Il Regalo Più Grande

di A li
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Mio Dolore ***
Capitolo 2: *** Il Mio Amore ***
Capitolo 3: *** Il Regalo Più Grande ***



Capitolo 1
*** Il Mio Dolore ***


Questa storia è tutto ciò che una mente malata (in fase di influenza) può partorire

Questa storia è tutto ciò che una mente malata (in fase di influenza) può partorire.

Doveva essere una one-shot, ma alla fine ho deciso di dividerla in tre capitoletti. Mi auguro che vogliate leggere fino alla fine.

Sperando che vi piaccia… Buona lettura.

 

Il Regalo

Più Grande

Dedicato a mia sorella Valeria

Perché le voglio un bene enorme

E Perché in questa storia c’è molto anche di lei

1. Il Mio Dolore

Voglio farti un regalo
Qualcosa di dolce
Qualcosa di raro
Non un comune regalo
Di quelli che hai perso
O mai aperto O lasciato in treno
O mai accettato
Di quelli che apri e poi piangi
Che sei contenta e non fingi
In questo giorno di metà settembre
Ti dedicherò
Il regalo mio più grande

 

-Al!-

Il grido di Edward risuonò per la casa, infiltrandosi nella cucina e raggiungendo le orecchie del fratello intento a preparare uno dei suoi manicaretti.

-Che c’è, fratellone?- domandò quello, con aria innocente.

Edward spuntò dalla porta con uno sguardo omicida che indirizzò senza incertezza al fratello minore, voltatosi per chiarire quella situazione.

-Al-, sillabò Edward, costringendosi ad abbassare il tono della voce, -E questo cosa significa?!-

Fallendo miseramente nel suo intento di calmarsi, sventolò sul viso del fratello un bigliettino rosa confetto decorato da due righe in inchiostro nero di una elegante calligrafia minuta.

Alphonse prese il foglietto dalle mani del fratello maggiore e lo guardò con un sopracciglio alzato, visibilmente contrariato.

-Cosa c’è che non va in un biglietto d’auguri?-, chiese.

Edward aggrottò le sopracciglia, sbattendo i piedi come faceva quando era incapace di esprimere a parole la sua rabbia.

-E’ da parte di una ragazza!-, esclamò.

Alphonse sorrise, inarcando maggiormente il sopracciglio già alzato.

-E allora?-

-Smettila di giocare, Al!-, ringhiò il fratello, -Perché una ragazza ti manda gli auguri?!-

Alphonse scosse la testa, come davanti ad un malato di mente incapace di capire la parola casa.

-Magari perché è innamorata di me?-, suppose ironicamente.

Edward sentì come una lama penetrargli nel petto. Boccheggiò un secondo, incapace di prendere fiato, ma Alphonse non lo vide, girato nuovamente verso il pranzo che stava preparando.

Abbassò le spalle minacciosamente alzate già da un po’ e rimase con occhi spalancati a fissare la schiena del fratellino adorato, osservando le sue braccia muoversi abilmente sul cibo.

Innamorata?

Quella parola gli infiltrava uno strano senso di inquietudine alla bocca dello stomaco. Ma in fondo, perché era stato così sorpreso di sentire che qualcuno poteva essersi innamorato di suo fratello? Forse perché per tutto quel tempo era stato l’unico ad amarlo senza limiti?

Probabilmente, ora che aveva ripreso il corpo, non avrebbe più avuto bisogno del suo affetto.

Ci sarebbe stato qualcun altro.

Un’ennesima fitta allo stomaco lo costrinse a serrare gli occhi. Percepì le lacrime minacciarlo di scendere senza ritegno e si affrettò a voltarsi. Di corsa, raggiunse la porta e si lanciò su per le scale.

Alphonse si girò allarmato. Ma ebbe solo il tempo di vedere la sua schiena sparire oltre lo stipite.

Abbassò lo sguardo, sentendosi ingiustamente colpevole.

 

Edward si coricò sul letto, puntando gli occhi dorati al soffitto intonacato.

Lentamente mise un braccio di fronte al viso, osservandosi il dorso della mano, e si chiese per quanto tempo avrebbe avuto tutte e due le braccia di carne pulsante. Il suo istinto lo metteva all’erta, lo spronava a non lasciarsi andare alla pace che aveva vissuto in quegli ultimi mesi. Perché una nuova difficoltà poteva essere dietro l’angolo.

Aveva sempre creduto allo scambio equivalente e per qualche motivo lui e suo fratello non avevano dovuto sacrificare nulla per tornare normali. Ma allora cosa voleva indietro? Che cosa desiderava, la Verità, in cambio di quella grazia?

Lasciò andare stancamente il braccio e quello si afflosciò sul letto, accanto a lui.

Perché prima si era tanto stupito della possibilità che una ragazza si innamorasse di suo fratello? Non era forse un bel ragazzo, biondo, con un sorriso magnifico?

Si vergognò di quei pensieri. Certo che Al era un bellissimo ragazzo. Ed era sicuro che avesse il diritto di farsi una vita sua, di trovarsi una ragazza, o addirittura una moglie, di avere dei figli.

Probabilmente non era quello che lo aveva tanto sconvolto. Era più la consapevolezza che Al, il suo fratellino, potesse innamorarsi di qualcun altro. Era stato quello a fargli paura.

Ma non era giusto che interferisse con la sua vita solo perché era assurdamente geloso. Era geloso perché erano stati insieme fin da piccoli e lo aveva sempre protetto con la sua forza e ora non voleva che andasse via. Forse però accadeva a tutti i fratelli, prima o poi, di provare quei sentimenti.

Sospirò e si alzò in piedi. Infilò le ciabatte ai piedi del letto e uscì dalla stanza per farsi una doccia.

Quando spalancò la porta sentì un profumo invitante provenire dalla cucina: Al si era davvero impegnato per preparare un pranzo coi fiocchi. Ecco un’altra sua dote; ecco un’altra cosa di lui a cui avrebbe dovuto rinunciare.

Entrò nel bagno trascinando i piedi. Si scompigliò i capelli con una mano e si tolse i vestiti con calma, appoggiandoli al bordo della vasca. Quando fu completamente nudo si fermò a guardarsi nello specchio.

Il suo riflesso gli lanciò un’occhiata perplessa. Era un ragazzo di diciassette anni, quello che vedeva in piedi nel bagno. Magro, muscoloso, con un viso perfettamente ovale dagli occhi dorati un po’ troppo grandi e le labbra sottili; i capelli arruffati stretti in una pinza che utilizzava solo per farsi la doccia, quando nessuno poteva vederlo, biondi, dello stesso colore degli occhi. E poi c’era quella sua dannata caratteristica che odiava ammettere: sì, era un po’… basso.

Il riflesso aggrottò le sopracciglia, infastidito dal commento inopportuno. Poi l’espressione si sciolse, i lineamenti tornarono di una pacata distensione e Edward sospirò, allontanandosi dallo specchio.

Lasciò le ciabatte davanti al cubicolo e vi entrò con un sorriso di piacere: amava farsi la doccia. Il suo inconscio aveva sempre ammesso, senza il suo consenso, che gli piaceva perché sembrava quasi una purificazione.

E il suo animo aveva avuto sempre bisogno di purificarsi.

Aprì l’acqua, lasciandola venire più calda possibile, scottandosi la pelle che cominciò a diventare rossa per il contatto. Il fumo confortante che rilasciava l’acqua lo avvolse totalmente, stordendolo e allietandolo insieme.

Rimase con gli occhi chiusi, immobile, a godersi il getto sul viso e sulle spalle, respirando a tratti, quando gli era possibile. I suoi pensieri tornarono a quel biglietto trovato davanti alla porta, in cui una certa Rose augurava un buon compleanno ad Alphonse. Pensò che era di certo uno scherzo del destino che quella ragazza si chiamasse proprio Rose, come la giovane immatura che avevano salvato dall’illusione della resurrezione molto tempo prima, a Reole.

Ma si sbagliava.

 

Tornò al piano di sotto solo mezz’ora dopo, vestito di un unico asciugamano legato attorno alla vita.

Alphonse lo aspettava seduto a tavola, con uno sguardo contrariato, di quelli che amava lanciargli prima di una sonora ramanzina. Ma quando vide il fratello maggiore venire giù dalla scala con solo un asciugamano addosso, tutti i suoi propositi svanirono in un sospiro rassegnato.

-Fratellone-, esclamò, -Ti sembra il caso di girare per casa in quello stato a metà ottobre?-

Edward gli rispose con un’occhiata annoiata, sedendosi al proprio posto, di fronte a lui.

-Mi sono appena fatto la doccia-.

Alphonse sbuffò.

-E questo cosa c’entra? La tua pelle ha paura dei vestiti, appena lavata?-

Edward lo incenerì, infastidito.

-No, solo dei vestiti sporchi-.

Alphonse chiuse gli occhi.

-Mettitene dei puliti, allora-.

-Non li ho, visto che non li hai lavati!-

Edward portò una mano alla bocca, pentendosi di quello che aveva appena detto, stupito persino di se stesso.

Gli occhi di Alphonse si riempirono di lacrime, mentre lo guardava con risentimento.

-Al, scusa, io…-

-Vaffanculo! I tuoi vestiti sono nel tuo cassetto, come sempre! Se non ti soddisfa il modo in cui li lavo io, lavateli da solo!-, gridò.

Cercò di portare via le lacrime con una mano, ma quelle continuavano a scorrere senza ritegno.

Si alzò con uno scatto, facendo cadere la sedia con un tonfo che assordò entrambi. Si fissarono senza trovare le parole, poi Alphonse singhiozzò e corse via, correndo mentre saliva le scale.

Edward rimase a guardare il posto vuoto davanti a sé, con gli occhi spalancati per lo stupore di quello che era successo, di quello che lui aveva fatto succedere. Come aveva potuto dire delle cose del genere a suo fratello? Ad Al? Da quando quell’assurdo risentimento era rinchiuso nel suo cuore, pronto a trovare la prima occasione per uscire?

Appoggiò un gomito sul tavolo, nascondendo la fronte e gli occhi nel palmo della mano, sospirando.

In quel momento si odiò più di quanto avesse mai fatto.

 

-Al-.

Edward bussò alla porta una volta, facendosi coraggio.

Da dentro la stanza non provenne alcun segno che Alphonse avesse sentito.

Sospirò, quasi sul punto di arrendersi, poi cambiò idea. Bussò di nuovo.

-Al, per favore…-, tentò, -Mi dispiace, io…-

Io cosa?

Avrebbe voluto dire che non era colpa sua se reagiva così: era la paura che lo costringeva a dire cose che lo ferivano; era quella: la sua terrificante paura di perderlo per sempre.

Bussò ancora, appoggiandosi con tutto il corpo alla porta, porgendo una guancia al legno liscio e freddo.

-Al-, insisté, -Ti prego, mi dispiace-.

Non sentì alcun rumore, ma ebbe la sensazione che suo fratello si fosse appoggiato alla porta, dall’altra parte, esattamente come stava facendo lui. Con tutto il coraggio che aveva, premette ancora di più contro il piano di legno, tentando di raggiungere con il pensiero il corpo di Al, di abbracciarlo.

-Al…-, sussurrò, -Mi dispiace tantissimo-.

Ripeté quelle parole ancora una volta e rimase in silenzio. Era certo che quel silenzio, quel respiro che Al poteva ascoltare di là dalla porta, valessero molto più di ogni parola di scusa. Era certo che il suo perdono potesse arrivare.

Infatti bastò un minuto, anche se a Edward parve fin troppo lungo per durare sessanta secondi, e la porta si socchiuse, lasciandogli lo spazio per entrare. Ci si infilò cautamente e richiuse il battente dietro di sé.

Al era poco più all’interno della stanza. Stava in piedi, con le braccia lunghe accanto al corpo e i pugni chiusi, il viso abbassato e gli occhi arrossati.

Edward gli si avvicinò e Al non fece nulla per impedirglielo. Lo accarezzò sulla fronte con una mano, delicatamente, come se si fosse trattato di un oggetto raro che poteva sbriciolarsi in un istante. Lo guardò con affetto, sorridendo, osservando quel suo corpo che aveva fatto tanta fatica a conquistare. E poi lo abbracciò, lo strinse a sé con tutta la forza che aveva in corpo, sperando che capisse da quel suo abbraccio quanto era grande il suo senso di colpa.

Al si lasciò stringere, permettendo che solo due lacrime ancora cadessero sulle spalle nude del fratello.

Edward ascoltò il calore di quelle lacrime sulla pelle.

Gli sembrò che bruciassero la sua carne più delle fiamme dell’inferno.

 

Quella notte non riuscì a dormire.

Alphonse riposava accoccolato contro il suo petto, tentando di trovare il calore che non aveva in sé.

Edward lo guardò con affetto, come aveva fatto poche ore prima, nella stessa stanza. Dopo un tempo infinito si erano separati e Al gli aveva chiesto di rimanere a dormire con lui, solo per quella notte.

Edward aveva mascherato la sua felicità dietro ad un sorriso che poteva essere di scherno, ma la gioia sincera che aveva intravisto negli occhi di Al aveva spento ogni sua possibilità di prenderlo in giro.

Aveva accettato.

Ed ora si trovava lì, stretto a suo fratello, come era successo molti anni addietro, quando ancora erano bambini. Al si spaventava per tutto: era un bambino davvero sensibile, e correva sempre da lui se aveva un incubo o qualcosa del genere. Le prime volte aveva pianto sommessamente, sperando di non farsi sentire, finché Edward aveva dovuto alzarsi e infilarsi di sua spontanea volontà nel letto del fratellino per calmarlo. Ma dopo due o tre volte, le notti di paura si erano fatte più frequenti e Al aveva iniziato a correre e buttarsi nelle lenzuola del fratello, stringendosi a lui tutto tremante.

Edward non gli aveva mai chiesto cosa riguardassero i suoi incubi: era sempre stato un argomento tabù. Probabilmente era l’unica cosa che non sapesse di suo fratello, ma non gli aveva mai dato fastidio. Se ad Al non andava di parlarne, di certo non lo avrebbe forzato a farlo. Sapeva bene cosa volesse dire essere obbligati a fare delle scelte e non aveva la minima voglia di farlo capire anche a suo fratello.

Sospirando, in preda ai ricordi di quelle notti, si mosse lentamente nel letto, mettendosi a pancia in su. Al scivolò dal suo petto, restando un po’ distante, raggomitolato su se stesso come un feto.

Edward cercò di addormentarsi, mentre osservava l’espressione distesa del fratello, e incredibilmente crollò dopo pochi secondi.

Fu svegliato dalla stretta violenta che sentiva sul braccio sinistro.

Aprì gli occhi, allarmato, e vide Al afferrare convulsamente la sua carne, scosso dai tremiti e dai singhiozzi. Le lacrime si erano già lasciate andare sul viso e sulle lenzuola, bagnando anche il pigiama di Edward.

Lui cercò di districarsi da quella stretta, ma ci riuscì solo dopo diversi tentativi. Prese il fratello per le spalle e lo scosse violentemente, cercando di svegliarlo.

-Al! Svegliati, Al!-

Alphonse continuava a piangere e a tremare, anche tra le braccia di Edward. Solamente dopo alcuni minuti e tutti gli sforzi del fratello, riuscì a svegliarsi. Spalancò gli occhi offuscati dalle lacrime e, quando riconobbe il volto di Edward, si gettò sul suo petto, affondando il viso nei suoi capelli lasciati liberi, piangendo senza controllo.

-Al…-, mormorò Edward, -Al… Dai, calmati… Non è niente, è tutto finito…-

Alphonse singhiozzava ancora, con il volto nascosto nel suo petto, tremando, anche se di meno.

Edward lo tenne stretto, circondandolo con le sue braccia, aspettando che si calmasse. A poco a poco Alphonse smise di tremare, poi anche i singhiozzi sparirono e infine le lacrime; il respiro si fece regolare.

-Fratellone-, sussurrò, con voce roca per il troppo piangere.

-Dimmi, Al-.

-Scusa…-

Edward aprì gli occhi che aveva chiuso, stupito.

-Di cosa?-

-Scusa se non ti ho salvato…-

Edward aggrottò le sopracciglia, avvolse ancora di più Alphonse nel suo abbraccio.

-Ma, Al, cosa stai…?-

Alphonse si lasciò scappare un altro singhiozzo.

-Tu-, mormorò, con le parole strozzate da nuove lacrime, -Eri lì, per terra, non ti muovevi. Sono corso accanto a te, ma quando sono arrivato c’era… qualcosa… Ti ha colpito, con un pugnale, in mezzo al petto. Sei stato avvolto da un lago di sangue e poi… Tu mi hai guardato e mi hai chiesto di salvarti, ma io non riuscivo a raggiungerti e…!-

-Al-, lo bloccò Edward, -Ora basta. Stai tranquillo: era solo un incubo-.

Alphonse smise di parlare. Si lasciò cullare da Edward che non disse più nulla.

Passarono i minuti e, quando il maggiore era convinto che l’altro si fosse addormentato, lo sentì muoversi tranquillamente contro di lui e sospirare.

-Fratellone-.

-Dimmi, Al-.

Edward sentì Alphonse sorridere sulla sua pelle.

-Ti ricordi quando da bambino venivo sempre da te dopo un incubo?-

Il maggiore si unì al sorriso del fratello.

-Certo che mi ricordo-.

-Mi hai sempre accolto e non mi hai mai chiesto che incubi facessi…-

Sospirò. –Non avevo il coraggio di rivelarteli, perché ero sicuro che mi avresti detto che ero uno stupido-.

-Al!-

-Sì, lo so-, ammise il più piccolo, -Non avrei dovuto pensare certe cose. Però l’ho fatto. Mi dispiace… E’ solo che quegli incubi mi tormentavano sempre e avevo paura-.

Fece una pausa e strofinò una guancia infreddolita sulla pelle calda di Edward, che cercò di scaldarlo come meglio poté.

-Sognavo sempre la stessa cosa. C’era la mamma, in mezzo al prato, che ci sorrideva. Avevamo preparato i nostri oggetti creati con l’alchimia e lei voleva vederli. Il tuo era più bello, come ogni volta: un cavallino di legno quasi perfetto. La mamma allora mi guardava con disprezzo e mi diceva che non ero capace di fare nulla, che non sarei mai stato bravo come te. Poi se ne andava insieme a te. Io vi correvo dietro, cercavo di raggiungervi, ma eravate sempre più lontani. Alla fine scomparivate e il buio mi avvolgeva. C’ero solo io, in mezzo a tutta quell’oscurità, a tutto quel freddo…-

Edward represse a stento le lacrime, mentre fissava la testa di Al nascosta contro di sé.

-Al… Non avremmo mai potuto fare una cosa del genere, lo sai!-

Alphonse annuì con sicurezza, senza lasciare che il sorriso sparisse dalle sue labbra. Probabilmente quell’incubo era solamente un ricordo lontano, per lui e non aveva più alcun peso.

Edward sentì una lacrima scendere sulla sua guancia: non si era nemmeno accorto di averle concesso di sfuggire al controllo. Con una mano, la scacciò via velocemente.

-Piangi?- chiese Alphonse, con il suo solito tono innocente.

-No, Al-.

Al fratello parvero bastare quelle due parole. Tornò a distendersi sulle lenzuola asciutte ormai, nonostante le lacrime e portò con sé Edward, rimanendo stretto a lui. Si addormentò in pochi secondi, con un’espressione serena sul viso.

Edward rimase a guardarlo, incapace di rassegnarsi all’idea che ormai quell’incubo era il passato e non sarebbe più tornato a tormentare suo fratello. Aveva la gola serrata e un sapore amaro in bocca che ricordava il senso di colpa.

Non sarebbe mai stato capace di riscattare le proprie colpe verso il fratello che aveva fatto soffrire così tanto.

Pensò che non era riuscito ad amare nessuno, nella sua vita, quanto suo fratello. E pensò che non era nemmeno riuscito a far soffrire qualcuno quanto lui.

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Capitolo 2
*** Il Mio Amore ***


Questa storia è tutto ciò che una mente malata (in fase di influenza) può partorire

Ecco il secondo capitolo.

Grazie di cuore a Liris e a Daria. Vi voglio bene.

Buona lettura a tutti. Spero in qualche commentino.

 

Il Regalo

Più Grande

Dedicato a mia sorella Valeria

Perché le voglio un bene enorme

E Perché in questa storia c’è molto anche di lei

2. Il Mio Amore

Vorrei mi facessi un regalo
Un sogno inespresso
Donarmelo adesso
Di quelli che non so aprire
Di fronte ad altra gente
Perché il regalo più grande
È solo nostro per sempre

 

Quando si svegliò Alphonse dormiva ancora.

Aprì gli occhi e lo vide disteso accanto a lui, raggomitolato su se stesso, con le braccia piegate e le mani vicine alle labbra. Aveva la stessa espressione serena della sera prima.

Edward lo fissò a lungo, percorrendo il suo profilo con gli occhi e con il cuore, passando dalle sue braccia al suo petto al suo viso. Si ritrovò a pensare che era la più bella creatura che avesse mai avuto l’occasione di guardare.

Sorrise, ricordandosi che era ora di alzarsi e si mosse il più delicatamente possibile, per non svegliare il fratello.

Scese dal letto, infilò le ciabatte e stirò le braccia e la schiena, facendo scrocchiare le spalle.

All’ultimo momento sentì di aver dimenticato qualcosa. Si voltò indietro e vide che suo fratello aveva leggermente cambiato posizione, sporgendosi verso il punto del letto in cui prima era disteso lui. Ridacchiò divertito e gli si avvicinò, sporgendosi per baciargli affettuosamente una guancia. Ma quando si trovò a un soffio dal suo viso, senza accorgersene, posò le labbra sulle sue.

Si scostò all’istante, preoccupato che Alphonse potesse svegliarsi e lasciò la camera velocemente. Corse al piano di sotto, fermandosi solo in cucina, quando si fu seduto su una delle sedie attorno al tavolino in legno.

Il suo respiro era ancora irregolare e la sua mente correva troppo veloce per potergli permettere di fermare un qualunque pensiero. Quando si fu calmato, la prima cosa che si disse fu Non era niente.

In fondo che cos’era un bacio casto sulla bocca ad un fratello minore? Nulla. Era solo una dimostrazione di affetto, un modo di far capire a lui e a se stesso che gli voleva bene.

In qualche modo il pensiero lo tranquillizzò. Si distese sulla sedia, riversando la testa all’indietro e chiuse gli occhi. Poi, di scatto, appoggiò le mani al tavolo e, facendo leva con le braccia, si alzò in piedi. Con rinnovata frenesia e serenità si mise ai fornelli per preparare la colazione migliore che avesse mai cucinato. Voleva che fosse un giorno speciale: in fondo era il primo di vacanza da quando Alphonse aveva ripreso il pieno controllo del proprio corpo. Finalmente Mustang gli aveva concesso una settimana di pausa dal Quartier Generale e così avrebbe potuto festeggiare tranquillamente il compleanno di Alphonse, a casa.

Sorrise tra sé e lanciò un’occhiata al calendario, che segnava il 14 ottobre. Mancava esattamente un giorno.

Dopo un sacco di tempo, sentì finalmente di essere in pace con se stesso: se fosse stato merito della sera prima, o di quella notte, o delle rivelazioni di Al proprio non lo sapeva. Ma non aveva importanza; quello che contava era essere felice, per una volta, dopo anni e anni.

Cercò di farsi tornare in mente l’ultima volta in cui si era sentito davvero felice, ma non riuscì a ricordarla. Probabilmente la sua vita era stata un susseguirsi di dolori infiniti senza riscatto. Ora che aveva trovato la pace non doveva lasciarsela sfuggire per niente al mondo.

Finì di preparare la colazione pochi minuti dopo. Senza rendersene conto aveva impiegato pochissimo tempo.

Sorrise soddisfatto e decise di portarla di sopra ad Alphonse, dato che non sembrava essersi ancora svegliato.

Mise tutta la roba su un vassoio, stando attento a non rovesciare nulla, ma proprio quando stava per caricarlo sulle braccia, sentì Alphonse gettarglisi addosso, abbracciandolo alle spalle.

-Fratellone!-

Edward scoppiò a ridere di fronte a tanto entusiasmo.

Alphonse distese l’espressione in uno di quei suoi sorrisi così limpidi e lo baciò su una guancia, con la felicità che gli imporporava il viso, poi si staccò e corse a sedersi. Il fratello rimase un momento immobile, con una strana sensazione alla bocca dello stomaco, ma si affrettò subito a voltarsi.

-Che si mangia, fratellone?-

Alphonse era seduto sulla sedia che era ormai il suo posto fisso, con un cucchiaio in una mano e una forchetta nell’altra, rivolti verso l’alto, ed un sorriso da una guancia all’altra.

Edward non riuscì a trattenersi dal ridere si nuovo.

-Cos’è tutto questo entusiasmo?-, chiese.

Alphonse appoggiò il mento sui pugni chiusi, sporgendosi in avanti.

-Nulla. Sono solo felice-, ammise.

Edward non trovò niente che potesse servire da risposta adeguata. Sospirò semplicemente, chiudendosi in un silenzio di serenità malcelata, e si girò di nuovo verso i fornelli per prendere il vassoio. Lo portò ad Alphonse con un atteggiamento di chiaro orgoglio, mettendoglielo di fronte che ancora fumava. Era una colazione ricca di delizie che Edward non gli aveva mai permesso di mangiare.

Gli occhi di Alphonse brillavano di felicità.

-Fratellone…-, mormorò, quasi commosso, -E’ tutto per me?-

Edward annuì, felice che ad Alphonse facesse così piacere una semplice colazione.

-Certo, stupido fratellino-, rispose, arruffandogli i capelli con affetto.

Alphonse si buttò sul cibo con una foga incredibile e finì con l’ignorare totalmente il fratello.

Edward lo guardò perplesso per un attimo, chiedendosi quanto cibo avrebbe fatto andare nei sei anni precedenti se avesse avuto un corpo. Lasciandolo ai suoi piaceri, tornò di sopra ed entrò nella propria camera.

Era esattamente come il giorno prima. Le finestre erano chiuse e non entrava nemmeno un raggio di sole. Non sapeva perché, ma la luce gli dava fastidio, gli inculcava un senso di angoscia nel petto, spesso non lo faceva respirare.

Non capiva proprio per quale motivo. Aveva viaggiato così tanto tempo, negli anni precedenti, alla ricerca della pietra filosofale e aveva incontrato tante persone, tanti nemici; era stato esposto alla luce praticamente sempre e non lo aveva mai messo a disagio. Eppure adesso che finalmente era riuscito nel suo intento, il sole gli faceva paura.

Scuotendo la testa camminò fino al letto e ci si buttò sopra, rimanendo completamente disteso, a braccia aperte. Non aveva dormito un granché quella notte, ma non sentiva esattamente il bisogno di riposarsi: era più una sensazione di spossatezza della mente.

Chiuse gli occhi e il buio lo avvolse come una coperta accogliente. Percepì uno strano formicolio farsi strada dal petto fino alle estremità delle braccia e delle gambe. Era una sensazione piacevole. Lasciò che quella scossa lo percorresse tutto e che i sensi lo lasciassero a poco a poco. Era come galleggiare nell’acqua e sentire il mormorio delle onde nelle orecchie.

-Fratellone-.

Il sussurrò lo risvegliò dal torpore.

Aprì gli occhi, confuso, e mise a fuoco il volto di Alphonse ancora sorridente come quella mattina.

-Al, io…-

Il fratello sorrise, rendendo i suoi occhi due strisce sottili.

-Ti sei addormentato!-

Alphonse rise divertito, mentre Edward lo guardava in cagnesco, anche se ancora mezzo addormentato.

-Che c’è da ridere?-

-Niente, niente… Mi fa ridere la tua faccia-.

Edward si toccò il viso, cercando di aggiustarsi i capelli che sembravano essersi agitati da soli durante il sonno. Doveva essere davvero in uno stato pietoso.

Alphonse sorrise ai suoi tentativi di rendersi quantomeno civile. Gli si avvicinò e gli bloccò le mani, impedendogli di mettersi ancora a posto quella chioma bionda.

-Tranquillo, fratellone. Sei bello anche così-, esordì.

Edward sobbalzò, ma Alphonse non se ne accorse.

L’innocenza con cui aveva pronunciato quella frase era incredibile. Edward lo fissò quasi seccato. Al non poteva dire certe cose senza pensarci, semplicemente aprendo la bocca. Doveva riflettere sul significato delle proprie parole, a come gli altri avrebbero potuto interpretarle. Non poteva essere sempre così ingenuamente ingenuo.

O forse era lui quello che sbagliava?

Si passò una mano sulla fronte, esasperato.

-Qualcosa non va, fratellone?-

Alzò gli occhi e trovò Alphonse a pochi centimetri da sé, con il volto animato da un’espressione di sincera preoccupazione. Deglutì a fatica, distogliendo lo sguardo e si sforzò di sorridere, per tranquillizzare il fratellino.

-Tutto a posto, Al-.

Lui non sembrò totalmente convinto, ma accettò le sue parole e si coricò sul letto, di fianco a lui. Edward lo lasciò fare, restando seduto ad osservare i suoi gesti. Alphonse guardava il soffitto, con un interesse che rasentava l’ostinazione.

-Ehi, Al-, sussurrò Edward, addolcito dalla sua espressione.

Il minore lo ignorò sfacciatamente, continuando a fissare in alto.

Edward sospirò, rassegnato a quella strana forma di ribellione.

-Avanti, Al-, mormorò, -Dimmi che c’è-.

Alphonse si ostinò a non prestare attenzione alle sue richieste, fin quando non resistette più. La quarta volta che il fratello lo scosse gentilmente chiedendogli di parlare, chiuse gli occhi e imbronciò l’espressione in modo infantile.

-Perché non mi dici che cos’hai?-, chiese.

Edward non capì. Lo fissò stranito, aspettando che chiarisse quello che intendeva.

Alphonse sospirò, sempre senza guardarlo.

-Perché quando ti chiedo se c’è qualcosa che non va tu non mi rispondi mai e io invece devo sempre dirti tutto?-

Edward gli lanciò un’occhiata sorpresa.

-Ma, beh, perché non c’è niente che non va-.

-Non è vero-, insistette.

-E’ vero, Al-, lo assicurò Edward, accarezzandogli la fronte.

Alphonse cacciò la sua mano. Era tantissimo tempo che non lo faceva più.

Rimasero tutti e due sorpresi da quel gesto, ma Alphonse si tirò su a sedere e continuò a parlare sempre senza guardarlo.

-Non mentire, per favore. Ti conosco da sedici anni, non puoi ingannarmi-.

Edward lo fissò ancora stupito dal gesto di prima. Cercò di trovare le parole per rispondere, ma la mente non trovava la strada per ragionare e mettere insieme una frase.

Alphonse sembrava arrabbiato sul serio.

-Solo perché ti sei sempre preoccupato tu per me e io non sono mai riuscito a consolarti, questo non vuol dire che io non capisca quando stai male-, continuò, -Perciò smettila di mentire, per favore-.

Alzò gli occhi su Edward, finalmente, ma quello lo guardava incapace di dire nulla, frastornato dalle sue parole.

Perché Al tirava fuori un discorso del genere adesso?

Il minore aspettò che il fratello rispondesse, ma lui non disse nulla. Le lacrime gli bagnarono i lati degli occhi, come il giorno prima. Si morse le labbra, per smettere di piangere, ma il tentativo fallì.

-E va bene-, disse, -Non c’è problema, ho capito-.

Si alzò dal letto e fece per andarsene, ma Edward lo bloccò, trattenendolo per un braccio. Quando si voltò a guardare il fratello maggiore, vide che il suo sguardo era animato da un risentimento che non aveva mai visto nei suoi occhi.

Edward lo tirò indietro, riportandolo malamente a sedersi sul letto di fronte a lui, poi gli bloccò i polsi di fianco al busto, sulla coperta, in modo che non potesse muoversi. Alphonse lo fissò allarmato.

-Fratellone…-, lo implorò.

Edward lo accusò con lo sguardo.

-Vuoi sapere che cos’ho? E’ questo?-

Alphonse deglutì, annuendo.

-E va bene, ti accontenterò. Ma poi non venirmi a dire che non volevi-.

Il fratello lo osservò sospirare e poi prendere fiato. Gli occhi e le sopracciglia aggrottate lo facevano sembrare un’altra persona. Perché si era arrabbiato così?

-Io…-, il tono di Edward si fece basso, quasi impercettibile.

Sembrava non trovare le parole. I suoi occhi rimanevano fissi sui polsi di Alphonse, senza riuscire a sollevarsi. Il respiro era accelerato. Era come in lotta con se stesso, per capire se parlare o no.

Ad un certo punto sospirò e alzò lo sguardo.

Quando i suoi occhi incontrarono quelli del fratello, l’oro delle iridi ebbe un fremito. Una lacrima scese lenta sulla sua guancia, ma non riuscì a scacciarla.

Prese un lungo respiro, tentando di calmarsi e lanciò ad Alphonse un’occhiata rassegnata.

-Mi dispiace, Al-, sussurrò.

Spostò le mani dai suoi polsi alle sua braccia, stringendogliele quasi a fargli male. Sfruttando quella presa, lo tirò con violenza verso di sé e appoggiò le labbra sulle sue. Nonostante la foga, nonostante la stretta violenta delle sue mani, lo fece con estrema dolcezza, quasi con affetto fraterno, come se si fosse trattato di una semplice carezza.

Alphonse non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo. Edward lo lasciò andare praticamente all’istante, inorridito dal proprio gesto. Si alzò dal letto e uscì dalla camera correndo, dopo aver sbattuto la porta.

Alphonse rimase con le braccia abbandonate lungo i fianchi e lo sguardo fisso, per la prima volta senza certezze.

 

-Fratellone-.

Edward ascoltò il suono della voce di Al dall’altra parte della porta del bagno, ma non si mosse.

Seduto a terra, sul pavimento gelato, appoggiò la schiena alla vasca da bagno e riversò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi come aveva fatto quella mattina. Ma questa volta gli uscì solo un sospiro affranto.

Come aveva potuto rovinare tutto in un attimo?

Finalmente lui e suo fratello avevano trovato un po’ di pace ed erano riusciti a vivere una vita normale e ora aveva distrutto quell’equilibrio senza ritegno, solo per seguire…

Che cosa? Il suo cuore?

Probabilmente era così. Se avesse fatto il bene di suo fratello, come aveva continuato a fare per tutta la vita, non sarebbe successo niente di tutto quello. Ma non si poteva tornare indietro.

-Fratellone, per favore…-

Sospirò e nascose il volto tra le mani.

Non poteva aprire la porta ad Alphonse. Sapeva cosa gli avrebbe detto: Mi dispiace, fratellone, è colpa mia, non avrei dovuto obbligarti a parlare. Si sarebbe assunto la colpa di tutto, come al solito. Non sarebbe riuscito a sopportarlo.

E non poteva prevedere nemmeno le proprie azioni.

-Fratellone, per favore, apri!-

I tentativi di Alphonse si erano fatti più insistenti. Edward si portò le mani alle orecchie, tentando di non ascoltare le suppliche del fratello nel corridoio della casa. Poteva vederlo, appoggiato alla porta, bussare con tutta la forza che aveva e le lacrime agli occhi.

-Fratellone, fratellone! Ti prego!-

Sentì il fratello scoppiare in lacrime. Senza volerlo, cominciò a piangere a sua volta, travolto dal dolore che faceva provare ad Alphonse. Perché gli aveva fatto questo?

Il pianto di Alphonse gli attraversò le orecchie, la mente, il cuore, lo trafisse in ogni parte del corpo per fargli più male possibile. Non si fermò davanti a nulla. Smise di singhiozzare solo mezz’ora dopo.

Edward lo sentì accasciarsi alla porta del bagno, battendo i pugni con le ultime forze e poi andarsene.

Nascose ancora una volta il viso tra le mani e maledisse il proprio corpo, a cui non sarebbe mai bastato l’amore da semplice fratello.

 

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Capitolo 3
*** Il Regalo Più Grande ***


Questa storia è tutto ciò che una mente malata (in fase di influenza) può partorire

E siamo all’ultimo capitolo.

Anche se non ho ricevuto recensioni per il secondo, ho deciso di pubblicare l’ultimo.

Spero che adesso qualcuno commenti.

Vi prego… ç-ç

Buona lettura.

 

 

Il Regalo

Più Grande

Dedicato a mia sorella Valeria

Perché le voglio un bene enorme

E Perché in questa storia c’è molto anche di lei

3. Il Regalo Più Grande

Vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché
Di notte chi la guarda possa pensare a te
Per ricordarti che il mio amore è importante
Che non importa ciò che dice la gente perchè
Tu mi hai protetto con la tua gelosia che anche
Che molto stanco il tuo sorriso non andava via
Devo partire però se ho nel cuore
La tua presenza è sempre arrivo
E mai partenza
Regalo mio più grande

 

Uscì dal bagno due ore dopo, quando fu sicuro che Alphonse non poteva trovarsi davanti alla porta.

Nel corridoio diede un’occhiata all’orologio a muro appeso in alto e si accorse che erano le nove di sera. Pian piano scivolò verso la sua stanza, deciso ad infilarcisi dentro e a chiudersi a chiave velocemente, ma all’ultimo momento si bloccò. Attraverso la porta della stanza di Alphonse lo vide coricato sul suo letto, con il viso contratto in una smorfia di dolore, palesemente addormentato ma con tutti i vestiti addosso.

All’inizio pensò di approfittare del momento e correre nella propria stanza, ma non riusciva a togliersi dalla testa l’espressione sofferente del fratello.

Sospirò, arrendendosi al proprio istinto, ed entrò silenziosamente. Camminando adagio si avvicinò al corpo del fratello e gli si sedette accanto, contemplando i suoi tratti gentili. Anche con quel dolore addosso, il viso rispecchiava la sua gentilezza e la sua generosità.

Assorto, gli accarezzò la fronte, assurdamente pronto a ricevere un rifiuto che non venne.

Sotto la sua mano delicata, il viso di Alphonse si distese lentamente, tornando sereno.

Edward si sorprese di come potesse, una sola carezza, rasserenare suo fratello. Sorrise felice di averlo aiutato nonostante tutto e si alzò dal letto, per evitare di farsi trovare lì nel caso si fosse svegliato.

Quando si voltò di nuovo verso il fratello, richiamato da uno strano istinto, lo trovò con gli occhi aperti e un’espressione nuovamente sofferente mentre lo fissava. Prima che avesse la possibilità di andarsene, Alphonse gli afferrò il braccio, tirandolo verso di sé.

Edward si ritrovò addosso a lui, con il peso del proprio corpo, appoggiato con le mani al materasso per non soffocarlo.

Alphonse lo tratteneva ancora per un braccio, impedendogli di andarsene. Ma più della sua stretta, era la sua espressione ad impedire un qualunque gesto del maggiore: straziata, piena di un dolore incredibile.

-Fratellone-, mormorò, con la gola bloccata dalle lacrime, -Non andartene mai più via-.

Edward spalancò gli occhi e fissò il fratello sotto di sé piangere silenziosamente. Il dolore al petto che lo aveva invaso nel bagno tornò ancora più forte, distruggendolo in tutto il corpo.

-Al…-, sussurrò disperatamente.

Il fratello continuò a piangere, stringendo con tutta la forza che aveva il braccio di Edward.

-Non abbandonarmi mai più-, implorò.

Edward lo fissò a lungo, lasciando che anche le proprie lacrime scendessero senza freni. Accarezzò con gentilezza una guancia di Alphonse, più e più volte, mentre piangevano.

-Mi dispiace, Al-, mormorò, -Perdonami. Non andrò via mai più-.

Alphonse sorrise, tremando.

-Grazie-.

Poi gli afferrò entrambe le braccia, come aveva fatto lui nella sua stanza, e lo tirò verso di sé, baciandolo.

Edward non si chiese che cosa stesse facendo, se fosse giusto o sbagliato, se avesse un senso o se fosse tutto frutto della sua pazzia. Lasciò semplicemente che accadesse.

Approfondì il bacio, quando Al glielo chiese. Si fece togliere la camicia bianca nonostante a farlo fossero le piccole mani tremanti di suo fratello. Spostò le labbra sul collo pulsante di Al, facendolo sobbalzare di sorpresa e di piacere.

Lo fece gemere e lo fece sospirare, accontentandolo.

Lasciò che domandasse e che ricevesse in risposta tutto quello che desiderava.

Condusse il gioco; lo prese lentamente, con delicatezza, baciandolo e accarezzandogli il viso.

Alphonse non chiedeva niente di sbagliato. Chiedeva solo di conoscere l’amore.

 

-Fratellone-.

Edward aprì gli occhi e si ritrovò di fronte al viso luminoso di suo fratello.

-Al-, sussurrò dolcemente.

Fece per tirarsi su, ma si accorse di essere avvinghiato dalle braccia di Alphonse, che se ne stava felicemente appollaiato sul suo petto, sorridendo.

-Al, lasciami andare-.

Alphonse scosse la testa e lo strinse ancora più tra le braccia.

-Grazie, fratellone-.

Edward non capì subito. Quando la sua mente appena sveglia gli permise di collegare le parole del fratello alle immagini della sera prima, spalancò gli occhi e arrossì.

-Al! Ti sembrano cose da dire?-

Alphonse allargò il sorriso.

-Certo-, rispose semplicemente.

Edward sospirò, scuotendo la testa. Al non sarebbe mai cambiato. Sempre con quell’assurda innocenza e ingenuità anche quando si trattava degli argomenti più… intimi?

Arrossì ancora, costretto a farlo dai suoi stessi pensieri.

-Fratellone, sei arrossito?-

Alphonse lo guardava con un sorriso strafottente e divertito, cercando di leggere la sua espressione.

-No-, rispose convinto.

-Sì, invece-.

-Ti dico di no-.

-Ti assicuro che sei arrossito-.

Edward incrociò le braccia, rischiando di dare una gomitata in testa al fratello, che si spostò appena in tempo.

-Smettila. Te lo ordino-.

Alphonse scoppiò a ridere.

-E da quando sei diventato un mio superiore?-

Edward lo guardò con espressione scioccata.

-Sono tuo fratello maggiore!-

-Sì, ma non il colonnello Mustang! Non puoi darmi ordini!-

-Non hai ancora diciotto anni, quindi sei sotto la mia tutela-.

Alphonse si mise a ridere ancora più divertito.

-Nemmeno tu li hai!-

Colpito in fallo, Edward si chiuse nella sua espressione imbronciata più convincente e cominciò a fissare nel vuoto, sperando di far smettere la risata di Alphonse. In effetti ci riuscì.

Il fratello si ostinò ad ignorarlo per un po’, ma poi si arrese.

-Ok, scusami fratellone-.

Edward sorrise, prendendo qualche anno di maturità, e lo accarezzò, stringendolo a sé il più possibile.

Alphonse si lasciò cullare in quell’abbraccio, sapendo che non sarebbe durato molto.

Due minuti dopo infatti Edward era scivolato dalla stretta del fratello minore ed era sceso dal letto, per vestirsi. Alphonse rimase ad osservarlo raccogliere gli abiti sparsi sul pavimento, sorridendo. Quando Edward si girò, lo stava ancora osservando con la stessa espressione.

-Che c’è da guardare?-

Alphonse alzò le spalle, come se fosse una cosa di poca importanza.

-Sei bello-, asserì.

Edward arrossì, ostentando l’espressione scioccata che gli veniva benissimo.

Abbassò lo sguardo, a disagio.

-Smettila di dire certe cose con tanta tranquillità!-

-Perché non dovrei?-

-Perché… Oh! Lascia perdere!-

Edward continuò a vestirsi senza degnarlo della minima attenzione.

Era… Irritante.

Mentre si stava infilando le calze, lo sentì gettargli le braccia al collo da dietro.

-Al! Ti prego, vestiti!-

-L’ho già fatto-.

Si voltò e lo vide sorridere, perfettamente abbigliato da capo a piedi.

Sospirò e si affrettò ad eguagliarlo, sperando che non si mettesse a ridere come al solito.

Quando alzò gli occhi per dirgli di scendere di sotto, era sparito.

Scese le scale lentamente, perché una strana sensazione lo voleva avvertire che poteva aspettarsi qualunque scherzo. Invece quando arrivò in cucina Alphonse era attaccato ai fornelli e aveva quasi finito di preparare una splendida colazione. Sorrise, ripensando a due giorni prima: era nella stessa situazione mentre correva giù dalle scale con quel biglietto rosa di auguri per Al, ingiustamente infuriato. Doveva ammettere di essersi sbagliato: a quanto pareva, Al non aveva alcun interesse per quella ragazza.

Per una volta fu lui ad avvicinarsi di soppiatto ad Alphonse e ad abbracciarlo da dietro. Quello sussultò, sorpreso dal gesto insolito. Si appoggiò con la schiena al suo petto, godendosi il momento, ma senza smettere di cucinare.

-Che buon profumino-, mormorò Edward.

-Ti piace?-

-Mi piacerebbe qualunque cosa, cucinata da te, lo sai-.

Alphonse sorrise divertito.

-Come mai siamo così gentili?-

Edward alzò gli occhi al cielo.

-Hai rovinato l’atmosfera-.

Il fratello rise, scuotendo la testa.

Edward lo baciò sul collo.

-Buon compleanno-, mormorò, facendolo rabbrividire, poi si staccò e andò a sedersi al suo posto.

Alphonse continuò a preparare la colazione.

Edward pensò che in tutti quegli anni si era sempre immaginato come sarebbe stata la loro vita dopo aver recuperato il corpo di Al, ma mai gli sarebbe balenata in mente un’idea simile. Aveva pensato ad una bella casa, un cane e forse anche qualche gatto, per fare felice Al, un grande giardino che ricordasse la campagna di Reesembool. Ma non si era sforzato di creare anche la loro vita vera e propria. Come avrebbe potuto?

Nessuno sarebbe riuscito a fargli credere che si sarebbero innamorati.

O forse sì. Forse era stato inconsciamente innamorato di Al fin da bambino.

Mentre gli fissava la schiena muscolosa con uno strano orgoglio fraterno, ripensò alla sera prima. Gli tornò in mente senza che potesse farci nulla. Tentò di non arrossire e non fu difficile questa volta, dato che Al non lo stava guardando. Si accorse di desiderarlo con un’intensità incredibile proprio quando lui si stava voltando.

Gli sorrise dolcemente e Alphonse ricambiò.

Sì. Non c’era nulla al mondo che desiderasse di più.

 

-Che buono!-

Alphonse sorrise contento.

Edward aprì la bocca per fare un nuovo apprezzamento, ma il campanello suonò all’improvviso.

-Vado io-, lo assicurò Alphonse.

Si alzò e camminò fino all’ingresso poco distante.

Edward lo sentì aprire la porta ed emettere un’esclamazione sorpresa.

-Buon compleanno, Al!-

-Rose…-

Edward sorrise.

E così la ragazza innamorata arrivava per farsi conoscere, eh? Peccato che avrebbe trovato una brutta sorpresa ad aspettarla. Chissà che delusione sarebbe stata scoprire che il suo amato era già occupato.

Le voci nell’ingresso si erano spente.

Edward si alzò dalla sedia, pronto a chiarire la situazione se Alphonse non ne fosse stato capace.

Si aggiustò distrattamente i vestiti e si avviò alla porta che divideva la cucina dall’ingresso.

Preparò un bel sorriso da sfoggiare.

Ma quando la scena gli si delineò davanti agli occhi, il sorriso sparì all’istante.

Alphonse era in piedi davanti alla porta dell’ingresso, avvinghiato ad una ragazza dai capelli castani. Quella Rose.

Si stavano baciando.

Sentì il respiro mozzarsi. Più che altro gli sembrò di dimenticare come si facesse a respirare. Boccheggiò un attimo, con gli occhi spalancati. Cosa stava succedendo? Cosa stava facendo Al?

Alzò un braccio verso la scena e nello stesso momento fece un passo all’indietro. Cominciò a scuotere la testa, negando tutto ciò che i suoi occhi gli mostravano, negando con la ragione quello che il cuore non poteva sopportare.

Le lacrime scesero senza alcun riguardo per lui, per il suo orgoglio.

Sentì la nausea farsi terribilmente forte.

L’ultima cosa che vide fu Alphonse che si voltava e lo fissava con lo stesso sguardo sconvolto.

Le sue gambe, l’ultima parte del corpo che ancora avesse modo di funzionare, lo portarono via da tutto quello. Corse con tutta la sua forza su per le scale, spalancò la porta del bagno e la chiuse dietro di sé, facendo scattare la serratura.

Si buttò sul gabinetto senza poter più resistere e rigettò tutto quello che aveva mangiato poco prima, tutte quelle bontà che Alphonse aveva preparato per lui. Quando non ebbe più nulla da vomitare si accasciò sul pavimento, bagnando le piastrelle immacolate con le sue lacrime.

Sì, aveva immaginato molte volte la loro vita dopo aver recuperato il corpo di Al.

Ma in tutte le possibilità, non era stato mai solo.

 

-Edward! Edward, apri questa maledetta porta!-

Edward aprì gli occhi, respirando a fatica sul pavimento del bagno. Le lacrime erano scese finché non aveva più avute ed ora le ultime restavano cristallizzate sulle sue guance.

Incredibilmente, sorrise.

Da quella posizione tutto era diverso. Chissà come vedevano il mondo le formiche che passavano tutta la loro vita sulla terra, rischiando di essere calpestate dagli uomini. Probabilmente non potevano semplicemente fare altro che sopravvivere.

-Edward!-

Anche lui avrebbe dovuto fare così? Tentare di portare avanti la sua vita, faticosamente, nonostante tutto? Provare a vivere anche se suo fratello lo aveva lasciato irrimediabilmente solo?

Vivere anche senza di lui?

-Edward, apri!-

Si lasciò andare ad un altro sorriso stanco.

No. No, non era possibile.

Una risata flebile lo fece tremare leggermente. Tutto quel piangere e quel vomitare l’avevano sciupato.

Che stupido. Perché non lo aveva capito prima?

Alphonse aveva bisogno di essere amato. Ne aveva sempre avuto bisogno, fin da piccolo.

Ma evidentemente una sola persona era troppo poco. Nonostante l’amore che poteva offrirgli, le sicurezze che poteva assicurargli, non era mai stato abbastanza. Avrebbe dovuto rendersene conto molto tempo prima. Molto, molto tempo prima. Quando da bambini litigavano e Al si faceva una volta consolare dalla mamma, una volta dal papà e quando non gli rimaneva altra possibilità aspettava che lui non fosse più arrabbiato e finiva con il saltargli in braccio. Avrebbe dovuto capirlo quando vedeva il modo in cui guardava Winry e la maestra Izumi.

Quello sguardo, lo aveva forse mai visto rivolto su di sé?

C’era tutto il suo affetto, in quello sguardo. Tutta la sua vita era nel suo essere capace di amare. E Al aveva amato tante persone, tutte quelle che aveva potuto.

Ma non suo fratello.

Si chiese quale maledizione lo avesse reso tanto indegno di essere amato agli occhi di suo fratello.

Quando la risposta gli arrivò alla mente, rise per esserselo addirittura chiesto.

Era così ovvio. Così terribilmente ovvio.

Lo scambio equivalente.

Lo aveva costretto a donare il suo corpo per una pazzia di cui lui era l’unico responsabile. Lo aveva confinato in un’armatura per sei anni. Lo aveva fatto soffrire molte e molte volte.

E alla fine non gli era costato nulla riportare indietro il suo corpo.

Sbagliato. Oh, decisamente sbagliato.

C’era qualcosa che la Verità aveva voluto in cambio del suo favore. Della sua grazia.

Un cuore a pezzi. E una vita in meno.

 

-Fratellone!-

Edward non rispondeva ancora.

Alphonse sbatté i pugni contro la porta, rabbiosamente.

Ma cosa era preso a Rose? Lo aveva baciato così, senza dire niente. Edward li aveva visti. Edward li aveva visti!

-Fratellone!-, gridò più forte, -Ti prego!-

Senza più pensare a nulla, sbatté insieme le mani e trasmutò la porta in una cassetta di legno. Entrò nel bagno attraversando il fumo che la trasmutazione aveva creato e spalancò gli occhi.

Edward era riverso a terra, con il viso stravolto.

Ma Alphonse lo sentiva respirare ancora.

-Fratellone!-, gridò.

Il suo urlo si sentì in tutta la casa.

Edward aprì gli occhi e lo guardò con un amore incredibile attraverso le iridi offuscate.

Alphonse gli si inginocchiò accanto, accarezzandolo e togliendogli i capelli bagnati dalla fronte sudata.

-Al…-

-Zitto, zitto-.

Edward tossì, ma si sforzò di parlare.

-Tieni-, mormorò.

Alphonse lo vide porgergli una scatola che stava interamente nella sua mano.

La prese guardandolo con occhi spalancati.

-E’ il tuo regalo-, disse Edward sorridendo.

-Ma, fratellone…-

-Per favore, aprilo-.

Alphonse deglutì e aprì la scatola.

Edward lo vide leggere il biglietto con crescente stupore e poi scoppiare in lacrime alla vista dell’oggetto nascosto nella carta sottile.

-Ti amo, Al-.

Alphonse lo osservò, cercando di scacciare le lacrime dagli occhi, ma Edward lo bloccò.

-Tranquillo, Al. Sei bellissimo anche così-.

Il fratello ricominciò a piangere senza più preoccuparsi.

-Ti amo anche io, fratellone-, mormorò.

 

 

1 anno dopo

 

-Buon anniversario-.

Alphonse osservò il fratello sorridere con un pacchetto in mano, mentre lo abbracciava teneramente da dietro.

Era in quei momenti che sembrava più facile trasmettersi l’affetto.

-Lo sai che non sono d’accordo-.

Edward sbuffò.

-Sì, lo so, lo so. Secondo te era ieri l’anniversario-.

-Lo era-, sentenziò Alphonse, -Il 14 ottobre di un anno fa per la prima volta abbiamo…-

Edward gli tappò la bocca con una mano, impedendogli di continuare.

-Ehi, certe cose non si dicono in pubblico!-

Alphonse rise, osservando l’espressione da cospiratore del fratello.

-Siamo da soli, fratellone-.

-Ma devo insegnarti tutto, Al?-, fece Edward, seccato, -Anche i muri hanno le orecchie!-

-Sì, certo-.

Alphonse si staccò dall’abbraccio del fratello e portò in tavola un prezioso manicaretto.

Edward lo seguì controvoglia, anche se con il solito appetito.

-Comunque-, continuò, -Solo il 15 ottobre mi hai detto che mi amavi-.

Alphonse sembrò arrossire.

-L’hai detto anche tu-, si schernì.

-Oh…-, approfittò Edward, -Sei arrossito?-

-No-.

-Sì, invece-.

-Ti dico di no-.

Edward sospirò.

-Va bene, va bene. Il regalo non lo vuoi?-

Ad Alphonse brillarono gli occhi. Fece per afferrare il pacchetto dalle mani del fratello, ma lui lo mise dietro la schiena e sporse il viso in avanti.

-Un bacio-, esigette.

Alphonse sorrise e gli gettò le braccia al collo, baciandolo con foga, come faceva sempre, ormai.

Edward rispose con altrettanto entusiasmo, sprizzando felicità da tutti i pori. Si lasciò andare, circondando il corpo del fratello minore con le braccia. Alphonse approfittò del momento e gli sfilò il regalo dalle mani, correndo via.

Edward rimase basito a guardarlo scartare il pacco tutto felice.

-Imbroglione-.

Alphonse rise e gli fece la linguaccia.

Edward si unì alla sua risata, troppo felice per poter tenere il broncio.

Guardò il suo orologio da alchimista pendere dai pantaloni di suo fratello, regalo di compleanno dell’anno prima. Quel compleanno che li aveva resi così infelici e così euforici allo stesso tempo. Quel compleanno che sarebbe rimasto nella loro memoria per sempre.

Sperò che quella serenità non gli sfuggisse dalle mani un’altra volta.

Nessuno poteva togliergli dalla testa che la Verità dovesse esigere ancora qualcosa in cambio della loro vita.

Ma per adesso sembrava che le bastasse così.

 

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Spero proprio che questa storia vi sia piaciuta.

Per favore, se avete critiche o magari riflessioni da fare, lasciate un commento!

Con speranza,

Aki

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