Eris

di Najara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 4: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 5: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 6: *** Quinto capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Storia scritta per il contest:  “Neo Superheroes vs Badass Villains” di Myddr e Valira.

Buona lettura!

 

 

 

Eris

 

 

“Spesso il piacere è un ospite passeggero,

ma il dolore ci stringe in un crudele abbraccio.”
John Keats

 

 

Prologo

 

La teiera sul fuoco sibilò richiamando la sua attenzione. Guerra scese dalle sue gambe con un salto andando ad infastidire Morte che dormiva sul piccolo divano. Eris Schmerz si alzò con una smorfia nel sentire le giunture scricchiolare: non era più una ragazzina.

“Guerra, lascia stare tua sorella”, disse alla gatta che non si degnò nemmeno di voltarsi a guardarla, continuando invece a punzecchiare la micia nera. “Maledetti gattacci”, mormorò la donna smettendo di occuparsene, anche perché il sibilo del bollitore si faceva sempre più pressante.

Tolta l’acqua dal fuoco la versò nella tazza di porcellana bianca che attendeva di essere riempita, poi aggiunse la bustina del the e si sedette di nuovo al piccolo tavolo che occupava quasi tutto lo spazio della sua cucina.

Non appena si fu seduta Fame spuntò dalla stanza attigua e la guardò con occhi attenti.

“Non avrai i miei biscotti”, assicurò Eris, mentre ne inzuppava uno nel the guardando la sua terza gatta con aria provocatoria. “Ieri hai rubato il tonno della mia insalata”, le ricordò, “E mi ero voltata solo un attimo!”. La donna continuò a borbottare mentre mangiava il suo biscotto.

Aveva quattro gatti e malgrado li usasse spesso come bersaglio delle sue invettive e del suo sarcasmo non avrebbe saputo fare a meno di loro, e non solo per la compagnia.

Prima di scendere nel negozio di libri, sopra al quale abitava e di cui era proprietaria e unica commessa, diede da mangiare a tutti e quattro, assicurandosi che anche Pestilenza ne avesse un po’, visto che era la più magra e deboluccia delle quattro.

Il negozio non era molto grande ma era ripieno di scafali nei quali si stipavano libri di ogni genere e per quasi tutti i gusti, se si desiderava un classico. Ovviamente lei non aveva accolto tra le sue mura le porcherie che si scrivevano oggigiorno, solo i libri che erano stati testati dal tempo meritavano la sua attenzione.

Maledicendo il numero di scalini, che sembravano aumentare ogni giorno, raggiunse il suo regno. Reame di cui lei era regina nonché schiava.

Accese le luci e si dedicò alle pulizie. Erano appena le otto di mattina ma dopo un’ora passata a togliere la polvere la sua schiena era a pezzi. Non per la prima volta si chiese se non dovesse cercarsi un aiutante. Scosse la testa infastidita al pensiero di qualcuno che si aggirava tra i suoi libri, già tollerava a malapena i clienti!

Andò alla porta e guardò fuori, la luce era grigia e il cielo nuvoloso prometteva pioggia. Sulla panchina davanti al bar l’agente Derill stava bevendo un caffè, nella mano una ciambella alla crema. La signorina Crowne stava spazzando l’uscio del suo negozio di scarpe, gettando sorrisi all’agente di polizia. Un gruppo di ragazzi semi addormentati aspettava l’autobus per andare a scuola. Lo sguardo di Eris si soffermò per qualche secondo sulla giovane in minigonna che fumava una sigaretta appoggiata al muro. La ragazza la scorse e agitò la mano verso di lei. Eris distolse lo sguardo.

“Come se mi conoscesse!”. Mormorò tra i denti, girò il cartello attaccato alla porta indicando che il negozio era aperto e ritornò all’interno.

 

Il suo negozio non era certo un via vai di gente ma chi entrava in genere ne usciva con un libro e questo a lei bastava. Quella mattina venne una sola signora, niente di speciale, chiese un libro di cucina e lei le vendette Il deserto dei tartari un classico italiano di cui la donna aveva chiaramente bisogno data la sua chiara necessità di dare un senso alla sua vita tristemente vuota.

Passò il resto della giornata immersa nella lettura della Montagna incantata e quando ormai si preparava a chiudere entrò nella stanza un uomo di mezza età. Ma non era solo.

Eris sentì la gola chiudersi mentre un brivido le scendeva lungo la schiena.

“Buona sera”, le disse l’uomo. Appariva normale. Era normale. Ma lei poteva vedere.

Un’ombra scura gli si era avvinghiata con forza attorno, stringendolo come un amante o come un assassino. Sembrava impossibile che potesse ancora respirare. Eris sapeva di cosa si trattasse. Quell’uomo era afflitto da un dolore pauroso e terribile.

“Buona sera”, riuscì a rispondergli mentre la sua mente si preparava a quello che avrebbe dovuto fare.

“Mi chiedevo se avreste dei testi sulla pesca…”, disse lui guardandosi attorno curioso.

Quel dolore era brutto e la guardò ringhiando, sembrava sapere cosa potesse fargli. E non lo voleva.

“No signore, però…” Lo guardò, andando oltre il soprabito grigio spruzzato di pioggia, il cardigan marrone, i capelli neri ormai radi, gli occhi verdi un tempo brillanti. Guardò l’animo di quel l’uomo leggendo in lui come aveva letto in migliaia di libri. “Ha mai letto qualcosa di Hemingway?”, chiese mentre il dolore aggrappato all’uomo stringeva con maggiore forza.

“No… non direi…” Era la colpa, una colpa che lo stava distruggendo. La sua anima si stava lacerando e il dolore sarebbe stato presto insostenibile.

“Non abbiate paura del dolore, o finirà o vi finirà”, mormorò Eris.

“Come prego?”

“Niente, citavo Seneca, non badateci. Dicevamo… ah sì, Hemingway… ho qui il libro che fa per voi”, disse mentre lo prendeva dallo scafale. “Il vecchio e il mare”,  affermò tendendoglielo.

Era stato un incidente, un terribile incidente. Era in macchina e quel bambino era sbucato dal nulla. Non aveva potuto fare niente.

“Va bene, grazie”, disse l’uomo che aveva dato un’occhiata rapida al libro. Eris glielo mise in un sacchetto e poi gli diede il resto.

“Buona serata signore”, gli disse.

“Grazie, buona serata a voi”. L’uomo si voltò e lei si protese. Mani di pura luce si allungarono e afferrarono il dolore dell’uomo strappandolo con forza da lui e tirandolo dentro Eris.

Il signore ansimò piegandosi verso terra.

“State bene?”, chiese subito lei mentre lottava con forza per mantenere quel terribile dolore nel suo petto.

“Io… voi…”

“Avete bisogno di un bicchiere d’acqua?”, gli chiese lei premurosa.

“No… voi chi siete?”. L’uomo aveva le lacrime agli occhi, tremava, ma era il sollievo a riverberare dalla sua figura.

“Io, signore? Sono solo una commessa”.

 

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Capitolo 2
*** Primo capitolo ***


Buona lettura!

 

 

 

“Non ho avuto mai un dolore

che un’ora di lettura non abbia dissipato.”
Charles Montesquieu

 

 

Primo capitolo

 

C’erano molti tipi di dolore, Eris ne conosceva la maggior parte, vivere più di ottant’anni permetteva di conoscere molta gente. Mentre accarezzava Morte rilasciò il terribile dolore che, privo di un ospite da prosciugare, si aggrappò alla gatta. Trattenerlo anche solo pochi minuti aveva richiesto alla donna moltissime energie e se lo avesse tenuto su di sé il terribile peso l’avrebbe distrutta in poco tempo. Morte invece, completamente indifferente ai dolori umani, ne analizzò il contenuto e poi senza pensarci due volte se lo scosse via di dosso. L’indifferenza uccideva il dolore e non c’è nulla di più indifferente di un gatto. Il dolore si rattrappì, riducendosi fino a sparire.

Eris sospirò mentre continuava ad accarezzare Morte che emetteva un suono soddisfatto. Era vecchia per tutto quello, le era sempre più difficile lottare con quei terribili dolori. Esausta si appisolò sul divano fino a quando Fame non venne a svegliarla per reclamare la cena.

“Va bene, va bene”. Mugugnò mentre si alzava, le ossa che le dolevano per la scomoda posizione in cui si era addormentata. Sì, era decisamente troppo vecchia.

 

L’indomani indossò un vecchio cappotto marrone e uscì per andare a fare la spesa. L’agente di polizia era seduto sulla panchina e come ogni mattina mangiava la sua ciambella, cioccolato questa volta. I ragazzi non la degnarono di uno sguardo, gli occhi insonnoliti fissi sugli schermi dei loro smartphone.

La ragazza fumava una sigaretta, passandole accanto Eris sentì l’odore forte di un uomo su di lei e arricciò il naso. Non c’erano dubbi su quale fosse la sua occupazione. La giovane prostituta le fece un sorriso ed Eris le rispose con un brusco cenno della testa.

Quando rientrò a casa, con le sue borse, i gatti la attorniarono curiosi e speranzosi.

“Via via, avete già avuto la vostra colazione”. Quando ebbe sistemato i suoi acquisti scese nel negozio.

Quel mattino vennero due clienti, entrambi uscirono con un bel classico tra le mani. Il ritratto di Dorian Grey per la donna estremamente vanesia. Cuore di tenebra per il bell’uomo in giacca e cravatta, ossessionato dal potere.

Poi entrò un giovanotto, doveva avere tra i quindici e i sedici anni. Era un cliente atipico.

“Posso far qualcosa per voi?”, chiese Eris mentre lo fissava per cogliere il suo animo.

“Guardo soltanto”, rispose lui, le mani in tasca, uno zainetto sulla schiena e un cappello da rapper in testa. Si aggirò per alcuni minuti tra gli scafali e poi si fermò davanti ai classici dell’horror.

Eris non era nata ieri e anche senza il suo potere avrebbe capito al volo le intenzioni del ragazzo.

Mentre lui infilava in fretta un libro sotto la grossa felpa gli piombò alle spalle.

“Questo si chiama rubare”, disse con voce calma. Il giovane sobbalzò nel trovarsela così vicina.

“No… io…”

“Chiudi la bocca se è solo per balbettare”

“Aspetti…”

“Spiegherai tutto all’agente Derill”. Guardò l’orologio e annuì. “E’ quasi l’ora di pranzo, sarà qui a minuti”. Il giovane ladro guardò la porta. “Non ci pensare neppure, ho chiuso a chiave mentre tu gironzolavi con fare innocente”. Non era vero, ma lei riuscì a farlo sembrare assolutamente probabile.

“Aspetta nonna”

“Nonna? Se fossi tua nonna ti sculaccerei! Piccolo delinquentello!”

“Scusi, signora…”

“Ecco, ora va meglio. Sono la signora Schmerz

“Cos’è, sei una crucca?”

“Ragazzo, vuoi renderti la vita ancora più difficile?”, rispose lei, stringendo le palpebre con fare minaccioso. Il giovane alzò le mani e scosse la testa.

“No, scusi, davvero… ehm… signora Schmerz

“Bene, bene. Comunque non cambia niente”, disse lei mentre si voltava a guardare attraverso la vetrina. La macchina dell’agente di polizia parcheggiò proprio in quel momento. “Eccolo qua, puntuale come ogni giorno”, disse lei con un sorriso.

“Signora, aspetti, mi dispiace, non mi denunci! Non lo farò più”

“E cosa me ne importa? Lo hai fatto una volta e questo, nel nostro paese, basta”

“Farò qualsiasi cosa! Le posso portare la spesa o… la aiuto ad attraversare la strada…”. Nel vedere gli occhi di Eris farsi piccoli e minacciosi il ragazzo alzò di nuovo le mani. “Non che lei ne abbia bisogno, è chiaro! Solo per… solo per evitarle un fastidio!”, disse sorridendo, poi sul suo volto apparve uno sguardo disperato, “La prego, mia madre non sopporterebbe di vedere un altro figlio in prigione…”. Eris oltrepassò l’aspetto puramente fisico del ladro e sondò il suo animo. Era sincero, c’era già un grumo di dolore, uno di quelli necessari e che lei non toglieva, ma che le permettevano di cogliere molti aspetti della persona che aveva davanti.

“Non lo so…”, disse, fingendo di pensarci.

“Per favore signora Schmerz, mi dia una possibilità”

“Vediamo cosa hai rubato e perché, se non sei sincero lo saprò subito”. Il ragazzo annuì deciso e porse il libro alla donna. Si trattava di Stagioni diverse di Stephen King.

“Non ho i soldi, altrimenti lo avrei pagato”. Disse lui.

“Potevi chiedere alla biblioteca”. Il ragazzo arrossì.

“Non potrei restituirlo…”

“Perché?”, chiese allora lei.

“E’ per mio fratello…”. Il giovane si interruppe.

“Sì…?”, disse allora Eris per sollecitarlo.

“E’ in prigione e c’è questo racconto... le ali della libertà e… mi sono detto che potevo portarglielo come regalo di compleanno… però non potevo chiedere i soldi a mia madre… allora…”. Era un fiume in piena.

“Allora lo hai rubato”, concluse lei fermandolo. “O almeno ci hai provato”. Il ragazzo abbassò la testa vergognoso e Eris annuì.

“Va bene, non ti denuncerò, per ora”. Gli occhi del giovane sfavillarono di gioia. “Ma…”, continuò lei alzando un dito ammonitore, “Dovrai aiutarmi qua al negozio per tutto il mese”.

“Certo!” Il giovane la sorprese accettando senza la minima esitazione, “Grazie babushka!”

“Non farmene pentire!”

“Su con la vita signora Schmerz! Si faccia una risata!”

“No, altrimenti mi cade la dentiera”. Il giovane rimase interdetto dalla risposta poi scoppiò a ridere.

“Grande! Mi piace, signora Schmerz

“Sì.” Eris scosse la testa, non voleva essere una battuta. “A che ora finisci la scuola?”. Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Vai a scuola vero?”

“Sì…”, disse lui, ma aveva tutta l’aria di essere un no.

“Molto bene, da domani andrai regolarmente a scuola e quando finirai verrai qui ad aiutarmi per due ore, poi tornerai a casa e darai una mano a tua madre con la cena”

“Ehi ehi!, avevamo un accordo diverso”

“No, semplicemente non avevamo ancora fissato i dettagli”

“Ma…”

“Nessun ma, hai una bella spada di Damocle sulla testa”

“Cosa?”

“Ti sto minacciando ragazzo!”, lo informò lei con veemenza.

“Oh… certo… capisco…”

“Ecco, bravo, farai quello che ti dico per tutto il mese, poi tornerai a buttare via la tua vita come meglio vorrai”. Eris guardò il giovane con sguardo fermo e lui sospirò.

“E va bene nonn… signora Schmerz”, si corresse in tempo.

“Allora a che ora finisci la scuola?”

“Alle quattro”

“Eccellente, vai alla Roosevelt?”

“Sì”

“Allora alle quattro e dieci ti voglio in negozio, sono stata chiara?”

“Sì”

“Ottimo”. Il ragazzo gettò un’occhiata al libro di King e sospirò di nuovo. “Quand’è il compleanno di tuo fratello?”, chiese allora Eris.

“Tra dieci giorni, io e mamma andiamo a trovarlo”

“Se ti comporterai bene per dieci giorni avrai quel libro, ma sai bene cosa succederà se poi non ti presenterai più qui”. Gli occhi del ragazzo brillarono di nuovo.

“Lei è una grande, grazie, vedrà che non potrà lamentarsi di me, sarò perfetto!”. Le fece l’occhiolino mostrando entrambi i pollici all’insù. Eris scosse la testa.

“Inizia a tirarti su quei pantaloni o tra pochi minuti vedrò le tue mutande, spettacolo di cui, alla mia età, farei volentieri a meno”. Il ragazzo arrossì, tirando su i pantaloni. “Ora fila a scuola, sei ancora in tempo per le lezioni del pomeriggio!”

Quando il ragazzo fu alla porta si voltò verso di lei.

“Comunque, quel libro era nella sezione sbagliata”

“Sparisci!” Gli rispose lei fintamente irritata, lui sorrise e poi se ne andò.

Mentre lo guardava correre via sorrise a sua volta, forse c’era una possibilità. La sua mente corse a ricordare un’altra aspirante ladra.

 

Il freddo era pungente e il suo ventre gorgogliava per la fame. Aveva mangiato solo una minestra composta più di acqua che di verdure e di certo non le era bastata che per poche ore. Ora però aveva trovato un rimedio, o almeno lo sperava. Con difficoltà si inerpicò sullo scafale poi si aggrappò alla trave del tetto e scivolò nello stretto sottotetto. Doveva solo strisciare per un po’ e sarebbe arrivata nella casa con cui condividevano il tetto. Ancora un po’ di fatica e sarebbe arrivata nella soffitta della sua vicina. L’aveva osservata dalla sua finestra, salire in soffitta con del pane e un pezzo di carne salata, a volte della minestra. Era sicura che nascondeva del cibo lassù. Lei non doveva fare altro che intrufolarvisi passando dalla soffitta di casa sua. Aveva scoperto quel passaggio anni prima, giocando. Ora le sarebbe tornato utile. Mentre passava nel sottotetto con fatica, non ricordava che fosse così piccolo, immaginava lo spettacolo che avrebbe trovato dall’altra parte. La fantasia di un bambino non ha limiti e lei poteva già sentire il profumo di tortini di carne, dolcetti all’uva passa e succo di mele.

 

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Capitolo 3
*** Secondo capitolo ***


Eccovi il nuovo capitolo.

Buona lettura!

 

 

 

“Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza.

I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.”
Kahlil Gibran

 

 

Secondo capitolo

 

“Cosa sai dirmi sul dolore?”

“Ahi”, rispose il ragazzo distrattamente, mentre spolverava la sezione in alto dello scafale.

“Danny”. Il tono basso e letale avvertì il giovane ex-ladro che la guardò.

“Oh, seriamente?”. Si batté un dito sulle labbra pensoso. “…Dolore non avere; rimpianto non avere..”, iniziò, sorprendendo Eris che non si era certo aspettata una citazione.

“No, aspetti era così: La morte è parte naturale della vita. Gioisci per coloro che intorno a te si trasformano nella Forza. Dolore non avere; rimpianto non avere. L'attaccamento conduce alla gelosia; l'ombra della bramosia essa è.”. Sorrise mentre lei lo guardava con occhi stretti. “E’ Yoda”, spiegò.

“Chi?”, chiese la donna, ma si vedeva che non desiderava davvero una risposta, Danny però non esitò.

“Yoda! E’ il maestro dei maestri! Il più grande Jedi vivente”. Nel vedere che Eris non era ricettiva corrugò la fronte, “Guerre stellari?”

“Non so nulla di questa storia! Torna a spolverare!”

“Va bene, signora Schmerz, ora non si arrabbi, cercavo solo di rispondere alla sua domanda”

Era al suo servizio da una settimana ormai e aveva imparato a non far caso ai suoi sguardi di fuoco. Eris scosse la testa, ma prima che potesse rispondere a dovere una cliente entrò nel negozio.

“Salve”, disse, aveva una piccola vocetta, ma era normale visto che non doveva avere più di sette anni.

“Buon pomeriggio, posso aiutarti?”

“Sì, vorrei un libro”. Eris inclinò la testa di lato osservando la madre della bambina, rimasta fuori, intenta a parlare al telefono. Si agitava e sbraitava.

“E cosa ti piacerebbe?”, chiese alla piccola che si strinse nelle spalle.

“Non lo so, non ho mai avuto un libro. Ma la mamma ha detto che ora che so leggere posso averne uno, così sto zitta mentre lei parla con le sue amiche”. Lo disse con la tipica innocenza dei bambini ma Eris, che già guardava in lei, vide la sofferenza della piccola, dolore creato da mancanza di attenzione e soprattutto di amore.

“Bene bene…”, mormorò lei mentre accompagnava la piccola allo scaffale dei classici per ragazzi.

“Allora? Hai finito?”. La madre aveva fatto capolino nel negozio e guardò stizzita verso la figlia. “Quanto ti ci vuole per comprare un libro? Non è mica un paio di scarpe!”. Rise alla propria battuta e poi chiese alla persona con cui stava al telefono se l’aveva sentita. La porta si richiuse e Eris tornò a guardare la sua piccola cliente. Gli occhi della bambina erano grandi e chiedevano silenziosamente aiuto.

“So che libro fa per te”, le disse con un sorriso.

Poco dopo la bambina usciva dal negozio, tra le mani teneva stretta Matilde di Roald Dahl.

“Che stronza!”, disse allora Danny, guardando la madre che spingeva la bambina nella macchina.

“Linguaggio”, lo redarguì Eris.

“Lo so che la pensate come me, signora Schmerz”. Il ragazzo scese dalla scaletta con una smorfia sul viso. “Mi piacerebbe poter fare qualcosa per lei…”

“Ma non puoi, ora vai a darti una ripulita, sei pieno di polvere, poi puoi andare a casa”

“Sopra?”

“E dove altrimenti?”, chiese lei stupita.

“E’ solo che non mi piace come mi guarda il gatto rosso…”

“Guerra? E’ una gatta, e poi non fa nulla”

“Se lo dice lei…”. Il ragazzo salì le scale a due a due con l’agilità dei giovani. Eris lo guardò con una punta di invidia.

 

Il giorno dopo Danny arrivò con un occhio nero.

“Cosa ti è successo?”

“Niente”

“Danny”

“Signora Schmerz, un giorno deve spiegarmi come fa a dare tanto potere a due sillabe, perché quando pronuncia così il mio nome mi sento come se mi stesse sculacciando!”

“Danny!”

“Va bene, va bene!”. Alzò le mani in segno di resa, un gesto che ormai Eris gli aveva visto fare spesso. “Sono stati due stupidi a scuola”

“Perché?”

“Oh… hanno fatto due o tre battute sul perché vengo qua dopo scuola, non hanno apprezzato la mia risposta”

“Cosa gli hai detto?”, chiese allora Eris curiosa.

“Niente di che… qualcosa sul fatto che le loro madri amavano i libri e i commessi giovani e aitanti…”. Eris strinse le labbra per non ridere, ma Danny se ne accorse e sorrise.

“Hai risposto ai colpi?”, chiese però poi Eris, di nuovo seria.

“No”

“Davvero?”, chiese lei dubbiosa. Danny non poteva dirsi un ragazzo fragile, era forte e più di una volta lei lo aveva visto sollevare senza difficoltà grandi pacchi di libri.

“Sì, davvero. Non ne valeva la pena, sono degli stupidi e poi a loro ha fatto più male vedermi ridere mentre me le davano”. Eris annuì poi gli indicò lo spiumino. “Ancora?”, si lamentò il ragazzo.

“Sì, muoviti!” Danny obbedì trascinando i piedi.

“E non trascinare le scarpe come se fossi un vecchietto! Su, scattare”

I movimenti del ragazzo si fecero appena più rapidi ma non di molto, ormai aveva capito che abbaiava ma non mordeva.

Eris lo guardò di sottecchi, era un bravo ragazzo.

“Sa, ho pensato alla sua domanda di ieri”

“Quella su a cosa serve una cintura?”, chiese lei sarcastica nel gettare uno sguardo ai pantaloni cadenti del ragazzo.

“No, quella sul dolore”

“Ah”, disse solo lei aspettando.

“Ho pensato che può essere di molti tipi e che a volte è positivo”

“Il dolore positivo? Ma cosa stai blaterando?”. Eris sentiva il cuore battere forte, era davvero la persona giusta?

“No… beh sì… voglio dire, a volte soffrire per qualcosa ti serve a capire che tieni davvero a quella cosa… e poi credo che è così che si cresce, soffrendo…”

“Accidenti, ma allora tra le tue orecchie non ci sono solo ragnatele…”. Il ragazzo si strinse nelle spalle.

“Suppongo di no…”. Eris sorrise.

“Molto bene”, disse soltanto, poi si sedette e si mise a leggere.

 

La soffitta era debolmente illuminata, il lucernaio era infatti coperto da uno straccio. La bambina si mosse con circospezione, guardandosi attorno e tendendo le orecchie al massimo. Se l’avessero sorpresa a rubare sarebbe stata in guai grossi! Eppure il suo stomaco ordinava del cibo ed era di ora in ora più pressante.

I suoi occhi individuarono un alto scafale. Si avvicinò, cercando di capire cosa contenesse, sperando che fosse proprio quello che cercava, ma no, c’era solo una vecchia e lisa valigia, qualche indumento e un libro. Lo sfiorò leggendo l’autore in silenzio, muovendo solamente le labbra: “Bertolt Brecht”. Ne aprì le pagine, erano poesie. Un segnalibro la guidò verso una poesia in particolare che lei lesse, sempre nel silenzio:

“Lo ammetto: io
non ho speranza.
Il cieco parla di una via di uscita. Io
ci vedo.
Quando tutti gli errori sono esauriti
l’ultimo compagno che ci sta di fronte
è il Nulla.”

Chiuse il libro perplessa e alzò lo sguardo, due occhi la fissavano spaventati.

 

Eris aprì gli occhi e scosse la testa.

“Tutto bene signora Schmerz? Si è appisolata un momento…”

“Ho solo chiuso gli occhi, non dormivo”

“Allora abbiamo un problema di tarli, perché io credevo di sentire russare, invece devono essere quelle bestiole che si mangiano i suoi scafali”. Danny la guardava divertito.

“Hai finito di pulire invece di dire idiozie?”

“Sì, almeno per oggi!”. Le fece l’occhiolino, sorridente. Eris lo mandò a casa, la testa ancora persa nel passato.

Con un sospiro chiuse il negozio e tornò dai suoi gatti.

 

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Capitolo 4
*** Terzo capitolo ***


Il dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio.

Il dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l’aria.
Cesare Pavese

 

 

Terzo capitolo

 

Era brutto. Davvero brutto, uno di quelli che succhiavano la vita e le energie. La donna teneva le spalle basse, la schiena incurvata, come se ne sentisse il peso fisico, oltre che morale. Sul volto portava i segni del maltrattamento e Eris non ebbe bisogno di sondarne l’anima per sapere che avrebbe dovuto strapparlo via. Togliere quel dolore avrebbe richiesto energia, ma liberare quella donna era imperativo. Una volta sollevata dal suo fardello avrebbe dovuto cercare da sola la forza di affrontare il marito violento.

Fu una lotta aspra, Eris dovette stringere i denti e metterci tutta la sua forza, era un dolore antico e portato da tanto tempo, troppo tempo. Alla fine lo ebbe tra le mani, fremente e violento.

Sulle guance della donna scesero lacrime calde, non le disse niente, ma i suoi occhi esprimevano una gratitudine e un sollievo infinito.

Eris salì le scale barcollando, il dolore cercava di avvinghiarsi a lei, di renderla schiava, doveva lottare per tenerlo lontano da sé. I ricordi delle percosse iniziavano a filtrare nella sua mente, le umiliazioni, il disprezzo, il disgusto per se stessa. Arrivò ansimando al suo piccolo appartamento, spalancò la porta e si accasciò sulla sedia, il divano era troppo lontano. Fame balzò sulle sue gambe senza indugio, spingendo con la testa contro la sua mano. Sembrava invitarla a fare in fretta.

Eris lottò contro quei sentimenti, ricordando che non erano suoi, che il dolore era di qualcun altro.

In un barlume di coscienza sentì la porta del negozio aprirsi, aveva dimenticato di chiuderlo, l’urgenza era stata troppa. Pensare al negozio le diede la lucidità necessaria per lasciare andare il dolore, ma a quel punto Danny le toccò la spalla.

Era arrivato in anticipo e non vedendola aveva fatto le scale di corsa per raggiungerla, aveva una buona notizia ed era impaziente di condividerla con lei. Ora però si ritrovò avvolto nel dolore.

Eris sentì il dolore abbandonarla nel momento stesso in cui la mano del ragazzo si posò sulla sua spalla. Con un misto di orrore e inquietudine si voltò. Davanti a lei Danny si piegò su se stesso come se fosse stato colpito. Le sue labbra erano bianche dalla tensione, gli occhi erano sgranati mentre il corpo tremava.

Eris agì in fretta, protese il suo potere e con mani di pura luce afferrò di nuovo il dolore.

“Via di qua! Subito!”, riuscì a dire tra i denti mentre Danny respirava di nuovo a pieni polmoni. Il ragazzo aveva ancora gli occhi dilatati dalla paura e nel sentire il suo tono non esitò ad obbedire. Si voltò e scappò dalla stanza come se fuggisse da un orrendo incubo.

Morte, Pestilenza, Fame e Guerra erano ai suoi piedi. Lei, ormai crollata a terra, allungò le mani alla cieca e sentendo il morbido pelo di uno di essi rilasciò il dolore.

Quando riuscì a vedere di nuovo, i gatti si stavano rincorrendo nei loro soliti giochi. Eris prese un profondo respiro, poi un secondo. Quando sentì di potersi alzare lo fece. La testa le girava ma lei obbligò il suo corpo estenuato ad obbedire.

Scese le scale con fatica, doveva chiudere il negozio.

Quando fu in basso però fu stupita nel vedere Danny. Il ragazzo saltò in piedi e la guardò con occhi sgranati, nel vederla vacillare fece un passo avanti per poi fermarsi di netto.

“E’ finita, non… non c’è più…”, le disse lei. Era sorpresa, era sicura che non lo avrebbe visto mai più, sarebbe stato più che comprensibile.

“Cos… cos’era?”, le chiese Danny, nella voce era facilmente udibile un tremito.

“Dolore”, rispose lei, era inutile mentirgli, lo aveva sentito ed era rimasto, meritava la verità.

“Dolore?”, chiese lui confuso. “Non capisco…”, ammise.

“Ti andrebbe di salire un momento con me? Ho davvero bisogno di una tazza di the e di un po’ di biscotti”. Il giovane la guardò per un lungo istante poi annuì.

Senza che lei glielo chiedesse, chiuse il negozio poi le tese il braccio e la sostenne lungo tutta la scala. Quando furono nella sua cucina la fece sedere e poi mise il bollitore sul fuoco. Durante tutto questo tempo nessuno dei due parlò.

“Grazie Danny”

“Non è nulla signora Schmerz”. Eris scosse la testa poi cominciò.

“Sarà difficile per te crederci. Ma non mi sono mai piaciuti i giri di parole, quindi andrò dritta al punto”. Prese un profondo respiro e continuò. “Io ho un dono, vedo il dolore altrui, lo leggo come tu leggi i fumetti. Ma, non solo lo vedo, io posso strapparlo via di dosso dalle persone, posso liberarle dal dolore”

“Era quella signora che piangeva?”, chiese allora lui, “Aveva un livido violaceo sulla guancia…”

“Sì, il marito la picchia da anni”

“Era così soffocante… l’umiliazione…”, ricordò il ragazzo, poi rabbrividì.

“Mi dispiace, non era qualcosa che un ragazzo giovane come te dovrebbe provare…”. Danny scosse le spalle, come a scacciare le sue scuse poi la guardò, attendendo altre spiegazioni. Eris annuì piano, sì, doveva sapere tutto. “Una volta rimosso non posso tenerlo su di me, mi distruggerebbe in breve tempo… allora devo liberarmene… a questo servono i miei gatti”

“Lo da ai gatti?”. Questa volta Danny era davvero stupito, come se tutto il resto fosse accettabile tranne quel dettaglio.

“Sì, loro non hanno gli stessi valori che abbiamo noi, a loro non importa nulla del passato, loro vivono il presente, quello che li interessa è il cibo, le coccole e un luogo sicuro in cui dormire. Un dolore feroce, come quello che purtroppo hai percepito toccandomi mentre me ne liberavo, non è nulla per loro”

“Quindi non fa loro lo stesso male che fa a noi?”

“No, è come se ti donassero il dolore di un essere a te completamente alieno, di cui non riconosci i valori e di cui non condividi la morale. Se un psicopatico assassino ti donasse il dolore di aver perso una vittima in te si trasformerebbe in sollievo, insomma sparirebbe.”

“Ho capito…”, annuì il ragazzo. “Quindi…”, guardò Eris con occhi perplessi. “Quindi sei un supereroe!”

“Non credo proprio”

“Sì! Dovremmo trovarvi un costume e magari un bel simbolo e…”

“Smettila di dire sciocchezze”, lo interruppe, ma lui sorrideva. Il bollitore si mise a sibilare e Danny si voltò per versare l’acqua bollente nelle tazze. Troppo scombussolato dalle rivelazioni a cui aveva appena assistito o forse semplicemente sbadato, si bruciò.

“Ahi!”, esclamò allontanando di scatto la mano. “Mi sono bruciato”, disse poi a Eris che scuoteva la testa.

“Devi usare la presina, è lì per quello, ora metti la mano sotto l’acqua fredda”, Danny obbedì però poi si voltò pensieroso verso di lei.

“Potete togliere anche questo tipo di dolore”

“Sì, ma non lo farò”

“Perché?”

“Perché non potrei darlo a nessun altro, dovrei tenerlo su di me”

“Ma i gatti…”

“Mi hai ascoltato? Loro ignorano il dolore emotivo degli umani, ma questo non significa che non provino dolore, soprattutto quello fisico”

“E’ vero… certo, non ci avevo pensato…”

“E oltretutto, questo piccolo dolore ti insegnerà a fare attenzione la prossima volta”

Danny versò il the con attenzione e prese i biscotti, mangiarono in silenzio per alcuni minuti poi visto che il ragazzo la fissava intensamente, Eris sospirò.

“Cosa c’è?”

“Niente”

“Avanti Danny!”

“Siete un angelo?”

“No una strega”. Gli occhi di Danny si sgranarono e Eris iniziò a ridacchiare. “La tua faccia è impareggiabile!”. Danny si imbronciò.

“Non è gentile signora Schmerz a  prendersi gioco di me!”

“E’ vero, è vero, scusa”, gli rispose lei, cercando di smettere di ridere. “E’ solo la stanchezza…”, disse lei alla fine, cercando di calmare la ridarella.

“Comunque non è una domanda così assurda!”. Danny era offeso e lei gli annuì.

“E’ vero Danny. Ma la risposta è no, non sono un angelo, sono una normalissima vecchietta che ha male alle giunture, che possiede un negozietto di cui può fregiarsi del titolo di proprietaria quando in realtà non è nulla di più di una commessa, che ama i gatti e a cui piacciono i biscotti con il the”

“E che toglie il dolore alle persone…”, aggiunse Danny.

“Sì… ma non è nulla di più che un dono”. Il giovane non sembrava molto convinto.

“A me sembra un super potere”

“Tu leggi troppi fumetti”, rispose Eris, poi guardando l’ora aggrottò la fronte. “Perché poi sei arrivato così in anticipo? Non avrai saltato la scuola?”

“No”

“Sei sicuro?”

“Sì! Il professore era malato e ci ha lasciato uscire prima. A proposito”, continuò il ragazzo, “sono venuto di corsa perché volevo dirle che ho preso B in algebra”

“B?”, chiese lei come se faticasse a crederci.

“Sì! Una B! Dopo tutto non è così male andare sempre in classe…”, aggiunse poi tra sé e sé.

“Tua madre sarà contenta”

“Già…”, pensare a sua madre sembrò ricordargli un’altra cosa perché si rattristò. Eris non aveva bisogno di super poteri per sapere cosa lo angustiava.

“Domani vai a trovare Greg?”

“Sì… rende sempre triste mamma…”

“Andrà bene, tu hai un bel regalo per lui”, le ricordò Eris e lui sorrise.

“Me lo darete davvero?”

“Danny, metti in dubbio la mia parola?”

“No, certo che no!”

“Ricorda, la lettura rende liberi e malgrado quello che ha fatto tuo fratello, credo sia quello tra di noi che ne abbia più bisogno”. Mentre parlava gli occhi di Eris si velarono, un ricordo fece capolino nella sua mente, fresco come il giorno in cui lo aveva vissuto.

 

“Su, vieni qui!” La bambina era stesa a terra e guardava sotto una semplice branda.

“Devi lasciare che sia lui a venire da te”, le disse la donna che, seduta su una sedia, la guardava con un sorriso.

“Uffa”, sbuffò la bambina. “Non mi piacciono i gatti!”

“Sì che ti piacciono, devi solo imparare che non potrai mai obbligarli a fare qualcosa che non vogliono fare”. La bambina si alzò in piedi e raggiunse la donna che, seduta nell’angolo più luminoso della soffitta, teneva un libro aperto tra le mani.

“Ti piace molto leggere, vero?”, chiese la bambina.

“Sì… mi da la libertà…”

 

“Signora Schmerz, io vado allora… ci vediamo domani?”. Eris scosse la testa, scacciando il ricordo, e annuì.

“Sì, Danny, uscendo prendi il King dallo scafale, è tuo adesso”

“Grazie”. Il giovane sorrise e si voltò per andarsene, ma lei lo richiamò.

“Danny?”

“Sì?”

“Lo sai che non devi dirlo a nessuno vero?”

“Certo super nonna!”

“Danny!”, lo redarguì lei ma lui era già lontano, la sua risata che echeggiava lungo le scale.

 

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Capitolo 5
*** Quarto capitolo ***


Non sprecare lacrime nuove per vecchi dolori.
Euripide

 

 

Quarto capitolo

 

“Danny forza, sbrigati a portare dentro i nuovi arrivi”. Il ragazzo annuì, mentre posava il primo grosso scatolone all’interno del negozio. Una folata di vento entrò all’interno a causa della porta lasciata aperta dal giovane. “E chiudi quella porta, appena hai finito”, aggiunse, per poi voltarsi e cercare l’ordine di consegna originale per confrontarlo con i libri effettivamente arrivati.

Eris…”. La voce arrivò alle sue orecchie come una scossa elettrica. Erano passati anni, decenni, ma nemmeno il tempo poteva cancellare l’effetto che quella voce aveva su di lei e nulla avrebbe potuto fargliela dimenticare. Si voltò con il cuore che batteva veloce.

“Sì, signora Schmerz, faccio in un attimo”. Danny depose il secondo cartone e uscì veloce a prendere l’ultimo.

Quell’interruzione le aveva dato il tempo di guardare la donna. Era invecchiata, certo, ma era sempre la più bella donna che avesse mai visto. I suoi occhi erano timorosi nel guardarla ma anche così brillavano di quell’intenso smeraldo in cui si era tante volte persa. Le sue mani apparivano ancora morbide come le ricordava e l’eleganza che aveva sempre avuto in ogni gesto non era sparita. Le parole di Danny però le avevano anche permesso di sfuggire dall’incantesimo che quella donna gettava infallibilmente su di lei.

“Vai via”

Eris, io…”

“Mi sembrava di essere stata chiara anni fa. Hai scelto lui, hai scelto di vivere senza di me e così hai perso ogni diritto di posare il tuo sguardo su di me. Vattene via”. La donna fece un passo verso di lei, ma gli occhi di Eris brillarono di rabbia e lei si ritrasse.

“Signora Schmerz? Va tutto bene?”. Il giovane aveva posato l’ultima scatola e ora guardava le due donne con preoccupazione.

“Sì, questa cliente non può trovare quello che cerca. Non qui”. La sconosciuta abbassò la testa alle parole di Eris poi si voltò e uscì dal negozio.

“Chi era?”, chiese Danny curioso.

“Nessuno”

“Oh non direi! Non l’ho mai vista mandare via un cliente, neppure quando le hanno chiesto Cinquanta sfumature di grigio!”. Ridacchiò, ricordando la scena.

“Non sono affari che ti riguardano!”

“Ma…”

“Vai a casa Danny”

“Devo ancora mettere a posto i libri e…”

“Ho detto vai a casa!”. Il ragazzo la guardò, arrabbiato.

“Non è giusto”

“Non ha nessuna importanza quello che è giusto e quello che non lo è! Torna a casa!”.

Danny afferrò il suo giubbotto e uscì dal negozio sbattendo la porta, furioso per il modo in cui era stato trattato. Eris però non lo vide uscire, i suoi occhi si erano velati di lacrime e ora che fu sola scoppiò a piangere, lasciando che il dolore la sommergesse. Il dolore di cui non si era mai potuta liberare, il dolore di essere abbandonata dalla persona a cui aveva donato il cuore.

 

Il giorno dopo Danny non venne. Eris sistemò i libri da sola, ma non aprì il negozio, voleva rimanere sola. Aveva passato la serata a guardare vecchie foto, immagini che aveva deciso di bruciare almeno cento volte ma di cui non aveva mai potuto disfarsi. Ricordava quegli anni, c’era la guerra in Vietnam e i soldati tornavano a casa con sulle spalle dolori mostruosi e insaziabili, aveva passato giorni negli ospedali, strappando un dolore dopo l’altro, aiutata dalla forza della giovinezza. Ma non ricordava solo i dolori tolti di quegli anni, ricordava anche quell’infermiera, Elisabeth, dolce ed elegante che aveva fatto breccia nel suo cuore e che un giorno aveva deciso di spezzarglielo.

Razionalmente aveva capito, dopo tutto il suo più grande desiderio era stato avere una famiglia e lei non avrebbe potuto dargliela, mentre lui sì.

Quando Elisabeth l’aveva lasciata piangeva, le aveva detto che avrebbe amato sempre e solo lei, ma che quella era l’unica decisione che avrebbe permesso ad entrambe di essere felici. Mentre lo diceva, Eris aveva visto formarsi il dolore su di lei e lo aveva strappato via. L’amava. L’amava così tanto da non poter sopportare di vederla soffrire, così aveva tolto quel dolore e impedendole di provarlo, aveva eliminato qualsiasi possibile futuro per loro due. Era stato un errore, un errore che non aveva più commesso da allora ma che pagava ogni giorno che passava sola, lontana dalla persona che amava.

 

“Ciao…”. Eris alzò la testa dal libro e appuntò lo sguardo su Danny che, le mani in tasca, la fissava dalla porta del negozio.

“Cosa fai lì impalato, entra”. Il ragazzo obbedì, muovendosi incerto verso di lei. “Dai su, non mordo mica”

“Non ne sono così sicuro…”. Eris fece una smorfia, come se avesse un gusto molto amaro in bocca poi pronunciò due parole che di sicuro non pronunciava spesso.

“Mi dispiace”. Danny sgranò gli occhi, stupito.

“Dispiace anche a me signora Schmerz

“Bene, allora discorso chiuso?”

“Posso dire solo una cosa?”

“Una sola, bada bene a che non siano due”. Danny sorrise poi si fece di nuovo serio.

“Lei si occupa molto dei dolori altrui… ma… ecco, dovrebbe imparare a lasciare andare anche i suoi”. Eris guardò il ragazzo a lungo. Era appena fuori dall’adolescenza, alto e forte, i suoi occhi azzurri, che un giorno avrebbero fatto innamorare una donna, erano franchi e aperti.

“Sei un bravo ragazzo Danny, ma questo dolore è tutto ciò che mi resta di una persona che ho amato profondamente. Se lo lasciassi andare, allora non avrei più nulla”. Il giovane sembrò riflettere poi annuì.

“Posso capirlo”. Allungò il collo e vide la foto che lei aveva messo nel libro due sere prima. “E’ lei?”

“Avevamo detto: una cosa”, gli ricordò Eris, ma lui non ritirò la domanda. La donna sospirò poi annuì. “Sì, è lei”

“Era bella”, commentò Danny, mentre prendeva la foto tra le mani.

“Lo è ancora”

“Era la donna che è venuta ieri?”

“Sì”

“E perché l’avete mandata via?”. Alzò le mani per bloccare la protesta nascente “Lo so, lo so. Però, perché l’avete mandata via? Vi ha fatto soffrire, immagino che vi abbia lasciato, ma ora era qui e chiaramente voi l’amate ancora”

“Danny…”, disse debolmente Eris. “La vita è complicata e…”

“Non siete stanca? Soprattutto del male che gli uomini fanno a tutti gli altri uomini. Stanca di tutto il dolore che sentite nel mondo ogni giorno? Non ce n’è troppo per voi? Non è come avere pezzi di vetro conficcati in testa continuamente?”. Dopo la tirata prese un profondo respiro “Ho guardato Il miglio verde ieri sera e ho riadattato la citazione per voi”

“Danny, se vuoi ti regalo il libro del miglio verde, ma non citarmi più dei film”, disse esasperata Eris.

“Davvero me lo regalereste?”, chiese entusiasta il ragazzo.

“Certo”

“Forte”. Danny batté le mani poi le puntò il dito contro “Ma ero serio, non siete stanca di tutto questo dolore? Forse l’amore è meglio, anche se… beh…”

“Cosa?”, chiese lei, stringendo gli occhi in una minaccia.

“Beh, siete vecchia quindi…”

“Oh taci!”, lo bloccò lei mentre lui arrossiva. “Vai a prendere della carta e del prodotto per vetri, visto che sei qui tanto vale che mi aiuti a pulire la vetrina”. Il giovane sbuffò ma corse a prendere quello che gli aveva chiesto. Eris scosse la testa, chiedendosi perché dovesse sempre o correre o trascinare i piedi, la cara e bella via di mezzo non era tra le opzioni di Danny.

La porta alle sue spalle si aprì e lei si voltò per accogliere il cliente ma si ritrovò davanti lei.

Eris, lo so, mi detesti ancora… ma devo parlarti!”. La donna si stropicciava le mani, tesa.

“Va bene”. Detto questo Eris si voltò e si diresse alle scale.

Danny spuntò in quel momento e nel vedere con chi era si bloccò di netto.

“Io parlerò per alcuni minuti con questa persona, tu assicurati che la vetrina sia ben pulita prima che scenda”

“Ok”, disse solo mentre lei lo oltrepassava e saliva le scale fino al suo appartamento.

Le gatte le vennero incontro facendo le fusa e richiedendo coccole, Eris prese Morte tra le braccia e si sedette al tavolo.

“Ti sono sempre piaciuti i gatti…”, iniziò lei.

“Sì, siediti e dimmi quello per cui sei venuta”

Eris…”

“Per favore, Elisabeth”. Il suo tono fece abbassare gli occhi alla donna che annuì.

“Sì, certo. Io ho bisogno del tuo aiuto”. Mentre lo diceva Eris, che fino ad allora era stata accecata dai proprio sentimenti vide.

“Oh”, disse soltanto.

“Hai visto?”, chiese allora Elisabeth, tesa.

“Quanti anni ha?”

“Tre anni”

“E’ tua nipote?”

“Sì, la figlia di John, il mio primo figlio”. Eris chiuse gli occhi a quelle parole. Dentro di lei il dolore era forte. “Mi dispiace chiederti questo… non ne ho nessun diritto, ma i medici hanno detto che morirà… le resta poco tempo…”

Eris aprì gli occhi, fissandoli in quelli verdi della donna che amava.

“Sai cosa mi stai chiedendo?”

Elisabeth aveva i pugni chiusi, le labbra strette e gli occhi pieni di lacrime. Sì, lo sapeva. Eris non ebbe bisogno del piccolo cenno affermativo per comprenderlo.

“Portala qui, domani. A quest’ora”. Sul volto della donna dolore e sollievo combattevano senza che nessuno dei due prendesse il sopravvento.

“Io… grazie Eris…”. Si alzò senza riuscire a dire altro. Scese le scale e sparì. Dietro alla porta però c’era Danny.

“No”, disse prima ancora che lei potesse parlare. Il suo tono era duro e fermo, come mai lei lo aveva sentito. “Non vi permetterò di farlo”

“Non avresti dovuto origliare! Comunque è deciso, lo farò, tu, caro ragazzo, non potrai fermarmi”

“Sì che posso!”. La sua voce si incrinò mentre le lacrime si facevano strada sulle sue guance. “E’ colpa mia, non avrei dovuto incitarvi ad ascoltarla!”

“No no, suvvia Danny, vieni qua”. Lo fece accomodare accanto a lei e gli prese la mano. “Avevi ragione. Sai cosa diceva Sofocle?”. Il ragazzo scosse la testa e lei recitò: “Una parola ci libera di tutto il peso e il dolore della vita: quella parola è amore”. Eris sorrise “Avevi ragione, era ora che io mi liberassi del mio dolore, era ora che io finalmente conoscessi la pace”

“Ma…”

“Non ti preoccupare per me, non ho paura di morire, nulla può essere peggio dei dolori che ho visto in questo mondo”

“Siete troppo vecchia per queste cose! Non dovete fare il supereroe! Voi stessa avete detto che non lo siete!”

“Danny, non si è mai vecchi per un atto di amore e sacrificio”

“Ma io non voglio che moriate”

“Sei gentile”

“No”, si impuntò il ragazzo e Eris gli sorrise.

“Andrà tutto bene”

“Voglio esserci”. L’improvvisa risoluzione seccò le lacrime dal volto del ragazzo.

“Non credo che…”

“Signora Schmerz, voi siete libera di prendere le vostre decisioni e così lo sono io”

“Perché vuoi assistere alla mia morte? Non sarà bello”

“Lo sapete bene, certi dolori devono essere vissuti”. Rimasero in silenzio tutti e due poi Eris guardò le sue gatte accoccolate sul divano in un garbuglio di zampe e peli.

“Ti prenderai cura dei miei cavalieri?”

“Quali cavalieri?”, chiese il Danny confuso.

“I Cavalieri dell’Apocalisse. Le mie gatte”, specificò poi.

“Oh… certo… mamma non ne sarà contenta ma… è una promessa”, disse poi serio.

 

La bambina sentiva i polmoni scoppiare ma non smise di correre. Arrivò a casa, senza perdere tempo spalancò la porta e risalì gli scalini il più in fretta possibile poi senza indugio si intrufolò ansimando nella fenditura tra la sua casa e quella della vicina. La soffitta era scura come sempre.

“Sarah?” Chiamò piano, il cuore che batteva all’impazzata.

Nessuno rispose: la soffitta era vuota.

 

Eris si svegliò con il cuore che batteva veloce, si era assopita per un momento e le era stato portato quel sogno, un altro momento del passato. Si alzò e guardò fuori. Era l’alba. Bene, doveva fare ancora molte cose.

 

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Capitolo 6
*** Quinto capitolo ***


Ultimo capitolo, spero che la storia vi sia piaciuta! Buona lettura.

 

 

 

Il dolore e la morte sono parte della vita.

Rifiutarli è rifiutare la vita stessa.
Havelock Ellis

 

 

Quinto capitolo


Tutto era stato predisposto. Aveva chiamato la banca e messo tutti i risparmi di una vita, una bella sommetta, in un fondo universitario a nome di Danny. Il ragazzo non avrebbe più dovuto preoccuparsi del denaro per lo studio. Aveva poi lasciato i suoi libri alla biblioteca della prigione e il negozio ad una associazione per gatti randagi. Dei suoi gatti non si era preoccupata, sapeva che Danny si sarebbe occupato di tutti e quattro. Finite le formalità era uscita e aveva fatto una passeggiata. Il sole era caldo quel giorno e lei rimase seduta sulla panchina davanti al negozio per molto tempo.

“Salve”, si voltò e incontrò gli occhi dolci della giovane prostituta.

“Buongiorno”, disse allora lei e la ragazza le si sedette accanto.

“Non l’ho mai vista seduta qua fuori”

“Non lo faccio mai”

“Ma oggi è un giorno speciale…”, concluse per lei la prostituta. Eris si voltò a guardarla, questa volta per davvero. Vi era del dolore in lei, ma anche forza. Aveva visto molte cose brutte ma non aveva permesso che scalfissero il suo animo. La vecchia donna sorrise alla giovane.

“Già, oggi è un giorno speciale”. Si alzò e con un altro sorriso la salutò per poi rientrare al negozio.

Poco dopo Danny arrivò.

Aveva la faccia tesa e stanca di qualcuno che non ha chiuso occhio tutta la notte ma non le disse niente, invece prese lo spolverino e cominciò a pulire le superfici degli scafali.

Non dovettero attendere molto. Elisabeth arrivò puntuale. Con lei c’era suo figlio John che tra le braccia teneva una bambina di tre anni.

Entrarono nel negozio e il padre della bambina guardò Eris con paura. La paura di essere deluso.

“Ciao”. Nel silenzio generale fu la bambina a parlare, aveva una bandana rosa che nascondeva la perdita dei capelli e al naso un tubicino le portava ossigeno.

“Ciao”, rispose allora Eris, la guardò con un sorriso ma dovette reprimere un brivido nel vedere l’orrore tenebroso che aveva nel corpo. Polmoni, fegato, reni, intestino, niente era libero da quel cancro nero. “Come ti chiami?”, chiese alla piccola.

Eris”. Elisabeth si trovò gli occhi della vecchia Eris piantati contro. “Lo ha scelto la nonna”, continuò la piccola, ignara dello scambio che stava avvenendo tra le due anziane donne.

“E’ un bel nome”, disse solo lei, poi guardò il padre. “Quando l’avrò preso prendete la bambina e uscite. Avete capito bene?”

“Sì”, rispose solo John. Non c’era bisogno di dire che la bambina non doveva essere presente mentre lei moriva.

“Danny…”

“No, io rimango”. Eris sospirò poi guardò Elisabeth che scosse la testa decisa, chiudendo la discussione prima che incominciasse.

“Papà? Nonna? Cosa succede?”, chiese la piccola, che cominciava a percepire la tensione presente nel negozio.

“Andrà tutto bene”, rispose allora la nonna. “Ti voglio bene piccola mia”, disse, poi si abbassò per darle un bacio sulla fronte.

Eris annuì, era il momento. Sorrise guardando la sua piccola omonima poi afferrò quel dolore. Non appena lo toccò iniziò a bruciarla ma lei non lo lasciò andare. Strinse i denti e tirò ancora. Poi lo ebbe e lo accolse dentro di lei.

“Vai”, mormorò mentre il dolore la sommergeva. Il padre afferrò la bambina e quando fu in piedi la guardò.

“Grazie”, disse poi si voltò e uscì rapido.

“Donalo a me”. Danny entrò nel suo campo visivo e tese la mano.

“No”

“Sì, forza, sono un ragazzo forte, posso battere il cancro, lei era una bambina, non ne aveva la forza e tu sei vecchia ma io, io posso portarlo e vincerlo”. Danny la guadava con convinzione e Eris capì che aveva maturato quella decisione già la sera prima. Era un ragazzo dolce e gentile, un ragazzo forte ma troppo… morbido. Mentre lo capiva comprese anche che non avrebbe potuto dargli il suo dono. Tutti quei dolori lo avrebbero distrutto.

Si accasciò a terra e Danny la afferrò.

“Dammelo!”

“Danny, chiama un’ambulanza, per favore, non è così terribile come sembrava…”. Il ragazzo sgranò gli occhi e annuì poi corse a chiamare aiuto.

“E’ un bravo ragazzo…”, mormorò piano. Elisabeth si inginocchiò accanto a lei e le prese la mano.

“Gli hai mentito.”

“Sì, sto morendo, è troppo forte…”

“Dallo a me”

Elisabeth…”, disse solo lei poi alzò la mano accarezzando quel volto tanto amato.

“Non ho mai smesso di amarti, mai, nemmeno un secondo. Ho avuto la famiglia che volevo e c’era un vuoto in me. Se potessi tornare indietro non percorrerei la stessa strada”. Si abbassò su di lei e le depose un bacio sulle labbra. “Ora, ascoltami. E’ mia nipote ed è giusto che sia io a morire per lei, non tu. Avevo bisogno che lo facessi per salvarla ma ora ho bisogno che salvi me, dammi questo dolore. Non lasciarmi vivere con la colpa di aver ucciso la donna che amo”.

Era un bel discorso, Elisabeth era sempre stata dotata per i bei discorsi e questo doveva averlo preparato. Eris sorrise.

Elisabeth, non ho mai saputo impormi su di te…”. La donna sospirò di sollievo.

“Allora donami questo dannato cancro e tienimi tra le braccia mentre me ne vado”

“No”, disse lei. “Non sono più la donna che ti ha lasciato andare via senza fare nulla, sono vecchia e molto più saggia”. Ridacchiò ma fu presa da un attacco di tosse. Non appena riuscì a respirare di nuovo continuò: “Sei una brava nonna e una brava madre, hanno bisogno di te e io sono stanca. Permettimi di farti questo ultimo regalo, la vecchia Eris per la piccola Eris”.

Le lacrime scendevano lucenti dagli occhi di Elisabeth che scuoteva la testa senza però poter più dire niente.

“Sono qua!”. Danny entrò nel negozio assieme ad un medico e due barellieri.

Eris lasciò la mano di Elisabeth mentre veniva sollevata e messa sulla barella, il medico si affaccendava attorno a lei ma Eris vi badava appena, non vi era più dolore. Non c’era più nulla, le lacrime di Elisabeth, lacrime per lei, avevano lavato via ogni passata sofferenza.

Mentre usciva vide gli occhi sgranati dalla preoccupazione di Danny, gli occhi sofferenti e pieni di consapevolezza e di amore di Elisabeth, gli occhi curiosi della signorina Crowne e dei vicini attirati dalla sirena dall’ambulanza e poi vide i suoi: occhi pieni di compassione, occhi forti e dolci al contempo.

 

La bambina udì le urla e sobbalzò poi tornò a correre, lasciò la soffitta e corse in strada. Lei era lì, un gruppo di SS la stava trascinando contro il muro mentre uomini e donne urlavano e ridevano della stupida ebrea che credeva di potersi nascondere in una soffitta, sotto il loro naso.

Eris vide il plotone d’esecuzione formarsi, vide i fucili alzarsi e guardò la sua amica, Sarah, la giovane donna che le aveva insegnato il valore di un libro, che le aveva raccontato favole e sogni. Aveva occhi forti e dolci, occhi di compassione per lei che doveva assistere ad uno spettacolo simile. L’ebrea tese la mano verso di lei e in un gesto spontaneo lei tese la sua. I fucili fecero fuoco ed Eris non fu più una bambina.

 

Eris alzò la mano verso la giovane prostituta e sorrise, la ragazza alzò il braccio in un gesto spontaneo e lei le consegnò il suo dono, così come le era stato donato. Poi alzò gli occhi al cielo e sorrise.

 

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