se questo è amore

di holyground
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


  Se questo è amore, io non lo voglio.
  Toglimelo.


  Le parole che aveva pronunciato sul corpo freddo e senza vita di Kili la perseguitarono nei giorni seguenti e durante tutto il viaggio di ritorno verso casa.
  Casa. Mirkwood.
  Il re le aveva permesso di tornare nel suo reame; il motivo di quella decisione non le era ancora chiaro, ma non voleva discutere ulteriormente con il suo sovrano, perciò aveva semplicemente chinato la testa e ringraziato.
  Gli Elfi si erano ritirati subito dopo la battaglia. Thranduil aveva rifiutato l’invito di Bard a rimanere per i festeggiamenti della vittoria: era in lutto, e aveva bisogno di tempo per guarire. Quel giorno non aveva perso solo delle vite elfiche, il suo popolo; aveva perso suo figlio. Legolas era andato a Nord, lasciando un vuoto nel cuore del padre. Un dolore che lui si sforzava di non provare e di non mostrare.
  Neanche Tauriel era in vena di festeggiamenti, per questo aveva accolto con sollievo l’ordine del re di smantellare il campo e di mettersi in viaggio seduta stante per fare ritorno nel Reame Boscoso. Non le erano state fornite spiegazioni circa quale sarebbe stato il suo ruolo a palazzo d’ora in poi. Dubitava che il re le avrebbe rimesso in mano la sicurezza della sua persona lasciando invariato il suo grado di Capitano della Guardia. Nonostante fosse felice di tornare a casa, la prospettiva dell’ignoto la spaventava. Se fosse stata rimossa dal suo incarico avrebbe dovuto trovare qualcosa da fare. Non poteva starsene con le mani in mano ad aspettare che il dolore scomparisse. Non fare niente le avrebbe dato solamente del tempo per pensare, cosa che lei voleva assolutamente evitare, per la sua salute mentale. Non si sentiva in grado di affrontare un lutto. Era terrorizzata.
 Quando la neve aveva iniziato a sciogliersi fino a scomparire, una sensazione di calore l’aveva pervasa, e lei vi si era avvinghiata con tutta se stessa: erano a casa. La foresta e i suoi colori brillanti si erano impadroniti della sua mente e lei aveva accolto volentieri quella distrazione. Aveva osservato il bosco come fosse stata la prima volta, riscoprendo il fascino di quel luogo. In realtà, era lì che si sentiva davvero a casa. I corridoi del regno, le stanze, le scalinate erano come una bellissima e accogliente prigione. Perché era lì, tra gli alberi e i ruscelli e i sentieri che si sentiva davvero libera. Era una Figlia della Foresta.
  Si riempì i polmoni di aria fresca e pulita, lontana dagli odori della battaglia che ancora permeavano nella sua mente: l’odore metallico del sangue, il puzzo di putrido degli orchi. Il fetore dei cadaveri.
  Il rumore assordante delle armi e delle grida dei soldati venne rimpiazzato con quello rilassante del torrente che scorreva a pochi passi dal corteo e con lo scricchiolio delle foglie secche che venivano calpestate.
  Le porte del palazzo furono riaperte per accogliere il re e i suoi soldati. Tauriel lasciò il suo cavallo ad uno scudiero e si ritirò nelle sue stanze, sperando che fossero ancora le sue.
  Quella notte ci sarebbero stati dei festeggiamenti, a cui lei non aveva intenzione di presenziare. Sarebbe rimasta nella sua camera. Si sarebbe concessa un bagno caldo. Si sarebbe concessa del cibo per ristorarsi. Si sarebbe persino concessa di spazzolarsi i capelli, indossare vestiti puliti, dormire in un letto soffice e accogliente fino a pomeriggio inoltrato.
  Ma non si sarebbe concessa di piangere.

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Capitolo 2
*** 2 ***


  L’orco affondò la lama nel corpo del nano, e fu in quel momento che lei sentì il suo cuore spezzarsi. Quando vide la vita defluire dal corpo di Kili e la luce lasciare i suoi occhi. Si era lasciata sfuggire una lacrima e un lamento. Così aveva esternato il suo dolore. Poi si era lanciata con rabbia verso la bestia.
 
 
  Si svegliò di soprassalto poco prima che l’orco la trascinasse con il suo peso nel burrone. Si sentiva accaldata, con il respiro affaticato e la testa pesante. Cercò di liberarsi di quella sensazione di panico e si guardò intorno. La camera era completamente buia, ma dalle tende tirate filtravano i raggi del sole. Per qualche minuto rimase così, seduta sul materasso a fissare un punto vuoto nello spazio, indecisa sul da farsi. Rimanere isolata nelle sue stanze era contro tutto ciò che si era ripromessa di fare. Ma, allo stesso tempo, il pensiero di uscire nel mondo, la inondava di ansie.
  Distrazioni, le servivano distrazioni.
  Indossò una delle sue vecchie divise e uscì dalla stanza. Iniziò a correre e non si fermò più. Corse lungo i corridoi senza prestare attenzione agli elfi intorno a lei, fuori dai cancelli e dritta nel mezzo della foresta.
  E allora sentì solo il battito accelerato del suo cuore, il vento tra i lunghi capelli ramati, il crepitio delle foglie sotto i suoi passi veloci. Si fermò solo quando raggiunse il torrente. Intorno a lei la foresta viveva come se nulla fosse. Come se non ci fosse appena stata una battaglia che si era portata via centinaia di vite: gli uccellini ancora cantavano, le piante ancora fiorivano e l’acqua del fiume continuava a scorrere. E questo la fece infuriare più di qualsiasi altra cosa. Delle persone avevano perso la vita e al mondo non importava. Nonostante la vittoria che li aveva investiti, tutti avevano perso qualcosa e alcuni avevano perso molto. Perché il mondo non si fermava di fronte a quello scempio? Perché il mondo andava avanti quando lei non ci riusciva?
  “Tauriel.”
  Si voltò di scatto verso la voce alle sue spalle e vide un soldato. Come aveva fatto a non accorgersene? I suoi riflessi erano sempre stati ottimi, perché adesso lasciava che le sgattaiolassero alle spalle senza che lei se ne rendesse conto?
  “Il tuo signore Thranduil ha richiesto la tua presenza. *Tolo.”
  Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo e niente, neanche il suo terrore, avrebbe potuto rimandare quel momento. Così seguì il soldato verso il palazzo.
 
 
  Tauriel si rese conto degli effetti che aveva sortito la sua ribellione quando prima di entrare nella sala del trono la perquisirono in cerca di armi.
  “Ordini del re.” si era giustificato il soldato, quasi dispiaciuto per l’atto che stava compiendo. Gli Elfi non perquisivano i loro simili. Erano creature leali alla loro razza. Si fidavano l’uno dell’altro.
  Ma gli Elfi non puntavano una freccia al cuore di altri Elfi. Men che meno al cuore del loro sovrano.
  Mentre il soldato la scortava all’interno della sala, Tauriel aveva riscoperto quel sentimento di angoscia e vergogna che aveva provato da bambina ogni volta che andava a confessargli le sue birichinate.
  Thranduil era seduto sul suo trono. La postura rilassata tradiva una certa indifferenza, ma la stretta delle mani sui braccioli del trono e il suo sguardo fisso emanavano austerità e ostilità. Indossava un abito dorato che risplendeva nel buio della sala e teneva la testa alta. I capelli lucenti, che sembravano quasi bianchi, gli ricadevano morbidi e lisci sulle spalle, adornati dalla maestosa corona.
  Non appena varcò la soglia, Tauriel percepì il suo sguardo su di lei e non riuscì a ricambiare l’occhiata a lungo: fu costretta ad abbassare la testa e fissare il pavimento. Ciò che aveva letto in quegli occhi era inconfondibile e doloroso: delusione.
  Il re fece cenno ai presenti di lasciarli soli e un pesante silenzio aleggiò tra loro fino a quando tutti non uscirono dalla sala.
  “**Hir Vuin.” mormorò Tauriel inchinandosi. Non aveva mai saputo fare la riverenza come le dame. «Legolas si inchina, perciò anche io voglio farlo.»
  Il re non replicò. Lasciò il suo trono e si avvicinò all’elfo. Tauriel cercò di non sussultare quando si fermò a pochi passi da lei e iniziò a girarle intorno scrutandola. Il silenzio stava diventando insopportabile; Tauriel si strofinò le mani che teneva dietro la schiena. Thranduil avvertiva il suo disagio e se ne cibava come una sanguisuga.
  “Hir Vuin, posso sapere perché...”
  “Proprio non riesci a tenere a freno la lingua.” la interruppe lui, la voce sottile e vellutata come la lama della sua spada. “Vero?”
  Tauriel si trattenne dal rispondergli. Tenerla lì solo per torturarla in quel modo l’avrebbe solo fatta innervosire e ogni sua reazione non avrebbe fatto altro che metterla nei guai. Si morse la lingua per impedirsi di parlare.
  Il re si fermò a qualche passo di distanza da lei e finalmente chiarì il perché di quella convocazione.
  “Considerando i recenti avvenimenti ho preso la decisione di destituirti dal tuo ruolo di Capitano della Guardia.”
  Tauriel annuì. Se lo aspettava.
  “D’ora in poi sarai un soldato semplice. Ti unirai alla truppa del Capitano Belthil.”
  Lei fece un cenno di assenso con la testa, sperando che fosse tutto. Ma il re non la congedò, rimase a fissarla. Forse si aspettava delle scuse da parte sua. Non le avrebbe ottenute. Non sarebbero state sincere.
  “Per seicento anni, Tauriel, ti ho favorita.” Il sovrano infine ruppe quel silenzio. “Ti ho accolta nel mio regno, ti ho cresciuta accanto a mio figlio...” La sua voce si fece incerta sulla parola figlio. Lei chiuse gli occhi.
  “E tu hai gettato tutto al vento per quel nano.” sibilò Thranduil con rabbia. “Per un’infatuazione futile e fugace.”
  “Non è stata futile, né tantomeno fugace!” gridò Tauriel, rossa in viso.
  Il re ghignò. Non era quella la reazione che si era aspettata, ma comprese il perché di quella smorfia. L’intenzione di Thranduil era di provocare Tauriel, di suscitare la sua ira. Voleva provare che non era cambiata, che era sempre la solita ragazzina insorta contro il suo popolo per seguire gli istinti del cuore. Thranduil aveva ottenuto esattamente quello che voleva. Lei strinse i pugni e contrasse la mascella, maledicendo si per aver aperto bocca. Il re risalì i gradini verso il suo trono.
  “Ripassare un po’ di disciplina militare ti farà bene.” disse. Si accomodò e la fissò, il fantasma di un ghigno ancora sulle labbra.
  “Hai tradito la mia fiducia, Tauriel. Dovrai faticare per riconquistarla.”
 
 
  *Andiamo
  **Mio re

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Capitolo 3
*** 3 ***


  Il Capitano Belthil era un’elfa dai capelli castani e gli occhi verdi come le foglie a primavera. Tauriel la conosceva, ma non si era mai allenata con lei. In quel momento, il Capitano stava gridando qualcosa dall’alto di una roccia ai soldati che la fissavano con la massima attenzione a testa alta.
  “Questo non è un gioco, signori. La sicurezza del Reame Boscoso è nelle vostre mani. I tempi dell’Accademia Militare sono finiti. Ora si fa sul serio.”
  Tauriel impietrì e sgranò gli occhi. Accademia Militare? Quei soldati erano appena usciti dall’addestramento base. Thranduil aveva voluto rimandarla ad un livello in cui lei non era mai stata. Era stata addestrata dagli insegnanti personali del re, dai migliori spadaccini e dai migliori arcieri. Era stata addestrata dal re in persona. Ed ora si ritrovava in mezzo a quei soldatini. Il suo orgoglio era più che ferito.
  Il Capitano ordinò alla truppa di imbracciare le armi e scese dalla roccia, avvicinandosi a Tauriel non appena la vide.
  “Capitano Tauriel.” la salutò. “O forse dovrei dire soldato.”
  Qualsiasi simpatia Tauriel avesse mai potuto pensare di poter provare nei confronti di Belthil era completamente sparita. Guardò l’elfa in cagnesco, salutandola con un inchino e senza osare aprire bocca. Doveva ricordarsi che adesso Belthil era un suo superiore. Che ora lei si trovava nel gradino più basso della scala gerarchica militare.
  “Benvenuta nella mia truppa. Prendi le tue armi, faremo un giro di ronde nella foresta.” la informò, poi si allontanò per radunare i soldati.
  Le mie armi. Tauriel non vedeva i suoi pugnali dalla battaglia. Si guardò intorno per capire dove avrebbe potuto trovarli; ben presto si rese conto che non avrebbe usato le sue armi. Vide i suoi compagni che si rifornivano tutti nello stesso punto. Si avvicinò e vide degli armamenti ammassati in un angolo. Il suo volto, forse inconsapevolmente, assunse una smorfia di disgusto. Avrebbero dovuto usare delle armi comuni. No. No, lei si sarebbe rifiutata. Aveva i suoi pugnali, aveva il suo arco, li aveva sempre avuti e si era sempre allenata con quelli.
  Il suo primo pugnale era stato un regalo del re. Per lei e per Legolas. Pugnali gemelli. Gemme verdi, come i suoi occhi, sul pugnale del principe e gemme azzurre su quello di lei. Come gli occhi di Legolas.
  Non sarebbe scesa in campo senza gli occhi di Legolas.
  Approcciò il Capitano tentando di nascondere la sua aggressività.
  “Non posso usare quelle armi.” le mormorò alle spalle.
  Belthil si voltò verso di lei.
  “Come dici, soldato?”
  “Non posso usare quelle armi, ho già le mie.”
  “Mi dispiace, soldato, non siete autorizzati ad avere armi personali per ora.”
  Tauriel dubitava fortemente che quella fosse una legge vera.
  “Ora equipaggiati e sbrigati, o la truppa partirà senza di te.” la avvertì prima di allontanarsi.
  Tauriel strinse i pugni e trattenne la rabbia. Va bene, avrebbe usato delle armi comuni come tutti gli altri quel giorno. Ma quello seguente si sarebbe presentata con i suoi pugnali.
  Osservò bene gli archi. Erano tutti in ottime condizioni, ovviamente, ben lavorati e finemente intagliati. Ne scelse uno di legno scuro con incisi fiori e foglie che sembravano mossi dal vento e osservò la corda tesa e quasi trasparente alla luce del sole. Si accorse di avere i palmi sudati mentre se lo rigirava in mano. Provò ad impugnarlo e sembrava semplicemente sbagliato. Per questo aveva bisogno delle sue armi. Sbuffò e scosse la testa, imprecando mentalmente contro il re. Afferrò una faretra con delle frecce e raggiunse la truppa, che aveva già iniziato ad inoltrarsi nella foresta.
 
 
  Il Capitano Belthil fece percorre ai soldati l’intero perimetro del palazzo, spiegando loro i compiti che avrebbero svolto e i ruoli che avrebbero ricoperto.
  Tauriel aveva roteato gli occhi e sospirato per tutti il tempo, ricevendo continue occhiate dai suoi commilitoni. Quando il re l’aveva riaccolta nel suo reame sapeva che non avrebbe potuto mantenere il un ruolo di Capitano e lo aveva anche accettato. Avrebbe accettato di tornare ad essere solo un soldato per arrampicarsi di nuovo fino alle posizioni più alte come aveva fatto centinaia di anni prima. Ma essere relegata a soldato semplice, essere accomunata a elfi appena usciti dall’Accademia, essere riaddestrata... Era troppo.
  La voce del Capitano la scosse dai quei pensieri.
  “Soldati, puntate!” stava gridando.
  Il panico era perfettamente visibile negli occhi di Tauriel. A cosa avrebbe dovuto puntare? Possibile che neanche quella volta si fosse accorta del pericolo? Si guardò intorno, osservò gli altri soldati e vide che stavano tutti mirando a dei bersagli alle sue spalle. Si trattava di un’esercitazione.
  Si voltò impugnando l’arco e afferrando una freccia dalla faretra. Le sue mani erano ancora sudate. Faticò a posizionare la freccia e a tenerla in equilibrio. Gli elfi intorno a lei avevano già tirato e stavano cambiando freccia. Perché erano così veloci? Sentì il panico farsi strada nella sua mente. I suoi occhi ritornarono sul bersaglio, ma le sue braccia avevano iniziato a tremare. Abbassò l’arco ed inspirò per tentare di calmarsi. Ripuntò verso il bersaglio, ma quando fece per lasciar andare la freccia tutto quello che vide fu il corpo di Kili trafitto dalla lama dell’orco. Le sue orecchie, prima ovattate si riempirono del grido di dolore del nano. E anche lei gridò mentre lasciava andare la freccia; che si andò a conficcare nella gamba di un soldato vicino. Le ginocchia di Tauriel cedettero e lei cadde a terra.
  “Che sta succedendo qui?” Belthil si avvicinò.
  Tauriel si coprì le orecchie con le mani. Troppo rumore, rumore di frecce che fendevano l’aria, rumore di armature, rumore di grida e urla di dolore. Respinse tutte le mani che stavano cercando di afferrarla. Non l’avrebbero avuta, gli orchi non l’avrebbero mai avuta. Doveva alzarsi, doveva vendicare Kili. Doveva...
  Il suo cuore ormai era spezzato, perché sentiva ancora lo stesso dolore?
  Gli elfi intorno a lei la stavano soffocando, assillando, doveva andarsene. Si alzò da terra, scostando la folla a gomitate, e corse via.
  Lei non stava male. Stava benissimo. Era solo colpa di quello stupido arco. Una volta riprese le sue armi sarebbe tornato tutto normale. Aveva solo bisogno di sentire il metallo familiare, di stringere le dita intorno al legno consumato. Mise a soqquadro la sua camera da letto: trovò i pugnali in un baule, insieme alla sua divisa; tutto ciò che aveva indossato in battaglia.
Sollevò la mano per afferrare un pugnale. Si bloccò. Era semplice, era così semplice. I pugnali erano per lei come estensioni degli arti superiori. Era cresciuta con i pugnali in mano. Le dita si allungarono verso l’impugnatura dell’arma, ma non appena avvertì il metallo freddo sul polpastrello scattò indietro come se avesse preso una scossa. Come se impugnare armi le provocasse dolore. Rivide gli occhi di Kili. Poi scappò via.
 
 
  Thranduil si stava versando un calice di vino quando Tauriel fece irruzione nella stanza. Dietro di lei, i due elfi a guardia della sala del trono, mentre all’interno le guardie del corpo del re puntarono le loro frecce contro di lei. Il re si voltò lentamente verso quel trambusto, come se la cosa non lo toccasse. L’elfa dai capelli ramati era in ferma in mezzo alla stanza, con almeno sei archi rivolti contro di lei. I suoi occhi erano fissi in quelli del re.
  “Averti così a portata di arco è una tentazione fin troppo forte, Tauriel.”
  Di nuovo quella sensazione: dolore. Era ovunque, e lei voleva che smettesse.
Con un semplice gesto della mano, il sovrano fece cenno ai soldati di abbassare le armi e di lasciarli soli. Con riluttanza, gli elfi obbedirono.
  “Ho bisogno del tuo aiuto.” sibilò
  Thranduil rise sprezzante.
  “Il mio aiuto?” Lei annuì. “Cosa ti fa pensare che tu possa meritare il tuo aiuto?”
 Il re era l’unico con un cuore talmente freddo da essere di ghiaccio.
  E questo era ciò che Tauriel voleva: un cuore gelido, duro, un cuore che non avrebbe sentito sofferenze.
  “È tutto questo dolore.” replicò implorante, con le lacrime agli occhi.
  Il re distolse lo sguardo da lei e sorseggiò il suo vino.
  “Devi farlo smettere. Non posso più sopportarlo.”
  “Il dolore è parte della nostra esistenza, Tauriel. Devi imparare convivere con esso. E crescere.”
  Tauriel strinse i pugni. Continuava a trattarla come una bambina, come la giovane sconsiderata che era stata un tempo.
  “Non si tratta di questo, io non posso...”
  “Dovresti smetterla di lamentarti.” continuò lui, senza dare sento di averla ascoltata. “Sei cambiata. Una volta non avresti osato protestare così. Quel nano ti ha cambiato.”
  “*Lasto!” la sua voce risuonò nella sala e riuscì a lasciare il re a bocca aperta. Le lacrime di lei sgorgavano copiose sulle sue guance, mentre lui la fissava ad occhi sgranati. Sembrava sconvolto. Vedere Tauriel così lo disturbava.
  “Io non riesco più ad impugnare un’arma.” spiegò l’elfa a denti stretti. “Continuo a fare sogni, continuo a vedere i suoi occhi... Non riesco a liberare la mente dall’immagine della sua morte. È come se morisse mille volte ancora.” Chiuse gli occhi e lasciò andare un singhiozzo.
  “Devi aiutarmi. **A laita.”
  Thranduil la fissava, è tutto ciò di identificabile nel suo volto gridava dolore. La guardava col dolore dipinto in viso.
  “Che cosa mi stai chiedendo, Tauriel?” chiese con cautela, la voce bassa come se avesse paura della sua stessa eco.
  “Ti sto chiedendo... Di far sparire questo tormento.”
  Tauriel riaprì gli occhi e inchiodò lo guardo straziato a quello del suo re.
  “Insegnami a non soffrire. Insegnami a non amare. Impietrisci il mio cuore.”
 
 
 
 
   *Ascolta
**Ti prego

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Capitolo 4
*** 4 ***


--- Mi scuso per l'assenza, ma l'università ha preso il sopravvento. Spero che questo capitolo assolutamente doloroso valga come offerta di pace. Grazie mille a chi legge e recensisce, davvero! ---



  “Tu non conosci il peso delle tue parole.” proferì solennemente il re, il calice ancora stretto in mano. Qualcosa diceva a Tauriel che non lo avrebbe lasciato andare tanto facilmente.
  “Non comprendi a fondo la natura della tua richiesta.”
  “La comprendo appieno.” replicò Tauriel con voce ferma. Le lacrime si erano fermate e adesso aveva dei solchi salati che le rigavano le guance.
  Thranduil le si avvicinò, così vicino che lei avvertì l’aroma amaro del vino quando lui parlò.
  “Il tuo è solo un capriccio.” sibilò. “Non hai il coraggio per affrontare ciò che è successo, ciò che tu stessa hai provocato. Non sei abbastanza forte per assumerti le tue responsabilità, così cerchi una scappatoia. Ma io non te lo permetterò.”
  Si voltò di scatto, e Tauriel sussultò al fruscio improvviso delle sue vesti.
  “È vero, non sono abbastanza forte. Ma voglio diventarlo.”
  “Allora affronta i tuoi fantasmi, non scappare da loro.”
  “Se non vuoi farlo per me...” Il re, intento a dirigersi verso il trono, si fermò per ascoltare le parole dell’elfa, dandole le spalle. “Allora fallo per il tuo reame.”
  A quelle parole, Thranduil si voltò per fronteggiarla.
  “Cos’hanno a che fare i tuoi capricci con il mio reame?”
  “Da quando sono tornata dalla battaglia non riesco più ad impugnare un’arma. Ne va della sicurezza del regno.”
  “Ho centinaia di altri soldati a disposizione.” replicò il re con disprezzo.
  “Ma io sono la migliore!” esclamò lei. “Sai che sono la migliore.” Lo fissò con sguardo di sfida, ma lui non cedette. “Riguadagnerei il mio ruolo di Capitano in men che non si dica... Se solo riuscissi a combattere ancora. Non puoi lasciarmi così. Non puoi permettere che io mi lasci morire. Sei stato un padre per me una volta. Puoi esserlo ancora.”
  “Appellarti al mio cuore non ti servirà.”
  Tauriel non aveva davvero pensato all’eventualità che il re potesse dirle di no. Semplicemente perché non poteva permetterselo. Se c’era una cosa in cui ancora riponeva tutta la sua determinazione, quella era la sua voglia di vivere, la sua volontà di non lasciarsi morire.
  “Mi sto appellando al tuo buon senso.” replicò più convinta di quanto in realtà fosse. “Ai tuoi doveri di re. Non lasceresti morire uno della tua specie, dopo tutte le vite che hai perso. Nemmeno un semplice elfo Silvano.”
  L’espressione del re s’indurì, e Tauriel capì che Thranduil aveva tirato su un muro impenetrabile, in cui lei non sarebbe mai riuscita a fare breccia. Stava considerando la sua richiesta da un punto di vista puramente pratico, tuttavia la stava considerando.
  Discese di nuovo le scale del trono.
  “Dimmi, Tauriel.” iniziò avvicinandosi. “Perché pensi che ti abbia permesso di tornare nel mio regno?”
  Perché in fondo hai un cuore.
  Perché sono quanto di più vicino a Legolas potrai mai avere.
  Lo sguardo gelido del re le fece intuire che nessuna di quelle era la risposta corretta.
  “Per punirmi.”
  “Sbagliato.” affermò lui con sua grande sorpresa. “Per educarti.” puntualizzò. “Per insegnarti che nessuno può minacciarmi. Per ricordarti qual è il tuo posto.”
  Si voltò di nuovo, comunicando che, per quanto lo riguardava, la conversazione era finita.
  “Una volta il mio posto era accanto a Legolas.”
  La voce di Tauriel riecheggiò nella stanza, risuonando all’infinito nella testa del re. Scavando e distruggendo quel muro che lui aveva innalzato poco prima. Non si voltò, ma rimase immobile come pietrificato. Il silenziò che seguì la sua affermazione provocò in Tauriel la stessa sensazione che aveva sentito percorrerle il corpo quando Thranduil le aveva puntato la spada contro. Non si sentiva al sicuro.
  “Una volta Legolas era qui.” La voce del re era esattamente come appariva lui in quel momento: morta.
  “Anche io sento la sua mancanza, Thranduil.”
  A quelle parole, lui si voltò di scatto, facendo sussultare Tauriel. La sensazione di essere una facile preda la fece indietreggiare di qualche impercettibile passo, nonostante lui fosse rimasto distante.
  “Io sono il re per te, soldato.”
  “Esatto, sei il mio re. E come tale hai una responsabilità verso di me.”
  “Non posso correggere i tuoi errori. Non posso aggiustare ciò che si è spezzato. Solo tu puoi.”
  “E voglio! Ma non posso farlo da sola.”
  “Credimi, Tauriel, se potessi eliminare dalla tua memoria l’esistenza di quel nano, lo farei.”
  “Non è questo ciò che cerco!”
  Il re tornò freddo e duro come la pietra.
  “È tutto ciò che posso concederti.”
  “Hai detto che era reale!” gridò Tauriel, con la voce rotta. Non poteva ritrattare. “Pensavo che avessi capito.”
  “Ed è così!”
Thranduil non urlava. Mai. Alzava la voce, minacciava, sibiliva – il che era la cosa peggiore che potesse mai fare intrattenendo un discorso. Ma non urlava. Tauriel non lo aveva mai sentito gridare, neanche quando doveva sgridare lei e Legolas per qualche birichinata combinata da piccoli.
  Ma adesso la potenza della sua voce l’aveva investita completamente, facendola vacillare. Si sentiva piccolissima, con il re a pochi centimetri da lei, i suoi occhi infuriati che riempivano il suo campo visivo. Occhi glaciali e minacciosi come il fiume in inverno.
  “Ho capito perfettamente i tuoi sentimenti. E credimi quando dico che morire non è neanche lontanamente il destino peggiore che tu possa subire.”
  Tauriel aggrottò le sopracciglia, dischiudendo leggermente le labbra, sorpresa. Le stava davvero augurando la morte?
  “Credimi quando dico che ogni giorno che passa è come una pugnalata al cuore, che il tempo scorre lentamente, troppo lentamente persino per un elfo. Credimi quando dico che il vuoto occupa più spazio di qualsiasi altra cosa tu possa usare per riempirlo. Che il silenzio è assordate e la solitudine una compagna fin troppo presente. Devi credermi quando dico che morire sarebbe come rinascere.”
  Gli occhi di Tauriel annegarono in quelli del re. Lei sembrava aver perso la voce, mentre lui sembrava aver perso molto di più. Non sembrava avere intenzione di muoversi, proiettando verso Tauriel tutto il suo dolore, travolgendola con le sue emozioni.
  “Lasciati andare, tu che puoi.”
  Tauriel avvertì una lacrima percorrerle la guancia mentre fissava le lacrime che il re non avrebbe pianto.

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Capitolo 5
*** 5 ***


  Lo scroscio del torrente era tutto ciò che le sue orecchie riuscivano a percepire. E ne era felice. Chiudendo gli occhi, era facile immaginare il vuoto. Svuotare la mente e perdersi nel nulla.
  Lasciati andare, tu che puoi.
  Mosse un passo in avanti, avvicinandosi al bordo, e il piede urtò un sasso, che precipitò nelle acque agitate del fiume.
  Lasciati andare...
  Il volto di Kili sfrecciò davanti ai suoi occhi. Lo sguardo glaciale e limpido di Legolas penetrò la sua mente. Le labbra del re, che sibilavano quelle parole ancora e ancora, si impressero nella sua memoria.
  Lasciati andare.
  Saltò giù.

***
  Come poteva Tauriel fare una tale richiesta? Non sapeva di cosa parlava, non sapeva niente.
  Il fruscio delle sue vesti risuonava nella sala deserta come un’eco dei suoi pensieri. Continuava a percorrere la stanza avanti e indietro, come una bestia irrequieta. Tauriel non capiva. Non avrebbe mai potuto aiutarla, non avrebbe potuto accettare la sua richiesta. Una richiesta infantile, in ogni caso. Si aspettava di più dal suo Capitano della Guardia. Ex-Capitano.
  Forse aveva capito il suo amore per quel nano, ma faticava ad accettarlo. Le aveva assicurato di aver capito. Ora si rifiutava di tirare di nuovo fuori il discorso. 
  Gli aveva chiesto di spegnere i suoi sentimenti. Proprio come aveva fatto lui. Proprio per questo le aveva detto di no. Non voleva affrontare tutto di nuovo. Non voleva più provare niente. Nè pietà, nè compassione, nè amore.

***
  Il vuoto le mozzò il respiro, e per un attimo che sembrò infinito non sentì assolutamente niente. Ecco cosa significava lasciarsi andare. Esalò un sospiro spezzato quando avvertì una stretta sul polso. Sbarrò gli occhi: i suoi piedi erano penzoloni sul precipizio. Sotto di lei, il fiume scorreva con violenza. Alzò lo sguardo per vedere cosa la trattenesse e si ritrovò davanti gli occhi cristallini del Capitano Belthil. Aveva fermato la sua caduta, e ora un’espressione di dolore le attraversava il viso mente tentava di non lasciar la presa su Tauriel. In un’istante di lucidità, Tauriel allungò l’altro braccio, stringendolo intorno al polso del Capitano.
  Lo stava facendo per davvero? Era davvero saltata?
  Puntò i piedi sulla parete rocciosa, trovando un appiglio con difficoltà. Il Capitano Belthil aveva iniziato a tirarla su. Tauriel le lasciò il braccio, trovando sassi ed erba con la mano. Si aggrappò al terreno, facendo avanzare i piedi. Il suo busto ora era al sicuro, i fianchi schiacciati contro il bordo del precipizio erano doloranti. Il Capitano fece ancora un altro sforzo, poi riuscì a metterla in salvo.
  “Che ti è saltato in mente, soldato?” la rimproverò con voce affannosa.
  Tauriel, sdraiata a terra, ansimante, non le rivolse lo sguardo. Invece, fissò la frazione di cielo che si intravedeva tra le fronde dorate degli alberi.
  “Io stavo... Sono scivolata.”
***
  Sapeva che Belthil non le credeva. Ma cos’altro avrebbe potuto dirle? Non avrebbe mai ammesso ciò che stava realmente per fare. Perché non riusciva ad ammetterlo con se stessa. Pregava solo che il re non lo venisse a sapere. Non aveva intenzione di provarglielo ulteriormente quanto fosse diventata debole dopo la battaglia. Ecco dov’era il problema: era tornata nel Reame Boscoso troppo debole. Non aveva mai pensato che togliersi la vita fosse un atto di coraggio, l’aveva sempre considerato una scappatoia. Affrontare la vita e il dolore, quello era coraggio, quello era essere forti. E invece eccola, a fare la codarda.
  “Vuoi spiegarmi?”
  Il Capitano Belthil l’aveva portata nei suoi appartamenti, offrendole una coperta da avvolgere sulle spalle e un calice di vino caldo. Non sapeva perchè aveva accettato quelle attenzioni, quando in realtà avrebbe voluto correre, inoltrarsi nel fitto della foresta e non voltarsi indietro.
  Scosse le spalle.
  “Tauriel.”
  Era la prima volta che sentiva il Capitano pronunciare il suo nome, e questo richiamò la sua attenzione. Fissò quegli occhi verdi e luminosi.
  “Anche io sono stata in guerra.” 
  Ma non era quello il problema. Non era la guerra vera e propria. Lei era un soldato, un Capitano. Era cresciuta con la prospettiva di andare in guerra. C’era un gradino, un piccolo ostacolo, un nemico infinitesimale che non riusciva ad affrontare. Il Capitano aveva frainteso, ma lei non aveva l’intenzione, né la forza di spiegarsi.
  “Tu non puoi capire.”
  Lasciò il vino e la coperta, e poi la stanza.
***
  Il re le stava di fronte, e la guardava come si guarda una creatura selvaggia ed imprevedibile. Sapeva perché si trovava lì. Strinse i pugni e affondò le dita nella carne.
  “Il Capitano Belthil mi ha riferito cosa è successo.” la informò con voce atona.
  “Non voglio parlarne.”
  “Non ti ho chiesto di parlarne, Tauriel.”
  Lei cercò nei suoi occhi una risposta, un accenno al perché continuasse a tenerla lì.
  “Lasciami andare.” Non era una richiesta. Suonava come una minaccia. E l’unica certezza di Tauriel in quel momento era che lei aveva avuto il permesso di tornare a casa solo per imparare una lezione: nessuno può minacciare il re e rimanere impunito. Ma lei non era mai stata una studentessa diligente.
  Il re si fece vicino, e lei represse l’istinto di indietreggiare.
  “Ti aiuterò, Tauriel. Voglio aiutarti.”

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Capitolo 6
*** 6 ***


Tauriel si sentiva tradita. Umiliata, spodestata.
  Tutti i soldati erano nel bosco ad allenarsi, le guardie stavano presidiando il perimetro, i capitani stavano dando ordini. E lei stava pulendo armi. Relegata ad un angolo dell’armeria e lucidare lame, tendere archi, affilare frecce, scrostare fango dagli scudi. Come un misero cadetto. Come se i secoli passati ad esercitarsi per diventare il miglior soldato del Reame Boscoso non contassero niente.
  Stava strofinando la lama talmente forte che temeva di consumarla. Bene. Così nessuno avrebbe potuto più usarla. Le avrebbe consumate tutte, perché se lei non poteva usarle allora non le avrebbe usate nessuno. Le avrebbe spezzate, frantumate, consumate, cancellate…
  La mano le scivolò e si graffiò il dorso. Vide il sangue affluire, la ferita prendere velocemente vita, e lanciò via la spada. Il clangore metallico della lama riecheggiò nell’ampio ambiente dell’armeria. Tauriel fissò il taglio, poi fissò la spada. La raccolse lentamente, saggiandone il peso, dirigendosi verso un manichino per la pratica. Con un gesto flessuoso del polso fece roteare la lama un paio di volte. Sembrava naturale, eppure sembrava forzato. Sentiva che avrebbe dovuto saperlo fare, lo sapeva fare, ma era come se la spada avesse una propria volontà, che non si accordava con la volontà di Tauriel. Se non riusciva a controllare la sua spada come poteva sperare di riprendere a combattere?
Tentò di prendere familiarità con l’arma. Si mosse intorno al manichino come in un’ antica danza di guerra, consapevole di ogni suo passo, consapevole del bersaglio, consapevole della spada.
  Affondò la lama nel cuore. E perse il controllo.
  Stava uccidendo Kili, ancora e ancora e ancora. Nei suoi sogni l’aveva ucciso infinite volte, ed infinite volte era morta con lui.
  Tauriel urlò.
  E realizzò che non sarebbe mia riuscita a liberarsi degli spettri nella sua mente.
§
  I battiti del suo cuore erano in sincrono con i passi del re. Lui usciva dal suo campo visivo per poi rientrarci poco dopo. Tauriel non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato da quando aveva iniziato a girarle intorno.
  Finalmente si fermò. Le si avvicinò, catturando il suo sguardo. Tauriel non aveva mai avuto paura di guardarlo negli occhi.
  «Credi di essere furba?»
  La sua voce era piatta e pericolosa come le lastre di ghiaccio che ricoprivano i laghi in inverno.
  Tauriel aggrottò lievemente le sopracciglia.
  «Tu cerchi una via d’uscita, ma non esiste via d’uscita quando si tratta della tua mente.»
  Thranduil le fissò la fronte come a potervi vedere attraverso, per raggiungere le immagini che infestavano il cervello di Tauriel, per comunicare con la sua testa senza bisogno di passare dalla sua bocca. Thranduil le fissò le labbra.
  «Parlami del nano.»
  Si voltò in un frusciare di vesti per versarsi da bere.
  «Non credo tu voglia sapere.» replicò lei.
  «Parlami della sua morte.»
  Tauriel rimase in silenzio.
  Il re, ancora di spalle, piegò leggermente il capo da un lato. Tauriel riusciva quasi ad immaginare la sua espressione.
  «Dovrai riuscire a parlarne prima o poi.»
  «Non ti ho chiesto una terapia.»
  Lui si voltò. Teneva il calice per il gambo tra due dita. Le sue gote erano rosee, i suoi occhi ingannevolmente limpidi, i suoi capelli argentati alla luce della luna che filtrava nella stanza.
  «Mi hai chiesto di curarti.»
  «Mi sto pentendo di ciò che ti ho chiesto.»
  «Se non sei abbastanza forte da compiere un piccolo passo come parlare, allora non posso darti ciò che hai chiesto.»
  La rabbia che Tauriel sentiva montarle dentro era fuoco rispetto alla calma glaciale del re.
  «Non vedo come parlare possa aiutarmi.»
  «Ti stai semplicemente rifiutando di comprendere la fonte del tuo dolore.»
  Lui si voltò di nuovo, come se la conversazione fosse finita.
  «Sei così convinto delle tue idee.» gli disse. Si mosse verso di lui con studiata lentezza. «Ma non sei convincente nel metterle in pratica.» Non le avrebbe chiesto di spiegarsi, ma lei sapeva che voleva farlo.
  «Perché allora non mi dici il motivo che ti ha spinto ad entrare in guerra?» Tauriel non sapeva dire da dove stesse prendendo quell’ imprudente audacia. Vide la presa sul calice di Thranduil farsi più tesa. Vide il sangue defluire dalle sue nocche, com’era sicura fosse defluito dal suo volto.
  «Hai mosso un intero esercito per il tuo tornaconto.»
  Quando Thranduil si voltò, la rabbia che Tauriel scorse sul suo viso era paragonabile a quella che vi aveva trovato quando lo aveva affrontato sul campo.
  Non c’è amore in te.
  «Hai perso centinaia di vite per un tuo capriccio.»
  «Sta’ attenta a come parli, piccola lyg*
  Tauriel non batté ciglio a quell’epiteto. Scosse la testa con disgusto.
  «Tutto per uno stupido ciondolo.»
  In meno di un secondo si ritrovò con spalle al muro ed un pugnale puntato alla gola e quel tonfo che aveva sentito era la sua testa sbattuta contro la parete e gli occhi di Thranduil erano improvvisamente così scuri. E non sapeva più perché mai avesse aperto bocca.
  Il respiro affannato del re le solleticava le labbra.
  «Tu non sai quello che dici.»
  Il corpo di lui era premuto troppo forte contro quello di lei e Tauriel aveva paura di replicare. Non era sicura di ciò che avesse detto, ma non voleva scusarsi.
  Lui tremava, i suoi occhi correvano sul viso di Tauriel in una furiosa ricerca, e lei non lo aveva mai visto più debole. Nonostante lei fosse quella con le spalle al muro e un’arma contro la gola, era lui quello in pericolo. Camminava con equilibrio precario, lottava per mantenere il controllo. Stava perdendo.
  Con estrema lentezza, Tauriel sollevò una mano e la posò su quella di lui che stringeva il pugnale. Era fredda. Imprigionando il suo sguardo, Tauriel lo guidò nell’abbassare l’arma. Thranduil lasciò il pugnale, ma non la mano di Tauriel. Intrecciò le dite alle sue, solleticandole la pelle sensibile del palmo. Thranduil chiuse gli occhi. Un gesto così semplice eppure così sentito; le sue palpebre tremarono. I loro respiri si erano appesantiti.
E poi Thranduil poggiò la fronte su quella di Tauriel e lei ebbe paura di muoversi e di chiudere gli occhi e anche solo di respirare perché sembrava così impossibile. Un qualcosa di irreale e intoccabile e irraggiungibile. Come un sogno. Un qualcosa di imprevedibile e inconoscibile e incontrollabile. Come un incubo.
  Ed entrambi si svegliarono.
 
 
 
*serpe
 

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Capitolo 7
*** 7 ***


 
Certo, gli turbasti il cuore, ma turbe più antiche
si scaricano in lui all’urto di quel tocco.
Richiamalo… tu non puoi richiamarlo del tutto da
oscura compagnia.
Certo egli vuole, egli fugge; alleviato, si abitua
All’intimità del tuo cuore, e ne prende e si incomincia.

 

 
Terza Elegia  – Rainer Maria Rilke

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Capitolo 8
*** 8 ***


  Tauriel non parlava. A volte passava giorni interi senza parlare con nessuno, e il suono dei suoi pensieri era così familiare da essere fastidioso; ma, a volte, quello era l’unico modo per sentire la propria voce. Era difficile riconoscere quella solitudine nella sua interezza. Ed era strano rendersi conto che, fatta eccezione per Legolas, Tauriel non aveva compagni. Nessun tipo di rapporto con nessuno.
  L’avrebbe fatta impazzire.
  Anche adesso Tauriel non parlava. Teneva le mani strette dietro la schiena e lo sguardo fisso davanti a sé e il silenzio era una spettrale minaccia. Ma non sarebbe stato quello a farla impazzire adesso. Il re era alla sua scrivania, assorto nella redazione di un documento: la penna scorreva sulla pergamena con un fastidioso fruscio, talmente leggero che a volte era impossibile da udire, ingannando Tauriel di essere sparito per sempre. Non le aveva rivolto neanche lo sguardo quando era entrato nella stanza, facendola sentire come parte del mobilio. Tauriel sapeva che non avrebbe avuto ragione di farlo: lei era lì per guardare senza essere guardata, per servire senza essere notata. Per proteggere nel silenzio e nell’ombra. Il re l’aveva scelta come guardia personale. C’era stato un tempo – prima della partenza di Legolas, prima della battaglia, prima di essere capitano della guardia – in cui si sarebbe sentita onorata. La vita del re era nelle sue mani. E quelle mani, adesso, non erano in grado di impugnare un’arma.
  Il re lo sapeva. Non era uno sprovveduto. Probabilmente sperava di stimolarla, così. Di risvegliare i suoi sensi da soldato. Sperava che, nel pericolo, Tauriel avrebbe saputo reagire, ritrovare la sua natura, se stessa.
  Tauriel avvertiva la presenza di cose non dette riempire lo spazio tra lei e il re. Rabbrividì. Ebbe l’impulso di toccarsi la fronte, la sua mano destra lasciò la sinistra, ma rimase dietro la schiena. Tauriel riallacciò le dita con rabbia, con frustrazione. Con desiderio. Sospirò e mosse il collo indolenzito; sentiva la testa pesante. Il re sollevò gli occhi su di lei e li riabbassò.
  Non sapeva dare un nome a quella sensazione fastidiosa e invadente che avvertiva in presenza del re.
  Con un rumoroso stridio, Thranduil scostò la sedia e lasciò la scrivania, affrettandosi verso la terrazza delle sue stanze. Tauriel lo fissò interdetta, poi lo seguì. Lui stava stringendo con forza il parapetto del balcone, le nocche sbiancate e il respiro affannato. Sembrava stesse per svenire.
  «Mio Signore.» Tauriel si avvicinò. Lui sollevò una mano.
  «Ferma.» disse con voce spezzata. «Non toccarmi.» Sembrava stesse piangendo.
  Tauriel strinse i pugni per non precipitarsi da lui e gridargli di smetterla di essere così ostinato e dirgli di lasciarsi aiutare e giurava che non l’avrebbe detto a nessuno e il suo dolore non lo rendeva debole.
  Ma lui non l’avrebbe ascoltata, non l’avrebbe guardata.
  «Vattene.»
  Non voleva il suo aiuto.
  «Ti prego.»
  Non aveva bisogno di lei.
 
 
 
  Tauriel lasciò la stanza.
 
§
 
  Il suo tocco. La pelle di lei contro la sua. Quella mano spaventata dalle armi non aveva avuto paura del suo pugnale. Lei non aveva avuto paura di lui.
  E Thranduil non riusciva a ricordare da quanto lo sguardo di qualcuno non lo raggiungeva così in profondità. Non riusciva a ricordare da quanto qualcuno non lo toccasse così. Con leggerezza, con attenzione, con riguardo. Senza paura. Qual era l’opposto della paura? Aveva sempre creduto che fosse il coraggio, il sapere quando continuare e quando tirarsi indietro, con spavalderia quando richiesto, con condiscendenza quando necessario.
  Tauriel neanche se ne rendeva conto; ogni suo gesto era veleno per Thranduil. Il modo in cui i sottili capelli, accesi come il fuoco, creavano una curva voluttuosa intorno ai suoi fianchi. Il modo in cui sollevava il mento quando veniva interrotta. Il modo in cui schiudeva leggermente le labbra quando sapeva di non poter dire ciò che stava realmente pensando.
  Era selvaggia come la foresta, irriverente come il fiume in piena, violenta come una tempesta. Bella come i sentieri ricoperti di foglie cadute in autunno.
  E aveva lasciato che lui le puntasse un pugnale alla gola senza battere ciglio, e lo aveva disarmato senza aggredirlo.
  Qual era l’opposto della paura?
  La fiducia.
 

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Capitolo 9
*** 9 ***


  Il sole stava sorgendo.
  Dall’altura che torreggiava sulla valle, Tauriel vedeva chiaramente l’ombra ritirarsi come onde sulla riva man mano che la luce colpiva i campi. L’alba sembrava sempre portare promesse. All’alba sembrava tutto più chiaro e semplice. Un nuovo inizio, nuove speranze e nuovi passi. Solo che poi ogni giorno era uguale.
  Dentro Tauriel, il sole stava tramontando.
La sua giornata iniziava con le stelle, quando la foresta e il palazzo e l’intero reame venivano catturati dal sonno, e finiva con il sole, quando gli animali e i soldati e la valle si risvegliavano. Tauriel non era mai stata una creatura notturna, ma vivere quando tutto il resto era quieto e fermo e scuro sembrava più facile. Di notte non doveva intrattenere conversazioni; di notte non doveva abbassare lo sguardo nei corridoi del palazzo; di notte non era di guardia nelle stanze del re. Di notte era libera come voleva essere e sola come non voleva essere.
  Era alla sua solitudine che Tauriel stava pensando quando venne attaccata alle spalle.
 
§
 
  Le stanze dell’infermeria erano fatte di odori pungenti e di lenzuola bianche, di strumenti taglienti e di guaritrici stanche, di speranze perdute e scuse sussurrate e buone notizie e non tanto buone. In ogni caso, sembrava un pessimo posto per morire. Se Tauriel avesse potuto scegliere, sarebbe voluta morire nella foresta, fissando le foglie colorate e brillanti degli alberi che si allungavano verso il cielo, prima di chiudere gli occhi per l’ultima volta.
  Ora vedeva solo bianco.
  Sentiva dolore, ma non riusciva ad individuarne il punto di origine. Sentiva dolore ovunque. Le voci intorno a lei le penetravano con forza i timpani, strisciandole in mente e prendendo la forma di spettri e demoni che si rincorrevano tra i suoi nervi.
  «Come sta? Cos’è successo? Da quanto è qui?»
  Una voce si insinuò tra quegli incubi, ponendo domande cui anche Tauriel desiderava conoscere la risposta. Ma riusciva a sentire solo quella voce.
  «No! Voglio restare. Uscite tutti.»
  Tauriel pensava di aver aperto gli occhi, ma le palpebre erano pesanti e non riusciva a vedere. Si sentiva come imprigionata: voleva alzarsi, ma le sue spalle erano ancorate al letto.
  Sentì calore e un leggero tocco sul volto ed era finalmente in pace.
  Le stanze dell’infermeria erano fatte di sussurri leggeri e di carezze confortanti, di segreti sinceri e di mani tremanti, di occhi chiari e peccati innominabili e buone notizie e non tanto buone. Se Tauriel avesse potuto scegliere, sarebbe voluta morire in pace, fissando quegli occhi quieti e luminosi e sentendo quelle carezze, così da conservare per sempre quel tocco, prima di chiudere gli occhi per l’ultima volta.
  Ora vedeva solo nero.
 
§
 
  Quando si svegliò era sola, con la testa pesante e la bocca asciutta. Bevve l’acqua direttamente dalla brocca che aveva sul comodino, ma si era alzata troppo in fretta e la vista le si annebbiò. Si sentiva il petto schiacciato: era fasciato. Si infilò la leggera vestaglia bianca e si alzò. Non riusciva più a sopportare l’odore dell’infermeria.
  «Tauriel.»
  Il Capitano Belthil era appena entrata dalla porta alle sue spalle. «Sono contenta di vederti in piedi.»
  Tauriel dovette schiarirsi la gola prima di parlare.
  «Che cosa è successo?»
  «Ragni. Sei stata attaccata.» Dall’espressione, sembrava che il Capitano fosse stata colta da un attacco di nausea. «Ti hanno trascinato fin nel cuore della foresta, dove la mia pattuglia ti ha trovata.» Scosse la testa. «Il tuo viso…»
  Istintivamente Tauriel si portò una mano al volto. Era graffiato.
  «Quando posso tornare nella mia stanza?»
  «Le guaritrici hanno detto quando ti senti pronta. Vado a chiamarle.»
  Ma Tauriel era già fuori.
 
§
 
  Il re stava fissando la foresta da una finestra quando Tauriel irruppe nelle sue stanze. Era solo, non c’erano guardie. Tauriel notò immediatamente la brocca colma di vino solo a metà.
  «Fammi ritornare nella Guardia Reale.» esordì. Lui non si voltò.
  «Non credo tu sia pronta.»
  «I ragni sono tornati, lascia che me ne occupi io.»
  Il re si portò il calice alle labbra.
  «Sono in grado di affrontarli, lo sai. Sono un nemico che conosco.»
  Thranduil si voltò e Tuariel vide chiaramente il sangue defluirgli dal viso. I suoi occhi erano spalancati e pallidi e la stavano fissando. Le stavano fissando il petto. La vestaglia le si era aperta sul davanti, rivelando la fasciatura. Tauriel si risistemò in fretta e Thranduil bevve il vino nel calice in un solo sorso. Per un breve istante il suo sguardo le sfiorò il viso, poi il re si voltò.
  Con un passo silenzioso da fare invidia ad una spia Tauriel gli si avvicinò. Gli fissò le spalle tese e si accorse che non indossava alcuna veste regale; solo una camicia bianca e dei pantaloni scuri, probabilmente gli abiti più anonimi che aveva. Sembrava diverso; non sembrava un re, eppure la sua regalità era indiscutibile.
  «Sei venuto in infermeria, non è così?»
  Credevo fosse Kili.
  Thranduil si voltò, e stavolta le fissò gli occhi. Il suo volto era come un fiume in piena, tormentato da nuvole scure come in procinto di un temporale. Selvaggio.
  Ed era più vicino di quanto fosse sembrato.
  Quando le accarezzò uno zigomo Tauriel provò un dolore che non era dovuto alle ferite. Il suo tocco era bollente, le bruciava la pelle come un fuoco che invade la foresta. Incontrollabile e incontenibile e pericoloso. Potenzialmente mortale.
  «Perché?» chiese Tauriel.
  «Perché sono un egoista.» rispose Thranduil.
  La baciò.
  Nella mente di Tauriel si riaffacciò il ricordo di quando aveva desiderato morire. Il momento in cui era saltata giù. Le mani di Belthil che l’afferravano. I piedi che ciondolavano nel vuoto.
  Quel bacio era come una mano che le stringeva il braccio impedendole di cadere, riportandola alla vita, donandole altre possibilità. La salvezza.
  E i suoi piedi ciondolavano nel vuoto.

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Capitolo 10
*** 10 ***


  Gli incubi di Thranduil avevano spesso il volto di Tauriel.

  Ritrovarla nella sua mente era come perdersi in una foresta vagamente familiare, sentire la propria voce riecheggiare in un corridoio deserto, o rimanere sotto la pioggia fino ad essere un tutt’uno con l’acqua. Era pauroso e innaturale, ma quasi inevitabile. Tenerla tra le braccia e assaporare le sue labbra e la sua carne faceva lo stesso effetto. Mentre la stoffa leggera della sua camicia si scontrava con le bende che fasciavano il petto di Tauriel, Thranduil pensò che si era sempre ritenuto piuttosto esperto nell’evitare l’inevitabile. Non credeva nelle coincidenze e non credeva nel destino, e l’inevitabile era solo una scusa per chi non era in grado di assumersi le proprie responsabilità. Ma la morbidezza della pelle di Tauriel, il calore che emanava dal suo respiro… Thranduil sentiva che quello era ciò cui era stato destinato. Il suo desiderio per Tauriel era l’inevitabile che non era riuscito ad evitare.

  Le ciglia di Tauriel gli solleticavano le guance ogni volta che lei si allontanava dalle sue labbra per inspirare, in un gesto che lo stava facendo impazzire. La vestaglia di Tauriel le era scivolata lungo le spalle, la stoffa leggera le penzolava dalle braccia lungo i fianchi, e Thranduil non l’aveva mai vista così esposta. Vulnerabile. Entrambi lo erano. La allontanò quel tanto che gli permise di guardarla negli occhi e di continuare a sentire il petto di lei premuto contro il suo. E ciò che vide nei suoi occhi lo investì come un’improvvisa scarica d’acqua.

  Mentre, con voce tremante, le ordinava di lasciare le sue stanze, sentì metà del suo cuore annerirsi e morire. Non sapeva che i sogni di Tauriel avevano spesso il volto di Thranduil.

 

§

 

  C’era stato un tempo in cui Tauriel aveva considerato l’amore una debolezza; e poi l’aveva visto come unica fonte di forza. Ma per Thranduil l’amore era veleno. Una condanna per anima, mente e cuore. Un contrattempo da evitare.

  Aveva eseguito gli ordini, aveva lasciato i suoi alloggi senza voltarsi indietro e senza protestare. Una singola lacrima le corse lungo il viso, e non capiva perché. Il suo corpo stava reagendo prima che la sua mente potesse comprendere appieno ciò che era successo. Tauriel rabbrividì quando si rese conto che la sua pelle conservava ancora il ricordo di Thranduil che la toccava. Si morse le labbra e sentì il suo sapore.

  Chiuse gli occhi, mentre un pizzicore si faceva strada lungo la sua lingua e un sentore di marcio le invadeva la gola.

 

 

 

 

  Veleno.

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Capitolo 11
*** 11 ***


  Quando Tauriel corse negli alloggi del re era ormai tardi. La caraffa del vino era vuota, la coppa giaceva ai piedi della scrivania. Thranduil era a terra: un braccio era schiacciato sotto il petto, i capelli erano sparsi sul pavimento come una distesa di neve, la mano destra era puntata verso le porte, come a voler richiamare Tauriel dopo averla cacciata.
  «Aiuto! Guardie!»
  Tauriel era accovacciata accanto al suo re, e quella scena era fin troppo familiare.
  Non di nuovo.
  Le sue labbra continuavano a formare la parola aiuto, ma la sua voce non aveva volume. Scostò i capelli dal viso di Thranduil, in cerca di un segno che fosse ancora vivo. Le guardie entrarono e glielo portarono via prima che lei potesse accertarsene.
 
§
 
  Il capitano Belthil stava organizzando i turni di pattuglia per la settimana seguente quando giunse la notizia che il re era stato avvelenato. Le parole della guardia che l’aveva informata le erano riecheggiate nel petto, rimbombando con un’eco dolorosa.
  «Le sue condizioni non ci sono note per il momento.»
  Il soldato le aveva intimato di tornare a lavoro, l’avrebbe informata lui non appena avesse avuto novità – ma Belthil non era diventata Capitano restando ad aspettare.
  Gli alloggi del re erano in subbuglio, con guaritrici che entravano e uscivano dalla soglia e guardie inquiete che avevano l’ordine di non far passare nessuno. Belthil avrebbe potuto imporre la sua autorità per farsi strada in quel trambusto, ma non aveva intenzione di intralciare le guaritrici.
  Chi avrebbe mai potuto avvelenare il re? A che scopo? Il veleno non era certo la mossa più intelligente per liberarsi del sovrano del Reame Boscoso. Era compito suo fornire le risposte a tutte quelle domande. Una cosa era certa: c’era una spia a palazzo.
  Non c’era davvero niente che potesse fare lì, ma non desiderava allontanarsi troppo. Quando svoltò l’angolo del corridoio riconobbe Tauriel, rannicchiata nella nicchia di una finestra, e realizzò che, inconsciamente, era lei che stava cercando.
  Tauriel le parlò senza guardarla. 
  «Sono ancora tutti lì?»
  Belthil si accomodò accanto a lei, osservando il buio farsi strada tra gli ultimi raggi solari.
  «Sì.»
  Tauriel aveva gli occhi chiusi, e Belthil si chiese cosa stesse vedendo al di là delle palpebre.
  «Che cosa è successo?»
  Tauriel scosse leggermente le spalle. Belthil notò che indossava ancora la vestaglia dell’infermeria, rivelatoria delle sue fasciature.
  «Sono entrata ed era a terra. Era nel vino. La caraffa era completamente vuota.»
  Belthil ebbe la sensazione che vi fosse un altro significato dietro quelle parole, più profondo ed intimo.
  «Che tempismo, il tuo.»
  Tauriel nascose il volto.
  Belthil sapeva che tra lei e il re c’era un rapporto speciale. Lui l’aveva accolta a palazzo e cresciuta accanto al figlio, l’aveva istruita per diventare una guerriera, l’aveva scelta come Capitano della guardia. Belthil aveva sempre trovato irritante il modo in cui Tauriel mancava di rispetto al re nonostante tutto ciò che lui aveva fatto per lei; Tauriel era impulsiva, testarda, orgogliosa, e aveva un senso di giustizia che l’aveva portata più volte a disobbedire agli ordini (non da ultimo, minacciando la vita del re). Ma Blethil stava cominciando a comprendere che le azioni di Tauriel erano dettate da qualcosa di più del semplice egoismo, e che ribellarsi a qualcosa di ingiusto non era un crimine, neanche quando portava al tradimento.
  La notte trascorse come era arrivata, immersa nel silenzio, e Belthil se ne accorse appena. Quando il cielo iniziò a rischiararsi con un luminoso pallore, una guardia fece capolino dal corridoio. Belthil si alzò ricambiando il saluto formale del soldato, che poi si rivolse a Tauriel. Le labbra di lei erano serrate e gli occhi erano infestati da tormenti che Belthil poteva solo immaginare.
  «Il re è sveglio.» Le spalle di Tauriel sembrarono essersi liberate di un enorme peso. «Ha chiesto di te, Tauriel.»
  Lei si stava già avviando verso le stanze del re quando il soldato la richiamò.
  «Il principe… Deve essere avvisato?»
  Tauriel sembrò rifletterci. In quel momento Belthil realizzò questo: Tauriel aveva attentato alla vita del re, era stata bandita, era stata declassata a soldato semplice, eppure era a lei che il soldato si era rivolto per una questione così delicata. Tauriel non era solo Capitano della guardia per il re, ma anche famiglia. E, nonostante non impugnasse più un’arma da mesi, aveva ancora il rispetto dell’esercito.
  Belthil l’ammirava; avvertì un principio di invidia farsi strada nel petto. Aveva visto Tauriel nei suoi momenti più fragili, eppure non poteva ignorare la forza e l’autorità e la sicurezza che emanavano da lei ora.
  «No.» rispose Tauriel. «Non ce n’è bisogno.»
  Prima di avviarsi, Tauriel si voltò verso Belthil e la ringraziò.
 
§
 
  Tauriel si scoprì spaventata. Il sollievo che l’aveva investita quando aveva sentito la parola sveglio si era consumato completamente nel tragitto che l’aveva riportata negli alloggi del re. Thranduil si era fatto trovare in piedi alla finestra, avvolto in una vestaglia argentata che lo faceva sembrare una statua. Tauriel era completamente paralizzata. Lui le fece cenno di avvicinarsi.
  «Nessuno deve sapere.» le disse quando ormai era a pochi centimetri da lui. «Neanche Legolas.»
  Tauriel annuì. Quindi aveva deciso di optare per una conversazione formale. Bene.
  «Me ne sono già occupata.»
  «Ti ringrazio.»
  Quel freddo familiare che era sceso tra lei e Thranduil la riportò al momento in cui lui aveva deciso di riaccoglierla nel suo regno.
  «Hai il permesso di tornare.» le aveva detto. «Ma ci vorranno anni prima che io possa fidarmi di nuovo di te.»
  «Perché?»
  Thranduil si voltò verso di lei, sorpreso, come avesse dimenticato che lei era ancora lì.
  «Perché cosa?»
  «Perché mi hai riaccolto?»
  «È una domanda che non merita risposta.»
  «Io merito delle risposte.»
  Thranduil le diede le spalle.
  «Ho bisogno di riposo.»
  Tauriel gli si avvicinò, osservandogli la schiena.
  «Non ti fidi di me, ma mi riporti con te. Dici che non puoi guarirmi, ma mi metti di guardia nelle tue stanze.»
  I pugni di Thranduil erano stretti e le nocche erano sbiancate.
  «Mi hai baciato.»
  Tauriel ammutolì. Dirlo ad alta voce era come rivelare un segreto, o confessare un omicidio, o ammettere di avere colpa. Dirlo ad alta voce lo faceva sembrare un peccato.
  «Perché mi hai baciato?»
  Thranduil si voltò, e stavolta fissò apertamente le labbra di Tauriel, senza nascondersi, senza dissimulare. Con desiderio e brama e rabbia. La fissò talmente a lungo, e il corpo di Tauriel venne invaso da uno scomodo calore in reazione a quello sguardo.
  «Perché sono un egoista.»
  L’eco di quelle parole la fece rabbrividire.
  «Non potevo perdere anche te.»
  La disperazione nella voce di Thranduil si rifletté negli occhi di Tauriel.
  «Allora perché cacciarmi così?»
  Finalmente gli occhi di Thranduil lasciarono le labbra di lei per concentrarsi sui graffi che le adornavano il volto.
  «Perché questo non è permesso.»
  Si allontanò, lasciandola a domandarsi quanto a fondo dovesse scavare per afferrare il vero senso delle parole.
  «Perché? Perché tu sei un re ed io un soldato? Perché tu sei il re ed io solo un elfo silvano?»
  «Perché è pericoloso!» La rabbia di Thranduil era più violenta di quanto lei si fosse aspettata. «E delicato. E tu non saresti in grado di affrontarlo nel modo corretto.»
  Tutto ciò che Tauriel colse in quelle parole fu l’insulto rivolto alla sua persona.
  «Tu questo non lo sai.»
  «L’ho visto nei tuoi occhi! Eri pronta a concederti a me, senza pensare alle conseguenze. Senza controllo.»
  Con passo spedito, Tauriel lo fronteggiò.
  «Non farlo, non sminuirmi. Non credere di avere questo potere su di me, perché non è così. Sono consapevole delle mie scelte, e non permetto ai miei sentimenti di avvelenare la mia razionalità. Ciò che hai visto nei miei occhi era solo il pallido riflesso della tua paura.»
  Quando lo disse, entrambi realizzarono che era così: Thranduil aveva paura.
  La guardò con sconforto, con gli occhi lucidi; ogni traccia di austerità e freddezza era svanita. Ora non sembrava un re. 
  «Mi dispiace.»
  Tauriel scosse il capo. «No.»
  «Mi dispiace averti trattata così.»
  «Non farlo.»
  «Mi dispiace averti cacciata.»
  «Non dirlo.»
  Thranduil lo disse: «Mi dispiace averti baciata.»

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Capitolo 12
*** 12 ***


Questo capitolo non esisterebbe senza daughter_of_mirkwood. Grazie.







 Capitolo 12

 

  Quando Tauriel era giovane ‒ molto più giovane ‒ il re le faceva paura. La sua figura austera si aggirava indisturbata per i corridoi del palazzo come un fantasma. Niente sembrava toccarlo, niente sembrava scalfire quell’espressione di neutra pacatezza scolpita sul suo volto. Per ciò che la riguardava, non lo aveva mai visto perdere il controllo. Neanche quando aveva sorpreso lei e Legolas nascosti sotto un tavolo a origliare una conversazione con i governanti degli altri regni; neanche quando lei e Legolas avevano sgraffignato un antico pugnale dall’armeria; neanche quando lei aveva ridotto completamente a brandelli il primo ‒ e l’unico ‒ vestito che la sarta le avesse mai cucito. Quella sua imperturbabilità le aveva suscitato, oltre che un timore reverenziale, un accenno di invidia che talvolta percepiva ancora; lui era sempre composto, calmo e pacato, mentre lei si sentiva continuamente in balia delle proprie emozioni, dei propri impeti d’ira, preda di una cuore selvaggio. Si sentiva spesso fuori controllo. Tuttavia, più osservava il re e più si rendeva conto che la sua non era semplice autodisciplina o padronanza di sé, ma una vera e propria repressione dei sentimenti, talmente potente da far dubitare l’esistenza di tali sentimenti. Allora Tauriel si era scoperta ancora spaventata, ma la sua paura era dettata da un qualcosa di diverso: non aveva paura del re, ma per il re. Temeva per la sua umanità, temeva per il suo cuore.

  Un giorno d’inverno di molti secoli prima, Tauriel e Legolas correvano nella foresta, inseguendosi come farfalle impegnate in una danza, veloci come lo scorrere del fiume. Cibandosi del proprio orgoglio, si lanciavano sfide continue e si ritrovarono a scalare l’albero più alto che riuscirono a trovare; le sue radici sparivano nella neve e i rami erano cristallizzati nel ghiaccio.

  «Sei lento, Legolas!» aveva gridato Tauriel, aggrappata al tronco e con i capelli che le sferzavano il volto. Si sentiva una creatura della foresta, si sentiva selvaggia. «Te l’ho detto che avrei vinto io!» 

  Quando non aveva ricevuto risposta si era voltata e aveva visto il corpo di Legolas a terra.

  Dopo che il giovane principe fu ricondotto a palazzo e messo in salvo, il re affrontò Tauriel.

  «Che razza di stupido gioco stavate facendo?» aveva gridato. «Vi siete messi in pericolo, lo hai messo in pericolo. Se ti permetto di passare le tue giornate in compagnia di mio figlio è perché confido che tu non sia una cattiva influenza. Devo forse presumere il contrario? Vuoi questo da me?»

  Tauriel era troppo giovane per potersi difendere e controbattere come avrebbe fatto in età più avanzata; era troppo giovane persino per meritare una sfuriata del genere, e Thranduil lo sapeva benissimo. La parte razionale del suo cervello aveva continuato a dirle che quello era il momento di aver paura, di temere per la propria persona in presenza del re. E sì, in effetti, avvertiva la paura accucciata in un angolo del suo organismo, in attesa di poter strisciare fuori e diffondersi, ma Tauriel non glielo permise. Perché per la prima volta era riuscita a vedere qualcosa in Thranduil, qualcosa di più profondo, ed era riuscita a comprenderlo.

  Quel giorno aveva visto il terrore negli occhi del re. Quel giorno Tauriel aveva smesso di avere paura.

 

§

 

  Thranduil non avrebbe mai dimenticato il momento in cui si era reso conto che Tauriel era diventata una donna.

  Per anni si era dedicata all’allenamento, approfondendo le sue doti di arciere e diventando un’esperta nella lotta con i pugnali. I suoi movimenti erano precisi e mirati; a detta di Thranduil le mancava ancora quel poco di freddezza che l’avrebbe portata ad essere un’arma perfetta, ma quell’impeto e quel fuoco che le ardeva dentro bastavano a renderla imbattibile. Aveva superato in battaglia tutti i soldati del regno ‒ ad eccezione del re. Con il suo talento e la sua audacia, tuttavia, cresceva anche la sua insolenza, e Thranduil trovava sempre più difficile tenere a bada la sfrontatezza della giovane che aveva cresciuto come una figlia.

  «Sei un ottimo soldato, Tauriel.» si era complimentato. «I tuoi avversari difficilmente sono alla tua altezza, ormai.»

  Lei aveva sorriso, e quel calore che così bene si intonava ai suoi capelli di rame lo aveva quasi contagiato.

  «Voglio proporti una sfida. Combatti con me.» Le labbra di Tauriel si erano separate leggermente in un’espressione incerta. «E se ti riterrò degna, sarò io ad allenarti.» Questa ultima parte gliel’aveva sussurrata, di modo che solo lei potesse sentire. Forse voleva darle una lezione, forse voleva assicurarsi che fosse davvero la miglior combattente di tutto il regno; in ogni caso, Tauriel perse, e con quella sconfitta credette di aver perso anche la sua occasione di essere allenata dal re. Invece lui la prese come allieva, con la promessa che, se anche non fosse riuscita a batterlo, per lo meno ci sarebbe andata vicino.

  Tauriel continuava a perdere, ma migliorava a vista d’occhio, e la promessa che un giorno avrebbe potuto batterlo la spronava a continuare. Thranduil apprezzava quella determinazione, nonostante fosse a suo discapito, ma i movimenti di Tauriel erano ancora macchiati di impulsività e ardore.

  «Ti concentri troppo su chi hai davanti.» le aveva detto una volta, mentre i loro corpi si intrecciavano nella danza della lotta. «La tua mente non riesce a trovare ragioni per attaccarmi, e il tuo corpo non riesce a superare i limiti della mente.»

  Con una sferzata del braccio, la sua spada corse alla gola di lei. Il petto di Tauriel si sollevava con ritmo irregolare, seguendo il suo respiro affannato. Gli occhi di Thranduil corsero all’orlo del suo corsetto di cuoio, che con difficoltà nascondeva i movimenti di quel petto. In un attimo, Tauriel lo spinse via. 

  «Liberati della ragione, liberati dei pensieri.» le disse quanto lei lo attaccò di nuovo. «Liberati dei sentimenti. Non te ne fai niente in battaglia.»

  L’espressione di Tauriel si era indurita e i suoi attacchi si erano fatti più impetuosi, ma lui la mise di nuovo con le spalle al muro.

  «È il tuo cuore il tuo peggior nemico.»

  Tauriel gridò, un gemito animale in cui sfogò tutta la sua frustrazione, poi fece volteggiare i suoi coltelli e costrinse Thranduil a indietreggiare; lui mantenne comunque una posizione di vantaggio. Mentre Tauriel gli danzava davanti agli occhi, lui osservò la sua postura, la fermezza delle gambe, i movimenti dei piedi; il contrarsi dei muscoli, la sua espressione accigliata, il modo in cui i capelli le ondeggiavano intorno ai fianchi…

  Poi sentì il suo fiato sul collo e capì che Tauriel l’aveva atterrato. E per un attimo si concesse di pensare al calore tra i loro corpi. Poi Turiel scattò all’indietro, con in volto sorpresa e paura e incertezza ‒ e Thranduil provava le stesse sue sensazioni, ma per motivi diversi.

  Più tardi la fece convocare. Poteva vedere che era insicura sui suoi passi, poiché dopo lo scontro l’aveva lasciata senza dire una parola.

  «Ho fatto qualcosa di sbagliato oggi, Ada

  Quell’appellativo era quasi doloroso, e portava con sé storie e anni di preoccupazioni, e cose non dette e vergogna.

  «No, gwinig. Niente di sbagliato.» L’innocenza e il candore con cui Tauriel aveva posto quella domanda avevano addolcito il tono del re. «Stai crescendo, Tauriel. Presto l’intera corte si riferirà a te in quanto Lady…»

  «Non voglio essere una Lady, Ada.» lo interruppe lei.

  «Conosco i tuoi desideri. Sai che non ho nulla in contrario.»

  «Allora perché sono qui, Ada

  Thranduil aveva deciso di mantenere le distanze, di non cedere a scatti d’ira improvvisi causati dall’insolenza della giovane elfa, di mantenere un tono pacato e ragionevole per non ferirla. Ma sentire quell’epiteto una terza volta lo fece crollare.

  «Non puoi più chiamarmi Ada, Tauriel.»

  Lei lo guardò con occhi sgranati. L’aveva ferita.

  «Come ho detto, stai crescendo. È sconveniente, questa familiarità tra di noi. Io sono il tuo re, il tuo signore. Ma continuerò a essere la tua guida, se vorrai.»

  «Non mi consideri più una figlia?»

  «Tu sei mia figlia come lo sono tutti gli abitanti di questo regno.»

  La tenacia con cui Tauriel tentò di trattenere le lacrime gli mostrò un assaggio della combattente che sarebbe potuta diventare; non avrebbe rinunciato ad allenarla. Ma il distacco, d’ora in poi, sarebbe stato un elemento centrale nei loro rapporti.

  Il suo rifiuto di piangere, la forza che impiegò nel non ribattere, il comprendere ‒ seppur a modo suo ‒ la situazione, confermarono a Thranduil ciò che aveva solo avvertito durante l’allenamento: Tauriel era una donna, e come tale aveva iniziato a sviluppare ‒ seppur inconsapevolmente ‒ tutte le armi che le erano proprie, e che avevano il potere di distruggere Thranduil.



gwinig = piccola, bambina


Ho creato una bacheca Pinterest per questa fic, spero darete un'occhiata (
 
https://pin.it/nIEj9UB )

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Capitolo 13
*** 13 ***


13

 

  Tauriel era diventata piuttosto brava a ignorare i pensieri spiacevoli. Ogni volta che ne avvertiva uno farsi strada nella mente, lo bloccava e lo mandava via, concentrandosi su cose diverse, piccoli particolari che le facevano superare la giornata. Allora era facile non pensare che le stagioni cambiavano ma lei ancora non riusciva a impugnare un’arma; era facile accettare che ormai sarebbe stato il Capitano Belthil a gestire la sicurezza del regno, forse per sempre; era facile ignorare il modo in cui il re la ignorava. 

  Passava le giornate in armeria, a pulire spade e pugnali, a riparare frecce e archi, e quando i soldati rientravano dalle ronde o dalle esercitazioni senza neanche degnarla di uno sguardo, passava il resto del tempo ad immaginare come sarebbe stato essere lì fuori con loro. Si sentiva inutile. Combattere era ciò a cui aveva dedicato la vita, e adesso che non poteva cosa avrebbe fatto? Cos’era? Chi era?

  Le sembrava di essere sospesa in un tempo che scorreva senza di lei. Vedeva i progressi e i successi degli altri, e si sentiva bloccata. La sua stessa vita stava scorrendo senza di lei. Si chiedeva perché il tempo nel presente sembrasse così infinito e lento per poi scappare in un attimo ed essere già passato. Avvertiva il peso degli anni, delle cose che non aveva fatto, delle persone che aveva perso. Non si sentiva più se stessa. Percepiva ancora qualcosa, dentro, che aveva il potenziale di risvegliarla e di farla ritornare ad essere, ma non riusciva ad aggrapparvisi o a tirarlo fuori. Forse era questo che significava lasciarsi morire. Ma Tauriel non voleva morire. Aveva ancora delle ragioni per vivere, e ritornare a combattere era una di quelle.

  Se solo avesse saputo cosa fare.

 

§

 

  Tauriel aveva perso il suo fuoco, e Thranduil se ne addossava la colpa.

  Vederla così spenta gli faceva avvertire un dolore al petto, peggiore di qualsiasi ferita avesse mai avuto. La osservava trascinarsi nell’apatia della vita come se non appartenesse veramente a quel mondo. Come se il suo posto non fosse da nessuna parte. E Thranduil avrebbe voluto dirle che le avrebbe mostrato lui il suo posto, che lui sapeva a chi apparteneva, qual era la sua casa. Ma lei lo avrebbe ascoltato? Dopo il modo in cui l’aveva respinta? 

  Era stato sul punto di darle tutto, tutto se stesso e tutto quello che aveva. Poi lo aveva visto: lei non era pronta. Credeva che lui avrebbe potuto salvarla, che quello che c’era tra loro avrebbe potuto regalarle un posto nel mondo, o quanto meno un po’ di pace per la sua mente seviziata. Ma Thranduil non poteva darle la salvezza, non come le sue lebbra avevano chiesto e non come avevano chiesto i suoi occhi. Il loro era un tipo di amore che non portava alla salvezza. Perché, negli occhi di Tauriel, Thranduil aveva visto la propria stoltezza. Se solo lei lo avesse sfiorato, guardato, baciato ancora una volta… Lui l’avrebbe condotta alla dannazione. Perché era vero che lei non era pronta, ma lui era altrettanto impreparato. Non ricordava più in che modo si amasse una donna. Temeva che ad ogni suo tocco la pelle di lei sarebbe bruciata, fino ad annerirsi, fino a scomparire. 

  Ora si ritrovava costretto ad osservare Tauriel appassire come un fiore dimenticato.

  «Non posso salvarti, Tauriel.» aveva deciso di dirle un giorno di molte settimane prima. «Solo tu puoi farlo.»

  Quelle parole non avevano scalfito la neutra espressione dell’elfa, che si era limitata a voltarsi e lasciarlo solo, con l’amaro in bocca e nel cuore. Ciò che aveva visto nel volto di lei quel giorno infestava i suoi incubi: rassegnazione, la rassegnazione più totale ad una vita che non era vita.

  Non siamo fatti per sopravvivere. Pensava spesso a quelle parole; quando era più giovane, avevano avuto un significato diverso. Solo ora sentiva di comprenderne appieno ogni sfumatura.

  Tauriel non era fatta per sopravvivere. Meritava una vita che fosse piena, piena di felicità, di dubbi, di passi falsi, di lacrime amare e dolci, di risate e di amore. Amore. Quante cose non poteva darle. Quante mura e catene e obblighi li imprigionavano.

  Erano entrambi così testardi; si ritrovò a sorridere mentre lo pensava. Tauriel gli aveva sempre dato del filo da torcere, e lui sapeva che non se ne sarebbe mai stancato. Mai si sarebbe saziato delle  sue proteste, del modo in cui sollevava il mento quando veniva interrotta, del modo in cui schiudeva leggermente le labbra quando sapeva di non poter dire ciò che stava realmente pensando. Del suo fuoco.

  Forse non poteva darle felicità e risate e amore, ma le avrebbe dato la forza per ritrovare se stessa. E se la dannazione era tutto ciò che lui poteva prometterle, allora le avrebbe insegnato a farsi strada tra le fiamme della perdizione.

 

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Capitolo 14
*** 14 ***


14

 

    Il palazzo fremeva per i festeggiamenti. Tauriel non ricordava neanche quale fosse l’occasione, non le importava. Ben poco le importava in quei giorni. Era all’esterno, a cibarsi di aria notturna e cieli stellati, di silenzio e pensieri turbati. Con la schiena a terra, sentiva il freddo del terreno penetrarle le ossa, mentre giocherellava con le foglie che le capitavano sottomano. La semplice camicia che indossava era talmente fina che sentiva la pelle formicolare quando il vento agitava i fili d’erba intorno a lei.

  In sere come quella si convinceva di poter quasi continuare a vivere così. Era difficile cedere all’oscurità quando al mondo esistevano cose come le stelle e la brezza notturna. Forse si sarebbe dovuta semplicemente accontentare: allora avrebbe imparato ad essere felice per ciò che aveva e avrebbe smesso di punirsi per ciò che non poteva avere.

  «Non mi hai sentito arrivare, Tauriel?»

  Sì, lo aveva sentito. Aveva sentito il fruscio delle sue vesti e i suoi passi leggeri sulle foglie e il ritmo del suo respiro che avrebbe potuto riconoscere tra mille. Ma non si era mossa. Lo aveva accolto come avrebbe accolto la morte: inerte.

  «In piedi, Tauriel.» le ordinò.

  Lei rise. Era così pedante, arrogante, borioso. Un tempo, sentendo quel tono, sarebbe scattata, avrebbe obbedito senza battere ciglio; forse avrebbe protestato un po’, all’inizio, ma poi avrebbe fatto quello che il suo re le comandava. Adesso le veniva solo da ridere.

  «Subito, Tauriel.»

  «A che serve?»

  «Prego?»

  Avrebbe voluto canzonarlo, ripetere quel Prego? in modo derisorio e irrevocabilmente irrispettoso. Sentiva come l’istinto di cacciarsi nei guai, una sensazione che la trascinava a fondo e le faceva promesse indicibili ‒ posso ridarti le tue emozioni, i tuoi sentimenti, le tue percezioni, sembrava dire.

  «Cosa dovrei alzarmi a fare?» replicò Tauriel. «Ormai ho deciso: è così che finirò la mia vita.»

  Anche stavolta sentì immediatamente i movimenti di Thranduil ma non riuscì a fare niente quando lui la sollevò da terra stringendole un braccio fino a farle male. Tauriel non avrebbe saputo dire cosa la sconvolgesse di più: se l’azione improvvisa e altrettanto imprevedibile del re, o la sensazione di dolore che sembrava così simile al piacere. Quella stretta intorno al braccio sembrava aver risvegliato tutte le sue terminazioni nervose, e la sua mente stava ricevendo talmente tanti messaggi ‒ sono qui sono viva esisto mi sta toccando sono qui esisto ‒ che era impossibile tenere traccia di tutti. Il calore di un’altra persona ‒ il suo calore, il suo tocco ‒ la riportò in quel mondo che lei credeva di aver già abbandonato, rendendola di nuovo terrena. Era lì, era viva, esisteva ancora.

  «Finché sarai nel mio regno non ti permetterò di lasciarti morire.» le disse a denti stretti Thranduil.

  Tauriel strattonò il braccio con violenza e lui lasciò la presa.

  «Allora me ne andrò!»

  «Non te lo permetto!»

  Thranduil era furioso, ma a Tauriel veniva solo da ridere, una risata amara e rassegnata.

  «Quante cose non mi permetti.» replicò sprezzante. «Tu non sei mio padre. Non sei il mio compagno. E non sei il mio re.»

  «Osi sfidarmi di nuovo?» Gli occhi di Thranduil furono attraversati da un lampo di follia.

  Tauriel non sapeva cosa rispondere. Cosa stava facendo? Perché si stava comportando in quel modo? Avvertì di nuovo il richiamo del pericolo, quella voglia di fare qualcosa di sbagliato solo per cercare di provare qualcosa, qualsiasi cosa. Avrebbe sfidato di nuovo il re? Quella parte di lei che cercava guai voleva, lo voleva davvero tanto. Nel peggiore dei casi, lui l’avrebbe esiliata, ed era quello che lei cercava. Non era così?

  Thranduil aveva sicuramente percepito la discussione interiore di Tauriel. Rise, e quel suono riecheggiò tra gli alberi, infestando la foresta e perseguitando Tauriel.

  «E come pensi di fare?» le chiese, ancora divertito. «Sei debole. È passato troppo tempo dall’ultima volta che hai impugnato un’arma.»

  Thranduil era spietato. Il suo corpo emanava un calore infernale, la sua vicinanza era come una mano che spingeva Tauriel sul bordo dell’abisso. Non sarebbe riuscita a resistere.

  «Non puoi niente contro di me.» disse il re, avvicinandosi ancora, fino a che il loro volti non furono a pochi centimetri. «Niente

  Tauriel lo schiaffeggiò.

  Lo sconcerto che si manifestò nel volto di Thranduil non trovò spazio nella mente di Tauriel. Lo aveva colpito, aveva voluto farlo, era stata provocata, e non si era mai sentita più viva. Lo spintonò, in attesa di una sua reazione. Non gli avrebbe permesso di evitare il conflitto, di farsi colpire senza difendersi o semplicemente di andarsene. 

  Lo spinse di nuovo, facendolo indietreggiare. Ogni fibra del suo essere sembrava essersi risvegliata da un lungo letargo, e Tauriel riusciva a percepire il proprio corpo nella sua interezza e nei suoi singoli particolari. Si ritrovò invasa da una sensazione così distante eppure così familiare, quella sensazione che avvertiva solo durante la lotta: adrenalina.

  «Attenta, piccola lyg.» sibilò Thranduil. «Non vuoi invischiarti in battaglie che non puoi affrontare.»

  La posa del re si era fatta più rigida, i piedi ben saldi a terra, le mani leggermente sollevate in attesa di parare eventuali colpi: era pronto a lottare. Non si sarebbe fatto da parte, era pronto a tenerle testa. Tauriel sorrise.

  Sferrò un pungo che non andò a segno, perché lui le bloccò il braccio. Si liberò e tornò di nuovo all’attacco, senza esitazioni e senza paure. Impegnati in una danza sotto le stelle, i loro colpi si fecero più concitati, i respiri più affannati, fino a che l’intero mondo sparì per lasciare spazio a loro due, ai loro corpi, a quella danza dal sapore amaro.

  Tauriel era estatica. Per lungo tempo era stata convinta di non poter più utilizzare armi, mentre l’arma principale era sempre stata con lei: il proprio corpo, la propria forza, cose che nessuno avrebbe mai potuto portarle via.

  Il labbro di Thranduil aveva iniziato a sanguinare, e il modo in cui questo metteva in evidenza la sua bocca era fonte di turbamento per Tauriel; i suoi occhi erano costantemente riportati alle labbra del re. Quella distrazione le costò cara: Thranduil l’aveva imprigionata, schiena contro petto, con una mano intorno alla vita e un pugnale alla gola.

  «Non sei abbastanza forte per battere il tuo re, piccola Tauriel.» le sibilò all’orecchio, con il fiato caldo e affannato che le soffiava sui capelli. «Ma posso lasciarti vincere, per stavolta.» 

  Non le piaceva il tono che lui aveva usato. Era provocante, allettante, prometteva cose indicibili, inconfessabili, depravate. Thranduil era inebriante.

  «Devi solamente disarmarmi.»

  Tauriel strattonò per liberarsi, ma la presa del re era salda e onnipresente. Non l’avrebbe fatto, non avrebbe ceduto al suo gioco.

  «Non è difficile.» le disse. «Devi solo strapparmi questo pugnale di mano.» Si avvicinò ancora di più all’orecchio di Tauriel, e le parlo con un sussurro udibile a mala pena. «Te lo lascerò fare.»

  Tauriel chiuse gli occhi. Sentiva odore di neve, sentiva il gelo sulla pelle. Sentiva che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di terribile.

  «Ti lascerò prendere il pugnale. Ma sei tu che devi fare il primo passo.»

  Una lacrima solcò la pelle di Tauriel. Erano le braccia del re che la circondavano, era il suo calore che le infestava il corpo. Allora perché lo sentiva distante? Perché si sentiva come sulla cima di una montagna in procinto di affrontare la morte?

  I suoi ricordi erano fatti di occhi marroni e capelli scuri, colori caldi che contrastavano con il gelo delle montagne. Il suo presente era infestato da occhi di ghiaccio e vesti chiare, da un fuoco che sembrava non poter trovare posto in mezzo a tutto quel bianco. Ma era il fuoco che adesso ardeva in lei. Forse non avrebbe mai dimenticato il sangue sulla neve e le mani che un tempo l’avevano stretta  farsi rigide e fredde. Ma forse non avrebbe lasciato che quei ricordi deturpassero il suo futuro.

  «Non sei forte come credi di essere.»

  Non era sicura di chi avesse pronunciato quella frase, se il re o la sua voce interiore. Ma, in ogni caso, Tauriel sapeva che si trattava di una menzogna.

  «Disarmami.» continuava a ripetere Thranduil. «Mostrami chi sei. Mostrami che non ho sbagliato nel riporre in te la mia fiducia. Dimostrami che sei davvero chi credi di essere!»

  Con un grido selvaggio, Tauriel si liberò dalla presa del re, tenendo una stretta ferrea intorno all’impugnatura del pugnale, spingendo il re contro un albero e lasciandolo ansimante alla propria mercé. Disarmato, affaticato, turbato, e con la lama a pochi centimetri dalla gola.

  Per un momento, Tauriel sentì la mano tirare, il manico dell’arma quasi scivoloso, come se il pugnale volesse sottrarsi alla sua presa. Ma lei non lo lasciò, e quando guardò Thranduil negli occhi, vi trovò lo stesso fuoco che lei si sentiva dentro. Poi Thranduil le prese il volto tra le mani e la baciò. La baciò come se si stessero dicendo addio, come fossero rimasti gli ultimi esseri sulla terra. La baciò per dirle Sono fiero di te, e un migliaio di altre parole che non sarebbe mai riuscito a comunicarle a voce. 

Fu allora che Tauriel lasciò andare il pugnale.









Ho creato una playlist spotify per la storia. Consiglio di ascoltarla in ordine https://open.spotify.com/user/nt4dlzezv8uo2khes8wbhav5s/playlist/3mqzaCztYiCvIAKkGx206q

Buon Giorno dell'Albero! :)

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Capitolo 15
*** 15 ***


15

 

day slowly turning into night

my hands are shaky and I don't feel right

again

my friend

 

 

oh, I’m just waiting on the wild sun

 

 

baby, are the lies they told us all true?

I don't know what to do

I don't know how to stop this time

 

maybe all the dreams I had were never real

I don't know how to feel

I don't know how to feel this

 

 

oh, I’m just waiting on the wild sun

 

 

- wild sun, the strumbellas

 

 

————————————————————————————————————————

 

 

  Thranduil voleva ricordare il sapore di Tauriel per sempre. Imprimerlo nella memoria e sulla lingua, per continuare a gustarla anche quando era lontana. 

  Voleva stringerla fino a marchiarle la pelle, lasciare il proprio segno infuocato su quel candore etereo, di modo che lei avvertisse il suo tocco anche quando erano separati.

  Voleva che tutti sapessero che lei era sua e lui era suo, che si appartenevano ed erano destinati, che erano legati non solo dall’amore, ma soprattutto dal dolore.

  Voleva che fosse sua per sempre.

  La voleva.

 

§

 

  Tauriel aveva dimenticato il pugnale. Aveva dimenticato di aver picchiato il re, di averlo atterrato, di avergli mancato di rispetto ‒ di nuovo. Perché adesso lui era su di lei, i loro corpi erano un’unica entità, e lui non l’avrebbe lasciata andare.

  Prima di potersi trattenere, iniziò a piangere. Quando Thranduil sentì il sapore delle lacrime tra le loro bocche, la allontanò da sé per osservarla in volto. Lei teneva gli occhi tenacemente chiusi.

  «Tauriel, guardami.»

  Le lacrime continuavano a scendere dai suoi occhi serrati, e Thranduil avvertì un moto di tenerezza nel pensare che anche nel dolore, anche nei suoi momenti più deboli, si manteneva ostinata come sempre. Le carezzò una guancia, e il gesto si portò via una lacrima.

  «Apri gli occhi, meleth nîn. Guardami.»

  La dolcezza in quel tono e in quella carezza la convinsero ad assecondarlo. Aveva avuto paura di aprire gli occhi, di vedere di nuovo l’espressione dura del re, di sentirlo dire ancora una volta che non potevano fare ciò che stavano facendo, perché non era permesso, non era lecito. Ma quando i loro sguardi si incontrarono Tauriel fu invasa da un’ondata di affetto e sicurezza e amore. Un amore ancora imperfetto, certo, macchiato dal sangue, contaminato dal dolore, indebolito dalla caparbietà; ma inequivocabilmente amore.

  «Ce l’hai fatta, Tauriel.»

  Altre lacrime le scesero dagli occhi; dolore, sollievo e paura si mescolarono in una confusione di sentimenti. Scuotendo la testa, si liberò dalla stretta di Thranduil e gli voltò le spalle.

  «Non ho fatto niente.» replicò. «Mi hai provocato. E mi hai lasciato vincere.»

  «Non ti ho lasciato vincere.» disse lui. «Non l’ho mai fatto.»

  «Hai avuto pietà di me.» Tauriel si voltò di scatto, il volto contorto in una smorfia d’ira. «Della povera, piccola Tauriel, che non riesce più a fare niente da sola.»

  Thranduil scosse la testa in modo concitato.

  «Non è questo…»

  «È forse un tuo modo perverso per assicurarti che non me ne andrò? Sai essere così crudele?»

  «Hai frainteso.»

  «Prenderti gioco di me non ti assicurerà la mia presenza al tuo fianco. Preferisco lasciare il regno piuttosto che essere il tuo animale da compagnia.»

  «Tauriel, farn

  La voce del re riecheggiò nel bosco, autoritaria e risoluta; non ammetteva repliche. Ma Tauriel non era mai stata brava a tenersi i propri pensieri per sé.

  «Mi hai umiliata.» disse, e adesso la foresta echeggiava con le sue parole, ben più potenti dell’urlo del re. «Mi hai tenuta con te solo per imprigionarmi, reprimendo la mia libertà, perché non sopportavi di perdere il controllo su un altro dei tuoi preziosi sudditi. Perché Legolas se n’è andato, e tu hai sfogato il tuo dolore su di me! Non hai potuto trattenere lui, così hai impedito a me di lasciarti!»

  «Ti ho tenuta con me perché non potevo sopportare di tornare senza di te!»

  Forse nelle parole di Tauriel c’era del vero. Forse la sua presenza sopperiva alla mancanza di Legolas; forse lei era l’unico appiglio di Thranduil ad una vita passata, una vita di cui anche Legolas faceva parte; forse suo figlio aveva lasciato un vuoto che solo un altro tipo di amore avrebbe potuto riempire. Forse Thranduil avrebbe dovuto imparare a discernere il suo amore per Legolas dall’amore in generale, e non lasciare che il primo contagiasse il secondo. 

  Ma se a Tauriel era stato concesso di tornare a casa era perché, dal momento in cui gli aveva puntato l’arco contro nel mezzo della battaglia, Thranduil si era rifiutato di immaginare un futuro senza di lei. Perché quando l’aveva trovata in mezzo alla neve a piangere sul corpo del nano che aveva amato, aveva sperato di poter meritare un amore simile, di meritarlo da lei.

  Gli occhi di Tauriel erano grandi e lucidi. Thranduil poteva vedere i dubbi che l’avevano assalita, l’insicurezza nei confronti delle sue parole, l’incertezza nell’interpretarle. Aveva davvero detto ciò che lei pensava?

  «Non potevo perderti.»

  «Allora perché trattarmi così? Perché ignorarmi per settimane dopo avermi dato tanto?»

  «Perché non ero convinto di poterti dare di più. E tu meriti di più, Tauriel.»

  «Anche tu.»

  Thranduil sollevò lo sguardo, e vide che lei gli stava tendendo la mano. SI avvicinò con cautela, come di fronte ad una creatura del bosco per evitarle di spaventarla e farla fuggire.

  Le dita di Tauriel volarono leggere al suo volto, gli sfiorarono appena la guancia, tremanti e incerte. Thnrauil rabbrividì. Lo stava toccando come se fosse fragile, come se potesse rompersi, come se lo considerasse prezioso. L’affetto di Tauriel era qualcosa a cui ancora faticava a credere. Le aveva dato così tanti motivi per odiarlo. Quando gli passò il pollice sulle labbra, la bocca gli schiuse leggermente, e quasi sentì il sapore di lei; avvertì una fitta allo stomaco quando si rese conto che era un sapore che conosceva bene, e non che immaginava e basta, non più.

  L’attimo dopo non era più lì: aveva raccolto il pugnale e glielo stava porgendo.

  «Aiutami. Ti prego.»

  Le girò intorno, chiuse la mano intorno al pugnale sopra quella di lei, l’altra mano poggiata sul suo fianco morbido. Thranduil fece ruotare il polso per soppesare l’arma, guidando allo stesso modo quello di Tauriel, e insieme affondarono la lama in un nemico invisibile.

  Tauriel sentì le proprie labbra piegarsi in un sorriso: era da tempo che non faceva un affondo con un’arma. Thranduil era lì a guidare ogni suo movimento. Col passare della notte, con Tauriel che acquistava sempre più sicurezza nel maneggiare il pugnale, si sontrarono in veri e propri duelli; fino a che, al sorgere del sole, Tauriel aveva messo da parte i propri fantasmi, gli spettri che le avevano infestato la mente avvelenato gli arti, i mostri che si era portata dietro dalla guerra e quelli che condivideva con Thranduil.

  «Mi hai salvato.» disse Tauriel a Thranduil.

  «E tu hai salvato me, maethor nîn.» disse Thranduil a Tauriel.

  C’era ancora tanto da imparare. C’erano altri demoni da combattere, altri fantasmi da affrontare; altre giornate in cui il vuoto sarebbe stato incolmabile; altre notti passate a sconfiggere le paure, passate a pregare per un nuovo sole, a sperare in un giorno più luminoso. Ci sarebbe stato altro dolore, accompagnato da insicurezza e inadeguatezza. Ci sarebbe stata innocenza, e momenti in cui l’innocenza sarebbe stata messa da parte. Ci sarebbe stata comprensione, indulgenza e amore. Soprattutto amore.

  Il sole era sorto. Era un nuovo giorno.

 

 

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as the world comes to an end

I'll be here to hold your hand

 

because you're my king and I'm your lionheart 

 

 

- king and lionheart, of monsters and men

 

 

 

 

 

 

 

 

meleth nîn = amore mio

maethor nîn = mia guerriera

farn! = basta!

 

 

 

 

il giorno si trasforma in notte

mi tremano le mani e mi sento sbagliata

di nuovo

amico mio

 

oh, aspetto solo il sole selvaggio

 

sono vere tutte le bugie che ci hanno detto?

non so cosa fare

non so come fermarmi stavolta

 

forse tutti i sogni che ho fatto non erano reali

non so come sentirmi

non so come sentire questo

 

oh, aspetto solo il sole selvaggio

 

§

 

mentre il mondo si avvicina alla sua fine

io sarò lì per stringerti la mano

 

perché tu sei il mio re e io il tuo cuor di leone

 

 

 

 



Be’, è finita. Spero abbiate apprezzato il finale. Sono davvero contenta di aver concluso questa storia, e devo tutto a chi mi ha convinto a riprendere il lavoro dopo più di un anno, a chi ha recensito in modo sempre così fantastico, e a chi ha amato la storia in silenzio. 

Non posso dire che sarà l’ultima volta che scrivo di questi due, li porto nel cuore. 

Grazie a tutti.

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