUMI DEL CIELO!”

 Noi ci rotoliamo a terra dalle risate. Non riuscivamo a smettere. Miroku sembrava in preda ad un attacco epilettico.

Mio fratello compare dalle scale, lo sguardo imbronciato. “Vi avevo detto di non fare confusione…” sibila, stringendo i pugni.

Sango è la prima a parlargli, asciugandosi gli angoli degli occhi. “Ci scusi, ma ci sono due nostri amici che hanno qualche problema…”

“di incomprensione…” conclude Miroku, i crampi allo stomaco.

“TU SARAI MIO!”

“VAI VIAAA!!!

Sesshomaru ci guarda scandalizzato. “Ma che diavolo…”

Ayame apre improvvisamente la porta, in reggiseno. Hakkaku fischia, mentre noi applaudiamo e Ginta ulula.

“Si è buttato dalla finestra!” balbetta, sconsolata.

Mio fratello scuote la testa e scende al piano di sotto, mentre noi ci sporgiamo dalla finestra per prendere in giro Koga.

 

 

[*] La marcia dell’Aida è anche L’Inno Nazionale dell’Egitto.

I fatti qui narrati durante la sciata sono tutti capitati per davvero..

GRAZIE A TUTTE PER LE RECENSIONI!!!!

 

 

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Capitolo 14
*** ...And a Happy New Year! ***


Capitolo 14:

Capitolo 14:

…and a Happy New Year….

 

SBAM!

Questa volta è un calcio ben assestato a colpire lo stomaco di Miroku e a farlo sbattere contro la parete dietro. Sango non ha preso bene la fotografia “artistica” che il mio amico ha fatto del suo deretano mentre era chinata sotto il tavolo a raccogliere l’orecchino.

D’altro canto, però, Miroku non si è scomposto più di tanto, e si stacca dalla parete con un sospiro, per poi tornare a rifornire il mobile bar. Ormai è un buon incassatore.

Dalla cucina provengono i profumini deliziosi del cibo che Jaken sta preparando, mentre Koga è ancora alle prese con Ayame e i suoi ormoni impazziti. Quella ragazzina non pare capire il disinteresse (per non dire il rifiuto assoluto) che lui prova nei suoi confronti.

Ginta e Hakkaku sono impegnati a montare la consolle da Dj e ad apportare modifiche all’impianto audio della casa. I due, papabili futuri ingegneri, sono riusciti a fare in modo di isolare acusticamente il terzo piano dal resto della casa: un bel materasso piantato in mezzo alle scale non appena mio fratello e la sua ospite si ritireranno nelle loro stanze.

La ragazza in questione, che ho scoperto con non poca difficoltà che si chiama Kagura, l’abbiamo vista solo una volta, giusto questa mattina, quando finalmente si è sentita nelle condizioni di scendere le scale e presentarsi a colazione. E’ pressoché muta e musona come mio fratello, quei due si sono proprio trovati. Miroku e Koga sono d’accordo comunque che siauna topa da 100 e lode”. Questo pomeriggio so che sono usciti per fare un giro in paese.

Hey! Terra chiama Inuyasha, ci sei???” la voce di Kagome mi riporta al mio lavoro: la sto aiutando ad apparecchiare il buffet e la tavolata immensa. Riprendo a posare piattini e bicchierini colorati. Ecco cosa è costretto a fare un pover’uomo per tenersi buona la propria donna… Anche se i “buoni propositi” di Kagome di tenermi a bada non sono andati a buon fine (L’ultima volta è stato giusto questa mattina, chiusi in bagno.), sono costretto a fingere una sottospecie di mansuetudine e di affabilità in sua presenza: le tempeste umorali di Kagome arrivano all’improvviso, quando meno uno se lo aspetti, e soprattutto per le cose più idiote. E con Koga nelle vicinanze non posso permettermi di farle mettere il broncio: ci vorrebbe un attimo per quel bastardo per fondarsi al suo fianco proclamandosi suo consolatore.

“OH, Inuyasha!” mi chiama Miroku, guardando il cellulare: “Gli altri stanno arrivando”

Di già?

Ginta e Hakkaku mi chiedono il permesso di spostare una libreria di qualche centimetro, per riuscire ad utilizzare la spina elettrica che c’è dietro. Glielo accordo e mi avvicino per aiutarli. La spingiamo di lato quanto basta, non riuscendo però a impedire che oscilli pericolosamente.

PUM!

Ci voltiamo verso l’oggetto che è precipitato dall’ultimo scaffale in alto della libreria. E’ una videocassetta, senza nessuna etichette che possa descrivere il suo contenuto.

“Che diamine è?”

“Magari è un porno” suggerisce Miroku. Esprimo la mia perplessità a riguardo, ma nessuno mi ascolta, come sempre.

“Si, dai, Guardiamolo!” gridano Ginta ed Hakkaku all’unisono. Sango fa notare che la televisione della taverna ha solamente il lettore dvd. “Si, ma quella del salottino al piano di sopra ha anche il videoregistratore per le vhs!” ribatte Kagome, che ha lo sguardo sempre attento.

Ma si, dai, diamoci un’occhiata… che male può fare una cassetta? Ci avviamo verso il piano di sopra e ci sistemiamo  salottino, ma Koga mi ferma prima che io infili la cassetta nel videoregistratore. Ha l’aria preoccupata. “Inuyasha, ho sentito una volta una storia strana:” inizia, deglutendo. “Una volta un gruppo di ragazzi hanno trovato una cassetta anonima, senza etichette né altro, l’hanno guardata. C’erano strane immagini, strane cose”

“AH, si, l’ho vista anche io!” lo interrompe Miroku. “E’ PornAcrobatic! Fantastico!”

“No, non è quello idiota….” Koga continua a tenermi stretto il braccio. “Insomma, te la faccio breve: quando la cassetta è finita, è suonato il telefono, e una voce ha detto che sarebbero morti tra 7giorni. E così è stato!”

Su di Koga sono puntati tutti i nostri sguardi di compatimento. Compreso quello di Ayame.

“Quello è un film. Si chiama The Ring…”

“Ma è tratto da una storia vera!” protesta, sedendosi su un divano. “Vedrete. Mi auguro solo che quella non sia la cassetta in questione.

Ayame ne approfitta per strofinarsi contro di lui. “Ho un po’ paura, Koga….” Miagola.

“Zitta e non guardare” l’ammonisce lui, mettendole un cuscino del divano davanti agli occhi. Ayame protesta dicendo che con il cuscino non respira tanto bene, ma lui fa orecchie da mercante.

Io spingo la cassetta e schiaccio il tasto play. Sullo schermo lattiginoso della televisione compaiono tante righe bianche e nere e il rumore assordante della cattiva ricezione. Ci portiamo le mani alle orecchie infastiditi, tranne Koga che salta sul divano con le mani nei capelli urlando istericamente “INIZIAVA COSI’! INIZIAVA COSI’!”

Poi la taverna al piano di sotto, inquadrata dalla parte del mobile verso il divano, sul quale si sedeva, dopo qualche istante…

Mio fratello Sesshomaru. Nel video doveva avere circa Tredici anni, i capelli lunghi e candidi come adesso, un paio di brufoli sulle guance una chitarra a tracolla. Tossicchiò un attimo, poi si sedette, imbracciando la chitarra.

Inutile dirlo: scoppiamo tutti a ridere a crepapelle.

“Il primo provino di tuo fratello!” ride Sango, le lacrime agli occhi. “Aveva stile, non c’è che dire!”

Miroku è per terra. “Questa è meglio di un porno!” e io sono d’accordo con lui.

Nel video, mio fratello inizia a pizzicare le corde della chitarra, concentrato, e poi inizia a cantare:

I come from down in the valley
where mister when you're young
They bring you up to do like your daddy done
Me and Mary we met in high school
when she was just seventeen
We'd ride out of this valley down to where the fields were green
We'd go down to the river
And into the river we'd dive
Oh down to the river we'd ride”

“Beh, dai, però è bravo!” commenta Kagome. Poi la videocamera si muove appena e una voce fuori campo tossisce. Sesshomaru si deconcentra e sbaglia un accordo. Allora non si stava filmando da solo?

Then I got Mary pregnant
and man that was all she wrote”

“ECCO, NON PRENDERE ESEMPIO DA LUI!” esclama limpida la voce fuori campo, una nota divertita ed irriverente nella sua voce.

Sesshomaru si distrae nuovamente, questa volta gli scappa un mezzo sorriso. Si sforza di rimanere serio e di continuare a suonare, ma non ce la fa. Gli scappa di nuovo da ridere. “Papà, cavoli! Non mi sei d’aiuto!”

PAPA’? dall’altro capo della del video c’era mio padre?

Anche i miei amici smettono di ridere, Miroku alza il volume del televisore, mentre io mi avvicino, senza accorgermene allo schermo. PAPA’? Mi manca il respiro. Fatti vedere, papà, ti prego, fatti vedere...supplico in silenzio. Il mio spasmodico desiderio ora è solo uno. Fatti vedere, fatti inquadrare papà TI PREGO, TI SCONGIURO…

Ma di mio padre rimane la voce fuori campo che canzona Sesshomaru sul modo in cui prende la chitarra e su come canta. “Se il BOSS ti sentisse si ritirerebbe!” “beh, si, ma solo perché ha trovato uno migliore di lui!” Sesshomaru ride, imbracciando nuovamente la chitarra e sforzandosi di tornare serio. “da capo. E questa volta non intrometterti!” “Come sei NOIOSO Sesshomaru. Mio fratello incomincia di nuovo a suonare. La telecamera si sposta appena, per riprenderlo da un’altra angolazione. Involontariamente, un angolo dell’inquadratura finisce per riflettersi contro lo specchio. Ed eccolo li! Mio padre. Se ne vede solo un pezzettino, che io mangio avidamente con gli occhi. Ha un pullover arancione, i suoi capelli legati in una coda, e il viso seminascosto dalla telecamera. Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi. Papà… se non fosse successo l’incidente, il protagonista del video potevo essere io. Mio padre sposta di nuovo l’inquadratura, zoomando il viso concentrato di mio fratello, e la sua immagine riflessa allo specchio non si vede più.

Io non mi muovo, agognando un altro riflesso rubato. La suoneria del cellulare di Miroku ci fa trasalire tutti. Sento il mio amico che risponde, mi sembra lontano mille chilometri. Qualcuno, che dal profumo riconosco in Kagome mi viene accanto e mi passa un braccio attorno alle spalle, posando lievemente le sue labbra sulla mia guancia. So che può sentire il sapore del sale, ma non posso fare a meno di stare li, ipnotizzato dallo schermo televisivo, ad aspettare un’altra immagine di mio padre, anche un solo pezzo del corpo, una mano, un braccio, una ciocca di capelli. Un’altra volta il suono della sua voce.

“Gli altri sono arrivati” annuncia Miroku a mezza voce, il tono meno irruento del solito. “Andiamo giù a prenderli, ragazzi.” Dice, facendo cenno agli altri, che lo seguono in silenzio. Davanti alla Tv rimaniamo solo io e Kagome.

La cassetta finisce pochi secondi dopo, interrotta da un fruscio e dalle righe bianche e nere. Probabilmente era rovinata.

Rimango qualche istante come in trance a guardare quelle righe, a malapena il rumore fastidioso mi colpisce le orecchie. Kagome cinge le mie spalle con le sue braccia, stringendomi forte. “Vuoi che riavvolga il nastro?”

Scuoto la testa. Se lo rivedessi un’altra volta rischierei davvero di scoppiare a frignare come un dannato moccioso.

Mi volto e sprofondo la testa nei capelli di Kagome. Restiamo così per qualche minuto, finche non sentiamo il vociare eccitato degli altri al piano di sotto.

“Dobbiamo andare” dico, cercando di nascondere i miei occhi arrossati. Lei mi da un bacio e annuisce.

 

“Non credo di aver mai visto così tanta neve in vita mia!” esclamò a mezza voce Kagura, scavalcando un cumulo a lato della strada, rischiando di sbilanciarsi e cadere. “E fiocca ancora!”

“Non c’è mai stata così tanta neve da più di cinquant’anni” la informò Sesshomaru, Aiutandola a sorreggersi, reggendo in perfetto equilibrio le borse.

Quel pomeriggio Kagura gli aveva chiesto di fare un giro in centro, sentendosi meglio. Così si erano diretti verso la via principale del Paese e la donna si era lasciata andare agli acquisti, sembrava che il suo umore migliorasse, pur restando sempre tesa. Quando un’auto le passava di fianco sobbalzava, e seguitava a calarsi sulle orecchie il cappello di pelo e ad aggiustarsi gli occhiali da sole sugli occhi.

“Guarda che ormai c’è buio. Se non te li togli non vedrai nulla.”

Lei sembrò non dargli ascolto e cambiò discorso: “Avrei voglia di una cioccolata calda…”

Sesshomaru la guidò verso un delizioso bar in un angolo. “Qui è eccezionale. Anche se la specialità della casa è il gelato allo yogurt con i lamponi caldi.

I due entrarono e si sedettero in un angolo del locale, avendo cura di evitare la vetrina. Solo dopo essersi guardata attentamente intorno Kagura si rilassò sulle poltroncine di velluto.

“Tirati via gli occhiali, per favore…” insistette l’uomo. “Mi sembra di essere al bar con Ray Charles…”

Alla donna scappò un risolino: “Ma io non sono nera e non suono il piano…”

“Era un modo di dire…”bofonchiò l’altro, ordinando alla cameriera la specialità della casa e una cioccolata con panna.

“Non hai ancora comprato nulla per questa sera” notò poi. Lei lo guardò interrogativa. “Dovrei mettermi in ghingheri per un cenone di capodanno con tuo fratello e i suoi amici?”

Sesshomaru scosse la testa. “Non ho la minima intenzione di dividere nemmeno un mezzo pasto con quella banda di esagitati. Notando il tuo miglioramento, mi sono permesso di prenotare un tavolo per due al Maxim, il ristorante all’inizio della via.

Lei appoggiò la fronte alle mani, scuotendo la testa. “Se non te la senti possiamo anche restare in camera. Aggiunse, vedendo la sua espressione attonita.

“No, no, affatto!” Kagura sorrise. “è che, vista la situazione, mi pare una cosa una po’ incosciente.

“Anche se ti riconoscesse qualcuno, credi che ti farebbero qualcosa, qui, davanti a tutti?

Lei annuì.

“Allora terremo gli occhi aperti”

Kagura si protese sul tavolo, verso l’uomo. Gli occhi rossi che lo fissavano intensamente sopra le lenti scure.“Sesshomaru, questo non è un film di 007. Questa è la realtà, e rischiamo davvero di rimetterci il collo.

“Tu non ti preoccupare.” La cameriera arrivò con l’ordinazione. “Pensa solo a cosa metterti stasera.”

Kagura sospirò, non troppo convinta.

 

Le tre amiche ridacchiose di Kagome si sono lanciate addosso a lei abbracciandola ed emettendo gridolini festanti. Poi l’hanno strattonata in bagno, “Adesso ci devi raccontare tutto!” bisbiglia curiosa una di loro, avida di notizie. Le altre annuiscono, mentre la mia ragazza cerca di puntellarsi con i piedi per frenare l’irruenza delle ragazze. “Inuyasha, aiuto!” mi chiama.

“Divertiti, tesoro!” rispondo di rimando. Mi dispiace ma io con questa storia non voglio averci nulla a che fare…

Saluto Tsuya e il suo trolley leopardato, Nobunaga che la guarda imbambolato e constato che la faccia di Hojo è di un color verde militare. “Che fai, vomiti? Di già?” Lo prende in giro Koga.

“No, le curve…” fa appena in tempo a spiegare lui, prima di correre fuori e di riempire un cumulo di neve con i suoi succhi gastrici.

 

Però sarei curioso di sapere cosa si dicono quelle. Curiosità che, tra l’altro mi esprime pure Miroku. Gli rispondo che non sono affari suoi.

“La finestrella del bagno è aperta, sai, prima c’è andato Hakkaku…e dal giardino dovrebbe sentirsi tutto…”

Miroku dovrebbe fare la spia, da grande. Fingo indifferenza. “Non ho intenzione di turbare la privacy di Kagome…” Mento. “Piuttosto, passami una birra.”

Mentre Miroku si volta verso il tavolo per prenderla io sguscio fuori, salutando di passaggio i neoarrivati. Corro verso il giardino e attorno alla casa, sino alla famigerata finestra del bagno, ancora aperta.

Mi ci piazzo sotto, maledicendomi per non aver preso su la giacca e aguzzo l’udito.

… “Kagome, ti prego, dicci!Cosa avete fatto?”

…. “Stiamo morendo di curiosità!”

… “Ed invidia…”

…. “Beh, si, l’abbiamo fatto…” risponde Kagome timidamente. Avverto il suo disagio anche senza guardarla in viso. Non vorrei essere proprio nei suoi panni. In quel momento mi volto e, quasi rischiando l’infarto, la mia faccia si ritrova a dieci centimetri netti da quella di Miroku.

“Idiota” leggo sulle sue labbra,mentre mi porge la birra.

Gli faccio segno di tacere e di andarsene, ma lui scuote la testa e si accuccia di fianco a me. Ci provo con la forza, ma rischio di fare troppo rumore. Mi prendo la birra furioso e ne tracanno un gran sorso. Spero solo che Kagome parli bene di me…

… “OHMIODIO! Ma tutto?”

… “Beh, si Eri, perché, si può fare a metà?” Miroku soffoca dalle risate, mentre io soffoco nella birra.

… “E com’è stato?”

… “…beh, Yuka, bello…”

…. “Ti ha fatto male? Perché se ti ha fatto male allora lui non era l’uomo giusto per te! L’ho letto ovunque, se lui è l’uomo giusto non senti dolore, ma senti la musica e gli angeli cantare!”

A questa sia io che Miroku facciamo fatica a non svenire dalle risate. Ma è scema o cosa?

“Eri, ha fatto sesso per la prima volta, non ha sniffato della cocaina…”

“… e ti è piaciuto?”

“Beh… la prima volta… non tanto… fisicamente, intendo” si affretta a dire. Io smetto di ridere, Miroku no. “Però gia dalla seconda volta è stato nettamente migliore!” Brava Kagome, così si fa. La mia birra ha un gusto migliore e Miroku mi da una pacca sulla spalla, congratulandosi.

“E lui l’aveva già fatto?”

Questa cosa sembra imbarazzare Kagome, mentre risponde affermativamente.

“Io non lo farei mai con qualcuno che ha già avuto un’altra donna prima di me!”

Yuka sbuffa, Ayumi incalza.“…quanto è lungo?”

Silenzio. Non so cosa darei per vedere il gesto di Kagome. Dopo qualche istante però si sentono dei commenti positivi. Altro punto in più per la mia Kagome. Alzo la birra in suo onore mentre il mio amico mima un applauso.

“Io non lo farei mai con uno che ce l’ha così. Secondo me… è nocivo!”

“…”

“…”

“…”

Yuka tossicchia “Comunque, dicevamo. Avete usato però…?”

“Si, si! Assolutamente, tutte le volte. Gli abbiamo rubati a Miroku. Sai, la sua scorta personale…quella per ogni evenienza.

Miroku pare contrariato, e io gli prometto che glieli restituirò. “Non quelli usati, spero!” bisbiglia, sentendosi in diritto di finire la mia birra, per poi gettarla in giardino.

“Ma ti ha detto che ti amava, che tu sei la sua vita per lui e che lui è niente senza te?”

Tutte le ragazze danno segno di impazienza.

“Secondo me non è giusto. Lui ti ha costretto a farlo così presto…” è sempre Eri ad essere in disaccordo su questa cosa…

“Guarda che c’ero anche io, ed ero pienamente consenziente!” Altroché! Vorrei aggiungere.

“Si, ma non è giusto. Non è romantico farlo così presto!”

Le altre sbuffano, ma Eri risponde piccata: “Edward non avrebbe mai proposto a Bella di farlo così presto! Per questo che il loro amore sarà eterno. Perché hanno aspettato.”

“….”

“Mi dispiace. Non prendertela però…” Kagome prende un bel respiro. “E’ meglio che tu taccia perché non ne hai nemmeno la più pallida idea di cosa io stia parlando. E sappilo, ti perdi una cosa grandiosa.”

“La mia sarà grandiosa perché avrò aspettato!”

“Si, e così tanto che lui appena avrà sentore dell’arrivo della patata durerà dai 5 ai 10secondi. Ride Ayumi. Mi pare esperta la ragazza. “O forse sarà già in età da viagra

 “Non è vero! Quando uno ama davvero per tutta la vita dura tutta la notte!”

“… orpo, presentamelo!”

“Credimi, mio fratello è ingegnere e ha appena dato un esame di idraulica: non funziona così”

Miroku ed io ci poniamo la stessa domanda: E questo che c’entra?

La tensione è palpabile anche da fuori la casa.

E’ Kagome interviene per sedare la disputa. “Ragazze, è meglio che andiamo fuori, o gli altri finiranno il buffet!”

Yuka sospira, sognante. “non vedo l’ora di farlo anche io…” Miroku si offre volontario, alzando la mano,e  gli tiro una botta ridendo, facendogli cenno di rientrare.

 

 

“Santo cielo… si sono moltiplicati come conigli!” commentò Kagura, varcando la soglia della baita. Sesshomaru si guardò intorno, la rabbia che gli montava dentro. Ce ne erano TROPPI… Il buffet era già svuotato, una paio di idioti ballavano su un tavolo mentre una ragazza molto disinibita mostrava il completino rosso adatto all’occasione.

Le sue raccomadnazioni su un comportamento pressoché civile e sul livello di baccano contenuto erano state ignorante. Inoltre, in molti sembravano già ubriachi. Alle 7 di sera.

Kagura ebbe la brillante idea di levarsi di impiccio. “Ci metterò un po’ a prepararmi. Filo di sopra mentre tu sculacci tuo fratello, ok?” disse, prima di scivolare tra i ragazzi (un paio dei quali, per ulteriore fastidio di Sesshomaru, l’avevano anche guardata ammiccando e fischiando).

“I-NU-YA-SHA!”

“Sono qui!” Si materializzò il ragazzo a suo fianco, con l’aria più innocente e tranquilla dell’universo.

“Quali erano i patti?”

“Poco baccano mentre tu sei in casa, niente adolescenti ubriachi e privi di sensi, niente pozze di vomito e niente musica a volumi stratosferici. Ah, mi hai anche ricordato che siamo esseri umani e non scimmie assatanate.

L’uomo gli indicò stizzito la baraonda generale, mentre Ginta, capito il problema, abbassava lentamente, ma progressivamente, il volume dello stereo.

“Beh. Siamo un po’ in tanti e, sai, Siamo giovani e pieni di energia… ma ti giuro che al tuo ritorno – si, lo so che stasera andrai a mangiare fuori con Kagura, me l’ha detto Jaken- troverai questo posto come nuovo.” Lo sguardo del ragazzo vagò un attimo per la casa. “Più o meno.”

“Inuyasha, io giuro che…”

“Mi dispiace interromperti, ma avrei una questione più urgente da sottoporti. Puoi venire al piano di sopra?”

Sesshomaru lo seguì, di malavoglia, mentre lanciava frecciate ai ragazzi che lo circondavano e che, vedendolo si fermavano, un po’ interdetti ed inquietati da quella presenza. Persino Ayame smise di tormentare Koga, per qualche secondo, e Sango si avvicinò preoccupata a Miroku, quasi cercasse protezione.

Arrivati davanti al televisore Inuyasha si schiarì la voce: “Ho trovato una cassetta.

Oh cribbio, questo mi vuole ricattare. Sesshomaru scelse di fingere indifferenza. “Cassetta?”

Inuyasha annuì gravemente, accendendo il video. Le immagini scorsero davanti agli occhi dell’uomo, che non si mosse di un millimetro. “Quindi?” Beh, non cantavo nemmeno male.

“Ne hai altre? Con papà, intendo.”

Tutto qui? “Da qualche parte credo di averne qualcuna.

“Ti spiacerebbe se le guardassi?”

“Perché mai?”

“Per vedere papà.” Rispose con diretta, disarmante semplicità Inuyasha, giocherellando con il telecomando. “Mi ricordo troppo poco di lui. Non mi ricordavo nemmeno della sua voce.”

Sesshomaru ci pensò un attimo.“Ci sono immagini di una famiglia a cui non appartieni.”

“Il ricordo di papà appartiene anche a me. Rispose con fierezza il fratellino, lo sguardo alto. “Non è solo appannaggio tuo.”

L’uomo studiò il ragazzo che aveva davanti a sé. Con la maturità era arrivato alla conclusione che il fratellastro non era la causa del divorzio dei suoi genitori. I rapporti tra loro erano gelidi già da anni, prima che suo padre si trovasse un’altra donna. Ma sua madre era una Contessa, e quel matrimonio d’apparenza serviva a Inu no Taisho per pararsi le spalle finanziariamente, e per fornire, comunque, un appiglio fintamente stabile all’unico figlio che aveva. Poi però aveva avuto quella relazione, da cui era nato Inuyasha, che aveva preso il suo posto. Fondamentalmente, Inuyasha non aveva colpa di essere nato. Era stata colpa di quella donna. Ma il fatto che la sua risata infantile avesse rapito il cuore di suo padre era una cosa che a Sesshomaru non era mai andata giù. Aveva allontanato quel genitore che sentiva sempre più distante e distratto da sé, arrivando quasi ad odiarlo, finché un giorno il giornale non gli aveva dato la notizia che il cadavere di Inu No Taisho, importante imprenditore della città, era stato trovato imprigionato nelle lamiere della sua auto, insieme a quello della sua nuova compagna.

E da li aveva nascosto le cassette, perché sua madre cercava di distruggere tutte le prove dell’esistenza dell’ex marito dalle loro abitazioni. Chissà come aveva fatto quella a sfuggirgli. Forse ci aveva messo su le mani Jaken, prima di sua madre, salvandola.

“Vedrò cosa trovo.” Disse semplicemente. “Non so sinceramente che fine abbiano fatto. fingendo noncuranza, si avviò verso le scale che conducevano al piano superiore.

“Ah, Sesshomaru…” lo chiamò nuovamente il fratellastro. “comunque quella non era l’unica cassetta che ho trovato.

Ora l’espressione seria era sparita, lasciando il posto ad un sorrisetto ambiguo e canzonatorio. “Devo davvero farti i miei complimenti….!

L’altro strinse le dita al legno del corrimano.“E allora impara dal maestro.” Commentò sforzandosi di trattenersi dal picchiare il ragazzo e salendo le scale in preda ad un leggero nervoso.

 

…Fregato…idiota.

Estraggo la cassetta dal videoregistratore e la porto in camera, nascondendola dentro la valigia. Poi torno al piano inferiore. Speriamo che mio fratello levi le tende alla svelta. La sua presenza in questa casa è un’ombra sulla festa.

 

Kagura era in piedi davanti alla televisore, attonita, il telecomando ancora in mano.

“Kagura Onigumo, imprenditrice, sorella e socia di Naraku Onigumo, è scomparsa da un paio di giorni da casa. Si ipotizza l’allontanamento volontario, ma il fratello non si sente di tralasciare la pista del rapimento di persona.

Il viso di Naraku, in primo piano, con la sua espressione falsamente preoccupata, aveva invaso lo schermo.

“Sono molto preoccupato per mia sorella. Non si era mai allontanata senza avvisare nessuno, è molto strano da parte sua, vorrei che ci desse sue notizie…”  L’inquadratura si era allargata, rivelando i suoi cuginetti, Kanna e Hakudoschi, fra le sue braccia, falsamente confortanti. “Noi l’aspettiamo sempre, vogliamo solo sapere, da lei o dai suoi sequestratori, come sta e cosa possiamo fare per portarla indietro.

Kanna affondò la testa tra le spalle, gli occhi a terra, Hakudoshi le rivolse uno sguardo esasperato.

“Noi saremmo disposti a fare qualsiasi cosa, per riabbracciare Kagura. Non è vero bambini?”

Il bambino annuì di riflesso, Kanna ciondolò un poco la testa.

Poi lo schermo della televisore si spense improvvisamente, tra lampi d’elettricità, bucato dal telecomando lanciato da Kagura.

La donna aveva il fiatone, lacrime che le correvano lungo le gote pallide e colpivano il pavimento di legno. Sentiva il proprio cuore pulsarle nelle tempie, più forte del suono della musica due piani più in basso. Si accasciò sulle ginocchia, sembrava spossata. Qualsiasi cosa.

Sesshomaru era entrato dalla porta in tempo per vedere La parte finale dell’intervista e la reazione di Kagura. Le si avvicinò, posandole una mano sulla schiena. “Mi dispiace” sospirò lei, asciugandosi le lacrime dagli occhi. Tremava.

“Oh, non è importante. Rin ha fatto la stessa cosa con il joystick della Wii un paio di settimane fa.” L’aiutò a rialzarsi e a sedersi sul letto. “Vuoi che disdica al Maxim?”

“Assolutamente no!” la donna si asciugò le lacrime. Un lampo di determinazione degli occhi rubino. “Non permetterò a Naraku di rovinarmi ancora. Non gli permetterò di rovinarci.” Prese poi il telefono della camera e l’elenco telefonico. Lo scorse e poi compose il numero sotto gli occhi di Sesshomaru, che la guardava senza capire.

Pronto, Polizia Cittadina? Buonasera, sono Kagura Onigumo. Ho appena visto il servizio al telegiornale su di me” spiegò, la voce pacata e serena. “Ho avuto un alterco con mio fratello e ho deciso di prendermi una vacanza rilassante, lontana dai clamori della civiltà. Oh come?” Kagura ridacchiò. “Si, davvero, glielo giuro agente, sono sola soletta. E contenta di esserlo, in questo momento. Mi stavo giusto per immergere in una Jacuzzi fumante in compagnia di un buon libro e un bicchiere di vino. Inventò, con voce sensuale, strizzando l’occhiolino all’uomo di fronte, che la guardava senza parole. “Volevo quindi tranquillizzare gli animi di tutte le persone che sono in pensiero per me.” Ridacchiò ancora. Sesshomaru si spostò con una punta di fastidio, fingendo di provare interesse per il telecomando conficcato nel televisore. “Oh, agente, io le auguro un felicissimo capodanno. A lei e a tutta la caserma. Siete in tanti stasera?” Sesshomaru sbuffò, provando ad estrarre l’oggetto di plastica. “Oh… allora fate un brindisi anche in mio onore. Auguri, e grazie per la chiacchierata.” CLICK.

“Che immaginazione!” commentò infastidito Sesshomaru. Kagura lo guardò complice. “Per il momento va bene così. Vado a preparami.” Gli schioccò un bacio sulla guancia. “Scusa se non ti invito, ma faremmo tardi per la cena.

 

Non sono ubriaco. Non lo sono affatto. Sennò a quest’ora starei vomitando come Koga e Hakkaku. Invece sono qui, disteso sulla neve con qualcosa in mano, (la grappa l’abbiamo già finita una mezz’ora fa…. La vodka? Ce n’era ancora? O è gin?”) guardando le stelle e conversando amabilmente con Sango e Miroku a proposito delle Tre Civette sul comò. Non ho mai capito come avessero fatto a fare l’amore con la figlia del dottore.

“Ma le civette non sono femmine?” domanda ad alta voce Sango. Miroku scuote la testa convinto. “Sennò lesbicherebbero con la figlia del dottore.

Sango gli dà ragione. “Pensa che scena!”

“Inuyasha!”

Ecco, Kagome! Stavamo giusto parlando di far l’amore con il comò. No, dentro. No, sopra. “Ti va di usare un comò?”

“Inuyasha, sei ubriaco!”

Scuoto la testa, l’ostinazione alcolica che mi da forza. “Assolutamente. Non vedi? Sto benissimo!”

“Ma sei a torso nudo nella neve!”

AH, cavoli, è vero. E allora perché non avevo freddo? “Beh, anche Sango lo è!”

“Non è vero!” urla lei, tastandosi. Miroku era già all’erta… “E’ Yuka che ha tentato il topless.

Kagome mi Aiuta ad alzarmi. “Stupido…” borbotta. Vedo che anche lei non è molto stabile. “Mio fratello è tornato?”

“Si, e già da un pezzo, non ricordi? Appena è rientrato nella sua stanza Ginta e Hakkaku hanno alzato il materasso mentre tu e Miroku avete iniziato a cantare “siamo noi, siamo noi, il paradiso siamo noi…”

Ah, già è vero! “Che ore sono?”

“Manca un minuto a mezzanotte….”

L’anno volta l’angolo, scompare dalla nostra vista e io sono con la mia Kagome… Comincio a sentire il freddo. Lei capisce e mi sorride, porgendomi la giacca. Me la infilo e la stringo a me, premendo le mie labbra sulle tue. Lei protesta appena “Sai di vino…” “E tu di vodka alla pesca. L’anno nuovo ci deve trovare mentre ci baciamo.

La stringo nuovamente a me. Me la farei così, sulla neve, al freddo, in mezzo a tutti.

“CINQUE….”

Non ci stacchiamo più, le passo una mano tra i capelli.

“QUATTRO”

Sono grato all’anno vecchio. Mi ha portato via dall’istituto, mi ha fatto accarezzare l’amore impossibile di Kikyo e mi ha dato l’amore tangibile di Kagome.

“TRE”

Voglio iniziare l’anno nuovo con le sue labbra sulle mie. Voglio sentire la fragola e la vaniglia nella mia testa.

“DUE”

Voglio Kagome con me per tutto l’anno nuovo, per l’anno nuovo ancora e così via, finché esisteranno gli anni e i capodanno da festeggiare.

“UNO”

“CAZZO!”Miroku su precipita in mezzo a noi, interrompendoci, si getta sulla neve bocconi e vomita qualsiasi cosa abbia sparsa per il suo corpo, sotto le risate di Sango e Koga.

“MEZZANOTTE!!!”

Mi getto di nuovo nelle braccia di Kagome. “PRESTO!” Un bacio. Un altro. Un altro ancora.

“Buon anno, Inuyasha.”

“Buon anno Kagome…”

Sango ci raggiunge e ci abbraccia. Lo stesso fanno Ginta ed Hakkaku. Miroku tenta di unirsi, ma lo allontaniamo schifati con i piedi. Koga è braccato da Ayame e ci guarda disperato.

La mia festività preferita è indubbiamente Capodanno, anche se tecnicamente ho iniziato l’anno nuovo guardando Miroku vomitare nella neve, ma poco importa. Sotto i fuochi d’artificio, le labbra sono ancora quelle di Kagome.

 

 

I fuochi d’artificio esplosero dall’altra parte della finestra. Sesshomaru li guardò per un secondo poi i suoi occhi dorati ritornarono sulla donna avvinta a lui, tra le lenzuola scomposte del letto. Le dita delle loro mani si intrecciarono, mentre la passione non si esauriva.

“Buon Anno, Kagura…”

“Auguri, Sesshomaru.”

 

 

 

Auguri a tutte ragazze! Aggiornamento in Extremis, prima di partire per il Capodanno, (starò via un paio di giorni, non preoccupatevi!) sempre sulle Dolomiti.

Grazie mille per le continue recensioni. Grazie soprattutto a Mikamey, Beverly Rose, Alia_chan, MyImmagination, Kirarachan, smartina86… spero di non aver dimenticato nessuna!

Grazie a tutte voi, spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento.

Passate un buon Capodanno e iniziatene uno nuovo che spero sia splendido!!!

+

NOTE:La canzone cantata/suonata da Sesshomaru è The River di Bruce Springsteen. Il Boss è il mio cantante preferito, e non vedevo l’ora di riuscire a infilare uno dei suoi capolavori qua dentro. Ascoltatela pure. Può sembrare un po’ triste… ma è cosi bella!

Il bar con la specialità del Gelato allo Yogurt con sciroppo caldo di lamponi esiste davvero, è a Cortina, ed è una cosa da sballo…

Il dialogo delle ragazze nel bagno: Non me ne vogliano le fan di Twilight… ma a metà volume mi erano cascate le balle dallo smielume. Per questo mi sono rifiutata di leggere anche il secondo. La frase “mio fratello studia ingegneria ecc…” l’ho sentita veramente in un dialogo molto simile a questo in un bagno di una spiaggia a Riccione qualche anno fa.(io ero in fila, non partecipavo attivamente alla discussione) E mi ha lasciato estremamente perplessa. Tutt’ora non ho trovato essere vivente (ingegneri laureati compresi) capace di darmi una spiegazione scientifica a questa frase, che quindi catalogo sotto il nome di CAZZATA.

Forse qualcuna di voi avrà qualcosa da ridire sull’abuso che faccio nella FF dell’alcool. Non ho intenzione di urtate i sentimenti di nessuno, bevete con moderazione (ma chi sarà mai poi questo Moderazione?) e non guidate in basa, please. Io non lo faccio mai.

 

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Capitolo 15
*** Tornare con i piedi per Terra ***


Capitolo 15:

Capitolo 15:

Tornare con i piedi per terra.

 

 

Aprì gli occhi, serena come non si sentiva ormai da tempo. La sera precedente si erano scordati di chiudere le tende della finestra e la luce del primo mattino dell’anno invadeva la stanza e le feriva gli occhi. Si portò il lenzuolo sopra la testa, mettendosi in ombra gli occhi rubino. Al suo fianco, Sesshomaru seguitava a dormire, senza essere minimamente disturbato dal sole che lo inondava, ricoprendolo d’oro. Kagura lo guardò per un attimo, incantata. Gli accarezzò una guancia e sfiorò le sue labbra con un dito, ricevendo in cambio un mugolio quasi infastidito, che la fece sorridere, abbandonandosi sul cuscino, senza riuscire a staccare gli occhi dalla visione del suo uomo (si, perché non poteva chiamarlo altrimenti. Sesshomaru era il suo uomo. Suo.) addormentato come un bambino. Il suo stomacò brontolò lievemente: pareva che l’anno nuovo le avesse anche riportato l’appetito, oltre che al buonumore. Si alzò dal  letto leggera, avendo cura di non scoprire né di svegliare l’altro. Si stiracchiò, sbadigliando e stropicciandosi la faccia: si sentiva proprio in forma. Si sentiva come se dentro si sé fosse scattato qualcosa, un meccanismo che aveva riaperto il suo cuore e aveva spazzato via il dolore, permettendole di respirare a pieni polmoni. Si sentiva forte, invincibile. Posò lo sguardo allo specchio: per la prima volta dopo tanto tempo si vedeva davvero bella, e non solo: Si vedeva viva. Il suo corpo non presentava più alcun segno di violenza, né lividi né graffi. La sua pelle era rosa, liscia, morbida e pregna del profumo di Sesshomaru. I suoi capelli le ricadevano, morbidi e lucidi sulle spalle, incorniciando il viso, riposato e disteso. Gli occhi rossi brillavano tra rimasugli di trucco sbavato. Nell’impeto della sera precedente, non si era curata di toglierlo, e sorrise nuovamente alla vista di quel “disastro” che in altre occasioni le disegnava in volto un’espressione emaciata e arcigna. E poi c’era il collo. Elegante, da cigno, che lei muoveva con grazia e che conferiva ancora più slancio alla sua figura, mentre se lo sfiorava con le affusolate mani.

Gettò un’altra occhiata all’uomo alle sue spalle, trovandolo ancora addormentato, e decise di svegliarlo solo con la colazione in mano, come per ricambiargli il favore che le aveva fatto nei giorni precedenti. Si infilò quindi dei vestiti e aprì la porta delle scale.

E si trovò davanti ad un misterioso materasso che ostruiva le scale.

Rimase di stucco. “Che diavolo hanno combinato quei mocciosi stanotte?” domandò a bassa voce, provando a spostarlo. Che diamine! L’avevano ben incastrato.

Ma quella mattina Kagura si sentiva forte ed invincibile. Prese un bel respiro e tirò un gran calcio al materasso, che si piegò e scivolò lungo le scale con un morbido botto.

La donna gettò un’altra occhiata all’interno della camera. Sesshomaru, con sua grande sorpresa, non si era mosso di un millimetro. “Ma che sonno pesante che ha stamattina!” si disse, pensando alle serate precedenti, quando bastava un suo sussulto nel suo sonno agitato o un suo singhiozzo per fargli aprire gli occhi. Chiuse la porta e scese piano le scale, guardandosi attorno.

I ragazzi dovevano essersela spassata parecchio la sera prima. Ovunque c’erano bottiglie vuote o semivuote e immondizia di vario genere. Nell’aria aleggiava anche un acre odor di tabacco. E forse anche di un altro genere di fumo. Le camere erano tutte aperte e Kagura, lanciando un’occhiata in una di loro,  vide cinque ragazzi che dormivano per terra, aggrovigliati l’un con l’altro. Uno di loro aveva anche una tavoletta del water infilata al collo, mentre ad un altro gli era stata decorata la faccia con un pennarello nero.

In un’altra stanza riconobbe il ragazzo con il codino, amico del fratello di Sesshomaru, addormentato con una bottiglia in una mano vicino ad una ragazza dai lunghi capelli corvini, che aveva visto in quella casa anche prima del capodanno.

Scese di nuovo le scale, rischiando anche di scivolare sui gradini bagnati da qualche bibita. Anche sui divani del salotto della taverna vi erano addormentati dei partecipanti, tra bottiglie, cuscini, resti di razzi e mortaretti e pozzanghere di fango date dalla neve sciolta portata da fuori.

Quando varcò la porta della cucina si trovò davanti il fratello di Sesshomaru, che, con la scopa in mano, cercava, imprecando, di ramazzare per terra in preda ai postumi di quella che sembrava essere stata una tremenda sbronza di Capodanno. Al tavolo, un ragazzo con lunghi capelli castani, torso nudo, che intingeva i biscotti nel liquido marroncino della tazza di fronte a lui.

 

E’ dannatamente, maledettamente, fottutamente difficile cercare di essere presente e di coordinare giustamente i movimenti, quando si ha un mal di testa colossale, le retine bruciate dalla luce e gli arti che non rispondono ai comandi. E’ da mezz’ora, credo, che sto cercando di togliere qualche grammo di immondizia dal pavimento, con risultato pressoché nullo, desiderando più di ogni altra cosa al mondo un’aspirina. E di certo quel deficiente di Koga fa tutto fuorché darmi una mano. Quella sottospecie di fogna umana fa tranquillamente colazione, come se fosse al bar davanti a scuola, invece di muovere le chiappe e mettere a posto questo casino prima che mio fratello ficchi il naso fuori dalla sua camera e ci scotenni.

Sento, lontano un miglio, qualcuno che entra in cucina. Devo guardarla per qualche istante per riconoscerla.

 “Sei… sei la donna di mio fratello, vero?”

Lei annuisce, sembra quasi divertita: “Ti ricordi di me, allora? Buon segno.”

“Che diavolo ci fai quaggiù? C’è anche lui?” Mi sento già spacciato.

“Oh, no, stai tranquillo. Tuo fratello dorme come un bambino. Io sono solo scesa per la colazione. Dov’è Jaken?”

Koga le spiega che, onde evitare problemi durante la festa, l’avevamo rinchiuso nella sua stanza con un mobile davanti alla porta.

“Giusta precauzione”. Mormora la donna, guardando il casino che ci circonda.

“C’è del caffelatte nel brick, se vuoi, me ne sono appena fatto una scodella…. Aggiunge Koga, con fare da cavaliere. Kagura guarda il pentolino indicato e vedo che annusa con aria perplessa, e ci fa  notare che non ha affatto l’odore del caffelatte. Po guarda la vicina bottiglia di Bayless, la crema di whiskey e la prende in mano. E’ vuota. “Di un po’. Non starai mica facendo colazione a biscotti e Bayless, vero?”

Lui alza le spalle con noncuranza e noi ci scambiamo uno sguardo quasi preoccupato.

Poi lei inizia a cercare l’occorrente per la colazione, mentre un'altra voce, questa volta femminile, il suo ingresso nella cucina. “Miroku è sull’orlo del coma etilico, secondo me…” esordisce Sango, le occhiaie che toccano terra , non prima di aver salutato, con tono incuriosito, Kagura.

“Beh, a me non è sembrato più molesto del solito, ieri sera.

Koga… ha vomitato per un quarto d’ora e poi ha cercato di farsi il portaombrelli…”

“E ti ricordi cosa è successo fra di voi sulle scale?” Cerco di farle ricordare, sogghignando.

Lei si gratta il mento e mi guarda allarmata.

“Oh, Aspirina, Aspirina!!” esclamo trovandola, in una credenza, questa panacea per il doposbronza. Me ne lancio un paio in bocca e il resto lo getto sul tavolo. Koga ne prende subito una.

“Cos’è successo tra di noi?” domanda Sango, guardandomi quasi terrorizzata.

“Diciamo che vi abbiamo chiesto di trovarvi una stanza…” Rispondo, con finta semplicità, mentre traffico con un sacco dell’immondizia, dove infilo tutto quello che trovo sotto il naso. “Ma non preoccuparti. Dopo quella frase lui si è addormentato – si, sulle scale- e tu sei uscita a fare il pupazzo di neve con Kagome. Forse. Questa parte non me la ricordo molto bene.

Sango non si ricorda nulla. Si siede mortificata di fronte a Koga, che le dice che il problema vero è se Miroku si ricordasse qualcosa. In effetti c’è da sperare che il mio amico non si renda conto di aver pomiciato pesantemente con la ragazza dei suoi sogni  solo mentre erano entrambi sotto l’effetto dell’alcool.

Kagura sembra cercare di trattenere una risata. Di certo Sesshomaru avrebbe avuto molto da ridire riguardo alla piega selvaggia che aveva preso la festa. E poteva giurare che le sorprese non fossero finite lì: noi  tre non abbiamo l’aria di essere stati molto presenti la sera precedente. Forse a causa dell’oblio alcolico ci siamo anche dimenticati le scene migliori. Mi viene in mente anche la famosa frase: in vino veritas. E mi salta pure in testa il dubbio atroce di aver parlato con Kagome di sua cugina Kikyo. Cavoli. Ricordo vagamente che la mia ragazza aveva ricevuto un sms di auguri per il nuovo anno dalla cugina… Ho detto qualcosa in quell’occasione? Ho fatto un commento? QUALE commento?

Sango mi fa riavere dai miei dubbi interiori chiedendomi che fine abbia fatto Kagome.

“Dorme come un sasso nella Jacuzzi insieme alle sue amiche. Rispondo, seguitando a raccattare immondizia. “La vasca è vuota, non preoccuparti” La sera precedente il livello di ubriacatura delle sue amiche mi ricordo che era diventato molto fastidioso. Una cercava di infrattarsi con qualcuno, un’altra aveva addosso la sbronza triste e piagnucolava seduta sul divano, da sola un’altra faceva discorsi senza capo né coda con Tsuya, che sembrava in trance.

“Buongiorno a tutti. Buon anno anche. E’ stata bella la festa?”

Ed ecco, direttamente dall’oltretomba, o dal video di Thriller di Michael Jackson, il signor Miroku.

 

Kagura varcò la porta portando in bilico un grosso vassoio carico per la colazione. Miroku, l’ultimo arrivato con la faccia da zombie, si era anche proposto di aiutarla, ma la donna non si era fidata molto.

In ogni caso, aveva tutta l’intenzione di fare quel favore che Inuyasha le aveva chiesto: Trattenere il fratello il più possibile in camera. Un lavoretto facile facile per Kagura, ed anche piacevole da svolgere. Era uscita dalla cucina mentre Miroku sospirava che quel genere di fortune capitavano tutte agli altri.

Mise il vassoio sul tavolo e si inginocchiò sul letto, posando le labbra sulla guancia di Sesshomaru. Lui non fece nemmeno una piega, quasi fosse stato narcotizzato. Kagura lo scosse leggermente sussurrando il suo nome, ma il risultato fu solo qualche mugolio di poca importanza.

Si lasciò scivolare i vestiti di dosso ed indossò solamente una leggera vestaglietta di seta che aveva acquistato il giorno prima.

“Sesshomaru… svegliati, coraggio… sono quasi tutta nuda e ho bisogno che qualcuno mi scaldi…”

L’uomo spalancò gli occhi, più sveglio che mai, mentre la donna si metteva a ridere.

Quasi” Bofonchiò lui, sfiorando la seta di cui era vestita. “Sei più coperta di un’esquimese.” Protestò, mentre una mano scioglieva la cintura. Kagura si ritrasse, giocosa. “Non si fa nulla senza una buona colazione!”

Sesshomaru si mise a sedere: pareva contrariato. Chiese alla donna se l’avesse preparata lei e, alla sua risposta affermativa, emise uno sbuffo divertito. “Sei sicura di saper accendere i fornelli?”

Kagura aprì la bocca, fingendo sdegno, mentre gli portava sul letto il vassoio. “Non sono una mocciosetta viziata come lei, signor No Taisho”  Nel dirlo urtò involontariamente una fetta di pane ricoperta di marmellata, sporcandosi il polso.

L’uomo la prese e se la portò alla bocca, pulendola lentamente con le labbra. Kagura lo guardò incantata: ogni gesto di quell’uomo, ogni volta che lui la sfiorava le regalava una scarica di brividi.

“Sei un disastro” le mormorò, continuando la sua esplorazione del polso della donna, senza staccare un istante gli occhi d’oro dai suoi. “Cosa hai intenzione di fare oggi?”

“Io pensavo di non muovermi da questo letto…” ridacchiò la donna, con fare malizioso.

Sesshomaru l’attirò a sé. “Hai ragione… c’è troppo freddo fuori.”

Prima che la baciasse, però, Kagura si infilò la fetta di pane e marmellata in bocca. “Scusami, ma devo riprendere energie…” si giustificò con finta innocenza. A Sesshomaru comparve uno dei suoi mezzi sorrisi che a lei piacevano tanto, mentre si abbandonava sui cuscini. “Gradisce un po’ di televisione, signorina Onigumo, durante la sua Petite Dejeuner?” La sera precedente, prima di uscire, avevano fatto sostituire da Jaken la televisione distrutta con quella del salottino al piano inferiore, così da potere utilizzare la televisione… e di togliere a suo fratello la possibilità di vedere qualche altra cassetta raccattata in giro per la casa. Kagura annuì, mentre sullo schermo comparivano le notizie dei festeggiamenti dei capodanni da tutte le parti del mondo.

“Ma come hanno passato il Capodanno i Vip?” Fu la sciocca ed inutile domanda dell’annunciatrice, mentre partiva il servizio.

Starlette e relativi pigmalioni su Yacht sul Mar Rosso…

Attorucoli e comparse televisive nei locali alla moda della capitale…

Imprenditori milionari sulle nevi delle località sciistiche più esclusive…

…e una bella foto di Sesshomaru No Taisho e di Kagura Onigumo al ristorante Maxim alle pendici dell’Hakurei.

Lontano dagli uffici della Taisho Corp, l’ex fidanzato della Top Model Sara preferisce la Top Manager della Feder Inc, data per scomparsa sino a qualche ora prima, diventando un uomo galante, affascinante e attento verso la sua elegantissima partner. Dopo la cena, la coppia più esclusiva della finanza si è dileguata, probabilmente verso lo chalet che No Taisho ha nelle vicinanze…”

 

“Ma quella non è la donna di tuo fratello?” aveva chiesto Miroku, puntando il coltello sporco di marmellata alla televisione della cucina.

E’ proprio lei… ma guarda te che bella cenetta che si è concesso mio fratello… Sotto a quella maschera da duro impassibile pare che si nasconda un romanticone…splendido, altro materiale per sfotterlo.

Sango rimane a bocca aperta a fissare lo schermo: “E’ la sorella di Naraku Onigumo!” esclama, guardando Miroku. Lui annuisce. “Il presidente della squadra di tuo fratello, giusto?”

“Devo parlare con quella donna….”

“Non ora, Sango. Io non gli interromperei se fossi in te…”

 

Sesshomaru rimase senza parole. A Kagura cadde il cibo di mano. “Te l’avevo detto…”

“Che diamine, Kagura, non facevo altro che guardare a destra e a manca…”

La donna aveva le lacrime agli occhi, il sorriso che aveva qualche minuto prima scomparso del tutto. “Ci hanno trovato…” Si alzò in piedi, in preda all’agitazione. “Devo andarmene subito.”

“Non essere stupida…”

“Sesshomaru, mio fratello sarà già in strada per venire qui. E’ meglio che non mi trovi.” Si gettò sulla propria roba, arruffandola e buttandola dentro il borsone.

“E, di grazia, dove vorresti andare?”

“Chiamerò un taxi, andrò verso la città, conosco un ricettatore, mi farà avere subito un passaporto falso e prenderò il primo aereo per l’estero…”

“Devo fornirti anche una pistola o lotterai a mani nude?” domandò sarcastico l’uomo, fermandola. “Ascoltami: Adesso, con calma facciamo le valige e ci avviamo verso la città. Con Calma. E poi, sempre con calma, rimarrai per un po’ di tempo a casa mia, finché non troviamo il modo di far fuori tuo fratello. Giuridicamente parlando, non fisicamente.

Kagura provò a replicare, ma lui la zittì. “Naraku è un castello di sabbia. Sembra bello e solido, ma basta un colpo di vento ben assestato per farlo cadere. Vedrai che se lavoriamo in squadra riusciremo ad ottenere grandi risultati, Kagura. Che ne dici?”

La donna annuì, sforzandosi di credere all’uomo, nonostante il suo cuore, improvvisamente divenuto pesante come un macigno, le dicesse il contrario.

“Ottimo. Allora sistemi tu le valigie, per favore? Io vado ad avvisare Jaken del cambiamento di programma.

L’uomo si vestì e si avviò verso la porta, aprendola.“Che diavolo ci fa un materasso lì?”

 

Oh merda, merda, merda merda. Ho appena finito di dare una raccattare velocemente l’immondizia e mio fratello si è presentato nella taverna. Mi sento già spacciato, ma alzo lo sguardo con sfida. I miei amici mi spalleggiano, loro sono i miei alleati. Questo sino a che Sesshomaru non si avvicina a noi: quel branco di pecore si defila in un battibaleno.

Mi fissa con quei suoi gelidi occhi dorati: “Dov’è Jaken?”

Gli indico il mobile dietro al quale è nascosta la porta della stanza del maggiordomo, cercando di spiegare l’ipotetico fastidio che ci arrecava. Mio fratello sposta il mobile con una mano sola: stupefacente, la sera prima ricordo vagamente che eravamo in tre a spostarlo.

Jaken spalanca la porta, gettandosi verso Sesshomaru con gli occhi lucidi, ringraziandolo infinitamente per averlo liberato dalla prigionia a cui era stato costretto da “quei delinquenti”.

Attendo da un momento all’altro un destro ben assestato dal padrone di casa, ma, meraviglia, Sesshomaru dice al maggiordomo che dovranno tornare subito in città per affari, e di preparare l’auto immediatamente.

“Il primo dell’anno?” domanda scettico Miroku. Gli mormoro di non peggiorare la situazione, se non vuole trovarsi decapitato.

Mio fratello fa spallucce e scompare nuovamente al piano superiore, senza fare accenno alcuno nello stato disastroso in cui si ritrova la casa e i relativi occupanti. La cosa mi lascia letteralmente a bocca aperta. Ci deve essere qualcosa sotto, senza ombra di dubbio.

“E’ andata molto meglio di quanto pensassimo, eh!” esclama Koga, riemergendo da una cassapanca. “Forse preferisce ucciderti in privato” ipotizza Sango, e questa cosa mi pare molto plausibile. Kagome apre la porta del bagno, la testa fra le mani. “Inuyasha, forse è meglio che mettiamo tutto a posto, prima che scenda tuo fratello…”

 

Kagura scese dal fuoristrada solamente quando fu parcheggiato nel garage chiuso. Aveva fatto tutto il viaggio coricata sul sedile posteriore, come all’andata. Ma questa volta non era riuscita a chiudere occhio, né tanto meno a calmare i battiti scatenati e dolorosi del suo cuore. Si era aspettata uno speronamento, uno sparo, per tutta la durata del viaggio. Più di una volta Sesshomaru l’aveva accusata di essere eccessivamente paranoica.

Quando si trovò nel salotto principale della villa, l’uomo le aveva detto di comportarsi come se fosse a casa sua. Kagura si era guardata attorno, con una fitta al cuore: se la baita sull’Hakurei le era sembrata immediatamente un caldo rifugio dalle sue disgrazie, la villa cittadina di Sesshomaru ora si mostrava ai suoi occhi come un’immensa prigione dorata.

“C’è qualcosa che non va?” le domandò l’uomo, notando la sua aria spaesata. Lei si sedette sconsolata su un divano, mentre lui rimaneva in piedi a guardarla.

“Penso solo che ogni mio tentativo di fare quello che desidero vada a vuoto.

Sesshomaru la guardò attentamente. Da quel poco che conosceva Kagura, da quel poco che conosceva di lei, di certo poteva dedurre che la vita d’ufficio e gli impegni sociali non le andavano prettamente a genio.

“Non desideri stare qui? Per il momento sei al sicuro.”

La donna scosse la testa. “Al sicuro…? L’unico posto in cui vorrei essere sarebbe lontano da qui, non so neppure io dove, ma di certo in un ambiente molto diverso. Senza nessuno che mi dica cosa fare o non fare. Senza minacce concrete o velate. Senza maschere da indossare.”

“Deduco che ti spiaccia stare qui.” L’uomo si sedette a suo fianco, senza guardarla. “Me ne rammarico. Cercherò di rendere il tuo soggiorno il più breve possibile.

La donna si portò le ginocchia al petto. Non sapeva cosa dire, per cancellare quella nota di rabbia nella sua voce. “Non te la prendere. Io sono contenta che tu cerchi di aiutarmi, andando pure nei guai per causa mia. Te ne sarò grata per tutta la vita.”

Grata per tutta la vita. Era riuscita a dire solo quello, a esprimere gratitudine verso tutto quello che Sesshomaru stava facendo per lei. Non era riuscita a spiegargli la serenità che provava al mattino a svegliarsi al suo fianco, alla meraviglia con cui lo guardava addormentato, e nemmeno alla gioia selvaggia che le esplodeva in petto quando i loro corpi venivano travolti dalla passione.

Era riuscita solamente a ringraziarlo. E lui non aveva replicato. Erano rimasti l’uno a fianco dell’altra, in silenzio, sul divano candido del lussuoso salotto. Fu ancora la donna a rompere il silenzio tra di loro.

“Quando facevo l’università, sono riuscita ad avere il permesso dai miei genitori di andare a studiare all’estero. Ho scelto la Francia. La trovavo pregna di arte, di storia. La sentivo libera e indipendente tra le dita dei libri che leggevo, tra le tele che guardavo. Sono stata a Parigi per 7 mesi: i più belli della mia vita. Ho conosciuto tanta gente diversa da quella da cui ero circondata di solito. Ho riso, ho scherzato, ho cantato… In poche parole: ho vissuto la vita che desideravo. Pensavo di riuscire a finire l’anno accademico laggiù, di fare quello successivo e di laurearmi, per poi andare a vivere li. Sentivo di appartenere completamente a quella città.

“E perché sei tornata?”

Naraku mi chiamò, un giorno. I miei genitori avevano fatto un incidente in elicottero: stavano sorvolando la baia, e si sono trovati in mezzo ad uno stormo di gabbiani. Nel fare una manovra azzardata mio padre ha inabissato l’elicottero, e sono morti. Sono tornata dando l’arrivederci ai miei amici, ben conscia di non rivederli mai più. Naraku mi ha chiesto di rimanere e di aiutarlo nelle aziende. Subito non ne volevo sapere. Ma lui è stato convincente.

“Tuo fratello è sempre stato così bastardo?”

Kagura annuì. “Colpa dei miei genitori. Lui era il primogenito, l’erede. Gli davano ragione in tutto e per tutto, ne esaltavano il suo carattere arrogante, definendolo deciso. Io ero la sorellina minore, non completamente voluta, presentata a lui come una specie di bambola, che doveva giocare con lui, a quello che desiderava. Dovevo mostrargli rispetto perché lui era più grande. E più intelligente. Non ho passato dei grandi anni, in quella casa.

Sesshomaru annuì. Lui aveva scelto la strada che stava percorrendo. A Kagura era stata imposta, invece. Ora capiva la soggezione che provava nei confronti del fratello, del suo timore di essere sempre seguita, controllata. E poteva comprendere il suo desiderio di volare via da quella vita e di affacciarsi sul mondo.

In quel momento Sesshomaru, per la prima volta forse nella sua vita, si sentì sfiorato dalla gelida lama sottile dell’inadeguatezza. Non sapeva bene come gestire la situazione, come far fronte ad una guerra finanziaria tra lui e un’altra azienda colossale e contemporaneamente di riuscire a dare conforto alla donna che sedeva al suo fianco. Una donna che lui sentiva, inspiegabilmente, importante.

Trovandosi spiazzato da questi pensieri, Sesshomaru reagì solamente appoggiando una mano sulla sua  spalla, in un gesto che, se ne rese conto persino lui, risultò di gran lunga più freddo di quelli a cui l’aveva abituata. “Dammi informazioni utili, e tuo fratello finirà fuori pista.

Kagura lo guardò un secondo. Ciò che desiderava, in quel preciso istante, era solamente quello di riuscire a credergli, di riuscire a sentirsi sicura fra le sue braccia. Almeno di avere qualcuno dalla sua parte, che la capisse almeno un po’. Ma il gesto e la frase la disorientarono, e nel cuore dubbioso e prevenuto della donna si fece largo l’ipotesi di essere una pedina in un gioco ad eliminazione.

Di essere, anche per Sesshomaru, una bambola.

Fece scivolare la mano dell’uomo dalla sua spalla. “Ho bisogno di una doccia calda”

“Se ti va di usare la Jacuzzi al piano di sopra, potrei tenerti compagnia. Così, per assicurarti protezione…”

Ma lei scosse la testa. “Non adesso, Sesshomaru.” Disse, avviandosi verso il bagno.

L’uomo rimase sul divano, immerso nei suoi pensieri.

 

Capitolo incentrato su Kagura e Sesshomaru, la coppia adulta della fic. So che è un capitolo un po’ misero. Cercherò di scriverne alla svelta un altro. Spero che sia di vostro gradimento, perlomeno!

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Capitolo 16
*** Affrontare ***


Capitolo 16:

Capitolo 16:

Affrontare.

 

 

“Va bene, Miroku: allora ti dirò questo:  La sera di Capodanno tu e Sango avete bellamente pomiciato sulle scale della baita, e se noi non vi avessimo interrotto, probabilmente ci avreste deliziati con una lezione di anatomia approfondita.”

Miroku mi guarda scettico, prima di ricordarmi che io sono un idiota.

“Guarda che non sto scherzando: ci sono almeno una decina di testimoni. Che più o meno se lo ricordano.”

“…Se avessi anche solo sfiorato Sango me lo ricorderei bene.”

“Eri ad un soffio dal coma etilico.”

“E poi lei mi avrebbe fermato”

“Anche lei non era proprio in condizioni ottimali.

Siamo i primi nello spogliatoio vuoto, mentre ci cambiamo per il primo allenamento post-natalizio. Con tutto quello che ho mangiato (e bevuto), temo di aver perso quasi completamente la forma. Oggi avevo il fiatone dopo aver corso per il cortile per arrivare in orario a lezione, cosa che, prima delle vacanze di natale non mi era mai capitato.

Koga entra grugnendo un saluto e gettando la borsa su una panchina, prima di fissarla con odio, le mani sui fianchi.

Miroku gli domanda che cosa abbia.

Ayame ha raccontato a tutti che in montagna gli sono saltato addosso.

Questa scena me l’ero persa…

“Non è avvenuta, idiota! E non ero così penosamente ubriaco. Per chi mi hai preso, per quel cretino che hai di fianco?” ringhia, indicando Miroku, che si gratta il mento pensieroso.  “Il problema è che per tutti io intendo anche i suoi genitori.

Io e Miroku emettiamo un sibilo d’orrore. Provo abbastanza disprezzo per Koga, ma non da augurargli una simile disgrazia!

Si lascia cadere sulla panchina, grattandosi la testa. “Suo padre vuole uccidermi. Ed il problema è che sono miei vicini di casa. Per evitare la morte questa mattina mi sono calato dalla finestra del bagno.

Mi domando a cosa voglia arrivare Ayame con tutte queste sceneggiate.

“A saltarmi addosso!” urla il diretto interessato, saltando sulla panchina come se fosse posseduto. “Quella è una pazza invasata, ha giurato che si metterà con me e farà il possibile per convincermi! Mezzi leciti o meno!”

Ginta, Hakkaku e Hojo entrano contemporaneamente nella stanza. I primi due confidano a Koga di essere molto dispiaciuti, e concordano che è stato uno vero amico, e che la sua memoria rimarrà scolpita nei loro cuori. Hojo invece gli consiglia invece di provare a trovare un biglietto aereo per il Nicaragua, sfruttando i last minute proposti dall’agenzia che ha sotto casa. “Non costano poi così tanto!” assicura.

“Almeno tu sei sicuro che tra di voi non è successo nulla. Cosa che non si può dire di quel cretino lì!” aggiunge Ginta, puntando il naso verso Miroku, che mi lancia uno sguardo angosciato.

Mentre ci dirigiamo verso il campo il mio amico mi ferma, gli occhi velati di lacrime. “Davvero è successo? Quello tra me e Sango?”

Annuisco gravemente. So che è dura da accettare, ma Miroku dovrà farsi forza e guardare avanti. Gli appoggio una mano sulla spalla, mentre lui punta lo sguardo a terra, svuotato da tutte le energie, con il mondo sulle spalle.

“Io voglio morire”

“Su, dai, tanto nemmeno lei se lo ricorda…”

“… ma lo sa?”

Non posso mentirgli. “Gliel’abbiamo detto la mattina seguente… così, per prenderla in giro. Si è detta molto disgustata dal suo comportamento sotto l’effetto dell’alcol. Suvvia, vi siete solo baciati. Per un bel po’ e con molta lingua, è vero, ma solo baciati… ”

“Voglio morire…”

Cerco di fargli coraggio: è giovane, ha tutta la vita davanti a sé per fare cazzate peggiori. Lui mi guarda, con aria seria: “Inuyasha, se tu sei veramente mio amico… adesso mi tiri una pallonata e mi mandi all’Ospedale con un forte trauma cranico. Sarà un dolore più sopportabile di questo.

Sospiro e decido di tentare di scuoterlo alla mia maniera: “Miroku: quando fai il melodrammatico sei più insopportabile di un gatto attaccato ai maroni.

 

Kagura aveva visitato la villa in lungo e in largo. Si era concessa una nuotata nella piscina interna, aveva tentato di rilassarsi nella vasca idromassaggio, poi aveva passato in rassegna tutti i film presenti nella videoteca personale di Sesshomaru, senza trovarne qualcuno di suo interesse.

Si sentiva abbattuta, stanca e senza forze, in una casa che percepiva fredda e pesante, e provava timore persino a mettere un piede in giardino. L’angoscia la stava attanagliando, e l’agitazione non la faceva smettere di guardarsi intorno torcendosi le mani.

Aveva voglia di sentire la voce di Sesshomaru, ma non si azzardava minimamente a chiamarlo in ufficio o sul cellulare. Temeva che avesse problemi più gravi, in quel momento. E poi voleva dimostrare un po’ di forza, di carattere: e soprattutto non voleva essere una petulante e assillante rompiscatole.

Percorse il piano delle camere in lungo e in largo, curiosando qua e là, mentre Jaken era intento nelle sue faccende. Si introdusse nella camera del fratello di Sesshomaru e si guardò attorno: niente di particolare, la stanza comune di un adolescente: in disordine, con l’odore di fumo che aleggiava nell’aria che la invitava. Ed ecco, ad acuire la tentazione, un pacchetto di sigarette mezzo pieno sulla scrivania. La donna se ne accese una, aspirando avidamente una boccata di aroma di tabacco. Lo sguardo le cadde sugli altri oggetti presenti sulla scrivania. Un malloppo di fogli infilati alla rinfusa in un blocco da disegno attirò la sua attenzione. Li prese in mano: bozzetti di visi, di mani, di corpi e di armature futuristiche. Sorrise. Il ragazzino aveva un certo talento per il disegno. Guardò poi un blocchetto rilegato, e lo sfogliò, rimanendo piacevolmente colpita. Un fumetto artigianale…

Ne leggiucchiò qualche pagina, mentre finiva la sigaretta. Il ragazzo doveva essere un principiante autodidatta: nonostante il talento dimostrato, vi erano alcuni tratti che non proprio perfetti, come le espressioni dei volti dei personaggi o i capelli scompigliati dal vento.

Prese una matita e un carboncino da un barattolo ed uno dei blocchi intonsi: Erano quasi dieci anni che non disegnava, da quando era stata strappato quel sembiante di libertà che aveva assaporato per pochi mesi e che le era rimasto scolpito nel cuore. Da quando era salita su quel’aereo che le faceva lasciare Parigi e i suoi sogni.

Dopo aver finito la sigaretta, uscì dalla stanza e si posizionò su un tavolo rivolto verso la finestra sul giardino. Fece scorrere il suo sguardo sull’erba, sui cespugli ben curati, sui rami secchi delle piante, senza trovare nessun soggetto interessante. Infine, gli occhi scovarono uno specchio alla parete. Fissò un attimo il suo riflesso, studiandone i lineamenti. Li trovava marcati, spigolosi. La mano si mosse sul foglio e Kagura iniziò a delineare i contorni del suo volto.

“Buongiorno!” salutò una voce squillante alle sue spalle. La donna trasalì, voltandosi di scatto. La bambina, che identificò come quella piccola impicciona della vicina di casa che sembrava avere un debole per Sesshomaru e andava a scuola con sua cugina Kanna, era appena entrata dalla porta, e con solare irruenza le si era avvicinata, allungando il collo per guardare nel foglio, curiosa. Si chiamava Rin, giusto?

“Allora lei deve essere la fidanzata del Signor Sesshomaru, vero?”

Fidanzata? “Beh, non proprio…” balbetto, cercando di riflesso di nascondere il foglio. Ma la bambina non demordeva e, con il suo largo sorriso, continuava a muovere la testa per capirne il contenuto. “Sta scrivendo?”

Kagura rispose negativamente.

“Sta disegnando?”

Questa volta, abbastanza scocciata, la donna annuì.

“Che bello, adoro disegnare… e cosa disegna?”

“Un ritratto…”

La bambina emise un mugolio di gioia. “Davvero? E di chi?”

Boh. Mio, credo… ma non mi riesce bene…”

“E allora faccia il ritratto di qualcun altro!” rispose semplicemente. “Perché non lo fa del signor Sesshomaru?”

La donna lo guardò scettica. Era indecisa se risponderle malamente o meno, ma decise di essere gentile con quella piccola rompiscatole, almeno per quella volta.

“Non riesco a disegnare chi non ho davanti.

“Allora disegni me!” squittì, piantandosi, sorridente e con gli occhi spalancati, di fronte alla donna.

Quella mocciosa era davvero ossessiva…

 

 

Miroku percorreva in lungo e in largo il suo appartamento, in preda ad un forte stato di agitazione. Aveva evitato Sango subito dopo gli allenamenti: mentre lei, Inuyasha e Kagome andavano a fare merenda al bar della scuola aveva finto un impegno improvviso e si era dileguato in fretta e furia. Giocherellando nervosamente con il cellulare, decise che quella era stata un’autentica cazzata, e che avrebbe dovuto affrontare Sango e quello che aveva fatto.

Sotto l’effetto dell’alcol.

“Santi Numi, ha detto che il suo comportamento è stato disgustoso!” Disse al suo riflesso nello specchio. “Disgustoso baciarmi?” saltellò sul posto, sbuffando e guardando lo schermo del telefono. “In vino veritas. Si grattò la testa, si disfò il codino e se lo rifece un paio di volte, sempre scontento del risultato. “In vino veritas” si ripeté ancora, per convincersi. Prese una sigaretta dal pacchetto e se l’accese. Sango non aveva ne fatto menzione, pur sapendolo. Il fatto che non l’avesse evirato poteva anche essere un fatto positivo. Magari nel suo subconscio Sango aveva un debole per lui. Magari nel subconscio di Sango lui era più che un semplice amico. Come poteva far diventare conscio l’ipotetico subconscio, alcool a parte?

IPNOSI! Ottima idea. Avrebbe cercato su Google informazioni sull’ipnosi. Oh, che diamine. Che cosa idiota.

“In vino veritas” riflesse di nuovo sulla frase. Gettò la cenere per terra. Un altro vantaggio del vivere da soli è che si poteva pulire più o meno quando si voleva. In genere, quando si avevano ospiti o quando ormai si rischiava il tetano a muoversi per casa senza stivali di gomma.

Decise che era inutile rimuginarci ulteriormente: non avrebbe trovato da solo la soluzione al suo dubbio atroce. “Molti problemi sono dati dalla mancanza di comunicazione. Succede spessissimo nelle coppie. Figurarsi nelle non-coppie” si fece forza, cercando il numero di Sango nella rubrica del telefonino. Esitò un attimo prima di dare l’invio per la chiamata. Gli tremavano le dita. Davvero Sango gli faceva questo effetto? Avrebbe dato un rene per ricordare almeno un secondo del loro bacio alcolico.

Schiacciò il pulsante e aspettò la risposta, la gola riarsa, la sigaretta che finiva.

Pronto?”

“Sa- Sango?”

“Ciao Miroku!”  Sango si sforzava a mantenere una voce neutra. “hai bisogno?”

“Beh si.” Deglutì. Coraggio, non stava dichiarando guerra all’Afghanistan… “Volevo sapere una cosa… riguardante quello che è successo in montagna. Noi non ne abbiamo più parlato.”

Un secondo di silenzio. Miroku sentì la ragazza prendere fiato dall’altro capo del telefono. No, non poteva, non poteva, ma cosa gli era saltato in mente? Cosa gli diceva la testa? Doveva avere il coraggio di parlargliene a quattrocchi, di vedere la sua espressione, di studiare i suoi occhi…

“Di cosa?”

“Hai poi parlato con la signorina Onigumo?” –Maledetto vigliacco!!!!- si sgridò, picchiandosi la fronte con il palmo della mano per punirsi. Senti un sospiro di sollievo appena percettibile: probabilmente Sango stava scegliendo quale divinità ringraziare…

“No, non l’ho neppure più chiesto ad Inuyasha, sinceramente. Non ne ho il coraggio… non saprei sinceramente che dire…”

Parli con uno che di coraggio ne ha da vendere, invece! Pensò il ragazzo, dandosi sempre dell’idiota. “Posso aiutarti in qualche modo?”

“Non voglio coinvolgerti ulteriormente…”

“Oh, suvvia, Sanguccia! Ti ho detto che ti avrei aiutato, no? Dai, domattina andiamo insieme da Inuyasha, e gli chiediamo se possiamo parlare con lei. Non ci potrà dire di no! Andremo a casa sua e tu le parlerai. Sono sicura che quando sarai da lei saprai farle le domande giuste…Non potrà non aiutarti. E se questo non sarà utile, beh, almeno ci avrai provato. No?”

“Grazie, sei davvero un amico.

Si augurarono la buonanotte e interruppero la conversazione. “Sarò anche un tuo amico, ma cavoli, mi hai dato un metro di lingua!” protestò Miroku al telefono spento.

 

Usare l’aggettivo pesante per identificare quella giornata era un eufemismo. E anche infernale suonava troppo soft. Mentre l’auto sportiva scivolava tra il traffico della tangenziale, Sesshomaru si sentiva allo stesso tempo spossato e infuriato. Tutti i guai che erano precipitati sulla Taisho Corp. in quel giorno erano sicuramente riconducibili a Naraku Onigumo, e si sentiva uno stupido ad essersi invischiato in quel modo così stupido, per una donna. Ma che diavolo mi è preso? Continuava a ripetersi, mentre la mente non lasciava l’ufficio e i suoi problemi. Ma cosa mi è passato per il cervello? Doveva trovare una soluzione, e alla svelta. Ponderò seriamente l’idea di Kagura di partire per l’estero. L’avrebbe messa su un aereo per qualche altro continente e sarebbe tutto tornato nella norma. Per lui per lo meno. Naraku avrebbe notato che la sorella non era più con lui e avrebbe smesso di tormentarlo. Mera illusione constatò, sospirando. Naraku non era tipo da mollare la sua presa. Gli aveva gettato la sorella tra le braccia nel tentativo di mettere le grinfie sulla sua azienda, e di certo non avrebbe lasciato per così poco. Però magari la partenza di Kagura era poteva essere un diversivo per fargli guadagnare tempo. E’ una donna adulta e vaccinata. Se la caverà. Si disse per convincersi.

Entrò nel cortile della villa e parcheggiò l’auto, mentre sentiva crescere in lui la fretta per affrontare il discorso con Kagura. D’altronde, lei non voleva essere libera? E allora che lo fosse, così avrebbe fatto un favore ad entrambi!

Varcò la soglia dell’abitazione e la voce di Rin arrivò alle sue orecchie. Ecco, una nota positiva. La bambina lo salutò, correndogli incontro sorridendo, come sempre. Poi aggrottò lo sguardo e lo guardò meglio: “C’è qualcosa che non va?” domandò. “Avete l’aria sciupata…!”

Senza rendersene conto Sesshomaru si strofinò la faccia. “E’ il lavoro Rin, sono molto stanco questa sera…”

“Ci sono dei guai?” chiese con noncuranza, mentre giocherellava con il bordo del maglioncino. A volte sembrava che quella bambina fosse telepatica…

“Qualcuno si...” rispose, abbassandosi per arrivare all’altezza della bambina. “Ti fermi a cenare?”

Lei scosse la testa: “La lascio riposare, questa sera. Domani ho una gita con la scuola, e voglio andare a letto presto…” rispose con dolcezza. Poi gli si avvicinò e gli bisbigliò all’orecchio, facendo barriera con la mano: “Ho conosciuto meglio la signorina Kagura: approvo pienamente, è un’ottima fidanzata per lei!”

L’uomo si sforzò di sorridere, sentendosi in imbarazzo. “Ma non è la mia fidanzata” rispose, sempre in sussurri.

Lei lo guardò con aria contrariata: “Vi baciate?”

La domanda lo lasciò un attimo interdetto. Se era per quello, allora facevano anche altre cose… annuì.

“Siete stati in vacanza insieme?”

Anche qui doveva dare una risposta affermativa. Anche se proprio di una vacanza non era stata, quanto più di una fuga.

“Ora vivete insieme, no?”

Beh, per cause di forza maggiori. E poi era una cosa molto provvisoria. Dovette rispondere di nuovo affermativamente.

“E Kagura ha usato la sua carta di credito?”

“Nelle migliori boutique dell’Hakurei…” fu costretto ad ammettere.

Rin aprì le braccia: “E allora è la sua fidanzata. Non vedo cosa ci sia di complicato!”

Sesshomaru le scompigliò i capelli. La semplicità con cui Rin affrontava tutto era disarmante. La bambina sorrise ulteriormente al contatto, inclinando la testa.

“Rin, non devi dire a nessuno che Kagura si trova qui, ben inteso?” si raccomandò l’uomo

“Adesso vi lascio soli.” C’era una nota mesta nella frase, mentre si infilava il cappotto e si dirigeva verso la porta. Si fermò, la manina sulla maniglia, voltandosi nuovamente verso di lui: “Mi promette una cosa?”

“Se posso…”

“Se si sposa con la signorina Kagura, mi promette che non vi trasferirete lontano e che potrò venire a trovarvi come adesso?Anche quando avrete dei bambini?”

L’uomo sospirò, esasperato “Rin…”

“E’ giusto per mettere le cose in chiaro…”

“Ti prometto che non ci saranno questo genere di problemi.

Lei lo fissò un po’ pensierosa, conscia che la sua risposta fosse stata, in qualche modo, raggirata. Decise che per quella sera le poteva bastare, ed uscì nell’aria fresca.

 

 

Seduta ad una scrivania, le dava le spalle. Era chinata su un foglio di carta, così intenta e concentrata che non l’aveva nemmeno sentito arrivare. Si avvicinò alla donna cercando di non fare il minimo rumore, sbirciando nel foglio.

Era il ritratto di Rin. Sorridente, con gli occhi birbanti spalancanti, il viso appoggiato alle mani e i gomiti sul tavolo. Ciocche di capelli ribelli le incorniciavano il viso e le inondavano il maglioncino.

“Non sapevo che fossi un’artista.” Si complimentò, cercando di mantenere un tono distaccato e neutrale.

Lei quasi trasalì, volgendosi di scatto. Lo sguardo rubino catturò quello dorato dell’uomo, che sentì un brivido corrergli lungo la schiena. La studiò piacevolmente sorpreso. Quella che aveva davanti sembrava quasi un’altra persona: I capelli neri erano raccolti morbidamente con una matita, che sbucava sulla testa. Era sporca di carboncino sul naso, le labbra rosee erano schiuse in una piccola smorfia serena e gli occhi sembravano brillare come due bracieri accesi.

“Bentornato!” esclamò la donna, alzandosi in piedi, abbandonando il lavoro, mentre cercava di pulirsi le dita macchiate strofinandosele le une con le altre. “Tutto bene?” Sesshomaru prese il foglio tra le dita, senza rispondergli.

“Oh, è una sciocchezzuola. Mi ha chiesto lei di farglielo. Non disegnavo da anni e mi ci è voluto un sacco di tempo per…”

“E’ davvero bello” mormorò, notando quanto fosse stata delicata a disegnare le guance morbide della bambina, e con che precisione aveva riprodotto i suoi occhi vivaci. “Sei davvero brava.”

Alla donna comparve un sorriso compiaciuto. “Studiavo Arte, all’università. A Parigi avevo perfezionato la tecnica…”

“E poi ti sei laureata in Economia? Che spreco…” l’uomo appoggiò il foglio sul tavolo, delicatamente, pensando di metterlo in cornice, una volta ultimato.

“Tutto bene?” ripeté la Kagura, un lampo d’apprensione nello sguardo.

Sesshomaru capì di non doverle mentire. “No. Non va affatto bene.” La guardò nuovamente, mentre le sue labbra si stringevano in una morsa penosa. Provò una fitta nel vederla incupirsi e non riuscì a fermarsi dal cingerla in vita. “Ma non è nulla di grave.” Posò le labbra sul suo collo. Se fosse partita non avrebbe più visto le sue dita stringere una matita e non l’avrebbe più fatta trasalire entrando mentre era concentrata. Non avrebbe più ritratto Rin, né avrebbe sorpreso il suo naso sporco di grigio. Le sue braccia non avrebbero più stretto la sua vita sottile, e i suoi capelli raccolti così casualmente non avrebbero solleticato il suo viso.

Non era decisamente una buona idea che lei partisse. “Non è nulla che non si possa tranquillamente affrontare” aggiunse, raggiungendo le sue labbra preoccupate.

 

 

Incontro Kagura mentre scendiamo dalle scale e noto che mi guarda di sottecchi.

“Hai bisogno?” le chiedo rudemente. Trovo che questa donna sia insulsa. Non parla mai, non si sa che diavolo voglia né che diamine faccia, e il fatto che sia la fidanzata di mio fratello non fa che rendermela più antipatica.

“Ho preso in prestito una matita e un carboncino da te. Rivela con leggerezza.

Ringhio: “Sei entrata nella mia stanza mentre non c’ero?”

Lei annuisce con aria menefreghista. “Non avevo nulla di meglio da fare.”

Non sopporto queste cose: Crede di essere la padrona della casa solo perché si scopa il proprietario?

Lei si ferma, volgendomi le spalle. La vedo scuotere la testa mentre mi dà dell’idiota. “Il tuo fumetto non è male. Devi curare meglio i dettagli.”

“Ah, ha fatto buona lettura la signora? Se vuole domani le posso portare a casa qualcosa di suo gradimento… ama la letteratura straniera?” domano ironico. Sono furioso per la sua intromissione. Non le ho chiesto nessun tipo di consiglio e non è stata invitata a varcare la soglia di camera mia. Ha sbagliato letto per caso?

Si volta offesa, gli occhi che sembrano schizzarle fuori dalle orbite. “Sei un perfetto imbecille.” Sibila. “Sono entrata nel tuo dannato porcile senza volerlo, chiaro? Ti ho addirittura fatto un complimento per quel tuo lavoro da principiante. Certo, ti ho preso qualcosa, ma avrei potuto far finta di nulla ed intascarmi il tutto senza dirti nulla. Non preoccuparti, razza d’asino che non sei altro. Domani prenderò i miei strumenti e ti restituirò le tue cazzatine.

Vorrei mandarla a quel paese, ma mi trattengo. Non so neppure io come faccio. Lei prosegue per le scale, stizzita. Spero che la sua sistemazione qui sia provvisoria: non credo di poter resistere a lungo in queste condizioni.

 

 

Poco Kagome/Inuyasha e tanta (troppa?) Kagura. La sto tirando un po’ per le lunghe, divagando qua e la: il finale si sta avvicinando passo dopo passo, e voglio essere sicura che ci siano i tasselli messi al posto giusto.

Spero che questo Capitolo vi piaccia (più dello scarso precedente, almeno).

Alla prossima…

 

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Capitolo 17
*** ... Decidere... ***


Capitolo 17:

Capitolo 17:

…Decidere…

 

 

 

Il passo quasi marziale con cui Sango e Miroku sono entrati in classe stamattina mi ha fatto temere il loro arruolamento nella legione straniera per espiare le loro colpe alcoliche. Mi si avvicinano, sedendosi di fronte e fissandomi decisi e con le braccia conserte. “Siete della CIA?” mi viene da domandargli.

 “Inuyasha, sii serio: dobbiamo chiederti un favore molto importante. Inizia Sango.

Ho i miei dubbi sul quanto Miroku possa essere serio in questo momento, ma visto che è Sango a parlare posso almeno avere qualche riserva a riguardo.

“Devo parlare con Kagura Onigumo.”

“Quindi? Parlaci, che cosa sono, un centralino?”

Miroku alza gli occhi al cielo. È palese che sta tentando disperatamente di fare la persona seria e composta per impressionare la ragazza. “Ok, buttiamola così: Inuyasha, possiamo venire a casa tua a parlare con la donna che si porta a letto tuo fratello?”

Alzo le spalle. Non vedo il motivo per cui chiedermelo. “Fate pure… tanto è sempre in casa.”

Sango, guardandosi le unghie, mi spiega il motivo della richiesta. Suo fratello continua a comportarsi in modo strano, a partecipare ad estenuanti allenamenti, e a mettere su massa muscolare molto velocemente.

“Troppo” aggiunge Miroku, guardandola seriamente.

“Il presidente degli Spiders, la squadra di Kohaku, è niente di meno che il fratello di Kagura. Forse lei sa qualcosa che può aiutarci…”

“Mi sembra una stronzata” concludo. “Queste sono solo vostre supposizioni. Sango, tu sei preoccupata per Kohaku, e posso capirlo… ma se non ci fosse nulla sotto? Andiamo, è una squadra di Under 14, non di certo professionisti di Serie A.

Sango scuote la testa. “Sono una persona razionale, Inuyasha, per chi mi hai preso? Non sono una schizzata paranoica, so che a Kohaku sta succedendo qualcosa e ne voglio capire esattamente il grado di gravità.

Ok, come vuoi. Stasera passa pure prima di cena. Tanto lei è sempre a casa a non fare un tubo…”

Miroku mi chiede se sono impegnato questo pomeriggio, e io gli rispondo di si. L’entrata della professoressa Kaede interrompe il mio amico dal chiedermi che cosa mi trattenga fuori casa.

 

 

Le mie labbra percorrono il suo collo, la sento deglutire, come se stesse cercando di controllarsi. Le mie mani percorrono i suoi fianchi, impazienti di tuffarsi sotto la stoffa della divisa scolastica. Le mie dita, senza essere fermate, slacciano i bottoni della camicetta, mentre il respiro di Kagome si fa più pesante. Mi accarezza la schiena, mi aiuta a sfilare la maglia. Torniamo a baciarci, rotolando sul materasso del suo letto, fra i peluche a forma di animali e i cuscini colorati. La casualità degli eventi ha voluto che oggi pomeriggio la madre di Kagome, usufruendo di un permesso di lavoro, abbia deciso di portare figlio minore e infante vicino di casa al luna park in città. Il Nonno invece, è impegnato in una qualche attività con la sua combriccola di ottuagenari compari.

Abbiamo tutto il tempo che vogliamo, possiamo prendercela con estrema calma. Ed io sono una persona meticolosa in certe cose, non mi piace aver fretta.

“Inuyasha…” mugola, mentre assalgo i gancetti del reggiseno fiorato che indossa. Dannati cosi, mi ci impiglio sempre e faccio una fatica atroce a toglierli. Quasi quasi glielo strappo di dosso.

“Inuyasha….” Ripete. “Si, Kagome, un attimo che questo affare si è incastrato….

“Inuyasha!” protesta, spingendosi via dalle mie braccia. Rimango stupido, a braccia aperte e con il suo reggiseno finalmente staccato in mano. “C’è qualcosa che non va?”

“… Li hai, vero?” mi chiede, guardandomi seria, mentre si copre, incomprensibilmente pudica.

“… non li prendevi tu, alla frutta?” ricordo male, forse? Lei alza gli occhi al cielo, un mugolio spazientito. “Ti ho già detto che li deve portare l’uomo”. Beh, certo, un po’ di cavalleria… E adesso? Facciamo senza?

Kagome mi fissa come se avessi detto la peggiore eresia di questa terra, mi strappa il reggiseno di mano e se lo infila in tutta fretta. “E adesso tu li vai a prendere nella farmacia qua all’angolo…!”

“Non mi accompagni?”

“Scherzi? Mi conoscono tutti in quartiere!” strilla, rossa in volto dall’imbarazzo. Tira fuori il porta monete dallo zaino e lo apre, porgendomi alcune monetine. “Possiamo fare a metà con la spesa…”

Scuoto la testa. Sarò un vero cavaliere. Seppure scocciato, mi infilo le scarpe e mi dirigo velocemente verso la porta. Lei mi chiama, ricordandomi che sono a torso nudo. Già… afferro la giacca, e me la infilo, senza nulla sotto, chiudendomela sino al collo, e poi corro fuori, più veloce che posso.

In tre balzi ho percorso la scalinata del tempio, in meno di un secondo sono arrivato alla fine del vialetto d’entrata, saltando il cancello come uno degli ostacoli nell’ora di ginnastica a scuola, atterro sul marciapiede a piedi pari (pavoneggiandomi anche un po’) e mi lanciò a folle velocità verso la farmacia più vicina.

Giro l’angolo con una leggera derapata e mi getto sul distributore automatico come un assetato su una fonte d’acqua. Litigo con le monetine che non vogliono entrare e che si incastrano: con un paio di pugni ben assestati però è tutto a posto. Seleziono la confezione desiderata da Kagome (Frutti tropicali – con nuovo gusto Papaia) e ripercorro, sempre a velocità della luce, la strada del ritorno. Stessa derapata all’angolo, stesso salto agile della staccionata. Faccio la gradinata a testa bassa, e quando ne arrivo alla fine mi concedo di voltarmi con il pugno alzato, come Rocky Balboa.

Spalanco la porta di casa sfoderando il mio migliore sorriso da seduttore e sventolando la confezione così agognata.

Kagome mi viene incontro, completamente vestita e con un’aria terrorizzata sul volto.

“Sono tornati! Le giostre erano chiuse.” sibila a bassa voce, agitando la maglia della divisa di fronte ai miei occhi. “Nascondila!”

Dannazione. La confezione non entra nelle tasche minuscole della giacca… non riesco nemmeno ad ancorarla ai pantaloni della divisa… Kagome, risoluta, me la strappa di mano e la getta sotto un mobile. Il gatto, presente nella sala, nota il movimento e, come da sua natura diabolica, insegue l’oggetto, infilandosi sotto il mobile. Kagome lo lascia fare, troppo preoccupata per altro.

Poi finge che io sia entrato solo ora, salutandomi ad alta voce. Io rimango come un fesso con la maglia in mano, mentre sua madre si affaccia dalla cucina e mi saluta calorosamente. Nascondo la maglia dietro la schiena, rispondendo al saluto.

E poi dalle scale scende Souta, che mi corre incontro con gli occhi spalancati come se avesse una visione mistica… seguito da Kikyo.

Perché diavolo ogni volta che la vedo il cuore manca di un battito? Perché, nonostante quello che provo per Kagome, per quello che stiamo vivendo insieme, non riesco a guardare Kikyo normalmente? A salutarla, a parlarle come se niente fosse? Lei è acqua passata, no? Posso capire l’imbarazzo a trovarmela davanti… ma questo mi sembra eccessivo.

Deglutisco, torcendo le mani nella maglia.

Ci salutiamo, mentre la madre di Kagome mi dice di accomodarmi e chiede se gradisco una merenda. Nel risponderle negativamente, cercando di sembrare normale nonostante abbia ancora il fiatone dalla corsa precedente e stia sudando come un pinguino nel Sahara, la maglia mi sfugge di mano e cade per terra.

“Come mai hai la maglia in mano, Inuyasha?” mi domanda la signora Higurashi, incuriosita.

Rimango senza parole, lo sguardo completamente perso nel vuoto, il cervello in tilt. Mi metto le mani nei capelli.

“Oh no… è successo di nuovo!” esclamo, senza capire il perché di questa mia uscita. “Kagome, posso usare un attimo il bagno?” Annuisce, basita, le labbra aperte a O. Mi fiondo in bagno urlando uno “scusatemi!”

Mi getto più e più volte l’acqua in faccia, invocando il mio self control. Santi numi, ma perché tutte queste situazioni surreali devono capitare al sottoscritto?

Quando esco dal bagno Kagome mi guarda scuotendo la testa. “Sai che improvvisi proprio da schifo?”

“Saresti riuscita a fare di meglio?” rispondo irritato. Lei piega la testa di lato, riflettendo. “In effetti no…” ammette.

“Cosa facciamo? Andiamo a fare i compiti in camera mia o usciamo?”

Non voglio stare in questa casa un minuto di più. Sia per la figura fatta sia perché quando c’è Kikyo nei paraggi mi sento mancare l’aria. Propongo di andare a casa mia. O su Marte, a discrezione di Kagome.

Prende la sua giacca e ci avviamo verso l’uscita, in tempo per vedere la scena più raccapricciante della mia vita:

Quel maledetto gattaccio di casa Higurashi è riuscito a spingere da sotto il mobile la scatola di profilattici, che è stata prontamente raccolta dalla madre di Kagome, che se la rigira tra le mani. Sto per avere un altro mancamento, la vista inizia ad offuscarmi, mentre la donna chiama Kikyo a sé. Consegna alla nipote la confezione, sibilando, allarmata: “Questi devono essere tuoi, nascondili prima che li vedano Kagome e il suo ragazzo e si facciano strane idee!”

Kikyo non replica, rimanendo solamente a bocca aperta, fissando la scatola con gli occhi sbarrati. Non nega, non annuisce, non fa nulla. Ma la cosa peggiore è che, dopo qualche secondo di gelido smarrimento, mentre la zia si allontana borbottando, lei alza gli occhi su di me.

Credo di essere diventato una statua di marmo. Sento freddo e non riesco a muovermi di un millimetro. Riesco a malapena a deglutire, mentre Kagome, a mio fianco, abbozza un sorrisetto imbarazzato e mi trascina via.

Riesco a togliere lo sguardo da Kikyo solo perché la mia ragazza chiude la porta fra me e lei.

 

Arriviamo alla fermata dell’autobus senza parlare, quasi correndo, sollevati nel vedere il mezzo pubblico che arriva. Ci saliamo e solamente quando siamo seduti tiriamo entrambi un sospiro. Di pena il mio, di sollievo quello di Kagome. Mi accarezza una guancia. “Andiamo, mia madre non ci ha scoperti. E mia cugina non farà la spia…” La cosa non mi rincuora, e lei lo nota. “Davvero. La conosco bene, è sempre stata dalla mia parte, siamo cresciute praticamente insieme, siamo quasi sorelle. Mi viene da piangere. Non posso continuare così. Kagome DEVE sapere. Per quanto doloroso sarà, devo rivelare a Kagome quello che c’è stato tra me e Kikyo. Il mio cuore è stretto in una morsa angosciosa, lo stomaco è in rivolta, la testa mi gira e ho la gola riarsa. Non riesco neppure a respirare bene.

“Inuyasha, non stai bene?”

Scuoto la testa. Ho voglia di vomitare. Kagome mi mollerà, mi odierà, mi farà a pezzi. Ma non posso nasconderle questo in eterno. Mi prende la mano. “E’ fredda…” mormora, accucciandosi a me. “Inuyasha, sei rimasto davvero così sconvolto?”

Annuisco. Mi stringe la mano, appoggiando la testa sulla mia spalla. Perdo il mio sguardo fuori dal finestrino.“Visto l’imprevisto, chiamiamo Sango e Miroku e ci troviamo da te prima?”

“Digli di arrivare tra un paio d’ore, almeno. Mormoro. “Prima dobbiamo parlare”

“Inuyasha, a casa tua c’è la ragazza di tuo fratello e il tuo maggiordomo e…”

“Non preoccuparti. Voglio solo parlare.”

 

Chiudo la porta di camera mia dietro alle mie spalle, appoggiandomi, come se fosse di pesante pietra. Il macigno sullo stomaco si è fatto ancora più pesante. Kagome si toglie la giacca, guardansi intorno allegramente curiosa, ignara di ciò che devo dirle. L’abbraccio forte, tuffando il naso sui suoi capelli. Poi la bacio. Potrebbe essere l’ultimo bacio che lei mi regala. Potrebbe essere l’ultima volta che sento il suo profumo, il suo respiro sul mio.

Penso a quello che ho passato con lei e vorrei tornare indietro, far finta di nulla come ho fatto sino ad ora, cacciando il passato dentro ad un cassetto e guardando solo al presente. Ma Kagome merita una persona sincera al suo fianco. Io ho deciso che sarò sincero con lei.

Poi lei deciderà se vorrà tenermi ancora con sé.

“Inuyasha, cosa ti succede?” sento la preoccupazione nella sua voce. Ci sediamo sul tappeto, a gambe incrociate, l’uno di fronte all’altro. Non riesco a guardarla negli occhi, così focalizzo la mia attenzione visiva sulle mie ginocchia.

“Devo dirti una cosa che non ti farà piacere. Che ti ferirà, probabilmente, e ti farà incazzare da morire. Mi odierai dopo, ma io devo dirtela.

Sento i suoi occhi puntati su di me, la sua massima attenzione calamitata sulle mie parole, le nocche delle mani che si stringono convulsamente tra di loro. “Riguarda il tuo passato?”

Annuisco gravemente.

“Ti ricordi che ti ho detto che prima di te c’era stata un’altra? Che non era la prima esperienza?” Sento che lei trattiene il respiro. “Ti ricordi che ho detto che tu non la conoscevi?” Prendo un bel respiro profondo. “Non è vero”

“Non mi importa chi è, l’importante è che…”

“Si trattava di Kikyo”

Se il silenzio avesse un proprio peso specifico, quello che è sceso sulla camera, sulla casa in questo momento, sarebbe di tonnellate e tonnellate. Proseguo, a fatica. “Kikyo ed io ci siamo conosciuti nell’infermeria, come ben sai. Passavamo ore a parlare. E poi… siamo diventati qualcosa di più. Vedi il mio set da disegno? Me l’ha regalato lei. E anche il cappellino. Poi lei se ne è andata, mi ha lasciato, perché sapeva che quella storia era sbagliata. E io sono tornato ad essere solo. Poi mio fratello mi è venuto a prendere e… il resto lo sai.

“Mi avete mentito…” bisbiglia Kagome, gli occhi lucidi fissi su di me. “Tu mi hai mentito mentre io mi donavo a te. Lei mi ha mentito parlandomi di te come un moccioso scapestrato, un futuro delinquente, sconsigliandomi di continuare la nostra storia. Mi sento un verme, il più infido degli insetti. “Perché, Inuyasha?” Si stringe le ginocchi al petto, senza smettere di fissarmi.

“Non volevo farti soffrire, Kagome. Io… io avevo, ho, paura di perderti.

Scatta in piedi, gli occhi fiammeggianti, pieni di odio.“E adesso pensi che io non soffra?” urla. “Credi forse che io sia una stupida, che si fida del primo che incontra? Sai perché mi sono fidata di te? Sai perché ho fatto l’amore con te?”

Pesta un piede per terra. “Perché io TI AMO, Inuyasha. Perché credevo di essere importante per te. Perché voglio far parte della tua vita, perché voglio che tu faccia parte della mia!”

“Tu sei importante per me, Kagome.” Mi alzo anche io, l’abbraccio senza essere ricambiato. “Tu sei la cosa più preziosa che mi sia mai capitata. Tu sei la cosa più bella che io potessi mai desiderare. E il solo pensiero di perderti mi fa impazzire. Accarezzo i suoi capelli. Kagome non si muove. “Così come il pensiero di farti soffrire. O di mentirti. Io voglio essere alla tua altezza.”

“Amavi Kikyo?”domanda a bruciapelo. Ormai il recinto è aperto e il gregge esce correndo.  “Si.”

“E ami me?” La guardo negli occhi. Sono Lucidi, ma allo stesso tempo brillano di una rabbia selvaggia, feroce. Occhi che potrebbero uccidere. Bellissimi occhi castani che vorrebbero strappare il cuore dal petto. “Si.”

“Riesci ad amare due ragazze in così poco tempo, Inuyasha?” la sua voce trema, ma è roca, dura.

Scuoto la testa. “Kikyo è stata la prima che mi abbia visto come una persona, con un carattere, qualità, pensieri. Come una persona vera, non come un volto tra gli altri, come un penoso scarto che sarà sempre un nessuno.

“Se Kikyo non ti avesse lasciato, e tu mi avresti incontrato, tu l’avresti lasciata per me?”

Rimango in silenzio. Questa domanda non me l’aspettavo, mi ha completamente spiazzato. “La nostra storia era sbagliata. Mormoro soltanto. “Non aveva futuro.”

Improvvisamente Kagome sembra senza energie, spossata, svuotata. Si appoggia alla parete e si lascia scivolare per terra. “non è una risposta.” Mormora, gli occhi puntati contro la finestra imperlata d’acqua che da sul giardino. Fuori il cielo è grigio, piove.  Mi siedo di fronte a lei. Non parliamo più finché un messaggio di Miroku ci avvisa che sono in arrivo.

 

 

Hey, che faccia…. Sembri passato sotto un tir!” esclama Miroku, entrando con Sango in casa. Gli intimo di lasciar perdere, ma lui continua, imperterrito. “…eravate soli questo pomeriggio! Oh, no, non mi dire che hai fatto cilecca!”

“MIROKU, SE CI TIENI AD ARRIVARE ALLA MAGGIORE ETA, FATTI I CAZZI TUOI, CHIARO?”

“…allora hai fatto davvero cilecca….!

Vedo con la coda dell’occhio Sango che parlotta con Kagome, che le fa segno che parleranno dopo. Poi la ragazza si rivolge a me. “Dunque, è in casa? “

“Si, al piano di sopra… andiamo, prima finiamo questa storia e meglio è.

A Kagura pareva quasi aver raggiunto la pace dei sensi. Aveva chiesto a Sesshomaru se poteva acquistare colori e pennelli, giusto per rimettersi in carreggiata e per passare il tempo.

Come risposta, si era vista recapitare in tarda mattinata una fornitura di attrezzatura che sarebbe bastata per ridipingere la Cappella Sistina.

Così, battezzando una stanza luminosa come proprio atelier, si era messa davanti al cavalletto e aveva tracciato su di una piccola tela il primo paesaggio che le tornava piacevolmente in mente: La vista dei monti innevati e baciati dal sole del mattino di cui poteva godere dalla camera di Sesshomaru sull’Hakurei.

Era sicura che l’uomo avrebbe apprezzato il suo lavoro, e pensò che si sarebbe sentita meno in debito con lui, proponendogli la veduta del posto che lui amava tanto.

Il bussare deciso alla porta distolse la sua concentrazione dalla riproduzione delle vette scintillanti e dei tetti del paese di montagna. Pensò fosse il maggiordomo, venuto a la tisana che aveva richiesta. “Avanti”

Con sua sorpresa, la testa di Inuyasha fece capolino dalla porta. “Ciao. C’è una mia amica che ti deve parlare. Dai, Sango entra.”

TUC! Un pugno aveva colpito il ragazzo sulla fronte, mentre una voce femminile gli dava dell’idiota e lui si lamentava.

Questa volta dalla porta si fecero vedere la ragazza di Inuyasha e l’altra moretta che soffriva di amnesia post sbronza il primo giorno dell’anno.

“Le chiediamo scusa, signora Kagura, la disturbiamo?” domandò la prima. Kagura alzò le spalle. Ormai l’avevano interrotta, tanto valeva sentire che cosa cercassero.

L’altra ragazza prese un respiro e fece qualche passo dentro la stanza, seguita dalla sua amica, da Inuyasha che si toccava accigliato la fronte e da un altro di quei ragazzi che aveva visto sulla baita.

“Mi chiamo Sango, e volevo chiederle un paio di cose sulla squadra degli Spiders. Disse, tutto d’un fiato. Kagura si irrigidì, posando il pennello nella brocca d’acqua a suo fianco. “So che lei è la sorella del presidente, il signor Onigumo…” Sango le raccontò dei suoi sospetti, del comportamento del fratello, dei suoi infortuni miracolosamente curati.

“Quindi?” domandò la donna, a racconto finito. “Io cosa c’entro?”

“Se lei potesse chiedere a suo fratello di fare una verifica, in modo da sapere se i preparatori danno qualcosa di illecito ai ragazzi…”

Kagura scoppiò a ridere. “Tu credi davvero che se succedesse qualcosa in quella squadra mio fratello non lo saprebbe? C’è dentro anche mio cugino, cosiddetta stella del basket giovanile. E ad ogni modo, direi che io e Naraku non ci rivolgeremo più la parola a lungo. Spero. Per sempre, gradirei.”

Intervenne il ragazzo con il codino. “Lei pensa che …?”

“E anche se lo pensassi e se ve lo dicessi, voi cosa fareste? Lo direste alla polizia? Sarebbe una cosa abbastanza inutile, credetemi.

Sango dichiarò che avrebbe fatto ritirare suo fratello dalla squadra. “Se ci riesci…” commentò la donna, riprendendo in mano il pennello e rimettendosi al lavoro.

La ragazza di Inuyasha avanzò un’ipotesi. “Almeno se lei ci dicesse dove cercare, noi potremmo….”.

Kagura sospirò, esasperata. Oramai si era stufata di essere circondata da gente che scambiava la vita reale per un videogioco ben riuscito. Si rivolse ironica alla ragazzina.“Potreste calarvi dal tetto e rubare le informazioni segrete? Chi sei, Kim Possible?”Al ragazzo con il codino scappò un sorrisetto. Sango, posò lo sguardo sconsolato a terra. “Ho capito. Ragazzi, andiamo. Ci scusi se le abbiamo fatto perdere tempo.

Anche gli altri biascicarono tiepidi saluti, avviandosi verso la porta. Inuyasha si attardò un attimo, fissandola con un sopracciglio alzato: “Non sapevo della tua vena artistica” si avvicinò al cavalletto. “cosa dipingi?”

Kagura gli rispose. Inuyasha fissò per qualche secondo la tela dipinta, annuendo. “Proprio bella…” mormorò, prima di avviarsi verso l’uscita.

Quando fu sola, la donna gettò nuovamente il pennello nella brocca e si massaggiò le tempie con le dita. “Stupidi ragazzini” bisbigliò. Aveva perso l’ispirazione e aveva infranto quella barriera di serenità che aveva eretto in quel pomeriggio.

 

 

 

La pioggia non aveva accennato a smettere per tutto il pomeriggio, e si era trasformata in un temporale con i fiocchi con il crescere delle ore. Appena dopo mezzanotte la casa era immersa nel più totale silenzio, gli occupanti tutti addormentati. Non furono svegliati dal fortissimo rombo del tuono, ma dall’urlo della sirena del sistema d’allarme che squarciò l’aria pochi istanti dopo.

Sesshomaru e Kagura si svegliarono di soprassalto, un tuffo al cuore. Dopo un attimo di smarrimento, l’uomo provò ad accendere inutilmente la luce. Si alzò quindi precipitosamente dal letto e si infilò un paio di pantaloni, sotto lo sguardo terrorizzato della donna. Aprì precipitosamente il cassetto del suo comodino e ne estrasse un grosso astuccio di legno nero, che aprì. Prese l’oggetto e cercò di nasconderlo volgendo le spalle a Kagura.

“Che cos’è, Sesshomaru?” domandò la donna, intuendo cosa contenesse la scatola. “Ti prego, non uscire.”

“Resta qua.” Fu l’ordine perentorio. Lei scosse la testa, coprendosi il volto con le mani.

“Sesshomaru, metti via quella pistola e torna qui da me, ti prego.

L’uomo ripeté il suo ordine,  ed uscì sul pianerottolo.

Esco dalla mia stanza con gli occhi gonfi di sonno, facendomi luce con l’accendino.

Questa notte è un incubo, ho faticato come un matto per addormentarmi ed ora questo dannato allarme che mi ha fatto saltare sul letto. Non va neppure la luce.

Sulle scale vedo mio fratello, che scende lentamente le scale con un oggetto in mano che non riesco ad identificare. Vedendomi, mi fa segno di avvicinarmi a lui e mi sussurra di cedergli l’accendino. Nel farlo, vedo davvero cosa ha in mano.

“Una pistola?” bisbiglio. “Tu hai una pistola?”

“No, è un dentifricio!”sibila lui, alterato. “Fila su di sopra, e stacci. Guarda se funziona il telefono. E stai zitto.

“Ma sei impazzito ad usare quel coso??

Lui non mi risponde, e scende un altro paio di gradini. “Jaken?” chiama, nessuna risposta. Salgo le scale sino al pianerottolo, quasi del tutto immerse nell’oscurità.

Un lampo le illumina completamente, proprio nel momento in cui la ragazza di Sesshomaru decide di uscire dalla camera. Rischiamo l’infarto entrambi e soffochiamo un urlo terrorizzato, io gettandomi all’indietro, cadendo sul sedere. Lei lasciandosi scivolare lungo lo stipite della porta, una mano premuta convulsamente contro la bocca.

E’ bianca come un cencio e sta tremando visibilmente nella vestaglia bianca in cui è avvolta. Si rivolge verso le scale: “Sesshomaru, torna su,” supplica, senza alzarsi da terra. Mio fratello non l’ascolta, le fa cenno di tacere e ripete: “Jaken?”

La sirena smette di urlare, sentiamo una porta aprirsi cigolando e un fascio di luce illuminare il piano di sotto. Stringo convulsamente il corrimano delle scale. Kagura si lascia scappare un singhiozzo, mordendosi le mani. Non riesco a capire tutta questa sua paura. Sento che mormora che non può continuare a vivere così. “Jaken?”

“Sono qui, mio signore!” esclama il maggiordomo, comparendo dal nulla in fondo alle scale, puntandoci con la torcia. Tutti e tre facciamo un salto, sfiorando per la terza volta il colpo apoplettico. C’è da ringraziare il self control di mio fratello se ora non si ritrova con la testa piena di piombo.

Sesshomaru gli sibila che è un idiota e gli tira un pugno in testa. “C’è stata un’intrusione?” gli chiede poi.

“No, Signore, è caduto un lampo molto vicino a noi, ha fatto saltare la luce e impazzire l’allarme. Spiega, come se fosse colpa sua. “Vi siete spaventati?”

Sesshomaru non gli risponde, volgendogli le spalle e dirigendosi verso di noi, la pistola puntata a terra.

“Tutto a posto, tornate a letto.

Aiuta Kagura a rialzarsi. Sta tremando ancora e le guance non sembrano aver riacquistato colore. “Non si può continuare così. Mormora, prima di entrare nella loro stanza, mentre io ritorno nella mia.

 

Kagura sentiva freddo mentre Sesshomaru rimetteva al proprio posto l’arma. Basta. Dopo questo, la decisione era stata presa e non sarebbe tornata indietro. Non poteva continuare a sussultare per ogni minimo rumore, né vivere in un perenne stato d’angoscia.

Si avvicinò all’uomo, che nel frattempo si era seduto sul letto. Si slacciò la vestaglia, facendola cadere a terra,restando nuda davanti a Sesshomaru. Si avvicinò lentamente e si sedette a cavalcioni sulle sue ginocchia. Riempì i propri polmoni con il suo profumo, come a volerlo imprimere a fuoco nella propria memoria. Gli sfiorò con le dita ancora fredde dalla paura le orecchie puntute, il collo, i capelli, la schiena. Accarezzò con le labbra il suo volto, le sue labbra, che ricambiarono.

Le sue mani corsero lungo la schiena nuda di lui, percorrendo ogni centimetro di pelle, mentre si sentiva stringere al petto. Gli cinse i fianchi con le gambe, incrociandole sulla schiena e bloccandolo a sé. Le labbra di lui percorsero il mento affilato, il collo, sino ad affondare nel solco dei suoi seni. Strappò a Kagura un ansimo, mentre una lacrima gli scappò dalle lunghe ciglia brune. Quella sarebbe stata la loro ultima notte insieme.

 

 

“Inuyasha, di ai tuoi amici di trovarsi questa sera davanti al Pub Black Friar a mezzanotte in punto.”

Guardo basito Kagura, distogliendo occhi ed attenzione dalla mia colazione. Lei è in piedi, davanti a me, con una tazza delle sue tisane bollenti in mano. Mi guarda seria, decisa. “Tuo fratello questa sera ha una cena d’affari, e noi avremo un lavoro da svolgere.

 

 

 

 

Ok ragazze, tenete duro che ormai siamo alla fine. Tre, forse quattro capitoli massimo.

Riuscite a sopportarmi ancora? (si, vero?) Coraggio, io sono messa peggio di voi, con l’influenza e i malanni qua e là.

Recensiteeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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Capitolo 18
*** ... Agire... ***


Capitolo 18:

Capitolo 18:

…Agire….

 

 

“Prima che tu esca, volevo farti vedere una cosa.” Disse Kagura, aiutandolo a farsi il nodo alla cravatta, sottolineando il fine dell’operazione con un veloce bacio. “E’ un regalo per te.” Lo prese per mano, portandolo nella stanza che aveva adibito a studio di pittura. Accese la luce. “Spero che ti piaccia, ma voglio che tu sia sincero.”

Sul cavalletto, di fronte a lui, una tela dipinta ritraeva un paesaggio che lui conosceva molto bene. “E’ l’Hakurei?” domandò, non riuscendo a nascondere completamente la sua sorpresa.

La donna annuì. “Devo ancora rifinirlo, ma morivo dalla voglia di fartelo vedere…”

L’uomo si avvicinò ulteriormente alla tela. Notò i rami dei pini che spuntavano dalla neve, i candelotti di ghiaccio che scendevano agli angoli dei tetti, la funivia nel versante di fronte, la luce che faceva scintillare la neve. “Ti piace?” domandò Kagura, mordicchiandosi il labbro.

 “E’ davvero bello.” Mormorò annuendo. “Te lo ricordi davvero bene, pur avendolo visto così poco. Si avvicinò a lei, che sorrideva compiaciuta. “Ne è valsa la pena svaligiare quel negozio di articoli da disegno…” Le cinse la vita con le braccia, posando le labbra sulle sue. “Stasera farò un po’ tardi, non aspettarmi alzata..” Strofinò il naso contro la sua fronte. “Se non riesco a resisterti potrò svegliarti?”

Kagura deglutì, stringendolo forte, lottando contro le proprie lacrime. “Certamente …” L’uomo si stupì dell’intensità dell’abbraccio, ma pensò che, da quando viveva con lui, avevano passato tutte le serate insieme, e che lei, sicuramente, detestava più rimanere in casa da sola di notte, che di giorno. Tantopiù dopo lo spavento della notte precedente.

“Allora buonanotte Kagura.”

“Anche a te. Fai una buona cena.”

Guardò la sua schiena scendere le scale ed uscire dalla porta, e impedirsi dal corrergli incontro e raccontargli tutto fu la cosa più difficile della sua vita.

 

 

“Per me tuo fratello si è trovato una schizofrenica per fidanzata” commenta Miroku, dando l’ultimo tiro alla sigaretta, prima di lanciarla in un tombino, facendo centro. “Prima ci parla come se volessimo scalare l’Everest a piedi nudi, e poi ti dice di trovarci qui a mezzanotte, facendo la misteriosa su un certo “lavoretto” che dobbiamo fare.”

Non ha tutti i torti, ma non riesco a togliermi dalla testa la faccia terrorizzata di Kagura di ieri sera. “Almeno oggi è sabato e domani si dorme”

Kagome mi pare agitata, si guarda attorno freneticamente. “Per me stiamo facendo una cazzata. Ci metteremo nei guai.”  Non abbiamo più parlato da ieri pomeriggio, si scioglie dai miei abbracci, sembra più fredda. Sospiro, finendo anche la mia sigaretta e lanciandola nello stesso tombino di in cui l’ha lanciata Miroku, mancandolo.

Sango invece è risoluta. E’ ferma, appoggiata ad una cabina telefonica, con le braccia incrociate, impaziente ma concentrata.  Le chiedo se ha portato la telecamera come mi ha chiesto Kagura e lei mi risponde con un semplice cenno del capo, rivolgendosi verso lo zainetti ai suoi piedi.

Miroku si offre volontario per andare a fare un giro di birra al pub alle nostre spalle. “Kagura ha detto di aspettare qui e non ci muoveremo di un millimetro” sentenzia Sango, dura. “Se vuoi andare e abbandonare tutto fai pure. Io non mi muovo.” Miroku si rimette a cuccia senza dire altro.

Sbuffo, guardandomi attorno. In che diavolo di postaccio ci troviamo… Non passa anima viva, a parte gli avventori ubriachi del Pub, che sembra gente a dir poco raccomandabile. Ci siamo solo noi quattro davanti ad una cabina telefonica. E una ragazza bionda incappucciata che arriva dalla parte opposta del marciapiede.

“Per me ci ha tirato un pacco clamoroso ed ora se ne starà in casa a ridere alle nostre spalle facendosi tuo fratello.” Commenta Miroku.

Gli ricordo che mio fratello è davvero ad una cena d’affari.

“E allora si starà facendo il maggiordomo!”

La frase raccoglie le esclamazioni disgustate di noi tre, e addirittura della ragazza bionda che nel frattempo si è avvicinata alla nostra cabina telefonica, fermandosi a pochi passi da noi.

La fissiamo stupiti. La riconosco a malapena, sotto il cappuccio della sua corta giacca nera da dove spuntano le ciocche chiare.

“Ka – Kagura?” balbetta la mia ragazza. “Ma che cavolo hai fatto ai capelli?”

“E’ una parrucca” Spiega, abbassandosi un poco il cappuccio, come per darci le prove, rivelando anche un paio di occhiali che sembrano da vista e lenti a contatto colorate.

“E hai trovato tutto il necessaire per il travestimento nel guardaroba di Sesshomaru?” Domando ironico. Lei mi guarda, con un sopracciglio alzato. “Idiota” bofonchia. “Mai fatto acquisti online?”

“Con la carta di credito di mio fratello no, purtroppo. Ma se me la prestasse non comprerei una parrucca.”

“Io invece un vestito da cantante anni ’70. Sai, tipo ABBA.” Rivela invece Miroku.

Sango ci ricorda che non ci siamo trovati per fantasticare sui fantastici acquisti con carta di credito altrui. Kagura gli fa un cenno di ringraziamento, poi ci chiede di seguirla.

“Si può sapere dove andiamo?” gli chiedo.

“Ad incastrare mio fratello” mi risponde con voce ovvia.

Kagome domanda, preoccupata, se andremo nei guai.

“Non se farete quello che vi dirò.”

Attraverso un dedalo di viuzze anonime e di vicoli puzzolenti di urina, ci ritroviamo in una delle strade principali della città, quasi davanti ad un grosso palazzo illuminato. Kagura ci fa segno di seguirla, nell’ombra dei cespugli di un’aiuola. Noto un gigantesco logo a forma di ragno rosso sovrasta il cancello d’ingresso, da cui si intravede la cabina del guardiano notturno illuminata. “Benvenuti al Gruppo Ragno.” Commenta la donna. La sua mascella è serrata, vedo i tratti del suo volto contratti nella tensione.

“Ora dovrete ascoltarmi bene: Mi serve qualcuno molto abile a parlare con le persone, a fingersi ubriaco e a prendere tempo. Chi di voi ne è capace?”

Inutile dirlo, tutti quanti puntiamo l’indice verso Miroku, che ci guarda sorpreso. “Hey! Io non fingo mai di essere ubriaco!” protesta.

“Bene. Tu, ragazzo con il codino…”

“Miroku.”

“Va bene, Miroku. Avete portato la bomboletta spray?” Sango annuisce, aprendo lo zaino e prendendo le due bombolette, dandole a Kagura, che le porge a me e a Miroku. “Ora vi dirigerete verso quella parte, e farete dei graffiti sul muro dell’azienda. Condite il tutto con schiamazzi e urla, come se foste ubriachi.”

“Perché?” chiedo.

“Quel’angolo è ripreso da una telecamera a circuito chiuso. Il guardiano che vedete nel gabbiotto non si darà pena di chiamare la ronda interna per allontanare due ubriachi dal muro e interverrà personalmente. Dovrete cercare di farli perdere più tempo possibile, mi raccomando. Noi tre invece ci introdurremo dentro alla cabina, dove ci sono anche le telecamere di sicurezza. Sango, che mi sembra più atletica, farà da palo verso l’interno. Dovrai correre tra i gradini d’ingresso ed accucciarti dietro il secondo grosso vaso decorativo. Tu, invece…”

“Kagome” risponde lei, il cuore che le sembra scoppiare nel petto.

“Tu invece farai da palo verso l’esterno. Ti metterai tra l’ingresso e la porta del gabbiotto e controllerai quando arriva la guardia. Intesi? Io invece manipolerò i video della sorveglianza. Li farò andare indietro di un paio d’ore e li farò scorrere sullo schermo come se fossero registrati sul momento. In questo modo avremo tempo per fare le cose con calma.”

Miroku chiede quanto tempo le occorre.

“Mi bastano 3 minuti. Dopo che avrò finito con le telecamere, se sarete ancora impegnati con la guardia, Kagome chiamerà Miroku al cellulare. Dovrai fingere che sia tua madre, preoccupata per il tuo ritardo e ti farai trascinare via da Inuyasha. In realtà, andrete all’entrata qua dietro, e scavalcherete il cancello. Noi vi attenderemo li. Non essendo attive le telecamere non avrete problemi ad entrare. Capito?”

Annuiamo tutti quanti. Sento l’adrenalina che si diffonde dentro di me, e una sensazione di esaltazione che mi pervade come un prurito. Miroku ridacchia, pronto all’azione, Kagome pare un po’ preoccupata. Sango sembra seria e decisa.

“Mi raccomando. Questo non è un gioco, chiaro? Se qualcuno ha paura è meglio che se ne vada ora, perché quando dirò via, non ci si potrà più tirare indietro, e io ho bisogno di gente sveglia.”

Kagome mi sembra titubante. “Se non credi di farcela, nessuno ti obbliga. Puoi rimanere qui, o andare a casa, Kagome. Nessuno ti giudicherà per questo”, le dico, cercando di suonare il più dolce possibile, appoggiandole una mano sulla spalla. Lei scuote la testa, risoluta e offesa. Scrolla le spalle per togliere la mia mano di dosso: “Non sono una bambina” protesta.

 

Io e Miroku attraversiamo la strada sorreggendoci a vicenda e barcollando visibilmente, ridendo a squarciagola e cantando canzoni sconce. Arrivati al muro, mi ci appoggio ridendo come un matto e incito il mio amico a fare il disegno della mia sagoma sui mattoni. Miroku, che non è padrone dell’equilibrio, alza la bomboletta, prendendo la mira come se fossi un bersaglio. Il primo colpo mi colpisce in petto e io sembro trovare la cosa di un’ilarità sorprendente.

Cretino di un guardiano, muoviti.

Il secondo colpo mi colora una ciocca di capelli di nero. Il terzo mi fa una riga sul collo. Ormai inizio a spazientirmi, e vedo che anche Miroku inizia a dare segni di cedimento. Ride più forte, nervosamente, quasi isterico.

“Hey, ragazzini, andate a far casino da qualche altra parte!”

Kagura scivolò velocemente dentro alla cabina del guardiano, dirigendosi immediatamente verso il terminale che regolava le telecamere di sicurezza. Inserì il codice di sicurezza per sbloccarne le operazioni, staccò le registrazioni e mandò indietro i filmati. Gettò un’occhiata a Kagome, che guardava ansiosa alla strada, le orecchie tese per captare la voce del guardiano che litigava con i due finti ubriachi, e a Sango, accucciata dietro il vaso indicato, perfettamente mimetizzata nell’oscurità.

A – 1 ora e 45 minuti il nastro si bloccò. Dannazione! Esclamò tra sé e sé. Beh, non aveva tempo. Avrebbero avuto un quarto d’ora in meno. Sincronizzò l’orologio con la partenza del filmato e fece cenno a Kagome di lasciare il suo posto. Seguita anche Sango, la donna si diresse a passo svelto, cercando di fare il minor rumore possibile, verso l’entrata dal retro. Si nascosero dietro alcuni bidoni della spazzatura e Kagome fece partire la telefonata concordata. Dopo pochi minuti i due ragazzi scavalcarono il cancello e si ritrovarono con loro.

La prima parte dell’operazione era passata..

 

Per entrare nell’edificio dobbiamo scassinare una porta: ci pensa Miroku, usando la carta di credito del sottoscritto, la $C$, dato che sono l’unico che l’ha con se. L’abilità con cui apre la serratura il mio amico è quasi inquietante. “Andiamo, ragazzi, sono cresciuto in un circo!” dice come spiegazione, sorridendo furbo. Infilo la carta nella tasca sul retro dei jeans, senza rimetterla nel portafoglio. D’ora in poi terrà gli occhi aperti con questo qua in giro…

Guardandoci in continuazione attorno, ci dirigiamo verso un ufficio, seguendo Kagura. Il cuore mi batte così forte che sembra pulsarmi in gola. Guardo Kagome, notando il sudore che le imperla la fronte. Le prendo la mano e cerco di sorriderle rassicurante. Lei stringe la mia mano e mi si sforza di sorridermi di rimando. E’ una piccola cosa, ma basta per farmi sentire meglio.

Kagura si arresta improvvisamente, e noi sbattiamo l’uno contro l’altro. “Shhhh! Volete far meno casino!” sibila lei, gli occhi fuori dalle orbite.

Si dirige verso un muro, che pare spoglio, e toglie un pannello quasi invisibile dal muro. Dietro vi è una piccola tastiera numerica, vedo che digita un codice e un pezzo di parete scorre di lato, rivelando una porta. Rimaniamo stupefatti. Sango sussurra che pensava che queste cose esistessero solo nei film. “Evidentemente sono tratti da fatti realmente accaduti. Commenta Kagome, alleggerendo la tensione.

A Kagura sfugge uno sbuffo che pare quasi divertito, prima di entrare dalla porta. Le domando dove ci stiamo dirigendo: “Nel luogo più segreto del Gruppo Ragno. Il Laboratorio.”

Ci guardiamo l’uno con l’altri, Kagome bofonchia che forse era meglio stare a casa. Miroku invece si ricorda di Resident Evil, e per questa sua triste uscita si prende uno scappellotto da tutti, Kagura compresa.

La seguiamo, percorrendo un lungo corridoio, illuminato solo da una metallica e fioca luce di sicurezza. Arriviamo ad un’altra porta, un altro pannello con una plancia a forma di mano a fianco.

“Bene, ora arriva la parte difficile. Avremo poco, pochissimo tempo. Questo è un lettore di impronte digitali, nel database dell’azienda le mie sono registrate con l’autorizzazione ad entrare ovunque. Conoscendo mio fratello, comunque, le avrà messe in zona d’allarme e non appena io verrà effettuato il riconoscimento, scatterà l’allarme e la porta in fondo al corridoio si chiuderà. Non vi saranno sirene o simili, ne sono certa. Mio fratello preferisce prendere gli intrusi senza fare troppa confusione, per poi pensarci personalmente. Ecco, ora il panico inizia a serpeggiare tra noi quattro. “Tuttavia” prosegue Kagura, cercando di mostrarsi il più calma possibile  “La porta scorrevole d’entrata al corridoio si può bloccare. Basta che qualcuno la fermi con forza e cerchi di sollevarla. Andrà fuori binario e la fotocellula la darà erroneamente chiusa. Inuyasha e Miroku, mi sembrate abbastanza forti per farcela. Kagome e Sango, voi andrete a metà corridoio e controllerete che abbiano successo. Se non ce la faranno, allora scappate fuori il velocemente, altrimenti tornerete qui.

“E tu?”

Kagura alzò le spalle. “troverò un modo per uscire. Se tutto andrà bene, e la porta del laboratorio si aprirà, allora entreremo tutti, tranne Miroku, che dovrà stare di guardia all’entrata del corridoio. Mi raccomando il più assoluto silenzio. Intesi?”

Annuiamo tutti, e Kagura ci chiede la videocamera. Ci posizioniamo secondo le sue istruzioni, le orecchie all’erta e i sensi vigili, pronti a scattare.

Come aveva previsto, la porta inizia improvvisamente a scorrere. Facciamo una fatica dannata per tentare di bloccarla, la superficie è scivolosa e d è molto pesante. Faccio cenno a Kagome e a Sango di avvicinarsi velocemente. Ho paura di non farcela.

Ci puntelliamo contro lo stipite. Cazzo, è più dura di quanto pensassi... Scivolo…

“Avanti, Inuyasha!”Mi incita Kagome. “Forza!” viene verso di me, prende la porta fra le mani e la tira. Sango cerca inizialmente di chiamare Kagura, ma poi corre anche lei in nostro aiuto. In quattro, con enorme sforzo, riusciamo almeno a bloccarla. Provo a sollevarla per farla uscire dal binario. Il primo tentativo va a vuoto. Il secondo anche.

Guardo Kagome, che mi incita nuovamente, i suoi occhioni cioccolato sgranati e affaticati.

Riprendo fiato, rilasso un secondo i muscoli e poi spingo nuovamente.

TUNF!

La porta scorrevole finalmente esce dal binario e si sposta di lato, rimanendo comunque incastrata. Il movimento è talmente improvviso che perdiamo tutti e quattro l’equilibrio e cadiamo per terra, gli uni sopra gli altri.

Dal fondo del corridoio, Kagura fa segno di tacere.

La mando silenziosamente a cagare con un cenno della mano, mentre Miroku si rialza e si posiziona come concordato, facendo segno di proseguire.

 

“Che cosa se ne fa il Gruppo Ragno di un laboratorio chimico?” domanda stupita Kagome, osservando, stupita quanto noi altri,  le provette e gli apparecchi che ci circondano. “Credevo che vi occupaste d’altro…”

“Ufficialmente si.” Spiega Kagura, riprendendo con la telecamera il laboratorio. “Questa è una zona sperimentale dell’azienda. E’ una sezione farmaceutica, fino ad ora pressoché illegale. Qui vengono raffinate e composte sostanze chimiche con lo scopo di creare farmaci per il mercato nero. Non di certo aspirine, eh!”

Apre un cassetto, ne estrae alcuni documenti, che riprende, mentre Kagome le fa luce con la torcia, sbirciando.

Sango, con la voce tremante, le chiede che tipo di farmaci siano quelli prodotti.

“Farmaci per aumentare il rendimento fisico e le prestazioni atletiche. Risponde semplicemente, prima di chiedermi di aprire una cella frigorifera che si trova vicino a me. Sbircio dentro. Ci sono sacche di sangue umano, barattoli di polveri, provette di liquidi giallognoli. “In poche parole doping?” domando schifato.

Kagura annuisce, mentre punta la telecamera verso il frigorifero. Vedo Sango appoggiarsi ad una parete, come se stesse collassando.

“Il mercato delle sostanze dopanti è molto più redditizio di quello dei comuni farmaci, che sono tra l’altro, sottoposti a numerose prove e controlli. La specialità di questo progetto, chiamato Miasma Project, è quello di ricercare soluzioni per eliminare ogni traccia di sostanza dal sangue, per evitare i controlli sugli atleti.

“E questi farmaci vengono testati su mio fratello?” Domanda Sango, ormai sull’orlo di una crisi di nervi.

“Se è per questo vengono testati anche su mio cugino Hakudoshi. E sugli altri membri della squadra. A Naraku servivano cavie, e una squadra di pallacanestro offriva una buona copertura. sospirò.

“Non ci posso credere…” gemette Sango. Kagome mi cedette la torcia e corse ad abbracciarla per confortarla.

Kagura le sgridò. “Avrete da smoccolare dopo. Adesso dobbiamo finire il lavoro.”

Riprende le celle i macchinari. Poi ci fa cenno di tacere, e a voce alta ripete la storia del Miasma Project, poi toglie di nuovo l’audio dal video e lo spegne. “Qui abbiamo finito”

Kagome chiede se possiamo andare, ma Kagura scuote la testa. “Dobbiamo fare una visita al piano di sopra. Faccio coraggio a Kagome e a Sango e la seguiamo. Mi sento un po’ un paladino della giustizia, galvanizzato dall’idea di far sbattere in galere un bastardo che ha avvelenato la vita del fratello di Sango, e chissà quali altri crimini. Kagura sembra avercela davvero tanto nei suoi confronti. Mi domando se tutto questo possa avere attinenza con la sua storia con Sesshomaru e con il suo improvviso ingresso nella nostra vita. Recuperiamo Miroku, infrattato come un ninja dietro ad una pianta ornamentale, e ci avviamo verso un ascensore.

 

La targhetta della porta indica che questo è l’ufficio di Kagura Onigumo. Lei si domanda a bassa voce per quale motivo suo fratello non l’abbia fatta togliere. “Forse spera che facciate pace…” ipotizza Miroku. E anche per quest’altra sua infelice uscita si merita gli scappellotti da parte di tutti.

Kagura rovista in una cassettiera. La chiude imprecando. “La carta di credito aziendale se la sono ripresa, eh!”

“Era questo quello che cercavamo?” domando, un po’ adirato.

Lei mi da dell’idiota. Fa forzare la serratura dell’armadio a muro a Miroku, poi sposta pile di scartoffie e di faldoni  di documenti, rivelando una piccola cassaforte. La apre e prende le carte al suo interno. Riaccende la telecamera con l’audio e spiega i vari conti all’estero delle aziende, i bilanci falsificati e gli appalti illeciti.

Poi rimette tutto al suo posto. Sango chiede se abbiamo finito. Lei sembra pensarci un attimo. Si mordicchia il labbro, lo sguardo assorto rivolto verso terra. “C’è un’ultima parte da registrare. Andate fuori. Avvisatemi se vedete la ronda notturna.” Senza capire, ci avviamo verso l’uscita. “Aspetta, tu Kagome puoi restare.”

La mia ragazza mi getta uno sguardo preoccupato. “Fai ciò che ti senti.” Le mormoro. “Io rimango qua contro la porta. Per qualsiasi cosa fammi un segno e io sarò qua dentro, ok? Se vediamo la guardia ti vengo a prendere in un secondo. Non ti lascio da sola”

“Va bene” mi risponde, prima di alzarsi sulle punte dei piedi e baciarmi velocemente. “Mi fido di te.”

E’ come se dello sciroppo alla frutta mi scendesse nella gola riarsa. Mi sento sollevato, mi è sparito il macigno sullo stomaco. Respiro profondamente e vado fuori, non prima di aver avvisato Kagura che per qualsiasi ulteriore problema, dovrà vedersela con me.

 

La ragazzina reggeva la telecamera fissa sul suo volto, illuminandola con la torcia. Si erano sedute l’una di fronte all’altra, nell’ufficio vuoto.

La donna prese un bel respiro, togliendosi la parrucca e le lenti a contatto.

“Mi chiamo Kagura Onigumo, sono la sorella del Presidente del Gruppo Ragno, e General Manager della Feder inc. Quello che avete visto in questo filmato è solamente un blando elenco dei reati commessi da mio fratello Naraku Onigumo. Reati di cui io stessa sono stata, mio malgrado, complice. Il fiato le mancava. Quello che aveva dentro, quel blocco di calcare che le si era formato attorno al cuore in tutti quegli anni, stava per cedere. E non davanti all’uomo che aveva cercato di darle sicurezza, che l’aveva soccorsa quando aveva bisogno e che l’aveva tenuta stretta a sé, augurandole la buona notte, una manciata di ore prima.

Sesshomaru meritava una persona forte e determinata al suo fianco, e lei non sopportava di mostrarsi da meno.

Ora si trovava davanti ad una ragazzina che sentito parlare dell’inferno in cui era vissuta solamente tra le righe di cronaca nera di un giornale, o qualche spezzone di servizio al telegiornale.

Eppure, ormai Kagura aveva raggiunto il suo limite, e non imbeva altro da fare che scavalcare la barriera e tuffarsi.

Un singhiozzo si fece breccia nel petto, un terremoto che coinvolse tutto il corpo. Perle salate scapparono dalle sue ciglia, riversandosi sulle guance pallide e magre.

“A tutti i reati commessi da  Naraku Onigumo, vanno aggiunti quelli rivolti alla mia persona.” Iniziò.

 

Dieci minuti dopo, Kagome e Kagura fanno la loro uscita sul corridoio. La mia ragazza mi si avvicina e mi abbraccia, sconvolta. Le chiedo cosa sia successo, ma lei scuote la testa. “A me nulla” bisbiglia. Le chiedo altre spiegazione, ma lei scuote di nuovo la testa.

“Ora possiamo andare” annuncia Kagura, le braccia incrociate strette al petto, lo sguardo basso. La parrucca sulla testa è storta, Sango glielo fa notare e l’aiuta ad aggiustarla. Non riesco ad afferrare quello che è accaduto. E’ come se l’avessero scambiata con un’altra persona. Non è più la donna dritta, fredda e determinata che ci ha fatto entrare qua dentro. Sembra  un’adolescente nervosa, china su se stessa, dalle spalle racchiuse per proteggersi e lo sguardo schivo di chi non riesce a sostenere il giudizio della gente.

 

Ci avviamo verso il corridoio in perfetto silenzio, verso l’ascensore. Kagura spinge il pulsante, e l’ascensore torna a salire.

“La guardia deve averlo richiamato prima, per la ronda a qualche piano sotto. Spiega stancamente.

Quando si aprono le porte, la guardia è di fronte a noi.

 

 

Sia i nostri cuori che il suo smettono di battere. Per un lungo istante rimaniamo a fissarci a bocca aperta, increduli davanti a quello a cui ci troviamo. Poi lui azzarda un movimento veloce alla radio che porta alla cintola.

Gli sono addosso in un baleno, spingendolo contro la parete dell’ascensore e colpendolo con un destro alla mascella, il suo sangue sulle mie nocche.  Lo prendo per i capelli e cerco di trascinarlo fuori, ma questo bastardo riesce ad estrarre la pistola d’ordinanza dalla fondina. Miroku lo vede e gli afferra il braccio, cercando di far puntare la pistola altrove. Un colpo parte.

Guardo terrorizzato i miei amici, trovandoli ancora in piedi. Non ha colpito nessuno, per fortuna, ma il proiettile è sibilato abbastanza vicino a Kagome da farmi perdere la testa.

La rabbia che mi monta dentro è spaventosa. Con due pugni riesco a lanciarlo contro una parete, e un calcio ben assestato allo stomaco gli faccio perdere i sensi. Avrei voglia di ridurlo ad un pezzo di carne sanguinante, ma Sango mi intima di smettere, che non c’è tempo e che tra un po’ avremo tutti i guardiani addosso.

Ci lanciamo dentro l’ascensore. Kagura preme il pulsante del parcheggio sotterraneo. L’ascensore comincia a muoversi e noi guardiamo febbrilmente i numeri che si illuminano, temendo, piano dopo piano, di trovarci le pistole puntate alla testa.

Kagura scivola per terra. “Siamo spacciati…” piagnucola. “E’ la fine…”

Kagome le è al fianco, le prende la testa tra le mani, la fissa negli occhi. “Smettila” sibila. “Smettila di fare così. Dopo tutto quello che ti ha fatto, vuoi dargliela vinta?”

Kagura scuote la testa, tremando. “siamo in trappola…”

“SMETTILA!” urla la mia ragazza, una voce che non ho mai sentito prima e che non mi sarei mai aspettato che potesse appartenerle. “TI HO DETTO DI SMETTERLA!”

Kagura sembra quasi calmarsi, deglutisce, tira su con il naso. “Non è ancora finita.” Mormora di nuovo Kagome, abbracciandola. Sento che le sussurra qualcosa all’orecchio, qualcosa che fa quasi sorridere la donna e che sembra darle un po’ di forza. Si rialza in piedi, asciugandosi le guance. “Cercheremo di uscire dal parcheggio. Ci sono le uscite di sicurezza che sono vicine al muro di cinta. Dannazione!” esclama, tirando un pugno contro la parete lignea. “Se solo sapessi che macchine ci sono in parcheggio e se solo avessi le chiavi…”

“Dunque, vediamo…” Miroku si fruga in tasca, tra lo stupore generale. “Io qui ho una chiave di una Bmw, di una moto Yahama e di una Porsche Carrera.

“…!”

Nessuno di noi riesce a trovare le parole per commentare quello a cui abbiamo assistito.

“Beh, non guardatemi con quella faccia, suvvia! Mentre voi due eravate barricate nell’ufficio, io ho curiosato un po’ intorno…e nell’ufficio lì vicino ho trovato queste!”

Sango è allibita. Sconcertata, anche. “E le hai prese su …così?”

“Ho pensato che potessero tornare utili…. Ho avuto ragione, no?” Ridacchia, incontrando i nostri sguardi scettici. La mano mi corre sul portafoglio. Lo sento al sicuro nella tasca dei jeans. “D’ora in poi ti terrò MOLTO d’occhio…”

 

La porta dell’ascensore si apre e noi corriamo dentro il parcheggio. E’ vuoto. Miroku impreca. Sperava di trovare la moto.

La Porsche!” urla Sango, indicandola. Kagura sembra sollevata: “La mia piccola macchinina!” gioisce, correndogli incontro, seguita da noi.

Le sirene d’allarme iniziano a suonare, mentre Kagura mette in moto e, appena prima che io riesca a chiudere la portiera dell’auto, sgasa al massimo e si lancia, a folle velocità, verso la sbarra dell’entrata al parcheggio.

Sento i miei tre amici, pressati nel sedile dietro, trattenere il fiato terrorizzati. Io, anche. La sbarra cede senza problemi, e Kagura, dimostrando una guida impeccabilmente sportiva, percorre a tutta velocità il vialetto d’ingresso, puntando al cancello d’entrata principale. Nel gabbiotto, il guardiano ci vede avvicinare e scappa a gambe levate.

“Kagura… no…” imploro. “Ci ammazziamo…!”

“Stai tranquillo.”

“Kagura, non voglio morire!”

“Non preoccuparti!”

Mi volto verso i tre dietro. Voglio morire con l’immagine di Kagome impressa nella retina. Kagome e Sango sono ancorate saldamente a Miroku, trasfigurato dal terrore. Allungo la mano verso la mia ragazza, che l’afferra disperata.

“TI AMO SANGO, TI HO SEMPRE AMATA!” rivela Miroku. Sango lo guarda sorpresa. “Non…non cerchi di palparmi un’ultima volta?”

Kagura accelera…

“WAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!”

SBAAAAAAAAAM!

Il cancello cede all’urto e si apre a metà, permettendoci di uscire.

Ci guardiamo l’uno con l’altro, ebbri d’adrenalina, e scoppiamo a ridere fragorosamente, applaudendo e urlando come texani al rodeo.

Anche Kagura sembra ridere. “La prossima fermata è la vostra” annuncia, imboccando il viale principale della città. Affronta le curve in derapata, precisa. Schiva le poche auto in strada e imbocca una traversa. Poi frena, all’improvviso. Mi indica un edificio illuminato. “La caserma della Polizia. Portateci il video. Dite che l’avete trovato o che altro. Non dite che eravate presenti. Statene fuori.” Scendiamo uno dopo l’altro dall’auto. Prima di chiudere la portiera affaccio la testa dentro all’abitacolo. Kagura sembra sollevata, le brillano gli occhi. E’ davvero bella, ha un qualcosa di elegante in sé, affascinante. “Adesso capisco cosa ci trovi in te Sesshomaru” scherzo. Lei mi guarda, con un sopracciglio alzato, un mezzo sorriso. “Sei davvero una bond girl

Lei scoppia a ridere, picchiettando le unghie sul volante. “Esatto. Io sono Vesper.”  Mi fa segno di andare. “Devo andare a disfarmi dell’auto. Un vero peccato, tra l’altro.”

“Ci vediamo a casa. Acqua in bocca con mio fratello?”

“Puoi dirglielo anche subito. Lo verrà sapere.

Chiudo lo sportello e la saluto con un cenno della mano.

“E’ forte, tua cognata.” Scherza Sango. “E’ come…una Charlie’s Angel.”

Nah. Mio fratello è appassionato dei film di James Bond. Lei è Vesper. L’ha detto lei.

Kagome è rimasta in silenzio, guarda la vettura sportiva allontanarsi rombando. “Alla fine del film, Vesper muore.” Dice gravemente, prima di avviarsi verso la stazione di polizia.

 

 

C’era la luna piena. Si, dalla città non si vedeva, ma la luna piena era lassù, e illuminava tutta la scogliera, rendendola argentata, magica, fatata.

Kagura era appoggiata all’auto, gli occhi chiusi, i suoi capelli castani mossi dalla brezza che saliva dal mare. Si stava ascoltando. Sentiva i battiti ora regolari del suo cuore, sentiva il proprio respiro calmo e profondo, il naso e le orecchie pizzicate dal freddo pungente della notte. Sentiva la stanchezza salire piano piano dalle gambe. E si sentiva serena. E libera. Anche se libera non lo era ancora. Ma ormai c’era quasi, era arrivata alla fine del suo percorso di dolore, di speranza, di lotta. Ora poteva respirare, poteva sentire il vento freddo fra i capelli, sulle guance. La testa le girava, forse a causa di tutto il trambusto della notte.

 

Aprì gli occhi. La strada alle sue spalle era deserta. Non era una zona molto trafficata. Forse da qualche coppietta in cerca di intimità, dato lo spettacolare panorama sulla baia e sulle luci della città, lontana.

Lontana 2ore di folle corsa alla guida di una Porche Carrera ferita prima da un cancello, e poi dal guard-rail che aveva divelto dal bordo di quella strada panoramica. Le venne da ridere, guardando quel gioiellino dal muso ammaccato e graffiato, pensando alla cura che ne aveva avuto un tempo che sembrava così lontano. Davvero pensava di essersi affezionato a quel’ammasso di lamiere? Davvero non aveva trovato altro modo che riversare il suo affetto su di un oggetto inanimato?

Pensò cosa fosse successo se al posto della sua auto ci fosse stata la preziosa Aston Martin di Sesshomaru. Immaginò la sua faccia stravolta, gli occhi fuori dalle orbite, i gemiti strazianti e le urla di disperazione. Rise nuovamente, ma questa volta tristemente.

Sesshomaru al suo ritorno a casa avrebbe trovato un letto vuoto e freddo, e un fratello con i sensi di colpa che cercava di dargli spiegazioni. E un quadro finito che ritraeva un paradiso terrestre. E i vestiti che le aveva comprato, e i pennelli che aveva usato, le tisane profumate che si faceva alla mattina, e il ritratto di Rin da incorniciare.

Si ripeté che per Sesshomaru lei era più un peso che altro. Che avrebbe reso la sua vita infernale, con mille preoccupazioni e chissà che altro.

Lui ci sarebbe rimasto indubbiamente male, forse addirittura ne avrebbe sofferto. Ma poi si sarebbe fatto una ragione e avrebbe voltato il suo sguardo altrove. Quest’ultimo pensiero le strinse il cuore. Alla fine lei sarebbe stata dimenticata anche dall’uomo che l’aveva fatta sentire viva e importante. Forse lui avrebbe anche provato rabbia nei suoi confronti.

Si riscosse. Era giunto il momento di scrivere il capitolo finale.

Il trillo del cellulare la fece distrarre nuovamente. Guardò il display. Sesshomaru. Doveva rispondere?

Le avrebbe fatto male parlare con lui un’ultima volta. L’avrebbe fatta desistere dai suoi propositi, forse? No. Ormai aveva deciso, e quando lei prendeva una decisione, nulla poteva smuoverla. Il telefonino non dava segno di voler smettere. La testa le girò di nuovo, e Kagura sentì lo spasmodico bisogno di sentire la voce del suo uomo. Un’ultima volta.

“Pronto?”

“Kagura, dove diavolo sei? Sono tornato adesso a casa.”

“Io…” cosa dirgli? Sembrava furioso. Temeva forse di essere stato tradito? “Io sono fuori a fare una passeggiata, Sesshomaru. Avevo bisogno d’aria.”

Vengo a prenderti. Stai ferma dove sei.”

“No, no.. vai a letto, Sesshomaru. Vai a dormire. Va tutto bene. Tra un po’ staremo tutti bene.”

“…Kagura… te lo ripeto nuovamente. Dove sei. RISPONDI CAZZO!”

“Devo ringraziarti di tutto. Dell’aiuto che mi hai dato, del tetto sopra la testa.. di tutto. Devo ringraziarti per essermi stato vicino. Sei stato fantastico.”

Dove sei?” ripeté meccanicamente, una nota di panico fra le sue parole.

“Non si poteva continuare così. Così ho preso la mia decisione. Tuo fratello ti spiegherà tutto. Mi ha aiutato molto sai? Ma non coinvolgerlo ulteriormente: ha 17anni…”

Cosa stai dicendo…?”

“Se tutto va bene, Naraku si troverà una bella gatta da pelare. Ma io, Sesshomaru, non ci sarò.”

“…stai partendo?”

“Più o meno si.”

Kagura. Stai ferma. Non.Farlo.”

“Non ho altra scelta.”

Kagura…”

“Ti amo.” Le parole erano uscite dalle sue labbra da sole, come sospinte da una brezza magica. Chiuse la conversazione, come per spezzare un incantesimo, e guardò il cellulare come se fosse improvvisamente d’oro zecchino. Aveva detto a Sesshomaru che l’amava… Ora lui avrebbe sofferto ulteriormente.

Si sentì improvvisamente in colpa per le parole dette. E si sentì ancor peggio a capire che le sentiva davvero.

Ma ormai era tardi.

Il cellulare ricominciò nuovamente a suonare. E lei lo lasciò cadere nel vuoto.

Ora doveva concentrarsi di nuovo. Era ancora più difficile, ma doveva.

Si guardò attorno nuovamente, per far mente locale. Poi si avvicinò al ciglio della scogliera e guardò giù. Nel buio, sentiva le onde infrangersi contro le rocce. Il mare era mosso, la corrente era maggiore.

“Molto meglio” decise.  Calcolò la traiettoria: il punto di impatto sarebbe stato inizialmente la roccia, poi l’acqua sottostante.  E le onde avrebbero fatto il loro dovere.

Si avviò verso la macchina e abbassò i finestrini. Lo sguardo le cadde sulla parrucca bionda abbandonata sul sedile del passeggero. La prese in mano, valutando cosa farsene. Decise di lasciarla dove l’aveva presa, e nel voltarsi, lo sguardo le cadde su una tessera argentata, che brillava alla luce lunare. La prese in mano, riconoscendo la carta di credito di Inuyasha. Doveva essergli caduta dalla tasca durante la fuga.

“Che idiota…” mormorò, scuotendo la testa, e infilandosela nella tasca del giubbotto. Tastò una tasca interna della giacca, e ne estrasse l’oggetto morbido. La parrucca rossa e corta, che aveva preso insieme a quella bionda non l’aveva usata. Oh beh.

Prese un bel respiro e mise in moto la macchina. Ora c’era la parte più difficile. E delicata.

 

 

 

Ci avviciniamo alla fine…

Uff! ci ho messo un bel po’ a scrivere questo capitolo! Avevo intenzione inizialmente di fare una cosa diversa ma… ma poi ho cambiato idea. Il perché lo spiegherò a Fanfiction finita.

Commentate, gente, commentate! Comincio a temere che la mia Fic non piaccia più così tanto…

(sempre e comunque Infinite Grazie a chi commenta sempre…)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** ...Terminare. ***


Capitolo 19:

Capitolo 19:

Terminare.

(Well now, everything dies, baby, that’s a fact
But maybe everything that dies someday comes back)

 

Lo schermo della televisione trasmetteva le immagini sensazionali dell’arresto di Naraku Onigumo, avvenuto a metà mattinata.

I poliziotti cercavano di allontanare i cronisti, mentre accompagnavano l’uomo ammanettato dentro alla ca­serma. Lui proseguiva a testa alta, il volto scoperto, le labbra sottili serrate, aveva l’aria di chi stesse subendo solo una dannata seccatura.

Il suo avvocato faceva sapere che le accuse formulate a suo carico erano totalmente prive di qualsiasi fonda­mento, e che il proprio assistito sarebbe stato libero nell’arco delle prossime ore.

“Poche ore fa è stata individuata la Porsche Carrera di proprietà di Kagura Onigumo. L’autovettura si tro­verebbe in mare, ai piedi della scogliera della strada panoramica a due ore dalla città. I sommozzatori stanno lavorando per il difficile recupero del mezzo, ma in questo momento non è dato sapere se sia stato rinvenuto il cadavere della donna al suo in­terno. Ci colleghiamo direttamente sul posto…”

L’immagine si spostò sul viso di un uomo, comandante della sezione dei sommozzatori della polizia. Sullo sfondo, l’immagine della strada panoramica che correva lungo la baia.

La corrente in questo tratto è molto forte, è difficile riuscire a recuperare l’automobile” spiegò, parlando ad alta voce per farsi sentire sopra il rombo delle onde e il fischio incessante del vento.

“Avete rinvenuto il corpo al suo interno?”

“No, i finestrini sono stati precedentemente abbassati, come per far entrare l’acqua più velocemente. Siamo riusciti a vedere nell’abitacolo, e a scoprire che è vuoto, ma dobbiamo ancora controllare il baule.”

Il cronista incalzò: “E’ possibile che il corpo sia potuto uscire da uno dei finestrini?”

“Si, è una cosa plausibile: come dicevo la corrente è molto forte, per questo non siamo ancora riusciti a ispezionare i fondali attigui. Le condizioni del meteo non ce lo permettono, purtroppo. Sarà già tanto se riu­sciremo a portare in strada l’auto entro oggi.

“Si può parlare di suicidio?”

“Alla luce degli elementi direi di si. E’ stata formulata anche l’ipotesi di omicidio, ma non vi sono tracce di frenata o di collisione sull’asfalto, e le testimonianze portano ad un allontanamento volontario della signo­rina Onigumo.

La voce fuori campo aggiungeva che testimonianze molto importanti erano state depositate di prima mattina da Sesshomaru No Taisho e dal fratello minorenne, a quanto pare coinvolto nella registrazione del video che aveva permesso di inchiodare Naraku Onigumo.

Le immagini lo mostravano in completo scuro e occhiali da sole nonostante la giornata uggiosa, seguito dal fratello che si calcava in continuazione il berretto sulla testa e gettava sguardi nervosi ai giornalisti, mentre uscivano dalla stazione di polizia ed entravano nell’auto scura.

Spense la televisione e si lasciò cadere sul materasso. Le gocce di pioggia picchiettavano disordinatamente contro i vetri della finestra. La luce filtrava fiocamente dalle finestre oscurate dalle tende.

Si sentiva spossato, svuotato da tutte le energie. Eppure dentro di se ruggiva una rabbia feroce. Quella mat­tina, al commissariato, aveva incrociato lo sguardo di Naraku, ammanettato ma ancora sicuro di poterla scampare anche quella volta. Solo il suo enorme autocontrollo gli aveva impedito di ammazzarlo di botte. Avrebbe dovuto cancellargli quel sorriso mellifluo a suon di pugni, fargli sputare tutti i denti, spaccargli la mascella, fargli vomitare sangue. Ma questo non avrebbe giovato alla causa, né avrebbe rimediato a ciò che era successo a Kagura.

Love, love is a verb
Love is a doing word
Fearless on my breath

A ciò che era successo…

Kagura aveva fatto la sua scelta. La via più breve, più vigliacca.  E aveva avuto la faccia tosta di rispondere al telefono e di intavolare con lui l’ultima, assurda conversazione.

 

Gentle impulsion
Shakes me makes me lighter
Fearless on my breath

 

Gli aveva detto che l’amava. E poi si era gettata dalla scogliera. Dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei, ecco il ringraziamento. L’aveva tradito.

Teardrop on the fire
Fearless on my breath

 

Ma poteva davvero biasimarla? Poteva davvero essere in collera verso di lei? Aveva un senso questa rabbia sorda che affaticava il suo respiro? Kagura era vissuta attraverso l’inferno, e quello che aveva passato lui lo sapeva a malapena. La polizia non gli aveva ancora permesso di visionare il video, anche se suo fratello Inu­yasha era coinvolto nella registrazione.

Nine night of matter
Black flowers blossom
Fearless on my breath

 

Doveva ammettere che aveva avuto fegato, il ragazzo, prima ad immischiarsi, con i suoi amici, in una situa­zione del genere, e poi a voler deporre testimonianza. Aveva raccontato di essere stato solo lui e Kagura, la sera precedente, ad introdursi nella sede del Gruppo Ragno. Ma di certo i poliziotti non avrebbero impiegato molto tempo a rintracciare gli altri membri della banda, anche se Inuyasha aveva cercato disperatamente di proteggerli.


Black flowers blossom
Fearless on my breath

Proteggere

Se Kagura glielo avesse permesso, lui l’avrebbe fatto. A costo di far costruire una fortezza circondata da guardie.

Eppure, ne era sicuro, non era quello che lei avrebbe voluto. Vivere sotto scorta, passare le sue giornate e le sue notte con il terrore fisso dello spettro del passato, non era la vita che la sua donna desiderata. E allora, forse, per lei era stato meglio così.

Teardrop on the fire
Fearless on my breath

 

Ma non era crudele il destino, a concedere come unica via d’uscita la morte, ad una persona che aveva sof­ferto già così tanto?

Kagura meritava tutto il compianto possibile, tutta la pietà che non aveva avuto in vita, avrebbe dovuto veder restituite tutte le lacrime che aveva versato.


Water is my eye
Most faithful mirror
Fearless on my breath

 

E che non uscivano dai suoi occhi. Non ci riusciva. Neppure sforzandosi, neppure volendolo. Nemmeno una lacrima solitaria. Aveva gli occhi più asciutti che mai.

Quand’era che aveva pianto l’ultima volta?

 

Teardrop on the fire of a confession
Fearless on my breath

 

Quando era morto suo padre. Aveva pianto in silenzio, in camera sua, soffocando i singhiozzi sul cuscino, per non far vedere a sua madre, impegnata con la battaglia legale, che stava male per la morte di colui che li aveva abbandonati per costruirsi un’altra famiglia.

 

Most faithful mirror
Fearless on my breath

 

Che idiota che era stato a provare rancore verso di lui per così tanto tempo. Aveva perso tempo inutilmente mettendo giù il muso, perdendo così il tempo prezioso che suo padre chiedeva di passare con lui. “Sessho­maru, perché non andiamo di nuovo a sciare? Io e te… facciamo una vacanza da uomini, come ai vecchi tempi?”

Teardrop on the fire
Fearless on my breath

 

Come ai tempi del filmato che aveva scovato Inuyasha. Tempi che non sarebbero più tornati. Come gli attimi passati con Kagura.


Kagura, la bella moretta dall’aria snob ed impegnata sulla sua Porsche sportiva, ferma ad un semaforo.

Ka­gura che entrava nel suo ufficio, avvolta nel tailleur dalla scollatura compiacente, alta sui suoi vertiginosi tacchi a spillo, seria con la ventiquattrore in mano.

Elegantemente avvolta nella seta nera del suo abito da sera, accaldata e affannata contro la radica dell’ascensore vintage dove l’aveva avuta la prima volta.

Una pantera che graffiava tra le sue braccia in una stanza di un motel di quart’ordine.

Una colomba dalle ali spezzate, persa tra le coperte voluminose del suo letto, in un pigiama gigantesco per la sua figura esile.

L’artista concentrata, dal naso sporco di carboncino, intenta in un ritratto.

La sognatrice che perdeva il suo sguardo fuori dalla finestra, giocherellando con una ciocca di capelli, con la testa altrove, in un luogo dove il cielo non era così grigio, e dove la pioggia non era così gelata da corrodere le ossa.


Stumbling a little


Kagura non c’era più. Kagura aveva abbandonato il suo corpo alle onde del mare, aveva fatto riempire i suoi polmoni di sale.

Come Vesper Lynd. (Maledetto quel soprannome che le aveva dato.)Ma lui non aveva nemmeno il lusso di poter seppellire il suo corpo, al momento.

Stumbling a little

 

Doveva far cambiare a Jaken quelle maledette lenzuola. Erano pregne del suo profumo. Sarebbe impazzito a sentirlo di continuo.

.

 

 

Che cosa ho fatto…. Che casino ho combinato…

“Smettila di angustiarti. Non è colpa tua.” Ripete meccanicamente Miroku. Kagome e i miei amici hanno bellamente ignorato la mia richiesta di starmi alla larga, e sono corsi a casa mia appena dopo il telegiornale.  Si sentono responsabili quanto me della tragedia.  “Non hai spinto tu Kagura giù dalla rupe, no?”

“L’ho lasciata andare…” mio fratello è furioso. Letteralmente fuori da ogni grazia divina. Ieri notte, quando sono tornato, seduto sul divano, continuando a tentare di chiamare al telefono.

Ho capito subito che Kagura non era rientrata prima di me, e gli ho spiegato tutto. Ha urlato che sono stato un deficiente, che un moccioso di diciassette anni dovrebbe farsi i fottuti cazzi suoi e ha giurato che mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani se fosse capitato qualcosa a Kagura. Stava per uscire di casa per an­dare a cercarla, chissà dove. Gli ho risposto che sarei andato con lui.

Abbiamo girato in silenzio per ore ed ore, senza una meta precisa. Siamo passati più volte davanti all’edificio del Gruppo Ragno, davanti al Pub che era il nostro punto di ritrovo, davanti a Villa Onigumo, mentre Ses­shomaru cercava in continuazione di telefonarle.

Poi, alla fine, siamo tornati a casa. E ho chiesto a mio fratello un avvocato. Sarei andato dalla polizia e avrei lasciato la mia testimonianza. Era tutto quello che potevo fare.

Ho evitato di nominare i miei amici. Cercherò il più possibile di tenere Kagome e gli altri fuori da questa sto­ria, anche se i poliziotti avranno già capito che non potevamo essere da soli.

“Non voglio che finiate nei guai…” guardo Kagome, le dita della sua mano intrecciata con la mia. E’ preoc­cupata, ma non sembra spaventata. “Abbiamo scelto noi di finirci. Lei ci aveva avvertito, ma noi siamo an­dati avanti comunque.

“Perché non pensavamo che accadesse tutto questo. Sbotta Miroku. Sango gli getta un’occhiata assassina. “Io l’avrei fatto anche con una pistola puntata alla tempia.

Mi strofino la faccia con le mani. Mi sento a pezzi, non ho dormito un solo secondo. Non ho nemmeno man­giato, ma il mio stomaco sembra pieno di sassi.

Dico a Kagome che ho bisogno di sapere esattamente quello che le ha detto Kagura nell’ufficio. Probabil­mente i poliziotti me lo chiederanno.

“Non occorre che tu glielo dica. Lo farò io.” Risponde determinata. Le chiedo di smetterla. Non c’è bisogno di fare l’eroina.

Lei scuote la testa e mi pianta i suoi occhi marroni, duri e impassibili in faccia. “Non riusciresti ad essere credibile. E io voglio prendere le mie responsabilità. Ci troveranno comunque. Quindi, tanto vale che ci pre­sentiamo tutti quanti al commissariato. Guarda gli altri, per avere sostegno.

Sango annuisce. “Parlerò con Kohaku. Era una delle cavie di Naraku, questa storia lo interessa particolar­mente.”

“I miei genitori sono in Russia per il concorso circense internazionale, credete davvero che molleranno tutto per venirmi a sostenere in una deposizione? O ad un processo?”

Sango lo guarda come se avesse detto un’eresia. “Certo, sono i tuoi genitori.”

“E allora? Credi che basti?” ride nervosamente. “Vivo da solo da quando avevo quattordici anni, li vedo a malapena due settimane l’anno. Non esiste Natale, Capodanno o Compleanno con loro. Loro sono in un mondo a parte nel quale io non c’entro più nulla. Sono la stregua di un traditore, ho lasciato il circo per vi­vere come una persona normale, e i casini che combino sono solamente fatti miei.”

“Non dire stupidaggini!”

“Non sto dicendo cazzate!” esclama, scattando in piedi. Ha gli occhi lucidi, la mascella contratta, i pugni chiusi. Sembra sul punto di esplodere. “Questa è la mia famiglia, Sango. Io sono il frutto di un preservativo rotto e di una distrazione nel calcolare il termine per l’interruzione di gravidanza. E tu che ti lamenti perché devi fare la lavatrice e cucinare, e che oltre che da sorella maggiore devi fare anche da madre a Kohaku. Ti lamenti che tuo padre è apprensivo e che ti ha chiamato cento volte al giorno mentre eravamo in montagna. Piangi perché tua madre è morta, ma lei non ti ha abbandonato. Lei non c’è più perché era ammalata da tempo, ma ha lottato sino alla fine per non lasciarvi. Non sei cresciuta da sola e non hai imparato che quel piccolo pomodorino strano che hai triturato in quantità industriale nell’insalata si chiama peperoncino e bru­cia da morire. Lo sai perché te l’hanno detto, non perché l’hai mangiato!”

Nella stanza scende il silenzio. Kagome si stringe a me.

“Mi dispiace, Miroku… io non sapevo...” Sango si alza e si avvicina al mio amico, abbracciandolo, cercando di rincuorarlo. “esatto. Tu non lo sapevi. Non lo sa nessuno. E a nessuno interessa sapere se c’è dell’altro in me a parte l’amico stupido che ama stare al centro dell’attenzione e organizzare festini.

Beh, io lo sapevo. Era uno dei pochi argomenti seri che io e Miroku affrontiamo. Mi chiama spesso alla sera, per una birra a casa sua o un giro in bicicletta. Si morde sempre il labbro quando parlo di Kagome.

“Beato te che ce l’hai una ragazza” ha sospirato una volta. Ed era un tono triste, sconsolato. Non di certo quello che ci si aspetta da lui.

Lo guardo, abbracciato a Sango.

“Davvero ti sei mangiato una scodella di peperoncino?”

Sembra che gli torni un barlume di sorriso. “E’ bastata una cucchiaiata. Sono stato male per giorni.”

Ci scappa un sorriso a tutti e quattro. Poi di nuovo il silenzio, interrotto da Sango.

 

“Bene. Ed ora, che facciamo?”

“Andiamo dalla polizia. Con i nostri genitori. E se ce l’hanno anche un avvocato non farebbe schifo.” Decide Kagome. “Miroku, tu… dovrai starne fuori… temo.”

Naaah.” Estrae il cellulare. “chiamo le pagine utili e cerco un avvocato.

Gli dico, magnanimo, che gli presto il mio. Lui mi ringrazia, e accetta volentieri. “Qual’ora servissero anche i miei genitori, gli manderò una mail.”

“Si, quelli non te li posso prestare.”

“Hai pur sempre un tutore legale, no?”

“Si, certo, vaglielo a chiedere di essere anche il tuo. Come risposta diventerai il nuovo paralume della lam­pada d’ingresso.

“Il che equivale ad un no…”

 

 

Seduti al tavolo della cucina di Kagome, la mia ragazza sta finendo di raccontare con voce tremante quello che è successo.

Dall’altro lato del tavolo, immobili come statue, sua madre e Kikyo pendono dalle sue labbra. Mi tormento le dita delle mani, e il mio sguardo nervoso saetta da un volto all’altro.

Kagome mi ha detto di far parlare lei, che io probabilmente avrei peggiorato le cose, e non le avevo dato torto: ma di certo gli sguardi delle due donne che abbiamo davanti non sembrano propensi ad una reazione civile. Soprattutto nei miei confronti. Kikyo vedo che mi fissa un paio di volte con odio.

Quando Kagome finisce, cerca la mia mano con la sua sotto il tavolo. Ecco il momento del giudizio. Intreccio le dita con le sue e le stringo forte. Saremo insieme ad affrontare questo momento.

Anche se maledico come non mai la mia predisposizione naturale a ficcarmi nei guai.

La madre di Kagome sospira, sconsolata, abbattuta. “E adesso?” geme, sostenendosi la testa con la mano. “Non ci salteremo fuori tanto facilmente… Ma cosa vi è saltato in testa…? E quella disgraziata…ah, se ce l’avessi tra le mani…la strozzerei personalmente! Prendersi gioco in questo modo della fiducia e dell’ingenuità di un gruppo di ragazzini!”

Vedo che Kagome sta per ribattere qualcosa a proposito, ma è Kikyo ad interromperla.

“Te l’avevo detto zia, che dovevi impedire a Kagome di frequentare Inuyasha!” esclama, con mia somma sorpresa. La guardo stupito. Pensavo che si sarebbe schierata dalla nostra parte, che avrebbe compreso la situazione.  Ma quella che ho davanti non sembra più la ragazza che ho conosciuto all’orfanotrofio, è una statua di marmo.

Kagome scatta in piedi, picchiando un pugno sul tavolo. Reazione che sorprende tutti quanti, me compreso.

“Sappiamo tutte e due qual è il motivo per cui speri che smetta di stare con Inuyasha!” urla rabbiosa. Io mi sento sull’orlo di un baratro. Pericolosamente aggrappato alla roccia friabile. Kikyo deglutisce, ma non perde la calma. “A parte il motivo per cui ti voglio bene e non voglio che ti rovini con un…”

PERCHE’ VORRESTI ANCORA PORTARELO A LETTO, VERO?”

“Kagome, Ma che dici!” protesta sua madre. La faccia di Kikyo è indescrivibile. È persino arretrata di un qualche passo. “Cosa diavolo stai dicendo…?”

“Inuyasha mi ha detto tutto!”

“Non so di cosa tu stia parlando. Chissà che idee strane ti ha messo in testa il tuo ragazzo” sibila, cercando di darsi un contegno e di risultare credibile, calcando l’ultima parte della frase con un sibilo di disprezzo.

Sua madre ci guarda boccheggiando come un pesce. Probabilmente ha capito tutto, ma cerca disperatamente di non crederci. Io cerco il modo di sprofondare dalla sedia. Forse riuscendo a scivolare sotto il tavolo posso raggiungere la porta e sgattaiolare fuori…

“Inuyasha, è vero che tu e Kikyo avete avuto una storia, e neppure così tanto innocente, quando lavorava nell’Istituto?”

Sono costretto ad annuire, a metà tra il tavolo e il pavimento.

Questa volta a scattare in piedi è la madre di Kagome. “Kikyo, è vero?”

La nipote guarda per terra, furiosa. Mi getta uno sguardo. “Non è una cosa di cui ne vado fiera…”

Questa frase mi fa più male di una pugnalata al cuore. Amore o no, credevo che Kikyo fosse stata la prima persona che vedesse veramente qualcosa di positivo in me, e non un promesso avanzo di galera. Credevo che mi capisse, che mi apprezzasse. Ho creduto di essere amato dopo tanto tempo.

“Kikyo, non ho parole!” esclama scandalizzata la madre di Kagome. “Approfittarsi così della fiducia e dell’ingenuità di un ragazzino!”

“Beh, lui era consenziente!” esclama lei, a parziale discolpa.

Alzo il dito medio. “Perché non sapevo di scoparmi la più grande stronza dell’universo.

Nella cucina scende il silenzio. Kikyo è indignata. Vedo che gli occhi le si riempiono di lacrime di rabbia.

A Kagome scappa da ridere. Le passo un braccio attorno alla vita e l’attiro a me. “Per fortuna che hai una cugina totalmente diversa.

La madre di Kagome si accascia su una sedia. “Io non ho parole.” Mormora. E’ ora che io dia l’aria di essere una persona matura e che dica qualcosa di intelligente. “Signora, in questo momento abbiamo un altro problema ben più grave che questa parodia di Soap Opera che le è capitata in casa. E’ tutto quello che riesco a dire.

Annuisce, guardandomi fissa negli occhi. “Chiamo un avvocato, e poi andremo tutti al commissariato. Ci saranno anche i vostri amici?”

“Probabilmente Sango è già là” risponde Kagome, sorridendo. “Grazie mamma.”

Lei sospira. “Ho sempre pensato di avere una figlia intelligente e giudiziosa, e ringraziavo la sorte perché non si drogava, non frequentava cattive compagnie, era un’ottima studentessa ed aveva un cuore grande. E’ buffo come a causa di questo tuo cuore sia finita nei guai.”

Vedo che Kikyo sembra voler dire qualcosa, ma la zia la fulmina con lo sguardo, e allora tace, fremente di rabbia.

Credo che i Natali in famiglia non saranno più sereni come un tempo…

 

 

Entriamo in commissariato insieme, tutti e quattro, seguiti dai nostri genitori, tra i flash dei fotografi. Ci teniamo per mano gli uni con gli altri. Sento una stretta allo stomaco atroce, quando vedo il commissario venirci incontro e accompagnarci dentro la caserma, facendosi scudo con il proprio corpo per evitare di farci riprendere, ed urlando ai cronisti che siamo minori e per tale tutelati.

Ci ascoltano separatamente, iniziano da Miroku, che entra quasi baldanzoso, seguendo una poliziotta donna molto avvenente. Sango alza gli occhi al cielo, esasperata. “Per fortuna che amava solo ed esclusivamente me…E’ proprio vero che davanti alla morte si dicono un sacco di cose stupide.

Io e Kagome ci guardiamo e sorridiamo. Prima o poi se ne renderà conto anche lei, no?

 

La seconda ad essere chiamata a deporre è Kagome. Dopo pochi minuti che entra nella stanza, mi squilla il telefono. E’ un numero che non conosco, ho quasi timore che un cronista abbia avuto il mio numero di telefono. O, beh.

“Pronto?”

“Inuyasha, sono Kikyo.”

Un tuffo al cuore. Praticamente un mezzo infarto. Sango mi guarda con aria interrogativa e allora mi alzo, raggiungendo la finestra.

“Cosa vuoi?”

“Volevo chiederti scusa per prima” risponde. Sento la sua voce tremare. “Mi dispiace tanto, davvero.” singhiozza. “Io non volevo insultarti. Non penso che tu sia un delinquente, un deficiente e chissà che altro…”

Deglutisce, riprendendo fiato. “Oddio, dopo che hai trascinato mia cugina insto casino un po’ deficiente credo che tu lo sia…”

Non riesco a capire. “E allora perchè quella scenata? Perché hai sparlato male di me con la madre di Kagome e hai tentato di metterci il bastone tra le ruote?”

“Non lo so. Invidia, forse. Rabbia perché… lei poteva, e io no. Sento che singhiozza nuovamente, e mi si stringe il cuore. “Sono tornata all’Istituto, sai? Volevo venirti a trovare. Però tu te ne eri già andato. E, per la privacy, non mi hanno potuto dire chi ti era venuto a prendere. Così, ti avevo perso.”  Racconta. “Poi… dopo pochi giorni… ti ho visto. Presentato come il ragazzo di mia cugina minore. Cielo, come mi sono arrabbiata! Perché se solo non fossi scappata come una codarda, se solo avessi corso il rischio – e ne valeva la pena!- ora io e te saremmo stati insieme, e in montagna potevo esserci io, e i profilattici che mia zia ha trovato potevano essere davvero i nostri… e ora ci sarei io con te li…”

Sento il mio stomaco farsi sempre più pesante, come pressato da una valanga di detriti. “Kikyo… non sarebbe funzionata comunque.” È una cosa a cui non credo proprio fermamente, in verità. Ma non voglio dare appigli a cui aggrapparsi, a cui illudersi. “E se… il destino ha voluto così, un motivo c’era.

“Il destino ti ha portato comunque da me… anche se tra le braccia di un’altra. Ride tristemente. “Come per sbeffeggiarmi, per schiaffeggiarmi per il mio errore.

Sento il poliziotto che chiama Sango. Ci scambiamo uno sguardo e la saluto con il cenno della mano. Lei raccoglie la borsetta, mi guarda preoccupata. Gli faccio cenno, con il pugno chiuso, di essere forte e lei mi sorride, annuendo.

“Tra poco tocca a me.” Sospiro. “Devo andare, Kikyo.”

“Già. Hai ragione. Scusa se ti ho disturbato. Scusa se ti ho insultato prima. E’ questo quello che dovevo dirti. Dovevo solo chiederti scusa. Ma temo di essere andata oltre.

“Non fa niente.” Deglutisco. “Ti ha fatto bene sfogarti un po’.”

Si, forse si.” Finge di ammettere. “In bocca al lupo Inuyasha. Stai vicina a mia cugina. Fa tanto la dura ma…”

“Kagome è una tipetta tosta. Ma non preoccuparti. Non la lascio. Ciao.”

Chiudo la conversazione, giocherellando con il cellulare, picchiettandolo contro i miei incisivi, appoggiato al davanzale della finestra, con lo sguardo che si perde tra le nuvole grigie.

Sento dei passi alle mie spalle, e mi volto in tempo per vedere entrare nel corridoio Sesshomaru. Indossa sempre gli occhiali scuri. Forse non ha sempre lo sguardo impassibile e neutro. Lo saluto con un cenno del capo. “Novità?”

Scuote lievemente la testa. “Il mare è a forza sette, non riescono nemmeno a recuperare l’auto. Aggiunge, sedendosi su una sedia.

“Il prossimo sono io. Mi sembra di essere dal dottore.” Cerco di sdrammatizzare. “Questa volta ci faranno vedere il filmato, credo”

“Sarebbe ora” mormora. “Sono proprio curioso di vedere il frutto del vostro duro lavoro.

Evita di voltarsi verso di me, lasciando vagare lo sguardo dall’altro lato del corridoio, quello dove sono spariti i miei amici.

“Mi dispiace.” Gli sussurro.

“L’hai già detto.”

“Quando sono uscito di casa è entrata Rin. Aveva le lacrime agli occhi. Ho visto che correva sulle scale cercandoti.

“Si, sono uscito in corridoio, mi chiamava disperatamente. Sbuffò. “Le è dispiaciuto molto per Kagura. Sai come sono fatte le bambine. Tutte romanticherie, favole e happy ending. E quando si accorgono che la realtà è ben diversa vanno giù di testa. Ha fatto una mezza crisi isterica sul pianerottolo delle scale.

Mi volto di nuovo verso la finestra. “Non succede solo alle bambine, Sesshomaru.

 

Alla fine del filmato, resto allucinato.

La parte del racconto di Kagura, al quale ha assistito solo Kagome per me è quasi surreale. Così come non riesco a capacitarmi di come una persona sia riuscita a indossare una maschera di coriacea e determinata donna per così tanto tempo. Avevamo intuito che suo fratello le avesse fatto un torto davvero grande, ma non mi sarei mai aspettato una storia di prevaricazione e violenza come questa. Come è potuto accadere che nessuno si rendesse conto di quello che le stava capitando?

E la mia ragazza, a sentire quella storia allucinante, cosa avrà provato? Cosa starà provando in questo momento?

E mio fratello?

Mi volto verso Sesshomaru, seduto al mio fianco al tavolo di acciaio della stanza degli interrogatori in cui siamo stati introdotti. Si è tolto gli occhiali, ma non mostra segni di nessuna emozione.

“Lo sapevi?”

Lui annuisce.

“E non hai fatto nulla?” sento la rabbia montarmi dentro. Mio fratello è un tale codardo?

“Non ho fatto in tempo. Mi avete preceduto” risponde freddamente, alzandosi in piedi e rimettendosi gli occhiali. “Lei e la sua fretta di merda”credo di sentirlo sibilare. Esce, lasciandomi solo con l’avvocato e il commissario, che mi guarda e sospira.

Mi spiega che, se voglio, potrò non testimoniare al processo. Le mie deposizioni verranno comunque prese in considerazione.

Scuoto la testa. “Purtroppo non ne so di più. Ma non mi tiro indietro. Naraku Onigumo è un bastardo e le deve pagare tutte. Per quello che ha fatto a Kohaku, e per quello che ha fatto a Kagura.

Il commissario sbuffa, quasi divertito. “Una generazione di eroi duri a morire, la vostra.”commenta ironico. “Nemmeno i tuoi amici hanno intenzione di mancare”

Mi accomiato da lui. Esco dalla stanza con la testa che quasi mi gira. Ho bisogno d’aria. Ho bisogno di Kagome e dei miei amici.

Mi fermo sulle scale, eccola, davanti al distributore di lattine, con Sango e Miroku. Mi volge la schiena, non mi può vedere. Sospiro. La vita mi ha concesso una possibilità, una via d’uscita, una scappatoia. Volente o nolente devo essere grato davvero a mio fratello per avermi “prelevato” dall’Istituto e per avermi messo in una scuola privata “ma non troppo esclusiva”.

Anche se i suoi scopi erano altri (ma poi, lo saranno stati veramente?) alla fine quello che mi è andato in tasca è tutto a favore mio. Tanto di cappello alla mia fortuna, anche se, lamentoso come sono, la denigro in continuazione.

Scendo lentamente i gradini. Kagome si volta e mi vede. Mi saluta con un sorriso, e io le rispondo allo stesso modo. Mi abbraccia forte, mi stampa un bacio sulle labbra. “Da grande non voglio fare né la scrittrice né la sceneggiatrice” mi rivela. “Voglio fare la giornalista. Voglio portare alla luce casi come questo, sbatterli in prima pagina, farli conoscere al mondo intero e fare in modo che non accadano più. O che almeno accadano di meno.”

Le accarezzo la testa. Apprezzo Kagome, spero che porti la sua incantata determinazione per sempre dentro di sé. Anche se penso che a 15anni ha una visione della vita diversa da quando ne avrà 25. Ma magari mi sbaglio io.

Con la coda dell’occhio vedo Miroku e Sango che si siedono in un angolo. Lei sembra ringraziarlo per esserle stata vicino, lui sembra in prossimità dell’Empireo. Propongo a Kagome di andarci a bere la bibita che ha preso dal distributore da un’altra parte. Lei annuisce. “Lasciamoli soli.” Bisbiglia. “Forse questa è la volta buona”

 

“Si aggrava la posizione per Naraku Onigumo…” CLICK!

..accusato anche di violenza privata nei confronti della sorella…” CLICK!

“… oggi sono stati interrogati anche due giovani membri della squadra di basket, gli Spiders…” CLICK!”

“…Siamo sul luogo dove ha avuto il finale la tragica vita di Kagura Onigumo. Presso questa strada qualcuno ha depositato fiori e pensieri per la giovane donna…” CLICK! Il televisore si spense.

Sesshomaru passeggiò pensieroso per la stanza. Si avvicinò all’armadio e ne aprì l’anta. Poi premette contro il pannello del fondo e lo fece scorrere. Una piccola cassaforte comparve davanti ai suoi occhi. Digitò il codice segreto sulla tastiera e l’aprì. Ne estrasse un voluminoso fascicolo, che gettò a terra. Pensò che poteva essere utile, mentre richiudeva lo scomparto segreto e l’anta dell’armadio. Lo sfogliò distrattamente. Certo, il video conteneva, in pochi minuti, il doppio delle informazioni che lui aveva raccolto nel fascicolo da tre mesi a quella parte.

Però c’erano dati interessanti. Emissioni inquinanti, per esempio. Gli scarichi che finivano direttamente nelle falde acquifere della città. Di questo non c’era menzione nel video.

Era difficile trovare un reato a cui il signor Naraku Onigumo non avesse preso parte.

Sesshomaru sapeva che proprio in quel momento la polizia stava arrestando, finalmente incastrati dopo tanto tempo, i suoi collaboratori più stretti. Chissà se altri erano riusciti a fuggire?

Di sicuro ci avrebbe impiegato anni a raccogliere i capi d’imputazione necessari per incastrarlo così bene come c’erano riusciti, con la stolta e coraggiosa avventatezza di chi non ha ben chiaro a cosa va incontro,  Inuyasha e i suoi amici. E Kagura.

Gettò il volume sul comodino. Si sentiva stanco e aveva voglia  (o bisogno?) di dormire. Si gettò sul letto.

Jaken non aveva ancora cambiato le lenzuola. Sarebbe impazzito a sentire quel profumo…

Tuffò il viso nel cuscino a fianco del suo.

Per quella notte poteva anche andare…

 

“Non vedo perché tu te la debba prendere con me!” protesta Miroku, a gambe incrociate sul letto.

Io, infuriato come non mai, sto cercando sul su pc le tracce della sua colpevolezza. Frugo tra la cronologia dei siti internet che ha frequentato ultimamente.

“Maglia e uncinetto?” esclamo, cliccando sul sito indicato. Lui sbuffa. “E’ un hobby come un altro. Tu disegni fumetti, io faccio la maglia, problemi??

“Non vedo perché tu sia così sicuro che te l’abbia rubata io la carta di credito!”

“Perché ho notato la tua abilità nello scassinare porte. E che non ti fai problemi a infilarti in tasca chiavi non tue.

Lui sbuffa nuovamente. “Credi allora che deruberei un amico?”

“SI” rispondo, entrando scocciato nel sito della banca, per la gestione dei movimenti della carta di credito. “Adesso guardiamo subito qual è stato l’ultimo acquisto.

Miroku mi si avvicina e addita trionfante la schermata. “AH! Piccolo prelievo da sportello automatico. E pagamento di un biglietto di sola andata per Parigi. Mi guarda, dall’alto verso il basso. “Io ti sembro scappato in Francia?”

Lo mando a quel paese. Speravo di averlo incastrato. Ormai mi sentivo un paladino della giustizia.

“Puoi provare a guardare chi ha acquistato il biglietto… prova a telefonare alla compagnia aerea…”suggerisce.

Alzo le spalle. “Lasciamo perdere. Ha preso la tariffa economy, non ha speso tanto. Blocco la carta e basta.

Digito sul cellulare il numero verde.

“E non ti interessa sapere chi è l’emigrante?”

“Conosco già abbastanza stronzi…”

 

 

Il prossimo sarà L’EPILOGO! Spero di non avervi deluso con la mia storia. So che molte di voi sono amanti degli Happy Ending come Rin. Ma gli Happy Ending li trovo così banali e scontati… e poi io amo fare le cose un po’ complicate… (se non si era CAPITO!!!) – Grazie a chi ha letto, mille grazie a chi ha pure commentato!!!!-

PS: il “sottotitolo” del titolo (mmm…carina questa frase) è una frase tratta dalla canzone Atlantic City di Bruce Springsteen. (KIRARACHAN: Ho già preso i Biglietti per andarlo a vedere a  ROMA!!!!)Invece, la canzone all'inizio è "Teardrops" dei Massive Attack: è la canzone, per chi segue DrHouse, con coi viene accompagnata la morte di Hamber nell'episodio "il cuore di Wilson".

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Capitolo 20
*** EPILOGO: Meet me in the Land of Hope and Dreams. ***


EPILOGO:

EPILOGO:

Meet Me in the Land of Hope and Dreams.

 

 -   5 anni dopo  -

 

Cerco con tutte le mie forze di non far notare il tremolio delle mie mani, mentre posiziono la busta di plastica, portata dal corriere espresso questa mattina, al centro del tavolo.

Kagome, davanti a me, sorride radiosamente, gli occhi piedi di orgoglio ed emozione. E’ impaziente di vedere il contenuto della busta, e non fa nulla per nasconderlo. Miroku sfoggia un sorriso più largo nel suo repertorio: “Sono eccitato!” esclama,  e Sango, che  tamburella con le dita sulla superficie del tavolo alza gli occhi al cielo “E dov’è la novità?”

 “Che aspetti?” mi domanda  impaziente Kagome.

Riprendo la busta tra le dita e la squarcio senza pietà. Dentro, un’altra busta di carta. La apro cerimoniosamente, come fosse il sarcofago di una qualche sacra reliquia.

Ne estraggo il frutto di cinque anni di schizzi, disegni, pensieri ed idee. Il riscatto della mia vita. Anni passati in un orfanotrofio ti insegnano ad essere determinato, a sacrificarti per raggiungere i tuoi obbiettivi, a lottare per la vittoria su chi ti ha creduto un fallito ancor prima di darti una sola possibilità.

Tra le mie mani c’è il mio fumetto. Il primo volume. Nonostante abbia disegnato di mio pugno la copertina, e nonostante il lavoro sulla scritta del titolo, lo trovo ancora più bello di come potessi immaginarlo.

“MOONLIGHT SHADOW” è scritto in uno stile calligrafico, rosso sangue. Tra le due parole vi è una fetta di luna crescente. Sotto, a guardarla, Ike Le Chien, che rivolge le spalle al lettore. I capelli argentei sono raccolti in una lunga coda. Una mano è infilata nella tasca della giacca di pelle, l’altra è sull’elsa della sua spada luccicante, appoggiata alla spalla.

Sfoglio le pagine disegnate, i miei amici e la mia ragazza che scorrono avidamente i disegni.

Kagome mi stampa un bacio sulla guancia. Mi giro e gliene stampo uno sulle labbra. La mia felicità non è descrivibile in questo momento. “Spero solo che capiti in mano ad una di quelle dannate pinguine. Sogghigno, mentre Miroku stappa la bottiglia di spumante che ha portato da casa. Sango guarda il retro copertina, la bocca aperta ad O. Poi mi tira un buffetto sul petto, prima di passare il fumetto a Miroku.

Questo Fumetto è dedicato a Kagome, Miroku e Sango  - I VERI ideatori di quello che state leggendo!!” Legge il mio amico, guardandomi stupito. Kagome esclama che non era necessario. Io sbuffo. “Se non avessi scritto nulla, mi avreste rotto le scatole per tutta la mia intera esistenza dandomi del bastardo ingrato…” spiego, fingendo un tono scocciato.

Miroku e Sango fanno un cenno affermativo con la testa. La mia ragazza prova a farmi credere che non è vero, ma se la ride sotto i baffi.

Riempiamo i bicchieri di spumante e li alziamo: “Al fumettista più idiota che ci sia in giro!” brinda Miroku.

“Al NERD che ce l’ha fatta!” esclama Sango.

Kagome grida: “Al mio artista preferito!”

Li guardo tutti e tre. Come ho fatto a vivere per diciassette anni senza di loro? Non ne potrei fare mia a meno, e di certo anche il mio passato non sarebbe sembrato così lontano senza i miei amici. E la mia ragazza, soprattutto.

“A voi tre,  maledetti LECCACULO.” Brindo, prima di vuotare tutto il bicchiere con un sorso. “…non avrete mai i miei soldi!” fingo di ringhiare, sbattendo il vetro sul tavolo.

Sango e Miroku si guardano e fingono di andarsene, “Te l’avevo detto che era solo fatica sprecata…” sospira lei.

Kagome scuote la testa. “Sapevo che lasciarsi scappare Koga sarebbe stata una leggerezza imperdonabile”

Le mostro la lingua. Poi mi rivolgo a Miroku, che nel frattempo ne ha approfittato per trascinare Sango addosso a sé. “Perché non organizzi una bella festa in mio onore?”

Lui alza il bicchiere, uno dei suoi sorrisi inquietanti sulle labbra. “Già fatto.” Lo fisso senza capire. O, meglio, vorrei non averlo capito.

 

Il campanello suona. Insistentemente.

 

Belle Ile en Mer, Francia 

 

La luce era perfetta.

Il tramonto inondava di calore le scogliere e rendeva le onde salate di lava incandescente. La sabbia sembrava una distesa di polvere dorata e scintillante tra le rocce dell’insenatura. La brezza serale saliva dal mare fresca, scompigliando impertinente i cespugli che crescevano selvaggi sulle rocce e al limite della scogliera. La primavera era esplosa in tutta la sua vitalità, e l’isola era un tripudio di colori e profumi.

Tolse la macchina fotografica professionale dalla custodia e la posizionò sul treppiedi, facendo ben attenzione a non farla cadere. Con quello che l’aveva pagata!

Puntò l’obbiettivo verso un angolo della caletta, dove le rocce scendevano dolcemente verso il mare, aspettando il momento opportuno per catturare l’onda che si infrangeva contro di esse.

CLICK!

Ottimo. Un paio di altre fotografie e per quel giorno poteva bastare. Si guardò attorno alla ricerca di un soggetto interessante. Facendo schermo agli occhi con la mano, cercò la bambina, per controllarla.

Lei se ne stava a piedi nudi sul bagnoschiuma, i jeans chiari arrotolati appena sotto il ginocchio, le piccole dita che cercavano tra i detriti conchiglie o sassolini dalla forma strana. La vide raccogliere qualcosa e studiarlo in controluce; probabilmente l’ennesimo coccio di vetro levigato dall’acqua. Aveva una fissazione per gli oggetti che il mare restituiva a riva, l’affascinavano a tal punto da passare ore e ore a raccoglierle. Sembrava perdere la nozione del tempo.

La donna sorrise, prima di decidere di risalire lungo il sentiero della scogliera, volendo sfruttare al massimo quella luce magnifica, che sarebbe scomparsa da li a poco. Mentre stava recuperando l’attrezzatura, sentì una voce allegra salutare dal sentiero, e un ragazzo magro, dai lineamenti delicati e la chioma castana e ribelle comparire lungo le rocce.

Anche la bambina interruppe il suo lavoro e alzò lo sguardo, salutandolo con un sorriso e agitando la manina.

Lui fu sulla sabbia con pochi balzi, arrivando alle spalle della donna.

“Tutto bene?” domandò, indicando la fotocamera.

“Certo. La luce è favolosa. Questa spiaggia sembra fatta apposta per le foto al tramonto. Gli mostrò, sul piccolo schermo, le ultime foto, incontrando il parere positivo del ragazzo. “L’ente Turistico avrà un bel catalogo fotografico aggiornato, quest’anno!”

“Dillo, avanti, che l’idea di rendermi tua socia al cinquanta per cento è stato un grande affare, Jakotsu!” si pavoneggiò lei, beandosi dei complimenti dell’altro. Adorava sentire la voce del suo amico tessere le sue lodi, anche solo per scherzo. Era un gioco che facevano da quando si erano conosciuti, quello di prendersi in giro a vicenda in ogni situazione.

Jakotsu gemette, falsamente stanco di quella messinscena. “E’ stata l’idea migliore della mia vita!” cantilenò per l’ennesima volta, provocando il sorriso soddisfatto della donna.

Si arrampicarono entrambi lungo il sentiero. “Io giuro che non capisco come tu riesca a salire di qui con quelle infradito!” protestò lei, inerpicandosi faticosamente, puntellando le scarpe da ginnastica contro la roccia friabile, tra le risatine di scherno dell’altro.

Scattò qualche foto da un punto panoramico del sentiero, focalizzando l’attenzione sui fiori primaverili cresciuti nei luoghi più impensabili.

“Direi che può bastare” decise, guardando la spiaggia, dove la bambina seguitava la sua raccolta. La fissò pensierosa, mordicchiandosi il labbro inferiore. Il ragazzo la fissò, intuendo che stesse rimuginando su qualcosa. Ormai si capivano con un solo sguardo, si conoscevano talmente da intuinre, nei movimenti dell’altro, un esatto pensiero o un particolare stato d’animo. Le domandò cosa avesse.  

“Sai, mi ha chiesto di suo padre.”

Il ragazzo si passò una mano tra i capelli. Questa cosa era improvvisa, ma non sembrava meravigliato più di quel tanto. “Di già? E cosa gli hai risposto?”

“Che abita molto molto lontano da qui. E poi sono stata salvata dal campanello d’ingresso. Ma ho solo rimandato la faccenda.”

“Prima o poi vorrà conoscerlo, lo sai. E’suo diritto.” Sospirò, attorcigliandosi una ciocca di capelli alle dita sottili. “Quando sarà grande chiamerà suo padre senza dirtelo, te lo ritroverai qui sull’isola, magari nel giorno delle sue nozze e…”

La donna alzò gli occhi al cielo, esasperata. “Non dovevo regalarti quel maledetto DVD… Lo sapevo da quando siamo tornati dal cinema e ti sei messo a cantare “Dancing Queen” in strada.”

Lui fece spallucce. “Dovevi aspettartelo. Lo sai che adoro gli ABBA”

“In ogni caso, non sono pronta a queste domande. Tagliò corto lei. “Nella sua scuola materna ci sono figli di genitori divorziati, e qualcuno di loro non vive più nell’isola. C’è anche una vedova lo sai. Ma tutti i bambini sanno chi e dove sono i loro padri. E lei no.” Sospirò scuotendo la testa bruna: “Non so cosa risponderle. Si, lo so, che un giorno mi avrebbe chiesto dove è finito suo padre. Ma non pensavo a 4 anni.”

Shiori è una bambina sveglia. E forse… forse è giunto il momento di contattarlo…”

La donna scosse la testa. “Per lui, per tutti, io sono morta. Kagura fa parte del passato. Ora ho un’identità nuova…”

“…falsa”

“E una vita nuova. Lui mi crede un corpo senza vita trasportato dalla corrente tra un oceano e l’altro. Ho fatto una scelta, e non tornerò indietro. Anche se a volte mi domando cosa sia successo dopo il mio finto decesso.

“Che visione romantica che hai del cibo per pesci” commentò ironico. Poi tornò a fissarla, serio. “Kagura, in questi cinque anni non hai più avuto un uomo – ed io non so sinceramente come tu faccia a reggerti ancora in piedi. Scruti tua figlia di giorno in giorno, rallegrandoti delle piccole somiglianze che ha con lui. A volte ti sento anche piangere di notte…”

“Dimenticavo del tuo orecchio bionico.”

“Che scema. Abbiamo in comune un muro eccessivamente sottile. Così come tu mi sentivi quando portavo a casa Bankotsu…”

“Eravate fastidiosamente rumorosi. Devi ammetterlo. Sono andata ad infilare le cuffie antirumore più di una volta a Shiori!”

“…io sento te piangere di notte. So che lo disegni. Ho dato un’occhiata ai tuoi schizzi –non l’ho fatto apposta, giuro. Posso capire quanto ti manchi. E’ un uomo così bello… e sensuale…e…”

“E lontano.” Concluse lei, decisa. “La nostra storia non sarebbe funzionata comunque, Jak, è inutile. A lui piace la sua vita. Ama passare da un ufficio ad una cena d’affari. Adora le auto sportive e non disdegna uscire con le modelle. Tutte cose che a me non mancano per niente.

“Tu non sei mai stata una modella.”

“L’eccezione che conferma la regola.” Sbuffò. Quando il suo amico cercava di farla parlare di Sesshomaru, di farle ricordare i suoi sentimenti, lei si irritava all’istante. “Io bramavo la libertà. Ed è quella che ho ottenuto. E voglio viverla sino all’ultimo. Me la merito.”

 

Rimasero in silenzio un attimo, a guardare il sole che scendeva lentamente.

“Me lo ricordo il giorno in cui hai scoperto di essere incinta. Ci conoscevamo da appena un mese.” Ricordò lui, quasi emozionato. “Piangevi come una vite tagliata.”

“Non era una cosa che avevo previsto”

“Non volevi tenerla, perché non eri sicura di chi fosse il padre. Ma poi ti ho chiesto di darle una possibilità, che avremmo fatto il test di compatibilità genetica appena nata.

Kagura abbassò lo sguardo, colpevole.“Ho davvero pensato di non tenere mia figlia?”

Jakotsu annuì. “Oh si. E posso capirti. Dopo tutto quello che hai passato… ma poi quando è nata… e l’hai avuta tra le braccia… non volevi nemmeno che l’infermiera la lavasse!”

Kagura sorrise. Non aveva creduto ai colpi di fulmine finché quel fagottino bianco e rosa le era stato messo in braccio.

“Non pensavi nemmeno fosse necessario un test genetico, vero? Non ti interessava più. Lei era tua figlia. Punto, in ogni caso. L’abbiamo fatto solo perché l’avevo pagato in anticipo.

“Il tuo regalo di compleanno…” rise lei, ricordando. “Un bel test di compatibilità genetica per mia figlia!”

“Oh, beh. Non faccio mai regali banali.” Si vantò lui. “E quando è risultato che avevi solo il 50% di compatibilità genetica, e quindi faceva di te la madre di Shiori, e non anche la sorella, hai pianto di gioia.

“Come una vite tagliata.”

“Altroché! Avevi un ricordo di lui che sarebbe stato con te per sempre. Il regalo più prezioso che ti potesse mai fare.

“Non credo abbia avuto davvero l’intenzione di farmi un regalo del genere. Sesshomaru non è proprio l’uomo da famiglia. Sospirò lei, un sorriso mesto sulle labbra rubino.

“Magari ti sbagli.”

Kagura scosse la testa. “Non mi sbaglio mai, su queste cose. Come con te e Bankotsu…”

Il ragazzo fece segno di darci un taglio. “Dammi tregua. Ero un fanciullo ingenuo e innamorato.”

La donna colse l’occasione al volo per tentare di cambiare discorso.“Tsk! Eri? ti conosco bene, ci ricascheresti.”

“Non stiamo parlando di me.” troncò l’altro, intuendo le sue intenzioni. “Dicevo: non credi che varrebbe la pena contattarlo? Fargli sapere che ha una figlia? È un suo diritto saperlo. Pensaci bene. Io sono l’unica figura maschile nella vita di Shiori.

“… figura maschile…?” esclamò scoppiando a ridere Kagura.  “Ma se sono più maschile io di te…!”

“Uffa! Quanto sei puntigliosa oggi…!” sbuffò, cercando di trattenere una risata “Io parlo solo per il vostro bene e tu…”

Shiori si alzò dal bagnasciuga, le ginocchia sporche di sabbia bagnata. La mano era alzata, come per mostrare un trofeo.

Maman! Un crabe!” esclamò in francese, la lingua che padroneggiava meglio. Kagura aguzzò la vista. Era proprio un granchio quello che la sua piccola aveva trovato.

Le gridò di lasciarlo libero. Un po’ scocciata, la bambina lo lasciò libero sulla sabbia. Il granchio sgattaiolò via, muovendo le chele, forse ringraziando la donna per aver intercesso alla sua liberazione.

 

“Convincimi che non lo vorresti davvero.” Jakotsu non demordeva. Conosceva la sua debolezza e girava il coltello nella piaga. Kagura non riusciva ad afferrare il senso di questa sua insistenza. La curiosità di conoscere il suo leggendario(come l’aveva soprannominato in uno delle loro schermaglie giocose) uomo? Oppure per quel sentimento, più forte del tempo, della morte e dei chilometri, che unisce alcune fortunate persone, rendendo partecipe l’uno delle gioie e dei dolori dell’altro, e che viene riassunto nella parola amicizia?

“Non lo accetterà mai. Mi odierà, e non ha tutti i torti, sinceramente.

“Finché non provi non lo saprai davvero.”



Shiori si era messa a tappezzare una montagnola di sabbia con le quello che aveva raccolto nel pomeriggio. Kagura sospirò. Neppure Jakotsu era a conoscenza di quante volte aveva iniziato a scrivere lettere, per poi strapparle. A comporre il numero, per poi riagganciare. Più di una volta si era sorpresa a navigare in internet alla ricerca di voli aerei.

 

 “E come faccio? lo chiamo e gli dico ‘Ciao, sono Kagura, ti ricordi di me? Oh, non preoccuparti, non sono morta, sono solo su un’isoletta francese… ah, lo sai che abbiamo una figlia in comune?’”

Jakotsu sembrò prendere in considerazione l’idea. “Beh, io sono sempre per le cose dirette e sincere. Il volto del ragazzo si illuminò improvvisamente: “Ho un’idea. Mandagli una foto di Shiori. Scattala adesso, mentre gioca. Da questo esatto punto, con questa esatta luce. Inviagliela e vediamo cosa succede. Non scrivergli altro.”

“E cos’è, il gioco degli indovinelli?” sbottò sarcastica. Tuttavia giocherellava con indecisione con la macchina fotografica appesa al collo.

“Sesshomaru deve meritarsi la sua famiglia. Se non è interessato, non capirà e lascerà perdere. Altrimenti…”

 

Its getting colder in this ditch where I lie
Im feeling older and Im wondering why
I heard they told her it was tell and live or die
I didnt know her but I know why she lied
I didnt know her but I know why she died

 

Kagura scosse la testa, guardando la figlia. Era un’idea senza senso. Un desiderio irrealizzabile. Ma la tentava, più di qualsiasi altra cosa negli ultimi cinque, fantastici anni della sua esistenza. I migliori che si potesse mai augurare. E forse li stava per gettare nel nulla con un gesto irrazionale, per un ricordo che sembrava di giorno in giorno più una fantasia, un sogno, che un fatto concreto.

 

You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around

 

Ma cosa mi salta in testa…pensò. Dannazione, doveva ammettere che Jakotsu aveva ragione.

Scrutava i lineamenti delicati della figlia, trovando ogni giorno qualcosa in più di suo padre. Il profilo nobile, le labbra sottili, il naso…Almeno non aveva ereditato i suoi occhi d’oro! Sarebbe impazzita, a trovarseli addosso ogni giorno.

And we wont go down

Di notte gli capitava spesso di sognarlo, era vero anche questo. E al risveglio dai suoi sogni, nel buio della sua stanza e tra le lenzuola di semplice cotone del suo letto vuoto, non poteva evitare da venire accolta tra le braccia della nostalgia più struggente.


I heard them say that dreams should stay in your head
Well I feel ashamed of the things that Ive said
Put on these chains and you can live a free life
Well Id rather bleed just to know why I die

Aveva una figlia, la libertà che sempre aveva desiderato. Un socio d’affari che era anche il suo migliore –ed unico- amico. Viveva in un paradiso terrestre. Eppure le mancava qualcosa. Devo essere impazzita del tutto. Si disse.

You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around

 

Poi inquadrò Shiori, ignara del suo tormento interiore. Ignara di quello che aveva vissuto, dell’inferno in cui era cresciuta la sua mamma prima di metterla al mondo, in una calda sera di inizio settembre.

Mise a fuoco bene l’obbiettivo. Sua figlia, la sua bellissima bambina, meritava una foto veramente artistica, un piccolo capolavoro per ritrarre quel gioiello che aveva fatto nascere.

La brezza tolse i capelli candidi dalla faccia della bambina, per un istante, permettendo al sole morente di illuminare il suo faccino concentrato sulla sabbia.

CLICK!

And we wont go down
And we wont go down
And we wont go down
And we wont go down
All I know is that fear has got to go
This time around


Kagura guardò Jakotsu, che non nascondeva un sorriso trionfante, e allo stesso tempo, caldo e confortante. “Non funzionerà mai, lo sai.”

Lui alzò le spalle, guardando l’orizzonte con aria sognante. “Chissà.” Disse solamente.

Anche la donna perse il suo sguardo verso l’ultimo raggio di sole che scompariva nel mare. La brezza aumentò, e il vento le baciò il viso. Ecco, un’altra cosa per cui valeva la pena vivere: le sorprese.


You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around

And we wont go down
And we wont go down
And we wont go down

 

 

FINE.

 

 

NOTE DELL’AUTRICE.

Ho iniziato a scrivere questa Fanfiction ben 3 anni fa. Per anni è rimasta tra i file obsoleti del mio pc, interrotta al capitolo 4.

Quando l’ho iniziata a scrivere, avevo finito da poco le scuole superiori, mi stavo affacciando alla realtà adulta, ma avevo bene in testa cosa si provava ad avere 17/18 anni. Avevo intenzione di scrivere principalmente a proposito di Kagome e Inuyasha, con qualche sprazzo su Sango e Miroku e qualcun altro su Sesshomaru –Kagura.

A distanza di soli 3 anni mi sono ritrovata a prediligere la coppia “adulta” della storia, riuscendo meglio ad inserirla in un contesto ben preciso, a formulare pensieri e riflessioni, a descrivere situazioni, più adatte a loro che ad una coppia di adolescenti.

Per questo la storia sembra iniziata in un modo e finita in un altro.

Spero che comunque vi sia piaciuta lo stesso.

Io mi sono divertita molto a scriverla, e spero di avere l’ispirazione per tornare al più presto con un’altra Ff.

Voglio ringraziare coloro che hanno letto, anche solo di sfuggita, la mia storia. E anche chi l’ha inserita tra i suoi preferiti. (sino ad ora ben 29persone!!!) Un altro grazie va in particolare alle ragazze che hanno commentato: i vostri post mi hanno spronata molto a portare a termine questi 20capitoli.

La canzone da cui prende il titolo la Fanfiction è degli Hanson, e il testo lo trovate nella parte finale di questo epilogo, con la funzione di “titoli di coda”. Mi piaceva il ritmo, è spensierato, ma allo stesso tempo ho trovato le parole velatamente malinconiche.

Anche il titolo dell’Epilogo è tratto da una canzone: manco a dirlo, di Bruce Springsteen ( MA VA???)

SHIORI è una bambina, Hanyou come Inuyasha, che si incontra nei primi capitoli della storia. Non volevo creare un personaggio nuovo, e lei era l’unica che poteva risultare “passabile” figlia di Sesshomaru e Kagura. (grazie ai capelli candidi…)

JAKOTSU: si, lo so. E’ un po’ OOC. Mi sono permessa di “plasmarlo” per inserirlo nella storia.

KAGURA: (il mio personaggio preferito di Inuyasha) avevo pensato inizialmente di farla morire davvero. Fatta fuori da Naraku. Ma la Takahashi era già stata abbastanza sadica con lei, facendole passare una vita di melma per poi illuderla e farla morire. Ma fai morire SHIPPO, piuttosto!!!

SESSHOMARU: … e chi se lo dimenticherebbe uno così?? Se esistesse nella vita reale, non ci sarebbe la crisi delle nascite al mondo.

Ciao a tutti, grazie di cuore.

Evil Cassy.

 

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