Kiss from a Rose.

di Hogwartscalling
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One. ***
Capitolo 2: *** Chapter two. ***



Capitolo 1
*** Chapter One. ***



Chapter One - Kiss from a Rose


But did you know
That when it snows
My eyes become large and
The light that you shine can be seen
 
 
 
«Prova a prendermi, Al, se ci riesci!»
Quella frase, intrisa di una risata che Scorpius non sentì, arrivò alle orecchie del ragazzo distorta dal vento e dalla lontananza.
Nonostante ciò, ancora prima che la ragazza dai capelli rossi sbucasse dal bosco al limitare della spiaggia, egli sapeva che era stata lei a pronunciarla.
Immaginò i suoi capelli rossi, che in mezzo al bianco della neve sembravano un pugno nell’occhio, ma l’effetto era tutt’altro che spiacevole. Ancor prima di vederla, fantasticò su come li avrebbe raccolti, quel giorno: in due trecce, come al solito? In una coda alta? Oppure – e il cuore di Scorpius perse un battito – li avrebbe lasciati sciolti, liberi di cadere sulla schiena  in lunghi riccioli ribelli?
«Sai che non puoi essere più veloce di me, Rosie!» la voce che rispose allo scherzo della ragazza era maschile, bassa. Scorpius conosceva anche quella. Albus Severus Potter aveva scuri capelli sempre ordinati, che del padre avevano solo il colore; la pelle bianca risultava ancora più diafana contro i vestiti, perennemente neri. I suoi occhi, verde smeraldo, erano attenti, indolenti ma molto intelligenti.
Rose rise – Rosaline, Rose, Rosie, la sua rosa – e sbucò poco dopo, correndo sulla spiaggia e inciampando spesso nella lunga sciarpa grigia. Il cugino era poco più lontano di lei, e il ragazzo dietro la finestra dell’austera villa sul mare si domandò se non la lasciasse vincere di proposito. Le sue gambe, esili e lunghe, avrebbero ricoperto in due sole falcate la distanza tra lui e la cugina, se davvero lo avesse voluto.
Con un moto di nostalgia, Scorpius si chiese come sarebbe stato spalancare le porte della stanza e correre in spiaggia, giocare con loro. Lo avrebbero accettato, rendendolo parte delle loro risate? O, come molti, avrebbero avuto pregiudizi?
«Scorpius, cosa guardi?» una voce fredda, alle sue spalle, lo fece voltare di scatto, arrossendo come se fosse stato sorpreso a fare qualcosa di proibito.
Ma fu un attimo. Le guance tornarono presto del solito colore cinereo, gli occhi rimasero freddi e indifferenti. Si girò nuovamente verso la finestra, rivolgendo lo sguardo al mare.
Dalla spiaggia provenivano le risate dei cugini.
Daphne Greengrass rivolse lo sguardo al di là del vetro, e le sue labbra si strinsero in una linea sottile.
«Oh, e suppongo che il tuo “nulla” adesso sia in riva a cercare conchiglie, giusto?» parlò sprezzante, gettando con un gesto secco ed elegante i capelli dietro le spalle. «Ascoltami bene, Scorpius: anche se sembrano ragazzini come tanti, quei due, il loro sangue è sporco, nero. Non devi lasciarti contaminare da chi è impuro… Circondati di chi è migliore di te, e pagane le spese, se vuoi, ma non avvicinarti mai a chi è inferiore.»
Il braccio della donna, a dispetto delle sue parole dure, si fletté come se avesse voluto fare una carezza al figlio. Scorpius si ritrasse infastidito, e un attimo dopo il braccio della madre giaceva ancora lì, teso accanto al fianco, come se quel movimento fosse stato solo uno spasmo involontario.
«Ti vogliamo a cena fra dieci minuti, Scorpius, poi andrai a dormire. Sono già le sette, e domani ci sveglieremo presto per accompagnarti all’Espresso per Hogwarts.» fece una pausa, come incerta sul dire o meno qualcosa, poi parlò. «Non dimenticare mai ciò che ti ho detto, Scorpius, neanche quando ad Hogwarts predicheranno l’uguaglianza. Tu non sarai mai come loro.»
E si allontanò con andatura imperiosa, lasciando il figlio lì, solo nella grande stanza, ad osservare con un groppo in gola la spiaggia ormai deserta.
 
 
 
 
 
**


«Rose, hai preso tutto?»
«Sì, mamma.» sospirò la ragazzina, alzando gli occhi al cielo.
«Ricontrolliamo. I libri di testo ci sono, lo so perché li ho presi io stamattina. Hai un mantello pesante, giusto? Sì, giusto, lo abbiamo visto ieri sera. Oh, e Storia di Hogwarts? Lo hai portato con te?»
«Mamma, nessuno ha mai letto Storia di Hogwarts…»
«Io sì!» ribatté Hermione, piccata.
«… A parte te.» concluse la figlia, ridendo.
La donna, stretta nel suo impermeabile rosa pallido, fece per ribattere, ma fu bloccata dalla voce bonaria di Ronald Weasley. Anche con diciannove anni in più, i folti capelli rossi erano tutti al loro posto, così come le lentiggini caratteristiche dei Weasley, che sulla piccola Rose comparivano lievemente solo sulle spalle e sul naso.
«Hermione, stai andando in panico. Rose se la saprà cavare, è tutta sua madre. Vero, Rosie?» scompigliò i capelli della figlia, che corse ad abbracciarlo. Hermione sospirò, guardando la ragazzina con un sorriso tremolante.
«Ci mancherai. Ma ti piacerà, Hogwarts, stanne certa.»
«Oh, andiamo, cosa sono queste lacrime?»
Una voce allegra raggiunse la famiglia Weasley, e un attimo dopo la figura slanciata di James Sirius Potter apparve davanti ai tre maghi, sorridendo alla cuginetta.
«Allora, Rosie, pronta? Spero tu non faccia come Al, sono scappato per sfuggire a tanta pesantezza. Ha paura di finire a Serpeverde. Come se ce ne fosse bisogno, noi sappiamo che finirà a Serpeverde.»
«Non dire così, James!» lo rimproverò Hermione, ma senza trattenere una risatina. Rose annuì, d’accordo con il cugino: non ci sarebbe stata alcuna sorpresa, nel vedere il minore dei due maschi di casa Potter smistato nella Casa famosa per aver sfornato tanti Maghi Oscuri.
Rose non aveva comunque pregiudizi: aveva letto tutto di quella Casa in “Storia di Hogwarts” – anche se si sarebbe fatta scagliare una fattura da zia Ginny, piuttosto che ammetterlo con sua madre – e la riteneva rispettabile come le altre.
Il treno emise un lungo fischio, e in quel momento Hermione scoppiò in lacrime. Ron la abbracciò, e insieme osservarono la figlia, con la nuova divisa fiammante, salire sul treno con tutti i suoi bagagli.
Lei, James, Al e i gemelli Scamandro, figli di amici di famiglia, si affrettarono a cercare uno Scompartimento Vuoto.
Il più libero, però, sembrava essere uno nell’ultima carrozza, nel quale un ragazzino biondo se ne stava da solo.
Scorpius alzò lo sguardo, di scatto.
Rose.
Era lì, in piedi davanti a lui, con il cugino e altre persone che il ragazzo non conosceva, fiera e bellissima nella sua divisa.
«Possiamo stare qui? Il treno è completamente pieno.» fu Albus a rivolgergli la parola, sorridente, e Scorpius annuì leggermente, cercando di ricambiare il sorriso ma cercando gli occhi di Rose furtivamente.
Lo sguardo che ricevette in risposta, però, era sprezzante.
«Io so chi sei tu.»
Nello scompartimento calò il silenzio.
«Sei Scorpius Malfoy.» pronunciò il suo nome, un evento che gli avrebbe fatto battere il cuore a mille, se non lo avesse intriso di tanto disgusto. «Non parlare con lui, Al.»
 
E detto ciò, si sedette sdegnosamente il più lontano possibile dal ragazzo biondo,  ignara di tutto, sorda al suono – per Scorpius tanto chiaro – del suo cuore che inesorabilmente si spezzava.






NdA*
Ehi ragazzi, salve.
Se siete arrivati alla fine di questo capitolo vi dò tanto di cappello, perché era piuttosto lungo! O almeno, come primo capitolo e per i miei standard, lo era.
Spero che però vi abbia incuriosito un po', che vogliate scrivermi cosa ne pensate, perché è tantissimo tempo che non scrivo, quindi ho perso un po' la mano.
Evito di dilungarmi anche qui, grazie per aver letto!
Alla prossima, xx.

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Capitolo 2
*** Chapter two. ***


Chapter two - Kiss from a Rose
 




«Malfoy, Scorpius!»
La Sala Grande fu percorsa da un brusìo, che il professor Paciock – ora vicepreside – mise a tacere con un gesto. Scorpius si allontanò dal gruppo dei ragazzi del primo anno, non particolarmente preoccupato. Si sedette sullo sgabello e guardò dritto davanti a sé: Rose, che dopo avergli rivolto quelle parole sprezzanti sul treno lo aveva completamente ignorato, aveva gli occhi fiammeggianti, colmi di malcelata rabbia che, Scorpius lo sapeva, non si sarebbe spiegato mai.
Il professore gli fece un mezzo sorriso incoraggiante, nonostante il ragazzo sapesse che anche lui, a suo tempo, era stato vittima degli scherzi e le prese in giro di suo padre.
Deglutì silenziosamente mentre il Cappello Parlante gli veniva calato in testa e gli copriva gli occhi, oscurando la visuale della Sala Grande.
«Vediamo, chi abbiamo qui? Un altro Malfoy! Con tuo padre non fu difficile, sai, mi bastò un attimo… Eppure sono indeciso, mh…»
Scorpius si irrigidì sullo sgabello. Pensò alla Sala, piena di persone che lo conoscevano – o credevano di farlo – meglio di quanto si conoscesse lui stesso, persone che si erano sussurrate il suo nome, in un fastidioso passaparola che aveva ignorato con difficoltà; persone con gli sguardi carichi di disprezzo, disprezzo per quell’unica parola – “Malfoy” – che lo avrebbe caratterizzato sempre come un codardo, un traditore, senza permettergli di far nulla per poter cambiare le cose.
«Vediamo… Beh, ragazzo mio, hai davvero una bella testa: vedo tanto intelletto, ingegno, ambizione… Una gran voglia di spiccare, distinguerti… C’è davvero di tutto, caspita… Mh… beh, direi SERPEVERDE!».
Scorpius si liberò del Cappello con un sospiro. Nessuna sorpresa. Non ci fu nessun boato, per lui, come nel caso degli altri ragazzi, ma non si dispiacque. Andò a sedersi al tavolo, tra gli sguardi diffidenti e un po’ a disagio di quelli che, da quel momento, sarebbero stati i suoi compagni di Casa.
Osservò distrattamente le persone sfilare, posandosi il Cappello Parlante sulla testa perché potessero essere smistati; e quando anche “Potter, Albus Severus” fu spedito tra le Serpi, sguardi e sussurri stupiti percorsero la Sala. Il tavolo a cui Scorpius sedeva esplose comunque in un tripudio di applausi, accogliendo il nuovo venuto, che si faceva spazio verso di loro con passo molle e cadenzato.
«Weasley, Rosaline!»
Scorpius si irrigidì sulla panca in legno, sentendo il nome che il professor Paciock pronunciò a gran voce.
La ragazza dai capelli rossi che conosceva tanto bene percorse la distanza che la separava dal Cappello con grazia, sedendosi sullo sgabello e posandosi il Cappello in testa con un gesto trepidante. I piedi penzolavano avanti e indietro, non riuscendo mai a toccare davvero il pavimento.
Passarono pochi attimi prima che il Cappello annunciasse con forza «CORVONERO!».
Rose si alzò dallo sgabello e trotterellò via soddisfatta, raggiungendo la tavolata centrale, dove i Corvonero già avevano iniziato ad applaudire, per poi accoglierla con grandi sorrisi.
Nessuna sorpresa, ovviamente, neanche per lei. Sapeva benissimo di non essere abbastanza audace per una Grifondoro, come invece erano stati i suoi genitori, ma neanche abbastanza saggia e laboriosa per una Tassorosso. Né tantomeno aveva smania di potere e grandezza, dunque aveva escluso Serpeverde categoricamente. L’unica casa rimasta era Corvonero, e per quanto non fosse sicura di possedere una “mente brillante”, era certa – mentre prendeva posto accanto ad una ragazza alta e pallida, dai capelli neri – che quella era davvero la sua Casa. Comprendeva, finalmente, quella sensazione di essere al posto giusto, quel sentirsi accettati e benvoluti di cui parlavano i suoi genitori, che Rose non aveva mai afferrato completamente. Era una sensazione magnifica, che neanche lei avrebbe saputo spiegare: essere circondata di ragazzi, della sua età o più grandi, e sentirsi speciali in un modo tutto positivo, sentirsi al sicuro sotto la volta azzurra del cielo stellato che era rappresentato sul soffitto della Sala.
Il suo sguardo corse ad Albus, piuttosto lontano, e per un attimo una fitta acuta le strinse il petto: avrebbero sicuramente condiviso qualche materia, ma lì ad Hogwarts lui si sarebbe certamente fatto amici diversi, e anche lei. Avrebbero perso il loro legame così unico, o sarebbero riusciti a mantenerlo saldo? Era quello che, più di ogni altra cosa, le premeva.
«Rose?» la ragazza si riscosse, rivolgendo l’attenzione alla voce dalla quale era stata chiamata. Un ragazzo dai corti capelli castani le stava sorridendo, una mano tesa nella sua direzione che lei strinse con sicurezza. «Sono Sean Stone, sono al secondo anno. Conosco tuo cugino James, ci riempie sempre la testa di storie della vostra famiglia, mi sembra di conoscere già un po’ anche te!»
La rossa si aprì in una risata sincera, gettando lievemente la testa all’indietro. «Tipico di Jamie. Piacere di conoscerti, comunque, Sean.» sorrise, incerta sul come continuare la conversazione.
«Sai, presto ci saranno le selezioni della squadra di Quidditch, e pensavo che magari saresti potuta esserci, per assistere. Io gioco come Battitore, hai presente, mi occupo dei bolidi. Poi c’è Jean Coote, cacciatrice, e il portiere è…» il ragazzo si lanciò in una descrizione della squadra, dei suoi componenti e del Quidditch, e Rose si animò: quel particolare sport era una delle cose che aspettava con ansia di poter praticare, una volta ad Hogwarts. Sapeva che avrebbe dovuto aspettare il secondo anno, ma era già piuttosto pratica del gioco: anche lei giocava come battitrice, quando si allenava a casa con James. Partecipò allegramente alla conversazione, gesticolando e sorridendo, ignara dello sguardo che, dall’altra parte della Sala, la osservava con malinconia.
 
 
 
«Ehi, Scorpius.» Albus scosse leggermente la spalla del ragazzino biondo, richiamando la sua attenzione. «Sono Albus, Al per gli amici. Non abbiamo avuto esattamente modo di presentarci, sul treno…» e fece una smorfia dispiaciuta.
Scorpius inarcò le sopracciglia, incredulo. Era seduto da quasi un’ora davanti al fuoco, nella Sala comune dei Serpeverde, e osservava i lugubri bagliori verdi che si riflettevano sul libro che stava cercando, invano, di leggere. “Il Quidditch Nei Secoli” era uno dei pochi libri che aveva portato da casa, a cui era particolarmente affezionato. Non vedeva l’ora che arrivasse il secondo anno, per poter giocare anche lui. Sempre se lo avessero accettato nella squadra. Sapeva che suo padre avrebbe voluto che diventasse un Cercatore, come a suo tempo era stato lui, ma Scorpius si era sempre trovato meglio come battitore. Questo, però, non lo avrebbe mai confessato a Draco Malfoy.
Il ragazzino che gli aveva rivolto la parola, comunque, era una delle persone da cui sua madre lo aveva messo in guardia. Cosa avrebbe pensato, se lui avesse confessato che per tanto tempo, dalla finestra della sua abitazione sulla spiaggia, aveva osservato i giochi suoi e di Rose? E se, soprattutto, avesse scoperto degli strani sentimenti che quel ragazzino tanto solo covava per sua cugina, palesemente non ricambiati e, soprattutto, probabilmente sgraditi?
Nulla del suo tormento interiore si trasmise al suo sguardo, che rimase freddo come era sempre stato, come aveva imparato a renderlo in tanti anni di litigi e silenzi ostili.
«Nessun problema. So chi sei.» rispose telegrafico, prima di rivolgere nuovamente l’attenzione al libro.
Albus lo guardò incuriosito. «Cos’è che stai leggendo?» domandò, stringendo gli occhi per poter scorgere il titolo.
«Il Quidditch attraverso i Secoli.»
«Conosco quel libro!» la voce tranquilla e un po’ strascicata si animò. «Cioè, non perché io lo abbia letto, sai… mia madre si lamenta sempre che non leggo abbastanza, vorrebbe che dessi fondo alla biblioteca di casa. Però io preferisco giocarci, a Quidditch, piuttosto che leggerne su un libro, no? Ma questo non glielo posso spiegare. Comunque quello è il libro preferito di mia cugina Rose, che adora il Quidditch quasi quanto me.»
Scorpius notò che il tono di Albus si era lievemente abbassato nel pronunciare il nome della ragazza, scivolandovi sopra quasi in fretta, inciampando in quella parola, forse cercando di nascondere alla sua mente il ricordo sgradito delle parole sgarbate che aveva ricevuto in treno dalla ragazza. Eppure, pensò Scorpius, era tutto inutile: non avrebbe smesso di rimuginarci in fretta, e vederla ogni giorno – anche più spesso che in estate, effettivamente – non lo avrebbe aiutato a sentirsi meglio. Il biondo chiuse gli occhi, sospirando, poi mise da parte il libro.
«A proposito, mi dispiace per… beh, sai, stamattina.» aggiunse il ragazzo bruno, seduto accanto a lui. Scorpius si strinse nelle spalle, ostentando indifferenza.
«Nessun problema, ci sono abituato, non mi fa alcun effetto.» mentì come era solito fare, con convinzione, ma senza lasciar trapelare alcunché dal tono, rendendo impossibile all’interlocutore di notare la bugia. Non poté però evitare, stavolta, che un’altra fitta lo colpisse allo stomaco, facendolo sentire più solo che mai. Deglutì lentamente, girandosi a guardare il fuoco. «Comunque è davvero tardi, credo che andrò a dormire. Ci vediamo domani a colazione, suppongo, Albus.»
Si alzò prima di dare il tempo all’altro di ribattere alcunché, lasciando la Sala Comune con quel peso che, ormai ne era certo, non avrebbe scacciato via con nulla.





NdA*
Ehilà! Lo avevo detto che sarei tornata presto, e la mia intenzione era di postare una volta ogni sette giorni, ma ho deciso di anticiparmi un po' come ringraziamento per tutti coloro che hanno recensito, e per chi legge, segue o preferisce.
Mi rendete davvero felice! Mi era assolutamente mancato scrivere, ragazzi.
Riferendomi al capitolo... so che è lungo, abbastanza noioso e non succede proprio chissà cosa, ma questi capitoli di passaggio servono a tutti, prima o poi, direi. Dunque, sappiate che nel prossimo le cose si movimenteranno un po', e tutto si velocizzerà. Promesso!
Detto ciò scappo nuovamente, e vi lascio un abbraccio per tutta la vostra gentilezza e simpatia!

Alla prossima settimana, xx.

 
 

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