Sugar and Pain

di Victoria93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il caso Kira ***
Capitolo 2: *** La partita ha inizio ***
Capitolo 3: *** Trasferimento a Tokyo ***
Capitolo 4: *** Indagini ***
Capitolo 5: *** Un gioco pericoloso ***
Capitolo 6: *** Scelte ***
Capitolo 7: *** Brivido ***
Capitolo 8: *** Battito cardiaco ***
Capitolo 9: *** Happy New Year ***
Capitolo 10: *** Sguardo ***
Capitolo 11: *** Broken ***
Capitolo 12: *** Rain ***
Capitolo 13: *** Just a small crime ***
Capitolo 14: *** Choice ***
Capitolo 15: *** Quiet chaos ***
Capitolo 16: *** Giochi di ruolo ***
Capitolo 17: *** Se fosse il tuo ultimo giorno... ***
Capitolo 18: *** Impulso e razionalità ***
Capitolo 19: *** Lies ***
Capitolo 20: *** Reclusione ***
Capitolo 21: *** Eyes ***
Capitolo 22: *** Vecchie conoscenze ***
Capitolo 23: *** Fear of the Dark ***
Capitolo 24: *** Mors tua, vita mea ***
Capitolo 25: *** Too soon, too late ***
Capitolo 26: *** Remember me? ***
Capitolo 27: *** Quaranta secondi ***
Capitolo 28: *** How to save a life ***
Capitolo 29: *** Start of something good ***
Capitolo 30: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il caso Kira ***


                                                                               SUGAR AND PAIN

                                             
                                                                                    Introduzione

Ehiiii, sono tornata (lo so, di nuovo, che palle!!!) XD Scusate, scusate, lo so che ho ancora un sacco di lavori a mezzo, ma proprio non ho resistito alla tentazione!! Perdonoooo!! XD No, davvero, scherzi a parte, domando DAVVERO scusa ai lettori che in questo momento stanno seguendo le altre fanfiction pubblicate sul sito, che ovviamente non ho ancora terminato...vi assicuro che non le ho abbandonate, dico sul serio, è solo che, a volte, l'ispirazione tende a essere un po' cattivella, sapete come si dice :D In ogni caso, cerco di non perdermi d'animo e vado un po' dove mi porta il vento, e pare proprio che stavolta mi abbia portato...di nuovo in Giappone, nella bellissima regione del Kanto, più precisamente a Tokyo!! Eh sì, ormai posso dire anch'io d'essere caduta vittima del fascino del meraviglioso manga/anime....'Death Note'!!! Non so proprio come ho fatto a non scovarlo prima, essendo, modestamente, una discreta mangofila, ma non appena l'ho visto il mio primo pensiero è stato...WOW E DOPPIO WOW!!! Fantastico, incredibile, meraviglioso!!!! E inutile dire che ho scelto subito il mio schieramento...come si dice 'Pandoro o panettone?', 'Mare o montagna?', 'Carne o pesce?'...'Light o Elle?'...e la mia risposta giunge inesorabile...ELLE PER TUTTA LA VITA!!!! Devo ammettere che quando ho visto l'anime per la prima volta, all'inizio tifavo un po' per Light, perché, in fondo, capivo e in parte condividevo le sue motivazioni, ma a breve ho iniziato a rendermi conto di che razza di psicopatico megalomane con manie di protagonismo dittatoriali fosse diventato...ehm, ovviamente lo so che è molto forte, come cosa da dire, ma si tratta solo di un'opinione personale, non offendetevi!! *Indossa subito la corazza per difendersi dalle fan di Light iper-mega incazzate* XD Comunque sia, dopo essermi presa la mia solita smania nei confronti del personaggio prescelto, restando sempre nel mio stile, non ho potuto fare a meno di concepire un'altra storia...vi prego, abbiate pietà di me!! Ricordate che è la mia prima fanfiction su 'Death Note', per cui siate clementi!! Preciso, inoltre, che purtroppo non ho avuto modo di leggere il manga, e ancora non ho avuto occasione di vedere né i film né gli special (salvo qualche scena), perciò la mia storia si basa esclusivamente sull'anime e su alcune informazioni su Elle che sono riuscita a trovare in rete. Dove ho dei buchi, credo che scriverò di testa mia, ma se per caso qualcuno notasse qualche strafalcione assurdo, legato alla mia assurda ignoranza, vi prego di farmelo sapere!!! Bene, come avrete avuto modo di vedere, sempre restando nel mio stile, ovviamente la fanfiction è OOC e OC, ma spero comunque di riuscire a non uscire troppo dal personaggio del nostro adorato Ryuzaki!! Confido di aggiornare con frequenza (non come mio solito) XD, e spero proprio che la storia sia di vostro gradimento!!! Vi prego, fatemi sapere che cosa ne pensate, la vostra opinione é davvero molto importante, per me!!! Ah, stavo giusto dimenticando la cosa più importante: come avrete notato dall'introduzione, la fiction prevede una storia d'amore fra Ryuzaki e un nuovo personaggio, ma per il resto lo svolgimento degli eventi sarà identico a quello dell'anime originale, che mi sono studiata il meglio possibile :) E dopo questo pappier noiosissimo, passiamo pure al primo capitolo (scusate il mio solito esser prolissa, ma mi sembrava giusto dirvi tutto questo!!).


Capitolo 1- Il caso Kira


Aprì gli occhi di scatto, tirandosi su a sedere con un movimento alquanto repentino, il respiro affannoso. Sospirando profondamente e cercando di calmarsi, si passò una mano di fronte al campo visivo, senza mancare di accorgersi di quanto la sua fronte fosse ricoperta di sudore ghiacciato. Con un gesto stizzito, gettò da un lato le coperte e si spostò sul bordo del letto, i capelli neri che le scendevano in ciocche disordinate intorno al volto. Un incubo...ancora una volta, un altro dannato incubo. Sapeva di non poter continuare in quel modo, eppure...dannazione, ancora non era riuscita a risolvere quel maledetto problema. Forse avrebbe semplicemente dovuto smetterla di imbottirsi di quei dannati sonniferi...cazzo, stavano diventando una droga micidiale. 
Ad un tratto, capì improvvisamente che cosa l'aveva svegliata; il ronzio del cellulare che utilizzava per lavoro non smetteva di tormentarla, mentre il telefono continuava a vibrare e a spostarsi leggermente sul piano del suo comodino, senza cessare di squillare per un solo istante. 
Prima di prenderlo per rispondere, gettò una breve occhiata al suo orologio da polso, che non toglieva nemmeno per dormire: erano le due del mattino. Diamine, le due del mattino!! Ma cosa cavolo stava succedendo...?
"Agente Yasuba" disse, accettando la chiamata, subito dopo aver afferrato il telefonino.
Dall'altro capo del cellulare, udì la voce ansiosa e agitata del suo superiore per eccellenza, il direttore dell'FBI in persona.
"Agente Yasuba, sono James Van Hooper".
Nell'udirlo parlare, la ragazza scattò immediatamente in piedi, frastornata; il direttore dell'FBI la stava chiamando in piena notte?!?
"Signore!! Pronta a ricevere disposizioni, ma posso chiederle cosa...".
"Non c'è tempo per spiegarle, e sicuramente questa linea non è sicura. Venga immediatamente al quartier generale, e non faccia parola con nessuno del suo spostamento. Inoltre, sarebbe bene che si accertasse di non essere seguita".
"Signore...".
"La faccenda riguarda il caso Kira".
Quel nome le giunse alla mente come un fulmine a ciel sereno; ma certo, Kira...come aveva fatto a non pensarci prima?
"Arrivo immediatamente".
"L'attendiamo".
La giovane chiuse subito la comunicazione e iniziò a vestirsi alla velocità della luce: era evidente, non poteva trattarsi di nient'altro. Il caso Kira...erano settimane che se ne stava già occupando, persino per conto proprio, senza la collaborazione dei suoi colleghi, ma ancora non ne avevano cavato un ragno dal buco. Inutile dire quanto quella sensazione fosse frustrante, specialmente per una come lei...diamine, era una profiler d'eccezione, si era laureata in Criminologia con un anno d'anticipo, e aveva completato l'addestramento per entrare all'FBI prima di qualunque altra matricola. Era la migliore, sapeva di essere la migliore. E allora perché diamine non stava saltando fuori niente, su quel dannato caso? Certo, non aveva niente a che fare con tutto ciò che aveva visto e conosciuto fino a quel momento...un serial killer capace di uccidere le sue vittime in qualunque istante, con una precisione straordinaria, quasi in contemporanea nelle più disparate e varie parti del globo...e che ammazzava tramite l'arresto cardiaco. Tracciare il profilo psicologico di un soggetto del genere era qualcosa di...ma cazzo, certo non si sarebbe fatta scoraggiare in quel modo! In fondo, il primo passo sarebbe stato quantomeno capire dove diavolo si nascondesse quel tizio, così da stabilire il luogo dove posizionare il quartier generale e dove concentrare le indagini. Se solo quel bastardo avesse fatto una mossa falsa...
Prima di uscire, afferrò il suo tesserino di riconoscimento e gettò uno sguardo al nome che vi era scritto sopra.
"Misaki Yasuba..." sillabò, lasciandosi sfuggire un sorrisetto. 
Aveva cambiato le sue generalità molti anni prima, ricorrendo regolarmente all'anagrafe e finendo per registrarsi persino all'FBI con quel nominativo, ma non aveva mai iniziato davvero a considerarlo come proprio. Contrariamente a quanto si sarebbe potuto pensare, non aveva modificato il suo nome per sfuggire al contatto con la sua dannata famiglia d'origine, ma lo aveva fatto per poter preservare la sua identità...per poter sparire in qualsiasi momento, se si fosse ritrovata a desiderarlo. Nessuno sarebbe mai stato in grado di trovare informazioni sul suo passato facilmente riconducibili a lei...nessuno avrebbe capito chi erano i suoi genitori o quali fossero le sue vere origini. Inoltre...considerando che ormai aveva perfettamente capito che cosa fosse necessario a Kira per poter perpetrare con le sue uccisioni...
Con un sorriso soddisfatto, uscì di casa, quasi sbattendosi la porta alle spalle. Ancora una volta, aveva fatto centro. Almeno su un dettaglio...

Giunse al quartier generale dell'FBI con una solerzia molto più grande del solito, e non mancò di precipitarsi fuori dall'auto, non appena ebbe frenato con una gran sterzata, per poi correre all'interno, dopo aver superato lo scanner retinico e l'esame del pass di sicurezza.
Con sua gran sorpresa, notò che il luogo sembrava deserto; senza perdere ulteriormente tempo, si diresse alla sala riunioni, dove solitamente gli agenti si riunivano durante le occasioni ufficiali e le situazioni di emergenza. 
Non appena arrivò a destinazione, cercò di darsi una sistemata, ma senza troppi risultati, e infine si decise a bussare. 
"Avanti".
Entrò senza ulteriori cerimonie, chiudendo subito la porta e cercando di assumere un'aria ufficiale.
"Signori, perdonate il ritardo. Ho fatto più presto che ho potuto".
"Non si preoccupi, agente, è puntualissima".
La voce che le rispose proveniva proprio dal direttore in persona, che si alzò per stringerle la mano, prima di tornare a sedere.
La giovane notò subito che si trattava della sola persona, in quella stanza, ad aver assunto una simile posizione, poiché tutti erano rimasti in piedi, con aria grave. 
Osservando i volti dei suoi colleghi a uno a uno, la ragazza non poté fare a meno d'incontrare lo sguardo glaciale di Ray Penber, appoggiato alla parete a pochi metri di distanza; accorgendosi delle sue attenzioni, l'uomo le rivolse un sorriso maligno, accompagnato da un cenno sarcastico. Lei ricambiò il gesto con altrettanta freddezza, ma si guardò bene dal sorridergli, e distolse subito gli occhi. Odiava quell'individuo con assoluta costanza. Era borioso, arrogante, spocchioso e presuntuoso, convinto di poter avere il mondo ai suoi piedi. Ancora ricordava con quanta petulante insistenza le avesse fatto la corte per mesi, quasi pedinandola fuori dall'orario di lavoro, fin quando non lo aveva minacciato di denuncia: alla fine, aveva optato per un'altra vittima, che subito aveva ceduto al suo fascino estremamente mascolino. Con un sospiro, non poté fare a meno di pensare con nostalgia alla collega Naomi, che aveva dato le dimissioni tre mesi prima. Ancora non riusciva a credere che lo avesse fatto davvero: Naomi era sempre stata un'agente così in gamba, come aveva potuto farsi influenzare in tal modo da Penber fino al punto di lasciare l'FBI? Il suo lavoro era sempre stato tutto, per lei...fino a quando quello stronzo non l'aveva costretta a scegliere fra lui e la sua carriera, certo. Se solo avesse potuto, gli avrebbe sicuramente piantato un bel paio di tacchi a spillo in faccia. 
"Allora" iniziò la ragazza, senza curarsi del comportamento degli altri e sedendosi a poca distanza dal direttore, che le sorrise debolmente, ma con confidenza "Che cos'abbiamo?".
Van Hooper sospirò pesantemente e accennò al computer acceso di fronte a loro; lei gli regalò un'occhiata penetrante.
Ben presto, poté constatare che era focalizzato su un file che mostrava tutte le fotografie dei decessi dei criminali avvenuti nelle ultime settimane.
"Il caso Kira, questo me lo aveva detto...ma cosa...".
"Siamo stati contattati da Elle".
Il sorso di caffè che stava bevendo quasi le andò di traverso; Elle?!?
"Elle?!? Significa che Watari...".
"Ha inoltrato la chiamata al nostro quartier generale un paio d'ore fa. Ero solo, in ufficio, ma ho pensato che fosse giusto convocarvi d'urgenza. Come avrete intuito, Elle ha richiesto la collaborazione dell'FBI per risolvere il caso".
Misaki Yasuba aggrottò le sopracciglia e non disse niente. Certo, non era raro, per un tipo come Elle, comportarsi in quel modo, ma non avrebbe mai creduto che...
Con un sospiro, si dette dell'ingenua; in fondo, era nel suo stile, avrebbe dovuto immaginarlo. Di tutti i collaboratori con cui aveva avuto modo di lavorare, Elle era senz'altro il più strano. Tutto il mondo sapeva che non aveva mai mostrato ad anima viva il suo volto, fatta probabilmente eccezione per Watari, e che nessuno conosceva il suo vero nome, eppure...c'era qualcos'altro, qualcosa di impercettibile, che quell'uomo nascondeva. Avevano lavorato insieme al caso del serial killer di Los Angeles, insieme alla stessa Naomi, e anche allora non aveva potuto fare a meno di domandarsi che tipo fosse. Le era sembrato freddo, scaltro, razionale, determinato, forse perfino cinico...ma c'era qualcosa, c'era stato qualcosa, in quella voce metallica e tecnologicamente alterata, che l'aveva spinta a desiderare di saperne di più. Quando il caso si era chiuso, aveva smesso di pensarci, ma ora...
"Agente Yasuba, si sente bene?".
Misaki Yasuba si riscosse brevemente e annuì con decisione.
"Certo, mi scusi...ha detto che Elle ha richiesto la nostra collaborazione?".
"Sì, è esatto".
"Questo significa che l'Interpol è riuscito a mettersi in contatto con lui?".
"A dire il vero, è stato Elle a mettersi in contatto con la polizia internazionale, proprio come ha fatto con noi. Sostiene di star già lavorando al caso da alcune settimane...beh, sapete com'è fatto, agisce sempre di testa sua".
"E come mai ha deciso di contattare l'FBI solo adesso?".
La ragazza si volse verso la parere dov'era appoggiato Ray Penber, regalandogli subito uno sguardo furente. Quel presuntuoso idiota...
"Magari attendeva il momento giusto da cogliere nel corso delle indagini, Penber...mai sentito parlare di tempismo? Ah già, dimenticavo che sei tu quello che ha quasi mandato a puttane il caso dello Squartatore di Vienna, l'anno scorso...in effetti, il senso di ciò che è opportuno non riesce proprio a esserti chiaro, qualunque cosa tu faccia".
Il commento sagace della giovane provocò un notevole scoppio d'ilarità da parte dei presenti, e condusse Penber a muovere qualche passo minaccioso in direzione della collega, il volto arrossato e lo sguardo furente. 
"Non possiamo fidarci di Elle!! È cocciuto, testardo ed è del tutto incapace di sottomettersi alle autorità o a qualsiasi forma di collaborazione...".
"Un po' come te. La differenza è che lui è un genio, mentre tu, invece, sei un idiota".
"Adesso calmiamoci, signori!!!" intervenne il direttore, con decisione "Non è certo il momento di metterci a litigare fra noi in questo modo, non vi pare? Cerchiamo di comportarci in maniera matura, per favore".
I due si rivolsero ulteriori occhiate velenose, ma tacquero, in attesa di apprendere nuove notizie da parte del loro superiore. 
Van Hooper sospirò pesantemente e riprese a parlare, dopo aver chiuso gli occhi per qualche istante.
"So bene che Elle non può definirsi un tipo del tutto affidabile, ma si può dire che in questa storia abbiamo le mani legate. Non possiamo farcela, senza di lui. Questo caso sta letteralmente uccidendo le migliori forze di polizia di tutto il mondo, inclusa la nostra, e francamente...beh, l'unica cosa che al momento ritengo importante è mettere le mani su questo maledetto killer e spedirlo in galera o sul patibolo. Pertanto, sono dell'opinione che Elle rappresenti la nostra ultima speranza, oltre che il nostro migliore asso nella manica; non abbiamo nessuna alternativa. Ma questa è solo la mia opinione, che nessuno di voi è costretto a condividere. Se ritenete che lavorare con Elle vada contro i vostri principi o contro la vostra idea d'investigazione, consideratevi liberi di lasciare questa stanza ed esonerati da questo caso. Vi invito comunque a non dimenticare che siete legati al giuramento di segretezza nazionale e al segreto professionale e di Stato. Ci sono domande?".
Nella sala calò il silenzio, che tutti si guardarono bene dal rompere; infine, un paio di agenti uscirono dall'unica porta presente, richiudendosela subito alle spalle.
Infine, il direttore riprese la parola.
"Allora, possiamo procedere?".
Tutti coloro che erano rimasti annuirono vigorosamente. 
"Bene, ascoltate. Stando ai rapporti sulle ricerche di Elle, che Watari mi ha inviato poco fa, è stata delineata la possibilità chiara e netta che il nostro uomo si trovi in Giappone".
Misaki ascoltò quella dichiarazione con il fiato sospeso: proprio ciò a cui stava pensando!
"Come ci è arrivato?".
"Ha detto che ce ne fornirà la prova oggi stesso, confrontandosi direttamente con il colpevole".
*Direttamente con il colpevole...* rifletté lei, pensierosa *Ma come pensa di fare? Se le teorie elaborate su Kira sono vere, questo significa...che per farlo uscire allo scoperto...*.
"Ha detto nient'altro, durante la vostra conversazione?" domandò la giovane, un brivido d'emozione che le correva lungo la schiena. 
"Sì. Ha detto che vorrebbe che inviassimo alcuni fra i migliori agenti dell'FBI direttamente sul posto, in Giappone, ma ha aggiunto anche che una simile richiesta verrà confermata solo dopo averci provato la sua teoria. Inoltre...".
Il direttore la fissò dritto negli occhi, con uno sguardo misto fra il serio e l'orgoglioso.
"Ha esplicitamente richiesto di lei, agente Yasuba".
Quella rivelazione condusse a un'esplosione di bisbiglii in tutta la stanza, divisi fra l'ammirazione e l'invidia.
"Di me...?" ripeté lentamente la ragazza, sorpresa "Non capisco...".
"Ha detto che desidera che lavoriate insieme al caso, nella più totale collaborazione. Ha anche specificato che, se lei accetta, le fornirà un apposito dispositivo con il quale potrà comunicare direttamente con lui, in modo che possiate reciprocamente aggiornarvi sulle rispettive scoperte. Naturalmente, è previsto che lei cooperi con la polizia giapponese, in contemporanea. Accetta questo incarico, agente?".
Un sorriso di soddisfazione le scivolò sul volto in modo quasi impercettibile: ecco l'occasione che stava aspettando da così tanto tempo!!! Finalmente un caso che facesse fare un salto alla sua carriera, che le permettesse ulteriormente di distinguersi!! E avrebbe lavorato con Elle, il migliore al mondo!! Cosa poteva desiderare di più?
"Certo che accetto, signore. Le prometto che non mi fermerò fin quando non avremo preso Kira. Lo giuro sul mio onore".
"Molto bene. Considerando queste premesse, credo che sia giunto il momento di mettersi in contatto con Elle".
In quel momento, il direttore cominciò ad armeggiare con il portatile che aveva di fronte, avviando la comunicazione con Watari.
"Watari, siamo pronti per ricevere disposizioni. Inoltri la chiamata ad Elle, per favore".
"Bene" rispose la voce metallica ed alterata di Watari, dall'altra parte.
Con un ulteriore brivido d'emozione, la giovane si sedette più dritta sulla sedia, le braccia incrociate e il collo proteso verso lo schermo. Senza nemmeno sapere perché, si sentiva come se stesse per rincontrare un vecchio amico, perduto da tempo; in effetti, era una cosa stupida da dire, considerando che non aveva mai visto il volto di quella persona, che non conosceva il suo vero nome, e che non aveva mai neppure udito la sua vera voce, eppure...
Prima che avesse il tempo di riflettere ulteriormente, sullo schermo apparve una gigantesca L, incisa a caratteri neri e gotici sull'intera superficie, e circondata da uno sfondo grigiastro. Tutti attesero che il miglior detective al mondo parlasse, con il fiato sospeso.
"Stimatissimi agenti dell'FBI...è Elle che vi parla".
La ragazza sorrise, con soddisfazione e bramosia.
*Quanto tempo, Elle...finalmente ci rivediamo*.



Continua...


Nota dell'Autrice: Nooooo, non ci credo, ho finito il primo capitolo!!! Allora, com'è?!? Il solito schifo, vero? Ok, spero di non aver fatto strafalcioni, ma considerate che, non avendo il computer fisso attualmente a disposizione, sono costretta a scrivere sull'Ipad, perciò il correttore automatico si mette sempre in mezzo...a volte è utile, ma ci sono dei momenti in cui lo ucciderei, grrrr!!! Comunque, prima di postare rileggo tutto per bene, promesso!! Scusate inoltre per le ripetizioni, l'ho scritto proprio di getto!! Spero che il nuovo personaggio vi sia piaciuto, prometto che chiarirò la sua storia già a partire dal prossimo capitolo!!!! Ringrazio moltissimo la bravissima Heryn, che con la sua 'D'amore e zucchero' mi ha ulteriormente convinto a pubblicare questo schifo!! Vi prego, siate clementi, ma sinceri!!!! A dire il vero, pensavo di pubblicarlo più lungo, ma non ho resistito alla tentazione di postarlo subito, e poi non volevo che fosse il mio solito polpettone!! Prometto che tornerò presto!!! Baci baci, Victoria




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Capitolo 2
*** La partita ha inizio ***


 Capitolo 2- La partita ha inizio
 
Quella voce metallica e tecnologicamente modificata le provocò un nuovo brivido lungo la schiena: Elle era tornato. Non avrebbe saputo spiegare perché quella semplice presenza astratta le donasse una sensazione del genere, eppure il solo ascoltarlo le provocava una piacevole percezione. Forse perché lo considerava come qualcosa di simile alla giustizia incarnata…sì, non lo avrebbe mai ammesso con così tanta facilità, ma nutriva una sorta di adorazione, se non di addirittura di venerazione, nei confronti di quella specie di entità.
In ogni caso, si sentiva fiera e orgogliosa che lui avesse chiesto proprio di lei, soprattutto considerando che si trattava di un caso così importante come quello del serial killer Kira.
Interrompendo il filo dei suoi pensieri, il direttore dell’FBI premette il tasto che azionava il microfono della comunicazione, poco dopo aver voltato completamente lo schermo del computer verso tutti i presenti.
“Elle, siamo in ascolto”.
“Perfetto. Watari mi ha appena comunicato che l’FBI si dichiara pronta a prestarmi la sua collaborazione per il caso Kira”.
“È esatto” confermò Van Hooper.
Dalla sua postazione, Penber sbuffò con aria di sufficienza, ma nessuno gli prestò attenzione.
“Ottimo. Appurato ciò, vorrei poter esser certo che le mie disposizioni verranno seguite” proseguì Elle.
“Te lo possiamo confermare fin da subito. Il Presidente ha ricevuto immediatamente notizia della tua chiamata, e la Casa Bianca ci ha autorizzato a proseguire. Attendiamo ordini”.
“Per il momento, ciò che mi interessa è capire quali saranno le prossime mosse di Kira; e per farlo, ho intenzione di costringerlo a venire allo scoperto”.
Quella dichiarazione provocò reazioni sorprese e persino rumorose, portando gli agenti dell’FBI a scambiarsi occhiate stralunate.
“E come hai intenzione di fare? Stando ai nostri dati, si tratta sicuramente di un individuo schivo, prudente e capace…non sarà troppo semplice strappargli un passo falso, non trovi?” domandò Van Hooper, circospetto.
“Non se riesco a comprendere fino in fondo il modo in cui pensa. In ogni caso, non appena avrò ottenuto quello che mi serve, avrete la conferma che Kira si trova realmente in Giappone. Anzi, a dire il vero, ve ne darò fra poco dimostrazione. Non appena ne sarete convinti, vorrei che iniziaste immediatamente i preparativi per la partenza degli agenti dell’FBI che dovranno dirigersi sul posto. In particolar modo…” effettuò una piccola pausa, che lasciò tutti in attesa “Vorrei che l’agente Yasuba partisse oggi stesso per raggiungere Tokyo. La sua presenza nel Kanto è di vitale importanza”.
Tutti i presenti indirizzarono alla moretta sguardi stupiti e colpiti allo stesso tempo, ma lei li ignorò: l’unica cosa in grado di attirare la sua attenzione, in quel momento, era lo schermo che le era di fronte.
“A proposito, gradirei parlare direttamente con lei. Immagino che sia presente, non è vero?”.
“Evidente. Provvedo subito, Elle” acconsentì il direttore, alzandosi in piedi e cedendo il posto alla ragazza, che gli rivolse un sorriso breve e deciso, prima di sedersi e di premere nuovamente il pulsante del microfono.
“Elle, sono Misaki Yasuba. In ascolto” gli disse, ferma e concisa.
Non poteva proprio negare a se stessa che parlargli era ancora un’emozione, persino dopo tanto tempo. Diamine, non aveva mai permesso a nessuno di metterla così in soggezione, ma quel tipo era così formidabile!
“Agente Yasuba, sono lieto di sentirla. Dal fatto che ha deciso di parlare con me, deduco che il suo superiore le abbia riferito la mia richiesta”.
“Si capisce. E naturalmente, sono stata ben lieta di accettarla”.
“Bene, molto bene. Avrei richiesto anche la collaborazione di Naomi Misora, ma per quanto mi risulta, ha lasciato l’FBI tre mesi fa…”.
La giovane rivolse uno sguardo di puro odio a Penber, che si limitò a ignorarla, prima di tornare con lo sguardo sul monitor.
“Sì, è la verità. Dovremo cavarcela da soli”.
“Poco male. Abbiamo già diversi elementi in mano. Ma prima di esporle la mia teoria, vorrei sentire la sua opinione personale sul caso; secondo lei, che cos’abbiamo?”.
Quella domanda la portò a spalancare gli occhi per un istante: stava DAVVERO chiedendo la sua libera idea su quella serie di omicidi? Senza pronunciarsi in niente, lasciandole carta bianca in quel modo? Che cos’era, un trucco per metterla alla prova? In effetti, sarebbe stato da Elle…forse cercava di sondare in qualche modo il terreno…
Con un nuovo sorriso determinato dipinto in volto, incrociò ancora le braccia e inarcò leggermente un sopracciglio sulla fronte bianchissima: bene, gli avrebbe dato quello che voleva.
“Beh, non è certo semplice delineare un profilo ben definito del nostro uomo, con i pochi dati che abbiamo in mano, ma mi sono fatta un’idea generale. Il soggetto è senz’altro un individuo apparentemente normale, il tipo che ben si integra nella società in cui vive, forse perfino un cittadino modello…la sua nevrosi è nascosta nel quotidiano, e probabilmente è sconosciuta perfino a chi lo circonda in modo più intimo. È senza dubbio abituato a stare al centro dell’attenzione, ma finge che questo non gli piaccia; tuttavia, un comportamento di questo tipo ha probabilmente fatto nascere nel suo subconscio una discreta mania di protagonismo megalomane, che potrebbe averlo condotto a desiderare un’attenzione sempre maggiore su di sé. Ma non è certo questo che è alla base dei suoi omicidi. Kira è infantile, sicuramente convinto di agire nel giusto: il suo operato è spinto da un senso della giustizia morboso e malato, che lo conduce a considerarsi come un essere superiore, in grado di giudicare gli altri. Per farla breve, direi che abbiamo di fronte il caso di un cosiddetto ‘pazzo lucido’, a cui piace parecchio giocare a fare Dio. Per quanto riguarda il suo modus operandi, devo ammettere che mi ritrovo nel buio totale. Ma ho notato qualcosa…forse non è importante, ma…”.
“L’ascolto” la incitò a proseguire Elle, dall’altro capo.
La giovane sospirò profondamente e chiuse per qualche istante gli occhi, prima di proseguire.
“Secondo la mia ipotesi, Kira è in grado di uccidere a distanza; in effetti, senza affermare questo, come sarebbe possibile spiegare le morti di così tanti esseri umani, avvenute quasi in simultanea in parti del globo così lontane fra loro? Il modo in cui riesca a farlo è ancora da definire, ma…credo di aver capito di cosa abbia bisogno per attuare i suoi omicidi. Ciò di cui Kira ha bisogno…è un volto e un nome. Non so ancora come, ma probabilmente gli basta questo, per uccidere”.
 
In quello stesso momento, in un luogo sconosciuto e lontano, in cima a un palazzo sontuoso, Elle sorrise soddisfatto. Accovacciato vicino al computer che giaceva al suolo, stava ascoltando le oltremodo soddisfacenti risposte che l’agente Yasuba si stava rivelando in grado di dargli, e non poteva fare a meno di avvertire un brivido d’eccitazione lungo la schiena. Nel corso della sua carriera, aveva lavorato a centinaia, migliaia di casi, e spesso aveva provato una notevole compiacenza, nel giungere a capo di un mistero e nel consegnare i colpevoli alla giustizia, ma nessuna sensazione era paragonabile a quello che aveva provato all’idea di spedire Kira in galera, non appena era venuto a conoscenza del caso. Subito dopo aver cominciato a lavorarci, si era reso conto d’aver bisogno della collaborazione dell’Interpol, che senz’altro lo avrebbe profumatamente pagato, e…beh, l’FBI aveva rappresentato una scelta inevitabile.
Inoltre…non aveva potuto fare a meno di ripensare al caso di Los Angeles, e alla grande collaborazione che lui e quelle talentuose agenti dell’FBI erano stati in grado di stipulare; era stato con notevole disappunto che aveva appreso che Naomi Misora aveva dato le dimissioni poco tempo prima, ma fortunatamente aveva potuto constatare che Misaki Yasuba era ancora in attività. E, adesso poteva dirlo, era più in forma che mai…
“Che ne pensa, Elle?” gli domandò lei, dall’altro capo del collegamento.
Elle sorrise di nuovo e avvicinò ancora le labbra al microfono.
“Penso che la sua teoria sia perfettamente stabile, e posso garantirle che è identica alla mia. Un’ottima deduzione, agente, se posso permettermi”.
“Grazie” replicò lei.
Non poté fare a meno d’avvertire un tono compiaciuto nella sua voce; senza nemmeno capire perché, questo gli strappò un ulteriore sorriso soddisfatto.
“Ora, considerando queste premesse, e considerando che è molto probabile che lei abbia ragione, riguardo a ciò che diceva sulla necessità di Kira di conoscere il nome e il volto delle sue vittime per ucciderle, la prego di porre la massima attenzione sul mantenere segreta la sua identità il più possibile. E naturalmente, lo stesso vale per gli altri agenti dell’FBI coinvolti in questo caso. Evitate di esibire i vostri distintivi con troppa facilità; non sappiamo ancora con precisione di cosa sia capace questo omicida”.
“Naturalmente”.
“Passiamo agli aspetti tecnici: quando potrà recarsi in Giappone?”.
“Partirò stanotte con il primo volo. Ma se permette, vorrei domandarle ancora come fa a essere del tutto sicuro della sua ipotesi riguardo alla posizione di Kira”.
Elle si pronunciò in un altro sorrisetto.
“Ci stavo giusto arrivando. Signori, sto per mettervi in collegamento con un annuncio che sta attualmente andando in onda in una specifica regione che ho selezionato personalmente. Assisterete alla diretta in questo medesimo istante. Watari si occuperà dei dettagli…sono sicuro che non rimarremo delusi nel nostro intento. Dopodiché, agente Yasuba, vorrei essere tenuto costantemente informato sui dettagli del suo viaggio e dei suoi successivi spostamenti. Inoltre, sarà bene che riceva tutti i dati relativi al trasferimento della squadra FBI in Asia, non appena gli ultimi particolari saranno definiti”.
Ci fu una lunga pausa: infine, la ragazza parlò di nuovo, in trepidazione.
“Elle, che cosa…”.
“Avvierò un nuovo contatto non appena la trasmissione sarà finita. E naturalmente, gradirei che in seguito lei mi fornisse le sue impressioni al riguardo, agente Yasuba”.
“Elle…”.
“A più tardi”.
Il detective chiuse in modo secco la comunicazione, apprestandosi a chiamare Watari, che rispose immediatamente.
“Watari”.
“Sì?”.
“Diamo inizio allo spettacolo”.
“Molto bene”.
 
Nel quartier generale dell’FBI di Washington, Misaki Yasuba scosse la testa: proprio il comportamento tipico di Elle, non c’era che dire.
"Ma di cosa diamine stava parlando?" commentò un agente nelle vicinanze, perplesso. 
"Cosa significa?" replicò un altro.
La giovane donna sorrise ancora, soddisfatta, e si rilassò sulla sedia; qualunque cosa avesse in mente, era sicura che Elle avrebbe mantenuto la sua promessa: non sarebbero rimasti delusi. 
"Significa..." rispose poco dopo "Che Elle è tornato in azione. Se volete la mia opinione, sono sicura che questo ci condurrà presto alla condanna a morte di Kira".
"Credo che lei abbia ragione, Misaki" replicò James Van Hooper, sorridendole in modo paterno.
La ragazza notò che l'uomo sembrava a disagio, e gli rivolse un altro sorriso per confortarlo e spingerlo a proseguire con il discorso; lo conosceva fin da quando aveva tredici anni, e ben presto aveva finito per rappresentare il padre che non aveva mai avuto, accogliendola nell'FBI con tutti gli onori e riconoscendole sempre tutti i meriti che le spettavano...forse era proprio in virtù dell'affetto che nutriva per lei che stava assumendo quell'atteggiamento?
"Che cosa c'è, direttore?" gli si rivolse, noncurante "Qualcosa la preoccupa?".
L'uomo si passò una mano dietro la nuca calva, e prese un po' di tempo per rispondere.
"Sono convinto che collaborare con Elle sia la cosa migliore che possiamo fare. Ma questo caso...è diverso da tutti quelli con cui abbiamo avuto a che fare finora. Il serial killer che abbiamo di fronte non ha nulla a che vedere con i criminali che abbiamo consegnato alla giustizia, fin da quando l'FBI è nata. Certo, non abbiamo mai mancato di esporci a notevoli e numerosi rischi, durante le nostre indagini, ma se lei ed Elle...beh, se avete ragione, riguardo a ciò di cui Kira ha bisogno per uccidere, allora significa che ci stiamo esponendo a un pericolo mai corso prima. Signori" proseguì, fissando molto seriamente anche tutti gli altri "Voglio che a tutti voi sia chiaro ciò a cui state andando incontro: gli agenti selezionati per questo incarico vedranno la loro vita messa a rischio, e probabilmente questo varrà anche per le loro famiglie. Chi non se la sente, è libero di sottrarsi a questo caso. In effetti, agente Yasuba" aggiunse, tornando a guardare la giovane dritto negli occhi "Forse avrei dovuto chiederle di rifletterci meglio, prima di accettare. È sempre in tempo per cambiare idea, voglio che ne sia consapevole".
Misaki gli sorrise, scuotendo il capo.
"Non mi rimangio mai la parola data, signore".
"Ma agente...".
"Senta, direttore" sospirò lei, fissandolo intensamente e con serietà "Sicuramente lei ha ragione, questo caso rappresenta un rischio che nessuno si è mai ritrovato a dover correre; e sono dell'opinione che lei sia stato estremamente corretto, nel cercare di metterci in guardia. Ma questo caso...non possiamo abbandonarlo e basta. Ho appena giurato che consegnerò Kira alla giustizia, ed è quello che farò. L'aiuto di Elle mi sarà di vitale importanza; sono convinta che insieme riusciremo ad arrestarlo. Per quanto riguarda il pericolo a cui stiamo andando incontro, beh...io non ho famiglia, e non ho niente da perdere...".
"Agente Yasuba...!!".
"È il mio lavoro, direttore, ed è l'unica cosa di cui mi importi. Non posso permettere che questo criminale la faccia franca, perciò si rassegni. Potrebbe, pertanto, cominciare a dare disposizioni per la mia partenza? Gliene sarei molto grata...come ho detto, ho intenzione di prendere il primo volo per Tokyo".
"Ma agente...non preferisce aspettare che Elle...".
"Elle è il detective migliore del mondo: di conseguenza, sente necessariamente il bisogno di confermare le sue teorie con prove schiaccianti. Questo gli fa onore, ma comunque mi fido di lui, e mi assumo la responsabilità anche di questo. Per favore, potrebbe occuparsi del volo, direttore? La prego...vorrei poter iniziare il prima possibile".
Van Hooper allargò le braccia.
"Se è questo ciò che realmente desidera, vedrò di accontentarla. Nel frattempo, vorrei che tutti coloro che non desiderano assolutamente essere inclusi nella lista dei candidati che indagheranno al caso lascino a loro volta questa stanza".
Uno alla volta, molti agenti uscirono all'esterno, silenziosamente imbarazzati; quando Van Hooper alzò di nuovo lo sguardo, dodici persone lo fissavano impassibili. La tredicesima, Misaki, gli stava addirittura sorridendo.
"Bene, direttore, direi che la sua squadra è stata formata" commentò la ragazza.
"Misaki, tu pensi...insomma, pensi davvero che riusciremo a catturare Kira?" domandò a un tratto uno dei presenti, che non aveva aperto bocca fino a quell'istante.
La giovane gli rivolse uno sguardo gentile: Dylan Johnson era entrato a far parte dell'FBI solo l'anno precedente, e ancora si dimostrava spesso insicuro e malfermo sulle sue posizioni. Tuttavia, aveva deciso di rimanere e di mettere in pericolo la propria vita, pur di arrestare Kira...e questo, non faceva che renderlo ancora più gradevole ai suoi occhi. 
"Non posso esserne sicura al 100%, Dylan, lo sai bene. Ma sono fiduciosa".
"Ma voglio dire, questo Elle...tu ci hai lavorato insieme, giusto? Pensi che ci possiamo davvero fidare di lui?".
"Figuriamoci..." sbottò Penber, facendo voltare i presenti verso di lui "Tu ti fideresti di un computer e di uno che non hai mai visto in faccia, Johnson?".
"ELLE ha un curriculum che tutti gli invidiamo fin da quando eravamo dei fottuti embrioni, Penber" lo zittì Misaki, gelida "Magari è proprio per questo che ti piace così tanto parlare di lui a sproposito".
Ray Penber mosse qualche altro passo verso di lei, ancora più minaccioso di prima.
"Si può sapere come mai lo difendi tanto, Yasuba? Che c'è, ti ha scelto per collaborare con lui perché gliel'hai sbattuta in faccia, non è vero?".
"PENBER!!! Veda di calmarsi e di moderare subito il linguaggio, o la esonero dal caso!!!" sbottò Van Hooper, scattando in piedi.
"Non si preoccupi, direttore" lo tranquillizzò Misaki, senza smettere di fissare Penber con lucido sarcasmo e disprezzo "Penber, so bene che la tua opinione riguardo al fatto che io sia una donna ti conduce a pensare che possa ottenere qualcosa solo comportandomi da puttana, ma ti confesso che questo tuo atteggiamento non è altro che la conferma di quanto tu sia consapevole di essermi inferiore. Se Elle mi ha appositamente scelta, è perché, proprio come me, è un vincente, e non desiste mai dal suo obiettivo. Riguardo al fatto che ci sarei andata a letto, oh beh...scopare con un computer potrebbe rivelarsi un'esperienza stimolante, non c'è che dire. Farò tesoro del tuo consiglio, imbecille".
Quella risposta sagace e intelligente portò gli altri agenti a ridacchiare e a fissare la collega con soddisfazione: non per niente, era una fra i migliori, e senz'altro la più arguta profiler che avessero mai avuto fra le loro fila.
Prima che qualcuno potesse pronunciare un'altra parola, sul monitor del computer apparve l'immagine di un uomo giovane, dotato di una folta chioma nera e lunga e di un paio di glaciali occhi azzurri, che a Misaki ricordarono proprio quelli di Penber...era vestito in modo molto elegante, e alle sue spalle svettava, inconfondibile, il logo dell'Interpol. Sulla scrivania a cui era seduto, proprio di fronte a lui, troneggiava la scritta 'Lind L. Taylor'.
*L?!* non riuscì a trattenersi dal pensare la ragazza *Ma come, non è...non è possibile...*.
Dunque, quell'uomo sarebbe stato Elle?! Quello?! Quella brutta copia di Ray Penber? E perché diamine stava mostrando il suo volto?
"Interrompiamo i programmi per mandare in onda, in diretta mondiale, un annuncio molto importante da parte dell'Interpol" disse la voce di un uomo, in sottofondo. 
In onda?!? Ma questo poteva solo significare...
"Cazzo, sta andando davvero in diretta mondiale!!!!".
Misaki cominciò a mordicchiarsi l'unghia del pollice, come faceva sempre quando era nervosa e quando cercava disperatamente di pensare in fretta: ma cosa diamine pensava di fare? Avevano appena concluso che Kira aveva bisogno di un volto e di un nome per uccidere, ed ecco che...
Un sorriso compiaciuto le scivolò sulle labbra: aveva capito. Come sempre, Elle era un genio.
"Cosa diavolo gli salta in mente?!? Vuole farsi...".
"Signori, vi prego" li interruppe Misaki, incrociando ancora le braccia e sorridendo con grande compiacimento "Godetevi lo spettacolo, guardate e imparate: state per assistere all'inizio dell'operato del più grande detective di sempre".
I suoi colleghi la fissarono perplessi, ma non replicarono, guardando a loro volta lo schermo; dal canto proprio, Van Hooper fissò perplesso la sua pupilla.
"Spero che sappia ciò che fa, Misaki...e soprattutto, spero che lo sappia Elle" le mormorò, concitato.
Misaki si pronunciò nell'ennesimo sorriso compiaciuto, senza staccare gli occhi dallo schermo.
"Mi creda, direttore...lo sappiamo perfettamente entrambi".
In quel momento, l'uomo chiamato Lind L. Taylor iniziò a parlare, zittendoli definitivamente. 
"Chi vi parla è l'unica persona capace di mobilitare la polizia di tutto il mondo" cominciò, lo sguardo cupo e serio fisso di fronte a sé " Il mio nome è Lind L. Taylor..." fece una breve pausa, per poi riprendere a parlare "...conosciuto...come Elle...".
Tutti gli agenti ripresero a bisbigliare fra loro, ma Misaki li zittì con un gesto impaziente della mano: non voleva perdersi nemmeno un secondo di quella scena.
"Ci troviamo di fronte a una serie di omicidi di pregiudicati" seguitò Taylor, con aria grave "Ciò rappresenta un crimine senza precedenti, che non sarà assolutamente tollerato; pertanto, giuro che ne catturerò l'autore, colui che viene comunemente soprannominato Kira".
Misaki si passò un paio di dita sulle labbra, pensierosa; Elle aveva detto di volerlo costringere a venire allo scoperto...che avesse avuto le sue stesse conclusioni, in merito al profilo psicologico di quel soggetto? 
"Kira, a grandi linee posso immaginare che cosa ti passi per la testa per agire in questo modo, ma sappi...che quello che stai facendo...è malvagio".
Ecco, forse erano appena arrivati al punto di rottura: una provocazione in piena regola. Forse Elle stava solo aspettando che Kira si manifestasse...
*Avanti, vieni fuori. Forza Elle, un'altra piccola spinta...* si ritrovò a pensare la ragazza, in trepidazione.
Un sorrisetto soddisfatto si dipinse sulle labbra di quello che era certa fosse solo un falso Elle; l'uomo continuò a parlare, ma ormai sapeva che ciò che stava dicendo non aveva più molta importanza. La mossa era stata effettuata, ora era solo questione d'attendere un piccolo segnale...
Esattamente quaranta secondi dopo, di fronte ai loro occhi si presentò una scena che li portò a strabuzzare gli occhi: l'uomo che si era presentato come il miglior detective sul pianeta lanciò un rantolo soffocato, le mani strette al petto e il corpo attraversato da convulsioni. Nell'arco di un paio di istanti, si accasciò sulla scrivania a cui era seduto, indubbiamente senza vita.
"Ma è morto!!!!".
Misaki sorrise ancora, quasi pronunciandosi in un ghigno di vittoria.
*Scacco, Kira...*.
"Non posso crederci, lo ha ucciso!!!" esclamò Dylan, sconvolto.
"Beh, a quanto pare..." sogghignò Penber, quasi compiaciuto "Il tuo adorato investigatore si è fatto fregare come un pollo alla prima occasione, eh, Yasuba?".
"Aspetta e vedrai, Penber, e poi VEDREMO chi è che si è fatto fregare come un pollo" lo zittì la ragazza, tagliente.
Ray fece per aggiungere qualcosa, ma in quel momento l'immagine di Taylor, il cui corpo stava già per essere portato via da alcuni uomini, scomparve di botto, sostituita da quella della grossa L scura che era apparsa poco prima su quello stesso computer. 
Solo allora, la voce del vero Elle tornò a parlare, più fredda e determinata che mai.
Misaki dovette trattenersi dall'esultare dall'entusiasmo: ce l'aveva fatta!!
"Incredibile..." iniziò Elle, con circospezione "Ho voluto provare proprio per sicurezza, ma...non avrei mai pensato ad una cosa simile. Kira...tu sei in grado di uccidere la gente a distanza".
Gli uomini alle spalle di Misaki si fissarono sbigottiti.
"Ma...ma questo che significa?!".
La moretta scoppiò infine in una risata di trionfo, attirando l'attenzione degli altri; tutti poterono notare che le sue mani erano saldamente ancorate ai braccioli della poltroncina su cui era seduta, che le sue dita stavano tamburellando impazienti e che i suoi occhi erano accesi di una luce intensa, quasi inquietante, ma senz'altro...decisa e soddisfatta.
"Significa..." rispose lentamente lei "...che possiamo adoperare una parola che io uso molto poco di frequente".
Sorrise ancora, prima di riprendere a muovere le labbra.
"GENIO".
"Non ci avrei mai creduto, se non lo avessi visto con i miei occhi. Ascoltami bene: se sei stato veramente tu a uccidere Lind L. Taylor, l'uomo che è apparso in tv, sappi che era un condannato a morte la cui esecuzione era prevista per oggi. E non ero io...".
"Davvero molto astuto" convenne il direttore, annuendo "Direi oltremodo brillante. Non mi sorprende che lei lo ammiri a tal punto, agente Yasuba".
Misaki sorrise ancora, gli occhi che non si staccavano un secondo dallo schermo.
"La polizia aveva tenuto la tv e i giornali completamente all'oscuro della sua cattura..." proseguì Elle "Da ciò che vedo, pare che nemmeno tu sapessi della sua esistenza...".

A centinaia di chilometri di distanza, Elle avvicinò ancora la bocca al microfono e proseguì con il discorso rivolto a Kira.
"Ma io esisto davvero...forza, prova a uccidermi!! Forza, prova a uccidermi!!".

Misaki sorrise di rimando, quasi immaginandosi il detective che faceva lo stesso.
*Ti ha fregato, Kira!!*.
Sentirlo incitare il killer a ucciderlo le stava provocando ulteriori e numerosi brividi lungo la colonna vertebrale: quell'uomo era capace di scatenare in lei il vero e proprio brivido della caccia contro il male. Era così freddo, così professionale...ma rendeva tutto così dannatamente eccitante. 
"Che aspetti? Avanti, prova ad ammazzarmi...ti vuoi muovere?!? Uccidimi!!!!".
La ragazza immaginò i volti di migliaia di persone, intente a visionare lo stesso annuncio, in quell'istante, e non poté fare a meno di sorridere per l'ennesima volta.
"Che ti prende?" lo canzonò Elle "Fatti sotto, Kira!!!".
"Sta giocando su un terreno pericoloso..." commentò Van Hooper, scuotendo la testa "Non sappiamo quali siano le reali intenzioni di questo criminale...".
"Ha tutto sotto controllo, ne sono sicura" rispose Misaki, gli occhi ancora fissi sullo schermo "Stiamo a vedere...".
"Che c'è? Non ce la fai?" seguitò Elle, quasi compatendolo "Si direbbe proprio che tu non riesca a uccidermi...".
"Certo che no..." commentò Misaki, quasi sussurrando "Ed è perché avevamo ragione...formidabile come sempre, non c'è che dire".
"Quindi ci sono persone che non puoi uccidere?" continuò Elle, dall'altro capo "Grazie per il prezioso indizio...in cambio, però, lascia che ti spieghi un'altra cosa: questo annuncio è stato presentato come una diretta internazionale, ma in realtà è stato trasmesso solo in Giappone, nel Kanto".
"Ecco che cosa intendeva!!" commentò un altro agente, ammirato.
Misaki distese di nuovo le labbra e riprese a tormentarsi il labbro, gli occhi accesi.
*Bravo, Elle!!*.
“Avevo in programma di mandarlo in onda in altre regioni, ma ora non è più necessario…so che ti trovi nel Kanto”.
“Aha!! Colpito e affondato!!” esultò Dylan, rivolgendo a Misaki un sorriso raggiante, che la ragazza ricambiò, ma senza ancora staccare lo sguardo dal computer.
“E anche se la polizia non se n’è accorta, perché era un piccolo criminale…” proseguì Elle, con naturalezza “Io so che la tua prima vittima è stato il sequestratore di Shinjuku: con tutti i grandi criminali morti per arresto cardiaco, quella morte è sembrata una fatalità. Inoltre, aveva fatto notizia soltanto in Giappone…”.
 
Elle proseguì imperterrito, la sensazione di vittoria che avanzava ad ogni parola che pronunciava.
“…ed è grazie a questo che mi è stato facile arrivarci…”.
 
Tutta l’attenzione di ogni singolo abitante del Kanto era ormai sintonizzata sulle parole di Elle, ma per quanto esse stessero incidendo il proprio marchio nella memoria di ciascuno di loro, nessuno avrebbe mai potuto giurare di averle assorbite come stava facendo Misaki.
“Ho capito che tu sei in Giappone, e che quell’uomo, la tua prima vittima…è stato soltanto la tua cavia. Ho trasmesso nel Kanto perché è una regione altamente popolata, e ho fatto centro. Francamente, non mi aspettavo che le mie previsioni fossero esatte, ma…visti i risultati, il giorno della tua condanna a morte non è poi così lontano”.
La giovane Misaki sorrise ancora, facendo velocemente mente locale su cosa dire al detective non appena avesse avuto modo di parlare di nuovo con lui del caso e della sua strategia. Inoltre, con quei nuovi elementi, forse sarebbe riuscita a elaborare un profilo psicologico ancora più complesso…non ci poteva credere, stava DAVVERO lavorando di nuovo con Elle!!
“Kira…sono proprio curioso di sapere come fai a commettere quegli omicidi…”.
 
Dall’altro capo del mondo, Elle si concesse un altro sorrisetto, passandosi una ciocca di scompigliati capelli neri dietro l’orecchio destro.
“…e non sarà facile, perché per farlo…dovrò prima catturarti. Ci vediamo…Kira…”.
Il detective interruppe la comunicazione di botto, passando subito a un nuovo collegamento con Watari.
“Elle”.
“Watari. Mettimi di nuovo in contatto con l’FBI”.
“Ricevuto”.
 
Subito dopo l’interruzione del messaggio di Elle, al quartier generale dell’FBI giunse una nuova chiamata da parte del diretto interessato.
“Agente Yasuba, è meglio che risponda direttamente lei”.
Misaki non se lo fece ripetere due volte, e premette immediatamente il tasto della ricezione, seguito da quello del microfono.
“Elle, in ascolto”.
“Allora?” domandò lui dall’altro capo.
Misaki sorrise per l’ennesima volta, lo sguardo determinato e soddisfatto.
“Una mossa incredibilmente perspicace, se sta chiedendo la mia opinione. Ho già chiesto al direttore Van Hooper di mettere a punto gli ultimi dettagli per la mia partenza. Mi ha appena comunicato che potrò essere su un aereo speciale per Tokyo la cui partenza è prevista per le cinque del mattino, ora statunitense”.
“Perfetto. Ho dato istruzioni adeguate a Watari: quando giungerà al Ronald Reagan Airport, troverà ad attenderla un agente dell’Interpol, che le consegnerà quanto le sarà indispensabile per comunicare con me. Si tratta di dispositivi che possono essere utilizzati anche a bordo di un aereo, dalla tecnologia altamente all’avanguardia. Non appena sarà atterrata, mi comunichi la cosa: troverà già Watari ad attenderla sul posto, lui l’accompagnerà all’albergo che mi sono permesso di prenotarle”.
Alle sue spalle, Misaki udì Penber malignare subdolamente sul motivo per cui Elle avesse deciso di prenotarle una stanza d’albergo prima ancora d’aver saputo che avrebbe accettato il caso, ma la giovane decise di ignorarlo diplomaticamente: certo aveva ben altro a cui pensare.
“D’accordo. La polizia giapponese è già stata informata?”.
Per la prima volta, notò che Elle stava esitando.
“Elle…?”.
“Ho informato gli agenti d’aver richiesto la sua particolare e speciale collaborazione, ma per quanto riguarda il resto…per il momento, la mia decisione è relativa al tenerli all’oscuro della cosa”.
Gli agenti si scambiarono occhiate perplesse, e la stessa Misaki aggrottò le sopracciglia.
“Posso chiederle il perché?”.
“Perché la polizia locale non sopporta mai l’intervento dei federali, specialmente quando questi devono agire esternamente alla loro quotidiana area di competenza”.
“Stupidaggini” bofonchiò Penber “L’area di competenza dell’FBI riguarda tutto il globo”.
“Signor Penber” gli si rivolse a un tratto Elle, sorprendendo tutti “Magari le piacerebbe essere consapevole che i dispositivi di cui dispongo sono in grado di trasmettere le onde sonore e di ricevere qualunque segnale, in qualsiasi punto del globo. In effetti, il microfono che la sua oltremodo competente collega sta utilizzando è solo una comodità, nient’altro. In ogni caso, se proprio è così convinto della sua brillante teoria, le suggerisco di uscire dal suo guscio e di sperimentare di persona cosa significa aver a che fare quasi quotidianamente con l’Interpol. Forse si renderà conto che la sua organizzazione non è così ben vista, e non solo dai poliziotti statunitensi”.
Ray divenne rosso come un peperone, ma un’occhiataccia da parte del suo superiore lo costrinse a mordersi la lingua.
“Agente Yasuba” proseguì Elle, tornando a rivolgersi alla ragazza “Le garantisco che la collaborazione dell’FBI non rimarrà a lungo un segreto fra me e voi, ma per il momento le cose non devono cambiare di un millimetro. Se facessimo qualche mossa avventata, questa potrebbe rivoltarsi contro di noi. Se si spargesse la voce che Elle ha direttamente richiesto il vostro coinvolgimento, la notizia potrebbe trapelare con una facilità non indifferente. Inoltre, non possiamo fidarci fino in fondo di nessuno, e vorrei che i vostri agenti potessero rivelarsi un valente asso nella manica, al momento opportuno. Perché questo avvenga, la segretezza rimane qualcosa di vitale…capisco che lei possa trovarlo deplorevole, ma…”.
“Sono d’accordo con lei” lo interruppe Misaki, determinata “Farò come mi dice, detective”.
“Bene, allora siamo intesi. Per qualsiasi inconveniente, mi contatti all’istante. Terrò aggiornata questa linea in merito alle disposizioni riguardanti le prossime mosse della squadra FBI. Entro quanto credete che potranno essere sul posto?”.
Misaki si scostò per lasciar parlare il suo capo, che si avvicinò al microfono con circospezione.
“Posso assicurare con certezza che dodici agenti arriveranno in Giappone entro cinque giorni, Elle”.
“D’accordo; provvederò a istruire Watari anche in merito a questa faccenda. Agente Yasuba, attendo sue notizie. A presto”.
La chiamata s’interruppe bruscamente un’altra volta, ma il silenzio nella stanza non cessò: gli occhi di tutti, in un modo o nell’altro, erano puntati sull’unica donna presente.
Ma prima che qualcuno potesse pronunciare una parola, Misaki si alzò in piedi, più decisa che mai, già pronta ad afferrare la sua giacca.
“Direttore, sarà meglio che mi diriga a casa a fare i bagagli. Raggiungerò l’aeroporto direttamente da là, a meno che lei non abbia altro da comunicarmi o da farmi presente”.
Van Hooper la fissò con espressione triste, anche se concisa, e le posò le mani su entrambe le spalle, trattenendosi dal sorridere con malinconia.
“L’unica cosa che voglio che le sia ben presente è il rischio a cui sta andando incontro…”.
“È un rischio a cui stiamo andando incontro tutti noi, direttore…”.
“No, agente, e lei lo sa. Il suo incarico prevederà un coinvolgimento molto più diretto, dato che dovrà lavorare con lo stesso Elle”.
“Rimarrà comunque una collaborazione a distanza, signore…ormai, sa com’è fatto Elle…”.
“Anche se così fosse, non voglio che lei sottovaluti la cosa. Questo serial killer…”.
“Non gli permetterò di metterci i bastoni fra le ruote, se è questo quello a cui sta alludendo. Le ho già detto più di una volta che lo spedirò sul patibolo, fosse l’ultima cosa che faccio. E io non mi rimangio mai la parola, signore, questo dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro. Riguardo alla mia incolumità, le prometto che non farò sciocchezze. C’è altro che ha bisogno di dirmi?”.
Van Hooper la fissò dritto negli occhi, per poi scuotere il capo e darle le spalle, distogliendo lo sguardo.
“No, agente, nient’altro. Vada pure. Si ricordi che contiamo tutti su di lei”.
Misaki gli rivolse un saluto formale e poi dedicò un cenno a tutti i colleghi, tranne a Penber, per poi avviarsi verso l’uscita.
“Agente Yasuba” la richiamò indietro la voce di Van Hooper, facendola voltare.
L’uomo non aveva cambiato la propria posizione, continuando a darle le spalle, lo sguardo fisso fuori dalla finestra.
“Buona fortuna” lo udì pronunciare.
Misaki sorrise per l’ultima volta, prima di lasciare la stanza.
“Grazie…” mormorò infine.
Dirigendosi verso l’uscita dell’edificio, riuscì a sentire distintamente scatenarsi un gran trambusto alle sue spalle, composto dalla voce del suo capo che dava direttive ai suoi subordinati, tutti intenti a cercare documentazioni sul caso e a rimettere in ordine i propri fascicoli, in vista dell’imminente partenza.
Dal canto proprio, sentiva il cuore batterle all’impazzata, gli occhi animati da una nuova luce: sapeva che avrebbe dovuto essere spaventata per ciò a cui stava andando incontro, sapeva quanto tutto ciò fosse pericoloso, eppure…non riusciva a smettere di pensare a quanto si sentisse onorata e fortunata. Il più grande criminale di cui si fosse mai sentito fino a quel momento…e lo avrebbe catturato. Lei ed Elle, insieme, lo avrebbero catturato.
Ripensando ancora a quella voce metallica, non poté fare a meno di domandarsi che tipo fosse, quella mente geniale e assolutamente imprevedibile.
*Magari è un tipo in là con gli anni…in fondo, con tutti i casi che ha risolto, deve averne, di esperienza…forse è piuttosto attempato, chi lo sa…*.
In ogni caso, dubitava che avrebbe mai risolto un mistero di quel genere: per quanto desiderasse acciuffare il colpevole, era restia a credere che Elle avrebbe mai ceduto all’idea di mostrare ad altri il proprio volto. Soprattutto considerando le premesse che riguardavano specificamente quell’indagine…Beh, poco male. In fondo, collaborare con lui era l’unica cosa che le interessasse davvero; quanto all’incontrarlo, se ne sarebbe fatta una ragione, considerando che un’evenienza del genere non si sarebbe mai verificata.
*Tutto ciò che voglio…è catturare Kira. E ci riuscirò…insieme a lui, ci riuscirò!!*.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Eccociiiii!! Siamo già al secondo capitolo, che cosa ne pensate? Spero che la storia vi stia piacendo almeno un po’, se a qualcuno è capitato di darci un’occhiatina!! Mi auguro che qualcuno mi faccia sapere che cosa ne pensa, va bene anche uno sputo in un occhio, eh! XD Prometto che tornerò presto ;) Al prossimo capitolo, bella gente!! Baci, Victoria 
 

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Capitolo 3
*** Trasferimento a Tokyo ***


Capitolo 3- Trasferimento a Tokyo

In quel momento, dalla propria postazione nel suo appartamento buio, Elle fissò lo schermo del suo computer, una mano stretta a pugno e lo sguardo ancora più determinato.
"Kira...stai pur certo che ti troverò, e ti ucciderò!! Io sono...la giustizia!!".
Già, lui era la giustizia, lo era sempre stato. Fin da quando aveva cominciato a lavorare come detective privato, la sua vita si era sempre concentrata solo sulla sua professione: non era mai stato un tipo 'normale', non nel senso comune del termine, e Watari lo aveva capito subito, fin dal loro primo incontro. La sua genialità, la sua freddezza, la sua impeccabile logica razionale...niente che fosse in grado di turbarlo, niente che fosse realmente in grado di metterlo fuori gioco. Aveva dedicato tutta la sua esistenza a dare la caccia ai malvagi e ai criminali, per assicurarli alla giustizia, aveva sempre dato tutto se stesso per sfruttare al meglio il proprio genio. In effetti, l'unica forma di passione che aveva mai conosciuto era proprio quella legata alla sua professione, e nonostante tutto, malgrado i disparati entusiasmi che a volte si era ritrovato a provare, riusciva sempre a mantenere una propria costante, inesorabile lucidità. Avrebbe vinto anche quella volta, lo sapeva. Certo, era un caso diverso da tutti quelli con cui si era mai ritrovato ad avere a che fare, ma comunque...lo avrebbe fregato, in un modo o nell'altro. Era sicuro che ce l'avrebbe fatta. Inoltre, la collaborazione con l'agente Yasuba avrebbe sicuramente comportato un vantaggio notevole, per lui.
Con aria distratta, iniziò ad accedere al file che la riguardava, guardando la sua fotografia con attenzione: constatò nuovamente quanto fosse giovane, per essere un'agente così esperta. Effettivamente, aveva la reputazione d'essere in assoluto la miglior profiler dell'FBI. I suoi occhi scuri ne osservarono i dettagli del volto per qualche istante, prima di passare alle informazioni allegate.
*Agente 45023, Misaki Yasuba, 23 anni, single. Laureata in Criminologia ad Harvard con il massimo dei voti e un anno d'anticipo rispetto al piano di studi programmato. Il suo addestramento per entrare a far parte dell'FBI si conclude molto prima del solito. Parla sei lingue ed è esperta di informatica e di balistica. Si distingue anche per una spiccata propensione per le arti marziali. Cittadinanza: americana. Dati relativi alla famiglia: sconosciuti. Parenti ancora in vita: nessuno. Segni particolari: cicatrici*.
Cicatrici? Quel dettaglio attirò la sua attenzione, poiché dal volto sembrava che la ragazza non ne avesse nessuna in particolare...perché il profilo FBI non specificava niente di più preciso? Si strinse nelle spalle e decise di lasciar perdere. In fondo, il curriculum di quella donna era assolutamente sorprendente. 
Era una vera fortuna che avesse accettato di lavorare al caso senza fare quasi alcuna domanda.
Prima che potesse rifletterci ulteriormente sopra, al suo computer giunse un altro segnale da parte di Watari.
"Elle, c'è una chiamata dal quartier generale per le indagini sul caso Kira. In linea ho il sovrintendente Yagami".
"Passamelo, per favore".
Pochi istanti dopo, il volto di Soichiro Yagami apparve sullo schermo, l'espressione decisamente tesa.
"Sovrintendente Yagami" pronunciò, avvicinando le labbra al microfono che avrebbe alterato la sua voce.
"Elle".
"Cosa posso fare per lei?".
"Gli agenti del quartier generale mi hanno appena richiesto maggiori dettagli relativi all'agente dell'FBI di cui ha specificamente richiesto la collaborazione per le indagini".
Elle esitò un istante, ma infine proseguì come aveva programmato: non poteva correre rischi.
"Per il momento, la sua identità dovrà rimanere riservata per tutti, tranne che per me e per Watari".
Vide il volto del sovrintendente assumere un'espressione sbigottita.
"Ma perché?! Non capisco, Elle...stai dicendo che non ti fidi della polizia giapponese?".
"Sto dicendo che dobbiamo avere cautela e che non possiamo fidarci completamente di nessuno; non la prenda sul personale, sovrintendente, lo faccio per il bene delle indagini e per salvaguardare l'incolumità dell'agente stesso. Fidatevi di me, è una persona altamente qualificata: sono sicuro che il suo aiuto si rivelerà provvidenziale al momento giusto, non dubitate".
Soichiro apparve ancora perplesso, ma infine abbassò gli occhi e annuì lentamente.
"D'accordo, Elle, hai carta bianca. Sappi che ci fidiamo di te...cerca di non dimenticarlo".
"Non mancherò. Come proseguono gli esami dei documenti sul caso?".
"Siamo a buon punto, presto potremo esporti un resoconto dettagliato".
"Perfetto. Mi terrò in contatto. A presto".
Subito dopo aver interrotto di nuovo la chiamata, Elle si apprestò ad esaminare tutti i file sul caso di cui disponeva, l'attenzione focalizzata su ogni minimo particolare.
*Bene...ripartiamo da qui. Causa del decesso: arresto cardiaco. Le vittime muoiono a causa di un infarto, senza alcun tipo di sintomo che ne denoti una predisposizione genetica o una particolare imminenza. Quindi, questo significa che Kira non lascia tracce. Dalle analisi autoptiche, non risulta che i criminali morti abbiano ingerito alcun tipo di sostanza che potrebbe aver indotto un abbassamento tale di pressione da causare la mancanza del battito...nessun testimone, nessun apparente modus operandi*.
Ripensò a un tratto alle parole di Misaki...
*Uccide a distanza, in simultanea in molte parti del globo...*.
Un complice? Un'organizzazione criminale a livello mondiale? Ma no, non era affatto possibile. Quello era l'operato di un solo uomo, ne era sicuro; e il profilo psicologico dell'agente Yasuba, inoltre, confermava quella sua teoria. 
Ma come diavolo poteva essere in grado di scatenare tutte quelle morti, a distanza di così breve tempo l'una dall'altra? E senza nessuno che lo aiutasse...
Senza nemmeno sapere perché, sentì il bisogno di pronunciarsi in un altro sorriso; la partita si stava facendo sempre più interessante. 

Il giorno dopo, alle ore 05.00, l'agente Yasuba atterrò sul suolo giapponese. 
Sapeva di non avere un gran bell'aspetto: quel dannato fuso orario la stava già mandando fuori di testa. Diamine, perché non pensava mai a portarsi dietro uno specchio e un po' di fondotinta...non era certo fissata con quel genere di cose, ma avrebbe preferito avere un aspetto migliore, prima di presentarsi al Quartier Generale per le indagini sul serial killer di criminali. Ah beh, poco male. Non appena l'aereo ebbe toccato il suolo, il cellulare speciale che le avevano fornito a Washington, appositamente costruito per permetterle di comunicare con Watari e con Elle, iniziò a squillare.
"Pronto" rispose semplicemente. 
"Agente, sono Watari".
"Mi dica".
"Mi risulta che l'aereo sia appena atterrato, ho parlato con il pilota un attimo fa".
"Esatto. L'attenderò all'esterno come da programma".
"D'accordo".
"Watari?".
"Sì?".
"È sempre un piacere" sorrise lei, quasi con affetto.
Dall'altro capo del telefono ci fu una lunga pausa, ma alla fine la risposta non tardò ulteriormente ad arrivare.
"Grazie, agente".
Una volta chiusa la comunicazione, Misaki afferrò la sua piccola valigia e uscì all'esterno dell'aereo privato su cui aveva viaggiato, il freddo vento di Dicembre che le scompigliava i capelli. A pochi metri di distanza, un'auto la stava attendendo; non appena il conducente si accorse di lei, fece lampeggiare i fari, facendole segno di avvicinarsi. Quando ormai fu sul punto di raggiungere il mezzo, l'uomo al volante scese; Misaki notò subito che era a volto coperto, il bavero dell'impermeabile rialzato e il cappello calato sugli occhi. In una mano stringeva una valigetta; con quella libera, si affrettò a presentarsi, stringendo quella della giovane donna.
"Agente Yasuba, lieto di incontrarla di persona".
"Il piacere è tutto mio, Watari. Possiamo andare".
"Bene".
Con sua gran sorpresa, Watari le prese gentilmente la valigia, posizionandola all'interno del portabagagli, e le aprì la portiera per farla salire a bordo, posizionandosi di nuovo al posto di guida.
"Grazie" gli disse, subito dopo essere ripartiti.
"Dovere, Miss".
Misaki alzò lo sguardo di fronte a quell'appellativo, che Watari non lo aveva mai rivolto; non sapevo perché, ma quell'uomo le dava una sensazione piacevole, quasi paterna. Inoltre, i suoi modi le ricordavano qualcosa...
"Mi scusi...lei è inglese?" gli domandò a bruciapelo. 
Watari, dalla sua posizione al volante, non batté ciglio.
"Questo non posso dirglielo, Miss, spiacente".
"Capisco...".
"Preferisce che la chiami 'agente'?".
La ragazza rialzò lo sguardo, stupita dalla perspicacia dell'autista; ma ciò che davvero la stupì fu la risposta che si senti in grado di dargli. In effetti, in qualunque altro caso avrebbe fermamente risposto che non voleva, bensì PRETENDEVA che la chiamassero 'agente', ma in quel momento...
"No, va bene così" si udì pronunciare, lentamente "Grazie, Watari".
"Di niente, Miss".
"Posso chiederle dove stiamo andando?".
"Lo vedrà presto, siamo quasi arrivati. Abbiamo scelto il meglio in assoluto".
"Il meglio? Mi dispiace, non...".
S'interruppe solo pochi istanti dopo, nel rendersi conto di ciò a cui si trovava di fronte; Watari aveva appena fermato l'auto di fronte a un lussuosissimo albergo a cinque stelle, alto almeno una trentina di piani.
"Il Tokyo Plaza. La sua suite è in cima all'edificio. Se vuole seguirmi...".
Cercando di trattenersi dal mantenere la bocca spalancata per la sorpresa, Misaki seguì Watari fuori dalla macchina, lasciando che l'uomo misterioso le prendesse la valigia e l'accompagnasse alla reception dell'hotel.
"I signori desiderano?" domandò la sorridente signora situata dietro il bancone.
"C'è una prenotazione a nome Fuyumi Kakashi; la suite imperiale al 28^ piano".
Misaki rivolse uno sguardo interrogativo a Watari: sembrava proprio che avessero effettuato la prenotazione utilizzando uno dei nomi in codice che lei stessa aveva adoperato nel corso di alcune indagini. Ma come diavolo facevano a...
La risposta le arrivò dopo un secondo, accompagnata da un sorrisetto che le scivolò prontamente sulle labbra: Elle non perdeva mai un colpo. 
"Molto bene, sì, è tutto in ordine" assentì nel frattempo la receptionist, senza smettere di sorridere "Signorina Kakashi, queste sono le sue chiavi; uno dei nostri fattorini l'accompagnerà...".
"Ci penso io" la interruppe Watari, prendendole di nuovo la valigia e iniziando a scortarla verso l'ascensore.
La giovane rivolse un cenno alla donna, e si affrettò a tenere il passo di Watari. 
Lui non le rivolse più né uno sguardo, né una parola finché non furono usciti dall'ascensore e giunti alla suite, che, scoprì subito Misaki, era dotata di ben due camere da letto, tre bagni, due salotti discretamente vasti e di un balcone che dava su tutta Tokyo.
"Spero che trovi la sua sistemazione confortevole" dichiarò Watari, posando a terra il suo bagaglio.
"Oh, non c'era nemmeno bisogno di chiederlo..." disse lei, quasi ridacchiando.
Tornando subito seria, si volse verso il suo interlocutore.
"A proposito, Watari, c'è una cosa che devo chiederle".
"L'ascolto".
Il suo tono era semplice e sincero; per un istante, si domandò se non avesse potuto appartenere a una persona piuttosto anziana. 
"Chi paga per tutto questo?".
"Mi scusi se glielo dico, Miss, ma questa domanda è inopportuna".
"Oh, non è l'unica cosa a non essere opportuna, nei paraggi" constatò la ragazza, accennando alla suite con un gesto esplicito della mano.
Misaki lo udì sospirare, prima di proseguire.
"Miss, queste non sono faccende che mi riguardano. Mi sono state date precise disposizioni affinché effettuassi questa prenotazione, e io mi sono limitato ad attenermici. Se la cosa la disturba, le suggerisco di parlarne con Elle, ma...se posso permettermi di darle un consiglio, io non lo farei, se fossi in lei".
"E perché no?".
"Dovrebbe sapere che non è il tipo a cui piaccia essere contraddetto".
"Beh, nemmeno a me".
"L'avevo intuito".
"Senta, siete stati davvero gentili, dico sul serio, ma questa è...".
"Questa è la stanza più sicura di tutto l'albergo. Prima del suo arrivo, mi sono accertato che al suo interno non ci fossero né cimici, né microspie di alcun genere. Inoltre, è dotata di uno speciale sistema di sicurezza ambientale, che ci avviserebbe immediatamente nel caso in cui lei fosse in qualche modo in pericolo. Abbiamo provveduto a tutti i dettagli, e abbiamo allertato il personale di mantenere il resto del piano sgombro, in modo da allontanare qualunque individuo sospetto. Vogliamo che lei sia al sicuro, agente, tutto qui".
"Ma dev'esservi costato una fortuna...".
"È il nostro lavoro, Miss. Ce lo lasci svolgere nel modo che ci sembra più opportuno. Adesso la lascio. Non appena sarò uscito di qui, si metta subito in contatto con Elle. Il computer che le ho fornito possiede un meccanismo che avvia automaticamente la chiamata solo utilizzando il comando vocale. Mi hanno detto che è esperta in informatica, non dovrebbe avere alcun problema, nell'usarlo, ma se così fosse, non esiti a chiedermi spiegazioni".
"D'accordo" annuì Misaki, con un sorriso "Grazie di tutto, Watari".
"Un'ultima cosa, signorina. Se necessita di effettuare qualsiasi comunicazione con l'esterno, utilizzi comunque gli strumenti che le hanno fornito prima di salire sull'aereo; sono a prova di intercettazione. In ogni caso, è superfluo raccomandarle la massima cautela".
"Certo".
"Allora a presto, Miss" disse l'uomo, congedandosi con un altro cenno e aprendo la porta della stanza.
"A presto, Watari" lo salutò Misaki, rivolgendogli l'ultimo saluto, prima che lui se ne andasse. 
Nel momento stesso in cui Watari ebbe tolto il disturbo, Misaki si precipitò ad estrarre il portatile dalla borsa, posizionandolo sullo spaziosissimo letto matrimoniale di cui disponeva in una delle camere della suite, ed aprendolo con solerzia: non vedeva l’ora di sentire nuovamente quella voce metallica e computerizzata.
Dopo averci armeggiato per un paio di secondi, riuscì ad avviare immediatamente il contatto, aprendo la webcam sul suo volto stanco, ma determinato.
Subito dopo, accanto ad essa apparve il logo di L, più nitido che mai.
“Agente Yasuba. Mi auguro che il viaggio sia andato per il meglio”.
“Non è mia abitudine affrontare su due piedi 13 ore di fuso orario, Elle, ma sono sicura che ne varrà la pena”.
“Farò del mio meglio per non deluderla. Ha ricevuto i file che le ho inviato poco fa?”.
Misaki annuì, consapevole del fatto che Elle, a differenza di lei, era in grado di vederla.
“La documentazione sul caso della polizia giapponese è piuttosto confusa, lei ne conviene?”.
“Sì. A dire il vero, l’Interpol stesso brancola nel buio da diverse settimane” commentò Elle, impassibile.
“Questi sono tutti gli elementi di cui dispongono?” domandò ancora Misaki, servendosi di un po’ di caffè dalla caraffa che, aveva notato, troneggiava di fianco, sul suo comodino, insieme a un paio di tazze raffinate.
“Non proprio. Ho chiesto che mi fornissero i dati relativi all’ora del decesso delle vittime delle ultime settimane. Non appena potrò confrontarmici, riusciremo ad avere in mano qualcosa di più concreto”.
“Molto bene. Le dispiace inviarmi le fotografie di cui dispone al momento? Vorrei darci un’occhiata…” affermò Misaki, con un sorriso.
“Non c’è problema”.
“Inoltre…ecco, volevo chiederle se le fossero già pervenuti i rapporti del coroner”.
“Sì, li stavo giusto esaminando poco fa. Per il momento, siamo a un punto morto; non credo che l’esame dei cadaveri riuscirà a darci grandi risposte. Apparentemente, sembra che la morte non sia stata indotta con alcun mezzo in grado di lasciare segni sui corpi delle vittime”.
“Questo spiegherebbe la teoria riguardo alla sorta di potere paranormale di cui Kira dispone” constatò Misaki, con naturalezza.
Dall’altro capo, ci fu un silenzio più lungo del normale.
“Lei crede davvero che ci troviamo di fronte a qualcosa del genere?” le domandò poi il detective.
“Beh, anch’io stento a crederci, ma al momento, non dispongo di nessun’altra spiegazione plausibile. Inoltre, la sua brillante trovata di ieri ci ha permesso di confermare l’ipotesi, sempre più convincente, secondo cui Kira avrebbe bisogno esclusivamente di un nome e di un volto corrispondente, per poter commettere i suoi omicidi”.
Senza nemmeno sapere perché, ebbe la sensazione che lui stesse sorridendo, in quello stesso momento.
“A proposito, vorrei che mi esponesse la sua opinione riguardo alla faccenda. Quello che ha visto le ha permesso di aggiungere nuovi elementi al suo profilo psicologico?”.
Misaki sospirò e si passò una mano nella folta chioma scura, gli occhi azzurrissimi pronti ad assumere un’aria pensierosa.
“Beh, come già le ho detto, secondo la mia opinione Kira è senz’altro un tipo molto infantile. Da ciò che ho avuto modo di visionare di persona, deduco che deve trattarsi di un individuo incapace di ignorare qualunque forma di provocazione. E immagino che lei stesso lo abbia intuito per primo, considerando ciò che è stato alla base della sua strategia”.
“Non posso darle torto. Vada avanti” assentì Elle.
“Considerando tutto quello che abbiamo appurato fin ora, sono convinta di poter aggiungere che Kira sia senz’altro un uomo, più probabilmente un ragazzo, direi”.
Elle rispose con un altro silenzio, che la portò a pensare che stesse riflettendo sulla sua dichiarazione.
“Premesso che sono d’accordo con lei, mi piacerebbe sapere che cosa l’ha condotta a una simile teoria” dichiarò infine.
“Beh, è semplice. Come sicuramente lei sa, la psiche femminile presenta caratteristiche spesso diametralmente opposte rispetto a quella maschile: queste si manifestano anche nell’ambito dell’infantilismo, specialmente quando questo rischia di trasformarsi in una sorta di patologia mentale. Dal comportamento del soggetto, denotiamo una speciale tendenza all’esibizionismo di natura violenta…credo che, nel caso in cui il nostro killer fosse stato una donna, probabilmente avrebbe agito in modo più sottile, anche se ugualmente puerile. Per esempio, avrebbe concentrato le uccisioni in modo più sporadico e maniacale sugli alleati del suo nemico, stringendolo in un angolo tramite il terrore psicologico o tramite il ricatto. Comunque sia, la sua attenzione sarebbe in ogni caso rimasta focalizzata su colui che ormai aveva identificato come il suo principale avversario, ma una mente femminile avrebbe agito in modo…come dire, più sottile e metodico. Avrebbe sicuramente finito per cadere a sua volta nella trappola che lei ha teso al nostro pazzo omicida, ma…in maniera più intricata, ne sono sicura”.
 
Nella sua stanza buia e priva di qualsiasi luce che non fosse quella del computer, Elle, accovacciato a terra vicino ad esso, si lasciò scappare un altro sorriso.
In tutta la sua carriera, era sicuro di non aver mai incontrato una donna così intelligente. Anzi, a dire il vero, era convinto di non aver mai incontrato una PERSONA così intelligente e basta…in un momento di debolezza e di modestia, avrebbe perfino potuto ammettere che gli teneva testa in modo impeccabile.
“Lei è lucida e metodica come sempre, agente Yasuba” le disse, notando subito che, stranamente, quel complimento l’aveva fatta arrossire leggermente. Non avrebbe detto che fosse una ragazza così suscettibile all’ammirazione altrui.
“Mi chiami Misaki, per favore” la sentì chiedergli, con gentilezza.
“D’accordo, allora mettiamo pure da parte le formalità, considerando che dovremo lavorare insieme per diverso tempo, immagino. In ogni caso, sono anch’io dell’idea che si tratti di un individuo di sesso maschile. Il prossimo passo sarà stabilire una fascia d’età più netta. C’era altro che volevi dirmi riguardo al suo profilo?”.
“Non è escluso che possa essere affetto da una sorta di nevrosi mistico-ossessiva, che potrebbe averlo condotto a pensare d’essere in contatto con una divinità che gli fornisce ordini dall’alto. Non dobbiamo dimenticare che uccide soltanto criminali…si tratta senz’altro di un individuo con un senso della giustizia piuttosto spiccato, anche se malato, non dimentichiamolo”.
Elle si passò una mano sotto il mento, pensieroso.
“Su questo avrei qualcosa da obiettare. Ti ricordi di quando mi hai detto che, secondo te, Kira sta ‘giocando a fare Dio’? Beh, direi di poter affermare che per lui non si tratta solo di un gioco, ma di una profonda convinzione. Anche se una tesi del genere può essere sostenuta solo al 6% di possibilità, considerando i dati di cui disponiamo attualmente”.
“Una convinzione?” ripeté Misaki, alzando un sopracciglio “Stai dicendo che Kira crede veramente d’essere una specie di Dio incarnato, o qualcosa di simile?”.
“Come ti dicevo, sono solo ipotesi, non dobbiamo fissarci troppo sopra. Ma comunque…Kira è senz’altro convinto d’agire nel giusto, qualunque cosa faccia. Il suo senso della giustizia è diametralmente invertito, su questo non c’è dubbio".
Misaki sembrò pensarci un po' su, ma alla fine annuì nuovamente.
"Quali credi saranno le sue prossime mosse?" gli chiese infine, determinata.
"Difficile a dirsi...è possibile che risponda con ulteriori provocazioni, oppure che rimanga nell'ombra in attesa della mia prossima mossa. Come senz'altro ti risulterà chiaro, adesso il suo principale obiettivo sono io. Non si fermerà più finché io non sarò morto, o meglio...finché non lo avremo catturato".
Misaki si pronunciò in un altro sorrisetto e scosse la testa.
"Ne sono convinta...c'è altro, per il momento?".
"No, è tutto".
"Allora posso farti una domanda?" se ne uscì lei a bruciapelo, cogliendolo un po' di sorpresa.
"Sono a tua disposizione" rispose, impassibile.
"Quando potrò incontrare gli agenti del Quartier Generale che si stanno occupando del caso?".
Elle si prese qualche secondo per rispondere, l'espressione indecifrabile.
"Non per il momento" rispose infine.
Vide il volto della ragazza assumere un'aria stupita e quasi...seccata?
"Come sarebbe?" gli disse, un sopracciglio inarcato sulla bella fronte candida e spaziosa.
"Stando alle informazioni di cui disponiamo, e che tu stessa hai così brillantemente confermato giusto ieri con le tue affermazioni da professionista, questo killer ha bisogno di dati certi sul conto della sua vittima, per procedere all'esecuzione. Non ritengo prudente esporti a inutili rischi, almeno non per ora".
"Elle...io sono un'agente dell'FBI, sono perfettamente in grado di badare a me stessa".
"Non lo metto in dubbio; ti garantisco che si tratta solo di una situazione temporanea. Per il momento, non ho informato gli agenti giapponesi delle tue generalità e della tua reale identità, e non gli ho fatto pervenire alcuna fotografia. Sarà bene che anche tu rimanga in incognito fino all'istante più opportuno".
"Elle" gli si rivolse lei, molto seriamente "Dovresti sapere che ormai ho un'ottima opinione di te, ma tutto questo non ti sembra eccessivo? La suite di lusso dotata di un sistema di sicurezza all'avanguardia, l'aereo privato, l'identità nascosta...adesso mi dici che non posso nemmeno presentarmi al Quartier Generale giapponese addetto alle indagini. Come posso lavorare in queste condizioni?".
"Farò in modo di metterti in contatto costantemente con gli agenti che si stanno occupando del caso, proprio come io stesso sono in grado di fare. Inoltre, vorrei che la nostra stessa collaborazione fosse sempre aggiornata, non appena uno dei due avrà qualcosa da presentare all'altro. Queste condizioni ti soddisfano?".
Misaki sorrise di nuovo, a metà fra l'amarezza e la complicità.
"Immagino di non avere molta scelta...".
"Ti assicuro che faccio tutto questo per la sicurezza di entrambi".
"Ne sono sicura; allora aggiornarmi sulle novità delle prossime ore" concluse Misaki, facendo per chiudere la chiamata.
"Un'ultima cosa" la trattenne Elle, lasciandola sorpresa "Vorrei ricordarti che sarebbe bene che non lasciassi la tua stanza d'albergo fino a nuove disposizioni. Il personale ti porterà i pasti in camera sotto tua espressa richiesta. Inoltre, sarebbe bene che non utilizzassi più il nominativo riportato sui tuoi documenti. Non è sicuro".
"Hai già effettuato la prenotazione all'hotel usando uno dei miei nomi in codice..." obiettò Misaki, alzando nuovamente un sopracciglio. 
"Sì, è vero, ma per un hacker esperto non dovrebbe essere difficile risalire comunque a te, badandosi su di esso. Vorrei che scegliessi un nome a cui nessuno sarebbe in grado di ricollegarti".
Misaki rifletté sulle sue parole per qualche istante, infine sorrise alla grossa L, impressa sul suo schermo, e annuì.
"Va bene. Ruri Dakota. Da questo momento in poi, fino alla fine delle indagini, questo sarà il mio nome. Questa è una cosa che puoi comunicare agli agenti, mi auguro".
"Sì, questo posso farlo. Allora a più tardi, Ruri; al quartier generale inizierà una riunione alle ore 15.30, e non escludo che finirà per protrarsi fino a tardi. Watari ti metterà in collegamento al momento opportuno. Per allora, dovremo disporre anche dei dati relativi all'ora dei decessi che avevo richiesto".
"Perfetto. A più tardi".
"Ruri?".

Certo non avrebbe immaginato che con lei avrebbe parlato così tanto! Ma in fondo, non poteva nascondere che la cosa le piaceva...forse quel tizio nascondeva più di quanto non desse a vedere.
"Sì?" gli rispose, lentamente.
"Grazie per aver accettato il caso".
Quelle parole la sorpresero oltremisura, ma non poterono che donarle una nuova sensazione di compiacimento.
"Il piacere è tutto mio, Elle. A dopo".
"A dopo".

In contemporanea, entrambi fissarono sorridendo lo schermo, gli sguardi rispettivamente fissi sulla fotografia della ragazza e sulla gotica lettera L.
*Misaki Yasuba...Fuyumi Kakashi...Haruka Mitsubishi...Ruri Dakota...la miglior profiler del mondo...*.
Gli occhi di Elle Lawliet si posarono sul profilo della giovane donna, che dalla foto sorrideva leggermente, l'espressione pensierosa e concentrata come suo solito. Per la prima volta in vita sua, riuscì a comprendere fino in fondo il motivo per cui una donna potesse essere così desiderabile agli occhi di un uomo. Il suo sguardo cupo osservò i contorni del volto della giovane, i suoi lunghi capelli scuri, le sue labbra sottili e decise...i suoi occhi tempestati di schegge di ghiaccio...
Con un sorriso, ripensò al nome in codice che aveva scelto.
*Ruri...significa 'lapislazzulo'...azzeccato, non c'è che dire*.
Scosse la testa e distolse l'attenzione da pensieri del genere: non aveva mai fatto il sentimentale in vita sua, certo non avrebbe cominciato adesso. Sicuramente era una gran bella ragazza, gli occhi per poterlo constatare li aveva anche lui, ma...di qui a pensare che...
"È ridicolo" disse ad alta voce, passando ad esaminare nuovi fascicoli "Devo smetterla con queste sciocchezze...".

Al Tokyo Plaza, Ruri Dakota si lasciò andare sdraiata sul letto, la testa che le pullulava di pensieri: possibile che nell'arco di ventiquattr'ore le cose potessero cambiare a tal punto? Un nuovo caso di cui occuparsi, un pluriomicida dotato di un potere paranormale, il viaggio in Giappone...la collaborazione con Elle...
Già, in effetti era proprio quell'aspetto che le dava maggiormente da pensare. Fin dal caso del serial killer di Los Angeles, non aveva sperato altro se non di poter lavorare di nuovo con lui, ma adesso si sentiva strana, in maniera quasi impercettibile. Dipendeva forse dal fatto che, ancora una volta, non lo avrebbe visto in volto?
*Che cosa stupida* si ritrovò a pensare, tirandosi su a sedere di scatto, il bel copriletto color crema che si andava leggermente a scompigliare *Non mi è mai importato niente di cose del genere, e di sicuro non ho bisogno di vederlo in faccia per poter dire che mi fido di lui. Queste paranoie sono ridicole*.
Già, in fondo, di cosa diamine si stava preoccupando? Forse l'idea di tenerla confinata lì e di evitare che per il momento incontrasse gli agenti giapponesi poteva sembrarle un po' esagerata, ma in fondo, era solo prudenza. E tanto per stare confinati come si doveva, aveva scelto la miglior suite di lusso di uno dei migliori hotel di tutta la città. 
Distrattamente, si alzò in piedi, attraversando la sontuosa camera da letto, dotata di un giaciglio a due piazze di forma circolare, di una televisione al plasma, di un armadio a sei ante provvisto di specchiera, di un paio di frigobar e di una splendida vista sulla città, e si diresse nel sontuoso salottino adiacente, che a sua volta ospitava molti oggetti di confort, fra cui uno splendido divano molto ampio e un nuovo televisore gigantesco a cristalli liquidi. Superando il grande acquario pieno di pesci tropicali alla sua sinistra, afferrò il telecomando che giaceva sul tavolino e accese la tv: il telegiornale delle sei del mattino stava andando in onda in quel momento.
"La serie di omicidi del serial killer dei criminali, conosciuto come Kira, sta proseguendo con la sua influenza in ogni parte del globo. La polizia non rilascia dichiarazioni ufficiali al momento, ma raccomanda ai civili di utilizzare prudenza e di non esporsi a rischi inutili. È stata confermata la collaborazione alle indagini da parte del detective Elle, la cui identità rimane tutt'oggi sconosciuta. Intanto, il Web continua ad accogliere messaggi di solidarietà rivolti allo stesso Kira, che stanno portando all'apertura di numerosi blog e social network inneggianti all'operato del cosiddetto 'giustiziere dei criminali'. Non sono state rilasciate ulteriori dichiarazio...".
Ruri spense di scatto il televisore, l'aria disgustata: le persone erano proprio ingenue. Inneggiare all'operato di quel malato di mente, come no...certo, erano tutti convinti che fosse una sorta di cavaliere bianco, pronto a liberare il mondo dai malvagi. Come si poteva non capire che colui che disponeva di una simile influenza e che si faceva portatore del potere di giudicare gli altri sarebbe presto divenuto folle, accecato dalla sua sete di dominio sul resto del mondo? Come si poteva pensare che uccidere fosse una cosa positiva?
Passandosi una mano nella sua folta chioma scura, non poté fare a meno di ricordare quanto lei stessa, a volte, avesse desiderato la morte di alcune persone...ma certo non per questo era passata al concreto! 
Improvvisamente, avvertì tutta la stanchezza delle ore precedenti invaderle il corpo e la mente, e sentì il bisogno di sedersi; forse aveva solo bisogno di un lungo bagno caldo, qualcosa che l'aiutasse a rilassarsi. Ma mentre si alzava in piedi per realizzare il suo proposito, avvertì improvvisamente che la vista le si stava annebbiando, e che le gambe le stavano cedendo. Cercando di fare forza sull'arto inferiore destro, provò a darsi una spinta che la mantenesse in piedi, ma finì per crollare rovinosamente a terra, il volto che andava a sbattere contro il pavimento. Provò ancora ad alzarsi in piedi, ma senza successo. Infine, quando riuscì a rimettersi in ginocchio, dopo numerosi tentativi, avvertì una maledettamente familiare sensazione all'altezza del petto. 
"Cazzo....!!" esclamò, cercando frettolosamente la sua borsa con lo sguardo "Non di nuovo!!!".
Per un istante, aveva pensato che potesse essere opera di Kira, ma quel senso di soffocamento e quel dolore le erano fin troppo familiari. Inoltre, se si fosse trattato del serial killer, probabilmente sarebbe morta sul colpo. No, Kira non c'entrava...in quel momento, aveva a che fare con un avversario contro cui combatteva da tutta la vita. 
Dandosi un'ulteriore spinta, riuscì ad alzarsi del tutto in piedi e a precipitarsi verso il suo bagaglio a mano, mentre la nebbia non smetteva di invaderle il cervello in maniera ancora più intensa: sapeva di non avere molto tempo.
"Forza, vieni fuori...cazzo, vieni fuori!!!!" si ritrovò ad urlare, in preda al panico.
Infine, ebbe successo nella sua ricerca: due flaconcini di medicinali apparvero ai suoi occhi, e la ragazza si affrettò subito ad ingerire alcune pillole che estrasse con foga da entrambi.
Quando finalmente le ebbe ingoiate, si appoggiò ai bordi della finestra, la schiena contro il muro e il respiro affannoso, aspettando che passasse tutto. Non appena il suo respiro tornò definitivamente regolare, e il suo corpo non fu più scosso dalle convulsioni, si rese conto che il cellulare che le aveva dato Elle stava squillando. Con passo ancora malfermo, si diresse verso il telefono e lo prese in mano, accettando la chiamata. Nell'udire la voce all'altro capo, si ricordò improvvisamente di aver già fatto in modo che le chiamate dirette al suo telefonino e al suo portatile fossero istantaneamente deviate verso gli apparecchi che il detective le aveva fornito. 
"Pronto?".
"Ehiiiiii tesoro!! Si può sapere dove sei sparita?! Sono ORE che cerco di contattarti!!".
Ruri non poté fare a meno di sorridere, malgrado fosse ancora sotto shock.
"Ciao, Robin. Sono contenta di sentirti".
Robin era sempre stata la sua migliore amica, fin da quando entrambe avevano poco più di tre anni; avrebbe potuto affermare con certezza che la considerava come una sorella, e che avrebbe tranquillamente affidato la propria vita nelle sue mani. In effetti, forse poteva dire che fosse l'unica persona al mondo di cui si fidasse al 100%.
Con la sua allegria, la sua spensieratezza, il suo dannato ottimismo era sempre in grado di tirarla su di morale, anche nelle situazioni più disperate.
"Vorrei anche vedere che non lo fossi!!" rise Robin, dall'altro capo "Allora?! Non mi hai ancora risposto, signorina! Dove diamine sei?!".
"Robin, sono...ecco, sono all'estero. Per lavoro".
"All'estero? All'estero dove, in Florida?".
Ruri esitò per un momento, ma infine decise di risponderle: poteva fidarsi di lei, e in fondo, quella linea era a prova d'intercettazione. 
"Ehm, no, non proprio" sorrise "Sono...sono a Tokyo, in Giappone".
"Eeeh?!? A Tokyo?!? Mi stai prendendo in giro?!?" sbottò Robin, incredula.
"Per niente".
"Hai detto che sei lì per lavoro?".
"Sì, ma non posso fornirti i dettagli, lo sai".
"Lo so, lo so...immagino già di cosa di tratta. La linea su cui stai parlando è sicura?".
Ancora una volta, la prontezza di spirito e l'argutezza di quella ragazza la fecero sorridere.
"Sì, ma comunque non posso risponderti su niente, lo sai".
"Potresti dirmi solo 'sì' o 'no'!! È per il caso Kira, non è vero?".
Ruri sospirò pesantemente.
"Robin...".
"Sì o no?".
Ruri sospirò di nuovo ma infine, sapendo che non le avrebbe dato tregua, optò per una risposta breve e concisa.
"Sì" le disse infine, senza riuscire a impedirsi di sorridere.
 La udì esultare subito, entusiasta.
"Lo sapevo!! Sapevo che avrebbero scelto te!! Sei sempre la migliore Nat...".
"Non chiamarmi così, per favore" la interruppe subito Ruri "Ti prego, per il momento chiamami 'Ruri'".
Dall'altro capo, Robin si manifestò perplessa.
"Ruri? È il modo in cui ti chiamavo quando eravamo piccole...".
"Esatto. Non utilizzare il mio vero nome fino alla fine delle indagini".
"Non lo avevi mai usato, prima d'ora. Perché non opti per un solo dei soliti nominativi in codice? Hanno sempre funzionato...".
"Questo caso è diverso" sospirò Ruri, passandosi una mano fra i folti capelli scuri.
"Sei sicura di star bene? Hai una voce strana...".
"Certo che sto bene! Come ti viene in mente una cosa del genere?" rise la ragazza, sedendosi sulla poltrona color cremisi nelle vicinanze.
"Non lo so, mi sembri...ecco, hai qualcosa di differente, rispetto al solito. Sei proprio sicura di star bene?".
"Sono solo un po' frastornata per il fuso orario".
"Potrebbe entrarci un ragazzo?" chiese improvvisamente la sua amica, maliziosa.
Ruri sospirò pesantemente, alzando gli occhi al cielo: era da quando erano entrambe entrate nella pubertà che Robin faceva i salti mortali per farle trovare un fidanzato, presentandole eserciti di amici single fino allo svenimento; era sicura che un giorno o l'altro l'avrebbe ammazzata, se avesse continuato così. 
"Lo sai che cosa rischi con una domanda del genere, vero?".
"Avanti, prima o poi dovrai deciderti!!" ridacchiò la giovane, con spensieratezza.
"Non mi risulta che sia ancora entrata in vigore una legge che me lo imponga".
"Andiamo, Ruri!! Davvero non c'è nessuno di interessante? Nemmeno fra gli agenti con cui lavorerai?".
"Se è per questo, non ne ho incontrato nemmeno uno" rise la moretta.
"Come sarebbe?".
"A parte il fatto che sono appena arrivata, per il momento non sono autorizzata a incontrarli. Ordini superiori".
"Il tuo capo?" replicò Robin, confusa.
"No, non è lui che dirige le operazioni".
"E allora chi? Aspetta...".
Robin fece una lunga pausa, e Ruri dedusse che probabilmente la sua amica stava ripensando agli ultimi telegiornali che aveva avuto modo di vedere, o alle ultime notizie che stavano girando su Internet.
"Elle?!?!" sbottò infine "Stai lavorando di nuovo con Elle?!!".
"E se posso permettermi un piccolo vanto, è stato lui che ha richiesto esplicitamente di me" disse Ruri, soddisfatta.
"Tesoro, è veramente meraviglioso!! Sono così contenta per te, voglio dire, desideravi un altro incarico del genere da una vita!!".
"Sì, puoi dirlo forte".
"Che tipo è?" proseguì la sua amica, tornando ad assumere un tono sornione. 
Ruri alzò di nuovo gli occhi al cielo, esasperata.
"Robin, ma che razza di domanda è?!! Lo sai che non si è mai mostrato ad anima viva, tantomeno lo ha fatto con me".
"Beh, scusami! Pensavo che, considerando che lavorerete insieme, potreste perfino diventare intimi...".
Udendola ridacchiare, Ruri dovette trattenere il suo nascente istinto omicida e imporsi di calmarsi.
"Robin, mi auguro ferventemente che tu stia scherzando".
"Andiamo, non è un'ipotesi così assurda!! Magari è carino...".
"Magari io sono qui per LAVORARE, non per vivere una soap opera!! E comunque che ne sai? Io dico che è vecchio e decadente...".
"O magari è il tipico biondino slavato con il faccino angelico, che tu non sopporti affatto" affermò Robin, senza smettere di ridacchiare.
Inspiegabilmente, anche se solo per un momento, Ruri parve rifletterci su, cercando di immaginarsi come potesse essere fisicamente quel misterioso detective che tanto ammirava; diamine, un biondino con la faccia da primo della classe?! No, decisamente non era così che se lo immaginava.
"Non voglio nemmeno pensarci, credo che perderebbe subito almeno un terzo della mia stima" rise Ruri, cercando di buttarla sul comico.
"In ogni caso, tienimi aggiornata, voglio sapere tutto di te e del bel tenebroso!!".
"Robin, ti ho già detto di non...".
"Scusami tesoro, il mio cercapersone sta squillando! Devo andare, altrimenti il primario mi uccide!! Ci sentiamo presto!".
"Dimentico sempre che la mia piccola Roby diventerà presto un eccezionale cardiochirurgo!" le disse affettuosamente.
"Solo se sopravvivo al mio periodo da specializzanda!! Allora a presto...Ruri!".
"A presto" sorrise l'agente, chiudendo la comunicazione.
Non appena ebbe posato il cellulare, si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, sospirando pesantemente; adesso ci mancavano solo Robin e la sua agenzia matrimoniale ambulante...
Senza più dedicare pensieri a quella faccenda, afferrò il piccolo flacone che poco prima le aveva salvato la vita e lesse le scritte poste sull'etichetta.
*Corticosteroide, inibitore della calcineurina...da assumersi almeno tre volte al giorno. Indispensabile per evitare le controindicazioni di un rigetto indotto dal trapianto cardiaco*.
Con un gesto di stizza, posò di nuovo il contenitore sul comodino e si diresse verso il bagno, decisa a immergersi nell'idromassaggio e a rimanerci fin quando il suo respiro non avesse smesso d'essere così affannoso.

Continua...

Nota dell'Autrice: Bene, siamo già al terzo capitolo!! Che ne pensate? Commenti? No, eh? XD Eh, lo so, stavolta fa più cagare del solito XD comunque, in questo capitolo abbiamo avuto già più delineata la figura della nostra protagonista, ma prometto che nel prossimo sarò ancora più precisa, e finalmente scopriremo qual è davvero il suo nome, e che cavolo!!! A proposito, lo so che si rischia di fare un po' di confusione, considerando che il racconto è in terza persona e che la nostra agente, un po' come Ryuzaki, ha 74 nomi XD Ho deciso che mi rivolgerò a lei, d'ora in poi, utilizzando il nome in codice 'Ruri' e più propriamente il suo vero nome, che scoprirete a breve (pensavo di fare la stessa cosa con Elle, alternando il suo vero nome con Ryuzaki). Lo avrei fatto anche prima, ma nessuno ci avrebbe capito niente! :D allora vi prometto di nuovo che tornerò presto con il prossimo capitolo, e nel frattempo, spero che la storia finisca per piacere a qualcuno!! Baci baci, Victoria

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Capitolo 4
*** Indagini ***


Capitolo 4- Indagini
 
Ruri entrò in bagno velocemente, chiudendosi subito la porta alle spalle e appoggiandovisi contro, il respiro non ancora del tutto regolare.
Non sapeva ancora quando quelle maledette crisi cardiache avrebbero smesso di assillarla, e forse non lo voleva nemmeno sapere, ma una cosa era sicura; se fossero proseguite così, nel tempo, probabilmente avrebbe finito per perdere il controllo al riguardo.
Scosse la testa, nel tentativo di non dedicare più pensieri a quella faccenda, ma non poté fare a meno di rifletterci ulteriormente sopra quando, nello spogliarsi con una discreta fretta, le comparve di fronte agli occhi la sua cicatrice più importante, riflessa nello specchio del lavandino.
I suoi occhi color blu oltremare, dotati di singolari schegge di ghiaccio, si concentrarono sul suo petto, dove i seni erano brutalmente divisi in due da quell’implacabile segno bluastro, che tutti i giorni della sua vita non mancava di ricordarle che non aveva un cuore del tutto suo.
Con stizza, si tolse il resto degli indumenti, incapace di staccare del tutto lo sguardo dagli ulteriori sfregi che le martoriavano la pelle delle braccia e di quasi tutto il torace.
Senza aspettare ulteriormente, aprì l’acqua della vasca idromassaggio e si immerse al suo interno, chiudendo gli occhi nel tentativo di non rimuginare ulteriormente.
Era tutta la vita che, guardandosi allo specchio, era costretta ad assistere a tutto ciò; non avrebbe permesso che questo la turbasse ulteriormente.
Molti anni prima, qualcuno le aveva detto che ciò che non l’avesse uccisa, avrebbe finito per fortificarla: probabilmente era vero. Era sopravvissuta fino a quel momento, aveva imparato a difendersi, aveva appreso come impedire che tutto ciò avvenisse di nuovo. Essere diventata un’agente dell’FBI le aveva anche concesso l’opportunità di far sì che cose del genere non accadessero anche ad altri, ma…era sicura di essere davvero all’altezza di un compito di quel tipo?
Accidenti, eppure come potevano ancora venirle in mente idee simili?! Era in pochissimo tempo diventata la miglior profiler dell’FBI, forse perfino del mondo intero, come poteva avere ancora una così bassa opinione di sé? Ad un tratto, quelle fatidiche parole iniziarono a rimbombarle nella mente…
 
*Non vali niente!! Perché qualcuno dovrebbe prendersi cura di te o accettarti?! Tu sei la più grande delusione e il più grande fallimento di una vita intera!!!!*.
 
Quell’invettiva, insieme a tutte quelle che l’avevano accompagnata, le bruciava sulla pelle anche più di quanto non riuscissero a fare quelle vecchie ferite…eppure…
No, non poteva, non poteva e basta. Adesso era un’agente dell’FBI, non avrebbe permesso a niente di distrarla dal risolvere quel dannato caso. Non sarebbe mai più stata debole, non avrebbe mai più permesso a nessuno di trattarla in quel modo orrendo.
Strinse i denti e respirò profondamente, impedendo alle lacrime di fuoriuscire: non avrebbe pianto. Non si sarebbe fatta sopraffare mai più dal dolore, non avrebbe mai più lasciato che nessuno fosse importante per lei al punto tale da ottenere il potere di farle del male. Non avrebbe mai più abbassato la guardia…
Circa un’ora più tardi, uscendo dall’idromassaggio, ripensò proprio alla stessa idea di mantenere pronti i riflessi e di non cessare di monitorare le sue difese; infilandosi l’accappatoio, tornò in camera da letto e si avvicinò alla sua borsa, estraendone una fotografia.
Ritraeva lei e Robin, insieme, il giorno del diploma: probabilmente, era una delle poche foto di lei, in circolazione, che permettessero di riconoscerla allo stato attuale.
Incapace di trattenersi dal sorridere, osservò il volto pallido e lentigginoso della sua migliore amica, i suoi capelli rossi, i suoi occhi verdi e curiosi, il suo sorriso luminoso; avevano scattato quella foto circa un paio d’anni prima, durante una piccola vacanza estiva che si erano concesse. Voltandola e dando un’occhiata al retro, i suoi occhi scorsero la calligrafia di Robin, che quel giorno aveva voluto lasciarle una dedica…
 
Avevo sentito parlare di quella che chiamano la vera amicizia. Adesso che ti ho conosciuta, capisco che, per me, avrà sempre il tuo nome. Natsumi Williams, non smetterò mai di volerti bene…
 
Con un altro sorriso, carezzò la superficie dell’immagine, le dita che sfioravano il profilo della ragazza ritratta insieme a lei.
Quella foto era uno dei ricordi più preziosi che possedeva, e, fino ad allora, non se n’era mai separata…possibile che adesso fosse necessario farlo, proprio per il bene di un’indagine, e magari…per salvaguardare la sua vita?
Beh, forse questo non era il problema che più la preoccupava…in fondo, aveva accettato quel caso proprio perché sentiva di non avere niente da perdere, e forse perché la carriera rappresentava seriamente tutto ciò che le restava, eppure…c’era qualcosa, qualcosa di impercettibile che le stava sfuggendo, un motivo sottile che, in modo diretto e inspiegabile, l’aveva spinta ad accettare d’impulso, senza nemmeno pensarci sopra.
Comunque stessero le cose, avrebbe dovuto sicuramente rimanere viva, per risolvere quel caso, quindi tanto valeva fare dei sacrifici.
Con gesto deciso e insolitamente freddo, strappò la fotografia in piccoli pezzi, bruciandoli poi con un piccolo accendino nelle vicinanze, l’espressione vuota.
Dopotutto, non poteva permettere che nessuno sapesse che il suo vero nome era Natsumi Williams…
 
A qualche chilometro di distanza, Elle fissò lo schermo del computer con espressione dubbiosa e quasi perplessa, gli occhi scuri intenti a osservare la figura di Ruri, che nel frattempo aveva appena strappato una fotografia, bruciandola immediatamente.
Perché aveva compiuto un gesto del genere? Forse non era importante, magari non significava niente, oppure…
Inspiegabilmente, si rese conto solo in quell’istante che la ragazza era ancora in accappatoio, e la cosa, in modo inavvertito, lo fece sentire parecchio strano.
Non era la prima volta che gli capitava di dover monitorare qualcuno, spiandone perfino l’intimità, eppure…vederla così vulnerabile gli procurava una bizzarra sensazione.
Certo, non si era di sicuro messo a guardarla mentre si immergeva nella vasca da bagno, anche se ogni tanto non aveva mancato di accertarsi che stesse bene con una sporadica occhiata, ma tutta quella situazione era così…
Una nuova chiamata di Watari richiamò la sua attenzione.
“Elle”.
“Che c’è, Watari?”.
“Ho i nuovi rapporti del coroner che aveva richiesto l’agente Dakota”.
“Bene, provvedi a inviarglieli subito”.
“A proposito di Ruri Dakota…”.
“Sì?”.
“Non credi che sarebbe meglio avvisarla delle telecamere che hai voluto installare nella sua suite?”.
Elle alzò un sopracciglio e scosse la testa.
“Ruri Dakota è una persona brillante, intelligente e dotata, ma a volte tende a essere impulsiva. Non credo che gradirebbe la cosa, e non ho tempo di discutere con lei. In più, non ho la minima inclinazione al riguardo, te lo garantisco”.
“Sicuro?”.
“Sì. A tempo debito, la informerò della cosa. È per la sua sicurezza, Watari, e in più, non voglio che metta in pericolo le indagini attentando alla sua vita. Ho bisogno del suo aiuto, lo sai”.
“Sì, me ne rendo conto. Piuttosto, hai notato cos’ha fatto poco fa?”.
“Evidente. Forse stava cercando di non lasciare tracce, probabilmente quella foto riportava il suo nome, o qualcosa del genere…Ruri è sempre stata un tipo prudente, malgrado l’impulsività di cui ti ho appena accennato” commentò Elle, quasi distrattamente.
“Mi rendo conto. Allora a più tardi”.
“Watari” lo trattenne Elle.
“Sì?”.
Il giovane detective esitò per la prima volta, come incerto su come proseguire.
“…hai scoperto niente riguardo ai farmaci che ha assunto poco fa?”.
Watari rimase in silenzio per un lungo momento, ma infine gli rispose.
“Sì, ho fatto come mi hai chiesto. Le registrazioni e le immagini che ne sono derivate…ecco, questo è il risultato”.
Sul computer di Elle apparve subito la foto di un flacone farmaceutico bianco, contenente…
“Corticosteroide, inibitore della calcineurina…” lesse Elle, con lentezza e attenzione “Questo significa che…”.
“Significa che la dottoressa Dakota ha subito un intervento di trapianto cardiaco. E l’assunzione di questi farmaci potrebbe voler dire che sta iniziando a non rispondere più ai trattamenti”.
Elle fissò ancora lo schermo, impassibile.
“Capisco. Sarà necessario tenerla d’occhio con ancora più attenzione. Aggiornami, nel caso in cui ci siano novità”.
“Ricevuto”.
Una volta chiusa la comunicazione con Watari, Elle aprì nuovamente i file riguardanti il caso Kira e tornò al lavoro, ma la sua mente geniale non poté distogliere del tutto il pensiero da quello della sua nuova collaboratrice e da tutto ciò che stava iniziando a scoprire su di lei…
 
Tre giorni dopo, il 13 Dicembre, Natsumi si sedette alla scrivania della sua suite, i suoi appunti sul caso di fianco, insieme alla documentazione che Elle le aveva inviato fino a quel momento.
Fin da quando era arrivata in Giappone, ogni giorno, più o meno alla stessa ora, aveva dovuto sintonizzarsi con Elle, che aveva sempre provveduto a inoltrare la chiamata al quartier generale speciale per le indagini sul serial killer dei criminali. Con una certa ironia, aveva notato che lui aveva provveduto a mascherare la sua immagine servendosi di una grossa R, scritta negli stessi caratteri gotici che aveva già visto: in quel modo, il computer che Watari utilizzava per metterli in collegamento con gli agenti giapponesi avrebbe avuto lo schermo diviso a metà fra la L del detective e la R dell’agente, intente entrambe a mascherare le loro identità.
Circa settantadue ore prima, Elle l’aveva presentata virtualmente agli agenti come la dottoressa Ruri Dakota, esperta criminologa dell’FBI, ma nessuno l’aveva ancora mai vista in volto: non poteva negare che quella situazione si stava già facendo un po’ seccante. Dopotutto, non era abituata a lavorare nell’ombra, ma quelle condizioni erano state irremovibili, considerando che aveva accettato il caso.
Prima che potesse riflettere ulteriormente, quell’ormai familiare L scura le comparve di fronte agli occhi.
“Ruri, la riunione sta per iniziare”.
“D’accordo. Avvia pure la trasmissione”.
Pochi istanti dopo, le apparve dinanzi l’immagine del quartier generale, dove tutti gli agenti che stavano lavorando in merito al serial killer dei criminali erano seduti alle loro scrivanie, completamente voltati verso la sua direzione, gli sguardi fissi sul monitor del computer di Watari.
“Bene, signori. Io e la dottoressa Dakota siamo pronti per cominciare. Dottoressa Dakota?”.
Natsumi si avvicinò al microfono, conscia che esso le avrebbe alterato la voce, e si schiarì la gola per parlare.
“Agenti, i miei rispetti. Per quanto mi riguarda, potete proseguire con l’illustrazione del rapporto di oggi”.
Il sovrintendente Yagami, che sedeva alla scrivania sul fondo della stanza, congiunse le dita delle mani e annuì prontamente, l’aria grave.
“Iniziamo con le informazioni dai civili” disse, serio.
“Sì” disse uno degli agenti presenti, alzandosi in piedi e cominciando a leggere parte dei documenti di cui disponeva “Finora, abbiamo ricevuto 3029 telefonate riguardanti questo caso… anche se, per la maggior parte, si trattava di domande di curiosi, più 14 chiamate di persone che affermano di conoscere Kira o di averlo avvistato. Abbiamo preso attentamente nota di ogni telefonata, ma…come stilato nel mio rapporto, non abbiamo riscontrato alcuna traccia di veridicità. Infine, abbiamo anche 21 casi di individui che sostengono di essere Kira”.
A quelle dichiarazioni seguì un silenzio carico di tensione, che nessuno pensò bene di interrompere: infine, l’agente Kanzo Mogi proseguì con la sua esposizione.
“Per non scartare alcuna possibilità, abbiamo convenuto di mettere tutto a verbale e poi archiviare” concluse l’uomo, rimettendosi poi a sedere.
“Mhm. Passiamo ora alle vittime” disse Yagami.
“Sì” disse un altro poliziotto, alzandosi a sua volta in piedi “Abbiamo verificato che tutti i decessi per arresto cardiaco chiaramente imputabili a Kira riguardano individui sui quali è possibile ottenere tutte le informazioni in Giappone. Inoltre…” l’uomo s’interruppe un momento, lanciando un’occhiata di sbieco nella direzione della telecamera da cui entrambi li stavano osservando “…ho qui le stime degli orari dei decessi espressamente richiesteci da Elle. Il 68% è avvenuto fra le 16.00 e le 02.00 di notte, ora giapponese, con una più alta concentrazione fra le 20.00 e la mezzanotte. I decessi avvenuti il sabato, la domenica e i giorni festivi vanno dalle 11.00 del mattino fino a tarda sera…”.
*Ci siamo* pensò Natsumi, le dita intente a tormentarle le labbra *Queste erano le informazioni che aveva richiesto Elle. Vediamo, gli orari dei decessi cambiano a seconda dei giorni in cui vengono commessi gli omicidi…differenze sostanziali fra i giorni feriali e i giorni festivi…questo significa che il nostro uomo ha un lavoro regolare, scandito da turni irremovibili e non modificabili. Ma un impiego del genere…potrebbe essere solo…*.
“È un’informazione davvero interessante” affermò Elle, anticipando il filo dei suoi pensieri “Stando agli orari dei decessi, ritengo possibile…che l’assassino sia uno studente”.
“Sono d’accordo” s’inserì Ruri, decisa “Questo dato coinciderebbe con alcuni tratti del profilo psicologico che siamo stati in grado di tracciare. Il nostro uomo agisce in maniera calcolata e razionale, ma a volte si lascia prendere da gesti e tendenze impulsivi…una caratteristica del genere è più facilmente da imputarsi a un soggetto giovane, presumibilmente un adolescente”.
“Un adolescente?! Lei sostiene che questi crimini potrebbero essere opera di un ragazzo?!” sbottò un agente, gli occhi strabuzzati.
“Non vedo cosa ci trovi di così allarmante” lo zittì Ruri, un po’ fredda “Le nevrosi sono in grado di danneggiare un individuo in qualsiasi momento della sua vita, non dobbiamo sorprendercene. Inoltre, i sintomi che presenta denotano una spiccata tendenza all’esibizionismo, probabilmente dovuto a un’eccessiva pressione nei suoi confronti e a uno spiccato bisogno di manifestare e di dimostrare qualcosa; se proprio vuole saperla tutta, non è escluso che provenga da una rispettabilissima famiglia borghese. Anzi, le probabilità al riguardo sono circa del 40%”.
“Lei…lei dice che…”.
“Ma c’è dell’altro” riprese Elle, noncurante “Poco fa, la dottoressa Dakota vi ha accennato qualcosa riguardo al profilo psicologico del killer: negli ultimi giorni, io e lei siamo arrivati a una conclusione di notevole importanza riguardo al modo d’agire di Kira, nonché alla sua personalità. Non possiamo esserne del tutto sicuri, eppure si tratta di una teoria che possiede una base alquanto solida. Poiché uccide soltanto criminali, abbiamo dedotto che l’assassino agisca seguendo un proprio codice morale; è possibile che voglia imporsi come un nuovo giustiziere. Non ho dubbi che si tratti di una persona dalla mentalità infantile…”.
Quelle deduzioni scatenarono un notevole mormorio fra i poliziotti, che però si zittì subito quando Elle riprese a parlare.
“Ma le mie sono soltanto ipotesi…quindi, non fissatevi troppo sull’idea che l’assassino sia davvero uno studente. Valutare diverse possibilità ci dovrebbe aiutare ad avvicinarci alla cattura di Kira. Dottoressa Dakota, lei ha qualcosa da aggiungere?”.
Certo che quel tizio era davvero strano: passava dal formale all’informale con una leggerezza che non aveva mai conosciuto. Ma forse era soltanto lei ad essere fissata con quelle stronzate…
“Non per il momento, Elle”.
“Molto bene. Signori, prego, continuate pure con le vostre relazioni”.
Il sovrintendente Yagami si schiarì la voce e proseguì.
“Sì, certo. A qualcuno è venuto in mente dell’altro?”.
A poca distanza, un giovane poliziotto, dotato di una scompigliata chioma scura, alzò la mano timidamente.
“Ehm, sì…” disse, alzandosi in piedi.
“Di’ pure, Matsuda” lo esortò a proseguire Yagami.
Guardandolo con attenzione, Natsumi dedusse che doveva essere molto giovane, forse poco più grande di lei.
“Beh…con questo non intendo assolutamente appoggiare Kira, ma…ecco, negli ultimi giorni ho notato che…a livello mondiale, e in particolare…in Giappone, il numero dei crimini è decisamente diminuito”.
Quell’affermazione riportò alla mente di Natsumi le immagini di tutti i blog e i social network che stavano nascendo in quei giorni, inneggianti all’operato di Kira e alla sua ‘missione’: le parole di Matsuda vennero seguite da un altro silenzio imbarazzante, interrotto solo infine dal sovrintendente.
“Beh…c’era da aspettarselo, visto come stanno le cose. C’è dell’altro?” domandò poi, mentre Matsuda si rimetteva a sedere.
Dopo un altro breve silenzio, Yagami riprese a parlare.
“È tutto, questo era il rapporto di oggi. Elle”.
“Grazie della collaborazione” riprese il detective, mentre gli occhi di Natsumi saettavano verso la porzione del monitor che occupava la grossa lettera gotica “Questo è un altro passo verso la cattura del colpevole. Ora, avrei un’altra richiesta da farvi, se non vi dispiace: mi rivolgo alle squadre che si occupano delle indagini sulle vittime tramite notiziari e Web. Vorrei che controllaste di nuovo le notizie che sono state pubblicate o trasmesse in Giappone prima che le vittime venissero uccise da Kira; vorrei sapere se sono state rese pubbliche fotografie o filmati del volto dei criminali. Dottoressa?”.
Natsumi, ancora non del tutto abituata a essere chiamata in quel modo, si riscosse leggermente e si avvicinò ancora al microfono.
“Gradirei che la questura di Tokyo mi facesse pervenire i rapporti relativi alle disposizioni dei testimoni ascoltati per il caso. Inoltre, vorrei poter essere messa in contatto con il medico legale che si è occupato delle autopsie. Un nuovo elemento che ci sarà utile per risolvere il caso riguarderà sicuramente il comprendere fino in fondo in che modo Kira riesca a provocare quegli arresti cardiaci. È tutto”.
“I nostri canali di comunicazione rimarranno sempre aperti per eventuali necessità” concluse Elle “Buon lavoro…”.
Non appena l’immagine del quartier generale scomparve di fronte ai suoi occhi, quella di L riprese a invadere del tutto lo schermo.
“Che cosa ne pensi?” le domandò il detective.
Ruri ingoiò alcune delle sue medicine, e prese del tempo per rispondere.
“Penso che dovremo tenere d’occhio la pista dello studente. E che valga comunque la pena dare un’occhiata all’esame del coroner, anche se dubito che troveremo qualcosa di significativo. Dannazione, ci dovrà pur essere un modo con cui procura l’arresto cardiaco!”.
“A mio giudizio, è troppo presto per concentrarsi sul modus operandi, Ruri”.
“Beh, saperne di più al riguardo ci condurrebbe più vicini allo scoprire l’identità del colpevole”.
“Ma non abbiamo sufficienti indizi fra le mani per poterlo fare”.
“Elle…”.
“Ciò che voglio dire” la interruppe lui, conciso “È che non possiamo basarci su informazioni affrettate o incomplete”.
“Che cosa suggerisci?” disse Ruri, per la prima volta con tono un po’ infastidito.
“Aspettiamo che Kira faccia la sua prossima mossa”.
“Hai intenzione di attendere che gli omicidi proseguano?” ribatté Ruri, sorpresa.
“Il modo migliore per conoscere il tuo avversario è capire come pensa e come agisce” rispose Elle, sempre impassibile.
“Va bene, mi fido di te. Lo sai”.
“Lo so”.
“A proposito, hai intenzione di dirmi quando questa situazione giungerà al termine? Non possiamo arrestare Kira se rimaniamo confinati nelle nostre stanze”.
“Per il momento, non voglio che lasci la tua postazione. Sarebbe un passo falso notevole, spero che tu te ne renda conto” replicò Elle.
Natsumi sospirò, passandosi una mano di fronte agli occhi.
“Sì, lo so…lo so…”.
“Avrei una richiesta da farti, Ruri” proseguì Elle.
Sorpresa, Natsumi tornò a fissare il monitor.
“Ti ascolto”.
 
Nella sua stanza, Elle osservò con attenzione l’immagine della ragazza, che era andata a sostituire la grossa R che aveva dominato durante la riunione al quartier generale, cercando di intuire qualsiasi pensiero le stesse attraversando la mente.
“Vorrei che mantenessi un filo di comunicazione costante con i tuoi colleghi dell’FBI. Sappiamo per certo quando potranno essere sul posto?” le disse.
La vide bere un sorso di caffè e poi rispondere lentamente.
“Arriveranno domani mattina, intorno alle 07.30”.
“Bene. Watari ha già provveduto a monitorarli come si deve”.
“Come hai fatto con me?”.
Quella domanda lo lasciò spiazzato, ma non gli impedì di replicare con calma.
“Sarebbe a dire?”.
“Sarebbe a dire che non sono così sprovveduta da non accorgermi che la stanza è piena di telecamere, Elle. Pensavi d’avere a che fare con una stordita?”.
Elle non riuscì a trattenersi dal sorridere.
“Non ti sfugge niente, vero?”.
“Avevi in programma d’informarmi?” continuò lei, con astio.
“Al momento opportuno” rispose lui, deciso.
“Questa risparmiatela per il quartier generale. Pensavo che avessi richiesto la mia collaborazione perché ti fidi di me”.
“Ed è così”.
“E perché mi ritieni valida, capace e in grado di badare a se stessa” seguitò Ruri.
“Ed è così” ripeté Elle.
“E allora posso sapere che cosa…” iniziò la ragazza, ma Elle la interruppe.
“Ruri, voglio solo che tu eviti di esporti a inutili pericoli. Stiamo lavorando insieme, non dimenticarlo, e non posso permettere che la tua collaborazione alle indagini venga messa a repentaglio da qualche colpo di testa o da qualche inavvertita mancanza d’attenzione”.
“Mi stai dando dell’imprudente?”.
“Sto cercando di proteggerti. Come faccio con me stesso. Sono sicuro che sei perfettamente in grado di gestire questa situazione nel migliore dei modi, ma…per il momento, non posso permetterti di farlo da sola. Questo è il mio caso, Ruri. Non permetterò che vada in fumo, e perché questo non avvenga, è necessario che tu sia monitorata ventiquattr’ore su ventiquattro” disse Elle, in tono conclusivo.
“Pensavo che questo fosse il nostro caso, Elle”.
“Lo è. Ed è per questo che non permettermi di correre inutili rischi. Mi dispiace, Ruri”.
Ruri sospirò pesantemente, passandosi una mano nella folta chioma scura, ma infine si sforzò di sorridere.
“D’accordo, come vuoi”.
“Allora a più tardi. Contattami non appena avrai notizie dai tuoi colleghi dell’FBI” le ricordò lui.
“Vorranno essere aggiornati sull’incarico da svolgere, quando arriveranno qui. Hai intenzione di parlarci personalmente, o vuoi che gli inoltri un messaggio?”.
“Parlerò con il capo dell’FBI, quando sarà necessario farlo. Ho la sensazione che avranno presto molto da fare”.
Dallo sguardo di lei, capì che avrebbe voluto chiedergli qualcosa, ma infine desistette, scuotendo la testa.
“Come vuoi. A dopo”.
Elle chiuse la comunicazione senza dire un’altra parola, ma anche quando lo sguardo color ghiaccio di Ruri fu scomparso dal monitor, esso non si nascose alla sua vista, invadendogli la mente e occupando il filo dei suoi pensieri.
Ma non aveva senso, diamine, quella situazione non aveva alcun senso. Non gli era mai importato d’avere l’approvazione di nessuno, tantomeno dei suoi collaboratori, forse non gli importava di avere nemmeno quella di Watari, e allora…perché quegli occhi si rivelavano talvolta in grado di turbarlo? Perché sentirsi apprezzato da lei gli provocava uno strano brivido lungo la schiena?
Riflettendoci ulteriormente, giunse a una conclusione semplice e logica: forse era la prima persona al mondo con cui riuscisse ad avere una conversazione alla pari.
Perfino Watari, che era stato quanto di più simile a un padre potesse avere, e che era un uomo intelligente e acuto, non era in grado di fargli provare una sensazione del genere. E d’altronde, il caso Kira lo stava prendendo come niente era stato in grado di fare prima di allora…forse, tutto era collegato proprio a questo. Si trovava di fronte a un serial killer senza precedenti, in grado di calcolare le sue mosse in maniera attenta e razionale, per quanto fosse ridicolo e infantile il suo atteggiamento. Magari era esattamente per quel motivo che riusciva a comprenderlo così bene…ma per quanto riguardava Ruri…poteva dire che fosse la stessa cosa? Poteva dire che l’avvertisse simile a lui?
*In parte è così…in parte…no…*.
 
Nell’alto della sua suite, Natsumi riuscì a distogliere lo sguardo dal computer solo udendo suonare il suo telefonino.
Rispondendo, capì che la chiamata proveniva da un numero familiare.
“Pronto” disse, semplicemente.
“Misaki, sono Naomi”.
La voce della sua ex collega Naomi Misora le giunse alle orecchie, familiare e chiara come sempre.
“Naomi…ciao” ribatté, sorpresa.
“Ciao. Scusami, non vorrei disturbarti…”.
“No, figurati, nessun disturbo”.
“Volevo…ecco, mi chiedevo…volevo sapere come stavi”.
Natsumi sospirò, alzandosi dalla scrivania e sedendosi nella poltrona nelle vicinanze.
“Sto bene, Naomi, anche se sarebbe più opportuno che fossi io a farti questa domanda”.
“Misaki…”.
“Non chiamarmi in quel modo. Sto lavorando” la interruppe Ruri, un po’ secca.
“Certo, capisco. Come devo…”.
“Sono Ruri Dakota. Che cosa posso fare per te?” domandò Ruri, decisa.
Dall’altro capo del telefono, Naomi rimase in silenzio per un po’.
“…Ruri…ce l’hai ancora con me, non è vero?”.
Natsumi sospirò pesantemente, passandosi una mano davanti agli occhi.
“Mi ha chiamato per chiedermi questo?”.
“Ti ho chiamato perché volevo parlare con un’amica, ma non posso farlo, se tu continui a…”.
“Naomi, per l’amor di Dio! Lo sai che ti voglio bene, ma non puoi pretendere che ti approvi!”.
“Non mi aspetto questo” replicò Naomi, con tono triste.
“E allora cosa?”.
“Mi aspetto che tu mi accetti comunque per quella che ho deciso di essere!”.
“La casalinga disperata a cui piace tanto accudire la casa e il suo maritino stronzo? Scusami, ma questo non ha niente a che vedere con la Naomi che conoscevo!”.
Ci fu un silenzio lungo e doloroso, al termine del quale Ruri sospirò nuovamente, chiudendo gli occhi per qualche istante.
“Scusami, mi dispiace…”.
“Non serve” la interruppe freddamente Naomi.
“Senti, mi dispiace, va bene? Non volevo dire ciò che ho detto…” ripeté Ruri, ora a disagio.
“Ma è quello che pensi, non è così?” replicò Naomi.
Ruri sospirò per l’ennesima volta.
“È la tua vita, Naomi; non sarò io a dirti come devi o dovresti viverla. Solo…vorrei che tu non perdessi il contatto con la realtà e con te stessa. È che Penber è così…voglio dire, a volte ti tratta in un modo…”.
“Lo so. Può essere irascibile…”.
“Irascibile? Io lo definirei un fottuto bastardo…” si lasciò sfuggire Ruri.
“Ruri, ti prego…”.
“Va bene, senti, lascia perdere, ok? Non è il caso di parlarne ancora. Mi piacerebbe solo che ti rendessi conto che ti considero una gran donna, e che è proprio per questo che sono così arrabbiata con te” le disse, più dolcemente.
“Perché ho scelto di rimanere con l’uomo che amo?”.
“Perché gli hai permesso di importi di scegliere fra lui e la tua carriera. E per avergli concesso l’opportunità di avere un potere così grande su di te”.
Dall’altro capo del telefono, Naomi sospirò con altrettanta tristezza.
“Ruri…sei mai stata innamorata?”.
Quella domanda la colse di sorpresa, portandola a cambiare espressione.
“Naomi…”.
“Lo sei mai stata?” insisté la sua vecchia amica, con decisione.
Ruri attese qualche altro minuto prima di rispondere, ma infine si pronunciò.
“L’amore ha i suoi limiti…”.
“Forse è proprio qui che ti sbagli. E da ciò che hai detto, capisco che non lo sei mai stata”.
“Naomi…”.
“Il giorno in cui lo troverai, ricordati quello che ti ho detto. Non so se Ray sia del tutto l’uomo giusto per me, ma so che è di lui che mi sono innamorata, e questo mi basta. Mi basta davvero…sul serio”.
Ruri sospirò per l’ennesima volta e si rialzò in piedi, iniziando a passeggiare per la stanza.
“Come vuoi, Naomi…non so nemmeno bene che cosa risponderti, a questo punto. C’era nient’altro che volevi dirmi?”.
“Sì. Volevo dirti che mi recherò in Giappone insieme a Ray: partiamo fra poco”.
Ruri spalancò gli occhi di fronte a quella notizia.
“Sul serio? Ti ha permesso di venire con lui? Quale onore…”.
“Con l’occasione, gli presenterò anche i miei genitori” proseguì Naomi, ignorando il suo commento.
“Ah, capisco. Bene, sono contenta di saperlo, Naomi, ma temo che non riusciremo a incrociarci comunque, non posso lasciare la mia postazione…”.
“Quello che volevo dirti” la bloccò Naomi, trafelata “È che puoi contare su di me per ogni cosa. Dico sul serio, per qualsiasi ragione, sentiti pure libera di chiamarmi”.
Capendo ciò a cui si stava riferendo, Ruri scosse la testa.
“Naomi, apprezzo la tua dedizione, ma…mi dispiace doverti ricordare che non lavori più per l’FBI” le disse, stancamente.
“Lo so, ma…”.
“E che non sono autorizzata a fornirti nessuna informazione riguardo al caso; tanto per la cronaca, spero che il tuo fidanzato si ricordi che questo vale anche per lui”.
“Ho sentito dire che stai lavorando con Elle” le disse Naomi, lasciandola ancora spiazzata.
Natsumi attese qualche secondo prima di rispondere.
“Sì…è vero. Ma non dovresti parlare di queste cose, senza prima accertarti che la linea che stai utilizzando sia davvero sicura”.
“Scusami, hai ragione” le disse Naomi.
“In ogni caso, l’unica cosa che posso dirti e assicurarti è che cattureremo Kira, a qualunque costo. Hai la mia parola” le si rivolse Ruri, in tono di conclusione.
“Non lo metto in dubbio. Sei sempre stata la migliore, Ruri”.
“Dopo Elle” le ricordò la ragazza, con tono scherzoso.
Dall’altro capo, avvertì che Naomi stava probabilmente sorridendo.
“Dopo Elle…” ripeté lentamente.
“Adesso devo salutarti, il dovere mi chiama. Fammi avere tue notizie, d’accordo?”.
“Lo farò” le assicurò Naomi, più affettuosamente.
“E non farti mettere sotto da Ray. Non te lo meriti” le disse poi Ruri.
“Farò anche questo” promise Naomi.
Ruri si accinse a chiudere la comunicazione, quando la voce della sua ex collega la richiamò.
“Ruri…?”.
“Sì?” rispose.
Naomi rimase in silenzio più a lungo del solito, e infine riprese a parlare, una nota malinconica impressa nella voce.
“Mi manchi…” le disse, quasi mormorando.
Senza nemmeno comprendere bene perché, Ruri avvertì una fitta all’altezza del petto, ma quelle parole la portarono comunque a sorridere ancora una volta.
“Mi manchi anche tu…” le rispose alla fine, sussurrando a sua volta.
“Allora…ciao”.
“Ciao…”.
Ruri riattaccò il telefono, per poi appoggiarsi al muro con una mano, il respiro pesante e gli occhi socchiusi. Diamine, perché doveva essere così difficile?
Sapeva che non avrebbe mai accettato fino in fondo la scelta di Naomi, ma in fondo, che cosa poteva davvero importargliene? Certo, le dispiaceva che avesse deciso di buttare via la sua vita in quel modo, le dispiaceva che non si curasse del suo talento e della sua carriera, le dispiaceva aver perso una splendida collega d’indagine, ma in fondo…ciò che davvero le faceva male al cuore era vedere una ragazza così giovane maltrattata da un uomo a cui lei stessa teneva così tanto.
Ben presto, finì per sedersi di nuovo sulla stessa poltroncina, prendendosi la testa fra le mani; dopo qualche minuto, con estrema lentezza iniziò ad arrotolarsi le maniche del maglioncino, scoprendo ancora alla sua vista i numerosi tagli e le infinite cicatrici che le deturpavano la pelle. Con una calma ricca di dolore, li sfiorò con delicatezza, per poi tornare a coprire quei maledetti segni con un gesto di stizza molto frettoloso.
Già…forse il punto era proprio quello…non avrebbe mai più sopportato che una donna venisse in alcun modo maltrattata da un uomo che le era caro…esattamente a causa di ciò che le era successo.
Passandosi una mano dietro il collo, le sue dita sfiorarono un taglio la cui cicatrice era ancora più netta delle altre; era una ferita inflitta con un piccolo coltellino svizzero…uno di quegli oggetti che suo padre portava sempre con sé.
Alzandosi in piedi, sentì il suo nome bruciarle sulla pelle come non mai: Williams, Natsumi Williams, la figlia di John Steven Williams, ambasciatore della Casa Bianca nella capitale italiana…l’uomo che per quasi vent’anni l’aveva resa oggetto delle sue violenze…
 
Il 16 Dicembre, tre giorni dopo, Ruri aprì gli occhi nell’udire un segnale di richiesta da parte di Elle.
Tirandosi su con passo malfermo, indossò subito qualcosa e si sedette di fronte al computer.
“Elle, sono in ascolto”.
“Ruri, ho appena ricevuto una chiamata urgente da parte del quartier generale. Abbiamo un problema”.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Eccociiiii, siamo arrivati al quarto capitolo!! Lo so, lo so, so che la storia procede un tantino a rilento, ma vi prometto che non vi farò aspettare ancora moltissimo prima del loro primo incontro, non dubitate! I primi capitoli sono un po’ di introduzione alla storia, credetemi, anch’io non vedo l’ora che quei due si incontrino di persona!! Intanto, vorrei ringraziare TANTISSIMO AnonimaKim, Annabeth_Ravenclaw, Pinkamena Diane Pie e Norahmckey per aver recensito la storia!! Spero che continuerete a seguirla e che vi farà appassionare, grazie di cuore per le recensioni! E grazie di nuovo ad Annabeth e a Pinkie per aver inserito la storia fra le seguite, ne sono molto felice! Specifico una cosa che prima non avevo fatto notare: come c’è scritto fra le caratteristiche della storia, preciso che la fanfiction sarà anche una songfic, per cui capiterà che, di quando in quando, inserisca alcune canzoni, chiamiamola pure la cosiddetta ‘colonna sonora’, perché no! ;) ci tengo a precisare che scelgo le canzoni scrupolosamente in base sia ai testi, che alla musica! Spero che mi fornirete la vostra opinione anche su di esse, al momento opportuno, mi piacerebbe molto che mi diceste il vostro parere in merito!! Detto ciò, vi saluto e prometto di tornare presto con il prossimo capitolo!!! Baci, Victoria

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Capitolo 5
*** Un gioco pericoloso ***


Capitolo 5- Un gioco pericoloso
 
Ruri si sedette più dritta sulla sedia e fissò lo schermo con determinazione, un po’ in ansia. Di che cosa diamine stava parlando?
“Che genere di problema?” gli domandò subito, quasi trafelata.
“Kira ha ricominciato a uccidere”.
Quella notizia, a dire il vero, non la sorprese più di tanto.
“Beh, non è una grande novità…e poi, non era quello che aspettavi?”.
“Non è questo il problema”.
“E allora cosa…”.
“Inoltro la comunicazione al quartier generale, siamo in diretta” la interruppe Elle sbrigativo.
Dopo un paio di secondi, sul monitor le apparve nuovamente la sala riunioni che in quei giorni aveva virtualmente visto molte volte.
In quello stesso momento, il sovrintendente Yagami stava parlando con alcuni dei suoi sottoposti, l’espressione scomposta e quasi sconvolta.
“Che cosa?!?” gridò Soichiro, gli occhi fuori dalle orbite “Ieri…ieri ci sono state altre ventitré vittime per arresto cardiaco?!”.
“Sì…”.
Ventitré?! Ancora? E tutte in Giappone? Ma cosa diamine…Avevano appena stabilito con certezza la posizione del loro serial killer, e adesso tutti i maggiori omicidi si concentravano proprio in quel Paese…
*Guarda un po’ che coincidenza…ma cosa diavolo sta facendo? Sembra che si diverta a confermare la nostra teoria…*.
“Anche l’altro ieri le vittime sono state ventitré…e tutte a un’ora di distanza l’una dall’altra…”.
Ruri si passò un paio di dita sulle labbra, come faceva sempre quando rifletteva; quell’assassino possedeva una precisione metodica nel commettere i suoi delitti, quasi maniacale. Ventitré uomini uccisi, la cui morte avviene a un’ora di distanza da quella che la precedeva e da quella che la seguiva…tutti giapponesi…ma come potevano aver appreso subito della loro morte, a meno che…
“Sono omicidi di carcerati?” domandò immediatamente, accostando le labbra al microfono che le alterava la voce.
Yagami, udendola, parve quasi riscuotersi da una trance, ma si affrettò subito a risponderle.
“Sì, pare di sì…”.
“Quindi, Kira voleva che venissimo subito a conoscenza delle morti…direi un giochetto piuttosto sadico…” replicò Ruri, disgustata.
“E inoltre, c’è da aggiungere che sono avvenute per due giorni feriali di fila” s’introdusse un altro poliziotto.
“Esatto” replicò il suo collega “E questo metterebbe in dubbio la pista dello studente…”.
“Ma chiunque potrebbe non andare a lezione per un paio di giorni” obiettò un terzo, perplesso.
In quell’istante, la metallica voce di Elle li interruppe bruscamente.
“Siete fuori strada”.
Gli occhi azzurrissimi di Ruri si spostarono subito verso la sua gotica iniziale, che ancora era presente sul suo monitor.
“È vero che l’ipotesi dello studente si fa meno probabile, ma…non è questo che Kira voleva comunicarci”.
Già, il punto era probabilmente un altro…quegli omicidi rappresentavano una sorta di messaggio per la polizia, o meglio ancora…una specie di prova.
“Perché uccidere a distanza di un’ora e limitare le vittime a dei criminali già dietro le sbarre, così da farci venire immediatamente a conoscenza delle morti?”.
Ruri avrebbe voluto chiedergli qualcosa, ma preferì aspettare che terminasse, quasi pendendo da ogni singola parola che il detective pronunciava.
“Ciò che Kira ci sta dicendo…” riprese lentamente Elle “È che può decidere l’ora del decesso a suo piacimento”.
“Questo cambia le cose…” disse finalmente Ruri, dopo un lungo silenzio “Se l’ora del decesso non corrisponde all’ora in cui effettivamente Kira avrebbe potuto ‘compiere’ l’omicidio, anche se ancora mi domando come diamine tutto questo sia possibile…allora non possiamo più essere certi nel delineare una fascia oraria sicura in cui il killer potrebbe o non potrebbe commettere i suoi assassinii”.
“Esatto…” assentì Elle “Signori, adesso vorrei consultarmi in merito alla questione insieme alla mia collaboratrice. A che punto siete con la ricerca relativa alle informazioni diffuse sui criminali?”.
“Avremo i risultati fra pochi giorni, Elle” lo rassicurò Yagami.
“Molto bene. A più tardi. Watari ci manterrà in contatto con voi”.
Non appena la comunicazione con il quartier generale fu interrotta, Ruri fissò l’iniziale del detective con ancora più attenzione.
“Che cosa ne pensi?” gli domandò subito.
“Beh, è molto strano…” iniziò Elle, circospetto “Esprimo il sospetto che Kira sia uno studente, e subito dopo…si verificano omicidi che mettono in discussione la mia teoria. Non può essere un caso; il tempismo con cui sono avvenuti è perfetto”.
“Quindi, possiamo dedurne che Kira ci sta in qualche modo osservando” affermò Ruri, concentrata.
“Che Kira sia a conoscenza delle informazioni in mano alla polizia?” le disse poi il detective.
Ruri rimase in silenzio per qualche altro istante, pensierosa.
“Sembrerebbe una spiegazione plausibile…” rispose infine, con lentezza “Ma perché vorrebbe farcelo sapere? Insomma, se davvero è uno studente, e davvero desiderava allontanarci da questa pista, agendo in questo modo ha complicato le cose…non credi che ci abbia fornito un vantaggio?”.
“È possibile, ma tutto è da ricollegarsi soltanto al suo modo d’agire, nonché di riflettere, naturalmente”.
Ruri sospirò, passandosi una mano nella folta chioma scura.
“Stai dicendo che Kira ci sta provocando?”.
“Qualcosa del genere. Beh, direi che questa…è sicuramente…”.
 
Nella sua stanza, Elle si espresse in un sorrisetto strafottente, prima di completare la frase.
“…una sfida…” disse infine.
Osservando l’immagine che la telecamera gli trasmetteva, vide il bel volto di Ruri assumere un’espressione stupita e al tempo stesso un po’ seccata.
“Io lo definirei ‘gioco pericoloso’. Questo tizio è un vero psicopatico…”.
“Un ‘pazzo lucido’, come lo hai definito tu tempo fa” la corresse lui, noncurante.
“Mettiamola come vogliamo, ma direi che siamo al punto di partenza” dovette ammettere Ruri.
“Non proprio. Se confermiamo la nostra teoria secondo cui Kira avrebbe bisogno di un volto e di un nome per uccidere, allora avremo fatto un ulteriore passo avanti”.
Ruri gli regalò un’altra occhiata penetrante.
“Pensavo che fossi sicuro su questo punto…”.
“Non del tutto. Non finché quest’ipotesi non è chiara al 100%” replicò Elle.
Il giovane la vide stiracchiarsi sulla sedia, e per la prima volta si rese conto che aveva il volto segnato da brutte occhiaie.
“Che cosa succede?” le domandò subito.
Ruri lo guardò sorpresa, alzando un sopracciglio.
“Di cosa parli?” rispose, un po’ incerta.
“Non stai dormendo, per caso?”.
Il volto di Ruri divenne ancora più stupito.
“Ehm…perché questa domanda?”.
“Stai dormendo oppure no? Non mi sembra che tu stia bene”.
“E a me sembra che tutta questa preoccupazione sia fuori luogo” replicò Ruri, a metà fra il serio e lo scherzoso.
“Ruri, cerca di capire, ho bisogno che tu sia lucida. C’è un motivo in particolare per cui passi le notti in bianco?”.
Infine, si accorse che si stava spazientendo, ma non era ancora pronto a demordere.
“Elle…”.
“È una domanda semplice”.
“E la mia risposta semplice ti dice che questi non sono affari che ti riguardano”.
Elle rimase un momento in silenzio, sorpreso da quell’astio, ma infine la vide passarsi una mano di fronte al volto, gli occhi chiusi.
“Scusami” riprese subito dopo, rialzando lo sguardo “È solo che…non voglio che il mio lavoro si mischi con altro. Nient’altro”.
“Non c’è nient’altro, Ruri. Perché quest’affermazione?”.
“Perché non voglio che tu sia preoccupato per me. Non ce n’è bisogno”.
“Forse non mi sono spiegato bene” iniziò il detective, destando la sua attenzione “Non sono preoccupato per te, e quello che fai nella tua vita privata non mi riguarda. Ma finché lavori a questo caso, non posso permettere che la tua salute venga compromessa”.
“Sono in grado di badare a me stessa. E la mia salute non è affatto compromessa, dico sul serio” replicò Ruri, adesso fredda.
“Puoi garantirmelo con certezza?” insistette Elle.
“Hai bisogno di un certificato medico?” lo provocò Ruri, incrociando le braccia.
“Ho bisogno che tu ti prenda cura di te stessa, te l’ho già detto”.
“Cazzo, Elle…”.
“E mangia qualcosa. Non hai ancora quasi toccato cibo, da quando sei arrivata”.
“Stai controllando ogni mio movimento, per caso?!” sbottò la ragazza, ora quasi furiosa.
“Pensavo ti fossi accorta delle telecamere”.
“Senti, Elle, tutto questo è…”.
“Ho delle novità riguardo alle disposizioni fornite ai tuoi colleghi dell’FBI. Vuoi continuare a discutere o preferisci che te ne metta al corrente?” la interruppe lui, impassibile e incapace di trattenere un altro sorriso.
Non sapeva perché, ma il temperamento di quella ragazza gli piaceva parecchio…
 
Dal canto proprio, Ruri dovette trattenere l’impulso di prendere a calci quel maledetto computer; fece un respiro profondo e si calmò lentamente. Dopotutto, non aveva né tempo né voglia di discutere, tantomeno con quel detective…ma dannazione, non lo avrebbe definito così tirannico, tempo prima. Quando avevano lavorato insieme, in passato, non le era sembrato così…sfacciato. Ecco. Era sfacciato. E anche un po’ arrogante. E forse dispotico, sì, dispotico.
*Un po’ come te…* si ritrovò a pensare, dovendo trattenere a forza un sorriso stupido.
Diamine, ma a cosa cavolo andava a pensare!!
“Ti sto ascoltando” gli disse, cercando di adottare un tono neutro.
“Bene. Come ti avevo accennato, non ero ancora sicuro riguardo all’incarico da fornirgli, ma visto come stando le cose, adesso non ho più alcun dubbio”.
Ruri attese con calma che continuasse, le braccia incrociate.
“Ho già parlato con il vostro capo. Voglio che indaghino sui membri del quartier generale che sono a conoscenza delle informazioni riguardanti il caso Kira, e naturalmente, sulle loro famiglie e conoscenze”.
Ruri alzò un sopracciglio di fronte a quella dichiarazione, l’aria dubbiosa.
“Non ti fidi della polizia giapponese?”.
“Non del tutto. In realtà, avevo in mente di fornire simili disposizioni anche prima che Kira ci regalasse un indizio così nitido, ma adesso, beh…la situazione si fa ancora più chiara”.
“Capisco. Non posso che darti ragione, è la cosa migliore da fare. Quanti sono gli indiziati?”.
“141. Esclusi i familiari e le persone che potrebbero essere entrate in contatto con loro”.
“Non sono sicura che avremo uomini a sufficienza per il caso, lo sai, Elle. Sono soltanto in dodici; a meno che, ovviamente, tu non voglia che alla squadra investigativa mi unisca anch’io”.
“Tu sei già parte della squadra investigativa, Ruri”.
“Sai perfettamente che cosa…”.
“Sì, so che cosa intendevi. E se desideri continuare a lavorare con me, la risposta è no” replicò Elle, inamovibile.
Ruri assunse un’ulteriore espressione infastidita, e incrociò ancora le braccia.
“Te lo hai mai detto nessuno che sei prepotente, capriccioso, infantile, sfacciato e arrogante?” non si fece scrupolo di dirgli, decisa.
Elle rimase per qualche altro momento in silenzio, prima di risponderle.
“Posso affermare con una certezza del 27% che lo sei anche tu, Ruri”.
“Lo so…” replicò la ragazza, quasi sorridendo nuovamente.
“Spero che la cosa non ti disturbi eccessivamente”.
“In realtà, mi piace”.
 
Quella frase lo colpì in modo particolare, lasciandolo sorpreso ancora una volta.
Non sapeva perché, ma vederla piegare le labbra in quella maniera peculiare, pronunciandosi in quel sorriso ironico e sincero al tempo stesso, gli provocava un senso d’empatia che era certo di non aver mai provato prima. Accidenti, eppure era una questione professionale.
“Pensavo stessimo parlando di lavoro” le disse, senza nemmeno rendersi conto da dove venissero le parole che stava pronunciando.
“Io sto parlando di lavoro. Hai perso il filo, detective?” gli domandò, quasi con soddisfazione.
“Non perdo mai il filo di niente” replicò Elle, deciso ad avere l’ultima parola.
“Bene, allora immagino che sia tutto”.
“È probabile che riceveremo un’altra chiamata dal quartier generale non appena ci saranno notizie riguardo a ciò di cui parlavamo prima. Mantieniti pronta”.
“Lo faccio sempre”.
“Un’ultima cosa, Ruri”.
Il ragazzo vide che l’agente, già pronta per alzarsi in piedi, si stava risistemando meglio sulla sedia, l’espressione attenta.
“Sarebbe?”.
“Potresti fornirmi alcune informazioni sui tuoi colleghi dell’FBI coinvolti in queste indagini?”.
Elle vide che la giovane era rimasta ancora più sorpresa da quella richiesta che da tutto il resto della loro conversazione.
“Non starai per caso dicendo che non hai effettuato tutte le ricerche possibili e immaginabili sul loro conto, vero? Senti, questa non me la berrei nemmeno se fossi ubriaca…” sentenziò Ruri, alzando gli occhi al cielo.
“Non sto parlando di questo” replicò Elle “Stavo chiedendo la tua opinione riguardo alla loro professionalità e competenza. Van Hooper mi ha assicurato che sono i migliori in assoluto. Tu che cosa mi dici?”.
Ruri sospirò, trattenendosi dallo stringersi nelle spalle.
“Devi capire che non molti erano entusiasti all’idea di sottoporsi a questo caso”.
“Posso immaginarlo”.
“Ma comunque, i dodici agenti che hanno accettato…beh, sono sicura che faranno un buon lavoro. Hanno anni di esperienza alle spalle, saranno in grado di cavarsela”.
“È una valutazione che vale per tutti?”.
 
Quella domanda la colse di sorpresa, ma decise comunque di rispondere in modo appropriato e sincero.
“Beh…ecco, avrei preferito che nelle indagini non fosse coinvolto l’agente Ray Penber, ma probabilmente è più una questione personale che altro”.
“Il tuo giudizio professionale al riguardo?”.
“È impulsivo, si fida troppo del suo istinto, non è attento ai dettagli ed è grossolanamente prevenuto su tutto ciò che vede. Personalmente, credo sia un idiota”.
“Farò in modo di tenerlo d’occhio, allora. Sai che mi fido del tuo parere”.
Il sentirlo affermare una cosa del genere la fece nuovamente rimanere stupita, ma cercò di non battere ciglio di fronte alla cosa.
“Ne sono lieta” riuscì a dire infine.
“A dopo” disse lui per l’ennesima volta, chiudendo la loro comunicazione.
 
Subito dopo, Elle si lasciò andare a terra, sedendosi al suolo e passandosi una mano di fronte al volto: non gli era mai capitato in tutta la sua carriera di dover avere una conversazione così difficile con una sua collaboratrice. Perché, con il passare dei minuti, aveva avuto sempre di più la sensazione che non stessero parlando semplicemente delle indagini?
Ma era una cosa del tutto ridicola…diamine, non conosceva nemmeno quella persona. E d’altronde, lui non faceva niente che non avesse un senso o che non fosse razionalmente calcolato. Ecco perché l’avrebbe tenuta d’occhio. E per quanto riguardava quella maledetta frase tramite cui lei aveva affermato di gradire il suo modo di essere, beh…sicuramente, il brivido che gli aveva attraversato la schiena in quel momento era dovuto a qualche corrente d’aria che stava invadendo la stanza.
Con gesti decisi e meccanici, avviò una nuova chiamata con Watari.
“Elle”.
“Watari…monitora la dottoressa Dakota in modo ancora più attento. Non voglio che ci sfugga nemmeno un suo movimento”.
“Bene”.
Non appena ebbe finito, si rialzò in piedi, iniziando a passeggiare per la stanza, l’espressione attenta e concentrata: doveva dedicarsi a quel caso mente e corpo, non aveva tempo per le distrazioni. Doveva ricominciare da ciò che possedeva.
*Kira ha un modo per sottrarre informazioni alla polizia. Non posso ignorare questo fatto…ma quale sarà il suo vero obiettivo? Cosa sta cercando di ottenere?*.
 
Nella sua stanza, Ruri si alzò in piedi definitivamente, stiracchiandosi e gettandosi sul letto, lo sguardo rivolto verso il soffitto. Quella situazione stava iniziando a sfuggirle di mano, ne era quasi sicura. Ma diamine, come le veniva in mente di farsi coinvolgere in quel modo? In effetti, non poteva negare che quell’individuo, con tutte le sue dannate manie, stesse decisamente rischiando di farle perdere la pazienza, ma…perché, nonostante tutto, era sempre più convinta che il suo atteggiamento fosse dannatamente intrigante?
*Intrigante?!?!* sbottò, tirandosi su a sedere *Per Dio, sto cominciando ad assomigliare a Robin…ehi, no, un momento…detto così, sembra che ci stessi flirtando!*.
Inorridì alla sola idea, ripensando controvoglia alle insinuazioni di Penber e al loro ridicolo battibecco di poco prima…come facevano a venirle anche soltanto in mente certe idee?! Non sapeva nemmeno chi fosse quella persona, non lo aveva mai neanche visto in volto, non conosceva il suo nome e la sua vera voce…e poteva dire di sentirsi attratta da un cazzo di computer?!
*Non è il suo computer, accidenti!! È il suo lavoro, ecco cosa. Quella maledetta professionalità, quel maledetto intuito, quel suo modo d’essere dannatamente geniale…la verità è che, forse, vorrei essere al posto suo. Sì, magari è questo il punto…*.
Ripensandoci bene, concluse che si stava sbagliando: il solo fatto che quella situazione le stesse così stretta indicava che non era affatto adatta a nascondersi ogni giorno, mascherando la propria voce e il proprio viso al resto del mondo. Certo, era sua abitudine utilizzare frequentemente nomi falsi per non farsi riconoscere, ma quella circostanza era…
Ma perché diamine era stata così entusiasta di accettare la proposta di Elle? Era vero, avevano lavorato insieme, ed erano stati una squadra eccellente, ma la verità era che, dal caso del serial killer di Los Angeles, non aveva smesso di pensare a lui per un solo momento…
*È solo una questione di lavoro, tutto qui. Lo ammiro. Che cosa c’è di strano? Ero lieta e orgogliosa che lui avesse scelto proprio me per queste indagini, aspettavo quest’occasione da una vita e adesso ce l’ho. Che cos’ho da lamentarmi? In fondo, non è niente di personale…*.
 
Un paio di giorni più tardi, non appena la riunione al quartier generale fu cominciata, una brutta sorpresa si presentò di fronte agli occhi di Ruri e di Elle.
Tre agenti avevano appena posato alcuni documenti sulla scrivania del sovrintendente, le espressioni cupe e tese.
“E queste che sono?!” sbottò Yagami, guardandole con aria stralunata.
“Richieste di dimissioni, come può vedere” replicò uno dei poliziotti, serio “Le chiediamo di affidarci un altro caso, se ciò non fosse possibile”.
“Ma…ma per quale motivo?!” replicò Soichiro.
“E ce lo chiede?! Perché ci teniamo, alle nostre vite!” rispose il suo sottoposto, infervorato.
“Secondo il ragionamento di Elle, Kira può uccidere a distanza tramite una specie di potere paranormale, no?” continuò un altro.
“Se io fossi Kira, per prima cosa toglierei di mezzo chi sta cercando di catturarmi” seguitò il terzo.
“Perché la cattura significherebbe una condanna a morte” completò il suo compagno.
“Si ricordi di quella volta che, con una messa in scena, Elle sfidò Kira in tv, invitandolo a ucciderlo…ma Elle non si fa vedere, e nessuno conosce il suo nome”.
A quelle parole, a cui Ruri si aspettava che Elle replicasse, seguì un breve silenzio, dopodiché il poliziotto riprese a parlare.
“Qualche giorno fa, Elle ci ordinò di indagare sulle notizie che erano uscite in Giappone, a proposito delle vittime di Kira. Voleva che scoprissimo se erano state rese pubbliche foto o filmati dei criminali, prima di essere uccisi”.
Batté entrambi i pugni sulla scrivania del sovrintendente, preso da una nuova foga, prima di proseguire.
“E aveva visto giusto!!” esclamò “Abbiamo scoperto che nei notiziari giapponesi erano stati mostrati i volti delle vittime!!”.
Lentamente, l’uomo si voltò verso il computer, sul cui schermo troneggiavano come sempre le iniziali R e L, indirizzando ad esso uno sguardo di profondo disappunto.
“Il punto è…che a differenza di qualcuno, noi indaghiamo con un distintivo che riporta la nostra foto. Siamo allo scoperto! Noi non lavoriamo nell’ombra, come fa quel tizio con la sua collaboratrice”.
Ruri sentì il bisogno di dire qualcosa, ma si trattenne: si rendeva conto che sarebbe stato inopportuno.
“Sarebbe perfettamente plausibile se Kira, prima o poi, ci facesse fuori”.
“Per questo, chiediamo di essere trasferiti in un’altra squadra. Con permesso”.
Detto tutto ciò, i poliziotti voltarono le spalle al loro superiore e ai loro colleghi, avviandosi verso l’uscita.
“Ehi voi, aspettate!!” tentò di richiamarli inutilmente Yagami, alzandosi in piedi “Tornate qui!!”.
Con un certo disappunto, Elle e Ruri interruppero la comunicazione coi poliziotti nello stesso momento, sintonizzandosi sul loro canale privato. Ormai, stava lentamente diventando un’abitudine.
“C’era da aspettarselo” sbuffò Ruri, impaziente “Ma non posso dire di non capirli fino in fondo…”.
“In ogni caso, è una situazione fastidiosa, ma inevitabile, suppongo. A dire la verità, se posso dirtelo, era proprio quello che aspettavo”.
Ruri alzò un sopracciglio, dubbiosa.
“Stavi attendendo che quei poliziotti si ‘selezionassero’ da soli, per così dire?”.
“Esatto”.
“Capisco”.
“Sei ancora in contatto con i tuoi colleghi, come ti avevo chiesto?” le domandò poi Elle.
“Sì, ma per il momento non hanno riscontrato niente di sospetto. Watari mi ha detto che ti avrebbe fatto rapporto al riguardo”.
“Sto aspettando la sua chiamata”.
“Allora proseguo con l’analisi della deposizione del coroner” affermò Ruri, con un breve sorriso.
“Bene”.
 
Elle chiuse il contatto con Ruri e passò a quello con Watari, iniziando nel frattempo a sfogliare i fascicoli che lui stesso gli aveva fornito il giorno prima.
“Watari, puoi fornirmi il rapporto di oggi?”.
“Gli agenti dell’FBI sono arrivati in Giappone quattro giorni fa, stanno indagando su coloro che hanno legami con la polizia”.
“E che sono presenti su questa lista?”.
“Esatto. Finora, ancora niente di realmente sospetto; non c’è altro da aggiungere”.
Elle scorse lentamente le numerose pagine che aveva fra le mani, l’espressione tesa e concentrata: i suoi occhi d’ebano si posarono sulle molteplici fotografie e sui dati che aveva fra le mani, soffermandosi per qualche istante su quella del sovrintendente Yagami.
*Soltanto fra gli agenti, 141 persone hanno accesso alle informazioni del quartier generale…ma tra di loro, o tra le loro conoscenze…*.
Elle lasciò cadere i documenti a terra, ancora più pensieroso di prima.
*C’è sicuramente Kira…*.
 
Nel frattempo, a qualche chilometro di distanza, Ruri chiuse il computer e si alzò in piedi, iniziando a passeggiare per la stanza, la mente che le rimbombava di pensieri: cosa diamine stava facendo Kira? Possibile che avesse davvero conoscenze nella polizia? Beh, era evidente, altrimenti come avrebbe potuto essere messo a parte di ciò che stava accadendo e dei loro sospetti? Senz’altro, non poteva certo affermare che avessero a che fare con uno sprovveduto.
Cercando di distrarsi, si sedette sul divano e accese il televisore, lo sguardo fisso: in quel momento, sul canale 5 stava andando in onda il notiziario delle 20.00.
“E ora, i nuovi fatti di cronaca. Stando alle informazioni che ci sono pervenute, risulta oggi certa la morte di ben 46 persone, decedute all’interno delle carceri di molte regioni del Paese. Al momento, non disponiamo di dati certi riguardo ai decessi di questi criminali, ma senza dubbio possiamo affermare che sia opera di Kira, il misterioso giustiziere del male attualmente ricercato dalla polizia”.
Scuotendo la testa, Ruri afferrò il telecomando, intenzionata a spegnere la tv, quando qualcosa la trattenne.
“E adesso, ascoltiamo al riguardo l’illustre e autorevole parere di uno dei più stimati e degni rappresentanti della nostra nazione. Signori, abbiamo qui con noi, questa sera, l’ambasciatore della Casa Bianca John Steven Williams. Buonasera” proseguì poi la sorridente giornalista, volgendosi alla sua sinistra.
Sbigottiti, gli occhi di Ruri fissarono di nuovo lo schermo, mentre la loro proprietaria restava quasi paralizzata: di fronte al suo sguardo disgustato, c’era suo padre, nel suo splendido completo gessato, il sorriso soddisfatto e strafottente come suo solito.
“Allora, ambasciatore, qual è la sua opinione su questa drammatica serie di omicidi?”.
La voce di John le giunse alle orecchie come il suono di centinaia di unghie che stridevano sulla lavagna.
“Beh, è molto semplice, suppongo. Ritengo che ci troviamo di fronte a un fenomeno di massa di proporzioni indescrivibili, ma che, senz’altro, possiede alcuni requisiti piuttosto positivi”.
“Può spiegarsi meglio?”.
“Questo cosiddetto Kira sta concentrando la sua furia assassina nei confronti di criminali, assassini, pregiudicati. Secondo la mia opinione, questo suo incedere finirà soltanto per agevolare il sistema carcerario, permettendoci di ridurre le spese relative alle detenzioni a vita e ai mezzi tecnici per attuare le condanne a morte. Senza contare che il tasso di criminalità si ridurrà notevolmente,  e un dato del genere ci permetterà di diminuire considerevolmente la pressione fiscale sui cittadini”.
Ruri ingoiò velocemente un sorso di vodka, cercando di trattenersi dal vomitare.
“Quindi, lei sta affermando di essere a favore dell’operato di Kira?”.
“Sto solo valutando la cosa dal punto di vista più concreto possibile. E se posso permettermi di dirlo, la polizia dovrebbe fare altrettanto. Il solo fatto che a capo delle indagini sia stato messo questo fantomatico Elle…beh, è senza dubbio ridicolo e inconcludente”.
“Ambasciatore Williams, negli ultimi anni lei è stato oggetto di ben sette denunce per violenza sessuale e per aggressione; non ritiene che precedenti del genere potrebbero attirare su di lei l’attenzione di questo serial killer?”.
Il sorriso si congelò sulle labbra dell’uomo, che tuttavia non perse il suo contegno.
“Se posso dirglielo, questa è una domanda tendenziosa, signorina”.
“Può rispondere?” insistette lei.
“Beh, sono sicuro che Kira saprà distinguere i veri criminali da coloro che sono stati accusati ingiustamente, soprattutto considerando che la pubblica autorità non è mai giunta all’attuazione di alcun provvedimento concreto, nei miei confronti. Dopotutto, si tratta di un nuovo cavaliere del bene, per così dire. Non ho dubbi che, a tempo debito, saprà rendersi conto coerentemente di quali siano i suoi veri alleati. Non ho altro da aggiungere”.
“Molto bene, signore e signori, questa era la posizione di John Williams, che ci ha gentilmente allietato con la sua presenza nel nostro telegiornale. E adesso, passiamo al servizio sullo spaccio di droga nella zona…”.
Ruri spense di scatto il televisore, scagliando il telecomando da una parte e piegandosi in avanti, i lunghi capelli neri che andavano a nasconderle il volto.
Infine, si passò una mano davanti agli occhi e poi alla bocca, cercando di trattenersi dal gridare o dallo scoppiare a ridere istericamente.
“Che figlio di puttana…” disse infine, rialzandosi e tornando alla sua scrivania.
Era quasi sul punto di riaccendere il computer, quando il suo cellulare squillò nuovamente.
Facendo per prendere la chiamata, quasi pensò d’avere in corso una qualche strana allucinazione: sul display, era appena apparso il numero di Ray Penber.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Noooooo, ho aggiornato un’altra volta, ma che cavolo mi sta succedendo?!?! Cioè, io non ci posso credere, non è da me, dico sul serio!!! Ma da quando in qua aggiorno così velocemente?! È una cosa da pazzi, da manicomio, dico sul serio!! O.O Ma forse, tutto è dovuto ai vostri splendidi commenti e al vostro meraviglioso affetto…ma lo sapete che vi adoro?!? Un abbraccio virtuale a tutteeeee!!!! :DDDD Ringrazio ancora moltissimo AnonimaKim, norahmckey, Pinkamena Diane Pie e Annabeth Ravenclaw per aver commentato, davvero, non so veramente come ringraziarvi! Anzi, forse il mio ringraziamento è stato l’aver scritto subito il quinto capitolo, anche se dubito che sia un granché XD In ogni caso, non vedo l’ora di sapere che cosa ne pensiate J Grazie molte anche a Rack12345 per aver inserito la storia fra le seguite, spero che commenterai anche tu, e di nuovo grazie ad AnonimaKim, norahmckey, Pinkamena Diane Pie e Annabeth Ravenclaw per aver fatto altrettanto! Infine, ringrazio ancora norah per averla messa anche fra le ricordate, grazie, grazie davvero di cuore!! Bene, spero che fra un paio di capitoli si possa infine giungere al tanto atteso incontro!
Bene, sperando che questo capitolo non vi abbia fatto eccessivamente vomitare, adesso scappo!! Un bacio e alla prossima, Victoria <3 

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Capitolo 6
*** Scelte ***


Capitolo 6- Scelte
 
Ruri rispose con circospezione, preparandosi psicologicamente al dover parlare con quel tacchino ignorante.
“Pronto”.
“Beh, era ora! Hai idea di quante volte abbia cercato di contattarti? O magari non ti hanno insegnato che il cellulare si tiene acceso?!”.
Ruri si pronunciò in un sorrisetto disgustato, roteando gli occhi.
“Ciao anche a te, Ray. È sempre un piacere sentirti”.
“Lo immagino, Yasuba”.
“Non mi chiamare in quel modo”.
“Ah, giusto, dimenticavo i tuoi affettuosi nomignoli in codice. Sentiamo, qual è quello che utilizzi stavolta?”.
Ruri dovette trattenersi dal riattaccargli in faccia, respirando profondamente.
“Sono l’agente Ruri Dakota, Penber. Che cosa diamine posso fare per te?”.
“Lo avresti saputo prima, se solo ti fossi decisa a fare le cose come si deve…”.
“Se ti riferisci a questo fottuto telefono e al fatto che lo tenessi spento, sappi che stavo lavorando, Penber, lavorando, hai presente? Quella cosa che si fa con la forza di volontà, la costanza, la capacità, la concentrazione e anche con quell’altra cosa che tu non hai, com’è che si chiama…ah, sì. Il cervello”.
“Molto spiritosa”.
“È sempre un piacere”.
 "Allora, come va con il tuo amichetto detective? Vi state divertendo?" sghignazzò l'uomo, deridendola.
Ruri sospirò pesantemente, cercando a tutti i costi di mantenere la calma.
"Bene, Penber, adesso ascoltami, e vedi di farlo molto attentamente, perché non te lo ripeterò una seconda volta: ho appena passato le ultime dieci ore a esaminare documenti che riguardano questo fottuto caso, senza cavarne quasi un ragno dal buco. Ho un gran mal di testa del cazzo, una notevole propensione a prendere a calci qualsiasi cosa si trovi nei paraggi e una spiccata tendenza all'omicidio, tanto per rimanere in tema. Detto tutto ciò, considerando che avverto il profondo desiderio di ridurti in poltiglia anche quando il mio umore è roseo, ti suggerisco di darci un taglio con queste stronzate e dirmi per quale cazzo di motivo hai pensato bene di disturbarmi, o te ne farò pentire amaramente".
"Uuh, paura. Senti, francamente non m'interessa se oggi lo zio Fiume è venuto a farti una visitina" proseguì Penber, ghignando.
Ruri alzò gli occhi al cielo, frenandosi dallo sbraitargli addosso.
"Sei davvero disgustoso. E va bene, Penber, lo hai voluto tu; ti saluto, ho di meglio da fare che perdere il mio tempo con te".
La ragazza fece per riattaccare, quando, inaspettatamente, la voce del suo collega la chiamò indietro.
"Peccato, ero convinto che fossi interessata a conoscere il rapporto di oggi sulle mie indagini, ma se la metti così...".
"Aspetta un attimo, era per questo che mi avevi chiamata?" sbottò subito Ruri.
"Pensavi che volessi invitarti a cena? Sono sempre in tempo, bambolina...".
"Tappati quella fogna e prega che Naomi non ti abbia sentito, animale. Allora, che cos'hai per me?".
"Gentile come sempre".
"Hai intenzione di farmi perdere tutta la sera?".
"Non sarebbe una cattiva idea...".
"Penber...!!!!".
"Va bene, va bene, ho capito. Ti sembrerà strano, ma nemmeno io ho troppa voglia di discutere".
"Non si direbbe; comunque sia, ti decidi a parlare sì o no?".
"Ti dico subito che non ho trovato niente di interessante" le anticipò Ray, il tono scocciato.
"E allora perché mi stai disturbando?".
"Perché Van Hooper mi ha ordinato di fare rapporto a te e a Elle con una certa costanza, e non lo avevo ancora fatto. A proposito del disturbarti senza motivo, in effetti speravo di poter ottenere qualche risultato concreto, nel frattempo, ma non puoi ricavare niente, quando non c'è niente da ricavare".
"La tua saggezza è commovente. Parli chiaro o no?".
"Quello che voglio dire" replicò Ray, rabbioso "È che stiamo sprecando preziosi momenti da dedicare alle indagini; questi assurdi pedinamenti e appostamenti sono quanto di più inconcludente potessimo programmare, credimi".
"Sarebbe a dire?" replicò Ruri, asciutta.
"Sarebbe a dire che è perfettamente inutile mettersi alle costole di questi poliziotti e delle loro famiglie, non stiamo arrivando a niente".
"Solo perché il tuo caso non presenta anomalie, non significa che questo valga anche per gli altri. Tanto per la cronaca, è del tutto evidente che Kira abbia accesso alle informazioni della polizia: di conseguenza, è proprio da qui che dobbiamo partire. Scommetto che perfino tu sei in grado di capirlo".
"Dakota, sto cercando di essere civile. Potresti cortesemente fare altrettanto?!!!" gridò Penber dall'altro capo, quasi furioso.
"Va bene, va bene. Allora, parliamo del caso: chi ti hanno affibbiato?".
Ruri lo udì sospirare scocciatamente, e dovette trattenersi dal rispondergli di nuovo a tono.
"Ho dovuto farmi in quattro, una cosa da non credersi. In questi giorni, mi hanno ordinato di pedinare la famiglia Kitamura e la famiglia Yagami".
"Ah beh, ti sono toccati i due pezzi grossi, eh? E come va?".
"Principalmente, ho scelto di concentrarmi con più interesse sugli Yagami, per il momento. E considerando che il sovrintendente è quasi sempre al lavoro e che è raro che la madre e la figlia facciano molto di più che starsene in casa a guardare la televisione, ho dedicato maggiori attenzioni al figlio maggiore".
Mentre Ray continuava a parlare, Ruri si sedette alla sua scrivania, cominciando a sfogliare i documenti riguardanti gli agenti al momento indagati, che Watari le aveva fornito un paio di giorni prima: Elle aveva voluto che avesse le stesse informazioni di cui lui stesso disponeva. Scorrendo con attenzione i fascicoli, si fermò improvvisamente su quello relativo proprio alla famiglia Yagami. Con lentezza, dette uno sguardo alle foto di Sayu, Soichiro e Sachiko Yagami, per poi passare alla quarta, che ritraeva un giovane ragazzo sui diciott'anni, dal viso pulito e di bell'aspetto.
"Il figlio maggiore, hai detto?".
"Sì. Light Yagami".
"E che mi dici di lui?".
"Assolutamente niente di significativo".
"Ovvero?".
"È uno studente modello, probabilmente il migliore di tutto il Giappone. Durante il giorno, non fa altro che andarsene a lezione, studiare, trascorrere a malapena un po' di tempo con gli amici...è arrivato primo in tutte le graduatorie dello Stato, ed è anche campione regionale di basket e di pallavolo. Ha anche una spiccata propensione per il tennis, e a volte presta il proprio talento al vicino doposcuola, dando ripetizioni gratuitamente".
"Questo lo dice già la sua cartella" lo interruppe Ruri, spazientita.
"Beh, è tutto quello che c'è da sapere di lui".
"Stai scherzando, Penber?! Stai dicendo che dopo giorni che lo segui non hai ancora trovato nulla? Non hai notato davvero niente di strano?".
"Come ho già detto, è impossibile notare qualcosa, quando non c'è niente da notare".
"O magari non usi gli occhi come dovresti!".
"Vuoi ricominciare?".
"Voglio che tu faccia il tuo lavoro decentemente, per una volta".
"Non sei il mio capo, Dakota. È meglio che tu non ti faccia strane idee al riguardo".
"Già. Peccato che il NOSTRO capo ti abbia espressamente ordinato di riferire a me tutto ciò che fai, per cui direi che sono io quella a cui devi rispondere. Allora" riprese poi, zittendolo subito "Sarà meglio che nei prossimi giorni ti concentri meglio su questo Yagami; non so perché, ma ho la sensazione che sia meglio tenerlo d'occhio".
"Ti ho già detto che non ha niente di sospetto. Andiamo, è praticamente il figlio ideale...".
"Appunto" lo interruppe Ruri, lo sguardo concentrato sulla fotografia del ragazzo "Ha ottimi voti, un curriculum eccellente, fa volontariato e aspira a diventare poliziotto come suo padre...è troppo perfetto".
"Non starai dicendo che vuoi che pedini qualcuno più del dovuto solo perché ti sembra troppo perfetto? Mi auguro vivamente che tu stia facendo del penoso umorismo, Ruri".
"No, Ray, non sono mai stata così seria" replicò Ruri, a sua volta molto tagliente "Non possiamo escludere nessuna pista, e considerando con quanta facilità stai saltando a conclusioni, dati i tuoi pessimi precedenti in materia di risultati d’indagine, posso affermare che non è bene lasciar perdere questo ragazzino così facilmente. Continua a seguirlo, chiaro? E mantienimi informata su ciò che scoprirai".
"Mi sembrava di averti già detto che io non prendo ordini da te, Dakota".
"Penber...".
"E sono perfettamente in grado di gestire queste indagini a modo mio, senza che tu e il tuo prezioso Elle vi mettiate in mezzo. Light Yagami non ha niente di sospetto, è un ragazzo normalissimo, e io non ho intenzione di perdere il mio tempo seguendolo a scuola o a qualche dannato appuntamento con una ragazza!! Cristo, è solo un adolescente!!".
"Penber, il fatto che una persona compia una serie di azioni nell'arco di quattro giorni non implica necessariamente che ripeta quei gesti in ogni dannato momento della sua vita!!!" sbottò Ruri, esasperata "Certo che per essere un agente dell'FBI sei veramente un cretino!!!!".
“Va bene, adesso ne ho proprio abbastanza!! Non ho nessuna intenzione di starmene qui a farmi comandare a bacchetta da una come te!!!”.
“Ho sentito bene, Penber?!? Vuoi metterti contro i tuoi superiori?! Lo sai che perderai il caso, oltre che, probabilmente, il posto?!”.
“Questo è tutto da vedere. Per il momento, considero quasi del tutto chiusa la faccenda di Light Yagami; lo tallonerò per un altro paio di giorni, e poi basta! Non ho nessuna voglia di sprecare il mio tempo in modo così inconcludente, e se tu e il tuo piccolo, stupido detective siete disposti a farlo, questo non è affar mio! Addio, Dakota”.
“Penber, maledizione, se scopro che Light Yagami ha qualcosa a che fare con questa storia, io ti…”.
Non fece in tempo a completare la frase, poiché Ray le aveva già riattaccato il telefono in faccia.
“IO TI FACCIO CAUSA, PENBER!!!!” completò, nonostante tutto, per poi scagliare il cellulare sul divano, quasi dall’altra parte della stanza.
Esausta e snervata, nonché ancora incredula di fronte al fatto che potessero esistere esseri umani così decerebrati, si sedette nuovamente alla sua scrivania e riprese a esaminare i fascicoli sfogliati fino a poco prima.
Senza nemmeno sapere perché, non riusciva proprio a distogliere gli occhi dalla fotografia dello stesso Light Yagami; sicuramente, era tutto ciò che Penber aveva descritto. Un tipo molto intelligente, ligio al dovere, acuto, un bravo ragazzo…o almeno, così sembrava.
Diamine, forse Penber aveva ragione, si stava fissando troppo su un dettaglio che avrebbe potuto rivelarsi insignificante, e certo tutti loro non avevano tempo da perdere. Eppure, c’era qualcosa…forse riguardava la pista dello studente proposta da Elle, o forse il fatto che presentasse un quoziente intellettivo così alto, o forse che avesse fatto già la sua iscrizione alla facoltà di Criminologia dell’Università di Tokyo, o forse…forse tutto aveva a che fare con la carriera di suo padre…
Non lo sapeva, ma tempo addietro le avevano insegnato a riflettere con calma, analizzando bene i fatti, ma senza sottovalutare l’istinto.
Con un gesto rapido, afferrò di nuovo il cellulare, colta da un pensiero improvviso: se davvero Light Yagami aveva qualcosa a che fare con quelle morti, non era escluso che fosse già all’erta, nel tentativo di capire se fosse osservato o meno, e di conseguenza…
*Se Light Yagami è Kira, Penber potrebbe essere in pericolo. Ma andiamo, tutto questo non ha senso…non posso saltare a conclusioni affrettate così dal niente. Non ho nulla in mano…è vero che non è opportuno lasciarlo perdere così facilmente, ma di qui a sospettare in concreto che lui possa essere il killer…beh, è decisamente eccessivo. Magari dovrei aspettare un possibile responso o qualche risultato dagli altri agenti…accidenti, sicuramente si dovranno pur rivelare più competenti di Penber, altrimenti rischio di infilarmi la pistola in bocca prima della fine di questa storia. Ma perché ho cominciato a fissarmi così tanto su quel ragazzo? Diamine, forse sto solo lavorando troppo…*.
Eppure, prima di tornare al suo lavoro, non poté in ogni caso fare a meno di mandare un sms all’amica Naomi, pregandola di tenere d’occhio Ray per quanto fosse nelle sue possibilità.
 
In quello stesso momento, Elle diede un’altra occhiata allo schermo della telecamera che stava inquadrando Ruri, rendendosi conto di nuovo d’essere quasi incapace di staccarne lo sguardo.
Passandosi una mano davanti al volto, per la prima volta in tutta la sua vita si domandò se la loro collaborazione non avrebbe potuto essere migliore, in qualche modo…magari, incontrandola di persona…
Immediatamente, si dette dello stupido: come facevano a venirgli in mente pensieri del genere? Non si era mai fidato di nessuno a tal punto, di nessuno…solo Watari aveva visto il suo volto, fino a quell’istante, e allora come diavolo poteva andare a pensare cose di quel tipo?
Si stava soltanto facendo prendere da una stupida simpatia, che forse stava nascendo in lui per quella ragazza? Cazzo, non la conosceva nemmeno…
*Beh…posso dire di conoscere qualcuno fino in fondo?*.
Riflettendoci con attenzione, si rese conto che non aveva mai rimuginato in quel modo sul suo rapporto con un altro essere umano…magari perché non aveva mai avuto uno degno di nota, fatta appunto eccezione per quello con Watari…in effetti, non era certo di conoscere bene nemmeno lui…
E poi, cosa diamine era quella stramba sensazione che provava nel guardarla tramite le telecamere, quel senso di rilassamento che avvertiva all’altezza del petto, quella voglia quasi impercettibile di sorridere nell’osservare i suoi movimenti?
Scosse la testa, ripetendosi ancora che doveva solo concentrarsi sul caso e basta.
*Qualsiasi dannata cosa mi stia prendendo, è meglio lasciar perdere. Non posso permettermi alcuna distrazione*.
 
La mattina dopo, uscendo dalla doccia, Ruri avvertì quasi istantaneamente il segnale di chiamata di Watari; dopo essersi vestita molto velocemente, si precipitò al computer, mentre il monitor si divideva all’istante fra la W, iniziale dell’uomo, e la grossa L che nascondeva l’identità del detective. Da un dettaglio del genere, capì che erano tutt’e tre in collegamento fra loro.
“Che c’è, Watari?” domandò subito Elle.
“Si sono verificati decessi per arresto cardiaco in circostanze diverse dal solito” replicò Watari.
“Diverse dal solito, hai detto?” ribatté Ruri.
“Vi invio le immagini e il messaggio che sono stati trovati”.
“Grazie”.
Pochi istanti dopo, sugli schermi di entrambi apparvero le fotografie di alcuni cadaveri, uno dei quali sembrava fosse disteso sul pavimento di un bagno, e di una stella a cinque punte, tracciata sul muro con quello che sembrava…sangue. Accanto ad esse, c’erano le istantanee di alcuni messaggi scritti su frammenti di carta…
“Sono parole di terrore nei confronti di Kira. Potrebbe trattarsi di azioni volontarie delle vittime…” dedusse Elle, non appena Watari ebbe interrotto il suo contatto.
“Tu dici?” rispose Ruri, dubbiosa “Non lo so, c’è qualcosa…guarda le loro espressioni. ‘Sai che succederà presto’…’Che cosa devo fare?’…’Gli ho detto che non c’entro niente…’…sono così confuse e deliranti…certo, è possibile che in questi giorni si siano fatti prendere dal panico, considerando che devono essere in qualche modo venuti a conoscenza di ciò che sta accadendo a tutti i criminali, ma…non lo so, ho la sensazione che ci siano troppe coincidenze”.
“Quindi, pensi che potrebbe essere opera di Kira?”.
“Non lo escludo affatto”.
“Nemmeno io…ricapitoliamo ciò che abbiamo concluso finora. Per uccidere, Kira ha bisogno di un volto e di un nome corretto corrispondente, e può controllare l’ora del decesso a suo piacimento. Ma se può fare questo…può anche manipolare le azioni precedenti la morte?”.
“Credo che tu abbia ragione. Se solo capissimo come fa a uccidere…ti confesso che mi sembra tutto così assurdo, con il passare del tempo. Perché uccidere in questo modo, inoltre? Ha cambiato il suo modus operandi…come se volesse dirci qualcosa…”.
“Mi dispiace, ma questa volta sei fuori strada”.
Ruri fissò sorpresa il monitor, alzando un sopracciglio.
“Sarebbe a dire?”.
“Guarda ancora le immagini che ci ha inviato Watari: una stella a cinque punte dipinta sul muro. Il referto che la polizia ci ha mandato indica che il detenuto si è tagliato un dito poco prima di morire, e che è con il sangue che ha potuto disegnare quel simbolo. Un’altra vittima è evasa dal carcere ed è morta poco dopo, nei bagni del personale. Il terzo morto anomalo ha lasciato questi messaggi…”.
“E tu pensi comunque che Kira non stia cercando di dirci niente?”.
“Forse sì, ma non è questo il suo vero obiettivo. Come puoi sicuramente dedurre, quest’alterazione del suo modus operandi è completamente contraria agli aspetti base del profilo psicologico che hai tracciato”.
“È vero, ma la psicologia non è una branca della scienza che può essere sicura al 100%, Elle”.
“Lo so; eppure c’è qualcosa sotto tutto questo…resta in linea” le disse, per poi avviare subito la comunicazione con il quartier generale.
“Sovrintendente” disse, non appena l’immagine degli uffici della polizia fu di fronte agli occhi di entrambi.
La sua voce fece sollevare lo sguardo a tutti i poliziotti presenti, incluso lo stesso Yagami.
“La pregherei di limitarsi a comunicare ai media che queste morti sono avvenute per arresto cardiaco, senza aggiungere altro. È possibile che Kira stia effettuando qualche test sui criminali…in tal caso, è probabile che aspetti una conferma da noi”.
“D’accordo…capisco” replicò Yagami, conciso.
Ruri si passò una mano fra i capelli, il gomito destro appoggiato alla scrivania e la stanchezza che le pesava sulla fronte. Test sui criminali? Possibile che Elle avesse di nuovo ragione? Ma se davvero stava effettuando delle verifiche, usando quei detenuti come cavie…allora qual era il suo vero scopo?
“Non può essere, li ha uccisi per fare un test…” commentò un agente, incredulo.
“È terribile…”.
“Non può permettersi di giocare in questo modo con delle vite umane. La pagherà, per questo” dichiarò Yagami.
Osservandolo in volto, Ruri capì che anche lui doveva essere davvero esausto.
Dannazione, non poteva permettere che quella faccenda le sfuggisse di mano! Che diamine stava facendo, quel pazzo?
In contemporanea, sia Elle che Ruri tornarono a guardare le immagini della stella a cinque punte e dei messaggi terrorizzati lasciati dalla terza vittima.
*Se è arrivato a usare delle vite umane come cavie…a che cosa mira?* pensarono, nello stesso momento.
Interrompendo il contatto con gli agenti giapponesi, Ruri tornò a fissare la L gotica di fronte a sé.
“Sei proprio sicuro che quel disegno e quei messaggi non abbiano un significato più concreto?”.
“No, non del tutto. Ma comunque sia, escluderei subito qualunque pista da ricollegarsi a quella ridicola stella”.
“E perché?”.
“Perché si tratta soltanto di un grottesco tentativo di farci credere che questo assassino abbia qualcosa a che vedere con qualche dannata setta, o qualcosa del genere. No, Kira è ben altro che un occultista o un fanatico religioso. La sua motivazione è profonda e personale. Inoltre, un simbolo di quella natura sarebbe fin troppo scontato per un tipo come lui, non sei d’accordo?”.
“Probabilmente è vero, ma suggerirei di esaminare comunque con interesse questa parte della documentazione: magari troviamo qualcosa”.
 
A distanza di diverse ore, quella sera, gli occhi di Elle non si erano ancora staccati dalle foto che ritraevano le ultime parole delle vittime di quel giorno: sicuramente, Ruri aveva ragione, doveva pur esserci qualcos’altro…uno come Kira non avrebbe mai scelto dei termini a caso, considerando che era la prima volta che, sulla scena del delitto di uno dei suoi omicidi, venivano ritrovate delle missive…
*Perché Kira ha svolto dei test servendosi dei criminali? Sta per fare qualche mossa…? Se agisse ora, l’FBI si accorgerebbe di un individuo che si comporta in maniera sospetta…e se invece…fosse tutt’altro che un test, se il suo obiettivo fosse un altro? Se questa frase e il disegno nascondessero un altro messaggio?*.
Improvvisamente, alla sua vista balenarono le parole iniziali di ognuna delle frasi che aveva di fronte, volte a formare un altro periodo, che, tuttavia, restava incompleto…
*Ma certo!!*.
 
Subito dopo, al portatile di Ruri giunse un altro segnale di richiesta, che indicava l’arrivo di una mail: sedendosi e aprendo il file, la ragazza scorse il nuovo messaggio che il detective aveva ricomposto…
*Un anagramma, eh? ‘L, lo sai che gli…’…ma che cosa significa?*.
Con un gesto deciso, cliccò sul pulsante di chiamata e avviò la comunicazione con Elle.
“Ti stai dilettando con giochi enigmistici?” scherzò, per poi tornare subito seria.
“Che te ne pare?”.
“Ah, non saprei proprio. Direi soltanto che al nostro uomo piace giocare con te; sicuramente vuole dirti qualcosa, ma è come se volesse che tu scoprissi tutto per gradi. Dà l’impressione di volerti attrarre in una specie di trappola, e senz’altro è convinto di poterci riuscire”.
“Non se faccio in modo che ci finisca lui per primo”.
“Questo tizio sta diventando sempre più infantile, o forse lo è sempre stato, e stiamo scoprendo il suo disturbo psicotico per gradi”.
“Come profiler professionista…ti sentiresti di affermare che davvero non è sano mentalmente?” le domandò a bruciapelo Elle, lasciandola stupita.
“Beh, non è quello che ho detto. Di sicuro è un megalomane, ha manie di protagonismo e di onnipotenza, è nevrotico…ma tutto questo non significa che sia pazzo. Quantomeno, non nel senso comune del termine” rispose, riflettendo con calma.
“Che cosa intendi dire?”.
“Intendo dire che è perfettamente cosciente di quello che fa, e dubito che qualsiasi magistrato arriverebbe a pensare il contrario”.
“È esattamente quello che mi interessava. Come stanno procedendo le indagini dei tuoi colleghi?”.
Ruri sospirò, scuotendo il capo e versandosi un po’ di caffè.
“Siamo a un punto morto. O il nostro serial killer è veramente bravo come sembra, oppure stiamo semplicemente girando in tondo”.
“Propenderei per la prima ipotesi. Sono passati solo cinque giorni, dopotutto. Aspettiamo ancora un po’”.
“D’accordo. Ti manterrò informato, se scopro qualcosa”.
 
Il giorno dopo, intorno alle 23.00, Ruri si svegliò di soprassalto, il respiro ansimante. Rialzandosi a sedere sul letto e scostandosi dal volto i capelli madidi di sudore, capì di aver avuto un altro incubo. Sospirando, si trattenne dallo scoppiare a piangere o dal dare sfogo al suo isterismo, ingoiando nuove pillole e bevendo un lungo sorso d’acqua; nell’alzarsi in piedi, lanciò un’occhiata allo specchio che aveva di fronte, regalandosi uno sguardo molto critico.
I suoi lunghi capelli neri, di solito lisci, erano arruffati e scomposti, i suoi occhi azzurrissimi erano ancora più cerchiati di nero di qualche giorno prima, e in quei giorni aveva finito per perdere altri cinque chili. Magari non dormiva nemmeno quanto avrebbe dovuto, soprattutto considerando che quei maledetti incubi, costellati di ricordi, non smettevano di assillarla…forse era per questo che non desiderava mai chiudere gli occhi.
Cercando di darsi una sistemata ai vestiti stropicciati che non si era nemmeno tolta, essendosi addormentata nel bel mezzo di un’ulteriore analisi del caso, finì per impiegare alcuni secondi per capire che il suo cellulare stava squillando nuovamente.
Prima di rispondere, fissò il display, quasi stralunata. Naomi la stava chiamando in piena notte.
“Pronto” rispose, ancora frastornata.
“Ruri, sono Naomi”.
“Questo l’ho già constatato. Naomi, cosa c’è? Sono le undici passate…”.
“Mi dispiace, non volevo disturbarti. Stavi dormendo?”.
Tentando di ignorare il fastidiosissimo mal di testa che la stava assillando, Ruri si spostò nel salotto della suite, sedendosi sulla consueta poltroncina.
“No, a dire il vero stavo lavorando…devo essermi appisolata un momento. Che cosa posso fare per te?”.
Ruri la udì rimanere in silenzio per un tempo considerevolmente lungo, con titubanza.
“Naomi…”.
“Ruri, posso fidarmi di te, non è vero?”.
Il suo tono serio e preoccupato destò la sua attenzione, portandola a sedersi più dritta.
“Naomi…”.
“Posso fidarmi di te?” ripeté la giovane, con insistenza.
“Sì, certo che puoi. Naomi, è successo qualcosa?” le domandò, ora preoccupata.
Abbassando considerevolmente il tono, Naomi le rispose dopo un’altra pausa.
“Volevo parlarti di Ray”.
“È lì con te, adesso? È per questo che parli piano?”.
“Esatto. Si è appena addormentato”.
“Che ti ha fatto, quel pezzo di merda?!”.
“Non mi ha fatto niente, Ruri, ti prego, calmati” la implorò l’amica, senza smettere di sussurrare.
“Va bene, va bene. Che cos’è successo?”.
“Hai visto il telegiornale, questa sera?” le chiese poi, ansiosa.
“Sì, perché?”.
“Hai sentito del dirottamento dell’autobus 174 diretto a Spaceland? È successo stamattina, intorno alle 12.00”.
In tutto il tempo in cui aveva avuto modo di conoscerla, Ruri era certa di non averla mai sentita così agitata.
“Sì, vagamente, era nel notiziario delle 20.00. Naomi, che ti prende?”.
“L’uomo armato che aveva preso il controllo del pullman, Kichiro Hosoreda…lo avevi già sentito nominare?”.
“Per quanto ne so, aveva rapinato una banca, un paio di giorni fa. Sembra che fosse un tossicodipendente…Naomi, vuoi spiegarmi che diamine…?”.
“Ruri, Ray oggi era su quell’autobus!”.
Quella dichiarazione la colse di sorpresa; Penber era presente sul mezzo diretto a Spaceland, che quel giorno era stato dirottato? Probabilmente, stava pedinando qualcuno…qualcuno dei sospetti…forse lo stesso Light Yagami?
“Mi dispiace, Naomi. Ray sta bene?” le domandò subito dopo.
“Sì, sì, sta bene. Senti, tu non ci vedi niente di strano, in tutta questa storia?”.
“Che cosa intendi dire?” le chiese, cauta.
“Io non penso che si sia trattato di un caso”.
“Sarebbe a dire?” insistette Ruri, attenta a non perdersi nemmeno una parola.
“Ray si trovava quell’autobus perché stava pedinando qualcuno, giusto?”.
Ruri assunse un’espressione spazientita, alzando gli occhi al cielo.
“Te lo ha detto lui?”.
“Ruri, per favore…”.
“Eppure dovrebbe sapere che queste fottute informazioni sono riservate!!”.
“Ruri, calmati…”.
“No, non mi calmo, Naomi! Senti, mi dispiace veramente che tu non possa collaborare con noi alle indagini, ma sei stata tu a decidere di dare le dimissioni, ok? Adesso non posso dirti niente di concreto, non sono autorizzata a farlo, e non lo è nemmeno quell’idiota!!”.
“Ruri, non mi ha detto niente! È solo un mio sospetto, niente di più: proprio non puoi confermarmelo?”.
“Se mi dici che cos’è che ti preoccupa tanto riguardo a questa storia, potrei anche fare un’eccezione, ma non voglio che ti ci abitui, Naomi. Sono ancora un’agente dell’FBI”.
“Lo so. Allora, puoi confermarmi che stava seguendo qualcuno?”.
Ruri sospirò un’altra volta, versandosi un sorso di vodka.
“Sì…sono quasi del tutto certa che lo stesse facendo, ma chiaramente non posso rivelarti i nomi delle persone che è stato incaricato di sorvegliare. Allora, che cosa volevi dirmi?”.
Dall’altro capo del telefono, Naomi sospirò nuovamente.
“Il punto è che…che il dirottatore è morto poco dopo aver preso il controllo dell’autobus. Pare che sia sceso di corsa e che sia finito sotto una macchina”.
“Sì, questo lo so già. Ma di cosa stai…?”.
“Non pensi che possa entrarci Kira, in tutta questa storia?”.
Quella frase la lasciò sbigottita per qualche momento, costringendola a inumidirsi il palato prima di proseguire.
“Kira…? Ma si è trattato di un incidente stradale…”.
“Lo so. Ma non siete ancora certi riguardo al suo modus operandi, dico bene? Forse…forse l’arresto cardiaco non è il solo modo con cui può uccidere le sue vittime”.
Ruri rifletté per qualche istante sulle parole della sua ex collega, l’espressione pensierosa.
“Non saprei, Naomi…sarebbe la prima volta concreta che abbiamo a che fare con un repentino cambio della modalità con cui perpetra gli omicidi. Forse stai solo correndo troppo con le ipotesi…”.
“Non lo so, Ruri, ma sono preoccupata…Ray mi ha anche detto di aver mostrato il suo distintivo a uno dei passeggeri…”.
“CHE COSA?!?!?” sbottò Ruri, balzando in piedi “Sono SETTIMANE che gli dico di non andare in giro a sbandierare la sua identità, e quel DEMENTE pensa bene di schiaffare le sue generalità sotto il naso del primo sconosciuto con cui ha a che fare?!? È veramente un IMBECILLE!!!!!”.
“Ruri, non alzare la voce, ti prego”.
“Sì, scusami” replicò la moretta, chiudendo gli occhi nel tentativo di calmarsi “Scusami, è solo che questo caso mi sta uccidendo”.
“Senti, lo so che non puoi dirmi nient’altro…ma parlerai delle mie teorie con Elle? Lo so che magari sono farneticazioni, ma ho una strana sensazione al riguardo. Puoi fare questo per me?”.
Dopo qualche istante di silenzio, Ruri le rispose, con un altro sospiro.
“Va bene, gliene parlerò. Non è escluso che tu possa avere ragione, anche se ho dei dubbi, in merito. Ma nel frattempo, Naomi…cerca di restare fuori da questa storia. È pericoloso, e io non posso aiutarti, lo sai. Sta’ lontana da questo pazzo omicida”.
“Va bene, ti prometto che starò attenta”.
“E soprattutto, Naomi…per nessuna ragione, per nessuna ragione devi rivelare a qualche estraneo il tuo vero nome. Hai capito? Per nessuna ragione. Non possiamo fidarci di nessuno: non uscire dall’albergo, non presentarti ad estranei e tieni gli occhi aperti. Hai capito?”.
“D’accordo, Ruri, farò come mi hai detto”.
“Adesso cerca di riposare. A presto”.
“Ciao”.
Non appena ebbe terminato la chiamata, Ruri sentì un nuovo squillo provenire dal computer: avvicinandosi, vide che Elle le aveva appena inoltrato un’altra fotografia di un ulteriore messaggio lasciato dalla nuova vittima di Kira.
Anagrammando le parole in modo corretto, si rese conto che si trattava del seguito della precedente frase che avevano letto il giorno prima…
*‘L, lo sai che gli dei della morte…’…gli dei della morte? Ci sta prendendo in giro? Che cosa significa?*.
 
Dopo aver inviato il file a Ruri, Elle tornò a fissare lo schermo con titubanza, riflettendo su ciò che aveva appena letto.
*Gli dei della morte…Kira…stai forse cercando di dirmi che esistono gli dei della morte?*.
“Ascolta, Watari” disse, avvicinandosi al microfono “Di’ alla polizia di tenere gli occhi puntati sulle prigioni, perché potrebbero arrivare altri messaggi dai carcerati”.
“Ricevuto”.
 
Esattamente una settimana più tardi, nel tardo pomeriggio del 27 Dicembre, Ruri concentrò ancora una volta lo sguardo sulla frase che lei ed Elle avevano ricomposto, cercando di capire a cosa potesse fare riferimento. Gli dei della morte? Perché Kira stava accennando agli shinigami giapponesi? Sapeva poco delle antiche tradizioni di quel Paese, ma quell’accenno doveva essere dannatamente importante. Poteva darsi che stesse identificando se stesso come una sorta di dio giustiziere, come aveva ipotizzato Elle tempo prima? Oppure, il significato era da ricercarsi dietro la stessa figura mitologica presa in esame…quel giochetto stava iniziando a stancarla.
Prima che potesse ulteriormente proseguire, un nuovo avviso di videochiamata attirò la sua attenzione; immaginando che si trattasse di Elle, si preparò a illustrargli le sue parziali conclusioni su quella vicenda, ma dovette ricredersi.
Di fronte ai suoi occhi sorpresi, era appena apparso il nome di James Van Hooper.
Non appena ebbe accettato la richiesta, al suo sguardo apparve il volto del capo dell’FBI, pallido e trafelato.
“Misaki, sta bene?!?” le domandò subito, a metà fra il sollevato e l’incredulo.
Ruri lo fissò con espressione stralunata.
“Certo che sto bene, direttore. Ma non mi chiami così: sono l’agente Ruri Dakota”.
“Certo, capisco…ma…ma come…”.
Non riusciva a spiegarsi per quale motivo fosse così spaventato e stranito.
“Capo, si sente bene?”.
“Ma…ma lei è viva!!”.
“Certo che lo sono. Ha bisogno di un referto medico che glielo confermi?”.
“Dio sia lodato…” disse, asciugando il sudore che gli stava imperlando la fronte calva.
“Direttore, posso chiederle che diamine sta succedendo?”.
Prima di proseguire, James bevve un lungo sorso d’acqua e poi riprese a fissarla, molto serio.
“Agente, i suoi collaboratori inviati in Giappone sono tutti morti!!”.
Quella notizia le giunse come un colpo al cuore, mozzandole il respiro: morti?!? Tutti morti?!? Ma come diamine era possibile?!?!
“Che significa che sono tutti morti?!?” sbottò, battendo un pugno sul tavolo.
“Significa quello che le ho appena detto. Sono deceduti tutti in seguito ad arresto cardiaco”.
“Arresto cardiaco?!?!”.
“Sì…è opera di Kira, non ci sono dubbi al riguardo”.
Ruri si prese la testa fra le mani, cercando disperatamente di pensare. Morti, tutti morti…ma com’era possibile? Kira non poteva averli incontrati tutti…non poteva conoscere i veri nomi di tutti loro…come accidenti…Improvvisamente, ripensò a Dylan, a tutti i colleghi che non avrebbe mai più rivisto…e senza nemmeno accorgersi di ciò che le stava accadendo, pensò anche a Naomi e a Ray.
“Avete avvisato le famiglie?” domandò poi, tentando di mantenere la voce ferma.
“Beh, non tutte. Non ne abbiamo avuto materialmente il tempo”.
“Capisco. Ha chiamato l’agente…voglio dire, la signorina Misora è stata informata della cosa?”.
“No, non ancora”.
“Allora non fatelo. È meglio che glielo dica io” concluse Ruri, passandosi una mano davanti agli occhi.
“Credevo che fossi morta” le disse poi il suo capo, rivolgendolesi con un tono confidenziale e paterno “Ho avuto molta paura…”.
“Sto bene, direttore, non deve preoccuparsi per me. Proprio non capisco come sia potuto succedere…” proseguì Ruri, incredula “Elle lo sa?”.
“Sì, l’ho chiamato poco fa per informarlo” replicò Van Hooper, grave.
“D’accordo. Questo è stato un colpo davvero basso, ma non possiamo permettergli di distruggerci. Adesso dobbiamo solo pianificare le prossime mosse e poi…”.
“Non mi ha lasciato terminare” la interruppe l’uomo, con aria ancora più grave “Ho appena comunicato ad Elle che l’FBI ha ufficialmente abbandonato le indagini in Giappone”.
Ruri rimase impietrita di fronte a quelle parole, lo sguardo fisso e i profondi occhi azzurri spalancati.
“Sta scherzando” concluse infine, serissima.
“Non lo farei mai, in una situazione del genere”.
“Lei…lei non può parlare sul serio!!!” sbottò Ruri, incredula.
“Posso, eccome. Agente Yasuba…agente Dakota” si corresse subito Van Hooper, fissandola con espressione indecifrabile “Non possiamo più confrontarci con questo serial killer. Non abbiamo i mezzi per poterlo contrastare, lo capisce?! I nostri uomini stavano agendo nel più completo anonimato, nemmeno la polizia giapponese era a conoscenza del loro arrivo in Asia, e Kira è riuscito comunque a scovarli e a ucciderli! Non posso permettere che questo massacro vada avanti!”.
“E di conseguenza, abbandona il caso! Io questo non lo chiamo fermare e catturare un assassino, lo chiamo gettare la spugna!! Vuole che quegli uomini siano morti invano?! Vuole che le loro famiglie non ricevano giustizia?!” sbraitò Ruri, gesticolando freneticamente.
“Voglio solo evitare di dover consolare altri orfani e altre vedove, nelle prossime settimane” affermò Van Hooper, stancamente.
“Pensavo che fosse consapevole dei rischi a cui andava incontro, accettando questo caso” replicò Ruri tagliente, a braccia incrociate.
“Forse non sono più sicuro nemmeno di questo…” rispose lentamente l’uomo, riprendendo a fissarla dritto negli occhi “In ogni caso, non ho nessuna intenzione di investire altri fondi e altro tempo in questa faccenda. È troppo pericoloso. Mi dispiace molto, agente, ma l’FBI si chiama fuori. Darò disposizioni affinché possa tornare a Washington il prima possibile”.
James fu sul punto di aggiungere qualcosa, ma Ruri lo precedette.
“No” disse, implacabile.
“Come?!” replicò Van Hooper, ancora più smarrito.
“Le ho detto di no, direttore. Lei non farà niente del genere. Io non mi muovo di qui”.
“Ma…ma si rende conto di quello che sta dicendo?!?!” gridò il direttore, battendo un pugno sulla sua scrivania.
“Perfettamente” ribatté Ruri, impassibile.
“Ruri, ascoltami bene, questo non è un gioco. Sei stata inviata in Giappone allo scopo di catturare Kira…”.
“E le ho anche giurato che lo avrei spedito sulla forca, costasse quello che costasse. Io non mi rimangio la parola” rispose Ruri, di nuovo tagliente.
“Non si tratta di rimangiarsi la parola!! Le ho appena spiegato che l’FBI ha abbandonato le indagini!!”.
“Ho capito, direttore”.
“Lei non può semplicemente…lei è un’agente dell’FBI!! Mi dispiace, ma non può fare di testa sua!!” gridò l’uomo, quasi in preda al panico.
“Non posso abbandonare questo caso!!” sbottò a sua volta Ruri “Non posso andarmene adesso! È lei che non si rende conto di ciò che sta facendo, non può semplicemente lasciar perdere!!!”.
“Ruri, lo sai che per me sei come una figlia…ma gli ordini non si discutono. Tornerai a Washington con il primo volo, fine della discussione!”.
“No, io non lo farò” ripeté Ruri, nuovamente irremovibile.
“Se non obbedisce…se non rispetta le mie disposizioni…sarò costretto a sospenderla dal suo incarico di agente e a condurla di fronte alla disciplinare!” la minacciò infine Van Hooper, quasi non sapendo più a che santo votarsi.
“Si risparmi il fastidio. Mi dimetto” gli disse lei, glaciale.
Il sentirla parlare in quel modo lo portò a cambiare colore molto velocemente, bloccando qualsiasi sua invettiva.
“Non parli sul serio” concluse infine.
“Oh, parlo sul serio eccome. Se lavorare a queste indagini non può convivere con il mio essere un’agente dell’FBI, allora do le dimissioni. Le invierò il modulo fra pochi minuti via fax, e farò in modo che lei abbia indietro il mio distintivo e la mia arma il prima possibile. Chiederò a Watari di occuparsene, sono sicura che non sarà un problema” continuò Ruri, asciutta.
“Ruri…cerca di riflettere, questa è una follia!!”.
“L’unica follia in circolazione è quella che le ha invaso la testa” ribatté la ragazza, ancora fredda “Ancora non posso credere che voglia arrendersi a questo criminale…”.
“Ti ho spiegato le mie motivazioni!! Dannazione, potresti cercare di capire!! Come ti salta in mente di lasciare l’organizzazione?! Hai sempre detto che questo lavoro era tutto per te!!”.
Ruri sospirò pesantemente, chiudendo gli occhi per qualche istante prima di riprendere a parlare.
“Lo so. Ho accettato questo caso per permettere alla mia carriera di proseguire in modo brillante, ero entusiasta all’idea di lavorare con Elle perché credevo che questo mi avrebbe permesso di acquisire meriti come agente, ma adesso c’è qualcosa di più. Non so ancora cosa, ma non è solo una questione di lavoro” rispose lentamente, calma.
“Lei sta camminando sul filo del rasoio…è stato Elle a convincerla a fare questo, non è vero?” le chiese Van Hooper, preoccupato.
“No” rispose Ruri, guardandolo dritto in volto “Elle non c’entra assolutamente niente. È una mia decisione, tutto qui. Tempo fa, le ho detto che la carriera era tutto ciò che avevo: ma se lavorare a questo caso comporta il doverla sacrificare, allora sono pronta a farlo. Questo pazzo omicida non può continuare con questa folle serie di delitti…e io non posso lasciare che Elle faccia tutto da solo. Ha richiesto la mia collaborazione, e io non intendo abbandonarlo”.
“Ruri, potresti morire…” tentò ancora Van Hooper, quasi implorandola.
“Sono pronta a correre il rischio”.
“Ruri…”.
“Le invierò le mie dimissioni controfirmate fra pochi minuti. Spero che sia felice, nel suo essere pavido per tutta la vita. Forse ci rivedremo il giorno in cui io ed Elle consegneremo Kira alla giustizia, così magari potrò dirle quanto si sbagliava. Addio, direttore”.
“Ruri…!!”.
La ragazza chiuse la comunicazione senza aggiungere un’altra parola, prendendosi il volto fra le mani; diamine, era sicura di quello che stava facendo? Aveva agito d’impulso, senza riflettere? Eppure, la sola idea di abbandonare il Giappone senza aver combinato nulla di concreto…no, non poteva arrendersi, non poteva lasciare che tutto finisse in quel modo!! Dodici agenti morti…
Riflettendoci con attenzione, per la prima volta finì per domandarsi perché lei stessa non fosse deceduta. Se Kira aveva avuto accesso alle informazioni che riguardavano tutti loro, allora come…
Per la prima volta da quando Van Hooper l’aveva avvertita di quei decessi, riuscì a sorridere soddisfatta: certo, se Kira era venuto a conoscenza delle caratteristiche del suo volto, sicuramente le aveva abbinate al nome ‘Misaki Yasuba’, che nessuno al mondo, salvo lei e Robin, sapeva fosse falso…
Prima che potesse riflettere ulteriormente, le giunse una chiamata da parte di Elle; con mano tremante, gli rispose.
“Elle”.
“Ruri…”.
“Hai sentito tutto, immagino” affermò la ragazza, accennando alla stanza disseminata di telecamere.
“Sì”.
“Beh, non è una gran bella situazione. Non avrei mai pensato che il mio capo potesse essere un tale codardo…e non avrei mai pensato che Kira disponesse dei mezzi per giungere a tanto. Sono morti tutti, è una cosa incredibile…”.
“Sei sicura di quello che stai facendo?” le domandò lui a bruciapelo, lasciandola sbigottita.
“Di cosa stai parlando?” replicò, incrociando le braccia.
“Vuoi veramente rimanere in Giappone e continuare ad aiutarmi con le indagini?” le chiese ancora.
“Certo che lo voglio. Hai dei dubbi, in merito?”.
“Mi chiedo soltanto se tu ti renda conto fino in fondo di quello che dovrai affrontare” disse Elle.
“Sono pienamente consapevole dei rischi che sto correndo. Ma per il momento, dubito che Kira riesca a uccidermi, anche se non è escluso che lo faccia in futuro. In ogni caso, ho già comunicato a Van Hooper la mia intenzione di lasciare l’FBI”.
“Vuoi davvero abbandonare il tuo lavoro? Sai che posso proseguire nelle indagini anche da solo. Sei certa di voler sacrificare così la tua vita? Credevo che l’FBI fosse tutto, per te”.
Ruri sospirò per l’ennesima volta, passandosi una mano sulla fronte.
“Sì, lo credevo anch’io. Ma la sola idea di lasciare questo caso…mi dà la nausea, non posso nemmeno pensarci. Elle” disse poi, guardando lo schermo con una nuova aria risoluta “Hai espressamente richiesto la mia collaborazione per catturare questo serial killer. Non voglio che la nostra cooperazione si concluda in questo modo assurdo. Ti prego, lascia che continui a lavorare insieme a te. Sono sicura che potrò esserti d’aiuto”.
Elle rimase in silenzio per un lungo momento, prima di riprendere a parlare.
“Tu moriresti per catturare Kira…?”.
Quella domanda non la sorprese particolarmente, ma la portò bensì a sorridere, in maniera quasi del tutto indecifrabile.
“Tu moriresti nel tentativo di impedirmelo?” gli domandò, di rimando.
 
Nella sua stanza, Elle fissò l’immagine della ragazza, lo sguardo color oltremare determinato, fiero e sicuro. Era certo di non aver mai visto occhi più belli in tutta la sua vita.
Prima di avvicinare di nuovo le labbra al microfono, esitò solo per un altro istante, ma continuare a guardare quel volto gli donò la forza di proseguire.
“Ruri…vorrei che ci incontrassimo”.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Eccociiiiiiiiiii!!!!! Ho aggiornato!!! Fine sesto capitolo!!!! Eheheheh, che ne pensate?!? Al prossimo il tanto atteso incontro, yeeeeeeh, non vedo l’ora!!! Beh, che dite?! SCHIIIIIIFOOOOOO, vero? Lo so, lo so…L Ricordate bene il loro scambio finale di battute, in futuro sarà molto importante!!! Grazie ancora per le bellissime recensioni ad AnonimaKim, norahmckey, Pinkamena Diane Pie e Annabeth Ravenclaw, e grazie anche a Rack12345 per aver accettato il mio invito e aver recensito a sua volta, grazie di cuore!! Mi raccomando, fatemi sapere che cosa ne pensate, tornerò il prima possibile con il settimo e tanto atteso capitolo!! Adesso scappo a mangiare la pappa, bacioni a tutti!!!!! E ancora grazie dalla vostra Victoria <3 <3 <3 

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Capitolo 7
*** Brivido ***


Capitolo 7- Brivido 
 
Ruri rimase imbambolata a fissare il monitor di fronte a sé, lo sguardo bloccato sulla grossa L nera che aveva davanti.
“Mi stai prendendo in giro?” riuscì a dirgli infine, incredula.
“Pensi che scherzerei su una cosa del genere?” replicò lui, impassibile.
“Beh, no, ma…insomma, voglio dire…non…non lo hai mai fatto prima d’ora, giusto?” gli disse, passandosi una mano nella folta chioma scura.
“No, in effetti no. Ma…”.
In quel momento, prima di proseguire la frase, Ruri lo udì disattivare il filtro che gli alterava elettronicamente la voce: per la prima volta, lo sentiva parlare in modo normale.
“…ma il fatto che tu abbia deciso di abbandonare perfino la tua carriera, pur di proseguire queste indagini…beh, mi fa comprendere che posso fidarmi di te fino in fondo. Allora, accetti la mia proposta?”.
Ruri rimase in silenzio, cercando di riflettere il più velocemente possibile: cosa accidenti stava succedendo? Dio, stava capitando tutto troppo in fretta, non aveva previsto niente del genere! Davvero Elle voleva incontrarla di persona? E perché non prima? Stava dicendo la verità? Aspettava di potersi fidare di lei fino in fondo? Qual era il punto, aveva voluto metterla alla prova? E infine, lei stessa poteva dire di fidarsi davvero di lui?
“Elle…io…insomma, devo interpretare tutto questo come il tuo intento di proseguire la collaborazione con me, dico bene?” riuscì a dirgli.
“Mi pare evidente”.
Cavolo, quanto le piaceva quella voce…era così sicura, così determinata, così…sincera.
*Così calda…* non poté fare a meno di pensare.
Subito dopo, si dette della stupida e dovette trattenersi dal tirarsi un grosso colpo in fronte.
*’Così calda’?!? Sto veramente diventando ridicola!!!*.
“Ruri? Mi stai ascoltando?” la riscosse lui, all’improvviso.
“Ehm, sì, ovvio…beh, certo che voglio incontrarti, è evidente”.
“Molto bene. Prima di fornirti informazioni più dettagliate al riguardo, vorrei chiederti di nuovo se sei davvero sicura della tua scelta. Potresti morire prima della fine delle indagini, spero che tu te ne renda conto” le disse, molto serio.
“Lo so. Quando dico che sono pronta a correre il rischio, parlo seriamente, Elle. So che non potrò più esserti utile come agente FBI, ma…immagino che tu capisca meglio di chiunque altro che le mie capacità di profiler sono indipendenti dal mio incarico”.
“Certo, non lo metto in dubbio. Dunque, sei decisa?” le domandò per l’ultima volta.
“Sì” annuì vigorosamente “Allora, cosa stavi dicendo?”.
 
Elle prese un respiro profondo e proseguì, incurante della strana sensazione che gli stava attraversando tutto il corpo.
“Al momento, mi trovo in una stanza del 'Taito Hotel'. Voglio che prepari i bagagli e che tu ti faccia trovare pronta per quando Watari arriverà a prenderti, fra circa un’ora. Da quando arriverai qui fino alla fine delle indagini, non lascerai questa postazione, a meno che non lo faccia io” le comunicò, con tono piatto.
Quasi incredula nel sentirlo parlare in quel modo, Ruri non poté fare a meno di mettersi le mani sui fianchi, indignata.
“Stai dicendo che vuoi che mi trasferisca da una camera d’albergo a un’altra, per rimanere confinata anche nella nuova sistemazione?! Hai intenzione di dirmi quando ti sarà in comodo che io riveda la luce del sole, prima o poi?”.
“Pensavo che mi avessi chiesto di lavorare insieme” ribatté Elle, ora freddo.
“Infatti”.
“E allora sei pregata di fare come ti dico. Ti ho già spiegato le mie motivazioni, non ho intenzione di ripetermi. Per inciso, queste sono condizioni inamovibili: ti stanno bene o no?”.
La vide sospirare pesantemente, scuotendo il capo.
“Ok, d’accordo. Aspetterò Watari e farò come mi hai detto. Spero per te che tutta questa storia non ti sfugga di mano, Elle”.
“So quello che faccio, Ruri. Fidati di me”.
“Lo farò. Allora…a dopo…Elle”.
“A presto”.
Subito dopo aver chiuso la comunicazione, Elle si alzò in piedi, iniziando a girovagare per la lussuosissima ed estremamente amplia suite in cui si era trasferito da qualche giorno. Superando il televisore al plasma e un tavolo su cui riposava, in un elegante vaso di cristallo, un bel mazzo di fiori, Elle si appoggiò all’imponente vetrata che dominava Tokyo, scostando leggermente le tende color crema poste lì accanto.
Stava facendo la cosa giusta? Possibile che quella fosse una buona soluzione? Aveva agito d’impulso? Ma no, erano giorni che ci pensava…in fondo, avrebbe avuto bisogno di lei per risolvere quel caso, questo lo aveva capito fin dall’inizio. La ragazza era sveglia, capace, intelligente, brillante e leale, e aveva dimostrato una profonda dedizione nei confronti di quella specifica indagine. Era tenace, cocciuta, caparbia e coraggiosa…e dannatamente testarda. Un po’ come lui, in realtà…e poi, non si trattava di un caso come tutti gli altri. Sapeva che, contro un individuo come Kira, non avrebbe potuto continuare ad agire in eterno nell’ombra, come suo solito…e per uscire allo scoperto, aveva bisogno di alleati.
In particolar modo, aveva bisogno di lei. Sapeva d’aver bisogno di lei: con il suo aiuto, sarebbe sicuramente riuscito a vincere.
Prima che potesse riflettere ancora, un segnale di richiesta di Watari lo portò a voltarsi.
“Elle, c’è in linea il sovrintendente Yagami”.
Subito dopo, il suo fedele assistente gli inoltrò la chiamata da parte del quartier generale, permettendo al volto preoccupato e contrito di Soichiro Yagami di comparire sullo schermo del suo portatile.
“Elle” iniziò Yagami “Ho appena parlato con il capo dell’FBI. Mi ha detto che gli hai chiesto d’inviare degli agenti a indagare su tutti coloro che, in qualche modo, possono avere a che fare con noi del quartier generale”.
“Esatto…” replicò lentamente Elle, impassibile.
“Che significa? Sospetti forse di noi?” domandò Yagami, turbato.
Il giovane detective si prese qualche altro secondo per rispondere, l'aria circospetta, continuando a voltare le spalle al monitor. 
"Ho ritenuto che fosse necessario per scoprire l'identità di Kira..." replicò infine, con calma.
"Non sono d'accordo" obiettò Yagami "Mettere delle spie alle nostre costole...non siamo forse alleati?".
Elle rimase in silenzio, come riflettendo sulle parole del sovrintendente, senza prestare più molta attenzione ai successivi commenti che seguirono, pronunciati dagli altri agenti del quartier generale.
"Come immaginavo, lo sapevo che non potevamo fidarci di lui...".
"Questo vuol dire che Kira avrebbe ucciso anche gli agenti dell'FBI...".
"Significa che farà lo stesso con tutti coloro che cercano di scovarlo...".
"Kira è un pazzo assassino...".
Elle fu quasi sul punto di intervenire nuovamente, ma un nuovo segnale di chiamata da parte di Watari lo portò a chiudere la comunicazione e ad avviare quella con lui.
"Watari?".
"Sto lasciando la postazione per dirigermi al Tokyo Plaza. Ruri Dakota giungerà alla tua suite fra circa mezz'ora".
"Perfetto. Assicurati che non le succeda niente, mi raccomando" gli disse Elle, il tono piatto.
"Naturalmente. Ah, Elle...".
"Sì?".
"Ci sarebbe un'altra cosa...".
"Ti ascolto".
"C'è un'altra vittima che ha lasciato un messaggio".
Voltandosi del tutto, Elle tornò verso il suo portatile, cliccando sull'icona della fotografia che Watari gli aveva appena inviato. 
L'immagine raffigurava l'ultimo anagramma che gli mancava per completare il significato di quella dannata frase; dopo aver rimesso insieme le parole iniziali di ogni messaggio e averle confrontate con il periodo precedente formato, Elle riuscì a scorgere, di fronte ai suoi occhi scuri e cupi, una nuova, deridente domanda...
"L, lo sai che gli dei della morte...mangiano solo mele?".
*Bastardo...*.

Nella suite imperiale del Tokyo Plaza, Ruri finì di chiudere la sua valigia, per poi appoggiare entrambe le mani sulla sua superficie, i lunghi capelli scuri che le cadevano in avanti, nascondendole il volto e gli occhi. 
In effetti, non era poi un gran male; in condizioni del genere, non avrebbe avuto il coraggio nemmeno di guardarsi allo specchio, per cui tanto valeva fingere d'essere sul punto di scomparire. 
Che cosa diavolo stava facendo?! Ricapitolando velocemente tutti gli avvenimenti delle ore precedenti e tutte le scelte fatte, si rese conto in modo definitivo d'aver appena dato le dimissioni dal suo incarico come agente dell'FBI, cosa che era convinta non avrebbe mai fatto nemmeno sotto tortura, di aver deciso in maniera autonoma di continuare a lavorare con un perfetto sconosciuto, piuttosto che con colleghi di vecchia data di cui poteva ormai fidarsi, di aver mandato a fanculo il suo capo, nonché padre putativo, e di...beh, di aver appreso che i suoi dodici collaboratori a quell'indagine erano tutti morti. 
Senza nemmeno fermarsi per un secondo, Ruri cominciò a fare avanti e indietro per la stanza, in modo quasi isterico.
*Che diamine mi sta passando per la testa?!? Insomma, questa storia mi sta decisamente dando al cervello! Potrei morire!! Potrei morire in qualunque momento, che diamine, Penber e gli altri sono tutti morti!! E chi mi dice che Kira non riuscirà ad arrivare anche a me?! Potrebbe scoprire in qualsiasi momento che sono viva! E come posso essere sicura d'essere riuscita a scamparla proprio grazie al nome falso? Dopotutto, è il nome con cui sono registrata all'anagrafe del mio Paese, potrebbe anche essere valido, per i suoi maledetti omicidi...e anche se la mia teoria riguardo al fatto che non sia effettivamente funzionante fosse vera...potrebbe sempre arrivare a scoprire chi sono, la mia identità, il mio vero nome...cazzo, sto andando fuori di testa!!! Va bene, calma, stai calma. Non hai mai avuto paura in questa maniera, giusto? Certo, è la prima volta, non avevi mai visto niente del genere, è normale...puoi farcela, tu puoi farcela. Certo, magari se avessi avuto i mezzi che potevo sfruttare quando ero ancora un dannato agente dell'FBI, forse...ma che mi viene in mente?!? Non mi hanno mica cacciata, giusto? Sono stata io a volermene andare!! Beh, non è che mi abbiano lasciato molta scelta, o alzavo le chiappe e mollavo il lavoro, oppure abbandonavo il caso e...beh...Elle...*.
Già, Elle. 
Vorrei che ci incontrassimo...Così aveva detto. 
Niente di più inaspettato da parte sua, su questo non c'erano dubbi. Ma possibile che avesse ragione? Possibile che davvero Elle le avesse fatto una proposta del genere solo allora, solo dopo essersi reso conto che era disposta a tutto, pur di risolvere quel caso, proprio nel tentativo d'essere sicuro di potersi fidare di lei? 
*Ma io mi fido di lui? Posso dire di fidarmi, voglio dire, è tutto così...non ha senso. Niente in questa storia ha senso, niente. Non ha senso che io mi sia fatta soggiogare alla sola idea di lavorare di nuovo con una persona che, per quanto geniale, non si è mai mostrata in volto fino ad ora, cazzo, come ho fatto a sottovalutare un fattore del genere?! Questo maledetto caso non ha niente a che fare con il serial killer di Los Angeles, è tutto dannatamente diverso...non ha senso. Non ha senso che io abbia lasciato l'FBI, dopo aver coltivato per una vita il desiderio di entrare a farne parte, non ha senso che io abbia liquidato Van Hooper in quel modo, non ha senso che i miei colleghi siano tutti morti, nello stesso momento e dopo nemmeno un mese dal loro arrivo in Giappone, non ha senso che io sia viva quando sarei dovuta morire...*.
Quel pensiero improvviso la condusse a sedersi di nuovo, lentamente, come stesse realizzando per la prima volta quanto quella situazione fosse iniqua e ingiusta.
Lei era giovane, avrebbe potuto avere tutta la vita davanti a sé...ma era sola. Al mondo, aveva solo Robin, ed era sicura che quella ragazza sarebbe perfettamente riuscita a cavarsela anche senza di lei. Non aveva dei genitori che le stessero accanto, non aveva un marito, non aveva dei figli. 
Al suo funerale, probabilmente si sarebbero presentati solo Van Hooper e Robin...se fosse venuta a mancare, non sarebbe stata una gran perdita. 
Ma che cosa avrebbero pensato tutte quelle mogli, quelle madri, quei figli e quei padri, quando qualcuno avrebbe detto loro che i loro cari non sarebbero tornati mai più?
Improvvisamente, pensò a Naomi; facendosi forza, prese il suo cellulare e compose il numero dell'amica.
Prima di avviare la chiamata, fissò il display, respirando profondamente. 
In fondo, non esisteva un modo facile per farlo...
*Come si fa a dire a una persona che questo sarà il giorno in cui comincerà a morire...?*.
Premette il tasto verde del suo telefono con decisione inaspettata, accostando l'orecchio e attendendo che Naomi rispondesse.
"Pronto?".
"Naomi, sono Ruri. Ti devo parlare".

In quello stesso momento, anche il cellulare di Elle cominciò vigorosamente a squillare dalla tasca dei suoi pantaloni.
Il giovane lo afferrò e rispose in modo sbrigativo. 
"Sì?" disse, semplicemente.
"Elle, c'è una chiamata da parte del capo dell'FBI" disse Watari, in tono calmo "Sembra piuttosto agitato...che cosa devo dirgli?".
"Passamelo pure" replicò il ragazzo, rilassato.
"Sicuro?".
"Sì, Watari, nessun problema".
"D'accordo".
Pochi secondi dopo, il detective udì un'altra voce familiare.
"Elle, sono James Van Hooper".
"Mr Van Hooper, non mi aspettavo di risentirla così presto. Cosa posso fare per lei?".
"L'agente Yasuba è lì con lei?" gli chiese James, spiccio.
"Non so di chi stia parlando" replicò Elle, freddo.
"Oh, insomma!! Mi riferisco a Ruri Dakota".
"Oh, poteva dirlo subito. In ogni caso, no, la dottoressa Dakota al momento non è con me. Vuole lasciarle un messaggio?" ribatté Elle, educatamente. 
"Le dica che vorrei che mi richiamasse il prima possibile, e che non deve mai dimenticare che può cambiare idea in ogni momento, riguardo alla sua decisione. Le dica inoltre che non deve permettere a nessuno di influenzarla in questo senso".
"Sta cercando di dirmi qualcosa, direttore Van Hooper?" ribatté Elle, di nuovo impassibile. 
"Giudichi lei stesso! Immagino che sappia che Misaki...diamine, intendevo Ruri, insomma...immagino che sappia che ha appena dato le dimissioni dal suo incarico come agente dell'FBI" sbottò Van Hooper. 
"Certo che lo so".
"E non crede che tutta questa storia stia diventando un'autentica follia?!? Non crede che farebbe meglio a dissuaderla da un proposito così assurdo e inconcludente?!".
"Credo che Ruri Dakota sia una giovane donna molto valida, intelligente e dalle qualità promettenti, e che non abbia affatto bisogno che qualcuno le dica in che modo vivere la sua vita. Tantomeno se quel qualcuno dovessi rivelarmi io" lo interruppe Elle, glaciale. 
“Lei sa perfettamente quanto il suo parere abbia finito per diventare influente su quella ragazza! Se solo cercasse di farla ragionare…” tentò ancora Van Hooper, quasi disperato.
“Van Hooper, lei sta reagendo a questa situazione nel ruolo di una sorta di padre, che non fa altro che preoccuparsi per le sorti di una persona che reputa quasi una figlia. Un atteggiamento di questo tipo denota quanto non sia lucido, in merito a questa vicenda. Cerchi di controllarsi” lo bloccò Elle, imperturbabile “Come le ho già detto, ritengo che Ruri sia perfettamente in grado di prendere le sue decisioni in modo autonomo, senza l’intervento di nessuno. Dal mio punto di vista, penso di poter affermare che si tratti di una donna molto razionale e poco incline al coinvolgimento emotivo: in base a tutto ciò, direi che la sua non può essere stata una scelta affrettata e irresponsabile. E in ogni caso, lei non è nessuno per poterla valutare in un senso o nell’altro”.
“Vuole scherzare?! Ruri ha avuto una frazione di secondo per decidere che strada prendere, non mi faccia ridere!! Come può essere stata una decisione ponderata?! Si è trovata a dover scegliere fra l’indagare con lei e il dover lasciare l’FBI…”.
“Mi permetta di ricordarle che è stato lei a metterla di fronte a una scelta del genere” constatò Elle, calmo come sempre.
“Andiamo, Elle!! Dodici agenti dell’FBI deceduti quasi in contemporanea, in seguito ad arresto cardiaco, un intero piano d’indagine andato completamente in fumo, le identità dei miei uomini svelate nell’arco di pochi minuti…sarà sulle prime pagine di tutti i giornali!!”.
“È già sulle prime pagine di tutti i giornali, Mr Van Hooper. È questo che la preoccupa?”.
“Lei…lei non può!! Ho delle responsabilità come capo dell’FBI!! Il Presidente degli Stati Uniti mi ha dato ordini precisi riguardo all’abbandono delle indagini, non potevo fare altrimenti!! Lei sa che non avevo scelta!!!” gridò l’uomo, quasi in preda al panico.
Elle sospirò pesantemente, lanciando una lunga occhiata fuori dall’ampia finestra, lo sguardo cupo che si andava a perdere nel vasto panorama della metropoli di Tokyo.
“Tutti hanno sempre una scelta” rispose poi, il tono di voce più basso “Mi ascolti bene” riprese, prima che Van Hooper potesse interromperlo ancora “So che è preoccupato per le sorti di Ruri, ma posso assicurarle che io e Watari abbiamo già preso tutte le misure cautelari necessarie affinché niente le succedesse. Le garantisco che non permetterò che corra alcun rischio inutile. In ogni caso, mi permetto di ricordarle che la ragazza non è più sotto la sua responsabilità, in quanto dimissionaria, e che sarebbe opportuno che lei lasciasse i suoi affetti personali fuori da questa vicenda. Il fatto che lei decida di metterli in mezzo non rappresenta niente di salutare per nessuno, soprattutto per Ruri”.
Dall’altro capo del telefono, Van Hooper espirò profondamente, quasi trattenendo un singhiozzo.
“Mi chiedo solo come possa essere certo che non le accadrà niente…”.
“Non ne sono certo. Direi che ho dalla mia parte il 50% di possibilità”  replicò Elle.
“D’accordo. Affido tutto a lei, Elle; vorrei solo che capisse che non le ho domandato di farle cambiare idea perché non approvi il fatto che lavori con lei…ma questo caso è…voglio dire, Ruri è così giovane…è troppo giovane, capisce?”.
“Ruri è tanto giovane quanto intelligente e capace, Mr Van Hooper. Abbia fiducia nelle sue qualità, sono sicura che manterrà la promessa che le ha fatto” lo esortò il detective.
“Va bene, farò come mi ha detto. Spero che lei sia consapevole che la stima infinitamente”.
“Lo so”.
“E che non avrebbe mai rinunciato all’FBI per questo caso, se non ci fosse stato lei a capo delle indagini” seguitò Van Hooper.
“Lo so” ripeté Elle.
“Non lasci che le accada niente”.
“Non lo farò”.
Ecco, lo aveva detto, aveva fatto una promessa che non era affatto sicuro di poter mantenere. Ma cosa diamine gli stava saltando in testa, accidenti?! Dopotutto, non stava mica facendo il babysitter: stava per proseguire le indagini su quella vicenda insieme alla collaboratrice che aveva scelto, insieme alla persona che aveva deciso di non abbandonarlo e di continuare a lavorare con lui…perché stava permettendo a una sorta di padre di strappargli dalla bocca quei sentimentalismi privi di significato? Ma se tutto ciò non aveva alcun significato…allora perché parlare di lei doveva sempre provocargli quegli ingiustificati brividi lungo la schiena? Perché sentire Van Hooper parlare in quel modo della possibilità che lei morisse gli provocava quel senso di inadeguatezza?
*Forse perché tutta questa storia è inadeguata. È inadeguato il fatto che io stia parlando con Van Hooper di lei, in questo stesso istante, è inadeguata la mia decisione relativa all’incontrarla di persona, è inadeguato che Kira stia guadagnando così tanto terreno, è inadeguato che corra anche soltanto il rischio di perdere il controllo delle cose…cazzo, probabilmente sto impazzendo*.
“Allora, immagino che questo sia tutto” disse nel frattempo Van Hooper, in tono conclusivo “È determinato a non cercare di farle cambiare idea, dunque”.
“Non farò mai niente che possa indurla a fare o dire una determinata cosa, direttore. Non credo che potrei riuscirci nemmeno se lo volessi, a dire il vero” replicò Elle, senza riuscire a trattenersi dal sorridere.
“Non si sottovaluti, Elle. Pensa che Ruri avrebbe seguito le direttive di chiunque, nel modo in cui ha seguito le sue? Forse non conosce ancora molto bene quella ragazza…”.
Improvvisamente, Elle ripensò alla sua reazione, quando aveva scoperto di persona che la stanza era stata disseminata di telecamere e di microspie, e al modo diplomatico con cui l’aveva presa…confrontando la sua replica con il tono che utilizzava durante le sue conversazioni telefoniche con Penber, non poté fare a meno di constatare quanto Van Hooper fosse nel giusto.
“C’è dell’altro?” chiese ancora Van Hooper, in attesa.
Senza una ragione precisa, gli occhi di Elle si posarono nuovamente sui fascicoli riguardanti gli agenti dell’FBI che erano giunti in Giappone il 14 Dicembre…scorrendo lentamente le loro fotografie e soffermandosi su quella di Ruri, essi finirono per illuminarsi di colpo, attraversati da un pensiero improvviso.
“Sì, una cosa ci sarebbe…” disse, con lentezza.
“Sarebbe a dire?”.
“Vorrei chiederle se ha già informato le famiglie degli agenti dell’FBI che sono morti oggi pomeriggio, e se ha dato notizia ai media dell’accaduto”.
Il suo interlocutore rimase per un momento in silenzio, come stupito da quella domanda.
“Beh, no…non ancora. È stata indetta una conferenza stampa per le 21.00 di questa sera; riguardo ai parenti delle vittime, beh…non abbiamo ancora avuto il tempo materiale per parlare in modo appropriato con tutti loro”.
“Capisco. Stando così le cose…”.
Elle prese lentamente in mano il dossier che riguardava la stessa Ruri, lanciandogli un lungo sguardo e soffermandosi sulla fotografia che la ritraeva…per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare d’aver mai visto una ragazza così bella.
“Mr Van Hooper” proseguì poi, risoluto “Vuole che Ruri sia al sicuro da Kira?”.
“Certo che lo voglio”.
“Allora…ho bisogno che mi faccia un favore”.
 
Nella sua stanza d’albergo, Ruri chiuse gli occhi, cercando di trattenersi dal terminare la chiamata e dall’allontanare dalle proprie orecchie il pianto ossessivo dell’amica Naomi. Eppure, la tentazione di fuggire non era mai stata così forte come in quel momento, come se smettere di ascoltarla potesse mettere fine al suo dolore, come se chiudere quella telefonata potesse cancellare ciò che era successo e che le parole che avevano dovuto seguire…
“Naomi, mi dispiace così tanto…” riuscì a dirle infine.
“N-n-non puoi parlare sul serio!!!” gridò Naomi, istericamente.
“Magari fosse così…Naomi, ti giuro, se avessi potuto fare qualcosa, se solo avessi saputo che era in pericolo…” tentò di dirle Ruri, gli occhi lucidi.
Se qualcuno le avesse mai detto, tempo prima, che si sarebbe ritrovata a piangere per la morte di Ray Penber sicuramente non ci avrebbe creduto, ma il punto era che tutto lo sconforto che stava provando non era per lui. Era per gli altri agenti venuti a mancare, era per Naomi, era per se stessa…per il senso di colpa che provava per essere rimasta in vita.
“Non mentirmi!!!” sbraitò la ragazza, all’altro capo “Tu lo sapevi, sapevi che stava rischiando la sua vita!!!”.
“Naomi, tutti noi stavamo rischiando la vita!! Io stessa non sono morta per un puro miracolo, per un caso che non riesco tuttora a spiegarmi…posso assicurarti che…”.
“Ti avevo detto che Ray era in pericolo!!! Ti avevo avvisato di quello che era successo una settimana fa, ti ho detto dell’autobus diretto a Spaceland, ti ho detto dei miei sospetti, ti ho detto che avevo paura…”.
“Naomi, davvero, mi dispiace!! Avrei voluto poterlo prevedere, ma non ero nella posizione per farlo!! Non avevo abbastanza elementi in mano per…voglio dire, Ray e gli altri stavano lavorando nel più totale anonimato, questa situazione è assurda! Non posso credere che stia accadendo davvero…”.
“Non dirmi che ti rendi conto di quello che sto passando!! Tu non hai appena perso l’amore della tua vita!!!” urlò Naomi, sommersa dai singhiozzi.
“Naomi, ti prego. Non so dirti quanto mi dispiaccia, ma so quello che provi…”.
“Tu lo sai?!?! Tu sai che cosa significa quando l’uomo che ami ti viene strappato via dalle braccia da un pazzo omicida?! Tu sai che cosa vuol dire sapere che non sentirai mai più la sua voce, che non lo abbraccerai mai più, che non lo vedrai mai più sorridere?! Tu sai cosa significa rendersi conto che, da oggi in poi, continuerai a morire ogni giorno della tua vita?!?!”.
Quella frase le straziò il cuore, portandola a zittirsi e a passarsi, tremante, una mano di fronte agli occhi; quando infine riuscì a riprendersi, respirò profondamente, cercando di intimare a se stessa di calmarsi.
“Naomi…vorrei solo poter fare qualcosa per cambiare le cose, ma purtroppo non posso. Niente di quello che potrò dire o fare muterà ciò che è già accaduto. Questo è tutto quello che posso affermare adesso; volevo solo che lo sapessi da me”.
“Saperlo da te non mi ha dato l’opportunità di riportarlo indietro” singhiozzò Naomi “Come hai potuto lasciare che accadesse?!”.
“Lo sai che non avrei potuto fare niente, nemmeno se avessi saputo che Kira lo aveva trovato!!!” gridò Ruri, finalmente esausta “Dimmi che cosa ti aspettavi!!!”.
“Mi aspettavo che lavoraste come una squadra e che vi aiutaste a vicenda!!! Mi aspettavo che ti comportassi come ti saresti comportata nei miei confronti!!!!” strepitò Naomi.
“Cristo, Naomi, non erano le stesse condizioni, in che modo devo spiegartelo?!? Non ero la partner di Penber!! Da quando sono arrivata in Giappone, mi hanno confinato in questa stanza d’albergo del cazzo, con l’ordine di non abbandonare la postazione se non con il consenso di Elle, come avrei potuto dare una mano al tuo fidanzato?!? E poi, sai perfettamente che lui non avrebbe mai permesso che l’aiutassi, nemmeno se ne avessi avuta l’occasione!!!”.
“Dunque, stai dicendo che è stata colpa di Ray?!? Stai dicendo che ha ottenuto quello che si era cercato?!?!” urlò Naomi, ancora in preda al pianto.
“Sto dicendo che, se per una volta mi avesse ascoltato, forse…sì, forse sì, maledizione, forse adesso sarebbe ancora vivo!!!” completò Ruri, dopo un momento di esitazione iniziale.
Il silenzio gelido che calò dopo quelle parole invase la mente e il cuore di entrambe, come paralizzandone la rabbia e il dolore che le invadeva.
“È questo quello che pensi…?” sussurrò infine Naomi, la voce spezzata.
Ruri sospirò con angoscia e si appoggiò alla parete, il volto di nuovo coperto da una mano tremante.
“No…” rispose infine “Se Kira ha scoperto la sua identità, come quella dei nostri colleghi, beh…allora è possibile che disponga di mezzi di cui ignoravamo l’esistenza. Probabilmente, non saremmo comunque stati in grado di fermarlo”.
La sua interlocutrice rimase in silenzio per qualche altro momento, poi respirò a sua volta con lentezza, riprendendo a parlare con la sua consueta mestizia.
“Che cosa succederà, adesso?”.
“L’FBI ha abbandonato le indagini” replicò Ruri, in tono piatto “Van Hooper me lo ha comunicato poco fa”.
“Questo significa che tornerai a Washington?”.
“Non se ne parla nemmeno. Io resto qui”.
Per la prima volta nell’arco di quella telefonata, Naomi le apparve molto stupita.
“Stai dicendo sul serio?!”.
“Sì. Non posso abbandonare questo caso, soprattutto non dopo quello che è successo. Questo serial killer dev’essere fermato, o il suo delirio di onnipotenza prenderà il sopravvento su ogni Paese del globo. Non lascerò il Giappone come una codarda che scappa con la coda tra le gambe, come una pavida che ha paura di fare la stessa fine dei suoi colleghi…vendicherò la loro morte, e fermerò questo maledetto assassino. Nessuno ha il diritto di imporsi come un Dio sugli altri, e per quanto il suo operato stia spazzando via dal mondo la feccia criminale…ben presto, finirà per assumere i connotati di un potere dittatoriale, che non farà altro se non scagliarci in un baratro di ubbidienza terrorizzata…e questo…questo non ha niente a che vedere con l’agire in modo retto e morale. Assolutamente niente. Non gli permetterò di farla franca” concluse, stringendo una delle sue mani in un pugno determinato.
Dopo un’ulteriore pausa, Naomi proseguì.
“Quindi…hai dovuto lasciare l’organizzazione?”.
“Sì. Ho dato le dimissioni poco fa”.
“E continuerai a lavorare con Elle…?” le domandò ancora.
“Sì”.
“Allora…permettimi di unirmi a voi”.
Quella richiesta la lasciò spiazzata per un momento, e la costrinse a ragionare per qualche minuto, prima di rispondere.
“Non mi sembra una buona idea, Naomi” le rispose alla fine.
“Perché no? Sai che potrei esservi utile…” obiettò la ragazza.
“Non è questo il punto…”.
“E allora qual è? Non sei più un’agente nemmeno tu, non sei più obbligata a mantenere riservate determinate informazioni…”.
“Non si tratta nemmeno di questo, anche se sai perfettamente che le cose non stanno in quei termini. Non posso permettere che tu lavori a questo caso semplicemente perché non lo fai per le giuste ragioni, Naomi”.
“Non capisco che cosa vuoi dire…”.
“Non puoi dedicarti a catturare Kira semplicemente perché desideri vendicare la morte di Ray”.
Ruri la sentì sobbalzare di fronte a quelle parole, ma ben presto la sua replica le arrivò comunque in modo conciso e sicuro.
“Sai che non è vero. Avrei voluto unirmi alle indagini anche prima che tutto questo accadesse…”.
“Naomi, sono in grado di riconoscere uno stato psicologico alterato da uno lucido e razionale. Sono una profiler, non dimenticarlo; quello che posso affermare con certezza è che tu non sei nelle condizioni per operare in maniera obiettiva e sensata. Il tuo coinvolgimento emotivo è eccessivo e inopportuno. Non posso dirti di sì”.
“Lo sai che dedicarmi a questo caso è tutto quello che mi rimane…!!!” sbottò Naomi, di nuovo agitata.
“Vedi?! È esattamente di questo che sto parlando!!! Non sei nelle condizioni appropriate per poter collaborare a queste indagini, non saresti pronta ad agire lucidamente!! No, Naomi, è fuori discussione!!”.
“Perché?!?!” gridò la ragazza, sconvolta.
“Perché lavorare al caso ti ucciderebbe!!!!!” strillò Ruri, investita a sua volta da una crisi di pianto.
Sentendola disperarsi in quel modo, Naomi si zittì lentamente, attendendo che si calmasse o che dicesse qualcosa; alla fine, Ruri prese un altro respiro profondo e ricominciò.
“Non posso…Naomi, non posso…non posso permettere che muoia anche tu. Tutto quello che sta succedendo, tutte queste morti, tutta questa situazione…rappresenta il più grande fallimento di tutta la mia vita. Sono rimasta sorpresa anche soltanto di non essere morta, e non sono nemmeno sicura del perché questo sia successo, ma non è in grado di farmi sentire meglio. L’unica cosa che mi consola è sapere che essere sopravvissuta mi permetterà di spedire quel bastardo sulla forca, ma per farlo…ho bisogno di tutte le mie energie, ho bisogno di concentrazione, ho bisogno d’avere la mente lucida…e non posso farlo, se tu…non potrei mai riuscirci, se dovessi sapere che potresti mettere in pericolo te stessa, pur di catturare Kira. Morirei per poterci riuscire, ma non posso sopportare che nessun altro lo faccia. Ho bisogno che tu stia lontana. Non posso affrontare il dolore che dovrei vedere dipinto sul tuo volto giorno dopo giorno, non posso vivere con questo senso di colpa…è già tutto troppo difficile senza che io debba vederlo scolpito nei tuoi occhi. Perciò…per favore, te lo chiedo…per favore…sta’ lontana da Tokyo. Torna a Los Angeles. Scappa, vattene da qui. Non lasciare che ti trovi. Ti prego”.
La risposta di Naomi le arrivò dopo un ulteriore silenzio straziante, accompagnato solo dal respiro di entrambe e dall’eco di qualche sirena, in lontananza.
“Mi dispiace, Ruri. Sai che non lo posso fare; sono come te, non posso sopportare che tutto questo avvenga sotto il mio naso, non posso sopportare che questi omicidi continuino. Non posso permettermi di rimanere a guardare, mentre Kira…”.
“Naomi, non sarai mai in grado di riflettere razionalmente, ed è proprio questo ciò di cui lui si avvarrà per distruggerti…”.
“Stai dicendo che tu, invece, sarai sempre e comunque in grado di agire in modo calcolato e pronto nell’arco di questa vicenda, Ruri? Stai dicendo che tu non commetterai mai un errore?” la interruppe Naomi, quasi provocandola.
“Sto cercando di dirti che le probabilità che tu lo faccia sono molto superiori rispetto alle mie” replicò Ruri, quasi asciuttamente.
“Perché?”.
“Perché tu amavi l’uomo che è morto nel tentativo di fermare Kira. Ecco perché”.
“E se succedesse anche a te, Ruri? Ci hai mai pensato?”.
Per un momento, credette di non aver sentito bene.
“Come, prego?” chiese poi, la gola secca.
“Se durante queste indagini ti lasciassi coinvolgere, se capissi che stai facendo tutto questo per qualcosa di più…”.
“Naomi, tutto questo è ridicolo”.
“Se comprendessi che hai lasciato l’FBI per un motivo che tu stessa non riuscivi a comprendere, se ti rendessi conto che dietro al catturare Kira non ci sono soltanto i tuoi ideali, se scoprissi che sei emotivamente coinvolta più di quanto saresti mai stata disposta ad ammettere, se capissi che tutto questo è vero…se mai ti innamorassi, Ruri…”.
“Naomi, smettila. Stai dicendo delle sciocchezze”.
“Sto dicendo che potrebbe capitare anche a te, e che per questo potresti capirmi, o almeno provarci…” le disse l’amica.
“Naomi, ti prego. Non ha senso…”.
“Innamorarsi non ha mai senso, Ruri”.
Prima che potesse replicare ulteriormente, Naomi la precedette sul tempo.
“Se non vuoi che lavori con voi alle indagini, almeno mettimi a conoscenza di alcune informazioni. Puoi dirmi i nomi delle persone che Ray era stato incaricato di pedinare?”.
Ruri sospirò pesantemente, lanciando una veloce occhiata all’orologio.
“Ora ascoltami bene, Naomi. Fra poco dovrò lasciare questa postazione e acquisirne un’altra, e non sono sicura che da lì le comunicazioni saranno sicure, perciò non contattarmi più, se non in casi di estrema emergenza. Ti ripeto per l’ennesima volta che non posso dirti niente, riguardo alle disposizioni che erano state fornite a Ray…”.
“Non puoi o non vuoi?” la bloccò Naomi, fredda.
“Non ha più importanza, adesso. Non voglio che continui a rimuginare su questo caso. Torna a casa, Naomi: ti ho già detto che non posso farlo, con te in Giappone”.
“Non ti imporrò la mia presenza, se non è ciò che desideri”.
“Non è questo il punto. Dannazione, Naomi, è troppo pericoloso…”.
“Dimmi i nomi delle persone che Ray doveva seguire”.
“Naomi…!”.
“Dimmeli!!!”.
“NON-POSSO”.
“Molto bene. Allora li scoprirò da sola…”.
“Naomi, ti prego…”.
“Ti auguro buona fortuna, Ruri. Abbi cura di te” le disse la giovane, in tono triste.
“Torna a Los Angeles!!! Naomi, torna a Los Angeles!!! Naomi…”.
Non fece in tempo ad aggiungere altro, poiché la sua ex collega e amica di vecchia data aveva già riattaccato; frustrata, fece per gettare il telefono da una parte, quando questo ricominciò a squillare, portandola a rispondere, il tono spossato.
“Pronto”.
La voce di Watari le ricordò di quanto fosse imminente il suo incontro con Elle.
“Dottoressa Dakota, volevo avvisarla che sarò da lei tra cinque minuti. È pronta?”.
Diavolo, quella dannata discussione con Naomi le aveva fatto del tutto perdere la nozione del tempo: improvvisamente, si domandò se ci fosse qualcos’altro che dovesse fare, prima di lasciare la suite. Eppure, per quanto si sforzasse, non riusciva a risolvere quel dubbio che la stava assalendo; che cosa mancava? Aveva preparato la valigia, messo via tutti i suoi oggetti personali, aveva avvisato la sua ex collega di quanto era successo…che cos’era che si stava dimenticando?
“Dottoressa Dakota? Si sente bene?” insisté Watari, rendendosi conto che lei non accennava a rispondergli.
“Come? Ehm sì, Watari…sono pronta” gli disse poi la ragazza, come riscuotendosi dal suo torpore “L’aspetto nella hall”.
“Molto bene”.
Non appena ebbe riagganciato, Ruri cercò di respirare profondamente, dandosi un’ultima occhiata intorno e afferrando finalmente il manico del suo trolley, per poi accingersi a lasciare definitivamente la stanza. Prima di chiudersene la porta alle spalle, tuttavia, non poté fare a meno di voltarsi un’ultima volta, ripensando ancora alle ultime parole che Naomi le aveva rivolto, a quella bizzarra, assurda situazione che le albergava nel petto e a quello strano senso di non appartenenza e di dimenticanza che le stava invadendo la mente…
Forse poteva, infine, rendersi conto di che cosa non andava, di qual era il tassello del puzzle che mancava per completare il quadro.
Per la prima volta nella sua vita, avvertiva di star facendo qualcosa che non aveva minimamente senso…
 
Il viaggio in macchina, che Ruri trascorse interamente sul sedile posteriore, sembrò molto più lungo del precedente. Watari guidava in silenzio, con la radio spenta, e l’unico rumore che rompeva quella quiete apparente era il tamburellare delle gocce di pioggia che continuavano a cadere sul tettuccio dell’auto.
Solo dopo una discreta quantità di tempo, Watari le rivolse improvvisamente la parola.
“Va tutto bene, dottoressa?”.
Ruri alzò lo sguardo, molto stupita da quella domanda improvvisa, e si sforzò di sorridergli, malgrado fosse quasi impossibile incrociare il suo sguardo anche guardando nello specchietto retrovisore.
“Sì, credo di sì…ma non mi chiami ‘dottoressa’, per favore. Non ci sono abituata, e poi…ecco, non significa niente, per me. Le dispiacerebbe chiamarmi semplicemente ‘Ruri’?” gli domandò, con cortesia.
“Affatto”.
“Allora d’accordo”.
Pensando che il loro breve scambio di parole fosse ormai finito, Ruri si volse verso il finestrino, il volto appoggiato al palmo della mano destra, ma infine, senza alcun preavviso, il seguace di Elle decise di deludere le sue aspettative.
“Ho saputo che ha dato le dimissioni”.
Ancora più sorpresa, Ruri tornò a fissare la sua nuca, un sopracciglio innalzato in mezzo alla fronte.
“Sì…beh, non avevo alternative, o il caso Kira o l’FBI” spiegò, con circospezione.
“E lei ha optato per il caso Kira” dedusse Watari, annuendo.
“Mi pare evidente”.
“Una scelta piuttosto impegnativa…” commentò Watari.
“Avrebbe preferito che decidessi diversamente?” domandò Ruri, leggermente irritata.
“Non ho detto questo, e certo sono ben lontano dal pensare una cosa del genere. In realtà, se posso permettermi una confidenza simile…mi piacerebbe dirle che sono molto lieto che abbia accettato di continuare a lavorare con noi. E considerando che è stata una iniziativa del tutto personale, da parte sua…beh, questo non fa che renderle onore, non c’è dubbio”.
Ruri si pronunciò in un altro sorrisetto imbarazzato, quasi stringendosi nelle spalle. Ad un tratto, le parole di Watari le fecero balzare alla mente un ricordo che le lasciò un po’ di amaro in bocca; effettivamente, non era stato Elle a chiederle di rimanere…
“Crede che lui…me lo avrebbe proposto, se io non avessi avanzato una richiesta del genere?” chiese dopo un po’, cauta.
Il silenzio che precedette la risposta di Watari le apparve alquanto tormentoso.
“Beh, normalmente le risponderei che si tratta di una cosa davvero difficile da dedurre o da prevedere…ma stavolta, non saprei dire perché, oserei affermare che si tratta di un caso diverso”.
“Beh, certo, il caso Kira non ha niente a che vedere con nessun precedente…” iniziò Ruri, ma Watari la interruppe subito.
“Non sto parlando del caso Kira” la bloccò, sorridendo non visto “A dire la verità, stavo parlando della vostra collaborazione”.
“La nostra…?”.
“Quella che lei ed Elle avete instaurato in questi giorni. Non ho un motivo preciso che giustifichi un giudizio di questo tipo, ma senz’altro Elle è rimasto colpito da lei. Non l’ho mai visto così attento nei confronti di un suo collaboratore, e di certo la stima e la fiducia che poteva nutrire nei confronti del suddetto non lo ha mai spinto a chiederne specificamente l’appoggio o addirittura…a volerlo incontrare di persona. Lavoro con lui da sedici anni, e francamente…beh, lei è la prima in assoluto che abbia accettato di vedere in carne ed ossa. Considerando, inoltre, che lo ha chiesto in modo esplicito…ecco, direi che questo costituisce una base sufficiente per poterle rispondere che…sì, io credo che lui glielo avrebbe chiesto comunque. In effetti, ne sono più che sicuro”.
Senza sapere bene che cosa rispondere, Ruri appoggiò la testa all’indietro, contro lo schienale del sedile, chiudendo gli occhi e cercando di calmare il battito accelerato del suo cuore.
Era una follia, era pura follia. Sarebbe potuta morire in qualsiasi momento, sarebbe potuta finire senza che se ne rendesse nemmeno conto. Cosa diamine le era venuto in mente?! Nell’arco di cinque minuti aveva lasciato il lavoro, aveva rinunciato alla carriera a cui aveva aspirato e per cui aveva lottato per una vita intera, aveva accettato di rimanere in un Paese straniero in cui non conosceva nessuno, e in cui poteva contare solo sull’appoggio di due perfetti sconosciuti…aveva mandato al diavolo il suo capo, per cui aveva sempre nutrito profondo rispetto e grande stima, aveva dovuto comunicare a Naomi, la forte amica e collega che adesso non esisteva più, che l’uomo che amava non sarebbe mai più tornato da lei…e aveva accettato di continuare a dare la caccia al più grande serial killer di tutti i tempi, mettendo a repentaglio ogni cosa, persino la sua stessa esistenza.
Ma come poteva davvero essere disposta a tutto ciò, pur di catturarlo? Che cos’era che la spingeva a tanto? E inoltre…poteva davvero affermare di potersi fidare di Elle? E se tutto non fosse stato come lo immaginava? E se le cose fossero andate nel modo sbagliato? E se non fosse stata all’altezza di ciò di fronte a cui si sarebbe trovata? E se…e se…e se Naomi avesse avuto ragione? Se avesse finito per farsi coinvolgere nel modo più errato e pericoloso possibile…ma diamine, affezionarsi? Era un’ipotesi del tutto ridicola…e a chi, poi? A Watari? A…Elle?
*È una cosa…non ha senso…*.
Era del tutto ridicolo: lei non si affezionava, non provava emozioni. L’unica persona che le avesse minimamente riscaldato il cuore in tutti quegli anni era stata Robin, e forse aveva finito perfino per voler bene a Naomi…sì, in fondo le si era in qualche modo legata. Ma per il resto…era sempre riuscita a mantenere il controllo. Era una persona pronta, preparata, lucida, razionale, sicura…lei non commetteva errori. Lei non si lasciava coinvolgere.
E allora…perché quel disperato, insensato, prorompente impulso di piangere?
“Mi dispiace”.
Quelle parole, pronunciate da Watari con tono solidale, furono il colpo di grazia, e non le permisero ulteriormente di trattenere un paio di lacrime, che fino a quel momento avevano disperatamente cercato di uscire dai suoi occhi; senza che lei aggiungesse niente, Watari proseguì.
“Per i suoi colleghi dell’FBI. Mi dispiace molto”.
Prima che lei potesse replicare e guardandosi bene dal distogliere gli occhi dalla guida, Watari le passò un fazzoletto di stoffa raffinata, che lei utilizzò per asciugarsi con delicatezza. Guardandolo con più attenzione, si rese conto che era un oggetto molto elegante, sulla cui superficie erano ricamate le iniziali ‘Q.W’.
“Credevo che lei fosse un tipo riservato” gli disse, sforzandosi di sorridere e senza staccare lo sguardo da quelle lettere.
“Infatti è così, Miss” replicò Watari, imperturbabile.
“Ruri” lo corresse lei.
“Ruri”.
“Beh, mi scusi per l’indiscrezione, ma considerando quanto vedo, non si direbbe” seguitò poi lei, con un altro sorriso.
“Non la seguo”.
“Mi ha appena dato un oggetto su cui sono incise le sue iniziali” obiettò Ruri, perplessa.
“Lo so”.
“Pensavo che lei tenesse molto a mantenere segrete informazioni di questo tipo, per quanto costituiscano un indizio piuttosto magro…”.
“Elle si fida di lei, Ruri. Pertanto, mi fido anch’io” la interruppe Watari, con semplicità.
Sentirlo parlare in quel modo la lasciò ancora senza parole, ma riuscì comunque a farla sorridere, donandole un senso di soddisfazione.
“Oh…capisco…” disse infine, facendo per restituirgli il fazzoletto.
“No, lo tenga pure” la fermò gentilmente lui, nel prendere una curva “Non ne ho bisogno, mi creda”.
“Crede che io ne abbia?” chiese Ruri, ma senza smettere di piegare benevolmente le labbra.
“Beh, non si sa mai…può sempre utilizzarlo per farci un nodo, nel caso in cui dovesse assolutamente ricordarsi di fare o dire qualcosa di importante”.
Con un altro sorriso, Ruri mise via il fazzoletto, dopo averlo ripiegato con cura, e tornò a fissare lo sguardo fuori dal finestrino, gli occhi persi nella moltitudine di gocce di pioggia che stava invadendo il mondo circostante.
Solo dopo un'altra lunga, estenuante pausa, decise di fare al suo interlocutore un'altra domanda...
"Lui com'è?" chiese, lanciando un'occhiata curiosa alla schiena di Watari.
In modo quasi impercettibile, lo udì ridacchiare.
"Elle?" replicò Watari.
"Mhm mhm".
"Mi creda, sarà una vera sorpresa".
Prima che la ragazza potesse replicare, Watari fermò l'auto di fronte al cancello di un lussuosissimo albergo, che cominciò ad aprirsi lentamente per farli passare.
Alzando gli occhi, Ruri fu in grado di scorgere la luminosa e scintillante scritta del 'Taito Hotel'.

Circa trenta piani più in alto, Elle si diresse verso l'ampia finestra della sua suite, volgendo lo sguardo in direzione dello spiazzo sottostante, dove la macchina di Watari si stava per fermare del tutto. Senza nemmeno sapere perché, avvertì il desiderio di sorridere, gli occhi cupi e scuri persi nel cielo plumbeo, ormai successivo al tramonto, che si stagliava di fronte a lui.
Stava facendo la cosa giusta? Possibile che non stesse commettendo un madornale errore? Incontrare una persona, guardarla negli occhi, condividerne lo spazio vitale...era pronto per qualcosa del genere? 
Improvvisamente, si rese conto che, ben presto, avrebbe dovuto rassegnarsi a un successivo e ulteriore confronto anche nei riguardi degli agenti giapponesi che si fossero rivelati disposti a continuare a collaborare con lui. 
Dopotutto, era solo questione di tempo; forse lo aveva sempre saputo fin dall'inizio, o forse aveva semplicemente voluto evitare di pensare a quell'ipotesi, eppure...il caso Kira lo stava letteralmente costringendo a mettersi in gioco fino in fondo.
*Kira...immagino che, a questo punto, ognuno di noi...si sia avvicinato all'altro in egual misura. E va bene...per la prima volta, mostrerò ad altre persone il mio volto. Se, in qualche modo, tu dovessi venirlo a sapere...sono sicuro che ti farai avanti...*.
In modo quasi impercettibile, strinse la mano destra in un pugno deciso, gli occhi fissi sulla figura di Ruri, che nel frattempo stava scendendo dalla macchina.
*E io non aspetto altro...*.
Osservandola meglio, persino da quell'altezza non poté fare a meno di constatare che era davvero bella...

Ruri entrò nella hall dell'albergo con solerzia, il respiro che iniziava a diventarle affannoso e il cuore che le batteva all'impazzata. Diavolo, ma perché doveva sentirsi così emozionata? Prima che potesse rendersene conto, Watari si tolse il suo cappello e le mostrò il volto, sorridendole per la prima volta in modo diretto.
Per un momento, Ruri credette che si trattasse di uno scherzo; aveva di fronte un uomo piuttosto in là con gli anni, dotato di due folti baffi bianchi, di un paio di occhiali seri e un po' severi, di un'espressione dolce e un po' burbera, ma gentile. Se lo avesse incontrato per strada, lo avrebbe sicuramente scambiato per un affettuoso nonno di nazionalità inglese, soprattutto considerando che (e non capiva come non avesse fatto a notarlo fino a quel momento) aveva sostituito il suo precedente copricapo con una buffissima bombetta nera.
L'ombrello che teneva appoggiato al braccio coronava il quadretto. 
"Lei è..." gli disse lentamente, cercando di assumere un'espressione normale, ma senza riuscire a impedirsi di sbattere le palpebre.
"Incantato" completò Watari, facendole il baciamano e portandola così a sprofondare nell'imbarazzo "Mi scusi per non averglielo detto prima, sarebbe stato inopportuno, date le circostanze. Prego, mi segua. La sta aspettando" disse poi, tornando più serio. 
Ruri lo seguì senza aggiungere altro, ancora un po' frastornata, in direzione dell'ascensore, che non tardarono a prendere dopo pochi istanti.
Una volta al suo interno, Watari sembrò percepire il suo nervosismo, perché finì per appoggiarle una mano sulla spalla, sorridendole in modo rassicurante.
"Non si preoccupi, andrà tutto bene".
"Lo so" replicò Ruri, sorpresa da quell'affermazione "Perché me lo sta dicendo?".
"Perché lei sembra insolitamente nervosa, Ruri".
"Non lo sono".
"Capisco".
Ruri avrebbe voluto replicare, ma in quel momento le porte dell'ascensore si aprirono, accompagnate da un piacevole trillo. 
"Siamo arrivati. L'ultima porta in fondo, sulla destra. Non può sbagliare, l'intero piano è sgombro, per il resto".
"Lei non viene?" gli chiese Ruri, interrogativa.
"Oh, no. Ha detto che vuole vederla da solo".
"Perché?" insistette Ruri, un sopracciglio innalzato.
"Oh, immagino che questo dovrà chiederlo a lui. A più tardi".
La ragazza si strinse nelle spalle e uscì dal cubicolo, ma la voce dell'uomo la portò a voltarsi per un'ultima volta.
"Ruri?".
"Sì?".
"Se dovesse avere bisogno di qualcosa, non esiti a chiedere. Può contare su di me. Dico sul serio".
Quella frase la sorprese parecchio, ma infine riuscì soltanto a strapparle un altro sorriso. In effetti, era davvero incredibile, non le era mai capitato di sorridere così tanto nell'arco di un mese...
"Grazie, Watari. Me ne ricorderò".
Non appena le porte dell'ascensore si furono chiuse di nuovo, Ruri girò sui tacchi e si diresse verso la porta che le aveva indicato Watari, il battito cardiaco che accelerava ad ogni passo. Non capiva ancora bene perché, ma si sentiva sempre più nervosa ogni minuto che passava; per la prima volta, si ricordò, inoltre, di aver lasciato il suo bagaglio in macchina, ma non se ne preoccupò in modo eccessivo. Ci avrebbe sicuramente pensato Watari.
Quando, infine, fu di fronte a quella porta, respirò profondamente e bussò contro la superficie lignea, il respiro quasi del tutto mozzato.
La voce che le rispose le dette l'input decisivo per farsi avanti.
"Prego, entra pure".
Spingendo lentamente il passaggio e richiudendoselo subito alle spalle, Ruri permise ai suoi occhi di vagare per la lussuosa suite che si trovò di fronte.
Era molto simile a quella che aveva appena lasciato, ma di sicuro era infinitamente più grande. Il suo sguardo si posò sulle pareti color rosa pastello, dotate di bordi dorati alle loro estremità, sui divani dalle sfumature crema, sui numerosi vasi di cristallo, colmi di fiori, sparsi in giro per la stanza, sulle lampade dalla luce soffusa e ovattata...fino a giungere alla grande e ampia finestra che forniva una vista spettacolare su tutta Tokyo, accecante nella sua moltitudine di luci indistinte.
Infine, la sua attenzione si spostò sulla figura che ancora le dava le spalle, il cui sguardo era ancora perso all'esterno.
Prima che potesse pronunciare una parola, lui si voltò.
E per la prima volta, Ruri vide il suo volto.
Era un ragazzo. Non lo avrebbe mai immaginato, nemmeno nelle sue riflessioni o nei suoi sogni più sconclusionati, in cui, doveva ammetterlo, così tante volte aveva immaginato di incontrarlo, in quelle settimane. 
Un giovane poco più grande di lei, probabilmente sui venticinque anni. 
Il suo aspetto era trasandato, poco attento, tipico di una persona del tutto disabituata ad avere contatti con le persone o con il mondo esterno. 
Indossava un paio di jeans consunti e vecchi, una maglia bianca a maniche lunghe che lasciava intendere quanto fosse magro e snello, ed era completamente scalzo. 
I suoi lunghi e scomposti capelli neri erano completamente in disordine, intenti a circondargli la testa con una zazzera arruffata e scapigliata. 
La sua pelle era bianco latte, e i suoi occhi erano neri e profondi: riflettendoci con attenzione, capì di non averne mai visti di simili, in vita sua. 
Ma la cosa che più lo colpì fu l'espressione scolpita nel suo sguardo: era determinata  fredda, impassibile. Eppure così dannatamente, terribilmente attraente...inoltre...
Per un solo istante, quando i loro occhi si incrociarono, credette di aver visto una scintilla scattare in quelli di lui. Fu una sensazione del tutto impercettibile, quasi in grado di condurla a pensare d'essersela solo immaginata, ma così...così perfettamente in sintonia con ciò che lei stava provando in quel momento. 
Per la primissima volta in vita sua, si sentì del tutto a suo agio. 
Senza darle il tempo di riprendersi del tutto, Elle mosse qualche passo nella sua direzione, senza sorridere, lo sguardo ancora impassibile e sicuro. 
"Ruri, devo supporre".
"Sì, certo. E tu sei...".
"Elle" l'anticipò lui. 
Senza alcun tipo di preavviso, lui le prese la mano, stringendogliela con energia. 
Un contatto atipico, per una persona così estranea a manifestazioni fisiche del genere; eppure, per quanto la decisione di quella stretta di mano l'avesse sorpresa, non poté fare a meno di constatare quanto la sua candida pelle fosse fredda.
"Sono lieto di conoscerti di persona" replicò poi, ma senza ancora sorridere.
"Ehm...il piacere è tutto mio" rispose lei, incerta nel tentativo di capire se fosse sincero o no.
"Non dico mai niente che non pensi realmente, Ruri" le disse Elle, portandola quasi a spalancare gli occhi; diamine, era inquietante.
"Mi leggi nella mente, per caso?".
"Ci sono cose che parlano più di molte parole, Ruri. Non te lo aveva mai detto nessuno?" ribatté il ragazzo, lasciandole finalmente le dita.
"A dire il vero, no" rispose la ragazza, sforzandosi di sorridere.
"Beh, immagino che ci sia sempre una prima volta. Perché non ti siedi?" domandò poi, accennando ai divani nella stanza adiacente.
"Oh...va bene" annuì, finendo per seguirlo. 
Nei pochi metri di distanza che ancora li separavano dal piccolo salotto dov'erano diretti, Ruri poté notare che era molto alto, ma che camminava in modo insolitamente curvo, con le spalle in avanti, come in una posizione di difesa.
Non appena si fu accomodata sul divano, notò immediatamente che lui non si era seduto accanto a lei, bensì si era appollaiato su una poltrona, le ginocchia vicine al petto e lo sguardo incapace di staccarsi dalla sua stessa figura.
"Ehm...scusa l'indiscrezione, ma potrei chiederti che cosa stai facendo?" gli domandò, la testa leggermente piegata di lato. 
"Non capisco" rispose Elle, con naturalezza.
"Perché stai seduto in quel modo?".
"Oh, ti riferisci a questo..." iniziò Elle, con noncuranza "Beh, in realtà è un piccolo sacrificio per una questione di natura superiore. Vedi, nel momento in cui mi siedo normalmente, le mie capacità intellettive diminuiscono del 40%. E direi che questo è uno svantaggio che non posso assolutamente permettermi, in questa situazione più che in altre. Non sei d'accordo?".
"Direi di sì" annuì lei, rivolgendogli un altro sorriso, che lui sembrò ignorare diplomaticamente. 
Sospirando, capì che quell'atteggiamento non le stava piacendo un granché: era quanto di più contraddittorio si fosse mai trovata di fronte. Cavolo, era stato lui a chiederle di raggiungerlo, giusto? Era lui che aveva voluto incontrarla...e allora perché diamine adesso doveva apparirle così ostile? Era per qualcosa che aveva detto o fatto? Ma se ancora non aveva spiccicato una singola parola o quasi! Eppure...perché, accanto a quella sensazione di stranezza e di fastidio, avvertiva anche quel senso di calore e di assoluta appartenenza? 
"Vuoi del caffè? Aiuta a pensare con nitidezza" le disse lui, distogliendola dai suoi pensieri. 
Con sua sorpresa, infatti, si accorse che il tavolino dal piano di vetro che avevano davanti agli occhi era invaso da una quantità industriale di dolci e dolcetti, e che quella moltitudine colorata era affiancata da una caraffa sontuosa, piena di liquido nero, e da un paio di tazze di porcellana.
"Beh...sì, grazie" gli rispose alla fine, accettando il recipiente che le stava porgendo. 
"Un po' di torta?".
"No, non per il momento".
"Hai bisogno di mangiare. Prendi una fetta di torta".
"Non sono una fanatica dei dolci" mentì lei, infastidita.
"Tutti sono fanatici dei dolci".
"Non quanto te, a giudicare da quello che ho modo di vedere" lo punzecchiò Ruri, trattenendosi dal ridacchiare e cercando di rimanere seria.
"Forse hai ragione...ma non hai quasi toccato cibo, in questi giorni. Per favore, fa' come ti ho chiesto" insistette lui.
Con un sospiro, Ruri accettò il pezzo di dolce alla frutta che lui le stava porgendo.
"Ti piacciono le fragole".
Era un'affermazione, non una domanda, che la stupì in modo considerevole. 
"Come fai a saperlo?" gli chiese, dopo qualche istante di silenzio.
"So molte cose di te, Ruri. Non avrai pensato che avrei accettato di incontrarti, se non fossi stato estremamente sicuro di quello che stavo facendo" disse Elle.
"E adesso lo sei, Elle?".
"Non chiamarmi più in quel modo. Chiamami Ryuzaki, per precauzione".
"D'accordo. Ma non hai ancora risposto alla mia domanda" insistette la ragazza, senza smettere di mantenere lo sguardo incollato al suo.
"Beh, per risponderti direi che...no, non lo sono ancora del tutto. In effetti, per poterlo essere, dovrei avere il 100% di certezze, e non posso dire di averlo".
"E perché no?".
"Lo vuoi veramente sapere?".
Aveva pronunciato quella richiesta con lo stesso tono calmo che aveva adoperato fino a quel momento, ma l'intensità di quella domanda la disorientò in modo allarmante.
Che diamine, possibile che fosse davvero in grado di provocarle sensazioni del genere?!? Lo aveva appena conosciuto...e perché cavolo continuava a udire le parole di Naomi rimbalzarle da un capo all'altro della mente in quella maniera assurda? 

*E se dovesse capitare anche a te, Ruri? Se ti innamorassi dell'uomo che sta cercando in ogni modo di catturare Kira...saresti ancora in grado di combattere come vorresti?*.

Scosse la testa, cercando di darsi un contegno. Non aveva il minimo senso, dannazione, non aveva senso!! Innamorarsi di chi, di Elle?!? Non sapeva nemmeno chi fosse! Lo conosceva appena da un paio di minuti, e poi era del tutto inconcepibile che potesse nascere qualcosa del genere, fra loro. Inoltre, aveva la netta sensazione che dovesse trattarsi di una persona tanto geniale, quanto insopportabile. E poi, perché continuava a mantenere sempre la solita, stupida espressione?!
Subito dopo, il ragazzo la smentì immediatamente, poiché distese le sue labbra in un sorriso quasi complice, e senza dubbio sincero. 
"Allora, Ruri? Vuoi sapere perché non sono sicuro al 100% di aver fatto la cosa giusta, incontrandoti?" insistette, notando che lei non gli rispondeva.
"Certo, è evidente".
Elle posò la tazza di caffè, attendendo qualche altro minuto; infine, rialzò la testa e la guardò dritto negli occhi, entrando in profondità dentro le sue iridi di zaffiro.
"Perché la verità è che ho desiderato incontrarti fin dal primo momenti in cui ho sentito la tua voce".

Continua...

Nota dell'Autrice: Eccomiiiiiiii!!!!! Sono tornataaaaaaaa!!!! Lo so, lo so, adesso sono veramente in ritardo, per questo capitolo vi ho fatto DAVVERO aspettare una vita, mi dispiace molto!!! È solo che in questi giorni ho dovuto preparare un esame piuttosto importante (che non è andato proprio benissimo, ma vabbè, pazienza), e quindi non ho avuto proprio un minutino per scrivere!!! Anche in base a ciò, scusatemi se il capitolo fa un po' cagare, perciò siate sinceri, ma clementi XDXD Bene, che ne pensate?? Spero che vi sia piaciuto comunque e che l'attesa sia valsa la pena, almeno un pochino!! Che mi dite del loro incontro? A dire il vero, pensavo di concludere il capitolo con Ruri che entra nella stanza ed Elle che si volta, ma poi ho pensato che vi meritavate un premio per aver aspettato così tanto, perciò...eccoci qui!! L'ho scritto di getto, perciò non so come sia venuto, e forse è troppo presto per un'affermazione come quella di Elle, ma volevo esprimere subito il suo modo di essere diretto e sincero, e i suoi dubbi sul loro incontro...comunque, non vi preoccupate, niente sdolcinatezze (almeno non per il momento, eheheheh), sarà tutto molto più chiaro nel prossimo capitolo, in cui anche quell'affermazione avrà un senso nel contesto!! Adesso, passiamo ai ringraziamenti: grazie INFINITE ad AnonimaKim, ad Annabeth_Ravenclaw e a Pinkamena Diane Pie (un ringraziamento speciale a te, che ti sei talmente preoccupata del mio ritardo da contattarmi direttamente XDXD) per aver recensito l'ultimo capitolo, e grazie a tutti coloro che lo hanno sempre fatto e che spero continuino a farlo!! Grazie anche a Darknightdancer per aver recensito il primo capitolo!! Infine grazie moltissimo a Cost Black, Incubo e a LoStregatto per aver inserito la storia fra le seguite, grazie a St_rebel e a Zakurio per averla inserita fra le ricordate, grazie di nuovo a Cost Black per averla inserita anche fra le preferite, e un ringraziamento speciale a Jjace, che ha inserito 'Sugar and Pain' in tutte e tre le categorie!!! Grazie di cuore!!! Spero che anche coloro che hanno solo seguito, per il momento, decidano infine di lasciarmi una recensioncina, ci tengo molto a sapere il vostro parere!!! Molto bene, adesso ho finito di rompere e vi saluto!! Spero di non farvi attendere di nuovo così tanto, anche se avrò un altro esame da preparare, ma sarà meno pesante del precedente, perciò magari dovrete aspettare un pochino, ma non così tanto!!! Spero di poter tornare prestissimo, intanto fatemi sapere le vostre opinioni!!! Tantissimi bacioni, Victoria

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Capitolo 8
*** Battito cardiaco ***


Capitolo 8- Battito cardiaco
 
Semplice. Era l’unico aggettivo che riusciva a descrivere pienamente quella fatidica frase. Lui l’aveva pronunciata in modo diretto, come tutto ciò che usciva dalla sua bocca. E non aveva accennato a porvi un accento particolare, niente che la potesse distinguere rispetto a tutto ciò che aveva detto fino a quell’istante. E allora…perché si stava rivelando in grado di colpirla così nel profondo?
“C’è qualcosa che non va?” le domandò lui, con espressione un po’ perplessa.
Ruri lo guardò, come nel tentativo di capire se la stesse prendendo in giro o no; come poteva dire una cosa del genere e aspettarsi che lei la prendesse con la massima filosofia?
“Beh…devo dire che non mi aspettavo che mi dicessi una cosa simile” replicò infine, passandosi una mano dietro il collo, l’aria frastornata.
“Ti ho soltanto detto la verità. Spero che apprezzi la cosa” si strinse nelle spalle lui, addentando un pasticcino al cioccolato.
“Sì, ma…ecco, non sono sicura di capire fino in fondo”.
“Che cosa non capisci?” sospirò Elle, senza guardarla.
“Non capisco perché tu abbia deciso di parlarmi di questa tua sensazione” ribatté Ruri, incrociando le braccia e lanciandogli un’occhiata penetrante.
“Perché volevo che ti rendessi conto che non ho preso a cuor leggero la decisione d’incontrarti. E se è per questo, nemmeno quella relativa al chiederti di collaborare con me” rispose Elle con la massima naturalezza.
Quella replica secca e fredda la portò ad ammutolire, cosa che non tardò a farla irritare parecchio; fin da quando riusciva a ricordare, nessuno era mai riuscito a zittirla in quel modo e con quella rapidità. Chi diamine si credeva di essere?!
“Beh, ti ricordo che nessuno ti ha obbligato a fare niente” lo rimbeccò, acida “Anzi, a dire il vero, da quando la nostra cooperazione è iniziata, ho sempre avvertito la sensazione che fossi tu a decidere tutto quanto. Non so se mi spiego”.
“Perfettamente. E a te questo non piace” annuì Elle, con l’aria di chi la sapeva lunga.
“A dire il vero, non lo sopporto” precisò Ruri.
“Lo immaginavo. Non sei una persona a cui piaccia essere contraddetta, e soprattutto non tolleri che qualcuno prenda decisioni al posto tuo”.
“Sei davvero geniale come sembri, dunque” ribatté lei, tagliente.
“E tu?” proseguì Elle, guardandola dritto negli occhi “Tu sei davvero quello che sembri?”.
Di fronte a quella domanda, non poté fare a meno di tentare di recuperare qualche secondo per riflettere, prima di rispondergli a tono: perché doveva sempre essere in grado di spiazzarla?!
“Certo che sono quello che sembro…non capisco proprio che cosa tu intenda dire” disse infine, ma non riuscendo più a sostenere lo sguardo con lui.
“Beh, se quello che dici è vero, sappi che non si tratta affatto di una cosa scontata. Raramente le persone sono ciò che appaiono…immagino che questo tu lo sappia già”.
“E tutto questo per arrivare ad affermare cosa, esattamente?” lo punzecchiò Ruri, ancora irritata.
“Semplicemente che ci ho messo un bel po’, prima di decidere che incontrarti era la cosa giusta da fare. E come ti ho detto, non ne sono ancora del tutto sicuro” affermò Elle, con la stessa tranquillità manifestata fino a quel momento.
“Credi che nasconda qualcosa?” gli chiese Ruri, posando la tazza di caffè con più intensità di quanto avrebbe voluto.
Ryuzaki sembrò riflettere su ciò che aveva appena detto, un dito intento a tormentargli il labbro inferiore; con sua gran sorpresa, si rese conto che si trattava di un’abitudine che avevano in comune.
“Beh…prima di tutto, ho dovuto eliminare qualunque dubbio riguardo alla possibilità che tu fossi Kira” le rispose alla fine lui, lo sguardo rivolto verso il soffitto.
Sentirlo parlare in quel modo le fece strabuzzare gli occhi e spalancare leggermente la bocca; quando, infine, riuscì a riprendersi e a ribattere, avvertì una discreta rabbia concentrarsi in ogni sillaba da lei pronunciata.
“Mi stai dicendo…ecco, mi stai prendendo in giro, per caso?!” sbottò, le braccia incrociate.
“No, affatto” le rispose il ragazzo, infilando in bocca una generosa porzione di budino al cioccolato.
“Elle…Ryuzaki, insomma, spero che tu abbia una spiegazione per quello che hai appena detto, perché sappi che non è affatto divertente!!!” scoppiò Ruri, il volto leggermente arrossato.
“Non intendevo essere divertente” puntualizzò Elle, perfettamente a suo agio.
“Tu hai seriamente pensato che io fossi Kira?!”.
“C’era pur sempre il 2% di possibilità che tu potessi rivelarti il killer, sì” disse il detective, con grande diplomazia “Non ti va il dolce alla frutta? Preferisci qualcos’altro?”.
“Mi spieghi come fai a dirmi che pensavi che fossi Kira, e poi domandarmi se mi piacciono di più i pasticcini o la crostata?!?!” saltò su Ruri, esasperata.
Elle la fissò con aria accigliata, e, per la prima volta, un po’ stupita.
“Cerco di comportarmi in modo educato. Watari mi ha detto che va usato il massimo riguardo, nei confronti di una signora, soprattutto quando si tratta di un’ospite. Vuoi che faccia portare qualcos’altro?”.
Ruri lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, esasperata: quel tipo la stava davvero facendo andare fuori di testa.
“No, preferirei che mi spiegassi sulla base di cosa hai potuto pensare che io fossi Kira, e soprattutto per quale accidenti di motivo hai accettato allora di incontrarmi, considerando quello che hai appena detto”.
Elle sospirò con rassegnazione e le rivolse un altro sguardo penetrante, le mani poggiate sulle ginocchia.
“Forse non mi sono spiegato in modo adeguato. Non ho mai pensato realmente che tu potessi essere Kira, né tantomeno lo credo adesso. Ho solamente evitato d’escludere a priori questa pista, e, di conseguenza, mi sono concentrato su ciò che avevo di fronte, cercando di capire se i miei pochi dubbi avevano ragione d’essere confermati o meno”.
“Oh, veramente? E che cosa ne hai dedotto, signor detective?!” gli domandò Ruri, per la prima volta sarcastica nei suoi confronti.
L’occhiata gelida che Elle le rivolse fu superbamente sostenuta dal suo sguardo infuocato, ma non poté fare a meno di donarle un altro brivido lungo la schiena.
“Considerando che ti ho chiesto di raggiungermi, le mie conclusioni dovrebbero apparirti evidenti”.
“Volendo parlare con schiettezza, niente in questa storia mi sembra più molto evidente” commentò Ruri, curvandosi in avanti con la schiena e passandosi una mano di fronte al campo visivo.
Anche senza rialzare gli occhi, percepì lo sguardo di lui ancora intento a trapassarla da parte a parte; fu solo dopo un’altra lunga pausa che lei parlò nuovamente.
“È questo il motivo delle telecamere?” gli chiese, quasi sussurrando.
Elle riprese in mano la sua tazza di caffè e cominciò ad aggiungervi numerose zollette di zucchero, quasi come se avesse voluto prendere tempo.
“No” le rispose, dopo un altro momento di quiete “Posso assicurarti che le cose non stanno così: l’ho fatto perché desideravo avere la situazione sotto controllo, e volevo monitorarti per proteggerti al meglio possibile”.
“Sono in grado di badare a me stessa”.
“Questo me lo hai già detto. Hai intenzione di discutere di nuovo di questa storia?”.
“Perché cazzo pensavi che potessi essere Kira?! Diamine, Ryuzaki, questo è…”.
“…un insulto?” completò lui, lasciandola di sale per l’ennesima volta “A dirti la verità” proseguì, con un sorrisetto “Non è altro che un ulteriore indice dell’infinita considerazione che nutro nei tuoi confronti”.
Ruri lo fissò sbalordita per qualche altro istante, come cercando ancora di capire se stesse facendo dell’ironia o meno.
“Non starai dicendo che stimi quel pazzo omicida…?” mormorò poco dopo, alzando un sopracciglio.
“Ovviamente no” esplicò il detective “Ma senz’altro lo reputo un avversario capace e degno d’essere affrontato. La sua psiche e il suo intelletto sono sopraffini…e considerando che ho sempre pensato che i tuoi lo fossero, ho ritenuto opportuno valutare la possibilità che potessi esserci tu, dietro tutto questo. Come risulta ovvio ad oggi, i miei flebili sospetti sono svaniti nel nulla poco dopo la loro nascita”.
“Ryuzaki, questo non è un gioco da tavolo. Diamine, stiamo parlando di una serie di omicidi, di un’autentica follia!! Pensi davvero che sarei capace di una cosa del genere?! Voglio dire, è una cosa mostruosa…” disse Ruri, la voce strozzata.
“E sulla base di cosa dovrei ritenere impensabile l’ipotesi che tu sia in grado di uccidere?” ribatté Elle, ancora impassibile.
“Tu…tu non…”.
“Io conosco soltanto la tua mente, Ruri. Non conosco il tuo cuore, non conosco le tue inclinazioni, non conosco la tua indole nel profondo. Tutto ciò che posso dire di conoscere è il modo singolare e superbo in cui funziona la tua intelligenza…e riflettendo sull’acutezza che si nasconde dietro Kira, arriveresti a comprendere che la sua genialità non è poi così lontana dalla tua. O dalla mia, se posso permettermi di dirlo”.
Per l’ennesima volta, le sue parole si rivelarono in grado di ammutolirla quasi del tutto, portandola a spostare lo sguardo sulla moltitudine di dolci di fronte a loro, senza vederla realmente, gli occhi persi nel vuoto.
Non poteva credere a tutto quello che le aveva detto, eppure…possibile che ci fosse una qualche assurda, possibile logica?
“Quindi…sospettavi di me, ma adesso non è più così, dico bene?” sussurrò dopo un lungo silenzio, interrotto solo dal ticchettio dell’orologio.
“Sì, e forse ti farà piacere sapere che ho estirpato i miei sospetti poco prima che tu arrivassi in Giappone. In base a ciò che ti ho appena detto, potrai renderti conto che si è trattato di una fase alquanto transitoria e passeggera”.
“Capisco…”.
Guardandola di sottecchi, Ryuzaki si accorse di quanto stesse diventando pallida.
“Ti senti bene?”.
“Sì…sono solo…ecco, direi che è la prima volta che qualcuno si rivela in grado di scioccarmi in modo simile, e per diverse volte di fila, nell’arco di qualche minuto” affermò la ragazza, passandosi una mano dietro la nuca.
Guardandolo di nuovo negli occhi, gli indirizzò uno sguardo pungente e ricco di significato.
“Sei un tipo molto diretto, lo sai?”.
“Sì. E questo non ti piace, non è vero?” ribatté Ryuzaki, senza staccare gli occhi dal suo volto.
“Sì e no…” disse lei, pronunciandosi in un sorrisetto stiracchiato.
Elle non replicò, dedicandosi a girare lo zucchero del suo caffè, tenendo il cucchiaino con appena la punta delle dita, come se avesse voluto cercare di toccarlo il meno possibile.
Senza nemmeno rendersi conto del perché, Ruri si accorse di non essere in grado di staccare gli occhi da quella figura così enigmatica e misteriosa; diamine, quella situazione, dovette constatarlo per l’ennesima volta, non aveva il minimo senso. Perché cavolo aveva deciso di lasciare l’FBI?! Perché aveva voluto esporsi in quel modo?! Che ci faceva in quella dannata camera d’albergo?! E infine, come poteva quel tipo assurdo essere Elle?
*In realtà…* dovette ammettere poco dopo, osservandolo mentre trangugiava la sua bevanda senza troppe cerimonie *Riflettendoci bene, la domanda giusta è…come avrebbe potuto non esserlo?*.
Effettivamente, malgrado le disparate ipotesi che aveva formulato riguardo all’aspetto che il detective avrebbe potuto avere, doveva riconoscere che quella visione era quanto di più simile a ciò che i suoi sogni (e, doveva ammetterlo, i suoi desideri) le avessero mai restituito in quelle settimane.
Perfino le sue occhiaie, così cupe e profonde, e il suo sguardo allucinato combaciavano con il quadro immaginario che aveva finito per creare…possibile che quella bizzarra situazione fosse reale? Possibile che una parte di lei lo avesse davvero contemplato come un vecchio esperto, mentre un’altra, molto meno razionale, avesse finito per dipingerglielo come un ragazzo così giovane, così vicino alla sua età…e possibile che lo trovasse davvero attraente?
“Mi stai fissando” le fece notare lui, riscuotendola dalla sorta di torpore in cui sembrava essere caduta.
Affrettandosi a distogliere lo sguardo, Ruri tornò a tormentare la sua fetta di torta, senza riuscire a impedirsi di apparire un po’ a disagio.
“Scusami, ero sovrappensiero” affermò poco dopo, ingoiando velocemente la sua fragola.
“E a cosa pensavi, esattamente?” insisté lui, tornando a guardarla nel suo consueto modo penetrante.
“Pensavo al caso e alla nostra collaborazione” disse lei, cercando di apparirgli sicura “Quindi, adesso sei convinto che puoi fidarti di me?”.
“Te lo ripeto, se così non fosse stato, certo non avrei accettato d’incontrarti”.
“Ma, nonostante questo, non sei del tutto sicuro che questa tua decisione sia stata corretta” replicò Ruri, sagace.
“Esattamente. In realtà, non riesco a spiegarmi fino in fondo il motivo per cui io stia facendo tutto questo. È da quando ho iniziato a lavorare al caso Kira che ci penso, per dir la verità: e non posso nasconderti che mi sei tornata subito alla mente, e che l’idea di lavorare con te di nuovo mi ha reso all'istante entusiasta. Ci ho riflettuto sopra a lungo, e infine non mi sono fatto altri scrupoli e ho contattato il tuo capo. Considerando le tue eccellenti capacità, ho perfino messo in dubbio le tue qualità morali, come prima ti accennavo, e ho provveduto subito a risolvere qualsiasi sospetto che potessi nutrire in merito…ma fin dal primo momento in cui sei arrivata in Giappone, ho soppesato la possibilità d’incontrarti di persona. Ed è proprio questo che mi lascia così perplesso”.
Ruri avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma non intervenne, aspettando che lui proseguisse; era certa di non aver mai ascoltato nessuno in modo così attento in tutta la sua vita.
“Il punto è che non sono abituato a richiedere la collaborazione di nessuno. Di solito, sono gli altri che vengono da me. Il solo fatto di aver dovuto stringere un’alleanza cooperatrice con la polizia è insolito, per me, e ti confesso che ci sono dei momenti in cui avverto la cosa come estranea e un po’ fastidiosa. Ma con te…” affermò, regalandole un altro sguardo penetrante e profondo “Sento una connessione mentale che non avevo mai avvertito prima d’ora. E la cosa mi preoccupa, sai? E non poco…”.
“Perché?” domandò Ruri, quasi pendendo dalle sue labbra.
“Perché non sono sicuro di riuscire a comprenderla fino in fondo”.
Era una delle sue risposte tipiche, così diretta, senza mezzi termini; era sicura che non ci avrebbe mai fatto l’abitudine fino in fondo.
“In ogni caso” seguitò lui, prima che Ruri potesse ribattere “Sono sicuro che la cosa si chiarirà con un’analisi più approfondita da parte mia. Adesso, credo che sia meglio dedicarsi ad altro”.
“Sì, sono d’accordo con te” si affrettò a dire la ragazza, distogliendo frettolosamente gli occhi dai suoi: non sapeva bene perché, ma quella conversazione le stava letteralmente mettendo i brividi.
“Allora” proseguì Elle, mettendosi in bocca un pasticcino alla crema “Direi che la cosa migliore sarebbe partire dai nuovi omicidi avvenuti oggi pomeriggio. Permetti che ti faccia un paio di domande?”.
“A tua disposizione” sospirò Ruri, poggiando il piattino, che aveva tenuto in mano fino a quel momento, sulla superficie del tavolo.
“Quand’è stata l’ultima volta che hai avuto una qualche forma di contatto con uno dei tuoi colleghi?” le chiese Elle, senza staccare per un solo istante gli occhi dal suo viso.
“Vediamo…” rifletté Ruri, pensierosa “Sì, sono sicura che l’ultimo sia stato proprio il 19 Dicembre, intorno alle 20.00. L’agente Ray Penber mi ha telefonato per farmi rapporto, ti ho inoltrato la documentazione per e-mail circa un’ora dopo”.
“Ricordo. Se non sbaglio, è stata una conversazione accesa…” commentò Elle, noncurante.
Ruri lo guardò storto, stringendosi nelle spalle.
“Ti avevo detto che avrei preferito che non fosse coinvolto nelle indagini…”.
“Immagino. Sembrava qualcosa di simile a un vecchio rancore…”.
“Come mai t’interessa?!” saltò su Ruri, irritata.
“Sto solo cercando di capire se avessi qualcosa di personale contro di lui, o se ti limitassi a detestare il suo pessimo lavoro investigativo” replicò Elle, senza scomporsi.
“Entrambe le cose” sbuffò Ruri “A dirti la verità, con tutto il rispetto per i morti, ho sempre pensato che fosse un idiota. E il fatto che ora sia deceduto non cambia molto il mio parere al riguardo”.
“Se t’incuriosisce saperlo, oltre ad essere un idiota e un pessimo agente dell’FBI era anche un truffatore e uno spacciatore di cocaina, nel tempo libero” le disse il detective, ancora impassibile.
Ruri rischiò di sputare in una sola volta il sorso di caffè che aveva appena bevuto, e per evitare una fine simile fu costretta a tossire per una buona manciata di minuti.
“Che…che cos’hai detto?!?” sbottò alla fine, dopo essersi ripresa.
“Ho fatto qualche indagine, in queste settimane. Sembra che il vostro bellimbusto avesse parecchie cose nascoste da spiegare; da quanto mi risulta, pare che stesse collaborando con la mafia italiana residente a Los Angeles, da almeno due anni”.
Ruri strinse la mano destra a pugno, trattenendosi a forza dal digrignare i denti.
“Quel figlio di…lo sapevo che non potevamo fidarci di lui. Mi dispiace molto per Naomi, ma non posso negare che abbia avuto quello che si meritava, in fondo”.
“Naomi? Intendi Naomi Misora?” le domandò Elle, alzando un sopracciglio.
“Sì, si erano fidanzati circa un anno e mezzo fa. Programmavano di sposarsi la prossima primavera” replicò Ruri, ancora frastornata “È stato un brutto colpo, per lei…”.
“Mi dispiace” commentò Elle, inespressivo.
“Sì…”.
“Stavamo dicendo?” proseguì poi lui, come se niente fosse “Hai detto che l’ultimo contatto che hai avuto con la tua squadra è stata la telefonata con Penber, dico bene?”.
“Esatto. Mi ha fatto rapporto sui suoi pedinamenti, e poi ha chiuso la comunicazione. Non è stato uno scambio d’informazioni molto lungo, e senz’altro non troppo significativo”.
“Puoi dirmi che cosa ti ha detto, esattamente?” le domandò Elle, sporgendosi verso di lei con espressione attenta.
Fissando i suoi occhi in quelli di lui, Ruri non poté fare a meno di constatare nuovamente quanto fossero inquietanti, nonostante la loro particolarità e…bellezza.
“Pensavo che avessi ascoltato tutto” obiettò, perplessa “In fondo, stavo comunicando con il dispositivo che mi ha fornito tu…”.
“Sì, ma preferirei che mi riferissi tutto di nuovo nei minimi dettagli. Potrebbe essermi sfuggito qualcosa” precisò Elle, lo sguardo concentrato sulle nuove zollette di zucchero che stava aggiungendo alla sua ennesima tazza di caffè.
“Beh, come ti accennavo, mi ha messo a conoscenza dei dati ricavati dai suoi appostamenti…era stato incaricato di seguire i Kitamura e gli Yagami, in questi giorni”.
“E le sue impressioni?”.
“Un bambino avrebbe saputo fare di meglio” commentò Ruri, disgustata “Tutto ciò a cui è arrivato è che Kitamura è un tipo molto dedito al lavoro, come Yagami, del resto, e che entrambi hanno famiglie noiose in cui le mogli non fanno altro che cucinare e i figli guardare la televisione…”.
Quell’improvviso accenno le fece venire in mente una cosa, in maniera rapida e fulminea.
“Aspetta…ora che ci penso, ha detto di essersi concentrato maggiormente sul figlio maggiore degli Yagami…un certo Light, se non ricordo male…”.
“Light, hai detto?” chiese Ryuzaki, afferrando una cartellina nelle vicinanze, dove era impressa la fotografia del ragazzo “Light Yagami?”.
“Esatto, il figlio del sovrintendente. Eccolo qui” commentò Ruri, iniziando a sfogliare il documento che lo riguardava “Proprio come ricordavo, studente modello, alta attitudine per gli sport, campione juniores di tennis, richiesta effettuata per l’iscrizione alla facoltà di Criminologia dell’Università di Tokyo, volontariato al centro ripetizioni…ha la fedina penale più pulita che abbia mai visto”.
“E per questo, non ti convince” annuì Elle.
“Esatto. Diamine, questo tizio non ha mai preso neanche una multa per divieto di sosta…non è possibile che sia tutto qui. D’altronde, sono proprio le persone in apparenza più limpide delle altre a nascondere gli scheletri peggiori…”.
“Il tuo collega non condivideva la tua tesi, immagino”.
Ruri sospirò pesantemente, sforzandosi di non alzare gli occhi al cielo.
“Ha sottolineato esplicitamente la sua intenzione di lasciarlo perdere; come potrai intuire, secondo lui non aveva niente di sospetto”.
"Ma tu non eri d'accordo. Tanto per la cronaca, sono della tua stessa idea" la rassicurò il detective, prendendo un altro sorso di caffè.
Ruri lo guardò in modo penetrante, alzando un sopracciglio.
"Davvero?".
"Sì. Avevo già in programma di indagare con più attenzione sugli individui che gli agenti dell'FBI erano stati incaricati di pedinare, e adesso che mi rendo conto che condividi i miei dubbi al riguardo...".
La ragazza non riuscì a trattenere un sorriso soddisfatto, ma non poté nemmeno darsi una risposta, quando, per l'ennesima volta, finì per domandarsi per quale motivo la considerazione di quel tipo le stesse così a cuore.
*È il detective migliore del mondo* cercò di ripetersi *Ho sempre ammirato ogni suo battito di ciglia...di cosa mi meraviglio, adesso?*.
"Bene. Questo è tutto ciò che puoi dirmi riguardo alle indagini di Penber?" le domandò Elle.
Ruri fu sul punto di rispondergli affermativamente, ma poi un pensiero le attraversò la testa, come se si fosse trattato di un fulmine a ciel sereno.
"Beh...un'altra cosa ci sarebbe. Forse non è importante, ma...".
"Ti ascolto" la esortò Elle, mettendole sotto il naso un altro pezzo di dolce.
"Non so se hai sentito parlare dell'incidente stradale avvenuto circa una settimana fa, sulla statale diretta a Spaceland...".
"Il dirottamento causato dal tossicodipendente? Sì, me ne ricordo...".
"Il giorno stesso in cui quel fatto è accaduto, intorno alle 23.00, ho ricevuto una chiamata da parte di Naomi Misora. Mi ha chiesto di sottoporre un'ipotesi che aveva formulato al tuo giudizio, ma francamente non so quanto potesse essere lucida, in un frangente del genere".
"Che cosa intendi dire?".
"Intendo dire che Ray Penber si trovava sull'autobus dirottato da Hosoreda, e che è probabile che Naomi fosse in forte stato di shock".
Ryuzaki rimase per un momento in silenzio, riflettendo sulle parole della sua collaboratrice, il dito indice intento a tormentargli il labbro; infine, tornò a guardarla dritto negli occhi e riprese a parlare.
"E la sua teoria?".
Ruri sospirò, passandosi una mano nella folta chioma scura, prima di rispondere.
"Beh, lei...sostiene che possa esistere la possibilità che Kira abbia altri mezzi per uccidere, oltre l'arresto cardiaco".
Elle spalancò i suoi grandi occhi scuri, pronunciandosi in un sorriso un po' inquietante, mentre Ruri lo fissava incerta.
"Lo trovi divertente?" non poté fare a meno di domandargli, poco dopo.
"No, ma è molto interessante" replicò Elle, senza cancellare la sua espressione leggermente maniacale "C'è dell'altro?".
"Beh, ha aggiunto che Penber le ha detto di aver mostrato il suo distintivo a uno dei passeggeri...il solito idiota" replicò Ruri, con aria schifata.
Quella dichiarazione portò Ryuzaki a cadere letteralmente dalla sedia, facendo sobbalzare la ragazza.
"Ma ti senti bene?!?" sbottò Ruri, facendo per aiutarlo a rialzarsi.
Toccandolo sul braccio, constatò di nuovo quanto fosse fredda la sua pelle; Ryuzaki ruppe subito il loro contatto, guardandola dritto negli occhi, lo sguardo incatenato a quello di lei.
"Ehm, Ryuzaki...".
Senza alcun preavviso, lui l'afferrò per le spalle, l'espressione quasi trionfante e sicuramente soddisfatta.
"Sei qui da cinque minuti e mi hai già fornito un indizio così fondamentale. Credo che sarò costretto a darti la mia fragola ogni volta che vorrai, da adesso in poi".
Ruri lo fissò con l'espressione di chi sta guardando un pazzo.
"Non è che fai uso di qualche sostanza, vero? Questo spiegherebbe parecchie cose".
"No, io no" ribatté Ryuzaki, subito ricompostosi, nel sedersi di nuovo "E se ti interessa saperlo, non ho mai nemmeno fumato una sigaretta in vita mia. L'ultima che hai provato è stata cinque mesi fa, vero? Marlboro light senza filtro, se non vado errato".
La giovane lo fissò a bocca aperta, le mani sui fianchi.
"Come ACCIDENTI fai a saperlo?!?" se ne uscì, il volto arrossato.
"Come ti ho già detto, so molte cose di te, Ruri. Ma immagino che non sia questo il momento più opportuno per discuterne, considerando il grosso vantaggio che ci hai appena fornito...".
"Non è farina del mio sacco, ti sto solo riferendo quello che mi ha detto un'amica...e ti faccio di nuovo presente che non so quanto sia affidabile".
"Beh, che la sua teoria riguardo al potere omicida di Kira sia vera o no, sicuramente possiamo dedurre che il suo fidanzato si è trovato faccia a faccia con il killer, quel giorno".
Ruri restò in silenzio, come cercando di riflettere con più attenzione sulle sue parole.
"Ci ho pensato anch'io..." affermò infine, tornando a sua volta a sedersi "Ma non so quanto possiamo esserne sicuri...".
"Non ho detto che possiamo esserlo. Direi che abbiamo circa il 10% di possibilità" dichiarò Elle.
"Non lo so, Ryuzaki...il punto è che non sappiamo nemmeno come effettivamente Kira prosegua all'uccisione delle sue vittime. D'accordo, ha bisogno di un volto e di un nome, ma il modo in cui procede nel commettere gli omicidi ci è del tutto oscuro...gli basta fissare le persone negli occhi? Deve compiere un'azione precisa? Tutta questa storia è esasperante".
"Me ne rendo conto. Infatti, stiamo procedendo per ipotesi, Ruri; al momento, non possiamo essere certi di niente".
"Lo so…” replicò Ruri, stancamente.
“Qualche suggerimento sulla nostra prossima mossa?”.
“Sei tu il capo” obiettò la giovane, stupita.
“Io non sono il tuo capo, Ruri. Sono il tuo collaboratore. Allora, idee?” insistette Elle.
"Suggerirei di controllare ogni singolo movimento effettuato dai miei colleghi dell'FBI. Procurarci le registrazioni delle telecamere di sorveglianza che li hanno ripresi nel corso dei loro spostamenti non dovrebbe essere difficile; sono già in possesso dei rapporti che mi hanno fornito, relativamente a ogni loro appostamento e a ogni mossa che hanno compiuto in questi giorni. Riguardo a Penber...beh, sarebbe opportuno venire a conoscenza delle sue azioni in modo ancora più dettagliato, in particolar modo...se capissimo chi era stato incaricato di seguire, il giorno del dirottamento dell'autobus per Spaceland, forse ne caveremmo qualche altro spunto interessante".
"Per fare quello che dici, dovremmo accedere alle informazioni riservate di Penber...da quanto mi pare d'aver capito, non ti ha più fornito alcun rapporto, dalla telefonata che avete avuto il 19 Dicembre".
"Esatto. Perciò, quello che dobbiamo fare è entrare nel suo computer" sorrise Ruri.
"Pensi di poterlo fare?".
"Andiamo, conosci il mio curriculum a memoria, sono anche esperta di informatica. Posso assicurarti che non me la cavo male, come hacker".
"Allora immagino che non ci saranno problemi" commentò Elle.
"Vuoi che lo faccia subito?".
"Comincia a lavorarci, per favore, ma prima vorrei che ti riposassi un po'. Hai l'aria molto stanca" le disse lui, alzandosi in piedi.
"Sto bene" replicò Ruri, imitandolo "Davvero".
"Dico sul serio, Ruri, fammi questo favore: ho bisogno che tu sia lucida e concentrata al massimo" insistette Ryuzaki.
"E ti sembra che adesso non lo sia?".
"Hai ancora gli occhi gonfi".
Il suo essere così conciso e diretto la spiazzò per l'ennesima volta, rendendola incapace di replicare e costringendola a distogliere lo sguardo.
Rendendosi conto che lei non accennava a parlare, Elle riprese in mano il discorso, le mani sprofondate nelle tasche dei jeans.
"Sono indelicato" rilevò poi, con il tono di chi dice una cosa ovvia.
"Oh, sì. Lo sei" confermò Ruri, guardandolo un po' in tralice.
"Mi dispiace, non era mia intenzione" affermò Elle, per la prima volta a disagio.
"Non serve che ti scusi. Non ne hai bisogno".
"Forse ne ho bisogno, invece".
Sentirlo parlare così le fece alzare gli occhi, l'aria stupita: notò che stava cercando di sorriderle, e non lo fermò quando apparve in procinto di continuare.
"Ruri...non so bene come dirtelo, ma...mi dispiace" le disse poi, senza più guardarla negli occhi "Mi dispiace per quello che è successo. So che ti ho messa in una situazione difficile...".
"Tu non c'entri. Sono io che ho deciso di rimanere...".
"Sì, ma sicuramente adesso ti senti frastornata, e in parte è colpa mia. Lo so, e di questo sono dispiaciuto. Dico davvero".
Quelle parole la sorpresero oltre ogni misura, ma riuscirono comunque a strapparle un sorriso, stiracchiato ma grato al tempo stesso.
"Grazie, Ryuzaki. È gentile da parte tua. Ti ringrazio".
"Non c'è di che. A proposito, volevo che sapessi che ho cercato di sdebitarmi..." proseguì il detective.
"Che cosa vuoi dire?" replicò Ruri, perplessa.
"Prima che arrivassi qui, ho parlato con il tuo capo. Mi ha chiamato per cercare di convincermi a farti cambiare idea, riguardo alla tua decisione".
"CHE COSA?!?" sbottò Ruri "Come diamine si è permesso?!?!?".
"Sapevo che avresti reagito in modo simile" affermò Ryuzaki, senza scomporsi "Ma non devi preoccuparti, ho provveduto a dirgli che deve evitare di occuparsi di questioni che non sono di sua pertinenza".
"Beh, grazie" commentò Ruri, ancora arrabbiata.
"E per contro, gli ho chiesto d'informare la stampa al più presto della morte dei 13 agenti dell'FBI inviati in Giappone".
"Beh, questo è...un momento" si bloccò Ruri, guardandolo con stupore "Hai detto 'tredici'...?".
"Precisamente" sottolineò Elle, lo sguardo ancora rivolto al pavimento.
"Significa che..."
"Significa che ho chiesto a Van Hooper di comunicare alla stampa che sei morta, al pari dei tuoi colleghi. Se Kira dovesse scoprire che uno degli agenti che ha tentato di uccidere è ancora vivo, probabilmente concentrerebbe tutte le sue energie nel cercare di ucciderlo. Si sentirebbe minacciato, si domanderebbe perché il suo piano presenta una pecca così rivelante, si chiederebbe perché con te ha fallito...e di conseguenza, credo che trascurerebbe ogni altra cosa, ogni altro pensiero, fin quando non arrivasse a essere sicuro che sei morta. Certo, avremmo potuto usare la cosa a nostro vantaggio, considerando che il killer, di fronte a una notizia del genere, si sarebbe fatto prendere dal panico, e forse avrebbe fatto qualche passo falso, ma...preferisco che tu non sia l'esca da adoperare, in questa storia. Ho bisogno che tu sia pronta e lucida nell'aiutarmi nelle indagini, e per questo non posso permettere che tu venga esposta a inutili pericoli. Pertanto, Van Hooper darà l'annuncio del tuo decesso questa sera alle 21.00, ora americana, naturalmente. Spero che la cosa non ti infastidisca in modo eccessivo".
Ruri gli regalò un altro sguardo penetrante, per poi sorridergli con noncuranza e perfino con gratitudine.
"Un gesto premuroso, oserei dire".
"Un gesto calcolato" la corresse lui.
"Naturalmente" annuì Ruri "Beh, ti ringrazio, Ryuzaki. In particolar modo, grazie per avermelo fatto sapere, immagino che scoprirlo tramite il notiziario sarebbe stato un po' scioccante".
"Adesso va' a riposarti. Avremo tempo per discutere meglio del caso questa sera. A proposito, avrai notato che la suite è costituita letteralmente da due appartamenti distinti; ho provveduto in tal senso in modo che tu possa disporre di tutta la privacy di cui hai bisogno, considerando che non potrai lasciare questa postazione. In ogni caso, se dovessi avere bisogno di qualcosa...".
"Grazie" lo interruppe Ruri, garbata ma un po' sbrigativa "Davvero, grazie, Ryuzaki, va benissimo così".
"D'accordo" concluse Ryuzaki, tornando ad appollaiare sulla sedia, il computer portatile aperto di fronte a sé.
Ruri fece per avviarsi verso la zona notte, quando Elle sembrò improvvisamente cambiare idea, tornando ad alzarsi e richiamandola indietro.
"Stavo pensando..." le disse, incerto, una mano infilata nella sua chioma in disordine "È meglio che le informazioni relative a questo caso rimangano riservate, ma immagino che tu voglia avvisare qualcuno che, in realtà...ecco, che stai bene, e che non ti è successo niente. Ovviamente, non voglio che la cosa sia di dominio pubblico, ma potresti scegliere una persona molto riservata a cui decidere di comunicarlo. Non so, forse tua madre o tuo padre, un fratello...un fidanzato...".
Di fronte a quella parola, Ruri si lasciò sfuggire un sorrisetto, ma decise di stare al gioco.
"Niente fidanzato, Ryuzaki. E niente genitori. Ho solo un'amica, che potrebbe in effetti preoccuparsi parecchio. Allora, dici che posso chiamarla?".
"Sì, naturale. Quando vuoi" replicò il detective, facendo per tornare a sedersi.
"E tu?" lo fermò Ruri, decisa a controbattere.
Elle la fissò con aria interrogativa.
"Io che cosa?".
"Tu non vuoi avvisare la tua fidanzata di quello che sta accadendo?".
Prima di rendersi conto del sorrisetto che aleggiava sulle labbra di Ruri, Ryuzaki non riuscì a trattenersi dallo spalancare gli occhi.
"Fidanzata...?".
"Esatto".
"Non so di cosa tu stia parlando. Ormai, dovresti aver capito che non ho tempo per sciocchezze simili".
"Stavo solo giocando al tuo stesso gioco, Ryuzaki".
"Non capisco, Ruri" affermò Elle, tornando al suo portatile "E adesso, ti suggerisco di andare di là a sdraiarti. Non farmelo ripetere".
"Agli ordini, signor detective".
Ruri fece per voltarsi per l'ennesima volta, ma qualcosa la richiamò di nuovo indietro, portandola a guardare quella schiena perlacea per l'ennesima volta.
"Ryuzaki...?".
"Sì?" replicò lui, senza voltarsi di nuovo.
Ruri esitò per qualche istante sulle sue successive parole, ma infine proseguì.
"Perché anche tu credi che Light Yagami abbia qualcosa di sospetto?".
In modo quasi impercettibile, lo avvertì sorridere, senza che lui le avesse rivolto un altro sguardo.
"Perché è troppo perfetto, Ruri. Tu non trovi?".
Senza rispondergli, Ruri girò sui tacchi, entrando nella sua camera da letto e chiudendosi la porta alle spalle, per poi appoggiarvisi contro, il respiro irregolare e il cuore che le batteva all'impazzata. Non poteva negarlo, Ryuzaki aveva ragione, fra loro esisteva una connessione mentale ai limiti della telepatia.
Ma se si trattava davvero soltanto di questo...allora perché sentiva lo stomaco stretto in quella morsa, come prigioniero di un'emozione che lei stessa non riusciva a spiegarsi?
 
Dopo aver dormito per circa un’ora, si svegliò di soprassalto, il respiro affannoso e il battito cardiaco ancora più accelerato. Toccandosi la fronte, avvertì che la sua pelle era ricoperta di sudore ghiacciato, per l’ennesima volta; imprecando, si alzò in piedi e dette un’occhiata al suo orologio da polso. Erano le 18.00.
Ricordandosi a un tratto del posto in cui si trovava, di tutto ciò che era successo e delle parole di Ryuzaki, si alzò in piedi, cominciando a fare avanti e indietro per la stanza.
Perché si sentiva così strana? Perché tutto stava succedendo così in fretta? Perché avvertiva quelle stranissime sensazioni all’altezza del petto e della gola? Perché incontrare di persona Elle l’aveva lasciata così frastornata?
*Beh, che cosa mi aspettavo? Dopotutto, ho parlato e lavorato con lui a lungo, senza averlo mai visto in faccia, e adesso…beh, insomma, sono soltanto un po’ sorpresa! Senza contare tutto quello che è accaduto in queste ore...è soltanto un po’ di stress, niente di cui preoccuparsi*.
Ripensando a un tratto all’annuncio che sarebbe stato fatto a distanza di ore negli Stati Uniti, afferrò subito il suo cellulare e compose il numero di Robin.
La sua migliore amica le rispose dopo numerosi squilli, la voce assonnata e frastornata.
“Pronto?”.
“Robin, sono Ruri”.
“R-Ruri…?”.
“Sì, esatto” insistette la ragazza.
“Ruri…? Ma che diamine…? Cazzo, Ruri, sono le cinque del mattino…”.
“Lo so, mi dispiace disturbarti, ma devo parlarti di una cosa molto importante”.
Notando l’intensità del suo tono di voce, Robin sembrò farsi più attenta.
“Stai bene? È successo qualcosa?”.
“Sì, sì, io sto bene, non devi preoccuparti. È solo che devo dirti una cosa…ecco, volevo avvisarti di…”.
“Ruri, mi stai spaventando!” la interruppe Robin, ora del tutto sveglia “Che ti succede?! Hai bisogno di aiuto?! Perché hai la voce rotta?! Ti hanno fatto del male?!”.
“Robin, va tutto bene, devi stare tranquilla. È solo che ti sto chiamando per dirti…ecco, è una notizia un po’ difficile, ma volevo avvisarti che non devi affatto preoccuparti, quando sentirai il telegiornale delle 21.00, oggi”.
“Il telegiornale delle 21.00…? Non capisco…”.
Prima di risponderle, Ruri prese un bel respiro profondo.
“Questa sera, negli Stati Uniti, Van Hooper annuncerà in diretta mondiale che sono deceduta nel corso delle indagini dell’FBI in Giappone”.
Dall’altro capo del telefono, Robin ammutolì per una buona quantità di tempo.
“Robin? Ci sei ancora?” le domandò infine la ragazza, preoccupata.
“Se avevi voglia di farmi uno scherzo, non sei stata assolutamente divertente” replicò Robin, serissima.
“Non sto affatto scherzando”.
“Ti dispiace spiegarmi che diamine sta succedendo?!” esclamò Robin, nel panico.
“Robin…i miei colleghi dell’FBI…i dodici agenti che sono arrivati a Tokyo poco dopo di me…sono tutti morti. È successo oggi pomeriggio” affermò Ruri, cercando di mantenere la voce ferma.
“CHE COSA?!?!” sbottò Robin “Morti?!? Ma com’è possibile?!?!”.
“Non lo so, e credimi, vorrei davvero saperlo. Comunque, non posso dirti i dettagli, ma sicuramente c’è Kira, dietro questa maledetta storia”.
“Oh mio Dio…e tu, tu però…”.
“Io sto benissimo, davvero. Non devi spaventarti” cercò di rassicurarla Ruri.
“Spaventarmi!!! Tu dici che c’è un serial killer, dall’altra parte del mondo, che sta cercando di ucciderti, e poi sostieni che devo stare calma!!! Ma che diamine ti salta in mente?! Cazzo, Ruri, dove sei adesso?!”.
“Sono ancora in Giappone. Sto procedendo nelle indagini” ribatté Ruri, tornando a sedersi stancamente sul letto.
“Ma…ma come?!? Dopo quello che è successo?! Non hai avuto un ordine di rientro?! Stai dicendo che l’FBI non ha abbandonato il caso?!” obiettò Robin, sempre più stupita.
Ruri sospirò debolmente, passandosi una mano davanti agli occhi.
“Certo che lo ha fatto. Van Hooper mi aveva ordinato di tornare a Washington” replicò.
“Ma tu non lo hai fatto…” dedusse Robin, lentamente “Questo significa che…”.
“Che ho dato le dimissioni” completò Ruri “Oggi stesso”.
“MA SEI IMPAZZITA?!?!?” gridò Robin, dall’altra parte del telefono “Come cazzo ti è venuta in mente una stronzata del genere?!?!”.
“Robin, ti prego, calmati…”.
“Potresti morire!!! Potresti morire in ogni momento!!! E poi, che…ma porca puttana, Ruri, hai desiderato entrare a far parte dell’FBI fin da quando eri un embrione, miseria ladra!! Ti sei chiusa in casa per mesi per avere in assoluto i risultati migliori, ti sei allenata ad un livello micidiale…e adesso…adesso lasci l’organizzazione, pur di continuare a lavorare a questo caso?!? Ma che ti dice il cervello?!?!”.
“Robin…”.
“E non venirmi a dire che devo stare calma!!! Aaah, ma se non ti ammazza questo dannato serial killer, puoi scommettere che ci penso io!!! Adesso salgo su un aereo e vengo a prenderti!!!” sbraitò la giovane, imbufalita.
“Tu non farai niente del genere” la bloccò Ruri, adesso fredda “Io non mi muovo da questo fottuto continente, da questo fottuto Paese e da questa fottuta città fin quando quello stramaledetto criminale non sarà sulla forca”.
“Ruri, diamine, cerca di ragionare, questa è un’autentica follia!!! Tu…tu non puoi pensare di catturarlo, senza l’aiuto degli altri agenti!! Non puoi fare tutto da sola!!!”.
“Non sarò da sola” affermò la ragazza, senza riuscire a trattenersi dal sorridere.
Robin si bloccò di colpo nella sua invettiva, come se stesse riflettendo sulle parole della sua amica.
“Aspetta…stai dicendo che continuerai a lavorare con Elle…?”.
“Certo” rispose Ruri.
“È questo il motivo per cui sei così coinvolta in questo caso?” domandò Robin, perplessa.
“Io non sono coinvolta in questo caso, Robin. Non mi faccio mai coinvolgere da niente” precisò Ruri, distaccata.
“Sì, d’accordo, ho capito” ribatté Robin, con il tono di chi sta alzando gli occhi al cielo “Ma insomma, hai intenzione di continuare a collaborare con lui in questo modo pazzesco? Da sola, in quella stupida stanza d’albergo, senza alcun contatto con nessun altro essere umano?!”.
“Beh, non proprio. Non è escluso che finisca per incontrare gli agenti del quartier generale, nei prossimi giorni…”.
“Era ora!!”.
“E…se proprio vuoi saperlo, non sono sola nemmeno adesso” precisò la giovane, tornando a fare avanti e indietro per la stanza.
Robin s’interruppe nuovamente, trattenendo il fiato.
“Non ci credo…!!” sussurrò alla fine, concitata “Stai dicendo che sei con lui?! Lo hai incontrato?!”.
Ruri fu sul punto di dirle la verità, ma infine pensò alla riservatezza che doveva a quella situazione, e un unico pensiero le attraversò la mente: se lui aveva intenzione di proteggerla, lei avrebbe fatto altrettanto. Persino nei confronti di una persona come Robin.
“No…” mentì, sbirciando fuori dalla finestra “Ma ho incontrato il suo più fido collaboratore, una persona che lavora con lui da anni, insieme a Watari. Condividiamo la mia nuova camera d’albergo”.
“Un altro collaboratore…? Non ne avevo mai sentito parlare…”.
“Si chiama Ryuzaki” sorrise Ruri.
“Oh…capisco. Ed Elle?”.
“Continua a fornirci istruzioni tramite il computer. Lo sai com’è fatto, non si fiderà mai del tutto di nessuno…” sospirò Ruri.
“Quindi…hai deciso di rischiare. Di continuare le indagini e di proseguire con la collaborazione con Elle” concluse Robin, il tono di voce triste e ansioso.
“Lo so che la cosa non ti piace e che ti fa paura, tesoro. Ma devi fidarti di me, ti prometto che andrà tutto bene. Non posso mollare proprio ora. Non gli permetterò di vincere” disse Ruri, decisa.
“Discorso degno di te” replicò la sua amica, in tono affettuoso “Beh, è vero, questa storia mi terrorizza letteralmente, ma…sono comunque fiera di te, cara. Sei sempre la migliore. E scusami se prima ho reagito in quel modo impulsivo…”.
“Figurati. Scusami tu per averti disturbato nell’unica nottata che avevi libera in tutta la settimana…” rise Ruri.
“Stai scherzando?! Ti avrei letteralmente ucciso, se avessi visto quel servizio al telegiornale senza che tu mi avessi avvisato!! Comunque, immagino che la notizia sia estremamente segreta…devo confermare la versione della stampa, nel caso qualcuno mi facesse domande?”.
“Certo. Mi raccomando, non lasciarti scappare niente”.
“Sarò muta come una tomba” affermò Robin, adesso più spensierata “Allora” proseguì poi, con un tono molto più sornione “Hai detto che tu e questo Ryuzaki condividete una stanza d’albergo?”.
Ruri sospirò con rassegnazione, scuotendo la testa.
“Per essere precisi, è una suite composta da due appartamenti” puntualizzò, preparandosi a ciò che sarebbe seguito.
“Beh, ma di fatto, passate insieme parecchio tempo, giusto?”.
“Veramente, sono appena arrivata…”.
“Beh, sicuramente lo passerete!” affermò Robin, ora entusiasta “E dimmi, che tipo è?”.
“Robin, ti prego, non è questo il momento…” provò a fermarla Ruri.
“Se è per questo, per te non è mai il momento!” precisò Robin “E comunque, non hai risposto alla mia domanda!!”.
“A dirti la verità, non saprei proprio che cosa risponderti…diciamo che è senz’altro…originale, sì. Forse è l’unico termine che gli si addica”.
“E ti piace?”.
“Robin, ma che razza di domanda è?!?” sbottò Ruri, senza rendersi conto fino in fondo d’essere arrossita.
“Tu pensa a rispondere!!” insistette Robin.
“Senti, non c’è niente da dire, va bene? Lo conosco appena…”.
“D’accordo, ma la tua prima impressione?”.
Senza nemmeno sapersi spiegare il perché, Ruri ripensò improvvisamente alla strana sensazione che quegli occhi scuri, così intensi e penetranti, erano in grado di darle, ma cercò subito di mettere da parte quel genere di sciocchezza; probabilmente, Robin le stava attaccando la sua stessa malattia.
“Beh, è…brillante. Molto brillante, e…conciso. Un tipo diretto. Va dritto al punto”.
“Davvero?!?!”.
“Non in quel senso!!!” non poté fare a meno di ridere Ruri, scuotendo la testa “Volendo deludere tutte le tue aspettative, direi che si tratta di un individuo piuttosto schivo”.
“E nonostante questo, ti piace!!” sentenziò Robin, soddisfatta.
Quell’affermazione la spiazzò all’istante, ma non le impedì di trovare le parole per ribattere a tono.
“Io non ho mai detto questo” disse, cercando di apparire sicura; e in fondo, perché non avrebbe dovuto esserlo?
“Guarda che ti conosco, Ruri. Ti conosco meglio di chiunque altro, e so distinguere ogni minimo cambiamento del tuo tono di voce. Non hai mai parlato in questo modo di nessuna persona al mondo”.
“Robin, stai farneticando. Ho solo detto che è una persona tanto brillante quanto schiva…”.
“Non sto parlando di quello che hai detto. Sto parlando di come lo hai detto” ridacchiò Robin “Ooh, quanto mi piacerebbe che stessimo facendo una videochiamata! Pagherei oro per vedere la tua faccia, in questo momento!!”.
Dal canto proprio, Ruri ringraziò ogni singola divinità dei culti riconosciuti per l’idea d’essersi limitata a una chiamata vocale, considerando che il suo volto non la stava aiutando parecchio, in quelle circostanze; in effetti, guardandosi allo specchio, notò che i suoi occhi avevano assunto una luce strana. Diamine, forse aveva bisogno di dormire di più…
“Senti, Robin, per favore, dacci un taglio! Adesso sono stanca, ho bisogno di dormire, e di certo non posso dedicare altro tempo a farneticazioni del genere. Ti ripeto che fra me e quel soggetto non c’è proprio un bel niente”.
“Questione di tempo” rise la giovane “Scommetto quello che vuoi”.
“Come preferisci” si arrese Ruri, esasperata “Senti, adesso devo salutarti, ma puoi chiamarmi, se hai bisogno di me. Utilizza pure anche il contatto di videochiamata inserito nel computer, ti risponderò da lì, quando lo userai”.
“D’accordo, tesoro. Cerca di non lavorare troppo, e fammi avere tue notizie, ti prego”.
“Lo farò, te lo prometto” la rassicurò Ruri, con un sorriso.
“E tienimi aggiornata riguardo al bel tenebroso! Perché, in effetti, scommetterei che ha gli occhi e i capelli scuri, è sempre stato il tuo tipo…”.
“Robin…!!!!”.
“Va bene, va bene, ho recepito il messaggio!” capitolò Robin, senza ancora smettere di ridere “Allora io vado. Mi raccomando, abbi cura di te”.
“D’accordo. A presto, tesoro”.
“Ciao”.
Dopo che ebbe chiuso la comunicazione, Ruri si gettò di nuovo sul letto, le braccia spalancate e una mano intenta a coprirle di nuovo negli occhi, come nel tentativo di aiutarla a ritrovare la calma; dopo che il suo respiro si fu calmato nuovamente, si alzò in piedi, diretta verso il bagno. Forse, una bella doccia calda l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee e calmare quell’agitazione che le affliggeva il petto e la mente…
 
Circa un paio d’ore più tardi, intorno alle 20.00, Ruri si decise a uscire dalla camera da letto e a tornare nel salotto dove aveva lasciato Ryuzaki.
Non appena ebbe rimesso piede nella stanza, notò che lui era rimasto nella stessa, identica posizione in cui lo aveva lasciato, con le ginocchia strette al petto, rannicchiato nella sua poltrona, il computer poggiato sul tavolino di fronte a sé. Per un istante, si accorse che toccava i tasti del portatile il meno possibile, proprio come faceva con tutti gli oggetti con cui entrava in contatto; in effetti, si ricordò poi, gli unici momenti in cui aveva sfoggiato una presa salda erano stati relativi agli istanti in cui si erano reciprocamente toccati…
Scuotendo la testa e cercando di allontanare pensieri del genere, mosse qualche passo avanti nel soggiorno, che, notò poco dopo, era insolitamente buio.
Osservando con più attenzione l’ambiente circostante, si rese conto che tutte le luci erano spente, e che l’unica fonte di illuminazione proveniva dallo stesso computer, oltre che dai bagliori cittadini che malamente penetravano dalle ampie finestre, le cui tende, per un qualche strano caso, erano rimaste aperte.
Prima di avvicinarsi ulteriormente, si schiarì la voce per annunciare la sua presenza; nell’udirla, Ryuzaki si voltò appena, per poi tornare al suo lavoro.
“Ti senti meglio?” le domandò poco dopo, senza guardarla nuovamente.
“Sì, sto bene. Dormire mi ha aiutato” mentì diplomaticamente, sedendosi nella poltrona di fronte alla sua.
Prima che potesse rendersene conto, gli occhi di Elle furono di nuovo fissi addosso a lei, scrutando ogni tassello del suo volto e smontando qualsiasi bugia avesse messo in piedi.
“Hai avuto un incubo” constatò lui, con naturalezza.
Quella frase la portò a irrigidirsi, ma cercò di mantenere il controllo.
“E questo da cosa lo deduci?”.
“Prima hai urlato” riprese Ryuzaki, tornando al file di cui si stava occupando “Ho pensato che fosse il caso di accertarsi che stessi bene, ma poi ho dedotto che doveva essere piuttosto normale, per te. Nelle ultime settimane, ne hai avuti diciotto. O forse di più, chi lo sa”.
Ruri incrociò le braccia, fissandolo in modo truce.
“Hai controllato anche quante volte ho immesso aria nei polmoni, per caso?” sbottò, irritata.
“No, sarebbe stato troppo dispendioso” constatò il ragazzo, afferrando, con un paio di dita, un foglio nelle vicinanze.
Ruri fu sul punto di dire qualcosa, ma infine lasciò perdere, sopraffatta dall’esasperazione.
“Che stai facendo?” gli domandò poi, alzandosi e ponendosi alle sue spalle.
“Sto confrontando i rapporti che i tuoi colleghi ti hanno fornito con le informazioni effettive di cui disponiamo attualmente. Per il momento, non sembra emergere niente di davvero decisivo…ma sto sviluppando alcune ipotesi interessanti”.
“Ovvero?” domandò Ruri, stupita.
“Ogni cosa a suo tempo. Preferisco rifletterci ancora con calma, e in fondo avrò presto occasione per potertele esporre in modo più completo. Inoltre, non sono il tipo a cui piaccia ripetersi”.
“Che cosa vuoi dire?”.
“Voglio dire che non passerà molto tempo prima che gli agenti del quartier generale ci chiedano di incontrarli. Di conseguenza, arriverà un momento in cui dovrò metterli a parte delle mie ultime conclusioni in relazione al caso; per evitare inutili ripetizioni, credo che sarebbe opportuno che aspettassi quel particolare frangente per pronunciarmi al meglio”.
“D’accordo, come preferisci” disse Ruri, scrollando le spalle.
Prima che lui potesse proseguire, si posizionò in procinto di dirgli qualcosa, ma una fitta improvvisa al petto la costrinse a desistere, strappandole un gemito inopportuno, che portò Ryuzaki ad alzare gli occhi.
“Va tutto bene?” le domandò, con sguardo penetrante.
“Sì…va tutto bene…” mormorò Ruri, allontanandosi in fretta da lui e precipitandosi, barcollando, verso la sua borsa.
“Ne sei sicura?” insistette Elle, senza smettere di fissarla.
“Ti ho d-detto che…sto b-benissimo…!!” sbottò Ruri, continuando a frugare all’interno del bagaglio fin quando non ebbe trovato quello che cercava.
Precedendo qualsiasi altro intervento da parte di Elle, inghiottì un paio di pillole e si appoggiò con le mani al bordo del mobile di fronte a lei, cercando di calmare il suo respiro.
Quando si accorse che la situazione era tornata stabile, Ryuzaki si alzò in piedi, muovendo qualche passo nella sua direzione, le mani sprofondate nelle tasche.
“Ruri…c’è qualcosa che dovrei sapere?”.
“Di che diamine stai parlando?!” esclamò Ruri, senza ancora voltarsi, la presa salda sulla cassettiera che aveva davanti.
“Se hai qualche problema di salute, faresti meglio a parlare chiaro fin da ora. Non voglio scherzi, nel corso del mio caso”.
“Non permetterò al tuo caso di andarsene a puttane, non preoccuparti. E comunque sia, questo non ha niente a che fare con la mia fottuta salute, dannazione!!”.
“In realtà, ha molto a che fare. Per parlare chiaro, ho avuto la netta sensazione che avessi un attacco cardiaco in corso”.
Quella sentenza la portò a sbiancare e a rafforzare la presa sui bordi del mobile, decisa a non voltarsi a guardarlo.
“Non sai nemmeno di che parli, Ryuzaki. Forse faresti meglio a riflettere meglio, prima di sputare pareri medici. O hai anche una laurea in Chirurgia, nascosta da qualche parte? Non mi sorprenderebbe troppo…”.
“No, non sono un medico. Ma so riconoscere le sintomatologie più ovvie. Da quanto tempo hai subito quel trapianto di cuore, Ruri?”.
La ragazza si voltò di scatto, sobbalzando, il volto ancora più bianco di prima; i suoi occhi azzurrissimi saettarono in direzione del giovane, che nel frattempo le si era avvicinato maggiormente, accorciando la loro distanza.
“Tu…tu come…?!?!”.
“Ti ho già detto che so molte cose di te, Ruri” le disse, impassibile, senza il minimo cenno di reazione in volto.
“Come cazzo fai a saperlo?!?!” gridò Ruri, la voce strozzata.
“Non agitarti. La pressione cardiaca deve ancora normalizzarsi, non le stai dando il tempo sufficiente” constatò Elle, lo sguardo perso lontano da quello di lei.
“Ryuzaki, porca puttana, non cambiare discorso!!!! Dimmi come diavolo lo sai!!!!” urlò Ruri, esasperata.
“Ho dato un’occhiata da vicino ai farmaci che prendi con regolarità. O hai dimenticato che sei costretta ad assumerli con una frequenza allarmante?”.
“COME CAZZO TI SEI PERMESSO?!?!” sbraitò Ruri, furiosa “Non hai la minima idea di cosa significhi rispettare la privacy delle persone, vero?!?!”.
“Non pensavo che le telecamere avessero rappresentato un problema così pesante, per te” rilevò Elle, l’espressione del volto ancora immutata.
“Non si tratta delle telecamere in sé!!! Ti sei messo a fare i tuoi stupidi giochetti, a…a…cazzo, a indagare sulle stramaledette sostanze che sono costretta ad assumere, a…che diamine, ti costava tanto tenere fermo quel maledetto zoom?!?!”.
“E a te costava molto informarmi del tuo problema di salute?” replicò Elle, con calma.
“Non era importante che tu lo sapessi!!!! Non sono affari che ti riguardano!!!”.
“Lo sono, invece, dal momento in cui decidi espressamente di lavorare con me. Forse non l’hai notato, ma nel corso delle tue crisi hai l’abitudine di accasciarti al suolo, e solitamente le tue funzioni respiratorie rischiano di andare in blocco nell’arco di un paio di minuti…pensavi che avrei ignorato un fattore del genere? Se volevi evitare che ricorressi a mezzi simili, avresti fatto meglio a parlare chiaramente” dichiarò Elle, adesso freddo.
“Tu…tu non hai nessun diritto!!!! Non…non hai la minima idea di quello che…che…”.
“Di cosa, esattamente? Di che cosa non ho la minima idea, Ruri?” insistette Elle, muovendo un ulteriore passo nella sua direzione.
“Tu…tu sei…mi hai osservato come un animale dello zoo!!!!” gridò la ragazza.
“Stai reagendo a questa situazione in modo eccessivo. Cerca di controllarti” la esortò Elle, severo.
“Tu…tu n-non…”.
“Ruri, rischierai di provocarti un’altra crisi. Calmati”.
“Non dirmi di calmarmi, maledetto…maledetto ficcanaso guardone dei miei stivali!!!! Non avevi il minimo diritto di…di…”.
“Ruri, adesso calmati” le impose lui, ormai molto vicino.
“S-sei…s-sei…p-proprio t-tu…non…n-non avrei mai voluto che t-tu…che lo s-sa…”.
Fu un momento; Ruri mosse qualche passo in avanti, staccandosi dal bordo del mobile a cui fino a quel momento si era sorretta, e fece per superare il suo interlocutore con una spinta…ma proprio in quell’istante, il suo corpo si rese conto di non riuscire a reggere subitaneamente uno sforzo del genere.
Sentì le gambe crollarle, e fu pronta all’impatto con il pavimento…ma quello che sentì fu un contatto del tutto diverso.
Le braccia di Ryuzaki l’afferrarono al volo, impedendole di cadere e tenendola in piedi; prima che potesse rendersene conto, rialzando lo sguardo, poté constatare quanto i loro volti fossero vicini.
Senza conoscere il reale motivo di una sensazione del genere, percepì il bisogno di dirgli qualcosa, ma sentiva che il palato e la gola le si erano bruscamente seccati e che le sue mani erano divenute gelide, come quelle di lui.
Prima che la mente le si annebbiasse leggermente, vide il suo sguardo, imperturbabile eppure corrotto da una scintilla di preoccupazione, e sentì che stava rafforzando la presa sulle sue braccia, come desideroso di comunicarle che non le avrebbe permesso di precipitare a terra.
“Fra tutti…” riuscì a sussurrare alla fine “Non avrei mai voluto che lo sapessi tu…”.
In seguito, non ricordò con esattezza quello che successe dopo; in realtà, non capì nemmeno se davvero quello che era accaduto l’avesse portata a svenire o no.
Tutto quello che le rimase in mente fu il rumore della porta della suite che si apriva, la voce preoccupata di Watari e il caldo contatto delle braccia di Elle…
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: WEEEEE!!! Sono tornataaaaa!!! Eehehe, due capitoli nell’arco di una settimana, sto riguadagnando terreno!!! XDXD Bene, bene, che ne dite? Premetto che avevo pensato il capitolo come più lungo, ma alla fine, proprio non ce l’ho fatta, e ho preferito dividerlo in due parti!! :D In effetti, pensavo di protrarre il capitolo 8 fino a tutto il dialogo con Soichiro, Matsuda and CO compreso, ma poi mi è venuta in mente questa scena, e…che dire, è nato tutto da sé! Preciso che non l’avevo concepito in questo modo, soprattutto per quanto riguarda la discussione finale, è un po’ sorta dal nulla, scritta proprio d’impulso…considerando anche tutto ciò, come vi pare? Un po’ ‘na schifezz, vero? Vabbé, siate come al solito sinceri ma clementi XD L’ho riguardato un po’ di fretta perché sto per uscire, ma volevo assolutamente postarlo, fatemi notare eventuali errori di battitura o ripetizioni eccessive!! E scusatemi se sono un po’ uscita dal personaggio, non dimenticate mai l’OOC…bene, passiamo ai ringraziamenti!! Grazie mille ad Annabeth_Ravenclaw, a Pinkamena Diane Pie, a Cost Black e a Zakurio per aver recensito l’ultimo capitolo, grazie a coloro che lo hanno sempre fatto, e grazie ad Annabeth e ad AnonimaKim per aver inserito la storia fra le preferite (a proposito Kim, la tua recensione si è persa per strada?! L’aspetto con un’ansia che non ne hai un’idea!! XD). Bene, detto tutto ciò, prometto che tornerò presto con il capitolo 9!! Nel frattempo, fatemi sapere il vostro parere!! Sciao belli e al prossimo capitolo!!!! Baci baci, Victoria

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Capitolo 9
*** Happy New Year ***


Capitolo 9- Happy New Year
 
Era tutto molto confuso. Dannatamente, terribilmente, fastidiosamente confuso. Tutto quello che riusciva a udire intorno a sé erano due voci, i cui suoni le arrivavano in modo non troppo distinto, attraverso un muro ovattato e composto da un sacco di nebbia.
“Adesso sta bene…?”.
“Sì, la pressione cardiaca è tornata nella norma. Avrà bisogno di starsene tranquilla per qualche ora, ma non è stato niente di serio. Ti decidi a dirmi che cos’è successo?”.
“Si è semplicemente agitata troppo. Lo hai detto anche tu, niente di cui preoccuparsi”.
“Ryuzaki, forse faresti meglio a dirmi qualcosa di più”.
“L’ho semplicemente informata del fatto che sapevo del suo trapianto cardiaco. Non l’avrei creduta impulsiva fino al punto da prenderla così sul personale…”.
“Beh, dubito che ci sia qualcosa di più personale di un’operazione chirurgica del genere”.
“Watari, queste faccende non m’interessano. Volevo solo parlarle chiaro fin da subito, e lei ha reagito in modo spropositato. Adesso, voglio solo che riacquisti le forze, ho bisogno di tutto l’aiuto possibile, per risolvere questo caso”.
“Mi sembrava che, tempo fa, avessi detto che eri perfettamente in grado di cavartela da solo…”.
“Sai che è così. Ma Ruri ha deciso di rimanere in Giappone di sua spontanea volontà per aiutarmi nelle indagini; ha abbandonato il suo lavoro, il suo Paese…una decisione di questo tipo non lascia spazio a nessun colpo di testa. È il momento che impari a controllarsi. Nel frattempo…potresti prenderti cura di lei? Vorrei tornare al lavoro…”.
“Naturalmente. Puoi sempre contare su di me, questo lo sai”.
“Grazie. Mantienimi informato sulle sue condizioni: vorrei parlarle, quando si sveglierà”.
“D’accordo. Ah, Ryuzaki…”.
“Sì?”.
Prima che potesse essere in grado d’udire altro, la nebbia che la circondava si fece più fitta e la portò a chiudere del tutto gli occhi, abbandonandosi a un sonno in grado di donarle un po’ di sollievo.
Quando infine si risvegliò, per la prima volta, dopo tanto tempo, senza aver avuto un solo incubo, si rese conto d’essere sdraiata sul proprio letto; tirandosi leggermente su a sedere, si rese conto che qualcuno le aveva posto una coperta addosso e che le aveva persino adagiato un panno umido sulla fronte.
Improvvisamente, avvertì un forte mal di testa affliggerle le tempie, conducendola a prendersi il capo fra le mani e a massaggiarsi vigorosamente la cervice; senza che altro la turbasse ulteriormente, si ricordò a un tratto di ciò che era successo prima che perdesse i sensi (o quantomeno, prima che tutto avesse cominciato ad essere così confuso).
Una nuova ondata di rabbia nei confronti di Ryuzaki la travolse, portandola a stringere la mano destra in un pugno minaccioso; come diamine si era permesso, quell’idiota ficcanaso?! Chi diavolo gli dava il diritto di impicciarsi in quel modo della vita degli altri?! Non aveva il minimo diritto di invadere in quel modo la sua privacy, caso Kira o no! Diamine, era tutto così dannatamente assurdo…come aveva potuto tollerare anche soltanto l’idea che lui avesse installato quelle stupide telecamere?!?
*Forse mi sono lasciata trasportare dall’ammirazione che nutro nei suoi confronti…cavolo, forse l’unica idiota, qui, sono io. Dovevo immaginare che non se ne sarebbe stato tranquillo, ormai dovrei conoscerlo…cazzo, Ruri, ma che stai dicendo?! No che non lo conosci, non lo conosci per niente! Che accidenti sto farneticando?!*.
Tutto quello di cui era sicura era che non sopportava quella situazione. Il solo fatto che proprio lui, che Elle in persona, fosse venuto a conoscenza del segreto più grande di tutta la sua vita la lasciava sgomenta, quasi incapace persino di respirare.
Perché tutto stava accadendo in quel modo? Perché aveva dovuto scoprirlo? Soprattutto in quella maniera assurda…perché tutto stava prendendo quella piega così pazzesca, a distanza di così poco dal loro incontro? Perché si sentiva così scossa? Perché non riusciva a tollerare l’idea stessa che lui l’avesse scoperto?
*Non avrei mai voluto che nessuno lo scoprisse. Non ho mai voluto che nessuno ne fosse messo a parte…e lui è un perfetto sconosciuto. Non aveva il minimo diritto*.
Ma non era tutto qui, sapeva che non era tutto qui. Il punto era che provava per quella persona un sentimento d’ammirazione del tutto spropositato, considerando quanto poco lo conoscesse, e il fatto che lui stesso avesse saputo del suo trapianto la faceva sentire indifesa come non mai…la verità era che se ne vergognava.
Era la sua volubilità peggiore, il punto debole di tutta la sua vita, del nucleo centrale del suo organismo, della sua stessa esistenza.
Prima che potesse rendersene conto, le parole di suo padre tornarono a rimbombarle nella mente…
 
Saresti dovuta morire quel giorno, lo sanno tutti. Se sei ancora in vita, forse lo devi soltanto alle preghiere di quella stupida di tua madre. Di cos’altro avevi bisogno, per toglierti dai piedi? Non lo hai fatto nemmeno quando il tuo dannato cuore del cazzo ti ha mandato al diavolo…preferisci che ci pensi io, alla fine?
 
Cercando disperatamente di tenerle lontane da sé, si alzò in piedi, gettando da un lato le coperte e si diresse verso la porta della stanza: non si sarebbe tirata indietro, avrebbe affrontato tutto ciò che la spaventava.
Solo un istante precedente il gesto di abbassare la maniglia, avvertì che lo stomaco le si era attanagliato in una morsa dolorosa, ma infine riuscì a ignorarla e uscì, senza preoccuparsi dell’aspetto del suo volto o di quello che continuava ad affliggerla.
Rientrando nel salotto della suite dove qualche ora prima era svenuta, gettò un’occhiata all’orologio a muro, apprendendo che erano le tre del mattino…poco dopo, riuscì a spostare la sua attenzione alla poltroncina poco distante, dove Ryuzaki era ancora appollaiato, nella stessa posa in cui lo aveva visto prima dell’inizio della loro discussione.
Prima che avesse il tempo di parlare, capì che lui si era accorto della sua presenza, ma che aveva deciso comunque di non voltarsi.
“Credevo che Watari fosse con te” affermò il detective, freddo “Gli avevo chiesto di non lasciarti sola”.
“Davvero?” domandò Ruri, il tono stranamente incerto “Immagino che sia uscito un momento…”.
Non udendo ulteriore risposta, Ruri pensò di andarsi a sedere nel divanetto posto di fianco alla poltrona di Elle, dopo aver notato che il suo personal computer era appoggiato proprio sul tavolo di fronte, vicino a quello del detective.
Nel vederla accomodarsi e cominciare ad accendere il portatile, Ryuzaki alzò miracolosamente lo sguardo e le rivolse una delle sue occhiate penetranti.
“Che stai facendo?” le domandò subito dopo.
“Mi metto al lavoro. Hai detto che hai bisogno che entri nel computer di Penber, giusto?” replicò Ruri, senza guardarlo, il volto impassibile.
“Credo che prima dovremmo parlare un po’” ribatté Ryuzaki, mentre lei continuava ad ostinarsi a tenere gli occhi lontano da lui.
“Non capisco di cosa, Ryuzaki”.
“Ruri…”.
“Senti” disse la ragazza, a voce più alta, voltandosi finalmente nella sua direzione “Mi dispiace, va bene? Mi dispiace d’aver alzato la voce, è stato inappropriato. Ti chiedo scusa, d’accordo? Adesso possiamo tornare al lavoro?”.
“Hai intenzione di dirmi la verità? Quanto è grande il tuo problema?”.
“Non ho nessun problema…” tentò di obiettare lei, tornando a guardare altrove.
“Ruri…”.
“Va bene, va bene! A volte, mi capita d’avere crisi respiratorie e cardiache come quella a cui hai assistito. I medici dicono che è normale; quando sono cominciate, si sono limitati ad aumentare le dosi dei farmaci che sono costretta a prendere. L’organismo…ecco, dicono che non è molto semplice…non è comune che si adegui velocemente al corpo estraneo che deve accogliere, in seguito al trapianto. Questo può accadere anche dopo anni di distanza dall’operazione…in realtà…non è nulla di concretamente serio. Dico davvero” mentì infine, a disagio.
Con suo grande disappunto, notò che lo sguardo di Elle non cessava affatto di trapassarla da parte a parte.
“Sei sicura di quello che mi stai dicendo?” tentò di nuovo.
“Sì. Sono sicura” mentì nuovamente la ragazza.
“D’accordo. Mi fido di te” le disse lui, portandola ad alzare ancora gli occhi e a fissarli nei suoi.
La colpevolezza delle sue bugie le provocò una fitta al petto, che decise d’ignorare diplomaticamente.
“Non voglio più parlare di questa storia” affermò, sicura di sé “Te lo chiedo come un favore personale, non parlarne mai più. Puoi semplicemente ignorarla?”.
“No, non penso di poterlo fare. Ma se quello che mi hai appena detto è vero, immagino che non ci saranno altre occasioni di discuterne…non ho ragione?” le chiese, fissandola di nuovo dritto negli occhi.
Ruri cercò di sostenere il suo sguardo, ma una parte di lei era consapevole di quanto la sicurezza che stava cercando d’imprimere alla sua voce e al suo volto fosse radicalmente sbagliata e, in qualche modo, perfino ingiusta.
Diavolo, perché si sentiva così? Aveva mentito altre volte, in vita sua, e certo non lo aveva trovato così difficile…perché tutto doveva apparirle così complicato, proprio in quel momento così cruciale? Perché mentire ad Elle doveva essere così pesante?
“Certo, hai ragione” disse lei, in tono conclusivo.
“So d’essere stato invadente. Ma sei perfettamente consapevole che l’ho fatto solo per il tuo interesse…”.
“Ho detto che hai ragione” ripeté Ruri in tono brusco, senza più guardarlo e cominciando ad accedere ad alcuni file “Va bene?”.
“Va bene…” ribatté Elle, tornando a sua volta al suo lavoro.
Eppure, senza nemmeno sapere perché, capì presto di non riuscire a fare a meno di sbirciarla di tanto in tanto, come aspettandosi che facesse qualcosa d’insolito o che si sentisse di nuovo male; nessuno sarebbe mai stato in grado di fargli ammettere che, in realtà, osservarla era in grado di provocargli lunghi brividi, piacevoli e fastidiosi a un tempo, che non cessavano di attraversargli la colonna vertebrale e che era certo di non aver mai provato in vita sua…
 
Quello rappresentò l’inizio della loro strana, quanto particolare convivenza. Il tempo scorreva in maniera quasi indecifrabile, senza dare l’impressione di scalfire in alcun modo il loro lavoro o nulla che li potesse riguardare. Nell’arco dei due giorni successivi, Ruri imparò subito a notare quanto Elle fosse poco avvezzo a mangiare in modo normale; l’unica cosa che accettava di buttare letteralmente giù erano i dolci, che divorava in quantità industriali. Più ci rifletteva, in effetti, più non riusciva a capire come potesse essere così magro. Ma quella non era la sua unica stranezza: nelle due notti seguenti, si rese conto che non era il tipo che potesse rivelarsi in grado di sfiorare minimamente un letto. Osservandolo da lontano, soprattutto a giudicare dalle sue vistose occhiaie (e dal consumo non indifferente di caffeina a cui si sottoponeva), si sarebbe potuto pensare che non dormisse mai. In realtà, in una delle lunghe veglie in cui si era ostinata a rimanere in piedi a lavorare al suo fianco, si era accorta di un suo improvviso assopimento, che sicuramente non avrebbe percepito, se proprio allora non avesse alzato gli occhi dal portatile.
Guardarlo dormire aveva rappresentato un’occasione tanto bizzarra quanto rara e delicata: riposava in modo diverso da come se lo sarebbe mai immaginata, con l’espressione di chi stava, piuttosto, rimuginando attentamente su qualcosa, le palpebre appena abbassate, il respiro quasi impercettibile. Non aveva minimamente accennato a variare la sua assurda posizione, le ginocchia ancora strette al torace.
Dal canto proprio, Elle, svegliandosi circa un paio d’ore più tardi, non ricordò d’essere stato osservato in quel modo, ma la coperta che scoprì intenta a coprirgli le spalle lo portò a voltarsi in direzione della ragazza, che nel frattempo si era addormentata a propria volta, conducendolo a regalarle uno sguardo penetrante quanto profondamente intenso.
Esattamente quattro giorni dopo il loro primo incontro, la sera del 31 Dicembre, una chiamata da parte di Watari li portò a interrompere il loro lavoro d’indagine.
“Cosa c’è, Watari?” domandò Ryuzaki, mentre Ruri si affrettava a raggiungerlo e a porsi dietro le sue spalle, lo sguardo attento sul monitor del detective, dove troneggiava una grossa ‘W’ in caratteri gotici.
“Ci sono notizie dal quartier generale”.
“Ti ascoltiamo”.
“Il sovrintendente Yagami ha appena finito di parlare con gli agenti che si sono occupati finora del caso; ha esplicitamente chiesto a tutti coloro che non si sentissero pronti a rischiare tutto, pur di catturare Kira, di abbandonare le indagini”.
“E come sta andando?”.
“Vi metto direttamente in contatto con loro” annunciò Watari, senza commentare ulteriormente.
Dal suo tono di voce funereo, entrambi intuirono che non potevano aspettarsi buone notizie; quando l’immagine della telecamera iniziò a essere nitida, l’interno del quartier generale apparve di fronte ai loro occhi tesi e stanchi. All’interno della stanza, erano rimaste sei persone, incluso il sovrintendente Yagami, che, dalla propria scrivania, sembrava aver appena rialzato gli occhi sui presenti.
“Solo cinque, dunque…” stava dicendo lo stesso Yagami, molto serio “Me compreso, siamo in sei. Pazienza, significa che ci sono ben sei uomini disposti a rischiare la vita per combattere il crimine”.
Prima che Ruri potesse avere il tempo di accorgersene, Elle avvicinò il volto al microfono e cominciò a parlare.
“Con un senso della giustizia forte come il vostro, non posso che aver fiducia in voi”.
In quello stesso istante, tutti e due ebbero modo di notare che uno dei poliziotti presenti, dalla chioma riccioluta e ribelle, si era appena voltato in modo deciso verso il computer di Watari, lo sguardo corrucciato e l’espressione contrariata.
“Un momento, però!” sbottò, a voce alta “Elle avrà anche fiducia in noi…ma adesso siamo noi che non ci fidiamo di lui!”.
“Elle” proseguì uno dei suoi colleghi “Noi qui presenti abbiamo deciso di catturare Kira a tutti i costi, e tu dovresti sapere bene quanti rischi comporta la nostra scelta”.
“Eppure, non fai altro che darci ordini” proseguì il primo poliziotto “Senza mai mostrarti in volto…come possiamo lavorare, e soprattutto fidarci, di una persona così?! Per non parlare della tua misteriosa collaboratrice…non abbiamo mai visto in faccia nemmeno lei! Come credi che possiamo sentirci, in questo momento?!”.
Ruri ed Elle si scambiarono una veloce occhiata; senza che lei potesse rendersene conto, lui spense per un momento il microfono e le si rivolse in tono basso e frettoloso.
“Immagino che tu sia d’accordo con l’agente Aizawa” affermò, con naturalezza.
“Beh, non posso dare loro tutti i torti, ma capisco il tuo punto di vista. In ogni caso, se è vero che ti fidi di loro, stai solo rimandando l’inevitabile. Se vuoi un suggerimento, questo è il momento che aspettavi” affermò la ragazza, con un breve sorriso.
“Elle” continuò nel frattempo il sovrintendente, il tono di voce molto grave “Ascoltami, per favore: se anche tu e la dottoressa Dakota, come noi, intendete catturare Kira e confidate in un’assoluta collaborazione…perché non venite qui al quartier generale?”.
In quell’istante, Ruri non poté fare a meno di sbirciare di sottecchi la sua reazione; il detective non sembrava affatto sorpreso da quella richiesta improvvisa, e il suo volto non recava i segni del minimo turbamento. Non passò, infatti, molto tempo da che decise di avvicinare nuovamente le labbra al microfono.
“Come vi ho detto poco fa…io e la dottoressa abbiamo molta fiducia in voi…”.
A quel punto, lo vide fare qualcosa di inaspettato; le sue dita lunghe ed eleganti cominciarono a digitare velocemente sulla tastiera, e in quel momento la telecamera di Watari ruotò vertiginosamente, oscurandosi e privandoli della vista del quartier generale.
“Che stai facendo?” gli domandò, incuriosita.
“Sto preservando la parte più importante di questa comunicazione. I dispositivi che utilizzo sono a prova d’intercettazione, ma ci sono casi in cui è meglio evitare di lasciare qualsiasi traccia audio…”.
“Capisco…” affermò Ruri, mentre i suoi occhi passavano a leggere frettolosamente ciò che lui aveva appena scritto.
 
Ciò che seguirà dovrà rimanere un segreto fra noi nove. Siamo disposti a incontrarci con voi in qualunque momento, ma prima ho bisogno che usciate da questo edificio e che ci riflettiate sopra con il massimo riguardo. Chi di voi desidererà collaborare con noi al massimo delle sue capacità, torni qui dentro e aspetti disposizioni più dettagliate.
 
“Perché vuoi che ci riflettano sopra? Non sei convinto della loro determinazione?” gli domandò, mentre lui si alzava in piedi e si dirigeva verso la finestra, iniziando a guardare fuori e a volgerle le spalle.
“Non sono convinto che siano pronti fino in fondo a fidarsi di noi. E non voglio che prendano decisioni affrettate” replicò Ryuzaki, senza voltarsi indietro.
Ruri si strinse nelle spalle, optando per un silenzio assenso e tornando a lavorare al suo computer, in attesa che giungesse una risposta da parte degli agenti del quartier generale.
“Come sta andando?” lo udì richiedere circa dieci minuti dopo.
Voltandosi alla sua destra, per poco non scivolò dal divano, scioccata: come diavolo aveva fatto ad appollaiarsi così vicino a lei, senza che se ne accorgesse?!
“Da quanto tempo sei lì?!” sbottò, cercando di darsi un contegno.
“Da sei minuti e venticinque secondi. È importante?”.
“No, ma…ecco, avvisami, quando hai intenzione di spuntare fuori in quel modo” disse Ruri, leggermente arrossita. Ma perché, poi, doveva arrossire in quella maniera stupida?
“Hai caldo?” le domandò subito dopo lui, con la massima naturalezza.
“Cosa?!?” se ne uscì Ruri, fissandolo stralunata.
“Ti ho chiesto se hai caldo. Hai il viso in fiamme. Ti senti bene?”.
“Sto benissimo” ribatté Ruri, stizzita.
“Bene. Allora, sei riuscita a entrare nel computer di Penber?” insistette Ryuzaki, come se niente fosse.
“Ci sono quasi. Disponeva di un sistema anti-hacker abbastanza all’avanguardia, ma dovrei aver superato quasi tutte le barriere. Il problema sarà se dovremo aggirare ulteriori sistemi di sicurezza a tutela dei file di maggiore importanza, ma…ecco, mi risulta difficile immaginare che un tipo come Penber possa aver pensato a tanto. Voglio dire, parliamo di un sistema nervoso formato solo da un paio di neuroni, non possiamo aspettarci granché…”.
“Certo che lo odiavi proprio. Una cosa insolita, considerando che era il fidanzato di una persona che ti è piuttosto vicina, a quanto mi pare d’aver capito…” commentò Elle, con noncuranza.
“Scoprirai che non è affatto una cosa così insolita” si strinse nelle spalle Ruri “E comunque, dire che lo odiavo è un’espressione un po’ troppo forte, e non vorrei che pensassi che rappresentava qualcosa di così importante da meritare un’attenzione come l’odio. Quanto al resto, beh…potrei comunque affermare con una discreta certezza che avrei volentieri usato il suo culo per giocarci a freccette, questo è poco ma sicuro”.
“Sei un tipo senza remore. E sei spietatamente sincera” dichiarò Elle, rialzandosi in piedi, mentre lei faceva altrettanto “Non è una cosa comune”.
“Ti aspettavi che cambiassi atteggiamento nei suoi confronti o che cominciassi a compatirlo, solo perché adesso è morto?” domandò improvvisamente lei, cogliendolo di sorpresa.
“No. Non mi sarei mai aspettato niente del genere, da te”.
“Bene, perché saresti rimasto amaramente deluso”.
“Lo so”.
“Pensi che io sia feroce e insensibile? Non saresti il primo…” lo sfidò Ruri, a braccia conserte.
“No, penso solo che tu non sia ipocrita” replicò Elle, con un sorrisetto, le mani in tasca.
Quella frase la sorprese e la costrinse a rimanere in silenzio per qualche istante.
“Oh…” disse infine “Beh, grazie. Anch’io penso che tu non lo sia…”.
“Lo so. Grazie” dichiarò Elle, senza guardarla “Hai ancora tu quei documenti dell’FBI che ti ho passato ieri? Vorrei darci nuovamente un’occhiata…”.
“Certo” disse Ruri, riscuotendosi e voltandosi per cercare ciò che Elle le aveva chiesto.
Poco dopo averli trovati, li afferrò prontamente e glieli passò; nell’istante in cui avvenne lo scambio, avvertì sulla mano il contatto con la pelle fredda di Elle, e un altro brivido l’attraversò completamente, scuotendola. Alzando gli occhi, si rese conto che lo sguardo color ebano di Elle era di nuovo incatenato a lei…
“Mi piace il tuo modo di lavorare” le disse, senza il minimo preavviso “Sei estremamente precisa. Credo che tu abbia molto talento”.
Prima che lei avesse il tempo di rispondergli, un nuovo avviso da parte di Watari li distolse dalla loro conversazione.
“Elle, il sovrintendente Yagami mi ha appena comunicato che lui e la sua squadra sono pronti a ricevere istruzioni”.
Il detective la superò senza aggiungere più niente, tornando verso il suo portatile e riprendendo a parlare tramite il microfono.
“Signori, vi ringrazio per aver preso in considerazione l’ipotesi di continuare a lavorare con noi. Al momento, ci troviamo in una stanza del ‘Taito Hotel’; da adesso, ogni giorno, ci sposteremo in un diverso albergo di Tokyo. Da oggi in poi, vorrei che consideraste la mia stanza d’albergo il quartier generale. Se volete collaborare con noi a questo caso, dividetevi in due squadre, e, a mezz’ora di distanza l’una dall’altra, venite qui entro la mezzanotte. È tutto, per il momento. Vi attendiamo. Raggiungeteci il prima possibile”.
Non appena Elle ebbe di nuovo chiuso la comunicazione, Ruri gli rivolse un altro sguardo intenso e un po’ risentito.
“Che cos’è questa storia del cambiare albergo ogni giorno? Non avevi mai accennato a niente del genere…” obiettò, contrariata.
“Si tratta soltanto di una precauzione. Il nostro quartier generale non deve mai poter essere identificabile con facilità. Se, ogni giorno, un gruppo di agenti della polizia giapponese si recasse sempre al solito hotel, questo finirebbe per attirare attenzioni indesiderate. E non possiamo assolutamente permettercelo”.
“E tu vuoi farmi credere che non hai pensato a una soluzione alternativa? Scommetto che i mezzi non ti mancano, Ryuzaki…” constatò la giovane, alzando un sopracciglio.
“Infatti. Ma per queste cose ci vuole tempo, Ruri. Ho già dato istruzioni dettagliate a Watari; per il momento, questo sarà il nostro piano d’azione”.
Aveva pronunciato quella risposta con il solito tono conclusivo, che difficilmente avrebbe ammesso repliche; rendendosene conto, Ruri non poté fare a meno di rendersi conto di quanto la cosa le risultasse dannatamente fastidiosa, soprattutto considerando che solitamente era lei ad adoperare quel modo di porsi.
Prima che la sua linguaccia la costringesse a pronunciare qualcosa di molto acido, decise di rimettersi a sedere e di tornare a concentrarsi sul suo portatile, ma ben presto non riuscì più a trattenersi, e riprese a parlare con lui.
“Pensi che ci metteranno molto?” gli domandò, quasi incerta.
“Non direi. Immagino che aspetteranno d’essere arrivati tutti, prima di salire. È probabile che siano qui entro un’ora” rispose Elle, gli occhi fissi sui documenti presi in mano poco prima.
“Sì, immagino di sì…” ne convenne Ruri “E Watari?”.
“Sarà qui domani mattina all’alba. Gli ho chiesto di occuparsi di una piccola faccenda” replicò il detective, senza ancora alzare lo sguardo.
Ruri optò per il silenzio e fece per dedicarsi finalmente al suo lavoro, ma una nuova, fastidiosa domanda del suo interlocutore la congelò.
“Hai preso le medicine, stasera?”.
Ruri si voltò meccanicamente verso di lui, guardandolo in cagnesco.
“Sei diventato il mio cardiologo, adesso?” ringhiò, gli occhi ridotti a fessura.
“No, sono il tuo collaboratore. E questo lo sai. Allora, le hai prese?”.
La ragazza avvertì il fortissimo impulso di rispondergli a tono, ma decise di trattenersi, respirando profondamente: l’ultima cosa che voleva era litigare di nuovo.
“Sì, le ho prese” scandì poco dopo, gli occhi chiusi e le membra rigide “Contento?”.
“Direi che ‘soddisfatto’ suonerebbe meglio” le fece notare il detective, senza ancora guardarla in volto.
Trattenendosi dallo spalancare letteralmente la bocca a causa della sua sfacciataggine, Ruri decise di lasciar perdere e di non dedicargli più attenzioni, ma, stranamente, non ci riuscì: un’altra domanda continuava a frullarle nella mente, ed era convinta che fosse meglio chiarire quel punto prima di qualsiasi incontro con gli agenti giapponesi.
“Posso farti una domanda?” gli chiese poco dopo, il tono di voce di nuovo calmo.
“Ti ascolto” ribatté Elle, ancora concentrato sui documenti che stava esaminando.
“Cos’è stato a convincerti che io non sono Kira?”.
Quella richiesta fece scivolare sulle labbra del moro un sorrisetto, tanto impercettibile quanto incredibilmente significativo: osservandolo nei minimi dettagli, non poté fare a meno di pensare quanto le piacesse.
*Sei veramente una…una…una stupida oca giuliva, ecco cosa sei!!!!* pensò subito dopo, bloccandosi a malapena dal tirarsi una botta in fronte *Cazzo, non può!! Non può piacermi il suo sorriso, sto perdendo la testa?!? Non può piacermi e basta!!!*.
“Beh, in effetti…” iniziò Elle, mettendo da parte il cartaceo e tornando a fissarla dritto in volto “Sei stata proprio tu a permettermi di capirlo e scagionarti su due piedi”.
“Che vuoi dire? Non capisco…” affermò Ruri, confusa.
“Prima che tu lasciassi Washington, ti chiesi di delineare una sorta di proto profilo psicologico del killer, cosa che tu hai fatto superbamente. Mentre tu mi esponevi le tue conclusioni iniziali, nell’ascoltarti ho avuto modo di disegnare a mia volta uno schema lineare che rappresentasse la tua personalità. Da quello che ho potuto dedurre, confrontandomi anche con la precedente esperienza di collaborazione che abbiamo avuto, mi sono convinto del fatto che tu sia una persona tanto forte e sicura di sé, quanto fragile ed emotivamente bisognosa di certezze. Sei una persona che non sopporta le critiche, che non accetta alcun fallimento, che non sopporta perdere…come me, in effetti. E in realtà, tutto questo avrebbe potuto ricollegarti immancabilmente a Kira…se non fosse stato per ciò che hai detto in sé dell’assassino”.
Elle fece una piccola pausa per inumidirsi le labbra, mentre gli occhi di lei non si staccavano per un solo momento dai suoi.
“Una delle prime cose che ti ho sentito dire riguardo a Kira è quanto fosse infantile e quanto il suo operato ti ricordasse quello di una persona intenta a giocare a fare Dio. Certo, queste sono conclusioni a cui sono giunto anch’io, ma ho evitato di esportele subito proprio per rendermi conto di quale potesse essere il tuo punto di vista. Non ho notato molta freddezza nella tua esposizioni, per quanto questa si sia rivelata puntuale, precisa e corretta; in altre parole, hai formulato un giudizio di parte sul killer. Qualcuno avrebbe potuto fermarsi a pensare che questo non ti scagionava, poiché avrebbe semplicemente potuto trattarsi di una tattica per deviare i miei sospetti, ma…sono stato in grado di rendermi conto che una psiche come la tua non sarebbe mai stata in grado di abbandonarsi a un trucchetto del genere. Ergo, tu non potevi essere Kira. Inoltre…” si fermò nuovamente, rivolgendole un ulteriore sguardo indagatore “So che sei venuta in contatto, qualche tempo fa, con un uomo che ha molte probabilità di finire sulla lista nera di Kira. Considerando i suoi precedenti penali, effettivamente è davvero possibile che lui provveda al più presto a toglierlo di mezzo…ma se tu fossi stata Kira, probabilmente lo avresti già fatto. Sei una persona molto logica e razionale, Ruri, ma devo farti presente che spesso non sei in grado di soffocare l’impeto che provi. Dovresti applicarti in questo senso più seriamente, la cosa potrebbe finire per darti dei problemi”.
“Di chi stai parlando? Chi è l’uomo che ti risulta io abbia incontrato? Non so nemmeno di cosa…” tentò di protestare Ruri, ma Elle la interruppe subito, gli occhi fissi nei suoi.
“John Steven Williams. Il nome ti dice niente?”.
Un silenzio gelido invase la stanza, paralizzando le membra della ragazza e rendendo ancora più attenti gli occhi dell’investigatore privato.
“Lo conosci…?” replicò Ruri dopo una lunga pausa, cercando di mantenere la voce ferma.
“Credo che chiunque sul globo lo conosca, Ruri”.
“Intendo dire, conosci a fondo la sua fedina penale?” ribatté la giovane, fredda.
“Certamente. Ha un bel curriculum, non c’è che dire. Da ciò che risulta, pare che abbia ricevuto ben sette denunce per stupro e…dodici, se non vado errato, per molestie sessuali”.
“Esatto” replicò asciutta Ruri.
“Come mai hai avuto occasione d’incontrare un uomo del genere?” insistette Ryuzaki, senza smettere di fissarla per un solo momento.
“Non sei l’unico a cui tocca aver a che fare con la feccia, Ryuzaki. Hai dimenticato che genere di lavoro facessi, prima di dare le dimissioni?” lo punzecchiò Ruri, acida.
“Affatto. Ma non credevo che l’FBI si occupasse di questioni simili” affermò Elle, senza scomporsi.
“Williams non è mai stato un tipo modesto. Credevi che la sua esperienza si fermasse a reati a sfondo sessuale? Credo che tu lo abbia sottovalutato…” mormorò Ruri.
“Per niente. Se non sbaglio, è anche implicato in un paio di casini che coinvolgono la frode fiscale, il falso in bilancio e la truffa aggravata” commentò il detective.
“Precisamente. L’ho interrogato riguardo al caso della ‘WEALTH INTERNATIONAL’, la multinazionale farmaceutica di cui era amministratore delegato prima di diventare ambasciatore. Aveva parecchie cosucce da spiegare. Inutile dire che se l’è cavata sganciando un po’ dei suoi milioni. La solita merda” concluse Ruri, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la sua stanza.
“A quanto mi risulta” la fermò Elle, portandola ad arrestare il suo passo in modo brusco e meccanico “È stato vittima di una grossa tragedia familiare”.
Ruri avvertì un grosso nodo in gola, ma decise di non battere ciglio.
“Ne ho sentito parlare, ma non conosco i dettagli” affermò, il tono più diplomatico possibile.
“Sembra che avesse tre figli. Tutti morti. In circostanze misteriose, se mi concedi un’affermazione del genere” commentò Elle, versandosi dell’altro caffè.
Ruri non replicò, attendendo che continuasse, i nervi tesi a fior di pelle.
“Il figlio maggiore, Daniel Williams, è deceduto in una sparatoria in cui è rimasto coinvolto il vicino di casa. Vecchi rancori, a quanto pare…quell’assurda fissazione degli americani di tenere le armi in casa. Non sai mai quello che può succedere…La figlia minore fece un brutto incidente stradale. Si chiamava Eloisa, se non ricordo male…”.
“Eliza” lo interruppe bruscamente lei, portandolo a indirizzarle uno sguardo ancora più significativo “Si chiamava Eliza”.
Senza alcun tipo di preavviso, Elle si alzò in piedi e la raggiunse, le mani in tasca, ponendosi di fronte a lei.
“Credevo avessi detto che non conoscevi i dettagli” le disse, in tono soave.
Cercando di riscuotersi e di darsi un contegno, Ruri gli regalò l’ennesima occhiataccia.
“Non capisco dove tu voglia arrivare, Ryuzaki. Come mai ti interessi tanto a John Williams?”.
“Come ti ho detto poco fa, lo ritengo una potenziale vittima di Kira. E mi piacerebbe conoscere le tue opinioni riguardo a questa possibilità” replicò Elle, con calma.
“Cosa accidenti vuoi che ti dica?! Se vuoi il mio parere, sì, io ritengo che sia altamente probabile che Kira lo uccida, prima o poi. E volendo essere del tutto sincera, non ne sarei poi così dispiaciuta!” sbottò Ruri, incapace di trattenersi.
“Sembra che tu abbia qualcosa di molto personale, verso di lui…”.
“Che diamine stai insinuando?!?!” esclamò Ruri, gesticolando furiosamente.
“Non sto insinuando niente, Ruri. Sto dicendo che mi sembra che tu sia eccessivamente coinvolta in questa discussione”.
Ascoltando il suo tono rilassato e rendendosi conto di ciò che aveva appena detto, Ruri cercò di prendere un respiro profondo e di calmarsi.
“Scusami” gli disse infine, a voce molto più bassa “È solo che quella persona non mi piace. Tutto qui. Nient’altro”.
“D’accordo” affermò Elle, lasciando che lei lo superasse.
Prima che potesse lasciare la stanza, con tutta l’intenzione di farsi una doccia calda e distensiva, la voce di Ryuzaki la raggiunse di nuovo.
“Tu hai mai saputo niente di più preciso, riguardo alla terza figlia?”.
Senza voltarsi, Ruri inspirò profondamente, cercando di controllare il tremito della sua voce.
*Lo sa!! Lo sa, cazzo…come ACCIDENTI fa a saperlo?!?*.
“Sembra che si sia suicidata” affermò, in tono piatto “All’età di diciotto anni, poco dopo il diploma; sono state condotte dalle indagini, ma ad oggi i motivi restano ignoti, ufficialmente”.
“Mi pare di ricordare che si chiamasse Natsumi. Natsumi Williams”.
Sentirlo pronunciare il suo vero nome la condusse a voltarsi e a guardarlo dritto negli occhi, scorgendo l’espressione e il messaggio più penetrante che Elle le avesse mai rivolto fino ad allora.
“Sì…credo anch’io che il suo nome fosse quello”.
Sentendo il forte bisogno di scoppiare in lacrime, fece per voltarsi per l’ennesima volta e per lasciare la stanza, quando improvvisamente udì la mano di Elle posarsi sulla sua spalla, facendola voltare. Per un puro miracolo, riuscì a ricacciare eroicamente indietro le lacrime e a sostenere il suo sguardo freddo e determinato.
“Sapevi che desiderava entrare nell’FBI?” le domandò, quasi sussurrando.
“No”.
“E che aveva subito un trapianto di cuore, all’età di sei anni?”.
“No” ripeté Ruri, a denti stretti “C’è altro? Ho bisogno di farmi una doccia…”.
Senza neanche rendersene conto, man mano che lui si avvicinava aveva finito per indietreggiare, finendo presto con le spalle al muro; Elle, dal canto proprio, sembrava del tutto a suo agio in quella situazione, il volto inespressivo ancora intento a esaminarla.
“Sapevi che non hanno mai ritrovato il cadavere?”.
“Sapevi che le persone hanno bisogno di spazi vitali?!” sbottò Ruri, dandogli uno spintone per allontanarlo da lei.
In un istante, quell’occasione sembrò rappresentare il momento che lui aveva atteso fin dall’inizio, perché fu proprio durante quel contatto che lui le afferrò una mano, guardandola di nuovo dritto negli occhi.
“Quindi…devo dedurre che il fatto che ti stia così vicino ti provoca un grosso fastidio, non è così?” le domandò, quasi sussurrando.
“Ci hai azzeccato in pieno, signor detective” sibilò Ruri, il profilo ormai parecchio vicino al suo.
“E non sopporti che continui a farti domande su John Williams”.
“Esatto”.
“O sul trapianto di cuore che hai dovuto affrontare”.
“Esatto”.
“Quindi, detesti che io ti chieda tutte queste cose”.
“Esatto” ripeté ancora Ruri, quasi esasperata.
“E detesti anche me, dico bene?”.
Quella domanda la sorprese, ma decise comunque di replicare a tono.
“’Detestare’ è una parola grossa…” mormorò, cercando di evitare il suo sguardo “Diciamo che, a volte…mi capita di pensare che tu sia insopportabile. Non mi piace il tuo modo di comportarti, non mi piace la tua sfacciataggine…in effetti, credo che sia tu quello che non mi piace”.
“Davvero?” domandò Elle, con un sorrisetto quasi innaturale, per lui.
“Sì” disse Ruri, quasi a denti stretti.
“Peccato. Sai, è un vero peccato, perché…tu a me piaci molto”.
Il cellulare che aveva in mano le cadde a terra, ma lei sembrò non farci troppo caso, ancora intenta a riascoltare milioni di volte la frase che aveva appena pronunciato.
Proprio in quell’istante, il cellulare di Ryuzaki iniziò a squillare, portandolo a lasciarle definitivamente la mano.
“Scusami” le si rivolse, volgendole le spalle e passando a rispondere “Sì?”.
Prima che lui avesse il tempo di fare o dire nient’altro, Ruri sgattaiolò fuori dalla stanza e si precipitò in bagno, ficcandosi sotto il getto d’acqua della doccia e cercando di calmare i battiti frenetici e convulsi del suo cuore…
 
Circa un’ora più tardi, intorno alle 23.30, Elle ricevette un altro segnale da parte di Watari, che lo informava dell’imminente arrivo degli agenti del quartier generale giapponese.
Noncurante, si alzò in piedi e si diresse verso l’ingresso della suite, per attenderli, le mani di nuovo sprofondate nelle tasche dei suoi jeans.
Non aveva idea di dove fosse finita Ruri, ma era sicuro che lo avrebbe raggiunto al più presto; improvvisamente, non poté fare a meno di pensare a ciò che era accaduto prima e al modo molto poco diplomatico con cui lei era uscita di scena, senza dargli il tempo di aggiungere altro.
Aveva detto che gli piaceva. Ma come accidenti gli era venuto in mente di dirle una cosa del genere?! E poi, che bisogno c’era di ripetersi? Le aveva già espresso quanto apprezzasse il suo lavoro…perché aveva sentito la necessità di dirle qualcosa di simile? Bah, idiozie…forse stava semplicemente lavorando troppo, senza contare che non era abituato a condividere lo spazio vitale con una persona che non fosse Watari (che, tra l’altro, era sempre stato attento a lasciarlo solo quanto gli era necessario). Ma allora, perché continuava a rimuginarci in quel modo? Che cos’era che lo colpiva in quella maniera? E perché aveva parlato così a lungo di Williams e del misterioso suicidio della sua terza figlia? Che importanza poteva avere?
*Ne avrebbe, in realtà…se le mie supposizioni fossero esatte, verrebbe da domandarsi il perché di tutto questo. Possibile che reputi quella ragazza capace di inscenare un suicidio e di sparire nel nulla? Ma perché lo avrebbe fatto, dannazione?*.
Il volto ancora impassibile, decise di lasciar perdere: aveva ben altro a cui pensare, e di certo non poteva perdere tempo su quella storia. Ruri Dakota era efficiente, intelligente, preparata e molto competente, e lo avrebbe aiutato nelle indagini. Era chiaro che gli piacesse, non c’era niente di strano, in tutto ciò. Dopo la conclusione del caso, l’avrebbe ringraziata e non l’avrebbe vista mai più. Fine della storia.
E allora…perché una parte di lui non faceva che pensare alla sensazione che gli aveva attraversato il corpo, in ogni occasione in cui l’aveva sfiorata?
*È solo l’elettricità…* fece in tempo a pensare, prima di udire qualcuno bussare alla porta della suite; nello stesso momento, avvertì Ruri uscire dalla sua camera da letto e dirigersi verso il salotto adiacente all’ingresso dove si trovava lui. Con la coda dell’occhio, si accorse che stava frettolosamente rimettendo in ordine i fascicoli dell’FBI, come nel tentativo di tenersi occupata.
Il nuovo bussare alla porta lo distrasse dall’osservare meticolosamente il suo profilo.
“Prego” disse, la voce stentorea “Entrate pure”.
L’uscio si aprì lentamente, rivelando alla sua vista cinque uomini in giacca e cravatta, di età piuttosto differente l’una dall’altra, dotati di espressioni perplesse e sorprese, gli occhi puntati sulla sua figura.
“Io sono Elle” disse semplicemente, il volto marmoreo.
“Lui sarebbe…” disse a bassa voce il sovrintendente Yagami.
“Io me lo immaginavo diverso…” udì mormorare un altro, che pareva il più giovane.
Senza ulteriori indugi, il loro superiore tirò fuori il suo distintivo, subito imitato dagli altri.
“Io sono Yagami, capo della polizia”.
“Matsuda” seguì il ragazzo che aveva parlato prima.
“Aizawa” intervenne il poliziotto riccioluto.
“Mogi”.
“Ukita” terminarono gli ultimi due.
Elle permise ai suoi occhi di scrutare attentamente la figura di ciascuno di loro, il volto ancora privo della benché minima espressione.
“Scusa il ritardo, Elle, al momento siamo solo noi cinque…” iniziò Yagami, ma in quell’istante il detective alzò una mano contro di loro, puntando il dito indice e piegando altre tre dita, in modo che queste assumessero la forma di una pistola e simulò uno sparo.
“Bang” pronunciò, con voce piatta.
“M-ma…” balbettò Matsuda, frastornato.
“Ma che scherzo è questo?!” sbottò Aizawa.
“Se io fossi Kira, a quest’ora sareste già morti…dico bene, signor Soichiro Yagami?”.
Tutti e cinque lo fissarono allibiti, senza replicare.
“Per uccidere le sue vittime, a Kira basta un nome e un volto” spiegò Elle, voltandosi leggermente verso il salotto, la schiena curva “Questo, ormai, dovreste saperlo, giusto? Evitate di rivelare i vostri nomi con leggerezza…tenetevele ben strette, le vostre vite”.
Proprio in quell’istante, Ruri li raggiunse, il passo sicuro e il volto ben determinato.
Al suo ingresso, quattro dei cinque agenti giapponesi presenti arrossirono fino alla punta dei capelli, mentre il sovrintendente si limitò a lanciarle uno sguardo molto sorpreso.
“Bene” affermò la giovane, ignorando diplomaticamente Elle e rivolgendo un breve sorriso ai nuovi arrivati “Vedo che la nostra squadra è al completo, adesso”.
“L-lei…l-lei sarebbe…” balbettò Matsuda, che decisamente era il più paonazzo di tutti.
“La dottoressa Dakota. Ma chiamatemi Ruri, preferisco così” dichiarò la ragazza a braccia incrociate, senza cancellare il suo sorriso.
Con suo disappunto, finì per accorgersi che tutti e quattro, e questo valeva soprattutto per lo stesso Matsuda, la stavano letteralmente squadrando dalla testa ai piedi, come increduli di fronte a ciò che stavano vedendo.
“Avete finito?” non poté fare a meno di domandare poco dopo, facendoli trasalire.
Il loro borbottio imbarazzato venne coperto dall’intervento di Soichiro, che indirizzò loro un’occhiataccia prima di tornare a rivolgersi a Ruri, con un sorriso di scuse.
“Mi dispiace, dottoressa…”.
“Ruri” lo corresse lei, con un altro sorriso gentile.
“Ruri. Beh, è solo che non ci aspettavamo che fosse così giovane…”.
“Ruri è la miglior profiler di cui l’FBI abbia mai potuto disporre. E io e lei siamo praticamente coetanei” li interruppe Ryuzaki, il tono di voce inespressivo.
Sorpresa, Ruri gli rivolse uno sguardo soddisfatto e un piccolo sorriso, che lui sembrò non notare affatto.
“Beh, è un vero sollievo che sia in squadra con noi, dunque” affermò Matsuda, rivolgendo alla ragazza un sorriso smagliante “Il fatto che sia anche una bellissima donna non è affatto un problema per noi, si figuri!!”.
“Oh, la cosa rappresenta un tale sollievo, agente Matsuda. In effetti, se così non fosse stato, temo che sarei stata costretta ad abbandonare le indagini; in fondo, non avrei mai potuto tollerare l’idea che fosse costretto a lavorare con una donna dotata di un quoziente intellettivo, nel caso in cui ciò l’avesse disturbata. Tanto per la cronaca, il suo tentativo d’abbordaggio era inopportuno e anche un po’ patetico, se mi permette d’essere così dura”.
Quella risposta suscitò un coro di risatine che venne subito zittito dalle occhiatacce del sovrintendente e di Matsuda stesso, che nel frattempo era diventato color pervinca.
“Allora, ehm…siamo davvero contenti che stia bene, Ruri” le si rivolse Soichiro, cercando di cambiare argomento “Abbiamo saputo dei suoi colleghi, ci dispiace molto…”.
“La ringrazio” disse Ruri, ancora al fianco di Elle.
“A proposito, come ha fatto a sfuggire a Kira? Era da un po’ che volevo chiederglielo…” proseguì Yagami, l’aria seria.
“Non utilizzo mai il mio vero nome, quando lavoro. È possibile che Kira non sia riuscito comunque a ottenere l’informazione necessaria per uccidermi; non dispongo di un’altra spiegazione che possa rivelarsi altrettanto adeguata” affermò Ruri, seguendo nel salotto Ryuzaki, che nel frattempo si era avviato in quella direzione.
“Ma che cos’è questa storia del nome?” bisbigliò nel frattempo Matsuda, rivolgendosi al suo capo “Sapevo che avesse bisogno di un volto, ma non pensavo anche di un nome…”.
“Finora, tutti i criminali i cui nomi non erano conosciuti o erano stati riportati erroneamente sono stati risparmiati dalla furia assassina di Kira, e comunque…ne avevo già parlato al quartier generale” replicò frettolosamente Yagami.
Non vista, Ruri alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa: certo che quel tipo era veramente un ingenuo. In effetti, non poté fare a meno di chiedersi come diamine avesse fatto a entrare a far parte della polizia…
“Perché non andiamo di là a parlare, che ne dite?” domandò a un tratto Elle, ancora sulla soglia del salotto.
“Ah, sì…certo” rispose Matsuda, mentre il detective e la ragazza li superavano definitivamente.
“Spegnete i cellulari, i portatili o qualunque altro apparecchio abbiate con voi, posateli pure su quel tavolino” aggiunse Elle.
“Ma, Elle!” protestò Aizawa, le sopracciglia corrugate “Non crederai che lasciamo i cellulari accesi per trasmettere le nostre conversazioni all’esterno?”.
“Lascia perdere, e fa’ come ti dice” lo esortò Yagami, mentre tutti e cinque si accingevano a obbedire.
“Che fosse prudente, lo sapevamo già…” mormorò Matsuda, perplesso “Ma mi chiedo se davvero si fidi di noi…”.
“Non è questo il punto” replicò Elle, appollaiandosi nella sua consueta poltrona “È solo…che non sopporto che squilli un telefono mentre sto parlando. Vi chiedo anche…di non prendere appunti, ma di tenere a mente tutto ciò di cui vi parlerò qui al nuovo quartier generale”.
Dalla soglia, Ruri notò che tutti e cinque li fissavano in modo strano, come se si rendessero conto che in quella scena c’era qualcosa d’irreale; dal canto proprio, non esitò a sedersi su uno dei divani posti vicino allo stesso Ryuzaki, le gambe accavallate e il portatile posto di fronte, in attesa. Di certo, non si sarebbe fatta intimidire.
“Prego, mettetevi pure comodi” li esortò Elle, seguendo ogni loro movimento con lo sguardo.
“Ok…” acconsentì Yagami, prendendo posto insieme a tutti gli altri.
Quando tutti si furono sistemati, Elle cominciò lentamente a versare del caffè nella sua tazza, per poi assaggiarlo lentamente; dopo essersi pronunciato in una smorfia contrita e di disappunto, cominciò ad aggiungere un consistente numero di zollette alla sua bevanda.
Infine, fu Matsuda a riprendere la parola.
“Ascolta, Elle…”.
“D’ora in poi, non chiamatemi più Elle, ma Ryuzaki…per precauzione” lo interruppe subito il detective, con noncuranza.
“D’accordo, Ryuzaki” convenne Matsuda “Se Kira ha bisogno di volti e di nomi, non potremmo impedire la trasmissione d’informazioni sui criminali, in modo da ridurre le vittime?”.
Il detective continuò a girare lo zucchero nel suo caffè, meditabondo.
“Se lo facessimo” rispose poco dopo “A rimetterci la pelle sarebbe la gente comune”.
“La gente comune?” ripeté Ukita.
“E perché?” incalzò Aizawa.
“Perché Kira…è infantile. E non sopporta di perdere” pronunciò Ryuzaki, in tono tanto soave quanto ostile.
“È infantile…” iniziò lentamente Matsuda.
“…e non sopporta di perdere?” completò Yagami, con altrettanta calma.
“Esatto” convenne Elle “Anch’io sono infantile, e detesto perdere. Per questo lo so” concluse Ryuzaki, prendendo finalmente un altro sorso di caffè.
“Ryuzaki…” riprese Soichiro “Scusa, ma ti dispiacerebbe spiegarti meglio?”.
“Forse Ruri può farlo in modo più adeguato” affermò il moro, rivolgendosi alla ragazza, che lo fissò stupita “Potresti riassumere ai signori le conclusioni a cui sei finora arrivata, nel tracciare il profilo psicologico del killer?”.
Ruri si pronunciò in un breve sorrisetto; guardandola di sottecchi, Elle si domandò come potesse apparire così sicura di sé e noncurante, quando poco prima gli era sembrata così fragile e incapace di tenere in piedi la discussione che stavano affrontando. Per l’ennesima volta, finì per chiedersi se quella ragazza non disponesse davvero di due facce.
“Beh, per il momento non possiamo parlare di certezze, ma…direi di poter affermare che siamo di fronte a un individuo affetto da una vera e propria nevrosi comportamentale. Non è escluso che Kira sia un tipo all’apparenza riservato, probabilmente calmo, quieto e dannatamente banale nelle sue abitudini…e, devo ammetterlo, non mi sorprenderebbe scoprire che dietro la sua follia si nasconde un tipo annoiato e privo di reali contatti a livello sociale. In altre parole, Kira è un paranoico, intelligente, freddo e scaltro assassino, ma dietro la sua apparente tranquillità si cela probabilmente una forma di ossessione e di profondo infantilismo, come già stava accennando Ryuzaki. Questa storia sta prendendo una piega strana, per lui: è come se stesse giocando una sorta di partita”.
“Una sorta di partita…?” reiterò Matsuda, stupito “Ma che cosa intendi dire…?”.
Prima che Ruri potesse proseguire, Elle riprese la parola.
“Quando ho dichiarato guerra a Kira servendomi della televisione, lui, che fino ad allora aveva ucciso soltanto criminali, ha ammazzato senza esitazione il mio sostituto…inoltre, quando ho rivelato che si nascondeva nel Kanto, si è concentrato sui criminali giapponesi, come se volesse sfidarmi”.
Tutti quanti fissarono lo sguardo su di lui, intenti a non perdersi nemmeno una parola; Elle fece una piccola pausa, bevendo un sorso di caffè, per poi ricominciare con la massima quiete, subito dopo aver riappoggiato la tazzina di ceramica sul bordo del piatto.
“Non si lascia intimorire dalle nostre provocazioni, ma risponde con provocazioni altrettanto forti. Come credete che possa reagire una persona del genere, se nascondessimo i criminali censurando i notiziari?” domandò infine.
“Beh, ecco…” interloquì Matsuda, a disagio.
“Se non tirate fuori i criminali, inizierò a uccidere anche i piccoli malviventi e gli innocenti. Prenderò tutta l’umanità in ostaggio” proseguì Elle, la mente perfettamente immedesimata in quella di Kira “Non sono io il cattivo…” aggiunse, con infinita soavità “Il male siete voi che mi ostacolate, nascondendo i malvagi…”.
“Un complesso di persecuzione in piena regola. È una sintomatologia tipica, nei soggetti affetti da questo tipo di disturbo nevrotico. Ciò che davvero è da comprendere fino in fondo è la sua reale motivazione” intervenne Ruri, il volto attento e riflessivo “Certo, il nostro punto di partenza fondamentale è il suo spiccato senso della giustizia, ma esso andrebbe contestualizzato in modo più preciso. In effetti…sono tentata dal pensare che dovremmo isolare il nostro campo d’indagine ad una classe sociale più ristretta, anche se prima dovremmo confermare alcune ipotesi”.
“Sarebbe a dire?” domandò Yagami, perplesso.
“Sarebbe a dire che se davvero il nostro uomo è un tipo annoiato e frustrato, allora non è da escludere che appartenga a una classe sociale almeno moderatamente benestante, se non addirittura altoborghese” replicò Ruri, iniziando ad aprire alcuni file sul suo computer.
“E come fa a dirlo?!” esclamò Aizawa.
“Lei ha mai avuto problemi economici, Aizawa?” gli domandò a bruciapelo Ruri, fissandolo dritto negli occhi e lasciandolo di stucco “Posso assicurarle che una persona dotata di simili problematiche non ha assolutamente il tempo di annoiarsi. Ecco la risposta alla sua domanda”.
“Ma questo non costituisce un elemento sufficiente per restringere il nostro campo d’indagine…inoltre, crede davvero che il movente di Kira possa essere ricondotto semplicemente alla noia…?” chiese Ukita, sbalordito.
“Non ho mai detto niente del genere” replicò Ruri, il tono di voce pacato “Ma, come ho già ampiamente sottolineato, se le nostre ipotesi dovessero rivelarsi corrette, dobbiamo prendere in considerazione l’idea che il nostro uomo non sia abituato ad avere troppe preoccupazioni materiali. In più, il profilo psicologico che io ed Elle abbiamo tracciato finora non ci restituisce certo l’immagine di una persona abituata a vivere a contatto con lo strato sociale più infimo…non dimenticate che il tasso di criminalità aumenta, se ci spostiamo da Manhattan al Bronx”.
“Da Manhattan al Bronx…?” balbettò Matsuda, confuso.
“Lei è mai stato a New York? Le garantisco che spostarsi da una zona all’altra di quella città è come entrare in differenti mondi paralleli, ognuno con le sue regole. E il confronto può definirsi perfettamente adattabile alla piramide sociale che stiamo esaminando” sentenziò Ruri, bevendo a sua volta un sorso di caffè.
Senza che nessuno potesse essere in grado di accorgersene, Ryuzaki lasciò per un momento che un sorrisetto compiaciuto gli scivolasse sul volto.
“Lei è molto competente, Ruri” commentò poco dopo Yagami, il tono ammirato.
“E non sa quanto…” replicò Elle, lasciando tutti sbalorditi.
Dal canto proprio, Ruri non poté fare a meno di seguire l’esempio del suo collega, sorridendo a sua volta sotto i baffi.
“In ogni caso, è così che ragiona Kira” riprese il detective, riacquistando subito il filo del discorso “Piuttosto, pensiamo a come possiamo servirci dei media”.
“Per esempio…?” disse Aizawa.
“Che ne dite di quest’idea?” se ne uscì Elle, portandosi una mano sotto il mento, l’aria riflessiva e concentrata e lo sguardo volto verso il soffitto “L’uccisione degli agenti dell’FBI ha provocato indignazione in tutto il mondo nei confronti di Kira; i paesi del G8 hanno quindi inviato in Giappone 1500 agenti”.
Subito dopo aver incrociato le braccia, Ruri si pronunciò in un altro sorrisetto soddisfatto: in fondo, non avrebbe mai pensato realmente d’essersi pentita nel profondo d’aver accettato il caso. Sapeva che quello era il suo posto, e che non si sarebbe mai perdonata di non averlo capito.
“Per Kira, sarà tutto un altro paio di maniche rispetto alla storia dell’FBI: inizierà a considerare chiunque come un nemico, e una tale pressione psicologica lo porterà a reagire in qualche modo” dedusse il ragazzo.
“Questa sì che è bella!” sorrise Ukita.
“Fingere di essere in 1500 quando siamo soltanto otto…” affermò Aizawa, con un altro sorriso “E a differenza degli agenti dell’FBI, questi non possono essere uccisi perché non esistono”.
“Può funzionare!” insisté Ukita.
“Ora, però, vorrei poter esprimere la mia opinione su questo caso” affermò Elle, le mani posate su entrambe le ginocchia.
Tutti i presenti annuirono, continuando a guardarlo, i volti contratti dall’attesa; dal canto proprio, Ruri lo fissò in volto, esaminando ogni sua ruga d’espressione e ogni sfumatura del suo profilo. Diamine, quanto le piaceva osservarlo…e quanto le piaceva ascoltarlo!
*E quanto sarai stupida!!* le ripeté la sua vocina interiore, che ancora una volta non riuscì a zittire.
“Kira agisce da solo” continuò nel frattempo Elle, iniziando a tormentarsi il labbro inferiore con il pollice “E ha sottratto informazioni al precedente quartier generale…”.
“Ma come…come fai a dire che agisce da solo?” obiettò Aizawa.
“Aspetta, Aizawa” lo bloccò severamente Yagami “Prima ascoltiamo fino alla fine il suo ragionamento”.
“Per uccidere, ha bisogno di un volto e di un nome…ed entro certi limiti, può manipolare l’orario della morte e gli avvenimenti che la precedono” dichiarò Elle, poco prima di estrarre dalla tasca un grosso pennarello indelebile “Tenete a mente ciò che vi ho detto…” le sue dita affusolate tolsero il tappo “E ascoltate attentamente quel che ho da dirvi”.
Senza altri preamboli, tenendo il pennarello con appena la punta del pollice e dell’indice della mano destra, iniziò a tracciare alcuni dati sulla superficie di legno del tavolino che aveva di fronte, i grandi occhi neri intenti a dilatarsi e concentrati su ciò che stava facendo.
“Il 14 Dicembre” proseguì, come se i suoi gesti avessero rappresentato la cosa più naturale del mondo “Arrivano in Giappone dodici agenti dell’FBI, a distanza di cinque giorni dalla loro collaboratrice principale, la dottoressa Ruri Dakota. Il 19 Dicembre, invece…Kira svolge dei test su alcuni carcerati, allo scopo di provare a manipolare gli eventi precedenti la morte. Ciò significa” andò avanti, tracciando una linea fra le due date appena scritte “Che nell’arco di cinque giorni, Kira si accorge degli agenti dell’FBI e, sentendosi minacciato, effettua dei test…per capire se può manipolare le azioni precedenti la morte. Con questi esperimenti, ucciderà gli agenti dell’FBI, dei quali non conosce né i volti né i nomi…dopodiché, il 27 Dicembre…”.
“Ancora non capisco come sia possibile che lei sia ancora viva, Ruri” lo interruppe Aizawa, rivolgendo alla ragazza uno sguardo sospettoso “Non mi fraintenda, non che questo non mi renda felice, ma dovrà convenire che è piuttosto strano, non trova? Se Kira è riuscito a ottenere informazioni così riservate su ciascuno dei suoi colleghi, come può non esserci riuscito, con lei? Voglio dire, considerando che stavano lavorando nel più totale anonimato, immagino che per farli fuori abbia dovuto accedere a informazioni assolutamente riservate, contenenti tutti i vostri dati anagrafici…”.
“Capisco quello che sta cercando di dire. Lei sospetta che io possa essere Kira? Beh, l’informo subito che non è stato il solo” sorrise Ruri, accennando brevemente ad Elle, che non mosse un muscolo, come se niente fosse accaduto.
Aizawa rimase in silenzio, attendendo un’ulteriore risposta, mentre lo sguardo impietrito degli altri passava dall’uno all’altro in maniera quasi isterica.
Ruri sospirò pesantemente, rilassando le spalle; poi estrasse dalla tasca la sua patente di guida, leggermente stropicciata, sulla cui superficie tutti loro poterono leggere il nome ‘Misaki Yasuba’.
“È falso” commentò brevemente Ruri, lo sguardo gelido “Questo è il nominativo con cui sono registrata all’anagrafe nello Stato del Massachusetts, ma non è il mio vero nome. L’ho cambiato molti anni fa, ma in effetti non è autentico. Immagino che questa sia l’unica ragione per cui ad oggi sono ancora viva. Se non si fida di quello che ho detto, può effettuare tutte le ricerche che vuole, e si renderà conto che non le ho mentito. Gli archivi dell’anagrafe sono aperti per ogni consultazione”.
Aizawa s’irrigidì ancora di più, piegando leggermente il capo.
“Mi scusi, dottoressa, io non intendevo…”.
“Mi chiami Ruri. E non me lo faccia ripetere, per favore” affermò Ruri, tornando a sorridergli, per poi passare a rivolgersi ad Elle “Stavi dicendo?”.
“Per quanto ne sappiamo, in questo arco di tempo sono morte ventitré persone per arresto cardiaco” continuò Elle “Trattandosi soltanto di ricercati e pregiudicati, a questo punto risulta evidente che i suoi obiettivi sono differenti dagli obiettivi che poteva avere in precedenza”.
“In effetti…” convenne Soichiro.
“In parole povere…per uccidere gli agenti dell’FBI ha avuto bisogno di manipolare qualche criminale di piccolo calibro; e ha usato così tanti criminali per non farci capire quali gli siano serviti veramente. In realtà, dubito che siano stati molti…” affermò Elle, pensieroso “Gli otto giorni tra i test e l’attuazione del piano gli sono serviti a nascondersi, in modo che gli agenti dell’FBI indagassero anche altra gente. Dunque, posso affermare senza ombra di dubbio che Kira era tra le persone indagate dall’FBI tra il 14 e il 19 Dicembre…” concluse, segnando una croce sulla linea che univa le due date.
Prima che qualcuno potesse aggiungere qualcosa, Elle prese in mano il sostanzioso pacco di documenti riguardanti il materiale dell’FBI, iniziando poi a distribuirne le componenti ai suoi interlocutori.
“Qui ci sono i dati dell’FBI, e molte altre informazioni altrettanto importanti. Non vi è concesso portare queste informazioni fuori da qui, ma…”.
“Fantastico!!” lo interruppe Matsuda, entusiasta “Ma è davvero fantastico, con queste informazioni possiamo condurre le indagini anche da soli!!”.
“Dividiamoci in due gruppi” concluse Aizawa “E vediamo se riusciamo a ricavare qualche indizio dagli agenti dell’FBI!”.
“Non credo che siano poi molte le persone che sono state indagate nei primi cinque giorni dall’FBI per aver sottratto informazioni al quartier generale…” proseguì Matsuda.
“Già, lo credo anch’io…” convenne il suo collega.
Con sguardo piatto e quasi annoiato, Elle tornò a rivolgersi a loro.
“Allora, non avete domande da fare?” chiese, mentre tutti tornavano a voltarsi verso di lui.
“Sì, io” intervenne il sovrintendente “Io ne avrei una, Ryuzaki: prima hai detto che anche tu, come Kira, detesti perdere…ma il fatto che tu abbia mostrato a noi il tuo volto non potrebbe già costituire una vittoria, per Kira?”.
“Esatto” annuì Elle “Il fatto che abbia mostrato il mio volto, così come la morte dei dodici agenti, rappresenta una sconfitta, per me”.
“Non soltanto per te” gli si rivolse Ruri, ad un tratto.
Spostando lo sguardo su di lei, Ryuzaki capì subito che non c’era stata alcuna traccia di rancore o di risentimento nelle sue parole, bensì di solidarietà.
“Tuttavia” proseguì Elle, senza più staccare gli occhi da lei “Alla fine, vincerò io…”.
“Lo so…” affermò Ruri, con più intensità di quanto avrebbe voluto.
Notando che nessuno dei due accennava a distogliere lo sguardo dall’altro, Matsuda pensò bene di schiarirsi vistosamente la voce, portandoli di nuovo a spostare la rispettiva attenzione sul resto del gruppo.
“Anch’io sto rischiando la vita, per la prima volta…” disse Elle “Tutti noi che ci siamo riuniti qui, mettendo in gioco le nostre vite…” fece una piccola pausa, prima di riprendere a guardare tutti loro, pronunciandosi nel primo sorriso completamente ingenuo che il suo volto avesse mai accolto in tutta la serata “Dimostreremo che la giustizia trionfa sempre”.
Vederlo assumere quell’espressione la lasciò stupita, quasi frastornata, ma la condusse a sorridere a sua volta, rivolgendogli uno sguardo più ricco di calore di tutti quelli che l’avevano preceduto.
“Giusto, ben detto!” commentò Mogi, nel frattempo.
“La giustizia trionferà!” saltò su Matsuda.
“Mettiamocela tutta” intervenne Ukita.
“Diamoci subito da fare, Ryuzaki!” propose Aizawa, entusiasta.
Il sovrintendente si limitò a sorridere con approvazione, gli occhi grati e riconoscenti; mentre tutti loro iniziavano ad esaminare i documenti che avevano sotto mano, senza nemmeno sapere perché, Ruri finì per sfiorare il braccio di Ryuzaki, soffermandosi sul tessuto candido della sua maglia, intento a nascondere una pelle altrettanto perlacea. Si era trattato di un gesto quasi casuale, intento a dirgli quanto anche lei gli fosse riconoscente per quel semplice incoraggiamento che aveva voluto dare a tutti loro…non avrebbe mai pensato che una cosa simile potesse rivelarsi così intensa.
Ma la cosa che più di tutte si rivelò carica d’energia fu il rendersi conto che le dita di lui avevano trattenuto la sua mano, nell’istante in cui aveva cercato di sottrarsi di nuovo al suo tocco; per un momento, i loro occhi tornarono a incrociarsi, fondendo sfumature d’ebano con gradazioni d’azzurro.
“Tieni” le disse poi lui, porgendole qualcosa “Ti sei guadagnata un’altra volta la mia fragola”.
Con un sorriso, Ruri ne addentò un pezzetto, quasi dimentica della presenza degli altri.
“Ci hai aggiunto sopra un chilo di zucchero” protestò, ancora non udita dagli agenti.
“Beh, è proprio questo che la rende così buona”.
Prima che lei potesse replicare, Elle tornò a rivolgersi a tutto il gruppo d’indagine.
“Benissimo; per prima cosa, vorrei parlare con voi uno alla volta, in modo da verificare che nessuno dei presenti sia Kira”.
Lanciandosi occhiate sbigottite, gli agenti ripresero ad assumere un certo disappunto.
“Ancora non si fida di noi…” protestò Aizawa, a bassa voce.
“No, è giusto così” affermò Yagami, facendoli voltare verso di lui “Se Kira ha potuto sottrarre sin dall’inizio informazioni al quartier generale, le probabilità che sia fra di noi sono molte…”.
Mentre il sovrintendente pronunciava quelle parole, Ryuzaki si alzò in piedi, seguito soltanto dallo sguardo di Ruri, diretto verso la finestra, le cui tende, per il momento, non erano state tirate. La ragazza lo osservò fermarsi dinanzi ad essa, le mani in tasca e gli occhi persi all’esterno.
“Giusto” bisbigliò Matsuda “In tal caso, vorrebbe dire che è riuscito a vedere la faccia di Ryuzaki…”.
“Intendeva questo, per rischiare la vita…?” domandò Aizawa.
“Ruri” disse a un tratto Elle, senza voltarsi “Vorrei che mi assistessi, durante i colloqui che dovrò avere a breve con ciascuno dei nostri collaboratori. Spero che non sia un problema, per te”.
“Assolutamente no, ne sarei lieta” acconsentì Ruri, alzandosi in piedi “Bene, signori…vogliamo cominciare?”.
 
Il resto della notte trascorse in modo lento e noioso; sia Ruri che Elle trascorsero ore a parlare singolarmente con ognuno degli agenti, cercando di dedurre dalle loro affermazioni ed espressioni un possibile legame con l’operato di Kira. In realtà, Ruri si limitò quasi prevalentemente ad osservare, cosa insolita, da parte sua, prendendo la parola solo quando Elle le dava il via libera; in seguito, capì soltanto in parte le ragioni che si nascondevano dietro quel suo comportamento, ma di una cosa era sicura: non avrebbe mai perso l’occasione di assistere a un interrogatorio condotto da Elle in persona, e di certo non voleva interferire.
Quando ormai le luci dell’alba iniziarono a rischiarare l’immensa suite, Elle si alzò in piedi, imitato da Ruri, e rivolse un cenno d’approvazione al giovane Ukita, per poi domandare alla ragazza di chiedere agli altri agenti di rientrare.
Quando tutti ebbero preso di nuovo posto, ed Elle si fu nuovamente appollaiato sulla sua poltrona, gli occhi di tutto il quartier generale saettarono ancora una volta sul detective.
“Scusate se vi ho interrogati uno per uno, ma era importante” affermò Elle, la guancia sinistra appoggiata al palmo della mano corrispondente “Kira non è nessuno di voi…”.
Matsuda si rilassò contro lo schienale del divano, pronunciandosi in un sospiro di sollievo e avvicinandosi di poco a Ruri, che si era seduta al suo fianco senza pensarci; la ragazza gli lanciò un’occhiata di disapprovazione e si spostò verso l’estremità opposta.
“Scusa, Ryuzaki” intervenne il sovrintendente “Ma come fai ad esserne così sicuro?”.
“A dire il vero” iniziò Elle, con la sua consueta tranquillità “Avevo escogitato un trucchetto per capire se la persona che avevo di fronte era Kira, ma con nessuno di voi è stato il caso di usarlo…”.
Prima che il detective potesse aggiungere altro, il suo cellulare cominciò a squillare.
“Scusate” disse il ragazzo, prima di estrarlo dalla tasca e di rispondere.
Ruri ignorò l’occhiata contrita che Matsuda aveva appena lanciato a Ryuzaki e lo osservò attenta, immaginando già chi fosse il suo interlocutore.
“Va bene…” disse Ryuzaki “Sì, anch’io ho appena ho finito. Puoi entrare pure con la tua chiave”.
Elle premette un pulsante che chiuse la chiamata e mise via il suo telefono, per poi tornare a fissarli a uno a uno.
“Sta arrivando Watari” dichiarò.
Quella dichiarazione lasciò sorpresi tutti loro, ad eccezione di Ruri, ancora una volta impegnata a smanettare con il suo computer portatile; non passò molto da che Aizawa notò la cosa, con aria stupita.
“Ehm, Ruri…posso chiederti a che cosa stai lavorando, per la precisione?” le chiese poco dopo.
“Sto cercando di superare un sistema di sicurezza anti-hacker di un computer collegato al database dell’FBI” replicò Ruri con la massima naturalezza, senza alzare gli occhi dallo schermo.
“Oh…niente di speciale, quindi” ridacchiò Matsuda, passandosi una mano dietro la nuca.
“Lei s’intende di questo genere di cose…?” domandò Yagami, colpito.
“Abbastanza” scrollò le spalle Ruri, ancora concentrata.
“Ehm, ma non è…” iniziò lentamente Ukita, incerto.
“…illegale?” completò Ruri, con un mezzo sorriso “Sì, lo è”.
“Oh…beh, se davvero lo è, non crede che questo potrebbe essere rischioso? Voglio dire, la sua carriera…” tentò di nuovo Aizawa.
“Ho dato le dimissioni” replicò Ruri, secca.
“M-ma…ma potrebbero arrestarla…”.
“E Kira potrebbe uccidermi” affermò Ruri, alzando finalmente lo sguardo e fissandolo dritto negli occhi “Se non fossi pronta a correre rischi simili, Aizawa, crede che sarei ancora qui, adesso?”.
Il poliziotto si zittì di nuovo, a disagio, mentre Ruri tornava al suo lavoro, cercando di ignorare l’occhiata penetrante e profonda che Ryuzaki le stava lanciando.
“Ma perché ha bisogno d’entrare in un computer connesso al database dell’FBI?” le domandò infine Yagami, dopo un silenzio discretamente lungo.
“Come dimissionaria, non ho più diritto ad avere accesso diretto alle informazioni di cui ho bisogno” rispose Ruri, lo sguardo concentrato sul monitor “Ergo, non dispongo di altri mezzi per poter ottenere quello di cui necessitiamo per proseguire con le indagini”.
“Non capisco…non dovremmo trovare tutto ciò che ci serve nei fascicoli che ci ha appena fornito Ryuzaki?” replicò Matsuda.
“Li ho controllati riga per riga…ciò che dobbiamo ancora sapere non è contenuto in quei documenti” disse Ruri, il volto contratto da una smorfia “Il deficiente…voglio dire, l’agente che avrebbe dovuto annotare l’informazione che sto cercando…ecco pare che abbia omesso di riportare questo dato nel suo rapporto conclusivo”.
“Ma come?! Un errore così grossolano…sta dicendo che non ha trascritto il rapporto relativo a una delle sue indagini?! Ma com’è possibile?” sbottò Aizawa, indignato.
“Conoscendo il soggetto in questione, non è così difficile da credere. In più, qualche giorno prima di morire mi aveva già comunicato quanto ritenesse specificamente inutile la sezione delle indagini relativa al quartier generale giapponese…in particolar modo, appariva frustrato all’idea di pedinare adolescenti intenti ad andare a scuola a o a uscire con ragazze. Presumo, pertanto, che abbia volontariamente deciso di non riportare alcuni dei suoi appostamenti, ritenendo che non rivelassero niente di sospetto…”.
“Ma questo va contro ogni procedura!” protestò ancora Aizawa “Chi diamine era, questo tizio?”.
“Un fallito di nome Ray Penber” pronunciò Ruri, disgustata “Troppo concentrato sulla piega dei suoi capelli per ottenere qualche risultato fruttuoso. E non volendo in alcun modo mancare di rispetto ai morti, la mia opinione sul suo conto non è cambiata di una virgola in nessuna occasione, nemmeno dopo il suo decesso”.
“Che cosa sta cercando esattamente, Ruri?” le chiese Yagami, guardandola dal di sotto degli occhiali spessi.
“Ho bisogno di sapere chi era la persona che Penber era stato incaricato di pedinare il 20 Dicembre, e per quale motivo si trovava sull’autobus 174, diretto a Spaceland” disse la ragazza.
Prima che qualcuno potesse fare altre domande, la giovane lanciò un grido di vittoria.
“Sono dentro!” esclamò Ruri, mentre tutti gli altri le si affiancavano o si ponevano dietro le sue spalle, curiosi; Ryuzaki, dal canto suo, si limitò a sporgere la testa per guardare meglio, subito dopo che Ruri ebbe ruotato il portatile in modo che potesse avere una visuale migliore.
“Ottimo lavoro” decretò Elle, piegando leggermente le labbra in un sorriso soddisfatto.
Ma subito dopo, l’espressione di trionfo che si era dipinta sul volto di Ruri cominciò a scemare lentamente, lasciando il posto a una stupita, poi a una delusa e infine a una disgustata.
“Non ci posso credere!!!!” sbottò, furiosa “Tutti i file sono stati cancellati o criptati!!”.
“Che cosa?!”.
“Le cartelle relative al caso Kira, tutte le informazioni, tutti i documenti…non c’è più niente!! Nemmeno i rapporti che ci sono pervenuti in forma cartacea, niente di niente!!! È come se un esercito di virus si fosse riversato qui dentro, è una cosa…che cazzo gli è preso, al suo computer?!?” esclamò Ruri, adesso furibonda.
“Beh, immagino che siano cose che possono succedere…” commentò Matsuda.
“Non dica cretinate!! Non è possibile che si sia trattato di un caso, maledizione!! Qualcuno ha manomesso questo computer, ne sono sicura!! Qualche dannato virus gli ha danneggiato la memoria e ha letteralmente spappolato tutto il file riguardante il caso Kira!! Se volete il mio parere, credo proprio che non si tratti di una stramaledetta coincidenza” sbuffò Ruri, chiudendo il portatile con gran disappunto.
“Bene, direi che questo è un altro punto a nostro vantaggio. A quanto pare, il nostro killer s’intende anche d’informatica. Interessante” proseguì Elle, bevendo un altro sorso di caffè.
Ruri lo guardò storto, prima di proseguire.
“Sì, d’accordo, ma quest’informazione non ci è di grande aiuto, considerando quella che abbiamo perso…” decretò Ruri, alzandosi in piedi e finendo per appoggiarsi alla parete.
“Scusatemi se insisto…perché era così importante sapere chi era la persona che Ray Penber stava pedinando in quel particolare giorno?” domandò ancora Yagami, spostando lo sguardo da Ruri a Ryuzaki.
La ragazza sospirò, a braccia incrociate, prima di rispondergli.
“Abbiamo ricevuto una segnalazione. È più una sorta di traccia che altro, ma…ecco, siamo certi che il 20 Dicembre Penber fosse su quell’autobus, il 174, della statale per Spaceland. La cosa sospetta è che proprio quel mezzo, in quella giornata, è stato preso d’assalto e dirottato da un rapinatore di banca, un tossicodipendente…i telegiornali ne hanno parlato, si chiamava Kichiro Hosoreda…”.
“L’ho sentito nominare” interloquì il sovrintendente.
“Beh, in quella circostanza, e in un contesto in cui stava effettivamente seguendo qualcuno, risulta che Penber abbia mostrato il suo distintivo a uno dei passeggeri. Quella testa di cazzo…” concluse Ruri, a denti stretti “Come sapete, è morto otto giorni dopo. Non penso che sia un dettaglio che possiamo lasciare al caso”.
“Ma…ma quel tossico è morto a causa di un incidente stradale, non per arresto cardiaco…” obiettò lentamente Yagami.
“Esatto” intervenne Elle “La tesi della nostra testimone, infatti…è legata all’idea che Kira possa uccidere in altri modi, oltre che tramite l’arresto cardiaco”.
La loro conversazione venne interrotta dall’ingresso di Watari, che non tardò a farsi avanti nella stanza, subito dopo aver chiuso bene la porta e dopo essersi rispettosamente tolto la sua bombetta nera.
Il suo arrivo non poté che dipingere un sorriso più tranquillo sulle labbra di Ruri; non avrebbe saputo dire perché, ma quell’uomo rappresentava per lei una presenza rassicurante.
“Buongiorno” li salutò l’uomo, in modo formale, per poi rivolgere un cenno amichevole e più specifico a Ruri, che ricambiò “Signori, vi ringrazio della vostra collaborazione”.
“Sa-sarebbe lui, Watari?” chiese Aizawa, molto sorpreso.
“Come mai non è vestito come al solito?” incalzò Matsuda.
“Se mi fossi recato in quest’albergo conciato in quel modo, avrei rischiato d’essere riconosciuto e avrei svelato a tutti dove si trova Ryuzaki” rispose concisamente Watari.
“Ahm…s-sì, giusto” convenne il ragazzo.
“Inoltre, aver mostrato il mio volto senza problemi è la prova del fatto che Ryuzaki si fida di voi” aggiunse l’anziano, con la stessa formalità usata fino a quel momento.
“Beh, in effetti questo è un vero onore” dichiarò Matsuda, ridacchiando e passandosi una mano dietra la nuca.
In quel momento, Watari sollevò una grossa valigetta di pelle, che nessuno sembrava aver notato fino a quel momento.
“Ryuzaki, ho portato ciò che mi avevi chiesto” disse Watari, chinando il capo rispettosamente.
“Consegnali pure ai signori” disse Ryuzaki.
“Subito” acconsentì Watari, aprendo la ventiquattrore e rivelando il suo contenuto; al suo interno, spiccavano ben cinque distintivi nuovi di zecca “Ecco i vostri nuovi distintivi”.
“Nuovi…?” ripeté lentamente Aizawa.
“Sia il nome che il grado sono inventati” affermò Soichiro, guardando il suo più da vicino.
“Un falso distintivo?” rilevò ancora Matsuda, il tono entusiasta.
“Per uccidere, Kira ha bisogno di conoscere il volto e il nome” dichiarò ancora una volta Elle, bevendo un ulteriore sorso di caffè “Dargli la caccia con un simile presupposto mi sembra una soluzione scontata”.
“Sì, certo, ma un poliziotto non può usare documenti falsi” obiettò Ukita.
“Beh, e un’ex agente dell’FBI non può entrare nel database dell’organizzazione” sorrise Ruri, il tono complice “Cerchi di vedere le cose dalla giusta prospettiva”.
“Se Kira ha bisogno di sapere i nostri nomi per ucciderci, questi documenti sono assolutamente indispensabili per la nostra incolumità” dichiarò Yagami, deciso “Sarà meglio tenerli con noi”.
“Sì, anch’io la penso così” convenne Matsuda.
“Già…”.
“Bene” riprese Ryuzaki “Fuori da qui, ogni volta che dovrete presentarvi, vi prego di usare questo distintivo falso”.
“D’accordo” risposero tutti in coro.
Ryuzaki bevve un altro sorso di caffè, e poi riprese.
“Ma fate molta attenzione a non mostrare questi distintivi all’interno della questura: potrebbero creare problemi”.
“Sì, d’accordo”.
“Inoltre” seguitò Watari, aprendo un doppio fondo della valigetta, sul tavolino accanto “Ci terrei che indossaste queste cinture”.
“Delle cinture…?” domandò Matsuda, mentre lui e i suoi colleghi prendevano ad avvicinarsi al collaboratore di Elle.
“Nella fibbia, è inserita una trasmittente in modo che Ryuzaki possa seguire tutti i vostri movimenti” spiegò Watari, mostrando il pulsante inserito al centro “In più, premendo la fibbia per due volte” illustrò, eseguendo il gesto e portando il suo telefono a suonare “Farete squillare il mio cellulare; dopodiché, sarò io stesso a richiamarvi da un numero sicuro. La mattina, come prima cosa, vi recherete in questura: subito dopo, mi chiamerete per conoscere l’hotel e il numero della stanza in cui recarvi. Ruri, è meglio che la indossi anche tu” si rivolse poi alla giovane, con un breve sorriso.
Ruri gli lanciò uno sguardo perplesso.
“Non capisco perché, Watari…” ribatté.
“Perché questo è un dispositivo che è bene adoperare anche nelle situazioni d’emergenza” insisté l’inventore, porgendogliela “E non possiamo correre rischi d’alcun genere”.
“Non comprendo proprio il senso di tutto questo, ma se proprio devo…” si strinse nelle spalle Ruri, allacciandosela in vita.
“Che fico!! Sembriamo proprio una squadra speciale, la super squadra anti-Kira!!” esclamò Matsuda, con il tono di un bambino al luna park.
“Matsuda, devi smetterla di essere infantile!!” lo rimproverò Yagami aspramente “Non è un gioco per bambini!”.
“Signorsì…” annuì Matsuda, ora molto mogio.
Riscuotendosi subito dopo, come colto da un pensiero improvviso, alzò lo sguardo e rivolse a Ruri un’occhiata perplessa e interessata al tempo stesso.
“Ora che ci penso…Ruri, tu non hai bisogno di documenti falsi?”.
“Memoria corta, eh? Li ho già” replicò Ruri, senza guardarlo in volto.
“M-ma…”.
“E in ogni caso, non credo che avrei molte occasioni per sbandierarli in giro. A quanto pare, dovrò restare confinata nella stanza d’albergo di turno per molto tempo” sbuffò Ruri, alzando gli occhi al cielo.
“E perché?” le domandò ancora il ragazzo.
“Beh, la stampa mondiale è sicura al 100% che io sia morta, quindi…fai un po’ i tuoi calcoli” disse Ruri, fissandolo in modo molto diretto “Un vero peccato, sembra proprio che non potremo indagare insieme, almeno non direttamente sul campo”.
“Q-quindi tu dovrai restare qui?! Con…con Ryuzaki?” balbettò il poliziotto, spostando lo sguardo dall’uno all’altra.
“Già” dichiarò Ruri, tornando a sedersi.
“Bene, immagino che sia tutto, per oggi” dichiarò Elle, alzandosi finalmente in piedi “Voglio che mi raggiungiate al nuovo quartier generale questa sera alle 21.00. Watari ve ne comunicherà la posizione; nel frattempo, è meglio che ciascuno di voi torni a casa e si riposi un po’. Ci aspettano lunghe notti insonni, ve lo garantisco”.
“Fantastico…” borbottò Matsuda.
“Un’ultima cosa: che ne è del vero quartier generale?” domandò il detective.
“In questo momento, non c’è nessuno” rispose Yagami.
“Non va bene…” commentò Elle “Fate dei turni in modo che ci sia sempre qualcuno”.
“D’accordo” acconsentì il sovrintendente “Per oggi ci andrai tu, Aizawa”.
“Agli ordini!” esclamò il giovanotto, saltando in piedi “Da qui ci metterò un attimo, signore”.
“Allora questo conclude la riunione di oggi” affermò Ryuzaki, mentre tutti quanti imitavano il gesto di Aizawa, appena congedatosi “A questa sera, dunque”.
Gli agenti rivolsero sguardi di gratitudine e cenni d’assenso al detective, e poi passarono a stringere la mano a Ruri.
“Congratulazioni, Ruri: lei e Ryuzaki siete una squadra impeccabile” le disse Yagami, il tono colpito.
“Non è con me che deve congratularsi” replicò Ruri, rivolgendo uno sguardo al detective, che in quel momento sembrava molto concentrato sulla sua ennesima tazza di caffè.
“L-lei…lei è molto in gamba…” le disse poi Matsuda, che si era riservato di stringerle la mano per ultimo “C-conoscerla è stato un vero…p-p…”.
“Piacere, sì” lo anticipò lei, con un sorriso più gentile ma sbrigativo “Grazie, Matsuda: è stato un piacere anche per me”.
Il ragazzo sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma la giovane non gliene dette il tempo, tornando ad affiancarsi ad Elle, di nuovo intento a esaminare le date tracciate con l’indelebile sulla superficie del tavolino.
Notando che il suo sottoposto non accennava a staccare gli occhi dalla ragazza e rendendosi conto che Watari stava tenendo aperta la porta, in attesa che uscissero, Yagami si affrettò ad attribuire una spinta non troppo ortodossa contro la schiena dello stesso Matsuda.
“Andiamo, forza!!” sbottò, il tono contrito.
“Va bene, va bene, sto arrivando!” protestò Matsuda, rivolgendo alla giovane un ultimo sguardo.
Prima che uscissero definitivamente dalla stanza, Ruri fece in tempo ad udire il loro ultimo scambio di battute, che, stranamente, le strappò uno strano sorrisetto.
“Ragazzi, adesso capisco il motivo per cui Ryuzaki non voleva mai uscire dall’albergo! Cavoli…”.
“Matsuda, la vuoi piantare con queste sciocchezze?!?”.
“Mi scusi, sovrintendente, ma credo sia la verità! Non ha visto quant’è carina? Non pensavo che nell’FBI ci fossero delle agenti così belle…quasi quasi mi trasferisco negli Stati Uniti!”.
“Matsuda, ti avverto, un’altra parola e…”.
“Ma insomma! Non sembrava anche a voi che ci fosse una strana atmosfera, fra quei due?! Io dico che si piacciono! Certo che Ryuzaki è proprio fortunato, voglio dire, tutto quel genio, tutti quei soldi e anche una ragazza così bella…”.
Il resto della conversazione venne occupato dalle invettive del sovrintendente Yagami, che Ruri non riuscì a udire per intero, dato che Watari chiuse la porta poco dopo il loro inizio.
Voltandosi nella sua direzione, Ruri gli rivolse un sorriso gentile, che il vecchio signore ricambiò subito.
“Come va oggi, Miss? Tutto a posto?” le domandò, posando sul tavolino un altro vassoio carico di pasticcini.
“Va tutto bene, Watari, ma io sono Ruri”.
“Ruri, certo. Posso portarle qualcosa, ha bisogno di niente?” domandò ancora Watari, servendo dell’altro caffè a Ryuzaki, che sembrava intento a pensare a tutt’altro, le lunghe dita che giocherellavano con il suo cucchiaino.
“No, la ringrazio. Sto bene così”.
Mentre Watari si accingeva a occuparsi di un altro carrello dei dolci, che Ruri non aveva notato fino a quel momento, Ryuzaki alzò improvvisamente gli occhi e si decise a parlarle.
“Ti capita molto spesso?” le chiese, quasi a bruciapelo.
“Di fare che cosa?” ribatté Ruri, perplessa.
“Di provocare simili reazioni nei tuoi collaboratori” proseguì Elle, con naturalezza.
Ruri rimase in silenzio per qualche momento, prima di scoppiare a ridere.
“Oh, ti riferisci a Matsuda! Sono stata troppo dura?”.
“Sei stata diretta” la corresse Ryuzaki, porgendole un’altra tazza di caffè.
“Beh, per rispondere alla tua domanda…sì, capita abbastanza spesso. Le persone difficilmente riescono a guardare aldilà di ciò che vedono, e nel mio caso…beh, credo che sia opinione comune che una ragazza giovane non possa essere anche valida, esperta o dotata”.
“Non credo che Matsuda fosse particolarmente colpito dalla tua età; o perlomeno, non credo che fosse la cosa che più gli interessasse” commentò Ryuzaki, mentre Watari usciva dalla stanza, sbirciandoli per l’ultima volta in modo attento.
Ruri alzò un sopracciglio e lo fissò di sottecchi, trattenendosi dal sorridere in modo malizioso.
“Non è che stai per caso cercando di farmi un complimento, vero?” lo incalzò, cercando di carpire la minima emozione che fosse in grado d’esprimere.
“Sto semplicemente constatando una realtà oggettiva” disse Ryuzaki con tono piatto, alzandosi in piedi e facendo per uscire dalla stanza.
“Quindi” continuò Ruri, alzandosi in piedi e raggiungendolo “Stai dicendo che pensi che io sia bella?”.
“Sto constatando che questo è oggettivamente vero” insistette Ryuzaki, lo sguardo ora fisso in quello di lei.
“Sì, ma tu lo pensi?” seguitò Ruri, quasi impaziente.
“Ha importanza?” le chiese improvvisamente lui, lasciandola di stucco.
Ruri lo guardò senza dire niente, imbambolata, il corpo paralizzato in ogni suo muscolo.
“Ha importanza ciò che penso io, Ruri?” le domandò ancora Ryuzaki, muovendo un altro passo nella sua direzione.
Perché non riusciva a distogliere gli occhi? Perché non poteva semplicemente concludere che di tutto ciò non le importava un bel niente? Perché doveva avvertire sensazioni del genere?
“No…” concluse alla fine “No…”.
“Molto bene. Allora, non vedo ragione di discutere ulteriormente di una frivolezza del genere. Per favore, ora va’ a riposarti. Ho chiesto a Watari di andare a pagare il conto dell’albergo, ce ne andremo entro mezzogiorno”.
“Va bene” disse Ruri, smettendo finalmente di guardarlo e facendo per dirigersi verso la sua stanza; prima che potesse andarsene, però, qualcosa la costrinse a fermarsi e a voltarsi di nuovo.
“Ryuzaki…”.
“Sì?” ribatté lui, tornando a fissarla negli occhi.
“Per quello che vale…non è vero che non mi piaci. Non è affatto vero” gli sorrise lei, con la massima sincerità.
Fu sul punto di voltarsi di nuovo e andarsene, ma la voce di lui la bloccò per l’ennesima volta.
“In verità…vale molto. Posso assicurarti che vale molto”.
Lo aveva detto in modo molto tranquillo, lo sguardo fisso sulla moquette del pavimento, le mani in tasca e l’espressione di un bambino dipinta in volto.
Ruri gli sorrise di nuovo, indecisa se andarsene davvero o no: ma quando cercò di farlo ancora, sentì che stava parlando nuovamente.
“Ruri…”.
“Sì?” rispose lei, quasi con ansia.
Rialzando gli occhi, Ryuzaki le rivolse un altro sorriso, tanto intenso quanto significativo.
“Buon anno nuovo…”.
Ruri lo osservò per qualche istante, stupita da quelle parole e al tempo stesso incapace di decifrare i battiti violenti e irrefrenabili che stavano scuotendo il suo cuore in quel momento…
“Buon anno nuovo, Ryuzaki”.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: FINITOOOOOOOOO!!!!!! FINITO FINITO FINITOOOOOOOOOOOO!!!!! Eheheheheheh, ce l’ho fatta, ho postato il nono capitolo!!! Ragazzi, sta diventando una droga, non riesco più a fermarmi!!!! Non ci posso credere!!!! TARARARAAAAAAAAAA!!!!! Ok, adesso basta, mi calmo e ci do un taglio con le amfetamine, promesso!!!! XDXD Allora, che ne pensate? Commenti?? Dubbi? Domande?? Lo so, era lungo come la barba di Noè, ma volevo assolutamente inserire tutte queste scene in questa puntata!!! Oh, vi assicuro che mi sono spallata un casino a riportare i dialoghi originali, spero che la cosa non abbia annoiato e che Ruri non abbia stonato nel quadro: a proposito, riportandoli mi sono accorta che ‘sti cazzo di agenti sono degli autentici pappagalli!! Ma sarà possibile che debbano sempre ripetere tutto quello che dicono Watari ed Elle?! Cazzo, ma parlate, pensate!!! Dio, che nervi -.-‘’’ Bene, adesso che ho finito di brontolare, passiamo ai saluti e ai ringraziamenti!! Grazie mille ad Annabeth_Ravenclaw, a Pinkamena Diane Pie e a Zakurio per aver recensito l’ultimo capitolo, grazie a tutti coloro che lo hanno sempre fatto, grazie a Black_Sky per aver inserito la storia fra le seguite e a gloomy_soul per averla inserita nelle seguite e nelle ricordate!! :DD Spero che anche voi commenterete presto questo schifo, la vostra opinione è sempre molto importante, per me, ci terrei davvero tanto a conoscerla!! E scusate se ho ripetuto diciotto volte la solita parola senza un sinonimo o se ho fatto qualche strafalcione, anche stavolta l’ho riletto un po’ a corsa, chiedo venia ^^’’’ Bene, concludo con una piccola precisazione: come vi sarete resi conto, nelle caratteristiche della storia è inserito il genere ‘song-fic’. Per il momento, come avrete notato, non ne ho ancora inserita nessuna, ma conto di farlo presto, qua e là…inserirò diverse canzoni, chiamiamole pure la colonna sonora della storia :D Mi piacerebbe che mi faceste sapere il vostro parere anche riguardo ad esse, le scelgo nel modo più scrupoloso possibile, sia a causa del testo che della musica stessa (in effetti, le immagino proprio come se fossero la colonna sonora di un film immaginario *__*). Valutatele secondo entrambi gli aspetti, quando recensirete, e insomma…tartassatemi pure di insulti se pensate che con la storia non c’entrino niente!!! :DDDD Molto bene, io adesso ho finito di rompere e vi saluto!!! Prometto che tornerò presto con il prossimo capitolo, il prima possibile!!! Tantissimi bacioni, la vostra Victoria <3 <3 <3  

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Capitolo 10
*** Sguardo ***


Capitolo 10- Sguardo
 
I giorni successivi trascorsero in maniera insolita e peculiare; ad ogni singolo sorgere del sole, Ruri e Ryuzaki si preparavano a cambiare albergo, lasciando il posto a volto semicoperto e dirigendosi in tutta fretta verso la nuova sistemazione. Ogni pomeriggio, i due ricevevano la visita della squadra investigativa giapponese, che faceva il suo ingresso insieme a Watari; subito dopo il loro arrivo, tutti si rimettevano al lavoro con scrupolosità, spesso fino a tarda notte. Quanto al detective e alla ragazza, capitava comunque di frequente che potessero rimanere completamente soli: quando accadeva, tutto ciò che facevano era continuare a indagare e a tracciare ipotesi sulle prossime mosse di Kira, spesso senza nemmeno rivolgersi la parola. Le uniche ragioni per cui Ruri lasciava la stanza erano legate al farsi una doccia e allo sdraiarsi per una mezz’oretta: avrebbe preferito fare a meno dell’ultima cosa, sostenendo con forza che poteva benissimo dormire sulla poltrona, quando lo avesse ritenuto necessario, ma Ryuzaki era stato irremovibile, sostenendo che avrebbe comunque avuto bisogno di più riposo.
Quando lei aveva provato a obiettare, riferendosi al suo modo di appisolarsi, lui si era strinto nelle spalle, affermando che ciò che poteva andar bene per una persona non costituiva necessariamente un’ulteriore forma di benessere per qualcun altro; di fronte alle proteste di Ruri, che a sua volta aveva provato a ribattere quanto fosse inappropriato, da parte dell’investigatore, porsi nella posizione di poter decretare ciò che fosse giusto o meno per lei, Elle si era limitato a chiederle di nuovo se avesse preso o no le sue medicine, facendola infuriare come non mai.
Eppure, nonostante i loro battibecchi, nonostante le occhiate gelide che di tanto in tanto si scambiavano, nonostante un vero e proprio dialogo, fra loro, fosse così raro…nonostante tutto ciò, entrambi non potevano negare di star già cominciando ad abituarsi alla presenza dell’altro, come se quella buffa, particolare convivenza fosse sempre esistita, come se avessero sempre lavorato insieme, come se tutti e due fossero sempre stati a conoscenza delle abitudini reciproche.
Numerose volte, alzando gli occhi, Ruri aveva notato lo sguardo di lui fisso sul suo volto, e più di una volta non aveva potuto fare a meno di ricambiare il favore, osservandolo mentre lavorava e ritrovandosi a contemplare i più piccoli dettagli del suo volto, dalle sue smorfie al suo buffo taglio di capelli, dall’espressione che i suoi occhi assumevano al modo in cui arricciava il naso quando sentiva l’odore del caffè, dal piccolo segno che aveva sopra il labbro superiore alle sue profonde occhiaie scure…
Perché? Se lo era chiesto così tante volte, in quei pochi giorni…perché sentiva di star cominciando a conoscere quella persona più di quanto non avesse mai conosciuto nessun altro, in vita sua? Perché aveva la sensazione di conoscerlo persino più di se stessa?
*Sto farneticando* si ritrovò a pensare una volta, dopo avergli nuovamente sfiorato la mano per sbaglio *Dio, sto farneticando…io non so nemmeno chi sia, questa persona! Non so neanche come si chiama…come posso dire di conoscerlo? Io non conosco Elle…diamine, ‘Elle’, voglio dire…DANNAZIONE!! Come posso fermarmi a formulare simili pensieri? Ma che cavolo mi sta prendendo? Non posso infilarmi in un casino del genere…non so neanche…non so neanche quanti anni abbia, non so neanche come sia la sua vita, non so dove abiti, non so…non so il suo nome. Cazzo, io non so neanche il suo nome…eppure…*.
Eppure, era visceralmente, completamente, totalmente attratta da quel ragazzo. Non sapeva come fosse possibile, tuttavia stava accadendo. In maniera del tutto inaspettata.
*Non sta accadendo niente* continuò a ripetersi *Non sta accadendo niente, maledizione. Non è vero che sono attratta da lui. Sono attratta dal suo modo di pensare, forse…sì, mi piace il modo in cui lavora. D’altronde, è quello che intendeva anche lui, giusto? Quando ha detto…*.
Ma se davvero era soltanto una questione di lavoro…allora perché quella singola frase non aveva smesso di rimbombarle nella mente, ogni singolo giorno, da quando gliel’aveva udita pronunciare? Perché le aveva quasi fermato il cuore, perché aveva sentito il respiro mozzarlesi, perché non riusciva a lasciar andare quel pensiero?
*Perché è strano* si era detta infine, scuotendo la testa *Tutta questa storia è strana…per la prima volta nella mia vita…niente, niente ha più senso*.
Le cose, per Ruri, cominciarono letteralmente a precipitare solo un paio di giorni dopo; la notte fra il 7 e l’8 Gennaio, intorno alle 04.00, si concluse l’ennesima sessione di analisi delle videocassette fornite dai numerosi sistemi di sicurezza della città, ottenute lo stesso primo Gennaio dal medesimo Ryuzaki. Ognuna di esse conteneva le registrazioni delle telecamere di sorveglianza che avevano avuto modo di riprendere i dodici agenti dell’FBI uccisi da Kira; Elle aveva preteso che le esaminassero centinaia di volte, una per una, alla ricerca del più piccolo dettaglio. Avevano cominciato intorno alle 18.00 del pomeriggio del 2 Gennaio, e ancora non avevano smesso; gli unici che non davano reali segni di stanchezza erano Ruri, Ryuzaki e Watari, che continuava ad andare avanti e indietro per la stanza, servendo dolci di quando in quando, con indosso un simpatico grembiule bianco.
Per tutto il tempo, gli agenti avevano potuto constatare quanto gli occhi cerchiati di nero del detective e gli occhi azzurrissimi e leggermente arrossati della ragazza non avessero smesso un secondo di fissare le immagini trasmesse dai tre televisori che si trovavano nella stanza, ciascuno posto di fianco all’altro.
Al termine dell’ennesima revisione, Aizawa premette il tasto STOP, il viso stravolto.
“Questa era…l’ultima ripresa delle telecamere di sorveglianza che hanno inquadrato per caso gli agenti dell’FBI morti” affermò, chiudendo per un momento gli occhi e unendo due dita sul suo setto nasale, come nel tentativo di concentrarsi nuovamente.
“Mostratemi di nuovo tutte insieme soltanto le tre scene di Ray Penber” disse Ryuzaki, lo sguardo impassibile “Quella ai cancelli, quella in cui sale sul treno e quella della sua morte” concluse poi, dando una distratta leccata al suo gelato al pistacchio.
“Sì, vediamo un po’…” rispose Aizawa, cominciando a cercare il nastro, mentre Watari, nel frattempo, si accingeva a distribuire coni di gelato al pistacchio a tutti loro.
“Sotto quella lì” lo aiutò Matsuda, seduto a una scrivania invasa dai nastri “Bene, dunque…alle 15.11…Ray Penber è entrato dai cancelli di Shinjuku Ovest, alle 15.13…è salito sulla linea Yamanote” proseguì il ragazzo, leggendo alcuni dati riportati sui fogli che aveva sottomano “Anche se stava pedinando qualcuno, da queste immagini è difficile riuscire a capire di chi si trattasse…dopodiché, alle 16.42 Ray Penber è…ah, grazie, grazie mille, Watari” si fermò poi per ringraziare l’uomo, che gli aveva appena porto il suo gelato “Dicevo, alle 16.42 è morto sulla piattaforma della stazione di Tokyo”.
“È molto strano, non vi pare?” se ne uscì Elle, lo sguardo cinereo ancora fisso sul televisore, che aveva ripreso a trasmettere le immagini relative a Penber.
“Che cosa c’è di strano, Elle?” domandò il sovrintendente, alle sue spalle.
“Hai notato qualcosa, per caso?” lo incalzò Matsuda.
Elle assaggiò nuovamente il suo gelato, per poi passare a rispondere.
“Stando a quanto è stato appena detto, anche se il giro della Yamanote dura soltanto un’ora, da quando Penber è salito e sceso dal vagone è passata un’ora e mezza…e poi c’è anche…”.
“Quella busta” lo precedette Ruri, le gambe accavallate e le braccia incrociate, una mano intenta a tormentarle il mento; i suoi occhi non accennavano ancora a staccarsi dallo schermo.
“Esatto” convenne Ryuzaki.
“Quale busta?!” domandò Aizawa, stralunato.
Ryuzaki premette il tasto REPLAY sul telecomando, finendo per mostrare agli agenti alcuni frammenti significativi.
“Sia ai cancelli, sia quando sale a bordo, aveva in mano una busta…”.
“È vero!!!” sbottò Aizawa, avvicinandosi moltissimo al monitor “Ce l’ha!!! Ma…quando muore, non ce l’ha più!! Accidenti…non vi sfugge proprio nulla, a voi due!!”.
“Tra gli effetti personali di Penber, non è stata registrata alcuna busta…” affermò Yagami, scorrendo alcuni documenti.
“Allora, significa che l’ha lasciata a bordo…” concluse Elle.
“C’è qualcosa che non quadra” decretò Ruri, facendo voltare tutti nella sua direzione.
“Che cosa vuoi dire?” le chiese Matsuda.
“Penber era un cretino, ma era anche un tipo attento a determinate cose. Per quanto fosse superficiale su molti aspetti, non se ne sarebbe andato in giro con una busta in quel modo…lui era un abitudinario, non l’ho mai visto uscire di casa con niente più della sua ventiquattr’ore. E di certo, non avrebbe cambiato le sue consuetudini in un contesto come quello…inoltre, quella busta dà tutta l’impressione di contenere dei documenti, o qualcosa del genere…avete visto quant’è gonfia? No, c’è decisamente qualcosa che non è a posto…e poi…c’è anche da considerare il modo in cui cammina…”.
“Il modo in cui cammina…?”.
“Osservate attentamente i suoi movimenti” consigliò Ruri, rimandando indietro il nastro “Sembra che lo faccia in maniera assurdamente meccanica…è troppo rigido. Non l’avevo mai visto comportarsi in quel modo…non è da Penber. Questa situazione ha qualcosa di anomalo…”.
In quell’istante, tutti loro assistettero di nuovo alla scena della sua morte, in cui si accasciava letteralmente al suolo e cominciava ad ansimare, una mano sul cuore.
“Ecco, qui siamo all’arresto cardiaco…e quella dannata busta scompare nel nulla…dannazione, è qualcosa di…” iniziò Ruri.
“Aspetta, ferma!” la bloccò Ryuzaki, stringendo le sue dita gelide intorno al suo polso.
Ruri lo guardò per un momento, cercando di capire che cosa intendesse dire, mentre il contatto fra loro diveniva, a dispetto di tutto, più caldo ogni minuto che passava.
“Torna indietro” la esortò il detective “Solo di pochi secondi…”.
Ruri eseguì, osservando attentamente la scena, fin quando non ebbe capito; senza che lui le dicesse niente, premette il tasto PAUSA, tornando a puntare lo sguardo sulla ripresa e sulla figura di Penber, ormai sdraiato a terra.
Impercettibilmente, i loro occhi tornarono a incrociarsi, scambiandosi espressioni d’intesa.
“Pensi quello che penso io…?” le sussurrò Ryuzaki.
“Sì…” annuì lei “Lo so, è strano, ma…credo che sia possibile…”.
“Ehm…vi dispiacerebbe spiegarci?” propose Aizawa, ridestando la loro attenzione.
“Stando a quest’ultima ripresa” esplicò Elle “Ho come l’impressione che si stia sforzando per guardare nel treno…”.
“Se anche fosse, ritieni possa costituire un indizio?” gli domandò Yagami.
“Può anche darsi che Penber stesse guardando Kira” replicò Ruri, il dito indice intento a tormentarle il labbro inferiore.
“Ma perché mai Kira avrebbe…?!”.
“Anch’io credo che Kira non si trovasse lì” convenne Ryuzaki “Visto che può determinare le morti a distanza…”.
Ruri lo osservò per qualche istante, aspettando che continuasse.
“Ma potrebbe” riprese infine Elle “…perfino aver deciso di rischiare, certo del fatto che avremmo seguito questo ragionamento”.
“Se Kira si è esposto in questo modo, significa che è davvero convinto d’avere le spalle parate, qualunque cosa decida di fare” affermò Ruri, alzandosi in piedi e versandosi dell’altro caffè “Un individuo sicuro di sé, scaltro, con conoscenze nella polizia…un quoziente intellettivo molto alto, direi…abituato ad avere il controllo su tutto. Non è escluso che anche il nostro uomo si riveli abitudinario come lo stesso Penber…”.
“Prima hai detto…” cominciò Aizawa “Hai detto che i suoi movimenti ti sembravano meccanici…”.
“Sì, è vero. Considerando quello che conosciamo attualmente sul modus operandi di Kira e visti i precedenti…non possiamo escludere che tutto quello che abbiamo visto fare a Penber, negli istanti immediatamente precedenti il suo decesso, sia da ricollegarsi in modo diretto a una vera e propria manipolazione”.
“Manipolazione…?”.
“I test sui criminali effettuati fra il 14 e il 19 Dicembre” disse sbrigativamente Ruri, tornando a distribuire altro materiale a Matsuda, Aizawa e Yagami “Tutto ci dice che Kira può manipolare le azioni precedenti la morte delle sue vittime…è possibile che abbia manipolato Penber, in modo che si dirigesse a Shinjuku quel tal giorno a quella tal ora. La vera domanda è…perché ha voluto che andasse proprio lì? Che cos’ha fatto mentre era sul treno? Inoltre…possibile che tutto questo avvenga nella più totale indifferenza?”.
“Sarebbe a dire?” la esortò a proseguire Yagami.
“Quello che mi chiedo è se davvero è possibile che le vittime eseguano semplicemente gli ordini di Kira senza battere ciglio, o se invece…azioni eseguite previa una tale coercizione siano da ricollegarsi a visibili cambi d’espressione, o a qualche particolare che tuttora ci risulta ignoto. Insomma, se davvero Kira riesce a controllare le menti…beh, immagino che una cosa del genere non possa che lasciare dei segni, in qualche modo…”.
“Giusto” convenne Elle “E per appurare se tutto ciò è vero, dovremmo parlare con l’ultima persona che è venuta in contatto con Penber, prima della sua morte. Immagino che tu sappia già a chi rivolgerti…”.
Ruri annuì, e poi passò a spiegare, anticipando qualsiasi domanda da parte di Aizawa e Matsuda, già pronti a intervenire di nuovo.
“La sua fidanzata, Naomi Misora. Fino a qualche tempo fa, era un ottimo agente dell’FBI. Ha dato le dimissioni più di quattro mesi fa…cazzo, avrei preferito non coinvolgerla, ma credo…insomma, non abbiamo scelta, dico bene?” concluse Ruri, amareggiata.
“Già” disse Elle, lo sguardo ancora fisso sul televisore.
“Perché avresti preferito non coinvolgerla?” le domandò ingenuamente Matsuda.
“Perché non vogliamo che le faccende personali rientrino nelle indagini” ribatté Ruri, un po’ secca “Abbiamo già abbastanza problemi…ma se davvero lei è l’ultima persona ad aver visto Ray, allora…devo assolutamente parlarle”.
“Hai detto che è stata un’agente, in passato?” chiese Aizawa.
“Sì” rispose semplicemente Ruri, andando a comporre il numero dell’amica e attendendo.
Dopo lunghi attimi di silenzio, allontanò il telefono dall’orecchio, perplessa.
“Non risponde…strano, non è da lei. Proverò a chiamarla a casa…le avevo detto di tornare a Los Angeles, forse è già arrivata…”.
Mentre pronunciava quelle parole, i suoi occhi non poterono fare a meno di correre verso quelli di Elle, che le lanciarono uno sguardo pungente e profondo; entrambi sapevano bene che Naomi aveva espresso la totale volontà e intenzione di rimanere in Giappone.
La successiva chiamata di Ruri, difatti, non ottenne risposta.
“Riprovo sul cellulare…” disse Ruri, accigliata “Forse è dai suoi genitori…”.
“I suoi genitori…?”.
“Vivono qui in Giappone” spiegò brevemente la ragazza, iniziando a tamburellare nervosamente con le dita sulla superficie del mobile vicino.
Dopo un’altra attesa snervante, Ruri riagganciò ancora il telefono, l’espressione turbata.
“Niente…?” le chiese Yagami, rendendosi conto dell’aria tesa che aveva appena assunto.
“No…” rispose lentamente Ruri “Non lo so, non…non mi piace. Di solito, risponde sempre al telefono…”.
“Forse ha avuto soltanto un piccolo contrattempo” cercò di rassicurarla Matsuda “Sono sicuro che non è niente di grave…”.
“Non è da Naomi” ripeté Ruri, iniziando a fare avanti e indietro per la stanza “Maledizione…”.
“Cos’è che ti preoccupa tanto?” le domandò Aizawa, sorpreso.
“L’ultima volta che abbiamo parlato, era in forte stato di shock. Le ho detto di tornare a Los Angeles, ma non mi è sembrata intenzionata ad ascoltarmi; se è rimasta in Giappone…diavolo, non lo so. È solo che…non vorrei che avesse commesso qualche sciocchezza…”.
Proprio in quell’istante, il cellulare di Ruri cominciò a squillare freneticamente; dando un’occhiata al numero sul display, gli occhi della ragazza poterono constatare che la chiamata proveniva proprio dagli stessi genitori di Naomi.
“Cazzo…” imprecò Ruri “Non posso rispondere! Penseranno che sto chiamando dall’oltretomba…”.
“Passamelo pure, ci penso io” le disse Ryuzaki, allungando una mano nella sua direzione.
Ruri gli affidò il telefono, che lui provvide ad aprire subito, mantenendolo discretamente lontano dall’orecchio e tenendolo soltanto con un paio di dita.
“Pronto?” disse poi, con voce stentorea.
“P-Pronto?! P-Pronto?!? Chi parla?!” singhiozzò una voce femminile, dall’altro capo; a Ruri si strinse il cuore in una morsa, riconoscendo in essa la voce della signora Misora.
“Si calmi, signora. Sono Suzuki, il direttore del Reparto Segnalazioni della Polizia di Tokyo; sono costretto a informarla che, al momento, lei sta effettuando una chiamata verso un numero che è sotto la nostra gestione. Mi dica come posso aiutarla” affermò, con tono professionale, per poi passare la chiamata al vivavoce, sistemando il cellulare sulla superficie del tavolino.
“I-io…io credevo…credevo d’aver chiamato la signorina Misaki Yasuba…”.
“Purtroppo, la signorina Yasuba non è più tra noi. Mi dica come posso esserle d’ausilio” insistette Ryuzaki.
“È…lei è davvero…” balbettò di nuovo la donna, in lacrime.
“Sì, signora. Mi dispiace molto” mentì Ryuzaki, ancora inespressivo.
“I-io…io l’ho saputo da poco…s-sono stata ricoverata in ospedale, in questi giorni…e…e mio marito non guarda mai la televisione, così…oh mio Dio, ma cosa le è successo?!”.
“Non sono autorizzato a divulgare queste informazioni, mi dispiace molto. C’è altro che posso fare per lei?” disse Ryuzaki, in attesa.
“S-sì, mi s-scusi…ho-ho tentato di chiamare Misaki, p-perché…perché mia figlia mi ha d-detto che sarebbe passata a trovarmi con lei, in questi giorni. S-sapevo che sarebbe arrivata in Giappone insieme al suo fidanzato, ma sono g-giorni che non ho sue notizie!!”.
Ryuzaki e Ruri si scambiarono un’occhiata allarmata.
“Il nome di sua figlia?”.
“Naomi. Naomi M-Misora…”.
“Quando è stata l’ultima volta che ha avuto notizie da parte sua?” le chiese Ryuzaki, la voce concitata.
“Il…il 28 Dicembre scorso. Ha detto che era insieme alla sua amica M-Misaki, e che…che sarebbero passate a farmi visita, insieme al fidanzato di mia figlia. M-ma adesso…adesso scopro che R-Ray…che lui è m-m-morto e che anche Misaki è…oh mio Dio, non posso crederci!!! Mia figlia è scomparsa!! Mi aiuti, la prego! N-non so…non so che cosa fare!!”.
“Si calmi. Le ha espressamente detto che erano insieme?” proseguì Ryuzaki, senza ancora staccare gli occhi da Ruri, che nel frattempo si era appoggiata contro la vicina cassettiera, il volto molto pallido.
“S-sì…” pianse ancora la signora Misora “Signor Suzuki, che cosa devo fare?”.
“Per il momento, non può fare niente, mi dispiace. Inoltreremo la sua segnalazione al Dipartimento di Polizia, e le faremo presto avere notizie; la metterò in contatto con i miei collaboratori. Le garantisco che faremo il possibile, per ritrovarla”.
“M-ma se…se stesse male? Se av-avesse avuto…c’è un serial killer, in Giappone!!” strillò istericamente la donna, quasi in presa a una crisi di nervi “La prego, lei deve aiutarmi!!!”.
“Le ho detto che faremo il possibile. Non posso prometterle di più: non chiami ulteriormente questo numero, saremo noi a contattarla. Adesso si calmi, signora Misora; non può fare nient’altro, glielo garantisco. Abbia fiducia in noi”.
“V-va bene…” tirò su col naso la donna “F-farò come dice…l-la prego, mi avvisi, nel caso in cui aveste notizie…”.
Senza aggiungere altro, Ryuzaki chiuse la chiamata e tornò a fissare Ruri, che nel frattempo aveva assunto un colorito molto simile al suo; alzandosi in piedi, la raggiunse, posandole una mano sulla spalla e portandola ad alzare gli occhi.
“Non perdere la calma” le disse, regalandole uno sguardo deciso “Non è il momento, lo sai”.
“Lo so…” annuì Ruri “Ma…ho una sensazione orribile…”.
“Credete che questo possa avere a che fare con Kira?” s’intromise Matsuda, sorpreso.
“Non può essere una coincidenza!!” sbottò Ruri, sottraendosi al tocco di Ryuzaki e cominciando a fare avanti e indietro per la stanza “Quando le ho parlato l’ultima volta…non lo so, lei…lei era letteralmente impazzita, non faceva che dire che avrebbe voluto aiutarci nelle indagini, che…che avrebbe fermato Kira a tutti i costi. Nell’ultima parte della nostra conversazione, mi è sembrata più lucida, ma…ma comunque dubito che abbia potuto mantenere la freddezza mentale che le sarebbe stata necessaria per confrontarsi con un assassino del genere. Le avevo chiesto di tornare a Los Angeles, l’ho praticamente supplicata, e lei…avrei dovuto cercare di parlarle di nuovo, avrei dovuto preoccuparmene…”.
“Adesso basta, Ruri” le disse freddamente Ryuzaki, attirando di nuovo l’attenzione della ragazza “Cerca di controllarti; non puoi permetterti di perdere la testa, non dimenticartelo. Non sappiamo ancora nulla di preciso, quindi non farti venire in mente strane idee…”.
Prima che la giovane potesse replicare, il telefono di Watari cominciò a squillare vigorosamente, subito interrotto dal diretto interessato, che rispose simultaneamente.
“Sì…sì, attenda un attimo, per favore. Ryuzaki” aggiunse poi, volgendosi verso il suo protetto “È Ukita, dalla questura. Dice che c’è una telefonata con informazioni alquanto importanti”.
Le mani ancora in tasca, Ryuzaki si scostò dal divano a cui era stato appoggiato fino a poco prima, spostando finalmente lo sguardo da Ruri al suo più fido collaboratore.
“Ah…allora, dagli il numero del telefono cinque, e digli che può tranquillamente passarmi l’informatore su quella linea”.
Mentre Watari eseguiva quanto gli veniva detto, Elle volse la sua attenzione verso Tota.
“Matsuda, può accendere il cellulare, per favore? E la prego di farlo subito…”.
“Ah…sì” replicò il giovanotto, obbedendo; subito dopo, il suo telefonino cominciò a squillare, ma prima che lui potesse rispondere Ryuzaki afferrò il dispositivo, sottraendoglielo e rispondendo al posto suo, senza smettere di trattenere l’oggetto soltanto con l’aiuto di due dita.
“Pronto, qui parla Suzuki, il Direttore del Reparto Segnalazioni, dica pure”.
Dopo qualche momento di pausa, Ruri lo vide spalancare gli occhi.
“La fidanzata di Ray Penber…” ripeté lentamente il detective, quasi sussurrando “Naomi Misora…come, scusi? Mhm…mhm…da quando? Ne è sicuro? Sì, d’accordo…mhm…mhm…molto bene. Provvederò adeguatamente. La ringrazio”.
Dopo aver chiuso la comunicazione ed aver restituito il cellulare a Matsuda, Elle non poté fare a meno d’indirizzare un’altra volta lo sguardo in direzione di Ruri, che lo fissava ansiosa, gli occhi sgranati.
“Sembra che non si abbiano più sue notizie dal giorno successivo alla morte del fidanzato…” affermò, con calma.
Ruri chiuse lentamente gli occhi, cercando di respirare profondamente, una mano di fronte al campo visivo e le spalle tremanti; notando il suo stato d’animo, il sovrintendente Yagami decise di avvicinarsi a lei, per poi posarle una mano sulla schiena, nel tentativo di donarle un po’ di sollievo.
“Coraggio, non deve preoccuparsi così: vedrà che non le è successo niente di male. Chissà, forse ha già preso l’aereo senza avvisare nessuno, e ha semplicemente spento il cellulare…sa, quando il dolore ci colpisce in quel modo, forse…forse l’unica cosa che vogliamo è stare un po’ da soli…” le disse, sforzandosi di sorridere.
“No, non è così” affermò Ruri, lo sguardo fisso a terra e la presa delle mani contratta intorno ai bordi del mobile contro cui era appoggiata “Lei non capisce, non è così…Naomi…Naomi era completamente allo sbando, quando le ho detto…insomma, quando le ho detto che Ray era morto. Lei…lei era sotto shock…”.
“Chiunque cadrebbe in depressione per la morte del compagno” constatò Matsuda, attirandosi subito un’occhiataccia da parte del suo superiore.
“Non vorrei apparire indelicato, ma…ecco, credo che sia giusto contemplare tutte le ipotesi. Non si sarà…suicidata?” ipotizzò Aizawa.
“Lo escludo” sentenziò Elle, volgendo loro le spalle e muovendo qualche passo in avanti “La Naomi Misora che conosco io era un ottimo agente dell’FBI, dotata di grande determinazione…è più probabile che abbia pensato di catturare Kira. Stando insieme a Penber, forse…avrà captato qualche indizio”.
Prima che Ruri potesse replicare, l’investigatore si voltò verso di lei, studiandola attentamente.
“Naomi ti ha mai fatto domande dettagliate su questo caso? Ha mai cercato di sottrarti informazioni di alcun genere?” le chiese, a bruciapelo.
“In realtà, sì” ammise Ruri “Come accennavo poco fa, dopo la morte di Penber e dopo aver saputo che avevo dato le dimissioni dall’FBI, mi ha ripetutamente chiesto di potersi unire a noi nelle indagini, ma…le ho detto che non sarebbe stata una buona idea. In effetti, anche prima che tutto ciò accadesse, era molto interessata al caso…beh, questo me lo aspettavo, non era insolito, da parte sua, malgrado avesse lasciato l’organizzazione. In ogni caso, non ero autorizzata a dirle niente”.
“C’è qualcosa in particolare che le interessava specificamente sapere? Un dettaglio che potesse aver attirato la sua attenzione?” insistette Ryuzaki, guardandola dritto negli occhi.
Presa dallo sconforto più totale, Ruri prese un altro respiro profondo, cercando di controllare il tremito della sua voce.
“Sì…voleva…voleva che le rivelassi i nomi delle persone che Penber era stato incaricato di pedinare e controllare” replicò alla fine, il tono corrotto da un nodo che avvertiva radicato nelle sue corde vocali.
“E tu le hai fornito quest’informazione?” domandò ancora Ryuzaki, senza cessare di tenere le mani in tasca.
Dopo un discreto silenzio, Ruri alzò finalmente lo sguardo nella sua direzione: con suo stupore e, scoprì ben presto, con suo rammarico, notò che aveva gli occhi lucidi.
“No…” pronunciò lei, con tono grave.
“Beh, non poteva farlo” si affrettò a rassicurarla Soichiro “Era costretta a mantenere il segreto, per lei si trattava di un vincolo professionale”.
“Ma certo, il sovrintendente ha ragione! Non potevi metterla in guardia ulteriormente, Ruri” annuì Matsuda, sorridendole in modo solidale.
Ruri ignorò entrambi, passandosi ancora una volta una mano davanti al volto; subito dopo, Watari comparve al suo fianco, porgendole un bicchiere d’acqua.
Ruri lo accettò, bevendo a piccoli sorsi e cercando di calmare il suo respiro.
“Grazie…” mormorò poi a Watari, restituendogli il boccale; l’uomo le rivolse un cenno e tornò alla sua scrivania, ma senza prima averle stretto brevemente la mano.
“Ruri, non sappiamo ancora niente. Non è detto che sia morta…potrebbe semplicemente essersi allontanata, potremmo essere sempre in tempo…la polizia organizzerà delle ricerche” la rassicurò di nuovo Yagami, con fare paterno “Posso assicurarti che…”.
“Sovrintendente” lo interruppe Ruri, senza guardarlo “Senta, io…io apprezzo molto quello che sta cercando di fare, e…sì, in effetti credo che organizzare delle ricerche sarebbe la cosa migliore, ma…dobbiamo fare in modo che questo non coinvolga il caso Kira. Non possiamo lasciare che la notizia diventi di dominio pubblico, questo finirebbe per scatenare ulteriormente il panico, e questa faccenda sta avendo anche troppa visibilità mediatica. Se la stampa arrivasse a collegare quello che…quello che sta succedendo e che riguarda Naomi con gli omicidi di Kira…beh, rischieremmo di perdere il controllo della situazione, e non possiamo permettercelo”.
“Esatto” ne convenne Elle, ancora intento a dare le spalle a tutti loro “Signori” proseguì poi “Da ora indagheremo solo su coloro che sono stati pedinati da Ray Penber dopo il suo arrivo in Giappone. L’oggetto delle indagini saranno due poliziotti e le loro famiglie”.
Lo sguardo di Yagami si fece più duro, contro la schiena di Ryuzaki, prima che egli pronunciasse la sua frase successiva.
“E potresti dirci chi sarebbero queste persone?” domandò, l’aria concentrata.
“Il vice direttore Kitamura e famiglia” iniziò Elle, voltandosi lentamente “E il…sovrintendente Yagami e famiglia”.
Il volto di Soichiro si contrasse in un’espressione di puro shock, gli occhi velati dall’orrore.
“Inoltre, ho intenzione…di far installare nelle loro case microfoni e telecamere” dichiarò Elle, voltandosi del tutto.
“Installare delle telecamere?!?” saltò su Matsuda “Ma, Ryuzaki…”.
“Non possiamo spingerci a tanto!!” protestò Aizawa “Se ci scoprissero, verremmo tutti licenziati per violazione della privacy!!!”.
Le mani ancora in tasca, Ryuzaki rialzò lo sguardo, fissando tutti e tre i poliziotti in maniera fredda.
“Licenziati?” ripeté “Credevo foste decisi a rischiare la vita, per quest’indagine…”.
“Ha ragione” dichiarò Ruri, attirando su di sé l’attenzione degli altri.
Sembrava ancora molto pallida e malferma, ma i suoi occhi avevano riacquistato la loro luce decisa.
“Dovete decidere definitivamente se siete disposti a giocarvi tutto, o no. Certo, non è semplice, nessuno ha mai detto che lo sarebbe stato…ma qui, si punta ogni cosa, signori. E non è garantita la vittoria, per nessuno di noi” dichiarò la ragazza, affiancandosi al detective.
Dopo un’altra pausa, il sovrintendente tornò a parlare con entrambi.
“Che probabilità ci sono che Kira sia uno di loro?”.
Ruri volse lo sguardo verso Ryuzaki, che nel frattempo aveva indirizzato il proprio verso il soffitto, come nel tentativo di riflettere meglio sulla cosa.
“Il 10%...anzi, il 5%...” rispose alla fine.
“E noi dovremmo spingerci a tanto per il 5%?!” esclamò Matsuda.
“Certo” rispose Soichiro, lasciando sbigottiti i suoi sottomessi “Finora, le indagini non ci hanno condotto a un solo sospetto…anche se si trattasse dell’1%, dobbiamo indagare fino in fondo”.
“Ma, capo…” tentò di protestare Aizawa.
“Anch’io sono indignato che si sospetti della mia famiglia, ma va bene così!!” dichiarò Yagami, con tono duro e inflessibile “Piazza pure quelle telecamere. Però, devi promettermi…che non tralascerai alcun punto, nemmeno il bagno”.
“La ringrazio molto” replicò Ryuzaki “È ciò che intendo fare”.
“Ma che sta dicendo, sovrintendente?!?” gridò Aizawa.
“Aizawa ha ragione, capo!! Ma come fa?!” s’intromise Matsuda “Non pensa a sua moglie e a sua figlia?!?”.
“Credete che non ci abbia pensato?!?” esplose Yagami, voltandosi verso di loro “Ma se bisogna farlo, allora che si faccia come si deve!! Non voglio sentire lamentele!!!”.
Dopo un silenzio sbalordito, entrambi chinarono il capo.
“Ci scusi…” mormorò Matsuda.
“Ma no, lascia stare” disse Soichiro, distogliendo lo sguardo, la voce sensibilmente più bassa “Scusatemi voi…”.
Senza nemmeno rendersi conto del perché, Ryuzaki finì per spostare il suo sguardo sulla figura di Ruri, che era piombata in uno strano silenzio, le braccia incrociate e lo sguardo rivolto a terra.
“Ruri” la chiamò a un tratto, destando la sua attenzione “Va tutto bene?”.
“Certo” si affrettò ad annuire la ragazza “Sto benissimo”.
“Per una questione di rispetto, avevo deciso che saremmo stati soltanto io e il signor Yagami a occuparci dei suoi familiari…ma mi piacerebbe che osservassi le immagini insieme a noi. Un tuo parere professionale su questo particolare aspetto del caso mi sarebbe molto utile. Per te va bene?” le disse poi, rivolgendolo uno sguardo d’intesa molto penetrante.
Guardandolo dritto negli occhi, Ruri capì immediatamente a cosa fosse riferita la sua espressione: nessuno dei due aveva dimenticato la conversazione che avevano avuto proprio sul figlio del sovrintendente Yagami, ed entrambi erano desiderosi di far luce sui reciproci sospetti.
“Certo. Se il sovrintendente non ha niente in contrario…” aggiunse Ruri, volgendosi verso il diretto interessato.
“Va benissimo” commentò lui, burbero.
“Watari” proseguì Elle, voltandosi verso di lui “Quanto ci vorrà per procurarsi le microspie e i monitor?”.
“Possiamo iniziare già da domani” dichiarò l’uomo “Bisognerà solo scoprire gli orari in cui le abitazioni saranno vuote”.
“Molto bene. Allora direi di proseguire in questa direzione” disse Elle, sedendosi e rivolgendo a tutti uno sguardo d’intesa “Matsuda, Aizawa, vorrei che vi occupaste di esaminare le registrazioni delle telecamere che verranno installate in casa Kitamura. Ukita e Mogi potranno occuparsi di sistemarle al momento opportuno, Watari darà loro disposizioni dettagliate a breve. Sovrintendente” aggiunse poi, volgendosi nella sua direzione “Può già affermare, con un margine d’errore relativo, quali potrebbero essere gli orari in cui avremo carta bianca, nella sua abitazione?”.
Yagami lo fissò con volto inespressivo, prima di rispondere.
“I miei figli non rientrano mai a casa prima delle 17.00. Mia moglie si assenta dalle 09.00 del mattino fino a mezzogiorno per svolgere alcune commissioni, di solito: credo che quello sarà il momento migliore per agire, ma non posso dirlo con la massima certezza”.
“Va bene così, effettueremo dei controlli” disse Ryuzaki, ingoiando rapidamente un cioccolatino “Per il momento, è tutto. È meglio che andiate a casa a dormire un po’, o non avrete sufficienti energie, nelle prossime ore”.
Stiracchiandosi, i due agenti più giovani ne convennero, ma Soichiro rimase immobile al suo posto, spostando lo sguardo da Ruri a Elle, in modo quasi meccanico.
“Sapete benissimo quanta fiducia io nutra nei vostri confronti. Pensate davvero che la mia famiglia possa essere coinvolta…?”.
Ruri gli lanciò un’occhiata strana, a metà fra il preoccupato e il determinato.
“Come ha detto Ryuzaki, sono soltanto ipotesi, sovrintendente. Ma…devo ammettere che ci sono alcuni dettagli che hanno attirato la mia attenzione fin da subito, riguardo a tutto questo” rispose lentamente Ruri.
“Che cosa vuoi dire?!” domandò l’uomo, concitatamente.
“Aspettiamo di poter osservare meglio la sua famiglia” lo incoraggiò Ruri, sforzandosi di sorridergli “Non voglio che lei si agiti inutilmente; abbiamo bisogno che sia lucido, non lo dimentichi”.
“Sì…sì, certo” annuì Yagami “Credo…credo che andrò a riposarmi anch’io…” concluse infine, seguendo Matsuda e Aizawa.
“Cerchi di stare tranquillo. Vedrà che le cose si sistemeranno” lo esortò Ruri, ricambiando la sua stretta di mano.
“Lo faccia anche lei” le disse Yagami, guardandola negli occhi “Sono sicuro che la sua amica sta bene…starà bene, ne sono certo”.
Sorpresa da quell’affermazione, Ruri cercò di annuire e di sorridergli nel modo più convincente possibile, per poi lasciare che si allontanasse, gli occhi persi nel vuoto.
Quando tutti e tre gli agenti se ne furono andati, Elle si alzò in piedi e la raggiunse, sfiorandole di nuovo il braccio e facendo sì che tornasse a fissarlo in volto.
“Calmati” le impose, le mano adesso stretta nei pressi del suo gomito destro “Ho bisogno che ti calmi”.
“Sono calmissima” dichiarò Ruri con tono freddo, sottraendosi al suo tocco “Non devi ripetermelo in continuazione”.
“Non abbiamo trovato alcun cadavere, Ruri” insistette Ryuzaki, mentre lei gli volgeva le spalle.
“Lo so!!” sbottò Ruri “Lo so…”.
“Allora, smettila di agitarti in questo modo. È soltanto uno spreco d’energie, ed è senz’altro troppo dispendioso, per una questione di lavoro” continuò poi, fissandola in volto malgrado lei stesse facendo di tutto tranne che guardarlo.
“Non è soltanto una questione di lavoro!!!” ammise infine Ruri, gesticolando freneticamente “Tu proprio non riesci a capire, non è vero?!”.
“No” replicò Elle, freddo “Non capisco come una persona dotata del tuo talento possa lasciare che faccende personali condizionino in questo modo il suo operato professionale”.
“Oh, è questo quello che pensi?! Pensi che il mio comportamento stia compromettendo il mio lavoro?!” esclamò Ruri, furiosa.
“A dire il vero, ritengo che, di questo passo, finirà anche per compromettere il buon esito delle indagini. Per non parlare del tuo stato di salute…i cardiopatici non dovrebbero sottoporsi a sforzi del genere” continuò Ryuzaki, gelido.
“Ryuzaki…!!” tentò d’intervenire Watari, alzandosi in piedi.
“Non intrometterti, per favore” lo zittì Elle, senza staccare gli occhi dal volto di lei, grondante di collera.
Per la prima volta, si rese conto che era rimasta in silenzio, il viso contratto in un’espressione di disprezzo e di rabbia, le braccia stese lungo i fianchi, le dita delle mani conficcate nei rispettivi palmi; per la prima volta, si rese conto che lo stava osservando con il massimo disdegno.
“Quindi…è questo quello che sarei? Una cardiopatica che non deve sottoporsi a stress emotivo? Questa è la tua opinione, Ryuzaki?” gli si rivolse, quasi sussurrando.
“Mi sembrava di averti già detto che la mia opinione non è rilevante: ciò che conta davvero è la realtà oggettiva dei fatti, dovresti averlo capito, ormai” replicò lui, le mani in tasca e lo sguardo di nuovo volto al pavimento: non si rendeva conto del perché, ma l’espressione che Ruri aveva assunto cominciava a metterlo a disagio.
“La tua opinione non è rilevante…? Sei veramente un idiota!!” dichiarò lei, facendo sì che alzasse ancora gli occhi verso di lei “Credi che, se la tua opinione non fosse stata rilevante per me, sarei rimasta in Giappone e avrei mandato a puttane la mia carriera per questo caso?”.
“È stata una tua scelta” le fece notare lui, il tono piatto.
“Esatto, Ryuzaki. È stata una mia scelta, di cui affronterò le conseguenze. Ma se non sei disposto a trattarmi al tuo pari, allora temo che la nostra collaborazione se ne andrà presto al diavolo, e sarò costretta a indagare da sola e a modo mio. Se credi che un dettaglio del genere mi fermerà, hai fatto male i tuoi conti, signor detective” dichiarò, girandosi e facendo per andarsene.
“Pensavo che volessi che lavorassimo insieme…” disse lentamente Ryuzaki, ancora intento a guardarla.
“Pensavo che avessi capito il motivo per cui non avrei mai voluto che sapessi di quel fottuto trapianto cardiaco!!!!” gridò Ruri, tornando a voltarsi e fissandolo con odio “Adesso hai compreso, Ryuzaki?! Lo sai quanto mi costa rendermi conto che hai scoperto qualcosa che non avrei mai desiderato rivelarti?! Lo sai che cosa si prova nell’essere compatiti e commiserati, qualsiasi cosa tu faccia?! Beh, non avrei mai voluto sperimentare una sensazione del genere proprio con te!!!”.
“La prego, Miss, si calmi…” disse ancora Watari, ma Ruri lo ignorò, gli occhi incapaci di staccarsi dal ragazzo.
“Io non ti ho commiserato, Ruri. Ho semplicemente esaminato la realtà dei fatti: se non sei in grado di accettarla, forse dovresti provarci in modo più consono” ribatté Ryuzaki.
“E forse tu dovresti capire, o almeno dovresti tentare di capire…che sto cercando, sto cercando con tutte le mie forze di accettare la morte di Naomi. Perché è morta…tu lo sai che è morta, Ryuzaki, non raccontarmi puttanate!!!” gridò Ruri, gli occhi lucidi “È morta…e io ci sto provando, sto cercando di accettarlo in ogni modo possibile…ma il punto è che mi sento responsabile per quello che le è accaduto, ed è una cosa che non posso cambiare! Questo, probabilmente, mi rende debole e deconcentrata, e farò di tutto per soffocare quello che sto provando…ma ho ancora un cuore, Ryuzaki. Ce l’ho ancora, nonostante abbia cercato d’ignorarlo in ogni singolo, fottuto giorno della mia vita, nonostante lo abbia sempre considerato come la peggior debolezza che possedessi, nonostante lo abbia maledetto sempre e comunque…ce l’ho ancora. E anche se sono una fottuta cardiopatica sottoposta a stress emotivo…forse dovresti considerare la possibilità di non parlarmi mai più in quel modo”.
“Ruri…!” cercò di trattenerla Watari, mentre lei si dirigeva a grandi passi verso la sua camera da letto.
Prima che potesse fermarla, Ruri entrò all’interno, sbattendosi la porta alle spalle.
Con lentezza, Watari si voltò verso il suo protetto, indirizzandogli un’occhiata risentita.
“Ce n’era proprio bisogno?” gli domandò, il tono adirato.
“Non capisco che cosa vuoi dire, Watari” mentì Ryuzaki, appollaiandosi sulla poltrona vicina e addentando distrattamente un pasticcino.
“Lo sai perfettamente” lo smentì Watari, ponendosi di fronte a lui “Che motivo c’era di parlarle così? Sai che lei e la signorina Misora erano amiche…potresti cercare di capire il modo in cui si sente adesso. Santo cielo, mettiti nei suoi panni…”.
“Anche se volessi, non potrei farlo, Watari” lo contraddisse Ryuzaki, rivolgendogli uno sguardo accigliato “Io non ho amici, e l’amicizia è qualcosa che non m’interessa”.
“Può darsi…stai al contempo affermando che non t’importa nemmeno di quella ragazza?” gli chiese a bruciapelo Watari, mentre lui si rialzava in piedi.
Quella domanda lo portò a fermarsi di colpo, le spalle attraversate dal gelo: senza voltarsi, gli rispose cercando di mantenere la voce ferma.
“Non è quello che ho detto, ma comunque non ha importanza” dichiarò.
“Davvero?” insistette Watari, tornando a porsi di fronte a lui e tentando d’incrociare i suoi occhi “Se pensi che non ne abbia, allora come spieghi il modo in cui Ruri ha appena reagito di fronte alle tue parole?”.
“Hai appena detto che lei e Misora erano amiche. È soltanto sotto shock per la cosa; sarà meglio che si riprenda alla svelta” disse Elle, il tono gelido e gli occhi inespressivi.
“Perché le hai parlato in quel modo? Dovresti aver capito che cosa significa per lei…”.
“Dovrei averlo capito? Che cosa dovrei aver capito, Watari?” ribatté Ryuzaki, duro, ricambiando il suo sguardo risentito.
Watari rilassò le spalle, sospirando e facendo per uscire dalla stanza.
“Dovresti aver capito cosa rappresenta tutto questo, per Ruri. Dovresti aver capito che il ricordo di quell’operazione chirurgica le provoca un dolore che non riesce a soffocare, e che non vorrebbe mai veder riemergere: dovresti aver capito che se ne vergogna, e che odia mostrarsi debole nei confronti di chiunque altro, in particolar modo…nei tuoi confronti, Ryuzaki. Forse dovresti riflettere su questo”.
“Watari” lo richiamò inaspettatamente il ragazzo, quando il suo collaboratore ebbe già le dita sulla maniglia della porta.
L’uomo si volse a guardarlo, i profondi occhi grigi intenti a scrutare il suo pupillo in ogni minima componente; dopo un’ulteriore pausa, Ryuzaki alzò lo sguardo, le mani ancora in tasca e l’espressione di un bambino che è stato rimproverato.
“Ti stai affezionando a Ruri Dakota?”.
Watari non sembrò sorpreso da quella richiesta, che lo portò a sorridere in modo quasi impercettibile.
“Voglio solo che tu le riconosca i suoi meriti, Ryuzaki…”.
“Lo sto già facendo…”.
“E che tu eviti di mancarle di rispetto. Sai di cosa parlo” lo bloccò, interrompendo sul nascere qualsiasi sua replica “A te piacerebbe che qualcuno mettesse in luce gli aspetti di te che non riesci ad accettare?”.
“Non hai risposto alla mia domanda” gli fece notare Elle.
“Beh, anche tu stai eludendo la mia. Direi che con questo siamo pari” concluse Watari, voltandosi in maniera definitiva “Va’ a parlarle, Elle. Sappiamo entrambi che ne avverti il bisogno”.
Watari uscì silenziosamente, lasciando il ragazzo solo con i suoi pensieri: in modo molto discreto, Elle tornò a sedersi, lo sguardo fisso sui documenti dell’FBI riguardanti la famiglia Yagami, che Ruri aveva lasciato da parte prima dell’inizio della loro discussione.
Li prese in mano con tocco delicato, cercando di focalizzare la sua mente e il suo genio sui successivi passi da seguire nel corso dell’indagine, ma ben presto scoprì che i suoi occhi non smettevano di saettare in direzione della porta della camera da letto di Ruri.
Scuotendo il capo, cercò di sbarazzarsi di quella fastidiosa abitudine, ma si rese conto di non esserne in grado: perché si sentiva in quel modo? Era per quello che gli aveva detto Watari? Ma perché avrebbe dovuto attribuire un peso così grande alle parole che aveva pronunciato?
*Ho solo…constatato la realtà dei fatti* continuò a ripetersi per le ore successive, lo sguardo tenacemente incollato al display del suo computer *Perché dovrei preoccuparmene ulteriormente?*.
Ma se tutto ciò era vero, allora perché avvertiva quella strana sensazione all’altezza dello stomaco? Perché trovava quella stanza così fredda, vuota…perché aveva la sensazione che qualcosa gli mancasse? Era stato solo per una vita intera, malgrado la presenza di Watari…si era chiuso in una bolla di vetro e si era rifiutato di uscirne, convincendosi che aveva già tutto quello di cui aveva bisogno al suo interno. Era sempre stato bene, non aveva mai avvertito la mancanza di niente…non aveva mai conosciuto i suoi veri genitori, non aveva mai avuto un amico, ma nonostante questo non aveva mai pensato realmente d’essere incompleto. Perché allora, adesso si sentiva in quel modo? Perché sentiva il bisogno di parlarle?
*Non mi sento in colpa* si ripeté per l’ennesima volta, poco prima del tramonto.
Ruri non accennava a uscire dalla sua stanza, e lui non aveva la minima idea di quello che stesse facendo: aveva dedotto che avesse optato per lavorare da sola, chiusa lì dentro, e probabilmente aveva ragione.
*Come posso esserne sicuro? Diavolo, come…perché devo esserne sicuro?*.
Perché non vederla era divenuto così frustrante? Diamine, era nella stanza accanto…e poi, se anche si fosse trovata a chilometri di distanza, avrebbe fatto la differenza?
*In effetti, è come se lo fosse…*.
Perché le sue parole non riuscivano a smettere di rimbombargli nella mente? Perché il volto di Ruri gli era rimasto scolpito di fronte agli occhi, come se lei non si fosse mai allontanata?
La mente assillata da tutti quei pensieri, si alzò in piedi, cominciando a fare avanti e indietro per il piccolo salotto, le mani in tasca e gli occhi ricchi d’affanno. Vuoto. Ecco come si sentiva in quell’istante: completamente vuoto. Una sensazione che non aveva mai avvertito in tutta la sua esistenza. Ma cosa c’era di diverso? Era sempre stato solo, e non si era mai sentito così male…
*È stato tutto…era prima che la incontrassi. Perché ho la sensazione che sia cambiato tutto, da quando l’ho conosciuta? Non riesco a lavorare…accidenti, non avrei mai dovuto chiederle di incontrarmi*.
Ma forse tutto ciò era inevitabile, e non riusciva nemmeno a rendersene conto: il punto era che aveva desiderato vederla di persona da sempre, fin dai tempi del caso di Los Angeles. Come avrebbe potuto smettere di pensarci in tronco? Come avrebbe potuto evitare di coinvolgerla nelle indagini riguardanti Kira? Come avrebbe potuto rifiutarsi ulteriormente di incontrarla di persona…?
In modo quasi automatico, mentre la sua mente non smetteva di rimuginare in modo frenetico, finì per fermarsi di fronte alla porta di Ruri, gli occhi neri fissi sulla sua superficie.
*Non ho idea di quello che sto facendo…non ha senso…*.
Non aveva senso, in effetti…forse fu proprio quella consapevolezza a spingerlo ad abbassare la maniglia di quella porta.
Entrando nella stanza, si rese conto che tutte le tende erano state tirate, e che ogni lampada era spenta: l’unica fonte di luce presente proveniva dal portatile di Ruri, aperto sul tavolino posto di fronte al divano della camera da letto.
Fu proprio lì che la trovò seduta, circondata da materiale relativo al caso Kira, ma in quel momento sembrava presa da tutt’altro: i suoi occhi azzurri erano persi in direzione di un punto del pavimento, aveva le braccia incrociate e una sigaretta immobile, accesa da poco, stazionava fra le sue dita della mano destra.
Lo sguardo attento di Elle si accorse anche delle lattine di birra aperte, poste a poca distanza da lei.
“Cosa vuoi?” gli domandò lei, attirando la sua attenzione: notò subito che non aveva distolto lo sguardo dal suolo “Sei venuto ad informarti sulle condizioni di salute della cardiopatica emotiva?”.
Senza muoversi dalla soglia, Elle la osservò con attenzione, le mani ancora in tasca e una strana espressione dipinta sul volto.
“Non dovresti fumare” le fece notare, il tono sempre piatto.
Ruri alzò gli occhi di scatto, fulminandolo con lo sguardo.
“Perché?!” sbottò, il tono irato “Perché questo aumenta il rischio di un rigetto dell’organo impiantato?!?".
“Ruri…”.
“Oh no, aspetta, voglio indovinare!!!” proseguì, balzando in piedi e spegnendo la sigaretta nel vicino posacenere, con la massima stizza “Perché il fumo è causa di un elevato tasso di mortalità riscontrabile ogni anno nelle statistiche a livello internazionale, ma se confrontiamo un dato del genere con un riscontro analogo nei casi di pazienti che hanno subito un trapianto cardiaco, ci rendiamo conto che lo stesso tasso di mortalità è triplicato, non è vero? O magari il cardiopatico non muore, ma le probabilità che possa subire un rigetto cronico aumentano del 68%, giusto? E che mi dici dell’alcool?!?!” proseguì, afferrando una lattina piena per metà e scagliandola dall’altra parte della stanza “Se le prestazioni di disintossicazione del fegato dovessero cedere, anche l’attività cardiocircolatoria ne risentirebbe, e questo potrebbe causare un collasso degli organi interni, e magari persino una coronaropatia!! A proposito, tu lo sapevi che nei pazienti affetti da coronaropatia la probabilità di morte sale al 75%?!?”.
“Ruri…”.
“Aspetta, aspetta, non ti ho detto la parte più bella!! Se sei un coronaropatico e non effettui un ulteriore trapianto cardiaco di sostituzione a distanza di un massimo di sei mesi, rischi la paralisi, o magari di scivolare in una lenta agonia nel corso della quale il tuo cuore si ferma a intervalli regolari fino al suo decesso definitivo!! Ah, dimenticavo un piccolo dettaglio: in effetti, se anche dovessi sopravvivere, rimarrai a vita dipendente dai farmaci, un po’ come i malati di AIDS, non è buffo? Ma è probabile che io non vada mai incontro a questa possibilità, perché vedi, il mio gruppo sanguigno è…”.
Prima che potesse proseguire, Ryuzaki fece una cosa del tutto inaspettata: senza darle la minima occasione di reagire o di potersi accorgere di ciò che stava per fare, l’afferrò per le spalle e la condusse spalle al muro, portandola a interrompere il suo flusso di parole e a fissarlo dritto negli occhi.
“Non dovresti fumare qui dentro perché rischi di attivare il sistema d’allarme antincendio” le spiegò poi, senza accennare a smettere di toccarla.
Dal canto proprio, Ruri restò paralizzata in quella posizione, incapace di muovere un solo muscolo o di aggiungere qualunque altra cosa, gli occhi fissi in quelli di Ryuzaki.
“Non voglio parlare del tuo cuore” dichiarò Ryuzaki, le lunghe dita ancora saldamente strette sulle sue spalle esili “Non voglio parlarne. Non mi piace parlarne. Non so perché, ma non mi piace”.
Quell’affermazione le fece venire una gran voglia di ribattere, ma stranamente non lo fece, continuando ad ascoltarlo.
“Lo so che sei arrabbiata con me, e probabilmente ti sei pentita di avermi detto che non è vero che non ti piaccio. Lo so che non ti piace il mio modo di fare, il mio modo di dire le cose…ma io non voglio più parlare del tuo cuore. Se hai detto che stai bene, allora stai bene. Ok?”.
Ruri continuò a guardarlo dritto negli occhi, cercando di assorbire il significato delle sue parole.
“Ok?” insistette Ryuzaki, stringendola leggermente di più.
“Ok…” acconsentì Ruri.
“Bene…” disse Ryuzaki, lasciando la presa e allontanandosi di qualche passo.
Intuendo che aveva altro da dire, Ruri rimase in attesa.
“Mi hai fatto una domanda prima, non ti ho risposto” constatò il detective, per poi tornare a guardarla dritto negli occhi “Non è vero che penso a te come a una cardiopatica emotiva. Tu…non sei una cardiopatica emotiva”.
“Sicuramente sono una cardiopatica, Ryuzaki” gli fece notare Ruri, con un sospiro pesante “Le persone come me si chiamano in quel modo”.
“Tu non lo sei” ribadì Ryuzaki, avvicinandosi di nuovo “Tu non sei…tu sei la mia collaboratrice. La collaboratrice migliore che io abbia mai avuto. Sei una donna intelligente, brillante, acuta e attenta, sei una profiler d’eccezione, sei una ragazza di talento. Tu non sei una cardiopatica emotiva”.
Ruri incrociò le braccia, osservandolo con attenzione: teneva di nuovo le mani in tasca, e i suoi occhi erano persi a terra ancora una volta, come lo sarebbero stati quelli di un bambino che aveva appena perso i suoi genitori.
“Mi stai chiedendo scusa…?” gli chiese alla fine, alzando un sopracciglio.
“Ti sto dicendo…” riprese Elle “Che non riesco a lavorare, se penso che…che tu non stai bene e che non hai più intenzione di collaborare con me”.
“Non ho…non ho mai detto che non collaborerò più con te…” affermò Ruri, incerta.
“Sembravi intenzionata in tal senso” le fece notare Elle, con un mezzo sorriso.
“Beh, io…ho detto che…insomma, non…è che mi sono sentita come se…come se non avessi bisogno di me” esplicò Ruri, l’espressione ferita “Non avrei voluto ammetterlo, ma…il punto è che la tua opinione conta. Conta davvero, per me. Forse è sempre stata importante, non lo so…ma di sicuro lo è adesso. E quando penso a come vorrei che mi vedessi, ecco…non ho in mente l’immagine di una patetica ragazzina cardiopatica, che se ne sta seduta da una parte a piangere per la perdita della sua amica o per i suoi colleghi morti. Tu sei…sei una persona abituata a vincere, e ho sempre voluto esserlo anch’io, ma…sembra che non ci stia riuscendo e questo non mi piace. È per questo che ho reagito in quel modo”.
Ruri si passò una mano di fronte al volto, l’espressione stravolta.
Quando rialzò lo sguardo, si rese conto che Ryuzaki aveva ripreso a fissarla, dotandosi di uno strano sorriso: senza sapere perché, non riuscì a evitare di scorgervi una qualche forma di dolcezza.
“Non volevi dirmi del tuo trapianto perché pensavi che ti ritenessi debole?” le chiese poco dopo.
“In realtà, è…è una cosa che non ha mai saputo nessuno. Solo la mia migliore amica ne è a conoscenza, e…io non ne parlo mai” gli dichiarò Ruri, annuendo.
“E la tua famiglia…?”.
“Robin è la mia famiglia. La mia migliore amica, lei è…è la mia famiglia” disse Ruri, interrompendo la sua domanda sul nascere.
“E i tuoi genitori?” insistette Ryuzaki.
“Non ho mai avuto dei genitori” disse Ruri, con una strana nota nel tono di voce.
Poco dopo, non poté fare a meno di sobbalzare, nel rendersi conto che Ryuzaki le aveva appena stretto la mano, senza più lasciarla.
“Nemmeno io…” le confessò, con un altro piccolo sorriso.
Ruri annuì dopo qualche momento, sbalordita da quella notizia.
“Vuoi davvero che lavori con te…?” gli domandò poco dopo, lo sguardo perso in quello d’ebano di lui.
“Io voglio che tu capisca che la mia opinione su di te va oltre qualsiasi cartella clinica. Voglio che tu sappia…che ho bisogno di te, per questo caso. Ho bisogno…ho bisogno che tu lavori con me” mormorò Elle, rafforzando appena la presa sulla sua mano.
“Tu non hai bisogno di me” disse Ruri, trattenendosi dal ridacchiare “Tu sei Elle…non hai bisogno d’aiuto, puoi risolvere il caso da solo…”.
“Io ho bisogno che tu lo risolva con me” affermò il detective, ancora più vicino al suo volto.
“Perché?” domandò Ruri, il respiro più fievole.
Era una domanda tanto semplice, quanto dannatamente complicata, così come sarebbe stato semplice lasciarle la mano…se solo qualcosa, dentro di lui, glielo avesse permesso.
“Perché io ho bisogno che tu lo faccia con me” ripeté semplicemente Elle “E non chiedermi di nuovo il motivo, perché…per la prima volta in vita mia, non so fornire una risposta. E questa è una cosa che non sopporto, e non sopporto d’aver sentito la necessità d’entrare in questa stanza, ma…”.
Ruri aspettò che andasse avanti, il fiato sospeso.
“Ma io voglio che tu lavori al caso Kira con me. Puoi ancora farlo?”.
Non poteva crederci. Dicono che, nelle situazioni davvero importanti della vita, tutti sanno esattamente che cosa dire, come dirlo e quando dirlo; adesso si rendeva conto che non c’era nulla di più sbagliato. Le stava dicendo che aveva bisogno di lei, che voleva che lavorasse con lui…perché avvertiva quel groppo in gola, che le impediva di dire qualsiasi cosa?
“Ruri…”.
“Io non so chi tu sia” disse infine lei, con la massima semplicità “Non so praticamente niente di te, non conosco il tuo vero nome, non so…non conosco la tua età, il tuo passato, non so chi fossero i tuoi genitori, non so dove tu sia cresciuto, non so che cosa tu abbia fatto o chi tu abbia incontrato prima di conoscere me…”.
“Nemmeno io” le fece notare Elle, con un mezzo sorriso.
“Andiamo, Ryuzaki! Tu sai più di me di quanto ne abbia mai saputo nessuno! Sai che ho subito un trapianto cardiaco, conosci i miei gusti alimentari, sai persino che cinque mesi fa ho fumato l’ultima sigaretta…beh, fino ad oggi” ammise “Insomma, tu…”.
“Ti sbagli. In realtà, credo di sapere molto poco di te” la contraddisse Ryuzaki “Hai detto che so del tuo trapianto…è vero, ma nel dettaglio non posso dire di conoscere nulla. E forse, non ne ho il diritto, a differenza di quanto ho pensato fin dall’inizio…”.
“Pensavo che non volessi parlarne più” affermò Ruri, di nuovo un po’ fredda.
“In effetti, non è quello che voglio. Ma forse è quello di cui hai bisogno tu” dichiarò Ryuzaki, le dita fredde intente a sfiorarle il dorso della mano.
“Così, adesso sei anche psicologo?” soffiò Ruri, cercando di divincolarsi dalla sua presa, senza risultato.
Rendendosi conto che lui non accennava a lasciarla, Ruri gli rivolse un’altra occhiata penetrante, un sopracciglio inarcato in mezzo alla fronte.
“Lasciami” gli disse, con un tono strano.
“No” replicò con tranquillità lui.
“Lasciami” ripeté Ruri, adesso risentita.
“Dovrei?” domandò Ryuzaki, con candore.
“Mi stai prendendo in giro o cosa?” chiese la ragazza, stranita “Tu non hai bisogno di consolarmi. Non siamo amici…”.
“E se lo fossimo?” replicò il detective “Non hai mai pensato a questa possibilità?”.
Quella domanda la spiazzò del tutto, ma la cosa che più la spiazzò fu il senso di disappunto che avvertì all’altezza dello stomaco: perché si sentiva così?
“Se ho mai pensato…se ho mai pensato che potessimo essere amici…?” ribadì lentamente la giovane, con espressione stralunata “Beh…volendo essere del tutto sincera, no, non ci avevo mai pensato…”.
“Potresti essere la mia prima amica. Che cosa ne pensi?” le domandò ancora il ragazzo, il profilo inspiegabilmente più vicino al suo.
“Non…non possiamo essere amici…” constatò Ruri, guardandolo negli occhi.
Prima della fine, avrebbe finito per perdersi fra quelle sfumature, ne era sicura.
“Perché no?”.
“Perché…perché noi siamo…”.
“Cosa?”.
“Siamo colleghi…siamo…siamo collaboratori. I collaboratori non sono amici fra loro”.
“Davvero?” chiese Ryuzaki, sorridendo in modo quasi impercettibile “Non lo sapevo…eppure, ero convinto che fossi amica di Naomi Misora…”.
“Lo ero” dichiarò Ruri, adesso a disagio.
“E io sono molto diverso da lei?” mormorò Ryuzaki, scostandole distrattamente una ciocca di capelli dal volto.
“Sì” replicò subito la ragazza, adesso più sicura “Lo sei”.
“Quindi, non vuoi che siamo amici…?”.
“Io voglio…” si bloccò poi Ruri, incapace di proseguire.
“Cosa?” la spinse a proseguire il detective.
Ruri non smise di fissarlo negli occhi, finendo per cominciare ad annegare nuovamente in quelle cromature scure e così intense: come poteva qualcosa di così gelido finire per avvolgerlo con un calore del genere?
“Voglio che continuiamo a lavorare insieme al caso” dichiarò la giovane, le dita che, in modo quasi inconsapevole, finivano per accarezzargli il dorso della mano “E voglio…voglio che non parli più del mio trapianto di cuore. Voglio che tu abbia stima per me”.
“Ce l’ho sempre avuta” le disse Elle, con un altro sorriso strano.
“Voglio che tu mi ceda la tua fragola, ogni volta in cui decidi di cederla a qualcuno” aggiunse Ruri, ricambiando il suo sorriso.
Elle si lasciò scappare una piccola risata, gli occhi ancora legati a quelli di Ruri, che a sua volta rise, distendendo il volto in modo più rilassato.
“Sei molto bella” le disse improvvisamente lui, portandola a fermarsi di colpo e a guardarlo con occhi sbarrati “Sei davvero molto bella”.
Ruri lo guardò per qualche istante, tentando di capire se si fosse trattato o meno di un sogno.
“Adesso stai constatando una realtà oggettiva, o qualcosa del genere…?”.
“Diciamo un ‘ni’ “ dichiarò il detective, lasciandole finalmente la mano e allontanandosi.
Quando fu ormai giunto alla porta, si voltò nuovamente, le mani in tasca per l’ennesima volta.
“Ruri…”.
“Sì?” rispose lei, ancora frastornata.
“…mi dispiace per Naomi. Davvero”.
Sentirlo parlare così la sorprese ancor di più, ma senza dubbio la sensazione più intensa che quelle parole le fecero provare si legò alla stretta forte che avvertì istantaneamente all’altezza del cuore.
“Sì…anche a me” replicò infine, annuendo, un sorriso triste dipinto sul volto.
Ryuzaki fece per aprire la porta e uscire, ma quando ebbe una mano sulla maniglia udì qualcosa trattenerlo: Ruri aveva appena stretto le dita intorno al suo braccio, fermandolo in modo gentile ma deciso.
“Non voglio evitare d’esserti amica perché non mi piaci” chiarificò, lo sguardo di nuovo unito al suo “Ma…è solo che non posso. Non posso proprio”.
Ryuzaki le rivolse un sorriso amaro.
“Forse vuoi dire che è quello che non vuoi, Ruri” le fece notare, scostandosi leggermente dalla sua presa.
“Non posso affezionarmi a te” aggiunse lei, mentre il detective apriva la porta, fermandosi sulla soglia e dandole le spalle “Non posso farlo, e tu lo sai”.
“Forse hai ragione…scusami, sono stato inopportuno” disse Ryuzaki, senza voltarsi nuovamente “E poi, dico sempre cose senza senso. Non starmi a sentire”.
Elle uscì dalla stanza, chiudendo la porta in modo quasi impercettibile; non appena se ne fu andato, Ruri tornò ad appoggiarsi con la schiena contro la parete, chiudendo gli occhi e cercando di calmare, per l’ennesima volta, i battiti frenetici del suo cuore.
Possibile che si stesse ritrovando a provare sensazioni del genere a contatto con una persona che conosceva a malapena? Possibile che tutto ciò stesse davvero succedendo a lei?
*Non possiamo essere amici. Non posso…non posso essere sua amica, lui è…io non posso*.
 
Quella sera, poco dopo essere uscita dalla doccia, udì un segnale di richiesta per una videochiamata provenire dal suo computer.
Subito dopo essersi infilata velocemente l’accappatoio, si affrettò a sedersi sul letto, dove il suo portatile era adagiato, e accettò subito, rendendosi conto che il mittente era Robin in persona.
Pochi istanti dopo, il volto allegro della sua migliore amica le comparve di fronte agli occhi, dotato di un sorriso smagliante.
“Ehilà! Come stai, tesoro?”.
Ruri piegò le sue labbra in quello che avrebbe voluto essere un sorriso di ricambio, ma che risultò più simile a una smorfia.
“Tutto bene, Robin…che mi dici di te?”.
Quelle conversazioni in videochiamata avevano rappresentato una consuetudine a cui nessuna delle due si era dimostrata pronta a rinunciare, in quelle settimane: vedere il volto di Robin era sempre in grado di donarle un senso di serenità privo d’eguali, ma quella sera sembrava che ciò facesse eccezione.
Ruri notò l’espressione dell’amica corrucciarsi di fronte a ciò che stava vedendo, le sopracciglia aggrottate e l’aria dubbiosa.
“Ruri, che cos’è successo? Hai gli occhi gonfi…”.
Ruri scosse la testa, sforzandosi di fare finta di niente.
“Ho soltanto un po’ di mal di testa, niente di grave…”.
“Ruri, non dirmi bugie. Avanti, che cosa c’è?” insistette Robin, con forza.
Ruri sospirò tristemente, lo sguardo abbassato sul copriletto.
“Naomi è scomparsa…” ammise infine, quasi mormorando “Non ho più sue notizie da giorni, e…proprio oggi abbiamo ricevuto una segnalazione anonima. In più, sua madre ha chiamato…ha detto che non riesce a contattarla dal 28 Dicembre. Il giorno prima, Ray è…beh…sono preoccupata” concluse “Credo che lei sia…”.
“Oh mio Dio…” sussurrò Robin, il volto contrito e spaventato “Ruri, mi dispiace così tanto…posso fare qualcosa per te?”.
“No, Robin…non puoi fare niente” si strinse nelle spalle la giovane, lo sguardo a terra.
Dopo qualche minuto di silenzio, Ruri si lasciò scappare un sospiro amareggiato, il volto contratto in una smorfia di dolore.
“È colpa mia…” affermò infine, passandosi una mano nella folta chioma scura.
“Ma no, Ruri! Non devi dire così…non pensarlo nemmeno!” esclamò Robin, con concitazione “Non è stata colpa tua!”.
“Lei è morta, Robin. Non posso averne la prova materiale, ma so che è così” dichiarò Ruri, la voce spezzata “È morta, e io…io non ho fatto niente. Non ho fatto niente…”.
“Ma cos’avresti potuto fare? Non puoi sentirti responsabile della sua morte…” le fece presente Robin, il tono saggio.
“Sì, invece. Avrei potuto cercare di proteggerla, avrei dovuto preoccuparmene…lei era così…era completamente sperduta. Le ho detto che non avrebbe mai più rivisto Ray, e poi me ne sono lavata le mani. Non le sono stata vicino…” proseguì Ruri, sconsolata.
“Ruri, ma non avresti potuto farlo comunque! Dovevi proseguire con le indagini, lo hai detto anche tu…lei non poteva aiutarvi, avrebbe finito soltanto per mettersi in pericolo! Le avevi detto di tornare a casa, le avevi detto di mettersi in salvo…”.
“Non è stato abbastanza! Io avrei…” tentò di dire Ruri, alzando la voce per poi riabbassarla subito “Avrei…”.
Un’ondata di pianto la travolse senza preavviso, costringendola a smettere di parlare e portandola a condurre una mano di fronte al suo campo visivo, nascondendo i suoi occhi provati e stanchi.
“Ruri…” mormorò Robin, mortificata “Mi dispiace così tanto…vuoi che…non lo so, è solo che vorrei tanto essere con te, adesso! Hai bisogno che ti raggiunga?”.
“No” le disse subito Ruri, asciugando qualche lacrima solitaria “Lo sai che non puoi farlo, Robin. Sto lavorando in incognito, ed è pericoloso. Non ti muovere da Washington”.
“D’accordo, d’accordo…” promise Robin, delusa “Senti, che cos’ha detto Ryuzaki, riguardo a questa storia?”.
Il sentirla fare quel nome la portò a sobbalzare, e ad assumere un colorito diverso; subito dopo, avvertì un fastidioso groppo alla gola, che le rese ancora più difficile continuare quella conversazione.
“Ruri…?” insistette la rossina, alzando un sopracciglio e fissandola in modo strano “Perché stai facendo quella faccia?”.
“Niente, niente…”.
“C’è qualcosa che non mi stai dicendo?” la spronò a proseguire la ragazza, con uno strano sorriso inquietante “Avanti, sputa il rospo!”.
“Robin, non c’è niente. Dico davvero” provò ancora Ruri, evitando il suo sguardo e mordicchiandosi il labbro inferiore.
“Ti stai mordendo il labbro” le fece notare la sua amica “Non vorrei sembrarti un’insensibile, considerando quello che è successo a Naomi, ma…ho la sensazione che ci sia qualcosa che mi nascondi, cara dottoressa Ruri Dakota” ridacchiò, strizzandole l’occhio.
Ruri si pronunciò nel primo sorriso sincero di quella sera, scuotendo la testa.
“Robin, non è il momento…”.
“Lo so che non è il momento, tesoro. Ma allora, mi spieghi come mai proprio questo argomento è in grado di farti sorridere? Avanti, ti costa tanto confidarti con me? Perché non mi racconti che cos’è successo?”.
“Ma non è successo niente!!” si affrettò ad affermare Ruri “Dico sul serio, non c’è niente…abbiamo soltanto discusso un po’…”.
“Discusso? Perché?” domandò Robin, stupita.
“Beh, lui…lui ha scoperto del mio trapianto di cuore” ammise Ruri “È successo poco dopo averlo conosciuto…scusami, non mi andava molto di parlarne”.
“Lo ha scoperto?! Ma come…?” sbottò Robin.
“Non chiedere” la pregò Ruri, alzando le mani “Diciamo solo che ha avuto i mezzi per farlo…”.
“Grandi capacità di persuasione?”.
“ROBIN…!!!!”.
“Va bene, va bene…” sghignazzò la ragazza “Era solo per dire…in ogni caso, da allora non avete più riparlato della cosa?”.
“A dire il vero, abbiamo litigato di nuovo proprio oggi, esattamente a proposito di quest’argomento” dichiarò Ruri, l’espressione contrariata “Eppure, non so perché, trova sempre il modo di farsi perdonare…e non dire quello che penso tu stia per dire!!!” la bloccò subito Ruri, notando la sua espressione.
“E va bene” sorrise Robin “Se proprio non vuoi che ti dica quello che penso, perché non provi tu a dirmi cosa ti passa per la mente?”.
“Non capisco cosa tu voglia dire…” replicò Ruri, diffidente.
“Che opinione ti sei fatta di questa persona? Insomma, che cosa pensi di lui? Dovrai pure averci pensato, stai con lui ventiquattr’ore su ventiquattro” disse Robin, con un sorriso.
Ruri rimase qualche momento in silenzio, come intenta a pensare a una risposta soddisfacente.
“Beh, lui è…è diverso. È diverso da qualsiasi persona io abbia mai incontrato. È, voglio dire, lui…lui è realmente sincero. È un ragazzo onesto. Dice sempre tutto quello che pensa, il che può essere irritante, a essere schietti, ma…ecco, è qualcosa che gli è assolutamente proprio. Dice la sua opinione sempre e comunque, in modo così…così sincero. È brillante, è intelligente, solo che…”.
“Che cosa?” la esortò Robin, che sembrava pendere dalle sue labbra.
“Solo che è così testardo. È quasi impossibile parlare con lui, a volte. È cocciuto, capriccioso, anche un po’ infantile, se vuoi: quando fa così lo detesto! Ma è un individuo così particolare…ci sono dei momenti in cui non riesco praticamente a replicare a niente di ciò che dice” proseguì Ruri, quasi rivolta più a se stessa che all’amica.
“Tu?!” esclamò Robin, sbigottita “Sul serio?!”.
“A volte mi viene voglia di prenderlo a pugni, altre volte lo guardo e capisco…capisco che non avevo mai pensato a una persona nel modo in cui penso a lui. Il punto è che è pieno di difetti, ma…per la prima volta in vita mia, mi rendo conto che non vorrei correggere nessuno di essi. Lo sai com’è di solito, guardi un essere umano e dici ‘Se solo la sua personalità non possedesse quell’aspetto’. Ryuzaki è…è semplicemente così. E non cambierei neanche un dettaglio di lui, nemmeno se ne avessi la possibilità. Ci sono istanti in cui ho voglia di ucciderlo, però poi…poi lui fa quel sorriso irritante e viene voglia anche a me di sorridergli. La cosa peggiore è che non lo voglio come amico, e una parte di me non capisce perché. Voglio dire, lo so che non posso, che è un collega e che va contro tutte le mie regole, però…però sono dispiaciuta dal fatto di non potergli stare vicino come vorrei, in fondo. Non capisco, Robin…è la sensazione più strana che abbia mai provato in vita mia”.
Pochi istanti dopo, Ruri rialzò lo sguardo, che aveva mantenuto perso nel vuoto fino a quel momento, tornando a guardare in direzione dell’amica: ciò che le vide la portò quasi a spaventarsi.
Robin aveva la bocca semiaperta, le mani bloccate in un precedente gesto rimasto a mezz’aria, come se fosse stata pietrificata: i suoi occhi erano spalancati, quasi stralunati.
“Robin? Robin?!” la chiamò, allarmata “Perché mi stai fissando in quel modo?!”.
“Oh mio Dio…Ruri” le disse la ragazza, con espressione tanto stupita quanto infinitamente seria.
“Che c’è?! Ho qualcosa in faccia? Perché mi fissi come se avessi visto un fantasma?!”.
“Insomma, io pensavo soltanto che ti piacesse…”.
“Robin, ma di che accidenti stai parlando?!” esclamò Ruri, sbigottita.
“Ruri…” iniziò lentamente la rossina, con un sorriso sorpreso e piacevolmente colpito al tempo stesso “Non me lo avevi detto…”.
“Robin, insomma!! Ti decidi a dirmi…”.
“Ruri, ti sei innamorata di lui!”.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Ciaooooo!!! Sono tornata :DDDD Ecco a voi il decimo capitolo!! Allora, che ne dite? A me personalmente ha fatto cagare…no, dico sul serio, non mi è piaciuto per niente =.=’’’ Non sono per niente convinta dei dialoghi, ci ho lavorato sopra un po’ ma finivo sempre per riscrivere le stesse parole, quindi niente da fare…non sono sicura di aver rispettato molto bene il personaggio di Elle, stavolta, ma che posso dire, vi avevo avvisato :D Spero che vi sia piaciuto almeno un pochino, ma insultatemi pure senza problemi XDXD Adesso passiamo ai ringraziamenti!! Grazie mille ad Annabeth_Ravenclaw, a gloomy_soul, a Zakurio e a Shikacloud per aver recensito il capitolo nove, e grazie a tutti coloro che lo hanno sempre fatto e che spero lo faranno ancora, grazie veramente di cuore!!!! Grazie di nuovo a Shikacloud per aver inserito la storia fra le seguite e grazie mille a Hilarysan e a margyfly per aver inserito la storia fra le preferite, spero che recensirete anche voi, la vostra opinione è altrettanto importante!! Un ulteriore ringraziamento a Damien Rice e alla sua splendida canzone ‘Nine crimes’, che ho deciso d’inserire nella fanfiction e che ho ascoltato a ripetizione durante la stesura del capitolo! Consiglio l’ascolto a tutti voi, è una parte della ‘colonna sonora’ della storia :DDD Spero che il prossimo capitolo mi venga meglio e mi auguro di poter tornare al più presto con l’undicesimo!!! Bacioni, Victoria <3 <3 <3 <3

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Capitolo 11
*** Broken ***


Capitolo 11- Broken
 
Ruri le lanciò uno sguardo esterrefatto, l’espressione sbigottita e incredula.
“Robin…se avevi voglia di scherzare, sappi che questo non è il momento più adatto” le fece presente, cercando di riassumere un’aria normale e il più tranquilla possibile.
“Io non sto affatto scherzando!” dichiarò Robin, con tono più dolce “Lo sai che non ti avevo mai sentito parlare in questo modo di nessuno? È una cosa incredibile! Ma perché non me ne hai parlato prima?”.
“Stai farneticando” dichiarò Ruri, scuotendo la testa.
“Oh, davvero? Se sono io quella che farnetica, perché sei tu quella che assume sempre quell’aria strana, quando nomino il tuo Ryuzaki?” ribatté Robin, sorniona.
“Lui non è il mio Ryuzaki!” protestò Ruri, senza riuscire a evitare d’arrossire.
“Ruri, stai arrossendo” le fece notare Robin, con un altro sorrisetto.
“Ho soltanto caldo!!!” sbottò Ruri, infastidita “Piantala con queste sciocchezze, va bene? Io non sono innamorata di quel tipo!!!”.
“Ah, certo. E allora, come mai te la prendi tanto per ogni cosa che dice? Guarda che ci ho fatto caso: in questi giorni, anche quando non accennavo a fare il minimo riferimento a lui, finivi sempre per riferirmi ogni singolo dettaglio che lo riguardasse. In effetti, credo che tu sia a conoscenza anche di quante volte sbatta le palpebre, Miss ‘Ryuzaki-ha-una-passione-infinita-per-il-cioccolato-ma-preferisce-le-fragole” disse Robin, senza riuscire a fare a meno di ridere.
“Robin!!!” protestò Ruri, arrossendo furiosamente e scatenando l’ilarità dell’amica “Io non ho mai detto niente del genere!”.
“Oh sì che lo hai detto. E mi hai anche riferito ogni cosa riguardo al suo modo di sedersi, al suo modo di parlare, al suo modo di guardarti silenziosamente…a proposito, come mai ti osserva in silenzio?!” gongolò Robin.
“Lui non mi osserva in silenzio, e io non ti ho mai riferito niente di tutto questo” dichiarò Ruri, cercando di darsi un contegno.
“Sì, sì, certo. L’ho sicuramente sognato” sbuffò Robin, con un ulteriore sorriso “Perché, invece di dire sciocchezze, non ti concentri su quello che provi?”.
“Io non provo niente, Robin. E adesso smettila di parlarne, dico sul serio. Non sei divertente” le disse Ruri, in tono perentorio.
“Ma se sei stata tu che…”.
“Robin…!!”.
“Va bene, va bene!” si arrese la rossina, alzando gli occhi al cielo “Lascerò perdere…per il momento, s’intende. Immagino che tu abbia di meglio a cui pensare, adesso…”.
“Esatto” sospirò Ruri, gravemente “Adesso devo lavorare, tesoro. Scusami, ti chiamerò io domani”.
“Va bene, Ruri. Non esitare a dirmelo, se avessi bisogno di me” la sollecitò Robin, con un altro gran sorriso “Sai che puoi sempre contare sul mio appoggio”.
“Lo so” replicò la moretta, con un altro gran sorriso “A proposito, non ti ho nemmeno chiesto come sta andando il tuo tirocinio all’ospedale”.
“Un po’ stressante, ma come me lo aspettavo. C’è un tipo di ginecologia che non fa altro che starmi appiccicato…pensi che dovrei uscire con lui?” le domandò la ragazza, con espressione furba.
“Robin, come faccio a saperlo? Ti piace?” le chiese Ruri, alzando gli occhi al cielo.
“Sì…cioè, boh…non lo so…” ammise la ragazza.
“Se vuoi un consiglio, sta’ alla larga dai ginecologi. Perché credi che facciano quel genere di mestiere?” replicò Ruri, con una risatina.
“Ruri!!!” sbottò Robin, per la prima volta scandalizzata.
“Ehi, non rubarmi le battute!!” rise Ruri, adesso spensierata “Di solito, sono io che ti guardo in quel modo e che ti chiamo con quel tono, perciò vedi di non uscire dal tuo personaggio”.
“D’accordo, provvederò” acconsentì Robin, con un altro sorriso dolce “Adesso ti lascio al tuo lavoro, cara. Risentiamoci presto, mi raccomando: non farmi stare in ansia”.
“Te lo prometto. A domani”.
Ruri chiuse la comunicazione, rimanendo a fissare lo schermo di fronte a lei per un paio di secondi: infine, si lasciò cadere sul letto, a pancia in su, lo sguardo rivolto verso il soffitto.
Certo che, per essere un tipo così intelligente e sveglio, Robin ne diceva proprio tante, di sciocchezze. Come diavolo faceva a esserle venuta in mente un’idea del genere?!
*Innamorata di Ryuzaki? È la cosa più stupida, demente, inopportuna, immatura, sciocca e inappropriata che abbia mai sentito in tutta la mia vita…e poi, non ha il minimo senso! Diavolo, non lo conosco neanche, l’ho incontrato meno di un mese fa, e sarei innamorata di lui? È la cosa più dannatamente fuori dal mondo che si potesse concepire!!*.
Eppure, quel pensiero così assurdo non smetteva di ronzarle nella mente, impedendole di riflettere su nient’altro, portandola sempre a visualizzare il volto di Elle e a concentrarsi unicamente sui dettagli che lo componevano…la cosa che più di tutte era in grado di spiazzarla era rendersi conto che ognuno di essi le appariva del tutto perfetto.
Alzandosi in piedi, si prese la testa fra le mani, che cominciava a dolerle vertiginosamente, cercando di mantenere la calma. Forse poteva sembrare vero, tutte quelle componenti avrebbero potuto condurre, in astratto, a ciò di cui stava parlando Robin, ma era…era completamente impensabile che si fosse davvero innamorata di lui.
*Come puoi dire di amare una persona quando non la conosci nemmeno? Per cose del genere ci vogliono mesi, a volte persino anni…non è possibile incontrare un uomo e…e amarlo e basta!*.
Dannazione, non riusciva a usare la logica. Perché non poteva usare la logica?! Era la sua arma migliore, l’aveva salvata da un numero infinito di situazioni spinose…perché, proprio quando si trattava d’avere a che fare con la mente migliore del mondo, si stava rivelando incapace di usufruirne?
Cercando di distrarsi, afferrò malamente il telecomando del televisore al plasma, che troneggiava a poca distanza, appeso alla parete, e accese il monitor; inutile dire che se ne pentì amaramente. In quello stesso istante, il telegiornale delle 21.00 aggiornava il mondo intero circa gli sviluppi riguardanti il caso Kira.
“E ora le ultime notizie relative al caso del serial killer dei criminali. Stando agli ultimi rapporti che le forze dell’ordine ci hanno fornito, possiamo affermare con certezza che il numero delle vittime di Kira ormai abbia superato le due centinaia, e che i suoi delitti non si stiano più soltanto concentrando sui delinquenti di maggiore pericolosità, ma anche sui piccoli malviventi che percorrono le nostre strade. Il vice direttore della questura di Tokyo, Hideyoshi Kitamura, ha oggi rilasciato una breve intervista alla nostra emittente, in cui ha dichiarato che una squadra speciale è attualmente al lavoro sul caso, sotto la guida del misterioso detective Elle, la cui fama è conosciuta in ogni parte del globo. Proseguono inoltre le indagini riguardanti la morte dei tredici agenti dell’FBI giunti in Giappone per fermare Kira, deceduti poco dopo il loro arrivo in Asia. Fra le vittime in questione, ricordiamo in particolare l’agente Misaki Yasuba, nota alla stampa come la più giovane e la più competente profiler di tutta l’organizzazione”.
Ruri fece per spegnere, scocciata, quando qualcosa attirò la sua attenzione, bloccandola.
“E ora, passiamo a notizie altrettanto spiacevoli” proseguì il cronista, l’aria contrita.
Prima che pronunciasse qualsiasi altra parola, alle sue spalle apparve il volto di Naomi, serio e deciso: Ruri avvertì immediatamente una stretta al cuore.
“Annunciamo oggi, con nostro rammarico, la scomparsa della signorina Naomi Janet Misora, di cui nessuno ha più notizie da una decina di giorni. La denuncia della sua sparizione è stata inoltrata oggi al Dipartimento di Polizia di Tokyo dai signori Misora, genitori della ragazza. Chiunque avesse informazioni riguardo l’argomento, è pregato di contattare lo stesso Dipartimento e di mettersi a disposizione. Naomi Misora ha circa ventisette anni, e le sue fotografie verranno presto distribuite a contatto con la comunità. Nel caso in cui esse potessero rivelarsi illuminanti, vi invitiamo a contattare il numero 554-02-16…”.
Ruri spense definitivamente il televisore, gettando una parte il telecomando e tornando a passarsi una mano di fronte al volto.
Era colpa sua, lo sapeva. Naomi era morta, ne aveva la certezza. Una persona non spariva in quel modo, dall’oggi al domani: non poteva averne le prove materiali, ma una parte di lei ne era consapevole in modo inesorabile. Naomi era deceduta poco dopo il suo fidanzato, su questo non c’era dubbio. Probabilmente aveva incontrato Kira, e lui aveva trovato il modo di sbarazzarsene, ritenendola in qualche modo pericolosa.
 
The broken clock is a comfort, it helps me sleep tonight
Maybe it can stop tomorrow from stealing all my time
I am here still waiting though I still have my doubts
I am damaged at best, like you've already figured out




*È colpa mia…* continuò a ripetersi *Avrei dovuto accertarmi che fosse tornata a casa, avrei dovuto provare a chiamarla di nuovo…perché l’ho lasciata sola? Come ho potuto…lei non era in grado di farcela da sola, perché non le sono stata vicino? Avrei dovuto aiutarla…avrei dovuto cercare di calmarla, tentare di farle capire che non avrebbe dovuto fare tutto senza l’aiuto di nessuno. Avrei dovuto dirle che non c’era niente di male, nel parlarne…*.

I'm falling apart, I'm barely breathing
With a broken heart that's still beating
In the pain there is healing
In your name I find meaning 
So I'm holdin' on, I'm holdin' on, I'm holdin' on
I'm barely holdin' on to you

 
Come aveva potuto permettere che tutto ciò accadesse? Perché non aveva oltrepassato quell’inesorabile muro di ghiaccio che si era costruita intorno, affinché gli altri non entrassero in contatto con lei? Perché non aveva permesso a se stessa di aiutarla?
*Non…non potevo. Non potevo, ma avrei dovuto…e adesso è troppo tardi. È colpa mia…è tutta colpa mia…*.
Un appiglio. Un semplice appiglio, di questo aveva disperatamente bisogno, qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa che le dicesse che le cose non stavano in quel modo, che aveva fatto tutto il possibile per aiutarla e per far sì che fosse al sicuro…perché si dimostrava così incapace di trovarlo?
Presa dallo sconforto e dalla stanchezza, tornò a sdraiarsi sul letto, le braccia spalancate e gli occhi chiusi ancora avvolta nell’accappatoio; poco prima d’addormentarsi, si rese conto che nuove lacrime stavano prepotentemente uscendo dai suoi occhi…
 
The broken locks were a warning you got inside my head
I tried my best to be guarded, I'm an open book instead
And I still see your reflection inside of my eyes
That are looking for purpose, they're still looking for life

 
Dopo una notte travagliata e non priva d’incubi, Ruri si svegliò la mattina successiva con un nuovo cerchio alla testa; cercando di farsi forza sulle sue gambe, si alzò in piedi e si vestì velocemente, la mente freneticamente occupata a non concentrarsi in alcun modo su Naomi, o, peggio ancora, su Ryuzaki. Sapeva di non potersi permettere niente del genere, sapeva che doveva risparmiare qualsiasi energia per poter proseguire meglio il suo lavoro sul caso, sapeva di non potersi distrarre…sarebbe andata fino in fondo a quella storia, costasse quello che costasse.
Quel pomeriggio, con sua soddisfazione, scoprì di non avere più molto tempo per distrarsi: nel corso dell’ennesimo esame dei documenti dell’FBI a cui Ryuzaki li stava tutti sottoponendo, Watari fece il suo ingresso, annunciando che tutte le telecamere e le microspie erano state correttamente posizionate nelle due abitazioni da sorvegliare.
“Allora, è tutto pronto?” domandò Elle, alzandosi in piedi.
“Sì, tutto sistemato. Ho allestito i dispositivi audio-video necessari per monitorare entrambe le case: come concordato, la dottoressa Dakota, il sovrintendente e Ryuzaki si occuperanno della famiglia Yagami. Matsuda, Aizawa, seguitemi: noi terremo d’occhio i Kitamura, ma lo faremo in un’altra sede”.
“Dove stiamo andando?” domandò Matsuda, alzandosi in piedi insieme al suo collega e accingendosi a seguire l’anziano.
“Alla base operativa da cui conduco i principali interventi relativi alle indagini” spiegò brevemente Watari, per poi introdurre nella stanza un altro televisore e consegnare il telecomando a Elle “Vogliate seguirmi, signori”.
“Mantienimi aggiornato, nel caso in cui ci fossero sviluppi degni di nota” gli disse Elle, senza guardarlo in volto e accingendosi a sedersi su un’altra poltrona, posta molto vicino al nuovo apparecchio che il suo collaboratore gli aveva consegnato.
“Certo. Allora a più tardi” concluse Watari, uscendo e chiudendosi la porta alle spalle.
“A più tardi, Watari” lo salutò Ruri, con un sorriso che il vecchio ricambiò.
“Miss” la salutò con un cenno affettuoso, prima di andarsene definitivamente.
“Vogliamo cominciare?” riprese Elle, senza sollevare ancora lo sguardo “Sedetevi, prego. Sarà un lavoro lungo”.
Ruri e il sovrintendente afferrarono due poltroncine, avvicinandole al detective rispettivamente alla sua sinistra e alla sua destra, per poi passare a osservare a loro volta il monitor, adesso acceso.
Dopo circa mezz’ora d’attesa, quando ormai il sole fu sul punto di tramontare del tutto, i loro occhi constatarono che il giovane Light Yagami era appena rientrato a casa.
Ruri non poté fare a meno di stringere gli occhi, le braccia incrociate e l’attenzione interamente focalizzata sulle immagini.
*E adesso vedremo, Light Yagami…*.
“Sono a casa!” disse il giovane, togliendosi le scarpe ed entrando definitivamente.
“Sembra che suo figlio sia da solo” constatò Ruri, attirando l’attenzione del sovrintendente.
“Ehm, sì…probabilmente, mia moglie e mia figlia sono andate a fare spese” borbottò Yagami, visibilmente a disagio.
“Capisco…” replicò la ragazza, senza distogliere lo sguardo dal televisore.
Pochi istanti dopo, videro Light salire le scale del piano superiore e apprestarsi ad aprire la porta della sua stanza, dopo appena un attimo di esitazione; subito dopo essere entrato, il ragazzo si distese sul letto per qualche istante, infine si diresse verso la sua cabina armadio, ne estrasse una borsa diversa e si apprestò a uscire di nuovo.
Quando fu nuovamente fuori dalla camera, i tre osservatori poterono notare che stava sistemando un frammento di carta fra i cardini della porta e il suo stipite.
“No…non credo ai miei occhi” disse lentamente il sovrintendente, sbigottito “Perché sta facendo una cosa del genere?! Avrà forse qualcosa da nascondere in camera sua…”.
“In fondo, è soltanto un ragazzo” replicò Ryuzaki, guardandolo di sottecchi “Non c’è assolutamente niente di cui stupirsi…anch’io lo facevo senza un motivo preciso”.
Trascorso qualche istante di silenzio, durante il quale poterono constatare che Light era nuovamente uscito di casa, Ryuzaki tornò a parlare.
“Senta, avete mai discusso delle indagini?” domandò a Soichiro.
“Non dire assurdità” ribatté il sovrintendente, rigido “Non ho mai rivelato alcuna informazione riservata…inoltre…ultimamente rincaso di rado, e se lo faccio sono così stanco che vado a dormire…”.
“Certo, capisco…” annuì Elle, tornando a guardare lo schermo.
“Signor Yagami, posso farle alcune domande su suo figlio?” intervenne Ruri, sporgendosi per guardarlo in faccia.
“Certo, Ruri. Chiedi pure quello che vuoi” sospirò l’uomo, scrollando le spalle.
“La sua cartella dice che ha ottenuto il massimo dei voti in ogni corso di studio che abbia frequentato; aggiunge anche che di recente ha vinto tre borse di studio e che ha fatto richiesta da un bel po’ per iscriversi alla facoltà di Criminologia dell’Università di Tokyo. I test d’ammissione si terranno il mese prossimo, giusto?” domandò Ruri, leggendo attentamente i documenti dell’FBI riguardanti Light.
“Sì, esatto” rispose Soichiro, ancora più a disagio.
“E suo figlio si è distinto anche per aver praticato volontariato in numerosi centri sociali, e per aver più volte aiutato la polizia giapponese nel tentativo di risolvere casi impossibili all’apparenza e senza dubbio dal carattere enigmatico?” chiese ancora Ruri, sfogliando il fascicolo fino a soffermarsi di nuovo sulla fotografia di Light.
“Sì…”.
“Beh, è notevole, per un ragazzo così giovane…” constatò Ruri.
“B-Beh…scusatemi se mi permetto, ma consentitemi di dire che siete giovanissimi anche voi” le fece notare Yagami, in difficoltà.
“Noi non abbiamo diciotto anni, sovrintendente. Un dettaglio non irrilevante, se me lo concede” replicò Ruri, con un sorrisetto “Così, suo figlio vorrebbe diventare poliziotto, eh?”.
“Sì…ha sempre voluto…ecco, diciamo ‘seguire le mie orme’” disse l’uomo.
“Lei dev’esserne molto fiero” dichiarò Ruri, senza ancora guardarlo.
“Lo sono” replicò Yagami, quasi sulla difensiva.
“Quindi, possiamo arrivare alla conclusione che Light ha uno spiccato senso della giustizia…è esatto?” domandò improvvisamente Ruri, alzando lo sguardo e prendendo a fissare il sovrintendente dritto in volto.
Quella domanda sembrò mettere in difficoltà Soichiro, che assunse un’espressione interdetta, come indeciso se rispondere o meno.
“Sovrintendente?” insistette Ruri, mentre anche Ryuzaki prendeva a guardarlo in modo penetrante.
“Beh…sì. Immagino di sì” rispose alla fine Soichiro, quasi a malincuore.
“E che ha una grandissima repulsione per il crimine” aggiunse Ruri.
“Come me” precisò subito Soichiro “E come tutti noi, naturalmente”.
“Certo” sorrise Ruri, tentando d’assumere un fare incoraggiante “Le risulta che Light abbia mai avuto…ecco, non so, degli strani atteggiamenti, anche in passato?”.
“Non capisco che cosa tu voglia sostenere…” ammise Yagami.
“Intendo dire, le è mai sembrato che Light si sia mai comportato in modo troppo metodico o qualcosa di simile? In altre parole, definirebbe suo figlio un abitudinario?”.
Yagami rimase ancora spiazzato da una richiesta del genere, le dita delle mani saldamente aggrappate alle sue ginocchia, il volto contratto.
“Io…come ho detto poco fa, negli ultimi tempi…beh, non sono mai a casa, non saprei dirlo…” tentò di dire, a bassa voce.
“Non importa che la sua sia un’osservazione relativa agli ultimi tempi. Andrà benissimo anche se sarà circoscritta a un arco temporale più ampio, glielo assicuro” cercò di tranquillizzarlo Ruri “Si prenda pure tutto il tempo che vuole per pensarci, sta andando bene”.
Dopo un’altra pausa discretamente lunga, Soichiro rialzò gli occhi e annuì lentamente.
“Sì…potrei dire che Light non è…non è sicuramente un ragazzo in grado di cambiare facilmente il suo modo di comportarsi” constatò, rilassando quasi impercettibilmente la presa sulle sue gambe.
“Capisco…quindi, se Light scegliesse un determinato criterio tramite il quale compiere una certa azione, non lo abbandonerebbe facilmente, a meno che questo non andasse contro alcune differenti circostanze che potrebbero essersi andate a creare…dico bene?” aggiunse Ruri, guardandolo di nuovo in modo molto diretto.
“Sì, immagino di sì…”.
“Molto bene. Grazie, sovrintendente. Per il momento, non ho altro da chiederle” concluse Ruri, tornando a fissare lo schermo, le braccia incrociate.
“Ryuzaki, tu non hai niente da dire?” obiettò l’uomo, spostando lo sguardo dall’uno all’altra.
“Credo che Ruri le abbia già fatto tutte le domande necessarie per il momento. Inoltre, da ciò che lei ha risposto è facile dedurre che la personalità di Kira e quella di suo figlio sono piuttosto simili…” disse Elle, l’attenzione ancora concentrata sulle immagini trasmesse dal televisore.
“Ma non starai parlando sul serio?!?” sbottò Yagami, incredulo.
“In effetti, sì” ribadì Ryuzaki.
“Ma sulla base di cosa sei in grado di formulare un’opinione del genere?!” insistette Soichiro, adesso pallido in volto.
“Considerando l’aspetto abitudinario della personalità di suo figlio, e la metodicità con cui Kira ha proseguito con i suoi omicidi fino ad ora, passando dai criminali di maggiore entità a quelli di piccolo calibro, è facile dedurre che Kira sia una persona piuttosto precisa e puntigliosa, persino nel commettere delitti. Questo non costituisce una prova concreta contro suo figlio, sovrintendente, si rilassi” gli fece notare Ryuzaki, passandosi una mano sotto il mento “Stiamo soltanto formulando delle ipotesi”.
Soichiro si sforzò di annuire e tornò a guardare lo schermo, cercando di concentrarsi.
Dal canto proprio, Elle tornò a focalizzare la sua attenzione sulla ragazza, che non tardò a ricambiare il suo sguardo.
“Il profilo psicologico potrebbe combaciare…” gli bisbigliò lei, attenta a non a farsi sentire dal loro collaboratore “Ma le telecamere dovrebbero darci la conferma definitiva…”.
“Non ne sono poi così sicuro” replicò Elle, parlando a sua volta a bassa voce “Se le nostre teorie riguardo a questo specifico sospetto fossero vere, allora è possibile…”.
“Cosa?” domandò Ruri, sorpresa.
“…che stia molto ben attento a non farsi cogliere di sorpresa, in alcun modo. Ho la sensazione che sia un tipo che non abbassa mai la guardia” precisò Elle, le braccia incrociate e le mani poggiate rispettivamente sul ginocchio opposto.
Ruri fece per replicare, ma Elle scosse il capo.
“Aspettiamo” le disse semplicemente.
Ruri tornò a sua volta a guardare lo schermo, la mente invasa da mille pensieri: possibile che quel ragazzo fosse davvero la persona che Penber aveva pedinato, in quel 20 Dicembre? Possibile che tutto fosse riconducibile a lui, in modo così diretto? Il figlio del sovrintendente del Dipartimento di Polizia di Tokyo…in effetti, combaciava perfettamente. Uno spiccato senso della giustizia, un’età riscontrabile nella fascia sospetta, un contatto piuttosto diretto con le forze dell’ordine…un quoziente intellettivo molto al di sopra della media, abitudinario, attento a preservare bene la propria intimità…tutto dipendeva da come si sarebbe comportato nei momenti successivi.
Dopo alcune ore d’attesa, i tre osservatori assistettero al rientro a casa del ragazzo e del resto della famiglia; la signora Yagami e la piccola Sayu si dedicarono ai preparativi per la cena, e sintonizzarono la televisione della sala da pranzo su una soap opera di basso livello, mentre Light si chiuse nella sua stanza, sdraiandosi sul letto e iniziando distrattamente a sfogliare qualche rivista pornografica.
“Ma come, un ragazzo così diligente che compra quelle riviste?!” protestò Soichiro, quasi indignato.
Elle gli lanciò un’occhiata di sbieco, il dito indice intento a tormentargli il labbro inferiore.
“È normale, per un ragazzo della sua età…tuttavia, ho come l’impressione” aggiunse poi, pensieroso “…che sia una messinscena per farci credere che controlla la porta della sua stanza soltanto perché nasconde riviste di quel tipo”.
“Ma…non vorrai forse dire che veramente stai sospettando di mio figlio!!” sbottò Yagami, incredulo.
“Certo che sì…” replicò lentamente Ryuzaki, senza muovere un muscolo “Altrimenti, perché avrei piazzato delle telecamere in casa sua e in quella del vice-direttore?”.
“Signor Yagami, Light non ha mai espresso nessuna opinione, riguardo al caso Kira?” gli domandò a bruciapelo Ruri.
“Beh, come dicevo, non ho mai rivelato nessuna informazione riservata, ma comunque…” iniziò il sovrintendente, cercando di scegliere bene le parole “Sì, direi che mio figlio si è in qualche modo dimostrato interessato. Sicuramente, era preoccupato per la mia incolumità…una volta, l’ho sentito dire che, se Kira mi avesse fatto del male, lo avrebbe spedito sulla forca di persona”.
“Molto premuroso” commentò Ruri, con un sorriso che sembrava più simile a una smorfia “Beh, vediamo se le sue intenzioni sono dotate di qualche fondamento…”.
“Liiiiight!!!” chiamò in quel momento una voce femminile, oltre la porta chiusa “La cena è prontaaaa!!!”.
Seguendo i movimenti dello studente, tutti e tre poterono constatare che si era appena diretto in cucina, per poi sedersi a tavola a mangiare con sua madre; la piccola Sayu, invece, non sembrava affatto intenzionata a staccarsi dal televisore, che stava ancora trasmettendo la fiction scorta in precedenza.
“Quanto sei strafico, Hideki Ryuga!!!!” stava strillando la ragazzina, il volto quasi incollato allo schermo “Magari ce ne fosse anche solo uno così, nella mia classe!!”.
“Sayu…vieni a mangiare” la rimproverò sua madre, esasperata.
“Dopo!!!” la liquidò Sayu, senza darle retta.
Senza alcun preavviso, Elle afferrò il suo cellulare e compose un numero di telefono, per poi avviare la comunicazione, tenendo l’apparecchio a breve distanza dal suo orecchio e mantenendolo sollevato con due dita, come suo solito.
“Aizawa, ascolta” iniziò, spiccio “Anche in casa Kitamura guardano la tv?”.
“Sì” rispose il poliziotto, dall’altro capo “A parte il vice-direttore, adesso sono tutti seduti a tavola. Guardano il canale 4”.
“Passami Watari, per favore” proseguì poi Elle, scambiando un’occhiata d’intesa con Ruri, che annuì.
“Certo” disse Aizawa.
Pochi minuti dopo, Ruri stessa udì distintamente la voce del diretto interessato.
“Ryuzaki”.
“Watari, di’ a tutte le emittenti di mandare in sovrimpressione la notizia”.
“Ricevuto”.
Subito dopo che Elle ebbe riattaccato, sullo schermo del televisore di casa Yagami iniziò a comparire una scritta bianca, riportante un messaggio.
“E questo cos’è?” domandò Sayu, stupita, per poi cominciare a leggere “’Per contrastare Kira, l’Interpol ha deciso d’inviare in Giappone 1500 detective provenienti da tutti i Paesi del G8’…Cosa?! 1500 agenti!! Mamma mia…”.
Seguì un breve silenzio, in cui gli occhi di Ryuzaki e Ruri rimasero letteralmente piantati addosso a Light, che era rimasto compostamente seduto a tavola, senza dare alcun cenno di sorpresa o di minima reazione di fronte a quella notizia.
“Quelli dell’Interpol sono un branco d’idioti” dichiarò infine il ragazzo “Che senso ha fare un annuncio del genere? Se li inviano, dovrebbero farlo in incognito, per lasciarli investigare in tranquillità”.
Ruri tornò a dedicare un’occhiata di sottecchi a Elle, che non si era mosso dalla posizione precedente, gli occhi cerchiati di nero puntati ancora sul giovane Yagami.
“Si è visto che fine hanno fatto gli agenti dell’FBI che indagavano di nascosto” seguitò Light, nel frattempo “Così faranno ripetere la stessa tragedia…e poi, è una notizia talmente esagerata che non può essere vera. Sarà una farsa per mettere Kira alle strette…e se me ne sono accorto io, figurati se non se ne accorge Kira”.
Elle si pronunciò in un sorriso a metà fra il compiaciuto e l’enigmatico, il pollice della mano destra ancora intento a tormentargli il labbro e la mano sinistra poggiata sul braccio opposto.
“È molto sveglio, suo figlio…” commentò poco dopo, ma senza guardare il sovrintendente.
“Ah…sì, immagino di sì…” replicò Soichiro, ancora a disagio.
Dal canto proprio, Ruri sorrise a sua volta, le braccia incrociate e gli occhi quasi ridotti a fessura.
“Molto interessante” disse poco dopo, facendo sì che lo sguardo di entrambi i suoi collaboratori venisse indirizzato verso di lei “Se entrambi foste d’accordo, prima o poi mi piacerebbe scambiare quattro chiacchiere con lui”.
“Vuole interrogarlo personalmente?” saltò su Yagami, molto teso.
“Voglio poter delinearne un profilo psicologico più efficiente di quanto possa fare con i mezzi che attualmente abbiamo a disposizione. Non si tratta di un interrogatorio, sovrintendente” confermò poi, l’espressione pensierosa “Direi piuttosto un colloquio che possa aiutarmi meglio a mettere in luce gli aspetti ancora oscuri del soggetto preso in esame”.
“Lei…lei vuole avere un quadro clinico della sua personalità?” domandò il poliziotto, la voce roca.
“Qualcosa del genere. Ovviamente, considerando che per la pubblica opinione io sono deceduta da un po’, sarà meglio che lui non mi veda in faccia, ma…come dicevo, se ottenessi il vostro parere favorevole al riguardo, sarei dell’idea di procedere in tal senso”.
“Prendendo le dovute precauzioni, immagino che non ci saranno problemi” disse Ryuzaki, la voce atona “Sovrintendente Yagami?”.
“Ah, io…ecco, io…immagino che sia meglio fare come dite” dichiarò Soichiro, a malincuore.
“Molto bene”.
“Io ho finito” disse Light nel frattempo, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la credenza vicina.
“Ma…che fai?!” sbottò sua sorella, ridacchiando “Mangi patatine dopo cena?! Vedrai che fine farà la tua linea invidiabile!!”.
“Studierò fino a tardi, sarà il mio spuntino” affermò il ragazzo, agguantando il pacchetto più grande e la sua tazza di caffè.
Seguendone i movimenti, Ryuzaki, Ruri e Soichiro lo videro dirigersi nuovamente in camera, chiudere a chiave la porta e sedersi alla sua scrivania, cominciando poi a tirare fuori il materiale per studiare.
Dopo pochi istanti, il ragazzo iniziò a scrivere alcune equazioni sulla superficie del suo quaderno, in maniera quasi frenetica, senza più smettere, mentre la sua mano sinistra saettava di quando in quando in direzione della confezione di patatine, aperta a poca distanza da lui.
Con il trascorrere dei minuti, la cosa cominciò a diventare irritante.
“Dopo cena, suo figlio non ha smesso di studiare un secondo, non ha mai acceso né tv né computer” constatò Elle, sporgendosi ancora di più verso il televisore.
“Beh, gli esami d’ammissione all’Università si svolgeranno il prossimo mese, non manca poi molto…” commentò Yagami.
“Light sembra un ragazzo molto a posto, sovrintendente” dichiarò Ruri, attirando l’attenzione del diretto interessato “Ha un’aria molto…ecco, non lo diresti capace nemmeno di dire una bugia a sua madre”.
“Lo abbiamo educato al meglio delle nostre possibilità” precisò Yagami.
“Ne sono sicura” gli sorrise Ruri “Le ha mai fatto domande sull’identità di Elle o comunque ha mai mostrato spirito d’iniziativa riguardo alla soluzione del caso?”.
“Ma insomma, quante volte devo ripetervelo! Non ho mai rivelato simili informazioni riservate a nessuno, tantomeno alla mia famiglia…”.
“Io non le ho chiesto se lei ne ha mai parlato, signor Yagami. Le ho chiesto se suo figlio le ha mai fatto domande al riguardo: è diverso” precisò Ruri, concisamente.
Sospirando, Soichiro si passò una mano di fronte agli occhi.
“Scusami, hai ragione. È solo che questa situazione è difficile…” affermò Soichiro, stringendo forte la presa delle sue mani sulle ginocchia.
“Sì, me ne rendo conto” annuì la ragazza “Mi dispiace dover insistere in questo modo…”.
“Non scusarti, stai solo facendo il tuo lavoro. In ogni caso, no. Light non mi ha mai chiesto niente del genere, ma…è anche vero che, come dicevo poco fa, io non sono mai a casa, ultimamente. Perciò, sarebbe difficile dare una risposta del tutto concreta alla sua domanda”.
“Va bene così, sovrintendente” lo rassicurò Ruri, rendendosi conto del suo sforzo “Sta andando bene, faccia una pausa”.
“Grazie…” mormorò Yagami, alzandosi in piedi e uscendo silenziosamente dalla stanza, diretto in bagno.
Una volta rimasti soli, Ruri colse l’occasione per indirizzare uno sguardo penetrante in direzione del detective, che non aveva cessato per un solo istante di tormentarsi il labbro inferiore e di tenere gli occhi incollati allo schermo.
“Che cosa ne pensi?” sussurrò, attendendo la sua risposta.
Ryuzaki sorrise in maniera quasi impercettibile, e poi si decise infine a guardarla, senza cancellare la piega che le sue labbra avevano appena assunto.
“Penso che Light Yagami sia una persona che non si sarebbe mai cogliere in flagrante” decretò infine.
Ruri annuì silenziosamente, ingoiando alcune pillole.
“Sì, hai ragione…ho dedotto anch’io la stessa cosa. Certo, non poteva sapere delle telecamere, ma…qualcosa mi dice che si tratta di un individuo attento a non commettere il minimo errore, come se fosse consapevole che tutto ciò che fa può avere un peso sulle sue azioni future”.
“Sembra che tu stia già arrivando alla conclusione che lui sia Kira” le fece notare Ryuzaki.
“Beh…” iniziò Ruri, scartando un cioccolatino “C’è sempre…il 5% di possibilità” concluse, rivolgendogli un sorriso complice “È troppo perfetto” continuò poi, di nuovo pensierosa “Lo so, l’ho già detto mille volte, e di certo non costituisce un indizio sostanziale, ma…ma c’è qualcosa che non quadra in questa persona. Voglio dire, hai visto il suo curriculum? Per non parlare del contatto che ha con la polizia…non so come se la stiano cavando Aizawa e Matsuda, ma dubito che troveranno mai un sospetto riconducibile a Kira che possegga tutti i requisiti di cui Light Yagami è fornito. Non si tratta soltanto del suo rapporto di parentela con il sovrintendente…questo tipo nasconde qualcosa. Ne sono più che sicura…”.
“Che cosa ti dice il tuo istinto?” le domandò Ryuzaki, addentando un pezzo di torta.
“Mi dice che faremmo bene a tenerlo d’occhio, e non poco. Il problema è che da queste registrazioni non sta emergendo niente di significativo…abbiamo bisogno di elementi concreti, non possiamo permetterci di perdere tempo” disse Ruri, con un sospiro.
“Non si tratta di perdere tempo, se continuiamo a indagare su una persona di cui non siamo convinti” la contraddisse Ryuzaki, giocherellando con il suo cucchiaino.
“Credevo che fossi un tipo estremamente razionale” obiettò la ragazza, sorpresa.
“Credevo d’averti detto che mi fidavo di te” disse lui inaspettatamente, voltandosi a guardarla e rivolgendole un altro piccolo sorriso complice.
Stupita da quell’affermazione, Ruri cercò di replicare, malgrado la strana sensazione che stava avvertendo di nuovo all’altezza del petto.
“Ehm…ti ringrazio, Ryuzaki, ma forse non dovresti fare così tanto affidamento sulle mie teorie. Sono solo supposizioni…” tentò di dirgli.
“Lo sono anche le mie” replicò il detective, noncurante.
“Sì, ma non è la stessa cosa. Insomma, tu sei Elle…”.
“E tu sei la miglior profiler dell’FBI” replicò lui.
“Non lavoro più per l’FBI, lo sai” affermò Ruri, alzando un sopracciglio.
“Questo significa che non possiedi più le capacità che ti hanno fornito un titolo del genere?” le domandò il ragazzo; lo sguardo che le indirizzò la rese incapace di rispondergli per un paio di secondi.
“Immagino di no…” replicò infine, a disagio.
“Bene, allora proseguiremo nella direzione che suggerivi. D’altro canto, era quello che avevo intenzione di fare anch’io” concluse Elle, poco prima che il sovrintendente rientrasse.
Dopo circa un altro paio d’ore d’osservazione, tutti e tre udirono Watari bussare alla porta e poi entrare discretamente nella stanza.
“Ryuzaki” disse, con voce seria.
“Che cosa c’è, Watari?” replicò il suo pupillo, senza girarsi indietro.
Volgendosi leggermente, Ruri poté notare che il vecchio signore teneva in mano alcuni fogli, da cui stava deducendo alcuni dati.
“Poco fa, sono morte per arresto cardiaco due persone apparse per la prima volta in TV durante i notiziari delle 21.00. Un impiegato di banca sospettato di appropriazione indebita e uno scippatore” annunciò l’uomo.
Udite le sue parole, Soichiro si alzò in piedi, l’espressione concentrata e sbigottita a un tempo.
“È opera di Kira!!” esclamò.
“Sua moglie…” iniziò lentamente Elle, portandolo a voltarsi verso di lui “E sua figlia stavano guardando una fiction, a quell’ora. Una volta terminata, hanno spento la TV e sono andate a dormire, senza più riaccenderla…mentre Light ha studiato ininterrottamente dalle 19.30 fino a ora, alle 23.00”.
Osservandolo con attenzione, Ruri si accorse che l’aria impressa sul suo volto si era fatta molto più cupa.
“Per uccidere, Kira deve conoscere il volto e il nome della vittima” proseguì, inesorabile “Quindi, chiunque non abbia visto quel notiziario non può essere Kira…forse…”.
“Questo vuol dire che la mia famiglia non è più sospettata?!” domandò freneticamente Yagami.
“Beh…” disse gradualmente Ruri.
“Oggi, Kira ha ucciso due persone pochi secondi dopo che i loro volti sono stati diffusi dal notiziario. Oggi, abbiamo piazzato le telecamere in casa Yagami, ma già sembra cadere ogni sospetto…” continuò Elle, quasi sussurrando, il dito indice ancora intento a piegargli il labbro.
“Il punto è” proseguì la ragazza, le braccia ancora incrociate “Che è una situazione molto strana. Proprio oggi, iniziamo le operazioni di sorveglianza, e oggi stesso suo figlio non mostra segno d’essere entrato in contatto con i mezzi d’informazione. Inoltre, questa sera Kira ha mostrato d’essere impaziente di giustiziare immediatamente due criminali a cui, considerando le sue abitudini, non avrebbe mai dato l’assoluta priorità, a meno che…”.
“A meno che?” ripeté Yagami, come desideroso di aggrapparsi a qualcosa.
Ruri sorrise amaramente e tornò a voltarsi verso di lui, alzandosi in piedi.
“A meno che questo non fosse connesso a una ragione ben precisa. Come già abbiamo illustrato, Kira è un abitudinario…e non fa mai niente che non abbia una sua logica, sovrintendente”.
L’uomo abbassò lo sguardo al suolo, le braccia lungo i fianchi e un’aria abbattuta dipinta in volto.
“Siamo al punto di partenza, immagino…”.
“Lo so che è difficile, ma non si lasci scoraggiare. Cerchi di concentrarsi” gli disse Ruri, posandogli una mano sulla spalla “Stiamo soltanto cercando di andare fino in fondo a questa storia”.
“Certo, me ne rendo conto…”.
Pochi istanti dopo, il cellulare di Ruri cominciò a squillare, con sua gran sorpresa: osservando il numero sul display, vide che la chiamata proveniva da Matsuda.
“Che diamine…” mormorò, prima di accettarla “Matsuda, che stai combinando?”.
“Ruri, stai guardando il notiziario delle 23.00?!” le disse il poliziotto: poté notare che la sua voce era molto concitata.
“No, stiamo ancora esaminando le registrazioni di casa Yagami…Matsuda, che diavolo…”.
“Accendete immediatamente il televisore, sul canale 2!!” esclamò il ragazzo, con un tono che non ammetteva repliche.
“Va bene, va bene!” si arrese Ruri, chiudendo la telefonata “Spero che sia importante, dannazione”.
“Che succede?” le domandò Ryuzaki.
“Matsuda dice che dobbiamo guardare il telegiornale delle undici, sta andando in onda in questo momento. Mi chiedo che diavolo potrebbe esserci di così vitale…” disse, afferrando il telecomando e premendo il tasto d’accensione.
Subito dopo averlo fatto, sentì le parole successive gelarlesi in gola: di fronte ai suoi occhi cerulei, era apparsa l’immagine di un uomo ben vestito, elegante, intorno alla quarantina. Stava seduto nella poltrona degli ospiti dello studio televisivo, il completo gessato scuro che risaltava in contrasto con le luci, gli occhi grigi luminosi e i capelli biondo platino fissati da una discreta quantità di gelatina; era la stessa persona apparsa in televisione qualche settimana prima. Era lo stesso uomo capace di provocarle un’ondata di disgusto che nessun altro essere umano le aveva mai fatto avvertire in modo così significativo. Era John Steven Williams, l’ambasciatore della Casa Bianca. Era suo padre.
“Williams?! Ancora?!” sbottò inaspettatamente Yagami, molto contrariato “Ma che cosa ci fa ancora in Giappone?! Credevo che se ne fosse andato da un pezzo”.
“Sembra che le luci della ribalta non lo nauseino mai, sovrintendente” dichiarò Elle, per poi passare a concentrarsi su Ruri.
I suoi occhi azzurri erano fissi sul monitor, e sembravano pericolosamente vitrei: osservandola meglio, Elle si accorse che il suo corpo stava tremando in modo quasi impercettibile, e che le sue membra sembravano essersi improvvisamente ghiacciate.
Facendo bene attenzione che nessuno se ne accorgesse, fece scivolare le sue dita in direzione del polso di lei, stringendolo brevemente: rendendosi conto del contatto, Ruri si voltò verso di lui, come attraversata da una scossa elettrica. I loro occhi s’incontrarono in modo fatale, scambiandosi migliaia di parole senza che nessuno dei due avesse bisogno d’aprire bocca.
Il contatto con le dita di Elle fu per Ruri tanto breve, quanto, al tempo stesso, infinitamente lungo, come se esso si stesse rivelando capace di prolungarsi nel tempo, intenzionato a non esaurirsi mai; e per la prima volta in vita sua, si rese conto che il tocco di un altro essere umano era in grado di allievare il dolore che covava nel profondo, che non l’aveva mai abbandonata per tutta la vita e che mai aveva cessato di distruggere il centro del suo cuore.
Non era un abbraccio, non era una stretta di mano…non era nemmeno un bacio…era semplicemente l’udirlo sfiorare la sua pelle, il sentire il suo profondo sguardo d’ebano incrociarsi con il proprio…il desiderio di avvicinarsi ancora di più.
L’istante successivo, dopo essersi reso conto che il suo tremore stava diminuendo, Ryuzaki interruppe il loro contatto, tornando a concentrarsi sul televisore, mentre lei si sforzava di fare altrettanto.
“Ambasciatore Williams, mi permetta di ribadirle nuovamente, a nome di tutta la redazione, che è un vero piacere riaverla qui con noi, stasera” stava dicendo la sorridente presentatrice del programma.
“Il piacere è tutto mio, signorina” rispose l’uomo, con un sorriso untuoso.
“Bene, riprendiamo da dove eravamo rimasti. Stava dicendo che, secondo la sua opinione, le forze di polizia a livello mondiale dovrebbero fornire il loro appoggio a Kira?”.
“Credo che sia una soluzione inevitabile” dichiarò Williams, annuendo “Voglio dire, guardiamo in faccia la realtà: è passato più di un mese da quando le indagini sono cominciate, questa situazione sta iniziando ad essere assurda. Al momento, nessuno è giunto a un risultato concreto, a cominciare dallo stesso Elle, le cui cosiddette prestazioni costano una quantità di denaro di cui l’Interpol non dispone. Dovremmo seriamente continuare ad attingere alle tasche dei contribuenti e ad aumentare la pressione fiscale per catturare un uomo che non fa altro che giustiziare criminali? Andiamo, è ridicolo…”.
“Lei crede che questi risultati insoddisfacenti siano legati all’incompetenza della polizia giapponese? Crede che, spostando il territorio d’indagine, le cose potrebbero cambiare?”.
“Ritengo semplicemente che sarebbe molto più opportuno dichiarare chiusa questa pagliacciata, e rendere noto che le forze dell’ordine sono pronte a collaborare con Kira. Lui ha i nostri stessi obiettivi: la collaborazione è la soluzione più adeguata”.
“E che dice dei tredici agenti dell’FBI deceduti alla fine di Dicembre? Non pensa che Kira debba pagare, almeno per questi delitti?” insistette la conduttrice.
“Il coinvolgimento dell’FBI in questa faccenda ha rappresentato un errore fin dall’inizio. Il Presidente avrebbe fatto meglio a non accogliere la richiesta di Elle, l’ho detto in più di un’occasione; certo, gli omicidi di quegli agenti danno da pensare, ma stiamo pur sempre parlando di un individuo che dev’essersi sentito minacciato e senza vie d’uscita. Andiamo, lei non ha mai commesso un errore? Sono convinto che potremmo arrivare a un compromesso…” affermò l’ambasciatore, con un sorriso più simile a un ghigno che ad altro.
“E che ci dice del decesso di Misaki Yasuba? Sappiamo che, in passato, ha avuto modo d’entrare in contatto con lei. La sua morte ha causato grande scompiglio nell’opinione pubblica. Ci pensi, ambasciatore, la miglior profiler dell’organizzazione che viene sconfitta e addirittura uccisa in circostanze così misteriose…ha qualche commento al riguardo?”.
Ruri vide i suoi occhi stringersi sottilmente, ma il suo sorriso non si cancellò, così come non svanì la sua espressione spavalda.
“L’agente Yasuba è sempre stata sopravvalutata. Tutti noi potevamo rendercene conto anche senza condurre indagini più approfondite; basti pensare che aveva soltanto ventitré anni. Se sta chiedendo la mia opinione, il fatto che Kira l’abbia uccisa non è poi così anomalo. Per non parlare della sua indole impulsiva…credo che sia sempre stata un po’ troppo sicura di sé”.
“Ritiene che questo possa aver influito sul giudizio che potrebbe aver formulato nei confronti di Elle? Si dice che fosse una delle sostenitrici più fervide riguardo alla collaborazione dell’FBI con lui…”.
“Beh, non conosco i dettagli della faccenda, ma è possibile, sicuramente. Chi ci dice che non fossero addirittura intimi, senza che nessuno lo sapesse…”.
“Che figlio di puttana…” commentò Ruri, a denti stretti.
“Lei sta muovendo accuse piuttosto notevoli, ambasciatore. Non saranno dovute alle indagini che l’agente Yasuba condusse contro di lei, a proposito del caso della ‘WEALTH INTERNATIONAL’?” domandò la giornalista, sbattendo le sue lunghe ciglia.
John scoppiò in una grande risata, quasi simile a un latrato animalesco, per poi ricomporsi subito.
“La prego di non dire assurdità, signorina. Il caso ‘W.I’ si è concluso con la mia assoluzione più totale, e il ricorso in giudizio non è stato accolto; l’agente Yasuba era semplicemente arrivata alla conclusione sbagliata, e questa è l’ennesima prova di ciò che le stavo dicendo poco fa. D’altronde, nei miei confronti sono state formulate numerose accuse decisamente pesanti, ma, come può constatare ad oggi, la giustizia ha sempre fatto il suo corso. Tornando a noi, confermo quello che ho detto poco fa: spero che le forze dell’ordine facciano la scelta giusta e decidano d’allearsi con Kira”.
“Quindi, il fatto che la polizia di Tokyo abbia deciso di fornirle una scorta personale non ha niente a che fare con il sospetto che lei possa essere la prossima vittima del serial killer?”.
“Certo che no. Le ricordo che sono un uomo molto importante, con faccende importanti che ne richiedono la presenza. È perfettamente normale che la pubblica sicurezza si preoccupi di mantenermi incolume”.
“Un’ultima domanda, ambasciatore: qualcuno ha ipotizzato che il processo riguardo alla morte del suo primo figlio, Daniel Williams, verrà riaperto in primavera a causa della comparsa di nuovi elementi consoni all’indagine. Ha qualche dichiarazione da fare, in proposito?”.
Ruri vide il volto di suo padre contrarsi in una smorfia di disappunto, ma l’uomo non perse un colpo, affrettandosi a tornare a sorridere nel consueto modo affettato.
“Tutto ciò che ho da dire lo pronunciai già quasi sette anni fa, signorina. Mio figlio venne ucciso da un colpo di pistola sparato dal mio vicino di casa, Mr Charles McConner. Il motivo della sparatoria fu una lite che li aveva coinvolti qualche giorno prima, ma non ho mai saputo i dettagli”.
“Quindi, le dichiarazioni del procuratore distrettuale di Boston, che sostengono che lei sia il vero responsabile dell’omicidio, non sarebbero…”.
“Non ho altro da aggiungere, signorina” ripeté Williams, alzandosi in piedi e stringendole le mano sbrigativamente “È stato un vero piacere”.
“Oh, certo. Beh, allora offriamo il nostro saluto all’ambasciato-…”.
Ruri spense il televisore con la massima stizza, l’espressione disgustata e il volto pallido.
“John Williams…” commentò nel frattempo Yagami, mentre gli occhi di Ryuzaki non smettevano di concentrarsi su Ruri e sul tremito del suo corpo “Questo è un bel guaio. Un uomo orribile, non trovate? Non avevo la minima idea che la polizia se ne fosse accollata il fardello…dovrei chiamare Kitamura e farmi spiegare la cosa nei minimi dettagli. Dannazione, non può permettersi di mantenermi all’oscuro di una decisione così importante!!”.
Ryuzaki non gli rispose, lo sguardo ancora incatenato alla ragazza: gli occhi di lei non avevano ancora cessato di fissare lo schermo buio.
“Sovrintendente” disse Elle, attirando l’attenzione del suddetto “Per il momento, è meglio fermarsi qui. Ha bisogno di fare una pausa”.
“Cosa? No, non è vero…posso continuare, Ryuzaki, te lo assicuro!” disse veementemente l’uomo.
“Ha bisogno di fare una pausa” ribadì Ryuzaki, con enfasi “Continuerò a esaminare le registrazioni insieme a Ruri. Torni a casa dalla sua famiglia; sembra che ne abbia bisogno”.
Il poliziotto arrestò il suo impeto, per poi annuire gravemente.
“Sì, immagino…sì, hai ragione” disse, iniziando a infilarsi la sua giacca “A che ora, domani?”.
“Venga qui alle 17.00. Fino ad allora, continueremo a monitorare la situazione” replicò Ryuzaki in tono piatto, continuando a osservare Ruri di sottecchi.
“D’accordo. Allora, buonanotte Ryuzaki, Watari”.
“Buonanotte, sovrintendente” lo salutò Watari, con un cenno del capo.
“Buonanotte, Ruri” disse poi Yagami, rivolgendo alla giovane uno sguardo perplesso: lei non si era ancora mossa dalla sua posizione.
“Buonanotte” mormorò lei, prima che Soichiro si voltasse e uscisse definitivamente.
Quando se ne fu andato, Watari fece per muovere qualche passo nella loro direzione, ma Ryuzaki lo bloccò in modo distaccato.
“È tutto, Watari” gli disse, freddo.
L’uomo non accennò a muoversi, gli occhi puntati sulla figura di Ruri.
“Miss…” le si rivolse, con tono gentile.
“Ho detto che è tutto, Watari” ripeté Elle, con una nota decisiva.
Rendendosi conto che le dita del ragazzo erano tornate a sfiorare leggermente il polso di lei, l’inventore chinò brevemente la testa e si affrettò ad uscire, chiudendo la porta con dolcezza.
Non appena furono di nuovo soli, Ryuzaki l’osservò ancora per un po’ di sottecchi, per poi passare a esaminare scrupolosamente le condizioni del suo volto, ancora più pallido del solito.
Si accorse presto che i suoi occhi stavano diventando lucidi, e che il suo corpo non smetteva di tremare; senza nemmeno rendersene conto, il tocco delle sue dita venne sostituito da quello della sua mano, che andò presto a posarsi sul dorso di quella di Ruri, mentre il respiro della ragazza diventava più affannoso.
“Ruri…” mormorò, dopo qualche istante.
“No” lo bloccò subito lei, lo sguardo ancora fisso di fronte a sé.
Elle la guardò con attenzione, avvertendo una stretta forte all’altezza del petto: possibile che stesse provando una sensazione tanto sgradevole di fronte al dolore di un’altra persona?
“Ruri…”.
“Ti prego” lo supplicò lei, la voce roca e gli occhi chiusi “Ti prego…non dire niente”.
“Va bene…” rispose lui, rimanendo in attesa.
Ben presto, vide che dai suoi occhi stavano sgorgando alcune lacrime, implacabili e affilate; dalla sua bocca non uscì il minimo singhiozzo. Era un dolore sordo, appuntito, impossibile da cancellare: e nel suo silenzio, la sua crudeltà era ancora più ingenerosa.
“Vuoi che me ne vada?” le domandò semplicemente.
 
 I'm falling apart, I'm barely breathing
With a broken heart that's still beating
In the pain is the healing
In your name I find meaning
So I'm holdin' on (I'm still holdin'), I'm holdin' on (I'm still holdin'), I'm holdin' on (I'm still holdin')
I'm barely holdin' on to you

 
Dalle sue labbra non venne fuori neanche un suono. Elle percepì la sua rigidità e notò che i suoi occhi non accennavano a riaprirsi; interpretando tutto ciò come una risposta affermativa, fece per scostare la sua mano, quando udì la presa di Ruri farsi salda sulla sua, trattenendolo.
“N-no…” lo implorò lei, ancora con gli occhi chiusi “Non andartene…”.
“Va bene…” ripeté Elle.
“Non…non lasciarmi sola” aggiunse lei poco dopo.
I suoi occhi si erano finalmente aperti, ma non accennavano a staccarsi dal vuoto in cui erano piombati, ancora portatori dei segni delle lacrime.
Senza aspettare altro, Elle passò a ricambiare la sua stretta, unendo definitivamente la sua mano a quella della ragazza.
“Non ti lascio” le disse poi, incrociando le loro dita.
 
I'm falling apart, I'm barely breathing
With a broken heart that's still beating
In the pain is the healing
In your name I find meaning
So I'm holdin' on (I'm still holdin'), I'm holdin' on (I'm still holdin'), I'm holdin' on (I'm still holdin')
I'm barely holdin' on to you

 
Ruri sentì che avrebbe voluto guardarlo, voltarsi, ringraziarlo e tentare di sorridergli, ma il suo corpo non cessò di rimanere bloccato, come incatenato in quella posizione drammatica e apparentemente priva di vie d’uscita.
Senza neppure sapere come, rimase ferma, continuando a fissare un punto imprecisato del muro, le lacrime che, di quando in quando, tornavano a scorrerle lungo le guance, per un tempo che in seguito le parve infinito: l’unica cosa che sentiva di riuscire a fare era continuare a stringere la mano di Ryuzaki, che non accennava a lasciarla.
Solo dopo alcune ore, si scoprì in grado di parlare nuovamente.
“È…” disse lentamente, quasi sussurrando “È mio padre…”.
 
I'm hangin' on another day
Just to see what you will throw my way
And I'm hangin' on to the words you say
You said that I will, will be ok

 
Elle la guardò intensamente, rafforzando la sua stretta e accarezzandole distrattamente il dorso della mano.
“Lo so…” rispose infine, portandola finalmente a voltarsi “Lo so…”.
Ruri sospirò stancamente, ancora lontana dallo staccarsi da lui.
“Non ha senso…” dichiarò infine, debolmente “Tutta questa storia non ha…non ha senso…”.
“Beh, non è un problema. Sono esperto, in materia di cose senza senso” affermò Elle, con un piccolo sorriso.
“Io no” ammise la ragazza, cercando di ricambiare il sorriso “In realtà…non credo d’essere esperta di molte cose”.
I loro occhi si fusero ancora una volta, sfumature plumbee con sfumature cerulee, in una miscela tanto strana quanto complementare.
“Nemmeno io…” dichiarò infine il ragazzo, le dita ancora strette alle sue.
Con la mano libera, Ruri iniziò distrattamente a spostargli un ciuffo di capelli, che non la smetteva di cadergli prepotentemente nei pressi del campo visivo.
“Mi piacciono” disse poi, con espressione assorta “Sono sempre in disordine”.
“Ti piacciono le cose in disordine?” le domandò il ragazzo, sorpreso.
“Mi piaci tu”.
Quella frase, detta a bruciapelo, lo portò a sgranare gli occhi e sbiancare, cosa complessa, considerando il suo colorito naturale.
“Cos’è quella faccia?” replicò Ruri, con un sorriso più rilassato “Ti sembra una cosa così strana?”.
“Beh, in effetti…non ha il minimo senso” constatò Ryuzaki.
“Lo so…” ammise Ruri, abbassando per un istante lo sguardo.
“Ruri…”.
“Io non so neanche il tuo nome” affermò la ragazza, tornando a guardarlo in faccia “Non so neanche il tuo nome, e me ne sto qui a dirti che mi piaci e…e ho bisogno che tu mi stringa la mano. Io non so nemmeno chi sei…Ryuzaki, pensi che stia impazzendo, o qualcosa del genere?”.
Spiazzato da quel discorso, Elle cercò di trovare le parole più adatte per risponderle.
“Se sono rimasto qui, è perché volevo farlo. Immagino che lo volessi anche tu, o non me lo avresti chiesto” rispose alla fine, cauto.
“Sì…immagino di sì…” disse Ruri, tornando a distogliere lo sguardo.
Dal canto proprio, Ryuzaki si sentiva letteralmente impotente: per la prima volta in vita sua, non aveva la minima idea di cosa fare. Probabilmente, andarsene sarebbe stata la soluzione migliore: tutto sarebbe stato più semplice, se fosse semplicemente tornato al suo lavoro e si fosse alzato da quella maledetta sedia, se finalmente avesse capito il motivo per cui, in quelle ore che aveva trascorso lì con lei, aveva rilassato le gambe in posizione ‘normale’ e aveva smesso di sedere accucciato sulla sedia…se solo avesse compreso il motivo per cui, in modo del tutto inedito, il suo cuore avesse cominciato a battere così irrequietamente…
 
The broken lights on the freeway left me here alone
I may have lost my way now, having forgot… my way home

 
“Avevo sei anni” affermò Ruri dopo un lungo silenzio.
Ryuzaki si voltò verso di lei, cercando di concentrarsi su ciò che aveva appena detto e su ciò che probabilmente stava per dire: Ruri aveva di nuovo gli occhi persi nel vuoto, il corpo rilassato sulla sedia, ma la sua mano non cessava ancora di stringere la sua.
“Quando comparvero i primi sintomi ne avevo cinque, in realtà, ma…ecco, ci volle un bel po’. Ci volle un bel po’ per trovare un donatore compatibile, perché…beh, il mio gruppo sanguigno è 0 negativo, e la compatibilità a livello sanguigno non è l’unico requisito da verificare, quando si tratta di dover innestare un organo estraneo in un corpo” proseguì la giovane, con tono piatto.
“Ruri…”.
“Prima dell’operazione…prima che tutto cominciasse…non avevo idea di cosa volesse dire sentirsi sul punto di morire. Non so se hai mai provato una sensazione del genere, è…difficile da descrivere. Ti senti come se fossi sul punto di cadere a terra, o meglio, di precipitare nel vuoto: il problema è che sai che non ti rialzerai mai più. E non sei in grado di renderti conto a pieno se la cosa ti spaventa o no. Non sai dove andrai, non sai chi incontrerai, non sai che cosa dovrai fare…non sai neanche se ti risveglierai mai o no”.
Elle non smise di guardarla intensamente, attento a non perdersi nemmeno una parola, mentre Ruri si pronunciava in un sorriso amaro.
“Ma…quando ero in quel letto d’ospedale, mentre sentivo mia madre piangere e pregare come suo solito…quando mi addormentai sotto l’effetto dell’anestesia…ecco, allora ero davvero convinta che sarei morta. E ti assicuro che, in quel momento…pensai che non ci fosse niente di peggio al mondo”.
Ruri riprese a guardarlo in volto: con suo rammarico, Elle poté constatare che stava piangendo di nuovo.
“In realtà, con il senno di poi…ho scoperto che ci sono cose peggiori. Perciò, possiamo dire…che il nostro serial killer non ha scelto proprio la pena peggiore per questi criminali, giusto?” disse, tentando di ridere, asciugandosi distrattamente una lacrima con la mano libera “Vivere una vita tagliata in due…è cento volte più dura che lasciarsi andare a qualcosa che non si conosce…”.
 
I'm falling apart, I'm barely breathing
With a broken heart that's still beating
In the pain, there is healing
In your name, I find meaning

 
Ryuzaki rimase in silenzio, come desideroso di riflettere sulle sue parole.
“Ho avuto numerose crisi cardiache, nel corso degli anni” seguitò Ruri, con un sospiro “I medici hanno provato diverse cure, senza alcun effetto. Dicono che il mio organismo non si è mai del tutto adeguato al nuovo cuore…come se tentasse regolarmente di rigettarlo. Come se in realtà…io non volessi vivere. È assurdo, no? Certa gente non fa che dire stronzate…” commentò, con un’ulteriore smorfia di disappunto.
“Ruri…”.
“In questo momento, assumo sette diversi tipi di farmaci, nell’arco di una giornata. Sette” ribadì, scuotendo la testa e sorridendo dolorosamente “Come fa una persona a vivere essendo dipendente da sette droghe diverse? A dire il vero, in passato è capitato che arrivassi fino a quindici, perciò non posso lamentarmi più di tanto, ma…”.
Elle la vide volgersi ancora, fissandolo dritto negli occhi.
“Ma non riesco a vivere, in questo modo. Non riesco a…a capire come accettare quello che sono. Ho passato tutta la vita a nascondermi, a vergognarmi di tutto ciò che ero, a cercare di capire perché mio padre mi odiasse così tanto…a cercare di accogliere l’idea che non avevo un cuore che fosse mio. Dicono tutti che dovrei essere grata per quello che ho, ma io…io non ne sono così sicura. Non sono sicura di cosa credere, di che cosa pensare, io non…non so nemmeno chi sono. Mi guardo allo specchio tutti i giorni e io…io non so chi sia questa persona. Non so di chi sia il cuore che ho nel petto, non so a chi o a che cosa dovrei essere grata, non so nemmeno perché non riesca ad andare avanti…è come se avessi…è come se il cuore che mi hanno impiantato in realtà non funzionasse, eppure continuasse a battere. Sono diversa? Sono ingrata? Sono…sono come dovrei essere?”.
Elle non le rispose, aspettando che continuasse, lo sguardo inesorabilmente incatenato al suo.
Ruri sospirò, in modo diverso dal solito, quasi come se avesse intenzione di soffiare via tutta la sua sofferenza semplicemente con quel gesto.
“Sono in grado di sopportare tutto questo…? Serve a qualcosa, voglio dire…se sapessi che serve a qualcosa, forse lo accetterei, ma…possibile che in un dolore del genere possa essere trovata una qualche cura? Possibile che non comprenda l’importanza d’aver avuto una seconda possibilità? È una cosa…non ha senso” disse infine, amaramente “Non ha senso che io l’abbia avuta, e che non ne comprenda il significato. Non ha senso che abbia desiderato di morire ogni giorno, da quando…da quando mi sono risvegliata, dopo l’intervento. Vorrei solo…riuscire a fornire di una logica tutte queste cose, perché, se continuo così…temo che impazzirò, prima della fine. E se perdo la testa, se perdo il controllo…perdo tutto quello che ho”.
 
So I'm holdin' on (I'm still holdin'), I'm holdin' on (I'm still holdin'), I'm holdin' on (I'm still holdin')
I'm barely holdin' on to you
I'm holdin' on (I'm still holdin'), I'm holdin' on (I'm still holdin'), I'm barely holdin' on to you

 
Ruri si fermò di botto, ascoltando il silenzio che la circondava. Ancora non si rendeva bene conto di ciò che aveva detto, eppure lo aveva fatto: aveva parlato per la prima volta del suo cuore, aveva per la prima volta parlato delle sue sensazioni più profonde e intime, di cui nemmeno Robin era a conoscenza…e tutto ciò era avvenuto con una persona di cui non conosceva neanche il nome.
Quando infine lui parlò di nuovo, lo udì pronunciare una sola parola.
“Lawliet”.
Ruri si voltò lentamente verso di lui, l’espressione stranita.
“Che cosa?”.
Il ragazzo le sorrise: in modo estremamente lieve, Ruri lo sentì stringerle ancora di più la mano.
 
In your name, I find meaning…
 
“Il mio vero nome è Elle Lawliet”.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: NOOOOOOO, L’HO GIÀ FINITOOOO!!! Ma che cazzo m’è preso?? Gente, io davvero non mi riconosco più, cioè, ma non è possibile!!!!!!! Victoria non è più lei, dico davvero…my God, that’s unbelievable!!! Ok, ok, adesso ricomponiamoci XDXD Allora?!? Che ne pensate?!? Preciso che l’ho scritto di getto gettissimo, per cui, ancora una volta, non sono molto sicura del risultato…ho accelerato i tempi? Ehm, non lo so, forse un pochino, ma che posso dire…c’est la vie, e mi è venuto proprio spontaneo!!! Poi voglio dire, parliamone, accelerare i tempi…se non gli faccio dare una mossa, qui ci viene la barba a tutte!!!! :DDDDD Bene, che mi dite della canzone? All’inizio pensavo a ‘How to save a life’, però poi mi sono resa conto che ho ascoltato ‘Broken’, dei Lifehouse, per tutto il pezzo, e così…è diventata la canzone del capitolo!!! Se poi contiamo anche gli accenni al cuore spezzato che continua a battere e al profondo significato che si dà al nome durante il capitolo…insomma, fate un po’ voi :DDD In ogni caso, a voi sembra azzeccata? Fatemelo sapere!!! Moooolto bene, ora passiamo ai ringraziamenti!!! Grazie MILLE ad Annabeth_Ravenclaw, a Black_Sky, a Zakurio, a gloomy_soul, a Hilarysan e a Shikacloud per aver recensito il capitolo dieci, grazie di cuore!!! Grazie a tutti coloro che lo hanno sempre fatto e che spero lo faranno ancora, e grazie mille di nuovo a gloomy per aver inserito la storia anche fra le preferite (ora la tua quota d’iscrizione a ‘Sugar and Pain’ è completa, ne sono così orgogliosa :DDDD). Mi raccomando, fatemi sapere la vostra opinione su questo schifo e perdonate le consuete ripetizioni e gli eventuali strafalcioni che mi sono sfuggiti, ho cercato di rileggerlo ma non sono certa d’averlo fatto bene :DDD Detto tutto ciò, prometto di tornare il prima possibile con il dodicesimo capitolo (dove ci saranno grandissimi eventi)!!!! Tantissimi baci dalla vostra Victoria <3 <3 <3 

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Capitolo 12
*** Rain ***


Capitolo 12- Rain
 
Il resto della notte trascorse in modo pacifico e indimenticabile per entrambi; dopo la confessione di Ryuzaki, Ruri scoprì presto d’essere incapace di aggiungere qualunque altra cosa. Si era trattato semplicemente di sette parole: sette semplici, lineari, inequivocabili parole. Non avrebbe mai creduto possibile che una frase, una singola frase all’apparenza così insignificante, potesse assumere un significato di così vitale importanza, per lei. Le aveva detto il suo nome…le aveva detto il suo nome! Il suo vero nome…sapeva che non aveva mentito, sapeva che non poteva trattarsi di una menzogna. Non riusciva bene a rendersi conto del come, ma lo sapeva. Le aveva mostrato il suo volto, e le aveva rivelato la sua reale identità; si trattava di qualcosa che non aveva mai fatto con nessuno…e per venire allo scoperto, aveva scelto proprio lei. Come avrebbe mai dovuto sentirsi, dopo una dimostrazione di fiducia del genere? Cosa avrebbe potuto provare, dopo essersi resa conto d’aver confidato la parte più intima e oscura di se stessa a una persona che conosceva a malapena? Come avrebbe dovuto comportarsi, nel rendersi conto che le parole di Robin non smettevano di volteggiarle nella mente?
*Non posso innamorarmi di un mio collaboratore…* continuò a ripetersi, nelle ore successive, durante le quali Ryuzaki non cessò di rimanere al suo fianco, continuando a stringerle la mano *Non posso essere sua amica, figuriamoci…io non posso. Il caso verrà chiuso, Kira verrà arrestato, e io non lo rivedrò mai più. Non posso innamorarmi di una persona del genere*.
Preda dalla sua stessa stanchezza, infine piombò lentamente in un sonno spossato e vittima di una giornata difficile, il capo leggermente chino su una spalla e il corpo appena rilassato.
Quando si svegliò, poco dopo l’alba, scoprì che il detective non era più accanto a lei, ma che una coperta le era stata posata addosso, e un cuscino le era stato sistemato dietro la schiena.
Gli occhi ancora socchiusi, volse lo sguardo in giro per la stanza, finendo per scorgere la figura di Watari, intento a tagliarle una fetta di torta, a pochi metri di distanza; l’uomo non tardò ad accorgersi d’essere osservato, alzando lo sguardo e rivolgendole un sorriso affettuoso.
“Oh, buongiorno, Miss. Ben svegliata” le si rivolse, avvicinandosi e porgendole una tazza di caffè “Ha dormito bene?”.
“Ho avuto nottate migliori” ammise Ruri, rispondendo in modo stiracchiato al suo sorriso “Lei come sta, Watari?”.
“Oh, io sto bene. Non deve preoccuparsi per me, Miss” la rassicurò Watari, sprimacciando alcuni cuscini nei paraggi.
“Watari…” disse a un tratto lei, con circospezione.
“Sì, Miss?” proseguì Watari, distrattamente.
“Pensa che arriverà mai un giorno in cui mi chiamerà semplicemente per nome?” domandò la ragazza, ridacchiando leggermente.
Watari le sorrise di nuovo e scosse la testa, iniziando a porle di fronte la sua fetta di torta al cioccolato e una ciotolina stracolma di fragole.
“Temo di no, Miss. Deve scusarmi, è più forte di me” constatò, stringendosi nelle spalle.
“Va bene lo stesso” disse Ruri, con fare incoraggiante “Se la fa sentire più a suo agio…”.
“È così, Miss” confermò Watari, annuendo “Posso portarle qualcos’altro? Quest’albergo è famoso per le sue crostate al lampone”.
“No, va bene” disse Ruri, con un altro sorriso “Perché non si siede a mangiare qualcosa con me?”.
“Sul serio, Miss, non è necessario…” cercò di schermirsi l’uomo.
“Dico sul serio, mi farebbe piacere. Non sopporto di fare colazione da sola: forse è per questo che a casa non la faccio mai…” ammise Ruri “La prego, si accomodi e prenda qualcosa”.
“Beh, grazie” le sorrise il vecchio signore, accomodandosi nella poltrona di fronte e versandosi del caffè in una tazza vicina “Lei è molto gentile, Miss”.
Ruri gli sorrise di nuovo e cominciò lentamente a bere, la mente assorta e presa da mille pensieri; alla fine, fu lo stesso Watari a rompere il silenzio, schiarendosi discretamente la voce.
“Va tutto bene, Miss? Avrei preferito accertarmene ieri sera, ma…”.
“Va tutto bene” confermò Ruri, sforzandosi di sorridergli “Avevo solo…ecco, avevo bisogno di una pausa. Tutto qui”.
“Meglio così. Devo confessarle che mi sono preoccupato” affermò l’uomo, servendosi di un pasticcino al miele.
Ruri gli sorrise amabilmente; non era mai stato il tipo a cui le attenzioni piacessero un granché, ma quella specie di nonno era assolutamente amabile.
“Lei è molto premuroso, Watari, ma non ce n’è bisogno, dico sul serio. E poi, adesso sto molto meglio…io e Ryuzaki abbiamo parlato un po’…”.
“Lo so” dichiarò Watari a bruciapelo, lanciandole un’occhiata trasversale dal di sotto degli occhiali “Quando sono rientrato, intorno alle quattro, beh…devo dire che dava tutta l’impressione di non essersi mosso per un solo secondo dalla sua posizione. Credo che lei stesse dormendo in quel momento…mi creda se le dico che erano anni che non lo vedevo rilassare le gambe e cambiare la sua abituale postura. Immagino che lei gli stia facendo un gran bene, Miss…sicuramente, sedersi in quel modo facilita le competenze delle sue qualità intellettive, ma negli ultimi tempi avevo cominciato a preoccuparmi dei danni che avrebbe potuto riportare alla colonna vertebrale. Sì, in effetti credo che lei rappresenti una cura benefica, per quel ragazzo”.
Ruri lo guardò come se fosse appena piovuto dal cielo, le guance nuovamente tinte di un colore indefinibile quanto infuocato.
“Quindi…io per lui rappresenterei un beneficio perché mi sto dimostrando in grado di impedirgli di diventare affetto da scoliosi o qualcosa del genere, in futuro?”.
Watari rise di cuore, scuotendo il capo e cominciando a porre sul piattino della ragazza una discreta dose di bignè al cioccolato; poi, alzò lo sguardo verso di lei e le rivolse l’ennesimo sorriso, affettuoso e carico di qualcosa di molto simile alla gratitudine.
“Miss…Ryuzaki ha trascorso l’intera notte al suo fianco, senza nemmeno considerare la possibilità di lasciarla da sola. E non mi chieda come faccio a sapere una cosa del genere: io conosco quel ragazzo. Ryuzaki ha trascorso ore accanto a lei, senza una ragione apparente, soltanto per stringerle la mano…e lei crede di rappresentare un rimedio perché in grado di curare le sue abitudini riguardo alla posizione da assumere quando si siede? Oh, povero me…” rise ancora, bevendo un altro sorso di caffè “È evidente che ancora non lo conosce troppo bene…”.
Ruri abbassò lo sguardo, incapace di trovare qualcosa di sensato da dire: era vero, non lo conosceva. Probabilmente, non lo conosceva per niente. Ma se tutto ciò che Watari aveva detto riguardo al suo essere disabituato a situazioni del genere era vero…allora poteva semplicemente dire che questo era l’ennesimo aspetto che avevano in comune.
Prima che avesse il tempo d’aggiungere altro, Ruri udì il vecchio tossire disgustato, dopo l’ennesimo sorso di caffè; alzando un sopracciglio, lo vide cercare di riassumere un contegno, l’espressione ancora schifata.
“Mi perdoni” le disse poco dopo Watari, con un sospiro “Credo che non mi ci abituerò mai, fino in fondo…”.
Ruri lo fissò di sottecchi, finendo per assumere un’espressione trionfante.
“Dunque, avevo ragione…” commentò alla fine, accavallando appena le gambe.
“Prego?” chiese educatamente Watari.
“Lei è inglese!” esclamò Ruri, con un sorriso di vittoria “Sapevo d’averci visto giusto!”.
Watari la fissò sbalordito, ma cercò comunque di ricomporsi.
“Mi scusi se sono indiscreto, ma come fa a dirlo, Miss?” le domandò, garbatamente.
“Lei odia il caffè. Tutti gli inglesi odiano il caffè: lo considerano una brodaglia nera vagamente somigliante al petrolio, quando in realtà quasi qualsiasi altro essere umano residente sul pianeta ne è praticamente dipendente. Lei va in giro con un fazzoletto di seta su cui sono ricamate le sue iniziali; indossa una bombetta nera, non esce mai senza l’ombrello, non mi chiama mai ‘Signorina’, e non riesce del tutto ad abituarsi ad avere il posto di guida a sinistra, in macchina”.
Watari alzò un sopracciglio, sorpreso, ma poi decise di stare al gioco, sorridendole con fare incoraggiante.
“Cos’altro?”.
“Beh…indossa un paio d’occhiali la cui marca è prodotta solo nel Regno Unito, ha sempre le scarpe tirate a lucido ed è in assoluto il primo uomo che abbia mai incontrato in grado di capire che cosa fosse un baciamano” proseguì Ruri, ricambiando nuovamente il suo sorriso.
L’anziano rise sommessamente, scuotendo la testa.
“Non le sfugge proprio niente, Miss…” dichiarò alla fine, annuendo.
“Deformazione professionale, mi dispiace” si strinse nelle spalle la ragazza.
“Beh, con un intuito perspicace come il suo, non posso che arrendermi di fronte ad armi superiori alle mie” scherzò Watari, iniziando a sparecchiare “Sì, sono inglese”.
“Londra?” domandò Ruri, seguendolo con lo sguardo.
Io sono di Londra”.
La ragazza si voltò di scatto, udendo la voce di Ryuzaki: il giovane era appena entrato nella stanza, la schiena appoggiata appena alla porta e gli occhi fervidamente puntati su di lei, in apparenza immobili ma pieni di frasi e di pensieri non detti.
“Oh…” commentò lentamente Ruri, sorridendogli leggermente “È una città stupenda…credo che ci andrò, un giorno”.
Cercando di darsi un contegno, Ruri tornò a rivolgersi a Watari, malgrado la sua attenzione non fosse in grado di smetterla di concentrarsi sul detective appena entrato.
“E lei, Watari? Da quale parte dell’Inghilterra proviene?”.
“Sono di Winchester, Miss” rispose l’uomo, con un altro sorriso gentile, ma più sbrigativo dei precedenti. Subito dopo, prese a rivolgersi a Elle, in modo più conciso e formale.
“Quali sono le disposizioni per oggi, Ryuzaki?”.
“Vorrei che tornassi alla base e riprendessi a monitorare la famiglia Kitamura. Io e Ruri continueremo con gli Yagami” rispose sbrigativamente il ragazzo, tornando a sedersi accanto alla giovane “Mantienimi come sempre informato sulle eventuali novità”.
“Certo. Bene, se permettete, è meglio che mi metta subito al lavoro. Miss, è stato un vero piacere fare colazione con lei” disse poi alla moretta, rivolgendole un cenno premuroso del capo.
Ruri ricambiò il suo sorriso, sistemandosi più dritta sulla sedia.
“Grazie, Watari. Lo è stato anche per me”.
Quando il loro collaboratore se ne fu andato, Ryuzaki tornò a rivolgerle uno sguardo attento.
“Ti senti meglio?” le domandò, in modo circospetto e un po’ impacciato.
Ruri annuì, senza cancellare il suo sorriso.
“Mi dispiace…” disse poco dopo, con un sospiro.
“Di cosa?” chiese Elle, un po’ stranito.
“Beh, del mio piagnisteo…non è stato molto opportuno, da parte mia. Scusami, non volevo distrarti dal lavoro…” disse lei, sforzandosi di buttarla sul ridere.
“Non mi hai distratto” disse Ryuzaki, scrollando le spalle “E poi, io non sono il genere di persona in grado di mettersi a fare qualcosa che non desideri fare. Sono fatto così”.
Ruri lo osservò attentamente, stupita da quella affermazione; alla fine, gli sorrise ancora e tornò a sfiorargli il dorso della mano, ridestando la sua attenzione.
“Beh, immagino di doverti delle fragole, per ieri sera” dichiarò, rompendo subito il loro contatto e porgendogli la ciotola che le aveva portato Watari.
Ryuzaki la osservò per un momento, come domandandosi di cosa si trattasse.
“Le ho fatte preparare per te…” obiettò poco dopo, abbassando subito gli occhi.
“Oh…” disse Ruri, piacevolmente sorpresa “Grazie, è stato…beh, è molto carino, Ryuzaki…”.
“Ti piacciono le fragole” ripeté lui, lo sguardo fisso a terra: osservandolo meglio, Ruri si ritrovò a pensare che la sua espressione continuava ad assomigliare sempre di più a quella di un bambino smarrito, un po’ timido e persino goffo.
“Anche a te” gli fece notare Ruri, porgendogliene una “Dai, mangia. Lo so che anche tu le adori…”.
“Grazie…” mormorò lui, addentandola.
Poco prima di ritrarre la mano, Ruri si accorse però che le dita di lui la stavano trattenendo ancora una volta; alzando gli occhi, la ragazza incontrò il suo sguardo, che le apparve triste e determinato al tempo stesso.
“Mi piaci quando dormi…” disse alla fine, con un piccolo sorriso “Sembri…sembri diversa”.
“Ah…” sorrise Ruri “Quindi, da sveglia sono così orribile?”.
“No. Sei solo diversa” affermò il detective, lasciando la sua mano e tornando a indirizzare lo sguardo verso il monitor, che provvide ad accendere subito.
Dopo qualche minuto di silenzio, Ryuzaki passò a spiegarsi meglio.
“Dai l’impressione d’aver trovato una serenità differente”.
Ruri lo guardò, colpita dalle sue parole.
“Beh, credo che tu sia il primo che mi dice una cosa simile…” disse alla fine, incrociando lievemente le braccia “Non penso che siano passate molte notti, fin da quando ero piccola, senza che io avessi incubi…”.
“Ne hai avuti, ieri notte?” le domandò a sorpresa l’investigatore, riprendendo a guardarla dritto negli occhi.
Ruri ricambiò il suo sguardo, indugiando per un momento sulle sfumature delle sue iridi; infine, sorrise ancora una volta e scosse il capo.
“No…” replicò alla fine.
Senza più aggiungere altro, Ryuzaki accese di nuovo lo schermo che trasmetteva le immagini della famiglia Yagami, portando lo sguardo lontano dal suo; Ruri fece altrettanto, tornando a concentrarsi sulla loro indagine, eppure una strana sensazione di calore, avvertita all’altezza del petto, non smise più di accompagnarla per tutta la giornata, impedendole del tutto di smettere di pensare ai momenti in cui le loro mani erano entrate in contatto…
 
Un paio di giorni dopo, le cose non sembravano essere particolarmente variate.
Nella nuova suite d’albergo che erano andati a occupare, Ryuzaki aveva fatto disporre un numero superiore di monitor, in grado di trasmettere in contemporanea la visione di ciò che accadeva in diversi ambienti di casa Yagami, nel tentativo di tenere d’occhio la situazione in modo più completo, ma senza troppi risultati: il giovane Yagami continuava a comportarsi in modo perfettamente normale e apparentemente non sospetto.
Fu proprio a causa di questo che, dopo alcune ore di osservazione, il sovrintendente Yagami sollevò lo sguardo in direzione del detective, l’espressione apprensiva.
“Ryuzaki…” lo chiamò, incerto.
“Sì?” rispose lui, la voce atona come di consueto.
“Le morti per arresto cardiaco dell’altro ieri sono avvenute mentre la mia famiglia non poteva attingere alle informazioni sullo scippatore e l’impiegato di banca…nonostante ciò, sospetti ancora?” domandò, ansioso.
Ryuzaki ingoiò un altro boccone di torta, senza smettere di mordicchiare leggermente le punte della forchetta.
“Beh, in effetti…” replicò lentamente “Per quanto Kira possa decidere l’ora della morte, non può certo far sì che questa avvenga prima di aver ottenuto informazioni sulle sue vittime…”.
Il ragazzo appoggiò la posata sul piattino, lo sguardo riflessivo e ponderante; dal canto proprio, Ruri continuò a sfogliare il fascicolo di Light, come se leggerlo per l’ennesima volta in modo meccanico potesse fornirle qualche informazione che poteva essersi lasciata sfuggire.
“Ma questo…questo non dovrebbe condurti alla conclusione che nessun membro della mia famiglia può essere Kira?” insistette il sovrintendente.
“Il punto è…” cominciò Ruri, facendo sì che l’uomo prendesse a spostare la sua attenzione su di lei “…che non siamo ancora certi del modus operandi del killer, sovrintendente. È vero, a prima impronta si potrebbe dire che nessuna delle persone prive di alcune informazioni base per commettere i delitti potrebbe essere Kira, ma…in realtà, non possiamo esserne del tutto sicuri”.
“Ma…ma che cosa significa?! Credevo che a Kira fossero indispensabili un volto e un nome, per uccidere…” protestò Soichiro, quasi esasperato.
“Infatti, è così” confermò Ryuzaki, senza voltarsi “Ma è meglio non saltare a conclusioni affrettate troppo presto, signor Yagami: aspettiamo ancora. Dopotutto, la sorveglianza è cominciata solo da un paio di giorni…abbia pazienza”.
In quello stesso istante, sul monitor che riprendeva l’ingresso apparve la figura di Light.
“Guardi, suo figlio è tornato a casa” constatò Ryuzaki.
Ruri osservò silenziosamente il ragazzo attraversare il corridoio di disimpegno iniziale e poi dirigersi verso la sua camera da letto, dove si sedette alla scrivania e accese pigramente la televisione; la giovane cominciò lentamente a tormentarsi il labbro, gli occhi azzurri fissi sulla figura del ragazzo.
“È davvero singolare…” se ne uscì poco dopo.
“Cosa?” esclamò il sovrintendente, guardandola preoccupato.
“Suo figlio presenta molti punti in comune con il profilo psicologico di Kira che io e Ryuzaki abbiamo tracciato. È intelligente, sveglio, molto sicuro di sé, ha uno spiccato senso della giustizia, è giovane, è uno studente…direi uno studente modello, o meglio, un cittadino modello. Ha tempo libero, il suo modo d’agire e di pensare è efficace…e nonostante questo, proprio quando decidiamo di sorvegliarlo da vicino, improvvisamente ogni sospetto sembra cadere nel nulla…” disse lentamente Ruri, con il tono di chi stava ponderando attentamente la questione.
Prima di proseguire, la ragazza si volse leggermente verso Soichiro, rivolgendogli un piccolo sorriso.
“Suo figlio è un tipo competitivo, signor Yagami?” gli domandò a bruciapelo, lasciandolo un po’ spiazzato.
“Beh…io credo…insomma, sì, è sempre stato un ragazzo molto in gamba, e…e ha sempre voluto ottenere il meglio, o il primo posto…” rispose poi, a disagio.
“Un ragazzo che non sopporta perdere” citò Ruri, gli occhi assottigliati e l’attenzione di nuovo concentrata sul monitor “Lo immaginavo”.
Soichiro fece per risponderle, ma infine rinunciò, l’espressione vagamente abbattuta, per poi tornare subito al suo lavoro; da parte sua, Ryuzaki non aveva smesso di fissare la ragazza per un solo momento, durante tutto il tempo in cui aveva espresso il suo parere sulla vicenda.
Era sicuro di aver scelto la collaboratrice migliore che avesse mai potuto trovare: intelligente, preparata, attenta ai minimi particolari…allora, perché una parte di sé non smetteva di ripetergli che si stava infilando in qualcosa che non sarebbe stato in grado di controllare?
 
Tre settimane più tardi, intorno alla fine di Gennaio, Elle li convocò tutti quanti per una riunione in cui avrebbe esposto le sue conclusioni riguardo al monitoraggio delle famiglie prese sotto sorveglianza; non appena ciascuno si fu seduto al proprio posto, Ryuzaki cominciò distrattamente a scartare un cioccolatino, mentre gli occhi di tutti si concentravano su di lui, in attesa.
“Io e Ruri abbiamo controllato e ricontrollato i video e i nastri delle registrazioni risalenti a questi ultimi giorni…partirò dalle mie conclusioni”.
Ruri sospirò pesantemente, incrociando le braccia: era l’unica persona della squadra già a conoscenza di ciò che Elle stava per dire, e sapeva che ascoltare nuovamente quella dichiarazione non avrebbe di certo migliorato il suo umore.
“All’interno delle famiglie Kitamura e Yagami…” iniziò il detective, facendo una pausa solo per mangiare l’agognato cioccolatino “…non ci sono indiziati”.
Il sovrintendente si pronunciò in un respiro di sollievo, rilassando finalmente le spalle.
“Rimuoveremo telecamere e microfoni” aggiunse Elle, inespressivo.
“Ed eccoci nuovamente senza uno straccio d’indiziato…” si lamentò Matsuda.
“Non perdiamoci d’animo!” sbottò Soichiro, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso “Ci rimboccheremo le maniche e ricominceremo da capo!”.
“Forse mi sono spiegato male” precisò Ryuzaki, attirando di nuovo la loro attenzione “Ciò che intendevo dire è soltanto che dalle immagini non abbiamo ricavato nulla di sospetto”.
Il sovrintendente gli rivolse un’altra occhiata sbigottita, tornando a impallidire.
Elle si inumidì leggermente l’indice e il medio della mano destra, prima di continuare.
“Se anche Kira fosse in una di quelle abitazioni, stiamo pur certi che non commetterebbe passi falsi, anzi…sta continuando ad uccidere criminali come ha sempre fatto”.
“M-ma…ma non credete che durante i momenti in cui commette quegli omicidi, possa…insomma, dovrà pur mostrare un segno di qualche tipo, o qualcosa di simile!!” esclamò Yagami, voltandosi verso Ruri, come in cerca di sostegno.
“Questo non è scontato, sovrintendente” precisò Ruri, dispiaciuta per lui, malgrado tutto “Se sta chiedendo la mia opinione personale, ero contraria al rimuovere quei dispositivi di sorveglianza dalle rispettive case, ma immagino che Ryuzaki abbia ragione, con un metodo del genere non arriveremo mai a un risultato concreto. In ogni caso, per rispondere alla sua domanda, questo dipende dallo stato in cui attualmente verte la psiche del soggetto preso in esame. Inoltre, una volta che avremo appurato il suo modus operandi, tutto risulterà più chiaro, ma per il momento…temo che non si possa escludere nessuna possibilità. Forse la soluzione migliore sarebbe tentare un avvicinamento…”.
“Un avvicinamento…?” ripeté Aizawa, sorpreso.
“Partiamo dal presupposto che in una di quelle case ci sia Kira” iniziò Ruri, accavallando le gambe e sorseggiando lentamente il suo caffè, imitata da Ryuzaki “Se condividiamo la tesi secondo cui non si sarebbe accorto delle telecamere, allora possiamo giungere alla conclusione che il suo comportamento è da ricondursi a un indole incapace di farsi cogliere in flagrante. Di conseguenza, possiamo dedurre che si tratti di un individuo altamente controllato, attento a non fare il minimo passo falso. Inoltre, il condizionamento psicologico nei suoi confronti non è facilmente attuabile…certo, non con i mezzi che abbiamo utilizzato finora. Ma se invece venisse contattato direttamente, allora è possibile che il suo operato impeccabile cominci a presentare qualche piccola pecca…non dimentichiamo quello che è successo ai miei colleghi dell’FBI. Kira li ha giustiziati senza battere ciglio, infrangendo la sua precedente abitudine relativa all’uccidere soltanto criminali, proprio perché si sentiva minacciato, sotto pressione, oserei dire. Quindi, forse ciò che dobbiamo fare è cercare un approccio più diretto”.
Dopo un lungo silenzio, durante il quale Ryuzaki non si riservò dal lanciare penetranti occhiate d’approvazione al profilo di Ruri, Soichiro riprese di nuovo la parola.
“Dunque…rimani ancora della convinzione che Kira sia uno di loro?” domandò a Elle, mentre il detective sollevava la sua tazza di caffè e cominciava pigramente a girare lo zucchero.
“Diciamo che c’è…” cominciò lentamente, per poi indirizzare al suo interlocutore un’altra occhiata di sottecchi “…il 5% di possibilità”.
Ryuzaki piombò in un altro silenzio teso, mentre gli agenti giapponesi tornavano lentamente al loro lavoro d’analisi della documentazioni, scambiandosi occhiate perplesse; Ruri, invece, rimase al suo fianco, osservandolo silenziosamente e riflettendo a sua volta.
“Hai qualche idea?” gli domandò poco dopo, cercando di analizzare l’espressione comparsa sul suo volto; notò che aveva di nuovo rannicchiato le gambe vicino al petto, sedendosi nella posizione che gli era abitualmente consona.
Ryuzaki posò entrambe le mani sulle ginocchia, lo sguardo fisso sul tavolino; quando alla fine le rispose, la sua voce era poco più che un sussurro.
“I delitti di Kira non sono cessati nemmeno quando sono state installate le telecamere…” iniziò con cautela, quasi parlando più a se stesso che a lei “Non sappiamo che sistema usi per commettere i suoi omicidi, ma anche supponendo che per uccidere gli basti desiderarlo…in effetti, se lui fosse un comune essere umano, in quel momento dovrebbe mostrare una variazione di comportamento o di espressione…perciò, sarebbe logico pensare che Kira non è uno di loro”.
“Beh, come dicevo prima, immagino che questo dipenda dallo stato della sua psiche…” mormorò Ruri, con attenzione.
“Esatto…” ne convenne Ryuzaki “Se invece Kira fosse effettivamente una di queste persone, allora significherebbe che la sua psiche ha raggiunto uno stadio sovraumano”.
Ruri gli regalò un’occhiata penetrante, cercando di comprendere a fondo il significato delle sue parole.
“Stai dicendo che…”.
“Sarebbe una spiegazione plausibile…in effetti, se ciò fosse vero, riuscirebbe davvero a giustiziare i criminali senza battere ciglio. Sono quasi tentato dal pensare che non esista nessun Kira, e che si tratti di un castigo divino…” proseguì Elle, il tono suadente.
“Ma è semplicemente assurdo. Credi che un’ipotesi del genere sia plausibile?” domandò Ruri, inarcando un sopracciglio.
“No” scosse il capo il detective “È insensato che un Dio abbia bisogno di conoscere il volto e il nome delle persone che uccide. No, questo non è il giudizio divino…è soltanto l’opera di un individuo infantile che crede di poter giudicare gli altri come se fosse un Dio…non c’è dubbio…”.
Elle poggiò finalmente la sua tazza di caffè, dove fino ad allora si era specchiato, e riprese a parlare.
“Kira esiste veramente” decretò alla fine “E siccome è un pluriomicida, io lo catturerò”.
“Quindi, sei convinto dall’idea di rimuovere quei microfoni e quelle telecamere?” insistette Ruri, giocherellando a sua volta con il cucchiaino “Potrebbero ancora farci comodo…”.
“Se anche li lasciassimo installati, dubito che si farebbe sorprendere nell’atto di uccidere, o in atteggiamenti sospetti…l’ideale sarebbe indurlo a riconoscere di essere Kira, o a commettere un omicidio davanti ai miei occhi…ma il problema è come riuscirci…”.
Elle alzò gli occhi, fissando il suo sguardo in quelli di Ruri, che lo ricambiarono pienamente, con la massima concentrazione.
“Che cosa devo fare…?” mormorò, di nuovo rivolto più a se stesso che non a lei.
“Beh, potresti prendere in considerazione la mia proposta” disse Ruri, tamburellando con le dita sull’avambraccio sinistro “Forse quello che il nostro uomo si aspetta è una mossa più diretta nei suoi confronti”.
Ryuzaki la osservò con attenzione, sollevando leggermente un sopracciglio.
“Stai dicendo che dovrei uscire allo scoperto…?”.
“Poniamo che Light Yagami e Kira siano la stessa persona. Se tu lo avvicinassi e ti presentassi come Elle, dotandoti di un nome falso con cui ingannare sia lui che le altre persone, lui non potrebbe sfiorarti nemmeno per errore. Se tu dovessi morire dopo averlo incontrato, tutti i sospetti ricadrebbero ulteriormente su di lui, e a quel punto sarebbe difficile provare la sua innocenza. Ad ogni modo, non correresti alcun rischio, perché il nostro bellimbusto sarebbe consapevole di una cosa del genere, e in tal senso non farebbe alcun tentativo. Se invece lui in effetti non fosse Kira, potresti in ogni caso dissipare i tuoi sospetti su di lui, averne un quadro psicologico più efficace e spostare la tua attenzione altrove senza il dubbio d’aver commesso un errore. Naturalmente, perché la cosa funzioni è necessario che lui sia consapevole che tu sei Elle, ma comunque questo non costituirà un problema, finché lui non scopre il tuo vero nome. E per quello che mi risulta, al momento gli unici a possedere quest’informazione siete tu e Watari…”.
“Dimentichi una persona” le fece notare Elle, rivolgendole uno sguardo strano.
Ruri non poté fare a meno di sorridergli e scosse la testa.
“Oh, beh…Yagami è convinto che io sia morta, questo non fa una grande differenza”.
Ryuzaki distolse lo sguardo senza replicare, ma il riferimento a quella particolare confidenza non poté dissuadere Ruri dal fargli una domanda in particolare, che da molti giorni non aveva cessato d’orbitarle nella mente.
“Perché me lo hai detto?” gli chiese, portandolo a guardarla nuovamente “Perché mi hai confidato una cosa del genere?”.
“Perché mi fido di te” le rispose semplicemente il detective, con espressione sbalordita “Pensavo che questo fosse chiaro, Ruri”.
“Sì, ma…ma è una cosa…nessuno ha mai saputo il tuo vero nome, a parte Watari, e…”.
“La cosa ti crea dei problemi?” la interruppe il detective, lanciandole uno sguardo indagatore.
Stupita da quella domanda improvvisa, Ruri ricambiò la sua occhiata con una pungente, per poi sorridergli con tranquillità.
“No. Lo sai che non lo direi mai ad anima viva…”.
“Lo so. Altrimenti, non te ne avrei mai messa a parte; d’altronde, anche tu avevi un motivo per parlarmi del tuo cuore, giusto?”.
Quella constatazione la fece riflettere sul dialogo che avevano avuto diversi giorni prima, conducendola a sospirare e a passarsi una mano nella folta chioma scura.
“Credo di sì…” mormorò infine “Anche se mi piacerebbe molto conoscerlo…”.
Ryuzaki le regalò un ulteriore, intenso contatto visivo, dedicandole infine un altro sorriso enigmatico.
“Posso farti una domanda?” le chiese poco dopo, facendole rialzare gli occhi verso di lui.
“Certo…”.
Il detective allargò leggermente il suo sorriso, piegando appena il suo labbro inferiore per mezzo del dito indice, lo sguardo incollato a quello della ragazza.
“Tu hai un’idea del perché io non riesca a smettere di pensare a te?”.
“Ryuzaki, da’ un’occhiata a questa roba! Sono i documenti dell’agente Dylan Johnson, forse ho trovato qualcosa!!” esclamò Matsuda, precipitandosi verso di loro e piazzando in mano all’investigatore un sostanzioso pacco di fogli.
Prima che Ryuzaki avesse il tempo di liquidarlo, i suoi occhi nero pece si accorsero che la figura di Ruri non era più al suo fianco, e che l’ex agente si era già defilata in direzione del sovrintendente, cominciando ad aiutarlo nel suo lavoro d’indagine; mentre la voce di Matsuda gli giungeva alle orecchie in modo ovattato, continuando a blaterare su ciò che sosteneva inutilmente d’aver scoperto, il suo sguardo triste, ma incredibilmente intenso, non accennò a staccarsi minimamente dalle spalle di Ruri, mentre la sua mente geniale continuava ad arrovellarsi su quella singola domanda, incapace di distoglierne del tutto l’attenzione…
 
Un paio di sere dopo, Ruri uscì silenziosamente dalla sua stanza, diretta verso il piccolo salotto dell’ennesima nuova suite. Per l’ennesima volta, sentiva di non riuscire a prendere sonno, ma per un qualche miracolo sapeva che in quell’occasione gli incubi non c’entravano niente. A dire la verità, era dal giorno in cui Ryuzaki le aveva confidato il suo vero nome che non le era più capitato d’averne. Una cosa piuttosto bizzarra, in effetti. E allora perché quell’insonnia persisteva? Che cos’era che la teneva sveglia nel cuore della notte? Era il troppo lavoro? Lo stress? L’inquietudine per non essere ancora arrivata a una soluzione? O magari dipendeva tutto dalla presenza di un pensiero troppo ingombrante, che non faceva altro che rimbalzarle nella testa, senza mai uscirne? Possibile che la domanda che Elle le aveva fatto un paio di giorni prima l’avesse colpita a tal punto?
*Mio Dio, devo essere impazzita…* continuò a ripetersi, scuotendo il capo *Mi sto facendo condizionare troppo da Robin, è inutile…*.
Eppure, ancora una volta non riusciva a spiegarsi, con l’aiuto di una qualsiasi logica, i motivi che erano stati alla base della confidenza che gli aveva rivolto, qualche settimana prima: non aveva mai parlato in quel modo con nessuno, nemmeno con la sua migliore amica, nemmeno con l’unica persona che le fosse rimasta e per cui fosse ancora in grado di provare del sincero affetto e della fiducia spasmodica…perché lo aveva fatto con uno sconosciuto?
*Uno sconosciuto…? Davvero lo considero così…? Perché, quando mi faccio una domanda riguardo a lui, trovo sempre due risposte, due soluzioni, invece di una sola? È come se avessi dentro due voci in contraddizione l’una con l’altra…come se fossi diventata due persone diverse, in effetti. Ma è semplicemente assurdo…*.
In modo meccanico, entrò nella camera adiacente, facendo per dirigersi verso il suo portatile, quando qualcosa attrasse la sua attenzione: al centro del salotto, in tutta la sua eleganza, troneggiava un bel pianoforte a coda. Non sapeva come avesse fatto a non notarlo prima, considerando la sua imponenza, eppure eccolo lì, muto e silenzioso, l’aria invitante.
Scuotendo il capo, Ruri distolse lo sguardo e si sedette sul divano, domandandosi distrattamente dove fosse finito Ryuzaki e facendo per riprendere a lavorare, ma per quanto ci provasse, la sua attenzione finiva sempre per ricadere sullo strumento, il cui coperchio era ancora chiuso ma dannatamente appetibile.
Senza più pensarci, Ruri si alzò in piedi e si diresse verso di esso, iniziando a sfiorarne la superficie e finendo per aprirlo, carezzando delicatamente i tasti e lasciandosi sfuggire un piccolo suono. Erano più di cinque anni che non aveva occasione di toccare un pianoforte…ma forse, era proprio quello di cui aveva bisogno in un momento del genere.
La ragazza si sedette sullo sgabello, le dita affusolate ancora intente a lambire appena il piano; dopo un silenzio che le parve infinito, durante il quale la sua mente non smise ancora una volta di concentrarsi sul volto di Ryuzaki, Ruri chiuse lentamente gli occhi e cominciò a suonare, aggrappandosi a ogni singola nota che fuoriusciva dallo strumento.
Non aveva idea di come ciò fosse possibile, ma quella melodia le stava dando la forza per alleggerire il fardello che portava sul cuore; si trattava di un pezzo che le aveva insegnato a suonare suo fratello Daniel, molti anni prima. Iniziava in modo molto lento e studiato, come se avesse voluto esprimere il suono di un paio di gocce di pioggia, intente silenziosamente a cadere al suolo in una giornata d’autunno, per poi divenire più intenso e veloce, per quanto rimanesse malinconico. Ben presto, entrambe le sue mani vennero coinvolte nell’esecuzione, aumentando il ritmo e incrociando il loro percorso, volando sulla tastiera in modo leggero e quasi impercettibile; mentre suonava, sulle sue labbra comparse presto un sorriso, sereno come mai lo erano stati quelli degli anni precedenti. Senza nemmeno sapere come, tutti gli avvenimenti verificatisi nel tempo trascorso fino ad allora cominciarono a svanire…le violenze di suo padre, il trapianto di cuore, le grida di sua madre, la morte di Daniel, la morte di Eliza, la sua fuga…il caso Kira, il suo arrivo in Giappone, la sua disputa con Van Hooper, la morte dei suoi colleghi…la scomparsa di Naomi…l’incontro con gli agenti del quartier generale…
Inspiegabilmente, il sorriso sulle sue labbra continuò ad allargarsi, facendo in modo che i suoi occhi, ormai liberati da un peso troppo duro da sopportare, si aprissero leggermente e si socchiudessero in un’espressione serena, raccontata in contemporanea dal movimento fluido che le sue mani non smettevano di eseguire, invadendo l’ambiente di quella melodia dolce e concitata. Solo intorno alla sua fine, essa tornò lenta e più ossequiosa, come una storia che si avviava alla sua conclusione, pronta ad assumere una nota di malinconia più dignitosa e meno lieta…Le dita della ragazza rallentarono fino quasi a fermarsi, arrivando nei pressi dell’ultima nota, per poi arrestarsi del tutto, prolungando così la conclusione di quel tripudio d’emozioni per un lungo istante, conquistando ogni angolo della stanza con la sua intensa mestizia.
“È bellissima”.
Ruri si voltò di scatto, sobbalzando; Ryuzaki era appoggiato allo stipite della porta d’ingresso alla stanza, le mani in tasca e uno strano sorriso dipinto in volto.
Ruri prese un respiro profondo, cercando con decisione di calmare gli improvvisi e irrefrenabili battiti del suo cuore, un braccio appoggiato al pianoforte e un altro intento a sorreggersi al sedile, nel tentativo di non cadere a terra.
“Da quanto tempo sei lì?!” esclamò poco dopo, cercando di riassumere un contegno.
“Da un po’…” ammise il detective, stringendosi nelle spalle “Suoni davvero bene”.
“Oh…grazie” replicò Ruri, passandosi una mano dietro la nuca.
“Hai imparato da molto?” le domandò il ragazzo, come incerto su cosa dire.
“Ah…beh, in realtà sì. Mi ha insegnato mio fratello…ero piccola, ma non ricordo esattamente quando è stato” dichiarò Ruri, in imbarazzo quanto lui.
“L’hai scritta tu?” proseguì Ryuzaki, avanzando di qualche passo nella sua direzione.
“No, no, è…era di Daniel. Di mio fratello” spiegò Ruri, senza guardarlo in volto di nuovo “Lui…ogni tanto componeva qualcosa, e…questo era…era un regalo di compleanno. È stato…” si fermò per un secondo, sorridendo dolorosamente e cercando di riprendere fiato “…è stato l’ultimo compleanno che abbiamo trascorso insieme. È morto tre settimane dopo…”.
Le mani ancora in tasca, Ryuzaki l’osservò di sottecchi, come incerto se parlare fosse o meno la cosa giusta; prima che potesse avere il tempo di pensarci ulteriormente, Ruri riprese a parlare.
“Sai, Daniel…Daniel cercava sempre di giustificarlo. Cercava sempre di trovare una spiegazione per il comportamento di John. Diceva che il suo era un atteggiamento volto a temprarci…diceva che, in ogni caso, nella vita saremmo comunque andati incontro alla violenza, e forse era meglio conoscerla in prima persona attraverso nostro padre. Qualunque cosa succedesse, qualunque cosa lui potesse dire o farci, lui…Daniel aveva sempre il sorriso sulle labbra. Ci difendeva, spesso si metteva in mezzo fra me e quella furia assurda…altre volte, faceva scappare Eliza a nascondersi da qualche parte, e prendeva le botte al posto suo. Diceva di poter sopportare tutto anche per noi…che era suo compito, lui…lui era il maggiore”.
Ruri si asciugò una lacrima solitaria e si pronunciò in un sorriso triste.
“Daniel era…era il padre che non avevamo. Ma questo ruolo…non…non era giusto per lui, capisci quello che intendo? Le cose non dovevano andare in questo modo; era soltanto un ragazzo. Avrebbe dovuto preoccuparsi di prendere bei voti a scuola, di uscire con le ragazze, di prenderci in giro quando ci prendevamo una cotta…non avrebbe dovuto consolarci dopo ore intere passate a piangere, non avrebbe dovuto farci da scudo quando Williams tornava a casa la sera, e aveva bisogno di sfogarsi”.
Mentre parlava, Ryuzaki si sedette accanto a lei sul panchetto del pianoforte, continuando ad ascoltarla.
“Ma nonostante tutto, lui affrontava la cosa senza battere ciglio. È sempre stato dotato di un coraggio che io non ho mai avuto; hai presente quel momento, in una storia, in cui il personaggio principale deve decidere se comportarsi come un eroe, e gettarsi nel pericolo, o comportarsi come un vigliacco, e fuggire via? Beh…per quanto avessi desiderato spesso che optasse per la seconda ipotesi, lui era la persona incapace di fare una scelta diversa dalla prima. E questa è una cosa di cui non mi perdonerò mai”.
Gli occhi scuri del detective non si staccavano per un solo istante dal suo viso, ma il giovane decise di non aprire ancora bocca, desideroso di ascoltarla fino alla fine.
“È cambiato tutto dopo che lo venne a sapere…non so che cosa lo fece scattare. Fu come se, dentro di lui, fosse esploso qualcosa…come se tutto ciò che probabilmente aveva accumulato e messo da parte, nel corso degli anni, fosse diventato incandescente…non lo so. Qualsiasi cosa accadde, so solo che non fu più in grado di trattenersi; quando glielo dissi, se ne andò come una furia e quando tornò…aveva in mano un revolver. Williams era in giardino…gli andò incontro senza nemmeno pensarci…come dimentico di tutto quello che aveva imparato riguardo a lui. Come se si fosse scordato del fatto…che nostro padre non usciva mai di casa, senza un’arma. Il nostro vicino stava rientrando in quel momento…entrò nel nostro cortile e si gettò su me ed Eliza, coprendoci il volto e cercando di impedirci di sentire gli spari”.
Ruri si volse lentamente verso il suo interlocutore; avvertendo un’ulteriore fitta al petto, Ryuzaki si rese conto che il suo volto era segnato da un’altra lacrima, malgrado il suo sorriso non fosse stato cancellato.
“Chiusi gli occhi, pensando di essere morta…in effetti, avrei voluto esserlo. Quello che è successo dopo…beh, i giornali sicuramente hanno già parlato molto più di quanto ormai non possa fare io”.
In quell’istante, gli occhi di Elle si posarono su un punto del suo collo, solitamente nascosto dalla sua consistente massa di capelli, scoperto per un puro caso solo in quel frangente; in quella zona, l’investigatore poté constatare che la pelle candida della ragazza era sfigurata da un grosso ematoma, come successivo a una brutta caduta.
“Che cos’hai qui dietro?” le domandò, sfiorandola leggermente con le sue mani fredde.
Contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, Ruri non si ritrasse indietro, ma si pronunciò bensì in una smorfietta triste, gli occhi abbassati sui tasti del pianoforte.
“Non è il peggiore…” sussurrò.
“Ruri…”.
Con lentezza inesorabile, Ruri cominciò ad arrotolarsi le maniche del maglioncino che aveva indosso, che le coprivano interamente le braccia, senza tralasciare neppure un millimetro: riflettendoci con attenzione, Ryuzaki si rese conto che, fino ad allora, non l’aveva mai sorpresa con gli arti superiori scoperti, in nessuna circostanza.
Lo spettacolo che gli si presentò dinanzi agli occhi fu in grado di inorridirlo e di disgustarlo come niente aveva mai fatto prima: la pelle della ragazza era letteralmente deturpata da un numero infinito di cicatrici e di segni violenti, incisi sulla pelle come una sorta di marchio a fuoco. Alcuni di essi sembravano essere stati praticati perfino tramite qualche sadica incisione o con una forza spropositata; qua e là, spiccava persino la traccia di qualche bruciatura di sigaretta.
“Mio padre…” mormorò Ruri, continuando a sorridere e al contempo a piangere amaramente “Il grande ambasciatore della Casa Bianca…”.
Elle la guardò con intensità, passando a sfiorarle leggermente le cicatrici; possibile che si stesse rivelando in grado di sentire quelle stesse ferite sulla propria pelle?
“Cos’è venuto a sapere Daniel?” le domandò poco dopo, facendola rialzare lo sguardo verso di lui “Che cos’è che lo ha portato a spingersi a tanto?”.
Ruri tornò a coprirsi le braccia, sospirando leggermente.
“Credo che sia stata una cosa quasi del tutto inevitabile. In effetti, avrei dovuto aspettarmelo, in un modo o nell’altro…Williams era fatto così, probabilmente era solo questione di tempo…”.
“Ruri…”.
“È stato quando avevo circa sedici anni” proseguì Ruri, incrociando le braccia al petto, come se avesse avuto freddo “Stava piovendo. Lui rientrò a casa ubriaco fradicio, erano circa le tre. Mia madre lo stava aspettando in piedi…Daniel non c’era, doveva fare un turno di notte. Lui disse che voleva parlare con me, mia madre gli rispose che stavo dormendo. Lui le assestò un colpo in faccia, e la fece piombare a terra. Poi venne nella stanza che condividevo con Eliza…lei si gettò su di lui, cercando di impedirgli di avvicinarsi. Era sempre stata…era come se si sentisse in dovere di difendermi, quando Daniel non era a casa, come…come se fosse stata lei, la maggiore. E in effetti, probabilmente in realtà le cose stavano così…ad ogni modo, lui la scagliò contro la parete. Credo che abbia perso i sensi, in quel momento…non me lo ricordo”.
Ruri appoggiò un gomito sulla superficie del piano, appoggiando la testa contro il palmo della mano corrispondente, gli occhi persi nel vuoto, mentre quelli di Elle non smettevano di concentrarsi sul suo volto.
“Williams venne verso di me…e…mi disse che dovevo fare qualcosa. Qualcosa che mi rendesse degna d’essere sua figlia, considerando che non avevo mai meritato di esserlo. Allora cominciò a strapparmi di dosso i vestiti, e…mi insegnò il modo giusto per essere sua figlia”.
Con uno scatto quasi repentino, le dita di Elle si chiusero intorno alla sua mano sinistra, stringendola forte.
“Credo che me lo abbia insegnato almeno tre volte. O forse quattro, non lo so…non me lo ricordo” ripeté, quasi sussurrando.
“Ruri…”.
“Da quel giorno, non ho più smesso di avere crisi cardiorespiratorie” affermò la ragazza, con un altro sorriso intriso d’amarezza “Lo sai che è per questo che è morta Eliza? Questo è successo sei mesi dopo…mi stava accompagnando in ospedale, quando siamo state travolte da un pirata della strada. Io ero in arresto cardiaco…o almeno, penso…mi hanno riferito tutto in seguito. Immagino che sia successo tutto in un secondo, non saprei dirlo. Lei era lì, e un attimo dopo…non c’era più. È stato più o meno come con Daniel, ma senza tutto quel rumore, suppongo…gli spari sono cento volte più assordanti di qualsiasi altra cosa al mondo. La macchina finì sbalzata fuori dalla strada, e cappottò per un paio di metri…io mi ruppi un braccio…Eliza non se la cavò…”.
Ruri si volse a guardare il detective, che nel frattempo non aveva smesso per un solo secondo di osservare ogni singolo dettaglio del suo viso e della sua espressione.
“Così…te ne sei andata…” mormorò lui poco dopo, stringendole ancora la mano.
“Sì…ho inscenato una specie di suicidio. Ho lasciato un biglietto a mia madre, e…ho dato fuoco a tutta la casa. Letteralmente. Con la benzina. Un po’ folle, vero? Beh…forse era il minimo che potevano aspettarsi…in ogni caso, feci bene attenzione a distruggere qualsiasi immagine o documento che potesse costituire un collegamento con me. Poi mi camuffai alla bell’e meglio e presi un aereo per il Massachusetts. Robin venne con me…avevamo vinto entrambe una borsa di studio per Harvard…dopo la laurea, ci siamo trasferite a Washington. È lì che l’ho rivisto per la prima volta…il resto, lo sai…”.
Ryuzaki restò in silenzio per quelli che parvero secoli, lo sguardo abbassato a terra e la mano ancora stretta a quella di lei; quando infine parlò, la sua voce era ancora più mesta di prima.
“Immagino che dovrei dirti che mi dispiace…ma non credo che sarebbe abbastanza”.
Ruri si asciugò in fretta le lacrime e si lasciò scappare una piccola risata, che lo spinse a voltarsi verso d lei, sorpreso.
“Abbastanza? Hai ascoltato fino in fondo il patetico racconto rivelatore della cosiddetta miglior profiler dell’FBI…ah, dimenticavo, ex profiler. In ogni caso, non eri tenuto a tollerare fino in fondo uno sfogo del genere, ma lo hai fatto comunque…e tu dici di non aver fatto abbastanza? Andiamo, Ryuzaki…non vorrai sentirti responsabile, dico bene?”.
“Vorrei solo che tu potessi stare meglio…” sussurrò il detective, lo sguardo di nuovo a terra.
“Perché?” domandò la ragazza, con tono sorpreso.
Quando lui passò a risponderle, i loro occhi erano di nuovo fusi insieme.
“Perché vederti serena mi fa sentire in pace. Non mi sono mai sentito in pace, in tutta la mia vita. Vorrei solo provare questa sensazione ancora una volta, solo una volta…credo che, se la provassi ancora e mi rendessi conto che è l’ultima occasione che ho…allora, cercherei di imprimermene meglio il ricordo. Non ho mai avuto molti ricordi che mi facesse piacere conservare, ma credo che questo…credo che potrebbe valerne la pena”.
“Valerne la pena? Pensi che io potrei mai valere la pena di qualcosa? Tu non sai niente, Ryuzaki…non sai niente, non conosci niente di quello che vedi” gli disse la ragazza, facendo per sottrarsi, senza successo, alla sua presa “Tu…tu vedi solo l’agente dell’FBI di successo, la profiler di talento che si è guadagnata il titolo di miglior qualificata nella più grande organizzazione federale degli Stati Uniti. Tu non vedi quello che sono davvero. Non c’è niente, in me, che possa infondere serenità a qualcuno…io non ho più…non ho più niente, Ryuzaki. E tu non conosci nulla di ciò che vedi” ripeté infine, rivolgendogli uno sguardo triste.
“Forse conosco quello che sento…” sussurrò il ragazzo, stringendosi nelle spalle in modo impacciato.
Sentirlo parlare così la costrinse a interrompersi di colpo, dedicandogli un altro sguardo intenso e destinato a prolungarsi in eterno.
“Quello che senti…?” replicò lentamente, come indecisa nel tentativo di capire se quelle parole fossero state frutto della sua immaginazione.
“La tua musica” spiegò Ryuzaki, accennando al pianoforte “Ci sono cose che non puoi dire parlando…forse questo è semplicemente un modo per esprimersi senza troppe costrizioni”.
Dopo qualche istante, Ruri annuì, sforzandosi di sorridere.
“Sì, immagino…di sì. Ryuzaki” riprese poi “Non ti ho mai ringraziato per quello che hai fatto per me, qualche settimana fa. Sei stato…beh, grazie. Avevo bisogno di…ecco…”.
“…un amico?” completò Elle, con un altro sorriso strano.
Nell’arco di un paio di secondi, Ruri annuì leggermente, piegando a sua volta le labbra.
“Sì…un amico…”.
“Allora…è questo quello che siamo? Siamo amici…giusto?” le chiese il detective, osservandola di sottecchi.
“Credo di sì…” confermò la ragazza, con un sorriso più energico “Pensi che possa esserci un modo con cui potrei ringraziarti per quello che hai fatto per me?”.
Ryuzaki sembrò pensarci su per qualche istante, poi accennò a qualcosa, di fronte a loro: con suo stupore, Ruri si accorse che sul leggio del piano erano stati posati degli spartiti, che fino ad allora non aveva notato.
“Suoneresti questo pezzo con me? È una composizione a quattro mani…l’ho scritta io”.
“Tu suoni il pianoforte?” domandò Ruri, colpita.
“Sì. Da quando avevo otto anni” rispose semplicemente Elle, lasciandole la mano per la prima volta “Allora, ti andrebbe?”.
Ruri gli rivolse un sorriso più ampio e annuì, facendogli maggiormente posto sul panchetto.
Ben presto, le dita del detective si accostarono alle sue, cominciando lentamente a eseguire il pezzo: con sua meraviglia, si accorse che si trattava di una melodia incredibilmente dolce e delicata, quanto triste e riflessiva. Per alcuni aspetti, l’avrebbe persino definita simile a quella di Daniel, ma questa era intrisa di una malinconia ancora più profonda, recante i segni di una solitudine completa e assoluta. Mentre le sue mani passavano a eseguire un pezzo leggermente più grave e ancora più espressivo, Ruri non poté fare a meno di constatare quanto la sua condizione e quella di Elle fossero al contempo tanto simili quanto differenti. Lei era stata cresciuta in una famiglia abbiente, ma incredibilmente violenta, eppure circondata dalla protezione di suo fratello e di sua sorella, nonché della sua migliore amica…era diventata agente dell’FBI, aveva finto il suicidio e si era calata in una nuova realtà, a contatto con le persone, dimentica della sua esistenza precedente. Lui era rimasto orfano, era stato allevato da Watari, probabilmente in un orfanotrofio o qualcosa del genere…e in modo quasi del tutto inspiegabile, era divenuto il miglior detective al mondo. Ma era solo. Era incredibilmente, totalmente, completamente solo. Non c’era bisogno di parole per esprimere un concetto del genere: quella stessa composizione stava parlando per lui.
Osservandolo leggermente, si rese conto che i suoi occhi non accennavano a spostarsi dal pianoforte e da ogni movimento che era in grado di effettuare sulla sua superficie, senza fermarsi, senza indugiare, semplicemente correndo sulla superficie di quelle note così cariche di un’intensità inesprimibile in altro modo.
Giungendo a un ennesimo accordo carico di intenso turbamento, entrambi rafforzarono l’intensità dell’esecuzione, lasciandosi travolgere dalla musica e immaginando rispettivamente di poter esprimere liberamente tutto ciò che albergava dentro di loro: infine, le loro dita arrivarono a realizzare le note più espressive e delicate, quasi impercettibili, come impercettibili sarebbero stati alcuni solitari fiocchi di neve in una giornata invernale…esse svanirono pochi istanti dopo, mentre il pezzo si avviava verso la sua conclusione, come un romanzo privo di lieto fine avrebbe fatto alla sua ultima pagina.
Sulle ultime note, Ruri smise di suonare, lasciandogli la libertà di concludere; Ryuzaki lo fece con la massima calma, attardandosi appena sull’ultima coppia di suoni, che prolungò per un istante appena, per poi chiudere definitivamente, con un’ulteriore nota cristallina e semplice.
Dopo che il silenzio ebbe invaso la stanza per un paio di minuti, Ruri sospirò con leggerezza, indirizzandogli un altro sorriso.
“Grazie, Ryuzaki…”.
“Elle” la corresse lui a sorpresa, ricambiando appena il suo sorriso “Io sono Elle”.
“Elle” ripeté Ruri, piacevolmente compiaciuta, mentre lui si voltava leggermente verso di lei, la mano intenta a carezzarle i capelli in modo distratto.
Ruri si ritrovò a sorridergli per l’ennesima volta, lasciando che lui continuasse a sfiorarla leggermente, gli occhi concentrati su ogni dettaglio componente il suo volto.
“Smettila…” le sussurrò lui poco dopo, passando a sfiorarle il volto, mentre i loro sguardi non accennavano a staccarsi l’uno dall’altro.
“Di fare cosa?” replicò Ruri, alzando un sopracciglio.
“Di guardarmi in quel modo…” esplicò Elle, con un ulteriore sorriso malinconico.
“Perché?” domandò Ruri, quasi tentata dal pronunciarsi in una piccola risata.
“Perché se continui a farlo, temo che mi innamorerò di te”.
Prima che Ruri potesse replicare qualsiasi cosa, il telefono di Ryuzaki cominciò a squillare vigorosamente; quel rumore lo portò a staccarsi da lei quasi di scatto, alzandosi in piedi e rispondendo come d’abitudine, utilizzando solo due dita e tenendo sollevato il cellulare.
“Pronto?” disse il ragazzo, mentre Ruri si passava una mano di fronte al volto, piuttosto frastornata.
Quando rialzò lo sguardo, vide gli occhi di Ryuzaki puntati addosso a lei, sgranati per lo stupore e subito dopo socchiusi in un’espressione riflessiva e di profondo disappunto.
“Ne sei sicuro?” domandò poco dopo, nel momento in cui Ruri si sollevava a sua volta in piedi, osservandolo perplessa “Sì…sì…d’accordo. Raggiungeteci immediatamente, terremo d’occhio la situazione da qui. Ho l’impressione che ci sia di mezzo il suo zampino”.
Elle chiuse la comunicazione, senza ancora smettere di fissarla dritto in volto.
“Ryuzaki…che cosa succede?” chiese Ruri, attonita.
Elle sospirò pesantemente.
“Abbiamo un problema…” ammise, con una smorfia.
“Che tipo di problema?”.
Il detective restò in silenzio, distogliendo lo sguardo e concentrando la sua attenzione sul pavimento, le mani di nuovo in tasca.
“Ryuzaki…”.
“Ruri” si decise infine il moro, alzando di nuovo gli occhi “Williams è scomparso”.
 
Le ore successive sembrarono interminabili; pochi minuti dopo la loro conversazione, i due vennero raggiunti da Watari e dal resto del gruppo d’indagine, che si unirono a loro nell’incollarsi al televisore al plasma della suite, sintonizzato sul telegiornale speciale che stava andando in onda in diretta nazionale.
Dalle ultime notizie, sembrava che John Williams, dopo essersi diretto a un piccolo bistrò dei quartieri di Shibuja, avesse improvvisamente dichiarato di dover fare una cosa importante, si fosse messo al volante di un’auto della polizia e fosse letteralmente schizzato lontano dagli agenti della sua scorta, che inutilmente avevano tentato d’inseguirlo. Da quel momento, non si era più saputo niente di lui, malgrado le ricerche non fossero cessate nemmeno per un istante.
Intorno alle prime luci dell’alba, lo special non si era ancora interrotto, e non sembrava che ne avesse la minima intenzione; d’altro canto, gli occhi di Ruri non si erano ancora staccati dallo schermo, fin da quando questo era stato acceso. Gli altri membri del quartier generale continuavano a fare avanti e indietro per la stanza, intenti a parlare al cellulare o a controllare i tabulati telefonici di Williams, nel tentativo di risalire a eventuali indizi. Watari continuava e entrare e uscire, portando carrellate di dolci e dolciumi, che Ruri continuò a ignorare, nonostante le proposte gentili dell’anziano signore. L’unica persona alle cui parole sembrava pronta a rispondere era proprio Ryuzaki.
Quando giunsero al pomeriggio, non troppo lontani dal tramonto, Ryuzaki si appollaiò accanto a lei, sul divano, fissandola di sottecchi.
“Dovresti mangiare qualcosa” le fece notare, concentrando la sua attenzione sul suo volto pallido e un po’ emaciato.
Ruri scosse la testa, senza guardarlo, gli occhi incavati come quelli di lui.
“Non ho fame…” sussurrò poco dopo.
“Ruri…”.
“È Kira, non è vero?” gli chiese poco dopo, senza ancora distogliere gli occhi dal monitor.
Elle si prese del tempo per rispondere, come ponderando bene le sue successive parole.
“Non possiamo esserne certi, ma…credo che ci sia almeno l’80% di possibilità”.
Ruri sospirò pesantemente e finì per annuire, stringendo forte la presa delle sue mani sulle ginocchia.
“Questo potrebbe rientrare nella categoria di azioni che Kira è in grado di far eseguire alle sue vittime, prima di ucciderle…” constatò la ragazza, con il tono di chi sta cercando di fare un’analisi professionale “Mi chiedo se ci sia un qualche limite temporale a una manipolazione del genere…fino a quanto tempo precedente l’omicidio è in grado di soggiogare il comportamento delle persone che ammazza? Sai…” concluse, con un sorriso amaro “Più passa il tempo, più mi convinco del fatto che Naomi avesse ragione, riguardo ai mezzi di cui Kira dispone per uccidere…”.
Ryuzaki rimase in silenzio, continuando ad osservarla per qualche secondo, per poi spostare a sua volta lo sguardo sul televisore, tormentandosi il labbro.
Intorno alle 21.00, ancora non c’era alcuna traccia dell’ambasciatore; nel momento in cui l’orologio segnò l’ora in questione, lo special televisivo concesse il collegamento audio-video a una smagliante giornalista bionda, intenta a intervistare un contrariato Kitamura, che non la smetteva di camminare frettolosamente in direzione della questura e del suo ufficio.
“Vice-direttore Kitamura, ha qualche dichiarazione da fare riguardo alla scomparsa di John Williams? Tutti continuano a ripetere ‘No comment’, ‘No comment’, lei ce l’ha, un commento?” gli domandò, mentre una folla di curiosi e di reporter circondava l’uomo, cercando di bloccarlo e di impedirgli di passare.
“Direttore Kitamura, l’incolumità dell’ambasciatore Williams era responsabilità della questura di Tokyo da circa un mese, come può essergli capitato qualcosa?”.
“Dalle ultime voci in circolazione, risulta che Williams si sia allontanato di sua spontanea volontà, seminando letteralmente i poliziotti che componevano la sua scorta!!! Lei crede a una versione del genere?”.
“Il Presidente degli Stati Uniti ha convocato una conferenza stampa per domani mattina!!! Ritiene di dover intervenire in diretta satellitare?!”.
“Questo può avere a che fare con il caso Kira? Non è possibile entrare in contatto con il quartier generale speciale che al momento si sta occupando delle indagini?!”.
“Ritiene plausibile che la furia omicida di Kira si sia scagliata contro un uomo dal profilo pubblico così evidente?!”.
“Teme per la sua stessa incolumità?!”.
“Direttore Kitamura!!!”.
“Direttore Kitamura!!!”.
“Che razza di avvoltoi…” borbottò Aizawa, mentre Kitamura entrava all’interno della questura e chiudeva violentemente la porta dietro di sé “Mi domando come sia possibile fare un lavoro del genere…”.
“Ogni professione ha i suoi svantaggi, Aizawa” disse il sovrintendente, sospirando pesantemente “Diavolo, questa situazione sta prendendo una brutta piega. Se davvero Williams…beh, se davvero gli è successo qualcosa, e Kira dovesse rivelarsi il responsabile…ho paura che la gente smetterebbe con ancora più forza di credere nell’operato della polizia”.
“Beh, però devo dire che, se morisse, non ne sarei poi così dispiaciuto…” ammise Matsuda, grattandosi pigramente la testa “Insomma, ma lo sentite quando parla? È sempre stato uno dei più agguerriti sostenitori di Kira in circolazione…per non parlare di come ha orrendamente insultato Ruri-Ruri…”.
Il suono di qualcosa che sbatteva furiosamente sul tavolo li fece voltare tutti di scatto; Ruri era appena balzata in piedi, battendo con forza la sua tazza di caffè sul tavolo e indirizzando a Matsuda uno sguardo pieno di rabbia, che non lasciava niente all’immaginazione.
“E va bene!!!” sbottò la ragazza, furente “Che fossi un idiota lo avevo capito fin dalla prima volta in cui ti ho visto, ma questo è veramente troppo!!! Pensi davvero che la cosa più importante, in questa stramaledetta storia, siano le basse insinuazioni che quel maiale ha fatto nei miei confronti, oppure il risultato che otterremmo dal suo omicidio nei riguardi della pubblica opinione?!? Se un uomo come Williams è stato veramente ucciso da Kira, allora significa che le persone smetteranno completamente di riporre in noi quel poco di fottuta fiducia che ci hanno concesso finora!!! Ma proprio non riesci a capire?! Se la polizia non è stata nemmeno in grado di proteggere un singolo uomo, come potrebbe schermare la comunità intera? Considerando, inoltre, che si trattava di un sostenitore del killer, si scatenerà il panico!! Nessuno si sentirà più al sicuro, è proprio quello che Kira vuole! Provocare il terrore mediatico, ottenere l’ubbidienza delle persone attraverso uno pseudo approccio psicotico-dittatoriale!!!! È mai possibile che ti si debba spiegare tutto?!?! E tanto per la cronaca, io mi chiamo RURI!! Se ti sento inventare altri nomignoli deficienti nei miei riguardi, ti giuro che non risponderò più delle mie azioni!!!!”.
Ruri si sedette di nuovo, prendendosi la testa fra le mani, i lunghi capelli che le andavano a coprire il volto, mentre nella stanza scivolava un silenzio pesante.
“Scusami, Ruri…” mormorò Matsuda poco dopo, a testa bassa “Mi dispiace molto…hai ragione, sono stato un idiota inopportuno. Scusami…”.
Ruri si concesse qualche altro secondo per respirare profondamente, cercando d’ignorare lo sguardo di Ryuzaki, saldamente piantato sulle sue spalle.
“Tu sei un idiota, io sono una stronza” mormorò infine la ragazza, versandosi un abbondante bicchiere di vodka “Direi che siamo pari…”.
Matsuda fece per aggiungere qualcosa, quando il giornalista presente nello studio televisivo cominciò a strepitare, attirando la loro attenzione.
“Signori, un momento!!! I miei colleghi presenti sul luogo dove Williams attualmente risiede mi dicono che ci sono delle novità…mandiamo il collegamento in diretta all’istante!!”.
Subito dopo, di fronte agli occhi del quartier generale apparve l’immagine confusa e sconnessa della hall di un albergo molto affollato, dove il portiere cercava di tenere a bada la calca di cronisti e di curiosi che si stavano ammassando; prima che l’inviato potesse aprire bocca, un urlo femminile squarciò l’atmosfera, portando tutti a dirigersi verso la sua direzione.
A poca distanza, una donna stava indicando freneticamente il corpo di una persona, appena accasciatosi al suolo; Ruri e Ryuzaki si sporsero meglio verso il televisore, gli occhi incollati alla scena a cui stavano assistendo.
“Un uomo è appena caduto al suolo!! Ci avviciniamo per…” stava dicendo il telecronista “Oh mio Dio!!” riprese poi, con un singulto “I medici dell’ambulanza lo hanno appena voltato!! È Williams, signori!! È John Steven Williams, l’ambasciatore della Casa Bianca!!! Mio Dio, è…è morto!!”.
“Morto?!?!” sbottò Aizawa.
“Non riusciamo ancora a contattare uno dei medici che stanno tentando di rianimarlo…sembra che abbia avuto un arresto cardiaco!!!”.
Il silenzio piombò nuovamente nella suite, mentre i poliziotti si scambiavano occhiate sbigottite fra loro.
“È opera di Kira, su questo non ci sono dubbi…” disse il sovrintendente, in tono grave “Questo ci costerà un sacco di problemi…”.
“Credete che sia meglio parlarne con Kitamura?” domandò Matsuda.
“No, questo lo escludo vivamente” disse Elle, facendo voltare tutti verso di lui “Il caso finirà già sulle prime pagine di tutti i giornali. È meglio che i contatti con il vostro capo riguardo a questa faccenda siano molto limitati…Kira rischia di ottenere ancora più pubblicità di quanta non ne abbia già guadagnata”.
“Sì, forse hai ragione…” disse Ukita, annuendo.
“Tu cosa ne pensi, Ruri?” domandò Matsuda.
Stranamente, il poliziotto non ebbe risposta; fu solo in quell’istante che tutti loro si resero conto che Ruri non era più nella stanza.
“Ruri?” ripeté Matsuda, guardandosi ingenuamente intorno “Ma dove diavolo si è cacciata?”.
Senza battere ciglio, Ryuzaki si alzò in piedi, infilandosi un paio di scarpe da ginnastica malconce e iniziando a superarli tutti; quando passò di fronte a Watari, il ragazzo gli rivolse un breve cenno.
“Tieni d’occhio tutto” gli mormorò, mentre il vecchio piegava il capo in segno d’assenso.
“Signori” aggiunse, andando oltre ognuno di loro e dirigendosi verso la porta della suite “Per il momento, è tutto. Riprenderemo domani mattina” concluse, uscendo e chiudendosi il passaggio alle spalle.
“Ma dove sta andando?” chiese Matsuda, senza ottenere alcuna risposta.
In silenzio, tutti gli agenti, esortati da un cenno gentile ma perentorio da parte di Watari, lasciarono la suite e si affrettarono a uscire dall’albergo.
 
In quel medesimo istante, diversi piani più in alto, Ruri si affacciò al parapetto del tetto dell’hotel, il capo chino in avanti; la pioggia non cessava di scorrerle addosso neanche per un istante, ma non le importava. In effetti, aveva la sensazione che non le importasse più di niente, al mondo. Era sbagliato. Era tutto sbagliato. Sapeva che le cose non sarebbero dovute andare in quel modo, sapeva che quelle circostanze erano errate e assolutamente insensate, sapeva che tutto ciò sarebbe successo, e che non sarebbe stata in grado d’evitarlo…non aveva alcuna responsabilità…e allora perché quel senso di colpa non accennava ad abbandonarla?
Rafforzando la presa sulla balaustra di cemento, Ruri piegò maggiormente la testa, come se questo avesse potuto aiutarla a fermare il flusso di lacrime che non smetteva di uscirle prepotentemente dagli occhi. I battiti del suo cuore non accennavano a fermarsi, come impegnati a combattere una corsa frenetica contro il tempo, accelerando sempre di più il loro ritmo…lo stesso valeva per il suo respiro, irrequieto e incapace di ritrovare la sua serenità.
Come poteva sentirsi in quel modo dopo aver ottenuto qualcosa che aveva desiderato per una vita intera? Come poteva sentirsi andare in pezzi a causa della morte di un uomo che l’aveva condannata a disprezzarsi per sempre? Come poteva ancora avvertire un legame con quella persona? Come poteva continuare a mettere in dubbio se stessa in quel modo?
“Sta piovendo”.
La voce di Ryuzaki la fece voltare di scatto; il ragazzo era di nuovo di fronte a lei, bagnato fradicio al suo pari, intento a fissarla. Non aveva idea di quanto fosse passato dal suo ingresso sul tetto, ma forse non le importava nemmeno.
“Vattene, Ryuzaki” disse la ragazza, tornando a dargli le spalle e stringendo di nuovo forte la presa sul cemento “Non perdere tempo qui”.
“Sta piovendo” ripeté il detective, muovendo un paio di passi in avanti.
“Lo so che sta piovendo, maledizione!! Torna dentro o ti prenderai una polmonite!!” sbottò Ruri, la voce rotta a causa delle lacrime.
“No”.
Quella semplice negazione la spinse a voltarsi e a guardarlo dritto negli occhi, permettendogli così di vedere il suo volto stravolto; dal canto proprio, Ryuzaki si avvicinò ulteriormente, iniziando a scostarle dal viso i capelli fradici, ormai appiccicatisi alla fronte.
Ruri ricambiò il suo sguardo scuro, lasciandosi sfuggire un altro sorriso amaro e un altro paio di lacrime, che il giovane iniziò distrattamente ad asciugarle.
“Io sono…sono una stronza” ribadì alla fine, con una piccola risata.
“Sei soltanto un po’ troppo impulsiva” la corresse Ryuzaki, piegando appena le labbra.
“E sono…Dio, sono un disastro. Sono un autentico casino ambulante, Ryuzaki, e tu…tu sei il migliore al mondo. Io sono…competitiva, aggressiva, completamente fuori di testa…” proseguì, lanciando uno sguardo in direzione dei palazzi vicini, con un altro sorriso intriso d’amarezza “Vengo sui tetti quando piove a dirotto, fumo sigarette di marca scadente…mando al diavolo il mondo intero e allontano drasticamente qualsiasi persona cerchi di avvicinarsi a me. Una bella profiler del cazzo, vero?”.
Elle non le rispose, ma le sue mani non smisero di accarezzarle lentamente i capelli fradici, come in un gesto meccanico.
“Sono…un casino. Un vero casino, e…e pensavo che non sarei mai più potuta peggiorare, e invece…Dio, che testa di cazzo…” finì per ridere, in modo quasi isterico, intriso di dolore e di frustrazione.
“Ruri…”.
“Io sono…sono la cosa peggiore che potesse capitarti fra i piedi!!” esclamò Ruri, iniziando freneticamente a muoversi avanti e indietro di fronte a lui “Sono pazza e…emotivamente instabile, sono…sono la cosa più sbagliata che esista sulla Terra! Io sono un poliziotto! Un brillante agente dell’FBI, con una splendida carriera davanti, e di punto in bianco…toh! Mando al diavolo tutto quanto per un caso d’indagine che si concluderà, e dopo il quale non mi resterà più niente…ho subito un fottuto trapianto di cuore, e ho fatto qualunque cosa, qualunque cosa, nella mia vita, per fare in modo che nessuno lo venisse a sapere, e poi…poi arrivi tu!!!” esclamò, indietreggiando di qualche passo e indicandolo con un ampio gesto delle braccia “Arrivi tu, e io…io non riesco a fare a meno di dirti tutto riguardo a quella fottuta, stramaledetta operazione e riguardo…riguardo a Williams, e a quello che ha fatto a me e ad Eliza, e a Daniel!! Cristo, neanche Robin sa tutta quanta la storia, e tu…io sto impazzendo!!!” dedusse, scoppiando di nuovo a ridere ossessivamente.
“Ruri…”.
“Tu…tu penserai che io sia da ricovero…oh mio Dio!!!” sbottò, sopraffatta da un altro scoppio di risa “Io…io me ne sto qui, vedi? Me ne sto qui a piangere su questo tetto del cazzo, e a domandarmi…perché io mi senta così, dopo la morte dell’uomo che mi ha rovinato la vita. È quello che ho sempre voluto, capisci? È quello che ho sperato si avverasse per una vita intera…una figlia che vuole vedere morto suo padre, ci crederesti…?”.
“Lui ti ha fatto del male…” affermò Ryuzaki, avvicinandosi ulteriormente a lei.
“Sì! È così…e io ho sperato…ho pregato tutti i giorni di non vederlo tornare mai più a casa. Ho pregato tutti i giorni per un miracolo del genere, finché non ho smesso di credere nello stramaledetto Dio in cui tanto confidava mia madre, ma il punto è…che adesso che è morto…io ho solo voglia di piangere. Sono…sono il casino più grande che sia mai esistito”.
Elle fece per replicare, ma Ruri continuò implacabile, gli occhi indirizzati ovunque tranne che verso di lui.
“E la cosa più assurda è che una parte di me si sente in colpa anche soltanto per aver desiderato che un omicidio venisse commesso…cazzo, sono…sono veramente fuori di testa. Adesso me ne sto qui a piangere, e a lanciare bestemmie contro le conseguenze che questo decesso avrà per noi, eppure…credo che una parte di quella che sono sempre stata abbia sempre voluto, fin dall’inizio di questa storia, che Kira lo facesse e basta. Ho bisogno di un alibi?!” proseguì poi, tornando a guardare il detective, che non aveva smesso per un solo secondo di fissare lo sguardo su di lei “Ho bisogno di giustificarmi con…con chi? Riguardo a cosa? Ho bisogno di spiegare a me stessa che non sono responsabile della sua morte, che è stata semplicemente pianificata, programmata e attuata da un folle omicida che consegnerò alla giustizia? È questo che ho bisogno di dire a me stessa? È questo che sento la necessità di dirti adesso?!?”.
Elle la guardò in silenzio, avvicinandolesi ancora di più; prima che Ruri potesse aggiungere una singola parola, le sue mani bianche si spostarono sulle braccia di lei, attirandola ancora più vicino.
Gli occhi azzurrissimi di Ruri si fusero ancora una volta in quelli di Elle, formando una miscela di colori tanto sbagliati quanto complementari fra loro.
Infine, Ruri fu di nuovo la prima a parlare, ora quasi mormorando.
“Io non…”.
“Cosa?” domandò Ryuzaki, iniziando a intensificare il loro contatto, che le braccia di Ruri, fino ad allora inerti, iniziarono a ricambiare.
“Non riesco a smettere di pensare a te…ci ho provato. Ma non ci riesco…è assurdo…”.
“Lo so…” annuì Elle, con un altro sorriso “Non ha senso…”.
“No, non ce l’ha…” convenne Ruri, piegando a sua volta le labbra.
I loro sguardi continuarono a duellare, mentre le loro braccia, in modo quasi impercettibile, finivano per incrociarsi in maniera ancora più completa, finché i loro profili non furono molto vicini l’uno all’altro.
“Hai un buon odore. Sai di fragole…” le sussurrò lui poco dopo, scostandole la pioggia e le lacrime dal volto.
Ruri sorrise per l’ennesima volta, carezzandolo a sua volta.
“E tu sei…sei la cosa più complicata e incredibile con cui abbia mai avuto a che fare…” replicò, tornando distrattamente a sfiorargli la chioma “Ti ho già detto che mi piacciono i tuoi capelli?”.
“Ti ho già detto che sto seriamente rischiando d’innamorarmi di te?”.
Sentirlo ripetere ancora quelle parole la portò a sorridere ancora, come se Elle stesse semplicemente scherzando.
“Dici un sacco di cose senza senso…lo hai ammesso anche tu, non ti ricordi?”.
“Mi piacciono le cose senza senso…mi permettono di smettere di pensare per qualche secondo. Non ne avevo mai trovata una che mi concedesse un’opportunità simile così a lungo…”.
Ruri alzò gli occhi, beandosi della sua vista e perdendosi ancora nelle cromature di quegli splendidi pozzi neri, di cui era certa non sarebbe mai riuscita a scorgere la fine.
“Se mi innamorassi di te anch’io…?” sussurrò leggermente lei, le labbra ancora più vicine alle sue.
“Allora saremmo privi di senso insieme…”.
E finalmente, senza attendere ulteriormente, le loro bocche cominciarono del tutto a incontrarsi, unendosi in un contatto delicato ed estremamente intenso al tempo stesso.
Ruri incrociò dolcemente le braccia intorno al suo collo, permettendo che Ryuzaki la stringesse contro il suo petto, aderendo contro i suoi vestiti bagnati e la sua pelle fradicia; senza più alcuna nozione del tempo o concezione della realtà che la circondava, Ruri continuò a baciarlo, accentuando sempre più l’impeto di quel sentimento, connesso a un desiderio lancinante e al reciproco bisogno che entrambi avvertivano nei confronti dell’altro.
Non seppe mai per quanto tempo rimasero in piedi su quel terrazzo, stringendosi ed evitando di concedere qualunque conclusione a quel bacio che tanto avevano agognato, ma il suo cuore, così provato e stanco, non dimenticò mai l’emozione indescrivibile che Elle fu in grado di donarle…e dopo tanto aver lottato, si rassegnò al comprendere che, infine, si era innamorata di lui.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: ECCOLOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!! NOOOOO, NON È POSSIBILE, CE L’HO FATTAAAAAAAA!!! Ahahaha, sono un drago, non c’è che dire!!!! :DDDD Volevo troppo finirlo e postarlo per il giorno di San Valentino, non potete capire quanto sono contenta!!! Ah, a proposito…ma tantissimi auguri a tuttiiiiii :DDDD Un bacione a fidanzati e single, a prescindere!!! :DDD Ehehehe, il capitolo con il bacio per San Valentino, ecco il mio regalo per voi!! Che ne pensate?? Un po’ un regalo di merda, vero? XDXD In effetti, lo so che non è un granché, ma ve lo giuro, mi sono dannata l’anima sul dialogo della scena del bacio, non mi piaceva mai…come si fa a trovare le giuste parole in un momento del genere?! *___* Aaaah, beata Ruri :DDD Erhm, erhm, contegno, Vic, contegno U.U Molto bene, passando al resto: per il pezzo che Ruri suona da sola al pianoforte ho pensato a ‘River flows in you’ di Yiruma…purtroppo, è un bellissimo pezzo al piano ma senza testo, per cui niente song, in questa puntata :((( Ho cercato di descrivere al meglio il brano con le parole, ma non credo che mi sia venuta un granché…spero che, ascoltandolo, possiate seguire meglio i passaggi che ho cercato di mettere in evidenza :D Il pezzo suonato a quattro mani con Elle è ‘Kiss the rain’…intendiamoli pure come se fossero i temi rispettivamente dell’uno e dell’altra :D Ero molto indecisa su quale dei due assegnare a chi, rispettivamente, ma alla fine ho optato per questa decisione a causa di ciò che i pezzi esprimono in sé: preferisco ‘Kiss the rain’, in realtà, e quindi pensavo di affibbiarla a Ruri, ma è un pezzo decisamente ancora più triste, e mi è sembrato più adatto a Elle, proprio perché esprime meglio un senso di solitudine che Ruri non ha provato completamente…non per niente, il titolo del capitolo è da ricollegarsi alla scena finale così come ai titoli di questi due brani, perciò consiglio assolutamente l’ascolto durante la lettura!!! :DDD Io mi sono ascoltata ‘Kiss the rain’ a ripetizione anche durante la scena del bacio, eheheheh :D A proposito di quella, devo confessare che all’inizio non la concepivo così, ma è venuta un po’ da sé…un vero e proprio rimando all’episodio 25, non c’è che dire :D MA CHE CAZZO RIDI, VICTORIA?!? È L’EPISODIO DELLA MORTE DI ELLE!!! VERGOGNATI!!!! Oddio, scusate, la schizofrenia…ehm, ricomponiamoci!!! XDXD Bene, passiamo ai ringraziamenti: grazie infinite ad Annabeth_Ravenclaw, a Pinkamena Diane Pie, a gloomy_soul e a Shikacloud per aver recensito lo scorso capitolo, grazie a tutti coloro che lo hanno sempre fatto, grazie di nuovo a Pinkie per aver recensito anche il decimo, e grazie a Lawliet_D per aver inserito la storia fra le seguite, spero che commenterai anche tu questo schifo, ci terrei molto a conoscere la tua opinione!! :D Bene, credo che sia tutto, ora ho finito di rompere e me ne vado!! Ancora grazie a tutti e buon San Valentino di nuovo!! Prometto di tornare prestissimo con il tredicesimo capitolo!!! A prestissimo, Victoria  

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Capitolo 13
*** Just a small crime ***


Capitolo 13- Just a small crime
 
Quando finalmente riuscì a rialzare gli occhi, dividendo controvoglia le sue labbra da quelle di Ryuzaki, il suo sguardo tornò a incrociarsi con quello di lui, perdendosi ancora una volta in quelle sfumature così intense e così particolari.
Per la prima volta in vita sua, si rese conto che non aveva parole. Come poteva trovare il modo per esprimere quello che provava? Come avrebbe mai potuto confrontarsi del tutto con ciò che sentiva nel suo intimo, e infine mettere a parte della cosa la persona che le stava di fronte? Quella persona…
*Me ne sono innamorata davvero…?*.
Come poteva, quella situazione così anomala, possedere una logica di qualunque genere? Non sapeva quasi nulla di lui, eppure…eppure se ne fidava, eppure lo stimava, eppure lo voleva…eppure lo amava. Era così semplice, talmente semplice da spaventarla. Era questo, dunque, che intendevano con ‘senza alcun preavviso’? Di una sola cosa era sicura, non era più avvezza ad avere a che fare con questioni inaspettate, da molto tempo…
Con sua sorpresa, si rese conto che la cosa che più le faceva battere il cuore, in quell’istante, era l’attesa precedente le successive parole di Elle. Poteva davvero essere così importante, il sentirlo pronunciare determinate cose rispetto ad altre? Avrebbe davvero fatto la differenza?
“Elle…” riuscì a dirgli infine, quasi sussurrando “Ascolta, io…”.
“Torniamo dentro” la frenò lui, con un tono a metà fra il dolce e il distaccato.
Mentre parlava, Ruri lo percepì allontanarsi dalla sua presa, in maniera delicata ma rigida.
“Siamo bagnati fradici…” aggiunse, a mo’ di spiegazione.
Ruri cercò di incrociare il suo sguardo, che Elle stava badando bene a tenere lontano da lei il più possibile, gli occhi di nuovo saldamente puntati sul cemento sotto i loro piedi; la ragazza piegò leggermente il capo, facendo per mettergli una mano sulla spalla, ma lui si scansò subito, come attraversato da una piccola scossa elettrica.
“Elle…”.
“Ryuzaki. Per favore, chiamami Ryuzaki. Te l’ho già detto…per precauzione” ribadì il detective, iniziando ad allontanarsi di qualche passo “Dammi retta, Ruri, torna dentro: rischi di prenderti una polmonite”.
Ruri lo raggiunse nuovamente e gli si pose di fronte, stringendo lievemente le dita intorno al suo braccio; ancora una volta, il giovane se ne scostò, stavolta rivolgendole un’occhiata d’avvertimento.
“Elle…scusami, Ryuzaki, cosa…”.
“Devi rientrare” ribadì ulteriormente l’investigatore, con una nota fredda nel tono “Adesso. Non vorrai trascorrere i prossimi giorni a letto con la febbre, dico bene? Pensavo che la tua priorità fosse dedicarti al caso Kira…”.
Ruri abbandonò le braccia lungo i fianchi, incredula, e dovette trattenersi dallo spalancare la bocca per lo stupore e per la frustrazione.
“Questo è tutto ciò che hai da dirmi, adesso?!” esclamò, la voce delusa e leggermente irritata.
“Che cosa pensi che debba dirti?” replicò Elle, stavolta fissandola dritto negli occhi, le mani in tasca.
Ruri ricambiò il suo sguardo, nuovamente incredula e completamente spossata dal suo atteggiamento: perché quella freddezza improvvisa e ingiustificata? Non aveva ragione d’esistere…
“Ryuzaki…” riuscì a dirgli infine, dopo un lungo silenzio, spezzato solo dal rumore della pioggia che cadeva.
“Torna dentro” le disse per l’ennesima volta, superandola definitivamente e rientrando nell’edificio, per poi chiudersi subito alle spalle la porta che conduceva sul tetto.
Invece di seguire le sue indicazioni, dopo essere rimasta immobile per un tempo che le parve infinito, Ruri si diresse verso il cornicione del palazzo, il movimento simile a quello di un automa, si sedette sul suo bordo e lasciò che la sua testa le cadesse fra le mani, i lunghi capelli scuri intenti a nasconderle il viso, rigato da un misto d’acqua dolce e salata.
 
In quello stesso momento, Ryuzaki iniziò a scendere le scale che lo avrebbero riportato alla sua suite, con una frenesia e una fretta che non gli erano mai state proprie.
Che diamine era successo? Possibile che i precedenti minuti gli fossero scorsi addosso in quel modo assurdo e privo di logica? Possibile che si fosse a malapena reso conto di quello che gli stava accadendo? Possibile che avesse perso il controllo così, senza alcuna percezione di tutto ciò che stava avvertendo? Perché si era comportato in quel modo? Perché aveva sentito così forte l’impulso di seguirla, non appena si era reso conto della sua assenza? Perché non era semplicemente rimasto al suo posto, proseguendo con il lavoro come avrebbe fatto in qualsiasi altro momento? Com’era giunto a quel risultato? Come poteva avvertire una sensazione simile all’altezza del petto, soltanto nel rendersi conto che lei non c’era, o che non stava bene?
Analizzando la cosa come osservatore esterno, in altre circostanze l’avrebbe definita una dipendenza da qualche sostanza allucinogena, da qualche strana droga pesante…ma era plausibile considerare l’idea che si potesse diventare dipendenti da una persona? Da una ragazza…?
*Non posso…non è possibile. Non posso…non mi sono innamorato di lei. Non posso esserlo…non posso averlo fatto. Me ne sarei accorto, è completamente…com’è possibile che una cosa del genere accada senza che possa aver fatto nulla per rendermene conto? Non può cominciare e basta, non può importarmi in questo modo. Non riesco a pensare, maledizione, non è…non è successo e basta. Come cavolo mi è venuto in mente di baciarla, ma dove avevo la testa?! Sto impazzendo, ecco che cosa. Probabilmente sto impazzendo. Forse…forse è solo la stanchezza, forse è solo che non sono abituato a passare così tanto tempo a contatto con una persona che non sia Watari…ma io non sono…io non la amo. Ne sono sicuro. Forse…probabilmente. Credo*.
Quella faccenda gli avrebbe fatto esplodere il cervello, ne era sicuro. D’altronde, quella sensazione di pace che provava al suo fianco…ma come poteva tutto ciò essere giusto, se lo metteva in una posizione del genere?
*No, non è giusto. È sbagliato. È la cosa più sbagliata che abbia mai fatto in vita mia. E la giustizia non fa cose che non rispondano a un giusto criterio di equità…non posso farmi coinvolgere in questo modo. Non posso risolvere questo caso, se…se perdo la testa. Non posso distrarmi, non posso permetterle di…questo ci metterebbe in pericolo entrambi. Ci metterebbe in pericolo e basta. E non ho il diritto di fare una cosa del genere, soprattutto non nei suoi confronti. Mi ha dato la sua fiducia, non la tradirò in questo modo. Non è di questo che ha bisogno. Non posso essere ciò di cui ha bisogno…io non…non posso*.
Continuando a ripetersi nella mente quelle parole, come se fossero state una sorta di mantra, e cercando con tutte le sue forze d’ignorare il peso del macigno che avvertiva sul petto, Elle si diresse nuovamente alla sua camera, sforzandosi di cancellare l’immagine di Ruri dalla mente.
 
Qualche ora dopo, immediatamente pochi istanti successivi il suo rientro nella propria stanza da letto, Ruri si chiuse la porta dell’ambiente alle spalle, accasciandosi contro di essa e permettendo al suo corpo di scivolare a terra, il volto di nuovo fra le sue mani.
Se lo era inventato? Era stato un sogno? Un sogno bizzarro, incredibile, intenso, persino incredibilmente bello, ma pur sempre un sogno? Com’era possibile?
L’aveva baciata…l’aveva baciata, dannazione! O forse non era stato lui, forse era semplicemente successo e basta…aveva importanza?
*Certo che ne ha! Ne ha eccome…come accidenti faccio a non ricordamelo? È successo prima o dopo che mi rendessi ridicola, dicendogli che mi stavo innamorando di lui anch’io? È successo prima che lui…che si rimangiasse tutto? Dio, ma di che sto parlando…questa persona non è…non è paragonabile a nessuna che io abbia mai conosciuto. Cazzo, sono…sono il primo essere umano con cui ha un contatto diverso da quello che potrebbe mai aver avuto con Watari. Parliamoci chiaro, sono la prima donna che abbia mai sfiorato…come posso aspettarmi che abbia un comportamento normale? Non posso pretendere niente del genere…forse l’unica da cui devo prendere qualcosa è l’idiota che adesso se ne sta sul pavimento a domandarsi dove ha sbagliato. Accidenti, credo d’aver appena vinto il premio come peggior deficiente del secolo…mi sono…mi sono innamorata di Ryuzaki*.
Alzandosi in piedi, fissò per un istante la parete di fronte a lei, per poi scagliarvi contro uno dei pesanti fascicoli sul caso Kira; i fogli che erano contenuti al suo interno ne uscirono quasi del tutto, sparpagliandosi a terra in un caos indefinito…osservandoli per un momento, Ruri non poté fare a meno di constatare che quel casino era qualcosa di molto simile al modo in cui lei stessa si sentiva, in quell’istante, dentro di sé.
*Non posso!!* cominciò freneticamente a ripetersi, andando avanti e indietro per la stanza e accendendosi una sigaretta dopo l’altra *Non posso innamorarmi di un mio collaboratore, io non posso farlo! È solo…è solo che è un casino, ecco tutto. Sono solo completamente disorientata da tutto quello che è successo a Williams, e da questo stramaledetto caso che non riesco a risolvere…Naomi è scomparsa, e nemmeno il suo cadavere è saltato fuori, ho dato le dimissioni, sono…CAZZO, perché gli ho detto tutte quelle cose su Daniel ed Eliza?! Perché gli ho detto del trapianto? Perché ho parlato di Williams? Perché gli ho raccontato tutto quello che non ho mai detto a nessuno? Nemmeno Robin…nemmeno a lei ho mai dato davvero l’opportunità di capire come mi sentissi realmente. Non l’ho mai lasciata entrare del tutto, pur sapendo che potevo fidarmi di lei…e ho permesso una cosa del genere a un semisconosciuto? Ok, sono pazza. Forse sono pazza, forse…forse dovrei prendermi una pausa…ma come posso prendermi una pausa, quando praticamente convivo con lui?! Cavolo, se solo potessi riavvolgere il tempo, se solo potessi mandare indietro quel dannato orologio…come cazzo mi è venuto in mente di baciarlo?! Come ho fatto a dirgli quelle cose?! Ma che mi è preso?! È una cosa…MERDA, NON HA IL MINIMO SENSO!!!!*.
Senza nemmeno sapere perché, gettò un’occhiata al suo orologio da polso, scostandosi i capelli ancora fradici dal campo visivo: era circa mezzanotte. Probabilmente, in quell’istante lui era ancora impegnato a lavorare, e lo avrebbe trovato nella stanza accanto, appollaiato su quella dannata sedia, secondo la sua stramaledetta abitudine…
*Forse dovrei…dovrei semplicemente parlargli. Non può cavarsela in questo modo, quantomeno mi deve una spiegazione. Non può semplicemente svignarsela e basta. Io avrò fatto la stupida, ma lui ha la sua parte di responsabilità, in questa storia. Non sono cose che si fanno da soli, senza contare quello che mi ha detto ieri sera…e quello che mi ha detto poco fa. Accidenti, sto farneticando…insomma, ci sto pensando davvero? Sto davvero pensando a lui in questo modo? Potrei davvero…posso essermi innamorata di lui?*.
Riflettendoci ancora per qualche istante, la schiena di nuovo appoggiata contro la porta, non riuscì ulteriormente a mentire a se stessa, gli occhi chiusi come in segno di rassegnazione: non poteva trattarsi di stanchezza o di frustrazione, non poteva essere stato un caso. Non poteva trattarsi di una bugia. Si era innamorata di Elle.
Di fronte alla sua mente provata e abbagliata, comparve inesorabile la sua figura, per l’ennesima volta, intenta a sorriderle nella consueta maniera enigmatica, gli occhi scuri animati da una luce assunta soltanto in sua presenza.
Sapeva di non poter aver parlato a sproposito, senza una ragione precisa. Si era confidata con lui perché l’aveva avvertita come l’unica cosa giusta da fare, perché, in quel medesimo istante, aveva compreso che era la persona che attendeva per parlarne…la stessa persona che aveva atteso per una vita intera, senza nemmeno saperlo.
Come poteva essere successo tutto in quel modo? Come poteva davvero ammettere, accettare di amarlo, di essersi ritrovata in quella situazione senza nemmeno rendersene conto? Come aveva potuto permettere che accadesse? E come aveva potuto lasciarlo andare via in quel modo, senza che si prendesse la sua fetta di responsabilità per ciò che stava accadendo, senza che la guardasse negli occhi e avesse il coraggio d’ammettere d’essersi pentito di tutto quanto?
Non era da lei, lo sapeva…ma forse, niente di tutto ciò che stava accadendo poteva davvero definirsi conforme a ciò che era sempre stata e a ciò che si era abituata a conoscere.
*Io non faccio queste cose. Non commetto errori del genere. È…è tutto sbagliato. Come posso pensare a innamorarmi in un momento simile? Non è né il posto, né il tempo adatto…come può una persona che non conoscevo nemmeno, fino a poco fa, entrare nella mia vita e basta, senza che abbia il diritto di controllare minimamente la questione? Non posso perdere il controllo…non posso…non posso smettere di pensare. Ma non ci riesco, maledizione, non ci riesco! Non riesco a riflettere…Dio, non riesco neanche a respirare…*.
Doveva calmarsi, lo sapeva. Se avesse continuato in quel modo, avrebbe finito per procurarsi un’altra crisi respiratoria, o, peggio ancora, persino cardiaca.
*Io lo amo…Dio, è una cosa così piccola, così apparentemente stupida, infantile, insignificante…come se avessi commesso un furto, o avessi fatto lo sgambetto a me stessa. Una cosa infantile, un crimine banale…diamine, un crimine? È questo quello che penso? Sì…è come se avessi commesso un crimine contro me stessa, in effetti. Non potevo fare una scelta più masochista di questa. Per non parlare di come potrebbe star vivendo lui stesso tutto questo…*.
Improvvisamente, si diede della stupida; certo non poteva dire di averlo obbligato a fare qualcosa, in fin dei conti. Anzi, a dire il vero, in quegli istanti infinitamente lunghi e incredibilmente intensi in cui si era beata del contatto con le sue braccia, aveva avuto la netta sensazione che fosse esattamente quello che voleva anche lui…
*Ma io? Posso dire di volere una cosa del genere? Posso dire di volere questa persona, o è davvero un crimine di cui devo soltanto dimenticarmi? Se fosse così, non avrei scuse per giustificarmi, nemmeno di fronte a me stessa…ma se così non fosse…mio Dio, perché sento già la sua mancanza?*.
 
R: Leave me out with the waste
This is not what I do
It’s a wrong kind of place to be thinking of you
It’s a wrong time for somebody new…
It’s a small crime…and I’ve got no excuse…
 
Senza attendere ulteriormente, Ruri si volse, prendendo un respiro profondo, e uscì definitivamente dalla stanza, diretta a passo spedito verso il salotto dove sapeva che, con tutte le probabilità, avrebbe trovato Ryuzaki.
Quando giunse di fronte ad esso, cercò ulteriormente di tranquillizzarsi ed entrò con la massima disinvoltura, tentando di calmare i frenetici battiti del suo cuore.
Scoprì ben presto che le sue aspettative non erano state deluse: i suoi occhi azzurrissimi corsero subito in direzione della poltroncina di Ryuzaki, dove il detective era seduto di consueto, intento a picchiettare con ritmo monotono sulla tastiera del suo portatile.
All’ingresso della giovane, udendo la porta che si apriva e si chiudeva delicatamente, il ragazzo si voltò appena, rivolgendole uno sguardo indagatore, leggermente perplesso: subito dopo, tornò a rivolgere la sua attenzione al monitor, per niente scosso da ciò che era appena successo.
Decisa a non demordere, Ruri incrociò le braccia e gli piantò gli occhi sulla schiena, in attesa che lui parlasse; avvertendo lo sguardo di lei intento a perforarlo da parte a parte, Ryuzaki finì per sospirare, bevendo un lungo sorso di caffè prima di cominciare finalmente a parlare.
“Sei venuta a pretendere le mie scuse?” le domandò alla fine, senza ancora voltarsi di nuovo.
“Sono venuta a chiederti spiegazioni” ribatté Ruri, gelida.
Finalmente, Elle si voltò nuovamente, alzandosi in piedi, le mani ancora una volta saldamente ancorate dentro le tasche, lo sguardo di ghiaccio.
“Spiegazioni riguardo a ciò che ti ho detto?”.
“Non prendermi in giro, Ryuzaki”.
“Perché sei venuta qui, Ruri?”.
“Perché volevo parlare del bacio!” esclamò Ruri, con più enfasi di quanto non avrebbe voluto.
Elle abbassò gli occhi al suolo, tentando malamente di nascondere il proprio disagio; non avrebbe mai creduto che, un giorno, si sarebbe ritrovato a dover affrontare una situazione del genere.
“Non capisco di cosa tu voglia parlare esattamente…” mormorò infine, dopo un lungo silenzio “Sarebbe troppo chiederti di dimenticare e basta?”.
Quella richiesta la lasciò senza fiato, arrivando al cospetto dei suoi sensi come una specie di tuono in mezzo al silenzio.
“Sarebbe troppo chiederti di essere sincero con me?” replicò, dopo un’altra lunga pausa, la voce intrisa di rabbia.
“Non se tu sei in grado di fare lo stesso”.
“Non sono io quella che mente, Ryuzaki. Questo mi sembra evidente” constatò la ragazza, il tono decisamente freddo.
“Stai insinuando che io lo stia facendo o che lo abbia fatto?”.
“Se proprio vuoi saperlo, sto cominciando a credere che tu ne sia capace” affermò Ruri, incrociando nuovamente le braccia e fissandolo dritto negli occhi.
Senza nemmeno rendersene conto, Elle cominciò lentamente a muovere qualche passo nella sua direzione, accorciando la loro distanza; sapeva che tutto ciò andava assolutamente contro tutti i propositi che aveva cercato di fissarsi nella mente fin da quando era rientrato nella suite, ma, inspiegabilmente, iniziava a rendersi conto che il suo corpo stava quasi smettendo di rispondere ai comandi della sua mente, guidato da una forza d’altra natura, a cui lui stesso non era ancora in grado di fornire un volto.
Quando furono nuovamente abbastanza vicini da toccarsi, Elle tornò a esaminare scrupolosamente ogni dettaglio del suo viso, tornando ancora una volta a scivolare nella profondità dei suoi occhi senza fine…
*Non posso essermi innamorato di te. Non posso amarti, Ruri…non è quello che posso o che devo fare. Ma perché, allora, non sono semplicemente in grado di smettere di farlo?*.
“Credi che io ti mentirei? Credi che potrei esserne capace?” le sussurrò, sfiorando appena il suo braccio.
Ruri lo osservò con espressione triste e malinconica al tempo stesso, la rabbia messa improvvisamente da parte.
“Non lo so…in effetti, non sono ancora certa di quanto potere tu possa disporre, in questa situazione…” ammise alla fine, lo sguardo a terra.
 
R: Is that alright, yeah?
Give my gun away when it’s loaded
Is that alright, yeah?
If you don’t shoot it, how am I supposed to hold it?
Is that alright, yeah?
Give my gun away when it’s loaded
Is that alright, yeah…with you?
 
“Potere? Pensi che sia un gioco di potere?” le domandò il detective, quasi stranito.
“Amare è sempre un gioco di potere…sempre ammesso che si tratti di questo…” disse improvvisamente lei, alzando di nuovo gli occhi e indirizzandogli uno sguardo molto penetrante “Ma se davvero tu fossi in grado di mentirmi su una cosa simile…allora significherebbe che mi sono sbagliata, sul tuo conto. O forse…il punto è che semplicemente, nessuno dei due è in grado di capire quello che sta accadendo. Ma, in effetti…dubito che ci sia molto da capire…”.
“Il punto è proprio questo” rifletté Elle, passandosi una mano sotto il mento ma evitando accuratamente di smetterla di fissarla negli occhi “Non è una cosa che posso analizzare o scomporre…non riesco a comprenderne le componenti. È come se fosse troppo, per me…mi dispiace, Ruri, ma questa è una cosa che mi sfugge”.
“Non è qualcosa che devi capire. E probabilmente, nessuno di noi la comprenderà mai fino in fondo. È soltanto…non lo so, Ryuzaki, forse è solo qualcosa da accettare…o da respingere. Dipende da quello che vuoi…e da quello che senti realmente”.
“Quello che sento…?” ripeté lentamente il detective, pronunciandosi in un sorriso amaro e dandole le spalle, per poi avviarsi verso la finestra e iniziando malinconicamente a guardare all’esterno “Tu mi stai sopravvalutando, Ruri. Stai ammirando e stai…amando…qualcosa che non esiste. Tu vuoi…tu hai bisogno di qualcosa che io non posso darti. Non posso darti una cosa simile perché si tratta di un elemento estraneo alla mia logica…e tutto ciò che rientra in una categoria del genere, è totalmente lontano dal mio controllo. Quando è così…quando non posso gestire quello con cui ho a che fare…beh, semplicemente non posso affrontarlo”.
“Non puoi pretendere di poter gestire una cosa del genere!!” sbottò Ruri, avanzando di qualche passo “Nessuno può farlo! Diamine, non hai mai provato qualcosa per qualcuno? Non hai mai desiderato stare vicino a una persona? Non parlo soltanto di amore, esiste anche l’affetto…non ti sei mai reso conto di voler bene a Watari? Non hai mai compreso quanto te ne voglia lui?”.
Elle rimase in silenzio, senza volgersi, l’espressione del volto attraversata da mille incognite di carattere enigmatico e gli occhi ancora persi nella moltitudine di luci che componeva lo spettacolo esterno.
“Non riesco a immaginare la mia vita senza Watari…” sussurrò alla fine, mentre lei si avvicinava ulteriormente “Ma non ho mai pensato che avrei potuto capitolare di fronte alla sua morte…”.
Senza alcun preavviso, Elle si voltò di scatto, afferrandola per le spalle e ponendola con la schiena contro il muro, gli occhi nuovamente incatenati ai suoi.
“Ryuzaki…”.
“Avrei dovuto capirlo fin dalla prima volta in cui abbiamo parlato del tuo trapianto…fin dal primo istante in cui mi sono reso conto che temevo che non riaprissi più gli occhi. Fin da quando ho compreso  che non desideravo più discutere del tuo cuore…non avrei più sopportato la sola ipotesi di un’evoluzione della cosa in modo…”.
Il detective abbassò appena lo sguardo al suolo, gli occhi leggermente nascosti dalla sua ribelle massa di capelli; Ruri fece per alzare stentatamente il braccio per discostarglieli, ma lui fu più veloce di lei, tornando a guardarla in volto, un’aria più sicura dipinta in volto.
“Io sono Elle. Sono a capo delle indagini sul caso del serial killer più pericoloso e più esperto di tutti i tempi; se sei qui, è perché avevo bisogno della miglior collaboratrice di cui potessi disporre. Non posso permettere che la cosa si ritorca contro di me…”.
“Credi che sia questo quello che sta accadendo? Pensi che si stia ritorcendo contro di te?” ripeté lentamente Ruri, posando leggermente le mani sulla presa di lui, ancora serrata intorno alle sue braccia.
“Penso che sia una cosa che non posso controllare” ribadì Elle, le dita strette ancor di più sulla pelle di lei “E di conseguenza, non…non posso competere con essa. Non chiedermelo, Ruri. Non ne sono in grado”.
“Non sei in grado di amarmi…?” sussurrò Ruri, la voce più flebile di quanto non lo fosse mai stata.
“Non ho mai detto di amarti…” le fece notare Elle, provocandole un leggero sobbalzo.
Quella frase, che tanto era stata in grado di ferire una parte di lei, non le permise comunque di scoraggiarsi, e, malgrado tutto, non la privò della forza di continuare.
“Hai detto che non puoi permettere che l’avermi chiesto di collaborare con te ti si ritorca contro…” lo parafrasò lentamente.
“È vero…”.
“E hai detto che non puoi sopportare l’idea che mi succeda qualcosa di male…hai detto che non avresti mai voluto vedermi morire…”.
“È vero…”.
“Hai detto che non riesci più a utilizzare la tua razionalità e la tua logica…”.
“Sì…”.
“E allora, come puoi ancora dire che non mi ami?” gli domandò, sospesa dalle sue labbra.
Con un profondo sospiro, incapace di fermarsi, Elle si avvicinò ulteriormente al suo profilo, le dita ormai intrecciate con le sue, mentre la sua presa non smetteva di bloccare contro il muro i polsi della ragazza.
“Non ho detto neanche questo…” ammise, fondendo il respiro con il suo.
“Non ti sei mai chiesto il perché tu non possa concentrarti su quello che fai? Non ti sei mai chiesto come mai nemmeno io riesca a smettere di pensare a ogni singolo minuto che passiamo insieme? Ryuzaki…” gli sussurrò, sfiorando appena le sue labbra con le proprie “Perché non lasci perdere e basta? Perché, se davvero non ti importa, mi hai seguito su quel tetto? Se davvero non sono minimamente importante, per te…perché adesso sei ancora qui?”.
Ryuzaki appoggiò la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi come in cerca di serenità.
“Non posso lasciare che questo avvenga. Non è quello di cui hai bisogno…” mormorò alla fine, la pelle ancora premuta contro la sua, il petto che iniziava lentamente ad aderire contro quello della giovane.
“Non sei tu a dover stabilire di cosa necessito davvero” lo redarguì Ruri, ma senza traccia di stizza nel tono della voce “Non farti carico di cose che non ti competono…”.
“Cose che non mi competono? Se oggi stai rischiando la vita, è perché sono io che te l’ho chiesto” le ricordò Elle, aprendo improvvisamente gli occhi e fissandola molto seriamente.
“Sono rimasta in Giappone di mia spontanea volontà…”.
“Sei rimasta qui perché ti ho convinto che eri l’unica che poteva farcela. Sei rimasta perché sono riuscito a farti capire che nessun altro avrebbe potuto prendere il tuo posto, nell’aiutarmi a risolvere questo caso. Sei rimasta essendo consapevole di ciò a cui andavi incontro…non posso lasciarti affrontare qualcosa che non avevi calcolato e pianificato. Non puoi confrontarti con una cosa del genere. Non adesso. Non dopo tutto quello che è accaduto…”.
“Per l’amor di Dio, dacci un taglio!!” sbottò Ruri, improvvisamente arrabbiata “Non sono una bambina di cui devi prenderti cura! So badare a me stessa e so decidere cosa voglio! Non ho bisogno che qualcuno stabilisca quali possono essere le cose che sono in grado di sostenere e quali sono quelle da cui dovrei stare alla larga…”.
“Tu non capisci. Ti stai commisurando con qualcosa che non conosci neppure. Vedi in me cose che non esistono, Ruri. Io non ho un cuore che possa darti qualcosa. Ho soltanto la mia mente, e per quanto tu possa ammirarla e riscontrarti in essa…non potrà mai costituire qualcosa in grado di fornirti quello che mi chiedi”.
“Non è vero, questo non è vero…” mormorò Ruri, carezzandogli il volto in maniera dolce quanto disperata “Ma non vedi che dimostri l’esatto contrario, ogni minuto che passa? La verità è che ti stai nascondendo, Elle…stai sfuggendo di fronte a qualcosa per cui non ti ritieni pronto e in merito al quale non ti ritieni all’altezza. Di cosa hai paura? Temi che una cosa del genere possa intralciare le indagini?”.
“Se dovessi rendermi conto che tutto questo è possibile…se dovessi accorgermi che quello che dici è vero…pensi che potrei mai agire senza mezzi termini, pensi che potrei mai avere la libertà di pensiero, di riflessione, la prontezza di spirito che mi è necessaria per fare ciò che devo fare? Per continuare a essere la giustizia, senza che niente si metta di mezzo…come posso permettere che la nostra collaborazione vada avanti, se capisco d’essermi innamorato di te? Come posso vivere ogni giorno con il terrore che tu muoia? Come posso mantenere la mente pulita da qualsiasi condizionamento, quando…quando guardarti mi costringe a domandarmi se il respiro che emetti possa o meno essere l’ultimo che ti vedo esalare? Come posso…” s’interruppe appena, gli occhi ancora saldamente ancorati a quelli di lei “Come posso affrontare Kira, quando la mia peggior paura rischia di divenire legata al perderti, piuttosto che al perdere la partita contro di lui?”.
“Non cambierebbe niente. Io ti aiuterei, come ho sempre fatto…Elle, io…sono la stessa persona” rispose Ruri, sempre più frastornata “Siamo…siamo sempre gli stessi”.
“Sì…sei la stessa persona che si è dichiarata pronta a rischiare la vita, pur di catturare questo assassino. Ciò che mi domando oggi è…affronterei un’ipotesi del genere con la lucidità necessaria, come avrei fatto prima di conoscerti…se adesso capissi fino in fondo che mi sono innamorato di te?”.
Ruri rimase in silenzio, incerta se cercare o meno le parole giuste per rispondergli; infine, lui la precedette, carezzandole appena il volto con il dorso ghiacciato della sua mano.
“Tu moriresti per catturare Kira…?” le domandò, sussurrando in maniera quasi impercettibile.
Con un sorriso quasi altrettanto irrilevante, Ruri chiuse gli occhi al suo contatto, tornando a guardarlo di nuovo dopo quello che le parve un secolo.
“Tu moriresti nel tentativo d’impedirmelo…?”.
I loro respiri tornarono ancora a incrociarsi, mentre i loro corpi si stringevano maggiormente l’uno all’altro, come due metà destinate a ricongiungersi malgrado tutto.
“Ruri…” sussurrò Elle, il profilo nuovamente sovrapposto al suo.
“Dillo e basta…” lo esortò la ragazza.
“Non posso…”.
“Sì che puoi”.
“Non sono giusto per te” le disse, indirizzandole lo sguardo più diretto e significativo di tutta la sera.
Ruri portò lentamente le braccia intorno al suo collo, ricambiando quel contatto visivo con la determinazione di chi non è pronto ad arrendersi.
“Non m’interessa…” mormorò, ancora più vicina alle sue labbra.
“Ruri…”.
“Ti amo…” gli confessò, prima di baciarlo di nuovo.
Incapace di sottrarsi a quel contatto, ormai divenuto così indispensabile per la sua stessa sopravvivenza, Elle cominciò a ricambiarla, stringendola in vita e continuando a bearsi dell’unione delle loro labbra e delle loro anime, in un connubio di passione, dolcezza, incertezza e profonda paura. Avrebbe mai potuto ingannare se stesso nel modo che aveva programmato? Lui non era il tipo di persona capace di fare una cosa del genere…Era una cosa sbagliata, eppure…come poteva, allora, avvertirla come così immensamente complementare alla sua stessa esistenza? Come avrebbe potuto, sulla base di tutto ciò, provare ancora a ingannarla, nascondendosi dietro la maschera che aveva indossato per una vita intera? Un piccolo crimine, soltanto un piccolo crimine…per il quale non aveva nessuna scusa…
 
L: Leave me out with the waste
This is not what I do
It’s the wrong kind of place to be cheating on you
It’s a wrong time…she’s pulling me through
It’s a small crime…and I’ve got no excuse…
 
Non seppe per quanto tempo il loro bacio andò avanti, incurante di qualsiasi contatto con la realtà che li circondava, ma infine, dopo averla a lungo abbracciata ed essersi aggrappato al contatto che lei si stava rivelando in grado di fornirgli, riuscì a staccarsi dalle sue braccia, indietreggiando di qualche passo, con l’atteggiamento di chi si è appena scottato.
“Elle…”.
“Non posso. Mi dispiace, Ruri…non posso”.
Dette queste parole, le voltò definitivamente le spalle e uscì dalla stanza, chiudendosi dietro la porta; dopo qualche istante i cui suoi occhi non smisero di contemplare il vuoto, Ruri si lasciò dolcemente scivolare a terra, gli occhi chiusi, il cuore pesante, e un costante, pedissequo desiderio di piangere, che, malgrado tutto, non riusciva ad esaudire…
 
L: Is that alright yeah?
Give my gun away when it’s loaded
 
R: Is that alright yeah?
 
L: Is that alright yeah?
If you don’t shoot it, how am I supposed to hold it?
 
R: Is that alright yeah?
 
L: Is that alright yeah?
Give my gun away when it’s loaded
 
R: Is that alright yeah?
 
I giorni successivi trascorsero in modo quasi del tutto irreale; la squadra del quartier generale sembrò accorgersi che qualcosa di strano doveva essere successo, fra Ruri ed Elle, ma nessuno, in apparenza, pareva in grado di capire di cosa si trattasse. I due non parlarono più di quello che era accaduto la sera della morte di Williams, cercando di concentrare tutte le loro energie sulla risoluzione del caso; i loro occhi evitavano mortalmente d’incontrarsi, così come i loro proprietari, ben attenti a non restare più da soli senza la presenza di qualcun altro.
Dal canto proprio, Ruri aveva deciso di rassegnarsi di fronte alla decisione di Ryuzaki: se davvero non voleva stare con lei, di certo non avrebbe tentato di costringerlo. D’altronde, aveva avuto la sua occasione di parlarle, di poter esprimere liberamente i suoi sentimenti, e non lo aveva fatto. Forse, la verità era davvero connessa alla mancanza di alcuna forma d’emozione nei suoi confronti…ma allora, perché quella voce strana, incessante nel rimbombarle nella testa, non la smetteva di ripeterle che le cose non stavano così?
Più volte era stata tentata di chiamare Robin e di raccontarle ciò che era accaduto, ma alla fine aveva sempre rinunciato: in quei giorni, la sua migliore amica l’aveva contattata più volte, chiedendole se avesse novità e chiacchierando ininterrottamente riguardo al suo tirocinio e alla pessima serata che aveva trascorso con il dottor Goldbien, del reparto di ginecologia, ma ogni volta in cui si era sentita pronta per confidarle tutto e per chiederle un consiglio, si tirava sempre indietro, limitandosi a sorridere, ad annuire e a continuare a parlare di ciò che riguardava la sua interlocutrice. Seppellire la cosa dentro di lei, nasconderla in un angolo buio, far finta che non fosse nemmeno successa, le sembrava il modo migliore per poter, alla fine, riuscire a dimenticarla del tutto…non aveva pianto, dopo che Ryuzaki se n’era andato senza dirle più una parola, ma il dolore non le era mai evaporato dal petto, rimanendo piantato in esso come un coltello affilato, provocandole ancora dolorose e intense fitte ogni volta in cui le capitava di pensarci o di dover stare a contatto con lui. Sapeva che la cosa che più di tutte la faceva soffrire era rendersi conto che il volto di Ryuzaki non presentava il minimo cambiamento d’espressione, quando le capitava di parlargli o semplicemente di sfiorarlo per sbaglio…per tutta la vita, aveva analizzato il comportamento degli esseri umani e aveva tentato di penetrarne la psiche. Adesso che più che mai quel potere le era necessario, ne avvertiva la privazione sulla pelle come un marchio a fuoco…o forse, la verità era semplicemente di fronte ai suoi occhi, ma troppo difficile da accettare.
Fu in un pomeriggio di pioggia, durante il quale le sue ricerche non avevano cessato di proseguire e la frustrazione per la mancanza di risultati si era andata a sommare a tutti i sentimenti contrastanti che ospitava dentro di sé, che le cose cambiarono per sempre.
Era rimasta sola con Matsuda, seduto a poca distanza da lei, dopo che Ryuzaki aveva annunciato d’aver bisogno di lavorare nella tranquillità della sua stanza deserta, ordinando a tutti gli altri di dirigersi sul posto dell’ennesimo omicidio di Kira e chiedendo a Watari di riprendere a esaminare alcuni documenti dalla sua base operativa; il giovane poliziotto, dal canto proprio, si era offerto di aiutarla con l’ennesima analisi del profilo psicologico del killer, e lei non si era sentita in grado di negarglielo, considerando quanto avesse insistito nel sostenere che avrebbe davvero voluto poter avere l’occasione d’imparare qualcosa da lei.
Dopo un lungo silenzio successivo all’esposizione delle ultime conclusioni della ragazza, Matsuda alzò improvvisamente lo sguardo, rivolgendole un sorriso affettuoso, che la profiler ricambiò con un’occhiata stranita.
“Va tutto bene, Matsuda?” gli domandò, alzando un sopracciglio.
“Sì, certo. È solo che stavo pensando…”.
“Cosa?”.
“Che sei davvero in gamba. Mi piacerebbe tanto raggiungere il tuo livello, un giorno. Sono convinto che avresti molto da insegnarmi; non hai mai pensato alla possibilità di entrare a far parte della polizia giapponese, una volta che il caso sarà risolto?”.
Oltremodo sorpresa da quella richiesta, Ruri si passò una mano dietro il collo, come nel tentativo di prendere tempo.
“Matsuda…” iniziò alla fine, con un sorriso che esprimeva in pieno tutto il suo disagio “Apprezzo molto quello che hai detto, ma…sono venuta qui soltanto perché l’organizzazione di cui facevo parte aveva accettato di occuparsi della questione e del caso Kira. Vivo in America da sempre, e…beh, è quella casa mia. Capisci?”.
“Certo” annuì Matsuda, con un altro sorriso, stavolta leggermente deluso “Capisco perfettamente, è solo che…speravo che, nel frattempo…trovassi una buona ragione per rimanere. Tutto qui”.
Ruri non gli rispose, mordendosi lentamente il labbro inferiore e immaginando già dove volesse andare a parare.
“Mi dispiace” gli disse all’improvviso, facendogli di nuovo volgere gli occhi verso di lei, con molta sorpresa “Mi dispiace per quello che ho detto, qualche giorno fa…sono stata…beh, sì, in effetti sono stata orribile. Non avevo il diritto di trattarti in quel modo…mi dispiace molto, davvero…”.
“Ah, non fa niente” cercò di sdrammatizzare il ragazzo, con una risatina, la mano dietro la nuca e un’espressione scherzosa in volto “Sono abituato a fare la parte del capro espiatorio del gruppo, non è poi così pesante. Immagino che ci sia sempre bisogno di sfogare le tensioni represse, ho ragione?”.
“Sì, credo…ma comunque, non è giusto farlo su chi non ha nessuna responsabilità al riguardo” gli fece notare Ruri, stringendosi nelle spalle.
“Non prenderla in modo così duro. Non è successo niente, davvero” ribadì Matsuda, con un ulteriore sorriso.
In quell’istante, la porta che dava sulla stanza da letto di Ryuzaki si socchiuse leggermente, ma nessuno dei due parve farvi caso.
“Comunque…non ce l’ho con te. Volevo che lo sapessi” concluse Ruri, con un altro sorriso.
Il volto di Matsuda s’illuminò con enfasi, mentre il ragazzo si affrettava ad annuire con vigore; Ruri fece per distogliere gli occhi e riprendere a lavorare, ma quello che udì la trattenne dal suo proposito.
“Stavo pensando…” cominciò lentamente il poliziotto, arrossendo in modo piuttosto evidente “Se…se…beh, intendo dire, una volta che le indagini saranno chiuse, ovviamente, ecco…se ti andasse di…beh, potremmo…uscire insieme, qualche volta…sai, bere qualcosa, andare a cena…”.
“Matsuda…” tentò d’interromperlo lei, ma lui parve non udirla, gli occhi ancora saldamente piantati sulla moquette del pavimento e le mani giunte in avanti, intente a tormentarsi le reciproche dita.
“Insomma, lo so che non ci conosciamo da molto e che abbiamo cominciato in modo non troppo…beh, hai capito…ma…io…io credo che tu…beh, sì, ecco…credo che tu mi piaccia molto”.
Lo aveva detto in modo molto ingenuo e semplice, arrossendo ancora di più nel pronunciare quella piccola dichiarazione; dal canto proprio, Ruri non poté fare a meno di pensare che la sua espressione era molto dolce.
“Insomma, lo so che non sono proprio il massimo…io combino sempre disastri, dico sempre la cosa sbagliata, sono inopportuno, ignorante, probabilmente incapace, anche se faccio del mio meglio, e tu…beh, tu sei bellissima. S-sei bellissima…” ripeté, alzando finalmente gli occhi e donandole uno sguardo timido “E…sei così intelligente, e…e brava, e io non…s-sicuramente ti sembrerà un’idea folle, ma magari…”.
“Matsuda” disse la ragazza con tono più risoluto, facendo sì che lui interrompesse il suo flusso sconnesso di parole.
Tota la guardò, con attesa trepidante: sospirando, Ruri si alzò in piedi e andò a sedersi accanto a lui, sul divano, cercando di trovare le parole giuste.
“Senti…non vorrei che tu ti facessi un’idea sbagliata di quello che sto per dirti. Voglio dire, io sono convinta che tu sia una persona con molte qualità. Dico davvero, sei…beh, fai sempre del tuo meglio, sei molto disponibile, affidabile e sei un buon poliziotto. Ma vedi, il fatto è che…”.
“Il fatto è che rimango sempre Tota Matsuda” constatò lui, con un sorriso a metà fra l’amarezza e la rassegnazione “Sì, capisco quello che vuoi dire…”.
“Tu sei un bravo ragazzo” gli disse, posandogli una mano sul braccio e facendogli voltare la testa verso di lei “E sono sicura che ‘essere Tota Matsuda’ sia davvero una bella cosa; sei una persona buona, e cerchi di fare il tuo dovere sempre e comunque. Hai accettato di prendere parte alle indagini relative a un caso che potrebbe costarti la vita: sei stato coraggioso. Non dipende da te, Tota. È solo che…”.
“È solo che io non sono Elle” la bloccò Matsuda, annuendo lentamente e regalandole un altro sorriso triste.
Quelle parole la spiazzarono, portandola leggermente a sbiancare e a rivolgere al suo interlocutore uno sguardo un po’ sbigottito.
“Lo so…” si strinse nelle spalle il poliziotto, distogliendo gli occhi ed evitando di cancellare il suo sorriso “Vedo il modo in cui lo guardi…e se proprio vuoi saperlo, vedo anche quello in cui lui guarda te”.
“Matsuda…”.
“Lascia stare, non dire niente. Dico davvero, è ok. Lo sapevo già” disse il ragazzo, con l’ennesimo sorriso “È solo che…mi sembrava giusto dirtelo. Tutto qui. Non mi sono mai aspettato nulla…”.
“Tu sei un bravo ragazzo” ripeté Ruri, stringendogli brevemente la mano “Sul serio, non ti sto prendendo in giro”.
“Lo so. Tu non sei una persona in grado di mentire. Non riguardo a quello che pensi sugli altri, comunque” constatò Matsuda, con un sospiro “Ryuzaki è un tipo fortunato…” aggiunse poi.
Ruri si lasciò scappare una risatina amara, che strappò al suo interlocutore uno sguardo perplesso.
“Non credo che lui la pensi così…” mormorò, bevendo lentamente un sorso di caffè.
“Che cosa vuoi dire?” le chiese Matsuda.
“È complicato…” si strinse nelle spalle la ragazza, rimanendo sul vago “In ogni caso, credo che tu abbia preso un abbaglio. Non penso affatto che Ryuzaki sia innamorato di me. E non lo sarà mai, puoi starne sicuro”.
“Non puoi parlare sul serio!” sbottò Matsuda, vicino al ridere “Voglio dire, è talmente evidente…se vuoi la mia opinione, credo che se ne siano accorti anche gli altri. Non starai affermando che voi due non avete una storia, vero?”.
“Mai avuta e mai l’avremo” ribadì Ruri.
“Che cosa?! Stai dicendo che…”.
“Sto dicendo” disse lei, con tono dolce ma perentorio “…che non mi va troppo di discuterne. In effetti, preferirei che non ne parlassi più. Sul serio”.
“Va bene” si affrettò a dire lui, sorridendole ancora “Scusami, Ruri…”.
“Non fa niente” scosse il capo lei, ricambiandolo.
“Quindi, considerando che voi due non state insieme, potrei ancora nutrire qualche speranza di…”.
“Matsuda…”.
“Va bene, va bene, stavo solo scherzando!” esclamò il ragazzo, ridacchiando e sollevando le mani in segno di resa “Immagino d’aver perso completamente la partita…d’altronde, stavo giocando contro Elle. Difficile credere che avrei vinto…”.
Gli occhi del giovane si fissarono in quelli di lei, provvisti di uno sguardo tenero e leggermente malinconico.
“Tu lo ami?”.
Ruri avvertì un groppo in gola di fronte a quella domanda, ma decise d’ignorarlo diplomaticamente, rivolgendo un altro sorriso al poliziotto e regalandogli una carezza sulla guancia.
“Stai andando bene” gli disse, accennando ai fascicoli che avevano esaminato fino a quel momento “Sul serio, è…beh, ottimo lavoro, direi”.
Matsuda distolse lo sguardo, annuendo lentamente e concedendosi un lungo sospiro.
“Lo immaginavo…ho un certo intuito per queste cose”.
Ruri gli rivolse un altro sorriso di circostanza, carezzandogli il braccio e infine posandogli un bacio sulla gota, che lo fece arrossire vistosamente.
“Mi dispiace” gli disse di nuovo.
Prima che il detective di polizia potesse replicare, la porta della suite si aprì, permettendo a un composto Watari di entrare nella stanza; entrambi si alzarono in piedi per andargli incontro, ansiosi d’avere notizie. Nessuno di loro si accorse che, nel frattempo, l’uscio socchiuso della camera di Ryuzaki era di nuovo tornato a chiudersi in modo compatto.
“Ci sono novità?” domandò subito Ruri, mentre Watari poggiava da parte un piccolo pacco e cominciava lentamente a sfilarsi il soprabito, rivelando il suo impeccabile completo di tweed.
“Nessuna di particolare rilievo. La scientifica sta ancora esaminando la scena del delitto, ma dubito che siano molto lontani dal finire. Soichiro e gli altri si stanno occupando degli ultimi dettagli…a proposito, Matsuda, mi hanno chiesto di chiederti a che punto eri, vorrebbero che li raggiungessi” concluse l’anziano, rivolgendosi infine al giovane poliziotto.
“Agli ordini! Eseguo immediatamente! Sempre che, voglio dire…” si corresse subito Matsuda, rivolgendo a Ruri uno sguardo gentile “Hai bisogno che io rimanga? Posso chiamare il capo e dirgli che abbiamo ancora da fare…”.
“Non essere sciocco, posso cavarmela da sola. Coraggio, sbrigati: non lo sai che non è educato far aspettare un cadavere?” ridacchiò Ruri, scuotendo la testa.
“E pensare che mia madre non faceva che ripetermi una frase del genere in riferimento alle ragazze…è strano come le cose possano cambiare nell’arco di qualche anno!” rise Matsuda, infilandosi la giacca “Beh, allora io vado. Ci vediamo più tardi. Ah, Ruri” le disse poi, facendola voltare per l’ultima volta “Grazie di tutto. Sei…beh, lo sai”.
“Lo so” annuì la ragazza, donandogli un ultimo sorriso “Su, sbrigati, o ti perderai il resto dello spettacolo”.
L’agente salutò lei e Watari per l’ultima volta e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Il volto esausto, Ruri rivolse un sorriso stanco a Watari, tornando a sedersi sul divano.
“Le ho portato un piccolo pensiero” iniziò Watari, posando di fronte a lei lo stesso pacchetto che gli aveva visto in mano poco prima e cominciando ad aprirlo “Ho pensato che potesse avere fame”.
Pochi secondi dopo, di fronte ai suoi occhi comparve una graziosa e raffinata torta di fragole alla panna.
“L’ho fatta io” aggiunse il vecchio, con una punta d’orgoglio nel tono di voce.
“Oh…grazie, Watari, lei…lei è davvero molto gentile. È solo che…non ho molta fame” ammise Ruri, indirizzandogli uno sguardo di scuse, accompagnato da un altro sorriso provato.
“Ha bisogno di mangiare, Miss. Mi perdoni se glielo dico, ma non ha un bell’aspetto; in effetti, mi sembra che sia dimagrita, nelle ultime settimane. Si sente bene?”.
Esaminando la realtà dei fatti, nessuno avrebbe potuto smentire Watari su ciò che aveva appena detto, e sicuramente Ruri ne era del tutto consapevole. In quegli ultimi tempi, non era passato un giorno senza che avesse avuto modo di constatare quanto la sua immagine apparisse sempre più sciupata, con il trascorrere delle ore…il suo colorito sembrava ancora più pallido del solito, aveva ulteriormente perso peso, i suoi occhi erano ben presto stati appesantiti da un paio di fastidiose occhiaie scure, e il suo sguardo appariva sempre più spento. In più d’un occasione, Watari stesso aveva avuto modo di accorgersi quanto il respiro della ragazza apparisse, di volta in volta, più affannoso con il passare del tempo…
“Sto bene, Watari” mentì Ruri, con un sorriso provato, mentre il vecchio signore si sedeva accanto a lei “È soltanto un po’ di stanchezza…immagino che mi sentirò meglio…quando avremo qualche risultato fra le mani. Mi è successo altre volte, è soltanto una fase passeggera…”.
L’inventore la scrutò dal di sotto dei suoi occhialini, indirizzandole un’occhiata molto penetrante.
“Ne è sicura?” le domandò poco dopo, quasi a bruciapelo.
Ruri alzò un sopracciglio, fissandolo sorpresa.
“Ma certo…perché me lo chiede?”.
“Beh, le confesso che sono un po’ preoccupato per lei…” cominciò con lentezza Watari, congiungendo appena le mani dal di sopra delle gambe, sporgendosi appena in avanti.
“E…posso domandarle nuovamente il perché?” insisté Ruri, fingendo di non comprendere.
“In realtà, non posso esserne del tutto certo nemmeno io. È solo che non ho potuto fare a meno di chiedermi…se ci fosse qualcosa di cui avrei dovuto essere informato”.
Il cuore di Ruri saltò un battito, ma la ragazza cercò di mantenere la calma.
“Non capisco di cosa stia parlando…” tentò di dirgli, ma Watari la bloccò subito, scuotendo leggermente il capo, come in segno di disapprovazione.
“Lei non è brava a mentire, Miss, mi spiace doverglielo far notare. Soprattutto perché ritengo che sia una delle poche qualità che le manchino” aggiunse, con un ulteriore sorriso paterno “So che con un’affermazione del genere rischierò di apparirle molto inopportuno, ma…ormai devo confessarle che mi sono reso conto di ciò che è accaduto fra lei e Ryuzaki”.
“Le ripeto che non so di cosa stia parlando, Watari, dico sul serio” ribadì Ruri, il tono di voce leggermente stridulo “Sicuramente deve aver frainteso…”.
“Mi dispiace, Miss, ma io non fraintendo Ryuzaki. Non potrei nemmeno se lo volessi. Conosco quel ragazzo fin da quando aveva otto anni, e le garantisco che non avevo mai assistito a niente del genere. Lei lo sapeva che, subito dopo il suo arrivo in Giappone, ha cominciato a chiedermi di fornirgli il maggior numero possibile d’informazioni sul trapianto cardiaco e sulle cure da seguire, dopo un’operazione del genere? O che ha trascorso ore, accanto al suo letto, dopo alcune delle sue crisi? Lei è una profiler, Ruri, è perfettamente in grado di analizzare la psiche delle persone…crede che sia comune, per un individuo come Ryuzaki, passare l’intera notte a stringere la mano di una donna che a malapena conosce? O crede, infine, che non mi sia mai accorta del modo in cui la guarda?”.
“Lei non sa di cosa sta parlando” ribatté Ruri, lo sguardo lontano dal suo e le braccia incrociate “E, in ogni caso, non capisco proprio dove voglia andare a parare…”.
“Mi scusi, le avevo preannunciato che sarei stato indiscreto. Il fatto è che…vorrei soltanto che ci fosse un modo per farle accettare la cosa. Mi rincresce molto dover assistere a tutto questo…” dichiarò Watari, con un sospiro triste.
“Non sono io che ho problemi ad accettare la cosa…” mormorò Ruri, con la massima amarezza.
“Ruri…”.
“Senta” lo interruppe Ruri, rialzando improvvisamente lo sguardo “Io…io apprezzo molto quello che sta cercando di fare. Ma le assicuro che non può aiutarmi…immagino che dovrò convivere con quest’assurda situazione, finché…finché non sarà sparita nel nulla, ecco tutto. Si tratterà soltanto di tenere duro per un po’…queste cose non durano in eterno, dico bene?”.
 
L: Is that alright?
Is that alright with you?
 
Watari la fissò per un lungo momento, come cercando di decifrare ogni singolo frammento della sua espressione; infine, emise un lungo sospiro e cominciò a frugare nella sua tasca destra. Quando ebbe trovato ciò che cercava, sorrise con mestizia e le porse l’oggetto in questione: era una fotografia d’epoca, in bianco e nero, probabilmente risalente agli anni ’50.
Ritraeva una ragazza dalla bellezza molto delicata, provvista di un bel sorriso e di un volto gentile e ben delineato; la giovane indossava un vestito dal disegno floreale e un cappello di paglia, e sullo sfondo alle sue spalle era possibile intravedere le onde del mare infrangersi contro la riva.
“È bellissima…” commentò Ruri, sfiorando appena l’immagine “Chi è?”.
“Mia moglie” rispose semplicemente Watari, con un sorriso malinconico.
Ruri lo fissò sorpresa, sbattendo confusamente le palpebre.
“Oh…non sapevo che lei fosse sposato…” ammise, sorridendo timidamente.
“Non lo sono più. Abbiamo divorziato quarantadue anni fa…” aggiunse Watari.
Assolutamente incapace di trovare qualcosa da dire, Ruri si affrettò a stringergli brevemente la mano.
“Watari, mi dispiace molto…davvero, sono…”.
“Sono passati tanti anni” concluse per lei l’inventore, ricambiando la sua stretta e trattenendole la mano.
Dopo una breve pausa, Ruri ricominciò lentamente a parlare.
“Posso chiederle che cosa…”.
“Oh, lei non approvava il mio lavoro. Diceva sempre che ero troppo preso dalle mie ricerche, dalle mie indagini, dai miei studi…sosteneva che non avessi mai tempo per la mia famiglia, che volessi stare ovunque tranne che a casa, che non mi sentissi in pace nel luogo dove mi trovavo. Mi ripeté per anni che, nel caso in cui avesse deciso di andarsene, probabilmente non me ne sarei nemmeno accorto…pensavo che con la nascita della bambina le cose sarebbero andate meglio, ma…”.
“Lei ha una figlia?” lo interruppe Ruri, ancora più stupita.
“Sì…” rispose Watari, sorridendo nuovamente ed estraendo un’altra foto; stavolta, l’immagine raffigurava una neonata paffuta di circa un anno, intenta a succhiarsi le dita delle piccole mani, lo sguardo attento e intelligente.
“Oh, è…è bellissima” ripeté la ragazza, quasi commossa “Le somiglia molto…”.
“Lei crede?” domandò Watari, orgoglioso.
“Ha il suo stesso naso” constatò Ruri, con una piccola risata “Immagino che sia fiera d’avere un padre come lei…”.
Improvvisamente, Watari si chiuse in un silenzio malinconico, mentre la presa sulla mano di Ruri si faceva inaspettatamente più forte.
“Watari…” iniziò lei, percependo a un tratto il suo disagio.
“Christine crede che io sia morto. Sua madre…è che me ne sono andato quando aveva solo pochi mesi, e…immagino che per Vivienne fosse troppo doloroso doverle dire la verità. Probabilmente, è stato più semplice per tutti…”.
Quella rivelazione scioccante la lasciò sbigottita e incapace di replicare; fu solo dopo qualche secondo che rafforzò ancora di più il loro contatto, cercando di infondergli un po’ di consolazione.
“Sono…mi dispiace moltissimo, Watari, io…vorrei sapere che cosa dire…”.
“Deve scusarmi” le disse a un tratto il vecchio, mettendo via la foto e regalandole un sorriso meno triste “Non le ho raccontato questa storia per peggiorarle ulteriormente l’umore. È solo che…quello che ho di fronte agli occhi mi sta mettendo alla prova, mi sta ponendo di fronte il quadro che rappresenta la mia vita, e vedere che tutto rischia di ripetersi di nuovo…”.
Watari fece una pausa, passandosi una mano di fronte al volto, mentre Ruri rimaneva in silenzio, attendendo che continuasse.
“Io amavo Vivienne. L’amavo molto, deve credermi. Per tutta la vita, non ho fatto altro che dedicarmi a quello che sapevo sarebbe stato il mio lavoro fino alla fine dei miei giorni. La mia non è una professione dalla quale si va in pensione…era il mio dovere, era il mio ruolo, ed ero felice d’averlo scelto per me. Mi ero illuso che una decisione del genere, e le sue rispettive conseguenze, potessero essere conciliabili con quelle di un’altra persona, ma…Vivienne era diversa. Voleva un marito che tornasse a casa da lei tutte le sere, che si occupasse della sua famiglia e del suo matrimonio, che considerasse il proprio lavoro come il semplice mezzo per vivere…ma non è mai stato così. Eravamo diversi…eppure, io l’amavo. E mi creda, non ho mai smesso di amarla”.
“Watari…”.
“Mi manca ancora. Mi manca tutti i giorni” sussurrò l’inventore, nel momento in cui una lacrima solitaria gli scivolò sul viso “E non si tratta di un dolore che svanisce con il tempo, o che in alcuni momenti è più flebile che in altri…lei mi manca sempre. Continuamente…questa è una cosa che non posso cambiare e che mai cambierò. Ma, nonostante questo, so di poter ancora fare qualcosa di utile non soltanto per gli altri, ma anche per me stesso. Ruri” le disse, rivolgendole uno sguardo determinato “Sei una ragazza intelligente, di talento, acuta e perspicace, e hai un grande cuore. Non permettere che tutto questo venga sprecato. Non fare i miei stessi errori. Ti prego. Se non vuoi farlo per te stessa, almeno fallo per me”.
Ruri gli rivolse uno sguardo intenso e profondamente mortificato, del tutto inabile nel trovare qualunque parola che potesse esprimere il turbinio di emozioni che le albergava nel cuore; finalmente, aprì bocca per replicare, ma un rumore improvviso la costrinse ad alzare gli occhi, facendo così in modo che il suo contatto con Watari si rompesse definitivamente.
Elle era appena entrato nella stanza, le mani in tasca e lo sguardo fisso sulla giovane, gli occhi animati da una luce diversa da quella che aveva albergato in quelle settimane al loro interno…la stessa luce che gli aveva visto nell’animo in quella sera piovosa in cui si erano baciati per la prima volta…
 
L: Is that alright yeah?
Give my gun away when it’s loaded
 
R: Is that alright yeah?
 
L: Is that alright yeah?
If you don’t shoot it, how am I supposed to hold it?
 
R: Is that alright yeah?
 
L: Is that alright yeah?
Give my gun away when it’s loaded
 
R: Is that alright yeah?
 
“Ryuzaki…” disse Watari, alzandosi in piedi.
“Potresti lasciarci soli, per favore?” domandò Elle, senza dar cenno di voler staccare lo sguardo dalla ragazza.
Watari spostò la sua attenzione da lui a lei e viceversa, per poi concedersi un piccolo sorriso e annuire.
“Ma certo…Miss, a più tardi. Ryuzaki, chiamami, se dovessi avere bisogno di me”.
Il loro collaboratore prese silenziosamente e discretamente la porta, chiudendosela dietro, per poi allontanarsi lungo il corridoio.
Dal canto proprio, il detective continuò a fissare Ruri per un periodo che parve indefinibile a entrambi; per alcuni minuti che a tutti e due apparirono come anni, sembrò che il tempo si fosse fermato, congelandoli in una realtà priva di senso logico o di qualunque scopo preciso. In quell’istante, l’unica cosa che poteva avere una qualche importanza era la battaglia in corso fra i loro sguardi.
Dopo una lunga attesa, Ruri si alzò in piedi, muovendo un paio di passi verso di lui.
“Hai qualcosa da dirmi…?” gli domandò, la testa alta.
Ryuzaki continuò a guardarla dritto negli occhi, come nel tentativo di scavare il più possibile in profondità dentro ciò che conosceva della sua anima, fino a scoprirne i meandri ancora ignoti.
“Ryuzaki…”.
“Sei la cosa più bella che mi sia capitata in vita mia”.
Lo aveva fatto di nuovo; una semplice frase, qualche parola, un tono di voce all’apparenza inespressivo. Possibile che tutto ciò bastasse per far collassare quel cuore che, per così tanti anni, si era impegnata a scolpire nel ghiaccio?
Beh, forse ne sarebbe valsa la pena. Forse non avrebbe dovuto arrendersi…forse, in qualche modo, avrebbe potuto provare a lottare…sì, lo avrebbe fatto.
Indirizzò un altro passo nella sua direzione, ma in quel momento i suoi movimenti si congelarono in blocco: in modo quasi del tutto inesorabile, cominciò ad avvertire una sensazione di freddo al petto, come se tutto il suo corpo stesse a un tratto sfuggendo al suo controllo. Senza alcun preavviso, iniziò ad avvertire una forte fitta al torace, mentre la testa cominciava a girarle vorticosamente…ben presto, di fronte al suo volto iniziò a comparire una nebbia compatta, in grado di oscurarle la figura di Ryuzaki alla vista, e il suo organismo cominciò a essere scosso dai brividi, costringendola a portarsi le mani al busto, premendole poi sul cuore…tentando di riprendere il controllo, cercò di darsi una spinta e di rimettersi in sesto, ma ottenne soltanto il risultato di portare le sue gambe al cedimento definitivo.
Prima che potesse toccare terra, avvertì le braccia di Ryuzaki fiondarsi su di lei, sorreggendola e impedendole di precipitare; la sua voce riprese ad arrivarle in maniera molto indistinta e sempre più confusa, come se il ragazzo stesse correndo, allontanandosi da lei sempre di più…o era la sua mente che si stava dirigendo in un altro luogo?
“Ruri!!! Mio Dio, Ruri?!? Che cos’hai?! Cristo, respira!!! Devi respirare, continua a respirare!!!!”.
“R-Ryuzaki…”.
“Non mollare!!! Hai capito?!? Qualunque cosa accada, non mollare!!! Dannazione…WATARI!!! WATARI, VIENI SUBITO QUI!!!!!!”.
“R-Ryuzaki…”.
Il detective la poggiò a terra, cominciando freneticamente a praticarle un massaggio cardiaco.
“Cazzo, sei in arresto…WATARI, È ARRESTO CARDIACO!!!! MALEDIZIONE, RURI, RESISTI!!!!!”.
Non riusciva nemmeno a rendersi conto di cosa stesse accadendo veramente…sapeva solo che quel dolore sordo che provava all’altezza del petto era veramente insopportabile, ma che, con il passare dei minuti, si stava lentamente affievolendo…chissà, forse sarebbe stata meglio.
“RURI!!! RURI, RIESCI A SENTIRMI?!? RURI!!!! WATARI!!! CHIAMA SUBITO UN’AMBULANZA!!!!”.
“Ryu-zaki…”.
“NO, NO!!! NO! RURI, RESTA CON ME!!! RESTA CON ME…”.
“Ryuzaki…”.
Il volto di Elle le apparve di fronte agli occhi per un ultimo istante, permettendole di contemplarne l’immagine e di imprimersene meglio il ricordo…senza nemmeno sapere perché, lasciò che sulle sue labbra comparisse un piccolo sorriso, in grado di cancellare ogni brandello dell’amarezza che aveva provato nei giorni precedenti…pensandoci bene, perché avrebbe ancora dovuto sentirsi così arrabbiata? Il senso di pace era tale da non avere eguali…e se una sensazione del genere fosse stata da ricondursi alla morte…allora, forse, morire non era altro che ciò di cui aveva davvero bisogno.
Prima di chiudere del tutto gli occhi, il suo sguardo fece appena in tempo a dedicargli un ultimo momento…dopotutto, aveva sempre saputo che il momento in cui avrebbe detto addio sarebbe stato in assoluto il più dolce e il più sereno di tutti…e aver avuto la possibilità di guardare Elle per l’ultima volta ne era la prova più decisiva.
 
It’s a small crime…and I’ve got no excuse…
 
E infine…venne il buio.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: ET VOILÀ, IL VOSTRO INCUBO PEGGIORE (alias, la sottoscritta) È TORNATA DI NUOVO!!!!! E alors? Che ne pensiamo di questo schifo?! Ma sicuramente una schifezza ribrezzosa…non so voi, ma a me non è piaciuto per niente -.-‘’’ Mi raccomando, siate come sempre clementi, insultatemi, ma con dolcezza :DD Bene, bene, la canzone di questo capitolo era ‘Nine crimes’ di Damien Rice, ascoltandola vi renderete conto che è un duetto…la partizione è facile da collocare, ma in ogni caso le lettere R ed L parlano al posto mio XDXD Lo so, lo so, un’idea di merda, ma che volete farci…la scrittrice è quella che è, c’è crisi L(((( Oook, passiamo ai ringraziamenti: grazie mille ad Annabeth Ravenclaw, gloomy_soul, Pinkamena Diane Pie e a Zakurio per aver recensito il dodicesimo capitolo, grazie ancora a Zakurio per aver recensito anche l’undicesimo, grazie a Jjace per aver recensito il secondo e il terzo, e grazie a norahmckey per essere tornata a commentare ‘Sugar and Pain’, con le sue recensioni all’ottavo e all’undicesimo capitolo, bentornata Norina!! :DD Un nuovo ringraziamento a norah per aver aggiunto la storia anche fra le preferite, ora la tua iscrizione a ‘Sugar and Pain’ è completa, che bello :DDD Grazie a tutti coloro che hanno finora commentato ‘sta schifezz e che spero lo faranno ancora, chiedo venia se ho fatto pena più del solito e se il nostro Ryuzaki stavolta mi è proprio andato fuori dal personaggio, ma prima o poi era inevitabile ^^’’’ Prometto che tornerò prestissimo con il prossimo capitolo, anche se temo che non potrò più aggiornare con questa frequenza, non appena ricomincerò l’università, dal 5 Marzo (per tre giorni alla settimana sarò completamente inglobata dalla facoltà dalla mattina alle otto fino alla sera alle sei e passa, AIUTOOOOO :OOOOO), perciò non so quando potrò trovare il tempo per continuare a scrivere con questo ritmo, ma prometto che farò del mio meglio, e poi abbiamo ancora un po’ di tempo, gente :DDD Bene, a prestissimo con il quattordicesimo capitolo, e grazie ancora per tutto!!!! Baci baci, la vostra Victoria  

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Capitolo 14
*** Choice ***


Capitolo 14- Choice
 
Silenzio. Era convinta di non aver mai avvertito un silenzio del genere, così profondo e significativo, in tutta la sua vita. Ma forse, un’affermazione simile avrebbe potuto risultare alquanto azzardata, considerando che, con ogni probabilità, ormai il suo cuore aveva smesso di battere. Ne era quasi del tutto sicura, forse a causa dell’assenza di dolore che aveva preceduto quell’istante, forse per via della quiete che la circondava, forse perché non riusciva più a udire alcuna voce o il minimo rumore…forse perché sentiva che il momento di andare avanti era finalmente giunto. Eppure, aveva la strana, perforante percezione che il senso di pace che tanto aveva atteso e agognato, per così a lungo, risultasse stranamente assente…come se qualche tassello del puzzle che aveva cercato di ricomporre da sempre stesse stranamente mancando all’appello…com’era possibile? E che cos’era quel rimbombo che stava pian piano iniziando ad avvertire, in lontananza…? Dov’era Elle……….?
 
“Donna, ventitré anni, cardiopatica, arresto cardiaco avanzato in corso. Ipotensione grave, pressione cardiaca quasi assente, polso assente, parametri vitali compromessi!! Ci serve una sala operatoria, subito!!”.
“Chiama il dottor Shibahime, immediatamente!! Serve il cardiochirurgo!!!”.
“Quali sono i valori della pressione arteriosa?!”.
“Sotto i 45 mmHg la minima, 75 la massima!!”.
“Merda, sta morendo!!! Carrello d’emergenza, subito!!! Defibrillatore!!!”.
“Dati sulla pulsazione cardiaca?!”.
“Bradicardica, è a 50 battiti al minuto, sta scendendo vertiginosamente!!!”.
“Frequenza respiratoria?!”.
“Bradipnea, 10 atti respiratori al minuto!!”.
“Dammi un laringoscopio!! Forza con quel defibrillatore, veloci!!!”.
“Mio Dio…guarda la cicatrice…”.
“EMERGENZA!!! È UN CODICE ROSSO, RIPETO, CODICE ROSSO!!! SALA OPERATORIA 4654, ABBIAMO UN RIGETTO CRONICO IN CORSO!!!”.
“Non è più cosciente da diversi minuti!!! Il gruppo sanguigno?!”.
“Dammi la cartella clinica!! 0 negativo! Chiama quelli del pronto soccorso, digli di inviarci il maggior numero possibile di sacche di 0 negativo, le servirà parecchio aiuto, durante l’intervento!!”.
“Operiamo, subito!! Rischio di coronaropatia aggravato, dobbiamo salvare l’organo!!!”.
“Vai con la carica a 200!! LIBERA!!!”.
“L’elettrocardiogramma non dà segnale!!”.
“ANCORA!!! CARICA A 300!!! LIBERA!!!”.
“NESSUN SEGNALE, DOTTORESSA SHIBUJA!!”.
“ANCORA!! CARICA A 350!!! LIBERA!!!”.
Un piccolo segnale sonoro oscurò le loro voci, mostrando finalmente un qualche segno di risposta sul monitor della macchina di rianimazione.
“Abbiamo un battito! Pressione sistolica -75, pressione diastolica -50!! Preparate la sala operatoria, intervento a cuore aperto!!! Di corsa!!!”.
“VAI, VAI, VAI!!!!!”.
Tutte quelle voci, tutte quelle urla, quelle luci così confuse, quel tramestio di persone intente a correre avanti e indietro, per poi precipitarsi a tutta birra verso alcune porte a spingimento, spostando con sé quella barella apparentemente comune e insignificante…se non fosse stato per la persona che vi si trovava sopra, attaccata a un respiratore artificiale che le copriva il naso e la bocca, il petto, sulla cui superficie troneggiava una cicatrice bluastra, completamente ricoperto da stimolatori di controllo elettrico…com’era possibile? Com’erano arrivati a quel punto? Era concepibile che tutto si fosse svolto a una velocità superiore, senza che potesse averne la percezione? Ma non poteva essere…se ne sarebbe accorto. Lui si accorgeva sempre di tutto…la mente più geniale del mondo non può essere ingannata da una cosa così piccola, così insulsa…così imprevedibile…lo avrebbe di certo calcolato, lo avrebbe previsto, lo avrebbe fermato…ma allora…che cosa stava accadendo? Com’erano arrivati in ospedale? Sala operatoria? Cuore aperto…..? Arresto cardiaco…………………….?
“LEI NON PUÒ DIRCI DI ASPETTARE E BASTA!!!!”.
La voce di Matsuda lo destò improvvisamente dai suoi confusi vagheggiamenti, facendogli alzare lo sguardo; in quello stesso istante, il giovane poliziotto stava sbraitando contro un’infermiera, che cercava con tutte le sue forze di trattenerlo dall’oltrepassare di peso la porta che i medici avevano appena varcato insieme a Ruri.
“Si calmi, signore, lei deve calmarsi…”.
“Non mi dica di calmarmi!!!! Non può pretendere che ce ne stiamo qui senza fare niente, Ruri è…!!!!”.
“Lo so che è preoccupato per la sua amica, ma per il momento non può fare nulla, e si calmi, dannazione!!!!!” sbottò la donna, assestandogli un deciso spintone “La ragazza ha appena subito un arresto cardiaco, rischia gravi danni al sistema cardiocircolatorio, se non addirittura di morire, lo capisce che è un codice rosso, sì o no?!?”.
“PENSA CHE IO SIA UN IDIOTA?!? È PROPRIO PERCHÉ L’HO CAPITO CHE NON POSSO TOLLERARE CHE LEI NON…”.
“Adesso calmati, Matsuda, calmati!!!!” gli intimò il sovrintendente, afferrandolo per le spalle e cercando di farlo ragionare “Non arriverai a niente agendo così!!!”.
“DANNAZIONE!!!!” sbottò il giovane, liberandosi dalla presa del suo superiore e scagliando un pugno contro la parete, nel tentativo di sfogarsi “Come può essere successo senza alcun preavviso?!? Merda, non può…non doveva…non potete permettere che muoia!!!” gridò ancora, ma senza guardare in volto l’infermiera, che gli rivolse uno sguardo dispiaciuto e leggermente addolcito.
“Senta, capisco come si sente, ma al momento non può fare niente, davvero. La vostra amica è arrivata qui in pessime condizioni, è un miracolo che sia ancora viva…tutto ciò che potete fare in questo momento è aspettare. Potrebbero volerci delle ore, non lo so…voi siete i suoi parenti?”.
“No…” rispose lentamente Aizawa, che era molto più pallido del solito “Ruri non aveva…non ha nessun parente…” si corresse subito, come preso da un piccolo sobbalzo.
“Non sapete niente riguardo a qualche persona in particolare che vorrebbe che fosse avvisata della cosa? Non so, un fidanzato, un marito…forse un’amica…”.
“Beh, Ruri è sempre stata molto riservata, riguardo alla sua vita privata” ammise Soichiro, appoggiato dagli altri “Francamente, non mi viene in mente nessuno che…”.
“Robin”.
Tutti quanti si voltarono, nell’udire parlare il detective per la prima volta da quando era salito sull’ambulanza, superandoli tutti e precedendoli all’ospedale; prima che arrivassero i soccorsi, lo avevano udito urlare ordini a destra e a manca, mentre era ancora impegnato, senza risultati apparenti, a praticare il massaggio cardiaco a Ruri, ma adesso sembrava diventato l’ombra di se stesso. Era seduto sulla panchina di plastica che occupava parzialmente il corridoio, in una posizione del tutto anomala, per lui, con le gambe sporgenti in avanti e le braccia protese sopra di esse, le mani congiunte e lo sguardo perso di fronte a sé. Osservandolo meglio, Watari si accorse che stava tremando in maniera quasi impercettibile.
“Mi scusi?” gli si rivolse l’infermiera, lanciandogli un’occhiata strana.
“La migliore amica di Ruri. Robin. Robin Starling. Avvisatela. Adesso”.
Parlava a scatti, come un automa, come una macchina che dovesse mettere insieme una numerosa serie di processi operativi, prima di poter ottenere qualche risultato minimamente soddisfacente.
“Oh…certo” annuì la donna “Potreste fornirmi un suo recapito?”.
“L’agenda di Ruri” aggiunse Ryuzaki, altrettanto stentoreamente.
Watari annuì in modo pronto e si affrettò a prenderla dalla sua borsa, per poi comunicare alla caposala tutto ciò che doveva sapere.
“Statunitense. La vostra amica è statunitense?” domandò poi, sorpresa “Avrei detto…beh, Ruri è un nome giapponese…”.
“È americana” commentò brevemente Watari, con tutta l’aria di chi non ha assolutamente voglia di perdere tempo in chiacchiere.
“Capisco. Beh, se la sua amica deve arrivare fin qui da Washington, immagino che le ci vorranno almeno un paio di giorni, ammesso che parta subito. Vado subito a chiamarla, a meno che…beh, forse preferireste farlo voi…?”.
Il gruppo d’indagine si scambiò occhiate fugaci, indirizzando alcune di esse verso Ryuzaki, che tuttavia sembrava molto lontano dall’idea di abbandonare l’atto di fissare la parete.
“Ecco, noi…noi non la conosciamo neppure…forse, non saremmo molto più adatti di lei a dirle quello che sta succedendo…” esplicò Soichiro, a disagio.
“Sì, me ne rendo conto…beh, immagino che allora non faccia molta differenza, lo saprebbe comunque da una persona sconosciuta. Beh, in questo caso provvedo immediatamente”.
La donna fece per allontanarsi, quando improvvisamente ci ripensò, tornando sui suoi passi e rivolgendo loro uno sguardo di circostanza.
“Mi dispiace molto…”.
Nessuno le prestò ulteriormente attenzione, nemmeno quando si allontanò in modo definitivo; dal canto proprio, Matsuda si passò una mano di fronte al volto, continuando a mormorare in modo sconnesso, mentre Mogi, Aizawa e Ukita si sedevano a poca distanza, altrettanto ansiosi.
Soichiro e Watari rimasero in piedi, il primo in preda ad andare freneticamente avanti e indietro, il secondo fermo in posizione composta, appena appoggiato alla parete, le braccia incrociate. Elle non mutò la sua posizione, rimanendo immobile come una statua.
“Io non…” riprese Matsuda poco dopo, attirando l’attenzione dei presenti (malgrado Elle non accennasse ancora ad alzare lo sguardo) “Non capisco come sia potuto accadere…”.
“Potrebbe essere opera di Kira…” disse Aizawa, la voce altrettanto bassa “Credete che…”.
“No, lo escludo. O quantomeno, sarebbe piuttosto anomalo…” dichiarò Yagami, incapace di fermarsi “Nelle circostanze in cui Kira ha esercitato il suo potere per uccidere, la vittima prescelta soccombeva dopo pochi istanti, senza aver avuto alcuna possibilità di sopravvivenza. Questa situazione è diversa…Ruri è…è ancora viva. C’è ancora speranza…”.
“Speranza…?” ripeté Ukita, con un singulto più simile a un gemito che all’emissione di una parola “È arrivata qui senza pulsazione cardiaca…non ho idea di come potrebbe farcela…”.
“Non perdiamoci d’animo!!!” sbottò Soichiro, alzando la voce “Dobbiamo avere fiducia, non possiamo pensare immediatamente al peggio!!!”.
“Io non…l-lei…lei stava bene…” balbettò Matsuda, appoggiandosi al muro, quasi cianotico “A-avevamo parlato p-poco prima…lei…lei stava bene…mio Dio, s-stava bene…”.
“Non può essere una coincidenza” insisté Aizawa “Un arresto cardiaco, in una circostanza del genere, del tutto asintomatico! Voglio dire, Ruri stava bene, è una persona sana, non…”.
“Ruri ha…subito un trapianto cardiaco” li interruppe Watari, facendoli tutti voltare nella sua direzione.
“Che cosa?!?” sbottò Soichiro, stralunato.
“Sì. È successo quando aveva circa sei anni. Negli ultimi tempi, le sue condizioni si erano aggravate, ma…ma nessuno di noi poteva immaginare che…”.
Il vecchio s’interruppe, passandosi a sua volta una mano di fronte alla bocca: solo il sovrintendente ed Elle, che finalmente era riuscito a distogliere appena lo sguardo dal muro, si accorsero che era vicino alle lacrime.
“Un trapianto cardiaco?” domandò Aizawa.
“Sì, è così” confermò Watari, cercando di mantenere la voce ferma.
“Non ne abbiamo mai saputo nulla…” mormorò Soichiro, mortificato.
“Nessuno lo sapeva” seguitò Watari, scuotendo appena la testa “Solo io e Ryuzaki ne eravamo a conoscenza, e comunque…abbiamo scoperto la cosa contro la volontà di Ruri. Lei non voleva che nessuno ne fosse messo a parte…”.
“Ma perché?!?” sbottò Aizawa “Che senso poteva avere una decisione del genere?!”.
“Che senso ha porsi domande simili in un momento come questo?!?!” replicò Matsuda, con uno scatto repentino “Ruri potrebbe morire in quella fottuta sala operatoria, e a te importa soltanto di sapere il motivo per cui non ci ha confessato del suo stramaledetto trapianto?!?”.
Il gruppo fissò ammutolito il ragazzo, che adesso era scosso dai tremiti e da qualcosa di simile ai singhiozzi.
“Matsuda…” gli si rivolse Soichiro, facendo per posargli una mano sulla spalla.
“Lei…lei stava bene! S-se avesse…mio Dio, a-avrebbe…avrebbe presentato dei sintomi…q-qualcosa del genere…l-lei…lei stava bene…oh mio Dio…!!!”.
“Matsuda, devi calmarti. Adesso cerca di calmarti…” proseguì Yagami, assestandogli infine una pacca paterna sulla schiena.
“I-io ero con lei!!! Ero con lei…fino a poco prima, ero…m-me n’ero appena andato…” ripeté, le braccia incrociate e una mano ancora di fronte al volto “Come posso non essermene accorto…è…è colpa mia…”.
“Non è stata colpa tua, Matsuda. Non potevi prevedere una cosa del genere” gli fece presente Yagami, cercando di scuoterlo leggermente.
“Il sovrintendente ha ragione. Questi…voglio dire, queste circostanze sono spesso imprevedibili, a volte persino asintomatiche…considerando quello che abbiamo appena scoperto su Ruri, inoltre…” aggiunse Mogi, scuotendo appena il capo “Non avresti potuto fare niente, Tota”.
Matsuda si sedette a sua volta, prendendosi la testa fra le mani ed evitando di replicare.
“Ryuzaki…tu cosa ne pensi?” domandò Yagami, volgendosi infine verso il detective “Anche tu sei dell’idea che Kira non c’entri niente, con questa storia?”.
Il ragazzo non gli rispose, la presa delle mani adesso saldamente conficcata sul bordo delle sue ginocchia, gli occhi vitrei e incavati più del solito concentrati sulla parete di fronte.
“Ryuzaki…” lo chiamò ancora Soichiro, scambiandosi occhiate perplesse con Aizawa, Mogi e Ukita.
Alla fine, Watari decise di prendere il controllo della situazione, avanzando di qualche passo in avanti.
“Non possiamo ancora sapere niente con esattezza, signori. In ogni caso, è molto improbabile che Kira sia riuscito ad ottenere le informazioni necessarie per uccidere Ruri…inoltre…i medici hanno parlato di ‘rigetto cronico’. Anche se questo facesse eventualmente parte dei mezzi di cui Kira dispone attualmente per perpetrare i suoi omicidi, dubito che sia stato in grado persino di scoprire del trapianto cardiaco che Ruri ha subito. Adesso, l’unica cosa che possiamo fare è aspettare…giusto, Ryuzaki?” concluse, voltandosi leggermente verso il suo protetto.
Elle annuì appena, senza ancora sollevare il suo sguardo.
“Se preferite tornare a casa a riposarvi, non preoccupatevene. Io e Ryuzaki resteremo in ospedale” disse poi Watari, con un sorriso forzato.
“Non dica sciocchezze!” esclamò subito il sovrintendente, con tono risoluto “Non ci muoveremo di qui finché quei medici non saranno usciti da quella sala operatoria, non importa quanto dovremo attendere!”.
“Non ce ne andiamo. Per nessuna ragione” rafforzò ulteriormente Matsuda, alzando di nuovo gli occhi, il volto rigato appena da qualche lacrima.
Aizawa, Mogi e Ukita confermarono a loro volta il loro desiderio di restare, di fronte al quale Watari non batté ciglio; ben presto, ognuno di loro cercò di cominciare ad ingannare il tempo nel modo che gli era più congeniale.
Soichiro continuò a fare avanti e indietro per il corridoio, senza fermarsi neanche per un istante, lo sguardo che scattava di tanto in tanto dall’orologio alle porte dietro cui Ruri era scomparsa, assistita dai chirurghi della struttura; Matsuda seguitò ad allentarsi e successivamente a stringersi ripetutamente il nodo della cravatta, senza mai darsi pace, alternando momenti in cui era capace soltanto di starsene seduto ad altri in cui si univa al suo superiore nel misurare il pavimento a grandi passi. Aizawa si attaccò al telefono, passando dal parlare con la sua famiglia al dare ordini al quartier generale di base, imponendo il silenzio stampa sull’intera vicenda in corso. Ukita e Mogi si appiccicarono letteralmente alla macchinetta del caffè, le giacche abbandonate da una parte, le camice sbottonate e le cravatte lente intorno al collo, incapaci di parlare o di guardarsi semplicemente negli occhi. Watari assunse ben presto una composta posizione da seduto sulla stessa panchina di plastica di Ryuzaki, dove incrociò le braccia e puntò i suoi occhi grigi sull’orologio a muro che svettava sopra le loro teste, senza più distoglierne gli occhi.
Infine, Elle rimase del tutto immobile nella sua posizione, senza più aprire bocca, incapace di parlare, incapace di pensare…quasi incapace di respirare. Le sue lunghe dita bianche rimasero saldamente ancorate ai muscoli delle sue gambe, come se afferrarsi a qualcosa, seppure si fosse trattato del suo stesso corpo, avesse potuto in qualche modo offrirgli una forma di conforto. Com’erano arrivati a quel punto? I medici che urlavano ordini, l’ambulanza, l’infermiera che diceva tutte quelle cose senza senso…Ruri…Ruri priva di battito cardiaco…poteva essere plausibile l’ipotesi che fosse davvero opera di Kira? Aveva scoperto del suo trapianto? O semplicemente…Respirando profondamente, non poté fare a meno d’escludere quella teoria. Ruri era ancora viva, stava lottando…Kira non lasciava mai scampo alle sue vittime, altrimenti non ci sarebbe stata nessuna spiegazione per l’infallibilità del potere omicida che aveva manifestato fino a quell’istante. Era solo giunto il momento, dunque? Tutte quelle crisi cardiorespiratorie, i farmaci che, secondo Watari, potevano star smettendo di fare effetto…le piccole vertigini che aveva notato in quei giorni, il suo respiro affannoso…
“Stava per succedere” riuscì a mormorare alla fine.
Erano passate quasi cinque ore dal momento in cui l’intervento di Ruri era cominciato; le luci all’esterno erano del tutto scomparse, cedendo il passo alla notte, ma nessuno di loro aveva dato segni di alcun cedimento nell’attesa.
Udendolo pronunciare quelle parole, Watari si voltò appena verso di lui.
“Che cosa?” gli domandò.
“Stava per succedere” ripeté il detective, senza volgersi verso il suo mentore “Lei stava…stava cedendo. Le sue funzioni vitali, la sua…la sua costante repulsione verso le medicine. Stavano cessando il loro effetto…stava per succedere. Stava per morire…e io non ho fatto niente…”.
Watari gli posò una mano sulla spalla, avvertendolo rigido e più freddo del solito; pensandoci bene, non poté fare a meno di paragonare la sua pelle a un pezzo d’iceberg, come se anche il suo organismo stesse rifiutando qualsiasi contatto vitale, in quell’istante.
“Non puoi crollare adesso” gli disse, saggiamente “Non puoi permetterti di farlo”.
“Non ho fatto niente…” seguitò Ryuzaki, il respiro molto lieve “Sapevo che stava per accadere, e…ho pensato solo a tenerla lontana. È quello che so fare meglio…io allontano le persone”.
“Lei non pensa questo” gli disse Watari, con fare paterno.
“Lei mi odiava”.
“Non parlare in questo modo. Non…non parlare di lei al passato” lo rimproverò Watari, scuotendolo appena “Non è morta. È lì dentro, sta lottando, sta cercando di tornare indietro. Non negarle la tua fiducia ancora una volta”.
Quelle parole gli fecero miracolosamente alzare lo sguardo, portandolo infine a specchiarsi negli occhi del vecchio, leggermente lucidi.
“Watari…”.
Una voce che gridava a più non posso li distolse dalla loro conversazione, facendo in modo che entrambi sollevassero gli occhi in direzione del trambusto improvviso; con uno scatto inaspettato, tutti e due si alzarono miracolosamente in piedi, imitati dagli altri, per poi dirigersi velocemente verso la fonte del caos appena degenerato.
Ben presto, di fronte alla loro vista non tardò a comparire una giovane donna di circa venticinque anni, intenta a gridare con tutta forza nei confronti del personale infermieristico. Tutti loro erano certi di non averla mai vista prima; i suoi capelli rossi, accompagnati da un paio di grandi occhi verdi e da una notevole manciata di lentiggini, non passavano di certo inosservati.
“NON SI AZZARDI A DIRMI DI CALMARMI!!! MI DICA IMMEDIATAMENTE DOV’È RURI DAKOTA!!!!! MI FORNISCA UN QUADRO CLINICO DELLE SUE CONDIZIONI!!!!”.
“Signorina, devo chiederle di fare un passo indietro e di smetterla!!! Sta ostacolando il nostro lavoro!!! Ruri Dakota è in sala operatoria, non può vederla, in questo momento!!”.
“IN SALA OPERATORIA?!? DA QUANTO TEMPO È IN SALA OPERATORIA?!?!? PERCHÉ NESSUNO MI HA RIFERITO UNA COSA DEL GENERE?!?! MI AVETE DETTO SOLO CHE ERA IN PERICOLO DI VITA!!! VOGLIO PARLARE CON IL SUO MEDICO, ALL’ISTANTE!!!! ESIGO DI PARLARE CON IL SUO MEDICO!!!!!”.
“ADESSO BASTA!!! NON MI COSTRINGA A CACCIARLA DAL REPARTO!!!! SI SIEDA E ASPETTI CHE IL CARDIOCHIRURGO VENGA A INFORMARLA!!!!”.
“COME FA A DIRMI DI ASPETTARE?!?! SONO UN CARDIOCHIRURGO ANCH’IO, MI DIA LA SUA CARTELLA CLINICA E MI FACCIA ENTRARE IN QUELLA STRAMALEDETTA SALA OPERATORIA, POSSO DARE UNA MANO!!!!”.
“LEI È COMPLETAMENTE IMPAZZITA!!! CREDE CHE FACCIAMO OPERARE LA PRIMA PERSONA CHE SI PRESENTA NEL REPARTO DI CHIRURGIA?!?! STIA CALMA E SI SIEDA, PRIMA CHE DECIDA DI FARE USO DI UN QUALCHE TRANQUILLANTE!!!!!”.
“PROVI A TOCCARE QUELLA SIRINGA E FACCIO CAUSA AL VOSTRO MALEDETTO LAZZERETTO NIPPONICO!!!!! NON SI AZZARDI MINIMAMENTE A…”.
“Va bene, adesso basta!!!!” gridò Yagami, riuscendo miracolosamente a sovrastare le loro voci e facendo in modo che entrambi i litiganti si voltassero verso di lui.
La ragazza lo guardò sbigottita; tutti loro poterono constatare che era molto pallida in volto, che la sua espressione era stravolta e i suoi occhi leggermente arrossati.
“Parlerò io con la signorina. Anche noi stiamo aspettando notizie di Ruri Dakota” aggiunse a mo’ di spiegazione, rivolto all’infermiere.
L’uomo annuì, l’espressione ancora furiosa, e si allontanò frettolosamente.
Rimasta sola con loro, la giovane rivolse a tutti uno sguardo costernato e un po’ stralunato.
“Chi…chi siete voi?” chiese, la voce roca e ridotta quasi a un sussurro.
“La signorina Starling?” le domandò gentilmente Soichiro, rivolgendole un piccolo sorriso.
“Sì, sono io…voi chi…”.
“Mi permetta di presentarmi; sono il…” ebbe un attimo d’esitazione, ma infine proseguì “… capitano Asahi. Jyroshin Asahi. Loro sono i miei collaboratori, Taro Matsui, Shibaru Takeda, Masamune Mitsubishi e Kendo Makari, della polizia di Tokyo. Lieti di fare la sua conoscenza”.
“Siete…siete gli agenti che stanno lavorando sul caso Kira?” chiese la ragazza, abbassando frettolosamente la voce.
“Sì, esatto” annuì gravemente Soichiro “I collaboratori di Ruri”.
“Siete voi che mi avete…che mi avete fatto chiamare?” domandò poi, ancora molto scossa.
“Esatto” intervenne Watari, stringendole brevemente la mano “Abbiamo trovato il suo indirizzo e il suo numero di telefono nell’agenda di Ruri”.
“Lei è…lei è Watari?” insistette Robin, osservandolo perplessa “Ruri...mi ha parlato di lei”.
“Non ne avevo dubbi” replicò l’uomo, sforzandosi di mantenere la sua aria tranquilla, malgrado tutto ciò che stava accadendo “Benvenuta in Giappone, signorina Starling, anche se…certo avremmo preferito incontrarla in circostanze diverse…”.
“Mio Dio, non riesco ancora a crederci…potreste spiegarmi che diavolo è successo?!? L’ospedale mi ha soltanto detto che Ruri è stata portata qui in stato d’incoscienza, e che era questione di vita o di morte!!! Non mi dicono niente, non me la lasciano vedere, sto diventando pazza!!! Potreste, per favore…i-io non so che cosa…”.
“Arresto cardiaco”.
Erano le prime parole che Ryuzaki pronunciava in sua presenza, le parole più significative che avessero mai accompagnato il più grande caso d’omicidi di cui si fosse mai occupato, le stesse parole dalle quali, in quell’istante e in tutte quelle ore, stava dipendendo la sua stessa capacità di continuare a respirare…
*Ruri…*.
“Che cosa?!” replicò Robin, con la voce ancora più strozzata di prima, mortalmente pallida.
“Ruri ha avuto un arresto cardiaco. Ero presente quando è successo…è arrivata qui in stato di grave ipotensione. Stanno cercando di salvarle l’organo…” Ryuzaki fece una lunga pausa, ancora appoggiato con la schiena al muro, curvo su stesso, le braccia incrociate “I medici…hanno…hanno parlato di rigetto cronico”.
Al sentir pronunciare quel termine, Robin lasciò andare il peso delle sue gambe, che prontamente cedettero per lasciarla cadere al suolo, ma prima che questo accadesse, le braccia di Matsuda la sorressero, impedendole di precipitare.
Osservandone il volto, chiunque avrebbe affermato che anche il cuore di Robin aveva appena smesso di battere.
“Si sente bene?” le domandò Yagami, premuroso “Vuole un bicchiere d’acqua?”.
“Da quanto tempo è in sala operatoria…?” domandò la ragazza, con un filo di voce.
“Da circa cinque ore…” rispose Aizawa, a disagio “Non ci hanno ancora fatto sapere nulla…”.
“È…è uno scherzo…” disse Robin con una piccola risata isterica, rivolgendosi più a se stessa che agli altri “Non…non è possibile…”.
“Si tratta di cose…spesso sono fenomeni imprevedibili…” cercò di consolarla Yagami, con un sospiro “Non so dirle quanto mi dispiace, signorina Starling…”.
“Ma…ma non pensate che possa essere…che Kira l’abbia…non può trattarsi semplicemente del suo cuore!!!” sbottò la rossina, con una sorta di rantolo “Lei…lei stava bene!! Avevamo…avevamo parlato solo un paio di giorni fa, e lei stava benissimo!! Non può trattarsi di una coincidenza!!”.
“Ruri è ancora viva, signorina” le fece notare Soichiro, con tono grave “Se questa fosse stata opera di Kira, probabilmente adesso staremmo già prendendo accordi per il suo funerale. Senta, Ruri è forte” aggiunse poi, posandole una mano sulla spalla “Può farcela, ce la può fare. Non si perda d’animo in questo modo”.
“Non…non è possibile…” continuò a ripetere Robin, scuotendo la testa “Io…io me ne sarei accorta, avrebbe…avrebbe presentato dei sintomi, qualcosa del genere…lei…lei…”.
“I sintomi c’erano” intervenne Ryuzaki, portando la giovane a guardarlo ancora una volta.
Nuovamente, non accennava a muoversi dalla posizione che aveva assunto.
“Stava cominciando a respirare sempre peggio, negli ultimi tempi…le sue vertigini erano aumentate, e anche il senso di soffocamento. A volte sembrava cianotica…credevo che gliel’avesse detto, mi aveva giurato che l’avrebbe fatto…”.
“Non mi ha detto niente…” sussurrò Robin, lo sguardo venato di disperazione disperso nel vuoto “Niente…”.
“Si faccia coraggio, Robin” insistette il sovrintendente, scuotendola appena.
“Niente…” ripeté la ragazza, in modo quasi impercettibile “Ma…” proseguì, alzando appena la voce “Se questa era la sintomatologia, allora…forse il rigetto cronico avrebbe potuto essere evitato. Forse…forse si poteva ancora intervenire…mio Dio…”.
“Di cosa sta parlando?” domandò Ukita, perplesso.
Improvvisamente, Robin si passò una mano davanti alla bocca, le lacrime che le sgorgavano a fiumi dagli occhi e il corpo scosso dai singhiozzi.
“Ruri…Ruri lo sapeva…sapeva che cosa significava tutto questo…non-non…non ha fatto niente. Non mi ha detto niente!!” sbottò, scoppiando definitivamente a piangere “Mi aveva detto che stava bene…che s-stava bene…che aveva solo un po’ di mal di testa…n-no!!!”.
La rossina crollò definitivamente fra le braccia di Matsuda, che la strinse con energia, cercando di confortarla, mentre lei affondava il volto nella sua camicia, le lacrime che scorrevano copiose.
“Aveva un mal di testa…s-solo un mal di testa…” continuò a ripetere Robin, senza smettere di piangere.
Matsuda continuò a carezzarle la testa e a confortarla, come avrebbe fatto con una persona che conosceva da sempre; la ragazza non poteva vederlo, ma anche i suoi occhi erano tornati lucidi. Quando si fu sfogata, mentre tutti gli altri tornavano a sedere o ad assumere la posizione precedente il suo arrivo, Robin alzò ancora la testa, rivolgendo a Matsuda uno sguardo profondamente intenso e ricco di disperazione.
“M-mi scusi, h-ho già…dimenticato il suo nome…”.
“Non c’è problema. Mi chiamo Taro. Taro Matsui” le rispose il giovane, cercando di sorridere.
“C-certo…io sono…sono Robin Starling, ma questo lo sa già”.
“Sì. Sono contento di conoscerla, nonostante…beh…”.
“Lo so” singhiozzò Robin, sedendosi accanto a lui.
“Ho sentito che anche lei è medico” aggiunse il poliziotto, con un piccolo sorriso.
“Oh, si riferisce alla mia scenata” disse Robin, lasciandosi scappare una risatina, in mezzo alle lacrime “S-sì…voglio dire, sono…sto facendo la specializzazione. Sono al secondo anno…io e Ruri ci siamo laureate entrambe in anticipo. Abbiamo…studiato ad Harvard…”.
“Oh…è l’università più prestigiosa di tutti gli Stati Uniti” si complimentò Matsuda, con un ulteriore sorriso stiracchiato.
“Yale e Princeton non sarebbero d’accordo” replicò Robin, con un’altra risatina.
“Non importa. Sono sicuro che è la migliore del suo campo, o comunque lo diventerà” insisté Matsuda, scuotendo il capo.
Robin non rispose, rivolgendogli soltanto un altro sorriso molto debole, lo sguardo a terra.
“Non vi hanno detto proprio niente…? Nemmeno una parola, da quando hanno cominciato…?” gli domandò poco dopo, alzando appena la testa.
“No…mi dispiace molto” rispose Matsuda, le spalle rigide “Stiamo ancora aspettando…ci hanno detto che non possiamo fare altro”.
“Non riesco a credere che stia succedendo…” ripeté Robin, sconsolata “Sono arrivata qui il prima possibile, speravo di poter avere notizie…”.
“A proposito, come ha fatto ad arrivare così presto? Credevamo che fosse a Washington…” obiettò l’agente, adesso perplesso.
Robin scosse la testa, asciugandosi frettolosamente qualche altra lacrima.
“Sono arrivata in Giappone due giorni fa. Non volevo che Ruri lo sapesse…volevo…volevo farle una sorpresa. Sapevo che non avrebbe approvato la mia decisione, ma l’università di Kyoto aveva un interessante programma di ricerca riguardo al mixoma, così…”.
“Mixoma?” ribadì Matsuda, esitante.
“È un tumore benigno che si forma sul muscolo cardiaco” spiegò brevemente Robin “Insomma, ho pensato…ho pensato che potesse essere una buona occasione, così sono partita e…pensavo di chiamarla fra un paio di giorni…oh mio Dio…”.
“Non poteva saperlo, dottoressa” la rincuorò Matsuda, circondandole le spalle con un braccio “Non si faccia venire inutili sensi di colpa, non ha responsabilità di quello che è accaduto…”.
“Se solo fossi andata subito da lei, se solo me ne fossi accorta…c-come ho potuto…” seguitò Robin, riprendendo a piangere “A-aveva detto che era solo un mal di testa…”.
Robin tornò a singhiozzare, il volto affondato nel petto di Matsuda, mentre lui non cessava per un solo istante di carezzarle la testa; a poca distanza, gli agenti rivolgevano di tanto in tanto all’amica di Ruri qualche sguardo di circostanza, per poi tornare ad attendere d’avere notizie.
Dal canto proprio, Ryuzaki era tornato a sedersi, per poi prendersi la testa fra le mani, cercando di chiudere fuori dalla sua mente il continuo pianto della ragazza, nell’illusione che il silenzio riuscisse a dargli le conferme di cui aveva bisogno.
Dopo circa altre tre ore d’attesa, un rumore di passi lungo il corridoio e il cigolio di una porta scorrevole che veniva oltrepassata fece alzare la testa a tutti loro, portandoli a balzare in piedi e a dirigersi di corsa verso colui che aveva appena provocato quei suoni.
Si trattava di un uomo sulla quarantina, dotato di una folta chioma scura e di uno sguardo gentile; indossava un lungo camice bianco, e la sua espressione era molto stanca e provata.
“Voi siete i familiari di Ruri Dakota?” domandò, rivolgendosi a tutti loro.
“Siamo i suoi colleghi” spiegò Soichiro, aggiustandosi meglio gli occhiali sul naso.
“Capisco. Non c’è nessun membro della famiglia con cui poter parlare, nessun intimo…?”.
“Sono la sua migliore amica” intervenne Robin, facendosi avanti e posizionandosi vicino a Ryuzaki, che era in prima fila “Ruri non ha più nessun parente in vita. Sono io la sua famiglia. E queste persone stanno aspettando sue notizie da otto ore. La prego, ci dica come sta”.
Il chirurgo prese un bel respiro profondo, prima di continuare.
“Sono il dottor Shibahime, il responsabile di cardiochirurgia. Signori, la signorina Dakota ha superato l’intervento”.
Quelle parole furono seguite da numerosi respiri di sollievo, e persino da qualche sorriso e da un paio di risate spensierate, ma un nuovo intervento del medico li portò a zittirsi nuovamente.
“Scusatemi, non ho terminato. Ruri ha superato l’intervento, ma…”.
“Ma…?” lo esortò a proseguire Robin, praticamente pendendo dalle sue labbra.
“Ma le sue condizioni rimangono gravissime. Durante l’operazione, ha perso molto sangue…”.
“Sangue…? Ma non capisco…c’era un’emorragia in corso?” domandò Robin, confusa.
Il dottor Shibahime sospirò nuovamente.
“L’intervento a cuore aperto a cui abbiamo dovuto sottoporla ci ha rivelato la causa dell’arresto cardiaco, o meglio…ha portato alla luce ciò che ha provocato il tentativo di rigetto cronico dell’organo da parte del suo corpo”.
L’uomo fece una breve pausa, mentre lo sguardo di Robin, insieme a quello degli altri, non accennava a staccarsi da lui.
“Ruri presenta un grave caso di coronaropatia aggravata, al terzo grado di stenosi dell’arteria coronaria sinistra…” dichiarò il dottore.
“Stenosi grave…?” sussurrò lentamente Robin, come nel tentativo d’assorbire meglio il significato di quelle parole.
“Sì…” annuì gravemente Shibahime.
“Non capisco…ma che significa?” domandò Aizawa, spostando lo sguardo dal chirurgo a Robin.
“Significa che una delle arterie principali che pompano il sangue dal muscolo cardiaco si sta occludendo…e che ben presto, l’organo non sarà più in grado di pompare tessuto sanguigno all’interno dell’organismo. Questo provocherà il cedimento degli organi interni, e…”.
“…e la morte…” completò lentamente Robin, mormorando appena.
“No, aspetti un momento!! Sta dicendo che Ruri…” iniziò Yagami, interrompendo subito la sua frase.
“Non è tutto perduto” cercò di rassicurarli il medico “Il problema è che il cuore ha subito gravi danni…per il momento, siamo riusciti a mantenerla stabile, ma i nostri macchinari arrivano fino a un certo punto. La cosa migliore…sarebbe sottoporla subito a un ritrapianto dell’organo”.
Robin crollò ancora a sedere, prendendosi la testa fra le mani.
“E come pensate di fare?!” sbottò poco dopo, la voce nuovamente rotta “Ci vogliono settimane, mesi, per poter ottenere un cuore da trapiantare! Per non parlare delle compatibilità necessarie affinché niente vada storto…”.
“In realtà, questo non costituisce un problema. Vede, dovevamo eseguire un intervento di trapianto proprio domani mattina, su un paziente che presenta condizioni cliniche molto simili a quelle di Ruri, sia per gruppo sanguigno che per età, ma…ecco, è passato a miglior vita prima che potessimo operarlo. In altre parole…c’è già disponibilità di trapianto. Potremmo operare anche domani”.
“Beh, e quindi?!” sbottò Matsuda, mentre Robin balzava di nuovo in piedi “Che cosa state aspettando?!”.
Shibahime fece un’ulteriore pausa, incerto su come proseguire.
“Dottor Shibahime…”.
“C’è la possibilità…” iniziò il medico, stringendosi appena alla cartella clinica che teneva in mano “…che Ruri non superi l’intervento. Considerando la quantità di sangue che ha perso e le condizioni del suo sistema cardiocircolatorio…ecco, dovremmo anche inserire un bypass coronarico per prevenire il riformarsi di eventuali stenosi in seguito al ritrapianto. Un’azione del genere potrebbe provare in maniera eccessiva le sue condizioni cliniche a livello cardiocircolatorio. Se le cose dovessero evolvere in questo modo, i suoi parametri vitali finirebbero per compromettersi definitivamente; a quel punto, avremmo solo un modo per salvarle la vita…”.
Prima che il medico potesse completare la frase, Robin si appoggiò alla parete, chiudendo gli occhi.
“Accanimento terapeutico” articolò, con il tono di chi sta pronunciando una condanna a morte.
“Esattamente” confermò Shibahime, annuendo in tono grave.
“Ma…ma questo vorrebbe dire che Ruri…”.
“Il coma farmacologico in cui la indurremmo diventerebbe presto coma naturale. Dovrebbe rimanere…beh, le sue funzioni vitali sarebbero amministrate da una macchina, fino a…fino a quando l’organismo non presentasse un qualche segno di reazione. Però…sono costretto a dirvi che questo avviene soltanto nel 5% dei casi”.
“E…quante sono le probabilità che incappi in una condizione del genere…?” domandò Ryuzaki, facendo volgere tutti verso di lui; era la prima volta che apriva bocca, fin da quando il dottore aveva fatto la sua comparsa.
Shibahime sospirò per l’ennesima volta, abbassando il capo.
“Il 75%. Mi dispiace molto”.
Un silenzio mortale cadde su tutti i presenti, che si scambiarono occhiate fugaci, prima di spostare lo sguardo al suolo o fuori dalle finestre; Robin tornò ad appoggiare il capo contro il petto di Matsuda, che la strinse a sé, malgrado la loro scarsa conoscenza, permettendole di riprendere silenziosamente a piangere.
“So che non è il momento più adatto, ma devo parlarvi delle possibilità del caso” proseguì Shibahime “Ho esposto la questione alla signorina Dakota…”.
“Un momento” saltò su Robin, staccandosi improvvisamente da Matsuda “Sta dicendo che è sveglia, adesso? Che è cosciente?”.
“In questo istante, è sotto sedativi, e il suo cuore è elettricamente connesso a un dispositivo esterno simile a un pace-maker, però sì…è lucida”.
“Possiamo vederla?” domandò Robin, ansiosa.
“Non per il momento, signorina. Ha subito un brutto trauma, è esausta. E deve prendere una decisione importante”.
“Una decisione importante…?” ripeté Soichiro, sbattendo le palpebre “Non capisco…”.
“Le abbiamo illustrato le possibilità relative all’intervento chirurgico che sarà costretta a subire, con particolare attenzione riguardo ai rischi che corre nel caso in cui le cose dovessero evolvere nel peggiore dei modi…” il medico fece un’altra pausa, per poi proseguire con tono sempre più grave “In quanto cittadina statunitense, la signorina Dakota ha diritto a un trattamento medico-sanitario conforme alle norme giuridiche dello Stato in cui risiede…è per questa ragione che le abbiamo sottoposto l’ipotesi di firmare il DNR”.
“CHE COSA HA FATTO?!?!” gridò Robin, avanzando fino ad essergli molto vicina “COME HA POTUTO?!?!”.
“Era mio dovere, signorina. Non sta certo a lei prendere una decisione simile. Si tratta della vita di Ruri Dakota, non della sua” le fece notare Shibahime, cercando di mantenere un contegno.
“Ma…ma lei non può…non è abbastanza lucida!!!” sbottò la rossina, scuotendo la testa “La prego, mi faccia parlare con lei, la farò ragionare, non può veramente pensare…!!”.
“Nessuno si avvicinerà a quella ragazza fin quando non avrà preso autonomamente una decisione, e l’avverto, se scopro che le ha fatto delle pressioni per farle cambiare parere, nel caso in cui questo le risultasse sgradito, le giuro che le farò causa per tentato accanimento terapeutico contrario alle volontà del testamento biologico della paziente. Immagino che a Washington questo sia un reato, dico bene?” la gelò immediatamente il chirurgo, con un’occhiata seria.
“Scusatemi…ma che cos’è esattamente il DNR?” domandò Ukita, quasi timidamente.
Il dottore lo guardò con aria provata e persino compassionevole, per poi rispondergli.
“DNR…’Do not resuscitate’. Si tratta della documentazione che i pazienti americani sono autorizzati a firmare, nel caso in cui vadano incontro a un intervento che potrebbe avere degli esiti…deludenti, per così dire. Firmare quell’autorizzazione ci obbliga…”.
“…a non proseguire l’accanimento terapeutico sul paziente” completò Robin, con la massima amarezza.
“M-ma questo…vuol dire…” balbettò Yagami.
“Vuol dire che se Ruri firma quei documenti…nel caso in cui le cose andassero nel peggiore dei modi, nel corso dell’operazione…i medici sarebbero costretti a non prendere provvedimenti superiori per tenerla in vita” seguitò Robin, passandosi una mano davanti al volto.
“Ruri…Ruri sta decidendo se vivere o morire…” mormorò Aizawa.
Senza alcun preavviso, Ryuzaki crollò a sedere sulla medesima panchina, le braccia lente lungo i fianchi e lo sguardo vuoto; osservandolo di sottecchi, Watari avrebbe giurato d’aver visto una lacrima affacciarsi a uno dei suoi occhi incavati.
“Ruri ha detto di dirvi che desidera prendersi del tempo per pensare. Ho cercato di non metterle fretta, ma sono costretto a dirvi che abbiamo i minuti contati. Dovrà decidere entro l’alba…quando avrà fatto una scelta, procederemo subito con l’operazione. Sono costernato, ma…è mio dovere suggerirvi di prepararvi comunque al peggio. Mi dispiace molto”.
Il medico girò sui tacchi e fece per allontanarsi, quando Robin lo chiamò indietro.
“Potremo vederla prima dell’intervento? La prego…solo un momento…”.
“Se lei lo desidererà, non potrò negarvelo, signorina. Mi perdoni, è solo il mio lavoro”.
Robin annuì, mentre il dottore si allontanava definitivamente.
Dal canto proprio, Ryuzaki non riusciva a smettere di pensare alle parole del chirurgo, intanto che l’immagine connessa ai ricordi che possedeva di Ruri non cessava di vorticare nella sua mente…non si era mai sentito così vuoto in tutta la sua vita. Il problema non era la solitudine. Era sempre stato solo, senza che nessuno fosse mai in grado di scalfire minimamente la corazza di ghiaccio che aveva costruito intorno a sé fin dalla morte dei suoi genitori, senza che questo rappresentasse mai un ostacolo per la sua stessa esistenza…come poteva avvertire un tale senso di soffocamento, di fronte alla sola idea che una singola persona potesse morire? Non poteva essere…dopotutto, era stato lui a tenerla lontana. Aveva acquisito quello che voleva…come poteva sentirsi sul punto di precipitare in quel modo? Possibile…che avesse ottenuto quello che voleva, ma non ciò di cui aveva bisogno?
 
When you try your best, but you don't succeed
When you get what you want, but not what you need
When you feel so tired, but you can't sleep
Stuck in reverse

 
*Come posso essere arrivato ad averne bisogno? Quando è successo? Quando…quand’è che mi sono innamorato di lei?*.
Improvvisamente, un grande senso di stanchezza cominciò a pervaderlo, quasi come se un grosso carico gli fosse appena stato scaricato sulle spalle, facendolo sentire privo d’energie e incapace di muovere un muscolo; forse il riposo avrebbe potuto rivelarsi l’unica cosa di cui aveva bisogno, ma i suoi occhi si rifiutavano di chiudersi, rimanendo inchiodati nel punto del muro di fronte a sé che aveva fissato per le precedenti otto ore.
Senza alcun preavviso, si rese conto che gli mancava già il suono della sua voce, che gli mancava poterle parlare, poterla vedere, poterla sfiorare…poterla baciare…
*Non può succedere…non può succedere adesso…non sono…non sono più in grado di affrontare una cosa del genere…* continuò a ripetere a se stesso *Non è qualcosa che posso accettare…Ruri…*.
La sua mente, così geniale, brillante, abituata a qualsiasi situazione e alla risoluzione di qualsiasi problema, si era come chiusa in se stessa, rimanendo muta e lasciandolo fra le grinfie di un cuore disperato e ormai privo d’ossigeno, che non faceva altro che invocare un unico nome. Non poteva, diamine, non poteva sopravvivere senza la sua psiche, senza il suo intelletto…si trattava di un qualcosa che non conosceva nemmeno, come avrebbe potuto confrontarsi con esso? Come avrebbe mai potuto uscirne indenne…come sarebbe mai sopravvissuto alla morte di Ruri?
“Posso sedermi?”.
Una voce femminile lo distrasse dai suoi pensieri, facendogli alzare lo sguardo; Robin gli stava sorridendo in modo incerto, gli occhi arrossati e gonfi a causa del troppo piangere.
In modo quasi impercettibile, Elle annuì, distogliendo subito gli occhi, mentre lei si accomodava vicino a lui, piegandosi a sua volta in avanti e incrociando le mani sulla sommità delle sue ginocchia; in lontananza, un orologio cominciò silenziosamente a battere le cinque del mattino.
“Sono già passate due ore…non me ne sono nemmeno accorta” sussurrò Robin, con un altro piccolo sorriso.
“Sì…” replicò Ryuzaki, quasi sussurrando.
“Lei crede…insomma…pensa che dovrei parlarle? A Ruri…” spiegò la rossina, la voce appena ansiosa “Ritiene che sarebbe giusto se io…se cercassi di convincerla a non firmare il DNR?”.
Stupito da quella domanda, Ryuzaki sembrò prendersi del tempo per rispondere, per poi cominciare a farlo in modo molto misurato.
“Credo che Ruri preferisca decidere da sola. Non vorrebbe che una scelta del genere potesse…venire in qualche modo condizionata da quello che ognuno di noi può pensare al riguardo. Ruri è…è una persona che…non metterebbe mai se stessa al primo posto. Se capisse che firmare quei documenti le arreca un dolore come quello che sta provando, immagino…che potrebbe considerare la possibilità di non farlo solo per far cessare quella sofferenza. E la sua decisione non deve e non può essere veicolata da una spinta simile”.
Robin annuì lentamente, come riflettendo su ciò che Elle aveva appena detto.
“Avete informato Elle di quello che è successo?” domandò Robin, asciugandosi una lacrima solitaria.
Ryuzaki sorrise amaramente, in modo quasi ironico.
“Sì, non appena è successo…si è mantenuto informato sulle sue condizioni. Immagino che stia ancora lavorando al caso da solo…”.
“Certo, mi rendo conto. È…è quello che vorrebbe anche Ruri…”.
“Sì…lei…vorrebbe così” annuì Ryuzaki, senza smettere di tormentarsi le lunghe dita bianche.
“Se lei e i suoi colleghi preferite tornare a casa…voglio dire, non c’è più ragione che restiate qui, posso occuparmene io…” iniziò la giovane, titubante.
“Io resto qui” la interruppe il detective, con voce ferma.
“Ma…ma potrebbero volerci ancora molte ore…”.
“Io resto qui” ripeté Ryuzaki, scosso appena da un tremito quasi impercettibile.
Robin gli riservò un’occhiata di sottecchi, come notando improvvisamente qualcosa che non aveva scorto fino a quel momento.
“Lei è Ryuzaki…non è vero?” gli chiese, portandolo a voltarsi repentinamente verso di lei.
“Ci conosciamo?” domandò il giovane, quasi sulla difensiva.
“In un certo senso, sì…” replicò Robin, passandosi una mano dietro la nuca, con un sorriso malinconico “Ruri non ha fatto che parlarmi di lei, nelle ultime settimane…e inoltre, lei è l’unica persona che non abbia mosso un muscolo nelle due ore appena trascorse, o forse persino fin da quando sono arrivata. Dubito che un altro dei suoi colleghi d’indagine avrebbe fatto altrettanto…”.
Ryuzaki rimase in silenzio, ascoltando il suono delle sirene in lontananza e cercando di concentrarsi sul ticchettio dell’orologio a muro, che scandiva il tempo in maniera inesorabile.
“Io so quello che prova…” riprese la rossina, dopo un lungo silenzio.
“No, non lo sa. Non può saperlo…” la contraddisse subito Ryuzaki, scuotendo il capo ed evitando di guardarla “Nessuno può saperlo…”.
“Lei dice? Oltre quella porta, c’è l’unica persona al mondo che significhi ancora qualcosa, per me. Pensa che questo possa andare oltre il sentimento che prova per lei?”.
“Penso solo che lei non sia in grado di capire il modo in cui mi sento in questo istante. Nemmeno io posso farlo…come può pretendere di farlo lei?”.
“Ruri è una persona il cui posto non potrebbe mai essere sostituito da alcuno, per nessuno di noi due. E questa è una cosa che trascende qualsiasi confine di logica, di spazio o di tempo. È davvero convinto che non sia in grado di capire?” insistette Robin.
“Sì” ribatté Ryuzaki, quasi a denti stretti “Ruri è…”.
Fece una lunga pausa, continuando a fissare il pavimento, mentre i penetranti occhi di Robin non si staccavano un istante dal suo viso.
“È la prima cosa che mi abbia fatto sentire vivo dopo sedici anni di morte. Lei potrebbe mai comprendere un concetto simile?”.
 
And the tears come streaming down your face
When you lose something you can't replace
When you love someone, but it goes to waste
Could it be worse?

 
Dopo un ulteriore momento di silenzio, Robin si pronunciò in un minuto sorriso malinconico.
“Potrei comprendere quello che significa per Ruri. Di questo sono sicura”.
“Ne dubito” scosse il capo Ryuzaki, rispondendo amaramente al suo sorriso.
Robin sospirò stancamente, evitando di rispondergli e accasciando il dorso contro lo schienale della panchina, chiudendo gli occhi per qualche istante. Quando infine li riaprì, tornò a rivolgere al ragazzo lo sguardo più intenso che fosse in grado di sfoggiare.
“Ruri mi ha parlato di lei” ribadì, passandosi una mano nella chioma rossiccia.
Ryuzaki sfoggiò un sorriso funesto, le spalle scosse da un tremito visibile.
“Ah sì? E che cosa le ha detto? Che sono il peggiore incidente che le sia mai capitato in tutta l’esistenza? O magari che sono incapace di mantenere un filo coerente fra il modo in cui mi comporto e quello che dico?”.
Robin lo fissò stupita, alzando appena un sopracciglio.
“A dirle la verità…Ruri ha sempre parlato di lei come di una sorta di modello. Volendo essere sincera, prima d’ora l’avevo sentita parlare in quel modo solo di Elle…”.
Prima di proseguire, la ragazza continuò a osservarlo di sottecchi, nel tentativo di cogliere la sua reazione di fronte a una frase simile, ma lui non batté ciglio, evitando di voltarsi.
“Comunque…Ruri non ha mai…non c’è mai stata un’occasione in cui io le abbia parlato durante la quale abbia mancato di raccontarmi di lei. Effettivamente, penso di conoscerla meglio delle stesse persone con cui ha indagato nelle ultime settimane…” ridacchiò infine, cercando di smorzare la tensione.
Elle non rispose, continuando a mantenere gli occhi bassi; dopo un ulteriore silenzio, Robin riaprì di nuovo bocca.
“Ruri…Ruri non aveva mai…mai parlato di nessuno nel modo in cui parlava di lei. Credo…credo che si fosse…”.
“Non lo dica” la bloccò lui, lasciandola sorpresa, quasi di stucco.
Esaminandolo con attenzione, Robin si accorse che la sua presa sulle ginocchia si era fatta ancora più salda.
“Ryuzaki…”.
“Non dica quella parola. Non voglio sentirla”.
“Ma…perché? Non capisco…” balbettò Robin.
“Non mi parli del modo in cui si sentiva nei miei confronti. Non voglio che nessuno ne parli. Glielo chiedo come un favore personale”.
“Perché? È qualcosa di cui ha paura?” domandò la ragazza, la voce appena venata di un tono accusatorio.
“È qualcosa per cui mi sento in colpa…” sussurrò Ryuzaki, provocando in lei un senso di stupore privo d’eguali.
 
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you

 
“Ryuzaki…” mormorò lentamente Robin, sfiorandogli appena il braccio.
“Dottoressa Starling, per favore. Non mi costringa a chiederglielo di nuovo. Non parli di qualcosa che non sono in grado di affrontare, in questo momento. La prego”.
Tutto ad un tratto, Robin parve cominciare a comprendere il senso di dolore che gli stava invadendo il petto, come una piaga il cui dilagare era destinato a non fermarsi mai, come un incendio capace di bruciargli a fondo, fin dentro le sue ossa, come un cancro dotato della possibilità di oscurargli qualunque luce alla vista…qualunque punto di riferimento che potesse ricondurlo a casa.
“Può…” riprese il detective, dopo che Robin ebbe iniziato a rispettare il suo desiderio, facendola voltare verso di lui ancora una volta “Può parlarmi di lei…?”.
“Non capisco…” ammise Robin.
“Mi parli di Ruri. Di qualunque cosa. Non so praticamente niente della sua vita…credevo di sapere tutto quello di cui avevo bisogno, ma non è così. La prego, mi parli di…di tutto. Non ho informazioni, ho…ho bisogno di avere informazioni. Ne…ne ho davvero bisogno. Per favore”.
Dopo averlo ulteriormente esaminato per qualche istante, rendendosi conto che aveva letteralmente chiuso gli occhi, come incapace di riaprirli di nuovo, Ruri cominciò a parlargli, raccontandogli tutto quello che sapeva sulla sua migliore amica.
Così andarono avanti per circa un’altra ora; Ryuzaki mantenne gli occhi chiusi per tutto il tempo, probabilmente cercando di dare un volto ai racconti che stava udendo grazie l’aiuto della ragazza, mentre Robin non cessò per un istante di narrargli ogni minimo particolare che riguardava Ruri, dal suo colore preferito alla sua più grande paura, dalla prima volta in cui aveva letto un libro nell’arco di un’ora al primo istante in cui aveva desiderato diventare agente dell’FBI, dall’ultima violenza che aveva subito da parte del padre fino all’attimo della sua laurea ad Harvard, dal primo caso di cui si era occupata come agente fino alla prima occasione in cui aveva sentito parlare di Elle…
“Ruri diceva sempre di non sentirsi all’altezza. Cercava continuamente di ripetersi che era la migliore, che poteva farcela, ed era quello che le ripetevamo tutti…ormai, era diventata una realtà oggettiva. Ma nonostante questo, non c’era mai un’occasione in cui non finisse per mettersi comunque in dubbio…era come se tutto il suo lavoro, tutte le sue capacità, tutta la sua voglia di fare fossero legate al bisogno di dimostrare che, in qualche modo, sarebbe comunque riuscita a cavarsela. Lei era…è fatta così, ha sempre avuto il timore di perdere il controllo su tutto. Per lei, l’idea di non riuscire più a essere padrona di quello che le succedeva intorno era…inconcepibile. Credo che sia questa la ragione per cui non volesse innamorarsi in nessun modo…temeva che questo avrebbe ostacolato qualsiasi azione avesse mai potuto compiere in vita sua”.
Elle sorrise appena, con l’aria di chi sapeva perfettamente di cosa Robin stesse parlando.
“Lo sa che è strano?” gli domandò a un tratto la ragazza, portandolo miracolosamente ad aprire gli occhi.
“Che cosa?” replicò il detective, stupito.
“Ruri mi ha sempre raccontato che lei ha un modo di sedere molto bizzarro…ma da quanto ho avuto modo di vedere finora, le cose non stanno così. Mi domando come mai…”.
Ryuzaki non riuscì a non indirizzarle un sorriso pensieroso, per poi tornare a rivolgere lo sguardo a terra.
“Ruri le hai mai detto come mai mi siedo in quella maniera?” le chiese.
“No, veramente no…” constatò Robin, lentamente.
“Beh, posso solo dirle che, in questo momento, a dire la verità avrei bisogno proprio di assumere quella posizione…ma è come se non riuscissi a muovermi. È come se…tutto il mio corpo non rispondesse più al mio controllo…come se non respirassi più. È possibile…?” le domandò, volgendosi ancora verso il suo profilo e indirizzandole lo sguardo più penetrante che le avesse mai rivolto.
“Beh…” rispose Robin con cautela, dopo averci riflettuto “Lei è incredibilmente e senza alcun dubbio innamorato di Ruri. Perché questo dovrebbe sorprendermi?”.
Ryuzaki continuò a guardarla negli occhi, senza potersi rivelare in grado di rispondere a ciò che lei gli aveva appena detto, come se quelle parole gli si stessero incidendo a fuoco nell’anima, evitando di dargli qualunque possibilità di replica. Alla fine, dalle sue labbra uscì una domanda molto più semplice di qualsiasi risposta avesse mai potuto rivelarsi in grado di fornire contro quella verità inappellabile.
“Può dirmi qual è il dolce preferito di Ruri?”.
Robin lo osservò per qualche momento, non troppo sorpresa da quell’uscita.
“Torta di panna. Con le fragole” rispose infine, con un altro sorriso mesto.
Ryuzaki annuì, sorridendo a sua volta con la dolcezza e l’ingenuità di un bambino.
“Torta di panna con fragole...la migliore del mondo” pronunciò, in un sussurro accompagnato da una lacrima solitaria.
 
Tears stream down your face…
 
Un secondo successivo, la porta che tutti loro avevano fissato con insistenza per le precedenti tre ore si aprì di colpo, portandoli ad alzarsi tutti in piedi e a dirigersi di corsa verso il dottor Shibahime, che ne era appena uscito.
“Allora?!” esclamò subito Yagami, forsennato come non lo era da tempo.
Il chirurgo sospirò, intriso di profonda stanchezza, e distolse subito gli occhi, indirizzando la sua attenzione verso Robin.
“La signorina Dakota ha deciso. Eseguiremo l’intervento fra circa un’ora”.
“Ma…ma qual è stata la sua scelta?” domandò Robin, la voce rotta.
“Immagino sia meglio che glielo dica di persona” annuì il medico, con aria grave.
“Po-possiamo vederla…?” chiese la rossina, con un tremito.
“Solo per un momento, signorina. Ha bisogno di prepararsi per l’operazione. Ha detto…” aggiunse, dedicando un’occhiata di scuse agli altri membri del gruppo “…che vuole vedere solo la signorina Starling. Mi dispiace”.
“Cosa…? Ma perché…?!” tentò di protestare Matsuda, ma la mano del sovrintendente lo fermò subito, posandosi immediatamente sulla sua spalla.
“Ruri ha diritto di decidere da sola come vivere i momenti precedenti una svolta tanto importante. Le dobbiamo rispetto in questo più che in ogni altra cosa”.
“M-ma…ma almeno Ryuzaki dovrebbe…” tentò di dire ancora il ragazzo, spostando lo sguardo verso il detective, che nel frattempo aveva ripreso ad appoggiarsi contro il muro, gli occhi piantati al suolo.
“Hai sentito cos’ha detto il dottore. Soltanto la dottoressa Starling. Non si discute” disse semplicemente, tornando a sedersi.
“A-allora…allora posso…?” riprese Robin, quasi sussurrando, rivolta al medico.
“Sì” annuì Shibahime “Devo avvertirla, però…ecco, è meglio che sia preparata a quello che dovrà vedere. Ruri ha subito un intervento molto grave, è ancora sotto sedativi ed è in terapia intensiva…le sue funzioni vitali sono monitorate da una macchina, non respira autonomamente, e…”.
“Questo me lo ha già detto” lo interruppe Robin, scuotendo il capo “Anch’io sono un chirurgo, dottor Shibahime. Sono pronta. Mi porti da Ruri, la prego”.
L’uomo annuì, facendo per avviarsi lungo il corridoio posto dietro la porta che aveva appena aperto, ma prima sussurrò un’ultima cosa all’orecchio della giovane, che l’udito affilato di Ryuzaki non mancò di captare.
“Lei sapeva delle cicatrici…?” chiese il chirurgo, in modo quasi addolorato.
Robin annuì frettolosamente e gli fece cenno di proseguire; subito dopo, il suo collega eseguì, iniziando a guidarla attraverso la sala successiva. Prima di seguirlo definitivamente, Robin si voltò un’ultima volta verso Elle, dedicandogli un sorriso triste.
“Ryuzaki…” lo chiamò, il tono basso.
“Sì?” le rispose lui, sollevando di poco la testa.
“Ruri adora anche il cioccolato…”.
Quella frase lo fece sorridere, per poi condurlo ad annuire ancora una volta.
“Sì…lo adoro anch’io”.
 
And high up above or down below
When you're too in love to let it go
But if you never try you'll never know
Just what you're worth

 
Quando entrò nella stanza in cui si trovava Ruri, pochi istanti dopo, Robin dovette trattenersi dal crollare definitivamente a terra.
Lavorava in ospedale ormai da tre anni, si era abituata a stare a contatto con i pazienti e con le persone in fin di vita; uno stato del genere l’aveva condotta a pensare che sarebbe stata comunque in grado di reggere la visione che le si sarebbe prospettata di fronte, avendo avuto modo di trovarcisi a contatto dozzine di volte…ma in realtà, vedere Ruri protagonista di quel quadro le fece capire che non sarebbe mai stata in grado di accettare lo spettacolo che aveva davanti.
La sua migliore amica era distesa sul letto che dominava la stanza, quasi del tutto immobile; il suo colorito era pallido, quasi cianotico, e il suo volto era provvisto di due notevoli occhiaie, simili a quelle di Ryuzaki. Sotto il naso sottile, le era stato adagiato un respiratore connesso ai macchinari posti di fianco a lei, in grado di trasmetterle l’ossigeno di cui necessitava per continuare a respirare. Le sue braccia, costellate come di consueto di tagli e cicatrici, erano scoperte, e una di esse era provvista di una flebo; da quando l’aveva vista l’ultima volta, doveva aver perso almeno sette od otto chili, e i suoi occhi apparivano spenti, stanchi, intenti a guardare fuori dalla finestra, come persi in un mondo in cui non poteva più raggiungerla.
Quando l’ebbe udita entrare con circospezione, Ruri voltò appena il capo, rivolgendole un sorriso debole e intriso di stanca consapevolezza.
“Ciao, Robin. Non pensavo che saresti arrivata così presto”.
Incapace di muovere un passo, Robin continuò a fissarla dalla soglia, la porta appena chiusa dietro di sé, le braccia incrociate lievemente, come nel tentativo di schermarsi da un freddo irrazionale che le stava invadendo le ossa, malgrado la stanza ben riscaldata.
Ruri continuò a sorriderle, aspettando che dicesse qualcosa, ma Robin non dava segno d’essere in grado di muovere un muscolo, tantomeno di proferire parola in qualche modo.
“Non dici niente?” le si rivolse ancora dopo un breve silenzio, pronunciandosi in un altro sorriso che, a causa di una fitta di dolore, risultò più simile a una smorfia “Ho un aspetto così orribile da lasciarti ammutolita?”.
Senza nemmeno rendersene conto del tutto, Robin scorse infine la nuova cicatrice, perfettamente incisa sulla sua pelle e del tutto recente, che le tagliava il petto in due in modo molto più evidente rispetto a quella che l’aveva preceduta.
“Ah, questa…” commentò Ruri, notando la direzione del suo sguardo “Sì, è…piuttosto inquietante, non è vero? Immagino che dovrei ancora farci l’abitudine, ma presto se ne formerà un’altra ancora più grande, quindi…”.
“Hai firmato il DNR, non è vero?” le domandò a un tratto Robin, interrompendola di botto.
Ruri sospirò con mestizia, indirizzandole un altro sorriso.
“Ha importanza?” replicò, scuotendo appena il capo.
“Sì che ne ha. Ha importanza per me” ribatté Robin, avanzando di qualche passo.
“Perché? Perché hai bisogno di sapere se il mio futuro sarà la morte o un letto d’ospedale in cui sarò relegata come un vegetale?” le domandò, senza alzare la voce.
“Perché ho bisogno di sapere se potrà mai esserci una possibilità che io ti riveda viva, dopo oggi!!” sbottò Robin, di nuovo vicina alle lacrime.
“Mi rivedrai viva se l’intervento andrà per il meglio. Se così non dovesse essere…”.
“Se così non dovesse essere, avresti ancora qualche possibilità di salvarti, nonostante le misure che sarebbero costretti a prendere per…”.
“Sì. Il 5%. Me lo hanno detto. Tu sei un medico, Robin, e io una sorta di psichiatra. Nessuna di noi dovrebbe ancora credere alle favole, non ti pare?”.
“Tu…tu non…”.
“So che per te è rilevante saperlo. Ho firmato il DNR circa quindici minuti fa: ho preso la mia decisione, Robin. Non tornerò indietro”.
La ragazza rimase immobile, appena scossa da qualche tremito solitario, le braccia ancora conserte e lo sguardo relegato sul pavimento, incapace nuovamente di parlare.
“Perché?” riuscì a dirle infine, alzando appena gli occhi.
“Robin…”.
“No, dico davvero: perché? Hai deciso che è questo quello che vuoi? Hai deciso che preferiresti morire, piuttosto che darti un’altra possibilità?” insistette ancora, alzando sempre di più la voce.
“Dobbiamo per forza parlare di questo? Non c’è molto tempo…” le fece notare Ruri.
“Ah, non vuoi parlare di questo? Davvero non vuoi parlarne? E va bene! Magari preferisci discutere di qualcos’altro…vediamo, potremmo cominciare dal fatto che hai appena rischiato di dover subire un rigetto cronico, o che fra poche ore subirai un altro intervento che potrebbe seriamente compromettere le tue funzioni vitali, oppure potremmo persino ritrovarci a parlare di tutte le stronzate che non hai fatto che raccontarmi negli ultimi giorni!!!!!” gridò Robin, dando infine sfogo alle lacrime.
“Robin, non dire così…” la pregò Ruri, stancamente.
“ ‘Non dire così’?!? È tutto ciò che hai da dire, adesso?!?!”.
“Robin…”.
“No, Ruri!!! Tu mi hai mentito!!!!” urlò Robin, senza che il suo pianto trovasse fine.
“Non è come pensi…” cercò di dirle la ragazza, scuotendo la testa.
“Invece sì!!! Mi avevi detto che stavi bene, e tu non stai bene!!!” esclamò Robin, continuando a singhiozzare.
“Non era importante che tu lo sapessi…” mormorò Ruri, mentre una lacrima silenziosa scorreva anche a lei lungo il volto.
“Non era importante dirmi che stavi per morire?!?!”.
“Non avresti cambiato niente. Perché dirti qualcosa che ti avrebbe fatto semplicemente sentire impotente? È la peggior sensazione che si possa provare…ti prego, cerca di comprendere…”.
“No, la peggior sensazione è sapere che…che dopo che sarai entrata in quella sala operatoria, io non ti vedrò mai più, e che questa sarà una cosa che non potrà mai cambiare!!!” sbottò ancora Robin, per poi lasciarsi andare definitivamente al pianto.
Ruri la osservò silenziosamente, per poi sollevare appena una mano nella sua direzione, facendole cenno d’avvicinarsi; dandosi una spinta che la costringesse a muoversi, Robin si accostò a lei, fino a giungere abbastanza vicino da poterla toccare, pur essendosi appena seduta.
“Ascoltami…Robin, calmati. Ascoltami” la pregò, con maggiore veemenza, facendole alzare gli occhi arrossati, una mano ormai stretta alla sua “Lo so che per te non è facile…lo so che non potrà mai esserlo e che probabilmente non sarai mai in grado di capirmi. Non è una cosa che posso pretendere da te, e non è quello che farò. L’unica cosa che ti chiedo, adesso, è di ascoltare…”.
“T-ti ascolterò…” promise Robin, abbassando il capo sul dorso della sua mano, in attesa.
Ruri le accarezzò lentamente la guancia, portandola ad alzare ancora il capo, e guardandola intensamente negli occhi.
“Se adesso guardo di fronte a me, tutto ciò che vedo è un grande, indefinito ammasso di nebbia, senza una fine, senza un limite…senza un senso. Fin da quando ero bambina, tutta la mia vita è stata una continua lotta per sopravvivere…contro mio padre, contro la mia malattia, contro un cuore che non mi apparteneva e che sembrava fare di tutto pur di sfuggire al mio controllo…adesso ho la possibilità di ottenere qualcosa di migliore, ma…nella lotta per vincere, rischio di perdere anche quel poco che ho guadagnato. Non posso vivere così…è per questo motivo che ho firmato il DNR. Se qualcosa dovesse andare storto durante l’intervento, non voglio che vengano prese misure straordinarie per tenermi in vita, non è…” ribadì con enfasi, stringendole ancora più forte la mano “…quello che voglio. C’è stato un tempo in cui ho pensato che morire fosse la cosa peggiore del mondo, e quando…quando Daniel mi disse che avrebbe affrontato mio padre…quel giorno lo pregai di non andare, perché sapevo che non sarebbe tornato vivo. Lui si voltò, mi sorrise e mi disse che non poteva più vivere con un peso del genere addosso. Che non poteva più continuare a esistere, senza aver tentato in modo definitivo di riprendersi la dignità che gli spettava come essere umano e come fratello. Non riuscivo a comprendere le sue parole…oggi posso dirti che so come ti senti, perché quando l’ho guardato andarsene sapevo che non sarebbe mai più tornato. Quel giorno sono impazzita, perché non capivo…non capivo. Ma ora capisco, e voglio che anche tu capisca. Devi capire. Non voglio che sprechi la vita ad aspettare che ritorni da un luogo da cui non potrò più raggiungerti. Non voglio che tu impazzisca. Voglio che diventi un grande medico, e che tu faccia una brillante carriera, e spero di poter essere qui per vederti, ma se così non fosse…voglio solo poter andare avanti. E ho bisogno che tu sia abbastanza coraggiosa per lasciarmelo fare, perché…qualsiasi cosa io possa trovare dall’altra parte, di sicuro non sarà mai peggiore di quello che mi aspetta se dovessi diventare incapace di muovermi, di parlare, di respirare senza il necessario sostegno di una macchina. Ma non posso realizzare un desiderio simile…senza il tuo aiuto. Quando arriverà il momento, non sarò più in grado di esprimere autonomamente la mia volontà, e se qualcuno dovesse opporsi alla decisione che ho preso in precedenza, questo significherebbe che le mie condizioni rimarrebbero invariate fino a tempo indeterminato. Perciò, ti prego, Robin, ti prego…” concluse, stringendole ancora più forte la mano “Se dovesse arrivare…l’ora…tu lasciami andare”.
“Ruri…” mormorò appena Robin, asciugandole qualche lacrima che le era appena scivolata dagli occhi.
“Io starò bene. Starò bene, e starai bene anche tu…e qualunque cosa accada, io sarò orgogliosa di te. Comunque vadano le cose, noi due resteremo insieme. Perché anche se in quella sala operatoria dovessi addormentarmi per non svegliarmi mai più…non ci sarà mai un momento, in tutta la tua vita, in cui non mi avrai accanto a te”.
 
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you

 
Incapace di trattenersi ulteriormente, Robin dette ancora libero sfogo al pianto, appoggiando il capo contro la superficie del materasso, il volto affondato sulla mano di Ruri, che continuò a carezzarle la testa con l’altra, sorridendole con dolcezza e lasciando che qualche altra lacrima bagnasse il capo della sua amica.
“Ruri…” riuscì a dirle infine, sollevandosi appena e guardandola negli occhi “Ryuzaki è…”.
“Non dire niente” la interruppe Ruri, con tono delicato “Solo…promettimi che…se le cose dovessero andare male…solo se le cose dovessero andare male…digli che mi dispiace. Tanto”.
 
In quello stesso istante, a qualche metro di distanza, Watari si sedette nuovamente di fianco a Ryuzaki, assumendo la sua stessa posizione, le braccia penzolanti in avanti, subito sopra le gambe; il ragazzo gli lanciò un breve sguardo, per poi riprendere a fissare il pavimento, accorgendosi a malapena che il corridoio si era appena fatto deserto, privo per qualche momento della presenza dei loro colleghi d’indagine.
Dopo un lungo silenzio interrotto soltanto dalla voce di qualche medico in lontananza e dal suono delle sirene delle ambulanze in arrivo e in partenza, Watari sorrise leggermente, il volto segnato da rughe di vecchiaia e di stanchezza, molto più evidenti rispetto al solito.
“Somiglia a lei…” mormorò, come rivolto più a se stesso che non al suo protetto.
“Cosa?” replicò Ryuzaki, la voce a sua volta bassa.
“Somiglia a Christine…Ruri, credo…credo che somigli a Christine. Sai, l’ho vista, qualche tempo fa…era sul notiziario della BBC. È diventata…una giornalista di successo. Ha la stessa grinta combattiva di sua madre. Ho la netta sensazione che Ruri le somigli molto…”.
Incapace di replicare, Elle rimase in silenzio, dando l’impressione di riflettere su quello che Watari aveva appena detto; era la prima volta che parlavano di sua figlia, e di certo quella situazione non poteva non apparirgli bizzarra.
“Tu lo sapevi, non è vero?” gli domandò poco dopo, portandolo a guardarlo negli occhi “Della mia famiglia…”.
“Sì…” annuì lentamente Ryuzaki, successivamente ad un’altra pausa “Lo sapevo…”.
“Non ne hai mai fatto cenno…come lo hai scoperto?”.
Ryuzaki si strinse nelle spalle.
“Ho solo raccolto qualche informazione. È l’unica cosa che so fare davvero bene”.
“Questo non è vero, Ryuzaki. Dovresti saperlo meglio di chiunque altro”.
“Già, hai ragione. Sono il migliore, giusto? Io gioco a tennis, piloto gli elicotteri, progetto palazzi, do ordini all’Interpol e all’FBI…io arresto criminali e serial killer. Amministro la giustizia…pratico massaggi cardiaci…”.
Di fronte a quell’ultima uscita, Watari si volse completamente verso di lui, vedendolo passarsi una mano di fronte al campo visivo; prima che il suo interlocutore potesse aggiungere altro, il vecchio gli posò una mano sul braccio candido, facendogli alzare gli occhi.
“Ruri ce la farà. Può farcela, e ce la farà. Non si arrenderà, ne sono sicuro”.
“Davvero? Io no…” ammise Ryuzaki, arcuando appena la schiena.
“Non hai fiducia in lei?” domandò Watari, con una punta di risentimento.
“Non è questo il punto…” sussurrò Elle.
“E qual è il punto?”.
“Non…io non…”.
“Tu che cosa?”.
“Non le ho dato nessun motivo per evitare d’arrendersi. Adesso capisci?”.
Quelle parole lasciarono il suo mentore stordito per qualche istante, ma non gli impedirono di proseguire, dotato di una nuova risoluzione.
“Tu la ami, vero?”.
Elle gli lanciò uno sguardo indagatore, senza però riuscire a impedirsi di sorridere leggermente.
“E immagino che tu sappia tutto, sull’argomento…” constatò, scrollando le spalle.
“Diciamo quanto basta. E comunque, non stai rispondendo alla mia domanda”.
“Watari…non è così semplice come può sembrarti”.
“Forse lo è persino di più” affermò il suo più fido collaboratore, posandogli una pacca paterna sulla schiena “So come ti senti, Ryuzaki…”.
“Tu dici? Io non credo…”.
“Ne sei convinto? Quando ho dovuto lasciare la mia famiglia, avevo poco più della tua età. Ero completamente immerso nella mia carriera, avevo da poco fondato la Wammy’s House, ero pronto per affrontare il mondo…avevo tutta la vita davanti a me. Ma tutto ciò a cui riuscivo a pensare era che non l’avrei vissuta con accanto la donna che amavo e la figlia che tanto avevo atteso, e che ero già costretto ad abbandonare…come credi che possa sentirsi un uomo, quando sa che sta perdendo la cosa che gli permette di respirare? Rispondimi se puoi, Ryuzaki…”.
Il ragazzo sospirò, passandosi una mano dietro la nuca e chiudendo per poco gli occhi; infine, lo guardò nuovamente, lo sguardo intriso di un misto di determinazione e di profonda tristezza.
“Non ho mai voluto niente, in vita mia…perché non volevo perdere nuovamente ciò che mi stava a cuore. Sono una persona…sono infantile, Watari. Non riesco ad accettare che le cose non vadano come voglio”.
“Nessuno ci riesce quasi mai” cercò di consolarlo Watari, con un altro sorriso.
“No, è che…proprio non posso. Non riesco a muovermi. Non riesco a pensare, non riesco a mangiare, non riesco a…a respirare. Non posso…non posso neanche riflettere, sto…non sono abituato ad avere la mente così vuota, mi sento sempre come se fossi sul punto d’impazzire. Cristo, lei non…non ha nemmeno voluto vedermi…”.
“Lei voleva soltanto che evitassi di vederla nelle condizioni in cui si trova attualmente…è solo orgoglio, Ryuzaki. Dovresti saperne qualcosa”.
“Credi che io sia orgoglioso?” chiese il giovane, alzando un sopracciglio, il viso perplesso.
“Diciamo un ‘ni’” gli strizzò l’occhio Watari, per poi assumere di nuovo un’espressione seria “Ryuzaki, ascolta quello che ti dico: sono stato un uomo dedito alla razionalità per tutta la vita. Non ho mai creduto in niente che non fosse la mia logica o le mie capacità intellettive, fin da quando sono venuto al mondo. Nella creazione di quei numerosi orfanotrofi, o delle mie invenzioni, mi sono sempre dedicato alla ricerca del genio in forma pura e completa…e quando infine l’ho trovato in te, ho pensato che la mia opera fosse completa, ma…oggi, guardando quello che sei e quello che nascondi dentro di te…mi chiedo se il mio non sia stato un grande errore”.
“Che cosa vuoi dire?” domandò Elle, stranito.
“Per te avrei dovuto essere qualcosa di più che un semplice mentore. Avrei dovuto comportarmi come un padre che ti insegnasse qualcos’altro, oltre che a come adoperare il tuo straordinario cervello…forse non ne sono stato in grado. Perdonami. Ma oggi, vederti qui e sentirti parlare in questo modo…mi fa comprendere che tu hai un’occasione in più rispetto a me, e che non puoi permettere che vada sprecata. Quella ragazza ti sta dando l’opportunità di vivere…non lasciare che questa cosa scivoli via senza averla vissuta fino in fondo. Per te non è troppo tardi, ragazzo. La vita è troppo lunga o troppo breve per trascorrerla nel modo in cui stai facendo tu…e nel modo in cui ho fatto io. Non commettere il mio stesso errore. Non finire come me”.
 
Tears stream down your face
When you lose something you cannot replace
Tears stream down your face
And I...

 
Prima che Elle potesse replicare, la figura di Robin comparve improvvisamente, seguita a ruota da quelle del sovrintendente Yagami, di Matsuda, Aizawa, Mogi e Ukita, che nel frattempo erano tornati nel corridoio. Watari e Ryuzaki balzarono in piedi, dirigendosi velocemente verso di lei, subito imitati dagli altri; prima che potessero raggiungerla, la ragazza appoggiò la schiena contro il muro, chiudendo gli occhi e sospirando pesantemente. Solo allora, tutti loro poterono accorgersi che il suo volto era rigato dalle lacrime.
“Robin…”.
“Ruri ha firmato il DNR. L’intervento inizierà fra quindici minuti”.
Poche parole, semplici, efficaci. In grado di farlo crollare per l’ennesima volta. Non seppe per quanto altro tempo fosse rimasto in piedi, ad attendere che qualcos’altro avvenisse, che qualcuno gli desse una spinta per staccarsi dalla sua posizione e per riprendere a muoversi. In seguito, si rese conto che questo poté avvenire solamente quando udì le porte di una sala adiacente aprirsi di colpo, e le ruote di un carrello ospedaliero iniziare a muoversi nel silenzio del policlinico, dirette verso un luogo ignoto e dove non avrebbe mai potuto avere accesso.
Volgendo appena il capo, la vide.
I lunghi capelli neri nascosti sotto una cuffietta verde ospedaliera, il respiratore artificiale che le inalava ossigeno posto subito sotto il naso, le braccia costellate di tagli ancora dotate delle flebo necessarie, lo sguardo spento, ma stranamente sereno.
Si accorse appena che Matsuda aveva fatto un passo in avanti per dirigersi verso di lei, ma che il sovrintendente lo aveva fermato, lanciandogli un’occhiata d’avvertimento; tuttavia, quando lui stesso mosse qualche passo nella sua direzione, nessuno diede cenno di volerlo bloccare.
Spostandosi come un automa, senza nemmeno rendersi pienamente conto di ciò che stava facendo, Elle finì per affiancarla, lo sguardo vuoto perso nei suoi occhi, che non mancarono d’incrociare presto quelli di lui.
Infine, la udì pronunciare qualche parola diretta all’infermiere, ma era come se la sua voce gli giungesse da un posto molto lontano, da cui non riusciva a distinguerne il significato.
Il carrello si fermò d’un tratto, lasciando che i loro sguardi continuassero a specchiarsi l’uno nell’altro, incapaci di arrestare quel confronto così intenso e ricco di parole non dette.
Spinto da una forza invisibile e sconosciuta, Elle avvertì d’un tratto uno slancio improvviso, che lo portò a stringerle la mano, incrociando prontamente le dita con le sue.
Ruri gli sorrise dolcemente, il capo posato con delicatezza sul cuscino.
“Cosa diresti, se pensassi che è l’ultima volta che parleremo…?”.
“Non è l’ultima volta” disse con decisione Elle, scuotendo il capo.
“E se pensassi che lo fosse?”.
“Non voglio che tu lo pensi. Non…ci sono ancora molte cose che dobbiamo fare. Tu non sei il tipo che molla. Non ti arrendi. Tu…tu non puoi. Non puoi mollare…”.
“Non posso mollare il caso…?”.
“Non puoi mollare me”.
Ruri s’interruppe per un istante, per poi sorridergli di nuovo.
“Perché…….?”.
Elle le carezzò distrattamente il volto con l’altra mano, incapace di piangere, nonostante tutto.
“Perché non puoi dire addio. Non…non ti permetto di farlo”.
“Signorina Dakota, dobbiamo andare” li interruppe l’anestesista, con tono di circostanza.
“È il momento” disse infine Ruri, sorridendogli per l’ultima volta “Sconfiggi Kira. Devi promettermelo”.
“Lo vedrai con i tuoi occhi…”.
“Ryuzaki. Promettimelo. Promettimi che non morirai almeno finché non ce l’avrai fatta”.
“Solo se mi giurerai che non permetterai che…solo se anche tu mi prometterai che farai lo stesso”.
“Non c’è più tempo…”.
“Andiamo” disse nel frattempo uno degli infermieri al suo collega, riprendendo a spingere il carrello.
Prima che potessero muoversi, Ryuzaki li bloccò con presa ferrea, stringendole di nuovo la mano.
“Qualunque cosa accada, tu…non lasciare. Ti prego, non lasciare…”.
“Cosa?” domandò Ruri, ormai non troppo lontana dal suo volto “Che cosa non devo lasciare?”.
Ryuzaki la guardò per l’ultima volta, mentre le loro dita si separavano lentamente, dopo essersi scambiate la stretta definitiva.
“…la presa. Non lasciare la presa”.
 
Tears stream down your face
I promise you I will learn from my mistakes
Tears stream down your face
And I...

 
Le ore successive furono le più lente della sua vita. Ruri entrò in sala operatoria poco dopo le sei del mattino, ma il giorno, per un triste scherzo del destino, sembrava non aver voluto prendere il posto della notte, nascondendo il sole ai loro occhi sotto scure coltri di pioggia temporalesca, che non fecero che abbattersi sulle loro teste per tutto il giorno. Mentre ognuno cercava conforto nel modo che già conosceva o che ancora non aveva sperimentato, Ryuzaki non tornò a sedersi al suo posto abituale, ma cominciò a passeggiare all’esterno, alternando momenti in cui si esponeva alla pioggia ad altri in cui si riparava sotto le malferme piattaforme del tetto, come nel tentativo di scacciare il freddo brutale che gli stava entrando nelle ossa, sempre più in profondità man mano che i minuti passavano. Fu circa dodici ore dopo, quando il sole iniziò a tramontare sotto l’orizzonte, ancora nascosto alla sua vista, che una strana sensazione lo colpì al cuore, facendogli alzare gli occhi e portandolo a tornare di nuovo sotto l’acqua, per poi aggrapparsi al balcone con entrambe le mani, domandandosi per quale motivo ancora non fosse saltato di sotto…possibile che fosse solo la sua immaginazione? Possibile che stesse davvero accadendo qualcosa…?
 
“LA PRESSIONE STA SCENDENDO!!! NON CONTROLLIAMO L’ARITMIA, CI SERVE UN’ALTRA DOSE!!!”.
“MERDA, EMORRAGIA IN CORSO!!! EMORRAGIA IN CORSO, CODICE ROSSO!!!”.
“BRADIPNEA, IL LIVELLO DI GLOBULI ROSSI SI STA RIDUCENDO, PRESSIONE MASSIMA A 60!!!”.
“FORZA CON QUELLO ZERO NEGATIVO!!! PARAMETRI VITALI?!?!”.
“COMPROMESSI, DOTTORE!!!”.
“LA STIAMO PERDENDO!!!”.
“Avanti, forza, forza!!! Non ti arrendere, maledizione, non ti arrendere!!!”.
 
Tears stream down your face
When you lose something you cannot replace
Tears stream down your face
And I...

 
Perché tutto doveva essere così confuso? Nebbia, luce, altra nebbia…che stava succedendo? Eppure, quel senso di pace…come se si fosse ritrovata a un punto di svolta…sì, forse stavolta tutto sarebbe andato per il meglio. Forse era semplicemente arrivata a casa. Forse ora sarebbe stata bene, nonostante il passato, nonostante le cicatrici. Ora, sarebbe stato tutto facile…ora…sarebbe stata felice.
 
“ANCORA UN’ALTRA DOSE!!!”.
“L’ELETTROCARDIOGRAMMA STA PER ANDARE IN ROSSO!!!!”.
“RIATTIVARE LA FUNZIONE CARDIACA, VELOCI!!! CI RIMANGONO POCHI SECONDI!!!”.
“Ehi, Ruri, forza!!! FORZA!!! Non arrenderti adesso!!! Combatti, combatti!!!”.
 
Tears stream down your face
I promise you I will learn from my mistakes
Tears stream down your face
And I...

 
Camminare non era mai stato così facile, così semplice, così naturale. Come poteva sentirsi così leggera e priva di peso corporeo? E tutta quella luce, da dove veniva? Ma possibile che fosse sola? Tutta sola, in un posto del genere…e come ci era arrivata? Dov’erano tutti gli altri? Possibile che avvertisse ancora un senso d’inquietudine, all’altezza del cuore?
“Ruri…”.
Udire quella voce la fece voltare di scatto. Daniel era di fronte a lei, e le sorrideva come se non fosse passato che un secondo dall’ultima volta in cui si erano visti. Lentamente, lo vide sollevare una mano nella sua direzione, aspettando che lei la prendesse. Alle sue spalle, una luce accecante…
“Sei a casa. Adesso sei a casa” le disse, continuando a sorriderle.
Ruri lo ricambiò, incapace di salutarlo come avrebbe voluto, la voce corrotta dall’emozione…sì, forse era a casa davvero…
 
“ANCORA!!! PROVATE ANCORA!!!”.
“Dottore, se ne sta andando…”.
“C’È ANCORA TEMPO!!! FORZA CON QUEL DEFIBRILLATORE, ANCORA!!!! LIBERA!!!!”.
“Elettrocardiogramma piatto…”.
“NO!!! MALEDIZIONE, NON SMETTERE DI LOTTARE!!! COMBATTI, FORZA!!!”.
“Non c’è più, dottore…”.
 
Eppure…perché quella strana emozione non smetteva di assillarla? Perché aveva l’impressione che qualcosa non andasse? Una morsa improvvisa al petto la portò a volgersi appena indietro, verso la nebbia da cui era appena uscita…voltandosi di nuovo, vide che Daniel aveva di poco piegato il suo sorriso, come indeciso su come reagire di fronte a ciò che stava vedendo.
Lentamente, l’osservò abbassare la mano, in attesa che lei facesse una mossa.
 
Lights will guide you home…
 
“Non c’è più niente che possiamo fare…”.
 
And ignite your bones…
 
C’era ancora una possibilità…?
 
“Ora del decesso…18:42…”.
 
Quale avrebbe dovuto essere la sua scelta…?
 
And I will try…to fix you…
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: MUAHAHAHAHAHAHAHAHAAHHAH L’HO FINITOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!! Eheheeheheheh, che ne pensate?! Bene, considerando che dopo l’ultimo capitolo avevate intenzione di uccidermi, immagino dopo questo…ehm…AIUTOOO!!!! *Indossa l’armatura e corre a rifugiarsi in Finlandia*. Beh, lo so che non è un granché come sempre, ma che vi posso dire, scritto di slancio come al solito!! A proposito, scusate se in questo le ripetizioni o gli strafalcioni saranno più evidenti del solito, ma purtroppo stavolta non ho DAVVERO tempo di rileggerlo come Dio comanda, anche se ho fatto del mio meglio!! Dico solo che speravo di poterlo postare ieri sera, ma niente, e mi ritrovo a farlo ora, dopo che, indovinate un po’, sono appena tornata da Firenze senza aver dato il mio cazzo d’esame, ieiiiii!! E certo, tornare domani, perché i signori professori oggi non avevano voglia di farne più di un tot, capito…perché noi siam qui a perdere tempo, vero…gente, guardate, io non ho parole -.-‘’’ Coooomunque, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, malgrado stavolta abbia definitivamente ucciso il personaggio di Ryuzaki, vi prego, perdonatemi per questo scempio!! Spero che la sua visione in questi termini non vi sia comunque dispiaciuta :D E scusatemi di nuovo per aver lasciato da parte la questione ‘Death Note’ in questi due capitoli, prometto che rimedierò :D Bene, comunque tutto sommato direi che non vi ho fatto aspettare poi molto, solo una settimana ^^ Come avrete notato, questo chappy era pieno zeppo di terminologia medica…non sapendo quasi niente sull’argomento, ho cercato di documentarmi il più possibile su Internet, spero di non aver scritto delle cazzate, nel caso fatemelo sapere, sicuramente qualcuno molto più esperto di me sgranerà gli occhi leggendo ‘sta roba, ma giuro che ho fatto del mio meglio XD Dunque, dunque…che altro dire? La nostra Ruri sarà viva o sarà morta?? Maaaaah XDXD Non uccidetemi!!! La canzone di questo capitolo era ‘Fix you’ dei Coldplay, che ve ne pare? Ulteriore appunto: gli accaniti fan (come la sottoscritta) di Grey’s Anatomy si saranno accorti della cosa, ma comunque la preciso: la scena del dialogo fra Ruri e Robin è in parte ispirata a quella del colloquio fra Izzie e Alex della 23° puntata della quinta stagione…riguardo alla scena finale, anche lì ho un po’ pensato al finale di stagione della quinta serie di Grey’s (episodio 24), ma direi che a quell’episodio devo un po’ meno come ispirazione…in ogni caso, mi sembrava corretto precisare :D Per non parlare della scena iniziale dell’arrivo in ospedale…ahahahah se non fossi una drogata di telefilm medici, dubito che sarei mai stata in grado di scriverla, documentazione su Internet o meno! XD Bene bene, adesso passiamo ai ringraziamenti!! Grazie MILLE a Zakurio, noramckey, Annabeth_Ravenclaw, Pinkamena Diane Pie, gloomy_soul e a PotterHeart_394 per aver recensito il capitolo 13, grazie a tutti coloro che lo hanno sempre fatto e che spero continueranno a farlo, grazie di nuovo a PotterHeart_394 per aver inserito la storia fra le preferite e le seguite, e un altro grazie a hatake_kakashi per aver a sua volta inserito la storia fra le seguite, spero che commenterai anche tu, ci terrei tanto a conoscere un tuo parere!!! :D Bene benissimo, spero di non aver dimenticato niente e prometto che tornerò il prima possibile con il 15 capitolo!!! Grazie a tutti voi per l’immenso affetto e il sostegno, siete INCREDIBILI!!!! A prestoooooo!!! Baci baci, la vostra Victoria

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Capitolo 15
*** Quiet chaos ***


Capitolo 15- Quiet chaos
 
Il dottor Shibahime abbassò la testa, per poi scagliare un pugno sul tavolo operatorio, il volto contratto; in tutta la vita, mai gli era capitato di provare una simile sensazione di frustrazione di fronte alla morte di un paziente. D’altronde, era il suo lavoro; era sempre stato uno dei migliori, nel suo campo, ma al contempo si era comunque dimostrato consapevole che i fallimenti, per quanto avesse potuto rivelarsi in gamba, non avrebbero mai cessato di manifestarsi. Le persone non avrebbero mai smesso di morirgli di fronte, e spesso avrebbe comunque scoperto di non poter fare niente per fare in modo che ciò non accadesse. Eppure, quel caso particolare aveva qualcosa di diverso…quella ragazza così giovane, così combattiva, malgrado il suo incredibile problema, così coraggiosa…possibile che dovesse tutto finire in quel modo?
“Dottor Shibahime…” lo chiamò una delle infermiere “Dovremmo informare le persone che…beh, che stanno aspettando notizie…”.
Il chirurgo non mosse un muscolo, le mani strette intorno ai bordi del tavolo operatorio, il capo ancora chino; per un istante, i suoi collaboratori avrebbero giurato di averlo visto tremare…aveva annunciato la morte come da procedura, ma in quel momento appariva semplicemente incapace di andare oltre quella sconfitta. Cos’altro avrebbe mai potuto fare…?
 
Ruri spostò di nuovo lo sguardo dalla nebbia che si trovava dietro di lei a suo fratello, il volto preoccupato e incerto, come indeciso su quale strada prendere alfine. Andare avanti o tornare? Prima di quell’istante, non avrebbe mai pensato che una decisione del genere potesse essere così difficile…fu allora che Daniel le sorrise di nuovo, abbassando definitivamente la mano e facendole un cenno.
“Vai, Ruri. Adesso vai. Non hai molto tempo”.
“Daniel…”.
“Arriverà un momento in cui staremo di nuovo insieme. Arriverà un giorno, ma non è questo. Va’ da lui. Ti sta aspettando”.
“Daniel…”.
Notando che si era avvicinato, Ruri fece per allungare una mano per toccarlo, ma tutto quello che riuscì a fare fu sfiorare qualcosa di inconsistente, come se la figura di suo fratello fosse stata fatta di fumo, come se fra loro si fosse di nuovo alzato un confine che non poteva valicare…quella consapevolezza le fece venire una gran voglia di piangere, e presto le lacrime tornarono a scorrere sul suo volto.
“Non piangere…va tutto bene. Andrà tutto bene, Ruri. Non avere paura”.
“Mi…mi manchi così tanto. Non capisco cosa succede…sono bloccata…?”.
“No. È solo che non hai ancora compreso fino in fondo qual è il tuo posto. Nel tuo profondo, lo sai già, ma la tua mente non lo accetta. Questa non è la tua ora, Ruri. È soltanto una via di fuga. L’ho capito soltanto adesso; vorrei tanto che stessimo di nuovo insieme, ma non puoi rimanere qui. Mi dispiace…”.
“Daniel…Williams è…”.
“Lo so. È stato ucciso. Sai, neanch’io lo vedrò più…mi dispiace anche di questo. Avrei voluto poterlo guardare in volto un’ultima volta…”.
“Dan…”.
“Ruri, tu sei stata la più grande vittoria di tutta la mia vita. Sei intelligente, coraggiosa, determinata, decisa, forte e straordinaria. La morte non è fatta per persone come te. Quantomeno…non può costituire la via di fuga che cerchi. Ci sarà un momento in cui lo capirai. Adesso torna a respirare. Ti rimangono pochi secondi…”.
“Daniel…”.
“Vai. Ora vai. Corri. CORRI!!!”.
Sospinta da quella vigorosa sollecitazione, Ruri gli dedicò un altro sorriso, modulando la parola ‘GRAZIE’ con le labbra, per poi voltarsi verso la nebbia e cominciare a correre a più non posso, sperando che non fosse troppo tardi, sperando che gli altri non si fossero già arresi, sperando d’essere ancora in tempo…sperando che Elle non avesse perso la speranza.
“Darò un bacio ad Eliza per te!!”.
Avrebbe voluto voltarsi per rispondere alle parole del fratello, ma sapeva che non ne avrebbe avuto il tempo; in più, una strana sensazione le diceva che Daniel era già scomparso. Prima che potesse rendersene conto, la terra le mancò sotto i piedi…avrebbe voluto gridare, chiedere aiuto, forse perfino voltarsi un’ultima volta, ma tale occasione non le fu concessa.
Infine…il buio l’avvolse nuovamente…
 
“Dottor Shibahime?”.
“Sì, lo so. Ruri Dakota non aveva parenti, di là ci sono soltanto un gruppo di colleghi e la sua migliore amica…è meglio che lo faccia io. Ditemi dove…”.
“No, dottor Shibahime, guardi!!!”.
Il medico alzò lo sguardo, sorpreso, nella direzione di ciò che l’infermiera gli stava ferventemente indicando; l’elettrocardiogramma aveva appena dato un piccolo segnale sonoro, riprendendo a scandire con ritmo quasi costante la frequenza cardiaca di Ruri.
“BRADICARDIA SINUSALE!!! ABBIAMO UN BATTITO!!!”.
“È ANCORA VIVA!!! È VIVA!!!”.
“FORZA, DIAMO AVVIO ALLA PROCEDURA DI TRAPIANTO!!! Possiamo ancora farcela!!!”.
Mentre gli altri medici e gli assistenti di sala operatoria si predisponevano per proseguire l’intervento, Shibahime concesse un sorriso alla ragazza, carezzandole il capo per un secondo.
“Brava, Ruri! Sei stata brava!! Non preoccuparti, ti tirerò fuori di qui!!”.
 
Circa quattro ore dopo, Ryuzaki non accennava ancora a variare la sua posizione; seduto sul cornicione del tetto, le gambe in avanti e la schiena arcuata a sua volta nella stessa direzione, il capo chino e le braccia lenti, dava semplicemente l’impressione di stare soltanto attendendo che tutto finisse, che qualcuno lo raggiungesse per dirgli che era tutto finito, che quella stramaledetta verità si era infine concretizzata…che Ruri non sarebbe tornata mai più.
Le immagini del suo volto, del suo sorriso, del suo sguardo, degli ultimi ricordi che aveva collezionato di lei, negli ultimi istanti in cui aveva posato gli occhi sul suo viso, gli rimbombavano nella mente, senza cessare per un solo istante di comparirgli di fronte…possibile che tutto dovesse finire in quel modo? Possibile che non ci fosse nient’altro a cui aggrapparsi? Una possibilità…un’altra chance, solo un’altra chance…
“RYUZAKI!!!!”.
La voce di Matsuda lo portò ad alzare la testa, permettendogli di scorgere il giovane agente di polizia, che gli stava correndo incontro, dando sfogo a tutte le energie di cui disponeva.
Non riusciva a distinguerne bene i tratti del volto, bagnato dalla pioggia battente che stava ancora continuando a cadere, ma la cosa che subito gli balzò all’attenzione fu l’espressione dipinta nei suoi occhi; frastornata, confusa, profondamente scossa.
Quello sguardo poteva voler dire una cosa sola…
*Ruri…*.
“RYUZAKI!! RYUZAKI, DEVI VENIRE SUBITO!!!” gridò il ragazzo, cominciando a tirarlo per un braccio e a trascinarlo in direzione della porta d’ingresso del tetto, nel tentativo di ricondurlo all’interno.
Inerte al suo contatto, Elle si lasciò condurre verso il luogo prescelto da Matsuda, incurante di ogni cosa, incurante dell’acqua che gli scorreva lungo il volto, incurante del tempo, incurante di respirare, incurante della morte. Adesso più che mai cominciava a esserne del tutto sicuro…Ruri non c’era più.
Quando furono giunti a destinazione, subito dopo essersi affacciato nel corridoio, gli occhi spenti di Elle videro Robin con il volto fra le mani, intenta a piangere a dirotto; prima che la sua voce trovasse le forze per dirle qualcosa, Watari lo precedette con gran tempismo, raggiungendolo e rivolgendogli il sorriso più caloroso che gli avesse mai regalato in tutta la sua vita.
“Ryuzaki, Ruri è viva!! Sta bene, è viva!! Ha superato l’intervento, il trapianto è riuscito!! È andato tutto bene!!!”.
Quelle parole colpirono la muraglia che era appena sorta intorno a lui, cominciando lentamente a incrinarne la superficie, fino a disintegrarla del tutto. Com’era concepibile che le cose potessero cambiare così radicalmente nell’arco di pochi secondi? Voltandosi appena, Ryuzaki diresse il suo sguardo verso Matsuda, che si era appena seduto accanto a Robin, circondando le spalle della ragazza con un braccio e lasciando che lei continuasse a sfogarsi.
“Scusa, Ryuzaki…ti abbiamo spaventato?” domandò il giovane, rivolgendogli un’occhiata dispiaciuta.
“Diciamo solo che credo d’averti frainteso…” ammise il detective nell’appoggiarsi al muro, le mani in tasca e gli occhi piantati al suolo.
“S-scusa, Ryuzaki…” aggiunse Robin, sollevando lo sguardo e tirando su col naso “C-credo che sia solo la tensione. Sono state delle ore orribili…”.
“L’importante è che Ruri ce l’abbia fatta. Sapevo che non si sarebbe mai arresa!!” esclamò il sovrintendente, con un gran sorriso.
“Che cos’ha detto il medico?” domandò Elle, dotato di una nuova risoluzione “Come sta? Quali sono le sue condizioni? Possiamo vederla?”.
“Ha detto che è ancora molto debole, ma che al momento è stabile e che il suo stato migliorerà sicuramente in poco tempo. Dovrà rimanere in ospedale ancora per una settimana, per fare degli accertamenti e per assicurarsi che la sua funzione cardiaca non venga compromessa da niente, ma potrà uscire a breve. Naturalmente, dovrà continuare ad assumere regolarmente i farmaci e sarà bene che non si sottoponga a sforzi eccessivi, soprattutto nei primi tre mesi successivi all’operazione…ma per il resto, avrà una vita del tutto normale, e avrà la possibilità di tornare ad occuparsi delle indagini”.
“Quindi…andrà tutto bene…?” chiese il detective, con una voce strana, diversa dal solito.
“Tutto bene” confermò Watari, stringendogli forte una spalla e sorridendogli ancora una volta “Te l’avevo detto che ce l’avrebbe fatta” gli sussurrò poi all’orecchio.
Mentre tutti gli altri tornavano a parlare animatamente della cosa, abbracciandosi fra loro, Ryuzaki tornò a sedersi sulla panchina del corridoio, stavolta assumendo la sua posa caratteristica, con le ginocchia strette al petto. La sua mente stava tornando a funzionare, ma stavolta la voce della sua razionalità era accompagnata da un altro mormorio incessante, che non smetteva di bisbigliargli quanto fosse forte, in quell’istante, il suo bisogno di vederla di nuovo.
 
Dopo circa altre quattro ore, finalmente il dottor Shibahime tornò per informarli che Ruri era sveglia, e che aveva espresso la volontà di vederli tutti, ma ad una condizione.
“Ha detto che desidera vedere da sola un certo Ryuzaki…è qui fra voi?”.
Elle si alzò in piedi, superando prontamente tutti gli altri, che gli riservarono occhiate di diversa natura, e seguì il chirurgo lungo i corridoi che dovevano attraversare, mentre gli sguardi di tutti i presenti non lo abbandonavano per un solo istante. Non appena furono arrivati, il medico gli sorrise e gli fece un cenno rassicurante.
“Vada, la sta aspettando. Immagino che attenda questo momento fin da quando si è risvegliata; il suo è stato il primo nome che ha pronunciato dopo l’intervento”.
Shibahime fece per allontanarsi, quando la voce del ragazzo lo fermò per un momento.
“Grazie” disse semplicemente Ryuzaki, la mani in tasca e lo sguardo di nuovo a terra “Grazie…per averla riportata qui”.
Shibahime gli sorrise, scrollando le spalle e andandosene definitivamente.
“Ho fatto solo il mio lavoro. Non mi ringrazi per questo”.
Quando infine fu rimasto solo, Elle prese un respiro profondo e abbassò con lentezza la maniglia della porta, per poi entrare del tutto nella stanza, chiudendosi il passaggio alle spalle.
Alzando del tutto gli occhi, la figura di Ruri gli apparve alla vista; la ragazza era distesa nel letto che dominava l’ambiente, non troppo distante dalla finestra. Prima del suo ingresso, aveva il capo voltato in quella direzione, gli occhi persi nel buio della sera, l’espressione assorta; il suo colorito era ancora pallido, ma senz’altro migliore di quello che le aveva visto addosso l’ultima volta che si erano parlati. L’ultima volta…sembrava che fossero passati gli anni da quell’istante, invece che poche ore…in effetti, erano senz’altro state le più lunghe della sua vita. Accorgendosi della sua presenza, Ruri si volse verso di lui, iniziando lentamente a sorridergli, gli occhi stanchi e il corpo ancora debole…i suoi capelli erano scomposti, il suo volto era segnato da profonde occhiaie, i segni sulla sua pelle sembravano ancora più evidenti del solito…eppure, in quel momento non riusciva a ricordare una sola occasione, fin dal primo momento in cui si erano conosciuti, in cui l’avesse trovata più bella di allora.
“Ciao…” lo salutò lei, la voce poco più alta di un sussurro.
Elle avrebbe voluto salutarla a sua volta, ma dalla sua bocca non riuscì ad uscire alcun suono; il ragazzo rimase vicino alla porta, le mani in tasca, gli occhi puntati su di lei. Come poteva la mente più geniale del mondo non essere in grado d’articolare una semplice frase?
“Sei tornata…” riuscì a dirle infine, dopo un lunghissimo silenzio.
“Avevo ancora qualcosa da fare” commentò lei, con un sorriso stiracchiato.
Elle annuì, volgendo appena lo sguardo e dirigendolo a terra, ancora incapace di trovare qualcosa di sensato da dirle. Aveva aspettato quel frangente per tutto quel tempo, dannandosi l’anima pur di poter avere un’altra possibilità per starle vicino…diamine, non aveva senso. Adesso che aveva ottenuto quello che voleva, adesso che c’era così vicino…non riusciva a raggiungere ciò di cui aveva bisogno?
“Volevi vedermi?” le domandò, al termine di un’ulteriore pausa.
Ruri gli rivolse un altro sorriso e gli fece un cenno con la testa, invitandolo così ad avvicinarsi; Ryuzaki l’accontentò molto lentamente, finendo per sedersi accanto al suo letto, senza, ancora una volta, portare le ginocchia al petto.
Prima che potesse rendersene conto, era già tornato a sfiorarle leggermente la mano, come nel tentativo di capire se lei fosse vera o se tutto ciò che aveva di fronte fosse un sogno da cui aspettava soltanto di risvegliarsi.
“Volevo…chiederti scusa” esplicò la ragazza, con uno sguardo dispiaciuto.
“Che cosa vuoi dire?” replicò Elle, perplesso.                                        
“Sì, insomma…ti ho messo in una situazione difficile, e questo…questo non è stato giusto. Non è stato giusto e non è stato corretto nei tuoi confronti, da parte mia. Ti avevo promesso che mi sarei presa cura di me stessa, che avrei…previsto qualunque possibile inconveniente con…beh, lo sai, con la mia malattia. Ti avevo assicurato che non avrei permesso che la cosa mi sfuggisse di mano, e non è stato così, per cui…volevo dirti che mi dispiace. Tanto”.
Ryuzaki la guardò negli occhi, nel tentativo di capire se lo stesse prendendo in giro o no.
“Mi stai dicendo…che ti dispiace per aver avuto un arresto cardiaco?”.
“Mi dispiace per aver preso in considerazione la possibilità di morire”.
Elle si sottrasse al suo tocco, come attraversato da una scossa elettrica.
“È questo quello a cui pensavi?” le chiese, il tono di voce ridotto a un sussurro e gli occhi attraversati da una scintilla di rabbia cupa.
“Ryuzaki…”.
“Pensavi che saresti morta? È questo quello che ti passava per la mente in quella maledetta sala operatoria? È questo quello che volevi?”.
“Pensavo che non sarebbe stata una cosa così grave” ammise Ruri “Lo so che sei arrabbiato…”.
“Arrabbiato? Io…io sono semplicemente incredulo, Ruri” constatò Elle “Là fuori ci sono sette persone che hanno passato le ultime trenta ore in questo ospedale, nel tentativo di capire se ti avrebbero mai rivista viva o no…e tu mi dici che la tua morte non sarebbe poi stata una cosa così grave? Ho sempre pensato che fossi un’ottima profiler, ma in quanto a comprendere le persone che ti stanno intorno lasci un po’ a desiderare, lasciatelo dire…”.
“E tu? Tu credi di sapere tutto, non è vero? Oh, ma certo, tu sei Elle…” replicò Ruri, con sarcasmo.
“E questo che c’entra?!”.
“C’entra eccome, e tu lo sai benissimo! C’entra perché a te ho raccontato più di quanto non abbia mai raccontato alla migliore amica di una vita! C’entra perché ti ho permesso di entrare in me quando si trattava di qualcosa che non avevo mai concesso a nessuno! C’entra perché ti ho detto di amarti e tu hai risposto semplicemente ‘Non posso’! Lo sai che cosa si prova nel rendersi conto che si è diventati letteralmente, totalmente e inspiegabilmente legati a una persona di cui non si conosce nulla? Lo sai che cosa si prova quando ci si sente paralizzati, incapaci di muoversi, di parlare, di respirare, di pensare, come se tutto l’intero cosmo stesse concentrando il proprio peso sulla tua cassa toracica, impedendoti di fare la minima mossa? Sai cosa si prova quando ci si sente inutili, piccoli e insignificanti e quando ci si chiede perché…e come si possa…continuare a vivere…provando cose del genere? Tu non lo sai che cos’è, Ryuzaki…non lo sai. Non sai che cosa voglia dire, per me, guardarti negli occhi e pensare che ti voglio ad ogni costo, per quanto possa farmi male, per quanto sappia che è ridicolo, e per quanto sia in grado di rendermi conto che rappresenti qualcosa che non potrò mai avere. Tu non sai come…”.
“LO SO!!!”.
Quelle parole gli erano uscite direttamente dal petto, incapaci di fermarsi, incapaci di porsi un freno, incapaci di attendere ulteriormente; le aveva dette senza alcun ritegno, con un tono di voce diverso da quello che avrebbe usato solamente, ma senza comunque guardarla negli occhi. Per contro, lei lo aveva fissato intensamente, senza replicare.
“Lo so…” proseguì poi Ryuzaki, in modo più sommesso “È una delle ragioni per cui sono così tanto in collera con te…”.
“Mi avevi detto…”.
“Nelle ultime ore, tu te ne sei andata almeno due volte. Io ho passato ogni istante della giornata appena trascorsa a morire in ogni singolo, dannato istante. Non venirmi a fare la predica sulle stronzate che abbiamo fatto o detto finora, adesso. Non te lo perdonerei”.
“Credi che io sia l’unica che abbia qualcosa da farsi perdonare? O forse la verità è che hai semplicemente detto sempre quello che pensavi, e che mi volevi di nuovo qui solo per il tuo fottuto lavoro?”.
“Stai cercando di ferirmi? Perché non credo che tu sia in grado di riuscirci...non dopo quello che hai appena ammesso d’aver fatto. Ho la sensazione che tu abbia già superato te stessa da un bel po’, dubito che tu possa fare di più” concluse, alzandosi in piedi e facendo per andarsene.
“Hai detto che l’idea che io potessi morire ti stava uccidendo” gli si rivolse ancora lei, facendolo fermare di colpo “Perché questo avrebbe dovuto fare del male alla tua mente? Pensavo che fosse l’unica cosa che possedessi e l’unica che fossi in grado di accettare…”.
Elle si volse con lentezza, indirizzandole un altro dei suoi profondi, caratteristici sguardi indagatori.
“Vuoi sapere perché le avrebbe fatto del male?”.
“Sì”.
“Perché sapere che eri morta mi stava letteralmente impedendo di riflettere su qualunque cosa. Perché mi stavi togliendo la possibilità di immettere aria nei polmoni, di trasmettere ossigeno al cervello, di concentrarmi su niente che non fosse il pensiero di non poterti rivedere mai più. Ecco perché stavi facendo male all’unica cosa che ho sempre conosciuto e posseduto, all’unica cosa che sono mai stato in grado di controllare. Perché rendermi conto che non ti avrei vista mai più mi stava inchiodando contro una parete, senza che potessi trovare la minima via di fuga…perché ti sei rivelata in grado di realizzare quello che mai avrei creduto possibile. È un incubo, Ruri…”.
“Un incubo? È questo il modo in cui lo chiami? Un incubo?” sbottò la ragazza, di nuovo pallida in volto.
“Sì, lo è. È stato un incubo, Ruri. È stato un incubo considerare l’ipotesi che non avrei mai più potuto parlare con te. E tu hai appena ammesso di aver pensato all’eventualità di rendere concretizzabile questo presupposto. Adesso, dimmi…chi di noi due ha il diritto d’essere arrabbiato?”.
Dopo un ulteriore silenzio, Ruri rialzò lo sguardo, incrociando ancora gli occhi di lui, che la fissavano con un sentimento difficile da decifrare.
“Hai mai…ti è mai capitato di pensare che…che debba sempre esserci uno scopo, per ogni cosa che fai?” mormorò, il tono molto più dimesso rispetto a prima.
“Sì. Lo faccio sempre” ribatté lui, secco.
“Beh, anch’io. Hai ragione” ammise poi, stringendosi nelle spalle “Non ho considerato numerosi elementi che avrebbero dovuto spingermi a non avere dubbi, e questo è stato…beh, direi inconcludente, stupido e ingiusto. Ne sono consapevole. Ma vorrei che tu sapessi…che da quando ti conosco, e da quando ho…cominciato ad amarti, anch’io ho definitivamente smesso d’essere in grado d’utilizzare la mia logica come un tempo. Questa è una cosa che mi destabilizza, che mi fa star male, che non riesco a comprendere e che mi spaventa…è solo che…tu hai detto tutte quelle cose, e io non…pensavo che…”.
“Pensavi che non ti amassi” concluse lui, con cadenza solenne e lugubre.
“Sì…” concesse Ruri.
“E questa ti sembrava una buona ragione per smettere di vivere?”.
Il modo brusco in cui le pose quella domanda la portò ad alzare gli occhi; adesso il volto di lui era ancora più cupo e funesto di prima.
“Non avrei mai pensato che potessi comportarti in modo così insensato e ridicolo”.
“Ryuzaki…”.
“Non puoi affidare completamente il senso della tua esistenza a un’altra persona! Cristo, non puoi permetterti di farlo! Come ti è venuta in mente una cosa così stupida?! Come hai potuto lasciare che avessi un potere del genere su di te?!”.
“Parli come se…come se…”.
“Credi che mi sarei tolto la vita, se qualcuno fosse venuto a dirmi che non c’eri più? Credi che mi sarei arreso così facilmente, se mi avessero annunciato che non sarei potuto stare con te?!”.
“E perché avresti dovuto considerare un’ipotesi del genere, Ryuzaki?! Perché non vuoi dirlo, una volta per tutte?!?”.
“Perché io…!!!”.
Il resto della frase gli rimase congelato in gola, incapace d’uscire all’esterno e di esplodere come avrebbe dovuto fare, rimanendo inchiodato alle sue corde vocaboli; Ruri continuò ad osservarlo, senza staccargli gli occhi di dosso per un solo istante.
“Perché io non posso andare avanti senza il tuo aiuto, Ruri. Perché ho bisogno che tu mi dia il tuo appoggio. Non posso sconfiggere Kira, senza di te. Non è più…non è soltanto una questione di lavoro, non voglio che pensi questo” aggiunse, gli occhi di nuovo a terra “Ma…sento veramente la necessità che tu faccia questo con me. Lo so che adesso non è la cosa più importante, per te, ma…”.
“Ma lo è per te” lo interruppe Ruri, facendogli alzare gli occhi.
Era sicuro di non aver mai visto sul suo volto un sorriso così triste.
“Lo sai che per te ci sarò sempre. Non ti abbandonerò. Te l’ho promesso” gli ricordò, stringendosi appena nelle spalle.
“Ruri…”.
“Fra una settimana mi dimetteranno dall’ospedale. Se lo vorrai…continueremo a lavorare insieme. È questo quello che mi stai chiedendo, giusto? È questo quello che vuoi…non è vero?”.
Elle la fissò intensamente, la mente e il cuore stracolmi di pensieri non detti, inabilitato nel dirle la cosa che più di tutte avrebbe voluto comunicarle.
“Ruri…io…”.
“Potresti dire a Robin e agli altri di raggiungermi? Sono un po’ stanca, ma vorrei salutarli, prima di dormire…”.
Ryuzaki annuì, distogliendo definitivamente lo sguardo e avviandosi verso la porta: quando fu sulla soglia, si fermò, incerto se voltarsi di nuovo o meno, ma alla fine uscì senza guardarla nuovamente. Quando si fu chiuso la porta alle spalle, non poté fare a meno di appoggiarsi contro di essa, chiudendo gli occhi, mentre Ruri faceva lo stesso, subito dopo essere sprofondata fra i cuscini del letto…era incredibile quanto entrambi si sentissero distanti l’uno dall’altra, in quel momento, come se in realtà ciascuno di loro si fosse trovato alle parti opposte del globo, in città diverse, in mondi diversi, in mezzo a culture diverse…
Dal canto proprio, Ryuzaki si passò appena una mano nella folta chioma scarruffata, tornando a immaginare la vicinanza dei loro profili e dei loro corpi, che non aveva mai smesso di assillare le sue notti, fin da quando l’aveva baciata…se solo non l’avesse percepita così lontana, se solo ne fosse stato in grado…le avrebbe detto la verità. Forse l’aveva amata da sempre, persino da prima di conoscerla…forse aveva amato la semplice idea di lei. Ma poteva una cosa del genere corrispondere al provare qualcosa di reale per una persona? Possibile che stesse davvero provando un sentimento simile per un essere umano? Era questo che significava, amare una persona…soffrire tanto da non riuscire a respirare? Come poteva sopravvivere un individuo mortale a qualcosa di così forte? Com’era concepibile?
 
If you were here beside me, instead of in New York
If the curve of you was curved on me…
I’d tell you that I loved before I ever knew you
‘Cause I loved the simple thought of you…
 
Passarono alcuni giorni. Senza che Ruri lo sapesse, Elle non si allontanò mai dall’ospedale, ma non rientrò più nella sua stanza; per la maggior parte del tempo, trascorreva le sue giornate nella sala d’aspetto del policlinico, sintonizzandosi sul notiziario locale e tenendosi aggiornato sull’operato di Kira, ma senza convocare la squadra d’investigazione per indire alcuna riunione sulle mosse successive, astenendosi così anche dal dare a ciascuno di loro qualsiasi direttiva riguardo i loro passi seguenti. Nessuno di loro era certo di riuscire a cogliere il modo in cui meglio porgergli la questione, preferendo per tanto lasciare che la mente del detective decidesse in modo autonomo. In un paio di occasioni, Matsuda lo colse nell’atto di dormire appena, appollaiato come di consueto su una sedia posta di fronte alla stanza di Ruri, ma in ognuna di quelle circostanze aveva preferito non svegliarlo, passando oltre e dirigendosi verso la figura di Robin, con cui aveva preso l’abitudine di concedersi un caffè più o meno tutti i giorni. Dal canto proprio, malgrado non fosse assolutamente in grado di smettere di pensare a Ruri e all’ultimo dialogo che avevano avuto, il giovane investigatore non aveva affatto smesso di riprendere a concentrarsi, il più possibile, sul caso Kira e sulle sue possibili implicazioni. In particolar modo, il volto di Light Yagami non la smetteva di vorticargli nella mente, ponendogli di fronte numerose alternative…in effetti, c’erano solo due possibilità. La prima prevedeva che Yagami non fosse colpevole, e che le telecamere non avessero riportato nulla semplicemente perché non c’era niente di sospetto da riportare. La seconda, com’era ovvio, gli presentava uno scenario completamente differente… nel caso in cui Light effettivamente fosse stato colpevole, allora questo avrebbe dato un senso a molti quesiti fino ad allora irrisolti, avrebbe senza dubbio messo a posto numerosi pezzi del puzzle. Ma non aveva prove, diamine, non aveva prove, e di certo un profilo psicologico combaciante non avrebbe dovuto portarlo a ossessionarsi così tanto, ma…possibile che ogni singolo, minuscolo tassello della sua mente gli stesse indicando in modo così perentorio quella direzione? E come capire se il suo era un semplice errore di giudizio o no? Forse Ruri aveva ragione…forse l’unica soluzione era uscire davvero allo scoperto…ma se Kira avesse semplicemente avuto bisogno di desiderare la morte di qualcuno, questo avrebbe voluto dire rischiare la vita in modo troppo diretto? Forse no, considerando che Kira necessitava di conoscere il suo vero nome, per ucciderlo…d’altronde, Ruri aveva ragione, ucciderlo avrebbe significato esporsi a un rischio troppo grande, avrebbe voluto dire attirare tutti i sospetti su di sé…considerando la sua sicura conoscenza e il suo stretto rapporto con le forze di polizia, inoltre…diamine, se solo avesse potuto parlarne con Ruri…Ruri…Ruri…Ruri…possibile che le sue parole non lo avessero mai abbandonato? Possibile che stessero diventando la sua forza più grande?
 
If our hearts are never broken and there’s no joy in the mending
There’s so much this hurt can teach us both
There’s distance and there’s silence, your words have never left me
They’re the prayer that I say every day

 
Fu in una sera vicina alla fine di Febbraio, un paio di giorni prima della sua dimissione dall’ospedale, che, aprendo gli occhi lentamente, Ruri si trovò di fronte la figura di Watari, intento a sorriderle benevolmente.
“Watari…”.
“Buongiorno, Miss. O forse dovrei dire buonasera, considerando l’ora” ridacchiò il vecchio, carezzandole appena la fronte “Come si sente?”.
“Mi sentirei meglio se mi chiamasse ‘Ruri’” ammise la ragazza, ridacchiando a sua volta “Perché non cominciamo a darci del tu?”.
“Lei non si arrende di fronte a niente, vero? E va bene” si arrese Watari, scuotendo la testa “Hai altre condizioni da porre?”.
“Al momento, non mi viene in mente niente, ma ti terrò informato, te lo prometto” sorrise Ruri, tirandosi meglio su a sedere “Allora, per quanto ho dormito?”.
“Per circa tre ore” rispose Watari.
“Wow, così tanto…credo di non aver mai riposato così a lungo in tutta la mia vita. Ho la sensazione d’aver appena recuperato parecchi arretrati. In questi ultimi giorni, non ho fatto altro…non vedo l’ora di poter uscire dall’ospedale”.
“Ricordati quello che ti hanno detto i medici. Niente alcolici, niente sigarette, niente stress, riposo quotidiano e…”.
“Assunzione regolare dei farmaci, sì, lo so” lo interruppe Ruri, con un sorriso paziente “Prometto che starò attenta, te lo garantisco”.
“Lo spero. Non farmi mai più prendere uno spavento del genere, Ruri. Te lo chiedo come un favore personale”.
La ragazza l’osservò stupita, alzando appena un sopracciglio.
“Mi dispiace, non pensavo che…”.
“Non pensavi che stessi dicendo sul serio? O ritieni che Robin sia l’unica persona che tiene a te, a questo mondo?” insistette Watari, ma senza cancellare il suo sorriso.
“Non ho detto questo…”.
“Ma lo hai pensato per molto tempo. Beh, immagino che sia comprensibile…e a proposito di questo, sei consapevole del fatto che Ryuzaki ha trascorso le ultime sette ore di fronte alla porta della tua stanza?”.
Di fronte a quella notizia inaspettata, Ruri sgranò appena gli occhi, ma poi cercò di darsi un contegno, fornendo ai battiti improvvisamente irrefrenabili del suo cuore quella che considerava la risposta più razionale del caso.
“Beh, suppongo che la sala d’aspetto fosse un po’ troppo affollata, per lui…” commentò, gelidamente.
“Ruri…”.
“Perché è rimasto in ospedale? Perché non è tornato in albergo?”.
Watari le rivolse un’occhiata di sottecchi, osservandola dal di sotto degli occhiali.
“Sul serio non sai la risposta?” replicò l’uomo, incrociando le braccia.
Ruri si abbandonò sui cuscini, chiudendo gli occhi per qualche istante, per poi riaprirli, fissando il soffitto bianchissimo dell’ambiente.
“Ho fatto un casino, Watari. E non ho idea di come risolverlo” constatò, con tono triste.
“Beh, forse il punto è che dovresti smetterla di cercare una soluzione a quello che tu chiami ‘casino’ e tentare di comprendere quello che è realmente” disse saggiamente il vecchio.
“Ma non posso farlo!” sbottò Ruri, tornando a voltarsi verso di lui “Ryuzaki è…”.
“Che cosa?” la sollecitò a proseguire l’inventore, con fare paterno.
“È il classico esempio di caos calmo. Hai presente quando ti trovi di fronte a un campo di battaglia, dopo che il conflitto è finito? Credo che lui sia esattamente così…è come se dentro di lui ci fosse un grosso buco, una voragine che ha un disperato bisogno d’essere colmata, ma che respinge qualunque cosa provi ad avvicinarlesi. È come…come…Dio, non lo so. Credo di non sapere più niente. Forse non ho mai più saputo niente, da quando l’ho conosciuto…ho la sensazione che non ne uscirò più, Watari. Sono fregata, non è vero?” domandò, sorridendo ironicamente.
Watari le rivolse una carezza gentile, e scosse la testa.
“Io credo che tu sia soltanto molto stanca. È normale, hai affrontato tanto, in vita tua. Molti si sarebbero arresi, al tuo posto. Devi soltanto capire qual è la prossima mossa da fare. Non è difficile come pensi che sia, ma in effetti…nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile”.
“Forse Ryuzaki ha ragione…” sospirò Ruri “Forse sto sbagliando tutto. Ma ti assicuro che ho provato a lasciar perdere, ci ho provato davvero…possibile che non riesca a fare la cosa che in assoluto dovrei riuscire a fare?”.
“Solo perché ritieni che lo sia, non significa che questo sia vero” le ricordò Watari, facendole alzare di nuovo lo sguardo.
“Watari, Ryuzaki è…”.
“Ryuzaki è un ragazzo complicato, Ruri. Ma è la persona che non si è mossa da questo ospedale fin dal primo momento in cui ne hai varcato la soglia. È la persona che trascorre tutte le notti a farmi domande sul tuo stato di salute. È la persona che non ha toccato cibo fin quando non ha saputo che non eri più in pericolo di morte. Volendo essere franco, mi domando come sia possibile che tu ritenga ancora che per lui sia solo una questione di lavoro”.
Ruri evitò di replicare, adagiandosi di nuovo sul giaciglio e volgendo il capo dalla parte opposta, pensierosa.
“Hai notizie sul caso Kira?” chiese alla fine, cambiando radicalmente argomento.
Watari sospirò, alzando gli occhi al cielo, ma alla fine decise di stare al suo gioco.
“Gli omicidi non sono cessati, durante la tua degenza. Sembra che il nostro uomo stia concentrando la sua attenzione sulle carceri giapponesi, ma a parte questo, non abbiamo ulteriori indizi. La rimozione delle telecamere dalle case dei sospettati non ci ha di certo messo in mano niente di concreto…”.
“E che mi dici di quel Yagami? Non abbiamo nessun modo per tenerlo ulteriormente d’occhio?”.
Il suo collaboratore le rivolse un sorriso complice, guardandola di nuovo di sottecchi.
“Sembra che tu e Ryuzaki nutriate dei sospetti molto simili, nei confronti di quel ragazzo…” constatò, iniziando a versarle dell’acqua in un bicchiere posto sul comodino.
“Diciamo che è più una sorta di traccia, ma devo ammettere che quel tipo non mi ha convinto fin dall’inizio…è stato Penber a parlarmi di lui per la prima volta, e da allora non ho mai smesso di pensarci. Inoltre…rendermi conto che i sospetti su di lui sembravano dissolversi nel nulla subito dopo l’installazione delle telecamere non ha fatto altro che rafforzare i miei sospetti, invece che dissiparli…” disse Ruri, il volto attento e riflessivo.
“E quindi, ritieni che lui possa in qualche modo essere collegato con questa serie di omicidi?”.
“Beh, per quello che vale una teoria priva di alcuna prova, sarei persino disposta a credere che lui sia il killer in persona…ma naturalmente, non abbiamo nulla in mano per dimostrarlo”.
“Beh, non ancora” le fece notare Watari, strizzandole l’occhio.
“Che cosa intendi dire?” domandò Ruri, capendo che c’era sotto qualcosa.
“Forse non ci crederai” premise Watari, sprimacciandole meglio il cuscino “Ma pare proprio che Ryuzaki abbia deciso di seguire il tuo consiglio”.
“Cioè, mi stai dicendo che…”.
“Me lo ha confermato questa stamattina. Ha disposto di avvicinare il giovane Yagami e di presentarglisi per chi è in realtà, così da…come dire, metterlo alla prova. E pare che l’occasione propizia si presenterà giusto fra un paio di giorni” annuì Watari.
“Di che cosa stai parlando?”.
“I test d’ammissione per l’Università di Tokyo. Si svolgeranno fra un paio di giorni; ho messo in moto un paio di contatti che possiedo dai tempi di Oxford, e…diciamo che questo ha garantito a Ryuzaki un posto in prima fila fra i candidati all’accettazione. Sono sicuro che non avrà problemi di alcuna sorta”.
“Ma…ma non può andarci da solo! Non crede che potrebbe essere…voglio dire, non sappiamo ancora niente sul modus operanti, Kira potrebbe…è troppo pericoloso!” protestò Ruri, concitatamente.
“Sembra che l’eventualità che possa fargli del male ti turbi parecchio. C’è qualcosa che ancora non mi hai detto, Ruri?” ne approfittò subito il vecchio, rivolgendole uno sguardo d’intesa.
Ruri parve ignorarlo, come intenta a riflettere bene sulle prossime parole da pronunciare; infine, si volse verso il suo interlocutore, dotata di una nuova risoluzione.
“Watari…se ti dicessi che amo Ryuzaki, e che farei qualunque cosa per aiutarlo e per proteggerlo…mi aiuteresti, per quanto è nelle tue possibilità?”.
Watari la guardò dritto negli occhi, carezzandole dolcemente una guancia e infine annuendo.
“Certo, Ruri…sai che lo farei”.
“Hai ancora quel contatto con l’Università di Tokyo?”.
“Sì, certamente”.
“Chiamalo subito, per favore. Ho bisogno di parlarci”.
 
Esattamente tre giorni dopo, all’inizio del pomeriggio, Elle uscì dall’ospedale per la prima volta a distanza di una settimana, salendo sulla limousine che lo attendeva all’esterno, al cui volante si trovava Watari. Sapeva che la resa dei conti con Kira avrebbe potuto rivelarsi molto vicina, ma questo non lo preoccupava particolarmente. Era sicuro che avrebbe superato brillantemente il test d’ingresso alla facoltà, e d’altronde era certo che anche lo stesso Yagami non sarebbe stato da meno. Considerando la sua personalità e il suo assurdo modo di mostrarsi sempre perfetto, se lui davvero fosse stato Kira non avrebbe avuto modo migliore per metterlo sotto pressione. L’unica cosa che lo faceva sentire a disagio, in quel momento, era allontanarsi da Ruri per il primo istante fin da quando aveva varcato la soglia del policlinico…
“Come sta Ruri, oggi?” non poté fare a meno di domandare al suo mentore, che nel frattempo si era appena fermato al semaforo.
“Perché non glielo chiedi tu stesso?” replicò Watari, con un sorriso astuto.
“Rispondi alla mia domanda. Te lo chiedo per favore” ribatté Elle, freddo.
“E va bene. Adesso sta benissimo, non devi preoccuparti. Il dottor Shibahime ha confermato che verrà dimessa fra poco”.
“Robin è con lei?”.
“Sì, naturalmente. Ha detto che, non appena fuori dall’ospedale, c’era una cosa in particolare che le sarebbe piaciuta fare” aggiunse il vecchio, con uno strano sguardo.
“Sarebbe a dire?”.
“Ah, non chiedermelo. Non ne ho la minima idea. Ma immagino che fosse importante, sembrava tenerci molto. Forse c’è qualcosa di significativo di cui deve occuparsi, non saprei dire. Non ha voluto parlarmene”.
“Non mi piace l’idea che se ne vada a zonzo per Tokyo subito dopo aver subito un’operazione chirurgica del genere, lo sai bene. Non appena mi avrai accompagnato, torna subito indietro e non perderla di vista un istante. Non voglio che le capiti niente” lo avvertì Elle, le braccia strette intorno alle ginocchia, che aveva appena portato contro il petto.
Watari si schiarì lentamente la voce e scosse la testa.
“Perdona la mia insistenza, Ryuzaki, ma non ti sembrerebbe il caso di parlare direttamente con lei di tutto questo? Questa situazione sta diventando ridicola…”.
“Pensa a guidare. Stavi per prendere una strada a senso unico” lo interruppe Elle, con tono piatto.
“Beh, in confronto al prendere la decisione più sbagliata di tutta la tua vita, immagino che sia poca cosa, ragazzo mio” concluse Watari, svoltando a destra.
Elle si volse verso il finestrino, senza aggiungere più niente, gli occhi persi nella moltitudine del traffico pomeridiano della capitale. Forse Watari aveva ragione, forse avrebbe semplicemente dovuto parlarle…ma di cosa, alfine? Di come si sentiva? Di quello che provava? Non contava più nemmeno le volte in cui l’aveva respinta…aveva chiesto con tutte le sue forze che vivesse, d’avere un’altra possibilità per poterle parlare ancora, e, inesorabilmente, la stava sprecando di nuovo. Qual era il suo problema, dannazione? Possibile che la paura fosse in grado di paralizzarlo a tal punto? Possibile che davvero, per lui, contasse solo la sua mente? Beh, volendo fare un ragionamento logico, se così fosse stato di certo non avrebbe avuto modo di preoccuparsi così tanto per quella ragazza…perché non la smetteva di pensarci e basta? Perché non poteva soltanto smettere di amarla?
“Siamo arrivati, Ryuzaki” annunciò il suo più fido collaboratore, fermando la limousine di fronte a un sontuoso edificio, dotato di una targa provvista di un bordo dorato “Immagino che dovrei dirti di farti valere” aggiunse, voltandosi verso il sedile posteriore con un piccolo sorriso “Ma suppongo che sarebbe superfluo e forse un tantino scontato…”.
“Sì, immagino di sì” convenne Ryuzaki, scendendo dalla macchina “Ci vediamo qui fuori fra tre ore. Non dimenticare quello che ti ho detto. Terrai d’occhio Ruri come ti ho chiesto?”.
“Te lo prometto. Sta’ tranquillo”.
Non appena il suo accompagnatore se ne fu andato, Elle si volse come se niente fosse, avviandosi verso l’ingresso dell’edificio, per poi raggiungere l’aula con la massima calma. Mancavano solo quindici minuti all’inizio della prova, ma di certo un elemento del genere non era in grado di turbarlo minimamente; quando fu in classe e il suo numero gli fu stato assegnato, si diresse verso il proprio posto lentamente, le mani in tasca, attirando non pochi sguardi perplessi, per poi sedersi nel suo modo caratteristico, con le ginocchia strette al petto.
Nel giro di pochi istanti, lo vide entrare nell’auditorio; era vestito in modo semplice, con una semplice maglia a maniche lunghe color salmone e un paio di jeans di ottima fattura, ai piedi un comune paio di scarpe da ginnastica. Un bel ragazzo, dall’aspetto gradevole, dotato di due grandi occhi castani e di una chioma dalle tonalità vicine al biondo miele, dai bei lineamenti e dallo sguardo intenso, quanto profondamente annoiato ed assente. Light Yagami. Il figlio del sovrintendente di polizia della Questura di Tokyo. Possibile che fosse proprio lui…?
“Bene, iniziamo con l’appello” annunciò il professore in fondo all’auditorio, iniziando ad estrarre una lista di nomi e indossando un paio d’occhiali da vista “Siete pregati di rispondere ‘SÌ’ quando chiamerò il vostro nome. Akashi Takui?”.
“Sì”.
“Aratsu Sakura?”.
“Sì”.
“Besuki Reika?”.
“Sì”.
“Caizawa Miwake?”.
“Sì”.
“Dakota Ruri?”.
Quel nome per poco non lo fece cadere dalla sedia, portandolo ad attirare ancora di più l’attenzione dei presenti su di sé, considerando il suo movimento secco e improvviso; senza pensare a quello che stava facendo, balzò in piedi e cominciò freneticamente a cercare una chioma scura in mezzo alla folla, ma nessuna di quelle che vedeva sembrava corrispondere a quella che stava tentando di rintracciare. Infine, udì la sua voce alzarsi in mezzo agli altri.
“Sì”.
Voltandosi di scatto in quella direzione, Ryuzaki riuscì a individuare una chioma biondissima, appartenente alla ragazza che aveva appena aperto bocca; prima che potesse rendersene conto, lei si scostò una ciocca di capelli dal campo visivo, consentendogli di scorgere il colore del suoi occhi. Erano di un verde che non aveva mai visto, probabilmente simile agli smeraldi, e certo profondamente differenti dalla tonalità di ghiaccio tipica di quelli di Ruri, eppure…prima che potesse fare una mossa, lei si era già voltata nella sua direzione, individuandolo subito e rivolgendogli un sorriso strano. Fu allora che, perfino a quella distanza, riuscì a distinguere con nitidezza la forma di quegli occhi così intensi, e intravide il piccolo neo che la ragazza aveva vicino al mento. La microscopica cicatrice che le segnava leggermente la pelle prossima all’orecchio sinistro fu il colpo di grazia. Possibile che fosse diventato in grado di distinguere il suo volto in modo così pronto e nitido, perfino quando le era fisicamente così lontano? Possibile che il suo sguardo fosse divenuto così inconfondibile? Possibile che, in quell’istante, non desiderasse altro se non di poterle dire di raggiungerlo, per stringerla di nuovo a sé? Forse sarebbe bastata una volta, solo una volta…ma in fondo, non era quello che diceva ogni nuovo tossico, dipendente dalla droga che aveva scelto come condanna per la vita?
 
Come on, come out, come here, come here
Come on, come out, come here, come here…
 
Ruri lo guardò negli occhi ancora per qualche istante, incapace di muovere un muscolo, persino incapace di distogliere lo sguardo, finché la voce del professore non la costrinse a voltarsi di nuovo, portandola a fingersi interessata al foglio che aveva di fronte.
Dal canto proprio, Ryuzaki era certo di non sapere davvero che pesci prendere. Quando si rimise a sua volta seduto, sotto imposizione del docente, la sua mente continuò a frullare di un milione di pensieri, ciascuno privo della benché minima soluzione: ma che diavolo le era venuto in mente?! E come aveva fatto a sapere delle sue intenzioni?! Poteva avergliene parlato solo Watari…ma come aveva fatto a ottenere la possibilità di partecipare a quel maledetto test? Senz’altro, anche lì doveva esserci lo zampino del suo collaboratore…ma come diavolo gli era venuto in mente di comportarsi in quel modo?! Da quando in qua Watari era il tipo che si metteva contro le sue decisioni?!? Che cazzo stava succedendo?! E poi, che diamine, era appena stata dimessa dall’ospedale, era un’autentica follia!! A meno che…no, dannazione, non poteva essere!! Non poteva davvero aver fatto tutto ciò per dargli una mano! Sapeva quanto volesse catturare Kira, ma correre un rischio del genere soltanto per…ancora una volta, quella stramaledetta circostanza continuava a non avere senso.
Non appena l’appello fu terminato, dopo aver finito di compilare il foglio della prova, operazione che non gli portò via più di cinque minuti, il ragazzo continuò a mantenere lo sguardo fisso sulla schiena di Ruri, che si guardò bene dal voltarsi più nella sua direzione. Per sua grande fortuna, notò che non aveva mancato di sedersi molto vicina al giovane Yagami, com’era prevedibile, e quindi non gli fu affatto difficile tenerlo d’occhio, osservando ogni suo singolo movimento. Non lo aveva sorpreso il fatto che, esattamente come lui e Ruri, avesse terminato molto prima dello scadere del tempo; dato che gli stava dando le spalle, non poteva vedere la sua espressione, ma contava che Ruri, a quel punto, avesse potuto parlargliene meglio più tardi. Dopotutto, forse la sua presenza lì non era poi un così grosso ostacolo…ma che accidenti stava dicendo, dannazione?!? L’avrebbe distratto, lo sapeva. Perché aveva dovuto presentarsi a quegli stramaledetti test d’ammissione?
Solo la scelta di Light di voltarsi verso di lui, a un certo punto, lo convinse a distogliere per un momento l’attenzione dal pensiero della ragazza; in modo quasi impercettibile, i loro occhi s’incrociarono per un lunghissimo istante, intenti reciprocamente a squadrare il rispettivo avversario. Poteva essere il momento? Potevano esserci arrivati? Poteva essere sul punto di cominciare…? Forse sì. Forse, la partita era iniziata. E questa volta, il vincitore avrebbe avuto in premio la vita.
 
Come on, come out, come here, come here
Come on, come out, come here, come here…
The long neon nights, and the ache of the ocean
And the fire that was starting to spark…
I miss it all, from the love to the lightning…
And the luck of it snaps me in two…
 
Allo scadere del tempo, Ryuzaki consegnò il proprio foglio con l’aria di chi aveva molta fretta, e si voltò immediatamente in direzione del punto in cui aveva scorto Ruri per l’ultima volta, ma rimase deluso nelle sue aspettative, poiché la ragazza non era più lì.
Con la coda dell’occhio, vide Yagami uscire dall’aula, ma decise che, almeno per il momento, non se ne sarebbe preoccupato ulteriormente. Avrebbe senz’altro avuto modo d’avvicinarlo in un’occasione migliore e più adeguata, magari perfino durante la cerimonia d’inizio anno accademico…l’unica cosa che gli importava, in quel momento, era trovare Ruri. Senza aspettare ulteriormente, si diresse quasi di corsa verso l’uscita dell’edificio, trovando ad aspettarlo un noncurante Watari.
“È l’ultima volta che mi fai uno scherzo del genere” lo avvisò, entrando di corsa dentro la limousine.
“Non so di cosa tu stia parlando, Ryuzaki” disse Watari, mettendo in moto “Hai delle preferenze, per il dolce di questa sera?”.
“Non ho fame!!!” sbottò il detective, visibilmente irritato.
Watari gli lanciò un’occhiata sorpresa, attraverso lo specchietto retrovisore.
“Ti senti bene, Ryuzaki?”.
“Non giocare a fare lo gnorri, Watari. Pensavo che lavorassi per me” sottolineò gelidamente il giovane, incrociando le braccia con aria cupa.
“È così”.
“E allora mi spieghi per quale dannato motivo hai deciso di agire alle mie spalle?! Mi sembrava di averti detto che volevo che Ruri fosse protetta!!” proseguì Elle, fissando in modo atroce la schiena del guidatore.
“Beh, non ti sembra che io lo abbia fatto?”.
“Mi prendi per il culo o cosa?! Tu sapevi che ha avuto accesso ai test dell’università di Tokyo e che ha trascorso le ultime tre ore a superare brillantemente la prova d’ammissione?!”.
“Sì, naturalmente. Qual è il problema?” proseguì tranquillamente Watari, dirigendosi verso il nuovo albergo dove il detective avrebbe alloggiato, quella sera.
“Il problema?! Non volevo che fosse coinvolta in questa parte dell’operazione, ecco qual è il problema!!! E tu lo sapevi benissimo, Watari, non provare a…”.
“Da quello che posso constatare, non ti stai comportando come un semplice collaboratore, Ryuzaki. Sai che non è da te prendertela così tanto, non è vero? Volendo essere del tutto sincero, avevo cominciato a convincermi che per te Ruri fosse semplicemente la tua partner di lavoro, ma ho la sensazione che il tuo modo di fare stia dicendo altro, in questo momento…non l’avevi convocata da Washington perché avevi bisogno del suo aiuto per le indagini?”.
Elle rimase a lungo in silenzio, senza smettere di fissare in cagnesco la nuca di Watari.
“Ebbene, Ryuzaki?” lo incalzò il vecchio, senza riuscire a camuffare del tutto uno strano sorriso che gli era appena apparso in volto.
“Sì” ne convenne Elle, a denti stretti.
“Beh, allora non vedo di cosa dovresti lamentarti. Ruri non voleva che le sue condizioni di salute ostacolassero le indagini, ed è tornata al lavoro non appena uscita dall’ospedale. A proposito, devo scusarmi con te, in effetti ho omesso di dirtelo, ma Ruri non voleva che qualcosa ti distraesse, durante la prova, così…ho pensato semplicemente di rimandare il momento in cui dirtelo. In effetti, credo che non sia più necessario, considerando che hai avuto modo di verificarlo da solo”.
Prima che il giovane potesse ulteriormente replicare, la limousine si fermò di colpo di fronte all’hotel di lusso dove Watari aveva da poco prenotato; infine, Watari precedette qualunque sua mossa, voltandosi verso di lui e guardandolo dritto negli occhi.
“Ascoltami bene. Non avrai un’altra possibilità, sappilo fin dall’inizio. È meglio che tu prenda quel dannato ascensore e vada a parlarle, ma ti avviso: se non coglierai quest’occasione, è molto probabile che tu decida in modo definitivo di perderla. E questa volta, potresti non aver più modo di tornare indietro, in futuro. Cerca di non sottovalutare questo elemento, Ryuzaki”.
“Watari…”.
“È il momento che tu capisca qual è il tuo posto, figliolo. Nessuno ha detto che sarebbe stato facile. Ma d’altronde…a te le sfide sono sempre piaciute…o mi sbaglio?”.
Gli occhi grigi del vecchio lo penetrarono a fondo, fino a giungere a quel cuore che per così a lungo era stato circondato da un’inesorabile morsa di ghiaccio. Sentiva che avrebbe voluto rispondergli in qualche modo, ma le parole, ancora una volta, non sembravano in grado di uscirgli dalla bocca. Ma forse, tutto ciò poteva, infine, avere un senso…forse Watari aveva ragione. Forse, quell’incommensurabilmente grande senso di inadeguatezza che aveva provato per una vita intera era soltanto connesso al non aver ancora trovato il luogo che gli apparteneva, il suo posto, proprio come aveva detto Watari. Sperimentare quell’ipotesi avrebbe potuto voler dire precipitare in un burrone…ma che importanza poteva avere, se la sua alternativa doveva essere rimanere inchiodato ai bordi del baratro per il resto della sua vita?
Elle scese dalla macchina, facendo per chiudere la portiera, ma prima si sporse ancora per guardare in volto il suo mentore, che non aveva smesso di sorridergli in modo benevolo.
“Watari…”.
“Sì?”.
“…per domani mattina…mi piacerebbe una torta di fragole…con la panna”.
Watari gli rivolse un ulteriore sorriso paterno, annuendo in modo comprensivo.
“Va bene. Me ne occuperò io, non preoccuparti”.
 
If you were here beside me, instead of in New York
In the arms you said you’d never leave
I’d tell you that it’s simple
And it was only ever us
There’s nowhere else that I belong…
 
Le porte dell’ascensore si aprirono troppo in fretta per le sue esigenze…o forse erano state perfino troppo lente, non era in grado di dirlo. Ma dopotutto, che cosa importava? Quel momento era infine arrivato…Con grande circospezione, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni la sua chiave elettronica, e si diresse verso la porta della sua stanza, facendo scorrere la tessera lentamente, gli occhi quasi chiusi. Watari gli aveva detto che era stata Robin a riaccompagnare Ruri all’albergo, era sicuro che l’avrebbe trovata all’interno…ancora una volta, si domandò come fosse fisicamente ammissibile che i battiti di un cuore umano raggiungessero una frequenza così alta.
Senza nemmeno accorgersene, la serratura scattò di colpo, e la sua mano si abbassò sulla maniglia, dandogli libero accesso alla stanza; quando fu entrato e si fu richiusa la porta alle spalle, i suoi occhi non tardarono molto nell’individuarne la figura.
Era in piedi accanto alla finestra, intenta a dargli le spalle, la candida mano posizionata sulle tende color cremisi, nell’atto d’accarezzarle lentamente.
Non passò molto prima che lei si voltasse, rivolgendogli lo sguardo più intenso e profondo che fosse in grado di donargli; si era tolta la parrucca e le lenti a contatto, e i suoi occhi e i suoi capelli erano tornati quelli di sempre. Tutto di lei era come lo ricordava, prima dell’arresto cardiaco, prima dell’ospedale…prima che avesse rischiato di perderla per sempre.
“Sei tornato…” gli disse lei, pronunciandosi in un sorriso semplice “Ci hai messo poco”.
Elle continuò a guardarla in silenzio, ma senza che se ne rendesse conto iniziò ad accorciare lentamente la loro distanza, avanzando pian piano di un passo alla volta, facendosi sempre più vicino a lei.
“Lo so che ce l’hai con me” aggiunse Ruri, annuendo “Lo so che sono stata imprudente, incosciente, e forse persino pazza, ma…volevo solo che sapessi che non permetterò a niente di quello che è successo di impedirci di catturare Kira. Abbiamo deciso di farlo insieme, e questo…questo non cambierà. Te l’ho promesso una volta, non ho intenzione di non mantenere fede al mio giuramento”.
Il ragazzo non replicò, avvicinandolesi ulteriormente, fino a trovarsi a poco meno di mezzo metro da lei.
“Lo so che…che per te tutto quanto…tutto…beh, sai di cosa parlo, insomma…so che non ha significato niente di quello che ha significato per me. Ma volevo comunque dirti…per quello che vale, volevo dirti che…il tempo che ho passato con te è stato il più intenso e il più importante di tutta la mia vita. E che, se anche mai avessi la possibilità di tornare indietro per cambiare le cose…sicuramente non lo farei. Non cambierei neanche un secondo dei momenti che abbiamo trascorso insieme. Perché…”.
Ruri si bloccò, evitando di proseguire; fu allora che Ryuzaki, con gran sorpresa di lei, cominciò lentamente a carezzarle i capelli, giocando con le sue ciocche scomposte.
“Perché?” le domandò, la voce simile a un sussurro.
“Perché ti ho amato fin da prima di conoscerti” rispose lei, guardandolo dritto negli occhi “E questa è stata la cosa…in assoluto più insensata e sconclusionata che abbia mai fatto in vita mia. È per questo motivo che so che non ci rinuncerei mai”.
Elle passò a carezzarle il volto, tornando, finalmente, ad incrociare il suo profilo a quello di lei, mentre il suo braccio destro riprendeva a cingerla dolcemente in vita; quel contatto la sorprese oltremisura, facendole alzare lo sguardo e conducendola a cercare di comprendere quello che stava accadendo. Nelle sue orecchie continuava a rimbombare l’eco dell’oceano, nonostante la loro lontananza dalla costa, nel suo cuore, nonostante il freddo della stagione, non cessava di scintillare un fuoco appena nascente, desideroso d’espandere la sua aura…poteva il suo cuore, così provato e stanco, sopravvivere ancora a una sensazione del genere?
“Credi che io potrei, invece?” le domandò il detective, carezzandole ancora la guancia con le sue lunghe dita “Credi che sarei mai in grado di rinunciare a qualcosa che ti riguardi? O pensi che io non sia mai stato in grado di mentire, in vita mia?”.
“Ryuzaki…”.
“Ti ho detto che non possedevo altro, se non la mia mente. È stato vero fino a quando non ti ho conosciuta; il fatto è che non lo avevo capito. Non l’avevo capito e non lo capivo…se adesso ti dicessi che adesso comprendo, saresti in grado di dirmi che è troppo tardi?”.
“Non lo so…” ammise Ruri, scuotendo appena la testa “È solo che…sono così esausta da tutto questo. Rendermi conto che non sono in grado di capire quello che mi succede mi disorienta in un modo che non avevo mai conosciuto prima…”.
“Ti capisco. Forse non ci crederai, ma ti capisco” la confortò Ryuzaki.
“In effetti, lo trovo un po’ difficile da credere…ma immagino che potrei provarci. Se avessi…”.
“Cosa?”.
Ruri gli rivolse un altro sguardo intenso, volto a guardare nel suo profondo, mentre le braccia di lui tornavano a stringerla contro il suo petto in modo ancora più determinato.
“Se avessi te. Forse, se avessi te, credo che potrei provare a credere che capisci, anche solo in minima parte, quello che sto provando…”.
Avvenne tutto in un attimo, senza che nessuno dei due fosse in grado di rendersene conto; prima che la sua mente potesse urlargli qualsiasi direttiva, prima che il suo cuore scoccasse un altro battito, prima che il tempo gli annunciasse definitivamente che aveva sprecato la sua ultima possibilità, Elle unì di nuovo le labbra alle sue, conducendola in un bacio ancor più ricco di passione del primo che si erano scambiati. Le loro bocche presero a unirsi con l’intensità che entrambi avevano cercato fin dal primo istante, mentre Elle l’abbracciava in modo ancor più significativo, lasciando che le braccia di Ruri andassero a cingersi intorno al suo collo. Sentiva che lo stava abbracciando come avrebbe fatto con un’ancora di salvataggio, ma sapeva che era lei che lo stava salvando dalla deriva, e non il contrario. O forse, in parte…poteva infine definirsi a sua volta responsabile della sua salvezza?
Ruri continuò a baciarlo, incurante del mondo esterno, incurante dei rumori, dei sapori, degli odori della realtà che la circondava, incurante di ogni minima, piccola cosa che non riguardasse lo stringersi a lui…che importanza poteva avere? Che importanza poteva avere il rendersi conto che quell’istante sarebbe finito, e che il seguito probabilmente le avrebbe lasciato l’amaro in bocca? Tutto ciò che le interessava, in quell’istante, era continuare a baciarlo, solo a baciarlo… Prima che potesse rendersene conto, stava già passando le dita in mezzo ai suoi scompigliati capelli neri, mentre la mano libera passava ad accarezzargli il collo con dolcezza, ma allo stesso tempo con disperata frenesia.
 
Come on, come out, come here, come here…
Come on, come out, come here, come here…
 
Non seppe per quanto tempo seguitò a baciarlo, esplorando i confini della sua bocca e della sua intimità, senza cessare per un solo secondo di carezzarlo, ma quando infine la sua mente riprese a seguire un piccolo, seppur esistente, filo conduttore...finì per rendersi conto, con sua gran sorpresa, che Elle la stava ricambiando. Spostando la sua attenzione su quella nuova, incredibile scoperta, capì che il detective la stava stringendo ai fianchi con una smania che quasi non gli era propria, intenzionato a stringerla a sé, come nel tentativo di impedirle di allontanarsi. La voleva, la voleva davvero. Tutto il suo corpo non smetteva di urlarle quella che adesso percepiva come una verità innegabile, e non come un sogno irraggiungibile. Elle voleva lei. Non il suo lavoro, non la sua professione, non le sue doti di profiler, la sua carriera nell’FBI o il suo brillante curriculum…voleva soltanto lei. Era possibile…?
Quando infine il loro contatto s’interruppe, Ruri appoggiò la fronte contro la sua, gli occhi chiusi e il respiro leggermente affannoso; posandogli una mano sul petto e avvertendo il movimento della sua cassa toracica, capì che per lui era lo stesso.
“Lo sai che non ci porterà da nessuna parte, vero? Lo sai che sono pazza, testarda, egocentrica, competitiva e tremendamente problematica? Lo sai che litigheremo tutti i giorni e che sarà la cosa più complicata e ingestibile di tutta la tua vita?” gli sussurrò, aprendo appena gli occhi.
“Non m’interessa” replicò lui, tornando a baciarla.
Quelle parole, identiche a quelle che lei stessa gli aveva rivolto, quel giorno, la convinsero a proseguire il bacio, che andava intensificandosi sempre di più con il trascorrere dei minuti.
“R-Ryuzaki…” riuscì a dirgli, quando le loro labbra si separarono nuovamente, ma solo per permettere a quelle di lui di spostarsi sul suo collo, iniziando a tormentarne la pelle.
“Elle” la corresse il detective, riprendendo a guardarla e sorridendole con dolcezza.
“Elle…” convenne lei, avvertendo ancora più salda la presa del giovane sui suoi fianchi “Io…”.
“Devi perdonarmi” la interruppe Elle, il petto ormai premuto inesorabilmente contro il suo “Non sono stato giusto, con te, e di questo mi dispiace molto. È solo che…non ho mai conosciuto un altro modo per avvicinarmi a una persona diverso da quello di studiarne il comportamento. In tutta la mia vita, non ho fatto altro che aspettare, osservare, analizzare…ma per la prima volta, sono di fronte a qualcosa che la mia mente non riesce a capire. Questo mi ha spaventato, mi ha privato di ogni difesa e mi ha convinto che non sarei mai stato all’altezza di quello che mi chiedevi…ma la verità è che non posso più negare niente di tutto questo. Tu ti descrivi come la persona più complicata e terribile del mondo, ma non ti soffermi mai a riflettere sul fatto che io non sono il detective che ti si è sempre presentato attraverso un computer. Non sono una macchina perfetta, infallibile, incapace di commettere un errore. Sono una persona che ha smesso di ascoltare se stesso da così tempo…da così tanto da aver perfino dimenticato come si fa ad ascoltare. Riesci a immaginare qualcosa del genere?”.
“Sì…credo di sì…ma non capisco cosa intendi realmente…”.
"Voglio dire che mi sono innamorato di te, Ruri. E che per quanto possa desiderarlo e per quanto possa sperare che le cose cambino, non potrò mai cancellare una cosa del genere".
Le sembrò che l'intero ambiente circostante si fosse improvvisamente ovattato, rinchiudendo lei ed Elle in una specie di bolla di sapone, dove nessuno avrebbe potuto vederli o raggiungerli. Stava disperatamente cercando di assorbire le parole che Elle le aveva appena detto, come se avesse temuto di averle sognate o che potessero sfuggirle via dalle dita in un semplice istante...
"Elle..." riuscì a dire infine, ormai mormorando.
"Vorrei baciarti di nuovo, se me lo permetti. Devi perdonarmi anche di questo, non sono certo d'essermi comportato da gentiluomo, fino ad ora. Scusami, non ho mai imparato queste cose...".
"Non voglio che ti comporti da gentiluomo" lo interruppe Ruri, alzando una delle mani ormai libere per carezzarlo in volto "Voglio che tu sia...Elle".
Quella frase lo portò a cambiare espressione, assumendone dapprima una sorpresa, poi incredibilmente...dolce...?
"Mi dispiace..." le mormorò, regalandole un bacio all'angolo della bocca "Non avrei voluto questo per te...".
"L'unica cosa che voglio sei tu" lo corresse la ragazza, immergendo di nuovo la mano destra nei suoi folti capelli neri e ancorandosi alla sua nuca.
Per tutta risposta, Elle l'attirò ancora più vicino a sé, cingendola in un abbraccio che non avrebbe mai creduto d'essere in grado di attuare.
“Ne sei sicura? Vorresti me…più di ogni altra cosa? Più del poter ottenere la possibilità di catturare Kira?” le sussurrò all’orecchio.
Ruri lo guardò dritto negli occhi, sorridendogli con ironia.
"Quella è la tua ossessione, non la mia" lo corresse, il profilo contro il suo.
"Ossessione? Non direi, no...comunemente l'ossessione si definisce come qualcosa in grado di distogliere la tua attenzione da qualunque altra cosa che non sia l'oggetto dell'ossessione stessa, e inoltre...non ti consente di vivere normalmente, non ti consente di avere la mente sgombra da quel pensiero. È un po' come una droga, se ci pensi bene. Non c'è niente di sano, non c'è niente di corretto. Non riesci più nemmeno a pensare, non riesci più a riflettere, accecato dal desiderio di padroneggiare e di prendere il controllo della tua ossessione. Se Kira rappresentasse qualcosa del genere, per me, non sarei nemmeno in grado di pensare con lucidità al caso, e la partita sarebbe già persa. No, Kira non è un'ossessione, non lo è mai stato".
In quel momento, i suoi profondi, spaventosi occhi neri le rivolsero un nuovo sguardo penetrante e intenso; prima che potesse aggiungere nient'altro, Ruri capì.
"Stai dicendo che sono io la tua ossessione, signor detective...?" gli sussurrò, di nuovo vicinissima alle sue labbra.
"Non lo so...ma mi stai impedendo di pensare, Ruri. E nessuno era mai riuscito a ottenere un simile risultato nei miei confronti. Direi che le probabilità che tu sia diventata la mia ossessione sono intorno al 62%".
"Odio le tue stupide percentuali" replicò lei, senza riuscire a trattenersi dal ridacchiare.
"E io amo te".
Di fronte a quella nuova dichiarazione, qualunque parola le morì in gola, costringendola a fissare di nuovo gli occhi nei suoi, perdendosi in quelle sfumature di tenebra.
“Elle…”.
“Dillo. Lo so che non me lo merito, ma dillo. Per favore, ho bisogno di sentirlo…lo so che non ne ho il diritto, lo so che sei arrabbiata con me, ma dillo. Ti prego…”.
Ruri carezzò il suo volto, alzandosi appena sulle punte dei piedi per poterlo raggiungere in altezza, la fronte contro la sua e gli occhi chiusi, il respiro pronto a incrociarsi ancora con il suo…e per la prima volta, capì che sarebbe andato tutto bene.
“Ti amo anch’io…” gli mormorò all’orecchio, baciandolo delicatamente.
Dopo che si furono scambiati un altro bacio intenso come nessuno dei precedenti, Ruri si concesse qualche istante per riprendere fiato, sussurrandogli qualcosa di ancora più importante.
“Non credere che non ci abbia provato: non sei stato l'unico a cercare di fare la cosa più giusta, Elle. Ma la verità è che...tu sei l’unica cosa realmente giusta per me".
Quella nuova affermazione lo portò a spalancare ulteriormente gli occhi; anticipando qualsiasi sua mossa, tornò ad avvicinarlesi e incrociò il respiro con il suo, una mano posata sulla sua spalla sinistra e l'altra intenta a cingerle la vita con una presa possessiva. 
"Posso dirtelo ancora una volta...?" le sussurrò, mentre lei appoggiava nuovamente la fronte contro la sua.
“Sul serio hai bisogno di chiedermelo?” ridacchiò Ruri.
"Ti amo...".
"Ti amo anch'io... ".
Non ebbe neppure il tempo di rendersene conto, eppure in quell'istante le sue emozioni presero il sopravvento su qualsiasi componente della sua razionalità; prima che potesse accorgersene, le loro bocche si erano unite di nuovo in un bacio mozzafiato, che lo stava conducendo in un vortice di passione e di calore mai conosciuto prima da nessuno dei due. 
In un momento, avvertì le mani di Ruri correre in direzione del suo petto, carezzandolo da sopra il tessuto candido della maglia; percependo la sua insicurezza e la lentezza con cui lei lo stava toccando, quasi indecisa se farlo o meno, Elle posò le proprie mani su quelle di lei, premendole con più energia contro il suo torace. 
Quel gesto la fece staccare di nuovo da lui, il respiro ansimante e lo sguardo incatenato a quello del detective. 
"Fallo..." le mormorò lui, con decisione.
"Elle...".
"Anch'io so quello che voglio...".
Senza aspettare ulteriori esortazioni, Ruri prese a sfiorarlo con intensità sempre maggiore, arrivando quasi a stringere fra le dita la stoffa della maglia; ben presto, la sua mano destra scivolò sotto il tessuto, arrivando a carezzargli il petto glabro con intensità sempre maggiore.
Quel tocco così nuovo e intenso lo portò a chiudere gli occhi, come nel tentativo di assaporare ogni dettaglio e ogni sensazione che quel contatto era in grado di donargli.
Nel frattempo, Ruri riprese a baciarlo passionalmente, senza cessare di intrecciare le dita con i capelli del detective, mentre le mani malferme, ma stranamente smaniose di Ryuzaki si posizionarono intorno ai fianchi dell'agente, segnandone i contorni e sfiorandola con ardore e dolcezza.
Ruri staccò d'un tratto le labbra da quelle di Elle, baciandolo intensamente sul collo e iniziando lentamente a sollevargli la maglia. 
Quel gesto lo spinse a socchiudere le palpebre, per poi rivolgerle lo sguardo più profondo che fosse in grado di concederle.
"R-Ruri...".
La ragazza finì di spogliarlo dei suoi indumenti superiori, concedendosi qualche momento per ammirare la bellezza del suo corpo bianco e quasi lucente. 
"Sei perfetto..." gli sussurrò, passando ancora una volta una mano sul suo torace glabro. 
Quel tocco lo fece trasalire e sospirare al tempo stesso, i profondi occhi neri chiusi di fronte a quel gesto così intenso. 
Spinto da una nuova determinazione, Elle la baciò di nuovo, arrivando a sollevarla leggermente da terra, mentre lei gli gettava le braccia al collo e incrociava le gambe intorno alla sua vita. Senza staccarsi da lei per un solo istante, impedendo alle loro bocche di smettere di duellare, Elle si diresse verso il letto, non tardando a crollarvi sopra insieme a lei, finendo poi per intrappolare il suo corpo con il proprio. 
Senza più curarsi di arrossire o di chiedere il permesso, lasciò che le sue dita iniziassero lentamente a sfilarle il maglioncino color crema che indossava, per poi iniziare a dedicarsi a sbottonarle la camicetta...


Come on, come out, come here, come here…
Come on, come out, come here, come here…
Come on, come out, come here, come here…
 
Fu allora che l’avvertì irrigidirsi per la prima, proprio prima che di fronte ai suoi occhi iniziasse a comparire la vistosa e recente cicatrice, che ancora una volta le divideva il petto in due.
Prima di proseguire, si fermò per un momento, rivolgendole il suo sorriso complice e baciandola a fior di labbra.
“Va tutto bene…?” le domandò, il corpo scosso appena da tremiti di freddo e d’eccitazione.
“Sì…sì, credo di sì…”.
“Credi?” insistette lui, avvicinando nuovamente il profilo al suo e sovrastandole il corpo con il proprio, il torace glabro ormai vicinissimo al suo petto.
"Hai paura di me, Ruri?" le domandò, con semplicità.
"Ho paura di quello che sei in grado di farmi...".
Elle la guardò dritto negli occhi.
"Non è da te rispondere in questo modo. Che cosa ti succede?".
“Vuoi baciarmi o continuare a fare filosofia?” ribatté Ruri, alzando un sopracciglio.
“Sei capace di fare dell’ironia in qualunque momento?”.
“Sta’ zitto” concluse lei, attirandolo a sé, una mano dietro la sua nuca, e ricominciando a baciarlo, mentre lui passava a toglierle definitivamente la camicetta.
Ruri circondò il torace candido di lui con le sue braccia, mai sazia di quel contatto.
In quel momento, senza cessare di baciarle le spalle, Elle iniziò lentamente ad abbassarle le spalline del reggiseno, mentre la sua mano sinistra correva verso l'abbottonatura del reggipetto. Notando la sua maldestria, Ruri si apprestò ad aiutarlo, e ben presto l'indumento intimo cadde a terra, insieme agli altri già sfilati. 
Infine, entrambi iniziarono a presentarsi l'uno all'altra, le difese già notevolmente abbassate.
Prima che lei potesse aggiungere qualcosa, Elle cominciò a scendere con le labbra, carezzandole i seni e baciandone le estremità, fino a strapparle piccoli gemiti.
Quella sua reazione lo condusse a fermarsi, alzando lo sguardo.
"Stai bene...?" le domandò, premuroso.
La ragazza gli sorrise, carezzandogli la testa.
"È tutto a posto. Non preoccuparti di ogni cosa che fai...f-fallo e basta...".
Elle la baciò di nuovo, stringendola in un altro abbraccio dolce e frastornato.
"Non conosco tutto questo..." le sussurrò, con tono quasi colpevole, il volto affondato nei suoi capelli.
"Ma conosci me" replicò lei, iniziando lentamente a sbottonargli i pantaloni "Puoi fidarti...".
 
The long neon nights, and the ache of the ocean
And the fire that was starting to spark
I miss it all, from the love to the lightning
And the lack of it snaps me in two…
 
Quell'azione scatenò una nuova reazione nel suo corpo, spingendolo a riprendere a toccarla e a spogliarla, fino a liberarla dei jeans e dei collant, mentre lei faceva lo stesso con i suoi pantaloni. Quando entrambi si ritrovarono in intimo, Elle si concesse qualche altro momento per ammirarla: era certo di non aver mai visto uno spettacolo così bello in tutta la sua vita. 
Per la prima volta, sentiva il cuore gonfio di una sensazione mai provata fino a quell'istante, e avvertiva gli occhi riempirsi di quella visione magnifica, in grado di scaldargli l'anima come niente era stato in grado di fare fino a quel momento.
"Ruri...io...".
"Vieni qui" lo esortò la ragazza, portando una mano dietro la sua nuca e attirandolo ancora verso di sé, per poi riprendere a baciarlo con nuova dolcezza e passione.
Con la mano libera, la giovane iniziò delicatamente a carezzarlo all'inguine: quel contatto lo portò a interrompere il bacio, strappandogli un gemito che niente era mai stato in grado di provocargli. 
"R-Ru-ri...".
La mano di lei non si fermò, continuando a stuzzicarlo, fino al momento in cui non lo liberò del tutto dei boxer; non appena fu del tutto privo di qualunque difesa, Elle la guardò dritto negli occhi e riprese a baciarla intensamente, ritornando a sovrastarla e beandosi del contatto con il suo corpo.
"Non voglio perderti..." le mormorò pochi istanti dopo, fra un bacio e l'altro. 
"Non permetterò che tu mi perda" rispose Ruri, carezzandolo sul collo e sul torace.
La mano affusolata di Ryuzaki giunse infine al bordo dei suoi slip, incerta e malferma su come proseguire; avvertendo la sua premura, Ruri ne carezzò il dorso, accompagnandolo infine nello spogliarla del tutto.
Quando ebbe finito, si regalò qualche ultimo istante per ammirarla.
"Ora capisco cosa si intende con 'bellezza'..." commentò infine, il suo sorriso caratteristico dipinto sul volto. 
Ruri ricambiò il suo sorriso e continuò a guidare la mano di lui in direzione della sua intimità; rendendosene conto, Elle alzò lo sguardo e le rivolse un'occhiata penetrante e preoccupata.
"Non...".
"Cosa c'è?".
"Non voglio farti del male...".
Ruri gli sorrise di nuovo e insistette a guidare la sua mano.
"Non lo farai. So che non lo farai...mi fido di te".
Spinto da quella rassicurazione, Elle lasciò che le proprie dita iniziassero a esplorare l'intimità della ragazza, facendole chiudere gli occhi e permettendole di assaporare ogni istante di quell'estasi.
Era certa che, se glielo avessero mai detto, sicuramente non ci avrebbe creduto. Com'era possibile crollare sotto lo sguardo di una persona, sotto il suo tocco, sotto la sua presenza, dopo così poco tempo? Com'era possibile che proprio lei, dopo tutto ciò che aveva passato e subito, dopo il terrore che per anni l'aveva attanagliata, alla sola idea che qualcuno la sfiorasse ancora, dopo tutto quel dolore...si fosse infine innamorata? Innamorata...dopo così poco tempo...e di un uomo del genere. 
Ma forse il punto era proprio quello, forse la verità era che non avrebbe potuto amare nessun altro uomo che non fosse lui, proprio per ciò che Elle era e rappresentava. Era senza dubbio la persona più particolare, bizzarra, e unica nel suo genere che le fosse mai capitato d'incontrare...adesso lo capiva. Era questo il tassello che aveva cercato per una vita intera, il pezzo del puzzle mancante per sentirsi del tutto serena e in pace con se stessa. Magari aveva ragione lui, forse era un'ossessione...forse persino una droga...ma una cosa era sicura, non aveva mai sentito di una droga che fosse in grado di stregarle la mente, il cuore, l'anima e i sensi nel medesimo istante. E con un'intensità di cui non aveva mai immaginato sarebbe stata preda. 
Un nuovo gemito di Ryuzaki la portò ad alzare lo sguardo, fissando le sue iridi ghiacciate in quelle d'ebano di lui...notò subito quanto fossero velate e impazienti. 
"Elle...".
"D-devi guidarmi...".
Quelle parole la sorpresero ulteriormente, essendo così nuove per lui, eppure non riuscirono a stupirla del tutto. In fondo, sapeva che cosa rappresentasse per il detective quella situazione...
Con un gesto fluido, Ruri si posizionò nella posizione corretta, incrociando di nuovo le sue gambe intorno alla vita di lui e inarcando leggermente il bacino.
"Devi solo...lasciarti andare, tutto qui. Inizia dolcemente..." gli disse, con un altro bacio.
"M-ma...".
"Elle. Ti prego...".
"N-non posso..." mormorò lui, aggrappandosi alle sue spalle e conficcando i lattei polpastrelli nella pelle della sua schiena.
"Sì che puoi. So che puoi" lo incoraggiò la ragazza "Puoi farlo...con me...".
"Ruri...ho paura".
L'averlo sentito pronunciare quelle parole la scosse nel profondo, ma la condusse anche a comprendere ancora di più quanto fossero simili; entrambi soli, entrambi spaventati, entrambi restii al contatto fisico, entrambi chiusi nella loro bolla di sapone, intrappolati in un mondo parallelo in cui solo la logica e la razionalità avevano il permesso di entrare...possibile che avessero davvero rotto a vicenda le rispettive barriere? 
Ruri gli prese il volto fra le mani e lo baciò con calma e dolcezza infinite. 
"Lo so che hai paura. Credimi, lo so...lo so perché ne ho così tanta anch'io. Ma ti prego, se proprio vuoi avere paura, allora abbi paura insieme a me. Perché qualunque cosa tu decida, non posso più rinunciare ad averti al mio fianco".
Quella frase gli donò un'improvvisa e nuova risoluzione, spingendolo a ricambiare il bacio di lei e ad abbracciarla intensamente; infine, con grande lentezza e senza smettere di baciarla, iniziò ad entrare delicatamente in lei.
La sensazione che quel contatto, che quel gesto così profondo e viscerale fu in grado di donarle le rimase impressa nella mente e nel cuore per tutta la vita; ben presto, i loro corpi iniziarono a muoversi in simultanea, chiudendo fuori dalla loro unione qualunque cosa che potesse in qualche modo distoglierli dal reciproco sentimento che stavano provando.
Mentre si aggrappava alle sue spalle e muoveva il bacino insieme a quello di lui, Ruri chiuse gli occhi, incapace di concentrarsi su niente che non fosse quell’estasi sublime in cui stava scivolando; lui era tutto quello che aveva sempre cercato, senza averne la minima consapevolezza. Lui era il caos calmo che non credeva avrebbe mai potuto arrivare a rappresentare tanto, per lei…era la tessera del puzzle che le mancava, era la strada che per tanto a lungo aveva tentato di trovare, e che infine le si stava aprendo di fronte. Era il suo inizio, e insieme la sua fine. Come una malattia, la cui cura era nascosta semplicemente nei meandri dello stesso malessere…sì, forse era esattamente di questo che si trattava. Ma poteva, una patologia di qualunque genere, rivelarsi in grado di salvarle la vita?
 
Just give me a sign
There’s an end and a beginning
To the quiet chaos driving me mad…
 
Subito dopo, avvertì il piacere invaderla completamente, strappandole un grido che Elle non riuscì a non condividere, nell’istante in cui tutti e due raggiungevano l’apice della frenesia che aveva pervaso entrambi.
Quando lui rialzò gli occhi, prima che potesse dire qualunque cosa, Ruri lo baciò per l’ennesima volta, tornando a intrecciare le dita con i suoi capelli e lasciando che si sdraiasse accanto a lei, per poi cingerla con le sue braccia e riprendere a ricambiarla, le braccia bianche intente a stringerla contro di sé.
Allora…per la prima volta in vita sua…capì di sentirsi davvero a casa.
 
The long neon night, and the walls of the ocean
And the fire that is starting to go out…
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: CIAOOOOOOOOOOOOO!!!!! Sono di nuovo in città!!!! Come state, belli?!?! Confessate, vi ho fatto prendere un colpo, vero?! Ahaahha, dovete perdonarmi, era previsto dal copione!! Per farmi perdonare…TADAN!! Ecco la scena più attesa dopo quella del primo bacio…che ve ne pare? Nah, vero? Lo so, però diciamo che ci ho provato :D Che ne pensate? Eh? Eh? Che dite?! Vi prego, imploro come al solito la vostra clemenza, insieme alla spassionata sincerità :D La canzone di questo capitolo era ‘New York’ degli Snow Patrol, ed essendo la mia preferita, non potevo assolutamente astenermi dall’inserirla nella storia, da qualche parte dovevo ficcarla XD Poi, riascoltandola per l’ennesima volta mi è comunque parsa adatta a questi due, proprio per il concetto di ‘caos calmo’ che dà il titolo al capitolo e che esprime la personalità di Ryuzaki…che mi dite al riguardo?? Premetto che questa puntata non è venuta come me l’immaginavo all’inizio e come l’avevo progettata, ma come sapete, scrivo sempre d’impulso e di getto, vi prego di farmi presente eventuali errori :D Mooolto bene, passiamo ai ringraziamenti: grazie MILLE ad Annabeth_Ravenclaw, PotterHeart_394 (quanto vi adoro, tutt’e due :D), a Zakurio, a loren, a hatake_kakashi, a Shikacloud, a gloomy_soul e alla mia Pinkamena Diane Pie per aver recensito il quattordicesimo capitolo, grazie a tutti coloro che lo hanno sempre fatto e che spero continueranno a farlo, e di nuovo grazie a loren per aver inserito la storia fra le preferite, grazie veramente di cuore!! Spero di poter tornare prestissimo con il prossimo capitolo, anche se dopodomani mi ricominceranno i corsi all’università, ma prometto che cercherò comunque di fare il possibile, ve lo giuro!! Ci vediamo il prima possibile con il seguito di ‘Sugar and Pain’, attendete fiduciosi, tornerò presto!! E ancora grazie a tutti!!! Tantissimi bacioni, la vostra Victoria

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Capitolo 16
*** Giochi di ruolo ***


Capitolo 16- Giochi di ruolo
 
Quando Ruri si risvegliò, un paio d’ore più tardi, si rese conto che Ryuzaki non era più accanto a lei; nella piazza del letto vuota, alla sua sinistra, permaneva ancora il suo odore e la sua impronta leggera, ma di lui non c’era traccia, nella camera da letto. Tirandosi leggermente su a sedere e passandosi una mano di fronte al volto, finì presto per dare una veloce occhiata all’orologio: erano circa le quattro del mattino. Fu in quell’istante che la sua mente iniziò a percepire con più attenzione una leggera melodia, che con tutta probabilità proveniva dalla stanza adiacente; tendendo maggiormente l’orecchio, realizzò che si trattava di un pezzo suonato al pianoforte, e che, verosimilmente, stava proseguendo nel suo essere eseguito da almeno un paio di minuti. Forse si trattava dell’elemento che l’aveva svegliata, non avrebbe saputo dirlo…ma certo era che quella musica non le era affatto nuova. Le era già capitato di udirla, anzi…perfino di suonarla, quel giorno in cui lei ed Elle si erano seduti insieme sul panchetto di quel meraviglioso strumento musicale, quel giorno in cui gli aveva aperto gli aspetti più segreti e nascosti del suo animo, quel giorno in cui la sua vita era cambiata per sempre…quel giorno in cui, infine, aveva capito d’essersene innamorata.
Dopo essersi messa a sedere sul letto, gettò definitivamente le coperte da un lato e infilò la camicetta, dirigendosi in punta di piedi verso la porta della stanza, nel tentativo di non distoglierlo dal suonare quel pezzo splendido. Ma nonostante tutto, non appena ebbe socchiuso l’uscio e si fu introdotta il più silenziosamente possibile nell’ambiente dove lui si trovava, non poté comunque rivelarsi in grado di continuare a tenergli segreta la sua presenza; poco dopo il suo ingresso, infatti, il ragazzo smise di eseguire il brano, per poi voltarsi verso di lei, sorridendole subito nel suo modo consueto e così particolare.
Non appena si fu alzato in piedi, poté constatare con i propri occhi che il suo petto bianco era rimasto scoperto, e che addosso portava soltanto i jeans.
Elle le andò incontro, le mani in tasca e il suo sorriso timido ancora dipinto in volto, le spalle leggermente curve come d’abitudine.
“Mi dispiace, ti ho svegliato” disse, accennando al pianoforte “Scusami, non sono abituato ad avere compagnia…”.
“Non mi hai svegliato” lo contraddisse Ruri, ricambiando il suo sorriso “Scusami tu, anzi…non volevo interromperti. Mi piace molto sentirti suonare il piano…”.
“Ho imparato quando ero piccolo” aggiunse il ragazzo, a mo’ di spiegazione “È stato Watari a insegnarmi…a dire il vero, credo che sia stata la prima cosa che mi ha insegnato…quando sono arrivato all’orfanotrofio”.
All’udire quella parola, Ruri non riuscì a dissimulare un momento d’incertezza, che non mancò d’essere subito colto dal detective.
“Che cosa c’è?” le domandò, in tono tanto dolce quanto penetrante.
“Niente…è solo che…”.
“Cosa?”.
“Non mi avevi mai parlato di un orfanotrofio. Cioè, a dire il vero non avevi mai detto praticamente niente della tua vita, o…della tua infanzia, o cose del genere, e ho solo pensato che fosse strano ritrovarsi a parlarne adesso. Tutto qui. In effetti, non avrei mai immaginato che un giorno avremmo avuto conversazioni del genere” concluse alla fine, ridacchiando appena.
Elle si strinse brevemente nelle spalle, rivolgendole uno dei suoi sorrisi caratteristici, che, ormai lo aveva compreso, da tempo erano riservati soltanto a lei.
“Non vedo cosa ci sia di strano…dopotutto, sei la prima persona dopo Watari a cui abbia mai rivelato il mio vero nome. In effetti, credo che tu sia l’essere umano di cui mi sono sempre fidato di più in assoluto, rispetto a chiunque altro…non nutro alcuna difficoltà nel raccontarti il mio passato”.
Spinta da un moto di tenerezza e di mitigata, orgogliosa soddisfazione, di fronte a quelle parole Ruri non poté fare a meno di abbracciarlo, stringendolo a sé con dolcezza e delicatezza infinite; stupito per quella manifestazione improvvisa, Elle ricambiò molto lentamente l’abbraccio, finendo per tenerla stretta a sua volta contro il petto, il viso affondato nei suoi capelli, intento ad assorbirne l’odore per quanto gli era possibile.
“Sei sicura che non ti abbia svegliato? Farò più attenzione, la prossima volta…” le mormorò lui, subito dopo che l’abbraccio fu sciolto.
Il solo sentirgli pronunciare le parole ‘la prossima volta’ sarebbe comunque stato sufficiente per riempirla di felicità in modo indescrivibile, ma vederlo assumere quell’espressione timida e impacciata fu in assoluto il culmine, che la portò a indirizzargli una carezza quasi impercettibile su una delle sue guance lattee, in grado di fargli alzare gli occhi, dotati della medesima espressione tenera e smarrita.
In quel momento, era sicura che, se non ne avesse avuta la certezza, non avrebbe mai affermato di trovarsi di fronte al primo detective al mondo, all’investigatore privato per eccellenza, al nemico numero uno della criminalità organizzata a livello internazionale.
Quello che le si stava parando di fronte agli occhi era un semplice ragazzo privo della benché minima esperienza nei rapporti umani, assolutamente incapace di confrontarsi con se stesso o con i propri sentimenti…o almeno, certo così era stato fino a quella sera. Forse, in qualche modo, adesso le cose avrebbero potuto essere diverse…forse, era riuscita a far scattare qualcosa in lui, in grado di spingerlo a guardare in faccia i propri sentimenti e la propria irrazionalità.
“Non mi hai svegliato…” gli confermò di nuovo, sussurrando a sua volta, mentre tutti e due si sedevano con circospezione sul divano nelle vicinanze “È solo che non c’eri più…non ti sentivo più accanto a me. Credo che sia stata questa la ragione per cui ho smesso di dormire…”.
“Scusami” disse con semplicità lui, passandosi una mano dietro il collo “Non sono abituato a dormire con qualcuno…a dire il vero, non sono abituato a dormire e basta. Non in un letto, almeno…”.
“L’ho notato” ridacchiò Ruri.
Prima che lui potesse rendersene conto, la ragazza gli aveva già posato la testa sulla spalla, chiudendo gli occhi; impercettibilmente, il suo corpo, rigido di partenza, cominciò con tranquillità a rilassarsi, finendo perfino per concedere al suo braccio destro la possibilità di iniziare a circondarle le spalle, per poi passare a carezzarla delicatamente.
Non seppe mai per quanto tempo rimasero in quella posizione, ma il silenzio e la quiete che condivisero in quegli istanti costituirono per entrambi un benessere a cui nessuno dei due sarebbe mai stato in grado di rinunciare, dopo tutto ciò che era accaduto e che aveva finito per segnare irrevocabilmente i loro corpi e le loro anime.
“Stavi parlando sul serio…?” le domandò lui infine, le labbra molto vicine a sfiorarle la fronte, il capo appoggiato subito sopra il suo.
Ruri si discostò appena per guardarlo negli occhi, sorpresa.
“In merito a cosa?” replicò, un po’ stranita.
“Quando hai detto…beh, quando hai detto che non potevi più rinunciare ad avermi al tuo fianco. Parlavi sul serio?”.
Ruri gli sorrise con nuova dolcezza, baciandolo delicatamente.
“Certo che parlavo sul serio. Avevi dei dubbi, al riguardo?”.
“No, è solo che…”.
Ruri attese che proseguisse, osservando le sfumature delle sua espressione, mentre lui prendeva tempo, in cerca delle parole giuste.
“Non lo so…” rispose alla fine “Forse il punto è che non sono abituato a tutto questo. Ho sempre pensato che non valesse la pena occuparsi di simili cose…non avevo nemmeno…beh, non avevo mai…”.
Il giovane arrossì violentemente, nello stesso momento in cui Ruri tornava a posargli la testa sulla spalla, stringendosi meglio contro il suo petto; di fronte a quella scelta, le braccia di Elle presero a stringerla in modo più significativo.
“Lo so…” gli mormorò poco dopo “Spero solo che per te sia stato bello quanto lo è stato per me…”.
“Non…non mi ero mai sentito così in vita mia. Non avevo mai contemplato l’idea che un essere umano potesse stare bene semplicemente rinunciando ad adoperare la sua logica, anche soltanto per qualche momento. Non avrei mai creduto che legarmi a una persona mi avrebbe dato l’occasione di avvertire un tale senso di completezza. Ruri…adesso posso dirtelo. Credo…” prima di proseguire, le fece alzare di nuovo lo sguardo, sorridendole con complicità “…credo che tu sia in assoluto la prima forma di dipendenza al mondo che possa rivelarsi assolutamente e del tutto benefica”.
Ruri rise in modo complice, baciandolo delicatamente ma con energia vitale.
“Ho la sensazione che tu stia parlando di quel fenomeno che la gente comune chiama ‘innamorarsi’, Elle…mai sentito dire?”.
“Diciamo solo che sperimentare un fenomeno simile in pratica è ben diverso dallo studiarne le componenti chimiche in teoria” affermò il detective, baciandola ancora.
Ruri ridacchiò di fronte a quella diagnosi e non disse niente, lasciando che lui giocherellasse con i suoi capelli, mentre lei gli si sdraiava con la testa in grembo, permettendo semplicemente al tempo di scorrerle addosso, incurante di ogni cosa.
“Cos’hai intenzione di fare con Yagami?” gli chiese dopo un’ulteriore pausa, gli occhi intenti a osservare le sfumature del piano del tavolino di legno di fronte a lei.
“Beh, il mio progetto è quello di tenerlo attentamente d’occhio. Fingerò d’essere un comune studente universitario…almeno all’inizio. In realtà, ho in animo di uscire allo scoperto il prima possibile; voglio che lui sia consapevole della mia identità al più presto. È un passaggio molto importante, nell’ambito dell’analisi comportamentale che dovrò fare riguardo al suo profilo psicologico. Immagino che la cosa migliore sia cercare di stringere un qualche rapporto di amicizia, anche se la mia intenzione è quella di mettere subito in chiaro quali siano le carte in tavola” rispose l’investigatore.
“Stai dicendo che pensi di dirgli che sospetti che lui sia Kira?” replicò Ruri.
“Esattamente. Anche la reazione che manifesterà di fronte a un’affermazione simile sarà un’importante elemento di riflessione per giungere a conclusioni concrete sul caso. Non sei d’accordo?”.
“Beh, in effetti il tuo ragionamento non fa una piega. E in ogni caso, che il nostro sospetto creda o meno che tu sia Elle, nel caso fosse Kira non potrebbe comunque muovere un muscolo…i miei complimenti, sicuramente avresti le spalle parate. Un’ottima strategia”.
“Il merito è gran parte tuo, ricordi? Sei tu che mi hai proposto un piano d’azione del genere…volendo essere onesto, l’idea di mostrarmi a lui mi aveva lasciato perplesso, all’inizio, ma riflettendoci ho concluso che era la soluzione migliore. Di questo devo ringraziare solo te”.
“Non giocherai mica a fare il modesto, ora? Guarda che non ne hai bisogno per fare colpo, mi pare che tu abbia già avuto successo nell’impresa” ridacchiò Ruri, facendogli pigramente il solletico a una gamba.
“Suppongo che tu abbia ragione. Non ho motivo di cercare di conquistare la mia ragazza, giusto?”.
Al sentirlo parlare in quel modo, Ruri alzò il capo di scatto, guardandolo dritto negli occhi; notando la strana espressione che vi era appena comparsa, Elle li scrutò preoccupato, cercando di capire se andasse o meno tutto bene.
“Qualcosa non va…?” non riuscì a fare a meno di chiederle, subito dopo.
Ruri allargò il suo sorriso.
“Hai detto ‘la tua ragazza’?” gli chiese conferma.
“Beh…sì. Ho…ho immaginato che…insomma…ho frainteso?”.
Ruri si sollevò appena, posandogli una mano sul collo e catturando le sue labbra in un lungo bacio, in seguito al quale, a causa della sorpresa e dell’imbarazzo, Ryuzaki riuscì a chiudere gli occhi solo dopo qualche istante.
Quando infine si staccarono nuovamente, Ruri gli donò un altro sorriso sbarazzino, tornando a sistemarsi comodamente con la testa nel suo grembo, senza più curarsi della sua espressione attonita e un po’ frastornata.
“Ruri…”.
“Per rispondere alla tua domanda” lo interruppe lei, con un nuovo sorriso molto ampio, che però lui non poteva vedere “No, non hai motivo di cercare di conquistare la tua ragazza, Elle. Non preoccuparti”.
Subito dopo, la giovane avvertì le sue dita eleganti ed affusolate, connotate da un tocco leggermente tiepido, iniziare a sfiorarle dolcemente i capelli, perdendosi in mezzo alle sue lunghe ciocche scure.
“Posso farti una domanda?” le chiese poco dopo, il tono adesso segnato da una nota strana.
“Certo” rispose Ruri, senza alzare la testa, giocherellando appena con un filo dei suoi pantaloni.
“Quand’è che hai stabilito di fare quel test d’ammissione?”.
Al sentirlo parlare in quel modo, la giovane alzò di nuovo la testa, rivolgendogli uno sguardo molto penetrante.
“A dire il vero…ho preso quella decisione subito dopo aver saputo che avevi intenzione di avvicinare Yagami in quel modo. Devo ammettere che non mi aspettavo una richiesta del genere, da parte tua…sul serio non lo immaginavi?”.
Elle sorrise in modo quasi impercettibile, scuotendo appena la testa.
“Diciamo solo che volevo esserne sicuro al 100%, tutto qui. Devo ammettere che è stato degno di te”.
“Sul serio?”.
Il ragazzo le fece sollevare appena la testa, posando un bacio lieve sulle sue labbra.
“Sul serio…” confermò, muovendo appena la bocca.
La giovane tornò a sedersi di fianco a lui sul divano, continuando a baciarlo per poi stringerlo a sé con calma e delicatezza infinite, affondando il volto nei suoi capelli.
“Quindi…hai cambiato idea?” gli domandò dopo un lungo silenzio, tornando a guardarlo negli occhi.
“In merito a cosa?”.
“Dicevi che non avresti più potuto essere la giustizia, se avessi accettato l’idea di stare con me. Ti senti ancora come se avessi rinunciato a qualcosa?”.
Elle si strinse nelle spalle, porgendole un cioccolatino e iniziando a scartarne un altro.
“Beh, veramente non lo so…è possibile. Ma se adesso sono qui…è evidente che, in un modo o nell’altro…non c’era alcuna possibilità che potessi rinunciare a te”.
Quella frase, pronunciata in modo così diretto e semplice, la portò ad abbassare lo sguardo, sorridendo impercettibilmente.
“Non ho mai voluto niente, nella mia vita…” proseguì il detective, facendole alzare di nuovo gli occhi “Perché non volevo confrontarmi con la perdita che ne sarebbe derivata. Come può la logica umana reagire di fronte a quello che un essere umano può provare, quando la cosa che più è per lui preziosa gli viene strappata dalle mani? Come si può andare avanti con la propria vita senza avere la possibilità di ottenere giustizia, di riprenderci ciò che ci è stato rubato? Ho cominciato a pormi domande del genere fin da quella notte…”.
“Quella notte…?”.
“La notte in cui sono morti i miei genitori”.
Ruri lo fissò in silenzio, incapace di replicare; le sue iridi azzurro ghiaccio lo videro fissare gli occhi a terra, le mani strette sulle ginocchia che, tuttavia, non teneva rannicchiate contro il petto, lasciandole ancora una volta penzolare fuori dal divano. Non le aveva mai parlato di niente che riguardasse il suo passato, se non quando le aveva rivelato il suo vero nome, e ascoltarlo parlare in quel modo le stava provocando dei lunghissimi brividi lungo la schiena, che non sembravano trovare fine in nessun modo.
“Elle…”.
“Avevo otto anni”.
“Mi dispiace, io…”.
“Sono passati tanti anni” scrollò le spalle il giovane, rivolgendole un sorriso stiracchiato “È stato prima di Natale, credo…non ricordo un granché, ma sono sicuro che stesse nevicando. Ero a casa con l’ennesima babysitter, una sera come tante. Quando giunse la notte…al loro posto, venne da me Watari…immagino che li conoscesse piuttosto bene, ma io non lo avevo mai incontrato prima di allora. Mi disse semplicemente che non sarebbero tornati più. Che non dovevo preoccuparmene, che non era colpa mia. Ma che…da quel momento in poi, non li avrei visti mai più”.
Elle si voltò verso di lei, indirizzandole un altro sguardo penetrante, accompagnato da un sorriso triste.
“Immagino che sia stata questa la ragione per cui ero così arrabbiato con te…”.
Ruri ricambiò la sua stretta, per poi abbracciarlo brevemente di nuovo.
“Mi dispiace davvero tanto…”.
“Non te l’ho detto perché mi chiedessi scusa di nuovo. Suppongo di averlo fatto per lo stesso motivo per cui tu mi hai raccontato del tuo passato…perché era la cosa più giusta da fare. Ecco tutto” replicò l’investigatore.
Prima che lei potesse allontanarsi troppo da lui, Elle la fermò, stringendo di nuovo le sue dita in modo deciso e delicato al tempo stesso.
“Con te è stato diverso. Ero…furioso alla sola idea di non poterti rivedere mai più. Ero frustrato, ero arrabbiato, ero teso, confuso, spaesato…ma per la prima volta in vita mia, ho avuto la netta sensazione di non essere più in grado di sopravvivere. Come se…come se fossi stato circondato da una valanga d’acqua che impedisse all’aria di entrarmi nei polmoni…come se capire che eri morta mi stesse impedendo di respirare. Il punto non è quello che obiettivamente sei…” proseguì, scostandole con dolcezza una ciocca di capelli dal volto “Non mi sono innamorato di te perché sei bella, intelligente, geniale e straordinaria…è successo perché mi hai permesso di comprendere che posso fare a meno di pensare, che non devo attaccarmi alla logica e alla razionalità per ogni minima, piccola cosa. Perché mi hai dato l’opportunità di capire che esiste altro, nella mia vita…che esistono cose che non posso ignorare e che avevo sottovalutato. Cose che non posso comprendere utilizzando soltanto la mia mente…cose che ho bisogno di capire con l’aiuto di qualcuno. Quando il caso Kira ha avuto inizio, ho pensato che non potevo farcela da solo. Che avevo bisogno della migliore collaborazione che potessi trovare, e sapevo che solo tu saresti stata in grado di fornirmela. Ma credevo che tutto ciò dipendesse semplicemente dalla genialità connessa a questa serie di omicidi…in effetti, l’elemento paranormale che connotava l’operato di questo serial killer mi aveva portato a pensare che non avrei potuto servirmi soltanto degli strumenti di cui avevo sempre disposto, per smascherarlo…incontrarti mi ha fatto capire, in maniera definitiva, che ciò che mi aveva spinto a chiederti di raggiungermi in Giappone non poteva essere collegato semplicemente alla stima e al profondo rispetto che avevo nutrito fin dall’inizio nei confronti delle tue eccellenti capacità. La verità, Ruri…è che tu sei stata l’eccezione più incredibile di tutta la mia vita. E dal primo momento in cui sei entrata in quella stanza d’albergo, hai cominciato a salvarmi. Credi che avrei mai potuto perdonarti, se avessi deciso di non salvare te stessa?”.
Ruri gli carezzò gentilmente il volto, perdendosi nelle sfumature dei suoi occhi d’ebano, che lentamente si stavano andando a fondere, ancora una volta, con le sue, cerulee e splendenti come ghiaccio al sole.
“Immagino che sarei stata in primo luogo io stessa…a non riuscire a perdonarmi mai più” replicò, con un sorriso mesto “Ti prometto che non permetterò più che accada. Ma devo confessarti che un’eventualità del genere non è la cosa che più mi spaventa…”.
“Ti riferisci a Kira? Che cosa temi?”.
“La stessa cosa che temi tu. Ho paura di perdere la partita. Ho paura di perdere te. Se perdessi te…”.
“Ruri…”.
“Se io perdessi te” ripeté la ragazza, con decisione “Sono convinta che non avrei più alcun mezzo per continuare ad agire e per fare ciò che è giusto”.
“Non voglio che tu permetta che questo accada, Ruri. Parlo seriamente. Non puoi permetterlo” le ricordò Elle, con serietà “Ho accettato quello che provo per te e non ho più intenzione di rinnegarlo, ma non puoi lasciare che una cosa del genere prenda il sopravvento su di te. Ne va del caso, lo sai meglio di me”.
“Pensi davvero che mi importerebbe ancora delle indagini, se tu…”.
“Basta” la bloccò Elle, adesso freddo “Non voglio sentire sciocchezze del genere. Nemmeno per un istante”.
“Elle…”.
“Se dovessi morire, non voglio che questo cambi le cose, Ruri. In nessun modo. Anzi, in effetti…se dovesse accadermi qualcosa, avrò bisogno che tu prenda il mio posto”.
Sentirlo parlare in quel modo le gelò il sangue nelle vene, e al contempo la riempì di un caloroso senso d’orgoglio, mai provato in vita sua. Possibile che stesse parlando sul serio?
“Non dire assurdità. Lo sai che non potrei mai fare una cosa del genere, e in ogni caso…non ce ne sarà alcun bisogno. Ne sono più che sicura” affermò Ruri, mentre lui si alzava in piedi, volgendole le spalle e dirigendosi verso la finestra, contro la cui superficie finì per appoggiare la mano destra, gli occhi persi nel panorama di fronte a sé.
“Non so ancora esattamente di cosa possa essere capace la persona che stiamo cercando di identificare; dispone di un potere che nessuno di noi avrebbe mai potuto anche soltanto concepire. È impossibile prevedere con esattezza quali saranno le prossime mosse di un individuo simile, e soprattutto è estremamente complicato poter arrivare a comprendere quali siano i mezzi a sua disposizione, che gli consentano o meno di agire in un determinato senso. Sono sicuro che sarò io a vincere questa sfida, ma…non posso essere certo che la cosa vada esattamente nella maniera che ho previsto. Per quello che ne so…”.
“Smettila, non parlare così” lo interruppe Ruri, raggiungendolo e posandogli una mano sulla schiena, facendolo così voltare di nuovo “Lo hai detto tu stesso, no? Vincerai. Sarai tu a vincere. Questo implica che non perderai la vita…”.
“Beh, non necessariamente…”.
“Elle, ti prego…”.
“No, sono io che ti prego, Ruri. Devi promettermi che non perderai la testa. Devi promettermi che non ti arrenderai, qualunque cosa accada”.
“Hai detto tu stesso che la sola idea che io potessi morire…”.
“Ho detto che la sola idea che tu potessi morire mi stava uccidendo. Non ho detto che le avrei permesso di uccidermi” la bloccò il detective, rivolgendole uno sguardo molto chiaro e diretto.
“Perché mi stai dicendo tutto questo?”.
“Perché voglio che tu sia pronta a prendere il mio posto, nel caso in cui ciò si rivelasse necessario”.
“Stai farneticando…prendere il posto di Elle…sai che non potrei mai essere all’altezza!!”.
“Non pretenderei che tu lo facessi per il resto della vita, ma questo caso non può rimanere insoluto. Non possiamo permettere che Kira vinca. Una volta che le cose fossero state sistemate, torneresti alla tua vita normale. È una promessa”.
“Parli come se pensassi di dover morire domani mattina. È la cosa più assurda che ti abbia mai sentito dire, Elle…” obiettò Ruri, con la voce incrinata “E comunque, non capisco quale sia il punto. Se prendessi il tuo posto e poi abbandonassi l’incarico, chi ti succederebbe nella carica?”.
Elle le fece cenno di tornare a sedersi accanto a lei, accendendo il computer portatile che si trovava sul tavolino e iniziando a mostrarle una serie di fotografie di un bell’edificio elegante, circondato da quella che, con ogni probabilità, era campagna inglese.
“La ‘Wammy’s House’” spiegò il ragazzo, notando la sua occhiata interrogativa.
“La che cosa?” ribatté Ruri, alzando un sopracciglio.
“È uno degli orfanotrofi di maggior prestigio fondati da Watari. Se n’è occupato parecchio, dopo essere diventato ricco grazie ai brevetti che le sue invenzioni gli hanno fornito, nel corso degli anni. A dire il vero, credo che sia in assoluto il più autorevole: immagino che sia per questo che porta il suo nome. È lì che sono cresciuto”.
“Sei cresciuto in Inghilterra?” domandò la giovane, con un sorriso complice.
Elle la ricambiò, con espressione leggermente stranita.
“Sì, in effetti…avevi già sentito parlare dell’istituto?”.
“No, ho riconosciuto il panorama che circonda la struttura. Vegetazione del genere si trova soltanto a sud della Gran Bretagna. E volendo essere puntigliosa, devo confessarti che il tuo accento non è poi così indistinguibile”.
Elle ridacchiò brevemente, chiudendo di nuovo il portatile.
“Beh, suppongo che l’influenza di Watari non sia poi così benefica come vorrebbe far sembrare…”.
“In ogni caso, qual è il collegamento fra la Wammy’s House e la nostra conversazione?” insistette la mora, protendendosi verso di lui.
“Da quando ho lasciato la scuola e sono diventato, beh…’ELLE’ nel senso più proprio della parola” spiegò il detective, con un sorrisetto strano “L’orfanotrofio si è posto il fine di diventare una sorta di scuola per giovani dotati; in realtà, con il tempo i criteri d’ammissione sono diventati piuttosto selettivi. Naturalmente, alla struttura d’accoglienza agli orfani erano gratuitamente ammessi tutti, ma a determinate lezioni e a corsi di formazione di carattere segreto e alquanto speciale hanno iniziato ad essere ammesse soltanto le menti più brillanti. Una formazione del genere è volta a…” fece una breve pausa, per poi tornare a fissarla in volto, dandole un’altra occhiata molto concisa e seria “…scegliere un futuro erede di Elle”.
Sorpresa da quella rivelazione, Ruri continuò ad osservarlo in silenzio, come nel tentativo di cogliere a pieno il profondo significato di quelle parole.
“In questo momento, ci sono due soggetti particolarmente dotati che si sono posti in cima alla graduatoria; a dire il vero, non sono esattamente alla pari, ma non sono ancora giunto a una conclusione relativa alla decisione che devo prendere. Il fatto è che entrambi sono dotati di splendide qualità…ma ciò di cui è dotato uno, inevitabilmente manca all’altro. Ci sono momenti in cui mi convinco che sarebbero invincibili soltanto se uniti, piuttosto che separati. Peccato che chiedere loro di collaborare sia quasi impossibile. Pare che il clima di pressione psicologica della Wammy’s non faciliti la cooperazione, o perfino la simpatia, fra i suoi membri…beh, direi che è comprensibile, considerando quanta competizione sia presente al suo interno. Non c’è da meravigliarsi eccessivamente per quanto è avvenuto a Los Angeles, in effetti…Beyond Birthday è stato uno studente della Wammy’s House”.
“Stai scherzando?!?” sbottò Ruri, strabuzzando gli occhi “Quel pazzo omicida era un membro dello stesso orfanotrofio in cui sei cresciuto? Non mi avevi mai detto niente del genere…”.
“Beh, all’epoca non potevo fidarmi di te al punto tale da rivelarti così tanti dettagli sul mio passato. Avresti persino potuto condurre delle indagini per giungere a scoprire la mia vera identità, e comunque avresti finito per avere accesso a informazioni di carattere eccessivamente riservato. Scusami, ma…diciamo che non era ancora il momento”.
“Non preoccuparti” scosse il capo Ruri, stringendosi nelle spalle e rialzandosi in piedi, imitata da lui “Credo solo d’essere piuttosto scioccata…non ti sembra che questo sia un gioco un tantino pericoloso?”.
“Beh, in effetti…tutto quello che compone la mia vita è pericoloso, Ruri. A cominciare da te, oserei dire”.
Prima che potesse replicare, Elle aveva già ripreso a baciarla, stringendola ai fianchi in modo possessivo e lasciando che lei gli circondasse il collo con le braccia.
“Non voglio perderti…” gli sussurrò la giovane al termine del bacio, mantenendo il proprio profilo vicino a quello di lui.
“Farò tutto il possibile perché non accada” replicò il detective, senza interrompere il loro abbraccio.
“Devi promettermelo. Devi promettermi che non morirai”.
“Ruri…”.
“Ti prometto che non perderò la testa. Ti prometto che, nel caso in cui dovesse succedere, farò tutto quanto sarà in mio potere per rimanere lucida, per restare in vita e per fermare Kira, per consegnarlo alla giustizia. Ma tu devi promettermi che non dovrò fare niente di tutto ciò…almeno, non da sola. Me lo devi promettere. O non sarò in grado di fare altrettanto”.
Elle le rivolse un altro sorriso, a metà fra l’enigmatico e il delicatamente comprensivo.
“Sei una contraddizione vivente…lo sai, vero?”.
“Ha parlato la coerenza fatta persona” scherzò Ruri, scostandogli una ciocca ribelle di capelli dal viso.
“Tu meglio di chiunque altro dovresti capire. Quando hai deciso di rimanere in Giappone, hai fatto un giuramento rivolto più a te stessa di quanto non fosse rivolto a me. Credo che sia stata la cosa che più ha avuto il potere di colpirmi, in tutta la mia vita…”.
“Mi dispiace, ma a questo non posso credere. Il grande Elle, il migliore detective del mondo…che si fa mettere fuori gioco da una cosa così piccola? Spiacente, ma stento davvero a ritenere che possa essere possibile…”.
“Beh, se consideri che non ho smesso di pensare a te fin dal primo momento in cui ho sentito la tua voce, ancor prima di vederti di persona, non è poi così difficile da credere, non ti pare?”.
Ruri arrossì impercettibilmente di fronte a quelle parole, evitando di poco il suo sguardo.
“Questo tuo modo d’essere diretto e privo di mezzi termini…lo hai imparato da solo, o è contenuto nel tuo codice genetico?” ridacchiò la mora, abbozzando un sorriso complice.
“Non saprei. Forse ho soltanto perfezionato qualcosa che già mi era proprio” replicò Elle, scostandole appena una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro.
Prima di proseguire, i suoi occhi d’ebano s’incrociarono per l’ennesima volta con quelli di ghiaccio della ragazza, fondendo le proprie sfumature con quelle di lei.
“Tu moriresti per catturare Kira…?” le domandò ancora, il respiro intento a intrecciarsi con il suo.
Ruri gli sorrise delicatamente, preparandosi a rispondergli.
“Tu moriresti nel tentativo d’impedirmelo…?” replicò come di consueto.
Arrivata a un punto del genere, tutto si sarebbe aspettata, meno che lui completasse ulteriormente quel dialogo già così intriso di significato.
“Sì…” le rispose Elle, sussurrando con una leggerezza che aveva dell’evanescente.
Senza potersi più trattenere, Ruri tornò a baciarlo con passione, lasciando che le mani del detective si perdessero nei suoi capelli e sulla sua schiena, mentre le sue passavano dall’accarezzargli il collo allo sfiorargli il petto e i bicipiti.
In modo leggerissimo, Elle la sollevò di nuovo fra le braccia, riprendendo a condurla verso la camera da letto, lasciando che il loro bacio proseguisse e che le sue dita affusolate tornassero a slacciarle le camicetta.
Prima di lasciarsi andare ancora una volta all’oblio della loro unione e del profondo sentimento che stava imparando a conoscere, permise alle sue labbra di sussurrarle un’ultima frase.
“Non ti permetterò mai più di allontanarti da me…”.
Senza darle possibilità di replica, Elle continuò a baciarla, permettendo finalmente al suo cuore d’infrangere del tutto il muro di ghiaccio che, per così tanto tempo, ne aveva circondato i confini…
 
I giorni successivi trascorsero in maniera piacevolmente leggera; malgrado la consapevolezza dell’incombente incontro con il presunto Kira, né Elle né Ruri apparivano eccessivamente turbati dalla cosa. Il loro lavoro procedeva come di consueto, e la loro conclamata relazione, che ben presto divenne di dominio pubblico, si rivelò in grado di non metterli a disagio e di non distrarli dal loro compito. Le condizioni di salute di Ruri migliorarono con il passare dei giorni, grazie alle attente e amorevoli cure di Watari, Elle e Robin, che nel frattempo aveva deciso di rimanere in Giappone fin quando anche Ruri non avesse deciso di andarsene; infatti, malgrado le proteste e le ragionevoli argomentazioni della sua migliore amica, la rossina non aveva voluto sentire storie, e aveva subito avvisato l’ospedale di Washington per prendersi un periodo di lunga aspettativa. Sapeva che avrebbe potuto costarle il posto di lavoro, e che probabilmente avrebbe compromesso in modo irreparabile la sua carriera, ma nel profondo si rendeva conto che rendersi utile per Ruri era l’unica cosa che davvero la condizionasse e la interessasse completamente. L’aver rischiato di perdere la sorella di una vita l’aveva resa ancora più emotiva e ansiosa del solito, e questo aveva contribuito in maniera determinante a farle prendere quella grave decisione. Dal canto proprio, Ruri non faceva che ripeterle quanto fosse grande l’errore che stava commettendo, ma Robin non voleva sentire ragioni. Inoltre, considerando che Elle si era dichiarato disponibile a pagarle la permanenza in Asia per tutto il tempo che avesse ritenuto opportuno, anche la questione economica aveva finito per mettersi da parte; naturalmente, dopo un’accesa discussione, Robin lo aveva impegnato a prometterle che le avrebbe lasciato restituire fino all’ultimo centesimo della somma impiegata, ma, nel suo intimo, Ruri era comunque convinta che il detective non avrebbe mai accettato un singolo yen della cifra che Robin insisteva così tanto per ripagargli.
Nei momenti liberi dal lavoro e dalle costanti riunioni a cui Elle li sottoponeva, le due si sentivano spesso, raccontandosi le reciproche novità e gioendo del felice epilogo che quella storia stava prendendo per entrambe; circa alla metà di Marzo, infatti, Matsuda aveva invitato Robin a cena, e lei, con gran sorpresa del diretto interessato, aveva accettato con piacere. La loro frequentazione era andata avanti, e sembrava che stesse procedendo a gonfie vele. Pareva proprio che le cose non potessero andare meglio di così; l’ennesima conferma di tutto ciò giunse il 15 di Marzo, quando, durante il corso di una riunione nell’ennesima camera d’albergo in cui Ruri ed Elle si erano trasferiti, Watari entrò nella suite con un gran sorriso, stringendo nella mano destra due buste dall’aria ufficiale.
“Che cosa c’è, Watari?” gli domandò Elle, alzando un sopracciglio con aria perplessa.
“I risultati del test d’ammissione all’Università di Tokyo. Le mie congratulazioni ad entrambi” replicò l’uomo, sorridendo in modo smagliante.
Subito dopo aver letto il contenuto delle lettere, Ruri ed Elle compresero subito che cosa intendeva: i due si erano classificati rispettivamente seconda e primo in graduatoria.
“Complimenti, genio!” ridacchiò Ruri “Mi hai battuto per un pelo! La prossima volta, saprò essere meno clemente!”.
“Raccontalo a qualcun altro” la rimbeccò Elle, sorridendo a sua volta “Devo supporre che toccherà perciò a me, fra qualche giorno, tenere il discorso di presentazione delle matricole alla Cerimonia d’inizio anno dell’Università…dico bene, Watari?”.
“Beh, in effetti sì…ma se leggi con più attenzione la lettera, scoprirai che in merito c’è una sorpresa interessante…” aggiunse Watari, con uno strano sguardo.
Lanciandogli un’occhiata sorpresa, Elle continuò a scorrere il documento fin quando non trovò l’informazione che cercava; subito dopo, sul suo volto comparve un sorrisetto soddisfatto, e le sue mani eleganti non esitarono un secondo di più nel passare alla ragazza il foglio che aveva tenuto fino a quel momento.
Ruri lesse a sua volta, per poi sorridere a sua volta in modo beffardo e compiaciuto.
“Ah beh, questa sì che è una bella coincidenza…”.
“Di cosa state parlando?” s’intromise Yagami, perplesso.
“Faccia i complimenti a suo figlio, sovrintendente. Deve andarne molto fiero” rispose Ruri, porgendogli la lettera.
Non appena gli occhi castani del poliziotto ebbero scorto la novità, il suo volto si divise fra l’orgoglio e la preoccupazione.
“Light è arrivato in cima alla graduatoria, come Ryuzaki…”.
“Già. Questo ci permetterà di tenerlo d’occhio ancora meglio di quanto avremmo potuto pianificare. Un bel colpo di fortuna” commentò Ruri.
Notando l’espressione contrita del genitore, Ruri gli posò una mano sulla spalla, per poi alzarsi in piedi e dirigersi verso un grosso proiettore.
“Non deve crucciarsi in questo modo, sovrintendente, glielo assicuro; se Light non ha niente a che vedere con questa storia e non è Kira, sicuramente prima o poi lo capiremo, e qualunque sospetto nei suoi confronti potrà essere dissipato. Le assicuro che incastreremo Kira con prove del tutto schiaccianti, in di per cui, nel caso in cui lui effettivamente non fosse Kira, non ci sarebbe alcun effettivo margine d’errore che potrebbe condurci a una conclusione così radicalmente sbagliata. Non ho ragione, Ryuzaki?”.
Aveva mantenuto l’abitudine di chiamarlo in quel modo davanti agli altri, riservando di utilizzare il suo vero nome solo nei momenti d’intimità e quando erano soli; sentendosi chiamato in causa, il ragazzo le rivolse un breve sorriso e annuì.
“Signori, credo che sia arrivato il momento di fare il punto della situazione” proseguì l’investigatore, rivolgendo un altro cenno benevolo alla giovane “Prosegui pure, Ruri”.
“Ti ringrazio” replicò la ragazza, accendendo il marchingegno e cominciando a proiettare una numerosa quantità di slides, sotto gli occhi concentrati e attenti dei loro collaboratori.
“Bene, come abbiamo appena appreso dalle informazioni che Watari ci ha fornito, la cerimonia d’inizio anno dell’Università di Tokyo si terrà fra quattro giorni, il 19 Marzo. Quella sarà la prima occasione in cui io e Ryuzaki avvicineremo un concreto sospetto, nel tentativo di stabilirne un corretto profilo psicologico e di comprendere se esso possa in qualche modo corrispondere con quello del killer. Devo ricordarvi che, al momento, contro il sospetto Light Yagami non esistono prove concrete, ma che le indagini conducono comunque a lui, considerando che il suo abituale aspetto comportamentale presenta dei punti in comune con quello che riteniamo potrebbe essere quello di Kira. Adesso ricapitoleremo quanto abbiamo appreso finora del nostro uomo, ossia la base sicura da cui potremo ripartire non appena avremo nuovi elementi. L’unica cosa che raccomando a tutti voi è di non avvicinare il soggetto indagato in nessun modo possibile, finché non potremo escluderlo dalla lista degli indiziati. È tutto chiaro?”.
L’intero gruppo d’indagine annuì, compreso il sovrintendente, che però teneva lo sguardo fisso a terra.
“Ovviamente” proseguì Ruri, rivolgendogli uno sguardo di circostanza “L’unica cosa che le chiedo, sovrintendente, è di evitare di parlare in alcun modo con Light delle indagini e del caso Kira…mi sembra superfluo dirle tutto questo, ma devo farlo per una questione di protocollo. Spero che la cosa non le crei troppi problemi”.
“Sto benissimo” la rassicurò Soichiro, un po’ secco “Continua pure con l’esposizione, Ruri: stai solo facendo il tuo lavoro”.
“Bene” seguitò Ruri, facendo scorrere le slides sullo schermo e portando alla loro attenzione numerose foto di cadaveri di criminali “L’assassino è giapponese, o quantomeno residente in Giappone, anche se protenderei per la prima ipotesi; in effetti, dimostra un particolare senso di attaccamento verso le vittime appartenenti a questa nazionalità, e col tempo mi sono convinta che questo non sia legato soltanto a una sfida nei confronti di Elle, quanto a una particolare necessità di vendetta nei confronti di criminali che conosce particolarmente bene. Ricordate i test che ha effettuato prima d’uccidere gli agenti dell’FBI inviati in Giappone? Sono stati omicidi di carattere strumentale, è vero, ma non dimenticate che sono stati caratterizzati da una brutalità che non gli era stata propria, fino a quel momento…uno di loro si è persino tagliato un dito, ed è stato costretto dal killer a tracciare sul muro della propria cella il disegno di quella stella a cinque punte. Non so cosa ne pensiate voi, ma ci vedo un discreto sadismo. Ho la sensazione che il nostro uomo soffra di una forma d’aggressività repressa tipica di un individuo abituato a reprimere le proprie emozioni, probabilmente impegnato ad apparire perfetto in ogni cosa che fa. È sicuramente instabile, ancora molto giovane, piuttosto sicuro di sé e ancora impegnato a costruirsi un futuro e un’identità, ed è possibile che individui nel suo potere omicida una potenziale strada da percorrere in questo senso. Ha manie di protagonismo, è infantile, manipolatore, solo in apparenza modesto…non ho dubbi nel ritenere che potrebbe presentarsi come la persona più mite e inoffensiva del mondo, malgrado il suo potenziale omicida. E qui sta il punto…” s’interruppe Ruri, fissandoli tutti a uno a uno e soffermandosi su Elle, il cui sguardo era magneticamente incatenato al suo “Il modus operandi. L’elemento più difficile da risolvere all’interno di questo caso. Vi confesso che mi ci sono scervellata per un bel po’, ma ancora non ho trovato una soluzione. Ho persino pensato che quegli arresti cardiaci potessero essere provocati da una sorta di droga inalata o ingerita dalle vittime, ma le analisi del coroner non hanno portato alla luce nessuna sostanza che potesse presentare caratteristiche del genere, all’interno dei cadaveri. E in effetti, pensare che possa esistere un killer in grado di uccidere in simultanea persone che si trovino in parti diverse del globo…è piuttosto sorprendente”.
“Qual è la prossima mossa?” domandò Aizawa.
“Io e Ruri ci occuperemo di Light Yagami, e cercheremo di trovare qualche eventuale collegamento fra lui e questa serie di omicidi, cercando di coinvolgerlo direttamente nelle indagini e analizzando il suo punto di vista sulla vicenda. Nel caso in cui emergesse qualcosa, procederemo in tal senso. Per il momento, la cosa migliore da fare sarà rendere noto ai media che la nostra attenzione si sta spostando fuori dall’area nipponica, e che riteniamo che il nostro sospetto stia fuggendo in direzione dell’Europa. In questo modo, depisteremo l’attenzione dei mezzi d’informazione e faremo credere al killer d’essere al sicuro…sempre che il nostro uomo non sia effettivamente il giovane Yagami. In tal caso, Kira scoprirebbe immediatamente che le indagini di Elle sono ancora concentrate nel Kanto, e che la sua posizione è tutt’altro che sicura. In base a un espediente del genere, avremo nuovi mezzi per poter comprendere se effettivamente Light sia o meno la persona che stiamo cercando” rispose Elle, alzandosi in piedi e affiancandosi alla sua collaboratrice “Ci sono domande?”.
Un silenzio tombale invase l’ambiente, mentre gli sguardi dei poliziotti saettavano in direzione del sovrintendente, per poi tornare a volgersi, a disagio, verso Ruri ed Elle.
“Bene, allora immagino che sia tutto, per oggi. Watari, domani comunica ai media quanto abbiamo stabilito finora. Io e Ruri ci recheremo alla cerimonia fra quattro giorni. Il resto della squadra investigativa rimarrà al quartier generale e seguirà i nostri movimenti attraverso alcune microspie che io e Ruri ci premuniremo di indossare. Il collegamento audio sarà perciò costante, e ognuno di voi verrà costantemente tenuto informato sui nostri progressi relativi all’indagine sul sospetto. Potete andare”.
Non appena tutti quanti, incluso Watari, ebbero tolto il disturbo, Ruri rivolse al giovane un sorriso delicato, carezzandogli appena la guancia e cominciando a tagliargli una fetta di torta.
“Hai dei sospetti concreti contro Light Yagami?”.
“Se non ne avessi, credi che farei tutto questo?” replicò Elle, tornando a sedersi.
“Lo sai quello che voglio dire” ribatté Ruri, regalandogli uno sguardo penetrante.
“Beh…le probabilità che sia Kira sono al di sotto del 5%, ma tra tutti gli indagati è quello che più mi ha colpito, perché…beh” seguitò, guardandola dritto negli occhi “Tu lo sai il perché”.
Ruri annuì, sorseggiando un po’ del suo caffè.
“È fin troppo perfetto” mormorò la ragazza, per poi addentare la fragola che Elle le stava porgendo.
“Esatto” annuì Elle “E se lui fosse davvero Kira, non ci sarebbe modo migliore per farlo sentire con il fiato sul collo”.
“Sono d’accordo” convenne Ruri “Non ti ho ancora fatto una domanda importante”.
“Sarebbe a dire?”.
“Preferisci occupartene da solo, o vuoi che partecipi attivamente all’esame del soggetto indagato?”.
Quella richiesta parve sorprenderlo oltremisura, portandolo ad alzare un sopracciglio in modo molto più evidente di quanto non avesse mai fatto fino a quel momento.
“Credevo che questo fosse ovvio…hai partecipato al test d’ammissione perché volevi indagare in prima persona con me nei confronti di Yagami…ho frainteso le tue intenzioni?”.
“Beh, a dire il vero volevo anche accertarmi che non corressi alcun pericolo significativo…” ammise Ruri, arrossendo lievemente e portandolo a sorridere “Ma comunque sì, certo che sì…ma non è importante soltanto quello che penso e che voglio io. Pensi che la mia presenza al tuo fianco potrebbe…non so, distoglierti dal caso o mettere il nostro sospetto in una posizione tale da compromettere il profilo che desideri trarre dalle conversazioni che instaurerai con lui? Se fossi presente, e se anche la mia identità gli venisse resa nota, allora, forse…”.
“Non vedo quale sia il problema, almeno finché non gli comunichiamo che sei in realtà uno degli agenti dell’FBI che Kira ritiene d’aver ucciso. Sarà sufficiente che ti presenti a lui come Ruri Dakota…e poi, non vedo che cosa ci sia di male o di strano, se un ricco, brillante studente universitario ha una fidanzata altrettanto brillante e spaventosamente attraente…”.
Ruri si pronunciò in un sorriso malizioso, andando a sedersi accanto a lui sul divano.
“Stai cercando di dirmi qualcosa, signor detective?”.
“Vedo che sei in grado di leggere fra le righe, agente Yasuba…”.
“In sostanza, devo perciò dedurne che vuoi che sia presente durante i vostri incontri amichevoli del terzo tipo, ho ragione?”.
“Esattamente. Ho bisogno della tua opinione professionale al riguardo. Vedilo come un gioco di ruoli; non dovrebbe essere così difficile, per te, interpretare la parte della mia ragazza”.
“Interpretare la parte, eh? Immagino che potrebbe essere divertente…” ridacchiò Ruri “Ma ti avverto che avrò bisogno di un compenso speciale, per questo lavoro…non puoi certo pretendere che lo faccia gratis!”.
“E hai qualche idea sul tuo corrispettivo?” replicò Elle, lanciandole uno sguardo intenso.
Prima che potesse aprire di nuovo bocca, Ruri unì le proprie labbra alle sue, coinvolgendolo in un bacio lungo e appassionato; ma quando le braccia dell’investigatore fecero per cingerla di nuovo, Ruri si sottrasse al suo tocco, dirigendosi verso il bagno e facendogli una smorfia dispettosa.
“Fammi avere una torta di panna con le fragole ogni giorno, e potrei pensare alla tua offerta…prendere o lasciare, signor detective”.
 
Quattro giorni dopo, Ruri indossò il suo completo tailleur migliore, un capo color panna dotato di tacchi alti abbinati e formato da una gonna non troppo lunga e da una giacca elegante, il tutto coordinato da una camicetta di seta e da un filo di perle; l’ideatrice di tutto era stata immancabilmente Robin, che l’aveva trascinata, nei panni del suo travestimento composto da parrucca e lenti a contatto, in giro per Tokyo per trovare l’abito migliore per il suo primo, nuovo giorno d’università. I tentativi di Ruri di farle comprendere quanto quello non fosse, in realtà, un giorno poi così emozionante, considerando che disponeva già di una laurea ottenuta nel migliore college del mondo, si erano rivelati del tutto vani, ma la ragazza aveva compreso che, per la sua amica, quel pomeriggio rappresentava semplicemente una scusa e una buona occasione per stare un po’ insieme, e così aveva finito per cedere.
Quando, alla fine, uscì dalla sua stanza, dopo essersi sistemata i capelli, appuntati sulla testa, sotto la parrucca bionda che già detestava, i suoi occhi si posarono sulla figura di Elle, che l’attendeva in piedi, vicino alla porta.
“Sei bellissima” constatò il detective, con un sorriso.
“E tu sei immancabilmente sorprendente” ridacchiò Ruri, accennando al suo abbigliamento, che era identico rispetto a quello che sfoggiava tutti i giorni, salvo per il paio di vecchie scarpe da ginnastica consunte che portava ai piedi.
“Sono inopportuno?” le domandò Elle, con aria incerta.
Ruri gli posò le braccia intorno al collo e lo baciò a lungo, per poi strofinare il naso contro il suo.
“Sei semplicemente tu, e stai benissimo. Andiamo, faremo tardi; Watari ci sta aspettando”.
 
Dopo un breve tragitto in limousine, al termine del quale Watari aprì lo sportello ad entrambi per farli degnamente scendere dall’auto, Ruri ed Elle si diressero verso l’ingresso della facoltà, il cui viale era decorato da una quantità infinita di ciliegi e di peschi in fiore; ben presto, Ruri iniziò ad avvertire una discreta quantità di sguardi su di loro, intenti a squadrare l’abbigliamento di Ryuzaki e a mormorare su quanto fosse strano vederli insieme. Prima che altre sciocchezze potessero giungerle alle orecchie, la giovane afferrò la mano del ragazzo e cominciò a tenerla ben stretta, provocando in lui una reazione stralunata e imbarazzata a un tempo; di fronte a quel gesto, il mormorio si acutizzò, ma nessuno dei due ci fece più caso nel momento in cui entrambi entrarono nel gigantesco atrio dell’ateneo, per poi spostarsi nella vastissima aula magna, dove centinaia di persone si stavano sedendo, chiacchierando con i rispettivi vicini. In fondo alla sala, sormontato da un lungo striscione decorato, c’era il palco d’onore, dove il rettore dell’Università e i docenti più autorevoli stavano prendendo posizione, sistemando i rispettivi microfoni.
“Pronto?” domandò Ruri, sedendosi di fianco a lui e sistemando meglio la ricetrasmittente che portava addosso.
“Assolutamente” rispose Elle, mentre i suoi occhi diventavano due fessure.
Seguendo la direzione del suo sguardo, Ruri capì il perché di quell’espressione; Ryuzaki aveva appena individuato il lindo e ordinato profilo di Light Yagami, splendido nel suo completo firmato in giacca e cravatta, l’aria seria e compita.
Prima che nessuno di loro potesse aggiungere altro, il rettore dell’Università li invitò tutti al silenzio e a prendere posto, accendendo il microfono e cominciando a rivolgersi alla platea.
“Benvenuti alla Cerimonia d’inizio anno dell’Università di Tokyo. Confido che tutti voi prenderete seriamente il vostro dovere e le vostre responsabilità: il nostro ateneo si assume il compito di formare le generazioni più promettenti della nostra nazione, che ben presto saranno alla guida del Paese e forse persino della comunità internazionale. Adesso, il momento del discorso: invito a salire sul palco Light Yagami”.
“Sono qui”.
Centinaia di teste si voltarono verso il giovane studente dai capelli castani, che si era appena alzato in piedi, dirigendosi verso le scale del podio.
“E insieme a lui, invito sul palco Ryuga Hideki” proseguì il professore.
“Sì, eccomi”.
Elle si alzò in piedi, provocando il sollevarsi di un mormorio ancora più confuso e partecipe; prima che si allontanasse da lei, Ruri gli aveva sorriso un’ultima volta, per poi mantenere l’attenzione costantemente attaccata a lui quanto a Light Yagami. Nella fila di fronte a lei, udì ben presto un acceso confronto fra due studenti, intenti a commentare la strana coppia che avrebbe tenuto il discorso d’inaugurazione, con particolare accento sull’elemento più bizzarro.
“Cosa? Ryuga Hideki? Ma chi, il cantante?” domandò il primo.
“È possibile? Lo credi così in gamba da frequentare l’Università di Tokyo?” ribatté il secondo, perplesso.
“Hai ragione…quel tipo laggiù non gli somiglia per niente, guarda quant’è buffo, però!”.
Scuotendo il capo, Ruri vide entrambi i ragazzi salire sul palco, Light dritto e composto come sempre, Ryuzaki con la schiena leggermente curva come suo solito, le mani in tasca e il passo strascicato; la ragazza notò che gli occhi del detective non si stavano staccando un istante dalla schiena di Yagami.
Mentre Light iniziava il suo sproloquio, i due alunni seduti di fronte a Ruri continuarono a blaterare.
“Ma fare il discorso non spetta solo allo studente migliore?”.
“Forse quest’anno si sono classificati primi in due…ho sentito dire che entrambi hanno ottenuto il massimo dei voti!”.
“Sul serio?! Ma allora esiste davvero qualcuno così bravo…”.
Ruri sorrise compiaciuta, spostando appena lo sguardo da Light, che stava leggendo con garbo il proprio discorso, a Elle, che nel frattempo stava attendendo il suo turno con le mani in tasca e con un’espressione ingenua dipinta sul volto; prima che potesse fare ulteriori considerazioni, un’ulteriore voce le giunse alle orecchie, distogliendola dai suoi pensieri e infastidendola notevolmente. Stavolta proveniva da una studentessa, seduta a poca distanza da quelli che aveva udito parlare fino a quell’istante; guardandola di profilo, riuscì a distinguerne la figura occhialuta, dotata di un caschetto scuro e di due piccoli occhietti acquosi.
“Io preferisco decisamente quello di destra” disse, accennando a Ryuzaki.
La sua compagna, una giovane dai lunghi capelli castani e dalla voce chioccia, le si rivolse con tono disgustato.
“Ma non dire sciocchezze, Ryoko! Chiunque preferirebbe quello a sinistra!!”.
In quello stesso istante, Yagami finì il proprio discorso, facendo partire un applauso educato dalla platea, mentre sul volto di Ruri si dipingeva un’espressione oltremodo indispettita, e quasi furiosa: subito dopo, finì per darsi della stupida. Possibile che in una situazione del genere pensasse ad essere gelosa?
L’istante successivo, la voce di Elle le invase piacevolmente le orecchie, mentre il suo proprietario iniziava a pronunciare il suo eloquio.
“Però, secondo me…” riprese uno dei due ragazzi di fronte a Ruri “Sono l’uno l’opposto dell’altro…”.
“Già…uno ha l’aria d’essere un tipo brillante, sembra il classico figlio di papà…mentre l’altro…sembra trasandato e stanco”.
“Quel che si dice ‘genio e sregolatezza’”.
“Hai visto come si è vestito per la cerimonia?”.
“Per di più, legge il discorso…o ci prende in giro, o è un cretino”.
Ruri non poté trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo; d’accordo, nessuno di loro poteva sapere chi fosse, ma soltanto il fatto che il suo punteggio fosse più alto di tutti quelli dei presenti messi insieme avrebbe dovuto dir loro qualcosa, che diamine…
“…diamo il meglio di noi. Ryuga Hideki” concluse Elle, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi su un foglio bianco spiegazzato, retto con due dita di ciascuna mano, che Ruri sapeva perfettamente essere vuoto di contenuti.
Mentre lui e Light si accingevano a scendere dal palco, Elle la individuò con lo sguardo fra la folla, facendole un segno d’intesa e portandola a comprendere che sarebbe andato a sedersi accanto a Light, nel tentativo di attaccare bottone con lui. Ruri annuì brevemente, ma subito dopo la sua attenzione venne di nuovo distolta dagli idioti che aveva avuto la sfortuna di trovarsi seduta di fronte.
“Beh, sarà pure un cretino come dici tu, ma di sicuro è un tipo fortunato. Hai visto con che razza di macchina è arrivato stamattina?!”.
“Ma sì, è vero, hai ragione! Per non parlare del resto…hai notato con che pezzo di ragazza va in giro? Mai visto niente del genere!”.
“Già, capisco quello che vuoi dire…mi chiedo cosa ci trovi una bomba sexy come quella in un tipo così strambo e fuori di testa!”.
“Beh, se consideri la limousine e tutto quello che deve avergli permesso di comprarla, la risposta è desumibile facilmente…”.
“Avete finito di fare gli idioti o volete che vi dia un valido motivo per lasciare questo auditorium?” li interruppe Ruri, facendoli voltare di scatto e portandoli ad arrossire molto vistosamente.
“Ehm…t-tu sei…” balbettò uno dei due.
“La fidanzata del genio sregolato fuori di testa e strambo con la limousine e l’autista personale. Bene, ora volete chiudere la bocca da soli o preferite che ci pensi io?”.
Entrambi si voltarono di scatto, zittendosi di colpo ed evitando di comunicare più fra loro per tutto il corso della cerimonia; subito dopo, Ruri udì Elle schiarirsi la voce dentro la ricetrasmittente.
“Ruri, devo chiederti di concentrarti”.
“Sì, scusami. Non succederà più, procedi” sussurrò a sua volta la ragazza, tornando ad ascoltare con attenzione; l’istante successivo, udì Elle rivolgersi a voce alta a Light.
“Yagami…allora tu sei il figlio del sovrintendente Soichiro Yagami della polizia di Tokyo. Ho sentito dire che il tuo senso della giustizia non è da meno…”.
La risposta di Light non giunse alle sue orecchie, mentre i suoi occhi attenti poterono notare che entrambi erano tornati a sedersi, stavolta l’uno vicino all’altro.
“Per questo, anche tu sei determinato a diventare un ufficiale di polizia…” proseguì Elle “Ho saputo che, in passato, hai addirittura aiutato a risolvere un paio di casi e che, ora…ti stai interessando molto al caso Kira. Ho fiducia nel tuo talento e senso della giustizia; se mi prometti di non farne parola con nessuno…vorrei parlarti di una cosa molto importante, a proposito di quel caso…”.
Dopo un’altra estenuante pausa, Light finalmente gli rispose.
“Manterrò il segreto, parla pure”.
Ci fu un ulteriore silenzio, in cui Ruri trattenne visibilmente il respiro, in attesa che qualcosa accadesse; alla fine Elle tornò a rivolgersi al ragazzo, con la voce estremamente simile a un sussurro.
“Io sono Elle…”.
Ecco, finalmente erano arrivati al punto di rottura, allo scacco al re; di fronte a un’affermazione del genere, Kira non avrebbe potuto evitare di reagire in qualche modo. Se solo lo avesse avuto di fronte in quell’istante…avrebbe pagato per poter scorgere la sua espressione in quel frangente, soprattutto considerando che il tono di voce che scelse di adottare, quando riprese il discorso, sembrava tutto fuorché scosso.
“Se quello che mi stai dicendo è vero, ci tengo molto ad esprimerti tutta la mia ammirazione”.
“Ti ringrazio” rispose Elle, con voce atona “Se oggi mi sono fatto avanti, è perché avrei una proposta per te. Vorrei chiederti di aiutarci a risolvere il caso Kira…”.
Sapeva che la risposta che avrebbe fornito a quella domanda avrebbe costituito un aspetto determinante nel tracciare il profilo definitivo della psicologia di quell’individuo, e una consapevolezza del genere rendeva ancora più snervante l’attesa che era costretta a subire ogni volta, nei lunghi silenzi che precedevano le risposte del giovane Yagami.
Prima che una di queste potesse giungere, tuttavia, il rettore della facoltà li congedò, dichiarando terminata la Cerimonia d’inizio anno. Subito dopo, l’auditorium fu invaso dal trapestio delle persone che si alzavano in piedi; in mezzo a quella confusione, gli occhi di Ruri scorsero la figura di Light dirigersi compostamente, ma con passo più frettoloso del solito, verso l’uscita. A distanza di poco tempo, la giovane riuscì a raggiungere nuovamente il detective, che la stava aspettando a poca distanza dal palco, le mani in tasca.
“Beh, direi che è stato un risultato promettente, per essere solo il primo giorno” commentò a bassa voce la mora, affiancandosi a lui mentre entrambi uscivano dall’ateneo.
“Cosa te ne pare?”.
“È senz’altro un tipo che presta molta attenzione a ogni singola sillaba che pronuncia. Non sarà facile strappargli un passo falso; ma immagino che la tua iniziativa lo abbia lasciato sbigottito”.
“Sono d’accordo” convenne Elle “Allora…” proseguì poi, con uno strano sorriso dipinto in volto “Cos’è questa storia della fidanzata del genio sregolato, fuori di testa e strambo con la limousine e l’autista personale?”.
“Piantala” lo zittì Ruri, infastidita.
“Sei qui da un paio d’ore e stai già attirando l’attenzione?”.
“Volendo essere puntigliosi, a dire il vero mi pare che sia tu quello che attira maggiormente gli sguardi. E comunque, ti ho detto piantala!”.
“Se continui di questo passo, sarà meglio che tu ti faccia vedere in giro il meno possibile, o la nostra indagine potrebbe risultare un po’ troppo vistosa”.
“Ho una grossa voglia di tirarti un pugno nello stomaco. Vuoi che lo faccia adesso o subito?”.
In quello stesso istante, i due superarono un gruppetto di studenti, la cui attenzione cominciò ad incollarsi freneticamente alla figura aggraziata di Ruri e al suo profilo elegante; nel notare tutto ciò, Elle le afferrò prontamente la mano e l’attirò fra le braccia, catturandole subito dopo le labbra in un bacio lungo e privo di pause, portando gli spettatori a spalancare sia gli occhi che la bocca per lo stupore.
“Te lo dicevo che non era sua sorella!!” sbottò uno di loro, rifilando una gomitata all’amico di fianco a lui.
“Beh, che ne sapevo?! Sicuramente, non mi sarei mai aspettato nulla del genere…”.
Non appena il loro bacio fu concluso, Ryuzaki le assestò un affettuoso buffetto sul naso e riprese a camminare come se nulla fosse, le mani in tasca, mentre lei si affrettava a seguirlo, rifilandogli una dolorosa gomitata nelle costole, di fronte alla quale, però, lui non batté ciglio.
“Ti giuro che questa me la paghi…”.
“Aspetto con ansia il momento in cui dovrò adempiere all’obbligazione” replicò Ryuzaki, con un sorriso furbo.
Dopo pochi secondi, entrambi arrivarono alla limousine, dove Watari li stava aspettando; in quel medesimo frangente, gli occhi scuri di Elle individuarono nuovamente una presenza interessante.
“Yagami” chiamò, facendo voltare il diretto interessato, che stava passando vicino a loro “È stato un vero piacere”.
“Sì…” replicò Light, secco “Lo è stato anche per me”.
Mentre Watari apriva la portiera della macchina, gli occhi castani di Light si posarono su Ruri, rivolgendole uno sguardo attento quanto freddo e calcolatore.
“Light Yagami, devo supporre. Bel discorso. E bel vestito, i miei complimenti” lo anticipò Ruri, ricambiandolo con un’occhiata dotata delle stesse caratteristiche.
“Ti ringrazio” proseguì Yagami, stringendole la mano “Posso sapere come…”.
“Ruri. Ruri Dakota. Piacere di conoscerti”.
“Il piacere è tutto mio. Quindi tu sei…”.
“La mia fidanzata” lo precedette Elle, ponendole inaspettatamente un braccio intorno alla vita.
“Oh, capisco…non lo avrei mai detto, devo ammetterlo” commentò Light, sarcasticamente.
“Quindi, tu sei primo in graduatoria, non è vero? Al pari di Hideki? Non lo avrei mai detto…in effetti, è piuttosto difficile da credere. Forse c’è stato un errore nel calcolo del punteggio…hai impiegato molto per preparare questo esame? Io e Hideki abbiamo studiato soltanto l’ultima settimana…dicono che, per entrare in questa università, gli studenti si preparino per circa tre anni, prima di sostenere il test. Piuttosto buffo, non trovi? Non l’avrei mai detto…”.
Light assunse un’espressione indispettita e gelida, mentre Elle nascondeva un sorrisetto soddisfatto e cedeva il passo a Ruri, per farla salire in macchina.
“Caspita, che auto!! È una limousine!” commentarono per l’ultima volta alcuni dei presenti.
“Dev’essere il figlio di qualche riccone…ed è pure in cima alla graduatoria! Che nervi…”.
“Per non parlare della fidanzata…ah diamine, non è giusto che un singolo essere umano abbia tanta fortuna tutta insieme!!”.
“Allora, ci vediamo presto in facoltà” si congedò Elle, prima di salire al fianco di Ruri.
“Ma certo…” replicò Light, subito prima che la portiera si chiudesse.
Mentre la macchina ripartiva, Ruri ed Elle si tolsero di dosso i rispettivi microfoni.
“Direi niente male, come primo giorno” commentò Ruri, poggiando la testa sulla sua spalla.
“Sarà, ma ho la sensazione che il nostro sospetto non abbia la tua approvazione. Non è che per caso nutri una qualche antipatia nei suoi confronti?” domandò Elle, con aria divertita.
“Oh, è così evidente? A dire il vero, lo trovo gradevole e piuttosto di bella presenza…personalmente, i miei sospetti nei suoi confronti sono già saliti al 10%”.
“Mi precedi in modo così spudorato ed evidente? Dovrò rivedere il tuo ruolo all’interno delle indagini, se continui così…”.
“Beh, se mi stai criticando in merito al non passare inosservata, ti confesso che il tuo modo d’agire si sta rivelando un po’ troppo intraprendente, signor detective…a proposito di poco fa, è stata una mia impressione o mi è sembrato di scorgere una punta di gelosia nel tuo modo di porti?”.
“Sei del tutto fuori strada” la zittì Elle, circondandole le spalle con un braccio e facendole posare meglio la testa sul proprio petto “Mi stavo solo calando nella parte nel modo più adeguato…si chiama ‘essere professionali’, dottoressa Dakota. Non gliel’ha mai insegnato nessuno?”.
Alzando appena lo sguardo, Ruri incrociò lo sguardo con quello di lui, per poi unire di nuovo le loro labbra in un bacio molto casto.
“Diciamo che sto avendo un buon maestro, detective…”.
In quello stesso istante, mentre la limousine si allontanava in direzione del loro albergo, gli occhi di Light Yagami continuarono a seguirli, mentre il loro proprietario meditava sulla prossima mossa da eseguire e sul modo più rapido e pulito per togliere entrambi di mezzo…una volta per tutte.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: ECCOMIIIIIIIII!!!!! Sono tornataaaaa!!! Ahahahaha, non ci credete, vero?! Pensavate di esservi finalmente liberati di me, non è così?!? Muahahahahh, così imparate a confidare nella speranza, stolti!!!! XDXD Scherzi a parte, mi siete mancati tantoooooo!!! Sono così contenta d’essere riuscita a postare il sedicesimo capitolo, gente, stavolta è passato un mese esatto!! Non ci avevo mai impiegato tutto ‘sto tempo per aggiornare questa fanfiction!! Lo so, lo so, avete voglia di picchiarmi, soprattutto perché dopo tutta questa attesa sicuramente vi aspettavate di meglio, ma vi prego di avere pietà di me!! Che ve ne pare del capitolo?? Orribile? Nefasto, vero? Non uccidetemi T__T Chiedo di nuovo scusa per la lunga attesa, ma appena tornata in facoltà ho appreso la lieta notizia relativa al fatto che, a distanza di tre settimane, avrei già dovuto sostenere un esame intermedio, chiaramente di Diritto Privato, e quindi mi sono buttata a foco a studiare e non ho quasi più avuto tempo per scrivere, mi dispiace molto : ((( Spero che in futuro non si ripresenti più un’eventualità criminosa del genere XD Bene, ora passiamo ai ringraziamenti!! Ringrazio TANTISSIMO Annabeth_Ravenclaw, PotterHeart_394, hatake_kakashi, Zakurio, gloomy_soul, Cost Black, Pinkamena Diane Pie e AnonimaKim (di cui festeggio il gran ritorno, BENTORNATA!!! Mi sei mancata tanto!!! :DDD) per aver commentato il quindicesimo capitolo, grazie infinite!!! Grazie di nuovo anche a Cost Black per aver commentato anche il capitolo 11 e il capitolo 12, grazie a tutti coloro che hanno commentato finora e che spero continueranno a farlo, grazie a fabyd e a mignolina94 per aver inserito la storia fra le preferite e grazie a TheLadyVampire97 per aver inserito la storia fra le seguite, spero che commenterete anche voi questo schifo che sto scrivendo, ci tengo molto a sapere anche la vostra opinione!! Bene, come avrete notato questo capitolo non era accompagnato da nessuna canzone, ma non crediate che la parentesi song fic sia finita, poveri stolti!! XD Presto si ricomincia con la colonna sonora! Oook, credo d’avervi rotto abbastanza e d’aver detto tutto, di nuovo, scusate se il capitolo non è esattamente all’altezza delle vostre aspettative, prometto che tornerò prestissimo con il capitolo 17, questa volta!! O almeno, farò del mio meglio!! :DDD Tantissimi bacioni, la vostra Victoria 

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Capitolo 17
*** Se fosse il tuo ultimo giorno... ***


Capitolo 17- Se fosse il tuo ultimo giorno…
 
I giorni successivi non si rivelarono ricchi di grandi avvenimenti; il rapporto d’amicizia costruita fra Elle e Light iniziò lentamente a svilupparsi, assumendo i connotati di una relazione paradossale e ricca di tensione. Ruri alternava momenti in cui era presente ai loro incontri ad altri in cui preferiva farsi da parte, per poi lasciare che Elle le raccontasse tutto, al termine di ogni approccio che aveva nei confronti di Yagami. Per quello che era riuscita a dedurre, Light era un tipo onesto, brillante, incredibilmente affabile e maledettamente gentile…troppo gentile. Decisamente troppo. Per qualche strana ragione, le metteva i brividi anche soltanto stargli vicino: forse la sua immaginazione correva troppo, o forse aveva solo un disperato bisogno di riposare, ma più di una volta aveva avuto la sensazione che il suo sguardo, apparentemente tranquillo e spensierato, nascondesse un’ombra carica di qualcosa di indecifrabile…non l’avrebbe mai ammesso con nessuno, nemmeno con Elle, forse neanche con se stessa, ma c’erano degli istanti in cui si domandava se davvero non potesse rivelarsi in grado di spaventarla, in qualche modo. La cosa che più di tutte le faceva saltare i nervi era rendersi conto che Light Yagami aveva tutte le carte in regola per poter essere il sospettato ideale, ma al contempo contro di lui non sussisteva uno straccio di prova concreta. Com’era possibile? Quel potere paranormale era oltre la sua portata? Come diavolo faceva a commettere quegli omicidi? E lei? Era davvero in grado di concludere che Light potesse essere Kira, semplicemente in base a una sensazione del tutto personale?
*Beh, c’è sempre il 5% di possibilità…* le ripeteva una voce costante, in grado di farle tornare il sorriso in ogni momento.
Certo, in effetti non poteva lamentarsi di come stessero andando le cose. Le sue condizioni di salute erano notevolmente migliorate, Robin era rimasta con lei in Giappone, e sembrava felice, il suo livello di concentrazione era migliorato, e poi…era infine riuscita ad ammettere i suoi sentimenti per Elle, e adesso aveva l’occasione di vivere la cosa in prima persona con lui. Rendersi conto che lo amava, che lo amava davvero, era stato molto difficile per lei; ma tutti gli sforzi, tutti i dubbi, tutte le riflessioni, tutta la sofferenza, tutto il dolore passato venivano adesso ripagati ogni giorno dalla presenza di lui, dal suo contatto, dalle sue parole, dal suo odore, dalla sua fiducia…da quelle labbra così dannatamente sottili e profumate e dall’incredibile, straordinaria possibilità che era stata concessa ad entrambi.
Trascorrevano insieme ogni sera, a volte senza nemmeno scambiarsi una parola, semplicemente lavorando sui propri computer e lanciandosi qualche sguardo e qualche sorriso complice, di tanto in tanto: altre, parlavano per ore ed ore, senza preoccuparsi del tempo, raccontandosi le reciproche conclusioni sul caso, e finendo, nessuno dei due sapeva come, a raccontarsi reciproci aneddoti delle rispettive vite…né Ruri né Elle sarebbero mai stati in grado di definire in qualche modo quello che stava nascendo. Forse si trattava semplicemente di qualcosa chiamato ‘vivere’, qualcosa che entrambi mai avevano sperimentato fino in fondo.
Fu in una di quelle serate che Elle le rivelò la parte più importante di tutto il suo piano.
Ruri se ne stava sdraiata a pancia in giù sullo spazioso letto matrimoniale che avrebbero condiviso per quella notte, i piedi nudi e il corpo snello avvolto in una tuta da ginnastica piuttosto aderente. I suoi lunghi capelli neri erano raccolti in una crocchia disordinata, da cui sfuggivano numerose ciocche, e la sua bocca raffinata era intenta a tormentare la punta di una matita, mentre i suoi occhi cristallini continuavano a rimanere concentrati sulle cartelle che stava esaminando, dove spiccava, così nitido e inconfondibile, il volto di Light Yagami.
*Dev’esserci qualcosa che abbiamo dimenticato…questa sensazione…è completamente folle! Potrei star semplicemente sbagliando tutto…no, non è così. So che non è così. D’accordo. Ragiona. Tre settimane d’osservazione, durante le quali Yagami non ha commesso un solo passo falso. Non può essere una coincidenza. Non può semplicemente studiare e basta, maledizione. E quelle stupide riviste pornografiche…perché ho la netta sensazione che si trattasse solo di un banalissimo espediente del cazzo? Chi vuol prendere in giro, se volesse avrebbe la vita sessuale più attiva del Paese, per l’amor del cielo…cosa diavolo pensa di fare, di prenderci per il culo così? Cerca di sembrare il tipo perfetto che nasconde qualche piccolo altarino leggermente scandaloso ma essenzialmente innocuo…è così costruito, dannazione. Di conseguenza, se posso affermare con un certo margine di certezza che il suo comportamento presenta denotazioni di falsità, allora potrei anche dedurre che nutre uno spasmodico bisogno di nascondere qualcosa di molto più grande. Interessante…forse è venuto il momento di giocare un po’*.
Non appena ebbe formulato quel pensiero, Elle varcò la soglia della stanza, chiudendosi subito la porta alle spalle e rivolgendole il suo consueto sorriso breve, prima di sfilarsi, con un calcio ben deciso, le consunte scarpe da ginnastica che portava ai piedi.
“Detesto questa roba” si giustificò, scrollando le spalle.
“Sei in ritardo” gli fece notare Ruri, accennando all’orologio “Il tuo incontro è stato più interessante del solito?”.
“Non proprio, ma ho ottenuto un risultato che soddisferà le tue aspettative, Ruri”.
La ragazza si tirò velocemente su a sedere, indirizzandogli un’occhiata penetrante.
“Sarebbe a dire?”.
“Un’amichevole di tennis e un successivo drink al bar dell’università, domani a mezzogiorno. Naturalmente, sei invitata a festeggiare la mia vittoria, non appena avrò finito”.
Ruri gli sorrise, alzando un sopracciglio.
“Vedo che siamo piuttosto sicuri di noi stessi, signor detective…”.
“Come sempre” sottolineò Elle, andandosi a sedere sul letto e allungando la mano verso una delle tante barrette al cioccolato sparse sul materasso “Quindi, devo dedurne che hai scelto di seguire i miei consigli?” proseguì, accennando ai dolciumi.
“Cibo per la mente, come diresti tu” ridacchiò Ruri, scartandone un’altra e iniziando a mangiarla, mentre Elle seguiva il suo esempio.
“Hai deciso di convertirti alla mia dieta?” sorrise il detective.
“Non credo che reggerei. Non tutti hanno un metabolismo generoso come il tuo” gli fece notare Ruri, accennando alla sua figura snellissima.
“Beh, allora sarà meglio che mangi qualcos’altro, o il tuo prodigioso cervello non ti ringrazierà per il trattamento che riservi al tuo organismo” precisò Elle.
“Watari ha avuto un’intuizione simile alla tua” precisò Ruri, accennando alla grande portata nelle vicinanze, coperta da un ulteriore piatto di ceramica “Ma non riuscivo a smettere di pensare al caso, così ho preferito continuare a lavorare…”.
“Hai sentito cos’ha detto il medico. Non devi saltare i pasti. È importante”.
“Anche il nostro caso è importante”.
“Ruri…”.
“Va bene, va bene” sospirò la ragazza, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la sua cena.
Dopo aver tolto il coperchio, Ruri si affrettò a ingoiare un paio di forchettate di pollo e poi tornò a sedersi sul letto, senza nemmeno aver finito di masticare come si doveva.
“Contento, dottor Ryuzaki?” affermò, con un velo d’irritazione nella voce.
“Sarò contento quando avrai mangiato come si deve” sottolineò il moro, con un tono che la portò ad alzare lo sguardo nella sua direzione “Me lo hai promesso, Ruri. Io non dimentico le promesse che faccio o che mi vengono fatte”.
“Ti ho promesso che stasera avrei mangiato il pollo alla diavola?”.
“Mi hai promesso che ti saresti presa cura di te stessa e che non avresti mai più permesso al tuo corpo di collassare nuovamente. Per favore, non metterti in una posizione tale da fare in modo che accada ancora”.
Dopo un breve silenzio, Ruri gli posò una mano sulla guancia bianca, leggermente tiepida, per poi posare un bacio lieve sulle sue labbra.
“Mi dispiace” gli disse infine, con un sorriso di circostanza “Non permetterò più a quella stupida agente dell’FBI di mettere in pericolo la sua vita. Devi perdonarla, è testarda come poche persone che conosco. E il suo ragazzo è un santo, dovrebbero dargli una medaglia o qualcosa del genere. Dico sul serio, se pensi che la sopporta ogni giorno, malgrado il suo pessimo carattere, è tutto dire, credimi”.
“Beh, se davvero le cose stanno così…immagino che potrebbe pensare a un modo per rendergli il compito meno gravoso…hai qualche idea, agente Dakota?”.
Prima che potesse replicare in alcun modo, Elle unì le labbra alle sue, in un nuovo contatto che non possedeva più alcuno dei connotati del precedente, lasciando che le loro bocche si assaggiassero reciprocamente; senza pensare a ciò che faceva, il ragazzo prese a sovrastarla con il suo corpo, facendo cadere a terra i vari documenti del caso Kira, mentre la sua mano destra prendeva a carezzarle la coscia in modo possessivo, lasciando che l’altra l’aiutasse a liberarsi degli abiti e l’accarezzasse sul petto…
Fecero l’amore per quasi tutta la sera, fermandosi in preda alla stanchezza solo dopo che la mezzanotte era ormai passata da un pezzo; dopo l’ennesimo amplesso, Elle si accasciò al suo fianco, i capelli sudati intenti ad appiccicarglisi alla fronte, mentre il suo braccio destro si allungava in direzione della compagna, chiamandola a rannicchiarsi sul suo petto glabro.
“Devo dedurne che ti sono mancata, oggi pomeriggio” ridacchiò Ruri, posandogli un bacio sul torace.
“È stata una giornata stressante…”.
“Nessun risultato con Yagami?”.
“È un osso duro. Ma qualcosa mi dice che non dobbiamo arrenderci; siamo sulla strada giusta, di questo sono sicuro al 60%”.
“Una percentuale da brivido, per i tuoi standard” ridacchiò Ruri.
“Sarebbe persino più alta, se solo avessi qualche altro indizio a disposizione. Yagami è così…così controllato e metodico. Tagliargli la ritirata non è semplice come avrei pensato fino a poco tempo fa”.
“Credi che abbia qualche punto debole?”.
“Tutti noi abbiamo un punto debole” le fece notare Elle, con un sorriso sereno “Sono certo che il suo è semplicemente sotto i miei occhi…tutto ciò che devo fare è individuarlo. Non ci metterò molto. Il problema starà nel capire se lui è davvero Kira o meno…ma se effettivamente non lo è, non impiegherò molto a capirlo”.
“Qualcosa mi dice che non ci stiamo sbagliando, sul suo conto” affermò Ruri, tirandosi su a sedere e stiracchiandosi vistosamente “Forse mi sto lasciando guidare troppo da sensazioni leggermente azzardate…non mi me era mai capitato, prima”.
“Forse non sono così azzardate come credi. Dopotutto, è un caso senza precedenti…un serial killer che uccide criminali tramite una sorta di potere paranormale, in simultanea in ogni parte del globo, senza dar segno d’aver lasciato alcuna traccia e senza darci la minima possibilità d’individuare il suo modus operandi prima d’averlo catturato…a pensarci bene, direi che è proprio una situazione di merda” ridacchiò infine il detective, passandosi una mano dietro la nuca.
“Non per te, signor detective” gli fece notare Ruri, strizzandogli l’occhio “Allora, qual è la tua strategia di domani? Per quanto pensi di rimanere ancora sul vago?”.
“A dire il vero, pensavo che fosse il momento più opportuno per svelare le mie carte” disse il ragazzo, stringendosi nelle spalle.
“Sarebbe a dire?” replicò Ruri, alzando un sopracciglio.
“Ho intenzione di dirgli che sospetto che lui sia Kira, ma che, nonostante questo, voglio comunque che si unisca a noi per collaborare alle indagini”.
Dopo quell’affermazione, Ruri l’osservò in silenzio, scrutandolo attentamente, per poi lasciarsi andare a un sorriso compiaciuto e soddisfatto.
“Beh, quello che si dice lo scacco al re della partita…”.
“Credi che sia troppo presto?” le domandò il giovane.
“Affatto. Anzi, mi stavo giusto chiedendo quando ti saresti deciso a farti avanti”.
“Avevo bisogno di studiare il nostro soggetto con la massima attenzione. In ogni caso, la mia strategia non si esaurisce qui…” sorrise Elle, in modo enigmatico.
“Che vuoi dire?”.
L’investigatore si alzò in piedi, iniziando a frugare in una cartella nelle vicinanze, finché non ne ebbe estratte quattro fotografie; infine, tornò a sedersi sul letto accanto a lei, iniziando a mostrargliele.
“Sono le fotografie dei messaggi che Kira ha fatto in modo che i carcerati uccisi lasciassero sui muri delle loro celle…ehi, aspetta un momento, ma questa non…” proseguì, accennando alla quarta immagine.
“Sì, è un falso” annuì Elle “Il vero autore di questi messaggi non reagirebbe come chiunque altro, di fronte ad essi: in più, mostrarglieli mi darà l’occasione di vedere come ragiona e come analizza le componenti di ciò che ha di fronte. Se darà in assoluto per scontato che le foto siano tre, prima di aver visto la quarta, avremo un elemento in più per proseguire nel caso. Naturalmente, non potrà certo trattarsi di una prova schiacciante, ma senza dubbio sarà un ulteriore punto di partenza”.
“Geniale” approvò Ruri, con decisione “In base a ciò che dicevi prima, presumo che tu voglia che io sia presente al vostro incontro di domani, dico bene?”.
“Mi pare ovvio”.
“D’accordo. Allora ho solo un’altra domanda da farti”.
“Ti ascolto”.
“Vuoi che anch’io esca allo scoperto?”.
Elle si voltò a guardarla, gli occhi scuri fissi in quelli cristallini di lei, come tentando di scrutare ogni sfaccettatura del suo animo.
“Di cosa stai parlando?” le domandò, la voce flebile.
“Vuoi metterlo a conoscenza del fatto che in realtà sono l’agente dell’FBI Misaki Yasuba, che dovrei essere morta, che ho finto di non esserlo ingannando la stampa mondiale e che sono…”.
“No”.
L’aveva interrotta con tono deciso, fermo, appena più alto del solito: Ruri notò che le foto gli erano cadute a terra, e che le sue mani avevano preso a stringersi in modo quasi convulso alle sue ginocchia, mentre i suoi occhi si erano tutt’a un tratto concentrati sul pavimento.
“Va tutto bene?” gli domandò Ruri, sfiorandogli appena il volto.
“Credevo d’averti detto che non volevo che ti mettessi in pericolo” le disse, il tono leggermente tagliente.
“Non si tratta di mettersi in pericolo. Si tratta di mettere il soggetto indagato in una posizione più adeguata per studiarne il comportamento e il profilo psicologico” obiettò Ruri, contrariata “Mi hai detto di non permettere ai miei sentimenti di mettersi in mezzo, o sbaglio?”.
“Non riguarda soltanto la nostra relazione” ribatté Elle, voltandosi finalmente a guardarla “Te l’ho chiesto anche perché non posso lasciare che il caso venga compromesso da un errore così grossolano. Il tuo nome reale non è così ben nascosto come il mio: potrebbe ancora scoprirlo, potrebbe ancora servirsene, potrebbe…”.
“Nel caso non l’avessi notato, se Light Yagami fosse Kira, e se effettivamente scoprisse il mio vero nome e lo utilizzasse per uccidermi, avresti una prova in più contro di lui. È esattamente quello che è successo con te, ricordi? Se fossi morto subito dopo averlo incontrato, tutti i sospetti sarebbero precipitati su di lui, mettendolo in una posizione in cui sarebbe stato molto difficile provare la sua innocenza. Pensi davvero che cercherebbe di uccidermi, dopo essersi sentito dire da te che è sulla lista degli indagati? Che è il nostro soggetto preferito d’osservazione, da un bel po’ di tempo?”.
Elle non rispose, alzandosi in piedi e iniziando a misurare la stanza a grandi passi; alla fine, si voltò ancora verso la ragazza, indirizzandole lo sguardo più penetrante che conoscesse.
“Va bene. Ma aspetta almeno che abbia accettato la nostra offerta. Non appena inizierà a collaborare con il quartier generale, troveremo il modo di farglielo sapere e osserveremo la sua reazione. A quel punto, immagino che tu voglia sottoporlo al colloquio che attendi da tanto…” sospirò, le mani in tasca.
“Sì. Parlare con lui sarà senz’altro illuminante” disse Ruri, tirandosi su e cominciando a vestirsi.
Elle notò che gli occhi della ragazza stavano evitando mortalmente i suoi, ma nonostante questo non smise di fissarla.
“Hai qualcos’altro da aggiungere?” gli domandò infine lei, dura.
“Ce l’hai con me?” le chiese dolcemente, muovendo qualche passo nella sua direzione.
“Perché non riesci semplicemente a comportarti come faresti di solito?” gli chiese, con espressione indecifrabile “In qualsiasi altra situazione, non avresti battuto ciglio, di fronte a una proposta come la mia…”.
“In qualsiasi altra situazione, le cose sarebbero state diverse” le fece notare Elle, avvicinandosi tanto da sfiorarle il volto.
“Io ti amo, ma non voglio che questo comprometta le indagini”.
“Nemmeno io” scosse il capo il detective “Hai mai pensato a quanto sarebbe complicato proseguire con il caso, senza il tuo aiuto?”.
“Non si tratta di questo…”.
“Sì, si tratta di questo” la interruppe Elle, prendendo a carezzarle i capelli “Si tratta anche di questo. Si tratta della mia vita, delle mie facoltà intellettive, del mio punto debole. Non posso permettere che Kira colpisca proprio lì, dopo una vita intera passata a chiedermi quale fosse, dopo anni in cui nessuno si è rivelato in grado di individuarlo…dopo che nemmeno io ci sono riuscito, per così tanto tempo. Questo è il caso più importante di sempre, e non parlo solo delle nostre carriere…la nostra vittoria o la nostra sconfitta segneranno la storia di questo Paese, e non solo. Non posso perdere il controllo. Non…non adesso. Te lo chiedo come un favore personale”.
Ruri gli sorrise lentamente, per poi avvicinarglisi ancora, prendendogli il volto fra le mani e accorciando moltissimo la distanza fra i loro profili.
“È così che mi vedi? Sono il tuo punto debole?”.
“Beh, se mi perforassero i polmoni, non potrei più respirare. Pensi che questo mi porti a desiderare che mi vengano espiantati?” sorrise il detective, portando a sua volta le mani sul collo di lei.
“Ad essere sincera, avrei preferito essere il tuo punto di forza” ammise Ruri.
“Sei entrambe le cose” sottolineò Elle.
“Non puoi sempre avere il controllo, lo sai, vero?” gli disse lei, fissandolo nel profondo dei suoi occhi neri come la pece.
“Perché no?” ribatté il detective “L’ho avuto per tutta la vita…”.
“In qualsiasi altra situazione, le cose sarebbero state diverse” lo parafrasò Ruri, scostandogli una ciocca di capelli ribelli dal volto.
“Sì…hai ragione” annuì Elle, con un sorriso un po’ forzato.
“Potrebbero accadere delle cose che non vorremmo accadessero. Potrebbe capitare a me. Potrebbero spararmi, il mio nome potrebbe essere scoperto, potrebbero uccidermi…il mio cuore potrebbe cedere, oppure potrebbe venirmi l’Alzheimer e potrei dimenticarmi chi sei. È questo che significa non avere il controllo. Amare una persona. È questo che significa. E voglio che tu ne sia consapevole. Ogni giorno della nostra vita” gli si rivolse, senza smettere di permettere al suo profilo d’incrociarsi con quello di lui.
“Stai cercando di spaventarmi?” replicò il detective, evitando di staccare gli occhi dai suoi.
“Sto cercando di dire che non siamo due macchine, e nessuno può prevedere quale sarà il momento in cui ci spegneremo. Sto cercando di dire che potremmo morire domani mattina, e che potrebbe non esserci un modo per impedirlo. È così, questo potrebbe essere l’ultimo giorno della nostra vita, ma nessuno può sapere se davvero lo sarà o meno…e trascorrere il potenziale ultimo giorno della nostra vita a preoccuparci se effettivamente lo sia o meno non è un modo molto intelligente di trascorrerlo, non sei d’accordo?”.
Elle la baciò, stringendola a sé con tutta l’energia di cui fu capace, mentre la ragazza gli gettava le braccia al collo e si aggrappava a lui, come se anche lei avesse temuto di vederlo scivolare via da un momento all’altro.
“L’ultimo giorno della nostra vita…una volta ho sentito Watari parlare di una cosa del genere. Lo stava dicendo al suo migliore amico, Roger…gli disse…che ognuno di noi avrebbe dovuto vivere come se ogni giorno fosse stato l’ultimo della propria vita, e che lui non era mai riuscito a farlo” le sussurrò Elle, quando si furono staccati ed ebbero cominciato a dedicarsi a un lungo abbraccio.
Udendo quelle parole, Ruri si allontanò lentamente e gli rivolse un’espressione dolce e attenta.
“Beh, allora…se questo fosse l’ultimo giorno della tua vita…che cosa faresti, signor detective?”.
Elle la guardò in modo indecifrabile, per poi lasciarsi andare al suo sorriso enigmatico.
“Vestiti” le disse poi, infilandosi i boxer e i pantaloni “Ti faccio vedere una cosa”.
La ragazza s’infilò velocemente i suoi indumenti, per poi seguire il ragazzo all’ampia finestra della suite, che lui provvide a spalancare all’istante, dandole accesso all’ampio terrazzo di cui disponevano; una splendida luna piena quasi l’accecò con la sua luce abbagliante.
“L’hai mai vista così vicina?” le domandò, abbracciandola da dietro e posando il volto nell’incavo fra il collo e la spalla di lei.
“No…” disse lei, senza riuscire a trattenersi dal formulare un sorriso immenso, sereno come mai nessuno ne era apparso sul suo volto “Ho visto molte cose nuove, da quando ti ho incontrato…”.
“Ho una cosa per te” le disse poi, staccandosi a un tratto e tirando fuori una piccola scatolina dalla tasca dei jeans “Lo so che il tuo compleanno è già passato…Robin mi ha detto che era il giorno dell’intervento…”.
“Il 29 Febbraio” annuì Ruri, con un altro sorriso “Non dovevi farmi un regalo…”.
“Dovevo ricambiare a quello che mi hai fatto tu”.
Ruri lo guardò perplessa, quando a un tratto Elle aprì il contenitore, rivelando alla sua vista un delicato monile, terminante con un ciondolo fatto di zaffiro.
“Elle…” mormorò, sfiorando la collana.
“Ti piace?”.
“Non dovevi farlo…” sussurrò Ruri, scuotendo la testa.
“Sì, invece. Un regalo si ricambia sempre, dico bene?” le disse il giovane.
“Io non ti ho fatto nessun regalo” obiettò Ruri.
“Hai fatto una scelta. Hai scelto di rimanere. Hai scelto il caso, hai scelto di combattere Kira. Hai scelto di vivere. Hai scelto me. Me ne hai fatto più di uno, in effetti” si strinse nelle spalle Elle, passandosi una mano dietro la nuca “Posso mettertela?”.
Cercando di nascondere una lacrima solitaria, Ruri si voltò di nuovo, mentre le mani fredde di lui le agganciavano il ciondolo, passando poi a sfiorarle il collo con le dita delicate e affusolate.
“Si dice che l’ultimo giorno della propria vita debba essere il più bello, giusto?” le domandò, portandola a voltarsi ancora “Mi dispiace, non credo d’essere troppo bravo, in queste cose…un ragazzo normale ti porterebbe fuori, magari a cena, o magari organizzerebbe qualcosa di speciale, non lo so…”.
Tu sei speciale” sottolineò Ruri, baciandolo con dolcezza “È questo è il migliore ultimo giorno della propria vita che si possa sperare di vivere. O hai forse qualche idea che possa renderlo ulteriormente migliore? C’è qualcos’altro che ti piacerebbe dire o fare?”.
Elle sembrò rifletterci sopra, finché sul suo volto non comparve un’espressione soddisfatta, come se a un tratto gli fosse venuta in mente un’idea brillante.
Prima che lei potesse dire o fare qualsiasi altra cosa, il ragazzo rientrò nella stanza, afferrando un telecomando e accendendo lo stereo nelle vicinanze.
Non appena la musica fu partita, si voltò verso di lei, il volto connotato dalla traccia di pensieri indecifrabili e oltremodo complessi.
Ruri mosse qualche passo nella sua direzione, sorridendogli lievemente.
“Questa è stata…la prima canzone che ho ascoltato in vita mia. È paradossale…avrei dovuto riflettere su tutto quello che mi hai detto stasera per tutti questi anni, e…semplicemente, non l’ho mai fatto. Era come se un pezzo del puzzle mi mancasse, capisci? Come se non trovassi la chiave di volta che mi era necessaria…come si può capire qualcosa che è impossibile da capire?”.
“Forse non devi capirlo. Forse il punto è che non devi chiedere. Devi solo…guardarlo. E magari…in qualche modo, diventerà parte della tua vita. Questa è una cosa che puoi capire?”.
Elle le sorrise, in maniera sincera e profondamente serena.
“Sì, penso di sì”.
“Allora…potrei suggerire un’idea per rendere migliore il nostro ultimo giorno?” disse la ragazza, ricambiando il sorriso.
“Non vedo il motivo per cui non dovresti” replicò Elle.
 
Let me take you to my secret place
High above the earth into outer space
Only God knows where, only God knows how
I will take you there somehow

 
Ruri gli porse la mano, ampliando il sorriso.
“Ti va di ballare con me?”.
Elle sembrò trattenersi dal ridere, passandosi ancora una mano dietro il collo.
“Io…io non ballo”.
“Neanch’io” replicò Ruri, continuando a porgergli la propria “È il nostro ultimo giorno. È il mio compleanno. Puoi fare qualunque cosa. Puoi ballare. Con me”.
Elle continuò a guardarla, con l’aria di chi è incerto fra l’essere confuso o semplicemente felice, senza nemmeno conoscere il motivo esatto della sua felicità; infine, le sue dita bianche e leggere andarono a stringere quelle di Ruri, unendosi a lei nel muoversi lentamente e prendendo a farle fare qualche giravolta, mentre la stanza iniziava a riempirsi lentamente delle loro risate leggere e dei loro sorrisi complici; non c’era bisogno di altre parole, non c’era bisogno di ulteriori confronti. In quella camera d’albergo, avevano tutto ciò che gli serviva per trascorrere, nel miglior modo possibile, l’ultimo giorno della loro vita.
 
If this was the last day of your life
What would you do to make things right?
If this is the last day of your life
Who you gonna call to make things right?

I love you…shine on…
 
Il giorno dopo, Watari li accompagnò all’università, salutandoli con un cenno d’intesa non appena furono arrivati; Elle afferrò la sua racchetta da tennis e iniziò a dirigersi verso il campo, dove Light lo stava già attendendo, indossando il suo completino smagliante e le sue scarpe da professionista.
“Cerca di non sollevare troppa polvere, quando lo batterai” gli sussurrò Ruri con complicità, mentre entrambi si accingevano a salutarsi reciprocamente “Non vorrai spettinargli i capelli”.
“Farò del mio meglio. Hai intenzione di sederti sugli spalti per assistere o vuoi farti un giro?” le domandò, lasciandole le mano.
“Stai scherzando? Non mi perderei questo match per niente al mondo; qualcosa mi dice che non sarà una semplice amichevole di tennis. A proposito, ricordati che non ho intenzione di pulire il sangue che scorrerà” ridacchiò, assestandogli un colpetto sulla spalla e superandolo, con aria complice “Cerca di fare attenzione”.
“E tu attenta a non perderti i miei movimenti” ribatté il detective, raggiungendo Light, mentre Ruri si sedeva sulle gradinate esterne al campo.
“Ah, Ryuga! Buongiorno” lo salutò lo studente, con estrema cordialità “Sono contento di vederti, sei in anticipo!”.
“Anche tu” constatò Ryuzaki, con voce inespressiva “Sei un tipo mattiniero, Yagami”.
“Ah, niente di speciale. Ho solo pensato che fosse meglio alzarsi presto, oggi, sai…per sgranchire i muscoli” disse, iniziando a fare stretching “Non potevo certo permettermi d’essere fuori forma”.
“Capisco” disse Elle, atono.
Light gli rivolse un sorriso amichevole e iniziò a tirare fuori la racchetta dalla sua custodia.
“Comunque” riprese “Devo dire che mi hai sorpreso…quando mi hai chiesto di giocare un po’ a tennis per consolidare la nostra amicizia”.
“Perché, non ti andava?” replicò Ryuzaki, impassibile.
“Ma scherzi…” si schermì Light, superandolo “Però, ti avverto che sono piuttosto forte…”.
“Non preoccuparti, Yagami” riprese Elle, raggiungendolo subito, le mani in tasca “Devi sapere che sono stato campione yuniores, quando ero in Inghilterra…”.
In quello stesso istante, sulle gradinate, a Ruri giunse, tramite l’auricolare elettronico che aveva con sé, la risposta amichevole di Light.
“E così, tu sei cresciuto in Inghilterra?”.
“Non proprio, per la verità ci ho vissuto per cinque anni…ma non ti arrovellare. Non è possibile risalire all’identità di Elle partendo dalla sua infanzia”.
In quel momento, entrambi raggiunsero le loro postazioni sul campo da tennis.
“Ti va bene se stabiliamo il vincitore con un solo set da sei game?” domandò Elle.
“Certo”.
Mentre il detective iniziava a palleggiare lentamente, Ruri concentrò lo sguardo sul campo da gioco, spostando gli occhi dall’uno all’altro giocatore, con la massima concentrazione.
*In fondo, è soltanto un’amichevole di tennis…non vitale per comprendere se Light Yagami è davvero Kira o no. Ma dopotutto…Kira detesta perdere, giusto?* pensò, con un sorriso soddisfatto *Stiamo a vedere…*.
Subito dopo, Elle assestò un deciso colpo alla palla, scagliandola dalla parte di Light con un vigore degno di un vero sportivo e provocando un netto stupore nella ragazza: per quanto Elle fosse fonte di sorprese, non l’avrebbe mai detto così atletico.
“Quindici-zero” sentenziò il ragazzo, con noncuranza.
“Ma come, inizi subito così, come un giocatore professionista?” esclamò Light, con il tono di chi scherza con noncuranza.
“La prima mossa è decisiva” replicò Elle.
Nell’arco di pochissimo tempo, intorno al campo si radunò una folla compatta ed estremamente stupita, e ad arbitrare l’incontro giunse presto un giudice di gara, seduto sull’alto scranno che dominava il campo da gioco; dal canto proprio, Ruri non staccava gli occhi dalla scena nemmeno per un istante, intenta a tentare di cogliere la minima espressione sul volto di Light, al tempo stesso incapace di smettere di sorridere per la bravura di Ryuzaki.
“Siamo sicuri che si tratti di due dilettanti?” commentò un tipo dall’aria molto sicura di sé, in piedi a poca distanza da Ruri “Ma chi diavolo sono?”.
“Uno è Light Yagami, l’altro Ryuga Hideki” replicò il suo vicino “I due che si sono classificati primi nella graduatoria quest’anno…”.
Vedendo la grinta e la decisione che Light stava impiegando per impegnarsi, Ruri non poté fare a meno di sorridere ancora più apertamente, condividendo, ne era certa, lo stesso pensiero che doveva star attraversando la mente di Elle in quell’istante…
*Lo sapevo…gli è venuta voglia di vincere, eh?*.
“Signori, il punteggio adesso è di quattro pari!” sentenziò l’arbitro.
“Ehi, ragazzi!” esclamò un tipo, appena arrivato “Mi sembrava di aver già sentito il nome di Yagami, così ho controllato, e ho scoperto che alle scuole medie ha vinto un torneo nazionale! In terza media, dichiarò che avrebbe smesso di giocare una volta iniziate le superiori, e da allora non ha più partecipato ad altri tornei!”.
Un attimo dopo, la gracchiante voce di Ryoko giunse alle orecchie di Ruri, facendole assumere un’espressione disgustata e portandola ad alzare gli occhi al cielo.
“Yuhu, scusa! E di Ryuga, invece, che cosa mi dici? Dopotutto, gioca all’altezza di quel campione, se non addirittura meglio…”.
“Meglio che tu non ti faccia sentire dalla sua ragazza, Ryoko” le fece notare la sua amica, accennando verso Ruri “Non credo tu abbia molte possibilità, contro un tipo del genere…”.
“Direi proprio di no” sentenziò il capo della combriccola, facendo scoppiare a ridere tutti gli altri.
Prima che Ruri potesse udire la risposta acida di Ryoko, Elle commise il primo errore della partita, mancando il colpo inferto da lei e perdendo il passaggio decisivo dell’incontro.
“Si aggiudica l’incontro Light Yagami!” annunciò l’arbitro “Per sei-quattro!”.
Dopo essere caduto a terra, Elle si rialzò in piedi, volgendosi verso le scalinate e rivolgendo a Ruri un sorriso di circostanza; lei si strinse nelle spalle e gli fece comunque un cenno di vittoria, avviandosi giù per gli scalini verso l’ingresso del campo, dove lui la raggiunse poco dopo, seguito da Yagami.
“Ah, Ruri” la salutò Light, con un sorriso gentile ma distaccato “Anche tu qui?”.
“Sono venuta a dare un’occhiata all’incontro. Bel colpo, Light”.
“Beh, è stata una partita piuttosto entusiasmante” rise il giovane, avviandosi lungo il viale alberato, costellato da ciliegi in fiore, insieme ai due.
“Complimenti, Yagami…mi hai battuto” ammise Elle, le mani in tasca.
“Complimenti a te…era da parecchio che non giocavo sul serio” disse Light “Sentite, io ho sete…e poi, c’è una cosa che vorrei chiederti, Ryuga. Che ne dici se andiamo a bere da qualche parte? Ruri, anche tu saresti la benvenuta, ovviamente. Offro io”.
“Sarebbe carino, ma non azzardarti a tirare fuori il portafoglio” si schermì Ruri.
“È il minimo che possa fare, lo scotto da pagare per chi ha vinto l’incontro” affermò Light, con aria brillante “Tu che ne pensi, Ryuga?”.
“Beh, in fondo hai vinto tu, Yagami…sei libero di chiedermi tutto quello che vuoi” affermò il detective “Ma prima di lasciarti chiedere, ritengo opportuno doverti avvisare di una cosa…”.
“Del tipo?” domandò Light, sorpreso.
“In verità, Yagami, sospetto che tu sia Kira…se ti sta bene lo stesso, chiedimi pure quello che vuoi”.
Light si fermò di colpo, spostando lo sguardo da Ruri ad Elle, con l’espressione di chi ha appena sentito pronunciare l’ipotesi più assurda del mondo.
“Fa sempre così?” domandò a Ruri “Che cos’è, una specie di benvenuto da rivolgere alle nuove amicizie?”.
“In verità, come membro attivo delle indagini sul caso, mi sento in dovere di dirti che anch’io condivido la tesi di Ryuga, Yagami. Se ti sta bene lo stesso” sentenziò la giovane, mentre il braccio di Elle tornava a stringerla in vita.
Light rise nervosamente, cercando d’apparire del tutto naturale.
“E per voi, io sarei Kira?”.
“Beh…” iniziò Elle “A dire il vero, i miei sospetti si limitano all’1%; ciò che più mi preme è accertarmi che tu non lo sia, e avere, invece, una conferma delle tue straordinarie doti intellettive, così da potermi assicurare la tua completa collaborazione per le indagini…”.
“In ogni caso, se davvero non sei Kira, questo dovrebbe risultare evidente in poco tempo” sottolineò Ruri, mentre lei ed Elle riprendevano a camminare, precedendo Light “Non ti pare, Yagami?”.
Il ragazzo non rispose, rimuginando sui suoi pensieri; quando infine giunsero al caffè prescelto da Yagami, Ruri ed Elle si sedettero da un lato del tavolino, lasciando che Light si accomodasse dall’altra parte. La ragazza notò con un sorriso che il detective era tornato ad assumere la sua posizione originale, con le ginocchia premute contro il petto.
“Sapete, ragazzi, questo è uno dei miei locali preferiti…qui potremo parlare in totale libertà, senza essere disturbati” disse lo studente, con un sorriso di circostanza.
“Carino” commentò Ruri, dando un’occhiata al menù.
“È un bel posto” aggiunse Elle “Grazie per averci portato…”.
“E inoltre…questo è un posto dove non ti fanno troppe storie, se stai seduto in quel modo” disse poi Light, accennando alla posa assunta da Elle.
“Già, è solo che io devo per forza stare seduto così” spiegò Elle, mordicchiandosi il pollice destro “Se mi siedo nella posizione corretta, le mie capacità intellettive si riducono del 40%...allora, cos’è che volevi chiedermi?” domandò, aggiungendo l’ennesima confezione di panna al suo caffè.
“Oh, niente” si strinse nelle spalle Light, sorseggiando il suo espresso “Te lo chiederò quando tu e Ruri avrete capito che non sono Kira…perciò, potete tranquillamente iniziare voi, nessun problema”.
Ruri ed Elle si lanciarono un’occhiata di sottecchi; infine, Ruri annuì, con un piccolo sorriso.
“E va bene” acconsentì la ragazza, posando la tazza sul piattino con più rumore di quanto avrebbe voluto “C’è una cosa che vorremmo tu vedessi”.
“So che ti sembrerà un po’ scortese” iniziò Elle “Ma ti scoccerebbe se mettessimo alla prova le tue capacità deduttive?”.
“Perché no? Proviamo…sembra divertente” accettò Light, con noncuranza.
Elle tirò fuori dalla tasca le prime tre fotografie, posandole in bella vista sul tavolo.
“Allora inizia a dare un’occhiata a queste immagini…sono le foto di tre messaggi che altrettante vittime di Kira hanno scritto in carcere prima di morire, probabilmente sotto il suo controllo. Ci terremmo ad avere una tua sincera opinione riguardo a questa storia”.
Light le prese in mano, avvicinandole al volto e iniziando a scrutarle con attenzione.
“Davvero interessanti…” commentò.
Gli occhi di Ruri si concentrarono sui lineamenti del volto di lui, nel tentativo di cogliere la minima variazione, il minimo cenno, il minimo indizio; notò che la sua attenzione era repentinamente passata dai numeri scritti dietro le immagini alle stesse rappresentazioni, la mente impegnata ad elaborare la mossa successiva. Più i minuti passavano, più si ritrovava a convincersi che quello che aveva davanti non avrebbe potuto non essere Kira…
“Sarebbe davvero incredibile” sentenziò alla fine il ragazzo “Se, oltre al potere di uccidere, Kira potesse anche manipolare le azioni delle sue vittime…oltretutto, sono state scritte in una specie di codice, come se avesse voluto prendersi gioco di Elle. Leggendo soltanto la prima parola di ciascuna riga di ogni messaggio, si forma un’altra frase…e se proviamo a riordinarle per dar loro un senso, ecco così…” disse, sistemando le foto nell’ordine prescelto “Dovrebbe uscire qualcosa come ‘Elle, lo sai che gli dei della morte mangiano solo mele’…tuttavia, ho anche notato che dietro a ogni foto c’è un numero, quindi, se le ordiniamo secondo questo criterio, ricaviamo la frase ‘Mangiano solo mele? Elle, lo sai che gli dei della morte’; ma francamente, mi sembra un po’ forzato. Non vedo perché Kira dovrebbe farti avere un messaggio così sconclusionato”.
Ruri si trattenne appena dal formulare un sorrisino soddisfatto, mentre gli occhi di Elle, cupi come una notte di tempesta, non si staccavano un istante da Light.
“Ti sbagli” gli disse, provocando la sua sorpresa “A dire il vero, Yagami, c’era una quarta foto…aggiungendo questa” proseguì, tirando fuori dalla tasca il falso “Il senso finale diventa: ‘Mangiano solo mele? Elle, lo sai che gli dei della morte hanno le mani rosse?”.
“Ma…” disse Light, con circospezione “Se le foto fossero state tre, il mio ragionamento non avrebbe fatto una piega…”.
“Ti sbagli di nuovo” lo contraddisse Ruri “Il tuo ragionamento sarebbe stato impeccabile solo se avessi capito che le foto, in realtà, dovevano essere quattro…il punto è che non sei riuscito a capire che erano quattro perché hai dato per scontato che le foto…fossero solo tre”.
Light spostò lo sguardo da Ruri a Elle, concentrato al massimo; infine, rilassò le spalle, distogliendo lo sguardo e prendendo un altro sorso di caffè.
“Mmh…a questo non avevo proprio pensato. Comunque, non credo che questi messaggi possano condurci in alcun modo a Kira…dopotutto, gli dei della morte non esistono”.
“Allora, Yagami, vediamo un po’” riprese Ryuzaki “Se tu fossi Elle, e ti trovassi di fronte a un possibile Kira, come faresti a determinare se è davvero lui o no?”.
“Tanto per cominciare, io cercherei di parlare con lui di cose che potrebbe sapere soltanto Kira, non credi?” domandò Yagami, le labbra ancora sospese sul bordo della tazza “Esattamente come stai facendo adesso tu, Ryuga…”.
“Formidabile…” commentò Elle “Abbiamo provato a rivolgere la stessa domanda a diversi poliziotti, ma quasi tutti ci hanno pensato su per diversi minuti. Tu, invece…hai saputo immedesimarti subito in Kira, pensando a come si comporterebbe parlando con qualcuno che indaga sul suo conto…le tue capacità di ragionamento sono eccezionali”.
“E quali sono le tue ipotesi sul profilo psicologico che ne verrebbe fuori, Yagami? Ti sarai fatto un’idea, dopo tutti questi mesi. Tuo padre dice che hai aiutato la polizia a risolvere alcuni casi particolarmente difficili, in passato…e così sostiene anche Hideki” affermò Ruri, con il tono di chi parla di qualcosa di noncurante “Quali sono le tue opinioni al riguardo?”.
“Tutto ciò che sono stato in grado di capire è che Kira dispone di un suo particolare senso della giustizia, molto sviluppato, per quanto possa essere criticabile e discutibile. Un tipo molto razionale, attento a non commettere passi falsi…direi, un abitudinario”.
“La mia stessa diagnosi” osservò Ruri “Che ne pensi di un fanatico con manie di protagonismo, convinto d’essere superiore agli altri e di poter quindi disporre di una sorta di potere giustiziere, in grado di scagliare il suo castigo su tutti coloro che non reputa degni di vivere? Ci sono stati diversi momenti in cui mi sono convinta che il nostro uomo sia convinto d’essere una specie di dio incarnato, o qualcosa del genere…cosa ne pensi di questa teoria?”.
“Beh, credo che sia probabile. Senz’altro, se la tua tesi fosse vera, ciò denoterebbe senz’altro una tendenza piuttosto infantile e megalomane, non credi? Ma senza dubbio, si tratta di una persona convinta di agire perfettamente nel giusto…”.
Ruri incrociò le braccia, appoggiandosi allo schienale del divanetto e fissando i suoi occhi azzurrissimi in quelli castani di Light.
“I casi sono due, Yagami: o hai delle eccellenti doti da profiler, oppure sei senz’altro l’autore di questi omicidi”.
Light ridacchiò.
“Se la metti così, sembra che più mi comporti bene, più aumentino i sospetti a mio carico” le fece notare, bevendo l’ennesimo sorso di caffè.
“Esatto” sentenziò Elle “Ora sei al 3%. Ma allo stesso tempo, io sono ancora più tentato dal chiederti di aiutarci nelle indagini…vedi, anche se tu fossi davvero Kira…io trarrei comunque dei vantaggi dalla tua collaborazione. Mi stai seguendo…?”.
“Certo” annuì Light “Se collaborassi con voi, darei il mio contributo allo svolgimento delle indagini, e allo stesso tempo potrei smascherarmi da solo…se fossi Kira. Così prendereste due piccioni con una fava. Davvero un’ottima trovata…credo, però, che voi stiate prendendo un grosso granchio. È vero che m’interesso al caso Kira, e che provo a risolverlo nel tempo libero, ma io non sono Kira, e quindi non ci tengo ad essere ucciso da lui. E poi, chi mi dice che Kira non sia uno di voi? Siete in grado di provarmelo? Perché devo essere proprio io quello che viene interrogato con questi stupidi trucchetti? Nessuno di noi può provare all’altro di non essere Kira…ma se tu sei Elle, Ryuga, e se tu Ruri, davvero collabori alle indagini con lui, non sbaglio a ritenere che, in qualche modo, dovreste potermelo dimostrare…basterebbe che mio padre, o un agente del quartier generale, mi provasse che voi siete chi dite di essere, o almeno un addetto alle indagini. Comunque, finché non verrà provato che non sono Kira, non potrò collaborare”.
Ruri ed Elle si scambiarono l’ennesima occhiata d’intesa.
*Un grande oratore, la tipica persona che detesta perdere…direi che saliamo al 7%*.
“Non mi pare d’essermi mai rifiutato di farti incontrare i membri del quartier generale, o sbaglio?” replicò Elle, con naturalezza “Noi stiamo indagando sul caso presso il quartier generale insieme a tuo padre e ai suoi uomini…dunque, devo dedurre che se decidessi di portarti al quartier generale…acconsentiresti a collaborare con noi…ho ragione?”.
In quello stesso istante, il cellulare di Ryuzaki prese a squillare.
“Scusatemi” disse il detective, tirandolo fuori dalla tasca e portandoselo all’orecchio.
“Ma…anche il mio sta squillando” constatò Light, perplesso.
“Pronto” disse Elle.
Dall’altra parte, Ruri riuscì a udire la voce concitata e preoccupata di Watari.
“Ryuzaki, è successa una cosa terribile!!!”.
“Yagami!!” esclamò subito Elle, fissandolo allarmato.
“Che succede?!” sbottò Ruri, preoccupata.
“Mio padre…” balbettò Light, con ancora in mano il cellulare “Ha appena avuto un infarto…”.
Il gelo calò su tutti e tre; la prima a riscuotersi su Ruri, che balzò in piedi, afferrando la borsa e la giacca.
“Light, ce l’hai una macchina?!”.
“Cosa?” domandò il diretto interessato, ancora sotto shock.
“Ce l’hai una macchina?!” ripeté Ruri, spazientita.
“Sì, certo…cosa…”.
“Dammi le chiavi, non sei in condizioni di guidare. Raggiungiamo l’ospedale, subito!!” sbottò, afferrando il mazzo che Light le porgeva.
“Dovremmo aspettare Watari…” provò a obiettare Ryuzaki.
“Non c’è tempo!” lo smentì Ruri, avviandosi fuori dal locale, subito seguita dagli altri “Potrebbe essere…non possiamo aspettare oltre! Se è davvero opera di Kira, sarà morto prima del nostro arrivo!”.
 
Dopo una corsa pazzesca che li portò dritti al reparto di cardiochirurgia dell’ospedale di Tokyo, lo stesso dove Ruri era stata ricoverata fino a poco tempo prima, i tre vennero informati dal dottor Shibahime in persona che il signor Yagami aveva superato l’intervento a cui l’avevano sottoposto di corsa, e che, dopo un discretamente lungo periodo di convalescenza, si sarebbe rimesso in pieno.
Quando ormai il cielo divenne scuro, e la luna fu sorta da un pezzo, Elle, Ruri, e la famiglia del sovrintendente vennero ammessi al suo cospetto; dopo un’oretta passata a conversare con il convalescente, la signora Yagami si alzò, scortando fuori la figlia minore.
“Sarà meglio tornare a casa, Sayu ha bisogno di dormire…sei sicuro che non vuoi che rimanga, caro? Posso chiedere al medico di guardia di prepararmi una brandina…”.
“Va’ a casa, Sachiko, non preoccuparti” le sorrise il marito “Sto bene, adesso; e sono in ottime mani”.
In quel medesimo istante, Ruri rientrò nella stanza, stringendo in mano un vaso stracolmo di fiori variopinti, che sistemò sul comodino del sovrintendente, indirizzandogli un bel sorriso.
“Ecco, se non altro aggiungerà un tocco di colore alla stanza”.
Yagami ricambiò il suo sorriso.
“Spero di non doverci trascorrere troppo tempo…ma se continui a essere così premurosa, rischierò di abituarmici” affermò, per poi essere travolto da un furioso eccesso di tosse.
Ruri lo aiutò a bere un po’ d’acqua, a piccoli sorsi.
“Non si sforzi, sovrintendente. È stata una giornata impegnativa”.
“Sì, immagino di sì…perché non vai a casa anche tu, Ruri? Sembri stanca” le fece notare l’uomo, accennando alle rughe del suo volto.
“Sto bene” scosse il capo lei, continuando a sorridere “Ad ogni modo, è finito il tempo di preoccuparsi per me. Adesso è lei quello di cui dobbiamo occuparci. Ci ha fatto prendere una bella paura, lo sa?”.
“Beh, se non altro la cosa è rientrata in fretta…” sorrise l’uomo.
“Allora, torno domani e ti porto quello di cui hai bisogno” sorrise Sachiko, avviandosi fuori dalla stanza “Light, prenditi cura di tuo padre”.
“Certo” annuì il ragazzo, salutandola mentre usciva.
Non appena sua madre se ne fu andata e Ruri ebbe ripreso posto all’altro lato di Elle, Light si volse nuovamente verso il padre, con espressione ansiosa, mentre il detective, senza che nessun altro se ne accorgesse, riprendeva a stringere la mano di Ruri, accarezzando ogni centimetro del suo palmo.
 
All that's beautiful is before your face
Now you're in the heart of a secret place
There's infinity in a grain of sand
An eternity in the palm of your hand

 
“Siamo sicuri che si tratti solo di un po’ di affaticamento?” domandò subito Light, rivolto al genitore.
“Sì…francamente, anche a me è balenato il dubbio che fosse opera di Kira, è solo…che ho lavorato troppo, ultimamente” mormorò il poliziotto, con voce stentorea.
“Inoltre, vedere suo figlio nella lista degli indiziati…” iniziò lentamente Elle.
“…deve aver peggiorato tutto” annuì Ruri, con aria dispiaciuta.
“Cosa?!” sbottò Light “Ne avete parlato con mio padre?!”.
“Sì” replicò Ryuzaki, con noncuranza “Gli abbiamo detto tutto quello che pensiamo…e gli ho anche detto che io sono Elle. Tanto per essere chiari, tuo padre è anche a conoscenza della vera identità di Ruri…ma di questo ho deciso di non metterti a parte, almeno per il momento”.
Light indirizzò alla giovane una lunga occhiata penetrante, fin quando suo padre non riaprì bocca di nuovo, portandolo a spostare l’attenzione di nuovo su di lui.
“Sì, è vero…chi hai accanto è Elle. Noi lo chiamiamo Ryuzaki, affinché nessun altro lo sappia…ma è indubbiamente Elle”.
Dopo un lungo silenzio, in cui gli occhi di Light guizzarono da Ruri a Elle, Soichiro riprese la parola.
“Allora…parlando con mio figlio, siete riusciti a chiarire i vostri sospetti?” domandò, con un filo di voce.
“In realtà, i nostri sospetti si sono radicalmente ridotti” rispose Elle “Tanto per essere chiari, le ricordo che Kira ha ucciso tredici agenti dell’FBI entrati in Giappone con il preciso scopo di pedinare…chi aveva un legame con la polizia giapponese. In particolare…fra questi agenti c’era un certo Ray Penber, la cui morte presenta diversi punti oscuri…”.
“Per non parlare del fatto che la sua documentazione relativa al caso sembra sparita letteralmente nel nulla…è stato accertato subito dopo il suo decesso” aggiunse Ruri, senza staccare gli occhi da quelli di Light “E inoltre, un’ulteriore informatrice della polizia, la fidanzata stessa di Ray Penber, è scomparsa pochi giorni dopo la morte di Penber stesso…una serie di coincidenze piuttosto bizzarre, ne converrai”.
“Con questo, vorreste dire che io sarei una delle persone che Ray Penber stava pedinando” constatò Light, incrociando le braccia e appoggiandosi allo schienale della propria sedia “Allora, è ovvio che sospettiate di me. Anzi, come avete detto voi stessi, dovrei essere il primo sospettato…”.
“Le tue capacità deduttive sono davvero stupefacenti. Sei sempre molto rapido e preciso” commentò Elle.
“Ryuga…dal momento che mio padre ha confermato la tua identità, e in un certo modo anche quella di Ruri, ho deciso che collaborerò alle indagini. In questo modo, dimostrerò a te e agli altri che io non sono Kira, e lo dimostrerò catturandolo”.
“Light, ascolta” gli si rivolse il sovrintendente, volgendosi verso di lui “La prima cosa a cui devi pensare, ora, è a studiare e ad entrare nella polizia: dopo, potrai partecipare alle indagini”.
“Ma che stai dicendo, papà?!” protestò Light “Hai idea di quanti anni ci vorranno? E poi, se non sbaglio…io te l’avevo promesso. Ti avevo detto che se Kira ti avesse fatto del male…l’avrei mandato sulla forca con le mie mani”.
In quella breve pausa, gli occhi di tutti i presenti non smisero di concentrarsi su Light, fin quando il sovrintendente non parlò di nuovo.
“Ascolta, Light…che Kira sia malvagio è vero, ma ultimamente mi sono anche ritrovato a pensare che la vera malvagità di quell’essere risieda semplicemente nel suo potere omicida. Un essere umano che s’imbatte in un simile dono…è condannato alla disgrazia e qualunque uso ne faccia, non potrà mai trovare la felicità, dopo aver ucciso degli uomini…”.
“Ha ragione, signor Yagami” disse a un tratto Elle, facendo voltare tutti nella sua direzione “Perché se Kira è una persona normale, allora non può che essere infelice, dovendo gestire un potere del genere…”.
“Ryuzaki, Ruri” proseguì Soichiro “Mi dispiace per l’inconveniente, farò di tutto per tornare al lavoro al più presto…”.
“Non si preoccupi, ce la caveremo. Cerchi di non affrettare le cose” lo rassicurò Ruri.
Un istante successivo, la giovane infermiera capo reparto si affacciò nella stanza.
“Signori, scusate, ma l’orario delle visite è terminato”.
“Allora, a presto, signor Yagami” lo salutò Ruri, rimboccandogli meglio le coperte.
“Grazie, Ruri…sei una ragazza preziosa” le sorrise il sovrintendente.
“Ho un carattere terribile, signor Yagami. Lei è il primo a dirmi una cosa del genere” ridacchiò Ruri.
“Io non ne sono così convinto” mormorò l’uomo, spostando appena lo sguardo verso Ryuzaki.
 
If this was the last day of your life
What would you do to make things right?
If this is the last day of your life
Who you gonna call to make things right?

 
Ruri fece altrettanto, rivolgendo al detective un ulteriore sorriso.
“Dobbiamo andare. Light, noi usciamo. Saluta meglio tuo padre” disse Ruri, superando il ragazzo e uscendo dalla stanza, seguita da Ryuzaki.
Non appena furono all’esterno, Ruri non poté fare a meno di fermarsi e di appoggiarsi alla parete, subito dopo aver lanciato una lunga occhiata lungo lo stesso corridoio che aveva attraversato qualche settimana prima, sdraiata su un carrello d’emergenza, diretta in sala operatoria.
 
I love you
Shine on, shine on
I love you
Shine on, shine on

I love you
Shine on, shine on
I love you
Shine on, shine on

 
“Stai bene?” le domandò Elle, posandole una mano sulla spalla.
Ruri aprì lentamente gli occhi, fissando lo sguardo in quelli di lui, percependovi mille emozioni e mille ricordi, mescolati inesorabilmente insieme.
“Stavo per morire. Sono morta. Credo…credo d’essere effettivamente morta, in quella sala operatoria” sussurrò.
“Lo so…” replicò il detective.
“Prima dell’operazione, prima che mi addormentassero…ho creduto davvero che fosse il mio ultimo giorno. E pensare che lo stavo passando senza averti vicino negli ultimi momenti…mi stava letteralmente facendo precipitare in qualcosa di molto simile a quello che chiamano Inferno. Tu ci credi? Voglio dire, nel Paradiso e nell’Inferno…”.
“Io credo che ognuno di noi si riveli artefice delle conseguenze delle proprie azioni. Se davvero esistono cose come il Paradiso o l’Inferno…perché non potremmo essere noi a crearle? Se fosse il tuo ultimo giorno…non preferiresti passarlo in Paradiso?”.
“Che si tratti di Paradiso o di Inferno, io lo passerei con te. Delle conseguenze di cui sarei artefice, sinceramente non m’importa molto”.
Elle non smise di fissarla, per poi iniziare a baciarla con molta lentezza e delicatezza, lasciando che lei si stringesse contro il suo petto e cingendola con un braccio, per poi assaporare il profumo dei suoi capelli.
“Se fosse il nostro ultimo giorno insieme…cosa faresti per mettere le cose a posto?” le domandò, asciugandole una delle lacrime che le erano scorse lungo il volto.
“Beh…torta di panna con le fragole?” domandò Ruri, scoppiando in una breve risata di fronte all’espressione di Elle.
Il detective si unì subito alla sua risata, carezzandole appena una guancia.
“Credo…sai…” le disse poi, continuando a incrociare gli occhi con i suoi “Credo proprio che tu…”.
“Ti amo” lo interruppe Ruri, con un sorriso semplice “Era questo che cercavi di dire?”.
Elle annuì, tornando ad abbracciarla e ad inspirare il suo odore.
“Immagino tu sia la mia grande occasione, signor detective” gli sussurrò Ruri.
“E io suppongo che tu sia…l’ultimo giorno della mia vita, Ruri Dakota. Non ho intenzione di perdermene neanche un istante”.
 
If this was the last day of your life
What would you do to make things right?
If this is the last day of your life
Who you gonna call to make things right?


I love you
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: ………………………………………………………………………………..CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!! No, non sono morta!!!! MUAHAHAHAHAHAHA, ci avevate sperato, vero???? Ebbene, sì, sono tornata!!!!! Dopo duecentomila anni, ma sono tornata!!!! Come state, belli miei?? Lo so, lo so cosa state pensando…BRUTTA STRONZA, TI RIPRESENTI ORA, DOPO DUEMILA ANNI, CON QUESTO CAPITOLO SCHIFOSO, PER GIUNTA?!? VERGOGNATI!!! Avete ragioneeeee, scusatemi!!! L’università mi ha quasi ucciso, in questi mesi, per non parlare dell’imminente sessione estiva…perdonatemi!! Spero che il capitolo non vi faccia troppo schifo, come al solito chiedo scusa per gli stravolgimenti dei personaggi, per gli strafalcioni ed errori vari, sorry sorry!!!La canzone di questo capitolo era ‘The Last Day of Your Life’ dei Glass Pear, dopo averla scoperta con Grey’s Anatomy non ho più smesso di ascoltarla…sinceramente, mi ha aiutato molto a proseguire con il capitolo, per cui all’inizio non avevo idee, ma che posso dire…è nato da sé :D Adesso, passo ai sentiti e meritatissimi ringraziamenti: grazie INFINITE ad Annabeth Ravenclaw, a PotterHeart_394, a tuttopepe e ad AnonimaKim per aver commentato il capitolo 16, grazie infinite!! Grazie anche a Dark Manga per aver recensito, seppur brevemente, la fanfiction, scusami se finora non ti ho mai ringraziato né avvisato degli aggiornamenti, ma la tua recensione mi era stata inviata tramite messaggio privato, perciò il tuo nome non mi compariva nella lista delle persone che seguono la storia, chiedo umilmente perdono!! Grazie mille anche a Lady Night e a tuttopepe per aver inserito la storia fra le preferite, grazie mille a trendyv per aver inserito la storia fra le ricordate e grazie mille a Freedom111, a Himari e Nikki, e a kiara_levi per aver inserito la storia fra le seguite, spero che anche tutti voi commenterete questo schifo, ci tengo molto a conoscere il vostro parere!!! D’accordo, adesso scappo, cercherò di aggiornare il prima possibile!!! Tantissimi bacioni dalla vostra Victoria!!! <3 <3 <3 <3

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Capitolo 18
*** Impulso e razionalità ***


Capitolo 18- Impulso e razionalità
 
Light rimase nella stanza del genitore per qualche altro minuto, per poi raggiungerli, avviandosi con loro verso l’uscita dell’ospedale, dove la limousine di Elle, con Watari alla guida, stava attendendo il detective e la sua fidanzata.
“Beh, allora buonanotte” lo salutò Ruri, con un cenno del capo.
“Buonanotte” replicò Light, atono.
La ragazza iniziò lentamente a scendere le scale, quando il giovane Yagami parlò nuovamente, portandola a voltarsi.
“Ryuga…posso scambiare due parole con te? Solo per un momento?” domandò il ragazzo.
Ruri volse lo sguardo verso Elle, che la confortò con un sorriso e un cenno del capo.
“Ti raggiungo subito. Aspettami in macchina” le disse, con dolcezza.
Ruri annuì controvoglia e accettò di salire, dopo che Watari le ebbe aperto la portiera di sinistra, ma appena l’uomo l’ebbe chiusa la riaprì nuovamente di qualche spiraglio, tendendo l’orecchio per ascoltare la conversazione in corso.
“Ryuga…non esiste un modo per provarti che non sono Kira, una volta per tutte?” stava dicendo Light, con tono leggermente ansioso.
“Se non sei Kira, allora credo che tu non abbia bisogno di fare proprio un bel niente, non ti pare?” replicò Elle, con naturalezza.
“Ma perché non la pianti?!” sbottò Light, arrabbiato “Mettiti nei miei panni, cosa credi che si provi a sentirsi sospettati di essere Kira?!”.
Elle parve pensarci un po’ su, prima di rispondere.
“Immagino che sia una pessima sensazione…”.
“E allora prova a tenermi sotto completa sorveglianza per un mese, tienimi in un luogo in cui io non possa accedere né alla tv né ad altri mezzi d’informazione!” suggerì, concitatamente.
Dal canto proprio, Ruri non poté fare a meno d’alzare un sopracciglio, con aria stranita; possibile che un individuo giungesse a tanto solo per vedere chiariti i sospetti sul suo conto? No, decisamente qualcosa non andava…
“Non lo farò” rispose Elle, ancora inespressivo “Perché sarebbe solo un’eccessiva violazione dei tuoi diritti, e soprattutto…non ha senso che io segua il consiglio di un indiziato”.
“Certo…capisco” concluse Light, a voce più bassa.
Elle salì a sua volta in macchina, mentre Ruri si affrettava a chiudere con accortezza la portiera, sorridendogli noncurante.
Dopo averle rivolto un’occhiata d’intesa, Elle abbassò il finestrino, rivolgendosi di nuovo a Light, che nel frattempo si era avvicinato all’auto.
“Non preoccuparti” lo tranquillizzò “Se non sei Kira, presto lo capirò…inoltre, quel precedente scambio di parole tra te e tuo padre mi porta a pensare che tu non lo sia. Ora andiamo, tu prenditi cura di lui”.
“Ah, ancora una cosa” aggiunse Light, chinandosi verso il finestrino “Ho detto che avrei collaborato alle indagini, ma finché mio padre non si sarà ripreso del tutto, temo che non potrò fare nulla”.
“Va bene. Per noi non c’è problema” replicò Elle, impassibile “Ciao”.
“Ciao” lo salutò a sua volta Ruri, ma senza guardarlo in volto.
Non appena l’auto fu ripartita, Ruri tornò a voltarsi verso Elle, che ricambiò subito, e gli indirizzò prontamente uno sguardo molto penetrante.
“Eri sincero?” gli domandò, senza mezzi termini.
“Riguardo a che cosa?” replicò Elle, con un mezzo sorriso.
“Quando gli hai detto che il dialogo che ha avuto con suo padre ti sta portando a pensare che lui non sia Kira, in realtà”.
Elle le sorrise nuovamente con aria enigmatica.
“Sì e no” rispose, stringendosi nelle spalle “Forse non è lui…o forse lo è. Devo dire che quello che ho visto oggi al bar mi ha fatto pensare che fossimo molto vicini ad arrestare il responsabile, ma dopo quanto è accaduto in ospedale…”.
“Non pensi che potesse trattarsi semplicemente di una recita molto ben congeniata?” ribatté Ruri, alzando un sopracciglio.
“Ma certo, sarebbe la soluzione più ovvia. Tuttavia, credo che una messinscena del genere sarebbe troppo scontata per un soggetto dotato del profilo psicologico che abbiamo delineato…”.
“Può darsi. Ma non dimentichiamo che il nostro sospetto gioca a fare il figlio modello fin da quando era un embrione. Forse non lo conosciamo ancora bene quanto dovremmo”.
“Forse” convenne Elle, con un cenno del capo “Sono certo che avremo modo di capirlo meglio nelle prossime settimane; anche se, a giudicare dal modo in cui parli, mi sembra che tu abbia molti pochi dubbi da dissipare”.
Ruri si concesse un sorrisetto, incrociando le braccia.
“Mi stai accusando d’essere prevenuta nei confronti del bellimbusto?”.
“Non mi permetterei mai” rispose Elle, con un’alzata di spalle.
“Ecco, bravo. Non sarebbe professionale, collega” lo stuzzicò ancora Ruri.
“Ne sono consapevole, collega” disse Elle, con il tono di chi ha deciso di stare al gioco.
“Buono a sapersi”.
“Anche se devi ammettere che nei paraggi ci sono un sacco di cose che non sono professionali” riprese Elle, noncurante.
Ruri riprese a fissarlo, incerta se farsi seria o se continuare ad avere un’espressione scherzosa.
“Stai dicendo sul serio?” gli domandò, tesa.
“Diciamo un ‘ni’” le rispose il detective, sorridendo.
“Insomma!” sbottò Ruri “Riesci a essere chiaro, per una volta?!”.
Elle le sorrise con aria soddisfatta, ma prima che lei potesse rivolgerglisi ulteriormente finì per acquistare un cipiglio più rigido, quasi come se il suo volto fosse stato improvvisamente attraversato da una preoccupazione fulminante.
“A volte, mi domando se stiamo facendo la cosa giusta…” mormorò appena, lo sguardo basso.
“Che cosa vuoi dire?” domandò Ruri, adesso decisamente preoccupata.
“Ci stiamo esponendo parecchio, e stiamo giocando su un terreno pericoloso. Forse, dire a Yagami della nostra relazione potrebbe rivelarsi…controproducente”.
“Al contrario”.
Elle la fissò sorpreso, alzando un sopracciglio e finendo per assumere un’espressione quasi stralunata.
“Devo confessarti che non ti seguo” ammise, stringendosi nelle spalle.
“Beh, dopotutto stiamo parlando di un individuo metodico, quasi al punto da potersi definire…maniacale, direi. Kira non fa mai niente che non abbia uno scopo preciso; capisco cosa intendi dire quando affermi che l’essere a conoscenza di noi due, per il nostro potenziale assassino, potrebbe costituire un’arma di cui non esiterebbe a servirsi…almeno, se le circostanze fossero diverse. Direi che questa informazione è paragonabile alla consapevolezza che tu sia Elle…se anche davvero scoprisse il tuo vero nome, ora che hai deciso di uscire allo scoperto nei suoi riguardi, nel caso in cui ti uccidesse attirerebbe su di sé tutti i sospetti e molto presto finirebbe per incastrarsi con le sue stesse mani. E ora, immagina se decidesse di colpire la ragazza del suo peggior nemico…andrebbe persino oltre, non credi? Dimostrerebbe di essere pronto a tutto pur di indebolirti, pur di farti del male e di metterti in una situazione in cui saresti privo di lucidità mentale, ma in questo modo si esporrebbe con le sue stesse mani a una condanna diretta. Se perdessi la vita subito dopo averlo incontrato, sarebbe alquanto sospetto, proprio in virtù del fatto che Light è consapevole del nostro rapporto. In fondo, se fossi risultata anonima alla sua vista, la mia eventuale morte gli avrebbe causato molti meno problemi…lo abbiamo messo nell’angolo, signor detective” concluse Ruri, strizzandogli l’occhio.
“Beh, devo riconoscere che si tratta di un punto di vista interessante…sarebbe un bel colpo” convenne Elle, lasciando che lei si accoccolasse contro il suo petto.
“Ad ogni modo, non succederà niente del genere. Light Yagami non è uno sciocco…proprio come non lo è Kira”.
“Sembri certa che si tratti davvero di lui” constatò Elle, con tono inespressivo.
“Com’era quella storia? Il 5% di possibilità?”.
“A te posso dirlo. Le mie percentuali…beh, diciamo che nella realtà concreta tendono a essere un tantino più alte di quanto io non faccia credere” confessò Elle, rivolgendole un sorrisetto complice.
Ruri alzò la testa e finì per scuotere il capo, indirizzandogli un buffetto sul naso e ritornando nella sua posizione.
“In sostanza, mi stai dicendo che condividi la mia opinione”.
“Assolutamente sì. Ma abbiamo bisogno di fatti certi al 100%; dobbiamo riprendere a lavorare”.
“Hai qualche idea su come procedere?” domandò la ragazza.
“Yagami non si lascerà sfuggire nessuna delle nostre mosse, ma adesso che suo padre è in ospedale, utilizzerà sicuramente questo espediente per prendersi una pausa e per riflettere sul prossimo passo da effettuare. Credo…che la cosa migliore da fare sia sottoporlo al colloquio di cui iniziasti a parlare molto tempo fa. Ma immagino che sia meglio effettuarlo quando sarà a conoscenza della tua reale identità. Voglio osservare attentamente ogni suo battito di ciglia durante la vostra conversazione”.
“Insomma, tu vuoi dire che…”.
“Voglio verificare fino a che punto i due profili psicologici possano combaciare. E voglio analizzare le capacità di Light per capire fino a che punto possano spingersi; è possibile…che arrivi perfino a ipotizzare il modus operandi del killer” affermò Elle, mentre Watari svoltava in direzione del loro albergo.
“Questa potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio…una decisione del genere potrebbe attirare su di lui molti più sospetti…” obiettò Ruri.
“O farli scomparire” replicò Elle “Tutto dipenderà dal modo in cui proverà a porre la questione. Dobbiamo solo metterlo alla prova”.
Mentre la loro auto si fermava completamente davanti al loro hotel, Ruri non poté fare a meno di pensare a ciò che Elle le aveva detto poco prima: non poteva negare che avesse ragione, dovevano stare attenti. Quel gioco stava diventando più pericoloso di quanto avrebbe mai immaginato.
 
Un paio di giorni dopo, Ruri espresse la volontà di passare a trovare il sovrintendente Yagami per fargli un po’ di compagnia e per far sì che si sentisse meno solo durante la convalescenza: malgrado le proteste di Ryuzaki, che malvolentieri acconsentiva a far sì che lei uscisse senza di lui, la ragazza riuscì a tranquillizzarlo e scelse di dirigersi all’ospedale, sfoggiando il suo consueto travestimento. Dal canto proprio, Ryuzaki colse l’occasione della sua assenza per discutere in modo più approfondito della questione ‘Naomi Misora’. Da quella sera in cui avevano discusso sull’argomento, Elle aveva evitato accuratamente di affrontare l’argomento in modo diretto, malgrado Ruri avesse continuato ad occuparsi di quella faccenda come di tutto ciò che avesse potuto avere qualsiasi analogia con il loro caso. Era consapevole della sofferenza che il pensiero della scomparsa di Naomi era in grado di causare alla ragazza, e pertanto aveva scelto di aggirare il più possibile l’accaduto, e di non prenderlo più di petto in modo così palese: d’altro canto, la sua sparizione era sempre più preoccupante al passare di ogni giorno. Soprattutto considerando che le circostanze di quanto era avvenuto erano quanto di più sospetto vi potesse essere…
Fu intorno all’ora del tramonto, nel bel mezzo della riunione, che Ukita tirò fuori quel nome in modo esplicito.
“Poi, ci sarebbe la questione di Naomi Misora…” disse lentamente, mentre Elle iniziava a bere l’ennesima tazza di caffè.
“Non sarebbe il caso di avviare un’indagine ufficiale? I telegiornali hanno mostrato il suo ritratto e fornito alla comunità un numero da contattare, ma al momento non abbiamo avviato nessuna ricerca concreta…” insistette il poliziotto, insolitamente nervoso.
“Dobbiamo fare in modo che il caso non risulti collegato a quello di Kira, ed evitare ulteriormente di divulgare fotografie della ragazza” disse Elle, con voce atona.
“Ma ormai sono quattro mesi che è scomparsa” obiettò Aizawa “Dubito fortemente che sia ancora viva…”.
“Anche se fosse morta, non mi convince il fatto che non sia saltato fuori il cadavere. Se riuscissimo a trovarlo, forse potremmo ottenere qualche indizio…ad ogni modo, anch’io ho pochi dubbi sulla sua dipartita. Immagino…che Ruri abbia sempre avuto ragione, su questo argomento” commentò il detective, abbassando appena lo sguardo.
In quel preciso istante, Watari entrò nella stanza d’albergo, con l’espressione di chi sta cercando di controllarsi ma che al contempo non riesce a nascondere un sentimento ricco d’ansia e d’apprensione.
“Ryuzaki…accendi su Sakura TV, c’è una notizia terribile”.
Senza aggiungere una parola, Elle accese immediatamente il televisore, sintonizzandosi sul canale indicatogli dal mentore.
Lo spettacolo che si presentò di fronte ai loro occhi fu quanto di più allarmante potessero immaginare.
Sullo schermo comparvero le figure di tre presentatori televisivi, accompagnati da una scritta in sovrimpressione che diceva ‘DIRETTA ESCLUSIVA: I QUATTRO VIDEO DI KIRA’.
“Siamo costretti a mandare in onda questa notizia, non solo perché siamo stati presi in ostaggio da Kira, ma anche in quanto nostro dovere di giornalisti farlo. Ci teniamo a ribadire che il video che state per vedere non è un falso, e non viene trasmesso a scopo d’intrattenimento” annunciò uno dei giornalisti.
“Kira li ha presi in ostaggio?! Ma che significa?!” esclamò Aizawa, incredulo.
Con gli occhi ancora fissi sullo schermo, Elle afferrò improvvisamente il cellulare e lo avvicinò all’orecchio, tenendolo come sempre con due dita a breve distanza.
“Ruri” disse poco dopo con tono cupo, rivelando subito agli altri l’identità della sua interlocutrice “Stai guardando la Sakura TV?”.
“Sì” replicò lei all’altro capo, facendo in modo che la sua voce arrivasse anche agli membri del quartier generale “Questa storia è pazzesca…”.
“Dobbiamo fare in modo che non ci sfugga di mano prima che le cose inizino a degenerare” replicò Elle, senza ancora staccare lo sguardo dal televisore.
“Hai in mente qualche idea?”.
“Per il momento, stiamo a guardare. Non è escluso che si ritenga necessario effettuare un intervento diretto” affermò il detective.
“Di’ una parola e sarò alla Sakura TV” disse subito la ragazza, con tono leggermente più concitato.
“No” replicò subito Elle, un po’ secco “Sai come la penso: non fare niente d’insensato o di stupido, e non metterti in pericolo inutilmente”.
“Non ho parlato di niente del genere”.
“Ruri…”.
“Senti, smettila di preoccuparti, va bene? Faremo ciò che è necessario fare. Manteniamoci in contatto” concluse Ruri, sbrigativa.
“Non muoverti da quell’ospedale. Ti richiamerò”.
Elle riattaccò il telefono e lo mise da parte; tutti loro poterono notare che sul suo volto, oltre all’espressione cupa, era apparsa una vena decisamente preoccupata.
“…sono pervenute quattro audiocassette al direttore di questo programma. Non abbiamo il minimo dubbio che il mandante sia Kira” stava proseguendo il conduttore “Sul primo nastro, erano riportate la data e l’ora della morte di due indiziati arrestati qualche giorno fa: entrambi sono morti ieri di arresto cardiaco, esattamente come annunciato nella cassetta. Le istruzioni di Kira prevedevano che trasmettessimo questa seconda cassetta oggi pomeriggio alle 17.59 in punto. Come prova che si tratti del vero Kira, il nastro dovrebbe contenere altre previsioni di decessi, accompagnate da un messaggio rivolto alla gente di tutto il mondo”.
“Ma non sarà la solita montatura?” domandò Ukita, con tono frustrato.
“Ne dubito: c’è pur sempre un limite a tutto, anche al cattivo gusto”.
“E ora ascoltate” concluse il giornalista.
Ad un tratto, l’immagine del televisore cambiò, mostrando a un tratto la scritta ‘KIRA’ in caratteri gotici: ben presto, una voce modificata grossolanamente al computer invase la stanza.
“Sono Kira” esordì, dopo un breve silenzio “Se questo video verrà trasmesso correttamente il 18 Aprile alle 17.59 del pomeriggio, adesso dovrebbero essere le 17.59 e 48 secondi…ora, vi prego di cambiare canale e sintonizzarvi su Tahio TV. Il conduttore, Kazuiko Ibimha, morirà d’arresto cardiaco alle 18.00 in punto.
“Cosa?! Non è possibile…”.
“Presto, cambia!” esclamò Elle.
Watari sintonizzò immediatamente sul canale televisivo indicato dalla voce registrata: immediatamente, di fronte ai loro occhi esterrefatti, comparve l’immagine del conduttore televisivo appena citato, completamente riverso all’indietro e privo di vita.
“Ritorna su Sakura TV!” ordinò Elle “Watari, presto, porta qui un altro televisore, anzi…portane due”.
“Subito!” .
“Ora ucciderò un’altra persona, un altro giornalista, che ha più volte negato la mia esistenza…adesso dovrebbe essere in diretta sulla AB Channel. Il suo nome è Seijiko Matzuki” proseguì il killer.
“Ryuzaki!” esclamò Matsuda, allarmato.
“Vai sul canale 24” replicò Elle, attento a non perdersi un dettaglio di quella scena.
La nuova verifica portò allo stesso esito.
“Torna sulla Sakura TV”.
“Ora immagino che non avrete più dubbi sulla mia autenticità” disse la voce registrata.
Elle socchiuse appena gli occhi e iniziò a riflettere con la massima velocità, fino a quando ebbe uno scatto improvviso, che lo portò ad alzare appena la voce.
“Dobbiamo fermare la trasmissione prima che mandino il messaggio!”.
“Chiamo la Sakura TV!” esclamò Matsuda, precipitandosi verso il telefono fisso.
Aizawa si attaccò al cellulare, per poi imprecare in modo irato.
“Maledizione! Conosco uno che lavora per quel canale, ma adesso ha il telefono spento!”.
“Le linee di tutti gli uffici sono occupate!” sbottò Matsuda.
“Dannazione!” sbottò Ukita, afferrando la pistola e precipitandosi verso la porta.
“Ukita!” lo richiamò indietro Matsuda.
“Vado direttamente sul posto, e li fermo io!” dichiarò, uscendo in modo definitivo dalla camera.
“Signore e signori, ascoltatemi bene: non ho alcuna intenzione di uccidere persone innocenti. Io odio il male, e amo la giustizia: non considero la polizia mia nemica, ma mia alleata”.
Al sentir pronunciare quelle parole, Ryuzaki iniziò a tormentarsi il pollice destro, stringendo ancor di più gli occhi con espressione colma di odio.
*Bastardo…* pensò, con il massimo livore *Giuro che ti manderò sulla forca…*.
 
In quel preciso istante, nel reparto di cardiochirurgia dell’ospedale di Tokyo, Ruri manteneva a sua volta gli occhi fissi sullo schermo del televisore, senza perdersi una singola battuta del discorso di Kira: nel letto di fianco a lei, Soichiro seguiva la scena a sua volta, stanco ma comunque concentrato.
“È un bene che Sachiko non sia qui. Immagino che cercherebbe in ogni modo di convincermi a spegnere il televisore” commentò il sovrintendente, con tono debole.
Ruri non gli rispose, troppo presa dalle parole del serial killer.
“Io voglio creare un mondo dal quale il male sia bandito, e se voi sarete dalla mia parte, potrò realizzare facilmente il mio obiettivo. Non moriranno più innocenti, se rinuncerete a catturarmi. E anche se qualcuno di voi disapprova ciò che faccio, non verrà ucciso, a meno che non contesti pubblicamente il mio operato; tutto ciò che vi chiedo è di attendere ancora un po’, e vedrete che poi apprezzerete il mondo da me realizzato. Vi prometto che trasformerò questa società corrotta in un mondo nuovo, abitato solo da persone di buon cuore…provate a immaginare: un mondo protetto da me e dalla polizia…”.
“Ma che gentile…” commentò Ruri, disgustata “Mi fa venire il voltastomaco…”.
“Prova a cambiare canale: forse i telegiornali stanno dicendo qualcosa su quanto sta accadendo alla Sakura TV” le suggerì Soichiro, porgendole il telecomando.
“Sì, ha ragione” convenne Ruri, sintonizzando sul numero 27.
“…ci scusiamo per l’interruzione. Abbiamo delle immagini in diretta dall’ingresso della sede della Sakura TV! Guardate…c’è un uomo a terra! Esattamente di fronte alla sede della Sakura TV!” esclamò la giornalista inviata in diretta sulla scena.
Ruri ci mise qualche secondo per rendersi conto di quello che era appena accaduto: ma ben presto, i suoi occhi presero nota di ciò che era evidente; sapeva che quel corpo che aveva appena scorto non aveva semplicemente qualcosa di familiare…
“Ma…è…” mormorò appena, le mani serrate intorno ai braccioli della sedia.
“È Ukita…” sussurrò Yagami, con ogni muscolo del corpo in tensione “È Ukita…”.
“Ma…ma non è possibile! Kira avrebbe…avrebbe avuto bisogno di un nome per ucciderlo! Se davvero è riuscito ad arrivare a lui, ci sono solo due possibilità: ha avuto informazioni sul conto delle identità dei membri del quartier generale, oppure…ha acquisito ulteriori poteri omicidi che gli consentono di uccidere conoscendo solamente il volto della vittima. Ma se così non fosse…”.
Ruri afferrò subito il cellulare, iniziando a comporre il numero di Ryuzaki.
“Devo accertarmi che stiano bene!!” sbottò, avviandosi verso la porta.
“Aspetta, Ruri!! Che cosa hai intenzione di fare?!” le domandò Soichiro, concitato.
“Voglio verificare che Ryuzaki e gli altri stiano bene, dopodiché andrò alla Sakura TV! Devo fare qualcosa!” esclamò la ragazza, afferrando la sua giacca.
“Ruri, devi pensare a quello che fai! Non lo hai appena detto tu stessa?! E se Kira adesso fosse in grado di uccidere solamente conoscendo il volto delle sue vittime? Se ti vedesse in faccia?” esclamò il sovrintendente, preoccupato.
“Non mi vedrà in faccia, glielo assicuro: starò attenta” lo tranquillizzò Ruri, con un breve sorriso “Ora che ci penso, forse è meglio che sia lei a chiamare Ryuzaki: immagino che farebbe tutto il possibile per impedirmi di andare sul posto”.
“E farebbe la cosa giusta! Quant’è vero che mi chiamo Soichiro Yagami, non andrai alla Sakura TV, Ruri!” esclamò il poliziotto.
“Sovrintendente…”.
“Non senza di me” l’anticipò il poliziotto, iniziando ad alzarsi dal letto “Su, dammi una mano a recuperare i miei vestiti. Ho in mente un piano per entrare là dentro, ma è meglio che sia tu a guidare. Immagino che tu non abbia problemi a creare un po’ di vandalismo”.
Ruri gli rivolse un sorriso complice, scuotendo la testa.
“Come agente dell’FBI e collaboratrice al caso Kira, le direi di rimanersene a letto a riposare. Ma come cardiopatica impulsiva e provvista di tendenze al vandalismo, direi che è ora di andare a spaccare il culo di qualche giornalista. Le do una mano, ma si ricordi che è stata una mia idea, d’accordo?”.
 
In quello stesso momento, al quartier generale, Aizawa si precipitò in direzione della porta della camera da letto, intenzionato a precipitarsi dall’amico Ukita, quando la voce di Ryuzaki lo richiamò indietro.
“Dove pensa di andare, Aizawa?” domandò il detective, voltandosi appena.
“Vado da Ukita, mi sembra ovvio, no?!” sbottò il poliziotto.
“Non lo faccia. La prego di calmarsi” lo esortò Elle.
“Dovrei stare qui a guardare la TV senza fare niente?!?” sbottò l’uomo, sempre più irato.
“Se questa è opera di Kira…farà la stessa fine, precipitandosi là” sottolineò il detective.
“Credevo che Kira avesse bisogno di sapere il nome per uccidere! E allora mi spieghi com’è potuto accadere?!” sbottò Aizawa, con un tono che tendeva alla disperazione.
“Il falso distintivo non è servito a niente! È possibile che quel maledetto di Kira sia già riuscito a scoprire i nostri veri nomi?!” domandò Matsuda.
“Chi lo sa, potrebbe anche essere…” disse lentamente Elle “Se così fosse, non sarebbe stato più semplice per Kira uccidere gli uomini del quartier generale, prima di agire? Secondo la mia teoria, Kira ha bisogno di un volto e di un nome per uccidere…ma dopo quanto ho appena visto, non me la sento più di escludere che gli sia sufficiente solo il volto. Tutto quello che posso affermare è che Kira si trova là dentro, o in qualche posto da cui può sorvegliare chiunque cerchi di entrare nell’edificio”.
“Scusami tanto, ma se Kira è da quelle parti, allora che ci stiamo a fare ancora qui?!?” sbottò Aizawa.
“Potrebbe aver lasciato soltanto delle telecamere…se andassimo là senza riflettere, finiremmo per farci uccidere” disse il detective.
In quel preciso istante, Aizawa lo afferrò rudemente per il braccio, iniziando a scuoterlo appena.
“Ma non dicevi che eri disposto a rischiare la vita pur di arrestare Kira?!” sbraitò.
“Sì, è esattamente quello che ho detto” replicò Elle, senza scomporsi “Ma rischiare la propria vita per arrestare un criminale come Kira non significa farsi uccidere da incoscienti…”.
“CHE COSA HAI DETTO?!?” gridò Aizawa, ma in quel preciso istante la loro conversazione venne interrotta da Watari, intento a entrare di corsa.
“Ryuzaki, c’è Ruri sulla linea 3! Dice che deve parlarti urgentemente!”.
Aizawa lo lasciò andare di scatto, ma prima che potesse rendersene conto Elle si era già alzato in piedi ed era sgusciato autonomamente dalla sua portata, afferrando subito il cellulare che Watari gli stava porgendo.
“Ruri, cosa succede?”.
“Stai bene?” fu la prima domanda che gli fece, con tono concitato.
“Sì, sì, sto bene. Stiamo tutti bene. Hai saputo di Ukita?” le domandò, continuando a rimanere in piedi.
“Sì, l’ho appena visto in televisione. Pensi quello che penso io?”.
“È probabile che Kira abbia ottenuto ulteriori poteri. Forse adesso gli basta conoscere il volto per uccidere…” disse Elle.
“Già, è proprio quello che mi è venuto in mente. Ad ogni modo, dobbiamo fare qualcosa per impedire che questa follia vada avanti” disse la ragazza.
“Che cosa stai…”.
“Ryuzaki, sto andando sul posto. Ho bisogno di una mano”.
“STAI FACENDO CHE COSA?!” sbottò Elle, facendo trasalire tutti.
“Senti, non avrai pensato che me ne sarei stata a guardare? Farò attenzione, te lo prometto, non sarà un problema entrare. La questione sarà come uscire. Puoi garantire un’uscita sicura a me e al sovrintendente?” chiese Ruri, parlando molto velocemente.
“Il sovrintendente? È uscito dall’ospedale?” domandò Elle, con tono più controllato.
“Senti, ti spiego tutto meglio quando questa faccenda sarà finita, va bene? Ma ci serviranno più di due pistole quando usciremo da qui, e dobbiamo essere sicuri di avere qualcuno che ci copra le spalle. Puoi occuparti della cosa?”.
Elle sospirò pesantemente, ma poi decise di fare buon viso a cattivo gioco.
“Va bene, ci penso io. Richiamami non appena ci saranno novità”.
“D’accordo”.
“Ruri…!” la chiamò per l’ultima volta, facendo sì che non riattaccasse.
“Cosa c’è?” chiese la ragazza.
Elle si prese una lunga pausa, consapevole che altre persone erano in ascolto della telefonata e stavano ben attente a spiare ogni sua reazione.
“…fai attenzione” le disse alla fine, con il tono più naturale del mondo.
Ryuzaki chiuse la telefonata, mentre il delirante messaggio di Kira andava avanti.
“La polizia decida se è disposta o no a collaborare con me per la realizzazione di un nuovo mondo: mi faccia pervenire la sua risposta entro quattro giorni, al telegiornale delle 18. Ho già programmato che, a seconda della risposta, venga trasmesso un video diverso…”.
“Che cosa sta succedendo, Ryuzaki?” domandò Matsuda, preoccupato.
Elle tornò a sedersi senza rispondere, gli occhi fissi sul televisore e il cuore che gli batteva più forte di quanto non avrebbe voluto ammettere; per la prima volta in vita sua, capì che la sua mente stava pregando affinché le sue paure non si realizzassero.
 
In quel medesimo istante, Ruri prese violentemente una curva, sorpassando un semaforo rosso e una serie di macchine incolonnate nel traffico; la sirena dell’ambulanza che avevano trafugato era impostata sul massimo del volume, eppure sia lei che il sovrintendente sembravano sordi a quel rumore, concentrati com’erano sul loro obiettivo. Infine, la sede della Sakura TV comparve di fronte ai loro occhi; invece di rallentare, Ruri premette sull’acceleratore e si preparò a fare ciò che lei e il sovrintendente avevano precedentemente concordato.
“Si regga forte!!” esclamò Ruri, sterzando sul volante e accelerando ancor di più.
Nell’arco di un paio di secondi, l’ambulanza era finita contro le pareti di vetro della sede della Sakura TV, sfondando definitivamente le finestre e invadendo del tutto l’ingresso principale.
La guardia di sicurezza, sbalzata a terra dall’impatto, si rialzò in piedi e si diresse verso il loro mezzo a passo di carica.
“Ma che vi passa per la testa?!?” sbottò, ma, prima che potesse aggiungere un’altra parola, Ruri era già scesa dall’ambulanza, con il volto semicoperto e la semiautomatica in mano.
“Stammi bene a sentire, damerino in divisa: adesso tu ci dici immediatamente dove si trova lo studio da cui stanno trasmettendo il video di Kira. Adesso” ribadì, mostrando meglio la pistola “Prima che perda la pazienza!!!”.
“Al…al terzo piano, sala 4” balbettò l’uomo, indietreggiando di fronte all’arma.
In quel momento, la giovane venne raggiunta dal sovrintendente, che a sua volta aveva il volto parzialmente coperto.
“Si sente bene?” domandò Ruri.
Il poliziotto annuì, impugnando a sua volta la pistola.
I due si precipitarono al piano superiore, irrompendo subito nella stanza da loro indicata dalla guardia di sorveglianza.
“POLIZIA!!” gridò Soichiro, non appena ebbero sfondato la porta con un calcio “Interrompete immediatamente la trasmissione!!”.
“Ma che succede…?!” esclamò Demegawa, il direttore della rete televisiva.
“Ti ho detto di fermare il video di Kira, subito!!” ribadì Yagami, con espressione furiosa.
“Ehi, aspetti un momento! Se sospendiamo la trasmissione, verremo tutti uccisi da Kira!” protestò l’uomo, sollevando le mani.
Senza pensarci ulteriormente sopra, Ruri estrasse la pistola e gliela puntò contro.
“STA’ ZITTO!!” sbottò, puntando dritto contro il cuore del giornalista “Dacci quella roba, così almeno eviterai di morire ora!!”.
“Ma…ma che le salta in mente, è impazzita?!” protestò ancora Demegawa.
“Hai voluto fare di Kira una specie di star, e adesso guarda!” seguitò il sovrintendente “Stai raccogliendo solo quello che hai seminato!”.
“Dacci anche tutte le copie che avete fatto! E ora basta con le storie!” concluse Ruri, togliendo la sicura alla pistola.
“E va bene, va bene, ho capito! Gliele do, gliele do, però metta via quella pistola, ok? Non mi piace il suo sguardo…”.
Ruri afferrò la busta con le audiocassette e uscì dalla sala con il sovrintendente, rivolgendogli un piccolo sorriso soddisfatto.
“Va bene, adesso prenda fiato: dobbiamo pensare a come uscire di qui”.
 
Nella stanza d’albergo, Ryuzaki e il resto della squadra investigativa tenevano gli occhi puntati sul televisore; il servizio del telegiornale aveva appena annunciato in diretta che uno strano mezzo di trasporto di dubbia identificazione era riuscito a sfondare l’ingresso principale della sede della Sakura TV, senza che le telecamere fossero riuscite a riprendere il volto di chiunque fosse alla guida. In quel preciso istante, la vicenda si stava sviluppando.
“Ecco, finalmente una pattuglia ha raggiunto il luogo dell’incidente!” esclamò la giornalista in modo concitato.
“Questo vuol dire che non siamo soli, anche all’interno della polizia c’è qualcuno che reagisce” affermò Matsuda, riflessivo.
Elle rimase in silenzio per qualche secondo, ma quando aprì bocca era risoluto come al solito.
“Aizawa…lei ha il numero di cellulare del vice-direttore Kitamura, non è vero?”.
“Sì, certo” affermò il poliziotto.
“Lo chiami subito, per favore”.
Aizawa compose il numero e passò subito il telefono a Elle, che lo avvicinò istantaneamente all’orecchio.
“Aizawa, ti avevo detto di non chiamarmi…” lo sentì rivolgerglisi.
“Sono Elle” lo interruppe, prima che potesse continuare “Ho una richiesta da farle, vice-direttore: alcuni poliziotti, dopo aver visto quanto sta accadendo, hanno cominciato ad agire di propria iniziativa. Se i vertici non prendono in mano la situazione, sarà una tragedia…”.
“Ma, veramente…avevamo stabilito di non occuparci di questo caso…”.
In quel preciso momento, le immagini del telegiornale mostrarono i due poliziotti accorsi sulla scena dell’incidente accasciarsi al suolo, privi di vita; mentre la giornalista commentava urlando quant’era appena accaduto, Elle udì il vice-direttore sospirare con tono grave.
“E va bene, Elle. Consigliami tu come gestire l’operazione”.
Appena udita la sua risposta, Elle avvertì il cellulare di Watari iniziare a squillare.
“È Ruri” affermò il suo mentore, non appena ebbe risposto.
“Passami il telefono, Watari” ordinò, allungando la mano libera.
“Ruri, sono io” le si rivolse “Com’è la situazione?”.
“Tutto secondo i piani. Abbiamo recuperato ogni nastro: adesso veniamo a portarteli” rispose la ragazza.
“E voi come state? È tutto a posto?” domandò, con più coinvolgimento di quanto avrebbe voluto.
“Stiamo bene, Ryuzaki. Piuttosto, adesso prova a spiegarmi come facciamo ad uscire di qui: l’ingresso è pericoloso, ma con quel mezzo non dovrebbero esserci problemi, giusto?”.
“Aspetta un momento in linea” disse, prima di tornare a rivolgersi all’altro ricevitore “Vice-direttore Kitamura, come vanno i preparativi, lì?”.
“Ho fatto come mi avevi detto” replicò l’uomo.
“Ruri” disse il detective, riprendendo a parlare con la giovane “Fra cinque minuti, uscite a viso scoperto dall’ingresso principale”.
“A viso scoperto? Ne sei sicuro?”.
“Fidati di me. Andrà tutto bene”.
“D’accordo. Ci vediamo al quartier generale”.
“Ruri…”.
“Senti, non farmi la predica, va bene? Lo so come la pensi, ma non potevo…”.
“Ottimo lavoro” le disse semplicemente, senza riuscire a trattenere un piccolo sorriso.
Prima che la ragazza potesse replicare, aveva già riattaccato.
Non passò più di mezz’ora da che Ruri e il sovrintendente erano di nuovo al sicuro al quartier generale, accolti da Watari, che si affrettò ad aiutare Ruri a sorreggere Soichiro.
“Sovrintendente Yagami!” esclamarono in coro Matsuda e Aizawa, al loro ingresso “Ruri! State bene?”.
Con la mano libera, Ruri si tolse la parrucca e scosse appena la chioma scura, rivolgendo un breve sorriso a tutti i presenti.
“Mi piacerebbe dire che è filato tutto liscio come l’olio, ma direi che abbiamo attirato parecchio l’attenzione. Ad ogni modo, la refurtiva adesso è al sicuro”.
“Ryuzaki…” mormorò Soichiro, rivolgendosi al detective, che si era appena alzato in piedi “Scusaci se abbiamo agito di testa nostra…forse…forse siamo stati troppo impulsivi…”.
“No, affatto” gli rispose Elle, malgrado i suoi occhi fossero incapaci di staccarsi da quelli di Ruri “Vi assicuro che il vostro gesto vedrà i suoi risultati”.
“Ecco la busta” disse Ruri, passandogliela subito “Qui dentro c’è tutto il contenuto della busta spedito da Kira”.
“Vi ringrazio molto” disse Elle, prendendo la busta dalle mani di Ruri e sfiorandole così appena le dita.
Mentre il sovrintendente andava a sedersi sul divano, attorniato da Matsuda, Aizawa e Watari, Elle tornò a fissarla negli occhi, stringendole la mano con più intensità.
“Stai bene?” le domandò, a voce bassa.
“Certo che sto bene, te l’ho già detto” lo rassicurò Ruri “Senti, lo so che avrei dovuto ascoltarti e che sei tu a dirigere le operazioni, ma non potevo starmene ferma senza fare niente. Quando…quando ho visto il corpo di Ukita, è stato come…”.
“Ti sono debitore. Grazie a te e a Yagami abbiamo recuperato del materiale prezioso, e ciò non sarebbe stato possibile, senza la tua impulsività” replicò, con un tono più piatto del normale.
Ruri cercò di incrociare di nuovo il suo sguardo, notando che Elle aveva appena rotto qualunque genere di contatto fra loro.
“Sei molto arrabbiato con me, non è vero?” gli domandò, di sottecchi.
“Più di quanto potresti immaginare” replicò Elle, gelido.
Poi, come se niente fosse, le porse le buste che avevano contenuto le audiocassette spedite da Kira.
“Guarda…il timbro postale è di Osaka. Ma, dato che può manovrare le azioni delle sue vittime, non avrà certo avuto bisogno di andare personalmente a imbucarla, tu non credi?”.
“Sì, immagino che tu abbia ragione. Se trovassimo tracce di qualunque genere, comunque, potremmo arrivare a qualsiasi persona che abbia avuto contatti con Kira…forse non è la pista migliore che abbiamo, ma potrebbe rivelarsi interessante” commentò Ruri, cercando a sua volta di adottare un tono neutrale.
Fece per rivolgergli di nuovo la parola, ma in quel momento Ryuzaki si rivolse ad Aizawa, senza degnarla più di uno sguardo.
“Aizawa, le dispiacerebbe occuparsi di analizzarla?”.
“Non c’è alcun problema, Ryuzaki: ho molte conoscenze alla Scientifica, faranno un buon lavoro” affermò Aizawa.
“La ringrazio molto” ribadì il detective “Mentre lei si occupa di quella, io e Ruri vedremo di esaminare il contenuto delle copie. Direi che per adesso è tutto, signori”.
Nell’arco di una decina di minuti, tutti gli agenti vennero congedati, e il sovrintendente venne accompagnato all’ingresso dell’albergo direttamente da Watari, ma non prima d’aver stretto per un’ultima volta la mano a Elle e a Ruri.
“Non ce l’avrei fatta, senza di lei” disse al detective, mormorando nel tentativo di non farsi sentire “Credimi, è stata fenomenale. Non essere troppo duro con lei”.
Ryuzaki evitò di rispondergli e si limitò a un breve sorriso, mentre gli agenti del quartier generale li lasciavano definitivamente soli.
Senza pronunciare una singola parola, Elle tornò ad assumere la sua posizione, sedendosi nel suo modo consueto e fissando gli occhi sul televisore: decisa a tenere il punto e a fare buon viso a cattivo gioco, Ruri prese posto il più lontano possibile da lui e iniziò a sua volta a concentrarsi sui nastri che il ragazzo aveva appena inserito nell’apposito registratore audio-visivo. Andarono avanti a esaminare il contenuto di quella documentazione per molte ore, fin quando, a notte fonda, Ryuzaki afferrò d’istinto il telecomando del televisore e lo spense in modo brusco, facendo sì che Ruri si voltasse verso di lui con espressione stranita.
“Mi dispiace” le disse, quasi sussurrando.
Ruri si sforzò di sorridergli e di rimangiarsi subito la risposta acida che le stava affiorando alle labbra.
“Sì, lo so…dispiace anche a me”.
“Sei stata in gamba, oggi. Beh, certo, sei stata folle, sconclusionata, completamente irrazionale e impulsiva a dir poco, ma sei stata davvero in gamba. Hai agito al momento giusto e hai ottenuto quello che ci serviva, dando anche il giusto impatto ai media. Ci sono state reazioni favorevoli anche da parte della stampa, come avrai notato. Le Golden News erano entusiaste della vostra entrata in scena” disse il detective, lasciandosi scappare un sorrisetto.
“E allora perché ce l’hai tanto con me?” domandò Ruri, incrociando le braccia.
“Non…non ne sono sicuro” confessò Elle, giocherellando con una zolletta di zucchero “Forse avrei voluto che ci comportassimo maggiormente come una squadra, oggi…avrei voluto…”.
“Siamo stati una squadra. Ci siamo dati una mano a vicenda. Senti, Elle, dico sul serio: va tutto bene. Stiamo bene, siamo qui. Non è successo nulla”.
“Ma poteva succedere” sottolineò Elle “Com’è successo a Ukita…”.
“Potrebbe succedere in qualsiasi istante. Non possiamo prevedere ogni singola mossa del nostro avversario: e adesso non dirmi che ti senti in colpa per quello che è accaduto a Ukita!” esclamò Ruri.
In quel preciso istante, notò il modo quasi compulsivo in cui Elle si stringeva le ginocchia, aggrappandosi alla stoffa dei jeans come se si fosse trattato dell’unico lembo di terra che gli impediva di precipitare nel vuoto.
Senza fare il minimo rumore, si alzò in piedi e andò a sedersi accanto a lui, sfiorandogli appena il dorso della mano e facendo così in modo che lui allentasse lentamente la presa, malgrado i suoi occhi non si staccassero dalla parete di fronte.
“Non è stata colpa tua…” gli mormorò appena, passando a sfiorargli la fronte.
“Sono a capo delle indagini sul caso Kira. Sono io che formulo le ipotesi e che cerco di dare delle certezze a questi agenti: certo che è stata colpa mia”.
“Non puoi addossarti la responsabilità di tutto. Non puoi pretendere di poter controllare tutto quello che accade” gli ricordò Ruri.
“Vorrei che le cose potessero essere diverse…vorrei…che tutto fosse diverso”.
Senza capire bene cosa volesse dire, Ruri attese che continuasse, con il fiato sospeso.
“È solo che…è stato come…come rivivere in parte quello che ti è successo in ospedale. Ho pensato…’E se le succedesse qualcosa? E se non fossi in grado di fare in modo che non le venga fatto del male?’. Ho passato tutta la vita a escogitare piani e a riflettere, ma adesso…ho come la sensazione che sia tutto inutile”.
Ryuzaki la fissò dritto negli occhi, stringendole appena la mano.
“Mi dispiace” ripeté “Non ti meriti questo”.
“Non hai fatto niente di così orribile. In fondo, sei stato solo scorbutico: era normale che ti preoccupassi. Ma adesso io sono qui, e sto bene” proseguì la ragazza, facendo per accarezzarlo ancora.
Rimase ferita nel rendersi conto che lui stava scansando il suo contatto.
“Elle…”.
“Scusami, è solo…è solo che ho bisogno di stare un po’ da solo. Scusami” ripeté, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la loro camera da letto, con le mani in tasca e lo sguardo spento “Dammi soltanto un’ora, e poi riprenderemo il lavoro”.
“Va bene…” mormorò Ruri, più triste di quanto non avrebbe mai voluto ammettere.
“Ruri…” disse infine il detective, fermandosi sulla soglia e voltandosi appena verso di lei.
“Sì?” replicò lei, alzando lo sguardo, l’espressione indecifrabile.
“…te l’avevo detto che non ero giusto per te”.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….ehm…beh…non so neanche bene da dove iniziare…CIAOOOOOOOOOOOOOOO!!!! ODDIO QUANTO MI SARETE MANCATI!!! Ebbene, non sono morta, no, no, no!!! Proprio no!! Ero solo entrata in un lunghissimo letargo, ma adesso sono di nuovo in città e vi prometto, VE LO GIURO, VI DO LA MIA PAROLA D’ONORE, che non me ne andrò mai più!!! MAI PIU’!!! Vi amo troppo per assentarmi di nuovo così tanto!!! E devo chiedervi anche scusa per un altro piccolo dettaglio: il capitolo è più obbrobrioso del solito!! Lo so, lo so, chiedo venia, ma tenete presente che l’ho scritto tutto d’un fiato stasera dopo che la storia era stata ferma per più di un anno! Tranquilli, adesso ho tutto pronto, finale compreso, perciò niente più blocco dello scrittore!! Fra l’altro, ho un annuncio importante da fare riguardo a questa storia, ma ormai credo proprio che me lo terrò per il prossimo capitolo, dato che è mezzanotte passata e domani si studia -.- ah, una cosa!! Ad alcuni di voi sarà arrivato un messaggio in cui annunciavo che eravamo a più di metà della storia, considerando che i capitoli sarebbero stati 30…in realtà, ho fatto questo calcolo basandomi sulla possibilità di accorpare almeno tre episodi di ‘Death Note’ per capitolo, ma mi sono resa conto che alcuni sono così pieni di avvenimenti che è difficile starci dietro come avrei voluto (come avete visto, in questo capitolo non si è esaurito neanche un episodio!), quindi vedremo un po’ come si sviluppa tutto quanto ^^ Beh, che mi dite? So che non era proprio il massimo e che qui Ruri ed Elle non hanno avuto gran momenti di intimità, e che non vi aspettavate un capitolo di transito dopo un’attesa così lunga, ma ci tenevo a postare il prima possibile per farvi capire che sono tornata e che adesso, davvero, non vi lascerò mai più, a prescindere da tutto!! Bene, spero che non mi odierete al punto da avermi abbandonata del tutto, e mi scuso se non ringrazio subito coloro che hanno inserito la storia nelle seguite/preferite/ricordate e che hanno commentato lo scorso capitolo, prometto che sarà la prima cosa che farò nel capitolo 19 (che non tarderà troppo ad arrivare, promesso). Nel frattempo, mando un bacione a tutti e un augurio di buone vacanze (anche se in ritardo, come mio solito XD). Davvero, non vi lascerò più, stavolta parlo sul serio!! Un bacione a tutti e a prestissimo dalla vostra Victoria :D <3   

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Capitolo 19
*** Lies ***


Nota dell’Autrice: Ehi, ehi, ehiiiii, salve, miei cari!! Lo so, so cosa state pensando…’Due Note dell’Autrice in un singolo capitolo? Vic, ma ci vuoi proprio morti!!!’ Ahahahah lo so, lo so, avete perfettamente ragione! È solo che la scorsa Nota dell’Autrice posta alla fine del capitolo 18 era un po’ frettolosa, e non rendeva giustizia a tutti voi e a tutto il vostro incredibile sostegno, senza il quale ‘Sugar and Pain’ oggi non esisterebbe nemmeno più. Vi giuro, ero così scoraggiata che sono stata sul punto di cancellarla…ma poi ho pensato a voi e al vostro entusiasmo, alla vostra passione, a tutto quello che avete fatto per me in questi mesi, alla vostra tensione, al vostro coinvolgimento nella storia d’amore fra Elle e Ruri, al vostro desiderio di sapere se alla fine sopravvivranno o no (e anche di sapere se Robin e Matsuda finiranno davvero insieme, chi lo sa XD). Ho pensato anche agli stessi Ruri ed Elle, e mi sono detta che non sarebbe stato giusto neanche nei loro confronti. In sostanza, siamo ancora qui, ma se ci siamo è grazie a voi. Dico sul serio, non vi lascerò mai più, non sapete quanto mi siete mancati :D Bene, detto ciò, passo a ulteriori ringraziamenti concreti, dato che, in quest’occasione, ho deciso di tenermi la Nota dell’Autrice finale per fare un annuncio un po’ speciale e che sinceramente mi sta emozionando parecchio…ma per scoprire di cosa si tratta, dovete leggervi tutto il capitolo, MUAHAHAHAHAAHHA!!! XDXD Molto bene, detto tutto ciò, premetto che cercherò sempre di aggiornare il prima possibile (il mio ideale sarebbe con la cadenza di una settimana, ma purtroppo non posso promettervelo XD). E ora finalmente, giungiamo a ringraziarvi a uno a uno! Prima di tutto, grazie a Ell3 e a Selfless Guard (ti conosco dai tempi in cui eri Annabeth_Ravenclaw, aaaaw *_*) per aver subito commentato il capitolo 18 e per aver sempre continuato a credere in ‘Sugar and Pain’, vi adoro (un ringraziamento particolare al mio amico Ell3 per lo splendido incoraggiamento e per tutto l’affetto, sei impareggiabile!!). Grazie a tutti coloro che hanno commentato la storia fino ad ora, ossia a: PotterHeart_394 (sei UNICA), TalithaElle, Oki97, tuttopepe, AnonimaKim (spero davvero che riprenderai a commentare, le tue recensioni erano a dir poco commoventi), RyuuguRena (anche noi ne abbiamo passate, su questo bel sito!), Cost Black, gloomy_soul, Zakurio, hatake_san, Shikacloud, loren, norahmckey, J_Jace, Hilarysan, Black_Sky, Darknightdancer e Rack12345!! Grazie di nuovo ad AnonimaKim, a Ell3, a Cost Black, a gloomy_soul, a hatake_san, a Hilarysan, a J_Jace, a noramckey, a PotterHeart_394, a Selfless Guard, a TalithaElle e a tuttopepe per aver inserito la storia fra le preferite, così come hanno fatto fabyd, kiki820, Lady Night, Mana Nakano, margyfly, mignolina94 e The Fire!! Grazie ancora a Zakurio, a gloomy_soul, a J_Jace, a noramckey e a The Fire per aver inserito la storia anche fra le ricordate, come hanno fatto anche Kushina isamu e trendyv!! E infine, un immenso GRAZIE a chi l’ha inserita fra le seguite, ossia ad Alecraft Mounts, ad AnonimaKim, a Black Sky, a Cost Black, a Freedom111, a GaiaStyles, a gloomy_soul, a Himari e Nikki, a J_Jace, a Kaori_00_Chan, a kiara_levi, a Lawliet_D, a Lo Stregatto, a noramckey, a Oki97, a PotterHeart_394, a Selfless Guard, a Shikacloud, a sinfovnia, a TheLadyVampire97, a WikiJoe, a lorena14 e a Zedd!! Ooooh, ce l’ho fatta, credo di non aver dimenticato nessuno, in caso, perdonatemi infinitamente!! …adesso capite perché non potevo abbandonare la storia?? Molto bene, adesso ho davvero finito di rompere le palle, e direi che possiamo iniziare! Siete carichi?? ANDIAMO!!
 
 
 
 
 
 
Capitolo 19- Lies
 
Ruri continuò a fissare la porta dietro cui era scomparso Elle per diversi minuti; non avrebbe voluto ammetterlo, ma le sue parole l’avevano ferita ancor di più di quanto avrebbe immaginato. Pensare che Elle potesse ritenere la loro relazione un errore era qualcosa che le aveva sempre fatto paura, fin dal primo giorno in cui entrambi avevano finalmente accettato quel sentimento, così strano e innaturale per entrambi, ma sentirlo parlare in quel modo era a dir poco frustrante. Si rendeva conto di quanto per lui le cose potessero essere nuove e difficili, eppure, la sola idea che lui potesse considerarla un impiccio o una fonte di debolezza la faceva star male e sentire inadeguata e fuori posto.
*Maledizione, non può fare così e basta!* si disse infine, alzandosi in piedi e marciando verso la porta della loro camera da letto *Non gli permetterò di chiudersi a riccio ancora una volta!*.
Prima di entrare, si fermò solo per un istante sulla soglia, ma infine prese un bel respiro profondo e si decise a fare il passo decisivo, abbassando la maniglia ed accedendo definitivamente a quell’area della suite, per poi chiudersi subito la porta alle spalle.
Nel vederla entrare e avvicinarsi a passo di carica, Elle non poté che lanciarle uno sguardo perplesso, quasi stralunato.
“Ruri, credevo che…”.
Le parole gli morirono in gola prima che potesse continuare, quando la ragazza gli si fermò di fronte e finì per scagliargli un pugno sulla guancia sinistra, così forte da farlo indietreggiare di qualche passo.
“Questo è per aver detto che non sei la persona giusta per me” sottolineò la giovane, incrociando le braccia “Sei il più grosso idiota che sia mai comparso sulla faccia della Terra! Lo sai, non è vero?”.
“Ho soltanto detto la verità” si strinse nelle spalle Elle, con lo sguardo al suolo “Immagino che non sia questo il rapporto che desideravi per te stessa…”.
“Come al solito, sei un po’ troppo presuntuoso e sicuro delle tue capacità. Non puoi pensare sempre di essere in grado di entrare nella mente e nel cuore delle persone a tuo piacimento! O magari il punto è che stai cercando di convincerti che sia io quella che non ti vuole nella sua vita?!” esclamò Ruri, mettendolo alle strette.
Elle alzò appena lo sguardo, le mani ancora in tasca, e le rivolse un sorriso appena accennato, caratterizzato da una vena di colpevolezza.
“Mi hai scoperto, eh?” le disse, con tono un po’ amaro.
Ruri sospirò profondamente e andò a sedersi sul letto; con sua sorpresa, il detective la imitò e finì per accomodarsi accanto a lei.
“Pensavo che fosse finita” mormorò Ruri, abbracciandosi le spalle “Pensavo…sì, insomma, che adesso avessi superato i tuoi dubbi…”.
“Non ho dubbi su di noi. Sto soltanto sperimentando qualcosa che non avevo mai conosciuto prima; scusami, Ruri. Non volevo essere indelicato” disse il detective, con la massima sincerità.
“Beh, neanche io sono stata molto diplomatica” ridacchiò Ruri, carezzandogli appena la guancia arrossata “Ti ho fatto molto male?”.
“Diciamo che avevo sottovalutato alcune delle tue capacità” ammise Elle, con voce flautata.
“Ehi, facevo pur sempre parte dell’FBI! Non ti aspettavi che avessi bisogno della guardia del corpo, non è vero?” affermò Ruri, alzando un sopracciglio.
“No. So bene quanto tu sia forte e so che sei in grado di cavartela. Ho sempre avuto tutte le informazioni e i dati che mi servivano sul tuo conto per capire che ne eri capace e che saresti comunque riuscita a venire fuori da qualsiasi situazione in cui questo caso ci avrebbe messo. Tuttavia…” disse, prima di prendere una pausa che sembrò molto lunga ad entrambi “…mi sento come se fossimo costantemente sospesi sul filo del rasoio”.
“Direi che è normale: questo non è un caso come gli altri” constatò Ruri.
“Non è quello che volevo dire”.
Il modo in cui aveva pronunciato quelle parole e in cui aveva preso di nuovo ad aggrapparsi alla stoffa dei pantaloni le fece finalmente capire di che cosa stava parlando.
“Hai avuto paura?” gli domandò, a voce bassa.
Elle continuò a fissare il pavimento con la sua abituale espressione da bambino sperduto, e infine annuì, senza riuscire a guardarla in volto.
“Elle…” sussurrò Ruri, iniziando a stringergli appena una mano “Potevi parlarmene…”.
“Ti saresti arrabbiata anche tu. Avremmo passato la serata a discutere, invece che a lavorare” sottolineò Elle, sollevando appena le spalle “E inoltre, non sarebbe stato un confronto molto producente…”.
“Sai, nelle coppie raramente i confronti sono molto producenti” ammise Ruri, con un sorrisetto amaro “Soprattutto quando parliamo del rapporto che c’è fra due casi clinici come noi due…”.
Elle alzò finalmente lo sguardo e le rivolse un sorriso vero, uno di quelli che dedicava soltanto a lei e che si rivelavano sempre in grado di farla sentire in pace con il mondo.
“Immagino di essere un vero disastro” proseguì Ruri “Beh, anche io ti avevo avvertito”.
“Non sei un disastro” la contraddisse Elle “E io ti amo”.
“Lo so” annuì Ruri, carezzandogli appena i capelli “È per questo che sono qui. Non capisci che è questa la ragione per cui avevi tanta paura?”.
“Lo comprendo razionalmente, ma è qualcosa che faccio fatica ad accettare. È questo il motivo per cui volevo chiuderti fuori dalla mia vita. Temevo…temevo che un giorno mi sarei sentito così. Temevo di non avere il controllo”.
Ruri si scostò appena da lui, incerta su come interpretare quello che aveva appena detto.
“Che vuoi dire? Stai…stai pensando di…”.
In modo inaspettato, Elle le strinse forte la mano e l’attirò a sé con uno scatto repentino, quasi mozzandole il fiato e abbracciandola in modo compulsivo, quasi con troppa forza.
“È tutta colpa tua” le mormorò all’orecchio “È come se mi fossi entrata dentro…come se fossi parte di tutto ciò che sono”.
“Una specie di malattia che ti ha contagiato, insomma” rise Ruri, nel tentativo di alleggerire la tensione.
“Io non ti posso perdere”.
Lo aveva detto come una sorta di constatazione, più che come una vera e propria dichiarazione di sentimento, eppure il suo tono, così posato e al tempo stesso così intenso, le bastò per dissolvere qualsiasi dubbio gravasse sul suo cuore e la portò a formulare un sorriso più sereno del solito.
“Non mi perderai, Elle. Te lo prometto” disse la ragazza, stringendosi a sua volta alle sue spalle.
Dopo un tempo che parve infinito ad entrambi, Ruri sciolse il loro abbraccio e lo guardò dritto negli occhi, scostandogli i capelli dal campo visivo.
“Sei ancora arrabbiato con me?” gli domandò, con un piccolo sorriso colpevole.
“No…ma non prendere più iniziative senza prima dirmelo. Lo sai che ho bisogno di avere il controllo sull’operazione. Te lo chiedo come un favore personale”.
“Promesso” annuì Ruri, prima di baciarlo lentamente e in modo sempre più passionale.
Mentre Elle rispondeva al suo bacio, la ragazza avvertì le mani di lui scorrere lentamente in direzione del suo ventre e dei suoi fianchi, dove presero a muoversi in modo armonico e delicato; con un gesto altrettanto dolce, ma fermo, lo scansò appena e interruppe il bacio.
“Adesso sei tu ad essere arrabbiata?” le domandò Elle, con aria perplessa.
“No, ma devo richiamarti all’ordine, signor detective: abbiamo del lavoro da fare” disse la ragazza, alzandosi in piedi in modo scattante.
“Dovresti saperlo che non c’è colpo che non renda. E poi, una mente ben organizzata ha bisogno di qualcosa che faccia in modo che funzioni a dovere” constatò Elle, avvicinandosi di nuovo a lei “Hai notato che da qualche tempo mangio meno dolci?”.
“Ah, intendi dire che ti sbafi quattro torte invece di cinque, quando Watari serve il the? Non pensavo d’essere io la responsabile del miracolo” ammise Ruri, lasciando che le mani di lui la spogliassero lentamente.
“Un piccolo errore di valutazione, agente” la riprese Elle, guardandola dritto negli occhi.
Ruri percepì che le si stava avvicinando sempre di più, fino a quando i loro profili furono in grad di sfiorarsi l’un l’altro e il respiro del detective iniziò a fondersi con il suo.
“Non sono responsabile del tuo miracolo?” gli domandò, sussurrando appena.
“No. Tu sei il mio miracolo, Ruri” le disse, prima di baciarla ancora una volta.
Trascorsero insieme due ore interamente dedicate a quello che albergava dentro di loro, bandendo qualsiasi cosa da quella stanza, qualsiasi cosa che riguardasse il loro passato, il loro lavoro o il caso Kira…in quegli attimi rubati al tempo e alla sorte, tutto quello che contava era ciò che provavano l’uno per l’altra.
 
La mattina successiva, dopo che Ruri ed Elle ebbero finito definitivamente d’esaminare i nastri che erano stati sottratti il giorno prima dalla sede della Sakura TV, gli altri membri del quartier generale fecero il loro ingresso nella nuova stanza d’albergo, in attesa di ricevere notizie.
“Che cosa ci dite?” domandò il sovrintendente, sedendosi sulla poltrona più vicina.
Sembrava ancor più provato, dal giorno prima.
“È stata una visione parecchio istruttiva” ammise Elle, voltandosi verso i nuovi arrivati “Kira aveva dato istruzioni di mandare in onda il video numero 3, nel caso la polizia avesse acconsentito a collaborare. In caso di rifiuto, sarebbe toccato al numero 4. Il numero 3 contiene istruzioni dettagliate su come collaborare: in sostanza, chiede di trasmettere molte più notizie sui criminali e in particolare su quelli che hanno ferito altre persone o maltrattato i più deboli. Dopodiché, sarà Kira a decidere se giustiziarli o no. Inoltre, come prova della sincerità dei propositi della polizia, un alto ufficiale ed Elle dovranno apparire in TV annunciando a tutto il Giappone la loro piena intenzione di collaborare. In questo modo, conoscendo i nostri volti, se la polizia facesse qualche mossa sospetta, prima di tutti Kira ucciderebbe noi”.
“Capisco…” disse Yagami, lentamente “E cosa dice il video numero 4? Cosa accadrebbe in caso di rifiuto?”.
“Praticamente la stessa cosa” rispose Ruri, bevendo un lungo sorso di caffè “Anche se formulata in modo diverso…”.
“Yagami” proseguì Elle “Comunichi alla Sakura TV la nostra risposta, che ovviamente sarà negativa, e dia pure loro il permesso di mostrare il video numero 4”.
 
Entro le 18 di quella sera, le aspettative del quartier generale vennero soddisfatte: la Sakura TV si affrettò a mandare in onda il video prescelto da Elle e Ruri.
“Un vero peccato che la risposta sia stata negativa” fu l’esordio della voce registrata “Visto che, a quanto pare, la polizia sembra decisa a contestarmi, per prima cosa esigo la vita del capo della polizia giapponese. In alternativa, voglio che mi consegnate Elle, il misterioso personaggio che dirige il quartier generale…”.
Mentre venivano pronunciate quelle parole, Ruri prese a spiare di sottecchi le mosse di Ryuzaki, che come sempre osservava la scena tormentandosi il pollice della mano destra, senza mai staccare gli occhi dallo schermo del televisore: sembrava che tutta la tensione del giorno precedente fosse del tutto scomparsa, in lui.
“Decidete voi chi sacrificare per non aver collaborato con me alla creazione di un mondo di pace. Avete quattro giorni per decidere” concluse la voce di Kira, terminando così il suo messaggio.
Senza aggiungere una parola, Elle si alzò dalla poltrona posta di fronte al televisore e si trasferì in quella più vicina al tavolo, dove Watari stava già servendo pasticcini e caffè; Ruri e gli altri lo imitarono subito, posizionandosi sui divani e sulle poltrone vicine.
“Sapete che cosa succederà adesso, non è vero?” domandò Ryuzaki, fissandoli tutti a uno a uno.
“Direi che è piuttosto prevedibile” sospirò Ruri, infastidita.
“Beh, ecco…” commentò appena Matsuda.
“I leader di tutto il mondo chiederanno all’Interpol di fare in modo che in televisione appaia il vero Elle. Queste tecniche di terrorismo di massa sono piuttosto comuni” disse Elle con la massima inespressività, come se la cosa non lo riguardasse, tutto concentrato a girare lo zucchero nel suo caffè “Non vi nascondo che ho la sensazione che tutto ciò stia già accadendo in questo preciso momento, ma sarà meglio averne la certezza assoluta”.
“Allora dovremmo muoverci” disse Yagami, alzandosi in piedi “Vuoi che chiami Kitamura e che mi faccia dire da lui se ha ottenuto qualche informazione al riguardo?”.
“Sì” replicò Elle.
“Potremmo avere anche un’altra fonte di notizie” disse Ruri, facendogli alzare lo sguardo.
“Stai parlando di…”.
“Van Hooper” annuì Ruri, estraendo il cellulare “Senza dubbio, starà ricevendo ordini dal Presidente in persona in questo preciso momento. Una telefonata e lo sapremo”.
“Se pensi di poter riuscire a farlo parlare, fai pure” disse il detective, concentrandosi sulla sua torta.
“Hai forse qualche dubbio?” gli sorrise Ruri, uscendo dalla stanza insieme al sovrintendente.
Nell’arco di dieci minuti, rientrarono entrambi.
“Ryuzaki, è come pensavi tu” esordì il sovrintendente “I leader di tutto il mondo ne hanno discusso fra di loro, ed esigono che in televisione appaia assolutamente il vero Elle”.
“Da Washington le notizie non sono migliori” aggiunse Ruri, tornando a sedersi “Van Hooper dice che la Casa Bianca non sta affrontando uno dei suoi momenti più splendidi: sembra che il Presidente abbia intenzione di cedere e di prostrarsi a Kira. Certo, fra poco ci saranno le elezioni, ma non possiamo fare affidamento sul governo americano. Il Consigliere di Gabinetto sostiene che Kira rappresenti una minaccia troppo grande per poter essere sfidato in modo aperto come stiamo facendo noi, e inoltre…dopo la morte di Williams, la tensione si è fatta ancor più palpabile”.
Elle notò che, nel pronunciare di nuovo quel nome dopo tanto tempo, la ragazza stringeva leggermente le dita della mano destra contro il braccio sinistro, ma per il resto constatò che si stava mantenendo impassibile.
“Io ritengo che questa sia stata la scelta migliore” disse il detective, dopo aver preso un sorso di caffè “Allora, ci restano altri tre giorni: cerchiamo di pensare a un buon piano. Nemmeno a me va giù l’idea…” iniziò, interrompendosi solo per buttare giù un cucchiaino di torta “…di farmi ammazzare da uno che si sta spacciando per Kira”.
“Con questo che cosa vuoi dire, Ryuzaki?!” domandò il sovrintendente, esprimendo a voce alta lo sbigottimento degli altri poliziotti.
“È molto probabile che ci troviamo di fronte a un falso Kira, o meglio…di fronte a un secondo Kira” disse Elle, con la massima naturalezza.
“Un secondo Kira…?!” esclamò Soichiro, improvvisamente pallido.
“Ma…che cosa ti fa pensare che ci possa essere un secondo Kira?!” domandò subito Aizawa “Ryuzaki, per favore, spiegati meglio”.
“Innanzitutto, le due vittime preannunciate in quel video per convincere il personale della Sakura TV del fatto che lui fosse Kira. I loro casi erano stati resi noti soltanto dalle riviste per ragazze e dai programmi di gossip: il vero Kira non si sarebbe mai servito di pesci così piccoli. Inoltre, un possibile secondo Kira…” disse, prima di infilzare la sua fragola e di mangiarla in un sol boccone “…non avrebbe certo potuto permettersi di anticipare le morti di potenziali vittime del primo, quindi…”.
“Ryuzaki” disse il sovrintendente, con tono molto serio “Secondo te, quante probabilità ci sono che esista un secondo Kira?”.
“Questa volta, siamo intorno al 70%” dichiarò il detective, facendo trasalire tutti tranne Ruri “Il suo modo di fare non mi va per niente a genio…non è nello stile di Kira”.
“In che senso, scusa?” domandò Matsuda.
“Nel senso che, fino ad ora, Kira ha evitato di sacrificare persone innocenti, a meno che non gli dessero la caccia. Se riuscissimo a catturare uno dei due, forse otterremmo qualche indizio su come acciuffare l’altro” affermò Elle.
“Se il primo Kira era infantile, questo è persino patetico” disse Ruri, con un sospiro infastidito “Ho la sensazione che non rifletta molto, prima di agire, e ciò senza dubbio non è da Kira…le minacce rivolte all’emittente televisiva, la sua decisione di giustiziare qualcuno solo per dare un esempio…il nostro uomo si è comportato così solo nelle situazioni in cui si è sentito minacciato, stretto in un angolo, e in cui ha ritenuto opportuno agire per timore di veder rovinati i suoi piani. Questo è…più l’atteggiamento di una persona che cerca disperatamente di farsi notare. Senza dubbio, si tratta di un soggetto molto più volubile del Kira originario, che probabilmente nutre nei confronti di quest’ultimo un senso d’adorazione, forse perfino di venerazione…potremmo volgere la cosa a nostro vantaggio” disse Ruri, rivolgendo a Ryuzaki uno sguardo d’intesa.
“Sì, sono d’accordo” annuì Ryuzaki “Immagino che sia giunto il momento. Yagami” proseguì poi, rivolgendosi al sovrintendente “Le dispiacerebbe se chiedessi a suo figlio di prendere parte alle indagini insieme a noi?”.
“Posso interpretare la tua richiesta come un segno che adesso tu e Ruri non sospettate più di lui?” domandò il poliziotto, dopo una breve pausa.
“No” replicò Elle “Non abbiamo detto niente del genere, solo…che possiamo aspettarci molto dalla sua deduzione”.
“Beh” disse Yagami, abbassando le spalle con un po’ di delusione “Dato che mio figlio si è proposto di collaborare, non posso impedirglielo”.
“Grazie mille” affermò il giovane “Ma questa volta…la prego di nascondergli che potremo trovarci di fronte a un impostore. Dobbiamo semplicemente far finta di dare la caccia al nostro solito Kira”.
“Che cosa vuoi dire?” domandò Matsuda.
“Beh, intendo chiedere a Light Yagami di collaborare alle indagini, senza però metterlo al corrente dell’eventualità che esista un secondo Kira” sottolineò Elle.
“Ma…ma in questo modo non gli renderemo difficile indagare insieme a noi?” obiettò lo stesso Matsuda.
“Già” convenne Aizawa “A questo punto, a che serve chiedergli di aiutarci?”.
“Lo so” annuì Elle “Ma glielo terremo nascosto soltanto finché non avrà visto questo video” proseguì, sollevando con due dita una delle cassette “E non ci avrà detto che cosa ne pensa”.
“Ma perché tutto questo?”.
“Light ha capacità deduttive straordinarie” seguitò Elle “È possibile che, non appena veda questo video, capisca da solo che esiste un secondo Kira”.
“Ma…a parte la tua deduzione sulle vittime, che non apparterebbero alla cerchia delle prede di Kira perché responsabili di piccoli crimini, non c’è altro che indichi l’esistenza di un secondo Kira” disse Matsuda, con espressione un po’ stralunata.
“Questo non è vero” intervenne Ruri, girando lentamente lo zucchero nel suo caffè e accavallando appena le gambe “Finora, abbiamo ipotizzato che Kira abbia bisogno di un volto e di un nome per uccidere: ma l’altro giorno, sono morti dei poliziotti ripresi accidentalmente dalle telecamere. E inoltre, stando a quanto dice il secondo Kira, gli basta fare apparire Elle in Tv per ucciderlo. Diversamente dal primo Kira, lui può uccidere conoscendo solo il volto delle sue vittime. E non dimentichiamo il suo atteggiamento propenso ad attirare l’attenzione più di quanto non fosse necessario…ora che ci rifletto meglio, non mi sorprenderei se avessimo a che fare con una ragazza, soprattutto considerando la sua fonte d’informazioni principale, anche se, in effetti, potrebbe solo trattarsi di una pista per depistarci. Ma il suo atteggiamento denota senz’altro una fragilità emotiva più forte del previsto…probabilmente si tratta di una persona che venera Kira partendo da una base strettamente personale. Senza dubbio, non è riuscita a interpretare il suo profilo psicologico nel modo più corretto”.
“Potrei dire qualsiasi cosa di te, ma non che tu abbia problemi di fragilità emotiva” la contraddisse il sovrintendente, con un piccolo sorriso.
Ruri lo ricambiò e gli rivolse un breve cenno con il capo.
“La ringrazio, sovrintendente, ma con quello che ho appena detto non volevo certo insinuare che la fragilità fosse propria unicamente di un soggetto femminile: al contrario, sono propensa a pensare che il primo Kira sia un uomo, e senza dubbio ci ha dimostrato di essere in grado di mostrarci più nervi scoperti di quanto per lui non sia auspicabile. Ma questo secondo killer…è diverso. È patologicamente avventato, e in effetti si comporta in modo quasi isterico, malgrado cerchi di controllarsi. Suppongo che un uomo che cerchi di emulare Kira avrebbe cercato la sua approvazione utilizzando altri sistemi; il fatto che stia cercando un’identificazione così diretta con l’oggetto della sua adorazione, inoltre, ci espone un profilo psicologico disposto maggiormente all’automortificazione. Secondo la mia esperienza professionale, questa tipologia comportamentale si manifesta maggiormente nei casi che contemplano l’analisi di un soggetto di sesso femminile. Ma naturalmente, si tratta solo di ipotesi: per poterle verificare meglio, dobbiamo andare avanti con le indagini”.
“Tu che cosa ne pensi, Ryuzaki?” domandò Yagami, concentrato nel tentativo di non perdersi neanche una parola.
“Sono fondamentalmente d’accordo con Ruri” dichiarò il detective, le mani poggiate sulle rispettive ginocchia “Ad ogni modo, questo è un aspetto delle indagini che per il momento manterremo circoscritto: per ora, dobbiamo mostrare a Light il video e le informazioni relative alle indagini. Se lui capirà che potenzialmente esiste un secondo Kira, i sospetti nei suoi confronti si dilegueranno quasi del tutto”.
“Che cosa vuoi dire, Ryuzaki?” chiese il sovrintendente.
“È plausibile che Kira voglia uccidere ad ogni costo Elle, visto che si trova a capo del quartier generale che dirige le indagini. Per come stanno le cose ora, fra tre giorni io dovrei apparire in TV, come mi è stato richiesto dal secondo Kira, e quindi morire. Mi sembra ovvio che, se io fossi Kira, non potrei mai farmi sfuggire un’occasione del genere”.
“Di conseguenza, se mio figlio non ipotizzasse l’esistenza di un secondo Kira, i sospetti sul suo conto si aggraverebbero?” insistette Soichiro.
“No…” disse lentamente Elle “In tal caso, i miei sospetti si manterrebbero sotto il 5%, e io mi limiterei a chiedere il suo aiuto, rivelandogli che stiamo seguendo la pista di un secondo Kira…”.
“Se lei e Ryuzaki siete d’accordo, sovrintendente” intervenne Ruri, facendo in modo che tutti si voltassero verso di lei “Avrei in mente di sottoporre Light al colloquio di cui le ho parlato molto tempo fa…mi piacerebbe davvero molto scambiare due parole con lui. Certo, all’università ho avuto modo di osservarlo più da vicino, ma analizzare il suo modo di riflettere e le sue risposte in un altro ambiente sarà senz’altro molto più costruttivo. Sono convinta che la cosa migliore sia mettere in atto il tutto prima che veda i video del secondo Kira”.
“Sì, anche a me sembra meglio agire in questo modo” annuì Elle “Ritengo che sia il momento giusto”.
“Beh, non ho intenzione di ostacolare il vostro operato in alcun modo…” sospirò Yagami, abbassando gli occhi al suolo.
Notando il suo disagio, Ruri gli posò appena una mano sulla spalla, rivolgendogli un sorriso incoraggiante.
“Stia tranquillo, signor Yagami: vedrà che andrà tutto bene. Cerchi di rilassarsi il più possibile, è meglio che non si affatichi, dopo quello che le è successo”.
“Grazie, Ruri: sei molto gentile a preoccuparti per me, ma sto bene” disse il poliziotto, sforzandosi di ricambiare il suo sorriso “Immagino che vorrai parlare con Light da sola”.
“Assolutamente no” lo contraddisse Ruri, tagliando un’altra fetta di torta per Ryuzaki “Voglio che siate presenti tutti quanti: anzi, mi aspetto che non vi perdiate neanche una parola”.
“Ma…ma credevo che…” balbettò appena Soichiro, con aria stralunata.
“Non abbiamo sempre detto che Kira presenta atteggiamenti particolari, quando si trova sotto pressione? Sono proprio curiosa di vedere come reagisce suo figlio di fronte a una sorta d’interrogatorio, anche se farò del mio meglio per fare in modo che la cosa si presenti più che altro come una sorta di conversazione amichevole. Confesso che, dopotutto, Light è più piacevole di quanto non volessi ammettere all’inizio, e sono certa che, qualsiasi saranno le mie conclusioni, senz’altro tutto ciò si rivelerà interessante”.
Le sue parole vennero seguite da un silenzio carico di tensione, al termine del quale Elle li congedò al giorno successivo: per tutto il tempo, non aveva staccato gli occhi di dosso a Ruri per un solo secondo.
Dal canto proprio, Ruri fece finta di niente e accompagnò i poliziotti alla porta, stringendo la mano a tutti e augurando la buonanotte.
“Come sta Robin?” domandò a Matsuda, che si rivelò l’ultimo ad uscire “Non ho molte occasioni per poter parlare con lei, ultimamente”.
“Oh, sta molto bene” rispose Tota, passandosi una mano dietro la nuca e arrossendo vistosamente “Mi ha detto di salutarti, ora che ci penso…lo sai com’è fatta, si preoccupa sempre che tu stia bene. E mi ha anche chiesto di Ryuzaki, ma naturalmente non ho potuto dirle molto”.
“Dille che mi mancano le nostre conversazioni. E che non esiti a tornare in America, se ciò dovesse rivelarsi necessario, anche se, in effetti…immagino che abbia tutti i motivi per rimanere qui in Giappone” disse la profiler, sorridendo all’agente in modo complice.
Matsuda arrossì ancor di più e si pronunciò in un sorriso imbarazzato.
“Ah, beh, ecco…suppongo che sia ancora molto in ansia per quello che ti è successo…” balbettò appena.
“Veramente, mi stavo riferendo a te” affermò Ruri, in modo molto diretto e senza smettere di sorridere.
“M-ma…ma io…” seguitò il giovane, con espressione stralunata.
“Siete una bella coppia. In effetti, non so se ti avevo mai visto sulla faccia un sorriso del genere, in tutti questi mesi. Sembri molto felice” disse Ruri, battendogli una mano sulla spalla.
“Lo sono” replicò Matsuda, con un altro sorriso smagliante “Grazie, Ruri…grazie davvero”.
“Te lo meriti. E adesso fila, domani dobbiamo lavorare” lo congedò Ruri, spingendolo appena fuori dalla suite e chiudendo del tutto la porta.
Quando tornò a sedersi accanto ad Elle, notò che lui non la smetteva di fissarla.
“Che cosa c’è?” gli domandò, prendendo in mano la sua tazza di caffè.
Light è più piacevole di quanto non volessi ammettere all’inizio?” la parafrasò Elle, alzando un sopracciglio “Non mi hai mai parlato di niente del genere…”.
“Beh, io stessa avevo delle difficoltà a riconoscerlo a me stessa” confessò Ruri, stringendosi nelle spalle “In ogni caso, è vero. Ho dei fortissimi sospetti sul suo conto, e tutto quanto mi dice che lui è il perfetto Kira, e che spesso e volentieri, di conseguenza, il suo atteggiamento sia molto falso e costruito, ma…”.
“Ma…?” la esortò a continuare Elle.
“Ma è senz’altro un ragazzo molto intelligente e straordinariamente acuto, come abbiamo sempre constatato, e ha un senso della giustizia che non posso che trovare apprezzabile. Certo, questo in parte rafforza i miei sospetti sulla possibilità che lui sia Kira, ma al contempo mi fa pensare che tu abbia ragione, quando sostieni che potrebbe esserci realmente d’aiuto, che sia colpevole o no. Il che è un bel paradosso, se ci pensi bene. E parlandoci francamente, è il presunto serial killer più interessante con cui abbia mai avuto a che fare in tutta la mia carriera” concluse Ruri, mangiucchiando appena una fragola.
“Sembri molto entusiasta” constatò Elle, con un tono appena velato di qualcosa simile all’irritazione.
Nonostante cercasse di celarla, Ruri non mancò d’accorgersene, rivolgendogli subito un sorrisetto colmo di malizia.
“Non saremo mica gelosi, signor detective…”.
“Beh, suppongo che questo sia inevitabile. Io e Kira siamo simili sotto molti aspetti, dopotutto. Un po’ come te e me. Immagino che un sentimento del genere sia difficile da eludere” dichiarò Elle, concedendosi un abbondante cucchiaino colmo di torta.
“Il grande detective Elle geloso della sottoscritta! Non avrei mai pensato che sarebbe arrivato un giorno del genere!” ridacchiò Ruri, per poi tornare subito seria “Senti…non è che potrei farti una domanda?”.
“Certamente”.
“L’altro giorno, quando hai detto che non eri sicuro che fosse stata una buona idea rivelare a Light della nostra relazione…stavi parlando seriamente?” gli domandò, con più ansia di quanto non avrebbe voluto far trasparire.
Ryuzaki le sorrise appena, prendendosi del tempo per rispondere.
“No” disse infine “Ormai dovresti saperlo: non faccio mai una mossa senza prima essere certo delle sue conseguenze. Ero solo curioso di sapere se la pensavi o no come me, e naturalmente non mi hai deluso”.
“Non sarebbe stato più semplice chiedere il mio parere?” domandò Ruri, un po’ indispettita.
“Certo che no: non sarebbe stato altrettanto interessante” le fece notare Elle.
Ruri gli indirizzò un buffetto affettuoso sul naso e prese a sparecchiare.
“Non è necessario che tu lo faccia” le disse subito Elle, con tono impacciato.
“Non fa niente. Mi piace prendermi cura di te” gli sorrise Ruri.
Si bloccò immediatamente nel notare l’espressione esterrefatta del detective.
“Ho detto qualcosa che non va…?” gli domandò, posando subito i piatti che aveva da poco preso in mano.
“No, è solo che…”.
“Che cosa?”.
Ryuzaki si alzò lentamente in piedi e si avviò verso la finestra, le mani in tasca e la schiena curva come di consueto, lasciando che il suo sguardo corresse in direzione delle luci della città.
“Non ci sono abituato” ammise alla fine, a voce bassissima.
“A me sembra che Watari pensi a sparecchiare ogni volta che hai finito di ingozzarti” constatò Ruri, con una risatina.
“No. Mi riferivo a quello che hai appena detto. Non…non sono abituato a tutto questo”.
Capendo che cosa voleva dire, Ruri sorrise mestamente e lo raggiunse, abbracciandolo da dietro e lasciando che lui le sfiorasse le dita delle mani, intente a cingergli lo stomaco.
“Sei un po’ ingiusto” gli sussurrò alla fine “Watari ti ha sempre voluto bene, e tu lo sai”.
“Direi che si tratta di due circostanze un po’ diverse” le fece notare, sorridendo appena.
“Hai ragione” convenne Ruri “Lui non ti sottrae le fragole sotto il naso quando non guardi…”.
“Come se non me ne fossi accorto” sottolineò Elle “Non pensavi sul serio di fregare il detective numero 1 sul pianeta, non è vero?”.
“Ci ho solo fatto un pensierino” ammise Ruri, mentre Elle si voltava verso di lei e riprendeva a stringerla fra le braccia, utilizzando il suo consueto tocco quasi puerile e insicuro.
“Stai bene?” gli domandò a un tratto Ruri, mentre lui continuava a tenere il volto affondato nei suoi capelli “Sembri strano, stasera…ripensi ancora a quello che è successo alla Sakura TV?”.
“Non proprio, ma questa storia del secondo Kira mi dà più da pensare di quanto non avrei creduto. A dire il vero, qualcosa di molto forte mi dice che tu abbia ragione a ritenere che potrebbe trattarsi di una ragazza, o per meglio dire…di una bambina”.
“Senz’altro lo è nell’atteggiamento” concordò Ruri, senza interrompere il loro contatto “Ma se è davvero così, lo scopriremo presto”.
“Sì, immagino tu abbia ragione. Light ci darà almeno una parte delle risposte che cerchiamo, ne sono sicuro” annuì Elle, staccandosi da lei con un piccolo sorriso.
In quel preciso istante, lo sguardo di Ruri venne illuminato da un pensiero improvviso.
“Ora che mi viene in mente, ho qualcosa per te” disse, estraendo un pacchetto dalla tasca della giacca “Ho chiesto a Watari di darmi una mano a preparartelo…non è niente di speciale, ma…tieni”.
Gli porse il regalo con l’espressione più naturale del mondo, quasi imbarazzata e senz’altro ansiosa che lui lo aprisse.
Elle lo prese lentamente e le rivolse un lungo sguardo perplesso, per poi sorridere in modo dolce, passandosi una mano dietro la testa.
“Perché lo hai fatto? Non era necessario…”.
“Lo so che non era necessario. Le cose non devono essere per forza necessarie” precisò Ruri, andando a sedersi sul divano insieme a lui.
Quando Elle ebbe scartato il pacchetto, di fronte ai suoi occhi apparve un piccolo braccialetto di stoffa rossa, con un piccolo pendente composto dalla lettera L in caratteri gotici.
“Ti piace? Ho cercato di dare una mano a Watari a costruirlo, ma non sono molto brava in questo genere di cose”.
Mentre se lo allacciava al polso, Elle non disse una singola parola, ma il modo in cui guardava quel braccialetto ebbe per Ruri più valore di mille discorsi pronunciati in qualsiasi lingua e in qualsiasi modo.
Quando, un paio d’ore più tardi, Watari entrò nella suite, trovò Ruri addormentata con la testa sulle gambe di Elle, che, contrariamente alle abitudini del ragazzo, erano distese in modo naturale oltre il divano; lo stesso detective aveva gli occhi chiusi e teneva un braccio sulla schiena di Ruri, il respiro regolare e rilassato come quello della ragazza: nell’osservare quella scena, l’inglese non riuscì a trattenersi dal sorridere, posando poi una coperta su entrambi e andandosene nel modo più silenzioso possibile.
 
Il giorno dopo, Soichiro Yagami chiamò personalmente il figlio, chiedendogli di raggiungere il quartier generale per unirsi alle indagini: non appena il giovane fu dentro la suite, Elle gli andò incontro, stringendogli la mano.
“Grazie, Light” gli disse subito.
“Figurati; sai, anch’io ci tengo molto a catturare Kira…Ryuga” disse il ragazzo, con un sorriso gentile.
“Ti prego di chiamarmi Ryuzaki, quando siamo qui” sottolineò Elle.
“Io sono Matsui, e loro sono Ayara e Asahi” intervenne Matsuda, accennando a se stesso, ad Aizawa e al sovrintendente.
“Capisco” annuì Light “E tu, Ruri, devo…”.
“No” disse la ragazza, avanzando verso di lui “Il mio è già un nome in codice: molto presto, ti sarà chiaro il perché”.
“D’accordo. Beh, in ogni caso, immagino che allora io dovrei farmi chiamare Light Asahi” commentò, tornando a rivolgersi a Elle.
“Te ne sarei grato. Ad ogni modo, io ti chiamerò solo per nome, qui” ribatté Ryuzaki “E ora, veniamo subito al sodo. Ruri desidera porti alcune domande; in effetti, per essere precisi, desidera stilare il tuo profilo psicologico e confrontarlo con i dati che abbiamo a disposizione. Dopodiché, vorrei che esaminassi la documentazione raccolta finora sul caso, e un nastro inviato all’emittente televisiva, che non è stato trasmesso”.
“Immaginavo che aveste in mente qualcosa del genere” disse Light, senza cancellare il proprio sorriso “Beh, allora sarà meglio cominciare subito”.
“Ti confesso che sono impaziente anch’io” ribatté Ruri, posizionando due sedie l’una di fronte all’altra, dove lei e Light si accomodarono.
Tutti gli altri rimasero in piedi, per la maggior parte a braccia incrociate, presidiando la scena mentre Watari si accingeva a fare avanti e indietro con il suo abituale carrello dei dolci.
Dal canto proprio, Ruri se la prese comoda e rimase in silenzio per un po’, osservando la documentazione relativa a Light con aria pensierosa e mangiucchiando distrattamente una matita, mentre gli occhi dello studente non si staccavano un solo secondo da lei.
Infine, in modo inaspettato per tutti tranne che per Ryuzaki, Ruri si sfilò lentamente la parrucca bionda e si tolse le lenti a contatto, rivelando il suo vero volto: quando ebbe finito, rivolse a Light l’occhiata più intensa che riuscisse a formulare, concentrata a captare ogni sua minima reazione.
Light spalancò appena gli occhi, mostrando un’espressione di pieno stupore: ma per un solo istante, nel suo sguardo guizzò un’ombra di puro panico, cosa che non sfuggì affatto alla profiler.
“Sei sorpreso, immagino” gli disse, con fare quasi beffardo “Mi avevi già visto da qualche parte?”.
“Beh, ovviamente. I telegiornali avevano reso nota la notizia della tua morte più di quattro mesi fa…non avrei mai creduto che avrei avuto la possibilità di parlare con te. Ora capisco cosa intendevi, quando mi hai detto che avevi già un nome in codice; devo confessarti che sono onorato di averti conosciuta, adesso che so chi sei realmente. Ho sempre apprezzato il tuo lavoro, e le tue capacità sono a dir poco straordinarie. In effetti, lo sono ancor di più, considerando che sei riuscita a sfuggire a Kira…” disse Light, con tono impassibile.
“Ti ringrazio, ma effettivamente si è trattato solo di prendere qualche precauzione in più” disse Ruri, senza mai staccare lo sguardo dal suo “Kira ha semplicemente dimenticato di calcolare qualche piccolo inconveniente…inutile dire che questo potrebbe costargli la vita, fra qualche tempo”.
“Lo spero proprio” disse il giovane, incrociando a sua volta le braccia “Allora, che cosa voleva chiedermi, agente?”.
“Continua a chiamarmi Ruri” disse lei, sfogliando appena il suo fascicolo e fingendo totale indifferenza “In fondo, ormai possiamo dire di conoscerci, Light: vorrei che prendessi questo nostro colloquio come una semplice chiacchierata amichevole, un po’ come quella che abbiamo avuto tempo fa insieme a Ryuzaki”.
“Certo, non c’è problema”.
“Prima hai detto di aver saputo della mia morte dai telegiornali. Immagino che allora tu abbia seguito attentamente la vicenda che ha riguardato gli agenti dell’FBI, non è vero?” proseguì la profiler, scrutandolo con attenzione.
“Sì, certo. È incredibile il modo in cui Kira sia riuscito a giungere a loro…per quanto mi pare d’aver capito, stavano lavorando sotto copertura”.
“Esatto. E come saprai, erano in Giappone per sorvegliare i membri della polizia coinvolti in questo caso, nonché i loro amici e familiari”.
“Sì, tu e Ryuzaki me lo avete già detto. Io ero sorvegliato da un certo Ray Penber, non è vero? Lo avete detto all’ospedale” disse Light, accavallando le gambe.
“È curioso che tu lo citi. Sai, è stato proprio Ray che ha attirato la mia attenzione, in questa vicenda: ci sono numerosi dettagli riguardanti la sua morte che mi sembrano quantomeno…particolari. Tanto per fare un esempio, sappiamo che il 20 Dicembre gli è capitato di mostrare il suo distintivo a una persona in particolare…Light, ricordi dove ti trovavi lo scorso 20 Dicembre?” domandò Ruri, con la massima naturalezza.
“Beh, veramente non saprei dire, è passato molto tempo…ad ogni modo, immagino di aver trascorso tutto il giorno in biblioteca a studiare per gli esami d’ammissione all’Università” affermò Light, sforzandosi di ricordare.
“C’è qualcuno che può confermarlo?”.
“Difficile a dirsi: come ho appena detto, è passato molto tempo” decretò lo studente.
“Quindi non sai niente riguardo a un certo dirottamento che il 20 Dicembre ha avuto luogo sulla statale per Spaceland, non è vero?” domandò Ruri, con tono gelido.
“Ne ho sentito parlare, certo. Se non sbaglio, è stato opera di un tossicodipendente…”.
“Già, un tossicodipendente che ha avuto un’allucinazione subito dopo aver preso il controllo dell’autobus e che è morto non appena è sceso di nuovo sulla strada…una serie di coincidenze interessanti, non è vero?”.
“Se stai alludendo alla possibilità che possa essere stata opera di Kira, beh…non credo che questo sia possibile. Dopotutto, quell’uomo è morto a seguito di un incidente stradale” le fece notare Light, con la massima naturalezza.
“Sembra che tu dia per scontato che Kira possa uccidere solo tramite l’arresto cardiaco”.
“Beh, a questo non avevo pensato…non posso esserne sicuro, ma, anche se questo fosse possibile, non vedo perché dovrebbe cambiare il suo modus operandi in modo così radicale”.
“Light, immagina di essere a casa e di star preparandoti per andare all’Università” lo interruppe Ruri all’improvviso, lasciandolo di stucco “Se uscissi in strada con l’intenzione di uccidere qualcuno, come agiresti?”.
Light rimase in silenzio per qualche secondo, battendo appena le palpebre.
“Ma…ma che razza di domanda sarebbe?”.
“Una come molte altre” replicò Ruri, stringendosi nelle spalle.
“Beh, immagino che sceglierei il percorso più logico e meno prevedibile, in modo da non essere sospettato di poter avere qualcosa a che fare con l’omicidio” rispose infine, dopo un lungo silenzio.
Ruri lasciò che sulle labbra le scivolasse un sorriso molto soddisfatto.
“Precisamente. Precisamente” affermò, con un cenno del capo.
“Non è quello che faresti anche tu?” le domandò di rimando Light.
“Proprio così. Ma senza dubbio, non si tratta di una riflessione così scontata: dopotutto, Kira è il perfetto individuo estremamente concentrato a non farsi cogliere di sorpresa…proprio come te, Light. E come me e Ryuzaki, naturalmente” annuì Ruri, mordicchiando ancora la sua matita “Tornando a noi: che mi dici di Naomi Misora? Mai sentita nominare?”.
“I telegiornali hanno parlato anche di lei…”.
“Già: e tu l’hai mai incrociata?”.
Light si prese un’altra pausa prima di rispondere, ma infine annuì.
“Sì, una volta: l’ho incontrata quando mi sono recato alla centrale di polizia, il primo Gennaio, per portare un cambio di vestiti a mio padre. Diceva di voler parlare con gli uomini del quartier generale, ha detto che era importante: le ho detto che avrei cercato di farla parlare con il sovrintendente di polizia, ma non appena siamo usciti dalla questura, ecco, lei…”.
“Cosa?” insistette Ruri, con tono più astioso del normale.
“Ha detto di aver cambiato idea e se n’è andata subito. Diceva che aveva qualcosa da fare e che era molto importante. In effetti, mi sento in colpa per quello che è avvenuto, considerando la successiva notizia della sua scomparsa…avrei dovuto cercare di fermarla” mormorò il ragazzo, abbassando lo sguardo con aria mortificata.
“E che cosa pensi di quello che le è accaduto? Ritieni plausibile che sia stata manovrata da Kira?” domandò Ruri, sforzandosi di rimanere impassibile.
“Beh, non mi sento in grado di escluderlo” ammise Light “Dopotutto, mi è sembrata parecchio frastornata…”.
“E così, lei ti ha detto soltanto che desiderava parlare con il quartier generale e poi se n’è andata, affermando di avere qualcosa d’importante da fare?” insistette Ruri.
“Sì, è andata proprio così”.
“E perché non hai mai riferito questo a me o a Ryuzaki, quando hai compreso chi eravamo veramente?”.
Quella domanda parve spiazzarlo per la prima volta.
“Pensaci bene, Yagami: Naomi era una mia amica. Sarà meglio che tu dica la cosa giusta”.
“Beh, l’ho fatto perché me lo ha chiesto lei” replicò Light, con tono colpevole “Quando le dissi che avrei potuto chiedere direttamente a mio padre di contattarla, mi disse che non voleva che qualcuno sapesse delle sue intenzioni prima che fosse riuscita a parlare direttamente con gli addetti alle indagini. Da come si comportava, era evidente che aveva paura di trovare qualche ostacolo”.
“E ti ha parlato degli agenti dell’FBI deceduti?”.
“Sì”.
“Di Ray Penber?”.
“Sì, ma non mi ha detto molto. Ha solo detto che era molto triste per la sua morte: erano fidanzati, a quanto mi ha raccontato”.
“Strano che lo abbia citato solo per confidare il suo sconforto a un perfetto sconosciuto. Non è da Naomi” affermò gelidamente Ruri “Sei certo che questo sia tutto quello che ti ha detto sul suo conto?”.
“Ma certamente. Perché avrebbe dovuto dirmi altro?”.
“Perché è strano che una donna riservata come Naomi Misora sia giunta casualmente a parlare del suo fidanzato morto, con un ragazzo appena conosciuto che il suo defunto compagno casualmente era stato incaricato di pedinare…il tuo nome salta fuori sia relativamente alla scomparsa di Naomi che alla morte di Penber. Ne converrai che la cosa ha del sospetto, Light”.
“Come vi ho già detto tempo fa, è normale che sospettiate di me, considerando che ero una delle persone pedinate da Penber. Per quanto riguarda la signorina Misora, posso assicurarti che era in uno stato di profondo shock, quando l’ho incontrata…”.
“Già, eppure ha avuto sufficiente lucidità per dirigersi alla centrale di polizia e per richiedere di poter parlare con il quartier generale…” commentò Ruri, con una smorfia.
“Difficile dire come può reagire una persona in circostanze del genere”.
Ruri parve pensarci un po’ su.
“Sei un grande oratore, Light, e hai sempre la risposta pronta. Agisci bene sotto pressione” constatò Ruri, senza staccare gli occhi dai tuoi.
“Beh, devo ammettere che non è la tradizionale chiacchierata amichevole a cui sono abituato: sembrava più un interrogatorio” rise Light.
“In parte, voleva esserlo: ma soprattutto, per me è l’occasione ideale per capire come funziona la tua mente. Fondamentalmente, potrei dire che sei un potenziale buon bugiardo”.
“Come sarebbe?” domandò Light, alzando un sopracciglio.
“Intendo dire che sai mentire molto bene, o meglio, saresti senza dubbio in grado di farlo. Difficile a prima impronta capire se quello che mi hai detto è vero o no, ma ho come la sensazione che ci siano buone probabilità che lo sia quanto che non lo sia. Tu sei scaltro, sagace, hai un perfetto autocontrollo…eppure sei anche costruito, metodico, e attento a calcolare il minimo errore. In altre parole, il tuo profilo psicologico e quello di Kira combaciano perfettamente”.
“Stai…stai parlando sul serio, Ruri?” domandò il sovrintendente, con un filo di voce.
“Oh, ma certo. Light è l’indiziato ideale, in questo caso di omicidi; oltre che, al contempo, il perfetto collaboratore. La cosa è davvero interessante” sorrise Ruri.
Light ricambiò il sorriso, fissando gli occhi in quelli di lei e incrociando a propria volta le braccia.
“Io non ti piaccio, Ruri” affermò poco dopo, lasciando sorpresi tutti quanti.
“A dire il vero, sono i serial killer quelli che non mi piacciono. L’unica cosa che odio davvero di te è la tua espressione da cucciolo innocente, ma a parte questo…direi che sei intelligente, riflessivo e prudente, qualità che apprezzo…a patto che vengano sfruttate bene”.
“Quindi…c’è altro che vorresti chiedermi, oppure hai tutto quello che ti serve?” domandò Light.
“Direi che per il momento possiamo fermarci qui. Quello che ho sentito mi basta per rendermi conto che esistono probabilità piuttosto elevate che tu possa essere Kira, quanto, al contempo, che tu possa non esserlo…in effetti, in una situazione in cui ti ho messo all’angolo, hai saputo reagire con un autocontrollo che non mi aspetterei da Kira. Ma non dimentichiamoci che Kira non sarebbe mai così ingenuo da farsi mettere alle strette da una semplice chiacchierata come questa: perciò, è complicato da definire. Ma a questo punto, immagino che sia meglio procedere. Ti ringrazio per la collaborazione, Light” sentenziò Ruri, alzandosi in piedi e andando ad affiancare Ryuzaki.
“Grazie a te” replicò Yagami, alzandosi in piedi a sua volta “Allora, Ryuzaki, che cosa dicevi riguardo alla documentazione?”.
Dopo aver rivolto un lungo sguardo a Ruri, Ryuzaki lo accompagnò alla poltrona di fronte al televisore, mettendogli in mano l’intera documentazione del caso e accendendo l’apparecchio.
“Sappi che non è consentito portare la documentazione fuori da qui, né prendere appunti. Adesso ti mostrerò il filmato di cui ti ho parlato. Sei pronto?” gli disse, con voce flautata.
“Sì, ma certo”.
“Bene, allora iniziamo” disse, prima di premere il tasto PLAY.
Ruri e Ryuzaki tornarono l’uno di fianco all’altra, rispettivamente incrociando le braccia e ponendosi le mani in tasca, e iniziarono a osservare ogni dettaglio dell’espressione di Light, intento a visionare il video: dal canto suo, il ragazzo rimase impassibile, del tutto concentrato su quello che stava vedendo.
Alla fine, Ryuzaki gli si avvicinò, un dito intento a tormentarsi il labbro come sempre e l’altra mano ancora sprofondata in tasca.
“Allora, che te ne pare, Light? Ti viene forse in mente qualcosa?”.
Light lo osservò di sottecchi per qualche secondo, prima di corrugare appena le sopracciglia e di alzarsi in piedi, quasi di scatto.
“Ascoltare il nastro mi ha fatto pensare che forse Kira non è l’unico con quel potere” disse, con la massima tranquillità.
“Forse Kira non è l’unico?!” sbottò il sovrintendente “Che cosa vorresti dire, Light?!”.
“Molto probabilmente” disse il ragazzo, accennando appena al televisore alle sue spalle “Questo non è lo stesso Kira con cui abbiamo avuto a che fare finora. Il vero Kira non avrebbe mai usato quel genere d’indiziati per preannunciare le morti in diretta…inoltre, se Kira ha bisogno di conoscere il volto e il nome per uccidere, come si potrebbe spiegare la morte degli agenti ripresi accidentalmente dalla TV?”.
Le parole di Light vennero seguite da un lungo silenzio, al termine del quale seguirono le reazioni sbigottite degli agenti (anche se quella del sovrintendente era accompagnata da un’espressione orgogliosa).
“Ma…è tale e quale!” esclamò Aizawa.
“Ma…ma è lo stesso ragionamento a cui sono giunti Ruri e Ryuzaki!” seguitò Matsuda.
“Hai perfettamente ragione, Light” intervenne Ryuzaki “Anche noi pensiamo che si tratti di un secondo Kira…”.
“E così, già lo sapevi, eh Ryuga? Anzi, no, Ryuzaki…cosa c’è, hai voluto forse mettermi alla prova?” domandò Light freddamente, incrociando le braccia.
“Non era assolutamente mia intenzione” ribatté Elle “Se io e Ruri fossimo stati gli unici a pensare a un secondo Kira, la nostra teoria non sarebbe stata convincente…invece, il fatto che tu sia giunto alla mia stessa conclusione non fa che rafforzare la mia ipotesi. Il tuo aiuto ci sarà davvero prezioso, Light. Ti ringrazio molto”.
Il detective prese una breve pausa e lo scrutò attentamente, ma Light non batté ciglio.
“Allora, hai deciso, no?” riprese Elle poco dopo “La prima cosa che dobbiamo fare è fermare il secondo Kira: evidentemente, questo individuo condivide le stesse idee di Kira, ma non è altrettanto furbo. È plausibile che ubbidirebbe, se il vero Kira gli impartisse un ordine, quindi, se realizzassimo un falso messaggio da parte del vero Kira, probabilmente riusciremmo a fermarlo…”.
“Sei davvero in gamba, Ryuzaki” commentò Light, con un sorriso amichevole “Anch’io pensavo che fosse questa la cosa migliore da fare”.
Elle scambiò un’occhiata fugace con Ruri, che replicò con un sorrisetto e un cenno del capo.
“Ascolta, Light” riprese Ryuzaki “Vorremmo che…fossi tu a interpretare la parte del vero Kira”.
Light spalancò appena gli occhi, l’aria stupita.
“Ma…ma come, io?”.
“Sì” disse semplicemente Ryuzaki “Col talento che ti ritrovi, sarà un gioco da ragazzi. Ad ogni modo, non c’è molto tempo: ti spiacerebbe preparare il testo del messaggio di Kira perché possa essere trasmesso dai notiziari di questa sera?”.
Light fissò attentamente sia lui che Ruri, per poi infine posare la sua attenzione su quest’ultima.
“Adesso capisco perché prima non mi hai nemmeno chiesto che cosa penso del profilo psicologico di Kira…era una domanda che mi aspettavo, te lo confesso” le disse, guardandola dritto negli occhi.
“Ho già constatato che sei un ottimo oratore, Light. Adesso, mi piacerebbe vedere come agisci in concreto. Sono sicura che sarai all’altezza delle aspettative di Ryuzaki…dopotutto, sei qui per darci una mano, non è vero?” replicò Ruri, con il suo sorriso migliore.
Light la ricambiò e annuì appena.
“Sì, ma certo. Allora, mi metterò subito al lavoro”.
 
Un paio d’ore più tardi, Light alzò la testa dal foglio su cui aveva lavorato fino a quel momento e lo passò a Elle, che prese a tenerlo sollevato con quattro dita.
“Allora, che cosa ve ne pare?” domandò, con un altro bel sorriso “Ho cercato il più possibile di immedesimarmi in Kira”.
“Davvero un ottimo lavoro” commentò Ryuzaki “Ma…se non togliamo la frase ‘Uccidi pure Elle’…credo proprio che morirò”.
Light rise di cuore, con la massima naturalezza.
“Beh, per come stanno le cose, mettendomi nei panni di Kira, ho pensato che gli ordinerei sicuramente di ammazzare te. Ma era soltanto uno scherzo” proseguì, mettendo le braccia dietro la testa “Correggi pure quello che vuoi come credi”.
“Ok” disse Elle, passando meglio il foglio a Ruri “Tu che cosa ne pensi, Ruri?”.
La ragazza esaminò il documento per un paio di minuti, dopodiché rivolse a Light uno sguardo enigmatico e attento.
“Sei molto bravo” gli disse alla fine “Studi Criminologia, non è vero?”.
“Sì, esatto. Anche se, naturalmente, non sarò mai un profiler del tuo livello” disse Light, con un altro sorriso.
“A me invece sembra che tu abbia del talento. Un talento piuttosto naturale” replicò Ruri, lasciandolo un po’ spiazzato e restituendo il documento a Elle “Sono dell’idea che si possa procedere, Ryuzaki”.
“Molto bene” disse Elle, passando il tutto ad Aizawa “Ayara, ecco il testo: ora tocca a lei”.
“Bene” replicò Aizawa, accingendosi a uscire dalla stanza.
Non passarono che poche ore da quell’istante prima che i telegiornali mandassero in onda la notizia.
“È avvenuta una cosa incredibile!” annunciò il giornalista “In risposta al video trasmesso dalla Sakura TV, è comparso un altro Kira, che sostiene con forza di essere il solo e unico Kira. Inoltre, il primo Kira ha richiesto di trasmettere un suo messaggio su tutti i canali televisivi: la polizia ha autorizzato la trasmissione del video…ma quale dei due sarà il vero Kira? Adesso, vi preghiamo di guardare il video che ci è stato inviato”.
Intorno al televisore, Light, Soichiro, Matsuda e Aizawa osservavano la scena in modo attento, mentre Ruri ed Elle si sedettero di fronte ad esso, assumendo le consuete posizioni.
“Sono Kira”.
La voce modificata al computer di Light invase la stanza.
“Io sono il vero Kira, e non l’autore del video che è stato trasmesso qualche giorno fa dalla Sakura TV. Vista l’attuale situazione, non mi resta che dimostrarmi magnanimo con quest’individuo, considerando il suo gesto come un tentativo di aiutarmi, facendosi portavoce del mio pensiero. Tuttavia, uccidere persone innocenti va contro i miei principi, quindi, se l’individuo che si è spacciato per me condivide le mie idee, e intende collaborare con me, allora come prima cosa si astenga dal prendere simili iniziative, e cerchi di comprendere il mio punto di vista. Non dovrà assolutamente compiere azioni avventate, o minerà a tutto quello che sto costruendo”.
Il messaggio proseguì per un altro paio di minuti; al suo termine, Ryuzaki spense la televisione, l’espressione cupa.
“Direi che non ci rimane che aspettare”.
 
Un paio di giorni dopo, le loro aspettative non vennero deluse; fu un segnale da parte di Watari a metterli sull’allerta. Infatti, nell’arco di un paio di secondi, sul computer portatile di Elle comparve subito l’immagine della ‘W’ del suo collaboratore, accompagnata dalla sua voce.
“Ryuzaki, abbiamo una risposta dal secondo Kira” disse subito.
“Cosa?” esclamò il sovrintendente.
“È già arrivata?” aggiunse Matsuda.
“Vi porto subito la busta con la risposta” proseguì Watari “Intanto, vi invio una copia del filmato” concluse, mentre Ryuzaki riprendeva a sedersi di fronte al portatile.
Nell’arco di pochi secondi, apparve nuovamente la scritta ‘Kira’ che avevano visto in televisione nei giorni precedenti.
“Kira…” iniziò lentamente la voce registrata “Grazie della risposta. Farò come mi hai chiesto”.
Mentre udiva quelle parole, Ruri spiò appena la reazione di Light, che però continuò a mantenersi imperturbabile.
“Incredibile!” commentò Matsuda.
“Ha funzionato!”.
“Vorrei incontrarti…” proseguì il falso Kira “Non credo che tu abbia gli occhi…ma non devi preoccuparti. Io non ti ucciderò”.
“Ma…non capisco. Che intendeva dicendo che ‘Kira non ha gli occhi’?” disse Aizawa.
“Non lo so…” rispose Matsuda.
“Fammi sapere quando possiamo incontrarci senza che la polizia lo venga a sapere” proseguì la voce.
Dal canto proprio, Ruri distolse per un attimo l’attenzione da Light e si avvicinò a Ryuzaki, che nel frattempo continuava ad assistere alla scena ad occhi letteralmente sbarrati.
“Una volta che ci saremo incontrati, i nostri shinigami riveleranno le nostre identità”.
“SHINIGAMI?!” sbottarono in coro Matsuda e Aizawa.
“Sta diventando ridicolo!!” sbottò Ruri “Di cosa diavolo…”.
Ma le sue parole, in quel preciso istante, vennero interrotte da una sorta di rantolo; prima che potesse voltare la testa, capì che proveniva da Ryuzaki.
Il detective aveva alzato di scatto le braccia, come in preda a una sorta di attacco epilettico, e poi si era lasciato cadere a terra come un sacco, l’espressione del volto attonita ed esterrefatta come mai l’aveva veduta.
“Ryuzaki!!” esclamò Aizawa.
Ruri gli si precipitò al fianco, posandogli una mano sulla spalla.
“Stai bene…?” gli domandò.
Per la prima volta, Ryuzaki non tenne conto delle sue parole e mantenne lo sguardo fisso sullo schermo, con aria stralunata e perfino spaventata.
“Gli…s-shinigami…” balbettò appena, come se fosse stato in un altro mondo “E io forse dovrei credere…che esistano simili creature…?”.
“Ok, prima di tutto rimetti a posto il cervello” sospirò Ruri, scuotendolo appena “Calmati, non è detto che stiamo parlando davvero di shinigami. Lo hai detto anche tu tempo fa, non ricordi?”.
“Beh, infatti non è possibile…” mormorò Matsuda, mentre Elle non accennava ad alzarsi dal pavimento.
“Non può esistere niente del genere!” rincarò la dose Aizawa.
“Sì, avete ragione” intervenne Light “È assurdo pensare che gli dei della morte esistano…”.
Al sentirlo parlare in quel modo, Ruri ed Elle si voltarono lentamente verso di lui.
“Anche Kira ha fatto scrivere a uno dei carcerati che si è suicidato un messaggio che accennava alla loro esistenza…” disse Ryuzaki, la voce simile a un sussurro.
“Ma allora con questo vuoi dire…che c’è la possibilità che si tratti del nostro uomo?” disse a un tratto Soichiro “Se usa gli stessi termini, sarà la stessa persona, no?”.
“No, papà” lo contraddisse Light “Non può essere…se fosse stato il Kira che conosciamo, non avrebbe avuto ragione di rispondere al nostro messaggio. Riflettici un attimo: perché mai il vero Kira avrebbe dovuto assecondarci e rinunciare quindi a uccidere Elle?”.
Ruri ed Elle si scambiarono un’altra occhiata carica di significato, mentre lei lo aiutava a rialzarsi in piedi.
“E se i due Kira avessero unito le loro forze, e avessero usato entrambi il termine ‘Shinigami’ solo per depistare le indagini?” propose Aizawa.
“No, anche questo è impossibile” intervenne Elle, rimettendo a posto la sua poltrona “Come ha detto Light, se fossero già entrati in contatto, non vedo perché avrebbero dovuto risparmiarmi”.
“Il secondo non agisce seguendo gli ideali di Kira, ma agisce soltanto seguendo il proprio desiderio. Ovvero, il forte desiderio di poter incontrare Kira” affermò Ruri, bevendo distrattamente un sorso di succo d’arancia.
“Esattamente così” concordò Light “Il secondo Kira agisce perché è interessato al primo…forse, il richiamo agli shinigami si riferisce semplicemente al loro potere omicida. Credo che, quando propone di mostrare i rispettivi shinigami, esprima la necessità di accertarsi ciascuno dell’identità dell’altro, esibendo i propri poteri…”.
“Giusto” ne convenne Elle “O perlomeno…possiamo dedurne che la parola ‘shinigami’ abbia un significato comune per entrambi. Quindi, tutto quello che faremo da questo momento è chiarire ulteriormente questo punto”.
“Vorresti mandare un altro messaggio al secondo Kira?” domandò Light “Se insistiamo troppo, rischiamo che, al primo passo falso, si renda conto che non sappiamo nulla, e che siamo degli impostori”.
“No” scosse il capo Ryuzaki “D’ora in avanti, lasceremo che se la sbrighino fra di loro”.
“Fra di loro?!”.
“Certo, perché se il secondo Kira ha risposto, significa che è soddisfatto della risposta del primo, in quanto è riuscito a richiamare la sua attenzione. Inoltre, ha usato termini che conoscono soltanto loro due. Trasmetteremo di nuovo la sua risposta nel notiziario delle 18 della Sakura TV; è logico pensare che anche il vero Kira stia seguendo con attenzione lo scambio di risposte fra il secondo Kira e quello impersonato da noi. Al suo posto, mi chiederei a quali conseguenze porterebbe questa faccenda, senza il mio intervento…può darsi che la prossima volta sia Kira in persona a rispondere”.
“Ma se…se per caso il vero Kira non dovesse rispondere?” chiese titubante Aizawa.
“Beh” replicò Elle, tamburellando appena con l’indice sul ginocchio destro “Allora pensate a come si comporterebbe il secondo Kira: probabilmente renderebbe pubbliche altre notizie che il vero Kira preferirebbe nascondere alla polizia e alla gente, in modo da spingerlo per forza a incontrarlo…sarebbe un bel colpo, non credete?” disse poi, con un piccolo sorriso.
“Già” ne convenne Ruri “E lo sarebbe ancor di più se, temendo tutto ciò, il vero Kira inviasse un messaggio ai canali televisivi: in tal caso, avremmo anche più probabilità di ottenere qualche indizio su di lui”.
“Precisamente. Quindi, vediamo che cosa ricaviamo dai pacchi inviati dal secondo Kira” concluse Elle, alzandosi in piedi.
 
Quando, un paio d’ore più tardi, Elle e Ruri rimasero soli, la ragazza tornò a sedersi di fianco a lui, ancora intento a lavorare sul suo computer, porgendogli una fetta di torta.
“Grazie” le disse lui, sfiorandole appena la mano nell’accettare.
“Mi sorprende che tu non me l’abbia ancora chiesto” disse Ruri, iniziando a scorrere alcuni fascicoli della documentazione.
“Di che cosa stai parlando?” le domandò il detective, con un sorriso fugace.
“Oh, andiamo! Di Light Yagami! Non hai nessuna osservazione da fare, al riguardo?”.
“Beh, condivido la tua opinione. È un buon bugiardo…pertanto, è difficile riuscire a capire quando ti sta davvero mentendo” commentò Ryuzaki.
“Nient’altro?”.
“La nuova comparsa di Misaki Yasuba lo ha sorpreso più di quanto non fosse necessario”.
“Te ne sei accorto, eh?” sospirò Ruri.
“Sì” replicò cupamente lui “Ma si è trattato solo di un istante: Light è molto bravo a non lasciarsi sfuggire il minimo errore. Non possiamo incriminarlo senza prove”.
“Quindi, ti sei convinto che sia lui?”.
“Più di quanto non sia disposto ad ammettere” replicò Elle, con tono complice “Ma non abbiamo ancora sufficienti elementi in mano: sono proprio curioso di vedere come si comporterà nei prossimi giorni. Inoltre, ho una strana sensazione riguardo a lui…”.
“Che cosa intendi dire?” domandò la giovane.
“Senza dubbio hai ragione quando dici che si tratta di un individuo costruito. Ma a volte è così coinvolto da ciò che dice che sembra persino sincero: ho qualche dubbio a credere che un essere umano sia in grado di recitare così bene la propria parte così a lungo”.
“Beh, se stiamo parlando di Kira, è ovvio che, a questo punto, le sue doti omicide abbiano raggiunto un livello super-umano…forse è lo stesso per le sue emozioni” constatò Ruri.
“Forse…o forse, siamo di fronte a qualcosa di ancor più complesso” mormorò Elle, guardando appena la fotografia del ragazzo.
“Non starai…non stai pensando a un caso di schizofrenia, non è vero?” disse Ruri, sbigottita.
“Assolutamente no. Gli omicidi di Kira denotano un elemento di lucidità troppo evidente per poter essere commessi da una mente sottoposta allo stato confusionale tipico di una patologia del genere…no. Kira è in possesso delle sue facoltà mentali quando commette l’omicidio, ed è consapevole delle proprie azioni. Ma forse non dovremmo concentrarci solo sulla sua psiche, ma anche sulla sua moralità e sulle emozioni che è in grado di provare”.
“Per quanto mi è sembrato finora, ho dei seri dubbi che quel tipo possa provare delle emozioni che si direbbero autentiche” sbuffò Ruri, disgustata.
Elle le sorrise di nuovo, carezzandole il collo con due dita.
“Allora ha fatto centro…proprio non ti piace”.
“Come ho detto a lui, sono i serial killer che non mi piacciono. Light potrebbe essere davvero un bravo ragazzo…se solo non fosse Kira” concluse Ruri, avvicinandogli delle fragole “Ma fa’ una pausa, adesso: non ho intenzione di mangiarmi queste fragole da sola!”.
 
Qualche giorno dopo, una nuova busta da parte del secondo Kira giunse al quartier generale.
“Vuole che venga mostrato un diario in TV?” domandò Light non appena fu arrivato, prendendo in mano la pagina che suo padre gli aveva appena passato.
“Sì, ecco qua” replicò il suo genitore.
“Guarda che cosa c’è scritto in riferimento al giorno 30” disse Ryuzaki, con aria impassibile.
Dopo che Light lo ebbe osservato per alcuni minuti, Ruri ed Elle gli si avvicinarono di più.
“Allora, Light?” domandò Ruri “Che te ne pare di questo foglio?”.
“Per il momento, posso solo dire…che questo tizio è veramente stupido” disse il ragazzo, con espressione infastidita.
“Sì, è vero” convenne Matsuda “Da ciò che scrive, è ovvio che vuole incontrarsi con Kira alla partita dei Giants”.
“Non ha pensato che, mandando in onda una cosa del genere, scoppierebbe il panico e verrebbe anche cancellata la partita?” chiese il sovrintendente.
Elle tornò a sedersi e mise in bocca un cioccolatino, l’espressione pensierosa.
“È talmente stupido che, francamente…non so bene che pesci prendere. Quello che penso è che se mandiamo in onda l’immagine del diario, dovremo anche dire di cancellare la partita. Se non la mandiamo, invece, il secondo Kira non farà alcun passo”.
“E poi, chissà che cosa combinerebbe per la rabbia, se la partita venisse sospesa!” commentò Matsuda, sedendosi insieme a tutti gli altri sui divani vicini alla poltrona di Ryuzaki.
“Questo non è un problema” ribatté Ryuzaki “A quanto pare, lui prova un senso di venerazione nei confronti di Kira: se ha giurato al Kira inventato da noi che non ucciderà persone innocenti, rispetterà l’impegno preso. Per il momento, mandiamo in onda l’immagine del diario e l’avviso di sospendere la partita. Diremo che il 30 la polizia passerà al setaccio la zona, piazzando posti di blocco nelle strade vicine al Tokyo Dome: dopodiché, manderemo in onda un’altra risposta da parte del nostro Kira, in cui lui si renderà disponibile all’incontro”.
“Ma tu…sei assolutamente convinto che verrà, nonostante tutti questi controlli?” chiese Soichiro.
“Dubito che il vero Kira verrà, ma la stessa cosa non posso dire del secondo, visto che non ho ancora ben chiaro quanto sia stupido” replicò il detective, tenendo il foglio sollevato con due dita “Per esempio, mettiamo che non lo sia poi così tanto e che…abbia nascosto un altro messaggio, in questa pagina. Se ci fossero dei termini in codice comprensibili solo a chi gode dei poteri di chi prende il nome di uno shinigami, non potremmo mai saperlo…credo che sarebbe il caso di tenere in considerazione i luoghi specifici menzionati su questo diario” affermò poi, bevendo un sorso di caffè “Il 22 parla di un appuntamento ad Aoyama, e il 24 a Shibuja, sempre con un amico…potrebbe essere inutile, ma non ci resta che fare attenzione a tutte le persone che ad Aoyama tengono in mano un quaderno, e a quelle che a Shibuja indossano un abito particolare”.
“Sarà meglio installare subito il maggior numero possibile di telecamere nei quartieri di Aoyama e di Shibuja, e inviare più poliziotti possibile in borghese per il giorno prestabilito” disse Ruri.
“Perfetto, allora ci vado io!” esclamò Matsuda “Mi ci vedo bene ad Aoyama e a Shibuja!”.
“Vengo anch’io” disse subito Light.
“Light…” gli si rivolse Soichiro, con tono perplesso.
“Devi stare tranquillo, papà: ogni tanto mi capita di andare a fare un giro da quelle parti. E poi, sono quello che darebbe meno nell’occhio, a spasso con uno come Matsui. Del resto, il secondo Kira è interessato a una sola persona, a Kira”. Dopo circa una mezz'ora, Light dichiarò di dover rientrare a casa per non destare la preoccupazione della madre, e così si affrettò ad uscire dalla suite, dirigendosi al pian terreno. Non passò molto dalla sua uscita che il cellulare di Watari prese a squillare.
“Sì?” rispose lui “Come? Sì, sì, attenda un attimo, signorina. Miss” disse poi, rivolgendosi a Ruri “È la signorina Cooper”.
Ruri alzò di scatto gli occhi: Roxie Cooper era il nome in codice che avevano dato a Robin, quando aveva deciso di rimanere in Giappone, fornendole persino dei documenti falsi. Sapevano che probabilmente Kira non l’avrebbe presa di mira, ma era sempre meglio non rischiare.
“Dice che è urgente” proseguì Watari, passandole il telefono.
Ruri gli sorrise, ormai rassegnata al fatto che lui l’avrebbe chiamata ‘Miss’ per tutta la vita, e prese il ricevitore che lui le stava porgendo.
“Roxie, sono io” le disse subito “Che cosa succede? Lo sai che è meglio che non chiami questo numero”.
“Lo so, Ruri, scusami. È solo che ho appena visto qualcosa in televisione che potrebbe interessarvi…state guardando la Sakura TV?”.
“No, veramente stiamo lavorando. Di che cosa parli?”.
“Accendete subito! A quanto mi pare d’aver capito da quel poco che Taro si è lasciato sfuggire, questo potrebbe esservi seriamente utile!”.
Ruri indirizzò una veloce occhiataccia a Matsuda, che si sentì immediatamente chiamato in causa e arrossì di botto.
“E va bene, diamo un’occhiata” borbottò Ruri, accendendo il televisore.
“Che cosa succede?” domandò Ryuzaki.
“Roxie dice che dovremmo accendere la Sakura TV, ma non capisco che cosa…”.
Proprio mentre stava per pronunciare le sue successive parole, l’immagine che le comparve di fronte agli occhi fu in grado di zittirla all’istante: davanti a loro, spiccava il profilo di una bella ragazza bionda, sui vent’anni, comodamente seduta nello studio riservato ai Talk Show della Sakura TV.
“Signore e signori, buonasera! È con grande piacere che vi do il benvenuto a questa nuova puntata di ‘La parola all’ospite’! Oggi abbiamo con noi la celebre modella e attrice Misa Amane, che ci esporrà le sue opinioni sul caso del serial killer dei criminali, conosciuto in tutto il mondo con il nome Kira!”.
All’altro capo del telefono, Roxie formulò una risatina.
“Te l’avevo detto che l’avresti trovato interessante!”.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Ooooh, l’ho già finito!! Lo so, passo da un estremo all’altro, dal non aggiornare per più di un anno a due capitoli in due giorni, sarò mica io quella schizofrenica, in realtà?? Beh, che posso dire, lo so che non era un granché come al solito, e che probabilmente vi annoiate a rivivere passo per passo ogni singolo episodio, ma mi piaceva che Ruri fosse integrata nella storia al massimo :D Ora che ci penso, forse un’apparizione così sfacciata di Misa è troppo persino per lei, ma mi sono sempre chiesta com’è che la polizia fosse arrivata a perquisire la sua camera da letto, considerando che non era sulla lista degli indiziati…solo una piccola variazione, spero che non mi odierete per questo :D Intanto, passiamo all’annuncio ufficiale di cui vi ho parlato molto. Che dire, non avrei mai pensato che sarebbe arrivato questo giorno, ma ultimamente ho preso una decisione davvero importante…ho deciso che…
 
‘Sugar and Pain’ diventerà un libro.
 
*…..silenzio in sala*. Ahahahaah, no, non sto scherzando!! Naturalmente, avremo a che fare con un altro detective (anche se molto simile al nostro Elle per alcuni aspetti) e con un differente caso di omicidi (anche se rimarrà l’elemento paranormale), ma avremo sempre la nostra Ruri e il suo passato tormentato, il suo trapianto di cuore e la sua razionalità mista a una grande impulsività. Naturalmente, è solo un’ipotesi (non sono molto sicura che qualche casa editrice pubblicherebbe le mie robacce, anzi, non penso proprio che accadrà), ma ho deciso di provarci! Ovviamente continuerò la fanfiction fino alla fine, e la storia sarà disponibile fin quando non invierò il libro per fare dei tentativi :D Mi piacerebbe sapere che cosa pensate di questa idea folle, insultatemi pure, ma non siate troppo cattivi :D Bene, farò il possibile per aggiornare presto con il capitolo 20!! Un bacione a tutti voi e a prestissimo, la vostra Victoria       

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Capitolo 20
*** Reclusione ***


Capitolo 20- Reclusione
 
Gli occhi di Ruri si ridussero a due fessure, concentrandosi sull’immagine della ragazza appena apparsa sullo schermo.
“Grazie, Roxie, sei stata grande” le disse “Ti faremo sapere se ne avremo ricavato qualcosa”.
“D’accordo. Salutami Taro, e a presto!”.
“Ciao” si congedò Ruri, riattaccando e restituendo il cellulare a Watari.
“Signorina Amane, la sua intervista sull’ultimo numero di ‘Eighteen’ ha scatenato grande scalpore nel mondo dello spettacolo! Lei ritiene veramente che Kira abbia delle buone ragioni per agire?” domandò il conduttore alla biondina, senza mai smettere di sorriderle in modo quasi lezioso.
“Beh, personalmente non trovo nulla di strano nell’operato di Kira. Dopotutto, lui è dalla parte dei buoni e dei giusti, lei non crede? Non fa mai del male agli innocenti o a coloro che non hanno responsabilità di alcun genere, vuole soltanto epurare il mondo dalla minaccia dei malvagi! Dal mio punto di vista, è assurdo che la polizia cerchi ancora di catturarlo!”.
“Assurdo, eh?” commentò Ruri, andandosi a sedere sul posto del divano più vicino alla poltrona di Elle, che osservava la scena con un sorriso un po’ inquietante stampato sulle labbra.
“Ma Kira potrebbe rivelarsi un individuo pericoloso, e una collaborazione con lui potrebbe ritorcersi contro la polizia” disse il giornalista.
“Ma no, è assolutamente impossibile! Kira non ucciderebbe mai degli innocenti privi di colpe, ne sono convinta!”.
“Beh, però ha più volte cercato di uccidere Elle, e si è anche sbarazzato di tutti gli agenti dell’FBI che erano stati inviati in Giappone per collaborare con il misterioso detective. Non le è sembrato un gesto biasimevole?”.
“Biasimevole?!” sbottò Soichiro, con aria esterrefatta “Ma questo tizio sta parlando sul serio?!”.
“Oh no, al contrario! Kira ha una missione molto importante da svolgere, e non può permettersi intralci di questo genere! Le forze di polizia dovrebbero decidersi una volta per tutte a passare dalla sua parte, e se non lo faranno dimostreranno solo di essere dalla parte dei criminali da cui Kira vuole solo proteggerci! Si è visto più volte quanto il sistema della giustizia si sia rivelato inconcludente e inutile sotto molti punti di vista, portando persino all’assoluzione di colpevoli palesi! Io sono dell’idea che sia giunto il momento di arrivare a una svolta, ed è per questo che ho rilasciato quell’intervista! Voglio che Kira sappia che ci sono moltissime persone che sono dalla sua parte, persino nel mondo dello spettacolo, e che prima o poi tutti coloro che adesso agiscono contro di lui capiranno d’aver sbagliato e gli rivolgeranno le loro scuse! Sono sicura che lui sarà molto ben disposto a perdonarli”.
“Ah, sì, come no!” sbuffò Ruri, alzando gli occhi al cielo.
Dal canto proprio, Ryuzaki si voltò lentamente verso Watari, senza cambiare espressione.
“Trovami tutto quello che puoi sul conto di questa Misa Amane” gli disse, con un tono che tradiva appena la sua eccitazione “E contatta la Sakura TV. Digli di interrompere subito l’intervista e di consegnarci tutte le registrazioni della puntata, o li faccio arrestare immediatamente”.
“Ma…ma perché vuoi che l’intervista venga interrotta?” domandò Matsuda.
“Perché non voglio che Kira abbia modo di prendere atto di ciò che questa Misa Amane ha appena detto; certo, c’è la possibilità che stia guardando la televisione in questo momento, ma non possiamo escludere nessuna ipotesi. Inoltre, se Light Yagami fosse Kira, è quasi del tutto certo che al momento non è al corrente della cosa, e non ho intenzione di porgli di fronte questa notizia” replicò Elle.
“Ma se gli abbiamo chiesto d’indagare insieme a noi…non dovremmo metterlo al corrente di ciò che veniamo a sapere?” obiettò Aizawa.
“Le ricordo che Light è ancora nella lista dei sospettati, e che vi sono numerosi indizi che portano a lui. Se partiamo dal presupposto che il secondo Kira cercherà di contattare il primo, e se prendiamo in considerazione la possibilità che Light sia effettivamente Kira, allora potremmo immaginare che Light venga avvicinato nei prossimi giorni dal suo più grande ammiratore…chissà che non si tratti di una ragazza dall’aspetto piacevole che improvvisamente manifesti l’intenzione di uscire con lui” disse Ryuzaki, con un sorrisetto.
Ruri lo imitò e annuì appena.
“Beh, questo confermerebbe la mia ipotesi sulle generalità del secondo Kira…si spiegherebbero molte cose”.
“Matsuda, deve farmi un favore” disse il detective “Quando arriverà il giorno stabilito, tenga bene d’occhio Light, e mi raccomando…non ne faccia parola con nessuno”.
“Ah, sì…sì, certo, d’accordo” acconsentì Matsuda, un po’ a disagio.
“Ora che ci penso, Aizawa” riprese Elle, voltandosi verso di lui “Ha più avuto notizie dalla Scientifica in relazione al contenuto delle buste inviate dal secondo Kira alla Sakura TV?”.
“Beh, sì, sono arrivate oggi” disse il poliziotto “Ma ho aspettato a dirtelo proprio perché non presentano risultati molto concludenti…”.
“Nessuna traccia?”.
“Beh, non proprio: abbiamo molto materiale su cui lavorare, ma le tracce non portano a nessun soggetto che sia stato schedato. Temo che siamo a un punto morto”.
“Non mi aspettavo certo che si trattasse di un individuo già noto” ribatté Ryuzaki, facendogli alzare lo sguardo “Ma dopo quanto abbiamo appena visto…credo che sia opportuno effettuare un paio di verifiche. Ruri” disse poi, rivolgendo uno sguardo intenso alla ragazza “Sai che cosa fare”.
“Certo” annuì Ruri, componendo un apposito numero di cellulare che le aveva appena passato Watari.
Prima che Matsuda potesse chiederle che cosa stava facendo, la persona che la giovane aveva appena chiamato rispose all’altro lato del telefono.
“Giudice Ishida” disse, con tono professionale “Sono la dottoressa Kakashi, della Scientifica della Polizia di Tokyo. In merito al caso Kira, Elle le chiede di rilasciare un mandato di perquisizione per l’appartamento di Misa Amane: naturalmente, la cosa dovrà svolgersi nella massima segretezza. Il vice-direttore Kitamura, nel caso in cui ciò si rivelasse necessario, le confermerà l’assoluta necessità della nostra richiesta”.
Ruri attese un paio di secondi, e poi sorrise in modo soddisfatto.
“Sì, sì, certo…per questa sera? La ringrazio infinitamente. Il suo sarà un contributo prezioso” concluse, prima di riattaccare.
“Allora?” le domandò Elle.
“Abbiamo il mandato. Potremo muoverci anche domani mattina”.
“Molto bene”.
“Scusatemi se mi permetto, ma non immaginavo che ci fosse bisogno di un mandato di perquisizione per procedere all’ispezione dell’appartamento di un sospetto. O meglio, ovviamente so che ce ne sarebbe bisogno in circostanze normali, ma al momento…” obiettò Matsuda.
“Abbiamo bisogno di prove che possano ritenersi valide in un’aula di tribunale, se vogliamo mandare Kira e il suo complice sulla forca. Sarebbe quantomeno inopportuno farsi sfuggire un elemento schiacciante fra le mani soltanto perché le prove inerenti ad esso risultassero ottenute in modo illegale” replicò Ruri, iniziando ad aiutare Watari nella ricerca delle informazioni su Misa Amane “In ogni caso, dopo il 30 Maggio le cose si faranno molto più interessanti”.
 
Alcune settimane più tardi, il 1 di Giugno, l’intero quartier generale si riunì per fare il punto della situazione; le prove sul conto di Misa Amane avevano già iniziato ad emergere, ma Ryuzaki aveva deciso di tenerle nascoste a Light ancora per un po’, in attesa che il secondo Kira potesse fare una mossa che arrivasse a includerlo.
“Non abbiamo rivelato nessun indizio particolare, né il 22 ad Aoyama, né il 24 a Shibuja” esordì Aizawa, scrutando attentamente la pagina di diario inviata dal secondo Kira “L’unica data che ci resta…è quella del 30 Maggio al Tokyo Dome”.
In quell’istante, il computer portatile di Elle emise un segnale di chiamata da parte di Watari.
“Ryuzaki, alla Sakura TV è arrivato un altro messaggio da parte del secondo Kira. Il timbro indica che è stato spedito il 23” decretò l’anziano, prima di inoltrare subito il nuovo messaggio registrato.
“Sono riuscito a trovare Kira” esordì la voce “Ringrazio la polizia, e tutto il personale della TV”.
Elle continuò a fissare lo schermo posto alla sua sinistra, le mani poggiate sulle ginocchia e l’espressione pensierosa.
*Se dice il vero* pensò in fretta *Allora, non può essere stato che il 22 ad Aoyama, visto che la busta è stata imbucata il 23…e di questo quartier generale, soltanto Matsuda e Light sono stati in quella zona. Allora…Light Yagami è davvero Kira? Ma non abbiamo prove che sia veramente successo ad Aoyama…*.
“L’ha trovato?! Questa non ci voleva!!” sbottò Aizawa.
“Già…” commentò il sovrintendente “In questo modo, i due Kira si sono alleati: la situazione si complica”.
“No, di questo non possiamo ancora esserne certi” replicò Ryuzaki, prendendo la propria tazza per il piattino e iniziando a girare lo zucchero con il cucchiaino che aveva nella mano destra “Il secondo Kira ha solo detto di averlo trovato, quindi…è possibile che non lo abbia ancora incontrato. A questo punto, non ci rimane…” disse poi, facendo una pausa per bere un sorso di caffè “…che contattarlo, ma stavolta lo faremo nelle vesti della polizia”.
“Vuoi contattarlo?”.
“Sì; gli proporremo delle buone condizioni, a patto che lui…ci riveli l’identità di Kira”.
“Sarà un buon compromesso; se è ingenuo e stupido come possiamo supporre, ci sono buone probabilità che accetti” sorrise Ruri “Tu non pensi, Light?” aggiunse, rivolgendosi al ragazzo.
Mentre i due si fissavano, la tensione nella stanza diventò palpabile in modo quasi spaventoso: alla fine, Light le sorrise appena e annuì.
“Sì, immagino tu abbia ragione. Avreste chiuso il caso molto prima di quanto si sarebbe aspettato chiunque” disse lo studente, con tranquillità.
Quando infine Ryuzaki li congedò, dandogli appuntamento al giorno dopo, il sovrintendente si fermò sulla soglia, chiedendo al figlio di aspettarlo all’ingresso, per poi voltarsi verso Ruri, rivolgendole uno sguardo molto serio e preoccupato.
Dal canto proprio, la ragazza l’osservò perplessa.
“Va tutto bene, sovrintendente?” gli domandò.
“Ruri…lo so che si tratta di una domanda inopportuna, ma devo comunque chiedertelo. Come profiler e come criminologa, tu…tu ritieni veramente possibile che mio figlio possa essere Kira?” le chiese, con atteggiamento risoluto.
Ruri sospirò e cercò di sorridergli.
“Senta, sovrintendente, le ho già detto come la penso: per il momento, possiamo fare solo supposizioni. Come ha detto Ryuzaki, le probabilità che suo figlio possa essere Kira sono inferiori al 10%, e in questo momento non disponiamo ancora di sufficienti elementi per poter determinare…”.
“Ruri. Per favore. Te lo chiedo come padre, oltre che come sovrintendente di polizia: mi risponderesti con un sì…o con un no?” la pregò l’uomo.
Ruri notò la preoccupazione nel suo sguardo e si sentì triste per quell’uomo che aveva dedicato molto alla sua famiglia e ai suoi figli: improvvisamente, sentì che non aveva il diritto di mentirgli.
“Ritieni che Light sia Kira?” le domandò, posandole una mano sulla spalla.
Ruri attese qualche altro secondo, e infine rispose.
“Sì, io…personalmente, ritengo che lo sia”.
Soichiro abbassò lo sguardo, togliendole la mano dalla spalla e indietreggiando di qualche passo.
“Capisco…” mormorò lentamente.
“Senta, signor Yagami, è solo una possibilità: non posso capire fino in fondo quanto possa essere difficile per lei, ma la prego di non concentrarsi soltanto su questo. Lei è un ottimo poliziotto, ed è un buon padre. In qualsiasi modo questo caso vada a concludersi, vorrei che questo non lo dimenticasse mai. E inoltre, il mio parere è soltanto marginale: lo sa chi è che deve pronunciare il verdetto definitivo” ridacchiò appena, accennando a Ryuzaki, che nel frattempo continuava a dare loro le spalle e a sorseggiare il suo caffè, come se niente fosse.
“Sì, lo so…cercherò…cercherò di non pensarci troppo” annuì l’agente, infilandosi la giacca “Ci rivediamo questa sera per la riunione delle 22.00. Volete che avvisi anche Light?”.
“No: dovremo visionare di nuovo le registrazioni di ciò che è avvenuto ad Aoyama il 22 Maggio. Sarà meglio valutare bene le ipotesi, prima di compiere azioni avventate”.
“A proposito di Light” intervenne Elle, senza voltarsi “Signor Yagami, dica a Mogi di seguire i suoi spostamenti”.
“I suoi spostamenti…?”.
“Se per caso Light dovesse essere Kira, è possibile che il secondo Kira lo avvicini in qualche modo” spiegò il detective.
Yagami sembrò esitare per qualche secondo, ma alla fine rilassò le spalle e annuì di nuovo.
“Va bene” disse “Farò come mi dici”.
“Beh, allora a presto, sovrintendente” lo salutò Ruri, stringendogli la mano.
“A presto, Ruri…e…grazie” le disse l’uomo, gratificandola con un sorriso.
“Non ho fatto niente, signore. A dire il vero, non sto rendendo la vita a Light molto facile” ammise Ruri, stringendosi nelle spalle.
“Se mio figlio è davvero colpevole, io sono il primo a voler fare in modo che la cosa venga accertata. E poi, mi fido del giudizio di Ryuzaki…e del tuo. Mi hai più volte dimostrato di essere non solo una profiler molto competente, ma anche un’ottima persona. Io mi fido di voi, Ruri. Mi fido di te” sottolineò il poliziotto, guardandola dritto negli occhi.
“Beh…grazie per la fiducia” ribatté Ruri, abbozzando un sorriso.
“L’avevo detto che eri una ragazza preziosa. A questa sera, Ryuzaki” si congedò infine, prendendo del tutto la porta.
Non appena se ne fu andato, Ruri tornò a sedersi di fronte al proprio portatile, dove Watari le stava già porgendo un bicchiere di limonata ghiacciata.
“Grazie, Watari. È la mia bevanda preferita” gli sorrise in modo caloroso.
“Oh, lo so, Miss. Non faccio mai scelte a caso” replicò l’uomo, ricambiandola “Come si sente, oggi? Posso fare qualcosa per lei?”.
“Va tutto bene, Watari. Perché non va lei a riposarsi un po’? Mi sembra stanco; penso io a rimettere un po’ in ordine” gli disse, posandogli una mano sul braccio.
“Non ce n’è alcun bisogno, Miss. Non si preoccupi per me” replicò l’uomo, iniziando a spingere fuori dalla stanza il carrello vuoto dei dolci.
“Crede che verrà mai un giorno in cui mi darà definitivamente del tu?” gli domandò Ruri per l’ennesima volta, ma l’uomo si limitò a rivolgerle un altro sorriso e a uscire dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Dopo qualche minuto di silenzio, la voce di Elle le fece alzare di nuovo gli occhi.
“Ti vuole bene, sai” le disse, con il tono più naturale del mondo.
Ruri lo fissò con sguardo interrogativo.
“Watari” le spiegò lui, guardandola a sua volta.
“Oh, lo so” replicò Ruri, con un altro sorriso “L’ho sempre saputo. Anch’io gliene voglio molto”.
“Immagino che lo sappia anche lui” constatò Ryuzaki, premendo il tasto PLAY e iniziando a revisionare le registrazioni delle telecamere di sorveglianza.
Ruri gli lanciò un’occhiata di sottecchi, alzando un sopracciglio.
“E tu? Tu lo sai quanto ti vuole bene?” gli domandò alla fine, togliendogli di mano il telecomando.
“Beh, in effetti…non abbiamo mai parlato di cose del genere” ammise Elle, stringendosi nelle spalle.
“Lo immaginavo. Non siete fatti in questo modo” notò Ruri “Ad ogni modo, mi ha dimostrato più volte di tenere molto a te, e sono convinta che ormai lo abbia capito anche tu”.
Elle attese qualche secondo prima di rispondere, ma infine annuì appena, mettendo in bocca un pasticcino.
“La vostra è una bella famiglia” disse Ruri, sorridendogli lievemente.
“La nostra”.
Ruri si volse ancora a guardarlo, incapace di capire se avesse sentito bene o no.
“Come…?” mormorò.
“La nostra è una bella famiglia” ribadì Ryuzaki, senza staccare gli occhi dal televisore.
Ruri l’osservò a lungo, senza riuscire a smettere di sorridere: infine, quando andò a sedersi accanto a lui, le sue dita iniziarono lentamente a stringere la mano sinistra del detective.
Mentre anche la sua attenzione veniva assorbita dalle immagini del filmato, percepì la stretta di Elle farsi sempre più forte.
 
Il giorno successivo, arrivò all’emittente della Sakura TV l’ennesimo video da parte del secondo Kira; dopo averlo visionato con attenzione, Ruri ed Elle attesero l’arrivo di Light per discuterne in modo più appropriato.
“Buonasera” li salutò Light, togliendosi la giacca.
“Buonasera, Light. Arrivi proprio al momento giusto” lo accolse Ryuzaki, voltandosi verso di lui “È arrivato un altro video dal secondo Kira”.
“Un altro…?” ripeté Light, con aria sorpresa “Non me l’aspettavo così presto”.
“Già…” replicò Ryuzaki “Dice che è l’ultimo: comunque, guarda tu stesso” concluse, prima di premere il tasto PLAY.
La consueta voce registrata non tardò a farsi sentire.
“Rinuncerò al mio proposito di incontrare Kira: ringrazio la polizia per il suggerimento. Tuttavia, intendo continuare ad aiutarlo a punire i malvagi, affinché un giorno egli possa apprezzare la mia collaborazione. Per prima cosa, giudicherò i criminali non ancora giustiziati da Kira; inoltre, intendo migliorare questo mondo condividendo il mio potere con altre persone che riterrò all’altezza del compito”.
Ryuzaki spense il televisore e posò da parte il telecomando, prima di riprendere a parlare.
“Sai, guardando questo video ho avuto la sensazione che i due Kira abbiano già unito le loro forze” disse, con la massima naturalezza “E Ruri condivide la mia tesi”.
“Un cambiamento comportamentale così repentino è insolito, per una mente così predisposta all’auto-annichilazione: verrebbe da pensare che il soggetto abbia ricevuto istruzioni” constatò Ruri “Un po’ come se il secondo Kira avesse incontrato il primo e si fosse fatto dare qualche consiglio su come proseguire…”.
“Ma come fate a dirlo con precisione…?” domandò Light.
“Non hai avuto la stessa sensazione? E dire che pensavo che fossimo sulla stessa lunghezza d’onda” affermò Ryuzaki “Come ha appena detto Ruri, questo suo cambiamento improvviso è strano, anche considerando quanto abbia insistito per incontrare Kira…e inoltre, dice che d’ora in avanti giudicherà i criminali che Kira non è riuscito a giustiziare per ottenere la sua approvazione. E allora, mi chiedo…perché non l’ha fatto prima?”.
“Molto semplice: perché finora non c’era arrivato” lo anticipò Ruri.
“Esatto” confermò Elle “Il che fa pensare che, molto probabilmente, abbia incontrato Kira, il quale gli ha ordinato di giudicare quei criminali e di far sì che nessuno sospetti del loro incontro”.
“Capisco” disse Light “Se è così, significa che anche Kira non ha riflettuto molto, prima d’agire…”.
“Già” disse Ryuzaki “Forse le circostanze non glielo consentivano, oppure ha lasciato apposta che capissimo del loro incontro, in modo da metterci in agitazione…il loro legame rappresenta una bella minaccia per noi, tuttavia…questo attenua i miei sospetti sul conto di Light”.
“Che cosa vuoi dire, Ryuzaki?” domandò subito Soichiro.
“Se Kira fosse Light, credo che avrebbe chiesto al secondo Kira di costringermi nuovamente ad apparire in TV, invece di fargli mandare un messaggio del genere. A quel punto, la responsabilità…sarebbe ricaduta sul secondo Kira, non avendo avuto conferma dell’avvenuto contatto fra i due”.
Elle prese una pausa per afferrare una ciambella al cioccolato, che iniziò a leccare distrattamente.
“Inoltre, il secondo Kira…” proseguì, con tono quasi distratto “…avrebbe potuto dire che la prima volta avrebbe abbandonato l’idea perché gli era stato ordinato da Kira, ma che adesso…ha capito che quell’ordine non poteva essere del vero Kira, il quale vorrebbe vedere Elle…morto” terminò, con la sua abituale voce suadente.
Dopo un ulteriore silenzio, Light tornò a rivolgersi al detective.
“Ryuzaki…”.
“Sì…?” gli rispose Elle, continuando a dedicarsi alla sua ciambella.
“Se io fossi Kira, non farei mai una cosa del genere” dichiarò lo studente.
“Perché?” chiese Elle, in tono quasi innocente.
“Perché io conosco il tuo modo di pensare, sempre che tu sia davvero Elle, come dici di essere” proseguì Light “Qualsiasi minaccia Elle ricevesse, non si mostrerebbe mai in televisione, né sceglierebbe di mandare un sostituto. Di una cosa sono certo, però: cercherebbe una via d’uscita”.
Elle si volse lentamente verso di lui, indirizzandogli un sorrisetto provocatorio.
“Mi hai scoperto, eh?”.
“Light” intervenne il sovrintendente, in tono severo “Non dirlo mai più! Non permetterti mai più di fare un esempio del genere, intesi?!”.
“Hai ragione, papà, scusami” gli sorrise il ragazzo “Però, a questo punto preferisco dire chiaramente tutto quello che penso a Ryuzaki: sia per risolvere questo caso, sia per dileguare i sospetti sul mio conto. Inoltre, se posso fare esempi del genere è proprio perché io non sono Kira”.
Elle iniziò distrattamente a immergere alcune zollette di zucchero nel suo caffè, per poi interrompersi di colpo.
“Giusto, Light non è Kira” disse infine, facendo sì che Ruri assumesse un’espressione scioccata “Anzi, se lo fosse sarebbe un bel problema per me” proseguì, girando lentamente il cucchiaino all’interno della tazza “Perché Light, beh…è…”.
Prese un ulteriore pausa, fissando la sua bevanda calda e assumendo a un tratto un’espressione molto triste.
“Light è il primo, vero, caro amico che ho…” disse alla fine, quasi mormorando.
Dopo un ulteriore silenzio interminabile, Light si pronunciò nel suo bel sorriso abituale e riprese a parlare.
“Sì, anch’io ti considero un vero amico, Ryuzaki…” gli disse, con tono quasi caloroso.
“Ti ringrazio…” replicò Elle, voltandosi appena verso di lui.
“L’università non sembra più la stessa, da quando non vieni più” proseguì Light “Mi piacerebbe molto giocare ancora a tennis con te”.
“Sì, anche a me…” annuì Ryuzaki, tornando a voltarsi verso lo schermo spento.
Dal canto proprio, Light estese il suo sorriso anche a Ruri, che lo fissò sorpresa.
“Mi piacerebbe molto se anche noi due potessimo chiamarci amici, Ruri. Ho molta stima per te, e ammiro tanto il tuo talento. Sono sicuro che avresti molto da insegnarmi” affermò, con espressione sincera.
Senza neppure sapere perché, anche a Ruri venne voglia di sorridergli.
“A me sembra che tu abbia già delle buone qualità per conto tuo. Sei un ragazzo incredibilmente intelligente, Light…”.
Fece una pausa, in cui ebbe la sensazione che tutti la stessero fissando.
“E sei una brava persona” concluse, con un cenno “In effetti, su questo non ho mai avuto molti dubbi: Light Yagami è una brava persona. Lo è sempre stato”.
“Ti ringrazio” replicò Light “Spero davvero di meritare un complimento del genere”.
“Lo spero anch’io” sospirò Ruri, alzandosi in piedi “È tutto, Ryuzaki?”.
“Sì” disse il detective, rivolgendo un cenno agli agenti “Potete andare”.
Non appena gli agenti ebbero tolto il disturbo, Ryuzaki rivolse un cenno d’intesa a Ruri, che non esitò a tirare fuori il cellulare dalla tasca.
“Mogi” disse, non appena il suo interlocutore ebbe risposto alla sua chiamata “Sono Ruri. La chiamo per conto di Ryuzaki”.
“Dimmi pure, Ruri”.
“…la questione Misa Amane. Sapete già cosa fare, non è vero?” domandò la ragazza, scrutando una fotografia della diretta interessata con attenzione.
“Certamente”.
“Molto bene. L’operazione è fissata per domani pomeriggio, subito dopo mezzogiorno. Non attirate l’attenzione”.
“Ricevuto”.
“Molto bene” disse infine, prima di riattaccare.
Il detective l’osservò con la massima intenzione, attendendo che lei tornasse a sedersi di fronte a lui.
“Sai che cosa ho intenzione di fare, non è vero?” le disse, iniziando a dedicarsi a un’altra ciambella.
“Certo che lo so” sospirò Ruri, versandosi una tazza di caffè “Non hai intenzione di andare per il sottile”.
“In effetti, stiamo parlando di utilizzare un metodo che va molto vicino al sequestro di persona” affermò Elle, con il tono di chi parla della cosa più naturale del mondo.
“Se questo può portare alla cattura di Kira…” disse lentamente Ruri, anche se con un filo di riluttanza “…immagino che sia la cosa migliore”.
Elle la scrutò per qualche momento, per poi giungere alla sua conclusione.
“Va contro i tuoi principi” affermò a un tratto, facendole così alzare lo sguardo.
Ruri ricambiò la sua occhiata e finì per scrollare le spalle.
“Un sacco di cose andavano contro i miei principi, fino a poco tempo fa: ho dato le mie dimissioni, ho usato un’arma in modo illegale, sono penetrata dentro il database dell’FBI, ho convinto un magistrato a garantirci un mandato di perquisizione quasi senza fornirgli elementi sul caso, e ho iniziato una relazione con il mio partner di lavoro. Direi che un sequestro di persona non turberà eccessivamente il mio equilibrio mentale” affermò infine, sforzandosi di sorridere.
“Sei sicura che vada bene, per te?” insistette Elle.
“Non voglio che ti preoccupi in questo modo” lo rassicurò Ruri “Ma in effetti, sottoporremo Amane a un trattamento piuttosto stressante: certo, dobbiamo farla confessare, ma mi sentirei più tranquilla se Watari venisse assistito nell’operazione da un medico che ne controlli le condizioni psico-fisiche”.
Elle sorrise lentamente e in modo soddisfatto.
“Immaginavo che avresti detto una cosa del genere: ho già provveduto” dichiarò, con il massimo stupore della ragazza “E ho già trovato il medico ideale per il compito…”.
Ruri lo fissò stranita, ma, prima che potesse pronunciare un’altra parola, qualcuno bussò alla porta della loro suite.
“Un tempismo perfetto” commentò Elle, con il suo solito sorriso caratteristico “Entri pure, dottoressa Cooper”.
“Dottoressa COSA?!?” sbottò Ruri.
Un istante dopo, Robin stava entrando insieme a Watari, che si affrettò subito a chiudere la porta alle spalle della ragazza; dal canto proprio, la rossina indirizzò subito a Ruri uno sguardo colpevole, passandosi una mano dietro il collo.
“Prima che tu dia in escandescenze, sappi che è stata una mia idea!”.
 
Alcune ore più tardi, Ruri fissava ancora Robin in modo torvo, mentre Watari si aggirava per la stanza con il suo carrello dei dolci, l’espressione innocente, ed Elle seguitava a girare lo zucchero nell’ennesima tazza di caffè.
“Ancora non capisco come diamine siamo arrivati a questo punto” borbottò Ruri “Robin, ti ha dato di volta il cervello?”.
“Sapevo che non l’avresti presa bene” sorrise Robin, accettando la fetta di torta che Watari le stava porgendo.
“Prenderla bene?! Robin, stiamo indagando sul serial killer più pericoloso di tutti i tempi! Lo sapevo che avrei dovuto convincerti a tornare a Washington!” sbottò Ruri, incrociando le braccia.
“In realtà, la presenza di Robin a Tokyo si rivelerà senza dubbio preziosa” intervenne Ryuzaki “Non avevi detto che un medico nella nostra squadra ci avrebbe fatto comodo?”.
“Sì, ma…ma…ma non pensavo certo a Robin!” esclamò Ruri, con tono concitato.
“E perché no? Ho esaminato attentamente il curriculum della dottoressa Starling…” iniziò lentamente il detective.
“Chiamami per nome, Ryuzaki” gli sorrise Robin con il massimo calore.
“…e l’ho trovato molto soddisfacente” proseguì Ryuzaki, osservando in modo pensieroso un pasticcino al cioccolato “Ha una laurea in Medicina e Chirurgia ottenuta ad Harvard, ed è nel pieno della sua specializzazione in Cardiochirurgia al ‘Virginia Hospital Centre’, uno dei migliori policlinici universitari della Costa Est. È intelligente, preparata e motivata ad aiutarci in questo caso. Inoltre, è la tua più cara amica; e tu ti fidi di lei, non è vero?”.
“Certo che mi fido di lei! Ma questa non mi sembra una ragione sufficiente per…oh, insomma!! Robin, è pericoloso!” affermò, tornando a rivolgersi alla ragazza “Non è quello a cui sei abituata normalmente, non si tratta di una sala operatoria!”.
“Sì, Ryuzaki mi ha già spiegato che cosa dovrò fare” sospirò Robin, accavallando appena le gambe “Devo ammettere che la questione, ovviamente, lascia un po’ l’amaro in bocca, ma…voglio davvero rendermi utile, Ruri. Sono qui in Giappone da settimane, e non ho mosso un dito per aiutarvi in qualche modo…”.
“Beh, non eri certo venuta in Asia per questo motivo!” le fece notare Ruri “Che fine ha fatto quel programma di ricerca sul mixoma organizzato dall’Università di Kyoto?”.
“Al diavolo il mixoma! Tu sei qui, Ruri, e hai bisogno di me. Non negarlo; non sono così ingenua come mi ritieni” le fece notare, ma senza cancellare il suo sorriso.
“Io non ho mai pensato che fossi ingenua…” disse lentamente Ruri, a disagio per la prima volta.
“No, lo so” replicò Robin, scuotendo la testa “Ma a volte, riesci persino a essere più apprensiva di me! Lo ha detto anche Ryuzaki, no? Avete bisogno di un medico nella squadra; e poi, se tu riesci a reggere la tensione, non vedo perché non dovrei farcela io”.
“Ah, insomma, Robin! Tu non eri un agente dell’FBI!” le fece notare Ruri, corrugando le sopracciglia.
“Però una volta ho operato un tizio che era rimasto in parte intrappolato sotto una macchina, un terribile incidente stradale…non avevamo tempo di portarlo in ospedale” le ricordò Robin, con un’alzata di spalle “Lavoro bene sotto pressione, lo sai. Dammi solo l’opportunità di dimostrarvelo; e poi, non potete far entrare nel team la prima persona competente che vi capita fra le mani, dico bene? Sai bene che non tradirei mai la vostra fiducia, e non ho intenzione di tradire nemmeno le vostre aspettative”.
Ruri la osservò per un lungo momento in silenzio, durante il quale Watari si dedicò a una nuova fetta di torta e ad un altro caffè, senza battere ciglio.
“Hai detto che è stata una tua idea” constatò Ruri, tamburellando appena con le dita sulle braccia incrociate.
“Sì, è vero…ho chiesto…un favore a Taro. Non arrabbiarti con lui” le disse subito, notando l’espressione dell’amica “Ma sapeva che avrei voluto rendermi utile per il caso Kira, e ha sentito Ryuzaki e Watari parlare dell’imminente arresto di Misa Amane, così…ho chiamato Watari e gli ho inoltrato il mio curriculum. Ryuzaki mi ha chiamato qualche giorno fa”.
“E voi due, pensavate d’informarmi?!” esclamò la ragazza, voltandosi di scatto verso i diretti interessati, che per contro le rivolsero due sorrisi incredibilmente innocenti.
“Non lo abbiamo appena fatto?” le domandò retoricamente Elle, stringendosi nelle spalle “Non mi risulta che tu sia venuta a conoscenza della cosa in modo inappropriato”.
“Ah beh, tu hai un modo molto soggettivo d’attribuire un significato alla parola ‘inappropriato’, Ryuzaki” constatò Ruri, alzando gli occhi al cielo.
“Deve perdonarci, Miss” sospirò Watari, porgendole un altro bicchiere di limonata “Ma immaginavamo la sua reazione, e abbiamo preferito che fosse direttamente la dottoressa Starling a informarla. Deve riconoscere, ad ogni modo, che le conclusioni di Ryuzaki sul suo conto sono impeccabili. Abbiamo bisogno di un talento del genere, soprattutto quando a esserne dotata è una persona di fiducia. Inoltre, mi farebbe comodo un po’ d’aiuto con alcuni aspetti della componente informatica del nostro lavoro, e Robin è molto dotata anche in questo campo…forse non deve fare tutto da sola, Ruri. Forse non siamo costretti a farlo. Come non era costretto a farlo Ryuzaki quando ha deciso d’incontrarla di persona. Dia una possibilità alla sua amica, e sono convinto che non dovrà pentirsene”.
Ruri tornò a fissare Robin, che adesso le stava rivolgendo uno sguardo quasi implorante.
“Non approverò la sua nomina, senza che tu sia d’accordo” aggiunse Ryuzaki, scatenando la sorpresa dell’ex agente “Noi siamo una squadra: non intendo prendere decisioni che t’impediscano di lavorare in modo efficace e congeniale alle tue capacità. A tutti noi occorrerà la massima concentrazione, quindi, se ritieni che la presenza di Robin possa in qualche modo ostacolare il tuo lavoro, troveremo un altro candidato, ma in tal caso la signorina Amane rimarrà priva di assistenza medica a tempo indeterminato, e non mi assumerò la responsabilità di quello che potrebbe succederle nel frattempo”.
Ruri l’osservò per un lungo minuto, per poi abbassare gli occhi e sospirare pesantemente.
“Immagino che Watari abbia ragione, così come ce l’ha Ryuzaki. E va bene, dottoressa Cooper: benvenuta nella nostra squadra”.
“Sei la migliore!!” esclamò Robin, andando subito ad abbracciarla “Non te ne pentirai, te lo prometto”.
“Non sarà un lavoro facile” le ricordò di nuovo Ruri, con un altro sospiro “E sappi che i nostri metodi, spesso e volentieri, non sono ortodossi quanto ci si potrebbe aspettare”.
“Non preoccuparti: si tratta di catturare un serial killer, non è vero? So quanto questo caso sia importante per voi, come per la salvaguardia del mondo intero, d’altronde. Vi assicuro che darò il meglio di me. Allora” disse poi la rossina, tornando a rivolgersi a Elle “Per quanto mi riguarda, posso proseguire nell’analisi preliminare della pazien…ehm, della sospettata. Sarà meglio che esamini il suo profilo clinico per rendermi conto del punto a cui possiamo spingerci senza che le sue facoltà fisico-cerebrali vengano alterate in modo decisivo. Dopotutto, dobbiamo farla parlare”.
 
Un paio d’ore dopo, mentre Ryuzaki e Robin erano ancora impegnati a discutere di come procedere nell’interrogatorio di Misa, Watari fece capolino di poco nella stanza che Ruri condivideva con il detective, rivolgendo un sorriso alla ragazza distesa sul letto.
“Miss?” le disse subito, andandosi a sedere vicino a lei “Va tutto bene?”.
Ruri sospirò appena, sorridendogli di rimando.
“Sì, ho solo…avevo solo bisogno di una pausa” disse la ragazza.
“A me non sembrerebbe” ammise il vecchio, con una lieve risata, accennando a tutti i fascicoli sul caso Kira che erano sparsi sul letto a due piazze “Di solito, devo costringerla a smettere di lavorare con il pugno di ferro, e questa circostanza non sembra fare eccezione”.
“Sono preoccupata” ammise Ruri, passandosi una mano dietro il collo “Non avrei mai creduto che avremmo avuto Robin qui con noi…”.
“E la cosa non le piace?” le domandò Watari.
“Non è che non mi piaccia, è solo…ecco, non lo so. Forse non è pronta; magari ritiene di esserlo, ma niente di quello che vedrà fa parte del mondo a cui è abituata. Robin è un medico, un chirurgo…non è una criminologa, o un agente di polizia, o qualcosa del genere”.
“Beh, spesso i medici hanno più a che fare con la morte di chiunque altro” le fece notare Watari, in tono riflessivo “Immagino che Robin non rappresenti un’anomalia, in questo campo”.
“La morte di fronte a cui ci mette Kira è diversa da quella che abbia mai avuto modo di vedere in qualsiasi sala operatoria” replicò Ruri, avvicinando le ginocchia al petto e abbracciandole appena.
“Forse deve solo avere più fiducia nelle sue capacità e nella sua determinazione, proprio come ha fatto Ryuzaki con lei, Miss. Robin è una ragazza forte e intelligente, e sarà una valida alleata, ne sono sicuro. Le dia l’occasione di dimostrarglielo” le suggerì ancora, posandole una mano sulla spalla.
“Lo so” mormorò Ruri “Ho solo…ecco, è che non avevo previsto tutto questo. Non avevo previsto che mi sarei ritrovata ad avere paura anche per lei”.
“Beh, suppongo che, quando l’ho condotta a quella stanza d’albergo, nessuno dei due immaginava che sarebbero successe molte delle cose che si sono verificate in questi mesi” ridacchiò Watari, carezzandole appena la testa “Mia cara, la vita spesso non ci si presenta come ce la saremmo aspettata…”.
“Detto da un pilastro della logica come lei, ammetto che è davvero notevole” rise Ruri.
“Cerchi di stare tranquilla: Ryuzaki ha tutto sotto controllo, e terrà Robin al sicuro. Ormai dovrebbe conoscerlo, giusto?”.
“Certo…andrà bene. Ne sono sicura” annuì Ruri, sforzandosi di sorridere.
“Inoltre, le prometto che anch’io la terrò d’occhio. Non sarà in pericolo. Ha la mia parola su questo” concluse l’anziano, alzandosi in piedi “Bene, adesso è meglio che torni al mio lavoro, Miss: c’è qualcos’altro che posso fare per lei? Ha fame?”.
“Deve davvero sempre preoccuparsi che abbia lo stomaco pieno?” rise la giovane, alzandosi in piedi a sua volta.
“È naturale, Miss” annuì Watari, con la massima solennità “Ordini di Ryuzaki; e, se posso permettermi, anche se così non fosse…”.
“Va bene, va bene. Le prometto che verrò di là a mangiare qualcosa” sospirò Ruri, alzando gli occhi al cielo.
“Perfetto” dichiarò Watari, facendo per voltarsi, ma la voce di lei lo richiamò indietro.
Esitando solo per un istante, Ruri eliminò la distanza che vi era fra loro e lo abbracciò, lasciandolo di stucco; dopo qualche istante, l’inglese iniziò lentamente a ricambiare la stretta, lasciando perfino che un altro sorriso, nonostante la sorpresa, gli scivolasse sulle labbra.
“Grazie…” gli mormorò appena la ragazza.
In quel momento, la porta della stanza si socchiuse appena, rivelando il profilo di Ryuzaki: nello scorgere quella scena, il detective tornò sui suoi passi e congedò definitivamente Robin, a cui dette appuntamento per il giorno dopo e a cui disse che Ruri stava dormendo; mentre la giovane usciva dalla suite, anche sul suo volto comparve un sorriso leggero.
 
Il giorno dopo, dopo che Soichiro, Aizawa e Matsuda si furono accomodati sui divani della suite, Ryuzaki si posizionò sulla sua abituale poltrona, iniziando a riesaminare le prove in loro possesso per l’ennesima volta: con la massima naturalezza, iniziò a sollevare con due dita ogni bustina che giaceva sul tavolo di fronte a lui, analizzando di volta in volta il contenuto di ciò che aveva scelto e commentando la cosa a voce alta.
“Capello” pronunciò, mentre Ruri continuava a sfogliare febbrilmente la documentazione relativa a Misa Amane.
“Briciole di uno snack” proseguì Ryuzaki “Capello…”.
Dopo un’ulteriore pausa, Ryuzaki decise di rivolgersi al sovrintendente.
“Yagami” disse, attirando la sua attenzione “Se io muoio nei prossimi giorni, significa che Kira è suo figlio” affermò poi, con la massima naturalezza “Un altro capello…”.
“Che cosa hai detto, Ryuzaki?!” esclamò il poliziotto, balzando in piedi.
“Già, di che stai parlando? Che cos’è questa storia?!” rincarò la dose Matsuda.
“E vi chiedo di tener presente che, nel caso in cui io dovessi morire, sarà Ruri a divenire il capo delle indagini. Vi rivolgerete a lei per qualsiasi questione relativa al caso Kira” proseguì Ryuzaki, senza che la ragazza reagisse in alcun modo a quella dichiarazione.
Era qualcosa di cui lei ed Elle avevano parlato molte volte, ma il solo pensiero che quell’evenienza potesse verificarsi le impediva di riflettere in modo razionale e le mozzava il respiro nel petto.
“Ryuzaki!” proseguì il sovrintendente, con tono esterrefatto “Avevi detto d’aver chiarito quasi tutti i dubbi sulla sua innocenza, fino a che punto sospetti veramente di lui?”.
“Nemmeno io so bene che cosa pensare” ammise Ryuzaki, senza voltarsi “Non mi era mai successo, prima d’ora…se mai i due Kira avessero unito le loro forze, allora per me sarebbe davvero la fine. Forse è per questo…” disse poi, prendendo in mano la sua tazza “…che ancora non riesco ad analizzare la situazione con la dovuta calma”.
Prese un lungo sorso di caffè, prima di proseguire.
“Forse mi ostino a pensare che sia lui solo perché non abbiamo nessun altro indiziato…ad ogni modo, se dovessi morire” decretò infine, posando di nuovo il recipiente sul suo piattino “La prego di concludere che Kira è suo figlio”.
Soichiro e gli altri caddero in un silenzio teso e abbattuto, rotto soltanto da Ruri, intenta ad alzarsi in piedi e a riordinare i documenti appena esaminati con perfetta calma.
“Si tratta di una deduzione priva di alcun difetto” constatò, in modo piatto “Anche se qualcosa mi dice che non morirai nei prossimi giorni, Ryuzaki…anzi, non morirai affatto”.
Ryuzaki l’osservò per qualche istante, per poi annuire, l’ombra di un sorriso dipinto sulle labbra.
*Non mi resta che attaccarlo di nuovo di sorpresa…a questo punto…è una scommessa*.
 
Intorno a mezzogiorno, Ryuzaki e Ruri andarono a sedersi su una delle panchine del parco dell’Università, dove Elle non esitò a togliersi subito le scarpe e a raggomitolarsi nella sua posizione abituale, iniziando a leggere un libro che prese a tenere sollevato con due dita, come di consueto; dal canto proprio, Ruri estrasse a sua volta un romanzo dalla borsa, che cominciò a fissare in modo metodico e controllato, stando ben attenta a tenere d’occhio il viale alberato dell’Ateneo.
Improvvisamente, avvenne ciò che stavano aspettando.
“Ci siamo. Eccolo” mormorò, dando appena di gomito a Ryuzaki e accennando nella direzione che gli interessava.
Osservando meglio, Ryuzaki poté constatare che Light stava venendo nella loro direzione, intento a chiacchierare amabilmente con una bella ragazza bruna.
“Kiyomi Takada, eh?” sospirò Ruri, trattenendosi dall’alzare gli occhi al cielo da sotto la parrucca bionda “Non lo facevo tipo da trucchetti così infantili…”.
“Light Yagami!” lo salutò Elle, sollevando la mano come richiamo nei suoi confronti “Buongiorno…”.
Entrambi lo videro rivolgere verso di loro uno sguardo penetrante, per poi scambiare due parole con la studentessa che gli aveva camminato al fianco e congedarla frettolosamente; quando se ne fu andata, Light riprese a camminare nella loro direzione, fermandosi quando fu di fronte alla loro panchina.
“Speriamo di non essere inopportuni” dichiarò Elle, non appena il giovane li ebbe raggiunti.
“Ma no, figurati: piuttosto, ieri non dicevate che avrebbe potuto essere rischioso farvi vedere ancora in giro?” interloquì Light, con naturalezza.
“Ho pensato che non dovrebbero esserci problemi, a meno che tu non sia Kira” replicò il detective, posando le mani sulle ginocchia “Sei l’unico, al di fuori del quartier generale, a sapere che io sono Elle e che Ruri è l’agente Misaki Yasuba…per questo, se mai io dovessi morire nei prossimi giorni, ho lasciato detto ai nostri amici del quartier generale che saresti tu…Kira. Naturalmente, questo varrebbe a maggior ragione per Ruri, visto che è stata così gentile da rivelarti parte delle informazioni sul suo conto” aggiunse poi, rivolgendo un cenno alla ragazza, che lo gratificò di un sorriso appena accennato.
“Abbiamo pensato di fare un salto all’Università, visto che senza di noi ti sentivi solo” proseguì Ruri, stringendosi nelle spalle “Cambiare aria ci è sembrata una buona idea: dopotutto, finché non moriamo, questo posto rimane alquanto piacevole”.
“Già, effettivamente qui c’è da annoiarsi senza di voi” commentò pigramente Light “Non c’è altra gente del mio livello con cui fare un po’ di conversazione…”.
“Per questo frequenti una ragazza brillante come Takada?” domandò a bruciapelo Elle.
“Sì, più o meno” rispose lo studente “Non sei l’unico con un debole per le donne belle e intelligenti, Ryuzaki”.
“Sempre con la risposta pronta, come al solito” disse Ruri, sospirando appena “Non ti smentisci mai, Light”.
“Ti andrebbe se mangiassimo qualcosa al bar?” domandò Elle, alzandosi in piedi insieme a Ruri e infilandosi le scarpe.
“Ma sì, tanto anch’io sono in pausa” replicò Light, iniziando a camminare nella direzione prescelta.
“Bene!” commentò Ryuzaki “Secondo voi ce le hanno, le torte?”.
“Mah, non lo so…può darsi” rispose Light, poco interessato.
In quel preciso istante, una voce squillante interruppe la loro conversazione.
“Light!!! Ti ho trovato!!!!”.
Voltandosi verso quel suono stridulo, gli occhi di Ruri s’illuminarono a un tratto di un guizzo vittorioso: di fronte ai loro occhi, spiccava niente meno che la figura di Misa Amane, intenta a fissare Light con lo sguardo di una devotissima innamorata.
*Questo ti costerà un bel po’, Light Yagami…*.
“Ho un servizio fotografico qui vicino, e ho pensato di fare un salto!” esclamò Misa, tutta cinguettante, le mani molto ben curate intente a stringere la borsetta.
Dal canto proprio, Elle assunse a sua volta un sorriso incredibilmente inquietante, la mente concentrata su ogni singolo particolare di quella scena e di tutto ciò che avevano scoperto nei giorni precedenti.
“Loro sono tuoi amici? Che tipi originali, fico! Mi piace un sacco quella camicetta!” continuò la biondina, rivolgendosi in modo diretto a Ruri “Ho indossato quel modello durante la presentazione della nuova collezione primaverile di quello stilista, è davvero molto chic!”.
“Un regalo” disse semplicemente Ruri, cercando di mantenere le distanze.
“Beh, hai davvero buongusto! Io sono Misa Amane, la ragazza di Light, molto piacere!” si presentò la giovane, con lo stesso entusiasmo.
“Io mi chiamo Ryuga Hideki” disse Elle, in modo inespressivo “E lei è Ruri Dakota, la mia ragazza”.
“Ryuga Hideki…?” ripeté lentamente Misa “E…Ruri Dakota, hai detto?”.
“Sì, beh” intervenne Light, prendendo Misa per le spalle e ponendosi di fronte a lei “Si chiama proprio come quel cantante…che combinazione, eh? E Ruri è per metà giapponese e per metà americana, per questo ha un nome così caratteristico”.
Dopo un breve silenzio in cui Elle riprese a fissare la coppia in modo decisamente inquietante, il detective riacquistò a un tratto la parola.
“Lo sai che ti invidio? Sono un tuo fan fin dal numero di Agosto di ‘Eighteen’” dichiarò, senza mutare il tono della voce.
“Oh? Davvero? Che bello!” esclamò Misa, in tono estasiato.
In quel momento, alcune persone nelle vicinanze si resero conto della presenza della modella.
“Guarda, ma quella là non è Misa-Misa?”.
“Sì, è proprio lei, Misa-Misa!!”.
Nel giro di un paio di secondi, si ritrovarono circondati da una folla consistente.
“Oh, con tutta la gente che c’è qui mi hanno riconosciuta subito” cinguettò Misa, in perfetta estasi.
Per l’ennesima volta, Ruri dovette trattenersi dal vomitare.
“Ma lo sai che ti seguo sempre?!”.
“Continua così!!”.
“Ah, sì, grazie, lo farò senz’altro” replicò Misa, rispondendo agli elogi di alcune fan “Ma, ehi!!” sbottò a un tratto, voltandosi indietro “Qualcuno mi ha toccato il sedere!!”.
Alle sue spalle, Ryuzaki assunse un’espressione esterrefatta, e subito dopo piombò di fronte a lei, con fare precipitoso e buffo.
“Ma tu guarda che maleducato, deve aver approfittato della confusione!!” esclamò “Ci penserò io a smascherare il colpevole!”.
Misa rise in modo chioccio, posandosi una mano di fronte alla bocca.
“Sei troppo forte, Ryuga!” disse subito, accompagnata dalle risate dei presenti, dalle quali si astennero solo Ruri e Light.
Ad un tratto, una donna alta ed elegante, dall’aspetto severo, si fece largo fra la folla e prese Misa per il polso, tirandola verso di sé.
“Misa! Dobbiamo andare, su, non vorrai fare tardi di nuovo!” la sgridò.
“Oh, sì, scusami, Yoshi” rispose la bionda, imbarazzata.
“Andiamo!!”.
“Ok, ok” acconsentì a malincuore Misa, per poi voltarsi un’ultima volta verso il fidanzato “Ciao, Light! Ci sentiamo dopo il lavoro, va bene? Ciao!”.
Non appena la folla si fu dissipata, Ryuzaki tornò a rivolgersi a Light, come se niente fosse.
“Allora, Yagami, vogliamo andare al bar?” gli chiese, rimettendosi le mani in tasca.
“Sì…ma vi dispiace se vi raggiungo dopo? Devo andare al bagno” disse lo studente, con un sorriso di scuse.
“D’accordo, come vuoi. Noi andiamo” disse il detective, prendendo inaspettatamente per mano Ruri e iniziando a superarlo.
Non appena furono fuori dalla sua portata d’orecchio, Ruri non poté fare a meno di rivolgergli un’occhiataccia.
“C’era proprio bisogno di fare lo scemo? Potevo anche occuparmene io” sottolineò, a voce bassa, ma in tono tagliente.
“Ora sei tu ad essere gelosa. Contegno, dottoressa: stiamo lavorando” la canzonò Elle, con un sorrisetto “Adesso, arriva la parte migliore”.
Infatti, nell’arco di trenta secondi, il cellulare che si trovava nella tasca destra di Elle prese a squillare rumorosamente; in seguito a ciò, i due si fermarono di colpo, mentre il detective estraeva il telefono e lo teneva sollevato per qualche istante, prima di rispondere.
Con la coda dell’occhio, Ruri notò l’espressione colma di disprezzo presente sul volto di Light.
“Sì, pronto?” rispose Ryuzaki, in tono quasi melenso.
“Si può sapere perché rispondi tu?” lo aggredì Light, in tono tagliente.
“Ah, ma ti riferisci a questo cellulare!” constatò Elle, in modo innocente “Dev’essere caduto a qualcuno in mezzo a tutta quella confusione”.
Dopo una pausa discretamente lunga, Elle riprese a parlare.
“Pronto-pronto?” gli si rivolse, beffandolo.
“Beh, è il cellulare di Misa” disse Light, portandosi alle loro spalle “Ci penso io a restituirglielo”.
“Ah, sì, ci pensi tu? Va bene” disse il detective, chiudendo il cellulare e voltandosi per passarlo allo studente.
Senza dire un’altra parola, lui e Ruri ripresero a camminare, fin quando il telefono di Elle non suonò a sua volta.
“Oh! Stavolta è il mio” commentò, frugandosi in tasca “Sì” disse poi, non appena ebbe risposto “Sì…avete già fatto? Bene…d’accordo” concluse, riattaccando subito.
A quel punto, Ruri ed Elle si volsero a rilento verso Light, rispettivamente incrociando le braccia e ponendo le mani nelle tasche, assumendo così le pose abituali.
“Non so se la cosa ti farà piacere o ti rattristerà, Yagami, ma…abbiamo arrestato Misa in quanto sospettata di essere il secondo Kira” annunciò il detective.
L’espressione che comparve sul volto di Light rappresentò uno spettacolo unico, per Ruri: in contemporanea, sul suo volto scorsero la sorpresa, l’annichilimento totale, il panico, la rapida riflessione e il gelo. In fondo, poteva dire che la sua stessa faccia fosse una sorta di confessione.
“Perquisendo la sua camera da letto, abbiamo trovati peli, fibre di vestiti e altre tracce” spiegò Ruri “Corrispondenti a quelle del nastro adesivo usato per sigillare le buste spedite dal secondo Kira”.
“Per evitare di sollevare un polverone accusandola di essere il secondo Kira, abbiamo arrestato la sua manager per detenzione di stupefacenti” proseguì Elle.
“Un mio vecchio contatto dell’FBI ha fatto il resto. Le buone amicizie aiutano, in circostanze come queste” constatò Ruri, senza riuscire a impedirsi di sorridere.
“Dubito che si verrà mai a sapere in giro” concluse il detective, passando un braccio intorno alla vita di Ruri “Naturalmente, non puoi vederla, né parlare con lei: nel caso in cui ti venisse in mente di chiamarla di nuovo, sappi che è sotto stretta sorveglianza e che non lascerà la sua cella di massima sicurezza fino a quando non ci avrà dato risposte soddisfacenti. È probabile che giunga perfino a rivelarci l’identità di Kira, chi lo sa…potremmo ottenere più risultati di quanto potessimo sperare”.
“Ti faremo avere notizie sull’esito dell’interrogatorio. Lo troverai illuminante, ne sono sicura” dichiarò Ruri, voltandogli di nuovo le spalle insieme a Elle “Tuo padre ti manterrà aggiornato”.
Senza aggiungere un’altra parola, i due voltarono l’angolo e sparirono dalla sua vista, mentre Light stringeva gli occhi in due fessure e iniziava a riflettere febbrilmente sulla prossima mossa da fare.
 
Quella sera stessa, nella loro suite, Ryuzaki si sedette sul suo divano, posizionandosi di fronte al computer portatile che lo teneva in collegamento con il padre adottivo.
“Watari” esordì, mentre Ruri si sedeva nella poltrona di fianco e gli altri membri del quartier generale si collocavano alle sue spalle “Allora, la ragazza ha parlato?”.
“No” replicò l’inglese “Non ha detto nemmeno una parola”.
“Mandaci l’immagine sul monitor” replicò Elle, impassibile.
“…sicuro?” ribatté Watari, incerto per la prima volta.
“Sì. Sbrigati” rispose Elle, in tono freddo.
“Non è un bello spettacolo, ma come vuoi” sospirò Robin all’altro capo.
Nell’arco di un paio di secondi, sullo schermo comparve l’immagine di Misa Amane, completamente immobilizzata con una camicia di forza e con alcune cinghie, costretta in piedi, il collo immobilizzato da una sbarra di ferro e gli occhi completamente bendati; tremava, sia dalla paura che dal freddo, e dava tutta l’impressione d’avere la gola terribilmente secca.
“Ryuzaki…!! Ma che cosa…?!” sbottò il sovrintendente.
“L’ho arrestata con l’accusa di essere il secondo Kira” replicò Elle, con il tono di chi afferma la cosa più naturale del mondo “Mi sembra ovvio”.
“Beh, ora capisco che cosa intendevi, quando parlavi di usare la mano pesante” sospirò Ruri, accavallando appena le gambe “A Washington ti arresterebbero, per una cosa del genere”.
“Ma noi non siamo a Washington. Quindi, cosa te ne pare?” le domandò il detective.
“Dovremo valutare attentamente come reagisce. È possibile che il trattamento affatichi troppo le sue funzioni vitali e nervose; ma dopotutto, immagino che sarebbe lo stesso per chiunque. Tutto sta nel valutare quanto sia intensa la sua forza di volontà, e la sua ammirazione per Kira…anche se forse…a questo punto non dovremmo parlare solo di ammirazione. In quel caso, ammetto che la cosa si complicherebbe” dichiarò Ruri, con la massima professionalità.
Quasi scioccato dalla freddezza dei due, Soichiro decise di riaprire bocca.
“Beh…certo, nel suo appartamento abbiamo trovato delle tracce che non lasciano dubbi sul fatto che lei sia il secondo Kira, però…”.
“Esatto, quindi non ci sono dubbi” lo interruppe Ryuzaki, senza smettere di fissare il monitor “Ora, dobbiamo solo scoprire se conosce Kira, e, in tal caso, qual è la sua vera identità…dobbiamo farla confessare. Watari, Roxie” esordì infine, avvicinandosi al microfono “Prendete le dovute precauzioni, ma non andate troppo per il sottile: dovete farla parlare”.
“Va bene” rispose Watari.
“Vi avverto che dobbiamo stare attenti a come operiamo” disse subito Robin “Il gruppo sanguigno della ragazza è AB: in questo stato di spossatezza, è possibile che debba sottoporle una trasfusione, ma non dobbiamo esagerare, o non sarà più in grado di articolare un pensiero coerente per diverse ore, e suppongo che nessuno di noi abbia del tempo da perdere”.
Lo stesso Matsuda si rivelò quasi scioccato dall’autocontrollo che la giovane dottoressa stava dimostrando.
“No, infatti” concordò Elle “D’accordo, Roxie, procedi come ritieni opportuno, ma non dimenticare il nostro scopo primario, e non esitare a fare uso di tranquillanti, se ciò dovesse rivelarsi necessario”.
“D’accordo”.
“Yagami” proseguì Elle “Credo che convocherò Light in veste di testimone di primo grado nel caso Kira: la prego di prepararsi all’eventualità”.
“In effetti…” intervenne Ruri, confrontando con sguardo attento i documenti relativi a Light e quelli relativi a Misa “Se le cose prendessero la piega che suppongo prenderanno, direi che Light dovrebbe trovarsi un buon avvocato, sovrintendente. Un altro paio di verifiche e potremmo anche dedurre definitivamente che si tratti di Kira”.
Soichiro continuò a fissarla senza parlare, quasi come impossibilitato a farlo.
“Tutto starà a vedere il modo in cui Misa Amane reagirà”.
“Ma…ma non potrebbe trattarsi di una testimonianza ammissibile! Voglio dire, è sotto…ehm…” iniziò Aizawa, interrompendosi subito in modo imbarazzato.
“Sotto tortura?” domandò Ruri, alzando un sopracciglio “Beh, in un certo senso. Non si può dire che si tratti di un interrogatorio tradizionale”.
“Ma…ma è davvero questo quello che volete? Ruri, tu condividi questo metodo d’indagine?!” esclamò Matsuda, profondamente turbato.
Ruri si volse a fissarlo con lentezza: il suo sguardo era carico della massima determinazione.
“Noi vogliamo Kira sulla forca. Se questo è ciò che serve per ottenere un risultato del genere, che sia; se quella ragazza apre bocca, abbiamo risolto il caso”.
“Esatto” mormorò Elle, con espressione cupa “Quindi, per il momento, tutto quello che ci resta da fare…è aspettare”.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: MADONNA QUANTO HO FATTO SCHIFO STAVOLTA!! Eh lo so, ancor peggio del solito, il che è tutto dire -.-‘’’ Ma vi ringrazio comunque per aver letto (*seee, ma chi ti caga!!* COSCIENZA, CHIUDI LA BOCCA!!!). Che dire, ringrazio infinitamente la mia SelflessGuard per aver recensito come sempre, e ringrazio anche Robyn98 per aver inserito la storia fra le preferite (hai anche lo stesso nome della migliore amica di Ruri, ne sono molto lieta!!). Prometto che farò il possibile per tornare presto con il prossimo capitolo!!! Un bacione grande a tutti e a prestissimo, la vostra Victoria

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Capitolo 21
*** Eyes ***


Capitolo 21- Eyes
 
Tre giorni dopo, dal microfono connesso al portatile di Elle, la voce di Watari invase nuovamente la stanza d’albergo del quartier generale, con tono grave.
“Ryuzaki” esordì “Misa sta parlando…”.
Elle si volse di scatto e si precipitò in direzione del divano, gettandosi su di esso e assumendo la sua posizione consueta, mentre tutti gli altri si avvicinavano a loro volta e Ruri si sedeva ancora sulla poltrona di fianco al detective.
“Presto, mandami immagine e suono!” esclamò il ragazzo, in modo concitato.
“Era ora…” borbottò Aizawa “Sono passati tre giorni…”.
L’immagine di Misa, ancor più spossata di quando l’avevano vista l’ultima volta, comparve improvvisamente sullo schermo: i suoi tremiti erano aumentati, e, quando parlò, la sua voce era colma di paura e di dolore.
“Non ce la faccio più…” mormorò, senza dubbio vicina alle lacrime “Uccidimi…”.
I poliziotti presenti si scambiarono occhiate scioccate, mentre Ruri ed Elle rimasero impassibili.
“Uccidimi…” ripeté la biondina “Fa’ presto…”.
“Ryuzaki” gli si rivolse Aizawa, in tono di forte costernazione “Questo è davvero troppo per una ragazza di vent’anni…”.
“Ormai avrà raggiunto il limite…” convenne Matsuda.
“No, non lo ha raggiunto” dissentì Ruri “Se si limita a chiederci di ucciderla, significa che non è ancora al sufficiente livello d’esasperazione necessario per ottenere una confessione. Sta solo avendo una crisi di nervi”.
“Credo che anche tu avresti una crisi di nervi, se ti avessero legata in quel modo con una camicia di forza e ti avessero tenuta bendata per tre giorni!” sbottò Aizawa, ma le parole gli morirono in gola di fronte allo sguardo di ghiaccio della profiler.
“Le stesse crisi di nervi che sono venute ai parenti delle vittime di Kira, o a quelli dei miei colleghi dell’FBI, Aizawa? O magari ai genitori di Naomi Misora, chi lo sa” sottolineò, la voce tagliente “Non venga a farci lezioni sui metodi d’indagine. La ragazza deve parlare e parlerà; ad ogni modo, sul posto c’è un medico, ed è estremamente competente. Dato che la dottoressa Cooper non ci ha ancora mandato segnali d’allarme, allora non vedo perché dovremmo preoccuparci così”.
Elle, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, premette il pulsante del microfono e si rivolse direttamente all’arrestata.
“Misa Amane, mi senti?” le disse subito.
“Sì…” sussurrò la bionda, con un filo di voce “Ti prego…uccidimi subito!”.
“Adesso rispondi alla mia domanda: ammetti di essere tu il secondo Kira?” le domandò Elle.
“No…io non conosco nessun secondo Kira…”.
Il tremito di Misa andò ad estendersi vertiginosamente agli arti inferiori, portandola a contrarre appena i muscoli dei piedi, sconvolti dai brividi.
“Non ce la faccio più…” pianse Misa “Preferisco morire…”.
Infine, prese a gridare con tutto il fiato che le era rimasto in gola.
“Avanti, sbrigati, uccidimi!! Tu puoi farlo, no?! Uccidimi, che aspetti!?!”.
Mentre Misa continuava a implorare di essere uccisa, il cellulare di Ruri prese a squillare: estraendolo dalla tasca, capì che si trattava di una chiamata di Robin.
“Roxie” le rispose subito, senza staccare gli occhi dal monitor “Che succede?”.
“Ho preferito chiamarti per non interrompere la visione di quello che sta accadendo qui. Ne stavo parlando prima con Watari, Ruri: se andiamo avanti così, dubito che Misa reggerà a lungo”.
La profiler sospirò pesantemente.
“Se volessi essere più precisa?” le domandò.
“Misa continua a rifiutare il cibo e l’acqua: il suo stato di spossatezza è preoccupante. E stanotte ha vomitato del sangue: nonostante questo, sembra intenzionata a non confessare. Ho dei dubbi che un attaccamento del genere nei confronti di Kira sia connesso soltanto a una profonda ammirazione” proseguì Robin, cercando di mantenersi distaccata il più possibile.
“Sì, è quello che pensiamo anche noi. Direi che la cosa migliore al momento sia procedere con l’alimentazione forzata” dichiarò Ruri “Deve rimanere in vita, a qualsiasi costo. Chiamaci, se dovessero esserci novità”.
“D’accordo”.
Non appena ebbe riattaccato, Misa riprese a gridare a più non posso.
“Ne ho abbastanza!!! Se non vuoi uccidermi tu…”.
“MALEDIZIONE, WATARI!!” sbottò Elle “Impediscile di mordersi la lingua!!!”.
Watari si affrettò a porsi alle sue spalle e a imbavagliarla con un tessuto, bloccando i movimenti della sua mascella.
“Possibile che questo faccia parte delle azioni controllate da Kira prima della morte…?” si domandò Elle a bassa voce, per voi voltarsi verso la sua principale collaboratrice.
Per la prima volta, sul suo volto scorse un sentimento simile alla compassione, e notò che i suoi occhi erano fissi in modo molto intenso su Misa, in quel frangente intenta a mugolare per la disperazione e a singhiozzare.
“Credi che…” le si rivolse.
“Non lo so” sospirò Ruri, molto stancamente “Non ho mai visto niente del genere….è una cosa…direi mostruosa. Sì, la psiche di questa ragazza, i suoi sentimenti, il suo dolore, il suo profondo attaccamento…dannazione. Ne ho visti di serial killer con capacità di manipolazione, ma questo è…”.
“Quindi, ritieni che si tratti di manipolazione delle azioni precedenti la morte?” le domandò Elle, con il massimo interesse.
“No, non sto parlando di questo tipo di manipolazione” spiegò Ruri, scuotendo la testa “Queste reazioni sono differenti da ciò che abbiamo visto finora analizzando il comportamento dei detenuti usati come cavie e di Ray Penber. Quello che stiamo osservando è un caso di alterazione comportamentale dovuto all’incontro con un oggetto di adorazione, o anche di terrore, chi lo sa…ma propenderei per la prima ipotesi. Misa ha già sufficiente paura senza pensare a qualsiasi altra cosa che potrebbe farle del male, se parlasse: la sua mente non è sufficientemente lucida, al momento, per misurare i pro e i contro delle sue azioni. Di conseguenza, suppongo che tutto ciò che può spingerla ad atti del genere sia un forte e profondo sentimento…se non si tratta di amore, senz’altro è qualcosa che gli va molto vicino”.
“Quindi, Misa Amane sarebbe innamorata di Kira…?” rifletté il detective, passandosi il pollice sulle labbra.
“Sappiamo con certezza che è innamorata di Light Yagami. Direi che questo è innegabile” sottolineò Ruri.
“…sì. Certamente” convenne Elle.
In quel momento, mentre una lacrima scivolava lungo la guancia di Misa, entrambi notarono che una delle sue ciocche di capelli, al momento incredibilmente disordinati, si era sollevata per un secondo, quasi scossa da una piccola folata di vento.
“Cosa…?” disse Ruri, sporgendosi in avanti “Lo hai visto anche tu?”.
“Sì…” decretò il detective, con tono cupo “Amane, smettila con queste sciocchezze e rispondi alla mia domanda: conosci Light Yagami? E per quale ragione hai stretto un rapporto con lui?” disse poi, tornando a rivolgersi alla biondina.
La giovane non rispose e lasciò ricadere la testa sulla spalla sinistra, respirando lentamente e con un po’ di affanno.
“Sembra che ora si sia addormentata: sarà meglio farla riposare un po’”.
 
Circa un’ora più tardi, Misa si riscosse appena e sollevò la testa: quando parlò di nuovo, finalmente libera dal bavaglio, il suo tono di voce era completamente diverso.
“Signor maniaco!!” esclamò, proprio mentre Elle stava per mettere in bocca un cioccolatino “Ehi, signor maniaco! Dimmi, dove sei? Ora basta con questo gioco, dai!”.
“Maniaco?!” esclamò Aizawa, mentre Elle rimaneva con il cioccolatino fra le dita, l’espressione attonita del volto concentrata sullo schermo “Ma che vuol dire…? All’improvviso, ha cambiato atteggiamento”.
“Non sai che questo è un reato, signor maniaco?! Dai, smettila!” insisté Misa.
“Non penserà sul serio che abboccheremo a questa messinscena?” commentò Matsuda.
“E va bene, va bene! Ma almeno, toglimi questa benda, dai! Vorrei vederti in faccia, signor maniaco!” seguitò l’attrice, con tono molto più rilassato rispetto a prima.
“Non sembra neanche la stessa persona” affermò Ruri, posando una mano sotto il mento “Perché questo cambiamento repentino? Non spererà davvero di farla franca così…”.
“Matsuda” intervenne Ryuzaki, allungando una mano in direzione del diretto interessato “Telefoni a Mogi”.
“Va bene” disse il poliziotto, estraendo dalla tasca della giacca il suo cellulare e passandolo al detective.
“Mogi” proseguì Elle, non appena la comunicazione con l’agente fu avviata “Quando ha arrestato Misa Amane, le ha detto che era sospettata di essere il secondo Kira?”.
“Sì, ho fatto come mi hai chiesto” replicò Mogi, all’altro capo del telefono “Le ho coperto gli occhi e la bocca, dicendole che veniva arrestata in qualità di indiziata per il caso del secondo Kira. Non ha opposto resistenza quando le ho messo le manette e l’ho bendata, come se fosse rassegnata all’idea”.
“Capisco…la ringrazio” concluse Ryuzaki, riattaccando.
“Ti faccio l’autografo e ti stringo la mano, se vuoi” stava proseguendo Misa “E poi, ti do anche un bacio sulla guancia, va bene? E dai, ti giuro che non scappo!”.
Ruri sospirò con esasperazione e tornò a rivolgersi a Elle.
“Questo è pazzesco per qualunque criminologo. Sono tentata di arrendermi; tu che cosa ne pensi?” gli domandò.
“L’abbiamo interrogata fino allo sfinimento per il caso del secondo Kira…” constatò lui, quasi rivolto più a se stesso che alla ragazza “Questa storia non mi convince…”.
Premette poi il pulsante del microfono e tornò a rivolgersi alla bionda.
“Misa Amane”.
“Che c’è, signor maniaco?” domandò lei, innocentemente “Hai deciso di lasciarmi andare?”.
“Prima di addormentarti non hai aperto bocca, e hai persino chiesto di essere uccisa…è un po’ tardi per fare la finta tonta, non credi?” le disse freddamente.
“Ma che stai dicendo?” ribatté Misa “Sei stato tu ad addormentarmi e a rinchiudermi qui dentro! Che c’è, ti diverte da impazzire giocare all’interrogatorio con una modella famosa come me, vero?”.
Aizawa e Matsuda si scambiarono delle occhiate perplesse.
“Conosci il motivo per cui sei stata portata qui e legata?” proseguì Ryuzaki.
“Il motivo?” ripeté Misa, in tono perplesso “Perché sono una star, no? Però, fra tutti i miei ammiratori fissati tu sei il primo che mi fa una cosa del genere!”.
Preso da un impeto di rabbia, Matsuda si fece avanti e afferrò il microfono.
“Ascoltami bene, Amane, adesso basta con gli scherzi, hai capito?!”.
“Matsuda!” lo sgridò Ruri “Non è questo il modo di condurre un interrogatorio! Non sarà così che la farai parlare”.
Infatti, Misa venne scossa da un’altra crisi di pianto improvvisa.
“Ho paura!! Basta!! Lasciami andare, lasciami andare!! Ecco, lo sapevo! Mi scappa di nuovo! Voglio andare in bagno, devo andare in bagno!! Fammi andare in bagno!”.
“Smettila” la redarguì Elle con tono pacato, tornando a parlare nel microfono “Non è il momento di pensare a queste cose. Cerca di resistere”.
“Ma come sarebbe?!” esclamò Misa “Vuoi che resti tutto il tempo legata così?! Almeno potrai guardarmi mentre faccio la pipì, no? Non ti piace l’idea?! BRUTTO PERVERTITO!!”.
“Pervertito…?” mormorò Ryuzaki, con tono curioso e quasi riflessivo “Pervertito, io…?”.
“Ah, per favore!” sbottò Ruri, roteando gli occhi.
“Amane, adesso riprendiamo seriamente il discorso iniziato prima che tu ti addormentassi” seguitò Ryuzaki, come se nulla fosse “Dimmi se conosci Light Yagami e per quale motivo ti sei avvicinata a lui”.
“Ma…ma Light è il mio ragazzo, ci mancherebbe che non lo conoscessi!” disse la ragazza, con il tono di chi afferma la cosa più naturale del mondo.
“Perché prima non ha aperto bocca, e adesso ammette che è il suo ragazzo?” domandò Ruri, posandosi una mano sotto il mento “Sarebbe troppo perfino per una recita ben congeniata…”.
“Ma che diavolo sta succedendo?” replicò Matsuda, sconfortato.
In quell’istante, il cellulare di Ryuzaki iniziò a squillare, e il detective lo estrasse prontamente dalla tasca, tenendolo sollevato con due dita.
“È Light che sta chiamando” disse subito, facendo alzare di scatto lo sguardo a Ruri e al sovrintendente “Disattivate immagine e suono”.
“Fatto!” esclamò Watari, oscurando subito il monitor e azzerando l’audio.
“Sì” iniziò il detective, rispondendo al telefono “Sì, d’accordo…siamo all’Hotel K, stanza 2801”.
Soichiro si alzò a un tratto in piedi, l’espressione preoccupata e concentrata a un tempo.
“E così…mio figlio sta venendo qua!” esclamò.
“La cosa si fa ancor più interessante” commentò Ruri, con aria cupa “Che cosa ti ha detto, esattamente?”.
“Preferisco che lo udiate tutti personalmente da lui” replicò Ryuzaki, posando, come di consueto, le mani su entrambe le ginocchia “Nel frattempo, vorrei la tua opinione come criminologa sul cambiamento repentino di Misa Amane. Da quanto mi è sembrato d’aver capito, non ritieni che potrebbe trattarsi di una recita plausibile”.
Ruri sospirò, passandosi una mano dietro la nuca e continuando a lanciare sguardi alla cartella della giovane attrice.
“Non possiamo esserne sicuri, ma senza dubbio propenderei a escludere la possibilità che stia davvero impalcando una commedia così mediocre. Se così fosse stato, credo che ci avrebbe provato fin dall’inizio, o almeno, così sarebbe stato logico supporre. In circostanze normali, direi che ha ricevuto disposizioni su come agire, ma ovviamente non può aver avuto contatti con nessuno, da quando è stata portata qui, e dubito che sarebbe stata in grado di tenere volontariamente il punto fino ad ora, per poi comportarsi con tutta questa naturalezza…ma potrebbe trattarsi di una sorta di effetto placebo”.
“Un effetto placebo…?” ripeté Aizawa.
“Nel corso della mia esperienza, ho avuto modo di riscontrarlo più volte. Il soggetto sottoposto a un interrogatorio estenuante, sia da un punto di vista fisico che psicologico, finisce per rifugiarsi in una sorta di realtà parallela, in cui si ritrova ad essere una specie di vittima totalmente estranea ai fatti di cui è accusato e che gli vengono imputati. Dà come l’impressione d’aver perso la memoria ed è come se tutto quello che ha detto e fatto fino a quell’istante svanisse nel nulla; naturalmente, ciò è seguito di un forte shock, e normalmente si tratta di un’azione completamente inconscia messa in atto come difesa da parte del sistema nervoso. In realtà, il soggetto crede realmente di essere vittima di un sopruso o di un terribile errore da parte delle forze dell’ordine: parecchi avvocati si sono serviti di un fenomeno del genere per ottenere l’infermità mentale nelle aule di tribunale” aggiunse, con una smorfia disgustata “Il procuratore distrettuale di New York ci rimise la carriera, in un caso simile”.
“E tu ritieni che questa circostanza potrebbe fare al caso nostro?” domandò Soichiro, concitato.
“Non lo so; credo che si tratti di una spiegazione un po’ forzata persino per una situazione anomala come questa. L’effetto placebo vuole il suo tempo, per poter avere effetto sull’area cerebrale interessata dallo shock; inoltre, spesso e volentieri l’anomalia richiede che il soggetto interessato arrivi a dimenticare persino dettagli della sua vita privata, e che venga catapultato in uno stato di grande confusione emotiva. Misa Amane ricorda perfettamente la sua identità, sa che Light Yagami è il suo fidanzato…e inoltre, direi che ha un temperamento un po’ troppo spigliato, per una che ha subito alterazioni nella propria attività cerebrale”.
“E tuttavia, tenderesti a credere comunque che non stia recitando” replicò Elle, guardandola di sottecchi.
“Beh, senza dubbio non comprenderei la ragione di una tattica menzognera del genere” si strinse nelle spalle Ruri “Dubito che ricorrerebbe a un trucco così debole, soprattutto dopo essersi lasciata andare a una crisi di pianto e di nervi come quella di cui siamo stati testimoni. No, non credo che la scienza potrebbe darci molte risposte, in una circostanza come questa”.
“Quindi, immagino che la risposta più ovvia sia connessa al potere paranormale di Kira. Se davvero Misa Amane fosse il secondo Kira, è possibile che il primo abbia trovato il modo di manipolare il suo potere, e forse persino i suoi ricordi…”.
“Se fosse davvero così, l’avrebbe resa inoffensiva e incapace di denunciarlo” constatò Ruri, socchiudendo gli occhi “Quel bastardo avrebbe segnato un bel colpo…”.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta della camera da letto; dopo che Matsuda l’ebbe aperta, Light entrò nella stanza con passo moderato, gli occhi bassi e l’espressione mortificata e distrutta: per contro, Ryuzaki continuò a tenere gli occhi fissi sul monitor spento, mentre Ruri si volse lentamente a guardarlo, facendo in modo che il suo sguardo scandagliasse ogni singolo dettaglio del profilo del ragazzo.
“Ryuzaki…” iniziò lentamente Light, con un tono che rifletteva ciò che era dipinto sul suo volto “Come ti ho già detto al telefono…purtroppo, temo di essere io…Kira”.
Nella stanza esplosero reazioni molto diverse fra loro: il sovrintendente spalancò gli occhi e la bocca, Aizawa e Matsuda iniziarono a parlare in contemporanea, mentre Ruri ed Elle, che a sua volta si era girato in direzione di Light, continuarono a fissarlo con gli occhi ridotti a fessure, entrambi concentrati nel riflettere alla massima velocità.
“È…è assurdo!!” sbottò Soichiro, prendendo il figlio per le spalle “Ma che ti salta in mente, Light?! Ma insomma, che storia assurda è questa?! Eh?!”.
“Sì, insomma!! Che cosa diavolo stai dicendo?!”.
“Non è possibile!!”.
“È strano”.
I presenti nella suite si voltarono verso Ruri, che nel frattempo aveva incrociato le braccia e accavallato le gambe, come di consueto; la profiler fissava lo studente con espressione glaciale, in cui lo stesso Light riuscì a scorgere qualche scintilla di odio.
“Non abbiamo nessuna prova tangibile contro di te, Yagami” proseguì la giovane, tamburellando appena con le dita sul braccio sinistro “E tu vieni qui a confessarci che potresti essere Kira? Mi viene da pensare che sia una specie di farsa…”.
“Io…io non so di cosa tu stia parlando, Ruri” decretò Light, con la massima calma.
“Ah, no? Forse il punto è che tu non potresti essere Kira…perché tu sei Kira”.
“Di questo non posso essere sicuro, come vi ho appena detto” seguitò lo studente, abbassando gli occhi.
“Dove vuoi arrivare?” domandò Ryuzaki, altrettanto freddamente.
“Beh…se Ryuzaki è davvero Elle, ci troviamo di fronte al più grande detective del mondo. Di conseguenza, se Elle sostiene che io sono Kira, allora è probabile che questa sia la verità. E non dobbiamo dimenticare che anche Ruri ha doti logiche e investigative straordinarie: una profiler del suo calibro non commetterebbe un errore così grossolano” sospirò Light, in tono affranto.
“Ma…che cosa stai dicendo, Light?!” insisté il sovrintendente.
“Sono stato pedinato dall’agente dell’FBI Ray Penber, da quando è giunto in Giappone fino alla sua morte” iniziò a elencare il ragazzo “Sono stato ad Aoyama il 22 Maggio, e infine…sono la persona di cui Misa Amane si è innamorata, appena si è trasferita nel Kanto. Tutti gli indizi portano a me: se fossi in Elle, anch’io arriverei alla conclusione che sono io…Kira. Dunque, potrei essere Kira senza neanche saperlo”.
Fu la risata di Ruri a fargli alzare lo sguardo di scatto: la profiler lo fissava ancora con sguardo di ghiaccio, ma adesso esso era accompagnato da una scintilla di rabbia.
“Tu pensi seriamente che questo potrebbe essere il modo di fotterci? Ammetto che da te mi aspettavo di meglio, Light Yagami” disse Ruri, alzando un sopracciglio.
“Ma…ma Ruri…!” sbottò Soichiro, muovendo un passo nella sua direzione “Potrebbe anche essere…se davvero mio figlio avesse…senza esserne stato consapevole…”.
“Non farmi ridere di nuovo” continuò la criminologa, seguitando nel rivolgersi al ragazzo “Non è stato professionale, ma ti confesso che questa proprio non me l’aspettavo: fra tutto ciò che avresti potuto inventarti, quest’espediente è patetico”.
“Non so neppure che cosa replicare, Ruri” mormorò Light “Ormai, non riesco più a riconoscermi…”.
“Senti, ragazzino: facevo già parte dell’FBI mentre tu imparavi ancora a destreggiarti con le equazioni di secondo grado” proseguì Ruri, con tono di disprezzo “E stai presentando una sorta di tesi difensiva al miglior detective del pianeta. Non pensare di poterci prendere per il culo avallando la tesi dell’infermità mentale o della schizofrenia: so distinguere una tipologia comportamentale da un’altra, quando ho a che fare con un serial killer. Nessuna persona mentalmente instabile, nel senso più comune del termine, avrebbe potuto commettere quegli omicidi, senza una giusta lucidità intellettiva. Sono metodici, calibrati, calcolati, studiati, preparati a dovere e mai privi di un reale scopo. Se ti aspetti che ci beviamo qualcosa riguardo alla tua inconsapevolezza materiale durante l’attuazione di questo sterminio di massa, hai preso un grosso granchio. Devo ammettere di nuovo che non mi aspettavo un errore del genere, da uno come te. Che c’è, stai sostenendo che un altro te stesso compie i delitti mentre tu dormi, o qualche stronzata simile?”.
“In effetti, è proprio quello che penso…” sussurrò appena Light, appoggiandosi alla parete.
“No, questo lo escludo del tutto” affermò Ryuzaki, facendogli rialzare lo sguardo.
“Che cosa intendi, Ryuzaki?”.
“Ho fatto appositamente mettere delle telecamere nella tua stanza, e ti abbiamo sorvegliato per tre settimane di seguito” spiegò il detective, tornando a voltargli le spalle.
“Telecamere…?” ripeté Light, in tono frastornato.
“Già” proseguì Elle “E ti assicuro che, di notte, dormivi normalmente. E mentre non avevi accesso ai notiziari, i criminali continuavano a morire. Ma non mi hai convinto, o forse dovrei dire non ci hai convinto; così, io e Ruri siamo giunti alla conclusione che tu non ti lasceresti mai sorprendere in atteggiamenti sospetti”.
“Credete che io…non mi lascerei mai sorprendere?” chiese Light, passandosi una mano sul volto “Temo proprio che abbiate ragione. Ad essere sincero, anch’io ho pensato che sarebbe meglio se i criminali più pericolosi morissero tutti; e credo che chiunque nutra simili pensieri…sia da considerare un potenziale Kira”.
“Ma che dici?!” s’intromise Matsuda, muovendo qualche passo in avanti “Guarda che anch’io sono come te! Anche a me è capitato di pensare che sarebbe meglio se quella gente morisse, ma non mi viene certo in mente di ucciderla per davvero! E poi…le telecamere non hanno dimostrato che i criminali continuavano a morire anche mentre tu non avevi accesso alle informazioni?”.
“Beh, no…” ammise Aizawa “Essendo a corto di agenti, quella volta l’abbiamo sorvegliato soltanto in casa…quindi, non l’abbiamo tenuto sotto controllo ventiquattr’ore su ventiquattro. Potrebbe aver trovato il modo di uccidere mentre non era in casa…”.
Nel silenzio che seguì, Ruri tornò a fissare Ryuzaki, che in quel momento sembrava molto preso dalla sua tazza di caffè; il detective, dal canto proprio, rifletteva velocemente sulla prossima mossa.
*Avevi già previsto che le cose avrebbero preso questa piega, Light Yagami? Però…se adesso lo tenessi imprigionato come sto facendo con Amane…e intanto continuassero a morire nuovi criminali…ciò dimostrerebbe che Light Yagami non è…Kira. È questo il suo scopo…?* pensò, continuando a osservare Light di sottecchi.
“Beh…” disse infine, sospirando lievemente “La piega che sta prendendo questo discorso non mi piace…ma va bene. Legheremo Light mani e piedi e lo terremo in una cella, per un lungo periodo di tempo”.
“Che cosa?!” esclamò il padre del ragazzo.
“Stai dicendo sul serio?! Vuoi imprigionare Light?” proseguì Matsuda.
“Se dobbiamo farlo, procederemo da subito” decretò Ryuzaki “D’ora in avanti, Light non dovrà più allontanarsi dalla mia vista”.
“Ma…ma è assurdo!!” protestò Soichiro “Mio figlio non può essere Kira! Non ne sarebbe mai capace!”.
“Tranquillo, papà” lo rassicurò il diretto interessato.
“Ma, Light…”.
“Ascolta; non posso continuare a dare la caccia a Kira avendo dentro di me il dubbio angosciante di essere io stesso quel criminale. Però…Ryuzaki e Ruri mi devono promettere che, finché non avranno dissipato ogni dubbio sulla mia innocenza, non dovranno liberarmi a nessun costo, qualunque cosa io dica o faccia” disse poi, avanzando di un passo verso di loro.
“E va bene, come vuoi” assentì Ryuzaki “Yagami, pensa di poter trovare una scusa adeguata per giustificare l’assenza di Light alla sua famiglia? Anzi, le chiedo di farlo”.
“E come potrei?!” protestò Soichiro “Da un momento all’altro? Perché mai mio figlio dovrebbe finire dietro le sbarre?!”.
“Quanto sei testardo” commentò Light, infastidito “Se non facciamo così, nemmeno io sarò convinto della mia innocenza”.
“Stai dicendo sul serio…Light?”.
“Sì, papà: soltanto privandomi della mia stessa libertà, potrò sconfiggere il terrore che Kira si celi dentro di me” affermò Light, lo sguardo lontano e pensieroso.
“Allora, immagino che dovremmo procedere” dichiarò Ruri, alzandosi in piedi “Chiamerò la dottoressa Cooper e le dirò di preparare un’altra cella”.
 
Nell’arco di una ventina di minuti, Light fu bendato e ammanettato, e le sue orecchie vennero coperte da due cuffie isolanti.
“Aizawa, lo porti via” ordinò Ryuzaki, con voce inespressiva.
“Sì…” acconsentì a malincuore l’agente, iniziando a scortare Light nell’edificio predisposto da Watari.
Poco dopo l’arrivo di Light nella sua cella, dove il ragazzo si sedette sulla propria brandina, con aria impassibile, il sovrintendente Yagami avanzò qualche passo verso il detective.
“Ryuzaki, ascolta” gli si rivolse “Ti chiedo, per favore…di congedarmi da questo quartier generale”.
“Ma cosa…?!” sbottarono Matsuda e Aizawa.
“In questo momento, dietro le sbarre con l’accusa di essere Kira c’è mio figlio, perciò…non considero più opportuna la mia presenza qui. Prima, quando discutevate della necessità di rinchiuderlo, sono stato l’unico a oppormi, spinto dai sentimenti che mi legano a lui…” proseguì il poliziotto.
“Sì, ha ragione” annuì Elle, senza voltarsi indietro “Le questioni private non dovrebbero interferire…”.
“Il fatto è che…se per caso si giungesse alla conclusione che mio figlio è Kira, io…io non so che in modo potrei reagire” mormorò Soichiro, a testa bassa.
“Direi che questo è comprensibile” gli disse Ruri.
“Già” convenne Ryuzaki, iniziando a dedicarsi al melone che aveva di fronte, da cui prese a scansare tutte le fette di prosciutto “Conoscendola, non mi sento di escludere l’ipotesi che lei potrebbe uccidere suo figlio, per poi suicidarsi. Anch’io sono d’accordo sul fatto che non deve più rimanere qui…” concluse, mettendosi in bocca un pezzo di frutta.
“Senti, Ryuzaki” proseguì l’uomo, avanzando ulteriormente “Non potresti rinchiudere anche me in una cella? Potrei rischiare di prendere qualche iniziativa…spinto dai sentimenti…”.
“Immaginavo che mi avrebbe chiesto una cosa del genere: ho già pensato a tutto” sospirò Ryuzaki “Tuttavia, anche se verrà imprigionato, faremo in modo che il suo cellulare rimanga attivo, e che, ogni tanto, lei possa contattare la sua famiglia. A Light non diremo niente di tutto ciò, e, se dovesse parlare con lui, gli faremo credere che è all’interno del quartier generale. Inoltre, mi sono preposto di tenerla aggiornata sullo svolgimento delle indagini, nonostante lei si rinchiuso” disse poi, mangiando l’ultimo pezzetto di melone “Le sta bene oppure no?”.
“Te ne sono grato, Ryuzaki” mormorò appena il sovrintendente.
“Lei è…è sicuro di volerlo fare?” gli domandò Ruri, alzandosi in piedi “Davvero non preferirebbe tornare da sua moglie e sua figlia?”.
“Come ho appena detto, voglio evitare di correre il rischio di cedere ai sentimenti e all’impulsività. Te l’ho già detto, Ruri: se mio figlio è il responsabile di quelle morti, io sono il primo a voler che la verità venga fuori. E a quanto mi è sembrato di vedere, tu sembri ancor più convinta della sua colpevolezza di quanto non lo sia Ryuzaki” disse l’uomo, in tono leggermente accusatorio.
“Beh, mettiamola così” ribatté Ruri, distaccata a sua volta “Sulla base del mio parere professionale, basterebbe solo qualche prova per dimostrare che la nostra tesi è corretta. So che per lei questo rappresenta un duro colpo, sovrintendente, ma tutto quello a cui siamo giunti non può essere ignorato. Ad ogni modo, le ricordo che è meglio che non si sottoponga a sforzi fisici eccessivi, dato che questo potrebbe compromettere la sua salute. Chiederò a Roxie di monitorarla con dovuta costanza: per qualsiasi necessità, può rivolgersi a lei”.
“Ti ringrazio” replicò Soichiro, in tono più pacato “E scusami se sembro sempre sulla difensiva: questa non è che la prova che le mie attuali condizioni psichiche non sono le più adeguate per continuare le indagini in modo opportuno”.
“Non si preoccupi: deve agire come ritiene giusto” disse Ruri, tornando a sedersi vicino a Ryuzaki e dandogli definitivamente le spalle.
 
Un paio di giorni dopo, la situazione era invariata: Misa continuava a mostrare segni di sempre maggiore spossatezza, mentre il sovrintendente si era chiuso in un mutismo totale e manteneva gli occhi fissi sulle sbarre, le braccia abbandonate contro il corpo.
Light, dal canto proprio, sembrava mantenere un grande autocontrollo.
“Ryuzaki” disse a un tratto, alzando lo sguardo verso la telecamera “Ieri e l’altro ieri, sono state trasmesse notizie di criminali che potrebbero diventare prede di Kira? E in tal caso, lui li ha uccisi?”.
Elle premette il pulsante collegato alla cella di Light e si accinse a rispondere.
“I giornali hanno diffuso notizie riguardanti alcuni criminali, ma…da quando sei stato imprigionato, ancora non ci è giunta voce che qualcuno di loro sia morto”.
“Non è morto nessuno?!” sbottò Light “Davvero?!”.
“Sì…”.
“Ho capito…allora, beh…questa sembra proprio la dimostrazione che io sia Kira…” lo udirono mormorare.
Osservando la sua espressione, Ruri non poté fare a meno di corrugare le sopracciglia, passandosi un dito sotto il mento.
“Quando prima ci ha detto di essersi convinto d’essere Kira…sembrava molto turbato. E adesso, che cos’è tutta questa sicurezza? Ci prende in giro?” disse a un tratto, tamburellando sul bracciolo della poltrona “Perché un serial killer dovrebbe consegnarsi a noi di sua spontanea volontà, offrendoci le prove della sua colpevolezza?”.
“Ma…ma se davvero non fosse consapevole delle sue azioni…” mormorò Matsuda.
“Come ho detto un paio di giorni fa, questo lo escluderei del tutto” replicò Ruri, sforzandosi di mantenere la voce calma “D’altro canto, Kira non fa mai niente che non abbia una ragione e uno scopo logico…forse ha in mente qualcosa…naturalmente, se davvero è Kira”.
“Credevo ne fossi sicura…” disse Aizawa, sorpreso.
“Ne sono convinta, ma questo non significa che possiamo esserne sicuri al 100%. D’altro canto, Light non si sta comportando come avrei immaginato che Kira si comportasse”.
“Sì, è esattamente quello che penso io” affermò Ryuzaki, bevendo un sorso di caffè “Ma senza dubbio l’analisi che ricaveremo da quest’osservazione ci farà fare passi avanti con il caso”.
 
Non appena Aizawa e Matsuda se ne furono andati, Elle si permise di esprimere i propri pensieri a voce alta.
“Che sta succedendo…” mormorò, facendo sì che la ragazza si voltasse subito verso di lui “Avevo previsto che, anche imprigionando Light, gli omicidi non sarebbero cessati, e invece…si sono interrotti di colpo”.
“Sì, so cosa vuoi dire” sospirò Ruri “Sarebbe stata una buona strategia per scagionarsi, anche se non avrei pensato che un tipo come Light sarebbe ricorso a un trucco del genere”.
“Esatto. La mia impressione era che fosse lo stesso Yagami ad auspicare la sua reclusione…ma se le cose stanno così, non fanno che confermare la sua colpevolezza. Ora, il problema è un altro: Kira è consapevole o no delle sue azioni?”.
“Sai già come la penso. È solo il mio parere di criminologa, ma francamente…ritengo che sia impossibile contemplare l’ipotesi che non lo sia”.
“Infatti. Non penserà sul serio di farla franca facendoci credere che, pur essendo Kira, non era cosciente di ciò che faceva? Dopotutto, non sarebbe da Light…o meglio…non sarebbe da Kira…”.
 
Al quinto giorno di reclusione, il sovrintendente Yagami sembrava ancor più spossato degli altri due prigionieri.
“Più che Light e Amane, chi mi preoccupa è il sovrintendente Yagami” decretò Elle, osservandone l’immagine sullo schermo.
“Sì. Roxie dice che non sta mangiando quasi niente: Amane, in compenso, ha in parte ritrovato l’appetito” sospirò Ruri.
“Light è dentro da cinque giorni” rifletté Matsuda “E nessuno dei criminali apparsi recentemente in televisione o sui giornali è morto…in un momento del genere, dev’essere più dura per un genitore, che per l’accusato”.
“Già…visto che ormai è praticamente sicuro che Light è Kira…” aggiunse Aizawa.
Elle premette il pulsante per comunicare con il poliziotto.
“Signor Yagami, mi sente?”.
L’uomo scattò subito in piedi, mandando all’aria la sedia di plastica su cui era seduto.
“Che c’è?! Avete buone notizie o cattive notizie?!”.
“No, niente di tutto ciò. Volevo solo dirle di non tormentarsi troppo, perché non serve a niente…credo che ci vorrà del tempo. Che ne dice di riposarsi un po’ in un posto un po’ più confortevole?” propose il detective.
“Non dire assurdità! In questa situazione, nessun posto sarebbe confortevole!!” gridò, avvicinandosi di botto alla telecamera “Ascoltami bene: comunque vadano le cose, io uscirò da qui solo insieme a mio figlio!!”.
“Capisco…come vuole”.
 
Avvenne due giorni dopo: come di consueto, Ryuzaki aveva deciso di rivolgersi a Light, subito dopo aver premuto il tasto corrispondente al microfono della sua cella.
“Light, è passata solo una settimana, ma ti vedo piuttosto sciupato. Va tutto bene?” gli domandò.
Light alzò a malapena lo sguardo e iniziò a borbottare qualcosa sottovoce.
“Watari, dacci lo zoom in primo piano su Light!” esclamò Ruri, sporgendosi in avanti.
Quando ebbe a portata di sguardo il labiale, iniziò a decifrare quello che il ragazzo stava dicendo.
“Mi rendo conto che non ci sto facendo una bella figura…ma che me ne faccio dell’orgoglio…” sillabò la profiler, socchiudendo gli occhi “Sarebbe a dire?”.
Poi, Light pronunciò un’altra parola, a voce più alta.
“Rinuncio!”.
Ruri e Ryuzaki si scambiarono sguardi pieni di concentrazione, entrambi al limite dell’attonito.
“Rinuncia?” ripeté Ruri, piegando di poco la testa “Rinuncia a che cosa?!”.
Non passarono che pochi secondi dall’aver pronunciato quella parola che il volto di Light cambiò radicalmente espressione: i suoi stessi occhi, color castano dorato, assunsero una sfumatura diversa, provvista di pura sorpresa e di un certo panico. A Ruri parve perfino che i tratti del suo volto si addolcissero lentamente, restituendo alla loro vista una persona completamente differente; osservando con la coda dell’occhio il detective, la ragazza poté constatare che aveva avuto la stessa impressione.
“Ryuzaki, Ruri” disse a un tratto il ragazzo, alzando lo sguardo verso la telecamera “Lo so che sono stato io a volere tutto questo e a lasciarmi rinchiudere, ma…ma adesso ho capito che è tutto inutile! Non serve assolutamente a niente! Vi prego, lasciatemi andare!! Lasciatemi uscire, vi supplico!!”.
Aveva la voce corrosa dal panico e dalla disperazione, e a un tratto iniziò persino a dimenarsi, nel tentativo di sciogliere le corde che gli legavano i polsi.
“Un’altra crisi di nervi?” constatò Ruri “È mai possibile che debbano perdere la testa, prima di cambiare atteggiamento in modo così brusco? Che cos’è tutta questa storia?!”.
“No” gli rispose Ryuzaki, premendo di nuovo il tasto del microfono “Ti abbiamo promesso che, qualunque cosa tu avessi detto o fatto, non ti avremmo lasciato uscire finché non avessimo chiarito se tu sei Kira o no”.
“Non so che cosa mi passava per la testa in quel momento” seguitò Light, con tono febbricitante “Lo ha detto anche Ruri, non ricordi? Credi forse che un maniaco omicida come Kira avrebbe potuto fare quello che ha fatto, senza…senza essere nel pieno delle sue facoltà?! Non sono stato io, Ryuzaki!!! Ruri, diglielo anche tu!! Non posso essere stato io, non è possibile!!”.
Dopo una breve pausa, Ruri si avvicinò a sua volta al microfono.
“In effetti, anche io e Ryuzaki non riteniamo possibile che Kira abbia commesso quegli omicidi senza esserne consapevole. Ma questo non esclude la possibilità che tu sia il responsabile, Light. Non metterai piede fuori da quella cella fin quando ciò non sarà chiarito”.
“Tutto torna, presumendo che tu sia Kira” proseguì Ryuzaki “E visto che, da quando sei lì dentro, gli omicidi sono improvvisamente cessati, credo che tu nasconda la tua colpevolezza”.
“Ascoltatemi, ragazzi! Vi giuro che non sto mentendo! Non sono io Kira!!!! NON SONO IO KIRA!!!! Il fatto che io sia recluso significa che mi hanno incastrato!!” gridò Light, con tutto il fiato che aveva in corpo.
“Direi che ti sei incastrato da solo, visto che sei stato tu a chiederci di rinchiuderti là dentro” constatò Ruri, con tono glaciale.
“Fatemi uscire da qui!!! Vi prego, è solo una perdita di tempo!!” implorò ancora Light.
“No, non possiamo farti uscire” disse semplicemente Ryuzaki.
“Merda! Ma perché…” pianse il ragazzo, chinando la testa.
“Ma che gli prende?” domandò Aizawa “Non è da lui rimangiarsi la parola, e in più, quello che dice…sembra non avere alcun senso”.
“Ma non possiamo certo liberarlo, visto…che gli omicidi dei criminali sono cessati” fece notare Matsuda, in tono preoccupato.
“Comunque, Light può dire quello che vuole, ma a questo punto possiamo affermare che lui è Kira, e dichiarare chiuso il caso” affermò Aizawa, con fare pratico.
Dal canto proprio, Ruri si volse lentamente verso Elle, fissandolo di sottecchi.
“Cosa ne pensi?” gli domandò, a voce più bassa del normale.
“Quello che dice non ha senso” replicò il detective “Eppure, non ha l’aria di uno che sta mentendo…”.
“Già: è come se fosse…non lo so…diverso. Non è il Light che abbiamo conosciuto” sospirò Ruri “Sembra maledettamente…sincero. Molto più di quanto non mi sia sembrato quando si è presentato qui, una settimana fa. E inoltre, quella parola…’Rinuncio’. C’è qualcosa che non quadra…proprio come per Misa, ho dei seri dubbi che possa trattarsi di una recita” dichiarò la profiler.
“Questo significherebbe che…stanno dicendo la verità?” disse Elle, guardandola a sua volta.
“Ci sono troppe coincidenze” constatò Ruri “Ma vediamo come reagisce ai prossimi giorni”.
 
Una settimana più tardi, Matsuda si precipitò nella loro stanza d’albergo, con il fiato corto.
“Avete visto che roba?!” esclamò, entusiasta “Ieri sono morti tutti i criminali che non erano stati giustiziati nelle ultime due settimane!”.
“Già…” disse Aizawa, fissando il giornale che teneva spiegato fra le mani “Kira è tornato…”.
“Avete informato il capo della notizia?” domandò Matsuda.
“No, non ancora”.
Il giovane poliziotto si precipitò verso il microfono, afferrandolo subito e rivolgendosi al suo superiore.
“Sovrintendente, è in ascolto? Kira è tornato in azione!” esclamò il giovanotto.
“Cosa?!” sbottò Soichiro, balzando in piedi.
“Si era soltanto preso una pausa, e adesso ha cominciato di nuovo a giustiziare i criminali” proseguì Matsuda.
“Dici davvero, Matsuda?! Allora, allora mio figlio non…non che voglia gioire per degli omicidi, ma questo…questo significa che i sospetti su di lui…no, ma che dico…” s’interruppe poi, abbassando lo sguardo “Spetta a Ryuzaki dire se è innocente o no…”.
Aizawa e Matsuda si sporsero verso di lui, con espressioni ansiose, mentre Ruri non staccava gli occhi da Light per un solo secondo.
“Beh, diciamo un ‘ni’” disse infine Ryuzaki, con lentezza.
“Ha sentito, sovrintendente?” proseguì Matsuda, con lo stesso tono entusiasta.
“È già qualcosa” sospirò Soichiro “Prima era un ‘no’ secco…e Ruri che cosa ne pensa?”.
Fu il turno di Ruri d’essere scrutata con attenzione dai due agenti di polizia; dal canto proprio, la profiler non si voltò verso di loro, continuando a studiare il profilo dello studente.
“Penso che dovremmo riflettere con calma su quello che sta succedendo e valutare con attenzione il modo in cui procedere” disse infine.
“Beh, ma nel frattempo, dovremmo dirlo a Light, non trovate?!” proseguì Matsuda, facendo per prendere in mano l’altro microfono.
“FERMO, MATSUDA!!!” gridò Ryuzaki, schiaffeggiando la sua mano e allontanandolo di botto “Voglio dire” proseguì poi, con molta più calma “Non lo faccia…”.
“Ma come…?” disse il poliziotto, confuso.
“Per adesso, non dica niente a Light” replicò Elle, prima di avviare la comunicazione con il ragazzo “Ascoltami, Light: ormai sono passate due settimane, e ancora nessun criminale è stato ucciso. Perché non ti metti una mano sulla coscienza e confessi di essere Kira?”.
“Smettila con questa storia” disse rabbiosamente Light “Ti stai sbagliando di grosso!! Io capisco che le indagini ti abbiano portato a queste conclusioni, ma questa è una trappola! Io non sono Kira!! NON SONO KIRA!!!!!” gridò, a pieni polmoni “Usa lo zoom o quello che ti pare, e poi guardami bene negli occhi: ti sembra lo sguardo di una persona che mente?! RYUZAKI, RURI!!! Siete le menti migliori del mondo, siete rispettivamente il primo detective sul pianeta e la miglior profiler che l’FBI abbia mai avuto fra le sue fila, come potete non distinguere l’espressione di una persona che vi sta ingannando da una che vi sta dicendo la verità?! VI PREGO!!!”.
Ruri e Ryuzaki si scambiarono un’altra occhiata penetrante; dopodiché, Elle premette il pulsante del microfono corrispondente alla telecamera situata nella cella di Misa e si rivolse direttamente a lei.
“Amane, davvero non sai chi sia Kira?” le domandò.
“Ancora con questa storia?” replicò debolmente la ragazza “Magari lo conoscessi! Lui ha punito il ladro che ha ucciso i miei genitori! Lui sì che è…dalla parte della giustizia”.
Le sue parole vennero seguite da un lungo silenzio, durante il quale gli occhi di Ryuzaki non fecero che saettare dalla figura di Misa al volto di Light, che ancora stava fissando la telecamera con sguardo concentrato e sconvolto a un tempo.
“Di questo non aveva mai fatto menzione…” notò Ruri, mormorando appena “Perché non ci ha detto subito quello che pensava su Kira, e adesso ammette che è il suo idolo con tutta questa naturalezza?”.
“C’è qualcosa che mi sfugge…” sussurrò Ryuzaki, rivolto più a se stesso che al resto del mondo.
“È un atteggiamento molto simile a quello che ha dimostrato nei confronti dello stesso Yagami” ragionò Ruri, sporgendosi in avanti “Prima non ha detto una parola sul suo conto, e poi, dopo qualche ora, ha cominciato a sbraitare a gran voce che era il suo ragazzo…questa faccenda ha dell’assurdo”.
“Chiama Roxie” le disse a un tratto Elle, allungando la mano nella sua direzione “Voglio parlarci di persona”.
Ruri compose il numero della sua migliore amica e passò il cellulare al detective, che provvide ad avvicinarlo subito all’orecchio, ma continuando, come di consueto, a tenerlo sollevato con due dita.
“Roxie” le si rivolse, non appena lei gli ebbe risposto “Hai sottoposto Light alle visite di controllo periodiche, come ti ho chiesto?”.
“Certamente. Le sue funzioni cerebrali e di riflesso, oltre che i suoi parametri vitali, sembrerebbero stabili, ad un esame superficiale. Ma è possibile che l’attuale stato di reclusione stia stressando il suo sistema nervoso più di quanto potessimo prevedere” rispose la dottoressa, in tono efficiente.
“Come medico, ti sentiresti di affermare che il suo sistema nervoso stia avendo un cedimento dovuto a stress emotivo, o qualcosa di simile?” replicò Elle.
“Beh, non possiamo escluderlo a priori, ma, nonostante quello che può sembrare…direi che Light sembra molto più lucido di quanto non credessi prima di visitarlo” ammise Robin.
“Sarebbe a dire?”.
“Non è in preda a delirio psicotico, e la sua attività cardiocircolatoria non presenta anomalie tali da aver alterato il funzionamento dell’attività cerebrale e le sue capacità cognitive. In altre parole, non sta perdendo la testa” replicò lei.
“Da quello che appare sul monitor, non si direbbe proprio” la contraddisse Ryuzaki “O quantomeno, senza dubbio non lo definirei un atteggiamento proprio della natura di Light”.
“Posso solamente limitarmi a riferirti dettagli sulle sue condizioni fisiche e biologiche e sull’attività encefalica che sono in grado di analizzare. Se vuoi comprendere fino in fondo come funziona la sua psiche e quello che avviene al suo interno, purtroppo non posso aiutarti più di tanto. Lo sai che è Ruri l’esperta in quel campo, proprio come te”.
“Sì, me ne rendo conto. Non perdetelo mai di vista, mi raccomando. E procedete anche nei suoi riguardi con l’alimentazione forzata, se dovesse rifiutarsi di mangiare” disse Elle, in tono secco.
“Va bene, Ryuzaki, ma ricordati che non possiamo andarci troppo pesante, o rischieremo di danneggiargli per sempre l’apparato digerente” sospirò la dottoressa.
“Prendi le dovute precauzioni come al solito, e non esitare a contattarci se ci fossero novità” si congedò il detective, riattaccando il telefono e restituendolo a Ruri.
Dopo una breve pausa, Matsuda mosse qualche passo in avanti.
“Sentite…non pensate che sarebbe il caso di provvedere a liberarli, adesso? Il fatto che gli omicidi siano ricominciati…ecco, non è una prova sufficiente della loro innocenza?” disse, timidamente.
“Assolutamente no” lo smentì Ruri “Non dimenticare che Kira ha dimostrato più volte di poter decidere l’ora e il giorno del decesso delle sue vittime, a suo piacimento. Ancora non sappiamo se le informazioni necessarie per uccidere i criminali che sono morti in questi giorni erano già disponibili prima dell’arresto di Misa e Light, oppure no. E non sappiamo nulla riguardo al modo in cui concretamente i due Kira sono in grado di uccidere le loro vittime: potrebbero dover fare o dire qualcosa di particolare, o potrebbero semplicemente desiderarlo. In ogni caso, è troppo presto per saltare a qualsiasi conclusione. Dobbiamo aspettare”.
“M-ma…”.
“Se la cosa non è di vostro gradimento, quella è la porta” aggiunse Ryuzaki, glaciale “Vi avevo avvisato che i miei metodi d’indagine avrebbero potuto rivelarsi non molto ortodossi, ma non ho intenzione di sottoporre a tutto questo nessun individuo che non abbia lo stomaco e i nervi saldi per sopportare questa parte del nostro lavoro. Decidete liberamente che cosa fare”.
Aizawa e Matsuda furono sul punto di dire qualcosa, ma infine ci rinunciarono. Un’altra lunga attesa era appena iniziata.
 
Passavano i giorni; l’estate iniziava a divenire inoltrata, e a cedere il posto alle prime piogge: Light continuava a professare la sua innocenza, Misa implorava di vedere il suo amato con sempre maggiore spossatezza, e il sovrintendente seguitava ad attendere che Elle pronunciasse il suo giudizio definitivo, senza mai alzarsi della sedia di plastica pieghevole presente nella sua cella, neppure per dormire. Al cinquantesimo giorno di reclusione, Ryuzaki gli si rivolse ancora, nel tentativo di convincerlo a tornare a casa.
“Tutto bene, signor Yagami? Lo sa che lei non ha motivo di restare lì, vero?” gli chiese, con il suo solito fare tranquillo e rilassato.
“È già passato più di un mese da quando Kira ha ripreso a uccidere” replicò Soichiro, senza alzare lo sguardo “Ormai, io sono assolutamente sicuro del fatto che mio figlio non è Kira…ora, dovete solo convincervene tu e Ruri, Ryuzaki…sono fermamente deciso a uscire di qui soltanto insieme a mio figlio”.
“Certo che anche il sovrintendente è testardo…” disse Matsuda, a voce bassa, mentre Aizawa lanciava sguardi cupi alle schiene di Ruri e di Elle.
Dal canto proprio, il detective lo ignorò diplomaticamente e premette il pulsante del microfono della cella di Light.
“Light, come stai? Va tutto bene?” gli domandò, con naturalezza.
Dal pavimento della sua cella, dov’era disteso in posizione scomposta, il ragazzo sollevò appena la testa e iniziò a rispondere, con voce flebile.
“Sì, va tutto bene…” disse, tossendo appena “Ascolta, Ryuzaki…da quando sono stato rinchiuso, non è morto nemmeno un criminale, quindi…ne deduco che, molto probabilmente, Kira è perfettamente a conoscenza di ciò che mi sta accadendo qui, il che…mi fa pensare…”.
“No!” lo interruppe Ryuzaki, in tono secco e glaciale “Se non è stato ancora ucciso alcun criminale, è perché tu sei Kira!”.
“Ti sbagli!” disse Light, disperatamente “Io non sono Kira! Quante volte te lo devo ancora ripetere, questo?!”.
Ruri sospirò pesantemente, prima di bere un lungo sorso di caffè.
“Dobbiamo riconoscere che, se lui fosse Kira, dovrebbe sapere che gli omicidi sono ricominciati…eppure, non si direbbe proprio. Ciononostante, tutto questo continua a non avere senso; continuo a pensare che è come se Light fosse cambiato, dopo la prima settimana di prigionia. Ma anche questo è semplicemente assurdo…” affermò la profiler, osservando distrattamente il fondo della sua tazza.
“E se davvero fosse cambiato?” le si rivolse Elle, a bassa voce “Se i poteri di Kira potessero essere ceduti a qualcun altro e riacquisiti al momento più appropriato…se fosse tutto calcolato…”.
“Avrebbe volontariamente ceduto i suoi ricordi e il suo potere? Devi ammettere che è una teoria pazzesca”.
“Già, un po’ come ammettere che un serial killer possa uccidere in simultanea in più parti del globo, semplicemente fermando il cuore delle sue vittime” le fece notare Elle, terminando quasi del tutto il suo gelato alla frutta.
“Touché”.
A un tratto, alle loro spalle, Ruri udì i due agenti di polizia, che in quei giorni non avevano fatto che osservarli in modo cupo, iniziare a borbottare fra loro.
“Ryuzaki è così crudele…” disse Aizawa “Sembra che lui e Ruri si stiano quasi divertendo. Quanto tempo ancora aspetteranno per dire a Light che i criminali hanno ricominciato a morire in massa…?”.
Ignorandoli diplomaticamente, Ryuzaki premette ancora il pulsante dell’altoparlante della cella di Misa.
“Amane” le si rivolse, malgrado la bionda non accennasse ad alzare di nuovo la testa.
“Sì…?” sussurrò appena lei.
“Non ti vedo molto in forma, tutto bene?” le domandò.
“Ma sei scemo? Come posso stare bene, se mi tieni chiusa qui dentro da decine di giorni?” protestò debolmente.
“Sì, non hai tutti i torti” ammise Elle.
“Sbrigati a liberarmi…voglio vedere Light…Light…Light…Light…” pianse lei, continuando a invocare il nome del ragazzo.
“Accidenti, sembra proprio che tutti e tre abbiano raggiunto il limite” disse Matsuda, costernato.
“Ryuzaki! Ma perché vuoi continuare a tenere prigioniero Light?!” sbottò Aizawa “Non sembra a voi due che sia ora di liberarlo? Così anche il sovrintendente potrà uscire! Dopotutto, al momento nessuno dei due ha accesso ai notiziari, eppure i criminali stanno morendo lo stesso! Ancora non rappresenta una prova sufficiente della loro innocenza?!”.
“Per niente” rispose glacialmente Elle, leccandosi distrattamente l’indice sporco di gelato “L’unica cosa che ho capito è che Amane prova un amore smisurato nei confronti di Light Yagami…”.
Aizawa non smise di fissare entrambi con espressione astiosa, prima di continuare.
“Scusatemi” proseguì poi, risoluto “Ma non posso fare a meno di pensare che stiate facendo tutto questo soltanto perché non volete ammettere di esservi sbagliati sul conto di Light”.
“Ah certo, tenere rinchiuse le persone in cella è il nostro sport preferito” commentò Ruri, roteando gli occhi.
“Allora, è così che la pensa?” replicò Elle, ma con tono più pacato della ragazza.
“Come ha detto Light, se Kira potesse uccidere anche mentre è sotto sorveglianza, e senza poter accedere ad alcuna informazione, allora perché avrebbe dovuto uccidere Lind L. Taylor e gli agenti dell’FBI?! Anche se avessero indagato sul suo conto, non avrebbero potuto incastrarlo, no?!” esclamò Aizawa “Non avete ammesso voi stessi che Kira non agisce senza un preciso motivo?”.
“Già, questo è vero” rincarò la dose Matsuda “Se potesse uccidere in quelle condizioni, allora non avrebbe avuto motivo di far fuori gli agenti dell’FBI, no?”.
“Affatto” li gelò Ruri “La questione relativa all’uccisione del falso Elle e dei miei colleghi non era legata soltanto alla sensazione di panico che avrebbe assalito il killer, quanto a un’autentica provocazione che gli è stata mossa in quelle specifiche occasioni. Se uno di voi due si fosse concentrato meglio sul modo in cui gli agenti dell’FBI hanno agito, e sui termini che Taylor ha utilizzato rivolgendosi a Kira quando ha fatto la sua comparsa in televisione, forse ci sareste arrivati anche da soli. Quando un uomo si autoconvince d’essere una sorta di divinità incarnata, non tollera che nessuno, nessuno gli metta i bastoni fra le ruote, oppure che osi alzare la testa per contrastare in qualche modo il suo operato. Kira è un bambino viziato ed infantile, oltre che un megalomane affetto da delirio di onnipotenza. Ergo, direi che le vostre argomentazioni sono inerenti alla prigionia di Yagami e di Amane tanto quanto possono esserlo le vostre simpatiche insinuazioni riguardo al giochetto perverso che io e Ryuzaki staremmo impalcando”.
“Tutta questa storia è ridicola!!” saltò su Aizawa, iniziando ad alzare la voce “Ormai sono passati più di cinquanta giorni, e i criminali continuano a morire in massa! Dovremmo smetterla con questa commedia assurda e deciderci ad andare là fuori a cercare il vero colpevole!!”.
“Con il massimo rispetto, ho la sensazione che tu stia tirando un po’ troppo la corda, Aizawa” lo avvisò la ragazza, alzandosi finalmente in piedi e affrontandolo di petto “Non sei a capo delle indagini e non dirigi le operazioni di questo quartier generale. Vedi di darti una calmata”.
“Dovrei calmarmi di fronte a quello che voi due state facendo?!? Questa storia ha dell’inumano! Ne ho abbastanza delle vostre macchinazioni e delle vostre teorie sconclusionate! Vi atteggiate come quelli che credono di conoscere tutto e tutti, e date per scontato di poter giungere ad ogni conclusione nel modo più oggettivo e corretto possibile! Credete davvero di poter basare la colpevolezza di Light semplicemente sull’atteggiamento che ha avuto quando è entrato in quella cella e su quello che sta manifestando adesso? Le persone possono cambiare spontaneamente, dopo un periodo di reclusione come quello che sta vivendo! Che cosa c’è di così assurdo? Credi veramente di sapere tutto sulle persone, solo a causa della tua stramaledetta Laurea e di un po’ di conoscenza di termini tecnici? Francamente, inizio a dubitare della tua competenza come criminologa, Ruri! Anzi, scommetterei quello che vuoi che non hai mai neppure visto il male in faccia abbastanza da vicino da dire di poterlo riconoscere!”.
Non appena Aizawa ebbe finito la sua invettiva, Ryuzaki si alzò in piedi e lo fissò dritto negli occhi: né lui, né Matsuda avrebbero mai giurato d’avergli visto in volto uno sguardo tanto torvo. Ad entrambi parve che fosse sul punto d’aprire bocca, ma Ruri lo precedette.
In modo quasi impercettibile, e senza staccare gli occhi dal suo interlocutore, Ruri iniziò lentamente ad arrotolarsi le maniche della maglia, per poi voltarle in direzione di Aizawa, mostrandogli così la superficie della cute lesa da tagli, abrasioni, cicatrici e bruciature di sigaretta.
Inorridito da quella visione, Aizawa tornò a fissarla con imbarazzo, adesso mortificato.
“Ruri…io…”.
“Chiudi la bocca” lo zittì l’ex agente, glacialmente “Detto con la massima franchezza, non m’interessa quello che pensi o l’opinione che tu possa esserti fatto della mia esperienza professionale; ma immagino che dovresti conoscere a fondo quello di cui parli, prima di sputare sentenze”.
“Ruri…io non intendevo…”.
“Non me ne fotte di quello che non intendevi, Aizawa. Non sono tua amica e non sono tua sorella, e quello che dici di certo non è in grado di farmi effetto. Ma senz’altro credevo che fossi un poliziotto più professionale di quanto tu non ti sia dimostrato oggi; se ritieni che quello che io e Ryuzaki stiamo conducendo sia un giochetto, immagino che per te sarebbe meglio alzare il culo e togliere il disturbo. La decisione definitiva su ciò che è meglio fare con quei due spetta a Ryuzaki, considerando che tutti noi abbiamo deciso di fidarci di lui. Io mi limito a fare il mio lavoro e a servirmi della mia esperienza per formulare una diagnosi sui sospetti su cui stiamo indagando, niente di più. Questo non è il fanclub dell’amicizia o un’altra stronzata di tuo gradimento; è un quartier generale che si è prefissato l’obiettivo di catturare il più grande serial killer che il mondo abbia mai visto. Nessuno di noi ha tempo per giochetti infantili, tantomeno ne abbiamo io e Ryuzaki. Quindi, se proprio hai tempo da perdere a rivolgerti a noi due con quel tono e a sparare puttanate senza capo né coda, forse dovresti riflettere meglio sul modo in cui stai sprecando le tue giornate. Oh, e per la cronaca” concluse, prima di voltarsi di nuovo verso le telecamere “Ho visto quanto di peggio è in grado di fare un essere umano così da vicino da sentirne persino l’odore. Il giorno in cui ti avranno fatto quello che hanno fatto a me forse ti darò ancora il permesso di parlarmi in quel modo”.
“Ruri, parlo sul serio, io…” tentò ancora il poliziotto, quando lei ormai gli ebbe dato le spalle.
“Chiudi. La. Bocca” disse ancora la profiler, senza volgersi indietro “Abbiamo del lavoro da fare”.
Prima che Aizawa potesse parlare di nuovo, Ryuzaki gli volse le spalle a sua volta e tornò a sedersi accanto a Ruri.
“Vi voglio fuori di qui. Watari vi metterà a parte di quello che ho deciso di fare con Yagami e Amane” li congedò Elle, altrettanto gelido.
“M-Ma Ryuzaki…”.
“Fuori. Non fatemelo ripetere” sottolineò il detective, altrettanto impassibile.
Con la massima rassegnazione, Matsuda e Aizawa presero la porta; sulla soglia, quest’ultimo fu sul punto di voltarsi di nuovo in direzione dei due, ma il suo collega gli posò una mano sul braccio, convincendolo a desistere e a seguirlo senza fiatare.
Non appena furono rimasti soli, Elle prese a osservarla di sottecchi, mentre lei non dava cenno di voler distogliere lo sguardo dai monitor di fronte a loro.
“Stai bene…?” le domandò, dopo un tempo che parve infinito a entrambi.
“Sono solo un po’ stanca” ammise Ruri, ingoiando alcune medicine e bevendo dell’acqua a piccoli sorsi “Non riesco a dormire, in questi giorni…”.
“Forse dovresti fare una pausa. Continuo io” la incoraggiò Elle.
“No, va bene. Dico sul serio, è tutto a posto. Posso farcela” gli sorrise Ruri, anche se in modo stentato e un po’ forzato.
“Ruri…”.
“Non voglio che tu sia preoccupato per me” disse la giovane, volgendosi a un tratto verso di lui e fissandolo dritto negli occhi “Te l’ho già detto. Non è quello che voglio”.
“E che cos’è che vuoi?” replicò Elle.
“Voglio solo sapere che cos’hai intenzione di fare con Yagami e Amane”.
Ryuzaki li scrutò appena, passandosi un dito elegante sulle labbra e riflettendo attentamente.
“Ho deciso di farli uscire da là, ma solo mettendo alla prova il loro sangue freddo e le loro capacità di reazione. Se anche reagissero nel miglior modo possibile, questo comunque non dissolverebbe i sospetti sul loro conto, ma sarebbe un inizio. Dopodiché, se Light si comportasse in un certo modo, proseguirei a monitorarlo personalmente, anche se attraverso un altro metodo” le rispose infine.
“Ti confesso che non ti sto seguendo molto” ammise Ruri, con un sorrisetto.
“Chiederò al sovrintendente Yagami di dire a Light e a Misa di essere stato incaricato di condurli sul patibolo, affinché siano giustiziati: dopodiché, gli dirò di fermarsi in una zona isolata e di minacciare Light con una pistola, sostenendo di volerlo uccidere con le sue mani, prima di togliersi la vita. La pistola sarà caricata a salve; a quel punto, se Misa Amane fosse il secondo Kira, forse le basterebbe guardare il sovrintendente in faccia, per poterlo uccidere e per salvare Light…”.
“Ma non siamo ancora certi che per uccidere gli basti semplicemente desiderarlo. Potrebbero aver bisogno di fare o dire qualcosa…” obiettò Ruri.
“Infatti, si tratterebbe solo di una possibilità: continueremo a far sorvegliare Misa e Light, te l’ho già detto. In particolare, ho intenzione di incatenarlo personalmente a me, così da non perderlo mai di vista. In questo modo, non mi sfuggirà neanche un suo movimento”.
Dopo una breve pausa, Ruri annuì brevemente, con aria pensierosa.
“Se ritieni che sia la scelta migliore, allora è meglio procedere così. Dopotutto, è vero che non abbiamo ancora ottenuto niente, dopo quasi due mesi d’osservazione” ammise la profiler, sospirando pesantemente “Forse dovremmo provare con un approccio diverso”.
“Domani sarà un momento decisivo, per la nostra indagine. Anche se qualcosa mi dice che Light e Misa non nuoceranno al sovrintendente…forse mi sto fidando troppo del mio sesto senso, o forse le cose mi stanno sfuggendo di mano. Ad ogni modo, se la teoria relativa alla capacità di Kira di disfarsi del suo potere al momento più appropriato e di trasmetterlo ad altri in casi di necessità fosse effettivamente vera…allora non potremmo più escludere nessuna ipotesi, e il campo si amplierebbe, invece di restringersi” constatò il detective.
“Questo non è detto” sostenne Ruri, bevendo un altro sorso d’acqua “Potrebbe perfino rivelarsi una scoperta che ci porterebbe a capire molte più cose…ma suppongo che potremo capire tutto questo solo andando avanti. Non ha senso rifletterci prima d’avere in mano ulteriori elementi”.
Elle riprese a osservarla, posando definitivamente la sua coppa di gelato.
“C’è qualcosa che non va” sentenziò alla fine.
“Tu credi? Sono passati quasi due mesi e ancora non abbiamo uno straccio di prova contro il nostro primo indiziato. Dubito che le cose potrebbero andare peggio di…”.
“Non sto parlando di Light Yagami” la interruppe subito, con tono più duro.
Ruri lo fissò con aria stranita, alzando appena un sopracciglio.
“Di cosa parli?”.
“Sto parlando di te. Non credere che non me ne sia accorto”.
“Elle, non…”.
“I tuoi incubi sono ricominciati. E hai di nuovo il fiato corto, Ruri”.
Quelle parole la spiazzarono in un modo che non aveva previsto, portandola persino a sobbalzare lievemente e costringendola a distogliere lo sguardo.
“Guardami negli occhi, quando stiamo parlando” la redarguì Elle.
“Come se non fossi capace di mentirti anche guardandoti in faccia” soffiò Ruri, a un tratto irritata.
“Come se io non fossi in grado di capire quando lo fai”.
“Hai intenzione di farmi la predica?” sbottò la ragazza, posandosi le mani sui fianchi e alzandosi in piedi.
“Solo di farti ragionare” sospirò il detective, alzandosi a sua volta e ponendosi di fronte a lei, le mani in tasca “Ho bisogno di sapere che stai bene, Ruri. Da domani, dovrò concentrarmi esclusivamente su Yagami, ventiquattr’ore su ventiquattro. Dimmi che non trascurerai la tua salute come hai ripreso a fare in questi giorni”.
Mordendosi il labbro, Ruri non poté fare a meno di ammettere con se stessa che in quei giorni, presa dal lavoro e dalla reclusione di Light e Misa, aveva finito per ignorare le ripetute raccomandazioni di Robin, saltando spesso i pasti ed evitando di dormire un numero sufficiente di ore. Inutile dire che aveva dovuto presto affrontarne le conseguenze.
“Non ti sfugge proprio niente, eh?” sospirò la ragazza, stringendosi nelle spalle.
“Me lo avevi promesso”.
“Va bene, va bene. Mi dispiace, ok? Mi sono solo fatta assorbire troppo dal lavoro. Non accadrà più” gli assicurò Ruri, tornando a sedersi e passandosi una mano nella chioma scura.
Ryuzaki continuò a fissarla in silenzio, le mani ancora in tasca, prima di riprendere a parlare.
“Perché hai mostrato ad Aizawa le tue cicatrici? Credevo che te ne vergognassi”.
Ruri si pronunciò in un sorrisetto amaro, fissandolo di sbieco.
“Suppongo che la tua sia una domanda retorica”.
“Sto solo cercando di capire”.
“Non c’è molto da capire” scosse il capo Ruri, chiudendo appena gli occhi “Volevo solo che si rendesse conto che, per quanto la mia competenza professionale potrà mai rivelarsi inadeguata, senza dubbio ho compreso il male meglio di quanto possa esserci riuscito lui. È proprio questa la ragione per cui non posso accettare l’operato di Kira…”.
Ryuzaki attese che continuasse, sedendosi lentamente vicino a lei.
“A volte…anche a me è capitato di pensare che stesse semplicemente realizzando il sogno segreto di ciascuno di noi. Un mondo epurato dai malvagi, un mondo di pace…già, al prezzo di un unico malvagio. Di una sorta di divinità demoniaca provvista di un potere illimitato su ciascuno di noi. Come si fa a decidere che cos’è bene e che cos’è male, quando un simile arbitrio è concentrato nelle mani di un singolo essere umano? Come stabilisci se una cosa è giusta o sbagliata? È perché fa del male a qualcuno, o perché ti infastidisce? Puoi usare un criterio oggettivo, oppure ricadrai necessariamente nelle tue esperienze personali? Seguendo questo criterio, credo che giustizierei chiunque esca di casa con un coltellino svizzero in tasca…Williams non se ne privava mai” sussurrò infine, con un altro sorrisetto amaro.
Elle la guardò con attenzione, sfiorandole appena il polso sinistro con due dita.
“Era da quella sera che non parlavi più di lui” le disse, a voce altrettanto bassa.
Ruri gli sorrise di nuovo.
Quella sera” lo imitò, con fare teatrale “Ne parli come se da allora il tuo mondo si fosse capovolto”.
“Beh, è così” ammise il detective “Tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro”.
La ragazza gli strinse a un tratto la mano, incrociando le dita con le sue.
“Mi dispiace per prima. Ho esagerato” ammise, stringendosi nelle spalle “Sono stata dura con Aizawa…immagino fosse solo preoccupato per il sovrintendente”.
“Beh, io l’ho buttato fuori dalla nostra suite, direi che siamo pari” constatò Elle, fingendo di pensarci su.
Ruri si concesse una breve risatina, prima di guardarlo dritto negli occhi.
“In effetti, non sopporto l’idea che tu stia appiccicato a Yagami ventiquattr’ore su ventiquattro, nonostante sia la cosa migliore da fare” ammise la ragazza.
“Perché?” le domandò Elle, alzando un sopracciglio.
“Beh, lo sai. Al di là del fatto che non lo sopporto, direi che avrei preferito avere la possibilità di trascorrere del tempo con te senza avere Kira, o qualsiasi altra persona, fra i piedi” ridacchiò lei, passandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Stai parlando sul serio?” chiese Elle, con aria stranita e compiaciuta a un tempo.
“Diciamo un ‘ni’” replicò Ruri, assestandogli un buffetto “Sono anch’io un essere umano, che male c’è? Sentirò la tua mancanza”.
“Non credere che ti permetterò di allontanarti da me con tanta facilità. A dire il vero, ho pensato a una soluzione che ci permetterà di vivere insieme a tutti gli effetti” le disse Elle, con aria misteriosa.
“Di cosa stai…?”.
“Questo me lo tengo come sorpresa” la interruppe lui, giocherellando con il ciondolo che le aveva regalato e che spiccava al collo della profiler.
Dopo avergli di nuovo sorriso, Ruri finì per accoccolarsi sulle sue gambe, affondando il volto nell’incavo del suo collo e chiudendo appena gli occhi.
“Mi mancheranno questi momenti…” gli sussurrò, baciandolo dietro l’orecchio.
“Catturato Kira, sarà tutto finito, e potremo tornare alla normalità”.
“Andiamo, Elle! Io e te abbiamo mai vissuto qualcosa che potesse definirsi ‘normale’?” replicò Ruri, con un sorriso canzonatorio.
“Un punto a tuo favore” constatò Elle, pensandoci un po’ su “Ma dovremo pur pensare a qualcosa del genere, quando tutta questa faccenda sarà risolta”.
Ruri si scostò appena da lui e l’osservò con attenzione, quasi con impazienza.
“Stai pensando a una casetta con il giardino? Ai bambini e a un cane da portare fuori per la passeggiata serale?”.
“A dire il vero, non è proprio quello che avevo in mente. Non sono tagliato per quel genere di cose” ammise il detective, abbassando appena gli occhi.
Ruri non cancellò il suo sorriso, prima di carezzarlo appena sulla guancia.
“Beh, io odio cucinare, odio il giardinaggio, sono più un tipo da appartamento e sono allergica ai cani. E dubito che sarei mai una buona madre” ridacchiò appena “Quindi, suppongo che tu non debba preoccuparti di niente del genere”.
“Tu potresti essere tutto quello che vuoi” la contraddisse Elle, con sua sorpresa “Ma io, beh…io sono Elle. La mia vita è diversa da quella di qualsiasi altra persona”.
“Sì, beh…io sono la ex figlia di un bastardo dalla faccia pulita, che ha finto il suicidio e che è entrata nell’FBI mascherando la propria identità e cambiando nome più volte; ho avuto crisi cardiache fin dalla nascita, e lo scorso inverno ho dovuto sottopormi a un altro trapianto cardiaco. Nonostante questo, fino a poco tempo fa bevevo, fumavo, prendevo sonniferi e trascuravo di mangiare in modo normale. Se stavi cercando di dire che sei un casino ambulante, direi che sono in grado di batterti, almeno su questo campo” affermò Ruri, con un’ulteriore alzata di spalle.
Elle le sollevò appena il mento e la guardò di nuovo negli occhi, perdendosi in quelle sfumature che non avrebbe mai creduto essere così articolate e profonde.
“Davvero hai voluto un disastro come me?” gli domandò la ragazza, alzando nuovamente un sopracciglio.
“Ho scelto la mia più grande ispirazione” replicò lui, con la massima naturalezza “In effetti, è quello che ho fatto per tutta la vita: la logica, il ragionamento, le mie riflessioni…tutto è sempre stato guidato da quel senso d’ispirazione che provavo nel risolvere i casi che mi venivano sottoposti. Ma tu…sei stata l’ispirazione che ero convinto di non poter trovare. Sei arrogante, insopportabile, cocciuta, testarda, inflessibile e impossibile, tanto quanto sei straordinaria, intelligente, capace e spontanea. Sei tutto ciò che non tollero e di cui non posso fare a meno. Guardarti mi fa pensare a me stesso, o meglio: mi fa pensare che tutto ciò che sono stato e che posso essere potrebbe essere migliore. È come se fossi costantemente convinto di essere sul punto di vivere l’ultimo giorno della mia vita, e volessi viverlo avendo la certezza di non averti deluso. Per la prima volta, ho avuto una scelta da fare, e ho scelto di avere paura. Ho scelto di guardare in faccia quello che non conoscevo; in fondo, sono sempre stato io quello che si nascondeva. Un po’ come quando gli esseri umani hanno paura del buio: tutti quanti temono ciò che non riescono a vedere, e, di conseguenza, a comprendere. Quando ti ho conosciuto, mi sono sentito come se fossi stato io a essere cieco, all’improvviso. Non potevo prevedere che cosa sarebbe successo, ma improvvisamente mi sono reso conto che non m’importava. Non m’importava quale dovesse essere il prezzo da pagare. Credo…d’averlo capito definitivamente il giorno del tuo intervento” terminò, avvicinando i loro profili “La paura di non poterti più vedere, parlare, toccare mi stava uccidendo, ma il tentativo di lottare contro qualcosa del genere era più forte, proprio grazie a ciò che credevo avrebbe finito per uccidermi. Tu sei…la cura che credevo non esistesse. La cura che si nasconde dietro lo stesso male da cui pensavo di dover fuggire. In altre parole, accettare tutto questo mi ha persino fornito un vantaggio contro Kira. Ero convinto che sarei stato più debole e più vulnerabile, e invece ho compreso che adesso ho qualcosa che vale la pena perdere, e che è questo che mi spingerà a non arrendermi, qualunque cosa dovesse accadere”.
Ruri rimase in silenzio per qualche istante, incapace di parlare dopo tutto quello che le aveva appena detto.
“Beh…conoscendoti, direi che non ti saresti arreso comunque” aggiunse, con più timidezza di quanto non le si confacesse “Tu non sei il tipo che accetta di perdere”.
“Già: soprattutto quando ho qualcosa che non ho intenzione di lasciarmi sfuggire” le sorrise, sfiorandole appena la chioma ebanina.
“Quindi…ci hai pensato davvero? A quello che succederà dopo il caso Kira? Vuoi una vita…diversa da prima? Vuoi…” sussurrò appena.
“Voglio ciò che ho sempre voluto, dal primo istante in cui hai messo piede in quella stanza d’albergo. Voglio quel sapore e quell’odore…solo questo”.
“Quindi, vuoi una torta di fragole? Potevi dirlo anche prima, basta avvisare Watari” lo canzonò la ragazza, assestandogli una bottarella sulla spalla.
“Ti diverte molto, non è vero?” le chiese, socchiudendo gli occhi “Questo lo considero un colpo basso, dottoressa Dakota”.
“Beh, detto da un tipo che sequestra le persone e le rinchiude nelle celle per fare i suoi malvagi esperimenti socio-psicotici, direi che è tutto dire” seguitò Ruri, baciandolo a fior di labbra.
“Lo so. Te l’avevo detto che non sarebbe stato molto piacevole, anche se ammetto che te la sei cavata bene. Devo riconoscere che c’è stato un momento in cui mi è sembrato che provassi pietà per loro…”.
“Beh, è stato così. Dopotutto, non ti ho mai detto che ritenevo mentissero, e le loro condizioni si sono spinte ben oltre quanto non fossi abituata a vedere durante gli interrogatori condotti nelle carceri federali. Ma in fondo, non mi sarei aspettata niente di meno da te” sospirò Ruri.
“E tuttavia, rimani dalla mia parte?”.
Ruri lo fissò molto seriamente, posandogli una mano sul collo latteo.
“Qualsiasi cosa tu decida, io sarò sempre dalla tua parte”.
“Anche se decidessi di sacrificarmi per uccidere Kira?” le domandò a bruciapelo.
Ruri rimase impietrita per qualche secondo; infine, gli passò due dita sulle labbra e si avvicinò ancora di più, fondendo il respiro con quello di lui.
“Immagino che allora dovrei morire nel tentativo di impedirtelo…” gli sussurrò, dischiudendo le labbra “Se ti sta bene lo stesso, signor detective…”.
Elle prese a baciarla con più passione, finendo per sdraiarsi su di lei e iniziando a spogliarla, senza curarsi di nient’altro, lasciando che le loro bocche continuassero a duellare e che le sue mani eleganti corressero sul corpo di lei.
“Non morirai, Ruri” le sussurrò, lasciando che lei lo spogliasse a sua volta.
“Nemmeno tu…” ribatté la ragazza, stringendolo a sé “Lo giuro sul mio orgoglio, Ryuzaki: in qualunque modo vadano le cose, non ti permetterò di morire”.
Mentre la notte s’infiltrava nella stanza, entrambi continuarono a stringersi l’uno all’altra, lasciando che le loro labbra s’incontrassero ancora e che i loro corpi si abbandonassero all’ultima notte che avrebbero trascorso insieme prima di molto tempo…
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: …ah beh, se cercavate un’assassina del personaggio di Elle, direi che l’avete trovata! Non uccidetemi, avevo pur sempre messo l’avviso OOC XDXD A parte ciò, che mi dite? Nel prossimo capitolo, arriveremo alla parte che preferisco dell’anime! Ah, vi anticipo subito che la scena in macchina in cui Soichiro finge di voler uccidere Light sarà solo citata nel dettaglio, ma non la rappresenterò ‘in diretta’ :D Per il resto…che altro dire? Ringrazio come sempre Ell3 e SelflessGuard per aver recensito il capitolo 20, e grazie a Robyn98 per aver recensito il capitolo 11, siete impareggiabili! Bene, spero di poter tornare presto con il prossimo capitolo e con l’ingresso in scena della Yotsuba (IEIIII, NON VEDEVO L’ORA!!). Un bacione grosso a tutti e a prestissimo, Victoria <3

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Capitolo 22
*** Vecchie conoscenze ***


Capitolo 22- Vecchie conoscenze
 
La sera successiva, molte cose erano già cambiate: dopo aver parlato con il sovrintendente, Ruri e Ryuzaki avevano provveduto a monitorare quello che presto finì per accadere nella macchina dello stesso poliziotto, che aveva ricevuto l’incarico di comunicare a Light e Misa della loro imminente uccisione. Alla fine, nessuno dei due aveva dimostrato di voler nuocere in qualche modo alla vita di Soichiro, e così entrambi erano stati rilasciati dalla prigione, nonostante il detective avesse messo in atto le misure di sicurezza di cui aveva parlato.
In quel preciso istante, infatti, in cima alla suite imperiale del nuovo albergo, Elle finì di allacciare una manetta al polso sinistro di Light, chiudendo l’altra intorno al proprio polso destro e legandolo così a lui tramite una lunghissima catena.
“C’era bisogno di arrivare a tanto, Ryuzaki?” gli domandò Light, con tono irritato, sollevando appena la mano incatenata.
“Di certo non lo faccio perché mi va di farlo, Light” replicò Elle, impassibile, mentre il resto dei presenti li fissava in modo attonito.
“Oh, è questo che intendevi quando parlavi di cose tra maschietti e dicevi che dovevate stare insieme ventiquattr’ore su ventiquattro? Non sarai mica gay, Ryuzaki!” esordì Misa, a metà fra lo scocciato e il canzonatorio.
“Ho appena detto che non lo faccio perché mi va di farlo, chiaro?” ribatté il detective, voltandosi appena verso la bionda.
“Ma Light è il mio ragazzo!!” protestò Misa “Se stai con lui ventiquattr’ore al giorno, mi dici quand’è che potrà uscire con me?!”.
“A questo punto, è ovvio che dovremo inevitabilmente uscire in tre”.
“Oppure, potremmo uscire in sei!” propose Matsuda, avanzando un passo avanti e prendendo Robin sotto braccio “Che ne pensate, ragazze? Potrebbe essere una buona idea!”.
“Chiudi il becco” lo zittì Ruri, senza alzare lo sguardo dal suo portatile.
“Sì, Taro, non mi sembra il caso” annuì Robin, rivolgendogli uno sguardo di scuse “Dovremmo cercare di essere più professionali”.
“Hai intenzione davvero di fare il terzo incomodo e di costringerci a baciarci di fronte a te?!?” strepitò Misa, indignata.
“Nessuno vi costringe a farlo, ma comunque dovrò tenervi d’occhio, Misa” proseguì Elle, con lo stesso tono impassibile.
“Ma che ti passa per la testa?!? Lo dicevo, io, che sei un maniaco!!!”.
“Light, falla stare zitta, per favore” sospirò stancamente il detective, alzando gli occhi al cielo.
“Misa, smettila di fare i capricci” la redarguì il ragazzo, anche se con tono gentile “Credo, invece, che dovresti essergli grata. Ti permette in ogni caso di restare in libertà, sebbene ormai sia accertato che sei stata tu a spedire i video”.
“Eh?! Ma che dici, Light?” esclamò la bionda, posandosi una mano sul cuore “Ti ci metti pure tu? Sono la tua ragazza! Non ti fidi della tua fidanzata?!”.
“Fidanzata?!” sbottò Light, spalancando gli occhi “Ma sei tu che mi stai sempre appiccicata da quando sei sbucata fuori dal nulla, dicendo di aver avuto un colpo di fulmine!”.
Gli occhi di Misa divennero a un tratto teatralmente lucidi.
“Che cosa?! Allora ti sei solo approfittato del fatto che ti ho dichiarato il mio amore per baciarmi e tutto il resto?!? SCEMO, SCEMO, SCEMO, SCEMO, SCEMO, SCEMOOO!!!” sbraitò, iniziando a tempestargli il petto di pugni.
“Ah, ma vuoi darci un taglio, con tutto questo starnazzare?!” saltò su Ruri, chiudendo di scatto il suo portatile “Sei fuori da quella cella da meno di ventiquattr’ore e ho già voglia di prenderti a calci in testa”.
“Di’ un po’, ma chi ti credi di essere?! Vorrei vedere te, se il tuo ragazzo impazzisse improvvisamente e tu non potessi più stare con lui quando vuoi!” la rimbeccò Misa, facendole la linguaccia.
“A ognuno il suo ruolo. Non sono io quella che ha i colpi di fulmine con i presunti serial killer” constatò Ruri.
“A proposito di quel colpo di fulmine” intervenne Ryuzaki, fissando attentamente entrambi “Il 22 Maggio sei stata ad Aoyama, vero, Misa?”.
“Sì, ero lì…” ammise la ragazza, volgendosi verso di lui.
“Mi dici perché ci sei andata proprio quel giorno, e mi dici anche che cosa indossavi?” proseguì il detective.
“Quante volte te lo devo ripetere?!” esclamò Misa, mettendosi le mani sui fianchi “Ero in quel posto perché mi andava! Ti ho detto che non mi ricordo cosa mi passava per la testa quel giorno, e tantomeno cosa m’ero messa! Perché, non posso farmi un giro ad Aoyama senza un motivo preciso?!”.
“E quando sei tornata, non solo sapevi già il nome di Light, ma eri anche perdutamente innamorata di lui” affermò Elle.
“Esatto!!”.
“Però, neanche tu ti spieghi come hai fatto a conoscerlo, giusto?” le chiese ancora Elle.
“Sì, proprio così!!” rispose Misa, avvicinandosi a lui con fare di sfida.
“E che cosa penseresti di Light, se venissi a sapere che lui è Kira?”.
“Oh? Se venissi a sapere che lui è Kira?” ripeté Misa, adesso sorpresa.
“Proprio così” confermò Elle, ancora impassibile.
“Lo vuoi proprio sapere?” ribatté Misa, prendendo a strusciarsi contro il braccio destro di Light “Sarebbe il massimo! Sono sempre stata grata a Kira per aver giustiziato il ladro che ha ucciso i miei genitori, se Light fosse Kira sono sicura che lo amerei ancora di più, anche se lo amo già così tanto che non so come potrei volergli ancora più bene!”.
“Che cosa tenera” commentò Ruri, trattenendosi dal roteare gli occhi, ma non riuscendo a nascondere una nota disgustata nel tono di voce “Ma ti confesso che sono sorpresa, Misa: stiamo parlando di Kira, e tu dici che lo ameresti ancora di più? Scusa, ma l’idea non ti fa paura?”.
“E perché mai?” replicò Misa, con naturalezza “Dopotutto, stiamo pur sempre parlando di Light, no? E poi, io sono dalla parte di Kira, altro che paura! Piuttosto, cercherei di essergli utile, in qualche modo!”.
Ryuzaki socchiuse appena lo sguardo, imitato da Ruri, assumendo così un’espressione glaciale, quasi furente.
“Non credo che tu gli possa essere di grande aiuto, anzi…credo che gli saresti d’impaccio” constatò Ryuzaki, con il tono di chi afferma una cosa ovvia “Ma questo prova che tu sei il secondo Kira, senza ombra di dubbio. È talmente evidente che mi riesce difficile crederci”.
“Beh, allora non crederci, visto che io non sono il secondo Kira!!!” rispose Misa, mostrandogli la lingua.
“Ad ogni modo, ti terremo sotto stretta sorveglianza” precisò Elle “Quando vorrai uscire, ti basterà chiamarci con la linea interna; abbiamo già pagato la tua agenzia per far sì che, d’ora in avanti, Matsuda ti accompagni sempre, sia nel privato che al lavoro in qualità di manager. Il suo nome sarà sempre Taro Matsui, e nessuno saprà che è un poliziotto, quindi stai attenta a non smascherarlo”.
“Non ci tengo proprio ad avere questo tizio come manager!” commentò Misa, mettendo il broncio e squadrandolo dalla testa ai piedi.
“M-m-ma per quale motivo?! Che cos’ho che non va, Misa-Misa? Ti assicuro che so essere molto competente!” le sorrise l’agente di polizia, sotto lo sguardo infastidito di Robin.
In quell’istante, Aizawa, che fino a quel momento era rimasto seduto sul divano ad occhi chiusi, senza pronunciare una parola, scattò in piedi e sbatté entrambe le mani sul tavolino che aveva di fronte, gli occhi che lanciavano fiamme.
“Cose fra maschietti?!? MISA-MISA?!? Appuntamenti, baci?!? DATECI UN TAGLIO!!! Stiamo cercando di risolvere il caso Kira, proviamo ad essere un po’ più seri!!!” gridò.
“Scusa tanto, Aizawa…” gli si rivolse Matsuda, passandosi una mano dietro la nuca.
“No, scusa tu, Matsuda” replicò Aizawa, con tono più calmo “So che stai facendo sul serio…”.
Prima di proseguire, il poliziotto si diresse verso Misa, afferrandola per un braccio e iniziando a trascinarla verso la porta.
“Avanti, Amane, fila subito nella tua stanza!”.
“Eh?!”.
“Senza protestare!!!” aggiunse Aizawa, scaraventandola letteralmente fuori.
“Light, guarda che mi sta bene anche un appuntamento a tre!! O a quattro, o a sei, decidi tu!!” riuscì a strillare, prima che Aizawa la chiudesse definitivamente fuori.
“Ah!! Era ora!” sospirò Ruri, facendo sì che l’agente si volgesse verso di lei, sorpreso “Non ne potevo più di quella voce stridula! Grazie, Aizawa”.
Il giovane uomo la fissò con attenzione, l’atteggiamento circospetto: era la prima volta che Ruri gli rivolgeva di nuovo la parola dall’incidente della sera prima, e addosso sentiva ancora tutto l’imbarazzo e la vergogna che aveva provato in quell’istante; deglutendo appena, mosse qualche passo verso di lei, con aria incerta.
“Ruri…senti, ehm…a…a proposito di ieri sera…” iniziò, passandosi una mano dietro la nuca.
“Ti ho spaventato, eh?” lo interruppe lei, alzando lo sguardo.
Con sua gran sorpresa, notò che stava sorridendo.
“Beh, n-no…” mentì, ad occhi bassi.
“Non ci provare, Aizawa: sarò anche una profiler di quarta categoria, ma so riconoscere un’espressione terrorizzata, quando ne vedo una” ridacchiò Ruri, riaprendo il suo laptop e riprendendo a digitare appena.
“Tu n-non…io non ho mai pensato che…non avrei dovuto” mormorò infine, le braccia abbandonate lungo i fianchi “Non avrei dovuto dirti quelle cose…”.
“Senti, eri stressato. Eri arrabbiato, eri spaventato e cercavi di fare la cosa giusta. Sei solo stato un po’ impulsivo, ma potrei affermare con una discreta certezza d’essere in grado di capirti proprio per questa ragione. Sono quella che ha sfondato gli studi televisivi della Sakura TV con un’ambulanza, ricordi?” sogghignò la ragazza.
Aizawa ricambiò il suo sorriso, stringendosi nelle spalle.
“Davvero non mi detesti per come mi sono comportato? Sono stato orribile…”.
“Figurati. Ti sei solo fatto prendere un po’ la mano, ma direi che può capitare. Se la mettiamo in questo modo, dovremmo fare una statua a Matsuda per tutte le volte in cui lo usiamo come punching-ball” ammise Ruri, estendendo il suo sorriso anche all’altro poliziotto.
“Comunque…per quello che può valere…volevo che sapessi che ti reputo una grande criminologa. E che…so che ciò che avete fatto per monitorare Light e Amane è stato solo per il buon fine delle indagini. Io…continuerò a fidarmi di voi, come ho sempre fatto. Mi dispiace di aver dubitato di…” continuò Aizawa, occhieggiando anche Elle.
“Non si preoccupi di ciò che è successo più di quanto non sia necessario” scosse il capo Elle “Tutti noi stiamo solo facendo il nostro lavoro”.
“Esatto” annuì Ruri, alzandosi e battendogli una pacca sulla spalla “Non pensare più a quello che è successo, Aizawa. Non ha importanza”.
Senza aggiungere una parola sull’argomento, Elle tornò a rivolgersi a Light.
“Light, tu fai sul serio con Amane, o no?” gli domandò.
“Ma no” affermò Light, in tono gentile “Come ho detto prima, è un amore a senso unico…”.
“Allora, ti dispiacerebbe fingere d’essere davvero innamorato di lei? Come già sai, la faccenda dei video dimostra che c’è un nesso, fra lei e il secondo Kira. E poi, c’è anche il fatto che si è innamorata di te”.
“Vorresti che entrassi in intimità con lei per scoprire che relazione c’è con il secondo Kira?” domandò il ragazzo.
“Esatto; sono sicuro che tu ci riusciresti” dichiarò Elle “In fondo, se vi ho liberati è soprattutto perché mi preme molto risolvere il mistero di Misa Amane, e scoprire che cosa nasconde quella ragazza”.
Light lo scrutò attentamente, prima di rispondere.
“Ryuzaki, io…io non posso approfittare in questo modo dei sentimenti di una ragazza” disse alla fine, scatenando la sorpresa di Ruri “Anche se qui c’è in ballo qualcosa di grosso, come il caso Kira. Mi dispiace, ma…cerca di comprendere. Per me non esiste cosa peggiore che calpestare i sentimenti di una persona”.
Elle lo scrutò in silenzio, senza cancellare la sua espressione cupa.
*Lo sapevo che c’era qualcosa di strano…* rifletté, nella quiete della sua mente *Ma, a meno che non sia un attore formidabile, l’unica possibilità è che sia cambiato davvero…se così fosse, la mia ipotesi che Amane sia stata manovrata da Kira, si estenderebbe…anche a Light Yagami…?*.
“Che c’è, Ryuzaki?” gli domandò Light, incuriosito dalla sua aria pensierosa.
“Niente” si affrettò a dirgli il detective “Hai ragione tu…ma ti sarei molto grato se le ribadissi che non deve rivelare niente, a proposito delle indagini. Ad ogni modo, capisco il tuo punto di vista, ma ti confesso che speravo accettassi comunque la mia offerta”.
“Beh, a questo potremmo porre rimedio” disse a un tratto Robin, alzandosi in piedi.
Gli altri sguardi sorpresi di tutti seguirono quella sua uscita improvvisa.
“Di cosa stai parlando, cara?” le si rivolse Matsuda, con tono premuroso.
“Se l’obiettivo di Ryuzaki è quello di trovare una persona che possa entrare in intimità con Misa per capire quanto lei sia coinvolta con il caso Kira, allora potremmo pensarci noi!” proseguì la rossina, già entusiasta.
Ruri la fissò alzando un sopracciglio, improvvisamente sospettosa.
“Ehm…noi chi?” le chiese Ruri, alzandosi a sua volta.
Robin le indirizzò un’occhiata colpevole, accompagnata da un sorriso supplichevole e inquietante a un tempo.
“Beh…pensavo che…”.
“Oh, no!! No, no, no, no, no! Ho capito benissimo che cos’hai in mente, e te lo puoi anche scordare!” sbottò Ruri, incrociando di botto le braccia.
“Ma dai, Ruri! Potrebbe essere una buona occasione! Le ragazze parlano più volentieri fra loro, che non di fronte a un interrogatorio di polizia!” esclamò Robin, con convinzione.
“Roxie, io faccio la criminologa e sono qui per questo motivo, non per giocare al pigiama party con quell’attricetta di settima categoria!” seguitò Ruri “Cosa pensi dovremmo fare, andare nella sua stanza e farci le unghie insieme a lei, mentre l’ascoltiamo spettegolare sull’ultimo ruolo che è riuscita a ottenere o sull’ultimo rotocalco per cui ha posato? Ho la netta sensazione che questo non ci porterebbe a fare passi avanti con il caso”.
“Se riuscissimo a diventare amiche di Misa, potremmo scoprire qualcosa d’interessante. Senti, voi partite dalla conclusione che Misa sia il secondo Kira, giusto? Come abbiamo avuto modo di constatare, non è molto intelligente, ma è un tipo molto sentimentale ed è femminile nel senso più comune del termine, giusto? Non sarà molto difficile cavarle di bocca qualcosa, nel giusto contesto. Forse abbiamo solo sbagliato l’approccio” ragionò Robin, con un altro sorriso.
“Ho dei seri dubbi che io e una come Misa Amane potremmo resistere nella stessa stanza per più di cinque minuti senza ucciderci a vicenda” sospirò Ruri, alzando gli occhi al cielo.
“E dai, Ruri! È per il bene delle indagini, no? E male che vada, avremo pur sempre fatto un tentativo!” insistette la rossina, posandole le mani sulle spalle “Vedrai, sarà divertente!”.
Ruri si volse verso Elle, quasi in cerca d’aiuto.
“Pensi seriamente che potrebbe funzionare?” gli si rivolse, scettica.
“Non possiamo escludere questa possibilità” constatò il detective “Forse Roxie ha ragione, e quello di cui ha realmente bisogno Misa è di un nuovo tipo di approccio. Se davvero c’è qualcosa che dobbiamo sapere, forse riuscirete a farglielo uscire di bocca senza che non se ne renda neanche conto”.
Ruri sospirò pesantemente, passandosi una mano di fronte al volto.
“E va bene, va bene!” sbottò infine, scatenando la reazione entusiasta di Robin “Ma non ho intenzione di sottopormi a tutte le idiozie che quella minorata deciderà d’inventarsi!”.
“Bene, allora è deciso: a Misa penseremo noi, Ryuzaki” dichiarò Robin, a metà fra l’entusiasmo e la professionalità.
“Molto bene” dichiarò il detective, mentre Ruri alzava di nuovo gli occhi al cielo.
“Ah, senti, Ryuzaki” intervenne Light “Credi che sarebbe possibile smetterla con questo sistema di passare continuamente da una stanza d’albergo all’altra?”.
“Sì” replicò il detective, avviandosi verso il suo computer “È dall’inizio che ho in mente di risolvere la cosa; per questo” proseguì, trascinandosi dietro il ragazzo “I lavori di costruzione sono iniziati il giorno in cui ho deciso di mostrarmi al signor Yagami e agli altri agenti di polizia: a dire il vero, ho sottoposto i progetti all’attenzione di Watari già quando io e Ruri ci siamo incontrati per la prima volta, ma diciamo che ho voluto aspettare un po’ prima di dare il via all’operazione. In ogni caso, tra qualche giorno sarà completato”.
Prima che qualcuno potesse rivolgergli la minima domanda, Elle premette il tasto ‘INVIO’.
“Ecco qua” disse, mentre di fronte ai loro occhi compariva l’immagine di un gigantesco grattacielo “Ventitré piani, più due livelli interrati. Dall’esterno non si vedono, ma il tetto è anche provvisto di due elicotteri”.
“Ma è fantastico!” commentò Light, entusiasta.
“E io vorrei che veniste tutti quanti ad abitare qui: anche se aumentassero i membri del quartier generale, può ospitare tranquillamente sessanta persone, e Misa non potrà lamentarsi, se le concederemo un intero piano” disse ancora Elle.
“Credo proprio di no” replicò Light “Comunque, è incredibile quello che hai realizzato”.
“Più che altro, Ryuzaki, quello che mi chiedo è dove tu abbia trovato i fondi” affermò Matsuda, con aria frastornata.
“Mettiamola così” replicò il detective “Sono pronto a qualsiasi cosa, pur di risolvere questo caso. Tutto qui, d’accordo?”.
“E questa ti sembrerebbe una risposta?” gli fece notare Aizawa, alzando appena una mano.
“Sì, giusto” proseguì Light, come se nulla fosse “Beh, anch’io sono pronto a tutto pur di farla pagare cara al serial killer che ha causato tutti questi guai a me e a mio padre. Farò qualsiasi cosa, pur di risolvere il caso”.
“Beh, sapete una cosa? Anche a me è venuta ancora più voglia di catturarlo” dichiarò Aizawa, con un entusiasmo che gli era quasi innaturale “Ryuzaki, signor Yagami, Light, Ruri, Roxie…dobbiamo catturare Kira a qualunque costo, siamo intesi?”.
“Ehi, Aizawa, guarda che ti sei dimenticato di fare il mio nome!” gli fece notare Matsuda, con un po’ di disappunto.
“Non te la prendere” lo consolò Robin, posandogli un bacio sulla guancia e facendolo diventare scarlatto “Senza il tuo contributo, le indagini non andrebbero molto lontano”.
“Ehm…g-grazie, Roxie” mormorò il poliziotto, mentre lei lo abbracciava appena.
 
Quattro giorni dopo, l’intera squadra si trasferì all’interno del quartier generale nuovo di zecca, che, scoprirono ben presto, era dotato di un sistema di sicurezza molto all’avanguardia, provvisto di uno scanner retinico e di un identificatore di impronte digitali, oltre che di un metal detector che impediva a qualunque oggetto metallico d’entrare nella base senza autorizzazione. Robin continuò a insistere sull’importanza del fare amicizia con Misa, e cercò di coinvolgere nel suo entusiasmo anche Ruri, malgrado i risultati si rivelassero sempre piuttosto scarsi; in seguito a ciò, convinse l’amica ad accompagnare Ryuzaki durante gli appuntamenti galanti che Misa pretendeva di avere con Light, sostenendo che questo avrebbe aiutato nel far abbassare le difese alla bionda e nel far migliorare il loro rapporto.
Dal canto proprio, Ruri dubitava che una tattica del genere avrebbe mai funzionato; in quel preciso istante, era seduta di fianco alla modella nel salotto dell’appartamento di quest’ultima, e osservava con aria annoiata il suo stesso fidanzato, intento a mangiare la sua fetta di torta con voracità, mentre Light, al suo fianco, manteneva gli occhi chiusi, le braccia poste dietro la schiena.
“Sentite” sbottò a un tratto Misa, la guancia destra poggiata alla mano “A me questo non sembra per niente un appuntamento romantico!”.
“Oh, fate pure come se io e Ruri non ci fossimo” disse Ryuzaki, ingoiando il suo ultimo cucchiaino di dolce.
“Sentite, ma voi due siete proprio sicuri di essere fidanzati?!” seguitò la biondina, scrutandoli con fare sospetto “Ho come la netta sensazione che la vostra sia tutta una messinscena per impedire a me e a Light di stare da soli!”.
“Non sono stata io quella che ha parlato di appuntamento a quattro” sottolineò Ruri, digrignando i denti “Ad ogni modo, dovresti aver capito che Ryuzaki non avrebbe bisogno di un espediente del genere per tenervi sott’occhio, no? E posso assicurarti che lo stesso vale per me!”.
“Beh, allora, se davvero è il tuo ragazzo, perché non ve ne tornate nel vostro appartamento e non andate a baciarvi là, mentre io e Light facciamo lo stesso?!” propose Misa, facendo il broncio.
“Perché io e Ryuzaki stiamo lavorando al caso Kira, e non abbiamo tempo per comportarci in modo stupido e inappropriato. In altre parole, noi non siamo te, Misa” borbottò Ruri, ingollando un sorso di caffè.
“Che cosa hai detto?!”.
“Misa, non la finisci la tua fetta di torta?” s’intromise Elle, il cucchiaino ancora in bocca.
“I dolci fanno ingrassare” lo rimbeccò la biondina.
“Guarda che se si mangia usando la testa, non s’ingrassa, anche se si mangiano i dolci” le fece notare Elle, con la massima naturalezza.
“Che fai, prendi in giro?!” esclamò Misa “Beh, allora facciamo così: io ti do la mia fetta di torta, e voi due mi lasciate da sola con Light!”.
“Anche se rimaneste da soli, potremmo sempre guardarvi con le telecamere di sorveglianza, perciò sarebbe lo stesso” le fece notare Elle.
“Ma tu sei proprio un maniaco!!!” protestò Misa “Quando la pianterai con i tuoi giochetti?!?”.
“Chiamami pure come ti pare” scrollò le spalle il ragazzo, allungandosi oltre il tavolino di vetro che separava i due divani “Io, intanto, prendo la tua torta” disse infine, prendendo il dolce di Misa.
“Se rimango sola con Light, chiuderò le tende e spegnerò le luci!” li sfidò Misa.
“Beh, non è che così ci incoraggi a lasciarti sola con lui. Ad ogni modo, le nostre telecamere hanno gli infrarossi” dichiarò Ruri, sforzandosi di mantenere un tono neutro.
“Piuttosto, Ryuzaki” intervenne Light, volgendosi verso il detective e ignorando la nuova espressione imbronciata “Siamo in questo nuovo quartier generale super attrezzato, però…mi sbaglio o mi pare di capire che non hai nessuna voglia di lavorare? Sono tre giorni che non fai altro che mangiare dolci e fissare la parete”.
“Voglia di lavorare, dici?” rispose Ryuzaki, continuando a concentrarsi sul pezzo di torta “Non ne ho…a dire il vero, sono depresso”.
“Sei depresso…?”.
“Già” confermò Ryuzaki, infilandosi in bocca un altro cucchiaino di panna “Il fatto è che io ho sempre sospettato che tu fossi Kira, e ora che questa pista è andata in fumo, mi sento, come dire…piuttosto depresso. Certo, mi restano ancora dei sospetti, ed è per questo che ti ho ammanettato. Ma Kira può controllare le azioni delle persone, quindi…” affermò, prima di posare il suo piattino sul tavolo “…potrebbe averti manovrato per farmi credere che tu, in realtà, fossi Kira. Potrebbe avervi manovrati entrambi a suo piacimento…adesso che ci penso bene, però, non fa proprio nessuna piega”.
“Seguendo questo ragionamento, anche se Misa e io fossimo stati manovrati, saremmo comunque i due Kira, no?” domandò Light, incrociando le braccia.
“Certo” rispose Elle “Su questo non c’è dubbio…entrambi siete Kira. A questa conclusione, siamo giunti tempo fa sia io che Ruri. Per come la vedo io, quando ti abbiamo imprigionato, tu eri Kira, Light…infatti, appena ti abbiamo messo dentro, i criminali hanno smesso di morire. Fino a quel momento, era plausibile che tu fossi Kira. Tuttavia, dopo due settimane, i criminali hanno ripreso a morire…e questo ci porta all’ipotesi che i poteri di Kira vengono trasmessi da persona a persona”.
“Direi che è un punto di vista interessante” affermò Light “Ma…se Kira fosse capace di una cosa del genere, catturarlo non sarebbe facile”.
“Già” si strinse nelle spalle Ruri.
“Per questo mi sento depresso” proseguì Elle “Se la persona manovrata per uccidere i criminali venisse catturata, il suo potere passerebbe a qualcun altro, e io mi ritroverei con un pugno di mosche in mano”.
“Ma ci dovrà pure essere qualcuno che ha decretato l’origine di questo potere” gli fece notare Ruri, accavallando le gambe “Ci dovrà pur essere un individuo in particolare che chiude il cerchio”.
“Sì, Ruri ha ragione” disse Light “Dai, Ryuzaki! Ritrova il tuo entusiasmo”.
“Entusiasmo?” ripeté Elle, alzando un sopracciglio “Beh, non ne ho per niente, anzi…penso che farei meglio a non impegnarmi neanche troppo. Anche se ce la mettessi tutta per acciuffarlo, non farei altro che mettere a repentaglio la mia vita, non credi?”.
“Sei il solito bambino infantile” lo redarguì Ruri, alzando gli occhi al cielo “Non puoi davvero pretendere che le cose vadano sempre come avevi programmato”.
Dal canto proprio, Light si alzò lentamente in piedi, apparentemente calmo.
“Ryuzaki” disse a un tratto, facendo voltare il detective nella sua direzione.
Prima che uno di loro potesse reagire, Light gli scagliò un violento pugno in faccia, scaraventandolo dall’altra parte della stanza e mandando a gambe all’aria il divano su cui erano seduti fino a poco prima e il tavolino di vetro; le manette fecero il resto e lo trascinarono dietro il detective.
“MA SEI FUORI DI TESTA?!?” sbottò Ruri, aiutando Misa, che per lo spavento era piombata a terra, a rialzarsi in piedi.
“Mi hai fatto male, sai?” gli disse invece Ryuzaki, con lo stesso tono calmo.
“Mi prendi in giro?!?” sbottò Light, rabbiosamente “Solo perché io non sono il vero Kira, e i tuoi ragionamenti sono andati in fumo, ti è passata la voglia di catturarlo, eh?!”.
“No” ribatté Ryuzaki, passandosi una mano davanti alla bocca “Ma anche continuando le indagini, non arriveremmo a nulla di buono, quindi tanto vale rinunciare, no?”.
“Ma se non gli diamo la caccia, mi spieghi come riusciamo a prenderlo?! Perché non provi a pensare a tutti gli innocenti che hai già coinvolto?! Eh?!” sbottò Light, prima di afferrarlo per il bavero della maglia “E poi, sei stato tu a mettere me e Misa in una cella, o ricordo male?!”.
“Sì, ti capisco” disse lentamente Elle “Ma qualunque siano le tue ragioni, Light…non c’è colpo che non renda” concluse, scagliando un grosso calcio in faccia allo studente.
Il nuovo colpo li portò a capitombolare per la stanza e a piombare sullo stesso divano che avevano rovesciato, andando a loro volta a gambe all’aria.
“VOLETE FINIRLA, UNA VOLTA PER TUTTE?!?!” sbottò Ruri, andando ad aiutare Elle a rialzarsi in piedi “Vi sembra il momento di fare a botte?! Dateci un taglio!!”.
“Sì, hai ragione” constatò Elle, prima di tornare a rivolgersi a Light “Il punto non è tanto che i miei ragionamenti sono andati in fumo, quanto il fatto che il caso non si può risolvere identificando te come Kira e Misa Amane come il secondo Kira. Per questo mi sono un po’ scoraggiato. Sono un essere umano anch’io, che male c’è?”.
“Che male c’è?!?” lo parafrasò Light, rialzandosi a sua volta “Da come parli, si direbbe…che saresti soddisfatto solo se io fossi Kira!”.
“Soltanto se tu fossi Kira, dici…?” rifletté il detective “Sì, può anche darsi, certo…”.
Prima che Ruri potesse bloccarlo, Light scagliò un altro pugno in faccia a Ryuzaki.
“Te l’ho già detto che non c’è colpo che non renda” gli fece notare Elle “Guarda che io sono piuttosto forte, Light” concluse, prima di scagliargli un altro calcio.
Con uno scatto repentino, Ruri riuscì, non senza sforzo, ad afferrare un braccio ad entrambi e a immobilizzarli contro il divano, aiutandosi con l’aiuto delle ginocchia.
“Ehi!!!” sbottò Light, voltando il capo verso di lei “Che diavolo stai facendo?!”.
“Mi occupo di due delinquenti impegnati a discutere di una partita di droga andata male, come quando ero una matricola!” lo rimbeccò Ruri, facendoli rialzare ma continuando a tenerli fermi “Perché è così che voi due imbecilli vi state comportando!! Avete intenzione di smetterla di mettervi le mani addosso come se foste dei ragazzini, oppure no?! Se vogliamo risolvere il caso non possiamo perdere tempo con queste idiozie, quindi smettetela all’istante e vedete di comportarvi in modo civile!!”.
Mentre Ryuzaki e Light erano impegnati a borbottare in maniera infastidita, la testa di Robin fece lentamente capolino nella stanza, con il suo consueto sorriso luminoso dipinto sul volto.
“Ehilà, ragazzacci! State facendo un gran baccano, vi si sentiva dal piano di sotto! Si può sapere che cosa state combinando?” domandò, dando un’occhiata al divano capovolto e ai resti di torta sparsi sul tappeto del soggiorno.
“Diciamo che in giro c’è una dose eccessiva di testosterone” sospirò Ruri, lasciando andare di scatto entrambi “Cosa succede, Roxie?”.
“Niente di particolare: ero solo scesa per invitare te e Misa a un pigiama party! Questa sera nel mio appartamento, e non accetto un ‘no’ come risposta!” esclamò la rossina.
“Avevi promesso che non avresti pronunciato le due parole proibite!!” sibilò Ruri, ma l’amica decise d’ignorarla.
“Che ne pensi, Misa? Ti piacerebbe?” seguitò la rossina, volgendosi direttamente verso la diretta interessata.
“Un pigiama party? Con…voi due?” proseguì Misa, dubbiosa.
“Sì! Sarà divertente, vedrai! Dopotutto, devi sentirti un po’ sola, in un posto del genere, soprattutto considerando che Light è costretto a stare appiccicato a Ryuzaki per tutto il tempo, così ho pensato di organizzare qualcosa per tirarti su il morale! Andiamo, sono sicura che ce la spasseremo, noi tre!”.
“D’accordo, se ci tieni tanto” sospirò Ruri, sforzandosi di sorridere anche a Misa “Dovresti venire, sai: Robin ha un vero e proprio talento per le seratine fra donne, potrebbe essere un’occasione per…beh, ecco, sai…per fare un po’ d’amicizia. Non è che io e te abbiamo propriamente iniziato con il piede giusto”.
“Su questo, non so come darti torto” riconobbe Misa, finendo per sorridere a sua volta “Va bene, verrò. Ma niente dolci, d’accordo? O mi sbatteranno fuori dalla classifica delle modelle più votate dai lettori di ‘Eighteen’!”.
 
Quella sera stessa, dopo aver fintamente rassicurato Misa sull’assenza di telecamere nell’appartamento di Robin, le tre ragazze si sedettero entrambe sul letto della proprietaria di casa; perfettamente nel suo elemento, Robin si sfilò le sue pantofole di stoffa e si sdraiò a pancia in giù, puntellandosi sui gomiti e fissando entrambe.
“Allora, com’era la pizza?” domandò, con un gran sorriso “Lo so, avrei preferito ordinarla da asporto, ma le misure di sicurezza di Ryuzaki sono un po’ restrittive anche da questo punto di vista”.
“Non me ne parlare!” sbottò Misa, alzando gli occhi al cielo “Non posso neanche baciare il mio ragazzo quando voglio, per colpa sua! È davvero assillante!”.
“Diciamo che cerca solo di fare il suo lavoro” le si rivolse Ruri, sforzandosi di sorridere e di non risponderle in modo sgarbato “Però, anch’io devo riconoscere che i suoi metodi tendono a essere un po’ maniacali…d’altro canto, non sarebbe lui, se non si comportasse così”.
“Ancora non capisco come fai a sopportarlo!!” seguitò Misa, incurante che, in quel preciso istante, lo stesso Elle stava monitorando tutto quello che lei faceva e diceva “Si comporta come un maniaco ed è completamente fuori di testa!”.
“È soltanto un po’ strambo” rise Robin, addentando una patatina “E poi, è del tutto cotto della nostra Ruri!”.
“Ehi, non stavamo parlando di questo argomento!” precisò Ruri, subito sulla difensiva.
“Già, ma tanto vale cogliere l’occasione, no? Tu non parli mai di te e Ryuzaki, non mi capiterà mai più un’opportunità del genere!” rise la sua migliore amica, rotolando di nuovo a pancia in su e fissandola di sottecchi.
“Non c’è proprio un bel niente da dire” disse Ruri a denti stretti, indirizzando un’occhiata di fuoco all’amica che, come lei, era a conoscenza delle telecamere.
“Beh, anch’io sono curiosa!” protestò Misa “E poi, avete detto che vi piacerebbe fare amicizia, no? Dovremo pur raccontarci qualcosa, se dev’essere così!”.
“Hai ragione, Misa, scusala” intervenne Robin, strizzandole l’occhio “È solo che Ruri non parla spesso della sua vita privata”.
“Neanche tu sei un tipo così ciarliero. Allora, come va con Taro?” la bloccò Ruri, con fare sornione “Avete già predisposto le partecipazioni di nozze?”.
Fu il turno di Robin di arrossire violentemente, mentre Misa batteva le mani, estasiata.
“Oh sì, ho visto il modo in cui ti guarda! Siete davvero molto carini, sai? Come vi siete conosciuti?!” le domandò subito, poggiando il mento ad entrambe le mani e predisponendosi per ascoltare.
“Beh…è stato quando sono venuta in Giappone per una ricerca universitaria. Lui, ecco…mi ha dato una mano per trovare l’ospedale di riferimento” disse velocemente Robin, con un altro sorriso colmo d’imbarazzo “Un paio di settimane dopo mi ha invitata a cena, e…beh…non è proprio il mio ragazzo…”.
“Però state uscendo insieme!!” cinguettò la bionda, con l’aria di chi la sapeva lunga “E da quanto mi pare di capire, ti piace proprio tanto!”.
“Sì, è vero” ammise Robin, ancora rossa in volto, mentre Ruri non poteva fare a meno di sorriderle a sua volta, con più dolcezza del solito.
“Oh, è così romantico! Matsui sembra proprio perso per te!” sospirò Misa, giocherellando con la chioma bionda “Vorrei tanto che Light mi prestasse altrettante attenzioni…”.
“Come sarebbe?” le domandò subito Ruri.
“Beh, non è che non sia gentile, è solo che mi dà la sensazione di non essere innamorato di me quanto io lo sono di lui. So che non mi farebbe mai del male, ma vorrei solo che mi dimostrasse quello che prova nel modo in cui glielo dimostro io” sospirò Misa, a un tratto triste.
“Ora che ci penso, nemmeno tu ci hai mai detto come vi siete conosciuti” le disse Ruri, con tono perfettamente neutrale “Dev’essere stato un bellissimo giorno, per te. Perché non ce lo racconti?”.
Misa la fissò sospettosa per qualche istante, ma vedendo il bel sorriso della criminologa si sentì incoraggiata a proseguire.
“Beh, quello che ho detto a Ryuzaki è vero, Ruri…non so proprio come spiegarmelo, ma non so com’è che ho conosciuto Light. È solo che l’ho visto, di punto in bianco…dev’essere stato dopo che sono stata ad Aoyama a Maggio, ma i miei ricordi di quella giornata sono molto confusi. E dal primo momento in cui ho scorto il suo viso, non ho più smesso di pensare a lui. È stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno, e mi ha definitivamente rubato il cuore” sospirò Misa, estasiata “Non avevo mai provato niente del genere per nessuno: sento che farei davvero qualsiasi cosa per lui, e che lo aiuterei in ogni modo possibile, affinché possa essere felice con me per tutta la sua vita”.
Ruri l’osservò per qualche altro secondo, per poi sospirare e lasciarsi andare sui cuscini, chiudendo appena gli occhi.
“Capisco” dichiarò Ruri, passandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e piegando appena le gambe fino alle ginocchia “Sembra proprio che tu lo ami molto…”.
“Sì, tantissimo” sospirò Misa.
“Ma se dovessi scegliere fra lui e qualcun altro, perfino fra lui e Kira…sceglieresti comunque lui?” le domandò Ruri “Dopotutto, hai detto che sei molto riconoscente a Kira…”.
“Sì, certo che lo sono. Ma amo Light più della mia stessa vita, e sarei comunque dalla sua parte” sospirò ancora Misa “Farei davvero di tutto per aiutarlo e per renderlo felice”.
“Sei molto dolce, Misa” le sorrise Robin “È bello amare qualcuno in modo così profondo”.
Ruri rifletté per un momento su quello che le due avevano appena detto, e improvvisamente si sentì più vicina alla bionda di quanto non fosse pronta ad ammettere.
“Mi dispiace” le disse infine, portandola a voltarsi verso di lei.
“Per che cosa?” replicò Misa, incredibilmente stupita.
“Per i tuoi genitori” ribatté Ruri, guardandola negli occhi “Mi dispiace molto”.
“Oh…” mormorò Misa, abbassando gli occhi e abbracciandosi le ginocchia “Grazie, Ruri…è bello che tu lo dica”.
Dopo qualche minuto di silenzio, Misa rialzò lo sguardo e lo fissò sulla profiler, come incerta su come proseguire.
“Anche…anche i tuoi genitori sono morti?” le disse, con tono triste.
“Adesso sì” annuì Ruri, con un sorriso amaro “Ma diciamo che la mia è stata…un’esperienza familiare un po’ fuori dal comune”.
“Che cosa vuoi dire?” le domandò Misa.
“Mio padre era…un tipo assente” disse Ruri, in modo molto vago “E mia madre era troppo succube di lui per rendersi conto di qualsiasi cosa succedesse in casa nostra. Sono morti tutti e due tempo fa, e quasi non me ne sono accorta. È stato un po’ come prendere atto della scomparsa di due estranei”.
“Oh…che cosa triste. Mi dispiace, Ruri” le disse la bionda, stringendole appena la mano.
“Beh, non è stato così orribile come avrei pensato” si schermì Ruri, sorpresa ma al tempo stesso inspiegabilmente compiaciuta dal gesto di affetto di Misa “Voglio dire, non sono rimasta indifferente alla cosa, ma…è passato prima di quanto avrei immaginato. E poi c’era Robin, con me” aggiunse poi, sorridendo con dolcezza alla rossina “In effetti, è grazie a lei se ho ancora fiducia nel genere umano”.
“Non ho certo intenzione di prendermi tutto il merito” dichiarò solennemente Robin, scuotendo la testa “Dopotutto, credo che Ryuzaki abbia fatto un vero miracolo, su di te”.
“Sei sempre la solita esagerata” sbuffò Ruri, bevendo un sorso di Coca.
“Quindi, diresti che per te Ryuzaki è l’amore della tua vita?” le domandò a bruciapelo Misa, facendole andare di traverso la bevanda.
“Ma…ma che razza di domanda è?!” sbottò Ruri, posando subito il bicchiere.
“Beh, insomma, è il tuo ragazzo! Non ti sei mai chiesta niente del genere?” insistette Misa, dandole di gomito.
“M-ma…ma no!! Certo che no! Io non mi metto a pensare a cose simili” borbottò Ruri, gettando un cuscino di piume addosso alla bionda.
“Ruri non è il tipo da abito bianco” sghignazzò Robin, con fare sornione “Sì, insomma…è più un tipo da cadaveri e da scene del crimine inquietanti”.
“Ehi, sono una criminologa! Che ti aspettavi che frequentassi, le sale da the?!” esclamò Ruri, ma senza riuscire a non sorridere “E comunque, neanche Ryuzaki è tipo da cuori e fiori!”.
“Quindi, stai dicendo che non vi sposerete mai?” insisté Misa, sporgendosi verso di lei.
“Ah, ma che cosa sono tutte queste domande?! Che c’è, volevi farmi da damigella, Misa?” la prese in giro Ruri.
“Beh, è solo che mi sembra strano che due persone si amino senza voler trascorrere il resto della vita insieme!” protestò Misa, incrociando le braccia e le gambe.
“Non…non ho detto che non voglio passare il resto della mia vita con lui” disse Ruri, a voce molto più bassa.
Quella frase fece voltare le due ragazze nella sua direzione con uno scatto repentino.
“Beh, io non sono il genere di donna che s’immagina all’altare e che si aspetta le rose ad ogni occasione, ma…questo non significa che non ami Ryuzaki e che non voglia una vita con lui. Dopotutto, ognuno è fatto a modo suo, no? Io e Ryuzaki…abbiamo solo un modo diverso di vivere i sentimenti e di dimostrarli. In effetti, direi che a volte lui rimane un enigma anche per me, e ci sono un sacco di cose che vorrei capire e che non sono in grado ancora di comprendere”.
“È come mi sento io nei confronti di Light” rifletté a un tratto Misa, con un altro sospiro “In fondo, direi che quei due si assomigliano più di quanto non ammetterebbero, no? Forse dovremmo farli ricoverare insieme in qualche clinica!”.
Ruri si lasciò contagiare dalla sua risata e si passò una mano nella chioma scura.
“Sì, forse” disse infine, con un ulteriore sorriso “Sai, Misa…non sei proprio come ti immaginavo. Diciamo pure che non ritenevo che avremmo mai potuto essere amiche, ma forse Roxie aveva ragione sul tuo conto. Non sei quella che credevo”.
“Immagino di doverlo prendere come un complimento” sospirò Misa, sorridendole a sua volta “Ma è bello che tu lo dica; in effetti, non credo d’aver mai avuto una vera amica, in vita mia. Se noi tre potessimo esserlo, sarei davvero felice”.
“Beh, allora questo te lo dico da amica. Dovresti davvero renderti conto di quello di cui è capace Kira e di quanto sia dannoso ciò che sta facendo alla società” le disse Ruri, molto seriamente.
“Sì, Ruri ha ragione, Misa” rincarò la dose Robin “Kira è pericoloso ed è senza dubbio una persona malvagia. Lo so che gli sei grata per aver ucciso il ladro responsabile della morte dei tuoi genitori, ma lui non è l’eroe che tu credi. È un individuo privo di senno e di scrupoli, e senza dubbio non esiterebbe a farti del male, se questo potesse tornargli utile. Non devi vedere in lui la giustizia incarnata”.
“Proprio non ricordi niente riguardo ai nastri che hai inviato alla Sakura TV? Kira potrebbe anche averti manovrato senza che tu lo sapessi” la incoraggiò Ruri.
“Ve l’ho già detto, non so di cosa parliate e non voglio sapere nulla di questa storia. In effetti, adesso sono un po’ stanca” sbadigliò Misa, stiracchiandosi “Che ne direste di andare a letto? Domani ho un servizio fotografico”.
Robin e Ruri acconsentirono, ritenendo che anche calcare troppo la mano avrebbe potuto rivelarsi controproducente, e si accinsero ad andare a dormire; tuttavia, quando entrambe si furono appisolate, la profiler ne approfittò per sgusciare fuori dall’appartamento e per raggiungere il piano terra, in punta di piedi, dove Ryuzaki e Light erano seduti sul divano.
Avvicinandosi con circospezione, notò che Light stava dormendo beatamente, ma che Ryuzaki era ancora sveglio, appollaiato nella sua abituale posizione, gli occhi fissi sul proprio portatile.
Senza dire una parola, Ruri si sedette alla sua sinistra, facendogli allungare meglio le gambe e accoccolandosi contro il suo petto.
“Per oggi, basta lavorare” gli sussurrò, sfiorando il naso contro la sua pelle gelida.
“Dovresti dormire un po’” le ricordò il detective, circondandola con un braccio.
“Non sono stanca” lo rassicurò Ruri.
Dopo qualche minuto di silenzio, ebbe la percezione che Elle stesse sorridendo lievemente.
“E così…” mormorò infine, per non svegliare Light “Niente abito bianco, eh?”.
Ruri rise appena.
“No; ma ho mentito sulle rose. In effetti, mi piacciono più di quanto non vorrei ammettere. Detesto essere così tradizionalista, ma non posso farne a meno”.
Elle non le rispose, come se avesse deciso di meditare sulla sua risposta.
“Lo sai…” le sussurrò infine, baciandola appena sulla fronte “In effetti, piacciono anche a me…”.
 
I giorni cominciarono a trascorrere in modo lento, quasi noioso: per svariate settimane, sembrò che il quartier generale non stesse facendo alcun passo avanti, con il caso Kira. Ruri proseguì con l’analisi della documentazione che avevano accumulato fino a quel momento, e arrivò perfino a sottoporre Light a un ulteriore colloquio d’analisi comportamentale, ma i risultati furono molto meno soddisfacenti della volta precedente: con il passare del tempo, anche lei si stava convincendo che Light Yagami fosse cambiato realmente.
Lo percepiva come gentile, onesto, premuroso e sincero, e aveva perfino iniziato a trovare davvero piacevole la sua compagnia; non soltanto a causa della sua intelligenza, ma anche della sua disponibilità e della straordinaria passione che stava impiegando nel tentativo di dare una mano per risolvere il caso. Se avesse dovuto essere del tutto sincera, avrebbe dovuto affermare che davvero non sembrava la stessa persona che si era fatta rinchiudere all’inizio dell’estate, e senza dubbio non poteva più affermare con tanta certezza che fosse davvero Kira. Era possibile che fosse stato manipolato…oppure aveva davvero ceduto il suo potere, ed era per questo che adesso appariva nelle vesti di un individuo radicalmente diverso?
In ogni caso, più di una volta le si era indirizzato come un vero e proprio amico, preoccupandosi, come gli altri membri del quartier generale, che non si sforzasse eccessivamente e che non esagerasse con il lavoro: in effetti, era capitato spesso che si ritrovassero lei, Ryuzaki, Light e Misa a cenare tutti e quattro insieme, talvolta scambiandosi opinioni sul caso Kira per ore, altre semplicemente chiacchierando come quattro ragazzi normalissimi e desiderosi d’avere una vita il più tranquilla possibile.
Quella serenità era quanto di più assurdo avrebbe mai potuto immaginare…ma per qualche motivo, aveva preso a piacerle, e una parte di lei ci si stava perfino abituando.
Le piaceva la gentilezza di Light, così diversa dai suoi modi costruiti e impostati che aveva conosciuto i primi tempi in cui si era trovata faccia a faccia con lui: le piaceva il suo modo di ragionare pulito, intelligente e sicuro, le piaceva il suo modo di scherzare, perfettamente naturale, e le piaceva la maniera in cui era sempre attento agli altri.
In altre parole, non si era completamente sbagliata: Light era un bravo ragazzo. Era un buon amico, sia per lei che per Ryuzaki. Se solo si fosse convinta definitivamente della sua innocenza, se solo ci fosse stato qualcosa che le avesse dimostrato in modo palese ed evidente che Light era pulito…per la prima volta in vita sua, desiderava aver commesso un errore con così tanta intensità da vergognarsene; in più di un’occasione, si era ritrovata a chiedersi quanto sarebbe mai durata quella parentesi di pace, e se davvero essa avrebbe mai potuto estendersi anche dopo la chiusura delle indagini.
Il 5 Ottobre, le cose giunsero a un punto di svolta; era primo pomeriggio, e all’esterno aveva appena ricominciato a piovere. Matsuda e Robin stavano dando una mano a Watari a riordinare bene il loro archivio, mentre Aizawa era impegnato con l’analisi delle ultime vittime di Kira, annunciate qualche giorno prima al telegiornale, nel tentativo di dare a quelle morti un significato che non risultasse a prima vista. Il sovrintendente e Mogi avevano deciso di passare dal comando di polizia per confrontarsi con Kitamura sul modo in cui stava procedendo il caso.
Dal canto proprio, Ruri se ne stava alla sinistra di Elle, intenta a tormentare la sua penna con qualche morso nervoso e a rivedere continuamente i suoi appunti sul profilo psicologico del killer, mentre il detective fissava la sua torta con espressione annoiata e Light sembrava intento a digitare freneticamente sulla tastiera del suo computer.
“Ryuzaki, Ruri” disse a un tratto Light, rompendo quel silenzio cristallino “Potreste venire un attimo? Date un’occhiata qui sul monitor”.
Ruri si alzò in piedi e raggiunse lo studente, mentre Elle si limitava ad avvicinare la sua sedia a quella del giovane, un dito intento a tormentargli il labbro inferiore.
Ben presto, entrambi si resero conto che Light stava esaminando una delle tante tabelle che presentavano i delitti commessi da Kira: quella che avevano sotto gli occhi esponeva gli omicidi più recenti.
“Non vi sembra un po’ strano?” proseguì Light, accennando ad alcuni nomi di criminali defunti “Tutti e tre rivestivano cariche importanti in prestigiose aziende giapponesi. E…sono morti di arresto cardiaco; come risultato, le azioni della Yotsuba sono andate migliorando poco per volta” proseguì, mostrando un grafico che illustrava l’andamento della Borsa di Tokyo in quelle settimane.
“’Yotsuba’, hai detto?” esclamò Ruri, spalancando gli occhi.
“Sì, esatto” replicò Light, sorpreso dalla sua reazione.
“La conosci?” le chiese Elle, con sguardo penetrante.
“Eccome” dichiarò Ruri, incrociando le braccia “L’FBI ha avuto a che fare con il loro maledetto consiglio d’amministrazione, un paio d’anni fa. Erano collegati al caso della ‘WEALTH INTERNATIONAL’: il loro Presidente era stato accusato di truffa aggravata e di falso in bilancio, oltre che di frode nei confronti di azionisti e correntisti. Ho interrogato personalmente quasi tutta la feccia che compone il loro nucleo di dirigenza, e sono pronta ad affermare con certezza che sono tutti marci fino al midollo. Ne è la prova il fatto che se la siano cavata semplicemente sganciando un po’ dei loro milioni e risarcendo così alcuni dei loro clienti più facoltosi, anche se ovviamente i pesci piccoli hanno dovuto pagare il prezzo di averli sfidati; ne sono usciti puliti, naturalmente. A dire il vero, ho dovuto viaggiare sotto scorta per una settimana, dopo l’archiviazione del caso: Kyosuke Higuchi aveva ingaggiato un paio di sicari della mafia giapponese per farmi tagliare la gola da parte a parte” ridacchiò Ruri, sedendosi a sua volta.
“E com’è finita?” le domandò Light, con aria esterrefatta.
“Beh, la mia gola è ancora intatta, e quei coglioni stanno scontando tre ergastoli per tentato omicidio nei confronti di un federale” minimizzò Ruri, con un gesto della mano “Ad ogni modo, considerando gli elementi in questione, non mi sorprenderei affatto se dovessimo scoprire che sono in qualche modo connessi a Kira, anche se non avrei detto che il nostro uomo potesse celarsi dietro una grande organizzazione come la loro. Non sembra il suo stile”.
“È vero, ma le ultime morti che ha provocato in queste settimane sembrano aver portato numerosi vantaggi economico-finanziari alla Yotsuba” proseguì Light “Ho fatto qualche ricerca, ed è saltato fuori che, negli ultimi tre mesi, sono state tredici…voi che cosa ne pensate? A mio parere, c’è la seria possibilità che Kira sostenga la Yotsuba”.
“Già…” assentì Elle, continuando a tormentarsi il labbro “Ma se così fosse, significherebbe che il vero obiettivo di questo Kira non è punire i criminali…”.
“Sì…può darsi che finora abbia usato gli omicidi dei criminali come copertura per nascondere le morti degli avversari della Yotsuba” ipotizzò Light.
“E perché poi avrebbe dovuto darci un taglio con la malavita e concentrarsi in modo così mirato sui loro concorrenti di Borsa? Non lo so, mi sembra che si stia muovendo in modo un po’ troppo scoperto…è un cambiamento decisamente repentino, soprattutto in base al profilo psicologico” commentò Ruri, incrociando le braccia “Ma in effetti…direi che questo omicida si è rivelato più capace di sorprenderci di quanto non potessimo prevedere…”.
“Allora, Ryuzaki” disse Light, sorridendo affabilmente al diretto interessato “Ti è tornata un po’ di voglia di lavorare?”.
“Beh, direi che tutto questo è molto interessante” convenne Ryuzaki, riposizionandosi di fronte al proprio computer “Inoltrami tutto quello che hai trovato con le tue ricerche, e tu, Ruri…potresti fare un altro salto sul database dell’FBI e scaricare il materiale riguardante il caso ‘WEALTH INTERNATIONAL’? Ho bisogno di sapere tutto quello che possiamo riguardo al gruppo dirigente della Yotsuba”.
“Agli ordini, capo” gli sorrise Ruri, sfiorandogli appena la schiena.
 
Un paio d’ore più tardi, dopo che anche Matsuda, Robin e Aizawa si furono uniti all’analisi dei dati sulla Yotsuba, il sovrintendente Yagami e Mogi fecero il loro ingresso nella sala principale della base del quartier generale.
“Sovrintendente, Mogi! Bentornati!” li salutò Matsuda, con calore “Abbiamo una notizia incredibile! Grazie a Light, siamo riusciti a scoprire che esiste un possibile collegamento fra Kira e il gruppo industriale Yotsuba!”.
Sentirlo parlare in quel modo fece alzare gli occhi a Soichiro, che fino a quel momento aveva mantenuto un’espressione dannatamente seria, molto più di quanto non gli fosse già congeniale.
“La Yotsuba…?” ripeté lentamente.
“Già. La peggior feccia sulla piazza del mercato azionario di Tokyo” annuì Ruri, sfogliando alcuni documenti riguardanti il consiglio d’amministrazione “Potrebbe rivelarsi una pista incredibilmente stimolante”.
“Beh, forse è proprio così” seguitò Soichiro, senza mutare sguardo.
Ruri si accorse della gravità del suo modo di porsi e si alzò in piedi, avvicinandoglisi.
“Che succede, sovrintendente? Cosa le hanno detto al comando di polizia?”.
Yagami sospirò pesantemente e prese fiato, prima di risponderle.
“Ho appena saputo dal vice-direttore che Kira ha dato un ultimatum ad alcuni esponenti politici; a quanto pare…la polizia si è piegata a Kira” concluse, a malincuore.
Aizawa e Matsuda sobbalzarono di colpo, spalancando gli occhi, mentre Light e Ryuzaki si voltavano di scatto; Ruri e Robin continuarono a fissare Soichiro, esterrefatte a loro volta.
“Che cosa?!?”.
“Mogi mi ha immediatamente comunicato la sua determinazione” proseguì il sovrintendente “Aizawa, Matsuda…ascoltatemi bene, adesso. Se siete ancora intenzionati a dare la caccia a Kira, allora venite con noi a presentare le dimissioni. Non potrete più dare la caccia a Kira seriamente, a meno che non lasciate la polizia”.
“Ma…ma che cosa vuol dire?!” protestò Aizawa.
“È semplicissimo” proseguì Yagami “Mi hanno appena detto che, se continueremo a indagare con Elle, saremo subito licenziati”.
“Ma e…e lei, sovrintendente?” gli si rivolse Matsuda.
“Fra poche ore, io non sarò più sovrintendente” disse Soichiro, cercando di mostrarsi indifferente alla cosa “Ma ognuno di voi, ha la propria vita, quindi…riflettete bene, prima di decidere”.
“Ha perfettamente ragione” disse Matsuda “Specialmente, per chi ha moglie e figli…”.
“È una cosa inaudita!” protestò Robin, ponendosi le mani sui fianchi, mentre Aizawa rimaneva immobile, impietrito da ciò che aveva appena sentito “Questa è un’autentica barbarie, un atto di codardia senza pari! Non posso credere che il governo giapponese si sia piegato così a questo maledetto pazzo omicida!”.
“Beh, se la teoria secondo cui dietro gli omicidi di Kira si cela il gruppo Yotsuba fosse vera, allora sarebbe perfettamente plausibile” disse Ruri, sedendosi su uno dei divani della stanza “Tutto ciò si adatta bene al loro modo di agire, d’altronde. Le minacce e il ricatto politico sono il loro passatempo preferito”.
Dopo un breve silenzio, i membri del quartier generale udirono di nuovo la voce di Ryuzaki, che nel frattempo si era voltato nuovamente verso lo schermo del suo computer.
“Sono del parere che dovreste rimanere tutti nella polizia” affermò, scatenando lo stupore di tutti gli agenti “Tanto io ero solo già da prima; vi sono grato di essere rimasti, ma d’ora in avanti…potrò farcela anche da solo”.
“Sì, certo, da sooolo” sbuffò Ruri, roteando gli occhi “Sei sempre il solito megalomane, vero? Credi che coglierei l’occasione e me ne tornerei nell’FBI?”.
“Beh, senz’altro Van Hooper ti accoglierebbe a braccia aperte” constatò Ryuzaki, senza guardarla.
“Smettila con queste sciocchezze. Lo sai che non succederà mai. Non lascerò questo quartier generale fin quando non avremo sbattuto Kira in galera. Ho già dato le mie dimissioni mesi fa, e non intendo certo rimangiarmi la parola!” disse ancora Ruri.
“Ruri ha ragione, Ryuzaki. Finché noi tre lavoreremo insieme, tu non sarai da solo. Ricordi la promessa che hai fatto?” disse Light, accennando alle manette.
“Giusto” ne convenne Elle “Finché non avrò catturato Kira, tu lavorerai con me. E in effetti, Ruri è già stata costretta a scegliere fra la carriera e il caso molto tempo fa. Ma credo che tutti gli altri farebbero meglio a tornare alla centrale. E tu, Robin…dovresti rientrare a Washington. Stai mandando a monte il tuo lavoro, rimanendo qui”.
“Come se la cosa m’importasse più!” esclamò Robin, affiancandosi subito a Ruri “Anche io ti ho fatto una promessa, Ryuzaki, non ti ricordi? E comunque sia, non lascerò di certo il Giappone senza Ruri, questo te lo puoi anche scordare!”.
“E va bene. Ad ogni modo, tu non sei un’agente di polizia, e quello che il governo decide per gli altri, di certo non varrà per te”.
“Ryuzaki, non avevi detto che per risolvere questo caso avevi bisogno dell’aiuto della polizia?” gli disse Soichiro, con tono concitato.
“L’ho detto perché speravo di poter catturare Kira senza che le istituzioni si piegassero a lui” ribatté il detective, scrutando cupamente due ciliegie, prima di metterle in bocca “Ma contare sulla collaborazione di due o tre civili che hanno dato le dimissioni non significa avere l’aiuto della polizia. Inoltre, ne ho abbastanza di una polizia che ha persino stabilito di non poter catturare Kira”.
“Certo…” disse Yagami, mortificato “Capisco che da semplici civili non potremmo esserti di grande aiuto…ma non immagini come ci sentiamo? Finora ti abbiamo seguito, decisi a rischiare la vita; avremo pure il diritto di decidere se lasciare la polizia e continuare qui le indagini, o fare marcia indietro e abbandonare il caso!”.
“D’accordo” si strinse nelle spalle Elle “Decidete voi che cosa fare, allora”.
“Ma…ma sovrintendente…” mormorò Aizawa, mortificato “Lasciare la polizia significherebbe diventare disoccupati…anche se riuscissimo a catturare Kira…che cosa faremmo, in futuro?”.
“In futuro? Beh, non ci avevo ancora pensato” ammise Soichiro “Ma, una volta catturato Kira, potremo sempre…trovare un altro lavoro, no?” concluse, con un bel sorriso.
“Sì, ho deciso!!” esclamò Matsuda, entusiasta “Anche io lascerò la polizia e darò la caccia a Kira insieme a voi! Lavoro anche come manager di Misa-Misa, e poi, ora come ora, solo un perdente potrebbe tornare alla polizia senza aver catturato Kira!”.
“Modera le parole, Matsuda” lo redarguì il sovrintendente, con un’occhiataccia.
Ruri e Robin lo guardarono male a loro volta, accennando ad Aizawa, che in quel momento stava fissando il pavimento, a pugni stretti, l’espressione del volto incredibilmente seria e combattuta; alla fine, il giovane agente si voltò verso Ryuzaki, che continuava a dar loro le spalle.
“Non posso rimanere un poliziotto e aiutarvi nel tempo libero?” domandò, ansioso.
“No, non può” replicò Elle, ingoiando altre due ciliegine dolci “Se decide di restare un agente, non dovrà più farsi vedere, qui”.
“Non farò parola con nessuno delle informazioni…!!” tentò ancora Aizawa, con ancora maggior dispiacere.
“Da noi non avrà più alcuna informazione” lo interruppe il detective, freddamente “Può continuare a indagare da solo in veste di poliziotto, ma penso…che non sia giusto dare la caccia a Kira fino al punto di abbandonare il lavoro e mettere in difficoltà la propria famiglia”.
“Ryuzaki ha ragione, Aizawa” ne convenne Soichiro “Nessuno ti biasimerebbe, se ci lasciassi ora”.
“Certamente, è ovvio” si affrettò a dire Matsuda “Non pensiamo mica che tu sia un traditore”.
“Però, anche lei ha una famiglia, sovrintendente…” constatò Aizawa, stringendo sia gli occhi che i pugni.
“Aizawa, la mia posizione è diversa dalla tua” gli fece notare Yagami con fare paterno, avvicinandosi a lui.
“Non è giusto” disse l’uomo, con grande frustrazione “Anch’io voglio continuare a seguire questo caso: ce l’ho messa tutta, consapevole del fatto che avrei potuto rimetterci la pelle…che cosa direbbe Ukita, se sapesse che voglio abbandonare le indagini?” domandò a se stesso, trattenendosi a stento dal piangere.
“Ehi, ehi, ehi” s’intromise Ruri, avvicinandosi e posandogli una mano sulla spalla “Adesso smettila di colpevolizzarti così, ok? Tu sei giovane, e hai una famiglia di cui preoccuparti: devi pensare al bene dei tuoi figli e di tua moglie. Noi ce la caveremo comunque”.
“Anche tu sei giovane, Ruri, e lo è anche Robin! E voi due avete…avete persino abbandonato la vostra stessa vita, per questo caso! Ruri, tu hai lasciato l’FBI senza pensarci su due volte, e anche adesso hai deciso di…”.
“Senti, è diverso” ripeté la profiler, scuotendolo appena “Io non ho un marito e dei figli che mi aspettano, dall’altra parte dell’oceano, non sono responsabile per qualcun altro. Tu hai una famiglia, io ero quasi del tutto sola al mondo quando ho deciso di rimanere in Giappone”.
“Sì, ma tu amavi il tuo lavoro! È stato evidente fin da quando ci siamo presentati: era quello che avevi desiderato fare per una vita intera. Tu hai rinunciato a tutto quello che avevi per questo caso” protestò ancora Aizawa, incapace di risollevarsi.
“Aizawa, parlo sul serio: una professione non sarà mai paragonabile all’importanza che può avere per una persona una famiglia. Tu hai bisogno di lavorare per provvedere alle persone che ami, e nessuno ti farebbe sentire in colpa per una cosa del genere. E poi, se dovesse succederti qualcosa…beh, forse è il caso che tu riprenda in considerazione anche questo aspetto. I tuoi bambini sono ancora piccoli. Forse hanno più bisogno del loro padre di quanto possiamo averne noi” gli fece notare Ruri.
“E con che coraggio li guarderò mai in faccia, quando sarò costretto a dirgli che sono fuggito da Kira come hanno fatto i nostri colleghi, soltanto perché temevo di perdere il lavoro? Ho superato la paura che provavo alla sola idea di rimanere ucciso, e adesso dovrei arrendermi per una questione economica? Perché un detective della polizia non può dare la caccia a Kira?!?” sbottò infine il giovane, al massimo della frustrazione.
A un tratto, il segnale acustico che annunciava il collegamento di Watari li fece voltare tutti in direzione del computer del detective.
“Ryuzaki”.
La voce del suo mentore era incredibilmente fredda e arrabbiata, rispetto al solito.
“All’inizio delle indagini, mi avevi fatto promettere che, se fosse accaduto qualcosa agli agenti di questo quartier generale, come appunto venir licenziati” iniziò Watari, cercando di controllare il suo tono acido “Avrei aiutato finanziariamente loro e le rispettive famiglie, in modo da non preoccuparsi più per tutta la vita. Perché ora non hai minimamente menzionato la questione?!”.
“Oh, e questa da dove salta fuori?” esclamò Ruri, incrociando le braccia.
“Non parlare, quando non sei interpellato” replicò Elle, con il massimo autocontrollo.
“Perdonami” sbuffò Watari, ancora irritato dal comportamento del suo pupillo.
“Veramente?” sorrise Matsuda, con entusiasmo “Ho sentito bene? Avremo persino degli aiuti finanziari? Aizawa, ma non è una cosa fantastica?!” esclamò poi, volgendosi verso il suo collega.
Ma lo sguardo gelido e furente di Aizawa lo bloccò di colpo: il poliziotto, infatti, alzò gli occhi in direzione della schiena di Ryuzaki, fissandolo con odio.
“Ryuzaki! Volevi mettermi alla prova per vedere se abbandonavo la polizia e indagavo insieme a te?!”.
“Ma no, non è così, Aizawa” si affrettò a dire il sovrintendente “Sai com’è fatto Ryuzaki, non gli piace dire queste cose da sé”.
“Sì, il capo ha ragione” convenne Matsuda.
“No” li contraddisse Elle, senza accennare a voltarsi “Lo stavo mettendo alla prova…volevo vedere che cosa avrebbe scelto”.
“Ma…Ryuzaki…” disse il sovrintendente, con tono incerto.
“La tua solita delicatezza” sottolineò Ruri, fissandolo in tralice.
“Ho soltanto detto la verità”.
Aizawa strinse i pugni, continuando a guardarlo con rabbia.
“E va bene, allora! Me ne vado da qui e torno alla centrale!!” dichiarò, a gran voce.
“Aizawa…!”.
“Io non sono come voi, non ho saputo scegliere, così, su due piedi! Ero quasi deciso a restare un agente!” disse Aizawa, stringendo di nuovo i pugni, incerto se avercela di più con Ryuzaki o con se stesso.
“Adesso smettila, non essere testardo!” cercò di calmarlo Matsuda.
“No, me ne vado!” seguitò Aizawa “Finalmente ho le idee chiare! Mi sono reso conto che non sopporto né Ryuzaki, né i suoi metodi!” disse poi, iniziando ad avviarsi verso l’ascensore.
Dopo una breve pausa, Ryuzaki gli si rivolse ancora, con la sorpresa di tutti.
“Invece a me piace la gente come lei…Aizawa” gli disse, facendo sì che il poliziotto si fermasse di colpo, per poi voltarsi ancora, con ulteriore irritazione.
“E la cosa che sopporto meno di tutte è il suo modo di essere così sfacciato!!” gridò “Me ne vado!!”.
Mentre le porte dell’ascensore si aprivano per accoglierlo, tutti fecero in tempo a rendersi conto che Ryuzaki aveva aperto di nuovo bocca.
“La ringrazio molto” disse semplicemente, con il consueto tono pacato.
 
Quella sera stessa, la partenza di Aizawa pesava già sul quartier generale: Mogi e il sovrintendente avevano annunciato di voler lavorare nelle proprie stanze, mentre Robin, Ruri e Matsuda avevano deciso di rimanere con Light e Ryuzaki, cercando di concentrarsi il più possibile sulle morti delle settimane precedenti e sui collegamenti che queste avevano con il mercato azionario giapponese e con quello internazionale. Più andavano avanti, più sembrava che l’ipotesi di Light fosse corretta e che la Yotsuba avesse davvero qualcosa a che fare con quella storia.
Intorno alla mezzanotte, Robin, già mezza distesa su uno dei divani della stanza, sbadigliò sonoramente per la terza volta e si stropicciò gli occhi: rendendosene conto, Ruri le rivolse un sorriso dolce e scosse appena il capo.
“Roby, va’ a dormire. Dico sul serio, ti stai addormentando sulla documentazione” la esortò, sedendosi sullo stesso sofà su cui giaceva la giovane dottoressa.
“Non ho sonno” sbadigliò ancora Robin.
“Sì, certo, e io sono bionda naturale” rise Ruri, scompigliandole i capelli “Senti, non devi per forza lavorarci giorno e notte, va bene? Non c’è niente di male se continui a comportarti come un essere umano normale”.
“Ha parlato la stakanovista che sta con il maniaco del lavoro per eccellenza” la prese in giro Robin, con aria imbronciata “Io non mi muovo di qui, finché rimani anche tu. Ti aiuto con questa roba, passami quelle cartelle”.
“Ma se non riesci neanche a tenere gli occhi aperti! Volendo essere franca, in queste condizioni ti sfuggirebbe persino l’identità di Kira scritta a caratteri cubitali” ridacchiò Ruri.
“Io non ci vado, a letto!” insisté Robin, scuotendo la testa.
“Va bene, va bene! Ma almeno, dormi un paio d’ore” sospirò la criminologa, alzando gli occhi al cielo “Il caso Kira non scapperà, mentre ti riposi, e almeno saremo già qui, quando ti sveglierai. Se perdi il contatto con le tue capacità cerebrali, rischiamo di compromettere per sempre le tue facoltà intellettive, e non ho intenzione di permetterti di operare qualcuno in futuro, se non sarai più in grado di distinguere un bisturi da un laringoscopio”.
Ruri le posò lentamente addosso una coperta, tornando poi a sedersi accanto a lei e carezzandole i capelli.
“Mi piace” le disse a un tratto Robin, vicina ad addormentarsi.
“Che cosa?” replicò Ruri, stupita.
“Mi piace quello che fai qui. Mi piace la nostra squadra, mi piace come lavori, mi piace che tu ti prenda cura di me…mi piaci tu. È bello vederti felice; non eri mai stata così” mormorò Robin, iniziando a chiudere gli occhi.
Ruri sorrise lentamente, continuando a sfiorarle appena la guancia.
“Non dire mai più che sei sola al mondo…non rimarrò senza la mia persona” sussurrò Robin, stringendole la mano.
Ruri continuò a osservarla con più attenzione del solito; alla fine, senza neppure sapere perché, e incurante della presenza di Matsuda, Light ed Elle, prese a cantare sottovoce la canzone che sapeva essere l’unica in grado di conciliare il sonno a Robin, quella stessa melodia che si era ritrovata a intonare tante volte, quando erano piccole.
Fin da bambine, era sempre stata Robin ad occuparsi di lei e ad assicurarsi che stesse bene: le curava i tagli e i lividi, le tirava su il morale, la coinvolgeva nei suoi giochi, la faceva ridere, la faceva mangiare, le faceva provare qualcosa…la faceva vivere.
Dopo la morte dei genitori di Robin in un incidente stradale, la rossina era andata a vivere con l’anziana nonna, troppo preoccupata per la sua stessa salute per potersi occupare di lei al meglio: dal canto proprio, Ruri aveva iniziato a cercare di ricambiare le attenzioni di Robin, cullandola per ore e finendo per farla addormentare, grazie a una delle canzoni che Daniel aveva composto per lei, nell’arco di una sola sera.
All those days, watching from the windows, all those years outside looking in…all that time never even knowing just how blind I’ve been…now I’m here, blinking in the starlight, now I’m here…suddenly, I see…standing here, it’s all so clear…I’m where I’m meant to be…and at last I see the light…and it’s like the fog has lifted…and at last I see the light, and it’s like the sky is new…and it’s warm, and real and bright…and the world is somehow shifted…”.
Ruri si fermò per un istante sul finale, carezzandole la guancia e rimboccandole meglio le coperte, consapevole del fatto che Robin si era già addormentata.
All at once, everything looks different…now that I…see you…”.
Quando rialzò gli occhi, si accorse che Matsuda si era nel frattempo seduto sul divano di fronte, e che fissava Robin con il volto appoggiato a una guancia, puntellando appena il gomito sul ginocchio destro: Ruri era certa di non avergli mai visto in volto un’espressione così beata e sognante.
“Hai una splendida voce” le disse l’ex poliziotto, senza smettere di fissare il volto dormiente di Robin, su cui si era già dipinto un sorriso sereno.
“Grazie” replicò Ruri, con un piccolo sorriso, compiaciuta dallo sguardo che Matsuda continuava a rivolgere alla sua migliore amica “Robin ha sempre amato questa canzone…o meglio, diciamo che le ha sempre conciliato il sonno”.
“Magari è perché gliela canti tu. Come una specie di ninna nanna” sorrise Taro, sospirando appena.
Ruri l’osservò di sottecchi, sorridendogli in modo furbo.
“Accidenti…sembra proprio che la faccenda sia seria” gli disse, facendogli voltare lo sguardo verso di lei.
Matsuda sbatté appena le palpebre, arrossendo all’istante.
“Ehm…c-cosa…?”.
“Ti sei proprio innamorato” sospirò Ruri, alzandosi e battendogli una mano sulla spalla “Perché non fai anche tu una pausa e resti con lei? Le piacerà averti vicino mentre dorme”.
Matsuda non se lo fece ripetere due volte e prese subito il posto della profiler, iniziando a sua volta a carezzare i capelli ramati di Robin e a sorriderle, con lo sguardo che solo un innamorato avrebbe potuto sfoggiare; prima di raggiungere Ryuzaki, Ruri si volse un’ultima volta e lo chiamò ancora, continuando a mantenere la voce bassa.
“Tanto perché tu lo sappia, Robin è un tipo da abito bianco”.
Senza attendere risposta, la giovane profiler tornò al fianco del detective, riprendendo a dedicarsi al computer: solo in quel preciso istante, avvertì le dita gelide di Elle stringersi brevemente intorno al suo polso, trasmettendole, con un solo tocco, quello che neanche un oceano di parole sarebbe mai stato in grado di esprimere.
 
Due giorni dopo, il lavoro del quartier generale proseguiva senza freno, alla ricerca di qualsiasi indizio presente nell’operato di Kira degli ultimi tempi.
“Ne ho trovato un altro” disse a un tratto Light, interrompendo così le ricerche dei colleghi “Si tratta del direttore di una filiale della principale banca rivale della Yotsuba. Qui dice che è morto scivolando dalle scale di casa sua…il 7 Settembre…”.
“Il 7 Settembre era venerdì, giusto?” domandò Soichiro, avanzando verso di loro mentre controllava alcuni documenti “Ho controllato tutto un’altra volta e, a quanto pare, le morti che spianano la strada alla Yotsuba avvengono nei finesettimana”.
“Signore, sta dicendo davvero?” chiese Matsuda.
“Inizialmente, la data dei decessi era casuale, ma…” proseguì l’ex poliziotto “Poco alla volta, si sono concentrati fra il venerdì sera e il sabato pomeriggio”.
“Però, ottima osservazione, sovrintendente” si complimentò Matsuda.
“Ah, ti ho detto che non sono più il sovrintendente” lo redarguì Soichiro.
“Si sbaglia, perché per me lo resterà per sempre!” gli sorrise il ragazzo, con calore.
“Sì, questo sì che è un ottimo indizio! Bravo, papà” lo gratificò Light, sorridendogli a sua volta.
“Non mi lascerò superare da voi tre così facilmente” replicò Soichiro, accennando al figlio, a Ryuzaki e a Ruri “Non voglio certo diventare un peso, per voi”
“Non sia mai detto” ridacchiò Ruri, iniziando a sua volta a esaminare i documenti che l’uomo teneva in mano “Questo ci tornerà davvero utile, signor Yagami”.
“Un…un peso, ha detto?” mormorò Matsuda, confuso.
“Non so se Kira faccia parte della Yotsuba o se si stia servendo di quella gente” decretò Ryuzaki, pensieroso “Ma a questo punto indagheremo a fondo sul gruppo, dando per scontato che sia tutta opera di Kira. Rivolteremo la Yotsuba come un guanto”.
“Beh, questo sì che sarà divertente” ammise Ruri, con un sorrisetto soddisfatto “Non pensavo che mi sarebbe di nuovo capitata l’occasione di prendere per la gola quei figli di puttana”.
In quel momento, Mogi e Robin fecero il loro ingresso, ciascuno con le braccia cariche di pile di documenti dall’aria importante.
“Ce l’abbiamo fatta!” sbuffò Robin, affrettandosi a posare il tutto sulla scrivania di Ryuzaki, subito imitata dall’amico “Ecco qui, Ryuzaki”.
“Abbiamo la lista dei membri delle filiali nazionali ed estere della Yotsuba” proseguì Mogi.
“Grazie mille, a tutti e due” disse il detective, avvicinandosele subito.
“Ma…sono più di 300.000 persone!” esclamò Light, colpito “Ma come avete fatto ad elencarle tutte così in fretta? Siete formidabili!”.
“Beh, il grosso del merito va a Mogi, in realtà” precisò Robin, imbarazzata.
“Questo non è vero. La dottoressa Cooper ha un sistema di catalogazione infallibile, grazie a lei abbiamo impiegato la metà del tempo” le sorrise benevolmente l’agente, con un cenno molto formale, ma al tempo stesso incredibilmente gentile.
“È solo il metodo che ti insegnano durante la specializzazione per riordinare le cartelle cliniche dei pazienti: come dice il detto, o impari a sopravvivere nella giungla, o finisci divorato da qualcosa. Ma tu piantala di chiamarmi ‘dottoressa Cooper’!” lo sgridò Robin, assestandogli una bottarella affettuosa.
“Il vostro operato è sempre stato eccellente” disse ancora Ryuzaki.
“Beh, grazie! Oggi sei particolarmente di buonumore, eh, Ryuzaki?” rise appena Robin, lanciando un’occhiata maliziosa a Ruri.
Prima che la profiler potesse pronunciare una parola, Matsuda si alzò in piedi e si rivolse al detective, con tono determinato.
“Scusami, Ryuzaki, ma non c’è qualcosa che potrei fare anch’io, oltre a impersonare il manager di Misa-Misa?”.
Elle gli rivolse a malapena un’occhiata.
“Vuole rendersi utile?” gli domandò.
“Sì, certo!” esclamò Matsuda.
“Allora, mi versi dell’altro caffè” affermò semplicemente l’investigatore, lasciandolo di stucco “Dopodiché, non dimentichi di portarne anche ai nostri ospiti” concluse, con un gesto della mano.
Udendolo parlare in quel modo, tutto il quartier generale si volse in direzione dei divani: con loro somma sorpresa, poterono rendersi conto che due persone stavano comodamente sedute su di essi.
Si trattava di un uomo e di una donna, entrambi biondi; lei aveva assunto una posa più composta, mentre lui aveva allungato le gambe in modo molto rilassato, e aveva perfino alzato una mano in segno di saluto verso di loro, anche se non accennava minimamente a voltarsi.
Da quello che riusciva a vedere, Ruri pensò immediatamente che dovessero appartenere alla classe sociale alto-borghese benestante, soprattutto giudicando il modo sfarzoso in cui erano vestiti; eppure, avrebbe detto che l’uomo le ricordasse qualcuno…
“E quelli chi sono?” domandò Matsuda, esterrefatto.
“E soprattutto, quando sono entrati?” chiese anche Light, stupito a sua volta.
“Loro sono i nuovi membri della nostra squadra” spiegò semplicemente Ryuzaki.
La donna si alzò in piedi: indossava un paio di occhiali da sole incredibilmente costosi, e un basco russo di pelliccia nera, che spiccava a confronto del tailleur color crema; a primo impatto, avrebbe anche potuto definirla una snob pronta a rifiutarsi di bere qualsiasi cosa che non fosse champagne parigino, ma qualcosa le diceva che quella tizia era in gamba, e, per qualche motivo, le piacque immediatamente.
Il suo collega fu un’autentica sorpresa.
Mentre i suoi occhi azzurri correvano sul profilo del nuovo arrivato, che indossava una camicia rossa e un completo gessato blu scuro, gli occhiali da sole elegantemente portati sopra la fronte, si chiese se davvero potesse essere tutto vero.
“Io sono Wedy; sono una ladra professionista” disse la bionda, senza mutare espressione.
“E il mio nome è…” fece per iniziare il suo collega, quando Ruri lo interruppe.
“Ayber…?”.
Tutti i presenti si voltarono verso di loro, con espressione stupita: solo Ryuzaki fissò la ragazza con aria impassibile, consapevole di quello che sarebbe venuto dopo.
Ruri mosse qualche passo in avanti, quasi impegnata a capire se quello che stava vedendo era vero oppure no.
Non appena posò lo sguardo su di lei, anche gli occhi dell’uomo cambiarono improvvisamente la loro espressione, accendendosi a un tratto e facendogli perdere l’espressione beffarda che aveva mantenuto fino a quell’istante: in quel preciso momento, anche il suo volto irradiava sorpresa mista a qualcosa di molto simile alla gioia.
“Ayber?!” ripeté Ruri, concedendosi un largo sorriso “Non posso crederci!”.
“Pri…principessa?” balbettò il biondo, esterrefatto.
“EEEH?!? PRINCIPESSA?!?” gridò Matsuda, sconvolto alla sola idea che qualcuno, sulla Terra, avesse appena chiamato Ruri in quel modo senza perdere la testa.
Ruri non fece caso a quel commento e mosse qualche altro passo in direzione del nuovo arrivato, ancora incapace di accettare fino in fondo quello che stava vedendo; infine, fu lui a prendere l’iniziativa e a sorriderle in modo radioso e spensierato, esattamente come ricordava fosse il suo stesso sorriso. Prima che potesse aprire di nuovo bocca, Ayber spalancò le braccia e allargò ulteriormente il suo sorriso.
“Principessa!!!!!”.
Ruri non si trattenne ulteriormente, correndogli incontro e abbracciandolo di slancio; una tale dimostrazione d’affetto lasciò di sale tutti i presenti, abituati al contegno professionale e alla scarsa propensione al contatto fisico della profiler: Ryuzaki fu l’unico a osservare la scena in modo apparentemente impassibile, le mani in tasca e un sorriso quasi impercettibile dipinto in volto.
Dal canto proprio, Ruri si lasciò abbracciare dal nuovo arrivato, lasciando che lui la sollevasse persino da terra e le facesse fare una piccola giravolta, coinvolgendola nella sua risata; quando infine la lasciò andare, le posò le mani sulle spalle e l’osservò a lungo, senza smettere di sorridere.
“Accidenti, non è possibile!! Ma sei proprio tu!!” esclamò.
“A quanto pare” rise Ruri, scuotendo la testa “E tu, tu sei…che ci fai qui?”.
“No, no, la vera domanda è che ci fai tu qui? Ero…ero convinto che…insomma, i telegiornali e Van Hooper, avevano detto che eri…”.
“È una lunghissima storia” scosse il capo Ruri “Sai, l’incognito e tutto il resto…misure di sicurezza. Ma tu cosa diamine fai in Giappone?!”.
“Beh, sembra che qualcuno abbia chiesto il mio aiuto. Non te l’avevano detto?” rise il biondo, accennando a Ryuzaki.
Ruri si volse verso di lui e gli rivolse un’occhiata stranita e soddisfatta a un tempo.
“Perché non mi hai detto niente?” gli domandò.
“Volevo che l’arrivo di Ayber e Wedy fosse sconosciuto a tutti, tranne che a me e a Watari. Motivi di sicurezza” replicò Elle, senza mutare espressione.
“Una piccola sorpresa” ridacchiò Ayber, infilando una mano in tasca.
“Beh, direi una grande sorpresa! Quanto è passato, tre anni?” rise Ruri, lasciando che lui l’abbracciasse di nuovo.
“Tre anni lo scorso Agosto. Ah, ma fatti guardare!” esclamò Ayber, prendendola per mano e lasciando che facesse una piccola giravolta, per poi lasciar andare un fischio d’apprezzamento “Oho, siamo splendide come al solito, eh? Ti trovo in forma! Stragi di cuori come d’abitudine?”.
“Ok, adesso dacci un taglio, prima che rimpianga d’essere felice che tu sia qui!” lo sgridò Ruri, ma senza smettere di sorridere.
“Scusate…scusate, ma proprio non capisco” ammise Matsuda, frastornato “Voi due…voi due vi conoscete?”.
“Vuoi scherzare?!” esclamò Ruri, dando di gomito al biondo, che le sorrise nuovamente “Io e Ayber ci siamo addestrati insieme a Quantico!”.
“A Quantico…?”.
“La base di addestramento dell’FBI” spiegò Ayber, con naturalezza “Bei tempi, quelli della Virginia”.
“Ah, ho capito! Quindi Ryuzaki ha deciso di chiedere l’aiuto di un altro agente dell’FBI, ora è tutto chiaro!” esclamò Matsuda, con l’aria di chi la sapeva lunga.
Di fronte a quelle parole, Ayber e Ruri si scambiarono una lunga occhiata, prima di scoppiare a ridere.
“Eh? Che c’è di tanto divertente?” protestò Matsuda, un po’ imbronciato.
“Ayber non è esattamente un agente dell’FBI. Sì, beh…aveva deciso di entrare nell’organizzazione e ha completato l’addestramento con noi, ma…diciamo che infine ha capito che non era la sua strada. Basti pensare che non ha usato il suo vero nome neppure quando si è registrato negli archivi di Quantico. Già all’epoca sapeva come diventare invisibile e come non lasciare tracce” affermò Ruri, passandosi una mano dietro il collo.
“E allora cosa…?”.
“Io sono un truffatore. Molto piacere” disse semplicemente l’uomo, con un altro sorriso accattivante.
“Un truffatore?” ripeté Robin, con aria perplessa “Ruri, non avrei mai creduto che avessi amicizie del genere”.
“Beh, Ayber non è proprio un criminale come gli altri. In effetti, un paio di volte ha perfino aiutato il governo americano con alcune questioni difficoltose, quindi…diciamo che le autorità di polizia a livello internazionale gli devono più favori di quanti non ne debba lui al sistema carcerario” ridacchiò Ruri, incrociando le braccia “Ad ogni modo, è un ottimo amico. Volendo essere onesti, è l’unica persona di talento che abbia incontrato in quella base militare”.
“Non esagerare! E poi, sto rubando tutte le attenzioni a Wedy” dichiarò Ayber, accennando alla bionda al suo fianco.
“Giusto! È un…piacere conoscerti” le si rivolse Ruri, con un cenno.
Wedy si accese lentamente una sigaretta e la guardò per un istante da dietro gli occhiali da sole.
“Quindi, tu sei la famosa agente dell’FBI con un sacco di nomi in codice, dico bene?” le chiese, con fare quasi annoiato.
“Sì, sono Ruri. Ruri Dakota”.
“Ayber parla un sacco di te. Credevamo veramente che fossi morta. È bello constatare che tu non lo sia” replicò la bionda, con lo stesso tono.
Nonostante suonasse decisamente tediata e snob, Ruri capì che il suo era un semplice modo di porsi, e che non voleva essere ostile: in effetti, più passava il tempo, più quella donna le piaceva.
“Davvero siete…ehm…avete detto ‘un truffatore e una ladra’?” chiese a un tratto Soichiro, che fino a quel momento aveva osservato la scena allibito.
“Proprio così” rispose Ryuzaki “Ayber è un truffatore con competenze indispensabili nei rapporti interpersonali, che gli permettono di entrare in confidenza con i suoi bersagli: lo useremo come infiltrato. Wedy, invece, è una ladra capace di aprire qualsiasi serratura o cassaforte, nonché superare sistemi di sicurezza. Ne è la prova il fatto che si sia introdotta qui senza che ce ne accorgessimo”.
“Ma…ma vorreste lavorare insieme a dei criminali?” domandò Yagami, ancora stralunato.
“Sono dei criminali, sì, ma diversi da quelli che vengono portati allo scoperto e giustiziati da Kira: pensate a loro come dei professionisti della malavita” consigliò Ryuzaki, infilandosi di nuovo le mani in tasca.
“In effetti, hai ragione” disse Light, alzandosi in piedi a sua volta “Se vogliamo indagare sulla Yotsuba, abbiamo anche bisogno di gente come loro. Quindi, uniamo le forze e diamoci da fare!”.
“Sei sempre il solito entusiasta, eh?” scosse il capo Ruri “Beh, questa devo proprio ammettere che non me l’aspettavo!”.
“Immagino che sarà divertente. Io e te che lavoriamo davvero insieme? Sembra un film di fantascienza” rise Ayber, scompigliandole i capelli “Lo avresti creduto possibile, principessa?”.
“Informazione di servizio: non chiamarmi più in quel modo davanti al quartier generale, o ti faccio saltare le palle a colpi di pistola. Parlo sul serio” sospirò pesantemente Ruri, assestandogli una pacca sul braccio “Pensa a lavorare seriamente al caso, o ti toccherà mangiare la mia polvere”.
“Una competizione, eh? Mi piace” affermò il truffatore, con un altro sorrisetto compiaciuto “Sei sempre stata dannatamente diretta, su questioni del genere. Ho la sensazione che tu non sia cambiata parecchio”.
“Su questo avrei i miei dubbi” si strinse nelle spalle la ragazza “Allora, immagino che tu e Wedy vorrete guardarvi un po’ intorno; o preferisci che inizino subito?” domandò Ruri, rivolgendosi di nuovo al detective.
“Fra un paio di giorni, faremo il punto della situazione sul gruppo Yotsuba. Andate pure a riposarvi” sentenziò Elle, tornando a sedersi davanti al suo computer.
“Ok, come desideri” affermò Ayber, mentre Wedy si avviava verso le scale senza dire una parola “A proposito, principessa, prima o poi dovrai raccontarmi che cos’hai combinato in questi tre anni. Qualcosa mi dice che tu abbia ragione; dalla tua faccia, devi averne passate parecchie”.
“Cerca di conservare intatti i tuoi testicoli per il giorno in cui te lo racconterò, Mr ‘Non-sono-fatto-per l’FBI-vado-a-trattare-con-la-mafia’” lo liquidò Ruri, accomodandosi vicino a Ryuzaki.
Non appena tutti furono tornati al lavoro, il detective le lanciò un’occhiata di sottecchi, non riuscendo a trattenere un sorrisetto.
“Principessa, eh?” le disse, con noncuranza.
“Piantala” sbuffò Ruri, continuando a digitare sul suo computer.
“Beh, non devi mica sentirti in imbarazzo…”.
“Piantala!” ripeté Ruri, indispettita “Senti, avevo ventun anni, va bene? Ero praticamente l’unica donna in una base militare dove chiunque era pronto a scommettere cento dollari che me ne sarei andata entro la prima settimana. Una volta ho perso il controllo e mi sono fatta coinvolgere in una rissa; Ayber si è fatto avanti e ha preso a pugni tutti quelli che hanno osato sfiorarmi. Nessuno si è mai più permesso di dire una parola sul mio conto, soprattutto dopo che è stato evidente che il mio quoziente intellettivo era di gran lunga superiore a quello degli scimmioni presenti sul posto. Ma immagino che la cosa che li abbia terrorizzati di più sia stata la mia mira al poligono di tiro a segno”.
“Non lo metto in dubbio” dichiarò Ryuzaki, con naturalezza.
“Tu lo sapevi? Cioè di…”.
“Del passato di Ayber? Certo che sì. E sapevo che vi siete addestrati nello stesso periodo alla base militare dell’FBI. Quanto alla vostra storia, beh…devo ammettere che ne sono sorpreso anch’io” disse Elle, con il tono di chi è completamente indifferente.
“Quale storia? Io e Ayber siamo sempre stati solo amici. Non farti strane idee solo perché lascio che mi chiami in quel modo” protestò Ruri, scuotendo la testa.
“A dire la verità, non ho potuto fare a meno di chiedermi come mai glielo permettessi. Devi ammettere che non è da te”.
Ruri sospirò di nuovo e si passò una mano fra i capelli.
“Diciamo solo che gli devo un grosso favore” ammise, stringendosi nelle spalle “Ma non fornisco dettagli. Non ora, almeno. Dobbiamo lavorare, signor detective”.
“Come vuoi. Ad ogni modo…” disse Elle, sorridendole lievemente “Sembra che tu sia felice di vederlo. La cosa mi fa piacere”.
“Oh, quindi nessuna crisi di gelosia?” lo canzonò Ruri, con un sorrisetto.
“Beh, sono io a essere in vantaggio. Un criminale ricercato dall’Interpol in ogni parte del globo che lavora per il detective migliore del pianeta? Direi che non ha speranze” affermò Elle.
Mentre riprendeva il lavoro con la massima solerzia, Ruri non poté fare a meno di notare un’ombra di soddisfazione scivolare sul volto del ragazzo.
 
Venerdì sera, a distanza di tre giorni dall’arrivo di Ayber e Wedy alla base del quartier generale, le cose proseguivano in modo lineare: Matsuda era uscito per accompagnare Misa sul suo nuovo set cinematografico, mentre tutti gli altri erano rimasti alla postazione, continuando a indagare sul gruppo Yotsuba.
Dal canto proprio, si poteva dire che Ruri e Ayber fossero nel loro elemento: entrambi trovavano piacevole lavorare con l’altro, e fra loro si era subito restaurato il clima di complicità di un tempo. Tutti e due apprezzavano la reciproca intelligenza e la grande forza di volontà, oltre che la scaltrezza e l’intuito: la stessa Robin, che all’inizio si era mostrata diffidente nei confronti di quell’uomo di cui l’amica non le aveva mai parlato, aveva finito per abituarsi subito alla presenza del truffatore, il quale non mancava mai di dimostrarsi gentile e piacevole, soprattutto nei momenti di pausa dal lavoro.
Quella sera, come avevano preso a fare d’abitudine, Ruri e Ayber avevano finito per sedersi l’uno di fronte all’altra, occupando così due dei divani della stanza con molti documenti riguardanti la filiale industriale indagata e tutti i suoi componenti di rilievo.
“Dal caso ‘WEALTH INTERNATIONAL’ sembra che se ne siano stati buoni” decretò Ruri, continuando a sfogliare la documentazione “E poi, arriviamo a queste morti improvvise…ma continuo a pensare che questa storia non abbia molto senso. Non capisco perché Kira dovrebbe appoggiare un’azienda piuttosto che un’altra”.
“Forse hanno semplicemente usato il potere della persuasione più antico del mondo” constatò Ayber, stringendosi nelle spalle.
“Non penserei a Kira come a un individuo pronto a farsi comprare da una valigetta piena di bigliettoni” affermò Ruri, storcendo il naso “Ma ammetto che non sia impossibile…dopotutto, questo tizio si è rivelato pieno di sorprese. Sembra che non si finisca mai di conoscere”.
Sentendola parlare in quel modo, Ayber alzò di colpo gli occhi e le indirizzò uno sguardo penetrante, posando per un momento da parte la documentazione che stava esaminando.
“Hai davvero lasciato l’FBI?” le domandò a bruciapelo, facendole alzare gli occhi.
“Certo che l’ho fatto” replicò Ruri, sorpresa “Avevi qualche dubbio?”.
“Beh, ne avevo parecchi. Avrei detto molte cose su di te, ma non che avresti mai lasciato il circolo della ‘Fedeltà, Coraggio e Integrità’” ridacchiò Ayber, per poi tornare subito serio “Seriamente, principessa: ho visto il modo in cui ti sei addestrata per entrare là dentro. Volevi diventare un’agente più di chiunque altro sulla faccia della Terra. Perché hai dato le dimissioni e sei rimasta qui? È solo un caso. Finirà, prima o poi”.
“Non…non lo so” mormorò Ruri “È solo che…Elle ha richiesto la mia diretta collaborazione per queste indagini, e io ero così…così concentrata su quello che stavo facendo, e…non lo so. So che non ha senso, ma quando ho dovuto scegliere…non ho esitato. Sapevo che non me ne sarei mai andata da qui prima d’aver arrestato Kira. È stato più forte di me”.
Quando rialzò gli occhi, capì che Ayber la stava fissando con la massima attenzione, cercando di trattenersi dal sorriderle in modo aperto, ma senza riuscire a nascondere uno scintillio negli occhi.
“Che c’è…?” domandò Ruri, alzando un sopracciglio.
“Non…non è solo per il caso” constatò Ayber, sporgendosi in avanti verso di lei e rivolgendole un palese sguardo sornione.
“Eh?!”.
“Ma guarda un po’: la piccola principessa con il pugno più spietato di tutta la Costa Est che finisce per arrossire…e dimmi, lui come si chiama?” le domandò, con espressione maliziosa.
“Ok. Ok. Ayber, tu sei pazzo” dichiarò Ruri, sfuggendo il suo sguardo e alzando gli occhi al cielo.
“Sì, e tu ti sei presa una grossa cotta! Guarda che l’ho già capito…aspettavo solo una conferma” le disse il truffatore, strizzandole l’occhio “È da quando sono qui che ci ho fatto caso: senz’altro, non sei la stessa persona che ho conosciuto a Quantico. In tre giorni, ti ho visto ridere, scherzare e conversare come un essere umano normale più di quanto non ci sia riuscito nel corso di un intero addestramento. Mi viene da pensare che Elle sia davvero capace di tutto”.
“Che?! Hai anche…?”.
“Non ricordavo che ti piacessero tanto le fragole. Carino da parte sua lasciarti sempre l’ultima che rimane sulla sua torta” sghignazzò Ayber, incrociando le braccia.
“Ah, chiudi il becco! Sei infantile, lo sai? Dovresti mostrare un po’ più di professionalità” lo rimbeccò Ruri, senza però riuscire a trattenere un sorriso.
“Sì, certo. Sono proprio io quello che rischia di non essere professionale” proseguì Ayber, con aria noncurante “E così, beh…tu e lui…”.
“Ok, ok, lo ammetto. Sì” si arrese Ruri, alzando le mani “Ma…ma non è come sembra!”.
“Non è come sembra? Cioè, vuoi dire che tutto quel gioco di sguardi e di fragole alla panna è solo un modo per pagarti la parcella?” rise ancora Ayber.
“AYBER!!”.
“Ok, ok!” esclamò il biondo, scuotendo la testa “Ma allora cosa intendi con ‘Non è come sembra’?”.
Ruri non rispose, distogliendo lo sguardo e riprendendo a fissare i volti dei dipendenti della Yotsuba, senza davvero guardarli: prima che potesse rendersene conto, stava di nuovo sorridendo.
Alla fine, Ayber comprese a che cosa stava alludendo e riuscì a incrociare il suo sguardo, rivolgendole un altro sorriso compiaciuto.
“Ho visto un sorriso” gongolò subito.
“Ayber…”.
“Ho visto un grosso sorriso”.
“Piantala”.
“Wow…non è davvero come sembra. È peggio” sospirò alla fine, passandosi le braccia dietro la nuca “È quella parola proibita che inizia con la ‘A’?”.
“Sì, devo confessarlo” sospirò Ruri, stringendosi nelle spalle.
“Cavolo…” fischiò Ayber, scuotendo la testa “Ci sei cascata, eh? Benvenuta nel club, principessa”.
“A proposito, come sta Giselle?” domandò Ruri, cogliendo subito l’occasione per cambiare argomento.
Si ricordava di quella ragazza: era l’unica persona, oltre lei, con cui Ayber riuscisse a essere davvero se stesso. Capitava spesso che venisse a trovarlo alla base, durante i periodi di permesso, e a Ruri era sempre sembrato che fosse profondamente innamorata del suo amico. Certo, avere a che fare con una persona come Ayber poteva essere difficile, soprattutto considerando il modo in cui si era conclusa la sua carriera nell’FBI prima ancora che essa iniziasse, ma Giselle lo aveva sempre amato in modo profondo, e aveva cercato in tutti i modi di stargli sempre accanto. A Ruri piaceva, malgrado fossero l’una l’opposto dell’altra, e sperava che, un giorno, quei due avrebbero trovato insieme la serenità che stavano cercando.
Al sentirla nominare, Ayber assunse un’espressione dolce, ma al tempo stesso malinconica.
“Ci…ci siamo sposati” ammise, passandosi una mano dietro il collo “Poco dopo il tuo ritorno a Washington”.
“Davvero?!? Ayber, è fantastico!” esclamò Ruri, con un gran sorriso.
“Sì, lo è” sorrise ancora Ayber “E…ho due figli, sai”.
“Due figli?! E che aspettavi a dirmelo?!”.
Ayber tirò fuori una fotografia dalla giacca e la porse alla giovane: l’immagine ritraeva il biondo con la moglie e i due bambini, entrambi molto piccoli (uno era addirittura in fasce).
“Sono bellissimi…” mormorò Ruri, con affetto “Come si chiamano?”.
“Matthew e Sophie. La piccola ha solo qualche mese…” sospirò Ayber, rimettendo la foto nella tasca della giacca “In effetti…ho deciso soltanto all’ultimo momento di venire qui in Giappone. Elle mi aveva già contattato una settimana fa, ma…avevo bisogno di tempo per capire cosa fosse meglio fare. In questo periodo, io e Giselle…ecco, non…non va troppo bene” ammise, con più tristezza di quanto non volesse.
“Perché?” domandò Ruri, posandogli una mano sul braccio.
“Lei vorrebbe che smettessi. Sai, con…con la malavita e con questo genere di stronzate di cui mi occupo. In effetti, questa è la prima cosa buona che faccio dai tempi della Virginia” rise leggermente, accennando al quartier generale “Ho cercato di spiegarglielo, ma…lei non riesce a capire. Dice che sto rovinando tutto, e che non m’importa della famiglia. Ora che ci penso, ha detto più di una volta che avrebbe voluto che tu vivessi vicino a noi, così avresti potuto farmi una lavata di capo che sarei stato disposto ad ascoltare”.
“Accidenti, ha più carattere di quanto non lasciasse intendere!” rise Ruri, per poi tornare subito seria “Comunque, molte coppie attraversano momenti difficili…sono sicura che passerà. E poi, quando avremo catturato Kira, avrà molti più motivi per essere orgogliosa di te e della tua professione”.
Ayber le sorrise in segno di ringraziamento, annuendo appena.
“Sai…è davvero bello vederti di nuovo. Inoltre…ecco, sei così diversa che a volte non ti riconosco. Sembri…veramente felice”.
Ruri fece per rispondergli, ma in quel momento un segnale di chiamata da parte di Watari, proveniente dal computer di Elle, li distrasse di colpo e li fece voltare in quella direzione.
“Ryuzaki!”.
“Che c’è, Watari?” domandò il diretto interessato, mentre Ayber e Ruri, seguiti dagli altri membri della squadra, si avvicinavano al computer.
“Qualcuno intende assumere il detective Erald Coil per scoprire l’identità di Elle”.
“Se non vado errato” iniziò il sovrintendente “Erald Coil è il più celebre detective del mondo, dopo Elle…mi chiedo chi diamine voglia…”.
Prima che potesse proseguire, il monitor venne occupato dall’immagine di un uomo serio, vestito in maniera molto elegante e dotato di due occhiali dalla montatura rigida: gli occhi di Ruri lo riconobbero immediatamente.
“La richiesta proviene da Masahiko Kida” proseguì Watari “Direttore dell’Ufficio Diritti della filiale di Tokyo del gruppo Yotsuba”.
“Allora, era davvero la Yotsuba!” esclamò Soichiro.
“Se la Yotsuba si è messa in contatto con Kira, e adesso cerca di scoprire la tua vera identità” ragionò Light, preoccupato “…è più che probabile che intendano ucciderti”.
“Che guaio! Oltre a essere a corto di uomini, dobbiamo pure guardarci le spalle da Coil!” disse il sovrintendente.
“Non c’è alcun problema” dichiarò Elle, ingoiando un po’ di torta “Il detective Erald Coil sono sempre io…”.
Quella frase scatenò reazioni di sorpresa da parte di tutti i presenti.
“Sarebbe a dire?” domandò Ruri.
“Attualmente, io sono i tre migliori detective del mondo: Elle, Coil e Deneuve. Sapete, in genere è un trucco che funziona con la gente che cerca di scoprire la mia identità. Mantenete il segreto, per favore; in cambio, ecco la mia fragola” concluse il detective, porgendola a Mogi, che lo fissò stranito.
“Fa sempre così?” mormorò Ayber, rivolto a Ruri “Cioè, con le fragole e questo genere di cose?”.
“Prega che prima o poi diventi degno della sua considerazione abbastanza perché te ne ceda una” rise Ruri, scuotendo appena la testa.
“Bene, adesso pensiamo a come procedere. Naturalmente, Erald Coil non può ignorare la loro richiesta” proseguì Ryuzaki, mordicchiando appena la forchetta da dolce “Sarebbe a dir poco sospetto…perciò, avremo bisogno di un uomo all’interno che interpreti questo ruolo e che faccia sentire il consiglio d’amministrazione della Yotsuba in discreto vantaggio su Elle. Poi, dovremo pensare a monitorare come si deve l’operato dei sospetti. Ayber, Wedy,  avrò bisogno della vostra collaborazione”.
“Sono ai tuoi comandi” dichiarò il truffatore, incrociando le braccia e appoggiando la schiena alla scrivania “Vuoi che interpreti questo ruolo e che entri in contatto con il tizio che ha formulato la richiesta?”.
“Precisamente”.
“Ok. Se si tratta solo di avvicinarlo, lasciate pure fare a me” dichiarò il truffatore, sicuro di sé.
“Mentre io…in pratica, non dovrò fare altro che eludere il sistema di sicurezza e le telecamere di sorveglianza della sede di Tokyo della Yotsuba, dico bene?” domandò Wedy, fumando distrattamente.
“Sì” annuì Elle “Ormai possiamo affermare, senza alcun dubbio, che esiste un legame fra Kira e la Yotsuba. Per prima cosa, dobbiamo indagare sull’azienda e chiarire chi e quanti di loro hanno il potere. Alla Yotsuba, non devono assolutamente accorgersi che stiamo investigando sul loro conto, e ricordate che, nell’esatto istante in cui verremo scoperti, non potremo più catturare Kira”.
“Chiaro” si strinse nelle spalle Ruri “A questo puro, direi che ci giochiamo il tutto per tutto”.
“Mi raccomando, non siate impazienti o frettolosi” disse infine Elle “E non prendete iniziative personali”.
In quel preciso istante, un altro segnale di chiamata da parte di Watari interruppe il discorso del detective.
“Ryuzaki…”.
“Che c’è, Watari?”.
“Matsuda mi ha appena inviato un segnale d’emergenza con la cintura”.
Elle assunse immediatamente un’espressione stizzita, socchiudendo gli occhi e alzando un sopracciglio: aveva tutta l’aria di sapere già che cosa ne sarebbe seguito.
“Da dove l’ha inviato?” domandò, trattenendosi dal sospirare pesantemente.
“Pare proprio…che provenga dall’interno della sede centrale della Yotsuba” dichiarò il suo mentore, a sua volta seccato.
“COSA?!?” sbottò Robin, con aria ansiosa “Ma cosa diamine gli è saltato in mente?”.
Ruri si portò una mano al volto, emettendo un gemito disperato.
“Non è possibile!!! Razza di deficiente!!”.
Neanche Robin la contraddisse, tanto la situazione risultava palese e decisamente compromettente; dal canto proprio, Ruri si avvicinò subito a Elle, rivolgendogli uno sguardo d’intesa.
“Giuro che questa volta lo prendo a sberle a due a due, finché non diventano dispari!” dichiarò Ruri, sedendosi e incrociando le braccia “Se per colpa sua l’operazione ci va a monte, potrei davvero mettergli le mani addosso”.
“Dimenticate quanto detto finora” sospirò Elle “Proverò a ideare un’altra strategia…”.
Dando di nuovo le spalle al computer, Elle assunse di nuovo un’espressione di sufficienza e di estrema irritazione.
“Quell’idiota di Matsuda…” commentò, a voce più bassa.
“Ci sarà pure un modo per tirarlo fuori di lì, no? Dobbiamo cercare di fare qualcosa” affermò Robin “Lo so che è stato…beh, lo sapete com’è Taro, no? Ma si potrà trovare un modo per aiutarlo”.
“Dobbiamo prima di tutto capire se è completamente solo con i membri della Yotsuba oppure se Misa è con lui. Sarà meglio chiamare sul suo cellulare, non mi fido di come potrebbe reagire Amane, e confido che Matsuda sappia almeno recitare un po’” dichiarò Elle, facendosi passare un cellulare da Soichiro “Vediamo che succede”.
Elle compose il numero di Matsuda e attese la risposta, che non tardò ad arrivare; dal modo rigido in cui il poliziotto aveva preso la telefonata e dal rimbombo di sottofondo, tutti i presenti dedussero che il ragazzo non era l’unico, in ascolto.
“Ehilà, Matsui!” lo salutò allegramente Ryuzaki, con il tono di un vecchio amico “Sono io, Asahi! Quanto tempo…”.
“Oh, Asahi!” lo salutò subito Matsuda, che fortunatamente aveva mangiato la foglia “È una vita che non ci sentiamo!”.
“Non mi sembra che tu sia fuori” proseguì Elle “Sei già tornato a casa?”.
“Sì”.
“E sei solo o con altra gente?” insistette il detective.
“Sì, sì, sono da solo. Che c’è?” chiese nervosamente Matsuda.
Elle allontanò per un momento il telefono dall’orecchio, rivolgendosi ai presenti.
“Amane non è con lui, adesso. Dice di essere da solo” sussurrò, prima di riprendere a parlare con Matsuda “Ti va se ci andiamo a bere qualcosa?”.
“Eh? Adesso? Mi dispiace, al momento non posso” replicò il suo interlocutore.
“Ma come, non dirmi che hai avuto un altro guaio con la banca?” gli suggerì Ryuzaki.
“Eh, sì! In effetti, ho avuto qualche problemino di recente, mi hai scoperto” rise lui, con naturalezza.
“Matsuda si è cacciato nei guai” mormorò Elle, prima di tornare a parlare con il poliziotto “Pazienza, vorrà dire che sarà per un’altra volta. Ciao!”.
Non appena ebbe riattaccato, tutti gli altri lo fissarono, in attesa che decidesse qualcosa; in quel momento, Light, che aveva cercato di contattare Misa fino a quell’istante, tornò verso di loro, rimettendo il cellulare in tasca.
“Il telefono di Misa è spento” disse il ragazzo “Per ogni evenienza, le ho lasciato un messaggio in segreteria telefonica, dicendole di richiamarmi”.
“Cosa pensi di fare, Ryuzaki?” domandò il sovrintendente.
“Vediamo…se ora Matsuda dovesse morire, avremmo conferma dei nostri sospetti verso la Yotsuba…” rifletté il detective.
“Ehi, che cosa?! Non vorrai usarlo come cavia per sperimentare il potere omicida di quei pazzoidi, vero?!” sbottò Robin.
“Certo che no. Per adesso, restiamo semplicemente a guardare. Dobbiamo capire com’è meglio procedere” replicò Elle, calmissimo.
Appena un quarto d’ora dopo, fu il cellulare di Light a interrompere la quiete e ad annunciare la chiamata di Misa.
“Misa” le rispose Light, ignorando subito le parole dolci che la ragazza prese a rivolgergli “Ascolta, Matsuda non è lì con te, vero?”.
Dopo una breve pausa, Light si volse verso il resto della squadra.
“Matsuda sta chiamando Misa in questo momento” disse subito.
“Di’ a Misa di far sentire anche a noi la conversazione” replicò Elle.
Nell’arco di un paio di secondi, il cellulare di Light iniziò a trasmettere ciò che Matsuda e Misa si stavano dicendo sull’altra linea telefonica.
“Misa-Misa, se hai finito le riprese, ti dispiace raggiungermi alla sede centrale del gruppo Yotsuba? Sai, c’è la possibilità che la Yotsuba ti prenda come testimonial. Sto trattando con loro” disse Matsuda, con tono professionale.
“Aaah!! Dici sul serio? Sei grande, Matsui! Allora, ti stavi dando da fare!”.
“Sì”.
“Darò il meglio di me, vedrai!”.
“Con il taxi, sarai qui in un attimo!”.
Appena la comunicazione fu chiusa, Elle tirò brevemente Light per la manica, attirando la sua attenzione.
“Ascolta, Yagami: esiste la possibilità di riuscire a salvare Matsuda, ma ci servirà la collaborazione di Misa. Se glielo chiedi tu, acconsentirà senz’altro, non è così?” disse, fissando il giovane negli occhi.
“Beh, sì…io credo di sì” annuì Light “Ma che cosa hai in mente, Ryuzaki?”.
“Dobbiamo trovare il modo di attirare qui i dirigenti della Yotsuba che, in questo momento, stanno tenendo d’occhio Matsuda. Non se lo lasceranno sfuggire facilmente, perciò, se vogliamo poter monitorare Matsuda, dovremo fare in modo che anche loro vengano da noi. L’edificio è provvisto di un ingresso secondario dotato di un sistema di sicurezza molto meno evidente: io e Watari lo avevamo previsto nel caso in cui il nostro quartier generale fosse dovuto risultare come un semplice condominio diviso in appartamenti. Attireremo i sospetti nell’appartamento di Misa, ma ci servirà un diversivo che li tenga occupati mentre noi parliamo con Matsuda” disse Elle, alzandosi in piedi.
“E c’è un solo modo per tenere occupato un gruppo di uomini in carriera votati alla ricerca del denaro, del successo e del potere” affermò Ayber, con un sorrisetto malizioso.
“Le modelle” dichiarò Ruri, alzando gli occhi al cielo.
“Proprio così. Robin, occupati di avvisare la Yoshida Production di mandarci ciò di cui abbiamo bisogno. Light, chiama Misa e dille che la festa di stasera è confermata: diamo inizio allo spettacolo” dichiarò Elle.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: Eeheheh, ma quanto abbiamo fatto schifo, stavolta? PEGGIO DEL SOLITO!! Lo so, lo so…allora, che cosa ne pensate? Eh, lo so, di male in peggio, ma purtroppo il cervello e le capacità sono quello che sono : (( Pensavo di concludere il capitolo con la fine dell’episodio 19, ma volevo postare il capitolo oggi, e non ho resistito :D E poi, dovete ammettere che ne sono successe, di cose ; ) Un piccolo accenno alla ninna-nanna di Robin: come vi sarete accorti, non è altro che ‘I see the light’, colonna sonora di ‘Tangled: Rapunzel’, meglio conosciuto in Italia come ‘Rapunzel: L’Intreccio della Torre’. Lo so, non sembravo così sdolcinata a prima vista, vero? Ovviamente, non avrei affibbiato una canzone simile a Ruri e ad Elle (stiamo pur sempre parlando di loro XD), ma ho immaginato bene la scena di Ruri che canta qualcosa a Robin per farla addormentare, volevo che questo lasciasse trasparire la vera e propria tenerezza che la nostra profiler prova per l’amica, nonostante il carattere spinoso, all’apparenza :D Ah, e prima che me lo chiediate…no, seriamente, Ayber e Ruri sono amici sul serio E BASTA. Niente triangolo amoroso XD Che altro posso dire, chiedetemi tutti i chiarimenti che volete e ovviamente ringrazio come sempre in modo infinito sia SelflessGuard che Ell3, i miei fantastici recensori e lettori, per aver commentato come sempre il capitolo 21 :D Grazie mille anche a Lilian Potter in Malfoy per aver inserito la storia fra le preferite, e grazie a Celaena Sardothien per aver inserito la storia fra le seguite, spero tanto che anche voi vorrete commentare questa…ehm…questa roba XD Ok, prometto che farò il possibile per aggiornare presto con il prossimo capitolo :D Un bacione grosso a tutti e a prestissimo, Victoria 

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Capitolo 23
*** Fear of the Dark ***


Capitolo 23- Fear of the dark
 
Nell’arco di un’ora, Robin e Misa erano già riuscite a mettere in moto l’operazione, e una decina di ragazze incredibilmente attraenti, che come Misa lavoravano come modelle per la Yoshida Production, erano già giunte al quartier generale, credendolo un banalissimo condominio come molti altri; in poco tempo, otto componenti del gruppo industriale fecero il loro ingresso nell’appartamento di Misa, sorvegliato a vista dalle telecamere di Elle.
“Buonasera!” esclamarono le giovani donne in coro, tutte sorridenti “Speriamo di farvi divertire!”.
“Per questa sera, tutte le ragazze della nostra agenzia sono a vostra disposizione!” dichiarò Misa, sorridendo a sua volta “Accomodatevi e rilassatevi, signori! Godetevi la festa”.
“Non vi pare che questa storia stia prendendo una strana piega…?” domandò uno degli industriali, con aria perplessa.
“Che altro possiamo fare?” replicò un altro “Al momento, non possiamo perdere di vista questo manager” concluse, accennando a Matsuda, che fino a quel momento non aveva fatto che sorridere.
“Già che ci siamo, io ne approfitto”.
Ad uno ad uno, tutti i consiglieri si sedettero sui divani della stanza, prendendo da bere e iniziando ad amoreggiare con le ragazze presenti; nel giro di poco tempo, l’atmosfera nell’appartamento divenne decisamente allegra.
“Facciamo un brindisi a questo Paradiso!”.
“Beh, devo dire che voi ragazze ci sapete proprio fare…lo avrei detto di te, Robin, ma non pensavo che Misa potesse rivelarsi così efficiente” decretò Ryuzaki, per poi volgersi verso Ruri “Che mi dici di questi otto? Li conosci?”.
“Tutti quanti” annuì Ruri “Sono i pezzi grossi dell’azienda, anche se di recente un paio di loro hanno subito un demansionamento. Quelli sulla destra sono Eichi Takahashi, Takeshi Ooi, Shingo Midou, Arayoshi Hatori e Suguru Shimura. Il tizio che sta bevendo come se non ci fosse un domani è Masahiko Kida, lo stesso che ha cercato di contattare Erald Coil. L’unico in piedi è Reiji Namikawa: direi che è l’unico con un po’ di buon senso in tutto il consiglio d’amministrazione, ma non è molto migliore degli altri”.
“E il tipo che sta sbavando addosso a Misa?” insistette Ryuzaki, accennando al monitor.
“Il mio vecchio amico per eccellenza” dichiarò Ruri, con un sorrisetto ironico “Kyosuke Higuchi. La sua fedina penale è lunga come un elenco telefonico, ma per le autorità giapponesi risulta incensurato. Il governo gli doveva un paio di favori, e qualche sua vecchia conoscenza ha fatto il resto. Se c’è qualcuno da cui dobbiamo guardarci le spalle in particolare, direi che è senza dubbio lui”.
“Capisco” commentò Elle, senza staccare gli occhi dallo schermo.
In quel momento, Matsuda bevve un sorso di birra e poi si diresse verso la porta che conduceva in bagno, cercando di non dare nell’occhio.
Non appena fu nella stanza, il giovane estrasse fulmineamente il telefono e chiamò all’istante Elle, che rispose subito dopo.
“Ryuzaki, riesci a vedermi?!” chiese l’agente, in tono concitato.
“Sì…” replicò Elle, cercando di celare la sua irritazione.
“Devi scusarmi, ma io…”.
“Lasci stare, non importa” lo liquidò brevemente Elle.
“Ok, quegli otto erano in sala riunioni, e stavano discutendo su chi far uccidere da Kira!” annunciò Matsuda, parlando molto velocemente.
“Cosa?!” esclamò Light.
“L’ho sentito con le mie orecchie!” insistette Matsuda “Sono loro, non c’è alcun dubbio”.
“Ne è veramente sicuro?” chiese Elle “Certo che, se li ha sentiti dire una cosa del genere, allora è probabile che ora vogliano farla fuori…”.
“Effettivamente…” sospirò Matsuda “Allora…non c’è alcun modo per salvarmi?”.
“Dal momento che fortunatamente è ancora vivo, forse un modo c’è…” disse Elle, riflettendo con attenzione “Per questo…lei dovrà morire prima che siano loro ad ucciderla”.
Matsuda ebbe un sobbalzo, impallidendo improvvisamente.
“Apra bene le orecchie e mi ascolti, adesso. Non appena avrà chiuso la telefonata, torni nell’altra stanza e finga di essere ubriaco: dovrà uscire sul balcone dell’appartamento e iniziare a mettersi in equilibrio sul cornicione, fingendo la massima indifferenza: tutti dovranno credere che lei non sia realmente in sé. Alla prima occasione utile, lasci la presa e si lasci cadere di sotto” proseguì Elle, mentre sia Robin che Matsuda strabuzzavano gli occhi.
“Che…che cosa?! Ma, Ryuzaki…è…è una follia!”.
“Si calmi. Ho tutto sotto controllo. Lei pensi a fare come le ho detto, e stia pur certo che non morirà; troverà un materasso ad attenderla sul balcone inferiore, e noi ci occuperemo di fare in modo che la Yotsuba pensi che lei sia realmente morto. In questo modo, non tenteranno più di nuocerle, dato che non la considereranno ulteriormente un pericolo per i loro affari. Adesso esca dal bagno e faccia quello che le ho detto. Ci vediamo dopo”.
Ryuzaki chiuse la comunicazione senza aggiungere una parola e si alzò in piedi, perfettamente tranquillo.
“Ryuzaki, ehm…” gli si rivolse Robin, timorosa “Tu sei sicuro di questo piano, vero?”.
“Sta’ tranquilla, Robin, a Matsuda non succederà niente. Ad ogni modo, faremo tutti meglio ad andare ai nostri posti: Wedy, scendi in strada ed entra nel personaggio. Robin, sovrintendente, posizionatevi sul balcone sottostante l’appartamento di Misa e fate in modo che Matsuda atterri su qualcosa di morbido. Light, Ruri, con me: dobbiamo fare in modo che sul posto arrivi la nostra ambulanza prima che ne mandino una vera. E lei, Ayber…indossi questa” concluse, porgendo una parrucca nera al truffatore.
“Per fare che?” domandò Ayber, stranito “Vuoi che mi sdrai in strada e che mi metta a fare il cadavere al posto di Matsuda?”.
“Precisamente” ribatté Elle, lasciandolo di sasso “Andiamo, adesso: non c’è un minuto da perdere”.
 
Il piano di Elle funzionò alla perfezione: mentre caricavano il finto cadavere sull’ambulanza, sia Ruri che Ryuzaki li udirono commentare silenziosamente la morte del manager, a cui accompagnarono una malcelata soddisfazione, prima di andarsene nel modo più discreto possibile. Una settimana dopo l’episodio, Elle decise che era il momento di fare un altro passo avanti, e diede così disposizioni ad Ayber affinché contattasse la Yotsuba nelle vesti del secondo miglior detective al mondo.
Perfettamente nel suo elemento, Ayber celebrò la cosa effettuando la chiamata direttamente dal suo ufficio, sorseggiando un po’ di champagne e accavallando con naturalezza le gambe sulla scrivania: mentre avviava la telefonata, scorse Ruri entrare nella stanza, e poté notare che la ragazza gli aveva rivolto uno sguardo d’intesa e che gli aveva sorriso brevemente, andandosi a sedere di fronte a lui con la massima solerzia.
“Pronto?” udì a un tratto Ayber dall’altro capo del telefono.
“Parlo con Masahiko Kida, direttore dell’Ufficio Diritti della sede centrale di Tokyo della Yotsuba?” domandò Ayber, con estrema naturalezza.
“Sì, chi parla?” replicò l’altro.
“Sono Erald Coil; la sto chiamando per comunicarle quali sono le mie condizioni. Ho intenzione di accettare il caso che mi avete proposto, ma vi avviso che la parcella è piuttosto salata”.
“La sto ascoltando, Mr Coil” gli assicurò l’industriale.
“Voglio due milioni di dollari d’anticipo, e altri otto in caso di riuscita. Ah, tanto per essere chiari, la mia caparra vale anche nel caso in cui doveste rifiutare la mia offerta. Non vorrà che mi ritrovi a parlare delle vostre richieste e dei vostri interessi con le persone sbagliate…sa, anche le forze di polizia potrebbero farmi offerte interessanti che sono certo non sarei nella posizione di rifiutare…”.
“Mi sta prendendo in giro?!” sbottò Kida, con tono indignato “Dieci milioni di dollari?! È pazzesco!”.
“Intanto, parliamo del mio anticipo. Sottoponga la questione ai suoi colleghi e mi faccia risapere cos’avete deciso. Mi è sembrato di capire che sa come contattarmi, quando ne ha davvero bisogno. Ma si ricordi che il mio tempo non è illimitato. Avete tre giorni per decidere. A presto”.
Ayber riattaccò il telefono, incrociando le braccia dietro la nuca e ammiccando alla ragazza.
“Ciao, principessa. Sentivi già la mia mancanza?” le si rivolse.
“Ti ho portato qualcosa d’interessante: il dossier più recente sui reati fiscali commessi dal gruppo Yotsuba” dichiarò Ruri, allungandogli i documenti che teneva in mano “Contiene alcuni nomi dei loro principali avversari sul mercato finanziario: alcuni sono deceduti nelle ultime settimane, altri no. In sostanza, è probabile che diventino le loro prossime vittime”.
“Beh, questa roba devi farla vedere al tuo ragazzo, non a me. Lo sai che io mi occupo soltanto delle pubbliche relazioni” ridacchiò Ayber, lanciando a malapena un’occhiata alle fotografie che aveva sottomano.
“È così che le chiami? Le ‘pubbliche relazioni’?” rise Ruri, scuotendo il capo “Ad ogni modo, Ryuzaki vuole che tutti siano informati al meglio su tutto ciò che riguarda il caso: e poi, dovrai pure farti un’idea della concorrenza dei tuoi nuovi clienti. Il miglior modo per trovare il punto debole del tuo nemico è quello di conoscerlo come se fosse il tuo migliore amico”.
“Questa è bella! Chi ti ha raccontato queste stronzate?” le chiese Ayber, alzando un sopracciglio.
“Tu! A Quantico…te lo ricordi?” ribatté Ruri, con un altro sorriso.
“Sì, me lo ricordo” sorrise mestamente Ayber, scuotendo la testa.
“Allora, ti piace l’ufficio?” proseguì Ruri, dando un’occhiata al bell’ambiente, dotato di un comodo divano, di una spaziosa libreria, di un acquario colmo di pesci tropicali e di una splendida vista sui quartieri più lussuosi di Tokyo.
“Eccome. Il tuo fidanzato non è un tipo che bada a spese, eh?”.
“Puoi anche chiamarlo ‘Ryuzaki’ o ‘Elle’” lo rimbeccò Ruri, incrociando le braccia.
“Agli ordini, principessa” rise ancora Ayber, alzandosi in piedi insieme a lei.
“Ad ogni modo, stasera saremo in grado di monitorare meglio i nostri nuovi amici e apprenderemo la loro risposta in diretta, ma qualcosa mi dice già che sarà sicuramente positiva. Hanno tutto da perdere dal rifiutare la tua offerta” dichiarò Ruri.
Ayber fece per rispondere, ma qualcosa lo interruppe di colpo: Ruri, infatti, aveva appena avuto un improvviso capogiro, ed era stata costretta ad appoggiarsi velocemente alla scrivania per non cadere a terra.
“Ehi, ehi, ehi” disse subito il biondo, precipitandosi al suo fianco e posandole una mano sulla spalla “Tutto bene?”.
“Sì, certo” annuì Ruri, con un sorriso più stiracchiato del solito “Devo solo…beh, devo stare attenta ai miei orari” spiegò, estraendo dalla tasca alcune pillole.
Mentre le ingoiava con un sorso d’acqua, Ayber continuò a scrutarla preoccupato, senza riuscire a staccare lo sguardo da lei.
“Mi avevi detto di stare meglio” le disse alla fine, a voce più bassa.
“Ed è così” lo rassicurò Ruri, con un altro sorriso “Sto bene, Ayber, davvero. Il nuovo trapianto cardiaco ha fatto miracoli: ho potuto ridurre la dose di farmaci e mi sento davvero molto meglio. E poi, Robin mi tiene regolarmente d’occhio e non mi fa sgarrare di un solo passo. Non c’è niente di cui preoccuparsi”.
“E allora perché stavi per svenire?” insistette Ayber, alzando un sopracciglio.
“Sei il solito melodrammatico” dichiarò Ruri, roteando gli occhi “Senti, non è niente, va bene? È che oggi non ho mangiato moltissimo, e devo aver avuto un calo di zuccheri. Inoltre, a volte non dormo come dovrei…il caso mi sta sballando qualsiasi ritmo, e non è semplice gestire tutto quanto”.
Ayber le rivolse un altro sguardo intenso, incerto se proseguire o meno.
“…è colpa degli incubi?” le domandò infine.
Ruri ricambiò l’occhiata, rimanendo in silenzio per qualche minuto: oltre a Robin, Ayber era l’unica persona al mondo ad aver saputo del suo trapianto cardiaco per sua diretta volontà. Era arrivata a confessarglielo dopo che lui l’aveva sorpresa in preda a uno dei suoi incubi, ma solo dopo che anche il suo stesso amico si era dimostrato propenso a rivelarle parte della sua vita e a dimostrarle che poteva fidarsi di lui; era stato così che aveva saputo dell’infanzia del biondo, non problematica come la sua, ma comunque certo non rosea…che aveva finito per concludersi tragicamente con la scomparsa di una delle persone che più gli stavano a cuore.
“No, non è come pensi. Non ne ho più così tanti come prima” affermò Ruri, passandosi una mano dietro il collo “Da quando io ed Elle…beh, è diverso. Sto davvero bene, Ayber, sul serio”.
Ayber annuì lentamente, ma prima che potesse voltarsi, avvertì la mano di Ruri stringersi intorno al suo braccio, portandolo così a guardarla di nuovo.
“Ehi, senti…hai chiamato Giselle?” gli chiese Ruri, con un altro piccolo sorriso.
Ayber si passò una mano fra i capelli biondi, l’espressione improvvisamente triste.
“Sì, ieri sera. Abbiamo litigato di nuovo”.
“È per questo che ti ho sentito sbraitare per una buona mezz’ora?” sospirò Ruri.
“Sei perspicace” commentò Ayber, per la prima volta con un po’ d’amarezza “Senti, non mi va di parlarne, va bene? Neanche io sto dormendo molto bene, in questi giorni, e la cosa mi rende ancora più nervoso…”.
“Sì, lo so. M’intendo d’incubi meglio di chiunque altro, ormai dovresti saperlo. Stai sognando di nuovo Jane, non è vero?”.
Quella domanda lo irrigidì di colpo, convincendolo a dare le spalle a Ruri e ad appoggiarsi appena alla parete, chiudendo lentamente gli occhi.
“Ruri…lo sai che non voglio parlare di Jane” sussurrò appena, cercando di controllare il suo tono di voce, appena tremante.
“Lo so; ma sono qui, se dovessi averne bisogno. Sai che…ecco, sai che so come ci si sente” disse Ruri, stringendosi appena nelle spalle.
“Sì, sì…lo so” ammise Ayber, sforzandosi di ricambiare il suo sorriso “È solo che non…non penso di essere pronto”.
Abbassando gli occhi, Ruri ricordò della prima volta in cui Ayber le aveva parlato del modo in cui era morta sua sorella, e di quanto si fosse sentita ancor più vicina a lui di quanto non avrebbe mai immaginato.
Era successo quando Ayber aveva appena tredici anni, in una giornata estiva come tante altre: era stato quasi banale. Mentre si accingeva ad andare a comprare un gelato per la sorella minore, lei gli aveva lasciato la mano di colpo e si era messa a correre in mezzo alla strada, dove un pirata della strada l’aveva letteralmente travolta con il suo BMW.
Era morta sul colpo.
Sapeva che Ayber, da quel preciso giorno, aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai più vissuto un’esperienza del genere in vita sua, e che si sarebbe lasciato morire, piuttosto che assistere alla fine di una persona che amava: non si era mai perdonato per aver lasciato andare quella piccola mano, in un momento di mera distrazione.
Ruri gli batté una pacca affettuosa sul braccio e si avviò verso l’uscita, quando la voce di Ayber la chiamò di nuovo indietro.
“Il tuo ragazzo sa di essere fortunato, vero? Non dovrò ritrovarmi a doverglielo spiegare a calci, giusto?” le domandò, sorridendo ancora una volta.
Ruri scosse la testa senza rispondergli, per poi annullare la loro distanza e stringerlo in un abbraccio forte, che il biondo ricambiò subito.
“Andrà bene, Ayber. Sai che andrà bene” gli mormorò.
“Beh, se lo dici tu, non posso che crederci. Grazie, principessa” le disse, avviandosi poi fuori dalla stanza insieme a lei.
 
Qualche ora dopo, l’intero quartier generale si connetté in diretta telefonica con Wedy, per ascoltare le sue ultime novità sul sistema di sorveglianza che Elle le aveva chiesto d’installare nei locali della Yotsuba.
“Elle, mi senti?” domandò la donna, con il suo solito tono annoiato “Non sai che delusione: il sistema di sicurezza di questo posto fa assolutamente schifo. Hanno assunto appena qualche guardiano; non ci sono neanche rilevatori per le intercettazioni!”.
“È passata soltanto una settimana da quando mi sono infiltrato” disse Matsuda, fissando il monitor con emozione “E guarda che roba! Le cose stanno andando a gonfie vele!”.
Sullo schermo, apparvero immediatamente le immagini trasmesse dalle telecamere installate da Wedy: ritraevano una grande sala circolare, dov’era stato predisposto un tavolo della stessa forma, intorno a cui si ergevano otto poltrone girevoli da ufficio, dall’aspetto costoso ed elegante. Sette di esse erano occupate.
“Eccellente…” commentò Light.
“Una di queste persone è sicuramente…Kira” dichiarò Elle, mettendo in bocca un grosso cioccolatino.
“Bene, ha inizio la riunione ordinaria” affermò Ooi, sfogliando alcuni documenti.
“Ma…non sono in otto!” fece notare a un tratto Soichiro “Sono in sette”.
“Beh, ci hanno messo poco” disse Ruri, incrociando le braccia “Qualcuno si è già fatto prendere dal panico?”.
“Se sono solo in sette…significa che l’ottavo…” iniziò con lentezza Light.
“…l’hanno già fatto fuori” completò Elle, atono.
“Per favorire un’ulteriore ascesa della Yotsuba, chi dobbiamo uccidere?” proseguì Ooi, scatenando reazioni esterrefatte in tutto il quartier generale.
“Sentito?!” esclamò Matsuda “Proprio come avevo detto io!”.
Ryuzaki assunse un’espressione cupa e non commentò, concentrandosi sulle riprese delle telecamere.
“Prima, però, ci sono diversi punti su cui dovremmo discutere, cominciando subito dalla morte di Hatori” disse ancora Ooi.
“Non c’era altra scelta, non vi pare?” s’intromise Namigawa, con la massima naturalezza “Francamente, grazie alla morte di Hatori, ora…mi sento più sollevato. Kira ci ha mostrato chiaramente cosa succede a chi tenta di tirarsi indietro”.
“Credo che, a questo punto, tutti voi abbiate afferrato il significato della morte di Hatori. Tenetelo bene a mente” ne convenne Ooi, del tutto indifferente alla cosa “E ora, passiamo al rapporto di Erald Coil”.
“Un loro compagno muore e liquidano la faccenda in questo modo?” disse il sovrintendente, disgustato “Non c’è limite alla malvagità di questi individui…”.
Dopo una breve pausa, fu Higuchi a riprendere la parola.
“Abbiamo sborsato cinque milioni di dollari per questa roba?” sbottò, gettando sul tavolo le carte che stava esaminando fino a quel momento “Che ne è delle informazioni che contano veramente, quelle riguardanti il suo aspetto o il suo nome? Siamo proprio sicuri che questo Coil ci sarà utile?”.
“Bisogna aspettare” lo redarguì Ooi “Alla fine del rapporto, Coil ci avverte anche di non sottovalutare Elle, perché, se alla Yotsuba continuiamo a provocare morti vantaggiose con questo ritmo, in particolare ogni venerdì e sabato, Elle potrebbe benissimo accorgersi che qui c’è lo zampino di Kira”.
Midou assunse un’espressione diffidente e prese la parola.
“Se Coil ha perfettamente capito quello che stiamo facendo, significa che è davvero in gamba. Per ora, iniziamo con l’evitare di uccidere solo nei finesettimana”.
“Fantastico!” disse Matsuda “Possiamo definirla una confessione in piena regola”.
“Già…” ne convenne Soichiro “Questa registrazione dovrebbe essere più che sufficiente per arrestarli tutti”.
“Purtroppo, Kira non è molto disponibile” dichiarò Higuchi, accavallando le gambe e allargando le braccia “Altrimenti, basterebbe che uccidesse nell’arco della settimana”.
“Se Coil se n’è accorto, credo che sarà rischioso continuare a questo ritmo” replicò Midou “Quindi, d’ora in avanti dobbiamo stare ancora più attenti a non farci scoprire da nessuno”.
“Veniamo al dunque” riprese la parola Ooi “Chi uccidiamo?”.
“Bisogna impedire a tutti i costi che la Elfe Assicurazioni entri nel mercato giapponese, altrimenti tutte le ditte, Yotsuba compresa, perderanno i clienti”.
“Giusto!”.
“Allora, siete tutti d’accordo a far morire questo tizio della Elfe tramite incidente?”.
“Siamo d’accordo”.
“Ma com’è possibile?! Non può essere così facile!” sbottò Light.
Dal canto proprio, Elle cominciò a versare del cioccolato fuso sulla sua ciotola di zollette di zucchero, decorata da qualche ciliegia caramellata, l’espressione molto assorta.
“Quindi, è così? Gli basta decidere il modo in cui morirà la vittima e la data in cui ciò dovrà succedere, e le cose vanno semplicemente come vogliono? Mi piacerebbe proprio capire come diamine fanno a uccidere…” affermò Ruri, tormentandosi il labbro inferiore.
“Il quadro è fin troppo chiaro” annuì Light “A questo punto, direi che non ci sono più dubbi”.
“Spiacente” lo contraddisse Ryuzaki, mescolando lentamente il suo zucchero al cioccolato “Ma l’autenticità dei fatti…la potremo stabilire soltanto quando sarà morta la prima delle vittime. Se osserviamo attentamente il comportamento e i discorsi di queste sette persone, a partire dai loro incontri, fino all’esatto momento della morte delle vittime designate…” disse lentamente, tenendo in equilibrio numerose zollette sul suo cucchiaino “…riusciremo a catturare sicuramente Kira”.
“Ryuzaki!!” sbottarono Light e Soichiro, all’unisono.
“Che c’è?” domandò Ryuzaki, sospirando pesantemente “Si può sapere perché mi chiamate in coro?”.
“Un metodo simile è inaccettabile, non lo approviamo!” disse subito Light, indignato “È assolutamente immorale!”.
“Già”.
“Beh, però sarebbe il sistema più rapido” ammise Ruri, stringendosi nelle spalle.
“Ma stai scherzando?” rincarò la dose Robin, strabuzzando gli occhi “Significherebbe usare degli esseri umani come cavie!”.
“Sì, lo so. Ma si rivelerebbe la nostra occasione migliore per renderci conto di persona del modo in cui uccidono: un serial killer deve pur fare qualcosa, o mostrare un segno di qualche tipo, prima di compiere un omicidio. Finalmente verremmo a conoscenza del modus operandi” constatò Ruri, con tranquillità “In fondo, ci stiamo giocando il tutto per tutto, no?”.
“Ma non possiamo permettergli di uccidere ancora” affermò Soichiro “Ormai non ci sono dubbi che siano loro, gli assassini. Ci basterà soltanto presentare la testimonianza di Matsuda e queste immagini per provarlo”.
“C’è un problema” ribatté Elle, posando la ciotola ormai vuota “Se noi li arrestassimo adesso, rovineremmo tutte le nostre indagini.
“Bene” riprese a un tratto Ooi, destando la loro attenzione “Che ne dite se chiediamo a Kira di sistemare il tizio della Elfe fra tre settimane, e Zenzai questo weekend?”.
“Vogliono ucciderlo questo finesettimana! Non c’è più tempo!” sbottò Soichiro “Light, sei già riuscito a trovare i loro numeri di cellulare?”.
“Sì!” rispose suo figlio, passandogli subito una lista.
“Ne chiamo uno a caso” disse il sovrintendente, facendo per estrarre il cellulare dalla tasca “A questo punto, non ci resta che telefonare a uno qualsiasi e fermarli”.
“Aspetti, la prego” lo bloccò Elle, versandosi dell’altro caffè “Non chiami nessuno: fra tre giorni, Ayber li contatterà. Potrebbero insospettirsi e pensare che sia implicato nelle indagini. Ma soprattutto c’è…la possibilità che, così facendo, non riusciremo a scoprire l’identità di Kira, ritrovandoci al punto di partenza dopo tutta la strada fatta”, concluse, prima di portare la tazza alle labbra “Se vogliamo catturare Kira, ci serve una prova della sua identità”.
Dopo un breve silenzio, Light tornò a rivolgerglisi, con la massima determinazione.
“Ascolta, supponiamo che Kira sia fra quei sette. Se provassi a telefonare a uno di loro, avrei almeno una possibilità su sette di fare centro…dico bene, Ryuzaki?”.
“Se vuoi il mio parere, credo che addirittura potrebbero anche essere due su sette” ribatté Ryuzaki.
“Se siamo indecisi a informarli che stiamo indagando sul loro conto” proseguì il ragazzo “Allora, perché non proviamo a chiamarli? Prenderò in prestito il tuo nome; stando a quanto abbiamo ascoltato finora, l’unico che ha dimostrato una certa influenza, ma che non sembra essere Kira è…”.
“Namikawa” conclusero in coro Ruri, Elle e Light.
“Potrebbe essere una buona scelta” approvò Ruri, passandosi una mano sotto il mento “In effetti, là dentro rimane l’elemento più ragionevole”.
“Se devi chiamarlo, usa questo telefono” disse il detective, accennando al dispositivo posto vicino al suo computer “È a prova d’intercettazione”.
Dopo appena qualche squillo, Namikawa estrasse il telefono dalla tasca e accettò la chiamata.
“Pronto?”.
“Parlo con Reiji Namikawa, del gruppo Yotsuba?” domandò Light.
“Sì, sono io. Chi parla?”.
“Mi ascolti senza dare nell’occhio. Io sono Elle”.
Il ragazzo fece una breve pausa, osservando l’imprenditore sgranare brevemente gli occhi.
“In quella sala riunioni sono state installate delle telecamere e delle cimici, e il vostro incontro è stato registrato. L’argomento iniziale riguardava la morte del signor Hatori, mentre il resto della discussione verteva su chi altro uccidere, dico bene?”.
Namikawa rimase impassibile all’altro capo del telefono, in attesa del seguito.
“Se lei non è Kira, o l’individuo che tiene i contatti con lui, allora le faccio una proposta: ascolti attentamente. Voglio che rimandiate di un mese l’omicidio dell’uomo della Elfe, il signor Zenzai. Non credo che sia difficile, per uno come lei”.
“No…credo di no” replicò Namikawa, sforzandosi di avere un tono di voce normale.
“Se lo farà e iniziare a collaborare con noi, la riterremo una vittima di Kira, e non verrà incriminato per aver partecipato a queste riunioni. Anzi, lo stesso varrà per tutti gli altri membri…eccetto Kira, ovviamente”.
“Capisco…d’accordo”.
Ruri strinse un pugno in segno di vittoria, rivolgendo uno sguardo compiaciuto a Light: ci sapeva pur fare, doveva ammetterlo.
“Se parlerà di questa telefonata ai suoi soci, si scatenerà il panico. Lei perderà i suoi vantaggi, e verrete tutti quanti arrestati. Il mio unico obiettivo è confrontarmi da solo con Kira, lo capisce? Se lo sconfiggerò, voi sarete assolti. Mentre, se a vincere sarà Kira, continuerete a condurre una vita agiata. In ogni caso, lei non deve fare altro che stare a guardare, tutto qua. Lei ci guadagnerà ugualmente, sia che vinca uno sia che vinca l’altro: perderebbe tutto solo se venisse arrestato adesso”.
Dal monitor di sorveglianza, gli occhi di Ruri riuscirono a scorgere un sorriso soddisfatto comparire lievemente sulle labbra eleganti di Namikawa.
“Allora, a presto” si congedò Light.
“D’accordo, ci vediamo lunedì” disse Namikawa, riattaccando con nonchalance.
“Che succede, Namikawa? Chi era al telefono?” gli domandò Ooi.
“Era…un mio dipendente. Ha combinato un pasticcio, lunedì lo risolverò. Scusate l’interruzione, possiamo riprendere con il discorso, adesso. Si parlava di quando uccidere quel tizio della Elfe, il signor Zenzai, se non sbaglio: ho una proposta diversa. Lasciamo un mese di tempo a Coil; se entro questo periodo non avrà ancora trovato Elle, vuol dire che non ci sarà niente da fare, e allora continueremo a uccidere in date scelte a caso. Di volta in volta, gli concederemo un altro mese, finché non avremo ucciso Elle. Poi riprenderemo ad eliminare due o tre persone ogni quindici giorni”.
“Giusto” annuì Midou “Ma prima troviamo Elle, affinché non ci metta i bastoni fra le ruote. Fino ad allora, sarà meglio essere cauti”.
“Sì, mi sembra una buona idea” approvò Ooi.
“In effetti, sarà meglio andarci con i piedi di piombo” ne convenne anche Higuchi.
“Allora è deciso: lasceremo un mese a Coil”.
“D’accordo”.
“Le riunioni avranno comunque luogo ogni settimana. È tutto”.
“È andata bene” constatò Elle “Devo ammettere che sei proprio in gamba, Light: non solo li hai convinti a rimandare gli omicidi, ma in questo modo potremo ottenere informazioni da Namikawa. E soprattutto, hai fatto quel che avrei fatto io…pensandoci prima di me, però”.
Elle riprese a tormentarsi lievemente il labbro inferiore con il pollice, lo sguardo ancora fisso sul monitor.
“A questo punto…” iniziò lentamente “Se le cose stanno davvero così, anche se io morissi, potresti ereditare tu il nome di Elle”.
Di fronte a quelle parole, gli sguardi dei membri del quartier generale guizzarono istantaneamente da Ryuzaki a Light, per poi posarsi su Ruri, che, dal canto proprio, osservava la scena impassibile, l’attenzione concentrata in particolar modo su Light.
“Non dirlo neanche per scherzo, Ryuzaki!” esclamò Light “Abbiamo un mese per scoprire l’identità di Kira e trovare delle prove che dimostrino la sua appartenenza alla Yotsuba: la vera sfida inizia adesso”.
“Sì” replicò Elle “Ma sei stato tu il primo a capire che si trattava della Yotsuba, quindi chissà…forse potremo anche dire che sei più in gamba di me. Immagino che potresti succedermi nel mio incarico; se io dovessi morire…ti andrebbe di farlo?”.
“Ma…ma credevamo che avessi pensato a Ruri, per questa evenie-…” iniziò Matsuda, subito zittito da una gomitata della profiler.
Dal canto proprio, Ruri sorrise al ragazzo con noncuranza.
“Beh, Ryuzaki non ha tutti i torti, Light. Sei stato veramente in gamba, questo dovrebbe riconoscertelo chiunque. Dopotutto, in passato io stessa ho avuto a che fare con l’intero consiglio d’amministrazione contro cui ci stiamo muovendo, ma non ho certo avuto la tua prontezza di ragionamento sulla prossima azione da compiere nei loro riguardi. Ho sempre pensato che fossi incredibilmente intelligente e che avessi del talento. Dovresti prendere in considerazione l’offerta di Ryuzaki” gli disse, senza smettere di sorridere.
In quel preciso istante, Light fece guizzare lo sguardo dall’uno all’altra e capì ciò che gli altri non avevano ancora afferrato: prima di accingersi a rispondere, sospirò pesantemente e incrociò le braccia.
“Scusa, Ryuzaki, ma se non ti dispiace, adesso dirò qui davanti a tutti quello che ti passa per la testa. E quello che Ruri ha già capito prima di tutti quanti noi” iniziò Light “Ryuzaki sta seguendo due ipotesi, sull’eventualità che io sia Kira: la prima è che io stia fingendo di non essere Kira, la seconda è che io abbia potuto dimenticare di essere Kira dopo aver concesso il mio potere a qualcun altro. Nel primo caso, ovvero se stessi recitando, non potrei più togliermi queste manette…anzi, immagino che queste manette non potrei togliermele neanche se la mia non fosse tutta una recita. Ryuzaki e Ruri pensano ancora che fossi io il primo Kira, e che, anche se avessi ceduto il mio potere a qualcun altro, abbia già studiato il modo per riaverlo indietro. In poche parole, non sarei stato manovrato, ma addirittura sarei stato io stesso a escogitare tutto, perdendo il potere per mia volontà e riprendendomelo una volta che fossero svaniti i sospetti sul mio conto. Ryuzaki pensa che Light Yagami miri a diventare Kira dopo aver preso il posto di Elle”.
Ruri ed Elle si scambiarono un’altra occhiata, lasciando che Light continuasse a parlare.
“Ottenere lo stesso ruolo di Elle, e disporre liberamente della polizia, essendo in realtà Kira…sarebbe il massimo” concluse Light “È questo ciò di cui sarei capace? Insomma, vi sembro il tipo…da escogitare una cosa del genere?”.
“Sì” replicò Elle, senza voltarsi.
“Esattamente” ne convenne Ruri “In effetti, sei davvero formidabile: la tua analisi non ha mancato un punto”.
“Adesso, però, dovreste aver capito che non sto assolutamente recitando! Insomma, ormai dovreste conoscermi! O no?”.
“Dovremmo capire che non stai recitando solo perché non riveleresti a tutti il tuo piano?” ribatté Elle, con la massima calma “E se stessi recitando con l’obiettivo di prendere…il posto di Elle?”.
“Per quello che mi riguarda, ti confesso che una parte di me trova inconcepibile l’idea che tu possa essere Kira, mentre un’altra…trova inconcepibile che tu non lo sia. Ma forse, tutto è dovuto alla seconda ipotesi, secondo la quale avresti volontariamente perso i tuoi poteri, avendo calcolato di poterli riacquistare solo al momento opportuno, ossia in una circostanza in cui qualche dettaglio ti scagionerebbe su due piedi, e senza via di ritorno” disse Ruri, appoggiandosi appena alla parete.
“Beh, immagino che non ci sia modo per farvi cambiare idea” notò Light, infastidito “Ad ogni modo, l’unica cosa a cui dobbiamo pensare adesso è catturare Kira. Sono ammanettato, immagino che tu non abbia nulla in contrario” disse, rivolgendosi al detective.
“No, assolutamente” replicò Elle, tornando a dedicarsi alla sua tazza di caffè, che cominciò a riempire di zollette di zucchero con fare distratto “E inoltre, ci resta soltanto un mese di tempo”.
“Ryuzaki” gli si rivolse il sovrintendente, con aria determinata.
“Sì?”.
“Se prendessimo come prova la riunione di poco fa, e riuscissimo ad arrestarli tutti…riusciremmo a evitare le morti dei criminali” proseguì l’ex poliziotto.
“Spiacente” lo contraddisse Elle, asciutto “Non è detto che Kira sia uno di loro, potrebbero essere solo in contatto…e se Kira e la Yotsuba fossero in contatto, rischieremmo soltanto di ottenere la morte di quei sette. Se non siamo sicuri al 100% che Kira sia uno di loro, non ha senso arrestarli adesso; e poi, se anche fosse, al momento, sarebbe difficile stabilire chi di loro è Kira” concluse, leccando via un po’ di zucchero gli era rimasto sulla punta delle dita “Quindi, ritengo che sia ancora presto per trarre delle conclusioni”.
“Certo, lo so…che non possiamo affermare con certezza che Kira è uno di loro…ma è pur vero che, catturandoli, c’è la possibilità di fermare le morti dei criminali” ribatté Soichiro.
“Sì, Ryuzaki, mio padre ha ragione. Esiste anche questa possibilità” concordò Light.
“Ruri, sei insolitamente silenziosa” le si rivolse il detective, facendo voltare tutti gli altri verso di lei “Qual è la tua opinione? Sei d’accordo con il sovrintendente e con Light?”.
“Vuoi una risposta come agente dell’FBI e criminologa oppure come membro di questo quartier generale?” domandò Ruri, alzando un sopracciglio.
“Solo la risposta che darebbe Ruri Dakota alla mia domanda”.
“Ah beh, se stiamo parlando di Ruri Dakota…” sorrise appena la ragazza, prima di continuare “Personalmente, direi che ci siamo spinti troppo in là per avere rimorsi di coscienza, adesso. Abbiamo su un piatto d’argento un’ottima occasione per incastrarli definitivamente, ma farli arrestare in questo momento significherebbe bruciarcela in modo definitivo. Saranno anche dei megalomani, ma i membri del gruppo Yotsuba non sono un branco di idioti: Namikawa ve lo ha dimostrato. Comunque, penso che non dovremmo farci scrupoli sui mezzi per raggiungere il nostro obiettivo: Kira è troppo pericoloso, e va fermato. Quanto a come farlo…beh, basta che non siamo noi a ucciderlo. Sinceramente, non voglio che muoia con un colpo di proiettile in testa; un’impiccagione sarà molto più soddisfacente”.
“Quindi tu…tu credi che dovremmo lasciarli proseguire con le uccisioni…?” le domandò Soichiro, esterrefatto.
“No, dobbiamo solo procedere con più calma di quanto non stesse suggerendo lei, signor Yagami” lo corresse Ruri “Dovremmo studiare un piano d’azione: e ora che ci penso, credo che potremmo sfruttare il casino che ha combinato Matsuda a nostro vantaggio”.
“Eh? Come sarebbe?” esclamò Matsuda, frastornato.
“Dal momento che hai già capito quello che ho in mente, vieni con me, Ruri” le disse Elle, alzandosi in piedi e avviandosi verso le scale “Sentite” disse poi, tornando a rivolgersi a tutti i membri del quartier generale “Non ho intenzione di obbligarvi a sottoporvi ai miei metodi: siete liberi di dare la caccia a Kira a modo vostro, e di continuare a usare questa base a vostro piacimento. Sarà meglio indagare separatamente, altrimenti finiremmo per litigare fra di noi. Piuttosto che concentrarci sull’arresto di quei sette, la cosa più sensata da fare adesso è cercare di capire chi è l’assassino; finché non prenderemo Kira, questo caso non potrà dirsi risolto, e le vittime continueranno ad aumentare. In altre parole, dato che io sono contrario ad arrestarli, vi prego di assumervi la responsabilità di un tale atto” concluse, iniziando a salire i gradini.
“Ryuzaki, dove vai?!” esclamò Light, trascinato dietro di lui dal peso delle manette.
“Nell’appartamento di Misa” ribatté Elle “Scusami, Light, so che stai dalla parte di tuo padre, ma…vorrei che fossi dalla nostra, dal momento che non posso toglierti le manette”.
“Non preoccuparti, lo troverai comunque interessante” gli sorrise Ruri, battendogli una pacca sulla spalla.
 
Convincere Misa a recitare la sua parte nel piano non fu affatto difficile, anche grazie alla complicità di Ruri e al rapporto piacevole che le due avevano finito per instaurare: la ragazza accettò prontamente di sottoporsi al colloquio di lavoro con i dirigenti della Yotsuba, a cui anche Erald Coil venne invitato a partecipare, e ben presto entrò in contatto con ognuno di loro, complice la consapevolezza, da parte degli industriali, del periodo di prigionia di Misa a causa di Elle, in cui la bionda era stata interrogata dal detective a causa della possibilità che fosse il secondo Kira. Esattamente dieci giorni dopo la telefonata di Light a Namikawa, Misa tornò alla base trionfante, sfoggiando una registrazione telefonica in cui Kyosuke Higuchi affermava letteralmente di essere Kira e che, per dimostrarglielo, avrebbe cessato di uccidere per tre giorni; ma malgrado si stessero sempre più avvicinando al loro obiettivo, qualcosa del comportamento di Misa cominciò a non convincere Ruri.
Dal giorno in cui la Yotsuba l’aveva assunta, era come se fosse sempre pronta a guardarsi le spalle, e di quando in quando aveva preso a spiare sia lei che Elle con espressione ansiosa, quasi timorosa; quando aveva provato a chiederle se andasse tutto bene, la biondina le aveva rivolto un sorriso smagliante e aveva minimizzato la cosa, sostenendo che fosse solo un po’ di stanchezza, ma quella risposta continuava a non convincerla. Ad ogni modo, a parte ciò, Misa si era dimostrata molto utile in quell’operazione, e grazie a lei erano riusciti a isolare il loro bersaglio: tuttavia, lo stesso Elle sembrava più preoccupato che mai da quella circostanza.
Approfittando di un momento in cui Light si era allontanato di quanto le manette gli permettevano per parlare con Misa, Ruri si avvicinò al ragazzo, sedendoglisi accanto e abbassando drasticamente la voce.
“Beh, era fin troppo scontato che fosse Higuchi, non ti pare? Non so tu, ma non ho una splendida sensazione, al riguardo…” gli disse Ruri, sfiorandogli appena il braccio.
Elle bevve un lungo sorso di caffè, prima di risponderle.
“Se gli omicidi si fermeranno” iniziò poi “Allora non ci sarà più alcun dubbio sul fatto che il potere di Kira è in mano a Higuchi…però, sebbene sospettassimo che Misa Amane avrebbe fatto tutto il possibile pur di aiutare Light, non credevo che sarebbe arrivata a tanto. Se si fermeranno anche gli omicidi dei criminali, diventerà più complicato vedere come Kira uccide…devo farmi venire in mente qualcosa…”.
“Forse dobbiamo semplicemente usare una strategia adottata in precedenza” gli consigliò Ruri, rubandogli un pasticcino al cioccolato di sotto al naso.
Elle si voltò a fissarla con sguardo penetrante, intuendo subito quello che aveva in mente.
“Intendi dire, dovremmo provocarlo e farlo uscire allo scoperto?”.
“Precisamente” annuì Ruri “Certo, non sarà semplice trovare un oggetto di provocazione sufficientemente efficace…ma potrei pensarci io. Se apparissi in televisione e lui vedesse il mio volto, forse potrebbe convincersi di essere in grado di uccidermi, e farebbe un tentativo…dato che non conosce il mio vero nome, ovviamente non potrebbe riuscirci, ma se monitorassimo il suo operato, scopriremmo come fa a uccidere e lo incastreremmo in modo definitivo”.
“La tua strategia mi piace, ma ha una pecca: non siamo sicuri che Higuchi provvederebbe subito a ucciderti. Dopotutto, in questo momento non ti considera una grande minaccia” le fece notare Elle, ingoiando una fragola.
“Beh, in passato mi voleva morta, potremmo sempre provare…”.
“No: ho bisogno che tu sia operativa sul campo. Non ho intenzione di fare a meno delle tue capacità di agente dell’FBI” le sorrise leggermente Elle.
“È il tuo modo per dirmi che non vuoi che sia io quella che Higuchi proverà ad ammazzare?”.
“In un certo senso”.
“Elle…”.
“Ruri, parlo sul serio: dobbiamo trovare un individuo che Higuchi consideri una minaccia impellente, qualcuno che è entrato in contatto con lui negli ultimi tempi e che potrebbe aver scoperto qualcosa su ciò che ha fatto con il potere di Kira…qualcuno che lui ritenga in grado di poter uccidere e su cui ritenga di poter ottenere informazioni di qualche genere. In questo modo, guadagneremo sufficiente tempo” le spiegò Elle.
“E tu credi che potremmo trovare la persona adatta?” replicò Ruri, scettica.
“A dire il vero, ce l’abbiamo già” le fece notare Elle, scatenando la sua sorpresa.
In quel momento, alle loro spalle, le voci di Light e Misa li interruppero.
“Misa, si può sapere come sei riuscita a farlo parlare?” le domandò Light, visibilmente irritato.
“Ah, è semplice! Quello è cotto di me! Mi è bastato dirgli che, se fosse stato Kira, l’avrei sposato, e lui ha vuotato il sacco! Inoltre, è convinto che io sia il secondo Kira” replicò Misa, con tono noncurante.
“Stupida!!” le disse Light, arrabbiato “Ti avevo detto di negarlo a tutti i costi!”.
“Ma…ma a questo punto, visto che tanto sappiamo che Higuchi è Kira, basterà catturarlo, no?” domandò la ragazza, mentre Watari si avvicinava a Elle, spingendo il suo consueto carrello stracolmo di dolci.
“Questa sì che è un’impresa degna di nota, dico bene, Matsuda?” disse Elle, esaminando con attenzione un biscotto al cioccolato.
L’ex poliziotto lo fissò sorpreso, quasi incredulo a causa della considerazione che il detective gli stava rivolgendo.
“Ma…allo stato attuale, non sappiamo ancora come faccia a uccidere” gli fece notare Light, teso.
“Proprio così, Yagami” annuì Elle, posizionando il dolcetto di fronte a sé e disponendone altri due sulla sua scrivania, in modo che formassero una specie di triangolo “…e io vorrei poterlo scoprire prima di catturare Higuchi” concluse, spingendo uno di essi contro gli altri due, come in una sorta di flipper.
“Ma, una volta cessate le esecuzioni dei criminali…non ci sarà più possibile scoprirlo, dico bene?” insistette Light.
“Esatto” confermò Elle, tenendo sollevata una fetta di dolce alla frutta con appena quattro dita, come se si fosse trattato della cosa più naturale del mondo “Tanto decideremo se catturarlo solo una volta che i criminali avranno cessato di morire, quindi…lasciatemi riflettere ancora un po’”.
Dopo una breve pausa, Ryuzaki avviò la comunicazione con Wedy, il cui simbolo comparve subito sullo schermo del suo computer.
“Wedy”.
“Sì?” replicò la ladra.
“Com’è la situazione?” le domandò Elle.
“Procede tutto bene; all’interno degli uffici, possiamo seguire con le telecamere il 70% dei movimenti di tutti e sette”.
“E all’esterno?” chiese ancora Elle.
“Per quello, non ce la faremo mai, io e Watari da soli” sbuffò Wedy.
“E se doveste seguire soltanto Higuchi?”.
“Higuchi?” ripeté Wedy “Finora, ci siamo introdotti solo nelle case di cinque di loro; Midou, Namikawa e Higuchi hanno installato sistemi di sicurezza fuori dal comune. In particolare, Higuchi si è fatto costruire una stanza sotterranea, capace di schermare le onde elettriche. Ho impiegato un paio di giorni per introdurmi lì dentro!”.
“Questo Higuchi deve nascondere qualcosa…” commentò Matsuda.
“Ho capito” replicò Elle “Allora sarà opportuno che tu lasci perdere la casa e piazzi cimici, trasmittenti e telecamere in macchina, per favore” concluse, ingoiando l’ultimo pezzo di torta.
“Cosa?! E me lo dici solo adesso?!? Ma lo sai che fatica è stata entrare nelle loro case? E poi, hai idea di quante macchine abbia Higuchi?!” sbottò Wedy, irritata per la prima volta.
“Ne ha sei” ribatté Elle, con naturalezza.
“E va bene” sospirò Wedy “Vuoi che le piazzi su tutte le auto?”.
“Sì, grazie” annuì Elle.
Una volta chiusa la comunicazione, il detective si voltò leggermente verso Light, senza mutare l’espressione del volto.
“Light” iniziò “Scusami se torno sull’argomento, ma ho bisogno di chiedertelo ancora”.
“Cosa?” ribatté Light, confuso.
“Per caso, tu ricordi…di avere ucciso?”.
Light assunse un’aria infastidita e frustrata.
“Ancora con questa storia?! Ma quante volte te lo devo dire che io non sono Kira?!” sbottò.
“Devi solo rispondere alla mia domanda” gli fece notare Elle, interrompendolo di botto “Te lo ricordi?”.
Light lo fissò senza mutare espressione, prima di rispondere.
“No”.
“E tu, Misa?” domandò ancora Elle, rivolgendosi alla ragazza.
“Certo che no!” esclamò la bionda “Non ho mai ucciso nessuno, visto che io non sono Kira!”.
Elle si leccò via l’ultima traccia di dolce rimasta sulla punta delle dita, e infine seguitò a parlare.
“Adesso, Light, ti chiedo di seguire e analizzare seriamente ciò che sto per dire: la tua risposta potrebbe rivelarsi determinante, per il successo dell’operazione. Light Yagami era Kira: in seguito, ha ceduto il suo potere a un’altra persona, e ora non ricorda di esserlo stato. Voglio che analizzi ciò che sto per dire, a partire da questa premessa: pensi di poterlo fare?”.
“Ok, ci proverò” sospirò Light, rassegnato.
Dopo un’ulteriore pausa, Elle riprese a parlare, apparentemente in modo calmo, ma al contempo con l’espressione del volto intenta a celare un brivido d’eccitazione.
“Light Yagami era Kira, dopodiché ha ceduto il suo potere a un’altra persona. L’ha fatto di sua spontanea volontà, oppure dietro di lui c’era qualcuno che gli ha concesso il potere, e poi ha deciso di passarlo a qualcun altro?”.
Le parole del detective furono seguite da un lungo silenzio: infine, Light rialzò lo sguardo e fissò Elle dritto negli occhi.
“In base a questa premessa…direi che l’ha ceduto di proposito” disse lentamente.
Elle l’osservò per qualche istante, imitato da Ruri, prima di volgersi di nuovo verso il suo computer.
“Giusto” replicò poi l’investigatore, atono come sempre “Se ci fosse qualcuno dietro le quinte capace di trasferire il potere da persona a persona, e non volesse far conoscere il proprio potere…per quale motivo aspettare fino all’ultimo, per passarlo a un altro individuo?”.
“Staremmo parlando di una sorta di entità sovrannaturale…come di uno shinigami, per esempio” affermò Ruri, sedendosi vicino a Elle “Ma se riconoscessimo l’esistenza di qualcuno che ci guarda dall’alto del cielo, allora non avremmo alcuna speranza di catturarlo…forse, questo qualcuno si prenderebbe persino gioco di noi all’infinito”.
“No, non può esistere niente del genere, ne sono certo” dichiarò Ryuzaki “Il potere di Kira può spostarsi solo per volontà del suo possessore”.
Elle si voltò di nuovo verso Light, rivolgendogli un altro sguardo penetrante.
“Ti ringrazio, Light, perché per merito tuo ne sono sicuro al 99%”.
Watari fece di nuovo il suo ingresso nella stanza, portando un altro vassoio con l’ennesima caraffa di caffè della giornata.
“Studieremo un modo per impedire a Higuchi di trasferire intenzionalmente il potere ad altri” continuò Elle, bevendone un sorso “E lo indurremo a mostrarci come uccide”.
“Come pensi di riuscirci?” gli domandò Light.
“Lo adescheremo usando la Sakura TV”.
“Una specie di candid-camera?” esclamò Matsuda, entusiasta.
“Come, scusa?” intervenne Misa.
“Demegawa manda in onda ogni settimana uno special su Kira” spiegò Elle “Gli chiederemo di organizzarne uno di tre ore, e in apertura annunceremo che, a fine trasmissione, sarà rivelata l’identità di Kira”.
“E secondo te, gli spettatori ci crederanno? Si tratta pur sempre della Sakura TV” commentò Matsuda, confuso “E poi, chi ci garantisce che Higuchi guarderà quel programma?”.
“Chiameremo Namikawa” intervenne Ruri “E gli chiederemo di chiamare Higuchi, dicendogli qualcosa del tipo ‘Siamo nei guai, accendi subito la televisione’. Quando vedrà che l’ospite in studio è qualcuno che conosce il suo segreto, si convincerà e, soprattutto…si sentirà minacciato. Se Higuchi è rimasto quello di un tempo, immagino che non perderà tempo e cercherà subito di pararsi il culo”.
“Sì, ho capito!” esclamò Matsuda “Volete servirvi di Ayber! Rivelerà che in realtà era una spia, non è così?”.
“È completamente fuori strada” scosse il capo Elle “Non ho intenzione di usare Ayber: l’ospite dev’essere qualcuno che Higuchi crede di poter uccidere. In pratica, qualcuno il cui nome sembri facile da trovare, in modo che il nostro uomo non si arrenda…fino alla fine del programma”.
“Perché, esiste forse una persona del genere?!” domandò Matsuda, frastornato.
“Solo lei può farlo, Matsuda” gli disse lentamente Light.
“Higuchi penserà che Matsuda abbia origliato durante la riunione, e poi, vedendo che un tizio che davano per morto sta per spifferare tutto in TV, dovrà crederci per forza” annuì Ruri, con naturalezza.
“Sì, esatto” ne convenne Elle “Faremo che in modo che la Sakura TV nasconda l’identità del testimone con un pannello di vetro opaco, e un microfono speciale; probabilmente, Higuchi riconoscerà il manager Matsui, ma per esserne più sicuri…faremo in modo che per un istante il pannello cada, mostrando il volto dell’ospite”.
“WOW!! Sembra divertente!” batté le mani Misa, eccitata.
“Il presentatore, entro la fine del programma, annuncerà il nome di Kira, dicendo che inizia per ‘H’…” disse ancora Ryuzaki.
“Vista la situazione, è ovvio che Higuchi vorrà scoprire il prima possibile il nome di questa persona” rifletté Light “Facile prevedere quali saranno le sue mosse…”.
“E così, dopo aver scoperto come uccide…lo incrimineremo e lo arresteremo”.
“Incredibile come i sogni di una vita si avverino” sogghignò Ruri, incrociando le mani dietro la nuca.
“C’è soltanto un piccolo neo in questo piano, ovvero…” affermò Elle, stringendo fra le dita un pasticcino alla crema, da cui iniziò a fuoriuscire violentemente il ripieno “Se Higuchi avesse il potere di uccidere conoscendo semplicemente il volto, come il secondo Kira, Matsuda morirebbe”.
Sia Matsuda che Robin sbiancarono, di fronte a quelle parole: notando l’espressione dell’amica, Ruri si affrettò a intervenire.
“Ma considerando che Matsuda è ancora vivo dopo essersi ritrovato faccia a faccia con Higuchi, e che il nostro uomo vuole Misa, immagino che non ce l’abbia, questo potere”.
“Già: inoltre, questo piano verrà attuato solo se le morti dei criminali si fermeranno, perciò dovremo tenere d’occhio la situazione per almeno tre giorni. Ne approfitti per decidere per conto suo se farlo o no, Matsuda” gli disse Elle.
Matsuda rimase in silenzio per qualche istante, prima di compiere un paio di passi avanti, l’espressione determinata e sicura come mai in passato.
“Non ho bisogno di pensarci” disse, con decisione “Me ne occuperò io”.
Prima che potesse rendersene conto, Robin gli era già saltata al collo, facendolo diventare subito paonazzo e quasi mozzandogli il respiro.
“Ehm, ma Roby…” mormorò, appena.
Robin si staccò da lui e lo baciò con la massima intensità, incurante della presenza di tutti gli altri: quando infine interruppe il loro contatto, notò con un sorriso che l’ex poliziotto era divenuto color magenta.
“Sono fiera di te, Taro. Ma devi promettermi che starai attento” gli disse, preoccupata.
“L-lo farò. G-grazie, Robin…io…io farò del mio meglio per non deludervi”.
Con un altro sorriso, Robin lo abbracciò ancora dolcemente, adagiando il capo contro il suo petto.
“Vedi di tornare tutto intero, o non potrò sposarti come si deve, quando avremo catturato Kira”.
“M-m-ma ma…sposarmi?! Cosa? Io?! Come?!” esclamò Matsuda, cambiando di nuovo colore.
Sorridendogli con soddisfazione, Robin accennò al rigonfiamento interno alla sua giacca, che gli altri notarono solo in quel momento.
“Ho vissuto con un’agente speciale dell’FBI per tutto il periodo in cui sono stata al college: la mia vista è più acuta di quanto non pensassi” rise, estraendo la scatolina che Matsuda stava tenendo nascosta “Scusami, non volevo rovinarti la proposta, ma proprio non ho resistito: e poi, considerando quanto sei restio a deciderti a parlare chiaramente di questo genere di cose, ho temuto che avresti aspettato che fosse tutto finito, e…accidenti, ti ho rovinato tutto, eh?”.
“M-m-ma…ma…” balbettò Matsuda, con l’espressione di chi volesse seppellirsi per l’imbarazzo.
“Comunque…volevo dirtelo” mormorò Robin, a sua volta rossa in volto “Non ce la facevo più a trattenermi…ti sposo, Taro”.
Quella dichiarazione scatenò un urletto di gioia da parte di Misa, che afferrò Robin e cominciò a farla volteggiare per la stanza, mentre il sovrintendente e Mogi stringevano la mano a un ancora impietrito Matsuda; dal canto proprio, Ruri incrociò le braccia e fissò l’amica con aria indecifrabile, indecisa se mostrarsi contenta o se iniziare una sfuriata nei confronti dell’ex poliziotto.
“Ma…non è un po’ presto?” domandò alla fine, interrompendo il balletto frenetico di Misa e Robin “Vi conoscete da meno di un anno! E poi, Robin…insomma, la tua specializzazione, e il ‘Virginia Center’…non state correndo un po’ troppo?”.
“Forse hai ragione, Ruri” ammise Robin, con un sorriso colpevole “Ma tutta questa storia mi ha fatto capire quanto può essere imprevedibile la vita, e quanto velocemente le cose possano cambiare: qualche mese fa, non sapevo neanche se avrei avuto la possibilità di rivederti viva, e Taro mi è stato vicino in un modo che non ritenevo concepibile, da parte di una persona che avevo appena conosciuto. È stato improvviso e completamente folle, e di certo non era come lo immaginavo. Ma adesso mi sono resa conto davvero di quello che provo per lui, e sento che non ha senso aspettare”.
“Quindi, lascerai la tua carriera e tutto il resto?” le domandò Ruri, alzando un sopracciglio “Robin, è…insomma, non…non è da te. Vorrei solo che fossi sicura di quello che fai”.
“Beh, in effetti non so bene quello che sto facendo. Tu lo sapevi, quando è successo con Ryuzaki?” ribatté Robin, con un sorriso ammiccante e provocatorio.
“Che…che c’entra?!” sbottò Ruri, incrociando le braccia con aria indispettita “È…è completamente diverso! Il…il matrimonio è una cosa diversa!”.
“Significa comunque impegnarsi, convivere, lavorare come una squadra, aiutarsi e sostenersi a vicenda e credere l’uno nelle forze dell’altro…in effetti, tu e Ryuzaki sembrate più una coppia sposata di tutte le persone che conosco che hanno realmente firmato le carte del matrimonio” ammise Robin.
“Questa…questa conversazione è ridicola!!” esclamò Ruri, balzando in piedi “Non stiamo parlando di me! E comunque, non mi hai ancora risposto: mollerai il lavoro e tutta la tua vita?”.
“Beh, non ho detto questo. Posso fare richiesta di trasferimento, qui in Giappone ci sono un sacco di opportunità per il mio programma di specializzazione…”.
“Robin, questo è un colpo di testa!”.
“Come lasciare l’FBI per dedicarti a un singolo caso?”.
Di fronte allo sguardo diretto dell’amica, Ruri non poté che distogliere gli occhi e rimettersi a sedere, incrociando di nuovo le braccia e assumendo un’espressione a metà fra il preoccupato e l’indispettito; alla fine, quando parlò di nuovo, stava sorridendo.
“In realtà, è colpa mia…ho messo io in testa a Matsuda che sei il tipo da abito bianco” borbottò, gettando un’occhiataccia in direzione del poliziotto, che ricambiò con un sorriso imbarazzato “Accidenti…”.
“Direi che più che una colpa è stato un merito” la corresse Robin, correndo ad abbracciarla “Vedrai che andrà bene, Ruri: so che è un salto nel vuoto, ma tu sei un’esperta in materia, dico bene? Dovresti capirmi meglio di chiunque altro”.
Ruri si staccò da lei e sospirò mestamente, non riuscendo a trattenere un altro sorriso.
“Sei proprio una gran testarda…ad ogni modo, non pensavo che la cosa fosse così seria. Cioè, insomma, avevo capito che stavamo andando incontro a un bel disastro, ma…insomma, un matrimonio! Lo sai che odio quelle cerimonie con le colombe e i confetti che si attaccano ai denti”.
“Possiamo fare a meno delle colombe. E lascia i confetti a Ryuzaki, così eviterai incidenti fastidiosi” rise Robin, abbracciandola di nuovo “Mi farai da damigella d’onore, vero?”.
“Sì, ma niente abiti rosa. Sai che odio il rosa. E niente pizzi, merletti e cose stupide: non farmi sembrare un’idiota più del necessario” sospirò Ruri, alzando gli occhi al cielo.
“Oooh, è così eccitante!!” chiocciò Misa, coinvolgendo tutt’e due in un’altra stretta mozzafiato “Siamo finite sul serio a parlare di matrimonio! Robin, sarò ufficialmente la tua wedding planner, se me lo permetterai”.
“Vi prego, smettiamola di parlare di questo argomento!” le supplicò Ruri, alzando gli occhi al cielo “Stavamo discutendo del caso Kira, no? Concentriamoci sulla realtà attuale; ah, Matsuda, dacci un taglio con quella faccia da condannato a morte. Il piano andrà bene, e Robin ha accettato di sposarti, non di pronunciare le esequie del tuo funerale” disse poi la profiler, rivolgendosi al promesso sposo, che ancora non sembrava essersi riscosso dalla sua trance.
“In effetti, sarebbe meglio che ci concentrassimo sull’operazione. A dopo i festeggiamenti, di qualsiasi genere siano; ad ogni modo, le mie congratulazioni a tutti e due” dichiarò Elle, inespressivo come sempre, prima di voltarsi verso il suo computer.
“Grazie, Ryuzaki” gli disse Robin, abbracciandolo di slancio, con la massima sorpresa del detective “Voglio bene a tutti e due!!”.
“Non avevamo detto di concentrarci?” le fece notare Ruri, con tono burbero, ma sorridendo “Forza, forza, al lavoro! Dobbiamo monitorare Higuchi ventiquattr’ore su ventiquattro, in questi tre giorni, e occhio a quello che i media potrebbero annunciare sulle morti dei criminali. Sarà meglio che il test messo in atto da Misa ci dia i risultati che attendiamo”.
Mentre ognuno riprendeva la propria postazione, Ruri notò Robin abbracciare e baciare Matsuda per l’ennesima volta, prima di ricominciare a lavorare: quello spettacolo, suo malgrado, le donò un altro sorriso, sereno e triste al tempo stesso.
 
Due giorni dopo, tutto il quartier generale si convinse dell’autenticità delle parole di Higuchi: le uccisioni continuavano a non essere messe in atto, e pertanto Elle decise che non avrebbero aspettato ulteriormente: l’operazione venne organizzata per il giorno seguente, il 28 Ottobre, e a ognuno venne dato il suo ruolo. Matsuda avrebbe dovuto dirigersi agli studi televisivi della Sakura TV insieme al sovrintendente Yagami, che avrebbe monitorato la zona; Mogi e Ayber si sarebbero appostati alla Yoshida Production, dove probabilmente Higuchi si sarebbe recato per scoprire il vero nome dell’ex manager di Misa, mentre Ruri e Wedy avrebbero dovuto attendere fuori da casa del sospetto, finché lui non fosse uscito allo scoperto: una volta in macchina, lo avrebbero pedinato a distanza di sicurezza e si sarebbero unite al resto della squadra. Light, Elle e Watari avrebbero tenuto d’occhio la situazione a distanza, fino al momento opportuno; a quel punto, avrebbero raggiunto la scena in elicottero.
Dopo una buona mezz’ora di strepiti e di litigi, Robin si era fatta convincere a non abbandonare la postazione: Matsuda e Ruri erano riusciti a farle presente che avrebbe potuto esserci bisogno del loro medico di fiducia, nel caso qualcuno fosse rimasto ferito, e questo l’aveva convinta del tutto.
La sera del 27 Ottobre, dopo che Ryuzaki ebbe spedito tutti a letto affinché fossero riposati a sufficienza, Ruri decise di lasciare il suo appartamento e di scendere di sotto per bere qualcosa che le conciliasse il sonno; stava per raggiungere la sala principale, dove Elle dirigeva le operazioni del quartier generale, quando un rumore improvviso colse la sua attenzione.
Avvicinandosi meglio alla sua fonte, capì che si trattava della voce di Ayber, sempre più nitida man mano che i suoi passi la conducevano di fronte alla porta dell’appartamento del suo amico: quando fu di fronte ad esso, capì che non era stata chiusa bene, e che Ayber, a giudicare dal tono di voce, doveva essere al telefono con Giselle.
“Senti, non lo faccio perché mi va di farlo, va bene? Ho preso un impegno, e…MALEDIZIONE, GISELLE!! Perché pensi che sia sempre e solo per via dei soldi?! No…ti ho detto di no! Lo so che sono via da diversi giorni…non lo so, ok? No! Come faccio a saperlo? Certo che non è così! Non posso prevedere come andranno le cose, non è facile come la fai tu! Ehi, no, senti…no, questo non puoi dirlo, ok? Non puoi dirlo e basta! So che non ti piace quello che faccio, ma ti prometto che le cose cambieranno, va bene? Ti prego, Giselle”.
Sentì che il suo tono di voce si stava leggermente incrinando, ed ebbe la sensazione che fosse sul punto di piangere.
“Ti ho già detto che…ma certo che non posso andarmene, che razza di domanda è?! Senti, domani le cose prenderanno una piega decisiva, e a quel punto faremo tutto quello che abbiamo programmato insieme! Ma devi darmi del tempo, Giselle: ti chiedo solo un po’ di tempo. No, senti, non dire così…”.
Lo udì sospirare e capì che si stava sedendo sul divano; la sua voce era sempre più incerta e tremolante.
“Ti prego, non…lo sai che non posso farcela. Lo sai che vorrei essere a casa, con te e con i bambini. Mi mancate…mi mancate sul serio. Mi manca la mia famiglia…senti…è solo che volevo che sapessi che…che sto bene e che, qualunque cosa accada domani…no, no, non spaventarti adesso, va bene? Sappi solo che…che qualunque cosa succeda, farò in modo che non vi manchi mai niente. E volevo dirti…che ti amo, Giselle. Ti ho sempre amata e non amerò mai nessun’altra”.
Ruri sentì che gli stava per sfuggire un singhiozzo.
“Ti amo…e ti amerò, qualsiasi cosa succeda. Saluta i bambini per me, e digli che papà sarà presto a casa” concluse, riattaccando il telefono.
A quel punto, la ragazza capì che stava definitivamente piangendo, e per un istante si domandò se non fosse il caso di entrare, ma poi rifletté su quello che lei avrebbe voluto al posto di Ayber, e decise di continuare a scendere le scale e di lasciargli del tempo per elaborare la paura che gli stava oscurando il cuore.
Infine, raggiunse Elle nella sala centrale, dove Light era finito per crollare nuovamente, dormendo sul divano come aveva preso a fare in quelle settimane: a non molta distanza da lui, Elle fissava lo schermo del suo laptop, con l’aria di chi non la sta vedendo realmente; Ruri si sedette di fianco a lui, sospirando con più leggerezza di quanto lei stessa non si sarebbe aspettata.
“Va tutto bene?” le domandò Elle, volgendosi verso di lei.
“Sì…credo di sì” annuì Ruri, senza sorridere.
“Credi?”.
“Sono successe un po’ troppe cose, nell’arco di tre giorni: e domani…domani potrebbe essere la fine di tutto. Forse la cosa mi spaventa più di quanto non voglia ammettere” disse la profiler, curvando di poco la schiena in avanti.
“Hai paura che le cose possano andare male?” le chiese Elle.
“Ho paura di quello che verrà dopo la cattura di Kira…sempre ammesso che lo prendiamo, è ovvio”.
Elle continuò a fissarla, cercando di capire cosa intendesse dire; alla fine, il suo sguardo seguì quello della criminologa e si posò su Light, che continuava a dormire beato, incurante delle loro attenzioni.
“Ruri…”.
“Ti è mai capitato di pensare che…se davvero riuscissimo a far venire il vero e solo Kira allo scoperto…finiremmo per uccidere definitivamente quello che resta di Light?” sussurrò Ruri, tornando a guardarlo.
Elle attese qualche istante, prima di replicare.
“Sì…” ammise infine “Ci ho pensato…”.
Ruri sorrise amaramente, annuendo appena.
“Mi sento come…non lo so. Immagino che Naomi avesse ragione: il fatto è che mi sono fatta coinvolgere più di quanto avrei mai ritenuto possibile. Ho lasciato che quello che mi stava succedendo prendesse il controllo su di me, e…e mi sono innamorata dell’uomo che darebbe la sua stessa vita, pur di catturare Kira. Se mi avessero detto che sarebbe finita in questo modo…”.
“Avresti fatto marcia indietro e saresti tornata a Washington?” le domandò Elle, con un sorriso pungente.
“Diciamo che avrei preso appuntamento per una seduta psichiatrica” ridacchiò Ruri, passandosi una mano dietro il collo.
Elle l’osservò per un altro lunghissimo istante, per poi sfiorarle con leggerezza il dorso della mano, la calma impressa in ogni frammento di quel gesto, come se avesse voluto imprimerlo nella memoria nel miglior modo possibile; dal canto proprio, Ruri chiuse gli occhi e si massaggiò leggermente una tempia, nel tentativo di liberare la mente dai pensieri che la stavano affollando.
“Sai, credo che non importi poi molto. Voglio dire, insomma…non importa. Quello che sei e quello che fai. Tu vai avanti, con la tua vita, e ti impegni al massimo in tutto, e diventi una profiler di successo, o magari perfino il miglior detective del pianeta, chi lo sa: e tutti ti guardano come se fossi un esempio, il modello per eccellenza. Ma non importa quanto tu sia bravo: non importa quanto gli altri credano in te, o quanto tu possa essere strabiliante e quanto autocontrollo tu possa avere. Perché, prima o poi…arriverà un giorno in cui commetterai un errore. Un errore piccolo, insignificante, uno di quelli che nemmeno ti accorgi di aver fatto…e tutto crolla. Le persone che ami muoiono, insieme a quelle che detestavi, a quelle che non conoscevi, o a quelle che ti si erano presentate, ma di cui non ti importava molto…e tu ti ritrovi a fumare sigarette di marca scadente e a ubriacarti come l’ultimo degli alcolizzati, oppure a ingoiare dolci fino a scoppiare, nel tentativo di smettere di pensare a quello che hai fatto. E anche se quell’errore non dovesse arrivare mai, le cose non cambierebbero comunque, perché, in ogni caso…le persone che hai intorno moriranno lo stesso, e tu non potrai farci niente. Perché domani usciranno in strada, e verranno coinvolte in una sparatoria, o finiranno sotto una macchina, oppure verranno uccise da un ladro o dal primo pirata della strada che incontrano…e tu rimarrai lì, a domandarti se le cose sarebbero potute cambiare, in un modo o nell’altro, e a cercare di rimettere insieme i pezzi”.
Mentre la giovane terminava di parlare, Elle poté notare che si stava voltando di nuovo verso di lui, prendendo a stringergli più forte la mano.
“Non voglio che tu muoia…” gli mormorò, guardandolo dritto negli occhi.
Elle non replicò, limitandosi a ricambiare la stretta e distendendo le gambe al di sotto del bordo del divano, come faceva sempre quando erano insieme.
“Farò del mio meglio” replicò il detective, con il suo solito sorriso enigmatico “Sono bravo nelle cose impossibili, lo sai”.
Ruri appoggiò lentamente la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi per qualche istante, mentre Elle le circondava le spalle con il braccio sinistro.
“Sembra che tutti credano di dover morire domani sera” gli fece notare Ruri, con un altro sospiro “Non pensavo che tutto questo avrebbe fatto così paura, alla fine…cioè, forse dovevo aspettarmelo. Ma è…insomma, sono l’unica che si sente in una specie di bolla e che sta vivendo questa parte del caso come se appartenesse ai ricordi di un’altra persona?”.
“Capisco quello che vuoi dire” disse Elle, carezzandole il palmo della mano “Ma vedrai che presto sarà solo passato…ce ne andremo da qui, e le cose andranno meglio”.
“Sei insolitamente ottimista, stasera” gli fece notare Ruri, sorridendogli in modo canzonatorio “Devi riconoscere che non è da te”.
“Beh, da quando ti ho conosciuta ho fatto e detto molte cose di cui non mi ritenevo affatto capace” ribatté Elle, inclinando di poco la testa “Hai cambiato molto di ciò che credevo di conoscere”.
“In sostanza, ti ho sconvolto la vita. Immagino di averti spaventato a morte” ridacchiò Ruri.
“È così”.
Le parole del detective la sorpresero e le fecero assumere un’espressione attenta e concentrata.
“Come sarebbe?”.
“Te l’ho detto fin dall’inizio, Ruri: ho sempre avuto paura di quello che eri in grado di fare alla mia vita, alle mie capacità cognitive e alle emozioni che non mi ritenevo in grado di provare. Sai, una volta qualcuno mi chiese se c’era qualcosa di cui avevo paura: la cosa che mi venne più naturale rispondere era che avevo paura dei mostri, e in particolare…di quelli che ingannano le persone. Sai, quelli che mangiano quando non hanno mai avuto fame, che studiano quando non hanno nessun interesse, che difendono l’amicizia quando non hanno nessuno al mondo…di quelli che si comportano da umani quando non hanno mai provato niente che potesse renderli tali. Credevo che non avrei mai avuto speranze contro niente del genere, perché in effetti…era esattamente questo quello che ero” le disse, guardandola dritto negli occhi.
Ruri non lo interruppe, attendendo che proseguisse.
“Immagino sia questo il motivo per cui non mi sono mai mostrato ad altre persone: nessuno ha realmente paura di ciò che si ritiene capace di poter sconfiggere. Ma perché gli esseri umani, allora, temono qualcosa di banale e di scontato come il buio? Semplicemente perché il buio è qualcosa che non conoscono…che non sono in grado di controllare. E come puoi controllare un uomo di cui non conosci né il volto, né il nome? Nemmeno Kira ci è riuscito, come vedi…ergo, ho sempre creduto che questo mi avrebbe reso invincibile. Essere il mostro di cui io stesso ero terrorizzato, vivere solo per la mia mente, isolarmi dal mondo che tanto mi spaventava e per cui credevo di non essere all’altezza…ora che ci penso, a volte mi hai paragonato ad un bambino viziato ed infantile. Direi che non potrebbe esistere una definizione più azzeccata” concluse Elle, con un altro piccolo sorriso.
“L’ho detto solo perché ero arrabbiata…” borbottò Ruri.
“E hai fatto centro. Direi che siamo proprio qualcosa di bizzarro, io e te…non trovi? Due incognite sotto ogni punto di vista: tempo fa, hai detto che eri da rottamare. Forse non sono molto diverso da te neanche sotto questo aspetto”.
Ruri sollevò la testa dal suo petto e lo guardò dritto negli occhi, scostandogli i capelli dal campo visivo; infine, lo baciò lentamente, per poi approfondire sempre più il loro contatto, lasciando che le loro labbra si assaggiassero reciprocamente e che i loro respiri si fondessero in un unico vortice di emozioni e di parole non ancora dette.
Quando si separarono lievemente, Ruri finì per poggiare la fronte contro la sua e gli sorrise con leggerezza, la mano ancora intrecciata alla sua.
“Tu sei il disastro migliore che mi sia mai capitato in tutta la vita” mormorò Ruri, carezzandolo appena “E non importa se non ci sono le rose, o gli appuntamenti, o tutte quelle stronzate di cui hai parlato tanto tempo fa…tu sei…qui…e voglio che tu ci sia anche domani. Quindi, non pensare a quello che sei stato, a quello che abbiamo detto o a tutto il tempo che abbiamo perso: io sarò qui, come sono qui adesso. E ci sarò domani, come ci sarò sempre. Come ci sarei stata se l’operazione fosse andata male, e come continuerò ad esserci, comunque vadano le cose”.
Ruri rafforzò di più la sua presa, senza smettere di guardarlo negli occhi.
“Te lo ricordi? Se vuoi avere paura, va bene…ma almeno, abbi paura insieme a me. Questo lo puoi fare, dico bene?”.
Senza attendere ulteriormente, Elle la baciò di nuovo, per poi affondare il volto nei suoi capelli scuri e inebriarsi del suo odore: ancora una volta, pensò che profumava di fragole.
“Non esitare a sparare, se…se devi farlo” le mormorò, stringendole appena una spalla.
Ruri sorrise leggermente, inspirando a sua volta l’aroma di Elle.
“Non esiterò”.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: OOOOOOH, SO’ LE DUE DE NOTTE!!! MA STIAMO SCHERZANDO?!? Ok, ok, adesso Victoria scappa a letto, è tardissimo!! Ma sono riuscita a finirlo, sìììì!! Ovviamente è scritto di getto e fa CAGARE, ma siate clementi con la povera scema!! XD Grazie mille a SeflessGuard e a Lilian Potter in Malfoy per aver recensito lo scorso capitolo, vi adoro!! Torno presto, forse anche domenica (se ritarderò nell’aggiornamento sarà colpa degli stramaledettissimi esami, non me ne volete!!). Un bacione, la vostra Victoria <3  

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Capitolo 24
*** Mors tua, vita mea ***


Capitolo 24- Mors tua, vita mea
 
Poco meno di ventiquattr’ore dopo, intorno alle 18.30, Matsuda e Yagami si congedarono dal resto della squadra per raggiungere gli studi della Sakura TV, dove ben presto avrebbe avuto inizio lo spettacolo; vedere Robin salutare Matsuda in modo così affettuoso e preoccupato strappò un altro sorriso a Ruri, mitigando parte della tensione che aveva preso ad affliggerle il cuore fin dal primo pomeriggio. Poco dopo, anche lei, Wedy, Ayber e Mogi decisero di salutare gli altri e di avviarsi alle loro postazioni; compiere quel gesto fu strano sotto molti punti di vista.
Sapeva che le cose sarebbero andate bene, eppure una strana sensazione le attanagliava il petto, impedendole di sentirsi del tutto sicura di sé: non era certo la prima volta che affrontava situazioni di pericolo e di rischio diretto come quella, ma senz’altro era convinta di non essersi mai lasciata coinvolgere tanto da un singolo caso…e da una singola persona.
A dire il vero, con il tempo, suo malgrado, aveva dovuto ammettere che una parte di lei si era affezionata alla gran parte del quartier generale, come se fossero stati una specie di grande famiglia: aveva Robin, aveva Watari, aveva Ayber, e aveva persino Light e Misa, a cui aveva imparato a voler bene contro la sua stessa volontà. Gli stessi ex poliziotti non le erano indifferenti, soprattutto per quanto valeva per Matsuda e per il signor Yagami, che più di una volta le aveva dimostrato, con il suo modo di fare paterno e la sua grande esperienza sul campo, di essere un ottimo partner nella lotta contro il crimine.
Wedy, d’altro canto, aveva commentato la loro collaborazione diretta sul campo sostenendo che era contenta d’essere affiancata da un’ex agente dell’FBI che ‘almeno sapeva centrare un bersaglio anche a occhi chiusi, a giudicare da quanto aveva detto Ayber’; un simile commento l’aveva resa ancor più gradita ai suoi occhi.
Non appena Wedy le disse che era ora di andare, Ruri annuì con un piccolo sorriso e abbracciò Robin, che la coinvolse in una stretta mozzafiato, intenta a farle capire quanto desiderava che rimanesse lì con lei.
“Non fare pazzie, ok?” le disse, quando si furono staccate leggermente.
“Pazzie, io? Ma per chi mi hai preso?” scherzò Ruri, scuotendo la testa “Ad ogni modo, tieniti pronta a ogni evenienza: stiamo andando ad arrestare Kyosuke Higuchi, non sai mai quello che puoi aspettarti, da uno come lui”.
“Dico sul serio, Ruri, fa’ attenzione. Non…non voglio che ti succeda niente” ribadì Robin, abbassando il tono di voce.
“Tranquilla, starò bene. E poi, non sono io la condannata a morte, da queste parti” ridacchiò la profiler, accennando all’anello di fidanzamento, semplice ma elegante, che Robin aveva preso a sfoggiare all’anulare della mano sinistra “Devo ammettere che è ancora molto strano da accettare…”.
Prima che Robin potesse risponderle, Ruri si passò una mano dietro il collo, con un sorriso triste.
“Non ci avevo mai pensato, prima d’ora…quando tutto questo sarà finito, non vivremo più nella stessa città. È un po’ bizzarro, non ti pare? Insomma…non è mai stato così, e adesso…”.
“Lo faremo funzionare” la rassicurò Robin “Ci chiameremo due volte alla settimana, e ci manderemo sempre SMS”.
“Robin, tu odi gli SMS”.
“Mandameli! E le videochiamate! Faremo un sacco di videochiamate, ti fonderò il portatile a forza di contattarti a tutte le ore del giorno e della notte! E mi assicurerò che tu non faccia l’idiota come tuo solito e che non ti metta nei guai” la rimbeccò la giovane dottoressa.
“Io non mi metto nei guai…”.
“Ok, ascolta: niente colpi di testa assurdi, va bene? Me lo devi promettere. Non ignorare le prescrizioni dei medici e tutti gli stupidi farmaci a cui devi stare attenta, non farti coinvolgere in sparatorie dall’esito assurdo, non salire su automobili che potrebbero schiantarsi contro un camion e non giocare al film d’azione con il primo pazzo provvisto di un potere omicida sconosciuto alla scienza! Non farlo” esclamò Robin, posandole le mani sulle spalle.
Ruri l’osservò per qualche istante, alzando appena un sopracciglio.
“Non devi sempre fare così. Non fare l’eroina” le disse Robin “Tu sei la mia più grande scoperta. Ho…ho bisogno che tu sia viva. Ho bisogno di te; tu mi rendi coraggiosa come niente riesce a fare. Quindi…adesso sali su quella macchina, rincorri quel bastardo e mettigli le manette come solo tu sai fare. E poi torna qui…ok?”.
Ruri la fissò per un altro momento, prima di sorriderle e di iniziare a risponderle.
“Sai, tu…tu sei sempre stata una sorpresa. Insomma, sapevo che eri forte e che eri straordinaria, ma…ma ogni volta che raggiungevi un nuovo obiettivo, non eri mai stanca e non eri mai pronta a lasciar perdere quello successivo. Tu sei una persona e un chirurgo di talento, Roby, con una mente straordinaria e con delle grandi potenzialità. So che sarai felice e che starai bene, ma non dimenticare mai tutto quello che hai fatto per essere qui oggi. Non lasciare mai che i suoi desideri o che quello che provi possa influenzare fino in fondo quello che sei…lui è davvero perfetto per te, ma tu rimani sempre la dottoressa Cooper. E nessuno, nessuno…è come la dottoressa Cooper”.
Robin l’abbracciò di nuovo di slancio, trattenendosi a malapena dal piangere.
“Ehi, non ti sto mica dicendo addio” le ricordò Ruri, carezzandola appena “Ci vediamo dopo, ok?”.
“Ci vediamo dopo” annuì Robin, scomparendo nella stanza accanto.
Ruri fissò per un momento il punto in cui era scomparsa, per poi dedicarsi a salutare gli altri; Ayber le venne incontro con la sua solita baldanza, stringendola a sé per un braccio e baciandole la guancia, come aveva fatto l’ultima volta che si erano salutati, prima che lei tornasse a Washington.
“Ayber…” gli si rivolse lei, incerta se dirgli qualcosa su ciò che aveva udito la sera prima.
“Sta’ attenta, ok, principessa? E coprimi le spalle: potrei averne bisogno” si congedò, battendole un’altra pacca affettuosa sulla spalla, prima di seguire Mogi verso l’ascensore.
Ruri prese un respiro profondo e strinse la mano a Light, cercando poi di divincolarsi dall’abbraccio stritola-costole in cui Misa la coinvolse poco dopo.
“Andrà tutto bene” le disse Light, con tono rassicurante “Vedrai, ce la faremo”.
“Sì, lo so” annuì la profiler.
Guardandolo in quegli occhi castani, avvertì una strana sensazione all’altezza dello stomaco: il suo sesto senso cercava di comunicarle qualcosa, qualcosa di completamente irrazionale.
E infine, si rese conto che aveva davvero paura che quella fosse l’ultima volta in cui avrebbe avuto l’occasione di guardare negli occhi del suo amico Light Yagami; senza pensarci, Ruri prolungò la loro stretta di mano, arrivando a sfiorargli anche il braccio.
“Che cos’hai?” le domandò Light, sorpreso da quella reazione.
“Senti, ti volevo dire…” iniziò lentamente Ruri, con un sorriso incerto “Per quello che vale, volevo ringraziarti. Non è stato un gran periodo quello che hai passato con noi, ma comunque…a noi è piaciuto davvero. Sei stato…beh, sei stato la persona che avevo sempre sperato ti rivelassi. Volevo solo che lo sapessi”.
Light ricambiò il suo sorriso: era veramente sincero e compiaciuto in modo benevolo da ciò che lei gli aveva appena detto.
“Quindi…adesso siamo amici sul serio?” le chiese, con tono scherzoso.
“Qualcosa del genere” si strinse Ruri nelle spalle “Lo terrai d’occhio per me?” gli domandò poi, abbassando la voce e accennando a Ryuzaki, che continuava a dar loro le spalle.
“Farò del mio meglio” annuì Light, abbracciandola brevemente “Fallo nero, d’accordo?”.
“Puoi contarci” annuì Ruri, scompigliando i capelli di Misa “A più tardi. Cercate di non combinare troppi guai”.
A quel punto, del tutto inaspettatamente, Elle si alzò in piedi, le mani in tasca e lo sguardo concentrato sul profilo di Ruri: la ragazza ricambiò il suo sguardo, incerta se sorridergli o no, fin quando il detective non aprì bocca.
“Ricordati di quello che ti ho detto ieri” le disse semplicemente, piegando di poco l’angolo delle labbra.
“Certo” annuì Ruri, ricambiando il suo sorriso stentato “E tu sta’ attento a non perderti i miei movimenti”.
L’investigatore seguitò a guardarla per un lungo momento, incapace di dirle tutto ciò che gli passava per la mente e che impediva al suo cuore di battere regolarmente; Ruri attese per un altro momento, poi fece per voltargli le spalle, quando udì la sua voce chiamarla di nuovo.
Senza trattenere ulteriormente il suo impeto, azzerò la loro distanza e lo baciò, incurante degli sguardi di Light e Misa e incurante della freddezza e del contegno proprio di entrambi; quando il loro contatto fu spezzato, Ruri gli sorrise, togliendogli dalle labbra una briciola di torta che vi era rimasta e stringendogli appena una mano.
“Tienitelo per dopo” gli mormorò, prima di voltargli le spalle e di seguire definitivamente Wedy verso l’ascensore.
Quando le porte si aprirono, Watari, che usciva in quel momento dal cubicolo, cedette loro il posto con un cenno del capo e un sorriso; ma prima che potesse definitivamente entrare, Ruri sentì il vecchio signore sfiorarle per un secondo le dita, stringendole con la massima leggerezza, eppure con una grande energia.
“Stia attenta, Miss…non possiamo perderla un’altra volta” lo sentì dirle.
Alzò gli occhi per sorridergli e replicare, ma era troppo tardi: la loro discesa era già iniziata.
“Pronta?” le domandò Wedy, estraendo la sua arma e controllando che fosse carica.
Ruri estrasse la propria e fece altrettanto, fissando la pistola con una strana espressione: nonostante in quei giorni si fosse esercitata nell’area del tiro a segno che Watari aveva attrezzato nei sotterranei dell’edificio, si sentiva ancora disabituata all’uso di quell’oggetto, che per tante volte si era rivelato così provvidenziale nel salvarle la vita. Ma era sempre un’agente dell’FBI, malgrado le dimissioni, e sapeva come cavarsela: quel serial killer non le sarebbe sfuggito.
“Sono pronta” annuì, sorridendo alla bionda “Andiamo”.
 
Dalla sua postazione, Elle fissò per qualche istante le porte dell’ascensore, appena chiusesi dietro l’unica donna che aveva mai amato: con un colpo al cuore, pensò, ancora una volta, che non sapeva se l’avrebbe rivista viva.
Cercando di non pensarci eccessivamente, si volse di nuovo verso uno dei monitor che aveva sulla scrivania, tramite il quale era già possibile assistere alla diretta della Sakura TV, dove Matsuda stava iniziando a rispondere alle domande del giornalista; bevendo un sorso di caffè, fissò cupamente gli occhi sul profilo di poliziotto, e capì che era giunto il momento di aprire le danze.
“Light, chiama Namikawa. Inizia lo spettacolo” disse all’amico, con il solito tono rilassato.
“Ricevuto” annuì Light, componendo il numero dell’imprenditore.
Dopo appena un paio di squilli, Namikawa prese la telefonata.
“Sono Namikawa”.
“Sono Elle. Namikawa, mi dica se è solo, in questo momento”.
L’uomo all’altro capo fece una breve pausa, prima di rispondere.
“…no”.
“Allora, finga come l’altra volta” proseguì Light.
“Non sarà necessario: c’è qualcuno che ha notato qualcosa di strano, quando mi hai chiamato durante la riunione dell’altro giorno”.
Dopo quelle parole, sia Light che Elle si resero conto che Namikawa stava parlando con qualcuno, dopo aver di poco allontanato il cellulare dall’orecchio, per poi riprendere a comunicare con loro.
“Ascolta, Elle, qui ci sono Midou e Shimura: ma nessuno dei due è Kira, stavano giusto esprimendo la loro avversione nei suoi confronti. Immagino che rimarrebbero volentieri a guardare il faccia a faccia fra Kira ed Elle, proprio come me”.
Light allontanò la cornetta dall’orecchio e fissò lo sguardo su Ryuzaki, che in quel momento stava soppesando attentamente la sua fetta di torta.
“Meglio così” commentò il detective.
“Questa sera, io catturerò Kira” proseguì Light, tornando a parlare con Namikawa “E ho bisogno della vostra collaborazione”.
Namikawa attese qualche istante, prima di sospirare e di procedere.
“Ah, beh…e così, Higuchi è arrivato al capolinea”.
“Come? Lei lo sapeva?!” sbottò Light.
Namikawa rise di gusto.
“Persino Elle si lascia raggirare! A giudicare dalla tua reazione, ora sì che ho la certezza che si tratti di Higuchi”.
“È in gamba questo Namikawa!” esclamò Misa, mentre Robin l’affiancava e Light assumeva un’espressione indispettita “L’ho intuito guardandolo in faccia fin dalla prima volta che l’ho visto!”.
“No, Misa, ti sbagli” la corresse Elle, alzando gli occhi al cielo “È Light che è stupido”.
“Stasera, alle 19.00, ci sarà una trasmissione su Kira, alla Sakura TV” continuò lo studente “Per provocare una sua reazione. Vi chiediamo di avvisare Higuchi, affinché guardi la TV qualche minuto dopo l’inizio del programma: ma nessun altro deve interferire. Quindi, se Kida, Takahashi e Ooi volessero intervenire, fermateli”.
“Sì, capisco…d’accordo” convenne Namikawa, prima di riattaccare.
Elle, Light e Misa tornarono a concentrarsi sulle immagini della Sakura TV, dove potevano vedere Matsuda, nascosto dietro un pannello di vetro opaco, intento a parlare frettolosamente con il microfono che gli stava alterando la voce.
“E così, Kira sarebbe una di queste persone, dico bene?” gli domandò il giornalista.
“Sì. Ho anche raccolto una grande quantità di prove” replicò l’ex poliziotto “Come ho già detto all’inizio del programma, mi sono imbattuto in una riunione a cui partecipavano otto persone: una di queste è stata uccisa, così sono diventate sette. La vittima era il signor ‘H’; è stato ucciso da Kira perché non voleva più partecipare a quelle riunioni”.
“Ok. Light, da’ il segnale a tuo padre: adesso” ordinò Elle, senza staccare gli occhi dallo schermo.
Light compose il numero del cellulare del genitore e lo fece squillare due volte, prima di riattaccare: pochi secondi dopo, il pannello che copriva Matsuda alla vista cadde rovinosamente, rivelando il suo volto angustiato e stupito.
Mentre i tecnici della Sakura TV accorrevano per nascondere il volto dell’intervistato, coprendolo alla bell’e meglio con qualche giacca, Elle avviò la comunicazione con Ruri.
“In ascolto” replicò subito lei, con tono professionale.
“Ruri, com’è la situazione?”.
“Io e Wedy siamo sul posto: Higuchi non ha ancora lasciato l’abitazione, ma a giudicare da quanto sto vedendo, sembra che lo farà a breve. Ha già chiamato Misa?”.
Quasi come se l’avesse sentita, il telefono di Misa prese a suonare intensamente: aprendolo, la ragazza capì che il mittente era lo stesso Higuchi.
“Eccolo!” esclamò la bionda, riattaccando subito.
“Presto perderà la calma: state pronte a tallonarlo, non dobbiamo perdere neanche uno dei suoi movimenti. È probabile che si diriga alla Yoshida Production per controllare gli archivi dei dipendenti, in modo da poter scoprire il vero nome di Taro Matsui: aspettate il mio segnale e preparatevi a intervenire. Vi inoltro le telefonate che Watari provvederà a inviarci” disse Elle, digitando freneticamente sulla tastiera del suo computer e avviando il collegamento telefonico fra la sua linea e quella di Ruri.
“Va bene. Aspettiamo che lasci la casa e poi proseguiamo”.
“Ruri…”.
“Sì?”.
Elle fece una lunga pausa, prima di prendere un respiro profondo.
“Non dimenticare mai che Higuchi è pericoloso, e non sottovalutare le sue mosse”.
“Mi prendi in giro? So fare il mio lavoro, quindi non cercare d’insegnarmelo”.
“Intendo dire che non hai la massima discrezionalità sul campo. Ricordalo sempre”.
“In altre parole, non sono autorizzata a sparare a vista” rise appena Ruri “Senti, rilassati, ok? Andrà bene. Rimaniamo in ascolto” si congedò, prima di chiudere la comunicazione.
Non appena lo ebbe fatto, fu Watari a mettersi in contatto con i piani superiori del quartier generale.
“Ryuzaki, Higuchi sta chiamando Mogi sul telefono della Yoshida” disse il suo collaboratore.
“Bene, siamo alla fase successiva: come da programma” commentò Elle, impassibile.
 
In quello stesso momento, in una macchina dalla carrozzeria nera, Ruri tamburellava nervosamente contro il volante, intenta ad ascoltare la conversazione in corso fra Mogi e Higuchi: sapeva che il momento di entrare in azione era vicino, e avvertiva ancora l’adrenalina attraversarle ogni centimetro del sistema nervoso. Eppure, si sentiva strana, come se avesse avvertito la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto, che non sarebbero riusciti a vincere fino in fondo…era possibile?
Il segnale di Watari la distolse dai suoi pensieri e la portò a concentrarsi sulle parole che ben presto cominciò a udire.
“Mogi, dov’è Misa?!” sentì Higuchi sbottare, con tono concitato.
“Oh, la ringrazio per l’altro giorno, signor Higuchi!” gli rispose Mogi, allegramente “A Misa è stato finalmente concesso un giorno libero, ed è uscita: dovrebbe tornare domattina”.
“Ok, ma ti ho chiesto dov’è?!?” insistette l’imprenditore.
“Sono spiacente, ma non mi è consentito comunicare ad altri le sue faccende private” replicò Mogi “Le suggerisco di richiamare domani”.
Dopo una breve pausa, Higuchi proseguì, decidendo di cambiare strategia.
“Il precedente manager di Misa per caso faceva l’attore?!” chiese, con la stessa foga.
“Come?” replicò Mogi.
“Esiste un certo ‘Taro Matsui’?” lo incalzò Higuchi.
“Beh…essendo subentrato dopo di lui, non ne ho idea” gli rispose il poliziotto “Dovrebbe chiedere in ufficio: però, in questo momento siamo tutti a Okinawa. Perché non chiama il presidente?”.
“Perfetto” mormorò Ruri “Sembra che abbiamo calcolato tutto nei minimi dettagli”.
“Vi passo la telefonata fra Higuchi e il presidente della Yoshida” disse poi Watari, inoltrando la nuova chiamata a lei e ad Elle.
“Sono Higuchi, della Yotsuba, mi chiedevo se Taro Matsui fosse il vero nome dell’ex manager di Misa”.
“No, signore, quello era soltanto il nome d’arte che usava come manager”.
“E qual è il suo vero nome?!” sbottò Higuchi.
“Il cognome è Yamada, anzi no…Yamashida! E il nome invece è…ah, non me lo ricordo”.
“VUOLE SCHERZARE?!? ERA UN SUO DIPENDENTE!!!! CERCHI DI RICORDARSELO!!!!” sbraitò Higuchi, del tutto fuori di sé.
“Ma che modi sono questi?!?” esclamò il suo interlocutore “Appena torno in ufficio, darò un’occhiata al suo curriculum”.
“Allora vada a prenderlo immediatamente!!!”.
“Adesso si calmi!” lo esortò il presidente della Yoshida “Senta, se ci tiene così tanto le dico la combinazione della serratura del nostro ufficio: ci vada pure lei! I curricula sono nell’ultimo cassetto della scrivania in fondo a sinistra, sono in ordine alfabetico…credo proprio che si chiamasse Yamashida”.
Non appena anche quella telefonata fu chiusa, Elle riprese la comunicazione con lei.
“Higuchi sta partendo. Si dirige alla Yoshida, come previsto”.
“Ok. Avvisiamo Ayber e Mogi” replicò Ruri, chiamando subito l’amico.
Ayber rispose nell’arco di un paio di secondi.
“Novità?”.
“Ci siamo. Viene verso la vostra postazione, tenetevi pronti”.
“Perfetto: attendiamo ordini da Ryuzaki”.
“Ok, vi raggiungiamo”.
Non appena ebbe rialzato lo sguardo, poté vedere Higuchi precipitarsi fuori di casa, stringendo in mano una cartella da lavoro da manager, e fiondarsi immediatamente sopra la Porsche rossa che era parcheggiata sul suo vialetto d’accesso, per poi catapultarsi alla massima velocità in direzione della direzione artistica della Yoshida Production.
“Eccolo” disse Ruri, mettendo subito in moto e riavviando il contatto con Elle e Ayber “Ha solo una borsa con sé: lo seguiamo. Distanza massima 50 metri, distanza minima 20 metri. Si dirige verso la zona ovest di Tokyo. Conoscendolo, immagino che non sia uscito senza un’arma da fuoco, quindi occhio alle sue mosse. Quel bastardo non ci sfuggirà”.
 
Alla base del quartier generale, Elle si dedicò a ingrandire l’immagine di uno dei suoi monitor sull’interno dell’abitacolo dell’auto di Higuchi, dove il sospetto, malgrado stesse guidando, continuava a seguire la diretta televisiva di cui Matsuda era protagonista.
“E così, sono andato a bere insieme a tutti e otto, Kira compreso” stava dicendo il loro uomo, continuando a parlare con il giornalista con la massima tranquillità.
“Ah! Questo sì che è interessante” commentò il suo interlocutore.
“Se però adesso vi raccontassi tutti i particolari, capireste subito chi di loro era Kira. Quindi, per il momento mi fermo qui”.
“Giusto” annuì l’intervistatore “La preghiamo di riservarci la rivelazione sull’identità di Kira per il gran finale”.
“Altoparlante 1 in macchina di Higuchi, volume 70” disse Elle, regolando le impostazioni e chiedendo implicitamente a Light di fare lo stesso “Altoparlante 2 su Sakura TV, volume 30”.
“Higuchi non riesce a staccare gli occhi dal programma neanche in macchina” commentò lo studente, con entusiasmo.
“A che velocità prosegue?” domandò Robin, più in ansia di quanto non volesse ammettere.
“100 Km/h sulla statale, e sta aumentando” replicò Ruri, in collegamento telefonico “Di questo passo, dovremo trovare una via alternativa per seguirlo, o il bersaglio si accorgerà della nostra presenza. Per il momento, ce la facciamo”.
Rendendosi conto dell’espressione preoccupata della dottoressa, Misa le posò una mano sulla spalla, rivolgendole un sorriso rassicurante.
“Rilassati, cara: Ruri e Matsui se la caveranno benissimo”.
“Lo spero tanto” replicò Robin, rispondendo al suo sorriso.
“Ritornando a noi, ciò significa che lei si è trovato faccia a faccia con Kira?” proseguì il giornalista, con tono animato.
“Esatto. Anche se ancora non sapevo che fosse lui…”.
“Però, mi lasci dire che ci vuole un bel coraggio per fare una simile rivelazione, dopo essere stato visto. È sicuro che non sia rischioso?” domandò poi l’uomo.
“Certo” rispose Matsuda “Grazie alle mie ricerche, ho scoperto che Kira ha bisogno di conoscere due cose, per uccidere. In giro, ho sentito diverse voci al riguardo, ma io posso dire con certezza quali sono…e Kira conosce di me soltanto una di queste due cose”.
Dopo una pausa in cui Higuchi sembrò riflettere con la massima intensità, Elle e gli altri lo video aprire bocca.
“Rem, tu che cosa ne dici?” domandò, apparentemente a nessuno in particolare.
“Rem…? E chi sarebbe?!” esclamò Light, frastornato “In macchina è salito da solo…e dubito seriamente che a bordo ci sia qualcun altro. Non sta neanche usando il cellulare…che abbia qualche apparecchio radio?”.
“No” lo contraddisse Elle, ingoiando un pezzo di banana “Non c’è niente del genere su quella macchina; niente a parte le cimici e la telecamera che abbiamo installato noi. Se n’è occupata Wedy, possiamo stare tranquilli”.
“Secondo te, se vado alla Yoshida, lo trovo o no il curriculum?” domandò ancora l’imprenditore, incredibilmente teso.
“Che sta facendo? Parla con gli shinigami?” commentò Ruri, sarcastica.
“Potrebbe anche darsi” le rispose Elle “Accenna a cambiare direzione?”.
“No: prosegue verso la meta stabilita, e continua ad accelerare. Ha fretta di arrivare al punto, su questo non c’è dubbio” rispose la profiler.
“Se quel tizio ha un briciolo di cervello, prima di andare in TV” disse ancora Higuchi, aggrottando le sopracciglia “Si sarà sbarazzato di tutto ciò che può far risalire al suo nome, e inoltre…non ti sembra imprudente, da parte della Yoshida Production, lasciare che qualcuno entri liberamente nei loro uffici? E poi, se venisse rubato qualcosa, sarei l’unico indiziato…”.
“Le cose si mettono male” disse Misa, preoccupata.
“State tranquilli: vedrete che ci andrà” ribatté Elle, sicuro.
“E se trovassi il curriculum, e poi…scoprissi che anche il nome riportato là è falso? Anzi, vista la situazione, diciamo pure che ci sono buone probabilità che sia così…” rifletté Higuchi.
“Ci siamo quasi! Manca appena un’ora alla fine del programma!” esclamò il conduttore, indicando l’orologio degli studi televisivi, che in quel momento segnava le 21.
Dopo un altro silenzio, Higuchi riprese a parlare.
“Sì, questo lo so benissimo…ma per precauzione, sarà meglio che, subito dopo, uccida tutte le persone che ho chiamato, come il tizio della Yoshida, Misa e il suo manager”.
“Ha detto che vuole ucciderci?!” esclamò Misa, terrorizzata.
“No, non devi preoccuparti, Misa” la rassicurò Elle “Intendeva dopo che avrà ucciso Matsuda. E se non riuscirà a uccidere Matsuda, non avrà motivo di fare una cosa del genere”.
“Questo è vero, però…” disse lentamente Light, con tono incerto.
“Giusto” disse Higuchi, continuando a parlare da solo “Devo dire che sei molto intelligente, Rem. Allora farò in modo che cancellino le chiamate e poi li ucciderò…”.
“Non è possibile che stia parlando da solo!” esclamò Light, alzandosi in piedi “Ma chi è questo Rem?! Con chi diavolo sta parlando?!”.
“Se in macchina insieme a lui c’è qualcuno…” disse Elle, socchiudendo gli occhi “È uno shinigami”.
“A questo punto, immagino che tutto sia possibile” sospirò Ruri “Ad ogni modo, siamo quasi arrivati. Non manca molto”.
“Bene. Quando sarete di fronte alla Yoshida, fermatevi a distanza di sicurezza e aspettate il mio segnale. Dobbiamo studiare le sue mosse in modo attento”.
“Ricevuto”.
“No” disse Higuchi, rispondendo a qualche domanda che non potevano sentire “Anche se lo facessi, finirei comunque i miei giorni in miseria…quel tizio ha appena detto di avere delle prove. E se andassero a confrontare i dati con la crescita della Yotsuba con quelli relativi alle morti, nessuno avrebbe più alcun dubbio. Se poi aggiungi al pacchetto i miei precedenti penali, direi che sono già condannato. Quella puttana dell’FBI mi ha completamente rovinato di fronte a tutto l’Interpol, qualche tempo fa…troverebbero subito un ulteriore punto di partenza per incriminarmi”.
“Lusinghiero come al solito” ridacchiò cupamente Ruri.
“Il nome che pronuncerà darà un’identità a Kira” proseguì Higuchi “Anche se non ci fossero prove schiaccianti contro di me, la mia carriera sarebbe irrimediabilmente compromessa. Per me sarebbe la fine: verrei cacciato dalla Yotsuba”.
“Naturalmente, la nostra redazione ha studiato questa trasmissione tenendo conto del fatto che anche Kira la starà guardando” disse nel frattempo il giornalista.
“In tal caso, gli rivolgerò un appello” disse Matsuda, volgendosi appena verso la telecamera “Kira…costituisciti!”.
“Ci siamo!” disse Ruri, interrompendo il breve silenzio che si era creato “Higuchi è arrivato alla Yoshida. Siamo fermi”.
“Bene. Adesso aspettiamo” le disse Ryuzaki, cercando di frenare un fremito improvviso della sua voce.
 
Ruri fermò la macchina a distanza di sicurezza, tenendo pronta la mano sulla pistola e attendendo che Elle desse a lei e a Wedy il segnale per entrare nell’edificio: con un sospiro, premette il pulsante dell’auricolare che le avrebbe permesso di parlare con Ayber, sforzandosi di mantenere un tono di voce normale.
“Ayber, Higuchi è appena entrato. Avrà sicuramente una pistola, quindi attenti a come vi muovete e optate per un profilo basso. Saremo dietro di voi, appena Ryuzaki ci dà il via”.
“Tranquilla, principessa” mormorò il biondo “Tutto sotto controllo” le disse poi, prima di chiudere subito il loro contatto.
La ragazza tornò a spostare lo sguardo sullo schermo del computer della loro macchina, dove il detective le stava trasmettendo le stesse immagini che era in grado di vedere: Higuchi era appena entrato negli uffici dell’amministrazione e stava frugando nel cassetto che il presidente della compagnia gli aveva indicato.
*Avanti…facci vedere come uccidi…* non poté fare a meno di pensare, socchiudendo gli occhi.
“Ryuzaki, noi siamo pronti a bloccare Higuchi: attendiamo ordini” sentì dire Mogi, in collegamento audio.
“Ok” ribatté Elle, teso a sua volta.
In quel preciso momento, Higuchi tirò fuori un quaderno dalla copertina nera dalla sua ventiquattr’ore e cominciò a scrivere il falso nome di Matsuda che aveva trovato scritto sul suo curriculum; poi, sorrise soddisfatto e si avviò all’uscita, dopo averlo messo a posto.
“Maledizione!!!” sbottò Light “Si è solo segnato il nome su un quaderno! E adesso se ne sta andando senza ucciderlo!”.
Ruri corrugò appena le sopracciglia, tamburellando ancora contro il volante.
“Perché aveva tutta quest’ansia, se adesso sembra così rilassato? C’è qualcosa che non va” commentò subito dopo.
“Che facciamo?” chiese Wedy “Dobbiamo fermarlo?”.
“No; non abbiamo ancora scoperto come uccide” replicò Elle, cercando di nascondere il suo disappunto “Chissà, forse avrà pensato di fare qualcosa in macchina…datemi l’interno dell’auto sul monitor”.
L’immagine sullo schermo cambiò nuovamente, mostrando l’abitacolo del mezzo di Higuchi, dove il loro uomo si era seduto ancora, lanciando frequenti occhiate al suo orologio da polso.
“Un po’ troppo calmo…” constatò Ruri “Soprattutto considerando le scenate di prima…”.
“Già, è vero” replicò Elle “Se davvero gli bastava soltanto il nome, avrebbe anche potuto prendersi il curriculum, piuttosto che rimetterlo nel cassetto, no?”.
Esattamente quaranta secondi dopo, Higuchi perse di nuovo il controllo.
“MERDA!! NON MUORE!!”.
“Cosa?! Che vuol dire ‘Non muore’?!” chiese Light, stralunato.
“Evidentemente, ha già provato a ucciderlo” constatò il detective, concentrato come non mai “Che gli basti scrivere il nome per uccidere…?”.
“Lo lasciamo ancora in libertà?” domandò Ruri, alzando un sopracciglio “Probabilmente, gli basta davvero conoscere solo il volto e il nome della vittima e desiderare che questa muoia, per uccidere…anche se, in effetti…dubito che quel quaderno sia casuale. E poi, hai notato quello che ha fatto prima, in auto?”.
“Intendi dire che fissava l’orologio in continuazione?”.
“Sì. Potrebbero volerci alcuni secondi prima che le sue azioni facciano effetto” ribatté la profiler, riflettendo molto velocemente.
“Se lo catturiamo senza aver capito come uccide, anche se cercassimo di farlo confessare…potrebbe sempre trasmettere il suo potere a qualcun altro” le ricordò Elle, ignorando lo sguardo penetrante che Light gli aveva appena lanciato “Non fare niente senza il mio consenso”.
“Va bene, va bene!” esclamò Ruri “Spero solo che tu sappia quello che fai”.
“Maledizione, non c’è più tempo!!!” gridò Higuchi, afferrando il suo cellulare.
“Sta chiamando qualcuno” disse Light.
“Vorrà di nuovo Misa” commentò Ryuzaki.
Dopo qualche secondo, Ruri udì anche la voce della bionda, intenta a confermare i loro sospetti.
“Indovinato!” disse la giovane, riattaccando subito il telefono.
Preso dalla frustrazione, Higuchi scagliò il proprio sul sedile posteriore, lasciandosi andare a un urlo liberatorio: nell’arco di un paio di minuti, aveva appoggiato le mani sul volante, assumendo l’espressione di una persona intenta a scegliere fra la vita e la morte.
“Rem…” disse, dopo un silenzio più lungo dei precedenti “…facciamo lo scambio”.
 
Alla base del quartier generale, Light Yagami assunse un’espressione ancor più stralunata.
“Lo scambio?!” disse, strabuzzando gli occhi “Ma che cosa vuol dire ‘Facciamo lo scambio’?! Chi diavolo è questo Rem con cui continua a parlare? Che il potere di Kira venga davvero dal Cielo?”.
“A questo, non voglio nemmeno pensarci…” ribatté cupamente Ryuzaki.
“E allora…chi sarebbe Rem?”.
“Uno shinigami?” disse Elle, con il tono di chi si sforza di credere alle sue stesse parole “Comunque, meglio stare a guardare. Ho l’impressione che scopriremo diverse cose e magari capiremo anche come fa a uccidere”.
Tornando a concentrarsi sul monitor, vide che sul volto di Higuchi si era appena dipinto un sorriso sadico molto soddisfatto: prima che potessero pronunciare un’altra parola, l’imprenditore aveva già rimesso in moto, dirigendosi a tutta birra verso la sua prossima destinazione.
 
Ruri mise immediatamente in moto, mentre anche Mogi e Ayber si precipitavano in macchina e si accodavano alla sua auto, sfrecciando a loro volta dietro la Porsche di Higuchi.
“Ti copriamo le spalle, principessa” udì dirle Ayber, con il suo solito tono sicuro “Prossima destinazione?”.
“Non ne ho idea, ma teniamo gli occhi aperti: Higuchi ha parlato di uno strano scambio, e ancora non sappiamo di cosa si tratti. Potrebbe essere più pericoloso di quanto pensassimo”.
Prima che Ayber potesse risponderle, una motocicletta della Polizia Stradale accese improvvisamente la sirena e il lampeggiante, facendo segno a Higuchi di accostarsi al lato della strada; dopo un paio di secondi, il conducente aveva già eseguito.
“Merda!!” imprecò Ruri.
“Che succede?” le domandò subito Ryuzaki.
“Cattive notizie: Higuchi è appena stato fermato da una moto della polizia. Non possiamo fermarci anche noi, si accorgerebbe della nostra presenza e manderemmo a puttane l’operazione. Dobbiamo precederlo” replicò Wedy, irritata.
“Ci vediamo a 5 km sempre dritto: continueremo a monitorare Higuchi via satellite. Ayber, potete occuparvene voi?” continuò Ruri, sistemandosi meglio l’auricolare.
“D’accordo. A dopo” le rispose l’amico.
Ruri ingranò la quarta e superò la moto della polizia, lanciando un’occhiata di sbieco alla Porsche: senza dare nell’occhio, riuscì a fermarsi a una distanza ragionevole, rimanendo in attesa di disposizioni e sorvegliando sia la posizione di Higuchi che ciò che stava facendo all’interno dell’abitacolo.
“Ingrandisci l’interno della macchina” udì dire Ryuzaki, rivolto a Watari.
“Vediamo, dove avrò messo quella patente di guida…” stava borbottando Higuchi, frugando nella sua borsa sotto lo sguardo severo del poliziotto.
A quel punto, l’uomo fece una cosa del tutto inaspettata: prima che l’agente potesse fermarlo, mise in moto alla velocità della luce e ripartì a tutta birra, superando la loro macchina senza nemmeno accorgersi della loro presenza.
“Che cazzo sta facendo?!?” sbottò Ruri.
“Higuchi è sfuggito al poliziotto!!” esclamò Mogi, intento a precipitarsi dietro di lui.
“Ci siamo!” confermò Ruri, riaccendendo subito il motore e riprendendo l’inseguimento “Coordinate 35.42 gradi a est, sta andando verso la Yotsuba!”.
In quell’esatto momento, Ruri la vide: la motocicletta del poliziotto che stava inseguendo Higuchi andò dritta a sfracellarsi contro un tir di passaggio, facendo precipitare il suo conducente fuori dal guardrail.
“La moto della Stradale si è schiantata contro un camion!!” disse Mogi, con tono altrettanto allarmato.
“Schiantata?! Vuoi dire che è morto?!” sbottò Light.
“Non potrebbe esserlo più di così” confermò Ruri “Ryuzaki, mi ricevi?”.
“In ascolto, Ruri” le rispose subito il detective.
“Non so come la pensi tu, ma questo ‘scambio’ di cui ha parlato Higuchi cambia le cose. Come diavolo ha fatto a uccidere quel poliziotto, se non ne conosceva il nome? Forse ha appena acquisito nuovi poteri…e adesso gli basta conoscere il volto della vittima, per uccidere! Anche se prima non poteva essere così, oppure Matsuda sarebbe già morto…”.
“Le cose si mettono male” assentì Ryuzaki “Dobbiamo intervenire prima che sia tardi. Ascoltatemi!” proseguì poi con tono autoritario, rivolgendosi a tutti gli altri “Ritengo che sia pericoloso lasciare ulteriormente Higuchi a piede libero, procederemo all’arresto! Tuttavia, lo faremo supponendo che Higuchi sia diventato capace di uccidere conoscendo solo il volto della vittima, come il secondo Kira!”.
“Va bene” ribatté Ruri “Come vuoi che procediamo?”.
“Devo parlare con il capo della polizia e dare disposizioni adeguate, o si scatenerà un massacro. Non perdetelo di vista e aspettate che vi comunichi le prossime disposizioni”.
“Ricevuto”.
“E, Ruri…”.
“Sì?”.
“State attente…stai attenta…che non ti veda in faccia. Non esiterà più: si sta giocando tutto quello che ha” le disse, con un tono di voce strano.
“Beh, è quello che facciamo anche noi” replicò Ruri, con un lieve sorriso “Rimaniamo in attesa, signor detective”.
 
Elle avviò immediatamente la comunicazione con Watari, consapevole che ogni secondo avrebbe potuto fare la differenza: non aveva idea di quello che sarebbe potuto succedere, e una simile sensazione lo disorientava.
Inoltre, il solo pensiero che Ruri fosse a poca distanza da un serial killer dotato del peggiore potere omicida mai visto sulla faccia della Terra gli stava provocando dei brividi che trovava sempre più difficile controllare, con il passare dei minuti: ma sapeva di dovercela fare, e sapeva di poterlo fare.
“Watari” disse, prendendo un respiro profondo “Mettimi in contatto con il capo della polizia”.
“Subito”.
Pochi istanti dopo, ignorando qualsiasi convenevole, iniziò a parlare frettolosamente con il superiore di Kitamura.
“Sono Elle” si annunciò “Abbiamo identificato Kira: al momento, sta viaggiando su una Porsche 911 rossa lungo la Statale 1, in direzione di Shibuja. Vi prego di avvertire tutti gli agenti di non avvicinarsi, ci occuperemo noi dell’arresto”.
“Papà” disse invece Light, rivolgendosi al genitore in ascolto sull’altra linea “Dopo la pubblicità, passa al piano numero 7: Demegawa e gli altri devono andarsene prima che Higuchi raggiunga la Sakura TV”.
“D’accordo!” esclamò Soichiro, all’altro capo.
“Allora, Light” disse Elle, alzandosi finalmente in piedi “Non credi che dovremmo andare anche noi?”.
“Sì” annuì il ragazzo, imitandolo.
“Bene” replicò il detective “Robin, sai che cosa fare”.
Prima che qualcuno aggiungesse un’altra parola, la giovane dottoressa aveva già ammanettato Misa, spingendola gentilmente a sedere e provvedendo a immobilizzarle anche le gambe e il resto del corpo.
“Scusa, Misa” le disse, con un sorriso colpevole “Ma non hai un’indole troppo accondiscendente, e ho promesso a Ruri e a Ryuzaki che ti avrei tenuto d’occhio io. Dovrai rimanere qui per un po’”.
“Che storia è questa?!” protestò la biondina “Ma che razza di scherzo è?!”.
“Noi andiamo” disse Elle, infilandosi subito le sue vecchie scarpe da ginnastica “Roxie, tieniti pronta per qualsiasi emergenza: la sala operatoria sotterranea è già stata preparata, nel caso ne avessimo bisogno”.
“Spero che non sia così” sospirò Robin.
Prima che Elle potesse allontanarsi del tutto, Robin lo fermò per un braccio, fissandolo intensamente negli occhi.
“Riportala qui” mormorò, per poi lasciarlo andare.
Dopo averla osservata per un altro momento, Ryuzaki annuì brevemente, volgendole le spalle e dirigendosi verso il tetto.
“Allora, Yagami: se non sbaglio, una volta hai detto che avresti tanto desiderato volare, un giorno” gli disse, con uno strano sorriso.
“Sì, ma…ma questo che cosa c’entra, adesso?” ribatté Light, stranito.
“Diciamo solo che ho pensato di esaudire il tuo desiderio”.
 
Una volta a bordo dell’elicottero, Light e Ryuzaki ripresero subito il contatto telefonico con gli altri, mentre sul retro del mezzo Watari preparava il suo fucile di precisione e lo stesso detective provvedeva al decollo.
“Accidenti! Non pensavo che sapessi addirittura pilotare un elicottero, Ryuzaki” si complimentò Light, ammirato.
“Non è difficile” rispose Elle, stringendosi nelle spalle e virando verso la zona di Shibuja.
Osservando per un istante il monitor che seguiva le coordinate geografiche di Higuchi, Light spalancò per un momento gli occhi.
“Ruri aveva ragione! Continua a dirigersi verso la Yotsuba! Che cosa pensa di fare?”.
Senza rispondergli, Ryuzaki avviò subito la comunicazione con Ruri.
“In ascolto” disse Ruri, per l’ennesima volta.
“Ruri, dovete arrivare alla Yotsuba prima di Higuchi e infiltrarvi là dentro: dovete eliminare qualsiasi materiale riguardante Matsuda, o sarà la fine, per lui”.
“Parli delle telecamere di sorveglianza? Nessun problema. Se prendiamo una scorciatoia, avremo tutto il tempo di tendergli un’imboscata alla Sakura TV insieme al signor Yagami e agli altri. Ayber, precedeteci lì: piano 7, zona sgombra dai civili. L’obiettivo prosegue verso la statale di Shibuja. Prendiamo la strada a est” disse la profiler, riattaccando.
 
Dopo aver fatto quanto richiesto da Ryuzaki, Wedy e Ruri raggiunsero finalmente la sede centrale della Sakura TV, dove, con loro grande sollievo, Higuchi non era ancora arrivato: indossando ciascuna un casco da motociclista, impugnarono la pistola e uscirono dall’auto, precipitandosi dentro l’edificio e raggiungendo il signor Yagami al settimo piano.
“Coprimi!” le chiese Wedy, entrando nell’edificio e salendo le scale di corsa.
Ruri eseguì, controllando che il passo della bionda fosse protetto, finché entrambe non furono al sicuro alla loro meta, dove il sovrintendente le stava già aspettando.
“Eccovi” disse l’ex poliziotto, sorridendo a entrambe “Tutto a posto?”.
“Sì. Higuchi sarà qui fra meno di quindici minuti. Meglio stare pronti” dichiarò Ruri, accucciandosi dietro alcune scrivanie insieme a Wedy e a Soichiro.
“Signor Yagami, ci siamo. Tenga” gli si rivolse Wedy, porgendogli una pistola “Ayber non ama le armi, quindi io e Ruri saremo le uniche ad essere armate, qui dentro”.
Soichiro distolse lo sguardo, con espressione rammaricata.
“Purtroppo, Wedy, non sono più un poliziotto. Non mi è consentito portare una pistola, e lo stesso dovrebbe valere per voi, qui in Giappone” dichiarò.
“Cocciuto come sempre, signor Yagami” commentò Wedy, sospirando con aria rassegnata.
“Signore, Wedy ha ragione: Higuchi sarà sicuramente armato, ed è pericoloso. Prenda quella pistola” lo incoraggiò Ruri.
“No, mi dispiace. Questo va contro la mia morale” insistette Soichiro, scuotendo la testa.
La loro conversazione venne interrotta dall’arrivo di Mogi e Ayber, che si posizionarono subito vicino a loro, accucciandosi a loro volta.
“Come avete fatto ad arrivare prima della serpe?” domandò Ruri, sollevando la visiera del casco che aveva appena indossato.
“Le vie di un truffatore sono infinite” le sorrise Ayber, strizzandole l’occhio “Guidi bene quasi quanto un uomo, principessa”.
“Strano, stavo per dire la stessa cosa riguardo a te” lo rimbeccò Ruri, controllando ancora che la sua arma fosse pronta.
“Ahia! Un colpo basso” ammise il biondo, posizionandosi spalla a spalla con lei.
In quel momento, vide gli occhi di Ruri annebbiarsi appena, e il suo respiro farsi affannoso.
“Ehi, stai bene? Stai bene?!” ripeté, dato che la ragazza non accennava a rispondergli subito.
“Ruri, è tutto a posto?” domandò subito il sovrintendente.
“Sto benissimo” li rassicurò Ruri, scuotendo la testa “Non vi agitate, ok? Concentriamoci su Higuchi”.
Continuando a osservarla, Ayber si rese conto che era passata dal premersi una mano sul cuore a posare la stessa sul ventre, il volto contratto in una smorfia di dolore.
“Principessa, non farmi strani scherzi, siamo intesi? Dimmi cosa c’è che non va” insistette, posandole una mano sulla spalla.
“Ayber, giuro su tutti i santi di ogni culto religioso che ti sparo nei coglioni, se me lo chiedi un’altra volta. Sto bene, ok? Non mandare a monte l’operazione solo perché i miei trascorsi clinici sono più fastidiosi di quanto non sarebbe auspicabile”.
“Sì, anche io ti voglio bene” sorrise il biondo, alzando gli occhi al cielo.
In quel momento, i loro occhi s’incrociarono di colpo, e un pensiero improvviso attraversò la mente di Ayber, come una sorta di fulmine a ciel sereno.
“Ruri…non sei incinta, vero? Perché non mi va di scoprire che diventerò zio proprio in un momento come questo”.
Prima che la ragazza potesse ribattere con una delle sue risposte acide e furiose, Higuchi fece il suo ingresso negli studi televisivi, muovendosi con la massima circospezione e continuando ad ascoltare le voci registrate di Matsuda e del suo intervistatore, che aveva già abbandonato lo studio da un bel po’; ci volle qualche minuto prima che l’uomo si rendesse conto che le due figure non erano altro che dei manichini.
In quel preciso istante, Ruri dette il segnale agli altri ed uscì dal nascondiglio, puntandogli contro la pistola, mentre Wedy faceva altrettanto e gli altri lo circondavano, tutti a volto coperto.
“È finita, Higuchi!” esclamò il sovrintendente.
“Non muoverti!” gli intimò Ruri “Mani sopra la testa!”.
“Arrenditi!” rincarò la dose Wedy.
Higuchi si guardò freneticamente intorno, con l’espressione di chi cerca una via di fuga, stringendosi alla sua borsa con una presa quasi frenetica; Ruri poté notare che il sudore gli stava scendendo copiosamente lungo il volto.
“Ma…ma dev’esserci un equivoco” disse poi l’imprenditore, sforzandosi di sorridere “Io volevo solo parlare con il signor Demegawa…”.
Con la massima disinvoltura, cominciò a frugare dentro la sua ventiquattr’ore.
“Sono solo un dipendente dell’Ufficio Sviluppo del gruppo Yotsuba, ecco qui il mio biglietto da visita…”.
“FERMO!!!” gridò Ruri.
Ma era già troppo tardi.
Higuchi aveva estratto la pistola e aveva sparato nella sua direzione, ferendola a una spalla e colpendo anche Soichiro, che le si era avvicinato per difenderla: un gemito di dolore la costrinse ad accasciarsi a terra, mentre il sangue cominciava a uscire copiosamente dalla ferita e il suo cuore prendeva a battere all’impazzata.
“RURI!!! SOVRINTENDENTE!!!” gridarono Ayber e Mogi in coro, precipitandosi verso di lei.
“AYBER!!!” proseguì Wedy, gettando la sua pistola al biondo “FERMALO!!”.
Il truffatore cercò di inseguire il loro obiettivo, sparandogli contro ma finendo per mancarlo.
“CAZZO!!!” gridò l’uomo, tornando a precipitarsi vicino a Ruri “Giuro che gli spacco la testa, a quel maledetto!”.
“Scusa, Ryuzaki!” esclamò Mogi, in collegamento telefonico con Elle “Higuchi è scappato! Aveva una pistola e ha colpito Ruri e il sovrintendente! Ci serve aiuto!”.
“Pensate al signor Yagami” disse Ruri, stringendo i denti “S-sto bene…”.
“Sei matta?! Stai per avere un’emorragia!!” sbottò Ayber, prendendola sottobraccio.
“Posso farcela!” sbottò Ruri, divincolandosi dalla sua presa e rialzandosi in piedi, anche se a fatica “Dobbiamo sbrigarci, possiamo ancora fermarlo!”.
“Non se ne parla, tu non gli correrai dietro, in queste condizioni!” protestò Ayber, mentre l’ex agente strappava un angolo di un telo, posto nelle vicinanze, e lo utilizzava per tamponare la ferita, per poi stringerlo forte intorno al braccio nel tentativo di fermare la fuoriuscita di sangue.
“Ayber, muovi quel culo e sali in macchina! Ci preoccuperemo delle ferite quando avremo tempo! Dobbiamo bloccarlo prima che raggiunga l’uscita della città, o lo perderemo!!” gridò Ruri, precipitandosi fuori dall’edificio.
Ayber e gli altri la seguirono in strada, avvicinandosi subito alle automobili.
“Wedy, va’ con il sovrintendente!” gridò Ruri, aprendo la portiera “Me ne occupo io!”.
“Cos’era quella storia sul ‘non fare l’eroina’?!?” sbottò Ayber, afferrandola per un braccio “Tu non ci sali da sola su quella macchina, io vengo con te!!”.
“Ayber, prendi posto con Mogi e finiscila!” lo spinse via Ruri, salendo a bordo “Non tornerai a casa in una bara bianca circondato dai fiori e non sentirò Giselle piangere per la tua morte, hai capito?! Seguo io Higuchi in prima linea, e la discussione finisce qui!!! Sbrighiamoci!!”.
E prima che potesse aggiungere un’altra parola, la vide accendere il motore e inseguire a tutta birra il loro obiettivo: con una fitta al cuore, non poté far altro che salire insieme a Mogi e precipitarsi dietro di lei, chiedendosi se l’avrebbe mai rivista viva.
 
A bordo dell’elicottero che stava sorvolando la stessa statale su cui Higuchi cercava di sfuggire ai suoi inseguitori, Elle riuscì a rimettersi in contatto con la sua ragazza; il cuore non aveva smesso di battergli all’impazzata da quando aveva capito che era stata ferita, ma sentiva che le cose avrebbero potuto precipitare ancor di più da un momento all’altro. Bastava un singolo errore, e sarebbe finita.
Le parole di Robin continuarono a rimbalzargli nella mente, miste ai pensieri sulle prossime mosse da fare e su ciò che avrebbe dovuto mettere in atto per fermare definitivamente Higuchi.
“Ruri, mi ricevi?! Ruri!!” esclamò, con più agitazione di quanto non volesse.
“Sono qui” replicò la giovane, ma con voce più flebile “Ce l’ho, Ryuzaki: ho il modo per tagliargli la strada”.
“Che vuoi dire?” domandò l’investigatore, ignorando il sudore che gli scendeva lungo la tempia sinistra.
“Se continuiamo a tenerci alle sue spalle, finirà per seminarci: le nostre auto non reggono quella velocità, e a giudicare dalla direzione, si dirige verso l’autostrada per Kyoto. Rischieremo di creare un massacro se proseguiamo per di là, e lo perderemmo comunque! Dobbiamo bloccargli ogni via di fuga!”.
“Ruri, cosa vuoi fare?!”.
“Lo affianco e cerco di mandarlo fuori strada: il guardrail non reggerà la pressione, e fra poco supereremo il ponte Nord. L’impatto fra le auto sarà sufficiente”.
“Sei impazzita?! Rischi di ammazzarti!!!” gridò Ryuzaki, sforzandosi di concentrarsi anche sui comandi “Non se ne parla neanche! Resta dietro di lui!”.
“Per fare che? Per lasciare che prenda il primo volo per gli Stati Uniti e chieda aiuto alla malavita di Los Angeles?! Senti, non abbiamo scelta: dobbiamo andare fino in fondo ed è quello che faremo! Scendi in prima linea e coprimi le spalle, lo affronterò direttamente, non appena saremo fuori dalle macchine!! Di’ agli altri di tenersi pronti!”.
“Non te lo lascerò fare” replicò Ryuzaki, dando gas ai motori.
“Ryuzaki…”.
“NO!! Torna subito indietro!!”.
“Negativo, signor detective: sono troppo lanciata, non posso farlo” ribatté Ruri, con tono più calmo di quanto non si sarebbe aspettato.
“RURI, MORIRAI!!!” si lasciò sfuggire Elle, lasciando trapelare parte della sua disperazione.
All’altro capo, Ruri rimase qualche istante in silenzio: per un momento, ebbe la sensazione che stesse sorridendo.
“…tu moriresti per catturare Kira…?” gli disse, con il tono di chi sta parlando con lui in una situazione del tutto normale, persino con un po’ di dolcezza.
“Ruri…non lo fare. Non lo fare” ripeté il detective, socchiudendo appena gli occhi.
“Copritemi le spalle e state pronti a intervenire. Mors tua, vita mea, come si dice. Devo chiudere” lo interruppe la ragazza, in tono conclusivo.
Ruri…!!!”.
“Non lasciartelo sfuggire! È la nostra ultima possibilità. Credo in te, Elle…ci ho sempre creduto. Adesso vai!!!” esclamò, prima di chiudere il loro contatto.
“RURI, NO!!!” fece in tempo a gridare Elle, un attimo prima di perdere il collegamento con la sua voce.
Light lo fissò preoccupato e incerto su cosa sarebbe venuto dopo.
“Ryuzaki…stai bene?” gli domandò, notando il tremito delle sue spalle.
“Watari!” sbottò Elle, voltandosi verso il suo mentore “Tieniti pronto a sparare: qualunque cosa succeda, ferma Higuchi prima che mandi Ruri fuori strada. Non m’interessa come: fermalo!!”.
“Ricevuto!” dichiarò Watari, posizionandosi vicino al portellone e controllando di nuovo il fucile “Non mi sfuggirà, te lo prometto”.
 
A bordo della sua auto, Ruri Dakota avvertì un’altra fitta al basso ventre e una in zona cardiaca, ma si sforzò di ignorare entrambe: non poteva arrendersi. Sapeva quanto avrebbe potuto costarle, eppure sentiva che non c’era niente di più importante, in quel momento: avrebbe preso Kira e lo avrebbe consegnato alla giustizia.
Per un momento, pensò al volto di Robin, a quello di Ayber, di Light e Misa, di Watari…e di Elle.
Un groppo alla gola le fece venir voglia di lasciarsi andare ai sentimenti, ma subito scosse la testa e riprese a concentrarsi su quello che stava facendo, accelerando ancor di più e riuscendo per un pelo a superare un grosso camion, così da affiancarsi alla Porsche di Higuchi: nonostante i suoi vetri fossero oscurati dall’esterno, era perfettamente in grado di vedere il volto del suo avversario, che si era appena accorto della sua macchina e aveva preso a scagliarle violenti colpi al fianco, nel tentativo di spedirla fuori dalla carreggiata.
Con l’adrenalina a mille, virò il volante e ricambiò il colpo, consapevole che si stavano avvicinando alla fine del ponte Nord e che allora avrebbe dovuto cogliere il momento opportuno: il colpo che gli avrebbe assestato lo avrebbe definitivamente bloccato e forse avrebbe fatto cappottare la sua auto, ma senza dubbio avrebbe fermato la sua corsa.
Quanto a lei…non era sicura di come sarebbero andate le cose: la sua macchina aveva già subito notevoli danni, e le cose peggioravano al passare di ogni secondo.
In quell’istante, la voce disperata di Ryuzaki le tornò alla mente, così come le ultime parole che gli aveva rivolto di persona.
Tienitelo per dopo…
Dovette costringersi ad ammettere che, con ogni probabilità, non ci sarebbe stato nessun ‘dopo’.
“Forza, principessa” si disse, cercando di darsi un po’ d’incoraggiamento “Prendi a calci le palle di questo maniaco omicida!!”.
Accadde tutto nell’arco di un paio di secondi: voltandosi alla sua sinistra, dove Higuchi era appena riuscito ad allontanarsi di nuovo dalla sua vettura, si rese conto che il suo avversario stava sparando al serbatoio della sua macchina, e che sul display del suo quadrante di controllo era appena apparsa la scritta ‘DANGER’ in un vivido color rosso fuoco, accompagnata da un rumoroso segnale d’allarme.
“MERDA!!!” gridò Ruri, lanciando un’occhiata di fronte a sé.
Mentre perdeva il controllo dell’auto, pensò che fosse definitivamente finita: poi, i suoi occhi azzurrissimi scorsero un esercito di volanti della polizia dai vetri oscurati, posizionate in modo da bloccare la strada al serial killer.
 
A bordo dell’elicottero, Ryuzaki continuava a tenere gli occhi incollati sull’auto di Ruri, che in quel preciso istante dava segno di star sbandando e che era appena finita fuori dalla carreggiata, arrestandosi poco prima di cadere fuori dal guardrail.
“Higuchi ha sparato alla macchina!!” gridò Light, sbarrando gli occhi “Se Ruri non riesce a uscire in tempo…”.
Prima che potesse parlare, l’automobile esplose di fronte ai loro occhi, generando una nube di fuoco e di fumo che si alzò verso l’alto, nascondendo il mezzo della profiler alla vista: Light e Watari lanciarono grida disperate, invocando il nome della ragazza, mentre Elle rimaneva seduto al suo posto, impietrito.
Non era vero. Non era possibile. Non poteva essere possibile.
Non poteva non averlo previsto, calcolato, valutato…era assurdo.
No. No. No.
Era l’unica parola che continuava a rimbombargli nella mente, seguita da una serie di immagini di Ruri che sorrideva, che rideva, che s’imbronciava, che mangiava le fragole, che lavorava al computer…che lo baciava. Ma non sarebbe successo.
Non era successo. Avrebbe arrestato Kira, lo avrebbe fatto insieme a lei, e sarebbero tornati a casa insieme.
Sentiva che la sua mente geniale, fredda e imperscrutabile era priva, in quell’istante, di qualsiasi connessione nervosa e di qualsiasi logica: avvertì le proprie sinapsi collassare, come componenti di una grande macchina elettronica attaccati da un virus o sabotati da un esperto.
Ma al contempo, era consapevole che niente di quello che stava provando sarebbe mai stato paragonabile al processo operativo di un computer.
Non sentiva più niente. Le voci, i suoni, gli odori, persino il tono concitato di Yagami e le parole di Watari gli scivolavano addosso come se non fossero nemmeno esistite; la presa sui suoi comandi rischiò di allentarsi del tutto, quando un pensiero improvviso, di colpo, interruppe il flusso di ricordi legati a Ruri intenti a passargli di fronte agli occhi: le ultime parole che gli aveva detto…
 
Credo in te, Elle…ci ho sempre creduto.
 
Preso da una nuova risoluzione e da una furia gelida, dette un colpo deciso alla cloche dell’elicottero e scese in picchiata, illuminando a giorno la macchina di Higuchi, che aveva appena fatto dietro front per fuggire dalle auto della polizia, tagliandogli così del tutto la ritirata.
“Ti ho preso, figlio di puttana…” mormorò fra i denti, lo sguardo acceso da una rabbia che non credeva di conoscere.
Ma Higuchi non sembrava disposto ad arrendersi: rendendosi conto che l’elicottero non gli stava completando bloccando la via di fuga, ingranò la marcia e fece per superarlo di corsa.
“Watari, FERMALO!!” gridò Ryuzaki.
Il vecchio aveva già pronto il fucile; ma mentre faceva per mirare alle ruote e premere il grilletto, si rese conto che qualcuno lo aveva preceduto.
“Cosa diamine…?”.
La Porsche di Higuchi sbandò del tutto, finendo al lato della strada e fermandosi definitivamente: in quel preciso istante, Elle si sporse in avanti insieme a Light e a Watari, con il cuore che aveva ripreso a battere all’impazzata.
E fu allora che la vide.
Con le braccia segnate da nuovi tagli e il volto ferito, Ruri aveva un ginocchio a terra e l’altra gamba piegata del tutto, le mani salde sulla pistola: i suoi capelli scuri erano in parte usciti dalla coda di cavallo che si era fatta, scossi dal vento che il motore dell’elicottero aveva provocato. Anche da quella distanza, capì che aveva il respiro ansimante e che stava risentendo delle ferite, ma…era viva.
Era viva.
“Ruri!!” esclamò Light, con un gran sorriso “È stata grande!!”.
Watari si volse verso Elle, che a sua volta ricambiò lo sguardo, l’espressione terrorizzata e incredibilmente sollevata a un tempo: i due si scambiarono un breve sorriso, prima di concentrarsi di nuovo sulla scena, ma entrambi erano consapevoli di poter riprendere a respirare normalmente.
“Ora ascoltami bene, Kyosuke Higuchi” gridò Ruri, scandendo bene le parole, mentre Wedy, Ayber e gli altri la raggiungevano e scendevano dalle auto, affiancandosi subito a lei “Vieni fuori dalla macchina con le mani in alto, o giuro su Dio che apro il fuoco!”.
Con la massima calma, Higuchi le obbedì, sollevando le mani e avanzando verso di lei, che nel frattempo si era rialzata in piedi, il respiro ansimante.
Fissandola in volto, Higuchi non si risparmiò un sorrisetto rivoltante.
“Dovevo immaginare che si trattava di te…” disse l’uomo d’affari, fissandola con il massimo odio “Ti è sempre piaciuto starmi fra i piedi alla prima occasione, non è vero? E così, dopotutto, Misaki Yasuba non era il tuo vero nome…se solo avessi saputo prima che eri ancora viva…”.
“È finita, Higuchi” ribatté Ruri, cercando di calmare i battiti del suo cuore e la frequenza del suo respiro “Adesso è finita”.
“Finita…?” ripeté Higuchi, con un altro sorriso di scherno “Non è finita finché non lo decido io!!”.
Prima che potesse fermarlo, estrasse un’altra pistola e la puntò contro di lei; Wedy lo imitò e tirò fuori la propria, imitata da Aizawa, che si era precipitato fuori dalla macchina indossando un casco, e da un altro paio di agenti.
“Fermi!!” li bloccò Ruri “Non sparate! Dobbiamo prenderlo vivo!”.
“Vuoi scommettere che non otterrai quello che desideri? Credi che non abbia il coraggio di farlo? Non hai mai capito con chi avevi a che fare!!” sbraitò Higuchi, togliendo la sicura all’arma.
“Ruri…!” gridò Ayber, d’istinto.
“BUTTA QUELLA CAZZO DI PISTOLA, O SPARO!!!” gli intimò Ruri.
“Allora fallo!!!”.
“QUESTO È L’ULTIMO AVVERTIMENTO!!!”.
“Se finisce in questo modo, tu vieni con me, puttanella!”.
Fu allora che Higuchi iniziò a sparare, facendo in tempo a scaricare tre colpi in direzione della ragazza, prima che Watari riuscisse a disarmarlo con un colpo di fucile: in quel preciso istante, Ruri si rese conto che nessuno dei proiettili l’aveva raggiunta, e ben presto scoprì il perché.
Abbassando gli occhi, vide Ayber a terra, coperto di sangue, il torace trapassato in un punto vicino al cuore da uno dei proiettili che Higuchi gli aveva appena sparato: Ayber le aveva fatto da scudo.
“Ayber…AYBER!!!!!” gridò Ruri, precipitandosi a terra, mentre Mogi e il sovrintendente piombavano su Higuchi, bendandolo e ammanettandolo.
“Abbiamo un ferito grave!!! Serve aiuto!!!” esclamò Wedy, ricollegandosi alla sua ricetrasmittente “Non arriverà vivo in ospedale, dobbiamo farci venire in mente qualcosa, subito!!”.
“La dottoressa Cooper!” replicò Watari, volgendosi repentinamente verso Ryuzaki “Portiamolo da lei, vi accompagno io alla base! Ryuzaki, lasciami il comando dell’elicottero, ce la posso fare!”.
Mentre Elle si accingeva a dare il comando al suo mentore, e Light scendeva dall’elicottero, correndo incontro al padre, Ruri continuò a gridare il nome dell’amico, finché lui non aprì leggermente gli occhi, abbagliato dai riflettori dell’elicottero e dai fari delle macchine della polizia.
“Pri-principessa…” mormorò, sputando subito del sangue.
“AYBER!!!! Ma che cazzo ti è venuto in mente, sei impazzito?!?”.
“S-stai…stai bene?”.
“Certo che sto bene!!! Senti, dobbiamo portarti via, d’accordo?! Perdi un sacco di sangue, dobbiamo muoverci!!!” urlò la ragazza, mentre Watari le si affiancava.
“Dobbiamo andare!” gridò il vecchio, sollevandolo di peso e posandolo sulla barella che il sovrintendente e Mogi avevano appena preparato.
“Cosa facciamo?!” esclamò Ruri, in preda al panico.
“Non raggiungeremo mai l’ospedale in tempo! Lo portiamo da Robin, non abbiamo altra scelta!! Di corsa!”.
“R-Ruri…”.
Ruri sentì le dita di Ayber stringerle la mano, e capì che, per la prima volta, il suo amico stava avendo paura: in fondo al cuore, comprese che non si sarebbe perdonata di averlo abbandonato in quel momento…soprattutto a causa del senso di colpa che già le gravava sul petto.
“Vengo con te. Andiamo! Resta sveglio, mi senti?! Ayber, resta sveglio!!”.
Mentre Watari e Soichiro aiutavano a caricare la barella di Ayber a bordo del mezzo, Ruri alzò improvvisamente lo sguardo e incrociò quello di Elle: i loro occhi iniziarono a bombardarsi di domande e di risposte, di frasi mai dette e di parole pronunciate mille volte, fin quando Elle non azzerò la loro distanza e la strinse contro il suo petto, avvolgendola in una presa dolorosa e forte che lasciava intendere quanta paura gli fosse scorsa nelle vene, fino a quel secondo.
Quando le permise di allontanarsi, si appropriò delle sue labbra rabbiosamente, in un modo che non gli apparteneva, unendosi a lei come se avesse potuto farlo per l’ultima volta, affondando le mani nei suoi capelli e sul suo fianco, mentre sul volto di lei scorreva una lacrima solitaria e di sfogo.
Infine, Ryuzaki la lasciò andare, stringendole la mano per l’ultima volta e incrociando appena il respiro con il suo.
“Tienitelo per dopo” le mormorò, dandole le spalle e dirigendosi verso i poliziotti.
Dal canto proprio, Ruri dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo e al pensiero di Ayber morente per dargli le spalle e salire sull’elicottero: anche quando fu a bordo, continuò a fissarlo dall’alto, chiedendosi come sarebbe andata quella parte della storia e cosa sarebbe successo dopo che il vero Kira fosse tornato a incombere sulle loro vite.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: CE L’HO FATTA!!!!! SONO RIUSCITA A FINIRLO!!! Ok, ok, lo so già…è un orrore, soprattutto perché l’ho scritto di getto più del solito, e poi, diciamocelo, sono una frana nelle scene d’azione e di adrenalina, proprio non mi vengono bene…che posso dire, insultatemi quanto volete, non me la prendo XD Mille grazie a SelflessGuard e a Lilian Potter in Malfoy per aver commentato lo scorso capitolo, scusatemi se non vi ho ancora risposto, provvedo subito, e grazie mille anche a MaryYagami_46 per aver inserito la storia fra le seguite e le preferite e per aver accettato il mio invito a commentare!!! Un bacione grosso grosso a tutti! Ah, una cosa: occhio al prossimo capitolo, perché sarà il 25…questo numero vi dice niente? EHI, NON INIZIATE SUBITO A TIRARE FUORI LE ASCE!!! Non ho ancora detto quello che succederà!!! Quindi, state tranquilli ancora per un po’ (e anche in seguito, non fatevi ingannare dalle apparenze XD). Cercherò di tornare il prima possibile, ma purtroppo fra poco ho due esami importanti, e dovrò concentrarmi sullo studio (lo so, proprio sul più bello, eh? XD), ma cercherò di fare tutto il possibile. Vi voglio bene belli, e a prestissimo!! Saluti dalla vostra Victoria (piccola nota: Ruri non indossa il casco alla fine perché semplicemente non ha fatto in tempo a metterselo, quando la macchina è esplosa...non pretendiamo troppo dalla nostra profiler che gioca a fare 'Mission Impossible' XD). 

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Capitolo 25
*** Too soon, too late ***


Capitolo 25- Too soon, too late
 
Elle continuò a camminare in direzione degli agenti di polizia, le mani in tasca e lo sguardo determinato e sicuro: dopo aver indossato un casco di protezione, imitato da Light, salì insieme a lui sulla macchina da cui Mogi e Ayber erano scesi poco prima, e si posizionò meglio l’auricolare dietro l’orecchio, pronto per dare ordini alla sua squadra.
“Bene. Siete pronti?” disse il detective, rimettendosi in collegamento con Soichiro e gli altri.
“Certo!”.
“Ricordatevi di stare bene attenti affinché non vi veda in volto: tenetelo sotto tiro. Alla prima mossa sospetta, aprite il fuoco, ma non sparate a vista: puntare agli arti inferiori. Ci serve vivo” sottolineò Elle.
“D’accordo” replicò il sovrintendente, affiancato da Mogi e da Aizawa.
“Mogi, adesso gli metta il microfono, come da programma” disse Light.
“Subito!” esclamò l’agente, eseguendo l’ordine.
Non appena il loro contatto audio fu avviato, Ryuzaki socchiuse gli occhi, versandosi una tazza di caffè con il thermos che Light gli aveva appena passato, concentrato al massimo su quello che stava per fare.
“Higuchi. Devi dirci come facevi ad uccidere” gli si rivolse, in tono gelido “Parla”.
All’altro capo, Higuchi rimase in silenzio, e, da quella distanza, Elle capì che aveva appena volto appena la testa, come nel tentativo di sfuggire a quelle presenze invasive e ostili che lo stavano circondando.
“Se ti rifiuti, ricorreremo a qualunque mezzo, pur di farti parlare” lo avvertì Elle, con lo stesso tono.
Dopo un’ulteriore pausa, capì che l’ormai ex imprenditore stava sospirando, ormai arresosi a quella situazione senza via d’uscita.
“Il quaderno…” mormorò lentamente.
“Il quaderno…?” ripeté Ryuzaki, frastornato.
“So che vi sembrerà incredibile, ma se su questo quaderno si scrive il nome di una persona di cui si conosce il volto, questa muore” proseguì Higuchi, abbassando la testa.
Dal canto proprio, Elle continuò a fissare il suo profilo per qualche istante, prima di riprendere a parlare.
“Signor Yagami” disse semplicemente, rivolgendo un ordine implicito al sovrintendente.
“Sì” replicò l’uomo, frugando nella borsa dell’arrestato ed estraendo proprio un quaderno dalla copertina nera “Ce n’è uno nella valigetta di Higuchi; in effetti, ci sono scritti diversi nomi, ma…a me sembra un comune quaderno”.
In quel medesimo istante, il poliziotto lasciò cadere a terra ciò che aveva appena raccolto, finendo per cadere a sua volta sull’asfalto e per lanciare un urlo terrorizzato, la mano destra subito pronta a scattare all’interno della giacca, in cerca dell’arma.
“Che succede, signor Yagami?!” gli domandò subito Ryuzaki.
“Un…UN MOSTRO!!!” gridò l’uomo, completamente atterrito.
“Si calmi: le ricordo, inoltre, che al momento non ha con sé una pistola” gli fece notare Elle, impassibile come di consueto.
“Ah, già…dimenticavo…” disse Soichiro, la voce ancora scossa dai tremiti.
“Tutto bene, sovrintendente?” gli chiese Mogi, chinandosi subito su di lui.
“Ma…m-ma c-come…Mogi…t-tu non lo vedi?” balbettò il sovrintendente, la schiena attraversata da nuovi brividi.
“Dev’essere solo un po’ di stanchezza” lo rassicurò il suo sottoposto, prendendo in mano il quaderno.
Non appena si fu voltato, anche lui lanciò un urlo di terrore e cadde a terra, indietreggiando come poteva.
“Che sta succedendo, Mogi?!” saltò su Light.
“Pare…pare che…c-chi tocchi il quaderno riesca a vedere…i-il mostro!” spiegò Soichiro, senza accennare a riuscire a staccare lo sguardo da quello che solo lui e Mogi erano in grado di vedere.
Ryuzaki corrugò appena le sopracciglia, posando la sua tazza di caffè e appoggiando le mani sulle ginocchia, la presa più salda di quanto non gli fosse congeniale.
“Portatemi quel quaderno, per favore” disse, con tono pacato.
“Sì…” replicò Mogi, avvicinandosi alla loro macchina e porgendoglielo “Ryuzaki, eccolo…”.
Le dita di Elle strinsero istantaneamente la copertina nera del blocco, e fu allora che, alzando lo sguardo, finalmente lo vide: proprio di fronte al signor Yagami, a distanza di non più di dieci metri da loro, c’era un essere dalle sembianze mostruose.
Incredibilmente alto, dalla pelle bianca e squamosa, aveva due occhi giallastri e dalle pupille rosse, che ricordavano quelli di un serpente, e la schiena ricoperta di grossi aculei minacciosi: poteva essere solo…
“Non è possibile…” mormorò lentamente “Quello è…uno shinigami. Ma allora esistono…esistono davvero…”.
In quel momento, la sua mente formidabile venne attraversata da mille immagini e ricordi, bombardata dalle parole di Light e di Ruri e di tutto quello che avevano scoperto in quei mesi d’indagine: il giorno in cui il secondo Kira aveva inviato al quartier generale la pagina di quel diario dell’anno precedente iniziò a farsi largo fra i suoi pensieri, scandendo a caratteri cubitali, di fronte alla sua vista, le frasi che si stavano rivelando più significative in assoluto…
Un appuntamento ad Aoyama…il quaderno…per mostrarsi i rispettivi quaderni…il secondo Kira…lo scambio…i RISPETTIVI QUADERNI…
“Ryuzaki, fallo toccare anche a me!!” esclamò Light, ma lui parve non sentirlo.
Ancora immerso nei suoi pensieri, improvvisamente riuscì a dare un senso a tutto ciò che non gli era mai apparso chiaro fino in fondo, prima di quell’attimo: adesso capiva. Adesso tutto, finalmente, aveva un senso.
*I quaderni sono due…* rifletté, avendone infine la certezza *Non è ancora finita…*.
Solo abbassando gli occhi, si rese conto che il quaderno non era più fra le sue mani: voltandosi leggermente alla propria destra, vide che Light lo stava stringendo, la bocca spalancata e gli occhi attraversati dalla luce della paura allo stato puro.
In effetti, avrebbe detto che fossero gli occhi di una persona che sta fissando letteralmente la morte…perché come poteva, un’espressione come quella, rivelarsi semplicemente umana?
Fu allora che lo sentì urlare: urlava a pieni polmoni, come se qualcuno lo stesse uccidendo dall’interno, come se stesse precipitando in un baratro senza fine, come se il cuore fosse sul punto di scoppiargli o di venire estirpato brutalmente dal suo petto.
Era un grido come non ne aveva mai uditi: un grido di paura, di rabbia, di dolore, di frustrazione…era un grido di aiuto. Quasi come se Light, in qualche modo, lo stesse implorando di salvarlo, anche se nemmeno lui sapeva da che cosa, anche se nemmeno lui poteva dirsi consapevole di quello che gli stava accadendo…
Quando finalmente si fu calmato, ed ebbe abbassato la testa con lentezza, Elle si azzardò a rivolgergli di nuovo la parola.
“Che c’è? Va tutto bene, Light? Coraggio…chiunque si spaventerebbe, vedendo un mostro del genere…”.
Che idiozia. Come se l’urlo di Yagami avesse potuto davvero essere dovuto alla vista dello shinigami: Light poteva anche essere umano, ma non era il tipo da lasciarsi andare così di fronte a qualcosa che poteva al massimo indurlo alla soggezione. Ma allora…
“Ryuzaki”.
La sua voce era fredda, controllata, quasi computerizzata: senza attendere un altro secondo, aveva fulmineamente acceso il portatile collegato all’auto, iniziando a scorrere i dati del caso e continuando a tenere le mani saldamente incollate sul quaderno.
“Sì?” replicò Elle, senza smettere di osservarlo di sottecchi.
“Dobbiamo confrontare i nomi scritti su questo quaderno con quelli delle vittime…” disse Light, senza voltarsi, iniziando a digitare freneticamente sulla tastiera del laptop con la mano libera.
“Ah…sì, giusto. Me n’ero quasi dimenticato…” mormorò Elle.
Mentre Light iniziava a fare quanto detto, il detective migliore al mondo seguitò a osservarlo con attenzione, la schiena attraversata da un brivido e la mente invasa dalle parole che Ruri gli aveva detto la sera precedente…
 
Ti è mai capitato di pensare che…se davvero riuscissimo a far venire il vero e solo Kira allo scoperto…finiremmo per uccidere definitivamente quello che resta di Light?
E mentre ripensava a ciò che aveva affermato e all’urlo agghiacciante uscito poco prima dalla bocca di Light, avvertì a un tratto la sensazione che gli occhi del suo amico avessero emanato un guizzo che, mai, in quel periodo di prigionia trascorso insieme, gli era capitato di scorgere…per un solo istante, avrebbe giurato che il suo sguardo avesse assunto una nuova, inquietante sfumatura rossastra…
 
A bordo dell’elicottero di Elle, un paio di chilometri più a sud, Ruri represse un gemito di dolore e chiuse di scatto gli occhi, nel tentativo di non pensare alle ferite e di concentrarsi per rimanere lucida il più possibile. Era seduta sul pavimento, data la mancanza di sedili sul retro del mezzo: malgrado Watari avesse insistito affinché si sistemasse vicino a lui, si era rifiutata categoricamente di lasciare la mano di Ayber, e gli era rimasta a fianco, anche dopo che lo avevano posizionato a terra, assicurandolo con delle cinghie per far sì che non si muovesse, nonostante le turbolenze del volo. Lei era riuscita a fare altrettanto, e da allora l’unico movimento che era stata in grado di fare era consistito nello stringere le dita dell’amico, che di quando in quando, nel suo assopimento continuo, si lasciava andare a qualche colpo di tosse, accompagnato dall’espulsione di piccole quantità di sangue.
Mentre Watari virava in direzione del quartier generale, udì a un tratto che il diretto interessato le stava parlando.
“Mentre Robin si occuperà di Ayber, io provvederò a lei: sta perdendo molto sangue, Miss, dobbiamo intervenire in fretta”.
“Sto bene” si sforzò di dire Ruri, con tono molto meno spavaldo del solito “Pensi ad assistere Robin in sala operatoria, avrà bisogno di aiuto”.
Tu hai bisogno di aiuto” la contraddisse Watari.
Per la prima volta, capì che era decisamente arrabbiato.
“Ce l’hai con me?” gli domandò, incerta.
“Tu che dici?!? Hai rischiato di farti ammazzare!! Quante volte devo ripeterti che non voglio che tu ti metta in pericolo in questo modo? Mi hai quasi fatto scoppiare il cuore!” la rimproverò l’anziano, senza voltarsi indietro “E Ryuzaki…era…”.
“Lo so. Senti, mi dispiace: lo so che non avrei dovuto…è solo che…non avrei potuto fare diversamente. Sono stata folle, e so quello che poteva succedere, ma…non è successo” sospirò la profiler.
“Stava per accadere di nuovo, nell’arco di un paio di secondi. Se non fosse stato per Ayber…”.
Quelle parole le fecero male più di ogni ferita, vecchia o nuova che fosse: in modo quasi impercettibile, volse ancora lo sguardo verso il suo amico, che stava tremando in maniera incontrollabile.
“Perdonami…” le disse poi Watari, a voce più bassa “Non avrei dovuto dirlo…ma ero…”.
“Eri spaventato” annuì Ruri, stringendo forte la mano del biondo “Non so come farmi perdonare, Watari…”.
“Non rifarmi mai più una cosa del genere” la pregò l’anziano signore “Mai più. Non sono più un ragazzino e non posso perdere i miei figli. Non di nuovo. Se entro la fine di questa storia succede qualcosa a te e a Ryuzaki…”.
Aveva lasciato la frase in sospeso, come se si fosse rivelato incapace di proseguirla: con un lieve sorriso, Ruri non poté fare a meno di pensare al modo in cui aveva usato la parola ‘figli’ al plurale, e a quello che aveva cercato di dirle in quell’impeto di estroversione, che normalmente non sarebbe mai uscito dalle sue labbra.
Fece per replicare, ma in quel momento Ayber le strinse più forte la mano, attirandosi la sua attenzione e aprendo appena gli occhi, per poi sbattere le palpebre in modo molto confuso.
“R-Ruri…” mormorò, la voce più roca di quanto non lo fosse mai stata.
“Sono qui” lo rassicurò Ruri, carezzandogli appena la fronte con la mano libera “Andrà tutto bene, Ayber: ti portiamo da Robin. Lei…lei è la migliore, vedrai. Ti rimetterà in sesto in un secondo”.
Ayber rise leggermente, ma dovette fermarsi subito, dato il fiotto di sangue che prese a uscire dalla sua bocca in maniera incontrollabile.
“Resisti solo un altro po’” insistette Ruri, rafforzando la presa “Ok? Resisti. Ormai ci siamo…”.
“S-senti, non…devi…devi tornare da Elle. Avrà…avrà bisogno di te…” balbettò Ayber, sempre più pallido ad ogni minuto che passava.
“Anche tu hai bisogno di me. E io non ti lascio solo, non adesso!!” sbottò Ruri, quasi arrabbiata “E appena uscirai da quella sala operatoria, dovrai vedertela con me!”.
“Mhm…s-sembri furiosa…” constatò Ayber, sorridendo suo malgrado.
“Mi prendi in giro?!” lo aggredì la profiler “Tu sei l’uomo più pazzo, scriteriato, fuori di testa che abbia mai avuto la possibilità d’incontrare! Dovevo prenderti a pugni con più decisione, a Quantico, magari ti avrei fatto rinsavire!”.
Ayber ridacchiò di nuovo, fissandola dritto negli occhi.
“Senti chi parla…Miss ‘Seguo-io-Higuchi-in-prima-linea’” tossì ancora, contraendo il volto in una smorfia “Hai fatto prendere un colpo a tutti…n-non venirmi a fare lezioni adesso…”.
“Non ti sforzare” lo interruppe Ruri, scuotendo la testa “Non voglio che perdi energie preziose, e inoltre, non puoi vincere uno scontro verbale con me. Sono brava a metterti all’angolo, ricordi?”.
“Ah, s-sicuro…tu e la tua linguaccia” mormorò Ayber.
Dopo qualche secondo di silenzio, Ruri si accorse che l’amico era scosso da un brivido diverso: prima che potesse davvero rendersene conto, capì che una lacrima era appena sfuggita dagli occhi del biondo.
“Ayber…” tornò a rivolgerglisi, rafforzando di più il loro contatto.
“Dovevo dirglielo prima…” sussurrò Ayber, fissando il soffitto dell’abitacolo in cui si trovavano.
“Cosa?” ribatté Ruri, agitata.
“Che l’amavo…” proseguì Ayber, senza ancora guardarla “Dovevo…dirglielo prima…”.
A un tratto, fu completamente chiaro: Ayber, in quelli che credeva essere gli ultimi momenti della sua vita, non poteva parlare d’altri che di Giselle.
Con un sospiro profondo, Ruri appoggiò la schiena alla parete, chiudendo gli occhi per un istante e sforzandosi di mantenere la voce ferma.
“Lei…lei lo sapeva” gli disse poi “Credo…credo che lei lo sapesse già…”.
“No…” replicò Ayber, sorridendo suo malgrado “Non lo sapeva…n-non…non lo sapeva…”.
Sospirando di nuovo, Ruri si volse verso di lui, fissandolo negli occhi e cercando di trattenersi dal fare qualcosa come urlare, o piangere, o perdere definitivamente il controllo, ma non poteva negare la realtà dei fatti: Ayber le stava morendo davanti agli occhi.
“Senti, se…se muori…se solo provi a morire, io giuro che ti…” balbettò appena, mentre le lacrime prendevano a scorrerle lungo le guance, nonostante i suoi sforzi “Io non te lo permetto. Hai capito? Io non…tu oggi non muori. Mi hai sentito? Tu non muori. A-adesso…adesso ti portiamo da Robin, e tu entrerai in quella sala operatoria, e ti addormenterai, e quando ti sveglierai io ti prenderò a calci e ti riporterò da tua moglie e dai tuoi figli. Hai capito, signor truffatore dei miei stivali? Tu non muori, oggi”.
“Te la saresti cavata bene, nella malavita” ridacchiò il biondo, strizzandole appena l’occhio “S-sei…sei sempre stata brava. Sei la donna più decisa che abbia mai conosciuto. In effetti…avresti mai potuto essere diversa, dopo tutto quello che è successo? Volevo…chiederti scusa, a proposito. Dovevo starti più vicino, dopo la V-Virginia…”.
“Smettila. Non pensare a queste stronzate. Pensa a stringermi la mano e resta sveglio” gli ordinò Ruri “Non puoi morire, hai capito? Devi tornare a casa. Lo hai promesso a Giselle, e…e ai tuoi bambini”.
Con un altro sorriso, Ayber gettò uno sguardo in direzione del suo ventre, perfettamente piatto: l’espressione sul suo volto era più serena.
“Ho fatto centro, vero? Sto per diventare zio…?”.
Ruri si lasciò scappare una risatina nervosa, in mezzo alle lacrime.
“Sei matto? Ti sembra il momento di…”.
“Beh, sei tu quella c-che…che parla di figli. Dimmi che ho ragione. Adoro avere r…ragione”.
La profiler sospirò pesantemente, appoggiando la nuca contro il metallo freddo dell’elicottero.
“Non lo so” ammise, dopo un lungo silenzio “Se lo fossi…dovrei essere almeno di tre mesi. Non so come avrei potuto non accorgermene…”.
“Giselle non si è accorta di aspettare M-Matthew prima del quarto mese. Forse diventerò davvero zio, chi lo sa…” rise Ayber, fissando distrattamente il soffitto “Gli darai il mio nome?”.
“Tu sei davvero matto” rincarò la dose Ruri, ridendo suo malgrado.
“Beh, sono pur sempre un eroe di guerra. I caduti non meritano un onore simile?”.
Sentendolo parlare così, Ruri capì che stava di nuovo pensando alla morte.
“Senti, Ayber…Ayber…Terry…” lo chiamò alla fine, pronunciando il suo vero nome nel tentativo di soffocare un singhiozzo “Devi…devi farti forza, va bene? Io…io voglio che resisti. Ho bisogno che tu lo faccia: solo questo favore, ok? Non ti chiedo altro. Fanculo i soldi che mi devi al poker, però questo…questo voglio che tu lo faccia. Ne ho bisogno…potresti…puoi vivere? Ti prego…”.
“Tu te la caverai” le sorrise Ayber “Non avete bisogno di me. Prenditi cura tu delle ragazze…e Matt…di’…di’ a mio figlio che…”.
“Io non dico un bel niente a tuo figlio, mi hai sentito?! Perché tu oggi non morirai!! Qualunque stronzata sentimentale tu voglia dirgli, gliela dirai di persona, e io ti accompagnerò, se vorrai, ma non ho intenzione di fare il piccione viaggiatore solo perché tu hai pensato di essere così stupido da farmi da scudo, quindi adesso tu risparmi il fiato, ti calmi e pensi a rimanere vivo!!”.
“Ruri…non ce la farò…” sussurrò il truffatore, sorridendole in modo triste.
“No, basta. Smettila. Smettila, mi senti? Smettila, basta” sussurrò Ruri, serrando gli occhi e stringendogli la mano tanto da fargli male.
“Jane…Jane mi sta aspettando…io starò meglio…” la rassicurò Ayber, socchiudendo appena le palpebre.
“No!! No, Ayber, no!!” gridò Ruri, con la massima intensità “No, mi senti? NO!! La tua famiglia ti aspetta, la nostra squadra ti aspetta e…e anche…anche io ti aspetto. Perciò, non puoi morire, hai capito? Fra…fra tre giorni sarà il compleanno di Ryuzaki, e…e lo sai che non ho idea di come si faccia una torta, e avrò bisogno che tu mi prenda in giro mentre lo faccio, quindi…quindi devi restare. E io…io ti riporterò da Giselle. E da Matthew. E da Sophie. Torneremo a casa insieme…ok?”.
Alla vista delle sue lacrime e al suono della sua voce, il biondo rafforzò la presa e le sorrise di rimando, annuendo appena.
“Ok…” mormorò, allo stremo delle forze.
“Ok…ok…” ripeté Ruri, cercando di darsi forza.
“Ci siamo” annunciò Watari, iniziando a planare in direzione del tetto dell’edificio del quartier generale “Ho già detto alla dottoressa Starling di tenersi pronta: lo portiamo subito in sala operatoria”.
 
Scendere dall’elicottero fu quanto di più surreale, dopo il viaggio al suo interno: sulla superficie piana d’atterraggio trovarono Robin ad attenderli, già vestita con il camice da intervento chirurgico e i capelli raccolti sotto la cuffietta, ma con loro sorpresa, poterono vedere che era affiancata da Wedy.
“Che cos’abbiamo?!” gridò la rossa, correndogli incontro e tentando di sovrastare con la voce il rumore provocato dalle pale dell’elicottero, ancora in funzione.
“Ferite da arma da fuoco, sta per andare in arresto! Ho eseguito la respirazione e il massaggio cardiaco tre volte, ma non so quanto possa essergli stato d’aiuto! Gruppo sanguigno 0 positivo, se ce ne fosse bisogno non esitare a utilizzare le riserve che hai tenuto per me nel pronto soccorso!!” replicò Ruri, scendendo dal mezzo e sforzandosi di aiutare Watari a caricare Ayber sulla barella attrezzata, malgrado le ferite.
“Va bene!” replicò Robin, trattenendosi dal chiederle cosa fosse successo esattamente “Ruri, adesso scendi nella sala principale e resta là, d’accordo? Ci penso io!”.
“Cosa?! No, non se ne parla, non puoi operarlo da sola, basta solo che mi disinfetti e che mi lavi per entrare in sala operatoria e poi potrò darti una mano…”.
“È fuori discussione! Non entrerai là dentro, sei ferita, sconvolta e sei amica del paziente! E ogni minuto che perdiamo quassù a discutere è un minuto in meno in cui cerchiamo di salvargli la vita, quindi adesso lasciami lavorare e chiudi la bocca!!” la rimbeccò Robin.
“Ma non puoi operarlo da sola!!” sbottò Ruri.
“L’assisterò io” la rassicurò Watari, lasciandola di stucco “Senta, Miss, non sono un medico, ma mi è già capitato di assistere un vecchio amico in sala operatoria, in situazioni di emergenza…so cosa fare. Però ho bisogno di sapere che lei non tenterà di entrare là dentro…me lo promette?”.
Ruri lo fissò intensamente negli occhi, che, suo malgrado, le stavano diventando sempre più lucidi.
“Ayber…Ayber ha una famiglia!” le uscì detto.
“Lo so. Lasci che ce ne occupiamo noi” la rassicurò Watari “Wedy, puoi pensare a lei? Ha bisogno di aiuto”.
“Nessun problema” annuì la bionda.
“Ok, allora andiamo!! Di corsa!” gridò Robin, iniziando a spingere la barella di Ayber in direzione dell’ascensore, aiutata da Watari “Toracotomia d’emergenza, mi servirà un tubo endotracheale e 90 cc di bicarbonato! Proseguiamo con la ventilazione meccanica, dobbiamo individuare l’emorragia e bloccarla prima che sia tardi! Eseguire un’ecotransesofageo e poi procedere con…”.
Il resto delle parole di Robin venne assorbito dall’ascensore, che aveva preso a scendere ai piani sotterranei a una velocità sorprendente: dal canto proprio, Ruri non riusciva a staccare gli occhi dal punto in cui i suoi amici erano scomparsi, le mani e il corpo ancora sporchi del suo sangue e di quello di Ayber e l’espressione vuota, spenta, come di una persona che ha appena assistito a una diretta esplosione ed è ancora sotto shock per l’avvenuto.
Fu Wedy a riscuoterla dalla sua trance e a posarle una mano sulla spalla, rivolgendole un sorriso d’incoraggiamento.
“Ce la faranno. Vedrai che ce la faranno” le disse, iniziando a guidarla verso l’altro ascensore.
“Spero…possono farlo…tu non credi? Insomma…devono farlo” mormorò Ruri, lasciando che Wedy le facesse mettere un braccio intorno alle sue spalle per aiutarla a camminare.
“Possono farcela, Ruri. Sono sicura che andrà tutto bene” la rassicurò ancora Wedy, premendo il pulsante di chiamata dell’elevatore.
“Come…come mai sei qui? Dove sono gli altri?” domandò l’ex agente, con tono sempre più flebile: non voleva ammetterlo, eppure l’adrenalina e la paura per la sorte di Ayber le avevano permesso di rimanere in piedi fino a quel momento…ma adesso quell’effetto stava svanendo, e le forze la stavano abbandonando.
“Elle mi ha chiesto di andare avanti e di assicurarmi che non facessi altre cose stupide, come tentare di assistere Robin nel tuo stato” replicò Wedy, aiutandola ad entrare nel cubicolo “Certo che Ayber aveva ragione, tu sei davvero fuori di testa. Si può sapere a cosa diavolo stavi pensando? Potevi farti uccidere!”.
“Lo s-so…ma ero convinta che non s-saremmo riusciti a fermarlo in un altro modo. Non potevo…non p-poteva fuggire…” mormorò Ruri, con la vista che le si stava annebbiando.
“Beh, se non altro hai raggiunto il tuo obiettivo. Non so ancora come tu faccia a essere viva, ma senza dubbio le voci sul tuo conto erano vere” sospirò la bionda, mentre iniziava la discesa.
“S-sarebbe a dire…?”.
“Sei tanto impulsiva e fuori di testa quanto in gamba, stupefacente e fortunata. Incredibilmente fortunata” sbuffò la bionda, tamponandole le ferite sulla fronte.
“Non è stata fortuna, contro Higuchi…se…se Ayber non avesse…” mormorò appena, socchiudendo gli occhi.
“Ehi, senti, adesso basta, va bene? Non ti permetterò di startene qui a crogiolarti nei sensi di colpa! Dopo che hai interrotto il nostro contatto audio, Ayber è letteralmente impazzito, nel tentativo di starti dietro e di affiancarsi alla tua macchina per aiutarti, credo che Mogi abbia perso almeno cinque anni di vita, per colpa sua! Quindi, adesso non cominciare a dirmi che non doveva farti da scudo e che lui ha molti più motivi di te per rimanere in vita, perché non è così, ok? Non è così e basta. Se Ayber ha una famiglia, questo non toglie che ce l’abbia anche tu!” la rimproverò la bionda.
“Io…io non ho dei figli!” la rimbeccò Ruri, con un’occhiataccia.
“Davvero?” la interruppe Wedy, con uno sguardo molto penetrante “E che mi dici dei tuoi continui giramenti di testa e dei crampi al basso ventre?”.
Quelle parole la lasciarono attonita, facendole perdere anche quel poco di colore che le rimaneva in volto: ma prima che potesse risponderle, la nebbia cominciò ad oscurarle la vista, e le sue forze l’abbandonarono definitivamente.
“Ehi, ehi, Ruri! Andiamo, forza! Non farmi scherzi, ok? Ruri!! Ruri!!”.
La voce di Wedy continuò a giungerle in modo sempre più flebile, man mano che il profilo della bionda scompariva alla sua vista, ottenebrato dal buio che continuava a incombere su di lei…
E infine, non sentì più niente.
 
Quando riaprì gli occhi, il mondo le apparve diverso da come lo ricordava: si trovava in un ambiente bianco, dotato di strane attrezzature meccaniche che emettevano curiosi suoni ritmici ben scanditi e provvisto di luci accecanti tanto quanto lo erano le stesse pareti.
Voltando appena la testa, ancora abbagliata dalla luminosità di quel posto, capì d’essere sdraiata sopra quello che a prima impressione le sembrò il lettino di uno studio medico, e che le sue ferite erano state pulite, disinfettate e fasciate; ad un tratto, fece per alzarsi, ma un nuovo capogiro la costrinse a rimanere sdraiata, e un’altra fitta nella zona dell’utero le strappò un gemito di dolore.
Fu allora che udì di nuovo la voce di Wedy.
“Adesso non ricominciare, ok? Vedi di startene buona per un po’, per una volta!” esclamò, con tono severo.
“Che…che cosa è successo?” le domandò Ruri, ancora frastornata “Ma…dove siamo?”.
“È successo che tu sei una pazza incosciente, più di quanto avrei mai immaginato! Roba da non credere! Sei svenuta di colpo e ti ho portata nello studio di Robin”.
Guardandosi meglio intorno, Ruri iniziò in effetti a riconoscere la scrivania dell’amica, i fiori sulla sua superficie e alcune delle fotografie appese alle parete, le stesse senza cui Robin non partiva mai da casa.
“Da quanto tempo sono qui…?” le chiese, sforzandosi di rimettersi a sedere.
“Da due ore. Elle e gli altri sono tornati, prima che tu me lo chieda: sono in riunione nella sala centrale” replicò la bionda, sedendosi vicino a lei e sospirando pesantemente.
“Ma…ma che cos’è successo? E Higuchi? È alla centrale di polizia?” domandò ancora Ruri, con tono concitato.
Wedy sospirò nuovamente e scosse il capo.
“No, Ruri. Higuchi è morto: sembra che Kira ci abbia fregato un’altra volta”.
“COSA?!?!” sbottò Ruri, strabuzzando gli occhi “COME SAREBBE CHE È MORTO?!?”.
“Sarebbe che ha avuto un arresto cardiaco, proprio mentre il signor Yagami e gli altri lo stavano portando via. E ti confesso che questa storia mi puzza di bruciato lontano un miglio…” ammise Wedy, con aria tesa.
Ruri si prese la testa fra le mani, riflettendo alla velocità della luce: com’era possibile che Higuchi fosse davvero morto di arresto cardiaco, subito dopo essere stato catturato? Era opera di Kira, del vero Kira, su questo non c’era alcun dubbio…ma allora…allora significava che c’era Light, dietro tutto ciò? Che avesse calcolato tutto nei minimi dettagli, per fare in modo che giungessero a Higuchi e poi…ucciderlo? Ma era sempre stato insieme a Elle…come aveva fatto?
“Devo parlare con Elle” dichiarò Ruri, facendo per alzarsi in piedi di nuovo “Dobbiamo subito esaminare i nuovi elementi del caso”.
“Oh, no, signorina, tu non ti muovi da questa stanza” la bloccò Wedy, con fare perentorio.
“Wedy, per favore! Sto bene, d’accordo? Non c’è bisogno che…”.
“La questione non è soltanto se stai bene o no. Ma tu sei consapevole delle tue condizioni?”.
Quella domanda la portò a fissare dritto negli occhi la sua interlocutrice, che per la prima volta, del tutto inaspettatamente, non stava indossando occhiali da sole, e che la scrutava con fare indispettito e stranito a un tempo.
“Di che cosa stai parlando? Ok, mi sono ritrovata in mezzo a una sparatoria e ho rischiato la pelle, ma…” iniziò la profiler.
“Ruri, da quanto tempo non hai le mestruazioni?” le domandò Wedy, sospirando leggermente.
“COSA?!? Ma ti sembra il momento di farmi domande del genere?!” la rimbeccò Ruri, attonita.
“Da quanto tempo?” insistette Wedy, con un tono che non ammetteva repliche.
“Oh, va bene!!” esplose Ruri “Non lo so, ok? Sarà almeno…beh, forse due mesi, o forse…beh, non lo so!! Io non sono mai stata regolare…ma che c’entra, scusa?”.
La bionda sospirò per l’ennesima volta, passandosi una mano dietro il collo e fissandola di sottecchi.
“Hai avuto nausee, ultimamente? Giramenti di testa? Sensazione di affaticamento al basso ventre? Tachicardia? Sbalzi d’umore eccessivo?” le domandò, con tono pratico.
“Beh…s-sì, ma…ma sono effetti collaterali propri dell’assunzione dei miei farmaci. Insomma, è…è per questo che io…” balbettò la profiler, impallidendo sempre di più.
Wedy scosse la testa, sorridendole lievemente.
“No, Ruri. Non è per i farmaci”.
“Che…che cosa?!” esclamò Ruri, incapace di staccare lo sguardo dalla faccia dell’amica “No…voglio dire…no! Non è possibile!”.
“Immagino che non fosse programmato” commentò Wedy, incrociando le braccia.
“I-io…io non sono incinta!” sbraitò Ruri, le mani che le tremavano leggermente.
“Oh sì che lo sei. Sei parecchio incinta” la contraddisse Wedy.
“N-non è possibile!!! L’ultima volta che…no! Dovrei essere di tre mesi!!” sbottò la profiler, ancora sotto shock.
“Di 10 settimane, per la precisione” la corresse Wedy, porgendole una cartellina.
“Che…che cos’è?” le domandò Ruri, senza accennare a voler riprendere il suo colorito normale.
“Le…immagini dell’ecografia. Prima di iniziare a lavorare come professionista del crimine, ho fatto tre anni di Medicina a Stanford: a qualcosa sono serviti, alla fine. Robin aveva le apparecchiature necessarie, e io…ho fatto i controlli dovuti, mentre eri svenuta. E non arrabbiarti con me” la precedette, notando lo sguardo della profiler “So che sei un tipo riservato, ma dovevo capire se avevi bisogno d’aiuto, ok? Se ti fosse successo qualcosa mentre era sotto i ferri, Ayber non me lo avrebbe mai perdonato”.
Al sentir pronunciare il nome dell’amico, Ruri ebbe un colpo al cuore.
“Come sta?! Ci sono notizie?” le domandò di slancio.
Wedy le sorrise appena, carezzandole una spalla.
“È uscito dalla sala operatoria venti minuti fa. È stabile; Robin se l’è cavata benissimo”.
Ruri respirò profondamente, abbandonando la testa sul lettino e chiudendo gli occhi per un paio di secondi, senza riuscire a impedirsi di sorridere in modo sereno, malgrado ciò che aveva appena appreso.
“Se c’è un Dio lassù, ha i miei ringraziamenti” mormorò Ruri.
Riaprendo gli occhi, si rese conto che le sue dita stavano ancora stringendo la cartella che le aveva dato Wedy: con la massima lentezza, i suoi occhi azzurri si spostarono verso quelli grigi della bionda, che la stava ancora fissando, a braccia conserte.
“Non gli dai neanche un’occhiata?” le chiese Wedy, con un piccolo sorriso.
Ruri tornò a fissare l’oggetto, le mani attraversate da un fremito che non aveva mai conosciuto.
“Non…non è…è ancora…” sussurrò appena, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
“Sta bene, se è quello che vuoi chiedermi. Non so come sia possibile, in effetti” constatò Wedy “Dopo la tua scena da film d’azione e tutti i colpi che avrà ricevuto, è praticamente un miracolo che tu non abbia avuto un aborto spontaneo. L’avevo detto che eri fortunata”.
“Ma…ma non posso…non posso essere incinta” balbettò ancora Ruri, passandosi una mano fra i folti capelli neri “Come…non dovrebbe essere evidente, dopo dieci settimane?!”.
“Assolutamente no. Per ogni donna è diverso” si strinse nelle spalle Wedy “Ci sono stati casi di ragazze incinte che non se ne sono accorte prima del quinto mese di gestazione, quando ormai il bambino aveva iniziato a muoversi. E considerando che i tuoi farmaci provocano una sintomatologia simile a quella causata dallo stato interessante…beh, immagino che il tuo ciclo irregolare abbia fatto il resto”.
Ruri tornò ad appoggiare la testa contro la superficie del giaciglio bianco, lo sguardo ancora scioccato fisso di fronte a sé e il cuore che alternava momenti in cui le batteva all’impazzata ad altri in cui assumeva un ritmo costante e incredibilmente calmo, quasi pacifico; senza nemmeno rendersene conto, finì per portarsi una mano sul ventre, quasi alla ricerca di quel corpo estraneo di cui non avrebbe mai immaginato possibile la presenza.
Sotto lo sguardo attento e benevolo di Wedy, aprì la cartellina con mani tremanti e iniziò a tirare fuori le immagini delle ecografia: all’inizio, i suoi occhi non videro niente.
Poi, pian piano, cominciò a riuscire a distinguere i contorni di una piccola figura, posizionata in un angolo non troppo insignificante del suo utero, che sembrava intenta a cercare la posizione giusta: infine, i suoi occhi, leggermente lucidi, finirono per posarsi su alcuni segni arzigogolati, posti sotto le fotografie dell’interno del suo corpo.
“Questi…questi che cosa sono?” domandò a Wedy, mostrandole ciò di cui parlava.
La bionda le sorrise lentamente, scompigliandole appena i capelli.
“È il suo elettrocardiogramma” replicò.
Ruri continuò a fissarla come se non avesse compreso, quando in realtà la sua mente e il suo cuore avevano capito benissimo.
“È il suo cuore” proseguì Wedy, accennando poi al macchinario alle proprie spalle “Lo vuoi sentire?”.
 
Mezz’ora più tardi, Wedy le diede finalmente il permesso di uscire dalla stanza e di raggiungere il resto della squadra, un paio di piani più sotto; mentre scendeva le scale, le parole che lei e la bionda si erano scambiate continuarono a rimbombarle nella mente, facendole martellare sempre più il cuore.
Quella singola parola, quell’unica, singola, piccola, apparentemente insignificante parola le stava impedendo di riflettere come un essere umano normale, su qualsiasi cosa che non fosse la notizia appena appresa.
Incinta.
Ancora si domandava come fosse possibile, come fosse anche soltanto concepibile. Non poteva essere davvero incinta.
Tutti quei giorni, quelle settimane, senza accorgersene: era andata incontro a quella che credeva sarebbe stata morte certa, senza pensare più di tanto a quello che si stava lasciando indietro, concentrandosi unicamente sul suo obiettivo…mentre in quel preciso momento, dentro di lei stava nascendo qualcosa che non avrebbe mai immaginato realizzabile.
Un bambino.
Davvero era così? Davvero lei ed Elle…
Il pensiero improvviso del detective le provocò un’altra fitta al cuore: sapeva quanto era stato difficile per lui accettare anche soltanto l’idea della loro relazione…che cosa avrebbe detto, di fronte a quella gravidanza? E se non lo avesse voluto?
Il pensiero di sbarazzarsi di quel piccolo problema le era passato per la mente in modo fulmineo, fin da quando Wedy le aveva messo in mano la cartella contenente quelle ecografie: dopotutto, non aveva ancora compiuto il terzo mese di gestazione, e avrebbe anche potuto optare per la soluzione più ovvia.
Ma quando Wedy le aveva chiesto di ascoltare il battito cardiaco, non aveva resistito alla tentazione e aveva ceduto: e quando infine aveva avvertito quel suono, concentrato, velocissimo e intenso come un battito d’ali, non aveva potuto che sentirsi piena di un sentimento che non aveva mai conosciuto prima.
Neppure quando si era innamorata di Elle, neppure nelle situazioni più intense e appaganti della sua vita…quel bambino era suo.
Era la sensazione più bella che mai avesse avuto la possibilità di provare, l’elemento di vita che aveva cercato per una vita intera: più forte di qualsiasi altra cosa, della sua mente, della sua tenacia, delle sue capacità, della sua intelligenza…
Dentro di lei, c’era una parte di Elle. C’era una parte del suo cuore.
Con un respiro profondo, si rese infine conto d’essere giunta di fronte all’ingresso della sala centrale: cercando di calmare i battiti frenetici del suo cuore, abbassò la maniglia ed entrò.
Ad attenderla, trovò il signor Yagami, Matsuda, Mogi, Aizawa, Watari, Robin, Light ed Elle, che fino a quel momento dava l’impressione d’aver fissato il monitor di fronte a sé, ma che al suo ingresso sollevò di scatto la testa, alzandosi in piedi e avvicinandosi al gruppo, senza più distogliere gli occhi dalla sua figura.
La ragazza capì che stava trattenendo i suoi impulsi, considerando che era ancora ammanettato a Light e che tutti quanti li stavano fissando, ma i suoi occhi furono in grado di parlarle più di quanto avrebbe fatto qualsiasi orazione; prima che potesse aprire bocca, però, si ritrovò avvolta dall’abbraccio di Robin, che si affrettò a ricambiare con energia, sorridendo ad occhi chiusi.
“Sei…sei una pazza fuori di testa!!!” l’aggredì poi l’amica, spingendola via da sé e assestandole una grossa botta sul braccio “Mi hanno detto che cos’hai fatto per fermare quel bastardo…ma sei matta?!?! Potevi morire!!! Meno male che ti avevo chiesto di non fare l’eroina!!!”.
“Lo so, lo so…mi dispiace, va bene?” sospirò Ruri, mettendosi seduta.
Ti dispiace?!?! Hai fatto alzare la pressione di 100 livelli a tutti i presenti!!!” sbraitò ancora Robin, furiosa “Se provi un’altra volta a fare una cosa del genere, giuro che ti ammazzo io, visto che hai sempre tanta voglia di morire!!! Sei una pazza, incosciente, irresponsabile, folle, stupida, idiota, cretina!! E io sono fiera di te!!” concluse, a sorpresa, abbracciandola di nuovo.
Quando si furono separate, Ruri le scompigliò i capelli e le sorrise con affetto.
“Ayber…lo hai…grazie. Grazie davvero, Robin, sei stata…”.
“Sì, lo so” annuì Robin, fingendo di vantarsi “Sono la migliore, non c’è bisogno che tu lo dica”.
“Lo sei veramente” le disse Ruri, posandole una mano sulla spalla “In effetti, sei il miglior chirurgo di questo pianeta”.
“Non ce l’avrei fatta, senza Watari” sorrise la rossina, accennando all’anziano signore, che si affrettò a ricambiarla.
“Il merito è suo, dottoressa Cooper. Dubito che un altro avrebbe saputo fare di meglio” disse l’inventore, posando un vassoio con i pasticcini sul tavolo vicino.
“E tu? Come stai, Ruri?” intervenne il sovrintendente, con un sorriso paterno “Wedy ci ha detto che hai avuto un piccolo tracollo. La dottoressa ha ragione, ci hai fatto prendere un bello spavento! Va meglio, adesso?”.
“Sì…” gli sorrise Ruri “È stato…beh, forse ho preso qualche batosta in più del necessario”.
Rendendosi conto che il suo tono di voce aveva qualcosa di strano, Robin le rivolse subito uno sguardo penetrante, ma poi decise di lasciar perdere, malgrado continuasse a sbirciare l’amica di sottecchi.
“Comunque, dovete aggiornarmi sugli ultimi eventi” disse la profiler, sedendosi di nuovo, imitata dai colleghi “Che cos’è successo? Wedy mi ha detto che Higuchi è morto…”.
“Sì, è così” annuì Aizawa.
Per la prima volta, si rese conto che teneva fra le mani un quaderno dall’aspetto apparentemente normale, ma dall’aria quasi inquietante.
“Che cos’è quello, Aizawa?” gli domandò, alzando un sopracciglio.
Prima che il poliziotto potesse risponderle, gli occhi della ragazza guizzarono per un momento in direzione di Light, incrociando il suo sguardo: con un altro colpo al cuore, capì che qualcosa era cambiato nella sua espressione.
La stessa sensazione che l’aveva avvolta il giorno in cui Light aveva iniziato a implorare lei ed Elle di liberarlo dalla sua prigione prese a vorticarle nel petto e nella mente, ma ora aveva un connotato diverso, più inquietante e incredibilmente oppressivo: in maniera del tutto irrazionale, cominciò a pensare che le sue paure si fossero concretizzate, perché di fronte ai suoi occhi non c’era più Light Yagami, lo stesso ragazzo sincero, spensierato e intelligente con cui lei ed Elle avevano trascorso tutte quelle settimane.
Il suo amico sembrava improvvisamente scomparso: adesso aveva dei tratti diversi, quasi appuntiti, e il suo sguardo appariva inespressivo, gelido e implacabile, dedito al raziocinio e a nient’altro: in un solo istante, sarebbe stata pronta a giurare che i suoi stessi occhi avevano persino assunto una sfumatura rossastra.
“Questo è…lo strumento che Kira utilizza per uccidere” le spiegò Aizawa, attirando di nuovo la sua attenzione e distogliendola dai suoi pensieri.
“Che cosa…?” replicò Ruri, strabuzzando gli occhi “Quel quaderno…?”.
“Dovresti toccarlo, in effetti…” sospirò il poliziotto, passandoglielo.
Non appena le sue dita lo ebbero sfiorato, dovette trattenersi dal cacciare un grido e si ritrasse contro lo schienale del divano: di fronte alla sua vista, era appena comparso un mostro come mai aveva immaginato ne potessero esistere.
“CHE CAZZO È QUEL…QUEL…” sbottò Ruri, impallidendo di nuovo.
“Uno shinigami” le rispose Elle, aprendo bocca per la prima volta “Lo stesso con cui Higuchi parlava in macchina, a dire la verità: prima di morire, Higuchi ci ha confessato che per uccidere basta scrivere il nome di una persona di cui si conosce il volto sul quaderno, e la vittima morirà per arresto cardiaco”.
“Lo confermano anche le istruzioni” proseguì Aizawa, riprendendo in mano il quaderno e tornando alla pagina iniziale “E dicono anche che si hanno a disposizione quaranta secondi per indicare le condizioni della morte, se si vuole fare in modo che essa non avvenga con un semplice arresto cardiaco…”.
“Quindi…Naomi aveva ragione…” mormorò Ruri “Kira poteva uccidere…può uccidere…anche in altri modi, oltre che tramite l’arresto cardiaco. Tutto ha senso…”.
“Dopo aver indicato le cause della morte, si hanno a disposizione sei minuti e quaranta secondi per indicare eventuali dettagli sulle condizioni della stessa…” lesse ancora Aizawa.
“E questo spiegherebbe la manipolazione delle azioni delle vittime precedenti il decesso…c’è dell’altro?” gli domandò, alzando febbrilmente lo sguardo.
“Sì…” replicò Aizawa, andando in fondo al quaderno “Ci sono…delle altre istruzioni. Qui dice che se questo quaderno viene strappato o bruciato allo scopo di renderlo inservibile, tutte le persone che lo hanno toccato moriranno”.
“Eh?!?” sbottò Matsuda “Dici sul serio, Aizawa?!”.
“Sì, qui c’è scritto così…”.
“Ma come?! Potevi dirmelo prima che lo toccassi!!”.
“Guarda che l’ho toccato anch’io…” ribatté Aizawa, guardandolo storto.
“Maledizione!” esclamò Matsuda, portandosi una mano alla testa “Se solo non avessi voluto toccarlo a tutti i costi per poter vedere anch’io lo shinigami!”.
“Se non l’avessi fatto, saresti stato l’unico a non avere una visione chiara delle indagini” lo rimproverò il sovrintendente “È questo che volevi?”.
“Ma no, è chiaro che voglio indagare anch’io nelle medesime condizioni del resto della squadra” rispose Matsuda, con aria offesa.
“Per finire” riprese Aizawa “C’è un’ultima regola: se entro tredici giorni dall’ultima volta che si è scritto sul Death Note non si scrivono altri nomi per perpetrare la serie di omicidi…si muore…”.
Quella rivelazione scatenò il sollievo in tutti loro, tranne che in Ruri ed Elle.
“Ma allora…allora questo scagiona definitivamente dalle accuse sia Light che Misa-Misa, dico bene?” esclamò Matsuda, entusiasta.
“Sì!” replicò Aizawa “Se fossero i due Kira, dovrebbero essere già morti, visto che sono stati imprigionati per cinquanta giorni, e sono ancora sotto sorveglianza”.
“Non è contento, sovrintendente?”.
“Beh, sì…” annuì Soichiro, con un gran sorriso.
A quel punto, la voce di Elle si unì alle loro: il detective era tornato a sedersi alla sua scrivania e aveva preso a costruire piccole torri con alcune confezioni di panna vuote, impalcandole per diversi centimetri.
“Essere bianco” iniziò, rivolgendosi allo shinigami “Il tuo nome è Rem, dico bene?”.
“’Essere bianco’?!” ripeté Matsuda “Ryuzaki, andiamo, ma che modi sono questi?”.
“Che vuoi?” replicò la creatura mostruosa, fissando il detective di sbieco.
“Nel mondo degli umani ci sono altri quaderni…vero?” gli domandò, senza voltarsi.
Dal canto proprio, Ruri poté notare che lo shinigami continuava a fissare il profilo del ragazzo con espressione dubbiosa e un po’ incerta, e che stava prendendo delle lunghe pause, prima di rispondergli.
“Chissà…forse sì…forse no…” fu la sua risposta enigmatica.
“Ma se per caso esistessero altri quaderni, suppongo che le regole sarebbero sempre le stesse, giusto?” chiese ancora Elle.
“Sì, le regole sono le stesse. Nel mondo degli shinigami esistono diversi quaderni, ma le regole sono uguali per tutti: e lo stesso vale per quelli nel mondo degli umani” ribatté Rem, impassibile.
“Ryuzaki” intervenne Aizawa, muovendo qualche passo nella sua direzione “Ormai, tutti i sospetti su Light e Misa sono caduti; è ora di smetterla con la sorveglianza”.
“Sì, ha ragione!” ne convenne Matsuda “Ormai è chiaro che sono innocenti…”.
“Già, ormai è chiaro…” ripeté lentamente Elle, senza staccare lo sguardo dal monitor che riprendeva la stanza da letto di Misa, dove la ragazza stava distrattamente sfogliando una rivista.
Volgendo di poco la testa, Ruri si accorse a un tratto che anche lo shinigami stava fissando Misa, e che la sua espressione, nel volgere gli occhi su di lei, era cambiata in modo tanto impercettibile quanto significativo.
“E va bene” disse Elle alla fine, con voce atona “Vi chiedo scusa per quello che vi ho fatto passare”.
Con la coda dell’occhio, Ruri riuscì a captare un sorrisetto soddisfatto da parte di Light, che svanì nel nulla non appena suo padre comparve al fianco del diretto interessato, posandogli una mano sulla spalla.
“Grazie al cielo…” mormorò Soichiro.
“Già” annuì Light, alzandosi in piedi “Ma questo caso non si può ancora dire risolto del tutto: anche se mi toglierete le manette, non c’è problema se continuo ancora ad indagare qui, no?”.
Le sue parole vennero seguite da un lungo silenzio, al termine del quale Elle non si voltò di nuovo verso di lui.
“No…” replicò, estraendo una chiave dalla sua tasca e staccando le manette dal suo polso e da quello di Light.
Dopo avergli rivolto un altro sguardo di puro trionfo, Light li superò senza dire un’altra parola, salendo al piano superiore; dal canto proprio, Ruri continuò a seguirlo con lo sguardo finché non se ne fu andato del tutto.
Poi, posò di nuovo l’attenzione sul quaderno e su Rem, che ancora non aveva staccato gli occhi dalla figura di Misa, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto mostruoso.
“Rem…” gli si rivolse, facendolo voltare nella sua direzione e sorridendogli leggermente “Posso farti alcune domande?”.
“Sì” ribatté lo shinigami, sorpreso dal suo contegno amichevole.
“La persona che è morta stasera, Kyosuke Higuchi…tu lo conoscevi? Voglio dire…hai parlato con lui, giusto? Passavate del tempo insieme?” gli domandò, sporgendosi nella sua direzione.
“Sì. Le regole del nostro mondo prevedono che gli shinigami debbano sempre rimanere al fianco della persona che possiede il Death Note che è arrivato nel mondo degli esseri umani. Higuchi ne era il proprietario, pertanto io dovevo seguirlo in ogni suo movimento”.
“E cosa succede quando l’essere umano che è proprietario del Death Note muore?” chiese ancora Ruri.
Vide che lo shinigami stava esitando, e pensò a un tratto di essere sulla strada giusta.
“Lo shinigami è libero di tornare nel suo mondo, ma non senza aver recuperato il Death Note” rispose poi Rem, con tono cauto.
“Quindi, è questo il motivo per cui adesso sei qui? Perché aspetti di poter recuperare il Death Note?”.
“Esatto”.
“In altre parole, lo stai facendo per darci una mano con le indagini” annuì Ruri, incrociando le braccia “È gentile da parte tua…perché immagino che, volendo, a questo punto potresti semplicemente riprenderti il quaderno e tornartene a casa, a meno che, ovviamente…non ci sia qualcosa che ti trattenga qui”.
Gli occhi gialli della creatura mostruosa la trapassarono da parte a parte, incuranti del silenzio carico di tensione che li aveva circondati, ma Ruri non batté ciglio e sostenne quello sguardo: fino a qualche ora prima, non avrebbe mai creduto di poter sostenere un confronto così decisivo con una creatura di un altro mondo, ma il caso Kira l’aveva sottoposta a più sorprese di quanto non avrebbe mai immaginato, e adesso non si sarebbe più lasciata mettere sotto da niente: quello shinigami sapeva qualcosa, poco ma sicuro. E avrebbe scoperto di cosa si trattava.
“Forse è così…forse no…” disse di nuovo Rem, abbassando infine lo sguardo prima di Ruri.
“Hai detto che gli shinigami devono sempre restare al fianco dell’essere umano che diviene proprietario del Death Note…stai dicendo che sei sempre stato insieme a Higuchi, fin dall’anno scorso? Fin da quando sono iniziate le morti per arresto cardiaco?” domandò ancora Ruri, passandosi una mano sotto il mento.
Rem le rivolse un’altra occhiata, stavolta carica di risentimento e di disappunto.
“Ho seguito Higuchi fin da quando è entrato in possesso del quaderno” replicò Rem.
“Questa non è una risposta” gli fece notare Ruri.
“Ho seguito Higuchi fin da quando è entrato in possesso del quaderno” ripeté Rem, scuotendo la testa “Non posso dirti più di così, dato che è lui che ha toccato il Death Note, quando esso era in mio possesso. E francamente, non capisco bene che cos’altro tu voglia sapere”.
Ruri continuò a fissarlo per qualche altro minuto, per poi sorridergli brevemente.
“Va bene. Grazie, Rem: adesso mi è tutto più chiaro”.
“Un’ultima cosa” intervenne Elle, andandosi a sedere vicino a lei e sfogliando il Death Note fino alla pagina che stava cercando, dove mancava un angolo “Dalla pagina di questo quaderno omicida è stato strappato un piccolo pezzetto di carta…è possibile uccidere anche utilizzando un frammento come questo?”.
“Chissà” ribatté Rem, stringendosi nelle spalle “Non te lo saprei dire, visto che non l’ho strappata io quella pagina…”.
“E dimmi, gli shinigami mangiano solo mele?” domandò ancora Elle.
“Assolutamente no” rispose Rem “Dato che i nostri organi interni si sono atrofizzati, o, per meglio dire…si sono evoluti, non abbiamo bisogno di mangiare”.
“Ok. Direi che è tutto, per il momento” dichiarò Elle “Hai intenzione di rimanere qui?”.
“Per il momento” disse lo shinigami “Nel mio mondo ci si annoia molto, e in effetti m’incuriosisce cercare di capire come andrà a finire questa vicenda”.
“Grazie dell’aiuto, Rem” gli sorrise ancora Ruri, scatenando la sua sorpresa.
 
Nell’arco di una mezz’ora, tutti dichiararono di voler andare a riposarsi, dopo la nottata assurda appena trascorsa; dopo aver trascorso un po’ di tempo con Ayber, Ruri capì che non avrebbe potuto evitare in eterno quel momento, e finì per dirigersi verso la stanza di Ryuzaki.
A differenza di quanto si sarebbe aspettata, il detective era proprio là, e non sembrava essere impegnato a lavorare: non appena fu entrata, vide che era in piedi, vicino alla finestra, intento a osservare l’alba che spuntava all’orizzonte, le mani in tasca e il profilo corrotto da un’espressione incredibilmente triste.
Quando capì che era alle sue spalle, si voltò verso di lei e le rivolse un altro sguardo penetrante e deciso, senza sorridere.
“Lo so!” lo precedette, alzando le mani in segno di difesa “Lo so che sei arrabbiato e lo so che avevo promesso che non avrei più fatto niente del genere! Lo so che adesso hai voglia di uccidermi e che sono completamente folle…in effetti, ti avevo avvisato, te lo ricordi? Ti avevo detto che ero un casino senza pari, e che stare con me non sarebbe stato facile e che forse te ne saresti pentito. Lo so che sono…lo so, ok? Lo so” ripeté, per l’ennesima volta “E mi dispiace per averti terrorizzato e per essermi quasi uccisa, e per aver incasinato tutto, e per averti fatto credere che non mi avresti mai più rivista, ma per quello che vale, volevo dirti che…”.
“Io ti amo”.
Lo aveva detto nel suo modo semplice, preciso, conciso e diretto, a cui non si sarebbe mai abituata e che continuava a spiazzarla, ogni volta. Lo aveva detto con il tono di chi pronuncia la cosa più naturale del mondo, e al tempo stesso si limita ad affermare una realtà innegabile.
“Cosa…?” riuscì a dirgli, trattenendo a stento le lacrime che le stavano affiorando alle palpebre.
“Me lo sono tenuto per dopo. Adesso…adesso è ‘dopo’” le spiegò il detective, avanzando di qualche passo.
“Che fai, ti metti a constatare le realtà oggettive, adesso…?” gli domandò Ruri, reprimendo una risatina nervosa.
“Smettila di fissarmi in quel modo e vieni qui immediatamente”.
Il tono soave in cui aveva pronunciato quell’ordine non le impedì di precipitarsi fra le sue braccia: prima che potesse rendersene conto, gli aveva già circondato la vita con le gambe e aveva lasciato che lui la lasciasse cadere sul letto, continuando a baciarla e a spogliarla dei vestiti, dotato di una foga che mai credeva avrebbe potuto conoscere.
“Tu sei la donna che amo” prese a sussurrarle, mentre le sue dita affusolate assaporavano il contatto con la pelle della ragazza “Se provi…se provi di nuovo a fare del male alla donna che amo, giuro che non avrò più lo stesso autocontrollo…”.
Ruri non poté fare a meno di sorridergli: quello stesso sorriso che solo lui era in grado di strapparle, di far apparire sul suo volto, quel sorriso che poteva dedicare ad Elle e a Elle soltanto, poiché solo fra le sue braccia poteva dire di sentirsi veramente a casa, come mai in vita sua.
“Ne sei sicuro?” gli domandò, sfiorandogli il volto.
“Al 100%” ribatté il detective, baciandola ancora una volta.
Fare l’amore con Elle non era mai stato così bello: era intenso, profondo, perfetto, era l’unione che aveva atteso da sempre, quella del cuore e della mente, non soltanto del corpo. Era un unico atto capace di scatenare mille emozioni e mille pensieri in contemporanea all’interno del suo spirito e del suo centro vitale, ciò che le dava l’energia, il coraggio, l’ardimento necessario per affrontare tutto.
Fino ad allora, non aveva compreso fino in fondo quanto le fosse mancato stringerlo a sé, potergli sussurrare all’orecchio, poterlo baciare, potergli sorridere nel modo che solo loro conoscevano, poter passare le dita fra quei capelli scuri e potersi perdere in quegli occhi neri come il buio senza che nessuno se ne accorgesse…amava quel ragazzo in un modo che non riteneva neppure concepibile, in un modo capace di avvolgerla completamente, senza più dover pensare al passato, alle cicatrici, alla morte di fronte a cui si era trovata o alla voce di suo padre…Elle era la sua casa. Lo era sempre stato. E mai al mondo, avrebbe mai permesso che qualcosa gliela portasse via.
Adesso finalmente capiva fino in fondo ciò che lui aveva cercato di dirle fin dal giorno del suo intervento chirurgico: sapeva che entrambi se la sarebbero in qualche modo cavata, senza l’altro. Nessuno sarebbe morto a causa della scomparsa di uno di loro, e comunque sarebbero andati avanti, ma né lei né Elle avrebbero mai trovato nuovamente la capacità di apprezzare quanto potesse essere preziosa la vita.
Avrebbero vissuto, avrebbero combattuto, avrebbero anche vinto: ma senza la presenza dell’uno al fianco dell’altra, tutto sarebbe tornato grigio, spento e innaturale come prima del loro incontro, quando la spontaneità, la complicità pura e la possibilità di essere felici fino in fondo semplicemente non esistevano.
Quando infine riuscirono a staccarsi l’uno dall’altra, si resero a un tratto conto che era pomeriggio inoltrato del 29 Ottobre, e che all’esterno aveva preso a piovere a dirotto.
“Ti sono mancata, dovrei dedurne” ridacchiò Ruri, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli.
“Più di quanto tu possa immaginare” le sorrise Elle.
Malgrado l’apparente serenità, Ruri capì che c’era qualcosa che non andava.
“Stai bene?” gli domandò, sollevando appena la testa.
“Non proprio” ammise Elle, scuotendo il capo “Ho come la sensazione che la fine di questo caso sia vicina, ma…proprio quando sono a un passo da una risposta definitiva, questa mi sfugge. È più esasperante di quanto avrei mai pensato. Non mi era mai capitato, prima”.
“Sì, capisco” annuì Ruri, alzandosi a sedere come lui “A proposito di quel Death Note…”.
“Light è cambiato, Ruri” la interruppe Elle, fissando lo sguardo sulle lenzuola color panna: non ne era sicura, ma avrebbe detto che il suo tono fosse incredibilmente triste “È…cambiato”.
“Lo so…” mormorò Ruri, posandogli una mano sulla spalla “Credo di averlo capito anch’io…”.
“Che sta succedendo…?” domandò a se stesso il ragazzo, tormentandosi il labbro inferiore “Le cose sono diverse…di nuovo…”.
“In effetti, sembra che tutto quello che abbiamo scoperto ci riconduca inevitabilmente a Light e a Misa…se non fosse per un particolare…” rifletté a sua volta Ruri.
Elle rimase in silenzio per un altro momento, prima di riprendere a parlare.
“Lo shinigami ha detto di non sapere…se è possibile uccidere scrivendo su un frammento di quaderno. Ma se lo fosse…allora ci sarebbero delle possibilità. Tuttavia, una volta che si è usato questo quaderno si muore, a meno che non si scriva un altro nome entro tredici giorni. E sia Light Yagami che Misa Amane sono in vita…tredici giorni…se solo non fosse per questo…”.
“Ho una sensazione strana, al riguardo…” ammise Ruri “Sembra quasi…non lo so. Forse ci siamo concentrati troppo su di un sospetto sbagliato, ma mi rifiuto di crederci. È che ho come l’impressione che…”.
“Vai avanti” la esortò Elle.
“E se il quaderno mentisse?” domandò a un tratto Ruri “Se le regole fossero sbagliate?”.
“Pensi che potrebbero esserlo?” le chiese Elle.
“Beh, non lo so…ma in fondo…potremmo verificare, no?”.
“Stai parlando di provare il Death Note?” ribatté Elle “Devo ammettere che è quello che stavo pensando anche io, ma non mi aspettavo che me lo proponessi…inoltre, mi piacerebbe sapere che cosa ti ha portato a pensare che le regole scritte su quell’arnese siano false”.
Ruri lo fissò per qualche secondo, prima di replicare.
“Lo shinigami” pronunciò infine “Sta mentendo”.
“Già…” annuì Elle “La vera domanda è…perché?”.
“Forse Higuchi non è l’unico essere umano con cui è entrato in contatto” disse lentamente Ruri, riflettendo, per contro, con la solita rapidità “Forse…forse sta proteggendo qualcuno. Qualcuno che in realtà lo ha conosciuto e che adesso finge indifferenza…”.
“Da cosa lo deduci?” le domandò il detective.
“Quello shinigami fissa Misa in modo un po’ troppo insistente. Non mi convince; e sta molto ben attento ad eludere le mie domande, senza mentirmi del tutto. Sta facendo il gioco di Yagami, ci scommetterei la mano destra: e se davvero fosse così, avrebbe anche potuto manomettere il Death Note affinché credessimo vero l’unico elemento che, guarda caso, scagiona definitivamente i nostri principali indiziati…ci sono un po’ troppe coincidenze”.
“Quindi, quel Rem proverebbe qualcosa per Misa?” ribatté Elle, grattandosi la nuca “Una teoria interessante, ma dovrai riconoscere che è un po’ tendenziosa: credi davvero che un mostro del genere possa affezionarsi a qualcuno?”.
“Non possiamo dire di conoscere simili creature abbastanza da poter stabilire che cosa sono in grado di provare e che cosa no” lo rimbeccò Ruri “Ma immagino che dovremmo puntare su questo elemento: se abbiamo ragione e lo shinigami mente, allora la faccenda cambia radicalmente”.
Elle le sorrise in modo soddisfatto, carezzandole appena i capelli.
“Sei veramente in gamba come sembri, allora”.
“Avevi ancora qualche dubbio? Prega solo che i nostri figli somiglino a me” lo prese in giro Ruri.
Di fronte a quella parola, il ragazzo s’irrigidì di colpo, interrompendo il loro contatto e fissandola con l’espressione di chi le ha appena sentito pronunciare qualcosa di incredibilmente sbagliato.
“Figli? Credevo che non volessi figli, Ruri…” le fece notare, allontanandosi di colpo da lei.
“Beh, non…non ho proprio detto così. Ho solo detto che non pensavo sarei stata una buona madre. Mi sembra di ricordare che mi avessi contraddetto, in quell’occasione” replicò Ruri, alzando un sopracciglio.
“Mi sono limitato a dire che avresti potuto essere quello che volevi” la corresse Elle, adesso freddo.
“Appunto. Quindi, potrei anche essere una buona madre, non ti pare?” proseguì Ruri, con un gesto della mano.
“Immagino che ci siano delle buone probabilità” dichiarò Elle gelidamente, iniziando a vestirsi.
Ruri fissò la sua schiena perlacea, incapace di credere a quello che aveva appena sentito.
“Delle ‘buone probabilità’?!” ripeté poi, balzando in piedi “Io ti sto parlando dei nostri figli e tu mi parli di probabilità?!”.
“E a te sembra il momento di metterti a discutere di una faccenda del genere?!” replicò Elle, sforzandosi di controllare il tono di voce “Da te non mi aspettavo un comportamento simile”.
“Perché? Non posso discutere di un possibile futuro con il mio ragazzo?!” ribatté Ruri, incrociando le braccia.
“Ruri, non…”.
“Che c’è di male se voglio una cosa normale nella mia vita?!” sbottò a un tratto, senza riuscire più a trattenersi.
Per contro, Elle le rivolse un’altra occhiata gelida, le mani di nuovo nelle tasche dei jeans che aveva appena terminato di indossare.
“Credevo che sapessi già quello che volevi” le fece notare, la voce priva d’espressione.
“Sì, lo credevo anch’io! Ma forse nella vita non ci sono soltanto i serial killer e il lavoro da stakanovisti, forse non dobbiamo soltanto avere a che fare con questa merda e basta! È questo quello che tu vuoi?! Solo questo?!” gesticolò Ruri, furiosa.
“Non dev’essere per forza la tua vita. Puoi scegliere” replicò Elle, lasciandola di sasso.
“Posso scegliere?! Che cosa posso scegliere, esattamente? Se lasciare che sia tu a prendere tutte le decisioni, astenendoti dal chiedere il mio parere, o se trascorrere il resto della vita ad aspettare che cambi idea?! Ma che razza di uomo sei, tu?!”.
“Io non sono un uomo!!!!” sbottò Elle, alzando la voce per la prima volta.
Vederlo fissarla con quello sguardo fiammeggiante la fece sentire atterrita come niente, e le fece venire voglia di sprofondare, pur di poter sfuggire a quello sguardo accusatorio e a quella voce fredda e implacabile.
“Io non sono un uomo come gli altri!!” precisò poi Elle, ancora furioso “Sono a capo delle indagini sul serial killer più pericoloso di tutti i tempi, sono il primo detective al mondo e sono la giustizia in persona! Non sono un uomo che ha un lavoro normale, che torna a casa la sera e che abbraccia la sua famiglia felice! Ti ho fatto capire che questo non l’avresti mai avuto, stando con me, e tu mi hai detto che lo avresti accettato e che tutto ciò che volevi era che rimanessimo insieme! Non parlarmi di qualcosa che non avremo mai e che non ci appartiene, perché non ha il minimo senso che tu provi a farlo, e io non ho tempo da perdere ad ascoltare certe cretinate, quindi adesso mettiti qualcosa addosso e vieni a darmi una mano con il caso, visto che abbiamo sprecato già abbastanza tempo”.
Ruri lo guardò in silenzio per un paio di istanti, il corpo attraversato da un lieve tremito; infine, con un gesto secco, afferrò la busta dall’aspetto ufficiale che aveva posato sul comodino vicino alla porta, prima di entrare, e gliela lanciò addosso, per poi vestirsi alla velocità della luce.
“Che cos’è…?” le domandò Elle, abbassando gli occhi su di essa, le dita strette vicino ai suoi bordi.
“La cosa che non avremo mai e che non ci appartiene” lo gelò Ruri, aprendo la porta di scatto “Va’ all’Inferno” concluse, prima di sbatterla.
 
Le cose non migliorarono, con il passare dei giorni: Ruri si chiuse in un mutismo gelido, senza dar cenno di voler spiegare né ad Ayber, né a Wedy, o a Robin o a Watari che cosa le fosse successo, limitandosi ad analizzare il Death Note in ogni sua componente e soffermandosi con attenzione sulla pagina dedicata a Ray Penber, dove Kira sembrava essersi divertito in particolar modo a manipolare le azioni precedenti il decesso, facendo sì che l’agente dell’FBI si recasse alla stazione della metropolitana di Shinjuku e che salisse sulla linea Yamanote poco dopo le 15.
Appena il giorno dopo la loro discussione, subito dopo il ritorno di Misa in libertà, le uccisioni dei criminali erano riprese; in quella precisa occasione, aveva osservato di nuovo le reazioni di Rem di fronte a ciò che stavano preannunciando sulla sorte del responsabile, stando bene attenta a fare in modo che il nome della ragazza venisse ripetuto di frequente nel corso della conversazione: ormai non aveva più dubbi, quello shinigami nascondeva qualcosa, e quel qualcosa era probabilmente legato ai suoi sentimenti per quella ragazza. Era ovvio che la conoscesse da prima e che, in un modo o nell’altro, ci fosse qualcosa che lo teneva connesso a lei e che gli faceva desiderare di proteggerla. Per quanto la riguardava, avrebbe fatto del suo meglio per scoprire se le sue ipotesi erano vere o no.
Sapeva che lavorare sul caso non le avrebbe impedito di pensare continuamente a Elle e a ciò che si erano detti, ma non le importava: ci avrebbe pensato dopo la cattura di Kira. Era anche consapevole che, non appena tutta quella storia fosse finita, probabilmente gli avrebbe detto addio: se avesse dovuto scegliere fra lui e il bambino, ormai era certa di non avere più dubbi.
Il fatto era che lei voleva quel figlio. Lo voleva più di qualsiasi altra cosa, più di quanto non volesse Kira in galera, più di quanto non volesse Elle, più di quanto non avesse voluto continuare a vivere…voleva stringerlo, stare con lui, abbracciarlo, sentire il suo respiro, scoprire che aspetto avrebbe avuto quando dormiva. La sensazione che qualcosa di così unico e importante stesse crescendo dentro di lei la faceva sentire bene, in pace, malgrado le parole di Elle non smettessero di rimbombarle nella mente: l’aveva ferita come non pensava sarebbe mai riuscito a fare, l’aveva fatta sentire piccola, stupida e umiliata.
Le aveva detto chiaramente che non voleva nessun figlio, che non voleva quel figlio, e aveva buttato via la cosa più bella che avessero mai fatto insieme, prima ancora che questa nascesse: un simile pensiero le dava la nausea, e le aveva impedito persino di raccontare della cosa a Robin. Solo Ayber aveva capito davvero che cosa le turbinava per la testa, ricevendone anche una muta conferma da parte di Wedy, e i due avevano deciso di preservare il segreto della ragazza, già sufficientemente provata da tutto quello che stava affrontando.
D’altro canto, Elle non aveva accennato a cercare di rimettere le cose a posto. Non l’aveva avvicinata in alcun modo, non aveva più provato a parlarle, neppure per scambiarsi considerazioni sul caso Kira, non l’aveva più toccata…non l’aveva più neanche guardata. Si era rinchiuso di nuovo nel suo mondo, fatto di razionalità e di calcoli probabilistici, terrorizzato dal ricordo di ciò che aveva visto e di quelle immagini che avevano preso a perseguitarlo, ad ogni ora del giorno e della notte.
Un bambino. Un bambino suo.
Non era possibile. Non poteva essere vero. Non doveva esserlo.
Lui e Ruri erano una coppia, e insieme a Watari avrebbero formato una famiglia. Poteva accettarlo, poteva farcela, poteva di nuovo vivere la propria umanità e lasciare che le cose non fossero sempre sotto il suo controllo…ma un figlio…
Era troppo. Era una debolezza che non poteva concepire, qualcosa di così importante e profondo, talmente tanto da non riuscire a sopportarne la sola idea. Gli avrebbe assomigliato? Sarebbe stato come lui? Avrebbe mai potuto accettare di crescerlo, di prendersene cura, di osservarlo in ogni giorno della sua vita?
E avrebbe mai potuto tollerare il contrario? Di sapere che era vivo, da qualche parte nel mondo, che stava camminando, parlando, correndo, giocando, ridendo…e che non era lì con lui? Che non poteva toccarlo, stringerlo, assicurarsi che non fosse solo frutto della sua immaginazione…Avrebbe mai potuto sopportare l’idea che non sapesse della sua esistenza, così come Christine non sapeva di Watari? Oppure che ne fosse a conoscenza, e che lo odiasse proprio per questo?
Spinto da quei pensieri, il 4 Novembre, dopo aver trascorso un compleanno privo di qualsiasi festeggiamento e di qualsiasi sorriso da parte di Ruri, si diresse ai piani sotterranei del quartier generale, dove sapeva che avrebbe trovato Watari, seduto di fronte ai monitor.
“Ryuzaki” lo accolse l’anziano signore, volgendosi verso di lui non appena ebbe udito aprirsi le porte automatiche “Che cosa c’è?”.
 
Today could’ve been the day…
That you blow up your candles…make a wish as you close your eyes
Today could’ve been the day…everybody was laughing
Instead I’m just sitting here and cry
 
Notando che il suo protetto non accennava a pronunciare un’altra parola, le mani abbandonate lungo i fianchi, Watari ruotò appena la sua poltrona, voltandosi completamente verso di lui.
“Allora?” insisté “Che ti prende? Stai bene?”.
Ryuzaki continuò a fissarlo, senza smettere di riflettere su tutto ciò che gli turbinava nella mente: si sarebbe perso tutto? Il primo compleanno di suo figlio, la sua prima parola, la prima volta in cui avesse camminato sulle sue gambe…si sarebbe perso la sua nascita? Si sarebbe perso la prima espressione che sarebbe comparsa sul suo volto? Avrebbe finito per assomigliare a Ruri, oppure a lui? Si sarebbe perso il primo giorno del resto della sua vita?
 
Who would you be?
What would you look like?
When you looked at me for the very first time?
Today could’ve been the next day of the rest of your life…
 
“Ryuzaki…?” seguitò Watari, alzando un sopracciglio.
“Ruri è incinta”.
Lo aveva detto tutto d’un fiato, senza mutare espressione, attendendo quello che sarebbe venuto dopo: con sua grande sorpresa, dovette infine rendersi conto che il suo mentore stava sorridendo.
“Sì, lo so”.
Prima che potesse chiedergli spiegazioni, Watari aveva già estratto da sotto la scrivania il fascicolo contenente le ecografie di suo figlio.
“Le hai lasciate sul pavimento della camera da letto” spiegò Watari, con un sospiro paziente “Di solito, sei molto più attento a preservare i tuoi segreti”.
“Non voleva essere un segreto” replicò Elle, andandosi a sedere di fronte a lui: con un piccolo sorriso, Watari poté notare che teneva le gambe distese al di sotto della sedia, come faceva sempre quando era con Ruri; probabilmente, si era del tutto convinto che la razionalità non lo avrebbe aiutato troppo, in quella circostanza.
Osservandolo con attenzione, Watari rivide a un tratto il bambino solo e sperduto che aveva accompagnato alla Wammy’s House molto tempo prima, ma in quell’istante gli apparve molto più spaventato d quanto non riuscisse a ricordare.
“Sei venuto qui per parlarmi delle possibilità del caso?” domandò Watari, accavallando le gambe, le mani strette intorno ai braccioli della sua sedia.
“Non serve a niente. Ruri ha già deciso da sola che cosa fare” ribatté Elle, scuotendo la testa.
“E come fai a saperlo, visto che sono giorni che non le rivolgi la parola?”.
“Credi che non la conosca? Ruri vuole questo figlio. Vuole questo figlio più di quanto non abbia mai voluto altro, al mondo. Più di quanto…”.
“Più di quanto non voglia te” concluse Watari, annuendo appena “Credo di aver compreso”.
Elle seguitò a osservarlo, in attesa che proseguisse.
“Allora?” gli domandò infine, con un gesto impaziente della mano.
“Allora che cosa?” replicò educatamente Watari.
“Che cosa dovrei fare?” sbottò Elle, alzando un sopracciglio.
“Andiamo, Elle, sai come vanno queste cose. Si aspetta nove mesi, si fa nascere il bambino…”.
“Mi prendi in giro?!? Quello è mio figlio!!” saltò su Elle, arrabbiato.
“Certo che lo è. E se mi permetti un’osservazione, spero vivamente che non ti somigli” lo rimbeccò Watari.
“Ne stai parlando come se fosse la cosa più naturale del mondo!” proseguì Elle.
“In effetti, è la cosa più naturale del mondo, Ryuzaki” gli fece notare Watari, con tono paziente “Due persone iniziano ad amarsi, e la natura fa il suo corso”.
“Io…io non posso! Tu sai che non posso…non posso fare il padre e basta!” seguitò il detective, con espressione stralunata “Sai quante probabilità ci siano che mi odi e che desideri di non essere mai nato, quando capirà che io sono suo padre? Che dovrei fare, portarlo in giro con me e con Ruri in ogni parte del globo, mentre diamo la caccia ai criminali? Perché è questo che faccio da una vita intera, e credevo fosse quello che voleva anche Ruri! Ma questo…questo è…”.
“Questo” lo interruppe Watari, impugnando una delle ecografie “È tuo figlio. È l’essere umano più simile a te sulla faccia della Terra. Quando verrà al mondo, cercherà suo padre, e non gli importerà se avrà l’ossessione per i dolci, se si siederà in modo strano, o se darà la caccia al crimine in modo ossessivo. Gli importerà di sentire il tuo odore, di vedere il tuo viso, gli importerà di sapere che è amato, a prescindere da qualsiasi altra cosa. E se deciderai di abbandonarlo e di non occupartene, non ci sarà giorno in cui non penserai a lui e in cui non ti chiederai perché hai lasciato che la tua stupidità ti portasse via troppo presto quello che avevi appena iniziato a conoscere o che non avevi mai neppure vissuto per un momento. Hai rischiato di fare lo stesso errore con Ruri: non perdere di nuovo qualcosa di così importante. Ricordati quello che ti ho detto lo scorso inverno, ragazzo mio: non finire come me”.
 
Not a day goes by that I don’t think of you
I’m always asking why this crazy world had to lose
Such a ray of light we never knew…gone too soon
 
Il riferimento alla famiglia di Watari fu in grado di zittirlo del tutto, convincendolo ad abbassare la testa: alla fine, annuì lentamente e fece per uscire, quando la voce del suo mentore lo richiamò indietro.
“Lo so che non sei pronto…” gli disse, con un sorriso paterno “Ma nessuno lo è davvero, quando succede…”.
Ryuzaki fece per replicare, ma l’inglese lo precedette.
“Allora” disse, sorridendogli ancora “Immagino che sia tutto pronto per domani. Per questo, ti senti pronto, invece?”.
“Sì” replicò Elle, ignorando la strana sensazione che provava al petto.
“Lo sai che è pericoloso…”.
“Lo so; ma non abbiamo scelta, Watari. Dobbiamo averne la conferma definitiva. A che punto sei con il quaderno?”.
“È già tutto sistemato” lo rassicurò il suo mentore “Andrà bene, vedrai”.
“Solo se riusciamo a rimanere vivi…” mormorò Elle.
“Sei sicuro di voler correre questo rischio?” gli domandò ancora Watari “Potresti morire, lo sai…e non pensi che dovresti parlarne con Ruri?”.
“No. È fondamentale che lei non sappia niente: non coinvolgerla, Watari. Cercherebbe di fermarci, e non posso permetterlo. Anche se adesso mi odia, non…”.
“A volte mi domando se non ti abbia sopravvalutato” sospirò Watari, alzando gli occhi al cielo “O forse è solo colpa del tuo quoziente intellettivo troppo alto: magari è per questo che non capisci che ti ama e che farebbe qualsiasi cosa per aiutarti”.
“Proprio per questo non deve sapere. Ci muoveremo domani: attento a non commettere errori” gli disse Elle, facendo di nuovo per andarsene.
“…e lo shinigami?” lo bloccò per l’ultima volta Watari, con uno strano tono di voce.
Impercettibilmente, Elle si concesse di sorridere.
“…farà la sua parte”.
 
In quello stesso momento, diversi piani più sopra, Ruri alzò a fatica lo sguardo dalle pagine del Death Note, che aveva continuato a sfogliare febbrilmente in cerca di indizi: per l’ennesima volta nel corso di quei giorni, le venne un irrefrenabile istinto di piangere. Sapeva che era in gran parte dovuto agli ormoni della gravidanza, ma non riusciva a tollerarlo; in più, ripensare a Elle e a ciò che sarebbe venuto in seguito le faceva ancor più male e la deconcentrava di più ogni giorno.
L’aver preso consapevolezza del suo stato interessante, inoltre, le faceva paradossalmente accusare di più i sintomi di quella condizione, costringendola a trattenere nausee sempre più frequenti e provocandole fastidiosissimi crampi al basso ventre.
Presa da un momento di vera e propria frustrazione, chiuse di scatto il quaderno e si prese il volto fra le mani, scoppiando deliberatamente a piangere e lasciando che i suoi singhiozzi lavassero via tutto il dolore, la paura e l’avvilimento che le stavano lacerando le membra; ancora una volta, non poté evitare di pensare alle parole di Elle e alla consapevolezza che non avrebbe mai visto crescere quel bambino. Chissà se si sarebbe mai domandato qualcosa sul suo conto, sulla sua vita, su quello che sarebbe diventato…chissà se in qualche modo avrebbe mai provato qualcosa per lui. Di una cosa era sicura: per conto proprio, lo avrebbe amato più di qualsiasi altra cosa al mondo, più di quanto non avesse mai amato suo padre…più di quanto non avesse mai amato il sapore dell’aria.
Amava Elle, lo amava davvero…ma se veramente non voleva quel figlio, le loro strade si sarebbero definitivamente separate.
 
Would you have been president?
Or a painter, an author? Or sing like your mother?
One thing is evident…would have given all I had…
Would have loved you like no other…
 
Improvvisamente, si rese conto che qualcuno la stava osservando: alzando gli occhi, vide che lo shinigami era scivolato nella stanza e che l’osservava, con espressione triste.
“Rem?” gli si rivolse, asciugandosi le lacrime.
“Stai piangendo” constatò l’essere sovrannaturale, con uno strano tono.
“S-sì…non è niente…” si affrettò a dirgli “Adesso mi passa”.
“Perché piangi? È a causa di quel ragazzo?”.
Le parole dello shinigami la sorpresero, facendole fissare lo sguardo in quello della creatura e portandola a sorridere con amarezza.
“Sei più perspicace di quanto non credessi” sospirò, stringendosi nelle spalle.
“Non sei la prima ragazza che vedo piangere per colpa di un uomo”.
Sentirlo parlare così le fece alzare gli occhi di scatto, concentrandoli di nuovo in quelli dello shinigami, che non aveva smesso di osservarla.
“Stai parlando di Misa Amane…?” gli domandò, scegliendo le parole con cura.
Dopo un silenzio interminabile, Rem chinò appena la testa e sospirò con tristezza.
“Sì” ammise.
“Tu la conosci, vero?” proseguì Ruri, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla creatura “La conosci bene?”.
“Può darsi” replicò Rem, con tono incerto.
“Sai…è una brava ragazza. Insomma, è ingenua, e a volte può essere insopportabile, e forse non è troppo sveglia, ma è una brava ragazza…è facile imparare a volerle bene. Io non ci ho messo poi molto” proseguì la profiler.
Dopo un’ulteriore pausa, Rem tornò a fissarla nuovamente, ma stavolta i suoi occhi avevano una luce diversa, meno ostile e più tenera.
“Sì…so che cosa vuoi dire” mormorò appena.
“Sai, Rem…ho la sensazione che Misa sia in pericolo” sospirò Ruri, passandosi una mano dietro la nuca.
“Lo è. Ed è a causa dello stesso ragazzo per cui piangevi fino a poco fa” le disse subito lo shinigami, con tono accusatorio.
“Ti sbagli. Misa è in pericolo per colpa di un ragazzo, questo è vero: ma non si tratta di Elle. Si tratta di Light”.
Quelle parole sembrarono lasciare di stucco la creatura, che non seppe come replicare.
“Immagino che sia lui l’artefice di tutta questa situazione…probabilmente, pur di proteggere Misa, ti ha perfino chiesto di scrivere delle regole sbagliate sul Death Note, così da scagionarla. In effetti, hai ragione, in questo modo Misa non andrebbe mai in galera e non verrebbe condannata a morte, e teoricamente potrebbe stare con Light…” proseguì Ruri, con l’aria di chi la sapeva lunga.
“Questo è ciò che desidera. Questo la renderà felice” affermò Rem, con voce atona.
“Davvero?” replicò Ruri, facendogli alzare di colpo lo sguardo “La renderà felice stare con una persona che non la ama e che continuerà a sfruttare il tuo affetto per lei per raggiungere i suoi scopi? La renderà felice vivere al fianco di un uomo che la userà come un giocattolo fin quando non si starà stancato di lei, ferendo i suoi sentimenti e gettandola via quando non ne avrà più bisogno?”.
Rem la fissò con decisione, al tempo stesso insicuro su come proseguire.
“Questo non puoi saperlo” la contraddisse Rem.
“So che Light Yagami è Kira, e che si è servito di Misa per raggiungere i suoi obiettivi. So che l’ultima parte di ciò che lo rendeva umano è morta definitivamente, quando ha riacquistato i ricordi che probabilmente lui stesso ha deciso di perdere, dopo la sua prima settimana di prigionia. So che, con ogni probabilità, sei stato tu a convincere Misa a lasciarlo fare. So che le vuoi bene e che stai cercando di aiutarla, ma è quello che voglio fare anch’io!”.
“Perché?!”.
“Perché Misa è diventata mia amica, e io non la voglio sulla forca” affermò Ruri, fissando l’essere dritto negli occhi “Perché so che si è fatta coinvolgere da questa storia unicamente perché si sentiva sola, triste, impaurita e perché si è innamorata di un tipo che non la merita e che di certo non merita il suo amore. Perché qualche giorno fa mi sono resa conto che avevo perso definitivamente un amico, e non voglio che succeda di nuovo. Voglio aiutare Misa, Rem, dico davvero: pensi forse che Light Yagami lo farebbe fino in fondo? Pensi che fosse preoccupato per lei, quando si è fatto rinchiudere in prigione? Non ha nemmeno voluto guardarla. Non ha chiesto di lei, non ha chiesto dove fosse, come stesse e non ha chiesto di poterle parlare. A Light non è mai importato di Misa, gli è importato di avere un ulteriore mezzo per vincere, Rem. E che cosa succederà quando, per qualsiasi motivo, tu non sarai più qui a proteggerla? Che accadrà quando fra una settimana, fra un mese, fra un anno, Misa aprirà gli occhi e capirà di essere rimasta sola al mondo, perché né io, né tu, né Ryuzaki saremo ancora qui per darle una mano? Quando, in un modo o nell’altro, comprenderà che Light non l’ha mai amata, e che lei ha passato tutta la vita ad annullarsi nella speranza che lui iniziasse a farlo?!”.
Rem la fissò per un altro lungo istante, prima di riprendere a parlare.
“Tu sei innamorata” affermò infine “È per questo che capisci così bene la determinazione di Misa, anche se sei molto diversa da lei”.
“Non ha importanza” sospirò Ruri “So solo che le voglio bene e che è stata una vittima, in questa vicenda. Se ci darai una mano a mandare Kira in galera, giuro su quello che vuoi che aiuterò davvero Misa. Potremo farle perdere la memoria, se vorrai; in ogni caso, io le starò vicina, e farò in modo che Ryuzaki non la incrimini. Troverò il modo di farla stare bene e le darò la famiglia che non ha mai avuto. Farà parte della mia, e la terrò al sicuro. Ma tu devi fidarti di me e di Elle e aiutarci”.
Lo shinigami ricambiò il suo sguardo per un lunghissimo istante, prima di abbassare gli occhi e di sospirare pesantemente, dandole le spalle e iniziando ad attraversare la parete opposta.
“Rem…?” lo chiamò indietro Ruri “Rem, non mi hai risposto!”.
“Ruri…” le si rivolse Rem, con tono triste “Il bambino che hai in grembo…è una femmina”.
 
La sera successiva, un temporale improvviso iniziò a imperversare sopra le loro teste, scuotendo i muri dell’edificio con violenza e senza il minimo ritegno; fin dal primo mattino, Ruri si era resa conto che Ryuzaki non era in circolazione, e che non si vedeva da nessuna parte. Il pensiero l’aveva inspiegabilmente turbata, nonostante fossero giorni che non si rivolgevano la parola: con la massima stizza, iniziò a cercarlo dovunque, solo per assicurarsi che non fosse sparito nel nulla, come una nuvola di fumo. Non voleva ammetterlo, ma quel pensiero l’avrebbe comunque straziata, nonostante il suo rifiuto, nonostante le sue parole, nonostante la sua freddezza.
Alla fine, decise di salire sul tetto della loro base: e fu proprio lì che lo vide.
Il capo chino sotto la pioggia, i capelli completamente fradici, aveva le mani in tasca come di consueto e sembrava fissare un punto imprecisato del cemento, gli occhi venati da una tristezza pregna di consapevolezze e di parole mai pronunciate.
Muovendo qualche passo verso di lui, si accorse che lui aveva percepito subito la sua presenza, e che la stava guardando con espressione indecifrabile.
“Che cosa stai facendo?” gli domandò, sforzandosi di rimanere fredda, quando fu a distanza ravvicinata da lui.
“Niente. Non sto facendo assolutamente niente di particolare” replicò Elle, abbassando subito gli occhi “Ascolto il suono delle campane…”.
Dal canto proprio, rialzando lo sguardo, Elle non poté fare a meno di pensare, per l’ennesima volta, che i suoi occhi erano veramente meravigliosi: in effetti, sperava tanto che il bambino li ereditasse da lei.
 
Who would you be?
What would you look like?
Would you have my smile and her eyes?
Today could’ve been the next day of the rest of your life…
 
“Le campane?” ripeté Ruri, alzando un sopracciglio “Quali campane?”.
“Oggi devo dire che fanno davvero un baccano assordante” proseguì Elle, volgendo appena lo sguardo verso il cielo plumbeo, che continuava a riversare su di loro frequenti e intense gocce di pioggia.
“Ma…io non sento niente” mormorò Ruri, confusa.
“Dici sul serio? Eppure, è tutto il giorno che vanno avanti. È impossibile ignorarle” sorrise lievemente Ryuzaki “Dev’essere una chiesa. Forse c’è un matrimonio…o forse…”.
“Ma ti senti, quando parli?!” lo interruppe Ruri, con tono secco “Non mi rivolgi la parola da giorni, e adesso ti metti a parlare delle campane? Sei proprio fuori di testa come pensavo, allora”.
Elle ricambiò la sua occhiata, per poi stringersi nelle spalle, assumendo di nuovo la sua consueta espressione da bambino rimproverato e sperduto, che così tante volte ormai le si era rivelata, mettendo da parte la maschera del ragazzo glaciale, freddo, spietato e razionale al limite della follia.
“Scusami” mormorò Elle “Hai ragione…dico sempre cose senza senso, ricordi? Non starmi a sentire…”.
Per contro, Ruri non distolse gli occhi dai suoi, per poi muovere qualche passo nella sua direzione, portandosi sempre più verso di lui, fin quando non furono tanto vicini da potersi toccare; infine, in maniera impercettibile, e con gran sorpresa del detective stesso, prese a scostargli i capelli bagnati dalla fronte, carezzandolo appena e facendo sì che lui chiudesse gli occhi al suo tocco.
“Ruri…” mormorò appena, finendo per aprire gli occhi.
“Sssh” lo zittì Ruri, scuotendo la testa “Stai zitto”.
“Ma…”.
“Ti ho detto di stare zitto. Non dire una parola, ok? Lo so già…” sussurrò la ragazza, appoggiando definitivamente il palmo della mano sulla sua guancia.
“No, non lo sai. Sono stato…non è quello che volevo…”.
“Non le voglio le tue scuse, solo perché credi di stare per morire!!”.
Quelle parole le erano uscite di getto, senza che potesse controllarle, liberando così anche la sua frustrazione, il suo dolore e la sua profonda paura: le aveva nascoste a se stessa per tutto il giorno, eppure qualcosa le diceva che c’era qualche elemento che non era al suo posto, che Elle aveva omesso di dirle ciò che doveva sapere e che ben presto tutto sarebbe potuto crollare, senza che se ne rendesse conto. Ma come poteva finire tutto in quel modo? Senza una ragione, per un mero colpo di fortuna del loro avversario? Come poteva il mondo perdere quella luce che avevano appena trovato, eppure che le sembrava di non aver mai conosciuto? Era troppo presto…
 
Not a day goes by that I don’t think of you
I’m always asking why this crazy world had to lose
Such a ray of the light we never knew…
Gone too soon…
 
Elle le sorrise di rimando, stringendola contro il suo petto e permettendole di dare libero sfogo alle lacrime.
“Non ti sto chiedendo scusa per questo…” le assicurò, baciandole la fronte.
“E allora perché?” ribatté Ruri, la vista annebbiata dalle lacrime.
“Perché è giusto così. Sono stato l’uomo che non avrei dovuto rivelarmi, e avrei dovuto essere migliore per te. Tu non ti meriti questo…e io non voglio che passi la vita ad aspettare, come Misa”.
“È diverso” scosse il capo Ruri “Io non mi aspetto che succeda niente. Se non vuoi questo figlio, va bene così, Elle…”.
“Io voglio questo figlio”.
Quelle quattro parole furono in grado di paralizzarla, immobilizzando ogni suo senso e facendole spalancare gli occhi, il cuore che non trovava pace.
“Cosa…?” riuscì infine a sussurrare, la voce strozzata.
“Voglio tutto quello che possa fare parte di noi” continuò Elle, sorridendole in modo triste “Solo che ho paura che non dipenderà da me…”.
“Perché stai dicendo questo…?” ribatté Ruri, alzando la voce ad ogni parola “Non stiamo…non è il tuo funerale, santo Dio! Nessuno ha stabilito per oggi la tua data di morte, e tu oggi non…è solo un giorno come un altro! È solo un temporale, tu hai un’allucinazione dovuta al troppo zucchero e oggi sta piovendo come in quella maledetta giornata in cui siamo stati così stupidi da credere che potessimo sperare di amarci senza vivere la relazione più incasinata della storia!”.
Ryuzaki sorrise di fronte al suo impeto e la prese di nuovo fra le braccia, giocherellando appena con il ciondolo che lei portava ancora al collo.
“Non lo hai buttato via” constatò, allargando il suo sorriso.
“No. Ci ho pensato, ma non ce l’ho fatta” ammise Ruri, tirando su con il naso “Non riesco a odiarti, anche se ci ho provato tante volte…anche se vorrei farlo anche adesso. Stupido detective con i presentimenti di morte…”.
 
Not a day goes by…I’m always asking why…
 
Elle le sollevò appena il mento, fondendo le sfumature dei suoi occhi con quelle di lei, e carezzandole di nuovo la guancia.
“Cosa c’è?! Ti arrendi? È finita? Moriresti davvero per catturare Kira?!” lo incalzò, quasi provocandolo.
Di rimando, Elle le sorrise con infinita tristezza, pronunciando quelle parole che tanto amava e da cui si sentiva così terrorizzata.
“Tu moriresti nel tentativo di impedirmelo?” ribatté, con la sua consueta calma.
La ragazza non ribatté, lo sguardo conficcato nel cemento che li avvolgeva e che impediva a entrambi di precipitare materialmente nel vuoto, nonostante i loro spiriti avessero già iniziato a farlo da un molto.
“Ruri, io…”.
“Non mi dire addio. Non dirmi che mi ami, se intendi dirlo perché pensi che sia la tua ultima occasione” lo fermò Ruri, con voce spezzata.
“Che importanza può avere?” obiettò Elle.
“Ha importanza per me. Non ti azzardare a pensare di…senti, io sono ancora qui, va bene? Sono uscita da quella sala operatoria, sono sopravvissuta all’esplosione di una macchina, a una sparatoria, e sono anche riuscita a impedire a nostra figlia di morire prima di nascere!! Tu non hai il diritto di pensare di potermi salutare adesso, solo perché stamattina hai sentito le campane, hai capito? E non venirmi a raccontare stronzate sul camminare verso la luce o il guardarmi dal Paradiso, perché altrimenti risparmio il fastidio a Kira e ti uccido io in questo momento!”.
Elle le rivolse un altro sorriso triste, una mano in tasca e l’altra intenta a sfiorarle i capelli.
“Hai detto ‘figlia’?” le chiese poi, come se nulla fosse “Davvero è una bambina…?”.
“Elle, non…senti, non dire così, va bene?” lo pregò Ruri, aggrappandosi al tessuto zuppo della sua maglia, come se la sua presa gli avesse impedito di andarsene per sempre “Mi dispiace, ok? Mi dispiace se non ti ho dato la possibilità di accettare quello che era successo, mi dispiace se non sono stata paziente, se non sono stata comprensiva, se non…se non sono stata quello che pensavi che fossi. Ma adesso…adesso non puoi…n-non puoi…”.
“Non sei stata quello che pensavo fossi” confermò Elle “Sei stata molto di più. Sei stata straordinaria, forte, incredibile…sei stata la persona migliore che io abbia mai conosciuto, e io non ti sarò mai abbastanza riconoscente per quello che hai fatto per me, e anche per Watari. Mi hai fatto provare un calore che non avevo mai avvertito in vita mia, e mi hai fatto capire che cosa significava vivere. Sei stata la mia migliore occasione, e la mia migliore amica. E mi hai dato ciò che nessuno mi aveva mai dato…un’altra, vera occasione. Una vera famiglia. Qualcosa di completamente mio…” mormorò, carezzandole la pancia, ancora piatta.
“Allora non dire addio” singhiozzò Ruri, affondando il volto nel suo collo e stringendosi alle sue spalle, come se si fosse trattato di due ancore di salvezza.
“Non è un addio” le mormorò Elle, finendo per unire le labbra alle sue in quello che entrambi ritennero essere il loro bacio più significativo, persino più del primo.
Dopo un silenzio infinito, Elle riprese a sussurrarle all’orecchio.
“Ruri…” le disse, con un tono diverso da qualsiasi altro usato in precedenza.
“Sì…?”.
“…grazie per avermi amato”.
La voce di Light li distolse improvvisamente l’uno dall’altra, facendoli voltare nella sua direzione: il ragazzo gli stava facendo segno di rientrare, sostenendo che ci fossero delle novità.
 
Una volta di nuovo nella sala del quartier generale, Elle si avviò verso la sua postazione al computer, l’espressione impassibile e le mani in tasca come di consueto, mentre Ruri, incurante degli sguardi che gli altri le stavano indirizzando, a causa dei suoi vestiti e dei suoi capelli fradici, si posizionò alle sue spalle: nella stanza, oltre a loro, c’erano solo i poliziotti del precedente quartier generale e lo stesso Light
“Ryuzaki!” lo accolse Matsuda “Cos’è questa storia che un altro Paese ha acconsentito ad usare il quaderno per eseguire le condanne a morte?”.
“Watari” esordì Elle, sedendosi al proprio posto e fissando lo sguardo sul monitor, dove troneggiava l’iniziale del suo mentore “Ottimo lavoro”.
“Grazie” replicò l’anziano.
“Non perdiamo un secondo di più: inizia i preparativi per il trasporto del quaderno” proseguì il detective.
“Bene”.
“Cos’è questa storia, Ryuzaki?” domandò Light, con tono indagatorio.
Elle puntellò appena il suo cucchiaino sulla superficie del Death Note, con espressione cupa.
“Voglio provare il quaderno” rispose, scatenando la sorpresa di tutti, tranne che di Ruri.
“Ma che bisogno c’è di fare una cosa del genere?!” protestò Aizawa “Abbiamo già verificato l’autenticità del quaderno!”.
“E poi, chi scriverà i nomi?” proseguì Matsuda “Lo sai bene che, una volta che avrà iniziato a scrivere, dovrà farlo all’infinito, ogni tredici giorni!”.
“Faremo in modo che a scrivere il nome sia un detenuto la cui condanna a morte sia prevista entro tredici giorni: se una volta trascorso questo arco di tempo sarà ancora vivo, commuteremo la sua pena con una più lieve” ribatté Ryuzaki, gelido.
“Ma così facendo…la vita di un uomo…” disse lentamente Yagami.
“Ci siamo quasi!” esclamò Elle “Se chiarisco questa cosa, il caso sarà immediatamente risolto”.
Accadde tutto in un momento: fu così veloce, improvviso, banale, che Ruri non se ne rese neanche conto: le luci della stanza si spensero di colpo, accendendo quelle rosse d’emergenza, quasi come se quel maledetto temporale avesse voluto catapultarli sul set di un film dell’orrore dall’esito incerto.
“Che succede?!”.
“Un blackout!”.
Le voci dei poliziotti intorno a lei e a Elle si stavano facendo spaventate, quasi come se un tornado li avesse improvvisamente coinvolti nella sua spirale; stava accadendo tutto così in fretta, quasi come se non ci fosse modo di fermarlo, quasi come se un meccanismo si fosse azionato, senza che nessuno le avesse spiegato prima come bloccare quella mostruosa serie di eventi. Perché provava quella sensazione di orrore? Perché sentiva che era tutto completamente, totalmente, radicalmente sbagliato?
Ad un tratto, la voce di Elle giunse alle sue orecchie: stava chiamando il suo mentore, con un tono preoccupato e, per la prima volta, spaventato.
“Watari…Watari!!”.
In quel preciso istante, tutti i monitor della sala centrale vennero invasi da un’unica scritta.
“Cancellazione dei dati?!” lesse Aizawa, esterrefatto “Che significa?!”.
“Avevo detto a Watari che doveva sbarazzarsi di tutti i dati raccolti…nell’eventualità che gli fosse accaduto qualcosa…” mormorò Elle, con espressione cupa.
“Nel caso gli fosse…?”.
“Ma non sarà mica…?!”.
“Dov’è lo shinigami?! Dov’è Rem?!?” sbottò Ruri, volgendosi freneticamente intorno.
“Non lo so…è sparito!” le rispose il sovrintendente “Cosa diavolo significa…”.
“Ascoltate!! Lo shiniga…” fece per dire Elle.
Il resto della frase non uscì mai dalla sua bocca.
In quel preciso istante, Ruri fissò lo sguardo sulla sua schiena, ed ebbe l’impressione che il mondo si stesse muovendo al rallentatore, quasi come se quella recita che qualcuno chiamava vita si stesse interrompendo, o, per meglio dire, la stesse tagliando fuori dalla scena…fuori dagli odori, fuori dai sapori, dai colori, dal tempo e dallo spazio…da ogni dimensione che conosceva.
Lo vide precipitare lentamente, con calma, quasi come se lo stesse facendo apposta, come se avesse avuto tutto il tempo del mondo per farlo, quasi come se precipitare fosse stata l’unica cosa a cui ambiva: era semplice, banale, scontato. Dopotutto, chi può vincere contro un essere di un altro mondo?
Non seppe come, eppure, prima che toccasse terra, riuscì a precedere Light, che si era sporto in avanti per sorreggerlo, spingendolo via e afferrando Elle fra le sue braccia, sorreggendolo dal pavimento e fissando così gli occhi nei suoi: in quell’unico sguardo, e in quel lieve sorriso che gli stava attraversando il volto, vide riflessi quegli stessi colori e profumi di cui aveva ormai perduto la percezione. Senza che neppure se ne rendesse conto, di fronte al suo sguardo, riflessi negli occhi dell’unico uomo che aveva mai amato, presero a rincorrersi tutti i momenti che avevano vissuti insieme, facendole rimbombare nelle orecchie e nel cuore ognuna delle parole che erano uscite dalle loro bocche…tutte quelle sciocchezze, miste a cose così importanti, tutti quei momenti così piccoli, tanto da sembrare inesistenti…tutte quelle minuscole, eppure così grandi cose che avevano progettato di fare insieme, e che stavano svanendo sempre più, al passare di ogni minuto…ma non stava succedendo. Quel genere di cose non succedevano alle menti migliori del mondo…non a lei. Non a loro. Non a Elle.
 
Ruri, devo supporre.
Non mi piace il tuo modo di fare, non mi piace il tuo essere invadente, e non sopporto i tuoi metodi. In effetti, sei tu quello che non mi piace.
Non ti piace che qualcuno prenda decisioni al posto tuo.
Hai intenzione di continuare a fissarmi all’infinito?
Credo proprio che mi toccherà darti la mia fragola ad ogni occasione.
Sei completamente pazzo.
Sei molto bella. Sei davvero molto bella.
Non…non possiamo essere amici.
Dico sempre cose senza senso…non starmi a sentire.
Sei insopportabile, te lo ha mai detto nessuno?
Di questo passo, rischio di innamorarmi di te.
E se mi innamorassi di te anch’io?
Allora saremmo privi di senso insieme…
Se proprio vuoi avere paura va bene, ma abbi paura insieme a me.
Non morirai, Ruri…non ti posso perdere.
Sei il solito ingordo! Non ho idea di come possa sopportarti!
Tienitelo per dopo…
Tu moriresti per catturare Kira?
Tu moriresti nel tentativo di impedirmelo…
 
Ma niente, niente aveva più senso. E infine le sentì: quelle stesse campane di cui le aveva parlato Elle, quelle campane che non avrebbero annunciato il loro matrimonio, ma la loro morte. Quelle campane che avrebbero segnato la vittoria di Kira. Ma non poteva permetterlo. Non lo avrebbe fatto. No. No. No.
“Elle…?! ELLE!!!” iniziò a gridare, mentre lo sguardo del detective si faceva sempre più appannato “ELLE!!! ELLE!!!!!!!!!!!!!!”.
Con un ultimo sospiro, capì che lo sguardo di Elle, completamente catturato da quello di lei, si era posato solo per un istante su Light, che le stava alle spalle, quasi nel tentativo d’avere una conferma di tutto ciò che gli aveva permesso di conoscersi, di combattere insieme, di giungere a un risultato. Sapeva che non sarebbe morto senza essere sicuro al 100% d’avere ragione.
E anche se non poteva vederli, era sicura che gli occhi di Light avrebbero rappresentato la migliore delle confessioni.
Ma non stava davvero succedendo…non Elle. Non in quel momento. Non prima di…no. Era troppo presto.
 
Not a day goes by that I don’t think of you
I’m always asking why this crazy world had to lose
Such a beautiful light we never knew…gone too soon…
You were gone too soon…
 
Un urlo di disperazione le uscì spontaneo dalle labbra, mentre gli occhi di Elle si chiudevano definitivamente, lasciandola sola e senza via di fuga.
Neppure lei riuscì più a sentirsi distintamente, come se la sua mente si fosse ovattata, isolandola dai rumori e non riuscendo più a permetterle neppure di udire la sua voce: non sentiva il contatto con le braccia di Matsuda e Aizawa, che cercavano di calmarla e di allontanarla dal corpo di Elle, non sentiva il fremito delle sue mani e delle sue gambe, non sentiva più nemmeno la creatura presente nel suo ventre…né le lacrime lungo le guance, né il battito del cuore, incerto se continuare a contrarsi freneticamente o se fermarsi del tutto.
Infine, percepì soltanto le sue dita tornare a stringersi intorno al tessuto della sua maglia bianca come l’avorio, e il suo capo piombare sul petto del detective, quasi nella speranza di udire di nuovo il suo battito cardiaco, quasi nella speranza che fosse tutto un incubo, e che avrebbe finito per risvegliarsi su quello stesso petto, scorgendo il sorriso amichevole e canzonatorio di lui. Ebbe la sensazione di svenire, presa dall’ennesimo capogiro e da un grande senso di nausea, e infine perse i sensi, desiderosa di svegliarsi in un mondo in cui finalmente avrebbe potuto abbracciarlo di nuovo, per non separarsene mai più.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….*indossa l’armatura e comincia a correre* NON UCCIDETEMIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!! NO, NO, VI PREGO, ASPETTATE!!!!! Non è proprio come sembra!! Cioè è come sembra…voglio dire che il cuore di Elle non batte più…però non è proprio…NO, POSATE LE ASCE!!! VE LO GIURO, SONO INNOCENTE!!! Continuate a leggere, e non biasimatemi per questa scena!! Ho già messo qualche accenno qua e là che dovrebbe darvi un paio di indizi…ma può anche darsi che Elle sia morto veramente, chi può dirlo…e magari l’ho fatto solo per confondervi le idee…ODDIO, RIECCOLI, AIUTOOOOOO!!! *si mette in salvo dalla folla inferocita*. Sentite, aspettate il prossimo capitolo, ok?? PROMETTO che lo posto appena possibile, esami permettendo :D <3 Che posso dire? La canzone di questo capitolo era ‘Gone too soon’ dei Daughtry (ascoltatela, è bellissima), e come molti di voi avranno capito, la sottoscritta è una grande fan di ‘Grey’s Anatomy’, avrete notato le citazioni, spero che non vi abbiano stonato e che non vi siano dispiaciute troppo :D Mille ringraziamenti a SelflessGuard, Lilian Potter in Malfoy (ho paura della tua reazione dopo aver letto il capitolo), Robyn98 e MaryYagami_46 per aver recensito lo scorso capitolo, e grazie tantissimo anche a LidjaLoveAvengedSevenFold (spero di averlo scritto bene XD) per aver inserito la storia fra le preferite e le seguite, ci terrei tanto che commentassi anche tu :D Detto ciò, passo e chiudo! Devo nascondermi dalla vostra furia omicida, dopotutto! Un grosso bacione dalla vostra Victoria e al prossimo capitolo :D <3 

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Capitolo 26
*** Remember me? ***


Capitolo 26- Remember me?
 
Silenzio. È una di quelle cose di cui non puoi parlare, un’entità con cui non puoi avere un dialogo, una personificazione che non ha motivo di esistere: basta solo nominarlo, e se n’è già andato. Il silenzio. Quella dimensione dove nulla ha più motivo di esistere, perché il minimo rumore la farebbe crollare, il minimo suono l’annullerebbe…qualsiasi risata, qualsiasi movimento, qualsiasi parola, qualsiasi respiro ne distruggerebbe le componenti, e la ridurrebbe a nulla più che un ricordo. Qualcosa di fragile, di effimero, persino di inconsistente…il silenzio.
Esiste un solo luogo, nel mondo, dove il silenzio regna incontrastato? Sarebbe come dire che esistono angoli della Terra dove vi è semplicemente il nulla: quello di cui parlano gli scienziati, quello che forse ti attende all’interno di un buco nero…o forse il nulla non esiste, proprio come non può esistere il vero silenzio.
Ma quando è l’anima di un essere umano a venire inghiottita dal silenzio, che cosa si può fare? Quando non è la sua persona in quanto tale, ma le sue percezioni, i suoi pensieri, le sue azioni, le sue emozioni, il suo intero emisfero cerebrale, e ogni componente del suo cuore a precipitare in una dimensione ovattata, isolante, priva di una via di fuga…come si può farla riemergere alla luce del sole?
“Ruri, devi mangiare qualcosa”.
Mangiare. Parlare. Pensare. Ridere. Vivere. Morire. Parole che non hanno senso, quando si è circondati dal silenzio. Alzarsi, correre, lottare, scappare, reagire…lasciarsi andare. Non si tratta più di un fenomeno di azione e reazione, non è una lotta per la sopravvivenza…non è più niente. Il silenzio cancella ogni ostacolo. Cancella ogni significato, ogni ricordo, ogni punta di dolore…come una prigione isolante dal mondo, capace di allontanarti da tutti quelli che sono rimasti, e, al contempo, dalla memoria di tutti coloro che se ne sono andati. Tutta la rabbia, tutte le incomprensioni, le frustrazioni, tutto il dolore…tutto sparisce. È come essere costantemente isolati fra pareti di acqua ghiacciata, dove l’ossigeno è solo una parola, dove respirare è solo un verbo, dove espressioni come ‘vita’ e ‘morte’ perdono di significato. È possibile vivere la morte? Percepirne l’essenza, e al tempo stesso ritrovarsi incapace di provare una singola sensazione? Un po’ come quando si riflette sulla proiezione del tempo e sul modo in cui esso si dipana nella dimensione spaziale…è solo una serie di eventi messi l’uno in fila di fronte all’altro, oppure si tratta di frammenti di un unico qualcosa? Il passato, il presente, il futuro…seguono il loro corso, oppure si inseguono l’un l’altro, nello stesso preciso istante? E la morte? Può esserci la morte, quando ancora si respira? In fondo, ci sono diversi modi di morire: ma il peggiore, è senza dubbio rimanendo vivi.
“Ruri…ti prego. Sono tre giorni che non tocchi cibo”.
Giorni, ore, settimane, mesi, anni, minuti, secondi…che importanza aveva? Il tempo non esisteva più: non c’era più bisogno neppure di sbattere le palpebre, o di piangere, o di pensare, o di gridare…il caso Kira, l’FBI, le fragole con la panna…era tutto svanito. Un ricordo effimero, di cui non comprendeva più le componenti. Eppure, avrebbe voluto poterci riuscire: una parte di lei, fugace e debole come non mai, stava ancora cercando di risalire in superficie, di tirare la testa fuori dall’acqua. Sconfiggere la morte, sconfiggere quella sensazione di marcio che avvertiva in gola e che le impediva di articolare qualsiasi parola: in realtà, vivere le mancava. Le mancavano Robin e Ayber, le mancava la luce del sole…le mancava avere la forza di reagire che mai si era augurata di dover perdere…le mancava accarezzarsi la pancia, alla ricerca della sua bambina. Sapeva di dover trovare il modo di reagire, di infrangere quella barriera di silenzio, anche soltanto per lei…ma non ci riusciva. Era come se un gigantesco macigno le impedisse di ribellarsi, schiacciandola sotto il suo peso e fermandola dal chiedere aiuto, dal ricambiare la stretta di mano di Robin, dal rispondere alle domande del sovrintendente, che così tante volte aveva cercato di farle aprire bocca, in quei giorni…ma non aveva senso. Tutta quella situazione era priva di qualsiasi senso. Quella giostra chiamata vita continuava a girare freneticamente, senza che lei avesse la possibilità di risalirci sopra…la verità era che Kira aveva trovato il modo per ucciderla, nel modo più suadente e perverso possibile. Adesso capiva di cosa aveva parlato Elle, molti mesi prima, quando era uscita dalla sala operatoria: quel senso di morte stava uccidendo la sua mente, trascinandola in una voragine da cui non riusciva a riemergere, nonostante quella piccola parte di lei continuasse ad aggrapparsi alle pareti del baratro, senza sprofondare del tutto.
La voce di Robin continuò a parlarle per qualche altro minuto.
Da tre giorni, ormai, rimaneva seduta sul divano della sala centrale del loro quartier generale, senza accennare a mutare la sua posizione, gli occhi fissi nel vuoto: aveva gridato, aveva pianto, si era precipitata sotto la pioggia nel tentativo di credere di essersi sognata tutto, forse persino per cercarlo lì, nello stesso punto in cui l’aveva ringraziata per averlo amato…si era persino aggrappata ai bordi di quella ringhiera con tutte le sue forze, gridando e maledicendo ogni attimo della sua vita, imprecando contro il Cielo, supplicando, piangendo, implorando che fosse tutto frutto della sua immaginazione…
Ma adesso, era tutto finito. Era come se il cuore si fosse fermato nuovamente, malgrado le contrazioni e malgrado i movimenti ritmici che continuava ad avvertire nel petto: era egoista pensarla in quel modo, lo sapeva. Sapeva che il mondo non si sarebbe fermato per la morte di Elle, e che lei avrebbe dovuto trovare il modo di proseguire senza di lui, ma probabilmente non era pronta. Forse stava solo cercando qualcosa che le desse l’input decisivo, che la scuotesse del tutto, che la convincesse che aveva ancora tanto da fare, tanto per cui lottare, per cui andare avanti…forse avrebbe ritrovato la voce, le parole, la capacità di articolare un pensiero. Forse.
Al di fuori della sua barriera di ghiaccio, Robin posò il piatto contenente una fetta di torta alla panna, decorata da alcune fragole, sul tavolino posto di fronte a loro, gli occhi verdi, leggermente arrossati, incapaci di staccarsi dalla sua migliore amica.
“Senti, non…non puoi fare così, va bene? Devi reagire, in qualche modo. Lo so che…lo so che non è quello che vuoi, e che adesso non ti senti più parte di questo mondo, ma…ma devi andare avanti. Lo sai che è quello che devi fare. Elle non avrebbe voluto che ti arrendessi così…e tu lo sai” le disse la dottoressa, senza suscitare la minima reazione da parte di Ruri.
Robin continuò a fissarla, lasciando che qualche lacrima le scivolasse appena lungo le guance.
“Non è finita, ok? Non è finita finché non sei tu a deciderlo. Vuoi davvero che tutto quello che hai fatto in questi mesi vada sprecato? Vuoi che tutte le tue energie, che i vostri sforzi, il vostro lavoro, il vostro genio se ne vada al diavolo? Ti arrendi e basta? No, Ruri. Tu non ti arrendi. Io ti conosco. Tu non…non lascerai che Kira vinca. Io lo so. Ma…ma non posso farcela da sola; ho…ho bisogno che…”.
Le lacrime ebbero a un tratto la meglio sulle sue parole, interrompendola di botto e strozzando qualsiasi frase che le uscisse dalle labbra: quando infine si fu calmata, riuscì a proseguire.
“Ho bisogno che tu sia qui. Perché…perché adesso non ci sei, e…e mi manchi. E non so che cosa posso fare per aiutarti, perché…tu non mi parli nemmeno. Avrei creduto di doverti dire di non piangere, e di farti forza, ma…ma è come se te ne fossi andata anche tu, e io non ho modo di riportarti qui. Potresti solo…potresti dire qualcosa? Solo…solo una parola, qualsiasi cosa, perché…perché ho la sensazione che non tornerai più, e…e mi fa male. Mi fa male davvero”.
Voleva risponderle, lo voleva davvero. Voleva realmente trovare la forza di pronunciare quelle parole che l’avrebbero fatta stare meglio, che le avrebbero fatto capire che una parte di lei era ancora viva, e stava cercando di risalire l’abisso…ma c’era qualcosa che mancava. Come se Robin non avesse posseduto la chiave di decrittazione per risolvere il codice in cui era intrappolata, come se avesse avuto bisogno di un singolo termine che la riportasse in quel mondo, che le permettesse di ricominciare…la stessa ragazza intenta a cercare di tornare in superficie stava gridando alla sua migliore amica che non voleva che soffrisse, che voleva aiutarla, che stava cercando di tornare…ma la sua voce era troppo flebile, e Robin non riusciva a sentirla. Forse era la stessa cosa che era accaduta con Elle: nel momento in cui le era morto fra le braccia, gli aveva gridato contro, lo aveva supplicato di guardarla ancora, di parlarle, di dirle qualcosa, di fare in modo che capisse che non doveva lasciarlo andare…ma lui non aveva risposto. Forse voleva farlo, ma per lui era già troppo tardi.
 
Say something, I’m giving up on you
I’ll be the one if you want me to
Anywhere I would have followed you
Say something, I’m giving up on you
 
Le parole di Robin vennero interrotte dal rumore di una porta che si apriva: sulla soglia, si stagliavano Matsuda, il sovrintendente Yagami e Ayber, intenti a fissare nella loro direzione con sguardo triste e preoccupato: tutti e tre indossavano completi neri in giacca e cravatta.
“È ora, Roby” le disse tristemente Matsuda, cercando di nascondere la sua voce rotta “Dobbiamo andare. Il funerale inizierà fra poco”.
Robin annuì, ma non accennò ad alzarsi.
“Non penso che verrò…Ruri non…non ha ancora detto una parola, e non credo che…non credo che lo farà in tempo” mormorò la dottoressa, abbassando gli occhi.
Senza aggiungere una parola, il giovane poliziotto la raggiunse, chinandosi alla sua altezza e abbracciandola di colpo, lasciando che si facesse trasportare dalle lacrime e che gli gettasse le braccia al collo, senza più trattenersi.
Con estrema delicatezza, anche Ayber entrò nella stanza, posando una mano sulla spalla della rossina e facendole alzare lo sguardo.
“Ci penso io. Va’ con Matsuda e gli altri: vedrai che vi raggiungeremo fra poco” le sorrise il biondo, con fare incoraggiante.
“Ma…ma non posso…” balbettò il medico, stringendosi ancora a Matsuda “Lei è…”.
“Rimango io. Non sarà da sola” la rassicurò Ayber, aiutandola ad alzarsi in piedi “Devi solo darle del tempo, Robin: forse ha bisogno di qualcosa che deve trovare dentro di sé, e che noi non possiamo darle. Ma tornerà qui; lo so. Tu pensa ad andare, lei starà bene”.
Dopo un lungo silenzio carico di dubbi, Robin si convinse a staccare la mano da quella dell’amica, carezzandola per l’ultima volta prima di lasciarsi guidare fuori dalla stanza, ancora fra le braccia di Matsuda, che non aveva smesso per un momento di stringerla a sé: non appena se ne furono andati, il sovrintendente lo fissò a lungo, la mano sulla maniglia.
“Possiamo aspettare ancora” gli disse infine, sospirando “Sono sicuro che…che Ruri non si perdonerebbe di non essere venuta. Fa’ del tuo meglio…ok?”.
“D’accordo” annuì il biondo.
Quando infine anche il signor Yagami se ne fu andato, Ayber prese definitivamente il posto che Robin aveva occupato fino a quel momento, sorridendole come di consueto e prendendo a carezzarle la mano, stringendola di quando in quando.
“Ciao, principessa” le si rivolse, dopo una pausa che sembrò interminabile a lui stesso “Ti ricordi di me?”.
Ruri non accennò a guardarlo, né a muovere un muscolo, gli occhi ancora fissi nel vuoto.
“Sì, insomma…il truffatore. Quello di bell’aspetto, che guida auto favolose e che è più bravo di te al poker, come a sparare, o a tirare di boxe” proseguì, ridacchiando “Anche se in effetti, queste sono tutte stronzate, quindi…immagino che non potrebbero esserti molto d’aiuto nel mettere a fuoco chi sono io”.
La ragazza continuò a non rispondergli, rimanendo immobile: rendendosi conto che non accennava neppure a sbattere le palpebre, Ayber prese un respiro profondo e decise di proseguire.
“Mi dispiace, principessa. Mi dispiace di non essere stato l’amico che meritavi; mi dispiace tanto per aver incasinato tutto. Mi dispiace di non essere entrato con te nell’FBI, o meglio…forse mi dispiaceva un tempo, ma considerando come sono andate le cose, immagino d’essere comunque felice di non averlo fatto. Altrimenti, magari sarei morto insieme al resto della squadra che è arrivata con te in Giappone, oppure non avrei comunque fatto parte di questo quartier generale e di questa squadra, e allora sì che avrei avuto qualcosa di cui pentirmi davvero. Ma in ogni caso…mi dispiace di non aver fatto per te tutto ciò che avresti meritato. Tu sei sempre stata…beh, lo sai. Sei sempre stata forte, incredibile, e hai sempre fatto sì che gli altri trovassero un appiglio nella tua forza e che, in questo modo, potessero risalire in superficie…e a me dispiace di non esserti stato vicino in questi anni del cazzo, in cui…in cui forse avresti avuto bisogno di me. Anche se, in effetti, devo dire che te la sei cavata alla grande, quindi…immagino che sia difficile stabilire con esattezza di cosa potrebbe aver bisogno una forza della natura come te”.
Ruri non dette segno di volersi voltare, o di reagire in qualche modo alla presenza di Ayber; tuttavia, il biondo decise di continuare a parlare, nonostante tutto.
“Forse è per questo che è così difficile…” mormorò il truffatore “Come fai a spiegare alla persona più forte che conosci che il suo momento non è ancora arrivato? Potrei dirti che capisco quello che provi, ma…forse sarebbe ingiusto, da parte mia. Ma posso senz’altro dirti…che capisco cosa si prova a sentirsi piccoli e insignificanti, per quanto sia umanamente possibile e concepibile. So che è…che è come una prigione. Una prigione da cui vorresti uscire…e credi che sia la realtà, e inizi a credere negli angeli, o nei santi, o in qualsiasi cosa che ti dia modo di sperare che c’è ancora una possibilità, per te. Che c’è una possibilità di rivedere quella singola persona, di tornare a quel momento, all’istante in cui era con te, e in cui avevi ancora l’occasione di parlare, di piangere, di respirare…e in effetti, non conta quello che fai, o quello che sei, o tutti i sensi di colpa che ti passano per la testa, perché non puoi cambiare ciò che è stato, e non puoi riprenderti indietro quello che ti è stato tolto. In un certo senso, credo di capire davvero come ti senti, perché anch’io, una volta, sono finito in quella prigione…e so che tu sei ancora lì, da qualche parte. Non so se esiste un modo per tirarti fuori di lì, ma…vorrei che tu sapessi che ti sto aspettando, Ruri. Che ti sta aspettando Robin, ti sta aspettando la tua bambina…ti stiamo aspettando tutti. È proprio come…è stato come un battito di ciglia. Tu eri lì, e poi…c’è stato un secondo in cui…in cui non c’eri più. È come se te ne fossi andata, e…e questo…no. Io questo non lo posso accettare. Senti, tu…tu mi hai chiesto un favore, ok? Me lo hai chiesto, io me lo ricordo: stavo per morire, ma…me lo ricordo. Mi hai chiesto di rimanere, e io sono rimasto. Quasi tutti se ne vanno, dopo una sparatoria come quella in cui mi sono fatto coinvolgere, ma io sono rimasto. E non voglio…non posso perdere la mia amica…” disse poi, la voce che iniziava a spezzarglisi “Quindi…volevo solo che tu sapessi che so che è la cosa più difficile che ti stia chiedendo di fare, ma…vorrei…vorrei che tu vivessi. Non m’importa di nient’altro, solo…vorrei che tu vivessi. Che venissi con me a trovare Giselle e i bambini, e che gli spiegassi che è grazie a te, e a quello che ha fatto Robin, se sono ancora vivo. Vorrei che…vorrei che riprendessi a muoverti. So che sei bloccata, e che non ci riesci, e che vorresti…trovare semplicemente il modo, ma…non posso non chiedertelo. So che odi tutta questa pressione, e tutte queste persone che ti ronzano intorno aspettando che tu faccia qualcosa, che tu urli, che tu pianga, o impazzisca…e che vorresti fare quello che tutti si aspettano. Non so come siamo arrivati a questo punto, e non so come tutto abbia preso vita così, ma non sopporto di vederti in questo stato…e volevo che capissi…che non sei sola”.
Lo aveva detto reprimendo a malapena le lacrime, stringendole la mano con forza.
“Tu non sei sola, Ruri” ripeté, senza staccare gli occhi dal suo volto “E io rimarrò con te. E quando deciderai che è il momento…ci alzeremo insieme e andremo incontro a Kira, e gli faremo un culo così. Ma fino ad allora…io rimarrò con te, e salterò quel funerale, e ti stringerò la mano, perché c’è stato un momento in cui stavo per morire, e tu mi hai impedito di farlo. Quindi adesso…adesso io ti impedirò di morire. E quando sarai pronta, completeremo il lavoro di Elle, e testeremo la regola dei tredici giorni, proprio come voleva lui”.
Fu come se qualcosa si stesse improvvisamente spezzando, come se la realtà in cui era intrappolata si stesse disgregando, come se le pareti crollassero e il silenzio venisse a un tratto infranto dal più grande boato mai udito: prima che potesse rendersene conto, improvvisamente strinse le dita intorno a quelle di Ayber, e si voltò verso di lui, incontrando finalmente il suo sguardo.
Ad un tratto, capì che la realtà aveva ripreso a muoversi, che i rumori stavano tornando alle sue orecchie, e che adesso riusciva a vedere il suo amico, senza poter fare a meno di domandarsi come avesse fatto a non accorgersi della sua presenza per tutto quel tempo.
“Ehi…” le si rivolse Ayber, sorridendole lentamente “Sei qui…?”.
Tredici giorni. Tredici giorni. Tredici giorni. Tredici. Sì, eccola. Ce l’aveva. La chiave di decrittazione, la soluzione di tutto.
Tredici giorni…se solo non fosse per questo.
Le parole di Elle…l’ultimo pezzo del puzzle, la soluzione finale, la sua arma vincente. Adesso ricordava, adesso capiva, adesso sapeva…sì, poteva farcela. Aveva solo bisogno di quel singolo elemento.
“Ayber…” gli si rivolse, stringendogli di rimando la mano “So che cosa dobbiamo fare”.
 
And I…am feeling so small…it was over my head
I know nothing at all
And I…will stumble and fall…I’m still learning to love…
Just starting to crawl
 
Il funerale di Ryuzaki consistette in una cerimonia molto breve e semplice, a cui parteciparono soltanto Wedy, Ayber, Ruri, Robin, Light, Soichiro e gli altri poliziotti; Misa decise persino di non farsi vedere, sostenendo che non si sentiva molto bene.
Stranamente, non riusciva ad avercela con lei: proprio come aveva detto a Rem, sentiva che era più una vittima manipolata che un vero carnefice, e non riusciva a bandire del tutto il ricordo di quella ragazza frivola, eppure simpatica e dolce, a cui aveva finito per affezionarsi. Quanto a Light, sapeva di averlo perso per sempre: il potere di Kira lo aveva completamente assorbito, privandolo di qualsiasi componente che aveva fatto parte dell’amico spensierato, felice e brillante con cui aveva trascorso quei mesi. Poteva dire che Light aveva preceduto Elle nella dipartita.
Quando fu il momento di portare la bara nella tomba, si alzò in piedi, gli occhi ancora increduli di fronte a ciò che stava vedendo: Ayber e Mogi la caricarono personalmente sulle loro spalle, precedendo gli altri fino alla posizione a lui destinata nel cimitero.
Dopo una brevissima sepoltura, Soichiro depose una croce, fusa in oro, sulla terra appena smossa, mentre Robin avvicinava ad essa alcuni fiori bianchi, incapace di smetterla di tirare su con il naso: non c’era molto altro da fare.
Le parole che pronunciò il sovrintendente le scorsero addosso come gocce d’acqua, mentre i suoi pensieri vagavano altrove, incuranti del tempo e della prima giornata di sole del mese di Novembre, che ormai volgeva al termine, tingendo le lapidi del cimitero di un deciso color rosso sangue: forse, una parte di lei era dispiaciuta anche di non aver visto più il suo corpo. Sapeva che non era Elle, e che non lo avrebbe riavuto indietro, ma le sarebbe piaciuto poterlo salutare un’ultima volta; così come avrebbe voluto abbracciare il guscio vuoto di Watari, che non aveva mai avuto occasione di vedere materialmente.
Ayber le aveva detto che il corpo non era stato trovato, e che probabilmente Kira doveva averlo indotto al suicidio in un altro luogo, ma dopotutto non aveva importanza: anche lui non c’era più. Le era rimasto solo un fazzoletto, come unico ricordo di quell’anziano così premuroso e gentile, che l’aveva sempre trattata come una figlia e che la considerava parte della sua famiglia.
Nemmeno Rem si era più visto da nessuna parte: forse era scomparso nel nulla, dopo aver aiutato Light e Misa per l’ultima volta. Forse queste erano le leggi del suo mondo. Non poteva saperlo. Ma che cosa importava, alla fine? Se n’erano andati tutti.
Un improvviso colpo al basso ventre la distolse dai suoi pensieri, e le concesse un breve sorriso: neanche la sua bambina era stata capace di riportarla in mezzo agli altri, in quei momenti bui, eppure adesso non faceva che domandarsi come avesse fatto a non tenere di conto della sua presenza, e di quanto avesse bisogno di lei. Forse era davvero soltanto un’egoista che non accettava che le cose non andassero come voleva. Forse era infantile. Come Elle. Come il padre di sua figlia.
Infine, giunse il momento di andarsene; una parte di lei avrebbe voluto rimanere ancora su quella tomba, a pensare, a riflettere, forse persino a salutarlo definitivamente, cercando di essere pronta, sperando che lui la potesse ancora sentire. Fu in virtù di un simile desiderio che chiese a Robin di aspettarla in macchina, e decise di tornare sui suoi passi.
Ma prima che potesse ritornare all’effige, capì che qualcosa non andava, e che c’era ancora qualcuno intento a fissare la tomba di Elle: con un colpo al cuore, si rese conto che si trattava di Light, e che lui stesso doveva aver deciso di rimanere indietro, a contemplare la dipartita del suo nemico principale; senza fare il minimo rumore, si appostò dietro la statua di un grande angelo, a sufficiente distanza da non essere vista, e, prima che la sua mente potesse chiederle spiegazioni, estrasse il suo telefono e premette il pulsante di registrazione.
 
Say something, I’m giving up to you
I’m sorry that I couldn’t get to you
Anywhere I would have followed you
Say something, I’m giving up on you
 
Con estrema lentezza, come se si fosse trattato di una sorta di vulcano sul punto di eruttare, capì che Light aveva iniziato a ridere. Una risata come non ne aveva mai udite, fredda, malefica, eppure pervasa di una perversa gioia maligna, impossibile da descrivere.
Era la risata di Kira. La risata di un assassino.
Sbirciandolo di sottecchi, avrebbe giurato che i suoi occhi fossero diventati completamente rossi.
“Ogni ostacolo che mi intralciava la strada ormai non esiste più!!” gridò, il tono intriso di una soddisfazione inumana “Tutti quanti mi credono! Non è un risultato incredibile, Ryuk? Persino quella sottospecie di criminologa da strapazzo è troppo impegnata a piangere la morte del suo adorato detective, piuttosto che dedicarsi a indagare su di me! Probabilmente, non avrò neanche bisogno di ucciderla, da quanto è ormai inoffensiva! Adesso, è solo questione di tempo prima che controlli l’intera polizia! D’altro canto, mi hanno già offerto il ruolo di L su un piatto d’argento!”.
A quel punto, lo vide cadere in ginocchio, affondando le dita nella terra della tomba di Elle, l’espressione maniacale ormai a un centimetro di distanza da quella croce silenziosa e indifferente.
“CHE COSA NE PENSI, ELLE?!? HO COMPLETAMENTE VINTO!! IO…HO…VINTO!!!!”.
Ruri chiuse gli occhi e strinse i denti, trattenendosi dall’uscire allo scoperto e dall’affrontarlo di persona: dopotutto, doveva pensare alla piccola che le riposava nel ventre. Non l’avrebbe mai più messa in pericolo per lui.
*Hai vinto, eh? Sottospecie di maniaco omicida…mi hai portato via Elle, non mi porterai via nient’altro*.
Alla fine, Light sembrò calmarsi di botto, rialzandosi in piedi e riprendendo a parlare con quello che, con ogni probabilità, era un altro shinigami.
“Credi che le cose, da ora in poi, non saranno più così interessanti, Ryuk?” domandò, con la massima calma “Questo non è vero…da ora in poi, assisterai alla nascita di un nuovo mondo”.
Lo aveva detto con un tono naturale, come se si fosse trattato di una constatazione oggettiva e del tutto ovvia, priva di qualunque contraddizione logica: non passò molto prima che udisse i suoi passi, cadenzati a ritmo di morte, avviarsi fuori dal cimitero e salire sulla propria auto, per poi accendere il motore e tornarsene alla base, come se nulla fosse.
A quel punto, gli occhi azzurrissimi della profiler si posarono sul suo telefono, che aveva appena fedelmente registrato ogni parola pronunciata dal serial killer, stendendo nero su bianco la sua confessione.
“La nascita di un nuovo mondo, eh…?” mormorò, premendo il tasto ‘STOP’ “Ti ho fregato, figlio di puttana”.
Aveva una prova schiacciante, ma sapeva comunque di dover proseguire nella direzione che Elle le aveva indicato: la conferma definitiva sarebbe derivata dalla prova dei tredici giorni.
Inspiegabilmente, non poté fare a meno di sorridere: forse, alla fine, sarebbe riuscita a gettare via il suo orgoglio. Forse sarebbe stata pronta per dirgli addio…
 
And I will swallow my pride…
You’re the one that I love…and I’m saying goodbye…
 
Erano passati solo tre giorni dalla sua morte, eppure aveva la sensazione che fosse passato un mese, forse un anno, forse persino un decennio…come se la sua storia fosse stata descritta in un libro lungo e dai capitoli interminabili, per poi giungere a una parte dove non c’era quasi niente da dire, semplicemente perché lei stessa si era sentita vuota, inutile, incapace di reagire: e malgrado tutti coloro che conosceva e che le erano rimasti avessero continuato a muoversi intorno a lei, cercando di scuoterla dalla sua trance, poteva dire di aver avvertito in qualche modo soltanto le voci di Robin e di Ayber, che infine era riuscito a farla alzare da quel divano, accelerando di colpo gli eventi di quella sorta di epilogo della sua stessa vicenda.
O forse non doveva chiamarlo così…forse era solo un nuovo inizio, in cui avrebbe dovuto semplicemente riprendere a muoversi come aveva iniziato a fare, e pian piano, il dolore che le stava dilaniando il petto avrebbe finito di uccidere il suo spirito, e con il tempo avrebbe fatto male solo un po’, permettendole di riacquistare parte del sorriso che Elle le aveva fatto comparire sulle labbra. Forse sarebbe stato proprio merito della piccola coccinella, come improvvisamente aveva preso a chiamarla, che le riposava nel ventre; forse l’avrebbe chiamata Eliza, come sua sorella, con un nome che in parte le ricordava il suono di quello di Elle…forse sarebbe stata di nuovo bene. Nonostante avesse vissuto quei tre giorni orribili come se si fosse trattato di tre anni, come se si fosse trattato di mille pagine d’agonia, quando invece tutto ciò che le era successo si sarebbe potuto riassumere in una decina…la verità era che si era sentita tagliata fuori dallo spazio e dal tempo, ma riprendere a tornare alla realtà aveva significato vivere il tutto a doppia velocità, quasi per recuperare le settantadue ore ormai perse. Il funerale, le parole di Soichiro, il percorso fino al cimitero, i fiori sulla tomba…e la risata di Kira. Una confessione sotto il suo stesso naso.
Pensava davvero di poterla imbrogliare? Pensava che non avrebbe reagito fino in fondo?
Udire Ayber pronunciare le parole ‘tredici giorni’ aveva significato tutto, come se quell’informazione, che in realtà possedeva già, le fosse a un tratto piovuta dal cielo, come se tutto avesse preso a esserle chiaro solo in quell’istante, malgrado una parte di lei fosse sempre stata consapevole di quello che doveva fare…continuare il lavoro di Elle, esattamente dal punto in cui lui era rimasto. Verificare la regola dei tredici giorni, incastrare Kira, mandarlo sulla forca e terminare ciò che lei ed Elle avevano iniziato insieme.
Carezzandosi la pancia, non poté fare a meno di sorridere di nuovo, mentre una lacrima le scivolava lungo la guancia: le sarebbe piaciuto poter udire le sue ultimissime parole, nonostante non avesse avuto il tempo materiale per pronunciarle. Le sarebbe piaciuto potergli dire che si sarebbe dimostrata più forte di quanto non credesse e che, in un modo o nell’altro, avrebbe mantenuto la sua promessa. Le sarebbe piaciuto semplicemente poter avere più tempo a disposizione da trascorrere con lui.
 
Say something, I’m giving up on you
I’m sorry that I couldn’t get to you
Anywhere I would have followed you
Say something I’m giving up on you
 
Asciugandosi appena le lacrime, decise che era giunto il momento di tornare al quartier generale e di studiare le sue prossime mosse: sicuramente, Light avrebbe ben presto fatto altrettanto, e non poteva permettergli di guadagnare ulteriormente terreno. Con ogni probabilità, se l’avesse ritenuta una minaccia, avrebbe trovato il modo per ucciderla, ma sapeva bene che non era uno sciocco, e che non l’avrebbe fatto, se la cosa avesse finito per attirare su di lui qualche sospetto indesiderato: avrebbe semplicemente creato l’occasione ideale, e avrebbe presentato agli altri la sua morte come una tragica fatalità, dovuta al suo dolore e alla sua eccessiva impulsività. Ma per il momento, non sembrava considerarla un reale pericolo…doveva fare attenzione a fare in modo che continuasse a pensarla così. Forse Misa aveva riacquistato la capacità di uccidere conoscendo solamente il volto della vittima, e allora le cose avrebbero potuto complicarsi…in ogni caso, doveva fare in fretta. Non restava poi molto tempo.
Ma proprio mentre i suoi passi l’avevano appena condotta fuori dal cimitero, ormai deserto, udì il suo cellulare squillare e si affrettò ad estrarlo dalla tasca: con sua sorpresa, si rese conto che la stavano chiamando da un numero sconosciuto e non rintracciabile.
Per un momento, pensò che era meglio non rispondere, ma poi, per una sorta di sesto senso, capì che doveva farlo assolutamente: premette quindi il pulsante che accettava la chiamata e si portò il ricevitore all’orecchio.
“Pronto?” disse, con voce spenta.
La voce all’altro capo era gentile, anche se un po’ burbera, ma senz’altro le era completamente estranea: comprese immediatamente che doveva appartenere a un anziano, probabilmente un fumatore.
“Miss Ruri Dakota?”.
Sentirsi chiamare in quel modo le gelò il sangue nelle vene: come faceva quella persona a conoscere il suo nome in codice? Chi era? Cosa voleva? Com’era possibile? Era una qualche strategia ideata da Light Yagami?
“Lei chi è? Come ha fatto ad avere questo numero?” ribatté, subito guardinga.
“Sono un amico di Watari, Miss” replicò l’uomo.
“Può dimostrarmelo?” pretese Ruri, sempre sulla difensiva.
“Sono il vice-direttore di un istituto molto particolare, che si trova a Winchester, in Inghilterra. Apparentemente, è un comune orfanotrofio, ma in realtà si tratta di una scuola per giovani dotati, dalle capacità straordinarie. Il nome ‘Wammy’s House’ le dice niente?”.
Quel nome prese a rimbombarle nella mente, facendola tornare alla prima sera in cui lei ed Elle avevano fatto l’amore, e in cui lui le aveva parlato della sua infanzia e di quello stesso luogo in cui era cresciuto e in cui venivano allevati piccoli prescelti della logica e della razionalità, nel tentativo di trovare un degno successore di Elle.
“Miss?”.
Sentire qualcuno che la chiamava in quel modo le fece provare un tuffo al cuore, ricordandole subito il fare affettuoso e sempre formale di Watari: per l’ennesima volta, provò l’incontrollabile bisogno di piangere.
“Sono…sono qui” mormorò infine, appoggiandosi al cancello “Sta parlando su una linea sicura?”.
“Certo, Miss” replicò il suo interlocutore.
“D’accordo. Sono Ruri Dakota. Lei è…?”.
“Il mio nome è Roger Ruvie, Miss. Sono un vecchio amico di Watari; ho esercitato come medico per diversi anni, prima di unirmi a lui nel suo progetto di creazione degli orfanotrofi, a cominciare dalla ‘Wammy’s House’” seguitò il suo interlocutore.
“Watari mi ha parlato di un amico medico” rammentò a un tratto Ruri, annuendo “Le credo, signor Ruvie. Perdoni la mia diffidenza, è solo che…non mi trovo in una situazione in cui è bene che conceda troppa fiducia agli estranei”.
“Ha fatto benissimo. È proprio per questo che la sto contattando” proseguì Roger, il tono che si faceva sempre più concitato “So che vive ancora al quartier generale che Elle aveva allestito per dedicarsi alle indagini per la cattura di Kira”.
“Sì, è così” sospirò Ruri “Ma non mi trovo là, in questo momento…”.
“Oh, lo so, Miss. So già perfettamente dove si trova”.
Quella risposta la spiazzò di colpo, portandola a guardarsi intorno in maniera quasi frenetica.
“Di cosa sta parlando? È qui anche lei?” gli domandò subito.
“A non troppa distanza. Mi scusi se non l’ho contattata prima, ma ho dovuto accertarmi che fosse sola” le disse Roger, impassibile.
“Io non capisco che cosa…”.
“Senta, non abbiamo molto tempo: deve ascoltarmi attentamente e seguire le mie istruzioni, o sarà ancora più in pericolo di quanto non lo sia già adesso. Ho ricevuto precise disposizioni sul prelevarla il prima possibile, senza interferenze da parte di terzi, per portarla in un luogo sicuro, dove lei stessa avrà un quadro più chiaro della situazione e dove potrà a sua volta ricevere indicazioni su come muoversi nei prossimi giorni. Un solo passo falso, e Kira potrebbe decretare la sua vittoria e ucciderla” le disse Roger, iniziando a parlare molto in fretta.
“No, no, no, no! Un momento!” lo interruppe Ruri, accigliata “Prelevarmi per portarmi dove? Per fare cosa? Quali disposizioni? Da chi le ha ricevute? Senta, il fatto che sia amico di Watari non mi convincerà a fidarmi di lei fino in fondo, mi sono spiegata? Non ho intenzione di farmi sballottare dove le pare solo perché ritiene che questo potrebbe tenermi al sicuro. Io non so chi sia lei, e non so come faccia a sapere nel dettaglio del caso Kira, ma di certo non penserà che io decida di attenermi alle sue fantomatiche disposizioni solo perché lei e Watari avete lavorato insieme per una vita intera!”.
Roger sospirò pesantemente, con il tono di chi sta alzando gli occhi al cielo.
“Watari mi aveva detto che non sarebbe stato facile convincerla…” mormorò.
“Watari?!” ripeté subito Ruri, con la sensazione di aver appena saltato un battito cardiaco “Cosa sta dicendo?!”.
“Miss, è stato Watari a chiedermi di chiamarla e di portarla in un preciso luogo sicuro”.
Quelle parole furono capaci di farla crollare in ginocchio, ma la sua voce, connotata da una vena gelida, fu comunque in grado di mantenersi ferma.
“Watari è morto, signor Ruvie. Non mi prenda in giro” gli ricordò, il disprezzo impresso in ogni sillaba.
Accadde allora: Roger sospirò di nuovo, con il tono di chi è costretto ad ammettere qualcosa che avrebbe voluto tenere nascosto.
“No, Miss. Devo contraddirla” le disse, lentamente.
Ruri si rialzò in piedi di scatto, appoggiandosi con una mano al muretto del cimitero.
“Che cosa sta dicendo?! Watari è morto di arresto cardiaco, tre giorni fa! E con lui è morto…”.
“Elle?” la precedette Roger “Miss, mi ascolti: è davvero importante che faccia quello che le dico. È per il suo bene e per il bene del suo lavoro; lo so che lei non mi conosce e che non ha motivo di fidarsi di me, ma io sono suo amico e sono dalla sua parte. Mi dia la possibilità di dimostrarglielo”.
Ruri rimase in silenzio per qualche istante, cercando di concentrarsi sulle parole che le aveva appena detto, e che non smettevano di vorticarle nella mente per un solo secondo: Watari? Un posto sicuro? Ma non era possibile…non poteva essere vero!!! Forse era un sogno, un sogno speranzoso da cui si sarebbe infine svegliata…ma se davvero era così, allora avrebbe anche potuto…se ci fosse potuta essere una possibilità, anche solo una possibilità…che un miracolo avvenisse? Che le cose fossero diverse da quella realtà oggettiva e implacabile, con cui era stata costretta a confrontarsi in quelle settantadue ore cariche di follia, di silenzio, di gelo e di dolore?
“Mi fido di lei” gli disse, senza neppure sapere da dove le fossero uscite quelle parole “Mi dica cosa devo fare”.
 
Salire su quella macchina fu come imbarcarsi a bordo di quello che continuava a credere fosse un sogno pazzesco: sì, doveva essere così. Perché come altro avrebbe potuto spiegare logicamente quello che le stava capitando?
Ignorando continuamente le chiamate di cui Robin aveva ben presto iniziato a tempestarla, durante il viaggio in auto aveva preso a spiare nervosamente il suo autista, che non le aveva rivolto che poche parole da quando aveva preso posto sul sedile posteriore, limitandosi a concentrarsi sulla guida. Aveva avuto modo di accorgersi che si trattava di un uomo anziano, probabilmente coetaneo di Watari, dotato di un grosso naso adunco e di pochi capelli, bianchi e radi: ma malgrado l’aspetto arcigno, le aveva subito dato l’impressione di possedere un’aura benevola e amichevole, che le aveva ricordato proprio quella del mentore di Elle, e in fondo aveva dovuto riconoscere che le era simpatico.
Se non fosse stato per la sua decisione categorica di eludere ogni singola domanda che le stava uscendo dalla bocca.
“Senta, potrebbe almeno dirmi dove stiamo andando?!” gli chiese per l’ennesima volta, dopo circa un’ora di viaggio “Le faccio presente che ho una pistola nella borsa, e che sono pronta a usarla, nel caso in cui lei mi faccia scherzi!”.
Dal posto di guida, Roger non poté fare a meno di ridacchiare.
“Il vecchio Quillsh aveva proprio ragione, sul suo conto…ha un carattere forte e determinato. Ora capisco perché gli è andata subito a genio…”.
“Quillsh?” ripeté Ruri, alzando un sopracciglio.
“Quillsh Wammy. Watari” ribatté Roger “È il suo vero nome. Lei ha un fazzoletto con le sue iniziali, a quanto mi ha detto lui; certo che, per essersene separato…voglio dire, aveva quel pezzo di stoffa dal giorno del suo matrimonio. Non se ne separava mai, qualsiasi cosa dovesse fare. Credo fosse un regalo di sua moglie…lei sa di Vivienne, non è vero? Certo, so che gliene ha parlato. Immagino che non si sia mai perdonato fino in fondo d’aver abbandonato la sua famiglia…ma senz’altro lei ha rappresentato una grande vittoria, da questo punto di vista e non solo, Miss. A proposito, le mie congratulazioni: so che aspetta una bambina”.
Dallo specchietto retrovisore, Roger scorse la sua espressione e non poté trattenere una risatina soddisfatta.
“So molte cose di lei, Miss. Almeno, ciò che mi hanno raccontato” le disse, con tono rassicurante.
“Le hanno raccontato…?” ripeté Ruri, con il cuore che le batteva all’impazzata.
Prima che Roger potesse risponderle, la macchina si fermò di colpo: sbirciando fuori dal finestrino, appannato dalla pioggia che aveva ripreso a cadere, Ruri poté rendersi conto che erano giunti a un edificio dall’aspetto imponente, una sorta di incrocio fra un collegio riservato all’alta borghesia e un albergo di lusso, schermato da cancelli dall’aria nobile e imponente e da un vasto giardino.
“Dove siamo?” domandò la ragazza, lasciando che lui le aprisse la portiera e le porgesse un ombrello.
“Di fronte ad uno degli orfanotrofi che io e Watari abbiamo fondato, nel corso degli anni: a dire il vero, la sua costruzione definitiva è stata ultimata solo di recente, e dovevamo ancora scegliere un nome. Qualche giorno fa, il mio amico me ne ha suggerito uno: pensavamo a ‘Ruri’s Nest’. Le piace?” le domandò Roger, con un sorriso benevolo.
La criminologa lo guardò dritto negli occhi, incapace di replicare in modo sensato.
“Perché siamo qui?” gli chiese, aggrappandosi appena al suo braccio, quasi nella speranza che fosse tutto reale.
Roger le sorrise di nuovo e scosse appena la testa.
“Non è sicuro parlarne in strada” le ricordò, a voce bassa “Entri dentro l’edificio e salga le scale: non troverà nessuno in circolazione, a quest’ora i ragazzi sono tutti nelle loro camere. Una volta al primo piano, continui a salire fino ad arrivare all’ultima rampa: a sinistra vedrà una porta. Là troverà le risposte che cerca”.
“Lei…lei non viene con me?” domandò Ruri, vedendo che si stava accingendo a risalire in macchina.
“No; le mie disposizioni prevedevano che io l’accompagnassi qui e poi me ne andassi. Rimarrò in Giappone solo qualche altro giorno, e poi dovrò rientrare in Inghilterra: alla ‘Wammy’s House’ c’è bisogno di me. Ma spero di rivederla, un giorno. È stato un vero piacere conoscerla, Miss Dakota” si congedò, stringendole la mano.
“Anche per me” rispose Ruri, frastornata da tutto ciò che stava succedendo.
“Stentavo a credere che tutto quello che Watari diceva sul suo conto fosse vero, ma adesso che l’ho conosciuta…mi chiedo come avrebbe potuto non esserlo. In bocca al lupo, Miss. So che ce la farà” le disse infine, prima di salire a bordo e di accendere il motore.
Ruri lo guardò sparire dietro l’angolo, immobile come una statua di sale: ma perché si era fatta convincere? Com’era arrivata di fronte a quell’edificio? E cosa si aspettava mai di trovare, al suo interno? Non erano in una favola, dannazione. Le persone non tornavano in vita e basta.
Eppure, una costante, insopportabile quanto vitale sensazione continuava a dirle che se non avesse messo piede in quella sorta di scuola, avrebbe finito per rimpiangerlo per il resto della sua esistenza: mettendo a fatica un piede di fronte all’altro, superò i cancelli, poi il giardino, poi gli scalini che la separavano dalla porta d’ingresso.
Quando ebbe bussato, un bambino dall’espressione curiosa le aprì, rivolgendole uno sguardo indagatorio e sinceramente perplesso a un tempo.
“Tu sei Ruri!” dichiarò infine.
Non era una domanda; prima che potesse replicare, il bimbo l’aveva già afferrata per una manica, trascinandola dentro la scuola e spingendola in direzione delle scale.
“Devi salire subito!” aggiunse, prima di dileguarsi nel nulla.
Cercando di controllare il suo stupore e di assumere un’aria indifferente, Ruri prese ad avviarsi di sopra come le era stato detto, con il cuore che le batteva più forte ad ogni scalino che sfiorava: era una follia, una semplice follia. Ma perché si era fatta convincere? Perché continuava ad abbandonarsi a quella specie di sogno folle? Avrebbe dovuto essere alla base, a lavorare sul caso, invece di perdere tempo in quel posto sperduto, in cui non conosceva nessuno, dove niente aveva un legame con lei…o forse si sbagliava.
Perché aveva quell’assurda sensazione all’altezza del petto? Era una speranza, un profondo desiderio? Davvero aveva iniziato a credere nell’impossibile?
E infine, giunse a destinazione: senza neppure sapere perché, si sentì come il giorno in cui aveva incontrato Elle per la prima volta, ritrovandosi ad esitare di fronte alla porta di quella stanza d’albergo, come se la sua intera vita avrebbe preso a dipendere dall’incontro con quegli occhi foschi, cupi, e apparentemente senz’anima.
Ebbe a un tratto la sensazione che entrare in quella camera le avrebbe dato lo stesso effetto di gettarsi in una vasca piena d’acqua, e perciò prese un bel respiro: ripetendosi mentalmente le parole di Roger, abbassò la maniglia della porta ed entrò.
Inizialmente, non vide nulla, nel senso letterale del termine.
La stanza era completamente vuota, priva di qualsiasi mobile, di qualsiasi fonte d’illuminazione, di qualsiasi cosa: poi, i suoi occhi si posarono leggermente su di un computer dall’aspetto moderno, poggiato sul pavimento in maniera alquanto insolita, la cui luce elettronica rischiava a malapena l’ambiente del tutto buio in cui era appena piombata.
E poi, infine, lo vide.
Venne avanti nel suo modo consueto, le mani in tasca, il passo leggero come il volo di un uccello, la schiena curva in avanti, il volto emaciato eppure affascinante, gli occhi scuri cerchiati di nero, e al contempo dotati di una luce che mai più aveva sperato di poter rivivere ancora…il sorriso delicato, quasi impercettibile, eppure incredibilmente sincero, posto su quelle labbra in maniera naturale, semplice, quasi come se non fosse mai scomparso, quasi come se non si fossero mai separati, come se quei giorni non fossero mai esistiti, come se fosse sempre e comunque rimasto accanto a lei.
In fin dei conti, poteva dire di averlo fatto, a modo suo.
Lo vide passarsi una mano fra i suoi capelli scurissimi, disordinati come al solito, e poté rendersi conto che stava allargando il suo sorriso, man mano che la distanza fra di loro si accorciava: udire la sua voce fu il colpo di grazia.
“Ciao, Ruri. Ti ricordi di me?”.
 
Say something, I’m giving up on you…
Say something…
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: SENTITE, L’HO POSTATO ALLA VELOCITÀ DELLA LUCE PROPRIO PER FARVI POSARE LE ASCE, VA BENE?!? Quindi, non vi lamentate se questa volta ho fatto VERAMENTE schifo XD No, sul serio, non ho giustificazioni, ma che posso dire…questo capitolo è stato veramente difficile da scrivere, soprattutto in un solo giorno, e non è affatto come lo avrei voluto, ma spero tanto che vi sia piaciuto almeno un pochino…lo so che è scritto male e che gli avvenimenti sono presentati alla velocità della luce, ma in parte voleva essere proprio un ritmo del capitolo in sé, una sorta di viaggio interiore diretto delle emozioni di Ruri (no, la verità è che non so scrivere e che faccio proprio schifo, ma non odiatemi troppo per questo XD). Beh, che dire? CI ERAVATE CASCATI, EH?!? Ma no, dai, lo avevate capito tutti che era vivo!! MA VI PAREVA CHE LO UCCIDEVO VERAMENTE??? MA VIAAAA!!! XD Oh, venendo a noi: la scena del cimitero in cui Light sbraita è realmente tratta dall’anime, come vi sarete accorti, era una scena tagliata…ora, quello che mi chiedo io è…ma Light, tu che ti credi tanto un genio…MA IL CERVELLO LO HAI PESTATO COME FAI CON LE MERDE DI CANE E POI LO HAI APPESO AD ASCIUGARE, PRENDENDO ALLA LETTERA IL CONCETTO DI ‘FAR PRENDERE ARIA ALLA MENTE’?!? Ma è possibile che nessuno si accorga che sta sberciando peggio del Joker quando è in crisi da astinenza di benzina?? Va bene che gli altri ormai sono fuori dal cimitero, ma qui siamo veramente al limite dell’idiozia!! L’ho sempre detto che ha vinto solo per una questione di culo…che poi, ‘vinto’, non ha mai vinto davvero…bah…Anyway! La canzone di questo capitolo era ‘Say something’ dei Great Big World, cantata insieme a Christina Guilera! Io devo ovviamente ringraziare SelflessGuard, Robyn98, Lilian Potter in Malfoy e MaryYagamy_46 per aver commentato il capitolo 25, e naturalmente ringrazio anche bananacambogianachiquita (l’avrò scritto bene? XD), per aver inserito la storia fra le ricordate, spero tanto che anche tu vorrai recensire questo abominio che la sottoscritta ha partorito. Io adesso vi saluto ragazzi, e cercherò di non farvi aspettare troppo con il seguito :D Un bacione grosso grosso, la vostra Victoria <3      

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Capitolo 27
*** Quaranta secondi ***


Capitolo 27- Quaranta secondi
 
In seguito, trovò difficile ricordare con precisione quello che successe dopo: era stato come se tutto il suo mondo, ormai ridotto a pochi frammenti di realtà a cui si teneva aggrappata, si fosse improvvisamente ricomposto, rimettendo insieme tutti i pezzi del puzzle, tutti i mesi trascorsi, tutte le ore vissute con lui, tutti i risultati a cui erano giunti…proprio quando aveva compreso a fondo le sue parole, proprio quando aveva capito che non poteva permettere alla sua stessa morte di ucciderla, ecco che tutto era cambiato nuovamente.
Elle. Elle era vivo.
Era di fronte a lei, respirava, parlava, sorrideva, si muoveva…ma non era possibile. Non poteva essere vero. Aveva visto il suo corpo, aveva avvertito il suo cuore smettere di battere, lo aveva visto chiudere gli occhi…lo aveva visto andarsene. Solo un paio d’ore prima, c’era stato il suo funerale, aveva visto la sua bara venire depositata nel terreno…improvvisamente, ebbe la sensazione d’essere tornata all’inizio, al giorno in cui si erano conosciuti, al giorno in cui lo aveva visto in volto per la prima volta…era possibile…? Era possibile che fossero a un tratto tornati insieme al punto di partenza, che avessero avuto una seconda occasione? Proprio loro, il re e la regina della logica, della razionalità, dell’immunità ai sentimenti…potevano davvero stare di nuovo insieme, contro qualsiasi raziocinio, contro qualsiasi realtà oggettiva, contro qualsiasi legge del cosmo, della natura e della scienza?
 
Come up to meet you, tell you I’m sorry
You don’t know how lovely you are…
I had to find you, tell you I need you
Tell you I’ve set you apart…
 
Dal canto proprio, Elle le sorrise di nuovo, alzando appena un sopracciglio.
“È la prima volta da quando ti conosco che non hai qualcosa da dire: non è da te, Ruri” le disse, con la massima semplicità.
Quelle parole furono in grado di spezzare l’incantesimo che sembrava essere appena piombato su di lei, riportandola a un tratto alla realtà materiale: non se lo stava immaginando. Lui era lì, era davvero lì. Nonostante l’arresto cardiaco, nonostante il funerale, nonostante quei settantadue giorni…non capiva ancora come, ma era lì. Prima che potesse rendersene conto, a prescindere da qualsiasi previsione, si sentì furiosa. Completamente furiosa.
Appena pochi secondi dopo quella sua uscita così dannatamente fastidiosa, riuscì ad avvicinarsi a lui, a passo molto più rapido di quanto lei stessa si sarebbe aspettata: prima che potesse fermarla, capì che la sua mano si era già alzata, colpendolo forte sulla guancia e facendolo indietreggiare di qualche centimetro, a causa del forte urto subito.
Non appena si fu ripreso dallo shock iniziale, Elle si massaggiò lentamente la guancia, sorridendole di nuovo in modo colpevole.
“E va bene. Immagino di essermelo meritato” le disse, stringendosi nelle spalle “Ma mi hai fatto parecchio male, sai?”.
Ruri non pronunciò neanche una parola, spingendolo rudemente contro la parete e iniziando a tempestargli il petto di pugni non propriamente affettuosi: in realtà, non passò molto prima che anche lei aprisse bocca, in modo incredibilmente significativo.
“Sei…” iniziò, continuando a colpirlo “Un autentico…DEFICIENTE!!!! Sei un emerito idiota, un imbecille di decima categoria, un grosso, inutile, straordinariamente immenso PEZZO DI DEMENTE!!!! Sottospecie di essere umano involuto ed egoista, stupido, stratosferico COGLIONE!!!! Che figlio di puttana…!!!”.
“Ehi, adesso calmati!” la interruppe, afferrandola per i polsi “Mi hai già massacrato abbastanza, direi. Permettimi almeno di spiegare”.
“VUOI SPIEGARE?!? Lo sai cosa dovresti spiegare?! Dovresti spiegarmi perché ho appena partecipato al tuo funerale, e perché poi hai pensato bene di mandare una sorta di clone di Watari a prendermi in quel fottutissimo cimitero, per portarmi in questo posto sperduto dove ho scoperto che il padre di mia figlia, sul cui cadavere mi sono disperata e che ho creduto morto nei tre giorni peggiori della mia esistenza, in realtà è vivo e vegeto e l’unica cosa che è capace di dirmi è se mi ricordo ancora di lui!!! Adesso capisco tutto!! Tu non sei la mente migliore del mondo, tu sei il peggiore esemplare di cretino che sia mai comparso sulla faccia della Terra!!!” continuò a gridargli contro, senza riuscire a impedire alle lacrime di uscirle frettolosamente dagli occhi.
Elle la fissò con espressione sorpresa, quasi esterrefatta, e confusa.
“Speravo che fossi felice…” ammise, infilandosi le mani in tasca.
“Senti, VAFFANCULO, va bene?! VAFFANCULO!!!” sbraitò ancora Ruri, assestandogli un altro pugno contro il torace “Non mi senti quando parlo?! Ti ho appena detto che ho partecipato al tuo funerale!! E tu adesso pensi di potertene sbucare fuori dal nulla e di…di…ho passato tre giorni nel tentativo di capire come continuare a muovermi, cazzo!!!! Di capire come alzarmi di nuovo in piedi e di staccarmi dallo stramaledetto divano su cui sono piombata non appena sono riusciti a riportarmi in quel quartier generale del cazzo che hai progettato! Non puoi fare così, ok?! Cristo, non puoi…non puoi morire e basta!!!” pianse infine, finendo per accasciarsi sul suo petto, esausta.
Il pianto travolse il resto delle sue parole, convincendola ad abbracciare Elle con tutte le sue forze, ancora indecisa se credere a quello che stava vedendo e percependo con i suoi sensi oppure se abbandonarsi all’idea che fosse tutto un sogno pazzesco da cui si sarebbe svegliata: dal canto proprio, Elle ricambiò a un tratto la stretta, affondando il volto nei suoi capelli bagnati e intrisi di quell’odore di fragole che tanto gli piaceva, chiudendo gli occhi e finendo per sorridere, mentre Ruri non accennava a smettere di piangere, respirando a fatica.
Quando gli sembrò che le sue spalle avessero iniziato ad alzarsi e abbassarsi a un ritmo meno frenetico, prese a carezzarle appena la nuca e la schiena, baciandole il collo di quando in quando e strusciando la punta del naso contro la sua guancia, imprimendosi nelle narici il suo aroma e beandosi del contatto con la sua pelle.
“Scusami…” le mormorò, rafforzando di più la presa “So che non è stato facile, per te…ma era necessario, Ruri, te lo assicuro”.
La ragazza alzò improvvisamente gli occhi e lo fissò con aria concentrata, anche se ancora furiosa, nel tentativo di capire cosa stesse cercando di dirle.
“Era tutta una messinscena, quindi? Anche quell’assurdo monologo sulle campane e sul presentimento di morte? Ti sei divertito a prendermi in giro?!” gli domandò, alzando nuovamente il tono di voce.
“Certo che no. C’erano alte probabilità che morissi, tre giorni fa. Beh, non poi così alte, considerando le precauzioni che ho preso” disse il detective, riflettendoci sopra “Ma comunque, non ero sicuro che sarei riuscito a risvegliarmi”.
“Risvegliarti da cosa?! Ti decidi a dirmi che diavolo sta succedendo? E Rem? E Watari? Che fine hanno fatto?! Com’è possibile che adesso stia qui a sbraitarti addosso, quando ho visto il tuo cadavere? Quando ho sentito il tuo cuore smettere di battere?!” insistette Ruri, ghermendogli aggressivamente il tessuto della maglia e fissandolo con un’espressione di pura confusione e di frustrazione.
Elle le sorrise in modo complice, carezzandole il volto e scostandole i capelli bagnati dal campo visivo, gli occhi persi in quelli di lei.
“Mi mancavi già…mi mancava sentirti mentre mi rimproveravi. E mi mancava guardarti”.
Prima che potesse replicare, sentì le labbra di lui unirsi alle sue, coinvolgendola in un bacio completamente diverso dall’ultimo che si erano scambiati, stavolta privo di rassegnazione, privo di tristezza, privo di qualsiasi cosa che somigliasse a un addio. Era uno di quei baci che si erano scambiati ogni giorno, fin da quella incredibile sera, fin da quando avevano compreso di non voler più vivere l’uno senza l’altra, malgrado fossero materialmente e fisicamente capaci di farlo, malgrado la loro mente avesse potuto sopravvivere all’idea della reciproca mancanza; era un contatto tanto intenso quanto naturale, carico di un’emozione a cui neppure loro sapevano dare un nome. Amore, chimica, passione, intensità, desiderio, reciproco bisogno, volontà, voglia di lottare…ciò che era racchiuso in quel contatto era molto al di là di tutto questo. Oltre la reciproca diffidenza nella vicinanza fisica, che entrambi avevano fuggito per tutta una vita, oltre le parole, oltre il tempo, oltre qualsiasi litigio, oltre le differenze, oltre i capricci e oltre l’orgoglio…oltre l’immaturità e l’infantilismo, oltre il caso Kira e oltre le loro carriere. In quella finestra sul loro mondo, data dall’unione delle loro labbra e delle loro bocche, ancora una volta intente a incontrarsi come se non ci fosse un tempo e un luogo a cui rendere conto, tutto ciò che contava era la possibilità di stare ancora insieme.
Quando infine, a malincuore, acconsentirono a separarsi appena, Ruri finì per posare la testa contro la sua fronte, gli occhi socchiusi e il respiro incrociato con il suo.
“Elle…” si lasciò sfuggire, dissimulando a malapena l’ennesimo singhiozzo.
“Sono qui…va tutto bene” le sussurrò Elle, stringendola di nuovo a sé “Sono qui, Ruri. Non vado da nessuna parte”.
“Prova di nuovo a farmi una cosa del genere e ti uccido con le mie mani” lo minacciò la profiler, aggrappandosi alle sue spalle e inspirando a sua volta il suo profumo.
“Sei diretta come sempre” ridacchiò il detective.
“Non scherzare. Mi sono sentita…non so neanche descrivertelo. Mi hai trascinata all’Inferno e poi mi hai mandato a prendere da uno stramaledetto autista che non avevo neanche mai sentito nominare e hai pensato di potermene tirare fuori in un fottuto minuto” mormorò stancamente la criminologa, con un sospiro stanco.
“Sei ancora arrabbiata con me?”.
“Ho voglia di salire in auto, investirti e passarti sopra almeno un migliaio di volte. Lentamente. Sperando che tu soffra. Quindi sì, direi che sono ancora molto arrabbiata con te” lo gelò Ruri, senza accennare a staccarsi da lui.
“Beh, da quando ci conosciamo hai rischiato di farti uccidere almeno tre volte, nel corso di questa vicenda. Direi che adesso possiamo dirci pari” constatò Elle, riprendendo a fissarla negli occhi.
“Non giocare a fare Dio con me, signor detective. Io non ho finto uno stramaledetto arresto cardiaco, senza degnarmi di renderti partecipe della mia decisione! Cazzo, Elle, mi…mi sei morto fra le braccia. Sei morto fra le mie braccia!!” proseguì, riprendendo quasi a gridare “Sei morto, cazzo, e non mi hai lasciato nessuna istruzione su…su che cosa fare! Perché non…perché non mi hai detto che cosa ti frullava in quella testa?!?”.
“Non potevi saperlo, Ruri” sospirò Elle, stringendosi nelle spalle.
“Perché no?!?” insistette Ruri.
“Per lo stesso motivo per cui Light Yagami ha deciso di perdere la memoria, quando si è fatto imprigionare di sua spontanea volontà”.
Con un sobbalzo, Ruri si rese conto che Rem era appena entrato nella stanza, e che le stava rivolgendo uno strano sorriso inquietante, anche se benevolo.
“Rem?!?” esclamò di colpo, voltandosi verso il nuovo arrivato “Cosa…come…qualcuno si decide a dirmi che diamine sta succedendo?!?”.
“La prego, Miss, si calmi. Non farà bene alla bambina”.
La voce di Watari rischiò di farle definitivamente saltare le coronarie; con sua immensa sorpresa, poté constatare con i suoi occhi che l’anziano signore, vivo e vegeto, in carne ed ossa, era appena comparso sulla soglia, e che le sorrideva benevolo, come l’ultima volta che si erano visti.
“Che…cosa…” riuscì appena a balbettare Ruri, presa da un improvviso capogiro “Sentite…io ho una pistola nella borsa. Magari non posso uccidere gli shinigami, ma vi giuro che farò una strage all’istante se adesso voi non la piantate con gli indovinelli e non mi spiegate che cosa cavolo sta succedendo!”.
“Calmati, Ruri…” la esortò Elle, posandole una mano sulla spalla.
“CALMATI UN EMERITO CAZZO!!!” replicò Ruri, assestandogli l’ennesimo colpo “Sono sotto shock, ho appena scoperto che il mio fidanzato morto in realtà è ancora vivo, e che lo stesso vale per il suo mentore, oltre che per lo shinigami che ritenevo responsabile dei loro decessi, in realtà mai avvenuti! Sono stanca, bagnata, non metto qualcosa sotto i denti da settantadue ore, ho appena partecipato al finto, fottutissimo funerale del padre di mia figlia, sono incinta e sono completamente sconvolta dagli ormoni della gravidanza!! Quindi adesso voi mi spiegherete immediatamente che cosa diamine sta accadendo e che cos’è accaduto nei tre giorni peggiori della mia vita, o io vi farò pentire di non essere già morti per arresto cardiaco o per un fottuto suicidio!!”.
La sua sfuriata venne seguita da un lungo silenzio, al termine del quale Watari si limitò a stringersi nelle spalle e a sorriderle di nuovo.
“D’accordo, Miss. Ma visto che è stata così gentile da farmelo presente, credo che, nel frattempo, dovrebbe mangiare qualcosa: non ho intenzione di permettere a mia nipote di risentire del suo deperimento. E se prova un’altra volta ad affamarsi in questo modo, sarò costretto a intervenire in modo più brusco” le disse, prima di darle le spalle e di avviarsi fuori dalla stanza.
Trattenendosi a fatica dallo spalancare la bocca per quelle parole, Ruri si rese a malapena conto che le dita di Elle, strette intorno alle sue, la stavano gentilmente trascinando fuori da quel luogo privo di luce, per condurla in un’altra camera, ammobiliata e più accogliente, dove anche Rem si accinse a seguirli.
 
Dopo venti minuti in cui Watari si affaccendò per preparare il suo amato Earl Grey, tutti e quattro si sedettero sui divani dello studio adiacente, sul cui tavolino era stato posato un generoso vassoio stracolmo di paste dolci e di pasticcini di ogni forma e dimensione, a cui Elle provvide ad attingere immediatamente.
“D’accordo. Adesso sono calma, va bene?” sospirò Ruri, alzando gli occhi al cielo da sotto la coperta calda che Watari l’aveva costretta ad indossare “Ma ho veramente bisogno di sapere che cos’è successo: ve lo chiedo per favore”.
Con un sorriso gentile, Watari si passò una mano dietro il collo, sospirando leggermente.
“Difficile capire da dove potremmo iniziare…ma immagino che le dobbiamo prima di tutto delle scuse, Miss. Ci dispiace davvero per tutto quello che ha dovuto passare” le disse l’anziano, con tono sinceramente afflitto.
“Oh, questo direi che è il minimo!” ribatté Ruri, roteando gli occhi “Anche se qualcosa mi dice che non sia stata del tutto sua l’idea di non dirmi niente, Watari”.
“In effetti” constatò l’inglese, ridendo sotto i baffi.
“L’ho fatto soltanto perché l’ho ritenuto necessario” replicò Elle, sentendosi chiamato in causa.
“E hai tre secondi di tempo per deciderti a dirmi che cosa ti ha spinto a fare una valutazione del genere: il conto alla rovescia è già iniziato” lo minacciò Ruri, velenosamente.
“Non biasimarlo per quello che ha fatto: sono io che l’ho convinto definitivamente” intervenne Rem, suscitando lo stupore della ragazza.
“Che cosa vuoi dire?” gli domandò Ruri, alzando un sopracciglio.
“Ryuzaki non era sicuro che coinvolgerti in questa parte del suo piano sarebbe stato saggio: non perché non fossi all’altezza di ciò che si sarebbe aspettato da te, ma per la reazione che la sua morte avrebbe dovuto scatenare” proseguì lo shinigami, sospirando leggermente.
“Continuo a non capire” ammise Ruri, sempre più frastornata.
“La sera in cui mi hai chiesto di aiutarvi per mettere al sicuro la vita di Misa” iniziò a risponderle Rem “Mi hai detto che le volevi bene, e che la consideravi una vittima di Kira, più che una sua complice: mi hai detto che avresti fatto tutto ciò che potevi per aiutarla e per tenerla al sicuro, se avessi accettato di darvi una mano”.
“Certo” confermò Ruri, annuendo.
“Quello che non potevo dirti all’epoca era che avevo già parlato con Ryuzaki” seguitò Rem “Era venuto da me solo qualche giorno prima, dicendomi che aveva capito perfettamente che Misa Amane era il secondo Kira, e che io non stavo facendo altro che proteggerla. Mi disse che avrebbe sperimentato la regola dei tredici giorni, e che avrebbe trovato il modo di metterla in prigione, forse perfino di farla condannare a morte: a quel punto, lo minacciai apertamente di ucciderlo, ma lui sembrò impassibile, di fronte alla mia provocazione. Mi disse che era perfettamente consapevole che l’avrei fatto, e che avrei ucciso anche te, Ruri, se ciò si fosse rivelato necessario per salvare la vita di Misa; ma poi aggiunse qualcosa che mi fece riflettere…qualcosa a cui non avevo mai pensato prima”.
L’essere sovrannaturale fece una breve pausa, prima di riprendere a parlare.
“Mi disse che avrei dovuto pensare al futuro di Misa: alla sua vita già dimezzata più volte, a quello che l’avrebbe attesa se fosse rimasta insieme a Light Yagami. Mi disse che sarebbe giunto qualcuno, dopo di lui, che avrebbe risolto il caso Kira al suo posto, e che avrebbe decretato la loro fine, probabilmente non distinguendo più in alcun modo fra le responsabilità di Light Yagami e quelle di una ragazza spaventata, sola, triste e confusa, assassina a causa di qualcosa a cui neppure lei sapeva dare un nome. Mi disse che ero libero di ucciderlo, ma che ben presto Kira avrebbe perso comunque: non so bene come, ma era come se fosse consapevole che, se lo avessi ammazzato davvero, avrei finito per fare la sua stessa fine…”.
“Come sarebbe?” l’interruppe Ruri, stralunata.
“Gli shinigami esistono unicamente per rubare anni di vita agli esseri umani: se compiono un gesto che allunghi la vita di un essere umano verso cui provano dei sentimenti, questo comporta la loro morte istantanea. Light Yagami lo sapeva perfettamente: sapeva che, se avessi ucciso Ryuzaki, sarei morto a mia volta. È proprio in virtù di questo che era convinto d’aver ottenuto la sua vittoria definitiva”.
“In sostanza, mi stai dicendo che Yagami ti voleva fuori dai piedi?” domandò Ruri.
“Sì. È sempre stato così, fin da quando Light Yagami ha incontrato Misa; gli feci capire immediatamente che non gli avrei permesso di farle del male, una volta che lei non gli fosse servita più, e da allora immagino che abbia sempre cercato un modo per sbarazzarsi di me. L’occasione gli si è presentata di fronte agli occhi quando Misa, una volta fuori dalla vostra sorveglianza, ha ripreso a giustiziare al posto del vero Kira…ero presente quando Ryuzaki disse chiaramente che al responsabile di quei crimini sarebbe toccata la pena di morte, e Light Yagami era consapevole che non avrei permesso a Misa di andare incontro a morte certa, soprattutto dopo che aveva deciso di dimezzare ulteriormente la sua vita” ribatté lo shinigami.
“Ma che cos’è questa storia del ‘dimezzare la vita’? Non capisco…” ammise la ragazza.
“Ricordi quando Higuchi ha parlato di uno ‘scambio’?” intervenne Ryuzaki, ingoiando una generosa quantità di torta “Sembra che il potere del secondo Kira, che permetteva di uccidere le vittime conoscendone soltanto il volto, fosse legato proprio a tutto ciò. Il proprietario di un Death Note può effettuare lo scambio degli occhi con uno shinigami, dando in cambio la metà del tempo che gli rimane da vivere”.
“Misa aveva già fatto questo scambio con me, una volta. È stato prima che perdesse i suoi ricordi, come poi ha scelto di fare anche Light Yagami” riprese Rem “Ma dopo aver riacquistato la memoria…è entrata in contatto con Ryuk, lo shinigami da cui originariamente Light Yagami ha ricevuto il suo Death Note, e ha deciso di riacquistare il potere perso in precedenza. Questo le è costato più di quanto potessi immaginare…e tutto questo solo per poter essere amata da quell’essere” concluse, disgustato.
“Ok, andiamo con ordine” disse Ruri, prendendo un respiro profondo “Da quello che dici, devo dedurre che non sei stato tu a portare per primo un Death Note in questo mondo, dico bene?”.
“Esatto. Il primo a scendere sulla Terra è stato Ryuk” annuì Rem.
“Ryuk…ho già sentito questo nome…” mormorò Ruri “Un paio d’ore fa, al cimitero…Yagami…Yagami stava parlando con un’entità invisibile, sicuramente con un altro shinigami…lo ha chiamato Ryuk…”.
“Proprio così. Ryuk è stato il primo a lasciar cadere il suo Death Note su questo pianeta, ed è stato Light Yagami a raccoglierlo: da allora, le cose si sono evolute in maniera sempre più imprevedibile. Ho consegnato un Death Note a Misa perché ritenevo che fosse la cosa migliore da fare, dato che il precedente proprietario di quel quaderno era morto per salvarla, com’ero pronto a fare io, ma da quando ha incontrato Kira, Misa è…beh, diciamo che si è completamente annullata. Era schiava di ogni sua parola, di ogni suo gesto, di ogni sua azione e di ogni suo ordine: avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. È per questo che, quando l’avete imprigionata, si è rifiutata di aprire bocca ad ogni costo, fino a quando non l’ho convinta a rinunciare alla proprietà del Death Note”.
“Altro che effetto placebo” ridacchiò appena Ruri “Adesso si spiegano molte cose…di conseguenza, Light ha a sua volta rinunciato al potere del quaderno della morte, ed è diventato un altro, o, per meglio dire…dimenticando quello che aveva fatto, ha riacquisito la sua umanità”.
“Già” confermò Elle, con espressione cupa “Almeno fino a quando non ha toccato di nuovo il suo giocattolo preferito…”.
“Quindi, confermi anche che è stato Yagami a uccidere Higuchi?” chiese ancora Ruri, avida d’informazioni.
“Precisamente. È stato molto ben attento ad ammazzarlo senza staccare le mani dal quaderno: finché ne fosse stato in vita il possessore, se lui se ne fosse separato avrebbe perduto di nuovo i ricordi. Ma, se fosse riuscito a ucciderlo senza smettere di toccare il quaderno, la proprietà sarebbe diventata automaticamente sua” rispose Rem.
“Questo significa che allora i sospetti di Elle erano veri” ribatté Ruri “Si può uccidere anche scrivendo su un frammento di pagina…”.
“Sì” replicò lo shinigami, impassibile “Ho omesso di rispondervi in modo diretto sulla questione, lo ammetto. Stavo cercando di salvare Misa…”.
“Sì, lo sappiamo” gli sorrise Ruri, amichevolmente “Continua, Rem: ho veramente bisogno di capire come sono andate le cose”.
“Il mio unico scopo è sempre stato proteggere Misa, e far sì che lei fosse felice. Non volevo ammetterlo, ma avevo iniziato a provare affetto per lei, prima ancora di scendere sulla Terra, e questo sentimento si è rafforzato, con il passare del tempo. Sapevo che era grata a Kira per aver vendicato i suoi genitori, e, malgrado Light Yagami non mi piacesse per niente, ho cercato di aiutare la loro causa. Quando è stata imprigionata, ho cercato di salvarla con ogni mezzo: è stato allora che Light Yagami propose a me e a Ryuk di scambiarci i Death Note, così che io potessi consegnare quello che lui aveva sempre utilizzato a Higuchi, un uomo viscido, vile, ambizioso e senza scrupoli: Light Yagami era convinto che un individuo del genere avrebbe sfruttato il Death Note per il suo guadagno personale, dopo aver giustiziato alcuni criminali, come da me richiesto. E dato che conosceva a fondo la sua stessa natura, era più che convinto che, una volta persi i ricordi, vi avrebbe aiutato a catturare il nuovo Kira, al massimo delle sue capacità, arrivandogli talmente vicino da riuscire a toccare nuovamente il Death Note…è per questo che si è fatto imprigionare, subito dopo aver preso accordi con me e con Ryuk” seguitò Rem.
“E quando Higuchi è morto, lui era di nuovo padrone del Death Note” annuì Ruri, giocherellando appena con il picciolo di una fragola “Capisco…ma francamente, dopo ciò a cui ho assistito, non so come sia anche solo possibile che adesso stiamo avendo questa conversazione”.
“E qui torniamo al giorno in cui ho deciso di parlare con Rem” riprese la parola Elle, bevendo un lungo sorso di caffè “Quello che mi hai detto subito dopo la morte di Higuchi, mi ha fatto riflettere molto…in effetti, devo riconoscere che, se non fosse stato per te, non avrei mai capito che cosa poteva spingere uno shinigami a essere così reticente nel rispondere alle mie domande. Quello che hai intuito sui suoi sentimenti, la tua empatia nei suoi confronti mi ha portato a comprendere che Rem non si sarebbe tirato indietro, se gli avessi fatto presente quello a cui Misa stava andando incontro; dopo che gli ebbi detto quello che con ogni probabilità sarebbe stato di lei, lo convinsi ad ascoltare la mia proposta. Era chiaro che non gli importava del destino di Light, anzi, con il tempo è stato chiaro che lo detestava profondamente, così gli ho assicurato che non avremmo incriminato Misa, e che l’avremmo aiutata ad avere una vita normale, magari convincendola a rinunciare nuovamente ai suoi ricordi…se avesse accettato di aiutarci”.
“In realtà, quando mi hai chiesto il tuo sostegno, avevo già acconsentito a passare dalla vostra parte, o meglio, a schierarmi contro Kira” approvò Rem “Ma non potevo dirti niente: io e Ryuzaki avevamo deciso di mantenere il segreto su tutta la vicenda”.
“Ah, questo direi che è chiaro!” sbottò Ruri, alzando gli occhi al cielo “Ma nessuno mi ha ancora detto perché…”.
“Perché tu dovevi credere che ero morto” le rispose Elle, suscitando la sua massima sorpresa.
“Come, scusa?” ribatté Ruri, sforzandosi di controllarsi.
Elle le rivolse un sorriso, dispiaciuto e intrinsecamente pieno di significato.
“Ho sempre creduto che la nostra relazione avrebbe potuto rappresentare un vantaggio quanto un grosso ostacolo, per Kira. La mia migliore arma a doppio taglio, effettivamente” ammise Elle, leggermente a disagio “Ad ogni modo, quando ho deciso che avrei finto il mio decesso, ho capito subito che non avrei potuto mettertene a parte. Sono certo che avresti finto alla perfezione, ma è stato lo stesso Yagami a insegnarmi che niente è più efficace dell’essere realmente convinti di qualcosa, del credere veramente in tutto quello che diciamo e facciamo. Questo è infinitamente più efficace di una recita, per quanto ben congeniata possa essere. Light si è sempre rivelato un ottimo manipolatore, ma senz’altro ha compreso che il potere della comunicazione diventa efficiente oltre ogni limite, quando ci si attiene alla pura verità…”.
Ruri lo fissò a bocca aperta, per poi socchiudere leggermente gli occhi, con espressione velenosa.
“In sostanza, sono stata il tuo strumento per rendere più credibile la tua messa in scena…” sibilò, furiosa.
“Ti ho detto che mi dispiace, Ruri…”.
TI DISPIACE?!? SEI MORTO FRA LE MIE BRACCIA!!!” ripeté Ruri, balzando in piedi.
“Lo so” sospirò Elle, alzandosi in piedi e posandole le mani sulle spalle “È proprio questo il punto: so che adesso sei ancora sconvolta e che non puoi capirmi fino in fondo, ma sono anche convinto che presto sarai in grado di farlo. Se ti avessi detto quello che avevo in mente di fare, avresti cercato di fermarmi e non saresti stata sufficientemente lucida: avevo bisogno che fossi certa che del mio decesso. Di fronte a qualsiasi segnale sbagliato da parte tua, Light avrebbe potuto capire che cosa stava succedendo, e forse avrebbe provveduto subito a ucciderti: se invece ti avesse vista vulnerabile e in preda alla disperazione, avrebbe preferito crogiolarsi nella sua vittoria imminente, magari ritenendo persino troppo rischioso ucciderti all’istante, dato che questo avrebbe potuto attirare su di sé l’attenzione del resto del quartier generale. In fondo, adesso si crederà in una botte di ferro, soprattutto considerando la regola dei tredici giorni…”.
“Che naturalmente, dovrei dedurne, è falsa come immaginavamo” commentò Ruri, ancora fredda.
“Sì” annuì Rem “È stato Light Yagami a chiedere a me e a Ryuk di scrivere quella menzogna, così com’è stato per quella relativa alla morte di tutti coloro che, dopo aver toccato il quaderno, avessero provato a distruggerlo in qualche modo. Gli sono servite per far sì che il Death Note non andasse perduto, e, soprattutto, per creare un alibi che lo scagionasse da qualsiasi accusa”.
“Questo Ryuk…” disse lentamente Ruri, soppesando le sue parole “Che interesse aveva, in tutta questa storia? Voglio dire, tu hai fatto tutto questo per Misa, ma…che motivo poteva avere, lui? È amico di Light?”.
“No” scosse il capo Rem “Ryuk non è amico di nessuno, e non si è schierato apertamente dalla parte di Kira, in questa vicenda: diciamo solo che lo diverte il modo di agire di Light Yagami. Dopotutto, ha lasciato cadere il suo Death Note sulla Terra solo perché si stava annoiando…immagino che trovi quell’individuo incredibilmente interessante, perfino divertente, e che lo intrighi cercare di capire come andrà a finire questa storia. Che vinca una o l’altra parte, poco gli importa”.
“Capisco” affermò Ruri, tornando a sedersi.
Notando che stava ancora sfoggiando un contegno gelido, Watari sospirò tristemente, stringendosi nelle spalle.
“Sappiamo che è ancora sotto shock, Miss, e di questo mi rincresce molto” le disse, posandole una mano sul braccio “Ma deve comprendere che Elle ha agito per il suo bene”.
“Ha ragione” sottolineò lo shinigami “E come ti ho già detto, sono io che l’ho persuaso definitivamente a non parlarti delle sue intenzioni. Ryuzaki mi ha dimostrato di avere molta fiducia in te e nelle tue capacità, e il tenerti all’oscuro di una decisione così importante lo ha turbato, ma è stato il pensiero che tu potessi essere messa in pericolo a convincerlo definitivamente a nasconderti questa parte del suo piano. Devo confessare che non ero pronto fino in fondo a fidarmi della sua parola, ma quello che mi hai detto quella sera mi ha definitivamente portato a ritenere che stavo facendo la cosa giusta: posso affermare con certezza che Ryuzaki è vivo grazie a te, Ruri, proprio come tu sei viva grazie a lui. Non avrebbe permesso che ti capitasse qualcosa e non avrebbe permesso che tu morissi al posto suo”.
Ruri spostò lo sguardo sul volto di Elle, incrociando gli occhi con quelli di lui e lasciando che le parole scorressero nei loro sguardi, incapaci di concretizzarsi materialmente tramite le loro voci: senza che nessuno se ne accorgesse, Elle le strinse per un momento un polso, infondendole tutta l’energia di cui era capace sfiorandole appena la pelle.
“Forse è per questo che mi sono lasciato convincere…” mormorò lo shinigami, attirando la loro attenzione “Avrei voluto questo, per Misa…avrei voluto che potesse vivere un amore come il vostro. La verità è che Ryuzaki mi ha dimostrato di amarti come mai Light Yagami ha amato Misa, ed è stato proprio questo che mi ha permesso di capire che era sincero e che non avrebbe tradito la mia fiducia. È stato in virtù di tutto ciò che ho acconsentito a fare la mia parte e che ho aiutato Ryuzaki”.
“Lo hai aiutato a fare cosa?” sospirò Ruri, esasperata “Non ho ancora idea di come tutto questo sia anche solo lontanamente concepibile…il cuore di Elle aveva smesso di battere. Ho passato…ho passato più di cinque minuti ad accertarmene…”.
A quelle parole, Elle le strinse di nuovo la mano, prima di cominciare a estrarre lentamente una bustina dalla tasca: quando l’ebbe posata sul tavolo, Ruri poté rendersi conto che era piena zeppa di zollette di zucchero.
“Lo zucchero?” domandò, con aria stralunata “Tu hai simulato un arresto cardiaco con lo zucchero?”.
“Non è zucchero” scosse il capo Elle “Anche se lo sembra, a tutti gli effetti”.
“E allora cosa…?”.
“È un veleno. Una droga sintetica, per la precisione” replicò Elle, con la massima tranquillità.
Di fronte alla sua espressione stralunata, si concesse un piccolo sorriso, prima di procedere.
“Ho cominciato ad assumerla qualche mese fa, subito dopo il nostro incontro con Light. Una sorta di precauzione che pensai fosse opportuno prendere già all’epoca; ho scoperto questo preparato un paio d’anni fa. Le organizzazioni criminali di tutto il mondo ne fanno un uso incredibilmente largo: presa in dosi eccessive risulta letale, per chi non è ormai immune al suo effetto, e provoca un arresto cardiaco immediato. Ma se presa in quantità infinitesimali, risulta inoffensiva…proprio come una zolletta di zucchero. I maggiori capi mafia dell’ex Unione Sovietica hanno iniziato a sperimentare questa tecnica anni fa: ingeriscono minuscole frazioni della sostanza, e, pian piano, ne diventano immuni. A quel punto, non solo rimangono in vita, nel caso qualcuno tentasse di avvelenarli utilizzandola, ma sono in grado di sfruttarne gli effetti a loro piacimento”.
“Insomma, stai dicendo…?”.
“Che questo prodotto consente di simulare un arresto cardiaco apparente, se si assume in quantità eccessive rispetto a quanto l’organismo sia normalmente abituato a sopportare. Si dà tutta l’impressione d’essere morti, così che l’avversario non ti reputi più una minaccia, ma le funzioni vitali riprendono il loro corso nell’arco di qualche minuto: solo che le pulsazioni della frequenza cardiaca sono talmente flebili da risultare impercettibili, a meno che non vengano auscultate in modo professionale. In altre parole, è piuttosto complicato verificare con certezza che la vittima sia davvero morta, come vorrebbe far credere”.
Ruri lo fissò a bocca aperta, riuscendo a malapena a muovere un muscolo.
“Quindi, ti…ti sei reso immune a questa roba per…per simulare la tua morte…” affermò lentamente, scandendo ogni parola.
“Sì. Morire avrebbe significato trovare la chiave di lettura a tutte le mie domande: lo stesso sguardo che Light aveva negli occhi quando mi ha visto passare a miglior vita ha rappresentato una delle mie vittorie migliori. E naturalmente, credendomi morto, ha pensato di aver vinto definitivamente, e di certo si è lasciato andare più di quanto non avrebbe mai fatto, se fossi stato ancora in vita: da quanto mi risulta, le morti dei criminali si sono già triplicate, in questi giorni. E Takeshi Ooi, uno dei membri del gruppo Yotsuba, è già deceduto in un incidente stradale” rispose Elle, bevendo un altro sorso di caffè.
Senza rispondergli, Ruri prese in mano il sacchetto contenente il veleno, fissandolo con espressione vuota e inorridita al tempo stesso.
“Era questo che intendevi quando…quando hai detto che non eri sicuro che ti saresti risvegliato…?” gli chiese, riprendendo a guardarlo.
Elle sospirò e finì per annuire.
“Sapevo che avresti fatto di tutto per fermarmi, conscia di una cosa del genere” ammise il detective “Come ho cercato di fermarti quando hai tentato di bloccare Higuchi…come abbiamo fatto a vicenda dall’inizio di questa storia. Ognuno di noi due era consapevole di dover correre dei rischi, ma né tu, né io siamo mai stati pronti fino in fondo ad accettare che l’altro lo facesse, nonostante ciò che provassimo a raccontarci. Questa droga presenta alcuni effetti collaterali, e non potevo essere sicuro al 100% che il mio piano avrebbe funzionato: nel caso le cose fossero andate male, Watari avrebbe dovuto sostituirmi nelle indagini e contattarti come da programma”.
“Ma la SP si era dimostrata incredibilmente funzionante in molti casi provati statisticamente, Miss: non avevamo molti margini d’errore” la rassicurò Watari, con un sorriso.
“La SP…?” ripeté Ruri, ancora frastornata.
“La ‘Sweet Pleasure’” le spiegò Elle, accennando alla sostanza “Meglio nota come ‘Sugar&Pain’: la solita teatralità delle organizzazioni criminali”.
“Il resto dell’operazione è stato semplice da attuare” proseguì Watari “Ho cancellato i dati relativi al caso, come Ryuzaki mi ha chiesto di fare, in modo che tutti mi credessero morto…certo, era rischioso, dal momento che non avrebbero ritrovato il mio cadavere, ma Ayber e Wedy ci hanno dato una mano ad avallare l’idea che probabilmente fossi stato indotto al suicidio”.
“Ayber e Wedy…?!” sbottò Ruri, stralunata “Loro…”.
“Sì, sono al corrente di tutto” le rispose Elle “In effetti, sono stati loro ad occuparsi di me: prima che qualcuno potesse rendersene del tutto conto, hanno provveduto a portarmi in questo posto, scambiando il mio ‘cadavere’ con quello di un sosia. Wedy si è occupata di preparare quel corpo subito dopo aver arrestato Higuchi: con le sue doti e le sue capacità anatomiche, ha camuffato il volto di quel morto alla perfezione, rendendolo identico al mio; d’altro canto, non c’era bisogno che fossimo perfettamente uguali. Serviva solo un sostituto che potesse essere scambiato per me, nel caso qualcuno avesse dovuto vedere il corpo prima che questo venisse depositato nella bara, ma non se n’è neanche presentata l’occasione, a quanto mi hanno riferito. Ad ogni modo, prima che tu possa dare in escandescenze” disse poi, sorridendo di fronte all’espressione minacciosa di Ruri “Sappi che Ayber era contrario a non coinvolgerti in questa parte dell’operazione: mi disse chiaramente che ne saresti uscita a pezzi e che avresti provato un forte istinto omicida nei nostri confronti, una volta scoperta la verità”.
“Ayber ha sempre capito molto bene come sono fatta” constatò Ruri, incrociando le braccia “Ma c’è ancora qualcosa che mi sfugge: come avete fatto a far credere a Yagami che Rem fosse morto? Dopotutto, come ci ha detto prima, se avesse scritto il tuo nome sul Death Note sarebbe deceduto all’istante, ergo, con ogni probabilità avrebbe lasciato cadere il suo quaderno della morte…se ciò non è successo, allora sulla base di cosa quel bastardo dovrebbe credere che le cose sono andate come si aspettava?”.
“Abbiamo fatto in modo che Light Yagami trovasse un Death Note che potesse ritenere mio” le rispose Rem “Ma era un falso”.
“Un…un falso?!”.
“Watari ci ha lavorato per un giorno e una notte intera” intervenne Elle, annuendo appena “Ma alla fine, grazie anche all’aiuto di Rem, ne ha creato una copia perfetta. E lo stesso ha fatto con il Death Note originario, quello con cui Kira ha iniziato a perpetrare le sue uccisioni”.
“Quindi…quindi adesso Light ha in mano dei semplici quaderni? E se se ne accorgesse?” chiese Ruri.
“Misa ha ancora un Death Note perfettamente funzionante e autentico, nelle sue mani” le ricordò Elle “Ed è altamente improbabile che Light si serva di quello conservato al quartier generale, o di quello che è convinto di aver raccolto dopo la presunta morte di Rem, quando Misa, che adesso è del tutto lontana dagli occhi dei membri della squadra investigativa, può usare quel quaderno della morte in modo del tutto indisturbato”.
Le sue parole vennero seguite da un lungo silenzio, al termine del quale Ruri si decise a fissarlo negli occhi, più determinata che mai.
“Che cosa pensi di fare?” gli domandò.
“Beh, adesso abbiamo le certezze definitive di cui abbiamo bisogno: ma dobbiamo agire con cautela. Kira è pericoloso, e ormai è mentalmente instabile, molto più di quanto non lo sia stato in passato: non possiamo dargli l’occasione concreta di ucciderci. Ci serve un dettaglio che lo incastri definitivamente, che metta in luce in modo evidente la sua colpevolezza” affermò Elle, tormentandosi il labbro inferiore con l’indice e iniziando a fare avanti e indietro per la stanza.
“La testimonianza di Rem non è sufficiente?” domandò Ruri.
“Potrebbe esserlo, ma non dobbiamo dimenticarci che Rem ha già mentito una volta, riguardo a questa storia, e non possiamo permetterci di sottovalutare le capacità di negazione e persuasione del nostro avversario. Light ha già dalla sua parte tutto il quartier generale: non possiamo permetterci passi falsi” le fece notare Elle.
“Beh, forse ho qualcosa che potrebbe dare una mano” affermò la profiler, estraendo il suo cellulare e premendo il tasto PLAY nella sessione ‘registrazioni’.
Al termine del delirante monologo di Kira, Elle le rivolse uno sguardo soddisfatto.
“Non hai perso il tuo tocco…” si complimentò “Questa sì che è una confessione; ad ogni modo, ritengo che presentarsi al quartier generale dopo un’assenza di diverse ore, sbattendo sotto il naso del nostro serial killer questa prova schiacciante, potrebbe in realtà rivelarsi un suicidio, per te. Se Kira fiutasse il pericolo, in qualche modo ti ucciderebbe all’istante, soprattutto considerando che adesso Misa dispone di nuovo del potere degli occhi dello shinigami, e quindi potrebbe immediatamente scoprire il tuo vero nome e provvedere in tal senso. No, dobbiamo farci venire in mente qualcosa…”.
Dopo un’altra pausa infinita, in cui Watari non smise di servire il the e il caffè, infine Ruri ed Elle si guardarono in volto, colti dalla stessa idea fulminante.
“La provocazione!” esclamarono, trionfanti.
“Come avete detto?” replicò Watari, sbattendo appena le palpebre.
“C’è solo una cosa a cui Kira non si è dimostrato pronto a resistere, in questo anno d’indagini” rifletté Elle, la soddisfazione che gli brillava inconsuetamente negli occhi “Il suo punto debole peggiore sono le sfide aperte: è proprio in quei momenti che si dimostra eccessivamente sicuro di sé, troppo confidente nelle sue capacità, troppo convinto d’essere a un passo dalla vittoria…troppo pronto a giocare le sue carte con facilità eccessiva. Possiamo volgere la cosa a nostro vantaggio”.
“Come pensate di fare? Light Yagami crede che tu sia morto…” gli fece notare Rem.
“Già, ma così non vale per me” ribatté Ruri, facendo voltare tutti nella sua direzione.
Elle la fissò con sguardo attento, in attesa di ciò che sarebbe seguito.
“Adesso Light mi crede innocua, dopo lo stato catatonico in cui sono piombata in questi giorni” affermò la profiler, rivolgendo un’altra occhiataccia al detective “Anche se, in effetti, la mia prolungata assenza lo potrebbe insospettire…per ovviare a ciò, chiamerò Robin e le dirò che ho deciso di partire e che non so quando tornerò. In questo modo, Kira si sentirà le spalle parate e agirà in modo indisturbato, almeno fino a quando non lo chiamerò personalmente e gli chiederò un incontro personale. Gli dirò che voglio vederlo da sola e che ho bisogno di parlargli del caso, dato che ha deciso di continuare a collaborare con le indagini, e che ho intenzione di chiedere il suo aiuto per testare la regola dei tredici giorni. La considererà una provocazione senza pari, e senza dubbio accetterà di vedermi. Il fatto che io gli chieda di venire da solo, inoltre, lo porterà a pensare che gli stia soltanto facilitando il compito…”.
“Ma…ma per lei sarebbe molto pericoloso!” obiettò Watari, con tono ansioso “E se Misa Amane avesse già avuto modo di scoprire il suo vero nome? E se fosse già in grado di ucciderla?”.
“Non mi uccideranno, finché non mi considereranno una minaccia. Sarebbe a dir poco sospetto, e Light non rischierà di perdere la fiducia di suo padre e del resto della polizia, proprio adesso che è convinto d’aver ottenuto tutto ciò di cui aveva bisogno per vincere. Piuttosto, penserà al modo migliore per farmi fuori dopo avermi incontrato: in effetti, potremmo offrirgli la sua occasione su un piatto d’argento…”.
“Potrebbe far credere che la tua morte sia avvenuta dopo che tu stessa avevi deciso di sperimentare il Death Note, proprio a causa della regola dei tredici giorni; non ho dubbi a credere che ragionerebbe senz’altro in questo modo” annuì Elle, tornando a sedersi accanto a lei.
“Questa strategia non mi convince” insisté Watari, scuotendo la testa “Quel mostro potrebbe scegliere d’essere prudente e provvedere a ucciderti prima ancora che tu ti sia trovata faccia a faccia con lui!”.
“Con le sue manie di protagonismo megalomane?” obiettò Ruri, roteando gli occhi “Non credo proprio, Watari. Comunque sia, non possiamo averne la certezza, ma dobbiamo rischiare: Kira deve venire allo scoperto sotto gli occhi di tutto il quartier generale, o troverà qualche alibi per scagionarsi in qualche modo. Ci serve una confessione diretta e spontanea”.
“E come pensi di ottenerla?” ribatté Watari.
“Troverò il modo di farlo parlare. Quando avrà capito che sto per sputtanare definitivamente il suo giochetto, cercherà sicuramente un sistema per uccidermi, in un modo o nell’altro, per poi far ricadere la responsabilità della mia morte sull’operato di Kira; conscio del mio imminente decesso, si lascerà andare e mi dirà quello che vogliamo sentire. Voglio dire, avete presente con chi abbiamo a che fare, no? Stiamo parlando del maniaco omicida che è letteralmente scoppiato a ridere sulla tomba del suo nemico morto, pur di sfogare tutto il suo bisogno di gridare al mondo intero la sua vittoria. Non sarà così complicato cavargli di bocca quello che ci serve” disse Ruri, il volto concentrato.
“E se provassi a convincere Misa a darci una mano?” intervenne Rem “Potrebbe farci comodo…”.
“No” scosse il capo Ruri “Tu, meglio di chiunque altro, dovresti conoscere Misa: non tradirà mai Light…o meglio, non finché non si sarà resa conto fino in fondo di chi è realmente lui e della totale indifferenza che nutre nei suoi confronti. Sarà importante che riesca a fargli sputare il rospo anche su questo argomento: se vogliamo l’aiuto di Misa, ci servirà che quel verme mi dica esplicitamente che cosa pensa di lei e del loro ‘grande amore’. Ma lo fregherò, puoi scommetterci”.
“Le si spezzerà il cuore…” mormorò Rem, ad occhi bassi.
“Lo so; ma troveremo il modo di aiutarla” lo rassicurò Ruri.
In quel preciso istante, la loro conversazione venne interrotta dallo squillo frenetico del cellulare di Ruri; estraendolo dalla tasca, la ragazza si rese conto che si trattava dell’ennesima chiamata di Robin.
“Sarà meglio che tu le risponda” le disse Elle, bevendo l’ennesimo sorso di caffè.
Ruri annuì e si portò il telefono all’orecchio, abbassando al minimo il volume del microfono.
“Pronto?” disse, con voce spenta.
“RURI!!!! PER TUTTI GLI SCHIFOSI PORCOSPINI DI QUESTO UNIVERSO!!! DOVE DIAMINE TI SEI CACCIATA?!?!”.
Le urla di Robin la costrinsero a pronunciarsi in una smorfia infastidita, prima di risponderle.
“Ciao, Robin. È bello parlare con te” sospirò lentamente.
“Non mi prendere per il culo, capito?! Sono ore che cerco di contattarti!! Si può sapere dove sei finita?!? Sono morta dalla paura!!! Dimmi subito dove sei, veniamo a prenderti!”.
“No, Robin, è meglio di no. Sono…in aeroporto” mentì Ruri, passandosi una mano fra i capelli.
“In aeroporto?! Cosa cazzo vuol dire ‘in aeroporto’?!?” ribatté Robin, sconvolta.
“Significa quello che ho detto. Sto partendo: torno a Washington”.
All’altro capo del telefono, il silenzio si prolungò per un lungo minuto, durante il quale Ruri riuscì solo a sentire il respiro irregolare della sua migliore amica.
“Ruri, se è uno scherzo, sappi che non lo trovo divertente” le disse infine, sforzandosi di rimanere calma.
“Non sto scherzando, Robin. Me ne vado” proseguì Ruri, chiudendo gli occhi per un istante.
“Non…non puoi dire sul serio!!! Ma sei impazzita?!? Non puoi mollarci così, hai capito?! Tu…tu non fai queste cose!! Adesso tu farai marcia indietro e tornerai subito a questo quartier generale, mi hai sentito?! Non te ne andrai in questo modo, non abbandonerai le indagini!!! Pensi che fosse questo che Elle voleva?!?” sbraitò la dottoressa.
“Non lo so e al momento non sono in grado di pensare a niente del genere. Senti, non me ne sto andando per sempre, ok? Ho solo bisogno di un po’ di tempo, di rimettere in ordine le idee e di stare da sola. Tu resta insieme a Matsuda e non preoccuparti per me: ti prometto che tornerò” sospirò Ruri, con uno sforzo.
“Ruri, non…”.
“Devo imbarcarmi. Senti, ti richiamo, d’accordo? Tu comunque non preoccuparti, io sto bene e me la caverò”.
“Ruri…!”.
“Ciao, Robin. Abbi cura di te” concluse Ruri, riattaccando il telefono.
Dopo un ulteriore silenzio, che parve infinito a entrambi, Watari si alzò in piedi, battendo una mano sulla spalla di Ruri e sorridendole benevolmente.
“D’accordo, Miss, adesso credo che dovrebbe riposare: ho la sensazione che abbia vissuto un po’ troppe emozioni sconvolgenti, per oggi. Non deve trascurare le sue condizioni” le disse, carezzandole appena la mano.
“Non sono un’invalida, Watari” replicò Ruri, sorridendogli a sua volta “Ma in effetti, devo riconoscere che si è rivelata una giornata più anomala di quanto potessi prevedere”.
“Nei prossimi giorni, stabiliremo le mosse successive” proseguì Elle, prendendola per mano e aiutandola ad alzarsi “Contatterò Ayber e Wedy al momento opportuno e gli dirò di tenersi pronti: dopo che Light avrà lasciato il quartier generale per recarsi al vostro incontro, loro potranno dare disposizioni al resto del quartier generale, affinché si predispongano intorno al luogo in cui vi troverete faccia a faccia, così da poter ascoltare la vostra conversazione tramite il microfono che avrai nascosto addosso. Al momento opportuno, verranno allo scoperto”.
“Per fidarsi pienamente di Ayber e Wedy, dovranno sapere che sei ancora vivo” gli fece notare Watari.
“Mi fido del sovrintendente Yagami e degli altri membri della squadra, per quanto si siano ingenuamente fatti soggiogare da Light: ma una volta lontani dalla sua influenza, sono sicuro che non esiteranno a fare come gli diciamo, soprattutto considerando il fatto che, con ogni probabilità, non prenderanno bene la decisione di Ruri d’incontrarsi unicamente con Light” dichiarò Elle.
“Non pensate che Light Yagami potrebbe fiutare il pericolo e capire che si tratta di una trappola?” obiettò Rem.
“Forse. Ma Light conosce me e conosce Ruri: sa che non siamo poi così diversi da lui, e che potremmo commettere l’errore di credere troppo nei nostri mezzi, una volta giunti allo scontro finale. Penserà sicuramente d’essere stato più furbo, e di poterla incastrare a suo piacimento. Gli dimostreremo finalmente quanto si sia sbagliato, fin dall’inizio” replicò Elle, socchiudendo appena gli occhi in un impeto di rabbia e di decisione profonda.
“L’importante è che non dimentichiate quello che mi avete promesso: Light Yagami in cambio di Misa. Non dovete farle del male” ricordò Rem, in tono d’avvertimento.
“Sta’ tranquillo, Rem. Misa ne uscirà intatta, hai la nostra parola” gli assicurò Ruri.
Notando un improvviso capogiro della ragazza, Watari si afferrò a sorreggerla e a troncare la conversazione.
“D’accordo, adesso basta con il lavoro. Lei ha bisogno di riposare, Miss, e non intendo sentire storie, o la dottoressa Starling avrà la mia testa, prima della fine di questa storia. L’accompagno in camera”.
“Ci penso io” lo precedette Elle, passando un braccio intorno alla vita di Ruri e iniziando a guidarla fuori dal piccolo salotto.
Non appena furono giunti alla stanza che Watari aveva fatto preparare per la giovane criminologa, Elle l’aiutò a distendersi sul letto, finendo per sdraiarsi accanto a lei e circondandole le spalle con un braccio, mentre Ruri si adagiava contro il suo petto.
“Ti senti bene?” le domandò, sfiorandole appena la guancia.
“Sono ancora arrabbiata con te” gli ricordò Ruri, borbottando appena.
“Lo prenderò come un ‘sì’” ridacchiò appena Ryuzaki, giocherellando con i suoi capelli.
Passò qualche istante prima che la ragazza riprendesse a parlare.
“Mi sento come se fossimo tornati al punto di partenza, ora che siamo quasi alla fine” gli confidò, le dita strette intorno al tessuto della sua maglia “E devo confessarti che la cosa mi fa quasi paura…”.
“Paura? Dici sul serio?” le domandò Elle, alzando un sopracciglio.
“Sì, beh…solo qualche ora fa, credevo che non ti avrei mai più rivisto e che non avrei mai più parlato con te, e ora…ora tu sei qui, e io…io ho solo paura che le cose non vadano come avevamo previsto” mormorò Ruri, ricacciando indietro le lacrime.
 
Tell me your secrets, and ask me your questions
Oh, let’s go back to the start
Running in circles, coming up tails
Heads on the science apart…
 
Elle si sollevò appena, guardandola dritto negli occhi, per poi stringerla a sé, affondando il volto nei suoi capelli.
“Andrà bene. So che andrà bene, Ruri. Saremo noi a vincere” le sussurrò.
“Questo non implica necessariamente il rimanere vivi” gli ricordò la ragazza “Dico sul serio, Elle, non farmi mai più niente del genere: stavo quasi per dimenticarmi come si respira”.
“Non molto opportuno, da parte tua. Hai rischiato di fare del male alla bambina” le disse severamente Elle, scrutando la sua pancia con espressione assorta.
“Ah, e sarei io quella inopportuna, signor detective con l’improvvisa passione per le droghe sintetiche?!” replicò Ruri, guardandolo in tralice “Ad ogni modo, non posso negare che tu abbia ragione: questa povera coccinella si è beccata due genitori sconsiderati oltre ogni limite”.
“Coccinella…?” ripeté Elle, alzando un sopracciglio “È così che la chiami?”.
Ruri si strinse nelle spalle.
“Più o meno. È tanto piccola quanto incredibilmente capace di farsi sentire, sai? In effetti, non so come ho fatto a non accorgermi prima della sua presenza…e non ha nemmeno iniziato a muoversi del tutto”.
Elle continuò a fissarle il ventre, con aria assorta: poi, prima che lei potesse pronunciare una parola, le posò la testa all’altezza dell’ombelico, carezzandola leggermente, mentre le dita di Ruri si andavano a intrecciare con i suoi capelli ribelli.
“Come fai a sapere che è una femmina?” le domandò, con il tono e l’espressione di un bambino curioso.
“Me lo ha detto Rem” spiegò Ruri, con uno strano sorriso “La sera prima che tu…beh, che mi facessi quasi prendere un altro infarto”.
“Sono stato sconveniente, me ne rendo conto”.
Sconveniente?! Quando fai così, ho voglia di ucciderti, sai?!” gli disse Ruri, con aria indispettita.
“Non più. Non adesso che sono diventato il padre di tua figlia”.
Non fece in tempo a replicare a quelle parole che Elle l’aveva già baciata, sdraiandosi delicatamente sopra di lei nel continuare a unire le labbra alle sue, mentre le braccia della giovane donna lo stringevano a sé, comunicandogli tutta la felicità che aveva provato nello scoprire che era ancora vivo e che non era riuscita ad esprimergli a parole.
“Mi rendi maledettamente difficile odiarti, signor detective…” sospirò infine Ruri, baciandolo ancora una volta.
“Beh, nessuno aveva detto che sarebbe stato facile. Ma in fondo, non credevo che risolvere questo caso sarebbe stato così maledettamente difficile…ad ogni modo, immagino che ne sia valsa la pena” mormorò Elle, sdraiandosi di nuovo accanto a lei e incrociando le dita con le sue.
“E così, siamo davvero alla fine” disse Ruri “E siamo ancora qui…tutti e due”.
“Sì…ci siamo ancora. Ti avevo detto che non ti avrei permesso di morire” le ricordò Elle, il respiro incrociato con il suo.
 
Nobody said it was easy, it’s such a shame for us to part
Nobody said it was easy…no one ever said it would be this hard
Oh, take me back to the start…
 
Ruri gli sorrise ancora una volta, scostandogli una ciocca di capelli dal campo visivo.
“Resterai con me…?” gli domandò, con semplicità.
“Fino a che lo vorrai. Fino a che per te avrà senso” replicò Elle.
“Dubito che molto di quello che ci abbia riguardato abbia mai avuto un senso” affermò Ruri, con un sorriso sbarazzino “Ma per quanto potessimo concentrarci sui dati e sulle indagini concrete, dubito che saremmo mai arrivati a questo punto se non avessimo accettato fino in fondo di vivere gli eventi che questo caso ci ha messo di fronte…incluso tutto ciò che riguarda noi due. Tutte queste questioni scientifiche, tutta la razionalità che ha inciso la nostra vita…forse dovevamo solo concentrarci su quello che abbiamo ignorato per una vita intera. In fondo, una delle chiavi di volta per la risoluzione di questa faccenda è stato l’amore di Misa e l’affetto che Rem provava per lei…lo avresti mai detto? Insomma, che avremmo trovato il modo per vincere grazie a una cosa del genere?”.
“Non avrei mai detto che avremmo costruito una famiglia insieme, quando sei entrata nella mia stanza d’albergo, quel giorno” le rispose Ryuzaki, sfiorandole la punta del naso con la propria “In effetti, hai ragione…una parte di me si sente come si è sentita quel giorno, quando ancora non avevo idea di ciò che avresti finito per rappresentare per me. Ad ogni modo, immagino che le cose dovranno cambiare”.
“Che vuoi dire?” gli domandò Ruri, con aria stranita.
Elle le sorrise leggermente, passandosi una mano dietro la nuca, imbarazzato.
“Beh, ne ho parlato con Watari, qualche giorno fa: dice che dovrei smetterla di comportarmi come un bambino e che dovrei prendermi le mie responsabilità, adesso che…beh…adesso che non saremo più solo tu ed io”.
“E quindi…?” lo esortò a proseguire Ruri.
“Insomma, ho pensato…ho pensato che dovremmo in qualche modo preoccuparcene. So che ti sembrerà una sciocchezza, ma non mi piace lasciare le cose senza il loro giusto coronamento” seguitò il detective.
“Cosa c’è, mi stai chiedendo di sposarti?” lo prese in giro Ruri.
Ma prima che potesse proseguire, Elle le aveva già rivolto un’altra delle sue occhiate caratteristiche, intrisa della massima serietà e di una leggera, seppur innegabile, confusione.
“Veramente, era quello che pensavo. Credo che dovresti considerare l’ipotesi, Ruri”.
 
I was just guessing at numbers and figures
Pulling the puzzles apart
Questions of science, science and progress
They don’t speak as loud as my heart…
Tell me you love me, come back and haunt me
Oh and I rush to the start…
Running in circles, chasing our tails
Coming back as we are
 
Ruri lo guardò con espressione stralunata, cercando di trattenersi dallo spalancare del tutto la bocca: infine, riuscì a deglutire e iniziò a riprendere a parlare.
“Dovrei…dovrei considerare l’ipotesi? È così che mi stai proponendo il matrimonio?” esclamò, con aria sbigottita.
“Beh, sì. Avevi in mente un altro modo?” si strinse nelle spalle Ryuzaki.
“Certo che è proprio vero che non conosci un bel niente degli usi di questo mondo!” non riuscì a trattenersi Ruri, scoppiando a ridere “La tua sembrava più una proposta d’affari o di collaborazione lavorativa!”.
Elle abbassò gli occhi, con aria abbattuta.
“Scusami…lo sai che…”.
“Che dici un sacco di cose senza senso?” lo precedette Ruri, con un sorriso complice “Beh, direi che a questo punto siamo in due, considerando che…temo d’aver appena accettato di diventare la moglie dell’uomo più assurdo, sconclusionato e completamente folle del pianeta”.
Quelle parole gli fecero di nuovo alzare gli occhi verso di lei, che non esitò a baciarlo prima che avesse il tempo di pronunciare un’altra parola: quando infine trovarono il coraggio di separarsi, Ruri si lasciò sfuggire una piccola risata e una lacrima di felicità, mentre lui le sorrideva in modo confuso e imbarazzato.
“Ad una condizione: niente abiti bianchi da bomboniera. E niente colombe. Io odio le colombe” borbottò Ruri, affondando il volto nel suo collo.
“Lo terrò a mente” replicò Elle, continuando a bearsi del suo profumo e lasciando che il tempo, intento a scorrere inevitabilmente in direzione dello scontro con Light, non turbasse la quiete di quell’istante.
 
Nobody said it was easy, it’s such a shame for us to part
Nobody said it was easy…no one ever said it would be this hard
I’m going back to the start
 
Il giorno che stavano attendendo arrivò prima di quanto avrebbero immaginato: nell’arco di una settimana dall’arrivo di Ruri all’orfanotrofio, Elle ricevette un messaggio da Ayber, in cui il loro amico gli comunicava che Light aveva a tutti gli effetti assunto il nome di Elle, e che aveva iniziato a dare ordini alla polizia internazionale, oltre a continuare a giustiziare criminali con un ritmo senza più precedenti. A quel punto, sia Ruri che Elle ritennero che fosse giunto il momento opportuno: la telefonata che la profiler fece al ragazzo fu tanto breve quanto intensa e carica di significato.
Prima che potesse rendersene perfino conto, si erano già dati appuntamento al cimitero, di fronte alla tomba di Elle: sapeva che sarebbe venuto. Sapeva che non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di liberarsi di lei; il solo aver citato la regola dei tredici giorni lo aveva portato a interrompersi di colpo nel parlare, per poi riprendere a esprimersi con un tono calmo e impassibile, ma incapace di celare del tutto un brivido di eccitazione.
Era tutto pronto: si sarebbero incontrati il 28 Novembre, alle 17, esattamente tredici giorni dopo la loro telefonata.
Quando giunse il momento definitivo, Ruri prese congedo da Elle e da Watari, stringendo perfino la mano a Rem, e indossò un vistoso impermeabile che le aveva procurato Wedy, dove avrebbe potuto celare in modo appropriato il vero Death Note e i microfoni che avrebbe avuto addosso, tramite i quali Elle avrebbe inviato la sua comunicazione con Light ad Ayber, che a sua volta l’avrebbe inoltrata a Soichiro e agli altri agenti di polizia.
Sia Elle che Watari sarebbero stati armati, così come Wedy e Ayber, e si sarebbero tenuti pronti a intervenire nel caso in cui Light avesse in qualche modo accennato a provare a nuocere a Ruri, anche se sia il detective che la profiler speravano che ciò non si rivelasse necessario, così da poter riservare l’entrata in scena di Elle per il momento decisivo.
Il distacco con Elle fu breve e conciso: Ruri si limitò a stringerlo brevemente a sé, sorridendogli con sicurezza, per poi voltargli le spalle e salire in auto: quando fu alla guida, si voltò solo un’ultima volta, scambiando con lui lo sguardo più intenso che mai si fossero donati a vicenda, persino più intenso di quanto non lo fosse stato quello che era sorto la sera del 5 Novembre.
Mentre metteva in moto e iniziava a dirigere la macchina verso Tokyo, Ruri non aveva ancora idea di quello che sarebbe successo nell’arco di un’ora e di quello che era sul punto di scoprire…
 
Arrivò al cimitero prima di quanto si sarebbe immaginata, e accostò l’auto di fronte al cancello imponente e minaccioso: con sua soddisfazione, poté notare che Light la stava già aspettando, esattamente dove si erano dati appuntamento, di fronte alla tomba di Elle.
*Il momento della verità* non poté fare a meno di pensare, inviando il segnale convenuto a Elle tramite la sua ricetrasmittente.
Non appena mise piede fuori dal mezzo ed ebbe iniziato ad avviarsi verso di lui, i suoi occhi incrociarono quelli di Light, illuminati da un sorriso maligno, e i suoi sensi percepirono nell’aria l’odore della pioggia, le cui nuvole plumbee avevano già provveduto a oscurare il tramonto che incombeva sopra le loro teste; prendendo un respiro profondo, continuò ad andargli incontro, le mani infilate saldamente nelle tasche, proprio com’era d’abitudine per Elle, intente a sfiorare rispettivamente il reale Death Note e la sua amata Smith&Wesson, che aveva pensato bene di portare con sé: più gli si avvicinava, più era in grado di notare che anche Light teneva una mano in tasca, e che era vestito in modo impeccabile, con un completo simile a quello che aveva sfoggiato il giorno del funerale di Ryuzaki.
Quando gli fu di fronte e lo guardò dritto negli occhi, capì definitivamente che il Light che aveva conosciuto in quei giorni d’estate e di primo autunno non aveva nulla a che vedere con il mostro sarcastico e vomitevolmente soddisfatto che le stava di fronte: fra le sue prime vittime, Kira aveva scelto di divorare proprio l’anima di Light.
 
I can feel the shadow creeping in my mind
Don’t close your eyes!
 
Osservando quello sguardo rossastro e vagamente maniacale, avvertì a un tratto una sensazione mai provata prima, se non il giorno in cui Elle aveva chiuso gli occhi di fronte a lei, con il rischio di non riaprirli mai più: prima che potesse davvero rendersene conto, capì che la sua mente era invasa da un suono stranissimo, simile a una qualche musica delirante e invasata…riflettendoci con attenzione, non poté che paragonarla alla vibrazione prodotta dalle corde di strumenti ad arco, intenti a inseguirsi l’un l’altro in una danza macabra e inquietante.
Con un leggero sorrisetto, finì per pensare che somigliava a una sorta di dichiarazione di guerra, oltre che a un presentimento di morte improvviso.  
“Grazie per essere venuto” lo accolse Ruri, perfettamente calma.
“Grazie per avermi chiamato” ribatté il giovane, molto educatamente “Eravamo molto preoccupati per te, Ruri. Ci hai fatti stare in pena”.
“Sì, lo immagino” replicò la profiler, il tono gelido.
“Devo riconoscere che mi hai sorpreso” ammise Light, senza cancellare il suo sorriso “Non mi aspettavo che mi avresti chiesto di vedermi da sola…perché non hai voluto incontrarmi insieme al resto del quartier generale?”.
“Che c’è, Yagami? Non ti senti sicuro senza l’appoggio di papà e amici?” lo canzonò Ruri “O pensavi realmente che fossi pronta ad arrendermi sul tuo conto?”.
Light si pronunciò in una risatina soddisfatta, scuotendo appena la testa.
“Ancora con questa storia? Tutto quello che hai visto con i tuoi occhi non ti è bastato per capire che ti sei sbagliata fin dall’inizio, su di me?” le domandò, alzando un sopracciglio.
“In effetti, non posso darti del tutto torto. Non avrei pensato che saresti sceso così in basso, volendo essere sincera” seguitò Ruri “Hai coinvolto in questa storia più persone di quanto non ti avrei ritenuto capace, e hai giocato molto bene alcune carte di cui non credevo fossi neanche in possesso. Sei stato bravo a camuffare tutto in modo da crearti un alibi convincente; ma adesso le cose sono cambiate, Light Yagami”.
 
Death surrounds
My heartbeat’s slowing down
I won’t take this world’s abuse
I won’t give up, I refuse!

This is how it feels when you’re bent and broken
This is how it feels when your dignity’s stolen
When everything you love is leaving
You hold on to what you believe in

 
“E come? Al telefono mi hai detto di voler andare fino in fondo con la storia dei tredici giorni, e di volerla verificare, proprio come aveva in mente di fare il tuo caro Ryuzaki, prima che quello shinigami se ne occupasse…”.
“E tu come fai a sapere che è stato Rem a uccidere Ryuzaki?” lo interruppe di colpo Ruri, fissandolo dritto negli occhi.
Light rimase in silenzio per qualche istante, prima di replicare.
“Solo lui poteva conoscere il suo nome e ucciderlo…chi altri avrebbe potuto farlo, altrimenti?” le chiese Light, gesticolando con la massima naturalezza.
“Già, chi…?” rifletté Ruri, sorridendogli in modo provocatorio “Ma quello che mi domando è come tu sia giunto a una conclusione simile: dopotutto, dovrai aver pensato che Rem avesse qualche motivo in particolare per uccidere Elle…magari gli dava fastidio, o meglio…magari rischiava di fare del male a qualcuno a cui era legato da un affetto che normalmente uno shinigami non si ritrova a provare. E magari si trattava di Misa Amane, chi può dirlo…immagino che il tuo amico Ryuk non sia avvezzo a simili carinerie, nei tuoi confronti”.
Gli occhi di Light si spalancarono a un tratto, prima di riassumere la loro espressione aggressiva e feroce; adesso il suo volto era privo di sorriso.
“Non so di chi tu stia parlando” le disse, gelidamente.
“Parlo dello shinigami che ti svolazza intorno e che, con ogni probabilità, è qui anche in questo momento, visto che deve seguirti ovunque tu vada, dato che possiedi un Death Note. È un tipo curioso, non è vero? Ed è incredibilmente intrigato da tutta questa vicenda” ribatté Ruri, accennando con il capo allo spazio vuoto alle sue spalle.
Light le rivolse un altro sguardo omicida, l’espressione colma di ribrezzo.
“Ti ripeto che non so di cosa tu stia parlando. La morte del tuo adorato detective deve averti fuso il cervello”.
“Così come lo ha fuso a te” replicò Ruri, estraendo fulmineamente il suo telefono dalla tasca e facendo partire la registrazione che lo incriminava.
Quando ebbe terminato, gli occhi di Light erano colmi di un sentimento a metà fra l’indignazione e la gioia maligna.
“Sei molto più ingenua di quanto pensassi, Ruri…credevi che non avrei previsto che mi avresti messo i bastoni fra le ruote? Credevi che mi fossi illuso che non ti saresti più impicciata di ciò che non ti riguardava?!” le si rivolse, alzando il tono di voce.
“Non m’importa un cazzo di quello che credevi, Yagami. Ti ho incastrato, e ti consegnerò a chi di dovere: sei finito, figlio di puttana” ringhiò Ruri, rimettendo il cellulare in tasca.
“Pensi che una semplice criminologa possa contrastare l’operato di un’entità come Kira? Pensi che davvero mi lascerò mettere con le spalle al muro da una come te?! Dopo che il tuo piccolo investigatore privato si è finalmente tolto dai piedi, dopo che ho già vinto?!” iniziò a sbraitare Light, con immensa soddisfazione.
“Posso prendere le tue parole come un’ulteriore confessione, Kira?!” lo provocò ulteriormente Ruri, quasi esaltata da quella conversazione.
“Che importanza può avere?! Sei stata così maledettamente stupida da credere di potermi affrontare senza l’aiuto di nessuno, e mi hai reso soltanto le cose più facili. Seriamente, non pensavi che ti avrei ritenuta sufficientemente inoffensiva da lasciarti vivere, vero? Meriti di essere giustiziata anche soltanto per aver pensato di poter disubbidire al mio potere e alla mia giustizia!!” esclamò Light, facendosi travolgere dall’ennesima risata.
“E credi davvero di poterlo fare? Non hai quello che ti serve per farmi fuori, Yagami. Arrenditi e facciamola finita: non ho paura di te e non esiterò a procedere com’è giusto che faccia. Entro una settimana, finirai sul patibolo” dichiarò la ragazza.
 
The last thing I heard was you whispering goodbye
And then I heard you flat line

No, not gonna die tonight
We're gonna stand and fight forever
(Don’t close your eyes)
No, not gonna die tonight
We're gonna fight for us together
No, we’re not gonna die tonight

 
In quel momento, la schiena le venne attraversata da uno strano brivido: fu allora che Light scoppiò a ridere in modo maniacale, guardandola negli occhi con espressione malignamente felice.
“Devo ammettere che ci sono stati dei momenti in cui mi hai quasi fatto tenerezza, Ruri…la povera, piccola, patetica profiler dell’FBI intenta a piangere sul corpo del suo amato detective. Il grande, geniale, imbattibile Elle…ucciso da una cosa così piccola, così patetica, così rara come i sentimenti di uno shinigami. Riesci a crederci? Eppure, avrei dovuto capire fin dall’inizio che Misa avrebbe finito per tornarmi utile…”.
“Hai mai pensato che è proprio quella cosa che definisci piccola, patetica e stupida a salvarti il culo, Yagami? Hai mai pensato che se Misa non ti avesse amato, oggi probabilmente avresti già detto addio al tuo collo?” lo incalzò Ruri, velenosamente.
“Risparmiami la morale su quella penosa imitazione di donna: Misa non è altro che una sciacquetta facilmente manipolabile, anche se si è dimostrata molto utile alla mia causa. Devo ammettere che averla dalla mia parte è stato un vero colpo di fortuna…il suo amore per me ha portato persino un essere di un altro mondo a commettere l’omicidio a cui tanto ambivo, non è incredibile?” sghignazzò Light, fissandola di nuovo dritto negli occhi “Immagino che ti manchi, non è vero? Il tuo adorato Elle…sai, anche io ero pronto a scommettere che non avresti più pronunciato una parola. La tua disperazione è stata davvero illuminante, Ruri: hai reso la mia vittoria ancor più intrigante e soddisfacente”.
Ruri strinse i denti, trattenendosi dall’estrarre la pistola.
“Ridi pure quanto vuoi, Yagami, ma adesso non hai più vie di scampo: sei un uomo morto, qualsiasi cosa tu dica o faccia”.
“Io non credo proprio. Eri davvero convinta di potermi sconfiggere…Natsumi Williams?”.
 
Break their hold
'Cause I won’t be controlled
They can’t keep their chains on me
When the truth has set me free

This is how it feels when you take your life back
This is how it feels when you finally fight back
When life pushes me I push harder
What doesn’t kill me makes me stronger

 
Fu un momento: il sentirlo pronunciare il suo vero nome quasi le fece fermare il cuore, portandola a bloccarsi di colpo, la schiena attraversata da innumerevoli brividi di paura e di freddo. Ma com’era possibile…?
“Sorpresa, eh?” ghignò Light “Eri davvero convinta che non avrei svolto qualche ricerca sul tuo conto? Dopotutto, quando ho giustiziato tuo padre, ero consapevole del passato che aveva alle spalle, o non gli avrei impedito di continuare a vivere…ora che ci penso, non mi hai mai ringraziato per averlo spedito all’altro mondo. Un po’ ingrato da parte tua, non trovi? Ad ogni modo, accedere ai suoi dati personali tramite il computer non è stato così difficile come avrei immaginato, ma sfortunatamente non c’erano fotografie della sua famiglia…fin quando non sono riuscito a risalire a una vecchia immagine d’archivio, che Misa non ha esitato a visionare immediatamente, subito prima di scrivere il tuo nome sul suo Death Note. Devo riconoscere che non sei cambiata troppo, rispetto a quando eri una bambina…ma va anche ammesso che ti sei nascosta molto bene, nel corso degli anni. Ma forse non così bene come ritenevi: pensavi seriamente di poter sfuggire al giudizio di Kira?”.
Ruri continuò a fissarlo in silenzio, del tutto impietrita: adesso lo sapeva.
Era del tutto finita.
Light gettò uno sguardo beffardo all’orologio, per poi sorriderle di nuovo.
“Hai fatto un grosso errore ad affrontarmi da sola, Williams…d’altro canto, adesso il quartier generale risponde a me, e non a una patetica criminologa che non è altro che l’ombra di se stessa. Sai, ora che ci penso è ironico che tu abbia scelto proprio questo orario, ma la cosa mi appaga molto: non speravo di poter assistere anche alla tua morte”.
Prima che Ruri potesse replicare, Light lanciò un’altra occhiata al polso.
“Le 17.39…direi che ti resta poco più di un minuto da vivere. Ma non ringraziarmi per questo: finalmente, rivedrai il tuo adorato Elle. Non era quello a cui ambivi di più?”.
D’un tratto, la testa le divenne vuota, completamente vuota.
Dunque, era così che doveva finire: esattamente come non avrebbe mai immaginato, esattamente come non pensava sarebbe mai potuta concludersi quella vicenda.
In contatto audio, udì Elle dare ordini concitati e gelidi a Watari e al resto della squadra, ma non udì le sue parole: in fondo, poteva comunque affermare che sentire la sua voce, in punto di morte, avrebbe lo stesso rappresentato una consolazione.
Ad un tratto, ripensò alla sua bambina e non poté fare a meno di sentirsi dispiaciuta per lei; non l’avrebbe mai conosciuta e non avrebbe mai più potuto dire a Elle che aveva già pensato a come chiamarla…
“Ancora quaranta secondi” la informò Light, con l’ennesimo sorriso soddisfatto “Devo riconoscere che non mi aspettavo una vittoria così schiacciante: da quanto mi pare di aver capito, sei incinta del piccolo bastardo di quel piantagrane, non è vero? Che splendido quadretto…spero che vi godrete al meglio lo spettacolo della mia vittoria, nell’aldilà. Peccato che vi perderete la nascita di un nuovo mondo…d’altro canto, questo è quello che spetta ai traditori del mio dominio”.
Quaranta secondi. Quanto possono essere lunghi, quaranta secondi prima della fine? Quante cose si possono dire, fare, pensare, scongiurare nell’arco di quaranta secondi? Quante voci, quanti ricordi, quanti volti, quanti colori, quanti profumi possono rincorrersi nella tua mente, nel tuo cuore, in ogni profondità del tuo essere? Il viso di Elle le vorticò di fronte alla vista, e, per un momento, non poté fare altro che sorridere.
Forse era giusto così. Forse le cose dovevano andare in quel modo. Forse era necessario, affinché Kira perdesse definitivamente: avrebbe voluto dirgli che si sbagliava di grosso, che Elle aveva vinto, che lo avrebbe completamente annientato di lì a qualche istante, ma sapeva che non sarebbe stata ancora di quel mondo per godersi la scena, così preferì tacere.
Meglio lasciare quell’individuo a crogiolarsi nelle sue folli illusioni: lo scontro con la verità gli avrebbe fatto ancora più male.
E infine, lo vide pronunciarsi nel suo ultimo sorriso.
“Trentacinque…trentasei…trentasette…trentotto…trentanove…”.
Udì alcuni passi concitati dietro di sé, ma capì che era ormai troppo tardi.
Chissà, forse, dopotutto, sarebbe comunque andata bene: in un altro luogo, in un altro mondo, in un altro posto, dove lei ed Elle sarebbero stati di nuovo divisi…ma comunque vincitori. Forse dovevano pagare, per il loro trionfo. Forse era giusto così. Forse non c’erano alternative.
“Adesso ho vinto io!!” gridò Light.
Quaranta.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: ………………………………………………..che posso dire??? SORPRESAAAAAAA!!!! *i lettori prendono le asce lasciate da parte in precedenza e si mettono a inseguire Victoria* AIUTOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!! Ok, ok, state caaaaaalmi e prendete un bel respiro! Stavolta non vi anticipo un cavolo di niente, ma ricordatevi sempre che ‘Sugar and Pain’ è piena di sorprese, no? Ergo, potrei anche sorprendervi con la morte di Ruri…non ve l’aspettavate, eh?? NO, NO, NO, NIENTE LANCIAFIAMME!!! No, ok, davvero, vi consiglio di nuovo di aspettare il prossimo capitolo: occhio agli aggiornamenti, farò il possibile per tornare presto :D Una piccola nota, prima che mi chiediate spiegazioni: ho pensato che Rem tecnicamente non sarebbe più costretto a seguire Light in quanto lui non è materialmente in possesso del Death Note (ho giocato un po’ sulle differenze fra possesso e proprietà, per esigenze di copione), è per questo che lo vediamo insieme a Ruri e ad Elle nella base dell’orfanotrofio (ah, a proposito: so che molti di voi mi diranno che Rem in realtà è una femmina, ma ho confermato questo dubbio solo dopo essermi sempre riferita a lui al maschile, e non mi andava di correggere il tutto XD abbiate pietà di me). Bene, come avrete notato le canzoni di questo capitolo erano eccezionalmente due: ‘The Scientist’ dei Coldplay e ‘Not gonna die’ degli Skillet, il cui testo non è riportato completamente (il resto al prossimo capitolo). Per questa seconda canzone in particolare devo ringraziare infinitamente Lilian Potter in Malfoy per avermela consegnata, l’ho trovata subito perfetta per questa scena, anche se non sono riuscita a descrivere il tutto, visto che l’ho scritto di getto come al solito…lo so, era un autentico schifo, massacratemi pure. Io devo ringraziare infinitamente, oltre alla stessa Lilian, anche Zakurio (bentornata, cara!), SelflessGuard, Robyn98 e MaryYagami_46 per aver recensito lo scorso capitolo! Io vi lascio in sospeso sospesissimo e vi assicuro che farò del mio meglio per aggiornare il prima possibile!! Un bacione, Victoria  

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Capitolo 28
*** How to save a life ***


Capitolo 28- How to save a life
 
Sensazione di soffocamento. Gelo all’altezza del petto. Vertigini. Improvvisa incapacità di mantenere l’equilibrio. Dolore sordo, acuto, indescrivibile. Mancanza d’aria, vista annebbiata, qualche convulsione. Poi, pian piano, il dolore si affievolisce. È così che ci si sente, quando il tuo cuore smette di battere. Era così che si era sentita, qualche mese prima, quando Elle aveva fatto per andarle incontro, quando era stata convinta che fosse il suo ultimo momento di vita. Era quella sensazione che le era divenuta persino familiare, visto che le si era trovata a un passo in numerose occasioni, fin da bambina, anche se mai l’aveva provata in modo così intenso sulla sua pelle, prima di quel giorno. Ed era questo che avrebbe sentito in quel preciso istante, allo scoccare del quarantesimo secondo, allo scoccare del momento prescelto. Aveva chiuso gli occhi, pronta per andarsene, pronta per affrontare quell’ultimo frammento di dolore, pronta per dire addio, forse solo con un po’ di rammarico, al pensiero di Elle e della sua bambina, accompagnata dall’idea che non fosse comunque giusto che il prezzo della giustizia fosse la famiglia che non avevano avuto modo di costruire…ma infine, doveva rassegnarsi. Non si sfuggiva al potere del Death Note, perciò tanto valeva rassegnarsi alla morte.
Ma la morte non venne.
Sentiva ancora i rumori che la circondavano, sentiva i passi dietro di sé, sentiva l’odore della pioggia e il frastuono del temporale in avvicinamento; sentiva i polmoni intenti a bearsi della fragranza dell’aria, le prime gocce di pioggia sul viso, il vento fra i capelli. Sentiva la vita scorrerle addosso, come se non fosse cambiato niente.
Aprì gli occhi, credendo di trovarsi in un posto diverso e di poter ammirare di nuovo i volti di Daniel ed Eliza, ma tutto quello che vide fu l’espressione inorridita e attonita di Light, che era a un tratto sbiancato, e le cui membra erano persino attraversate da un tremito quasi impercettibile, eppure evidente al suo sguardo.
Ancora incredula, ricambiò il suo sguardo, finendo per fissarsi appena le mani, incapace di credere a quello che stava succedendo: era passato più di un minuto…e non era morta.
Non era morta!
Un improvviso movimento nel suo basso ventre glielo confermò, facendole venire persino voglia di scoppiare a ridere e di piangere in simultanea: il suo cuore batteva ancora, come le venne confermato dall’improvvisa accelerazione della sua stessa frequenza.
Non sapeva come, ma era sopravvissuta: Light aveva perso definitivamente.
Prima che potesse rivolgergli di nuovo la parola, improvvisamente lo vide impallidire ancor di più, gli occhi castani, ormai velati da quell’ombra rossastra sempre più forte e persistente, d’un tratto fissi alle sue spalle: voltandosi appena, capì la ragione del suo improvviso panico.
Elle stava avanzando verso di loro con passo felpato e fulmineo a un tempo, le mani saldamente ancorate nella tasche e gli occhi ebanini fissi sul suo nemico, socchiusi in un’espressione di odio e di puro trionfo: prima che potesse rendersene conto, era accanto a lei.
La sua presenza fu come una nuova ventata d’ossigeno nei polmoni.
“T-tu…!!!!” gridò a un tratto Light, indicandolo con sguardo febbrile “TU…!!!!”.
“Io” annuì Elle, continuando a scrutarlo con disprezzo “Ti sono mancato, Yagami?”.
“N-no!!! Non è vero…non è possibile!!!” strepitò Light, indietreggiando di qualche passo.
“Vai da qualche parte?” intervenne Ruri, estraendo di colpo la sua pistola “Io non credo proprio”.
“NON È VERO!!!” gridò Kira, la voce connotata da una voce stridula ed isterica “Non è vero…non è possibile!!! N-non…”.
“Più possibile di quanto potresti immaginare” lo contraddisse Elle, con tono annoiato “Ma devo confessare che mi hai profondamente deluso: da quando ti ho fatto credere di essere morto, ti sei proprio lasciato andare, Yagami. Chissà, forse avresti persino potuto vincere, se non fossi stato così sicuro delle tue possibilità e delle tue doti…superlative, senz’altro, ma evidentemente non abbastanza”.
“Tu…tu eri morto!!!” protestò Light, le mani a un tratto tese intorno al collo, dove la cravatta lo stava visibilmente strangolando “Ti ho visto morire, sei morto di fronte ai miei occhi!! Questa…questa è solo una trappola! Una trappola che voi due avete architettato per incastrarmi e per farmi dire quello che volevate!!!”.
“Non mi pare che qualcuno ti abbia obbligato sotto tortura a sghignazzare sulla tomba di Elle” precisò Ruri, puntandogli ancora contro la pistola “Non aggrapparti a scuse e a soluzioni ridicole in un momento come questo, Yagami: stai solo rendendo più patetica la tua sconfitta”.
 
The last thing I heard was you whispering goodbye
And then I heard you flat line

No, not gonna die tonight
We’re gonna stand and fight forever
(Don’t close your eyes)
No, not gonna die tonight
We're gonna fight for us together
No, we’re not gonna die tonight

 
“Siete…siete solo…non è vero!!!” continuò a ripetere, in preda al panico “Non è possibile!”.
“Certo che lo è”.
La voce di Rem lo fece sbiancare ulteriormente; lo shinigami iniziò ad avanzare verso di loro, con passo greve e lento, gli occhi giallastri appena socchiusi del tutto concentrato sulla figura di Light.
“Sei…sei stato tu!!! Tu li hai aiutati a fare questo!!!” gridò Light, additandolo teatralmente “Tu li hai aiutati a incastrarmi!”.
“Non ad incastrarti: solo a svelare la verità sul tuo conto, Light Yagami. Credevi davvero che ti avrei permesso di prenderti gioco di me, e di continuare a sfruttare l’esistenza di Misa a tuo piacimento? Mi sembrava di averti già detto che non ti avrei permesso di farle del male, e ho mantenuto la mia promessa. Sei tu che ti sei ritenuto troppo furbo, talmente furbo da pensare che il tuo gioco non potesse essere scoperto” lo gelò Rem, con espressione omicida “Ruri ha capito subito come stavano le cose”.
Lo sguardo di Light saettò fulmineamente in direzione della ragazza, che si limitò a sorridergli beffardamente.
“E non c’è voluto molto perché lei e Ryuzaki mi convincessero a passare dalla loro parte. Un buon affare: la tua vita per quella di Misa. Non ho esitato un solo istante”.
Prima che Kira potesse aprire bocca per rispondere, nuovi rumori intorno a loro destarono la sua attenzione, portandolo a voltarsi freneticamente sia a destra che a sinistra: dagli ingressi secondari del cimitero erano emerse le figure di Soichiro, Watari, Ayber, Wedy, Mogi, Aizawa, Matsuda, Robin e Misa. Tutti i poliziotti, oltre a Wedy, Watari e Ayber stavano impugnando la pistola, mentre Misa avanzava sospinta da Robin, il volto inondato di lacrime.
“Light!!” strepitò subito la bionda, non appena lo ebbe visto “Ti giuro che ho fatto come mi avevi detto!!”.
“STA’ ZITTA!!!” le sbraitò contro Light, ignorando lo sguardo disperato e deluso del padre, che non cessava di trapassarlo da pare a parte “CHIUDI QUELLA BOCCA, IO NON SO NEANCHE DI COSA TU STIA PARLANDO!!!”.
“È curioso, perché poco fa mi sembrava proprio che avessi detto di aver ordinato a Misa di scrivere il mio nome sul suo Death Note…lo stesso Death Note di cui non eravamo a conoscenza piena” replicò Ruri, mentre tutti gli altri provvedevano a tenerlo sotto tiro.
“Stai…stai mentendo!!!” gridò Light, la voce ancora stridula.
“Ah, ma davvero? Credevi seriamente che fossi stata così stupida da venire in questo cimitero da sola, Yagami? Credevi che non avessimo compagnia e che nessun altro stesse ascoltando la nostra conversazione? Com’era quella frase che hai detto…ah, sì! ‘La morte di Elle ti ha fottuto il cervello’. Direi che non potevi usare un’espressione più adatta” ribatté Ruri.
“Light…”.
La voce di Soichiro si fece largo in mezzo al silenzio appena creatosi: voltandosi di scatto verso di lui, il ragazzo poté vedere che aveva gli occhi lucidi, malgrado la presa sull’arma fosse sempre solida.
“Light…non…non voglio credere che questo sia vero. Dammi…dammi una ragione per cui io possa credere che non è vero…”.
Light ricambiò la sua occhiata, ma sul suo volto non c’erano più tracce del figlio che il sovrintendente una volta conosceva: davanti a lui, c’era solo lo sguardo omicida di un folle.
“È solo…una…trappola!!!” gridò infine, indietreggiando e cercando una via di fuga.
Ma ovunque si girasse, il passo gli veniva sbarrato dalla squadra del quartier generale, che incombeva intorno a lui, fra le tombe, bloccandogli la strada e stringendolo in un cerchio claustrofobico.
“Non è possibile…” singhiozzò improvvisamente Misa, gli occhi arrossati e gonfi “R-Rem…c-come hai potuto farci questo?!?”.
Lo shinigami la osservò tristemente, sospirando appena.
“L’ho fatto proprio perché volevo proteggerti, Misa. Non saresti mai stata al sicuro con Light Yagami, e non saresti stata felice” mormorò lentamente.
“NON È VERO!!!” urlò Misa, cercando di divincolarsi dalla presa di Robin “Lui mi ama!! Avremmo costruito qualcosa di bello insieme, saremmo stati la coppia più bella e più solida del mondo!! Come hai potuto distruggere tutto questo?!”.
“La coppia più bella e più stabile del mondo?!?” ripeté Ruri, continuando a tenere d’occhio Light ma volgendosi anche verso di lei “Misa, ma lo senti, quando parla?! Non hai sentito quello che ha detto su di te, poco fa? Tu sei stata solo lo strumento per realizzare il suo obiettivo, un bieco mezzo per raggiungere un fine! Ti ha usata e ha sfruttato il tuo amore fin da quando vi siete conosciuti, si è permesso di adoperare l’affetto che Rem provava per te per farsi strada!! Perché credi che fosse contento d’averlo fuori dai piedi?! Perché così avrebbe potuto gettarti via come un giocattolo, quando non gli fossi servita più, senza che nessuno lo intralciasse!!”.
“BUGIARDA!!! LIGHT…LIGHT MI AMA E NON MI AVREBBE MAI FATTO DEL MALE!!! Avete…avete distrutto tutto quanto!!!” gridò ancora la bionda, scoppiando nuovamente in lacrime.
“Adesso basta” intervenne Aizawa.
Fra tutti i poliziotti, sembrava quello con la presenza più stabile: il sovrintendente non riusciva a staccare lo sguardo da Light, ancora incredulo per quello a cui aveva assistito, Mogi stava ancora cercando di calmare la sua indignazione, e Matsuda non poteva far altro che fissare quello che riteneva un amico con un’espressione carica di odio e di sgomento.
“Light, hai perso. La vittoria è di Elle…e di Ruri. Hai ammesso di aver cercato di uccidere Ruri  con il Death Note, e hai riconosciuto apertamente di essere Kira e di aver gioito della morte di Ryuzaki: se questa non è una confessione, non so cosa potrebbe esserlo” proseguì, facendo per avanzare “Ti dichiaro in arresto: adesso è finita”.
Vedendolo avanzare verso di lui, Light estrasse fulmineamente una pistola dall’interno della giacca, puntandosela alla tempia con espressione maniacale.
“FERMO!!!” gridò d’istinto Soichiro, con tono disperato “Ti prego, Light, aspetta!!!”.
“Tuo figlio è già morto!!!” lo derise Light, scoppiandogli a ridere in faccia “Soichiro Yagami, credevi veramente che il tuo adorato figlioletto non avesse calcolato tutto?! Credevi veramente che fosse incapace di uccidere, credevi di poter confermare la sua innocenza?! Hai voluto credere che fossi l’essere umano impeccabile a cui tanto aspiravi, hai voluto che fossi ciò che tu non eri mai riuscito ad essere! Ora guarda!”.
“BUTTA QUELLA CAZZO DI PISTOLA E NON FARE SCEMENZE!!” lo minacciò Ruri, togliendo la sicura alla sua arma.
“LIGHT, NOOO!!!”.
La voce di Misa li destò improvvisamente da quella tensione: prima che potessero rendersene materialmente conto, la bionda era infine riuscita a divincolarsi dalla presa di Robin, e gli era corsa incontro, nel tentativo di impedirgli di uccidersi.
“MISA, FERMATI!!!” le urlò Ruri, avanzando di un passo.
Ma era già tardi: prima che potessero fermarla, Misa si era lanciata addosso a Light. A quel punto, il ragazzo non esitò a circondarle il collo con un braccio, costringendola contro il suo torace e puntandole contro la pistola.
“NO!!” urlò Rem, lo sguardo sconvolto.
“NON MUOVETE UN MUSCOLO!!!” sbraitò Light, il volto attraversato dall’ormai abituale vena folle “VI GIURO CHE NON ESITERÒ!!”.
“Stai calmo, Yagami!” lo esortò Elle, malgrado la tensione fosse impressa nella sua voce “Adesso calmati, d’accordo? Possiamo discuterne!”.
Discuterne?! Adesso chi è che suona patetico?!” gli sputò contro Light.
Fu allora che la sua risata tornò a invadere il cimitero, com’era successo il giorno del funerale di Elle: osservando gli occhi rossi e senz’anima del figlio, Soichiro crollò definitivamente a terra, sorretto appena da Watari.
In quell’istante, Rem afferrò fulmineo il suo Death Note, facendo per iniziare a scrivere, quando la voce spezzata e singhiozzante di Misa gli fece alzare nuovamente gli occhi.
“T-ti prego, R-Rem…non lo fare! Non uccidere Light…non portarmelo via! Se vuoi uccidere qualcuno, uccidi me…uccidi me! La colpa è mia, è solo mia…”.
Il pianto straziante della ragazza lo portò ad arrestarsi, fissandola con sguardo colpevole e addolorato.
“Misa…io volevo solo aiutarti…” mormorò debolmente, lo sguardo al suolo.
“Non è colpa tua, Misa” intervenne Robin, affiancandosi a Ruri e a Elle, le mani strette intorno a un quaderno dalla copertina nera, che i due dedussero immediatamente essere il secondo fantomatico Death Note.
Subito dopo averlo toccato, entrambi poterono scorgere la figura di un nuovo shinigami, completamente nero, che osservava la scena sghignazzando, quasi soddisfatto.
“Quello è…” mormorò appena Ruri.
“Ryuk” annuì Robin, sfogliando le pagine malefiche fino a quelle che le interessava.
Non appena ebbe sollevato il Death Note, tutti loro poterono vedere che vi era scritto sopra il vero nome di Ruri, accanto al decesso stabilito per le 17.40 di quel giorno.
“Ma…ma non è possibile…” mormorò Ruri “Dovrei essere…”.
In quel preciso istante, Rem strabuzzò gli occhi, fissandola dritto in volto, come colto da un pensiero improvviso.
“Ruri, il tuo cuore…tu…il cuore che hai nel petto…non è quello con cui sei venuta al mondo, non è vero?” le domandò, con improvvisa frenesia.
“No…” rispose lentamente Ruri, perplessa “Ho…ho subito un trapianto cardiaco. Ma questo che cosa c’entra, scusa?”.
“C’entra eccome!” rise malignamente Ryuk, sollevandosi appena da terra “Quella roba non funziona con te, ragazza: almeno, non può funzionare se ad usare il Death Note è un essere umano. In altre parole, chi non ha un cuore suo nel petto può essere ucciso solo da uno shinigami, proprio perché la persona a cui apparteneva quel cuore è già morta. Che incredibile scherzo del destino! Sembra proprio che fossi destinato a perdere, eh, Light?”.
“Tanto non ha più importanza!” seguitò Light, indietreggiando lentamente e trascinando Misa con sé “Non mi avrete e non avrete questa sgualdrina ingenua! Coraggio, perché non provate ad arrestarmi? Avete vinto soltanto perché uno stupido shinigami si è preso una cotta per quest’insulsa imitazione di donna, avete vinto soltanto perché avete avuto compassione per la causa di questa bambina infelice e ingenua! Vediamo se quel mostro sarà ancora ben disposto ad aiutarvi, quando le avrò fatto un buco in testa!!”.
“Light, metti via quella pistola. Possiamo arrivare a una soluzione: ti prego, metti via quella pistola…” lo supplicò suo padre, incapace di alzarsi di nuovo.
“CHIUDI QUELLA BOCCA, VECCHIO!!!” lo derise Light, togliendo la sicura alla pistola “Avete semplicemente distrutto la possibilità di avere un mondo migliore! È vero, io sono Kira…e con questo?! Volete uccidermi? Siete proprio sicuri che sia la scelta migliore? Volete sbarazzarvi del Dio del nuovo mondo? Forse non è troppo tardi per prostrarvi a me, se ascolterete le mie parole…potrei persino risparmiarvi! Dopotutto, abbiamo le stesse idee su molti fronti: il mondo è marcio, schifoso e purulento, ed è pieno di gente corrotta. E qualcuno doveva pure eliminarla!!”.
Parlava in modo febbrile, gli occhi rossi che continuavano a saettare in tutte le direzioni, mentre Misa non smetteva di piangere per la paura e la disperazione.
“Appena ho preso in mano il quaderno, ho pensato che sarei stato l’unico ad averne la possibilità, o meglio…che soltanto io ne sarei stato capace. Sono consapevole del fatto che uccidere sia un crimine!!!!!! Ma era l’unico modo per redimere il mondo!!!! Dovevo…dovevo adempiere alla mia missione!!! Solo io potevo riuscirci…”.
La sua voce si alzò nuovamente, acquisendo di nuovo un connotato stridulo e maniacale.
“CHI ALTRI POTEVA FARLO?!? CHI POTEVA ARRIVARE A QUESTO PUNTO?!? CHI POTEVA COMPLETARE LA MIA OPERA…No…solo io…solo io potevo farlo…”.
Dopo un lungo silenzio, intervallato solo dal respiro ansimante di Kira, Elle riprese la parola.
“Ti sbagli, Yagami. Tu non sei un Dio: sei solo un assassino. E quel quaderno non è altro che la peggiore arma di distruzione che sia mai apparsa sulla Terra. Tu sei solamente uno psicopatico, che crede di poter dominare un mondo che non esiste, accostandosi a una sorta di divinità che non ha alcuna ragione di vita. Ecco che cosa sei. E adesso getta quella pistola e lascia andare Misa: le hai già fatto abbastanza del male”.
“Se finisce così, lei viene con me!!” gridò Light, le dita ormai vicine a premere il grilletto.
“ASPETTA!!!” lo fermò Ruri “Hai un’altra possibilità!!”.
“TU CHIUDI QUELLA FOGNA, MALEDETTA PUTTANA!!! È SOLO COLPA TUA SE SIAMO ARRIVATI A QUESTO PUNTO!!!” sbraitò Light, stringendo di più la presa intorno al collo di Misa.
“Infatti!!” confermò Ruri, gettando a terra la pistola e alzando le braccia “È proprio per questo, Light: se devi sparare a qualcuno, spara a me!”.
Il silenzio che seguì quelle parole fu più pesante di qualsiasi altro l’avesse mai preceduto.
In maniera impercettibile, Elle la fissò negli occhi, l’espressione concentrata e spaventata a un tempo.
 
Don’t you give up on me
You’re everything I need
This is how it feels when you take your life back
This is how it feels when you fight back

 
“Smettila” le sussurrò, ponendosi più vicino a lei “Non fare sciocchezze!”.
“Spara a me!” proseguì Ruri, ignorandolo “È come hai detto, non trovi? Se non fosse stato per me, avresti vinto. Elle sarebbe morto davvero, e tu saresti riuscito a imbrogliare tutti: sono io che ho intuito l’esistenza dei sentimenti di Rem nei confronti di Misa, sono io che ho convinto Elle a parlare con lui. Comunque vada, hai perso comunque, Light: ma Misa ti è sempre stata vicino, e si è rivelata un’alleata preziosa. Ti ha amato come mai tu hai amato lei, e ha fatto qualsiasi cosa per te: ha mentito, ha ucciso, si è lasciata torturare. Se Elle è stato il tuo nemico, io mi sono rivelata la tua peggiore spina nel fianco: ti ho imbrogliato, ti ho portato alla distruzione. Se vuoi la tua vendetta, dovresti prendertela con me. D’altro canto, tu vuoi solo giustizia”.
Light continuò a guardarla senza replicare, lo sguardo rossastro fisso su di lei.
“Pensa solo a quello che otterrai dalla tua decisione: se sparerai a Misa, non avrai nulla. Ti troverebbero e ti arresterebbero comunque, in un modo o nell’altro, o magari potrebbe essere il tuo amico shinigami a ucciderti, visto che ora probabilmente non lo divertirai più. E ora rifletti su quello che avrai sparando a me: tu volevi Elle morto più di qualsiasi altra cosa al mondo. Lo volevi distrutto, lo volevi in ginocchio, lo volevi piegato al tuo volere: adesso più che mai hai potere di vita o di morte sulle persone che ti hanno portato alla rovina”.
“Ruri, smettila…!” cercò d’interromperla Robin, ponendosi di fronte a lei, ma la profiler la spinse via con un gesto deciso.
“Spara a me!” ripeté Ruri, con le mani alzate “Vuoi giustizia, vero? Vuoi che chi ti ha ridotto così paghi e che precipiti all’Inferno? Pensaci un secondo, Yagami: Robin è riuscita a smascherare Misa e l’ha portata fin qui, rivelando definitivamente il tuo gioco. È la mia migliore amica fin da quando eravamo due bambine. Ayber ha aiutato Elle nella sua messinscena, e lo ha portato in un luogo sicuro: è come un fratello, per me. Watari ha provveduto a imbrogliarti con ben due falsi quaderni” proseguì, lasciando cadere a terra il vero Death Note, che aveva nascosto nell’impermeabile fino a quel momento “Io per lui sono come una figlia…”.
“Ruri, basta cazzate! Dacci un taglio!” intervenne anche Ayber, preso dal panico.
Gli occhi azzurrissimi della profiler si spostarono per un secondo sul detective, che poté constatare che erano lievemente lucidi; il suo cuore ebbe un sobbalzo: stava facendo sul serio.
“E il tuo peggior nemico…” seguitò Ruri, prendendo un bel respiro profondo e tornando a fissare Light “Io sono la donna che ama, e sono incinta di sua figlia. Quindi, se vuoi far soffrire loro come soffri tu…spara a me. Sono io il tuo occhio per occhio. Sono io la tua vendetta, Light Yagami”.
Light continuò a fissarla, adesso impassibile: poi, lentamente, cominciò a spostare la traiettoria dell’arma su Ruri, il volto corroso dall’ennesimo sorriso maniacale.
Gli occhi di Elle saettarono in direzione di Ruri, accesi di panico e di paura; dal canto proprio, Ruri lo fissò con serenità, sorridendogli in modo delicato.
“Perdonami…mi dispiace, Elle”.
Lo sparo echeggiò nel cimitero, spezzando quella quiete improvvisa come un colpo di cannone, pronto a porre la parola ‘FINE’ su tutta quella vicenda, che Ruri si era rivelata pronta a tingere con il suo sangue.
Infine, udirono Light urlare.
 
 No, not gonna die tonight
We’re gonna stand and fight forever
(Don’t close your eyes)
No, not gonna die tonight
We're gonna fight for us together
No, we’re not gonna die tonight
No, we’re not gonna die tonight

 
La sua mano colava sangue, appiccicandogli la pelle in un groviglio di disgusto e di calore malsano: approfittando di quel momento di debolezza, Misa era riuscita a liberarsi dalla sua presa e si era precipitata fra le braccia di Ruri, che non aveva esitato ad accoglierla.
“Mi dispiace…” singhiozzò, aggrappandosi alla sua giacca “Mi…mi dispiace…”.
“Va tutto bene” la rassicurò Ruri, stringendola a sé “Va tutto bene, Misa…sei al sicuro. Adesso sei al sicuro…”.
Abbassando lo sguardo, capì cos’era successo realmente: presa dalla paura, Robin le si era gettata addosso, nel tentativo di spingerla via e di pararsi di fronte a lei, per poi finire a terra; in contemporanea, Elle aveva fatto lo stesso. Quella precisa serie di azioni aveva liberato l’adrenalina che Matsuda aveva accumulato fino a quel momento, portandolo a sparare a Light, centrandolo alla mano che impugnava la pistola con mira infallibile e disarmandolo del tutto.
“MALEDETTO IDIOTA!!!” sbraitò Light, sostenendosi la mano ferita “MATSUDA, MA LO SAI A CHI HAI SPARATO?!?! SEI UN PAZZO!!!!”.
“Perché?!?” gli urlò contro Matsuda, con le lacrime che gli rigavano le guance “Perché lo hai fatto?!? Dimmelo, Light!!! Perché?!? Noi ci fidavamo di te!!!”.
“SE NON LO HAI CAPITO DA SOLO, NON VEDO COME POTREI SPIEGARTELO!!! A TE STA DAVVERO BENE UN MONDO CHE PERMETTE TUTTO QUESTO?!?! MA NON CAPISCI?!? SONO LORO I MALVAGI, SONO LORO CHE DEVI AMMAZZARE, NON ME!!!! SPARA!!!”.
Matsuda continuò a tenerlo sotto tiro, la vista quasi annebbiata dal pianto.
“Maledetto bastardo…” disse lentamente, la voce scossa dai singhiozzi “Sei stato tu…sei stato tu fin dall’inizio! Tutto questo tempo senza accorgercene…e Ruri e Ryuzaki hanno sempre avuto ragione su di te!!”.
“E con questo?!?” lo provocò Light, ridendo maniacalmente “Credi che la tua paternale possa intimidirmi, Matsuda? Sei un povero idiota!!”.
“GUARDA CHE COS’HAI FATTO!!!! GUARDA TUTTO QUELLO CHE HAI DISTRUTTO, GUARDA TUO PADRE!!!!!” urlò il poliziotto, indicandogli platealmente il sovrintendente, che non accennava a rialzarsi in piedi, lo sguardo perso nell’erba del cimitero.
Il killer posò lo sguardo su quell’uomo che un tempo aveva chiamato ‘padre’, gli occhi vitrei e apparentemente inespressivi: poi, prima che qualcuno potesse reagire, lo videro scattare in direzione della pistola.
Fu allora che Matsuda aprì di nuovo il fuoco, colpendolo più volte al petto e alle spalle, e mandandolo disteso nelle pozzanghere d’acqua che la pioggia, ormai incombente su di loro, aveva appena formato al suolo: nell’arco di un paio di secondi, il poliziotto stava avanzando verso l’omicida, gli occhi connotati da una vena di pazzia.
“IO TI AMMAZZO, TI AMMAZZO, BASTARDO, TI AMMAZZO!!!!!!” urlò il ragazzo, posizionandosi di fronte al suo avversario e mirando alla testa.
“MATSUDA!!!!”.
Il colpo successivo si conficcò nel terreno, mentre Matsuda veniva tirato indietro da Robin e Aizawa, accorsi per fermarlo: dovette passare qualche altro istante prima che Elle prendesse l’iniziativa, andando verso Mogi e prendendogli dalle mani tese le manette già pronte.
Infine, si chinò sul suo vecchio amico, voltandolo malamente e immobilizzando con quelle piccole catene, l’espressione neutra, attraversata appena da un brivido connesso a una sensazione inspiegabile e indecifrabile.
“Light Yagami, sei ufficialmente in arresto. Sei accusato di omicidio seriale con l’aggravante della crudeltà; se non puoi permetterti una difesa legale, te ne vorrà fornita una” dichiarò, sollevandolo in piedi di peso.
Dopo averlo consegnato definitivamente a Mogi e ad Aizawa, si voltò solo un’ultima volta, richiamandolo indietro.
“Tocca un’altra volta la mia famiglia, e non manterrò il mio consueto autocontrollo. Portatelo via” ordinò infine, prima di tornare a dirigersi verso Ruri.
La ragazza non aveva smesso di consolare Misa per un solo istante, mentre Robin non smetteva di stringere forte Matsuda, cercando di calmare il suo respiro ansimante e il suo pianto sconnesso: era la prima volta che sparava a qualcuno.
“Mi dispiace…” continuava a mormorare Misa “I-io…io volevo s-solo…volevo solo a-aiutarlo…ma n-non dovevo…ho…ho…rischiato…potevo ucciderti!”.
“Questo è inutile negarlo” le sorrise Ruri, facendole alzare lo sguardo “Ma non è successo, e questo è ciò che conta: Misa, non è importante. Non più. Abbiamo già stabilito di non incriminarti, e non lo avremmo fatto comunque”.
“Ma…ma io…ma q-quello che ho fatto…Light…Light mi voleva uccidere! I-io non pensavo…ha d-detto…t-tu…tu saresti morta al posto mio! Gli hai detto di spararti!” singhiozzò la bionda “E io…e io invece…”.
“Misa, adesso devi calmarti. Lo so che è difficilissimo, ma devi cercare di calmarti, va bene? Parleremo più tardi” la rassicurò Ruri, voltandosi verso la sua migliore amica “Robin, puoi portarla a casa? Vorrei che rimanessi con lei per un po’, non mi sento tranquilla a lasciarla da sola…Rem, perché non vai anche tu con lei? Immagino che dovreste parlare un po’…”.
“Certo” annuì lo shinigami, affiancandosi alla ragazza “Vieni, Misa”.
Mentre Robin e Misa, accompagnate da Matsuda e Rem, salivano sulla macchina della polizia poco distante, Ruri si volse di nuovo verso Ryuzaki, aspettando che succedesse qualcosa: prima che potesse rendersene conto, era di nuovo fra le sue braccia, intenta a stringersi a lui come se si fosse trattato di un’ancora di salvezza, lasciandosi finalmente andare a un pianto liberatorio.
“È finita…” le mormorò Elle “Adesso è finita sul serio…”.
Nel momento in cui anche Watari li raggiungeva per unirsi a loro, uno sparo improvviso li costrinse a staccarsi di colpo: il sovrintendente Yagami aveva approfittato dell’attimo di distrazione in cui nessuno gli aveva badato per spararsi alla tempia destra.
Mentre fissava il suo corpo riverso sull’erba smeraldina, ancora stretta contro il petto di Elle, Ruri non poté fare a meno di sospirare pesantemente, del tutto esausta: ancora non poteva credere che tutta quella maledetta storia fosse infine giunta al termine.
 
In seguito, le cose sembrarono andare meglio: dopo l’arresto di Light, gli omicidi di Kira cessarono istantaneamente, ma non venne dato l’annuncio della colpevolezza del ragazzo. Per rispetto nei confronti della famiglia Yagami, Elle stabilì di comunicare ai media soltanto che il colpevole era stato identificato e che, per motivi di sicurezza nazionale, sarebbe stato giustiziato, dopo un processo a porte chiuse, tramite iniezione letale e non tramite impiccagione, con un’esecuzione a cui non avrebbe presieduto nessuno.
Alla signora Yagami e alla piccola Sayu venne semplicemente comunicato che Light e Soichiro erano rimasti uccisi in una sparatoria precedente l’arresto del colpevole, e che la loro morte era stata una tragica fatalità: nessuno avrebbe avuto il coraggio di dire loro come stavano realmente le cose, anche se Elle e Ruri avevano passato diverse ore a discutere su cosa fosse davvero giusto fare nei loro confronti. Per quanto riguardava Misa, dopo settimane di disperazione in cui solo il conforto di Ruri, Robin e Rem sembrarono giovarle, infine sembrava che avesse deciso di rinunciare ancora una volta ai ricordi del Death Note, così da dimenticare gli orrori connessi alla furia omicida di Kira e potersi davvero convincere a sua volta che Light fosse morto da eroe. Consce di questa nuova consapevolezza, Robin e Ruri erano riuscite a convincerla a lasciare il Giappone per un po’, così da prendersi una pausa da tutti quegli eventi così sconvolgenti e dolorosi.
Infine, giunse il giorno dell’esecuzione di Light: era il 31 Dicembre, esattamente un anno dopo il primo incontro fra Ruri ed Elle.
E fu proprio a un’ora dall’esecuzione, mentre la neve continuava a cadere abbondantemente sulla strada di fronte alla prigione di massima sicurezza, che la limousine guidata da Watari si fermò proprio lì di fronte.
L’inglese si voltò verso il sedile posteriore, dove Ruri ed Elle stavano guardando fuori dai rispettivi finestrini, le mani che si sfioravano leggermente.
“Siete sicuri di volerlo fare?” gli domandò, con uno sguardo in tralice.
“Beh, Ruri ha insistito…” gli fece notare Elle, stringendosi nelle spalle.
La sciarpa che aveva intorno al collo gli provocava un certo fastidio: non era abituato ad uscire d’inverno.
“Miss, non è tardi per ripensarci” sospirò Watari, rivolgendosi direttamente a lei “Credo che non sarebbe il caso…non farà bene alla bambina”.
“Sembra che, secondo la sua opinione, niente di quello che io faccia sia appropriato per la bambina” sospirò Ruri con un sorriso, accarezzandosi appena la pancia, ormai evidente, dato che aveva raggiunto i cinque mesi di gestazione “Senta, non è niente, d’accordo? Non ci metteremo moltissimo”.
“Ancora mi domando perché diamine ci tenga così tanto” borbottò Watari.
“Perché questa storia non è del tutto conclusa…non ancora” scosse il capo Ruri, aprendo la portiera “Ci aspetti, ok? Non ci vorrà molto”.
Elle scese a sua volta dall’auto, prendendola per mano e conducendola all’ingresso del carcere: quando furono dentro, non passarono che pochi istanti da quando la guardia di turno li accolse fino a quando li ebbe condotti di fronte alla sala delle visite.
“Solo dieci minuti” li avvisò, con un cenno sbrigativo “L’esecuzione è stata anticipata”.
Ruri annuì, mentre Elle rimaneva impassibile, scivolando nella stanza subito dopo averla fatta passare: senza dire una parola, si sedettero in silenzio di fronte al tavolo predisposto per l’occasione, diviso dall’altro capo da una spessa lastra di vetro antiproiettile, connessa alla parte isolata della stanza solo da un altoparlante specifico.
Dopo appena qualche minuto, Light fece il suo ingresso, scortato da due poliziotti robusti, che lo fecero sedere malamente, per poi squagliarsela dall’uscita secondaria: alla loro vista, il ragazzo non poté che sbarrare gli occhi, incapace di muovere un muscolo.
Alla sua destra, dalla finestra era possibile ammirare i fiocchi di neve che continuavano a tingere d’avorio l’asfalto, trasportando il loro mondo in un’altra dimensione, un po’ come stava accadendo in quella piccola stanza insignificante, dove loro tre non riuscivano a fare altro che fissarsi a vicenda, mentre le dita di Elle non cessavano d’intrecciarsi a quelle di Ruri. Ancora una volta, entrambi si domandarono perché diavolo avessero deciso di venire.
 
Step one, you say we need to talk
He walks you say sit down it's just a talk
He smiles politely back at you
You stare politely right on through
Some sort of window to your right
As he goes left and you stay right
Between the lines of fear and blame
You begin to wonder why you came

 
Fu Light il primo a parlare, malgrado il suo sguardo continuasse a mantenersi fisso sulle manette che gli bloccavano i polsi.
“Siete venuti a godervi lo spettacolo?” pronunciò, con un tono che voleva essere denigratorio, ma che suonò più simile a quello di una persona semplicemente curiosa.
“Volevamo vederti” sospirò Ruri “Insomma…oggi è l’ultimo giorno. Non ci sarà un’altra occasione”.
“Davvero premuroso” replicò Light “Da come la state mettendo, sembra quasi che siamo amici…”.
“A dire il vero” intervenne Elle “Le cose stanno così: noi combattevamo contro Kira, ma eravamo amici di Light Yagami. Lo abbiamo conosciuto, abbiamo vissuto insieme a lui molti momenti che non avevamo mai condiviso con nessun altro, e abbiamo apprezzato la sua compagnia. Volevamo salutarti…dirti che ci dispiace d’aver avuto ragione”.
“Questo sì che è ironico” gli fece notare Light “Mi state chiedendo scusa…?”.
“Non proprio. Diciamo solo che volevamo dirti…che vincere non è stato appagante come ce lo immaginavamo. È più agrodolce di quanto non volessimo ammettere” dichiarò Ruri, stringendosi nelle spalle “E ci chiedevamo…beh…”.
“C’è qualcosa che possiamo fare per te? Qualcosa che possiamo fare per l’amico che avevamo un tempo, se esiste ancora?”.
Sentire Ryuzaki parlare in quel modo gli fece alzare lo sguardo per la prima volta: con loro stupore e piacevole sorpresa, poterono rendersi conto che i suoi occhi sembravano quelli di una volta, ormai privi del bagliore rossastro che tanto avevano odiato.
“Mi piacerebbe che rimaneste. Quando sarà il momento, vorrei…vorrei vedere qualche volto conosciuto. Qualcuno che voglia essere davvero qui, oggi…” mormorò Light “Vorrei che ci foste, quando morirò. Credo…credo che aiuterebbe”.
Prima che potessero replicare, la guardia carceraria rientrò, affermando che era giunto il momento: con uno sguardo terrorizzato, Light si voltò di nuovo verso di loro, quasi supplicandoli, come mai gli era capitato di fare.
Sospirando, Ruri ed Elle si alzarono, rivolgendogli un cenno d’assenso: in fondo, la morte era capace di spaventare chiunque, perfino chi era giunto a credersi un Dio.
 
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all night
Had I known how to save a life

 
Guardarlo morire fu qualcosa di atroce: lo videro chiudere gli occhi, dopo averli fissati per una buona decina di minuti, infine deciso a lasciarsi andare definitivamente, quando infine poterono osservare il suo corpo contrarsi in maniera spasmodica, come se fosse stato trafitto da mille aghi in contemporanea: aveva le mani legate, ma si resero conto che, se avesse potuto, avrebbe finito per portarsi le mani al torace. Quando volsero lo sguardo alla loro sinistra, si accorsero della presenza di Ryuk, che aveva appena terminato di scriverne il nome sul Death Note: dopo aver rivolto loro un sorriso maligno, il demone scomparve definitivamente, dissolvendosi in una nuvola di vapore e portando via con sé l’anima di quel ragazzo intelligente e brillante, convinto di poter divenire un Dio soltanto con la forza della morte.
 
As he begins to raise his voice
You lower yours and grant him one last choice
Drive until you lose the road
Or break with the ones you've followed
He will do one of two things
He will admit to everything
Or he'll say he's just not the same
And you'll begin to wonder why you came

 
Quando infine uscirono dal carcere, Ruri si volse a guardare il detective, gli occhi colmi di lacrime e il respiro appena affannoso.
“So che non puoi capirmi…” sussurrò, scuotendo appena la testa, le guance già bagnate “Neanche io riesco a capirmi…”.
Elle la strinse a sé, lasciando che desse di nuovo sfogo alle lacrime che aveva trattenuto per tanto tempo, triste a sua volta come non lo era da mesi.
“Credo di riuscirci…” le sussurrò alla fine, baciandole appena la chioma bagnata dalla neve “Credo proprio di riuscirci…”.
Dopo un tempo che parve infinito a entrambi, Elle si staccò appena da lei, con espressione stranita.
“Che cos’era?” le domandò, alzando un sopracciglio.
“Cosa?” ribatté Ruri, tirando ancora su col naso.
“Quel colpo che ho sentito…ti stavo abbracciando, e…”.
Ruri gli sorrise dolcemente, spazzandogli via un po’ di neve dai capelli.
“Era la coccinella. Sta iniziando a scalciare: sembra più testarda di suo padre, a volte, sai?”.
 
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all night
Had I known how to save a life

 
Prima che potesse replicare, Elle udì il cellulare vibrargli il cellulare nella tasca dei pantaloni e si affrettò a rispondere, con espressione inquieta.
“Pronto?” disse semplicemente.
“Ryuzaki, sono Ayber. Watari mi ha detto che siete andati all’esecuzione…”.
“Sì, è appena finita. Dimmi pure, Ayber” replicò Elle, con un sospiro.
All’altro capo del telefono, il biondo fece una breve pausa.
“Sei con Ruri, adesso?” gli domandò infine.
“Sì, certo. Ayber, cosa…?”.
“Ricordi quelle informazioni che mi avevi chiesto di cercare sul conto della sua famiglia e su John Williams?” gli chiese, mantenendo il tono di voce basso.
Cercando d’ignorare l’occhiata penetrante che la giovane gli stava lanciando, Elle si affrettò a rispondergli.
“Certo. Hai trovato niente?” ribatté subito.
“Più di quanto potresti immaginare. Se ti dicessi che Williams non era affatto il padre naturale di Ruri, che cosa mi risponderesti?”.
 
How to save a life…
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: …………………………VISTO??? VOI E LE VOSTRE MINACCE DI MORTE!!! Ok, partiamo dal presupposto che il capitolo è stato scritto in poche ore, quindi dire che è la primissima e unica stesura è un eufemismo. Ergo, so già che è frettoloso, tirato via, brutto e palloso, lo so, lo so, e non è affatto un gran finale (anche se non è il finale vero e proprio: mancano ancora due capitoli), ma che posso dire? Così mi è venuto fuori. Lo so che poteva sembrarvi che avessi fretta di concludere, ma in effetti era un po’ voluto. Che altro posso dire? Un autentico SCHIFO, ne sono consapevole e vi chiedo venia, insultatemi pure XD Le canzoni di questo capitolo erano ancora ‘Not gonna die tonight’ degli Skillet e ‘How to save a life’ dei The Fray (avrei voluto prolungare di più il dialogo con Light, ma volevo proprio rendere l’idea che avessero pochissimo tempo…avete presente quando nei film uno sta per morire e passa ore a parlare? Ecco, l’esatto opposto XD). Ringrazio infinitamente SelflessGuard, Lilian Potter in Malfoy (che mi ha minacciato di morte come nessuno XD), MaryYagamy_46, Robyn98, Ell3 e Zakurio per aver commentato lo scorso capitolo, grazie di cuore!! Adesso siamo davvero molto vicini alla fine, confesso che sto per piangere…a presto con il prossimo capitolo!!! Un bacione, Victoria <3 

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Capitolo 29
*** Start of something good ***


Capitolo 29- Start of something good
 
Quattro mesi dopo…
 
Ruri salì lentamente le scale del Grand Hotel Tokyo Plaza; il peso del pancione non era indifferente, ma aveva insistito perché nessuno l’accompagnasse, malgrado quei maledetti scalini la stessero affaticando più di quanto fosse pronta ad ammettere. Con un sorriso, lanciò uno sguardo ai fiori che decoravano la balaustra e agli infiniti fiocchi color pesca sparsi qua e là per l’atrio dell’albergo, invaso da uomini in smoking e da signore in abito elegante, intente a chiacchierare animatamente fra loro: alzando gli occhi al cielo, riconobbe gran parte delle colleghe del corso di specializzazione di Robin, appena arrivate dagli Stati Uniti.
Con un sorriso mesto, oltrepassò la stanza dove Matsuda, in preda a frenetici balbettii e a scoppi di risatine, si stava facendo sistemare la cravatta da un irritato Aizawa, che continuava a ripetergli di stare fermo, e si diresse all’altro capo del corridoio, fino a giungere all’ultima porta che si trovò di fronte; sospirando leggermente e gemendo appena, a causa di un colpo appena ricevuto nel basso ventre, bussò appena, attendendo una risposta.
“Ruri, sei tu?”.
La voce di Robin era velata di ansia e di felicità.
“Certo. Posso entrare?” replicò la ragazza.
“Vieni subito! Ho bisogno di te!”.
Alzando gli occhi al cielo, Ruri abbassò la maniglia e si fece largo nella stanza, chiudendosi subito la porta alle spalle: non appena si rese conto della sua presenza, la rossina si voltò di scatto.
Indossava già il suo abito da sposa, che le scorreva gentilmente lungo i fianchi e le belle gambe, mettendo in mostra la sua figura snella e il suo bel punto di vita e valorizzandole anche le spalle, che il vestito lasciava del tutto scoperte, così come faceva con le braccia per intero. Il volto della giovane dottoressa, pervaso da un rossore d’emozione e di pura gioia, era decorato da un trucco leggero ed elegante, e i suoi capelli rosso fiamma erano già stati raccolti in una crocchia decorata da qualche fiore di stagione, vista la primavera ormai inoltrata, per poi essere sistemati sotto un velo dall’aspetto quasi etereo.
Osservandola, Ruri continuò a ripetersi che non riusciva a credere che quel giorno fosse veramente arrivato.
“Accidenti…” mormorò appena, incrociando le braccia “Siamo proprio al punto di non ritorno, eh?”.
“Non mettertici anche tu!” esclamò Robin, voltandosi di nuovo verso lo specchio e sistemandosi nervosamente i fiori posti vicino alla crocchia “Sono già sufficientemente nervosa! E i miei capelli sono un disastro!”.
“Non sono un disastro: sono perfetti. Tu sei perfetta, Robin” la contraddisse Ruri, avvicinandosi a lei e posandole le mani sulle spalle, con un gran sorriso.
“Oh, Ruri…” sospirò Robin, reprimendo un singhiozzo.
“Lo sai? Nessuno ha più smesso di chiamarmi così, dopo la fine del caso Kira. Ho paura che il mio vecchio soprannome d’infanzia sia diventato in tutto e per tutto il mio nome”.
“Beh, in fondo abbiamo passato venticinque anni a credere che ‘Natsumi Williams’ fosse il tuo vero nome, per poi scoprire che ci eravamo sbagliate fin dall’inizio. La vita è assurda, non ti pare?” ribatté Robin.
Con un sospiro, Ruri si andò a sedere sul letto della stanza, lo sguardo al suolo e il volto composto in un’espressione assorta e un po’ malinconica: notando il modo in cui si stavano muovendo inquietamente i suoi occhi, Robin si sedette accanto a lei, prendendole la mano.
Sapeva perfettamente che l’amica non era ancora in grado di credere a tutto quello che aveva scoperto quattro mesi prima, il precedente 31 Dicembre; dopo la telefonata di Ayber, lei ed Elle avevano parlato a lungo, non appena tornati nella loro suite d’albergo.
Con una certa cautela, il detective le aveva confessato d’aver avviato un’indagine sul conto della sua famiglia, quando aveva avuto la conferma della sua parentela con John Williams, ma non aveva mai pensato che fosse opportuno confessarglielo, considerando quanto Ruri era sensibile e irritabile sull’argomento: le scoperte a cui era giunto con l’aiuto di Watari (e in seguito con quello di Ayber e Wedy), si erano rivelate sorprendenti.
“Lo avresti mai detto? Eppure, avremmo dovuto capirlo…doveva esserci una ragione se mi odiava così tanto. In fondo, non potevo essere davvero sua figlia…non somigliavo neanche a mia madre. Non c’entravo davvero nulla con loro…” mormorò Ruri, passandosi una mano dietro il collo.
“Per Daniel ed Eliza sei stata una sorella a tutti gli effetti, proprio come lo sei sempre stata per me” la rassicurò Robin, carezzandole la guancia.
“Lo so…ma pensare che non eravamo realmente parenti…non lo so. È una strana sensazione”.
“Hai mai pensato di…ecco, di provare a cercarli? La tua vera famiglia, intendo…” mormorò Robin.
“Beh, non saprei…immagino che a questo punto siano tutti morti. E anche se non lo fossero, non so quanto potrebbe significare guardarli in faccia, anche soltanto per una volta; suppongo che non otterrei niente di quello che vorrei avere”.
Le indagini di Elle avevano portato alla luce una realtà scioccante: Ruri non era mai stata la figlia di John Steven Williams e di sua moglie.
Poco dopo la sua nascita, suo padre, rimasto vedovo dopo il parto della moglie, aveva deciso di affidarla a un vecchio amico, adducendo problematiche di natura economica come causa della sua decisione, e assicurando che si sarebbe trattato soltanto di un affidamento temporaneo: ma in seguito, senza alcuna spiegazione, le carte dell’affidamento che erano state ritrovate negli archivi di Washington, e che per qualche motivo erano state occultate in modo molto accurato, avevano finito per cedere il posto a un certificato di nascita, affiancato a quelli di paternità e di maternità di Williams e consorte. E per tutti quegli anni, Ruri non aveva mai saputo nulla della sua vera famiglia d’origine.
“Non mi hai mai detto come…” mormorò appena Robin, sfiorandole il braccio.
“Come si chiamavano?” completò Ruri, sorridendole con più tranquillità di quanto si sarebbe aspettata “Pare che il cognome fosse Anderson. Joy e James Anderson; mi avevano chiamata Victoria…”.
“Victoria, eh?” sorrise Robin “Beh, ti sarebbe calzato a pennello. Ma questo significa che il Death Note non avrebbe funzionato comunque, con te?”.
“In effetti, immagino di no” scosse il capo Ruri “A questo punto, sono dell’idea che Victoria Anderson fosse il mio nome reale…”.
“Allora, vuoi che adesso inizi a chiamarti così?” ribatté Robin, con un sorriso radioso.
“’Ruri’ andrà bene” sospirò la profiler, senza cancellare il suo sorriso “In fondo, è un nome in codice che mi ha portato fortuna…”.
“Puoi dirlo forte!” esclamò Robin, balzando di nuovo in piedi e riprendendo a specchiarsi “Ci avresti mai creduto che saremmo finite così?”.
“Con il pancione e l’abito da sposa?” ridacchiò Ruri “Tu e io? Sembra un film di fantascienza”.
“A proposito, come sta la mia piccola nipotina?” domandò Robin, chinandosi all’altezza del suo ventre e facendole il solletico “Dovrebbe mancare poco, ormai, non è vero?”.
“Non me lo ricordare. Elle ha passato gli ultimi tre giorni a studiare di nascosto il modo in cui si pratica un cesareo: credo che non si fidi dei medici. E Watari non fa che ripetermi che non devo affaticarmi e che devo rimanere ferma il più possibile; non riesco a non far nulla tutto il giorno, ti giuro che mi stanno mandando fuori di testa!” brontolò Ruri, alzando gli occhi al cielo.
“Beh, dopo tutte le disavventure che hai fatto vivere alla coccinella, direi che questo è il minimo!” rise Robin “Sono sicura che io e Taro avremo un maschietto! Potremmo combinare un matrimonio, fra qualche anno”.
Ruri scoppiò a ridere, alzandosi in piedi e aiutandola a sistemare definitivamente il velo.
“Già mi manchi, lo sai?” le disse, in tono più dolce.
Robin si volse verso di lei, sorridendole con fare più mesto e abbracciandola, chiudendo lievemente gli occhi.
“Tokyo non è poi così lontana” le mormorò, sforzandosi di non piangere.
“Vuoi scherzare? Stiamo parlando dell’Oceano Pacifico! Un fuso orario dannatamente complicato da gestire” rise Ruri, cercando di smorzare l’atmosfera.
“Quindi, avete deciso? L’Inghilterra?” sospirò tristemente Robin, ma tentando di sorridere.
“Watari ha detto di aver già pensato a tutto. Ha detto che sarà il suo regalo di nozze, anche se continua a bofonchiare su quanto il nostro sia stato tutto fuorché un matrimonio” affermò Ruri, fissando distrattamente la fede che le brillava all’anulare della mano sinistra.
“E ha ragione!” rincarò la dose Robin “Niente abito bianco, niente cerimonia, niente chiesa, niente balli! Solo un funzionario pubblico ingobbito e con il raffreddore che legge il vostro impegno civico e che vi dichiara marito e moglie! A proposito, come avete fatto con i documenti?” domandò poi, colta da un pensiero improvviso.
“Ci ha pensato Ayber. Il signore e la signora Halisham, residenti a Londra e intenzionati a trasferirsi nel Devonshire: devo ammettere che è stato davvero esilarante quando quel tizio ha chiamato Elle ‘Peter’! Ma immagino che Ayber volesse divertirsi un po’. Ad ogni modo, non puoi dire che al pranzo siano mancati i dolci” sorrise Ruri, stringendosi nelle spalle.
“Diciamo pure che tutte le pietanze erano riconducibili alla categoria dei dessert” sospirò Robin, alzando gli occhi al cielo “Ma immagino che ci fosse da aspettarselo, conoscendo Elle”.
Prima che la sua amica potesse replicare, entrambe udirono bussare alla porta della camera.
“Matsuda, non azzardarti a varcare quella soglia!” lo minacciò Ruri “Guarda che la tua fidanzata è piuttosto superstiziosa…”.
“Sono io”.
La voce di Elle la fece sorridere in modo spontaneo e naturale.
“Mi stai pedinando?” lo prese in giro, incrociando le braccia.
Senza aspettare ulteriormente, il detective fece il suo ingresso; contrariamente alle sue abitudini, quel giorno Ruri era riuscita a fargli indossare una camicia, rigorosamente bianca, al posto della consueta maglia a maniche lunghe, e una giacca nera elegante, ma non era riuscita a imporsi sui jeans trasandati e sulle consunte scarpe da ginnastica.
Alle sue spalle, Watari, sfavillante nel suo smoking, sorrideva ad entrambe.
“Miss, dottoressa Starling” le salutò, con un cenno molto caloroso “Robin, lei è veramente una visione celestiale”.
“Grazie, Watari, è davvero gentilissimo” arrossì Robin, abbassando subito lo sguardo.
“Come mai qui?” insisté Ruri, alzando un sopracciglio.
“Beh, io devo compiere il mio dovere di sostituto del padre della sposa” spiegò Watari, con aria solenne.
“Previdente e sospettosa come di consueto” sorrise Elle, affiancandosi a lei “Volevo solo fare le congratulazioni alla sposa”.
“Allora è perfetto” replicò Ruri, sorridendogli.
“E accertarmi che non mettessi di nuovo in pericolo la vita di nostra figlia” completò l’investigatore, carezzandole il pancione.
“Sei incredibile!!” sbottò la profiler, lanciandogli un’occhiataccia.
“Ad ogni modo, sarà meglio scendere di sotto: vengo dalla navata centrale, e Matsuda inizia a dare segni d’impazienza. Per meglio dire, ho paura che gli stia per venire un attacco di panico” le informò Elle, con la massima tranquillità.
“Oh, cielo! Beh, allora dovremmo andare!” esclamò Robin, aggiustandosi il velo per un’ultima volta e poi dando il braccio a Watari, con un gran sorriso “Sicuro che non le dispiaccia accompagnarmi all’altare, Watari?”.
“Dispiacermi? Ne sono onorato, dottoressa Starling” ribatté l’anziano, sorridendole di rimando “D’altro canto, un’occasione del genere non mi capiterà più, e non ho intenzione di lasciarmela sfuggire un’altra volta” concluse, lanciando a Ruri e ad Elle un’occhiata in tralice.
Di rimando, Ruri alzò gli occhi al cielo, andando a stringere la mano di Elle e scuotendo la testa.
“Non avevamo detto che era tardi?” gli ricordò la moretta, ponendosi dietro la sua migliore amica e quello che ormai reputava un padre “Andiamo, prima che Matsuda vada in iperventilazione; i signori Havisham vi seguiranno”.
Mentre scendevano le scale con lentezza solenne, avvertì le dita di Elle, segnate dall’anello che aveva preso a portare anche lui, stringersi contro le sue con più intensità che mai.
 
You never know when you're gonna meet someone
And your whole wide world in a moment comes undone
You're just walking around and suddenly
Everything that you thought that you knew about love is gone

 
La cerimonia fu più breve di quanto Ruri avrebbe mai immaginato, ma fu solo quando Robin e Matsuda uscirono dalla chiesa, sotto una pioggia di riso e confetti, che capì realmente che la sua amica aveva preso un treno su cui non sarebbe salita a sua volta, e che l’avrebbe portata in un posto molto lontano, dove non l’avrebbe seguita, per la prima volta.
Quel pensiero fece comparire un sorriso triste sul suo volto, che Misa, avendo presidiato alla cerimonia per tutto il tempo al suo fianco, non mancò di notare.
“Non dispiacerti troppo” le disse, con tono d’incoraggiamento “Verrai a trovarci in Giappone ogni volta che vorrai! Saremmo così felici di rivederti…in effetti, non te l’ho ancora detto, ma non mi sono ancora abituata al pensiero della tua partenza…”.
Fissando lo sguardo in quegli occhi castani, che non ricordavano più nulla dei tempi di Kira e del suo operato folle, Ruri non poté che lasciarsi andare a un altro sorriso, che la bionda interpretò come una buona occasione per coinvolgerla in un abbraccio, a cui, infine, Ruri rispose con lentezza.
“Mi mancherai, Ruri…” le mormorò, con voce rotta.
“Anche tu mi mancherai, peste” sospirò Ruri, scompigliandole i capelli “Come stai, adesso? Robin dice che ultimamente vi siete viste spesso…ti senti meglio?”.
“Sto bene” replicò Misa, cercando di sorridere, mentre Ruri ed Elle la seguivano in direzione del ricevimento, già affollato “Pensare a Light mi rende triste, ma adesso va molto meglio…dopotutto, è morto per ciò in cui credeva, e io sarò sempre fiera di lui”.
Ruri la fissò a lungo, riflettendo su quelle parole, per poi sorriderle per l’ultima volta.
“Sì…immagino che tu abbia ragione”.
“Mi manca, sai?” sussurrò Misa, lasciandosi sfuggire una lacrima.
Ruri sospirò, sentendo che Elle rafforzava la stretta intorno alla sua mano.
“Manca anche a me…” ammise Ruri.
“Sì…” intervenne il detective, sorprendendo entrambe “Anche a me…”.
Le loro parole vennero interrotte da Matsuda, che si era appena avvicinato al microfono posto di fronte alla pista da ballo, decorata da vistose candele, data la vicinanza al tramonto, e da moltissimi fiori, gli occhi brillanti e il fianco ancora intorno alla vita di Robin, che a sua volta lo fissava raggiante.
“Scusatemi, signori” disse il giovanotto, con espressione raggiante “Vorrei la vostra attenzione solo per qualche altro minuto. A dire la verità…avevo preparato un discorso, dato che non sono molto bravo con le parole, ma…in effetti, credo di aver persino dimenticato dove l’ho messo, quindi ho la sensazione che mi toccherà improvvisare”.
 
You find out it's all been wrong
And all my scars don't seem to matter anymore
Cause they led me here to you

 
Qualche risata divertita seguì le parole del poliziotto, prima che lui riprendesse a parlare.
“Un anno e mezzo fa, ancora non sapevo che la mia vita avrebbe preso una svolta decisiva: o meglio, ero convinto che tutto quello che avrei vissuto avrebbe riguardato la mia carriera e il mio lavoro. Ero pronto ad andare incontro a tutto quello che mi si sarebbe posto di fronte, e una parte di me era disposta anche ad accettare l’idea di non arrivare vivo a questo giorno. Ma incontrare Robin, in una circostanza che non avrei mai potuto concepire, mi ha fatto comprendere che la vita non ci dà mai quello di cui abbiamo bisogno nel modo in cui ce lo aspettiamo…” proseguì, voltandosi verso di lei e baciandola leggermente “Ma quando infine ci fornisce il miracolo per cui eravamo così impazienti, siamo più grati d’essere in vita di quanto non lo saremmo stati nel corso di un’intera esistenza. Credo che ognuno di noi abbia diritto a sentirsi come oggi mi sento io, e come sono certo che mi sentirò fino alla fine dei miei giorni: Robin mi ha insegnato a credere in me stesso e in quello che facevo, ed è stata la fonte di calore che non credevo potesse esistere. E se ho mai avuto l’opportunità di conoscerla e di crescere come individuo, come poliziotto, come essere umano e come combattente…lo devo alle persone più incredibili che abbia mai avuto l’onore e il privilegio di conoscere. Quindi” concluse, accettando un calice di champagne che un cameriere gli stava porgendo “Propongo un brindisi”.
A quel punto, aveva già alzato il bicchiere, e non staccava più gli occhi da Ruri e da Elle.
“A Ruri Dakota e a Ryuzaki, come a noi piace chiamarlo. Grazie per aver reso la mia vita, la vita di mia moglie e quella di tutti noi un autentico miracolo. Siete stati il più grande fuoco d’artificio a cui potessimo assistere e siete stati la nostra ispirazione più grande. Io e Robin non dimenticheremo mai quello che avete fatto per noi; grazie per averci donato il viaggio più bello che potessimo sperare di vivere insieme”.
Il discorso di Matsuda venne seguito da applausi commossi ed entusiasti; lo stesso Aizawa finì per andare ad abbracciare il suo amico, cercando di nascondere le lacrime.
Dal canto proprio, Ruri si voltò verso Elle, che ancora sembrava frastornato dalle parole del poliziotto.
“Ti ha scioccato?” gli domandò, sorridendogli in maniera dolce.
“Matsuda è sempre pieno di sorprese” replicò Elle “Anche se devo riconoscere che questa storia si è rivelata davvero incredibile…così incredibile che a volte ho la sensazione d’aver sognato tutto”.
“Dovrebbero scriverci un libro” suggerì Ruri, scuotendo la testa “Chissà se qualcuno leggerebbe mai di quello che è stato di noi…dopotutto, abbiamo avuto il lieto fine che nessuno si sarebbe mai aspettato. Ho creduto spesso che non avremmo mai visto questo giorno…”.
“Beh, se tu non fossi mai entrata nella mia vita, probabilmente Rem mi avrebbe ucciso; sarei morto quel giorno, e forse Kira avrebbe vinto. O forse i miei eredi lo avrebbero combattuto, e lo avrebbero sconfitto….chi può dirlo. In ogni caso, posso affermare con certezza che la tua presenza ha cambiato tutto”.
“Non esagerare” lo ammonì la profiler “Sei tu che hai sconfitto Kira…”.
“Lo abbiamo sconfitto insieme” la corresse Elle, scuotendo la testa “Non ho mai avuto la capacità empatica di cui ti sei servita per comprendere Rem: senza di questa, avremmo perso. Ma tu hai superato quelle stesse barriere che ci hanno ostacolato fin dall’inizio: hai dato importanza ai sentimenti, all’emotività, al cuore umano…e non solo a quello. Ti sarò sempre debitore, Ruri: oggi posso dire che mi hai salvato in ogni modo possibile”.
Ruri si sedette accanto a lui, posandogli la testa sulla spalla.
“Stai diventando sentimentale, signor detective…” gli fece notare Ruri.
“Dev’essere l’atmosfera di questo matrimonio” replicò Elle, accennando alle campane che riecheggiavano in lontananza “Visto? Era davvero per una cerimonia nuziale, alla fine…”.
“Un segno premonitore” annuì Ruri, con l’aria di chi la sapeva lunga.
Prima che potesse aggiungere una parola, un nuovo gemito la costrinse a portarsi le mani al ventre e a socchiudere leggermente gli occhi.
“Ruri? Stai bene?” le domandò subito Elle, allarmato.
“Ehm, sì. Ma devo dirti una cosa” ribatté Ruri, sorridendogli con circospezione.
“Ti sto ascoltando”.
“Solo…non dare in escandescenze” sospirò la ragazza.
“In escandescenze…?” ripeté Elle, alzando un sopracciglio.
“Beh, avrò bisogno del tuo proverbiale autocontrollo, signor detective: mi si sono appena rotte le acque”.
 
I know that its gonna take some time
I've got to admit that the thought has crossed my mind
This might end up like it should
And I'm gonna say what I need to say
And hope to god that it don't scare you away
Don't wanna be misunderstood
But I'm starting to believe that this could be the start of something good

 
Il travaglio in ospedale non fu lungo come si sarebbe aspettata, ma in seguito dovette ammettere che aveva trovato davvero esilarante rendersi conto che l’intero reparto di neonatologia era stato invaso da una folla in smoking e in abito formale, con tanto di sposa frenetica e di sposo frastornato, ma felice. Dal canto proprio, Ryuzaki aveva preteso di entrare in sala operatoria e di controllare l’operato dei medici, criticando persino l’operato dell’ostetrica e finendo per rischiare di venire cacciato in sala d’aspetto. Alla fine, quando il volto della bambina gli era comparso di fronte alla vista, il suo cuore si era definitivamente aperto a un’emozione che non riusciva a descrivere: notò subito che aveva gli occhi dello stesso colore di quelli di Ruri, ma che da lui ne aveva ereditata la forma caratteristica, e che già accennava a sfoggiare qualche ciuffo corvino ribelle, incredibilmente simile ai suoi.
Non appena gli permisero di prenderla in braccio, impiegò parecchi minuti prima di lasciarla fra le braccia impazienti di Ruri, che a sua volta non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.
“Credo sia la cosa migliore che abbiamo mai fatto insieme…” gli sussurrò la moglie, con un sorriso sfinito.
“Non avrei mai pensato di dirlo di un neonato” ammise Elle, carezzandole distrattamente la testa “È…è bellissima…”.
“È nostra” aggiunse Ruri, posando la fronte contro la sua “Direi che adesso abbiamo il vero miracolo, signor detective”.
 
Everyone knows life has its Ups and downs
One day you're on top of the world and one day you're the clown

Well I've been both enough to know
That you don't wanna get in the way when its working out
The way that it is right now
You see my heart I wear it on my sleeve
Cause I just can't hide it anymore

 
Elle le sorrise di rimando, senza smettere di carezzare la testa della bambina, che continuava a gemere appena, nonostante adesso il suo respiro fosse più flebile, come se stesse per addormentarsi.
“Che cosa succederà, adesso?” le domandò, con un sospiro “Non ho mai pianificato niente del genere…”.
“Immagino che questa sarà la parte migliore” replicò Ruri, baciandolo a fior di labbra “Nessun piano, signor Havisham: le famiglie migliori nascono sempre così”.
“Lo terrò a mente” concluse Elle, baciandola a sua volta.
E mentre i fuochi d’artificio, fuori dalla finestra, annunciavano a tutti l’arrivo della mezzanotte e del primo giorno di Maggio, entrambi non poterono fare a meno di pensare che tutto fosse perfetto.
 
I know that it's gonna take some time
I've got to admit that the thought has crossed my mind
This might end up like it should
And I'm gonna say what I need to say
And hope to god that it don't scare you away
Don't wanna be misunderstood
But I'm starting to believe that this could be the start

 
Otto mesi dopo…
 
Il segnale di chiamata del suo computer portatile le fece alzare gli occhi: con un sorriso, mise da parte gli incartamenti del caso a cui lei ed Elle stavano lavorando, dirigendosi verso l’apparecchio e accettando la telefonata in entrata.
Di fronte ai suoi occhi, apparve subito il volto di Robin, in collegamento tramite video-chat.
“Ciao, straniera inglese! Che cosa diavolo aspettavi a chiamarmi?” l’accolse, con un gran sorriso.
“Ci stavo giusto pensando” sospirò Ruri, alzando gli occhi al cielo “Volevo finire di dare un’occhiata agli ultimi dati che abbiamo raccolto: le nuove indagini si stanno rivelando incredibilmente ricche di avvenimenti”.
“Vuoi scherzare? Non vorrai lavorare anche la notte di Capodanno!” inorridì Robin, scuotendo la testa “Te lo proibisco categoricamente! Dovresti darci un taglio con tutto questo stakanovismo: normalmente, farei intervenire tuo marito, ma visto che hai sposato il maniaco dello stress e delle notti insonni…”.
“A proposito di mariti” la interruppe Ruri “Come procede laggiù? La luna di miele è ancora indisturbata, o devo tornare a Tokyo per dire due paroline a Matsuda?”.
“Va tutto benissimo, Ruri; in effetti, non ti ho ancora detto la notizia più importante…”.
Dopo una breve pausa, gli occhi di Robin brillarono di una luce commossa.
“Forse dovrai venire a trovarci in Giappone prima di quanto pensi…non vuoi che Eliza conosca il suo nuovo compagno di giochi?”.
“Che?!? Sei…?!”.
“Sono incinta!!” esclamò Robin, con un sorriso radioso.
“Robin, è grandioso! Dico sul serio, sono molto felice per te! Non vedo l’ora di conoscere il fagotto” le disse Ruri, sorridendole di rimando “Sei contenta?”.
“Certo!! Anche se l’idea di partorire mi spaventa un po’…” ammise Robin.
“Beh, non è terribile come pensi. O meglio, il dolore passa in fretta: lo sforzo è abbondantemente ripagato, fidati di me”.
“Ne sono sicura” ribatté la rossina, senza smettere di sorriderle “Mi manchi, lo sai?”.
“Mi manchi anche tu” rispose Ruri, con un sorriso malinconico “Ma dovete venire a trovarci per le prossime vacanze estive, d’accordo? Questo posto è incredibilmente grande, in quattro non sappiamo neanche come sfruttarlo in pieno!”.
“Beh, considerando che Watari vi ha comprato un intero castello con tanto di parco naturale, direi che questo è poco ma sicuro! Come l’ha chiamata, alla fine?”.
“Villa Eliza” affermò Ruri, alzando gli occhi al cielo “Qualcosa mi dice che adori la sua nipotina ancor più di quanto non ammetterebbe; sai che passa ore intere a osservarla dormire o a giocare con lei? Elle lo ha persino rimproverato, qualche giorno fa: dice che la bambina lo distrae più di quanto non faccia con noi, ed è tutto dire”.
“La piccola coccinella ha già acquisito lo status di principessa” rise Robin “Non vedo l’ora di riabbracciarla. Cerca di non farla crescere troppo di qui a Giugno, ok? Ho intenzione di tenerla in braccio per tre mesi di fila!”.
“Farò del mio meglio” la rassicurò Ruri, mentre la porta d’ingresso si apriva di colpo, annunciando il ritorno di Watari e di Eliza “Adesso devo andare, Robin: salutami Taro, ok?”.
“D’accordo, e tu salutami Ryuzaki e il resto della famiglia. Buon anno nuovo, tesoro: non dimenticarti di festeggiare!”.
“Non lo farò; buon anno nuovo anche a te, Robin” si congedò Ruri, prima di riattaccare.
In quel preciso istante, Watari fece il suo ingresso nella stanza, il naso ricoperto di neve e le braccia completamente occupate da un fagotto composto da un cappotto di piume d’oca, da un berretto di lana, due sciarpe e due guanti troppo grossi.
“Hai intenzione di soffocarla?” scherzò Robin, prendendo la bambina in braccio e iniziando a liberarla da quello strato di vestiti.
“Fuori ci sono ben cinque gradi sotto lo zero” le ricordò Watari, ravvivando il fuoco nel caminetto e sistemando alcune decorazioni sull’albero di Natale “Non ho intenzione di permettere alla piccola di prendersi un raffreddore”.
“E allora, perché portarla fuori con questo freddo?” replicò Ruri, con un sorriso sghembo.
“Beh, lo sai che adora la neve” borbottò Watari, iniziando a preparare tre tazze di the bollente.
Scuotendo il capo, Ruri lasciò scorrere lo sguardo sul loro salotto elegante e piacevole alla vista, nonostante fosse invaso dai loro appunti e dagli avanzi di cibo che Elle si ostinava a lasciare in giro.
“Quel ragazzo” sospirò Watari, che a sua volta aveva notato il disordine “Mi manderà al manicomio prima che abbia raggiunto gli ottant’anni”.
“Spero proprio che non dovremo arrivarci” rise Ruri, dandogli di gomito “Non combineremmo un bel niente senza di te, Watari”.
 
Cause I don't know where it's going
There's a part of me that loves not knowing
Just don't let it end before we begin

 
Watari le sorrise, abbracciandola leggermente e coinvolgendo nella loro stretta anche la piccola, che protestò appena a causa dell’urto a cui venne sottoposta.
“L’avevo detto che ha il carattere di sua madre” commentò Watari, carezzandole la testolina, già provvista di una chioma identica a quella di Elle.
In quel momento, Eliza lo fissò con curiosità, piegando la testa di lato e spalancando i suoi occhioni, della stessa forma di quelli del detective.
“Nonno!” disse semplicemente, prima di lasciarsi andare di nuovo ai suoi vagheggiamenti da neonata.
Dal canto proprio, Watari fissò Ruri frastornato, quasi incredulo.
“Beh? Che cosa c’è?” ribatté la giovane, sorridendo noncurante “Ha solo detto la verità, dopotutto: è la bambina della giustizia per eccellenza, e ha constatato una realtà oggettiva. Potresti biasimarla?”.
Preso dalla commozione, Watari si affrettò a concentrarsi sul the, mentre anche Elle entrava nella stanza, con il suo consueto passo felpato.
“Non mi sarò perso la prima parola di mia figlia, non è vero?” domandò, prendendola in braccio.
Istantaneamente, la piccola si adagiò contro il suo petto marmoreo, chiudendo gli occhi e ascoltando il battito del suo cuore e odorando il suo respiro: la vicinanza di suo padre la calmava in modo stupefacente.
“Sei giusto in tempo” lo rassicurò Ruri, scompigliandogli i capelli.
La serata trascorse piacevolmente; dopo aver cenato, Ruri trascorse diverso tempo a osservare Watari giocare con Eliza, dato che persino Elle aveva deciso di lasciare da parte il lavoro per quell’occasione: in fondo, era il primo Capodanno della piccola.
Fu solo a poca distanza della mezzanotte che accadde qualcosa di inaspettato: con un cenno eloquente del capo, Elle la convinse a seguirlo nella stanza adiacente, dove non tardarono ad accomodarsi sul divano.
“Va tutto bene?” gli domandò Ruri, carezzandogli appena la mano.
“Ho un regalo per te” le confidò Elle.
“Un altro? La limousine che mi hai fatto avere per Natale non è stata sufficiente? A proposito, non smetterò mai di ripeterti che sei davvero pazzo, signor detective. Mi spieghi cosa diamine ce ne facciamo, di una macchina come quella?”.
“Mi piace vivere la mia eccentricità nel modo che più preferisco” si limitò a risponderle Elle, per poi tirare fuori dalla tasca una piccola audiocassetta.
Ruri le rivolse uno sguardo perplesso.
“Che cos’è?” gli domandò.
 
You never know when you're gonna meet someone
And your whole wide world in a moment comes undone

 
“Una sorpresa” si strinse nelle spalle il ragazzo “A dire il vero, il merito è di Ayber: è riuscito a mettere le mani sopra questo nastro soltanto una settimana fa. A quanto pare, esisteva un vecchio armadietto contenente alcuni effetti personali di Williams, che nessuno ha mai buttato via: sembrava che contenesse solo qualche cianfrusaglia, ma a quanto pare era anche il suo nascondiglio preferito, dove amava occultare cose che non voleva venissero più ritrovate”.
“Non capisco bene dove tu voglia arrivare” ammise Ruri.
“Beh, Ayber ha scavato ancor più a fondo: a quanto pare, c’era un motivo per cui Williams ha falsificato i certificati della tua nascita e ti ha fatto risultare come sua figlia biologica. Sembra che James e Joy Anderson fossero proprietari di un ingente patrimonio…ammontante a circa cento milioni di dollari”.
“Che…che cosa?!?” boccheggiò Ruri.
“È tutto qui” annuì Elle, allungandole alcuni documenti “Basterà una tua firma, e quello che ad oggi rimane dell’eredità sarà tuo: ho già presentato al consolato americano la prova evidente che la figlia degli Anderson è ancora viva, e che è l’unica vera erede vivente e legittima. Ma comunque…non era questa la sorpresa di cui ti parlavo”.
“Davvero?” chiese Ruri, quasi dubbiosa.
Senza aggiungere un’altra parola, Elle infilò l’audiocassetta nel registratore che avevano di fronte, premendo il tasto PLAY con il suo indice lungo ed elegante.
Ben presto, la stanza venne invasa da una voce che Ruri non conosceva, ma che, per qualche ragione, fu in grado di colpirla al cuore in modo decisamente inaspettato: perché, per qualche strano motivo, una parte di lei la stava trovando familiare?
“Non so se qualcuno udirà mai questo messaggio, ma ho deciso di registrarlo ugualmente” disse lo sconosciuto, con una voce calda e gentile, ma triste al tempo stesso “Mi chiamo James Anderson, e ho 35 anni: di qui a un anno, è probabile che sarò morto. Mi è stato diagnosticato il cancro quando ho compiuto ventidue anni, e da allora combatto contro una malattia che so che mi ucciderà; ma credevo che sarei stato in grado di affrontare tutto questo, se Joy fosse rimasta accanto a me. Da quando se n’è andata, io…non lo so. È che non riesco a staccare gli occhi da mia figlia…da Victoria. In effetti, spero con tutto il cuore che un giorno lei possa udire queste parole…o forse non dovrei. Perché, con ogni probabilità, questo vorrebbe dire che sono morto. Comunque, forse a questo punto dovrei parlare direttamente con lei. Victoria” disse a un tratto, mozzando il respiro della ragazza “Sei qualcosa che non sono neanche in grado di descrivere a parole. In effetti, sei la creatura più straordinaria su cui abbia mai posato lo sguardo: sei bellissima, forte, e così straordinaria, nonostante tu sia nata solo da qualche mese. So che sarai incredibile e intelligente, e che sarai una vera forza della natura, come lo era tua madre, e che un giorno sarò ancora più fiero di te. Vorrei solo che potessimo avere più tempo per stare insieme, ma purtroppo non sarà così: devo pensare ad affidarti a qualcuno che spero si prenderà cura di te. Mi hanno parlato tanto di John Williams e della sua famiglia, e sono certo che vivere con loro ti piacerà; tutti dicono che sia una persona rispettabile, e io non voglio mandarti in un orfanotrofio. Perché…perché una parte di me sa che non può finire in questo modo. Sa che non posso semplicemente morire e lasciarti andare. Ma non posso esserne sicuro, e non so se c’incontreremo mai, quindi…se adesso stai ascoltando questo messaggio, vorrei solo dirti che sono fiero di te. Che sei la bambina che ha reso la mia vita un miracolo e che, ovunque andrai, mi avrai sempre accanto a te. In fondo, una parte di me spera che, nel caso in cui tu stia ascoltando questo messaggio, tu lo stia facendo insieme ai tuoi figli e a tuo marito, e che tu sia felice come meriti di essere. Perché, sai…tu sei nata per vincere. Sei sopravvissuta alla morte di tua madre, e sopravvivrai anche alla mia. So che un giorno ci rivedremo…in questo mondo o in un altro, noi due staremo insieme. Fatti forza, tesoro. Il tuo papà ti vuole bene…a presto”.
La fine della registrazione venne seguita da un lunghissimo silenzio; alla fine, Elle si azzardò a sbirciare il volto della donna che amava, consapevole del fatto che le loro mani non avevano smesso di stringersi per tutto il tempo: aveva le guance striate dalle lacrime, ma stava sorridendo.
“Stai bene?” le domandò, circondandole le spalle con un braccio.
Ruri annuì, estendendo il suo sorriso.
“Beh, direi che questo…questo è mille volte meglio della limousine” ridacchiò la ragazza, scuotendo la testa.
“Possiamo sempre rimandarla alla concessionaria” scherzò Elle, fingendo di offendersi.
Dopo un’ulteriore pausa, Ruri rialzò la testa, fissandolo dritto negli occhi.
“Non ti ho mai ringraziato abbastanza per tutto questo…” gli disse, con tono incerto.
“E che mi dici di questa casa, della nostra famiglia, di nostra figlia e della soluzione del caso Kira? Ruri, tu mi hai dato tutto”.
Prima che lei potesse replicare, Elle chiuse gli occhi, poggiando la fronte contro la sua.
“Tuo padre aveva ragione: sei nata per vincere, Ruri. E come vedi, non si è sbagliato neanche in questa circostanza. Hai vinto…ho vinto. Abbiamo vinto”.
Udendo a un tratto l’inizio dei fuochi d’artificio, Elle la trascinò sul balcone, dove Watari li stava già osservando, deliziandosi per le risatine e i battiti di mani in cui si lanciava Eliza, che a sua volta, fra le sue braccia, osservava quello spettacolo incredibile di luci e colori.
 
I know that its gonna take some time
I've got to admit that the thought has crossed my mind
This might end up like it should
And I'm gonna say what I need to say
And hope to god that it don't scare you away
Don't wanna be misunderstood

 
Alla fine, entrambi riuscirono a spostare lo sguardo dal cielo stellato, guardandosi negli occhi e incrociando di nuovo le dita delle mani: sapevano che tutta quella vicenda non aveva avuto senso, fin dall’inizio. Eppure, quella straordinaria irrazionalità si era tramutata in ciò che, inconsapevolmente, avevano atteso per una vita intera.
“…buon anno nuovo” le sussurrò Elle, unendo le labbra alle sue; ancora una volta, sentì quel sapore di fragole e di zucchero che tanto amava.
“Buon anno nuovo, Elle”.
E fu allora che, esattamente due anni dopo il loro primo incontro, capì che non avrebbe mai più avuto bisogno di nient’altro per sentirsi veramente a casa.
 
But I'm starting to believe
Oh I'm starting to believe that this could be the start of something good

 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: BENEEEEEEE!!!! Che dire?! Scritto nell’arco di un paio d’ore e chiaramente si vede -.-‘’’ bah, siamo alle solite, non c’è niente da fare, dovete accontentarvi un po’ di quello che passa il convento (scherzo ovviamente *prende l’ombrello per ripararsi dagli sputi*). Ragazzi, ci siamo quasi: il prossimo sarà l’ultimo capitolo. Io non so voi, ma non mi sento affatto pronta, quasi ci sto male (togliete pure il quasi). Mah, meglio non pensarci. Che posso dire? Grazie mille a SeflessGuard, Lilian Potter in Malfoy, MaryYagamy_46, LidjaLoveAvengedSevenFold e a Zakurio per aver commentato il capitolo 28, grazie a Lidja per aver recensito anche il 25, di nuovo grazie a Lidja per aver inserito la storia fra le preferite, e grazie anche a Mary The Shinigami e a bananacambogianachiquita per averla inserita a loro volta fra le preferite, spero che anche voi vorrete commentare!! La canzone di questo capitolo era ‘Start of something good’ dei Daughtry, e voleva essere un po’ la colonna sonora del nostro lieto fine :D Al prossimo ed ultimo capitolo con l’epilogo (mi sto sentendo male veramente!!!). Un bacione, la vostra Victoria <3   

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Capitolo 30
*** Epilogo ***


Capitolo 30- Epilogo
 
Venti anni dopo…
 
La grande limousine percorse il viale alberato con lentezza, come se avesse tutto il tempo del mondo per avvicinarsi al grande edificio, attorniato dalle piante e dai fiori, che si profilava all’orizzonte, già tinto dei colori del crepuscolo: ancora non poteva credere di essere tornata.
Dal sedile posteriore, la giovane ragazza si sporse appena dal finestrino, lasciando che i suoi occhi azzurri si beassero dello spettacolo della campagna inglese: era ancora più rilassante e pacifica di quanto si ricordasse: ben presto, da quella distanza fu persino in grado di scorgere la scritta ‘WAMMY’S HOUSE’ posta sulla grande targa affiancata al portone d’ingresso.
In quel momento, il suo cellulare iniziò a squillare; scostandosi dal viso i capelli neri e ribelli, non esitò ad accettare subito la telefonata.
“Pronto?”.
“Ehilà, coccinella!”.
La voce all’altro capo del telefono le strappò un sorriso felice e delicato.
“Zio Ayber! Com’è bello risentirti!” esclamò, abbandonandosi contro lo schienale.
“A chi lo dici, piccola! Allora? Com’è andato il viaggio? Sei già atterrata?” proseguì il biondo, con il consueto tono allegro.
“Sì, siamo quasi arrivati alla ‘Wammy’s House’. Non riesco ancora a credere di essere tornata in Inghilterra, lo sai? Ho amato Boston, ma nessun posto è come la mia casa!”.
“Non avevo dubbi” replicò Ayber “A proposito, com’è andata con la risoluzione di quel caso? Hai reso fiero tuo padre come di consueto?”.
“Avevi forse qualche dubbio?” ribatté Eliza, fingendo di ostentare una certa superiorità.
L’uomo scoppiò a ridere.
“Mi sembra di parlare con tua madre! Ti ho mai detto che sei identica a lei?”.
“Solo un paio di volte” ridacchiò Eliza, passandosi una mano fra i capelli: le dicevano sempre che anche quel gesto, come molto di ciò che faceva parte di lei, era parte dell’eredità della sua mamma, la donna che ammirava più di chiunque, al mondo.
Fatta forse eccezione per suo padre, anche se in effetti era difficile capire a chi fosse più devota.
“Ora che ci penso, come sta? Le hai detto d’essere arrivata, vero? Guarda che rischi di far invadere la Gran Bretagna da tutto il corpo armato della CIA e dell’FBI” la prese in giro il biondo, bonariamente.
“Sta benissimo, zio Ayber. E sì, l’ho già avvisata, puoi stare tranquillo: ad ogni modo, mio padre aveva già provveduto a monitorare gli spostamenti del mio aereo tramite satellite. Sembra proprio che fosse destino che nascessi figlia di due maniaci del controllo e della tecnologia!” sospirò Eliza, alzando gli occhi al cielo.
“Avrebbe potuto fare di peggio, fidati di me” rise Ayber “Il buon vecchio Ryuzaki…mi mancate un sacco, sai? Dovremmo organizzare una rimpatriata, uno di questi giorni! E poi, devi farmi conoscere il tuo ragazzo”.
“Io non ho nessun ragazzo, zio Ayber. E ti comunico che tu sei ufficialmente impazzito” ribatté Eliza, scuotendo la testa.
“Sì, come no. Anche tua madre diceva le stesse cose, e guarda un po’ com’è finita! Se le avessi dato retta fino in fondo, avrei anche potuto sorprendermi del ritrovarmi a parlare con te, oggi!” la punzecchiò l’ex truffatore, con il tono di chi la sapeva lunga.
“A proposito, come vanno i preparativi del matrimonio di Sophie? Non hai già ucciso il promesso sposo, vero?” ribatté Eliza, sapendo di pungerlo sul vivo.
“Quel tizio deve ringraziare che ho sempre avuto una pessima mira” rispose Ayber, con un tono cupo solo in parte “E insomma? Hanno richiesto di nuovo la collaborazione della piccola coccinella, o sei tornata a casa soltanto per prenderti una pausa? Ora che ci penso, hai persino battuto il record di Ruri: che io mi ricordi, a sedici anni nessuno le aveva ancora chiesto di collaborare con il governo americano e con quello russo per risolvere casi di omicidi seriali”.
“In realtà, sono qui per entrambi i motivi” sospirò Eliza “Near mi ha chiamato una settimana fa, dice che in Europa si stanno verificando alcune misteriose sparizioni che lasciano sottintendere omicidi volti all’esportazione di organi…un po’ come se qualcuno volesse emulare Jack lo Squartatore. Ma non posso dirti troppi dettagli: ad ogni modo, mamma e papà sono ancora impegnati con il caso dello Strangolatore di Mosca, e quindi mi hanno chiesto di occuparmene. E comunque, sarei dovuta tornare a Winchester ugualmente…sai, per il nonno e tutto il resto…”.
Con un sospiro triste, Ayber si accinse a risponderle.
“Mi dispiace, piccola…Watari era un grand’uomo. Posso fare qualcosa per te?”.
“Zio Ayber, sono passati due mesi. E hai già fatto veramente tutto il possibile, per me; dico sul serio, sto bene. Solo che mi manca…oggi sarebbe stato il suo compleanno. E non è più così bello pensare che sia anche il mio…”.
“Non lasciarti guastare la giornata, coccinella! Ricordati sempre che ti adoriamo e che tuo nonno sarebbe molto fiero di te, come lo è sempre stato! A proposito, ancora tanti auguri! Spero che tu abbia ricevuto i fiori in aeroporto!” proseguì il biondo.
“Certo, zio. Erano bellissimi, grazie infinitamente” sorrise Eliza “Adesso devo proprio salutarti. Da’ un bacio a zia Giselle per me, ok? E di’ a Matthew e a Sophie che li abbraccio; verrò al matrimonio, è una promessa”.
“Ci contiamo, tesoro. E ricordati di portare il tuo fidanzato!”.
“Zio Ayber, io non ho nessun fidanzato!”.
“Aha, certo. Scommetterei che è proprio dietro l’angolo…”.
In quel preciso momento, proprio mentre la limousine si accingeva a fermarsi del tutto, un’imponente motocicletta tagliò loro la strada, costringendo il suo autista a inchiodare di colpo per non andargli addosso.
“MA CHE CAZZO…?!” si lasciò sfuggire Eliza.
“Eliza?! Piccola? Va tutto bene?!” esclamò subito Ayber.
“Sto bene, zio, ma devo chiederti di scusarmi: devo andare a spaccare il culo di un deficiente!”.
“Oh cazzo. In bocca al lupo a lui!” ridacchiò il biondo “Ci risentiamo presto, coccinella”.
Subito dopo aver riattaccato il cellulare, la ragazza spalancò la portiera con un calcio, uscendo istantaneamente sul vialetto e dirigendosi a passo di carica verso il motociclista balordo che le aveva appena rischiato di fare un incidente, nonostante l’andatura lentissima a cui stessero procedendo.
“Ehi, tu!! Sottospecie di celenterato!! Si può sapere cosa diavolo ti è saltato in testa!? Stavi per venirci addosso!!” sbraitò, furiosa.
Il tizio continuò a non calcolarla minimamente, accingendosi a fermare la moto con il cavalletto e a togliersi i guanti imbottiti, perfettamente sordo alle sue parole.
“Ma mi senti?!? Sto parlando con te!”.
Fu allora che accadde: con estrema lentezza, lo vide togliersi il casco e voltarsi verso di lei con calma, come se avesse avuto tutto il tempo del mondo per incenerirla con una semplice occhiata. Non appena lo vide, dovette trattenersi dallo spalancare gli occhi: era di fronte a un uomo di circa trentacinque anni, a giudicare dalla statura, ma dotato di un volto che dimostrava almeno un decennio di meno. I suoi occhi azzurrissimi, più glaciali dei suoi, e i suoi capelli incredibilmente biondi le facevano pensare che potesse essere tedesco, o che comunque avesse qualche ascendente nordico, ma di una sola cosa era sicura: non aveva mai considerato un uomo in modo così attento prima di quell’istante, né aveva mai incontrato un essere umano che fosse in grado di colpirla e di ammutolirla con un semplice sguardo, per quanto inceneritore potesse essere.
“Problemi, ragazzina?”.
La sua voce gelida le provocò un brivido lungo la schiena, che non aveva niente a che vedere con il soffio di vento che le aveva appena accarezzato la pelle; ad ogni modo, non era disposta a lasciarsi intimorire. Era la figlia di Elle Lawliet e di Ruri Dakota, e nessuno l’avrebbe trattata in quel modo.
“Problemi?!? Tu sei il mio problema!” gridò, incrociando le braccia “E chi hai chiamato ‘ragazzina’?! Chi diavolo ti credi di essere?!”.
Il biondo ghignò con soddisfazione, posando da una parte il casco.
“Spiacente, piccola, ma questo è il mio territorio. E non sono ben disposto nei confronti degli stranieri, neanche quando si tratta di bei faccini come il tuo; ora che ci penso, tua madre non ti ha insegnato ad aver paura degli estranei?”.
“No, ma mi ha insegnato a sparare. Vuoi fare una prova?!” lo provocò Eliza, accennando alla pistola che portava alla vita.
Quel gesto la portò a scostarsi i capelli ribelli di lato, rivelando alla vista del biondo il ciondolo azzurro che portava al collo: quel singolo particolare lo portò ad alzare un sopracciglio e ad assumere un’espressione vagamente incredula.
“Accidenti…” mormorò “Non è possibile…”.
“Che cosa?! Credi che non sappia usare una pistola, solo perché sono una donna?! Ti faccio vedere io di che cosa…”.
“Tu sei la figlia di Elle”.
Lo aveva detto con il tono di chi constata qualcosa di assolutamente ovvio e banale, ma la sua voce non era riuscita a non tradire un brivido d’eccitazione.
“Che cosa te lo fa pensare?” ribatté lei, sulla difensiva.
“Andiamo. Chiunque frequenti la ‘Wammy’s House’ sa tutto quello che c’è da sapere su quel dannato ciondolo: era di tua madre, vero? Sono venti anni che sento parlare di lei, e ancora non riesco a credere che Elle si sia veramente sposato. Immagino fosse una strega dotata di qualche potere, o qualcosa del genere”.
Eliza lo fissò, alzando un sopracciglio: quel tizio non le piaceva e non la convinceva affatto, ma dopotutto, se era a conoscenza della collana, doveva davvero essere parte dell’orfanotrofio fondato da suo nonno…
“Sei incredibilmente lusinghiero” lo gelò, togliendo la mano dall’arma “Quindi, tu sei un membro della scuola? Mi sembri un po’ troppo cresciuto…”.
“Il boss dell’SPK vuole parlare con me” dichiarò il biondo, con irritazione “Non che quella sottospecie di nano tinto nella candeggina possa anche solo pensare alla possibilità di darmi degli ordini, ma ha parlato di una paga interessante, e ho deciso di cogliere l’occasione”.
“Tu conosci Near? Siete amici?” domandò Eliza.
Il motociclista la fulminò con uno sguardo, accendendosi una sigaretta.
Non è mio amico” sottolineò, ringhiando fra i denti “È solo una vecchia conoscenza: evidentemente, non è abbastanza sveglio da risolvere da solo il fottuto caso che ha preso in carico, e così ha pensato bene di venire a rompere i coglioni a me e a farmi scomodare per farmi tornare in questo buco”.
“Beh, immagino che nessuno ti abbia costretto” lo punzecchiò Eliza, velenosamente.
“No. Ma la Special Provision for Killers ha una certa disponibilità economica, e io non dico mai di no a una valigia piena di bigliettoni”.
“Quindi, sei una specie di mercenario”.
Il biondo sorrise in maniera misteriosa, e, in qualche modo, affascinante.
“Qualcosa del genere. E tu, ragazzina? Vai ancora a scuola?”.
“Io ho vent’anni!!” sbottò Eliza, inviperita “E anche io sono stata convocata da Near! Credevo che i membri della ‘Wammy’s House’ sapessero che aiuto mio padre e mia madre a risolvere alcuni casi, quando mi se ne presenta l’occasione!”.
“Ho sentito alcune voci, a Los Angeles” replicò l’uomo, annoiato “Dicono che la mafia russa sia parecchio incazzata con te, e che anche in Alaska ci siano diversi esponenti della malavita che pagherebbero oro per vedere la tua testa conficcata su una picca”.
“Non li facevo così macabri: pensavo che qualche colpo di pistola sarebbe stato sufficiente”.
Il motociclista la guardò dritto negli occhi, sorpreso dalla sua spavalderia: alla fine, sorrise suo malgrado.
“Hai carattere” ammise, stringendosi nelle spalle “Dicono che tu lo abbia ereditato da tua madre”.
“La conosci?”.
“No. Mai vista”.
“Però ne hai sentito parlare” gli fece notare Eliza.
“Chi non ha mai sentito parlare di te e dei tuoi genitori? Anche se, in effetti, qui alla ‘Wammy’s House’ siamo gli unici a sapere del tuo vincolo di parentela con Elle”.
“Devo dire che, invece, tu sei un’autentica sorpresa. Nessuno mi ha mai parlato di te” lo provocò Eliza, appoggiandosi al muretto che faceva da base alla siepe.
“Near è sempre stato uno stronzo” commentò lui, pronunciando quel nome fra i denti “E non si è smentito neanche in questo caso: ad ogni modo, immagino che imparerai presto a conoscermi. E non sono sicuro che la cosa ti piacerà”.
“Senza dubbio, parli più di quanto il tuo aspetto minaccioso farebbe supporre” lo punzecchiò la ragazza, con un sorrisetto.
Il biondo la scrutò con aria torva, ma alla fine si concesse un altro sorrisetto di superiorità.
“Beh, anche tu sei piuttosto loquace. Ma senza dubbio, sei alquanto sfacciata”.
“Sarebbe a dire?” replicò Eliza, alzando un sopracciglio.
“Non si usa presentarsi agli estranei?” le domandò lui, aspirando a fondo la sua sigaretta.
La moretta lo scrutò con aria sorpresa e diffidente.
“Credevo sapessi già chi sono…” disse, a voce più bassa.
“Presuntuosa” ghignò di rimando, scuotendo appena la testa.
“Senti chi parla!” lo rimbeccò Eliza “Ad ogni modo, credo che neanche a te piacerà conoscermi fino in fondo; sono Eliza Havisham, ma non posso dire che incontrarti sia un vero onore, o qualcosa del genere”.
“Havisham, eh? Chissà perché, ma qualcosa mi dice che sia falso” la canzonò, senza mutare il suo tono di voce ringhioso, ma al tempo stesso affascinante.
Prima che lei potesse replicare, gettò a terra il mozzicone di sigaretta, senza curarsi di spegnerlo, e si avviò verso l’ingresso, con andatura sicura ed elegante.
“Sarà meglio andare a vedere cosa vuole quel nanerottolo. Tu vieni, ragazzina, o devo dirgli che hai cambiato idea e che hai avuto troppa paura per unirti a noi?”.
“Sottospecie di arrogante figlio di puttana!!!” sbottò Eliza, colma d’ira “E comunque, sei davvero un maleducato, sai?! Tutta questa scena, e poi non ti degni neanche di presentarti!”.
Allora, con estrema lentezza, lo vide fermarsi sugli scalini dell’orfanotrofio e voltarsi delicatamente verso di lei: sul suo volto spiccava ancora il suo ghigno malefico e canzonatorio, ma i suoi occhi erano freddi, persino glaciali, privi di qualsiasi espressività, se non di una vena di pazzia.
Sentendoli su di sé ancora una volta, non riuscì a reprimere l’ennesimo brivido, finendo per domandarsi se il lampo d’eccitazione che gli aveva visto nello sguardo fosse stato solamente frutto della sua immaginazione; quando lo udì parlare, non poteva sapere che quello sarebbe stato l’inizio della più straordinaria avventura della sua vita, e che l’incontro con quell’uomo l’avrebbe cambiata per sempre.
“Mi chiamo Mello”.
 
FINE
 
Nota dell’Autrice: …………………………………………………..io veramente non ci posso credere. Il Grande Momento è arrivato. E attualmente, questa storia conta 125 recensioni, 24 preferiti, 7 ricordati e 26 seguiti. Io…non ho veramente parole. Dico sul serio. Sto piangendo di fronte al computer, e non è uno scherzo. Vorrei ringraziarvi di nuovo tutti per nome completo, nonostante lo abbia fatto più volte, ma so che sarebbe riduttivo. Vorrei abbracciarvi tutti, dirvi che vi adoro, che tutto il sostegno, l’affetto e la dedizione che avete dato a Elle e a Ruri rimarranno sempre nel mio cuore, e che non le dimenticherò mai. Vorrei potervi conoscere uno per uno, e raccontarvi dettagliatamente del modo in cui è nata ‘Sugar and Pain’. Vorrei poter riuscire a spiegarvi quanto siete stati straordinari con il vostro sostegno, il vostro incoraggiamento, la vostra passione. Vorrei dirvi che avete creato qualcosa di magico, qualcosa che, senza il vostro appoggio, non avrebbe mai davvero visto la luce fino in fondo. Dal profondo del mio cuore, non posso fare altro che dirvi ancora GRAZIE e farvi presente che, qualora vogliate tornare, troverete sempre Ruri ed Elle pronti ad accogliervi. Adesso, rispondo subito alla domanda che vi starete facendo: STAI MICA PENSANDO A UN SEGUITO? Beh, chi può dirlo…al riguardo, mi piacerebbe avere il vostro parere. Ah, a proposito: il lieto fine è il vostro premio. Originariamente, la storia prevedeva la morte di entrambi, e la nascita di Eliza non era prevista. In sostanza, potremmo dire che, se Ruri ed Elle si sono salvati a vicenda, con il loro amore, senz’altro quello che avete provato per loro e per questa storia gli ha permesso di avere il lieto fine che tanto desideravate. Consideratelo il mio regalo per tutto ciò che siete stati in grado di darmi attraverso questo racconto. Non prendete esempio da me e non intristitevi troppo: Ruri ed Elle non vi hanno detto addio. Solo un…a presto.
 
La vostra commossa ed incredibilmente emotiva, Victoria93

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