Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Storia scritta per il contest: “Neo Superheroes vs BadassVillains” di Myddr e Valira.
Buona lettura!
Eris
“Spesso
il piacere è un ospite passeggero,
ma
il dolore ci stringe in un crudele abbraccio.”
John Keats
Prologo
La
teiera sul fuoco sibilò richiamando la sua attenzione. Guerra scese dalle sue
gambe con un salto andando ad infastidire Morte che dormiva sul piccolo divano.
ErisSchmerz
si alzò con una smorfia nel sentire le giunture scricchiolare: non era più una
ragazzina.
“Guerra,
lascia stare tua sorella”, disse alla gatta che non si degnò nemmeno di
voltarsi a guardarla, continuando invece a punzecchiare la micia nera.
“Maledetti gattacci”, mormorò la donna smettendo di occuparsene, anche perché
il sibilo del bollitore si faceva sempre più pressante.
Tolta
l’acqua dal fuoco la versò nella tazza di porcellana bianca che attendeva di
essere riempita, poi aggiunse la bustina del the e si sedette di nuovo al
piccolo tavolo che occupava quasi tutto lo spazio della sua cucina.
Non
appena si fu seduta Fame spuntò dalla stanza attigua e la guardò con occhi
attenti.
“Non
avrai i miei biscotti”, assicurò Eris, mentre ne
inzuppava uno nel the guardando la sua terza gatta con aria provocatoria. “Ieri
hai rubato il tonno della mia insalata”,
le ricordò, “E mi ero voltata solo un attimo!”. La donna continuò a borbottare
mentre mangiava il suo biscotto.
Aveva
quattro gatti e malgrado li usasse spesso come bersaglio delle sue invettive e
del suo sarcasmo non avrebbe saputo fare a meno di loro, e non solo per la
compagnia.
Prima
di scendere nel negozio di libri, sopra al quale abitava e di cui era
proprietaria e unica commessa, diede da mangiare a tutti e quattro,
assicurandosi che anche Pestilenza ne avesse un po’, visto che era la più magra
e deboluccia delle quattro.
Il
negozio non era molto grande ma era ripieno di scafali nei quali si stipavano
libri di ogni genere e per quasi tutti i gusti, se si desiderava un classico.
Ovviamente lei non aveva accolto tra le sue mura le porcherie che si scrivevano
oggigiorno, solo i libri che erano stati testati dal tempo meritavano la sua
attenzione.
Maledicendo
il numero di scalini, che sembravano aumentare ogni giorno, raggiunse il suo
regno. Reame di cui lei era regina nonché schiava.
Accese
le luci e si dedicò alle pulizie. Erano appena le otto di mattina ma dopo
un’ora passata a togliere la polvere la sua schiena era a pezzi. Non per la
prima volta si chiese se non dovesse cercarsi un aiutante. Scosse la testa
infastidita al pensiero di qualcuno che si aggirava tra i suoi libri, già
tollerava a malapena i clienti!
Andò
alla porta e guardò fuori, la luce era grigia e il cielo nuvoloso prometteva
pioggia. Sulla panchina davanti al bar l’agente Derill
stava bevendo un caffè, nella mano una ciambella alla crema. La signorina
Crowne stava spazzando l’uscio del suo negozio di scarpe, gettando sorrisi
all’agente di polizia. Un gruppo di ragazzi semi addormentati aspettava
l’autobus per andare a scuola. Lo sguardo di Eris si
soffermò per qualche secondo sulla giovane in minigonna che fumava una
sigaretta appoggiata al muro. La ragazza la scorse e agitò la mano verso di
lei. Eris distolse lo sguardo.
“Come
se mi conoscesse!”. Mormorò tra i denti, girò il cartello attaccato alla porta
indicando che il negozio era aperto e ritornò all’interno.
Il
suo negozio non era certo un via vai di gente ma chi entrava in genere ne
usciva con un libro e questo a lei bastava. Quella mattina venne una sola
signora, niente di speciale, chiese un libro di cucina e lei le vendette Il deserto dei tartari un classico
italiano di cui la donna aveva chiaramente bisogno data la sua chiara necessità
di dare un senso alla sua vita tristemente vuota.
Passò
il resto della giornata immersa nella lettura della Montagna incantata e quando ormai si preparava a chiudere entrò
nella stanza un uomo di mezza età. Ma non era solo.
Eris
sentì la gola chiudersi mentre un brivido le scendeva lungo la schiena.
“Buona
sera”, le disse l’uomo. Appariva normale. Era normale. Ma lei poteva vedere.
Un’ombra
scura gli si era avvinghiata con forza attorno, stringendolo come un amante o
come un assassino. Sembrava impossibile che potesse ancora respirare. Eris sapeva di cosa si trattasse. Quell’uomo era afflitto
da un dolore pauroso e terribile.
“Buona
sera”, riuscì a rispondergli mentre la sua mente si preparava a quello che
avrebbe dovuto fare.
“Mi
chiedevo se avreste dei testi sulla pesca…”, disse lui guardandosi attorno
curioso.
Quel
dolore era brutto e la guardò ringhiando, sembrava sapere cosa potesse fargli.
E non lo voleva.
“No
signore, però…” Lo guardò, andando oltre il soprabito grigio spruzzato di
pioggia, il cardigan marrone, i capelli neri ormai radi, gli occhi verdi un
tempo brillanti. Guardò l’animo di quel l’uomo leggendo in lui come aveva letto
in migliaia di libri. “Ha mai letto qualcosa di Hemingway?”, chiese mentre il
dolore aggrappato all’uomo stringeva con maggiore forza.
“No…
non direi…” Era la colpa, una colpa che lo stava distruggendo. La sua anima si
stava lacerando e il dolore sarebbe stato presto insostenibile.
“Non
abbiate paura del dolore, o finirà o vi finirà”, mormorò Eris.
“Come
prego?”
“Niente,
citavo Seneca, non badateci. Dicevamo… ah sì, Hemingway… ho qui il libro che fa
per voi”, disse mentre lo prendeva dallo scafale. “Il vecchio e il mare”,affermò tendendoglielo.
Era
stato un incidente, un terribile incidente. Era in macchina e quel bambino era
sbucato dal nulla. Non aveva potuto fare niente.
“Va
bene, grazie”, disse l’uomo che aveva dato un’occhiata rapida al libro. Eris glielo mise in un sacchetto e poi gli diede il resto.
“Buona
serata signore”, gli disse.
“Grazie,
buona serata a voi”. L’uomo si voltò e lei si protese. Mani di pura luce si
allungarono e afferrarono il dolore dell’uomo strappandolo con forza da lui e tirandolo
dentro Eris.
Il
signore ansimò piegandosi verso terra.
“State
bene?”, chiese subito lei mentre lottava con forza per mantenere quel terribile
dolore nel suo petto.
“Io…
voi…”
“Avete
bisogno di un bicchiere d’acqua?”, gli chiese lei premurosa.
“No…
voi chi siete?”. L’uomo aveva le lacrime agli occhi, tremava, ma era il
sollievo a riverberare dalla sua figura.
che
un’ora di lettura non abbia dissipato.”
Charles Montesquieu
Primo capitolo
C’erano
molti tipi di dolore, Eris ne conosceva la maggior
parte, vivere più di ottant’anni permetteva di conoscere molta gente. Mentre
accarezzava Morte rilasciò il terribile dolore che, privo di un ospite da
prosciugare, si aggrappò alla gatta. Trattenerlo anche solo pochi minuti aveva
richiesto alla donna moltissime energie e se lo avesse tenuto su di sé il
terribile peso l’avrebbe distrutta in poco tempo. Morte invece, completamente
indifferente ai dolori umani, ne analizzò il contenuto e poi senza pensarci due
volte se lo scosse via di dosso. L’indifferenza uccideva il dolore e non c’è
nulla di più indifferente di un gatto. Il dolore si rattrappì, riducendosi fino
a sparire.
Eris
sospirò mentre continuava ad accarezzare Morte che emetteva un suono
soddisfatto. Era vecchia per tutto quello, le era sempre più difficile lottare
con quei terribili dolori. Esausta si appisolò sul divano fino a quando Fame non
venne a svegliarla per reclamare la cena.
“Va
bene, va bene”. Mugugnò mentre si alzava, le ossa che le dolevano per la
scomoda posizione in cui si era addormentata. Sì, era decisamente troppo
vecchia.
L’indomani
indossò un vecchio cappotto marrone e uscì per andare a fare la spesa. L’agente
di polizia era seduto sulla panchina e come ogni mattina mangiava la sua
ciambella, cioccolato questa volta. I ragazzi non la degnarono di uno sguardo,
gli occhi insonnoliti fissi sugli schermi dei loro smartphone.
La
ragazza fumava una sigaretta, passandole accanto Eris
sentì l’odore forte di un uomo su di lei e arricciò il naso. Non c’erano dubbi
su quale fosse la sua occupazione. La giovane prostituta le fece un sorriso ed Eris le rispose con un brusco cenno della testa.
Quando
rientrò a casa, con le sue borse, i gatti la attorniarono curiosi e speranzosi.
“Via
via, avete già avuto la vostra colazione”. Quando ebbe sistemato i suoi
acquisti scese nel negozio.
Quel
mattino vennero due clienti, entrambi uscirono con un bel classico tra le mani.
Il ritratto di Dorian Grey per la
donna estremamente vanesia. Cuore di
tenebra per il bell’uomo in giacca e cravatta, ossessionato dal potere.
Poi
entrò un giovanotto, doveva avere tra i quindici e i sedici anni. Era un
cliente atipico.
“Posso
far qualcosa per voi?”, chiese Eris mentre lo fissava
per cogliere il suo animo.
“Guardo
soltanto”, rispose lui, le mani in tasca, uno zainetto sulla schiena e un
cappello da rapper in testa. Si aggirò per alcuni minuti tra gli scafali e poi
si fermò davanti ai classici dell’horror.
Eris
non era nata ieri e anche senza il suo potere avrebbe capito al volo le
intenzioni del ragazzo.
Mentre
lui infilava in fretta un libro sotto la grossa felpa gli piombò alle spalle.
“Questo
si chiama rubare”, disse con voce calma. Il giovane sobbalzò nel trovarsela
così vicina.
“No…
io…”
“Chiudi
la bocca se è solo per balbettare”
“Aspetti…”
“Spiegherai
tutto all’agente Derill”. Guardò l’orologio e annuì.
“E’ quasi l’ora di pranzo, sarà qui a minuti”. Il giovane ladro guardò la
porta. “Non ci pensare neppure, ho chiuso a chiave mentre tu gironzolavi con
fare innocente”. Non era vero, ma lei riuscì a farlo sembrare assolutamente
probabile.
“Aspetta
nonna”
“Nonna?
Se fossi tua nonna ti sculaccerei! Piccolo delinquentello!”
“Scusi,
signora…”
“Ecco,
ora va meglio. Sono la signora Schmerz”
“Cos’è,
sei una crucca?”
“Ragazzo,
vuoi renderti la vita ancora più difficile?”, rispose lei, stringendo le
palpebre con fare minaccioso. Il giovane alzò le mani e scosse la testa.
“No,
scusi, davvero… ehm… signora Schmerz”
“Bene,
bene. Comunque non cambia niente”, disse lei mentre si voltava a guardare
attraverso la vetrina. La macchina dell’agente di polizia parcheggiò proprio in
quel momento. “Eccolo qua, puntuale come ogni giorno”, disse lei con un
sorriso.
“Signora,
aspetti, mi dispiace, non mi denunci! Non lo farò più”
“E
cosa me ne importa? Lo hai fatto una volta e questo, nel nostro paese, basta”
“Farò
qualsiasi cosa! Le posso portare la spesa o… la aiuto ad attraversare la strada…”.
Nel vedere gli occhi di Eris farsi piccoli e
minacciosi il ragazzo alzò di nuovo le mani. “Non che lei ne abbia bisogno, è
chiaro! Solo per… solo per evitarle un fastidio!”, disse sorridendo, poi sul
suo volto apparve uno sguardo disperato, “La prego, mia madre non sopporterebbe
di vedere un altro figlio in prigione…”. Eris
oltrepassò l’aspetto puramente fisico del ladro e sondò il suo animo. Era
sincero, c’era già un grumo di dolore, uno di quelli necessari e che lei non
toglieva, ma che le permettevano di cogliere molti aspetti della persona che
aveva davanti.
“Non
lo so…”, disse, fingendo di pensarci.
“Per
favore signora Schmerz, mi dia una possibilità”
“Vediamo
cosa hai rubato e perché, se non sei sincero lo saprò subito”. Il ragazzo annuì
deciso e porse il libro alla donna. Si trattava di Stagioni diverse di Stephen King.
“Non
ho i soldi, altrimenti lo avrei pagato”. Disse lui.
“Potevi
chiedere alla biblioteca”. Il ragazzo arrossì.
“Non
potrei restituirlo…”
“Perché?”,
chiese allora lei.
“E’
per mio fratello…”. Il giovane si interruppe.
“Sì…?”,
disse allora Eris per sollecitarlo.
“E’
in prigione e c’è questo racconto... le ali della libertà e… mi sono detto che
potevo portarglielo come regalo di compleanno… però non potevo chiedere i soldi
a mia madre… allora…”. Era un fiume in piena.
“Allora
lo hai rubato”, concluse lei fermandolo. “O almeno ci hai provato”. Il ragazzo
abbassò la testa vergognoso e Eris annuì.
“Va
bene, non ti denuncerò, per ora”. Gli occhi del giovane sfavillarono di gioia.
“Ma…”, continuò lei alzando un dito ammonitore, “Dovrai aiutarmi qua al negozio
per tutto il mese”.
“Certo!”
Il giovane la sorprese accettando senza la minima esitazione, “Grazie babushka!”
“Non
farmene pentire!”
“Su
con la vita signora Schmerz! Si faccia una risata!”
“No,
altrimenti mi cade la dentiera”. Il giovane rimase interdetto dalla risposta
poi scoppiò a ridere.
“Grande!
Mi piace, signora Schmerz”
“Sì.”
Eris scosse la testa, non voleva essere una battuta.
“A che ora finisci la scuola?”. Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Vai a
scuola vero?”
“Sì…”,
disse lui, ma aveva tutta l’aria di essere un no.
“Molto
bene, da domani andrai regolarmente a scuola e quando finirai verrai qui ad
aiutarmi per due ore, poi tornerai a casa e darai una mano a tua madre con la
cena”
“Ehi
ehi!, avevamo un accordo diverso”
“No,
semplicemente non avevamo ancora fissato i dettagli”
“Ma…”
“Nessun
ma, hai una bella spada di Damocle sulla testa”
“Cosa?”
“Ti
sto minacciando ragazzo!”, lo informò lei con veemenza.
“Oh…
certo… capisco…”
“Ecco,
bravo, farai quello che ti dico per tutto il mese, poi tornerai a buttare via
la tua vita come meglio vorrai”. Eris guardò il
giovane con sguardo fermo e lui sospirò.
“E
va bene nonn… signora Schmerz”,
si corresse in tempo.
“Allora
a che ora finisci la scuola?”
“Alle
quattro”
“Eccellente,
vai alla Roosevelt?”
“Sì”
“Allora
alle quattro e dieci ti voglio in negozio, sono stata chiara?”
“Sì”
“Ottimo”.
Il ragazzo gettò un’occhiata al libro di King e sospirò di nuovo. “Quand’è il
compleanno di tuo fratello?”, chiese allora Eris.
“Tra
dieci giorni, io e mamma andiamo a trovarlo”
“Se
ti comporterai bene per dieci giorni avrai quel libro, ma sai bene cosa
succederà se poi non ti presenterai più qui”. Gli occhi del ragazzo brillarono
di nuovo.
“Lei
è una grande, grazie, vedrà che non potrà lamentarsi di me, sarò perfetto!”. Le
fece l’occhiolino mostrando entrambi i pollici all’insù. Eris
scosse la testa.
“Inizia
a tirarti su quei pantaloni o tra pochi minuti vedrò le tue mutande, spettacolo
di cui, alla mia età, farei volentieri a meno”. Il ragazzo arrossì, tirando su
i pantaloni. “Ora fila a scuola, sei ancora in tempo per le lezioni del
pomeriggio!”
Quando
il ragazzo fu alla porta si voltò verso di lei.
“Comunque,
quel libro era nella sezione sbagliata”
“Sparisci!”
Gli rispose lei fintamente irritata, lui sorrise e poi se ne andò.
Mentre
lo guardava correre via sorrise a sua volta, forse c’era una possibilità. La
sua mente corse a ricordare un’altra aspirante ladra.
Il freddo era pungente e il suo
ventre gorgogliava per la fame. Aveva mangiato solo una minestra composta più
di acqua che di verdure e di certo non le era bastata che per poche ore. Ora
però aveva trovato un rimedio, o almeno lo sperava. Con difficoltà si inerpicò
sullo scafale poi si aggrappò alla trave del tetto e scivolò nello stretto
sottotetto. Doveva solo strisciare per un po’ e sarebbe arrivata nella casa con
cui condividevano il tetto. Ancora un po’ di fatica e sarebbe arrivata nella
soffitta della sua vicina. L’aveva osservata dalla sua finestra, salire in
soffitta con del pane e un pezzo di carne salata, a volte della minestra. Era
sicura che nascondeva del cibo lassù. Lei non doveva fare altro che
intrufolarvisi passando dalla soffitta di casa sua. Aveva scoperto quel passaggio
anni prima, giocando. Ora le sarebbe tornato utile. Mentre passava nel
sottotetto con fatica, non ricordava che fosse così piccolo, immaginava lo
spettacolo che avrebbe trovato dall’altra parte. La fantasia di un bambino non
ha limiti e lei poteva già sentire il profumo di tortini di carne, dolcetti
all’uva passa e succo di mele.
“Le
anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza.
I
caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.” KahlilGibran
Secondo capitolo
“Cosa
sai dirmi sul dolore?”
“Ahi”,
rispose il ragazzo distrattamente, mentre spolverava la sezione in alto dello
scafale.
“Danny”.
Il tono basso e letale avvertì il giovane ex-ladro che la guardò.
“Oh,
seriamente?”. Si batté un dito sulle labbra pensoso. “…Dolore non avere;
rimpianto non avere..”, iniziò, sorprendendo Eris che
non si era certo aspettata una citazione.
“No,
aspetti era così: La morte è parte naturale della vita. Gioisci per coloro che
intorno a te si trasformano nella Forza. Dolore non avere; rimpianto non avere.
L'attaccamento conduce alla gelosia; l'ombra della bramosia essa è.”. Sorrise
mentre lei lo guardava con occhi stretti. “E’ Yoda”, spiegò.
“Chi?”,
chiese la donna, ma si vedeva che non desiderava davvero una risposta, Danny
però non esitò.
“Yoda!
E’ il maestro dei maestri! Il più grande Jedi vivente”. Nel vedere che Eris non era ricettiva corrugò la fronte, “Guerre
stellari?”
“Non
so nulla di questa storia! Torna a spolverare!”
“Va
bene, signora Schmerz, ora non si arrabbi, cercavo
solo di rispondere alla sua domanda”
Era
al suo servizio da una settimana ormai e aveva imparato a non far caso ai suoi
sguardi di fuoco. Eris scosse la testa, ma prima che
potesse rispondere a dovere una cliente entrò nel negozio.
“Salve”,
disse, aveva una piccola vocetta, ma era normale visto che non doveva avere più
di sette anni.
“Buon
pomeriggio, posso aiutarti?”
“Sì,
vorrei un libro”. Eris inclinò la testa di lato
osservando la madre della bambina, rimasta fuori, intenta a parlare al
telefono. Si agitava e sbraitava.
“E
cosa ti piacerebbe?”, chiese alla piccola che si strinse nelle spalle.
“Non
lo so, non ho mai avuto un libro. Ma la mamma ha detto che ora che so leggere
posso averne uno, così sto zitta mentre lei parla con le sue amiche”. Lo disse
con la tipica innocenza dei bambini ma Eris, che già guardava in lei, vide la sofferenza
della piccola, dolore creato da mancanza di attenzione e soprattutto di amore.
“Bene
bene…”, mormorò lei mentre accompagnava la piccola allo scaffale dei classici
per ragazzi.
“Allora?
Hai finito?”. La madre aveva fatto capolino nel negozio e guardò stizzita verso
la figlia. “Quanto ti ci vuole per comprare un libro? Non è mica un paio di
scarpe!”. Rise alla propria battuta e poi chiese alla persona con cui stava al
telefono se l’aveva sentita. La porta si richiuse e Eris
tornò a guardare la sua piccola cliente. Gli occhi della bambina erano grandi e
chiedevano silenziosamente aiuto.
“So
che libro fa per te”, le disse con un sorriso.
Poco
dopo la bambina usciva dal negozio, tra le mani teneva stretta Matilde di RoaldDahl.
“Che
stronza!”, disse allora Danny, guardando la madre che spingeva la bambina nella
macchina.
“Linguaggio”,
lo redarguì Eris.
“Lo
so che la pensate come me, signora Schmerz”. Il
ragazzo scese dalla scaletta con una smorfia sul viso. “Mi piacerebbe poter
fare qualcosa per lei…”
“Ma
non puoi, ora vai a darti una ripulita, sei pieno di polvere, poi puoi andare a
casa”
“Sopra?”
“E
dove altrimenti?”, chiese lei stupita.
“E’
solo che non mi piace come mi guarda il gatto rosso…”
“Guerra?
E’ una gatta, e poi non fa nulla”
“Se
lo dice lei…”. Il ragazzo salì le scale a due a due con l’agilità dei giovani. Eris lo guardò con una punta di invidia.
Il
giorno dopo Danny arrivò con un occhio nero.
“Cosa
ti è successo?”
“Niente”
“Danny”
“Signora
Schmerz, un giorno deve spiegarmi come fa a dare
tanto potere a due sillabe, perché quando pronuncia così il mio nome mi sento
come se mi stesse sculacciando!”
“Danny!”
“Va
bene, va bene!”. Alzò le mani in segno di resa, un gesto che ormai Eris gli aveva visto fare spesso. “Sono stati due stupidi a
scuola”
“Perché?”
“Oh…
hanno fatto due o tre battute sul perché vengo qua dopo scuola, non hanno
apprezzato la mia risposta”
“Cosa
gli hai detto?”, chiese allora Eris curiosa.
“Niente
di che… qualcosa sul fatto che le loro madri amavano i libri e i commessi
giovani e aitanti…”. Eris strinse le labbra per non
ridere, ma Danny se ne accorse e sorrise.
“Hai
risposto ai colpi?”, chiese però poi Eris, di nuovo
seria.
“No”
“Davvero?”,
chiese lei dubbiosa. Danny non poteva dirsi un ragazzo fragile, era forte e più
di una volta lei lo aveva visto sollevare senza difficoltà grandi pacchi di
libri.
“Sì,
davvero. Non ne valeva la pena, sono degli stupidi e poi a loro ha fatto più
male vedermi ridere mentre me le davano”. Eris annuì
poi gli indicò lo spiumino. “Ancora?”, si lamentò il ragazzo.
“Sì,
muoviti!” Danny obbedì trascinando i piedi.
“E
non trascinare le scarpe come se fossi un vecchietto! Su, scattare”
I
movimenti del ragazzo si fecero appena più rapidi ma non di molto, ormai aveva
capito che abbaiava ma non mordeva.
Eris
lo guardò di sottecchi, era un bravo ragazzo.
“Sa,
ho pensato alla sua domanda di ieri”
“Quella
su a cosa serve una cintura?”, chiese lei sarcastica nel gettare uno sguardo ai
pantaloni cadenti del ragazzo.
“No,
quella sul dolore”
“Ah”,
disse solo lei aspettando.
“Ho
pensato che può essere di molti tipi e che a volte è positivo”
“Il
dolore positivo? Ma cosa stai blaterando?”. Eris
sentiva il cuore battere forte, era davvero la persona giusta?
“No…
beh sì… voglio dire, a volte soffrire per qualcosa ti serve a capire che tieni
davvero a quella cosa… e poi credo che è così che si cresce, soffrendo…”
“Accidenti,
ma allora tra le tue orecchie non ci sono solo ragnatele…”. Il ragazzo si strinse
nelle spalle.
“Suppongo
di no…”. Eris sorrise.
“Molto
bene”, disse soltanto, poi si sedette e si mise a leggere.
La soffitta era debolmente
illuminata, il lucernaio era infatti coperto da uno straccio. La bambina si mosse
con circospezione, guardandosi attorno e tendendo le orecchie al massimo. Se
l’avessero sorpresa a rubare sarebbe stata in guai grossi! Eppure il suo
stomaco ordinava del cibo ed era di ora in ora più pressante.
I suoi occhi individuarono un alto
scafale. Si avvicinò, cercando di capire cosa contenesse, sperando che fosse
proprio quello che cercava, ma no, c’era solo una vecchia e lisa valigia,
qualche indumento e un libro. Lo sfiorò leggendo l’autore in silenzio, muovendo
solamente le labbra: “Bertolt Brecht”. Ne aprì le pagine, erano poesie. Un
segnalibro la guidò verso una poesia in particolare che lei lesse, sempre nel
silenzio:
“Lo
ammetto: io
non ho speranza.
Il cieco parla di una via di uscita. Io
ci vedo.
Quando tutti gli errori sono esauriti
l’ultimo compagno che ci sta di fronte
è il Nulla.”
Chiuse il libro perplessa e alzò lo
sguardo, due occhi la fissavano spaventati.
Eris
aprì gli occhi e scosse la testa.
“Tutto
bene signora Schmerz? Si è appisolata un momento…”
“Ho
solo chiuso gli occhi, non dormivo”
“Allora
abbiamo un problema di tarli, perché io credevo di sentire russare, invece
devono essere quelle bestiole che si mangiano i suoi scafali”. Danny la
guardava divertito.
“Hai
finito di pulire invece di dire idiozie?”
“Sì,
almeno per oggi!”. Le fece l’occhiolino, sorridente. Eris
lo mandò a casa, la testa ancora persa nel passato.
Con
un sospiro chiuse il negozio e tornò dai suoi gatti.
Il
dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio.
Il
dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l’aria.
Cesare Pavese
Terzo capitolo
Era
brutto. Davvero brutto, uno di quelli che succhiavano la vita e le energie. La
donna teneva le spalle basse, la schiena incurvata, come se ne sentisse il peso
fisico, oltre che morale. Sul volto portava i segni del maltrattamento e Eris
non ebbe bisogno di sondarne l’anima per sapere che avrebbe dovuto strapparlo
via. Togliere quel dolore avrebbe richiesto energia, ma liberare quella donna
era imperativo. Una volta sollevata dal suo fardello avrebbe dovuto cercare da
sola la forza di affrontare il marito violento.
Fu
una lotta aspra, Eris dovette stringere i denti e metterci tutta la sua forza,
era un dolore antico e portato da tanto tempo, troppo tempo. Alla fine lo ebbe
tra le mani, fremente e violento.
Sulle
guance della donna scesero lacrime calde, non le disse niente, ma i suoi occhi
esprimevano una gratitudine e un sollievo infinito.
Eris
salì le scale barcollando, il dolore cercava di avvinghiarsi a lei, di renderla
schiava, doveva lottare per tenerlo lontano da sé. I ricordi delle percosse
iniziavano a filtrare nella sua mente, le umiliazioni, il disprezzo, il
disgusto per se stessa. Arrivò ansimando al suo piccolo appartamento, spalancò
la porta e si accasciò sulla sedia, il divano era troppo lontano. Fame balzò
sulle sue gambe senza indugio, spingendo con la testa contro la sua mano.
Sembrava invitarla a fare in fretta.
Eris
lottò contro quei sentimenti, ricordando che non erano suoi, che il dolore era
di qualcun altro.
In
un barlume di coscienza sentì la porta del negozio aprirsi, aveva dimenticato
di chiuderlo, l’urgenza era stata troppa. Pensare al negozio le diede la
lucidità necessaria per lasciare andare il dolore, ma a quel punto Danny le
toccò la spalla.
Era
arrivato in anticipo e non vedendola aveva fatto le scale di corsa per
raggiungerla, aveva una buona notizia ed era impaziente di condividerla con
lei. Ora però si ritrovò avvolto nel dolore.
Eris
sentì il dolore abbandonarla nel momento stesso in cui la mano del ragazzo si
posò sulla sua spalla. Con un misto di orrore e inquietudine si voltò. Davanti
a lei Danny si piegò su se stesso come se fosse stato colpito. Le sue labbra
erano bianche dalla tensione, gli occhi erano sgranati mentre il corpo tremava.
Eris
agì in fretta, protese il suo potere e con mani di pura luce afferrò di nuovo
il dolore.
“Via
di qua! Subito!”, riuscì a dire tra i denti mentre Danny respirava di nuovo a
pieni polmoni. Il ragazzo aveva ancora gli occhi dilatati dalla paura e nel
sentire il suo tono non esitò ad obbedire. Si voltò e scappò dalla stanza come
se fuggisse da un orrendo incubo.
Morte,
Pestilenza, Fame e Guerra erano ai suoi piedi. Lei, ormai crollata a terra,
allungò le mani alla cieca e sentendo il morbido pelo di uno di essi rilasciò
il dolore.
Quando
riuscì a vedere di nuovo, i gatti si stavano rincorrendo nei loro soliti
giochi. Eris prese un profondo respiro, poi un secondo. Quando sentì di potersi
alzare lo fece. La testa le girava ma lei obbligò il suo corpo estenuato ad
obbedire.
Scese
le scale con fatica, doveva chiudere il negozio.
Quando
fu in basso però fu stupita nel vedere Danny. Il ragazzo saltò in piedi e la
guardò con occhi sgranati, nel vederla vacillare fece un passo avanti per poi
fermarsi di netto.
“E’
finita, non… non c’è più…”, le disse lei. Era sorpresa, era sicura che non lo
avrebbe visto mai più, sarebbe stato più che comprensibile.
“Cos…
cos’era?”, le chiese Danny, nella voce era facilmente udibile un tremito.
“Dolore”,
rispose lei, era inutile mentirgli, lo aveva sentito ed era rimasto, meritava
la verità.
“Dolore?”,
chiese lui confuso. “Non capisco…”, ammise.
“Ti
andrebbe di salire un momento con me? Ho davvero bisogno di una tazza di the e
di un po’ di biscotti”. Il giovane la guardò per un lungo istante poi annuì.
Senza
che lei glielo chiedesse, chiuse il negozio poi le tese il braccio e la
sostenne lungo tutta la scala. Quando furono nella sua cucina la fece sedere e
poi mise il bollitore sul fuoco. Durante tutto questo tempo nessuno dei due
parlò.
“Grazie
Danny”
“Non
è nulla signora Schmerz”. Eris scosse la testa poi cominciò.
“Sarà
difficile per te crederci. Ma non mi sono mai piaciuti i giri di parole, quindi
andrò dritta al punto”. Prese un profondo respiro e continuò. “Io ho un dono,
vedo il dolore altrui, lo leggo come tu leggi i fumetti. Ma, non solo lo vedo,
io posso strapparlo via di dosso dalle persone, posso liberarle dal dolore”
“Era
quella signora che piangeva?”, chiese allora lui, “Aveva un livido violaceo
sulla guancia…”
“Sì,
il marito la picchia da anni”
“Era
così soffocante… l’umiliazione…”, ricordò il ragazzo, poi rabbrividì.
“Mi
dispiace, non era qualcosa che un ragazzo giovane come te dovrebbe provare…”.
Danny scosse le spalle, come a scacciare le sue scuse poi la guardò, attendendo
altre spiegazioni. Eris annuì piano, sì, doveva sapere tutto. “Una volta
rimosso non posso tenerlo su di me, mi distruggerebbe in breve tempo… allora
devo liberarmene… a questo servono i miei gatti”
“Lo
da ai gatti?”. Questa volta Danny era davvero stupito, come se tutto il resto
fosse accettabile tranne quel dettaglio.
“Sì,
loro non hanno gli stessi valori che abbiamo noi, a loro non importa nulla del
passato, loro vivono il presente, quello che li interessa è il cibo, le coccole
e un luogo sicuro in cui dormire. Un dolore feroce, come quello che purtroppo
hai percepito toccandomi mentre me ne liberavo, non è nulla per loro”
“Quindi
non fa loro lo stesso male che fa a noi?”
“No,
è come se ti donassero il dolore di un essere a te completamente alieno, di cui
non riconosci i valori e di cui non condividi la morale. Se un psicopatico
assassino ti donasse il dolore di aver perso una vittima in te si
trasformerebbe in sollievo, insomma sparirebbe.”
“Ho
capito…”, annuì il ragazzo. “Quindi…”, guardò Eris con occhi perplessi. “Quindi
sei un supereroe!”
“Non
credo proprio”
“Sì!
Dovremmo trovarvi un costume e magari un bel simbolo e…”
“Smettila
di dire sciocchezze”, lo interruppe, ma lui sorrideva. Il bollitore si mise a
sibilare e Danny si voltò per versare l’acqua bollente nelle tazze. Troppo
scombussolato dalle rivelazioni a cui aveva appena assistito o forse
semplicemente sbadato, si bruciò.
“Ahi!”,
esclamò allontanando di scatto la mano. “Mi sono bruciato”, disse poi a Eris
che scuoteva la testa.
“Devi
usare la presina, è lì per quello, ora metti la mano sotto l’acqua fredda”,
Danny obbedì però poi si voltò pensieroso verso di lei.
“Potete
togliere anche questo tipo di dolore”
“Sì,
ma non lo farò”
“Perché?”
“Perché
non potrei darlo a nessun altro, dovrei tenerlo su di me”
“Ma
i gatti…”
“Mi
hai ascoltato? Loro ignorano il dolore emotivo degli umani, ma questo non
significa che non provino dolore, soprattutto quello fisico”
“E’
vero… certo, non ci avevo pensato…”
“E
oltretutto, questo piccolo dolore ti insegnerà a fare attenzione la prossima
volta”
Danny
versò il the con attenzione e prese i biscotti, mangiarono in silenzio per
alcuni minuti poi visto che il ragazzo la fissava intensamente, Eris sospirò.
“Cosa
c’è?”
“Niente”
“Avanti
Danny!”
“Siete
un angelo?”
“No
una strega”. Gli occhi di Danny si sgranarono e Eris iniziò a ridacchiare. “La
tua faccia è impareggiabile!”. Danny si imbronciò.
“Non
è gentile signora Schmerz aprendersi
gioco di me!”
“E’
vero, è vero, scusa”, gli rispose lei, cercando di smettere di ridere. “E’ solo
la stanchezza…”, disse lei alla fine, cercando di calmare la ridarella.
“Comunque
non è una domanda così assurda!”. Danny era offeso e lei gli annuì.
“E’
vero Danny. Ma la risposta è no, non sono un angelo, sono una normalissima
vecchietta che ha male alle giunture, che possiede un negozietto di cui può
fregiarsi del titolo di proprietaria quando in realtà non è nulla di più di una
commessa, che ama i gatti e a cui piacciono i biscotti con il the”
“E
che toglie il dolore alle persone…”, aggiunse Danny.
“Sì…
ma non è nulla di più che un dono”. Il giovane non sembrava molto convinto.
“A
me sembra un super potere”
“Tu
leggi troppi fumetti”, rispose Eris, poi guardando l’ora aggrottò la fronte. “Perché
poi sei arrivato così in anticipo? Non avrai saltato la scuola?”
“No”
“Sei
sicuro?”
“Sì!
Il professore era malato e ci ha lasciato uscire prima. A proposito”, continuò
il ragazzo, “sono venuto di corsa perché volevo dirle che ho preso B in
algebra”
“B?”,
chiese lei come se faticasse a crederci.
“Sì!
Una B! Dopo tutto non è così male andare sempre in classe…”, aggiunse poi tra
sé e sé.
“Tua
madre sarà contenta”
“Già…”,
pensare a sua madre sembrò ricordargli un’altra cosa perché si rattristò. Eris
non aveva bisogno di super poteri per sapere cosa lo angustiava.
“Domani
vai a trovare Greg?”
“Sì…
rende sempre triste mamma…”
“Andrà
bene, tu hai un bel regalo per lui”, le ricordò Eris e lui sorrise.
“Me
lo darete davvero?”
“Danny,
metti in dubbio la mia parola?”
“No,
certo che no!”
“Ricorda,
la lettura rende liberi e malgrado quello che ha fatto tuo fratello, credo sia
quello tra di noi che ne abbia più bisogno”. Mentre parlava gli occhi di Eris
si velarono, un ricordo fece capolino nella sua mente, fresco come il giorno in
cui lo aveva vissuto.
“Su, vieni qui!” La bambina era
stesa a terra e guardava sotto una semplice branda.
“Devi lasciare che sia lui a venire
da te”, le disse la donna che, seduta su una sedia, la guardava con un sorriso.
“Uffa”, sbuffò la bambina. “Non mi
piacciono i gatti!”
“Sì che ti piacciono, devi solo
imparare che non potrai mai obbligarli a fare qualcosa che non vogliono fare”.
La bambina si alzò in piedi e raggiunse la donna che, seduta nell’angolo più
luminoso della soffitta, teneva un libro aperto tra le mani.
“Ti piace molto leggere, vero?”,
chiese la bambina.
“Sì… mi da la libertà…”
“Signora
Schmerz, io vado allora… ci vediamo domani?”. Eris scosse la testa, scacciando
il ricordo, e annuì.
“Sì,
Danny, uscendo prendi il King dallo scafale, è tuo adesso”
“Grazie”.
Il giovane sorrise e si voltò per andarsene, ma lei lo richiamò.
“Danny?”
“Sì?”
“Lo
sai che non devi dirlo a nessuno vero?”
“Certo
super nonna!”
“Danny!”,
lo redarguì lei ma lui era già lontano, la sua risata che echeggiava lungo le
scale.
Non sprecare lacrime nuove per
vecchi dolori.
Euripide
Quarto capitolo
“Danny
forza, sbrigati a portare dentro i nuovi arrivi”. Il ragazzo annuì, mentre
posava il primo grosso scatolone all’interno del negozio. Una folata di vento
entrò all’interno a causa della porta lasciata aperta dal giovane. “E chiudi
quella porta, appena hai finito”, aggiunse, per poi voltarsi e cercare l’ordine
di consegna originale per confrontarlo con i libri effettivamente arrivati.
“Eris…”. La voce arrivò alle sue orecchie come una scossa
elettrica. Erano passati anni, decenni, ma nemmeno il tempo poteva cancellare
l’effetto che quella voce aveva su di lei e nulla avrebbe potuto fargliela
dimenticare. Si voltò con il cuore che batteva veloce.
“Sì,
signora Schmerz, faccio in un attimo”. Danny depose
il secondo cartone e uscì veloce a prendere l’ultimo.
Quell’interruzione
le aveva dato il tempo di guardare la donna. Era invecchiata, certo, ma era
sempre la più bella donna che avesse mai visto. I suoi occhi erano timorosi nel
guardarla ma anche così brillavano di quell’intenso smeraldo in cui si era
tante volte persa. Le sue mani apparivano ancora morbide come le ricordava e
l’eleganza che aveva sempre avuto in ogni gesto non era sparita. Le parole di
Danny però le avevano anche permesso di sfuggire dall’incantesimo che quella
donna gettava infallibilmente su di lei.
“Vai
via”
“Eris, io…”
“Mi
sembrava di essere stata chiara anni fa. Hai scelto lui, hai scelto di vivere
senza di me e così hai perso ogni diritto di posare il tuo sguardo su di me.
Vattene via”. La donna fece un passo verso di lei, ma gli occhi di Eris brillarono di rabbia e lei si ritrasse.
“Signora
Schmerz? Va tutto bene?”. Il giovane aveva posato
l’ultima scatola e ora guardava le due donne con preoccupazione.
“Sì,
questa cliente non può trovare quello che cerca. Non qui”. La sconosciuta
abbassò la testa alle parole di Eris poi si voltò e
uscì dal negozio.
“Chi
era?”, chiese Danny curioso.
“Nessuno”
“Oh
non direi! Non l’ho mai vista mandare via un cliente, neppure quando le hanno
chiesto Cinquanta sfumature di grigio!”.
Ridacchiò, ricordando la scena.
“Non
sono affari che ti riguardano!”
“Ma…”
“Vai
a casa Danny”
“Devo
ancora mettere a posto i libri e…”
“Ho
detto vai a casa!”. Il ragazzo la guardò, arrabbiato.
“Non
è giusto”
“Non
ha nessuna importanza quello che è giusto e quello che non lo è! Torna a casa!”.
Danny
afferrò il suo giubbotto e uscì dal negozio sbattendo la porta, furioso per il
modo in cui era stato trattato. Eris però non lo vide
uscire, i suoi occhi si erano velati di lacrime e ora che fu sola scoppiò a
piangere, lasciando che il dolore la sommergesse. Il dolore di cui non si era
mai potuta liberare, il dolore di essere abbandonata dalla persona a cui aveva
donato il cuore.
Il
giorno dopo Danny non venne. Eris sistemò i libri da
sola, ma non aprì il negozio, voleva rimanere sola. Aveva passato la serata a
guardare vecchie foto, immagini che aveva deciso di bruciare almeno cento volte
ma di cui non aveva mai potuto disfarsi. Ricordava quegli anni, c’era la guerra
in Vietnam e i soldati tornavano a casa con sulle spalle dolori mostruosi e insaziabili,
aveva passato giorni negli ospedali, strappando un dolore dopo l’altro, aiutata
dalla forza della giovinezza. Ma non ricordava solo i dolori tolti di quegli
anni, ricordava anche quell’infermiera, Elisabeth,
dolce ed elegante che aveva fatto breccia nel suo cuore e che un giorno aveva
deciso di spezzarglielo.
Razionalmente
aveva capito, dopo tutto il suo più grande desiderio era stato avere una
famiglia e lei non avrebbe potuto dargliela, mentre lui sì.
Quando
Elisabeth l’aveva lasciata piangeva, le aveva detto
che avrebbe amato sempre e solo lei, ma che quella era l’unica decisione che
avrebbe permesso ad entrambe di essere felici. Mentre lo diceva, Eris aveva visto formarsi il dolore su di lei e lo aveva
strappato via. L’amava. L’amava così tanto da non poter sopportare di vederla
soffrire, così aveva tolto quel dolore e impedendole di provarlo, aveva
eliminato qualsiasi possibile futuro per loro due. Era stato un errore, un
errore che non aveva più commesso da allora ma che pagava ogni giorno che
passava sola, lontana dalla persona che amava.
“Ciao…”.
Eris alzò la testa dal libro e appuntò lo sguardo su
Danny che, le mani in tasca, la fissava dalla porta del negozio.
“Cosa
fai lì impalato, entra”. Il ragazzo obbedì, muovendosi incerto verso di lei.
“Dai su, non mordo mica”
“Non
ne sono così sicuro…”. Eris fece una smorfia, come se
avesse un gusto molto amaro in bocca poi pronunciò due parole che di sicuro non
pronunciava spesso.
“Mi
dispiace”. Danny sgranò gli occhi, stupito.
“Dispiace
anche a me signora Schmerz”
“Bene,
allora discorso chiuso?”
“Posso
dire solo una cosa?”
“Una
sola, bada bene a che non siano due”. Danny sorrise poi si fece di nuovo serio.
“Lei
si occupa molto dei dolori altrui… ma… ecco, dovrebbe imparare a lasciare
andare anche i suoi”. Eris guardò il ragazzo a lungo.
Era appena fuori dall’adolescenza, alto e forte, i suoi occhi azzurri, che un
giorno avrebbero fatto innamorare una donna, erano franchi e aperti.
“Sei
un bravo ragazzo Danny, ma questo dolore è tutto ciò che mi resta di una persona
che ho amato profondamente. Se lo lasciassi andare, allora non avrei più nulla”.
Il giovane sembrò riflettere poi annuì.
“Posso
capirlo”. Allungò il collo e vide la foto che lei aveva messo nel libro due
sere prima. “E’ lei?”
“Avevamo
detto: una cosa”, gli ricordò Eris, ma lui non ritirò
la domanda. La donna sospirò poi annuì. “Sì, è lei”
“Era
bella”, commentò Danny, mentre prendeva la foto tra le mani.
“Lo
è ancora”
“Era
la donna che è venuta ieri?”
“Sì”
“E
perché l’avete mandata via?”. Alzò le mani per bloccare la protesta nascente
“Lo so, lo so. Però, perché l’avete mandata via? Vi ha fatto soffrire, immagino
che vi abbia lasciato, ma ora era qui e chiaramente voi l’amate ancora”
“Danny…”,
disse debolmente Eris. “La vita è complicata e…”
“Non
siete stanca? Soprattutto del male che gli uomini fanno a tutti gli altri
uomini. Stanca di tutto il dolore che sentite nel mondo ogni giorno? Non ce n’è
troppo per voi? Non è come avere pezzi di vetro conficcati in testa
continuamente?”. Dopo la tirata prese un profondo respiro “Ho guardato Il miglio verde ieri sera e ho
riadattato la citazione per voi”
“Danny,
se vuoi ti regalo il libro del miglio verde, ma non citarmi più dei film”, disse
esasperata Eris.
“Davvero
me lo regalereste?”, chiese entusiasta il ragazzo.
“Certo”
“Forte”.
Danny batté le mani poi le puntò il dito contro “Ma ero serio, non siete stanca
di tutto questo dolore? Forse l’amore è meglio, anche se… beh…”
“Cosa?”,
chiese lei, stringendo gli occhi in una minaccia.
“Beh,
siete vecchia quindi…”
“Oh
taci!”, lo bloccò lei mentre lui arrossiva. “Vai a prendere della carta e del
prodotto per vetri, visto che sei qui tanto vale che mi aiuti a pulire la
vetrina”. Il giovane sbuffò ma corse a prendere quello che gli aveva chiesto. Eris scosse la testa, chiedendosi perché dovesse sempre o
correre o trascinare i piedi, la cara e bella via di mezzo non era tra le
opzioni di Danny.
La
porta alle sue spalle si aprì e lei si voltò per accogliere il cliente ma si
ritrovò davanti lei.
“Eris, lo so, mi detesti ancora… ma devo parlarti!”. La
donna si stropicciava le mani, tesa.
“Va
bene”. Detto questo Eris si voltò e si diresse alle
scale.
Danny
spuntò in quel momento e nel vedere con chi era si bloccò di netto.
“Io
parlerò per alcuni minuti con questa persona, tu assicurati che la vetrina sia
ben pulita prima che scenda”
“Ok”,
disse solo mentre lei lo oltrepassava e saliva le scale fino al suo
appartamento.
Le
gatte le vennero incontro facendo le fusa e richiedendo coccole, Eris prese Morte tra le braccia e si sedette al tavolo.
“Ti
sono sempre piaciuti i gatti…”, iniziò lei.
“Sì,
siediti e dimmi quello per cui sei venuta”
“Eris…”
“Per
favore, Elisabeth”. Il suo tono fece abbassare gli
occhi alla donna che annuì.
“Sì,
certo. Io ho bisogno del tuo aiuto”. Mentre lo diceva Eris,
che fino ad allora era stata accecata dai proprio sentimenti vide.
“Oh”,
disse soltanto.
“Hai
visto?”, chiese allora Elisabeth, tesa.
“Quanti
anni ha?”
“Tre
anni”
“E’
tua nipote?”
“Sì,
la figlia di John, il mio primo figlio”. Eris chiuse
gli occhi a quelle parole. Dentro di lei il dolore era forte. “Mi dispiace
chiederti questo… non ne ho nessun diritto, ma i medici hanno detto che morirà…
le resta poco tempo…”
Eris
aprì gli occhi, fissandoli in quelli verdi della donna che amava.
“Sai
cosa mi stai chiedendo?”
Elisabeth
aveva i pugni chiusi, le labbra strette e gli occhi pieni di lacrime. Sì, lo
sapeva. Eris non ebbe bisogno del piccolo cenno
affermativo per comprenderlo.
“Portala
qui, domani. A quest’ora”. Sul volto della donna dolore e sollievo combattevano
senza che nessuno dei due prendesse il sopravvento.
“Io…
grazie Eris…”. Si alzò senza riuscire a dire altro.
Scese le scale e sparì. Dietro alla porta però c’era Danny.
“No”,
disse prima ancora che lei potesse parlare. Il suo tono era duro e fermo, come
mai lei lo aveva sentito. “Non vi permetterò di farlo”
“Non
avresti dovuto origliare! Comunque è deciso, lo farò, tu, caro ragazzo, non
potrai fermarmi”
“Sì
che posso!”. La sua voce si incrinò mentre le lacrime si facevano strada sulle
sue guance. “E’ colpa mia, non avrei dovuto incitarvi ad ascoltarla!”
“No
no, suvvia Danny, vieni qua”. Lo fece accomodare accanto a lei e gli prese la
mano. “Avevi ragione. Sai cosa diceva Sofocle?”. Il ragazzo scosse la testa e
lei recitò: “Una parola ci libera di tutto il peso e il dolore della vita:
quella parola è amore”. Eris sorrise “Avevi ragione,
era ora che io mi liberassi del mio dolore, era ora che io finalmente
conoscessi la pace”
“Ma…”
“Non
ti preoccupare per me, non ho paura di morire, nulla può essere peggio dei
dolori che ho visto in questo mondo”
“Siete
troppo vecchia per queste cose! Non dovete fare il supereroe! Voi stessa avete
detto che non lo siete!”
“Danny,
non si è mai vecchi per un atto di amore e sacrificio”
“Ma
io non voglio che moriate”
“Sei
gentile”
“No”,
si impuntò il ragazzo e Eris gli sorrise.
“Andrà
tutto bene”
“Voglio
esserci”. L’improvvisa risoluzione seccò le lacrime dal volto del ragazzo.
“Non
credo che…”
“Signora
Schmerz, voi siete libera di prendere le vostre
decisioni e così lo sono io”
“Perché
vuoi assistere alla mia morte? Non sarà bello”
“Lo
sapete bene, certi dolori devono essere vissuti”. Rimasero in silenzio tutti e
due poi Eris guardò le sue gatte accoccolate sul
divano in un garbuglio di zampe e peli.
“Ti
prenderai cura dei miei cavalieri?”
“Quali
cavalieri?”, chiese il Danny confuso.
“I
Cavalieri dell’Apocalisse. Le mie gatte”, specificò poi.
“Oh…
certo… mamma non ne sarà contenta ma… è una promessa”, disse poi serio.
La bambina sentiva i polmoni
scoppiare ma non smise di correre. Arrivò a casa, senza perdere tempo spalancò
la porta e risalì gli scalini il più in fretta possibile poi senza indugio si
intrufolò ansimando nella fenditura tra la sua casa e quella della vicina. La
soffitta era scura come sempre.
“Sarah?” Chiamò piano, il cuore che
batteva all’impazzata.
Nessuno rispose: la soffitta era
vuota.
Eris
si svegliò con il cuore che batteva veloce, si era assopita per un momento e le
era stato portato quel sogno, un altro momento del passato. Si alzò e guardò
fuori. Era l’alba. Bene, doveva fare ancora molte cose.
Ultimo capitolo, spero che la storia vi sia piaciuta! Buona lettura.
Il
dolore e la morte sono parte della vita.
Rifiutarli
è rifiutare la vita stessa. HavelockEllis
Quinto capitolo
Tutto era stato predisposto. Aveva chiamato la banca e messo tutti i risparmi di
una vita, una bella sommetta, in un fondo universitario a nome di Danny. Il
ragazzo non avrebbe più dovuto preoccuparsi del denaro per lo studio. Aveva poi
lasciato i suoi libri alla biblioteca della prigione e il negozio ad una
associazione per gatti randagi. Dei suoi gatti non si era preoccupata, sapeva
che Danny si sarebbe occupato di tutti e quattro. Finite le formalità era
uscita e aveva fatto una passeggiata. Il sole era caldo quel giorno e lei
rimase seduta sulla panchina davanti al negozio per molto tempo.
“Salve”,
si voltò e incontrò gli occhi dolci della giovane prostituta.
“Buongiorno”,
disse allora lei e la ragazza le si sedette accanto.
“Non
l’ho mai vista seduta qua fuori”
“Non
lo faccio mai”
“Ma
oggi è un giorno speciale…”, concluse per lei la prostituta. Eris si voltò a guardarla, questa volta per davvero. Vi era
del dolore in lei, ma anche forza. Aveva visto molte cose brutte ma non aveva
permesso che scalfissero il suo animo. La vecchia donna sorrise alla giovane.
“Già,
oggi è un giorno speciale”. Si alzò e con un altro sorriso la salutò per poi
rientrare al negozio.
Poco
dopo Danny arrivò.
Aveva
la faccia tesa e stanca di qualcuno che non ha chiuso occhio tutta la notte ma
non le disse niente, invece prese lo spolverino e cominciò a pulire le
superfici degli scafali.
Non
dovettero attendere molto. Elisabeth arrivò puntuale.
Con lei c’era suo figlio John che tra le braccia teneva una bambina di tre
anni.
Entrarono
nel negozio e il padre della bambina guardò Eris con
paura. La paura di essere deluso.
“Ciao”.
Nel silenzio generale fu la bambina a parlare, aveva una bandana rosa che
nascondeva la perdita dei capelli e al naso un tubicino le portava ossigeno.
“Ciao”,
rispose allora Eris, la guardò con un sorriso ma
dovette reprimere un brivido nel vedere l’orrore tenebroso che aveva nel corpo.
Polmoni, fegato, reni, intestino, niente era libero da quel cancro nero. “Come
ti chiami?”, chiese alla piccola.
“Eris”. Elisabeth si trovò gli
occhi della vecchia Eris piantati contro. “Lo ha
scelto la nonna”, continuò la piccola, ignara dello scambio che stava avvenendo
tra le due anziane donne.
“E’
un bel nome”, disse solo lei, poi guardò il padre. “Quando l’avrò preso
prendete la bambina e uscite. Avete capito bene?”
“Sì”,
rispose solo John. Non c’era bisogno di dire che la bambina non doveva essere
presente mentre lei moriva.
“Danny…”
“No,
io rimango”. Eris sospirò poi guardò Elisabeth che scosse la testa decisa, chiudendo la
discussione prima che incominciasse.
“Papà?
Nonna? Cosa succede?”, chiese la piccola, che cominciava a percepire la
tensione presente nel negozio.
“Andrà
tutto bene”, rispose allora la nonna. “Ti voglio bene piccola mia”, disse, poi
si abbassò per darle un bacio sulla fronte.
Eris
annuì, era il momento. Sorrise guardando la sua piccola omonima poi afferrò
quel dolore. Non appena lo toccò iniziò a bruciarla ma lei non lo lasciò
andare. Strinse i denti e tirò ancora. Poi lo ebbe e lo accolse dentro di lei.
“Vai”,
mormorò mentre il dolore la sommergeva. Il padre afferrò la bambina e quando fu
in piedi la guardò.
“Grazie”,
disse poi si voltò e uscì rapido.
“Donalo
a me”. Danny entrò nel suo campo visivo e tese la mano.
“No”
“Sì,
forza, sono un ragazzo forte, posso battere il cancro, lei era una bambina, non
ne aveva la forza e tu sei vecchia ma io, io posso portarlo e vincerlo”. Danny
la guadava con convinzione e Eris capì che aveva
maturato quella decisione già la sera prima. Era un ragazzo dolce e gentile, un
ragazzo forte ma troppo… morbido. Mentre lo capiva comprese anche che non
avrebbe potuto dargli il suo dono. Tutti quei dolori lo avrebbero distrutto.
Si
accasciò a terra e Danny la afferrò.
“Dammelo!”
“Danny,
chiama un’ambulanza, per favore, non è così terribile come sembrava…”. Il
ragazzo sgranò gli occhi e annuì poi corse a chiamare aiuto.
“E’
un bravo ragazzo…”, mormorò piano. Elisabeth si
inginocchiò accanto a lei e le prese la mano.
“Gli
hai mentito.”
“Sì,
sto morendo, è troppo forte…”
“Dallo
a me”
“Elisabeth…”, disse solo lei poi alzò la mano accarezzando
quel volto tanto amato.
“Non
ho mai smesso di amarti, mai, nemmeno un secondo. Ho avuto la famiglia che
volevo e c’era un vuoto in me. Se potessi tornare indietro non percorrerei la
stessa strada”. Si abbassò su di lei e le depose un bacio sulle labbra. “Ora,
ascoltami. E’ mia nipote ed è giusto che sia io a morire per lei, non tu. Avevo
bisogno che lo facessi per salvarla ma ora ho bisogno che salvi me, dammi
questo dolore. Non lasciarmi vivere con la colpa di aver ucciso la donna che
amo”.
Era
un bel discorso, Elisabeth era sempre stata dotata
per i bei discorsi e questo doveva averlo preparato. Eris
sorrise.
“Elisabeth, non ho mai saputo impormi su di te…”. La donna
sospirò di sollievo.
“Allora
donami questo dannato cancro e tienimi tra le braccia mentre me ne vado”
“No”,
disse lei. “Non sono più la donna che ti ha lasciato andare via senza fare
nulla, sono vecchia e molto più saggia”. Ridacchiò ma fu presa da un attacco di
tosse. Non appena riuscì a respirare di nuovo continuò: “Sei una brava nonna e
una brava madre, hanno bisogno di te e io sono stanca. Permettimi di farti
questo ultimo regalo, la vecchia Eris per la piccola Eris”.
Le
lacrime scendevano lucenti dagli occhi di Elisabeth
che scuoteva la testa senza però poter più dire niente.
“Sono
qua!”. Danny entrò nel negozio assieme ad un medico e due barellieri.
Eris
lasciò la mano di Elisabeth mentre veniva sollevata e
messa sulla barella, il medico si affaccendava attorno a lei ma Eris vi badava appena, non vi era più dolore. Non c’era più
nulla, le lacrime di Elisabeth, lacrime per lei,
avevano lavato via ogni passata sofferenza.
Mentre
usciva vide gli occhi sgranati dalla preoccupazione di Danny, gli occhi
sofferenti e pieni di consapevolezza e di amore di Elisabeth,
gli occhi curiosi della signorina Crowne e dei vicini attirati dalla sirena
dall’ambulanza e poi vide i suoi:
occhi pieni di compassione, occhi forti e dolci al contempo.
La bambina udì le urla e sobbalzò
poi tornò a correre, lasciò la soffitta e corse in strada. Lei era lì, un gruppo
di SS la stava trascinando contro il muro mentre uomini e donne urlavano e
ridevano della stupida ebrea che credeva di potersi nascondere in una soffitta,
sotto il loro naso.
Eris vide il plotone d’esecuzione
formarsi, vide i fucili alzarsi e guardò la sua amica, Sarah, la giovane donna
che le aveva insegnato il valore di un libro, che le aveva raccontato favole e
sogni. Aveva occhi forti e dolci, occhi di compassione per lei che doveva
assistere ad uno spettacolo simile. L’ebrea tese la mano verso di lei e in un
gesto spontaneo lei tese la sua. I fucili fecero fuoco ed Eris
non fu più una bambina.
Eris
alzò la mano verso la giovane prostituta e sorrise, la ragazza alzò il braccio
in un gesto spontaneo e lei le consegnò il suo dono, così come le era stato
donato. Poi alzò gli occhi al cielo e sorrise.