Becoming (Butterfly Intro)

di OnlyHope
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo parte prima - Sanae ***
Capitolo 2: *** Prologo parte seconda - Tsubasa ***
Capitolo 3: *** Parlando alla luna ***
Capitolo 4: *** Kumi Sugimoto ***
Capitolo 5: *** Libro (quasi) aperto ***
Capitolo 6: *** Yukari Nishimoto ***
Capitolo 7: *** Omamori ***
Capitolo 8: *** Granite ***
Capitolo 9: *** Dilemma ***
Capitolo 10: *** Dare un nome ***
Capitolo 11: *** Vittoria ***
Capitolo 12: *** Nomen omen ***
Capitolo 13: *** La testa nella sabbia ***
Capitolo 14: *** Il sole splende ***
Capitolo 15: *** Incanto ***
Capitolo 16: *** Shugaku ryoko ***
Capitolo 17: *** Ruba un giorno al tempo ***
Capitolo 18: *** Shūubun ***
Capitolo 19: *** Taro Misaki ***
Capitolo 20: *** Aceri giapponesi ***
Capitolo 21: *** Festival scolastico ***
Capitolo 22: *** Kurisumasu keki ***
Capitolo 23: *** Chiaro di luna ***
Capitolo 24: *** Hommei-choko ***
Capitolo 25: *** Gakuran ***
Capitolo 26: *** Novilunio ***
Capitolo 27: *** Spread your wings and fly… ***



Capitolo 1
*** Prologo parte prima - Sanae ***


Becoming (Butterfly Intro)

Prologo - Parte prima

Sanae

 




 
 
Cammino e sistemo le pieghe della gonna.
È uno strazio questa uniforme, non ci sono proprio abituata.
Come rimpiango la mia vecchia divisa da maschio!
Purtroppo il passaggio in prima media mi ha obbligata a seppellirla, definitivamente e a malincuore, in fondo all’armadio.
Solo la mamma sembra entusiasta di questa gonna lunga oltre il ginocchio e scomodissima.
Per non parlare del nodo alla marinara che mi pende al collo…
Sono convinta che non mi abituerò mai ad andare in giro addobbata così.
Ecco la mia nuova scuola!
Sposto la cartella da una mano all’altra, mentre imbocco il cancello d’ingresso, guardandomi intorno curiosa.
Mi unisco così agli altri studenti nel cortile, cercando di scorgere qualche viso familiare, fra i tanti che mi circondano.
In fondo, accanto alle scale, riconosco una persona.
Yukari Nishimoto.
Non siamo in classe insieme ma ci siamo conosciute perché anche lei si è iscritta al club di calcio, per diventare una manager, proprio come me.
È una ragazza simpatica e molto diretta, mi ha fatto subito una buona impressione.
Immagino che potremo proprio andare d’accordo in futuro!
Yukari Nishimito mi ha notata ora, la saluto con un cenno della mano.
Lei ricambia sorridendo allegra.
In fondo, come ripete la mamma in continuazione, è ora che cominci a frequentare altre femmine, invece di perdere tempo a fare il maschiaccio, insieme ai miei amici d’infanzia.
A proposito! Ma dove saranno i ragazzi?
Porto una mano sugli occhi a schermare il sole, aguzzando meglio la vista e girando su me stessa un paio di volte.
Ma soprattutto sarà arrivato Tsubasa?
“Senti scusa!” esclama all’improvviso una voce estremamente famigliare alle mie spalle.
Mi volto con aria dubbiosa verso il mio interlocutore.
Ishizaki entra nel mio campo visivo con il suo solito faccione da scemo, quando il suo sguardo incrocia il mio però, la sua espressione cambia.
E mi sembra di scorgere un po’ di delusione.
“Ah! Anego sei tu!”
Alzo involontariamente un sopracciglio, che prende a vibrare in maniera vistosa, temo.
“Non c’è verso che ti riconosca conciata così!”
Calma…
“Sì insomma, vestita da femmina!” si sente proprio di aggiungere.
Calma!
Stai calma!
“Che spiritoso!” esclamo con un sorrisetto tirato e finto, poi non resisto e gli assesto un pugno deciso sul braccio.
Ryo Ishizaki prende a massaggiare la parte lesa guardandomi torvo e borbottando altre cose simpatiche sul mio carattere, compresa la mia scarsa femminilità.
Lo ignoro, sbuffando vistosamente quando noto il sopraggiungere degli altri ragazzi della squadra.
Mi basta un rapido sguardo per capire che di Tsubasa non c’è nemmeno l’ombra.
“Con chi parli, Ryo?” chiede Izawa facendo capolino oltre le spalle dell’amico.
“Ah! Ciao, Anego! Non ti avevo riconosciuta da lontano!”
Alzo vistosamente gli occhi al cielo.
Perché questa storia inizia ad essere abbastanza fastidiosa.
Se qualcuno pronuncia ancora quel “ah” prima di salutarmi, giuro che non rispondo di me!
“Izawa…” borbotto, accennando poi un semplice gesto della mano verso tutti gli altri.
I ragazzi ricambiato il saluto, poi iniziano a confabulare tra loro.
Ovviamente stanno parlando di calcio, non ci vuole molto a capirlo.
Lascio che mi sorpassino, dirigendosi in gruppo verso l’entrata principale dell’edificio scolastico.
Continuo ad osservarli mentre si allontanano, senza muovere un passo.
Stranamente mi sento un po’ offesa.
E la cosa mi stupisce davvero molto, perché di solito tutto quello che dicono mi scivola addosso, come niente fosse.
Con un gesto involontario sistemo prima il caschetto corto, portando una ciocca dietro a un orecchio, poi di nuovo le pieghe della gonna.
Ma perché me la prendo tanto?!
Mi rimprovero, dandomi velatamente della stupida.
Decido così di raggiungere i miei amici, senza perdere altro tempo.
Ma quando faccio per muovere il primo passo mi blocco di nuovo.
Un rumore alle mie spalle attira completamente la mia attenzione.
È il suono emesso da un pallone di cuoio, che rimbalza, preso a calci, sulla terra battuta del cortile.
È un rumore che amo, ma non tanto nel suo specifico...
Mi volto non trattenendo un sorriso, che deve risultare a dir poco esagerato.
Tsubasa mi raggiunge in pochi passi, fermandosi poi davanti a me.
Il peso del suo corpo posa sulla gamba sinistra, mentre il piede destro continua a muovere la sfera sotto la suola, in una specie di riflesso incondizionato.
“Ciao!” mi saluta sorridendo allegro, quando incrocia il mio sguardo.
Io gli rispondo con altrettanto buonumore.
Finalmente sei arrivato!
“Ho fatto tardi!” esclama poi grattandosi la nuca, prima di chiedermi dove sono gli altri, ovvero i nostri compagni di classe, nonché resto della squadra.
“Sono all’ingresso e non preoccuparti, sono arrivati giusto un minuto prima di te!” e con il pollice indico oltre le mie spalle.
Tsubasa ride ancora, divertito.
“Come mai questo ritardo?” chiedo in maniera retorica, senza lasciarmi scappare l’opportunità di parlare un po’ in disparte con lui, prima di entrare a scuola.
“La corsa mattutina! Ho perso la cognizione del tempo!” e ride ancora, continuando a torturare i capelli con la mano.
Lo guardo e non posso fare a meno di pensare che abbia il sorriso più contagioso che conosca.
All’improvviso però Tsubasa torna serio.
E mi fissa.
Giusto un attimo, forse solo una manciata di secondi.
Avverto di nuovo una sensazione strana…
Nonostante mi piaccia un casino fin dalle elementari, non mi sono mai sentita in imbarazzo con lui.
Ma ora…
Ora invece sento qualcosa di molto simile e la cosa mi mette un po’ a disagio.
Quando i suoi occhi tornano ancora a squadrarmi, comincio a nutrire il sospetto di avere qualche cosa fuori posto.
“Ehm… Ho qualche residuo di colazione in faccia?” chiedo dubbiosa, portando una mano istintivamente alle labbra, poi sulle guance.
Tsubasa spalanca leggermente le palpebre poi scuote la testa.
Rimango perplessa a fissarlo.
“Sei diversa…”
Le mie sopracciglia si aggrottano all’istante.
No, ti prego!
Risparmiami!
Almeno tu!
Non distolgo lo sguardo, sentendomi comunque un po’…
Avvilita?
Delusa?
“La divisa delle medie…” continua ed io penso che lo picchierò sul serio, se dirà che non mi riconosce nemmeno lui vestita così!
“Sei carina, ti sta bene!”
Uh?!
Arrossisco.
Tsubasa sorride di nuovo, con la sua solita allegria, piegando un braccio e massaggiando il collo con una mano.
Io invece…
Mi sento…
Sono…
Ammutolita.
Sbatto le palpebre più volte, non sapendo proprio cosa dire.
Tsubasa allora assume un’espressione buffa, divertito forse da quella che sta passando ora sul mio volto.
E non mi riesce proprio di parlare, nemmeno quando abbassa lo sguardo sull’orologio da polso e spalanca gli occhi.
“Ehi è tardi! Raggiungiamo i ragazzi!” esclama, sempre pieno del suo consueto entusiasmo.
Ah sì è ora di entrare…
Tsubasa mi sorpassa, palla al piede ed io sarei già al suo fianco se non fosse…
Non riesco proprio a muovermi e questa volta per un motivo diverso.
Enormemente diverso.
Rimango ferma, imbambolata a guardare le sue spalle che si allontanano, con una sensazione strana alla bocca dello stomaco.
“Che fai lì impalata?”
Tsubasa si è fermato diversi metri da me, probabilmente non vedendomi arrivare.
“Dai vieni, Sanae(1)!
SANAE?!
Arrossisco ancora.
Di brutto.
E vistosamente temo.
Tanto è lo stupore, l’imbarazzo e…
L’emozione che sento.
Le farfalle hanno abbandonato il mio stomaco e ora ballano un tantino più su.
Pericolosamente vicine al mio cuore.
Tsubasa mi fissa perplesso, poi sussulta portando ancora una mano dietro il collo.
Questa volta anche lui è un po’ imbarazzato, noto.
“Scusa!” esclama grattandosi nervoso la nuca e arricciando il naso.
“Mi è scappato! Ma se…”
“NO VA BENE!” lo dico tutto d’un fiato, interrompendolo.
Mossa dalla paura folle e irrazionale, che non voglia più chiamarmi così in futuro.
Col mio vero nome.
Quello femminile, da ragazza.
Quello che piace così tanto a mamma e papà.
Poi gli sorrido, sempre rossa in volto, lo sento ancora.
Sperando però che lui non se ne accorga o che, come al solito, non ci faccia proprio caso.
E tutto questo pudore ora, dove salta fuori?!
Mi chiedo, stentando ancora a riconoscermi nelle mie reazioni, in questa strana mattina di primavera.
Tsubasa annuisce sollevato, poi con un gesto della mano m’invita ancora a seguirlo.
Lo osservo rimanendo sempre immobile mentre si volta di nuovo e riprende, palla al piede, la sua corsa verso la scuola.
Sospiro prima d’iniziare a camminare.
Uno strano peso grava sul mio petto.
E ho la netta sensazione che qualcosa dentro di me si sia come spostato.
Come plastilina sento il mio cuore, che sta cambiato forma.
Raggiungo Tsubasa ed entriamo a scuola insieme.
E sembra quasi un giorno normale, anche se sto cercando di arginare l’imbarazzo.
Con la paura addosso di non saperlo nascondere.
Ma questo ancora non è niente…
Non so ancora che stanotte stenterò a dormire.
Che un batticuore perpetuo mi tormenterà il petto, d’ora in poi.
E nemmeno che un giorno mi mancherà l’appetito, a causa di tutto questo.
E forse non sarò mai più il maschiaccio di un tempo...
Con somma gioia di mia madre!
Quando saprò dare un nome a tutto questo, capirò che quello che provo ora ha cambiato forma sì, ma anche definizione.
Non più una cotta ormai, ha un altro nome.
Semplicemente è il primo amore.

 
 
 
 
 
(1) Una piccola nota: lo sconvolgimento emotivo di Sanae quando si sente chiamare per nome è plausibile in due frangenti. Quello nell’ottica della cultura giapponese, implica un grado di confidenza tale da permettersi di chiamare con il nome proprio un’altra persona (in famiglia si usa così, tra amici stretti e/o d’infanzia, infine tra innamorati). Non è un atteggiamento opinabile, i giapponesi sono estremamente formali nei rapporti interpersonali, quindi quando Sanae sente Tsubasa chiamarla con il suo nome “di battesimo” si stupisce emotivamente.
L’altro implica una, seppur involontaria, presa di coscienza della sua femminilità: non più Anego ma Sanae, di pari passo al cambiamento dei suoi sentimenti, che da cotta diventano amore.
 
Questa intitolata Becoming (Butterfly intro) vuole essere una raccolta di momenti, di emozioni.
Partendo da dopo questo prologo, diviso in due parti, un anno di vita di Tsubasa e Sanae raccontato in frammenti di vita, dall’inizio dell’ultimo anno delle scuole medie fino alla separazione, all’addio alla pensilina dell’autobus.
Questa FF, come si può intuire dal titolo, è il prequel di Butterfly e di conseguenza quello di Fly Away, ma può essere tranquillamente letta come una storia a sé.
Per metà FF riprenderò alcuni fatti salienti del manga, rivisitandoli in una mia personale lettura, per coerenza con le mie storie, fedeltà all’IC dei personaggi e per aiutare il lettore a seguire una cronologia mirata.
Userò entrambi i pdv nei vari capitoli, non necessariamente però in maniera paritetica, ma funzionale al periodo preso in considerazione.
Se vi andrà staremo insieme per qualche mese, nel frattempo vi ringrazio per essere arrivati a leggere fin qua!

OnlyHope!

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Capitolo 2
*** Prologo parte seconda - Tsubasa ***


Becoming (Butterfly Intro)

Prologo - Parte seconda


Tsubasa



 
 

Poggio la schiena alla colonna che sorregge l’ingresso del parco.
Un calcio a un sassolino, perché proprio non so resistere, prima d’incrociare i piedi e nascondere le mani nelle tasche dei pantaloni.
Mi guardo intorno un’altra volta, quando mi volto alla mia destra, scorgo finalmente la figura familiare di Sanae, che si avvicina quasi di corsa.
Sorrido, spostando il peso del mio corpo in posizione di nuovo eretta.
Lei mi raggiunge e senza perdere tempo mi porge il quaderno che l’ho supplicata di prestarmi.
Lo prendo veloce dalle sue mani, come uno naufrago si aggrapperebbe a un salvagente in mezzo al mare.
Sulla copertina in basso a destra tre semplici annotazioni.
Sanae Nakazawa, classe II, sezione A.
“Grazie mille! Sicura che non ti scoccia passarmi i compiti?” le chiedo grattandomi la nuca, un po’ imbarazzato.
In fondo le sto dicendo che copierò spudoratamente da lei, senza tanti complimenti.
Ma tra campionato stravinto, allenamenti vari e ritiri, proprio non ho avuto tempo di finirli i maledetti compiti per le vacanze estive.
Sanae sorride, inclinando la testa di lato e questo movimento mi permette di notare che i suoi capelli hanno qualcosa di diverso dal solito.
Sono leggermente mossi e umidi, come se non avesse finito di asciugarli.
Probabilmente è colpa mia.
Devo averle messo un po’ di fretta con la mia telefonata inaspettata.
Anche il suo abbigliamento non è quello di sempre, ora che ci faccio caso.
Sanae indossa un paio di pantaloncini corti gialli e una maglietta bianca, con disegnato un gatto che fa le fusa.
Nulla di strano ovviamente.
Solo che io sono abituato a vederla con la divisa scolastica o al massimo la tenuta da manager...
“Ma figurati! Anzi guarda le ultime pagine!”
Obbediente sfoglio il quaderno pieno di esercizi svolti in maniera precisa e ordinata.
Gli ultimi, li riconosco, sono quelli supplementari che il professore mi ha assegnato per punizione, quando mi sono fatto beccare a leggere una rivista sportiva durante la lezione.
Un sorriso spontaneo mi deforma il viso, in maniera spudoratamente sfacciata.
Sono davvero un ragazzo fortunato!
O meglio, ho le conoscenze giuste a quanto pare.
Che bello avere un’amica come te, Sanae!
“Però non ti abituare, eh! Giuro che è l’ultima volta che ti salvo in corner!” mi rimprovera in maniera bonaria, prima di voltarsi distrattamente verso l’ingresso del parco.
“Ehi! Ti va di fare un giro?” mi chiede all’improvviso, tornando a guardarmi.
Sul suo viso un’espressione rilassata e serena, accompagnata da un sorriso incoraggiante.
Io invece inizio inspiegabilmente a sentirmi un po’ nervoso.
Perché mi salta in mente, senza nessun particolare motivo, che questa è probabilmente la prima volta che ci vediamo fuori da scuola o dal club.
Soli intendo.
E perché questo dovrebbe innervosirmi?!
Sanae è in assoluto la ragazza con cui mi sento più a mio agio!
La conosco sin dai primi giorni in città, subito dopo il trasloco!
Sei proprio stupido a volte, Tsubasa!
Mi rimprovero mentalmente, mentre la mia amica sta aspettando ancora una risposta.
Poi annuisco, scrollando leggermente le spalle.
In fondo per la cena è ancora presto, tanto vale farsi un giro!
Sanae sorride, alzando un pollice in alto e così c’incamminiamo all’interno del parco, che come sempre in estate, è affollatissimo.
“Allora com’è andato il ritiro?” mi chiede mentre c’inoltriamo più all’interno, passando per i viali alberati.
Basta questa domanda e la conversazione prende inesorabilmente la solita piega.
Inizio a parlare senza sosta delle mie vacanze, passate a rincorrere palloni.
E non mi pongo proprio limiti nel mio monologo calcistico, sollecitato come sono da Sanae che, invece di sbuffare, come farebbe credo una qualsiasi altra ragazza, sostiene il mio sproloquio con numerose domande.
Sto ancora blaterando sui miei progressi dovuti ad un determinato esercizio fisico, quando raggiungiamo uno dei ponti, sotto il quale scorre il fiumiciattolo che attraversa il parco.
Sanae allora si allontana da me.
La osservo divertito mentre si avvicina al parapetto in legno e con un saltello, poggia i gomiti e si sporge per guardare sotto di sé.
Quasi a testa in giù.
La raggiungo imitandone poi la posizione per osservare il fiume.
L’acqua è così limpida, che si possono benissimo distinguere le carpe colorate nuotare, noncuranti dei nostri sguardi curiosi.
Qualche secondo e Sanae poggia di nuovo i piedi a terra.
Con un altro salto, ma questa volta più difficoltoso, si siede poi sul parapetto e m’invita ad imitarla ancora, dando un colpetto col palmo della mano sul legno scuro.
Mi siedo così al suo fianco, ma senza il minimo sforzo.
E mi sembra anche normale.
Sono diventato più alto di lei in questi mesi!
“Te lo chiedono mai cosa vuoi fare da grande?” mi chiede Sanae, voltandosi a guardarmi, mentre sono intento a poggiare il suo quaderno contro il mio fianco, facendo molta attenzione.
Non voglio correre assolutamente il rischio che possa cadere in acqua.
Altrimenti addio compiti!
E chi la sente poi Sanae!
“Uh?”
“Oddio che stupida!” scoppia a ridere ora, così tanto che la guardo perplesso.
“Lo sanno anche le carpe qua sotto, cosa vuol fare da grande Tsubasa Ozora!”
Ecco ora si tiene addirittura la pancia!
Le do una gomitata leggera sul braccio per farla smettere, fingendomi offeso.
Sanae mi guarda di sottecchi, mordendosi le labbra.
Ma si vede così chiaramente che prendermi in giro la diverte un mondo!
La sua domanda però mi ha incuriosito.
Chissà cosa può volere lei per il suo futuro, chi le piacerebbe essere tra qualche anno…
Senza indugi glielo chiedo e basta.
Così, senza tanti giri di parole.
Sanae mi fissa sbattendo le palpebre poi incassa la testa nelle spalle.
Il suo labbro inferiore si piega all’ingiù in moto dubbioso.
“Non ne ho la più pallida idea!” esclama sorridendo, mentre scuote la testa, alzando i palmi delle mani in aria.
“Non siamo mica tutti come te!” aggiunge veloce, senza lasciarsi scappare l’opportunità di stuzzicarmi ancora.
Sto per ribattere che è sicuramente positivo avere le idee chiare sul proprio futuro fin da piccoli, quando Sanae distoglie lo sguardo.
Con le parole ferme sulla punta della lingua, la osservo curioso mentre fissa il cielo.
La sua espressione cambia all’improvviso.
Il suo sorriso diventa diverso.
Sanae gonfia il petto d’aria prima di parlare.
Aria che rilascia poi sotto forma di un sospiro.
“Non so ancora cosa farò da grande… Però sarà qualcosa di fantastico!”
Lo dice alzando il mento più in alto, senza staccare gli occhi da quel punto imprecisato in mezzo al cielo.
“Sarà qualcosa di grandioso ed eccitante! E anche se non so ancora cosa farò…”
Fa un’altra pausa ora, prendendo ancora un bel respiro profondo.
“Io lo sento che sarà così!”
Il suo profilo si staglia ora deciso contro l’arancio del cielo.
La sua espressione assume un’aria decisamente più matura.
Sorride ancora.
E il suo viso diventa davvero…
Davvero…
Bello!
E la vedo ora la differenza.
Tra lei e gli altri.
Tra Sanae e i ragazzi della squadra.
All’improvviso arrossisco, non capendo nemmeno bene il perché, mentre continuo a fissare quest’immagine di lei, che mi ha completamente sorpreso.
Non riesco proprio a distogliere lo sguardo, nonostante sappia che sarebbe la cosa più sensata da fare.
Ma è come se vedessi Sanae per la prima volta ora…
All’improvviso però accade qualcosa.
I suoi occhi si spalancano e la sua espressione diventa completamente nuova.
Sul suo viso un sorriso che sembra quasi esplodere!
“AH! GUARDA! GUARDA! UNA STELLA CADENTE!”
Sanae urla avvicinandosi, indicando il cielo con un braccio teso, sopra le nostre teste.
Nella confusione faccio appena in tempo a scorgere la scia della piccolo astro, prima che sparisca chissà dove, nell’ora del crepuscolo.
“Esprimi un desiderio! Corri!”
Sanae me lo ordina.
Nel tono della sua voce un’agitazione tale, che si potrebbe pensare che da questo possano dipendere seriamente le nostre vite.
Voglio diventare il miglior calciatore del mondo!
Lo penso assecondandola, anche se non credo per niente a queste cose, ma quando sto per esprimere il mio desiderio anche ad alta voce, lei me lo impedisce.
Materialmente, tappando con le sue mani la mia bocca.
“Shiii!” sussurra a un centimetro dal mio naso, fissandomi seria.
“Sei matto?! Non si dice ad alta voce, altrimenti non si avvera!”
Io annuisco e basta.
La mia testa è completamente nel pallone, ma questa volta non nel classico modo che mi riguarda.
E il fatto che riesca ad avvertire la pressione delle sue dita sulle mie labbra, non mi aiuta di certo ad uscire da questo stato.
Arrossisco di nuovo, per la nettissima vicinanza del suo viso al mio.
Quando Sanae mi libera dalla sua presa, non so giudicare se sia un sollievo o meno.
Mi limito ad osservarla mentre porta le mani sui fianchi, arcuando un lato della bocca.
“Pensandoci bene, tanto li sappiamo già i tuoi desideri!” e sorride ancora ironicamente, tornando così a prendermi in giro.
Nonostante stia cercando ancora di riprendermi, anche se non si capisce bene da cosa, provo comunque a risponderle a tono.
“E allora tu che hai desiderato? Hai detto due minuti fa di non avere la più pallida idea di cosa farai da grande!”
Sanae arcua un sopracciglio, senza perdere il suo ghigno malizioso.
“Ah quello è vero!” risponde calma, prima di abbassare lo sguardo sul gattino raffigurato nella sua maglietta ed iniziare a giocare con il bordo della maglia, facendo piccole pieghe con le dita.
“Però anch’io ho un sogno importante…”
Uh?!
Il suo sguardo si alza di nuovo su di me, che la fisso perplesso.
Sulle sue gote un leggero rossore, che prima non c’era.
Poi Sanae sorride.
Ma con lo stesso sorriso speciale di poco fa.
Con un sorriso identico a quello regalato al cielo, parlando del suo immaginario fantastico futuro.
“E forse un giorno te lo dico…” esclama poi in maniera sibillina, abbassando leggermente il tono della voce.
Poi sorride ancora.
Sempre in quel modo particolare, ma questa volta…
A me?!
Giuro.
Non era mai capitato prima.
È la prima volta in vita mia che…
I miei battiti prendono inspiegabilmente ad accelerare.
E non sto compiendo nemmeno nessuno sforzo fisico!
Nella mia testa una confusione incredibile…
Come se ci fossero cento persone a bisbigliare tutte insieme!
Tutte ripetono la stessa cosa, ma in tempi diversi, accavallandosi l’un l’altra.
Ed io così non riesco ad intuire nemmeno una sillaba!
Deglutisco nervoso.
Senza sapere cosa dire.
Senza sapere cosa fare.
Me ne rimango solo zitto, nell’attesa che tutto questo passi…
“Ok, è tardi! Sarà meglio tornare a casa!”
Sanae salta giù dal parapetto all’improvviso.
Ma io ancora non mi riprendo.
Un paio di passi e si ferma ancora, per togliere con le mani la polvere dai pantaloni, all’altezza del sedere.
Niente.
Ancora non se ne va questa strana sensazione…
Approfitto delle sue spalle, per scendere anch’io e raggiungerla sul ponte.
Ed è un miracolo che mi ricordi di prendere il suo quaderno, prima d’incamminarci verso l’uscita.
Camminiamo l’uno affianco all’altra.
Ma io non sono ancora tornato normale.
Il silenzio poi…
Non fa che aggiungere imbarazzo ad uno stato già di per sé anormale.
Ma imbarazzo per cosa?!
Mi chiedo concentrando tutti i miei sforzi, nel tentativo di ristabilire un equilibrio.
La scuola!
Pensa alla scuola!
Guardo il quaderno stretto tra le mie mani.
I compiti estivi che non ho fatto sono sicuramente un appiglio valido per riportarmi alla normalità.
E dovrei tornare a sentirmi di nuovo fortunato, sapendo di poterli copiare da Sanae!
Ma all’improvviso la consapevolezza che si sia presa la briga di fare anche quelli destinati solo al sottoscritto, non mi rende felice solamente perché così potrò presentarli al professore senza fatica...
Arrivati al cancello del parco, Sanae si volta verso di me.
Ora dobbiamo prendere la direzione opposta, per tornare ognuno a casa sua.
La cosa stranamente mi deprime un po’.
È la prima volta che desidero avere più tempo, ma non dentro il perimetro di gioco.
È la prima volta in cui non c’entra nulla il pallone.
Anche questo deve dipendere però dalla mia momentanea anomalia!
“Ok, ci vediamo allora! E mi raccomando, cerca anche di capirli gli esercizi, non copiarli e basta!” esclama allegra Sanae, indicando il quaderno, che ora tengo stretto sottobraccio.
Annuisco, grattandomi il ciuffo ribelle sulla nuca e abbozzando un sorriso colpevole.
Sanae mima una smorfia minacciosa, prima di salutarmi con la mano e voltarsi di spalle.
Si allontana così verso casa sua, le braccia dietro la schiena e le mani intrecciate sotto i fianchi.
Istintivamente mi viene da sorridere…
E inspiegabilmente vorrei chiamare il suo nome.
Per fermarla, anche se non ne ho motivo.
Ma rimango in silenzio e mi volto anch’io, prendendo poi la via di casa mia.
Strada facendo i miei occhi si posano ancora sul suo quaderno, che stringo di nuovo tra le mani.
È una sensazione indefinita quella che provo, osservando di nuovo questa copertina blu.
Non la so decifrare, ma riesce comunque a strapparmi un sorriso.
Sanae Nakazawa
Classe II
Sezione A
E sorrido, ancora.
Sorrido…
 
 

 

 
Finisce così il prologo di questa FF, forse quest’altro salto temporale vi avrà stupito un po’.
Per Tsubasa ho scelto il secondo anno per mostrare quando qualcosa cambia, perché è noto che i ragazzi impiegano più tempo in certe cose. Questo brano poi doveva permettermi di mostrare una Sanae spensierata ed intraprendente, come è giusto che sia per una ragazzina di quell’età, con un futuro promettente e senza nubi all’orizzonte.
Il prossimo capitolo sarà il primo della storia, per come l’ho concepita e ci porterà all’inizio del terzo anno.
Vi rinnovo quindi l'appuntamento a venerdì prossimo.

Prima di salutarvi vorrei spendere due parole per ringraziarvi ancora per la meravigliosa accoglienza che avete riservato a questa storia (non me l’aspettavo proprio!)!
Spero di cuore di non deludere le vostre aspettative e di meritarmi sempre il vostro entusiasmo.
Con affetto, OnlyHope :)
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Parlando alla luna ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 1

Parlando alla luna

 
 


 
Il vento mi scompiglia i capelli.
Lo sento freddo contro la mia fronte, mormora gelido nelle mie orecchie.
Il mento premuto sulle braccia incrociate sul davanzale, alzo gli occhi verso il cielo.
La luna piena illumina il mio viso, con la sua luce bianca che irradia il riflesso del sole.
La fisso e ritorno bambina.
Nella testa le parole della nonna, quelle di ormai tanti anni fa.
“Guardala bene, Sanae… Non lo vedi che bel viso che ha la luna?”
Eccolo…
Ora come allora, dei lineamenti appaiono distinti, in modo che io possa decifrarli.
Osservo quel volto fatto di crateri.
Sembra quasi mi sorrida.
Se fossi realmente ancora una bambina, ricambierei il saluto con un gesto della mano.
Entusiasta come un tempo, per questa attenzione per me così speciale.
Ma questa notte non è proprio possibile sorridere alla luna.
Mi limito a fissarla, mentre tiro su con il naso e mi asciugo gli occhi umidi con un fazzoletto.
Gesti come questi si susseguono già da un po’, ripetendosi monotoni ad intervalli regolari.
Perché quando tutto sembra di nuovo calmo…
Ecco che ricomincia il pianto.
Nel mio cervello si ripete ormai da ore una cantilena noiosa ed irritante, come una tortura.
Le parole sono sempre le stesse e mi rimbombano nella testa, ora e ancora.
Quelle che non avrei dovuto ascoltare.
Perché non avrei dovuto essere nemmeno lì, in realtà.
Quelle che mai e poi mai, avrei voluto sentire, pronunciate dalla sua voce.
Ma si sa…
Una stupida ragazzina innamorata non si può accontentare del tempo trascorso insieme.
No, non basta mai.
È sempre poco, ne occorre sempre un po’ di più.
Avrei dovuto andarmene a casa con Yukari, come sempre, appena terminati gli allenamenti.
Invece no, sono voluta rimanere al campo.
E solo colpa mia, quindi…
Non posso prendermela con nessun altro, se ora sto così male.
Ma pensandoci bene…
Alla fine cosa sarebbe cambiato, se non mi fossi trattenuta?
Assolutamente niente.
Se questa è la verità…
Un singhiozzo mi scuote il petto.
Tanto vale averla saputa, se questa è la realtà dei fatti.
La modalità ha così ben poca importanza.
Anche se ancora non riesco a crederci…
E continuo a chiedermi…
Possibile che abbia capito male?
Perché mi sembra tutto così assurdo!
Tsubasa che parla con un professore dei suoi programmi per il futuro...
Tsubasa che dice chiaramente che se ne andrà!
In Brasile!
Tra un anno!
Perché questo è sempre stato il suo sogno, fin dalle elementari.
Il professore non si capacita, stupito, quasi quanto me.
E gli chiede se è davvero convinto.
Se si rende conto che una decisione simile potrà ripercuotersi su tutta la sua vita.
E io temo che il discorso possa valere anche per me.
Per la mia di vita.
Ma Tsubasa lo ripete, sicuro ed irremovibile.
Quello è il suo sogno.
E dal tono della sua voce, si sente davvero che è così.
E a me non resta che il panico.
Totale, paralizzante quasi.
Poi l’insana voglia di oltrepassare l’angolo, uscire allo scoperto e chiedere rassicurazioni.
Delle spiegazioni, purtroppo non dovute.
Ma è tutto vero?!
E cosa diavolo c’entra ancora tutta questa storia del Brasile?!
Ma quando i miei piedi si sono mossi da terra, non c’è stato poi bisogno di chiedere nulla.
Perché ho iniziato a correre sì, ma nella direzione opposta.
Per allontanarmi da quello che avevo sentito.
Per allontanarmi da lui.
Da Tsubasa.
Testa bassa non ho badato a niente e nessuno, finché non ho raggiunto lo spogliatoio del club.
In fretta e furia ho raccolto le mie cose, senza nemmeno cambiarmi e sono uscita di nuovo fuori.
La mia corsa noncurante è ripresa subito, oltre i cancelli della scuola fino ad arrivare a casa.
Unica compagnia durante il tragitto, il dolore in gola nel deglutire, sintomo dello sforzo sovrumano, che ho usato per trattenere le lacrime.
Lacrime che ho liberato in pianto, solo una volta raggiunta la mia stanza.
E le ore successive sono passate così.
Alla mamma venuta a bussare alla mia porta, ho risposto che ho un banale mal di pancia.
Una scusa che non è nemmeno così campata in aria.
Tutt’ora una morsa dolorosa mi attanaglia senza tregua, all’altezza dello stomaco.
Non mi ero mai sentita così triste in vita mia…
E come potrei non esserlo?!
Tutto il mio castello d’illusioni sta crollando proprio davanti ai miei occhi!
Ed io non posso in alcun modo fermarne la caduta!
Perché davvero, io non ci avevo più pensato.
Al Brasile, a Roberto Hongo.
Non più, dopo che se n’era andato senza mantenere la promessa fatta a Tsubasa e averlo lasciato qui in Giappone.
Avevo semplicemente archiviato il problema come risolto.
Con sollievo, anche se è totalmente da egoisti, lo so.
Ma anche con rancore.
Perché Tsubasa si era impegnato proprio tanto, per mantenere invece la sua parola data.
Tsubasa aveva messo anima e corpo per vincere il campionato.
È stato proprio da vigliacchi averlo illuso così…
Non le scorderò mai le sue lacrime quel giorno…
Mai.
Ma ora è tutta un’altra storia.
È Tsubasa ad avere in mano la situazione.
E se ha deciso di partire, so che non ci saranno proroghe, nessun altro rinvio.
E questa è senza dubbio, la cosa peggiore che mi potesse capitare…
Mi mordo le labbra.
Con il dorso della mano asciugo altre lacrime, che però non vogliono proprio smetterla di venire giù.
Non che m'importi molto…
Anzi, spero di averle consumate tutte entro stanotte.
Perché domani…
Domani…
Domani sarà dura davvero.
Dovrò far finta di niente.
Ma come faccio a fingere che tutto questo non mi spezzi il cuore?
Perché si spezza davvero, ora lo so.
Credevo fosse una frase fatta, ma dentro mi sento come sgretolata.
E come farò poi a sorridergli?
Quando dovrò congratularmi con lui, appena appresa ufficialmente la notizia.
E magari esclamare…
Ma è fantastico, Tsubasa!
Riferendomi al suo sogno in procinto di realizzarsi!
Oh!
Questo sì che mi fa disperare!
Il mio petto singhiozza.
Scosso e tremante, come non mai.
Perché questo significa che dovrò reprimere i miei sentimenti…
Perché esiste qualcosa peggiore al mondo, del dover rinunciare a chi si ama?!
Premo forte le mani sul viso, sopra gli occhi.
E ora so che le lacrime, purtroppo, non finiranno mai.
Congratulazioni, Tsubasa!
Dovrò dirglielo, dovrò essere per forza felice per lui.
Sono proprio felice per te!
No…
Non ce la farò mai a dirlo…
Mai.
Maledizione…
Maledizione!
Perché è una dannata bugia.
Perché non sarò mai felice se tu te ne andrai.
Perché non ci vuole molto a capire che non ci sarà mai e poi mai un futuro…
Mai nessun noi
Ed io invece…
Speravo così tanto che prima o poi…
E allora…
Dove andranno a finire i miei sentimenti?
Ti seguiranno?
E adesso…
Cosa devo fare?
Che cosa posso fare?
La luna continua a sorridermi, fredda e distante, mentre cerco di arginare il pianto.
Mi fissa, rimanendo in silenzio.
Nemmeno lei ha le risposte che cerco.
Quelle di cui ora ho estremo bisogno.
Gonfio bene i polmoni, prendendo un grosso respiro.
Chiudo gli occhi e li sento bruciare, come fatti di carboni.
Rilascio il fiato inspirato, in un solo colpo, sperando che basti a calmarmi.
Un singhiozzo.
È vano ogni mio sforzo.
Un altro ancora, che scuote per l’ennesima volta tutto il mio corpo.
Deglutisco, cercando disperatamente di smettere.
Di fermare queste lacrime che però non sentono ragioni, che non siano le loro.
Devo aggrapparmi a un diversivo.
Nel tentativo estremo di addolcire questa pillola amarissima, che proprio non riesce ad andare giù.
Penso così al tempo che rimane, da trascorrere con lui.
Un anno.
In fondo non è poco, no?
Sono per l’esattezza trecentosessantacinque giorni.
No.
Non sono pochi, poi…
Poi…
Poi piango di nuovo senza freni.
Quel pizzico di ottimismo appena recuparato?
Sparito in attimo, come niente fosse.
Perché non è proprio il momento giusto questo.
Come faccio a trovare ora il lato positivo?!
Ammesso poi che esista…
Torno a guardare la luna.
E sogno di poter essere come lei.
Fredda, bellissima, impassibile e distante.
A lei sicuramente non interessa quanto è lungo un anno.
Un anno…
Uno solo, da passare ancora insieme…
Poi…
La vedi anche tu questa luna?
Chissà a cosa stai pensando adesso…
Ai tuoi sogni che si realizzeranno?
Ai miei…
Resta solo un anno…
Poi…
 
 
 
 


Questo monologo di Sanae è l’inizio della storia.
Ho scelto appositamente questo momento perché la decisione di partire di Tsubasa è sicuramente il fattore destabilizzante per questi due personaggi.
Non mi riferisco solamente all’ovvietà di una loro futura separazione, ma al cambiamento che questo dato di fatto porterà in loro nel corso dei mesi a venire.
Credo che ora sia anche più chiaro, il perché abbia deciso di descrivere nel doppio prologo quei particolari Tsubasa e Sanae.
Vi ringrazio sempre tantissimo dell’attenzione accordata a questa storia semplice e vi rinnovo l’appuntamento a venerdì prossimo.
A presto, OnlyHope
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Kumi Sugimoto ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 2

Kumi Sugimoto  

 
 
 


 
“FORZA CAPITANO!”
E si ricomincia anche oggi…
“CAPITANO! METTICELA TUTTA!”
Un bel respiro e cerchiamo d’ignorarla.
Ammesso che si possa far finta di niente.
Questa ragazzina ha un amplificatore, da non so quanti decibel, al posto delle corde vocali!
A volte credo davvero che riuscirà a sfondare la barriera del suono, con qualche suo incitamento estremo!
“CAPITANO! L’ASCIUGAMANO PULITO!”
Ok.
La ignoro davvero ora.
Ce la posso fare!
Basta concentrasi su qualcosa di manuale e pratico…
Vediamo un po’…
Ecco!
Le magliette dei ragazzi pulite fanno proprio al caso mio!
Le piegherò per bene così Yukari le troverà pronte, prima di tornare a casa, visto che questa settimana è il suo turno di stirare!
Soddisfatta, mi avvicino così alla cesta della biancheria asciutta, buttandomi a capofitto nella mia indispensabile distrazione.
Un paio di minuti e le prime magliette formano già un mucchietto ordinato sul tavolo, proprio sotto la finestra aperta.
Ora è il turno di quella con stampato il numero dieci sulle spalle.
Sorrido, in un riflesso ormai incondizionato, mentre esito con cura su ogni piega, controllando nel frattempo l’effettiva e totale pulizia di ogni centimetro di stoffa.
Non ci vuole un genio per capire che sto impiegando il doppio del tempo a sistemarla, rispetto alle altre ma…
Sospiro, sorridendo ancora come una sciocca.
Che ci posso fare?
“CAPITANO HAI SETE?”
Ancora?!
Alzo gli occhi al cielo, spazientita.
Lo ammetto, va bene.
L’interesse spudorato della nuova arrivata per Tsubasa, inizia a darmi leggermente sui nervi.
Ma posso fare ben poco anche con questo…
Non mi resta che sbuffare, ignorando il mio istinto che invece mi suggerirebbe di andare fuori e urlarle di chiudere la bocca, una volta per tutte.
Ma è qualcosa che non posso permettermi, quindi per calmarmi, posso solo accarezzare un’ultima volta la maglia di Tsubasa, prima di riporla in cima alla pila ordinata sul bancone.
Qualche secondo di pace, poi la nostra terza manager torna a mettermi ancora duramente alla prova, con le sue incitazioni a squarciagola.
Come si fa ad ignorare una, che imperterrita continua a starnazzare a bordo campo?!
Prendo un lungo respiro e chiudo gli occhi.
Quando li riapro, la mia mano sfiora un’ultima volta la maglia numero dieci, sempre nell’estremo tentativo che pensieri assai più dolci, riescano a donarmi un po’ di calma.
Ok diamoci da fare con le altre ora!
Risoluta mi piego di nuovo sul cestone, prendendo a caso nel mucchio disordinato.
Complice il ritrovato silenzio, riprendo quello che dovrebbe essere per me, un lavoro pseudo rilassante.
“CAPITANO!”
Oddio basta!
La povera maglia di Ryo Ishizaki, stretta nella morsa delle mie dita, è un groviglio di stoffa irriconoscibile.
Non contenta, mi accanisco ancora attorcigliandola con stizza e digrignando rumorosamente i denti, in maniera forse un po’ infantile.
Yukari entra nello spogliatoio, proprio in questo momento imbarazzante.
Difficile non notare il suo sguardo stupito, che passa rapidamente dalla povera t-shirt sgualcita nelle mie mani, all’espressione ringhiosa sul mio viso.
Ecco vorrei sprofondare!
Ricomporsi!
In fretta!
Alzo così il mento spavalda, facendo finta di non aver notato minimamente la faccia allibita di Yukari.
Dal di fuori il mio potrebbe essere tranquillamente scambiato per superiore menefreghismo.
Quando inizio a piegare la divisa che appartiene al mio amico d’infanzia, la mia espressione è imperturbabile.
Come se fosse possibile ignorare quanto sia stata stropicciata questa povera stoffa e proprio dal mio impeto!
Rimango in silenzio quando Yukari mi raggiunge, facendo poi capolino sopra una mia spalla.
Non mi scompongo minimamente quando la sento leggere ad alta voce il numero quattordici, prima di scoppiare a ridere sonoramente.
“La prossima volta prendi per il collo così Ishizaki, altro che la sua maglietta! Faresti un tale favore all’umanità!”
Non le rispondo, continuando a far finta di niente.
Mento sempre alto e sopracciglia arcuate.
Superiore, Sanae!
Superiore!
“FORZA CAPITANO!”
Ok.
Mantieni questa faccia da schiaffi!
Imperturbabile!
Ce la puoi fare!
“Mamma mia! Oggi ha più fiato del solito o sbaglio?” esclama divertita Yukari, dandomi un leggero colpo sul braccio e indicando con il mento oltre la finestra aperta.
“Chi?”
Le chiedo facendo l’indifferente, sempre senza alzare lo sguardo dal mio lavoro.
“La nostra nuova manager, Kumi Sugimoto!”
“Ah Kumiko(1)
Qualche secondo di silenzio.
Continuo meccanicamente a piegare la t-shirt.
“Sanae sì, la piccoletta! Ma da quando la chiami così?”
“Da mai. Era tanto per capire a chi ti stavi riferendo!”
Come se ci fosse qualcun altro che grida come un ossesso a bordo campo!
Ok…
Forse la risposta mi è uscita un po’ acida…
Alla faccia del mio essere superiore!
Ma devo continuare a far finta di nulla, magari Yukari non ci ha fatto nemmeno caso.
Ripiombo così nel mio mutismo, tra le mani ora la maglia da portiere di Morisaki.
“CAPITANO! IO FACCIO IL TIFO PER TE!”
Non l’ho sentita!
Non l’ho sentita!
Yukari avvicina il suo volto al mio, d’istinto mi giro verso di lei, perché purtroppo è impossibile evitarlo.
“Direi che la ragazzina non ci gira intorno, eh!” e accorcia ancora la distanza, mentre la sua espressione si fa maliziosa, nel suo studiarmi attentamente.
Mi limito a risponderle con un’alzatina di spalle.
Come se non sapessi che Kumi Sugimoto ha una cotta fuori misura per Tsubasa!
Lo capirebbe persino un sordo!
Come se la cosa non mi riguardasse minimamente.
Abbozzo addirittura un sorriso di circostanza, per rafforzare la mia recita.
Compiacendomi addirittura mentalmente con me stessa per la mia attuale faccia tosta.
“Ti dà proprio fastidio, eh?” insiste Yukari, iniziando così a stuzzicarmi.
L’espressione del mio volto nel frattempo, temo si sia fatta un po’ accigliata, nonostante i miei sforzi di sembrare indifferente.
“Non capisco di cosa parli…” borbotto, sbattendo le palpebre e facendo l’ingenua.
“Sanae…”
Yukari ridacchia divertita, piegando un lato della bocca.
Io alzo gli occhi al cielo poi mi volto di nuovo, tornando all’ultima maglia da piegare.
“Kumi è una ragazzina con un sacco di entusiasmo per il calcio!” esclamo, mentre fingo di essere concentrata sulla t-shirt.
“Non a caso è stata una tra i pochi a superare le selezioni per entrare al club quest’anno!”
“Io direi che tutto il suo… Come l’hai chiamato? Entusiasmo!” e virgoletta odiosamente l’ultima parola con le mani, ora che la sto guardando con la coda dell’occhio.
“È per una persona sola! Gli altri ragazzi della squadra nemmeno si accorge che esistono!”
Ma dai?!
Non ci avevo fatto proprio caso!
Non ribatto, per non darle modo di continuare il discorso, che mi ha già davvero stancata.
Mi limito a sistemare l’ultima maglia piegata sopra le altre, poi prendo la pila composta con cura e lo scarico di peso tra le braccia di Yukari.
“Ecco le tue divise da portare a casa!” e le sorrido, in maniera vistosamente forzata.
Argomento chiuso, ok?
“Non fare così, Sanae! Non m’ignorare!” borbotta la mia amica, sempre più divertita dal mio nervosismo.
Sbuffo, spostando lo sguardo di lato e piegando le spalle in un moto sconsolato.
Quando ci si mette Yukari è proprio un osso duro.
E mi piacerebbe davvero confidarmi con lei…
Ho pensato un sacco di volte di farlo in quest’ultimo periodo!
Ma quando inizia a prendermi in giro così…
Poi non riesco a dirle più nulla!
E così continuo a tenere i miei sentimenti per Tsubasa solo per me…
Sconsolata rialzo lo sguardo su Yukari, aspettandomi di trovare ancora quel ghigno beffardo sulle sue labbra.
Lei effettivamente sorride sì, ma in maniera naturale ora.
Senza malizia, né ilarità.
Il mio stupore deve essere evidente, perché accentua il sorriso in maniera davvero dolce.
E allora io sento che vorrei dirle così tante cose…
Ma distolgo di nuovo lo sguardo, ancora incapace di dar voce a quello che sento ad alta voce e soprattutto con qualcun altro.
E i miei occhi oltrepassano la finestra aperta, posandosi così sull’oggetto del mio amore.
Tsubasa gesticola imbarazzato, cercando di arginare proprio la nostra nuova manager, che non contenta del tifo a bordo campo, ora continua ad offrirgli insistentemente quelle che devono essere delle merendine al cioccolato, prese immagino, dal distributore automatico.
Quando lo sguardo di Tsubasa incrocia il mio, la sua espressione diventa quasi supplichevole.
Gli sorrido, alzando poi vistosamente gli occhi al cielo.
Come se non mi piacesse essergli d’aiuto!
Come se non adorassi avere un rapporto di amicizia speciale con lui!
Sono davvero un’ipocrita…
“Vado a salvare il Capitano dalla piccola Kumi! La ragazzina deve ancora imparare tante cose, prima di diventare una brava manager!”
Lo dico tutto d’un fiato, senza degnare Yukari di un’occhiata e senza, soprattutto, darle il tempo di ribattere.
La sento comunque ridacchiare divertita mentre oltrepasso la soglia dello spogliatoio e mi dirigo spedita in direzione di Tsubasa, ancora alle prese con la terza manager della squadra.
“No davvero, grazie mille, ma non posso!”
“Dai, Capitano! La cioccolata è una vera fonte di energia!”
Li raggiungo in pochi passi e senza tanti complimenti, prendo le merendine dalle mani di questa ragazzina petulante, che non conosce ancora le basi di qualunque club sportivo.
“I ragazzi non possono mangiare durante gli allenamenti, Sugimoto!”
Cerco di usare un tono il più accondiscendente possibile, ignorando lo sguardo allibito della manager più piccola, che diventa poi un broncio quasi offeso.
“Vedi… Quando si è sotto sforzo è necessario idratarsi, ma non si può assumere cibo. Questo perché l’ossigeno nel sangue, che dovrebbe servire a digerire, è assorbito per la maggior parte dai muscoli messi sotto pressione!”
E detto questo, le sorrido bonariamente, in maniera sempre un po’ ipocrita, mentre le porgo di nuovo le merendine.
Kumi Sugimoto le prende, scusandosi e borbottando di aver capito.
“Tranquilla, non è successo niente. Cerca solo di fare più attenzione…” la esorto, continuando la mia implicita ramanzina da senpai.
“A proposito,Tsubasa! C’è della limonata addolcita con il miele negli spogliatoi. A fine allenamento puoi dirlo anche agli altri?”
“Perfetto! Passo parola io!”
Tsubasa alza il pollice destro prima di allontanarsi, visibilmente sollevato.
Quando è al limite del campo però, si volta ancora, sorridendo.
“Sanae! Dopo mi aiuteresti passandomi i palloni dalla cesta? Voglio provare un nuovo tiro!”
“Certo!” rispondo rapida, lasciandogli giusto il tempo di terminare la frase.
Mi metto quasi sull’attenti, nonostante il tentativo di calibrare l’entusiasmo.
Dopo aver criticato tutto il pomeriggio la fan girl qui al mio fianco…
Sei un’ipocrita davvero, cara la mia Sanae!
Tsubasa annuisce soddisfatto, poi torna di corsa ad allenarsi.
Rimango ancora ad osservarlo, mentre palla al piede, simula uno schema di gioco con i suoi compagni.
E il mio sorriso, lo sento, si distende ancora un po’ di più.
Quando incrocio lo sguardo imbronciato di Kumi Sugimoto, mi concedo un gesto un po’ immaturo.
Ma proprio non resisto.
Distendo ancora meglio le labbra, arcuando gli occhi sopra le gote.
Puoi urlare quanto ti pare, piccoletta!
E prima di allontanarmi da lei, le do un buffetto sulla guancia, proprio come si fa con i bambini piccoli e capricciosi, a cui si è appena data una lezione.
Sorrido ancora mentre cammino in direzione dello spogliatoio.
Sono proprio una sciocca adolescente innamorata…
Yukari mi fissa, il peso del suo corpo poggiato contro lo stipite della porta aperta e le braccia incrociate sul petto.
Quando sono a un passo da lei, noto che arcua le labbra di nuovo maliziosamente.
Questa volta però non me la prendo.
Non metto nessun muso lungo, né alzo gli occhi al cielo.
Semplicemente le rispondo, sorridendo anch’io in maniera un po’ sorniona.
Sottintendendo così tutto quello che…
Yukari rimane per un attimo confusa, non nascondendo lo stupore, poi mi segue all’interno dello spogliatoio, iniziando a cantare sommessamente, ma in modo che possa comunque sentirla.
“How deep is your love? Is it like the ocean? What devotion? Are you? How deep is your love? Is it like nirvana? Hit me harder, again. How deep is your love? How deep is your love? How deep is your love? Is it like the ocean? Pull me closer, again.  How deep is your love?”(2)
Non mi trattengo e scoppio a ridere.
Quando mi volto a guardarla, Yukari mi rivolge uno sguardo complice.
Ed io penso che forse è venuto davvero il momento di parlare…
Ma quando sto per farlo, una voce stridula all’esterno m’interrompe.
Per l’ennesima volta le stesse urla rompono il silenzio.
“FORZA CAPITANO!”
Quando alzo vistosamente un sopracciglio, Yukari non trattiene una risata.
Scuoto la testa mentre sbuffo, cercando di armarmi ancora di pazienza.
Sarà per un’altra volta…
Guardo fuori.
La Sugimoto a bordo campo, strilla ancora, le mani a coppa sulla bocca.
E questo pomeriggio…
Non finirà mai!
 
 
 



(1) Suffiso KO in giapponese indica qualcosa di piccolo.
(2)How deep is your love”- Writer(s): Calvin Harris, Luke Mcdermott, Gavin Koolmon. Copyright: Tsj Merlyn Licensing B.V, Emi Music Publishing Ltd., Fly Eye Publishing Ltd.
 
 


Vorrei spendere due parole su questo capitolo, decisamente più leggero rispetto al precedente.
Non è assolutamente mia intenzione ridicolizzare o mettere in cattiva luce il personaggio di Kumi, altrimenti non avrei mai scritto per lei e Sanae “Gossip Girl”.
In questo brano sono entrambe due ragazzine, Kumi è proprio piccolina.
Nonostante il rapporto con Sanae sia stato sempre rispettoso e mai fuori le righe, in questo momento descritto, ho immaginato che comunque una quattordicenne, per quanto matura e vittima di un amore segreto, non potesse non “stizzirsi” almeno un po’ per le attenzioni dell’ultima arrivata verso Tsubasa.
Ci tenevo molto a precisare questo punto fondamentale per me, non è mia abitudine mettere alla berlina nessun personaggio, nemmeno il più antipatico. Preferisco casomai ometterlo del tutto e buonanotte! xD
A venerdì prossimo allora e naturalmente grazie infinite per “l’ascolto”…
OnlyHope
 

 
 
 

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Capitolo 5
*** Libro (quasi) aperto ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 3

Libro (quasi) aperto

 
 


 
Dopo l’incontro con Urabe sono corso subito al campo d’allenamento.
Anche se è domenica, soprattutto perché non c’è nessuno.
Le parole del mio ex compagno di squadra sono state davvero dure e mi hanno come riscosso.
Non che vivessi nel torpore, non abbasso mai la guardia quando si tratta del pallone.
Ma tanta determinazione può essere arginata in un solo modo.
L’allenamento costante.
Perpetuo, continuo e massacrante.
Inutile perdere tempo, non posso permettermi nessuna domenica pomeriggio in ozio.
Non ho bisogno di far visita al vecchio allenatore, né di gironzolare per la città senza far niente.
Gli avversari sono già agguerriti come non mai e siamo solo alla qualificazione per il campionato, non posso quindi permettermi nessun tipo di passo falso.
Perché io devo vincere anche quest’anno il campionato nazionale.
Devo farlo per la squadra, i tifosi ma soprattutto per me.
Perché me lo sono imposto e se non dovessi riuscire in questo intento…
Tanto vale rimanere a casa e risparmiarsi il viaggio.
Sarebbe proprio inutile trasferirsi in Brasile, se non riesco ad ottenere il massimo qui in Giappone.
Così eccomi qua, grondante di sudore, a spingere le mie forze all’estremo.
In linea di massima gli allenamenti che m’impongo non sono mai leggeri, ma questa volta non posso proprio risparmiarmi.
Perché sono io il più determinato a vincere.
L’ambizione degli avversari è poca cosa rispetto alla mia.
C’è in ballo tutto il mio futuro in questo campionato.
Calcio il pallone con forza.
La mia motivazione?
La voglia di essere di nuovo il migliore.
Quando la palla s’insacca nella rete, la fisso rimbalzare a terra, vicino alla linea di porta.
E non mi sento per niente soddisfatto.
Nonostante tutto mi sembra di non fare ancora abbastanza, almeno non per gli standard che mi sono prefissato.
Perché un nuovo tiro non è una cosa che nasce dal nulla, o un caso fortuito.
Ci vogliono ore davanti a una porta come questa, concentrazione e tanta forza nelle gambe.
Oltre alla capacità di mandare il pallone dove si vuole.
Sono doti che non mi mancano, lo dico senza ipocrisie o falsa modestia, ma oggi più che mai, sono esigente con me stesso.
Calcio ancora la sfera di cuoio, ma ad ogni tiro, sono sempre più contrariato.
Non ottengo mai l’effetto desiderato.
Sbuffo insofferente, prima di concentrarmi per l’ennesima volta sulla porta vuota di fronte a me.
Sposto il peso del corpo sul lato sinistro e dopo un breve slancio, la mia gamba s’incurva, per poi tendersi.
Quando il mio piede destro raggiunge violento ma preciso il pallone, questo s’innalza in una parabola, per poi precipitare, veloce come un proiettile, appena sotto la traversa.
La palla rotola di nuovo fuori dalla porta mentre mi asciugo il sudore sulla fronte con il dorso della mano.
“Almeno prendi un asciugamano pulito!”
Sussulto sorpreso.
Quando mi giro incrocio lo sguardo di Sanae, che si avvicina sorridendo.
Una volta al mio fianco, mi porge un telo di spugna candido, perfettamente pulito, scrutandomi con quell’aria di rimprovero che usa di solito, quando vuole farmi notare delle ovvietà.
Abbozzo un sorriso imbarazzato, prima di tendere il braccio e afferrare l’asciugamano, che passo poi sul viso sporco e madido di sudore.
Chiudo gli occhi concentrandomi solo sulla morbidezza della spugna, che profuma di buono e immediatamente avverto che qualcosa dentro di me sta cambiando.
Stranamente non mi sento più così nervoso.
“Dai! Ricomincia da capo ora!”
Sanae mi esorta a tornare in campo con una convinzione tale, da poter quasi competere con la mia.
Ovviamente, non me lo lascio ripetere due volte così annuisco, deciso a non perdere un secondo di tempo prezioso.
Con gesto sicuro le restituisco l’asciugamano e quando sono di nuovo in campo, accanto ai palloni da calciare, non posso fare a meno di sorridere di nuovo.
Con la coda dell’occhio infatti posso tranquillamente vedere Sanae che si sta sedendo a bordo campo, con l’intenzione, a quanto pare, di restare.
E questo cosa mi rende ancora più motivato…
In maniera prettamente positiva.
Il nervosismo quasi non lo ricordo più…
Non posso evitare di chiedermi come questa ragazza sia stata capace di arrivare a tanto.
Come sia riuscita a diventare così…
Così…
Calcio un pallone, questa volta in maniera un po’ distratta, la palla rimbalza contro il palo.
Così importante per me?
Sussulto, come ogni volta che mi soffermo a decifrare le mie emozioni.
Come sempre quando provo a dare un nome a quello che sento.
Solo che oggi non ho proprio tempo per queste cose.
Anzi ne ho ancora meno del solito.
Non ne ho proprio da dedicare a cose che…
Scuotendo il capo, torno convinto al mio allenamento.
Perché io devo vincere il campionato nazionale!
Con determinazione riprendo la mia sfida solitaria contro la porta.
Unico alleato: il mio fidato amico pallone.
E non m’importa quanto fiato ci vorrà.
Nemmeno quanto sudore uscirà dal mio corpo.
Io perfezionerò il mio tiro, costi quel che costi.
I palloni si susseguono così dentro la rete, in una giostra incalzante di tiri su tiri.
La mia ombra nel frattempo si allunga sempre di più sulla terra battuta del campo.
Le ore passano anche se a me sembrano quasi minuti.
Ma il fiato corto e il battito accelerato nel mio petto, sono chiari segnali che non posso ignorare in eterno.
Per oggi è davvero tutto, è ora di smettere.
Poggio le mani sui fianchi quando cerco di riportare i polmoni ad una respirazione normale.
Quando mi volto ritrovo Sanae seduta al solito posto.
Mi sorride prima di alzarsi con calma, per avvicinarsi di nuovo a me.
Quando mi porge ancora l’asciugamano, rispondo con un sorriso riconoscente.
“Credo che per oggi possa bastare!” esclamo, passando la spugna sul collo e la nuca.
“Direi di sì!”
“Mi cambio. Tu… Che fai?”
“Ti aspetto qua, così facciamo un po’ di strada insieme per tornare a casa!”
Sanae sorride ancora.
Lo fa con le labbra rosa.
Con gli occhi, arcuati allegramente.
Di riflesso la imito.
E i miei battiti ora sono accelerati, ma non solo per la fatica accumulata in mezzo al campo.
“Vado a cambiarmi, allora! Ci metto un minuto!” esclamo, prima di dirigermi di corsa verso gli spogliatoi.
Quando sono dentro mi spoglio veloce, lasciando la divisa sporca nel cesto della biancheria da lavare.
Il tempo di rinfrescarmi e sono di nuovo vestito con gli abiti di questa domenica pomeriggio.
Esco, chiudo a chiave e quando mi volto, Sanae è già al mio fianco.
Insieme ci dirigiamo verso i cancelli dell’edificio scolastico.
“Ma oggi che ci facevi qua?” le chiedo strada facendo, curioso di sapere come sia stato possibile incontrarci al campo, in un giorno di riposo del club poi.
Sanae mi osserva per una manciata di secondi, poi sposta lo sguardo altrove.
“A dir la verità ero uscita con Yukari…”
Fa una piccola pausa.
“Lei ha avuto un contrattempo, così…”
Un’altra pausa ancora, prima di tornare a guardarmi di sottecchi.
“A dirla tutta... Ti ho visto discutere con Urabe e gli altri della Otomo! E quando sei andato via, ho pensato di raggiungerti!”
Sbatto le palpebre, incredulo.
“Ma come facevi a sapere che sarei venuto ad allenarmi?!” le chiedo stupito.
Sanae questa volta si gira verso di me e mi guarda diritto negli occhi.
“Da quanto ci conosciamo, Tsubasa? Mi riesce piuttosto bene capire quello che ti passa per la testa in certi momenti!” e fa l’occhiolino, ridendo allegra.
Io arrossisco leggermente.
Sono così un libro aperto per te?!
Il mio rossore si accentua però, quando un particolare mi salta all’improvviso alla mente.
Ero con la nuova manager quando ho incontrato Urabe!
L’idea che Sanae mi abbia potuto vedere con lei, di domenica pomeriggio, fuori dagli allenamenti…
Mi rende all’istante particolarmente nervoso.
E questa volta non c’entra proprio nulla l’agonismo.
Non penserà mica che avevamo un appuntamento o qualcosa di simile?!
“Ah, Sanae!” esclamo senza pensare, lei mi fissa con aria interrogativa.
“La Sugimoto mi ha raggiunto per caso! A dirla tutta non sono riuscito a scrollarmela di dosso per tutto il pomeriggio!”
Lo dico tutto d’un fiato ma…
Appena finito di pronunciare l’ultima sillaba, mi morderei istantaneamente la lingua!
Mi sono complicato ulteriormente la vita da solo, proprio come un idiota!
Sanae non mi ha chiesto nulla in proposito!
Ci credo che ora mi fissa così, con quell’aria stupita!
Distolgo lo sguardo e chiudo le palpebre arricciando il naso, in una smorfia contrariata.
Ho usato un tono poi…
Sembrava proprio che volessi giustificarmi!
In fondo lei non è mica la mia ragazza…
Noi siamo solo amici…
No?
“Credo di sapere anche questo…” esclama all’improvviso Sanae, così d’istinto mi volto di nuovo a guardarla.
E questa volta sono io a stupirmi, quando mi sorride in maniera che a me sembra così dolce.
Colto dall’imbarazzo, torno a guardare ancora altrove, incapace di sostenere il suo sguardo.
“Sono così un libro aperto?” le chiedo borbottando, dando questa volta voce ai miei pensieri, mentre alzo il mento e mi metto a fissare la stella polare.
“Oh per quanto riguarda il calcio, sei di un’ovvietà davvero imbarazzante!”
L’espressione divertita nella sua voce mi strappa un sorriso, non distolgo comunque lo sguardo dall’astro, che brilla nel cielo ormai color cobalto.
“Per quanto riguarda altre cose invece…”
Il tono con cui ha pronunciato l’ultima frase, attrae istantaneamente la mia attenzione.
D’istinto, ancora una volta, mi volto verso di lei, che ora sta camminando a testa bassa.
E mi sento inspiegabilmente di nuovo nervoso.
La conversazione sta prendendo una piega strana.
Non mi sento nemmeno a mio agio.
Forse è colpa della stanchezza…
Ma anche di quel vago timore che provo, quando tento anche solo di pensare a qualcos’altro che non sia il pallone.
E per altro non intendo qualcosa di generico, ma…
Fisso ancora Sanae, che ora guarda diritto avanti a sé, rimanendo in silenzio.
Non sarò di certo un grande osservatore, ma anche lei mi sembra assorta in un mondo complicato.
Incasinato forse proprio come il mio.
E anche questo mal comune, non mi dona un briciolo di sollievo, anzi.
“Pensi di raddoppiare gli allenamenti anche ai ragazzi?”
“Uh?”
“Sei distratto?” mi chiede, portando lo sguardo su di me, le sopracciglia leggermente arcuate.
Con sollievo mi rendo conto che il suo tono è tornato quello sereno di sempre.
Sanae aggrotta lo sguardo, perplessa dal mio mutismo.
“Penso ti ci voglia proprio una bella dormita...” sentenzia poi, scuotendo leggermente la testa.
“Hai bisogno di rimetterti in forze, mi sembri davvero troppo stanco!”
Inevitabilmente le parole di Urabe tornano a rimbombarmi nelle orecchie, come monito alla mia, seppur scarsa, indolenza.
“A patire da domani dovremo impegnarci tutti tantissimo! Non possiamo battere la fiacca! Quelli della Otomo sono davvero agguerriti!”
Inizio così il resoconto dettagliato della conversazione avuta con il mio ex compagno di squadra.
Non contento, le spiego nei minimi dettagli anche quello che ho in mente per gli allenamenti della squadra.
Senza tralasciare quello che sarà poi il mio personale allenamento solitario.
Alla fine del mio monologo calcistico, Sanae si ferma e annuisce convinta.
“Allora ci vediamo domani!” esclama, mimando un cenno di saluto con la mano.
Mi guardo intorno, stupito.
Siamo all’incrocio che porta a casa sua.
Concentrato com’ero sul calcio, non mi ero minimamente accorto che eravamo già arrivati qua!
Sanae sembra leggermi nel pensiero, perché alza leggermente gli occhi al cielo, sbuffando divertita.
“Ciao…” borbotto, rispondendo finalmente al suo saluto, grattandomi la nuca.
Sanae sorride ancora, poi si volta, dirigendosi verso casa sua.
Con una strana sensazione nel petto, rimango ad osservare la sua schiena che si allontana.
Ho parlato solo di calcio…
Non mi ero accorto che eravamo arrivati…
Di nuovo quel disagio, che proprio non mi va di assecondare.
Distolgo lo sguardo allora.
E rimanendo a testa bassa, m’incammino verso casa.
Cercando di concentrarmi solo sui miei obbiettivi.
Primo fra tutti il campionato.
Perché io non ho proprio il tempo di pensare ad altro.
Devo solo allenarmi.
Vincere le qualificazioni e portare la squadra ad essere la migliore del Giappone, per una volta ancora.
Per l’ultima volta tutti insieme.
E alla fine poi, andarmene in Brasile.
Ma ho parlato solo di calcio…
Solo di calcio…
Non c’è spazio per altro.
Ed è meglio così…
Già…
Molto meglio così…
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Yukari Nishimoto ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 4

Yukari Nishimoto
 
 
 

 
“Sai che non ti ci vedo proprio? Sei di una timidezza così imbarazzante, a volte!”
Yukari mi fissa divertita, le sue gambe dondolano mentre seduta sul banco, sorseggia quello che resta del suo succo di frutta all’arancia.
Alzo le spalle, mentre mi guardo intorno un po’ imbarazzata.
L’aula è vuota.
Fuori è una bellissima giornata e tutti i miei compagni sono usciti a pranzare in cortile.
In un primo momento ero scesa anch’io con loro, ma dopo aver incontrato nei corridoi Yukari, ho cambiato idea e insieme siamo tornate nella mia classe.
Per mangiare tranquille allo stesso banco e starcene un po’ da sole a chiacchierare.
Inevitabilmente il discorso è scivolato, come sempre ultimamente, .
“Oh perché non mi conoscevi! Ero di una sfacciataggine!”
Yukari ridacchia incredula, facendo rumore con la cannuccia, prima di iniziare a torturarla con i denti.
“Come Kumi?” mi chiede poi maliziosa, arcuando leggermente le sopracciglia.
Non trattengo una risatina divertita, nonostante l’accostamento mi irriti un po’.
“Ti dico solo che gli correvo dietro senza ritegno! Litigavo con qualsiasi altra bambina osasse anche solo avvicinarsi a lui! Non lo mollavo un attimo! Insomma ero un mastino! Proprio tremenda!”
Yukari scoppia a ridere, tanto che la cannuccia le cade dalle labbra.
Probabilmente l’immagine della versione più piccola di me, alle elementari, il maschiaccio, che tampina quello che è probabilmente il ragazzo più ottuso del mondo in fatto di faccende di cuore, deve essere davvero esilarante.
“Ti giuro, pagherei per vederti così ancora!”
Le sorrido, ancora imbarazzata dal mio vecchio modo di fare sicuramente sfacciato, che però mi manca un po’, se devo essere sincera.
“Tutto è cambiato quando ho saputo che sarebbe partito. O forse non so, anche prima. Quando la mia cotta è passata ad essere…” faccio una pausa, fingendo di dover cercare la parola giusta.
“Sì, insomma… Quando è diventata…”
Non riesco proprio a pronunciarla, nonostante tutto.
Eppure è così semplice, la parola amore.
In compenso arrossisco, lo sento chiaramente.
Ed è sempre così quando cerco di liberare un po’ del peso che porto nel petto.
Quando provo ad attingere forza, confidandomi con Yukari.
Anche se non è molto che parlo con lei di quello che provo per Tsubasa.
La mia migliore amica mi osserva, cercando d’incoraggiarmi con lo sguardo.
Così cerco le parole giuste, che mi permettano di spiegarle al meglio le mie emozioni.
Emozioni che continuano a crescere nel mio cuore, giorno dopo giorno, senza che io possa farci niente.
“Allora è saltata fuori questa timidezza, che non credevo proprio di avere! Sono aumentate le paure, l’insicurezza… E così mi sono nascosta, senza espormi più in quel modo vistoso!”
Abbozzo un sorriso.
Yukari annuisce seria, prima di sporgersi verso di me, mettendo in serio pericolo il suo equilibrio sul banco.
“Ma dimmi, Sanae… Cosa ti piace di più di lui?”
Bella domanda!
Arrossisco ancora, come l’ingenua ragazzina che sono, mentre i miei polmoni si gonfiano d’aria.
Poi sospiro, distendendo involontariamente le mie labbra in un sorriso.
Di quelli estasiati e un po’ imbambolati.
Insomma da ebete innamorata
Le tante immagini di Tsubasa che ho impresse nella mente, si accavallano nitide nei miei pensieri.
Mentre si allena o quando gioca una partita importante.
Nel momento in cui è distratto in classe e si fa sorprendere dai professori.
Quando mi chiede di aiutarlo con i compiti e la sua faccia prende un’espressione concentrata poi sui libri.
Tsubasa quando s’imbarazza e con una mano prende a tormentarsi la nuca.
Quando sorride.
Semplicemente.
“A me piace tutto!” ammetto senza filtri, perché è la pura e semplice verità.
“Ma ci sarà qualcosa che ti attrae in particolare!” insiste Yukari, avvicinando curiosa il suo viso al mio.
Ci penso un attimo.
In fondo c’è una cosa che contraddistingue Tsubasa dal resto degli altri ragazzi.
“La sua determinazione, sì!” esclamo, annuendo più volte col capo.
“A volte nei suoi occhi c’è una luce, che mi fa pensare che sia in grado di qualsiasi cosa! Di raggiungere ogni obbiettivo prefissato!”
Yukari mi squadra da testa ai piedi, l’aria un po’ scettica noto.
Che ho detto che non va?!
“Mmm…” borbotta poi, stringendo le labbra e portando il dito indice al mento.
“Intendevo qualcosa più terra terra…”
“Uh?”
“Non guasta che sia carino, eh?” mi chiede infine, tornando a guardarmi maliziosamente.
Le sorrido, annuendo.
Perché lei non lo sa, ma ogni volta che lo guardo mi batte così forte il cuore.
C’è un qualcosa in Tsubasa che mi piace da morire.
A volte mi soffermo a pensarci, per capire cosa sia in particolare.
Ma non riesco proprio a decidere cosa mi piaccia di più nel suo aspetto.
Forse è più facile dire che è lui.
Punto e basta.
“Ma a proposito di obbiettivi e determinazione!”
L’espressione di Yukari si fa all’improvviso seria.
“Cosa pensi di fare poi con la storia della partenza? Del Brasile?”
Oh…
Ammutolisco di colpo.
E il mio sorriso si spenge.
Un classico quando si parla di questo.
La conversazione che ho origliato senza volere all’inizio dell’anno, tra Tsubasa e un professore, prende a girarmi in testa senza tregua, come un disco rotto.
“Non lo so…” ammetto, mentre un altro sospiro incurva il mio torace.
Ma questa volta in maniera stanca e quasi scoraggiata.
“Non farai nulla? Non gli dirai niente?!”
Ed eccolo il nodo spinoso della questione.
Il peso specifico del macigno che mi opprime il petto.
L’idea di non vederlo mai più mi fa sentire male solo al pensiero ed è un dato di fatto.
Ma nulla riesce a togliermi il sonno, l’appetito e il sorriso, come il dilemma sui miei sentimenti.
Su cosa farne nel frattempo.
E la mia insicurezza prende in maniera odiosa pieno possesso di me.
“A volte penso che mi pentirò tutta la vita, se lo lascerò andare senza dirgli nulla…”
Il mio sguardo si sposta da Yukari alla finestra aperta.
Mi lascio accarezzare il viso dolcemente dal vento caldo che vola per la classe, segno che l’estate sta per arrivare.
“Poi ci ripenso. Perché ho paura che soffrirei ancora di più per la sua mancanza, dopo avergli detto quello che provo. Non è per niente scontato poi, che lui ricambi i miei sentimenti…”
E un sorriso amaro, rivolto di nuovo alla mia migliore amica, deforma la mia bocca in una smorfia sofferente.
Yukari mi fissa per un attimo, poi sbuffa leggermente.
Quando sta per aprire bocca però, interrompe il discorso sul nascere.
Qualcuno infatti sta entrando in aula.
Ci voltiamo entrambe verso la porta scorrevole, proprio mentre Ishizaki fa il suo ingresso spedito in classe.
Con lui ci sono Izawa e Morisaki.
“Ehi! Ma sapete dove cavolo si è cacciato Tsubasa?”
Ci chiede senza tanti preamboli, avvicinandosi.
La mia migliore amica ed io, sempre all’unisono, scuotiamo la testa in senso di diniego.
Ishizaki sbuffa contrariato, prima di voltarsi verso di me, ghignando vistosamente.
“Non l’hai visto nemmeno tu, Sanae?”
Le sue sopracciglia arcuate e il sorriso malizioso, sono il chiaro segnale che vuole tormentarmi ancora con le sue insinuazioni.
Fondatissime per carità, ma perché mai dovrei confermargliele?
“No…” rispondo calma, abbozzando un sorriso sereno.
Sperando che questo basti a farlo desistere dalla tentazione di prendermi in giro, come sempre quando c’è di mezzo il nostro Capitano.
“Cos’è? Oggi l’hai perso di vista? Forse è uscito troppo dal tuo radar?”
Appunto.
Tentativo fallito miseramente.
Ruoto lo sguardo al soffitto.
“Certo che ogni tanto potresti anche cambiare repertorio, eh?” gli chiedo, sbuffando poi annoiata.
“Anche tu dovresti farlo, se è per quello! Lo sai tanto no, che anche se continui a fargli gli occhi dolci tutti i giorni, Tsubasa ci va lo stesso in Brasile?”
Colpita.
E affondata.
Un leggero dolore al petto, che scorre giù fino alle braccia.
E non ho niente di pronto da ribattere.
Nemmeno nulla da ridire…
“E tu invece lo sai che sei veramente un CRETINO?!”
Yukari si piazza davanti a Ishizaki, con fare intimidatorio, reagendo pronta al posto mio.
Non smette di fissarlo con sguardo truce, mantenendo una postura aggressiva.
Gambe divaricate, le mani sui fianchi e mento in alto, come a sfidarlo.
Non vola una mosca, mentre Ryo inizia a squadrarla irritato da testa ai piedi.
“Senti bella, datti una calmata! Che cavolo c’entri tu, poi!” esclama il numero quattordici della Nankatsu, inclinando leggermente il busto verso la mia amica, che persiste a guardarlo in cagnesco.
“Ah ovviamente bella si fa per dire!” aggiunge, sorridendo poi in modo da provocarla ancora di più.
Ahi!
Yukari diventa all’improvviso paonazza.
Dalla sua bocca escono sibilando un paio d’imprecazioni degne del più famigerato scaricatore di porto.
Poi si volta e mi prende la mano, trascinandomi via di peso.
Letteralmente.
Cerco di attirare la sua attenzione mentre veloce imbocca il corridoio e successivamente le scale.
Ma lei non mi ascolta, presa com’è dal raggiungere il cortile soleggiato, senza smettere mai d’insultare Ishizaki.
“Quel maledetto idiota! Grrr!”
Borbotta ancora mentre camminiamo, sempre senza sosta, costeggiando il muro dell’edificio scolastico.
“Non te la prendere, Sanae! Quell’essere è proprio uno… Uno… Uno Stronzo insensibile!” e finalmente rallenta il passo.
“Non me la sono presa!” esclamo con semplicità, ora che mi sembra leggermente più calma.
Yukari si volta allibita e mi fissa, come se non le sembrassi tanto sana di mente.
“Che cavolo dici, Sanae?!”
“Ha detto solo la verità…” aggiungo, costringendola a fermarsi.
Yukari aggrotta le sopracciglia mentre mimo un’alzatina di spalle.
Quando le sorrido cercando di sembrare serena, inizia a scuotere la testa perché temo che il risultato dei miei sforzi risulti ugualmente triste, se non addirittura un po’ patetico.
“Sanae…” borbotta, nel tentativo di spronarmi.
“Yukari è così. Le cose non cambieranno, indipendentemente da quello che provo io. Tsubasa partirà per il Brasile la prossima primavera.”
Mi faccio coraggio e torno a sorriderle, questa volta in maniera spero più convincete.
“Voglio solo vivere alla giornata! Devono passare ancora mesi prima che se ne vada, poi succederà l’inevitabile, quindi non pensiamoci più!”
Yukari mi fissa per un’altra manciata di secondi.
Io ostento ancora un’aria sorridente, cercando di convincerla.
Cercando di convincere anche me, che questo vada bene.
Che possa realmente bastarmi vivere così.
Mi rilasso un po’ quando la mia migliore amica torna finalmente a sorridermi.
Nel suo sguardo dolcezza e solidarietà.
Bella si fa perdire! Ma che acido!” esclamo infine, cercando di spostare l’attenzione da me.
Anche se l’argomento rischia di riaccendere gli animi della mia migliore amica.
Yukari in men che non si dica, si rianima subito collerica e mentre riprendiamo a camminare, torna a ad elencare tutti i difetti d’Ishizaki.
Ovviamente sotto forma d’insulti.
“Giuro che un giorno gliele farò pagare tutte! Kami(1) dovete solo mettermi nelle condizioni di averlo in pugno, poi si pentirà amaramente di essere nato!” esclama mentre svoltiamo l’angolo del padiglione est.
Dal suo petto poi esce una risata diabolica, che fa scoppiare a ridere anche me.
E all’improvviso, grazie a lei, mi sento di nuovo più leggera.
Scuoto la testa ridendo ancora divertita, Yukari nel frattempo non la smette di elencare tutti i modi con cui gli piacerebbe torturare quel povero diavolo di Ishizaki.
Mi asciugo le lacrime agli occhi.
Quando sto per pregarla di smetterla, per darmi modo di riprendere fiato, alzo lo sguardo e mi blocco.
Riconoscerei le sue spalle anche se fossi cieca.
Tra un milione di persone, io saprei dove si trova, anche ad occhi chiusi.
Tsubasa è a pochi metri da me, seduto a terra.
Il peso del corpo sostenuto da un braccio.
Il viso leggermente inclinato, che guarda in alto, verso il cielo terzo.
Una vampata di calore mi attraversa completamente, terminando poi sul viso e facendomi arrossire.
E come sempre, m’immergo nel mio mondo solitario fatto di sospiri.
In cui mi isolo, tanto da non sentire più nemmeno la mia amica, qui al mio fianco.
Sussulto infatti quando avverto il tocco della sua mano sopra la mia spalla.
“Va a vivere la tua giornata, Sanae!” sussurra Yukari al mio orecchio, mentre con un braccio teso indica Tsubasa, che sembra proprio non essersi accorto di noi.
Mi volto a guardarla e allora lei mi sorride incoraggiante, annuendo.
Quando torno a guardare quelle spalle familiari strette nella divisa scolastica scura, non ho il minimo dubbio su cosa fare.
“Sì!” rispondo convinta, sfoderando ora un sorriso deciso.
“Vivitela e goditela!” aggiunge Yukari facendo l’occhiolino, prima di allontanarmi da lei con una leggera spintarella.
E quando i miei passi da incerti si fanno più sicuri, il mio cuore inizia a correre nel mio petto.
Perché è di questo che devo nutrirmi in questi mesi.
Degli attimi concessi, facendo finta che la mia vita sia quella di una adolescente qualunque, alle prese con il primo amore.
Senza nubi all’orizzonte, senza paure che vanno esorcizzate.
Mi avvicino a Tsubasa e non so proprio spiegarmi come sia riuscito a farmi tutto questo.
E mi ripeto di sbrigarmi, perché comunque mi è rimasto poco tempo.
Raggiungo l’oggetto del mio amore e quando sono al suo fianco, lui alza lo sguardo.
Mi sorride.
Voglio viverlo…
Ed io nonostante tutto, mi sento davvero felice.
 





(1)Kami: è la parola giapponese indicante gli oggetti di venerazione nella fede shintoista. Limitatamente all'uso nello Shintoismo, la parola è un'onorificenza per spiriti nobili e sacri, che implica un senso di rispetto o adorazione per la loro virtù e autorità.
 
Un'altra piccola nota: Ishizaki non è mai “cattivo” con Sanae nella versione originale a fumetti, la prende in giro bonariamente, come fa con Tsubasa, e spesso si comporta proprio da buon amico con lei.
Nell’anime invece pronuncia una frase molto simile a quella proposta da me, ammetto che ogni qual volta rivedevo quella puntata non potevo fare a meno d’insultarlo con gli stessi epiteti pronunciati da Yukari!
Se pensate che abbia interrotto poi sul più bello, in realtà non è proprio così.
Questo brano era l’inizio di “Gossip Girl” quando ancora era completamente pdv di Sanae e per scriverlo avevo pensato di legarlo ad un’altra mia One shot, ovvero “Se la gente ti considera un po’ fra le nuvole...".
Questo potrebbe essere considerato tranquillamente il suo missing moment, però ci tengo a precisare che lo Tsubasa di quella storia non è lo stesso proposto in questo momento in Becoming.
Essendo quella una One shot ho riassunto la mia idea del personaggio, slegandola da un momento storico preciso, quindi se qualcuno dovesse leggerla, non la consideri collegata cronologicamente a questa long.
Mi sembra di aver detto tutto, grazie se siete arrivati a sopportare le mie assurde specificazioni fino a qui!
A venerdì prossimo!
OnlyHope
 

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Capitolo 7
*** Omamori ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 5

Omamori(1)

 
 
 


 
“Ok, ragazzi! Ci siamo proprio divertiti, eh!”
Siamo appena usciti dal karaoke.
I miei compagni di squadra continuano a far chiasso, spingendosi allegramente sul marciapiede.
Alzo gli occhi al cielo, il sole sta tramontando.
Dopo una giornata di allenamenti e un po’ di svago, è giunto proprio il momento di tornare a casa.
“Ancora tanti auguri, Tsubasa!” esclama Kisugi, dandomi un’amichevole manata sulla spalla.
Lo ringrazio tormentando la nuca con le dita.
Perché sì, oggi è il mio compleanno.
Il quattordicesimo per la precisione.
Non che abbia prestato troppa attenzione alla cosa ultimamente…
In questo momento nella mia testa c’è unicamente il campionato nazionale, ormai alle porte!
E in questi giorni, nonostante il caldo, non mi sono di certo risparmiato.
Oltre alle ore passate in campo con il resto della squadra, mi sto impegnando quotidianamente in una sessione speciale di allenamento in solitaria.
La mia giornata inizia la mattina molto presto, quando l’aria è ancora respirabile e non si soffoca per il caldo, poi prosegue come Capitano al campo d’allenamento fino a tarda sera.
Di solito, finito il tour de force cui sottopongo i miei compagni e me stesso giornalmente, ci ritroviamo tutti negli spogliatoi, distrutti per la stanchezza.
E tutta la squadra ha un unico comune desiderio: tornare a casa.
Per mangiare ma soprattutto dormire il più possibile.
Ma oggi, secondo i miei amici, non poteva essere assolutamente così.
Ignorare il mio, potenzialmente ultimo, compleanno in Giappone?
Impossibile anche solo immaginarlo!
Così qualche ora di svago è sembrata la giusta ricompensa per gli sforzi dell’ultimo periodo.
Scegliere dove andare non è stato poi un problema.
Le ragazze hanno deciso per il karaoke e a nessuno è venuto in mente di obbiettare.
Per noi maschi esausti, l’importante era raggiungere un posto dotato di aria condizionata, dove sedersi comodi e mangiare cibo a volontà.
E così è stato ma questa uscita di gruppo, oltre che ristoratrice, si è rivelata alla fine anche una sorpresa.
Almeno per me.
Non credevo minimamente che le manager fossero così brave a cantare!
Sanae in particolare è dotata di una voce chiara ma forte, davvero potente.
Pensandoci bene non avrei nemmeno dovuto stupirmi, ascoltandola.
Qualche anno fa le sue urla sugli spalti, non passavano di certo inosservate.
A dirla tutta, riesco a distinguere la sua voce pronunciare il mio nome dalle gradinate anche adesso.
Ma è probabile che questo non dipenda unicamente dalla potenza delle sue corde vocali.
A proposito, ora che ci penso!
Sanae ed io siamo gli unici a dover prendere lo stesso autobus per tornare a casa, qui dal centro.
Mi guardo intorno mentre i ragazzi man mano si congedano, sperando che la cosa rimanga inosservata il più possibile.
Le mie preghiere però s’infrangono sul nascere, quando Ryo intercetta il mio sguardo, iniziando poi ad ammiccare vistosamente.
E a nulla valgono i tentativi di farlo smettere di Morisaki, che lo tira per un braccio, scuotendo la testa sconsolato.
Il resto della squadra, neanche a dirlo, non fa che sghignazzare divertito.
A me non resta che ignorarli, come faccio sempre in casi come questo.
Non che abbia chissà quali argomenti per arginare le prese in giro di Ryo, la mia è più che altro una tattica piuttosto obbligata, che di solito comprende anche la speranza che si stufi abbastanza presto del suo giochetto preferito o che, come in questo caso, alla fine sia troppo lontano da me, per continuare a tormentarmi, anche solo con gli sguardi.
È solo una questione di tempo quindi, me ne rimango così in silenzio ad aspettare e quando finalmente Ishizaki scompare dal mio campo visivo, con il resto della squadra, dovrei teoricamente rilassarmi di nuovo come al solito.
Ma questa volta è un po’ diverso, mi riesce proprio difficile.
Perché sono rimasto davvero solo con Sanae ora.
Insieme ci incamminiamo verso la fermata dell’autobus in silenzio ed io come al solito, non ho nemmeno il coraggio di guardarla, dopo le battutine più o meno velate, che ci riservano un po’ troppo spesso i miei compagni di squadra.
Per fortuna la pensilina non è troppo lontana e la raggiungiamo in breve tempo.
Tiro un respiro di sollievo quando scorgo l’autobus già fermo al capolinea, che porte aperte, è in procinto d’iniziare la sua corsa.
Sanae ed io saliamo velocemente sul mezzo poco affollato, poi prendiamo posto l’uno accanto all’altra, sempre senza pronunciare una singola parola.
Appena mi rilasso sul sedile, la stanchezza di fine giornata torna a farsi sentire prepotente.
Poggiando una tempia al finestrino, mi metto distrattamente a fissare fuori.
E quando le immagini oltre il vetro iniziano a muoversi, capisco che l’autobus ha iniziato la sua corsa.
“Oggi non avresti festeggiato, eh? Dì la verità!”
Ѐ Sanae a spezzare il silenzio, mi volto a guardarla un po’ in imbarazzo.
“No! Non è quello, solo che…”
Come faccio a spiegarmi senza sembrare un asociale ingrato?
In fondo sono solo un ragazzo un po’ strano, che non pensa altro che ad allenarsi, anche nel giorno del suo compleanno.
Ad essere sinceri è stato il bacio sonoro della mamma, appena rientrato dalla mia corsa solitaria, a ricordarmi che oggi è anche il ventotto luglio.
Sono un caso disperato, non posso farci niente…
“Sono solo troppo preso dagli allenamenti! Ma è stato bello festeggiare con voi! Ci siamo proprio divertiti!”
L’ho detto in maniera forse un po’ troppo concitata, ma non vorrei davvero che si pensasse che non sono stato bene stasera, con i miei migliori amici.
“Era questo che intendevo infatti!” ridacchia Sanae, scuotendo leggermente la testa, prima di iniziare a frugare nella borsa.
“Comunque non è ancora finita! Aspetta un attimo, eh!” esclama poi a testa bassa, mentre la osservo curioso, rovistare tra le sue cose.
Sorrido divertito quando riemerge dalla sua ricerca, sospirando visibilmente soddisfatta.
Deve aver trovato finalmente quello che cercava.
“Questo è per te! Buon compleanno e in bocca al lupo per il campionato!”
E con un sorrisone, mi porge un omamori di colore viola(2).
Lo prendo stupito.
Proprio non mi aspettavo un regalo da parte sua!
Stringo di più il portafortuna, sotto i miei polpastrelli avverto chiaramente quella che deve essere la preghiera segreta all’interno.
La sensazione piacevole di stupore non accenna a diminuire.
Sanae nel frattempo mi racconta della sua gita al tempio sulla collina, in compagnia delle altre due manager della squadra.
“La Sugimoto è fissata con queste cose, con le superstizioni! Per giorni ci ha assillate! Secondo lei, non andare a pregare per il campionato avrebbe portato sicuramente sfortuna alla squadra! Così stamattina Yukari ed io l’abbiamo accontentata! Ma più per farla smettere d’insistere che per altro!”
Sorrido di nuovo, divertito dal tono accondiscendete che usa, nei confronti della manager più piccola.
Sanae ricambia, arcuando armoniosamente gli occhi e accentuando le fossette sulle guance.
“Grazie per aver pensato a me…” esclamo, davvero felice che si sia ricordata del mio compleanno.
“Ma figurati! Ѐ solo una sciocchezza… E comunque Capitano, il viola è il colore della fortuna in generale!” aggiunge sorniona, leggendomi quasi nel pensiero.
Non essendo ferrato in questo genere di cose, mi stavo giusto chiedendo quale augurio potesse contenere un omamori di questo colore.
“Sì, lo avevo immaginato…” mento ridendo, grattandomi la nuca.
Facciamo finta che ci sia arrivato da solo...
“Purtroppo non li hanno ancora inventati quelli specifici per il calcio, mi dispiace!”
Ribatte divertita Sanae, facendo l’occhiolino mentre a me scappa proprio da ridere, poi scuoto la testa, cercando di non fare troppo rumore, per evitare così di attirare l’attenzione di tutto l’autobus su noi due.
“Anche tu ne hai preso uno? Per te intendo…” le chiedo, non trattenendo la curiosità.
Sanae annuisce, poi distoglie lo sguardo, tanto da non poterla più vedere in faccia.
“Sempre viola?” la incalzo divertito, perché mi sembra un po’ in imbarazzo ora.
“Non te lo dico…” è la sua risposta laconica.
I suoi occhi mi scrutano attraverso la fessura stretta delle palpebre, mentre scuote leggermente la testa, per rafforzare il concetto.
“Ma anche tu hai un desiderio, no?”
Ed eccolo il mio problema con lei.
O me ne sto troppo zitto, oppure non mi limito.
E forse ora ho veramente esagerato un po’, visto come mi sta guardando Sanae in questo istante.
“In che senso?” mi chiede infatti, aggrottando lievemente le sopracciglia, rimanendo sul vago.
“Me l’hai detto tu, no? L’anno scorso, al parco…”
Sanae mi fissa ancora perplessa, poi all’improvviso si anima di un moto stupito.
Rincaro subito la dose d’informazioni, affinché capisca esattamente a quale momento mi riferisco.
“Mi avevi portato il quaderno con i compiti estivi! Eravamo sul ponte, poi è passata una stella cadente e tu mi hai ordinato di esprimere un desiderio e…”
“Te lo ricordi davvero?!” m’interrompe, sempre più stupita e mi pare, incredula.
“Certo! Mi avevi anche promesso che un giorno me ne avresti parlato. Che c’è? Non si è ancora avverato?”
Ops! Forse ho esagerato di nuovo…
In un secondo netto l’espressione di Sanae cambia completamente.
Ma non so decifrarla bene, purtroppo.
Sul suo viso passano veloci tantissime…
Sembrano emozioni diverse e contrastanti.
Si morde un attimo le labbra, prima di sorridermi, scuotendo la testa.
“No. Però ora so che probabilmente, non si avvererà più…” poi piega la testa, alzando leggermente le spalle.
Sembra così rassegnata...
Ed è uno stato d’animo che non le appartiene proprio di solito e che mai assocerei a Sanae!
“Vorresti dire che hai rinunciato?” le chiedo titubante, anche se non so minimamente a cosa mi stia riferendo.
Quando nei suoi occhi mi sembra di scorgere anche un velo di tristezza, vorrei tanto essermene stato zitto dal principio.
“Mai!” esclama Sanae, senza esitare un attimo.
“Comunque vada, non ci rinuncerò mai!” aggiunge, annuendo convinta e guardandomi seria negli occhi.
Ed io rimango impressionato dal suo ennesimo cambio di espressione.
Ma questa volta me ne sto zitto, per paura di commettere altre leggerezze.
Mi limito ad osservarla mentre prende un grosso respiro, rilasciando poi l’aria in un colpo solo.
Quando la sua attenzione torna su di me, le sorrido incoraggiante.
Perché questa è la Sanae che conosco.
Quella dagli occhi belli e fieri.
Quella forte e determinata.
Quella che mi piace…
Sì.
In tutti i sensi.
“Ti auguro sinceramente che si avveri! E sono sicuro che sarà così, Sanae!”
Senza filtri do voce ai miei pensieri, perché davvero penso che lei si meriti tutto ciò che desidera.
Sul volto di Sanae compare di nuovo espressione strana, ma sempre completamente indecifrabile.
Poi una risatina le increspa le labbra, ma non sono sicuro che sia perché ho detto qualcosa di divertente.
“Grazie, Tsubasa…”
Mi guarda ora, con quel sorriso strano.
Forse addirittura ironico, che mi fa credere all’improvviso, di aver commesso qualche genere di gaffe.
“Tsubasa…” ripete poi il mio nome, mentre scuote la testa sempre senza smettere di sorridere.
Poi sospira…
Sbatto le palpebre più volte, convinto che l’unica cosa da fare sia perpetrare il mio silenzio.
Paralizzato dall’idea di aver detto qualche cretinata enorme.
Determinato a non perseverare.
“Cavoli! Ma io sono arrivata!”
Sanae mi fa quasi sobbalzare sul sedile.
Guardo fuori ed effettivamente mi rendo conto che siamo arrivati alla sua fermata.
“Ora mi raccomando, non ti distrarre, eh! Peggio ancora, non addormentarti!” inizia a raccomandarsi, mentre stringe la borsa al petto prima di alzarsi.
“Devi scendere subito dopo di me!”
Ho giusto il tempo di annuire prima che mi saluti, precipitandosi poi in prossimità dell’uscita del mezzo.
L’autobus si ferma e le porte si aprono.
Sanae si volta un’ultima volta per salutarmi.
Le rispondo alzando semplicemente una mano e sorridendo, ancora un po’ confuso.
La osservo ancora mentre scende dall’autobus, circondata dalle altre persone.
All’improvviso qualcosa che sbuca dalla sua borsa però, attira tutta la mia attenzione.
Ѐ il cordino rosa(2) di un omamori!
Ah allora l’ha comprato davvero!
Ma il mio entusiasmo svanisce quasi subito.
Peccato io non abbia la più pallida idea del suo significato…
 
 




(1) Gli omamori sono amuleti giapponesi dedicati sia a particolari divinità Shinto, che a icone buddiste. La parola giapponese mamori significa protezione, mentre il prefisso onorifico o- dà alla parola un significato movente verso l'esterno, quindi andando a significare "Tua protezione".
 
(2) In breve ecco i significati dei vari colori degli omamori:
Bianco: salute
Rosa: fortuna nelle relazioni amorose e sentimentali
Rosso: esami, prove e test
Verde: protezione durante gli spostamenti e i viaggi
Viola: fortuna in generale
Blu: raggiungimento dei desideri, realizzazione dei sogni
Azzurro: fortuna nel lavoro e nelle attività avviate
Oro: soldi, ricchezza, fortuna nel portare avanti un'attività ludica
Giallo: fortuna per le partorienti e per l'avvio di un'attività o di un impegno.
 

 
Questo è il primo dei capitoli di questa FF, scritto totalmente senza basarsi su fatti realmente accaduti nel manga/anime.
Mi auguro che possa essere convincente al pari degli altri, in cui analizzo i personaggi partendo da eventi noti a tutti.
Come sempre grazie davvero per l’attenzione che mi regalate e a venerdì prossimo!
OnlyHope

 
 

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Capitolo 8
*** Granite ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 6

Granite

 





Quando Manabu mi ha chiamata durante l’intervallo della partita con l’Azumaichi, non ho capito subito cosa potesse volere.
Seguirlo prendere la strada dell’infermeria, con fare circospetto, non prometteva comunque niente di buono.
Appena vista la caviglia gonfia di Tsubasa, i miei brutti presentimenti hanno preso forma reale.
Quello era decisamente ciò che si definisce un bel guaio.
Per la squadra, la partita e le condizioni, presenti e future, del nostro Capitano.
Senza perdermi d’animo, mi sono comunque affrettata a fasciare la sua gamba, meglio che potevo.
Tenendo per me l’ansia, ma soprattutto cercando di non badare ai lamenti dolorosi, che Tsubasa cercava stoicamente di trattenere, ad ogni giro di garza.
L’unica cosa capace di rincuorarmi in quel momento è stato il suo sguardo, poco prima di tornare in campo, per il secondo tempo.
Nei suoi occhi ho letto chiaramente la determinazione, capace di farlo arrivare fino allo scadere del novantesimo minuto.
Capace di farlo vincere, anche in quelle pessime condizioni.
E così è stato, ovviamente.
Qualche giorno dopo una visita dal radiologo ha rassicurato tutti sulla salute della sua gamba ed è stato un bel sospiro di sollievo.
Io ero con lui dal dottore quella mattina.
Per la precisione, c’ero solo io al suo fianco, mentre il medico lo tranquillizzava sulle sue condizioni fisiche.
Ma cosa ricordo ancora di quella giornata, oltre alla gioia per la buona salute di Tsubasa?
In una calda domenica, una volta lasciata la clinica, siamo andati insieme a fare un giro.
Abbiamo attraversato il parco, passando vicino al laghetto con le barche, con a bordo solo coppiette.
Sul pelo dell’acqua si muovevano eleganti i cigni, candidi come la neve.
Insomma, una giornata d’estate con un altissimo tasso di potenziale romantico.
Romanticismo andato tutto completamente sprecato, perché ovviamente, non è successo nulla…
Tra noi intendo.
Poteva essere una domenica pomeriggio memorabile!
Invece ad un certo punto, mi sono ritrovata ad inseguire uno Tsubasa sano come un pesce, che correva come un pazzo verso lo stadio.
Determinato a vedere gli ultimi cinque minuti della partita della Furano.
Ecco…
Io comincio seriamente a credere che mi manchi qualcosa.
Come ragazza intendo.
Sbuffo per l’ennesima volta, osservando il mio riflesso nello specchio.
Nella mia immagine però, non trovo proprio nulla che non vada.
Mi chiedo allora se non sia io a sbagliare atteggiamento.
Forse dovrei mandargli messaggi più chiari…
Sì certo…
Come se ne fossi capace!
Un ultimo sguardo al mio aspetto prima di decidere che è proprio arrivato il momento di andare.
Esco così dalla mia stanza, precipitandomi giù per le scale.
Dove sto andando così di corsa?
Ma a casa di Tsubasa per controllare la sua fasciatura!
Sono o non sono la sua migliore amica?
Bene.
Non dovrei quindi lamentarmi troppo del mio riciclo ad infermiera privata a domicilio.
“Mamma esco!” urlo prima di oltrepassare la porta d’ingresso, che si richiude alle mie spalle con un tonfo secco.
La risposta di mia madre arriva distinta alle mie orecchie, mentre chiudo con altrettanta poca grazia il cancelletto di ferro, che separa il giardino dalla strada.
“Sì, torno presto!” strillo ancora, senza fermarmi, prima che le venga in testa di affacciarsi dalla finestra e stuzzicarmi un po’.
Ultimamente non posso nominare una certa persona, senza che sul viso della mamma non compaia subito un sorrisetto ironico e dannatamente imbarazzante.
Uff…
Sbuffo di nuovo, camminando sempre a passo sostenuto, anche ora che casa mia è abbastanza lontana.
Non sono in ritardo, ma l’impazienza di vedere Tsubasa è un qualcosa, che non sono proprio capace di arginare.
E nella immagine riflessa ogni tanto sulle vetrate lungo la strada, non vedo solo una ragazzina che cammina spedita.
All’apparenza sembro davvero una persona sicura e decisa.
Ma nulla è così lontano dalla realtà, povera me…
Eppure vorrei tanto essere più determinata e risoluta!
Certo che potevo anche mettermi qualcosa di più carino!
La mia insicurezza tenta di farmi vacillare ancora.
In realtà nel mio abbigliamento non c’è proprio nulla che va.
Semplicemente però, non sembra nemmeno qualcosa adatto a fare colpo…
Ma che mi salta in mente?!
Come se dipendesse da questo poi!
Cosa diavolo vado a pensare...
Proprio io che non sono totalmente negata per le macchinazioni!
Cosa faccio ora, punto a escogitare strategie?
Ho sempre pensato che nella vita conti soprattutto essere se stessi e questo deve valere anche in amore.
Ne sono convinta.
Nel bene o nel male, io voglio essere solo Sanae.
Che poi, perché solo?
Non devo sottovalutare così tanto il mio rapporto con Tsubasa!
Perché sono io quella a cui si rivolge nel momento del bisogno!
Anche se, forse…
Tra amici di vecchia data, questa può essere considerata una routine…
Niente di speciale
Però io stessa sono la prova vivente, che spesso quel che appare non è poi come sembra.
Sarei stata così disponibile con qualsiasi altro ragazzo della squadra?
Mi chiedo anche se conosco già la risposta.
E purtroppo non è quella che farebbe al caso mio.
Certo che lo saresti stata, sciocca!
Già…
Perché a me piace comunque essere la prima manager e occuparmi dei ragazzi della Nankatsu.
Quello che provo all’idea di prendermi cura di Tsubasa però...
Quello non può essere eguagliato da nessun altro al mondo!
Mai nessuno potrà farmi provare certe determinate emozioni.
Solo lui è capace di far battere veloce il mio cuore.
Di provocare quel batticuore, che anche ora ha preso a martellare nel mio petto.
Sono arrivata ormai a destinazione e non mi resta che sospirare emozionata, quando mi fermo davanti al suo cancello.
Sto per rivederlo e questo manda un esubero di adrenalina in circolo nel mio corpo.
Prima di suonare però, mi ricordo che ora ho un piccolo scoglio d’affrontare.
L’idea di dover arginare un’altra madre dal sorrisetto facile e sornione, m’innervosisce così tanto!
Sento già le gote scaldarsi, solo immaginando di scambiare due parole con la madre di Tsubasa!
Ma non ho tempo di prepararmi al peggio.
Con un sonoro clack la porta d’ingresso si apre.
Mimo una smorfia nervosa, pronta a sostenere lo sguardo indagatore e divertito della signora Ozora.
Ma rimango piacevolmente stupita, quando è Tsubasa a fare capolino dalla porta!
“Ehi!”
Mi saluta allegro mentre anche la serratura del cancelletto scatta.
Involontariamente emetto un sospiro di sollievo, poi sorrido allegramente al ragazzo fermo ad aspettarmi sulla soglia di casa sua.
Quando mi muovo per raggiungerlo sono però costretta ad abbassare lo sguardo.
Un rossore maggiore invade le mie guance e ho paura che in questo modo, sia più facile tradire i miei sentimenti.
“Ti ho vista dalla finestra!” esclama Tsubasa, quando sono al suo fianco sul pianerottolo.
Sorrido ancora felice mentre varchiamo la soglia della villetta.
L’idea che mi stesse aspettando mi rende quasi euforica.
“Ciao, Sanae!”
La voce squillante della signora Ozora che proviene dalla cucina, mi fa però sussultare.
“Salve, signora!” rispondo, sperando con tutto il cuore che non si affacci.
Dal tono della sua voce, è chiaro come il sole, che ha già preso a sghignazzare alle mie spalle!
Ma fortunatamente non si presenta nessuno nell’atrio d’ingresso, così tirando un bel sospiro di sollievo, seguo Tsubasa al piano di sopra.
“Mi sembra che oggi vada decisamente meglio!” esclamo, osservando la sua camminata, molto più sicura rispetto a qualche giorno fa.
“Sì! Non vedo l’ora di tornare ad allenarmi, è uno strazio stare fermi così!”
Sghignazzo mentre Tsubasa si siede sul bordo del letto, arrotolando poi la tuta fino al polpaccio, per permettermi così di girare meglio intorno alla caviglia con la garza.
“Dai non ti è andata male! Non lagnarti troppo!” faccio finta di rimproverarlo mentre mi avvicino, sedendomi poi accanto a lui.
“Sì, hai ragione. Lo so…” lo sento borbottare, mentre avvolgo i primi centimetri di tela intorno al piede, ormai quasi guarito.
Tra di noi cala il silenzio.
E come ogni volta, il mio cervello va in panne nel tentativo di trovare qualcosa da dire.
Non che mi manchino gli argomenti con lui, ma magari vorrei parlare di qualcosa di diverso, una volta tanto.
Ma il risultato dei miei sforzi è di una banalità incredibile.
Gli chiedo il suo pensiero, sulla prossima partita di campionato…
E Tsubasa inizia così il suo soliloquio senza sosta.
Leitmotiv del suo discorso?
La smania di tornare in campo.
A me non resta che annuire a intervalli regolari, rimanendo concentrata sulla fasciatura del suo piede.
Passano pochi minuti e con rammarico, mi rendo conto di aver quasi finito.
Sono diventata fin troppo brava in queste cose.
Certo che…
Pensandoci bene è ancora primo pomeriggio…
Potrei chiedergli se gli va di fare un giro!
In fondo cammina quasi perfettamente ora!
E sarà sicuramente felice di uscire un po’ di casa!
Sì è perfetto!
Ora glielo dico!
“Tsubasa?”
“Uh?”
Che faccio?
Glielo chiedo così, senza tanti preamboli?
L’insicurezza mi fa tentennare ancora.
“Va bene così stretta la fasciatura?” domando rimanendo a testa bassa, temporeggiando ancora un po’.
Imbranata…
Davvero pessima…
“È perfetta!”
Annuisco rimanendo in silenzio.
“Come sempre…”
Alzo lo sguardo istintivamente.
Tsubasa mi sorride, prima di ringraziarmi per la mia gentilezza, come ogni volta che ho terminato di fasciare il suo piede.
“Mi fa piacere aiutarti! Smettila con questi grazie!” lo ammonisco, ricambiando il sorriso.
Tsubasa imbarazzato, inizia a grattarsi il ciuffo ribelle alla nuca.
Non so perché, ma questo suo gesto riesce ad infondermi un po’ di coraggio.
Ma perché tutte queste incertezze, scema!
Mi rimprovero mentre cerco d’intavolare mentalmente il discorso, che mi permetta di chiedergli di uscire insieme questo pomeriggio.
Detta così sembra chissà che, ma in fondo si tratterebbe solo di una passeggiata nei paraggi tra due amici.
“Se proprio mi vuoi ringraziare, potresti offrirmi qualcosa!” esclamo, fermando la fasciatura con una grappetta metallica.
Quando alzo di nuovo lo sguardo su Tsubasa, noto però che lui mi guarda perplesso.
Evidentemente devo spiegarmi meglio, prima che chiami sua madre per portarci del cocomero o una brocca di tè freddo.
“Puoi camminare, no?” chiedo con un sorriso incoraggiante.
“Io non ho nient’altro da fare oggi, così potremmo andare a prendere una granita alla menta qui all’angolo!”
L’ho detto davvero! 
Bravissima, Sanae!
Visto? 
Ma che ci voleva!
Mi sento così euforica, che quasi mi metterei a ridere come una scema!
Tsubasa mi fissa serio, poi distoglie lo sguardo.
Ho istantaneamente la sensazione che questo non sia un buon segno.
“Io ho un impegno…” borbotta guardando fuori dalla finestra, dalla quale penetrano la luce del sole e un vento piacevolmente caldo.
Non mi è possibile vedere così l’espressione sul suo volto.
Mi mordo le labbra.
All’improvviso delusa ed avvilita.
Perché questo è…
Un no.
Lui ha un impegno.
Ma non devo prendermela, no?
Era solo una cosa tra amci…
E qualunque cosa abbia da fare, di certo è più importante di me…
Non farne un dramma, Sanae! 
In fin dei conti era solo una granita!
Quando Tsubasa torna a guardarmi, non riesco a decifrare il suo sguardo.
E spero tanto che questo possa valere anche per me.
Che la mia delusione non sia troppo palese sul mio volto.
“Carlos…”
Carlos?
“Chi?” chiedo perplessa, senza nascondere la curiosità e dimenticandomi momentaneamente anche del rifiuto appena ricevuto.
“Carlos è un ragazzo brasiliano, un po’ più grande di noi…”
Tsubasa tenta di spiegarmi, ma io solo a sentire la nazionalità di questo sconosciuto, sento istintivamente una sorta d’inquietudine.
“Sarà qui tra un’ora più o meno…”
Esita per un attimo, prima di terminare il discorso.
“Sto prendendo delle lezioni private di portoghese da lui…”
Il mio cervello collega subito l’esigenza d’imparare quella lingua, alla sua futura permanenza in Brasile.
Poi si annebbia.
Come se la tristezza potesse realmente concretizzarsi in un manto grigio, capace di soffocare tutto.
“In vista della partenza, ecco…” aggiunge, come se ci fosse bisogno di specificarlo.
Si morde appena il labbro inferiore, prima di allontanare di nuovo lo sguardo da me.
Ed è solo un bene.
Non credo che la mia faccia sia in grado di reggermi il gioco in questo momento.
Non sono ancora capace di dissimulare bene il mio malessere, quando il Brasile entra nei nostri discorsi.
È quasi impossibile farlo, soprattutto se accade così all’improvviso.
Per Tsubasa tutto questo è una fonte di gioia.
Ma per me….
Lasciamo perdere…
“Ha del senso…” mormoro, attirando la sua attenzione di nuovo su di me.
“Che ti prepari con la lingua!” aggiungo, simulando un tono più convinto e disinvolto.
Riesco addirittura a sorridere, poco importa se lo faccio solo con le labbra.
Tsubasa sbatte un paio di volte le palpebre, poi annuisce di riflesso.
E per un attimo il sorriso sul suo viso, sembra incredibilmente simile al mio…
Non c’è più molto da dire ora…
Meglio andare…
Senza aggiungere altro, mi alzo e raggiungo la porta.
Quando sfioro la maniglia con le dita, chiudo occhi e gonfio il petto con un ampio respiro, nella speranza che un gesto come questo, possa infondermi coraggio.
“Ok, allora io vado!”
Mi volto e sorrido ancora, nonostante il dispiacere che mi opprime il petto e l’idea claustrofobica, che questa stanza sia diventata troppo stretta.
Ho voglia di scappare…
Ma devo far finta di niente.
Non posso permettermi altri passi falsi, già è stato abbastanza triste, il buco nell’acqua di poco fa.
Tsubasa sgrana impercettibilmente gli occhi, poi si alza veloce per raggiungermi.
“Ma rimani un altro po’! È ancora presto!” esclama, cercando di convincermi con un sorriso incoraggiante.
Scuoto la testa mentre le mie dita stringono con forza la maniglia della porta.
“Tranquillo, vado…” e sorrido ancora, come se niente fosse.
Come se non mi piacerebbe da morire rimanere qui con lui.
Come l’ipocrita che sono diventata in questi mesi.
“Tu approfitta per ripassare, prima che arrivi questo Carlos! Conoscendoti, lo starai facendo disperare!”
La butto sullo scherzo, non ho poi tanta altra scelta.
Tsubasa sorride imbarazzato, passandosi una mano sulla nuca poi sul collo.
“Ti accompagno giù, allora!”
“Non c’è bisogno, conosco la strada!” e con una strizzatina d’occhio e un cenno della mano, esco dalla sua stanza, richiedendo la porta alle mie spalle.
Per un attimo mi appoggio con la schiena al legno freddo, che mi separa dal ragazzo che amo.
Sospiro prima che le mie labbra si pieghino all’ingiù, finalmente libere dallo sforzo dell’inganno.
Quando inizio a scendere le scale, sto attenta a non fare troppo rumore.
Mi affaccio in salotto, nonostante non ne abbia la minima voglia.
Ma di certo non posso andarmene senza aver salutato la padrona di casa.
La fortuna però questa volta mi sorride.
La madre di Tsubasa dorme sul divano, così non dovrò sforzarmi ancora di sembrare spensierata.
Sempre silenziosamente, varco la soglia di casa Ozora.
Quando sono di nuovo in strada, inizio a camminare, perdendomi nei miei pensieri.
E la delusione per la mancata uscita di questo pomeriggio, mi sembra una bazzecola, rispetto allo spettro che mi scruta maligno all’orizzonte.
È vero, l’idea della partenza di Tsubasa mi accompagna quotidianamente, ma presa dalla vita di ogni giorno, a volte riesco anche a ignorarla.
Ma basta un richiamo qualsiasi al Brasile, per farmi tornare alla realtà.
E il futuro che mi aspetta è proprio là, oltre l’angolo.
Pronto a incombere su di me.
Perché tutto si concretizza, anche solo parlando di lezioni di portoghese.
Tutto diventa vero.
E non mi piace…
E se potessi, non vorrei più sentire nulla di questo genere.
Vorrei solo essere lasciata in pace, protetta nella mia bolla d’illusione.
Dove il tempo non scorre e la mia vita è normale
Perché non è minimamente immaginabile, quanto la realtà riesca a fare male.

 
 

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Capitolo 9
*** Dilemma ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 7

Dilemma

 
 
 



È la mattina della finale.
I giorni sono passati davvero in fretta e le condizioni di Tsubasa sono andate peggiorando nel frattempo, perché all’infortunio alla gamba si è aggiunto anche quello alla sua spalla sinistra.
Tsubasa ha disputato la semifinale contro la Furano solo ieri, combattendo fino allo stremo delle forze, senza risparmiarsi come al solito e al termine dell’incontro era ridotto talmente male, che i medici hanno ritenuto opportuno trattenerlo in ospedale per la notte.
Questa volta rischia seriamente di compromettere la sua forma fisica e in maniera addirittura permanente.
Ma Tsubasa è il Capitano.
Quella fascia al braccio non l’ha ottenuta per un capriccio.
Lui lo è fin nel midollo.
Tanto da mettere in rischio se stesso, pur di portare la squadra alla vittoria.
Tanto da mettere in pericolo il suo sogno più grande, il Brasile, pur di ottenere la terza vittoria consecutiva del campionato nazionale, con i suoi amici e compagni di sempre.
E alla fine l’ha spuntata come ogni volta.
Tra qualche ora la Nankatsu disputerà la finale contro la Toho di Kojiro Hyuga, in una sfida che è ormai è diventata un classico.
Ma la sua presenza in campo non è certa, anzi nessuno ha la minima intenzione di lasciare che si comprometta sul serio, per un campionato delle medie poi!
Oggi saranno quindi i dottori e ovviamente sua madre ad avere l’ultima parola, saranno loro a decidere se farlo giocare o meno.
E non vorrei proprio essere nei loro panni.
Mi auguro solo che facciano la scelta giusta, soprattutto per la sua salute perché a questo punto, non può contare nulla la delusione che potrebbe scaturire da un divieto di giocare.
L’unica cosa importante è che Tsubasa si rimetta, al diavolo tutto e tutti.
La squadra, il pallone e lo stramaledetto Brasile.
Il mio non è di certo un pensiero da brava prima manager, lo so, ma questa volta penso davvero che Tsubasa farebbe meglio a lasciar perdere ogni cosa.
E non la penso cosi a causa del mio egoismo.
Mi basta guardarlo, per esserne pienamente convinta.
Qui, davanti a me.
Sdraiato in un letto di ospedale.
Il tubo della flebo ancora attaccato al suo avambraccio, mentre dorme grazie all’antidolorifico somministratogli durante la notte.
Sul viso un’espressione tirata, segno che il suo deve essere stato tutto, tranne che un sonno ristoratore.
Scuoto la testa con disappunto.
Perché non ha proprio senso tutto questo!
Non si può finire in ospedale per colpa del pallone!
Sbuffo umidificando le labbra con la lingua, mentre mi muovo nervosa su questa sedia metallica, scomoda e fredda, proprio com’è la mia idea sugli ospedali.
Se provo a guardarmi intorno poi, nulla riesce a rilassarmi almeno un po’.
E questa stanza dai colori neutri mi fa solo venir voglia di scappare.
Lontana da questo posto da incubo ma soprattutto dalla sua sofferenza.
Mi volto ancora a guardare Tsubasa.
E di nuovo non riesco a capacitarmi che sia arrivato a questo punto!
L’ho visto giocare e farsi male per anni, ma mai ridursi in questo stato!
Non avevo mai sentito prima d’ora il suo malessere e il suo dolore dentro di me.
Addosso, nella mia carne.
E prima di ieri non avevo mai pensato che fosse un'ottima idea scendere in campo per tirarlo fuori, anche con la forza se necessario.
Ma non avevo nemmeno mai provato quello che sento per lui ora.
La parte peggiore di me si è fatta facilmente strada tra la paura, la sofferenza ed il dolore.
Quella Sanae estremamente egoista, che tuttora vorrebbe trattenerlo qui, anche a costo di legarlo a questo letto.
E non solo per salvaguardare la sua salute...
Se lui non riuscisse a giocare questa partita, forse non se la sentirebbe nemmeno più di partire…
Perché vincere il campionato anche quest’anno è il suo presupposto per andare poi così lontano.
Sono parole sue, non mi sto inventando niente.
E senza Tsubasa in campo, probabilmente i ragazzi non ce la farebbero a sconfiggere la Toho.
Però…
Sospiro, inevitabilmente.
Piegata dal peso dei miei pensieri, talmente brutti da non farmi di certo onore.
Ma anche cattivi.
Perché in fondo sto augurando al ragazzo che amo, il peggio che potrebbe capitargli.
E il mio petto trema leggermente ora, mentre respiro.
Allungo incerta una mano verso di lui, protetta da quel suo sonno chimico, che lo tiene lontano dalla realtà, in un mondo lontano e onirico. 
Delicatamente sposto i capelli disordinati dalla sua fronte.
“Cos’è meglio per te, Tsubasa?” chiedo piano, esitando poi sui suoi lineamenti addormentati.
Un mezzo sorriso increspa le mie labbra e una lacrima scende lenta sulla gota, perché io so già quale sia la risposta esatta.
Ti conosco fin troppo bene, per non sapere cosa sia giusto per te.
Tu vuoi giocare, costi quel che costi.
Tu vuoi vincere, per la squadra e per te stesso.
Tu vuoi essere il migliore in Giappone, per sentirti degno di trovare la tua strada in Brasile.
Tu vuoi semplicemente partire…
Mi mordo le labbra.
Le mie dita ora stringono la sua mano inerme sul lenzuolo.
“Ti dimenticherai di me?” chiedo ancora, la mia voce quasi impercettibile anche a me stessa.
Questa volta però non ho idea di quale sia la risposta…
È così deprimente non poter sapere cosa accadrà nel futuro.
Io non so se in un posto così lontano, così diverso tu…
Io proprio non lo so…
La mia unica certezza sono i miei sentimenti, che mi regalano però una consapevolezza dal sapore amaro.
Per me sarà davvero dura, senza Tsubasa.
Mi mancherà da morire e...
L’amore può diventare un’arma a doppio taglio, se non ha modo di concretizzarsi.
E tutto questo fa così paura…
Paura come quella che ora m’invade il cuore, al pensiero di questa giornata che sta per iniziare e che per me sarà interminabile.
Se potessi, eviterei di affrontarla ma non ho proprio scampo.
Perché se ti lasceranno giocare, per me saranno novanta minuti orribili.
Stavi troppo male ieri, sarebbe davvero da ingenui pensare che oggi non possano esserci ripercussioni, durante la finale.
Non oso nemmeno immaginare poi, se si dovesse arrivare anche ai tempi supplementari!
Ma se ti dovessero lasciare in panchina…
Solo l’idea mi sembra così assurda!
Perché so che tu non ti arrenderai, non lascerai in mano ad altri il tuo destino.
T’imporrai con tutti i mezzi possibili e alla fine la spunterai.
E giocherai.
E se poi dovessi riuscire a vincere…
Io so che sarò comunque felice, mi basterà vedere il tuo sorriso per esserlo.
Lo sarò davvero, nonostante quello che potrà significare per me una tua vittoria.
Vorrei solo essere capace io, di darti così tanto…
Ma c’è anche la possibilità che tu perda questa finale…
Scuoto vigorosamente la testa.
Con il dorso della mano, asciugo altre lacrime, che scendono lente sul mio viso.
Che maledetto casino…
Mi mordo di nuovo le labbra.
La mia mano ora stringe appena più forte le sue dita.
E mi rendo conto che non ho che questo.
Rubare un contatto di nascosto, nel poco tempo a mia disposizione.
Tempo che giunge al termine senza preavviso, in questo preciso istante.
Lascio la sua mano mentre la maniglia della porta cigola rumorosamente.
Appena in tempo, prima che sua madre mi veda stringerla, una volta entrata nella stanza.
Non che m’importi particolarmente oggi delle sue prese in giro.
Non m’interessa nemmeno che i miei sentimenti risultino fin troppo palesi.
Il mio forse è stato solo un riflesso condizionato.
“Ciao, Sanae…” bisbiglia la signora Ozora, avvicinandosi piano al letto dove riposa suo figlio.
“Non si è ancora svegliato…” aggiunge poi, posando una mano sulla mia spalla, quando faccio per alzarmi e cederle il posto a sedere.
Mi limito a scuotere la testa, ancora scossa dalle mie emozioni che non mi consentono di aprire bocca.
“Tu che ci fai qui così presto?” mi chiede sorridente e io mi domando proprio come faccia.
Dove trovi la forza di essere così apparentemente serena…
Solo ieri ha visto uscire dal campo suo figlio in una barella!
“Il Mister mi ha chiesto di portare a Tsubasa la sua divisa pulita…” riesco a mormorare a denti stretti.
“Per la finale di oggi pomeriggio…” aggiungo, esitando nel pronunciare le ultime parole, come a sottintendere un’implicita domanda.
La signora Natsuko sorride ancora, questa volta voltandosi verso il figlio.
La osservo mentre rimane in silenzio a guardarlo dormire, fermo in un letto di un ospedale.
Il suo sguardo è colmo d’amore.
Ma è allo stesso tempo fiero, capace di trasmettere forza.
Inevitabilmente il dubbio che sia propensa a farlo giocare, s’insinua prepotente nella mia mente.
Mi faccio coraggio, in balia dell’ansia che mi divora e senza girarci troppo in torno, le chiedo chiaramente quali siano le sue intenzioni, in merito alla partita con la Toho.
“I medici sono ottimisti, aspetterò il bollettino di stamattina. Se ci sarà il loro benestare, non mi opporrò. Tsubasa giocherà la sua finale…”
Lo sapevo…
Lo sapevo che sarebbe andata a finire così…
Distolgo lo sguardo quando la madre di Tsubasa si volta verso di me.
È davvero difficile mascherare certe emozioni, specie quando lottano prepotenti per uscire fuori allo scoperto.
“Lei è davvero coraggiosa, signora!” esclamo, fissando la boccia vuota appesa all’asta portaflebo.
“Io al posto suo non l’avrei mai fatto giocare…” mormoro poi, abbassando la testa e concentrando il mio sguardo sulle mie mani, incrociate sul mio grembo.
La sofferenza è un’emozione strana.
Ti fa perdere le inibizioni.
Non provo infatti alcuna vergogna per aver detto sul serio quello che penso.
Nonostante palesi inevitabilmente i miei sentimenti per Tsubasa.
E quando sento una carezza delicata sfiorarmi il viso, non ho nemmeno paura di alzare di nuovo lo sguardo sulla donna accanto a me.
La signora Ozora mi sorride, ma questa volta in maniera davvero dolce.
E sembra in procinto di dirmi qualcosa, ma l’ingresso in stanza del dottore distoglie la sua attenzione da me, riportandola come giusto che sia, sulla salute di suo figlio.
È ora di lasciarli soli, non c’è più spazio per me tra queste quattro mura.
Veloce mi alzo e mi congedo, inclinando leggermente il busto, prima di uscire dalla camera.
Quando sto per richiudere la porta, poso un’ultima volta lo sguardo sul viso addormentato di Tsubasa.
E non so che pensare…
Ancora indecisa su cosa sia meglio augurarsi…
Quando riporto lo sguardo sulla maniglia, decido di pregare genericamente affinché vada tutto bene.
Ma una volta da sola in corridoio, non ho nessuna intenzione di andarmene.
Ho bisogno di sentire con le mie orecchie, il responso del medico sulle condizioni di Tsubasa.
Sarebbe inutile poi raggiungere di nuovo la squadra in albergo, senza poter dare notizie utili ai ragazzi.
Mi rendo conto però, che non mi servono scuse, per convincermi a restare.
I minuti passano senza che nessuno esca dalla camera di Tsubasa.
Per ammazzare il tempo, poggio il gomito al davanzale della finestra aperta dopo essermi seduta di nuovo, su una di queste scomodissime seggiole metalliche.
Fuori c’è il sole.
È una bellissima giornata estiva, di quelle che sarebbe bellissimo poter passare al mare.
Potremmo pure andarci davvero, tra qualche giorno!
Penso, cercando di concentrarmi su cose futili, per ignorare l’ansia che mi contorce lo stomaco.
Passano altri minuti, ma a me sembrano più un’eternità.
Impaziente, inizio a mordermi le unghie, mentre il mio piede destro tamburella ritmicamente contro il pavimento.
Sobbalzo quando all’improvviso sento aprirsi la porta alle mie spalle.
Mi volto di scatto e rimango sbigottita.
Tsubasa in persona si affaccia in corridoio, tutto sorridente.
Lo fisso con gli occhi fuori dalle orbite, quando mi saluta allegro.
Come niente fosse.
Come se avesse trascorso una notte rilassante alle terme, piuttosto che in un ospedale.
Non dovrei più stupirmi ma…
La sua volontà e la capacità di recupero hanno proprio dell’incredibile!
“Sanae, grazie per la divisa!” esclama felice, muovendo la spalla infortunata, in maniera piuttosto fluida.
Mi limito ad annuire, ancora sorpresa di vederlo in piedi, dopo il male che ha patito solo poche ore fa.
“Pronta per la finale?” mi chiede poi con uno sguardo determinato, già carico di voglia di vincere e adrenalina.
Così hai avuto il permesso di giocare…
“Prontissima!” rispondo, mimando un cenno di vittoria ma mentendo così in maniera piuttosto spudorata.
Perché alla fine Tsubasa giocherà…
Dovevo immaginarlo…
E in fondo l’ho sempre saputo che sarebbe andata a finire così…
Prendo un respiro a pieni polmoni e sorrido.
Ancora una volta, forzatamente.
Sta per avere inizio il pomeriggio più lungo della mia vita…
 
 
 



Solo una piccolissima nota in riferimento a quanto scritto nelle recensioni del capitolo sugli omamori.
Forse adesso è più chiaro il perché Sanae non regali a Tsubasa quello blu, che sicuramente sarebbe stato il più indicato per lui.
Di sicuro lei ha piena fiducia nelle sue possibilità, quindi trova quasi superfluo affidarsi alla fortuna per il raggiungimento degli obbiettivi del ragazzo, ma allo stesso tempo, in maniera egoista decide di non augurargli nemmeno il meglio, come si evince dal dilemma in corso in questo momento nel suo cuore. Il suo amore la pone in mezzo a due fuochi, nel più assurdo dei paradossi.
Come sempre grazie se siete arrivati a leggere fin qui, rimando come sempre l’appuntamento a venerdì prossimo!
OnlyHope
 
 

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Capitolo 10
*** Dare un nome ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 8

Dare un nome

 
 
 



Sono allo stremo delle forze.
Non mi sono mai sentito così a pezzi.
La mia forza di volontà è il motore che spinge il mio corpo oltre il limite.
Temo oltre il ragionevole.
Ma non m’importa più di nulla.
Voglio solo vincere questa partita, costi quel che costi.
Kojiro Hyuga è stato sempre un avversario forte, ma quest’anno sembra quasi imbattibile.
Di certo i miei maledetti infortuni gli stanno dando proprio una bella mano oggi.
La gamba non è fatta più di muscoli ed ossa ma di puro dolore.
La mia spalla invece sembra in procinto di staccarsi dal corpo, da un momento all’altro.
Non è per niente facile correre in queste condizioni, soprattutto dopo aver affrontato altre partite all’estremo delle forze.
Non è umano poter tener testa così al mio avversario più temibile, che è sempre stato il più prestante fisicamente, fin dalle elementari.
Giocare con spalla e caviglia fuori uso, è di sicuro un handicap al quale non sono abituato.
Ma non ho tempo per lamentarmi.
Non ne ho davvero.
E non m’importa di soffrire.
La Nankatsu deve vincere per la terza volta consecutiva il campionato!
E non c’entra più nulla nemmeno il mio sogno, ormai.
Non è più una questione di paletti prefissati per andare in Brasile.
Oggi certi argomenti sono totalmente superati.
Noi dobbiamo vincere perché lo meritiamo.
Perché siamo una squadra, composta da ragazzi cresciuti insieme, che ce l’hanno messa tutta in questi anni.
A partire da Morisaki tra i pali, pronto a difendere la porta insieme a Nakazato, Oda, Takasugi, Okawa e Ishizaki.
Iwami, Izawa e Yamamori con me a centrocampo, davanti a noi Nagano, Taki e Kisugi.
Undici giocatori che hanno sempre dato tutto per vincere.
Undici amici che si sono stretti sempre l’un l’altro, fuori e dentro il campo.
Io sono il loro Capitano.
Io sono in debito con la squadra.
La vittoria è un qualcosa che devo personalmente ad ognuno di loro.
E non posso andarmene senza aver dato il massimo per questo team.
Non posso permettermi di lasciare nulla d’intentato.
Questa è sicuramente l’ultima partita che giochiamo insieme e sono determinato a trasformarla in una vittoria ad ogni costo.
Dovessi pagare anche con la mia futura carriera.
Sono disposto a sacrificare in maniera permanente la mia salute, pur di espugnare questa finale.
Può sembrare assurdo immolarsi per una partita delle medie.
Può sembrare addirittura paradossale, mettere a repentaglio il proprio futuro nell'agonismo e la propria condizione fisica, per un torneo scolastico.
Ma per me non c’è nulla di più importante ora!
Tutte le mie energie sono canalizzate in questi interminabili minuti di gioco.
Ogni mio obbiettivo a lungo termine si è ridimensionato, diventando il desiderio di raggiungere questo unico traguardo.
No.
Non posso proprio permettermi di perdere, è una cosa fuori discussione.
Ma provo così tanta rabbia, ogni volta che crollo rovinosamente a terra!
Devo riuscire a rialzarmi.
Quel poco di forze che ho, deve essere sufficiente a rimettermi in piedi e anche velocemente.
Non posso rischiare che il Mister pensi, anche solo per un attimo, a sostituirmi definitivamente.
Devo sbrigarmi e dimostrargli che ce la posso fare, che non è una pazzia continuare a tenermi ancora in campo.
Uno sforzo sovraumano è quello che mi permettere di muovere un primo passo.
Lascio che tutto il peso del mio corpo poggi sul mio ginocchio, piegato ad angolo retto contro l’erba verde.
A questo punto cerco di fare leva sul braccio sano, ma la spalla infortunata inizia subito a protestare, scaricando direttamente nel mio cervello, delle fitte dolorose capaci di farmi girare la testa all’istante.
Mi mordo le labbra e strizzo le palpebre con forza, aspettando che la sensazione di vertigine e il dolore lancinante passino.
O almeno, che si attenuino non costringendomi di nuovo a cadere al suolo.
Perché non me lo posso permettere, devo anzi rialzarmi al più presto.
Nel tentativo di farmi forza, apro la mano che poggia a terra, chiudendola poi in un pugno stretto.
Fili d’erba e terra rimangono imprigionati nella morsa delle mie dita.
Prendo un ampio respiro, pronto ad affrontare una nuova scarica dolorosa prima di tirarmi su.
Ma nonostante tutta la mia volontà, non c’è parte del mio corpo risparmiata dagli spasimi.
E temo che non ce la farò…
Crollerò di sicuro al suolo un’altra volta!
Ma cosa?
All’improvviso il peso del mio corpo si alleggerisce.
Avverto delle braccia che mi sorreggono, circondando il mio busto con forza.
Un attimo e sono finalmente in piedi.
Mi volto stupito verso il mio appoggio inaspettato.
Ryo Ishizaki mi sorride incoraggiante, continuando comunque a sostenermi.
È per questo che non possiamo perdere!
Per questa amicizia che ci lega, dobbiamo essere noi a vincere!
Circondo le sue spalle con un braccio, lasciando che Ryo mi aiuti ancora mentre ricambio riconoscente il suo sorriso.
Uno sguardo alla linea bianca avanti a me.
Solo pochi metri ci separano dal bordo campo.
Uscirò solo per un secondo…
Il tempo necessario di riposare un po’ per recuperare qualche energia.
A testa china muovo i primi passi, smanioso di riprendere a giocare il prima possibile.
La squadra ha bisogno di me e non voglio assolutamente sentir parlare di cambi.
Quando il gesso bianco è praticamente sotto le mie suole, tiro un sospiro di sollievo all’idea di trovare qualche minuto di ristoro.
Il dottore potrebbe anche concedermi l’ennesima iniezione di antidolorifico alla spalla, ora che ci penso.
Sì, sarebbe proprio l’ideale.
Alzo lo sguardo, deciso a rintracciare immediatamente il nostro medico, consapevole che non sarà un’impresa facile, convincerlo a iniettarmi ancora il farmaco, allo scopo di annullare per un po’ questo inesauribile dolore.
So già che dovrò fare appello a tutta la mia capacità di persuasione, ma di certo non sarà questo a spaventarmi, né a farmi desistere.
Ma quando incrocio un sguardo…
Smetto di cercare altro.
E non ricordo nemmeno più cosa volevo dal dottor Nakata.
Tutto sparisce in battito di ciglia.
Anche il dolore in quest’attimo, sembra lontano e sommesso.
Ma gli occhi di Sanae sono tristi.
Velati di lacrime.
È visibilmente preoccupata.
Il mio cuore accelera i battiti, ma non a causa dei miei sentimenti per lei.
Questo bussare assomiglia più al senso di colpa, a quel disagio che si avverte, quando ci si rende conto di fare stare male chi ci vuole bene.
Non è per niente bello provocare emozioni così spiacevoli in lei...
E dovrei, ma non riesco a distogliere lo sguardo.
Proprio non ne sono capace ora.
È qualcosa a cui non posso oppormi.
Soprattutto quando Sanae cerca di sorridere, probabilmente tentando d’infondermi forza e coraggio.
E non so come sia possibile…
Ma miracolosamente riesce davvero nel suo intento.
Con una capacità unica, che lo so, appartiene solo ed esclusivamente a lei.
Non so se Sanae sia a conoscenza dell’ascendente che ha su di me.
Non credo nemmeno che sappia di essere capace di farmi stare meglio, anche in condizioni pessime come quelle di oggi.
Di certo non sa che è l’unica ad essere entrata nel mio cuore.
L’unica per cui provo certe emozioni, che mi ha fatto innamorare…
Ed è così bizzarro riuscire a dare un nome a tutto questo, proprio adesso.
Nel mezzo della partita più importante, nella sofferenza e allo stremo delle forze mentre indosso la mia divisa fatta quasi a brandelli, sporca di terra, erba e sudore.
Dopo che per mesi ho evitato accuratamente di nominarlo, tutto quello che provavo.
Sanae si avvicina, vorrei fare un altro passo per aggrapparmi a lei, ma rimango fermo, immobile, appoggiato ancora al mio compagno.
Quando lei mi porge la fascia da Capitano…
Sento più forte dentro di me la responsabilità per questa partita e quella smania di vittoria, che credevo difficile riuscire ad alimentare ancora.
Sfioro la sua mano quando prendo la mia fascia, ma questa volta non per un caso fortuito, né per sbaglio.
Indugio volontariamente sulle sue dita, cercando di assorbire la forza sprigionata da questo semplice contatto.
Ed è la prima volta che compio un gesto così palese nei suoi confronti, ma in questa manciata di secondi mi sento finalmente libero dai miei timori, per una volta fuori dal mio nascondiglio.
Esistiamo solo lei ed io.
Le sorrido.
Per una moltitudine di motivi.
Primo fra tutti, perché è qualcosa d’inevitabile poi è logico, non voglio deluderla, né farla preoccupare ancora.
Non voglio più che pianga a causa mia oggi e così desidero semplicemente rassicurarla.
Sorrido allo stremo delle forze, che ha annullato ogni mia barriera e tutte quelle che erano le mie autodifese.
Sorrido alla ragazza che amo.
E lo faccio con il chiaro intento che i miei sentimenti arrivino a lei.
Senza lasciare spazio ai ragionamenti, né ai tentennamenti degli ultimi mesi.
In questo momento di estremo bisogno, posso proprio permettermelo.
Adesso che sto combattendo con tutte le mie forze per vincere, voglio poterlo fare.
Voglio poter essere completamente me stesso.
Perché questa è anche l’ultima partita che gioco di fronte a lei e desidero con tutto il cuore che Sanae sia orgogliosa di me.
Stasera poi sarà tutta un’altra storia e forse un momento simile non si ripeterà mai più.
Ma ora è tutto quello di cui ho bisogno, alla pari dell'iniezione per anestetizzare la mia spalla.
Mi rendo conto di aver sempre avuto bisogno di Sanae, in tutti questi anni.
Durante gli allenamenti e le partite, più semplicemente nella vita di ogni giorno.
In questo mare di difficoltà mi aggrappo così con forza a lei.
Ai sentimenti che nutro per lei.
Perché ho bisogno di Sanae per sopportare il male.
La sua presenza mi fa desiderare di tornare in campo e battermi ancora.
Perché lo devo anche a lei.
Perché è anche merito suo.
E con il suo appoggio, io lo so, riuscirò sicuramente a vincere!

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Capitolo 11
*** Vittoria ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 9

Vittoria
 
 
 
 


Corro, scendendo i gradini precipitosamente.
Ogni tanto mi sembra di perdere l’equilibrio, troppo spesso sono a un passo dal cadere veramente.
Ma non posso fare altro che questo…
Correre per raggiungere l’infermeria, che sembra ancora distante centinaia di chilometri, nonostante tutti i miei sforzi e il fiato corto.
Non sono preoccupata.
Il suo sguardo appena uscito dal campo mi ha rassicurata, quindi la mia urgenza non è motivata più dalla paura.
Di sicuro non sta bene, ma so che riuscirà a rimettersi in piedi, grazie alla sua inesauribile forza di volontà, come sempre.
Ora sto correndo da lui perché ho solo voglia di vederlo.
Dentro di me c’è semplicemente un’esigenza estrema, quasi vitale, di stargli vicino.
Come deve fare una brava manager.
Come spetta a un’amica fidata.
Come vuole il cuore di una ragazza follemente innamorata, che ha patito le pene dell’inferno guardando il ragazzo che ama, esausto e allo stremo delle forze in campo.
Pensandoci bene…
Per l’ultima volta…
Dopo una partita importante.
Dopo una finale interminabile, giocata all’estremo, noncurante dei gravi infortuni.
Dopo una vittoria così voluta...
Il raggiungimento di un obbiettivo, il nostro come squadra, che dovrebbe rendermi estremamente felice…
Se non ci fossero fin troppi risvolti negativi impliciti, in questo traguardo finalmente raggiunto.
Ma non ho tempo per pensare a questo genere di cose.
Non ne voglio perdere a chiedermi perché una cosa bella alla fine possa farmi male…
Adesso non ho di sicuro questa priorità.
Sono giunta a destinazione ormai e non è proprio il caso di mettermi ancora a piangere.
Esito davanti alla porta dell’infermeria chiusa.
La scusa è quella di riprendere fiato, respirando a pieni polmoni mentre caccio indietro le lacrime, che oggi hanno fatto fin troppe volte capolino dai miei occhi.
Dall’interno della stanza proviene solo silenzio e questo riesce a calmarmi.
Evidentemente Tsubasa non sta poi così male da urlare.
Non come l’ultima volta che sono rimasta dietro questa porta chiusa, in attesa e preoccupatissima per lui.
Un’ultima occhiata furtiva al corridoio deserto.
Mi faccio coraggio e busso con un leggero colpo delle nocche delle dita.
Mossa dall’impazienza non attendo che qualcuno m’inviti ad entrare e faccio così il mio ingresso nell’infermeria.
Il dottor Nakata sorride allegro vendendomi irrompere nella stanza.
Non mi curo di serbare il leggero imbarazzo che mi coglie, quando mi chiama la ragazza di Tsubasa, ma lo seguo con lo sguardo finché non esce, con la scusa di dover andare a controllare un imprecisato qualcosa, non si sa dove.
Quando mi volto di nuovo verso la branda, incrocio lo sguardo di Tsubasa, che se ne sta calmo, seduto sul lettino.
Mi sorride ma i miei occhi si soffermano poco sul suo viso, andando precipitosi a posarsi sulla fasciatura della sua spalla.
Deglutisco anche se non vistosamente, al ricordo di lui sofferente in mezzo al campo.
“Ce l’abbiamo fatta, eh?”
Alzo di nuovo lo sguardo su Tsubasa.
Mi guarda con un po’ di esitazione, forse in attesa che mi congratuli con lui per la vittoria.
Congratularsi per la vittoria…
Non posso evitare di pensare che una frase così semplice, nasconda un’infinità di altri significati.
Un primo passo è stato fatto…
D’ora in poi tutto cambierà nella sua vita e ogni variazione si ripercuoterà di conseguenza nella mia.
Questa non è solo la vittoria del campionato nazionale, per la terza volta consecutiva.
No.
Annuisco, cercando d’ignorare il nodo in gola che mi opprime, rendendomi incapace di parlare.
E tutto lo stress di questa giornata sembra non volermi mai abbandonare, facendomi sentire davvero provata, veramente tanto.
Troppa ansia sugli spalti.
La frustrazione e il dolore…
Nel vedere la persona che ami soffrire, sapendo di non poter fare niente per aiutarla, a parte incitarla a non mollare.
Deglutisco ancora e la gola mi fa male, come se avessi dovuto compiere chissà quale sforzo.
Se provassi a parlare ora, la mia voce tremerebbe.
E forse scoppierei addirittura in lacrime.
Non devo farlo.
Io non voglio piangere di fronte a lui.
Anche perché in questo momento dovrei essere solo estremamente felice…
Ma qualcosa la devo pur fare…
C’è una forza in me che non so trattenere…
Così mi concedo un piccolo lusso e muovo un passo nella sua direzione.
Quando sono di fronte a Tsubasa, le mie dita sfiorano con timore la fasciatura che circonda la sua spalla.
Ed è un gesto che mi provoca così tanta sofferenza…
Una smorfia deforma il mio viso, lo sento chiaramente, mentre mi concentro sulle bende candide, appena tirate intorno alla pelle arrossata.
All’altezza dell’articolazione due piccoli fori rossi, come segno degli antidolorifici iniettati.
E vorrei dire così tante cose ora...
Nonostante senta di nuovo quel bruciore famigliare agli occhi.
Vorrei dirti un milione di cose, Tsubasa…
Ho avuto davvero paura che ti facessi male sul serio questa volta.
Ma sono così felice tu ce l’abbia fatta!
Tu e i ragazzi siate riusciti a vincere!
E non sai quanto mi piacerebbe dirti anche che no…
Tutto questo non mi farà male…
Perché il dopo sarà importante per te.
Ma…
Io non ce la faccio.
Non riesco a dirti tutte queste cose.
Perché mi sento in trappola, in balia di tutti i sentimenti che si muovono in me e che oggi stento davvero ad arginare.
E non sono io a deciderlo ma sempre quella forza interiore, carica di paure, sofferenza e in parte anche sollievo.
Il gesto che sto per compiere, al pari delle parole celate nel mio cuore, non me lo potrei proprio permettere.
Le mie braccia si muovono, il mio corpo pure, dotati di volontà propria.
E abbraccio Tsubasa.
Lo stringo forte, cingendo il suo collo dalla parte non infortunata, mentre l’altro braccio circonda il suo busto, all’altezza della vita.
Nonostante l’impeto incosciente, cerco comunque di non fare pressione sulla sua fasciatura.
Il mio cuore accelera i battiti, per l’ennesima volta, in questa interminabile giornata.
Chiudo gli occhi e rimango così, al buio.
Respirando a fatica, incapace di muovere anche solo un muscolo.
Ma è lo stupore ad aprire di nuovo le mie palpebre.
Tsubasa risponde al mio abbraccio.
Posso sentire distintamente la pressione del suo gomito lungo un fianco.
Mi mordo le labbra quando la sua mano, stretta in un pugno, preme decisa contro la stoffa della mia maglietta.
E una lacrima solca il mio viso, nel momento esatto in cui il suo viso si nasconde nell’incavo del mio collo.
C’è il calore dell’universo intero, sprigionato in questo abbraccio.
E sarebbe così bello rilassarsi ora…
Sarebbe facile se non sapessi che questo potrebbe essere il primo e ultimo tra noi…
Si starebbe così bene, se non ci fosse quel maledetto poi all’orizzonte…
Tutto sarebbe tremendamente perfetto.
Tsubasa sospira impercettibilmente, io trattengo il fiato.
“Sto bene, tranquilla…” mormora poi piano al mio orecchio, stringendosi un po’ più a me.
Alzo gli occhi al cielo, cercando in tutti modi di non assecondare il pianto.
Anche se il nodo nella mia gola stringe così tanto…
Annuisco, rimanendo nascosta ancora nel mio silenzio.
Tenendomi stretta a quest’abbraccio.
Ma se si è implicati in un amore come il mio, anche qualcosa di così bello e speciale, può diventare una tortura.
E quando sto per crollare, mi rendo conto di non avere altra scelta…
Le mie difese, di solito ben alte, si sono abbassate a un livello inferiore alla soglia di pericolo.
Pericolo, sì.
Perché se rimarrò ancora così per molto…
Stretta a lui…
Io gli dirò tutto.
Tutto quello che provo.
E piangerò.
Supplicandolo poi di restare.
Di non andarsene in Brasile.
Come se me lo potessi permettere…
Come se il mio amore bastasse…
Come se fosse giusto…
Come se uno sguardo potesse bastare…
No, non ho altra scelta…
M’impongo così di sciogliere l’abbraccio.
Per non rendermi patetica, per non rovinare per sempre il mio ricordo nella sua memoria.
Se Tsubasa ripenserà a questo giorno, quando sarà in Brasile, voglio che sia un’immagine sorridente di Sanae, quella ad apparire nella sua mente.
Non dovrebbe essere nemmeno poi così difficile, sorridere intendo.
Sono la prima manager della squadra e la Nankatsu ha appena vinto il campionato nazionale!
Nulla di più facile essere felici, almeno sulla carta.
Per l’ennesima volta, torno a farmi ancora coraggio.
È diventata quasi un’abitudine la mia, da quando sono innamorata di lui.
Credo di essere diventata ormai un’esperta in questo genere di sprone.
E a malincuore mi allontano dalle sue braccia.
Mi sento morire…
Ma è più forte il desiderio di non rovinare tutto…
“Hai esagerato!” esclamo sorridendo, quando torno a guardare Tsubasa negli occhi.
Con sollievo mi rendo conto che la mia voce non trema, mentre tento di nascondere furtivamente con una mano, i segni che il pianto deve aver lasciato sul mio viso.
“Hai esagerato, capito?” ripeto e per rafforzare il concetto, spingo l’indice contro la sua spalla sana, rimproverandolo anche con lo sguardo.
Tsubasa sorride colpevole, grattando il ciuffo ribelle sulla nuca.
E di solito continuerei a tormentarlo ancora, ma c’è una strana sensazione dentro di me, che proprio non riesco a relegare in un angolo del mio cuore.
Lontana dalle sue braccia mi sento smarrita.
Sono distante solo un passo, ma è come se all’improvviso fossi stata trasportata su un altro pianeta.
Ed è incredibile...
È bastato solo un unico abbraccio, per assuefarmi così al suo contatto.
Incredibile, davvero…
“Però abbiamo vinto!” esclama allegro Tsubasa, attirando di nuovo la mia attenzione.
Osservo il suo viso rilassato.
Non c’è più traccia di dolore nei suoi lineamenti ed è come se non avesse mai giocato.
E anche questo avrebbe dell’incredibile, se non si trattasse di Tsubasa.
Accentuo l’espressione accigliata, sbuffando leggermente.
Mi hai fatta disperare e fai anche lo spiritoso?!
“Abbiamo vinto!” ripete per stuzzicarmi, inclinando il busto in avanti, in modo che il suo viso sia ad un centimetro dal mio mento.
E il mio cuore si stringe ancora più nel petto, all’idea di dover reprimere il desiderio di abbracciarlo ancora.
“Sanae…”
Distolgo lo sguardo, sbuffando ancora.
“Dai, sorridi…” mi supplica mentre le sue mani si posano sul mio viso, costringendomi a guardarlo di nuovo.
Non riesco a trattenere un sospiro, carico di tutta l’ansia accumulata durante la finale.
Per colpa sua.
Ma Tsubasa non si arrende e con le dita stringe leggermente le mie guance, cercando così di distendere le mie labbra in un sorriso.
Lo guardo e sembra proprio un bambino…
Un bambino felice in un giorno speciale.
Entusiasta perché ha finalmente ottenuto tutto ciò che più desiderava.
Ed è così che io vorrei vederlo sempre.
Felice e realizzato.
Perché gli voglio fin troppo bene…
E non importa quello che può significare per me la sua felicità…
Questa felictà.
Non importa…
“Stupido…” borbotto, allontanandolo da me con un colpetto sulla fronte, mentre delle voci famigliari iniziano a fare eco, rimbombando chiassose sulle pareti del corridoio, che porta a questa stanza.
Tsubasa scoppia a ridere sereno, a me non resta che sorridere, in una sorta di riflesso.
Fingendo che non sia mai successo niente di grave, nelle ore precedenti.
E che tutto questo non comporti nulla e che ci sia solo da festeggiare, in una giornata come questa.
Fingendo che domani tutto resterà invariato.
Niente più lacrime, ma solo godere del momento della vittoria.
Evitando di pensare a quanto vorrei stringerlo ancora.
Forte contro il mio petto.
Senza lasciarlo andare mai più via…

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Capitolo 12
*** Nomen omen ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 10

Nomen omen(1)
 
 
 
 


“Pancia mia, fatti capanna!”
Ryo Ishizaki si strofina le mani, osservando avidamente il buffet, che mia madre ha allestito in salotto.
Non appena le ho comunicato infatti che i miei amici sarebbero passati a farmi visita nel pomeriggio, la mamma non ha proprio perso tempo e su due piedi, ha organizzato una piccola festicciola.
Per ristorarci dal caldo opprimente e per celebrare la terza vittoria al campionato nazionale, ex aequo con la Toho, ma soprattutto per riunirci in vista dell’imminente partecipazione ai mondiali giovanili, che si terranno tra poco a Parigi.
Credo che lei non sopporti vedermi così.
Chiuso in casa convalescente ormai da giorni, con niente da fare di meglio che aspettare di guarire e nel frattempo imparare il portoghese.
E come darle torto?
Non devo essere nemmeno troppo simpatico in questo periodo, nonostante io sia generalmente un ragazzo paziente, o perlomeno fin quando sono in salute.
Le cose cambiano se sono costretto all’inerzia, al riposo obbligato, perché effettivamente mi sembra d’impazzire a starmene qui, richiuso tra la mia camera, il salotto e al massimo una boccata d’aria presa in giardino.
Mi sento un carcerato!
Se poi penso che a causa di questo infortunio, non solo non potrò allenarmi con gli altri ragazzi della nazionale ma probabilmente non riuscirò nemmeno a recuperare in tempo per partire con loro…
Lasciamo proprio perdere!
Devo rassegnarmi a questa mia condizione, farmene una ragione, non c'è scampo.
Dopotutto ho deciso io di strafare durante la finale, non posso prendermela con nessuno.
Questo non significa assolutamente che mi sia pentito di aver dato il massimo per la squadra!
Rifarei la stessa cosa, anche domani!
I miei sforzi e quelli dei miei compagni sono stati ricompensati con la vittoria!
E i miei infortuni alla fine, sono risultati molto meno gravi del previsto.
La mia carriera è ancora al sicuro.
Ma sono stato davvero fortunato, non devo dimenticarlo mai…
Distendo serenamente le labbra in un sorriso.
L’idea che il mio, seppur lento, recupero stia procedendo per il meglio, mi dona un sollievo senza pari, nonostante la noia dovuta alla mia reclusione.
Di riflesso, sfioro con una mano la mia caviglia destra.
Le bende sono ancora ben tirare, nonostante la fasciatura di Sanae risalga ormai a ieri sera.
Sorrido ancora, ma questa volta non perché sto ringraziando la mia buona stella, quella che mi rende un ragazzo fortunato.
Sorrido semplicemente perché sto pensando a lei.
Sempre immerso nei miei pensieri, rialzo distrattamente lo sguardo ma quando incrocio un'espressione perplessa, quasi mi viene un colpo.
Il faccione di Ryo mi fissa, distante dal mio naso giusto qualche centimetro.
Le sue palpebre non la smettono di sbattere sugli occhi, ripetutamente.
“Uh?” mi limito a un cenno con la testa, non avendo prestato minimamente attenzione a quello che deve avermi appena detto.
“Niente, niente…” risponde placido Ryo, prima di sorridere sornione.
“Ha cucinato tutto la tua mamma?” chiede poi, posando di nuovo gli occhi famelici sul buffet.
Per un istante osservo gli altri ragazzi della squadra, che gironzolano per la stanza.
“Quello che è riuscita con il poco tempo che aveva, sì. Il resto credo l’abbia preso al negozio accanto al centro sportivo…”
Ishizaki si anima ancora di più, annuendo vistosamente.
“Ah, sì! Lo conosco! Ci vado sempre! Per il cibo ovvio ma anche per vedere Himechan!”
La sua espressione si fa gongolante ora, nei suoi occhi si formano quasi dei cuori, proprio come in una vignetta manga.
“Chi?” chiedo perplesso, cercando di non badare alla sua faccia buffa.
“Come chi?! Ma la ragazza delle ordinazioni!” esclama il mio amico, come se avessi chiesto qualcosa d’incomprensibile.
“Ehm… Non credo di averci mai fatto caso…” borbotto guardando altrove, consapevole di essermi appena scavato la fossa da solo.
“Ma dai, Tsubasa! Che cavolo dici?! Himechan è troppo carina, non puoi non averla notata!” insiste Ryo, dandomi così anche velatamente dello scemo.
Distolgo ancora lo sguardo, alzandomi e andando a poggiare il peso del corpo sul davanzale della finestra aperta.
Sulle mie spalle posso avvertire il calore del sole, che filtra i suoi raggi attraverso i rami dell’acero in giardino.
Ovviamente, Ryo mi segue come un’ombra.
Riesco a vederlo chiaramente nel riflesso del vetro, mentre si avvicina scuotendo la testa sconsolato.
Speriamo solo che torni a concentrarsi di nuovo in fretta sul cibo!
I secondi passano…
Effettivamente Ishizaki non accenna ad aprire bocca, così tiro un impercettibile sospiro di sollievo.
“Ehi! C’è Sanae!” esclama all’improvviso, sporgendosi poi completamente dalla finestra.
D’istinto lo imito, voltandomi abbastanza velocemente.
Poggiando le mani sul davanzale, inclino il busto in modo da poter vedere meglio in giardino.
Giro la testa un paio di volte, da sinistra a destra e viceversa, ma di Sanae nemmeno l’ombra.
Perplesso, sto per voltarmi verso il mio amico ma una consapevolezza improvvisa mi paralizza.
Ho un terribile presentimento…
Quando incrocio lo sguardo di Ryo, che sghignazza senza ritegno, tutto diventa chiaro.
“E Sanae invece com’è, Tsubasa?” chiede, facendosi di nuovo vicino, la bocca arcuata in una specie di smorfia beffarda.
Ma come faccio a essere così idiota a volte?!
Non rispondo, limitandomi a fissarlo mentre ammicca, muovendo ripetutamente le sopracciglia folte.
Non dargli corda…
Qualsiasi cosa faccia o dica, stattene zitto!
Sbuffo e alzo gli occhi al cielo, maledicendo mentalmente quel rossore, che sento affiorare ora sulle mie gote.
“Ci ha pensato lei alle tue fasciature in questo periodo?”
Ishizaki come sempre è un osso duro, il mio mutismo sembra non scoraggiarlo minimamente.
“Sì…” rispondo in maniera sintetica, sbuffando ancora.
“Che amore di ragazza, eh?”
Continuo a ignorarlo, nonostante il suo gomito non faccia altro che picchiettare contro il mio braccio.
“E dove lo fate di solito?”
Ryo insiste senza darmi tregua, calcando ora anche sui doppi sensi.
Stoico, persisto a trincerarmi nel mio silenzio, che per me è un porto sicuro.
Anche se trovassi qualcosa con cui replicare poi, so che ogni mia parola mi si ritorcerebbe sicuramente contro.
La verità è che non so mentire bene…
“Ma chiediamolo direttamente a lei!”
Sì, certo! Come no!
La sua recita sembra quasi perfetta, specie ora che inizia a sbracciarsi verso l’ipotetica Sanae, che dovrebbe trovarsi ora alle mie spalle.
La chiama anche adesso e ripetutamente!
E a me scappa quasi da ridere.
Ma pensi davvero che possa cascarci due volte di seguito?!
Ryo continua la sua farsa, come se ci fosse realmente qualcuno in cortile e allora non riesco più a trattenere una risata divertita.
Nonostante tutto il mio amico è troppo comico, quando s’impegna sul serio nelle sue prese in giro.
“Ma la smetti di fare tutto questo casino?!”
Ahahahah ecco, brava! Stavo per dirlo io…
Ma… Non era la voce della Nishimoto quella?!
Mi volto di scatto.
La seconda manager della squadra sorride allegra, nel giardino di casa mia.
“Capitano come stai?!” urla, letteralmente, Kumi Sugimoto al suo fianco.
“Ciao, Tsubasa!”
Ok.
Pausa…
Sanae è davvero qui.
Mi sta salutando con un cenno della mano, che si apre e chiude ripetutamente.
Rimango per un attimo ammutolito.
Effettivamente quando si parla di squadra, s’intendono anche le manager…
Ovvio che sarebbero venute anche loro a trovarmi questo pomeriggio!
Avrei dovuto immaginarlo subito!
Una sensazione simile all'euforia mi porta istintivamente a sorridere, mentre seguo con lo sguardo il gruppetto di ragazze, che sta raggiungendo l’ingresso di casa mia.
Pochi secondi ed è la Nishimoto la prima a fare capolino nella stanza.
Ci raggiunge subito accanto alla finestra, insieme a Sanae.
“Non doveva essere una visita veloce?! Quando è diventata una festa di preciso?” mi chiede allegra, indicando il tavolo imbandito.
Mi gratto il ciuffo ribelle, compiaciuto che a mia madre piaccia esagerare, di tanto in tanto.
“Ti sei già abbuffato, vero? Ingordo come sei!”
La Nishimoto si rivolge subito a Ishizaki, che la squadra immediatamente da capo a piedi, rimanendo comunque in silenzio.
Il suo sguardo poi passa su Sanae e infine raggiunge me.
Purtroppo l’espressione dipinta sul suo volto, non promette proprio niente di buono.
“Non ho toccato nemmeno una briciola, donna di poca fede!” risponde alle accuse, passando più volte la mano destra sulla pancia.
“Ma ora ho fame e quindi tu verrai con me! Così lasceremo soli i piccioncini! Per una volta poi che la Sugimoto non è entrata a gamba tesa su Tsubasa!” e indica con la testa prima me, poi Sanae, infine la terza manager della squadra, bloccata vicino alle vivande dai ragazzi, che pretendono di essere accuditi, proprio come durante gli allenamenti.
Ovviamente l’allusione ai piccioncini mi ha messo in imbarazzo.
Per temporeggiare, sposto lo sguardo, andando a fissare un punto imprecisato fuori dalla finestra.
Nel frattempo il mio amico non se lo sogna nemmeno di smetterla e prende a stuzzicare imperterrito Sanae, sempre sullo stesso argomento.
“Ryo Ishizaki! Non sarà invece una scusa questa, per startene un po’ in disparte con Yukari?”
Mi volto sorpreso a fissare Sanae, poi il mio sguardo si sposta sul mio compagno di squadra, che la fissa a bocca aperta, preso in contropiede dalla sua reazione.
Interessante… E adesso?!
Sogghigno, vedendo finalmente ammutolito il mio personale persecutore.
“Troppo facile usarci per i tuoi secondi fini!” lo incalza Sanae, arcuando ora le sopracciglia e sorridendo maliziosamente.
“Chi? Io? Con questa?!” sbotta all’improvviso Ishizaki, mettendosi sulla difensiva.
“Questa?!” esclama allibita la Nishimoto, squadrando il mio amico con stupore, che diventa poi disprezzo, quando il suo sguardo si posa sul dito pollice girato verso di lei per indicarla.
“Io ho mire ben più alte!” la ignora Ryo, cercando di darsi un tono.
“Himechan!” intervengo veloce, senza nemmeno pensare prima di parlare.
Le ragazze si voltano di scatto verso di me.
Sulle loro teste pende un grosso punto interrogativo, posso quasi vederlo materializzarsi!
“La cameriera del negozio di dolci, vicino al centro sportivo! Non mi hai detto poco fa che ti piace da morire?” insisto, spiegandomi meglio ed enfatizzando un po’, per una volta che sono io ad avere il coltello dalla parte del manico con Ryo.
Le ragazze ora si guardano tra loro, prima di annuire sorprese l’un l’altra.
Qualche secondo di silenzio ancora poi Yukari Nishimoto scoppia nella risata più fragorosa che abbia mai sentito!
“Oh, sì! Vai, Ishizaki! Una ragazza delle superiori se lo fila di sicuro un moccioso come te!” e non contenta gli rifila una manata poderosa sulla spalla, facendogli perdere l’equilibrio in avanti di un passo.
Sanae ride divertita, nemmeno io mi trattengo più.
Perché la faccia paonazza di Ishizaki mentre borbotta offeso, è qualcosa d’impagabile.
Tra lui e la seconda manager della squadra inizia così una diatriba assurda, che li vede impegnati ad avere assolutamente l’ultima parola!
Poco male…
Sanae ed io ora siamo salvi!
Mi volto istintivamente verso di lei, che sorride, accennando un gesto di vittoria con le dita.
Annuendo, rispondo complice al sorriso mentre la discussione tra la Nishimoto e Ryo non accenna minimamente a diminuire come toni.
Il resto della squadra, attirato dai loro schiamazzi, ci raggiunge in un secondo.
Persino mia madre s’intromette per dare man forte alla ragazza, a detta sua per solidarietà femminile.
Tutti ridono, tutti si divertono e il mio salotto all’improvviso sembra un circo!
Osservo la scena un po’ in disparte.
Queste persone... Sono davvero speciali per me.
Sono i miei amici.
Con loro ho condiviso tutto in questi anni.
Il calcio, la scuola e ogni divertimento.
Ma tra un po’ ci separeremo…
Un po’ di malinconia mi assale.
Perché so già che mi mancheranno, quando sarò via...
Scuoto leggermente la testa, nel tentativo di scacciare questo genere di pensieri.
In fondo non è ancora arrivato quel momento, adesso abbiamo un nuovo, inaspettato obbiettivo da raggiungere, nel vecchio continente.
Con alcuni di loro in campo, gli altri faranno di certo il tifo per noi da casa.
La coppa del mondo giovanile di Parigi ci aspetta.
Il calcio è la mia passione ma anche la mia scialuppa di salvataggio, anche stavolta riuscirà a distrarre i miei pensieri da ciò a cui non voglio ancora pensare.
“Tsubasa, è davvero un peccato che tu non riesca a venire in ritiro con noi!” esclama Izawa mordendo una fetta di torta, come se avesse avuto la possibilità di leggermi nel pensiero.
Annuisco dispiaciuto.
Non avrei mai voluto perdere l’occasione di affrontare la preparazione con tutti i miei compagni, compresi quelli che fino a qualche giorno fa consideravo avversari.
“Però vedrai che ti rimetterai presto!” aggiunge subito la terza manager, lamentandosi poi dell’ingiustizia che vede le ragazze costrette a casa, senza poter seguire la squadra in Europa.
“Stavo pensando però... Tsubasa a quest’ora, il prossimo anno, sarai già in Brasile, no?”
Istintivamente tutta l’attenzione della sala si sposta su Shingo, che ha appena formulato la sua domanda, nonostante non avesse nulla a che fare con il discorso sulla nazionale.
Senza giri di parole mi ha chiesto del Brasile, argomento così scottante, da far calare un silenzio pesante sulla stanza.
Una cappa triste ammutolisce tutti ora, compreso me.
“Già…” riesco a rispondere laconicamente, facendo molta attenzione a non guardare nessuno in particolare.
Evitando accuratamente d’incrociare il suo di sguardo.
Perché nonostante la mia convinzione…
C’è qualcosa di stonato a parlarne così, ora e ad alta voce.
Qualcosa mi suggerisce che non è proprio il momento di parlare di questo.
Ma io non so come cambiare argomento ora.
Potrei tirare di nuovo in ballo Parigi, il campionato…
Addirittura la scuola, che riprenderà a settembre, senza che abbia aperto nemmeno la pagina di un libro!
Oppure…
“Ragazzi!”
Mi madre, con la sua bella voce squillante e allegra, richiama prontamente l’attenzione di tutti.
“Che ne dite di una bella fetta di cocomero fresco?” esclama facendo l’occhiolino, mimando un ventaglio con la mano.
Qualche secondo e come per magia tutto torna alla normalità.
I ragazzi gridano in coro il loro assenso, riprendono poi a scherzare animatamente, come niente fosse.
Osservo mia madre che si allontana di nuovo, non prima di aver esortato i miei amici a mangiare tutto il cibo sulla tavola, con la scusa di alleggerirla dal riordinare troppe cose.
Grazie mamma…
Tiro un sospiro di sollievo.
È evidente che a nessuno andava di parlare della mia partenza.
Non era il momento giusto nemmeno per loro…
Chissà cosa ne pensa lei…
Ho ancora timore ad incrociare il suo sguardo.
Ma quando mi volto, facendomi coraggio, la vedo sorridere.
Sanae scherza con gli altri ragazzi, nessun ombra particolare sembra attraversare il suo viso.
E questo mi fa sentire strano, anche se in parte sollevato.
Ma non mi va di rimuginare oltre, voglio solo godermi il pomeriggio e questa allegria, che è tornata ad animare prepotente la stanza.
Senza più nessuna esitazione mi butto nella mischia, iniziando a chiacchierare, come niente fosse.
Del torneo, della mia convalescenza e sì, anche dei compiti che dovrei riuscire a finire, prima che il semestre riprenda.
Le ore passano tra risa, prese in giro e divertimento.
Perlomeno questa è l’apparenza.
Quando i ragazzi se ne vanno, li saluto a malincuore.
Non mi va di tornare al mio ozio, soffocando nell'afa dell'estate.
Oggi poi non ho nemmeno lezione di portoghese con Carlos!
Ma forse è meglio così…
Il disagio è ancora latente dentro di me, riguardo alla mia partenza per il Brasile.
Non significa certo che io abbia dei ripensamenti, né che la convinzione di trasferirmi sia meno solida.
Assolutamente no!
Ma dopo aver sognato per anni di raggiungere quest’obbiettivo…
Ora che si sta concretizzando…
Sono costretto ad affrontare cose, che forse avevo un po’ sottovalutato e in me si sta facendo strada l’idea, che non sarà poi così facile partire.
Sospiro, sdraiandomi pesantemente sul divano.
La mamma mi dà le spalle, mentre riordina la tavola.
“Tutto bene, tesoro? Sembri stanco…”
Lo sbuffo uscito dal mio petto, è evidente, deve aver attirato la sua attenzione.
Mi appresto veloce a tranquillizzarla sulle condizioni della spalla e del piede, che non mi fanno più alcun male.
Lei annuisce senza voltarsi, continuo a fissare la sua figura, avvertendo di nuovo quel disagio, che cerco inutilmente di scacciare.
E per la prima volta in vita mia, mi chiedo cosa provi mia madre a vivere così.
Intendo senza papà e con un figlio appena adolescente, che brama di andarsene via lontano, in altro continente.
“Mamma?”
Lei si volta ora, guardandomi in maniera interrogativa.
“Ti senti mai sola?” le chiedo, in maniera molto spontanea, non riuscendo a trattenermi.
Mia madre spalanca gli occhi, visibilmente stupita.
Non credo si aspettasse una domanda del genere da me, il figlio con la testa nel pallone.
I suoi lineamenti si addolciscono subito in un sorriso.
“Quando ci siamo conosciuti, tuo padre era già un lupo di mare! Sapevo benissimo a cosa sarei andata incontro!” esclama alzando le spalle, forse un po’ rassegnata, ma senza mai smettere di sorridere.
“È un po’ dura, però quando papà è qui con noi… Sento sempre che ne vale davvero la pena!”
Annuisco mentre la mamma continua a sorridermi, in maniera serena e incoraggiante.
“Ti dispiace che me ne vada pure io?”
Ecco... Di solito sono un tipo discretamente taciturno, specialmente in queste cose.
Anzi, credo addirittura di sfociare nel menefreghismo a volte, perché in genere non mi pongo domande sulle conseguenze delle mie azioni.
Conseguenze sugli altri, intendo.
Ma ora qualcosa è cambiato.
Non posso evitare di pensare oltre me, quando c’è di mezzo il Brasile.
E solo ora mi rendo conto che invece sarebbe stato doveroso pensarci sempre, fin dall’inizio.
A partire dalla sesta elementare.
Probabilmente il mio è stato solamente egoismo…
E questo mi dispiace…
La mamma mi osserva e sembra riuscire a intuire i miei pensieri, tanto che il suo sorriso si distende ora, in maniera ancora più dolce.
“Se tu potessi realizzare le tue ambizioni in Giappone sarebbe l’ideale, Tsubasa. Però sono stata io a metterti le ali quando sei nato, non posso di certo lamentarmi adesso!”
Cerca di convincermi facendo addirittura l’occhiolino, ma nei suoi occhi posso scorgere ugualmente un velo di tristezza.
Abbasso lo sguardo sulla caviglia fasciata, mentre mia madre si volta e torna alle sue faccende.
Rimango in silenzio, rimuginando sulle sue parole, che continuano a girarmi in testa, senza tregua.
“Oggi ti sei divertito con i tuoi amici?” mi chiede all’improvviso, riportando la mia attenzione su di lei, che continua a impilare piatti e posate, dandomi sempre le spalle.
“Certo!” esclamo senza calibrare il mio entusiasmo.
“Ho notato che quella ragazzina piccola ha proprio un debole per te!”
Oddio adesso inizia a prendermi per i fondelli come al solito!
Peggio di Ryo…
Quasi quasi preferivo il mio senso di colpa…
“Mamma…” sbuffo e lei ridacchia divertita, prendendomi ancora in giro per le attenzioni, che ricevo palesemente dalla terza manager della squadra.
Alzo gli occhi al cielo, lasciandola fare ma decidendo di non darle mai più corda per il resto della serata.
“Ti mancheranno questi ragazzi. E tu mancherai a loro…” sentenzia, smettendo di scherzare e tornando di nuovo seria.
“Sì! Sono i migliori amici che potessi mai desiderare!” esclamo annuendo, rompendo così il mio patto di silenzio.
“Te ne farai di nuovi quando sarai in Brasile, ne sono certa! Anche se quelli di casa rimarranno sempre un po’ speciali…”
“Già…”
“Non ti andava di parlare della partenza con loro, vero?”
“No, non oggi almeno…” ammetto, poggiando la testa sul palmo della mano, il gomito puntellato al bracciolo del divano.
“Nemmeno ai tuoi amici piaceva l’argomento, avevano certe facce tristi!”
La mia bocca si contrae in una smorfia dispiaciuta, accompagnata da un sospiro a denti stretti.
“Specialmente Sanae…”
Mi tiro su di scatto, mettendomi a sedere, la schiena improvvisamente rigida.
“Ora dobbiamo pensare al mondiale di Parigi!” esclamo trafelato, per troncare l’argomento.
“Dobbiamo concentrarci su questo!” aggiungo quasi esasperato, dopo che per tutto il pomeriggio ho evitato anche solo lo sguardo di Sanae, per non sapere nulla di lei, riguardo alla mia partenza.
“Oh il mio ragazzino pragmatico!”
Mia madre ridacchia ed io la lascio fare, non del tutto sicuro che mi abbia fatto un complimento.
“Tsubasa…”
La mamma si volta ora, per potermi guardare ancora negli occhi.
Sostengo il suo sguardo, nonostante non ne abbia la minima voglia.
Ho paura che sul mio volto si possano leggere cose, che invece vorrei tenere accuratamente per me.
“I sentimenti sono capaci di stupirci a volte!”
“Uh?” alzo un sopracciglio.
“Se le persone si vogliono bene davvero, non conta quanta distanza possa esserci tra loro…”
Un’altra sentenza seguita da un sorriso incoraggiante, come a volermi rassicurare.
Annuisco, rimanendo comunque in silenzio ma pendendo dalle labbra di mia madre, che ora mi appare un po’ come un oracolo.
“L’amicizia, se è vera, resta tale nonostante la lontananza…”
Annuisco ancora, pienamente convinto che abbia ragione.
Taro e Genzo sono gli esempi pratici di quello che ha appena detto e sarà così anche con i ragazzi della squadra, quando sarò in Brasile.
Noi saremo per sempre la Nankatsu!
Però…
Cosa succederà con…
“Ma questo vale soprattutto per i legami speciali, Tsubasa
I miei occhi fissano mia madre, che sembra capace davvero di leggermi nella mente.
“In che senso?” chiedo, distogliendo poi lo sguardo, per far sembrare il mio interesse piuttosto vago e generico.
Fingendo che l’argomento non m’interessi, quando invece è il bandolo della mia personale matassa di emozioni.
La mamma riprende a ridacchiare, posso vederla con la coda dell’occhio, poi scuote la testa e si avvicina al divano.
Quando si siede sul bracciolo mi stringe forte, circondando le mie spalle e poggiando poi una guancia sulla mia testa.
“Hai capito benissimo…” mormora, dandomi un bacio su una tempia.
Io arrossisco e nonostante non possa vedermi, la mamma sembra comunque capace d’intuirlo, perché mi stringe un po’ più a sé, quasi a volermi consolare.
E ci sarebbero così tante cose da chiederle ora…
Come prima cosa vorrei che mi spiegasse come si fa.
Come si possono gestire certe emozioni…
Quale sia la cosa migliore da fare.
Ma non so neanche da dove cominciare e forse non sono nemmeno troppo sicuro, di voler affrontare certi argomenti apertamente.
Non sono ancora pronto, forse sto solo scappando di nuovo.
Perché è davvero difficile far combaciare i miei desideri.
L’uno esclude per forza l’altro.
Ma non voglio pensarci ancora.
Avevo deciso che non era ancora il momento, no?
Prima il campionato nazionale teneva impegnata la mia mente, ora è il turno del torneo di Parigi.
Non mi resta che accantonare tutto laltro, che non sono ancora capace di gestire.
Almeno per un po’...
Nonostante sia riuscito a dargli un nome.
Nonostante sappia chiaramente che è una parte enorme del mio cuore.
 
 
 
 


(1) Nomen omen: il nome (è) augurio. Frase latina con cui si esprime il concetto del valore augurale attribuito al nome. Si ripete anche a persone la cui sorte sembra conforme al significato del nome.
 
Un ringraziamento speciale a gratia che mi ha aiutata vedendo i refusi al posto mio, evitando di correggerli poi, una volta messo on line il capitolo! :)

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Capitolo 13
*** La testa nella sabbia ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 11

La testa nella sabbia
 
 
 
 



Il mondiale di Parigi.
Ovviamente altro tempo perso a correre dietro a un pallone!
Come se ce ne fosse tanto da sprecarne!
Come se questo sport non avesse già fatto abbastanza!
Alla fine il calcio lo porterà via, fino in Brasile!
Ed è così doloroso sentire proprio Tsubasa parlare di queste cose…
Basta anche solo un minimo accenno e tutto diventa terribilmente triste…
Come oggi a casa sua.
È bastato nominare la partenza e un’ondata di tristezza ci ha travolti, rischiando di rovinare l’intero pomeriggio…
Come se questo spettro non guastasse già abbastanza le mie giornate, anche quando sono sola!
Come se non pensassi continuamente a questo dato di fatto, con cui sto cercando a tutti i costi di convivere.
Tsubasa aspetterà la fine dell’anno scolastico, poi si organizzerà per trasferirsi in Brasile.
Quando?
Non si sa di preciso…
Entro l’estate?
Forse…
Contatterà Roberto Hongo?
Oh ma certo che lo farà!
Tsubasa si porta dietro ancora il quaderno degli appunti che quel vigliacco gli ha lasciato, prima di scappare come un ladro!
Già, perché un uomo grande e grosso non ha avuto nemmeno il coraggio di dire a un bambino, che non poteva mantenere ciò che gli aveva promesso!
E qual è stato il risultato di questa brillante iniziativa?
Il bambino in questione si è aggrappato con tutte le sue forze al sogno del Brasile!
Diventando quasi schiavo di questa ossessione, come se non ci fossero alternative, per diventare un ottimo calciatore…
Per sfondare nello sport di cui è innamorato.
Ma bravo, Roberto!
Complimenti!
Lo sanno tutti che se si nega qualcosa a qualcuno, quel qualcosa diventerà poi vitale!
Fondamentale, nemmeno fosse aria nei polmoni!
Sospiro.
Più volte, per la precisione.
Cercando di scacciare questa rabbia, che non trova pace.
Consapevole di quanto faccia pena il mio umore.
Di solito non sono così acida nella vita, non me la prendo mai nemmeno con il pallone…
Non avevo mai vomitato tanto veleno prima d’ora…
Nemmeno contro Hongo, che di motivi me ne ha sempre dati tanti!
Oh non oso immaginare come diventerò, quando Tsubasa sarà partito!
Non voglio trasformarmi in una di quelle zitelle acide, che non sopporta niente e nessuno!
Ma è sicuro che andrà a finire così…
Soprattutto se deciderò di tenere per me quello che provo.
A volte penso che confessare a Tsubasa i miei sentimenti, possa essere davvero una liberazione…
Ma dopo?
Cosa succederebbe poi?
Involontariamente le mie mani si stringono a pugno, mentre le braccia assecondano il movimento dei miei passi verso casa, oscillando velocemente avanti e indietro.
E la mia rabbia aumenta, passo dopo passo, per la consapevolezza che non risponderò a queste mie domande, nemmeno questa volta.
Perché è fin troppo facile nascondersi, dietro il nuovo obbiettivo di Tsubasa.
Il mondiale di Parigi è un fantastico parafulmine per la mia indecisione, per tutte quelle che sono le mie paure.
E allora cosa mi resta?
Prendermela semplicemente con me stessa.
Che schifo di carattere, Sanae!
Dove diavolo è andata a finire la grinta di un tempo?!
Perché non la smetti di essere così passiva?!
Sbuffo mentre in lontananza scorgo il cancello di casa mia.
L’idea di trovare un conforto almeno fisico, grazie a una bella doccia fresca, è il mio unico barlume di sollievo.
Sono talmente di pessimo umore poi, da non fare nemmeno troppo caso a una sagoma, che s’intravede dietro una delle colonne, che sostengono il cancelletto.
Una volta però non avevo così tanto da perdere…
Una volta credevo che avrei vissuto una vita normale, come tutte le altre adolescenti…
Una volta potevo essere me stessa e basta…
Queste sono le mie giustificazioni, in questa mia perpetua lotta interiore, che non mi dà tregua ormai da mesi.
Ma so che è una battaglia persa.
Non riuscirò mai a mettere la parola fine a questa frustrazione, mi perseguiterà forse per sempre.
Frugo nervosa nella borsa alla ricerca delle chiavi.
Quando le ho trovate, alzo lo sguardo, rendendomi finalmente conto della presenza di qualcuno.
Quando questa persona si palesa, non riesco però a trattenere lo stupore.
Kumi Sugimoto mi sorride, un po’ titubante a dir la verità.
Mi avvicino a lei, chiedendomi cosa possa farci fuori casa mia.
“Ciao… È successo qualcosa?” le domando diretta, non mascherando la mia perplessità.
“Senpai, scusa se mi sono permessa di raggiungerti fin qui, ma avevo bisogno di parlarti urgentemente di una cosa…”
“Ehm… Non c’è problema…” rispondo dubbiosa, non capendo proprio il suo comportamento.
Ci siamo viste a casa di Tsubasa oggi, non più tardi di un’ora fa, non poteva semplicemente parlarmi mentre eravamo là?
Armandomi di pazienza, mi appresto ad ascoltare qualche stupidaggine inerente al club di calcio o peggio ancora, qualche sua nuova fissazione scaramantica, in vista dei mondiali!
Deve esserci una sorta di accanimento dall’alto nei miei confronti, quando sono di cattivo umore!
Ci mancava solo lei adesso!
Come se non avessi altro da fare in questo momento, che arginare le problematiche di una kōhai fin troppo esuberante per i miei gusti!
“Senpai… Tu sei innamorata di Tsubasa, vero?”
Come?!
Strabuzzo gli occhi, incredula.
Cosa mi ha chiesto?!
Credo che la mia mascella si sia spalancata tanto, da raggiungere l’asfalto con il mento.
Ma come le viene in mente di chiedermi gli affari miei?!
Nemmeno fossimo gradi amiche, poi!
“Anch’io sono innamorata di lui!”
Kumi Sugimoto lo esclama ad alta voce, ignorando il mio silenzio, per niente scoraggiata dalla mia faccia, che deve aver assunto un’espressione palesemente attonita.
E quindi?!
Come se non ci fossi arrivata da sola!
Oddio…
Non sarà mica venuta fin qua per sfidarmi a conquistarlo o qualche altra cretinata simile?!
“Il Capitano se ne andrà alla fine di quest’anno scolastico, ma a me non importa! Io ho deciso che gli confesserò lo stesso i miei sentimenti!”
Confesserò lo stesso...
A me non importa…
Se ne andrà…
Qualcosa dentro di me s’incrina.
Irrimediabilmente.
Qualcosa che non ha nulla a che fare con la rivalità, né con il timore, per giunta inesistente, che questa ragazzina possa portarmi via Tsubasa.
In questo momento è entrato in ballo qualcosa di molto più grosso.
Qualcosa che va ben oltre il mio amore e i miei sentimenti.
Sono entrata in gioco io.
Me stessa.
Kumi Sugimoto mi fissa attentamente.
Purtroppo non credo di riuscire a mascherare bene, quello che provo in questo momento.
Sul mio viso non deve esserci più nulla che riguardi lo stupore.
Posso avvertire chiaramente i muscoli della mia faccia contrarsi, senza potermi assolutamente opporre.
E mi spaventa chiamare per nome, quello che sto provando ora…
“Perché se si ama bisogna dirlo, non è vero?” mi chiede ancora Kumi, decisa a portare a termine il suo intento, che l’ha spinta fino a casa mia al termine di questo caldo pomeriggio estivo.
E che le ha permesso di aprirsi a me, mostrandomi un lato forse più maturo, che le sue urla da fan girl nascondono quotidianamente e piuttosto bene.
Ma anche nel suo volto qualcosa è cambiato.
L’entusiasmo con cui mi ha salutato non c’è più, lasciando posto a un’emozione, capace d’incrinare la sua voce.
Tutta la mia frustrazione muta, sfociando nella tristezza.
Tutta la rabbia per Roberto, il Brasile e il calcio.
E il fastidio per questa ragazzina…
Che è venuta qua, per fare cosa?
Semplicemente a smascherarmi.
A tirare fuori le mie paure, evidenziando quanto di più sbagliato ci sia in me.
Mi mordo le labbra, incapace di proferire anche solo una parola.
“Io confesserò i miei sentimenti al Capitano…”
Lo ribadisce Kumi, ma la sua non è affatto una provocazione.
Nei suoi occhi non c’è traccia di aggressività.
Anche in lei ora, regna solo tanta tristezza.
“Anche se so che non posso minimamente paragonarmi a te!”
Sussulto.
Le sue parole, dette tutto d’un fiato mentre le lacrime iniziano a bagnarle il viso.
Trattengo il respiro qualche secondo, incapace anche solo di pensare ora.
Tutta la confusione che alberga dentro di me, sembra essersi amplificata a non finire.
E capisco che non la riuscirò mai e poi mai a gestire.
“Scusami se ti ho disturbata, volevo solo dirti questo…” e s’inchina, prima di scappare via di corsa.
Rimango immobile a fissare la sua sagoma, come ipnotizzata, finché non scompare in lontananza.
Mi sento nuda.
E patetica.
Ma più di tutto una codarda.
Anzi…
La peggiore di tutte le codarde, non solo del Giappone ma anche del mondo intero.
Sono proprio come un coniglio dentro la sua tana, quando fuori piove e i tuoni lo spaventano.
Ma le mie paure, lo so bene, sono frutto della mia immaginazione.
Perché non nascono dal timore di un rifiuto.
È il contrario piuttosto a spaventarmi.
Ho solo paura di essere felice.
Perché so che non può durare…
Ho paura di essere amata.
Nonostante sia la cosa che desideri di più.
L’amore di Tsubasa.
Lui che ama me.
Perché dopo ne avrei sempre più bisogno….
E ho paura di dire addio.
Così tanta, che se ci penso mi manca il fiato.
Perché non sarò mai in grado di affrontarlo…
E mi spaventa l’idea che qualcosa possa cambiare…
Quando sarà lontano…
Quando il tempo e un mondo così diverso, potrebbero arrivare a impostare un altro corso…
Non lo saprei accettare!
Non ci sarebbe cosa al mondo, capace di disintegrare in un attimo il mio cuore…
E tra tutte queste paure, c’è il timore di scoprire come sarebbe stare insieme…
Ma quest’anno arriverà la primavera?
Ci sarà poi una nuova estate?
Forse no e sarà per sempre inverno…
E io giuro che lo griderei al mondo intero!
Gli direi quello che provo!
Lo farei guardandolo negli occhi…
E stringendo forte le sue mani…
Dirgli che lo amo…
Io… Lo farei davvero…
Se non avessi terrore poi del freddo…






Un ringraziamento speciale sempre a gratia e alla sua vista, che hanno trovato velocemente i soliti refusi!  OnlyHope

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Capitolo 14
*** Il sole splende ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 12


Il sole splende
 
 
 
 


Il sole allunga sul campo le ombre, che corrono animate sull’erba verde.
Mi volto per un attimo verso la finestra aperta, dalla quale entra il cadenzato stridio delle cicale, che cantano in quel minimo di refrigerio, donato dalla notte.
Casa Ozora è un mormorio continuo, simile a quello perpetuo degli insetti, a riposo tra le foglie dell’acero in giardino.
La madre di Tsubasa infatti ha insistito davvero tanto, affinché vedessimo la finale insieme lei…
Così riunirci qua è sembrata la cosa più naturale per tutti e il salotto è gremito di persone.
Oltre a noi tre manager della squadra, sono presenti ovviamente i ragazzi della Nankatsu, a cui si sono aggiunti alcuni compagni di classe, amici di famiglia e la madre d’Ishizaki.
Tutti riuniti per tifare per i nostri beniamini che stanno lottando in campo per un’impresa, che ha già del memorabile.
Sorprendendo un po’ tutti, infatti, la nazionale giapponese è riuscita a superare avversari davvero temibili, alcuni dati addirittura per favoriti in questo torneo.
Tra questi proprio i padroni di casa, ovvero i francesi.
L’ultima battaglia vede i nostri ragazzi schierati contro la Germania e non manca poi molto alla fine della partita…
Un goal incredibile di Hyuga, realizzato grazie a un assist perfetto di Tsubasa, ci ha appena portati in vantaggio.
Ma non è ancora arrivato il momento di festeggiare!
Sappiamo fin troppo bene che la squadra dovrà spendere tutte le sue energie, dando tutta se stessa, fino all’ultimo secondo.
Salto quasi dalla sedia ora!
Una parata fenomenale di Wakabayashi con i pugni, ci ha appena salvati dal pareggio, ma i tedeschi di certo non si arrendono.
Mi mordo le unghie mentre Ishizaki si contrappone a un altro tiro al volo di Schneider.
Il pallone calciato con violenza lo ha preso in pieno volto.
D’istinto mi volto verso sua madre, che ha sussultato, prima di coprirsi il viso con le mani.
Mi mordo le labbra prima di tornare a concentrarmi di nuovo sul televisore.
Il capitano tedesco, instancabile, ha appena recuperato il pallone e senza darsi per vinto, si lancia di nuovo imperterrito, verso la porta giapponese.
Tsubasa prova a fermarlo… ma viene superato!
Maledizione!
Il tedesco calcia appena raggiunta l’area di rigore e il suo tiro è così potente…
Wakabayashi tenta invano di trattenerlo ma…
È goal.
La Germania ha pareggiato…
Proprio quando mancava solo una manciata di minuti alla fine della partita!
Nella stanza si rumoreggia per lo sconforto, ma come la nostra nazionale, nessuno di noi è disposto a darsi per vinto.
Noi giapponesi non sappiamo proprio cosa voglia dire la parola arrendersi.
Osservo i ragazzi, di nuovo schierati al centrocampo.
La determinazione è lampante sui loro volti, ora che la telecamera indugia su di loro.
Il gioco riprende, insieme alla morsa che mi attanaglia lo stomaco.
Tsubasa non perde tempo e palla al piede, mira diretto verso la porta avversaria.
Scatto in piedi quando un’entrata dura di Kaltz lo butta a terra.
Il mio cuore pompa sangue in maniera selvaggia ora.
Nell’ultimo mese l’ho visto fin troppe volte steso a terra, per non temere ancora per la sua salute.
Dentro di me conto i secondi che passano, prima di vederlo muoversi e rialzarsi.
Appena in piedi, Tsubasa si lancia subito all’inseguimento del pallone, cercando a tutti i costi di recuperarlo.
Quando riesce nel suo intento, si dirige a testa bassa verso la porta tedesca.
Lo seguo attentamente, mentre supera ogni avversario che gli si para davanti.
Quando è al limite dell’aria, Schneider è l’ultimo scoglio da superare.
Con una serie di finte e rimpalli, riesce a eluderlo, calciando poi verso la porta.
E il suo tiro ha una tale potenza!
Non avevo mai visto nulla del genere prima!
La palla non solo s’insacca nella rete ma la strappa di netto, andando a volare in alto, su verso il cielo.
Un attimo d’incredulità...
Poi il cuore salta letteralmente in gola.
L’arbitro fischia la fine dell’incontro…
All’improvviso urla esaltate rimbombano nella stanza.
Grida di gioia esplodono mentre saltiamo tutti in piedi, come molle rimaste fino a quel momento fin troppo contratte.
Il Giappone ha vinto il torneo!
Tsubasa ce l’ha fatta ancora!
Ci è riuscito sul serio!
Nel salotto di casa Ozora è un finimondo.
Abbracci, esultanza e lacrime di commozione.
Yukari saltella sul posto, stringendosi forte al mio collo.
E ho paura possa strozzarmi, tanto è il suo entusiasmo!
Io invece sto scaricando la tensione e l’adrenalina in maniera assurda.
Rido e piango.
Perché sono davvero così felice!
Ma per me è inevitabile esserlo…
Tsubasa ha raggiunto l’ennesimo obbiettivo!
Poi ovviamente c’è la mia gioia per la squadra, il Giappone.
Ma il Capitano per me è speciale e non solo a causa di quello che provo.
Tsubasa è semplicemente un ragazzo d’ammirare.
Vuole una cosa?
Lui s’impegna al massimo e infine la ottiene.
Come posso non essere fiera di lui?!
Non posso davvero…
Nonostante la sua ambizione remi costantemente contro i miei sentimenti.
Nonostante il suo talento non mi regali nessun diretto beneficio.
Nonostante le sue vittorie lo portino sempre più vicino a realizzare il suo sogno, allontanandolo di conseguenza e inevitabilmente da me…
Mi volto di nuovo verso il televisore, tenendomi sempre stretta a Yukari, quando Urabe grida che è arrivato il momento della premiazione.
Tsubasa, come Capitano della squadra, è il primo a salire sul podio.
Sorrido mentre osservo il suo volto stanco ma carico di gioia.
Il mio cuore manca un battito quando alza in alto la coppa.
Attratta dall’espressione del suo volto, innamorata persa del suo sguardo.
E tutti gridiamo euforici, proprio come fossimo lì, a festeggiare con la squadra in campo.
Ora la medaglia della vittoria trova posto sul petto di ogni giocatore giapponese.
È impossibile non sentirsi fieri di questi ragazzi strepitosi!
Hanno compiuto un’impresa epica!
Quando arriva il momento del discorso, è Tsubasa a parlare a nome di tutti.
Le sue parole mi commuovono, fino alle lacrime.
Perché è bellissimo sentirlo parlare della sua generazione d’oro e del loro grande sogno comune.
Vincere in futuro il campionato del mondo di calcio.
Ed io te lo auguro davvero, Tsubasa…
Anzi, io sono sicura che un giorno sarai tu ad alzare quella coppa al cielo per tutti i giapponesi!
La cerimonia ufficiale finisce e le autorità lasciano il campo.
Ma i festeggiamenti sono solo all’inizio.
Nessuno può arginare un gruppo di ragazzini euforici, capaci di arrivare così in alto!
Li osservo nello schermo mentre corrono felici sotto gli spalti, gremiti di tifosi, accorsi allo stadio per fare il tifo per loro.
Si passano il trofeo di mano in mano, gridando allegri tra i flash dei fotografi.
All’improvviso però accade qualcosa di strano.
Tutti si fermano.
Aguzzo la vista curiosa mentre Yukari, sempre appesa al mio collo, domanda ad alta voce cosa stia succedendo.
La telecamera indugia sull’espressione stupita d’Ishizaki, che fortunatamente si è ripreso più che bene, dalla pallonata presa in pieno volto.
Ma cosa…
La curiosità mi divora.
Allungo un po’ di più il collo, verso il plasma appeso alla parete.
Intorno un silenzio surreale, perché tutti sono presi come me, dalla scena ripresa nel televisore.
Nello schermo un primo piano del viso di Tsubasa, che si volta ora a guardare verso un punto ben preciso.
Anzi, verso qualcuno per l’esattezza.
L’inquadratura si allarga e…
Il mio cuore manca un altro battito…
C’è Roberto Hongo a un passo da Tsubasa!
Il mio mondo diventa grigio.
Vado immediatamente in iperventilazione.
Il mio petto si alza e si abbassa veloce, nonostante la stretta poderosa di Yukari.
Fisso Tsubasa.
È visibilmente emozionato.
Molto emozionato.
Fin troppo…
Si avvicina di qualche passo a Roberto.
I due iniziano a parlare in giapponese.
La telecamera riprende tutto.
Posso sentire tutto.
Ma mi rendo conto che seguo il discorso come se fosse un film.
E questo è di sicuro il colpo di scena, che nessuno si aspettava.
Un nodo in gola mi soffoca, deglutisco a fatica.
Nella mia mente riassumo le battute appena ascoltate, mentre nella stanza sta tornando l’allegria.
Roberto allenerà di nuovo Tsubasa.
Lo prenderà con sé.
In Brasile.
Vorrei distogliere lo sguardo, quando suggellano il loro accordo con un abbraccio, ma non lo faccio.
Devo essere per forza masochista…
Perché vederli mi fa male.
Tanto male…
Paradossalmente non sentirei tutto questo dolore, nemmeno se fosse un’altra ragazza ad abbracciare così Tsubasa.
Perché non posso competere con tutto questo.
Mi schiaccia, è più forte di me e riesce a rendermi perdente già in partenza.
Le mie emozioni man mano aumentano, stanno per sopraffarmi…
All’improvviso la stanza si fa più stretta.
Come le braccia di Yukari, che sembrano una morsa soffocante.
Deglutisco.
Ma mi manca l’aria.
E mi viene da piangere…
Mi guardo intorno.
C’è troppa gente!
Uscire…
Devo uscire…
Sì, andare fuori!
Mi divincolo dall’abbraccio della mia migliore amica, che ora sembra più una tortura.
Yukari mi scruta, subito visibilmente allarmata.
La guardo un attimo negli occhi.
Lei rimane a bocca aperta poi mi lascia andare.
Nella confusione generale nessuno si accorge di me.
Mi allontano veloce dalla stanza, spalanco la porta di casa e corro, attraversando tutto il cortile.
Oltrepasso il cancelletto d’ingresso e sono in strada.
Solo qualche passo poi mi fermo.
Testa bassa, poggio la schiena contro il muro di cinta di casa Ozora.
All’aria aperta, lontana dalla vista e dai rumori.
Respiro a pieni polmoni, come se fossi stata per troppo tempo senza fiato, in apnea.
A intervalli regolari deglutisco, cercando inutilmente di mandare giù il magone che mi opprime.
Ma nulla da fare.
Le lacrime iniziano a rincorrersi veloci sulle guance, le sento morire poi sul mento.
E la rabbia, la frustrazione sono un tutt’uno nel mio petto.
La gelosia inizia a bisbigliare nell’orecchio…
Perché Roberto conta così tanto per te?
Poi l’invidia…
Per quel bene di Tsubasa per Hongo, che sembra molto più di quello che potrei ricevere io…
Infine la disperazione.
Perché quel futuro, ora non più così lontano, mi vedrà assente dalla vita di chi amo…
Sarò sola…
Sola con il mio amore, che non sembra poi così importante…
Singhiozzo.
Nonostante la paura che qualcuno possa sentirmi.
Ed era da tanto che non piangevo così…
Così tanto, che l’aria torna ancora a mancare nel mio petto.
Nonostante qua fuori, abbia a disposizione tutta quella del Giappone.
“Sanae…”
La voce preoccupata di Yukari mi fa sussultare.
La fisso mentre si avvicina, senza curarmi minimamente di nascondere il mio pianto.
Stasera non ho le forze necessarie, per provare anche imbarazzo.
“Sanae, non fare così…”
Mi mordo le labbra, scuotendo la testa e alzando lo sguardo verso il cielo.
In questa notte così bella, illuminata dalle stelle e con le cicale in sottofondo.
“Che devo fare, Yukari? Anzi, cosa sto facendo? Chissà che cosa mi ero messa in testa…”
“Non è successo niente che già non sapessi…”
Yukari è fatta così.
Lei cerca sempre di farmi ragionare per calmarmi.
Ma stasera, le sue parole non hanno alcun effetto su di me.
E c’è una rabbia così forte, che potrei far esplodere il monte Fuji, solo con la forza del pensiero.
“Che farò quando Tsubasa sarà in Brasile?” le chiedo brusca, ignorando tutti i suoi sensati discorsi.
Yukari stringe le labbra in un moto preoccupato.
“Non sarò capace di dimenticare… E questa è l’unica sicurezza che ho per il mio futuro!”
“Senti, Sanae…”
“E Tsubasa invece?” non le do modo di parlare.
“Quanto tempo passerà prima che si dimentichi di me?”
La mia voce trema, inevitabilmente.
Il pianto riprende inesorabile.
“Io non voglio che si scordi di me, Yukari! NON VOGLIO!”
E i singhiozzi scuotono di nuovo il mio petto.
Ancora più violenti.
Copro il viso con le mani, nel vano tentativo di arginare il mio dolore.
Stringendo forte sugli occhi, ormai doloranti.
Mentre la mia testa sembra voglia scoppiare, per il pianto e la sofferenza.
Yukari non si arrende e si avvicina ancora.
Se le parole non servono proverà con altro.
Mi abbraccia forte.
Ma forte davvero.
Cercando di arginare gli spasmi del mio corpo.
“Calmati…” mormora, mentre mi accarezza la testa dolcemente.
“Calma…” ripete, cullandomi nel suo abbraccio.
E la rabbia lascia il posto alla tristezza.
Mi abbandono, desiderosa di conforto e mi aggrappo forte a lei.
E il suo abbraccio non è più come una morsa, ma un porto sicuro dove approdare, durante la tempesta.
“L’amore fa schifo!” singhiozzo, posando la fronte contro la sua spalla.
Ho solo quattordici anni, non ho altre conclusioni a cui arrivare.
“Fa proprio schifo…” ripeto, mentre ascolto le cicale che continuano a cantare.
Nel buio della notte, perché il sole splende lontano dal Giappone.
 
 




Volevo semplicemente ringraziare i lettori che hanno seguito la storia fino a questo capitolo.
Scegliere di seguire fedelemente, in questa prima parte, gli episodi del manga mi ha portato a soffermarmi necessariamente su sentimenti tristi, specie per quanto riguarda Sanae.
La paura di “annoiare” non mi ha mai abbandonata in questi ultimi aggiornamenti, ma ho preferito essere coerente con i miei intenti.
Seguire la cronologia del manga, non poteva essere un lavoro random ma occorreva attingere da ogni episodio importante, insomma una specie di “o tutti o nessuno”.
Vi ringrazio così infinitamente per la costanza con cui avete seguito la storia fino a qua, ora è il momento di risalire la china, spero che il “come” possa piacervi.
Un altro ringraziamento va come sempre a gratia, per avermi aiutata con i refusi, che sono proprio il mio tallone d’Achille!
A venerdì prossimo!
OnlyHope

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Capitolo 15
*** Incanto ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 13


Incanto
 

 
 
 


 
Non c’è al mondo una sensazione più bella, di quella che sa trasmetterti la vittoria.
Se alzo gli occhi lo striscione è ancora là.
Quello che è stato appeso dalla dirigenza scolastica vicino all’ingresso, per onorare la nostra vittoria al campionato nazionale.
Lo guardo e mi sembra già passato un secolo.
Il semestre è appena iniziato e il campionato nazionale delle medie sembra quasi si sia svolto in un’altra vita.
In realtà è passato solo un mese.
Un mese in cui la dea della vittoria ha bussato ancora alla mia porta, anche se a me piace pensare che siamo stati noi ragazzi della nazionale giapponese, a presentarci sfacciatamente alla sua dimora.
Abbiamo vinto, contro ogni pronostico, il torneo di Parigi, battendo i padroni di casa, nazionali molto più blasonate della nostra e infine una Germania agguerritissima, che voleva per sé il titolo di campione, per trattenerlo in Europa.
Invece siamo stati noi giapponesi ad alzare la coppa al cielo, noi ci siamo presi cura di lei portandola a casa nostra.
Oltre la vittoria però, ci sono stati anche altri avvenimenti inaspettati, durante la mia permanenza nel vecchio continente.
Primo fra tutti, ritrovarmi fianco a fianco in campo, con uno dei miei migliori amici: Taro Misaki.
Siamo rimasti sempre in contatto in questi anni, fin dalla sua partenza, appena vinto il campionato delle elementari.
Riabbracciarlo è stato incredibile, perché ho ritrovato non solo un compagno di squadra fantastico ma soprattutto un grande amico.
La Golden Combi si è ricomposta con un’immutata intesa, nonostante la distanza e i pochi allenamenti affrontati insieme.
Ritrovare Taro, anche se per poco, mi sembrava già un dono inaspettato, ma il mondiale giovanile aveva ancora ben altro in serbo per me.
Non avrei mai immaginato infatti, che il mio destino si sarebbe compiuto proprio in Francia.
Esattamente all’altro capo del mondo.
A metà strada tra casa mia e la mia ambizione brasiliana.
Perché non mi sarei mai aspettato di rivedere Roberto in Europa.
Mai e poi mai.
Ma lui era là.
E non casualmente ma appositamente partito da Sao Paolo, per assistere alla finale.
Per constatare con i suoi occhi i miei progressi, per vedermi giocare ancora dal vivo.
Roberto era a Parigi per me.
E non ha prezzo essere riuscito a stupirlo, lo desideravo da sempre.
Fin dal primo giorno in cui sono rimasto da solo, perché lui se n’era andato senza di me, non ho fatto altro che volere una seconda possibilità.
In questi anni mi sono spezzato in due con gli allenamenti, per migliorare ma anche per dimostrargli, un giorno, che avevo seguito alla lettera i suoi consigli e che mi ero impegnato al massimo lo stesso, nonostante mi avesse lasciato qui in Giappone.
E che il sogno di diventare un calciatore professionista, non era solo il capriccio di un bambino ma il mio vero scopo di vita.
Ma più di ogni altra cosa, ho sempre voluto disperatamente essere alla sua altezza.
Tutti i miei sforzi sono stati ripagati dopo la finale di Parigi, con la vittoria ma anche e soprattutto con le parole di Roberto.
Lui sarà di nuovo il mio allenatore personale.
E la sua disponibilità era tutt’altro che scontata.
Avrei cercato di contattarlo sicuramente prima di trasferirmi, perché chi meglio di lui avrebbe potuto indicarmi la strada per diventare il migliore?
In un Paese come il suo poi, così diverso dal Giappone, in cui c’è fin troppa competizione ed è difficile sfondare!
Alla fine il mio impegno e la tenacia sono stati premiati con la giusta ricompensa.
Finito il semestre volerò in Brasile da Roberto.
E il pensiero di aver risolto quest’incognita, riesce a darmi un sollievo così grande e inaspettato.
Ora non resta altro che aspettare di partire.
Trascorrerò questi ultimi mesi impiegando il mio tempo imparando il portoghese e aiutando il mister qui al club, con le nuove leve della squadra.
Non dovendo impegnarmi nello studio come i miei compagni, ho ben poco da fare.
I ragazzi invece non hanno tempo da perdere come me, perché dovranno superare gli esami, per iscriversi alle superiori della nostra scuola.
Ma è un vero peccato non averli intorno come sempre, qui agli allenamenti…
Ma è giusto così.
Loro tutti insieme in biblioteca a sgobbare sopra i libri, io qui, grondante di sudore a correre in mezzo a un gruppo di kōhai, che pendono letteralmente dalle mie labbra.
Tutto sembra comunque così strano senza la mia squadra...
Sì, sembra proprio di essere atterrati all’improvviso in un altro mondo.
E un mondo in cui si sente anche l’assenza delle manager, fatta eccezione ovviamente per la più piccola di loro.
A proposito…
Sconsolato, mi gratto il ciuffo ribelle sulla nuca, guardandomi distrattamente intorno.
La Sugimoto non si è fatta più viva.
E inevitabilmente mi sento un po’ in colpa…
Ma tutto mi sarei aspettato stamattina, tranne che ricevere una sua dichiarazione d’amore, appena arrivato al campo!
Non sono cieco, le sue attenzioni erano piuttosto palesi, ma non credevo che quella ragazzina sarebbe arrivata a tanto.
Spero comunque di non averla ferita…
Non troppo almeno, nonostante se ne sia andata via piangendo.
Ma in fin dei conti, sono stato semplicemente sincero.
La Sugimoto sapeva già che sono innamorato di un’altra.
Anzi, lei sapeva proprio chi è la ragazza in questione.
Ma è scoppiata in lacrime lo stesso e non è affatto una bella sensazione, sentirsi responsabile del pianto di qualcuno.
Mi chiedo se avrei dovuto comportarmi diversamente…
Ma no, non credo, anche se non sono esperto in materia.
In fondo è stata la prima dichiarazione d’amore ricevuta in vita mia!
Peccato, non fosse quella della ragazza giusta però...
Già…
Istintivamente, porto lo sguardo all’orologio e ho un sussulto.
A quest’ora i ragazzi dovrebbero aver finito di studiare!
Senza perdere altro tempo, mi congedo veloce dall’allenatore, precipitandomi poi negli spogliatoi.
Non voglio fare tardi.
Con gli altri ragazzi abbiamo deciso di vederci ai cancelli a fine giornata, per tornare a casa tutti insieme come sempre.
E quando parlo di tutti, intendo che ci sarà anche lei ad aspettarmi…
Sospiro mentre indosso la divisa scolastica.
A Parigi ho vinto un torneo prestigioso e sistemato il problema del mio trasferimento, ma per quanto riguarda altro
Tutto è rimato piuttosto invariato.
Progressi all’atto pratico?
Assolutamente zero.
Ma non è per niente facile essere innamorati, in una situazione come la mia.
Con l’agonismo in stand by, ho talmente tanto spazio libero in testa, che è difficilissimo distrarsi da certi pensieri.
Ma questo rimuginare continuamente, non mi porta mai a nulla.
Tuttora non so che fare.
Non mi è concesso assecondare solo quello che vorrei…
Quindi non mi resta che indugiare.
Come se fosse una novità, non ho fatto altro con lei in questi mesi.
Non posso nemmeno contare sul tempo che passa poi, quelli rimasti da trascorrere in Giappone saranno poco più di una manciata di mesi.
La certezza della mia partenza per il Brasile, è l’incudine dove sbatte costantemente il martello dei miei sentimenti.
Sentimenti che continuano a girare in tondo senza sosta, a volte quasi vorticosamente, nel tentativo estremo di trovare un po’ di pace e di sistemarsi definitivamente, nel posto che gli spetterebbe.
Se lasciassi decidere a loro saprebbero benissimo cosa fare.
Ma non posso lasciarli liberi, me lo ripeto ogni giorno…
In fondo le cose possono tranquillamente andare avanti così…
Sì.
Ne sono convinto…
Forse…
Sbuffo vistosamente, uscendo dallo spogliatoio.
L’indecisione non mi appartiene di solito e quindi non so come gestirla.
Non sapere affrontare qualcosa al meglio poi, mi rende particolarmente suscettibile.
M’incammino testa bassa verso i cancelli, rimuginando ancora sulla mia scarsa intraprendenza.
Cercando d’ignorare tutta quella serie di giustificazioni, che il mio cervello inizia a propinarmi meccanicamente e come al solito, per spiegare il mio stallo totale nelle faccende di cuore.
Quando alzo lo sguardo però, non ho più tempo per questo.
I miei compagni sono fermi ad aspettarmi, già in strada.
Ci sono proprio tutti, compresa lei.
Per un istante la guardo e come per magia, ogni preoccupazione scompare, nell’aria rimane un alone irrisolto, che lascia momentaneamente più spazio al vivere il momento.
Momento che ha le sembianze di Sanae, che mi sorride…
Non sapendo che così, non mi aiuta affatto a risolvere il mio casino interiore!
Ma Sanae sorride…
Raggiungo il mio gruppo di amici, cercando di non farci troppo caso.
“Ehi, Tsubasa! Com’è andata oggi con i mocciosi?” mi chiede spavaldo Ishizaki, buttandomi un braccio sulle spalle.
La domanda giusta al momento giusto!
Do inizio così al mio monologo sui progressi dei ragazzi più piccoli, passando in rassegna, con dovizia di particolari, i punti di deboli e quelli di forza della nuova squadra.
Ed è così rassicurante parlare dello sport che amo!
Il calcio è ciò che so gestire meglio nella vita e questa consapevolezza, mi dona una sicurezza senza pari.
“Eh beato te che puoi divertiti così!”
È Ryo ad interrompermi, sulla sua faccia un’espressione da cane bastonato.
“Noi invece dobbiamo passare tutto il pomeriggio in biblioteca! Chiusi dentro a soffrire come cavie in un laboratorio! Che poi… Ma quante storie! Dobbiamo solo entrare alle superiori Nankatsu! Ma dateci un bel calcio nel didietro e buonanotte!”
“Dai, Ryo… Prima o poi, doveva arrivare questo momento!” cerca di consolarlo Izawa, alzando gli occhi al cielo.
“Io nemmeno sapevo come era fatta la biblioteca della scuola…” borbotta ancora Ishizaki, piegando le spalle e la testa, sempre più abbattuto.
“Ah ce ne eravamo accorti dai tuoi voti, tranquillo!” lo prende in giro Sanae, dandogli dei colpetti affettuosi sulla spalla.
“Zitta tu!” esclama all’improvviso Ishizaki, sul viso il suo solito sorriso sornione e irriverente.
“Ne hai perso di tempo oggi! Quanto sei stata fuori, dopo che ti ha chiamata quello?
Sanae sbuffa senza rispondere, per niente toccata dalla provocazione.
Cosa che non si può certo dire di me.
Ma quello chi?!
Fuori dove, poi?!
Il mio maledetto status m’impone di fare finta di niente, ma in questo momento sono capace di captare anche gli spostamenti d’aria, prodotti da ogni movimento dei miei amici.
Rimango in ascolto, le orecchie tese proprio come un segugio, che tenta di scovare la sua preda.
Con mio enorme disappunto però, l’argomento viene messo subito da parte.
Perfetto!
Ed ora come faccio a sapere cosa è successo questo pomeriggio a Sanae, ma soprattutto con chi?!
Perché ovviamente, non se ne parla nemmeno di chiederlo a lei direttamente.
“Ok! Allora ci vediamo domani!”
“Uh?” mormoro perplesso, mentre Ryo inizia a radunare il resto della comitiva sul marciapiede.
Mi guardo spaesato intorno.
Non siamo ancora nemmeno a metà strada…
Ma che sta facendo?!
“Tsubasa!” si rivolge all’improvviso di nuovo a me.
Lo fisso, aggrottando leggermente le sopracciglia, dato il tono imperativo che ha usato.
“Noi TUTTI ora ce ne andiamo da quest’altra parte!” e indica la strada opposta, a quella che avremmo dovuto prendere come al solito.
“Tu non fare il somaro e accompagna Sanae a casa!” mi ordina, appunto, senza tralasciare di ammiccare, come da copione.
I ragazzi nel frattempo s’incamminano per la via indicata da Ishizaki, iniziando a salutare con la mano.
Rimango immobile a fissarli mentre si allontanano, in mezzo a un mare di risatine divertite.
Con la coda dell’occhio osservo Sanae, che non si è mossa, rimanendo al mio fianco.
Non posso vederla in faccia, quindi non so che espressione abbia in volto, ma io sono di sicuro un po’ arrossito.
“E strada facendo…”
Ho un sussulto quando Ryo inizia a urlare in lontananza, girandosi di nuovo nella mia direzione.
“Fatti raccontare di un certo Kanda(1)!”
Chi?!
Ma non ho tempo di fare supposizioni, perché la mia attenzione viene catturata da Sanae, che inizia a ridere divertita.
“Ma che idiota!” esclama poi, voltandosi e iniziando a camminare verso casa.
Rimango un’altra volta fermo a fissare la sua sagoma di spalle.
La sua reazione…
Non l’ho proprio capita.
All’improvviso però Sanae si volta, scrutandomi perplessa.
“Non vieni?” mi chiede innocentemente, stupita dalla mia immobilità, stile stoccafisso.
Che stupido che sei, Tsubasa...
Muoviti!
Senza farmelo ripetere due volte, la raggiungo.
Riprendiamo a camminare, l’uno affianco all’altra, ma in totale silenzio.
Anche se io avrei un sacco di cose da chiederle!
Ma come faccio a domandarle di questo ragazzo senza sembrare…
Troppo interessato?
Come se fosse questo il problema!
Inaspettatamente è Sanae a tornare sull’argomento.
“Non ascoltare quello scemo d’Ishizaki! Un’uscita di un minuto in corridoio, grazie a lui, diventa mezza giornata passata chissà dove!”
“Ti riferisci a quel… Come ha detto che si chiama? Kanda?”
Come se non l’avessi minimamente memorizzato…
Sanae annuisce più volte, sorridendo serena.
E questo credo sia un segnale positivo.
Ok…
Continua però, spiegami…
Non farmi fare domande, ti prego…
“È solo che non me l’aspettavo…”
Sanae riprende a parlare, esaudendo inconsapevolmente la mia supplica.
“Cosa?” chiedo spontaneamente, non resistendo oltre.
In fondo siamo amici, no?
Posso permettermi questo tipo di domande.
“Che si dichiarasse!” esclama lei con tutta la semplicità di questo mondo.
Io invece rischio seriamente di strozzarmi, poco dignitosamente, con la mia stessa lingua.
Mi volto di scatto a guardarla, imponendomi però di non fermarmi, di nuovo, in mezzo al marciapiede.
Sanae è impassibile.
Guarda dritto avanti a sé, con la stessa espressione serena di prima.
Come se non avesse detto niente di che.
Come se si fosse limitata a fare commenti sul tempo, piuttosto che parlarmi di un ragazzo interessato a lei.
E questo è uno di quei momenti in cui penso che la vita sia proprio strana!
Entrambi abbiamo avuto, nella stessa giornata, una dichiarazione d’amore da respingere.
Lo so, in maniera presuntuosa sto dando per scontato che abbia rifiutato questo ragazzo…
Solo che Sanae ne parla apertamente, mentre io non ho intenzione di dire a nessuno, quello che è successo stamattina.
Anzi, a pensarci bene c’è anche un’altra differenza tra di noi.
Sanae ha sempre avuto sotto gli occhi l’interesse della Sugimoto nei miei confronti.
Io invece non so nemmeno che faccia abbia questo Kanda!
Ci mancava solo un semi attacco di gelosia, ora…
Sono ridotto sempre peggio…
“Però sono stata subito onesta e glielo ho detto chiaro e tondo…”
Sanae riprende a parlare, usando sempre frasi in sospeso, in maniera sibillina.
Cosa?
Penso, tenendomi però la domanda per me, questa volta.
Ma pendo comunque dalle sue labbra, perché voglio proprio sentirglielo dire chiaramente.
Voglio sentirlo dire dalla sua voce, come ha rifiutato questo Kanda.
“Che io sono innamorata di un altro…”
E questa volta non ho modo di evitarlo.
Mi fermo.
Immobile.
Mentre arriva un caldo, ma non quello tipico di questi giorni d’inizio settembre.
Il caldo.
Quello che sale dal petto e arriva su, fino al mio viso.
La fisso.
Una folata di vento le scompiglia i capelli.
Con le dita, ne ferma una ciocca dietro l’orecchio.
Senza distogliere lo sguardo dai miei occhi.
Sorridendo...
Dolcemente.
È bella…
Il vortice di emozioni dentro di me, riprende a girare veloce, diventando poi un tornado, che spinge le mie difese, abbattendo le mie barriere.
E la confusione nella mia mente è ormai solo un ricordo.
Tutto è diventato fin troppo chiaro.
Sanae riprende a camminare, sorpassandomi, non prima di avermi regalato un ultimo sorriso.
Come a volerlo lasciare impresso nella mia mente.
Enigmatico e sospeso.
Un amo lanciato nello stagno.
“Sanae!” la chiamo, cercando di trattenerla con la voce, quando vorrei farlo con le braccia.
Lei si volta leggermente, il vento le accarezza ancora il viso.
Assaporo il momento e la sensazione, che mi fa sentire per la prima volta libero.
In pochi passi annullo la distanza.
“Sanae…” la chiamo ancora, come se non fosse a pochi centimetri da me.
Come se non avessi già tutta la sua attenzione.
Lei mi scruta, inclinando leggermente la testa.
Gli occhi fissi nei miei.
“Io…”
“Ehi! Tsubasa!”
Una voce maschile mi chiama da non molto lontano.
Una voce che riconosco ma che, in questo momento, preferirei non avere mai sentito.
Un accento portoghese ha scandito le sillabe che compongono il mio nome.
No!
NON ORA!
Ma è troppo tardi…
Inevitabilmente l’incanto si spezza.
La bolla perfetta, che circondava me e Sanae, esplode volatilizzandosi nell’aria, come se fosse stata fatta di sapone.
Carlos ci raggiunge correndo, inconsapevole di aver rovinato un momento unico, irripetibile.
Quando è un passo da noi, Sanae gli sorride.
Ma non c’è più quella luce nei suoi occhi, ora.
Tutta la magia di poco fa è svanita dal suo sguardo.
Ed io mi sento…
Come se mi fossi appena svegliato mentre stavo facendo un bellissimo sogno.
“Tsubasa, io vado. Grazie per avermi accompagnata fin qua…”
Dove stai andando?!
Fino a un minuto fa, noi…
“Ok…” borbotto, inebetito.
La osservo allontanarsi, sentendo freddo nelle ossa, come se mi avessero lanciato una secchiata d’acqua ghiacciata addosso.
Un attimo perfetto…
Io non so se…
“Tsubasa?”
Carlos attira la mia attenzione, visibilmente in imbarazzo.
“Ma non è che ho interrotto qualcosa?” mi chiede perplesso, arricciando il naso in un’espressione dispiaciuta.
Mi volto ad osservare ancora un attimo la figura di Sanae, ormai in lontananza.
“No, ma figurati!” esclamo, tornando a rivolgermi a Carlos, che continua a scusarsi ugualmente.
“Sicuro?” mi chiede ancora, poco convinto.
“Sicuro!” ripeto, anche se è una grandissima bugia.
Un altro po’ di tempo e quell’incanto non sarebbe mai svanito.
E forse ora noi…
 
 
 


(1) Koshi Kanda. Sono stata indecisa fino all’ultimo se utilizzare o meno questo nome per indicare lo spasimante di Sanae, alla fine mi sono convinta proprio perché mi avrebbe dato l’opportunità d'inserire questa nota, per spiegare la mia posizione sul personaggio e le mie scelte narrative su di lui.
Questo che avete appena letto è semplicemente un nome e cognome qualsiasi, poteva esserci scritto Toshio piuttosto che Yusuke, non avrebbe fatto differenza, perché in questa mia storia, come nelle altre, NON comparirà mai Kanda.
Questo perché trovo avvilente che Takahashi si sia inventato un personaggio simile per il ruolo di antagonista di Tsubasa, che vince piuttosto facile a mani basse, rispetto al troglodita a cui manca la clava e la pelliccia mono spalla.
Sanae meritava un po’ di meglio rispetto a un energumeno, in cui altri scontatissimi stereotipi un po’ datati, sembrano gli unici elementi capaci di forgiarne un carattere brutto e oltraggioso del genere femminile.
Vero che nel manga è il motore capace di dare la spinta a Tsubasa per la sua dichiarazione, ma a me il “torneo dei cavalieri per la virtù della pulzella” non è mai piaciuto.
Tsubasa che fa a botte per Sanae me lo sarei risparmiato volentieri, così come le sue dimissioni dal club di calcio, che sono ben poca cosa una volta finito il campionato e gli impegni ufficiali della squadra.
In Butterfly ho inventato Seii per sopperire a questa mancanza, in questa storia invece un capitolo, il prossimo, che avrà la funzione “Kanda”, se così si può definire, ma molto più in linea con quanto scritto fino ad ora e con il sentire dei personaggi.
 
Spendo due parole per questo capitolo, che all’inizio avevo concepito in maniera completamente differente da quello che avete appena letto.
Scrivendo è uscito fuori un brano molto simile all’originale, spero che lo apprezzerete comunque, ma credo che la mia sia stata una scelta inconscia, visto che il momento finale descritto corrisponde alla mia tavola preferita in assoluto di tutto il manga di Captain Tsubasa.
Infine una comunicazione di servizio, venerdì prossimo sarà il giorno di Natale quindi il mio consueto appuntamento settimanale sarà anticipato eccezionalmente a mercoledì 23 dicembre.
Grazie se siete arrivati a leggere fin qua!
OnlyHope
 
 
 

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Capitolo 16
*** Shugaku ryoko ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 14

Shugaku ryoko(1)
 
 
 
 


“Per fortuna sono riuscita a trovarli!”
Soddisfatta, butto un’ultima occhiata al sacchetto contenente i preziosissimi fushimi togarashi(2) per cui la mamma si è battuta tanto, assillandomi per l’intera giornata di ieri.
Come se una studentessa delle medie, in gita per un giorno a Kyoto, non avesse niente di meglio da fare che andare in giro per ortolani, a cercarle ingredienti tipici locali!
Dopo la visita al castello Nijō(3) tutti a caccia di peperoncini, mi sembra un’associazione logica!
Sospiro sconsolata, prima di buttare un’ultima occhiata all’orologio.
È ora di riprendere la metropolitana.
Solo tre fermate e sarò al punto di ritrovo stabilito dai professori.
Da lì poi partirà il nostro autobus, che riporterà me e i miei compagni a casa, a Nankatsu.
“Certo che Yukari poteva pure fare lo sforzo di accompagnarmi!” borbotto, alzando gli occhi al cielo, dispiaciuta che la mia migliore amica mi abbia mollata in giro da sola, nonostante le mie suppliche.
Pazienza…
Ah eccolo!
Sono arrivata all’incrocio per la metropolitana!
E senza cartina!
Che grande senso dell’orientamento, Sanae!
Mi compiaccio ancora con me stessa, prima di accelerare il passo.
Quando svolto l’angolo però, urto rovinosamente contro qualcuno, che evidentemente stava correndo come un matto nella direzione opposta.
Non cado all’indietro per miracolo!
O forse, sarebbe meglio dire che è merito delle mani, che mi stanno ancora trattenendo per le braccia.
“Sanae! Ti ho trovata!”
Uh?!
La voce trafelata che ha pronunciato il mio nome, sembra proprio quella di…
Alzo lo sguardo stupita.
Tsubasa mi fissa allarmato.
Quando lascia la presa sulle mie braccia, inizia a chiedermi ripetutamente se non mi sia fatta male.
E lui cosa ci fa qua?!
Lo rassicuro più volte, trattenendomi dal chiedere dove stesse andando tanto di corsa.
Che ci sia qualche stadio nei paraggi?!
E mi guardo intorno, aggrottando le sopracciglia, come a volermi sincerare veramente di questa presenza, che sarebbe a dir poco ingombrante.
“Non ti sei spaventata, allora?” mi chiede Tsubasa, sempre fin troppo preoccupato.
“Spaventata?”
Perché mai dovrei esserlo?
“La Nishimoto mi ha detto che ti sei persa!”
Persa?!
Ma chi?
Io?!
La ragazza con il più infallibile senso dell’orientamento di tutto il Giappone?!
All’improvviso il mio telefonino si mette a squillare, riconosco la suoneria dei messaggi in entrata.
Mi scuso con Tsubasa, prima di leggere cosa mi scrive proprio lei, la mia migliore amica Yukari.
Dì la verità! Quante volte hai pensato che sono cattiva?
Proprio brutto averti mandato in giro da sola, vero?
Pentiti, figlia ingrata!
Perché invece io sono la tua fatina buona!
E guarda che bel regalo ti ho mandato!
Povera fanciulla indifesa persa chissà dove…
Vedi di non fare la scema come al solito, Sanae!
Non sprecare quest’occasione!
Yoisho!(4)
Yukari è proprio fuori di testa!
Una risatina divertita mi esce spontanea dalla bocca, prima di tornare a concentrarmi su Tsubasa, che mi guarda un po’ confuso, grattandosi ripetutamente il ciuffo sulla nuca.
“Tutto ok! Grazie per essere venuto a salvarmi!” esclamo, assecondando il gioco delle parti, ideato inaspettatamente dalla mia migliore amica.
In fondo ha ragione lei, è stato proprio un bel regalo questo.
Tsubasa annuisce soddisfatto e insieme c’incamminiamo, fianco a fianco, verso la stazione della metropolitana, che ormai deve essere piuttosto vicina.
“Tu dove sei stato fino ad ora?” gli chiedo strada facendo, sorridendo sorniona all’idea che sarei riuscita benissimo ad arrivare fin qui da sola.
“Stavo mangiando qualcosa con i ragazzi della squadra! Poi tutto è degenerato! Ryo ha deciso di sfidare la sorte ingurgitando più kamonasu no dengaku(2) possibili! All’arrivo della Nishimoto ne aveva già fatti fuori sette…”
Sgrano gli occhi allibita, anche se il proverbiale stomaco senza fondo del numero quattordici, della ormai vecchia Nankatsu, non dovrebbe più stupirmi.
“Conoscendolo non si sarà fermato…”
“Certo che no! Anche perché Izawa si è offerto di pagargli il conto, se arriva a venti!”
Tsubasa scoppia a ridere allegro.
Io invece incurvo le labbra in una smorfia preoccupata, calcolando i danni che potrebbe provocare il comportamento d’Ishizaki.
Speriamo non si senta male durante il viaggio di ritorno! Bleah…
“Tu perché ti sei allontanata da sola, invece?” mi chiede Tsubasa, fissando il sacchetto bianco che sto dondolando lungo un fianco.
“La mamma voleva a tutti costi delle cose!” esclamo, alzando gli occhi al cielo.
Ovviamente glisso sulle mie suppliche a Yukari, affinché mi accompagnasse nelle mie ricerche.
“Potevi chiamarmi, senza andare per conto tuo! Sarebbe stato più sicuro!”
Lo guardo stupita mentre lui fissa avanti a sé.
E arrossisco, lo sento.
Perché ha appena detto una cosa davvero carina.
Sarebbe davvero bello, poterti chiedere certe cose…
“La prossima volta ti prenderò in considerazione, allora!” scherzo per mascherare l’imbarazzo, mentre riesco ormai a scorgere la stazione della metropolitana, a pochi metri da noi.
“Dico sul serio, Sanae…” borbotta Tsubasa come per rimproverarmi, mentre raggiungiamo i varchi metallici, nella confusione dell’ora di punta.
Anch’io, Tsubasa…
Mi verrebbe da rispondergli così, ma rimango in silenzio sorpassando le sbarre d’ingresso.
Il treno che deve portarci a destinazione partirà da un binario inferiore, così usiamo la scala mobile per scendere al livello giusto e mentre il tapis roulant fatto di gradini ci trasporta verso il basso, la mia mente si concentra inevitabilmente sul ragazzo al mio fianco.
Perché negli ultimi tempi…
C’è qualcosa di diverso nel modo di fare di Tsubasa.
Nessun cambiamento eclatante o radicale, per carità…
Però c’è un qualcosa in lui, che mi trasmette una sensazione strana.
Piacevolmente strana.
Come se…
“Ma quanta gente c’è?!”
Mi fermo di colpo, prima di andare a sbattere sulla sua schiena, ora che siamo sulla banchina del binario.
Ero così immersa nei miei pensieri, da non essermi nemmeno accorta che siamo arrivati!
Effettivamente c’è una ressa incredibile e la calca aumenta di secondo in secondo, costringendomi sempre più vicina a Tsubasa.
Non che la cosa mi dispiaccia, ovvio…
Passano giusto un’altra manciata di secondi e il treno arriva in fermata.
Quando le porte scorrevoli si aprono, rimaniamo comunque immobili per dar modo alla gente di scendere, poi una marea umana ci sospinge all’interno del vagone.
L’abitacolo è pieno, tanto che le porte riescono a chiudersi a fatica, prima che il treno riprenda la sua corsa.
Oh soffocherò di sicuro pressata così!
Con la schiena poggiata contro il vetro, alzo il collo in modo da poter respirare meglio.
Ma quando ci riesco, smetto proprio di farlo.
E non c’entra la ressa, né il caldo sprigionato dalla massa di persone appiccicate l’una all’altra.
Il mio viso è semplicemente a pochissimi centimetri dal corpo di Tsubasa.
Quando finalmente riesco a prendere una boccata d’aria, le cose però non migliorano, anzi.
Vengo invasa completamente dal suo odore.
Nelle mie narici entra prepotente la sua essenza…
È il suo profumo.
Che oggi non ha nulla a che fare con i campi da calcio, l’erba e la fatica.
È qualcosa di buono, di particolare.
Di suo.
Respiro a pieni polmoni, come se non avessi bisogno di altro per vivere, tentando comunque di riprendere una respirazione normale, ma quando mi sembra di riuscirci, un altro fattore non trascurabile, subentra istantaneo a mettermi alla prova.
E mi rendo conto è il mio cervello a decidere, che posso affrontare solo una cosa alla volta.
Come se per me fosse troppo sentire tutto insieme.
Dopo il suo odore, avverto ora distinto anche il suo calore.
E riesco a percepirlo, nonostante Tsubasa cerchi con tutte le sue forze di non crollarmi addosso, ad ogni oscillazione del treno sui binari.
Lo guardo di sottecchi, la sua sagoma mi sovrasta.
È diventato più alto in questi mesi.
Strano diventarne consapevoli, proprio in un momento come questo.
I miei occhi indugiano sul suo profilo, che sta perdendo ormai i tratti da ragazzino…
E all’improvviso è di nuovo difficile respirare, perché basterebbe così poco per toccarlo…
Un’altra frenata brusca.
Chiudo gli occhi, strizzando forte le palpebre.
Tsubasa emette uno suono simile a una smorfia, cercando di rimanere in equilibrio.
Quando le porte si aprono e la gente inizia a scendere, sbuffa afferrando una maniglia appesa al soffitto, ora che è in grado di raggiungerla.
Ma il vagone si sta riempiendo inesorabilmente di nuovo.
Tsubasa è costretto a mollare di nuovo il suo appiglio, pressato dalla gente che si accalca intorno a noi.
La sua mano ora preme, per forza di cose, contro il vetro alle mie spalle.
Poco al di sopra della mia spalla.
Sempre più vicino…
E non dovrei sentirmi così…
L’ho già abbracciato in precedenza, subito dopo la finale del campionato…
Ma è una sensazione completamente nuova questa…
Il mio cuore batte all’impazzata, tormentato dal desiderio crescente di un contatto.
Mi stupisco che Tsubasa non riesca a percepirne i battiti, nonostante non ci sia quasi più distanza tra di noi.
Il treno riparte con una nuova scossa, tutte le persone oscillano pericolosamente.
“Scusa…”
Ho un sussulto.
La voce di Tsubasa mi rimbomba nella testa, anche se ne ha usata solo un filo per parlare.
Ma le sue labbra si sono mosse solo ad un centimetro dal mio orecchio.
A dir la verità tutto il suo corpo è a un millimetro dal mio.
Ed ora anche l’altra mano è andata a sorreggere il suo peso, poggiandosi al vetro alle mie spalle.
Circondandomi letteralmente.
Scuoto la testa, per non dover usare la voce.
Ho la gola improvvisamente secca, non riuscirei proprio a dire una parola in quest’istante.
Ed il motivo è molto semplice.
Ora sarebbe ancora più facile toccarlo…
E magari stringerlo a me…
Se solo potessi farlo…
Se potessi davvero…
Mi mordo leggermente le labbra, perché con Tsubasa è sempre così.
Ogni cosa ha un sapore agrodolce, perché alla fine arriva sempre un se di troppo.
Un’altra leggera frenata, il treno sta curvando.
Sul suo viso compare una smorfia frustrata, dovuta all’ennesimo sforzo per non rovinarmi addosso.
E non so nemmeno io come sia possibile.
Spesso i sentimenti ti lasciano poco spazio, per pensare oltre, se sono il contatto, la fisicità a prevalere.
Specialmente se questi sentimenti hanno tanta voglia di concretizzarsi, anche solo in un gesto.
Forse sono solo stufi di rimanere sempre in gabbia.
Alzo la mano.
La alzo finché non raggiungo il suo polso, piegato quasi ad angolo retto contro il vetro.
La sua mano si stacca dal vetro, seguendo il mio movimento.
Poi il suo braccio si distende completamente, parallelo al mio, lungo il mio fianco.
“Tieniti a me…” mormoro, guardandolo negli occhi, ma è come se stessi urlando.
La mia voce sembra forte e chiara, nonostante il rumore del treno in corsa e il brusio della gente intorno a noi.
E mi rendo conto che ci sono così tante implicazioni, in una frase così semplice…
Rimani con me…
Tienimi con te…
“Rischi di cadere…” aggiungo dolcemente, trattenendo sempre la sua mano.
Tsubasa mi fissa serio.
Dal mio petto esce un sospiro sommesso.
“Grazie…” risponde, senza distogliere lo sguardo.
Trattengo il fiato per un attimo, quando sento le sue dita stringersi forte intorno alle mie.
Poi il respiro nel mio petto si fa più denso, perché mi concedo un lusso, nel mio piccolo mondo di cristallo, in cui mi sono elargite veramente poche cose.
Le mie dita sfiorano la sua pelle, in una piccola carezza.
Un gesto di per sé semplice, ma capace di trasformare un vagone affollato e rumoroso, in un luogo magico e soffuso.
Un gesto capace di farmi sentire felice.
Tanto da sorridere.
Incurvando bene la bocca, stringendo appena gli occhi, sopra le gote arrossate.
Anche Tsubasa mi imita, ma il risultato è qualcosa di diverso.
Sbatte le palpebre, le labbra poi si piegano leggermente in un sorriso.
Trattengo di nuovo il respiro nel petto, quando si avvicina impercettibilmente.
La mia mano sempre stretta nelle sua, mentre il braccio che lo sostiene poggiando contro il vetro, sopra la mia spalla, si rilassa in maniera evidente, posso avvertirlo.
Respiro a pieni polmoni, solo quando la mia fronte si appoggia delicatamente, appena sotto il suo pomo d’Adamo.
Respiro come se dovessi fare scorte d’aria.
Aria che mi permetterà di sopravvivere da qui all’eternità.
E non sento più i rumori, né le scosse del mezzo, che sobbalza imperterrito sulle sue rotaie.
Le persone intorno a noi non sono che una nuvola grigia.
Ne distinguo appena le sagome nel mio mondo perfetto, dove tutto invece è messo a fuoco.
E vorrei rimanere così.
Per sempre.
Mentre mi nutro del suo profumo e traggo forza dal suo contatto.
Chiudo gli occhi quando sento le lacrime fare capolino dalle ciglia.
Perché è troppa l’emozione.
È forse troppo per me, davvero, sentire tutto questo…
Perché è semplicemente tutto quello di cui ho disperatamente bisogno.
E la voglia di parlare monta nel mio petto.
Quel desiderio estremo di spezzare il silenzio, che mi consuma ormai da troppo tempo.
Dirti tutto quello che provo per te…
Dirtelo davvero…
Un’altra frenata, un’altra fermata.
Mi rendo conto che è la nostra dalla postura di Tsubasa che cambia, trattenendomi comunque vicino a sé.
Quando le porte scorrevoli si aprono, le sue dita continuano a tenermi salda a lui, anche quando si fa largo tra la folla.
Lo seguo tra le gente, sulla banchina piena di pendolari e di turisti.
La sua mano non mi lascia mai.
Lo seguo quasi inerme, ma non è poi questa novità.
Sono anni che il mio cuore lo insegue, senza chiedere mai niente.
Saliamo al piano superiore, lasciando che la scala mobile si muova di nuovo al posto nostro.
E la mia mano è ancora nella sua.
Sorrido quando indietreggia di uno scalino, per agevolare questo nostro semplice punto di contatto.
Per la gente che ci osserva, forse siamo sono due ragazzini alle prese con il primo amore.
E mi viene da sorridere…
Perché sarebbe bello fossimo in realtà, solo e semplicemente questo.
La salita termina, siamo in prossimità dell’uscita, posso vedere chiaramente il varco dei cancelli automatici, giusto qualche metro più in là.
Una volta superati saremo fuori.
Fuori, dove ci sono gli altri ad aspettarci.
Dove c’è il resto del mondo.
Dove il cristallo diventa più fragile e forse un po’ più opaco.
E all’improvviso mi manca l’aria.
Non voglio uscire.
Avverto il panico.
Il tempo di cui sono schiava, mi sfugge come sempre di mano, inesorabilmente.
Mi guardo intorno ancora per un attimo.
La gente mi scivola addosso, come se fossi una pietra sul fondo di un fiume.
I salmoni tutto intorno a risalire la corrente.
I miei occhi indugiano poi sulle nostre mani, così meravigliosamente unite.
In un intreccio che vorrei non si sciogliesse mai.
“Tsubasa!” esclamo mentre i miei piedi si bloccano, piantandosi al suolo, nemmeno fossero radici.
La mia mano lo trattiene, costringendolo a fermarsi e a voltarsi poi verso di me.
“Che c’è?” mi chiede, stringendo appena intorno alle mie dita.
Tu mi piaci…
Anzi no!
La verità è che hai smesso di piacermi già da tempo…
Perché ora…
Io ti…
“Ecco, io…” borbotto, cercando di recuperare tutto il coraggio che mi serve, per pronunciare poche semplici parole.
“Cosa?”
Tsubasa si avvicina, tornando indietro di un passo, mentre la gente continua a schivarci incurante, evitandoci come se fossimo di marmo.
Distolgo lo sguardo mentre la mia lingua scorre sulle labbra, che sento aride come la mia gola.
E al panico si sostituisce istantanea la paura.
Quella che conosco più che bene e che annienta quel minimo di forza di volontà recuperata, in un attimo, come niente fosse.
Perché potrei anche dirglielo, che sono innamorata di lui.
Potrei farlo davvero, mi rendo conto.
Anche in mezzo a gente sconosciuta, in un’anonima stazione della metropolitana di Kyoto, lontana centinaia di chilometri da casa.
Ma poi?
Cosa succederebbe poi, Sanae?
Non te lo sei già chiesta un’infinità di volte?
Cosa vuoi sentirti dire?
Che comunque non sarà abbastanza?
Che sarà difficile?
O peggio, che forse è meglio rimanere solo amici?
Perché quel giorno arriverà comunque…
Quando torno a guardare Tsubasa, riesco a leggere un velo di preoccupazione nei suoi occhi mentre nella mia testa si formula la solita risposta, quella retorica, al mio fiume di domande.
Non te lo puoi permettere, Sanae…
Perché le paure alla fine, sono sempre più grandi di me.
Tutta questa situazione in realtà lo è.
“Tutto bene?” mi chiede, probabilmente non riuscendo a spiegarsi il mio silenzio.
“Sì, tranquillo…” cerco di rassicurarlo, rassegnandomi alla mia odiosa codardia.
Tsubasa non sembra convinto e mi scruta ancora, arcuando leggermente le sopracciglia.
“Non era niente d’importante…” mento spudoratamente, accentuando quello che dovrebbe essere un sorriso sereno, almeno all’apparenza.
“Sicura?” insiste perplesso.
“Certo!” esclamo annuendo, sempre senza smettere di sorridere.
Anche se è così triste non poter dar voce al mio amore…
“Allora andiamo, gli altri ci staranno sicuramente aspettando!”
Tsubasa si volta e riprende a camminare.
Lo seguo meccanicamente, non potendo distogliere lo sguardo dalla sua mano.
La mia mente per proteggersi dalla delusione, si concentra sulla mia, che quasi scompare tra le sue dita.
Pochi passi ancora e oltrepassiamo i varchi.
Stringo di più la presa, mentre i miei occhi si soffermano sulla sua schiena.
Le sue spalle: la metafora perfetta della mia situazione.
Perché sembra proprio il mio destino, guardarti mentre ti allontani.
E quando prenderai addirittura altre direzioni, non basterà di certo la mia mano a trattenerti.
Non potrà farlo nemmeno il mio amore, in nessun modo.
Quando siamo fuori, il sole caldo di settembre è come un flash, che riporta i miei occhi alla realtà.
E mi sento come Alice(5), appena sveglia di ritorno dal suo viaggio, incredibile e fantastico.
In lontananza intravedo il pullman e l’assemblea dei nostri compagni di scuola, che in questi ultimi lunghissimi minuti, avevo proprio dimenticato.
Non ci hanno ancora visti.
Assaporo ancora un po’ il tepore che sprigiona la sua mano.
Un secondo ancora, poi accade l’inevitabile.
Le nostre dita si separano.
All’unisono, come se fossimo d’accordo.
Nella mia mano ora c’è solo tanto freddo, ma non ho tempo di piangermi addosso.
La nostra comitiva si è appena accorta del nostro arrivo.
Pochi passi e siamo di nuovo circondati, ma questa volta da quelli che sono volti amici.
Nella confusione generale cerco di prendere di nuovo contatto con la mia realtà.
Rido e scherzo, come niente fosse.
Mentre mostro a Yukari gli acquisti per la mamma, senza badare all’insistenza della sua voce, che mi chiede ripetutamente come siano andate le cose con Tsubasa.
Mentre minaccio Ishizaki, che non deve nemmeno accennare a sentirsi male durante il viaggio, per colpa della fogna, che ha al posto dello stomaco.
Mentre osservo Tsubasa ridere allegro, quando Izawa si lamenta con se stesso per aver provocato un pozzo senza fondo come Ryo, spendendo una fortuna al ristorante.
Il professore ci richiama all’ordine, proprio mentre quest’ultimo si vanta dei suoi primati fuori dal campo, quando è a tavola.
In maniera composta ci mettiamo in fila per salire sull’autobus.
Quattro ore circa e saremo di nuovo a casa.
Raggiungo il mio posto accanto a quello di Yukari, che deve essere rimasta indietro.
Non riesco ancora a vederla entrare.
Prima di accomodarmi, mi alzo in punta di piedi, per sistemare la mia busta negli appositi porta pacchi.
Se allungo bene le braccia dovrei riuscire a posizionarla….
“Aspetta, ci penso io…”
Non ho nemmeno il tempo di voltarmi.
Tsubasa prende il pacchetto dalle mie mani e con un semplice gesto, lo poggia sulle grate metalliche, assicurandosi che non rischi di cadere durante il viaggio.
“Grazie!” esclamo riconoscente, voltandomi verso di lui.
Tsubasa sorride mentre con la coda dell’occhio noto altri studenti avvicinarsi, per raggiungere i propri posti, oltre la mia seduta.
Poi lo stupore…
M’investe in pieno.
La mano di Tsubasa stringe di nuovo la mia.
Indugia, sfiorando le mie dita per una manciata di secondi.
Quando si allontana poi furtivamente, per permettere agli altri di passare, mi sento di nuovo caduta nella tana di Bianconiglio(5).
Continuo a fissare Tsubasa, mentre prende posto in fondo all’autobus, ormai quasi pieno.
Incapace di fare altro, insensibile alla voce di Yukari che mi chiama.
Quando i nostri sguardi s’incrociano di nuovo, avverto una strana stretta all’altezza del mio cuore.
Perché è come se gli occhi riuscissero a parlare…
 
 
 
 
 
 
(1)  Shugaku ryoko: gita scolastica in giapponese.
(2) Fushimi togarashi: è la varietà di peperoncino introdotta per prima in Giappone. Non è piccante e cuocendolo se ne fa risaltare il gusto. I modi di mangiarlo sono vari, ad esempio lo si può mangiare nel tempura, nei cibi cotti e negli arrosti.
Kamonasu no dengaku: piatto tipico della cucina di Kyoto, tipicamente estivo, che si prepara con le melanzane kamonasu. Si tagliano le melanzane a rondelle e le si arrostiscono allo spiedo. Poi si mangiano con il miso, salsa di soia e zenzero.
(3) Castello Nijō: eretto a partire dal 1626 al centro di Kyoto da Tokugawa Ieyasu. Le cinque costruzioni principali sono collegate da lunghi corridoi con pavimenti formati da tavole che emettono particolari cigolii quando sono calpestate (pavimento degli usignoli) al fine di impedire che si avvicinassero visitatori inaspettati.
(4) Yoisho! È comunemente classificata come parola kakegoe, cioè è una di quelle parole che indicano incitamento o incoraggiamento rivolto verso gli altri o verso se stessi.
(5) “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll.
 
 
Solo un paio di righe per mandarvi i miei più sentiti e affettuosi auguri di un sereno Natale e un felice anno nuovo!
Il prossimo capitolo sarà il mio regalo di Natale, ma non consideratelo in ritardo, perché si sa, Babbo Natale deve ancora passare… ;)
L’aggiornamento tornerà al solito giorno settimanale, quindi l’appuntamento, se vi va, è per venerdì 1° Gennaio (salvo imprevisti xD)!
Un abbraccio...
OnlyHope <3 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 

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Capitolo 17
*** Ruba un giorno al tempo ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 15

Ruba un giorno al tempo(1)
 
 
 
 
 

“Senti… Ma dov’è che devi andare di preciso?”
Sanae mi guarda perplessa.
Distolgo lo sguardo, temporeggiando un po’ prima di risponderle, non so nemmeno io che cosa.
Non posso proprio darle torto, oggi non ho fatto altro che tormentarla.
O meglio, stamattina mi sono alzato dal letto con la convinzione di parlarle.
Ovviamente, non di massimi sistemi…
In questa mia nuova realtà, lontana dal calcio, in cui devo solo aspettare di partire e in cui non ci sono distrazioni, diversivi e nemmeno avversari d’affrontare...
In questa vita, adesso, tutto è stracolmo di lei.
Ogni pensiero, addirittura ogni respiro.
E non ce la faccio più a tenermi tutto dentro, perché sento proprio il bisogno di viverli, questi miei sentimenti per lei.
Mi pento solo di non averle detto cosa provo, quando eravamo soli a Kyoto, un paio di giorni fa.
Indietro purtroppo non si torna, quindi stamattina sono arrivato a scuola carico e motivato.
Ma poi le cose non sono andate come avrei voluto e non sono riuscito a dirle nemmeno una parola.
D’importante intendo.
Ad ogni mio tentativo c’era sempre qualcosa che non andava.
Dal chiasso in corridoio al timore di essere interrotto da qualche bontempone, tipo Ryo.
Durante la pausa pranzo siamo stati entrambi in classe, ma Sanae ha pranzato con le altre ragazze.
Il pomeriggio l’abbiamo trascorso separati invece, lei in biblioteca ed io al campo ad allenarmi.
Alla fine penso che sia proprio mancato quell’attimo ideale.
In poche parole: sono un fesso totale.
Ma non mi arrendo, perché la mia convinzione è rimasta comunque immutata.
Ho deciso che non aspetterò un giorno di più e così sarà.
“Al belvedere!” rispondo all’improvviso, grazie ad un’illuminazione dell’ultimo momento.
Ma come ho fatto a non pensarci subito!
Sì, il belvedere è decisamente un posto perfetto, tranquillo…
È anche il luogo dove ho affrontato la mia prima sfida importante, appena arrivato in città.
Proprio da lì ho calciato il pallone con la dichiarazione di sfida a Genzo, che volò dritto tra le sue braccia, mentre si allenava nel giardino di Villa Wakabayashi.
Lo so, a volte faccio delle associazioni assurde…
Non è mica una sfida questa!
Ma sono solo un po’ nervoso...
“Al belvedere?!”
Mi volto e fisso Sanae, che mi guarda visibilmente interdetta, alzando un sopracciglio e storcendo un lato della bocca.
E non posso evitare di scoppiare a ridere divertito, perché la sua perplessità è esilarante, in questa situazione.
Si vede proprio che non ha la minima idea, di quello che mi passa per la testa!
“Sì, esatto! Muoviti non perdiamo tempo!” la esorto, cominciando a intraprendere la salita composta da ampi scalini, che porta al posto più in alto della città.
“Oh per carità, sbrighiamoci! Come se ci fosse chissà che cosa lassù, pronta a scappare da un momento all’altro…” la sento borbottare sarcastica mentre inizia a seguirmi.
Camminiamo in silenzio lungo tutto il pendio, ancora poche centinaia di metri e saremo arrivati.
Giunti in cima, è impossibile non rimanere impressionati dal monte Fuji, che si staglia definito all’orizzonte.
Lo fisso, mani sui fianchi, cercando di trarre forza dalla sua immagine massiccia ed imponente, contro il cielo azzurro.
Ma non ottengo grandi risultati, mi sento comunque sempre più nervoso.
Raggiungo così l’albero secolare al centro della terrazza panoramica e mi siedo a terra, cercando disperatamente di calmarmi un po’.
Ecco, ora dovrei riuscire a trovare un modo per intavolare il discorso.
Ma dove cominciare?
Mi distraggo un attimo quando Sanae mi raggiunge, sedendosi accanto a me.
Impossibile non notare il suo sguardo, tuttora circospetto.
“Sei stata a studiare in biblioteca anche oggi?” le chiedo, per prendere tempo, interessandomi delle uniche ore in cui l’ho persa di vista a scuola.
“Sì, certo!” mi risponde, un leggero sbuffo le gonfia le guance arrossate dalla salita.
“Tu invece sei stato al campo?”
“Sì, certo!” la scimmiotto un po’, provando a fare lo spiritoso.
Sanae mi guarda aggrottando le sopracciglia, ma si vede lo stesso che è divertita.
“Che bello avere il lusso di non toccare libro!” esclamo poi, cercando di alleggerire la mia tensione.
Mi accorgo praticamente subito però, di aver commesso così un errore clamoroso.
Non volendo, ho fatto allusione all’unico argomento, che sarebbe preferibile evitare con lei: il mio trasferimento in Brasile, appena terminato l’anno scolastico.
La reazione di Sanae è inevitabilmente quella che mi aspetto.
Lei sorride, ma nei suoi occhi c’è qualcosa d’indefinito e distante.
Bravo, Tsubasa!
Complimenti davvero…
Non si dovrebbe far venire il malumore ad una ragazza, un attimo prima di dichiararsi.
Mi sento improvvisamente uno stupido, così distolgo lo sguardo mentre strappo con le dita un filo d’erba.
Poggiando i gomiti sulle ginocchia piegate, comincio a torturarlo, come se fosse lui la causa dei miei turbamenti.
Intanto all’orizzonte, il sole inizia la sua placida discesa, colorando il cielo di quel rosa che poi diventerà arancione.
Nella mia testa i pensieri si accavallano, come se non avessi mai esaminato la situazione.
Pensieri che hanno un solo unico comune denominatore: la mia partenza, che è la causa effettiva, di tutti i miei problemi di cuore.
E alla fine capisco una cosa…
Non è poi così sbagliato affrontare l’argomento, per dire a Sanae che, nonostante tutto, sono innamorato di lei.
Probabilmente non sono riuscito a dirle nulla stamattina, proprio per questo motivo.
Ho preteso d’ignorare che partirò, come se fossi un ragazzo come tanti, ma non posso fingere di essere qualcun altro.
Non posso ignorare di aver preso decisioni importanti, soprattutto quando voglio dichiararmi alla ragazza che amo.
"Alla fine della scuola partirò per il Brasile."
Inizio a parlare senza rendermene conto, ora che ho capito che cosa dire.
"Non so se e quando tornerò a casa..."
Un sospiro poi mi volto a guardarla, sorreggendo il peso del mio corpo sulla mano, aperta contro l’erba.
"Ma c'è una cosa che devo fare, c'è una cosa che voglio assolutamente fare!"
Continuo senza freni, ora che forse ho capito anche cosa fare, appunto.
Sanae inclina leggermente la testa, guardandomi in maniera interrogativa.
Ed io penso che sia davvero la ragazza più bella del mondo…
E che non voglio vivere nel suo rimpianto, quando sarò lontano.
"Che cosa, Tsubasa?" mi chiede innocentemente, sbattendo le palpebre sugli occhi scuri.
E all’improvviso mi sembra sensato agire.
Me ne convinco quando il mio sguardo si posa sulle sue labbra socchiuse, che sembrano così morbide, anche solo a guardarle.
Basta così poco, per azzerare ogni distanza.
Basta solo un gesto, per trasmetterle cosa provo per lei e le parole possono venire tranquillamente dopo.
Senza esitare oltre, inclino il busto verso di lei.
La pressione contro la mia mano a terra aumenta.
Nei suoi occhi la confusione poi lo stupore.
Deglutisco mentre le sue guance si colorano di porpora e noto il suo respiro, che si fa denso nel petto, proprio come il mio…
Socchiudo gli occhi quando sono ad un centimetro dal suo viso.
Ed è magnifico come riesca a sentire Sanae adesso.
Riesco a percepire tutto di lei, nonostante la stia solo sfiorando.
Il mio cuore accelera ancora di più i battiti, quando intravedo i suoi occhi chiudersi.
E nel momento in cui annullo la distanza…
Non c’è fibra del mio corpo che non senta il calore…
Sprigionato dal contatto con le sue labbra, che sì…
Sono morbide, proprio come immaginavo…
Mi pento amaramente di non averlo fatto prima, di non averla baciata, ogni volta mi sia passato per la testa.
È stato proprio stupido rinunciare a tutto questo, fino ad ora.
Stupido davvero…
E l’emozione che sento non è paragonabile a nulla…
Mi separo da lei, quando avverto l’urgenza di guardarla di nuovo negli occhi.
Per sapere…
Per vedere…
Come se non fosse già tutto chiaro ora, tra di noi…
Sanae mi fissa, respirando quasi a fatica.
Nel suo sguardo un altro tipo di esigenza, che mi fa capire che è arrivato il momento di usare anche le parole.
“Sono innamorato di te, Sanae…”
Lo dico senza distogliere lo sguardo, sentendomi improvvisamente leggero.
Libero, proprio come quella lacrima che ora le riga il volto.
Sanae sorride dolcemente ed io riconosco quel sorriso.
L’ho visto già tante altre volte, è qualcosa che non mi ha mai negato…
Nemmeno nei silenzi, che ci hanno accompagnati in questi mesi.
Sanae continua a sorridere, nonostante le lacrime sul suo viso siano aumentate di numero.
Sono lacrime di gioia, non fa male vederle ma è comunque più forte l’istinto di arginarle.
Alzo una mano per raggiungere il suo volto, ma qualcosa me lo impedisce all’improvviso.
La braccia di Sanae circondano il mio collo, stringendo forte, le dita aggrappate alle mie spalle.
Il suo profumo m’investe poi sento di nuovo le sue labbra, premute forte contro le mie.
D’istinto, chiudo gli occhi.
La stringo un po’ più a me.
Ammesso che sia possibile, stare più stretti di così.
In questo lungo primo bacio, che mi fa sentire bene.
Appagato, completo.
Semplicemente felice.
“Anch’io…” mormora poi, nascondendo il viso nell’incavo del mio collo.
“Io ti amo così tanto, Tsubasa…”
Il mio cuore ha un sussulto.
Evidentemente desideravo davvero sentirglielo dire.
“Così tanto, che non sapevo più come fare…”
L’abbraccio con più forza, perché so benissimo di cosa sta parlando.
“Io non potevo più ignorare i miei sentimenti per te…” le confesso sinceramente, lasciando sottintendere tutto quello che mi ha angustiato in questi mesi.
Sanae alza lo sguardo su di me, asciugando le lacrime con il dorso della mano.
“Nonostante tutto quello che succederà poi…” aggiungo, perché è comunque difficile ignorare che il nostro tempo non sia indeterminato.
Sanae scuote la testa, i suoi capelli dondolano armoniosamente mentre il vento li accarezza.
“C’è ancora tempo!” esclama sorridendo, prendendo le mie mani tra le sue.
“Io voglio solo stare con te! Non m’importa più nulla del resto!”
Le sorrido, stringendo ancora di più le sue dita.
Perché ha ragione…
Che senso ha avere paura di soffrire, se prima non si è mai stati felici veramente?
Al diavolo tutto!
Io me la voglio proprio prendere tutta questa felicità, senza arrovellarmi e senza indugiare.
Al resto ci penserò poi
Quando verrà il momento…
Nell’abbraccio di Sanae, quel poi si allontana come se il tempo si dilatasse.
Come se importasse solo il presente.
Poggio il mento sulla sua testa e mi volto leggermente, per guardare l’orizzonte.
Il cielo ora ha preso la tinta delle arance e il sole è un semicerchio, che fa capolino lungo il crinale del vulcano.
“Tra un po’ sarà buio, ti riaccompagno a casa…” mormoro, continuando a fissare il panorama.
Sanae si stringe un po’ più a me, scuotendo leggermente la testa.
“Solo un altro minuto…”
Annuisco mentre la sento sospirare, strappandomi così una risata felice e rilassata.
Quando si allontana infine da me, Sanae mi fissa sorridendo poi morde appena la labbra, prima di parlare.
“Dobbiamo proprio andare?” mi chiede, inclinando leggermente le testa e sbattendo le palpebre più volte, sugli occhi ancora lucidi.
La fisso e mi manca improvvisamente il fiato.
È la mia ragazza solo da dieci minuti e già riesce a mettermi sotto scacco, usando solo un battito di ciglia.
“Ehm credo di sì…” borbotto mentre prendo a tormentare la nuca con una mano.
Sanae sbuffa contrariata, spostando lo sguardo, ma la sua è solo una finta e a me sembra ancora più carina, ora che i suoi occhi brillano davvero.
Quando torna a guardarmi, sorride ancora, ma in maniera differente.
Le sue labbra sono arcuate di lato e ha le gote un po’ più rosse.
“Ok, ma prima voglio un altro bacio…” sussurra, guardandomi di traverso leggermente imbarazzata, nonostante faccia la spavalda.
Sul mio viso si sprigiona un calore improvviso, capisco così che devo essere visibilmente arrossito.
In fondo sono sempre il solito Tsubasa, che va un po’ nel pallone, se preso in contropiede.
E non si tratta di un banale e scontato gioco di parole, in questo caso.
Imbarazzo a parte, mi avvicino al suo viso di nuovo, desideroso di assecondare subito la sua richiesta.
Quando entro di nuovo in contatto con le sue labbra, mi sfiora un pensiero…
D’ora in poi sarà bellissimo...
Potrò baciarla quando voglio…
Parlarle, vederla senza più nessuna turba mentale ad angosciarmi.
Spalanco gli occhi all’improvviso, quando le sue mani prendono il mio viso.
La sua bocca aumenta la pressione contro la mia, poi Sanae lascia le mie labbra, con uno schiocco rumoroso.
Rimango imbambolato a guardarla mentre si alza da terra e inizia a spolverare la gonna della divisa con le mani.
Quando si volta, continuo a fissarla sbattendo a malapena le palpebre.
Con un sorriso si avvicina poi allunga un braccio verso di me.
“Avresti dovuto farlo tu, ma ci vuole pazienza con te!” scherza, incitandomi a prendere la sua mano.
La afferro poi le sorrido.
Quando faccio per tirarmi su, è sufficiente un colpo di reni per essere di nuovo in piedi accanto a lei, ma non ci penso nemmeno a lasciare la sua mano.
Anzi, con un piccolo strattone, avvicino Sanae a me ed è chiaro ormai, che non sarò mai più capace di mantenere le distanze con lei.
Non ho assolutamente più motivo di farlo.
Sanae scoppia a ridere divertita, mentre le cingo le spalle con un braccio e insieme c’incamminiamo verso casa.
Scendiamo per la scalinata senza fretta, stavolta vicini davvero.
La discesa è così diversa dalla salita
Sanae ed io camminiamo l’uno accanto all’altra, come già tantissime altre volte in passato.
Camminiamo sì, ma tenendoci semplicemente mano nella mano.
Per la prima volta insieme.
Ma insieme veramente.
 




 
(1) Carpe diem: ovvero una sorta d’invocazione a cercare di porsi al di fuori dall'interminabile e continuo ciclo "distruttore" del tempo, è una locuzione tratta dalle Odi del poeta latino Orazio (Odi 1, 11, 8).
 

Come prima cosa vorrei scusarmi se non sono riuscita a rispondere alle precedenti recensioni ma ho davvero pochissimo tempo a disposizione, è già un miracolo che oggi sia riuscita a mettere on line questo capitolo ovvero il “regalo di Natale”!
Cercherò di rimediare nei prossimi giorni nel frattempo vi auguro un buon 2016!
A venerdì prossimo!
OnlyHope  

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Capitolo 18
*** Shūubun ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 16

Shūubun(1)

 
 
 
 


Come ci si sente quando si è davvero felici?
Me lo sono chiesta un’infinità di volte, in passato.
Difficile a dirsi, quando la gioia sembra solo un miraggio lontano, davvero irraggiungibile.
Ma ora tutto è cambiato e posso affermare con certezza che essere felice è come sentirsi costantemente su di giri…
Come se si fosse perennemente attraversati da corrente!
Quando si è felici poi, i sensi sembrano capaci di vivere di vita propria, perché non si sente l’appetito, né si avverte il bisogno di dormire.
Tutto è magnificamente perfetto così!
E non importa se il cielo è grigio, coperto di nuvole e non c’è speranza di sole all’orizzonte, come non conta questa pioggia, che cade rumorosa contro il mio ombrello!
L’amore, quando è corrisposto, è uno stato estremo di beatitudine…
E si sorride sempre, senza un apparente motivo, proprio come adesso.
Senza poterne fare a meno.
Sono innamorato di te…
Un sospiro mi sgonfia il petto, proprio come succede alle protagoniste dei film romantici.
Da ieri non ho fatto altro che respirare così, anche una volta tornata a casa.
Non ho cenato, né guardato la televisione e a dir la verità, non ho nemmeno aperto bocca.
Nonostante i miei genitori mi fissassero con sguardi perplessi.
Ho salutato solo papà con un bacio in fronte, prima di salire velocemente in camera per starmene da sola e ripensare alle ore precedenti, rivivendole a ciclo continuo nei miei pensieri.
Sdraiata sul mio letto mi sono goduta il momento, pensando e ripensando al pomeriggio trascorso insieme a Tsubasa.
Il mio ragazzo…
Inevitabilmente il mio sorriso si distende ancora, perché poterlo chiamare in questo modo è qualcosa di così…
Non riesco a trovare l’aggettivo giusto, per descrivere ciò che va ben oltre a ogni mia più rosea immaginazione!
So solo che lui è finalmente mio!
E questo pensiero è capace di farmi sospirare ancora, senza rimedio.
Ah che magnifica sensazione la beatitudine…
Non ha importanza se una leggera emicrania mi avvolge le tempie, perché non sono stata capace di chiudere occhio per tutta la notte.
Come avrei potuto dormire?
Ieri pomeriggio ho dato il mio primo bacio!
E tutte le emozioni vissute ho voluto tenerle il più possibile per me, in una sorta di geloso riserbo.
Non ho nemmeno chiamato Yukari per raccontarle tutto...
Ma stamattina invece…
Mi sento pervasa da una frenesia tale, che mi metterei a cantare sotto la pioggia!
Incurante di bagnarmi, scosto l’ombrello dalla testa e alzo gli occhi al cielo.
L’acqua che cade lieve ma decisa, mi sfiora la fronte ed io non reprimo l’ennesimo sorriso felice.
Non vedo l’ora di vederlo…
E un sospiro esce di nuovo dal mio petto, come se non fossi capace di respirare altrimenti mentre la pioggia mi bagna i capelli.
“Sanae, ma che fai?!”
Mi volto senza essere sorpresa, perché nulla oggi può scalfire il mio stato di beatitudine.
E non ho nessuna voglia di uscire dal mio stato confusionale.
Yukari mi fissa arcuando le sopracciglia, girando il manico dell’ombrello, poggiato sulla sua spalla, da cui partono schizzi d’acqua, provocati dalla forza centrifuga.
Alzo le spalle e le sorrido, non curante del suo sguardo allibito.
Yukari a questo punto si avvicina, scrutandomi circospetta.
Io la lascio fare, assaporando il momento che precede la mia rivelazione, anzi all’improvviso decido di temporeggiare, provocandola con un sorriso sornione, per lasciarle intendere che ci sia qualcosa di grosso a bollire in pentola.
Yukari aggrotta ancora le sopracciglia mentre attraversiamo i cancelli del plesso scolastico.
“Sanae, che facce fai?” mi chiede ancora, piegando il busto sotto il mio ombrello, in modo da potermi squadrare meglio, più da vicino.
Un altro ghigno beffardo m’increspa le labbra, perché non resisto proprio all’idea di tenerla ancora sulle spine!
Ogni mia attenzione però viene catturata all’istante da una voce.
La sua voce, che chiama il mio nome.
Mi volto di scatto, senza trattenere minimamente l’entusiasmo, fregandomene dei miei piani mirati a far morire di curiosità la mia migliore amica.
Ma è talmente tanta la gioia di vederlo!
Sento quasi scoppiare il mio cuore nel petto!
Tsubasa, il mio ragazzo.
“Non dovevi essere con i kōhai al campo?” gli chiedo quando ci raggiunge, perché noto subito che indossa la divisa scolastica, anche se è ormai quasi zuppa.
“Troppo fango! Abbiamo lasciato perdere per oggi!”
Tsubasa si ficca veloce sotto il mio ombrello, strappando il manico dalle mie mani e circondando le mie spalle con un braccio, in modo da rimanere riparati entrambi.
“Ciao Nishimoto!” si rivolge poi a Yukari che…
Oh la sua faccia è impagabile in questo momento!
“Ciao…” borbotta la mia migliore amica, alzando meccanicamente una mano.
I suoi occhi però non fanno che scorrere ripetutamente tra me e Tsubasa, e viceversa.
“Mi presti l’ombrello?” mi chiede innocentemente il mio ragazzo, che non sa di aver innescato con il suo comportamento, un meccanismo quasi perverso.
So già infatti, che ora Yukari diventerà un’aguzzina, pronta ad estorcermi informazioni ad ogni costo!
“Certo, prendilo pure!”
“Grazie! Corro ad asciugarmi prima che inizino le lezioni. Ci vediamo dopo in classe!”
Annuisco e quando Tsubasa sfiora volutamente la mia mano, prima di allontanarsi, sento anche che sto arrossendo.
Ovviamente tutto questo senza smettere mai di sorridere.
La pioggia battente su di me mi ricorda però, che non posso starmene ferma in mezzo al cortile per molto.
Un passo e sono sotto l’ombrello della mia migliore amica.
Yukari continua a fissarmi ma io non mi curo di nasconderle la mia felicità, evidenziata da quello che è diventato ormai, il mio odierno sorrisetto da ebete.
In silenzio raggiungiamo l’edificio scolastico, ma una volta nell’ingresso, decido di separarmi da lei con uno scatto, senza darle modo di seguirmi.
Così per torturarla un altro po’.
Ma quando chiudo il mio armadietto per le scarpe, quasi mi viene un colpo!
Yukari mi fissa ancora, sbucando da dietro l’anta.
I suoi occhi sono due fessure millimetriche.
Sorrido divertita, prima di chiederle se le serva qualcosa.
“Che cos’era quella cosa?”
Yukari m’ignora e passa subito all’attacco.
“Di che parli?” le chiedo, continuando imperterrita a fare la finta tonta.
La mia migliore amica non si trattiene e rotea vistosamente gli occhi al cielo.
“Quella cosa che ho visto prima con Tsubasa!” e con il pollice indica oltre le sue spalle, dove in linea d’aria, dovrebbe esserci il cortile.
“Dietro di voi c’erano bolle luminose e cuori! Nemmeno nel più zuccheroso degli shoujo manga, ne ho visti così tanti!”(2)
Scoppio a ridere divertita, perché questi paragoni assurdi sono proprio da lei.
“Dai andiamo in classe, te lo racconto dopo!” e faccio per dirigermi verso i corridoi, ma Yukari me lo impedisce, letteralmente.
Fisso la sua postura, che sembra quella di un guerriero più che di una ragazzina delle medie.
Gambe divaricate, sguardo un po’ truce e mani sui fianchi.
“No! Noi adesso saltiamo la prima ora!”
“Ma sei matta?!” esclamo ridendo, sempre più divertita dalla sua impazienza.
“Quest’anno abbiamo gli esami!” aggiungo poi, fingendo di essere seriamente preoccupata per il nostro andamento scolastico.
“Sanae! Qui stiamo parlando di qualcosa di molto più grosso!” esclama esasperata la mia migliore amica, girando i palmi delle mani in aria.
“Yukari, ci vediamo a pranzo. Fila via immediatamente!”
E senza lasciarle modo di replicare, mi dirigo veloce verso la mia classe.
Cercando d’ignorare la sua voce, che mi chiama per nome e cognome, proprio come faceva mia madre, quando da piccola ne avevo combinata qualcuna delle mie.
Fortunatamente, la campanella suona proprio quando raggiungo il mio banco.
Mi siedo con uno sbuffo, mentre anche il resto della classe prende posto.
Compreso Tsubasa, due file dietro alla mia.
Gli sorrido mentre ci alziamo di nuovo, per l’ingresso in aula del professore.
Lui ricambia e a me sembra di vivere su una specie di nuvoletta, soffice e colorata.
E temo che oggi sarà veramente dura, seguire attentamente le lezioni.
Quando il professore inizia a blaterale infatti, la mia mente si scollega quasi immediatamente.
Ma non importa, ho deciso di prendermi un sacco di libertà in questa giornata, perché questi sono momenti, che non torneranno mai più e che rimarranno per sempre nel mio cuore.
Per tutta la vita, come è giusto che sia, con i più preziosi dei ricordi.
“Nakazawa?”
Mi volto appena, sentendo bisbigliare il mio nome alle mie spalle.
Meiko Yamada mi sorride maliziosamente, poi tende una mano verso di me.
“Te lo manda Ozora…” mormora, ammiccando ancora, quando prendo il biglietto nascosto tra le sue dita.
In maniera piuttosto banale annuisco, arrossendo in maniera vistosa mentre la mia compagna di classe mi regala un altro sorriso malizioso, accompagnato da una mossetta delle spalle.
Torno seduta composta, fissando il pezzetto di carta tra le mie mani.
Mi sento stupidamente emozionata.
So che può sembrare sciocco, me ne rendo conto da sola, ma ricevere un suo bigliettino durante una lezione, faceva parte dei miei tanti desideri riguardanti Tsubasa.
Poter vivere questi momenti come una qualsiasi adolescente innamorata…
È qualcosa di così prezioso per me.
Non reprimo un sorriso aprendo il foglietto, all’interno riconosco subito la calligrafia frettolosa di Tsubasa.
Con questa pioggia niente campo questo pomeriggio.
Tu devi andare in biblioteca?
Effettivamente ogni giorno, dopo la pausa pranzo, ci riuniamo a studiare proprio là, con il resto della vecchia squadra.
Abbiamo deciso tutti insieme di esercitarci il più possibile, per passare al meglio l’ammissione alle superiori, ma anche per aiutare Ishizaki con il programma del semestre, nonostante lui soffra come un cane, a passare ore ed ore sopra i libri.
A malincuore scrivo la mia risposta affermativa sul foglietto poi mi volto di nuovo verso Yamada, che sembra totalmente divertita dal suo compito, in questo scambio di messaggi.
Qualche secondo, in cui faccio finta di concentrarmi sulle parole del professore alla lavagna e la sua mano picchietta di nuovo, contro la mia spalla.
Questa volta allungo un braccio all’indietro, senza nemmeno voltarmi.
Se vuoi ti aspetto lo stesso, così torniamo a casa insieme!
Un sospiro m’incurva le spalle…
L’idea che Tsubasa voglia rimanere comunque a scuola a causa mia, mi rende così felice!
Istintivamente, mi volto nella sua direzione.
Tsubasa mi osserva con aria interrogativa.
Lo guardo e dentro di me sale il dispiacere, perché mi sembra ingiusto trattenerlo qui oltre l’orario, con questo tempo e senza nulla da fare.
Gli sorrido dolcemente prima di abbassarmi di nuovo sul pezzo di carta aperto sul banco.
A malincuore, scrivo di non preoccuparsi e di tornare tranquillamente a casa.
Mi volto ancora verso di lui, mentre è intento a leggere il mio messaggio.
Quando alza gli occhi su di me, gli sorrido ancora per rassicurarlo.
Tsubasa annuisce, alzando un pollice in alto.
Ok, devo smetterla di sospirare però…
Non è normale!
Torno a guardare verso la lavagna, decisa a concentrarmi seriamente ora.
Ma questo mio stato fluttuante non mi permette di farlo.
I miei pensieri volano altrove per tutta la mattinata.
Le ore si susseguono, tra un suono e l’altro della campanella.
In questo continuo voltarsi e cercarsi, che mi fa quasi girare la testa.
Per tutta la mattinata ho cercato il più possibile di essere presente, non solo fisicamente ma a stento sono riuscita a cogliere i vari cambi di materia.
Quando finalmente arriva la pausa pranzo, mi accorgo di avere sotto al naso ancora il quaderno d’inglese, materia che avrebbe dovuto tenermi impegnata due ore fa.
Ripongo i libri sotto al banco con un’alzatina di spalle poi cerco il mio bentō nella borsa.
Bentō che, ovviamente, ho dimenticato a casa!
Non mi chiedo dove ho la testa ma mi limito a pensare, che tanto non avevo nemmeno tutta questa fame.
Mi alzo dal mio banco e quando il mio sguardo si posa sulla porta dell’aula, incrocio quello di Yukari, che mi aspetta scalpitante sulla soglia.
Sghignazzo ma lei non si scompone, anzi mi indica con l’indice poi volta il pollice oltre le sue spalle, invitandomi elegantemente ad uscire.
“A volte sembra una teppista…” borbotto divertita, mentre la raggiungo, non prima di aver fatto un cenno a Tsubasa, che arrossisce subito.
Credo immagini il contenuto della conversazione, che avrò a breve con la mia migliore amica.
“Yukari, devo prima andare a prendere qualcosa di sotto, ho dimenticato il pranzo!” esclamo, quando le sono accanto in corridoio.
Lei mi squadra da capo a piedi, di nuovo allibita poi scuote vistosamente la testa.
Un secondo dopo il suo contenitore del pranzo oscilla pericolosamente, come un pendolo, davanti al mio naso.
“Non c’è problema. Dividiamo questo!” e senza darmi modo di aggiungere altro, mi prende per un braccio, trascinandomi poi di peso per ben tre piani di scale.
“Allora?!” mi chiede, appena mettiamo piede sul pianerottolo, che porta al tetto della scuola.
Temporeggio ancora un po’, sedendomi comoda sui gradini, nonostante stia morendo dalla voglia di condividere con lei tutta la mia felicità.
“Sanae!” mi incita Yukari, sedendosi veloce accanto a me, abbandonando il suo bentō un paio di gradini più in là.
Un bel respiro per incoraggiarmi poi mi volto a guardarla.
Yukari è completamente concentrata su di me, così le sorrido, mordendo leggermente il labbro inferiore.
Come se un gesto come questo fosse capace di arginare il fiume in piena, che scorre dentro di me.
Poi annuisco, semplicemente, sorridendo ancora in maniera allusiva, per farle intendere quello che è successo ieri.
La mia amica sgrana leggermente gli occhi poi inizia ad annuire ripetutamente, visibilmente eccitata, come a volermi confermare, che ha letto giusto nel mio sguardo.
“Non so nemmeno io come sia stato possibile…” una piccola pausa, prima di dire ad alta voce, quello che mi riempie di gioia il cuore, da nemmeno ventiquattro ore.
“Ma si è dichiarato davvero!” esclamo poi, non riuscendo più a trattenermi.
La risposta di Yukari alla mia rivelazione è tipica del suo stile.
Urla euforica, aggrappandosi alle mie spalle.
Nemmeno dopo una vittoria importante della squadra, l’ho vista così felice.
“Non ci posso credere!” esclama ancora, scuotendo la testa soddisfatta.
“Non ne potevo proprio più!” aggiunge, congiungendo le mani sotto il mento, come a ringraziare qualche divinità con una preghiera.
“Tu?!” le chiedo ridendo, un po’ incredula.
“Sì, io sì! È stato uno strazio vedervi in questi mesi! Ma perché non si danno una mossa! Ecco cosa pensavo ogni volta che mi passavate davanti agli occhi!”
“Che scema che sei…”
“Ma com’è successo? Quando? Dove?”
Prendendo l’ennesimo respiro, che mi gonfia vistosamente il petto, inizio il resoconto dettagliato di tutto quello che è successo ieri al belvedere.
Le racconto proprio tutto, compresi i baci.
Nonostante il rossore sulle guance e un po’ di timidezza, perché è la prima volta che parlo di certe cose con qualcuno.
Ma Yukari non è di certo una persona qualsiasi.
Lei è la mia migliore amica, mi ha sempre supportata per tutto questo tempo.
E dopo averla costretta a sopportare per mesi i miei turbamenti e le paure, è giusto condividere con lei ora, anche la parte migliore del mio innamoramento.
“Ah l’avresti dovuto baciare già da un pezzo, sciocca!”
“Yukari!” rido divertita, perché lei è fatta così, non sa proprio cosa siano le vie di mezzo.
“Ma sì! Hai quattordici anni e a questo devi pensare! Punto e basta!”
“Quindi vorresti dire che tu non pensi ad altro?” le chiedo scherzosamente, dandole una gomitata sul braccio, per cercare di sviare il discorso imbarazzante.
“Io? Perché dovrei, non sono innamorata!” risponde Yukari, alzando le spalle e tirando fuori il labbro inferiore.
“Ma quando succederà… Salterò le lezioni pur di baciare il mio futuro ragazzo!” e la sua mano si stringe in un pugno deciso, che mi fa scoppiare in una risata fragorosa.
Yukari sghignazza divertita mentre si abbassa e prende il contenitore del suo pranzo.
Quando mi porge un paio di bacchette di riserva, le accetto volentieri e mentre spizzico un po’ di riso, nella mia inappetenza d’amore, le parlo ancora delle mie emozioni e di come sia felice ora la mia vita.
Yukari mi ascolta in silenzio, dando modo ai miei sentimenti di sfogarsi, ma sorride, sapendo che alla fine del mio monologo, questa volta, non ci saranno lacrime da asciugare.
Parlo ininterrottamente fino a quando il suono della campana non ci ricorda che è ora di tornare in classe, per recuperare le nostre cose.
Un intenso pomeriggio di studio ci attende, nonostante tutto, anche oggi.
Ognuna si dirige così verso la propria aula, quando prendo la cartella dal mio banco mi volto verso quello di Tsubasa e mi rammarico per non essere riuscita a salutarlo.
È chiaro che deve essere già uscito, le sue cose non ci sono più.
Ma gli ho detto io di andarsene…
Pazienza, vorrà dire che ora studierò sul serio.
Lo chiamerò stasera, quando sarò a casa…
In men che non si dica mi ritrovo così china sui libri in biblioteca, circondata dalla squadra al completo, meno uno ovviamente.
Yukari è seduta proprio accanto a me e studia concentrata, come in un giorno qualunque.
Mi sarebbe piaciuto vedere ancora Tsubasa, oggi…
Sospiro per l’ennesima volta, prima di spronarmi a svolgere con cura alcuni esercizi supplementari d’inglese.
Fortunatamente, tutti sembrano ignorare il mio nuovo status di fidanzata, così il pomeriggio fila liscio tranquillo, senza interruzioni imbarazzanti di alcun tipo.
Se non si considerano i lamenti perpetui di Ryo Ishizaki, ovviamente.
Alzo lo sguardo alla finestra, ora che è giunto il momento di tornare a casa.
Fuori piove di nuovo come non mai.
Mi ricordo di aver lasciato il mio ombrello a Tsubasa, solo quando sono intenta a cambiare le calzature da interno con le mie scarpe.
Rimuginando, mi avvio verso l’uscita, consapevole che l’unica cosa da fare, sia chiedere alla mia migliore amica di accompagnarmi, almeno fino alla fermata dell’autobus.
Sarò costretta ad allungare un po’ per tornare a casa, ma almeno così eviterò di bagnarmi.
Yukari mi raggiunge sulla soglia del portone d’ingresso, fermandosi accanto a me a scrutare le nuvole scure, cariche di pioggia.
Senza perdere tempo le chiedo questo favore, sicura di poter contare su di lei.
“No!” è la risposta secca, che le esce dalla bocca.
Rimango per un attimo spiazzata, ma non mi perdo d’animo.
“Come no?! Ma così mi verrà un malanno, come minimo!” protesto, indicando con la mano il temporale, che si sta abbattendo sulla città.
“Ho detto di no. Non ne hai bisogno!” esclama imperterrita la mia amica, fissando l’orizzonte mentre mi chiedo se sia cieca.
“Ma che dici?! Come non ne ho…”
Yukari m’interrompe, prendendomi prepotentemente per un braccio e costringendomi a guardare nella sua stessa direzione.
“Stupida Sanae, guarda là!”
Aguzzo la vista non capendo cosa dovrei mai vedere, quando scorgo il lontananza il mio ombrello.
Quello laggiù è il mio amatissimo ombrello!
“Tsubasa!” grida allegra Yukari, sventolando le braccia per attirare l’attenzione, mentre io rimango ferma a fissare il vuoto, come una cretina.
Si è fermato ad aspettarmi!
Si è fermato lo stesso per me!
Quando il mio ragazzo si volta e ci nota, corre veloce verso di noi, salendo poi un paio di scalini per volta, per raggiungerci all’ingresso.
Io nemmeno mi rendo conto, che sto continuando a fissarlo come un’ebete.
“Ok, io vi lascio. Ci vediamo domani, ragazzi!”
Yukari si congeda da noi alla velocità della luce, ma prima di allontanarsi, lancia un’occhiata più che eloquente a Tsubasa.
Sorrido, quando lo vedo arrossire leggermente.
“Andiamo?” lo esorto poi, di nuovo immersa nella mia nuvola dorata.
Di nuovo persa nel mio amore per lui.
Tsubasa annuisce, porgendomi il suo braccio.
Mi mordo le labbra, inclinando la testa verso il basso mentre sorridendo, mi stringo a lui, in modo da bagnarci il meno possibile, sotto un unico ombrello.
“Grazie per aver pensato a me!” esclamo voltandomi a guardarlo, mentre c’incamminiamo verso casa.
“Ma secondo te potevo andarmene lasciandoti senza ombrello?” mi chiede divertito Tsubasa, scuotendo leggermente la testa.
Lo imito, ma in maniera vigorosa, prima di aggiungere che mi ero completamente dimenticata di averglielo lasciato, prima delle lezioni.
“A dirla tutta non mi sono posta il problema, almeno fino a un attimo prima di uscire…” borbotto ridacchiando, dandomi velatamente della scema.
“Troppo presa dallo studio?” mi chiede ed io saprei proprio cosa rispondere.
No. Da te!
“Sì! Non ho alzato la testa dai libri, nemmeno per un attimo!” mento con uno sbuffo, come a sottolineare tutti i miei sforzi.
“Ryo ha dato di matto anche oggi?”
“Certo! Io non so come faremo ad arrivare a fine anno con lui!”
Tsubasa ridacchia mentre passo in rassegna le lamentele odierne di Ishizaki e le sue risate m’incoraggiano ad inoltrarmi, anche nell’imitazione delle espressioni buffe del mio amico d’infanzia.
“Sanae…”
Tsubasa m’interrompe, facendosi all’improvviso serio.
Lo fisso sbattendo le palpebre, non capendo questo cambio di umore.
“Sarei rimasto comunque oggi pomeriggio…”
“Uh?” e mi blocco, costringendolo a fermarsi a sua volta.
“Indipendentemente dalla pioggia, ti avrei aspettata lo stesso per tornare insieme…”
Trattengo un attimo il fiato, spalancando impercettibilmente gli occhi.
E il mio cuore prende a battere velocemente.
Forse ho bisogno di altro tempo, per abituarmi a tutto questo.
Tsubasa mi guarda leggermente imbarazzato, un ampio respiro mi gonfia il petto.
Lo rilascio in un sospiro mentre gli sorrido, non riuscendo a trattenere l’emozione.
Tsubasa ricambia, grattandosi la nuca con la mano libera ed io penso che è stato stupido, rinunciare a lui per tutto questo tempo.
Aggrappandomi al suo braccio, mi alzo sulle punte.
“Anch’io volevo stare ancora un po’ con te!” sussurro piano al suo orecchio, prima che le mie labbra si posino sulla sua guancia.
Mi stringo ancora di più al suo braccio, quando riprendiamo a camminare.
Cullandomi beata al suono delle gocce, che picchiettano sonore contro il nostro ombrello.
Perché Sanae cammina nella pioggia…
Ma per lei è come se ci fosse solo il sole.
 
 
 



(1) Shūubun: equinozio d’autunno, che coincide con il 21 settembre.
(2) Yukari si riferisce alla pratica inerente i manga, in particolare quelli per ragazze, in cui alcuni momenti di personaggi coinvolti in una relazione d’amore vengono sottolineati da particolari sfondi.
 


Ai Ai Gasa: ha il significato generale di indicare due persone che camminano strette sotto lo stesso ombrello ma anche quello di evidenziare una relazione amorosa.
Gli adolescenti giapponesi rappresentano graficamente così le coppiette, disegnando un ombrellino stilizzato a forma di triangolo a cui lati del manico sono scritti i nomi dei due innamorati.
Chiedo scusa se non ho ancora avuto modo di rispondere alle recensioni, spero di poter rimediare al più presto, nel frattempo vi ringrazio sentitamente per la ogni parola che avete voluto lasciarmi!
A venerdì prossimo!
OnlyHope
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Taro Misaki ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 17

Taro Misaki


 
 
 
 
 
Pensavo che niente mi avrebbe più sorpreso in vita mia.
Almeno non dopo aver incontrato Roberto a Parigi, dopo che se n’era andato ormai da anni, lasciandomi solo un quaderno di consigli e nulla più.
Ma stamattina ho dovuto per forza ricredermi.
E comincio a pensare che in questo periodo per me ci siano cose belle e inaspettate, pronte ad uscire allo scoperto da un momento all’altro.
Perché anche il ritorno in città di Taro Misaki ha dell’incredibile davvero.
“Perché non mi hai detto che saresti tornato in Giappone, quando ci siamo visti in Francia?”
Taro ride divertito, mentre si appoggia accanto a me alla finestra, durante la pausa pranzo.
“Perché non ne sapevo niente neanche io!” esclama alzando le spalle, prima di posare il peso del suo corpo di nuovo sulle mani aperte contro il davanzale.
“Mio padre è così, dovresti saperlo! Lui si sveglia una mattina e ti dice di fare i bagagli! E in meno di ventiquattro ore ti ritrovi su un volo intercontinentale, chiedendoti ancora come ci sei finito!”
Annuisco facendo uno smorfia con le labbra.
Ricordo perfettamente il tempismo perfetto con cui il signor Misaki decise di trasferirsi in Europa, subito dopo aver vinto l’ultimo campionato delle elementari.
E non era passato davvero tanto tempo dal loro arrivo in città.
“Ma ormai non hai fatto l’abitudine a queste cose?” chiedo, immaginando il mio amico, perennemente con una valigia in mano.
“Credevo di sì…”
“In che senso?” gli chiedo ancora, sbattendo le palpebre confuso.
Taro mi guarda di traverso, come se avessi chiesto qualcosa di scontato.
Quando le nostre conversazioni via e-mail e una certa ragazza conosciuta a Parigi mi tornano in mente, capisco che avrei dovuto arrivarci subito da solo.
No questa volta non deve essere stato contento di partire, senza il minimo preavviso.
“È rimasto tutto uguale?” borbotto, vergognandomi enormemente della mia gaffe.  
Il fatto di aver risolto felicemente i problemi della mia vita sentimentale, non fa certo di me un luminare in materia.
Ma soprattutto avrei dovuto essere un pochino meno concentrato su me stesso e dimostrare più tatto.
“Esattamente tutto invariato…” mormora Taro, socchiudendo leggermente le palpebre, come a voler mettere a fuoco un punto lontano all’orizzonte.
“E anche volendo cosa avrei potuto fare, grazie a papà e alle sue fughe estemporanee?”
“Potevi tentare comunque qualcosa all’ultimo minuto!” esclamo convinto, non sapendo proprio cosa voglia dire arrendersi nella vita.
“Sì, certo! Vai da una ragazza, le dici che ti piace poi... Puff! In un batter d’occhio, sei dall’altra parte del mondo! Proprio una bella cosa!”
Questa volta sono io a guardarlo di traverso.
“Non è quello che hai sempre suggerito a me?” chiedo, arcuando le sopracciglia, perplesso.
Taro accusa il colpo ma con la sua classica nonchalance.
“Tu eri solo uno zuccone che stava perdendo un sacco di tempo, Tsubasa! Io pensavo di averne quanto ne volevo, invece sono rimasto fregato proprio all’ultimo momento!”
“Sarà come dici tu…” borbotto, fissandolo in maniera scettica, perché a me sembrano in parte solo delle scuse.
“Cosa pensi di…”
“Quello che farai tu!”
Taro mi guarda con un’espressione serissima.
In fin dei conti la situazione in cui si trova è tremendamente familiare.
Se non avessi confessato a Sanae i miei sentimenti, tra qualche mese mi sarei ritrovato nei suoi stessi panni.
Con la sola differenza che Taro non ha mai scelto di andarsene volontariamente dall’altra parte del mondo, avendo nel cuore una ragazza.
Mi rendo conto che non è nemmeno una differenza trascurabile…
“Basta parlare di me, però!” esclama all’improvviso, tornando a sorridermi come niente fosse.
“Come vanno allora le cose con Sanae?”
D’istinto il mio sguardo si posa su di lei.
È seduta su una panchina in cortile, insieme all’inseparabile Nishimoto.
Inizia a ridere, mentre condivide una cuffietta con la sua amica del cuore.
Insieme canticchiano qualcosa, ma sono troppo lontano, non riesco proprio a sentirle.
Ma è chiaro che si stanno divertendo un mondo e questo basta per farmi stare bene.
“È tutto ok!” esclamo continuando a seguire con lo sguardo i movimenti di Sanae, che ora è china a leggere quello che deve essere il diario della Nishimoto.
O almeno immagino che sia così, le ragazze non fanno queste cose?
“Avevi ragione tu, sai? Avrei dovuto liberarmi delle mie paranoie molto tempo fa…”
Taro annuisce, sul suo viso un’espressione saputa, nemmeno fosse un massimo esperto in campo sentimentale.
“Non è bello dirlo ma: te l’avevo detto!”
Ridacchio mentre il mio amico continua a vantarsi di essere il migliore dei consiglieri.
“Se penso che sei il primo di noi ad avere la ragazza però…” borbotta all’improvviso, portando pollice ed indice al mento.
“Non trovi anche tu che sia un po’ paradossale?” mi chiede poi, per prendermi un po’ in giro, dandomi anche una sonora pacca sulla spalla.
“Sei simpaticissimo, Taro! Sono così felice che tu sia tornato tra noi!”
E dopo aver alzato vistosamente gli occhi al cielo, gli sorrido comunque.
Perché in fondo non è poi male ricevere questo genere di battutine.
“Vero? Peccato non avremo modo di giocare ancora in squadra insieme però!”
Già…
Perché Taro è tornato in città ma a campionato ormai concluso.
Il prossimo anno poi io sarò in Brasile e probabilmente alle scuole superiori sarà lui il nuovo capitano della Nankatsu.
“Dimmi, Tsubasa... Dove hai portato Sanae al primo appuntamento?”
La sua non è una domanda, ma più un ordine e non c’entra nulla con il discorso che stavamo facendo.
Ma non stavamo parlando di calcio ora?
Però capisco il suo intento.
Da buon amico non voleva darmi modo d’implicare i miei pensieri in qualcosa potenzialmente doloroso.
Perché la mia partenza è il coronamento del mio sogno, ma sarà anche la causa che mi porterà a separarmi da Sanae.
E questo sì che è il mio vero paradosso.
“Ehm… A dir la verità…” temporeggio, guardando di lato, perché in realtà non sono ancora mai andato da nessuna parte, solo con Sanae.
E non so proprio come dirglielo.
In pratica fin ad ora mi sono sempre limitato al massimo ad accompagnarla a casa, dopo la scuola.
“Non dirmi che non siete mai usciti?!”
Ecco questo è uno degli svantaggi delle grandi amicizie e in questo caso, di essere membri della stessa Golden Combi.
Taro sembra essere capace di leggermi nel pensiero.
Muovo la testa in senso negativo, tornando a guardare la mia ragazza da lontano.
“Tsubasa…”
Continuo ostinatamente a guardare fuori, ignorando il tono sconsolato della sua voce.
“È un miracolo che tu l’abbia baciata! Perché l’hai fatto, vero?” mi chiede, fingendosi scettico, pur conoscendo benissimo la risposta.
“Così ti ho scritto mi pare…”
“Ma possibile non ti sia venuto in mente di organizzare qualcosa di carino e portarla fuori?!”
“Ci ho pensato ma…”
“Ma cosa?” mi chiede calcando sul tono retorico e a me non resta che pentirmi di non aver mentito poco fa.
“Le perle ai porci, proprio! Se ci fossi io al tuo posto, avrei già organizzato ogni pomeriggio! Da oggi fino alla partenza!”
“Ma lei deve studiare!” esclamo, nell’estremo tentativo di giustificare la mia però ingiustificabile timidezza.
“Tsubasa, quella ragazza ti vuole un bene dell’anima! Guarda, io capisco pure che si accontenti, visto come si erano messe le cose, però…”
“È che ho paura di sbagliare qualcosa!”
Taro mi guarda perplesso, così provo a spiegarmi meglio.
“Vorrei creare per lei solo…” mi mordo le labbra, sbuffando poi in maniera vistosa.
“Io vorrei lasciarle solo bei ricordi, ecco…” ammetto, nell’inesperienza dei miei quattordici anni.
Il mio amico poggia una mano sulla mia spalla, scuotendo leggermente la testa poi mi sorride, comprensivo e solidale.
“Lo farai di sicuro, Tsubasa! Ma non hai bisogno d'inventarti chissà che! Anzi, smettila di perdere tempo con me e scendi subito da lei!”
“Ma cosa…”
“Chiedile di uscire e basta! Il prima possibile, tipo domenica! Cosa fare poi verrà da sé!”
Mi volto ancora una volta ad osservare Sanae.
Taro ha ragione, l’importante ora è stare insieme.
Perché il tempo scorre fin troppo in fretta e noi ne abbiamo decisamente troppo poco.
Quando torno a guardare il mio amico, lui m’incoraggia indicando deciso la porta con il mento.
Annuisco sorridendo.
E prima di sorpassarlo, gli do una pacca sul braccio, come riconoscente ringraziamento.
Fuori dall’aula inizio a correre.
Attraverso veloce il corridoio, poi scendo in picchiata le scale e non mi fermo finché non ho raggiunto il cortile.
Rallento giusto un attimo, per scusarmi con il professore di scienze che ho rischiato di travolgere con la mia fretta.
Quando arrivo a destinazione, Sanae mi nota subito.
“Dove eri finito?” mi chiede, togliendosi poi la cuffia dall’orecchio.
La Nishimoto nel frattempo si congeda da noi frettolosamente, accampando una banale scusa.
“Ero con Taro, su in classe!” rispondo, sedendomi accanto a Sanae, nel posto lasciato libero dalla sua amica.
“Dovevo immaginarlo!” esclama, alzando lo sguardo verso le finestre della nostra aula.
“Ma non sapevi nemmeno tu che sarebbe tornato?” mi chiede tornando a guardarmi, sorridendo divertita.
Scuoto la testa vigorosamente mentre le spiego della partenza improvvisa di Taro.
Sanae annuisce e nel suo sguardo si legge chiaramente che è felice per me.
Anche solo per qualche mese ho ritrovato un grande amico e questo lei lo sa.
Ed è proprio vero che sono un ragazzo fortunato.
“Sanae, ti volevo chiedere una cosa…” esordisco all’improvviso, deciso a non perdere più tempo.
“Cosa?” mi chiede, visibilmente curiosa.
“Devi studiare domenica?”
“Perché?” insiste, spostando leggermente il suo viso verso il mio.
“Tu rispondi e basta!” esclamo divertito, sperando in una risposta negativa.
Sanae scuote la testa e sulle sue gote appare un principio di rossore.
“Ti va se andiamo da qualche parte?” le chiedo finalmente, sorridendo poi incoraggiante.
Lei sgrana leggermente gli occhi, socchiudendo appena le labbra per lo stupore.
“Io e te da soli, intendo…” mi sento di aggiungere, come se ce ne fosse realmente bisogno.
Ma sono decisamente imbranato in queste cose.
Preferisco non dare nulla per scontato.
A volte vorrei tanto che lo Tsubasa così deciso in campo, facesse capolino anche in queste cose…
“Certo!” esclama felice Sanae, annuendo ripetutamente.
E devo essere stato proprio uno sciocco a non organizzare nulla fin ad ora.
Perché forse lei non aspettava proprio altro.
Solo che Sanae non è altrettanto fortunata ad avere un ragazzo come me.
“Bene!” affermo con enfasi, anche se ignoro ancora completamente dove portarla.
Ma alla fine è davvero così importante un luogo?
Non conta nemmeno la metà dello stare insieme.
Da soli.
“Cosa ascoltavi prima?” le chiedo per spezzare un velo d’imbarazzo che comunque mi ha sorpreso.
Sanae non mi risponde, ma prende una cuffietta e la poggia al mio orecchio sinistro.
La osservo divertito mentre sistema l’altra al suo, iniziando poi ad armeggiare con l’Ipod.
Un paio di secondi e la voce di un rapper inizia a far vibrare i miei timpani.
Sanae inclina leggermente la testa all’indietro e chiude gli occhi, mentre con un piede tiene il tempo.
Il sole le bacia il volto mentre inizia a canticchiare il ritornello.
“You were something I can’t replace… You made my heart work… You make me stronger… I’m not letting go, I’m not letting go…”(1)
Rimango a fissarla inebetito.
Arrossisco quando Sanae apre le palpebre per scrutarmi con la coda dell’occhio.
Ma mai come quando si appoggia alla mia spalla, continuando a cantare allegra la canzone nella cuffia.
“State flirtando in maniera vergognosa voi due!”
Nonostante la musica è impossibile ignorare la voce d’Ishizaki, specie quando usa quel tono anche un po’ stridulo.
Sanae ed io ci voltiamo quasi all’unisono a guardarlo, mentre mima dei cuori con le dita.
“Non avete proprio il senso della misura! O vi struggete in silenzio oppure questo!” e ci indica con la mano tesa, alzando gli occhi al cielo.
“Sei solo un invidioso, Ryo!” esclamo divertito, mentre con stupore scopro che le sue prese in giro non sono più capaci di creare in me imbarazzo.
O almeno, ora non ammutolisco più come un tempo, non sapendo cosa dire.
Ishizaki però non si scoraggia ma con uno slancio, si fa spazio con il sedere tra me e Sanae, fingendo addirittura di sbaciucchiarmi.
“Ma levati, scemo!” esclamo cercando di togliermelo di dosso, mentre Sanae ride divertita, piegandosi in due, le braccia a tenere la pancia.
E scoppio a ridere di gusto anch’io quando la Nishimoto, tornata sui suoi passi, inizia ad imprecare contro Ryo, che continua imperterrito a strusciarsi contro di me, borbottando improbabili frasi d’amore.
E anche questo, mi rendo conto, fa parte dell’essere un normale, felice adolescente.
Tra le risa generali guardo ancora Sanae, che tira Ishizaki per un braccio, usando tutte le sue forze.
Quando i suoi occhi incrociano i miei, lei mi sorride dolcemente…
È troppo stupido perdere altro tempo.
È proprio da scemi non vivere a pieno ogni momento…
E quando le sorrido non vedo proprio l’ora che sia domenica…
 
 
 



(1) Not letting go – Tinie Tempah ft. Jess Glynne
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** Aceri giapponesi ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 18

Aceri giapponesi
 
 
 
 


“E dove andresti senza tuta?”
Arginare mia madre.
Ecco cosa dovrei imparare in fretta in questi mesi.
Ma temo che sia una battaglia persa già in partenza, con un soggetto come lei.
“Mamma, sto semplicemente uscendo. Non si può?”
Colei che mi ha messo al mondo si avvicina circospetta, scrutandomi seria da capo a piedi.
Come se non avessi nemmeno parlato…
“Quindi non stai andando ad allenarti…”
La sua non è una domanda ma un’affermazione.
Cercando una veloce via di fuga, poso una mano sulla maniglia della porta, pronto a scattare al suo primo passo falso.
Mia madre intanto continua a fissarmi finché non si ferma proprio davanti a me, continuando sempre la sua indagine.
Cercando di far finta di niente, osservo il dito che picchietta contro le sue labbra socchiuse.
“Ti vedi con i ragazzi della squadra?” mi chiede infine, sistemando il colletto della mia camicia.
Non faccio in tempo ad aprire bocca, perché la mamma risponde da sé.
“No, perché ti sei vestito carino…”
Alzo gli occhi al cielo, innervosito da questo suo monologo con se stessa, che mi sta facendo perdere un sacco di tempo.
A quest’ora dovrei già essere uscito!
Vestito carino, poi…
Ho messo una camicia al posto della solita felpa di tutti i giorni!
“Ti vedi con Sanae?”
Ora sbuffo, guardandola volutamente male.
La mamma mi sorride, sbattendo innocentemente le palpebre sugli occhi.
“Perché non hai fatto subito questa domanda, senza girarci troppo intorno?” le chiedo mentre prende a sghignazzare senza ritegno.
“Guarda che l’ho capito che ora state insieme!”
Arrossisco anche se non dovrei, così non faccio che dare soddisfazione alle sue mirate prese in giro.
“Allora perché mi fai un terzo grado inutile?”
La mamma sgrana un po’ le palpebre, sorpresa.
“Ma perché è divertente!”
Roteo gli occhi, cercando d’ignorare le sue risate, lo ribadisco, proprio senza il minimo contegno.
“Mi chiedevo però…” mormora ora, attirando di nuovo la mia attenzione, anche se controvoglia.
“Una brava mamma come si dovrebbe comportare?”
“In che senso?” le domando, appoggiandomi avvilito alla porta, non avendo la più pallida idea, di dove voglia andare a parare.
“Forse è il caso che voi due non stiate più soli in camera tua, d’ora in poi?”
Un calore improvviso m’imporpora le guance, lo sento!
Che donna tremenda!
Ma come le viene in mente di fare certe allusioni con suo figlio?!
“Va bene mamma, ci vediamo dopo! Ciao!” esclamo e stufo, senza darle modo di aggiungere altro, apro la porta, fiondandomi velocemente in cortile.
“Tesoro, non te la prendere!” la sento esclamare, mentre varco il cancello d’ingresso.
Senza voltarmi, mi limito a salutarla con un cenno della mano mentre le sue risate riecheggiano sonore per tutto il quartiere.
“È proprio una donna tremenda!” borbotto, iniziando a correre per raggiungere finalmente Sanae.
A quest’ora dovrebbe essere già all’ingresso del parco, a metà strada tra le nostre abitazioni.
Abbiamo deciso d’incontraci lì per comodità, anche se non so ancora di preciso cosa faremo, né dove andremo poi.
E questa cosa è davvero avvilente, considerando che ho passato gli ultimi giorni a pensare a cosa fare, in questa domenica da trascorrere insieme.
Non sapendo prendere una decisione definitiva, alla fine ho lasciato perdere, contando sullo spirito d’iniziativa di Sanae, che immagino sia più risoluto del mio.
Quando svolto l’ultimo incrocio, che mi separa da lei, eccola là in lontananza.
Accelero il passo, nell’intento di raggiungerla il prima possibile.
“Scusa il ritardo!” esclamo, poggiando le mani sui fianchi, quando sono davanti a lei.
Sanae mi sorride, scuotendo la testa e alzando le spalle, come nulla fosse.
Continuo ad osservarla mentre riprendo fiato per la corsa.
Lei è sempre carina, ma oggi…
Indossa un vestito leggero e si vede che non ha messo la prima cosa uscita dall’armadio, per il nostro appuntamento.
E a dirla tutta, nonostante la mia finta incuranza, anch’io ci ho messo un po’ a decidere quale camicia mettere, nel mio scarso guardaroba, che comprende ben poco oltre alle tute da ginnastica.
“Allora Tsubasa, che si fa?” mi chiede allegra Sanae, mentre continuo a fissarla con un’aria, forse, non propriamente intelligente.
“Scegli tu!” esclamo allegro, fingendo che la mia sia una semplice galanteria.
Sarebbe troppo imbarazzante confessarle che in realtà sono così imbranato, da non sapere cosa fare, in un pomeriggio da trascorrere insieme.
Sanae ci pensa un po’, voltandosi in direzione del parco poi torna a guardarmi, sorridendo dolcemente.
“Che ne dici se facciamo un giro dentro? Per fortuna si sta ancora bene all’aperto!”
Annuisco entusiasta ma dandomi mentalmente dello stupido.
Ma come ho fatto a non arrivarci da solo?!
Ci siamo dati appuntamento qui, tanto vale fare subito un giro nel parco!
Quando Sanae s’incammina all’interno del giardino, sono al suo fianco in pochi secondi.
L’aria è tiepida, nonostante sia ormai autunno.
Il sole penetra tra i rami degli aceri palmati, che colorano i viali di varie sfumature, tra cui primeggia il colore rosso.
E ha ragione Sanae, si sta ancora così bene…
E non solo perché siamo stati fortunati, la giornata è serena e calda…
Ma sono stupito da me stesso, perché credevo sarei stato molto più nervoso, per un primo, ufficiale appuntamento.
Invece mi sento perfettamente a mio agio, anche ora, che la mano di Sanae prende e stringe forte la mia.
Rispondo alla sua stretta, facendo altrettanta pressione contro le sue dita.
Sono stato proprio un sciocco, lo ammetto.
Mi sono fatto condizionare dall’idea del fantomatico primo appuntamento.
Etichettare qualcosa con un nome, rende tutto più complesso, anche quando non ce n’è bisogno.
Creando inutile ansia e il timore di deludere le aspettative, ma avrei dovuto capirlo subito, che non era il caso di angustiarsi troppo.
In fondo siamo noi due.
Sanae ed io.
Quelli di sempre…
Le cose si semplificano se si è con la persona giusta, è qualcosa di estremamente naturale.
“Ti ricordi quando siamo andati a controllare le tue lastre, durante il campionato?”
Mi volto a guardare Sanae, che mi sorride allegra, aspettando una risposta.
“Sì, certo! Per fortuna non avevo niente di serio, che sospiro di sollievo!”
“Già… E ti ricordi che poi abbiamo attraversato un parco, molto simile a questo?” mi chiede ancora, mentre nella testa si ricollegano i ricordi, legati ai fatti di quel giorno.
Siamo stati in clinica poi allo stadio, per vedere il finale della partita della Furano.
Ma prima stavamo passeggiando per un parco…
Me lo ricordo, sì…
Annuisco prima di spostare il mio sguardo su un gruppo rumoroso di bambini, che ci sorpassa tra chiasso e risate.
“Quella volta avrei voluto passare la giornata insieme a te, Tsubasa. Proprio come adesso!”
Eh?!
Mi volto di nuovo verso la mia ragazza, che sorride ancora ma arrossendo leggermente.
E non posso evitare di sentirmi ancora così maledettamente stupido!
In quel periodo non facevo altro che cercare d’ignorare i miei sentimenti e il calcio era una priorità davvero assoluta...
“Quando mi guardavo intorno, vedevo solo coppie felici a passeggio…”
Sanae continua il resoconto sulle sue sensazioni in quella giornata, non sapendo di non aiutarmi in questo modo.
Non mi sento per niente sollevato, perché dal suo racconto emerge un quadro di me, davvero poco lusinghiero.
“Per un attimo ho pensato, che sarebbe stato così bello prenderti per mano! Ma ovviamente non ne ho avuto il coraggio!”
Mi fermo, perché oltre al disagio, avverto un’altra sensazione dentro di me.
Qualcosa di molto simile al senso di colpa.
Perché mi rendo conto, che devo averla delusa così tante volte in passato…
Sanae si volta a guardarmi con aria interrogativa, obbligata dalla mia immobilità.
“Scusa…” borbotto, tormentando la nuca con la mano libera, sinceramente dispiaciuto per la mia scarsa sensibilità nei suoi confronti e per il mio essere stato volutamente fin troppo ottuso, perché era preferibile forse non vedere.
Sanae stringe le labbra in una smorfia, come se avessi detto una sciocchezza.
Tutto il suo discorso non era mirato a rimproverarmi qualcosa, lo so, ma più a confidarmi i suoi pensieri, ora che sembra possibile dirci tutto apertamente.
“Non era ancora il momento…” mormora, alzando le spalle e sorridendo sempre più dolcemente.
“A dirla tutta credevo che non sarebbe mai arrivato!” esclama poi ridendo allegra, incassando il collo nelle spalle, riuscendo a scherzare su qualcosa che in realtà, deve essere stato alquanto doloroso.
Perché è quello che ho provato anch’io, nell’indecisione sul da farsi.
“Ma alla fine…” sospira, guardando le nostre mani ancora unite.
“Eccoci qua!” e alza il braccio, piegando il gomito, proprio a mostrarmi le nostre dita intrecciate.
Le sorrido….
Non essendo capace di aggiungere altro.
Ha ragione Taro, sono davvero un ragazzo fortunato.
“Ehi! Ma a proposito di ricordi!” esclamo all’improvviso, quando un punto preciso in lontananza, attira prepotente la mia attenzione.
“Guarda laggiù!” e mi avvicino di più a lei, indicando con il braccio libero, giù in fondo al viale.
Sanae aguzza la vista poi scoppia a ridere allegra e in meno di un secondo lascia la mia mano, mettendosi a correre, proprio come una bambina.
La seguo istintivamente, raggiungendola mentre salta poggiando le mani al parapetto del ponte, prima di sporgersi a testa in giù, per guardare sotto di sé.
Ridacchio all’idea che non può essere di certo un vestito carino, a modificare l’indole innata di una persona.
“Tu invece ti ricordi della stella cadente?” le chiedo, poggiando il peso del mio corpo sugli avambracci, proprio accanto a lei.
Sanae si volta a guardarmi, atterrando di nuovo sui talloni poi scoppia a ridere, davvero divertita.
“Ancora con questa storia?!” mi chiede, arcuando un sopracciglio, sempre senza smettere di ridacchiare.
“Ma… Non dovrebbero esserci più segreti tra noi!” esclamo uno dei tanti luoghi comuni sulle coppie, fingendomi offeso dalla sua reticenza.
“Non è che ti stai calando un po’ troppo velocemente nella parte?”
Sanae mi stuzzica, continuando comunque ostinatamente a non rispondere, riuscendo così nell’impresa di farmi intestardire, a voler sapere a tutti i costi cosa mi nasconde.
Lo ammetto, il mio è un atteggiamento forse un po’ infantile, ma ora io voglio sapere ogni cosa che la riguarda.
Compreso questo fantomatico desiderio!
“Non si è ancora avverato?” le chiedo insistente, senza darmi per vinto, ricordando anche la nostra conversazione sull’autobus, nel giorno del mio compleanno.
“Sai che fai un sacco di domande, per essere un ragazzo timido?”
Sbuffo, alzando gli occhi al cielo mentre lei se la ride sotto i baffi.
“Comunque sì…” esclama all’improvviso, scrutandomi poi con aria sorniona, sempre decisa, temo, a centellinare ogni sillaba, ora che ha capito che pendo dalle sue labbra.
“Sì cosa?” ribatto un po’ confuso.
Sì non si è ancora avverato o il contrario?
Sanae scuote leggermente la testa ed emette un sospiro, che sembra quasi di rassegnazione.
“Sì nel senso che ora si è avverato!”
Spalanco gli occhi stupito.
Il suo desiderio si è realzizzato…
Bene…
Ma…
Di che cosa si tratta?
Sbatto le palpebre, sempre più confuso.
Sanae sospira ancora poi si avvicina di più a me.
“Ma veramente non ci arrivi?” mi chiede ora, fissandomi seria negli occhi, a pochi centimetri dal mio viso.
Imbarazzato, sposto lo sguardo di lato.
“Ehm…” borbotto, cercando di temporeggiare prima di tornare a guardarla, ma quando i nostri sguardi s’incrociano di nuovo…
Il mio cuore accelera improvvisamente i battiti.
Nei suoi occhi aleggia quello che deve essere un magnifico sottinteso.
“Eri tu…” bisbiglia, facendosi ancora più vicina.
“Il mio desiderio eri tu…” ripete, poggiando delicatamente la sua fronte contro la mia.
Arrossisco mentre il mio cuore manca un battito, forse anche due, per la sua vicinanza, ma anche perché quest’altra sua piccola confessione riesce a regalarmi un’emozione così intensa…
Da permettermi di annullare completamente la distanza tra di noi.
E baciarla dolcemente.
Inspirando bene il suo profumo, premendo deciso contro le sue labbra morbide…
Quando me ne separo, Sanae sorride.
Guardandomi sempre negli occhi, mostrandomi chiaramente quanto sia felice.
“Per alcune cose hai bisogno di un corso accelerato…” mormora, riferendosi alla mia scarsissima capacità di cogliere al volo le cose.
In particolare quando non riguardano il calcio…
Faccio finta di essere offeso, così la rimprovero con lo sguardo, aggrottando le sopracciglia.
“Per altre invece, direi che stai imparando piuttosto in fretta…” e mi guarda maliziosa, riferendomi questa volta, all’impeto improvviso con cui l’ho baciata.
Arrossisco per l’ennesima volta, non c’è rimedio.
Sanae mi prende ancora un po’ in giro, mimando una linguaccia.
“Dove vuoi andare adesso?” le chiedo, cercando di riprende in mano la situazione.
Lei si guarda intorno, portando il pollice e l’indice alle labbra, poi scuote la testa, tornando a guardarmi.
“Rimaniamo qui…”
Sorride quando annuisco, prendendo di nuovo la sua mano.
“Voglio solo stare con te, non importa dove…”aggiunge, stringendosi a me e poggiando la testa sul mio petto.
Circondo le sue spalle con le braccia, rispondendo così al suo abbraccio.
Sanae ha ragione.
Non importa davvero dove siamo, né il colore degli aceri giapponesi e tantomeno se c’è il sole.
Nessun luogo è importante come noi, perché nessun posto è capace di darci qualcosa in più, rispetto alla perfezione di un abbraccio come questo.
Ci siamo solo Sanae ed io.
Il resto non conta.

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Capitolo 21
*** Festival scolastico ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 19

Festival scolastico
 
 
 
 


“Sanae, dai corri! Vieni a vedere!”
Yukari mi esorta a raggiungerla, saltellando quasi sul posto.
Mi faccio largo tra la gente che affolla il cortile scolastico, scuotendo la testa sconsolata.
Oggi mi sembra proprio di avere a che fare con una bambina iperattiva, non con la mia migliore amica!
Quando la raggiungo, mi porge una patata dolce arrosto, appena comprata da quello che deve essere lo stand del club di cucina.
“Mangia è buona!” mi esorta, spingendo il tubero incandescente contro la mia bocca.
La fermo giusto in tempo, prendendo poi solo un piccolo morso di patata.
“Adesso dove andiamo?” mi chiede con la bocca piena, non curandosi minimamente del rischio di ustionarsi sul serio.
Perché oggi Yukari è davvero perennemente su di giri, eccitata com’è dal giro che stiamo facendo in quello che sarà il nostro futuro liceo.
E nemmeno ora che abbiamo quasi concluso la visita, accenna minimamente a rilassarsi.
“Allora?!” mi esorta impaziente, non ricevendo risposta.
Alzo le spalle, lasciandole così la facoltà di scegliere, un po’ come ho fatto per tutto il pomeriggio.
“Andiamo a prendere altri volantini allora!” e mi sventola sotto il naso una dozzina di opuscoli, presi nei vari stand, creati appositamente per fare pubblicità ai club, durante il festival culturale.
“Ma che diavolo te ne fai?” le chiedo perplessa, arricciando le sopracciglia.
Yukari non mi risponde, presa com’è dall’aguzzare la vista oltre le persone che ci circondano.
“Hai intenzione di frequentare altri club oltre quello di calcio?!” insisto scherzando, sapendo già che il prossimo anno torneremo di nuovo ad occuparci dei ragazzi, anche alle superiori.
Indipendentemente dall’assenza di…
“Ma che dici?! Voglio solo portare a casa dei souvenir della giornata!”
Yukari mi liquida così, veloce, senza degnarmi di uno sguardo e buttandosi subito dopo di nuovo nella mischia.
“Ehi!” cerco di attirare la sua attenzione, mentre mi appresto a seguirla ancora, non riuscendo comunque ad eguagliare il suo entusiasmo.
E non perché la scuola non mi piaccia, anzi!
Questa visita è stata davvero bella e sono sicura che mi piacerà studiare qui, solo che…
Quell’amaro in bocca che temevo di provare, alla fine è arrivato davvero.
E a intervalli regolari si fa sentire, rovinando in parte una giornata, che dovrebbe essere bella per definizione.
Ma è più forte di me.
Non posso proprio farci niente.
Perché è impossibile non pensare al mio futuro, senza soffermarmi su chi non ci sarà.
Tutto purtroppo mi ricorda continuamente che Tsubasa sarà assente nella mia vita alle superiori.
Più drasticamente, nella mia vita in generale.
E non è di certo un bel futuro quello che si prospetta.
Di certo non è quello che avevo immaginato per me e che desideravo con tutto il cuore.
È stato comunque un bene venire qui senza di lui.
Una coincidenza più che fortunata il suo ritiro speciale organizzato dal signor Katagiri, proprio in concomitanza con la visita al liceo.
Avevo deciso comunque di non chiedergli di accompagnarmi, ma così mi sono evitata delle insistenze, alle quali non sarei stata forse in grado di resistere.
Sì, è stato meglio così, ne sono sempre più convinta.
Mi guardo intorno mentre aspetto in disparte Yukari, impegnata a chiacchierare con un tizio di non so quale altro club.
Ma più cerco di concentrarmi su quello che mi circonda, più i miei pensieri si fissano sul mio inevitabile destino.
Sarò sola il prossimo anno.
Tsubasa non sarà qui con me.
Non sarà più con me.
Tanto vale abituarsi all’idea, imparando a stare in questi luoghi fin da subito, senza di lui.
Ammesso che sia possibile abituarsi in qualche modo alla sua assenza…
E la tentazione d’immaginare come sarebbe stato il mio futuro, è così grande!
Un futuro senza nessuna partenza per il Brasile all’orizzonte...
Come vorrei poter continuare la mia vita perfetta anche alle superiori!
“Sanae, sei sorda?!” è la voce acuta di Yukari a distrarmi dai miei pensieri, che possono diventare potenzialmente tristi e pericolosi, se li lascio troppo andare.
“Hai finito di perdere tempo?” le chiedo avvicinandomi, ma la mia migliore amica sembra avere sempre qualcosa di meglio da fare, che rispondermi.
Mi lascio così trascinare inerme per un braccio, cercando lo stesso d’ignorare la tristezza, che indipendentemente dai miei sforzi, è riuscita comunque a fare breccia nel mio cuore.
“Sanae, che ne pensi della nuova divisa? A me piace da matti!”
Yukari inizia a blaterale, con quel fiume in piena di parole, che oggi assomiglia spesso ad un monologo.
“Finalmente ci sbarazzeremo di quell’infantile fuku alla marinara! Appena diplomata la prima cosa che farò, sarà bruciare quello stupido nodo, che ci penzola ogni giorno al collo! Giuro!”
“Ma dai! Non ci sei un po’ affezionata?” le chiedo ridendo, perché il suo estremismo è comunque divertente, anche quando non sono dell’umore.
“Ma per niente! Saremo molto più carine con la divisa delle superiori! E allora mi troverò pure io un ragazzo, vedrai!”
Non trattengo una risata, nonostante a me dispiaccia un po’ lasciare le scuole medie, compresa l’uniforme.
Ma credo che questo sia normale.
Diplomarsi per me significa dover affrontare la sua partenza…
Ecco ci sono cascata di nuovo, è proprio inevitabile.
“Che ne dici se andiamo a fare un salto al club di calcio?” le chiedo all’improvviso, in una sorta di slancio masochista.
Il campo d’allenamento è l’unico posto che dovrei proprio evitare oggi.
Infatti Yukari mi fissa un po’ perplessa.
“Dai andiamoci!” la esorto fingendomi spensierata, come fossi un’attrice navigata.
“Ok! Allora per di qua!”
La mia migliore amica s’incammina decisa, come se conoscesse già la scuola, proprio come le sue tasche.
Nel tragitto il suo soliloquio riprende e a me sorge il dubbio, che sia il suo modo di distrarmi il più possibile.
“Speriamo di finire nella stessa classe il prossimo anno!” esclama mentre raggiungiamo il club di calcio della Nankatsu alle superiori.
“Già… Speriamo…” le rispondo distratta, mentre mi guardo intorno, come alla ricerca di non si sa cosa.
In fondo le scuole giapponesi sono quasi tutte uguali, non è che ci sia tutta questa differenza noto, tra questo campo e quello delle medie.
Nemmeno mi accorgerò della differenza, quando il prossimo anno scolastico sarò qui, ancora come manager, insieme alla mia migliore amica e ai ragazzi della squadra.
Saremo di nuovo tutti insieme, nello stesso club.
E ci saranno ancora gli allenamenti e le divise sporche da lavare, ma non dovrò più prendermi cura della maglia con stampato il numero dieci.
Almeno, non dovrò più farlo con lo stesso amore.
Perché Tsubasa non sarà il Capitano della Nankatsu.
Lui non farà più parte del club di calcio alle superiori.
Quando le attività inizieranno, non sarà nemmeno più in Giappone.
E la Sanae di questi luoghi sarà sicuramente molto triste.
Ma lo sarà comunque.
Ovunque.
“A che pensi?!” mi chiede all’improvviso Yukari, distraendomi ancora una volta dai miei pensieri cupi.
“Niente di particolare…” mento, cercando di sembrare serena, perché d’imitare il suo entusiasmo proprio non se ne parla.
“Lo sai che sei proprio scarsa a dire le bugie?”
Cerco d’ignorarla mentre mi siedo sulla panchina a bordo campo.
“So che stai pensando che non sarai mai felice il prossimo anno…”
Quando mi volto a guardarla, Yukari si siede vicina a me.
“Ma non è vero!” esclamo, quasi a volermi giustificare, non so nemmeno poi il perché.
Yukari mi guarda di traverso, ma sorridendo bonariamente.
“Ci sarai tu, i ragazzi…” la mia voce un po’ trema, perché è difficile sentire certe cose, anche se sono io a pronunciarle ad alta voce.
“Insomma non credo che non sarò mai felice…” tento di spiegarmi al meglio, perché non voglio che pensi che per me la sua amicizia non è importante.
“Noi ci saremo sempre, Sanae! Però so che non può essere la stessa cosa…”
Le sorrido, mordendomi leggermente le labbra.
“Non riesco a non pensarci, Yukari. Appena abbiamo messo piede qui, il mio cervello non ha fatto altro che torturarmi con…” mormoro, non riuscendo a terminare la frase.
Ma sento lo stesso il bisogno di sfogarmi, di non tenere ancora tutto dentro.
“L’ho immaginato, sai? Come sarebbe se tutto potesse rimanere com’è ora…”
“E cosa hai visto, Sanae?”
“Me stessa. Un po’ più grande. Il sorriso stampato sulle labbra. Una ragazza piena di aspettative e tutte quante realizzabili! Felice con il suo ragazzo… Nella stessa classe, durante gli intervalli e in pausa pranzo. Sempre insieme nelle gite scolastiche e nei festival culturali come questo. Poi…”
Sospiro sconsolata, perché le dolenti note arrivano sempre, inutile fare castelli in aria.
“Poi?”
“Mi ricordo che Tsubasa se ne andrà e che quello non potrà mai essere il mio futuro. Ed è un peccato… Un vero peccato…”
Distolgo lo sguardo ora, cercando di trattenere le lacrime.
Ed è una strana sensazione, quasi non la rammentavo.
Da settembre non avevo più sentito il bisogno di piangere.
Ma oggi è la prima volta, da quando stiamo insieme, che mi soffermo a pensare seriamente alla partenza di Tsubasa.
Come se avessi preso coscienza solo adesso, di quello che accadrà e di come sarà poi.
Come se all’improvviso l’immaginato s’incarnasse nel reale, grazie al tempo che scorre inesorabile.
Come se da oggi iniziasse a diventare tutto vero.
“Io sarò al tuo fianco! Su di me puoi sempre contare!”
Yukari circonda le mie spalle con un braccio, mentre mi volto verso di lei.
Con il dorso della mano asciugo qualche lacrima, che non sono riuscita comunque a trattenere.
Le sorrido riconoscente, poggiando la testa contro la sua.
Consapevole che avrò maledettamente bisogno di lei, tra qualche mese.
“Ovviamente ti abbandonerò a te stessa, appena troverò un bel ragazzo…” e mi fa l’occhiolino, mentre scoppio a ridere divertita.
“Ma tanto tu sei molto buona e mi perdonerai! Hai persino mandato Tsubasa a perdere tempo in ritiro, invece di farti accompagnare qua!”
Mi scosto da lei, mantenendo una postura eretta, prima di risponderle.
“Oh ma è stato meglio così, invece!”
“Ma certo! Avevi la migliore delle compagnie con te! Ma dimmi, l’hai sentito in questi giorni?”
“Sì, ieri sera. Era dispiaciuto perché l’allenamento speciale sta per finire, dopodomani sarà di nuovo a casa…”
Ecco lo sapevo, questa parte avrei dovuto tenerla per me.
Yukari alza infatti gli occhi al cielo.
A lei questa assenza, a suo dire, ingiustificata di Tsubasa non è andata proprio giù.
E questo nonostante abbia fatto sempre il tifo per noi due.
Pensare che dovrei essere io quella risentita o dispiaciuta, per la sua permanenza inaspettata fuori prefettura.
“Ma come dispiaciuto?! A volte il tuo ragazzo mi fa leggermente…”
“Non riesco a fargliene una colpa, Yukari!” la interrompo, prima che inizi a imprecare contro di lui, proprio come fa di solito con Ishizaki.
“Te l’ho già detto… Sei troppo buona…”
“Tsubasa ama il calcio, è più forte di lui!” cerco di spiegarle quello che può sembrare inspiegabile, ma che è semplicemente il mio punto di vista.
“È l’Ozora pacchetto questo: prendere o lasciare. Ed io ho acquistato già da un po’, consapevole a cosa sarei andata incontro. Non credo che chiederò nessun rimborso, ormai!”
E le sorrido ancora, rassicurante, perché so che lei è solamente preoccupata per me.
Yukari infatti mi guarda alzando un sopracciglio, poi sbuffa scuotendo la testa.
“Non ce l’ho con lui, lo sai. È solo che…” s’interrompe cercando forse le parole giuste.
“Insomma è un maschio! Non si può pretendere troppo dalla sua specie, quindi figuriamoci da lui! Lo dico senza offesa, eh!”
Rido mentre Yukari continua a fare smorfie contrariate, come farebbe una madre parlando di un figlio, che le fa perdere particolarmente la pazienza.
“Comunque il mio futuro ragazzo farà tutto quello che gli ordinerò! Vedrai come lo comanderò a bacchetta!” e ghigna, mostrandomi il segno di vittoria con le dita.
Io scoppio di nuovo a ridere, perché Yukari è davvero irresistibile.
E le voglio davvero troppo bene, per pensare che non ce la farò.
Il prossimo anno con lei al mio fianco riuscirò ad avere una vita normale e magari non passerò il mio tempo solamente a piangere.
Ma se proprio non potrò farne a meno, saprò a chi appoggiarmi.
Saprò di non essere sola.
E quel futuro, che proprio non vorrei, sembra meno amaro.
Ma non voglio più angustiarmi, né rovinare così anche il mio presente.
L’inizio del liceo è ancora talmente lontano...
Lasciamolo dov’è…
E per ora, non pensiamoci più.
 
 

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Capitolo 22
*** Kurisumasu keki ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 20

Kurisumasu keki(1)
 
 
 
 


Il vento è freddo, mi fa quasi lacrimare gli occhi.
Un altro giro di sciarpa intorno al collo e di nuovo le mani nelle tasche dei pantaloni.
Mi guardo intorno, la strada è affollatissima.
Non credo di aver mai visto così tanta gente in centro come in questo pomeriggio!
Anche se…
Fino ad ora non sono stato di certo un assiduo frequentatore, non posso quindi affermare con certezza che la folla di oggi sia un’eccezione.
Uno sguardo all’orologio appeso fuori a una caffetteria, sono appena le quattro.
Sanae dovrebbe essere qui a momenti e manca ancora un po’ alla cerimonia, che accenderà le luci di Natale per le vie della città.
Abbiamo quindi tempo a sufficienza, per rifocillarci con qualcosa di caldo, prima che lo spettacolo abbia inizio.
Ma dove potrei portarla?
Di sicuro non di nuovo al chiosco degli hot dog!
Non vorrei trovarmi ancora qualche tizio fra i piedi, pronto a fare il simpatico con la mia ragazza.(2)
“Tsubasa!”
Mi volto mentre un’altra folata di vento gioca impetuosa con la mia sciarpa, srotolandola un po’.
Sanae mi raggiunge, anche lei imbacuccata dentro la sua sciarpona bianca.
È un miracolo che riesca a vederle gli occhi!
Ma nonostante il suo viso sia nascosto dalla lana, posso ugualmente intuire che sta sorridendo felice.
“Fa un freddo!” esclama poi, congiungendo le mani sotto il mento.
“Pensi che nevicherà?” mi chiede poi, scostando la sciarpa dalle labbra mentre un leggero nevischio le bagna leggermente i capelli.
Alzo le spalle e mi gratto la nuca.
A dirla tutta non mi dispiacerebbe una bella nevicata, un po’ d’attrito rinforza i muscoli durante l’allenamento.
Ma ti pare il caso di pensare a queste cose?!
“Andiamo?” la esorto, imbarazzato da me stesso, indicandole con la mano la direzione, che potremmo prendere per la nostra passeggiata.
Sanae annuisce, ignara delle mie strane associazioni, ma quando facciamo per incamminarci, una folata ancora più forte, ci costringe a fermarci dopo un solo passo.
Chiudo gli occhi di riflesso, nell’attesa che il vento si calmi.
Li riapro solo quando sento Sanae, che insistentemente mi tira per un braccio.
Mi guardo intorno confuso, l’aria è diventata improvvisamente calma ora.
Sposto così lo sguardo verso il cielo, non trattenendo poi un’espressione stupita, proprio come quella dipinta sul volto di Sanae.
Sta veramente nevicando!
Istintivamente, mi viene proprio da sorridere.
“Ora è davvero una vigilia perfetta!” esclama estasiata la mia ragazza, prendendomi per mano.
Stringo le mie dita intorno alle sue, prima di riprendere a camminare l’uno accanto all’altra.
Un languore allo stomaco mi suggerisce però di non perdere tempo ma di trovare un posto caldo e alla svelta, per mangiare oltre che per ripararci dalla neve, che continua a cadere lenta su di noi.
Al prossimo incrocio… Dovrebbe esserci il miglior locale di okonomiyaki(3) di tutta la città!
“Ti va di mangiare qualcosa mentre aspettiamo l’inaugurazione delle luminarie?”
“Certo! Ma niente hot dog! Oggi ci vuole qualcosa di classico!”
“Puoi dirlo forte!” esclamo soddisfatto, convinto che la stupirò con il tempismo della mia scelta.
“Poi sai, non vorrei rimanere di nuovo sola mentre sei impegnato a fare la fila da qualche parte!”
Mi volto a guardarla, provando un po’ d’imbarazzo.
Sanae ride maliziosa, stuzzicandomi proprio con l’episodio scomodo di qualche giorno fa.
“Scema…” borbotto arrossendo, perché forse ho fatto troppo lo spaccone in quell’occasione.
Ma un altro sentimento che non sono abituato a gestire, è sicuramente la gelosia.
“È stata una cosa così carina, invece!” esclama Sanae, stringendosi un po’ di più al mio braccio.
Fingo di non aver sentito, nonostante un sorriso compiaciuto m’increspi le labbra.
Eccoci, siamo arrivati!
Quando mi fermo davanti all’ingresso del locale, invito Sanae ad entrare prima di me.
Ma lei invece…
Si blocca.
E non capisco proprio perché, non accenni ancora minimamente a muoversi.
“Dove siamo?” mi chiede, corrugando le sopracciglia.
La guardo perplesso.
Ma che domande fa?
C’è anche l’insegna!
“Mangiamo una cosa e stiamo un po’ al caldo. Hai detto che andava bene, no?” le chiedo confuso, mentre il suo naso si arriccia sempre di più.
“Vuoi davvero mangiare un okonomiyaki?!” mi chiede ancora, enfatizzando il tono allibito della voce.
“Non avevi detto di volere qualcosa di classico? Cosa c’è di più giapponese di un okonomiyaki?” esclamo indicando il locale ad un passo da noi, non riuscendo proprio a capire dove sia l’errore.
Perché fa ancora quella faccia?!
Cosa c’è che non va?!
Sanae sospira, scuotendo la testa.
“Intendevo classico per la vigilia di Natale!”
E sbuffa ancora prima di mettere il broncio.
“Cioè?”
Ops…
Forse avrei dovuto starmene zitto e far finta di niente.
Ma ormai ho parlato.
E la sua reazione mi spaventa un po’.
“Un dolce natalizio! Di solito si mangia quello ad un appuntamento la vigilia di Natale!”
Sanae sbuffa ancora, mentre la sua testa non la vuole smettere di dondolare sconsolata.
“Oh…” mormoro, sorpreso.
Non ne avevo la più pallida idea.
Ma a quanto pare, avrei dovuto essere informato sulle tradizioni del ventiquattro dicembre.
Mi dispiace averla delusa…
Non credevo potesse tenerci tanto a queste cose…
“Scusami…” borbotto, grattandomi nervosamente la nuca, non avendo qualcosa di meglio da dirle.
Sanae mi guarda ancora con aria contrariata, sbattendo più volte le ciglia scure.
Poi però sorride, inclinando leggermente la testa.
“Non fa niente…” esclama, prendendo di nuovo la mia mano.
“Andiamo, dai! Rimedio io!” e senza aggiungere altro, mi trascina di peso per le strade del centro.
Mi limito a seguirla in silenzio, non rischiando così di commettere qualche altra gaffe clamorosa, cosa più che probabile e che sembra riuscirmi sempre piuttosto bene.
Sanae si ferma quando raggiunge l’ingresso festoso di una pasticceria, che in vetrina espone torte dai colori vivaci, decorate appositamente per la vigilia di Natale.
Senza perdere altro tempo, mi trascina veloce dentro.
È una commessa cortese a darci subito il benvenuto e ad accompagnarci solerte ad un tavolo per due, proprio accanto alla vetrata, che scintilla di luci colorate.
Quando ci accomodiamo, ci porge il menù prima di allontanarsi di nuovo, per darci così modo di scegliere in tutta tranquillità.
Sanae decide prontamente che sarà lei ad ordinare per entrambi.
Ovviamente, non muovo nessuna obbiezione.
Dopo la storia dell’okonomiyaki, non voglio rischiare di commettere altri errori, almeno per oggi!
Così mentre la mia ragazza sfoglia seria il menù, io mi guardo un po’ intorno.
Ma mi basta solo un’occhiata in giro, per capire che anche agli altri tavoli ci sono solo coppie.
Dovevo immaginarlo…
È la vigilia di Natale!(1)
In un riflesso condizionato, inizio a tormentare di nuovo la nuca per l’imbarazzo.
Mi volto ostinatamente a guardare fuori dalla vetrata, nel riflesso del vetro osservo Sanae mentre indica alla cameriera, cosa portarci dal menù.
Il mio sguardo poi si fissa sulla neve, che continua a scendere placida dal cielo.
I fiocchi oscillano lenti davanti ai miei occhi, in una danza quasi ipnotica.
“Non ti spogli?” mi chiede all’improvviso Sanae, facendomi sussultare.
Torno a guardarla e mi accorgo che non indossa più il cappotto, né la sciarpa.
Sempre più imbarazzato, mi alleggerisco veloce anch’io mentre la mia ragazza sghignazza divertita.
“Sei nervoso?” mi chiede, sporgendosi un po’ verso di me, poggiando i gomiti sul tavolo.
“Non particolarmente…”
Cerco di fare l’indifferente ma mentalmente mi do dello stupido.
Tutto questo imbarazzo ha davvero poco senso.
Quello di oggi è solo un appuntamento come un altro!
Indipendentemente dalla data sul calendario!
“Ecco a voi il vostro dolce!”
Ecco pensa a mangiare, che è meglio!
Sanae ed io ci voltiamo quasi all’unisono verso la cameriera, che posa una piccola torta sul nostro tavolo.
“Buon Natale!” esclama poi, allontanandosi questa volta definitivamente.
“Che meraviglia!”
Sanae congiunge le mani al petto, guardando estasiata il dolce natalizio a centro tavola.
Lo osservo anch’io, notando per prima cosa le sue dimensioni ridotte.
Si vede che è stato preparato appositamente per due persone…
Babbo Natale saluta festoso dalla sua slitta, guidata dalle immancabili renne, mentre vola su nuvole di panna.
Dal cesto alle sue spalle, cadono numerosi pacchetti fatti di zucchero e dei piccoli elfi sono indaffarati a raccoglierli, per tutta la superficie della torta.
Se è buona la metà di quanto è carina…
“Buon appetito e buon Natale!” esclama felice Sanae, porgendomi una forchetta.
“Ma non si taglia?” domando, anche se capisco subito di aver chiesto qualcosa di scontato.
“No! La mangiamo insieme così!”
Sanae sorride ancora, con quell’aria felice che ho imparato a conoscere negli ultimi tempi e che è capace di scacciare in un attimo, ogni mio imbarazzo.
Mi fa sentire davvero bene, sapere che è merito mio se lei sorride così.
Grazie a Sanae io provo la stessa identica cosa.
Felicità.
Affondo così la forchetta nella torta e porto il primo boccone alle labbra.
Bella e buona…
Altro che l’okonomiyaki!
“Ho sentito dire che il trentuno quest’anno, ci saranno anche i fuochi d’artificio!” esclama Sanae, tra un boccone e l’altro di dolce.
“Davvero?”
“Sì, come festeggiano in occidente!”
“Forte!”
“Potremmo andare a vederli tutti insieme, dopo la visita al tempio! Che ne pensi?”
Alzo il pollice in alto per risponderle, la mia bocca è troppo piena per poter parlare.
“Sai, ti ho già spedito il mio nengajo(4)?”
“Uh?”
“Sì, ho voluto strafare quest’anno!”
Le sorrido, smettendo di mangiare perché so cosa sta facendo Sanae in questo momento e anche il perché.
Queste sono le prime ricorrenze che passiamo insieme, ma saranno purtroppo anche le ultime…
Perché noi non siamo come le altre coppie, sedute ai tavoli vicini.
Noi non abbiamo tutto il tempo che vogliamo a disposizione…
Ed è per questo che Sanae cerca di condensare il massimo, in questi mesi che…
Poso la forchetta sul piatto del dolce, ormai finito completamente nelle nostre pance.
Con un gesto della mano chiamo la cameriera, che ci raggiunge in un secondo.
Sanae mi osserva curiosa mentre pago, ma non me ne curo, continuando imperterrito per la mia strada.
Voglio fare anch’io la mia parte, in questa giornata.
“Dai, copriti che usciamo di nuovo!” la esorto, indossando veloce giacca e sciarpa.
Starmene ancora seduto, mi sembra una perdita di tempo prezioso e fuori c’è ancora così tanto da vedere!
Sanae mi asseconda in silenzio, poco dopo ci ritroviamo all’esterno del locale.
La neve scende ancora, posandosi leggera su di noi, ma non è per niente fastidiosa.
Ormai è buio, sono quasi le cinque.
A passo spedito c’incamminiamo verso la piazza principale, dove si terrà l’accensione delle luci natalizie.
“C’è un sacco di gente!” esclama stupita Sanae mentre dalla sua bocca escono nuvole di vapore, simili a fumo.
Mi guardo intorno, smanioso di trovare un punto d’osservazione migliore di questo.
Quando scorgo un muretto in un angolo, vicino al palco dove si trova il meccanismo che accenderà le luci, prendo per mano Sanae e mi faccio largo tra la gente.
“Bravissimo! Da qua si vede tutto!” esclama allegra, prima di arrampicarsi letteralmente sul muretto, che abbiamo faticosamente appena raggiunto.
Mi siedo accanto a lei proprio mentre le autorità si apprestano a salire sul palco.
Sanae prende di nuovo la mia mano, agitandosi eccitata sul posto.
La osservo attento mentre scandisce bene i numeri ad alta voce, una volta partito il conto alla rovescia.
Il suo viso è radioso, la felicità è riflessa negli occhi.
Il mio sguardo è ipnotizzato su di lei.
Sorrido quando un’espressione sorpresa compare sul suo volto, illuminato all’improvviso da uno spettacolo clamoroso di colori!
Ed io continuerei a guardare sempre lei, se me lo lasciasse fare.
Se non fosse per la sua mano, che mi indica insistentemente di alzare lo sguardo verso il cielo.
“Wow!” esclamo stupito, fissando le decorazioni sopra le nostre teste, che però non possono competere con il sorriso di Sanae.
Quando poso di nuovo lo sguardo su di lei, rimango sempre in silenzio, ancora senza parole.
Si vede davvero che è felice…
Quando la sua testa si appoggia sulla mia spalla e la sua mano stringe di più la mia, al mio cuore non resta altro che accelerare i battiti.
Riporto lo sguardo alle luci colorate, provando un senso di calore irradiarsi veloce nel mio petto.
Tutto questo è gioia…
E sa di casa…
Mi verrebbe quasi da chiudere gli occhi mentre le persone intorno a noi riprendono a muoversi, ma anche per me e Sanae è arrivato il momento di andare.
La nostra prima vigilia di Natale insieme non è ancora finita.
Scendendo con un saltello dal muretto, ci buttiamo di nuovo nella mischia, per continuare la nostra passeggiata.
Camminiamo senza sapere di preciso dove andare, senza nemmeno parlare molto, ma godendo semplicemente del momento.
Insieme.
Mano nella mano.
Il resto non conta poi molto…
“Oh guarda!” esclama all’improvviso Sanae, fermandosi al centro del marciapiede.
La gente intorno a noi continua a camminare, in un flusso costante ed omogeneo.
“Cosa?” mi guardo intorno, sbattendo le palpebre curioso.
“Foto ricordo!” e senza darmi modo di capire, Sanae mi trascina per un braccio verso una di quelle cabine, che si usano per le foto formato tessera.
Scuoto la testa per rimproverarla, mentre inizia a frugare nella borsa in cerca di monete.
“Ci penso io!” esclamo, prendendo una banconota dal portafoglio e introducendola poi nell’apposita fessura.
“Corri, entriamo!”
Sanae saltella quasi sul posto, prima di ficcarmi di peso dentro la cabina.
Un secondo e anche lei si accomoda nel sedile, fin troppo piccolo però per due persone, tirando con poca grazia la tendina, che ci separa così dal mondo esterno.
Me la ritrovo praticamente in braccio, quando inizia ad armeggiare con i comandi nello schermo, per scegliere quale decorazione applicare alle nostre foto.
“Uffa! Ma non ci sono quelle natalizie?!” si lamenta, accomodandosi meglio sulle mie ginocchia, mentre con uno sbuffo, continua a pigiare con l’indice sull’applicazione.
Io nel frattempo spero di non essere arrossito troppo o che perlomeno, non si noti eccessivamente nelle foto.
Non sono proprio abituato a tutta questa vicinanza!
“Eccole! Perfetto!”
Sanae dà un ultimo comando alla macchina, prima di tornare a rivolgersi a me, il tutto senza accennare minimamente a scendere dalle mie gambe, ovvio.
Non che la cosa mi dispiaccia, anzi…
“Ok, ora parte! Tsubasa, sorridi!” mi ordina, prima di avvicinare il suo volto al mio e mimare con la mano un cenno di vittoria verso l’obbiettivo, che scatta rumorosamente in questo istante.
Nello schermo appare l’immagine di noi due, appena immortalata.
Come temevo…
Io sono decisamente viola in volto.
“Questa è quella in posa! Ora facciamo quelle spontanee!”
Spontanee?!
Con te seduta così?!
Sarà già un miracolo cambiare espressione…
Sanae comincia a fare la linguaccia allo schermo, non badando più ai provini che la macchina ci propone sullo schermo, ma continuando a fare facce buffe, contagiandomi così con la sua allegria.
Tanto che prendo ad imitarla, facendo smorfie stranissime, che a quanto pare, la fanno ridere a crepapelle.
Capiamo che il tempo a nostra disposizione è finito, quando lo schermo diventa di nuovo nero e la macchina si mette in funzione rumorosamente, preparando la stampa delle nostre foto.
A noi non resta altro che uscire dalla cabina e attendere che siano pronte.
Rabbrividiamo per il freddo, quando siamo di nuovo all’esterno, anche perché il vento ha ripreso a soffiare forte, ora che ha smesso di nevicare.
Ma dentro eravamo fin troppo vicini, credo che questo contribuisca ad acuire questa sensazione gelida, ora che non siamo più appiccicati.
“Eccole!” esclama Sanae, visibilmente eccitata mentre le nostre strisce fotografiche escono dalla apposita fessura, appena stampate.
Non ho nemmeno il tempo di avvicinarmi all’apertura, Sanae le ha già prese.
Mi sporgo sopra la sua spalla e rido, quando osservo le foto strette tra le sue mani.
Alcune sono davvero buffe.
“Saranno un ricordo bellissimo di questa giornata...”
Sanae lo mormora, senza staccare gli occhi da un’immagine di noi due.
Immagine imprigionata per sempre in quell’attimo, che è diventato già il passato.
Mi limito ad annuire in silenzio, osservando ancora Sanae, persa in non so quale mondo.
I suoi occhi fissi sulle foto, all’improvviso mi sembra distante anni luce.
E la sua espressione mi sembra così…
“Tsubasa…” mi chiama piano, sempre senza staccare gli occhi dalle foto.
Non so perché, ma ho quasi paura a risponderle.
“Posso farti una domanda?” mi chiede, alzando ora lo sguardo su di me.
I suoi occhi sembrano lucidi, come se fosse sul punto di piangere mentre la sua espressione si è fatta nervosa.
Era da tanto che non la vedevo così…
“Dimmi…”
La esorto a parlare, ma non sono sicuro che l’argomento mi piacerà.
“Quando sarai in Brasile…” esita per un momento e a me si stringe il cuore.
Non abbiamo più parlato della mia partenza.
Dopo la mia dichiarazione l’abbiamo lasciata fuori dalle nostre vite, per tutti questi mesi.
E non è stato nemmeno qualcosa di voluto, studiato a tavolino.
Abbiamo scelto inconsapevolmente entrambi, di far finta di niente.
Trattengo il fiato mentre Sanae sposta lo sguardo e si bagna le labbra con la lingua, nel tentativo credo, di scegliere accuratamente le parole.
E di affrontare qualcosa più grande di noi…
Prende un grosso respiro ora, come a trarre forza dall’aria che inspira.
Io mi scordo di riprendere fiato invece, quando lei torna a guardarmi negli occhi.
“Quando sarai in Brasile cosa saremo noi?”
La fisso sorpreso.
Il mio cuore manca un battito poi prende a battere più veloce, bussando forte contro il petto.
Sanae abbozza un sorriso titubante mentre attende una mia risposta.
Inspiro giusto un filo d’aria per permettermi di sopravvivere, quando leggo nei suoi occhi la stessa paura che ho io.
Quel timore che mi ha assalito, appena è stata nominata la mia partenza per il Brasile.
Cosa saremo noi?
La risposta è semplice e così chiara dentro di me.
“Saremo semplicemente Sanae e Tsubasa!” esclamo, sporgendomi un po’ verso di lei e sfilandole una striscia di foto dalle mani.
Le guardo e sorrido.
Nella prima immagine scattata siamo emozionati, vicini e visibilmente…
Innamorati, sì.
“Continueremo ad essere quello che siamo ora l’uno per l’altra…” aggiungo, mostrandole la foto e indicando bene i nostri volti con un dito.
Sanae la fissa.
Noi due immortalati in quello scatto
Quando torna a guardarmi, si morde leggermente il labbro inferiore.
“Se a te va bene, ovvio…” mormoro, colpito e affondato da quella lacrima, che inizia a rigarle lenta il viso.
Sanae annuisce, cercando di sorridere mentre tenta di arginare il pianto.
E non posso evitare di darmi dello stupido.
Forse do troppe cose per scontate e specialmente con lei.
Invece dovrei preoccuparmi di più.
Di quello che pensa e di quello che vuole.
Ma soprattutto di quello che teme…
In fondo sono io quello che ha deciso di partire.
Io quello che se ne andrà tra noi due, nonostante mi sia dichiarato innamorato.
Così l’abbraccio.
Per scusarmi.
Per rassicurarla che niente cambierà.
L’abbraccio forte, perché in una giornata come questa non ci devono essere ombre.
Voglio che sia un ricordo felice.
La stringo a me.
Ho tanto bisogno di farlo.
E Sanae si aggrappa forte al mio petto.
Ed è come se non mi volesse più lasciare andare…
 
 
 
 
 

(1) Kurisumasu keki: Christmas cake. La vigilia di Natale in Giappone è considerata una festa per innamorati, alla pari di San Valentino.
(2) Tsubasa sta facendo riferimento a quanto descritto nel sesto capitolo di Butterfly, intitolato "Canto di Natale".
(3) Okonomiyaki: è un piatto agro-dolce giapponese cotto alla piastra, che ricorda nella forma il pancake americano.
(4) Nengajo: cartolina di auguri di capodanno.
 

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Capitolo 23
*** Chiaro di luna ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 21

Chiaro di luna(1)
 
 
 
 


“Accomodati pure, te la chiamo subito!”
M’inchino ancora, prima che la madre di Sanae salga al piano di sopra.
Quando rimango solo, mi accomodo sul divano dei Nakazawa, guardandomi nervosamente intorno.
È da tanto che non vengo a casa sua…
Negli ultimi mesi Sanae ed io ci siamo visti quasi sempre fuori o al massimo da me.
Ma ora lei è ammalata, così sono venuto apposta per portarle alcune dispense, in modo che non rimanga indietro con lo studio.
Gli esami ormai sono quasi alle porte!
Ok… Sembro quasi serio.
In realtà mi serviva solo una scusa, perché muoio dalla voglia di vederla.
Dei rumori attirano la mia attenzione, mi volto verso le scale, che Sanae sta scendendo un po’ lentamente.
“Ciao…” mi saluta e non posso evitare di notare quanto sia roca e bassa la sua voce, per colpa di questo maledetto raffreddore, che la costringe a casa ormai da quasi una settimana.
“Ti avevo detto niente visite! Non voglio attaccarti l’influenza!” mi rimprovera mentre raggiunge il divano, accomodandosi poi accanto a me.
“Ma sono stato obbligato! Ti servono queste!” esclamo per giustificarmi, mostrandole le dispense rilegate della Nishimoto, in cui sono trascritti gli appunti delle lezioni di questi ultimi giorni.
Sanae mi scruta, aggrottando le sopracciglia poi mi toglie i fascicoli di mano, iniziando a sfogliarli un po’ a casaccio.
“Questa è la calligrafia di Yukari…” borbotta, guardandomi di sottecchi.
“Poteva portarmeli lei…” aggiunge, fissandomi seria.
Non le rispondo, sbuffando leggermente, nella speranza che apprezzi il gesto e se ne stia un po’ zitta.
“Sai che è alquanto strano questo tuo zelo per i compiti, vero?”
Stavolta sono io a fissarla, aggrottando volutamente lo sguardo.
Potresti anche dimostrarti un po’ più felice di vedermi!
Senza fare tutte queste storie!
Sanae sbatte le palpebre, arcuando le sopracciglia poi scoppia a ridere, dandomi una leggera botta sulla testa con la dispensa appena esaminata.
“Sono contenta che sei passato, scemo…” mormora dolcemente mentre mi massaggio la fronte.
“Come ti senti?” le chiedo, osservando meglio il suo viso.
Sanae sembra stanca e affaticata.
Gli occhi e il naso sono leggermente rossi.
“La febbre se n’è andata, ma ho ancora mal di gola…” e sbuffa, alzando gli occhi al cielo, stringendosi un po’ di più nel michiyuki(2) che indossa, sopra a quello che deve essere un pigiama.
Le sorrido, pensando che nonostante la convalescenza, sia carina lo stesso.
“Ti va qualcosa di caldo?” mi chiede poi, provando ad alzarsi.
La trattengo per un braccio, scuotendo vigorosamente la testa.
Non voglio che sua madre torni qua, anche se non ho nemmeno fatto caso se sia riscesa o meno, dal piano di sopra.
Mi è sempre sembrata una signora molto tranquilla, ma vorrei evitare altre allusioni o prese in giro gratuite.
Mi bastano già quelle della mamma, quando è Sanae a venire a casa nostra.
Preferisco non correre rischi.
Poi…
Poi…
Sì, insomma…
Voglio rimanere ancora un po’ solo con lei, perché mi sembra passato un secolo senza vederla!
E fa così strano detto da me…
Sono io quello che di solito scappa, letteralmente, in giro per il Giappone, per allenarsi con qualche squadra della J League.
Sono sempre io, quello che ha deciso di emigrare in un altro continente tra poco più di…
Meglio non pensarci!
L’anno è appena iniziato, siamo solo a gennaio e ho ancora tempo per decidere quando partire.
Non voglio ancora guardare il calendario con quell’intento, anche se una certa smania inizia costantemente a fare capolino tra i miei pensieri.
E prenderle, certe decisioni, sembra fattibile solo quando la mia ragazza non è a un passo da me.
“Tutto bene?” mi chiede perplessa Sanae, prima di starnutire.
Devo esserle sembrato un po’ assente, così cerco di rimediare all’istante.
“Io sì! Tu… Un po’ meno, eh?”
Lo dico ridendo, cercando di allontanare il più velocemente possibile l’ansia, che mi coglie ogni volta che penso a come fare, per organizzare la mia partenza per il Brasile.
“Di chi è quel pianoforte?” le chiedo, trovando nello strumento a muro, posto accanto alla finestra, un eccellente diversivo ai miei pensieri.
Sanae segue il mio sguardo poi sorride.
“Non lo indovinerai mai…” mormora sorniona, scrutandomi con la coda dell’occhio.
Il miei occhi si posano ancora sul pianoforte, inizio a sbattere le palpebre perplesso.
“Di tua madre?” chiedo, tirando a indovinare, non avendo la più pallida idea di chi possa essere.
Sanae scuote la testa, ridendo divertita.
“Tuo padre, allora!” esclamo mentre la vedo tenersi la pancia, per il troppo ridere.
Quando Sanae riesce a riprendere fiato, mi fissa, indicando poi se stessa, con il pollice rivolto verso il petto.
“Tuo?!” domando ancora, senza calibrare minimamente lo stupore.
Lei annuisce, sorridendo di nuovo.
“Non te l’aspettavi, vero?”
Scuoto la testa vigorosamente.
“Mia nonna è un’insegnante di musica e ha preteso dai suoi figli, che ogni nipote imparasse a suonare almeno uno strumento!”
Continuo a fissarla, incredulo.
Non avevo la più pallida idea, che Sanae fosse capace di suonare qualcosa.
“Il pianoforte l’ha comprato mia madre, senza nemmeno consultare sua suocera. Era convinta che lo studio di questo strumento, potesse in qualche modo…” fa una pausa, posando l’indice sul mento e alzando gli occhi al cielo.
“Rendermi più aggraziata e femminile, ecco!” esclama, voltandosi a guardarmi, sorridendo leggermente imbarazzata.
“La nonna veniva qui ogni pomeriggio, era l’anno della terza elementare e mi metteva seduta davanti alla tastiera per ore! Uno strazio insopportabile! Come mi dava ordini, poi! E non potevo alzarmi senza il suo permesso!”
“È stata dura imparare?” le chiedo, non riuscendo ad immaginare l’Anego di qualche anno fa, china su uno spartito invece che in giro, a fare la capobanda degli altri ragazzi.
“Vuoi che ti stupisca ancora?” mi chiede, incassando la testa nelle spalle, con una risatina sommessa.
“Uh?”
“La nonna non si capacitava di come una scalmanata come me, avesse potuto imparare in pochi mesi a suonare il piano, senza nemmeno troppe difficoltà! Inspiegabilmente, ero proprio io la più portata per la musica, tra tutti i suoi nipoti!”
“Davvero?!” le chiedo, affascinato da questo lato di lei, finora sconosciuto.
“Un dono di natura, a detta sua…”
Sanae annuisce, dando poi un leggero colpo di tosse.
“Ma sono rimasta comunque un maschiaccio! Povera mamma!” scherza, alzando le spalle e piegando le braccia, il palmo delle mani girato in aria.
“Mi faresti sentire qualcosa?” le chiedo di slancio, senza minimamente pensare.
Sanae arrossisce vistosamente, sgranando leggermente gli occhi.
“Al piano?!” mi chiede poi, incredula.
“Sì, dai!” la esorto, davvero curioso di vederla in questa nuova e inaspettata versione.
“Ma sono secoli che non lo tocco!” tenta di dissuadermi, imbarazzata.
“Dai, non farti pregare!” insisto, alzandomi e porgendole le mani, per aiutarla a tirarsi su dal divano.
“Ma…” borbotta ancora, buttando occhiate furtive allo strumento.
“E va bene!” esclama alla fine, scuotendo la testa e sbuffando, prima di afferrare le mie mani e alzarsi.
In pochi passi raggiunge il pianoforte, la seguo come un’ombra, osservando ogni suo gesto, in religioso silenzio.
Sanae si siede poi alza la copertura della tastiera.
Per alcuni secondi rimane ferma, a fissare i tasti bianchi e neri.
Io non oso ancora aprire bocca.
Sanae si morde le labbra, il suo sguardo si fa serio poi prende un ampio respiro, prima che le sue mani si posino sulla tastiera.
I suoi occhi si richiudono, quando le prime note escono dallo strumento.
Trattengo il fiato…
Le sue dita continuano a scorrere lente sui tasti.
Le sue palpebre sono sempre semi chiuse.
E all’improvviso mi sento…
Non so nemmeno spiegarlo.
Le note sembrano capaci di scavare dentro di me.
Lasciandomi disarmato contro…
Le mie insicurezze.
Avverto di nuovo l’ansia, identica a quella che ho cercato di arginare poco fa.
Le note, nell’aria…
M’impediscono di respirare regolarmente.
Come se fossi sotto la pioggia e non esistessero ripari dove nascondermi.
Come se fossi nudo.
Sussulto quando Sanae smette all’improvviso di suonare.
Le sue mani finiscono aperte sulle sue ginocchia, con uno scatto nervoso.
Come se la tastiera, che i suoi occhi continuano a fissare, bruciasse.
Come ci fosse brace sotto quei tasti bicolore.
“Come si chiama questo brano?” le chiedo con un filo di voce.
“Sonata alla luna. Ma è un soprannome…”
“L’ha scritta?”
“Beethoven. Alcuni dicono per l’allieva prediletta, altri immaginano sia l’espressione della sua voce interiore…”
Fa una pausa, sempre senza alzare lo sguardo dalla tastiera.
“Altri ancora ci leggono la sottomissione al proprio destino e una domanda, ripetuta nel suonare tre note…”
Istintivamente mi verrebbe da chiedergli perché abbia scelto proprio questo brano.
Ma non lo faccio.
Perché ascoltandolo, è come se sapessi già il motivo.
Sì, riesco a sentirlo il perché…
“Sei brava…” sussurro, cercando di spezzare il silenzio, nella cappa pesante, che è calata su di noi.
Nel mio cuore avverto un unico desiderio, quello di riportare tutto alla normalità e il più velocemente possibile.
Solo qualche minuto fa, ridevamo allegri seduti vicini sul divano.
“Si vede che non ne capisci…” mi risponde, cercando di sorridere ma senza accennare ad alzare lo sguardo su di me.
“Riesci sempre a stupirmi…”
Sanae sposta finalmente i suoi occhi nei miei, attratta dalle mie parole.
Un rossore più acuto sembra bruciarli, molto più di prima.
Temo non sia colpa del raffreddore, ora.
“Sei la ragazza più incredibile che abbia mai conosciuto!” esclamo, sorridendole, perché è quello che penso davvero.
Non c’è nessuna al mondo come lei.
“Per ora i tuoi orizzonti sono ancora così limitati…”
Sanae mi sorride di nuovo, ma c’è una nota così triste sulle sue labbra.
“A breve avrai modo di ricrederti…” sussurra poi, alludendo alla nostra separazione.
I suoi occhi sono così tristi e dentro al suo sguardo emerge quel sottile velo, fatto di quella che sembra paura.
Paura che un giorno li scorderò.
Come se fosse possibile!
“Sanae, non dire sciocchezze…” la rimprovero, chinandomi su di lei, per guardarla da vicino.
Per trasmetterle tutto quello che provo per lei, compresi il timore di lasciarla e il senso di colpa.
Sanae poggia la sua fronte contro la mia e chiude gli occhi.
“Non farci caso…” mormora, poggiando le mani sulle mie spalle, come a volersi sorreggere.
“Sono solo tanto stanca…”
Ma io so che non si sta riferendo all’influenza…
Faccio comunque finta che sia così, che tutto dipenda da qualche stupido virus.
Nascondere la testa sotto la sabbia è talmente facile…
Anche se ho la netta sensazione, che un giorno questo atteggiamento mi si ritorcerà contro…
Non sono abituato a comportarmi da codardo.
“Torna a riposarti, io vado…” le suggerisco, facendo carico l’influenza, di tutte le nostre preoccupazioni.
“No!”
Sanae scatta, aggrappandosi alla mia felpa, stringendo con i pugni all’altezza del mio petto.
Proprio dove albergano i miei sentimenti infiniti per lei.
“Non andare!” esclama poi, guardandomi negli occhi.
“Rimani…” sussurra, supplicandomi anche con lo sguardo.
“Ok…” rispondo, posando una mano sul suo viso dai lineamenti tirati.
Ma non sono sicuro che basti questo, per assecondare la sua preghiera.
Non si limita di certo ad oggi, il suo restare.
Non mi resta altro quindi, che trovare il modo più indolore per andare
 
 
 
 
 

(1) Sonata per pianoforte numero 14 di Ludwig van Beethoven. “Chiaro di luna” è il nome con cui viene chiamato questo brano specifico.
(2) Michiyuki: è una giacca dallo scollo quadrato e bottoni con chiusura a pulsante. Viene indossato sopra i kimono per calore e protezione.
 
 

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Capitolo 24
*** Hommei-choko ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 22

Hommei-choko(1)
 
 
 
 


“Ma dove si sarà cacciato?!”
Il mio giro per l’edifico scolastico non ha dato proprio buoni frutti.
Ho cercato ovunque, ma di Tsubasa nessuna traccia!
Mi siedo sbuffando al mio banco, nell’aula ancora vuota.
Un sospiro, l’ennesimo, cambia forma al mio respiro.
Un’ultima occhiata alla porta, prima di estrarre dalla busta, poggiata sulle mie ginocchia, il prezioso box di cioccolatini, che mi è costato davvero una fortuna.
Un sorriso m’increspa le labbra mentre osservo il contenitore rosa, decorato con fiori di ciliegio stilizzati.
Questa è la prima volta.
Non avevo mai comprato dei cioccolatini per lui.
Semplicemente perché non avevo mai avuto il coraggio di farlo negli anni passati e di sicuro non posso considerare come prova d’amore, quelli che noi manager lasciamo negli spogliatoi per i ragazzi, ogni quattordici febbraio.
Il primo San Valentino, già…
Però anche l’ultimo…
Emetto un altro sospiro, perché questa è un’associazione, che proprio non riesco a togliermi dalla testa.
Siamo a metà febbraio ormai, impossibile non pensare al Brasile.
Impossibile davvero…
Le mie spalle s’incurvano mentre accarezzo delicatamente il coperchio della scatola.
E i miei occhi, inevitabilmente, si fanno lucidi.
Ma mi ribello, scuotendo la testa.
Devo farmi forza!
Non voglio proprio rovinare una giornata così speciale.
Non dopo aver atteso per anni, di festeggiarla come si deve!
Devo assolutamente allontanare lo spettro della separazione dalla mia mente, almeno per le prossime ventiquattro ore.
Ce la puoi fare! Senza iniziare a piangere, Sanae…
No, non posso proprio lasciarmi andare…
Anche perché qualcuno sta entrando in classe, proprio ora!
Veloce, asciugo una lacrima furtiva con la manica della divisa, proprio come facevo quando ero bambina poi mi volto, con la speranza nel cuore che finalmente sia Tsubasa a materializzarsi qui.
Non è possibile sparire così, proprio il giorno di San Valentino!
Le mie aspettative però rimangono deluse, anche questa volta.
Taro Misaki mi sorride, oltrepassando la soglia dell’aula.
Quando si avvicina la suo banco, alza la mano per salutarmi prima di posare qualcosa in mezzo i libri.
Una ragazza deve avergli regalato della cioccolata per San Valentino, è così evidente.
Mi domando curiosa chi possa essere, ad aver pensato a lui in questa occasione.
“Che ci fai qua?” mi chiede all’improvviso, distraendomi dalle mie congetture sulla sua ipotetica spasimante.
“Sto solo aspettando Tsubasa. Non sono riuscita a trovarlo da nessuna parte…”
Misaki sorride poi prende una sedia e dopo averla avvicinata al mio banco, si siede non nella posizione classica ma poggiando i gomiti sullo schienale.
Quando il suo collo si allunga in direzione del box rosa sulle mie gambe, un rossore improvviso deve illuminare prepotente le mie guance.
“Wow!” esclama, tornando a guardarmi stupito.
“Proprio una bella confezione di cioccolatini!” aggiunge sempre sorridendo mentre io mi sento ancora più in imbarazzo.
Sono proprio una sciocca.
Non dovrebbe essere così facile arrossire, non più almeno.
Lo sanno tutti ormai, che Tsubasa ed io stiamo insieme.
Anche se…
Non ho molta confidenza con Misaki.
Quando se n’è andato per seguire il padre in Francia anni fa, era in città da così poco tempo e per me era al massimo il numero undici della Nankatsu, l’altro componente della Golden Combi.
Di certo non un amico d’infanzia, tipo Ishizaki.
Sto imparando a conoscerlo meglio solo ora, in questi ultimi mesi, perché Misaki è uno dei migliori amici del mio ragazzo, se non il migliore in assoluto.
“Ma tu sai dov’è finito Tsubasa?” gli chiedo, senza riuscire a trattenermi oltre.
“È in Presidenza…” mi risponde, poggiando il mento sul palmo della mano, il gomito contro la spalliera della sedia.
“Come dal Preside?!” chiedo ancora, allarmata, alzando un po’ il tono della voce.
Ma com’è possibile che l’abbiano convocato?!
Misaki mi osserva per un attimo, rimanendo in silenzio, come se stesse rimuginando su qualcosa.
Non è un buon segno, questo…
O almeno credo…
L’osservo scuotere leggermente la testa, prima di sorridere ancora.
“Tranquilla! Tsubasa ci è andato di sua spontanea volontà! Non è successo nulla di grave!”
Aggrotto le sopracciglia, confusa.
La sua affermazione dovrebbe rassicurarmi…
Ma c’è un qualcosa…
Qualcosa che mi sfugge.
E questo sembra intuirlo anche Misaki, perché sposta lo sguardo altrove.
“Doveva parlare con il Preside, ma non so dirti di più…”
Non posso non notare un’espressione strana nei suoi occhi, quando torna a guardarmi.
Avverto così di nuovo un senso di sfuggevolezza.
Ma chissà cosa…
Alzo le spalle, girando il labbro inferiore all’infuori.
Che sarà andato a fare in Presidenza?
“Come mai non hai preparato del cioccolato tu?”
“Eh?!” esclamo, completamente distratta dal mio fare ipotesi, dalla domanda di Misaki.
“Di solito a voi ragazze non piace fare queste cose con le vostre mani? Mettendoci tutto il vostro amore?” e ammicca verso la mia scatola di cioccolatini.
Come una scema, arrossisco ancora.
Ma questa volta, sono decisa più che mai a superare l’imbarazzo.
“A dir la verità ci avevo pensato…” ammetto, grattando una tempia con l’indice.
“Ma quando sono entrata in negozio, per comprare gl’ingredienti, ho visto questa meraviglia… E non ho proprio resistito!”
Misaki annuisce, alzando un pollice verso l’altro, approvando la mia scelta.
Rispondo con un sorriso mentre sento che il disagio sta pian piano scemando.
“Anche a te hanno regalato qualcosa?” chiedo, per continuare a rompere il ghiaccio.
Misaki mi guarda stupito, prima di voltarsi verso il suo posto in aula.
“Ah, sì! Non me l’aspettavo, sai!” e ridacchia, sporgendosi dalla sedia, quel tanto per riuscire a prendere un pacchetto colorato, nascosto tra le sue cose sotto il banco.
Quando poggia di nuovo i gomiti sullo schienale della sedia, scarta il suo regalo, prendendo poi un morso di cioccolata.
Sul suo volto non noto nessuna particolare emozione, probabilmente la ragazza che gliel’ha regalata non è corrisposta.
Sì, deve essere così…
Altrimenti non mi offrirebbe parte del suo cioccolato da mangiare!
Rifiuto, scuotendo la testa in maniera decisa.
Non posso non immedesimarmi in quella povera innamorata, che probabilmente, avrà passato un’intera giornata tra gli scaffali, indecisa su cosa acquistare.
“Ho potuto accettare solo il cioccolato, però…” mormora Misaki, fissando la stecca mangiucchiata tra le sue mani.
Dall’espressione del suo volto ora s’intuisce che è dispiaciuto, dimostrando una sincerità apprezzabile.
Vagabondare per il mondo con suo padre, deve aver forgiato più velocemente il suo carattere.
E forse lo ha reso più maturo, rispetto agli altri ragazzi della sua età.
“Cosa si prova a partire?” domando all’improvviso, dopo essermi fatta un po’ di coraggio.
Misaki mi fissa, visibilmente stupito.
Probabilmente non si aspettava un cambio di argomento, ma la mia è una domanda, tutt’altro che disinteressata.
Non so quante volte mi sono chiesta cosa possa provare Tsubasa, ora che è in procinto di partire.
Cercando poi d’immaginare le risposte, non potendo, né volendo chiedere al diretto interessato.
“Dipende…”
Misaki mi osserva, indagando con lo sguardo.
“Ti riferisci a Tsubasa?” mi chiede poi, poggiando il mento sulle braccia incrociate.
La sua espressione è tremendamente seria e per un attimo vorrei far finta di niente, ma non posso.
“Anche…” confesso, abbozzando un sorriso di nuovo imbarazzato.
Misaki mi scruta ancora poi abbassa lo sguardo, trattenendo il fiato.
“È diverso. Io non ho mai scelto di partire…”
Sgrano leggermente gli occhi.
Le sue parole, il tono della voce…
Ma come ho fatto a non pensarci?!
Non c’è paragone tra la sua situazione e quella di Tsubasa.
La decisione.
È questa la differenza sostanziale, capace di rendermi triste.
“Però… Posso garantirti che la mancanza non cambia…” esclama Misaki, tornando a guardarmi.
“Che?” chiedo, non seguendo il suo discorso.
“Non conta nulla chi abbia scelto cosa, quando manca qualcuno lontano…”
Socchiudo la bocca, senza distogliere lo sguardo.
Quello che voglio sapere…
Questo voglio sentirmi dire.
Che gli mancherò…
“Se si vuol bene a qualcuno, ci mancherà per forza. Sempre e comunque!”
Misaki mi sorride ora ed è chiaro il suo intento di rassicurarmi.
“Hai ragione…” mormoro, annuendo e sorridendo anch’io.
E ho come l’impressione che in questo momento, siamo riusciti a porre il primo tassello alla base della nostra amicizia.
Le parole di Misaki mi hanno così sollevata, che vorrei proprio ringraziarlo!
Ma quando sto per farlo su serio, una voce alle mie spalle richiama prepotentemente la mia attenzione.
“Taro, sei ancora qui?”
Mi volto in direzione della porta.
Tsubasa è fermo sulla soglia dell’aula e sembra trafelato.
Quando i suoi occhi incrociano i miei, non posso non notare la sorpresa nel suo sguardo.
Ma è solo per un attimo, la luce che li anima torna subito quella serena di sempre.
“Sanae, ci sei anche tu!” esclama felice, avvicinandosi al mio banco.
Alzo gli occhi al cielo, sbuffando vistosamente.
Devo fargli pesare il suo pessimo comportamento nel giorno degli innamorati.
“Ti ho cercato ovunque!” esclamo, guardandolo poi di traverso.
“Potevi anche dirmelo che avevi un appuntamento con il Preside!”
Sul volto di Tsubasa compare un’altra volta quell’espressione stupita.
Un secondo poi si volta verso Misaki e lo fissa, finché il suo migliore amico non prende la parola.
“Le ho detto io dov’eri, tranquillo…”
Stranamente, Tsubasa sembra realmente rilassarsi.
Sì…
Oggi ci sono fin troppe cose, che continuano a sfuggirmi…
“Però che vergogna! Sparire proprio il giorno di San Valentino!” esclama Misaki all’improvviso, ridendo e scuotendo la testa sconsolato.
Tsubasa abbozza un sorriso, grattando ripetutamente il ciuffo ribelle sulla nuca.
“Vi lascio soli, dai! Ciao Sanae!”
Misaki mi saluta chiamandomi per nome, come se fossimo amici di vecchia data.
Felice, rispondo al suo saluto con un bel sorriso, accompagnato da un gesto allegro della mano.
“A dopo! E grazie…” esclama Tsubasa, indugiando con lo sguardo sul suo amico.
Misaki si limita a sorridere ancora, prima di lasciare l’aula.
Quando Tsubasa si volta verso di me, prende a grattarsi di nuovo la nuca, visibilmente imbarazzato.
“Scusami…” borbotta, continuando a tormentarsi i capelli.
“Che dovevi fare in Presidenza?” chiedo curiosa, mentre cerco di nascondere la scatola di cioccolatini nella busta.
Tsubasa mi fissa per un attimo poi sorride.
“Niente di che…” esclama, alzando le spalle prima di avvicinarsi.
“È per me?” mi chiede poi, indicando con l’indice il pacchetto sulle mie ginocchia.
“No. Per il primo che passa…” borbotto sarcastica, scontenta per la mancata risposta ricevuta.
Tsubasa aggrotta le sopracciglia poi la sua espressione diventa quella, di chi non sa davvero cosa fare, per scusarsi ancora.
Ma io gli rendo le cose piuttosto facili, un po’ come sempre, visto che non sono proprio capace di tenergli il broncio.
Gli sorrido, pronta in un attimo a dimenticare l’inconveniente della sua assenza e a festeggiare come si deve il giorno degli innamorati.
E senza perdere altro tempo, tolgo il box dalla busta e glielo porgo.
Provando un’emozione così bella, quando le mie labbra possono finalmente pronunciare ad alta voce un buon San Valentino!
Tsubasa prende la scatola dalle mie mani, sorridendo emozionato.
Le sue gote diventano leggermente rosse mentre apre la confezione, sedendosi al posto che occupava Misaki prima del suo arrivo.
“Mamma mia…” esclama stupito, quando i pirottini di carta ripieni di cioccolatini, compaiono in tutta la loro golosa bellezza.
Inevitabilmente sorrido anch’io, sempre più soddisfatta della mia scelta.
I fiori di ciliegio, i boccioli e le foglie verdi contenuti nella scatola, sono così perfetti da sembrare quasi veri.
“Grazie…” mormora, guardandomi negli occhi prima di mettere in bocca un cioccolatino.
Scuoto la testa, come niente fosse ma cercando d’infondere nei miei gesti e nel mio sguardo, tutto l’amore possibile.
Voglio così disperatamente trasmettergli quanto lui sia importante per me.
“Prendine uno anche tu!”
Tsubasa mi porge la scatola, invitandomi ad assaggiare un po’ della sua cioccolata.
Mi rifiuto categoricamente.
“Sono tuoi questi!” esclamo, allungando le braccia avanti a me.
“Avrò la mia nel White Day(2)!”
Tsubasa distende le sue labbra in un sorriso, prima di abbassare lo sguardo ed iniziare a spostare i pirottini con le dita.
“Basta che ti ricordi di ricambiare tra un mese!” esclamo felice, abbassando il busto, in modo da riuscire a guardarlo in volto.
Tsubasa sorride ancora, senza smettere di frugare tra i cioccolatini.
“Fammi contento lo stesso…” esclama infine, alzando lo sguardo e avvicinando alle mie labbra un bocciolo candido, fatto di cioccolata bianca.
Il suo gesto mi prende completamente in contropiede.
È impossibile rifiutare ancora, se fa così!
“Metà per uno però!” gli concedo, prima di mordere il cioccolatino direttamente dalla sua mano.
Nella mia bocca il bocciolo si scioglie delicatamente mentre nel mio cuore, si accavallano imbarazzo e gioia pura.
Tsubasa mette in bocca l’altra metà poi la sua mano si posa sul mio viso.
Sto ancora assaporando il suo calore sulla pelle, quando lui si sporge e…
Mi bacia.
In uno slancio inaspettato, che mi lascia per un secondo ad occhi aperti, tanto è lo stupore.
Le mie palpebre si chiudono quando un altro bacio sfiora le mie labbra.
Poi ne arriva un terzo…
E un altro ancora…
E vorrei perdere il conto, continuando così all’infinito…
Ma la campanella suona inesorabile.
Mi allontano a malincuore da Tsubasa, che ora chiude la sua scatola di cioccolatini, per poterla conservare sotto il banco.
Quando si volta a guardarmi, c’è una strana luce nei suoi occhi.
“Facciamo un giro dopo la scuola, prima di tornare a casa?” mi chiede, avvicinandosi di nuovo.
Annuisco, buttando un’occhiata fugace alla porta.
Non arriva nessuno, così decido di approfittarne.
Mi alzo sulle punte e raggiungo ancora le sue labbra.
“Buon San Valentino…” sussurro, vicinissima alla sua bocca.
Tsubasa sorride dolcemente prima di chiudere gli occhi e baciarmi ancora.
E prima che i nostri compagni di classe rientrino, esprimo un desiderio, sfiorando ancora il suo respiro.
Vorrei che il tempo si fermasse.
Imprigionandoci per sempre in questo attimo.
Tsubasa ed io.
Nessuna partenza, nessun addio.
 
 
 
 


(1) Hommei-choko: la "cioccolata del prediletto" viene regalata alla persona che si ama o a qualcuno di cui si è innamorati e a cui ci si vuole dichiarare o far capire i propri sentimenti. Questa cioccolata viene preferibilmente preparata in casa con le proprie mani e confezionata con cura, oppure comprata nei negozi scegliendo però qualche marca pregiata e costosa, avvolta in confezioni particolari.
 
(2) White Day: corrisponde nel calendario al 14 Marzo. Durante questa giornata i ragazzi, che hanno ricevuto della cioccolata in regalo per San Valentino, dovrebbero ricambiare con della cioccolata bianca (da qui il nome "white day").
I ragazzi regalano molta meno giri-choko (“cioccolata d’obbligo”, ovvero donata ad amici e conoscenti, colleghi o datori di lavoro, insomma un puro atto di cortesia) rispetto alle ragazze, quindi la cioccolata bianca è un dono destinato solo alla ragazza che amano.
 

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Capitolo 25
*** Gakuran ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 23

Gakuran(1)
 
 
 



È successo tutto così velocemente.
Non mi aspettavo che le cose potessero prendere questa piega.
Non avevo uno schema da seguire, né prefissato nulla, l’unico dato certo è sempre stata la decisione di partire.
Una telefonata ha accelerato tutto.
Solo grazie a una telefonata il sogno è diventato qualcosa di reale e imminente.
Roberto mi aspetta.
È pronto ad allenarmi.
Mi ha chiesto di raggiungerlo il prima possibile e non posso dargli torto.
La mia presenza sul campo in Brasile equivale a una spinta concreta alla mia preparazione fin da subito, non manca poi molto alle selezioni per entrare a far parte della squadra di Sao Paolo.
Qui in Giappone non ho altri impegni agonistici capaci di trattenermi oltre e anche la scuola è ormai praticamente giunta al termine.
Una telefonata e ho iniziato a mettere in moto concretamente l’organizzazione della mia partenza per il Brasile.
Partenza che all’atto pratico, si sta dimostrando ancora più difficile di quanto avessi immaginato.
Non so quanto tempo ho passato davanti al calendario.
Scorrendo ripetutamente i giorni, come se quei numeri tracciati di nero, potessero suggerirmi una via più semplice, che purtroppo non c’è.
Non si può scegliere il momento giusto, se non esiste.
Soprattutto se si vogliono evitare feste di addio, commiati dolorosi e amici in lacrime.
Voglio vedere solo volti sorridenti intorno a me, fino all’ultimo momento.
I sorrisi saranno ricordi che porterò nel mio lungo viaggio.
Sorrisi, come quelli di Sanae…
Che non voglio assolutamente vedere piangere, non saprei come affrontarlo.
E allora mi sono chiesto: come fare per evitare tutto questo e far passare inosservata la mia assenza?
Un solo momento poteva fornirmi l’alibi perfetto, distraendo l’attenzione di tutti dal sottoscritto.
Nel giorno in cui saranno esposti i risultati delle ammissioni alle scuole superiori, tutti i miei amici saranno concentrati sui punteggi e si raduneranno a scuola.
Nessuno si chiederà dove sono.
Il mio è un comportamento senza dubbio da vigliacchi, ma non ho potuto proprio fare altrimenti.
Una volta deciso il giorno adatto in cui partire, mi sono messo meccanicamente in moto, compiendo il necessario per mettere in atto il mio proposito.
Il primo passo è stato comunicare alla Presidenza scolastica la mia assenza durante la consegna del diploma, spiegando le mie motivazioni.
Il Preside ha trovato condivisibile la mia scelta e non si è opposto a lasciare che siano i miei genitori a ritirare il  mio attestato in un secondo momento, quando sarò già lontano.
Tutto dovrà rimanere segreto, finché non sarò partito.
Ho accennato qualcosa solo a Taro, ma non tutti i dettagli, così anche lui sarà tra quelli che si stupiranno, scoprendo la mia partenza inaspettata.
Fino a questo punto il mio sembra un piano accurato e perfetto, ma tutto cambia se mi concentro sul vero problema che mi affligge.
Non so cosa fare con Sanae.
Non sono sicuro che sia giusto tenere anche lei all’oscuro di tutto.
La mia più grossa preoccupazione riguardo alla partenza, si basa su un’unica scomoda certezza…
Qualunque cosa deciderò di fare, sarà impossibile evitare che Sanae soffra…
La paura poi di affrontare il momento della separazione, prevarica qualsiasi mio ragionamento.
Non credo di avere la forza necessaria per dirle addio.
Guardandola negli occhi, a un passo da me.
Ma non ho il tempo per risolvere questo dilemma.
Anzi…
Oggi mi sembra di averne ancora meno, in maniera paradossalmente logica.
Solo poco più di un’ora fa, ho prenotato il mio volo di sola andata.
Solo qualche settimana ancora e il mio sogno diventerà concreto, la mia nuova realtà.
E a me non resta che pensare esclusivamente a questo, al mio desiderio più grande che si avvererà.
Un sospiro abbassa di colpo le mie spalle mentre continuo a ciondolarmi solo per la città, senza una meta.
I miei passi si fanno più lenti però, finché non mi fermo.
Poggiando le mani al cemento del parapetto, fisso le automobili che passano veloci sotto al cavalcavia pedonale.
Mi concentro sulle immagini colorate in movimento, sperando che questo mi aiuti a non pensare a niente.
Una figura sul marciapiede però, attira prepotentemente la mia attenzione.
All’improvviso avverto lo strano, contraddittorio impulso di scappare, che lotta con il desiderio di avvicinarmi il più possibile a quella persona, che cammina ignorando la mia presenza.
Quando Sanae alza distrattamente lo sguardo verso l’alto, io rimango immobile.
Mi fissa poi sorride, visibilmente felice ed io provo un disagio così forte…
Come quello di un ladro sorpreso con le mani sul bottino da un allarme.
“Tsubasa!” grida, sventolando un braccio in aria.
Un macigno si posa pesante sul mio petto mentre la osservo salire i gradini, correndo veloce per raggiungermi.
Tutto questo è…
Orribile.
Orribile come mentirle, così sfacciatamente, giocando con la sua vita e manipolando i suoi sentimenti.
Sanae ha sempre avuto piena fiducia in me, non si merita davvero questo tradimento.
Ma nonostante abbia sempre saputo che non sarebbe stato facile con lei arrivati a questo punto, non immaginavo che avrei provato una tale tortura.
“Ma dove sparisci ultimamente?” mi rimprovera, appena raggiunto il parapetto del cavalcavia, ma sul suo viso non c’è la minima ombra di risentimento.
Mi chiedo cosa succederà al suo volto, quando scoprirà che io...
“Ti ricordi quegli scarpini che mi piacciono? Sono passato in negozio per provarli di nuovo, ma non so ancora se comprarli o meno!”
Un’altra bugia davanti al suo sorriso innocente, che mi fa sentire dannatamente in colpa.
Lo stesso sorriso che mi suggerisce che non riuscirò mai a separarmi da lei, guardandola negli occhi.
“Ma perché sei andato solo?”
Sanae sbuffa, lasciando intendere che le sarebbe piaciuto accompagnarmi questo pomeriggio.
“Credevo fossi a studiare da Yukari!” esclamo, fingendomi sorpreso mentre continuo a inventare scuse, come se non avessi fatto altro in vita mia.
“Ma che dici?! Ormai è fatta! Basta con i libri!”
La osservo ridere spensierata, provando un’infinita tenerezza.
L’idea di aver quasi concluso anche questo ciclo di studi, deve proprio metterla di buon umore ed io mi sento come il lupo travestito da agnello, pronto a sbranarla in un sol boccone.
“Sai cosa pensavo in questi giorni?” mi chiede poi, poggiando i gomiti sul parapetto.
“Cosa?” domando incerto, perché il senso di colpa non mi permette di aver una conversazione normale con lei.
“Abbiamo fatto grandi cose in questo anno scolastico!”
Annuisco, fissando i suoi capelli baciati dal sole, che sta tramontando alle nostre spalle.
Ha proprio ragione.
Negli ultimi trecentosessantacinque giorni è successo davvero di tutto, specialmente nella mia vita.
“La vittoria al terzo campionato nazionale, tanto per dirne una!” esclamo, facendo finta di non capire e che stia parlando degli obbiettivi raggiunti come squadra.
Sanae mi guarda di traverso, poi sospira.
“Mi riferivo a noi due…” borbotta, lanciandomi un’altra occhiataccia.
Mi limito a sorriderle, perché ormai la conosco fin troppo bene.
Quando fa così non è seriamente arrabbiata con me.
“Abbiamo trascorso insieme la vigilia di Natale poi San Valentino…”
Sanae inizia a passare in rassegna ogni attimo trascorso come coppia.
Le mie labbra si distendono spontaneamente in un sorriso.
È stato davvero bellissimo stare con lei in questi mesi…
“Il prossimo avvenimento da condividere sarà la cerimonia di chiusura dell’anno scolastico!”
Istintivamente m’irrigidisco poi distolgo lo sguardo, nella speranza che Sanae non si accorga del mio nervosismo.
“Sai cosa dovrai fare quel giorno, vero?” mi chiede mentre il palmo della sua mano si posa delicatamente sulla mia guancia destra, costringendomi a voltarmi per guardarla ancora.
Deglutisco, fissando i suoi occhi sempre così pieni d’amore, quando sono rivolti a me.
Sanae è talmente inconsapevole, che il sangue mi si gela nelle vene.
Perché ha dovuto nominare quel giorno proprio oggi?
Credo che ora non riuscirò a mascherare il mio disagio…
“Non dirmi che non ti viene in mente niente!” esclama, scrutandomi minacciosa mentre il suo dito indice picchietta cadenzato contro il mio petto, anzi più precisamente, all’altezza del secondo bottone della mia divisa.
La mia fama di svampito questa volta sembra tornarmi utile, perché Sanae deve aver dato per scontato che non ricordi nessuna romantica tradizione, inerente all’ultimo giorno di scuola.
Ma questo suo equivoco non è capace di donarmi alcun sollievo.
Nulla può alleviare il mio senso di colpa…
Io non sarò a scuola nel giorno della consegna dei diplomi.
Non sarò quindi in grado di regalarle nessun bottone della mia divisa.
È terribile pensare che la priverò anche di questo.
Quel giorno per Sanae ci saranno in serbo solo cocenti delusioni.
La mia mente proietta all’improvviso un’immagine della sua sofferenza e il mio cuore avverte freddo, come ghiaccio che taglia ogni mio muscolo.
Deglutisco, ho la gola secca.
E il dispiacere diventa panico.
Non voglio che Sanae stia male!
Non voglio che accada!
La mia mano si muove, anche se non mi rendo conto pienamente di quello che sto facendo.
Le mie dita si stringono intorno alla sfera che funge da bottone della mia divisa poi compiono un movimento secco e deciso.
Il bottone lascia per sempre la sua asola.
In maniera un po’ irruenta, lo porgo a Sanae mentre il mio respiro si fa corto.
Lei fissa la mia mano.
Posso leggere l’incredulità nei suoi occhi spalancati…
All’improvviso le sue gote diventano rosse, il suo viso va letteralmente in fiamme.
“Ma che fai?!” urla, indietreggiando di un passo.
“Non me lo devi dare ora!” ribadisce, braccia lungo i fianchi e pugni stretti.
Ecco, ora è realmente arrabbiata.
Fisso il bottone poggiato sul palmo della mia mano aperta, come se mi rendessi conto solo ora del mio gesto.
E per un attimo, un altro timore mi assale.
Probabilmente la mia impulsività ha compromesso per sempre il mio piano segreto!
Cercando d’ignorare questa paura, torno a guardare Sanae, che non mi risparmia uno sguardo imbronciato.
Ma la mia coscienza sporca e il pericolo di essere scoperto non sono nulla, rispetto a ciò che desidero di più ora.
Sanae deve avere il secondo bottone della mia divisa.
A tutti i costi.
“Che cambia? Prendilo e basta!” esclamo, avvicinandomi di nuovo a lei.
Sanae scuote la testa vigorosamente.
Il suo è un no categorico, come ripete più volte la sua voce dal tono irritato.
Non mi arrendo, facendomi più vicino ancora, noncurante delle sue braccia tese, poste come scudo per allontanarmi.
“Ormai l’ho già staccato!” insisto, senza farmi scoraggiare dai suoi rifiuti.
“Ho detto no, Tsubasa! Il giorno del diploma!” e dandomi un’ultima occhiata offesa, mi sorpassa senza più degnarmi di uno sguardo.
Non la seguo, limitandomi a fissare la sua schiena mentre si allontana.
Pervaso dall’immane tristezza di dovermi separare da lei, che mi opprime il petto così forte, da togliermi il respiro.
Abbasso lo sguardo un’ultima volta sul bottone dorato nella mia mano, dal quale pende un filo nero poi lo rialzo su Sanae, che non accenna minimamente a voltarsi indietro.
Un’urgenza impetuosa monta dentro di me, così mi metto a correre.
Io voglio stare con lei ed essere ancora al suo fianco.
Nonostante il poco tempo rimasto a disposizione.
Nonostante quell’addio all’orizzonte, non importa in quale modo deciderò di affrontarlo.
Raggiungo Sanae velocemente, sbarrandole poi la strada con il mio corpo, in modo che sia costretta a fermarsi.
Lei non si lascia intimorire e mi chiede comunque di lasciarla passare.
Senza prestare attenzione alla delusione sul suo volto, prendo la sua mano e la apro con forza.
Il bottone della mia divisa finisce nel suo palmo.
Le sue dita si richiudono sopra la piccola sfera dorata, obbligate dalle mie mani.
Continuo a trattenerle, fissando i miei occhi in quelli di Sanae.
“Ho paura… Di perderlo…” mormoro, incapace di distogliere lo sguardo, perché non mi sto riferendo solo al bottone della mia divisa.
“Per favore, tienilo tu…” la supplico, avvertendo nel cuore il sottile timore di perdere il suo amore, quando sarò lontano…
Sanae mi guarda sbattendo le palpebre.
È confusa ma soprattutto ignara del significato celato nella mia richiesta.
E paradossalmente mi solleva pensare che per lei, tutto questo equivalga all’ennesima tradizione messa a rischio dalla mia scarsa attenzione.
Sanae prende un ampio respiro e trattiene l’aria per qualche secondo nel petto.
Quando sospira, ho la certezza che sia complicato avere a che fare con un tipo come me.
“E va bene…” esclama seria, tirando via la sua mano dalla mia presa.
Rimango in silenzio ad osservarla mentre fissa le sue dita, che girano e rigirano il bottone all’altezza degli occhi.
Un sorriso distende infine le sue labbra.
Sembra di nuovo serena.
“Perché la spunti sempre con me?” mi chiede all’improvviso, scuotendo la testa e stringendo di nuovo le labbra.
Abbozzo un sorriso, alzando le spalle.
“Sei ancora arrabbiata?” le chiedo titubante mentre il suo sguardo torna su di me.
“No…” borbotta Sanae, alzando un sopracciglio.
“Ma non avrai il mio distintivo prima della consegna del diploma! Che sia chiaro!” precisa, alzando il dito indice come per rimproverarmi.
“Certo…” rispondo sorridendo mentre dentro di me si apre un altro buco nero.
Quel distintivo io non lo riceverò mai…
E la sensazione che provo è così triste e…
Odiosa.
Come il sotterfugio, le bugie.
E come la distanza fra di noi.
Distanza che inizia a farsi strada, nonostante io non abbia ancora preso il volo
 
 
 
 


(1) Gakuran: divisa scolastica maschile derivante da quella militare della Marina giapponese. Nell'ultima fase della Seconda Guerra Mondiale, soldati tra i 17 e i 22 anni, per lo più studenti, furono raccolti in gruppi, allo scopo di attaccare le navi militari americane. Si tratta dei Kamikaze Tokkootai. Un sopravvissuto al conflitto raccontò la storia di uno di questi ragazzi, che prima di partire verso morte certa, donò all’amata un bottone delle sua divisa, non avendo altro da lasciarle. Il bottone scelto era il secondo, perché il più vicino al cuore. Da qui nasce l’usanza giovanile citata nel capitolo, relativa al giorno della consegna dei diplomi.

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Capitolo 26
*** Novilunio ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 24

Novilunio
 
 
 



La musica si diffonde soffusa nella stanza.
Sto leggendo il mio libro preferito, sdraiata pancia in giù sul letto.
La luce tenue dell’abat-jour illumina le pagine, dalla finestra non penetra nessun chiarore.
La luna nuova infatti ha lasciato vuoto il cielo, che è solo un quadrato nero oltre il vetro lucido, su cui si riflette la mia immagine.
Allungo una mano senza distrarmi dalla mia lettura, quando il cellulare sul comodino inizia cadenzato a suonare.
Rispondo meccanicamente, poggiando l’apparecchio al lobo dell’orecchio.
Quando riconosco la voce all’altro capo però, mi metto a sedere di scatto, incrociando poi le gambe sopra al materasso.
“Ciao!” esclamo felice, prima che uno sbuffo silenzioso m’incurvi le spalle.
Il mio movimento improvviso ha chiuso il libro, senza darmi modo di mettere un segno.
Poco male, Sanae! Lo conosci quasi a memoria ormai!
“Sono felice che hai chiamato!”
Lo dico tutto d’un fiato, iniziando a giocare distrattamente con una ciocca di capelli.
Tsubasa risponde emettendo un suono gutturale, intercalando poi giusto un paio di parole a dei silenzi prolungati.
C’è qualcosa che non va.
“Tutto bene, Tsubasa?” chiedo un po’ titubante.
“Sanae, devo dirti una cosa…”
Deglutisco nervosa.
Solitamente i discorsi che hanno questo incipit non portano mai a niente di buono.
“Dimmi…” mormoro con un filo di voce, per niente sicura di voler assecondare questa esortazione.
Ma Tsubasa tace, lasciando all’ennesimo silenzio il compito di torturarmi, alla stregua del più fastidioso dei rumori.
Un cattivo presagio s’insinua così nel mio animo, anche se non saprei proprio spiegarne il motivo.
Nell’attesa di parole che non arrivano, inizio a intrecciare la coperta con le dita, compiendo un movimento circolare e ripetitivo, impossibile da controllare.
Quando Tsubasa emette un sospiro, ho un sussulto.
“C’è qualcosa che non va?” domando, sentendo dentro di me una certezza sempre più radicata.
Sta realmente per accadere qualcosa.
E un qualcosa che sicuramente non mi piacerà…
“Ecco, io…”
Tsubasa esita ancora.
“Non so come dirtelo…”
Ma che cosa?
Mi chiedo senza però dare voce ai miei pensieri, spaventata dall’esitazione nel tono della sua voce.
“Sanae, io domani parto…”
Domani parto…
Partire?!
In che senso?!
“Avevo deciso di non dirtelo ma… Ora mi sembra tutto così ingiusto e allora io…”
“Aspetta!” lo interrompo in maniera brusca.
I miei polmoni prendono a respirare irregolarmente.
Non può essere vero…
Non può riferirsi a quella partenza, no?
“Non sto capendo niente, Tsubasa! Dov’è che devi andare?”
Non intenderai?!
No…
Non è possibile…
Non senza aver accennato mai nulla…
“Domani mattina ho il volo per il Brasile…”
Un colpo al cuore.
Emette un suono sordo e sinistro un colpo al cuore.
E il tempo si ferma.
Il bianco e il nero uccidono tutti gli altri colori, che gli occhi non distinguono più in mezzo a tanto grigio.
Le cellule del corpo si bloccano mentre nella testa milioni di pensieri si accavallano urlando, cercando di sovrastarsi l’un l’altro, in una folle rincorsa di parole.
“Stai scherzando, vero?” chiedo, cercando di rendere ragionevole e sensato un concetto che non lo è per niente.
“Non è divertente, Tsubasa!” aggiungo, cercando d’ignorare che il mondo stia per crollarmi addosso.
“No, Sanae. È la verità…”
“Ma avevi detto dopo la scuola!” esclamo, non calibrando il tono della voce, che esce stridula dalla mia gola.
“Ci sono ancora la consegna del diploma, le vacanze di primavera…” elenco nervosa, non dando peso al fatto che probabilmente sono stata solo io, a porre la partenza alla fine di una certa cronologia di eventi.
“Mi dispiace davvero, credimi! Ma non ho potuto fare diversamente!”
Tsubasa cerca di bloccare le mie recriminazioni.
Ci prova davvero ma io non lo ascolto più, perché vorrei solo che mi spiegasse il perché…
“Pensavo sarebbe stato più facile, Sanae. Ma non lo è. Non lo è affatto…”
Più facile?!
E tutto questo ti sembra davvero il meglio che potevi fare?!
Inizio a piangere, pervasa dall’incredulità.
Sono precipitata, senza nessun preavviso, dentro al mio incubo peggiore.
“Non ce l’ho fatta però a non chiamarti. Avevo bisogno di sentirti…”
Mi mordo le labbra.
“E non volevo lasciarti sola con una bugia…”
Ascolto in silenzio.
Incapace di proferire anche solo una sillaba.
“Mi mancherai molto…”
Stringo le palpebre, trattenendo un singhiozzo.
“Ma è meglio così…”
Meglio così?!
Non è meglio per niente!
Non può decidere sempre tutto da solo!
Non puoi…
Farmi questo…
“Ciao Sanae…”
Trattengo il respiro.
Lo sta facendo sul serio...
“Ci sentiamo presto…”
Mi sta dicendo addio!
“Aspetta!” esclamo ma non ho il tempo di aggiungere altro.
Tsubasa ha interrotto la chiamata, scegliendo ancora per entrambi.
Fisso incredula il cellulare, finché non smette d’illuminarsi.
Non può essere…
Non può!
Le mie dita prendono nervose a digitare sui tasti.
Lui non può…
Non può andarsene così!
Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile, si prega di…”
No!
No!
No!
Lancio il telefono contro i cuscini, il respiro nel mio petto si fa accelerato.
Mi guardo intorno, cercando d’ignorare la confusione che alberga nella mia mente e lo strazio nel mio cuore.
Una sensazione di vertigine m’invade.
Con uno scatto nervoso, afferro la sciarpa bianca poggiata sulla sedia e mi precipito per le scale.
Arrotolo la lana intorno al collo mentre scendo gli scalini, saltandoli due a due.
Mia madre mi chiama quando sono in giardino.
La ignoro, imprecando contro la serratura difettosa del cancelletto, che mi sta facendo perdere tempo inutilmente.
La mamma continua a chiedermi dove stia andando a quest’ora…
Non le rispondo nemmeno ora, iniziando invece a correre una volta raggiunta la strada.
In un moto per luogo che mi porti velocemente da lui.
Decisa come non mai a guardarlo negli occhi, per chiedergli come gli sia potuto venire in mente, di tenermi all’oscuro di tutto.
Corro…
Perché ogni passo è spinto dalla disperata consapevolezza che non lo rivedrò più…
Corro mentre le lacrime si rincorrono sulle mie guance, come pioggia che sbatte contro il vetro di una finestra.
Corro e i polmoni iniziano a bruciare, per uno sforzo a cui non sono abituata.
Corro ancora, nonostante un fastidio al fianco mi faccia leggermente zoppicare.
Ma non importa.
Perché io…
Corro da Tsubasa.
Per raggiungerlo, nonostante non siano questi i suoi desideri.
Fregandomene del dolore che dovrò affrontare.
Perché devo…
Io devo…
Io…
La mia corsa rallenta.
Qualche metro e comincio a camminare.
Sempre più lentamente, finché non mi fermo.
Una mano tiene il peso del mio corpo, posandosi sul muro di cinta di una villetta mentre cerco di riprendere fiato.
Mi guardo intorno.
Sono a metà strada tra casa mia e quella di Tsubasa.
E all’improvviso tutto sembra così inutile.
Andare da lui non risolverà un bel niente…
E non mi farà sentire meglio.
Non c’è più nulla da fare.
E non ha poi così importanza nemmeno capire.
Né pretendere spiegazioni.
Un singhiozzo scuote il mio petto mentre fisso l’angolo in fondo alla strada…
Per un attimo tendo la mano, sapendo che rimarrà vuota poi abbasso gli occhi sull’asfalto, sfocato dalle lacrime, che mi annebbiano la vista.
E ritorno sui miei passi.
Ma ora senza alcuna fretta.
È una lunga notte quella che mi aspetta.
Domani all’alba inizierà un giorno senza fine.
Quando raggiungo di nuovo casa mia, noto mia madre che mi aspetta sul viale d’ingresso.
Mi chiede cosa mi passi per la testa.
Insiste su un’ipotetica discussione avuta con Tsubasa.
La mia risposta si limita a un’alzata di spalle mentre la mia testa s’inclina.
Mia madre parla ancora mentre salgo le scale, nel tentativo di rassicurarmi sulle liti tra innamorati.
Il primo amore è così, dice.
Ogni problema sembra insormontabile ma poi tutto si aggiusta.
Passerà, Sanae...” la sento ripetere al piano di sotto mentre entro in camera mia.
Mi appoggio con la schiena alla porta ormai chiusa alle mie spalle.
Un sorriso increspa le mie labbra.
È una piega amara quella che le distende, non riesco più a ritrovare quella serenità, che fino a poco fa riscaldava la mia stanza.
Il mio sguardo vaga in cerca di conforto, finché non si posa sulla bacheca di sughero appesa alla parete.
Passo in rassegna ogni ricordo, illuminato dalla lampada rimasta accesa nonostante la mia foga di uscire.
È come se avessi vissuto questi mesi, milioni di anni fa.
I miei occhi indugiano sulle foto scattate la vigilia di Natale poi sul secondo bottone della sua divisa, fermato con un nastro blu e uno spillo contro il sughero.
Le mie pupille si dilatano mentre spalanco le palpebre.
All’improvviso tutto mi appare così chiaro.
Ora capisco l’insistenza di quel giorno, sul cavalcavia…
E la visita al Preside a San Valentino…
Il bocciolo di cioccolato bianco…
Tutti i momenti in cui spariva, senza dirmi nulla ed io ero incapace di trovarlo.
Tsubasa stava organizzando la sua partenza.
Da solo.
Avrei dovuto arrivarci subito.
Se non fossi stata così accecata dall’amore...
Se solo non avessi avuto così paura di sapere…
Avrei dovuto chiedere, parlare.
Senza crogiolarmi nell’ignoranza.
Non avrei dovuto essere vigliacca, illudendomi di allontanare l’inevitabile grazie al silenzio.
Così ho lasciato nelle sue mani il mio destino.
Domani tutto cambierà e non sono preparata.
Forse però…
Non lo sarei mai stata…
Cosa mi resta da fare?
Volto lo sguardo verso l’armadio.
Lo raggiungo con passi lenti e quando apro le ante, un pacchetto tra i maglioni richiama la mia attenzione, come un faro nella notte.
Il regalo per Tsubasa…
Per il giorno in cui partirà...
Prendo la scatola e sempre lentamente mi avvicino alla scrivania, tenendola poi in grembo una volta seduta davanti al computer.
Lo accendo e aspetto, ignorando i piccoli cerchi scuri che si stanno formando sul coperchio di cartone.
Digito meccanicamente sulla tastiera.
Aspetto ancora il caricamento della pagina.
Come se non fossi realmente qui ma osservassi una persona che mi somiglia dall’esterno.
Prendo un pezzo di carta.
La mia mano scorre fluida nel trascrivere l’orario e la fermata, dell’unico autobus in partenza verso l’aeroporto.
Perché ho una sola certezza ora.
Nessuno potrà mai impedirmi di essere lì domattina. 
Ci andrei anche adesso, se non fosse notte fonda.
Perché non ha poi così importanza dove aspettare il sorgere del sole.
In questa notte preludio di un dolore che mi farà impazzire…
Non so come farò…
Non lo so davvero…
I miei occhi fissano il nero oltre la finestra.
Nella stanza risuona la voce metallica, che risponde alla mia ostinata ultima insistenza.
Si prega di riprovare più tardi…
Più tardi…
È un tempo che io non ho più.

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Capitolo 27
*** Spread your wings and fly… ***


Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 25

Spread your wings and fly…
 
 
 



“Allora figliolo, fa buon viaggio!”
È così che mio padre si congeda da me.
La mamma è aggrappata al suo braccio e mi sorride, anche se i suoi occhi sono velati dalle lacrime.
Tre persone sulla soglia di casa, in una situazione che all’apparenza può sembrare perfettamente normale.
Un figlio in partenza, i genitori che si raccomandano un’ultima volta, prima di lasciarlo andare.
Tutto semplice se fossi un osservatore esterno.
Tutto facile, se non fosse che il figlio in questione sono io.
Un ragazzino che compirà quindici anni tra quattro mesi, con un borsone sulla spalla e niente più, per trasferirsi dall’altra parte dell’oceano.
Annuisco, cercando di farmi forza.
Non che mi manchi quella necessaria a compiere un passo così grande.
Ma c’è un nervosismo negli addii, che non mi è mai piaciuto e che non deve trapelare.
Non è infatti ipotizzabile che io lasci i miei genitori, dando loro l’impressione di non essere sereno in quelle che sono le mie scelte.
Sarebbe solo una preoccupazione inutile nel giorno che mi porterà finalmente ad allargare i miei orizzonti, per diventare l’uomo che voglio essere in futuro.
Il miglior calciatore del mondo.
Inutile protrarre questo momento in eterno, meglio lasciare che le cose vadano come devono andare.
Rassicuro mia madre con lo sguardo, perché voglio che senta che ce la farò, anche se non ci sarà la sua rassicurante presenza al mio fianco a sostenermi.
La mamma posa una carezza sul mio viso ed è così forte il desiderio di abbracciarla…
Ma non cedo.
Non posso intraprendere questo viaggio se mi lascio andare subito alla malinconia, così mi limito a fare pressione con la mia guancia contro il palmo della sua mano aperta.
La mamma sorride, come sempre.
Lei così forte e coraggiosa…
“Sei proprio sicuro di voler andare da solo all’aeroporto?” mi chiede per l’ennesima volta da ieri sera.
Annuisco ancora.
“È meglio così!” esclamo mentre la mamma sbuffa impercettibilmente, prima di voltarsi a guardare mio padre, che cerca di infonderle coraggio, stringendo forte la sua mano posata sul braccio.
“Ok, allora vado!”
Lo dico con tutta la semplicità di questo mondo.
Come se non stessi per lasciare per molto tempo la mia casa.
Come se fossi in procinto di partire per un breve viaggio all’interno del Paese.
I miei genitori sorridono ancora mentre mi salutano con un gesto della mano.
Incapaci di parlare.
Desiderosi di rispettare la mia volontà ovvero quella di non appesantire un momento già difficile con parole o gesti, a cui sarebbe facile aggrapparsi.
Senza aspettare oltre, mi volto e in pochi passi raggiungo il cancello.
Quando sono in strada però mi concedo un’ultima occhiata verso casa, prima di allontanarmi definitivamente.
Vi sarò riconoscente per sempre…
Mi avete dato l’opportunità di realizzare i miei sogni…
Grazie…
Un altro cenno con la mano, un ultimo sorriso prima di voltarmi e iniziare a correre, verso il mio destino.
E non c’è niente di meglio per scaricare l’ansia.
L’attività fisica è sempre stata il mio porto sicuro nei momenti più difficili.
E questo lo è certamente.
L’adrenalina scorre comunque attraverso le mie vene, è incredibile che sia giunto davvero questo giorno!
Oggi sto per compiere il primo passo verso la realizzazione di me stesso.
E so fin da ora, che i miei sogni non avranno limiti e diventeranno sempre più grandi col passare del tempo.
Perché un giorno tornerò in Giappone!
Stringendo la coppa del mondo nelle mie mani!
Uno sguardo all’orologio.
Ho ancora abbastanza tempo.
L’impazienza mi ha portato fuori casa con largo anticipo, rispetto alla tabella di marcia, così decido di fare un ultimo giro per Nankatsu.
È il mio saluto in solitaria a una città che mi ha dato sicuramente tanto, fin dal primo giorno in cui mi sono trasferito.
La prima tappa nel mio estemporaneo itinerario è la Villa dei Wakabayashi.
Davanti alla sua elegante residenza è impossibile non pensare al Genzo di qualche anno fa.
Alla sua arroganza di bambino ferito nell’orgoglio ma soprattutto al suo talento.
Ritirerei cento volte quel pallone dentro al suo cortile, è nata così la nostra solida amicizia.
Istintivamente il mio sguardo si allontana dall’imponente cancellata, che separa il giardino dalla strada e si alza verso l’alto, fissando un punto preciso in lontananza.
Il belvedere.
Il grande albero spicca sul promontorio, strappandomi un sorriso malinconico.
Sarebbe bello arrivare fin lassù.
Sarebbe davvero bello guardare ancora una volta la città dall’alto.
Ma è un lusso che non posso concedermi e non per mancanza di tempo o fiato.
Semplicemente…
Non me la sento.
Il belvedere racchiude fin troppi ricordi, da cui ora è facile scappare…
La mia corsa riprende quindi senza indugi, nella direzione opposta a quel luogo, scrigno di emozioni troppo forti.
Qualche centinaia di metri e raggiungo l’ingresso del parco.
Mi fermo di nuovo, incapace di oppormi.
I viali all’interno del giardino sono un tripudio di ciliegi in fiore.
C’è rosa ovunque.
Improvvisamente ho una strana sensazione…
E mi pento di non essere mai tornato a vederli con Sanae, prima di partire…
Sanae…
Nonostante tutti i miei sforzi, ecco che la mia mente torna prepotentemente da lei.
È il mio cuore a dare gli ordini.
D’istinto mi volto alla mia sinistra.
Sarebbe così facile percorrere questa strada…
In pochi minuti sarei a casa sua…
Sì, sarebbe facile sul serio.
Potrei vederla ancora una volta, prima di andarmene.
La tentazione è così forte…
Le ho detto che parto per telefono...
Senza lasciarle il tempo e il modo di parlare.
Come uno stronzo qualsiasi.
Non ho chiuso occhio questa notte.
So di averla ferita, come se la mia partenza non fosse già un fardello abbastanza grande per lei da sopportare.
Vorrei così tanto rimediare…
Ma è andata così, ormai.
Non posso correre da lei…
Nemmeno per chiederle scusa.
Posso solo confidare nei suoi sentimenti per me.
Mi concedo un ultimo sguardo sofferente alla strada, che potrebbe realmente condurmi a lei…
Scuoto la testa prima di correre ancora una volta, lontano da qualcosa che può davvero farmi male.
Mi allontano da Sanae e da quella parte di me, che non mi seguirà mai, perché incapace di perdonarmi questa odiosa separazione.
M’impongo di non pensare più a niente, quando avverto forte la tentazione di tornare sui miei passi.
Quando in lontananza intravedo la mia scuola, accelero finché non raggiungo il cancello d’ingresso chiuso.
È ancora presto, il cortile è vuoto e silenzioso.  
Tra un paio d’ore però i miei compagni saranno riuniti oltre queste mura, nervosi per l’esito delle ammissioni alla scuola superiore.
Mi auguro di cuore che tutti abbiano ottenuto un buon punteggio, specialmente Ryo, che nonostante tutte le sue lamentele, si è dato un gran da fare nell’ultimo semestre.
I miei occhi si posano sui pannelli piantati nel cortile e ancora vuoti, su cui verranno affissi i nominativi e i punteggi di ogni studente.
Eccetto me.
Per un attimo m’immagino ancora là, davanti ai tabelloni con indosso la divisa scolastica con un bottone in meno.
Accanto a me gli amici di sempre.
Un sorriso distende le mie labbra, quando sfioro con le dita il ferro scuro del cancello.
Sono stato davvero felice in questa scuola e al club di calcio.
Porterò tutti con me oggi, per sempre.
Sotto forma di preziosissimi ricordi.
Ma non ho tempo di lasciarmi andare alla nostalgia.
Non avrebbe poi nemmeno senso, farlo proprio adesso.
Così riprendo a correre, fissando la strada avanti a me, che mi porterà all’ultima tappa del mio giro.
Un punto di arrivo ma anche di partenza.
Accelero di nuovo il passo, perché è l’unica cosa che mi resta da fare.
A testa china mi concentro sulla corsa, prestando attenzione solo al rumore dei miei passi sull’asfalto.
Rialzo lo sguardo, solo quando svolto l’angolo…
E mi blocco.
Deglutisco.
Sanae…
È a pochi metri da me, dove non dovrebbe essere.
Almeno…
Non secondo i miei piani e dopo tutti gli sforzi messi in atto per evitare questo.
Ma allo stupore iniziale si sostituisce ben presto altro…
Contro ogni ragionevolezza mi sento…
Felice.
Ma anche spaventato a morte.
Euforico, all’idea di poterla vedere un’ultima volta.
Di poterla toccare ancora, prima di partire.
Sanae mi sorride, prima di mordersi le labbra.
E basterebbe questo gesto per spiegare, quanto in realtà io sia fortunato.
Non c’è traccia di rancore sul suo viso.
Né risentimento nel suo sguardo.
Ma solo amore…
E sofferenza…
"Scusami ma proprio non ce l'ho fatta a non venire…" mormora piano, mentre mi avvicino a lei, ricambiando il sorriso.
"Ti ho portato questi!" e mi porge un pacchetto.
Lo prendo dalle sue mani, incapace di proferire anche solo una parola.
Ho sinceramente paura di quello che potrei dire o fare, ora che lei è qui con me.
"Sono scarpini nuovi, quelli che avevamo visto insieme in quel negozio in centro. Ho pensato che sicuramente ora ne avrai bisogno, sì ora che parti..."
“Ti ringrazio…” riesco mormorare, sorridendo ancora con dolcezza.
“Di tutto, di tutto quanto..." aggiungo, perché vorrei dirle così tante cose ora.
Vorrei davvero spiegarle quanto è stata importante per me.
Quanto continuerà ad esserlo…
Ma non so se ce la faccio…
Sanae mi fissa, ha gli occhi rossi.
Immagino abbia passato una notte insonne, forse anche peggiore della mia.
Trattengo il fiato quando delle lacrime fanno capolino tra le sue ciglia ma Sanae abbassa subito la testa, nell’inutile tentativo di nasconderle.
Come se fosse possibile celare il male.
Mi si stringe il cuore.
Perché lei…
Lei…
Mi avvicino.
Non posso più farne a meno.
È l’ultima volta che siamo ad un passo l’uno dall’altra, poi ci sarà un continente a separarci.
“Sanae, io…” sussurro al suo orecchio, ma non aggiungo altro.
Tutto mi sembra così riduttivo, rispetto a ciò che provo per lei.
Rispetto a noi due.
E le parole non sono più sufficienti per esprimere quello che provo.
Sono così vuote, rispetto al mio amore per Sanae.
Sfioro il suo viso.
La bacio.
Regalandomi un’ultima emozione, dopo che credevo non avrei più provato nulla di simile, per non so quanto tempo.
Inspiro il suo profumo…
La sua pelle è così liscia…
Mi nutro della risposta delle sue labbra, premute decise contro le mie.
Nella disperazione di questo momento, che è totale.
Opprimente.
E infinitamente triste…
Mi separo da lei, ma non vorrei mai essere costretto a farlo.
Il rumore dell’autobus alle mie spalle, un pugno sferrato forte all’altezza del mio sterno.
Devo andare…
Io devo…
La mia mano accarezza il suo viso, alla ricerca di un ultimo contatto.
Non mi sono mai sentito così in vita mia…
Poi mi volto, cercando d’impedirmi di cedere alla tentazione di tornare indietro.
Percorro alcuni passi.
Nella mia testa una forza grida, intimandomi di trasgredire il mio divieto.
Torna da lei!
Anche solo per un istante!
"Realizza il tuo sogno!!"
Mi blocco ancora, quando sono a un passo dall’autobus.
Nel mio petto l’aria attraversa i polmoni in modo doloroso.
Sto ansimando.
Quando mi volto…
Le lacrime di Sanae…
Il suo sorriso, che lei è disposta comunque a regalarmi…
Nonostante questo giorno sia…
Mi precipito da lei.
Ancora.
E la stringo.
Forte contro il petto.
“Te lo prometto…” sussurro al suo orecchio, anche se dovrei urlarlo.
È l’unica cosa che posso fare per rimediare a tutto questo.
Promettere che realizzerò il mio sogno…
Lo ripeto così, come un solenne giuramento, pronunciando ogni sillaba nell’incavo del suo collo.
Non voglio doverti lasciare…
Ma ormai non ho più tempo.
È finito sul serio.
Mi separo dal suo abbraccio e nel momento in cui non avverto più il suo corpo…
Tutto all’improvviso diventa sottovuoto.
Raggiungo l’autobus senza più voltarmi indietro.
Mi siedo su un sedile nel silenzio più assoluto, creato nella testa dal vortice che mi ha appena risucchiato.
Non sento il rumore del motore.
Né il brusio delle persone.
Avverto solo il vuoto dell’addio.
Quando l’autobus riprende la sua corsa, fisso il finestrino.
“Te lo prometto…” ripeto, concentrandomi sul mio volto, che si confonde con le immagini dietro il vetro in movimento.
E di me stesso non percepisco molto.
Solo una lacrima, che scende lenta sul mio viso.
 
 
 
 


Tutti i personaggi originali di "Captain Tsubasa" sono © di Yoichi Takahashi e Shueshia.


 
È sempre un’emozione strana inserire il “completa” all’ultimo capitolo.
Siamo giunti al capolinea, anche se questa volta posso scrivere che la storia continua in Butterfly (come suggerisce il titolo di quest’ultimo aggiornamento) per chi non l’avesse letta!
La sensazione strana si acuisce anche per questo, perché c’è già un “seguito”, ma credo che molto dipenda dal fatto che per la prima volta non ho potuto giungere a un happy ending.
Ringrazio davvero di cuore e doverosamente tutte le persone che hanno interagito con questa FF!
Partendo da chi l’ha seguita costantemente, ai lettori saltuari, passando per chi non ha commentato ma letto solamente e giungendo infine a chi mi ha contattata in privato nel corso della storia.
Come sempre Sanae e Tsubasa mi hanno regalato la gioia di condividere ma soprattutto la possibilità d’incontrare amici, vecchi e nuovi… Che è la cosa più bella di scrivere in un fandom!
Un ringraziamento speciale lo devo a gratia, che nel corso dei mesi mi ha aiutata scovando i refusi, la mia bestia nera, agevolando così un cammino in cui il tempo era piuttosto tiranno, con disponibilità e amicizia.
Spero che questi mesi siano stati piacevoli per voi quanto lo sono stati per me, non so se ci rivedremo su queste pagine, lo ribadisco anche questa volta, la mia non è un mente molto prolifica ma mai dire mai…
Grazie ancora di cuore ad ognuno di voi!
OnlyHope

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