The Call di darkrin (/viewuser.php?uid=16041)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
The Call ... A volte bisogna saper dire addio. Prologo In cui c’è un ballo, un principe silenzioso e tanti, tanti nobili Caspian Decimo non era una persona malinconica né facile al cattivo umore, c’erano però, certe circostanze che finivano immancabilmente per fargli, o, saltare i regali nervi, o finire il buon umore in una tomba. Quella era, precisamente una di quelle circostanze. Il palazzo reale era stato riempito a forza da centinaia e centinaia di nobili o di abitanti di Telmar arricchiti in chissà quale illegale modo. Gli abitanti di Narnia invece erano pochi. Nessuno aveva preso in considerazione l’idea che lui potesse volere accoppiarsi con un centauro o con una lontra parlante. Chissà come mai. Il salone principale del palazzo era pieno di luci e di sfarzo, uomini e donne in abiti eleganti chiacchieravano chiedendosi con ansia su chi sarebbe ricaduta la scelta del principe. Il principe in questione era, invece, alle prese con un altro cruciale dilemma: buttarsi dal terrazzo o tagliarsi le vene? << Sua altezza? >> Caspian si voltò, verso l’uomo che lo aveva raggiunto sul terrazzo, il Dottor Cornelius era, oltre che un suo caro amico e uno dei suoi consiglieri, anche il suo vecchio insegnante. << Non state qui tutto solo. Sono tutti qui per voi. >> affermò. << No. Sono qui per mia moglie. >> ribatté Caspian seccato. Il vecchio medico sorrise bonario; si tolse le lenti dagli occhi e le pulì sulla toga azzurra che indossava. << Capisco che la cosa possa seccarvi, ma sono passati cinque anni da quando siete salito al trono, è normale che i nobili vogliano un erede. Non vogliono che la vecchia storia dei Telmarini riprenda il suo corso sanguinoso. >> spiegò con calma l’anziano. << E se io volessi sposarmi con un centauro? >> chiese infine Caspian, esponendo al suo consigliere un dubbio che lo assillava da diverso tempo. Cornelius rimase per un lungo attimo in silenzio, pulendo le lenti e meditando. << Penso che sarebbe ottimo per l’alleanza con il popolo di Narnia ma devi unirti con qualcuno che sai possa darti un erede sano e forte. >> rispose infine. Caspian annuì, riprendendo a meditare sui suoi piani di suicidio. << La Regina Susan non tornerà, Caspian. Devi accettarlo. >> concluse il vecchio, incamminandosi di nuovo dentro al palazzo, dove c’era la festa. Il re s’irrigidì a quell’affermazione e strinse le mani sul parapetto di pietra grigia del balcone. Oh, lo sapeva. Lo sapeva bene. Non c’era nessuno a saperlo bene quanto lui. Sapeva bene, anche, che avrebbe dovuto sbrigarsi a trovare una sposa ma negli occhi aveva ancora il ricordo di quel vecchio amore con cui nessuna delle donne che aveva incontrato in quei quattro anni era riuscita a competere. Per un attimo gli parve di vedere un ombra che sgusciava silenziosa oltre il muro del palazzo ma era impossibile e quindi non diede retta ai suoi occhi. D’altronde era anche molto impegnato, lui. Per tagliarsi le vene era meglio un coltello o una spada? Tartufello si avvicinò a Lord Cornelius appena lo vide rientrare nella sala. << Allora? Allora, come sta Sua Altezza? >> chiese. << Non bene. >> rispose l’uomo preoccupato. L’animale lanciò un’occhiata al sovrano che se ne stava da solo lontano dalla festa organizzata in suo onore. << È ancora per lei? >> domandò. << Non credo. No. È infelice ma non è più per lei. Non solo almeno. >> << Perché è così triste, allora? >> << È molto solo. >> notò l’anziano. << È proprio per questo che dovrebbe trovare una moglie. >> celiò una voce alle loro spalle; << Il matrimonio è la miglior arma contro la solitudine e l’omicidio è l’arma migliore contro il matrimonio. >>. << Lady Miriam. >> salutò Lord Cornelius con un sorriso la nuova arrivata. << Dove siete stata fino ad ora? >> << A pelare patate. È davvero molto rilassante e… quante volte te lo devo dire Cornelius? Niente Lady. >> rispose la ragazza. Indossava un abito grigio per nulla elegante rispetto a quelli variopinti che riempivano la sala. I capelli castani erano raccolti in una coda alta e intorno al collo aveva un semplice ciondolo nascosto sotto al vestito. << Miriam, perché non vai a parlare con il Re? >> le domandò Tartufello. La ragazza schioccò la lingua seccata. << Piuttosto torno a pelare patate. Sono decisamente più simpatiche di lui. >> Lord Cornelius e Tartufello si scambiarono un’occhiata d’intesa che sfuggì a Miriam, troppo intenta a lamentarsi del principe e dei nobili. Miriam non era nobile e non era neanche tanto bella da poter interessare uno dei Telmarini arricchiti che riempivano il salone e non aveva neanche l’indole buona o dolce che le Lady tanto apprezzavano nei meno abbienti. Che cosa Miriam facesse in quella sala era un mistero per i più. Se Caspian Decimo non fosse stato tanto intento a meditare il suo suicidio probabilmente avrebbe riso con lei degli sguardi sconvolti che le lanciavano i nobili. << Che cos’ha sua altezza? >> domandò una donna sulla quarantina, con indosso un vistoso vestito rosa. << Lady Canfora. >> la salutò Lord Cornelius. << Il principe è solo un po’ stanco. >> << Oh, è davvero un peccato. >> mormorò, affranta, curvando le labbra rosse verso il basso. << Davvero un peccato. >> << Già. Sono sicura che molte delle fanciulle presenti la penseranno come lei. >> affermò Miriam. << Molte sono venute qui dalle parti più lontane del regno solo per essere scelte da lui come consorti e lui non le degna neanche di uno sguardo. Oserei dire, se non suonasse come un affronto nei confronti del nostro Sovrano, che preferirebbe sposare un centauro. >> proseguì Lady Canfora. Lord Cornelius tossì, arrossendo imbarazzato. Lady Canfora non sapeva quanto era andata vicino alla realtà delle cose. << No. Non credo. Al massimo potrebbe preferire una lontra. >> ribatté Miriam, scuotendo il capo. Lady Canfora la guardò basita. << E lei che ne sa? >> chiese la donna. Miriam sbuffò e si allontanò seccata e molto più pragmatica di Caspian decise di andare ad annegare nell’alcol, piuttosto che finire col commettere un omicidio di massa. Chissà, magari l’alcol avrebbe anche cancellato il sapore che ancora persisteva sulle sue labbra e pensare che era passata una settimana da quella sera. Quella maledettissima sera. Dirigendosi al rinfresco non si degnò neanche di lanciare un’occhiata al balcone dove si era rifugiato Caspian, era un codardo, decise; ed era anche incapace di prendersi le sue responsabilità! Era un re, lui! Non poteva permettersi di dare tanta importanza ad uno stupido capriccio. Chissà se c’erano ancora delle patate da pelare, si chiese Miriam, mentre il primo sorso di alcol le bruciava la gola, lasciando però le labbra intatte. Lord Cornelius sorrise a Lady Canfora, mentre ascoltava pazientemente le sue lamentele e le sue recriminazioni sui giovani plebei. Lui non la pensava così. Non poteva. Non dopo gli avvenimenti dell’ultimo anno. Sì. Era cominciato tutto solo un anno prima. ~oOo~ Alla fine mi sono decisa a pubblicare questa storia. E' da tanto che non mi cimento in una long e le latre beh, non hanno fatto una bella fine. Però, però penso che questa farà una fine diversa, anche se, probabilmente aggiornerò una volta ogni morte di Papa. La storia sarà farcita di personaggi nuovi che, pian piano introdurrò; è ambientata cinque anni dopo che i fratelli Pevencie hanno lasciato Narnia. Ovviamente i commenti, i criticismi e quant'altro sono ben accetti. La storia sarà sempre molto lineare, ma, per qualsiasi dubbio io sono qui. Ringrazion Gaietta per essersi sorbita i primi capitoli in anticipo. Luv ya (L). E questo è tutto, per stavolta. Ja ne - darkrin |
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1
In
cui c’è un gatto matto, un nuovo amore e un
banchetto di fiori
Alba di un nuovo giorno di primavera. Gli uccellini cinguettavano
gioiosi, i fiori cominciavano a riempire le strade anche grazie al
lavoro della fioraia bambina, come era conosciuta nei quartieri bassi.
Fiori, sole, uccellini, il cielo era ancora screziato di rosa e
arancio.
Una mattina amena. Una mattina che non aveva l’oro in bocca,
no, aveva la bellezza e la serenità in bocca.
Miriam, quella mattina si svegliò urlando.
In bocca aveva solo i peli del deretano di quel flaccido gatto nero che
aveva preso possesso di casa sua.
Il gatto in questione si scostò mormorando tra sé
e sé, offeso a morte.
Miriam, saltò in piedi con un diavolo per capello e
afferrando una sedia posta accanto al suo letto la lanciò in
testa al gatto che fuggì fuori dalla stanza, con la coda tra
le gambe.
La ragazza continuò ad ululare per tutto il tempo che
impiegò a sciacquarsi la bocca e a vestirsi.
Cosa che le prese, stranamente, il doppio del tempo che impiegava
naturalmente.
Quando si guardò nello specchio sbreccato che aveva appeso
in stanza sbuffò davanti alle pesanti occhiaie che le
segnavano il volto e ai capelli castani tagliati disordinatamente.
Legò questi ultimi con un laccio da scarpe e dopo aver
nascosto il suo bottino della sera precedente sotto al materasso,
uscì.
Il sole era già fastidiosamente caldo e del maledetto gatto
non c’erano tracce. Meglio così. Se
l’avesse visto l’avrebbe scuoiato vivo.
Era la terza volta che quella palla di pelo le faceva lo stesso
scherzo: mettersi seduto sul suo volto. Quell’idiota non
imparava proprio mai.
Quando Eleanor aveva visto Sarleon, il gatto nero meglio conosciuto
come maledettissima palla di pelo, attraversare a rotta di collo la
piazza del mercato aveva immaginato l’accaduto. Come aveva
immaginato di vedere arrivare Miriam, furiosa come una valchiria del
nord.
Eleanor aveva sorriso gioiosa.
Non vedeva l’ora che l’amica arrivasse e,
canticchiando sottovoce, aveva cominciato a preparare il suo banchetto.
Miriam non l’aveva fatta attendere troppo a lungo, meno di
due ore dopo era davanti al banchetto di fiori con un muso da funerale
e un’aurea funesta che aveva fatto allontanare tutti i
presenti.
Nessuno si sarebbe sorpreso di vederla commettere un omicidio e dopo,
sì, che ci sarebbe stato un funerale.
<< Ciao Miriam. >> la salutò
Eleanor, dietro al suo banchetto di fiori.
Aveva i capelli scuri, acconciati in una treccia morbida e gli occhi
verdi che mandavano lampi di gioia, dietro ad un orecchio aveva
incastrato una margherita.
Miriam in risposta grugnì.
<< Hai visto Sarleon? >> domandò.
<< Sì, l’ho visto correre via
terrorizzato a morte. Ma che gli hai fatto? >>
<< Che cosa gli ho fatto io? Io? >>
gridò Miriam; << Quella stupida palla di pelo
ha scambiato di nuovo la mia testa per un cuscino
su cui posare le sue chiappe puzzolenti. >>.
Eleanor nascose un sorriso divertito chinando il capo e sistemando i
fiori sul suo banchetto, già in ordine perfetto.
Era ricoperto di fiori di tutte le dimensioni e colori, sul alto destro
Eleanor aveva poi sistemato in ordine maniacale alcune corolle di
fiori. Se c’era una cosa in cui Eleanor era la migliore era
proprio nel fare corolle di fiori, aveva cominciato ad intrecciare
fiori prima di imparare a camminare, cosa che le creava ancora qualche
problema visto lo scarso equilibrio che aveva.
Miriam sbuffò, accasciandosi accanto al carretto
dell’amica.
<< Lo odio quel gatto. Un giorno di questi lo spenno.
>> affermò convinta.
Eleanor non fece notare che è quantomeno difficile spennare
un gatto non essendo, questo, dotato di piume.
<< Ieri sera com’è andata?
>> le chiese la fioraia per cambiare discorso.
<< Bene. È stata un’ottima serata.
>> celiò Miriam soddisfatta.
<< Quanti ricchi hai derubato? >>
<< Solo una decina. >> rispose Miriam
rimirando le sue mani con aria modesta.
Non lo era affatto, ovviamente, modesta. Se c’era qualcuno
consapevole del proprio valore quella era proprio Miriam, ma ricevere
complimenti era sempre un tale piacere che si divertiva spesso a
fingere il contrario.
<< Davvero? Bravissima! >> la
festeggiò Eleanor.
Miriam le sorrise.
<< E tu? Non ho visto nuovi fiori per la
città. >> affermò; <<
Che cosa ti è successo? >>.
Eleanor sorrise; estasiata, il volto tondo le si illuminò di
gioia mentre stringeva convulsamente un tulipano tra le mani.
Miriam alzò un sopracciglio mentre l’amica si
metteva a tergiversare, servendo i clienti che nel frattempo erano
accorsi.
<< Mi sono innamorata. >>
mormorò alla fine chinando il capo.
Miriam sbatté un paio di volte le palpebre poi
esalò un “Ah!”, privo di convinzione.
Eleanor la fissò seccata.
<< Dovresti essere felice per me! >>
esclamò.
Ora una precisazione è più che necessaria. Miriam
non era priva di delicatezza o di dolcezza, anzi.
Semplicemente con il passare del tempo aveva imparato a prendere con le
pinze gli eterni amori di Eleanor che, come da
programma, non duravano più di mezza giornata.
Non c’era nessuno capace come Eleanor di innamorarsi ad ogni
angolo di una piazza; nessuno in grado di dimenticare un vecchio amore
– che pure era stato un eterno amore
– con la sua stessa velocità; il tempo di andare
da un angolo all’altro della piazza e puff. Già
non esisteva più.
Se c’era un punto fermo nella vita di Eleanor non erano certo
i suoi piedi né il suo cuore, ma solo e soltanto i fiori.
E a modo loro Sarleon e Miriam.
Dunque Miriam si permise un attimo – o forse due –
d’indugio prima di sorridere all’amica, falsa come
una moneta falsa e congratularsi con lei.
<< Davvero Eleanor? Che bello! E lui che è?
>>
Le chiese infine, non per curiosità, ma perché
sapeva che era quello che l’amica voleva sentirsi dire e se
anche non avesse notato la danza che Eleanor stava facendo sul posto
per trattenere la sua aveva una certa esperienza alle sue spalle.
Eleanor riuscì a trattenersi per altri due secondi,
sorprendendo non poco Miriam, e poi esplose.
Saltò sul posto rischiando di far crollare il banchetto che
pure aveva allestito con tanta cura e impiegando tanto tempo.
Miriam fece un balzo all’indietro mentre i fiori, crollavano
miseramente al suolo in una cascata di colori. Eleanor parve non farci
caso, in una situazione normale avrebbe, sicuramente avuto una crisi di
nervi, ma in quel momento non se ne curò.
<< Allora, l’ho incontrato ieri sera. E,
l’avevo già visto, qualche volta, da lontano, ma
ieri, è come se l’avessi visto per la prima volta.
Lui era lì, davanti a me, guardava i miei fiori e io
… l’ho amato. >> esclamò
Eleanor dimenandosi come un’anguilla impazzita.
Miriam annuì, convinta, senza aver capito quasi nulla di
tutta quell’interessante faccenda.
<< Rallenta. Rallenta. Chi è lui?
>> chiese Miriam, memore di com’era finita la
faccenda con il figlio del lattaio, al solito poi, a finire nei guai
era stata lei, non Eleanor.
Miriam davvero non capiva come mai quando succedeva un qualche problema
a finirci in mezzo era sempre lei – che era solo una povera e
onesta ladra di strada – e mai quella pazza della fioraia.
Ma tant’è.
<< Ieri, mi hanno richiesto un grosso carico di fiori
quelli del palazzo reale e, ovviamente, ci sono andata subito. Era da
un po’ che stavo pensando che sarei dovuta andare da quelle
parti. È una delle poche zone della città ancora
prive di fiori. Quindi sono andata lì e mi hanno accolta con
tutti gli onori che avrebbero fatto a una signora. Mi hanno anche fatto
un sacco di complimenti per i fiori, dicendo che non ne hanno mai visti
di così belli e chiedendomi come avevo fatto a farli
crescere così belli. E io gliel’ho detto. Gli ho
detto che parlo con i fiori e loro mi ringraziano così per
le mie premure e il mio affetto. >> Eleanor prese fiato;
<< Insomma, stavo parlando con alcuni funzionari di
palazzo, tra cui il famoso Lord Cornelius – renditi conto, ho
incontrato Lord Cornelius! – quando è arrivato
lui. Tutti si sono voltati a guardarlo, con rispetto. Anche io
l’ho fatto, e l’avevo già visto,
ovviamente. Chi non l’ha visto almeno una volta, da lontano?
Ma averlo di fronte che sorride e parla di fiori è una cosa
completamente diversa! >> proseguì Eleanor.
A questo punto Miriam aveva già un brutto, anzi pessimo
presentimento ma, per uno strano istinto primordiale, si
forzò di chiedere all’amica:
<< Eleanor, lui chi è? >>
Eleanor sorrise, compiaciuta di quella domanda.
<< Re Caspian. >> celiò.
Quello fu il primo infarto della vita di Miriam che, per sua fortuna,
ancora non sapeva che da lì a poco le cose sarebbero andate
peggiorando.
~oOo~
Il ritardo stavolta
è stato più che giustificato da un problema al
polso ma non sarà sempre così. Spesso
sarò in ritardo e basta. u_ù
Sono una lumaca. Una lumaca. *canticchia*
moran92: Sono contenta che ti piaccia.
Per gli aggiornamenti... dubito di essere ing rado di aggiornare prima
di subito. u_ù
Ja ne
- darkrin
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2
In cui
c’è una ladra con una crisi di nervi e una strana
decisione
Miriam, in ordine, sbarrò gli occhi, spalancò la
bocca e rimase per una decina di minuti buoni a fissare, inebetita il
vuoto con una faccia da pesce lesso.
Anzi, da pesce lesso sorpreso.
Boccheggiò un paio di volte, sorpresa mentre Eleanor la
guardava, con le gote tinte di rosso.
Miriam in quel preciso istante si sentì molto come un pesce
braccato da un pescatore sadico.
Una sensazione a dir poco orribile.
Riuscì comunque a riprendere un minimo il controllo sulla
sua mimica facciale, così che riuscì, infine, a
stirare un sorriso stentato.
<< Mi prendi in giro? >> chiese,
già consapevole della risposta.
Infatti Eleanor scosse il capo.
<< No, certo che no. Miriam per chi mi prendi?
>> domandò scandalizzata
dall’assurda insinuazione dell’amica.
Sì, perché per la fioraia a essere assurda non
era la sua affermazione, no, ad essere assurda era la pretesa di Miriam
che lei la stesse solo prendendo
in giro quando sapeva benissimo quanto fosse importante l’Amore.
Quello con la “A” maiuscola. Quello eterno.
<< Sai, sono felice di aver capito chi è
l’uomo della mia vita. >> riprese Eleanor;
<< Però so che tra noi non potrà
esserci nulla. In fondo lui è sicuramente ancora innamorato
della Regina Susan. >>.
Se gli amori di Caspian erano come quelli di Eleanor Miriam dubitava
che il Re si ricordasse ancora il volto della Regina Susan. Figurarsi
poi esserne ancora innamorato.
Eleanor si morse il labbro.
<< Però, sai, voglio provarci lo stesso. Non
mi perdonerei mai di lasciar perdere con lui. Sarebbe come dire addio
all’amore. >> affermò.
Bene, pensò Miriam, la situazione non era tragica, no, era
apocalittica.
Eleanor, felice e gioiosa come al solito aveva cominciato a servire i
clienti, che, durante il dialogo tra lei e Miriam avevano formato una
piccola folla intorno al banco di fiori.
Miriam, accorgendosi della folla sorrise all’amica, le fece
un cenno con la mano e si allontanò.
Eleanor le sorrise per poi lasciarsi circondare dal suo lavoro. Solo da
quello e dal profumo dei fiori e dalle voci, tante voci diverse di
persone che non conosceva e non avrebbe mai conosciuto.
Che non avrebbe mai amato.
Eleanor trovava tutto ciò molto, molto triste.
Lady Canfora invece avrebbe trovato tutto ciò molto, molto
ridicolo, oltre che pietoso, squallido e tante altre cose.
Lady Canfora era una donna sulla cinquantina che aveva messo radici nel
palazzo reale da un anno a quella parte. Era stata sposata, prima.
Poi suo marito era morto in un “malaugurato
incidente” come amava definirlo lei quando andava
a vantarsene in giro e lei oltre ad un nome rinomato aveva ereditato
anche la fortuna del marito.
Il fatto che il marito in questione fosse morto poco dopo che la donna
l’aveva ritrovato con un’amante di
vent’anni più giovane di lei – e
quaranta di lui – era un dettaglio che pareva non crearle
problemi.
E perché avrebbe dovuto, d’altronde?, chiedeva
ogni volta che glielo facevano notare. Lei era innocente e non aveva
nulla da nascondere.
La donna strinse le labbra, quando vide il sovrano, Caspian Decimo, in
piedi su un balcone di pietra, con gli avambracci poggiati sulla
balaustra di marmo e lo sguardo perso nel cielo azzurro.
Trovava che gli uomini, sentimentali o non, fossero degli esseri
tremendamente idioti; l’atteggiamento del suo re era
piuttosto emblematico.
<< Sire, >> lo richiamò
dabbasso; << c’è una giovane fioraia
che chiede di voi ai cancelli. >> affermò.
Non le piaceva fare da messaggera ma, alle volte, era divertente. Come
in quel caso: vista l’espressione che aveva dipinta sul volto
la fanciulla e la depressione del re quello si prospettava un periodo
davvero divertente.
Sarleon, dopo essersi liberato dalle grinfie di una dolce gattina
bianca che aveva deciso, chissà perché, che
doveva farlo dannare seguendolo e miagolandogli con una dolcezza
melensa.
Quindi, dopo essersi liberato dell’ingombrante spasimante, il
gatto se ne torno tutto tronfio a casa.
Saltò sul faggio davanti alla finestra della camera della
sua coinquilina e saltò dentro con un balzo aggraziato. Si
leccò le zampine morbide e scese dabbasso; dalle scale
sentiva salire il gustoso profumino della carne cotta.
Entrò in cucina senza fare alcun rumore e saltò
sul basso tavolino di legno; Miriam era china davanti al camino in cui
cercava di far cuocere quel poco di carne che era riuscita a rubare al
mercato. Sul tavolo, oltre alla palla di pelo del gatto
c’erano anche delle conserve in salamoia di cavoli e un tozzo
di pane raffermo.
<< La carne è per me, vero? >>
domandò il gatto, dando un colpetto disgustato al vasetto di
cavoli.
La ragazza si voltò di scatto, fulminando con lo sguardo
l’animale.
<< No. Se volevi della carne potevi catturare un topo.
>> ringhiò.
<< Ma che cosa disgustosa. >>
affermò Sarleon; << Proprio da bestie.
>> .
<< Appunto. >> affermò lei,
prendendo la carne e posandola sul tavolo.
Diede una pacca sul muso del gatto che si era avvicinato per rubarle la
cena.
<< Ah-ah. Non ci provare. >>
esclamò.
L’animale sbuffò.
<< Se continui ad essere così acida non
troverai mai marito. >> notò, scendendo,
sdegnato dal tavolo, rubando un pezzo di pane.
<< Non sono fatti tuoi, stupida bestia. >>
ribatté lei, seccata.
Le fiamme nel camino scoppiettavano, piegandosi come giunchi,
lì accanto erano accatastati dei ciocchi di legna: troppo
pochi, pensò Miriam.
Doveva rimboccarsi le maniche prima dell’arrivo
dell’Inverno, decise. Tanto non aveva niente di meglio da
fare in quel periodo: Eleanor era persa nella sua improvvisa follia,
Sarleon, pazzo, lo era sempre stato, quindi…
<< Comunque le gatte in calore sono insopportabili. Si
strusciano addosso a tutti. Insomma, io non sono un gatto.
>> esclamò.
Miriam aveva già smesso di ascoltarlo e sbadigliando si
stava dirigendo verso la stuoia che le faceva da letto mentre Sarleon
continuava a lamentarsi.
Cornelius sospirò, seguito a ruota da Tartufello.
<< Certo non era una nobile ma sarebbe stata meglio di
niente, no? >> domandò l’animale;
<< Era anche piuttosto carina. Sembrava molto dolce.
>>
<< C’era da aspettarselo; ma perché?
>>.
<< Perché non è lei.
Come sempre. >> affermò l’uomo.
<< Che peccato, però. >>
mugugnò Tartufello.
<< Già. Davvero un peccato. >>
~oOo~
Per
prima cosa perdonate il ritardo ma questi ultimi capitoli mi hanno
fatto un pò penare, non tanto per la stesura in
sè ma perché da brava Babba sono andata a
rileggermi il Viaggio del Veliero per prendere un pò
d'informazioni e ... le mie certezze sono crollate. Perché
ho una memoria così pessima, eh? Perchè? T_T
Ho passato diverso tempo ad arrovellarmi su questo dubbio amletico
finché non sono giunta alla decisione che da ora in avanti a
meno che io non venga posseduta dall'angst questa storia non
seguirà affatto le indicazione del padre delle Cronache di
Narnia.
Quindi, voi puristi delle serie –
perché lo so che siete lì, da qualche parte
– se la cosa vi crea problema chiudete la pagina ora.
u_ù
Mentre sono più che
accetti consigli per gli OC. Odio le Mary Sue e i Gary Stue.
FragolsContagious:
Grazie mille e ... sono qui e ho aggiornato. La prossima volta prometto
che farò attendere di meno miei nuove. Sono molto felice che
Miriam ti piaccia, comunque, sappilo. ^^
- darkrin
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
In cui il destino si
mette in moto e manda, volutamente, tutto in pezzi
Il sole era alto, molto alto e molto caldo, quel giorno.
Due uomini stavano lavorando in giardino: tagliavano, potavano, davano
forma ai cespugli, raccoglievano i frutti.
Lavoravano, insomma.
Miriam trovava faticoso solo guardarli. Con quel caldo, poi…
Sbuffando attirò uno dei due con un gesto della mano. Non
era mica andata fino a lì solo per guardare due uomini
nerboruti lavorare.
Il pensiero del motivo del suo spostamento la fece rabbrividire; Miriam
non “lavorava” mai vicino al palazzo reale, troppe
guardie, troppi rischi, poco guadagno.
Il fatto che lì abitasse sua altezza aveva fatto
moltiplicare la sorveglianza e non solo quella. A Miriam, poi, non
piaceva affatto il Re; trovava che fosse un’idiota che voleva
comportarsi da Eroe nella vita reale.
Aveva avuto i suoi mesi d’avventura e ora cercava in tutti i
modi di riviverli o di sognarli. Era un’idiota.
Il comportamento che aveva tenuto in quella situazione
gli faceva prudere le mani dalla voglia di prenderlo a schiaffi. Al
diavolo le guardie, la sorveglianza e anche i giardinieri nerboruti!
Sbuffò, il sole la faceva sudare e la lunga gonna beige
dell’abito che indossava si appiccicava alla pelle.
Niente corpetti e trine e merletti, non era una nobile lei e
più i suoi vestiti erano sciupati e incolori meno la
notavano, e questo era un bene.
A raggiungerla fu un omino piccolo e basso che le disse con fermezza:
<< Sua Altezza non può riceverla. Non ha tempo
da perdere con tutti i plebei che vengono a chiedere
l’elemosina alla sua porta. >>
Il palazzo reale era cinto da una grande muraglia che culminava in un
ponte levatoio dotato di una possente grata. Un tempo, il cortile
interno era un semplice spiazzo di pietra scura e dura ora era
costeggiato, oltre che dalle postazioni per gli arcieri, anche da
rigogliosi alberi da frutto e cespugli a cui Lord Cornelius aveva
imposto di crescere per conto del Re.
Miriam diede un’ultima occhiata a quel luogo, prima di girare
sui tacchi e tornare per la sua strada che la portò lungo
stradine buie, giù, verso la parte bassa della
città.
La parte che, in caso di attacco sarebbe stata la prima ad essere
colpita e messa a ferro e fuoco dai nemici.
Ovviamente a cadere per primi erano sempre i migliori.
Sarleon si strusciò delicatamente contro Eleanor, che stava
seduta su una delle mura della città con le gambe nel vuoto.
Indossava un leggero abito azzurro e i capelli scuri erano acconciati
in una treccia morbida.
Strappò l’ennesimo petalo alla margherita che
stringeva tra le mani e lo lanciò nel vuoto; il petalo si
unì ai fratelli che volteggiavano leggiadri
nell’aria, ondeggiando verso il suolo, metri e metri
più in basso.
Tirò su con il naso, come i bambini, e carezzò la
schiena del gatto che fece un vero di apprezzamento salvo poi, storcere
il naso subito dopo per il suo comportamento da animale.
<< Eleanor, tesoro, ti senti meglio? >>
chiese.
<< No. >> si lamentò lei con gli
occhi arrossati.
Assolutamente no.
La notte buia era arricchita dalla presenza di centinaia di stelle,
piccoli astri che rilucevano impreziosendo il manto celeste.
Una persona con un animo anche solo vagamente più romantico
del suo avrebbe di certo apprezzato la vista dei torrioni e dei
baluardi del palazzo reale illuminati dalla luna.
Lei non ci fece neanche caso, scivolando, ombra tra le ombre, lungo le
possenti mura e poi oltre le sentinelle poco vigili del cancello
secondario, destinato al passaggio delle vivande e dei servitori.
Era una porticina piccola – in confronto alle imponenti
dimensioni del cancello ufficiale – che immetteva nel cortile
antistante alle cucine.
Nelle cucine c’era un forte odore di carne e spezie e tanto,
tanto rumore, oltre a un gran calore di forni e corpi umani.
Un calore quasi fastidioso, pensò Miriam, in mezzo a quella
folla che le chiuse lo stomaco: odiava non essere libera di muoversi
come voleva e lì doveva fare attenzione a non farsi notare e
a non creare incidenti.
Anni o anche solo mesi dopo, avrebbe pensato a quella sera come
all’inizio di tutto: della sua dannazione e di
qualcos’altro ma in quello momento i suoi pensieri erano
tutti concentrati sul suo obbiettivo.
Non c’era tempo per gli indugi – non che Miriam
fosse abituata ad indugiare, o anche solo a pensare, prima di agire.
Obbiettivo che, in quel preciso istante, era seduto nella stanza di
Lord Cornelius con un calice, vuoto, in una mano e l’altra
posata sulla fronte che pulsava dolorosamente.
Aveva un mal di testa lancinante che l’aveva colto quella
mattina, appena si era alzato dal letto e l’aveva torturato
per tutto il giorno, impedendogli di svolgere i suoi incarichi come
avrebbe dovuto.
<< Ecco, sua altezza, prendete questo, andate a coricarvi
e domani vedrete che starete meglio. >>
affermò Cornelius passando a Caspian Decimo un bollente
infuso di erbe.
<< Ti ringrazio. >> mormorò
questi, disperato.
<< Questo e altro per il mio Sire. >>
Caspian fece un sorriso tirato, alzandosi dalla sedia su cui si era
abbandonato per dirigersi, faticosamente nella sua stanza.
Quella era stata, decisamente, una giornata da dimenticare e
l’unica cosa che voleva era chiudere gli occhi il prima
possibile.
Ancora non sapeva che la sua giornata era lungi dall’essersi
conclusa e che il peggio non era ancora passato.
Mentre lo guardava uscire e avventurarsi per i corridoi bui Lord
Cornelius sorrise tristemente.
A guardare quel giovane, da solo in
quell’oscurità, sembrava che laddove lo zio e la
guerra avevano fallito, la solitudine, che si portava addosso come un
vanto, sarebbe riuscita.
Tornato in camera Caspian si accasciò sul pavimento:
d’un tratto il letto a baldacchino gli sembrava troppo
lontano e troppo grande e troppo caldo, soffocante.
E poi, improvvisamente, quel rumore.
Il rumore di qualcosa – il destino? La
quotidianità? Il suo cuore? – che va in frantumi:
un sonoro Crack che spezzò il pesante silenzio della stanza.
Per capire, però, cos’è stato a
spezzarsi, davvero, bisogna fare un passo indietro e tornare a
dov’era stata lasciata Miriam.
La ladruncola in questione stava vagando per la cucina con lo stomaco
chiuso e la voglia di scappare da tutto quel calore che
l’avvolgeva e la soffocava.
Voleva l’aria fredda della notte, la libertà di
movimento e desiderava, sempre di più, prendere a calci il
suo beneamato sovrano Caspian Decimo.
Oh, non desiderava altro.
Solo per quello si stava sottoponendo a tutte quelle torture.
Solo per quello.
Continuò a ripetersi per sconfiggere quello che, lei non
poteva saperlo, era un attacco di claustrofobia.
Quando finalmente riuscì ad uscire dalle cucine si
accasciò contro la parete di pietra del gelido corridoio in
cui si era trovata, cercando di riprendere fiato.
Quando sentì il cuore smettere di martellarle in petto si
rimise eretta, come una regina.
Miriam era così, neanche se ne accorgeva, ma nascosto sotto
strati d’indecenza di abiti sformati le sue spalle il suo
portamento era quello di una nobildonna. Decaduta, ma pur sempre una
nobildonna.
Era stato il nonno ad insegnarglielo: “Miriam,
schiena dritta, testa alta, pancia in dentro. Così. Brava
bambina. Cammina così.”.
Questo, come tante altre cose, Miriam non se le ricordava
più, Sarleon a volte nominava persone scomparse per farle
tornare la memoria e lei lo cacciava con un calcio ben assestato e con
un: “Stupido. Non
ho tempo per pensare al passato. Ho troppo da fare con il presente!”
Come in quel momento, la sua mente era, totalmente, catturata da un
pensiero fisso: la sua meta.
Per questo avanzava con la testa alta e guardandosi intorno in modo
quasi febbrile.
Miriam detestava cordialmente le cameriere di palazzo, trovava che il
loro lavoro fosse terribilmente ingrato e che non avrebbero dovuto
accettarlo, eppure quella sera si ritrovò a ringraziare due
cameriere più civettuole della media che, ridacchiavano,
poco più avanti di dove si trovava lei,
nell’oscurità.
<< Questa è la camera di Sire Caspian.
>> mormorò una; << Sai, una
volta sono entrata mentre si stava vestendo…
>> uno scoppiò d’ilarità
imbarazzata le mozzò la frase.
<< E non ti ha cacciata? >>
<< Oh, no. E’ un Sire buono, lui. Oltre che un
bell’uomo. >>
<< Sai, pare che a volte vada a trovare alcune delle
ragazze delle cucine. >>
<< Nooo! Che invidia! >> esclamò
l’altra, sconcertata.
Miriam storse il naso erano idiote, oltre che sfortunate, ma almeno
aveva trovato la camera del re.
Si piazzò davanti alla porta di legno, cercando di calmarsi
e aspettando che le due civette sparissero dietro l’angolo.
Si chinò e prese in mano lo stiletto che portava sempre
legato alla coscia destra, per ogni eventualità.
Prese un ultimo respiro profondo e spalancò la porta: per
sua fortuna il sovrano di Narnia non era ancora tornato dalla sua
visita a Lord Cornelius o, molto probabilmente, Miriam gli sarebbe
caduta addosso, ma questo lei non poteva certo saperlo.
Si chiuse la porta alle spalle, senza far rumore e, dopo essersi
abituata all’oscurità; si guardò
intorno alla ricerca di Caspian.
L’ampia finestra era priva di tende e la luce della luna che
filtrava dall’ampia finestra illuminava l’ampia
stanza da letto, riccamente adornata.
In attesa della sua vittima Miriam cominciò a curiosare per
la stanza, toccando gli oggetti, soppesandoli, scrutandoli,
accarezzando la stoffa delle poltrone o del baldacchino rosso,
strusciando i piedi sui tappeti che coprivano l’intero
pavimento, come una bambina curiosa. E, stranamente, non era in cerca
di nulla da rubare. Voleva solo… capire
quel re racchiuso in un dolore che lei non riusciva a concepire.
Chiaramente questo non le avrebbe impedito di pestarlo a sangue, dopo.
Posò lo stiletto sopra al camino accesso, e quello rimase
lì, beffardo, in attesa del momento giusto per entrare in
azione.
Infine, scivolò accanto alle tende strappate e
appallottolate sul pavimento. Chissà se era stato Caspian
…
Si chinò a carezzare la scura stoffa ruvida con le mani
piccole e svelte, mordicchiandosi il labbro inferiore. Si
scostò una ciocca biricchina di capelli e si
rialzò, colta, improvvisamente da un orrendo dubbio.
<< E se è andato a trovare una delle ragazze
delle cucine? >> domandò alla stanza,
prendendo in mano una strana sfera di vetro e giocherellandoci.
<< Io lo uccido. Ma che modo è questo? Mandare
così a monte i piani della gente! Ma chi si crede di essere?
Ho pure perso una serata di onesto lavoro per venire qui, oggi!
>> si lamentò con sé stessa.
In quel preciso istante sentì il rumore della maniglia che
si piegava e della porta che cominciava ad aprirsi, rapida come non
mai, si ranicchiò dietro l’alto schienale di
un’elegante poltrona e attese.
Se Caspian gli si fosse avvicinato avrebbe potuto lanciargli la palla
di vetro in testa, visto che non aveva con sé il suo
stiletto.
Dannazione, però!
Ma Caspian non si mosse, Miriam aveva sentito distintamente la porta
chiudersi ma non c’era più nessun rumore, se non
quello di un respiro pesante e affannato, lontano da lei.
Chiuse gli occhi e si ingiunse la calma.
Poi, lentamente, si mise in ginocchio e spiò oltre lo
schienale della poltrona.
C’era una figura, accasciata, contro la porta, con la testa
abbandonata contro il legno e le ginocchia piegate.
La ragazza sibilò un’imprecazione e si
abbassò, di nuovo, per non farsi vedere, così
facendo, diede però un colpo a un mobiletto accanto a lei,
dove si trovava in bilico una porcellana che, a causa
dell’urto, cadde dal sostegno e rotolò fino a
terra.
Dove si infranse.
Con un crack.
Crack.
Oh merda!
~oOo~
Perdonate il ritardo. Però almeno dovete riconoscere che il
capitolo è un pò più lungo del solito.
Lo so che è ben poca cosa ma qui si fa il possibile,
nonostante i vari (ed eventuali) impegni. Quindi perdonatemi. <3
Passando ai commenti (quando vi amerò io, eh? Quanto vi
amerò? <3):
Sakuragi92: è vero che ho
detto che la storia non seguirà i fatti reali ma dubito
fortemente di far tornare Susan, non per altro, ma perché mi
sembra un fatto troppo ireale, forzato. Ed è vero che la
canzone The Call dice quello che dire, ma il sottotitolo della storia
è proprio: "A volte bisogna saper dire addio", non a caso.
FragoIsContagious: grazie mille, cara. XD
Sapere che i personaggi, risultino simpatici ai lettori è
davvero molto importante, per me.
carlottina: grazie mille. ^^ Per il
tenero, staremo a vedere. Per ora l'istinto è più
quello di ammazzarsi a vicenda, ma tutto è possibile, no? XD
giulia90: ciao Giulia, grazie mille per
il commento. ^^ Io tutto questo successo di Miriam non lo capisco
– anche se mi fa davvero molto piacere <3.
Però, gente, la fanciulla è da ricovero, vi
avverto. E andrà anche peggiorando. XD
- darkrin <3
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