You're not alone

di Mark_Criss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Si parte ***
Capitolo 3: *** Troppe domande. ***
Capitolo 4: *** Punto di partenza. ***
Capitolo 5: *** Connessione ***
Capitolo 6: *** Troppo tardi ***
Capitolo 7: *** via dall'incubo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Caldo. Troppo caldo. Non avrei resistito ancora per molto in quel forno a microonde che ero costretto a chiamare casa. Essere povero e vivere in un sobborgo di Londra non è mai stato il massimo, ma la mia fortuna nella vita è essere nato mago. Già, mago. Da due genitori come i miei, non so proprio da dove sono uscito, ho sempre pensato ad uno scambio in culla, ma gli occhi azzurri ereditati da mia madre e il naso di mio padre hanno sempre confermato il contrario. Fortunatamente i miei genitori hanno avuto la decenza di non fare altri errori mettendo al mondo altri figli. Uno bastava, avanzava ed era anche di troppo. Non si son mai potuti permettere niente, ne la scuola babbana, ne la scuola magica. Ho sempre dovuto provvedere a me da solo, sin da piccolo; i bimbi normali trovano la colazione pronta, il letto rifatto quando tornano da scuola e perché no, anche un piatto di minestra caldo servito in tavola. Io no. Mai. Io mi son sempre preparato la colazione da solo, mi son sempre preparto i pranzi da solo e per qualche anno non ho neppure avuto un letto, il divano del soggiorno andava più che bene per chiudere gli occhi e dimenticare lo scempio che mi circondava. Finché all’età di undici anni, un simpatico gufo lascio una letta. Una lettera di ammissione per la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Credevo di essere diventato pazzo, i miei genitori non si sforzarono di capire nemmeno di cosa si trattasse, l’importante era: non pagare. Così la mia vita cambiò, totalmente, passai dallo scomodissimo divano del mio salotto, ad un letto a baldacchino con cuscino in piuma d’oca e dal preparami latte e cereali al trovare pronte le migliori pietanze a tutte le ore del giorno e della notte. Ero stato smistato tra i Corvonero, una delle quattro case della scuola. Solitamente la caratteristica di un Corvo è la sua innata intelligenza e perspicacia, nel mio caso, credo che il capello parlante abbia nettamente sbagliato. Per entrare nel nostro dormitorio , ogni giorno, la statua posta all’ingresso pone un quesito che solo un vero corvo può risolvere, bene, puntualmente io sono sempre quello che ha il potere di rimanere fuori. Quindi aspetto che qualcuno mi venga a salvare o nella peggiore delle ipotesi mi addormento sulla scalinata della torre. Riflettevo su tutto questo mentre fissando il vuoto facevo roteare la bacchetta sulla tazzina di caffe che mi ero appena preparato. Il cucchiaino girava in modo regolare, immagino che lo zucchero si fosse saturato al liquido già da un po’, ma non importava, perché quelle poche occasioni in cui i miei non erano in casa, mi piaceva sentirmi libero di usare i miei poteri. Da quando avevo compiuto diciassette anni, avevo il permesso di utilizzare la magia, ma non davanti ad essere umani, genitori compresi. Una delle tante sfortune dell’essere nato in una famiglia babbana. Lentamente rimisi la bacchetta nel jeans e iniziai a sorseggiare lentamente il caffe. Il tempo sembrava essersi bloccato, mancavano due giorni alla partenza e io avevo finito tutto, compiti delle vacanze compresi. La noia mi martellava la testa come un picchio, ma guardando l’orologio, arrivai alla conclusione che sarei stato solo a casa per un altro po’ di tempo. Quindi mi alzai in piedi, afferrai la bacchetta dalla tasca e decisi di esercitarmi un po’ sugli incantesimi non verbali, che sarebbero stati argomento principale delle lezioni di difesa contro le arti oscure. Avevo imparato a generare un “Incanto Patronus” abbastanza forte da prendere le sembianze di un animale, esattamente come avevo letto nel libro di incantesimi. Il mio aveva la forma di una tigre bianca, grande, terrificante, ma allo stesso tempo docile e cordiale. Mi aveva fatto compagnia più di una volta durante quella torrida estate. Chiusi gli occhi e mi concentrai sul ricordo più bello di tutti: quel bacio sul lago nero. Non mi andava di pensarci troppo, quindi mi limitai a ricordarlo e senza aprire bocca puntai la bacchetta nel vuoto. Dopo pochi istanti la punta iniziò ad emettere una luce biancastra, che diventò sempre più grande, fino ad illuminare la stanza a giorno. Aprii gli occhi e la vidi. Era lì, seduta per terra. La mia tigre. Iniziò a girarmi intorno e a guardarmi con quegli occhi che mi ricordavano tanto i miei e si accucciò sul vecchio tappeto sbiadito. All’improvviso un rumore, la porta si spalancò. Era mia madre, ubriaca come al solito, di ritorno da uno dei suoi bar preferiti.  “Alex…” gridò. Avevo la bacchetta stretta in pugno, ma decisi che forse sarebbe stato troppo pericoloso gesticolare con una bacchetta nel bel mezzo di una discussione. Mi affrettai, cercai di far sparire la tigre, prima che lei potesse vederla, ma nulla, era lì, maestosamente seduta a fissare la porta d’ingresso. “mamma, sono qui..ma ehm..” non sapevo cosa fare per non farla avvicinare al soggiorno. “..sono nudo..” gridai. Silenzio, che venne presto interrotto da una rumorosa risata. “Perché sei nudo?” chiese con quella sua fastidiosa voce graffiata. Avrei tanto voluto dirle che fuori c’erano almeno quaranta grandi all’ombra e che quindi mettermi il maglione di lana non sarebbe stato il massimo, ma mi limitai a dirle che avevo fatto la doccia. Puntai la bacchetta contro la tigre e prima di farla sparire le dissi “tranquilla piccola presto saremo a casa..”. Chiusi gli occhi e nella testa risuonarono le parole “Finite Incantatem” e l’ultima cosa che vidi furono i suoi occhi. Era strano il legame che avevo creato con quell’animale apparentemente inesistente. Era come se pur non parlando, lei avesse sempre avuto il dono di capirmi. Non avevo mai avuto un vero animale, perché non potevo permettermelo, ma adesso avevo lei e mi bastava. Non ero più solo. 





Salve a tutti. Spero che come inizio possa andare. Anche se momentaneamente la storia può sembrare piatta, man mano che Alex prenderà vita nel racconto diventerà sempre più complessa e avvincente! Accetto critiche positive,ma sopratutto critiche negative. Al prossimo capitolo. 

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Capitolo 2
*** Si parte ***


Le valige erano pronte già dalla sera prima, giacevano sul pavimento del salotto. Ero seduto sullo scomodo divano di stoffa, in attesa che il taxi passasse a prendermi. Mi guardavo intorno e più lo facevo e meno mi sentivo a casa, quella non era casa mia, non lo era mai stata. Un suono chiaro di clacson mi fece sobbalzare. Era l’ora. King’s Cross arrivo.
Per tutto il viaggio in taxi non tolsi gli occhiali da sole, mi piaceva osservare il mondo fuori dal finestrino, senza far capire all’oggetto del mio studio che lo stessi osservando. Fermi ad un semaforo lo vidi, era lui. Iniziai a sudare freddo. Il cuore aveva preso un ritmo nuovo, uno che non avevo mai sentito, come una musica piacevole, ma allo stesso tempo spaventosa, che mi faceva sentire come un bambino che ha ansia  di scartare i suoi regali di natale per paura di trovare il carbone. Scattò il verde e sotto i miei Carrera falsi continuai a guardarlo finché non fu’ lontano dal mio campo visivo. I suoi capelli ricci ed il suo sguardo penetrante erano tutto ciò che di lui mi tormentava nei sogni, tutto ciò che nella mia mente era ben impresso dalla prima volta che lo vidi a lezione di pozioni. Cercai di non pensarci, ma la musica nelle orecchie non mi aiutava, decisi così di staccare le cuffie, non avevo di sicuro bisogno di cominciare questo nuovo anno con una lacrima. Arrivati alla stazione, il tassista si offrì di aiutarmi nel trasporto delle valige, ma prima che potesse toccarle lo fermai, pagai la corsa e lo liquidai in fretta. Non avevo voglia di essere aiutato perché avevo incantato le borse e quindi erano sei volte meno pesanti di ciò che sembravano. Eccolo lì. Il binario 9/10. Mi guardai intorno e presi la rincorsa. Attraversai la barriera e come ogni volta, per un attimo mi mancò il respiro. Arrivato dall’altro lato, ero come sempre uno dei primi, ma la nota positiva era potersi scegliere uno scompartimento qualsiasi senza dover necessariamente chiedere il permesso a qualcuno.
Avevo scelto quello vicino la cabina dei prefetti, così da evitare il chiasso dei ragazzini del primo anno. Pian piano il treno iniziò a riempirsi, guardavo facce nuove e non passare nel corridoio fuori la mia cabina. Non mi andava troppo di salutare quindi mi limitai ad ammirare la scena pietosa di tutti quei genitori che stringevano i loro figli nemmeno fosse l’ultima volta che gli avrebbero visti. Non tolleravo questo modo di esasperare le situazioni. “Ehi sveglia, stanno andando a scuola, non in guerra.” Dissi tra me e me. Però non ero solo. Sentii una risatina alle mie spalle. Avevo paura a voltarmi. Decisi di farlo molto lentamente, mantenendo un profilo medio basso. La prima cosa che notai fu una vestino, stile impero. Chi mette un vestito stile imperio per salire sul treno diretto a scuola ? Pian piano alzai lo sguardo e un grande sorriso mi accecò. Era forse una delle ragazze più belle che avessi mai visto. Capelli lunghi e ricci, neri come la notte più tenebrosa, due enormi occhi color mogano e un sorriso smagliante. “Non preoccuparti..” disse la ragazza con una vocina alquanto fastidiosa. “..la penso esattamente come te!”. La guardai sorpreso, perché qualcuno mi stava rivolgendo la parola ? La mia misantropia era parecchio famosa nella scuola. Senza chiedere permesso si sedette in uno dei cinque posti liberi. Questa ragazza stava sfidando troppo il cane dormiente. “Piacere io sono Tania” disse con tono fiero. “Tania Pako” aggiunse. La guardai con un certo senso di disapprovazione, ma le feci un sorriso e le dissi il mio nome. Speravo non attaccasse a parlare, perché di tutto avevo voglia, meno che di una conversazione con una sconosciuta. “Allora, in che casa sei smistato?” chiese. Come non detto, mi toccava dialogare. “Corvonero, ma per un errore del cappello secondo me..” le dissi sorridendo, chissà per quale motivo non le avevo risposto male.  “..tu invece ? Dove sei smistata?” le domandai cordialmente. Wow. Ero davvero sorpreso da me stesso. “Io sono una Serpe, non si nota ? “ la domanda mi sarebbe sorta spontanea “Da cosa avrei dovuto notarlo cara? Non indossi nemmeno una divisa..” questa ragazza iniziava a piacermi, aveva del carattere. “Bhe..” disse la signorina Poka schiarendosi la voce. “..sono magra, alta, bellissima, ricc..” non le feci finire la frase, la interruppi con un gesto della mano e le dissi “ti prego, risparmiami lady gaga.” Il suo sguardo era incredulo. “non  avrei capito comunque nulla, le ragazze belle sono in tutte le case.” Scoppiammo entrambi a ridere. Per la prima volta stavo facendo amicizia con qualcuno, e con amicizia intendo ridere e scherzare, non rapporti strettamente legati alle esercitazioni in classe, non so se ho ben reso. Il viaggio proseguì più o meno tutto così, tra battute e racconti di vita vari. Eravamo rimasti indisturbati per due buone oretta. Quando bussarono alla porta dello scompartimento. Io e Tania ci guardammo, avevo deciso di comune accordo di non far entrare nessuno. Con un sorriso beffardo sulle labbra mi guardò e disse “Se è qualcuno del primo anno, tu lo distrai, io lo faccio esplodere.” Il mio sguardo di disapprovazione venne recepito al volo, perché si perse in una rumorosissima risata, che portò chiunque fosse dall’altra parte della porta a bussare ancora. Feci girare la manopola della sicura e la porta si aprì di scatto. Era lui. Non potevo crederci. Rimanemmo fermi per due minuti a guardarci in silenzio, finché Tania non ruppe il silenzio dicendo “Se non sei un novellino sei il benvenuto”. Avrei voluto estrarre la bacchetta per cruciare lei e uccidere lui, ma le leggi sull’utilizzo responsabile della magia me lo proibivano. “Grazie..” disse lui con lo sguardo basso. Io tornai al mio posto ed era più che evidente, che in quel vagone era calata un onda di gelo degna dell’apparizione di un Dissennatore. “C’è qualcosa che non va Alex?” mi chiese sottovoce la mia nuova amica. Scossi la testa e le sorrisi, dovevo fare buon viso a cattivo gioco, era il momento di ricominciare, non potevamo odiarci in eterno. “Allora, come ti chiami?” domandai guardando il ragazzo riccio seduto difronte a me. Aveva una camicia bianca, con i primi due bottoni aperti, si riusciva addirittura ad intravedere il suo petto scolpito, un jeans strettissimo e delle comunissime polacchine. I suoi occhi verdi erano così penetranti, così profondi, da farmici perdere ogni volta, ma decisi di farmi forza per non badarci. “..Mi chiamo Joan Torrerossa.” Disse esitante il riccio. “Piacere Joan, io sono Tania e lui è Alex” gli regalai uno dei miei più finti sorrisi, differentemente da Tania che sembrava essere estasiata da lui. E come biasimarla ? Era davvero bellissimo. Ma io questo cose non dovevo nemmeno pensarle.  “Grifo ?” chiesi beffardo, anche perché sapevo perfettamente la sua casa di appartenenza. “Si.” Disse lui scocciato. “Fatemi indovinare..” disse osservandoci per un istante “tu sei un corvo..” disse indicandomi. Aveva fatto la scoperta dell’acqua calda, ma finsi di essere sorpreso del fatto che avesse indovinato. “ e tu invece..” ci mise un po’, ma alla fine sparò un nome. “Te sei una tassa ?”. Non potevo trattenere la risata, vidi la faccia di Tania diventare da rosea a verde di rabbia, con la stessa velocità con la quale indignata si alzò in piedi, pronta a gettarlo fuori dal finestrino. “Potrei uccidere.” Disse lei stizzita, ma allo stesso tempo ironica.  “sono una serpe.” Ci fu un momento di pausa e poi gridò “SERPE.” Nessuno riuscì a trattenersi, iniziammo a parlare anche con il “nuovo” arrivato, io fingevo di non conoscerlo e lo stesso faceva lui con me, ma per quanto ancora avremmo dovuto fingere?
Arrivammo nella piccola stazione di Hogwarts e ci dividemmo, con la promessa di fumare una sigaretta tutti e tre  subito dopo cena. Salutai la mia nuova amica e scambiai un cenno con la mia vecchia conoscenza. Non mi andava nemmeno di cenare, avevo troppe cose a cui pensare, ma raggiunsi i miei compagni di casa e tra le classiche domande di routine e qualche sorriso entrammo nel castello.


Ciao a tutti. Questo è il primo capitolo di questa storia. La trama (dietro le quinte) inizia a farsi sempre più fitta. Perché Alex e Joan fingono di non conoscersi ? Nei prossimi capitoli mi concentrerò molto su fatti accaduti l'anno precedente e che a tutti i costi Alex cerca di "Obliviare" dalla sua mente. 
Chiunque stia leggendo la storia lo invito a recensire e sarò davvero grato a chiunque lo faccia! Un bacio a tutti. Mark. 

 

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Capitolo 3
*** Troppe domande. ***


L’atmosfera del castello mi era mancata. Non riuscivo a non essere felice. Troppe, tante, emozioni tutte insieme: l’inaspettato ritorno di Joan, l’aver fatto amicizia con una serpe, cosa molto rara perché solitamente amano girare solo tra di loro. Avevo sul volto un espressione ebete, che aveva portato tutti i miei compagni di casa a domandarmi cosa fosse successo di così bello da farmi essere cordiale e socievole con tutti. La cena era andata mediamente bene, avevo dialogato con i miei tre compagni di stanza, mangiato fino ad esplodere e ascoltato incantato le parole della preside, che come ogni anno aveva dato il suo cordiale “Benvenuto” a tutti i nuovi studenti e aveva caldamente abbracciato i veterani. Il pensiero che quello sarebbe stato il mio penultimo anno ad Hogwarts mi spaventava, avevo paura di cosa potesse essere il mondo fuori da quelle mura, soprattutto per me che non avevo ancora la vaga idea di cosa avrei fatto della mia vita; i discorsi dei miei compagni erano tutti molto simili, c’è chi sarebbe andato all’estero per continuare gli studi, chi avrebbe fatto un corso per diventare Auror, chi ambiva a diventare insegante e così via. Era una delle caratteristiche dei corvi, avere sempre le idee chiare, ecco perché in mezzo a quel gruppo di cervelloni mi sentivo sempre un pesce fuor d’acqua, forse nei tassi sarei stato meglio. Stavo per alzarmi da tavola, quando sentii alle mie spalle un colpo di tosse. “Signor Stone.” Disse una voce calda e famigliare. “Mi dica professoressa McGrannit” risposi  sforzandomi di sorridere. Tutte le volte che quella donna aveva cercato un approccio con me, non era mai - e dico mai – per buone notizie. “Se non è di troppo disturbo..” non le feci terminare la frase. “Sì, lo è”. Sapevo cosa stava per chiedermi, ma gli accordi erano diversi. Io non avevo intenzione di sentire nessun altra parola, un patto è un patto. L’espressione sul suo volto diceva tutto: annichilimento. Non sorrise nemmeno, andò via, senza dire una parola. Sapevo di aver sbagliato, ma il fatto che non avesse detto nulla era una conferma lampante che la mia intuizione fosse giusta. Decisi comunque di non pensarci troppo, come da programma attraversai la lunga navata e mi avviai verso il cortile. Nel tragitto dal mio posto al portone mi persi a guardare il cielo che, come ogni anno, veniva riprodotto magicamente sul soffitto della sala grande, riuscivo perfettamente a individuare la costellazione del capricorno, nonché il mio segno, la guardai per qualche istante, cercando di distrarmi dalla brutta situazione alla quale ero appena scampato. Finalmente ero nel cortile, ma di Joan e Tania ancora nessuna traccia. La temperatura era ancora molto alta, ma la leggera brezza di settembre mi accarezzava la pelle come una vecchia amica. Mi guardavo intorno e lo scenario era al quanto strano, tanti ragazzi e ragazze tutti insieme a divertirsi, fino a quel momento non avevo mai sentito l’esigenza di avere qualcuno con cui divertimi, perché tanto ero sempre stato solo, non avevo mai permesso a nessuno di mettere piede oltre la barriera che avevo innalzato contro il mondo. Forse era stata tutta quella solitudine a farmi impazzire l’anno prima, il fatto di non poter mai contare su nessuno di effettivo, il mio nascondermi sempre e comunque, l’avevo visto, ci piacevamo e giuro non era un film creato artificialmente nella mia testa, io ricordo ogni parola, ogni carezza e soprattutto: quel bacio.  Il cielo, differentemente dal soffitto interno, non era molto stellato, date le leggere nuvole, che illuminate dalle luna sembravano tante chiazze grigie nel cielo. Ero così assorto nei miei pensieri, che non mi resi conto dell’arrivo di Tania. “Come promesso eccomi qui!” Gridò lei con quella sua vocina stridula. Mi fece prendere un colpo, dovrebbe esserci una legge che vieta l’arrivo non preannunciato di gente alle proprie spalle. “Signorina Poke, non le hanno insegnato che..” non mi fece neppure terminare la frase, che mi infilò una sigaretta tra le labbra e puntando la bacchetta contro la punta della stessa disse con un fili di voce “Incendio”. La sigaretta si accese, ma il fumo che usciva non era comune fumo grigio, bensì era colorato di un verde intenso. “Sei arrabbiato?” disse lei ironica. “Da cosa lo capisci?” Dissi io. “Oltre che dal mio tono di voce, intendo.” Lei mi guardò stupita per un istante e poi disse “ Non hai mai fumato una Magic?” Effettivamente, non avevo mai sentito quella marca, sarà che le mie erano comunissime sigarette babbane, ma mi sarei informato all’istante. “Nel mondo magico esistono le sigarette?” Chiesi in un mix tra stupore e felicità. “Certo che si idiota.” Disse accendendo anche lei una sigaretta. “Le Magic hanno una speciale proprietà..” disse con uno strano ghigno sul volto, si fermò per qualche istante, solo per poter tirare dalla sua Magic, il fumo che ne uscì era di un giallo intenso. “…il loro fumo cambia colore in base alle sensazioni e all’umore della persona che la sta fumando.” Ero esterrefatto, due ottime notizie nel giro di nemmeno due minuti: avevamo sigarette nel mondo magico e soprattutto avevano la straordinaria abilità di rivelare l’umore di chi le fuma. “Ottimo direi, quindi il verde vuol dire rabbia..” affermai “Ma il giallo?” Mi guardò vaga, poi rispose “Giallo è la felicità..” Mi mise una mano sulla spalla “..Felicità di chi ha solo voglia di andare a dormire.” Erano passati venti minuti e di Joan ancora nessuna traccia, notavo come l’espressione di Tania, tiro dopo tiro, si facesse sempre più stanca e scavata. Era impressionante come quella ragazza, anche con la matita sbavata, fosse davvero stupenda. I suoi occhi erano così scuri da creare totale assenza di luce, come una perla nera in cui potersi riflettere perfettamente. “Bene signor Stone..” asserì abbracciandomi. “..Io torno nelle mie stanze, domani mi aspetta una giornata dura.” Si staccò da quell’abbraccio e fece per andare via. La fermai, perché mi aveva davvero lasciato senza parole, avrei voluto chiederle se, magari, tra una lezione e l’altra le andavano due chiacchiere e una sigaretta, ma mi limitai a sorriderle e dirle “Grazie.” Lei felice ricambiò il sorriso e, mettendo una mano nella mi tasca ci lasciò dentro qualcosa. Non ebbi il tempo di controllare che lei era già andata via. Mi aveva lasciato l’intero pacco di Magic. Ero spiazzato perché non avevo mai avuto un amica, nessuno mi aveva mai abbracciato e soprattutto nessuno mi aveva mai fatto un regalo, seppur stupido, ma era pur sempre un gesto d’affetto ed io non sapevo davvero come ricambiare. Presi una di quelle bacchette fumanti e la infilai tra le labbra, la feci accendere e aspettai di vedere il colore del fumo: Rosa. Controllai sul retro del pacchetto, non sapevo esistessero così tante sensazioni e così tanti stati d’animo. Cercai il rosa per più di due minuti, ma alla fine lo trovai, la voce diceva “Rosa: coccolato”. Ed in un certo senso era vero. Mi sentivo coccolato da quel gesto e stranamente qualcuno era riuscito a strapparmi un sorriso con un gesto spicciolo. Gettai il mozzicone e rientrai nel castello. La stanchezza iniziava a farsi sentire e la voglia di salire in cima alla torre di astronomia, era inversamente proporzionale al sonno. Iniziai a salire, piano, con calma e sempre assorto nei miei pensieri. Quando, goffo come sempre, inciampai su qualcuno sdraiato per terra. “Ma cosa cazz..” Abbassai lo sguardo, ed era il corpo minuto di un ragazzo, evidentemente del primo anno. Cosa diavolo ci faceva per terra? Mi avvicinai e iniziai a toccarlo, tanto per capire se fosse ancora vivo e il respiro sembrava esserci, doveva essere stato colpito da un incantesimo. Presi la bacchetta e lanciai un paio di scintille rosse sulle scale, nella speranza che qualcuno potesse vedere il mio segnale di aiuto. Immediatamente sentii i passi svelti e decisi di qualcuno. Era la professoressa Floorence, l’insegnante di incantesimi. “Signor Stone cosa diavolo è successo ?” domandò irritata. “Se le dico che non ne ho la minima idea lei mi crede ?” ero piuttosto tranquillo, il ragazzo sembrava respirare, l’unica cosa a mettermi un po’ d’ansia era il chi avrebbe potuto far del male ad un ragazzino?  “ Va nel tuo dormitorio, io porto questo ragazzo in infermeria.” Mi rivolse un sorriso finto, esattamente come lei e sparì con il ragazzo.
Finalmente arrivai nel dormitorio, stranamente la parola d’ordine di quel giorno non era troppo complicata, ci sarebbe arrivato chiunque. Mi spogliai, feci una doccia e mi gettai nel mio letto a baldacchino. La stanza era quasi interamente blu e argento, ogni letto però aveva una particolare pietra diversa incastrata nella testata, che permetteva al letto di avere determinate caratteristiche. Nella mia testata c’era una pepita nera, che serviva per ricordare meglio i sogni. Quindi sperai di poter avere una risposta in sogno alle  mille domande che mi volavano nella testa. Perché Joan non si è presentato? Cos’è successo a quel ragazzo ? Tania è sincera con me ? Perché la preside aveva nuovamente bisogno del mio aiuto?  Sentivo la paura entrare nel mio cuore, ma la notte era specializzata in questo, il buio avvolge sempre tutto nel mistero, riempie di dubbi e moltiplica le domande. Stringendomi forte le gambe al petto mi addormentai.  


Un bacio a tutti! Spero che la storia vi stia appassionando almeno un po'. Nuove domande e nuovi intrighi, come avevo promesso. Nel prossimo capitolo faremo luce su alcune quesioni molto importanti e i misteri diventeranno sempre più fitti. Che il male si sia infiltrato anocra tra le mura di Hogwarts? Lo scopriremo nel prossimo episodio. Spero nelle vostre recensioni. Baci Mark. 

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Capitolo 4
*** Punto di partenza. ***


 
Ero al buio. Totalmente spaesato, non avevo la minima idea di che posto fosse quello.
“C’è nessuno?” gridai. Ovviamente non ricevetti risposta. Mi guardai intorno e cercai in vano la bacchetta nei pantaloni, ma non trovai nulla. Ero terrorizzato, in mezzo al nulla, da solo, totalmente solo. Qualcosa si mosse nell’ombra, tremai, per un istante, non sapevo come difendermi. Provai a correre via, ma la paura mi paralizzò, sentivo il rumore di passi alle mie spalle, ma il solo pensiero che qualcosa si stesse nascondendo nel buio mi faceva accapponare la pelle. “Cazzo!” esclamai. Vidi un volto, non mi era per niente familiare, anzi, potrei giurare di non averlo mai visto. “Chi diavolo sei?” gli gridai. Era solo un volto, non c’era un corpo, solo un viso, bianco cadaverico, con gli occhi grandi e verdi come due smeraldi luccicanti, incavati all’interno del cranio e cattivi come niente. Non mi rispondeva, ma mi sorrideva, non parlava, ma sembrava volesse dirmi qualcosa. Lo vedevo sempre più vicino, sempre più vicino fino a sentire il suo cattivo alito sul mio viso. Non riuscivo a tenere gli occhi aperti, oramai ero spacciato. D’un tratto non sentii più quel pesante alito incombere su di me, aprii un occhio e vidi un corpo per terra e una tigre bianca poggiata su di esso con le zampe ben salde sul suo torace. Era la mia tigre. Era venuta a salvarmi. Un lampo di luce verde, fu l’ultima cosa che vidi.
Mi svegliai nel mio letto, bagnato di sudore e con il ricordo di quel tremendo incubo ancora impresso nella memoria. Guardai la pepita nera e la odiai per qualche istante, avevo dimenticato cosa volesse dire sognare in quel letto. Non riuscivo ancora ad alzarmi, sudavo freddo e soprattutto ero impietrito dalla paura. Cercai di calmarmi, respirai piano e profondamente e dopo cinque minuti riuscii a riprendere pieno possesso del mio corpo. Mi grattai la testa cercando di sistemare con le mani i miei capelli spettinati. Dormivano ancora tutti, doveva essere l’alba. Decisi che cercare di addormentarmi sarebbe stato inutile, non avrei mai ripreso sonno e la colazione sarebbe stata pronta di li ad un’ora massimo. Mi sedetti sul letto, mi guardai intorno e di soppiatto presi il necessario per andarmi a preparare.
Entrai nel bagno, feci scorrere l’acqua calda e mi ci immersi dentro, non smettendo di pensare nemmeno per un secondo a quel diavolo di volto. Cosa mi stava succedendo? Di chi era quel viso e da me cosa voleva? Ero terrorizzato, se fosse stato un sogno premonitore avrei dovuto fare qualcosa per interpretarlo, ma a quel punto avrei dovuto accettare anche di aiutare la Professoressa McGrannit e, onestamente, di tutto avevo voglia, meno che di nuove rogne. Con il corpo totalmente immerso nell’acqua bollente, feci uscire un braccio e mi allungai per prendere la bacchetta che giaceva vicino al mio pigiama sul pavimento. La puntai sull’acqua e senza proferire parola feci apparire la mia maestosissima tigre bianca dagli occhi azzurri. Differentemente da me, lei restò sospesa sull’acqua, con lo sguardo rivolto verso i miei occhi, come a domandarmi cosa l’avessi chiamata a fare. “Volevo solo vederti” le dissi io, stupito del fatto che davvero stavo parlando con un incantesimo. Uscii dall’acqua e mi misi la divisa, lei era ancora lì, adagiata sul pavimento ad aspettarmi, ad aspettare un comando. Ma l’unico comando che ricevette fu quello di seguirmi nella stanza, a costo di sembrare pazzo, mi sentivo più protetto al pensiero di non essere solo.
Ai miei compagni di camera venne un piccolo infarto quando videro una tigre fantasma aggirarsi nella stanza, ma dopo qualche rassicurazione e facendolo passare per un esperimento di “Trasfigurazione” convinsi tutti che era una cosa apparentemente normale. Far credere a quella massa informe di secchie che qualsiasi cosa è un compito extra per la scuola era davvero troppo semplice. Risi tra me e me, non vedevo l’ora di raccontare tutto a Tania. Era davvero strano; io, proprio io, Alex Stone, la persona più misantropa del mondo, non vedeva l’ora di poter raccontare qualcosa di molto personale ad una ragazza conosciuta ventiquattro ore prima? No, anche quello doveva essere un sogno. Io non avevo mai avuto bisogno di nessuno, non avevo mai sentito la necessita di avere amici. Io ero Alex ed io dovevo bastarmi. Sorrisi alla mie tigre mentre ritirai il mio orario di lezioni: avevo due ore di Difesa Contro Le Arti Oscure, con i Grifondoro. Inizialmente non ci badai troppo, era routine fare lezione con un'altra delle quattro case, poi però lessi attentamente e gridai “GRI-FON-DORO” non era stato fatto apposta, non mi ero nemmeno reso conto di averlo fatto, non fosse per le risatine isteriche di qualcuno alle mie spalle. Notai però come al mio cambio d’umore la tigre mi si attacco alla gamba e con aria austera e fredda guardasse tutto ciò che poteva essere la foto del mio cambio umorale improvviso.
Fuori dal dormitorio, scesi le scale della torre abbastanza di fretta, per quanto mi fossi svegliato parecchio prima di tutti gli altri, avevo preso la cosa con troppa calma e rischiavo di far tardi per la colazione e di conseguenza anche alla lezione di DCAO alla qualche, ovviamente non volevo fare ritardo. Quindi mi ritrovai a correre come un pazzo in un corridoi parecchio strano al sesto piano, solo perché una volta avevo sentito parlare di un passaggio segreto dietro il ritratto del l’uomo con la vanga. Arrivai dinanzi al quadro e pregai in tutte le lingue conosciute all’uomo che non servisse necessariamente una parola d’ordine. Poggiai la mano sinistra sul quadro, come mi era stato spiegato, e lui tranquillo spalancò le sue porte. Sospirai felice. “Grazie” gridai con un filo di voce, mentre prendevo a correre nel tunnel buio. “Lumos” esclamai. Doveva essere un passaggio segreto, non una deviazione di dodici chilometri. Prima che potessi continuare a lamentarmi, arrivai dietro una porta di legno chiara, la spinsi, ed eccomi lì, ad un palmo dalla sala grande.
Entrai con  passo fiero, anche se un po’ affannato, e l’occhio andò subito al tavolo delle Serpi. Dove Tania mangiava tranquilla, volevo salutarla, ma avevo troppa paura di metterla in imbarazzo con le sue amiche, quindi decisi che avrei aspettato l’inizio delle lezioni. Mi affrettai a mangiare qualche zuccotto di zucca e un bevvi una tazza di tè alle ortiche. Non salutai nemmeno, ero troppo preso dal pensiero che a lezione lo avrei rivisto, con un po’ di fortuna. Certo non era la lezione che ci aveva fatto conoscere, ma era un inizio.  Presi la prima rampa a sinistra del ingresso e iniziai a salire, ricordando come ogni volta che alle scale piacesse cambiare. Difatti, per arrivare al terzo piano ci misi dieci minuti, visto che ogni rampa che decidevo di prendere magicamente appena ci mettevo piede girava dall’altro lato, come se anche il castello si stesse prendendo gioco di me.
Finalmente arrivai nella fredda aula di Difesa Contro Le Arti Oscure. Il gruppetto dei Corvi del sesto anno era già tutto lì, come al solito in forte anticipo. I Grifi invece arrivavano sempre con un po’ di ritardo, infatti, piano piano l’aula iniziò a riempirsi. Mi guardavo intorno, i banchi di legno scuri erano tutti accatastati su una parete, il che poteva significare solo una cosa: lezione pratica. “Che palle!” sbuffai, rendendomi conto troppo tardi che, ancora una volta, avevo parlato ad alta voce. “No, nel senso..” dissi cercando di guardare tutti i miei compagni di casa “..non vedo l’ora inizi la lezione..” i loro volti si rasserenarono e tornarono immediatamente a parlare del più e del meno. Dalla scala posta alle spalla della cattedra, scese felpato il Professor More. Era un uomo sulla trentina, niente di particolarmente interessante, nemmeno un capello sulla testa, ex Auror cacciato per motivi a noi sconosciuti, sapevamo che a scuola faceva il suo dovere e a quanto pare lo faceva anche bene, quindi per me era apposto così. Aveva un particolare ascendente nei confronti dei Corvi, essendo stato anche lui ex Corvo ed una rabbia repressa per via del rifiuto da parte della preside alla sua richiesta di diventare professore referente della casata Corvonero.
“Buon giorno a tutti cari i miei ragazzi!” esclamò forte.
“La lezione di oggi, come ben avrete capito sarà una lezione pratica, quindi fuori le bacchette che iniziamo subito!”
 Senza farcelo ripetere due volte, avevamo già tutti le bacchette pronte a lanciare scintille, tutti meno che il membro mancante della casata Grifondoro: Joan. Che non si sa per quale motivo astrale, non si fosse ancora presentato a lezione. Preso da un momento di panico mi avvicinai al professor More, nell’intento di avvisarlo dell’assenza del signor Torrerossa, ma mi fermai in tempo.
Eravamo disposti gli uni difronte agli altri, Grifi vs Corvi. Il professore era esattamente in mezzo alle due file, ci guardò, sorrise e poi asserì “Oggi tratteremo gli incantesimi elementari, voglio mettervi alla prova, lotterete usando solo i cinque elementi.” Si alzò un brusio dall’aula, i corvi erano impazziti, avevano paura di non riuscire a ricordare abbastanza incantesimi, a differenza dei grifi (  e me) che beffardi ridevano della situazione. Il professore non ci divise in coppie, era uno scontro libero: tredici contro dodici; un po’ impari, ma pazienza.
“VIA!” gridò il professore.
Scintille ovunque, riuscii a schivare per un pelo una palla di fuoco. Cercavo un posto riparato per iniziare ad attaccare, ma ogni volta che sollevavo la becchetta arrivava lo stronzo di turno che attaccava al posto mio. “Bombotta!” gridai. Avevo capito solo in quel istante il senso di quella lezione, incantesimi elementari, ma non i cinque elementi, incantesimi basati sugli elementi. Il mio incantesimo colpì Vivian Loodvigh, una delle più ricche e desiderate ragazze Grifondoro, ma che in confronto a Tania non era assolutamente nulla. Bionda, magrissima e priva di forme, altezzosa e con un paio di piccolissimi occhi color ghiaccio. Vivian venne scaraventata sul muro e imprecando si allontanò dal capo di battaglia.
“Ottimo Stone, dieci punti a Corvonero.” Esclamò entusiasta il professore.
Come al solito, i corvi vennero premiati senza aver fatto chissà quale sforzo. La battaglia continuò eravamo rimasti in otto sul campo di battaglia. Quattro contro quattro, dovevo cercare un modo per sfogare la mia rabbia. Preso da un attimo di poca lucidità puntai Evan Smith, un ragazzo anche abbastanza simpatico della mia casata rivale, era uno dei più cari amici di Joan, nonché capitano della squadra di Qidditch. Un ragazzone tutto muscoli e poco cervello. “Lumos Soles” gli gridai puntando la bacchetta in direzione del suo volto. Non fece in tempo a schivare il raggio di luce bianca che come un missile uscì dalla mia bacchetta. In un primo momento credevo di averlo ucciso, era lì per terra, esanime e con le mani sul volto. Poi però si alzò un po’ frastornato e uscì dal campo di battaglia.
Eravamo rimasti in due: io e una ragazza della quale non ricordavo neppure il nome. Ci lanciavamo palle di fuoco e una dopo l’altra avevamo quasi esaurito le idee, io per primo non sapevo come uscirne, dovevo vincere. Lei mi guardò e con un sorriso quasi cattivo gridò “impedimenta” delle corde mi bloccarono il corpo, ma non essendo propriamente un incantesimo di terra il professore mi concesse di continuare la battaglia. “Taglio” gridai, sciogliendo così quei nodi. Era il suo turno, tutto ruotava intorno agli sguardi, ci fissavamo e lanciavamo un incantesimo. Mancava mezz’ora alla fine della lezione e la tifoseria era accanita da ambo le parti. D’un tratto la parta dell’aula si spalancò e vidi quei capelli ricci, era arrivato, con quasi due ore di ritardo ma era lì. Sentii la rabbia pervadermi, dove diavolo era stato tutto quel tempo? Preso dai miei pensieri riuscii a schiavare per un pelo il fascio di luce che la Grifa aveva avuto la geniale idea di copiarmi. Non ci vidi più, dovevo mettere fine alla storia, dovevo parlare con lui.
Sentii il fuoco nel cuore, dovevo farlo, anche se poteva essere pericoloso. Chiusi gli occhi e gridai con tutta la forza del mio copro “ARDEMONIO!”.
Un enorme scia di fuoco avvolse la mia compagna, era rinchiusa in una sottospecie di vortice, che avevo paura potesse addirittura ucciderla. Passò un minuto, sembrava essere eterno, poi il professore intervenne e spense le fiamme con un incantesimo d’acqua che non avevo mai sentito pronunciare.
La ragazza era al centro di un cerchio nero (creato dalla combustione del pavimento per via delle fiamme) e aveva un aria terrorizzata. Due sue compagne la presero e la scortarono fuori dall’aula, mentre il professore inneggiava con i Corvi.
“50 punti a Corvonero e 20 punti al signor Stone per la grande cultura in campo di incantesimi d’attacco.”
Un applauso generale invase la classe, ma tutto ciò che m’importava era poter parlare con lui, cercavo di svincolarmi da tutti i miei compagni che mi facevano domande sul come conoscessi quella formula e dove l’avessi imparata, non rispondevo, gli schivavo, uno ad uno e procedevo dritto verso la mia preda. Arrivai, lui era seduto con lo sguardo rivolto verso il basso, in silenzio, sembrava preso da qualche losco pensiero.
“Possiamo parlare?” Gli chiesi.  Lui non alzò neppure la testa per rispondere. “E di cosa dovremmo parlare? Nemmeno ci consociamo” rispose guardandomi le scarpe. Portai una mano sotto il suo mento, il tocco con la sua pelle delicata mi fece rabbrividire, gli alzai il viso e guardandolo dritto i quegli occhioni verdi dissi “Smettiamola di fingere, dobbiamo parlare” Si alzò di scatto e mi fece sussultare. E si diresse fuori dalla porta. Lo seguii a ruota, soffermandomi ad osservare il perfetto movimento di natiche che cadenzava nella sua camminata. Distolsi lo sguardo appena in tempo, pochi istanti prima che potesse girarsi per osservarmi. Aveva il viso davvero stanco, l’aria di qualcuno che non aveva chiuso occhio tutta la notte.
“Perché ieri non ti sei presentato all’appuntamento?”
“Perché avevo altro da fare ok?” rispose lui, freddo come una lastra di pietra.
“Ok..” dissi, presi un respiro e poi aggiungi “sei sicuro che non era perché non avevi voglia di vedermi vero?” Che domanda imbecille che gli avevo appena fatto. Avevo promesso che non ne avremmo più parlato ed invece eccomi qui a riproporre un argomento che avevamo giurato sarebbe stato TABOO.
“Alex..” disse lui stringendo i denti. “Io avevo altro da fare, stop.” Socchiuse gli occhi e arricciò il naso, come se non avesse voglia nemmeno di guardarmi in faccia. “E oggi..” non mi fece terminare la frase, spalancò i suoi occhioni verdi, mi gettò un occhiataccia e gridò “Non sono affari tuoi Stone!” e andò via. Ero stanco dei suoi atteggiamenti, non ne potevo più, sempre la stessa storia, io domandavo e lui scappava, ma quella volta non l’avrebbe passata liscia.
“Impedimenta!” gridai puntando dritto alle sue gambe. Joan cadde a terra, immobile e silenzioso. Lo raggiunsi appena mi resi conto della stupidaggine fatta. “Scusa ti prego..” gli chiesi quasi in lacrime, prima di piegarmi per liberarlo. Mi misi a carponi e lo vidi: stava piangendo, non aveva solo l’aria di qualcuno che non aveva dormito, ma aveva l’aria di qualcuno che non stava bene, chissà per quale motivo poi. Lo liberai, si sedette sul pavimento e mi guardava, con le lacrime che gli bruciavano le guance come gocce di limone. Io lo strinsi più forte che potevo, ma non bastava, sentivo il suo singhiozzo rimbombare nelle mie orecchie, allora strinsi di più e lui mi spinse, com’era solito fare e scappò via, abbastanza velocemente da non permettermi di replicare.
Ero davvero troppo pensieroso, cazzo nemmeno due giorni di scuola e già potevo definirmi esanime. Ero di nuovo sulle scale, ma decisi di non prendere nessuna ricorsa, avevo un’ora di pausa e subito dopo il pranzo, quindi non avevo una meta precisa. Tutto ciò che speravo era poter incontrare Tania da qualche parte.
Scesi in giardino, tanto per ingannare l’attesa fumando una sigaretta. L’accesi e il fumo che ne uscì era grigio. Rimasi sbalordito, com’era possibile? Voleva dire solo una cosa, che nemmeno le sigarette magiche potevano capire cos’avevo davvero. Avevo quasi finito quando qualcuno alle mie spalle mi strinse forte, chi diavolo poteva essere se non Tania? Mi girai felice di quell’abbraccio, così caldo e soprattutto così inaspettato.
Davvero inaspettato, perché quando mi girai lo stomaco mi si contorse diventando un unico grande nodo. Era il mio riccio preferito, quello che nemmeno mezz’ora prima avevo incatenato sulle scale di DCAO. Lo guardai sbalordito, con la stessa espressione di qualcuno che ha appena visto un fantasma. “Cosa stai facendo Torrerossa?” gli chiesi con il nodo alla gola. “Niente solo che..” disse lui con gli occhi ancora rossi dalle lacrime versate pocanzi. “…solo che ogni tanto penso che abbiamo sbagliato”  con un filo di voce. “Abbiamo sbagliato? A fare cosa? Ad allontanarci? No perché se ti riferisci a quello ti ricordo che io non c’entro assolutamente nulla!” gli ringhiai contro nemmeno mi avesse ucciso la tigre. “No…cioè si.. Ascolta Alex..” Pronunciò il mio nome con un tono così caldo, che mi fece venire i brividi. “..mi dispiace ok? Di tutto..” non capivo a cosa si stesse riferendo, iniziò a piangere di nuovo, certo avermi preso per il culo  non era stato il massimo, ma non da versare così tante lacrime. “Torrerossa contieniti sei un Grifo, per Merlino!” gli dissi sorridendo. “Lasciamo stare, ci siamo ripresentati, possiamo ricominciare tutto da capo!” Mi guardò un po’ spaesato, con l’espressione di qualcuno che ha appena preso un pungo nello stomaco. “Sei sicuro?” mi disse asciugandosi le lacrime. “Solo a patto che la prossima volta, prima di illudermi, di fare promesse che non puoi mantenere, ci penserai due volte.” Scoppiammo a ridere entrambi e ci abbracciamo forte.  
Era quasi ora di pranzo. Dovevamo tornare dentro, anche perché il cielo aveva iniziato a scurirsi, vidi una calca di studenti ammassarsi nel corridoio centrale e la prima cosa che mi venne da pensare fu che gli studenti di primo non erano riusciti a contenere la fame, ma per sfortuna non era così.
Appena entrati nell’ingresso centrale, tutti attorniavano un’ombra. Ed essendo ancora lontano non capivo cosa stessero guardando. Mi avvicinai con ampie falcate, nella testa avevo un brusio fastidiosissimo, che stranamente non riuscivo a zittire. Arrivati ai piedi dell’ombra notai che non era quella che stavano fissando, ma un corpo, legato in alto, ad uno dei lampadari.
Non c’erano insegnanti, ne prefetti, tutti erano impietriti davanti a quella scena deviata. C’era chi piangeva e chi cercava di chiamare aiuto, nel frattempo però qualcuno avrebbe dovuto salvare quel ragazzo. Mi girai per cercare aiuto i Joan, ma lui non c’era già più. Dove diavolo finiva tutte le volte che succedeva qualcosa di strano? Non era il momento di farsi domande, dovevo trasformarmi in Super Alex. Mi feci largo tra i ragazzini più piccoli e uscendo la bacchetta la puntai contro il lampadario che prima di schiantarsi rovinosamente al suolo fece una piccola pausa, non facendo così del male al ragazzo legatoci sopra. Anche lui, come il ragazzo ritrovato la notte precedente, era privo di sensi e con gli occhi sbarrati. Cosa stava succedendo nel castello?
Arrivarono i soccorsi che portarono il piccolo in infermeria, dove sarebbe stato svegliato e interrogato. Insieme a parte del corpo docenti arrivò anche la professoressa McGrannit. Che già da lontano mi aveva puntato con sguardo ostile. Prima ancora che potesse fiatare l’anticipai. “Si, ci sto, ma a delle condizioni.” Lei sorrise felice, come se le avessi appena dato la più bella notizia che le sue orecchie avessero mai sentito. “Che Albus mi fulmini! Dimmi cosa ti serve?” chiese lei esasperata. “Beh, io le presto le mie speciali abilità, però lei deve permettermi di indagare su questa questione insieme a lei.” Non sembrava essere troppo d’accordo, ma si arrese all’idea che per farmi collaborare sarebbe dovuta scendere a compromessi. “E sia. Ma non intralciare le indagini.” Disse sotto voce. “Sarà fatto Professoressa” sorrisi. “Alle 22.00 nel mio ufficio Stone, fai in modo di non essere visto da nessuno…” disse guardandosi intorno. “..Pix compreso” e mi mise nella tasca una fialetta. Mi salutò con un sorriso e andò via.
Che giornata pesante. Mi avviai in sala grande e cercai di spegnare il cervello. 


Ciao a tutti. Spero che i capitoli sitano iniziando ad intrigarvi, i misteri si fanno sempre più vivi e bisognerà capire cosa sta succedendo nelle mura di Hogwarts. 
Ringrazio le mie adorate lettrici per le loro stupende recensioni! Spero continuino! Un bacio a tutti. Mark.

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Capitolo 5
*** Connessione ***


Che stress, la scuola era iniziata da nemmeno due giorni e già iniziavo a sentire il peso del mondo sulle spalle. “Ma perché diavolo succedono tutte a me?” continuavo a ripetermi durante il pranzo. Oramai la voce dei due ragazzini trovati privi di sensi si era sparsa a chiazza d’olio, tutti giocavano ai piccoli detective cercando di dare supposizioni e spiegazioni su quanto accaduto. Secondo me era uno di quei giochi a chi la spara più grossa, perché la marea di cretinate che ero stato costretto ad ascoltare per più di mezz’ora, avevano portato me e il mio nervosismo alle stelle.
Mi alzai dal tavolo, cercando con lo sguardo Joan al tavolo dei Grifi, ma niente, di lui nemmeno l’ombra. Ma che diavolo di fine aveva fatto? Un attimo prima era con me, un attimo dopo sparisce alla vista del ragazzino stordito. Chi capiva quel ragazzo  doveva essere bravo. Non mi ci soffermai troppo, anche se mi sarebbe piaciuto entrare a fono nella faccenda, quindi mi avvicinai al tavolo dei Grifondoro, cercando disperatamente qualche conoscenza del sesto anno. Il mio sguardò incontro quello di Vivian, che avevo schiantato nemmeno due ore prima contro una parete. Avevo il terrore ad avvicinami a lei, ma alla fine dopo un respiro profondo le sorrisi, lei stranamente ricambiò il mio sorriso, forse non era poi così tanto arrabbiata con me. “Vivian posso parlarti?” le dissi quasi sottovoce. “Certo Stone.” Disse continuando a sorridere. Si ricordava addirittura il mio cognome. “Hai per caso visto Joan?” le chiesi mangiandomi nervosamente le unghia. “No, in realtà volevo chiederlo a te” disse perplessa. Cosa, cosa, cosa, cosa ? La guardai con un punto interrogativo stampato sulla faccia, grosso quando una casa. “..e perché proprio a me ?” le chiesi fingendo una tranquillità che in realtà non avevo. “Perché prima del ritrovamento del ragazzo, ero in cortile e insomma io.. beh sì, ho visto che eravate abbracciati, non sono solita fare domande, non fanno per me, sono una molto vivi e lascia vivere però sarebbe stata la spiegazione al comportamento strano ed evasivo di Joan..” ero rimasto in silenzio e a bocca aperta, non sapevo davvero cosa dirle, certo, raccontarle la verità sarebbe stata la mossa migliore, ma non mi andava di raccontare la mia vita personale ad una ragazza semi sconosciuta. “Vivian, siamo amici da tempo, ecco perché lo cerco, perché anche io noto un comportamento molto strano e davvero, non so cosa pensare..” la menzogna ad ogni costo non faceva per me, dovevo riflettere sulle parole da usare per risultare il più convincente possibile. “..se dovessi vederlo, digli che lo cerco”. “Certo Stone, mi dispiace non poter essere d’aiuto.” Le sorrisi, senza fiatare, avevo il sudore che scendeva dietro la schiena, speravo che non si fosse accorta di nulla.
Uscito dalla sala grande mi avviai alla ricerca del riccio. Ero arrabbiato, frustrato e soprattutto preoccupato, troppe cose tutte insieme. Iniziai a vagare a vuoto per il casello, perso nei meandri più oscuri dei miei pensieri; credevo addirittura di essermi smarrito, non nel castello, ma nella mia testa. Immagini vagavano libere, senza un perché senza una sequenza logica. Stavo ripensando a quella stramaledetta lezione di pozioni, ancora una volta i pensieri si affollavano su di lui. Non fu in quel momento che mi resi conto di provare qualcosa per quegli occhi verdi, ma tanto tempo prima. Quel giorno arrivò solo la conferma, perché quando mi strinse la mano fu strano, non erano i nostri corpi ad essersi incontrati, ma le nostre anime, come se in quel momento si fossero presentati solo i nostri involucri , perché le anime, quelle si conoscevano già da tanto tempo. Era iniziato lì un percorso fatto di alti e bassi, paure e segreti da nascondere a tutti. Come se l’omosessualità fosse una malattia da tenere nascosta per paura di essere giudicati; ci nascondevamo nei corridoi buoi, evitavamo contatti in presenza della gente, eppure non mi dispiaceva, non perché anch’io avessi paura, ma perché mi bastava star bene con lui, del resto non m’importava. E poi? Poi d’un tratto tutto finito, tutto nel buio, come se non fosse mai successo nulla, come se quei baci strappati al buio non fossero mai esistiti, come se le nostre strade non si fossero mai incrociate. “Non posso darti quello che ti meriti”. Sentivo quella frase echeggiare nelle mie orecchie, ancora, ancora e ancora. Sono tutti bravi a darsi colpe che non hanno, tanto perbenismo per cosa poi? Il delitto più commesso dall’uomo è anche il più gettonato: ferire il cuore delle persone buone.
Sentivo le lacrime scivolarmi sulle guance, ma non le controllavo, non potevo farci niente se quelle ferite, dopo tutto quel tempo passato nel silenzio erano ancora segretamente aperte nel mio cuore. Mi asciugai rapido il volto e mi strinsi nelle spalle, cercavo corridoi solitari in cui nascondermi. Poi l’illuminazione: la biblioteca. Non poteva esistere posto più silenzioso e riservato di quello. Quindi corsi per il corridoio del secondo piano e mi addentrai in un vicolo molto illuminato, fino a trovarmi davanti ad una porta in legno, sicuramente intagliata dagli elfi, con i bordi in oro e una targa placcata in ottone con scritto “Biblioteca: dove il silenzio regna sovrano”. Solitamente i primi giorno di scuola, come durante le prime settimane, la biblioteca era un luogo deserto, anche perché compiti e ricerche non erano ancora state assegnate, quindi saresti stato solo ed in silenzio per un po’. Spinsi la porta con la foga di chi vuole stare solo, ma il mio entusiasmo aumentò quando nascosta da una pila di libri notai la folta chioma riccioluta di una delle ragazze più belle della scuola. Non si era ancora accorta della mia presenza, era così presa nei suoi impegni che non aveva sentito la porta sbattere. Era lì, china su un libro, con la bacchetta nella mano sinistra che agitava con ansia nell’intendo di fare non so cosa. La osservavo, era una ragazza curiosa, strana per essere una serpe; sempre così sorridente, dall’animo limpido, un atteggiamento poco comune in quella casata, ma non si può mai fare di tutta l’erba un fascio. Notai come con notevole velocità si muoveva tra gli scaffali per cercare i volumi che le servivano, velocità degna di chi in biblioteca ci vive. Ero tentato dall’andare via per non disturbarla, ma era sola, stavolta non l’avrei messa in imbarazzo con nessuno.
Feci un colpo di tosse, tanto per attirare la sua attenzione, ma niente, non si distraeva un secondo. Iniziai a ridere sotto i baffi e preso dall’euforia del momento tirai fuori la bacchetta, la puntai contro la pila di libri e gli feci cadere, provocando una reazione inaspettata nella serpe, che presa da un attacco d’ira funesta gridò “Maledetti Nargilli del cazzo!” e si piegò immediatamente per raccogliere i libri. A quel punto non riuscii più a controllare la mia risata, ero scoppiato in una energica ridarella che non mi colpiva oramai da anni. Lei alzò uno sguardo di fuoco, che diventò immediatamente una risata isterica.
“Cos’è, preferivi i nargilli?” le chiesi ridendo.
“Sta zitto idiota, mi hai fatto prendere un colpo!” disse continuando a raccogliere i libri dal pavimento. Mi avvicinai per darle una mano e nel giro di un minuto i libri erano nuovamente riordinati sul tavolo. “Come mai china sui libri il secondo giorno di scuola?” le domandai sorpreso. “Perché come al solito l’ansia è la mia migliore amica, un tuo compagno di casata mi ha riferito che la prima lezione di difesa sarà sull’utilizzo di incantesimi elementari e sto cercando di ripeterne il più possibile, ma la maggior parte non li conosco neanche. Sapevi dell’esistenza di un incantesimo che può evocare una cascata d’acqua?”  la guardai sbalordito. “No.. non ne avevo idea.” Le dissi. “bene, nemmeno io.!” Esclamò.
Non credevo che quella ragazzina all’apparenza così sicura di se, nascondesse un demone chiamato ansia. Iniziai a spiegarle un po’ come funzionava la lezione, le dissi che non era necessario conoscere tanti incantesimi elementali, quanto incantesimi basati sugli elementi. Sembrava essersi tranquillizzata, conosceva una miriade di incantesimi esplosivi.
“Sai, ho scoperto da poco che anch’io ho sviluppato un incantesimo firma.” Mi spiegò chiudendo un enorme volume di magia antica. “Cioè?” chiesi curioso. “L’incantesimo Reducto, sembrerà assurdo Alex, ma io sento che quell’incantesimo mi appartiene, riesco a controllarlo, riesco a sentilo mio, come se fossimo un tutt’uno, non so se riesci a capirmi..” La guardai titubante per un momento e poi feci un cenno con la testa, come ad annuire. “Anch’io ho un incantesimo firma..” dissi quasi sotto voce, come se non volessi essere sentito, come se fosse una vergogna. “Cioè?” i suoi occhi neri sembravano due stelle per quanto la curiosità era forte. “Il mio Incanto Patronus..” presi un respiro profondo, non era mai stato semplice aprirmi con qualcuno. “..non sono uno che ha tanti amici, non lo sono mai stato, non mi è mai piaciuto dare tutto me stesso a qualcuno, quindi ho sviluppato una sottospecie di rapporto quasi vero e simbiotico con la raffigurazione animale del mio incantesimo.” Mi guardava quasi triste, come se le mie parole le avessero fatto male. “Ti va di mostrarmelo..?” mi chiese dopo poco. Mi parlava senza guardarmi negli occhi, come a temere la mia reazione. Non risposi neanche, uscii di getto la bacchetta, facendola sussultare e, come al solito, senza aprire bocca, la punta della bacchetta illuminò a giorno la grande biblioteca.
Rimase estasiata alla visione della mia tigre, come se quell’animale  così freddo, per un istante le avesse dato il calore di un abbraccio. La tigre iniziò a girarle intorno, come a studiarla, leggevo nei suoi occhi la tensione, ma cercò in vano di non far trasparire nulla. “Alex è bellissima!” Esclamò lei. “Come mai una tigre? Per dipiù bianca!” mi chiese non togliendo per un secondo gli occhi di dosso al maestoso animale che si era oramai accucciato sul pavimento freddo. “La tigre è un animale solitario, che sa badare a se stessa da sola, senza dover mai chiedere niente a nessuno. Immagino che sia bianca, perché è ancora più rara da trovare, quindi non so magari rispecchia quello che ho dentro, magari mi rappresenta al meglio. Solitario e raro, direi che mi si addice” e scoppiai a ridere, in una di quelle risate rumorose ma di cuore. “Come mai raro? Cosa ti rende così speciale secondo te?” Si stava divertendo a mettermi in difficoltà, da brava e astuta serpe aveva capito come torcermi le parole di bocca. “E’ una storia che un giorno ti racconterò, va bene?” le chiesi sorridendo, lei si limitò ad annuire e girò intorno alla tigre per avvicinarsi ancora di più a me. “Alex, perché sei venuto qui?” mi chiese accarezzandomi l volto. “Beh, è un posto silenzioso in cui pensare.” Le mie palpitazioni aumentavano, per mia sfortuna non sapevo mentire, ma quella non era una bugia, era solo una mezza verità. “E da cosa scappavi?” mi chiese continuando a guardarmi fisso negli occhi. Sudavo freddo e la tigre se ne accorse, di colpo si alzò e iniziò a ringhiare, una cosa che non avevo mai visto fare a nessun Patronus. Puntò le zampe sul pavimento e mostrò i denti a Tania, che terrorizzata uscì la bacchetta. Ebbi la prontezza di mettermi in mezzo, guardarla i quegli enormi occhioni azzurri e, con il semplice scambio di sguardi minatori, tornò seduta e ricominciò ad essere tranquilla. “Deve tenerci davvero tanto a te” disse la serpe con il cuore in gola. Presi la bacchetta e salutandola la feci sparire, se il discorso fosse degenerato avevo paura di non riuscire a controllarla. Mi rigirai verso Tania, che speravo avesse dimenticato il discorso precedentemente intrapreso. “Dicevi?” mi disse incrociando le braccia, come ad aspettare una risposta a tutti i costi. “Scappavo dai miei pensieri, stavo piangendo e non volevo essere visto da nessuno, quindi ho pensato di venire qui, per non essere trovato da nessuno, per non essere visto da nessuno, ma destino ha voluto il contrario..” le dissi tutto d’un fiato. “Perché stavi piangendo?” Per merlino quante domande. Ma non riusciva proprio ad evitarle? “Non mi va di parlarne..” le dissi girandomi di spalle. “E’ per Joan ?” disse lei con la voce rotta. “Cosa?” Ma che diavolo avevano tutti quel giorno? Era davvero così evidente? “Non sono cieca Alex, quel giorno sul treno, avevo capito tutto, vi si leggeva negli occhi, poi la sera quando in cortile il tuo sguardo andava sempre verso il portone d’ingresso ho capito tutto.” Asserì lei fiera di avere ragione. “Sì Tania Poke..” dissi io. “Si cosa, Alex Stone?” rispose lei. “Sto così per Joan Torrerossa.” Sul suo volto c’era un mix tra eccitazione per la scoperta, curiosità, rammarico e rabbia. “Dammi il via, lo trovo e lo uccido. Non mi va di vederti giù per quel riccio sciapito!” gridò lei. “Non sei scioccata dalla notizia della mia Omosessualità?” le chiesi io. “Ma sei pazzo? Che mi frega chi ti scopi! Voglio sapere cosa ti ha fatto quell’imbecille!” gridò così forte che la tizia della biblioteca tirò fuori la testa dal suo ufficio e le gridò “SSSSSSSSSH” così forte da farmi venire lo stimolo per la pipì. “Ma ssh cosa? Ci siamo solo noi due qui dentro, grido quanto mi pare!” le urlò contro. “Mi scusi!” intervenni io, facendole capire con un gesto della mano che avrebbe dovuto abbassare la voce. Prima ancora che potesse aprire la bocca le dissi piano “Abbiamo avuto una relazione l’anno scorso, siamo stati insieme un anno, ma lui mi ha lasciato dicendomi che meritavo di meglio, che mi stava solo facendo del male, ma non era così Tania..” mi fermai un secondo, perché iniziavo a sentire le lacrime caricare gli occhi. “..Io stavo bene, benissimo, non m’importava di dovermi nascondere, di non poter mostrare nulla a nessuno, perché ero con lui, eravamo due copri e un anima, almeno così credevo.” Lei sembrava spiazzata da quel racconto, ma più che del racconto mi sembrava spiazzata dal mio lato umano. Non fece domande, non ne fece più, mi si gettò al collo e io mi lasciai andare in una valle di infinite lacrime, che cadevano sulla divisa della serpe come preziose gocce di rugiada mattutina.
Mi asciugai gli occhi e l’orologio segnò le 20,00, era ora di cena. Mio dio il pomeriggio tra una chiacchiera e l’altra era voltato ed io dopo nemmeno due ore avrei dovuto affrontare la preside . L’ansia saliva. “Tania, devo andare, la preside vuole vedermi dopo cena nel suo ufficio, prometto che ti spiegherò tutto, avrò bisogno di te, se avrai voglia di aiutarmi..” le dissi io. “Non dirlo nemmeno per scherzo! Sarò la tua seconda tigre!” mi diede un bacio sulla guancia e sparì dietro i suoi libri.
Uscii dalla biblioteca con un peso in meno sullo stomaco, come se avessi aperto il rubinetto dei miei pensieri e avessi fatto sgorgare un po’ della ruggine che da sempre tenevo chiusa dentro. Avevo dato molto più di me stesso a quella ragazza quel pomeriggio, che non al mondo intero in tutta la mia vita. La strada del ritorno mi sembrò infinita, forse perché non ero più cosi sovrappensiero, ma alla fine riuscii ad arrivare in sala grande.
Non mangiai molto, avevo pur sempre lo stomaco chiuso. Parlai un po’ delle lezioni del giorno dopo e a malincuore avevo scoperto di avere lezione di Incantesimi con quella vecchia laida della Floorence, Una delle professoresse più temute ed odiate della scuola. Era la professoressa di riferimento delle serpi, ma anche loro, a giornate alterne, la odiavano. Era spocchiosa, odiosa e soprattutto cattiva, spesso in quei sei anni mi ero domandato come fosse stato possibile per lei entrare in un corpo docenti; doveva essere una bravissima attrice. Già sentivo la sua fastidiosa voce rimbombarmi nelle orecchie, mentre si lamentava di qualsiasi cosa facessimo. Speravo in una lezione pratica, tanto per darle accidentalmente fuoco ai capelli biondo platino che tanto si vantava.
Mi alzai da tavola ancora più nervoso di quando mi ci ero seduto, vidi la preside alzarsi e scendere le scale. Capii subito che stava andando nel suo ufficio, ma all’appuntamento manca più di un ora. Quindi decisi di uscire a fumare una sigaretta. Nel corridoio antecedente al portone che dava al cortile due ragazzine del primo anno si accapigliavano per qualcosa, non m’importava tanto per cosa lo stessero facendo, ma la scena era divertente, quindi mi fermai per un secondo a fissarle imbambolato e con la faccia da ebete e insieme a me tanti altri ragazzi che iniziarono a puntare scommesse su come sarebbe finita. La cosa iniziava a diventare squallida a livello esponenziale, quindi decisi di andar via. Che manicomio che era diventato Hogwarts, tra pseudo serial-killer e ragazzine violente, dove saremmo finiti ?
Uscito fuori, l’aria era molto più fresca della sera prima, forse era la stanchezza e il poco sonno, ma quasi tremavo. Tirai fuori il pacchetto di Magic e ne infilai una tra le labbra. “Scusa..” era una voce sconosciuta proveniente dalle mie spalle, mi girai con la sigaretta ancora spenta. Era un ragazzo, sicuramente più piccolo di me, non l’avevo mai visto. “Posso chiederti una sigaretta? Ho finito le mie..” mi chiese imbarazzato. Gli sorrisi e aprendo il pacchetto feci uscire un'altra sigaretta. “Ecco” gli dissi cortese passandogli una Magic. Presi la bacchetta ed accessi entrambe le sigarette, la mia emanava un fumo verde petrolio e la sua un violetto accesso. “Come mai nervoso?” mi chiese lo sconosciuto. Era partito con il piede sbagliato, un conto erano le domande di Tania, ma non avevo intenzione di spiegare il mio stato d’animo ad un perfetto sconosciuto. “Lezioni pesanti” dissi. “Ti capisco, in qualsiasi caso, piacere io sono Justin” disse sorridendo il ragazzino. Era più alto di me, aveva un sorriso molto luminoso e degli enormi occhi marroni. Sembrava quasi un lemure. “io sono Alex, piacere mio” dissi rivolgendogli il sorriso più falso della storia dei sorrisi falsi. Ma la mia nomina di misantropo che fine aveva fatto? “Frequento il quinto anno, te il settimo?” mi chiese nel disperato tentativo di mantenere una conversazione. “No, il sesto” avevo ragione, era più piccolo di me. “sei un tasso” gli dissi io, non avevo mai parlato con uno di loro, diciamo che erano i meno calcolati di tutta la scuola, ma c’è sempre una prima volta per tutto. “Si, l’hai capito dalla divisa o cosa?” scoppiò a ridere ed io mi resi conto della sciocchezza appena detta. “La divisa parla chiaro!” dissi unendomi alla risata.
Tra un tiro e l’altro parlammo un po’, mi raccontò di essere nato in una famiglia mezzosangue, da mamma strega e padre babbano, che aveva scoperto i suoi poteri molto presto e che ancora oggi aveva difficoltà a controllarli. Io come al solito parlai poco, mi limitavo ad ascoltare il racconto del moro. Ogni tanto intervenivo dicendo la mia, ma ero comunque molto assente, il che mi dispiaceva, data la strana simpatia del ragazzo. Dovevo ammettere che c’erano voluti sei anni, ma alla fine avevo capito che fare amicizia non era così male come sembrava.
La sigaretta finì e l’orologio segnava le 21.45, gettai la sigaretta in una pianta e rivolgendo un sorriso a Justin lo salutai con la promessa di fumare un'altra sigaretta insieme. Appena entrato nel protone c’era Tania ad aspettarmi. “Che diavolo ci fai qui?” le chiesi sorpreso. “Vengo con te dalla preside.” Disse sfacciata. “Tu sei pazza!” le dissi io. “non puoi venire con me Tania, la preside deve parlarmi in privato!” continuai. “Beh, tanto dopo me lo dirai tu, cosa cambia se vengo e ascolto?” Effettivamente non sarebbe cambiato nulla. “Che sei lì e lei ti vede, un conto è che te lo dico io, un altro è presenziare alla riunione..” non terminai il discorso, mi ricordai della boccetta che mi aveva dato la preside quella mattina. Era una pozione per rendersi invisibili, se lei l’avesse presa fuori dal suo ufficio, l’effetto sarebbe durato abbastanza a lungo per permetterle di origliare tutto senza essere vista. “Eh va bene! Ma berrai questa!” le dissi porgendole la boccetta. Aveva la faccia di una bambina che ha appena avuto il permesso di mangiare una caramella gigante. “Andiamo!” disse lei correndo su per le scale.
Lottammo contro il tempo e contro le sentinelle che si aggiravano per la scuola. La sicurezza era raddoppiata dopo i due attacchi, si cercava disperatamente il colpevole e tra corpo docenti, prefetti e fantasmi era quasi impossibile aggirarsi inosservati a quell’ora. Per qualche fortuito caso del destino, scampammo due volte alla professoressa Floorence e una volta a Pix, riuscendo ad arrivare immuni davanti all’ingresso dell’ufficio della preside.
Tania bevve la pozione e con mia grande felicità fece quasi subito effetto, infatti lentamente la sua figura si fece sempre più sfuocata, fino a sparire del tutto. “Sei quasi più bella così” le dissi ghignando. Mi arrivò uno scappellotto dal niente, il che fu abbastanza inquietante. Mi guardai introno ed entrai nell’ufficio.
Era enorme, non era la prima volta che mi trovavo in quella sala, ma ogni volta mi piaceva studiarla tutto, da cima a fondo. Alle spalla della grande scrivania in oro c’erano i quadri di tutti i presidi di Hogwarts. La mia attenzione si canalizzò sul quadro che rappresentava il defunto Albus Silente, uno dei più grandi presidi della scuola. Sembrava ridere beffardo di noi, come se si fosse accorto della presenza di Tania. Non ci badai troppo e mi avvicinai rapido alla scrivania, dove intenta scrivere chissà cosa vi era la professoressa Mcgrannit.
“Professoressa..” mi annunciai io.
“Oh, Stone, ben arrivato, non ti ho sentito entrare, perdonami. Posso offrirti un caffè bollente?” mi chiese cortese.
“La ringrazio, ma no, domani ho lezione, vorrei dormire stanotte” sorrisi.
“Bene, andiamo dritti al dunque” disse lei un po’ titubante.
“Da quando la scuola è iniziata, ma anche da prima, le pareti trasudano una strana energia, come se qualcosa di cattivo fosse entrato nelle mura. Abbiamo ispezionato tutto, ogni angolo, ogni centimetro, ma niente, non abbiamo trovato niente! Tanto che io stessa avevo immaginato di essere diventato pazza, ma poi quei due poveri ragazzi…” si fermò portando una mano alla bocca, era sgomentata. Non capivo da cosa però, alla fine erano solo stati storditi.
“..il loro cuore..” disse con il nodo alla gola “..è stato rubato.”
Sgranai gli occhi, non potevo crede alle mie orecchie. “Come rubato..” chiesi in un momento di panico. “Si Stone, strappato dal petto, portato via e non potranno risvegliarsi finché non gli sarà restituito”
Ero sconvolto, chi poteva essere così disgustoso da rubare addirittura un cuore umano? E per farci cosa poi?
“E io come posso aiutarla, sa bene che il mio dono non mi permette di avere delle risposte chiare, non capisco a cosa dovrei servirle.”
“Stone, tu puoi entrare nella sua testa, vedere con i suoi occhi, capire quando attaccherà e come attaccherà, potrebbe essere una mossa utile per fermarlo, potresti sentire i suoi pensieri così da intercettarlo! So che ti chiedo tanto, perché non è una cosa controllabile, però ne vale la vita di tanti ragazzi, sei la mia ultima speranza..”
Avevo paura, il mio dono, un dono con quale ero nato e che a quanto pare avevo solo io, era incontrollabile. Potevo connettere la mia mente a quella di un’altra qualsiasi persona x, fondendo così la mia mente alla sua. Inizialmente il legame è blando, posso sentire qualche pensiero, vedere con i suoi occhi, ascoltare con le sue orecchie, finché poi il legame non diventa fusione e la mia mente si fonde completamente con quella della persona scelta. Era rischioso, mi spaventava, l’ultima volta che ero stato costretto a creare un legame, mi ci vollero mesi per scioglierlo, ecco perché avevo deciso di accantonare il mio dono, perché mi faceva troppo male. Avere nella testa pensieri non propri, immagini che non c’appartengono e sensazioni che non sono nostre, è forse la violenza più brutta in assoluto.
“Va bene prof, ma come faccio ad instaurare un legame con qualcuno di cui non conosco l’identità?” chiesi io, nella speranza di poter prendere del tempo.
“Ho pensato a tutto io, ho estratto dalla memoria di uno dei ragazzi, un ricordo abbastanza importante, una sagoma, che riuscirà a darti abbastanza energia per poterti permettere un legame, ci vorrà tempo perché sia stabile, ma è un buon inizio.” Addio remota speranza di poter prendere del tempo. Rapida come una saetta, come se avesse paura che io potessi cambiare idea all’improvviso, si avvicinò al pensatoio, gettò un liquido color ghiaccio al suo interno e mi invitò ad immergere il volto.
Buio totale, solo un viso; quel viso, lo stesso del mio sogno! Avevo capito tutto in quel preciso momento, la mia era stata una premonizione. Sentivo un energia negativa, molto più forte rispetto quella del mio sogno, vidi quegli occhi verdi agitarsi nel vuoto e poi più niente, ancora buio e il ricordo finì.
Raccontai alla professoressa del sogno premonitore, raccontai di aver già visto quel volto, che non riuscivo a riconoscere, al quale non sapevo dare un nome.
“Bene, allora connetterti sarà ancora più semplice” Mi disse lei invitandomi a sedermi.
Toccava a me, avrei dovuto rispolverare il mio vecchio ed odiato potere. Mi misi comodo sulla poltrona in pelle, chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi. Sentivo le gambe tremare per la paura, ma era normale avere paura, almeno così pensavo. Focalizzai gli occhi verdi, li vidi, vividi nella mia mente. Cercavo di stabilire un legame, ma ogni volta sfuggivano rapidi alla mia presa. Pensavo di aver perso la mia dote, quando ad un certo punto un tuono. Luce, luce fredda, fredda come il ghiaccio mi accecò. Era la sensazione  giusta, mi concentrai ancora di più, stingevo forte i pugni sui braccioli della comoda poltrona.
Sembrava di camminare in un tunnel, del quale non vedevo ancora l’uscita. Poi all’improvviso eccola, la salvezza. Ero dentro, sentivo la sua energia, la sentivo scorrere dentro di me, riuscivo a percepire il suo respiro ed i suoi battiti. Sbarrai gli occhi di scatto e guardai il viso della professoressa che speranzosa era appollaiata come una civetta al mio fianco.
“Quindi?” mi domandò ansiosa.
“Quindi sono dentro, entrare è stato facile, sta dormendo adesso.” Le risposi seccato.
“Qualsiasi novità ti prego di avvisarmi, qualunque Stone!” mi ordinò la preside.
“Si ricordi che abbiamo un patto, sono libero di indagare” le rinfrescai la memoria, sembrava quasi seccata di questa cosa, ma se voleva davvero essere aiutata da me, allora dovevamo collaborare.
“Va  bene, va a letto adesso è tardi, ci aggiorneremo il prima possibile!” si congedò così, con la freddezza di chi non ha avuto proprio c’ho che si aspettava. Salutai ed andai fuori dall’ufficio, in tempo per vedere Tania riprendere forma.
“Ecco perché sei speciale Stone!” disse lei alzando un po’ troppo il tono di voce.
“Sssh!” la fulminai con lo sguardo. “E’ solo un peso Tania, non sai ora cosa mi aspetta.” Le dissi spaventato.
“Alex..” disse lei. “Ora non sei più solo!”.
Ci gettammo in un lungo ed interminabile abbraccio, uno di quelli spezza fiato. Non ero più solo adesso. 

Finalemente sveliamo in parte i misteri! Ancora tante però le tombe con il coperchio! C'ho messo un po' a pubblicare il capitolo perché scriverlo non è stato semplice dati i ducento probelemi personali che mi affliggono! Spero vi piaccia!! 
Ringrazio di cuore per le recensioni e invito i lettori silenziosi farsi sentire! Alex e Tania ora avranno bisogno anche di voi!
Un bacio a tutti. Mark.

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Capitolo 6
*** Troppo tardi ***


Erano passate esattamente tre settimane dall’ultima aggressione, tre settimane da quando avevo deciso di connettermi con la testa di chissà chi, tre settimane da quando non era successo più un bel niente, tutto sembrava essere diventato misteriosamente piatto. La monotonia della scuola era iniziata. Lezioni tutti i giorni, ogni tanto qualche flash, tanto per ricordarmi che oramai non ero l’unico nella mia testa, le sigarette notturne con Tania, le chiacchierate nei corridoi con Justin e di Joan si vedeva solo l’ombra, anch’essa assente e cupa come lui. Alternava attimi di allegria ad eterni momenti di tristezza e desolazione, nei quali lo si vedeva solo durante le ore di lezione. Non ero mai riuscito a comprendere la psicologia di quel ragazzo, non era possibile conservare tanti stati d’animo tutti insieme, non capivo come riuscisse ad essere così freddo ed impassibile davanti a ciò che era successo qualche settimana prima. Ogni volta che si sfiorava l’argomento diventava stranamente cinico, come se quello senza cuore fosse lui. Nel frattempo i due ragazzini colpiti erano stati trasferiti al San Murgo e le mie ricerche continuavano imperterrite; nel giro di tre settimane io e Tania avevamo rivoluzionato tutta la biblioteca, compresa la sezione proibita, nella quale aveva cercato di capire a cosa potessero servire due giovani cuori umani, senza avere troppe risposte. Alcuni libri riportavano antichi rituali nei quali il sacrificio di un giovane cuore poteva bloccare i poteri di una strega, altri parlavano di invocazioni demoniache, ma nessuna ci sembrava abbastanza plausibile.
Una mattinata ventosa, alzarmi dal letto mi sembrava l’impresa più ardua da compiere. Una volta in piedi sperai con tutte le mie forze di non avere nessuna lezione troppo impegnativa quella mattina, ma i miei desideri furono subito smontati alla vista della bacheca. “Lezione di incantesimi Stone” disse una mia compagna di casa. “No, la Floorence no…” dissi io sbadigliando. “Invece si, ti consiglio di..” non le feci terminare la frase, la fulminai con lo sguardo e lei capì immediatamente che chiudere la bocca sarebbe stata la cosa migliore. Stavo passando troppo tempo con una Serpe e i miei atteggiamenti ne risentivano, non solo in positivo perché finalmente avevo una vita sociale e potevo gridarlo ai sette mari, ma anche in negativo, perché stavo assorbendo tutte le sue caratteristiche di Serpe, il che non era propriamente negativo, anzi a dirla tutta non mi dispiaceva troppo.
Presi un respiro e cercai di contare fino a dieci, ero stufo di dover subire i soprusi di quella megera, ma come potevo reagire? In fin dei conti era pur sempre un insegnante, di bassa lega, ma il coltello dalla parte del manico era il suo. Sorrisi ai miei compagni di stanza e sconsolato iniziai a scendere lentamente la scala a chiocciola della torre d’astronomia. I corridoi stavano iniziando a popolarsi, mi domandavo spesso come facessero ad essere così euforici a prima mattina, il mio status vitale era paragonabile a quello di un bradipo e tutto questo fino ad  un orario da destinarsi mentre loro, svegli da nemmeno mezz’ora, energici come folletti della cornovaglia. Roba da matti. Mi feci largo tra la folla e scelsi di scendere le scale, noncurante del cattivo rapporto, coltivato negli anni, con lo spostamento spontaneo di quelle maledette rampe. “Ma dico io, chi ha progettato queste scale doveva essere proprio un idiota!” sentii esclamare alle mie spalle. Che bello, qualcuno oltre me  di prima mattina riesce a non essere allegro. Mi voltai al suono della voce familiare e come ben avevo immaginato era proprio lui. Justin. Oramai soprannominato da ma e Tania come “Ombra”, non tanto per i colori scuri, quanto per il fatto che in qualsiasi posto io mi potessi trovare, anche in cima ad un albero, aveva la straordinaria capacità di trovarvisi anche lui. Casualità? Secondo me si, secondo Tania no. Ma onestamente, non sembrava affatto gay, quindi imperterrito dei segnali (facilmente fraintendibili) continuavo a ribadire alla signorina Poke che tra me e Justin poteva esserci solo amicizia. Anche perché sbagliato o giusto che fosse, nella mia testa c’era ben altro.
“Buongiorno anche a te” dissi.
“No, non è un buongiorno, non lo è”
“Problemi con le lezioni?” chiesi osservando i movimenti isterici del ragazzo. Sì, magari qualche movenza, ma da lì a sottintendere un omosessualità repressa c’era differenza.
“No, problemi con il mondo” affermò arrabbiato il ragazzo stringendo un libro al petto.
“Posso aiutarti?”
“Magari stasera, ora devo davvero scappare, scusa Alex” mi riservò un sorriso finto, forzato e di circostanza, un modo carino per dirmi che la mia appendice nasale doveva rimanere fuori dai suoi affari personali. Non insistetti, ricambiai il sorriso e lo guardai andare via. 
Finalmente arrivai in sala grande, dopo una decina di minuti passata a litigare con le rampe, ero finalmente seduto in santa pace a fare colazione. Un po’ di dolci caramellati, caffè babbano, qualche zuccotto di zucca e per finire un ottimo Tè alle ortiche. Da lontano lanciai un occhiata al tavolo dei Grifi, come ogni santa volta, non lo facevo con l’intenzione di farlo, solo che il mio occhio, correva lungo tutto il tavolo e come ogni volta non incontrava mai lo sguardo del riccio misterioso. “Chissà come starà oggi..” mi chiesi tra me e me.
“Sicuramente meglio di noi dopo la lezione di incantesimi Alex!” tuonò la voce di Tania.
“Dovrei smetterla di parlare ad alta voce” scoppiai a ridere.
“Parlando di cose serie, andiamo a lezione insieme o la tua ombra ci tormenterà anche oggi?”
“Tania, quante volte devo ripeterti che non è la mia ombra ?” Fece spallucce alla mia domanda e mi tese la mano per farmi alzare dal tavolo. Mancavano più di quaranta minuti all’inizio della lezione, ma avevo imparato a conoscere la mia Serpe preferita, aveva troppa ansia di arrivare tardi a lezione, soprattutto con la professoressa Floorence. Quindi masticando ancora un dolce caramellato, le presi la mano e mi alzai dal tavolo. Sembrava che nemmeno il caffè avesse fatto effetto quella mattina e non riuscivo a capire il perché, mi sentivo stranamente fuori dal mondo, debole. “Tania, credo di non sentirmi troppo bene” dissi poggiandomi ad una parete. Tania mi si avvicinò con la faccia quasi più pallida della mia, mi osservò dalla testa ai piedi e dopo aver riflettuto per un istante esclamò “Sei pallido e per di più hai delle occhiaie assurde, ma non hai dormito bene stanotte?”
“Si, stranamente non sono stato tormentato da incubi, ma mi sento fuori dal mondo in questo istante, stanco e spaesato come non mai.” Le dissi massaggiandomi la testa.
“Potrebbe essere un effetto collaterale della connessione?” chiese in tono indagatorio.
“Si, teoricamente si.” Risposi io mentre rapido, forse troppo, mi scostai dal muro per riprendere il viaggio verso l’aula d’incantesimi.
“Non sei costretto Alex, non devi per forza” Avevamo fatto quel discorso mille volte, non avevo nemmeno voglia di ripetere i soliti concetti per cercare di tranquillizzarla, perché tanto non avrebbe capito. Non ero costretto da nessuno, se non da me stesso, dovevo farlo. Per obbligo morale, potevo essere utile e volevo essere utile. Per una volta l’eroe volevo essere io, per una volta avrei voluto poter fare qualcosa senza essere necessariamente costretto a osservare in silenzio la scena.
Per tutto il percorso restammo zitti, scambiandoci pochi sguardi minatori e qualche sorriso, però sapevamo entrambi che quella era la cosa giusta da fare quella mattina. Varcammo l’aula con dodici minuti di anticipo, un record, ma sembravano essere quasi tutti lì. Infatti, eravamo gli ultimi due ad essere entrati in quella trappola mortale.
“Bene, bene, bene…” disse la Floorence sbattendo velocemente la bacchetta nella sua mano sinistra.
“..Signorina Poke, mi meraviglio di lei, l’ultima Serpeverde ad arrivare ad una mia lezione, che vergona!” Vidi Tania stringere i denti per la rabbia di non poterle rispondere a tono, poi abbassò la testa e si andò a sedere. Lo sguardo della donna passò presto su di me, mi scrutò dalla testa ai piedi e poi mi disse “Corvo, di te m’interessa relativamente poco, fa il tuo compito da secchia, siediti e segui la lezione con particolare attenzione, perché la prossima volta dovrai ripetere tutto quello che io spiegherò oggi.” Sorrise e mi indicò il posto accanto a quello di Tania.
“La lezione di oggi tratta di un argomento particolarmente interessante; si tratta degli incantesimi evanescenti, qualcuno sa cos’è un intanto evanescente?”
Tutti i corvi presenti in aula alzarono la mano, insieme a qualche serpe e a Tania, che come sempre fu la prima ad alzare la mano. “Bene, signor Stone?” Ma guarda un po’, l’unico corvo a non aver alzato la mano e anche l’unico corvo a cui la domanda viene posta. “Un incantesimo che nasconde” risposi io. “Risposta sciatta, ma andiamo avanti con la lezione.”
Iniziò a spiegare vari tipi di incantesimi evanescenti, partendo dalla magia che nasconde agli occhi, arrivando ad uno degli incantesimi evanescenti più forti l’incanto FIdelius. “Questo incantesimo ha origini antiche, nasconde agli occhi qualcosa o qualcuno, vincolando il rifugio ad una sola persona che ne custodisce il segreto.”
La spiegazione continuò, interrotta di tanto in tanto da qualche domanda e qualche fredda e seccata risposta da parte di quella donna evidentemente frustrata dalla vita. La mia testa iniziava a non seguirla più tanto bene, sentivo il mio respiro affannarsi e la nitidezza dell’immagini diventare sempre minore, tutto girava intorno ed io non riuscivo a fermarlo. Un sussulto, sentivo le gocce fredde del mio sudore segnarmi il volto come lacrime, o forse erano lacrime, ma non ero abbastanza lucido per capirlo. Tutto diventò buio, per poi scoppiare in una grande luce abbagliante.
Ero in uno dei corridoi del castello, non riuscivo a capire quale fosse però, perché non c’erano punti di riferimento. Camminavo a passo molto lento, a cinquanta metri da me una ragazzina, mai vista prima, che camminava agitata, sicuramente per aver ritardato ad una lezione. Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo, finché non presi piena coscienza della questione. Non era il mio corpo quello, stavo guardando con gli occhi della persona con la quale la mia testa aveva istaurato una connessione e quella persona stava per attaccare. Riconobbi un quadro appeso sulla parete di sinistra  e capii subito che quello era il corridoio del quarto piano. Dovevo fare qualcosa per fermarlo, ma il corpo non rispondeva ai miei comandi. Cercai di interrompere il collegamento, ma con scarsi risultati. La persona si nascose dietro una colonna, evidentemente la ragazzina si era accorta della sua presenza. Dovevo agire in fretta. Con uno sforzo immane riuscii a interrompere la visione e quando la mia mente tornò nella classe ero steso su un banco e avevo gli occhi di tutti puntanti addosso.
“Alex!” tuonò Tania.
“Devo correre, sta per succedere, quarto piano, io devo..” dissi cercando di alzarmi il più velocemente possibile.
“Lei niente signor Stone!” interruppe la professoressa Floorence.
“Lei finisce di seguire la mia lezione, ora” e si voltò di spalle ritornando a scrivere schemi sulla sua lavagna.
“Professoressa lei non capisce..!” non mi fece finire la frase, punto la bacchetta sulle mie labbra e dalla mia bocca non riuscì più ad uscire parola. Mi aveva silenziato. Provai ad alzarmi, ma fu un tentativo vano tanto quello di provare a parlare, perché ero immobile, totalmente paralizzato, costretto a restare fermo in quella stramaledetta classe mentre lì fuori, chissà chi stava per stappare un altro innocente cuore. Cercai lo sguardo di Tania, ma non riuscivo a muovere nemmeno la testa. Sentivo borbottare qualcosa, ma non capivo cosa diavolo stesse facendo e qualsiasi cosa fosse, non stava funzionando. Il borbottio finì e insieme ad esso anche le mie vane speranze di potermi tornare a muovere prima della fine di quell’inutilissima lezione. Il mio sguardo era rivolto suolo ed unicamente verso la lavagna e la vedevo, lì seduta sulla cattedra, rigida e soddisfatta e avevo una dannata voglia di schiantarla sul muro, che il solo pensiero mi faceva venire voglia di distruggerla dall’interno.
La lezione finalmente finì, lei congedò la classe che lentamente si alzò ed andò via. Rimanemmo solo io, Tania e la professoressa più odiata del mondo magico.
“Bene, ora sei libero” disse muovendo la bacchetta. Sentii un piccola scossa elettrica pervadermi, ma piano piano le articolazioni ripresero quello che erano le loro naturali funzioni. Mi alzai, la guardai con sdegno e non dissi niente, anche le mie parole sarebbero state troppe. Con un cenno della testa feci capire a Tania che avremmo dovuto mettere la quinta per arrivare sul posto. Così fu’, non appena fuori dalla classe, iniziammo a correre come due ossessi, non avevo ancora spiegato della visione a Tania, ma aveva imparato a conoscermi così bene in quelle settimane, da capire al volto la gravità della situazione. D’un tratto un filmine mi attraversò la testa, sentivo un rumore, troppo forte, troppo strano per essere definito, così intenso da costringermi a portare le mani alle orecchie e piegarmi in due dai dolori.
“Alex che sta succedendo?” domandò la mia amica con il cuore in gola. Stavo cercando di capire a cosa appartenesse quel rumore. Quando finalmente ero riuscito a scindere la mia mente dalla sua, mi concentrai, cercai di ascoltare con le orecchie intere. Quello che sentivo non era un semplice rumore, non era un rumore qualunque: era un cuore che batteva.
Mi alzai, senza risponderle, che orami in quella giornata era diventata quasi un abitudine, per riprendere la folle corsa contro il tempo. Gira a sinistra, poi subito a destra, spallata contro un ragazzo e poi via ancora, sembrava un labirinto senza uscita, avevo la strana sensazione di smarrimento, ma non potevo fermarmi per prendere le scale, sarebbe stato totalmente controproducente.
Arrivai finalmente all’ingresso del quarto piano, ora il problema era se andare a destra o a sinistra. Fortunatamente essendo due ci dividemmo, io ero a destra e lei a sinistra. Avevo la bacchetta salda nella mano, pronto a schiantare quell’essere nel momento in cui si fosse fatto vedere. Arrivai quasi al quadro e dall’angolo sporgevano due piedi, capii subito che si trattava del corpo della ragazzina vista nella mia visione, presi un respiro profondo e rallentai il passo. Avevo paura, non so precisamente di cosa, ma avevo paura, il mio cuore aveva paura. Girai l’angolo ed era lì, stesa per terra con gli occhi sbarrati, proprio come gli altri due ragazzini. Gettai un pugno al muro imprecando, ero arrivato troppo tardi. Odiavo la Floorence, odiavo me stesso per non aver fatto nulla, odiavo tutto e tutti e quindi piangevo, piangevo lacrime amare come il veleno. In un attimo di lucidità mi accorsi che Tania non era ancora arrivata, il che non sarebbe stato strano solo nel momento in cui.. “Porca Morgana!” gridai. “TANIA!”.
Mi alzai in fretta e iniziai a correre nella direzione opposto rispetto a quella da cui ero venuto, speravo con tutto me stesso di non trovarla nelle condizioni dei tre ragazzini, perché altrimenti non me lo sarei mai perdonato.
Infondo al corridoio vedevo lampi di luce colorata che potevano essere il segno di un'unica cosa: una battaglia.
Corsi ancora, arrivai alla fine del corridoio e la vidi, era lì, impegnata più che mai a contrastare gli incantesimi di un essere incappucciato, che sembrava  quasi uno dei Mangiamorte di Colui-che-non-deve-essere-nominato raffigurati nei libri di storia della magia. Nessuno dei due si era accorto della mia presenza. Ebbi un attimo di smarrimento, nel quale la mia mente e quella di quell’essere erano troppo vicine per riuscire a sentire solo il flusso dei miei pensieri, quindi cercai di silenziarmi la testa e poi puntai la bacchetta alle spalle del mago incappucciato. Tania si accorse della mia presenza e sorrise vincitrice, mentre quella creatura sembrava essere ancora all’oscuro di tutto. “Petrifi..” una risata demoniaca non mi permise di continuare, proveniva dalle mie spalle, mi girai il più rapidamente possibile, ma non fui abbastanza svelto. L’ultimo ricordo fu quello, un lampo di luce verde. 


Chiedo scusa per il ritardo a tutti, ma tra esami e studio ho avuto davvero poco tempo per scrivere, giuro mi farò perdonare in questi giorni cercando di pubblicare al più presto il prossimo capitolo! Ringrazio per le recensioni e spero di riceverne ancora! Tante sorprese nel prossimo capitolo (come sempre). Il nostro piccolo Alex sta per incontrare qualcosa di più forte di lui, cosa gli sarà successo ? Al prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** via dall'incubo ***


Una luce verde, era tutto ciò che ricordavo, poi il niente, poi il buio. Come se fossi stato totalmente risucchiato dall’universo, non potevo vedere, né sentire niente. Ero io, da solo con me stesso, una sensazione che non provavo da un po’, avevo aperto la mia vita a nuovi orizzonti e avevo capito cosa volesse significare la parola “amico”, per la prima volta nella mia vita, quindi non riuscivo proprio a concepire quel silenzio assordante che aveva preso il posto delle rumorose risate che le mie orecchie avevano udite in quelle settimane. Mi guardavo intorno e non vedevo nulla, non c’era luce eppure riuscivo a distinguere nitidamente il mio corpo tra le ombre. Sono morto ? non ero ancora riuscito a capirlo, ma in qualsiasi direzione io mi muovessi sembrava di essere sempre allo stesso punto. Mi sedetti per terra, quello strano pavimento nero come la pece era molto caldo, più di ciò che sembrava, il suo calore mi cullava, mi faceva sentire protetto, come se fossi a casa, anche se io una casa, oltre quel castello non l’avevo mai avuta. Le lacrime iniziarono a bagnare il mio volto, quando davanti agli occhi, passò tutta la mia vita, come non l’avevo mai vista prima. Il primo ricordo era non molto nitido: c’ero il su un altalena e mia madre che mi spinge per farmi prendere velocità, ma ovviamente non siamo soli, insieme a noi c’è il suo adorato amico vino, ed era solo ora di pranzo. D’un tratto la scena cambia, ci sono mia madre e mio padre sul divano, addormentati con la tv ancora accesa dinanzi agli occhi e io, seduto sul mio seggiolone, quello che è ancora conservato nello stanzino, che piango perché ho evidentemente fame, ma non mi sente nessuno. Forse il mio senso di appartenenza alla solitudine era nato proprio in quel momento, quando al mio disperato richiamo di aiuto nessuno aveva risposto, proprio in quel momento, forse, avevo deciso di smetterla di chiedere aiuto, perché dopo svariati tentativi nei quali non ero stato ascoltato magicamente apparve un biberon colmo di latte tiepido sul seggiolone. Sorrisi alla vista della mia prima magia, era strano vedermi così piccoli e così indifeso, non ero abituato a quel tipo di idea. La scena cambiò ancora, io il mio primo anno ad Hogwarts, lo smistamento, il tanto studiare, ancora solitudine, solitudine e ancora solitudine. Poi il quarto anno, quando vinsi il premio per il miglior articolo scritto sul giornale della scuola la felicità per l’esito del concorso e la desolazione nel vedermi festeggiare da solo alla riva del lago nero. E poi il quinto anno, il mio primo batticuore, il mio primo bacio, la mia prima volta rubata all’oscurità della notte, le frasi romantiche, i regali di natale ed io finalmente felice, avevo un sorriso particolarmente luminoso, uno di quelli che sul mio volto non avevo mai visto, il ricordo cambiò ancora ed ero io oggi, con lo stesso sorriso, spaccato a metà tra un attimo di gioia e uno di tristezza. Avevo permesso a qualcuno di diventare la mia gioia, il mio sorriso, ed era una cosa che non potevo perdonarmi, perché non mi era concesso di legarmi a qualcuno, come se fossi stato colpito da una maledizione, come se fossi destinato a perdere tutte le persone alle quali avevo permesso di entrare nello scudo. Ed ora? Ed ora era colpa mia, colpa mia se avevo messo Tania nei guai e l’avevo lasciata sola, colpa mia se non potevo fare più niente per salvare quei ragazzi, colpa mia se un essere incappucciato se ne andava girando fra le mura del castello strappando cuori a destra e sinistra, era sempre colpa mia, era solo colpa mia. Eppure qualcosa doveva essersi salvato, il mio nuovo inizio era lì, su quel treno, il quel vagone, quando quel meraviglioso sorriso e quel vestito stile impero mi avevano fatto capire che essere amici non voleva dire scoprirsi nel giro di una vita, ma nel giro di una notte, forse non ero diventato cieco, secondo me lo sono sempre stato. Un cieco che, pur vedendo, non voleva vedere. Dovevo far qualcosa per liberarmi dal quel limbo tra la vita e la morte, dovevo capire come uscire dal buio, potevo farcela, dovevo solo affrontare il mio nemico più grande: me stesso. Sì, perché lottare contro un demone, contro un cattivo, potrebbe risultare facile, il problema nasce quando il demone da uccidere sei tu, quando colpire per morire diventa controproducente, quando le ferite le senti aprirsi sul tuo corpo e non le vedi sull’corpo dell’avversario. Ma io non ho paura, quindi vivo.

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“Cosa diavolo vuol dire morte apparente?”
“Si calmi signorina Poke!”
“Si calmi un diavolo!” sbottai.
“Voglio sapere cosa sta succedendo in quella stanza, ADESSO!”
“Non possiamo dire ancora nulla, mi dispiace, so quanto siete in pensiero, ma non posso essere d’aiuto adesso.. devo tornare dentro.” L’infermiera aveva l’aria scossa, ma più di lei c’ero io, arrabbiata con il mondo, con me stessa per non aver fatto nulla e soprattutto con la professoressa Floorence. Se solo avesse permesso ad Alex di uscire, se solo lui non fosse intervenuto nello scontro, se, se, se, troppi se e troppe domande alle quali, per ora non avrei potuto dare una risposta.
Erano orami ora che facevo avanti e indietro nel corridoio dell’infermeria, quel demone non gli aveva strappato il cuore, ma aveva lanciato la maledizione senza perdono per eccellenza davanti ai miei occhi, l’avevo visto io, avevo visto l’immagine della morte riflessa nei suoi occhi azzurri, però non era morto, il suo cuore batteva ancora, il suo cuore era intatto, era solo in uno stato di morte apparente, che non riuscivo a spiegarmi, che non capivo cosa fosse, ma ero troppo confusa anche solo per ricordarmi il mio nome di battesimo. Dovevo fare qualcosa, ma cosa? Per la prima volta nella mia vita avevo seriamente le mani legate e i libri non mi avrebbero aiutata. Quindi dovevo aspettare, dovevo cercare di restare calma e soprattutto dovevo impedire che qualcun altro venisse ferito nell’attesa.
Da lontano scorsi una figura avvicinarsi rapida alla porta dell’infermeria. L’avrei riconosciuta a chilometri. Era lei, maledettamente spocchiosa e fiera di se stessa come al solito. La professoressa Helenor Floorence.
“Cosa diavolo ci fa lei qui?” chiesi nervosa come mai.
“Quello che fa un insegnante, controllo che gli studenti siano nel proprio dormitorio fuori dal coprifuoco.”
“Se lei si aspetta che io vada via da quest’infermeria prima che Alex si sia svegliato, beh per quel che mi riguarda può togliere mille punti a Serpeverde!” le gridai.
“Piccola insolente..” qualcuno alle sue spalle tossì forte. Era la professoressa McGrannit, che in quel momento mi apparve come un angelo venuto a salvarmi dalle grinfie di quell’arpia.
“Lei, professoressa Floorence è pregata di tornare nelle sue stanze, domani faremo un colloquio in cui discuteremo in suo pessimo comportamento di stamane!”
“Ma signora preside..”
“No! Non voglio sentir ragioni, nella mia scuola un insegnante non pietrifica un alunno sulla sedia e non intima minacce ad una ragazza che sta già soffrendo abbastanza! Fuori da quest’infermeria.”
Fu così fredda da farmi gelare il sangue nelle vene, ma il karma è grande per tutti e quella megera aveva avuto ciò che si meritava, con la coda tra le gambe e l’orgoglio sotto i piedi la vidi andare via, nera di rabbia e veloce come un leopardo. La preside mi guardò, mi sorrise e mi fece un occhiolino, poi si diresse verso la stanza in cui era stato portato Alex, ma nella quale non mi era ancora permesso accedere.
“Signorina Poke, non viene con me?” mi chiese la preside.
“Mi è stato vietato l’ingresso..” le dissi diventando rossa in viso.
“Oh per Albus, sono la preside, fino a prova contraria deciso io e stanotte voglio fare abuso di potere! Mi segua la prego!” ammiccò e passo oltre la soglia. La seguii a ruota. Avevo paura, non mi andava di vedere Alex in quelle condizioni, privo di coscienza, inerte, vulnerabile. Non sapevo molto di quel ragazzo, ma i suoi occhi raccontavano una storia, questo l’avevo capito, raccontavano una storia triste, una di quelle difficili da spiegare, una di quelle che ti fa accapponare la pelle. Alex non parlava mai dei suoi genitori, un po’ come me, non mi piaceva parlare di loro. Non era poi così brave persone, anzi. La mia famiglia era stata per generazioni al servizio del signore oscuro e mio padre stesso aveva lottato al suo fianco durante lo scontro finale avvenuto proprio tra quelle mura. Non mi piaceva parlarne, quindi non costringevo lui a farlo, perché ero fatta così, mi piaceva ascoltare quello che gli altri avevano da dire, ma calcare la mano, senza fare domande, senza essere troppo invadente. Avevo paura di perdere le persone a cui tenevo, avevo paura di non essere mai all’altezza e per quanto in quelle settimane Alex mi avesse costantemente ripetuto quanto fossi fantastica e geniale, io non ci credevo, ma non perché non volessi credere a lui, ma perché nella mia testa io e qualsiasi aggettivo positivo non potevamo essere compatibili. Eppure avevo tante potenzialità: studentessa modello, figlia esemplare, una brava strega per la mia età, ma non riuscivo proprio a trovare in tutto questo la forza per lottare per me stessa, ero sempre stata abituata a lottare per gli altri, per salvare tutti, ma mai per salvare me stessa. Ero un libro aperto che nessuno voleva leggere, forse perché troppo complicata anche io. Però in Alex vedevo una luce diversa, un interesse diverso, era come se con lui fosse tutto più semplice, come se le parole non servissero poi così tanto.
Lo vidi, era lì, sembrava che stesse dormendo. Mi prese un nodo alla gola, non sapevo se piangere o urlare e decisi di non fare nessuna delle due cose. Mi avvicini a feci la prima cosa che mi passò per la testa: gli presi la mano e la strinsi forte. Le lacrime scendevano da sole, non riuscivo a controllarle, perché avevo paura di perdere il mio nuovo amico, avevo paura di essere abbandonata ancora. E non volevo, non volevo! Con la mano libera mi asciugai il volto e cercai di tranquillizzarmi.
Era quasi mezzanotte, ed erano oramai dodici ore che si trovava in quello stato. I miei occhi si chiudevano da soli, ero stanca, avevo pianto così tanto, ma non volevo andare via, non dovevo andare via, lui non doveva rimanere da solo. Era la nostra promessa. Non eravamo soli finché saremmo stati insieme.
“Alex..” sussurrai al suo orecchio.
“Tu non sei solo!” scoppiai ancora a piangere e mi addormentai con la fronte poggiata sul suo braccio.
 “Tania..”
“Tania..”
Sentivo una  voce, ma ero troppo debole per aprire gli occhi. Non risposi, feci finta di continuare a dormire, almeno finché quella voce non diventò più forte ed insistente.
Quando riuscii finalmente a focalizzare, lo vidi, il riccio che in quel periodo avrei preferito vedere morto piuttosto che ancora in giro per i corridoi di Hogwarts. Ma che bel risveglio, pensai tra me e me, l’istinto di trasformarlo in un furetto era forte, ma decisi di contenere i miei istinti omicidi per altri cinque minuti.
“Jo..” dissi con una voce simile a quella di un transessuale che aveva fumato troppo.
“Che ne pensi di prenderti una pausa, resto io qui con Alex” mi disse sorridendo. Ah beh, mi sembrava giusto, sparire e poi riapparire proprio quando Alex non era nelle condizioni di difendersi, ma per favore! Lo guardai con aria di stizza e non risposi neanche. Mi alzai per sgranchirmi le gambe, erano le quattro del mattino.
“Si può sapere perché sei in giro a quest’ora della notte ?”
“Non riuscivo a dormire”
“Quindi sei venuto in infermeria a prendere una boccata d’aria, mi sembra giusto” risposi io sarcastica.
“No, ho preso coraggio e sono venuto a trovare Alex”
“Joan, non ho bisogno di compagnia e penso che Alex abbia bisogno di tranquillità quando si sveglierà”
“Io sono la sua tranquillità, tu non sai..” non lo feci finire.
“Io non so ? Io so tutto e tu sei davvero un grandissimo pezzo di merda!” la mia mano partì da sola, come un muscolo involontario che compie solo il suo lavoro. Il rumore dello schiaffo fece uscire l’infermiera dal suo gabbiotto. Che ci guardò con l’aria di una che era appena stata svegliata. Non disse nulla e tornò dentro.
“Questo è per Alex!” e ancora una volta quel forte rumore.
“E questo per cos’era ?” mi chiese massaggiandosi la faccia.
“Questo era di sfogo!” dissi io isterica.
Lui rise, io no. Mi osservava, come si osserva un nemico che si vuole distruggere. Quel ragazzo non me la contava giusta, non mi convinceva e forse non mi avrebbe convinto mai.
“Sai dello scontro?” gli domandai risedendomi vicino ad Alex.
“Si, so tutto.”
“ Cosa ne pensi?”
“Esattamente quello che pensavo quando ne parlavamo l’altro giorno. Dovreste smetterla di giocare ai piccoli Auror, siamo solo ragazzini Tania” disse glaciale.
“Buon Salazar esci da questa cazzo di infermeria per cortesia?” gli intimai.
“Sennò che fai ? Mi strappi il cuore signorina Poke?” mi disse lui facendomi il verso.
Non dovevo cadere nel suo sporco tranello, stava cercando di farmi arrabbiare per poi farmi passare dalla parte del torto, ma c’erano due cose che il riccio non aveva calcolato: 1. Sono una donna 2. Sono astuta come una serpe.
Feci cadere la sedia per terra, facendo un rumore tale da attirare nuovamente l’attenzione dell’infermiera della scuola e con un rapido volteggiare di bacchetta feci in modo che la sua gli finisse dritta in mano. Veloce come un grillo saltai per terra e quando l’infermiera uscì dalla sua nicchia, arrabbiata come non mai, la scena fu al quanto chiara. Lui mi aveva schiantato contro l’armadietto per i soliti diverbi serpe-grifo e io, povera donzella in pericolo era rimasta ferita.
“Basta!” gridò l’infermiera.
“Non ti hanno insegnato che non si toccano le donne?” sbottò la donna che era stata svegliata per la seconda volta.
Lo prese per un orecchio e lo portò fuori dalla stanza. Era la seconda grande soddisfazione di quella giornata. Il signor Torrerossa si era messo contro la nemica sbagliata. Si voltò per gettarmi un occhiata di fuoco e la mia risposta fu un sorriso a trentadue denti.
“Sta bene signorina?” mi chiese l’infermiera ancora arrabbiata per quanto successo.
“Sì, un po’ dolorante, ma bene” le sorrisi e  lei tornò nella sua nicchia a dormire.
“Alex, Alex, Alex…voglio una statua quando ti svegli sappilo.” Dissi al mio dolce amico ancora addormentato accarezzandogli il viso.


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Che il merlino mi fulminasse, ma quel labirinto oscuro era davvero infinito, non c’era via di fuga, le avevo provate davvero tutte, ma niente, non potevo fare niente. Giravo in cerchio in un pozzo nero. Avevo più volte provato a chiamare la mia tigre, ma a quanto pare in quel posto la magia non era concessa. Diamine, dovevo trovare un modo per uscire di lì.
Chiusi gli occhi e cercai di ragionare, non potevo essere morto, altrimenti di certo non mi sarebbe toccato un posto così buio, ok che avevo commesso qualche peccato capitale, ma non così tanto da meritarmi quella specie di inferno senza fiamme.
D’un tratto vidi una luce infondo alla strada, il pavimento nero la rifletteva in maniera opaca, ma era abbastanza forte da costringermi a strizzare gli occhi. Iniziai a correre come un folle, ma quel bagliore sembrava irraggiungibile, mi affannavo, ma non lo raggiungevo. Non dovevo fermarmi, qualcosa mi diceva che se mi fossi fermato, non sarei mai più uscito da quel limbo oscuro. Iniziavo finalmente a sentire voci, rumori confusi, brusii, parole strane e poi, eccomi, che son quasi lì per toccare la luce. La tocco.
Apro gli occhi di colpo, sono in una stanza, sembra l’infermeria, ma non ne sono sicuro. Mi guardo intorno. Sì, sono in infermeria. Addormentata vicino a me c’è Tania. Tiro un sospiro di sollievo, non le è successo nulla fortunatamente. Mi gira la testa, non so precisamente per quanto tempo sono stato in quel limbo, ma mi sento come se non avessi chiuso occhio per giorni, ero stremato da quella lotta contro me stesso per la sopravvivenza.  Non feci rumore, non volevo svegliare Tania, ma quando provai ad alzarmi dal letto mi mancarono le forze, quindi decisi che non era una così buona idea e tornai a sdraiarmi.
Nei lettini vicino al mio c’erano i tre ragazzi attaccati, mi facevano una rabbia che non si poteva capire, dovevo salvare loro e impedire altre vittime, ma in quelle condizioni mi sarebbe stato al quanto difficile. Dovevo riprendermi il prima possibile.
Guardai l’orologio, erano le 21,30 spaccate. Spaccate come il tempismo con il quale il mio riccio preferito varcò la soglia dell’infermeria. Ci guardammo, fu un minuto intenso o forse l’eterno. Nessuno dei due fiatò, nessuno dei due disse nulla. Lui corse verso il mio letto, mi gettò le braccia al collo e guardandomi negli occhi le nostre labbra si incontrarono per dar vita a quello che per me era il bacio del vero amore.
Il mondo iniziò a girare più di quanto già nella mia testa non lo facesse, sentivo gli ormoni impazzire, ma non era né il luogo, né il momento per perdere il controllo. Il bacio si ridimensionò, ma non riuscivamo a staccarci, come se le nostre labbra si fossero finalmente trovate dopo tanto tempo.
Ci staccammo, mi guardò e scoppiò a piangere, senza un motivo, senza un perché. Non dissi nulla, lo strinsi e basta. E restammo così, bloccati nel tempo e nello spazio, per un lasso breve, ma che nel mio cuore durò una vita.


Ciao a tutti! Allora mi scuso per i ritardi, ma per piccoli problemi tecnici che continuano a tormentarmi mi è stato difficile pubblicare (il modem è morto). Ma come promesso le novità non sarebbero mancate, spero che lo scambio di punti di vista sia stato di vostro gradimento. Nel prossimo capitolo avremo una svolta importante e decisiva per la storia! Grazie a tutti i miei lettori silenziosi, ma vi prego continuate a daremi la vostra opinione, per me è fondamentale! Un bacio a tutti.
 

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