Akai

di Promisen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il grande giorno ***
Capitolo 2: *** Acciaio rosso ***
Capitolo 3: *** Partenza dolorosa ***
Capitolo 4: *** Un incontro spiacevole ***
Capitolo 5: *** Libellule ***
Capitolo 6: *** Fuoco che tempra ***
Capitolo 7: *** Ribelli ***
Capitolo 8: *** Akyrien. Berserker. ***
Capitolo 9: *** Sangue che lega ***
Capitolo 10: *** Lì. In un cimitero di neve. ***
Capitolo 11: *** Pericoloso, oltraggioso, stupido ***
Capitolo 12: *** Una promessa disperata ***
Capitolo 13: *** Per andare avanti non devo dimenticare il passato. ***



Capitolo 1
*** Il grande giorno ***


Il sonno del bambino venne dolcemente scosso dalla luce che filtrava silenziosamente dalle finestre.
Una voce calda e familiare, poi, lo acquietò, nonostante la luce che avanzava sulle sue palpebre.
“Martha si è di nuovo dimenticata di chiudere le finestre,” sospirò il proprietario della voce, chiudendo le tende e voltandosi lentamente verso il letto nel quale riposava il suo fratellino.
Camminò verso il suo giaciglio, sedendosi affianco al bambino e scostandogli gentilmente i capelli bianchi sulla sua fronte scura. Quei capelli sembravano quasi brillare, nonostante l'oscurità che ora invadeva pigramente la stanza. Osservarlo così sereno e tranquillo, dava un senso di pace enorme nel cuore del ragazzo.
“Guarda che so che sei sveglio, fratellino, è inutile che fingi di dormire,” disse scompigliando i capelli al bambino e sorridendo felice. Un sorriso mai stato così difficile da mantenere.
“Oggi è il grande giorno, sei pronto?” aggiunse con voce più seria e malinconica.
Ci fu silenzio per una decina di secondi. Chiunque avrebbe detto che il ragazzino stesse dormendo, se non fosse che il suo fratellone, Gerwyn, sapeva bene quanto fosse leggero il suo sonno.

“Non voglio andarmene”

Questa frase, pronunciata con voce puerile e sommessa stracciò il silenzio, così come la serenità illusoria che stava provando Gerwyn guardando riposare il fratellino.
Sapeva quanto dolore stesse provando nell'arrivo del “grande giorno” e condivideva appieno quella sensazione.
Avevano coniato insieme il termine “Gran giorno”, per far sì che sembrasse qualcosa di entusiasmante, ma non lo era mai sembrato. Mai.
E ora che era arrivato, si rendeva contro che non lo sarebbe neanche mai stato.
Si sarebbero dovuti trasferire, avrebbero dovuto abbandonare la tranquilla cittadina di Grondern per andare a vivere in una città più grande, insieme a tantissime altre persone che condividevano il loro stesso colore di pelle, di capelli e con cui condivideranno persino lo stesso piccolo spazio vitale.
Gerwyn non avrebbe mai potuto mentire al suo fratellino, sopratutto su qualcosa di così ovvio. Aveva semplicemente omesso qualche piccola verità, ma non gli aveva raccontato assolutamente una bugia.
Non gli avrebbe mai potuto raccontare di come la nazione di Dimian aveva dichiarato guerra a quella di Arrotern, la loro terra natale, e che entrambe le nazioni pretendevano la scomparsa totale delle razze impure come: Elfi scuri, mezzelfi, mezzorchi, umani neri, nani sbarbati e qualsiasi altra variazione razziale che non fosse quella conforme a tutti gli standard morali di forza e purezza umana e non.
L'unico modo di salvarsi per gli Impuri, così venivano chiamati, era quello di unirsi alle armate di terra del Nord Gerinder, fronte di guerra di importanza minima dove le battaglie combattute avevano importanza minima così come minima era l'importanza degli esiti.
In pratica l'unico modo di sfuggire alla morte, per gli Impuri, era quello di andare a morire a Nord Gerinder. Non a caso venne presto paragonato ad un enorme cimitero dimenticato da tutto e tutti.
L'esercito Dimiano si era avvicinato pericolosamente a Grondern, costringendo il governo Arroterniano a rifornire la città di numerose truppe.
E l'arrivo della milizia vuol dire solo una cosa per gli Impuri: morte.
La meta di Gerwyn e suo fratello quindi non era una grande città, bensì un grande rifugio di ribelli per ospitare gli Impuri. Certo non era sicuro e sarebbero potuti morire di fame, freddo o stesso in viaggio, ma avessero dovuto rischiare la vita lo avrebbero fatto nel tentativo di salvarsi.
A lungo andare gli Impuri si sono aggrappati sempre di più alla vita, arrivando a compiere atti di vigliaccheria e disumanità peggiori persino di quelli Arroterniani pur di salvarsi la pelle. Ma Gerwyn non voleva essere vigliacco, voleva soltanto salvare suo fratello, ancora all'oscuro di tutto questo. E per farlo avrebbe rischiato il tutto per tutto.
Sospirò dopo il lungo silenzio che si era creato dalla frase del ragazzino, e continuò ad accarezzargli i soffici capelli argentei.
“Neanche io vorrei, ma stai crescendo, e in quanto “adulto” dovrai fare le tue prime esperienze: il combattimento, lo studio e-”
“Non voglio crescere!” urlò il bambino, girandosi prono sul letto. “Perché devo essere l'unico che cresce e abbandona tutti? Non voglio andarmene dai miei amici, non voglio andare via da Martha, né da Grotterhn!”
Gerwyn abbassò lo sguardo, non riuscendo a nascondere un sorrisetto triste ma leggermente divertito.
“Ancora non hai imparato che si dice Grondern, e non Grotterhn,” disse il ragazzo, incrociando per la prima volta lo sguardo furtivo del bambino, che aveva ora tutti i capelli scompigliati davanti al volto.
“Ascolta,” continuò Gerwyn stendendosi affianco al suo fratellino. “ti prometto che ritorneremo, e quando lo faremo, tu sarai in grado di battere Leonhard al gioco di spade!”
“...davvero?”
Gerwyn annui felice, mostrando il pugno chiuso al fratello:”E' una promessa, Akai.”

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Capitolo 2
*** Acciaio rosso ***


I due fratelli rimasero a letto a chiacchierare ancora un po'. In realtà quello che parlava era Akai. Raccontava di tutto e di più al suo fratellone, che mai si annoiava ad ascoltare quei discorsi pur se da bambini. Il viso di Akai era talmente concentrato e serio mentre raccontava di come aveva vinto alla sfida del “chi ha l'unghia dell'alluce più grosso”, che Gerwyn non poteva fare a meno di ridacchiarsela ogni tanto.
“Ecco perché ultimamente bucavi sempre tutti quei calzini, piccola peste,” lo ammonì Gerwyn con faccia improvvisamente seria.
“e poi ho anche vin-aahem..ecco..i-io,” balbettò imbarazzato Akai, ricevendo subito dopo l'ennesima scompigliata di capelli dalla manona del fratello. Quest'ultimo sorrise con sincera felicità e venne ricambiato da Akai, che si allarmò per una frazione di secondo.
“Martha ci sta chiamando,” disse Gerwyn poggiando piano la mano sul letto “ora di alzarsi.”

Martha era un'umana. Non condivideva lo stesso colore di pelle di Gerwyn e di Akai, ma condivideva lo stesso colore di capelli, avendo raggiunto ormai un'età avanzata.
Si era sempre presa cura di quei due, sin dalla notte in cui il piccolo elfo scuro di nome Gerwyn si era presentato alla sua porta, con un altro piccolo elfo oscuro in fasce e ancora senza nome, stretto tra le braccia. Gerwyn non ricordava nulla di quella notte, né del suo passato, e ancora oggi non ha la benché minima idea di chi fosse prima di entrare in quella casa. Ma Martha sì, lei ancora conservava i ricordi e le prove delle loro identità: Un pugnale fatto di un metallo interamente rosso che Gerwyn portava con sé quella famosa notte. Quel tipo di metallo era risaputo essere prodotto dalla gilda Akyrien, una gilda di assassini, e usato solo dai loro membri. Il rosso era diventato il loro simbolo ormai e quel nome incuteva timore a tutto il continente di Ardisia. Eppure, a quei tempi, della gilda Akyrien non si sentiva già più parlare da tempo. L'ultima notizia al riguardo fu che il re di Arrotern, Varkyr, aveva imposto una taglia considerevole sulla testa di ogni singolo membro.
Eppure Martha si ritrovò a casa due piccoli elfi oscuri che portavano con sé un pugnale rosso. Non fu spaventata, ma impietosita dalla loro situazione. Tra l'altro ormai la gilda Akyrien era estinta e per questo Martha non ebbe problemi ad ospitare gli elfi scuri e crescerli come se fossero suoi figli. Avrebbe nascosto loro la verità, non avevano bisogno di scoprire quel lato della loro vita, perché presumibilmente gli avrebbe provocato solo pensieri e dolori inutili, aveva sempre pensato così, fino a quel giorno.

“Eccoci Martha,” disse Gerwyn scendendo le scale, seguito dal piccolo Akai.
“Finalmente! Ci avete messo un'eternità a scendere,” disse la donna,“volete che rimetta il latte a scaldare?”
“Scusaci il ritardo, stavo raccontando a Gerwyn della storia dell'unghia dell'alluce!”
“Alluce?”
“Lascia stare,” disse Gerwyn, sedendosi a tavola e sorridendo,”sarebbe capace di raccontarla a chiunque.”
Quest'affermazione fece imbronciare Akai, nonostante non se la fosse realmente presa, e fece ridere di cuore Martha.
“Voi due non cambierete mai,” disse la donna, poggiando sul tavolo un piatto colmo di deliziosi biscotti fatti in casa.
“Wah! Sembrano deliziosi!” urlò Akai e si lanciò a mangiarli, senza porsi neanche il pensiero di apparire decente.
Martha guardava Gerwyn con sguardo preoccupato, e quest'ultimo se ne accorse. L'elfo oscuro chiuse gli occhi e annuì. Aveva già capito da quell'espressione che Martha aveva bisogno di parlargli.

Consumarono la loro colazione come ogni giorno. Akai uscì fuori a giocare come ogni giorno, e come ogni giorno il sole batteva sui tetti e sulle strade con prepotenza, illuso che questo potesse turbare i tranquilli cittadini di Grondern.
Gerwyn e Martha si trovavano nella stanza da letto della donna. Lei seduta sulla poltrona e lui sul letto, con lo sguardo distratto verso la finestra.
“Oggi è il grande giorno,” ripeté tristemente il ragazzo, abbassando poi lo sguardo e permettendosi finalmente di liberare tutta la tristezza che aveva trattenuto con Akai. Qualche lacrima calda gli rigò le guance, ma il ragazzo non si scompose, doveva essere forte.
Martha strinse le mani sulle proprie gambe, tenendo stretta tra le dita la stoffa della lunga gonna verde.
Parlò lentamente:“Vorrei che tu mi ascoltassi senza interrompermi, perché quel che ho da dirti è difficile. Gerwyn e speravo di non dovertelo mai dire. Ma non trovo giusto e anzi, trovo pericoloso che tu ora debba andartene senza sapere questa verità.” La donna si alzò lentamente e si avvicinò al guardaroba, aprendolo e scavando nei vecchi abiti del vecchio marito, defunto prima che arrivassero i due elfi.
“Ti ricordi quella notte in cui tu arrivasti qui a casa mia, con Akai tra le braccia e le lacrime agli occhi? Vi ho accuditi e cresciuti come se foste stati miei figli. Ma vi ho mentito...”
Le orecchie di Gerwyn si drizzarono leggermente a quella parola, iniziò a guardarla con stupore, sentendosi il petto stringere in una morsa ansiosa.
La donna tirò fuori un pugnale dentro ad una fodera, e nell'animo di Gerwyn balenarono le idee più folli e una grossa paura. Non sapendo ancora cosa significasse quel “tradimento”.
Martha non osò estrarre il pugnale. Non perché aveva intuito la paura di Gerwyn, ma perché se lo avesse fatto si sarebbe sentita in qualche modo colpevole di un crimine che neanche lei riusciva a comprendere.
“Avevi con te questo pugnale quel giorno,” disse posandolo dolcemente e con lentezza nelle mani dell'elfo.
“Il suo acciaio è rosso,” continuò la donna, mentre l'elfo estraeva curiosamente l'arma.
“Le uniche armi di colore rosso sono state usate da una gilda di assassini estinta da tempo, Akyrien,” concluse la donna.
Inizialmente schiuse di nuovo le labbra, come per voler dire altro, ma soffocò subito la frase e restò in silenzio.
Quel silenzio venne interrotto prima di diventare troppo spiacevole.
“Ti ringrazio di aver sopportato questo peso per me, Martha,” disse Gerwyn, abbracciandola improvvisamente e restando in silenzio. “Ora non dovrai più preoccuparti per noi, te lo prometto.”
“Stupido,” rispose la donna, con già la voce smorzata da un pianto silenzioso. “Io sono vostra madre, non smetterò mai di stare in pensiero.”

Dopo quell'abbraccio i due si sedettero sul letto, uno di fianco all'altro, e parlarono dei ricordi più vaghi. Consapevoli che quella sarebbe stata molto probabilmente l'ultima volta che si sarebbero visti.
Ogni uccello prima o poi doveva lasciare il nido. Loro lo stavano facendo, ed era questo pensiero che provava continuamente a consolare Martha. Anche se era difficile non pensare a tutte le conseguenze che questa guerra avrebbe portato.

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Capitolo 3
*** Partenza dolorosa ***


La giornata passò, lentamente per un ansioso Gerwyn e velocemente per uno spensierato Akai, il sole tramontò inesorabilmente e l'ora del "prelievo" era ormai vicina. I sostenitori degli Impuri, ancora anonimi, avrebbero dovuti prenderli e scortarli fino al rifugio più vicino. La notizia passò con facilità enorme ad Arrotern, da un Impuro all'altro, mutando leggermente di paese e paese come una leggenda.
Gerwyn lo venne a sapere dall'unico elfo oscuro del paese che conosceva, Terien, figlio adottato di una famiglia di contadini, proprio come Gerwyn e Akai. Terien gli disse che in tutta Arrotern erano disseminati dei soldati che sostenevano gli Impuri, e lui lo era venuto a sapere da uno di loro, di cui poco sapeva e poco ricordava.
Terien era felice e quasi spensierato per quelle notizie. Gerwyn lo considerava un ingenuo, quella situazione non lo aveva mai rassicurato per nulla. Se era vero che queste voci giravano per tutta la nazione, allora chiunque poteva venirne a conoscenza, sopratutto il re Varkyr. Poco sarebbe bastato da parte sua per disseminare false informazioni e condurre masse di Impuri dritti al massacro.
Ma che alternative avevano? Nascondersi ancora? Gli Impuri si nascondevano per tutta la vita, e chi li voleva morti questo lo aveva imparato bene, rendendo la loro stessa esistenza un inferno, e la loro nascita una maledizione. Il continente di Ardisia li voleva morti e questa guerra sarebbe stata lo “strumento purificatrice” per l'intento. Questo almeno era il motivo “romantico” Anti-Impurista.

Ed eccoli lì: i due elfi scuri si allontanavano nella notte a passi veloci e incerti dal loro nido familiare che li aveva cresciuti e protetti fino a quel giorno. Gli occhi ancora umidi di lacrime del grande, e il pianto puerile del piccolo che non aveva mai distolto gli occhi dalla casa che stavano lasciando. Gerwyn quasi lo invidiava: a lui era permesso soffrire apertamente, mentre Gerwyn e Martha non potevano farlo, dovevano dimostrarsi forti e decisi, non si sarebbero voltati indietro altrimenti quella forza precaria sarebbe crollata rovinosamente, e non potevano permetterselo.
Tuttavia Gerwyn continuava a versare lacrime calde che gli rigavano lentamente il viso, corrucciato in una smorfia di dolore nel vano tentativo di trattenerle. Il braccio saldo sul polso del ragazzino, per continuare a trascinarlo con sé, e gli occhi lacrimanti fissati in direzione del pozzo lontano: è lì che si sarebbe riunito con Terien.

I due arrivarono a destinazione quasi nello stesso momento di Terien.
“Eccoti,” disse l'elfo oscuro, triste ma decisamente messo meglio di Gerwyn.
“Sì...” rispose Gerwyn laconico, con voce rauca.
Terien piegò leggermente la testa, osservando Akai che piangeva ancora senza controllo contro la gamba del fratello.
“Starà bene?” chiese.
Gerwyn non rispose, si limitò a guardare Akai con tristezza e scuotere lentamente la testa verso Terien. Quest'ultimo sospirò lentamente e guardò la caserma abbandonata in lontananza.
“E' lì che dobbiamo incontrare quelli che ci dovranno scortare, sei pronto?”
Gerwyn annui lentamente e prese ancora Akai per il polso, stavolta fu leggermente più facile farlo muovere.
I tre si muovevano lentamente nell'oscurità, sapevano di essere molto in anticipo, ma in quella situazione non potevano permettersi di non esserlo. Cercavano di essere silenziosi, ma il rumore del loro equipaggiamento echeggiava nel silenzio. Non che avessero poi molto se non viveri e medicinali. Gerwyn però aveva il pugnale rosso con sé, e questo lo preoccupava. Avere un'arma non lo rassicurava, sopratutto con una storia simile dietro. Il ragazzo era cresciuto come contadino, non come guerriero, e un'arma era più motivo di preoccupazione che di sicurezza per lui. Ancora una volta invidiava chi gli stava intorno, sembrava fossero più rilassati di lui, Akai aveva persino smesso di piangere e stava osservando il cielo stellato, come rapito da quell'immagine su cui lui non avrebbe mai pensato di concentrarsi. In fondo il ragazzino non era mai uscito di notte, quindi la sua sorpresa era ben comprensibile. La notte a Grondern non era sicura.

I tre arrivarono finalmente alla caserma abbandonata, luogo d'incontro per il famoso prelievo.
I due ragazzi si guardarono negli occhi e Terien aprì la porta, mentre Gerwyn teneva Akai nascosto dietro di sé. Il rumore della porta vecchia e scricchiolante squarciò il silenzio, facendo salire un senso d'ansia enorme ai tre. Una volta aperta rimasero quasi un minuto fermi per sicurezza prima di fare il primo passo incerto dentro. Entrò prima Terien, seguito dagli altri due e iniziarono a camminare in fondo al lungo corridoio. Se le notizie girate erano vere, tutte le porte sarebbero dovute essere sigillate eccetto una: quella sarebbe stata la stanza d'incontro. Così i ragazzi spinsero ogni porta fin quando Gerwyn non riuscì ad aprire una. Il suo petto si riempì di entusiasmo ed eccitazione, spazzando via tutte le preoccupazioni per un secondo.
“Terien, Terien!” lo chiamò sussurrando. Il ragazzo accorse velocemente, con un sorriso lieto sul viso e aprì la porta.
Quando la porta rivelò quello che si trovava dietro, tutti e tre fecero un grosso sospiro di sollievo.
La notizia si preannunciava essere davvero sicura, in quella stanza illuminata si trovavano altri Impuri.

Un mezzorco anziano e due elfe scure balzarono al sentire la porta aprirsi, l'unica bambina presente invece aveva ancora gli occhi entusiasti per l'arrivo di nuove persone che sarebbero andate con lei al “parco giochi”, così erano riuscite a convincerla le due elfe scure.
“Oh per grazia divina siete degli elfi scuri,” disse la prima donna, sospirando e portandosi una mano al petto.
“Grazia divina? Un corno! Io penso che gli unici che verranno qui saranno Impuri, aspetteremo all'infinito!” sbraitò il vecchio mezzorco, visibilmente stizzito e con un accento di triste disillusione nello sguardo.
“Mi dispiace,” disse sincero Gerwyn, lasciando la mano di Akai e scostandosi lo zaino pesante dalle spalle, per raggrupparlo insieme a tutti quelli del gruppo.
Akai andò a sedersi vicino alla piccola elfa oscura, che prontamente iniziò a tempestarlo di domande al quale lui rispose volentieri e divertito.
Terien invece fu abbastanza disturbato dal comportamento del mezzorco, ma non lo diede a vedere e si sedette accanto ad Akai, formando una netta divisione tra quelli che erano lì da tempo e i “nuovi arrivati”.
“Lasciamo perdere,” risposte il mezzorco a Gerwyn, rompendo il breve silenzio con una forte tosse rauca.
“E' malato,” aggiunse con compassione e dolcezza una delle due elfe oscure, guardando Gerwyn, cercando di fargli comprendere la situazione dell'anziano.
“Non voglio carità!” riuscì a dire il vecchio, tra un colpo di tosse e l'altra.
Gerwyn guardò lentamente tutti, sentendosi stringere il petto e pensando a Martha quando parlava di come il suo amato marito fosse morto di febbre alta e tosse forte. Lo avreste amato, era scorbutico ma in cuor suo era dolce come un bambino, diceva sempre, e Gerwyn col tempo si era fatto una chiara idea di che tipo di uomo fosse stato, e di quanto amore avesse dato a Martha.
Gerwyn incrociò lo sguardo con quello di Terien, come a cercare una conferma silenziosa, ma l'altro era ancora disturbato dal carattere del vecchio e non aveva compreso la silenziosa richiesta di Gerwyn, così il ragazzo decise da solo il da farsi. Aprì il proprio zaino e prese una delle poche sacche di medicine che aveva, sospirò maledicendosi internamente per quanto si stesse comportando ingenuamente e poi camminò verso l'anziano mezzorco, offrendogli la sacca di pillole.
“Se non ci sosteniamo a vicenda, chi lo farà?” giustificò la sua azione allo sguardo di tutti.
L'anziano, con un sorriso estraneo persino alle elfe oscure che stavano con lui da prima, allungò la mano verso la sacca, con gli occhi pieni di gratitudine e ammirazione.
Fu in quel momento che la porta della stanza venne aperta bruscamente e rumorosamente con un calcio, facendo balzare tutti e facendo finire a terra la sacca, che si aprì e sparse le pillole ovunque.
“Mezzosangue di merda! Siete qui?!” urlò una voce nuova, che riempi di brividi la schiena di tutti.
 

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Capitolo 4
*** Un incontro spiacevole ***


La vecchia porta non era nelle sue condizioni migliori e bastò un singolo calcio a romperla e far volare pericolosamente le schegge di legno verso i presenti, che provarono ad indietreggiare nonostante si trovassero già con le spalle al muro.
“Allora quella voce che abbiamo sentito non era falsa!” esordì il giovane umano appena entrato, poggiandosi un forcone arrugginito sulle spalle, probabilmente preso per strada. Aveva gli occhi vibranti di eccitazione, gli si potevano leggere le intenzioni da una sola occhiata.
Dalla porta uscirono altri due umani, uno biondo che sembrava avere la stessa età del primo giovane, e un uomo che poteva essere addirittura loro padre per quanti anni mostrava.
“Guarda quanta feccia in un posto solo, Eran,” disse l'uomo, impugnando un coltello da cucina mentre il biondino si apprestava a frugare senza esitazioni tra gli zaini accumulati.
“Che cosa significa tutto questo?!” urlò il vecchio mezzorco, visibilmente spaventato ma non così tanto da restare immobile come stavano facendo tutti gli altri in quel momento.
“Oh, adesso parlate anche?” disse Eran, spostandosi la forca dalle spalle e impugnandola con due mani.
Il mezzorco strinse i denti, borbottando parole incomprensibili tra i denti.
“Ah? Hai detto qualcosa, mezzosangue di merda?!” urlò il ragazzino esaltato, puntando senza esitazione la forca verso la gola del mezzorco, che rimase pietrificato dalla paura.
La situazione si fermò, nessuno degli Impuri osava fare una mossa. A malapena respiravano.
I tre umani invece sembravano quasi a loro agio: Eran, quello col forcone, aveva un sorriso soddisfatto sul volto mentre affondava leggermente le punte del forcone nella gola verdastra del vecchio, come a fargli capire che non aveva paura di uccidere. Forse lo aveva anche già fatto. L'uomo restava fermo con le spalle al muro, le braccia conserte e la presa stretta sul manico del coltello; e infine il biondo continua a frugare tranquillamente tra gli zaini, ridacchiando tra sé e sé quando probabilmente trovava qualcosa che gli andava a genio.
I secondi scorrevano inesorabilmente lenti, fin quando la voce del ragazzo ruppe quel silenzio immortale.
“Ehi, qui dentro c'è un cazzo di coltello!”
“Uno di questi stronzi è armato?!” urlò Eran, distogliendo lo sguardo dal suo ostaggio e dando a quest'ultimo l'occasione di rispondere. Il mezzorco scattò in piedi, spalancò la sua mandibola, e la richiuse sulla spalla morbida del ragazzo, penetrandogli la carne con forza disumana degna solo di un orco, cosa che l'anziano era solo a metà.
“AAAAAH!” l'urlo spaventato del ragazzo risuonò in tutto l'edificio, trascinando la situazione in un vero inferno.
Successe tutto in fretta: L'uomo corse con il coltello spianato verso l'orco, ma venne fermato da Terien che gli si lanciò addosso; il biondo fece per estrarre il pugnale di Gerwyn ma venne interrotto tempestivamente da quest'ultimo, che gli bloccò il polso contro il muro, facendo volare via il pugnale.
“Lasciami andare, schifoso elfo!” urlò il giovane, visibilmente spaventato dall'aspetto “mostruoso” dell'elfo scuro.
Gerwyn resse il gioco e lo guardò negli occhi, con tutto l'odio che provava per quel tipo di gente.
“Hai paura di me, umano?” sussurrò con divertimento e finto sadismo. Basto questo al biondino per scappare via in preda al panico. Forse era nuovo in quel gruppo, o forse era spaventato da tutt'altra scena. Quando si voltò, Gerwyn comprese da cosa era stato spaventato realmente il biondo.

Il mezzorco era riuscito a prevalere sul ragazzino, arrivando a trafiggergli l'intero corpo con il forcone, lasciandolo inchiodato a terra. Avevano tutti gli occhi spalancati, e Gerwyn non riusciva a capire come quel vecchio potesse lasciare un ragazzo a morire così.
Nonostante tutto era pur sempre una vita.
“C-come-”
La frase di Gerwyn venne interrotta da un evento ancora peggiore: l'uomo riuscì a liberarsi da Terien, e si precipitò con un urlò sul mezzorco, riuscendo ad accoltellarlo alla schiena e a farlo cadere. Lì fu la fine per il vecchio, che venne accoltellato ripetutamente senza pietà dal quel folle.
Perché. Perché non riesco a muovermi? Perché sta succedendo questo? Io...io. Gerwyn era solo un ragazzo, un contadino. Non pensava si sarebbe mai trovato in una situazione simile, e la paura e lo shock del momento gli avevano paralizzato totalmente il corpo. Era impotente.
“Gerwyn, dio mio, fermalo!” urlò Terien, saltando sull'elfo e riuscendo a disarmarlo, ma non a prevalere su di lui. Tempo pochi secondi e l'uomo stava attentando anche alla vita di Terien.
Le mani che premevano con forza sulla gola dell'elfo scuro, le ginocchia che posavano senza pietà sulla pancia del giovane che perdeva forza dopo ogni secondo. Fu solo quando Terien perse i sensi, vicino alla morte, che Gerwyn riprese il controllo del proprio corpo, e disarcionò l'uomo con un calcio in piena guancia.
L'uomo sembrava aver capito lo stato precedente di Gerwyn, infatti fu fin troppo sorpreso quando ricevette quel calcio. Notò un rigolino di sangue sul labbro e guardò in cagnesco l'elfo che era in piedi davanti a lui. “Una feccia come te che mi fa sanguinare,” disse rialzandosi e fissando gli occhi in quelli del giovane. “Te la farò pagare, maledetto bastardo!” l'uomo esplose in uno scatto, sorprendendo Gerwyn e sbattendolo contro al muro. Il giovane era già spaventato e respirava a fatica, non avrebbe mai potuto reggere un confronto simile.
Provò a colpire le braccia dell'uomo, non riuscendo a scostarle e sentendo la grave presa che gli si attanagliava in gola e iniziava a togliergli il fiato.
“Muori figlio di puttana, prega il tuo dio, qualunque esso sia, perché tra poco raggiungerai quel mezzorco merdoso!” urlava l'uomo, in una risata folle ed esaltata, mentre alternava forti ginocchiate nello stomaco dell'elfo per stroncare qualsiasi suo tentativo di liberarsi.
E' la fine. E' finita così, senza neanche iniziare. Mi dispiace Martha, io...non sono stato capace di...proteggere nessuno.
Mentre sentiva i sensi abbandonarlo velocemente, Gerwyn sentì la presa sulla gola allentarsi, fino a sparire, e il ragazzo aprì gli occhi stanchi più che poté, per poter guardare il suo assalitore.
Perché ha smesso? Sono forse già morto?
Gli occhi dell'uomo erano sorpresi e velocemente si spensero, fin quando non cadde a terra rovinosamente, senza vita, e si scoprì cosa gli fosse successo.
Dalla bassa schiena dell'uomo spuntava l'impugnatura e parte del metallo rosso, appartenente al pugnale di Gerwyn. Dietro al corpo dell'uomo si trovava Akai, con le mani e il viso sporco di sangue, le lacrime agli occhi e ancora le mani tremanti.
“Io...l'ho ucciso?” sussultò il bambino, guardando poi suo fratello che perdeva irrimediabilmente i sensi e urlò il suo nome, provando ad aiutarlo, ma tutto quello che venne dopo per Gerwyn fu il buio più assoluto, perché perse del tutto i sensi.

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Capitolo 5
*** Libellule ***


Quando Gerwym riaprì gli occhi, lo scenario era completamente cambiato.
Si aspettava di trovarsi ancora in quella logora baracca, o al massimo nell'ospedale locale – sempre se tale poteva essere chiamato quell'edificio penoso- e invece si ritrovò in un luogo totalmente nuovo e sconosciuto.
Era ancora notte, lo si capiva dalle calde e flebili luci delle numerose candele che illuminavano la stanza. Sembrano tante libellule, fu la prima cosa che pensò l'elfo scuro man mano che riprendeva coscienza.
“Sembrano tante libellule, vero?” disse una voce, che scosse l'elfo come se si fosse sentito spogliato del proprio pensiero.
Voltò lo sguardo in direzione della voce e vide una donna. La prima cosa che pensò Gerwyn fu che era davvero molto bella, e che i suoi occhi azzurri e la sua pelle color latte era deliziosa a contrasto con i suoi capelli neri. Notò che da quella chioma riccia fuoriuscivano delle orecchie a punta, quindi capì subito che si trattava di un'elfa chiara, una purosangue. Era la prima volta che ne vedeva una, e rimase talmente colpito da quella visione che non disse nulla, se non qualche boccheggio incomprensibile.
“Come facevo a sapere quello che pensavi? Perché sono davvero delle libellule,” continuò la donna, con voce calma e calda, seguita da piccolo sorrisino. “Lo dicono tutti quelli che entrano qui. Dopo un po' preferisco anticipare io questa frase, così mi diverto a guardare i vostri volti sorpresi,” ridacchiò ancora, puntandolo piano con lo sguardo,” e tu dovresti proprio vedere la tua faccia adesso, Gerwyn.”
Il giovane elfo scuro quasi si rizzò dal letto nel quale era steso.
“Come fai a sapere il mio nome?!” squittì imbarazzato, sentendosi ancora più nudo e violato di prima.
“Be', questo è piuttosto semplice, me l'ha detto-”
“FRATELLONE!” urlò improvvisamente una voce puerile e familiare. “Fratellone, fratellone!” Da dietro una porta di legno entrò Akai, veloce e rumoroso come un tuono, che non diede neanche il tempo di far realizzare qualcosa a Gerwyn, buttandosi subito al suo collo, col rischio di affogarlo.
L'elfa chiara ridacchiò a questa scena, scostò le gambe che priva aveva accavallate e si alzò con femminilità.
“Vi lascio un po' da soli, riposate mi raccomando, domani avremo del lavoro da fare.” disse la donna, dando le spalle ai due e dirigendosi alla porta con lentezza.
“Ehi, aspetta un attimo, chi-”
La donna zittì Gerwyn con un gesto della mano. “A domani le chiacchiere. Riposate adesso,” rispose sorridendo con le labbra e con quegli occhi chiari e sensuali, che quasi brillavano alla lieve oscurità che c'era tra una candela e l'altra.

Akai subito si rivolse a Gerwyn, tirandogli la maglia preoccupato.
“Fratellone stai bene vero? Hai dei bruttissimi segni al collo, quel signore ti ha fatto male?”
Ed era vero, quell'uomo aveva lasciato delle ecchimosi molto scure ed evidenti sul collo di Gerwyn quando aveva provato a strangolarlo.
Il ragazzo si passò piano un dito su quelle ecchimosi scure e sospirò grato che tutto quello fu finito.
“Sto bene Akai, grazie,” disse con un filo di voce, abbassando poi lo sguardo, ricordandosi dell'azione che il suo fratellino aveva dovuto compiere per salvarlo. Aveva ucciso un uomo.
“Tu...come stai?”
“Io sto bene! Mammirel mi ha detto che sono stato un eroe e ho salvato tutti!”
Mammiriel? Probabilmente è il nome di quella donna pensò il ragazzo, provando a farsi vedere per una volta forte e deciso nella risposta.
“Lo sei stato davvero, ci hai salvati tutti piccolino,” gli disse con un sorriso, scompigliandogli i capelli con la mano sinistra.
Il ragazzino sorrise sereno e si accoccolò al fratello, addormentandosi poco dopo.
Per Gerwyn fu un po' più difficile farlo, pensava a tutto quello che era successo, e non poteva fare a meno di sentirsi in colpa per il suo fratellino: aveva dovuto uccidere un uomo.
Non sarebbe stato difficile perdonarsi per aver fatto sporcare di sangue mani così innocenti.
Gerwyn promise a se stesso di allenarsi duramente appena avrebbero raggiunto un rifugio sicuro e stabile, così che queste cose non si sarebbero mai più ripetute.
Non dovrai più preoccuparti, Akai, sarò in grado di proteggerti la prossima volta, pensava, accarezzando con dolcezza infinita i capelli bianchi del piccolo elfo, e non riuscendo a staccare la mente da tutti i terribili avvenimenti recenti.
Ben presto, però, la stanchezza attanagliò anche Gerwyn, che si addormentò lasciando per qualche ora tutti questi pensieri da parte.
“ A domani le chiacchiere”
 

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Capitolo 6
*** Fuoco che tempra ***


La notte passò serena e silenziosa, permettendo ai due elfi di riprendersi almeno un minimo da quel che avevano passato.
Il giorno dopo l'elfa chiara andò a svegliarli presto, sempre con il suo fare materno.
“Svegliatevi dormiglioni, oggi ha inizio la nostra nuova vita,” disse con il suo solito sorriso, spalancando con un gesto veloce le finestre, dal quale sembrò entrare di getto tutta la luce del mondo. Erano immersi nella natura: la luce del sole era delicata, perché mitigata dalle fronde degli alberi, mossi a loro volta delicatamente dal vento caldo, che trasportava con sé profumi leggiadri, suoni deliziosi, sensazioni davvero uniche. Era difficile trovare un panorama così semplice eppure così suggestivo, nonostante ad Ardisia si vivesse molto a stretto contatto con la natura.
Questo splendido paesaggio fece aprire lentamente gli occhi a Gerwyn, che con un filo di voce rauca e scazzata disse: “Vuoi chiudere questa cazzo di finestra?!”
L'elfa lo guardò sorpresa, e richiuse le finestre ridendo. “Ce ne sarà di lavoro da fare con te, ragazzo,” disse, sedendosi tranquillamente, pur senza permesso, sul letto dove stavano riposando Gerwyn e Akai.
L'elfo la guardò, aprendo soltanto un occhio, perché l'altro era troppo stanco per aprirsi come il primo. “Lavoro? Di che tipo di lavoro si tratta...”, il ragazzo avrebbe voluto dire il nome dell'elfa, ma non lo conosceva. Si sentì un po' in colpa per il tono di prima, quindi si sedette, aprì entrambi gli occhi e si schiarì la voce.
“Scusami per prima, la mattina non sono sempre di buon umore...”
“Scusa di cosa?”
“Ehm, prim-oh, vabbé, lascia stare..!”
La donna lo guardò curiosa, vedendo quanto potesse essere goffo e insicuro il comportamento di quel ragazzo. Sembrava non essere capace di parlare senza sentirsi a disagio.
“Piuttosto,” disse il ragazzo, guardandola in viso – ma non negli occhi, non riusciva a mantenere lo sguardo fisso su di lei senza sentirsi a disagio- “qual è il tuo nome?”
L'elfa, al contrario, non aveva il minimo problema a guardare Gerwyn negli occhi, per lei era una cosa normalissima e comune. “Mi chiamo Nariemel,” disse sorridendogli ancora una volta.
Il sorriso di Nariemel venne ricambiato da Gerwyn, ma divenne ben presto una risatina che la donna non comprese. “Perché ridi? Il mio nome ti fa ridere così tanto?” chiese confusa.
A quella domanda Gerwyn arrossì di imbarazzo:”Oh nono! Non è assolutamente per questo!” Disse enfatizzando la frase gesticolando nervosamente. Si calmò un secondo e sorrise, guardando Akai che ancora dormiva come un sasso nonostante tutti i rumori che lo circondavano.
“E' che lui ti ha chiamato Mammiriel e questa cosa mi ha sempre fatto ridere, lui modifica sempre i nomi per ricordarseli meglio.”
“Oh ora capisco,” disse lei sorpresa e ridacchiando anche lei. “Effettivamente è divertente così!” Disse coprendosi la bocca e ridendo di gusto, cosa che fece anche Gerwyn.
Per un attimo si sentirono davvero senza pensieri.
Quando smisero, la donna riaprì un altro discorso che spazzò via tutta la serenità del giovane.
“Cosa ci faceva un coltello dalla lama rossa nel tuo zaino?” chiese diretta l'elfa.
Gerwyn sussultò, esitò e balbettò cercando di costruire una frase compiuta.
Allora sapeva di averlo con sé, pensava Nariemel, che fino a quel momento dubitava che Gerwyn fosse stato imbrogliato da qualcuno. Possibile che un civile così indifeso faccia parte degli Akyrien?
“Io l'ho portato per difesa,” riuscì finalmente a dire Gerwyn, “e come vedi alla fine è servito. Se non fosse stato per quello saremmo morti.” Stava convincendo se stesso di non averle mentito. In fondo le aveva detto la pura verità: quel pugnale aveva salvato la vita a lui e ad Akai. E non sapeva neanche se quella donna fosse a conoscenza dell'esistenza di una gilda di assassini che usava solo lame rosse. Sarebbe stato molto più saggio non mettere carne a cuocere.
Quel tipo di coltello, tuttavia, non si trovava in vendita negli empori delle città, ma veniva fabbricato in quelli che una volta erano i rifugi degli Akyrien. Nariemel ne sapeva più di lui. Eppure quel ragazzo non faceva neanche un po' di paura. Quali problemi potrà portarmi un ragazzetto e un bambino? Pensò Nariemel e sorrise, alzandosi lentamente. “Preparatevi voi due, dobbiamo dirigerci a...”
Improvvisamente la porta si aprì con forza ed entrò un ragazzo ansimante. “Nariemel, Nariemel! Il rifugio è sotto attacco. Gli orchi...gli orchi sono impazziti!”
“Cosa?” ripeté Nariemel, prendendo velocemente le sue cose e dirigendosi fuori.
“Cambio di programma, Gerwyn, restate qui e sbarratevi dentro!” urlò la donna, già alla soglia della porta. Gerwyn volle ribattere. Voleva essere utile e ricambiare i favori che Nariemel gli aveva offerto fino a quel momento, ma si rivelò una proposta inutile. Gli orchi avevano già circondato la locanda nel quale si trovavano. “Dannati traditori!” Ringhiò Nariemel, guardando delle figure che si muovevano velocemente fuori la finestra.
“T-traditori? Cosa sta succedendo?” balbettò Gerwyn. Nariemel fece per dirgli qualcos'altro, ma il divampare inaspettato del fuoco la fermò.
“Ci stanno mandando a fuoco!” urlò il ragazzetto che avvisò Nariemel all'inizio e insieme a quell'urlo si alzarono quelli di tutte le altre persone all'interno della locanda.
“Merda merda merda!” Urlò il ragazzetto, e saltò letteralmente dalla finestra.“Georghen aspetta!” Neanche il tempo di dirlo che si udirono colpi di lame e le sue urla di dolore.
Nella stanza ci fu il silenzio più assoluto per qualche secondo. Si sentivano soltanto le lame divampare e le basse risate soddisfatte degli assassini all'esterno. Gerwyn sbarrò gli occhi e corse verso il suo zaino, prendendo il coltello e sguainando la lama. “Io ti aiuto, non resterò fermo con le mani in mano!” Nariemel lo guardò per qualche secondo poi abbassò lo sguardo, annuendo.
“Non abbiamo altre soluzioni. Sveglia il ragazzino e fallo restare sempre dietro di te. Non separarti da lui per nessuna ragione al mondo.”
Gerwyn annuì e svegliò Akai, che ancora intontito capì soltanto che doveva restare stretto dietro il suo fratellone.
I tre uscirono dalla stanza e videro che il fuoco era stato appiccato da più direzioni e che inaspettatamente erano entrati alcuni “traditori” nell'edificio in fiamme. La loro eccessiva aggressività era qualcosa che Gerwyn non aveva mai visto.
“Fottuti cani...” ghignò Nariemel estraendo la spada, riconobbe alcuni di loro, e sapeva bene quanto non fossero brillanti in combattimento e questo in un certo senso la tranquillizzava.
“Siete venuti qui a morire pur di non lasciare nessuno in vita?! Mossa sbagliata!” Urlò, accogliendo il primo nemico con una falciata dritta nel collo. Questo colpo così preciso ed esperto fece vacillare i tre che si trovavano dietro, che capirono ben presto che quello sarebbe stato il loro ultimo errore.
Il primo venne trafitto al cuore da tutta la spada, il secondo venne colpito tra gli occhi da un coltello che Nariemel estrasse con una giravolta, e il terzo venne abbattuto con un calcio, ritrovandosi a terra, vicino ad una fiamma viva dell'incendio. Nariemel si avvicinò a lui e lo finì spezzandogli il collo. Quando si girò verso Gerwyn, spalancò gli occhi e urlò.
Una lama trafisse Gerwyn dalla schiena, trapassandogli il petto e facendo schizzare un mare di sangue. Akai era caduto di lato, spinto da una forza enormemente maggiore di lui, e Gerwyn ebbe appena la forza di realizzarlo. Le forze lo abbandonarono presto. Tutto si deformò intorno a lui e la luce venne sostituita dall'oscurità più totale. Sentì ancora qualche suono. L'urlo disperato di Akai; quello iroso di Nariemel; voci e sospiri, ansimi e parole che persero velocemente senso. Tutti i suoni si soffocarono e velocemente tutto tacque.
 

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Capitolo 7
*** Ribelli ***


Gerwyn era steso sul fianco. Circondato dal proprio sangue e dal fuoco. La lama che lo aveva trafitto era ancora ben piantata al centro del suo petto. Non dava i minimi segni di vita, ma Akai non demordeva e continuava a scuoterlo e chiamarlo come se fosse caduto in un lungo sonno.
"Fratellone! F-fratellone! Ti prego alzati! Dobbiamo andarcene...dobbiamo..."
"Ragazzino," disse Nariemel con freddezza, dopo aver ucciso l'ultimo degli orchi che era entrato nell'edificio in fiamme. Si fermò e lo guardò Akai negli occhi. Provando ad essere più dolce possibile. "Akai. Dobbiamo portarlo fuori, presto questo posto crollerà. Dammi una mano e guardiamoci attorno." Il ragazzino la guardò ed esitò un po', ma poi venne convinto quando Nariemel si piegò verso di lui e lo guardò negli occhi.
"Mi aiuterai?" E Akai annuì, asciugandosi con la manica le lacrime che gli avevano rigato le guance.
I due scortarono fuori dalla taverna il corpo di Gerwyn, radunato insieme ai sopravissuti dell' incendio e alle vittime che riuscirono a portare fuori con la speranza che fossero ancora vivi..
Nariemel guardò gli uomini e le donne che erano sopravissuti. Avevano il viso nero di cenere e gli occhi stanchi e persi per la paura. La donna diede la sua spada a quello che sembrava l'uomo più forte e coraggioso in quel gruppo. "Affido a te il bene di questo gruppo, difendili come fossero la tua famiglia," disse la donna guardandolo negli occhi. L'uomo si sentiva perso e molto probabilmente non sarebbe stato in grado di portare a termine quell'incarico. Ma quale altra scelta aveva? Lei sapeva bene il concetto del "poche vite vanno sprecate per il bene superiore". Adesso aveva qualcun altro da difendere. Un bene superiore.
Sapeva che se fosse rimasta altro tempo lì sarebbe stato troppo tardi, quindi corse via senza guardarsi alle spalle, diretta verso la grotta che stavano usando come riparo. Ora sicuramente pululava di ribelli.
Era l'unica zona del rifugio dove non avevano appiccato il fuoco, voleva dire nella grotta c'erano fin troppi orchi. Neanche un'elfa addestrata come lei avrebbe potuto farcela in contro quei numeri.
Domen ti prego sii vivo, ti prego difendili, pensava mentre entrava nella caverna scura. Sapeva che sarebbe stato un suicidio. Ma doveva proteggerli, doveva proteggere i loro figli ad ogni costo.
Corse nell'oscurità, armata soltanto dei suoi pugnali. Le torce che ornavano i muri erano state distrutte e sui muri c'erano segni di sangue e lame. L'elfa scavalcava decine e decine di cadaveri, non riuscendo minimamente a riconoscere se fossero innocenti o ribelli. Lei correva perché da questo dipendeva la vita della sua famiglia.
E alla fine arrivò al centro del rifugio, di fronte alle immense tavole da pranzo che erano state spostate per far spazio a quello che pareva l'ultimo gruppo di sopravissuti. Erano tutti radunati in ginocchio, con le mani dietro la testa, mentre attorno a loro guardavano e urlavano euforici un gruppo enorme di orchi. Ne erano circa una trentina e uno si differenziava dagli altri perché aveva indossato un panno nero, improvvisato come cappuccio del boia. Si stavano divertendo da matti a dettar leggere, glielo si poteva leggere nell'espressione dei loro volti.
Nariemel era come immobilizzata davanti a quella scena. Riuscì a riconoscere i volti dei suoi compagni di battaglia, di alcune ragazze con cui aveva parlato e in quel gruppo c'era persino Domen, l'uomo che amministrava il rifugio prima della ribellione degli orchi.
Prendere il controllo di un gruppo oltre un paio di centinaia di persone era un compito a dir poco titanico per una sola persona. Sarebbe stato facile farsi prendere dal potere e governare piuttosto che amministrare. Eppure lui c'era riuscito sempre in modo eccellente e impeccabile. Certo questo non andava bene a tutti, ma compito di Domen era anche quello di fermare gli atti di egoismo di alcuni gruppi di persone. Primi fra tutti gli orchi, a cui non era mai andato bene che un essere umano, la stessa razza che perseguitava gli Impuri, dovesse "governare" un rifugio per Impuri. Gli orchi sono bellicosi, e sia Domen che Nariemel si sarebbero aspettati una specie di ribellione. Ma mai a quei livelli. Avevano ucciso senza ritegno, stavano uccidendo senza emozioni se non pura euforia. Erano innebriati del sangue che in quel momento sporcava i loro visi, e Domen ammise dentro di sé il proprio errore. Non si aspettava una reazione tanto forte da loro.
Nariemel non era una persona impulsiva e anche se tutto questo la stava colpendo nel profondo dei sentimenti, riuscì a tenere la calma e ad agire in modo logico.
Non vide i suoi figli nel gruppetto che stava per essere giustiziato; questo non la sollevò, ma aumentò soltanto i suoi dubbi. Pensava che i suoi figli potrebbero essere tra quel mare di cadaveri che aveva superato per arrivare fin lì. Ma quel pensiero doveva essere scacciato. Ora doveva salvare quelle persone. Doveva salvarne quanto più poteva.
"Bene bene, Domen. A quanto pare il tuo filosofare del cazzo non è servito a nulla. Come vedi, hai governato una vera merda e QUESTO" urlò l'orco incappucciato, indicandosi attorno mentre girava lentamente su se stesso. "Tutto questo ne è la prova," disse facendo un sorriso compiaciuto talmente evidente che glielo si leggeva chiaramente negli occhi, anche se il suo viso era coperto.
"Voi...la pagherete, per tutto questo...voi...cough!" ringhiò l'umano mentre sputava sangue e con ancora la fronte a terra. Era quello che avevano malmenato di più. Quello che volevano che restasse in vita per ultimo ma con ferite peggiori di quelli che erano morti e per questo gli orchi controllavano con estrema precisione ogni colpo.
"Risparmia il fiato, stronzetto, hai ancora tanto da vedere," continuò l'incappucciato e prese per i capelli una donna, per poi tagliarle di netto la gola. La donna cercò di urlare, ma tutto quello che uscì fu un urlo smorzato e gutturale, mentre la sua gola si riempiva di sangue. Domen urlò con tutto se stesso. Mentre i suoi occhi perdevano pian piano colore. Quella era l'ennesima persona che era stata uccisa senza nessun vero motivo. Solo per far soffrire. Sentiva di esser stato privato di tutto e ogni vita che veniva tolta aggiungeva più sofferenza a quel martirio enorme. Urlava di venir ucciso lui, se questo avesse potuto fermare quel massacro. Ma gli orchi non volevano questo. Volevano farlo soffrire, volevano essere visti come dei di fronte a chi, secondo loro, aveva vaneggiato di essere dio per fin troppo tempo. Tutto questo solo per mera vendetta.
Nariemel non riuscì a guarda la scena. Quella crudeltà colpì anche lei. Davvero gli basta sentirsi comandati per diventare così? Si domandava cercando ovunque qualcosa che potesse aiutarli, qualsiasi cosa. Ma lei era impotente davanti a tutto quello. Avrebbe potuto solo suicidarsi per poter dare a loro la minima occasione per poter reagire. Questa è l'unica cosa che posso fare, si disse tra sé e sé mentre estraeva lentamente il pugnale.
"...e sentiamo, come la pagherò mai? Verrà qualche punizione dal cielo che mi..GAHH!" La frase dell'orco incappucciato venne interrotta da un suono metallico seguito da uno gutturale. Quando Domen alzò lo sguardo vide Nariemel sul corpo inerme dell'incappucciato. Gli aveva conficcato il pugnale così a fondo nella testa che non riusciva più ad estrarlo. "Merda!" Disse lei, avvicinandosi a Domen.
"Nariemel?! Cosa ci fai qui?! Perché sei tornata?!"
"Non ti far strane idee, idiota, sono qui per i miei figli."
"Loro non sono qui, loro sono scappati," disse a bassa voce, stringendole un pezzo di stoffa del suo pantalone di pelle. Nariemel si sentì enormemente sollevata di questa notizia. In quel momento però fu un po' meno contenta della decisione che aveva preso di entrare direttamente nella battaglia contro trenta orchi. Chiuse gli occhi e fece un sorriso amaro. "Almeno morirò lottando".
Prese la lama dell'orco appena ucciso e la puntò contro tutti gli altri, ancora sorpresi ed esitanti.
"Venite a prenderle, sporchi bastardi!"

 

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Capitolo 8
*** Akyrien. Berserker. ***


Gli orchi ringhiarono e sussultarono nuovamente davanti a quella donna così folle e arrogante.
Pensavano tutti che avesse appena firmato la sua condanna a morte, e lo stesso pensava anche lei.
La situazione infervò gli orchi che tutti insieme caricarono sulla donna, urlando all'unisono, rabiosi.
Nariemel riuscì a bloccare il primo colpo diretto verso di lei e a schivare alcuni, ma era inevitabile che quanti più colpi parasse, più gli orchi riuscivano a circondarla e a capire i suoi punti ciechi, quelli dove avrebbe inevitabilmente ricevuto ogni colpo. Uno ad uno Nariemel assorbì i colpi degli orchi. Le braccia, le gambe, il viso, il collo; il suo corpo si riempì di tagli e i suoi vestiti con esso.
Non ce l'avrebbe fatta. Lo sapeva. Eppure non mollava. Non avrebbe mollato fin quando avesse avuto la forza di salvare anche solo un secondo a tutta quella gente che dietro le sue spalle era enormemente indecisa se fuggire o meno. Molti lo fecero, fuggirono in preda al panico e ben consci di essere impotenti di fronte a quella situazione. Nariemel non ce l'aveva con loro. Voleva scappassero, altrimento il suo sacrificio sarebbe stato vano. Anche se in realtà, nella sua mente, era delusa. Non aveva mai pensato che sarebbe morta in questo modo. Certo non si aspettava una morte gloriosa, ma morire per mano di una ribellione inutile fatta da persone piene di ego, quello non era certo la morte onorevole.
Ma quel mondo non era buono e Nariemiel stava per provarlo sulla sua pelle. Dopo innumerevoli colpi venne spinta a terra, perdendo tutte le sue difese in un secondo. E in un secondo iniziò a cadere verso di lei il colpo che le sarebbe stato fatale: la lama di un orco era diretta al suo cuore.
L'elfa tuttavia spalancò gli occhi quando sentì un rumore di carne lacerata che fermò di netto la lama fatale.
"Io...non permetterò che un'altra vita vada consumata..."
Era la voce di Domen. Nariemiel si rigirò verso di lui, che aveva proteso il braccio, facendosi penetrare la mano e fermando la lama a discapito della sua stessa mano.
"Domen! C-cosa?!" Urlò Narimiel. In quell'attimo i due vennero circondati dagli orchi.
Chiusero gli occhi, incapaci anche solo di muoversi, e accettarono il loro destino. Da quella grotta non sarebbero usciti mai più.

"Gerwyn. Gerwyn svegliati, dobbiamo andare. Gerwyn!"
Gerwyn aprì gli occhi lentamente e si guardò intorno.
Era come in un sogno, no, probabilmente era proprio un sogno. Aveva l'età di Akai e, nel sogno, era tranquillamente normale quindi non si sorprese. Si trovava in una stanza abbastanza lurida e accanto a lui dormiva un esserino in fasce, adagiato in una culla improvvisata.
Ben presto Gerwyn si rese conto di non esser lui a parlare, ma le parole gli uscivano dalla bocca come se una forza più grande di lui lo costringesse a parlare, con naturalezza. Più che viverlo il sogno, Gerwyn vi stava assistendo, come in una visione.
"Papà? Che succede?" Chiese il ragazzino, assonnato, mentre si guardaca attorno e capiva di essere nel bel mezzo della notte. Un orario per lui mai raggiunto a quell'età.
Il volto del padre era preoccupato. Il Gerwyn adultò riuscì a riconoscere quello sguardo. Era l'espressione di un uomo che sapeva di starsi avvicinando alla morte. Ma per il Gerwyn della visione, quello sguardo era indecifrabile.
"Gerwyn, papà deve farti vedere una cosa, perché sei diventato un vero uomo e non un bambino."
Gli occhi del piccolino si illuminarono. Diventare adulto era sempre stato il suo sogno e ora finalmente si era avvicinato, e il padre voleva probabilmente dargli un regalo per essere diventato adulto. L'uomo si alzò e Gerwyn lo seguì entusiasta di ricevere il suo regalo.
Camminarono nel proprio rifugio come dei ladri, perché il padre non voleva farsi scoprire da nessuno. Arrivarono in una stanza dove Gerwyn poté vedere tutte le armi stipate: pugnali, spade, asce, archi, martelli. Si distinguevano in due colori principali: rosse e grigie. Gerwyn fece per toccarne qualcuna ma il padre lo ammonì e gli disse di seguirlo. Entrarono in un'altra porta dove si trovava una fontana asciutta ma che dentro era sporca di quel che il piccolino pensava fosse acqua rossa.
"Cosa ci facciamo qui papà?"
"Ogni adulto deve avere la sua arma," disse l'uomo, prendendo un coltello infoderato e dandolo in mano al piccolo, che lentamente lo estrasse, osservandolo affascinato.
"Noi Akyrien adulti abbiamo qualcosa che tutte le altre persone non hanno. Noi abbiamo un legame unico con le nostre armi," continuava l'uomo, cercando in tutti i modi di lasciare qualcosa che potesse rimanere impresso al figlio, senza essere troppo esplicito. Lo avrebbe capito in seguito.
"Loro sono quelle che ci creano e quelle che ci distruggono. Ci danno un immenso potere, ma noi dobbiamo saperlo accogliere. Ecco, dammi la mano." L'uomo prese la manina del piccolo e la bloccò sopra la fontana, per poi fargli un taglio piuttosto profondo alla mano con il coltello.
"Papà mi fai male!" urlò il bambino, dimenandosi, ma l'uomo completò il suo intento e un'enorme quantità di sangue colò nella fontana. Il ragazzino iniziò a piangere e l'uomo, quasi incurante di questo, gli prese l'altra mano e gli ridiede il pugnale. Tra le lacrime e i singhiozzi, Gerwyn poté vedere che il pugnale si tingeva lentamente di rosso, come se avesse assorbito il sangue che ci era finito sopra. "Ecco Gerwyn, ora questo pugnale e tuo. Nascondilo e portalo sempre così, non perderlo mai, non importa cos-". Il discorso iniziò a frammentarsi così come tutto il sogno. Venivano ripetute soltanto due parole che ora echeggiavano nella mente di Gerwyn, tra le immagini frammentate del sogno. Akyrien. Berserker. Akyrien. Berserker. Akyrien. Berserker
Altre immagini si costruivano nella mente di Gerwyn, ora molto veloce e vaghe. Immagini di battaglie, immagini di occhi rossi, di scie, di fiumi di sangue. Le immagini del padre che veniva trafitto da uno spadone, lo stesso padre che si rialzava e continuava a combattere. Poi tutto venne come tinto di sangue. Persino l'assenza di immagini nella mente di Gerwyn non era più nera, ma bensì rossa.
Spalancò gli occhi ed Akai, che prima era seduto affianco a lui, fece un grosso salto.
"F-fratellone?!" urlò, euforico, per poi venir tirato all'indietro dall'uomo che era stato armato da Nariemel. "Ehi, elfo, che ti prende? S-stai bene?" Disse l'uomo, spaventato dalla luce rossa che emanavano gli occhi dell'elfo. Non erano semplicemente diventati rossi, ma erano come fuoco ed ogni minimo movimento lasciava una leggera scia nell'aria. Questo spaventò enormemente tutti i presenti. "A-allontanati, per favore, a-altrimenti sarò costretto ad usarla!" Balbettò l'uomo, tenendo stretto Akai senza neanche accorgersene. Pensava di proteggerlo, ma Akai voleva solo poter riabbracciare il fratello.
Gerwyn invece si sentiva confuso. Sentiva come se fosse nuovamente nel sogno, non in pieno possesso del suo corpo. O meglio, sentiva di essere in possesso di un corpo che non era il suo. Riusciva a sentire chiaramente suoni che sembravano lontanissimi. Riusciva a sentire i battiti del cuore accelerati delle persone davanti a lui, e riusciva a captare la voce di Nariemel non poco lontano da lì. Era in pericolo. Perché questi uomini non erano con lei ad aiutarla?
Gerwyn li guardò in cagnesco, assottigliando gli occhi, che sparavano fiamme rosse come se dentro le sue iridi fosse divampato un incendio. Si avvicinò verso Akai e gli porse la mano. L'uomo mollò la presa su Akai, indietreggiando e cadendo sui propri piedi. "L-lascia stare il bambino!" Urlava in preda al panico. "Akai, dammi il pugnale," disse Gerwyn, con una voce che echeggiava nell'aria e che sembrava essere il risultato di più toni di voci insieme. Akai poteva vedere che gli occhi del fratello non era l'unica cosa ad essere cambiata. Aveva degli strani segni rossi sul volto, come delle radici che partivano dalle orecchie e finivano sugli occhi. I suoi capelli sembravano quasi di roccia ed era seriamente preoccupato per i suoi occhi così luminosi. Ma Akai non disobbediva mai al fratello. Velocemente prese il pugnale rosso e lo poggiò sulla mano del fratellone. Il pugnale si illuminò di un rosso più vivo, raggiungendo in un attimo la stessa tonalità degli occhi di Gerwyn e lasciando qualche scia quando il ragazzo lo mosse. "Resta qui," disse l'elfo scuro, poi sparì letteralmente.

Gli orchi avevano quasi ucciso Nariemel e Domen, ormai bastava soltanto il colpo finale per porre fine alle loro vite. Avevano dimostrato di avere la pelle dura fin troppo a lungo. Ma prima ancora di alzare la spada, gli orchi si ritrovarono un nuovo nemico inaspettato. Un elfo. Era in piedi davanti a tutti loro, in direzione opposta all'elfa e all'umano che stavano per essere giustiziati.
"Oh guarda, un altro eroe," urlò un orco, correndo verso l'elfo e trafiggendolo interamente con la sua lama enorme. Gerwyn sbarrò gli occhi che iniziarono subito a spegnersi, come se la fiamma fosse stata domata.
"Tch! Almeno quell'elfa ci ha provat-". L'orco sbarrò gli occhi, trovandosi la gola recisa da un pugnale che lasciò una scia rossa luminosa lungo la sua traiettoria. Gerwyn sorrise in modo perverso ed estrasse la lama dal proprio torace, buttandola a terra e lanciandosi contro tutti gli orchi.
Si sentirono rumori orrendi, suoni che Nariemel non aveva mai udito tutti insieme in nessuna battaglia a cui aveva partecipato. Gli orchi caddero uno ad uno sotto i colpi violenti del pugnale di quell'elfo. Fossero state altre persone sarebbero scappate, ma gli orchi, quegli orchi in particolare, erano guidati dall'orgoglio e dalla rabbia più cieca e non avrebbero indietreggiato, neanche dopo aver riconosciuto che quell'elfo era un vero e proprio mostro.
Ad ogni uccisione, l'elfo diventava sempre più cosciente del proprio potere, e lo usava al massimo che poteva, raggiungendo velocità disumane nell'esecuzione degli orchi. Il suo braccio sembrava scomparire nel nulla quando attaccava, e le uniche prove che restavano dei suoi attacchi erano i cadaveri e le scie rosse nell'aria, che sparivano dopo qualche secondo.
Ormai era rimasto in vita un solo orco, che indietreggio fino a puntare la lama al collo di Nariemel, sperando che questo potesse funzionare. "F-fai un altro passo e giuro che l'ammazzo!" Urlava l'orco in preda al terrore più cieco mentre spingeva la lama sul collo dell'elfa impotente. Gerwyn si fermò, con un sorriso dipinto sul volto. Il suo corpo aveva più acciaio che organi. Era trafitto da innumerevoli spade e il sangue sgorgava ovunque, misto a quello delle sue vittime. "Ti prendo a parola," disse, facendo rabbrividire tutti i presenti con quella voce disumana e quasi infernale.
Gerwyn non fece un altro passo ma balzò. Lo fece tanto in fretta che l'orco si ritrovò il braccio mozzato prima ancora che il cervello potesse dare l'ordine di uccidere Nariemel.
Urlò di dolore e sorpresa, cadendo a terra e strisciando all'indietro come un verme. "T-ti prego, non uccidermi, ti prego...io...io!"
Gerwyn si sedette su di lui e si portò un dito alla bocca. "Shhhhh. Ora va', e quando sei all'inferno di' al diavolo che è stato un Akyrien a mandarti," disse con voce sadica e divertita. L'orco urlò in preda al terrore più totale, mentre la sua vita veniva strappata via dalla lama rossa dell'elfo.

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Capitolo 9
*** Sangue che lega ***


Anche l'ultimo urlo orchesco si spense, trascinato via dalla scia rossa del nuovo Gerwyn.
Ma quello era davvero Gerwyn? Si chiedeva Nariemel, non potento far nulla se non guardarlo. Non poteva muoversi per via delle ferite, ma non era quello a fermarla. Si poteva fidare di quell'essere adesso che aveva rivelato la sua vera indole? Conosceva chiaramente la risposta che avrebbe dato chiunque non l'avesse conosciuto in precedenza. Ma lei lo aveva conosciuto, gli aveva parlato, ci aveva riso insieme. Negli occhi di quell'elfo aveva letto sentimenti puri e semplici, e ora, in quel che sembrava uno stato demoniaco, le aveva salvato la vita. Come poteva non fidarsi di lui?
Gerwym ora si alzava e si dirigeva a passi lunghi e decisi verso i due, sfilandosi velocemente le lame che aveva infilzate ovunque nel corpo. Domen alzò la spada, tenendola con la mano sana, ma pur sempre tremante per via dell'enorme dolore fisico.
"Stai indietro, mostro!" Urlò senza paura, nonostante sapesse bene di non avere la benché minima possibilità di reggere un confronto con lui. Ma non sarebbero morti così, Domen non lo avrebbe permesso. Quello che fece Gerwyn sorprese Domen, ma non Nariemel. L'elfo oscuro, ancora nel suo aspetto spaventoso, si accovacciò e porse loro la mano.
"Sarebbe piuttosto stupido salvare qualcuno per poi ucciderlo, non trovate?" Disse con la sua voce inquetante e multieco. Domen restò a guardarlo senza parole e senza sapere neanche cosa pensare. Nariemel invece gli prese la mano e venne alzata e appoggiata alla spalla dell'elfo.
"Va tutto bene, Domen, è dalla nostra parte, tanto ci basta. Abbiamo visto fin troppi nemici per ora."
L'uomo e l'elfa si guardarono per qualche secondo, poi il primo chiuse gli occhi e annui, prendendo la mano di Gerwyn e appoggiandosi alla sua spalla.
I tre uscirono lentamente dalla caverna, e Akai urlò di contentezza quando vide Gerwyn e Nariemel uscire vivi da quella grotta che ormai sembrava l'inferno agli occhi del ragazzino.
"FRATELLONE! MAMMIRIEL!" E corse verso le tre figure, lanciandosi con il viso sul ventre del fratello, incurante di tutte le sue ferite e soprattutto del suo aspetto. Nariemel e Domen vennero assistiti dal gruppetto rimasto di sopravvissuti, mentre Gerwyn stringeva a sè il piccolo Akai, contento che fosse vivo dopo un pericolo così grande.
"Fratellone! Ho avuto tanta paura che tu mi lasciassi solo, io...io..."
"Shhh, va tutto bene adesso, Akai. Non me ne sarei potuto andare e permettere a quei signori cattivi di farti del male." Ora la voce di Gerwyn era normale mentre stringeva ad occhi chiusi il fratello.
Akai piangeva disperato ma felice; felice che il fratello e Mammiriel fossero vivi, felice che fossero tornati e tutto quel rumore di spade fosse terminato, e che quelle urla terribili fossero cessate. Si era come appena svegliato da un incubo orribile. Intanto, tra il gruppo di sopravissuti si erano riuniti anche i figli di Nariemel, che l'accolsero circondandola e stringendola, tra pianti e urla di gioia. Nariemel si sedette e accolse tutti e cinque. Erano di razze diverse e nessuno di loro assomigliava per niente a Nariemel, eppure lei li trattava come fossero parte di lei. Avrebbe pianto con loro se ci fosse riuscita, ma si limitò a ridere di felicità perché poteva ancora vederli tutti insieme e in salute.
Domen venne accolto dai sopravissuti, che lo guardavano come fosse un eroe, ruolo che lui non voleva assolutamente. Troppe persone erano morte per le inimicizie che Domen pensava di aver creato; ma le altre persone credevano che fosse inevitabile e che lui avesse fatto il meglio che poteva permettersi quello che all'inizio era solo un gruppetto di rifugiati.
Quella giornata dopodiché passò silenziosa. Le persone tornarono nella grotta e raggrupparono i cadaveri "malvagi" e quelli innocenti in due gruppi diversi e coprirono ogni loro volto con grandi lenzuoli bianchi, per poi caricarli in due carri diversi. Alcuni volontari presero i cavalli e portarono i corpi in un luogo lontano per cremarli in modo onorevole: non potevano permettersi di appiccare altro fuoco di fronte al rifugio, le truppe imperiali li avrebbero scoperti.
Intanto Domen, Nariemel e Gerwyn non poterono far nulla, nonostante volessero, perché erano bloccati nell'ospedale da campo per via delle ferite riportare durante la battaglia. Akai non era con loro, Gerwyn aveva insistito che una donna lo portasse con sè a riassettare qualche stanza o fare qualsiasi cosa che non avesse a che fare con guerra, sangue e morte.
Si ritrovarono tutti e tre di fronte a guardare il soffitto o il vuoto, immersi nei loro pensieri e nei ricordi di quella battaglia.
Gerwyn non aveva ancora detto una parola riguardo la sua presunta morte e resurrezione. Non sapeva che pensare e persino dopo aver vissuto quel flashback, la sua mente era ancora piena di mille interrogativi. Fu Nariemel comunque ad aprire il discorso, perché dovevano affrontarlo e la donna sapeva che quel potere era qualcosa di troppo grande per essere ignorato. Dovevano trarne vantaggio o altrimenti avrebbero ignorato un'arma davvero straordinaria. La sua mente era concentrata su una sola domanda, che lei ancora non voleva porre a Gerwyn.
Quel potere che ha dimostrato di avere...con quello, potremmo mai vincere questa guerra?
"Gerwyn. Dobbiamo parlare di-"
"Quel che è successo, lo so," disse il ragazzo consapevole, con un tono che tuttavia sembrava tranquillo o rassegnato, Nariemel ancora non riusciva a capirlo per bene.
"Sì. Quel che hai fatto, quel che sei diventato oggi...", Gerwyn ascoltava in silenzio con lo sguardo un po' basso,"...ci ha salvato la vita." L'elfo aprì un po' gli occhi. Nariemel se ne accorse, si aspettava una critica? Come mai posso criticare chi mi ha salvato la vita? Idiota. Pensava lei con un po' di sollievo nel vederlo almeno un po' rincuorato.
"Voglio insegnarti a domarlo."
"Cosa?"
"Sì, ne avrai bisogno e sopratutto...ne avremo bisogno. E' un'abilità enorme e se vuoi proteggere tuo fratello dovrai saperla controllare."
Intanto Domen osservava i due e ascoltava silenziosamente. Non sapeva cosa pensare, però quel ragazzo sembrava la purezza in persona. Non aveva visto persone simili da fin troppi anni. Eppure a quel pensiero si sostituiva subito l'immagine di quel demone dagli occhi di fuoco che sgozzava un esercito di orchi. Quel ragazzo, chi diavolo è?
Gerwyn restò in silenzio, pensoso con lo sguardo nel vuoto.
"Tra l'altro penso anche un'altra cosa," disse la donna, senza guardare nessuno dei due. "Sei praticamente immortale fino ad adesso, e non sappiamo cosa possa ucciderti. Questo significa che gli Akyrien potrebbero non essere estinti." Gli altri due spalancarono gli occhi a questa affermazione. "Cosa diavolo blateri, Nariemel? Le loro morti sono state confermate, tra l'altro che vantaggio ne ricaverebbero dal restare nascosti tutto questo tempo?" Disse Domen, cercando di farla ragionare, ma la sensazione della donna era troppo forte per ignorarla.
"Avresti detto lo stesso anche di quest'elfo se avessi visto cosa gli ha trafitto il petto. E hai anche visto quante lame aveva nel corpo durante la battaglia. Queste informazioni per me non sono più affidabili," disse la donna, lasciando Domen ai suoi pensieri silenziosi. L'elfa tornò a guardare Gerwyn. "Tutto questo che cosa significa?" Chiese l'elfo, realmente preoccupato. Lui non era un guerriero, non si era mai ritenuto tale. Eppure, il modo in cui si sentiva durante quella battaglia, era qualcosa di enormemente familiare.
"Significa che da oggi in poi ti allenerai con me per diventare un vero guerriero."
"E cosa ne sarà di Akai?"
"Be' Akai in tutto questo tempo vivrà la sua vita qui. Ripopoleremo tutto e gli daremo l'infanzia che si merita."
"L'infanzia?! Quanto tempo pensi che rimarremo qui dentro?"
"Oh Gerwyn, più di quanto pensi. C'è una guerra lì fuori ed è proprio contro di voi. Ti sto offrendo riparo ed addestramento, e tu in cambio mi aiuterai a trovare un clan che potrebbe aiutarci in questa guerra."
Domen intervenne sorpreso:"Vuoi chiedere aiuto ad una gilda di assassini?!"
"Hai visto il suo potere, Domen? E se li avessero tutti gli Akyrien? Loro erano elfi oscuri, questa è la loro guerra, ed io sono con tutte le persone che quei bastardi chiamano "Impuri"!"
Domen si zittì ed annui, ma poi schiuse nuovamente le labbra:"Se questo potere fosse degli Akyrien, vuol dire che anche il ragazzino..."
"Sì, potrebbe essere..."
"Invece vi dico di no," disse Gerwyn, facendo alzare gli sguardi dei due su di lui.
"Io," riprese, parlando lentamente. "Io penso di aver avuto una visione prima di trasformarmi. Forse era un sogno, forse un ricordo, non saprei. Ma in quella visione ho visto me ed Akai, molto più piccoli. E c'era un elfo oscuro che io chiamavo padre, anche se ora non ricordo nulla di lui. Be', lui mi sottopose in una specie di rito di iniziazione, che fece diventare rosso un pugnale che prima era normale. Quel pugnale si bagnò del mio sangue e credo che sia lo stesso pugnale che ho con me."
Gli altri lo ascoltarono e a stento riuscivano a credere ad una storia simile.
"Quindi mi stai dicendo che gli Akyrien acquisiscono i loro poteri tramite una cerimonia, e che vengono in qualche modo legati ai loro pugnali?" Chiese Domen.
"Sì, credo sia così. Non mi è troppo chiaro, ma è come se lo sapessi da sempre."
"E cosa succede se uno lo perde?" continuò l'uomo.
"Non possiamo perderli."
"Cosa? E perché?"
"Perché è come un'estensione del nostro corpo, riusciamo a sentirli. Infatti il mio pugnale in questo momento si trova insieme a tutte le armi raggruppate nel rifugio. Riesco a sentirlo."
Gli altri due rimasero in silenzio per qualche secondo, poi si guardarono ed annuirono.
"Gerwyn," disse Nariemel,"puoi captare gli altri pugnali? Abbiamo bisogno di trovare gli Akyrien. Il loro aiuto potrebbe essere vitale."
"Non so se posso captare i pugnali altrui, ma potremmo provarci. Solo che io non so cosa fare."
"Lo sappiamo noi, ora tu pensa a riposare, vedremo come programmarci in questi mesi," disse la donna, provando ad alzarsi e gemendo dal dolore.
"Nariemel dobbiamo riposare anche noi. Nelle nostri condizioni abbiamo bisogno di essere in salute," disse Domen, rimproverandola con comprensione.Nariemel restò in silenzio e poi annuì. Così i tre si riposarono e guarirono, i mesi passarono e Domen e Nariemel iniziarono ad allenare Gerwyn alla guerra e Akai nell'autodifesa. I progressi riguardo il potere di Gerwyn erano impossibili da allenare, in quanto l'elfo non riuscì più a richiamare i poteri Akyrien. C'era il sentore di qualcosa di molto più grande di loro dietro a quel pugnale e il loro obiettivo per prepararsi per scoprirne il più possibile nel minor tempo disponibile. Per questo numerose spie vennero mandate nel continente da Domen e Nariemel, che presero entrambi il comando del rifugio. Molte spie non tornavano indietro per via della guerra, altre tornavano a mani vuote, altre ancora con informazioni inutili. I due sapevano che prima o poi avrebbero trovato qualcosa, era solo questione di tempo.

 

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Capitolo 10
*** Lì. In un cimitero di neve. ***


La guerra è come un fuoco, i protagonisti scintille e il tempo è il combustibile. Continuano a minacciarsi a vicenda, fin quando le scintille non incontrano il combustibile, e nasce l'incendio.
Era questo termine che caratterizzava principalmente quella guerra. Erano passati circa tre mesi da quando il conflitto era ufficialmente iniziato, e il conteggio di morti era già diventanto impossibile tra militari, civili e impuri.
Molte città erano andate perdute e molte altre ancora riconquistate. Arrotern e Dimian facevano a gara a chi riusciva a privare l'altro di più elementi possibili. E si contendevano bene il compito.
Era una guerra di risorse e i due re sembravano essere molto capaci in guerra, tanto da preannunciare questo conflitto come spaventosamente lungo. Questo fece ricredere la nazione di Ardisia: la guerra non era iniziata per un'incomprensione, né per un sentimento passeggero e violento, no: quel fuoco era voluto e programmato da molto prima che nascesse. Era un incendio doloso, voluto per chissà quale motivo, per brama di chissà quale potere.
E così il fuoco del conflitto investiva tutto: città, campagne, boschi, persino luoghi antichi, una volta considerati sacri. Ora utilizzati come meri campi di battaglia o fortezze di guerra.
Uno di questi era l'Accademia dei Maghi di Arleen.
Un giorno arrivò un generale che pretese di parlare con l'Arcimago e dopo un lungo pomeriggio chiusi nella stanza di quest'ultimo, l'Accademia dei Maghi di Arleen venne proclamata base di reclutazione e smistamento delle truppe magiche. Tutti i maghi, persino i principianti, vennero considerati risorse della nazione, e usati in guerra.
C'erano tuttavia dei maghi Impuri nell'accademia, e questo non venne visto di buon occhio dalle truppe Arroterniane, tanto che nei confronti dell'Arcimago vennero presi interventi disciplinari di enorme incisività a causa di quest'ospitalità clandestina.
Ovviamente i maghi Impuri vennero giustiziati, ovviamente alcuni di loro provarono a ribellarsi: ci furono molti che non riuscirono nell'intento, ma ci furono alcuni che sopravvissero grazie alle loro forze e a molti sacrifici. Uno di loro era Sigur, un esile mezzelfo che si ritrovò da un giorno ad aver nulla se non la consapevolezza di essere vivo, e il ricordo del massacro nella mente. Sopravissuto grazie alla fortuna e al sacrificio dei suoi compagni. Un sacrificio che lui non aveva mai chiesto.
Ora si ritrovava a camminare nella neve più alta degli ultimi mesi; nella tempesta più impetuosa dell'ultima stagione. Il volto ancora rigato di lacrime, le sue vesti ancora sporche di sangue così come i suoi ricordi.
Aveva visto tutti i suoi compagni impuri venire uccisi in nome di un ideale che probabilmente non era neanche condiviso da tutta la popolazione. Avevano perso tutti la vita in nome della libertà: una parola abusata selvaggiamente e consumata dagli stessi responsabili di questo massacro.
Erano stati tutti a conoscenza, ovviamente, di quello che stava accadendo nell'ultimo periodo per via della guerra, ma erano voci che passavano da bocca a bocca, e sembrava tutto così lontano, così irraggiungibile.
Sigur, come tutti gli altri suoi compagni, pensava che quella guerra non li avrebbe mai raggiunti, che si sarebbe risolta da sola, che sarebbe appartenuta ad un posto remoto che non li avrebbe mai raggiunti: e invece era arrivata anche da lui, e gli aveva tolto ogni cosa.
E ora, quella guerra prepotente ed indesiderata stava reclamando anche l'ultimo avere del mezzelfo: la sua vita.
La sentiva scivolare via dal corpo, come se non gli fosse mai appartenuta, come fosse stata da sempre un'estranea, che ora voleva a tutti i costi essere indipendente.
Sigur cadde con le ginocchia nella neve, poi con tutto il resto del corpo. Sentiva il freddo glaciale investirgli la pelle, il viso, poi dopo un po' non sentiva più niente. Si sentì come dolcemente cullato dalla prospettiva della morte, che in quel momento era terribilmente allettante: avrebbe posto fine alle sue sofferenze. Lì. In un cimitero di neve.
"Così sia..." Riuscì a sussurrare in un sorriso amaro, per poi cedere a quella sensazione, lasciandosi cullare dalla morte che lo avvolgeva.
Da lontano giungeva una figura oscurata dalla tempesta. Aveva un'ottima vista, dato che riuscì ad individure il corpo inerme di Sigur, nonostante fosse quasi completamente coperto dalla neve.
La figura iniziò così ad avvicinarsi a quel corpo che non dava il minimo segno di vita.

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Capitolo 11
*** Pericoloso, oltraggioso, stupido ***


Sigur riaprì gli occhi di fronte ad un fuoco pigro e scoppiettante. Era stato acceso da poco e ancora faticava a divampare, facendosi spazio tra il legno secco dei rami ammassati disordinatamente l'un l'altro.
Il mezzelfo faticava a tenere gli occhi aperti, il suo corpo era troppo stanco e il sonno troppo pesante per permettergli di alzarsi da quel letto così caldo. Una parte di lui voleva capire dove fosse finito e come, ma alla fine dominò su di lui la parte che gli consigliava di godersi quel momento di pace, e di capire dopo cosa fosse successo dopo la perdita di sensi.
Il dormiveglia, però, era crudele. Gli vennero in mente tutte le immagini dei suoi compagni massacrati, del sangue e degli orrori sparsi per tutta l'accademia; gli salirono i sensi di colpa, e questi furono troppo forti per poterli ignorare ed addormentarsi di nuovo.
Così Sigur prese lentamente energia per potersi alzare e sedersi sul letto, così da scacciare almeno quei pensieri scatenati che gli ballavano in testa durante il dormiveglia.
Quasi rizzò le orecchie quando sentì da oltre la porta delle voci attutite; provò ad avvicinarsi per sentire meglio, ma quando si accorse che una delle due sembrava irosa e severa, indietreggiò di nuovo: se lo avessero scoperto ad origliare, di sicuro non sarebbe successo nulla di bello.
Quindi restò seduto, a guardare il fuoco, e cercare di capire quel che poteva dalla sua posizione.
Riusciva a sentire solo qualche parola dalla voce irosa: pericoloso, oltraggioso, stupido.
Non ci mise molto a capire che probabilmente stavano discutento proprio su di lui: qualcuno forse lo aveva salvato, mettendo in pericolo se stesso e qualcun altro. Sigur pensò che questa cosa era davvero onorevole, ma che non avrebbe messo più in pericolo qualcun altro per salvare la propria pelle. In fondo era solo un mezzelfo, non valeva neanche una delle vite che sono state perse per salvarlo.
La porta si aprì, e Sigur rabbrividì un secondo quando una figura la varcò, ma poi si calmò quasi instantaneamente. Era una elfa oscura: giovane ed incredibilmente bella. Ma aveva un volto preoccupato, anche se non lo diede a vedere quando notò che il mezzelfo era sveglio.
"Ti sei svegliato," disse la donna, sorridendogli con difficoltà e avvicinandosi a lui.
"Tu...mi hai salvato?"
"Be', a meno che tu non sia in grado di resistere una giornata sotto il ghiaccio di Arleen, penso proprio di sì," disse la donna, quasi come a prenderlo in giro.
"...Grazie, ma..."
"Qual è il tuo nome?" Disse la donna, interrompendo non bruscamente Sigur.
"Io...mi chiamo Sigur."
"Bene, Sigur, ho un favore da chiederti. Credo me lo dovrai, dato che ti ho salvato la vita," disse l'elfa scura, osservando il mezzelfo per aspettare una risposta. Lui lo capì tardi, quindi annuì velocemente e un po' imbarazzato.
"Ho fatto un errore a salvarti, e un errore ancora più grande a portarti qui. Quindi, l'unica cosa che ti chiedo è di andartene." Il volto della donna era seriamente preoccupato, come quello di chi aveva appena combinato un guaio davvero grosso. Eppure Sigur pensava che fosse quasi impossibile sbagliare per una donna che sembrava tanto saggia e sicura soltanto a guardarla. Sigur non capiva per quale motivo l'avesse salvato, e alla fine glielo chiese, sopraffatto dalla curiosità forse troppo fuori luogo in quel caso. La risposta non ci fu per una quasi un minuto, e Sigur si maledisse per aver fatto quella domanda.
"Cercavo qualcuno, e tu sembravi avere la forza d'animo di quel qualcuno: tutto qui."
Per Sigur tutto quel discorso fu troppo vago, ma non osò fare altre domande e accettò quel che sapeva. In fondo aveva capito che la donna aveva fatto un errore a portarlo lì, credendolo una persona diversa dalla grande forza d'animo, un elfo scuro forse? Si sentiva terribilmente fuori luogo.
"Ti riporterò i tuoi vestiti e qualcosa da mangiare, anche un'arma per difenderti in caso ne avrai bisogno. Poi, per favore, vai via di qui e non parlarne con nessuno," disse la donna, guardandolo negli occhi per assicurarsi che abbia capito e che fosse sincero. Sigur aveva proprio l'aspetto di quel che era: una persona di parola.
"Non ne parlerò con nessuno, promesso."
La donna sorrise, visibilmente più calma e si alzò per andare a prendere le cose accennate prima.
Sigur notò in quel momento che ai fianchi della donna era rinfoderato male un pugnale che aveva un insolito colore rosso.

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Capitolo 12
*** Una promessa disperata ***


"Ascolta, e se ti aiutassi a cercare quella persona?"
Queste parole fecero sussultare l'elfa scura, appena rientrò per portare il cibo al mezzelfo. Si sedette di fronte a lui mentre quest'ultimo iniziò a mangiare con voracità.
"Da quanto tempo non mangiavi?" Disse la donna con un tono divertito e sorpreso.
"Scusami, credo di aver perso tutte le energie durante la bufera di neve"
"Pensa a recuperare energie adesso. Quando avrai finito ti darò anche qualche moneta per poter riposare in un albergo. Non puoi rimanere qui troppo, sai già che ho fatto..."
"Sì," disse il mezzelfo, posando il cucchiaio e rimandando per il momento il suo pasto. "Ma io voglio aiutarti a cercare quella persona. Ti prego, mi hai salvato la vita, permettimi di aiutarti almeno in questo."
L'elfa scura restò in silenzio con il volto triste. "Non dovrei cercarli," disse, stringendo forte le mani sulle proprie cosce e sulla stoffa del vestito. La sua voce diventava sempre più stentata e sofferente. Sigur aveva compreso che quindi erano due le persone che cercava, avrebbe voluto chiederle conferma, ma non si sentiva di interromperla in quel momento.
"Non dovrei...rischio solo di mettere a repentaglio tutti quelli che vivono qui con me, ma vedi..."
La donna passò dolcemente una mano sul ciuffo biondo del mezzelfo. "Nella neve, i tuoi capelli sembravano bianchi, e i capelli bianchi sono una singolarità di noi elfi scuri. Io...cerco i miei figli."
Sigur spalancò gli occhi. Era madre? Così giovane? Come aveva perso i figli? Cos'era successo?
Un'infinità di domande gli balenarono in testa. Domande che non avrebbe mai potuto chiedere, era chiaro che non avrebbe ricevuto risposta. Si rese conto che quello che la donna gli stava confessando era fin troppo.
"Uno dovrebbe avere la tua età," continuò,"l'altro a quest'ora dovrebbe essere poco più di un ragazzino...e io..." Improvvisamente scoppiò a piangere. Un pianto disperato; un pianto che provava ad essere contenuto a denti stretti, ma che usciva solo con più forza.
"E' stata colpa mia! Io...se solo quel giorno avessi seguito la mia volontà, adesso loro sarebbero ancora con me! Non posso perdonarmelo...potrebbero essere morti e io...non posso...non..."
Le lacrime interrompevano il suo discorso, e Sigur non riusciva più a lasciarla parlare. Per lui era troppo quel dolore. Non ci pensò molto, semplicemente l'abbracciò; la strinse a sé con tutta la forza che aveva. La donna sussultò sorpresa, poi lo strinse e pianse tutta la sua sofferenza sulla spalla del giovane. Persino Sigur sentiva gli occhi gonfiarsi. Stava piangendo? Non se ne accorse fin quando le sue guance non vennero rigate da calde lacrime.
"Mi hai salvato la vita...io farò di tutto per poter trovare i tuoi bambini. Te lo prometto..."
"Tu...tu davvero lo faresti?"
"Sono la tua vita loro, non è così? Questo è il vero modo con cui posso ricambiare quel che hai fatto..." Le parole di Sigur ruppero quel controllo precario che aveva assunto la donna, che scoppiò nuovamente a piangere.
"Ti prego...trova i miei bambini! Gerwyn,Akai...ti prego, trovali!"
"Te lo prometto," sussurrò Sigur, con le lacrime agli occhi.
 

"Andiamo, Akyrien da quattro soldi, fammi vedere cosa sai fare!"
La voce di Nariemel echeggiava dalla larga stanza dove lei e Gerwyn stavano avendo l'ennesimo allenamento del mese. I due si allenavano tutti i giorni per quasi tutto il giorno, e la stanchezza di quell'allenamento si leggeva molto più negli occhi dell'elfo scuro che dell'elfa, ma era presente in entrambi.
Le spade sguainate; gli occhi fissi gli uni con gli altri; i muscoli flessi e pronti ad esplodere.
"Fingi che io sia il vero nemico, altrimenti questo allenamento ti porterà alla morte, perché io non scherzo!" Queste furono le stesse parole che disse l'elfa a Gerwyn durante il primo allenamento, e quest'ultimo ebbe la possibilità di provarne la credibilità; le numerose cicatrici che aveva accumulato in tutto il corpo erano la prova. Nariemel, invece, non era stata colpita neanche una volta dal ragazzo, né messa in difficoltà.
L'obiettivo vero di Gerwyn, che quasi aveva dimenticato fosse un allenamento, era quello di ferirla almeno una volta, perché se qualcuno può sanguinare, allora può morire.
La prima mossa fu quella di Gerwyn, che esplose in uno scatto che lasciò una nuvola di terra dietro di sé. Non poteva fare a meno di urlare ogni volta che combatteva, ne aveva bisogno, al contrario di Nariemel che era in completo silenzio durante tutta la battaglia; il ragazzo pensava fosse questa la loro grande differenza: lui esplodeva, lei organizzava la rabbia nei fendenti e movimenti giusti.
Sii imprevedibile, pensava il ragazzo mentre saltò e fece una giravolta su sè stesso, rotando la lama della spada come una trottola orizzontale diretta verso la spalla dell'elfa. Parata. L'elfa non ebbe il minimo problema a predire la mossa del ragazzo, che venne subito punita con un sonoro pugno nello stomaco.
"GWAH!"
"Troppo lento," diceva la donna: parlava solo per spiegare i difetti al ragazzo durante la battaglia. "Mi hai mostrato l'attacco che stavi per fare prima che il fendente arrivasse: questo è un errore."
Nariemel restava con il pugno affondato nello stomaco di Gerwyn, che si staccò velocemente, lanciando una falciata verso il viso di lei prima di cadere a terra. Falciata che lei schivò.
"Nulla da dire qui, apparte il fatto che...sei caduto!" e a quell'ultima esclamazione diede un forte calcio al viso del ragazzo, che rotolo all'indietro dolorante. Nariemel sospirò, poi rinfoderò la spada e prese due pugnali, scattando verso di lui, intenta ad infilzarlo mentre era steso.
L'elfo scuro spalancò gli occhi ed evitò i coltelli rotolando sul fianco e rialzandosi con un salto agile- salto che gli era stato insegnato da Nariemel-.
Sorrise, era riuscito almeno ad imparare quel salto che sembrava tanto difficile all'inizio. In realtà era migliorato molto, ma lui non poteva rendersene conto. Nariemel invece aveva notato quanto la velocità di apprendimento di quell'elfo fosse assurda: ben presto sarebbe stato pronto.
L'elfa venne colta di sorpresa da un attacco che mai si sarebbe aspettata. Gerwyn le aveva lanciato la spada contro. Che razza di attacco stupido era? Disarmarsi in questo modo.
Schivò la spada, spostando agilmente il viso, ma in quel momento vide che Gerwyn si era avvicinato a lei con uno scatto degno di nota, e stava per piazzarle una gomitata nello stomaco, che lei coprì in fretta con le braccia. Ora avrebbe parato quel colpo e gliel'avrebbe fatta pagare per così poca accortezza. Ma non fu così che andò.
Quella di Gerwyn non era una ginocchiata, ma aveva alzato la gamba, predicendo la parata di Nariemel, e usò quella gamba per scalare le braccia dell'elfa come uno scalino. Questo la fece vacillare per un secondo; tempo che diede la possibilità a Gerwyn di colpirla per la prima volta con un calcio ben assestato al mento. Il suo primo, glorioso colpo.
L'ha colpita, pensava Domen che osservava spesso i due combattere. Anche lui dava consigli su come far migliorare il ragazzo, e quel colpo forse significava che stava funzionando. Non era stata fortuna: era stato programmato. L'uomo sorrise, chiudendo gli occhi. "Ottimo lavoro, Gerwyn."
Eppure...
Quella vita in quel luogo stava iniziando a diventare insopportabile. Facevano un gran lavoro, è vero, stavano andando alla grande. Eppure tutto questo veniva limitato soltanto al loro piccolo spazio in quella grotta, che per quanto possa essere vasta e spaziosa, restava inevitabilmente un piccolo spazio.
Avevano una missione, ma quella missione era ardua da portare avanti fuori le mura di pietra che circondavano ogni loro giornata. I pochi uomini che potevano permettersi di mandare all'esterno, non facevano più ritorno. Gli dei solo sapevano se erano morti o stati corrotti, o magari semplicemente scappati. Se quest'ultima ipotesi era esatta, a loro non sarebbe rimasto più molto tempo e ben presto si sarebbero ritrovati in un enorme pericolo. Uno scacco matto.
 

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Capitolo 13
*** Per andare avanti non devo dimenticare il passato. ***


Nariemel ebbe una strana reazione quando Domen le porse le sue preoccupazioni. Sembrava che la donna non avesse minimamente considerato l'eventualità che quel posto non potesse essere sicuro per sempre. Nel suo viso si disegnò un'espressione insolita: non sembrava preoccupata, ma in colpa.
Domen restò in silenzio, osservandola. Ora davvero perplesso riguardo quella situazione. Non c'era neanche bisogno di far affidamento alla saggezza per capire che quello non era il momento giusto per chiederle cosa non andava.
"Vuoi che ti lasci sola, Nariemel?"
La donna lo guardò sorpresa, strappata a chissà quali pensieri, poi si portò una mano sulla fronte, sospirando. "Ho...ho solo bisogno di pensare a questa cosa, tutto qui. Grazie comunque, Domen."
L'uomo annuì con un sorriso preoccupato ed uscì dalla stanza dell'elfa, chiudendosi la porta dietro e sospirando. Pensava al viso sorpreso che aveva visto prima. Ti trovi così bene qui, che hai forse dimenticato la guerra, Nariemel? Pensò, osservando la porta con la coda degli occhi mentre si allontanava.

"Fratellone!"
La voce squillante di Akai svegliò Gerwyn, che si accorse di essersi addormentato sulla sedia mentre si fasciava le ferite degli allenamenti. "Akai..." sorrise dolcemente, accarezzando i capelli argentei del fratellino, che però non lo guardava con la sua solita espressione spensierata.
"Mammyria ti tratta troppo male: sei pieno di cerotti e bende," disse con un broncio che provava ad essere serio, ma che chiunque avrebbe definito adorabile.
"Va bene così, fa parte degli allenamenti." Continuò ad accarezzargli i capelli.
"No, non va bene così! Devi essere sempre pronto per...per Martha...!"
"...Martha?"
"Si! Perché ti sei dimenticato di lei, fratellone?! Martha ci ha sempre sostenuti! Perché l'abbiamo abbandonata?!"
Gerwyn restò pietrificato, con gli occhi sbarrati. "Noi non l'abbiamo..."
"Sì invece! Ce ne siamo andati e l'abbiamo lasciata sola! Mi manca! Mi manca tanto, fratellone..."
La mano di Gerwyn era ferma sui capelli di Akai, che ora lo guardava dal basso con i suoi occhi azzurri, pieni di lacrime.
"Lo sai che non possiamo tornare, Akai, noi dobbiamo essere forti e..."
"Non voglio esserlo!"
"Ma..."
"Se esser forti vuol dire lasciare le persone a cui vuoi bene dietro, allora non voglio esserlo! Guardati! Siamo arrivati qui e l'unica cosa che fai è farti male picchiandoti con Mammyriel!
Hai forse dimenticato com'era bello vivere tutti insieme, fratellone?!"
Gerwyn era immobile, silenzioso, osservando il fratello. Si sentiva vittima di tutte le parole affilate che venivano urlate disperatamente da Akai. Sentiva come se fosse stato scoperto a seppellire Martha ancora viva. Perché, in fondo, è quello che aveva fatto, no? Aveva seppellito bruscamente i ricordi di Martha dentro di sé, come se fosse davvero morta.
Era stata dura andare avanti dopo aver abbandonato Grondern e Martha, ma Gerwyn ce l'aveva messa tutta e aveva chiuso i ricordi della vecchia cittadina in qualche parte della sua mente, per potersi concentrare solo sugli obbiettivi che aveva in quel momento: la guerra, gli Akyrien, il suo passato. Ma così facendo aveva davvero dimenticato Martha? Era forse per questo che si sentiva così in colpa a questa accusa?
Voleva tranquillizzare suo fratello, voleva promettergli che si sarebbe risolto tutto per il meglio e che al più presto sarebbero ritornati da Martha. Voleva prometterlo, ma non poteva. Perché dentro di lui, non sentiva così. Ma si rese conto che la speranza era l'unica cosa che poteva offrirgli. Le guerre tolgono tutto, quindi perché Gerwyn avrebbe dovuto togliere la speranza al suo fratellino?
"Akai, ti prometto che ritorneremo da lei. Sto lottando ogni giorno per poterlo fare. Solo da forti potremmo essere di nuovo con lei. Ora siamo noi che dobbiamo aiutarla, quindi per favore..."
L'elfo scuro poggiò le mani sulle braccia esili del suo piccolo fratellino. "Sii forte anche per lei."
Lo sguardo di Akai tremò un po, e i suoi occhi iniziarono a bagnarsi. I due si abbracciarono forte, come se si fossero rivisti dopo tanto tempo.
Per andare avanti non devo dimenticare il passato.
Questa era la frase che in quel momento pensavano sia Gerwyn che Nariemel.

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