Non posso... Proprio non posso...

di SabrinaSala
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non posso... Proprio non posso... ***
Capitolo 2: *** Per amore... Solo per amore ***
Capitolo 3: *** Ti amo, Oscar... Ti ho sempre amata ***
Capitolo 4: *** Io, lontano da te, chi sono? ***
Capitolo 5: *** Tenebre ***
Capitolo 6: *** Domande e risposte ***
Capitolo 7: *** La Fille Rouge ***
Capitolo 8: *** Il Cavaliere Nero ***
Capitolo 9: *** André! ***
Capitolo 10: *** Dimmelo, Oscar... Dillo! ***
Capitolo 11: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 12: *** Pensieri e Parole ***
Capitolo 13: *** Tensione ***
Capitolo 14: *** La divisa strappata ***
Capitolo 15: *** Ferite ***
Capitolo 16: *** Il mondo addosso ***
Capitolo 17: *** Rivoluzione ***



Capitolo 1
*** Non posso... Proprio non posso... ***


N.B. Questa storia, nata come ONE SHOT, si è appena trasformata in una "LONG". Ringrazio chi mi ha invitata a continuarla e a mettermi ulteriormente alla prova! Di seguito, trovate inalterata la nota introduttiva e il testo del primo capitolo: "Lo avevo promesso, a chi legge i miei soliti "MISSING MOMENT" che nulla tolgono e nulla aggiungono alla trama originale, che ci avrei riprovato... avrei riprovato con un "WHAT IF" e così è stato! Dopo SOLDATO BLU e NON FERMARTI... Ecco questa prova, più difficile del previsto perché AMO Oscar nella sua femminile mascolinità, nella fase dell'uniforme BLU. Qui entrano in gioco altri fattori..." 
Buona lettura e grazie ad AMANTEA che mi ha spronata a provarci!


"Non posso... Proprio non posso..." 



La carrozza procedeva a sobbalzi, togliendole il fiato. Il corpetto troppo stretto le disegnava spietatamente ossa e forme che non si era mai nemmeno accorta di avere. Ma niente era paragonabile al groppo che le serrava la gola… Inutile cercare di distrarsi fissando lo sguardo sulle ombre che sfilavano davanti al finestrino, come informi soldati in parata.
La pelle esposta, profumata e candida, gli orli fastidiosi dell’abito scollato, il collo scoperto e il peso di quel fermaglio che le fissava i capelli in alto, sulla nuca, celebravano sfacciatamente quel momento e la decisione presa. Deprecabile, forse.
Oscar piegò le labbra in un sorriso di scherno rivolto esclusivamente a se stessa, mentre le guance si imporporavano involontariamente.
Sciocca ragazzina! Pensò, denigrandosi.
Batté le palpebre un paio di volte. Sorprendendosi di quel gesto così naturale ma  che non le apparteneva. Un’ombra di imbarazzata timidezza trasformò il suo sorriso in un’espressione incredula. Dov’era finita la sua cara, vecchia Oscar, quella sera? L’inflessibile e razionale comandante delle Guardie Reali? Giocò un poco con la cucitura di un guanto, tormentando la punta di un dito. Poi sollevò lo sguardo e lo rivolse al finestrino, sfiorando con la fronte il panneggio morbido della piccola tenda di damasco.
Concentrandosi, riuscì a cogliere il proprio riflesso nel vetro. Fissò quegli occhi trasfigurati da un’eccitazione febbrile. Occhi di donna, constatò caustica. Occhi desiderosi e ansiosi di vederlo. Di piacergli. Di conquistarlo. A discapito di lei… la Regina.  
Quel pensiero la turbò, poi una sensazione nuova e sconosciuta le scaldò le viscere e gustò il piacere intenso della competizione, quella femminile, e il suo riflesso vibrò di una luce nuova. Una sicurezza insolita mista ad un moto di ribellione.
Scacciò con irritazione il pensiero di lei, della sua Regina. Lei che non si sarebbe presentata quella sera. Lei che non avrebbe dovuto indugiare in quella relazione clandestina, mettendo a repentaglio non solo la propria famiglia ma l’intera Francia…
Aveva deciso di non pensare, Oscar. Di non pensare a lei, quella sera e al giuramento prestato per servirla, sempre e comunque, con onore, fedeltà e rispetto. Quale rispetto aveva Oscar, quella sera, per la sua Regina? Quale fedeltà, se vigliaccamente aveva deciso di prendere il suo posto nel cuore dell’unico uomo che pensava avrebbe mai potuto amare? Quale onore poteva esserci in tutto questo?
Distolse lo sguardo dal volto pallido della sconosciuta che la fissava impunemente. Strinse le mani abbandonate in grembo. Serrò le labbra.
Perché sentirsi in colpa? Maria Antonietta non avrebbe dovuto amarlo… lei sì. Lei avrebbe potuto…
Perché non prendersi quel poco di felicità, allora? Una sera, una soltanto… Perché reprimersi e nascondersi ai suoi occhi, a quegli occhi color del  mare in tempesta? Un nuovo sobbalzo accompagnò il languore, dolorosamente piacevole, che la investì nel rievocare il suo sguardo. Abbassò le palpebre. Sorrise. In fondo, cosa stava facendo di male?
Eppure l’imbarazzo si profuse su tutta quella sua pelle esposta, colorandola di un rosso intenso. Decise ancora una volta di non pensare... e forse sarebbe passato tutto.
Si volse di scatto, ancora verso il finestrino. Evitò di mettere a fuoco il riflesso di quell’estranea bionda. Contò le ombre. Ascoltò la cantilena cigolante delle ruote che macinavano la strada. Poi un sobbalzo, l’ennesimo, e la carrozza si fermò.
Il silenzio della notte si impadronì dell’abitacolo. Il buio le scivolò addosso, pesante. Oscar attese pazientemente che la vettura si rimettesse in movimento. Ma l’attesa fu vana. Afferrò le gonne, ingombranti e sciocche, e si sporse fino a spalancare la porta con un gesto secco e indispettito.  
«André! » richiamò sferzando l’aria con la sua particolare voce roca «André! » ripeté senza ottenere risposta.
Una pessima idea! Ecco cosa era stata. Una pessima idea, si rimproverò.
André non avrebbe dovuto accompagnarla, quella sera. La sua presenza non era affatto indispensabile.
Mostrarsi in abiti femminili ai suoi occhi, abituati a pantaloni, stivali e  camicie, era stato il primo errore!
André l’aveva penetrata con quel suo sguardo irriverente e sornione, annientandola, spazzando via in un battito di ciglia la sua ostentata sicurezza, fragile come il più sottile bicchiere di cristallo.  Ma in fondo, cosa poteva aspettarsi da lui?  Dal compagno di giochi e di bevute, da chi le era cresciuto accanto vedendo solo un amico, un soldato, l’erede perfetto della famiglia Jarjays… dimenticandosi che sotto quella maschera batteva il cuore di una donna. Una donna innamorata…
Cosa poteva saperne André? Erano cambiati, erano cresciuti… condividevano ancora quasi tutto, ma non più “tutto”… Certo non poteva aspettarsi che la comprendesse, adesso. Non poteva aspettarsi la sua complicità… Che dimenticasse il ragazzaccio sdraiato sull’erba al suo fianco, intento a  riprendere fiato dopo l’ennesima scazzottata, e si complimentasse con lei, imbarazzata statuina di gelido marmo, per la prima volta fasciata da un elegante abito da sera. Inaspettata apparizione in cima a quelle scale che tante volte avevano percorso insieme, scivolando sulla balaustra.
Imbarazzo. Ecco cosa aveva provato, Oscar, di fronte a quegli occhi. La prova più difficile. Tutto il resto, con tutti gli altri, sarebbe stato facile… non così con André. Non gli doveva spiegazioni, comunque. E non gliene diede.
Negando la propria vergogna, addebitando l’irritazione al suo comportamento, lo aveva congedato ritrovandolo poi inaspettatamente in cassetta.
«Ti accompagno io» le aveva detto, grave.
Gli aveva semplicemente lanciato un’occhiata altezzosa e quando lui aveva abbassato lo sguardo, stemperando l’atmosfera con quel suo dannato sorriso disarmante, era salita in carrozza convinta che quello sarebbe stato il secondo errore della serata.
Ora, la carrozza era ferma là dove non avrebbe dovuto trovarsi. In un punto imprecisato sulla strada che conduceva a Versailles, a ridosso di un canale placido e quasi silenzioso. E di André nessuna traccia.
Oscar lasciò l’abitacolo.  L’aria fresca della sera le sfiorò le braccia nude, scivolandole sul collo, le spalle e il seno stretto nel corsetto. Le scarpette da ballo la destabilizzarono. Ritrovò l’equilibrio e lo vide, André.  
Ammantato dall’oscurità, il suo profilo le apparì chiaro. Lo conosceva così bene che non sarebbe stato possibile confondersi. Seduto incomprensibilmente sul ciglio erboso, le gambe piegate, un braccio appoggiato al ginocchio e una mano alle labbra. Inconfondibile. Oscar credette di vedere anche il filo d’erba con il quale si divertiva a emettere un suono stridulo e familiare.
«André» mormorò rasserenata da quell’immagine, eppure sulle spine.
L’attendente si volse, lentamente, fino a sfiorare la stoffa della giacca con la guancia per guardarla.
«E’ una bella serata, vero Oscar? »
Oscar serrò le labbra. Perplessa e infastidita.
«E’ per questo che ti sei fermato, André? » lo canzonò aspramente. «Riprendi il tuo posto e andiamo. Non voglio fare tardi. Lo sai che non lo sopporto» lo esortò seccamente, voltandogli le spalle, pronta a salire in carrozza.
«No»
Oscar s’irrigidì, fermandosi. Sgranò gli occhi. Girò appena la testa.
«Cosa hai detto, André?» la sua voce roca era già vibrante di collera e la sua espressione contrastava visibilmente con l’elegante abito da sera.
André si alzò lentamente. La guardò. Fermo sul ciglio della strada. Eretto in tutta la propria possente figura d’uomo.
Un filo di luce dorata, un riverbero forse dell’acqua sottostante il viale, metteva in risalto il profilo ampio delle spalle, i fianchi snelli, le lunghe gambe tornite.
«Hai sentito bene, Oscar» confermò l’attendente. Lo sguardo fisso sulla figura sinuosa della padrona in collera. «Ho sempre obbedito a ogni tuo ordine…» scandì con fermezza. «Ma non questa sera, Oscar… Non adesso»
Oscar si volse, in tutta la sua collerica fierezza ma non fece in tempo a ribattere.
André le afferrò prima un polso poi l’altro. Stringendoli entrambi e trascinandola verso di sé, ottenne di ritrovarsela addosso.
«Non  posso portarti da lui, proprio non posso…» mormorò dolorosamente, sfiorandole i seni con il fiato caldo. «Non chiedermi questo» gemette fissandola negli occhi, abbassando leggermente le palpebre sulle iridi verdi, torbide di desiderio inespresso «Non farlo, Oscar…». Lasciò libero uno di quei polsi sottili e portò la mano alla sua nuca, cingendola con la più dolce e più ferma delle carezze.
Oscar fu percorsa da un brivido. Tentò istintivamente di ritrarsi. Ma lui la trattenne. Forte. Certo che si sarebbe pentito di quel che stava facendo. Deciso a non perderla. Cercò e sigillò le sue labbra con un bacio ardente. Incredulo e pago. Mentre un gemito e un fremito passavano dalle sua bocca affamata a quella di lei, così tenera e dolce. Inaspettatamente docile e poi pronta a irrigidirsi e a respingerlo, solo un attimo dopo. Allargò le dita che le trattenevano la nuca e assicurando meglio la presa le impedì di scacciarlo. Le portò il braccio dietro la schiena e la cinse tenendola stretta. Impedendole di fuggire. Perché sarebbe fuggita, Oscar. La conosceva…
Inebriato dal suo profumo, vinto da quella pelle morbida e vellutata, soggiogato da quelle labbra desiderate fino allo spasimo, faticò a frenarsi. Eppure lo fece.
Soffocò un gemito e lasciò la sua bocca. Sollevò il mento e si portò Oscar sul cuore. Indugiò in quella stretta, respirando il profumo dei suoi capelli, poi posandovi le labbra in un bacio leggero.
La sentì fremere, la sua Oscar. Recalcitrante e furiosa.
Aumentò l’intensità di quell’abbraccio, aderendo al suo corpo perfetto.
«Voglio che tu sappia una cosa, Oscar…» le mormorò tra i capelli «Io non ho bisogno di un vestito per amarti»
Si staccò da lei, lentamente, calcolando ogni mossa, ogni passo. Fino a mettere tra loro la giusta distanza. Non lo avrebbe raggiunto, se avesse deciso di colpirlo, si disse. Ma non sarebbe stata così lontana da non poterla riprendere, se fosse fuggita.
«Adesso, se vuoi, possiamo andare» mormorò, sogguardandola calmo, incredibilmente calmo.
Oscar abbassò repentinamente lo sguardo. Il respiro corto. Le labbra dischiuse. Immobile dove lui l’aveva lasciata. Poi gli voltò le spalle. Raggiunse la carrozza e svanì al suo interno.
André inspirò profondamente. Serrò le mascella e la seguì, passando accanto alla porta rimasta aperta.
Afferrò lo sportello, pronto ad assolvere al proprio compito di servitore attendente.
«Portami a casa» fu il roco bisbiglio di lei. Inatteso e incolore. Capace di fargli esplodere il cuore di entusiasmo e terrore.
Annuì. Assicurò lo sportello e salì incespicando in cassetta.
Non sapeva cosa sarebbe successo, una vola a Palazzo Jarjayes, ma non gli importava.  Euforico, avrebbe voluto tornare a terra, entrare in quella carrozza e baciarla. Ancora e ancora. E poi stringerla e assaporarla come desiderava da sempre. E farlo ora, che priva della sua corazza si offriva ai suoi occhi come la donna che era.  Ma non lo avrebbe fatto. Non si sarebbe azzardato, pago al solo pensiero di ricondurla a casa.
Nell’abitacolo di quella stessa carrozza, immersa nel silenzio e nel buio di quella notte strana, Oscar avvertiva una spossatezza irreale mentre tutto, attorno a lei, girava e le offuscava la vista. Si arrese, lasciandosi andare contro lo schienale morbido della seduta. Le palpebre socchiuse, le labbra serrate, il respiro accelerato. Una grossa lacrima calda si impigliò tra le ciglia. La sentiva, la accusava.
Piangere… A cosa sarebbe servito, piangere? E perché poi?
La ragazza, incosciente e sfacciata di pochi istanti prima, si era infranta inaspettatamente sulle labbra di un uomo che non aveva mai nemmeno considerato tale.
Con un gesto secco, si liberò dell’acconciatura e i capelli le ricaddero rassicuranti sulle spalle. Sfilò i guanti e li gettò contro la parete di fronte, in un gesto di stizza che voleva dire tutto e niente. Guardò con astio le pieghe dell’abito da sera. Si alzò, mantenendosi faticosamente in piedi, sollevò i pugni e li abbatté contro la parete, innocente barriera tra lei e l’uomo in cassetta, tempestandola violentemente una, due, tre volte.  Poi, riconoscendo la stupidità di quel gesto, si lasciò finalmente cadere sul divanetto, appoggiando la fronte al panneggio della tenda di damasco.
“Accidenti a te, André”, mormorò a fior di labbra, gli occhi dilatati dallo sgomento “Accidenti a te”.
Il conte Hans Axel di Fersen, era, in quel momento, l’ultimo dei suoi pensieri…


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Capitolo 2
*** Per amore... Solo per amore ***


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Capitolo 2 – Per amore… Solo per amore
 

Con un balzo fu a terra. Non esitò nemmeno un momento. Nessun indugio.
A cosa sarebbe servito? Il tempo trascorso in cassetta, lungo il tragitto che dalle sponde del fiume li aveva ricondotti nel cortile di palazzo Jarjayes non aveva che rafforzato le sue convinzioni.
Oscar ora sapeva e lui, André, non avrebbe fatto un passo indietro.
Che reagisse come meglio credeva, la sua cara amica d’infanzia. Era arrivato il momento, per entrambi, di dismettere i panni dei ragazzi per scoprirsi finalmente uomini... Uomo e donna, per la precisione.
Avrebbe sorriso, André, a quella constatazione, in circostanze diverse e se un affilato silenzio non lo avesse investito non appena aperta la portiera della carrozza.
Non un fiato, non una parola. E, cosa ancora più difficile da accettare, non uno sguardo.
André inspirò profondamente. Deciso a non lasciarsi intimorire. Non questa volta.
“Puoi fare e dire tutto quello che vuoi, Oscar” pensò seguendone con lo sguardo l’algida figura snella attraversare il cortile e salire lentamente, uno dopo l’altro, i gradini che l’avrebbero condotta all’entrata. “Ma niente potrà cambiare quello che hai scoperto stasera”. Serrò le labbra, ritrovandovi una traccia di lei. Forse solo  illudendosi di ritrovarvi il suo sapore. “Cosa c’è, Oscar?” pensò ancora,  gli occhi verdi, ingordi incollati a  quelle spalle candide, nascoste una volta di più dai lunghi capelli biondi. “Non hai il coraggio di affrontarmi, stasera? Pensi di umiliarmi, con il tuo silenzio, Oscar?”
Afferrò le redini e serrò la mano a pugno. Perché sorprendersi? Era così che affrontava le cose, quando la si metteva alle strette, in fondo… Con il silenzio, voltandogli le spalle o con una scazzottata.
Con un gesto secco, strattonò i cavalli perché lo seguissero verso la stalla. Li ammansì con un cenno del capo e la voce roca e profonda che conoscevano bene.  
Davvero avrebbe desiderato un confronto? Con lei? Quella sera? In quel preciso momento?
André sogguardò la ghiaia disseminata lungo il tratto di strada che lo separava dalle scuderie. Girò con lo sguardo attorno ad ogni minuscolo sasso. Analizzò quello strano torpore. E l’irritazione si sciolse nuovamente in eccitazione.
Sì, fu la risposta. Sì.
Quella sera si sentiva invincibile.
E per una sera, quella sera, non era di Oscar che si preoccupava. Ma di se stesso e dei propri sentimenti. Come se quell’uscire allo scoperto gli avesse trasfigurato l’anima. L’avesse reso forse un po’ più egoista. Ma diamine, che male c’era a essere un po’ egoisti se si era certi di volere solo il bene dell’altro? Perché era questo che voleva, che desiderava con tutte le sue forze… che aveva sempre desiderato. Il bene di Oscar! E il conte Hans Axel di Fersen, pensò serrando le labbra, il bel conte svedese amante della Regina di Francia non poteva essere il bene di Oscar…
Si sfilò la giacca e gettandola sullo steccato di fronte alle scuderie, liberò i cavalli e sistemò la carrozza. E una volta adempiuto il suo dovere, cercò un angolo del fienile e vi si buttò, incurante degli abiti da sera.
Un persistente formicolio gli divorava il petto, le spalle, il collo e poi giù fino alle gambe, passando per l’inguine. Sapeva esattamente qual era il motivo di quella eccitazione. Non era ancora riuscito a liberarsene e non era nemmeno certo di riuscirci. Non subito, almeno.
 Se un solo sguardo di Oscar lo stordiva e disorientava, stringerla finalmente tra le braccia lo aveva reso folle. Estasiato. Ubriaco.  
Sorrise ancora e questa volta di un sorriso malizioso e suadente. Si portò le mani al volto e vi nascose le guance accese e il respiro affannato.  
Si sollevò di scatto. Un paio di falcate decise  e trovò il secchio con il quale aveva abbeverato i cavalli e dove una sottile falce di luna si rispecchiava placida sul pelo dell’acqua. Lo afferrò con entrambe le mani e sollevandolo sopra la testa se lo rovesciò addosso.
L’acqua fredda gli percorse rapidamente il corpo, dalla testa ai piedi, solleticandogli il collo e carezzandogli il petto, scivolando implacabile sui lombi e sul ventre, inducendogli uno spasmo improvviso, impregnando la stoffa della camicia e dei calzoni che gli si appiccicò addosso.
Rise sommessamente. Pazzo! Pazzo come un cavallo, pensò.
Poi tornò a stendersi, le braccia dietro la nuca.
Socchiuse le palpebre alla luna, avvertì il battito accelerato del cuore e si voltò di scatto, incontrando il tocco ruvido del fieno sulla guancia ancora umida e il suo sapore aspramente dolciastro.
Oscar! pensò.
Allungò un braccio e affondò la mano nella paglia bionda e fresca.  Ne estrasse un ciuffo, ne separò un filo lungo e sottile e se lo portò alle labbra.
Non sarebbe riuscito a dormire, quella notte. A prender sonno. E non per il timore di una sua reazione. Non per il pensiero di una punizione.
Per amore… Solo per amore.
 
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Dopo tanto pensare e soppesare, ecco che decido di proseguire questo “WHAT IF” nato, tempo fa, per essere una “ONE SHOT”. Devo ringraziare le care e affezionate lettrici che mi hanno suggerito di proseguire… di provarci, almeno. E Katia Tumbarello tra queste… Spero non resterà delusa e deciderà di “aver fiducia in me” fino alla fine di questa nuova avventura. Una menzione speciale alla cara MGRANDIER: “lo sai che ogni chiacchierata con te mi è da sprone, sempre! Anche quando siamo k.o.”
Sapete tutte come di solito preferisca  scrivere  “MISSING MOMENTS” piuttosto che “WHAT IF” e questo solo per l’enorme amore che provo per una storia (quella dell’anime) per me già perfetta così com’è. Con “SOLDATO BLU” avevo già fatto un tentativo di “variazione sul tema” anche se, piccoli dettagli a parte, non ho fatto altro che “accodarmi” alla storia completa aggiungendo quelle che mi piacerebbe definire “15 nuove puntate” all’anime (modesta, vero?). Con questa storia, provo un esperimento più “delicato”, ecco… e spero di esserne capace!
 
Grazie a chi vorrà provare a seguirmi!
Sabrina 

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Capitolo 3
*** Ti amo, Oscar... Ti ho sempre amata ***


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Capitolo 3 – Ti amo, Oscar… Ti ho sempre amata
 
 
«André! Ma dove sei finito André! »
La fragile voce della nonna si era fatta aspra e tenace. Quasi perentoria.
André terminò di lavarsi, ravvivò i capelli, strinse accuratamente il nastro blu alla base della nuca e indossò la camicia appesa al forcone.
La notte trascorsa nelle scuderie gli aveva lasciato un leggero indolenzimento all’altezza dei reni. Ma di entrare in casa, chiudersi nella propria stanza, guardare il soffitto o rigirarsi nel letto, pronto a cogliere il minimo movimento di Oscar non sarebbe stato meno angoscioso.
«André!», chiamò di nuovo un’inviperita Marie Grandier, affacciandosi alla finestra nella luce rosata dell’alba «Se non ti fai vedere subito, passerai un mare di guai, ragazzo! » minacciò.
Il ragazzo si palesò.
«Che cosa succede, nonna? » domandò varcando la soglia di palazzo con un largo e accomodante sorriso.
Mani sui fianchi, la donna lo fulminò con lo sguardo.
«Non fare il gradasso, figliolo! » lo redarguì severamente. «Vai subito nello studio del Generale. Madamigella Oscar ha chiesto di te!»
Afferrandolo bruscamente per un braccio, Marie lo invitò a non indugiare.
«Sbrigati e cerca di non farla arrabbiare, la mia Oscar! » continuò imperterrita.
«Credo non abbia passato una buona serata, povera la mia bambina!»
André sollevò impercettibilmente un sopracciglio e senza opporre resistenza si diresse verso lo studio, prima a passi decisi, poi rallentando man mano che vi si avvicinava.
Si rabbuiò. Non aveva cambiato idea e non aveva alcuna intenzione di cambiarla.
Qualunque fosse stato l’umore di Oscar, l’avrebbe affrontata.
Strinse i pugni e di nuovo aumentò il passo. Deciso. Cos’era successo, in fondo? Le aveva semplicemente dichiarato il proprio amore. Perché non doveva esserne almeno lusingata? Baciarla era stato forse azzardato. L’aveva colta di sorpresa e a lei non piaceva essere presa alla sprovvista. Lei, che pretendeva di avere sempre il controllo su tutto. Soprattutto su se stessa. Sorrise e si accorse di sorridere. Ebbene sì, l’aveva sentita fremere di rabbia e con quella rabbia avrebbe dovuto fare i conti, adesso.
Ma cos’era successo in fondo? si ripeté.
Raggiunse lo studio e si fermò davanti alla porta chiusa. La luce fredda dell’alba percorreva blanda il lungo corridoio riccamente ammobiliato. Gli sguardi di “lor signori”, imprigionati nei ritratti di famiglia, erano tutti puntati su quel giovane uomo bruno. Severi e forse un po’ sdegnati.
Bussò con decisione.
Il silenzio.
Di nuovo un sorriso gli piegò le labbra. Era proprio da Oscar, tenerlo sulle spine. Abbattersi su di lui con quei prolungati silenzi.
«Mi cercavi, Oscar? » domandò sornione, varcando la soglia e fermandosi subito dopo averla oltrepassata, pronto all’inevitabile scontro.
«Chiudi la porta, André».
Seduta alla scrivania del generale suo padre, Oscar continuò a scrivere senza sollevare lo sguardo sul proprio attendente.
Smorzando sul nascere un sospiro, André obbedì, poi si volse nuovamente a guardarla, impegnata nella stesura di un qualche documento, tornata nei panni abituali, le lunghe ciocche bionde sciolte sulle spalle, il volto accigliato.  E quando i suoi occhi, affamati di lei,  intercettarono le labbra dalla piega amara, un intenso calore gli pervase lo stomaco. La loro consistenza, il loro sapore sembrarono non aver mai abbandonato le sue. Il petto largo e profondo avvertì chiaramente la dolce pressione di quel corpo tonico e snello, come se ancora la tenesse stretta tra le braccia e avvampò, quando gli occhi di Oscar, sollevatisi inaspettatamente, lo trapassarono, inchiodandolo a terra.  
Sussultò. Dissimulando un lamento. Un mesto mugolio. Ma sapeva dal suo sguardo tagliente e attento che nulla le era sfuggito.
«E’ meglio che te ne vada, André».
La voce roca di Oscar riempì improvvisamente  la stanza.
«Mi hai chiesto tu di venire» rispose lui, accennando un sorriso, pronto ad accettare la sfida.
Un attimo di silenzio e di nuovo quella voce inconfondibile a fendere l’aria.
«Lascerai palazzo Jarjayes oggi stesso»
Oscar non sorrideva. Non sorrideva affatto, notò.
Il tono distaccato delle sue parole e la spietata tranquillità del suo sguardo gli tolsero il fiato.
Schiuse le labbra, inspirando profondamente.
«Tu non…» ma non c’erano parole che potessero reggere il confronto con l’espressione di Oscar.
«Non ti preoccupare per mio padre» proseguì lei, atona,  senza lasciargli il diritto di replica. «Inventerò io una scusa», concluse tornando ad occuparsi di quello che stava facendo.
Disperazione e orgoglio si mescolarono sul volto di André in un’unica espressione. Liquidato!
Tutto si sarebbe aspettato, tranne di essere allontanato in quel modo.
Tutte le sue congetture, la sua baldanza, le sicurezze…
Oscar lo aveva umiliato e affondato in un colpo solo. Il più crudele.
Gli occhi sgranati, André se ne restava immobile e incredulo. Lo sguardo incollato a quella testa bionda, china sul foglio, forse le sue dimissioni.
Possibile fosse così crudele, Oscar? Così distaccata e indifferente? Che fosse in grado di cancellare in un battito di ciglia gli anni trascorsi insieme?
Arrabbiati, Oscar! Prendimi a pugni! Colpiscimi! Non mi ribellerò, non ti fermerò! Ma non punirmi così… gridò la sua anima persa.
Ma non disse nulla di tutto questo. Non diede voce ai pensieri. Non sarebbe servito se non a umiliarsi ancora di più…
Si sentì mancare il respiro. Avvertì forte il desiderio di portare una mano alla gola per liberarla dalla morsa soffocante della disperazione.
Poi comprese. Reclinò leggermente la testa sul petto. L’aria riprese a circolare gradualmente. Sorrise e fu l’ira a impossessarsi di lui, per un attimo.
No, non era affatto indifferente, Oscar. Non era distaccata e fredda come avrebbe voluto far credere. Non era crudele… Era disorientata. Irritata. Terrorizzata.
Riconosceva il suo modo di agire. Oh, certo che lo riconosceva.
«Hai ragione tu, Oscar… Come sempre» disse con la voce più convincente che riuscì a modulare. «Hai ragione. Non potremmo andare avanti così, semplicemente ignorando quanto è successo… » la squadrò, cinico, cogliendo il suo leggero sussulto nonostante si intestardisse a non guardarlo e a scrivere chissà quali inutili e maledette parole.
«Me ne vado», asserì. «Ma lascia che ti dica una cosa… una soltanto. Poi non ne parleremo più…» si umettò le labbra, sollevando orgogliosamente il mento «Ti amo, Oscar. Ti ho sempre amata. Non so nemmeno da quanto» si fermò un istante, il tempo di un respiro. «Puoi mandarmi via, Oscar» riprese lentamente, senza smettere di guardarla «Ma questo non mi allontanerà mai da te» concluse voltandole bruscamente le spalle e abbandonando la stanza. 


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E siamo al terzo capitolo!
Qualcuno forse si aspettava la reazione di Oscar... qualcuno sarà rimasto decisamente deluso. Ma la storia, a questo punto, non è che all'inizio... A voi, care lettrici che avete deciso di seguirmi anche questa volta e che vivrete con me questo "esperimento" (un giorno saprete perché lo definisco tale, anche se, dalle mie precedenti note e premesse qualcosa vi ho già accennato), il compito di ipotizzare il futuro dei nostri eroi... Due parole sull'immagine che accompagna il capitolo: questa volta, giusto per cambiare un po', mi sono divertita con la colorazione digitale. La uso di rado, perché AMO quella tradizionale. Ma ogni tanto ci vuole, no?

A presto, su questi lidi o sul fandom "storico", 

Sabrina 

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Capitolo 4
*** Io, lontano da te, chi sono? ***


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Capitolo 4 - Io, lontano da te, chi sono?
 
 
André scivolò dentro una bettola che sapeva di vino fin dalla strada. Un’aspra zaffata di mosto lo colse appena superata la soglia.
Esitò. Poi si chiuse la porta alle spalle e avanzò fino al bancone.
Aveva camminato per ore. Esiliato da Palazzo Jarjayes.
Parigi lo aveva accolto al pari di una corpulenta matrona con la sua rumorosa indifferenza.  Prima stordendolo con gli accesi colori del mercato, poi abbracciandolo nella penombra ristoratrice dei vicoli.
Carico di rabbia, si era imposto di non pensare a lei, trovandola ovunque. Nel blu cangiante dei fiori più belli, nei barbagli dorati della Senna al tramonto, nelle sete preziose che occhieggiavano dai negozi, nella corsa spietata delle carrozze che battevano le strade senza fare attenzione ai passanti…
Oscar era ovunque! Dentro e fuori di lui.
La sua voce, così particolare, gli riempiva la testa.
Il suo profumo, marcatamente muschiato, impregnava i suoi polmoni e così ogni suo respiro.
La sua ombra gli si era inesorabilmente incollata addosso.
In un altro momento, in un'altra occasione, si sarebbe nutrito di tutto questo.  Adesso, la collera per la sfida disattesa, la più importante, gli ottenebrava il cervello.
Irritato da quel pensiero, ordinò da bere.
Sì! Avrebbe bevuto e lo avrebbe fatto senza di lei.
In attesa della bottiglia, volse lo sguardo attorno, le braccia conserte appoggiate al bancone di legno marcio che trasudava liquore e tabacco. E quella bettola, rumorosamente affollata, gli strappò un sorriso cinico e beffardo.
“Al diavolo le cupe serate ad aspettare che tu dica una parola, Oscar!” brindò afferrando e sollevando il bicchiere che un oste compiacente aveva provveduto a riempirgli.
Si portò il vetro sporco e spesso alle labbra e tracannò le prime sorsate.
Una risata lo interruppe. Gorgogliante, piena, spaccona.
Volse appena la testa, intercettando con lo sguardo un giovane gigante bruno in uniforme blu, impegnato in un’originale tenzone con un paio di procaci fanciulle. Malamente seduto su una sedia, il braccio sinistro oltre lo schienale e le gambe allungate sul tavolo, il soldato rideva e amoreggiava, recuperando con un gesto secco e deciso un foulard rosso cupo dalle avide e insolenti mani di una delle due pretendenti. Con la stessa disinvoltura, il fazzoletto finì annodato  al collo robusto e abbronzato dell’uomo.
André tornò a fissare il bicchiere semi vuoto. Afferrò la bottiglia, socchiudendo le palpebre.
Ecco come ci si divertiva, a Parigi.
Ecco quello che un giovane uomo della sua età avrebbe dovuto fare.
Sfrontato, si attaccò al collo della bottiglia e prese un altro paio di sorsate. Tutto d’un fiato. Disgustato dal sapore acidulo di quel vino scadente. Poi allontanò il fiasco  dalle labbra e lo sollevò a mezz’aria.
«Salute! » affermò.
La risata alle sue spalle si interruppe. Solo un momento. Poi riprese, irresistibile.  André si passò il dorso di una mano sulle labbra. Lentamente. Gli occhi chiusi.
“Ridi, soldato. Ridi ancora” pensò, compiaciuto. Desideroso di condividere quella virile voglia di vivere. E al contempo irritato, stizzito.   “E tu, Oscar, da quanto tempo non ti concedi una risata?”
Batté un pugno sul banco.
Oscar! Ancora Oscar! Sempre Oscar!
Cosa avrebbe dovuto fare per allontanare il suo fantasma, il suo pensiero, almeno per quella sera?
Si volse ancora. Attratto irrimediabilmente dall’energia che sprigionava da quel soldato. Bello, spregiudicato, libero…
Decise che anche lui, quella sera, avrebbe avuto una donna.
 
***
 
Oscar François de Jarjayes si umettò le labbra. Gli occhi socchiusi, sorseggiò il vino speziato. La piccola ruga tra le sopracciglia nascosta dalle ciocche di capelli biondi.
Attorno a lei, che occupava la solita poltrona damascata nel salotto dove ogni sera amava concedersi quel piccolo rito, si affaccendava un giovane valletto dai modi impacciati.
Il rumore la infastidiva. La percezione delle sue movenze la irritava quanto il liquido rosso che le riempiva oltre misura il bicchiere di cristallo.
André avrebbe saputo dove fermarsi, pensò, e come regolare la temperatura di quella stanza. Né troppo calda, né troppo fredda… rimuginò sollevando a mezzo le palpebre a fulminare, con uno sguardo severo, il giovane Matthieu intento ad attizzare le fiamme che già guizzavano alte nella bocca del camino.
Questo pensiero la irritò maggiormente e la mano, elegantemente abbandonata sul bracciolo, si strinse attorno al legno intarsiato.
«Il conte Hans Axel di Fersen è venuto a farti visita, Oscar…»
La gracile voce di nonna Grandier, inaspettata, ruppe il filo dei suoi pensieri.
Sollevò le palpebre.
«Il conte di Fersen? » domandò, sorpresa, dissimulando un sussulto.
«E’ molto tardi, Oscar… Vuoi che gli dica di tornare domani? »
Oscar si sollevò dalla poltrona.
«No. Va bene così» disse. «Fallo entrare, Marie» la esortò, rivolgendosi poi al valletto perché preparasse un secondo bicchiere e distogliendo volontariamente il pensiero e l’orecchio allenato a riconoscere ogni suono, ogni passo.
Inutile accorgimento, perché avvertì chiaramente il suo incedere leggero e cadenzato. E il suo cuore battere all’unisono, accompagnandolo fino a quella stanza.
«Oscar!» proruppe Fersen apparendo sulla soglia con un largo e caldo sorriso.
Avvezzi alla rassegna, gli occhi di Oscar percorsero rapidamente l’intera figura del conte. Ravvisandone ogni cambiamento. Percependone ogni piacevole dettaglio.  Poi si blindarono dietro le palpebre, mentre lei tornava a sedersi e invitava l’ospite a fare altrettanto.
«A cosa devo questa gradevole sorpresa?» domandò, intenzionata a contenere l’emozione che tentava di incrinarle la voce.
Hans Axel di Fersen prese posto di fronte a lei, accettò il bicchiere che gli veniva porto e si rilassò contro lo schienale morbido della poltrona.
«Avevo solo bisogno di un volto amico» rispose, allargando il sorriso ma ammantandolo di un leggero velo di malinconia.
Oscar avvertì una fitta allo stomaco e si impose di trattenere il rossore.
Quell’uomo aveva il potere di destabilizzarla. Di strapparle ogni corazza di dosso. Di renderla fragile, esposta e disposta a tutto pur di riflettersi nel suo sguardo dalle delicate sfumature grige. Questo la spaventava. La imbarazzava ma, soprattutto, la incuriosiva.
L’irritazione iniziale si era, negli anni, tramutata in muta e dolorosa consapevolezza.
Un’attrazione inevitabile e sincera. Si era invaghita di quell’uomo benché sapesse che il suo cuore fosse già occupato da un’altra donna: la Regina di Francia.  
«Speravo di vedervi, ieri sera, al ballo…» chiosò lui, «Ma vi ho attesa inutilmente», si lamentò.
«Non avevo motivo di partecipare» mentì Oscar, apparendo volutamente distratta.
Nella stanza riecheggiò la breve ed elegante risata del conte.
«Che sciocco che sono» si schernì. «Cosa sareste venuta a fare, visto che la vostra Regina era assente»
Oscar trasalì serrando le labbra. Sollevò il mento. Il suo sguardo percorse la figura che aveva di fronte, impegnata a suggere il profumato liquido rosso. Le labbra appoggiate al cristallo trasparente.
Si trovò a seguirne ogni piega, ogni sensuale movimento. Labbra perfette…
Labbra morbide e decise, come quelle di André?
Un brivido le percorse la schiena, scuotendola prima che potesse controllarsi.
«Avete freddo? » si preoccupò il conte, trovandola pallida.
Maledetto André, pensò Oscar.
“Puoi mandarmi via. Ma non puoi tenermi lontano da te” ! Era questo che intendeva con quella frase? Tormentarla e importunarla, ancora e ancora?
In un moto di rabbia inopportuna strinse i pugni, distogliendo lo sguardo.
«Forse siete stanca» continuò Fersen, non avendo ottenuto risposta.
Si alzò.
«Meglio che tolga il disturbo. Sono stato un egoista» disse. «Preso dalle mie sciocche necessità, non mi ero reso conto di quanto fosse tardi. E voi vorrete sicuramente riposare»
Oscar si sporse istintivamente in avanti. La sua mano afferrò quella grande e calda del conte.
«Non ve ne andate» proruppe con maggiore enfasi di quanta avrebbe desiderato. Incrociò i suoi occhi, grigi e delicati, interrogativi. «E’ tardi è vero» si schermì.
«Anche per tornare a casa» si giustificò. Lasciò la sua mano «Rimanete qui, questa notte. Ve ne prego».
Sapeva che il conte avrebbe frainteso le sue parole. Sapeva che vi avrebbe letto solo un naturale desiderio di rispettare l’etichetta. Che sarebbe apparsa ai suoi magnifici occhi solo come un perfetto padrone di casa.
Fersen la sogguardò stupido. Sollevò un sopracciglio e piegò le labbra in un sorriso.
«E sia!», accettò. «In fondo, non c’è nessuno ad aspettarmi» rise.
Poi si guardò attorno. Sorpreso.
«Non vedo il vostro attendente…» constatò. «Il caro, vecchio André»
André! Sempre André! Si spazientì Oscar.
Era così difficile vederli come due realtà separate? Era così scontata la presenza di lui laddove c’era lei?
Tornò a poggiare le spalle allo schienale, accavallò le lunghe gambe e allacciò le dita sotto al mento. Lentamente.
Solo allora e solo dopo  aver ripreso padronanza delle proprie emozioni, rispose:
«Vorrei uscire a cavallo, domattina…»
 
***
 
Forte della sua decisione, André si sollevò dallo sgabello.
Messo un primo piede a terra, barcollò lievemente. Recuperato l’equilibrio, si passò la mano aperta sul volto, sulla fronte, sugli occhi.
Il pessimo vino di quella bettola, complice lo stomaco vuoto, doveva avergli giocato un brutto scherzo.
Deglutì scoprendo la lingua e la gola felpate.
«Ehi! Bel ragazzo!» lo apostrofò una giovane donna dai lunghi capelli rossi, scivolandogli sul petto. «Non vorrai essere da meno del tuo amico laggiù!» lo esortò, afferrandogli il mento e voltandogli con decisione la testa verso il soldato dal fazzoletto rosso.
«Non è mio amico!» protestò André, sorpreso dalla sua intraprendenza. «Non lo conosco nemmeno» concluse, arretrando istintivamente di un passo.
La ragazza si staccò da lui. Portò le mani ai fianchi e si soffermò a guardarlo.
«Ma se non hai fatto altro che tenerlo d’occhio, da quando sei entrato… » disse.
«Non è che mi nascondi qualcosa, bel morettino? »
André non fece in tempo a schiudere le labbra per replicare che lei gli rubò la parola.
«E’ furbo, il tuo amico» sorrise maliziosa. «Molto furbo. Lo vedi? Ha tutte le ragazze ai suoi piedi. Ma lui si nega. E così comanda il gioco» ridacchiò sommessamente.
André tornò con lo sguardo sul giovane soldato e le sue ancelle.
Negarsi… condurre il gioco…
Il suo sguardo si adombrò improvvisamente.
Che stupido era stato!
«Ehi! » lo richiamò la sua interlocutrice e lui si volse, catturato dai suoi occhi scuri.
Era bella, pensò. Alta ma non troppo. Snella e morbida al punto giusto.
«Ti sei deciso! » lo spiazzò lei, inorgogliendosi alla carezza del suo sguardo.
André si perse nella conta delle piccole lentiggini che le punteggiavano il volto giovane ma un po’ severo. Sulle labbra seducenti e piene. E poi giù, verso l’incavo del collo e sulla linea morbida dei seni appena pronunciati che uno scollo fin troppo generoso gli offriva.
Una fitta dolorosa alla testa lo portò a serrare le labbra.
Un altro vestito, un altro collo, un'altra donna era quella che avrebbe voluto guardare. Stringere in quel momento tra le braccia. In quel momento e da sempre… Uno spaventoso senso di vuoto lo investì, togliendogli il fiato.
Solo. Perso. Incompleto.
Ecco cos’era lui senza di lei. L’ombra di un uomo. Una vita in sospeso.
Inspirò, profondamente amareggiato.  E lei? Cosa ne era di lei?
La risata fragorosa e insolente del solito soldato lo trafisse con la precisione di una spada.
Sollevò il mento. Deciso a riprendersi quello che gli era stato ingiustamente tolto.  
«Andiamo» mormorò con voce roca, deciso a punire Oscar, o forse se stesso,  per tutto il tempo che le aveva concesso e dedicato e che lei, crudelmente, aveva disprezzato e gettato via senza l'ombra di un rimpianto…


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DUE CHIACCHIERE...

Chissà che due amiche, EMERALD77 e LUCY71, non abbiano riconosciuto l'omaggio più o meno velato alle loro belle storie (TUA... DA SEMPRE di Emerald e VOLERE E' POTERE di LUCY) e  come loro non lo abbiano colto anche le loro affezionate lettrici, eheheehh...

Detto questo, sulla scia del quarto capitolo penso che qualcuno si farà qualche legittima domanda! Sono qui per ascoltarle, anche se - ovviamente - non potrò avvalorare o meno le vostre ipotesi... E chissà, se lo schizzo in apertura non abbia tratto in inganno qualcuno, ad una prima occhiata...

Con questi interrogativi, ringrazio come sempre chi legge - recensore o silente - e vi do appuntamento al prossimo capitolo!

A presto,
Sabrina

 

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Capitolo 5
*** Tenebre ***


Capitolo 5 – Tenebre 
 
 
Oscar sedeva al buio.  Le palpebre semi abbassate. Le ciglia a filtrare le tenebre.
Dall’angolo che occupava, aveva la piena visuale sull’intera camera da letto. Dall’ampia finestra che si apriva sulla parete alla sua sinistra, alla porta. Solido baluardo della sua intimità.  
Immobile, composta, ancora completamente vestita, ascoltava il proprio respiro, lento e costante, come se non le appartenesse.
Un formicolio diffuso e una leggera spossatezza l’ammonirono, ricordandole che si era concessa qualche bicchiere di troppo.
Corrugò la fronte, severa, poi  sorrise acidamente.
Eccolo lì, l’algido e intransigente Capitano della Guardia Reale, Oscar Francçois de Jarjayes, a spasimare come una ragazzina per il bel Conte svedese… si denigrò. L’uomo della Regina… ricordò crudelmente a se stessa. Della sua Regina!
Ed era stato per amore di lei che era partito e poi tornato dall’America dove aveva rischiato la vita.  Forse cercato la morte.
E più Oscar ci ragionava, più sentiva di legarsi a lui…
Strinse istintivamente la mano che lo aveva trattenuto, solo poche ore prima, convincendolo inaspettatamente a restare. La strinse tanto forte da avvertire il taglio delle unghie nel palmo serrato a pugno. Sollevò un sopracciglio, quasi fosse sorpresa di se stessa e dell’istinto che l’aveva indotta a parlare.
«Hans Axel di Fersen…» mormorò a fior di labbra e il formicolio, dalle gambe, le assalì le gote leggermente arrossate.
Hans Axel di Fersen…
Pronunciare quel nome… Il tempo di un respiro… Il tempo di morire… Vinta da un dolore che non aveva mai conosciuto prima. Un languore insopportabile e opprimente.
Si alzò, brusca, e altrettanto bruscamente aprì la porta.
Ignorando l’etichetta, incurante di chi avrebbe potuto incontrare, iniziò a percorrere il lungo corridoio che la separava da Fersen. La causa del suo maledetto tormento.
Perché non poteva essere un uomo a tutti gli effetti? Si domandò, furente.  
Perché soffrire le pene, le umiliazioni, le illusioni di entrambi i sessi quando aveva preso la propria strada, aveva fatto la propria scelta?
Aveva deciso di crescere e vivere come un uomo, eppure si era innamorata di lui…
Fin da subito, fin dal primo sguardo.
Ma c’era lei. Lei tra di loro, fin da allora… Fin dal principio.
E cosa avrebbe potuto fare Oscar, vestita della sua uniforme e trincerata dietro a quel suo carattere aspro e un po’ chiuso,  contro il fascino seducente di una vera donna?
Affrettò il passo, spinta dall’ardore dei ricordi che le esplodevano in petto, soffocandola.
Per anni aveva taciuto. Aveva osservato da lontano e in silenzio un amore folle e peccaminoso solleticare, divertire e mettere in ginocchio l’intera Francia.
Aveva giurato di proteggerli, il bel Conte e la giovane Regina. Ligia al proprio dovere. Decisa a dimenticare. Rassegnata a soffrire. Troppo impegnata a rinnegare. Difenderli da tutto e da tutti. Dalle voci, dagli sguardi, dai pettegolezzi e dalla stessa corte, avida e spietata, pronta a puntare il dito contro l’Austriaca, la straniera…
Difenderli da lei! Lei per prima, che non era diversa da coloro che deprecava, in fondo. Perché alla prima occasione, appena se ne era presentata l’opportunità,  aveva deciso di essere egoista. Di tradire. Di pretendere per sé quegli occhi grigi che ad ogni sguardo, anche il più innocente e fugace, la facevano trasalire, la spogliavano di ogni certezza,  ricordandole impietosi ogni volta che, nonostante la sua volontà, nonostante le sue scelte non era altro che una donna e tale sarebbe rimasta!
Lo avrebbe raggiunto, quella sera, la sera del ballo, e preteso. Mostrandosi a lui come non si era mai mostrata a nessuno. Donna come non si era mai sentita.
E se non fosse stato per André…
Oscar rallentò il passo fin quasi a fermarsi. Il braccio a mezz’aria. Il pugno pronto a bussare. Il respiro affannoso. Lo sguardo dilatato, eccitato…
Espirò.
Cosa pensava di fare?
Davvero intendeva entrare in quella stanza?
E poi?
Portò lentamente la mano a sfiorare la porta chiusa. Quasi una carezza.
Abbassò lo sguardo, poi lo sollevò di nuovo puntandolo alla porta, scuro come la notte.  
Afferrò la maniglia. Strinse forte il pomo d’ottone, avvertendo la morsa fredda del metallo.
Un passo indietro. Quasi un sobbalzo.
Poi un secondo e un terzo e un altro ancora fino a toccare con le spalle la parete dalla parte opposta del corridoio.
Vi si appoggiò. Sollevò il mento, orgogliosa e arrabbiata, e si lasciò scivolare giù, lungo il muro fino a sedere per terra.  Le ginocchia sollevate, quasi a toccarle il petto, e le braccia abbandonate lungo i fianchi.
«Masticò a denti stretti » masticò a denti stretti.
Poi rise. Rise sommessamente. La testa rovesciata all’indietro. Gli occhi chiusi. Prendendosi gioco di se stessa. Di quel mezzo uomo e di quella mezza donna che insieme non sapevano trovare una propria dimensione. Di quella creatura ibrida e codarda. Bugiarda.
Si disprezzò. Ansimò. Fino a quando il respiro tornò regolare. Allora serrò le labbra e, delusa di se stessa, restò immobile laddove era crollata, ammantata dall’ombra di quella notte assurda. Avvertendo fuori e dentro di sé tutto il peso e il freddo delle tenebre….
 
***
 
«Rosalie la Moliére?»
La minuta ragazza bionda che si era affacciata alla porta annuì silenziosamente. Poi, distolse lo sguardo dall’uomo che aveva parlato e lo spostò su quello che si portava appresso. Appeso al collo. Visibilmente ubriaco.
«Questo è un regalo per voi! », affermò lo sconosciuto, richiamando subito la sua attenzione.
Rosalie tornò a fissarlo, senza comprendere, e il gigante bruno ammirò per la seconda volta in pochi istanti l’intensità dei  suoi grandi occhi turchesi.
«Dice di chiamarsi André» le sorrise ammiccante. «E dice di conoscervi» continuò, scuotendo dal torpore l’ubriaco quel tanto che bastò a fargli sollevare la testa e rendersi visibile nell’abbraccio frizzante delle tenebre.
Rosalie si portò le mani alle labbra. Sbiancò.
«Se me lo confermate, signorina, finisco di fargli da balia e torno al mio plotone» la esortò il soldato, allargando quel suo sorriso sornione, a metà tra il perplesso e il divertito…

 
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DUE CHIACCHIERE...

Capitolo breve ma, vi assicuro, per me decisamente intenso...
Probabilmente, qualcuno sarà deluso e qualcuno, magari, starà già tirando un sospiro di sollievo. A ragione? Chi può dirlo! In fondo, siamo solo al quinto appuntamento. 
Come sempre, quindi, vi passo la palla e lascio che siate voi a trarre le conclusioni di "detti e non detti", interpretando le parole scritte e quelle tra le righe. Sono certa che, acute come sempre, sarete in grado di accompagnarmi egregiamente in questo nuovo percorso!

E anche questa volta, prima di chiudere, spendo una parolina sull'immagine che accompagna il capitolo: uno schizzo veloce, come sempre. Addirittura a matita... ma c'è un motivo. Chissà se lo scoprite. Intanto... Ammettetelo, tutto vi sareste immaginati, fuorché decidessi di disegnare proprio Alain, eheheheeh! O magari no? Che la "colpa" sia tutta di Françoise14 (e della socia Alga, ovviamente) e della sua (ormai nostra) "spanna" che mi perseguita da quel famoso capitolo de "L'INTRUSO"??? 

Un grazie come sempre a chi mi segue e agli appassionati del Fandom tutti!

A presto,
Sabrina 

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Capitolo 6
*** Domande e risposte ***






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Capitolo 6 – Domande e risposte
 
«Oscar!»
Le mani appoggiate alla balaustra della terrazza, proteso verso il giardino,  il conte di Fersen sogguardò la propria ospite attenderlo proprio sotto le sue finestre.
«Mattiniera come sempre!» sorrise, ilare e spontaneo, ignaro del tormento che l’aveva tenuta sveglia tutta la notte.
E soppesandone la figura snella e tonica profilarsi, ardente, nella luce vivida del mattino, le rivolse il più sereno e accattivante dei sorrisi. Poi, vinto da quei barbagli dorati, socchiuse le palpebre, riducendo gli splendidi occhi grigi a sottilissime feritoie argentate.
Favorita dal controluce, Oscar indugiò con lo sguardo sulla sua persona, alta e prestante. La seta leggera ed elegantissima della camicia bianca non faceva che metterla in risalto, aderendo perfettamente ai muscoli delle braccia e al petto largo e forte.  
Il suo sorriso, rivolto a lei e a lei soltanto, le si profuse nel petto, riscaldandola e facendola emergere dalle tenebre nelle quali era  sprofondata. Rinsaldando le convinzioni che una notte insonne le aveva fatto traballare.
Era quello l’uomo che avrebbe voluto al suo fianco… Lo straniero affascinante, dai modi galanti e dal sorriso gentile… L'unico in grado di farle battere il cuore… Il suo cuore di donna
L’unico?
«Aspettatemi, Oscar! Vi raggiungo subito! » esclamò il conte,  rammentando all’improvviso l’invito della sera precedente ad unirsi a lei per una cavalcata.
La sua voce, calda e carezzevole, strappò Oscar dai propri pensieri. Annuì, severa, e decise di precederlo alle scuderie, ricacciando in un angolo nascosto della mente, ragionamenti insensati e fastidiosi confronti.  
Lo sguardo di Hans la accompagnò fino a quando scomparve.
Sereno e compiaciuto, il Conte si rallegrò della decisione di essersi fermato a palazzo. Inspirò l’aria frizzante del mattino, chiedendosi perché tutti i risvegli non potessero essere così gradevoli. Gli piaceva palazzo Jarjayes. E gli piaceva la compagnia di Oscar. Un toccasana per il suo malumore e la sua malinconia.  
Con Oscar non servivano parole. Non servivano maschere né finzioni. Bastava godersi la vita.  E per un attimo, forse, dimenticarsi di lei
 
***
 
Al termine di una lunga cavalcata silenziosa, Oscar si era finalmente fermata.
Là, dove la macchia si apriva in una piccola radura che degradava dolcemente verso il fiume. Non una parola. Non un sorriso. Semplicemente l’aria fresca a scarmigliare spavalda i lunghi capelli biondi di lei e a carezzare, sorpresa, quelli ora più corti di lui.
Hans volse appena lo sguardo nella sua direzione poi, come lei, tornò a fissare un punto lontano, sulla sponda opposta del fiume.
Sedevano a terra. Entrambi fasciati negli aderenti pantaloni al ginocchio e con indosso la sola camicia bianca. Liberi da costrizioni ed etichette. Soli.
Gli occhi di Oscar, leggermente adombrati.
«Siete più silenziosa del solito…» mormorò il Conte, accennando un sorriso. «Qualcosa vi preoccupa, Oscar? » domandò sentendosi velatamente colpevole per non essersene interessato prima. Pago della quasi irreale e inaspettata serenità che stava vivendo.
Oscar affilò impercettibilmente lo sguardo, senza voltarsi, come a cogliere un pensiero lontano.
«Vi chiedevate dove fosse André» disse, rompendo improvvisamente il silenzio con il suono vibrante della sua particolare voce roca.
Hans incrociò il suo profilo perfetto e severo.
«Ho dovuto allontanarlo» ammise lei. «Non era più possibile stare sotto lo stesso tetto, dopo quello che è successo».
«Vi ha mancato di rispetto? » domandò il conte, sorpreso. « Ha disatteso i vostri ordini, forse? » azzardò corrugando la fronte.
«Ha detto di amarmi».
Un silenzio di piombo cadde nuovamente tra loro appena Oscar ebbe pronunciate quelle parole.
Hans schiuse le labbra, poi le serrò. Oscar non si volse ancora, mentre lui la guardava sorpreso.
«Innamorato di voi… » strabuzzò gli occhi. Poi proruppe in una risata. Una risata amara.
«Adesso capisco… » disse. «Sì, adesso capisco tutto» mormorò riportando alla mente tutta una serie di ricordi.  A partire dal loro primo e singolare incontro…
Tornò a guardare l’orizzonte pur senza vederlo realmente. Abbassò leggermente le palpebre e serrò di nuovo le labbra.
«Confido che questa conversazione rimanga esclusivamente tra noi» commentò Oscar con tono apparentemente distaccato ma autoritario.
«Non temete» annuì il conte, tornando poi a condividere lo stesso silenzio di Oscar.
Inaspettatamente, lei decise di parlare e se Hans le avesse rivolto uno sguardo, in quel momento, avrebbe colto un leggero rossore diffondersi rapidamente sulle sue guance tese per poi svanire, dissimulato dalla solita maschera di freddezza.  
«Trovate così strano che un sentimento di amicizia si trasformi in qualcosa di più? »
Hans Axel di Fersen si chinò leggermente verso il margine erboso e colse un piccolo fiore rosa. Non rispose subito e quel suo temporeggiare fu per Oscar un’inaccettabile agonia.
«Lo trovo strano, sì…» rispose. «Se non impossibile. Per il mio modo di vedere le cose» specificò. «Per quanto mi riguarda, credo in quello che viene definito colpo di fulmine» si volse repentinamente verso la donna. «Voi stessa ne siete testimone, Oscar…» sorrise, triste.
«Un’amicizia resterà sempre tale. Anche se profonda» riprese tornando a scorrere con lo sguardo il letto del fiume. «Non raggiungerà mai l’intensità e la passione di un amore così come io lo intendo. Improvviso, folgorante, totale» Chinò il capo sul petto. Abbassò le palpebre sugli occhi chiari, visibilmente emozionato.
«Un’amicizia si trasformerà in un bene profondo e sincero» mormorò. «Come quello che provo per voi, Oscar», sorrise guardandola inaspettatamente negli occhi.
«E per voi desidero solo il meglio», aggiunse.
Avanzò di un passo, gettando indietro la testa e rilassando le spalle. Dal proprio punto di osservazione, Oscar ammirò la stoffa preziosa tendersi a seguire la forma virile della sua schiena.
«Se il vostro André fosse il meglio, per voi…» riprese il conte guardandola dolcemente da sopra una spalla, «Vi esorterei certamente a non rinunciare a un uomo capace di una tale dedizione», si accovacciò, giocando con i fili d’erba. «Anni di silenzio. Di rinunce. Anni passati nella vostra ombra… in una triste e lenta agonia».
Si sollevò e lentamente tornò verso l’amica.
«Io mi ritengo fortunato, Oscar. Nonostante tutto», continuò «La regina mi ama come io amo lei. Questa è la mia croce e al contempo la mia delizia» sorrise portandosi di nuovo alla sua altezza ma rimanendo in piedi,  rivolto dalla parte opposta a quella che lei si ostinava a fissare. «Ma non oso nemmeno immaginare quanto si possa soffrire per un amore non corrisposto… », terminò.
Oscar si alzò a sua volta.
«Si è fatto tardi», commentò. «E’ meglio rientrare».
Svelta montò a cavallo, tirò le redini e spronò inaspettatamente Caesar alla corsa.
«Aspettate, Oscar! » la richiamò Hans alzando la voce. «Ho detto qualcosa che vi ha turbata? » gridò. Poi tornò in sella e si lanciò all’inseguimento.
Oscar sfrecciava veloce. Stretta al collo di Caesar. Sollevata sulle gambe. Protesa in avanti. In fuga.
Hans Axel di Fersen! L’uomo più affascinante e devoto che avesse mai conosciuto.
E il più stupido! Pensò… Il più stupido!
Possibile che non si fosse accorto di nulla? Possibile che il rumore assordante del suo cuore non fosse giunto alle sue orecchie? Cieco e sordo… solo questo poteva essere.
L’aria fresca del mattino le pungeva le guance, alleviandone il rossore. Le pungeva gli occhi, ma mai come le lacrime che spingevano, testarde e sfacciate, per uscire e le annebbiavano la vista.
Impegnata in quella sorta di spietato duello contro le emozioni, sollevata sulle staffe, furiosa, Oscar non si accorse dello scoiattolo che le tagliò la strada.  Caesar si impennò,  cogliendola di sorpresa e disarcionandola.
In un attimo, si ritrovò riversa a terra. Supina. Un braccio piegato sul volto a nascondere gli occhi umidi e le guance in fiamme.
«Oscar! » esclamò Fersen smontando da cavallo e raggiungendola.
«Oscar! Dite qualcosa. Parlate!» si preoccupò, accovacciandosi accanto a lei e sollevandola delicatamente da terra.
Oscar avvertì il tocco delle sue mani grandi e lisce attraverso la stoffa leggera della camicia. Ne respirò il profumo. Ne percepì l’essenza. E decise di non aprire gli occhi. Di non rispondere. Non subito.
Cercò testardamente le sue risposte. E quando si sentì inutile, in quell’abbraccio vuoto, comprese…
«Sto bene» disse. «Sto bene» ripeté più convintamente. «E’ stata solo una sciocca distrazione» si schermì, accennando un debole sorriso.
«Mi avete fatto temere il peggio, Oscar…» si tranquillizzò il conte, scaricando la tensione in una calda risata e poi attirandola a sé, abbracciandola.  E quando avvertì il contatto con il suo corpo morbido, quel misterioso corpo di donna, trasalì arrestandosi bruscamente.
«Oscar, io…» mormorò, il cuore in gola.
Oscar lo accolse nel proprio sguardo limpido. Nel blu profondo dei suoi occhi.
«Oscar, io…» ripeté il conte. Quasi un sommesso balbettio…
Oscar si levò in piedi, bruscamente. Avanzò di un passo verso Caesar che brucava tranquillo.
«Confido che anche questo resti tra noi…» mormorò. «Una caduta come questa… un passo falso… Non farebbe certo bene alla mia reputazione, se si sapesse in giro» sorrise, lo sguardo inespugnabile.
«Certo! » concordò Hans con esagerata veemenza.  «Certo! » ridacchiò nervosamente, levandosi in piedi e passando le mani sui pantaloni per pulirli dei residui di terra e di erba. «Al vostro plotone non gioverebbe sapere come il suo comandante è stato disarcionato da uno scoiattolo…»
Oscar rimontò in sella.
«Non so come ringraziarvi, conte di Fersen» disse atona. «Era quello che intendevo», concluse chiudendo il discorso. «Da dove ci troviamo, siamo più vicini a casa vostra che a palazzo Jarjayes…» osservò, apparentemente distaccata.
Hans Axel, montando a cavallo, socchiuse le palpebre.
«Avete ragione» disse, «Credo che andrò direttamente a casa».
Oscar non rispose e il suo silenzio fu eloquente.
«Arrivederci, Oscar» mormorò il conte,  abbozzando un sorriso amaro.  «Abbiate cura di voi… », la salutò. Poi spronò il cavallo e si allontanò al galoppo.
 
***
 
Rosalie conosceva abbastanza bene André da sapere che c’era una spiegazione per tutto. Al fatto che si trovasse a Parigi. Che fosse lontano da madamigella Oscar. E anche per le deprecabili condizioni nelle quali si era presentato alla sua porta, senza preavviso, la notte precedente.
Bussò delicatamente contro il pannello di legno scuro e dalla camera che aveva messo a sua disposizione giunse la voce ancora un po’ impastata del giovane che le strappò un sorriso. Un misto di biasimo e di comprensione al tempo stesso.
Entrando, lo trovò in piedi, rivolto alla finestra, intento a guardare  l’andirivieni che riempiva la strada sottostante, forse sorpreso dal brulicare cittadino.
«Come ti senti, questa mattina? » gli domandò porgendogli una tazza di latte e un pezzo di pane fresco.
André le rivolse uno sguardo riconoscente ma declinò la colazione. I postumi della sbornia gli avevano chiuso lo stomaco.
La ragazza comprese e lasciò il vassoio su un tavolino di legno grezzo.
«Perdonami, Rosalie» disse André cercando i suoi occhi turchesi, sinceri e limpidi come l’ultima volta che l’aveva vista, per poi distogliere lo sguardo e tornare a fissare le strade di Parigi.
In poche e sofferte parole le servì la stessa spiegazione che Oscar aveva dato a sua nonna, tranquillizzandola.
«Capisco…» sorrise lei, annuendo. «E anche ubriacarsi in una bettola faceva parte di questo misterioso incarico? » lo rimbeccò, curiosa.
André sorrise. Touché, pensò.
«Anche» mentì sentendosi subito in colpa. Dispiaciuto dal prenderla un po’ in giro. Ma non poteva dirle la verità. Non ancora. Non adesso. Faceva troppo male. E la speranza di tornare a palazzo Jarjayes non era morta del tutto. Meglio non esporsi troppo, dunque.
Preferì tacere.
«Se non ti dispiace e non ti è di disturbo… » continuò adombrandosi. «Mi fermerei qualche giorno. Il tempo di organizzarmi» disse, domandandole poco velatamente asilo.
Rosalì gli rispose con il solito, timido sorriso che conosceva.
«Con tutto quello che tu e madamigella Oscar avete fatto per me, il minimo che possa fare è offrirti la mia ospitalità e tutto quello che ti serve, André! » disse. «Spero solo di poter rivedere presto anche madamigella Oscar… »
André sorrise dolcemente. Gli occhi verdi adombrati.
«Lo spero anche io, Rosalie… » rispose, sentendosi improvvisamente soffocare.
Deciso a rimanere a galla, nonostante tutto, afferrò ridendo una mela rossa e lucida dal vassoio che lei gli aveva portato
«Andrò a fare due passi» disse,  «L’aria fresca non mi farà che bene!»
Per la strada, una ridda di odori salmastri lo aggredì strappandogli una smorfia.  Che sciocco era stato, si schernì. Credeva forse di respirare l’aria fresca dei giardini di palazzo Jarjayes? Nemmeno l’odore delle stalle era così acre, pensò.
Si passò una mano sugli occhi, respingendo il senso di nausea, poi si guardò attorno. Nemmeno il tempo di decidere che direzione prendere e una voce ben nota lo richiamò oltre il vicolo.
«Ehi, bel ragazzo!»
Si girò e una costellazione di lentiggini gli si parò davanti.
«Non ti sarai dimenticato di me! » lo rimbrottò una procace ragazza dai lunghi capelli rossi che senza lasciargli il tempo di parlare lo rimbeccò nuovamente.
«Sei in debito, ricordi? Ti ho dedicato un bel po’ del mio tempo, ieri sera…»
André ricordava ogni cosa. Anche se avrebbe preferito dimenticare.
«Posso pagarti» rispose guardandola negli occhi e rubandole un battito del cuore.
«Non sono i tuoi soldi che voglio» ribatté lei. «Ma sapere perché un bel giovanotto come te si ubriaca, fino a perdere i sensi, in una bettola sporca e maleodorante di Parigi» mentì, dissimulando la verità.
André strinse le dita attorno alla mela che ancora teneva in mano. Bella e rossa come la ragazza che gli stava di fronte.
«Il motivo è lo stesso che mi avrebbe comunque impedito di andare fino in fondo…» mormorò, mal celando un certo imbarazzo.
La ragazza incrociò le braccia sul petto e lo guardò piegando leggermente la testa di lato.
«Una donna» disse.
André la penetrò con lo sguardo togliendole il fiato.  
«La mia donna…» asserì.


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DUE CHIACCHIERE...

Difficile fermarlo, questo Conte, quando decide di parlare, vero?
A qualcuno avrà fatto venire l'orticaria... Qualcun'altro, invece, magari lo avrà anche apprezzato. Cosa ne penso io? Credo di averlo detto "indirettamente" nel tracciare questo capitolo (e tante altre volte, qua e là nelle diverse ONE SHOT). Chi vuole provare a indovinare? Ma, soprattuto, cosa succederà, adesso?
Nella speranza di avervi un po' emozionato e forse anche incuriosito, ringrazio tutti quanti leggono! E la cara MGrandier che chiedeva un capitoletto un po' più lungo... Che dici, va meglio? Notato un paio di omaggi alla tua "IL MIO SEGRETO"
A presto e ancora grazie a tutti! 
Sabrina 



 

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Capitolo 7
*** La Fille Rouge ***



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Capitolo 7 – “La Fille Rouge”
 
Una risata cristallina spazzò via i miasmi di Parigi.
«Bello e innamorato!» esclamò, impertinente, la ragazza dai lunghi capelli rossi,  sogguardando André attraverso le ciglia socchiuse. «Cosa si potrebbe chiedere di più» soggiunse a mezza voce. Poi si sollevò sulle punte dei piedi e guardò oltre la sua spalla.
«Beh… non è di questa Rosalie che sei innamorato! Questo è certo! » disse. «L’ho vista, mentre ti salutava sulla soglia. E anche ieri sera»
André inarcò un sopracciglio, sorpreso e anche un po’ perplesso, domandandosi dove volesse andare a parare quella ragazza bellissima e sfrontata.
«Carina… ma scialba!» sentenziò lei, convintamente.
André l’ammonì con uno sguardo severo.
Lei si portò il dorso di una mano alle labbra scarlatte e rise sbarazzina, lasciando intravvedere due deliziose fossette ai lati della bocca.
Poi, mani ai fianchi, lo fissò in silenzio per qualche istante.
«Le vuoi bene…» gli concesse, leggendo nei suoi occhi. «Ma resta sempre un po’ scialba e non è a lei che dedichi ogni tuo respiro…»  ribadì. «Non è per lei che hai rinunciato a un tipetto tutto pepe come me» lo provocò.
Le labbra di André si piegarono in sorriso istintivo, conquistato da quella frizzante e contagiosa spontaneità.
Perché non poteva innamorarsi di Rosalie, si chiese, o di una ragazza bella e genuina come quella sconosciuta, evidentemente in pace con la propria femminilità.
Avvampò. E la cosa non sfuggì alla sua interlocutrice.
«Perché quel rossore? » domandò. «Ci stai ripensando, forse? » sorrise accattivante.
«Penso che non ho tempo da perdere… » si schermì André, dissimulando l’imbarazzo e tentando di cambiare discorso, anche a costo di risultare poco galante. «Devo cercarmi un lavoro! » sentenziò guardandosi attorno.
I risparmi di una vita e la generosa buonuscita elargita da Oscar sarebbero stati più che sufficienti a garantirgli una vita dignitosa per un lasso di tempo decisamente prolungato. Ma doveva e voleva tenersi impegnato.
«Un lavoro? », questa volta fu la ragazza a  sollevare un sopracciglio, sorpresa. E subito dopo, l’improvviso sfavillio nel suo sguardo preoccupò André più dei pensieri che aveva cercato di scacciare.
«Sono appena arrivato in città…» spiegò, schermendosi ai suoi occhi. «E non ho ancora avuto il tempo di organizzarmi»
Ancora quella risata cristallina. Gradevole come minuscole e tiepide gocce di pioggia in una giornata afosa.
«Bel modo di festeggiare il tuo arrivo!» esclamò la ragazza. «Una sbornia e una scazzottata… » lo canzonò. «Inutile per altro. Non c’era affatto bisogno che ti scaldassi tanto per difendere il mio onore» affermò, mentre i suoi occhi, illuminandosi, dicevano il contrario.
Gli girò attorno, studiandolo attentamente. Apprezzandone alla luce del  giorno le spalle larghe, il petto ampio e i lunghi capelli scuri, trattenuti da un fiocco blu alla base della nuca.  Afferrando le sue mani grandi e un po’ ruvide e trovandole belle e vissute.  
«Puoi lavorare per me» suggerì infine, tornando a fissarlo negli occhi.
«Cosa? »
«Alla bettola… » spiegò lei. «E’ mia!»
Gli occhi di André si fecero enormi, tanta era la sorpresa.
«Tua?» fiatò.
Lei annuì, sollevando il mento, orgogliosa.
«La fille rouge…» disse, sfiorandosi una ciocca di capelli. «Era di mio padre» si emozionò, poi sorrise. «Ora è mia. Con tutto quel che comporta»
Lo sguardo di André si fece scuro, così come la sua espressione.
«Solo con chi mi piace davvero» rispose lei al suo tacito interrogativo. «Il vantaggio di essere il capo», sorrise maliziosamente convincente.
André distolse lo sguardo e dissimulò l’imbarazzo con un deciso morso alla mela.
«Dovrei almeno sapere il tuo nome… » obiettò.
«Camille» fu la pronta risposta.
André masticò la frutta succosa e la guardò, abbracciandola in silenzio con  i caldi e rassicuranti occhi verdi.
 
***
 
Una serata come tante. Una notte ubriaca. Un altro giorno trascorso lontano da lei…
André passò distrattamente lo straccio sul piano di legno marcio dell’ultimo tavolo. Martoriato dalle sottili o sgraziate incisioni di mille coltelli.
Accettare il lavoro alla bettola era stato un toccasana per il suo umore. In mezzo alla gente, impegnato a servire o a gestire gli avventori più intraprendenti, i suoi pensieri sembravano fare un po’ meno male. Sorrise, prendendosi gioco di se stesso e del proprio, a quanto pareva, ineluttabile destino.
Ironia della sorte,  si trovava ancora a lavorare per una donna.
Rivolse ad Oscar un pensiero stizzito… Questa volta, almeno, la donna in questione sapeva e diceva chiaramente quello che voleva. O così sembrava…
«Ehi, tu! »
Una voce insolente, alle spalle, lo apostrofò riportandolo bruscamente alla realtà e ricacciando Oscar tra le pieghe più profonde della sua anima, e non ebbe bisogno di voltarsi per capire a chi, quella voce petulante, appartenesse.
«Lavori per Camille, adesso!?! » un’affermazione, più che una domanda.
André si volse lentamente, e altrettanto lentamente sollevò lo sguardo, dal tavolo al volto gioviale e un po’ spaccone del soldato che lo stava fissando.
Il ragazzone in uniforme si avvicinò. Le mani in tasca, l’espressione divertita. Prese posto al tavolo appena pulito e gli ordinò da bere.
«E’ tutto? » domandò distaccato André quando fu di ritorno, con una bottiglia e un paio di bicchieri così come gli era stato richiesto.
L’altro gli afferrò prontamente un polso, prima che potesse allontanarsi e lasciare il la bottiglia sul tavolo.
André sostenne severamente il suo sguardo.
«Ti sei ripreso alla grande, vedo!» sorrise il soldato, sfilando con la mano libera lo stecchino di legno che spuntava all’angolo sinistro delle labbra.
André serrò la mascella. Poi calibrò la tensione e ingentilì lo sguardo.
«Se è per quello che è successo l’altra sera…» mormorò sapendo di essere colpevole, «ti chiedo scusa».
Il giovane gli rispose con una sonora risata.
«Sciocchezze!» disse. «Me lo sono meritato. E se non fossi stato ubriaco fradicio mi avresti facilmente messo a tappeto » si schermì strizzandogli l’occhio. «Mi chiamo Alain!» continuò, trasformando la stretta al polso di André in una mano tesa.
L’altro non deluse le sue aspettative.  
«André Grandier» rispose, stringendogli la mano con forza.
«Vedi? L’ho detto che mi avresti steso!»
André si rilassò in un sorriso divertito ma non troppo convinto, vista la stazza di quel giovanotto, certamente più avvezzo di lui agli scontri corpo a corpo.
«Piuttosto… » mormorò «Penso di doverti ringraziare». Sapeva di aver dato un pessimo spettacolo di sé e non aveva voglia di indugiare su quello sgradevole argomento. Ma sapeva anche che se non fosse stato per quello sconosciuto, la sua prima serata a Parigi si sarebbe conclusa con l’errore più grande della sua vita. Ed era stato sempre lui, impietositosi da quello straccio d’uomo, evidentemente, ad ascoltare le sue farneticazioni e ad accompagnarlo fino alla porta di Rosalie.
L’altro accentuò il proprio sorriso. Largo e accattivante. Scacciò con un gesto vago della mano una presunta mosca nell’aria e si poggiò con entrambi i gomiti sul tavolo per guardarlo meglio negli occhi.
«Dimmi solo una cosa… » iniziò. «Mentre te ne stavi appeso al mio collo, durante tutto il tragitto, non hai fatto che ripetere un nome… »
André dilatò lo sguardo.
«Oscar, Oscar… » gli fece il verso il soldato. «Non sarai mica…»
André lo fissò, sinceramente sorpreso.
«Voglio dire… » proseguì l’altro cercando di spiegarsi, «Questo Oscar sembrava starti molto a cuore… Non che per me cambi qualcosa, ma…»
André abbassò le palpebre sugli occhi stanchi e sulle sue labbra aleggiò l’accenno di un sorriso.
«Grazie per la comprensione» disse, cercando di mantenersi serio. «Ma Oscar è una donna. Una splendida donna».
Alain rise allora di gusto.
«Meglio così!» affermò, a dispetto di quanto aveva appena sostenuto.  Poi, divenne improvvisamente serio:
«E deve essere anche crudele, questa splendida donna, per averti ridotto in quello stato… »
André sostenne lo sguardo di quegli occhi scuri.
«E’ una lunga storia» affermò, deciso a non affrontare l’argomento.
L’espressione di Alain mutò, improvvisamente.
«Cosa ti prende? » gli domandò.
«Gli uomini alle tue spalle. Quelli che sono entrati adesso…» borbottò il soldato, guardando oltre la figura del suo nuovo amico.
«Li conosci? » domandò questi, incuriosito più dal suo cambio d’umore che dai nuovi avventori.
«Conosco tutti, qui. E dovresti imparare anche tu» rispose Alain lasciandosi andare contro lo schienale della vecchia sedia. «Si siederanno al tavolo in fondo, quello più appartato. E parleranno a lungo»
Pungolato dalle parole del soldato, André si volse in tempo per incrociare lo sguardo acceso di due penetranti occhi blu. Un’occhiata inquisitoria ma sincera. Leale. L’uomo, passandogli accanto, accennò un saluto col capo e un sorriso.
«E’ Bernard Chatelet» lo richiamò Alain. «Un giovane e promettente giornalista… » commentò sogguardando il gruppetto che prendeva posto là dove aveva predetto.
«Si prospettano tempi duri per la monarchia…» mormorò socchiudendo le palpebre e servendosi da bere.
André gli rivolse un’occhiata interrogativa.
«E’ solo il pensiero di uno sciocco… » si schermì Alain con un sorriso. «Ma tieni gli occhi aperti, André Grandier, perché il mondo sta cambiando… »
 
***
 
«Attenta, Oscar… Hai perso un guanto!»
La voce carezzevole e un po’ canzonatoria di André le risuonò nella testa per poi sciogliersi nello stomaco.
Oscar si volse di scatto. Pallida.
«Avete perso un guanto, comandante…»
Girodell! Affermarono i suoi occhi, mentre il tono rispettosamente gentile del tenente spazzava via ogni, sciocca illusione.
Oscar emise un pesante sospiro.
«Grazie Victor…» mormorò sovrappensiero.
Girodell sollevò impercettibilmente un sopracciglio, sorpreso dal fatto che il comandante gli si rivolgesse, in caserma,  con il nome di battesimo.
«Qualcosa vi preoccupa? » domandò.
Oscar recuperò il guanto, che scivolò tra le dita di lui liberandogli il palmo.
E lentamente  lo indossò.
«Voci…» mormorò.
«Quelle che vogliono il Conte di Fersen tra le Guardie Reali? » azzardò il tenente.
Oscar abbassò le palpebre.
«Perché pensate che la notizia mi interessi o mi preoccupi addirittura? Il Conte di Fersen è libero di servire la nostra Regina come ritiene più opportuno» rispose, imponendosi di crederci.
«Vi riferite, allora, al malumore che serpeggia negli ambienti di Parigi?» rilanciò Victor, cambiando repentinamente argomento.
«Mi riferisco ai furti che si stanno susseguendo sempre più spesso» ribatté Oscar, sollevando lo sguardo.
«Sembra che non siano semplici furti, ma che nascondano qualcosa di più profondo e complicato. Forse pericoloso», riportò il tenente facendo sue le ultime ipotesi. «Il ladro sembra voler mandare un messaggio all’intera aristocrazia»
«Il popolo inneggia a questo criminale come a un eroe…», protestò Oscar rabbuiandosi in volto.
«Si dice che il bottino venga distribuito ai poveri…» sottolineò Girodell.
Oscar gli rivolse un’occhiata carica di rabbia e di biasimo che non lo lasciò indifferente.  
«Resta pur sempre un ladro. E noi siamo tenuti a trattarlo come tale»
Victor sostenne il suo sguardo.
«Sì, Comandante»
Lei serrò la mascella.
«Non sembrate d’accordo, tenente… » osservò.
Victor Clemente de Girodell scattò sull’attenti.
«Non sono tenuto ad avanzare un’opinione in merito, Comandante. Ma solo a rispettare i vostri ordini».
Oscar avvertì un’insopportabile stretta allo stomaco.  La mancanza di André! Serrò la mascella. Severa. Con lui la discussione sarebbe andata avanti fino a sera. Fino a quando non fosse riuscito a esasperarla.  Lo conosceva bene, André…  Cominciava col darle ragione, poi cercava di convincerla che stava sbagliando.
«E’ così» tagliò corto in risposta al tenente Girodell. Laconica.
Victor non obiettò, acuendo la sgradevole sensazione che attanagliava lo stomaco del suo Comandante. Ne catturò la figura con lo sguardo. Scivolò dalle spalle erette ai fianchi snelli. Indugiò sul suo profilo serio e perfetto, sulle labbra morbide, strette in una morsa capricciosa e infantile.  
Quando aveva iniziato a innamorarsi di lei?
«Tenente Girodell» lo richiamò Oscar, sorprendendolo immerso in quegli illeciti pensieri, «Se avete degli impegni per questa sera, annullateli. Vi voglio al mio fianco, al ricevimento dei  De la Croix e se quell’individuo dovesse presentarsi, gli riserveremo una degna accoglienza»
Victor ripeté il saluto militare.
«Certo, comandante Oscar» sorrise, benedicendo in cuor suo l’assenza di André che, altrimenti, avrebbe certamente preso il suo posto.
 
***
 
André Grandier si soffermò sulla soglia. Come ogni sera nelle ultime settimane.
La piccola chiesa di campagna si riempiva ogni giorno di più. Meta del pellegrinaggio di poveri e nobili.  Per la prima volta insieme.
Accigliato, percorse con lo sguardo la navata fino all’altare trasformato per l’occasione in un pulpito dal quale partivano affermazioni ed anatemi contro un regime obsoleto, sordo e cieco ai tempi che stavano rapidamente cambiando.  E benché condividesse ogni singola parola dell’anziano oratore, il pensiero che l’astio di quelle persone, acuito dalla miseria e dalla fame, potesse un giorno travolgere Oscar, la sua Oscar, lo feriva e lo preoccupava.
Non passava giorno, da quando era stato allontanato da palazzo Jarjayes, che non pensasse a lei. E i malumori di Parigi acuivano la nostalgia di casa.
«André! » lo salutò Bernard Chatelet, raggiungendo la chiesa, con un sorriso entusiasta.
André ricambiò con un cenno del capo. Poi, il suo sguardo fu attirato dall’improvviso riverbero che la luce delle candele accese lungo il filo di perle che occhieggiava da una tasca del soprabito dell’uomo.  
«Sembra preziosa… » commentò, indicandola.
Bernard gli rilanciò un’occhiata impertinente.
«E lo è! » ammise sorridendo. «Qualcuno di loro, stasera non tornerà a casa a mani vuote… » affermò accennando alla folla che gremiva la chiesa.
«Devi fare attenzione…» lo ammonì André che, fin dal loro primo incontro alla bettola, aveva instaurato con Bernard un rapporto più che amichevole.
«Alle guardie, intendi? » ammiccò il giovane. «Nessuno di loro è abbastanza scaltro da impensierirmi. Nemmeno il loro comandante, che mi aspettava con tutto il suo stato maggiore alla festa sbagliata» rise.
André provò una fastidiosa stretta allo stomaco, ma si impose di rimanere impassibile.
«Giocheremo un po’ al gatto col topo… » concluse il giornalista fattosi ladro. 



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DUE CHIACCHIERE...

Credo che qualcuno di voi tirerà un sospiro di sollievo. Altri cominceranno a farsi una certa idea o a confermare l'idea che si erano già fatti... In ogni caso, potevo esimermi da mettere in campo anche il buon, vecchio, Victor?

In merito al disegno, mi riporometto di tornare presto a realizzarne a colori... Forse già dal prossimo. Anzi! Sicuramente dal prossimo, visto il tema che andremo a toccare, ehehehe!

Intanto, come sempre un GRAZIE enorme a tutti i lettori!

A presto,
Sabrina 

 

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Capitolo 8
*** Il Cavaliere Nero ***


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Capitolo 8 – Il Cavaliere Nero
 

«Bernard!»
Il giornalista sollevò lo sguardo dalle carte, sparse sul tavolo, per incrociare gli occhi di André.
«Dimmi» lo esortò, cogliendo la sua esitazione e allargando le belle labbra in un sorriso rassicurante.
L’altro si limitò a guardarlo in silenzio ancora per qualche istante. Poi si decise.
«Ho sentito che questa sera… sfiderai il Cavaliere Nero… » disse.
Il sorriso abbandonò il volto di Bernard e i suoi tratti si fecero duri,  mentre i  penetranti occhi blu diventavano scuri di rabbia.
«Sfiderò l’impostore» precisò. «Nessuno può fingersi il paladino del popolo e pensare di restare impunito».
Una sentenza, quella che era uscita dalle sue labbra, lapidaria.
André si appoggiò, quasi sedendosi,  al piano del tavolo e incrociò le braccia sul petto, offrendo all’amico solo uno spaccato del proprio volto.
Bernard se ne uscì in una breve risata.
«Cosa c’è André? » lo incoraggiò ancora. «Sai che puoi parlare liberamente».
Volgendosi, André catturò improvvisamente i suoi occhi.
«Fammi prendere il tuo posto! » esplose, con maggiore veemenza di quanto avrebbe voluto.
Sorpreso, Bernard sollevò un sopracciglio.
«Cosa? »
«Fammi prendere il tuo posto, stasera… » ripeté Andrè, che ormai aveva rotto ogni indugio.
«E perché dovrei farlo?» rise il giornalista, perplesso dalle parole dell’amico, ma divertito dalla sua richiesta. «Non c’è abbastanza confusione in giro? » lo schernì.
L’altro strinse gli occhi. Sottili feritoie smeraldine attraversate da un lampo improvviso.  
«Sei troppo prezioso per la causa» rispose. «Non possiamo rischiare che ti accada qualcosa» continuò, facendo leva su argomenti delicati come il futuro della Nazione,  mentre un intenso calore gli si allargava in petto ad ogni parola che inanellava, una dietro l’altra.  «Non sappiamo niente di questo impostore. Nemmeno se sia pericoloso e quanto…» si fermò. Il tempo di rimettere insieme i pensieri. «Ascoltami, Bernard, e lascia che prenda il tuo posto. Se dovessi avere la peggio, potrai comunque vederlo in azione, vedere come si muove e magari, se serve, recuperare informazioni importanti sul suo conto», concluse trattenendo il fiato in attesa della risposta dell’amico che non si fece attendere.
«Non voglio confondere la gente più del necessario…» commentò Bernard, scuotendo leggermente la testa. «Il ritratto del Cavaliere Nero, quello autentico, circola già per le strade di Parigi…» disse, aggrottando la fronte.
«E’ solo questo il problema? » sorrise André, enigmatico.
Afferrò dal tavolo di Bernard un paio di forbici e con un taglio secco si liberò dei lunghi capelli scuri, trattenuti dal nastro blu alla base della nuca.
Lo sguardo esterrefatto di Bernard gli strappò una risata e svelto si passò una mano tra le ciocche arruffate poi, tornando improvvisamente serio, sogguardò Bernard.
«Allora? Cosa ne dici! Non siamo come due gocce d’acqua, adesso?»
Seppure sorpreso da una somiglianza tanto straordinaria quanto inaspettata, Bernard abbassò lo sguardo.
«Ma se…» mormorò, avanzando una nuova remora.  
«Non preoccuparti!» sorrise André, prevenendo la sua tacita domanda. «So difendermi», sogghignò.
La  determinazione di André conquistò Bernard che, comunque, decise  di metterlo alla prova. Indossare i panni del Cavaliere Nero non era uno scherzo e non doveva essere preso come tale. Infiammare il popolo, sostenerlo, essere per quella povera gente lo spiraglio di luce in grado di guidarla attraverso le tenebre era qualcosa di troppo importante.
Alzandosi bruscamente dalla sedia, scostò in malo modo il tavolo  e si scagliò contro l’amico.
Pronto a reagire, André scartò di lato, evitando Bernard che gli si buttava addosso a peso morto per poi fermarsi e girarsi ancora verso di lui.
«Ottimi riflessi! » gli concesse il giornalista. «Ma come te la cavi con la spada? »
Sul volto di André ricomparve il ghigno di poco prima. Accettò la sfida.
Si volse appena, verso il muro alle proprie spalle. Il tempo sufficiente ad accertare la distanza tra sé e le due lame appese alla parete.
Le sfilò dal supporto e ne lanciò una in direzione di Bernard.
«Potrei stupirti! » rispose.
 
***
 
Oscar spalancò le ante di legno chiaro. Con espressione accigliata soppesò il contenuto dell’armadio, poi lo richiuse  ed estrasse la chiave dalla toppa. Un sorriso stanco le attraversò la mente. Se qualcuno avesse scoperto il tesoro nascosto al suo interno, sarebbe scoppiato un vespaio difficile da contenere. A nulla sarebbero valse le sue rassicurazioni.
Si portò alla finestra e guardò distrattamente, attraverso i vetri appannati, il tramonto trasfigurare di rosso l’orizzonte.
Un lieve bussare alla porta la distrasse da ogni pensiero e quando Marie le porse una fumante tazza di te, sentì la stanchezza scivolarle via di dosso.
«Scusami, Oscar…» mormorò la governante, quasi timorosa di apparire ripetitiva.
«Hai notizie di André? »
Oscar dissimulò un sussulto, scuotendo lievemente il capo.
«Non preoccuparti…» rispose. «André sa badare a se stesso» concluse, credendo fermamente in quel che diceva. Era lei, eventualmente, ad avere qualche problema…
«Quel benedetto ragazzo. Non farsi né vedere, né sentire…» brontolò la piccola donna anziana, accigliandosi.
Oscar cercò di stemperare l’imbarazzo per quella conversazione soffiando sulla superficie del liquido ambrato. Sorbì un primo sorso.
«Ora lasciami sola, te ne prego… Ho del lavoro da sbrigare» disse con il tono più tenero di cui fosse capace.
Marie annuì, lentamente, e raggiunse la porta. Ma prima di uscire, avvolse Oscar in uno sguardo amorevole e non le risparmiò la solita raccomandazione.
«Tu lavori troppo, bambina mia… Dovresti riposare un poco o finirai per crollare.  E quel tuo tenente, poi…» riprese sollevando uno dei piccoli pugni grinzosi. «Possibile che non sappia prendersi cura di te come si conviene?»
Oscar chinò leggermente il capo sul petto. Chiuse gli occhi e si concesse un sorriso divertito.
«Girodel è un ottimo soldato…» prese le sue difese. «Ma non è tenuto a farmi da balia. Sono un ufficiale e non ne ho bisogno» continuò.
«Sei pur sempre una ragazza, Oscar! » protestò Marie iniziando la consueta tiritera «Non te lo dimenticare. E una ragazza va difesa e protetta. Sempre» ribatté la governante. «Anche se si veste e si comporta come un uomo» concluse prima di uscire e di chiudersi la porta alle spalle.
Oscar tornò a fissare l’orizzonte. Rosso cupo e strali violacei si amalgamavano, sfumandosi come in un dipinto.
Abbassò leggermente le palpebre, acuendo lo sguardo.
Una ragazza… pensò.
Un misto di amarezza e rancore le accese lo sguardo. Un moto di ribellione le attorcigliò le budella. Perché tutti, attorno a lei, sembravano volerle ricordare il suo essere nata donna? Tutti!  Tranne l’uomo di fronte al quale sarebbe stata disposta a mostrarsi tale, fino a qualche giorno prima…
Quel pensiero le avvelenò l’anima. Strinse le dita attorno alla tazza. Ne avvertì il calore e poi tutti i disegni della porcellana.
Sollevò il mento ed espirò profondamente a labbra serrate. Fissò un punto lontano, imponendosi di recuperare la calma. Una manciata di ore e la caccia avrebbe avuto inizio. Di nuovo.  
Questo pensiero la confortò.
Nonostante la ritrosia di Girodell, era ancora convinta che sfidare apertamente il fantomatico Cavaliere Nero sul suo stesso terreno, mettergli il bastone tra le ruote, fosse l’unica possibilità di farlo venire allo scoperto.
Se davvero la reputazione di quel ladro era tanto importante e la sua missione lontana dall’essere meschina come voleva far credere, allora non si sarebbe fatto attendere.
In ogni caso, impegnarsi in quella rocambolesca caccia all’uomo, l’aiutava a non pensare. A spazzare via immagini e pensieri ostili. A sentirsi meno sola. Perché era questo che era. Sola.
Trasalì di nuovo e si rimproverò per aver mostrato il fianco. Ancora una volta.
Testarda, si rifugiò là dove nulla la poteva scalfire. Il suo ruolo. Il suo lavoro. Il suo rango… Il suo universo maschile. Protettivo e forte. Quello di cui aveva bisogno.
Tornò con la mente alla missione che si apprestava a compiere, anche quella notte.  L’adrenalina le nutriva l’anima. Appagandola senza chiederle nulla in cambio se non qualche rischio calcolato.
Sorrise. Questo significava essere uomo. Un vero uomo…


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DUE CHIACCHIERE...

Capitolo breve (per necessità narrative, ovviamente...), un giorno di ritardo sulla tabellina di marcia, ancora qualche recensione al capitolo precedente alla quale dare risposta (non dubitate! Mi rimetterò subito in pari!!!) e che altro? Beh, mi sembra abbastanza per meritarmi il vostro biasimo... Spero che almeno il ritorno delle illustrazioni a colori mi faccia conquistare qualche punticino perso. Che ne dite?

Un grazie a chi mi segue sempre, nonostante i miei ormai "proverbiali" ritardi... 

A presto, 
Sabrina 

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Capitolo 9
*** André! ***






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Capitolo 9 – André! 
 

 
André dilatò lo sguardo. Sorpreso e arrabbiato.
Possibile che Oscar fosse così sciocca?
Eppure… lo aveva sospettato. La conosceva così bene da averlo sospettato che lei, e solo lei, avrebbe indossato i panni del Cavaliere Nero, pur di catturarlo e di non mettere  a repentaglio la vita dei propri uomini.
E infatti eccola lì… con i lunghi capelli biondi, la figura snella fasciata di nero, la maschera a nascondere parzialmente il volto, incorniciando al contempo quegli impareggiabili occhi blu.
Dall’alto della torre, che gli permetteva un’ ampia visuale sulla tenuta, André sollevò il mento, quasi indignato, e strinse inconsciamente i pugni. Le ciocche di capelli scuri, scarmigliate dal vento,  gli solleticavano le guance.
Testarda… mormorò a fior di labbra, indurendo lo sguardo e ringraziando il proprio intuito che gli aveva suggerito di sostituirsi a Bernard. Non per mero spirito di sacrificio, non per l’amicizia e l’ammirazione crescenti che pur nutriva nei suoi confronti… Ma per lei. Solo ed esclusivamente per lei…
Carico di rabbia, André serrò la mascella, facendo quasi stridere i denti e inspirò profondamente, deciso ad uscire allo scoperto.
Non subito, però. Prima attese.
Attese che Oscar portasse a termine il furto, che si calasse dalla torre e che, soddisfatta e anche un po’ divertita da quell’insolito passatempo, si inoltrasse tra gli alberi che circondavano la tenuta. Poi, seguendone il percorso, non appena fu certo che fossero soli e di non metterla in pericolo, si palesò e ne arrestò la corsa.
La fronteggiò. Fissandola lungamente negli occhi. In silenzio. Mentre il suo cuore, irrimediabilmente malato d’amore, gridava il suo nome.
Lei era bellissima. Lo sguardo fiammeggiante di chi ha finalmente avuto ragione. Il fiato corto per la corsa e la sorpresa. La figura snella e maledettamente seducente, immobile ma pronta allo scatto. Una fiera indomita…
André si sentì perso. Soffocare. In apnea…
Da quanto tempo non la vedeva? Da quanto tempo non la respirava, non sapeva più niente di lei e della sua vita?
Oscar… si lamentò senza schiudere le labbra. Un lamento struggente, una necessità impellente di averla. Sua. Completamente. Di tornare da lei e con lei…
Oscar sguainò la spada.
Il rumore del fodero sulla lama lo fece trasalire.
La sua risata, aspra, sferzò l’aria fresca della notte riempiendogli le orecchie, aride da giorni.
«Ti sei deciso, finalmente».
Parole qualunque… Eppure André si nutrì della sua voce vibrante e roca. 
Annuì. Ancora in silenzio.
Se solo avesse parlato, Oscar lo avrebbe riconosciuto e non era quello che voleva. Non ancora…
Era stato cacciato di casa. Da lei. Senza che battesse ciglio e senza dargli il diritto di replica.
Testarda… pensò di nuovo, guardandola negli occhi.
Irritata dal suo fissarla immobile, come se nulla lo potesse scalfire, come se nulla gli importasse, Oscar gli intimò la resa. Decisa a non lasciargli smorzare l’entusiasmo provato per la riuscita di quel piano azzardato. A godersi la meritata vittoria. Una vittoria del tutto personale…
«Arrenditi» ripeté, investita dal suo silenzio.
Furiosa, gli si scagliò contro. E lui le tenne testa.
Il clangore delle lame, che si cercavano e si scontravano,  riempì la radura. Ad ogni colpo di Oscar seguiva una parata o un affondo dell’avversario rivelatosi incredibilmente scaltro agli occhi di lei.
In una danza di spade e respiri, indispettita da quell’ostentata indifferenza, Oscar si impegnò in un duello furente, prepotente, teso ad avere ragione  dell’avversario. A batterlo. Ad annientarlo. Forse anche umiliarlo e le labbra di André si piegarono istintivamente in un sorriso. Una scintilla che gli divampò nel petto, scaldandolo.
Vuoi battermi, Oscar? E’ questo che vuoi? Pensò smorzando in gola una risata gorgogliante e fiera.
Rapido, intrecciò la spada con quella di lei. Giocò con la lama sottile. E quella sfida a due, quel duello, come tanti sostenuti in passato, lo eccitò, facendogli dimenticare dove fossero e perché fossero lì. Nemici.
«Avanti! » lo incitò Oscar, lo sguardo acceso, quando dopo una serie di affondi si ritrovarono lontani, uno di fronte all’altra. «Vediamo quanto vale questo ladro gentiluomo… » lo canzonò, richiamandolo a sé con il gesto eloquente di una mano. Vibrante nell’attesa, ansante e carica, come se quel confronto le fosse improvvisamente necessario. Vitale.  E al contempo, infastidita da una bizzarra percezione…
Attraverso la maschera, André sostenne il suo sguardo e sorrise.
Non esagerare, Oscar… pensò. Non sfidarmi. Potrei dimenticare le buone maniere, questa volta… e la luce che attraversò i suoi occhi verdi non sfuggì al capitano della Guardia Reale.
Sentendosi derisa, e stranamente coinvolta, Oscar tentò l’affondo decisivo.
André non si spostò.
Non scartò di lato né indietreggiò.
Aspettò che lei gli fosse addosso.
E allora, le bloccò la lama, intrecciandovi la propria poi, con un gioco di gambe e un gesto secco del polso girò su se stesso e fece in modo di portarsi alle spalle di Oscar e di trattenerla sul petto.
In equilibrio precario, il braccio bloccato, Oscar si appoggiò di schiena all’avversario per non cadere.
Ne avvertì la presenza, concreta e forte, attraverso la stoffa del mantello, sulle scapole. Il suo respiro sulla nuca. Caldo, ansante, corto…
André trattenne il fiato. La gola stretta e arrochita dal desiderio di stringerla tra le braccia.
Ma prima che la sua mano sinistra, libera dalla spada, potesse muoversi verso di lei, Oscar approfittò della sua esitazione per sciogliersi da quella morsa e, con uno strattone, allontanarsi ancora e tornare a pararsi davanti a lui.
Pronta a ricominciare. Accaldata e tesa, disorientata, forse. Eppure, le sue labbra si piegarono in un ghigno soddisfatto e arrogante.
Lo cercò. Cercò il suo sguardo e questo la trafisse, penetrandola profondamente. Disarmandone l’anima senza che lei ne capisse il perché. Uno sguardo scuro di sentimenti contrastanti che non avrebbero avuto motivo di esistere e trasfigurare il volto di uno sconosciuto.  
Chi era quell’uomo? si chiese Oscar, la cui sicurezza, già dal primo affondo, era stata minata dalla consapevolezza che qualcosa, nei suoi gesti, nelle sue movenze e nella sua innata sicurezza, le era stranamente familiare.
«Capitano! » la voce preoccupata di Girodell  distolse la sua attenzione.
André emise un ringhio sordo, appena percepibile, e Oscar aggrottò le sopracciglia, voltandosi.
«Sono qui! » comunicò, secca,  e il tenente apparve alle sue spalle, trafelato ma sollevato per averla finalmente trovata.
Nemmeno il tempo di arrivare, però,  e il giovane Victor avvertì una fitta lancinante alla nuca. Cadde a terra, tramortito, lasciando Oscar sorpresa e inaspettatamente sola ad arretrare verso di lui, pur senza perdere di vista l’avversario.
E fu allora che André notò tra il fogliame, alle spalle di Girodell, il luccichio di una pistola.  
Bernard! Pensò, certo di aver riconosciuto il giornalista nella sagoma nascosta nell’ombra e senza esitazioni si avventò su Oscar, frapponendosi tra lei e la canna lucida e mortale.
Oscar reagì d’impulso.
Sollevò la spada e colpì di taglio.
Un’esclamazione sorda uscì dalle labbra di André.
Portandosi una mano al volto, il giovane cercò di tamponare il sangue caldo e vermiglio che gli annebbiava la vista.
Mosse le labbra, come a voler parlare, ma non riuscì,  vinto dal dolore e dal bruciore insopportabile che gli contraeva i muscoli e lo stomaco.
«Oscar! » esclamò, infine, con voce strozzata. «Oscar!» ripeté, mentre cadeva in ginocchio, cedendo al dolore e alla paura e arrancando tra la polvere.
Il cuore di Oscar si fermò in quell’istante.
Lo sguardo dilatato, le labbra schiuse ma impossibilitate ad emettere alcun suono.
André… pensò... André!
Quello era il suo André!
 
***
 
Oscar avrebbe voluto urlare. Come un leone in gabbia avvertiva l’inquietudine e la rabbia montarle in petto.  Eppure sedeva composta, nel lungo corridoio di Palazzo Jarjayes,  sulla poltrona che fronteggiava la stanza di André.
Le mani allacciate sotto al mento, leggermente china in avanti, lo sguardo fisso alla porta chiusa.
Il ferimento di André era stato inaspettato… Ma non involontario.
Aveva levato l’arma per colpire e lo aveva fatto. Senza alcun ripensamento.
Quello che non poteva sapere era l’identità della sua vittima. Chi vestisse i panni dell’uomo cui stava dando la caccia ormai da settimane… L’uomo che avrebbe catturato e mandato a processo. L’uomo che sarebbe stato con ogni probabilità condannato.
André! Com’era possibile?
Poche parole e si era inventata una spiegazione plausibile agli occhi di Girodell e di chiunque altro le avesse chiesto qualcosa in merito. Lo aveva protetto dagli altri. Dalle loro reazioni e insinuazioni. Ma non lo avrebbe protetto da lei. Le doveva una spiegazione e gliela avrebbe data.
Sollevò la testa. Si appoggiò con entrambe le mani ai braccioli e fece leva per alzarsi. Il suo sguardo era torvo e tumultuoso, come il suo cuore.
Come aveva potuto, André?
E se le cose non fossero precipitate, fin dove si sarebbe spinto il suo caro amico d’infanzia? Perché lui, di certo, l’aveva riconosciuta… Perché il Cavaliere Nero aveva accettato la sfida, uscendo allo scoperto.  Si era presentato per fermarla e riprendersi un ruolo che credeva gli appartenesse di diritto… Era pronto a battersi, a vincere…  E poi? Cosa sarebbe successo, poi?
La rabbia prese il sopravvento. Un paio di falcate e Oscar spalancò la porta, richiudendola alle proprie spalle.
Si avvicinò al letto, minacciosa, e levò il braccio a mezz’aria. Pronta a colpire. Pronta a sfogare tutta la propria frustrazione sull’unico colpevole.
André. Era tutta colpa di André! André, che aveva voluto rovinare tutto… André che aveva deciso di amarla, e non come un amico. Che l’aveva lasciata sola, portando inaspettatamente alla luce tutte le sue debolezze. E che adesso, improvvisamente, rinnegava ogni cosa, ogni ricordo, ogni ideale, ogni attimo di vita vissuta insieme, tradendola  per schierarsi con il popolo?
Strinse il pugno, desiderando con forza di colpire il giovane uomo esangue che giaceva, esanime, in quel letto.
“Puoi mandarmi via, Oscar” aveva detto André quella mattina, quando lo aveva escluso dalla propria vita “Ma questo non mi allontanerà mai da te”
Era così che lo dimostrava? Pensò.
Un sussulto e Oscar dilatò lo sguardo, avvertendo l’assurdità della propria delusione. Abbassò il pugno, lentamente, e lasciò che il bracciò tornasse lungo il fianco.
Serrò le labbra e i suoi occhi percorsero il volto pallido di André, sedato e addormentato. Indugiò sul nuovo taglio di capelli, ne seguì caparbiamente ogni singola ciocca. Poi, cercando di mantenersi indifferente, gettò un’occhiata al bendaggio  e distolse lo sguardo, ansimando. Una stretta allo stomaco e il senso di colpa la travolse. Violento come la nausea.
Il dottore aveva cercato di rassicurarla, ma la prognosi non poteva essere espressa prima di qualche giorno. Nessuno, per il momento, poteva sapere se André avrebbe perso l’occhio sinistro.
Il giovane mosse lievemente le labbra. Emise un lamento leggero.
Oscar trasalì e nel tempo di un singulto calde lacrime le salirono pungenti alle ciglia.
Sollevò la testa, infastidita e cocciuta, ricacciandole indietro.
Poi, voltando le spalle al letto e all’uomo che vi riposava, abbandonò la stanza…




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DUE CHIACCHIERE...

Un fastidiosissimo raffreddore che mi ha messa K.O. per più di qualche giorno! E io detesto non avere la mente lucida e il controllo della situazione. Così, non appena sono potuta tornare "sul pezzo", ecco questo capitolo che, lo ammetto, aspettavo da un po'... Qualcuno, come me, si aspettava questo confornto, forse temendone le conseguenze, forse aspettandosi qualche cosa di più... Eppure, se avete colto una serie di messaggi tra le righe, forse vi sarete fatti un'idea, anche piccola, di come le cose potrebbero procedere...

Sperando che capitolo e disegno vi siano stati graditi, un rinnovato GRAZIE a tutti i lettori, ai cari recensori di sempre che mi accompagnano con la loro costanza e a chi ha voluto lasciarmi una traccia per la prima volta...

A presto,
Sabrina 

 

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Capitolo 10
*** Dimmelo, Oscar... Dillo! ***


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Capitolo 10 – Dimmelo, Oscar… Dillo!
 
 

Un bussare ritmico e deciso e Oscar emise un sospiro tra le labbra dischiuse.
«Avanti», mormorò senza guardare la porta.
André abbassò la maniglia, poi indugiò sulla soglia. Il tempo della contemplazione.
Lanciò un’occhiata al camino, poi ad Oscar e infine al bicchiere che teneva tra le mani candide e sottili.
Occupava la solita poltrona, Oscar, ma aveva le guance accese e lo sguardo vellutato perso sulla superficie profumata del liquido rosso che stentava a sorbire.
«Bentornata» salutò entrando.
Oscar non accennò a voltarsi.
Era rimasta volutamente lontana da casa per tutto il tempo necessario ad André a rimettersi in forze. Si era consultata con il dottore, giorno dopo giorno, e finalmente si era decisa a tornare. L’idea di un confronto, inevitabile quanto necessario, non la allettava, irritandola ulteriormente. Consumando i suoi nervi già provati dalla situazione e dall’oggettiva constatazione che, fermato André, anche i furti del Cavaliere Nero si erano fermati.
«Da quando hai bisogno di bussare alla porta per entrare in questa stanza, André? » domandò lentamente, riluttante a prendere il discorso, lo sguardo fisso al camino e alle fiamme che avviluppavano i piccoli ciocchi di legna.
Le labbra di André si piegarono in un sorriso appena accennato.
«Da quando non abito più in questa casa, Oscar… » mormorò, serafico.
Il primo colpo era stato sferrato.
Oscar strinse le dita attorno al vetro ormai tiepido.
«So che stai meglio» disse.
Non erano parole di scuse, né un’ammissione di responsabilità ma tanto bastò ad André perché ammorbidisse il sorriso. Perché in quella frase, arrochita dalla stanchezza e dalla voce profonda di Oscar, c’era qualcosa di più di una semplice constatazione.
Un paio di passi decisi e André si portò davanti al camino. Si appoggiò alla mensola di marmo e cercò lo sguardo di Oscar, entrando di forza in quello che sarebbe stato il suo campo visivo, se solo si fosse decisa ad alzare la testa.
“Guardami” pensò. “Avanti, guardami Oscar!” 
«Merito del miglior medico di Francia… e tuo, per avermelo messo a disposizione» ringraziò chinando il capo con sussiego e provocandola deliberatamente una seconda volta.  
Oscar sussultò. Una ruga profonda si insinuò tra le sopracciglia chiare. La stava schernendo? André sapeva perfettamente che era stata lei a ferirlo… Perché non l’accusava, allora, invece di ringraziarla come se non fosse  colpevole?
Sollevò lo sguardo.
Lo catturò, con un’occhiata impenetrabile, inchiodandolo alla mensola.
André non batté ciglio. Ingoiando, tra le labbra dischiuse, il baratro profondo in cui quello sguardo, desiderato ma inaspettato e improvviso, lo aveva gettato brutalmente.
Oscar indugiò su quei tratti maturi. Dolci e severi al contempo. Percepì un cambiamento, nel giovane uomo bruno che aveva di fronte. Corrugò impercettibilmente le sopracciglia, acuendo lo sguardo come cercando di capire e trovando poi la soluzione. Una maggiore consapevolezza di sé, ecco cos’era! Una sicurezza profonda che André ostentava senza nemmeno saperlo.
Inspirò. Si chiese da dove avesse origine, quella sicurezza, e come avesse potuto trovarla, André, quando lei, dal giorno in cui se ne era andato, non aveva fatto che brancolare nel buio. Un passo falso dopo l’altro.  Una delusione dopo l’altra. E forse per la prima volta, guardò ad André come si guarda a un uomo e non a un amico… Cancellò ogni pensiero... Non gli avrebbe dato quella soddisfazione. La soddisfazione di trovarla fragile e disorientata.  
Lo fissò negli occhi. Belli. Entrambi. E salvi. Una lunga cicatrice vermiglio si disegnava sulla palpebra superiore, fino ad oltrepassare il sopracciglio, per poi spingersi giù, dalla parte opposta, a segnare lo zigomo a la gota.
Oscar perse tutta la propria animosità e sfrontatezza. Si sentì stringere il cuore. Le mancò il respiro.
«Sto bene, Oscar… » mormorò André, cogliendo tra le ciglia tremule di lei il suo senso di colpa.
E quella voce calda e rassicurante, più delle parole del medico che le avevano garantito una completa guarigione di André se avesse osservato alcune semplici regole di buonsenso,  le scivolò addosso come un mantello, scaldandola come non accadeva da tempo, mentre un doloroso languore le si allargava nello stomaco spingendosi su fino alla gola.
«Ho saputo da tuo padre che lascerai la Guardia Reale…»
Una frase semplice, pronunciata lentamente e con noncuranza, forse solo il tentativo di  cambiare discorso. La premura di distoglierla da quel sentimento di colpa. Eppure, sentendola, Oscar si irrigidì e il suo sguardo tornò tagliente.
«Mi ha chiesto se ne fossi in qualche modo responsabile» continuò André, sottolineando il concetto con una breve risata e una scrollata di spalle.
Lei continuò a guardarlo, imperturbabile.
«E tu cosa gli hai risposto» domandò, dopo un attimo di silenzio.
«Che non sapevo più molto di te, ultimamente» rispose lui, tornando improvvisamente serio. Poi serrò la mascella e il suo sguardo si strinse fino a ridursi ad una lama sottile, verde e selvatica. «E’ per lui, Oscar? » domandò a bruciapelo. «E’ per il conte di Fersen che hai deciso di andartene? Di rinunciare alla carriera e al tuo grado?» continuò con sfrontata naturalezza.  
Oscar represse un moto di stizza. Strinse il calice di vino con entrambe le mani ma non rispose.
«So che ha chiesto e ottenuto di unirsi alla Guardia» asserì André, cortese e leggero. Spietato come solo lui sapeva essere.  Con quel tono mellifluo e tenero. Quasi un invito ad aprirsi. Infido e provocatorio. Testardo come quando erano bambini.
Senza attendere la sua reazione, certo che sarebbe arrivata, il giovane si chinò verso la bocca del camino e con l’attizzatoio allontanò rapidamente alcuni ciocchi di legna.
«Fa troppo caldo, in questa stanza…» disse avanzando verso di lei e fermandosi a un passo. Sovrastandola con la propria figura. Imponente e maschio. La scrutò per un istante, soggiogandola con il suo sguardo, poi le tolse il bicchiere dalle mani e glielo sostituì con un calice nuovo.
«E il tuo bicchiere e troppo pieno» commentò.  «Dovreste scegliere meglio la servitù» la schernì ironicamente, tornando ad appoggiarsi alla mensola e portando alle labbra il bicchiere che era stato di Oscar.
Nonostante la temperatura avesse iniziato rapidamente a scendere, Oscar avvertì le guance scottare. Si alzò, in silenzio, e si portò alla finestra, volgendo le spalle ad André che sorrise sornione della sua inaspettata reazione.
«So che non sei tu il Cavaliere Nero, André… » lo provocò lei, bruscamente. Decidendo di scacciare l’imbarazzo e i malumori che quello strano gioco del gatto col topo le faceva affiorare, affrontando l’ argomento che entrambi stavano cercando di evitare. Riprendendo il controllo della situazione, decisa a trovare  risposte ma soprattutto conferme.
«Ma so che conosci la sua identità…» concluse in un chiaro invito a parlare.
«Sai anche che non dirò niente, Oscar… » rispose pacatamente André, confermando indirettamente le sue speranze e i suoi sospetti.
Oscar inspirò. E dopo una prima sensazione di sollievo, si voltò e si mostrò sdegnata.  
«Non sei nella posizione di decidere, André» disse.
Lui non rispose subito. La catturò con lo sguardo. La percorse con gli occhi dalla testa ai piedi. Le penetrò l’anima con il proprio silenzio.
«C’è qualcosa di più grande di te e di me, Oscar… » mormorò infine. «Qualcosa che va oltre ai singoli individui. Una consapevolezza nuova… » continuò. «Una realtà che si sta affermando e che prenderà il sopravvento»
«Stai farneticando, André? » lo interruppe lei, stizzita da quelle parole inutili e vaghe.
André scosse la testa, facendo muovere le corte ciocche scure che ancora dovevano trovare una loro propria collocazione.
«Mi spiace» disse. «Ma non sei ancora pronta, Oscar»
Oscar si protese in avanti. I pugni serrati, in una posa che André conosceva fin troppo bene.
«Non mi ritieni pronta? Pronta per cosa? » lo provocò.
«Non sei pronta ad affrontare tante cose, Oscar… » spiegò lui, con voce pacata ma decisa. «Forse non sarai mai pronta» concluse lapidario.
Oscar lo aggredì. Annullando in un paio di falcate la distanza che li separava e afferrandolo per il bavero della camicia.
«Perché sono una donna, André? E’ per questo che pensi che non sarò mai pronta?»
André strinse gli occhi, sorpreso dalla sua reazione,  e avvertì un dolore acuto lungo la cicatrice vermiglio.
Le labbra serrate, le afferrò i polsi facendo in modo che le mani di lei lasciassero il colletto della camicia, obbedendo all’impulso che gli diceva di stringere più forte, ancora più forte. Farle male. Volontariamente male.  
Che gli urlava  spietato di attirarla a sé, stringerla e catturarle le labbra in un bacio rabbioso e violento.
Il contatto con la pelle di lei… Il fruscio delle loro camicie che si cercavano…  Il profumo sensuale dei suoi capelli biondi. E poi quello sguardo. Duro, fiero, indomito. Uno sguardo arrogante e disperato.
«La tua femminilità, per esempio…» mormorò con voce roca, fissandola negli occhi. «Ne hai paura. E’ per questo che lasci la Guardia! »
Sul volto pallido di Oscar, dove solo le gote erano accese, si profilò una maschera di sdegno.
Si divincolò, cercando di liberare i polsi. Inutilmente.
La morsa di André era inespugnabile, nonostante sembrasse non fare alcuno sforzo. Al contrario di lei.
Un uomo e una donna. Erano questo? Soltanto questo?
«Credi di conoscermi così bene, André? » gli ringhiò addosso, rabbiosa. Irritata dai suoi stessi pensieri.
Per tutta risposta, André inspirò in silenzio. I suoi occhi verdi si adombrarono. Con un gesto brusco l’attirò a sé e quando fu troppo difficile guardarla negli occhi, liberò una mano e portandola alla nuca di lei affondò il viso tra i suoi capelli.
«Fermati, Oscar… » mormorò dando voce al languore che gli lambiva lo stomaco, indolenzendo  lombi e gambe, fino alle caviglie. «Fermati e vivi come una donna» le suggerì, rimanendo immobile e saldo. Addossato a lei. Rifugiato in lei. Ripetendo una frase che Oscar avrebbe dovuto conoscere, se solo l’avesse sentita, quella volta, tanti anni prima.
Per la seconda volta, avvertì Oscar cedere al suo abbraccio. I muscoli distendersi un momento e il respiro vibrare all’unisono con il suo.
Poi sentì che lo respingeva. Ancora.
«Vattene André»
Una stilettata.
Ma se lo aspettava.
Sciogliendosi da quell’abbraccio, André si allontanò quel tanto che bastò ad entrambi per tornare a respirare.  
«Ero venuto a dirti questo, Oscar» ne approfittò, la gola secca.
Oscar lo guardò sorpresa.
«Torno a Parigi e al mio lavoro, se non hai nulla in contrario ovviamente» continuò lui rispondendo alle sue tacite domande. «Ti posso assicurare che il Cavaliere Nero non sarà più una minaccia. Per i nobili e per te» disse pensando a Bernard e alla sagoma nell’ombra che aveva rischiato di fargli perdere un occhio.
Oscar si raddrizzò nelle spalle. Senza una parola, tornò versò la poltrona e afferrò dal tavolino di servizio il calice con il poco vino rimasto. Lo bevve d’un fiato.
«Ho chiesto di essere assegnata ai Soldati della Guardia Metropolitana» disse. Poi si sentì avvampare. Per quella confessione ma soprattutto per il motivo che gliela aveva estorta: la vendetta. La voglia di ferire.
André annaspò, tuttavia dissimulò i propri sentimenti.
«Non sarà come comandare la Guardia Reale… » commentò con una calma che mai si sarebbe aspettato di avere ma stringendo istintivamente i pugni. «Questo lo sai, Oscar…»
Oscar lo trapassò con lo sguardo.
«Hai qualcosa in contrario?» domandò, secca.
André scosse lentamente la testa.
«Sei padrona della tua vita e delle tue scelte… Come sempre» disse.
A quelle parole, Oscar sembrò reagire stringendo appena gli occhi.
«Vuoi che venga con te? » domandò André istintivamente ma con voce atona, conoscendo la risposta.
«Sei un uomo libero, André » disse lei, posando il bicchiere. «Non ho più alcun diritto di dirti cosa fare»
André avvertì un leggero malessere. Forse il dolore all’occhio sinistro.
«Certo, Oscar… Lo so» rispose, chiudendo il discorso con un cenno del capo.
«Allora, ci vedremo a Parigi, un giorno di questi… » concluse raggiungendo la porta con un passo che a un occhio esterno sarebbe potuto sembrare fermo.
«André… » lo richiamò lei senza guardarlo, carpendone segretamente l’immagine attraverso il riflesso che i vetri della grande finestra le rimandavano.  
«Dimmi, Oscar… » la esortò lui, lo sguardo rivolto alla maniglia. “Dillo, Oscar…” pensò. “Dimmelo” si ripeté con una stretta allo stomaco.
«Torna a Palazzo Jarjayes, qualche volta… » lo invitò  lei, lentamente. «Marie ne sarà felice» concluse.
Le labbra di André si tirarono in un sorriso carico di disperata ironia.
“Non sei stanca di questo gioco, Oscar?” pensò. Poi afferrò la maniglia e spalancò la porta.
«Come vuoi tu, Oscar» rispose. «Come vuoi tu»
 
 
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DUE CHIACCHIERE…
 
Ammetto di aver trattenuto il fiato fino all’ultima parola di questo capitolo…
Ammetto che, alla fine, ho sentito lo stesso cerchio alla testa che deve aver sentito il nostro André…
Ammetto che Oscar, questa Oscar, mi sfinisce… Mi consuma…
Ammetto che, da questo capitolo in avanti, inizierà la “seconda parte” di questa storia…

In attesa di vostre elucubrazioni, GRAZIE infinite a tutti!

A presto,
Sabrina 

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Capitolo 11
*** Faccia a faccia ***



Capitolo 11 - Faccia a faccia


André Grandier congedò il cocchiere con un cenno della mano, poi tirò dritto fino alla soglia di casa, ignorando testardamente la dolorosa fitta alla testa.
Avrebbe dovuto riposare, così si era espresso il dottore, ma non aveva chiuso occhio, quella notte. E all’alba, con ancora indosso tutti i vestiti e le ferite riportate dall’estenuante e sciocca tenzone con Oscar, si era infilato in una carrozza ed era tornato a Parigi.
La Guardia Metropolitana… rise tra sé, cinico, mentre infilava la chiave nella toppa.
Quando avrebbe imparato, Oscar, ad essere meno impulsiva? Quando?!?
Davvero pensava che una donna, una giovane donna del suo rango, bella e scontrosa come il più ambito dei trofei, potesse attraversare indenne un intero plotone di uomini abituati a tutto, fuorché alle buone maniere?
Come avrebbero reagito quegli uomini all’idea di prendere ordini da una donna… se l’era posta questa domanda, Oscar? Una donna inflessibile e testarda, decisa a negare ogni minima debolezza o fragilità… Una donna che non si rendeva conto di quali sguardi e di quali commenti sarebbe stata oggetto tra le mura ostili di una qualunque caserma cittadina, lontana dai cancelli dorati di Versailles…
Sai davvero a cosa stai andando incontro, Oscar? mugolò André, entrando in casa, come se lei potesse sentirlo.
Scuro in viso, attraversò il piccolo atrio spoglio, procedendo a rilento verso la propria stanza, tormentato da pensieri e sensazioni contrastanti. Strascichi impietosi di quella notte insonne.
Il desiderio di ferire Oscar, più di quanto potesse ferirlo lei, di farle male, di sottometterla, se necessario, di imporsi come uomo e non più come l’amico e il confidente di una vita non si era ancora completamente sopito, lasciandogli l’amaro in bocca. Un sapore forte, acuito dal prepotente desiderio di lei. Del suo profumo, del biondo dorato dei suoi capelli, di quella camicia di seta bianca con quella sua profonda scollatura esibita con magistrale disinvoltura. Una naturalezza che, senza che nemmeno se ne rendesse conto, la faceva apparire così dannatamente donna.
Per la prima volta, quella sera, André si era sentito libero di ammirarla, sfacciatamente come qualunque altro uomo avrebbe fatto. L’aveva divorata con gli occhi, cercata, provocata… L’aveva corteggiata, perfino.
Tutto questo, senza preoccuparsi di nascondere sguardi o desiderio dietro un paravento o un provvidenziale colpo di tosse come aveva fatto per anni.
Anni trascorsi a coltivare in segreto un sentimento che aveva scoperto di non poter reprimere; a dominare reazioni naturali e istintive che avrebbero potuto tradirlo in qualunque momento, se solo lei gli avesse rivolto uno sguardo.
E ora?
Le labbra di André si allungarono in un sorriso teso, avvertendo la decisa risposta del proprio corpo a quella domanda. Un corpo che, adesso, la pretendeva apertamente.
No, non sarebbe più riuscito a contenersi, pensò combattendo a fatica le proprie pulsioni, a ricostruire gli argini eretti con anni di paziente e logorante impegno… Non sarebbe più stato in grado di condividere la stessa stanza come amici fraterni…
«André!»
La voce garrula di Rosalie lo raggiunse come una secchiata d’acqua gelida.
Varcata la soglia della propria stanza incrociò i suoi occhi turchesi, accesi per la sorpresa, le sorrise istintivamente poi si paralizzò, scoprendo alle sue spalle chi non si aspettava di vedere. Non così presto…
«Il tuo amico giornalista aveva ragione!» sorrise lei gonfiando il petto per l’emozione, prima di raggiungerlo. «Mi ha detto che saresti tornato stamane, ma non gli ho voluto credere » ammise, «Era così sicuro che saresti tornato che mi ha chiesto di poterti aspettare qui…» le parole morirono sulle sue labbra, mentre lo stupore le dilatava lo sguardo.
Nonostante André si fosse premurato, durante il soggiorno a Palazzo Jarjayes, di avvisarla che si sarebbe trattenuto qualche giorno lontano, le aveva taciuto il motivo, il nuovo taglio di capelli e soprattutto non le aveva accennato alla cicatrice che gli segnava impietosa la guancia.
Senza distogliere lo sguardo da Bernard, che al contrario non sembrava affatto sorpreso e sostava silenzioso e immobile in fondo alla stanza, André si consegnò con un sorriso rassicurante alla sua materna ispezione.
«E’ tutto a posto, Rosalie» affermò dolcemente. «Un piccolo incidente. Niente di grave, come vedi» si schermì e un attimo prima che lei replicasse sviò la conversazione su Bernard e la sua visita inattesa.
Sapeva di doverlo affrontare. Non si aspettava di doverlo fare così presto.
«Spero che il mio amico…» domandò dissimulando una certa preoccupazione, «non ti abbia arrecato disturbo»
Rosalie scoccò una rapida occhiata alle proprie spalle, in direzione dell’ospite.
«Nessun disturbo… no» mormorò. «E’ stato molto gentile… » asserì arrossendo e cercando conforto tra le pieghe del grembiule. «Ma ora vi lascio…» continuò, «Avrete delle cose importanti di cui parlare, immagino», sorrise visibilmente imbarazzata.
Lasciando sul tavolo la frutta e il po’ di vino che aveva portato, prese rapidamente commiato e uscì dalla stanza.
André e Bernard rimasero soli.
Il costante vociare che proveniva dalla strada smorzava il peso del silenzio sceso tra di loro.
Nessuno dei due sembrava avere intenzione di fare la prima mossa. Fu Bernard a parlare per primo.
«Una ragazza molto graziosa…» osservò educatamente, accennando col capo alla porta ormai chiusa. Poi, un sorriso forzato gli piegò l’angolo delle labbra. «Non quanto quella tua strana donna, però… » affermò, dando definitivamente ad intendere che sapeva più di quanto André gli avesse mai raccontato.
«Come sapevi che sarei tornato proprio oggi?» domandò l’altro con indifferenza, ignorando la sua provocazione. «Mi hai fatto sorvegliare? » continuò, conoscendo la risposta.
Bernard sollevò un sopracciglio, senza smettere di fissarlo.
«Non avrei dovuto? » ironizzò.
André serrò la mascella.
«Sai che non ti avrei mai tradito… » disse e la sua voce carezzò l’aria, carica di significati inespressi.
Bernard socchiuse le palpebre. I suoi occhi blu si affilarono in uno sguardo intenso e indagatore..
«Lo so? » provocò.
André sollevò il mento.
«Metti in dubbio la mia lealtà?», altra domanda della quale sapeva di conoscere la risposta.
«No» affermò Bernard. «E ne ho avuta l’ennesima conferma» disse. Poi tacque. Volse le spalle ad André e lasciò che lo sguardo vagasse distrattamente sul paesaggio esterno alla finestra, di fronte alla quale era rimasto per tutto il tempo dell’attesa e di quel fastidioso ma inevitabile confronto.
«Il punto è…» riprese, fissando qualcosa di imprecisato dalla parte opposta della strada, «A chi sei leale».
André non rispose subito, indugiando sulla figura del giornalista. Come avrebbe dovuto interpretare il suo atteggiamento? Confermava la sua piena fiducia, dandogli le spalle, o gli stava chiaramente dicendo di non credere in lui evitando di guardarlo negli occhi?
«Mi stai chiedendo di scegliere?» domandò, infine.
Bernard scosse la testa. Un movimento lieve.
«Mi chiedo solo con chi ti schiererai al momento decisivo, André» rispose, guardandolo da sopra una spalla, dando per scontato che quel momento sarebbe arrivato. «Con me e la nostra causa, o con quella donna…»
André afferrò una mela tra quelle che Rosalie aveva portato e se la portò tra naso e labbra, assaporandone il profumo e la freschezza. Calò le palpebre a velare gli occhi stanchi. Avrebbe voluto ridere, e dormire. Ma trattenne in gola quel gorgoglio cinico e disperato, concedendosi semplicemente un sorriso che Bernard, dalla sua posizione, non avrebbe potuto vedere.
«Scegliere è privilegio di chi ha almeno un’alternativa… » mormorò enigmatico.
Tra loro calò nuovamente il silenzio.
«Quella donna è così importante? » si limitò poi a chiedere Bernard
André rigirò la mela tra le mani, addossato al muro tra il letto e il piccolo tavolo di legno grezzo.
«Quella donna è la mia vita» affermò, scandendo ogni parola, senza imbarazzo né vergogna. «Chiedermi di rinunciare a lei equivale a chiedermi di smettere di respirare» disse. «Per questo non posso scegliere, capisci? Non ho nulla tra cui scegliere… Perché non ho alternative», strinse con forza il frutto maturo tra le dita di una mano.
«Appoggerò la causa, se è questo che vuoi sapere» riprese. «Sempre. Ma lo farò con lei al mio fianco» concluse.
Bernard inspirò in silenzio.
«Quella donna è nobile» sentenziò. «Ed è il comandante della Guardia di Sua Maestà…»
Poche parole che suonarono come un’accusa. Una condanna.
«Di questo non ti devi preoccupare…» replicò André. «Ha lasciato l’incarico» spiegò come se fosse la cosa più naturale del mondo. «E per quanto riguarda il suo lignaggio… Oscar è diversa» sostenne dandole un nome, stanco e infastidito di sentirla definire genericamente “quella donna”.
«Le nostre strade si dividono…» mormorò Bernard. La voce atona. In attesa che l’altro facesse o dicesse qualcosa per convincerlo del contrario.
André annuì, tornando a giocare con la sua piccola mela rossa.
«Questioni di priorità» disse. «Lei è la mia»
Nessun dubbio, nessuna esitazione. Solo la ferrea volontà di mettere tutto nuovamente in gioco per una donna che lo respingeva per poi attirarlo ancora e crudelmente a sé. André sorrise.
Si rendeva conto, Oscar, di quanto fosse squisitamente femminile tutto questo?
Bernard si allontanò dalla finestra. Attraversò la piccola stanza e si fermò all’altezza di quello che era stato un buon amico. Lo fissò, ricevendo in cambio uno sguardo perfettamente fermo e sereno.
«Fai molta attenzione» disse. «E se davvero ci tieni, prenditi cura della tua madamigella Oscar… » continuò. «Arriveranno tempi molto duri per quelli come lei» suggerì senza l’ombra di minaccia o di acrimonia, posando una mano sulla spalla di quel giovane uomo innamorato. Prima delicatamente, poi aumentando la pressione finché divenne una stretta vigorosa.
«Lo farò» asserì André, pacato ma irremovibile. Dissolvendo ogni minima speranza di Bernard di dissuaderlo.
«Allora addio» concluse il giornalista dirigendosi alla porta.
«Arrivederci, Bernard… » lo corresse l’altro con un sorriso.
***
Alain sgranò tanto d’occhi.
«Ma ti sei bevuto il cervello, amico?» esclamò, convinto che i fumi dell’alcool avessero preso il sopravvento su André, annebbiando ogni sua capacità cognitiva.
Il giovane, già visibilmente alterato, strinse tra le mani il bicchiere di vetro grezzo, pieno fino all’orlo. Dapprima senza sollevare lo sguardo, poi catturando inaspettatamente gli occhi scuri di Alain.
«Ti sembra che stia scherzando? » disse.
Alain piegò le labbra con sarcasmo.
«A guardarti, direi di no!» ammise, indugiando sulla misteriosa ferita che gli segnava palpebra e guancia. «Con quella faccia mesta, sembri tutto fuorché un burlone» ridacchiò. «Ma rinunciare a un lavoro ben pagato come questo… »
«Sei o non sei in grado di farmi entrare?» domandò bruscamente André, stringendo più forte il bicchiere in un gesto di stizza.
Alain emise un fischio. Masticò un’imprecazione poi sorrise cercando di tranquillizzarlo.
«Calmati, amico! » abbozzò, dandogli un paio di pacche sulle spalle «Se è quello che vuoi, consideralo già fatto» asserì.
André tornò a fissare un punto imprecisato dietro al bancone. La ferita all’occhio lo infastidiva, forse a causa dell’aria rarefatta di quella bettola.
«Grazie…» mormorò, la voce impastata. «Sei un amico» concluse sfuggendo lo sguardo di Camille che, dalla parte opposta del locale, intratteneva distrattamente i un paio di clienti abituali più ciarlieri del solito.
Alain, decisamente scomodo sullo sgabello traballante, continuò a fissarlo. Era da parecchio che André non si riduceva in quello stato.
«Dimmi solo una cosa…» lo pungolò. «C’è di mezzo una donna, vero?»
Non aveva dimenticato come e quando si erano conosciuti e temeva che il suo nuovo amico fosse ancora impelagato con il fantasma di un amore sbagliato.
L’altro non rispose, rimanendo immobile. Cosa ne poteva sapere lui, di pene d’amore? Si domandò André, infastidito. Di certo, non provava la sua stessa frustrazione, mentale e fisica. Rivedere Oscar era stato uno sbaglio. Starle lontano, un inferno.
«Ci si arruola sempre per gli stessi motivi… » filosofeggiò Alain, approfittando del suo silenzio. «Per miseria o per disperazione… E non credo tu abbia problemi di soldi»
André sollevò il bicchiere, gettò indietro la testa e buttò giù il vino tutto d’un fiato. Poi si passò il dorso di una mano sulle labbra. Le palpebre abbassate sugli occhi stanchi.
«Tu parli troppo, Alain… » biascicò. «Non te lo ha mai detto nessuno? Parli davvero troppo! »

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***
Oscar François de Jarjayes procedeva lungo il corridoio della caserma. Davanti a lei, il vice comandante D’Agoult. Un uomo di mezza età, alto e dal fisico asciutto. Un uomo dallo sguardo onesto. La sua voce fonda, quasi paterna, riempiva il silenzio di quel corridoio mentre, visibilmente imbarazzato, si prodigava in spiegazioni e giustificazioni preventive.
Nessuno l’aspettava, Oscar. Non quel giorno, almeno.
«Voglio solo conoscere i miei uomini al di là delle parate ufficiali» aveva commentato lei riguardo al mancato preavviso.
Dopo i giorni trascorsi in Normandia, immergersi nuovamente negli ambienti austeri e familiari di una caserma, anche se sconosciuta, la tranquillizzava, calandola in situazioni che sapeva di poter gestire e controllare, perché estremamente razionali. La breve vacanza ad Arras, in attesa di assumere il comando dei Soldati della Guardia, non era stata piacevole come aveva sperato. Quel faccia a faccia con se stessa, temuto e rimandato, indesiderato, l’aveva resa ancora più taciturna e irascibile. La solitudine, che una volta anelava come aria fresca e rifugio sicuro, ora la irritava. Inquietandola con il suo carico di fantasmi e sciocchi rimbrotti.
Un nuovo incarico, un nuovo ambiente, e soprattutto facce nuove, erano tutto quello di cui sentiva di avere bisogno…
D’Agoult si arrestò davanti a una porta chiusa. Bussò. Un breve scambio di battute con uno degli occupanti la camerata e rivolse ad Oscar un sorriso teso, mentre l’uscio si richiudeva con tutto il suo mondo dietro.
Un distinto scalpiccio. Un mormorio confuso. Una voce che si levava su tutte.
Poi la porta si aprì e Oscar venne presentata agli uomini, rozzamente allineati in parata, tra panche di legno e cuccette.
Una zaffata intensa di sudore e muffa la investì. Un sapore ferroso le si sciolse in bocca. Piegò istintivamente le labbra in un sorriso compiaciuto e severo. Uomini… pensò.
Un soldato dai modi spicci e vigorosi prese il comando della truppa e innescò il saluto al nuovo comandante. Oscar annotò mentalmente i suoi connotati, forti e maschi, un po’ spacconi… Poi, scorse con lo sguardo la camerata e gli uomini schierati, impacciati, provando un sottile piacere, un sublime senso di potere, capace di stemperare la frustrazione delle ultime settimane.
Improvvisamente si paralizzò. Dilatò lo sguardo, così come le narici, mentre il respiro le si spezzava in gola.
«Qualcosa non va, comandante? » tossicchiò D’Agoult.
Oscar distolse repentinamente lo sguardo da André, la cui testa mora spiccava, non solo per altezza, tra quelle dei commilitoni.
«Niente affatto» rispose seccamente, voltando le spalle ai soldati, per recriminare immediatamente dopo con se stessa su quella reazione sciocca e infondata . «L’ispezione termina qui» disse.
Perplesso, ma deciso a non contraddire l’ufficiale superiore, D’Agoult ordinò agli uomini di sciogliere le righe.
«Concedete loro il resto della giornata libera, D’Agoult» dispose Oscar quando se lo trovò affianco lungo la via del ritorno. «Ma prima che se ne vada, mandate André Grandier nel mio ufficio».

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***
L’ufficio del comandante era immerso in una gradevole penombra.
Tipico di Oscar, pensò André appena varcata la soglia
«Volevate vedermi, comandante? » domandò con deferenza, calandosi nella parte del buon soldato.
Le spalle alla porta, Oscar sostava di fronte a una delle grandi finestre che davano sul cortile interno della caserma, nella posa che assumeva abitualmente, che si trattasse di un momento di riposo piuttosto che di un attimo di riflessione. Senza voltarsi, fece un breve cenno di assenso.
«Perché sei qui, André? » domandò, subito dopo, senza inutili preamboli.
Le labbra di André si piegarono in un sorriso vagamente incredulo, mentre le ciglia scure filtravano la figura di quella splendida donna in uniforme. Blu come i suoi occhi. Lentamente, abbandonò il saluto militare e il suo braccio tornò a stendersi lungo il fianco.
«Davvero non ti aspettavi di vedermi, Oscar?» domandò pacatamente, con un pizzico di malcelata ironia.
Decisa a non incrociare il suo sguardo, Oscar rimase aggrappata all’immagine dei colombi che stormivano tubando nel piazzale inondato di luce.
«Quel che mi aspetto… » rispose sorvolando sulla provocazione «è che tu non mi sia d’ostacolo», precisò seccamente. «Nient’altro, André».
Una pesante coltre di silenzio cadde tra loro.
«Onestamente… » replicò lui, serio «Non vedo in che modo»
La sua voce, calda e profonda, impregnò l’aria. Carezzò Oscar, scivolandole addosso, profondendosi poi nel suo stomaco, dove si sedimentò dolorosa.
Non aveva bisogno di voltarsi per sentire i suoi occhi addosso. E non aveva bisogno di voltarsi per ricordare, nei dettagli, il volto di chi stava, immobile, alle sue spalle, così come lo aveva visto in quella camerata. I tratti maturi, le lunghe ciglia scure a velare lo sguardo deciso, le ciocche di capelli bruni, la linea vermiglio che dalla palpebra superiore dell’occhio sinistro si spingeva fino allo zigomo, il disegno delle sue labbra perfette.
Ecco come! Protestò Oscar silenziosamente, serrando le labbra. Ammettendo, e forse non per la prima volta con se stessa, quella che era diventata, inaspettatamente, una sua irrazionale debolezza.
André, il nuovo André, quel giovane uomo attraente e sicuro di sé, impeccabile nell’uniforme blu della Guardia, la inquietava… Parigi aveva preso il suo amabile amico d’infanzia e ne aveva fatto un uomo. Un uomo in grado di esercitare un indubbio potere… Un uomo in grado di farle abbassare lo sguardo. E non perché scioccamente invaghita o imbarazzata, alla disperata ricerca di una qualche attenzione che non sarebbe arrivata mai… Ma perché quell’uomo faceva di lei, e senza riserve, l’oggetto dei propri pensieri e desideri. Un uomo che aveva infranto il tacito patto di reciproca e cameratesca compagnia per rivelarsi, inaspettatamente, ai suoi occhi. E questo le era di ostacolo…
«E se ti dicessi che non sono qui per te? »
Le mani del comandante, strette in una morsa d’acciaio dietro la schiena, ebbero un fremito. Un impercettibile sussulto. Eppure, entrambi se ne accorsero.
«Puoi pensarlo, se ti fa stare meglio» continuò lui con un sorriso appena accennato. «Ad ogni modo, non sono qui per ostacolarti» precisò.
«Allora, perché?» domandò lei, d’impulso, divorata dal silenzio che seguì a quella domanda e dal repentino pentimento per averla posta.
«Sono qui per proteggerti» rispose candidamente André.
Una dolce fermezza micidiale come una baionetta.
Iraconda, inspirò profondamente, sdegnata, mentendo a se stessa per l’origine di quello sdegno, negando la delusione per una risposta che non era stata all’altezza delle sue aspettative. Ma cosa si era aspettata che dicesse? Cosa, davvero? Cosa avrebbe voluto sentirsi dire, davvero?
Consapevole che sarebbe arrivata, André restò immobile in attesa della reazione.
Oscar non si smentì. Gli si rivolse di scatto. Lo incenerì con lo sguardo, mozzandogli il fiato.
André divorò la sua immagine, contrapposta alla luce evanescente che si infrangeva contro i vetri della finestra, fasciata dall’uniforme blu che le cadeva addosso, aderente e perfetta, come un guanto. Pago di una visione che aveva anelato e gli era stata crudelmente negata fin a quel momento.
Un attimo dopo, Oscar aveva cancellato, qualunque distanza, fermandosi a un passo da lui.
Una ragionevole distanza di sicurezza… pensò André, avvertendo il doloroso languore che gli intorpidiva i sensi.
Assaporò il suo profumo. Cuoio e lavanda.
Si umettò le labbra. Sostenne il suo sguardo.
Nella penombra di quella stanza, i suoi occhi apparvero più scuri. I suoi tratti più decisi. Marcati. Trasfigurati dal desiderio.
Era pronto a soccombere. Pronto a chiederle una tregua.
«Oscar…» mormorò. La voce roca, quasi un gorgoglio, un ribollire di necessità impellenti. «Io…»
«Non disturbarti, André… Non ho bisogno della protezione di nessuno» gli ringhiò contro lei.
Testarda!
«Ne sei così sicura? » la provocò lui, serrando la mascella. «Hai visto quegli uomini, Oscar… Pensi che siano contenti di ricevere ordini da una donna? »
Donna!
«Sono il loro comandante» precisò Oscar, la voce bassa, sorda. Quasi un avvertimento a non superare un limite molto, molto vicino.
André sollevò leggermente il mento, quel tanto che bastò a sovrastarla completamente, soggiogandola con lo sguardo.
«Una rosa sarebbe forse meno bella se avesse un altro nome?» motteggiò sarcastico.
Oscar impallidì, irrigidendosi. Poi si volse si scatto e rise. Rise di gusto. Amaramente. Aspramente. Stemperando il groviglio di emozioni che le attanagliava lo stomaco. Sottraendosi al suo sguardo. Ancora una volta. Uno sguardo che la spaventava e del quale André sembrava essere pienamente consapevole.
«Shakespeare!» affermò, riconoscendo la citazione.
Aveva smesso di ridere. Aveva raggiunto la finestra e aveva assunto la solita posa, di nuovo.
«Abbiamo finito, André» lo congedò.
André socchiuse le palpebre, cercando nell’aria strali del suo profumo.
«Un’ultima cosa, Oscar…» disse, assaporandola piano. «Se non volevi vedermi, bastava tenermi all’oscuro della tua decisione» precisò. «Lo so io…» disse. «E lo sai anche tu»
Oscar fissò un punto imprecisato del cortile.
«Vuoi essere un soldato della Guardia, André? » ironizzò, ignorando volutamente la sua ultima affermazione. «Fai come vuoi» concluse, decisa a mettere fine a quell’ennesima prova di forza che non voleva perdere, ma sentiva vagamente di non poter vincere.
André si portò una mano alla fronte, di taglio, batté i tacchi uno contro l’altro, sull’attenti. Lo sguardo fisso alla nuca di lei. Un sorriso esausto ma compiaciuto sulle labbra per la flessione della sua voce.
«E’ esattamente quello che sto facendo, comandante» affermò. «Vi ringrazio per la vostra approvazione».
Senza aggiungere una parola, ma soprattutto senza permetterle di replicare, abbandonò la stanza chiudendosi per l’ennesima volta la porta alle spalle.
«Ehi, soldato! » lo raggiunse subito una voce ben nota nel corridoio.
André inghiottì un’imprecazione, mentre Alain emergeva dall’ombra, staccandosi dal muro con un colpo di reni. Le mani in tasca, le palpebre socchiuse in un’espressione di deliziato stupore.
«Oscar François de Jarjayes…» pronunciò con enfasi, scandendo bene ogni sillaba. Quasi cantando. Poi sollevò di colpo lo sguardo catturando quello diffidente del commilitone..
«E così, il nostro comandante è la tua donna…» ridacchiò, giocando con lo stecchino che teneva tra le labbra irriverenti.
André dilatò poi strinse gli occhi.
«Ti sbagli» tagliò corto. Troppo stanco anche solo per mandarlo al diavolo o impegnarsi in un’estenuante spiegazione sui dettagli.
«Allora…» sussurrò Alain girandogli attorno, «Non avrai nulla in contrario se decido di strapazzarla un po’!».
André dissimulò un moto di stizza, ma non fece una piega.
«Vedi…» continuò Alain, deluso e allo stesso tempo spronato da quell’ostentata indifferenza, tornando improvvisamente serio «Diversamente da te, io non sono abituato a prendere ordini da una donna…»

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DUE CHIACCHIERE…
Innanzitutto grazie a chi mi ha seguita fin qui, apprezzando questo racconto leggendo, interagendo, recensendo… Ma soprattutto, PERDONO per un’assenza tanto prolungata, anche se giustificata da impegni di lavoro pressanti come ne abbiamo tutti e che nel caso di una libera professione, a volte, sono semplicemente un po’ più difficili da prevedere e organizzare… La pubblicazione, però, tornerà regolare, con cadenza settimanale e spero di farvi ancora gradevole compagnia!

Ma ora a noi e a questo capitolo! Un capitolo di passaggio – che a volte sono i più difficili da scrivere perché incaricati di scandire il tempo e preparare il terreno alle situazioni più interessanti. Ogni pedina è stata messa al suo posto… Anche se qualcuno ha provato a opporre una certa resistenza. Ora non ci resta che attendere, per scoprire cosa succederà, e lanciarci, se vogliamo, in ardite supposizioni... Anche se, ammettiamolo, abbiamo tutti una mezza idea di dove si andrà a parare, vero?

Alla prossima settimana,
Sabrina

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Capitolo 12
*** Pensieri e Parole ***


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Capitolo 12 – Pensieri e Parole
 
 
Un nuovo giorno. Una nuova alba.
Un’alba che Oscar aveva visto nascere, sprofondata nella poltrona ai piedi del proprio letto.
Si concesse un sorriso. Quasi una smorfia. Stanca. Mentre la gradevole brezza mattutina le carezzava le gote rese pallide dall’ennesima notte insonne.
Rise tra sé, un po’ cinica e un po’ sprezzante, chiedendosi se tutti gli uomini della sua vita si fossero messi improvvisamente d’accordo per toglierle il sonno.
Il conte di Fersen, del quale non aveva che poche notizie recuperate distrattamente tra i pettegolezzi di Parigi; il suo amico André… rivelatosi improvvisamente uomo e ribelle; Victor de Girodelle con la sua assurda proposta di matrimonio e infine suo padre… il Generale. L’uomo d’acciaio al quale avrebbe sempre voluto assomigliare… Ripercorrendo i fatti di quelle ultime settimane, Oscar notò che non ci sarebbe stato niente da ridere. La tensione con il reggimento non accennava a calare e il nuovo incarico non dava le soddisfazioni che avrebbe desiderato. Alain de Soissons, con quel suo atteggiamento arrogante e pungente, le aveva dato del filo da torcere, ma almeno André aveva mantenuto fede al suo proposito di non immischiarsi. A fatica, se ne era accorta, eppure non aveva mosso un dito per venirle in soccorso. Anche nei momenti più disperati.
Obbedienza, dispetto o cieca fiducia nelle sue capacità?
Oscar si piegò lentamente sul collo di Caesar. Ne carezzò il crine bianco e morbido. Ne avvertì il rassicurante calore. Si avvicinò alle sue orecchie.
«Solo tu mi stai accanto senza darmi problemi…» mormorò.
Quel lento ritorno verso Parigi, dopo la notte trascorsa a casa, al capezzale del Generale ferito in un agguato, si stava rivelando un metodico e lento ripercorrere fatti e parole. Una razionale valutazione di quanto era successo e di quelle sarebbero state le prossime mosse. Un’estenuante partita a scacchi tra razionalità e impulsività.
Il confronto diretto con Victor, la sera prima, le aveva lasciato l’amaro in bocca. Non avrebbe voluto ferire un uomo così fedele e devoto. Un uomo che le era stato accanto per anni, rispondendo con rapidità e fermezza ad ogni suo ordine. Un uomo che, tuttavia, non avrebbe mai potuto vedere se non come un eccellente sottoposto… Avrebbe potuto sposarlo, a seguito di queste considerazioni? No. E la risposta non sarebbe cambiata. Chiedergli di dimenticarla e volgere lo sguardo altrove, era stata l’unica soluzione possibile. Delusione, imbarazzo, muta rassegnazione… Girodelle non si era opposto a quella richiesta pur non apprezzandola o condividendola. Aveva accettato passivamente il suo ennesimo ordine. E questo, a Oscar, era stato sufficiente per avere una conferma che comunque non cercava. Certa di quanto avesse già deciso. 
Era consapevole che ragazze molto più giovani di lei non avrebbero mai avuto la possibilità di scegliere. Non avrebbero potuto negarsi a un matrimonio imposto dal padre, dal rango, dalla convenzione sociale… dall’interesse.
Ma lei era diversa. E per volere del suo stesso genitore…
Oscar serrò le labbra e provò un profondo senso di disagio al ricordo di quell’infallibile Generale e del suo sconforto. Quando aveva chiesto di parlarle, lo aveva fatto a cuore aperto. Aveva espresso il proprio rammarico per una decisione, quella di crescerla come un uomo e trattarla come tale, che ora riconosceva sbagliata. Tragica. Egoista…
No, non era stato egoista! Nella sua testardaggine, nella sua assurda convinzione di poter dare un erede maschio al nome dei Jarjayes, anche in presenza di sole figlie femmine, imponendo all’ultimogenita un percorso maschile, il Generale aveva aperto ad Oscar orizzonti nuovi e inesplorati per qualunque donna. Le aveva permesso di avere un’educazione non esclusivamente votata al matrimonio. Le aveva permesso di coltivare idee e pensieri personali e a volte scomodi. Le aveva permesso di prendere decisioni importanti, di sbagliare, di rischiare la propria vita… di perdere tutto e rimetterlo in gioco. Le aveva insegnato a vivere come un individuo senziente e rispettabile. Le aveva dato una voce.
A quei pensieri, l’emozione fu talmente forte da costringere Oscar a schiarirsi la gola.
Inspirò.
No, padre… Non mi avete affatto rovinato la vita… mormorò a fior di labbra. Me ne avete data più d’una.
Glielo aveva detto! Dominando ogni emozione, gli aveva detto che si sbagliava se credeva di averle precluso una qualsiasi esperienza femminile.
Mi sono anche innamorata… ripeté, ricordando le proprie parole. Un sussurro, ma fermo e privo di alcun dubbio o vergogna. Si domandò se il padre si fosse chiesto di chi… Se avesse anche solo sospettato la sua identità…
Sospirò. Maledicendo in cuor suo la nuova ossessione del Generale. Trovarle comunque un marito. Strapparla alla vita militare, troppo dura e faticosa per una ragazza.
Una ragazza… Strano sentire quella parola pronunciata quasi con dolcezza dalle sue labbra. Caldeggiava Victor… suo padre. Ma non aveva importanza, aveva detto. Uno qualunque. Quello che sceglierai tu, andrà comunque bene...
Oscar chinò la testa sul petto, le palpebre sugli occhi stanchi e le sue labbra si piegarono in un sorriso divertito.
E va bene! Lo avrebbe accontentato! Sarebbe andata allo stupido ballo organizzato in suo onore. Un tardivo debutto per la splendida figlia del Generale François-Augustin de Jarjayes… Una ridicola farsa, un’ asta camuffata da serata di gala…  
Ci sarebbe andata!  Ma lo avrebbe fatto a modo suo.
Con un improvvisa e ritrovata energia, Oscar spronò Caesar al galoppo. Si era fatto tardi e i suoi uomini, i suoi cocciutissimi uomini, non potevano rimanere a lungo senza il loro Comandante…
 
***
 
Oscar si fece largo tra i soldati impegnati a ricevere amici e parenti. Era giorno di visita. Lo aveva dimenticato. Caesar penetrò tra le fila di uomini in blu, anziane signore e monelli scalpitanti che sfuggivano ridendo al controllo di ragazze troppo giovani per essere madri.
Le facce allegre dei suoi uomini, colte qua e là tra la piccola folla assiepata davanti all’entrata della caserma, le trasmisero un senso di ritrovata armonia. Le loro risate, le esclamazioni a volte troppo colorite, gli sguardi accesi… tutto assumeva un tono piacevole capace di infonderle nuovo entusiasmo.
Aveva quasi varcato la soglia del cortile quando una risata a lei ben nota richiamò la sua attenzione.
Non tardò a trovare e riconoscere le spalle larghe di André, i ciuffi bruni sul colletto blu dell’uniforme, e insieme a lui, civettuola, una bella ragazza dai lunghi capelli rossi.
Caesar si fermò, come rispondendo alla sua immediata reazione.
Subito dopo, André si volse incrociando il suo sguardo.
Gli occhi verdi si incupirono, mentre il riso gli moriva sulle labbra.
«Comandante…» salutò ricomponendosi.
Gli occhi di Oscar passarono dai suoi a quelli della giovane che gli si accompagnava.
Le sue spalle si raddrizzarono, come a mettere in mostra il petto e gli arabeschi dorati dello sparato, le medaglie e i gradi ufficiali.
«Comandante! » gli fece eco la ragazza, piacevolmente sorpresa, sciogliendo l’abbraccio al collo di André per portare le mani ai fianchi. «Finalmente vi conosco! »
Oscar aggrottò la fronte, sollevando le sopracciglia.
L’altra se ne uscì in una risata carica di entusiasmo.
«Non siate così sorpresa, comandante!» le schernì, rivolgendole un’occhiata complice. «A Parigi non si parla d’altro che di voi…» rivelò.
Oscar tornò con lo sguardo sul soldato semplice Grandier. Silenzioso e immobile.
«Non mi presenti la tua amica, André? » domandò e la sua voce vibrò di un suono acuto, infastidendola.
Che sciocca! Pensò… Perché sorprendersi che André conoscesse altre donne?
Perché rivolgergli quella domanda in un tono quasi tagliente… Un tono fattosi aspro per qualcosa che non le apparteneva. Un sentimento ambiguo e strisciante.
«Posso presentarmi da sola, Comandante! » sorrise la ragazza, intenzionata a non sfigurare, in quanto indipendenza. «Camille! » disse. «Il mio nome è Camille»
Oscar provò un’istintiva antipatia per quella figurina sfrontata e decisamente graziosa.
«Sono onorata di conoscere la donna che fa marciare dritto un intero plotone di uomini…» terminò Camille, sinceramente ammirata.
Oscar si limitò a ringraziare con un cenno del capo.
Camille piegò la testa di lato e la fissò intensamente.
«Strana professione, la vostra... » ridacchiò. «Si aprono nuove prospettive nel campo del lavoro femminile, dunque! ». Poi si fece maliziosa. «Spero solo che il mio non ne abbia a risentire…»
André dilatò le pupille. Portò un mano alle labbra e tossicchiò incerto su come sarebbe proseguita quella conversazione.
Oscar, sempre pronta alle argomentazioni o forse per pura educazione, pose la domanda fatidica.
«E quale sarebbe il vostro lavoro, mademoiselle? »
Camille non si lasciò sfuggire l’occasione. Non ne aveva mai persa una.
«Il più antico del mondo, Comandante» confidò con il più candido dei sorrisi e la voce melliflua e allusiva.
Oscar trasalì quasi impercettibilmente, ma la scaltra Camille notò la sua reazione.
«Fortunatamente, ci sono persone come il nostro André,  Comandante. Persone che non sono facili ad emettere sentenze, né ipocrite.  Che non ti giudicano come state facendo voi in questo momento»
Oscar accusò il colpo. Anzi due.
Camille le aveva appena rinfacciato i suoi pregiudizi e André sembrava conoscere quella ragazza molto bene.
 Ma quanto bene?
«Come decidete di impiegare il vostro tempo, madamigella, non è affar mio…» replicò. «Tantomeno dovrebbe esserlo. Avete ragione» sorrise tesa. «Ora mi perdonerete se sono costretta a lasciarvi a più gradevole compagnia… » continuò. «Devo prendere servizio».
Poi, rivolgendole un’ultima occhiata priva di alcuna recriminazione, aggiunse lentamente: «Ad ogni modo,  mademoiselle, spero di non aver pregiudicato l’opinione che avevate di me» concluse.
Il tono fermo e rauco di Oscar conquistò completamente Camille. La sua figura elegante,  le sue spalle dritte, il taglio deciso dei suoi occhi turchesi e quello duro della mascella, la affascinarono più di quanto avrebbe mai potuto confessare. Le sorrise, accennando un inchino.
Oscar si congedò con un cenno della mano e uno sguardo indecifrabile ad André.
«Eccola la donna che non ti fa dormire! » esclamò Camille appena furono soli,  lanciando un’occhiata maliziosa ad André. «Lei sì! Lei è quel tipo di donna!» affermò entusiasta sbirciando oltre il cancello e carpendo l’immagine di Oscar impegnata a scendere da cavallo. Le lunghe gambe fasciate di blu, i capelli biondi rilucenti al sole.
André la recuperò, afferrandola per un braccio.
«Non esagerare! » la rimproverò pensando che in realtà l’aveva già fatto.
Camille sostenne il suo sguardo. Gongolandosi in uno strano silenzio. Poi strinse gli occhi sogguardandolo seria. Infine, gettò indietro la bella testa fulva e rise. Rise di gusto.  
Girò su se stessa e si lasciò cadere di spalle addosso al petto profondo di André.
«Chissà cosa ha pensato, il tuo bel Comandante…» sogghignò in un mormorio che costrinse il giovane a piegarsi leggermente in avanti per sentirlo. Azione che lo portò pericolosamente a contatto con la pelle vellutata del suo piccolo orecchio. «Mi è sembrata piuttosto perplessa… per non dire altro», continuò lei godendosi quel contratto  rubato con un’indubbia maestria.
André, il morbido peso di Camille spalmato addosso, si umettò le labbra. Poi, con delicatezza, prese la ragazza per le spalle e la scostò quel tanto che bastò a far sì che l’aria circolasse di nuovo tra loro.
Camille si voltò di scatto. Prese il volto di André tra le mani e calamitò il suo sguardo.
«Fatti desiderare, mio bel soldato! A una donna come quella non devi togliere il piacere della conquista…» gli sorrise sulle labbra dischiuse dalla sorpresa. «Negati… ma tienila sulle spine».
André arretrò istintivamente.
Camille rise di nuovo. Delusa per non essere riuscita a rubargli un bacio, ma divertita dal suo atteggiamento casto e innamorato.
«Vedi? Sei bravo, quando vuoi» disse. «Ma forse un giorno ti conquisterò» sussurrò lasciandogli aperta una porticina che gli avrebbe visto varcare più che volentieri.
 
***
 
«Avanti!»
Oscar François de Jarjayes sedeva alla scrivania.
Le pareti di fondo del suo ufficio erano lambite dal dolce colore del tramonto.
«Non dovresti essere qui, Oscar…» obiettò André carezzandola con lo sguardo, dissimulando a malapena gola secca e una stretta allo stomaco.
Sapeva, per bocca della stessa Oscar, che quella sera avrebbe preso parte al ballo organizzato in suo onore. Lo stesso Generale, che aveva voluto vedere dopo il ferimento, non ne aveva fatto segreto. Continuando a reputare André ancora come l’attendente di Oscar, nonostante non fosse più al suo servizio da tempo.
Chiedergli di accompagnarla al ballo era stato il passo successivo e la pugnalata più dura.
Aveva accettato, André, senza chiedere l’opinione di Oscar. Senza nemmeno cercare il suo sguardo. E lei, non appena erano rimasti soli, con il solito modo affettato lo aveva pregato  di non intervenire. Ancora.
«Come vuoi, Oscar…» era stata la sua laconica risposta. Breve ma non abbastanza da non tradire la rabbia e il dissenso per quell’ennesima richiesta e l’intera situazione.
Passandole bruscamente accanto per raggiungere la porta, l’aveva accidentalmente sfiorata strappandole un brivido. Di questo ne era certo.
Non si era voltato, né lei non lo aveva richiamato.
Ora, attardandosi nel suo ufficio tra carte che sicuramente non avevano bisogno di essere sfogliate con tanta perizia e urgenza, Oscar lo aveva mandato a chiamare.
«Vorrei che mi accompagnassi in un posto, stasera» lo informò senza sollevare lo sguardo dal piano ingombro della scrivania.
André inarcò un sopracciglio e subito dopo serrò la mascella.
«Devo cambiarmi? » domandò, alludendo tacitamente all’ipotesi che si trattasse della serata danzante.
«Non è necessario» tagliò corto lei, firmando l’ennesimo documento. «Prepara i cavalli, André, e aspettami in cortile. Ti raggiungerò tra un momento».
André annuì. Uscì dal suo ufficio e percorse il lungo corridoio immerso nell’ombra con il cuore in tumulto. Il battito che si confondeva nelle sue orecchie, martellandogli in testa come il rumore pesante dei suoi passi. Lunghe falcate dettate dall’ansia. I pugni stretti lungo i fianchi.
Senza sapere come, raggiunse le scuderie. Sellò i cavalli e si portò in cortile.
L’aria fresca della sera imminente gli recò un blando ma piacevole sollievo. Irritato dal non sapere cosa aspettarsi, in un moto di stizza strinse convulsamente le redini di Caesar, lo sguardo fisso al portone di ingresso.
Dal proprio ufficio, Oscar si attardò alla finestra. Il blu del suoi occhi scivolò su quel giovane uomo bruno in attesa. Sui suoi gesti secchi e rabbiosi. Sulle sue mani strette ai finimenti. Si domandò a cosa stesse pensando.
Serrò le labbra. Sistemò la giacca dell’uniforme e si diresse alla porta…



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DUE CHIACCHIERE...

Non ho molto da dire su questo capitolo se non che ad un certo punto mi ha fatta sorridere... DOVE, QUANDO E SOPRATTUTTO PERCHE'??? Vi chiederete voi, oppure starete annuendo, condividendo i miei "pensieri e le mie parole"
Vi aiuto! Prima di strapparmi un sorriso, mi ha emozionata un po'... Un po' mi ha commossa...
Non vi ho aiutato, dite? Ho solo peggiorato le cose? Può darsi... Vabbeh, parliamone! Lo sapete che sono sempre contenta di fare due chiacchiere con voi!
In attesa delle vostre interessantissime elucubrazioni, allora, intanto vi saluto e vi mando il solito GRAZIE per direttissima! 
A presto,
Sabrina

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Capitolo 13
*** Tensione ***






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Capitolo 13 – Tensione
 
 
«Posso sapere dove stiamo andando, Oscar?»
La voce di André, estremamente calma, si infranse contro la schiena di Oscar che lo precedeva.
«Devo passare in un posto» rispose lei, atona. Senza voltarsi e senza accennare a rallentare il passo di Caesar.
Di nuovo il silenzio calò tra loro, aumentando la distanza che separava le cavalcature. Un silenzio ovattato, che cristallizzava il respiro.
André serrò la mascella, cupo, ma lo rispettò, nonostante avesse riconosciuto la direzione che era stata presa.
Quando si fermarono, non si stupì. Non si era sbagliato. Nessuna falsa illusione. Oscar aveva promesso di presenziare alla festa organizzata in suo onore e lì si era diretta. A quella stupida festa dove si sarebbe esposta alla mercé di occhi avidi e indiscreti,  indegni di lei.
Deglutì e quando Oscar scese da cavallo, senza una parola o uno sguardo, un’ombra scura gli annebbiò la vista.
«Aspettami qui, André».
Un ordine. Un ordine secco e perentorio che lo inchiodò alla sua disgustosa consapevolezza.
«Torno subito» aggiunse il comandante, e la tranquillità con la quale quell’ultima frase era stata pronunciata lo colpì.
Dunque Oscar aveva già deciso! pensò.
Doveva essere così… Altrimenti, non le sarebbe bastata una manciata di minuti per assolvere al suo dovere di donna.
Torno subito… ripeté mentalmente André, infliggendosi quella frase come una dolorosa litania.
Perché quell’affondo? Si domandò. Che bisogno c’era di umiliarlo in quel modo, quando in precedenza lei stessa gli aveva chiesto di non intromettersi. Di lasciarle sbrigare da sola l’intera faccenda.
Sorrise. Socchiuse le palpebre e accentuò la piega amara delle labbra, cercando inutilmente di convincersi che se l’era cercata.
Sì. Quella situazione se l’era cercata. Aveva tirato la corda, troppo, e questa infine si era spezzata. Dallo stolto che era, si era illuso di poter provare un sentimento che gli era inevitabilmente precluso per ceto e per nascita. Ma non si era fermato a questo. No… Si era spinto ben oltre. Non solo non l’aveva soffocato fino alla fine dei suoi giorni, quel sentimento, ma lo aveva espresso, lo aveva condiviso e preteso. 
Smontò di sella.  
Percorse con lo sguardo il dorso morbido della collina. Mescolò il verde dei suoi occhi a quello cupo dell’erba vestita a sera. Ma qual era veramente la sua colpa? Quale? Se amare Oscar era come respirare… Nessuna!
Torno subito… si schernì di nuovo, raccogliendo un sasso da terra e lanciandolo lontano con un gesto secco.
«Congratulazioni…» mormorò. «Congratulazioni» ripeté a voce alta, rivolto al nulla, sopraffatto dalla rabbia e dalla gelosia, afferrando bruscamente le redini e tirandosi addosso i due cavalli. Il suo e Caesar. Cercando conforto nel calore del loro sbuffo.  Combattuto tra l’aspettare il ritorno di Oscar, ligio al proprio dovere come sempre o quasi,  o correre il più lontano possibile.
Una risata amara gli gorgogliò sulle labbra. Lontano? Quanto lontano?
Tolse il cappello, si passò una mano tra le ciocche scure e sugli occhi, vi racchiuse un sospiro, e quando li riaprì, Oscar era riapparsa. Silenziosa e fiera. Forse solo un po’ accaldata, come dimostravano le guance appena arrossate.
André l’aggredì con lo sguardo. Dissimulando immediatamente e a fatica ansia e tensione. Immobile, eppure desideroso di afferrarla e di scuoterla fino a farle confessare di aver accettato la proposta del conte Girodell e di averlo voluto al suo fianco solo per  infliggergli quell’ulteriore, spietata, inutile punizione.
Sei davvero così crudele, Oscar?
Senza una parola, Oscar rimontò in sella. Recuperò le redini dalle mani del soldato, indifferente al loro tremore, e incitò Caesar a muoversi.
«Andiamo, André», disse «Ho voglia di bere. Accompagnami a Parigi, adesso»  
Si volse, come guidata da una fastidiosa percezione. E con un certo disappunto, si accorse che André era rimasto immobile là dove lo aveva lasciato.
«Andiamo! » ordinò.
«No»
All’evidente irritazione di Oscar, André non si affrettò, come sempre, a stemperare la tensione con un sorriso.  Non era più solo il compagno di giochi di un tempo. L’attendente. Il soldatino. Era un uomo che pretendeva una risposta.
«Non fino a quando non mi dici cosa è successo là dentro, Oscar». Era irremovibile.
Un brivido percorse la schiena di Oscar e terminò con un afflusso vermiglio di stizza a colorarle il viso.
Non era abituata ad essere contraddetta e quello, per André, stava diventando un vizio.
Capì che non si sarebbe mosso se non avesse avuto riscontro alla sua stupida domanda. E a modo suo, glielo concesse.
«Ho solo chiarito un equivoco e ribadito un concetto» disse sostenendo con durezza il suo sguardo. «Adesso possiamo andare?».
I muscoli di André si rilassarono. Scioccamente, perché la frase enigmatica di Oscar non voleva dire niente. Detestava quel suo modo ermetico di esprimersi. Eppure qualcosa, tra le righe di quella misera manciata di parole, riaccese le sue speranze.
Montò in sella. La raggiunse. Addirittura la superò di una misura. Poi tirò indietro le redini perché il cavallo girasse su se stesso e lui potesse tornare a fissarla.
Cosa non mi stai dicendo, Oscar?
Non lo disse. Non disse nulla.  Ma in silenzio l’abbracciò con lo sguardo, attirandola a sé. Colse il suo leggero turbamento. Il suo timido sussulto. Decise di farsi bastare quelle parole. Per il momento. Almeno per il momento…
 
***
 
La Fille Rouge!
Oscar buttò giù l’ennesimo bicchiere, sorprendendosi ancora del sapore sgradevole di quel vino troppo acido per essere considerato buono.
Si passò il dorso di una mano sulle labbra e si guardò attorno con diffidenza. Ma i suoi occhi non si spinsero lontano perché tornarono ad infrangersi ancora, in una danza monotona, contro l’avvenente sagoma di Camille…
Picchiò un pugno sul tavolo. Istintivamente. E quel gesto richiamò l’attenzione di André e di Alain che si volsero contemporaneamente a guardarla.
Oscar sorrise. Ironica. Cinica.
Bella scoperta! Tra tutte le taverne di Parigi, André aveva scelto la bettola di Camille. Una bettola frequentata dagli elementi più strani… compreso Alain de Soissons!
L’iniziale irritazione che l’aveva colta nel trovarsi faccia a faccia con quel borioso soldato dal cognome altisonante, era presto sfumata nell’intravvedere la possibilità di avvicinarsi ai propri uomini, a quelli che ancora non l’accettavano, conquistandoli laddove meno le so sarebbero aspettati. Un terreno insidioso, maschile, tutto da conquistare… Ed erano ancora molti, gli elementi che preferivano rispondere ad Alain piuttosto che a lei! Che mettevano in discussione il suo ruolo e il suo grado di comando.
Aveva quindi deciso di vincere la ritrosia di André, intenzionato ad andarsene dal momento che Alain aveva già sorbito un numero imprecisato, ma comunque elevato, di bicchieri, e lo aveva costretto a sedersi con lei al suo tavolo.
Poi aveva scorto Camille. Bella e procace. Rossa e brillante come un buon calice di vino, avvolgente e robusto…
Camille si era avvicinata. Aveva civettato con André e risposto per le rime alle occhiate impertinenti del giovane Soissons. Poi, senza rivolgerle una parola, aveva guardato Oscar come si guarda ad una rarità. Con un misto di ammirazione e scetticismo. Infine, si era allontanata tornando ad occuparsi dei propri ospiti, lascivi e molli al pari di otri flaccide.
«E così, il nostro comandante è di bocca buona…» farfugliò Alain, strappandola dai suoi pensieri. Lo sguardo lucido e il sorriso largo e irriverente.
Nemmeno il tempo di schiudere le labbra per rispondere che André l’aveva già battuta sul tempo.
«Smettila Alain…» lo rimbrottò. «Stai esagerando» lo avvisò, attirando su di sé la sua attenzione, maligna come la sbornia che si stava procurando.
«Non te la prendere, André…» ridacchiò il soldato. «Non era a te che alludevo»  lo sogguardò sollevando il mento. «Ma al vino!» precisò.
Poi si piegò sul tavolo, in direzione di Oscar, e allungò una mano, afferrandola inaspettatamente per il bavero.
«Deve essere abituata a ben altro, il nostro comandante… » mormorò fissandola negli occhi. Sottolineando una volta ancora e sbeffeggiando il suo grado.
«Basta!» proruppe André, allontanandolo da lei. «Ce ne andiamo e tu dovresti fare altrettanto, Alain…» suggerì. «Hai bevuto troppo».
Si sollevò dalla sedia e attese che Oscar facesse lo stesso. Lei lo imitò subito dopo.
Un fischio e la reazione di Alain non si fece attendere.
«Obbediente come un cagnolino! » rise fragorosamente. «Forse il troppo vino vi ha confusi al punto da non ricordare più chi è il comandante e chi il soldato… » li provocò, divertito, passando lo sguardo e l’indice dall’uno all’altro.  
André inspirò profondamente, a labbra serrate, tirandosi in gola attraverso le narici il gusto dolciastro della taverna. Oscar, al suo fianco, si irrigidì.
«Comandante…» nel tentativo di porre rimedio a una gaffe che Alain era stato tanto bravo e sciocco da notare e mettere in evidenza, André la invitò con rispetto e sussiego a prendere la decisione successiva.  
«Andiamo» confermò Oscar, precedendolo alla porta.
Ma nell’attimo stesso in cui André si mosse per seguirla, la mano di Alain afferrò il suo braccio, trattenendolo.  
Con un sorriso in tralice, il soldato sostenne il suo sguardo.
«Fai attenzione, amico… » disse, improvvisamente lucido. «La tua tresca con il comandante non è passata inosservata alla truppa… E qualcuno potrebbe non digerirla bene o affatto», lasciò la presa e sistemò la giacca del commilitone rimettendolo in sesto. «Io ti ho avvisato… Guardati le spalle». Dunque, una mano tra i capelli scuri e poi sugli occhi annebbiati dall’alcool, Alain si lasciò cadere rumorosamente sulla sedia e, ridendo, reclamò dell’altro vino e belle donne.
Indeciso se prestare attenzione alle sue parole o classificarle come lo sciocco vaneggiamento di un folle ubriaco, André gli lanciò un’ultima occhiata torva.  Poi se ne andò.
Fuori, l’aria fresca della sera lo schiaffeggiò inattesa,  donandogli sollievo.
Cercò Oscar con lo sguardo. La trovò.
Mosse un passo nella sua direzione.
Rallentò.
Si fermò nell’ombra.
Investita dall’intenso bagliore di una lucerna, Oscar si fermò a sua volta, sorpresa di non sentire il suono familiare del suo incedere alle proprie spalle.
«Vorrei sapere cosa è successo veramente in quella stanza, Oscar»
André non aveva atteso che lei si voltasse.
Non aveva atteso che lo richiamasse.
Aveva semplicemente espresso un desiderio. Il proprio desiderio.
Ora, avviluppato dagli strali scuri della notte, semplicemente attendeva una risposta.
Oscar si umettò le labbra, sollevò il mento, dandogli ancora le spalle, e aggiunse consapevolmente un pericoloso tassello alla frase sibillina pronunciata solo poche ore prima.
«Si aspettavano un bel vestito…» mormorò. E la sua voce calda e gutturale impregnò la notte. «Non una donna» disse, cullandosi poi nel silenzio per un lungo istante. Nel silenzio e nella piena consapevolezza di quanto appena affermato. «E sono rimasti delusi» ridacchiò infine, a metà tra l’irritato e il divertito. Un risolino  che si trasformò presto in una risata sporca e greve.
Si volse. Il volto pallido rischiarato improvvisamente dalla luce del lampione, incorniciato dalla cascata di capelli biondi che si intrecciavano ribelli sullo sparato della divisa.
André avvertì un fremito. Lo stesso, identico fremito, che avvertiva da anni al suo cospetto. Un fremito che nel tempo era diventato qualcosa di fin troppo evidente, difficile da nascondere.
Avanzò. Il passo malfermo, barcollante. Si chiese se per il troppo vino o per l’eccitazione. Lentamente la raggiunse. Lei che era rimasta immobile e severa. Il suo miraggio.
E quando le fu dinnanzi, prima si fermò. Penetrò testardamente la scintilla blu dei suoi occhi, scoprendola piacevolmente e sorprendentemente complice di quell’inattesa intimità. Poi sopravanzò. Lentamente.  
Il suo incedere, silenzioso e caparbio, la costrinse ad arretrare.  
Con il peso del proprio corpo, le braccia abbandonate lungo i fianchi, André la sospinse verso il vicolo dove avevano lasciato i cavalli.
Le spalle  al muro,  Oscar avvertì l’ostacolo. Sollevò il mento. Sfiorò quello di André le cui labbra si stavano inevitabilmente adagiando sulle sue, schiuse dalla sorpresa.
Nella fugacità di un respiro, Oscar assaporò il residuo aspro del vino. Sussultò.
Non togliere a quella donna il gusto della conquista…
Fu come una fitta alla testa, dolorosa e insistente, e André scivolò via.
Si rifugiò ansante tra le chiome soffici e profumate e lì si fermò. Sfiorò con il respiro il suo orecchio. Solleticò la pelle sensibile tra il collo, deliziosamente esposto, e il lobo, piccolo e morbido.
«A me non serve un vestito… » mormorò rauco tra i suoi capelli, grato per avergli inaspettatamente offerto il fianco. «Te l’ho già detto»
Si staccò da lei. Bruscamente. Lasciandola addossata a quel muro umido di muffa.
Oscar avvertì le gambe farsi molli, le ginocchia cedere dolorosamente. Ma prima che fosse troppo tardi, André le cinse la vita con un braccio, sorreggendola.
«Attenta, Comandante… » disse, lo sguardo scuro di desiderio. La voce roca. Il volto trasfigurato e duro.  Le labbra serrate, subito dopo, in un’espressione indecifrabile, deciso a dissimulare desiderio e tensione. A confonderla.
Oscar si passò una mano sulla fronte.
«Credo di aver bevuto troppo» mormorò, affrettandosi a giustificare la propria ridicola reazione. Abbassò le palpebre. Avvertì le guance ardere. Deglutì. «Andiamo a casa, André»
Parole che le sfuggirono dalle labbra con una semplicità disarmante.
Gli occhi sgranati, Oscar serrò la mascella. Pallida come se avesse commesso il più terribile dei peccati. Poi sollevò lo sguardo in quello di André. Fiera. Indomita. Decisa a non retrocedere di un passo. A non confermare il proprio desiderio, espresso a voce alta, né ad ammettere l’errore. L’aver abbassato la guardia.
Nel silenzio assordante che seguì, al vaglio di quegli occhi insaziabili, Oscar provò per la seconda volta al loro cospetto, il pruriginoso timore di una donna dinnanzi dell’esplicita ammirazione di un uomo e del suo sguardo esigente.  Si sentì deliziosamente fragile tra le sue braccia. Nuda. A dispetto di quell’uniforme, che vestiva come una corazza, e dei gradi che indossava. Ma, soprattutto, si sentì stanca di portare il peso di quell’armatura immaginaria, nella quale si era calata per anni, e che ora inaspettatamente la soffocava.
André la sollevò da terra. Improvvisamente. Senza una parola.
La issò in sella. Assicurò il proprio cavallo a Caesar e montò alle spalle di Oscar.
Quando il dolce peso del Comandante Jarjayes sfiorò il suo petto, finalmente si decise a parlare.
«Se non riesci a reggerti in piedi… » disse con severa pacatezza. «Probabilmente non riesci nemmeno a cavalcare». Nulla a cui poter obiettare.
Tirò le redini e spronò Caesar al trotto. Ne moderò l’andatura. Lo rallentò.
Non aveva fretta di rientrare.
«Meglio non rischiare, non credi, Oscar?» concluse, spingendo lo sguardo lontano, senza aspettarsi una risposta. Senza volerla, in fondo.
Ebbro di vino e di piacere. Apparentemente indifferente a tutto. In realtà teso fino allo spasmo.  
Immobile davanti a lui, il fiato sospeso per la sorpresa, Oscar non protestò. Non replicò, non si ribellò. Semplicemente, assaporò la forza e la dolcezza di cui quel gesto inatteso era intriso. Lasciò che il suo spirito, sfinito dall’estenuante lotta intestina, ne giovasse.
Complice il vino e una tensione inespressa, Oscar si chiese semplicemente che male potesse esserci nel lasciarsi andare. Nel godere per un momento di quell’abbraccio, delicato e forte come una carezza. Fermarsi. Un attimo. Soltanto un attimo…
 
***
 
«Questa non è la strada per Palazzo Jarjayes…»
La flebile protesta di Oscar strappò un sorriso ad André. Un sorriso che lei non poteva vedere.
«Infatti» rispose lui, sfiorandole i capelli con il respiro. «Non credo tu sia in grado di affrontare tuo padre, stasera» mormorò. «Se, come hai detto, hai ribadito la tua indipendenza di fronte ai migliori partiti di Francia… » la punzecchiò «Il Generale non sarà felice di saperlo»
Oscar non rispose. Non aggiunse altro.
Il suo silenzio fu la più assordante delle conferme.
Il sorriso di André si allargò.
Proiettandosi in avanti, il giovane Grandier aderì alla schiena di Oscar e galvanizzato da quella tacita risposta, spronò istintivamente Caesar al galoppo, diretto alla caserma.  Certo, ormai, che Oscar non si sarebbe spostata. Non subito. Non presto. Non con il conte Girodell…
Raggiunto il cortile interno della struttura, smontò da cavallo con un balzo, agile ed entusiasta. Tese le braccia ad Oscar. La fissò.
Lei, dopo una prima esitazione, poco avvezza a quel tipo di attenzioni,  accettò.
Una volta a terra, barcollò, portandosi di nuovo una mano alla fronte.
«Va tutto bene, Oscar? »
La vibrante soddisfazione nella voce di André la colpì. Annuì. Dando ad intendere che il pessimo vino di quella bettola l’aveva confusa e intorpidita.
«Aspetta…» le suggerì lui, ponendola premurosamente al riparo da occhi indiscreti, accompagnandola sotto al portico che correva lungo tutto il perimetro del cortile. Lasciati i cavalli alla scuderia, tornò da lei. Le porse un braccio perché continuasse a sorreggersi.
Oscar dissimulò l’accenno di un sorriso. A metà tra il colpevole e il divertito.
Era stanca. Era vero. Ed era ubriaca. Ma non al punto che gli stava facendo credere. Era comodo, nascondersi dietro a una sbronza… Non esigeva spiegazioni né comportamenti adeguati all’etichetta. Esattamente quello di cui Oscar sentiva di avere bisogno: una tregua. Perché puntualizzare?
Salirono scale, percorsero affiancati lunghi corridoi in ombra.  Varcarono la soglia del suo ufficio, poi quella dei suoi appartamenti privati.
Un attimo di esitazione, per entrambi. Poi Oscar si staccò da lui. Scivolò in quella stanza sprofondata nel buio. Un’oscurità quasi perfetta, stemperata dal solo bagliore delle lucerne che dall’esterno filtravano incostanti attraverso la grande vetrata velata da tende.  
Si volse in direzione di André. Gli si pose dinnanzi cercando il suo sguardo.
Dritta come un fuso, perfettamente salda sulle gambe. Immobile. Trovò i suoi occhi.
Si chiese se André avesse compreso. Se avesse capito il suo gioco.
Avvinto a quello sguardo inespugnabile, André gemette, rimangiandosi il proprio supplice lamento. Avvertendo un diffuso formicolio in tutto il corpo.
Non aspettò che gli occhi si abituassero al buio. L’afferrò per la vita, attirandola a sé. Mani invadenti e capaci scivolarono lungo la cintura. Incontrarono la fibbia. Liberarono i suoi fianchi.
Senza una parola e senza lasciarle volgere lo sguardo le sfilò la giacca. Lentamente. Delicatamente. Avrebbe voluto sorridere…
Quante volte l’aveva aiutata a spogliarsi? Quante? Ma la tensione paralizzava ogni muscolo.
Oscar fremette e lui adombrò lo sguardo.
Tratteneva il respiro, Oscar. Come lo tratteneva lui…
Un muto cenno d’intesa, e il bell’ufficiale dai capelli biondi retrocesse fino al letto. Sedette sul bordo.
André indugiò a guardarla. Sovrastandola. Le gambe a sfiorare appena le sue ginocchia.
Non esagerare, Oscar… pensò, Non esagerare… la rimproverò tacitamente per quella originale accondiscendenza, perso nei suoi occhi sempre così esigenti. Troppo esigenti. Non farlo… Non sfidarmi adesso. Non così. Non in questo modo…
Si chinò su di lei. Cercò il suo orecchio.
«Adesso ti aiuto a togliere gli stivali…» mormorò.
Si piegò. Afferrò i gambali e li sfilò con gesti rapidi e decisi.  
Sapeva che Oscar lo stava guardando. Sentiva i suoi occhi carezzargli la nuca.
Si alzò.
«Buonanotte, Oscar» disse. La voce arrochita dal desiderio.
Strinse i pugni lungo i fianchi, sfiorò inavvertitamente i lombi. Si rimangiò un’imprecazione e le volse le spalle, guadagnando la porta rapidamente perché lei non fosse bruscamente esposta alla parte meno romantica del suo amore.  
«Sarò qua fuori, se hai bisogno…» mormorò guardandola da sopra una spalla. «Stenditi e non muoverti da qui…» continuò. «Hai bevuto davvero troppo, stasera. E non vorrei che qualcuno approfittasse della situazione».
Lo scatto della porta di infranse contro la maschera indecifrabile di Oscar.
L’integerrimo comandante Jarjayes inspirò profondamente, passandosi una mano tra i capelli, poi si lasciò cadere di schiena sul letto.
Cosa diavolo si era messa in testa di fare? Cosa avrebbe voluto provare?  Fino a che punto sarebbe stata disposta a giocare se André non avesse abbandonato la stanza?
Strinse gli occhi con forza. Cancellò con un battito di ciglia il soffitto alto e scuro della caserma. E con esso cercò di cancellare i ricordi di quella sera. Di quella giornata. Di una vita.
«Dannazione! » imprecò.
Si portò un braccio sopra la testa. Spostò il dorso della mano sulla fronte e poi ancora sugli occhi. Sperò che il sonno la cogliesse presto. Subito. Profondamente. Che le strappasse di dosso il puzzo di alcool e di sudore. Che le togliesse quel peso dal petto. La nausea… Il disgusto.... Che le donasse sollievo.  
Fermarsi… pensò. Un attimo… Solo un attimo. Che male ci sarebbe stato?
Rise amaramente. Fermarsi… In fondo, a cosa sarebbe servito?
Oltre la porta, André si addossò all’asse di legno scuro.
Si accorse di stringere ancora la giubba di Oscar tra le mani. La guardò, poi la portò alle labbra e ne assaporò la fragranza. Cuoio e lavanda… Sempre.  
Sorrise, passandosi le dita tra i capelli umidi.
«Troppo facile, Oscar» mormorò tra sé. Troppo facile, pensò scrollando le spalle, Non puoi cavartela così. Fingendo una sbronza.
Rovesciò la testa indietro, fino a toccare la porta.
Così non va bene, Oscar… Per nessuno dei due. Non per me, almeno.
Con uno scatto deciso dei reni si staccò dalla tavola di legno. Raggiunse lo scrittoio. Afferrò la sedia e la posizionò in direzione della porta oltre la quale forse Oscar già dormiva o era intenta a studiare per lui una nuova, esemplare e crudele punizione. La voltò, affinché lo schienale gli facesse da appoggio per le braccia. Sedette. Si piegò in avanti. Deglutì, affilando lo sguardo. Quasi potesse attraversare la tavola di legno e posare gli occhi su di lei.

Non è così che funziona, Oscar… Non è così…

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DUE CHIACCHIERE...

Appurato che senza un PC, e soprattuto una connessione internet al PC, io non riesca a scrivere e ragionare - non ho la pazienza e la maestria necessarie a ESPLETARE tutte queste mansioni con lo smartphone, almeno da neofita quale sono - , spero che abbiate trascorso delle ottime vacanze - ovunque siate stati!
Finalmente rientrata in postazione, mentre mi dedicherò alle risposte e alle chiacchierate in sospeso (e a confessare dove, quando e perché il capitolo precedente mi ha "strappato" un sorriso), vi lascio a disquisire sull'emicrania "post-sbronza" del nostro povero André...

Curiosa di conoscere le vostre "conclusioni", 
UN GRAZIE sempre ENORME dalla vostra ritardataria (in lettura e scrittura) Sabrina!
 
 

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Capitolo 14
*** La divisa strappata ***


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Doverosa premessa ai lettori:
Un lavoro che piace, un lavoro che ti da soddisfazione è una cosa bellissima ma è anche un delizioso e irrinunciabile tormento… Questo perché non finisci mai, non stacchi mai, senti di non averne mai abbastanza e di non “dargli” mai abbastanza. E così, finisci per buttarti a capofitto in ogni occasione che quel lavoro ti presenta e ci metti anima e sangue. Ma anche qualcosa che ami e che faresti a prescindere può spingerti al limite (fisico e psicologico) e ti ritrovi stanca e vuota. Fragile preda di qualche nuovo e vecchio acciacco che, diciamocelo, non aspettava altro che trovare le tue difese immunitarie che guardano distrattamente da un’altra parte. Gli occhi incapaci di reggere anche il minimo accenno di luce e soprattutto privata di qualunque ispirazione, con lo stomaco che si contrae ogni volta che cerchi di rimetterti all’opera.  
Ho un lavoro che mi piace… che adoro e che spesso coincide con disegno e scrittura. Dalla fine di luglio, una serie di impegni mi ha prosciugato ogni energia. Sono felice dei piccoli risultati raggiunti, ma dispiaciuta di essermi dovuta necessariamente isolare per potermici dedicare così come ho fatto e soprattutto di aver faticato, una volta conclusi gli impegni, a ritrovare quel “feeling” necessario a proseguire in tutto ciò che faccio (per amore, diletto e, appunto, lavoro…).
Mi scuso per il tempo trascorso dall’ultimo aggiornamento e per le risposte mancate (ma che cercherò di recuperare al più presto). Smetto di annoiarvi e vi auguro BUONA LETTURA, se vorrete…
 
 
Capitolo 14 – La divisa strappata
 
Oscar dissimulò un sussulto. Gli occhi verdi di André, ammantati dall’ombra notturna, la colsero inaspettatamente sul fatto.
Lo stava fissando.
Lo fissava da tempo… Dal momento stesso in cui la carrozza dei Jarjayes aveva lasciato il cortile della caserma diretta a Parigi e il soldato, trincerato in un irrazionale mutismo, aveva immediatamente dirottato la propria attenzione all’esterno.
«Volevi dirmi qualcosa, Oscar?»
Atona, affettata… una domanda priva di qualsiasi interesse nella relativa risposta, accompagnata da uno sguardo privo di colore. Qualsiasi colore. Fosse anche il colore del disprezzo.
Oscar serrò la mascella. Ferita da quella freddezza, sollevò il mento, sostenendo con durezza quello sguardo. Sicura di non meritarselo affatto.
«Pensi di mantenere questo atteggiamento anche al cospetto del Generale Bouillé? » domandò con una certa arroganza, stizzita dal muro che André aveva innalzato contro di lei in quelle ultime settimane. Dalla sera in cui, per esattezza, si erano concessi qualche bicchiere di troppo in quella vecchia taverna, “La fille Rouge”.  
Cos’aveva da rimproverarle, André? Non aveva mandato al diavolo gli scapoli più ambiti di Francia? Non aveva esorcizzato nell’alcool la dura reazione paterna – che non si era certo fatta attendere – , infilandosi in una bettola puzzolente,  sempre e comunque al suo fianco? E una volta in quel vicolo, inebriata dal vino e dalla follia delle sue stesse azioni, con il suo peso addosso e il fiato corto che si mescolava al suo, l’istinto aveva quasi preso il sopravvento sulla ragione…
La voce pacata di André la raggiunse, prima che il ricordo di quella notte ubriaca – o presunta tale – le infiammasse le guance.
«Penso semplicemente che Alain avrebbe rappresentato la Guardia meglio di quanto possa fare io» rispose lui tagliente, senza abbassare lo sguardo o smettere di fissarla. Ora con maggiore attenzione.
Oscar accusò il colpo.
Le cose si erano succedute rapidamente, nelle ultime settimane… L’ennesimo scontro con Alain Soissons, l’accusa di tradire i propri uomini, LaSalle e il suo maledetto fucile… Poi, quella giornata carica di pioggia… Gli occhi scuri di Alain che la sfidavano, feroci come quelli di un mastino… la divisa inzuppata, incollata addosso come un foglio di carta, i capelli fradici e pesanti… la pioggia che filtrava ogni cosa…
Trasalì. Inaspettatamente. Tradendo in quel brivido l’intensità di quel ricordo, comunque incapace di soppiantare l’altro. Più imbarazzante. Intimo…
Trapassò André con lo sguardo… Dov’era André? Dov’era in quel momento? Mentre si decideva la sua sorte, su quel piazzale battuto da una pioggia incessante?
Non era intervenuto! Aveva assistito allo scontro tenendosi in disparte. A debita distanza. Non un gesto. Non una parola. E tuttavia, facendole male! Caricandola di rabbia. Una rabbia sorda che lei aveva scaricato su Alain, colpevole solo di non accettarla per quello che era: una donna… e il suo comandante. Una rabbia che avrebbe voluto riversare su André e che invece si era abbattuta su quel soldato dall’aria impertinente, consentendole di vincere una sfida che avrebbe dato lei per prima per persa e consegnandole contemporaneamente la fiducia e il rispetto dell’intero plotone. Soisson in testa.
Da quel preciso momento, qualcosa era cambiato…
Nuovi equilibri avevano soppiantato diffidenza e dispetto. Alain era diventato il più fedele dei soldati. Sarebbe stato disposto a morire, per lei, e non ne faceva nemmeno mistero.  L’aveva acclamata, in occasione della scarcerazione del giovane LaSalle, e le aveva salvato la vita, sventando un attentato ordito ai suoi danni… Sull’altro piatto della bilancia, l’astio malcelato di André, l’amico di una vita…
La cui brusca osservazione stagnava ancora nell’aria.
«Ho scelto te» ribatté Oscar, la voce fonda e gutturale anche in quello che sembrava un sussurro.
Ho scelto te… Quante possibili interpretazioni… Le narici di André si allargarono impercettibilmente e quando Oscar se ne accorse, distolse lo sguardo.
«Ringraziamo Bouillé e torniamo in caserma» disse per stemperare il silenzio che si era nuovamente frapposto tra loro, soffermandosi con lo sguardo sui guanti candidi.
Poi schiuse ancora le labbra per parlare, in cerca di una qualche battuta. Generica, ironica, plausibile… Annaspò qualche secondo di troppo e lo scarto improvviso della carrozza le ricacciò bruscamente in gola le parole appena trovate.  
Il silenzio si gonfiò di un vociare prima sommesso poi roboante e dall’esterno le luci di centinaia di fiaccole balenarono davanti ai loro occhi sorpresi, concretizzando i loro timori.
Oscar inspirò profondamente,  rimproverandosi quella leggerezza. Imperdonabile per un ufficiale. Come aveva potuto essere tanto sciocca? Le strade di Parigi erano in fermento da giorni e il malcontento popolare faticava a restare entro gli argini imposti dalla legalità. 
Più di una carrozza era stata prima accerchiata e poi rovesciata, con tutti i suoi occupanti. Nobili e aristocratici, credendo ancora di essere intoccabili, stavano diventando zimbello e facile preda di una rabbia sommersa pronta ad esplodere.
E lo stemma dei Jarjayes, evidentemente, non era passato inosservato…
La carrozza fu costretta a fermarsi.
«Avanti! » si alzò una voce incitando la folla. «Sono nobili! Aristocratici! Tiriamoli fuori! »
Il cocchiere venne scaraventato a terra e la carrozza, attaccata su più fronti, iniziò a dondolare.  André si alzò dal sedile e guardò verso Oscar.
«Rovesceranno la carrozza, André! » gridò lei, senza comprendere il motivo del suo sbiancare. «Usciamo da qui! Subito! » ordinò precedendolo fuori.
Senza sguainare la spada, Oscar si inserì come un proiettile tra la folla dimenando colpi come se impugnasse un bastone, dividendola in due ali sorprese e furiose. Dietro di lei, André.
«Oscar! » urlava. «Oscar! » Non allontanarti, Oscar. Stammi vicino. Non ti allontanare… era la sua preghiera. Il suo unico pensiero.
Inciampò. Trattenuto da braccia robuste. Avide di un qualunque capro espiatorio.
«Oscar! » urlò cercando di farsi sentire. «Vattene, Oscar, vattene via! »
Oscar si volse. Dilatò lo sguardo. Esitò. Un attimo solo. Uno soltanto. Ma le fu fatale.
Un colpo la raggiunse alla testa, stordendola. Poi qualcuno l’afferrò per le spalle. Uomini, donne, ragazzi… un vociare confuso. Una sola protesta. La pretesa di essere ascoltati… Mani che le graffiavano il volto, tiravano i capelli, le impedivano di rimettersi in piedi.
Oscar si divincolò,  fintanto che un uomo corpulento, armato di bastone, le si parò davanti e l’afferrò per il bavero.
«Nobile e ufficiale!» ridacchiò grugnendo. «Nientemeno» affermò, cercando con lo sguardo il consenso dei suoi accoliti.
Oscar sollevò il mento, tirandosi istintivamente indietro.
«Dove credi di andare! »  sbraitò il suo aggressore, rafforzando la presa.
«Pensi forse che i tuoi gradi mi spaventino, damerino? » la schernì, mostrando i denti marci.
La strattonò, trascinandola verso di sé come un trofeo. Con un colpo secco strappò i gradi dal suo sparato poi, temendo che gli sfuggisse, l’afferrò di nuovo per il bavero e la divisa si strappò accidentalmente, aprendosi sull’ineluttabile verità…
Il grido di André fu simile a un ruggito. Indifferente a chi gli stava davanti, dietro o tutt’intorno, si scagliò sulla folla, facendosi largo ferocemente fino a lei. E se non fosse stato per lei, che occupava ogni suo pensiero, ogni suo respiro, il suo aggressore avrebbe pagato con la vita.
Ma Oscar era la sua priorità.
Con un gesto secco scacciò chi le stava di fronte, approfittando del suo stupore. Afferrò Oscar per un braccio, rimettendola in piedi, attonita, paralizzata. Oscar lesse l’orrore negli occhi di André e per la prima volta, racchiusa in quello sguardo, capì e provò paura.
Attorno a loro, la folla sgomenta si stava ricomponendo e all’urlo di “morte ai nobili” stava tornando all’attacco. La reale identità sessuale di quel biondo ufficiale aveva scaldato ulteriormente gli animi. Laide battute si udirono chiaramente nel tramestio di piedi, bastoni e pietre divelte. Qualcuno si offrì di chiarirle le idee. Altri si contendevano il diritto di farne un ostaggio.
Ormai accerchiato, André non vide altra soluzione.  Si trascinò Oscar addosso. La strinse tra le braccia e la rivestì come un guscio, chiudendosi sopra di lei come una corazza, incurante dei colpi e delle percosse che iniziarono a piovergli addosso.  Più forte lo colpivano e più forte si stringeva a lei. Avvinghiandosi disperatamente a quel corpo fragile di donna che aveva scatenato gli istinti più beceri degli uomini e che stretto tra le sue braccia tremava di rabbia, di vergogna, di impotenza o, forse, di incontrollabile terrore.
Un colpo di pistola. Poi il silenzio.
«Oscar! » urlò una voce che si faceva sempre più vicina. «Dove siete, Oscar?!? »
André si rilassò. Le membra doloranti si schiusero lasciando intravvedere la testa bionda del comandante Jarjayes.
«Va tutto bene, Oscar? »
Hans Axel di Fersen si era precipitato su di lei, aiutandola a rialzarsi, mentre il suo plotone a cavallo disperdeva la folla. «Aspettate, Oscar, vi aiuto… »
André bloccò la sua mano, afferrandogli il polso, mentre con il braccio libero cingeva la vita di Oscar. Ricacciò in gola un gemito di dolore e sollevò lo sguardo appannato dal sangue che gli impastava la fronte in quello del Conte.  
«Occupatevi della rivolta» disse.
Hans lo guardò incredulo e interrogativo. Avvertì la stretta sul polso intensificarsi. Poi fece scorrere lo sguardo dall’uno all’altro, soffermandosi sugli occhi turchesi di Oscar. Aspettando una reazione che non arrivò.
Incapace di sciogliersi da quell’abbraccio, Oscar non replicò. Schiuse semplicemente le labbra, senza emettere alcun suono. Ma il conte di Fersen comprese che se anche avesse avuto la forza di pronunciare un nome, non sarebbe stato il suo.
«Certo!» rispose allora ad André, con un sorriso tra il sorpreso e l’imbarazzato. «Certo» ripeté arretrando di un passo. «Prendetevi cura di lei, come avete sempre fatto» concluse portando la mano alla fronte in accenno al saluto militare.  
Montò in sella e dopo un ultimo sguardo, un ultimo commiato, si allontanò.
«Andiamo! »
Scuro in volto, André afferrò Oscar per un braccio e la trascinò a lunghe falcate in un vicolo.
Rantolando, emetteva a tratti come un lugubre lamento, mentre respirava a denti stretti, reprimendo a stento un’animalesca necessità di urlare.   
«André… io… » la voce di Oscar gli giunse quasi  irriconoscibile. Si fermò, dandole le spalle. Poi si volse a guardarla, sporca e in disordine.
Serrò le labbra, avvertendo forte il sapore ferroso del sangue e in un impeto di rabbia e sollievo, cercò la sua bocca, trovandola schiusa e morbida. Si nutrì di lei. Della sua sorpresa, arrendevole e dolce come non l’aveva mai nemmeno immaginata. Affondò le mani nei suoi capelli. Ansimante e selvatico. Si lamentò, ancora e ancora, come a dover sfogare tutto il dolore che aveva in corpo. Ad esorcizzare il terrore provato solo poco prima, quando temeva di non farcela e di perderla nel peggiore e brutale dei modi.  Respirando forte, continuò a stringerla, a toccarla. Assaporò il suo odore aspro. Trovò conforto, delirio e dannazione…
Poi più niente.
Il buio. 


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GRAZIE a chi mi ha attesa pazientemente fino a questo momento... Grazie a chi avrà ancora voglia di leggere questa e altre mie storie... GRAZIE A TUTTI VOI perché anche pensando a voi sono finalmente riuscita a "sbloccarmi"! 
A presto... la prossima settimana, si intende, per l'ultima manciata di capitoli! 

Sabrina 

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Capitolo 15
*** Ferite ***


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Capitolo 15 – Ferite
 
 
André sollevò le palpebre su una stanza sconosciuta. E questo gli rese più difficile raccogliere le idee e mettere a fuoco quello che i suoi occhi percepivano. La testa era dolente, ma non per un’emicrania. Piuttosto, per un indolenzimento diffuso che si propagava a collo e spalle e poi ancora più giù, arrivando a lambire le gambe distese, quasi abbandonate, sul letto. Si sentiva a pezzi!
Improvvisamente, qualcosa di biondo nel riverbero della finestra lo portò a schiudere le labbra. Facendo forza sulle braccia e sui reni, cercò di sollevare il busto per mettersi a sedere, ma gli mancò il fiato.
«Oscar…» mormorò in una smorfia, stringendo gli occhi per il dolore ma senza desistere.  
La figura bionda si volse di scatto, colta di sorpresa, e lui fu in grado di metterla a fuoco.
«Rosalie?» esalò ad occhi sgranati.
La ragazza lo salutò  con un largo sorriso di gioia. In un’ esclamazione che mescolava assenso, sollievo e stupore.
Accorrendo al suo capezzale,  si prodigò perché non si sforzasse inutilmente.  
«Fermo!» cinguettò. «Non ho mai visto tanti lividi su una sola persona. Non provare ad alzarti!» lo redarguì con fermezza.
Poi, gli posò una mano sulla fronte e si accertò che la febbre fosse passata.
«Oscar…» domandò André, agitandosi. «Dov’è Oscar?»
Mano a mano che la sua coscienza si affrancava, i ricordi dell’aggressione si facevano sempre più chiari e intensi.
Rosalie intercettò il suo gesto di ribellione e lo fermò prima che riuscisse a scendere dal letto.  
«E’ al piano di sotto» disse. «Madamigella Oscar è al piano di sotto…» ripeté con più dolcezza avvertendo i muscoli di André rilassarsi dopo quella risposta. «E sta bene» aggiunse con un sorriso sincero.
André emise un lungo e sonoro sospiro, mentre il dolore si irradiava su tutto il petto.
«Dove siamo?» domandò rasserenandosi e dissimulando lo sforzo in un accenno di sorriso.
Prima di rispondere, la ragazza tornò alla finestra e al vaso di rose sul tavolino di legno che vi era stato posto sotto. Dando le spalle all’amico, sistemò gli ampi risvolti delle maniche come se dovesse prepararsi a qualche importante operazione.
«A casa mia» lo rassicurò. «Mia e di mio marito…» arrossì senza che André se ne potesse accorgere. «Bernard Chatelet» terminò, imponendosi di non voltarsi, non ancora, e di contenere il battito accelerato del cuore.
André sollevò il mento. Schiuse istintivamente le labbra ma non emise un suono.
Bernard Chatelet… Bernard Chatelet e la piccola Rosalie… Marito e moglie?
Un istintivo e quasi incredulo sorriso gli illuminò il volto tumefatto. Avvertì un leggero dolore. Sospirò, rassegnato a quella semi-infermità.
Sarebbe potuto andare peggio, pensò scacciando il ricordo sgradevole del pestaggio, molto peggio  e ingoiò il lamento che gli era salito alle labbra per godersi quella straordinaria notizia. Una notizia che portava con sé una ridda convulsa di emozioni, domande, timori, felicitazioni…
Rosalie si accorse del respiro affannoso di André, fattosi più corto e ansioso.
«E’ una brava persona, André, e mi fa molto felice…» lo rassicurò di nuovo, sorridendo lusingata dell’affetto che il giovane, quasi si considerasse un fratello maggiore, le riserva con quell’accenno di apprensione. Ma non era solo per lei che appariva così preoccupato. Lo sapeva. O forse semplicemente lo intuiva.
Lo guardò da sopra una spalla, espressioni diverse si alternavano rapidamente sul suo volto.
«Deve essere stato terribile…» mormorò alludendo a quanto accaduto nei pressi di Sant’Antoine, cambiando argomento.
Le domande che André avrebbe voluto porle erano troppe e alcune senza risposta. E lei non era la persona più adatta a filtrarle.
Cinse con le mani la brocca che aveva precedentemente appoggiato sul tavolo e strinse le labbra.
«E’ fredda…» osservò, volgendosi e nascondendo le tracce residue dell’imbarazzo tra le ciglia e le palpebre semi abbassate sui grandi occhi celesti. «L’acqua…» spiegò. «E’ fredda», ripeté. «Vado subito a prenderne di calda, così potrai sciacquarti»
André scosse leggermente la testa, ma prima che potesse protestare o azzardare una qualunque altra richiesta, Rosalie lo aveva raggiunto, schioccato un bacio affettuoso sulla guancia e si era diretta alla porta.
Fermandosi sulla soglia, lo guardò con affetto sincero.
«Avviserò Madamigella Oscar che ti sei svegliato… », disse.
Madamigella Oscar… André sorrise della sua devozione rimasta immutata nel tempo, e Rosalie svanì in un fruscio di gonne e di entusiasmo.
 
***
 
Oscar iniziò a salire le scale. Nel suo passo fermo e marziale, nessuna esitazione. Diverso era il battito del suo cuore. L’ansia e il timore di perdere André, dopo quella terribile aggressione, si erano sciolti in un sollievo difficile da esprimere a parole. Il medico che lo aveva tempestivamente visitato, aveva rassicurato tutti sulla situazione. Un comprensibile stato febbrile si era però impossessato di André per i due giorni successivi all’agguato e man mano che il tempo passava, numerosi ematomi violacei erano apparsi su tutto il suo corpo inerme.
Raggiunta la porta, Oscar si fermò prima di entrare. Fissò il battente di legno scuro, velando leggermente lo sguardo. Bussò, cercando di ricordare quando avevano iniziato ad avere tanti riguardi, lei e il suo amico André. Quando avevano iniziato a chiedersi se irrompere nella camera l’uno dell’altra e viceversa fosse o meno “appropriato”? Sorrise, domandandosi perché pensarci proprio in quel momento…
La voce di André, calda e generosa, la invitò ad entrare.
«Rosalie mi ha detto che sei sveglio…» lo salutò, dissimulando ogni emozione.  Poi lo guardò, e le si strinse il cuore.
Per l’ennesima volta, André Grandier, convalescente, era steso su un letto. E  per l’ennesima volta, la colpa era sua. Ancora e soltanto sua…
«Sto bene» la rassicurò lui, cogliendo immediatamente l’ombra che offuscava il suo sguardo.
Oscar socchiuse le palpebre e sorrise,  per la seconda volta in pochi minuti.
«Lo vedo…» lo schernì, e lui condivise quel sorriso prima di soffermarsi a guardarla.
Com’era bella Oscar! I lunghi capelli biondi, spazzolati di fresco, sciolti sulle spalle erette; un’ampia camicia bianca di evidente foggia maschile – che appartenesse a Bernard?, si domandò con una punta di sciocca gelosia -  che la vestiva con morbidezza, celando tra le pieghe il busto snello e le sue accennate rotondità; i pantaloni scuri…
«Le nostre divise sono malconce…» disse lei, intercettando e spezzando il filo dei suoi pensieri. «Ma Rosalie assicura che non è niente di irreparabile» aggiunse inspirando profondamente subito dopo aver pronunciato quella parola.
Irreparabile… Un fastidio pungente agli occhi, improvviso come i ricordi dell’aggressione e di quello che sarebbe potuto succedere… Un brivido, nell’anima e sulla carne. Un’emozione troppo vivida e inattesa che aveva creduto di poter controllare, dopo i turbamenti degli ultimi giorni.
Abbassò leggermente lo sguardo, scoprendosi ancora vulnerabile…
«E’ tutto a posto, Oscar», mormorò André. Minimizzando l’accaduto come faceva sempre, a pericolo scampato, quando lei si crucciava rimuginando per ore. «E’ tutto a posto…» ripeté cullandola nel suono carezzevole della propria voce.
Oscar catturò bruscamente i suoi occhi.
«No! » disse. «Non è tutto a posto» replicò. «Tu potevi morire e io…»
E io..?
Ricacciò indietro immagini e parole. Inspirò e raggiunse la finestra. Guardò distrattamente all’esterno, godendo del riverbero di quella splendida giornata di sole.
Insieme alla giubba della divisa si era strappata definitivamente una maschera. Il suo personale Vaso di Pandora si era scoperchiato mettendola spietatamente a confronto con una realtà che aveva sempre negato. I pensieri e i timori più intimi e segreti l’avevano travolta. Famelici fantasmi pronti a nutrirsi degli incubi più reconditi. Risvolti troppo a lungo ignorati.
«Ho provveduto ad avvisare la Guardia e tutti quelli che potevano essere in pensiero per noi» mormorò lasciando poi scivolare lo sguardo sulle rose che esplodevano in tutta la loro fulgida bellezza irradiando la stanza. Rose bianche e rosse…
Si chinò a sfiorarne i petali con la punta del naso. Socchiuse gli occhi, mentre ne respirava il profumo, dolce e intenso. Troppo dolce e troppo intenso, pensò corrugando appena la fronte. Una fragranza dal retrogusto quasi amaro. Possibile?
Una rosa sarebbe forse meno bella, se avesse un altro nome?*
Scoccò un’occhiata ad André. Cambiando repentinamente umore e pensieri.
«E’ interessante il tuo amico…» disse, tornando inaspettatamente allusiva. André avrebbe detto addirittura “intima”.
Lui trasalì, ma dissimulò il proprio disagio con un largo sorriso.
«Deve averlo pensato anche la nostra Rosalie…» ribatté sornione, fingendo di non capire dove lei volesse andare a parare.
Oscar socchiuse le palpebre, guardandolo fissamente negli occhi.
«Sai a cosa mi riferisco, André…» lo pungolò.
La sua voce roca solleticò i sensi di André. Era insopportabile, quando alludeva… Ed era irresistibile…
«Abbiamo parlato molto, io e monsieur Chatelet… » continuò  Oscar, con un pizzico  di ironia che non sfuggì al soldato, giocherellando con i petali di una rosa. «E in ogni caso, gli devo la vita. La tua e la mia» concluse.
L’occhiata interrogativa di André la indusse a spiegare.
«E’ stato lui a trovarci in quel vicolo».
Si fermò lì. Non aggiunse altro. Senza scendere in dettagli e particolari. Non era quello il momento.
Non c’era ansia nella sua voce, adesso. Non c’era rabbia né astio. Anche l’ironia era sfumata. E nel suo sguardo, quello che indugiava sull’uomo seduto sul letto, c’era solo una profonda pacatezza.
André la osservò a sua volta. C’era qualcosa di diverso in Oscar. Qualcosa di indecifrabile anche per lui che la conosceva da sempre.  Una rinnovata franchezza, forse? Una ritrovata complicità?
Attraverso la finestra chiusa, la luce si riversava sulla sua figura alta e snella, dissolvendone i contorni. Mettendone dannatamente in risalto le forme nascoste tra le pieghe della camicia bianca.   
André corrugò la fronte e inspirò profondamente, vinto dal fulgido splendore di quei capelli biondi carezzati dal sole e dalle lunghe ciglia scure che adombravano uno sguardo imperscrutabile, pervaso da un’ebbrezza che gli gonfiava il petto, serrandogli la gola fino a mozzargli il respiro.
Come sei bella Oscar… mormorò a fior di labbra, senza emettere alcun suono, solo un sospiro. Come sei bella…
Scostò le lenzuola. Si alzò. Mosse i primi passi incerti. Poi riacquistò fermezza.
La raggiunse e quando le fu dinnanzi, guardandola negli occhi, sollevò un braccio e glielo passò attorno alle spalle, cingendola con forza e attirandola a sé. Le poggiò il mento tra la spalla e la nuca. La guancia a sfiorare l’orecchio, morbido e caldo.
Oscar non si ritrasse. Non disse nulla. Non si ribellò. Si lasciò cullare, traendo beneficio e vigore dalla sua presenza, da quelle spalle larghe e forti che l’avevano sempre protetta. Abbassò le palpebre e nel silenzio che l’avvolgeva avvertì chiaramente il cuore di André battere forte. Forte. All’unisono con il suo. Erano vivi. Erano insieme. Solo qualche ferita, nel corpo e nell’anima…
Un brivido e l’abbraccio si fece impercettibilmente più intenso.
Entrambi sentivano di averne bisogno. Sapevano di averne bisogno.
Niente di più di un abbraccio fraterno. Cameratesco. Un gesto semplice e innocente. Un tacito accordo? Un addio alle armi?
Ma quando André si ritrasse, sciogliendosi da lei con una lentezza esasperante, fu la mano di Oscar, fermamente e inaspettatamente aggrappata alla stoffa dell’ampia camicia da notte, a trattenerlo.
Le labbra di André si piegarono di nuovo in un sorriso appena accennato.
La mia fragile Oscar... pensò, deciso ad accantonare per un momento il dirompente desiderio di lei. Deciso a non turbarla o infastidirla. In alcun modo.
Si ritrasse ancora. E allora quella mano si fece più salda.
André sollevò il mento, sorpreso. Le palpebre semi abbassate sugli occhi verdi. Possibile che…
Cercò lo sguardo di Oscar, prima nascosto tra ciglia e ciocche scarmigliate,  poi sfacciatamente sollevato a pretendere il suo.
Si accorse di trattenere il respiro e così faceva Oscar, la mano ancora stretta attorno alla stoffa morbida della camicia. Le dita che a tratti gli sfioravano il fianco, incontrando alternativamente la pelle e le brache di tela.
Oscar! Oscar che probabilmente nemmeno si accorgeva di quanto lo stesse mettendo alla prova. Oppure…
Le carezzò una guancia con le nocche di una mano, poi insinuò le dita tra i capelli, dietro all’orecchio, lasciando che il pollice sfiorasse con movimenti circolari e delicati lo zigomo e il contorno dell’occhio e più su, la parte estrema del sopracciglio verso la tempia. In un dialogo muto di sguardi. Silenziosa ricerca di rassicurazioni e conferme.
Oscar restava immobile e seria. Gli occhi, ora, appena adombrati, persi in chissà quali pensieri.
«Oscar…» mormorò lui, la voce roca. Cosa stai pensando Oscar… le domandò tacitamente, prima dilatando poi stringendo lo sguardo. Due preziose feritoie smeraldo.  Voleva… Doveva sapere…
Oscar sollevò il mento. Inspirò appena. Le sue labbra si mossero impercettibilmente.
La mano non si limitava più a stringere e a trattenere. Le dita affusolate e pallide si mossero affinché André avvertisse, chiaro, l’invito ad avvicinarsi. Ancora e ancora. Fino a quando, il peso di quel corpo addosso, Oscar sentì contro le gambe il bordo del tavolino che aveva alle spalle e il leggero tremolio del vaso di porcellana.
«Oscar…» ripeté André. Un mormorio. La simulazione di un rimprovero. Un sorriso malcelato di sorpresa mista a piacere. Una vibrazione inattesa che le penetrò lo stomaco. 
Oscar corrugò leggermente la fronte, incupendo lo sguardo senza tuttavia lasciare quello di André.
Trattenerlo era stato un gesto istintivo. Un gesto che aveva risposto alla profonda necessità di sentirlo vicino.
Non come amico… ma come uomo!
Non voleva che si allontanasse da lei. Non ancora. E non si sarebbe sottratta a quella decisione. Non si sarebbe concessa alcuna scappatoia. Nessuna scusa. Non questa volta.
Inspirò l’odore acre della sua pelle. Ancora e ancora. Lasciando che quella fragranza maschile, amara e forte, le riempisse i polmoni. Sorprendendola. Quante volte l’aveva avvertita nell’aria, attorno a lei. Sempre. Eppure, questa volta se ne scoprì avida. Ingorda. Quasi stregata…
Racchiusa nel verde cupo di quegli occhi che non si staccavano da lei,
non sapeva esattamente a cosa sarebbe andata incontro, se si fosse definitivamente arresa.  Non lo sapeva… Eppure desiderava scoprirlo! Lo voleva. E lo voleva con forza, con una determinazione e un languore fino ad allora sconosciuti.
André respirava piano. A intervalli regolari ma sempre più corti. Solo il fremito leggero delle narici ne lasciava intuire la tensione. Lo spasmo.
Oscar sostenne il suo sguardo, poi strinse leggermente le palpebre trattenendo ancora il respiro. Amava quell’uomo… Lo amava e nemmeno sapeva da quanto!
Mosse appena le dita, un impulso istintivo, il fruscio della stoffa, la pelle nuda…
Un segnale! Tutto quello che l’uomo stava aspettando. Non una parola, non un invito… semplicemente un segnale.
Un brivido le corse lungo la schiena quando le mani di André affondarono entrambe nei suoi capelli carezzandole la nuca. E quando le labbra, calde e turgide, cercarono e trovarono le sue, si schiuse a lui come una rosa…
 
***
 
Rosalie discese rapidamente le scale. Il volto in fiamme, gli occhi sgranati e una  brocca, un attimo prima piena fino all’orlo, stretta sul ventre. Piccole pozze d’acqua calda ad impregnare l’assito tirato a lucido.
Dopo… pensò. Dopo…


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NOTE: *Frase che André rivolge ad Oscar durante il loro confronto nel capitolo 11 della storia intitolato FACCIA A FACCIA.

DUE CHIACCHIERE: Or dunque, come sempre in ritardo, vi offro la mia visione dei fatti e il mio cuore… Questa volta, se proprio devo essere sincera, la responsabilità è tutta di Oscar! Proprio così! Questo capitolo poteva essere pronto e pubblicato parecchi giorni fa… Ma lei ha iniziato con me una caparbia tenzone all’ultima parola. “Voglio, non voglio…” “Posso, non posso…”. E’ stato estenuante. E se André sapesse cosa si è perso e da cosa si è salvato nella stesura di questo capitolo, fiuuuuu… non so come reagirebbe!
Cara la nostra Oscar che mi ha fatto scrivere e riscrivere, che si è aperta e poi chiusa. E io sempre, con la sua voce nelle orecchie (fortuna sua che ADORO quella voce), pronta al confronto.
Ebbene, ne è uscito questo capitolo… Qualcuno lo apprezzerà, qualcuno forse storcerà il naso, deluso da quel che avrebbe voluto leggere. Ma le storie, si sa, le scrivono gli “attori” (i personaggi in questo caso) prima ancora degli autori… Questo ha deciso la mia Oscar e questo vi offro! E non finisce qui… perché la cara fanciulla mi ha tenuto compagnia costantemente, in queste settimane, e sarà la protagonista di una mostra a lei dedicata a partire dal prossimo Aprile (forse addirittura metà Marzo). Cosa, come, dove? Ehm… alcuni dettagli sono ancora da stabilire, ma non il titolo e quello ve lo svelo qui in anteprima: “SEMPLICEMENTE OSCAR!”. Il sottotitolo è così lungo che per ora ve lo risparmio…
 
Un saluto affettuoso a voi che leggete, recensite e seguite! Ma prima di lasciarvi, vi lancio una piccola sfida: nel testo sono "nascosti" i titoli di due film piuttosto famosi e vecchiotti. Chi riesce a scovarli?
 
A presto, Sabrina
 
P.S.
Già! C’era anche Rosalie… me ne ero quasi dimenticata! Beh, di lei parleremo un’altra volta.

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Capitolo 16
*** Il mondo addosso ***


CAPITOLO 16 -  IL MONDO ADDOSSO
 
 
 “Scrivo queste note la mattina del 12 Luglio 1789…” e mentre la punta intinta d’inchiostro tracciava, rapida, queste parole, la fronte di André si corrugava al pensiero della tensione che stava divorando la città di Parigi. Un morbo in rapida diffusione. Un ribollire di rabbia pronto a esplodere in qualunque momento.
Deglutì, ricacciando indietro l’amarezza e uno sciocco sentimento di colpa. Perché doveva sentirsi in colpa? Perché non poteva vivere e gioire di un amore che aveva atteso per anni e che adesso gli si offriva senza remore né condizioni?
Il popolo aveva fame… E lui era affamato d’amore! Ne era stato a digiuno per tutta la vita e se adesso se ne nutriva come un ingordo, cercando e trovando Oscar in ogni attimo del giorno e della notte non ammetteva di doversene giustificare.
Tuttavia, nonostante quei pensieri audaci e ribelli, qualcosa in fondo all’anima avvelenava quello che avrebbe solo voluto che fosse il suo momento perfetto. Il loro momento perfetto…
«Sempre a scrivere su quel diario?» la voce di Alain si affacciò alla cuccetta un attimo prima che la sua testa mora facesse capolino, portando una ventata di aria fresca in quell’ambiente stantio.
Nonostante i rapporti con Oscar fossero radicalmente cambiati, infatti, André aveva deciso di continuare a occupare il proprio posto nella camerata rumorosa e sovraffollata. D’altronde, come avrebbe potuto gestire e giustificare il trasferimento nelle stanze del comandante? O, peggio, un trattamento di favore?
«Mi cercavi?» domandò, evitando di rispondere alla domanda retorica del commilitone che si ostinava a tormentarlo sull’argomento, dicendo di non comprendere il motivo che lo spingeva ad annotare ogni cosa.
L’altro si lasciò cadere sul giaciglio con tutto il proprio peso e André sobbalzò. Ma la sua fronte tornò liscia, come se la sola presenza di Alain fosse riuscita a cacciare ogni brutto pensiero o presentimento.
«Non io… Il tuo comandante» sorrise questi allusivo.
André si barricò dietro a un sorriso fin troppo spontaneo, si sollevò a sedere e gli batté una pacca sulle spalle, eludendo volontariamente e caparbiamente anche quella conversazione.
Quando voleva, Alain poteva essere spietato!
«Non si fa attendere un superiore…» disse e senza prestare attenzione al borbottio dell’amico, si defilò imboccando il corridoio principale.
Le labbra di Alain si piegarono in un sorriso.
«Non sono mica cieco…» mormorò a fior di labbra, portando le braccia dietro la nuca nel lasciarsi cadere di schiena sul giaciglio di André.
«E nemmeno sordo» ridacchiò sottovoce, passando l’ennesimo stecchino di legno da una parte all’altra delle labbra.
Poi mugolò, incontrando un ostacolo sotto le braccia.  Cercò e trovò a tentoni il diario di André, infilato rapidamente sotto al cuscino. Lo sollevò, portandolo davanti agli occhi.
Un sibilo leggero gli sfuggì dalle belle labbra allungate in un sorriso.
«Guarda, guarda cosa abbiamo trovato…» ridacchiò, aprendo il libretto un po’ consunto in un punto qualsiasi e ponendoselo sul viso come a proteggersi da una luce che non c’era. Inspirò profondamente. L’odore di carta e inchiostro gli penetrò le narici prima di scivolargli nei polmoni.
Il silenzio lo avvolse, nella camerata già vuota. Sospirò. Avrebbe schiacciato un pisolino, sotto a quel diario… Se le cose stavano come pensava, nessuno lo avrebbe cercato per un po’. Non lo avrebbe fatto André. Tantomeno il comandante Oscar François de Jarjayes…
 
***
 
Oscar si sollevò dalla sedia. Raggiunse la finestra e allacciò le mani dietro la schiena. L’alba del dodici luglio occhieggiava oltre le mura della caserma. Serrò le labbra, perdendosi tra le sfumature rosate del primo mattino. Poi, emise un sospiro.
Tutto era cambiato. Il suo mondo era cambiato. La sua vita.
Ripercorse con la mente gli ultimi avvenimenti…  La rabbia popolare. La tensione che si respirava a corte e in tutta la città di Parigi. L’urgenza di trovare una soluzione. Gli ordini esasperati. Poi, la disobbedienza… L’accusa di tradimento e la reazione di suo padre che comprendeva più di quanto il Generale stesso potesse immaginare. L’intervento della Regina, la sua Regina, che lei era stata sul punto di tradire, una volta, e che invece non l’aveva tradita.  E se non fosse arrivata la grazia? Se non fosse arrivata in tempo? Sarebbe riuscito André a proteggerla ancora? Una volta ancora?
André… Il suo André… Con quale impeto si era frapposto tra lei e suo padre.
Scoprì e si rimangiò un sorriso. Strinse le palpebre, filtrando le prime luci dell’alba attraverso le ciglia chiare.
Poteva l’amore trasformarla in una persona più forte e più fragile allo stesso tempo?, si domandò. Perché da quando lei e André si erano trovati, finalmente sinceri, spogli di qualunque scusa, capriccio o frustrazione, donandosi pienamente l’uno all’altra, il pensiero di perderlo offuscava la sua razionalità.
Il lieve bussare alla porta la riscosse da quei pensieri.
«Entra pure, André».
Lo aveva riconosciuto. Lo avrebbe riconosciuto sempre e comunque. Dal passo, dalla risata, da quel suo lieve bussare.
«Volevi vedermi, Oscar?»
Oscar si volse e catturò il suo sguardo. Si accorse del suo leggero sussulto. Desiderio o paura?
Trasalì, avvertendo il sottile senso di colpa farsi di nuovo strada nella sua mente. Ingiusto. Sporco. Che colpa potevano avere lei e André se quell’amore ardeva di pari passo con il fuoco che bruciava e devastava Parigi?
«Vorrei tornare a casa, André» disse, cercando di non indugiare su quel pensiero.  «Per qualche giorno. Il tempo di raccogliere le idee…»
André la carezzò con lo sguardo. Era stanca. Gli ultimi avvenimenti l’avevano provata. Ma non lo avrebbe mai ammesso.
«Sì. Torniamo a casa, Oscar. Ho bisogno di riposare un po’… e non è facile in camerata» sorrise, passandosi una mano sul volto e tra i capelli, come a sottolineare la propria, innegabile stanchezza.
Oscar comprese. Gli sorrise, grata. Amava e odiava quel suo strano modo, spietato e galante, di metterla sempre con le spalle al muro. Di metterla a nudo. Arrossì, senza volerlo e per dissimulare l’imbarazzo, tornò alla scrivania.
Raccolse i pochi fogli rimasti. Si assicurò la spada alla cintura e si avviò alla porta. Sulla soglia, lanciò un’occhiata a quello che era il suo ufficio. Spoglio ed essenziale. Esattamente come lei. Non un uomo. Non una donna. Semplicemente Oscar…
 
                                                                                                                  ***
 
La permanenza a palazzo Jarjayes era stata bruscamente interrotta.
Il rapido precipitare degli eventi aveva costretto Oscar e André a lasciare la villa solo poche ore dopo l’arrivo.
Nuovamente diretti a Parigi, i due avevano cavalcato in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri e nelle proprie emozioni. Troppe emozioni contrastanti per poter essere espresse. Emozioni che, per entrambi, avevano in parte le sembianze del Generale. E quel silenzio ingombrante continuava anche adesso. Ora che procedevano a passo d’uomo, i cavalli guidati per le redini, attraverso il bosco, costretti a quel percorso alternativo dal popolo in rivolta.  Nei loro occhi, ancora l’immagine di quegli uomini e di quelle donne armati di vanghe e bastoni. La loro rabbia. L’astio che si esprimeva in un furore cieco. Sordo a ogni tentativo di ragionamento.
Infine, Oscar spezzò quel silenzio carico di tensione. Un silenzio che sembrava averli riportati a giorni, settimane, mesi indietro. Quando tutto, tra loro, era fermo. Cristallizzato in una situazione insostenibile. 
«Aspetta, André» disse fermandosi senza preavviso a pochi passi da lui.
Gli voltava le spalle, precedendolo come sempre.
La sua voce aveva assunto un tono greve. Una sfumatura che André si sorprese di non conoscere.
Lui strinse istintivamente le dita attorno alle redini e si fermò, in attesa che lei parlasse o si voltasse a guardarlo.
Ma lei rimase immobile, senza dire una parola. E di nuovo il silenzio li avvolse, rotto solo dal frinire dei grilli.
La notte del dodici luglio li aveva inaspettatamente sorpresi non sotto le ricche coltri del Palazzo, impegnati in una qualche scaramuccia amorosa,  bensì tra gli alti fusti degli alberi, che fiancheggiavano il fiume come un’austera sfilata di soldati in parata.
«Ascoltami bene, André» si decise Oscar, voltandosi e cercando i suoi occhi in uno sguardo che gli mozzò il fiato in gola.
Com’era bella Oscar, la sua Oscar, alle luce della luna…
«Non ti ho mai detto di cosa ho parlato con Bernard…» proseguì lei.
André trasalì. Il nome di Bernard era l’ultimo che avrebbe pensato di sentire, in quel momento. Emise un sospiro. Un flebile sospiro che Oscar non faticò a percepire e che confermò i suoi pensieri.
«Ho parlato a lungo con Chatelet» continuò «Questo lo sai… ».
André annuì, sostenendo lo sguardo di Oscar. Sapeva anche che erano cambiati. Erano cambiati tutti. E loro due non facevano eccezione.
«Dimmelo, André… Chiedimelo!» proruppe improvvisamente lei, dando voce e corpo ai suoi pensieri, con un tono così accorato che André non riuscì a trattenere un sussulto.
Ma mentre sulle sue labbra stava affiorando la replica, Oscar lo afferrò bruscamente per la casacca, con l’impeto che solo lei poteva avere.
«Chiedimi di lasciare tutto, André! Di rinnegare il mio nome, la mia carica, tutto…» Appoggiò delicatamente la fronte al suo petto, come fosse stremata. Alternando fragilità a passione.
«Ho solo bisogno che tu me lo chieda…» sussurrò.
Lentamente, la mano di André si sollevò e strinse quella di Oscar saldamente aggrappata alla sua giubba.
Chinò leggermente il capo sulla nuca di lei, sfiorandole i capelli. Ne percepì il profumo.
«Oscar… » mormorò a fior di labbra. «La mia Oscar», disse con una dolcezza esasperante nella voce. «Vuoi davvero che ti chieda di essere ciò che non sei?».
Oscar sollevò improvvisamente la testa e di nuovo i suoi occhi turchesi, ammantati di un velo notturno, catturarono quelli di André.
«Voglio che tu mi chieda di essere la tua donna, André» disse.
E lo disse con la stessa intonazione che avrebbe usato per impartire un ordine. Con quella voce roca e profonda che tante volte aveva popolato i sogni di André e lo aveva mandato in delirio, facendo vibrare dolorosamente ogni singola fibra del suo giovane corpo d’uomo innamorato e respinto.
La tua donna… aveva detto Oscar.
André dilatò le pupille, inspirando profondamente. Si sentì avvampare. Dimentico di ogni altra parola e di ogni altro ragionamento, decise di essere egoista. Al diavolo ogni sciocca sensazione di colpa!
Insinuò una mano tra quei capelli biondi, alla base della nuca, e attirò Oscar a sé, cercando avidamente le sue labbra morbide, ormai avvezze ai suoi baci, ma mai sazie.
Le trovò, le catturò, le espugnò come un soldato avrebbe espugnato una roccaforte nemica e le fece sue, togliendole il fiato.
Poco importavano il contesto e la cornice di quel bacio. Oscar voleva essere sua… voleva essere la sua donna… E lui non desiderava nient’altro. L’avrebbe accontentata. Una volta ancora. Lì e subito…
No! Non aveva frainteso le sue parole. Aveva capito benissimo il senso di quella richiesta. Di quella resa totale. Del dono prezioso che era finalmente disposta a fargli. Sé stessa. Interamente. Mentalmente.
Oscar si offriva di camminargli accanto, e non più un passo avanti, come era sempre stato. Disposta a riconoscergli un ruolo e uno spazio che non aveva mai concesso a nessuno.
Con il fiato corto, il petto in fiamme, la necessità di avere e prendersi quelle uniche certezze che ancora lo tenevano aggrappato a una realtà che stava rapidamente sgretolandosi sotto ai loro piedi, a un mondo che sembrava cadergli letteralmente addosso, André non ebbe esitazione a confermare con i fatti ciò che lei aveva espresso a parole.
La mia donna… pensò, accecato dalla passione e dall’urgenza. Sopraffatto dall’incertezza del domani. Sì… E’ questo che sei, Oscar… la mia donna. E quel pensiero gli morì tra le labbra, scivolando tra i sospiri e i gemiti di una notte eterna. Una notte che nessuno dei due avrebbe mai potuto dimenticare…
Quanto fosse diversa la realtà, quanto fosse vero il contrario, glielo avrebbe spiegato un’altra volta. Perché Oscar era e sarebbe sempre stata molto di più di quello. Molto più di una donna o della sua donna…
Ma per una volta, per quella volta, per quella notte, voleva illudersi. Illudersi che Oscar fosse semplicemente la sua donna…
Cosa ne sarebbe stato del domani, onestamente, per quella notte, non gli importava.


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QUATTRO CHIACCHIERE…
Ebbene sì! Nel giorno del compleanno di André non potevo esimermi dal pubblicare il penultimo capitolo di questa storia. DEDICATO A TUTTI QUELLI CHE conoscendomi e seguendomi qui o su altri siti mi hanno ricordato e chiesto di proseguire un racconto fermo da davvero troppo tempo… I motivi della mia assenza sono sempre gli stessi: impegni di lavoro più intensi del previsto e un’effettiva difficoltà a gestire le lunghe permanenze al PC (che, tra l’altro, è parte integrante di una buona dose del mio lavoro). Gli occhi mi si stancano molto più velocemente che in passato… Perdonatemi! So che è trascorso davvero tanto tempo… Ma chi avesse ancora voglia di sapere come si concluderà la storia, potrà leggere l’ultimo capitolo entro la fine della settimana! Spero che questo vi faccia piacere… Potevo lasciare André privo della sua notte del 12 Luglio? Vero che a questo punto non è certo la prima che si concede, però...
A presto, allora, e GRAZIE MILLE per l’attesa e l’affetto che mi dimostrate sempre! 

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Capitolo 17
*** Rivoluzione ***


Capitolo 17 - Rivoluzione
ATTENZIONE! Il capitolo prosegue DOPO l'immagine.
 
Oscar aveva rinunciato a tutto. Al titolo, alla carica, al comando dei Soldati della Guardia. Eppure era lì, con i suoi uomini - quelli rimasti. Sotto a un ponte, lungo la Senna che scorreva placida ai suoi piedi, ignara o indifferente a quanto stava accadendo.
Seduta leggermente in disparte dagli altri, cercava di scrollarsi via di dosso i brividi che le battevano, spietati, le membra. Il pensiero dei soldati caduti sotto ai colpi delle baionette, le ottenebrava il cervello. Uomini caduti sotto un fuoco che, fino a qualche ora prima, avrebbe ritenuto amico…
Eppure, unirsi ai rivoluzionari di Bernard Chatelet era stata l’unica decisione possibile, visto il rapido precipitare delle cose. Né lei né tantomeno il plotone che comandava avrebbero potuto eseguire gli ordini. Sparare sulla folla non poteva e non doveva essere un ordine. Ma non avrebbe mai pensato di dover pagare un prezzo tanto alto. A questo no, non era preparata.
«Va tutto bene, comandante?»
La voce affabile ma stanca di Alain la distolse da quei pensieri.
Sollevò appena la testa per guardarlo, incrociando i suoi occhi nocciola che sorrisero nella penombra. Non si era mai accorta di quanto fossero dolci e profondi, quegli occhi. Gli occhi di chi, come molti dei suoi commilitoni, aveva perso e sofferto molto.
Si alzò.
«Muoviamo»,  disse.
Alain annuì, portandosi due dita alla fronte e accennando il classico gesto militare in risposta agli ordini. 
«Signorsì, comandante…» mormorò con un sorriso carico di tensione. Poi fece un passo indietro, perché André potesse raggiungerla e schierarsi al suo fianco.
Lentamente, quel che rimaneva del plotone si rassettò. Oscar passò tutti in rassegna, con uno sguardo  preoccupato e severo. Quanti anni avevano, quei ragazzi? Alcuni erano decisamente più giovani di lei. Eppure, nessuno di loro si era sottratto al proprio dovere: servire Parigi e il suo popolo. Tutti, nessuno escluso, avevano preteso che Oscar rimanesse al comando della truppa quando lei aveva deciso di fare un passo indietro. Aveva deciso di rimettere il mandato proprio nelle loro mani.  
Un cenno del capo, e Oscar indicò l’uscita. Sarebbe andata per prima. Glielo doveva, in qualità di comandante…
Alle sue spalle, André si rimangiò le proteste salite istintivamente alle labbra e l’istinto di proteggerla e rispettò la gerarchia che tutti loro avevano votato. Oscar era e rimaneva il comandante e a lei spettava il diritto di prendere e dare ordini.
Oscar impugnò la pistola. Onestamente, non sapeva cosa aspettarsi.
Una netta linea di demarcazione, tracciata dal sole, separava il loro rifugio improvvisato dal tornare allo scoperto.
Un passo dopo l’altro, silenziosamente, si portò in piena luce. Un rilesso sul pelo dell’acqua le rivelò la presenza di una sentinella. Fu questione di un istante.  
La sagoma scura. Un bagliore. Il suono familiare di uno sparo. La risposta immediata. Ombre confuse. Rumori. Voci.
«Oscar!» il grido sordo di André…
 
***
 
Oscar sedeva sui gradini della Chiesa. La testa tra le mani. I capelli a ghermirle le dita, capricciosi, e coprirle gli occhi stanchi e lucidi.  Alle sue spalle, dalle porte socchiuse si irradiava la debole luce delle candele.
Con il calare della sera, tutto si era acquietato. Non un rumore, una voce, uno sparo. Nel rispetto di quella che sembrava una tregua decisa a tavolino tra signori della guerra. Eppure, in quella guerra, non c’era nulla di strategico e perfetto. Solo il tumultuoso precipitare degli eventi.
«Oscar…»
La voce di André le scaldò l’anima. Sollevò la testa. Lo cercò, scrutando l’oscurità tutto attorno. Trovandolo,  svelta represse un sospiro.
«Come sta Alain? » si informò.
André, che aveva appena lasciato i compagni rifocillarsi e riposare dopo le ore frenetiche che avevano trascorso, uscì definitivamente dall’ombra per raggiungerla e sedersi accanto a lei.
«Sta bene» mormorò. «Ha la pelle dura» sorrise, passandosi una mano sugli occhi stanchi.
«Se non fosse stato per quel diario…» sbottò Oscar.
André poggiò i gomiti sul gradino superiore e si lasciò andare di spalle, abbandonando la testa all’indietro.
Un cielo scuro li sovrastava. Un manto nero trapunto di poche stelle.
Quattordici Luglio… Da una manciata di minuti, era il quattordici Luglio.
Se Alain non avesse trafugato il suo diario, quella sera avrebbe sicuramente scritto qualcosa. Qualcosa di importante.
Ma il suo amico e commilitone aveva deciso diversamente, impossessandosi di quel libretto e  infilandoselo tra la giubba e la maglia, all’altezza del cuore. Per restituirglielo, aveva detto…
«Già», rispose socchiudendo le palpebre e avvertendo un leggero indolenzimento laddove la cicatrice si allungava sullo zigomo sporco di polvere.
«Ho temuto di perderti, André!»
L’uomo dilatò lo sguardo.
«Quando è partito quel colpo di fucile… Ho temuto di perderti» continuò Oscar, fissando lontano.
André si tirò su, voltandosi a guardarla, mentre lei continuava a rivolgersi altrove.
«E ho creduto di morire…» concluse lei. La voce arrochita e impastata dall’emozione. Un’emozione che André non le riconosceva. Un’emozione diversa da tutte quelle che  aveva fatto emergere fino a quel momento. Ancora più forte e profonda di quella espressa dopo la notte di Saint’Antoine, quando era stata la vita di entrambi ad essere in pericolo, ma era stata soprattutto Oscar a rischiare…
Per un attimo, André ripensò ai momenti concitati di qualche ora prima. La sentinella. Oscar che si era piegata e aveva risposto al fuoco. Lui che si era accorto dello scintillio della baionetta sotto al sole e si era fatto da parte. Alain che era rimasto sulla traiettoria di tiro...
«E’ tutto a posto, Oscar…» la rassicurò.
Lei strinse le mani sulle gambe snelle.
«Non è tutto a posto, André. Non questa volta» disse e improvvisamente i suoi occhi turchesi tornarono a fissarlo. E più metteva a fuoco quei tratti marcati, più il cuore andava in mille pezzi. Possibile che André non capisse?
Ma era Oscar a non capire. Oscar che ancora non aveva imparato a leggere negli occhi di André come lui leggeva nei suoi e nella sua anima. Se solo fosse stata già in grado di decifrare il suo sguardo, avrebbe capito che quel sentimento di impotenza e angoscia profonda André lo conosceva bene. Che la vita di André, fino a quel momento, non era stata che un continuo altalenare timori e frustrazioni.
André piegò istintivamente le labbra. Appena, appena. Fermandosi in tempo perché lei non potesse credere che quel sorriso fosse un sorriso di scherno. Perché non lo era, ma Oscar avrebbe certamente frainteso.
Dolce Oscar… pensò, riconoscendole quell’immaturità sentimentale che oggettivamente ancora  la caratterizzava.
«Alzati! » ordinò tirandosi in piedi.
Oscar gli rivolse uno sguardo interrogativo.
In silenzio, André attese che lei obbedisse. Sul volto, una maschera inespugnabile. Gli occhi verdi, velati di notturno, fattisi impenetrabili.
Oscar si alzò. Sollevò il mento. Ma prima che potesse replicare, André aveva già salito i gradini, precedendola sul sagrato.
La guardò.
Oscar lo seguì, in silenzio. Solo il rumore dei tacchi sulla pietra consunta dal tempo e dal passaggio di chissà quali e quante persone.
Con una mano, André spalancò il pesante portone d’accesso alla Chiesa.
«Vieni» disse.
Ancora un ordine. Ancora quel tono perentorio nella voce, mentre immobile, sulla soglia, attendeva che lei lo raggiungesse.
Poi la invitò a entrare.
Passando sotto al suo braccio teso, Oscar si fermò, inebriata e sorpresa dal profumo di incenso che si mescolava al fumo lieve delle candele. L’aria fresca della sera non poteva competere con la frescura dell’interno.
Sulla sua pelle corse un brivido che la voce di André, improvvisamente giunta all’ orecchio, non poté che acuire.
«Non fermarti…» le sussurrò tra le ciocche bionde.
E lei, come ipnotizzata, proseguì fino all’altare.
Il suono dei loro passi, riecheggiò riempiendo la volta. Rincorrendosi da un affresco all’altro.
«Oscar…» e sembrò che le statue di marmo, tutte,  pronunciassero il suo nome.
«Mia dolce Oscar…» ripeté André, facendo sì che lei si voltasse a guardarlo.
«Sposami, Oscar».
Gli occhi di Oscar si dilatarono, mentre André afferrava le sue mani. 
«Sposami. E fallo adesso».
Le labbra di Oscar si schiusero, fecero un battito, ma non uscì una parola né un fiato.
Il profumo dell’incenso si era fatto quasi acre e penetrava la gola prima dei polmoni.
«Vedi…» mormorò André. «Io non temo di perderti» disse. «Non sarebbe possibile. Perché resterò sempre al tuo fianco» si fermò. Una breve pausa, durante la quale non le tolse gli occhi di dosso. Occhi tornati quelli di sempre.
«Tu farai lo stesso?» domandò, poi.
«André… io…»
André affondò le mani nei suoi capelli e la zittì, togliendole l’aria con un bacio del quale avrebbe chiesto perdono. Ma in un secondo momento.
Quando Oscar tornò a respirare, non servirono parole.
Con una luce negli occhi che Oscar non gli aveva ancora mai visto – forse il riflesso delle fiammelle? – André sembrò cercare qualcosa. Poi sorrise.
Recuperò un po’ di cera dalle candele. Cera morbida, non ancora solidificata,  e forgiò un cerchietto.
A lavoro finito, lo sollevò tra l’indice e il pollice ed esortò Oscar perché gli porgesse la mano sinistra.
Delicatamente ma inesorabilmente, l’anello di cera scivolò al suo dito.
«Con questo anello…» proclamò André, «Io ti sposo».

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 Epilogo

Parigi, 1794
 
Le mani, grandi e ruvide, sciacquarono l’ennesimo bicchiere.
«Alain!»
La vocetta garrula sulla soglia della taverna indusse l’uomo a voltarsi e il suo sguardo si imbatté nella sagoma snella di una giovane donna.
Il controluce impediva ad Alain di definire i contorni di quella figura, tuttavia quella voce, inconfondibile, gli rivelò la sua identità senza dare adito a dubbi.
«Rosalie!» sbottò, sorpreso da quella visita inattesa.
Svelto, si asciugò le mani e lasciò il bancone della mescita per invitarla ad entrare.
«Che piacevole sorpresa! » sorrise.
Alle spalle della donna, si profilò il marito. E anche Bernard fu accolto con lo stesso autentico calore.
Quando gli ospiti si furono accomodati e finite le formule di rito, Alain domandò loro il reale motivo della loro visita. Nonostante gli eventi li avessero necessariamente avvicinati, durante la Rivoluzione e negli anni immediatamente successivi, non era usuale che i coniugi Chatelet si spingessero fino alla taverna. E infine, era trascorso molto tempo dall’ultima volta che si erano visti.
Lo sguardo di Rosalie si adombrò leggermente, mentre da sotto al mantello  estraeva una rosa di stoffa bianca.
«Sai che ho prestato servizio alla Regina, mentre era prigioniera alla Conciergerie…» disse.
Alain annuì lentamente e la sua fronte fu attraversata da una ruga profonda.
«Ebbene…» proseguì la ragazza, «La Regina mi ha dato questa la mattina che si avviò al patibolo. Consegnandomela, mi ha chiesto di tingerla del colore preferito da Oscar… Non l’ha mai dimenticata. Fino all’ultimo ha parlato di lei», la voce di Rosalì si incrinò per la commozione.
Sul volto del marito e di Alain aleggiò una smorfia. Un’amara constatazione legata ai ricordi di quegli anni terribili. Un periodo di ferocia inaudita, giustamente definito Il Terrore.
«Sai Alain?» proruppe Rosalie, afferrando con la propria piccola mano bianca quella più grande e abbronzata dell’uomo. Lo guardò, sgranandogli addosso i grandi occhi turchesi. «In tanti anni passati al fianco di Madamigella Oscar, non le ho mai chiesto di che colore preferisse le rose…» confessò.
Alain socchiuse le palpebre. Poi piegò le labbra in un sorriso, passando lo stecchino di legno da una parte all’altra. Un’abitudine che, nonostante tutto, non aveva ancora perso.
Una piccola ruga si disegnò all’angolo della bocca, segno del tempo che passava inesorabile, ma soprattutto di dolorose vicissitudini.
«Vedi, questo non lo so nemmeno io… » ammise. Poi si sollevò dalla sedia che aveva occupato e riprese in mano lo straccio abbandonato sul tavolo.
«Ma André avrebbe certamente detto bianche… Le rose bianche» mormorò. Poi si portò con le spalle al bancone e vi si appoggiò, guardandola serio.
«Ma possiamo chiederglielo…» aggiunse per fugare ogni traccia di perplessità dal volto di lei.
Rosalie dilatò le pupille.
«Sai come metterti in contatto con loro?» esclamò, portandosi le mani alle labbra.
Alain annuì, lentamente.
«Ho ricevuto una lettera dai signori Grandier proprio qualche giorno fa» sorrise.
«Hanno raggiunto l’Inghilterra e il viaggio è andato molto bene» comunicò. «Chiederò a mia moglie di cercarla e di farvela avere» promise, passandosi una mano tra i capelli scuri. «E’ lei che tiene in ordine la casa» si schermì.
Rosalie si alzò, già paga delle buone notizie.
Gli ultimi anni erano stati difficili per Oscar e la decisione di raggiungere l’Inghilterra, dove l’intera famiglia Jarjayes l’aveva preceduta trovando rifugio, era stata l’unica da prendere. Anche se a malincuore. Unirsi ai rivoltosi l’aveva resa colpevole di alto tradimento prima e le sue origini aristocratiche un bersaglio troppo facile poi…
Ora, sia Rosalie che i due uomini speravano che Oscar e André potessero finalmente rifarsi una vita e viverla nel migliore dei modi, nonostante gli eco di una ferocia che ancora era ben lontana dal sopirsi…
«Alain!» dal retro della taverna, una voce femminile riportò l’ex-soldato della Guardia al presente.
«Queste donne… » fischiò, strizzando l’occhio a Bernard. «Tutte che mi cercano! »
Il giornalista portò una mano alle labbra per reprimere una risata.
«Ne hai deluse parecchie, mettendo la testa a posto…» disse. «E hai dovuto faticare altrettanto per dare lustro e dignità a questo posto» continuò accennando a quella che era stata una bettola e che ora si fregiava del nome, ben più onorevole, di taverna. «Anche per molti uomini è stato difficile rinunciare ai piaceri della vita…» concluse.
L’apparizione di una splendida donna dai capelli fulvi mise tutti a tacere, mentre gli occhi di Alain, al ricordo dei rispettivi trascorsi, divennero improvvisamente più scuri. Carichi di un desiderio urgente.  
Camille li raggiunse e appena il marito l’ebbe a portata di braccio, l’afferrò per la vita portandosela addosso. Affondò le mani tra i suoi capelli e le labbra su quelle, sorprese e dischiuse, di lei, tuttavia pronta a riceverlo.
«La testa a posto o la picca!» affermò poi, lasciandole riprendere fiato.  
Rosalie avvampò e Bernard le offrì il braccio perché togliessero il disturbo.
Dopo tanto dolore, le buone notizie e gli attimi di gioia non andavano sprecati né deprecati.
I due stavano già guadagnando la porta, quando Rosalie si volse per un ultima domanda.
«E Diane? » chiese.
Alain impedì a Camille di sgattaiolare nel retro, deciso a non concederle tregua e a riprendere il discorso interrotto non appena si fossero trovati soli. Poi scosse leggermente la testa.
«Si sposa» disse, laconico.
Le labbra di Rosalie si piegarono in un sorriso.
«Con un soldato» continuò lui.
E nel suo tono, quasi un rimbrotto, si percepiva un leggero rimprovero.
Congratulandosi per le nozze imminenti, Rosalie e Bernard lasciarono La Fille Rouge e l’instancabile Alain libero di tornare a fare quello che stava facendo…
  
                                                                                                                                                                                                                             Fine
 
 
DUE CHIACCHIERE… 
Ebbene, siamo giunti alla fine di questa avventura… O almeno alla fine della parte di questa avventura scritta per voi.
Procederò per punti, ormai sapete che questo mi aiuta e visto il fastidioso mal di denti che mi tormenta da settimane, ben venga ogni sollievo!
1 – GRAZIE! Grazie a tutti voi che avete letto, apprezzato, discusso o commentato questo racconto. GRAZIE per la pazienza e per avermi attesa quando mi sono dovuta assentare per tanto, troppo tempo.
2 – L’ultimo disegno dedicato a questa storia è solo uno schizzo e mi dispiace… Il motivo? Mentre lo disegnavo, mi si affacciavano alla mente diverse opzioni per la colorazione. Ma la lucidità mi fa difetto, in questo momento, e ho preferito offrirvelo così, per ora. Riservandomi di farvi vedere, poi, l’illustrazione conclusa. PERDONO!
3 – Ma adesso veniamo alla storia… Alcuni avranno apprezzato la conclusione, altri sicuramente un po’ meno. Non posso che dirvi che TUTTO ERA GIA’ SCRITTO. Dal primo all’ultimo capitolo… Mi spiego. Ogni volta che progetto una storia, ho l’INIZIO e ho la FINE. Quel che succede NEL MENTRE, capitolo dopo capitolo, non è che lo sviluppo naturale che porta dal primo all’ultimo punto. Quindi, quando grazie alle vostre richieste ho fatto di questa ONE SHOT una LONGUETTE, la fine era già stabilita. Negli intenti, non nei dettagli. Quelli vengono sempre man mano che scrivo, suggeriti dai protagonisti che sono gli UNICI a sapere come – nel dettaglio - devono andare le cose. Sapevo che André sarebbe sopravvissuto. Sapevo anche che si sarebbe sposato… Come e dove lo ha deciso lui.
Perché chiudere con Alain, Rosalie e Bernard e non con Oscar e André? Beh, perché capitolo dopo capitolo, fatta eccezione per le mie scelte personali, ho cercato di seguire l’ordine degli eventi più importanti così come sono apparsi nella serie. Potevo evitare di chiudere allo stesso modo? No. E questa chiusura, tra l’altro, mi ha dato modo di farvi sapere quel che è successo ai nostri eroi, ad Alain e anche alla spregiudicata Camille. Camille che credo non possa assolutamente lamentarsi di come le siano infine andate le cose, eheheheh!
In sintesi: tutti i protagonisti sono sopravvissuti. E ho voluto fare anche un regalo al mio caro Alain, concedendo un’occasione alla sua Diane. Ebbene sì! Ecco la conferma di quanto la Sensei IKEDA sia GRANDIOSA! Se la storia fosse stata questa, nessuno se la sarebbe ricordata per oltre di 30 anni!
4 – Qualcuno, alla fine del precedente capitolo, mi ha chiesto un collegamento con “Soldato Blu”. E qui devo CONFESSARE! Intanto, il collegamento c’è… O meglio, un’ulteriore autocitazione grazie al DIARIO. Ma soprattutto, confesso che inizialmente, ma proprio agli albori dell’idea, avevo immaginato di chiudere “NON POSSO…” con il PRIMO CAPITOLO di “SOLDATO BLU”. Ma la cosa è sfumata subito. E per un certo numero di motivi. Le due storie, infatti, non possono assolutamente essere collegate perché si basano su trascorsi tra Oscar e André molto diversi. In “SOLDATO BLU”, André e Oscar sono reduci dalla storia animata originale. André ha perso il proprio occhio sinistro. Oscar, anche se in modo diverso, è comunque malata. Quindi, ovviamente, la cosa non poteva funzionare. Ma mi sono tolta comunque il gusto di usare il diario ma consegnandolo nelle grandi mani di Alain!
5 – In un ultimo, e con questo punto concludo (o avrò scritto una nota più lunga dello stesso capitolo), con questa storia,  “Soldato Blu” e i “missing moments” dei miei racconti brevi, credo di aver detto e dato tutto quello che avevo nel cuore sui nostri amati Oscar e André. Spero vi siano piaciuti!
 
Un saluto e ancora un IMMENSO GRAZIE!
Sabrina 

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