La lettera dal Mare

di cosimoalce
(/viewuser.php?uid=874814)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prologo - parte 2 ***
Capitolo 3: *** Un forestiero nella tempesta ***
Capitolo 4: *** Scomparsi nella notte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


*1857* 

Il gorgoglìo delle onde contro lo scafo della “Lady May” cullava dolcemente i pensieri turbinosi del capitano O’Watty. Stava diventando impaziente. Erano ormai passati due giorni da quando era apparsa all’orizzonte la scialuppa del funzionario della Compagnia, recando con sé quella maledetta lettera firmata dal Governatore Generale Lord Canning che li aveva costretti a rimanere bloccati nel Golfo del Bengala, appena al di fuori di Calcutta. Era una splendida mattina di metà Maggio, il calore non era ancora salito al suo massimo, e l’umidità opprimente era tenuta a bada da una leggera brezza di mare. Tutto sommato, non si stava male. Lo scricchiolìo incessante delle assi e delle cime era sempre piaciuto al capitano, e se non fosse stato su una missione urgente, avrebbe anche potuto considerare l’intoppo come una piccola, meritata ed inaspettata vacanza. 

-Finché l’esercito non sarà riuscito a sedare i ribelli non si può rischiare. Mi dispiace capitano, ma gli ordini vengono dall’alto, e il Governatore si preoccupa per la vostra sicurezza…- aveva provato a dirgli l’emissario, un piccolo omino Bengalese sui quarant’anni, magro e nervoso, ma vestito di stoffa ricca e colorata, a indicare il prestigio della carica ufficiale che ricopriva. Dall’alto dei suoi due metri e cinque centimetri, il capitano David O’Watty si era inalberato, aveva ruggito che nessuno poteva dirgli cosa fare sul ponte della sua nave, e che si rifiutava di compromettere la sua missione per colpa di quattro sepoy imbecilli e superstiziosi. Il messaggero indispettito aveva ribattuto che i rivoltosi avevano già occupato Delhi e riportato sul trono l’ormai ottuagenario (e piuttosto sorpreso) imperatore Moghul, e che avrebbe dovuto internare il capitano, se non si fosse deciso ad eseguire gli ordini e girare i tacchi. Non si poteva approdare a Calcutta, punto e basta. Per il bene suo, e della Compagnia, naturalmente. Per nulla intenzionato ad arrendersi, il capitano aveva riferito che sarebbe rimasto esattamente dov’era, finché qualcuno non l’avesse rimosso con la forza, o non fosse giunto dal Governatore il permesso di approdare. Senz’altra parola e fumante di rabbia, digrignò tra i denti un colorito suggerimento su dove l’emerito Governatore poteva mettersi il bene della Compagnia, prima di dileguarsi all’interno della nave. 

Era mezzodì del terzo giorno quando, la fronte imperlata di sudore e la faccia arrossata per la calura incipiente, George Ruddy, un giovane luogotenente originario di Manchester, bussò alla cabina del capitano. 

-Avanti!- fu la tuonante risposta. 

-Buongiorno capitano. Ho pensato che voleste sapere che abbiamo appena avvistato una piccola barca a remi in avvicinamento battente la bandiera della Compagnia… 

-Ah, ottimo! Grazie Ruddy, finalmente una buona notizia! 

I grandi occhi blu del capitano si illuminarono, e per la prima volta in giorni riapparve sotto al naso importante il solito sorriso gioviale. Si alzò di scatto, strofinandosi le mani con soddisfazione, prese il cappello e fece per uscire, quando Ruddy aggiunse con apprensione –Oh, capitano… c’è qualcos’altro che dovete sapere. Parrebbe che sulla scialuppa ci sia il Governatore in persona questa volta. Se mi permettetevorrei ricordarvi che sarebbe opportuno agire con prudenza. Non sarebbe affatto opportuno se…-   

-Ruddy, non una parola di più! – lo interruppe O’Watty, i lineamenti tornati duri e corrugati – So a cosa sta pensando, ma non possiamo che aspettare e vedere cosa vogliono da noi. Andiamo in coperta e dia l’ordine di cominciare i preparativi per l’accoglienza. 

Il luogotenente annuì serio, e i due uomini si incamminarono. Con un tonfo sordo, la barca del Governatore si accostò alla “Lady May” e dopo una considerevole fatica, i suoi occupanti si riversarono sul ponte della  nave. Ritto in piedi sull’attenti, gli occhi vigili e lo sguardo orgoglioso sotto il bicorno, il capitano diede il benvenuto a Lord Canning, Governatore Generale della Compagnia delle Indie, un uomo dalla faccia insipida, ma non malvagia, e dagli occhi scuri e calmi. Era stato nominato governatore solo l’anno prima, e molti dubitavano che fosse all’altezza del compito, perciò aveva l’aria tipica di chi si sente costantemente sotto il giudizio critico altrui. Scambiate le formalità d’ufficio, chiese l’onore di conferire in privato con il capitano, e così sparirono entrambi nel ventre della nave, lasciando in superficie i loro uomini a squadrarsi reciprocamente con occhiate diffidenti. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Prologo - parte 2 ***


La porta della cabina si chiuse alle loro spalle, e il capitano si diresse subito verso un armadietto di legno scuro intarsiato, dal quale estrasse una bottiglia di liquido ambrato e due bicchieri di squisita fattura, anche se spaiati. Versò una dose generosa in ciascuno dei due bicchieri, e li sbatté sulla scrivania, alla quale si mise a sedere pesantemente, mentre il suo ospite si accomodava sulla sedia di fronte. Il capitano bevve un sorso abbondante e poi guardò torvo l’uomo davanti a lui, il quale prese il gesto come un invito a cominciare la conversazione. 

-Vedo che gli anni trascorsi in mare hanno addolcito le tue scontrose maniere scozzesi, David – disse, con un brillio divertito negli occhi. 

-Andiamo, Charles lo sai che mi irriti quando fai il gentiluomo… 

-Certo, scusami. Era solo un piccolo scherzo da vecchi compagni. Cosa ti salta in mente, a fare una scenata tale con il mio emissario? Era così furioso quand’è tornato che voleva ti arrestassi immediatamente! 

Il capitano alzò le spalle infastidito –Se l’è meritata, aveva un’aria petulante che mi è piaciuta ben poco… 

Squadrando con disapprovazione il vecchio amico, conosciuto nei pub di Oxford quand’erano studenti, il Governatore riprese a parlare -Sei sempre il solito. Lo sai che ci sarebbe un posto all’Ammiragliato per te, se solo non fossi così insubordinato… 

Il capitano sbuffò indignato -Se proprio vuoi saperlo, me l’hanno offerto due anni fa, pure come Primo Lord. Ma ho rifiutato. Purché mi piaccia l’idea di comandare la gente, preferisco di gran lunga farlo dal ponte di una nave, piuttosto che da dietro una scrivania lucidata. Ad ogni modo, sono qua per conto del principe consorte. 

In quel momento Lord Canning, che si era allungato per prendere un sorso di liquido ambrato, sgranò gli occhi e rimase per un attimo spiazzato dallo stupore, il braccio fermo a mezz’aria, il bicchiere a metà strada verso le sue labbra. Si riprese in fretta però, e domandò prontamente -Ma… Alberto di Sassonia? 

-E chi altri? 

-Per tutti i fulmini David! E cosa aspettavi a dirmelo? 

-Caro mio, se non avessi mandato il tuo servetto col turbante l’altro giorno a bloccarmi qua, l’avresti saputo già tre giorni fa! 

-Avresti potuto menzionargli il fatto che eri qui su commissione reale, anziché mandarlo al diavolo. Magari sarebbe stato più ben disposto nei tuoi confronti. Beh, pazienza! Si può sapere di cosa si tratti questo incarico? 

-In verità, no. 

-Come sarebbe a dire, no? 

-Mi dispiace Charles, ma ho firmato un accordo di riservatezza. Nessuno su questa terra, all’infuori di me e del principe stesso, può venire a conoscenza del perché mi ha mandato qui. Ho solo bisogno che mi fai entrare a Calcutta, poi ti prometto che non avrai più a che fare con me. 

-Non ti posso far passare senza sapere perché! 

-Infatti mi ero preparato a questa evenienza… 

All’improvviso si dipinse un'ombra di timore sul volto di Lord Canning, mentre il capitano allungava la mano destra verso uno dei cassetti della scrivania. Ma alla fine ne estrasse soltanto un fascicolo di carte, sigillato dallo stemma reale impresso su una goccia di ceralacca scarlatta. Lo porse al Governatore, che si limitò a guardarlo perplesso. 

-Credevo che non potessi dirmi di cosa si tratti 

-Quel fascicolo contiene soltanto il mio itinerario e una lettera del principe in persona, che garantisce per me. Dovrebbe essere sufficiente, no? 

Il Governatore spezzò il sigillo e si mise a leggere. La lettera sembrò soddisfarlo, e così passo ad esaminare il resto del documento. Arrivato alla terza pagina si fermò, prese il suo bicchiere e lo svuotò. Poi fissò lo sguardo sul capitano –Sei impazzito? La reggia di Mahlanheru? 

-C’è qualcosa che non va? 

-Stai scherzando? – rispose il Governatore con tono incredulo – Il regno di Bipan Mahlanheru è il centro nevralgico della rivolta! La  maggior parte dei ribelli dell’esercito viene da lì, e hanno deciso di lottare contro il governo britannico da quando questo ha annesso la loro patria, privandoli di molti privilegi. Non so se sai come funziona qua in India, ma la fanteria e i soldati semplici vengono reclutati principalmente da queste zone, e per via della loro religione, che impedisce loro di viaggiare lontano dalla patria, vengono pagati di più per prestare servizio all’estero. Finché il regno era indipendente, i protettorati britannici, pur essendo confinanti, erano considerati come terra straniera. Capisci che da quando è stato annesso, questa condizione non è più valida, e dal mattino alla sera i soldati si sono ritrovati non solo con la terra natia occupata, ma anche con una riduzione della paga. Perciò ora stanno disertando per tornare a casa e combattere per la loro libertà, ma di fatto anche per lo stipendio. E da quando è scoppiato lo scandalo con le cartucce dei nuovi fucili Enfield, hanno avuto il loro capro espiatorio servito su un piatto d’argento… 

-Scusa, che diavolo c’entrano in tutto questo le cartucce Enfield? 

-Oh, lo sai come sono loro… Con le loro religioni balzane ci sono mille cose che considerano come impure o intoccabili. Così si sono messi in testa che stavamo cercando di convertirli al cristianesimo di nascosto, perché le cartucce sono lubrificate con grassi di maiale o vitello! Per me sono tutte balle, ma loro sono dannatamente paranoici, e adesso siamo nei guai! Perciò è fuori questione; la tua missione dovrà aspettare…  

Durante il resoconto di Lord Canning, il capitano si era alzato, e aveva cominciato a passeggiare su e giù, massaggiandosi le tempie. Era concentrato sulle parole dell’amico, ma era chiaro che stava tentando in tutti i modi di trovare uno scioglimento dell’impasse che vedeva delinearsi sull’orizzonte tra loro. Sospirando frustrato, posò i palmi delle mani sulla scrivania, ed aspettò ansiosamente la fine del discorso. 

-Bene, ora che abbiamo stabilito per l’ennesima volta che questi omuncoli Indiani sono dei pazzi schizofrenici, stammi un po’ a sentire Charles. Se io ti dicessi che la mia missione porrebbe fine ai tuoi travagli, nonché quelli della Compagnia, tu cosa diresti? 

Il Governatore lo squadrò, scettico. 

-I fogli che mi hai dato non mostravano alcuna menzione di intenzioni diplomatiche, David.  

-Lo so… MA mi è appena venuta un’idea. Posso combinare la mia missione con un tentativo di far ragionare questi sciocchi scimuniti! Sai che me la cavo con questo genere di cose.

-David, non posso lasciarti passare, ne va della mia carriera e della mia integrità! 

-Lasciami entrare, e dammi un mese di tempo. Se entro la fine di Giugno il regno di Mahlanheru non sarà pacificato con noi, allora ti do ogni diritto di venirmi a prelevare e fare di me quello che vuoi. Ti prometto che dirò al tuo capo che hai provato a fermarmi, ma che io mi sono infiltrato, grazie al mio superiore intelletto che mi ha permesso di eludere la tua strettissima e molto professionale sorveglianza… 

-Il mio capo è la regina, David! 

-Beh, fantastico, allora non c’è problema! Io e Vic andiamo molto d’accordo, è una cara ragazza, molto ragionevole, simpatica… 

Con un’aria tra l’indignato e il divertito, e un mezzo sorriso che nonostante tutti i suoi sforzi riusciva a farsi strada per rompere la dura maschera della faccia severa, il Governatore rispose rassegnato -E sia! Sento che me ne pentirò, ma ti lascerò entrare. Dirò che sei un emissario della regina in visita diplomatica. Suppongo che non sia poi così lontano dalla verità… Però verrai sotto scorta! 

Il capitano O’Watty si concesse un largo sorriso scintillante –Grazie Charles! Sapevo che c’era un motivo per cui mi sono trattenuto così tanto dal farti a botte, quando ci siamo conosciuti!  

Uscendo dalla bocca del capitano, quelle parole erano anche un complimento. Molto soddisfatto, O’Watty guidò il Governatore (che non era ancora ben sicuro di come fosse riuscito anche questa volta a darla vinta al capitano) fuori dalla cabina sul ponte di comando, dal quale dette l’ordine di seguire la scialuppa reale e far vela, finalmente, su Calcutta.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un forestiero nella tempesta ***


*Ventunesimo secolo*  

Era un'estate insolitamente fredda a Fiffelpeddely e fuori infuriava un temporale coi fiocchi. Perciò, quando William Catpythe si presentò alla locanda "The Wanderer's Rest" era tutto infangato e gocciolante. La proprietaria si precipitò subito verso il nuovo arrivato e gli porse una sedia vicino al camino scoppiettante. 

-Su, su venga, si sieda qui al caldo. Ecco qua! Ora mi dia la giacca, che gliel- 

-No, no! Aspetti! Devo... una lettera... nella tasca! 

Perplessa, Anne restituì il cappotto fradicio al proprietario, che fu subito rassicurato dall'averlo nuovamente tra le mani. Ne estrasse quindi una busta così stropicciata e malconcia da essere a malapena riconoscibile. La porse alla locandiera, che tese la mano completamente sbigottita. Poi, ripreso un po' di fiato, l'uomo cominciò a spiegare:  
-Un certo James 
O'Watty, sì, mi pare si chiamasse proprio così... è un naufrago della burrasca di stanotte... mi ha incaricato di consegnarle questo messaggio, e mi è sembrato piuttosto urgente. Mi chiedo perché non potesse telefonarle, ma a quanto pare era importante che ricevesse di persona questa lettera, così mi sono offerto di portargliela, era da un po' che non venivo da queste parti! 

Durante il breve resoconto del forestiero, Anne era sbiancata di colpo e si era accasciata sulla sedia più vicina, con un'aria impietrita e impenetrabile. La donna aprì la busta con dita tremanti e, non appena ebbe letto le cinque righe scarse di scrittura scarabocchiata che conteneva, si coprì la bocca con una mano e serrò forte gli occhi. Già quando aveva sentito il suo nome - James - aveva intuito cosa sarebbe stato scritto nel biglietto, ma fu ugualmente un colpo.  

Guardò nuovamente al foglio che teneva in mano. Era la pagina strappata da un'agenda, di quelle che si trovano in fondo, senza giorni, senza numeri, per annotare. Quella scrittura, seppur così familiare, aveva un che di diverso, anche se non sarebbe riuscita a dire esattamente cosa. La "J" era un po’ stravagante con la sua curva all’ingiù molto vistosa e la "Z" era decisamente bizzarra. L’aspetto generico era angoloso, e un po’ imbrattato, quasi come se qualcuno ci avesse inavvertitamente passato sopra con la mano. Ma più che il modo in cui erano scritte, erano state le parole stesse a sconvolgerla. La locanda si caricò di un silenzio teso e ricco di aspettativa. Tutti volevano sapere, ma nessuno osava chiedere. Il signor Catpythe era ancora seduto sulla sua sedia in mezzo alla stanza, imbarazzato, incerto se sentirsi fiero di sé per aver portato a termine il suo incarico, o dispiaciuto per il fatto che avesse comunicato una notizia così evidentemente disturbante. Infine, conscia degli occhi rivolti su di lei, Anne lesse ad alta voce: 

Anne, 

è passato molto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti. Lo so 

che vi ho abbandonati apparentemente senza motivo, ma  

ora sono tornato. Mi trovo alla locanda di Amberweed, sai il “Jolly 

Lantern”. Se vuoi sapere, se ancora provi qualcosa, e la delusione non 

ha avvizzito il tuo cuore, ti spiegherò tutto. 

Tuo come sempre, James 

Ci fu un silenzio basito. E poi... 

-Cosa? Tornato? 

-Ma come è possibile? 

-Che faccia tosta, neanche venire di persona! Se vuoi gli dico due paroline io, Anne... 

-Beh dai era anche ora, meno male! 

-Che buona notizia, bisogna festeggiare... Offro io! 

Molto tempo... Tsk! Come se sei anni potessero essere pochi, stava intanto rimuginando Anne. Continuava a fissare quel pezzo di carta con la stessa incredulità di due compagni d'infanzia che s'incontrano per caso al supermercato con i figli, dopo non essersi visti per tutta la giovinezza. E insieme al piacevole stupore, c'era anche la stessa sgradevole e inquietante realizzazione del tempo trascorso. La calligrafia del marito le era familiare, certoEppure non riusciva a capire perché sembrasse al tempo stesso così diversa. Proprio come due vecchi amici, conosciutisi da bambini, faticano a riconoscersi da adulti. Certamente gli occhi sono quelli, il sorriso anche, ma qualcosa è cambiato; la forma del viso, una cicatrice che prima non c'era, o forse il timbro della voce. Era quasi come aver davanti uno straniero... 

Lo straniero! All'improvviso Anne interruppe i suoi turbinosi e filosofici pensieri, e si ricordò dov'era. Si assicurò che il nuovo arrivato fosse a suo agio e se ne andò dietro il bar, dove si versò un cicchetto di whisky doppio malto invecchiato, che teneva da parte per le occasioni particolari. Era circondata dal coro di vocioni ruvidi e robusti che apparteneva ai frequentatori abituali della taverna. Erano perlopiù uomini solidi e un po' burberi, abituati al  lavoro duro della campagna, ma dal cuore d'oro e molto affezionati alla loro locandiera, provvidenziale dispensatrice dell'amata pinta serale che toglie dalla gola il sapore di una pesante giornata di lavoro, e la conforta, preparandola per la cena.  

Per quanto fosse difficile, Anne cercò di concentrarsi nuovamente sul lavoro. Dopo lo shock iniziale, l'atmosfera era tornata allegra, e il locale si riempì pian piano del suono di grasse risate e pacche sulle spalle, di palle da biliardo e il tintinnare della posate, del suono di vetro su legno e birra nei bicchieri. Fortunatamente c'era così tanto da fare, che nonostante gli occasionali commenti preoccupati dei clienti, Anne riuscì a non pensare alla lettera, né al marito finché non ebbe suonato la campana d'ottone che serviva a segnalare l'imminente chiusura della cassa e del pub. Bevute le ultime gocce e sgranocchiate le ultime briciole, a mezzanotte i clienti rimasti si riversarono in strada, pronti a sopportare le insidie della tempesta pur di arrivare a casa e raccontare il pettegolezzo fresco. 

-Buonasera Anne, a domani! 

-Grazie, ci si vede! 

-'Notte! 

Si udirono lo scalpiccio delle scarpe fradicie sul marciapiedi e il vociare confuso allontanarsi nella pioggia, e finalmente la locanda fu vuota. Rimasero solo Anne e il signor Catpythe, l'una che cercava di mettere a posto, mentre l'altro, un po' brillo, stava ronfando beatamente con la testa appoggiata al bancone.  

-Signore... 

Anne provò a svegliare l'ometto addormentato, ma senza molto successo. 

-Signore, mi scusi, si svegli! 

Ancora nulla. Sciaff! Lo straccio umido decise di schiaffeggiarlo leggermente. Il signor Catpythe si alzò così di scatto che per poco non rotolò giù dalla sedia. 

-Buona sera signore! Vedo che alla fine si è integrato bene col gioioso popolo di Fiffelpeddely... 

-Oh! Devo essermi appisolato un secondo... però, buona la vostra birra alla spina! Locale? 

Anne ridacchiò sorniona sotto i baffi -Eh eh, gliel'avevo detto che avrebbe fatto bene a fidarsi... sì, la birreria Brewolf non è lontana da qui in effetti, forse un giorno dovrebbe vistarla. 

-Caspita, senz'altro! A proposito, non saprebbe per caso se c'è un posto dove potrei stare la notte? Sa, con la macchina rotta non posso esattamente andare lontano... 

-Beh, se non è già stanco di questo pub potrebbe stare qui. Abbiamo un paio di camere che teniamo sempre pronte.  

-Oh, davvero? Sarebbe fantastico! 
-Non per niente ci chiamiamo "il riposo del viaggiatore"! Tenga, le do la numero 5. Se domattina quando si sveglia mi viene a trovare, le friggo due uova e un po' di pancetta, che ne dice? E poi le cerchiamo un meccanico. 

Il signor Catpythe sorrise raggiante alla prospettiva di una golosa colazione, e la ringraziò di cuore. Mentre era già a metà strada verso le scale di legno che conducevano al piano superiore, Anne lo chiamò nuovamente. 

-Ah, straniero! Mi è appena venuto in mente che non le ho neanche chiesto come si chiama... 

-Sono William Catpythe, il nuovo aiutante in drogheria del signor Pesset, vicino al porto di Amberweed.  

Tese la mano paffutella, che quella affusolata della locandiera strinse amichevolmente. 

-E io sono Anne O'Watty. Piacere d'averla conosciuta, e grazie! 

Un cenno d'assenso e il signor Catpythe scomparve su per le scale.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Scomparsi nella notte ***


Fuori il temporale infuriava ancora, quasi a far compagnia all'animo turbato di Anne. Sospirando, si chiese cosa fare. Un tuono più forte degli altri la fece sussultare nella sua sedia. Stancamente, decise di seguire le orme del signor Catpythe su per le scale e di andare a letto. L'intera ala destra del piano di sopra era occupata dall'appartamento degli O'Watty, a cui la locanda apparteneva da generazioni. Non era mai stata molto spaziosa, e lo era diventata ancor meno dopo l'arrivo del terzo figlio. Gli O'watty, però, si erano sempre sentiti a loro agio in quella casa dai toni caldi e legnosi, accogliente come il manto di morbida moquette color malva che ricopriva tutte le stanze. Mentre camminava con passi ovattati lungo il corridoio un lampo le fece cadere l'occhio su qualcosa.  

Era un figura minuta con la camicia da notte bianca decorata a pecorelle, sotto la quale spuntavano appena i piedi pallidi. La bambina stava davanti alla porta della sua stanza, ad aspettare che andasse a dormire. I capelli scarmigliati erano rosso fuoco e incorniciavano un viso grazioso, con un nasino cosparso di lentiggini e due occhi verdi striati di giallo, vigili e  impauriti. 

-Jane! Amore, cosa ci fai sveglia a quest'ora? 

La piccola strinse forte a sé il suo gorilla di peluche scuro, e guardandolo con tenerezza, rispose -Mamma, Charlie ha paura dei tuoni e vorrebbe dormire con te. 

-Ma Charlie ormai è grande, no? E poi ci sei tu a tenergli compagnia... 

provò a dire con finta serietà. Guardò la figlia minore, notando quella sera più che mai quanto assomigliasse al padre. Poi, sopraffatta dalla tenerezza, sorrise ampiamente e spalancò le braccia -Effettivamente però i tuoni di stasera sono molto più forti del solito. Dai su, venite qui!  

Presa la rincorsa (dopo tutta, la distanza da ricoprire era molto estesa, e chissà quanti pericoli nascondeva l'oscura moquette!) Jane si fiondò tra le braccia della madre, che insieme al gorilla Charlie, la mise al sicuro sotto le coperte. D'altronde è risaputo che i piumoni posseggono potenti proprietà protettive contro lampi e simili minacce, soprattutto se sono blu come il mare e odorano di mamma. Bastarono solo pochi minuti, e Jane si addormentò placidamente. Non fu altrettanto facile per Anne. 

Forse era proprio il rumore del temporale, o forse erano soltanto i suoi pensieri, per non parlare del peloso Charlie, che non contribuiva certo a rendere la situazione più confortevole, ma non le riusciva proprio di assopirsi. Come un disco rotto, dal momento in cui aveva letto il biglietto di James aveva rivissuto costantemente la notte in cui era sparito. Non c'era stato un giorno durante i sei anni della sua assenza in cui Anne non avesse ripensato a quella sera, cercando mentalmente qualche dettaglio che potesse esserle sfuggito che aiutasse a farle capire perché... 

Era stato un giorno di metà febbraio e avevano trascorso la mattinata in cantina, a ripulirla per l'arrivo delle nuove botti di birra e whisky. Durante il pomeriggio aveva dovuto andare a prendere i bambini a scuola, perciò aveva lasciato il marito a finire il lavoro con suo fratello. Quando era tornata aveva visto che in cantina regnava ancora più confusione di prima, e che i due fratelli erano spariti. Li aveva trovati chiusi a chiave nello studio di James, che parlavano a voci basse e concitate. Aveva provato ad entrare, più che altro per chiedere spiegazioni riguardo alla condizione della cantina, ma le avevano detto di andarsene. Offesa e indispettita, era scomparsa in cucina, dove aveva cercato di calmarsi sprofondando nel tentativo di preparare una paella, un piatto che voleva provare da tempo e che, nonostante suo padre fosse stato spagnolo, non aveva mai assaggiato. Completamente assorbita dal soffritto di cipolle, era riuscita a dimenticarsi il motivo della sua stizza, finché i due uomini non erano discesi. Si era girata per esigere delle scuse, ma si era bloccata. Erano tutti e due in fermento e sembravano preda di un'emozione quasi irrefrenabile, che a stento riuscivano a celare. Quando però aveva chiesto cosa mai fosse successo avevano risposto evasivamente. 

Subito non ci aveva fatto particolarmente caso. In fondo era già capitato altre volte che si fossero riuniti in gran segreto per escogitare qualche idea strampalata un po' troppo infantile da rivelare. Come la volta in cui avevano acquistato di nascosto un modellino di locomotiva a vapore, ed avevano rischiato di incendiare la casa nel tentativo di donarle un motore realmente funzionante. Spesso James, nonostante fosse di gran lunga il più ragionevole dei due, si lasciava trascinare dall'entusiasmo del fratello per i suoi progetti inverosimili. Era troppo buono, e non aveva mai il cuore di deluderlo, facendogli notare quando fossero davvero balordi i suoi piani.  

Ad ogni modo, quella volta era stata diversa. Era stato James ad essere quello più esaltato dei due, e nei suoi occhi era presente una scintilla che Anne non aveva mai visto. Era assente, quasi se mentalmente fosse ancora nello studio a contemplare quello di cui poc'anzi stava discutendo così freneticamente col fratello. Come preso da una folle impazienza, non riusciva a star fermo, il suo sguardo animato guizzava ovunque, verso il fratello, sull'orologio, in direzione della cantina. Invano Anne aveva cercato di ottenere qualche risposta, e il marito continuava a ripetere che non poteva dire niente finché non fossero completamente certi. Dopo cena i due uomini l'avevano informata che sarebbero andati ad Amberweed. Sì lo sapevano che era tardi, ma dovevano assolutamente incontrarsi con un loro contatto, che era un esperto e avrebbe potuto aiutarli a chiarire la cosa. Solo così avrebbero potuto mettersi il cuore in pace. Un poco riluttante, Anne li aveva dunque congedati, e quella fu l'ultima volte che li vide; febbrili, eccitati, ormai distanti. A nulla erano serviti gli interrogatori e le indagini della polizia, e neppure la perquisizione dello studio. Pure il detective Casey, che era un vecchio amico degli O'Watty, nonché il più giovane capo del dipartimento che la polizia di Amberweed avesse mai avuto e l'esperto di rapimenti e sparizioni, non era riuscito a cavarne un ragno dal buco. I due uomini erano semplicemente scomparsi.    

Piano piano Anne riuscì a farsi cullare dal temporale e a tranquillizzarsi. Vero, suo marito l'aveva lasciata di punto in bianco con due figli piccoli e una bambina ai primi passi. Vero, l'aveva piantata in asso per seguire chissà quale folle chimera, incoraggiato da quel sognatore incallito di suo fratello. Altrettanto vero, aveva tagliato tutti i ponti e non aveva notizia alcuna da sei anni. Tuttavia, ora era giunto il momento delle risposte. Non avrebbe permesso a tutta la rabbia e il disappunto che covava da sei anni di impedirle di conoscere la verità. Per dipiù, i suoi figli avevano bisogno di vedere il padre, soprattutto Jane, che l'aveva a malapena conosciuto. 

Fu così che, mentre si assopiva e coltivava subconsciamente il desiderio di vendicarsi per gli anni di abbandono, Anne decise che l'indomani avrebbe chiamato Michael, il ragazzo che alle volte l'aiutava dietro il bar, e gli avrebbe affidato la locanda per la giornata; avrebbe cucinato una colazione da leccarsi i baffi per il signor Catpythe e l'avrebbe accompagnato dal meccanico; poi avrebbe caricato in macchina il figlio Sean, la piccola Jane e la figlia maggiore Sarah, e li avrebbe portati tutti e tre al "Jolly Lantern" di Amberweed, per vedere cosa diavolo potesse dir loro James per giustificare sei anni di assenza. Sì, non era male come programma, pensò Anne, che, ormai incurante dei tuoni e del picchiettare costante della pioggia sulla finestra, si era già abbandonata agli scarsi conforti di un sonno leggero e turbato.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3229121