Dammi tre parole...

di MadCheshireCat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sassofono - Carta di credito - Termostato ***
Capitolo 2: *** Vino - Russia - Shopping ***
Capitolo 3: *** Rimedio - Lenzuola - Salsiccia ***
Capitolo 4: *** Slot machine - Cuoco - Cascata ***



Capitolo 1
*** Sassofono - Carta di credito - Termostato ***


Il Creative Word Generator ha così annunciato: le prime parole che avrei dovuto usare sarebbero state 'Saxophone - Credit Card - Thermostat'. Tre parole che non c'entravano assolutamente NIENTE l'una con l'altra, quindi ho proprio dobuto lavorare di fantasia! Da qui é nata un'AU in cui Rhadamathys segue il suo sogno da sassofonista e Kanon si rivela un ubriaco piuttosto molesto... Speriamo in bene!

Come al solito io ho ricontrollato e spero non mi sia sfuggito nessun errore (maledetti typo...)! Enjoy!

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“Mamma, io detesto suonare il pianoforte. Ci sono così tante possibilità, così tanti strumenti musicali! Perché fermarsi sempre al solito?”
“Ah, ma figliolo, il pianoforte è uno strumento nobile, così come il violino. Tuo fratello non si è mai lamentato delle sue lezioni da violinista…”
“Forse perché Minos non va a lezione solo per il violino…”
“Hai detto qualcosa, tesoro? Sai che non mi piace quando borbotti, non è educato.”
“Niente, mamma. Comunque, vorrei cambiare strumento, il pianoforte semplicemente non fa per me.”
“Come desideri, tesoro. Cosa preferiresti suonare? Il clavicembalo? Il flauto traverso? Magari l’oboe…”
“Il sassofono.”
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Quello schiaffo non se lo sarebbe mai dimenticato: non solo era il primo che avesse mai ricevuto, ma era anche del tutto insensato. Per qualche ragione, i suoi gentori consideravano il sassofono uno strumento sporco, indegno e adatto soltanto alla gente senza futuro, ma lui se ne era innamorato una sera quando, girando tra pub, era finito in un bar che sembrava quasi uno scantinato dal quale proveniva una melodia fantastica che gli rapì il cuore. Da suo padre non ricevette alcuno schiaffo, piuttosto gli diede un biglietto andata e ritorno per New Orleans, in modo che “vedesse qual’era il futuro di quelli che perdono tempo con strumenti del genere”. Il biglietto di ritorno era ancora nel suo cassetto, nella stanza d’albergo che occupaa oramai da anni, tanto che il padrone gli aveva offerto di prendere una camera in affitto: in quella zona della città raramente arrivavano turisti (se non gente alla ricerca di svago particolarmente coraggiosa) e un introito continuo come un affitto mensile era più che benvenuto.

I suoi genitori ancora gli scrivevano, parlandogli attraverso mail e messaggi sul cellulare, ma lui raramente rispondeva e se lo faceva era breve e conciso, senza mai perdersi in parole o nostalgia che semplicemente non c’erano. Si trovava bene lì e sebbene non guadagnasse molto come musicista nei bar, almeno stava facendo ciò che più gli piaceva. Non mancava di liquidità, ma si rifiutava di appoggiarsi alle finanze della famiglia, tanto che la sua carta di credito era ancora chiusa in un cassetto insieme al biglietto di ritorno e lì sarebbe rimasta a lungo, a meno che non fosse assolutamente necessario utilizzarla: Rhadamanthys non era uno stupido e sapeva che avere dei soldi da parte da utilizzare in momenti di difficoltà era un’ottima cosa. Essere orgogliosi e non volere fare affidamento solo sui propri genitori era una cosa, essere dei testardi incoscienti era un’altra.

Si faceva bastare i soldi delle serate musicali, accettando anche mance dai clienti particolarmente generosi che di tanto in tanto si presentavano nei bar- Una vera manna per lui, sebbene alcuni non erano in grado di capire la differenza tra bar con musica live e bordelli. In quel caso ci pensava il suo gancio destro a ricordarglielo. I contrattempi, così come i clienti particolari facevano parte della sua vita, tanto che quasi non ci faceva più molto caso, tuttavia non poté evitare di fare uno sguardo a dire poco perplesso quando alla fine di una sua esibizione insieme agli applausi arrivarono anche un paio di boxer che gli finirono praticamente in faccia. Nel silenzio perplesso che era calato nella sala, si levò una voce piuttosto strascicata “Shei sta’o coshì bravvvo che non mmme la sentivo di non lasccciarti nnniente come mmmancia. Avevo sholo i boxer e il miiiio drink, che ppperò è f’nito.”

L’attenzione passò dal palco al lato destro del locale, dove stava seduto (o meglio accasciato) un uomo biondo che si era messo l’ombrellino da cocktail dietro l’orecchio e che con sguardo ebete fissava un qualche punto tra il sax e la faccia di Rhadamanthys, ma la cosa più allarmante era che aveva le braghe calate fino alle caviglie. “Shhhai che ffffatica togliermeli?” Lo disse con una serenità sconcertante e dopo aver buttato giù le ultime gocce di cocktail, si alzò e fece in modo di mettere bene in mostra il sedere prima di tirarsi su i pantaloni per uscire dal bar, non prima di avere offerto un ultimo paio di parole al pubblico attonito. “Ah, ah, ah, un’ultima cosha! Il tuo mmmonociglio fa pppaura.” Detto questo uscì, lasciando il bar nel silenzio più assoluto, che si prolungò finché il barista non presentò il musicista subito dopo l’inglese.

Contro qualunque tipo di buonsenso, Rhadamanthys, invece che buttare i boxer nel primo cestino utilizzabile, li portò con sé nella sua stanza d’albergo, convinto che magari lo strambo individuo sarebbe tornato il giorno seguente per recuperarli, magari da sobrio e un poco imbarazzato dal suo comportamento. Entrare nella sua stanza lo faceva sempre stare bene, come se quello spazio così ristretto avesse un potere calmante simile a quello della camomilla. Al solo pensiero di bere una bevanda calda, l’inglese ebbe un mancamento: il caldo umido di quella città lo stordiva in troppo e buttando un occhio sul termostato fu abbastanza per capire la motivazione dietro la sua esagerata sudorazione.

Ottantanove gradi Fahreneit. Trentadue gradi centigradi. All’improvviso il suo bagno di sudore non era più tanto sorprendente e decise che, se c’era qualcosa che davvero gli doveva mancare della sua vita precedente era il fresco che permeava qualunque stagione, primavera e estate comprese, facendo dell’Inghilterra un posto molto più vivibile che la Louisiana. L’unico modo per combattere il caldo umido che ti entrava direttamente fin nelle ossa era quello di ridursi al minimo di vestiario, bere molto e mettersi addosso stracci bagnati per tentare di abbassare la temperatura corporea il minimo indispensabile- Una sfida, insomma. E Rhadamanthys amava le sfide difficili da superare, ma amava anche quelle che sapeva di poter vincere con un minimo di strategia, quindi mise giù il sassofono e i boxer incriminati per potersi togliere la maglietta che era già madida di sudore e che si sarebbe dovuto ricordare di lavare il prima possibile. Ebbe un momento di esitazione quando arrivò ai pantaloni: la sua testardaggine gli aveva impedito persino di comprare dei pantaloni corti o a mezza gamba (si sentiva un idiota ad andare in giro con quelli addosso) e quindi doveva sempre mettersi quelli lunghi, con qualunque temperatura New Orleans avesse da offrire e come risultato si trovava spesso con le gambe sudate e il tessuto appiccicato alla pelle: camminare diventava un incubo e una comica al tempo stesso, eppure lo preferiva a qualunque tipo di pantaloni più corti.

Era inutile resistere però: in camera sua nessuno poteva vederlo se non la pianta finta nell’angolo, quindi si tolse i pantaloni che erano ormai divenuti una seconda pelle e, rigorosamente in mutande, si lasciò cadere sul materasso che lo accolse con un cigolio fin troppo familiare. “Dovrò decidermi a dare una controllata a quella doga, non vorrei che ad un certo punto cedesse…” Un’altra cosa da aggiungere alla lista di cose che avrebbe dovuto fare l’indomani, tra cui figurava anche una lunga spesa che gli sarebbe dovuta durare per tutto il resto della settimana, non come quella dell’ultima volta che lo aveva lasciato senza latte già Martedì. Inaccettabile.

Si rigirò sul letto, tentando di trovare una posizione in cui il letto non si riscaldasse troppo in fretta, ma sembrava che fosse tutto inutile: sarebbe stata un’altra nottata agitata e insonne. Forse si sarebbe dovuto concedere un bicchiere di quel whisky che stava tenendo al fresco nel mobiletto, giusto per assicurarsi un po’ di relax, se proprio il sonno lo avesse evitato completamente. Ora stava tutto nell’autoconvincersi ad alzarsi per prendere bicchiere e bottiglia, ma i suoi muscoli affaticati erano fin troppo felici di essere finalmente messi a riposo e con tutta probabilità non avrebbe trovato la voglia di muoversi molto presto. E chiudere gli occhi sembrava la scelta più saggia…

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“Oh! Cccche bello! Mi shtavi aspettando!” Rhadamanthys si svegliò di soprassalto e per poco non diede una testata alla persona che, per qualche ignoto motivo, gli era praticamente addosso. Nonostante avesse la vista ancora appannata dal sonnellino che si era appena fatto, l’inglese non aveva dubbi sull’identità dello sconosciuto che con un’incredibile faccia di bronzo non solo si era introdotto in casa sua, ma aveva anche avuto il coraggio di metterglisi addosso. “Sei l’ubriacone che mi ha lanciato i boxer al bar.” Forse lo avrebbe dovuto dire con più inflessione nella voce, magari con un tono adirato o persino offeso dall’incredibile intrusione della sua privacy, ma era ancora troppo confuso per mettere insieme le idee come si doveva. “Duh, mi chiammmmo Kanon! E ssssapevo che il mio fascino t’avrebbe conquishtato.” Il biondo sembrava piuttosto convinto, tanto che si tolse la maglietta a sua volta- Quello fu abbastanza per svegliare Rhadamanthys dal suo stato confusionario.

“Hey. Che stai facendo? Non sei venuto per riprenderti i boxer?” Era una domanda un po’ stupida, ma la situazione non era nemmeno la migliore per fermarsi e pensare attentamente al da farsi: doveva soltanto scollarsi un uomo mezzo nudo di dosso. “Ooooh, no! Tanto n’ mi sherviranno adessho…Anzi…” Oh no, no, era proprio andato questo qua. “No, non hai capito-! Io li ho tenuti per ridarteli, non- Non mi piacciono gli uomini-?” Come faceva a fargli capire che il suo essere completamente ubriaco stava rovinando i suoi ragionamenti? Il silenzio fece pensare a Rhadamanthys che forse Kanon (aveva detto di chiamarsi così?) stava finalmente ragionando normalmente, ma l’alzata di spalle e il bacio impacciato gli fecero capire che stava accadendo l’esatto contrario.

Che giornata…’ Adesso sì che si stava agitando e nonostante non fosse un uomo manesco, l’inglese stava sinceramente pensando che uno dei suoi ganci destri in questo caso avrebbe fatto faville per convincere il biondo a staccarsi una volta per tutte. Stava preparando il pugno quando Kanon interruppe il bacio di sua spontanea volontà per poterglisi accocolare addosso, borbottando qualcosa riguardo cuscini e pelo morbido.

Si era addormentato come un sasso nell’arco di due secondi, lasciando Rhadamanthys con il braccio mezzo alzato, un’espressione inebetita e un terribile sapore di cocktail alla soda in bocca.
Che giornata.

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Capitolo 2
*** Vino - Russia - Shopping ***


Chiedo venia per il ritardo, ma questo é stato un periodo di esami per me, quindi studiare veniva assolutamente prima di tutto! E ora, felicitazioni, per me iniziano pure le lezioni! Beh, sarò certamente un po' più attiva, o almeno spero. Comunque, bando alle ciance!
Questa volta il Creative Word Generator ha così sentenziato: Wine - Russia - Shopping. Insomma, un bell'invito a nozze per scrivere qualcosa su Camus che gira per le strade russe... Accompagnato da un non così contento Milo, che non va d'accordo col freddo.

L'ho scritta su un quaderno tra una pausa dallo studio e l'altra, correggendola quando l'ho trascritta sul computer- Spero non mi sia sfuggito nulla! Enjoy!

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Sarebbe stato indiscutibilmente ovvio affermare che a San Pietroburgo faceva freddo: era un po’ come dire che il Sole era caldo, il miele dolce e Camus amante di Dostoevskij. Insomma, una verità trita e ritrita, risaputa e conosciuta da tutti, eppure Milo sentiva ancora il bisogno di dirlo, di far sapere al suo accompagnatore che lui aveva freddo, forse nella vana speranza di far capire indirettamente il suo bisogno di fermarsi da qualche parte per riscaldarsi e recuperare la sensibilità agli arti che ormai gli sembrava solo un pallido ricordo (‘Sono mai stato veramente in grado di sentire tutte le falangi delle mie dita?’).
Perché di dirlo direttamente non se ne parlava, lui aveva il suo orgoglio da proteggere, non poteva certo lamentarsi come il ragazzino lagnoso che avevano superato poco fa (‘Mamma, mamma, dai, torniamo in hotel che mi perdo i Gormiti!’ che poi, li faranno mai i Gormiti in Russia? E cosa sono i Gormiti?!), nonostante la sua lamentela fosse assai più sensata: nessuno poteva pretendere che un greco D.O.C. fosse resistente al freddo pungente russo, ma il biondo testardo non aveva comunque intenzione di esporre chiaramente i suoi problemi- Piuttosto soffriva il freddo un po’ più a lungo mentre lanciava vari segnali di distress al suo compagno, nella speranza che lui, per magia, capisse al volo il problema.


Nell’intricata psiche di Milo, il piano era semplice, chiaro, diretto! Persino un bambino ci sarebbe arrivato. Camus lo conosceva abbastanza bene da cogliere facilmente i suoi sottili input, le occhiate, i commenti buttati lì a caso, quindi non ci sarebbe stato il reale bisogno di attendere a lungo. Ecco, da quando si era detto così, erano passate ben due ore. Due ore durante le quali aveva insistentemente lanciato i suoi fantastici messaggi subliminali (‘Certo che ci sono delle stalattiti enormi qui, eh?’ ‘Quel tipo è appena scivolato su una lastra di ghiaccio!’), senza avere alcun successo. Il rosso sembrava indifferente, apparentemente concentrato nella ricerca di qualcosa sulle strade della città, fermandosi di fronte ad ogni vetrina contenenti liquori o bottiglie di vino. Milo sapeva che il francese non disdegnava bere ogni tanto, ma non poteva accettare che Camus fosse tanto spugna da non notare i suoi problemi solo perché era alla ricerca di alcool da bere! Era una brutta, bruttissima sorpresa. Un po’ come quando Deathmask li aveva promesso di portarlo in un locale da urlo e lo aveva portato in una casa stregata- Era stato veramente troppo letterale, il ghignante fetente.


Non se la sentì di continuare la sua silenziosa crociata contro l’indifferenza del fidanzato, spossato dalla camminata, dal freddo e dagli inquietanti ricordi della catapecchia infestata dai peggiori fantasmi che avesse visto (e con peggiori intendeva che si vedeva chiaramente che erano finti.), quindi preferì passare ad una strategia diversa per essere notato, ossia quella di dare corda a Camus, magari persino aiutarlo per accorciare i tempi di esposizione al gelo moscovita.  “Posso chiederti cosa stai cercando con tanto interesse?” Purtroppo la domanda venne fuori assai più lamentosa del previsto (probabilmente dopo essersi sentito ignorato per mezza giornata il subconscio di Milo si era ribellato malamente), ma sembrò comunque attirare l’attenzione del rosso, che distolse lo sguardo dalla addobbatissima vetrina che stava osservando per poter guardare la faccia oramai arrossata di Milo (un vero scorpione bordeaux per il freddo!), che lo fissava insistentemente in attesa di una risposta. “Tra due giorni torniamo in Grecia. Volevo comprare qualcosa, un liquore o magari una… Una specialità per ricordarmi di questa vacanza.” Sembra quasi imbarazzato dalla sua stessa risposta, tanto che si girò immediatamente verso la vetrino, facendo finta di essere incredibilmente interessato alla bambolina di vimini più brutta che avesse mai visto in vita sua.


Il greco rimase momentaneamente senza parole, dandosi dello stupido per aver pensato che Camus si stesse comportando egoisticamente, o che addirittura lo stesse ignorando! Lui per primo avrebbe dovuto sapere che sebbene il suo comportamento fosse distaccato come al solito, il francese, in un modo o nell’altro, pensava sempre agli altri. Probabilmente pensava di portare a casa souvenir non solo per sé, ma magari anche per Hyoga, Shun- Forse persino Isaac. Ma cosa cavolo poteva portare a casa a quel musone? “…Posso consigliarti quelle polpettine speziate…?” Si ritrovò a sorridere, indicando il pacchettino di strambe palline scure che se ne stavano giusto appoggiate sull’orrenda bambolina, pensando che se fosse arrivato subito a capire il vero motivo di questa loro escursione nelle vie cittadine, se la sarebbe goduta molto di più.


E forse non si sarebbe concentrato tanto sulla possibile perdita di arti per ipotermia. 

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Capitolo 3
*** Rimedio - Lenzuola - Salsiccia ***


Ed ecco il terzo 'capitolo' di questa serie! Sono stata... Sorprendentemente più celere del solito, il che é dire tanto. Sarà che sono felice per la fine degli esami, sarà quel che sarà, ma eccoci qua. (Poesia improvvisata?).
Le parole di questo capitolo sono: Remedy - Sheets - Sausage. La parola 'Sheet' ha più di un significato (fogli, lamiere, lenzuola...) quindi mi sono presa la libertà di sceglierne uno! Scopriamo cosa succede quando Shura si ammala e i suoi amici tentano di aiutare...

Come al solito spero di non avere commesso nessun errore di battitura o di sintassi (che la rilettura doppia mi aiuti...). Enjoy!

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C’erano poche cose che infastidivano Shura per davvero, nella vita: le persone indecise, le carote cotte (terribili flashback di una giornata passata da solo con Aldebaran e delle carote da cucinare…) e la febbre. O meglio, l’influenza.

Perché essere malati comportava un sacco di controindicazioni che a lui proprio non andavano giù, prima tra tutte l’essere bloccato a letto (o sul divano in alcuni casi), senza avere la possibilità di muoversi a meno che non si sia fan di giramenti di testa e stanchezza generalizzata che, per inciso, figuravano anche loro nella lunga lista delle sopraindicate problematiche da febbroni. Un’altra cosa era il dover essere curato da qualcuno- Certo, perché non bastava sentirsi alla stregua di un tappetino da bagno, si era anche quasi del tutto impossibilitati a compiere gesti sì e no comuni o a compiere azioni che normalmente si sarebbero fatte a occhi chiusi.
Magari ad una persona comune non sarebbe dispiaciuto poi così tanto essere viziati un pochino, ma le persone normali NON hanno come amici Deathmask e Afrodite. Apprezzava (più o meno) il loro preoccuparsi per lui, ma non era per niente d’accordo con i metodi che solevano utilizzare in casi simili: ognuno si ostinava a voler usare i propri ‘rimedi tipici’ per poter aiutare Shura a riprendersi, ma le loro idee non ispiravano lo spagnolo neanche un po’.

Erano proprio lì in stanza con lui, due figure completamente diverse che torreggiavano sul suo letto e che gli facevano desiderare di avere un lenzuolo assai più lungo per potersi coprire fin sopra la testa e magari scomparire in un qualche modo per evitare di doverli sentire bisticciare, tanto per cambiare. “Ma cosa ne sai tu, di febbre, che vivi in Svervegia?! Al massimo voi soffrite di allergia alle alci! Fammi il piacere!” Deathmask stava fissando con odio (e una buona dose di quello che sembrava timore?) sia lo svedese che il piatto fondo che teneva in mano, piatto dal quale si sollevava un sottile filo di fumo. Zuppa, forse?
“Oh? Ma di che vai parlando? Proprio perché vivo in paesi freddi so bene come si cura una brutta influenza come questa! E credimi, in nessun ricettario risulta una… Cosa come la tua.” Lo disse col chiaro disgusto negli occhi e Shura sapeva (SAPEVA, dopo anni di esperienza) che se non avesse avuto entrambe le mani occupate si sarebbe persino tappato il naso per sottolineare lo schifo.

L’italiano sgranò gli occhi e fece la faccia più offesa possibile, dando una leggera gomitata ad Afrodite che per poco non perse la presa sul suo piatto. “Tutte balle! Voi nordici non capite niente di rimedi casalinghi. Come diceva mia nonna, niente di meglio di una salsiccia appena grigliata con pepe e spezie per stappare ogni tipo di naso bloccato!” Deathmask appariva così orgoglioso del proprio piatto che non sembrò nemmeno notare che il biondo aveva mormorato qualcosa sottovoce. Qualcosa come ‘Quel mix di spezie stapperebbe persino un tubo otturato…’. Se Shura non fosse stato preoccupato prima, lo sarebbe stato adesso in ogni caso- Cosa diavolo aveva messo Deathmask in quella salsiccia infernale?
“Pff, insaccati! Sono la tua risposta a tutto, granchio. Ho qui il vero toccasana per un naso intasato.” Sollevò il piatto con fare quasi adorante, come se stesse per cantare le divine lodi del suo misterioso minestrone. “Zuppa di sardine e aringhe con una buona dose di menta.”

Era ufficiale. Shura era seriamente preoccupato per la propria salute.

“Fammi capire, tu vorresti far trangugiare al nostro povero, piccolo capretto malato un intruglio di pesce in scatola a cui hai dato l’odore di uno spray per ambienti? Guarda che se lo volevi morto, bastava chiamare Kanon a tenergli compagnia.” Deathmask faticava a trattenere le risate, senza sapere che non sarebbero durate a lungo.

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“Senti, non è che io non voglia tenerti qui, è che mi… Insomma, sono confuso sul perché tu sia qui.” Aldebaran stava in cucina, osservando Shura sdraiato sul divano con un’aria particolarmente divertita. Lo spagnolo sospirò rumorosamente, causando un inavvertito accesso di tosse che lo fece saltare più volte sui cuscini prima che fosse in grado di rispondere per davvero. “In breve, ho voluto evitare la prima vera Guerra Alimentare della storia del Santuario. Salsicce che volavano, bagliori di aringa… Un vero incubo.” Si soffiò il naso in un vano tentativo di sentire la testa meno pesante, solo per ritrovarsi a buttare il diciassettesimo fazzoletto in un’ora.

“Comunque…Cosa stai preparando in cucina?”
“Oh, solo qualcosa per aiutarti a riprenderti! Se sei malato, hai bisogno di vitamine.”
“…Eh? Cioè?”
“Un bello stufato di carote.”
…Madre de Dios…

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Capitolo 4
*** Slot machine - Cuoco - Cascata ***


Salve a tutti! Arrivo con il quarto capitolo di questa raccolta. Stavolta il Creative Word Generator ha 'scelto' queste parole: Slot machine - Cook - Waterfall. Un altro terzetto di parole che proprio non hanno niente a che vedere l'una con l'altra, ma essendo io grande fan di CSI Las Vegas, ho subito pensato a quella colorata città nel bel mezzo del deserto! Non sapevo chi mettere in un posto simile, ma come al solito la mia mente ha fatto da sé e mi ha portato su due delle mie vittime preferite- Prima o poi dovrò usare altri personaggi, o mi si rivolteranno contro.

Come al solito, se notate errori di qualunque genere, fatemelo presente e farò del mio meglio per correggerli quanto prima! In ogni caso, enjoy!

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Las Vegas. Gloriosa città nel bel mezzo del deserto del Nevada, chiamata ‘città del peccato’ per un buon numero di motivi e habitat naturale del famoso “Humanus Stupidus”, ossia il perfetto esempio di come l’evoluzione può evidentemente retrocedere. Orde incredibili di persone che arrivano a farsi spennare dai casinò, che si danno ai bagordi e non ricordano più niente il giorno dopo, che si fanno sposare da una caricatura di Elvis e che, se sono particolarmente sfortunati, finiscono a far parte della serie CSI, nel ruolo di vittima. Vera vittima, si intende.

Poteva sembrare un sogno per molti: vincere un viaggio tutto compreso per un weekend nella più rinomata tappa desertica americana- Se non si contano l’Arizona e il Gran Canyon, dove lui avrebbe preferito essere di gran lunga. Camus aveva la pelle chiara e il sole feroce lo spaventava di più di una corsa in auto con Deathmask, il quale sorrideva come un bambino a Natale: avevano vinto il viaggio tutti e due, partecipando a un concorso culinario i cui giudici non avevano saputo scegliere tra le due pietanze da loro preparate e così, colpevole il destino, si erano ritrovati sfortunatamente compagni in un avventura tutta particolare. Avevano deciso di dividersi le giornate, in modo che entrambi potessero scegliere almeno una volta il posto in cui andare- Sinceramente l’italiano si sarebbe felicemente scosso di dosso il francese, dandosi alla pazza gioia per conto suo, ma aveva il terrore di ubriacarsi e perdersi per Las Vegas, senza possibilità di ritornare all’albergo. In pratica aveva scelto il minore di due mali. E comunque era il suo turno di scegliere, quindi si mise a pensare, ponderando su cosa gli sarebbe piaciuto vedere e cosa avrebbe dato più fastidio a Camus. La risposta gli arrivò come una vera e propria illuminazione.
 Il Casinò Hotel Mirage.

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“Siamo qui da due ore. Non credi sia arrivato il momento di mollare il colpo? Non hai fatto altro che perdere.” Camus sbuffò per la 144esima volta (Era talmente annoiato che le aveva persino contate- In un certo senso  i suoi sbuffi andavano a pari passo con le perdite di Deathmask) e si irritò solo di più nel notare che il suo sfortunatissimo compagno di viaggio lo stava bellamente ignorando, preferendo digrignare i denti alle maledette ciliegine di fronte a lui- Ciliegine che NON erano in fila. Di nuovo. “Sei tu che mi porti sfortuna! Altro che Acquario, sei il Cavaliere della rogna nera!” In preda all’ira, diede un pugno alla slot machine di fronte a lui, senza ricordarsi che certo, erano fatte per resistere, ma di certo non erano state omologate per prendere ganci da persone dotate di quella che poteva essere tranquillamente definita ‘superforza’.

Rimasero entrambi di stucco di fronte alla facilità con cui la mano di Deathmask si infilò all’interno della macchina, causando la fuoriuscita di fumo, scintille e un’enorme quantità di monetine che si riversarono a terra con rumore assordante, attirando l’attenzione di quasi metà del casinò. Come se il tempo si fosse fermato, nessuno si mosse, né i due Cavalieri, né le persone intorno a loro che, sconvolte, si chiedevano quanto avesse perso l’individuo con la mano incastrata nella slot machine per arrabbiarsi tanto. “Ma che hai fatto?” Ripresosi dalla sorpresa, Camus si rese conto dei guai in cui si erano appena cacciati: non avevano abbastanza soldi per ripagare il danno e non avevano nemmeno modo di farseli arrivare. Rimaneva un’unica soluzione, la più codarda-
“GAMBBEEEEEEE!” Prima che potesse reagire, il francese si ritrovò trascinato via da Deathmask per il colletto della camicia, saettando tra la folla di giocatori che non facevano nemmeno finta di spostarsi per farli passare, troppo presi dalla mano di Poker o dalle statistica della prossima corsa di cavalli. “Fate largooo! Il mio amico soffre di meteorismo e stiamo cercando il bagno più vicinoooo!” Quello attirò senz’altro l’attenzione, ma non nel modo che avrebbe voluto il francese. Che razza di figura barbina gli stava facendo fare?! Non poteva proprio inventarsene un’altra? Meteorismo. Quelle horreur!
L’italiano non accennava a frenare, guardandosi dietro di tanto in tanto non per accertarsi che il francese fosse ancora tutto intero, ma per assicurarsi che i gorilla dell’albergo non li stessero raggiungendo.

Erano oramai usciti dall’albergo, ma non sembrava che i due armadi in divisa avessero la minima intenzione di fermarsi,  invasati come due cani da caccia alla vista della loro preda: possibile che due Cavalieri di Atena fossero costretti a scappare a quel modo, come due vili criminali? Beh, a conti fatti avevano commesso una specie di crimine, ma non si meritavano di essere trattati così! Almeno, quello era ciò che pensava Deathmask mentre saltava oltre una piccola siepe prima di tornare a guardarsi dietro. Non potevano nemmeno fermarsi e pestare di santa ragione i due energumeni, sennò sarebbero finiti in guai persino peggiori, cosa che avrebbe definitivamente rovinato la loro brevissima e meritatissima vacanza. Ma allora come…?

“DEATHMASK, GUARDA DAVANTI!”

Era troppo tardi. Non solo quella era la prima volta che l’italiano sentiva il francese gridare, ma fu anche la prima volta in cui entrambi volarono faccia in giù in una fontana.

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“Ma chi cavolo tiene una stramaledettissima fontana con cascata vicino ad un albergo in mezzo al deserto?!” La sua rumorosa lamentela garantì a Deathmask un fortissimo scappellotto dietro la testa da parte del capo cuoco, che si era preso molto a cuore l’impegno di insegnare ai due turisti ‘perché scappare dopo avere rotto una slot machine è una cattiva idea’. Avevano spiegato ai padroni dell’hotel che non avevano nemmeno lontanamente abbastanza soldi per riparare al danno causato e loro per tutta risposta li avevano messi di fronte ad una decisione: prigione o lavori utili.

Così si erano ritrovati nella cucina dell’albergo, costretti a pulire i pavimenti, lavare i piatti e a volte persino lavorare come aiuto camerieri se non c’era abbastanza personale. Camus si era chiuso in religioso silenzio e non aveva detto una singola parola da quando erano stati cacciati fuori dall’ufficio del principale, chiudendosi a palla come un riccio. Un riccio molto freddo e offeso che non avrebbe mai fatto dimenticare a Deathmask quella grandiosa bravata che era costata loro l’unica vacanza pagata che avrebbero mai ricevuto.

“Guarda il lato positivo, Camus! Non ci siamo ubriacati e non ci siamo sposati per sbaglio! Sennò sai che imbarazzo, una volta tornati al Santuario. Io di certo non sarei sopravvissuto.” L’unica risposta che ricevette fu uno schizzo di acqua insaponata diritta in faccia. E negli occhi bruciava da morire.

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Questa doveva essere una raccolta varia, ma non me ne é uscita ancora una triste, di storia. E va beh! ovo'''

E sì, al Mirage hotel c'é davvero una cascata esterna! Americani.

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