l'Almediana

di Delirious Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto 1 ***
Capitolo 2: *** Atto 2 ***
Capitolo 3: *** Atto 3 ***
Capitolo 4: *** Encore ***



Capitolo 1
*** Atto 1 ***


Nota: Ashley è un nome sia maschile che femminile (devo citare Ashley Wilkes, l’ammoreh di Rossella O’Hara?)
Vernolia, di cui ho già scritto, è uno dei regni più importanti di questo mondo e lo immagino come un incrocio fra la Firenze dei Medici, la Venezia dei Doghi e il Califfato di Cordoba. Per quanto riguarda l’omosessualità in generale, i rapporti saffici sono tollerati se fra concubine di un uomo fintanto che si usa discrezione, mentre è considerato infamante per un uomo giacere con un altro uomo, ragion per cui si tende a invitare a cena un attore che interpreta ruoli femminili (se esposto e l’ospite è un uomo di potere, potrà più facilmente dire di essere stato ingannato proprio dal ruolo in scena).


 

Atto Primo

 

Udite, brava gente, della bella Biancofiore la storia! Di come le sue speranze1 per Deno il Valoroso permise ai Liberi Uomini di Vernolia di riconquistare le mura d’Almeda l’Altera!



Il teatro era pieno, nonostante fosse di una cittadina di provincia e il pubblico formato principalmente da mercanti e membri delle famiglie più importanti, nobili e ricche del borgo. Ashley non sapeva cosa fosse peggio: quel pubblico becero e ignorante che gli avrebbe lanciato commenti poco impliciti, oppure quello di una città più grande, fra cui ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe chiesto a Barto l’onore d’intrattenersi in privato con l’Almediana?
Fin da quando aveva compiuto dieci anni, Ashley aveva avuto la parte della Fanciulla e il suo ruolo preferito era proprio l’Almediana, che trascorreva buona parte della tragedia nei panni di Gredia, lo scudiero dell’Eroe Deno. Sospirò, lanciando un’occhiata invidiosa a Tamlor che entrava in scena con indosso l’armatura ornata del valoroso cavaliere.
Io sarei un Deno migliore, pensò vedendo il compagno recitare il suo monologo in modo un po’ piatto e senza sufficiente trasporto per coinvolgere il pubblico. Che dico, perfino Puch sarebbe un Deno migliore. Aggiunse, guardando un gobbo vestito da Giullare provare un numero di equilibrismo.
Ashley avrebbe voluto essere Deno il Valoroso, oppure Fortebraccio da Mailli. No, quello che Ashley avrebbe voluto più di ogni cosa era essere un cavaliere vero, che affrontava vere battaglie e non draghi di cartapesta che sputavano fiamme di seta gialla e rossa. Ma lui era un attore girovago, figlio di una danzatrice e il bastardo di chissà chi: con il suo aspetto delicato e femmineo e i suoi movimenti aggraziati, quale cavaliere lo avrebbe preso come scudiero? 
Sbuffò, portando una mano al collo, libero dall’aggeggio di cuoio e metallo che gli era stato imposto dal suo primo giorno in scena, perché una Fanciulla doveva avere un collo lungo e flessuoso, senza asperità.
Ma almeno Barto non ti ha fatto castrare, gli ricordò la sua coscienza.
Barto lo aveva più volte rassicurato sull’argomento: un eunuco aveva la tendenza a ingrassare, inoltre la mollezza delle carni lo rendevano una caricatura di Fanciulla, per questo motivo preferiva che Ashley portasse quel collare, che si epilasse completamente il corpo – anche le guance – e che si astenesse dal sole e dall’attività fisica. Avrebbe dovuto essergli grato di poter restare un uomo sotto le vesti di seta e broccato, eppure…
Se almeno accettasse di scrivere qualcosa su un’amazzone di Agrirani! Ashley non sapeva più quante volte avesse proposto quell’idea a Barto, ma il Capocomico la bocciava sempre con la scusa che non sapeva quale storia inventarsi su un personaggio simile – e il pubblico si aspettava che una Fanciulla fosse fragile e delicata come un fiore e che i duelli spettassero all’Eroe.
“Ash è pronto?” mormorò Barto dietro le quinte.
“Ho quasi finito,” rispose Malba, impegnata a dipingere sulle spalle di Ashley un drago circondato di fiori simile ai tatuaggi usati dalle donne di Dwerissi.
“Spicciati, perché fra quattro battute deve entrare in scena!” 
“Beh, lo sai che questo trucco prende tempo!” borbottò Malba, soffiando la polvere di mica sulla schiena dell’attore, poi aggiunse, più a se stessa. “Una fanciulla di Dwerissi… ma come diamine gli è saltata in mente quest’idea!”
Ashley prese un respiro profondo, quindi sistemò la veste delicata in modo da sembrare in disordine e, nello stesso istante in cui Tamlor usciva di scena, corse al centro del palco e attaccò il monologo con cui Biancofiore confidava al pubblico la sua passione per Deno, usando la miglior voce di testa di cui fosse capace.
“Tre volte Vaskar3 la rossa ha mostrato il suo volto dal giorno in cui il mio vil genitore ebbe salva la vita in cambio del suo onore e del mio! Ah, trista Biancofiore, costretta a giacere con Naessar, tuo nemico! Ah, infelice Biancofiore, che non puoi impedirti di nutrire le tue speranze per Deno il Valoroso, non ostante le superbe mura di Almeda si ergano fra voi!”  
Ashley continuò il suo monologo, ignorando i commenti volgari che arrivavano dalla platea: i rozzi arricchiti non mancavano in cittadine come quella, e il fatto che fossero loro riservati i posti peggiori, quelli più vicini al palcoscenico, rendeva difficile concentrarsi. Ashley era ormai abituato a quell’atteggiamento, al contrario di Tamlor che più di una volta aveva interrotto lo spettacolo per rispondere con le rime. Aveva dovuto imparare a lasciarsi scivolare addosso i motteggi allusivi, lui, perché la Compagnia dell’Astrologiaio non poteva permettersi che il vero sesso della Fanciulla fosse esposto. 
La rappresentazione, tuttavia, procedette senza gravi intoppi – Tamlor aveva dimenticato le sue battute, costringendo Ashley a improvvisare fino a quando il compagno non le avesse ricordate – e la scena finale in cui Bamni4 Oleante dichiarava Biancofiore prima sposa5 di Deno fu accolta da un applauso e dalle grida d’incitazione. 
Uno a uno, gli attori principali della tragedia andarono al centro del palco e Ashley salutò il pubblico con un inchino così perfetto e aggraziato che perfino una principessa di sangue ne sarebbe stata invidiosa: ripeté il gesto fino a quanto durarono gli applausi, nonostante un giovane ammiccante che s’era arrampicato sul palco per porgergli un mazzo di fiori cui rispose con uno sfarfallio di ciglia e un sorriso timido e malizioso. 
Tornato dietro le quinte, Ashley gettò i fiori disgustato e, borbottando, raggiunse con gli altri il piano superiore dell’edificio, doveva avevano alloggiato durante il loro soggiorno nel borgo. Si cambiarono nella stanza adibita a guardaroba, spogliando i costumi di scena e indossando abiti più comuni e comodi, quindi si spostarono nella stanza comune dove furono accolti dal sorriso tremulo di Arthea, che iniziò a distribuire la zuppa di cereali e carne secca.
“Allora, com’è andata?” chiese, cercando di sollevare l’otre del vino per portarlo a tavola.
Sia Ashley sia Puch si alzarono per aiutarla. “Lascia fare a noi, non strapazzarti,” la rimproverò bonariamente il Giullare.
“È andata bene, non ci resta che aspettare Barto per sapere quanto abbiamo guadagnato questa sera,” rispose Ashley con un sospiro di sollievo.
Tuttavia, quando Barto entrò nella stanza, aveva un’espressione imbarazzata: svuotò il sacchetto di pelle con i proventi della serata e separò le varie monete con l’aiuto di Tamlor e Nillo, mentre Puch contava.
“Ottantatré sparvieri, nove fiori6 e ventuno teste7,” annunciò infine Puch con un sorriso quasi sdentato. “Non male per essere l’ultimo spettacolo in questo buco.”
Tuttavia, l’espressione di Barto non cambiò. Il Capocomico rimestò la sua porzione di zuppa e poi si schiarì la voce. “Naé, Pervinca, siete state invitate a cena,” disse, posando una spilla di peridoti sul tavolo. Poi ripeté il gesto con un sacchetto tintinnante. “Ash, anche tu.”
Ashley deglutì il vuoto, fissando il sacchetto, rifiutandosi di incrociare gli sguardi dei suoi compagni. Inspirò rumorosamente e, raccolta la sua dignità, chiese: “Quanto tempo mi resta?”
“Mezzo pollice di candela, più o meno,” rispose Bardo continuando a rimestare la zuppa, senza mangiare e senza guardarlo.
Ashley si alzò con un movimento fluido dal tavolo, ma Arthea gli afferrò il polso per trattenerlo: lei lo guardò colpevole e mosse le labbra in un silenzioso non devi farlo. Ashley le sorrise e si chinò per baciarle la guancia e accarezzarle il ventre tondo con la mano libera. 
“È stata anche colpa mia, quindi è giusto che faccia la mia parte,” le bisbigliò. Si raddrizzò e guardò Malba. “Potresti aiutarmi a prepararmi?”
Tornarono nella stanza adibita a guardaroba e, mentre Malba sceglieva un abito, Ashley si spogliò e si piazzò davanti al grande specchio, accendendo le lampade a olio che lo circondavano. I suoi lungi capelli, di un biondo così pallido da sembrare quasi bianchi, erano ancora raccolti in modo da sembrare tagliati esponendo l’orecchio destro, ornato da un orecchino formato da cerchi e catenine pendenti, e con delle languide onde cadenti sul lato sinistro della testa . Anche il suo volto aveva un rimasuglio di polvere di riso e di mica, che ritoccò con un piumino, e sulle spalle il drago e i fiori erano ancora visibili ma sbaffati dal sudore e dallo sfregamento con le vesti. Ashley aprì un cofanetto e, preso un bastoncino di legno di rosa, lo carbonizzò delicatamente sulla fiamma di una lampada e disegnò la linea delle palpebre superiori. Ripeté l’operazione sulle palpebre inferiori con un pennellino intinto di rosso Pompei, per rendere più evidente il pallore del suo incarnato e il grigio delle iridi, poi si sfiorò le labbra tumide per posarvi un’idea di rossetto. 
Malba lo aiutò a indossare l’abito, una sottana in un tessuto semitrasparente e chiusa sul petto e sul collo da bottoni in filigrana di bronzo dorato, e da una veste di broccato lavanda. Sistemarono le imbottiture per i seni in modo che sembrassero naturali, e Malba riacconciò i capelli dell’attore in uno stile più consono a una fanciulla. 
Una volta pronto, Ashley rimase immobile davanti allo specchio, guardando senza vedere il proprio riflesso. Anche se erano trascorse otto lune da quando aveva iniziato ad accettare gli inviti a cena di ammiratori facoltosi e nonostante lo facesse di sua spontanea volontà, Ashley aveva ancora delle difficoltà ad accettare il ruolo della Prostituta – anche se Naé e Pervinca lo avevano istruito su come comportarsi con i clienti, anche se Rinejo l’Eunuco lo aveva preparato mentalmente e fisicamente a quello che avrebbe dovuto fare.
È un ruolo come un altro, si disse incrociando il proprio sguardo. Lo fai per Arthea e il suo bambino, per ripagare il sangue che hai versato per proteggerla.
“Ash, sei pronta? Sono venuti a prenderti,” disse Bardo, affacciandosi alla porta.
“Sì, a--” Ashley si bloccò, avendo inavvertitamente usato la sua voce naturale, quindi tossì e riprese con quella riservata alla scena. “Arrivo.”
Sul retro del teatro lo aspettava un valletto e una portantina sorretta da due schiavi nerboruti: era un oggetto di prezioso legno intagliato, chiuso da veli di seta rosso vino e ricamati in fili dorati e false gemme e al cui interno erano posati diversi cuscini di piume. Ashley si sistemò nella portantina e non fece neanche in tempo a richiudere le tende che i due schiavi la sollevarono, facendo cadere indietro l’attore.
“Fate attenzione alla signora!” udì il valletto ringhiare. 
Ashley strinse i pugni nel riconoscere la sottile vena di derisione serpeggiare nella sua voce: era sempre così, poiché la gente comune ignorava il significato del minuscolo simbolo8 che precedeva la E di eunuco che, sulle locandine, accompagnava il suo nome. Il simbolo con cui gridava al mondo il suo essere uomo con tutte le sue parti: Ashley aveva chiesto a Barto se esistesse, quel simbolo, e gli aveva chiesto di aggiungerlo poiché non voleva chiedergli ogni volta almeno sa che sono un uomo? 
Sorrise, ricordando una giovane donna che lo aveva invitato a cena, circa quattro lune prima, credendo che lui fosse davvero una donna cui chiedere consiglio su come riacquistare il favore del proprio marito. Quando la donna aveva saputo che Ashley era un uomo, l’aveva guardato inorridita e terrorizzata, ma lui l’aveva rassicurata: le aveva detto che non voleva fare la fine di Lethoi Majed, sorpreso a giacere con la figlia di un signore e accusato di stupro. Aveva provato ugualmente pietà per quella giovane e aveva condiviso con lei quello che aveva imparato da Naé e Pervinca in quelle poche lune.
“Eccoci, signora.”
La portantina fu posata a terra con un tonfo brusco e Ashley scese con un saltello aggraziato. Era nella corte interna di un palazzotto, illuminata dalla luce di Barskar9 e delle stelle; le finestre erano tutte nere, tranne una al primo piano. Il valletto guidò Ashley all’interno, fino alle stanze private del suo padrone: era un uomo di mezz’età e ancora piacente, non troppo appesantito dagli anni e dagli eccessi. Tutto, dalla sua persona all’arredamento della stanza, parlava di ricchezza ostentata, tanto che Ashley non si sarebbe sorpreso dal vedere la corte interna lastricata di sparvieri.
“Siate la benvenuta nella mia umile dimora, mia signora,” disse il padrone di casa, probabilmente un mercante o un figlio di mercante. “La vostra interpretazione di questa sera è stata suberba.”
Ashley s’inchinò come per salutare un pubblico immaginario, ma mantenne il capo chino. “Il mio signore mi lusinga con tali parole,” rispose con la voce riservata al palcoscenico.
“Le meritate e spero che gradiate la carne di drago che ho fatto preparare tanto quant’io ho apprezzato L’Almediana,” rispose, prendendolo per mano e conducendolo verso il divano, davanti al quale era stato imbandito un tavolo basso con le pietanze più raffinate che la stagione offrisse e che l’oro potesse comprare.
Ashley riempì con grazia i calici dorati con vino speziato, accettò con ben simulata timidezza i bocconi che il suo ospite gli porgeva e solo dopo una certa insistenza ricambiò il gesto; rise ai motti salaci dell’uomo e mostrò indignazione alle prime battute volgari. Respinse le prime avances forse con più fermezza del necessario – lui era un attore, non una puttana di strada che apriva le gambe a chiunque le lanciasse qualche testa – ma lasciò che la veste si allentasse pian piano, lasciando intravedere sempre più la pelle glabra del petto e quella dipinta delle spalle.
Quando l’uomo fece scivolare la veste di broccato lungo le braccia, Ashley si volse altrove con pudicizia, stringendo le braccia come a voler nascondere la sua futura nudità. “Il mio signore dimentica che sono una Fanciulla,” lo rimproverò con candore.
Lui lo tirò nuovamente a sé. “Una Fanciulla, sì…” mormorò con voce roca, disegnando con la lingua una linea lungo il collo e il lobo dell’orecchio, mentre con una mano frugava fra le pieghe della sottana. “Una fanciulla che ha una spina invece di un bocciolo di rosa.”
Per un istante, Ashley s’irrigidì nel sentire le sue dita unte e appiccicose di cibo distringersi attorno al proprio membro, inturgidito dal vino e dagli afrodisiaci con cui era stata speziata la cena.
Quello della Prostituta è un ruolo come un altro, pensò inspirando lentamente.  
Si girò verso l’uomo, rivolgendogli un sorriso provocante e malizioso: Ashley si protese verso di lui, accarezzandogli la guancia ispida con il dorso della mano, le labbra a un soffio dalle labbra.
“Il mio signore sa come compiacermi,” mormorò con la sua voce naturale. 

Note

  1. Speranze: termine che nei costumi di Vernolia indica l’amore romantico.
  2. Sparviero (moneta): d’oro puro, il cui conio riporta lo stemma della famiglia reale, uno sparviero coronato afferrante un serpente. Uno sparviero equivale a dodici fiori d’argento.
  3. Vaskar: una delle tre lune di Teija, di colore rosso. Compie una rotazione in circa 28 giorni la quale rappresenta un mese.
  4. Bamni: titolo nobiliare Vernoliano, paragonabile ai nostri conte e duca.
  5. Prima sposa: vigente a Venolia la poligamia, i costumi considerano come sposa legittima la concubina che per prima partorisce un figlio maschio, tuttavia un’autorità può decidere altrimenti se lo ritiene opportuno.
  6. Fiore (moneta): in argento massiccio, riportante sul verso un fiore di mirto stilizzato. Un fiore equivale a ventiquattro teste.
  7. Testa (moneta): di bronzo, riportante sulle facce rispettivamente una testa di schiavo e un teschio. Una testa equivale a novantasei spiccioli di rame, moneta di basso valore riportante un buco al centro.
  8. Simbolo ( ΅ ): stilizzazione degli organi genitali maschili, quando accompagna la E indica che l’attore è un falso eunuco. Quando la E è accompagnata dal simbolo ´, significa che l’eunuco è stato evirato dopo la pubertà.
  9. Barskar: una delle tre lune di Teija, di colore giallo dorato. Compie una rotazione in circa 115 giorni, coprendo una stagione.

Come detto nell'introduzione, questa storia partecipa al contest "Love for a fee" di Yuko chan. Inoltre è il mio primo serio tentativo di slash, per cui siate clementi se non è riuscito u.u

 

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Capitolo 2
*** Atto 2 ***


Atto Secondo

 

  Scena 1

Arthea aveva partorito due lune prima del previsto ed era troppo debole anche per percorrere la mezza giornata di cammino per Labrazia; inoltre, nessuno sapeva se la sua bambina avrebbe visto il tramonto o il sorgere del nuovo giorno. Il mugnaio, la cui unica concubina aveva avuto un maschio sano e robusto il medesimo giorno, si era offerto di ospitare la giovane madre. In breve tempo, complice la levatrice, tutto il villaggio aveva saputo quello che era accaduto alla giovane attrice e aveva accolto lei e i suoi compagni come se fossero dei vecchi amici tornati a casa dopo lunghi anni di assenza.
Ashley non amava le farse, per il semplice motivo che gli era assegnato il ruolo della fanciulla ingenua che si lasciava convincere a intrattenersi carnalmente con i protagonisti maschili, oppure della giovane concubina di un anziano che ricercava il piacere in un aitante giovanotto. Eppure per una volta si trovò a mettere più trasporto del solito ne La Concubina di Jonna: dopo tutto, quella farsa non era altro che un modo per la Compagnia dell’Astrologiaio di mostrare la propria gratitudine agli abitanti del villaggio.
Per una volta, Ashley aveva sopportato con piacere la rozza parrucca di crine di cavallo, e il trucco e le imbottiture che lo trasformavano nella caricatura di una donna. Per una volta, le grasse risate del pubblico erano suonate alle sue orecchie come il più soddisfacente degli applausi.
 
“Signore, se sapeste quanto sia obbligata: la vostra generosa compagnia è un balsamo per il mio intelletto! Ah, il mio sposo è un villano così ineducato, rozzo e illetterato che è una vera sofferenza condividere il suo tetto per un animo sensibile come il mio!” disse Ashley con una voce ancor più acuta del solito, saltando a gambe divaricate nelle braccia di Tamlor.
“Madama, voi mi fate troppo onore nel volermi soffrire. E in onore della gioia che la vostra novella mi procura, lasciate che vi esprima tutta la mia riconoscenza!” rispose Tamlor, afferrandolo per i glutei e chinandosi in avanti, simulando una penetrazione.
Barto aprì la tenda con un gesto secco, e disse con un’espressione esageratamente lasciva: “Ebbene, Madama, or v’avvalete d’un altro medico?”
Ashley guardò il pubblico e rispose: “No no, Messer Dottore! Ma potete procedere col vostro trattamento, intanto che codesto giovine mi declama ‘l suo ultimo poema.”
Barto avanzò verso Ashley e Tamlor e aprì il proprio costume, mostrando al pubblico un finto pene in erezione dalle proporzioni improbabili. Gli abitanti del villaggio scoppiarono a ridere quando il Medico fece per prendere di terga la Concubina fedifraga, ma poco dopo che Barto e Tamlor avevano iniziato a dondolare Ashley, il suono di un corno interruppe lo spettacolo.
Tutti si volsero verso l’origine del suono e gli abitanti del villaggio dovettero far spazio per il drappello di soldati che cavalcava verso il palco improvvisato. I due attori lasciarono immediatamente Ashley, mentre i loro compagni si affacciarono da dietro le quinte.
Lo stendardo della famiglia reale sventolava, portato da un giovane alfiere, mentre l’ufficiale in comando si fermò a poco più di un leigh1 dal palco. “È questa la Compagnia dell’Astrologiaio?” chiese severamente, senza nascondere il disprezzo dalla voce e dallo sguardo.
Barto fece un mezzo inchino, quindi coprì goffamente l’oggetto di scena con il proprio costume e ripeté il gesto. “Al vostro servizio, mio signore” disse, cercando di nascondere la propria ansia.
“La Compagnia dell’Astrologiaio è chiamata a Eimerado per i festeggiamenti del genetliaco della Regina Ililsa, Sposa della Sua Eccellentissima Maestà Re Denev, diciassettesimo del nome,” proclamò l’ufficiale con tono solenne. Poi aggiunse: “Avete sette giorni per raggiungere la capitale.”
Barto strinse le labbra, scambiando un’occhiata con Ashley e Tamlor, poi si profuse in una riverenza ancor più profonda. “Il mio signore ci onora, tuttavia…” Deglutì aria e prese un respiro profondo. “Tuttavia un impegno precedente ci conduce a Labrazia. Inoltre una delle nostre attrici non…”
“Ebbene, mio signore, la Guardia Cittadina vi attenderà alla Porta dei Leoni fra cinque giorni.” L’ufficiale non ebbe bisogno di esplicitare la minaccia.
Barto si fece bianco come un cencio pulito, ma non rispose e si limitò a restare inchinato fino a quando i soldati non furono lontani.
 
 

Scena 2 

Barto accarezzò il viso pallido e fragile di Arthea e strinse le labbra. “Sei sicura?” chiese con un filo di voce, non potendo nascondere la propria preoccupazione.
La giovane attrice gli diede un debole sorriso e annuì. “Dovete andare, altrimenti saremo uccisi tutti quanti. Anche la piccola,” disse, spostando lo sguardo sul fagotto al suo fianco. Poi aggiunse: “Vedi il lato positivo: dicono che il re sappia essere molto generoso con chi lo compiace.”
Barto abbassò lo sguardo, pensieroso, poi annuì. Posò un bacio sulla fronte fredda e imperlata di sudore, quindi prese il suo scrittoio portabile e ne estrasse dei fogli: li guardò con gli occhi lucidi, poi li posò sul tavolo.
“Ci ho riflettuto e sono giunto alla conclusione che non abbiamo altra scelta che proporre questa tragedia alla corte,” disse dopo un po’, poi prese la prima pagina e la lesse, con la voce sempre più piangente.

 
Udite, brava gente, della miserrima Arthea la storia! Di come i suoi valenti fratelli furono massacrati e di come il suo corpo, votato al Chiostro, fu profanato sotto il loro sguardo morente!  

Nell’udire quelle parole, Ashley sentì un groppo in gola. 
“Come hai potuto trasformare quello che è successo in un pezzo teatrale?” ringhiò. “Come hai potuto?!”
“Perché non è giusto, Ash!” singhiozzò Barto. “Perché voglio coltivare la speranza che Arthea e la bambina abbino giustizia!” Tirò su col naso, asciugandosi gli occhi con la manica. “Perché avevo bisogno di sfogarmi.” Prese dei respiri profondi e, quando fu un po’ più calmo, riprese. “Da quello che ho sentito, Sua Grazia ama le storie in cui scorre sangue, per cui nella scena del massacro Puch, Rinejo e Nied saranno sostituiti da tre soldati, mentre Tamlor ed io da due condannati a morte, giusto per il realismo della scena. Avevo pensato di dare il ruolo di Elanne ad Arthea stessa, ma… Malba, te la sentiresti di sostituire tua sorella? Sono poche battute, e un monologo che posso ridurre, se vuoi.”
Malba lo guardò atterrita – fin tanto che si trattava di una ripetizione, era tanto brava quanto Arthea, ma davanti al pubblico andava in panico. Scambiò uno sguardo con sua sorella, la quale sorrise incoraggiante, quindi Malba annuì impercettibilmente.
“Grazie, grazie di cuore,” riprese Barto. Poi si rivolse ad Ashley. “Mi spiace Ash, ma è prevista una scena di stupro: preferisci essere sostituito come Puch e gli altri, oppure…?”
“No, non voglio essere sostituito,” rispose, scuotendo la testa e abbassando lo sguardo. “Dopo tutto è così che sarebbe dovuta andare fin dall’inizio.”
Barto annuì e iniziò a distribuire i fogli con le parti. “Tagliando per la foresta di Mallardo e partendo domani mattina con le prime luci, dovremmo arrivare a Eimerado entro il termine stabilito. Puch, sarai responsabile della compagnia fino al mio ritorno: io devo andare a Labrezia per spiegare a Bamna2 Loiq perché non potremmo intrattenere i suoi ospiti. E per restituirgli i dieci sparvieri di acconto.”
Tutti i membri della Compagnia dell’Astrologiaio piombarono nel silenzio, interrotto dal flebile vagito della neonata.
 

  Scena 3

Barto aveva deciso di permettere agli abitanti di Eimerado di assistere alle ripetizioni della rappresentazione per aiutare Malba a prendere confidenza davanti al pubblico, una scelta che sembrava dare i frutti sperati. Certo, a Malba mancava la spontaneità di sua sorella ma la sua parte consisteva nel consolare la protagonista e nel riaccompagnare in scena Barto e Tamlor, i quali per buona parte della tragedia interpretavano gli spettri dei fratelli defunti. Il pubblico era principalmente formato da mercanti e borghesi che non avrebbero avuto altrimenti modo di assistere a uno spettacolo, anche se a volte non mancavano le lettighe ornate dietro i cui pannelli di legno traforato e drappi di seta si nascondevano nobili dame e aristocratici.
Fu dopo la prova generale, la mattina del giorno in cui avrebbero recitato a palazzo, che Barto fu chiamato presso una di queste lettighe, per poi tornare con una borsa grassa d’oro.
“Qualcuno desidera cenare con te, Ash,” disse, senza guardarlo in volto.
Ashley sgranò gli occhi, le mani a neanche un pollice dalla sua acconciatura. Deglutì e strinse le labbra ancora coperte di rossetto. “Adesso?” chiese con un fil di voce.
Fu sollevato di vedere il Capocomico scuotere la testa. “No, no… gli ho detto che devi essere in forma per questa sera, che… che hai bisogno di tempo per prepararti… No, manderà qualcuno a cercarti dopo lo spettacolo,” rispose senza nascondere il proprio impaccio.
Ashley si limitò ad annuire, riprendendo ad aggiustare i capelli – Malba aveva fatto del suo meglio per creare un’imitazione delle sette trecce riservate alle vergini del Tempio che non recassero offesa alla Fede e non aveva alcuna intenzione di rovinare il suo lavoro. Mentre slacciava il costume, si chiese come qualcuno potesse aver chiesto di lui dopo averlo visto interpretare quel ruolo.
Qualcuno con la blasfema fantasia di giacere con una fanciulla votata al Chiostro, pensò storcendo la bocca per il disgusto e l’orrore. Non poté fare a meno di trovare un certo parallelismo con la rappresentazione – e con quello che era accaduto ad Arthea.
Stava per sfilare la sottoveste, quando la porta del camerino si spalancò con una certa violenza. Un uomo dal garbo militaresco avanzò nella stanza, scrutando i membri della compagnia come se fossero un escremento sotto il proprio stivale: il suo sguardo nero come carbone indugiò fra Malba e Ashley e quando parlò, la sua voce sibilò come una freccia. 
“Il mio Padrone chiede di incontrare la Fanciulla di questa compagnia. Non quella che infanga il nome della vostra dea, l’altra.” 
Barto spostò il proprio peso da un piede all’altro, lanciando un rapido sguardo preoccupato ad Ashley. Si schiarì la voce e fece qualche passo titubante verso l’uomo. “Il mio signore ci onora con tale invito, tuttavia la signorina Valondja non --” 
“Non lo ripeterò un’altra volta.” Lo interruppe l’uomo secco, lanciando ai piedi del Capocomico un sacchetto di cuoio ben grasso, da cui uscirono dei lucidi sparvieri. “Il mio padrone richiede ed esige la Fanciulla immediatamente.” 
Ashley deglutì il vuoto. Se il servo aveva l’aria così terribile, il suo padrone doveva essere una persona che non accettava un rifiuto e, forse, molto più in alto nella gerarchia sociale dei soliti mercanti arricchiti e piccoli bamnoi che lo invitavano a pranzo. Per cui fece un profondo inchino e, senza alzare la testa, disse. “Se il mio signore mi concede il tempo per rendermi presentabile…” 
“Spicciati, allora,” rispose l’uomo, assumendo una posa statica e minacciosa e fissando lo sguardo su uno strano bracciale di cuoio ornato da uno spesso disco di metallo e vetro. 
Non ci fu abbastanza tempo per scegliere un abito, per cui Ashley risolse nel rindossare il costume di scena mentre Malba e Naé si indaffaravano a fissargli una retina azzurra sui capelli, a ritoccare il trucco e ad aggiungere qualche gioiello. 
“Poco più di cinque minuti,” disse l’uomo inarcando un sopracciglio e guardandolo di nuovo. “Rapido, per una donna, ma c’è da dire che sei stata aiutata.” 
Ashley strinse le labbra, trattenendo la propria lingua e facendo un altro, profondo inchino. Rivolse un rapido saluto ai suoi compagni – per un istante incrociò lo sguardo supplichevole di Tamlor. In un certo senso, lo rassicurava sapere di non essere l’unico a percepire il pericolo potenziale della situazione. 
“Ho l’ordine di assicurarmi che non ti accada nulla durante il tragitto,” aggiunse l’uomo mentre lo accompagnava verso la portantina, come se grazie a una strana magia fosse riuscito a leggergli la mente. E gli rivolse un sorriso da squalo. “Ma dipende da te se tornerai intero.” 
Ashley sbatté le palpebre, combattendo il desiderio di fare domande. L’uomo lo aiutò a salire sulla portantina – una costruzione in legno pregiato ma dalle linee sobrie e anonime, resa confortevole da cuscini di piume e sottili veli di seta a schermo dal sole del meriggio – e prima di chiudere lo sportello scorrevole, agitò una mano davanti al volto dell’attore farfugliando qualcosa. Ashley trasalì, sgranando gli occhi diventati improvvisamente ciechi. 
“Ti toglierò l’incantesimo quando saremo arrivati,” spiegò l’uomo, dando ordine di partire. 
Forse per la prima volta in vita sua, Ashley ebbe davvero paura. Sentiva la portantina dondolare, sentiva le voci dei mercanti che urlavano le qualità della loro mercanzia, gli odori di cibo e spezie, il puzzo di animali ed escrementi e tutto quello che lui poteva fare era stringere convulsamente i bordi della portantina, aggrappandosi con disperazione alla sensazione del legno laccato sotto le dita. Non seppe se il cambiamento di odori e rumori fosse un buon segno – la portantina saliva lungo un pendio, sempre più lontano dal fracasso di Eimerado. Una folata di vento gli sbatté in faccia un telo di seta e un odore sconosciuto, inebriante ma non proprio piacevole, gli giunse alle narici. 
Poi la portantina si pose con un sobbalzo sgraziato e Ashley fu guidato attraverso voci che urlavano in una cacofonia di lingue straniere; poi l’aria si fece improvvisamente più calda e permeata da un odore simile a quello del bitume e questo gli fece più paura. Per quanto tempo durò quella cieca tortura? Non lo seppe mai, ma ad un certo punto sbatté contro qualcosa di caldo e nervoso, qualcuno che gli ringhiò contro parole senza senso. Poi sentì un leggero odore nell’aria, come quello che seguiva un fulmine e Ashley fu accecato dalla luce improvvisa. 
“Benvenuto sulla Resilience.” 
A parlare era stata una donna di circa venticinque inverni, non alta ma dall’aura imponente. Era abbigliata nel modo più bizzarro che Ashley avesse mai visto. Uno strano farsetto di lana grigia sposava senza accentuare la curva del seno e dei fianchi, stretto in vita da una spessa cintura dalla borchia dorata e chiuso da due fila di bottoni che correvano dalle clavicole all’addome; dei spessi nodi di passamaneria sulle spalle e le maniche, e delle strane spille d’ottone erano le uniche decorazioni. Sotto al farsetto, indossava una camicia bianca e le cosce erano nascoste da una sorta di gonna nello stesso tessuto del farsetto, mentre il resto delle gambe erano coperte da spesse calze nere e stivali stringati. La donna sarebbe stata piacevole da guardare se non fosse stato per l’espressione dura negli occhi grigi e per i capelli biondo sporco raccolti sulla nuca. 
L’uomo che aveva accompagnato Ashley batté i tacchi e portò il taglio della mano alla fronte, in quello che sembrava essere un saluto militaresco. La donna rispose con un farfuglio duro e freddo che gli fece pensare al rumore del ghiaccio che si rompe. 
“Dovrai aspettare ancora un po’,” gli disse la donna, con uno strano accento che Ashley non riuscì a riconoscere. “Hai pranzato?” 
“N-no, mia signora…” rispose lui deglutendo e cercando di usare il tono più ossequioso di cui era capace. 
La donna borbottò qualcosa all’uomo, che ripeté il saluto e andò via. Poco dopo una persona dalla testa rasata, degli abiti ancora più strani e dei lineamenti troppo femminei per appartenere ad un uomo e troppo duri per appartenere a una donna, giunse portando un vassoio con una scodella di una strana zuppa dall’odore speziato, delle fette di pane bigio farcite di foglie e carne, un composto bianco latte cosparso di miele e noci e un boccale colmo di birra scura. La donna indicò il cibo, invitando Ashley a sedersi. 
“Ti consiglio di mangiare anche se non hai fame, e di spicciarti. Non ho idea di quando Sua Eccellenza ti chiamerà,” disse la donna. 
Ashley osservò la zuppa per un po’, chiedendosi se fosse commestibile prima di obbligarsi a mandare giù una cucchiaiata, più per educazione che per fame. Si sentì quasi strozzare alla consistenza pastosa e dal sapore piccante. Respirò lentamente e poi riprese a mangiare, cercando di fare appello a tutte le sue doti di attore per non lasciar trapelare quanto fosse poco di suo gusto il pasto offertogli. 
“Chiedo venia, mia signora, ma se mi è concesso chiedere… chi siete? Cosa è questo luogo? Cosa desiderate da me?” si trovò a dire all’improvviso, mordendosi la lingua per aver infranto una delle regole basilari. Non parlare senza essere interpellato e, soprattutto, non fare domande
L’espressione della donna non mutò. 
“Io sono Mildred Conhary, Primo Ufficiale e Comandante pro tempore di questa nave. E questa è la Resilience, ammiraglia della flotta imperiale di Actarnica. O almeno lo era fino a quando lo Tsarevich non ci ha pugnalato alle spalle.” 
La donna, Mildledo Ko’elli, sputò una volgarità nella sua lingua madre. 
Ashley sbatté le palpebre più volte, incredulo. Come poteva una donna sperare di essere altro che una concubina o una sacerdotessa, quando non aveva altra scelta che quella della prostituta? Come poteva esistere una donna che, non solo era un soldato, ma era anche riuscita a salire così in alto nella gerarchia? Certo, sapeva delle Amazzoni di Agrirani – le spose di spada, com’erano chiamate dal loro popolo – e aveva viaggiato fin da che ne avesse memoria, tuttavia non aveva mai sentito parlare di un paese chiamato…
A’ta-lni-kiya?” sillabò lentamente con la sua voce naturale. “Non conosco questo regno, signora.”
Mildledo Ko’elli inarcò un sopracciglio e il fantasma di un sorriso le attraversò il volto. “Il ranocchio vuole sapere cosa c’è oltre il pozzo, mh?” Sbuffò, prese il boccale di birra e ne bevve un lungo sorso. “Nerthae3 non è l’unico Mondo, ragazzo: ce ne sono molti altri, ognuno in un diverso Piano di Realtà. Alcuni sono un paradiso terrestre, altri un inferno di ghiaccio e di fuoco; in alcuni gli uomini lottano con armi di legno e pietra, in altri con giganti di metallo. A Tsinlya4 abbiamo addomesticato il vapore più di duecento anni fa: la sua forza ci ha fatto conquistare non solo la terra e il mare, ma anche il cielo e le stelle.”
 Ancora una volta, Ashley sbatté le palpebre. Non gli era sfuggito l’orgoglio con cui Mildledo Ko’elli aveva pronunciato quelle parole. Mille e una domanda si affollarono sulle sue labbra, ognuna pretendendo d’essere espressa per prima, ma prima che lui potesse parlare, una voce sconosciuta echeggiò chissà da dove – il suo sguardo andò subito alla porta, ma quella era chiusa e nessuno era entrato. Mildledo Ko’elli si avvicinò a una specie di campana di tromba, la quale continuava in un tubo di rame, e disse qualcosa.
“Sua Eccellenza richiede la tua presenza,” disse Mildledo Ko’elli indicandogli la porta.
Questa volta Ashley non fu bendato, né con un cappuccio né con la magia, ma non seppe dire se quella fosse una buona cosa. Camminavano lungo un corridoio largo a sufficienza per lasciar passare due persone senza impaccio, le pareti di legno dalle rifiniture di metallo avevano un gusto esotico e militaresco. Attraversarono una passerella e raggiunsero una gabbia, in cui furono accolti da un uomo dal garbo simile a quello di Mildledo Ko’elli. Ashley soppresse a malapena un grido di spavento quando, con un rumore di ingranaggi, la gabbia iniziò a sollevarsi.
“Tieni il capo basso, non parlare senza essere interpellato e non fare domande se non ti è concesso,” lo istruì Mildledo Ko’elli con un sibilo secco quando si fermò davanti a una porta. “E inchinati.”
Ashley fu introdotto in una serra lussureggiante, in cui piante strane ed esotiche tendevano i rami verso una volta di acciaio e vetro. Cacciò la sua meraviglia e fece appello alle sue doti istrioniche, esibendosi nella riverenza che riservava al migliore dei pubblichi.
“Sollevate il viso,” ordinò una voce maschile, ruvida come lana grezza e vecchia come un formaggio ben stagionato.
Ashley obbedì. Deglutì il vuoto mentre una stilla di sudore scorse lungo la tempia e la guancia. 
Seduto a meno di tre leigh, la Sua Eccellentissima Maestà, Re Denev diciasettesimo del nome, lo scrutava come un rapace studiava la sua prossima preda. 

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Capitolo 3
*** Atto 3 ***


Atto Terzo

Scena 1

Un rumore improvviso distolse Ashley dal suo stupore. Mildledo Ko’elli si voltò dopo aver fatto quel saluto e uscì dalla stanza. Combatté l’istinto di guardarla, perché mai nella sua vita aveva pensato di incontrare Re Denev – gli bastava vederne il profilo impresso in uno sparviero.
“Qual è il tuo nome?” chiese un’altra voce maschile, bassa come quella di Barto, calma come la superficie di un fiume in cui le correnti scorrevano profonde.
“A-Ashley Valondja, mio signore,” rispose senza alzare la testa, cercando di far calmare il suo cuore galoppante – invocando la mercé di Elanne.
“Siedi con noi,” disse la voce con tono di comando mascherato da cortesia.
Ashley sfiorò il pavimento con la fronte in un gesto ossequioso e si alzò. L’uomo era alto circa sei piedi, i capelli castani gli sfioravano le spalle ed erano tirati indietro sulla fronte; i suoi baffi non erano folti e la barba lasciata crescere sul mento era rada ma ben curata. Indossava un farsetto verde scuro privo di ornamenti se non una fila di bottoni dorati; e braghe di cuoio. Lo si sarebbe detto un soldato a riposo, eppure il suo sguardo indaco aveva una qualità preternaturale che lo poneva al pari di un sacerdote d’alto rango.
“Thalbas, come puoi permettere a un plebeo di sedersi in Nostra presenza?” sibilò il sovrano, storcendo la bocca per il disgusto.
Ashley non poté che tacere il suo accordo. Un attore girovago come lui poteva solo coltivare la vaga speranza di immaginare il Sire degli Uomini Liberi di Venolia avere lo schiribizzo di farsi raccontare lo spettacolo da un nobile che vi avesse assistito.
“Un plebeo è inferiore solo per fortuna. Ma quest’attore è mio ospite e gode della mia protezione fino a quando sarà a bordo della Resilience: se non sopporti la sua vista, ti consiglio di andare subito al nocciolo della questione,” rispose Thalbas con una sufficienza che sconvolse Ashley.
Chi era quest’uomo che osava, impunito, di rivolgersi in tal modo alla Sua Eccellentissima Maestà? Neanche a tutti i membri della famiglia reale era perdonata tanta famigliarità! Ashley fece una rapida preghiera ai Santi Gemelli, chiedendo loro di non pagare per l’impudenza di quell’uomo.
Il sovrano grugnì qualcosa, bevendo da un calice di vetro scuro, poi si pulì le labbra sporche di vino con il dorso della mano e tornò a scrutare Ashley.
“Sei fortunato a essere ospite di Thalbas,” disse infine con la sua voce solo apparentemente calma. Bevve un altro sorso di vino e masticò un dattero, sputando il nocciolo in una coppella. “Questa mattina, un uomo ha richiesto la tua compagnia: conosci il suo nome?”
Senza sapere perché, Ashley si sentì come se si trovasse al centro di un ponte: da un lato v’era la Vita, dall’altra la Morte. Tuttavia non poté far altro che scuotere la testa.
“No, Vostra Eccellentissima Maestà.” Poi si sentì in dovere di aggiungere. “I nomi dei… gentili signori che mi concedono di condividere il loro… pasto, non mi sono mai rivelati. E’ troppo… imprudente.”
Ashley conosceva fin troppo bene la Legge, il destino riservato a coloro che s’intrattenevano con un uomo come se fosse una donna. Forse, se avesse potuto dire quel nome, la sua morte sarebbe stata più rapida e indolore.
“Non ha importanza,” disse il Sovrano con non curanza. Si chinò in avanti e disse con un tono che non ammetteva un rifiuto. “Consegnaci la sua testa e, non solo per questa volta il tuo crimine sarà perdonato, ma ti concederemo anche il privilegio di scegliere la tua ricompensa.”
Ashley sbatté più volte le palpebre, incredulo. Aveva sentito bene? Non solo sarebbe davvero stato perdonato, ma anche ricompensato se avesse ucciso l’uomo che avrebbe incontrato quella sera? Avrebbe davvero potuto chiedere al Re qualsiasi cosa? Deglutì, decidendo di andare al Tempio non appena gli fosse stato possibile e ringraziare i Santi Gemelli ed Elanne per aver ascoltato le sue preghiere. Tuttavia, doveva enunciare immediatamente il proprio prezzo? Sì, doveva parlare e subito, poiché dubitava che Re Denev gli avrebbe concesso una seconda udienza privata. Elencò nella mente tutto quello che potesse desiderare – ricchezze, un titolo, una posizione, una vita più sicura di quella di attore girovago, priva d’incertezze e della necessità di vendersi al miglior offerente.
“Voglio giustizia, Vostra Eccellentissima Maestà.” Il re e l’uomo chiamato Thalbas lo guardarono con un’espressione vagamente stupita, tanto che Ashley sentì l’urgente bisogno di aggiungere: “Non per me, ma per Arthea.”
“Spiegati.”
Ashley abbassò lo sguardo sulle proprie dita strette in due pugni, un atteggiamento più consono a un uomo che a una fanciulla.
“Otto lune fa, mentre la mia compagnia era a Corvila per la festa di Chillaide, Arthea ed io fummo assaliti da alcuni novizi del Tempio. Quando si accorsero che non ero una donna né un… eunuco, riversarono su Arthea la loro lussuria e…” Sentì la gola stringersi per la rabbia, per il senso d’impotenza e rabbia che lo perseguitava da quel giorno. “… e quando il nostro Capocomico si presentò al Tempio, gli fu rifiutato il risarcimento imposto dalla Legge, solo perché cercai di difendere Arthea… solo perché siamo attori… E quei bastardi ebbero anche il coraggio di spergiurare davanti all’effigie dei Santi Gemelli che era stata Arthea a tentarli e che io avessi cercato di ucciderli per derubarli… che fossero loro a dover ricevere un risarcimento!”
“Le tue accuse sono gravi,” disse Re Denev, serio. “Come possiamo sincerarci che tu dica il vero?”
Ma Ashley fece un mezzo sorriso privo di gioia. “Vostra Eccellentissima Maestà, sapete cosa rispose l’abbate del Tempio, quando dissi che non temevo il giudizio di un Confessore? Non è necessario: i vostri pari vivono di menzogna.” Osò alzare lo sguardo sul Sovrano. “Non temo un Confessore, così come non temo d’essere punito per aver soggiagiuto. In fondo ho scelto io di vendermi come una prostituta: non tanto per guadagnare la somma che è stata imposta a tutta la Compagnia, quanto per pagare il mio debito nei confronti di Arthea.”
Thalbas porse il proprio calice a una giovane almea, la quale lo riempì di vino. “Il risarcimento in caso di violenza è per una vergine o per l’uomo di cui la donna è la concubina,” disse, osservandolo oltre il bordo del calice.
Ashley annuì. “Conosciamo la Legge, mio signore. Tuttavia Arthea non aveva mai conosciuto uomo e  Barto aspettava che fosse troppo vecchia per interpretare la Fanciulla prima di prenderla come sua concubina. Dopotutto una donna che non è più innocente è una Fanciulla poco credibile, soprattutto se il suo ventre lievita.” Aveva sputato quelle parole con amarezza – le parole che Barto gli aveva ripetuto più volte all’inizio della sua carriera.
Thalbas si alzò e lo raggiunse con tre lunghe falcate, puntò il pugno contro l’anca e si chinò leggermente in avanti, sovrastando Ashley con la sua persona e con il suo odore di cuoio, erbe bruciate e del leggero tanfo che caratterizzava un predatore.
“E’ solo giustizia quello che desideri?” chiese, scrutandolo come se cercasse la verità nel più profondo del suo essere.
Ashley sorrise amaramente. “Il mio sogno è di essere cavaliere,” ammise, le parole uscirono dalla sua bocca come se un incanto avesse dato loro vita propria. “Molti sono stupiti dalla mia abilità con la spada o dalla precisione delle mie frecce, tuttavia… guardatemi!” Allargò le braccia, come per mostrare la raffinatezza della sua veste. “Chi prenderebbe uno come me per scudiero?”
Thalbas sbuffò una risata e indicò con il capo la giovane almea. “Fossi in te, non direi una cosa del genere, non di fronte a Ædow. Mi piace la tua schiettezza.” Roteò il calice in una mano e poi si volse verso il sovrano. “Se ti porterà la testa di Lediak, gli darai giustizia. E se ne uscirà pulito…” Portò il calice alle labbra, tirate in un sorriso tagliente. “… non penso che Dherstis abbia uno scudiero, anche se dovrò far preparare il nostro attore da uno dei miei Fratelli.”
Dopo un istante di esitazione, Re Denev diede il suo assenso, mentre Ashley strinse le labbra. Uscirne pulito, senza che potesse essere accusato in alcun modo dell’omicidio, avrebbe richiesto molto più che le sue doti di attore. Un piano gli si formò nella mente e sfiorò con la fronte il pavimento.
“Se la Sua Eccellentissima Maestà e il mio signore mi permettono di parlare…”
 

Scena 2

Non era stato facile concentrarsi sulla rappresentazione, tuttavia Ashley era riuscito a interpretare decentemente il proprio ruolo, incolpando l’emozione di divertire i sovrani ogni volta che Barto lo aveva rimproverato. La verità era che non riusciva a non pensare a quello che gli era stato ordinato di fare, al canovaccio che aveva dovuto imbastire per quella notte.
Ashley osservò il proprio riflesso nello specchio, ignorando i suoi compagni che festeggiavano il successo della rappresentazione a palazzo. La Sua Eccellentissima Maestà aveva onorato l’intera Compagnia dell’Astrologiaio donando alla Fanciulla uno spillo per capelli: era un gioiello sobrio, ornato solo da un nodo in seta di ragno e alcune perle. Quando la guardia glielo aveva porto, Ashley si era profuso in un inchino riconoscente e aveva riconosciuto il privilegio infilando il monile fra i capelli. Sapeva che quella era l’arma concordata per uccidere Souitnoi Lediak.
Quello dell’Assassino è un ruolo come un altro, Ash, pensò aggiustando ancora una volta la propria acconciatura.
“Ash? Ti stanno… aspettando,” deglutì Tamlor, distraendolo da quei pensieri.
Ashley annuì e, aggiunto un tocco di vermiglio sulle guance, indossò una mantella sopra il costume di scena. Tuttavia, quando fece per uscire dal camerino, Tamlor lo trattenne per un gomito. Ashley rivolse al compagno uno sguardo accigliato, lasciando tacita la sua domanda.
“Ho… ho una brutta sensazione, Ash,” Tamlor deglutì di nuovo, fissandolo con lo sguardo atterrito. “Non andare.”
Ashley si liberò dalla presa con un gesto secco e volse il capo davanti a lui. “Non posso, lo sai. Barto ha già ricevuto il pagamento ed io…” io ho ricevuto l’ordine di uccidere quell’uomo.
“Non puoi essere così leale nei confronti di Arthea!” sibilò Tamlor, frapponendosi fra lui e la porta, serrandogli gli avambracci con disperazione. “Ci sono altri modi per trovare quel denaro! Non…” Arrossì, impacciato come una Fanciulla che confessava alla Nutrice il nome dell’Eroe. “… non sopporto più l’idea che qualcun altro ti faccia quello che vorrei…”
Tamlor non osò terminare la frase, ma aveva detto a sufficienza per far capire ad Ashley i suoi sentimenti. Con un gesto duro e deciso, Ashley lo allontanò.
“Non penso che potremo calcare ancora lo stesso palco, Tamlor,” disse, avviandosi verso il cortile esterno, dove una portantina lo aspettava, e relegò quella confessione in un angolo remoto della sua mente.
Non poteva permettere che gli sciocchi sentimenti di Tamlor lo distraessero dal canovaccio su cui aveva iniziato a lavorare sulla Resilence. Ashley aveva tutte le intenzioni di tornare su quella strana nave, di vedere quei mondi di cui Mildledo Ko’elli aveva parlato – di realizzare il suo sogno e smettere una volta per tutta di guadagnare il suo pane fingendo di essere una Fanciulla o interpretando la Cortigiana.
Quello dell’Assassino è un ruolo come un altro, Ash, e quell’uomo è solo l’attore che intepreta la Vittima. Si ripeté fino a esserne nauseato, mentre la portantina dondolava nella notte, conducendolo verso il palazzo del suo mecenate – dell’uomo che doveva uccidere.
Souitnoi Lediak era un uomo più giovane e dalle maniere più pacate di quello che si era aspettato, tanto che Ashley si chiese perché la Sua Eccellentissima Maestà lo volesse morto – e perché in quel modo. Era pur sempre un membro della famiglia reale, nonostante fosse nato dal grembo di una concubina, e… Allontanò quel pensiero dispensando parole melliflue per il suo ospite e cercò di studiarlo il meno possibile, per evitare ogni motivo di rimorso futuro o di imprimere nella memoria il suo sembiante per poi esserne perseguitato dal ricordo.
La cena che gli fu offerta fu la più luculliana che avesse mai visto in tutta la sua vita, il numero e la raffinatezza delle vivande era tale da fargli provare un moto di rimpianto per i suoi compagni cui certe prelibatezze le avevano soltanto udite nominare. Anche il vino era ben migliore di quello che avesse mai bevuto, perfino nelle locande più rinomate in cui aveva soggiornato fino ad allora, ma resistette alla tentazione di berne più del dovuto  – non poteva permettersi di ubriacarsi – e cercò di rimboccare più spesso possibile il calice di Souitnoi Lediak. Quando il suo ospite chiamò un servo per portare un’altra anfora, Ashley contò mentalmente gli istanti necessari affinché ricevesse risposta e calcolò quanto ci avrebbe impiegato un famiglio ad accorrere – il risultato non gli piacque, ma avrebbe trovato un modo per far svolgere il suo piano in modo perfetto.
“Il nostro Capocomico non ha ancora deciso dove andremo, una volta lasciata Eimerado. Forse Labrazia, forse trascorreremo qualche mese nelle Isole di Ponente,” disse Ashley, usando la sua voce naturale.
“Peccato… peccato,” sospirò il suo ospite con un singhiozzo brillo. “Sicuro di non avere sangue nobile nelle vene? Perché non mi spiacerebbe prenderti come Concubina…”
Ashley sorrise, accogliendo l’avance di Souitnoi Lediak. “Il mio signore ama scherzare… o forse dimentica che, sotto questa veste, non ho una rosa ma una spina?”
Anche l’altro sorrise, un sorriso che non prometteva nulla di buono. “Un Gabirai prende sempre quello che desidera, anche se non è nato dal grembo della Regina.”
“Prendete, dunque,” Ashley mormorò, reclinandosi languidamente sui cuscini e lasciando che la veste scivolasse un po’ di più sugli omeri e che il suo membro inturgidito dal vino e dalle spezie formasse un bozzo estraneo sotto le gonne.
Accolse il bacio di Souitnoi Lediak con le labbra schiuse e fece scivolare le proprie mani fra le sue vesti come soleva fare le rare volte che una puttana lo prendesse sul serio, stringendo con le dita unte di olio profumato un sesso indurito come gli aveva insegnato Naè – osservando fra le ciglia l’espressione sempre più estatica del suo ospite. Quando questi gli aprì la veste, preparandosi a penetrarlo, Ashley lo rivoltò e sedette cavalcioni su di lui, poi succhiò ancora più forte la sua lingua, ingoiandone i mugolii di piacere, e portò una mano all’acconciatura, come a volerla disfare.
Un colpo secco e preciso. Lo spillone penetrò un orecchio, perforando timpano e cervello.
Ashley ritenne gli ultimi spasmi con tutto il peso e la forza del suo corpo e soffocò le grida con un bacio sempre più profondo. Solo quando non lo sentì più muoversi, si allontanò pulendosi la bocca disgustato, sfregandola con una manica, e preso da una furia ignota, gli sfilò il pugnale dalla cinta e colpì il cadavere alla gola.
“Questo è per Arthea!” ringhiò. “E questo è per me!” aggiunse, infierendo con calci e pugni.
Nonostante sulla scena dovesse svenire a ogni ferita, la vista del sangue non aveva mai disturbato Ashley.
Lo spettacolo deve continuare, Ash.
Spostò il corpo verso la finestra e gli mise il pugnale in una mano; rivoltò alcuni mobili, bloccò parzialmente la porta con un tavolo e ruppe delle stoviglie; si stracciò la veste e si ferì al volto, come se qualcuno lo avesse colpito. Quando la stanza – il palcoscenico – fu soddisfacente, Ashley indossò l’espressione della Fanciulla che stringeva l’Eroe morente, prese fra le braccia il cadavere e urlò.
 

note
  1. Souitnoi: titolo nobiliare, riservato ai cadetti della famiglia reale

 

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Capitolo 4
*** Encore ***


Il giorno dell’interrogatorio, Malba aveva portato ad Ashley un abito sobrio e gli aveva acconciato i capelli con l’acconciatura più semplice che conoscesse. Mentre le guardie lo scortavano a palazzo – Souitnoi Lediak era pur sempre un membro della famiglia reale, nipote della Sua Eccellentissima Maestà, Re Denev – Ashley prese coscienza che quella sarebbe stata la sua ultima interpretazione della Fanciulla, che ne fosse uscito con la testa sul collo o in una cesta.
Aveva singhiozzato mentre attraversava la sala del trono, aveva tremato quando era stato buttato in malo modo a terra, aveva balbettato a ogni domanda che il sovrano gli aveva posto attraverso il ciambellano – perché il Sire dei Liberi Uomini di Vernolia non poteva abbassarsi rivolgendosi a una vile attricetta. Ashley aveva avuto modo di limare per bene il suo monologo, nei tre giorni trascorsi in una cella del Tempio.
Non era stata Ashley Valondja a uccidere Souitnoi Lediak, ma un ladro o un sicario con l’accento di Dwerissi – perché l’uomo chiamato Thalbas gli aveva confidato che l’obiettivo aveva nemici in quelle contrade. No, non ricordava esattamente il volto dell’uomo: le lampade erano fioche e una sciarpa nascondeva naso e bocca dell’assassino – usò i connotati di un mendicante che aveva notato in un vicolo del porto. No, la servitù era arrivata troppo tardi, ma sperava che l’assassino fosse trovato presto perché Souitnoi Lediak aveva difeso lei e se stesso e aveva ferito l’aggressore prima di cadere sotto la sua lama.
La Sua Eccellentissima Maestà gli concesse il beneficio del dubbio e Ashley dovette tornare nella cella del Tempio per un’intera luna.
Dieci giorni dopo l’udienza, gli fu permesso di ricevere una visita da parte di Malba, la quale gli portò notizie di Arthea. Un uomo potente e timorato doveva aver indagato sull’origine del dramma rappresentato a palazzo e aver parlato con il Gran Sacerdote: proprio in quel momento, un Confessore stava interrogando Arthea al villaggio, mentre i cinque novizi erano stati accusati di infamia e spergiuro. Ashley temette che sarebbe stato chiamato a testimoniare, cosa che avrebbe complicato un po’ la sua situazione. Tuttavia, la Sua Eccellentissima Maestà era solita mantenere la parola data e si glissò sulla colpa carnale dell’attore.
Qualche giorno prima della fine della sua reclusione, Ashley ricevette una visita di Barto. Il Gran Sacerdote aveva punito secondo i costumi della Fede i novizi e il Tempio cui questi erano attaccati avrebbe dovuto restituire alla Compagnia la multa ingiustamente riscossa. La somma era stata divisa in proporzione a quanto ciascuno aveva contribuito: Ashley lasciò i due terzi della sua parte ad Arthea e alla bambina, le quali si sarebbero ritirate con Barto in una cittadina a sud della Capitale. La Compagnia dell’Astrologiaio avrebbe continuato sotto la direzione di Puch.
Dopo che Barto fu andato via, Ashley si chiese se e quando qualcuno della Resilience sarebbe venuto a prenderlo. Sentì la tensione aumentare a ogni giro di clessidra, a ogni pollice di candela, ma non poteva far altro che aspettare.
Il giorno del rilascio, gli fu annunciato che l’assassino era stato trovato esangue in un vicolo del porto pochi giorni dopo l’omicidio e Ashley dovette simulare un misto di sollievo e rabbia. Si era poi preparato a rivedere la luce del sole, vestendosi per l’ultima volta come una donna, e aveva provato un moto di rabbia e delusione quando aveva trovato Tamlor, Pervinca e gli altri membri della Compagnia ad attenderlo fuori dal Tempio.
Si era rassegnato all’idea d’essere stato gabbato da quel Thalbas e stava salendo su un carretto della compagnia, diretto a Labrazia, quando sentì una voce dall’accento sconosciuto chiamare il suo nome.
“Ashley Valondja, il mio signore esige la tua presenza.”
 
 
Udite, brava gente, della miserrima Arthea la storia! Di come i suoi valenti fratelli furono massacrati e di come il suo corpo, votato al Chiostro, fu profanato sotto il loro sguardo morente!  
Udite e lodate Elanne la Casta, la quale mossa dalle innumerevoli lagrime della sua Diletta, per lei intercedette! Udite e lodate i Santi Gemelli, i quali inviarono il loro Sparviero a punir quegli empi sacrileghi!

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