Death Row

di ClairllMayne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter 1- THE WAY YOU TELL MY NAME ***
Capitolo 3: *** Chapter 2- YOUR EYES ***
Capitolo 4: *** Chapter 3- YOUR HANDS ***
Capitolo 5: *** Chapter 4- THE WAY YOU LOOK ***
Capitolo 6: *** Chapter 5- YOUR HAIR ***
Capitolo 7: *** Chapter 6- PRISONER NUMBER 2306 ***
Capitolo 8: *** CHAPTER 7- THINGS I CAN'T ***
Capitolo 9: *** Chapter 8- THE WAY YOU TALK ***
Capitolo 10: *** Chapter 9- THE WAY YOU WALK ***
Capitolo 11: *** Chapter 10- WRONG CHOICES ***
Capitolo 12: *** Chapter 11- I'M JUST A SAD SONG ***
Capitolo 13: *** Chapter 12- YOU VOICE ***
Capitolo 14: *** Chapter 13- YOUR ABSENCE ***
Capitolo 15: *** Chapter 11- MAKE THE DIFFERENCE ***
Capitolo 16: *** Chapter 15- Death Row ***
Capitolo 17: *** Chapter 16- GOODBYE MY LOVER ***
Capitolo 18: *** Epilogue- CAN KEEP YOU WITH ME FOREVER? ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Prologue 

I don’t know how you are. 
But I hope you’re fine.

 

 

Quando Harry Styles aveva deciso di studiare legge era uno di quegli adolescenti ribelli, con i riccioli scompigliati, tenuti indietro dalla sua bandana preferita, quella con stampata sopra la bandiera dell’America, il paese dove era nato e cresciuto.
Memphis, Tennessee, una cittadina della contea di Shelby che conta circa seicentomila abitanti, era il luogo dove Harry era cresciuto, nella piccola villetta a schiera di sua madre e suo padre, proprietari di una trattoria casereccia nel centro del paese.
Una volta diplomato con il massimo dei voti al liceo classico, Harry si era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza penale all’università Cecil C. Humphreys, spinto dalla necessità di fare la differenza in quel mondo, ai suoi occhi, sempre più corrotto.
Aveva sempre creduto che per ogni criminale avrebbe dovuto esserci un uomo pronto a lottare per il proprio paese, capace di combattere la parte malata della società, come gli aveva insegnato suo nonno fin da quando era soltanto un bambino dai grandi occhi verdi; occhi che cambiavano colore a seconda del tempo, diventando grigi quando le nubi oscuravano il cielo di Memphis.
Cresciuto con saldi principi, si era applicato al massimo delle sue potenzialità durante tutto il suo percorso scolastico, spesso isolandosi dal resto dei ragazzi della sua compagnia, sommerso da giganteschi tomi di storia antica prima e giustizia penale dopo.
Laureato con il massimo dei voti in tempo record aveva intrapreso un percorso da tirocinante presso lo studio legale del Dottor Dempsey, uno dei più rinomati avvocati dell’America della Carolina del nord, il quale aveva contattato Harry non appena aveva conseguito la sua Laurea con tanto di Lode, che fu onorato di accettare, iniziando quel percorso di vita con il massimo delle aspettative di un giovane pronto a lottare per la giustizia del suo paese.
Il Dottor Dempsey aveva il suo studio principale a Los Angeles dove Harry si trasferì nel mese di agosto pieno di speranze; quelle stesse speranze che sarebbero lentamente svanite una volta che gli venne affidato il suo primo caso.

Studio legale Dempsey, Los Angeles 

 

“Congratulazioni ragazzo, sono così orgoglioso di te! E sono fiero di assegnarti il tuo primo caso!”
Patrick batte due forti pacche sulla spalla di Harry che sorride felice di quell’affermazione. La aspettava da anni.
“Di cosa si tratta?” chiede sorridendo ma cercando di mantenere un tono professionale.
“Omicidio aggravato” 
“Wow, Patrick, omicidio aggravato!” esclama Harry mentre un bagliore illumina i suoi occhi verdi.
Attendeva da anni questo momento, più e più volte aveva fantasticato su quale sarebbe stato il suo primo vero caso una volta finito il tirocinio.
“Si tratta di un ragazzo molto giovane, ha qualche anno più di te, 28 per la precisione”
“Qual è l’accusa?”
“Ha ucciso il compagno della madre colpendolo alla testa con una mazza da baseball. Il ragazzo si rifiuta di parlare, l’unica cosa che abbiamo in mano è una prima dichiarazione raccolta la notte dell’accaduto, un anno fa, dove dichiara di averlo colpito per salvare la madre. A quanto pare il compagno aveva il vizio di massacrarla di botte” spiega Patrick porgendogli la cartella contenente tutti i documenti riguardanti il caso.
“Tu credi che sia vero quello che dice?” chiede Harry allungandosi per prendere la cartellina e sistemarla con cura nella sua ventiquattrore.
“Non è importante quello che penso io ragazzo, quello che conta è concludere il caso, ormai va avanti da oltre un anno”
“Capisco. Analizzerò l’intera documentazione e cercherò di farmi un’idea dettagliata di ogni particolare prima di incontrare l’imputato”
“Bene, credo che l’idea migliore sia cercare di ottenere una confessione e contrattare per il patteggiamento se non vogliamo rischiare che venga condannato all’ergastolo. O peggio”
“Peggio?”
“Come potrai verificare nella cartella anagrafica, il ragazzo è nato in Texas ed è li che è stato commesso il crimine, quindi è secondo i criteri della legge del Texas che verrà giudicato” 
Harry mantiene la sua solita aria professionale, ma il brivido che percorrere tutto il suo corpo facendolo rabbrividire non sfugge all'uomo seduto dall’altro lato della scrivania.
“Puoi rifiutare e passare il caso a qualcun’altro se non te la senti”
“No, me la sento”
“Era quello che mi aspettavo da te. Esamina la cartella e fammi sapere quando sei pronto ad incontralo e per qualsiasi cosa sai dove trovarmi”
“Grazie” dice Harry alzandosi dalla sedia e tendendo una mano al suo mentore.
“In bocca al lupo avvocato”.

 

 

 

 

L’appartamento di Harry è piccolo e spoglio, situato nella periferia di Los Angeles, unica zona dove aveva potuto permettersi di pagare l’affitto ed avere un badget minimo per sopravvivere.
La retta universitaria era stata molto costosa, e la sua famiglia aveva contribuito con quel poco che poteva per permettergli di realizzare il suo sogno, inviandogli mensilmente una parte del guadagno fruttato dalla trattoria.
Una tazza stracolma di caffè fumante sul tavolo nel minuscolo soggiorno e un abat jour, comperata a poco prezzo al mercato dell’usato, sono l’unica compagnia di un Harry concentrato sul suo lavoro, la fronte aggrottata in tante piccole rughette.
Ha letto e riletto la scheda anagrafica dell’imputato così tante volte che gli sembra di conoscerlo, ormai.Il ragazzo si chiama Louis William Tomlinson, nome acquisito in seguito all’abbandono del padre e primo marito della moglie. Il nome di nascita infatti risulta essere Louis Troy Austin, nato a McAllen, una cittadina della contea di Hidalgo nel mese di Dicembre, esattamente il giorno prima di Natale, e ad Harry pare impossibile che un assassino possa esser nato poche ore prima della venuta al mondo di uno degli uomini più rilevanti dell’intera storia dell’umanità. Ad Harry non piace definire Gesù un santo, non lo ha mai visto come una divinità, ma ne ha sempre avuto un grande rispetto fin da bambino, reputandolo un illuminato, un uomo di grande spessore e cultura, un esempio da seguire, nonostante diffidasse invece della maggior parte delle storie raccontate dall’istituzione cristiana, o più semplicemente dalla chiesa in generale, qualsiasi religione uno scegliesse di seguire.Credeva che la religione, di per sé, fosse una dottrina intenta a coinvolgere quante più persone possibili rendendole vulnerabili, dando alla gente qualcosa a cui aggrapparsi nei momenti bui della vita; gente che aveva dimenticato di dover invece lottare con le proprie forze per ottenere dei risvolti positivi, gente che aveva smesso di credere in se stessa per credere qualcosa a loro sconosciuto, liberandosi così delle proprie responsabilità, perché, come gli aveva sempre ripetuto suo nonno, la nostra vita dipende da noi stessi, dalle scelte che facciamo e da nessun altro; siamo noi gli artefici delle nostre vite. 
Era proprio per tutte queste ragioni che aveva deciso di dedicare la sua esistenza, attraverso la legge, ad aiutare gli altri, quelle anime che in qualche modo avevano perduto la retta via, e l’anima che gli era stata assegnata era quella di un certo Louis William Tomlinson.

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Capitolo 2
*** Chapter 1- THE WAY YOU TELL MY NAME ***


Chapter 1- THE WAY YOU TELL MY NAME
 
Pinch me gently,

I breath hardly.





Harry ha trascorso le ultime tre settimane studiando il caso che gli è stato assegnato da Patrick senza tralasciare neanche il minimo dettaglio. E' il suo primo incarico come unico avvocato difensore e non vuole lasciare niente al caso; la sua preparazione deve essere perfetta, come sempre.
Stringe la ventiquattrore nera opaca che tiene sulle gambe mentre raggiunge lo studio legale con la metropolitana in una soleggiata mattina di Luglio.
Nonostante il caldo, indossa un completo lungo beige che lascia intravedere una camicia di lino bianca, al collo una catenina argentata con un piccolo crocifisso.
Qualche fermata dopo si fa spazio tra i pendolari accalcati per raggiungere le porte automatiche del treno, conquistando gli sguardi ammalianti delle ragazze presenti nella sua carrozza che, come sempre, cerca di evitare senza risultare scortese; non sa spiegarsi il motivo di tali reazioni da parte delle ragazze, che fin da quando era solo un adolescente lo avevano sempre messo in soggezione, con i loro sorrisi seducenti e gli occhi a cuoricino.
Harry non si era mai ritenuto bello; sapeva di non essere male, certo, ma non si sarebbe mai messo in competizione con un altro uomo per conquistare una donna, ritirandosi sempre prima, già convinto che ne sarebbe uscito sconfitto, ed anche adesso che il suo riflesso gli appare in tutta la sua eleganza sul vetro della porta automatica, non riesce a rendersi conto di quanto in realtà appaia meraviglioso al resto del mondo, come se avesse sempre con sé una sorta di aurea sexy in grado di far impazzire chiunque.



“Tre settimane ed eccoti di nuovo qui! Tempismo perfetto” 
Patrick lo accoglie nel suo ufficio con due forti pacche sulle spalle.
“Credo di aver studiato tutto quello che c’era da sapere” 
“Ne sono più che sicuro! Vieni, siediti” 
Harry prende posto sulla sedia di fronte all'elegante scrivania, poggiando la ventiquattrore ai suoi piedi, prima di fissare i suoi penetranti occhi verdi in quelli del suo mentore.
“Giusto ieri mattina mi ha contattato Devine, il vecchio avvocato di Tomlinson. Ha ufficialmente lasciato il caso, quindi da questo momento il ragazzo è sotto la tua custodia e per questo, mio caro Harry, credo sia il caso di fare un brindisi” dice fiero, chinandosi sotto la scrivania per riapparire poco dopo con una bottiglia di ottimo champagne e due calici.
“Lo conservavo per una grande occasione” dice, mentre versa il liquido frizzantino nei calici porgendone uno ad Harry.
“Ma Patrick, non dovevi” dice mentre si sporge per prendere il bicchiere.
“All’avvocato Harry Edward Styles, che questo caso sia solo il primo di una lunga e gloriosa carriera” recita, facendo tintinnare il suo bicchiere contro quello di Harry, mentre una sfumatura di porpora si estende sulle sue gote, sopra le lentiggini appena accennate.
“Sei pronto ad incontrare il ragazzo?”
“Sì, direi di sì”
“Bene. Al momento si trova al Men Central Jail, potrai incontrarlo domani alle 9:00. Il direttore sa già del tuo arrivo, basterà che tu esibisca il tuo cartellino una volta all'ingresso”
“Perfetto, ti aggiornerò dopo l’incontro” dice alzandosi e raccogliendo la valigetta da terra.
“Grazie per la fiducia Patrick, farò tutto quello che è in mio potere per non deluderti”
“Non ho dubbi Harry, so che ce la farai” .



Dopo aver lasciato l’ufficio di Patrick, Harry si ritrova a girovagare per le strade assolate di Los Angeles, godendosi il vento fresco che soffia leggero, la giacca elegante riposta nella valigetta e la camicia bianca arrotolata fino ai gomiti, i bottoni sganciati fin sotto il petto ampio lasciano intravedere l’ala di una farfalla tatuata sul ventre piatto.
Il mese di Luglio era sempre stato il suo preferito, fin da quando da bambino rimaneva ore seduto sul porticato della villetta dei suoi genitori ascoltando i racconti di suo nonno. Il più delle volte consistevano in ricordi del tempo di guerra, quando suo nonno e sua nonna erano ancora una giovane coppia innamorata, piena di speranze e gioia di vivere, che lentamente gli erano state portate via.
La nonna di Harry, Amèlie, era, come diceva sempre suo nonno, la ragazza più bella di tutta la contea; di origini francesi, si era trasferita con la sua famiglia in America in cerca di fortuna e come nelle migliori storie d’amore si era innamorato di lei non appena aveva incrociato il suo sguardo per la prima volta.
Da quel giorno non si erano mai più lasciati, fin quando l’America si era ritrovata coinvolta nella più grande guerra di tutti i tempi, ed il loro amore era stato distrutto insieme all’intero stato del Tennesse, ma non prima che Amèlie desse alla luce Anne, sua madre.
I racconti di suo nonno erano, a detta di Anne stessa, sempre troppo cruenti per un bambino della sua età, ma Harry amava ascoltarlo, e soprattutto amava sentirlo parlare di sua nonna, quando i suoi occhi brillavano di un azzurro intenso e la sua voce si faceva un po’ più roca, e lui non poteva far altro che chiedersi se nella vita avrebbe mai provato quello stesso tipo di sentimento.
Fin da bambino Harry non si era mai ritenuto una persona fortunata, e di certo innamorarsi di una persona a prima vista per lui rientrava nell’essere fortunato; desiderava con tutto se stesso perdersi nella profondità degli occhi di qualcuno per non ritrovarsi mai più, provare un amore così travolgente da dimenticarsi persino di respirare.
Se l’era ripromesso da bambino che, se non avesse trovato un amore così, allora non avrebbe amato mai; perché Harry no, non si sarebbe accontentato, ed era forse per questo che all’età di venticinque anni si ritrovava a vivere in uno squallido monolocale in periferia, solo.



Quella sera evita di prendere la solita tazza di caffè che gli aveva fatto compagnia per quelle due settimane per tutte le notti, stendendosi sulla brandina cigolante del letto singolo nella piccola camera da letto spoglia, se non per i due quadretti della Laurea in legge e del master conseguito un anno dopo in criminologia.
L’unica luce ad illuminare la stanza è quella proveniente dal piccolo mappamondo sul comodino, di quelli che si attaccato alla corrente e si illuminano cambiando la cartina da geografica a politica; Harry ama quel mappamondo, un regalo di pochi anni prima da parte di sua madre.
Nonostante la stanchezza, non riesce ad addormentarsi, rigirandosi continuamente, il lenzuolo abbandonato ai piedi del letto; si alza per prendere una bottiglia d’acqua ed accendere il ventilatore, nelle speranza di attenuare il caldo asfissiante.
Continua a ripetere mentalmente le informazioni acquisite nelle ultime settimane. Ha studiato così tanto il caso che gli sembra di conoscere quel ragazzo come fosse un amico di vecchia data.
E’ a conoscenza di tutti i suoi dati personali, dei suoi studi, dei lavori che ha fatto fin da quando era un ragazzino, dell’abbandono del padre naturale e del successivo marito della madre morto in un incidente stradale, fino al nuovo compagno, quello per il quale si era rovinato la vita.
Dalla prima e unica confessione del ragazzo Harry aveva appreso che il nuovo compagno della madre era un soggetto violento, affetto da alcolismo cronico, che sempre più spesso aveva preso l’abitudine di sfogare la sua rabbia repressa su sua madre, incapace di difendersi, fin quando una delle tante volte in cui l’uomo stava colpendo la donna, rischiando di ucciderla ,Louis aveva reagito colpendolo alla testa con una mazza da baseball, provocandogli un’emorragia celebrale, ed in seguito la morte.
Harry non poté fare a meno di immaginare cosa avrebbe fatto lui nella stessa situazione e, in fondo, non poteva di certo biasimarlo. Aveva salvato la vita di sua madre senza preoccuparsi della propria e più che un assassino ad Harry sembrava un eroe; certo incosciente, ma pur sempre un eroe.

Dopo una notte praticamente insonne, si sveglia all’alba, infilandosi sotto il getto freddo dell’acqua della doccia.
Come al solito si prepara una quantità di caffè esagerata che versa a poco a poco nella tazza da latte ogni volta che la svuota. Deve decisamente darsi una calmata con tutta quella caffeina.
Indossa un paio di jeans scuri, una camicia bianca ed una giacca nera, i capelli lunghi raccolti un codino, un paio di rayban neri a coprire gli occhi stanchi.
Quando raggiunge il carcere di massima sicurezza Men Central Jail, sono le 8:00.
Mostra il documento ed il tesserino identificativo alla sentinella all’ingresso, la quale contatta un suo superiore, colui che avrebbe scortato Harry all’interno del carcere.
Harry osserva le Twin Tower mentre segue il poliziotto; l’edificio gli ricorda quello del tempio di Scientology, il Men Central Jail invece è composto da cubi di metallo sigillati. Non una finestra, non una fessura o un foro, né una crepa nella quale possa filtrare un raggio del meraviglioso sole della California.
Nel Jail vengono reclusi i detenuti in attesa di giudizio, mentre nella Prison quelli già condannati; nel carcere in cui sta andando Harry quindi ci sono quelli in attesa di giudizio, al momento più di quattromila.
Oltrepassato il cortile spoglio, Harry giunge in una piccola stanza dove, dopo aver mostrato nuovamente il pass ed i documenti, entra nel carcere oltrepassando un grande cancello automatico sovrastato dalla scritta 'Make The Difference'.
Mentre si chiede cosa stia a significare quella scritta, cammina per un lungo corridoio incrociando infermieri, detenuti ed agenti.
La maggior parte dei detenuti indossa delle uniformi blu ed appartiene alla popolazione comune; altri ne hanno di azzurre, il che sta ad indicare i lavoranti; altri ancora ne indossano di arancioni, rigorosamente ammanettati e scortati da un agente. Sono i detenuti appartenenti alla sezione di massima sicurezza.
Gli agenti invece hanno delle divise sul marrone, con cucita qualche stella sulla camicia e su cui è ricamato il loro cognome; alla cintura hanno manette ed una radiolina, non sono armati, ma hanno una grossa pila di ferro, che all’occorrenza utilizzano come arma.
I muri del corridoio sono decorati da murales che celebrano i diversi corpi dell’esercito americano, rappresentati da facce di animali con sguardi minacciosi e braccia eccessivamente muscolose che a Harry mettono i brividi.
La guardia gli fa cenno di girare a sinistra, abbandonano il corridoio decorato e si ritrovano in un posto pieno di corridoi, pochissimi muri, centinaia di sbarre; l’agente apre un cancello lasciandolo entrare e rimanendo all’esterno, ed Harry non sa bene dove si trova, o almeno gli sembra improbabile che sia dove pensa di essere.
Il corridoio è molto stretto, da un lato un muro bianco, dall’altro una lunghissima fila di sbarre; Harry continua a camminare a testa china, alla sua sinistra ci sono uomini che dormono, si lavano, giocano a carte o con un domino realizzato con matite e pezzi di carta, leggono, vanno in bagno, si lavano i denti o semplicemente stanno, ed Harry continua a fissare per terra, sentendosi a disagio, come un ospite non invitato.
L’assenza di finestre gli provoca un’angoscia immediata, l’unico spiraglio è la condotta d’aria in ogni cella, per il resto sono delle gabbie in cui vivono fino a quattro persone in condizioni subumane.
È tutto dannatamente bianco e la luce al neon peggiora le cose. Prende un grande respiro raggiungendo la fine del corridoio e quindi alla sala riservata ai colloqui con gli avvocati; la stanza è ampia, tagliata in due da una spessa vetrata attraverso la quale i detenuti possono comunicare attraverso un telefono con le proprie famiglie o, nel suo caso, con il proprio avvocato.
Harry rimane in piedi, pietrificato, ad osservare i detenuti in fila che, con i volti rivolti verso il muro, dando le spalle ai visitatori, attendono di essere chiamati dall’agente dalla divisa marrone.
La fila scorre lentamente e ad Harry sembra sia passata un’eternità quando la guardia chiama a gran voce il nome che risuona nella sua mente da settimane ormai.

“Louis William Tomlinson”.

Harry muove qualche passo titubante verso lo sgabello sistemato difronte al vetro spesso, affondando le unghie nella valigetta e trattenendo il respiro quando il detenuto con la divisa arancione in cima alla fila si volta, le mani intrappolate nelle manette d’acciaio; prende posto dall’altro lato del vetro, inchiodandolo con un paio di penetranti occhi azzurri.
Harry aveva immaginato un milione di volte quale potesse essere l’aspetto di un carcerato di massima sicurezza, ma mai e poi mai avrebbe potuto immaginare che questo avesse le sembianze di un angelo.
Rimane per qualche istante in silenzio, perso nella profondità che sono i suoi occhi, nello stesso modo in cui si era ritrovato a fissare l’orizzonte, quella linea sottile in cui cielo e mare diventano un’unica cosa; Louis William Tomlinson negli occhi aveva l’orizzonte, lo stesso orizzonte che probabilmente non avrebbe visto mai più, se Harry non fosse riuscito nel suo compito.

“Ciao” lo saluta cordiale Harry senza distogliere gli occhi dai suoi, l’espressione seria sul volto.
Louis non risponde, indicando con la testa il telefono alla sinistra di Harry e portando a sua volta la cornetta all’orecchio con entrambe le mani strette nelle manette, per poggiarlo poi tra la spalla e l’orecchio.
Harry fa lo stesso, tenendo la cornetta con la mano destra ed avvicinandosi al vetro, come se potesse in qualche modo accorciare la distanza tra loro.
“Ciao Louis, sono Harry Styles, il tuo nuovo avvocato” si presenta Harry.
“Quanti anni hai?” chiede scettico, scrutando il volto pulito del ragazzo dagli occhi verdi seduto al di là del vetro. Louis pensa che sia davvero molto bello, nel suo vestito elegante che lascia intravedere due tatuaggi sulle scapole ed i riccioli ribelli, scappati dal codino, che continua a spostare dietro le orecchie.
“Ne ho venticinque”
“Ci risiamo” sbuffa Louis, continuando ad osservarlo, incuriosito dal ciondolo della catenina argentata che porta al collo.
“Pensi che la mia età sia un problema per te?” chiede Harry, poggiando lo sguardo sulle linee dure del suo volto pallido.
“Penso che sei troppo giovane, con troppa poca esperienza, e tra qualche mese ti rassegnerai e scapperai via, esattamente come ha fatto Devine” dice secco, poggiando i gomiti sulle ginocchia e sporgendosi in avanti avvicinando il volto al vetro, tornando a fissare gli occhi in quelli di Harry che per riflesso esegue lo stesso movimento, con la differenza che le sue mani sono libere di stringere la cornetta invece di tenerla fastidiosamente nell’incavo del collo.
“Non scapperò, puoi starne certo” ribatte Harry senza distogliere lo sguardo dal suo, il naso che quasi sfiora il vetro freddo.
“Vedremo”
“Ti tirerò fuori di qui, ma tu dovrai collaborare. Ci sono un paio di domande che dovrei farti riguardo la notte in cui hai colpito quell’uomo”
Louis rimane in silenzio, annuendo.
“Dopo che ti sei reso conto di averlo ferito, è stata tua madre a chiamare il 911 giusto?”
Louis annuisce ancora.
“E quello che ha detto è stato che tu l’avevi colpito intenzionalmente alla testa, ma non ha accennato al fatto che lui la stesse picchiando in quel momento…”
Louis fa cenno di sì con il capo ancora una volta.
“…e dopo la conferma della morte del compagno non ha mai preso le tue difese, quindi è la tua parola contro quella di tua madre” conclude Harry.
“Hai fatto i compiti”
“Prendo sul serio il mio lavoro”
Il vetro è leggermente appannato dai loro respiri, mentre continuano a scrutarsi, occhi negli occhi, analizzando ognuno la fisionomia dell’altro.
Louis si allontana dal vetro interrompendo quel contatto che si è stabilito tra loro, tornando a poggiarsi sullo schienale della seggiola.
“La prossima udienza è stata fissata per il prossimo 10 agosto, abbiamo un mese di tempo per presentare la nostra difesa alla Corte Suprema e-“ spiega Harry quando viene interrotto dalla sirena che indica la fine del tempo limite del colloquio con i detenuti.
“Tornerò a trovarti domani” 
“Buona giornata avvocato” saluta prima di attaccare la cornetta e voltarsi verso la guardia che lo avrebbe scortato nella sua cella.
“Mi chiamo Harry”
“Harry” ripete, prima di essere strattonato per un braccio dalla guardia, evidentemente stufa di aspettare.

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Capitolo 3
*** Chapter 2- YOUR EYES ***


Chapter 2 - YOUR EYES                                                                                                                                                                                               

 

 

Can you imagine it?

  Can you?

 Good.

    Know close your eyes.

  Everything you can imagine can become reality.

  It’s funny, isn’t?

 

 

 

“Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell’assistito secondo i principi del nostro ordinamento”

 

Harry si sveglia per l’ennesima volta quella notte, l’immagine di se stesso con indosso la toga nera lucida continua a tormentarlo.
Ricorda il giorno del suo giuramento come uno dei momenti più belli della sua vita, quando con voce roca pronunciò la formula che aveva ripetuto mentalmente fino alla nausea.
Era tutto perfetto, era il suo sogno che diventava realtà, eppure adesso, disteso al buio nel suo letto, quella determinazione sembra essersi affievolita.

La visita al Jail l’ha reso instabile; tutte quelle persone rassegnate ad una non vita, costrette dietro quelle sbarre, senza poter vedere la luce del sole, occupano i suoi pensieri.
Non riesce ad immaginare cosa si possa provare ad essere uno di loro, in attesa di essere condannato, in attesa che qualcuno decida se e come mettere fine alla tua vita.
E poi ci sono le divise arancioni. I morti viventi. Uomini il cui destino è appeso ad un filo, in bilico, in attesa della decisione finale, in attesa di sapere come e quando.
Quante di quelle persone erano davvero responsabili del crimine per cui erano state condannate? 

Harry è a conoscenza di innumerevoli casi in cui uomini innocenti erano stati condannati a morte e soltanto dopo si era scoperto che non avevano mai commesso il crimine.
Uomini innocenti a cui era stata sottratta la libertà prima, la vita dopo.
Quante di quelle persone sarebbero state salvate da quel destino infame?
Quanti Harry Styles e Louis Tomlinson avevano tentato l’impresa prima di loro?

Harry ancora una volta si ritrova ad attraversare il lungo corridoio costeggiato dalle sbarre grigie scolorite a tratti, scoprendo il colore originale, rosso.
“Ehi ragazzi la signorina è tornata a farci visita” 
“Ciao chiappe d’oro”
“Vieni qui bella bambolina, vieni da papà”
Mantiene lo sguardo fisso di fronte a sé, cercando di ignorare le parole poco carine con cui alcuni dei detenuti lo accolgono, accelerando appena il passo.
Sa che non deve mostrarsi intimorito da loro, non può lasciare che si rendano conto quanto le loro parole siano capaci di colpirlo.
Raggiunge la stanza degli interrogatori e come il giorno precedente attende il suo turno, cercando di scorgere Louis tra i detenuti in fila con il volto rivolto verso il muro.
Harry aspetta, e aspetta. 
Aspetta per più di un’ora.

“Mi scusi agente, sono qui per il colloquio con il mio assistito, Louis William Tomlinson, ma non si è presentato”
“Tomlinson non si presenterà al vostro colloquio oggi”
“Cosa significa che non si presenterà al nostro colloquio?”
“Significa esattamente quello che ho detto. Può tornare domani”
“No, non posso semplicemente tornare domani. Voglio sapere dove si trova” 
“Non è mio compito dare certe informazioni”
“Che cosa gli è successo?”
“Non lo so”

Harry non perde mai la pazienza, mai.
Almeno fino ad oggi, perché la mano stretta intorno al colletto della divisa della giovane guardia in piedi davanti a lui non può non essere che la sua, così come la voce ridotta ad un sussurro che esce come un sibilo dalle sue labbra.
“Farai meglio a dirmi che cosa è successo a Louis se non vuoi che ti spacchi la faccia” lo minaccia, premendo con la fronte contro quella della guardia.
“So che ha scatenato una rissa ieri sera, quindi l’hanno messo in isolamento”
“Per quanto tempo?”
“Trenta giorni”
Harry molla la presa, strofinandosi la mano sui pantaloni, come se dovesse ripulirla da qualcosa di fastidioso.
Volta le spalle alla guardia percorrendo il corridoio a ritroso, sordo alle innumerevoli provocazioni che ancora una volta lo assalgono.
Trenta giorni.
Trenta giorni in cui non avrebbe potuto fare niente per parlare con Louis.
Trenta giorni in cui avrebbe dovuto preparare l’intera linea per la difesa da presentare all’udienza.

Si trova alla fine del corridoio quando all’improvviso si ferma, prende un grande respiro e si avvicina alla cella dove un uomo di carnagione scura, almeno il doppio di lui, sta facendo un solitario con delle carte consumate dal tempo.
Afferra le sbarre con forza, i grandi anelli che porta alla mano destra tintinnano contro il metallo freddo attirando l’attenzione del senegalese, che lo osserva con un sopracciglio alzato.

“Scusa se ti disturbo, ho bisogno di farti una domanda”
L’uomo distoglie lo sguardo da quello che ai suoi occhi non è altro che un bel bocconcino con troppi vestiti addosso.
“Dove si trova la cella dell’isolamento?”
L’uomo torna a posare i suoi occhi neri su Harry, incuriosito da quella domanda.
“In un posto dimenticato da Dio principessa. Lascia perdere”
“È una questione importante, dimmi dov’è per favore”
“Anche se te lo dicessi non potresti arrivarci, le guardie non ti lascerebbero passare, non a mani vuote almeno”
“E di che cosa avrebbero bisogno le guardie per lasciarmi passare?”
“Del tuo bel culetto” gli risponde in nero sbottando in una risata vuota.
“Sono certo che non sia l’unica cosa che gli interessa avere”
“Una bella mazzetta di certo ti permetterebbe una visita; più soldi porti con te, più tempo puoi restare”
Harry abbassa lo sguardo sconsolato, non ha tutti quei soldi.
“Questo è l’inferno, riccioli d’oro, e tutto ha un prezzo, persino l’aria che respiri”

 

Qualche ora più tardi Harry sta passeggiando avanti e in dietro nel minuscolo soggiorno del suo monolocale.
Sul tavolo sono ammucchiati tutti i suoi risparmi, poche centinaia di dollari accumulati in mesi di sacrifici e scadente cibo in scatola per cena.
“Ciao mamma, come stai?”
“Ciao tesoro che piacere sentirti”
Continua a camminare mentre la voce di sua madre lo raggiunge dall’auricolare bluetooth che porta all’orecchio.

Sentire la sua voce migliora lievemente il suo umore nero, che non passa inosservato alla donna.
“Cosa c’è che non va Harold?”
“Niente mamma, va tutto bene”
“Non mentire a tua madre, hai problemi con il lavoro?”

Si, ho problemi con il mio assistito che ha pensato bene di scatenare una rissa durante l’ora d’aria guadagnandosi trenta fottutissimi giorni rinchiuso in una cella d’isolamento irraggiungibile.

“No, nessun problema con il lavoro. Si tratta di Patrick, sai tra poco andrà in pensione e i colleghi hanno pensato di raccogliere dei soldi come regalo d’addio”
“Quanto dovreste mettere?”
“Non c’è una cifra specifica, ognuno fa un’offerta, in base alla sue possibilità”
“Capisco, ne parlerò con tuo padre e ti manderemo qualcosa, va bene?”
“Grazie mamma, non so come farei senza di voi”
“Sai che siamo felici di aiutarti fin dove possiamo tesoro, stai tranquillo”
“Grazie mamma”

Quando chiude la conversazione lo stomaco gli fa male; odia mentire a sua madre, ma se questo fosse servito a vedere Louis avrebbe continuato a farlo.
Aveva bisogno di vederlo per poter preparare il suo piano d’attacco, per essere in grado di difenderlo e non fare la figura dell’avvocato novellino incapace di portare a termine il proprio lavoro.
Era questo che si ripeteva in continuazione da quando si era lasciato alle spalle il grande cancello del Jail.
Era quello il motivo principale che l’aveva spinto a compiere quella folle decisione, che andava contro tutti i suoi principi morali.
Corruzione, era questo che aveva deciso di fare.
Corrompere delle guardie con del denaro per ottenere una visita a Louis.
Nonostante la consapevolezza che a metterlo in quella situazione era stato il suo comportamento sconsiderato, non riesce ad avercela con lui.
Le sfumature blu dei suoi occhi sono abbastanza per far sì che Harry non possa provare un sentimento spiacevole nei suoi confronti.
Non sa bene che cosa ci sia in quel ragazzo, ma dal primo instante in cui i loro sguardi si sono incrociati si è creato un legame che non riesce a definire in alcun modo.

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Capitolo 4
*** Chapter 3- YOUR HANDS ***


Chapter 3 - YOUR HANDS          

 

 I fell torn
Like a sail in a storm



Il giorno seguente ancora una volta Harry si alza dal letto intontito, dopo una notte insonne.
Rimane qualche minuto a fissare l’armadio incapace di pensare a qualcosa che non sia Louis rinchiuso in una cella buia due metri per tre, tanto che anche scegliere cosa indossare sembra la più ardua delle imprese.
Un’ora più tardi sta oltrepassando il grande cancello sovrastato dalla scritta ormai familiare, gli occhi nascosti dietro le lenti scure dei Rayban.
Cammina a passo svelto, le mani affondate nelle tasche strette dei pantaloni scuri, lo sguardo fisso davanti a sé, fino a ritrovarsi nella stanza degli interrogatori.
Rimane in attesa e nonostante sa benissimo che Louis non può essere in fila insieme al resto dei detenuti, lo cerca con lo sguardo tra le divise arancioni.
Qualche minuto più tardi individua la guardia con la quale si è scontrato il giorno precedente.
Si avvicina cercando di non dare nell’occhio, affondando le mani nella tasca frontale della felpa scura, dove stringe la mazzetta che ha portato con sé.

“Devo vedere Louis William Tomlinson” dice secco, in piedi vicino alla guardia, senza guardarla negli occhi.
“Non è possibile”
“Oh, io credo di si” insiste allora Harry, lasciando scivolare appena fuori dalla tasca una buona parte dei suoi risparmi relegati con un elastico nero.
La guardia inclina appena la testa verso il basso, e dopo aver colto il senso di quell’affermazione annuisce con un cenno del capo.
“Seguimi”

Le celle d’isolamento si trovano al piano inferiore, sotto il livello del terreno.
Non ci sono finestre nel lungo corridoio deserto, l’unica fonte di luce proviene dalle luci al neon appese al soffitto.
Un odore acre aleggia nel seminterrato, costringendo Harry a portarsi una mano al volto per tappare il naso e la bocca.
La guardia lo scorta fino all’ultima cella, una porta nera blindata chiusa con un moschettone di ferro, una piccola fessura all’altezza del volto ed una più in basso, per far passare il vassoio con il cibo.
“Dieci minuti” ordina la guardia allontanandosi.

Harry fa scattare lo sportello della fessura in alto, lasciando che la luce filtri all’interno della cella minuscola.
Louis è seduto a terra, la schiena contro il muro spoglio e la testa tra le mani piccole.
Harry sa bene che il suo cuore non può davvero spezzarsi, ma il dolore che sente nel petto è lancinante a quella vista.
Louis continua a tenere la testa china, stringe leggermente le mani a pugno, imprigionando due ciuffi di capelli troppo lunghi.

“Louis” sussurra.
Al suono della sua voce Louis alza leggermente il volto, scoprendo un taglio profondo sopra il sopracciglio, l’azzurro dei suoi occhi che sembra illuminarsi appena.
“Che ci fai qui?” 
“Sono venuto a trovarti”
“Non puoi stare qui”
“Non preoccuparti di questo”

Louis si alza a stento in piedi e barcollando raggiunge la porta blindata, avvicinando il volto alla fessura.

“Che cosa hai fatto al volto?” chiede Harry, alludendo al taglio, che da vicino sembra anche peggio.
“Avevo un conto in sospeso”
“Non è stata una grande mossa farti sbattere qui dentro”
“Una cella vale l’altra”
“Ma non potrò venire tutti i giorni”
“Tanto meglio”

Harry sente un’altra fitta al cuore a quelle parole dette con tanta freddezza, è grande lo sforzo che deve fare per nascondere l’espressione delusa sul suo volto, aiutato dalla semi oscurità che li avvolge.
“Ho soltanto pochi minuti. Domani ci sarà l’incontro a porte chiuse con l’avvocato di tua madre ed il giudice. Sono certo che spingeranno per il patteggiamento, chiederanno una tua confessione e proporranno una pena tra i dieci e i vent’anni” spiega in tono professionale, ma nei suoi occhi c’è soltanto dolcezza, mentre poggia lo sguardo sulla ferita non ancora rimarginata.
“Ti fa male?” aggiunge.
“La concezione di dolore cambia qui dentro Harry, è soltanto un taglio. Non patteggerò.”
“Lo immaginavo”
“Non ho intenzione di passare metà della mia vita in quest’inferno, preferisco morire”
Harry riesce a vedere i suoi occhi blu abbuiarsi ancora attraverso la grata che li separa.
“Quanto hai pagato per essere qui oggi?”
“Non è importante”
“Vorrei sapere quanto valgo”
“Sono convinto che tu valga molto di più di tutto quello che potrei mai permettermi di pagare”
“Ti sbagli”
“Perché?”
“Perché io non ho più un anima Harry, non sono altro che un involucro di carne e ossa, questo posto mi ha portato via tutto”
Ad Harry pare di vedere l’oscurità degli abissi, imprigionato nel suo sguardo duro.
Lascia che il sui occhi si soffermino sulla linea dritta del suo naso, sulle sue labbra sottili che adesso sono incurvate in un sorriso vuoto, uno di quei sorrisi che non raggiunge gli occhi, uno di quelli che ti spezzano il cuore.
Ed Harry sente un’altra fitta al petto.
“Qual è la tua strategia?” chiede, avvicinando di più il volto alla grata.
“Rifiuterò il patteggiamento e punteremo sulla legittima difesa, ancora una volta sarà la parola di tua madre contro la tua”
I passi della guardia che si avvicina sembrano rimbombare in quel silenzio innaturale.
“Tempo scaduto” 

Harry poggia una mano sulla grata, negli occhi una promessa silenziosa.

Ti salverò, Louis William Tomlinson.

Louis sovrappone la sua mano su quella più grande di Harry.
Le loro dita si sfiorano appena attraverso il metallo freddo.
Come elettricità.
Entrambi sussultano a quel contatto, senza interromperlo.
Imprigionati nei loro stessi occhi.


Salvami ti prego.

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Capitolo 5
*** Chapter 4- THE WAY YOU LOOK ***


Chapter 4 - THE WAY YOU LOOK

                                                        

  I feel torn,

 Like a sail in a storm

 

 

Johannah.
Era quello il nome della donna che per tutta la mattina era stata seduta di fronte ad Harry.
Quasi mai aveva lasciato che gli occhi chiari incontrassero suoi.
Parlava poco, e quel poco che diceva gli provocava una sensazione di rabbia inverosimile.
Più di una volta avrebbe voluto scuoterla con le grandi mani, guardala negli occhi e gridarle di smetterla di mentire.
“Quel ragazzo ha ucciso l’amore della mia vita frantumandogli la testa con una mazza da baseball, non ho altro da aggiungere” 
“Louis afferma che, se non avesse colpito il suo compagno, a quest’ora lei non sarebbe qui a sostenere questa conversazione”
“Non mi avrebbe mai fatto del male”
“Quindi mi sta dicendo che non l’ha mai aggredita?”
“Mai”
Harry assottiglia gli occhi scuotendo il capo in segno di diniego.
“Sono in possesso di referti medici che dimostrano il contrario”
“Ho già chiarito quel discorso, sono caduta dalle scale”
“È caduta dalle scale cinque volte?”
“Sì”
“Doveva amare molto quest’uomo per continuare a negare l’evidenza condannando suo figlio, sangue del suo sangue, ad una non vita”
“Obiezione” interviene l’avvocato della donna.
“Accolta. La qualità dei sentimenti della testimone verso la vittima non sono pertinenti all’argomento”

Harry non è sicuro di riuscire a mascherare l’espressione esterrefatta che compare sul suo volto.

“Vogliamo allora parlare di quello che prova per suo figlio?” 
Harry si rivolge direttamente a Johannah questa volta, fissandola dritto negli occhi per la prima volta.
“Tuo figlio al momento si trova in una cella d’isolamento, senza poter vedere la luce del sole, intrappolato sotto tonnellate di cemento che costituiscono uno dei carceri di massima sicurezza più rigidi degli Stati Uniti d’America, e tu continui a raccontarci stronzate!”
Una sfumatura di porpora intenso colora le sue guance, sente il sangue ribollirgli nelle vene tanto è arrabbiato.
Come può una madre comportarsi in quel modo? 
Come può abbandonare suo figlio ad un destino tanto crudele? 
Come può continuare a mentire per difendere quell’uomo tradendo suo figlio?
Tutte quelle domande e mille altre ancora rimbombano nella sua testa, mentre cerca di recuperare la calma perduta; sa che reagire in quel modo è stato un errore, il suo legame con Louis ancora una volta aveva preso il sopravvento, rendendolo incapace di controllarsi.

“Avvocato Styles, la sua reazione è totalmente fuori luogo. Credo sia meglio concludere qui questo nostro incontro, fino a nuovo appello. Detto questo, mi conferma che il suo assistito rinuncia all’offerta di patteggiamento?”
“Confermo”
“Lei sa quali potrebbero essere le conseguenze di tale decisione?”
“Certo vostro onore”
“Bene. Le comunichi al suo assistito quanto prima” conclude.

 

 It would be a privilege to have my heart broken by you. 

 

 

 

 

 

Contea di Shelby, Memphis, Tennesse

 

 

 

“Il Texas è uno dei 37 stati degli Stati Uniti D’America in cui è praticata la pena di morte; attualmente, il metodo ufficiale è quello dell’iniezione letale.
Il Texas è inoltre lo stato americano dove sono state eseguite più condanne a morte: nel 2007, delle circa 32 esecuzioni compiute negli Stati Uniti, 26 hanno avuto luogo in Texas.
L’impiccagione fu l’unico mezzo di esecuzione tra il 1819 e il 1923; l’anno successivo venne introdotto l’uso della sedia elettrica.
I primi criminali ad essere uccisi con quest’ultimo metodo furono Charles Reynolds, Ewell Morris, George Washington, Mack Matthews e Melvin Johnson; l’ultimo fu invece Joseph Johnson.
Uno dei più famosi giustiziati fu Raymond Hamilton, membro dell’associazione criminale Barrow Gang, ucciso tramite elettrocuzione il 10 maggio 1935 con l’accusa di omicidio.
Nel 1964 fu istituita de facto una moratoria sulla pena di morte, che causò una temporanea sospensione delle esecuzioni.
Quando il 29 giugno 1972 la pena di morte fu ufficialmente dichiarata “punizione crudele ed inusuale” dalla Corte Suprema vi erano 45 uomini nel braccio della morte texano, le cui condanne furono tramutate in ergastolo.
Quando la pena di morte fu reintrodotta nel 1974 il primo uomo a dover essere giustiziato era John Devries, che entrò nel braccio della morte il 15 febbraio di quell’anno e si suicidò nella propria cella impiccandosi con le lenzuola il primo luglio. 
Nel 1977 venne adottato il metodo dell’iniezione letale per le esecuzioni, utilizzato per la prima volta nel 1982; il Texas divenne il primo stato ad adottare tale metodo. Inoltre, dal 12 gennaio 1996, i parenti e gli amici più stretti della vittima del condannato possono assistere all’esecuzione.
Il braccio della morte dal 1928 al 1965 era situato nell’ala est della prigione di Huntsville; in seguito venne spostato in quella di Ellis.\Il 9 giugno 2009 i detenuti erano 340, tra cui dieci donne.
Il trenta per cento circa erano bianchi, il restante settanta per cento si divideva tra neri e latino-americani.”

Harry termina la sua esposizione riprendendo fiato.
I suoi occhi sono fissi sul volto serio dell’esaminatore di fronte a lui.
L’uomo tira gli occhiali spessi sul naso, prima di compilare il blocchetto disegnando l’ennesimo trenta con la penna nera.
Aveva appena concluso con successo il suo ultimo esame, adesso non gli restava che preparare la tesi e trasferirsi finalmente nella calda e soleggiata California.
Come ogni volta dopo un esame si incammina lungo il viale che costeggia l’università fino al cimitero poco distante.
Sulla lapide in marmo bianco di suo nonno è incastonata una delle sue foto preferite; un gran sorriso impresso per sempre in quello scatto raggiunge i suoi occhi scoprendo due profonde fossette, come quelle che ogni volta accompagnano i meravigliosi sorrisi del suo amato nipote.
Sul marmo vi è incisa, con una calligrafia elegante, una delle frasi che suo nonno era solito ripetere.

La morte non è altro che un nuovo inizio.

Quando era bambino non aveva mai capito davvero a fondo il senso di quelle parole, non capiva come, in quella che era la fine potesse in realtà esserci un nuovo inizio.
Suo nonno non glie l’aveva mai spiegato, nessuna delle innumerevoli volte in cui, seduto accanto a lui nella veranda della villetta dei suoi genitori, gli aveva chiesto spiegazioni in merito.

“Non serve che sia io a spiegartelo Harrie, un giorno lo capirai da solo”.

Era questa la risposta che era solito dargli; e forse oggi, Harry l’aveva capito, almeno in parte.
Quando suo Nonno morì si era appena iscritto alla facoltà di legge, carico di aspettative e voglia di imparare.

“Salverò delle vite nonno, difenderò i deboli e sconfiggerò il male!” gli aveva detto con i grandi occhi verdi illuminati di una incantevole luce, pieni d’amore e onestà.
“Ne sono sicuro Harrie, farai grandi cose, ed io sarò sempre con te, insieme a tua nonna” 
“L’abbraccerai da parte mia quando sarete di nuovo insieme?”
“Lo farò. C’è qualcosa che vuoi che le dica?”
“Solo che cercherò qualcuno che sia per me quello che lei è stata per te. Qualcuno da amare con gli occhi. Qualcuno per cui valga la pena credere che dopo la fine ci sia un nuovo inizio”.

Quella era stata l’ultima volta che aveva visto suo nonno.
Era volato via quella stessa notte, durante il sonno, le labbra leggermente incurvate verso l’alto, in un accenno di sorriso.

 

“Mi manchi così tanto nonno” lo saluta Harry, sedendosi come era solito fare sul marmo freddo, sistemando una gerbera rosa nel vasetto vicino alla fotografia.
“Ho appena dato il mio ultimo esame, finalmente il mio sogno sta per realizzarsi. Vorrei tanto che tu fossi qui, ma so che sei felice lassù con la nonna.
Tra qualche mese partirò per Los Angeles, ho in progetto un tirocinio presso un famoso avvocato.
Si chiama Patrick, è un tipo tosto, sono sicuro che ti sarebbe piaciuto.
Non potrò venire a trovarti tanto spesso, ma non smetterò di tormentarti con i miei monologhi, so che in fondo ti piacciono.
Salutami la nonna.
Ti amo, e stammi vicino. Avrò bisogno di te”

 

 

Contea di Hidalgo, Mc Allen, Texas

 

 

“Mi chiamo Louis. Zayn Malik è stato il mio compagno di vita fin da quando riesco a ricordare. 
La nostra è sempre stata un’amicizia epica, fatta di piccole cose, di grandi promesse.
Non posso parlare della nostra amicizia, perché come tutte le grandi storie è giusto che muoia con noi, come deve, quindi vi parlerò di matematica.
Non sono un matematico, ma una cosa la so: ci sono infiniti numeri tra 0 e 1. C'è 0,1 e 0,12 e 0,112 e una lista infinita di altri numeri. 
Naturalmente c'è una serie infinita di numeri ancora più grande tra 0 e 2, o tra 0 e un milione. 
Alcuni infiniti sono più grandi di altri infiniti. Ce l'ha insegnato uno scrittore che un tempo abbiamo amato.
Ci sono giorni, e sono molti, in cui mi pesano le dimensioni della mia serie infinita. 
Vorrei più numeri di quanti è probabile che ne vivrò, e Dio, voglio più numeri per Zayn Malik di quelli che gli sono stati concessi.
Ci sono ancora così tante cose che avremmo dovuto fare insieme.
Per il suo compleanno gli comprai dei biglietti per Roma. Avrei voluto regalarglieli. 
Avrei voluto vedere l’ambrato dei suoi occhi illuminarsi e le sue labbra distendersi in un sorriso.
Avrei voluto renderlo felice, almeno un’ultima volta.
Lo sapevamo. Zayn lo sapeva. Era pronto. Ma io no, io non ero pronto. 
Io non sono pronto.
Ma Zay, amico mio, non riesco a dirti quanto ti sono grato per il nostro piccolo infinito. Non lo cambierei con niente al mondo. 
Mi hai regalato un per sempre dentro un numero finito, e di questo ti sono grato.”

 

That’s the thing about pain.

It demands to be felt.

 

 

 

The fault in our stars

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Capitolo 6
*** Chapter 5- YOUR HAIR ***


Chapter 5 – YOUR HAIR   

 

                                                   An angel in Hell                                                     

 

Il sole che quella mattina splende alto nel cielo limpido della California non potrebbe essere più in contrasto con l’umore di Harry, che a passi lunghi percorre il cortile arido che circonda il Jail.
Sono le 12, e i detenuti stanno consumando l’ora d’aria.
Sono molti, la maggior parte divisi in gruppi, ben distanti gli uni dagli altri, intenti a squadrarsi l’un l'altro; l’aria di tensione è palpabile.
Qualcuno preferisce invece rimanere in disparte, godendosi i raggi solari che ogni giorno gli sono concessi per soli sessanta minuti.
Harry lascia vagare il suo sguardo tra quegli uomini senza speranza, cercando una divisa arancione e quel paio di occhi trasparenti che ancora una volta, quella stessa notte hanno, occupato i suoi sogni.
Un ragazzo con una divisa blu ed i capelli biondi sciupati dal sole sta leggendo un libro dalle pagine ingiallite dal tempo, rilegato in una copertina scura.
Harry osserva le sue mani abbronzate sfogliare le pagine lentamente, mentre gli occhi azzurri si muovono veloci da destra a sinistra, scorrendo le parole d’inchiostro.
“Quello è Horan” dice all’improvviso la guardia che lo sta scortando all’interno del carcere, la stessa che Harry aveva aggredito il giorno in cui Louis non si era presentato al colloquio, e che gli aveva permesso poi di vederlo, in cambio di una lauta ricompensa.
“Ha anche un nome?” chiede allora Harry, mentre oltrepassano la scritta che sovrasta il grande cancello. 

Make The Difference.

Niall, Niall James Horan” spiega, e le sue labbra si inclinano appena in un sorriso mentre pronuncia il suo nome, ma subito scompare dal suo volto, tanto che Harry pensa di averlo immaginato.
“È molto che è qui?” 
“Neanche la metà della pena che deve ancora scontare”
“Che cosa ha fatto?”
“Traffico di armi di contrabbando con un certo Luke Hemmings, sono stati beccati ancora prima di riuscire a scappare”
“Che cosa è successo all’altro?”
“Si è ucciso nella sua cella circa un anno fa e da quel giorno Niall non ha più parlato con nessuno. Se ne sta sempre solo, con il suo amato libro” 
“Capisco” dice soltanto Harry, lanciando un ultimo sguardo al ragazzo che con l’indice tiene sollevata una pagina, immerso nella sua lettura, rapito da quel mondo immaginario, come se tutto ciò che lo circonda non esistesse.
Il nodo allo stomaco di Harry torna a stringersi, mentre oltrepassa l’ingresso.
Segue la guardia lungo il corridoio che costeggia le celle, oltrepassano la sala colloqui, e proseguono nel seminterrato.
Harry gli porge i soldi che sua madre gli ha inviato qualche giorno prima.
“Grazie…” 
“Liam” 
“Grazie Liam” ripete allora Harry, posando i suoi occhi verdi in quelli nocciola prima di raggiungere la grande porta blindata.

Sposta lo sportello metallico che con uno scatto secco si apre, lasciando che la luce fioca illumini appena l’interno della piccola cella.
Harry scruta l’interno allarmato, non vedendo Louis.

“Louis?” chiama piano.
“Harry” la voce flebile di Louis lo raggiunge, ed Harry finalmente riesce a vederlo.
Una sagoma scura, rannicchiata sul pavimento lurido, vicino il vassoio della mensa, intatto.
“Louis ce la fai ad alzarti?” chiede preoccupato, alzandosi sulle punte per vedere meglio.
“Si” sussurra, puntando i palmi sul pavimento e sollevandosi con fatica.
Raggiunge la porta blindata trascinando il corpo gracile e ad Harry sembra ancora più magro dall’ultima volta.
“Dovresti mangiare qualcosa” dice, la fronte contro le grate.
“Dovrei. Hai parlato con il giudice?”
“Si, ho fatto quello che mi hai detto, niente patteggiamento”
“Grazie”
“C’è una cosa che devo dirti”
“Quando Devine ha iniziato un discorso con queste parole è stata l’ultima volta che l’ho visto” lo interrompe secco Louis, poggiando la schiena contro la porta.
Harry, con la fronte premuta contro le grate osserva il suo profilo, i suoi capelli castani decisamente troppo lunghi, e vorrebbe poterli toccare.
Forse per questo poggia una mano sulla grata senza neanche rendersene conto.
Louis volta appena il capo, sospirando forte, come a volersi liberare almeno in parte di quel peso che lo sta trascinando sempre più a fondo.
Harry percepisce sul palmo della sua mano l’aria fresca provenire dalle sue labbra, ed istintivamente stringe con la mano le sbarre, facendo tintinnare gli anelli.
Louis torna a fissare dritto difronte a sé la parete spoglia, chiudendo gli occhi rassegnato.
“Avanti parla, i soldi che hai pagato devono pur fruttare qualcosa”
Harry si schiarisce la voce rumorosamente, aveva dimenticato del motivo per cui si trovava nel seminterrato di uno dei carceri di massima sicurezza peggiori dell’intero stato.
“Come tuo avvocato è mio dovere spiegarti quello che potrebbe succedere, nel caso in cui perdessimo” comincia, per interrompersi quasi subito.
Lo stomaco gli fa male e vorrebbe solo toccare i suoi capelli rovinati, la sua pelle candida.
“Và avanti” lo incita Louis, voltandosi ed incontrando il suo sguardo attraverso le sbarre sottili, quando la sua attenzione viene attirata dai grandi anelli, e come spinto da una forza esterna allunga la mano sfiorandoli con un dito, per poi tornare a posare gli occhi trasparenti nei suoi.
“Tu sei nato nello stato del Texas, ed è li che è stato commesso il crimine. Per questo verrai giudicato con le leggi del tuo stato di appartenenza, e non con quelle della California” spiega, cercando di mantenere un tono professionale, nonostante la mano di Louis sia sulla sua, nonostante riesca a sentire sulla pelle il suo respiro attraverso le sbarre, nonostante la sua fronte stia premendo dolorosamente contro la grata ed le labbra di Louis siano secche e bisognose d’acqua.
Deve chiudere gli occhi, interrompere quel contatto, per riuscire a proseguire quel discorso che infinite volte aveva ripetuto mentalmente durante il viaggio in metropolitana quella mattina.

“La legge del Texas, per quanto terribilmente ingiusta, prevede la pena di morte in alcuni casi” 

Lo dice tutto d’un fiato e poi aspetta, continuando a tenere gli occhi chiusi. 
Vorrebbe sparire, vorrebbe tornare indietro nel tempo, nello studio di Patrick e dire che no, non era pronto ad affrontare un caso come quello.
Non era pronto ad un paio di occhi trasparenti che ti prendono l’anima e la porteranno via con sé, quando un giorno si chiuderanno per sempre.
Non era pronto a vedere l’orizzonte e poi doverci rinunciare. 
Harry Styles era diventato quello che aveva sempre voluto essere, ma tutto quello che aveva sempre voluto essere lo sta distruggendo, da dentro.

“Io sono quel caso”

La voce di Louis lo costringe ad aprire gli occhi ancora una volta, e si sente affogare in quell’abisso che vede nel suo sguardo.
“Ce la faremo, io sono forte nel mio lavoro sai?”
“Sono il tuo primo caso Harry, fallirai, ma sono certo che ne uscirai più forte” 
“Non fallirò, io ti tirerò fuori di qui, te lo prometto”
“Non fare promesse che non puoi mantenere”
“La manterrò, a qualsiasi costo”
Ed Harry ci crede davvero.
Avrebbe tirato Louis Tomlinson fuori da quell’inferno, a costo di andare all’altro capo del mondo a piedi e tornare.

“Posso chiamarti William?” si sente chiedere all’improvviso.
Louis ritrae di scatto la mano, allontanandola da quella di Harry, che immediatamente percepisce il freddo sostituirsi alla sensazione di calore che gli dava la mano la sua mano  sulla sua.
“Sarebbe un no?” chiede insicuro, cercando di catturare lo sguardo di Louis che adesso lo evita.
“È meglio che tu vada adesso Harry, hai del lavoro da fare” dice, allontanandosi dalla porta per tornare a sedersi sul pavimento freddo, la schiena contro il muro.
“Come vuoi, tornerò con delle buone notizie”
Louis non risponde, annuendo appena con il capo, quasi scompare nella semioscurità.
“Mangia qualcosa ti prego” lo supplica, prima di sentire i familiari passi della guardia avvicinarsi.

Il loro tempo era scaduto. Di nuovo.

“Dobbiamo andare” Liam poggia una mano sulla sua spalla, l’aria da duro dei primi giorni aveva lasciato spazio ad un tono più confidenziale.
“Va bene” dice, prima di afferrare le sbarre con entrambe le mani e premervi ancora una volta la fronte contro. 
“Devi crederci Louis, ho bisogno che tu ci creda. Che tu creda in me”.
E Louis, ancora una volta, annuisce, nonostante senta i passi di Harry allontanarsi nel corridoio, ed il cancello chiudersi.

“Io credo in te” sussurra nel buio di quella cella dimenticata da Dio.


*** 

 

“Ciao Harry” 
Patrick lo accoglie sorridente alzandosi in piedi ed aggirando la scrivania, sepolta sotto infinite scartoffie, per abbracciarlo e dargli due sonore pacche sulle spalle.
“Siediti e spiegami tutto quanto” lo inviata, tornando a sistemarsi sulla sua poltrona.
Harry prende posto sulla sedia di fronte, lasciando vagare lo sguardo sui fogli ammassati sulla scrivania, non sapendo bene da dove iniziare.
“Ho studiato ogni minimo dettaglio, ogni caso precedente e simile al caso Tomlinson, e sono giunto alla conclusione che qualsiasi cosa io possa dire o fare, non ci sono prove che possano scagionarlo da tutte le accuse, non c’è soluzione. Mi hai affidato un caso perso”
“Lo so, ma è bene che tu ti faccia la corazza dura fin dal principio. Non c’è spazio per i sentimenti nel nostro lavoro, non ci si affeziona ai nostri assistiti Harry, ed è la prima cosa che un avvocato talentuoso deve imparare”
Con grande sforzo riesce a non far trasparire sul suo volto la rabbia che prova in quel momento verso l’uomo che ha sempre ammirato, verso il suo mentore, il suo maestro.
Sa che le sue parole sono giuste, non c’è spazio per i sentimenti nel suo lavoro, non si stringono legami, come un dottore con un malato terminale; si deve imparare a mantenere un certo tipo di distacco, per essere capaci di sopportare la perdita.
Eppure vorrebbe soltanto gridare, prendersela con quell’uomo seduto al di là della scrivania e gridargli in faccia che avrebbe voluto saperlo, avrebbe dovuto dirglielo, avrebbe voluto essere pronto. Ma in cuor suo sa che, se l’avesse saputo, forse non sarebbe stato abbastanza audace da accettare la sfida.
Non avrebbe mai visto l’orizzonte.
Non avrebbe mai incontrato un angelo all’inferno.

“Capisco” è tutto quello che riesce a dire.
“Tra quanti giorni si terrà l’udienza?”
“Dieci” 
“Dieci? caspita sono volati questi ultimi venti giorni!” esclama Patrick con leggerezza, controllando il calendario.
“Dovrai patteggiare Harry, è l’unica soluzione.”
“Non patteggeremo”
“Cosa significa non patteggeremo?”
“Significa esattamente quello che ho detto Patrick. Louis ha espressamente detto di non volere patteggiare, ed abbiamo rifiutato l’offerta” spiega deciso, consapevole che quelle parole avrebbero suscitato una reazione poco pacifica. 
“Louis? Abbiamo? Harry, la decisione la prende l’avvocato, la decisione la prendi tu!” il tono della sua voce si impenna pericolosamente e, cercando di calmarsi, si alza e raggiunge il mobiletto vicino alla finestra dov’è sistemata una bottiglia di scotch ed un paio di bicchieri.
Ne versa due generose dosi per poi porgerne uno ad Harry che, per educazione, non rifiuta.
“Il tuo modo di parlare al plurale mi rende irrequieto Harry”  dice, prima di prendere un breve sorso e iniziare a misurare l’ufficio a piccoli passi.
“Mi rendo conto che il tuo approccio al caso sta prendendo una piega sbagliata, il tuo legame con l’assistito è palese persino per me che non l’ho mai incontrato, e questo non va bene. Pensi che il giudice non se ne renderà conto? Credi forse che stargli troppo vicino e farlo sperare in qualcosa che non accadrà mai sia la cosa giusta? Non gli stai facendo del bene Harry, non stai facendo del bene a nessuno, né a te, né a lui, tantomeno alla nostra reputazione come legali”
“È soltanto un ragazzo che ha difeso sua madre, la stessa madre che l’ha abbandonato per difendere la memoria di un uomo spregevole. Come posso abbandonarlo anch’io? Come posso lasciarlo spegnersi fino a scomparire?”
“È un assassino Harry, è questo quello che la Corte Suprema pensa, e non riceverà la grazia se è questo che speri”
“So cosa pensa la Corte Suprema e non mi importa. Io sono umano, io ho un cuore, ho del sangue che scorre nelle vene, una mente per pensare ed una bocca per parlare, posso farcela. Devo almeno tentare. Non me lo perdonerai mai. Se Louis morisse senza che io abbia tentato ogni singola possibilità una parte di me morirebbe con lui, è così che è, ed io non posso farci niente!” esplode, alzandosi in piedi ed avvicinandosi alla finestra, scrutando l’orizzonte.

“Ho trovato quegli occhi Patrick, li ho trovati all’inferno ed è li che vorrei essere adesso, vorrei essere all’inferno e bruciare con quegli occhi trasparenti al mio fianco piuttosto che vivere senza. E so che sono folle, sconsiderato, e sì, senza speranza, ma non mi arrenderò mai. Tenterò tutte le possibilità, supplicherò se sarà necessario, ma io Louis in quell’inferno non ce lo lascio, a costo di perdere tutto quello che ho sempre desiderato. Perché forse sono solo un povero matto, ma una persona tanto tempo fa mi ha insegnato che quando si incontrano un paio d’occhi come quelli, quando la nostra anima si specchia perfettamente in quella di qualcun altro, non si può semplicemente lasciar andare. Quella persona la si deve accogliere, la si deve amare”

Harry non sa come sia possibile che quel fiume di parole sia fluito direttamente dal suo cuore alle sue labbra. Il suo rapporto con Patrick era profondo, e più di una volta Harry gli aveva raccontato di suo nonno e del suo incredibile amore per Amèlie, ma non si sarebbe mai aspettato da se stesso una tale rivelazione, e a giudicare dall’espressione sorpresa di Patrick, non era l’unico.

“Mi dispiace, Harry, che tu sia destinato a perdere quello che hai sempre cercato non appena l’hai trovato. Tutto questo ti distruggerà, e Dio solo sa quanto vorrei che non accadesse”

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Capitolo 7
*** Chapter 6- PRISONER NUMBER 2306 ***


CHAPTER 6- PRISONER NUMBER 2306

 

LOUIS WILLIAM TOMLINSON

In qualche film avevo visto degli uomini segnare delle stanghette sulla parete, per contare i giorni, nella speranza di non impazzire, ma non credo che troverò un qualsiasi oggetto adatto allo scopo in questo posto dimenticato da Dio, ed in fin dei conti poco importa. Dato che da qui non riesco a vedere la luce del sole, potrebbe essere notte oppure giorno, potrebbe perfino essere avvenuta la fine del mondo ed io non lo saprei.
Quindi, niente stanghette, niente notte, niente giorno, niente controllo sul tempo. Niente di niente.
Se avessi avuto un gessetto forse avrei messo almeno cinque o sei stanghette dall’ultima volta che Harry è venuto a trovarmi.
Aveva detto che sarebbe tornato con delle buone notizie, ma dato che non è mai più tornato forse le notizie non erano buone.
Non lo biasimo, dire addio è un vero schifo, per di più a qualcuno che sai che morirà e tu non potrai farci proprio un bel niente.
Il pavimento è freddo, ma dopo tutto questo tempo non sembra neanche più tanto scomodo, alla fine è vero che ci si abitua a tutto.
Ci si abitua perfino all’idea di morire.
Ogni giorno la guardia di nome Liam mi porta un vassoio con del cibo, ed ogni sera lo riporta via, pieno.
È buffo il fatto che continuino a portarmi da mangiare, in fin dei conti sono qui in attesa di essere ucciso, che senso avrebbe che mangiassi qualcosa, con il solo scopo di non morire di fame?
Per non parlare del fatto che non ho appetito da così tanto tempo ormai che non ricordo neanche che sapore abbia il riso bianco che pare essere menù fisso.
Per la sete invece è diverso, quella non la puoi controllare, la gola si secca e le labbra si spaccano, ed è allora che l’istinto di sopravvivenza ha la meglio su di te, e devi bere, non puoi resistere.
La concezione del tempo si perde completamente quaggiù, non so più quale sia la differenza tra un minuto ed un’ora, non so più quando finisce un giorno e ne inizia un altro.
Tutto si confonde, perfino i ricordi sembrano sfumare in una nebbia sottile.
Vorrei perdonare mia madre, prima di andarmene, questo è l’unico desiderio che ho.
Non capisco perché mi abbia abbandonato ad una tale destino, io volevo solo proteggerla, volevo salvarle la vita, volevo renderla libera, ma forse lei non voleva essere salvata. Questa è la lezione più profonda che la mia breve vita mi ha insegnato: certe persone non vogliono essere salvate, e noi non possiamo fare assolutamente nulla per loro.
Vorrei non odiarla, vorrei non darle la colpa di tutto questo.
In tutta questa situazione disastrosa c’è una cosa che mi rende felice. Sei tu, Zayn.
So che sei lassù da qualche parte adesso ad aspettarmi, con un paio di birre ed un pacchetto di Marlboro rosse.
Devi solo avere un po’ di pazienza, e poi saremmo di nuovo insieme. Per sempre questa volta.
Vorrei che tu mi stessi vicino quando succederà, so che non potrò vederti ne sentirti ma tu per favore tieni la mia mano.
Mi hanno spiegato che il dolore non si sente, che è come addormentarsi, come quando da piccolo ti operano all’appendicite, con la differenza che dopo non ci sarà nessun risveglio.
Liam, la guardia, ultimamente si è fermata più del solito; mi chiede come sto, se ho bisogno di qualcosa, e nonostante io non risponda mai sento la sua presenza fuori dalla porta, ed è buffo come le persone tendano ad essere più sensibili di fronte alla sofferenza degli altri.
Una delle tante volte che ha lasciato scivolare il vassoio attraverso la fessura, l’ho sentito sedersi a terra, con la schiena contro la porta.
Ha parlato a lungo, ed è stata quella volta che mi ha parlato di Harry.

“Il tuo pranzo” mi ha detto, prima di sedersi. “Devi mangiare qualcosa”
“Perché?” gli ho chiesto allora, voltandomi verso la porta, senza alzarmi da terra, raggomitolato su me stesso.
“Incominciavo a pensare tu fossi morto”
“Lo sono, solo non ufficialmente”
“Non puoi esserne certo, Harry è la fuori che sta lottando per te, per portarti via di qui”
“Il mio avvocato non tornerà. Quanti giorni mancano Liam?”
“Ne mancano quattro”
“Quattro…”
“È te che paga Harry per venire a trovarmi?”
“Si”
“Quanto?”
“Ha importanza?”
“Io posso darti molti soldi, dovrai prenderteli ma ci sono, sul mio conto”
“Perché vorresti darmi dei soldi?”
“Perché se Harry dovesse farsi vivo, potrai sentirti libero di rifiutare la sua offerta, e proibirgli di venire da me”
“Non vuoi che venga a trovarti?”
“Non avrebbe senso”
“E se avesse qualcosa di importante da dirti? Se avesse delle buone notizie?”
“Non ci sono buone notizie”
“Sono sicuro che Harry tornerà, te l’ha promesso. Andrete in tribunale e ti tirerà fuori di qui”
“Ne sembri quasi convinto”
“Ho visto il terrore nei suoi occhi quando sei mancato al vostro secondo incontro.
Ha lottato per ottenere una tua visita, ha pregato di vederti tra i detenuti nella sala degli interrogatori e l’ho visto cercarti con lo sguardo nel cortile durante l’ora d’aria.
Quel ragazzo è il migliore avvocato che potesse mai capitarti, e se esiste un modo per tirarti fuori di qui, lui lo troverà.”
Poi se n’è andato, senza portare via il vassoio.
Sono tornato a voltarmi verso il muro, riprendendo il corso dei miei pensieri.
Parlare di Harry mi provoca strane sensazioni che non so ben spiegare; è come se ci fosse qualcosa in lui, qualcosa di me.
Probabilmente sto impazzendo.
La prima volta che l’ho visto, oltre il vetro spesso della sala degli interrogatori, ho creduto che dovesse esserci un errore.
Non poteva di certo essere quello il mio nuovo avvocato, non poteva essere reale, con quei capelli lunghi legati in un codino e quel paio di occhi così profondi che ho rischiato di perdermici dentro.
Ricordo che stringeva nervosamente la valigetta tra le dita mentre mi parlava con quel suo tono professionale, passando di tanto in tanto la lingua sul labbro inferiore prima e su quello inferiore dopo, per poi mordicchiarlo appena, quasi come un tic nervoso.
Ricordo il ciondolo della sua collana, un piccolo crocefisso in argento, il modo in cui ondeggiava appeso al suo collo.
Ricordo il vetro appannato dal nostro respiro, quella sensazione di appartenenza, i suoi anelli ed il calore della sua mano sulla mia attraverso le sbarre.
Degli occhi così non si incontrano facilmente, credo di essere stato fortunato, ad avere avuto un tale onore, prima di lasciare questo mondo per sempre.

Non sono molti i ricordi che ho di Harry Styles, ma li custodiró nel mio cuore, anche quando smetterà di battere.

 

Scuole medie, Mc Allen

“Mi chiamo Zayn” dice, mentre tende la mano al suo nuovo compagno di banco.
“Louis” risponde, stringendola forte.

Estate, Mc Allen

“Hai inviato la richiesta?” chiede Louis, senza alzare lo sguardo dal Mac, allegando la foto alla sua richiesta di ammissione prima di inviare la mail.
“In questo momento!” risponde Zayn, cliccando invio. 

Kaplan College, Mc Allen

“La vostra stanza è la numero 230 ragazzi, benvenuti al Kaplan College!”

Vacanze estive, Mc Allen

“Il compagno di tua madre è un vero idiota” afferma Zayn, porgendo la birra fredda a Louis, seduto al suo fianco, nel solito tavolo del solito Pub.
“Lo odio”
“Non capisco come può tua madre permettere che si comporti in quel modo”
“Non lo capisco neanche io, ma prima o poi la pagherà”
“Cosa vorresti fare? Se tua madre non lo lascia non c’è molto che puoi fare”
“Prima o poi l’ammazzerà Zay, devo fare qualcosa. Qualsiasi cosa”
“Basta che non ti metti nei guai William”
“Ahi, ramanzina in arrivo”
“No, nessuna ramanzina, dico solo che tra poco ce ne andremo e non dovrai più sopportare tutto questo, devi solo stringere i denti ancora un po’”
“È solo grazie a te se non sono ancora impazzito Zaynie”
“Io ci sarò sempre per te Lou, te lo prometto”
“Come io per te”
“Che dici la finiamo adesso?”
“Direi di sì, l’alcol mi rende particolarmente sensibile”

Vacanze di Natale, Kaplan College

Grazie per essere rimasto con me Zay”
“Figurati, sono felice di essere qui”
“Tua madre deve odiarmi a morte”
“Non mi importa, io solo a Natale non ti ci lascio, mai.”

Ballo di fine anno, Kaplan College

“Come sto?” Zayn continua a squadrarsi nello specchio, aggiustandosi continuamente la rosa bianca appuntata al taschino.
“Stai benissimo, possiamo andare adesso?”
“Lo dici solo perché vuoi che mi sbrighi”
“No Zayn, lo dico perché sei un incanto, e quella rosa non ne può più di essere torturata, e poi Lexie ti sta aspettando”
“Ok ok, andiamo” si arrende, lanciando un ultimo sguardo nello specchio.

100 giorni all’esame, Los Angeles

“Amo questa città!” Louis allarga le braccia e tira indietro la testa, un gran sorriso sul volto.
“Un giorno verremo a viverci, un giorno molto vicino” annuisce allegro Zayn, seduto al suo fianco, con la schiena contro la panchina.
“E faremo il bagno nell’oceano?”
“Lo faremo!”
“Non vedo l’ora, non sopporto più di vivere a Mc Allen”
“Ancora qualche mese, e finalmente saremo liberi!”
“Insieme!”
“Insieme!”

Kaplas College, esame di fine anno, Mc Allen

“Lou, non mi sento bene”
“Neanche io Zay, ho una paura fottuta”
“No Lou, non c’entra l’esame, io non mi sento più le gambe”
“Siediti qui” Louis lo sorregge, aiutandolo a sedersi sulla scalinata dell’ingresso del college.
“Non capisco che cosa mi succede”
“Vado a chiamare aiuto, tu aspettami qui”
“Torni vero?”
“Certo, dammi solo un minuto”
“Lou?”
“Cosa?” chiede voltandosi, già a metà scalinata.
“Ti voglio bene”

Mc Allen Medical Centre

“Dovresti tornare al college e dare l’esame”
“Dovresti stare zitto e riposare”
“Dico davvero Lou, ormai ci sei, non fare cazzate”
“Io da qui senza di te non me ne vado”
“Sei veramente un idiota William”
“Sei veramente un idiota William” gli fa il verso Louis; adora quando lo chiama con il suo secondo nome, lo fa sempre quando sta per fargli una ramanzina.
“Non mi sembra il caso che tu butti al vento la possibilità di diplomarti solo perché io non posso dare l’esame. Vedrai che me lo faranno recuperare, ma tu non potrai, non sei in un letto d’ospedale, sarai solo l’idiota che non si è presentato”
“Ti ho detto che non me ne frega niente di quello stupido esame, se non ci sei anche tu io non lo faccio”
“Sei una testa di cazzo”

Mc Allen, da qualche parte, in qualche momento

“Dicono che non c’è niente da fare, il ciclo di chemio la rallenterebbe soltanto, non se ne andrà mai”
“Non è possibile, andremo a parlare con qualche altro medico”
“No Lou, non servirebbe a niente, è così che deve andare”
“Che cosa significa è così che deve andare Zayn!”
“Ti prego non ti arrabbiare, cerca di capire, io non ho voglia di spendere gli ultimi mesi che mi rimangono tra un’ospedale e l’altro alla ricerca di una cura che non c’è.
Voglio cercare di essere felice, voglio vivere quello che mi rimane in pace, al tuo fianco”
“Ma non puoi arrenderti! dobbiamo fare ancora un sacco di cose… dobbiamo andare a Los Angeles e fare il bagno nell’oceano!”
“Lo farai tu anche per me”
“No, lo faremo insieme, quando sarai guarito”
“Lou ti prego, ne abbiamo già parlato mille volte, cerca di capire”
“Sei un egoista”
“Cosa? E perché?”“Perché tu pensi soltanto a te stesso! Non ci pensi a chi resta? Non pensi a me che dovrò rimanere qui senza di te? Io non voglio vivere senza di te Zayn, non voglio neanche immaginare un mondo senza Zayn Malik, quindi tu guarirai, lo farai per me, per la nostra amicizia! Non puoi lasciarmi da solo! Ce lo siamo promesso, avevi giurato che sarebbe stato per sempre, adesso non puoi tirarti indietro solo perché non vuoi curarti!” quasi grida, la voce rotta, sull’orlo delle lacrime.
“Lou ti supplico, non ti arrabbiare, cerca di essere forte, l’affronteremo insieme” lo incoraggia Zayn, poggiando una mano su quella del suo compagno di vita.
“Non sono pronto Zay. Non sono pronto, io non voglio lasciarti andare via”

From Mc Allen to Los Angels

“Zaynie” Louis sussurra il suo nome, scuotendogli piano una spalla per svegliarlo.
“Lou che cosa ci fai qui?” sussurra a sua volta, sollevandosi debolmente sul materasso.
“Dobbiamo andare in un posto”
“Sono le due di notte”
“Lo so!”

Zayn dorme profondamente durante il viaggio in macchina, la mano stretta in quella di Louis che guida veloce.

“Zayn, svegliati siamo arrivati”
“Uhm” 
“Dai svegliati, non abbiamo molto tempo”
“Dove siamo?”
“Lo vedrai”

Il suono delle onde che si infrangono sulla riva in quella notte d’agosto sono la melodia più bella che Zayn abbia mai sentito.

“È freddissima!” esclama, muovendo braccia e gambe per rimanere a galla.
“Si è vero!” annuisce Louis, tremando appena.

Rimangono immersi nell’acqua scura dell’oceano assaporando quel profumo di libertà a lungo, ridendo come matti, dimenticandosi di tutto il resto.
Sono soltanto loro adesso, ed un sogno diventato realtà.

“Lou sono stanco”
“Va bene, andiamo” Louis lo sorregge mentre escono dall’acqua e di nuovo raggiungono l’auto, dove avvolge il corpo gracile di Zayn nel grande asciugamano che ha portato da casa, stringendolo forte a sé.

“È il regalo più bello che tu potessi farmi”
“Non avrei mai potuto lasciarti andare senza aver condiviso con te l’oceano”
“Grazie William”

Louis è sfinito quanto rientrano a Mc Allen, intrufolandosi nella camera di Zayn dalla finestra, per non farsi scoprire.

“Ti va di restare?” 
“Non credo che tua madre sarebbe d’accordo”
“Non mi importa, resta”.

Dormono stretti l’uno all’altro, nel piccolo letto della cameretta di Zayn, il sapore del sale sulla pelle.

“Sarai il mio angelo custode?” 
“Sì”
“Proteggimi sempre, finché non ti raggiungerò”
“Sempre”

Te ne sei andato quella notte, stretto tra le mie braccia.
Tutto quello che è avvenuto dopo non è altro che una sequenza di eventi disconnessi.
Fino al giorno in cui ho ucciso quell’uomo che mi ha portato via l’amore di mia madre, e la libertà.
Non avrei voluto che morisse, ma so che a te non devo spiegazioni.
Harry Styles mi ricorda l’oceano, il sapore dell’acqua salata sulle labbra, la distesa infinita della sabbia nel deserto.
Forse sto delirando.
Non so se sia notte o giorno la fuori, ma sono quasi sicuro che sia notte; probabilmente sta dormendo nel suo letto adesso.
Tu dormi Zay? Perché penso che forse dall’altra parte non si dorme mai.
Non vedo l’ora di vederti amico mio, sono pronto adesso, vieni a prendermi.
Sono così stanco. 
Così stanco.
Harry ha la voce profonda, quasi roca.
Dev’essere bellissima al mattino appena sveglio.
Mi sembra di sentirla persino adesso.
Ho freddo.
La sua voce è pura melodia, come le onde dell’oceano che s’infrangono sulla riva.


“Chiamate aiuto non respira!”


 

Without you I feel broke

Like I’m half of a whole

 

 

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Capitolo 8
*** CHAPTER 7- THINGS I CAN'T ***


Chapter 7 - THINGS I CANT  

 

        Without you I feel broke

      Like I’m half of a whole 

                                   

 

“Se avessi avuto un gessetto forse avrei messo almeno cinque o sei stanghette dall’ultima volta che Harry è venuto a trovarmi”.

 

 

      | 

 

 

“Mi dispiace Harry, che tu sia destinato a perdere quello che hai sempre cercato non appena l’hai trovato. Tutto questo ti distruggerà, e Dio solo sa quanto vorrei che non accadesse”

 

Dopo l’incontro con Patrick la sensazione di nervoso sembra non volerlo lasciare in pace.
Le sua mente continua a riproporgli quelle parole, costantemente, nonostante cerchi di distarsi da più di un’ora ormai, percorrendo a grandi passi il tragitto fino alla stazione della metropolitana, diretto nel suo piccolo monolocale in periferia.
Cerca di prepararsi mentalmente il discorso che avrebbe dovuto esporre il giorno seguente alla Corte Suprema, ma ogni parola sembra sbagliata, ogni frase di poco effetto, e questo non poteva permetterselo.
Sa bene che una buona dialettica ed un’ottima esposizione sono fondamentali per un avvocato, specialmente per la richiesta che si ritrovava a dover fare l’indomani, ma tutto quello che riusciva a pensare era quanto di più simile a: vi prego salvatelo, i suoi occhi sono quelli che ho sempre cercato, vi supplico.
Poco più tardi, disteso sul letto cigolante della sua camera spoglia, conta i soldi che avrebbe dovuto utilizzare per pagare l’affitto quella settimana, quando lo schermo dell’I-phone sul comodino si illumina ripetutamente, mostrando la foto di sua madre e suo padre e dei loro grandi sorrisi.

“Ciao mamma!” saluta, premendo il piccolo pulsante sull’auricolare bluetooth che tiene all’orecchio.
“Ciao tesoro, che stai facendo?” la voce stanca di sua madre lo raggiunge dall’altro capo della linea.
“Niente, stavo per dormire” mente, tenendo la mazzetta sollevata sopra la sua testa poggiata contro il cuscino.
“Sei stanco?”
“Un po' sì, e tu?”
“Anche io sono stanca, sì. Tuo padre sta già dormendo, ma ti saluta”
“Salutalo, avete lavorato molto in questi giorni alla trattoria?”
“Abbastanza, come al solito, niente di speciale” dice, lasciandosi sfuggire un sospiro.
“E tu tesoro? come procede il lavoro? Se non ricordo male avrai l’udienza tra qualche giorno?”
“Tra sei giorni esatti”
“Sei preoccupato” 
“Questa non è una domanda”
“Che cosa c’è che non va Harold?”
“Tutto mamma, questo caso non ha una via d’uscita. Continuo a pensare, a ipotizzare, a cercare prove che non esistono, ma credo di essere giunto alla conclusione di dovermi rassegnare”
“Sei sicuro di aver pensato a tutto?”
“Sì, un milione di volte. Non c’è una minima possibilità che io vinca questa causa”
“Capisco. Immagino sia frustrante doversi arrendere”
“Lo è”
“Sapevi che sarebbe potuto accade tesoro, ci saranno altri casi, altre possibilità”

Non ci saranno altri Louis William Tomlinson.

“Si mamma, lo so. Ma questo caso è importante per me, vorrei con tutto il mio cuore riuscire a vincere”
“Quanti anni dovrà restare in prigione il tuo assistito, o come diamine si dice?”
“Assistito va bene, ma puoi chiamarlo Louis. Non starà in prigione mamm. Lui… verrà ucciso tramite iniezione letale”
“Harold, tesoro, mi dispiace”
“Lo so mamma, dispiace anche a me”

 

      ||

 

 

La Board for Pardons and Paroles, la commissione che esamina le richieste di grazia, è composta per lo più da uomini sulla cinquantina dalle facce serie e le labbra tirate.
Harry cerca di mantenere un’aria professionale, mentre in piedi, di fronte a quindici paia d’occhi attenti, espone il suo discorso.

“Infine mi sembra doveroso aggiungere che Tomlinson ha agito per legittima difesa, salvando sua madre da quella che sarebbe stata la sua morte, causata dalla furia di Jake Harper. Ed io credo, signori, che chiunque di voi avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare la vita della propria madre”

Quando pronuncia quell’ultima frase il suo cuore batte all’impazzata; sa bene quanto stia rischiando, alludere all’esperienza personale dei membri della Corte Suprema non rientra di certo nella norma di una corretta esposizione. Ma difronte a quei volti impassibili, cerca di fare breccia nei loro cuori, perché Harry sa che ognuno di loro infondo ha dei sentimenti; ben nascosti certo, ma pur sempre dei sentimenti.
Un lungo silenzio segue le sue ultime parole, mentre in piedi, con le mani unite dietro la schiena mantiene lo sguardo fiero dritto di fronte a sé.

“Quali sono le sue richieste avvocato? Ci pare di capire che ci abbia convocato qui oggi per un motivo ben preciso, oltre che esporci l’intero caso. In maniera egregia, aggiungerei” dice con un forte accento americano un uomo dagli occhi azzurri, che ad Harry pare di aver già visto.

“La mia richiesta è quella che a Louis William Tomlinson venga accordata la grazia” dice, mentre con lo sguardo fiero osserva la fronte dell’uomo, che poco prima ha parlato, corrugassi appena.
Un leggero brusio si diffonde nell’aula quando i membri della Corte si riuniscono per discutere brevemente della questione, sotto lo sguardo ansioso di Harry, che fa di tutto per mostrasi sicuro di sé.
Qualche istante dopo l’uomo dagli occhi familiari torna a parlare.

“Abbiamo preso atto della sua richiesta avvocato Styles, la convocheremo non appena avremmo preso una decisione”

 

 

   |||

 

La città degli angeli, ecco come la chiamano.
La città degli angeli dove le persone vengono uccise.
La città degli angeli dove il più bello di quegli stessi angeli verrà ucciso.
La città degli angeli dove Louis e Zayn avevano desiderato vivere da sempre.
La città degli angeli dove l’oceano bagna la riva con onde leggere.
La città degli angeli che Louis non vedrà mai, che Zayn non ha mai visto.
La città degli angeli che Harry ama e odia, mentre passeggia sul bagnasciuga, i jeans scuri arrotolati fin sotto le ginocchia ed i piedi nudi accarezzati dall’acqua gelida, mentre stringe le converse nella mano sinistra; con l’altra, porta la sigaretta alla bocca inspirando una lunga boccata.
L’incontro con la Corte Suprema del giorno precedente continua a ripresentarsi nella sua mente, accompagnato da un paio di occhi azzurri appartenenti a quell’uomo nascosto nella tunica nera.
Continua a sentire quella sensazione di familiarità, come se lui, quel paio d’occhi azzurri, li avesse già visti, nonostante non riesca a ricordare dove.
Uno brivido lo percorre quando un’onda più potente delle altre raggiunge i suoi polpacci scoperti, bagnando l’orlo dei pantaloni.
Sono passati tre giorni dall’ultima volta che ha visto Louis.
Tre giorni da quando l’ha trovato raggomitolato su se stesso nella semioscurità di quella cella minuscola, con indosso la solita tuta di quell’arancione acceso, un colore fin troppo allegro, pensa, scuotendo istintivamente il capo in segno di diniego.
Il tempo per Louis deve scorrere incredibilmente lento, pensa, allontanandosi dalla riva e stendendo la giacca sulla sabbia, prima di sedercisi sopra, raccogliendo le gambe con le braccia.
Ogni singolo minuto dev’essere lungo come dieci nella vita reale, ipotizza, o forse di più.
Non riesce a trattenere un brivido a quel pensiero, ed ancora una volta lo vede, steso su quel pavimento sudicio, svuotato di tutti i sentimenti, in attesa.

“Fanculo!” esclama, lasciando un sasso verso la riva.
“Ehi ragazzo!” 
Ho solo lanciato un sasso per la miseria, volete condannarmi a morte adesso?
Avvocato Styles” dice una voce maschile, più vicina adesso.

Quando Harry si volta i suoi occhi sono carichi di rabbia, ma le sue labbra si distendono appena in un sorriso di circostanza; la sua educazione aveva sempre la meglio alla fine.

“Salve” saluta educato, facendo leva su una mano per alzarsi.
“Non si scomodi la prego” dice l’uomo gentile, ed Harry semplicemente si lascia cadere di nuovo sulla sabbia fredda, osservando ancora una volta quel paio d’occhi azzurri.

L’uomo prende posto al suo fianco, sfregando poi le mani per liberarsi dalla sabbia umida.

“Mi dispiace averla disturbata”
“Non mi ha disturbato, stavo qui a far niente in realtà” ammette sincero, cercando di allontanare l’immagine di un Louis indifeso e solo sepolto sotto tonnellate di cemento.
“Bene, tanto meglio allora. L’ho vista da lontano ed ho pensato di raggiungerla per… per parlare di una questione importante”
“A quale proposito?” chiede, cercando di ricordare dove ha già visto quel paio d’occhi che adesso lo stanno osservando irrequieti.
“A proposito della sua richiesta, quella de-“
“So qual è la mia richiesta” taglia corto Harry, non riuscendo a trattenere la nota acida nella sua voce. “Mi dispiace, sono solo un po’ nervoso, la prego, continui”
“È normale che tu sia nervoso. Posso darti del tu?”
“Può?”
“Immagino di sì”
“Allora sì, può darmi del tu”
“Bene, quindi Harry, quello di cui volevo parlarti ovviamente ha a che fare con la tua richiesta riguardo la grazia per il tuo assistito. La Corte Suprema si riunirà di nuovo domani mattina, e prenderemo una decisione, decisione che io, sono in grado di gestire a mio piacimento, dato il mio grado di anzianità all’interno della commissione. Detto questo, devo chiederti di mantenere la più assoluta riservatezza riguardo la nostra conversazione, sei d’accordo?”

Ovvio che sono d’accordo idiota. Adesso dimmi che cosa vuoi da me.

Certo, può contare sul mio silenzio signor…”
“Horan, Bobby Horan” si presenta, tendendo una mano che Harry stringe con vigore.
“Piacere signor Horan”.

“Quello è Horan” 
“Ha anche un nome?”
“Niall, Niall James Horan” 

 

Mentre stringe la sua mano finalmente Harry capisce dove ha visto quegli occhi azzurri.
Ricorda quel ragazzo di cui Liam gli ha parlato, con i capelli biondi e la pelle abbronzata, sempre intento a leggere il suo libro.
Si morde la lingua, prima che i suoi pensieri fluiscano in parole dalla sua bocca.

“Piacere mio Harry”
“Di cosa voleva parlarmi quindi? Immagino che si aspetti qualcosa da me, dopo questa conversazione che non è mai esistita” 
“Sei sveglio ragazzo, mi piaci”
“Devo esserlo per forza se voglio sopravvivere in questo mondo di squali” dice tagliente.
“Già. Quando sarà la tua prossima visita al Jail?”
“Non lo so in realtà” ammette sincero, ed ancora una volta il volto pallido di Louis occupa la sua mente.
“Mancano tre giorni all’udienza, ed io non ho…”

Non ho i soldi che mi servono per andare a trovarlo.

“…non ho ancora deciso. Perché me lo chiedi?”
“Perché ho bisogno di un favore da te, quando tornerai al Jail”
“Che tipo di favore?”

L’uomo prende un profondo respiro, quando i suoi occhi si perdono per un istante nella vastità dell’oceano, prima di tornare a posarli in quelli, adesso attenti, di Harry.

“Un favore personale, molto personale. Ecco c’è un ragazzo, un prigioniero, nella sezione D, al quale dovresti consegnare una cosa per me”
“Questo non è possibile”
“Lo è, ascoltami. Conosci qualcuna delle guardie?”
“No, non per davvero almeno. C’è una guardia però, che mi… mi aiuta, a vedere Louis”
“Che tipo di aiuto?”
“Credo che sappia di che tipo di aiuto sto parlando”
“Bene, e pensi che potrebbe aiutarti a farmi questo favore se tu, aiutassi lui, molto, molto generosamente?”
“Credo che lo farebbe, si”
“Bene” afferma, strofinando le mani sui pantaloni eleganti, come se avesse appena superato la prova più difficile di quella conversazione.
“Quello che devi fare, è consegnare a questo ragazzo, Niall, un libro”
“Un libro?”
“Sì”
“Uhm”
“Cosa?”
“Mi sembra una richiesta piuttosto strana; Io dovrei rischiare di perdere la mia nomina di avvocato, e compromettere anche il ruolo di una guardia, per consegnare un semplice libro?”
“Sì, esattamente. Ed io in cambio farò qualcosa per te” 

Harry rimane in silenzio per qualche istante, soppesando le informazioni ricevute negli ultimi minuti.
Di certo Liam l’avrebbe aiutato, in cambio di una lauta ricompensa, non sarebbe stata la prima volta. Inoltre il sorriso appena accennato comparso sul suo volto quando gli aveva parlato del ragazzo biondo gli pareva un segnale positivo.
Per non parlare del fatto che, se la ricompensa per Liam fosse stata davvero molto generosa, forse gli avrebbe perfino concesso una visita a Louis.
E questo più di tutti era un motivo sufficiente per spingerlo ad accettare.

Davvero Harry? Sul serio vuoi passare dalla parte oscura? Vuoi trasformarti in uno dei parassiti che uccide l’intero sistema giudiziario?

Qual è la ricompensa?”
“Come ti ho già detto io sono molto influente, molto. Domani, quando ci riuniremo posso convincere la maggioranza della Corte Suprema a votare sì, ottenendo la grazia”
“Mi dia quel libro”

 

 

   ||||

 

Harry si ritrova ancora una volta ad oltrepassare l’imponente scritta sopra al cancello all’ingresso del Jail, seguendo la guardia che lo scorta attraverso il cortile fin dentro il carcere, dove mostra per l’ennesima volta i suoi documenti.
Percorre velocemente il corridoio con i murales, ed ancora l’altro corridoio delimitato dalle sbarre scolorite, senza prestare attenzione alle solite parole poco gentili con cui ogni volta viene accolto.
Quel posto gli fa venire la nausea, non si sarebbe abituato mai.
Quando raggiunge la stanza degli interrogatori si mette in fila con gli altri avvocati, cercando Liam con lo sguardo e stringendo nervosamente la valigetta più pesante del solito finché, per la sua sanità mentale, lo individua.
Mantenendo un’aria quanto più possibile indifferente e seria, raggiunge Liam, intento a compilare alcuni fogli, seduto ad una scrivania improvvisata.

“Ciao Liam” dice, chinandosi leggermente per ottenere la sua attenzione.
“Harry”
“Ho bisogno di parlarti”
“Non posso scortarti da Louis come al solito adesso”
“Non si tratta di Louis”

Liam finisce di compilare le ultime scartoffie prima di alzarsi ed incamminarsi verso un lungo corridoio, facendo cenno ad Harry di seguirlo.

“Di che si tratta se non di Louis?” chiede, mantenendo il tono della voce basso.
“Ho un lavoro per te” 
“Un lavoro?” chiede, senza preoccuparsi di nascondere la nota sarcastica nella sua voce.
“Sì. Si tratta di Niall Horan, devi consegnarli un libro”

Liam lo osserva per qualche secondo, posando poi lo sguardo sulla valigetta.

“Che cos’hai li dentro?”
“Il libro, e la tua ricompensa”
“Chi lo manda questo libro?”
“Il padre”
“Figlio di puttana” sibila, voltando la testa di lato, finendo ad osservare il muro bianco per un tempo spropositato.
“Liam…” Harry cerca di richiamare la sua attenzione, apparentemente su un altro pianeta.
“Sì, va bene”
“Non vuoi sapere niente riguardo la ricompensa?”
“Non li voglio i soldi di quel bastardo”
“Oh. Bene, ok, allora, puoi prenderli almeno per farmi vedere Louis?”
“No, dammi quel dannato libro” dice secco, indicando con un cenno del capo la valigetta ancora stretta tra le mani di Harry, che si guarda intorno incerto.
“Qui?”
“Sì qui, non preoccuparti”

Harry tira fuori la copia di Into the wild e la consegna a Liam che, con un rapido gesto, la nasconde nel doppiopetto della divisa.

“Cosa ti ha promesso in cambio Harry?”
“Louis, ha promesso che avrebbe ottenuto la grazia”
“E tu gli hai creduto?”
“Sì, io…  è la mia unica speranza” sussurra, abbassando il capo sconsolato.
“Non fidarti di quell’uomo, tu non sai di cosa è capace”
“Perché hai accettato di fargli questo favore allora?”
“Non lo sto facendo a lui il favore, lo faccio a Niall” dice secco, guadagnandosi una richiesta silenziosa da parte di Harry, che lo osserva con le sopracciglia aggrottate.
“Niall ha bisogno di questo libro, di qualsiasi libro in realtà, è tutto ciò che gli resta, il suo unico modo di sopravvivere a quest’inferno”
“Capisco. Sembra che tu tenga molto a lui”
“Adesso devi andare” taglia corto, prendendo a camminare, diretto alla stanza degli interrogatori.
“Puoi parlare con me Liam”
“Cos’è che vuoi sapere Harry?”
“Niente, io dico solo che se tu avessi bisogno di parlare con qualcuno, puoi farlo con me”
“Non ho niente da dire, ma grazie”
“Se cambiassi idea, sai dove trovarmi”

Liam annuisce con il capo prima di riprendere a camminare, ma ancora una volta viene interrotto.

“Ho messo un foglio dentro al libro, per Louis. Puoi farglielo avere?”
“Ci proverò”
“Grazie Liam, io so che non vuoi questi soldi, ed io non ne ho da dartene, ma ti prego, fai in modo che abbia quella lettera, non voglio che pensi che l’ho abbandonato”

Liam annuisce ancora una volta, e la linea dritta delle sua labbra carnose si inclina appena questa volta, in una sorta di sorriso.

 

 

   |||||

 

La mattina seguente Harry si sveglia con un terribile mal di testa.
I suoi sogni sono stati quasi interamente dedicati a Louis, con i polsi e le caviglie legati ad un letto spoglio in una stanza sterile, degli aghi attaccati ad entrambe le braccia, lo sguardo spento, e nonostante continuasse a gridare il suo nome oltre il vetro spesso Louis non riusciva a sentirlo.
Si alza dalla brandina che cigola sonoramente e raggiunge la cucina dove cerca qualcosa di fresco da bere.
Controlla la mail ed i messaggi in segreteria per impegnare il tempo, rassegnato ad una notte insonne, col finire ad uscire per strada, diretto allo Starbucks più vicino.
Nonostante la California sia uno stato con temperature sempre elevate, a quell’ora del mattino l’aria è pungente, ancora umida per la notte appena finita.
Con i capelli raccolti in un codino ed un cappello di cotone in testa raggiunge la fermata della metropolitana, gli occhi rigorosamente nascosti dietro i Rayban scuri, in tinta con la tuta nera e le scarpe, anche quelle nere. Tanto per rimanere in tema con il suo umore.
Quando raggiunge lo Starbucks il cielo si è rischiarato notevolmente, ed il sole splende alto, riscaldando la città che lentamente prende a vivere.
Un paio di caffè giganti più tardi si ritrova a passeggiare per le vie del centro senza sapere bene dove andare, il pensiero costantemente fisso a Louis, e alla lettera che Liam a questo punto avrebbe dovuto avergli consegnato.
Non lo vedeva da ormai cinque giorni, e gli mancava.
Non aveva perso troppo tempo a chiedersi come fosse possibile che gli mancasse una persona che in fin dei conti aveva visto soltanto tre volte per qualche minuto, ma quella mattina la consapevolezza dei suoi sentimenti per Louis sembrava schiacciarlo, manifestandosi come un peso sul petto.
Un peso che non poteva più ignorare.
Con la mente lucida, in maniera razionale, nonostante si sforzasse di analizzare ogni loro incontro, non riusciva davvero a capire che cosa l’avesse travolto a quel modo. Perché era quella la parola giusta, Louis William Tomlinson l’aveva travolto con l’orizzonte che portava negli occhi, con le sue labbra sottili e la linea dura dei suoi lineamenti.
Aveva fatto sì che compiesse azioni che lui stesso giudicava sbagliate, quelle stesse azioni che aveva deciso di combattere.
Era forse colpa sua? L’aveva forse reso una persona peggiore?
Eppure Louis non gli aveva mai chiesto niente.
Non era stato lui a chiedergli di corrompere con del denaro una guardia per ottenere una sua visita, né lo aveva costretto ad accettare del denaro sporco in cambio della grazia.
Niente di tutto questo era opera di Louis, ma soltanto sua.

Cosa mi è successo? Quando sono diventato una di quelle persone che ho sempre disprezzato?

Perso nei suoi pensieri quasi sobbalza, quando la suoneria del suo I-phone lo riporta alla realtà.
Numero sconosciuto.

“Avvocato Styles”
“Harry”
“Liam, ciao”
“Non ho potuto farti quel favore, mi dispiace”
Che cazzo significa?
“È successo qualcosa a Louis?”
“Incontriamoci tra mezz’ora da Nando’s sulla 24th, non posso parlare adesso”
“Va bene”.


Mezz’ora più tardi sono entrambi seduti di fronte ad una tazza di the caldo, in uno dei tavoli più appartati.

“Cosa significa che non c’era?”
“Esattamente quello che ho detto, quando sono andato a portargli il vassoio con la cena, come tutte le sere, la cella era vuot-”
“E non sai dove l’hanno portato? Insomma è un fottuto carcere di massima sicurezza, non è che uno può prendere ed andare a farsi un giro!”
“Finito?”
“Sì, scusa. Vai avanti”
“Quando ho scoperto che non era nella sua cella, ovviamente ho cercato di scoprire dove fosse, e alla fine l’ho trovato, ma non ho potuto vederlo”
“E?”
“E aveva dei segni intorno al collo, lasciati dalle stringe delle scarpe che aveva utilizzando per cercare di impiccarsi”

Impiccarsi.

Harry non sa di preciso quando abbia perso la capacità di controllare le proprie emozioni, era sempre stato piuttosto bravo, prima.
Prima che Louis lo travolgesse.
Quelle lacrime che adesso rigano il suo volto ne sono la prova eclatante.
Louis aveva cercato di uccidersi, si era arreso.

“Crede che io l’abbia abbandonato” sussurra più a se stesso che a Liam, che lo osserva preoccupato.
“Tu, stai piangendo Harry?”
“Io credo di sì” conferma, asciugandosi l’ennesima lacrima che gli riga il volto, e brucia la sua pelle, brucia come la sconfitta.

Liam lo osserva in silenzio, e lascia scivolare la lettera sul tavolo, spingendola con la mano verso Harry, che lo osserva senza capire.

“Questa glie la darai tu va bene?”
“Io? E come potrei? Non ho modo di vederlo”
“Lo vedrai invece”
“Non ho soldi per pagarti, e tu non vuoi quelli di Horan, quindi non so proprio come potrebbe accadere”
“Non voglio i tuoi soldi Harry, vieni al Jail questa sera e ti accompagnerò da lui va bene?”
“Grazie Liam”
“Non lo faccio per te, lo faccio per Louis, mi ha chiesto di far in modo che tu non andassi più a trovarlo, ma credo che dopo gli ultimi avvenimenti lui abbia bisogno di te per sopravvivere a tutta questa merda”


 

La sua voce è pura melodia, come le onde dell’oceano che s’infrangono sulla riva.

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Capitolo 9
*** Chapter 8- THE WAY YOU TALK ***


Chapter 8 - THE WAY YOU TALK

 

I fari notturni illuminano il cortile con fasci di luce che sembrano danzare nel buio della notte appena iniziata, insieme al turno di guardia di Liam, che con aria pensierosa aspira l’ultimo tiro della sigaretta prima di gettarla a terra e spegnerla con il tacco degli stivali.
Quando Harry lo raggiunge, dopo aver mostrato il pass alla guardia all’ingresso, il suo sguardo è preoccupato.
Harry non gli è mai sembrato così stanco.

“Andiamo” gli dice, con un accenno di sorriso che non raggiunge gli occhi, ed Harry senza dire una parola lo segue, stringendo più forte nella mano la lettera che ha scritto per Louis.

L’infermeria si trova al piano terra, vicino ai servizi ed alla caffetteria deserta a quest’ora della notte, fatta eccezione per un paio di guardie intente a chiacchierare fitto sorseggiando quello che ad Harry pare del cappuccino.
La stanza dove si trova Louis è piccola e poco illuminata, adiacente allo studio medico dal quale è separata con una vetrata.
Un piccolo interfono permette al paziente di comunicare con il dottore tramite il vetro; esattamente come nella sala degli interrogatori, ed Harry non può fare a meno di ricordare il momento esatto in cui Louis, nella sua tuta arancione, camminò verso di lui, per poi sedersi spavaldo sulla seggiola al di là del vetro, puntando gli occhi seri nei suoi. Non può non ricordare il brivido che percorse il suo corpo in quell’istante esatto come se, anche attraverso quel maledetto vetro, Louis fosse stato in grado di penetrarlo, non soffermandosi alla sua parte esteriore, ma andando molto più in profondità, senza chiedere il permesso, senza che Harry avesse la possibilità di reagire, di interrompere quel contatto che avevano stabilito, lo stesso contatto che Louis aveva spezzato con un solo battito delle ciglia lunghe, poggiando la schiena contro la sedia e scuotendo il capo per spostare il ciuffo troppo lungo dalla fronte, senza utilizzare le mani, strette in un paio di manette.
Harry non potrebbe dimenticare l’orizzonte, neanche se volesse.

“… e queste sono le telecamere che inquadrano la porta sul retro”
“Cosa?”
“Non mi stavi ascoltando”
“No, scusami, le telecamere, ho capito”
“Hai capito?”
“Sì, quelle sul lato destro inquadrano la porta principale mentre quelle lì” dice, indicando un paio di telecamere sopra le loro teste “inquadrano la porta sul retro. Ho capito”
“Bene. Io sarò al monitor, quindi puoi stare tranquillo, ma cerca di fare in fretta, e tieni il telefono vicino, ti chiamerò se dovessero esserci imprevisti”
“Non sei tenuto a farlo Liam”
“Sì invece, è la mia seconda occasione, dopo Niall. Solo stà attento, parla con Louis e trova il modo di vincere questa causa, va bene?”
“Va bene” e “Grazie Liam” aggiunge, prima di aprire la porta con le chiavi che gli ha lasciato.

Louis dorme sdraiato su un fianco nel piccolo lettino, quasi scompare sotto il lenzuolo leggero.
Le sue mani sono libere dalle manette, unite come in preghiera sotto la sua guancia.
Un angelo all’inferno.

“Louis” sussurra, poggiando delicatamente una mano sulla sua spalla, sperando di non spaventarlo.
Un istante dopo la mano destra di Louis è stretta attorno al suo collo, i suoi occhi completamente svegli e vigili, come se fosse sveglio da ore.
“Harry!” esclama sorpreso quando lo riconosce, mollando la presa di riflesso.
“Scusa, riflesso incondizionato” 
“Uhm” mugola, massaggiandosi il collo, dove una attimo primo la mano di Louis l’aveva stretto fino a fargli mancare l’aria.
“Non puoi stare qui, come hai fatto ad entrare?”
“Non è un tuo problema, non preoccuparti di questo. Dimmi piuttosto come stai?”
“Una meraviglia” il sarcasmo nella sua voce è palese quando si lascia cadere sul materasso, portando le mani dietro la testa, gli occhi curiosi che scrutano il volto preoccupato di Harry.
Harry il suo avvocato.
Harry che non dovrebbe essere lì, lo stesso Harry che lui non voleva mai più vedere, e che allo stesso tempo è incredibilmente felice di vedere.

“Stai sorridendo?” chiede, ammaliato dalle rughette che per un istante sono comparse intorno ai suoi occhi.
“Che cos’hai lì?” chiede in risposta Louis, indicando con un cenno del capo la lettera che Harry continua a tenere stretta nella mano, seduto al bordo del letto.
“Una lettera”
“Non devi consegnarla a me, la tua lettera di dimissioni” dice tagliente, lasciando vagare il suo guardo sul suo volto, soffermandosi sulle sue labbra carnose.
“Non è una lettera di dimissioni” 
“E che cos’è allora?”
“Sei curioso!”
“Hai le fossette”
“Cosa?” chiede, senza smettere di sorridere senza un preciso motivo.
Perché essere entrato di soppiatto nell’infermeria di un carcere di massima sicurezza nel cuore della notte, andando contro tutti quelli che sono i suoi principi, non è sicuramente una cosa per cui ridere. Eppure Harry ne ha voglia, una voglia terribile di ridere mentre osserva l’orizzonte. Il suo personale e bellissimo orizzonte.
“Tu hai le fossette, quando ridi si vedono benissimo” 
“Oh quelle, sì lo so”
“Mi piacciono. Ridi ancora”
“Non posso ridere a comando Louis”
“Per favore”
“Tu dimmi che cosa ti è passato per la testa quando hai pensato che ucciderti fosse la soluzione migliore a tutto questo, e poi vedrò cosa posso fare per te e le mie fossette”

Louis osserva il soffitto a lungo, sospirando forte, le mani ancora dietro la testa, sopra il cuscino apparentemente scomodo.

“Sono stanco Harry” dice alla fine, senza smettere di fissare il soffitto.
“Non ho più la forza di lottare, né di sperare. Voglio solo che tutto questo finisca, voglio addormentarmi e non svegliarmi mai più. Voglio raggiungere Zayn, lassù, e godermi la pace, il sole sulla pelle, il sapore della spensieratezza. Mi manca la spensieratezza. Io sono sempre stato un ragazzo gioioso sai Harry?” chiede, senza aspettarsi davvero una risposta, mentre si solleva sui gomiti, poggiando la schiena contro l’inferriata del letto, così da aver il volto alla stessa altezza di quello di Harry che, sul bordo del letto, si sistema meglio, intento ad ascoltarlo parlare, attento al suo modo di incurvare gli angoli della bocca, di muovere le mani, di spostare il ciuffo dalla fronte continuamente.

“Avevo tanti progetti, tante aspettative. Avevo tanti sogni per i quali lottare, nei quali credere. E poi tutto si è spento. Ad un tratto il mio migliore amico non c’era più ed io ero un assassino. Molte volte ho sentito dire che tutto quello che ci capita è frutto di quello che noi stessi, in qualche modo che non comprendo, attiriamo. Come la forza di gravità. Ed io non so perché mai avrei dovuto attirare tutto questo male Harry. Non so per quale motivo abbia dovuto perdere Zayn e mia madre.
Certo lei è ancora viva, ma non per me. Mi odia, ma io non odio lei, non più.
Se davvero tutta questa sofferenza sono stato io a sceglierla, credevo di avere anche il diritto di decidere come e quando concludere la mia esperienza su questa terra, ma a quanto pare non mi è concesso neanche di morire come vorrei” 

Harry lo osserva spostarsi  il ciuffo per l’ennesima volta, osserva la sua barba incolta e le sue labbra inumidite dalla lingua che vi ha appena passato sopra, mordicchiandosi poi il labbro superiore.
Il suo sguardo è puntato sul crocefisso appeso al collo di Harry, ma la sua mente è altrove, così come quella di Harry, che ancora una volta torna a pensare a suo nonno, ed alle sue parole che da sempre sono una sorta di guida per lui.

“Non so se davvero noi abbiamo la possibilità di scegliere il verificarsi di ogni evento che accade nella nostra vita, ma so per certo che possiamo rendere reale un pensiero, possiamo conquistare un desiderio, dobbiamo solo crederci fermamente, senza riserve, senza dubitarne mai.
Una persona che non c’è più e che amo follemente mi ha insegnato che quando la vita ci concede un dono, qualunque siano le circostanze, noi dobbiamo coglierlo, ringraziare e amare. Ho sempre creduto che una volta diventato avvocato avrei condotto il mio lavoro egregiamente, mantenendo alti i miei principi, tutti quei valori che mi hanno sempre accompagnato nella vita.
E guardami adesso! un uomo corrotto, un avvocato che ha infranto almeno cinque o sei leggi del codice penale, lo stesso uomo che ha giurato di essere corretto sempre.
Mi sento a pezzi per questo, come spaccato a metà. Da una parte ci sei tu, dall’altra c’è tutto quello che ero, ed io, io mi trovo esattamente a metà.
Non so cosa ci sia in te Louis, non riesco a capirlo e forse non lo capirò mai, ma non mi importa di essere me stesso se tu non sarai con me. Non mi importa niente di tutto quello che ho sempre voluto perché quello che voglio adesso sei tu, fuori di qui. E non intendo che fuori di qui dobbiamo andarci insieme, voglio dire che voglio che tu sia libero, libero di sentire il calore del sole sulla pelle ed il suono delle onde dell’oceano. Voglio che tu sia libero di sorridere e di tornare ad amare. Voglio che tu abbia tutto quello che sognavi e che ti è stato portato via.
E solo Dio sa quanto io ci stia provando, dal primo instante in cui ho letto il tuo nome su quella scheda anagrafica.
Non eri altro che inchiostro nero su una pagina bianca, eppure lo sapevo, sapevo che non era un caso. Sono qui per te Louis, sono qui e non me ne andrò, noi ce la faremo, fidati di me”.

Louis non si preoccupa di asciugare quell’unica lacrima solitaria che lentamente riga il suo volto, cadendo in basso, attirata da quella forza che tutto comanda, andando a finire sul dorso della mano di Harry, poggiata sul materasso al suo fianco.
Entrambi la osservano disperdersi sulla pelle candida della sua mano, sorridendo appena, di nuovo in contatto, come due calamite, due poli opposti che inevitabilmente finiranno per scontrasi sempre, in qualunque circostanza, in qualunque momento, in ogni modo.
Louis avrebbe sempre trovato Harry, così come Harry troverà sempre Louis, in un’equazione perfetta.

Il telefono di Harry prende a squillare quando con il naso sfiora il suo, ispirando la stessa aria che ha appena lasciato andare Louis, e viceversa, connessi in un cerchio chiuso, un infinito fatto di promesse silenziose, di per sempre che fanno bene al cuore.

“Harry devi uscire di lì adesso, non abbiamo più tempo”  il tono autoritario di Liam non ammette repliche.
“Devo andare” dice, allontanando il volto da quello di Louis che, come riscosso dal torpore, sbatte ripetutamente le sopracciglia.
“Sì, certo, vai”
“Non fare stupidaggini ti prego, ci vediamo domani in tribunale”
“Nessuna stupidaggine. A domani”

Harry posa le labbra sulla sua fronte per un lungo istante, inspirando a pieni polmoni il suo profumo.

 

 

Quando supera la stanza degli interrogatori e percorre il corridoio costeggiato dalle celle dove i detenuti stanno dormendo, la sua attenzione viene attirata da una copia di Into The Wild abbandonata su un tavolo al centro di una delle celle.
Rallenta appena il passo per riuscire a vedere il ragazzo biondo dormire nella sua brandina.
Niall Horan aveva ricevuto il suo libro,  ed Harry aveva probabilmente trovato un amico in Liam.
Louis, nella sua stanza, aveva invece trovato una lettera, a tratti scolorita, come se dell’acqua fosse caduta sulla calligrafia elegante imprigionata nell’inchiostro nero.
Lacrime.
Lacrime di Harry per Louis.
Le stesse lacrime di Louis per Harry che si aggiungono alle altre, bagnando ancora una volta quel foglio che Louis avrebbe custodito sempre, insieme al ricordo di un paio di fossette e di occhi verdi.

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Capitolo 10
*** Chapter 9- THE WAY YOU WALK ***


Chapter 9 - THE WAY YOU WALK

 

Quel giorno Harry Edward Styles, avvocato, avrebbe affrontato la sua prima udienza come unico avvocato difensore per un crimine commesso un anno prima dal suo assistito, Louis William Tomlinson, un crimine identificato come omicidio colposo. 
Quel giorno, più semplicemente, Harry avrebbe tentato disperatamente di cambiare le sorti di Louis.

“Ho capito Patrick, non preoccuparti, adesso devo andare, sta per iniziare”
“In bocca al lupo figliolo”

Harry chiude la telefonata e spegne il telefono, prima di riporlo nella valigetta dove sono contenuti tutti i documenti necessari per l’udienza.
Il cielo sopra Los Angeles quel giorno è cosparso da nuvole cariche di pioggia trascinate allo sbaraglio dal vento che soffia leggero sotto lo sguardo agguerrito di Harry che le osserva serio.
Pare che il tempo non sappia decidersi, in bilico tra la pioggia o il sole, così come l’umore di Harry, così come il destino di Louis.
Con un grande sospiro varca la soglia del tribunale, dove un grande scritta sovrasta tutto il resto: LAW IS EQUAL FOR ALL.
Harry sbuffa, chiaramente contrariato, il suo pensiero al riguardo completamente opposto rispetto a mese precedente.
In soli trenta giorni il suo modo di vedere la legge e tutto ciò che la riguarda è radicalmente cambiato, e forse anche lui stesso non è più la stessa persona, non del tutto per lo meno.
Con passo deciso attraversa la sala, stretto nel suo abito elegante, allentando appena il nodo alla cravatta mentre raggiunge la sua postazione, sistemando tutti i suoi appunti sul tavolo, vicino ad una lampada verde dalle rifiniture dorate.
Si volta una sola volta verso il lato opposto della sala, dove Johannah e Grimshaw, il suo avvocato, stanno parlando a bassa voce, seduti sulla panca di legno, in una postazione identica a quella di Harry che si volta ansioso quando sente il portone in fondo alla sala aprirsi, e Louis fa il suo ingresso.
Le sue mani ammanettate sono abbandonate sul suo ventre, mentre due guardie lo scortano fin da Harry.
Trascina i piedi stancamente, lo sguardo fisso a terra, attento a non incrociare quello di nessun altro dei presenti, ed Harry riesce a sentire la sua paura, quasi come se ogni passo nella sua direzione gli costasse una fatica immensa.
Quando finalmente lo raggiunge Harry vorrebbe abbracciarlo, ma sa quanto questa idea malsana gli costerebbe, così sorride appena, annuendo con il capo.
Louis rimane in silenzio, ricambiando il suo sguardo, per soffermarsi poi a guardare la grande finestra in alto, estasiato alla vista del cielo, come un bambino che vede qualcosa di bello per la prima volta.

“Mi mancava il cielo” dice in un sussurro, quando la sua attenzione e quella di tutti i presenti viene richiamata dalla presenza del giudice che, elegantissimo nella sua toga nera, ottiene il silenzio più assoluto con un solo gesto della mano.

Johannah viene chiamata per prima e con passo incerto raggiunge la postazione alla destra del banco del giudice il quale, come tradizione vuole, attende che la donna completi la sua formula di giuramento.
Il primo ad interrogarla è Grimshaw, esponendo le sue domande in maniera impeccabile, ed Harry non può che pensare che sia davvero bravo nel suo lavoro.
Al termine dell’interrogatorio, quello che risulta è ancora una volta il fatto che, secondo la sua testimonianza, Louis ha colpito volontariamente Carter alla testa con una mazza da baseball con l’intento di ucciderlo.
Harry vorrebbe poterla strozzare con le sua mani, soprattutto quando sente Louis trattenere un singhiozzo al suo fianco, il capo chino in una strana angolazione, ben deciso a non guardarla.
Harry prende l’ennesimo grande respiro a pieni polmoni e con passi lunghi e decisi raggiunge la postazione della donna osservandola serio, nessun accenno di gentilezza negli occhi verdi.

“Vostro Onore” saluta con tono professionale, fermandosi poi di fronte alla donna.
“Signora Deakin, come poco fa ha affermato, secondo lei suo figlio Louis ha volontariamente ucciso il suo compagno, colpendolo alla testa.
Posso sapere che cosa è accaduto poco prima che Louis commettesse l’omicidio?”
“Io e Jake eravamo appena rientrati da una cena e stavamo parlando in salotto quando il ragazzo si è avvicinato con la mazza in mano ed un istante dopo l’ha colpito”
“Quindi Jake non si è accorto della presenza di Tomlinson alle sue spalle?” 
“Non ne ha avuto il tempo”
“Quindi lei e Jake parlate nel corridoio tranquillamente e all’improvviso suo figlio lo colpisce alla testa senza motivo”
“Io credo fosse geloso”
“Geloso del suo rapporto con Carter?”
“Sì”
“Un movente piuttosto classico e banale, la gelosia. Cosa ne pensa del fatto che Carter abusasse di alcool invece, signora Deakin? crede che questo possa aver turbato in qualche modo suo figlio”
“Jake non abusava di alcol!”
“Mi permetta di dissentire. Questi” dice, mostrandole delle carte rilegate accuratamente, “sono una copia della documentazione del paziente Jake Carter, ricoverato più volte al pronto soccorso del  Royal Hospital, inseguito ad abuso di alcool combinato a farmaci. Ne sa qualcosa?”
“No, io non ne sapevo niente”
“Devo dedurre quindi che questa non sia la sua firma” dice, una nota di soddisfazione nella voce salda, quando la donna apre la bocca e la richiude senza  proferire parola.
“Come immaginavo. C’è qualcos’altro, signora Deakin, che vorrebbe dire, riguardo al fatto che il suo compagno più e più volte l’ha aggredita, provocandole un ematoma alla testa, una frattura al polso, un dislocazione alla caviglia e…” continua, controllando l’ultimo referto medico, “una lussazione alla clavicola sinistra”
“Sono molto fragile, mi faccio male con poco, per questo finisco spesso all’ospedale”
“Ed è per questa sua fragilità che alla dottoressa che l’ha seguita ha raccontato di essere caduta dalle scale, di esser inciampata nel vialetto di casa, di aver sbattuto contro lo spigolo della doccia, tutto nel giro di pochi giorni?”
“Gliel’ho detto, sono fragile”

E bugiarda.

Mi permetta un’ultima domanda, signora. Quando il suo compagno ha tentato di ucciderla, stringendo le sue mani intorno al suo collo, in preda ai fiumi di Dio solo sa quale cocktail di alcool e farmaci, ha forse sperato di morire? Perché altrimenti non mi spiego come possa avercela a morte con suo figlio per averle salvato la vita”
“Obbiezione vostro onore!” esclama Grimshaw. Troppo tardi.
“Lui non mi avrebbe mai uccisa! Non sarebbe mai arrivato a tanto!” scoppia Johannah, ammutolendosi un istante dopo che quelle parole sono uscite dalla sua bocca, sotto lo sguardo severo di Grimshaw.
“Non sarebbe mai arrivato a tanto” la cita Harry “questo significa che lei crede che si sarebbe ancora una volta fermato prima di toglierle la vita, tra una caduta dalle scale e l’altra ovviamente” afferma sprezzante.
“Non ho altre domane vostro onore”

Harry torna alla sua postazione con passo deciso, l’aria soddisfatta sul volto.
Aveva appena concluso il suo primo interrogatorio e si sentiva bene, carico di energia.
Poggia una a mano sulla spalla di Louis, stringendo appena la stoffa della divisa arancione, prima che sia richiamato a perdere il posto occupato da sua madre fino a poco prima.
Ancora una volta la guardia al suo fianco lo scorta fin sul palchetto, ed Harry vorrebbe prenderlo a calci.
Gli sembra tutto così incredibilmente esagerato, surreale quasi. Ma sa come funziona la legge, lo sa e la disprezza, la disprezza e la combatte.
Perché la legge non è uguale per tutti, pensa; non quando c’è di mezzo una madre che farebbe di tutto pur di far uccidere sui figlio.

“Ripeta dopo di me Tomlinson”
“Io, Louis William Tomlinson, consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”
“Dica 'lo giuro'”
“Lo giuro” 

Grimshaw si avvicina al banchetto, lanciando un’occhiata ad Harry prima di schiarirsi sonoramente la gola e poi prendere a parlare.

“Signor Tomlinson, come già detto in precedenza da sua madre, lei nutriva un sentimento di gelosia nei confronti di Jake Carter, ostinandosi a non accettarlo come parte della famiglia e facendogli, molto spesso, dei dispetti; non è così?”
“Non mi piaceva Carter, ma non sono un assassino”
“Non mi riferisco all’omicidio. Pensavo invece alla volta in cui ha fatto saltare in aria la sua macchina, quella stessa volta che Carter, per amore di sua madre, non ha sporto denuncia contro di lei. È vero?”
“È stato un incidente. Io e Zayn stavamo giocando in cortile, era capodanno e noi avevamo costruito dei botti in casa, soltanto che abbiamo sbagliato qualcosa, perché quando uno è finito sotto la sua macchina, è- è esploso, e non abbiamo potuto fare niente per spegnere l’incendio. È stato un incidente”
“Quindi tu ed il tuo amichetto avete fatto saltare per aria l’auto del compagno di tua madre che odiavi per sbaglio?”
“Si chiama Zayn” risponde Louis scontroso, ed Harry si morde un labbro, fissandolo intensamente.

Ti prego Lou, stà calmo.

E questo Zayn non è qui a testimoniare per te però, non è strano? Immagino che se il mio migliore amico rischiasse di essere condannato a morte io sarei presente il giorno dell’udienza”
“Se Zayn fosse vivo non ci sarebbe nessun'udienza oggi”

Perché noi saremmo insieme sotto il sole caldo di Los Angeles, figlio di puttana.

Quindi il tuo amico è morto, tua madre stava con un uomo che non sopportavi, non avevi finito la scuola ed eri rimasto solo. Dovevi essere molto arrabbiato con Carter, tanto arrabbiato al punto di dargli la colpa di tutto, non è così?”
“Non avrei mai voluto che Carter morisse. Non posso dire che mi piaceva, non mi piaceva affatto e lo detestavo con tutto il mio cuore, ma non significa che l’avrei ucciso. Volevo solo salvare mia madre perché, avvocato, non è semplice sentire ogni sera le suppliche della propria madre, e scoprire ogni mattina un nuovo livido sul suo corpo. Tentava di coprirli all’inizio, poi ha smesso di farlo. Diceva che andava bene così, che Carter non era cattivo, che avrebbe smesso. Ma non smetteva mai.
Poi quella sera l’ho trovato mentre le stringeva il collo tra le mani e, e lei non riusciva a respirare, così ho gridato, l’ho supplicato di smettere ma lui non la lasciava, allora ho preso la mazza da baseball e l’ho colpito. Non volevo che morisse, ma non volevo neanche che fosse mia madre a farlo”

Gli occhi di Louis hanno acquisito un'intensa sfumatura di grigio, mentre i ricordi prendono forma nella sua mente in tante piccole immagini, come dei frame di pochi secondi che scorrono veloci senza una sequenza precisa.
Era la prima volta che ne parlava di fronte a tutte quelle persone, che adesso stanno confabulando tra loro, le voci unite in un brusio indistinto.
Harry osserva i membri della Corte Suprema tornare ad osservare Louis, di nuovo in silenzio.
Avrebbe chiesto la grazia e Bobby Horan glie l’avrebbe concessa, continuava a ripetersi.
Bobby Horan era la sua unica speranza, ma la sua unica speranza non era presente.

Maledetto bastardo.

Ad Harry sembra di non riuscire  sentire più niente, come se fosse stato inglobato nella sua personale bolla insonorizzata.

“Cosa ti ha promesso in cambio, Harry?”
“Louis, ha promesso che avrebbe ottenuto la grazia”
“E tu gli hai creduto?”
“Sì, io…  è la mia unica speranza” 
“Non fidarti di quell’uomo, tu non sai di cosa è capace”

Liam aveva ragione, era stato uno stupido a fidarsi di quell’uomo, ma non avrebbe potuto fare altrimenti.
Continua ad osservare quel posto vuoto, mentre Grimshaw finisce il suo interrogatorio mostrando a Louis ed alla Corta Suprema le foto del cadavere di Carter.

Bella mossa.

Harry sa benissimo quello che sta facendo. Mostrare le immagini del cadavere è indubbiamente una strategia di grande effetto.
L’impatto visivo è molto forte sul cervello umano, tende a condizionarci, a farci sentire più vicini alla cosa che ci viene mostrata, molto più efficace perfino della migliore delle esposizioni.
Contro quelle immagini tanto brutali, mille parole di Louis non sarebbero sufficienti, qualsiasi sua affermazione risulterebbe come una giustificazione, suonerebbero false, patetiche menzogne.
Se alle immagini si aggiunge poi la descrizione dettagliata della ferita mortale al cranio esposta da Grimshaw, allora il risultato è garantito.
Una sola parola nasce nella mente di chi sta ad osservare: assassino.
Quando Grimshaw finalmente torna ad occupare il suo posto vicino a Johannah, Harry raggiunge Louis ed è solo paura, quella che vede nei suoi occhi.
Paura di morire.

“Signor Tomlinson” comincia Harry, interrompendo il contatto visivo e prendendo a camminare avanti e indietro, le mani congiunte dietro la schiena.
“La sera in cui Carter ha perso la vita, sua madre e Carter stesso stavano litigando nel salotto, appena rientrati dopo una cena, giusto?” 
“Sì” la voce bassa di Louis si espande nella sala attraverso il microfono, ed Harry sente un brivido percorrerlo, ma continua a non guardarlo negli occhi, cercando di mantenere la mente lucida ed un tono professionale.
“Quando si è reso conto che nonostante le sue suppliche e quelle di sua madre stessa non si sarebbe fermato, che cosa l’ha spinto ad afferrare una mazza da baseball e colpirlo, qual era il sentimento che provava in quel preciso istante, riesce a ricordarlo?”.

Terrore.

Ero terrorizzato. Io avevo paura, continuavo a gridare ma lui non la smetteva di stringerle le mani al collo, urlando come un matto. Ho pensato solo che dovevo salvarla, non potevo lasciare che l’ammazzasse, non potevo”
“E cosa ha pensato quando sua madre ha detto alla Polizia che lei aveva aggredito Carter senza motivo, spinto dalla gelosia, non sostenendo la sua stessa dichiarazione?”
“Io… io, non lo so. Sono rimasto sorpreso, all’inizio. Ero sconvolto, e non mi seno reso conto di tutto quello che stava accadendo, ma poi mi hanno ammanettato, e portato via, e lei, lei non ha detto niente. Non mi ha neanche guardato negli occhi.”
“Quindi, Signor Tomlinson, posso affermare che lei ha salvato la vita di sua madre, che altrimenti sarebbe morta per mano dello stesso Carter, e che sua madre invece di esserle riconoscente, ed affrontare tutto questo al suo fianco, ha preferito disconoscerla, dimenticarsi di avere un figlio e giudicarla come un assassino, invece che suo salvatore, è giusto?”
“Lo è”

Harry prende un lungo sospiro, coprendo con due grandi passi la distanza che lo separa da Louis, ritrovandosi esattamente di fronte alla sua postazione.
I suoi occhi verdi si scontrano inevitabilmente in quelli azzurri, come acqua e terra.
Fuoco e aria.
Harry sa che tutte quelle domande non sono pertinenti. Sa che non sono prove, non sono una possibilità, non sono niente.
Ma apre la bocca ancora una volta, senza smettere di fissare Louis, regalandogli quell’occasione che gli era sempre stata negata.

“Se potesse dire qualcosa a sua madre, qualsiasi cosa, che cosa le direbbe Signor Tomlinson?”
“Obbiezione!” la voce di Grimshaw risuona alle spalle di Harry, che non curante continua ad osservare Louis, occhi negli occhi.
“Respinta” 

Grazie.

Louis sembra perdersi in un lungo silenzio, come bloccato, incapace di pronunciare una singola parola, aggrappato disperatamente ad Harry.
I suoi occhi sembrano gridare, ma le sue labbra rimangono sigillate.
Harry muove un passo nella sua direzione, accorciando quella distanza che li separa, ed annuisce lentamente con il capo, e “Coraggio” mima con le labbra, “sono qui”.
Con un briciolo di determinazione in più Louis solleva lo sguardo, incrociandolo con un paio d’occhi dentici ai suoi, ed è il quel preciso istante, che il suo cuore si spezza in milioni di minuscoli frammenti. Ed è sorpreso Louis, sorpreso dalla capacità di riuscire ancora a provare dolore.
Per un istante torna a posare gli occhi in quelli di Harry, come per prendere un altro po’ di quel coraggio che solo nel suo sguardo riesce a trovare, ed un paio di fossette compaiono sul volto di Harry. Perfette, agli angoli della sua bocca, come a decorare quel sorriso rendendolo, se possibile, ancora più incantevole.
Quel paio di fossette che tanto aveva desiderato di vedere ancora una volta ed inevitabilmente, senza che neanche se ne renda conto, il suo cuore si fa leggero e le sue labbra si dischiudono in meraviglioso sorriso, di quelli che illuminano tutto intorno, di quelli che si riflettono negli occhi e scaldano il cuore. Un sorriso nell’orizzonte.

Il tuo primo vero sorriso Louis. Il primo da quando mi hai travolto. Il tuo primo vero sorriso per me.

Louis torna nuovamente ad incontrare lo sguardo di sua madre.

“Se potessi tornare indietro, ti salverei ancora mamma, ti salverei sempre,anche se tu non salveresti me.”

Harry non si volta ad osservare la reazione di Johannah, beandosi invece di quell’espressione serena sul volto di Louis, della sua immensa forza, della sua grande capacità di perdonare.
Del suo immenso amore.
Harry si volta per la prima volta verso la Corte Suprema, senza soffermasi troppo sui loro volti apparentemente tutti uguali.

“Questo, signori, è Louis William Tomlison. Questo, quello che definite assassino, è un uomo capace d’amare così tanto al punto di sacrificare la sua stessa vita per quella di qualcun’ altro”.
“Non ho altro da aggiungere, Vostro Onore”.

 Harry torna al suo posto, seguito da Louis, che in piedi al suo fianco “Grazie” sussurra. 

“Non c’è di che” sussurra a sua volta Harry.

Il metallo delle manette tintinna appena contro quello dell’anello di Harry, quando incastra la mano nella sua, in una combinazione perfetta.

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Capitolo 11
*** Chapter 10- WRONG CHOICES ***


Chapter 11- WRONG CHOICES

 

Los Angeles, un mese prima

 

“Mi dispiace non poter venire stasera Nì, so quanto ci tieni, ma per favore non farmi sentire in colpa, va bene?”
“Come vuoi”
“Amore per favore, non fare così. Sai che ho programmato questo colpo da mesi”
“Allora fammi venire con te”
“Questo è fuori discussione, sai benissimo che tuo padre sarà presente e non voglio rischiare che ti veda”
“Ma non mi vedrà, io ti aspetterò in macchina, come al solito”
“No Niall, non se ne parla. Tu te ne starai a casa con mia madre, avrai un alibi perfetto e quel pigiama che mi fa impazzire, e domani avremmo tutto il tempo per noi”
“E se ti succede qualcosa?”
“Non mi succederà niente, solo stai a casa, va bene?”
“Va bene”
“Bravo. Ti amo amore”
“Ti amo anche io Luke”


Quando Niall riattacca il telefono non si sente per niente bene.
Non è d’accordo a lasciarlo andare da solo, e restare a casa gli sembra una pessima idea, soprattutto quando il suo ragazzo è il fuori da qualche parte a rischiare la vita per lui.
Per il loro futuro insieme.
Perché Luke e Niall si amano, e tutto quello che vogliono è andare via da quella città e da tutto ciò che questa rappresenta.
Suo padre, Bob, non ha mai accettato il loro rapporto, esattamente come Liz Hemmings.
I due si sono conosciuti ed innamorati quando Niall e Luke non erano altro che due bambini, ed il loro legame fin da subito si era dimostrato indissolubile.
La loro amicizia li assorbiva completamente, come due calamite, due poli opposti che inevitabilmente si attraggono.
Da quando Liz si era trasferita a casa Horan, portando con se anche il figlioletto, però, il loro rapporto aveva assunto un’altra forma.
Dipendenza.
Non c’era possibilità che Niall facesse un passo senza la presenza di Luke, così come Luke non avrebbe mai fatto niente senza poterlo condividere con Niall.
Finché non arrivò quel giorno.
 

“Posso baciarti Lu?” 
“Vuoi baciarmi Nì?”
“Sì, voglio baciarti”
“Baciami allora”


E Niall aveva premuto le labbra sulle sue, sperimentando per la prima volta il sapore della saliva umida sulla lingua, i capelli tra le dita, il respiro corto, ed il desiderio di andare oltre.
Era stato semplice, pura alchimia.
Da quel giorno Luke era diventato il suo intero universo, il suo migliore amico, il suo fratellastro, il suo compagno di follie, ed il suo amante.
Vivere insieme aveva reso tutto più semplice, ed ancora di più avere un’unica camera.
Quella sera, però, per la prima volta, Luke avrebbe agito da solo.
Da quando avevano iniziato la loro carriera nel crimine, così gli piaceva definirla, quella era la prima volta, e Niall stava completamente impazzendo, chiuso nella loro stanza.
Negli ultimi mesi erano riusciti a guadagnarsi un bel gruzzolo, che tenevano nascosto sotto un’asse del parquet sotto il letto di Luke.

 

****

Sono passate ormai tre ore ed un’intera bottiglia di vodka da quando Niall ha chiuso la loro conversazione.
Continua a guadare fuori dalla finestra, passandosi la mano tatuata tra i capelli biondi ossigenati ed aspirando una boccata dell’ennesima sigaretta.
Sapeva che Luke stava facendo tutto questo per il loro futuro insieme, ma non riusciva a non essere arrabbiato con lui.
Era esattamente come quando non fumava la sua amata sigaretta dopo aver mangiato.
Lo stomaco gli faceva male ed avrebbe attraversato a piedi tutta la città fino a raggiungere un tabacchino piuttosto che restare senza.
Luke è la sua sigaretta e Niall deve averla, adesso.

Indossa la giacca di pelle di Luke sopra la maglietta degli ACDC e si infila un paio di converse consumate, lasciandosi addosso i suoi amati skinny jeans stappati sul ginocchio.
Quando sbatte forte la porta di casa alle sua spalle, Back in Black risuona a tutto volume nelle cuffiette, per questo non sente la sua matrigna chiedergli dove stia andando a quell’ora della notte.

Attraversa un paio di isolati con lo skate e le mani nelle tasche, senza riuscire a smettere di pensare a Luke.
Non sapere dove si trovi lo sta letteralmente facendo impazzire, la paranoia incrementata dalla quantità esagerata di vodka che circola nel suo sangue.

Luke, Luke, Luke, Luke.

E se gli fosse successo qualcosa? 
Se l’avessero beccato?
Se fosse finito in galera?

Scuote la testa nel vano tentativo di scacciare tutte quelle domande che gli affollano la mente, scendendo distrattamente dallo skate e prendendolo sotto braccio, prima di entrare in un pub poco affollato.
Della musica rock risuona dal joubox in fondo alla stanza, ma Niall non può sentirla, con le cuffiette ancora alle orecchie.

“Una vodka liscia” ordina al barista, il tono della voce decisamente troppo alto che risveglia dal torpore il ragazzo seduto sullo sgabello vicino.
Quando il barista sistema il bicchierino sul bancone manda giù l’intera quantità del liquido freddo che gli brucia la gola, ordinandone subito un altro, doppio.
“Dovresti andarci piano con quella roba amico” 
Niall riesce a vedere le labbra carnose del ragazzo muoversi attraverso le mani con le quali si tiene la fronte, i gomiti poggiati al bancone.
“Non riesco a sentirti”
Il ragazzo gli fa cenno di togliersi le cuffie e Niall esegue, come un’automa completamente ubriaco.
“Avevo dimenticato di toglierle”
“Ho notato, tutto il bar sa esattamente quante vodka liscia hai ordinato”
“Bene, per quel che me ne frega”
“Io sono Liam” il ragazzo gli tende la mano che Niall stringe debolmente.
“Che cosa significa quel tatuaggio?” chiede, senza lasciare la sua mano ed avvicinandola al volto, per osservare meglio il tatuaggio sul dorso.
“‘Make the difference’, non c’è molto da spiegare”
“Intendo, che cosa significa per te”
“E tu chi cazzo sei?”
“Liam?”
“Intendo, chi cazzo sei per chiedermi cose riguardo i miei tatuaggi” dice scontroso.
“Sono solo un ragazzo in un bar”
“Non significa niente comunque, è solo una scritta che ho visto tante volte fin da quando sono bambino, incisa su un muro”
“In quale posto?”
“Fai un sacco di domande tu”
“Sono un tipo curioso”
“All’inferno, è lì che l’ho vista”
“Sei stato all’inferno quindi”
“Sì, ma solo di passaggio. Un’altra vodka” ordina, quando poggia con troppa forza il bicchiere sul bancone.
“Due per favore” si aggiunge Liam, sorridendogli.

Niall si passa una mano tra i capelli lunghi, osservando il modo perfetto in cui gli angoli della sua bocca si arricciano e gli occhi scuri che si socchiudono appena.

“Tu non hai tatuaggi, né piercing, sembri un tipo a posto. Che ci fai in questa bettola?”
“Beh, ne hai tu anche per me, come quel coso che hai tra gli occhi. Ha fatto male?”
“No. Quindi che ci fai qui?”
“Aspettavo” 

Il barista poggia sul bancone le ennesime vodka lisce che i due ragazzi subito sollevano e fanno scontrare poco delicatamente in un brindisi silenzioso, prima di mandare giù tutto il liquido in un solo sorso.

“Che cosa stavi aspettando?” chiede Niall, asciugandosi la bocca con il dorso della mano, per poi prendere a rollare una canna, come se fosse normale.
“Aspettavo qualcuno che potesse raccontarmi com’è l’inferno” dice Liam, tirando fuori dalla tasca un accendino e passandolo a Niall che, una volta leccata la cartina, mantenendo gli occhi fissi in quelli di Liam, accende la canna e dopo aver lasciato una quantità spropositata di dollari sul bancone si dirige verso l’uscita del pub.

 

L’aria fredda colpisce le sue guance arrossate facendolo rabbrividire, vestito troppo leggero per quella serata invernale.
Il suo pensiero torna di nuovo a Luke, e con quello la rabbia nei suoi confronti.

“Non avresti dovuto lasciarmi solo” sputa, aspirando profondamente.
“Beh sono stato via solo due minuti, hai dimenticato questo” aggiunge poi Liam, con uno splendido sorriso ed il suo skate tra le mani.
“Grazie” dice soltanto Niall, strappandoglielo dalle mani.
“Fumi?” aggiunge poi, allungandogli la canna.
“No grazie, non posso”
“Non vuoi”
“Beh sì, non voglio perché non posso, il mio lavoro non me lo permette”
“Bella merda” 
“Grazie!”’
“Quindi lavori?”
“Non ancora in realtà, domani è il mio primo giorno”
“E che lavoro fai?”
“Diciamo che lavorerò all’inferno. Magari ti vedrò passare di lì qualche volta”

Niall non sa bene per quale incomprensibile legge matematica abbia lasciato cadere il suo skate a terra per prendere una mano di quello sconosciuto nella sua attirandolo a sé, come non capisce come sia possibile che le sue labbra siano finite su quelle carnose e la sua lingua a cercare disperatamente la sua.
Niall davvero non lo sa.
Eppure lo sta baciando, e quella mano che preme sulla sua nuca accorciando la distanza tra loro lo fa sentire bene, come la sensazione di calore e forza che gli dà quel petto muscoloso che si scontra con il suo.
Quel petto, quelle labbra e quella lingua che non sono di Luke.
Quel bacio che sa di ignoto, e che muore dalla voglia di trasformare in qualcos’altro.
Quando interrompe quel contatto insensato e terribilmente sbagliato, Liam lo osserva, senza fare domande, e sempre senza fare domande lo segue quando Niall lo afferra per un polso trascinandolo con se verso il parcheggio.

“Qual è la tua auto?”

Liam fa scattare l’interruttore, ed i fanali dell’Audi poco distante si illuminano, permettendo a Niall di strascinarlo verso il veicolo.

Senza tanti discorsi apre la portiera posteriore e si sfila il giacchetto di pelle, lasciandolo cadere a terra, per poi lasciarsi cadere sui sedili posteriori, sotto lo sguardo serio di quello sconosciuto.

Liam.

Non sapeva altro di quel ragazzo se non il suo nome, e questo era esattamente quello che voleva.
Dimenticarsi il suo stesso nome, la sua vita, il suo passato, i suoi errori, quella strada sbagliata che aveva intrapreso e che non riusciva più a mollare, Luke e tutte le sue idee folli, Luke al quale non sapeva dire di no.
Voleva rompere gli schemi, e voleva farlo adesso, nei sedili posteriori di quell’auto sconosciuta con un tizio sconosciuto.

Quando Liam entra nell’auto e sbatte piano la portiera, fa scattare entrambi i sedili posteriori in avanti, in modi da avere più spazio dietro, sotto lo sguardo perso di Niall che eccitato gioca con il piercing che ha sulla lingua, per poi montare sulle sue gambe dove, senza tanti preamboli, comincia a muoversi velocemente, alla ricerca disperata di quel piacere sconosciuto.

Sesso, nient’altro.

Nessun sentimento, nessuna parola dolce, nessuna scusa o giustificazione, nessuna carezza, dopo.
Ed è esattamente così che se ne va, quando con un gemito liberatorio raggiunge l’orgasmo librando il suo seme tra le labbra di quel ragazzo che non avrebbe incontrato mai più.
Nessun parola di circostanza viene sprecata mentre entrambi si sollevano i pantaloni tolti solo per metà, nella fretta di darsi piacere.

 

Los Angeles, oggi

 

 

“Niall, ti prego, aspetta!” 

Liam segue a passo deciso il ragazzo che continua a camminare a passi svelti attraverso il cortile, stringendo un copia usurata dal tempo di Harry Potter tra le mani.
“Niall per favore, fermati solo un momento!”

Il ragazzo continua a camminare fino a raggiungere la sua cella, deserta, dato che in quel momento tutti i carcerati stanno consumando l’ora d’aria.
Si getta sul letto ed affonda il capo sotto un cuscino di fortuna, rimediato da delle vecchie lenzuola imballate con del nastro adesivo.

“Niall…” la sua voce è ridotta ad un sussurro adesso.
“Vai via Liam” 
“Non so più come dirti che mi dispiace, non avrei mai voluto che accadesse una cosa simile. Ti supplico, devi credermi” 
La sua voce è spezzata dal pianto che cerca di trattenere.
Sono passati sette giorni da quando Luke Hemmings si è tolto la vita nella sua cella, impiccandosi con delle lenzuola.
Sono passati sette giorni da quando Niall ha smesso di parlare con Liam, e con chiunque altro.
Liam si avvicina al letto dove Niall continua a tenere la testa sotto il cuscino, deciso a non guardarlo, ascoltarlo e tanto meno parlargli.
Tutto quello che vorrebbe in quel momento è scomparire, semplicemente, smettere di esistere.

 

Los Angeles, due settimane prima

 

“Tra un’ora dobbiamo farci trovare al pontile per lo scambio, e poi finalmente saremo liberi”
“Già”
“Cosa c’è che non va Niall?”
Luke lo osserva preoccupato, sdraiato sul suo letto nella loro stanza mentre Niall, voltato di spalle, finisce di sistemare le sue cose nello zaino dell’Eastpak.
“Niente. Sono solo preoccupato Lu, c’è questa sensazione che non riesco a togliermi di dosso”  dice, continuando ad appallottolare i suoi vestiti nello zaino.
“Ehi, fermati un momento” Luke lo stringe da dietro, trascinandolo con sé di nuovo sul letto dove Niall lo stringe forte, perso in quell’abbraccio che è tutto ciò che conosce.
“So che sei preoccupato tesoro, ma ci sono io con te, va bene? Tu devi fidarti di me, andrà tutto bene. Finalmente siamo riusciti nell’impresa, è rischioso lo so, ma questo lavoro ci procurerà tanti soldi, tanti per potercene andare, non è quello che abbiamo sempre voluto?”


Forse è quello che tu hai sempre voluto.

Sì lo so. Sono solo nervoso, andrà tutto bene” dice invece, lasciandosi accarezzare i capelli da quel tocco delicato che conosce bene.
“Bravo, è così che ti voglio. Forte e cazzuto, non c’è spazio per la paura, non quando siamo insieme”.

Un ora più tardi Luke stringe tra le braccia un borsone carico di M76, appoggiato al bagagliaio di un'auto che ha rubato la notte precedente.
Niall ancora all’interno dell’auto, vorrebbe solo vomitare, mentre stringe tra le mani quel giacchetto di pelle che cercava da ormai due settimane.


Aspettavo qualcuno che potesse raccontarmi l’inferno.


Non era possibile che il destino gli stesse giocando uno scherzo simile.
Non era possibile che il suo ragazzo avesse rubato quell’auto. Proprio quella.
Un’auto si ferma poco distante, e due tizi dall’aria decisamente poco affidabile si avvicinano a Luke, che batte due colpi sul vetro per avvertire Niall del loro arrivo.
Niall che avrebbe dovuto eseguire il suo compito se le cose si fossero messe male.
Lo stesso Niall che non aveva la minima idea di come si utilizzasse quella calibro 45 che teneva poggiata sul cavallo largo dei pantaloni.

Sarebbe andato tutto bene.
Tutto bene.

Luke si avvicina ai due tizi, raggiungendoli a metà strada, pronto ad effettuare lo scambio; era semplice.
Gli avrebbe consegnato le armi e loro in cambio gli avrebbero consegnato i soldi che avrebbero dovuto poi girare all’uomo che gli aveva commissionato il lavoro, solo che non l’avrebbero mai fatto perché con quei soldi sarebbero scappati. Lontano.
Niall scuote la testa realizzando ancora una volta quanto folle fosse quell’idea, quanto altrettanto folle fosse il suo ragazzo, e lui stesso che, come al solito, si era lasciato convincere dalle sue carezze delicate e dai suoi baci leggeri.
Lo scambio avvenne velocemente, ed un istante dopo i due tizi erano già saliti sulla loro auto, sfrecciando via, esattamente come erano arrivati.
Una volta sistemato il borsone sotto il ripiano del portabagagli Luke accende l’auto e, seguendo l’esempio dei due tizi, sfreccia via, nella direzione opposta, scaricando la tensione accumulata nell’ultima ora con una risata isterica ed un continuo “Ce l’abbiamo fatta” che ripete fino alla nausea, mentre Niall non riesce a distrarre l’attenzione da quel giacchetto che ha lanciato sui sedili posteriori.

“Mi accosto solo un momento per fare benzina” dice, stringendo appena la mano sul suo ginocchio prima di riportarla al volante ed azionare la freccia.

Succede tutto molto velocemente.
Quando l’agente si avvicina al finestrino, chiedendogli di abbassare il vetro, Niall non riesce a sorridere come invece vorrebbe.
Si volta per un istante verso Luke che, apparentemente calmo, dice qualcosa all’agente dalle labbra carnose.

“Salve agente”
“Salve ragazzo, potresti scendere un momento dall’auto per favore?” 
“Cosa? Io? Perché?”
“Abbiamo bisogno di verificare solo una cosa, questione di un minuto”

Si certo, come no.

Fa scattare la sicura e scende dall’auto, incerto se abbozzare un altro tentativo di sorriso o scoppiare a piangere implorando perdono.

Io non volevo, non volevo farlo, lo giuro.

Ci vogliono un paio di minuti di agonia prima che gli agenti ispezionino tutta la macchina, trovando la Calibro 45 che nella fretta avevano dimenticato di riporre nel ripiano insieme ai soldi.

“Questa è vostra ragazzi?” chiede allora uno dei due agenti, l’unico che Niall abbia avuto il coraggio di guardare in faccia, nascosto dentro al cappuccio della felpa.
“No, dev’essere di mio zio, l’auto è sua” spiega Luke calmo, troppo calmo.
“Posso vedere i documenti?” chiede allora l’altro agente.

Da quel momento ogni tassello non ha fatto altro che sgretolarsi in mille pezzi, così come le viscere di Niall che, stretto nella sua felpa, non ha neanche le forze di pensare.
Erano fottuti. 
Erano fottuti ed entrambi seduti sui sedili posteriori dell’auto della polizia, dove uno dei due agenti, quello dalle labbra carnose, quello che Niall non aveva il coraggio di guardare, quello che aveva riconosciuto l’auto, quello che era il proprietario stesso dell’auto, sta parlando alla ricetrasmittente, comunicando il loro arrivo alla centrale più vicina.

Il loro arrivo all’inferno, e non per un salto questa volta.

Perché Niall sa bene che suo padre non li avrebbe aiutati, non come quella volta che erano stati beccati a rubare all’edicola sotto casa.
Suo padre non avrebbe mosso un dito, né per suo figlio né tanto meno per il suo figliastro.
Non aveva mai studiato legge ma sapeva, Niall sapeva.
Aveva sentito milioni di volte suo padre raccontare i casi che gli capitavano in tribunale, e conosceva la legge americana.
Furto, possesso di un’arma, possesso di droga, ed una quantità spropositata di dollari nascosti in un borsone nero. Soldi sporchi.
Quattro capi d’accusa più precedenti penali.
Niall sa esattamente come sarebbe andata; tutto questo, per la legge Americana, equivale ad una condanna.
Una condanna lunga, molto lunga.

 

“È molto che è qui?” 
“Neanche la metà della pena che deve ancora scontare”
“Che cosa ha fatto?”
“Traffico di armi di contrabbando con un certo Luke Hemmings, sono stati beccati ancora prima di riuscire a scappare”

 

 

Los Angeles, una settimana prima

 

“Sapevo che ti avrei trovato qui” 
“E come lo sapevi?”
“Perché sapevo che anche tu avevi voglia di vedermi”
“Non credo sia una cosa corretta”
“Molte cose non sono corrette”
“Vuoi da bere?”
“No, non questa notte”
“Usciamo di qui?”
Niall annuisce, alzandosi dallo sgabello e raggiungendo l’uscita, seguito da Liam.

Passeggiano a lungo, in silenzio, mentre Niall fuma la sua canna e Liam la sua sigaretta.
Cosi diversi, eppure cosí simili.
Due sconosciuti incapaci di rimanere tali, incuriositi l’uno dall'altro.

“Ci sono molte cose che cambierei della mia vita, molte, eppure non ne ho il coraggio”
“Cos’è che ti spaventa?”
“Il cambiamento in sé, credo. Vivo la mia vita nello stesso modo da così tanto tempo che non riesco a muovere un passo nella direzione opposta, nonostante lo desideri con tutto me stesso”
“E cosa c’è di sbagliato nella tua vita Niall?”
“Tutto quanto, il modo in cui ho scelto di viverla, non mi piace più. Io faccio delle cose che sono… sbagliate, ecco. Ma non posso smettere di farle, non posso abbandonare il mio ragazzo e proseguire da solo. Lui non sopravvivrebbe, non ce la farebbe mai, senza di me”
“E tu ce la faresti senza di lui?”
“Credevo di no, fino ad un paio di settimane fa. Finché non ho spezzato il cerchio. Grazie a te.”

Liam tende una mano, sfiorando la sua spalla, ma subito la ritrae, spaventato di non riuscire a controllare i suoi stessi gesti.
Quel ragazzo non è di certo il suo tipo, con tutti quei piercing e tatuaggi, per non parlare dei capelli ossigenati ed pantaloni strappati sulle ginocchia, ma.
MA.
Quel ragazzo era il suo ma.
Il suo però.
Non era giusto, ma.
Non era per lui, ma.
Non era la persona con cui avrebbe mai passato del tempo, però quei loro incontri casuali erano il suo modo preferito di passarlo.

“Non devi cambiarlo per forza, almeno per i momento, e quando sarai pronto, ti aiuterò io a farlo”
“Non puoi salvarmi Liam, sono un caso disperato, soffro di dipendenza da un altro essere umano, che compie azioni e gesti sbagliati, e nessuno può liberarmi, nessuno”
“Io ti libererò invece, un passo alla volta. Niente fretta, niente promesse. Solo noi e le nostre passeggiate, ed i nostri baci”
“Sei il migliore errore che abbia commesso”
“Ti ringrazio, anche tu sei un fantastico errore”

 

Los Angeles, due giorni prima

 

“Hemmings devi lasciarlo in pace va bene?” 
“E tu che cazzo vuoi, eh sbirro? Che cosa cazzo vuoi dal mio ragazzo?”

Liam fa un passo indietro, nel cortile del Jail, cercando di mantenere la calma, mentre Luke, in preda all’isteria, continua ad urlargli in faccia, incurante di attirare l’attenzione.

“Non voglio niente dal tuo ragazzo va bene? Ma devi lasciarlo stare, devi lasciarlo libero di prendere le sue decisioni” 

Luke sbotta in una fragorosa risata a quelle parole. Libero. 

“Ma ti sei guardato intorno, genio? Siamo in un fottuto carcere ed io dovrei lasciarlo libero? Di fare cosa? Di andare fino alla rete elettrica e tornare indietro?”
“Dovresti lasciarlo libero di pensare con la sua testa! Dovresti lascialo libero da questa storia malata!”
“Come cazzo di permetti figlio di puttana!”

Luke si scaraventa su Liam che ancora una volta non reagisce, sentendo lo sguardo di Niall fisso su di lui, seduto in disparte, in fondo al cortile.

Liam aveva mantenuto la sua parola; avrebbe protetto Niall, l’avrebbe aiutato un passo alla volta.
Certo non sapeva che tutte le scelte di cui gli aveva parlato in quelle notti, tutte per loro, l’avrebbero condotto in quell’inferno.
Non sapeva da dove provenisse quella scritta incisa sul dorso della sua mano finché non se la ritrovò davanti, incisa sul muro, all’ingresso del Jail.
Quell’inferno che era il suo posto di lavoro, lo stesso inferno che era la casa di Niall, quell’inferno di cui avevano parlato senza mai rendersi conto di cosa stesso realmente dicendo.
Erano insieme, nel posto peggiore del mondo, forse, ma pur sempre insieme.
E Luke era un problema, una mina vagante, ingestibile.
Specialmente da quando Niall, dopo essere stati ufficialmente condannati a 25 anni di reclusione sotto lo sguardo impassibile di suo padre aveva deciso di chiedere di essere separato da Luke, spostandosi in un altra cella, facendolo letteralmente impazzire.

“Hemmings, devi darti una calmata ragazzo” 

Una guardia lo trascina con sé lontano da Liam che, in silenzio, raggiunge Niall, chinandosi per essere alla sua altezza.



“Come stai?”
“Male, per Luke. So che lo sto facendo soffrire e mi odio per questo”
“Lo so piccolo, ma devi farlo per il tuo e per il suo bene. Tu da solo hai una speranza di uscire di qui, con lui, invece, andresti soltanto a fondo”
“Lo so”
“Ok, sto continuando a cercare un avvocato che faccia al caso tuo, e credo di aver trovato il migliore. Si chiama Patrick Dempsey, lo contatterò stasera stessa”
“Non devi farlo per forza Liam”
“Lo faccio perché voglio farlo, non è per forza”
“Va bene” si arrende Niall, poggiando il mento sulle ginocchia, il libro che Liam gli ha regalato abbandonato sul terreno arido.
Liam poggia le labbra sulla sua fronte, carezzandogli dolcemente una guancia, e Niall chiude gli occhi a quel contatto, sospirando forte.

Gli fa bene al cuore, quello conosciuto che il destino gli ha fatto incontrare.
La sua via di fuga, all’interno di un posto dal quale non si esce.

 

Los Angeles, oggi

 

 

“Liam non voglio più dirti di andartene. Per favore, voglio stare solo”
“È una settimana che non mi parli Nì, dovrai dirmi qualcosa prima o poi”
“Luke è morto, morto. Cosa vuoi che ti dica?”
“Qualsiasi cosa”
“Vorrei solo che fosse ancora vivo, vorrei poter tornare indietro e non lasciarlo mai, perché così lui sarebbe ancora qui!”
“Non avresti potuto salvarlo comunque!”
“Sì che avrei potuto! Lui si è ammazzato perché era solo, solo in questo inferno! Ed io non ho fatto niente per cambiare le cose!”
“Niall non è colpa tua!”
“È COLPA NOSTRA LIAM! COME FAI A NON CAPIRLO!”

Il cuscino che Niall ha lanciato con tutte le sue forze contro il muro della sua cella giace a terra inerme, indifeso.
Così come Liam, che cerca in tutti i modi a sua disposizione di non versare quella dannata lacrima che minaccia di sfuggire al suo controllo.
Non avrebbe mai voluto che Luke morisse, non in quel modo, in quella cella; non avrebbe mai augurato una tale fine a quel ragazzo che tanto era importante per la persona che ama.
Liam non era quel tipo di persona, non lo sarebbe mai stata.

“Non avrei mai voluto che Luke si uccidesse, e non penso che sia colpa nostra e-“
“Lui ci ha visti Liam! Ha visto quando ci siamo baciati, ha visto il modo in cui ci guardavamo, lui lo sapeva, lo sapeva e non ha retto. Il nostro amore l’ha ucciso, ed io non mi perdonerò mai per questo, e non perdonerò mai neanche te”.

“Adesso, ti prego, vattene via”

“Ti aspetterò Niall, aspetterò che tu riesca a trovare la forza di perdonarci entrambi, perché amarsi non può essere una colpa. Io non penserò mai che amarti sia sbagliato, non puoi chiedermelo.”
“Non te lo sto chiedendo. Io l’ho già fatto, io non ti amo, non ti amerò più.”

Liam non potrebbe mai descrivere quella sensazione straziante con delle semplici parole, nessuna sarebbe stata abbastanza.

Dolore. Paura. Angoscia. Assenza.

Niall era entrato nella sua vita prepotentemente, con tutti i suoi piercing e tatuaggi, con i suoi capelli tinti e l’aria spavalda.
Con l’alto che sapeva di vodka liscia e le labbra morbide.
Niall era diventato il suo centro e persino in quell’inferno riusciva a brillare.
Persino adesso che le sue parole gli straziano l’anima, Liam continua a sperare che un giorno, non troppo lontano, un angelo avrebbe provveduto al loro amore, liberandoli da quell’inferno, rendendoli liberi d’amarsi, senza sentirsi sbagliati.
Liam non sapeva che quell’angelo sarebbe arrivato un giorno molto, molto vicino.

“Grazie…” 
“Liam” 
“Grazie Liam” ripete allora Harry, posando i suoi occhi verdi in quelli nocciola.

 

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Capitolo 12
*** Chapter 11- I'M JUST A SAD SONG ***


Chapter 10 – I'M JUST A SAD SONG

 

You and I, we're like fireworks 
and symphonies exploding in the sky. 
With you, I'm alive 
Like all the missing pieces of my heart, they finally collide. 

So stop time right here in the moonlight, 
Cause I don't ever wanna close my eyes. 
Without you, I feel broke
Like I'm half of a whole.

Without you, I've got no hand to hold
Without you, I feel torn
Like a sail in a storm.

Without you, I'm just a sad song. 
I'm just a sad song. 

With you, I fall. 
It's like I'm leaving all my past 
in silhouettes up on the wall. 
With you, I'm a beautiful mess. 
It's like we're standing hand in hand 
with all our fears up on the edge. 

So stop time right here in the moonlight, 
Cause I don't ever wanna close my eyes. 

Without you, I feel broke. 
Like I'm half of a whole. 
Without you, I've got no hand to hold. 
Without you, I feel torn
Like a sail in a storm. 

Without you, I'm just a sad song. 

You're the perfect melody, 
The only harmony I wanna hear. 
You're my favorite part of me, 
With you standing next to me, 
I've got nothing to fear. 

Without you, I feel broke
Like I'm half of a whole. 

Without you, I've got no hand to hold. 
Without you, I feel torn.
Like a sail in a storm. 
Without you, I'm just a sad song. 

Without you, I feel broke
Like I'm half of a whole. 
Without you, I've got no hand to hold. 
Without you, I feel torn
Like a sail in a storm. 
Without you, I'm just a sad song. 
I'm just a sad song.

 

 

 





 

“L’imputato Louis William Tomlinson, viene dichiarato colpevole sotto tutti i capi d’accusa, condannato alla pena capitale, che si terrà a dieci giorni esatti a partire da questo momento, tramite iniezione letale. Così deciso, l’udienza è tolta”.

 

“Puoi rifiutare e passare il caso a qualcun’ altro se non te la senti”
“No, me la sento”
“Era quello che mi aspettavo da te, esamina la cartella e fammi sapere quando sei pronto ad incontralo, per qualsiasi cosa sai dove trovarmi”
“Grazie” dice Harry alzandosi dalla sedia e tendendo una mano al suo mentore.
“In bocca al lupo avvocato”

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Capitolo 13
*** Chapter 12- YOU VOICE ***


Chapter 12 -   YOUR VOICE || -10 

 

Nove giorni, undici ore, cinquantotto minuti, quarantanove secondi.
Quarantotto.
Quarantasette.
Quarantasei.
Quarantacinque.
Quarantaquattro.
Quarantatré.


Harry continua ad osservare la lancetta dei secondi scattare spietata, in una corsa contro il tempo.
Vorrebbe fermarla, quella dannata lancetta.
Vorrebbe poter combattere il tempo, fermarlo, disintegrarlo.
Ne vorrebbe di più, di quei secondi che continuano a correre veloci, troppo veloci.


Trentadue.
Trentuno.
Trenta.
Ventinove.

 

Gli fa male lo stomaco, la testa, i muscoli.
Ogni parte del suo corpo sembra contorcersi in un grido disperato mentre in silenzio aspetta.
Si trova in fila, ancora una volta, in quella sala degli interrogatori ormai familiare.
Familiari ed avvocati, come lui, attendono di incontrare qualcuno.
Qualcuno che amano, qualcuno che devono difendere, qualcuno a cui devono salvare la vita.
Harry invece, è li per fare tutte quante le cose.

Harry è li per difendere e salvare qualcuno che ama.


Dodici.
Undici.
Dieci.

 

“Avvocato Styles, è il suo turno” 

Harry ci mette qualcuno di quei preziosi secondi per rendersi conto che quella voce sta chiamando lui.
Ringrazia con un solo cenno del capo, troppo teso per pronunciare una qualsiasi parola.
Non vede Louis dal giorno dell’udienza.
Il giorno in cui Harry ha fallito come avvocato, come uomo, come persona.
Il giorno in cui qualcuno aveva deciso che Louis sarebbe dovuto morire, il suo Louis.
Quello stesso Louis di cui aveva imparato la storia, del quale aveva letto ed analizzato le informazioni più riservate, ancor prima di conoscerlo.
Quel Louis al quale aveva fatto una promessa, la promessa di salvarlo, ed aveva fallito. 

 

Quando raggiunge lo sgabello oltre il doppio vetro immediatamente afferra la corretta del telefono che comunica con l’altro lato rigirandosela nervosamente tra le mani.
Neanche si accorge di star trattenendo il respiro, finché Louis non si volta, richiamato dalla guardia, e trascinando i piedi stancamente raggiunge la seggiola usurata dal tempo, lasciandovisi cadere.
Con una lentezza che Harry trova estenuante afferra la cornetta con entrambe le mani, i polsi fini stretti nelle manette d’acciaio.

 

Nove giorni, undici ore, quarantasei minuti, sette secondi.


“Ciao” 
“Ciao Harry”
“Come stai?”
“Sto…”
“Sono felice di vederti” 
“Perché?”

La schiettezza delle sue domande lo lasciava sempre a bocca asciutta.
Gli facevano sempre perdere un paio di secondi, per elaborare una risposta sincera ma non banale.
Ma quel giorno Harry un paio di secondi non ce li aveva, da quel giorno non avrebbe dovuto sprecare neanche un solo istante.
Non aveva mai pensato a quanti microsecondi, o in qualunque altro modo si chiamino, ci fossero all’interno di un secondo stesso.
Probabilmente milioni. Ma mai sarebbero stati abbastanza.

“Perché mi sei mancato, ogni istante. Mi sei mancato e non ho mai smesso di pensarti Louis. Per questo sono felice.”

Louis non distoglie lo sguardo dal suo volto, beandosi di tanta bellezza.
I suoi capelli sono legati in un codino, ed i soliti ciuffi cadono ribelli sulla sua fronte e prontamente risposti dietro l’orecchio dalla sua mano sinistra, quella che non stringe la cornetta.
Le sue labbra invece, sono costantemente inumidite dalla sua lingua che scorre sul labbro superiore prima, e su quello inferiore dopo.
La sua camicia è abbottonata fin sul petto, lasciando scoperto il ciondolo a forma di crocifisso che dondola leggero, quando si china in avanti, avvicinando il volto al vetro, in silenzio.
I suoi occhi. 
Quei meravigliosi occhi grandi, incastonati in quelle ciglia lunghe e scure, che sbattono veloci, nascondendo per una frazione di quei troppo brevi microsecondi quella distesa di verde alla sua vista.
Louis vorrebbe paragonarli a qualcosa di bello, ma niente sembra essere abbastanza.
Pensa alle cascate naturali che scorrono nella foresta incontaminata.
Al fondale marino che si riesce a vedere dalla superficie, tanto l’acqua è limpida.
Pensa alla pioggia, quella estiva, che cade leggera ticchettando sul suo volto, bagnando le sue labbra secche.
Pensa all’arcobaleno, che compare nel cielo, come la star dello spettacolo, quella che fa il suo ingresso per ultima, regalando emozioni indescrivibili, eppure troppo brevi.
E poi finalmente lo trova, mentre continua ad osservarlo ed essere osservato da lui, separati da quel vetro trasparente eppure così presente, in silenzio.
Trova quel ricordo. Quel giorno al parco, quando era solo un bambino, in compagnia del suo migliore amico. Zayn.

Una giornata di sole, ed i loro piedi che corrono veloci sull’erba umida, ed il momento esatto in cui comincia a piovere.
Esiste una linea, tra la pioggia ed il sole.
Esiste un punto esatto dove inizia a piovere, come una linea immaginaria.
Da una parte piove, dall’altra no.
Dura solo uno di quei microsecondi che ormai entrambi hanno imparato a conoscere, eppure Louis l’ha vista, quel giorno in quel parco.
Si era ritrovato esattamente su quella linea, tra la pioggia e la non pioggia, per un solo brevissimo istante, esattamente a metà.
Ed era stato come una magia.
Esattamente come quel paio d’occhi al di là del vetro.

Quello era Harry, era quella linea, era la pioggia ed il sole, era magia.

È magia.

 

“Non dovrai tornare più Harry, te lo chiedo per favore. Non voglio mai più vederti, sarebbe insensato e straziante”

Il volto di Louis è vicino al vetro adesso, esattamente di fronte a quello di Harry, che fatica a respirare, poggiando una mano sulla superficie fredda che li separa.

“Non puoi chiedermi questo, non posso smettere di vederti, non ci riesco. So che sembra assurdo, che non ci conosciamo e che ai tuoi occhi sono soltanto un avvocato che è stato incapace di salvarti, ma ti giuro Louis che io ho fatto tutto quello che potevo, tutto quello che ogni altro avrebbe potuto tentare, e mi odio, odio questo sistema malato e tutto quello che comporta, ma non lasciarmi, ti prego. Non privarmi di vederti, non ci riesco.”

“Harry io morirò tra dieci giorni. Tu sarai costretto a non vedermi mai più, e non importa a nessuno se non ce la farai ed io ho bisogno della tua assenza, ho bisogno di dimenticare la tua presenza ed il colore dei tuoi occhi.”

“Louis ti supplico”

“Tempo scaduto, Tomlinson devi rientrare”

 

Louis si alza, e lo stesso fa Harry, che in un gesto dettato dalla disperazione si avvicina al vetro freddo, premendovi contro la fronte, incapace di controllare quelle lacrime che gli bruciano in gola, lasciandolo senza fiato.

 

Ti prego Louis non mi lasciare. Io ti ho trovato, non posso lasciarti andare, non ancora.

 

Louis vorrebbe solo una cosa in quel preciso istante.
Distruggere quel vetro al quale Harry è aggrappato e premere le labbra sulla sua pelle, assaporando quel bacio che non avrebbe ricevuto mai.
Che non avrebbe dato mai.

È in quell’istante di piena consapevolezza, che strattona il braccio stretto tra le mani possenti della guardia che lo trascina via e raggiunge Harry, al di là di quella barriera invisibile e indistruttibile.

Vita e morte.

Inferno e paradiso.

 

“Guardami Harry, ti prego, guardami” grida contro il vetro, e sa che Harry non può sentirlo senza quella dannata cornetta, ma grida, incurante della guardia che spazientita lo raggiunge ed ancora una volta lo afferra per un gomito, stringendolo forte.

 

“Vivi Harry, vivi anche per me, vivi per Zayn, non ti arrendere, non farlo mai” sussurra questa volta, premendo la forte contro il vetro, la mano sovrapposta a quella più grande di Harry.
Aggrappato al suo personale orizzonte, quello che non avrebbe visto mai più.

 

“TI AMO!” grida. 

Mentre l’impronta delle loro mani sul vetro lentamente scompare e Louis viene trascinato via, verso il suo destino infame, ed Harry non sa se quella sua dichiarazione disperata l’abbia raggiunto, ma Louis si volta, ancora.

Ed ancora Harry sprofonda in quell’abisso, e per la prima volta, vorrebbe morire, perché morire con Louis è un pensiero meno straziante dell’idea di vivere senza. 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Chapter 13- YOUR ABSENCE ***


Chapter 13 - -9 YOUR ABSENCE

 

 

“Harry io morirò tra dieci giorni. Tu sarai costretto a non vedermi mai più, e non importa a nessuno se non ce la farai ed io ho bisogno della tua assenza, ho bisogno di dimenticare la tua presenza ed il colore dei tuoi occhi”

 

Si sveglia di soprassalto, Harry, con la fronte imperlata dal sudore ed il fiato corto. Ancora.
Le forze sembrano averlo abbandonato, quando, completamente privo di energia, si trascina fin sul piccolo balcone, alla ricerca disperata di una boccata d’aria fresca.
Sempre lo stesso incubo, non appena crolla sfinito, si fa spazio nel suo subconscio, costringendolo a svegliarsi.
Costringendolo ogni volta a realizzare che sì, è tutto vero e sì, Louis morirà.
Lancia una rapida occhiata all’orologio che tiene al polso.

 

Nove giorni, un’ora, sedici minuti, cinquantasette secondi.

 

Una fitta alla testa lo costringe a chiudere gli occhi arrossati e stanchi.
L’immagine di Louis al di là di quel dannato vetro lo costringe subito dopo a riaprirli invece.
Tutto questo va avanti da quello che sembra un secolo.
Dormire non è possibile, stare sveglio è straziante.

“Fanculo!” impreca, strofinandosi forte gli occhi e rientrando a cercare uno dei tre pacchetti di sigarette che ha comprato prima di rientrare a casa dopo la visita a Louis.
Louis che gli ha chiesto di non tornare mai più.
Harry non riesce ad accettarlo, ogni minima particella del suo organismo non fa che combattere quell’affermazione con tutte le sue forze.
Sa che dovrebbe rispettare quella sua decisione, che dovrebbe saperla accettare, dovrebbe essere abbastanza forte da lasciarlo andare, ma questo Harry non può farlo.
Non sa quando il suo cuore abbia iniziato a battere per due, né quando abbia inconsciamente scelto di voler passare il resto della sua vita con quello sconosciuto dagli occhi blu, ma sa che non può combattere contro il suo desiderio.
Non può costringersi a non amare, Harry, perché tanto aveva aspettato, tanto aveva sperato, che adesso non poteva semplicemente dimenticare.
Quegli occhi di cui suo nonno gli ha raccontato fin da bambino, gli stessi occhi che ha sempre cercato, adesso hanno un nome.

Louis William Tomlinson.

Louis William Tomlinson, condannato alla pena capitale.
Louis William Tomlinson, il suo primo caso, quello che aveva sempre desiderato, la sua prima sfida.
Quella sfida che aveva perso, quella sfida che aveva distrutto ogni suo principio, rendendolo un uomo completamente diverso.

Harry non era mai stato innamorato, non si sarebbe mai accontentato di un di quei rapporti banali, dove ci si dice ti amo e poi, la notte, si dorme distanti.
Avrebbe volentieri rinunciato, piuttosto, ma proprio quando aveva smesso di cercare, ecco che il destino gli aveva dato la soluzione.
L’amore e la morte, racchiuse in un unica persona, quella persona che portava l’orizzonte negli occhi, quegli occhi.

Spegne l’ennesima sigaretta ed esausto, ancora una volta si trascina sul letto, dove si lascia cadere pesantemente e chinandosi in avanti tira fuori una piccola valigia da sotto.
La riempie distrattamente, prendendo solo un paio di pantaloni e qualche maglietta, pronto a lasciare quel posto senza voltarsi indietro.

“Non dovrai tornare più Harry, te lo chiedo per favore. Non voglio mai più vederti, sarebbe insensato e straziante”.

 

Forse avrebbe potuto farlo, per Louis.
Avrebbe potuto assecondare la sua richiesta, mettendo da parte i suoi sentimenti, sgretolandosi, un frammento alla volta, distrutto da quell’assenza incolmabile.
Avrebbe dovuto farlo, per Louis.
Ed è sempre per Louis e la sua richiesta devastante, che Harry chiude deciso la porta di quel monolocale che era stato la sua casa, il suo rifugio, la sua gabbia.
Il posto nel quale aveva passato notti insonni, con la sola compagnia di una tazza di caffè ed un pila di documenti sul caso Tomlinson.

Lo faccio per te. Per te. Per te. Per te.

Come un mantra, continua a ripeterlo, mentre il sole sorge e la sua anima si incupisce, quando getta stancamente il suo unico e semivuoto bagaglio a mano nel vano sopra la sua seduta, e prende posto su quel volo last minute semi deserto, se non per quei pochi passeggeri dalle facce assonnate.
Le palpebre pesanti calano sui suoi occhi quando Los Angeles comincia a farsi piccola, fino a diventare un puntino lontano.
Un puntino che racchiude tutto il suo universo.

 

“Devi crederci Louis, ho bisogno che tu ci creda, che tu creda in me”

“Io credo in te” sussurra nel buio di quella cella dimenticata da Dio.

 

****


“È la prima volta che ti vedo uscire per l’ora d’aria”
“Già, penso che la consapevolezza di morire mi abbia fatto venir voglia di godermi il calore del sole sulla pelle, almeno per il poco tempo che ci è concesso”
“Credo che sia un’idea saggia. Mi dispiace per quello che ti è successo, tutti qui dentro pensano che tu sia colpevole, ma io credo invece che tu non lo sia”
“Beh grazie! Sarebbe stato carino se fossi stato tu il giudice del mio caso”
“Sono abbastanza impegnato qui, sai com’è”

Louis abbozza un sorriso, mentre distende le gambe lasciandole scivolare sul terreno arido, la schiena contro il muro scalcinato.

“Cosa leggi?” chiede, indicando con il capo il libro che il ragazzo continua a sfogliare con la mano sulla quale sono incise quelle parole che conosce bene.
“È una copia di Into the Wild, me l’ha regalata L- una persona”
“Una persona importante se non riesci neanche a pronunciare il suo nome”
“Molto importante, la persona che amo e che ho scelto di allontanare da me, ma non voglio annoiarti con i miei discorsi, sono sicuro che hai altro a cui pensare, come la morte o cose così”
“Non sono preoccupato in realtà, ho già chi mi aspetta dall’altra parte”
Niall distoglie lo sguardo dal libro, poggiando la testa contro il muro, assimilando quelle parole.
“Anch’io ho qualcuno che mi aspetta, ma non posso andarmene, non sono fortunato come te”
“Ma tu hai qualcuno anche qui, quel qualcuno che ti regala dei libri”
“E tu non hai nessuno qui?”

 

Ho Harry. 

Harry Styles.

È, o forse dovrei dire era, il mio avvocato, il mio meraviglioso avvocato.

Vorrei poterti mostrare una foto, perché anche le migliori parole non sarebbero abbastanza.

Non esistono in effetti.

Non esistono parole per descrivere Harry Styles, le sue fossette ed i suoi occhi.

Non esistono parole adatte e forse qualcuno dovrebbe seriamente risolvere questo problema.

Sarebbe necessario coniare almeno un nuovo aggettivo, qualcosa che racchiuda parole come meraviglioso, leale, sincero, altruista, generoso, caparbio, solare, forte, onesto.

Ed ancora non sarebbe abbastanza.

Quindi sì, io ho qualcuno qui, si chiama Harry Styles ed è sempre con me, legato alla mia anima, intrappolato nel mio cuore, in ogni parte di me.

E non chiedermi come sia potuto accadere, perché non saprei spiegartelo, non saprei dirti come, dal momento esatto in cui i miei occhi si sono posati sulla sua figura tutto ha iniziato a girare nel senso opposto.

Mi sono innamorato del mio avvocato, per questo gli ho detto addio.

 

“No, non ho nessuno qui”

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Capitolo 15
*** Chapter 11- MAKE THE DIFFERENCE ***


CHAPTER 14-   MAKE THE DIFFERENCE

 

Non tornava a Memphis da quello che gli sembrava un secolo, ma la piccola cittadina non era cambiata, rimanendo esattamente la stessa.
Dovrebbe sentirsi a casa, mentre stancamente trascina il suo bagaglio a mano lungo il vialetto sterrato fino a aggiungere il porticato della villetta dei suoi genitori.
Le pareti dipinte di azzurro stanno lentamente perdendo colore mostrando, a tratti, il bianco originale.

Prende un profondo sospiro, prima di bussare, ed esausto rimane in attesa.

 

7 giorni, ventidue ore, diciotto minuti, quarantasette secondi.

 

Harry tesoro! Che cosa ci fai qui?” 
Anne lo stringe forte, ispirando a pieni polmoni il suo profumo, quando affonda il volto stanco tra i suoi capelli lunghi che gli cadono morbidi fin sulle spalle.
Harry si lascia abbracciare, stringendola forte a sua volta, gli occhi chiusi.
Dopo quelle che paiono ore, Anne scioglie l’abbraccio, invitandolo ad entrare, senza mai smettere di sorridere a quel figlio che tanto gli era mancato.
Si somigliano molto, Anne ed Harry, entrambi capaci di incantare il prossimo quando il sorriso compare sui loro volti angelici, raggiungendo quei due paia d’occhi incredibilmente luminosi.

“Tuo padre sarà felice di vederti” il tono gioioso in netto contrasto con l’umore triste di suo figlio, che prontamente le regala uno dei suoi sorrisi più belli, nella vana speranza di non lasciar trasparire la sua immensa tristezza.



La sua stanza sembra quella di un altro, adesso.
Adesso che Harry non è più quell’Harry.
La copia originale della sua laurea e del master sono appese alla parete dipinta di quello che, improvvisamente, gli appare come un nauseante rosso cremisi.

 

“Perché io non ho più un’anima Harry, non sono altro che un involucro di carne e ossa, questo posto mi ha portato via tutto”

 

Non ci prova neanche, a scacciare quel pensiero, mentre lascia scivolare l’indice sulla pila di libri universitari sistemati nella libreria stracolma, senza cercarne uno in particolare, lo sguardo annebbiato dal velo di lacrime che rende i suoi occhi più cupi, tendenti al grigio.

 

Quella notte, nella sua stanza, continua a rigirarsi nel letto, incapace di risvegliarsi da quell’incubo che si ripresenta ormai ogni notte.

Una stanza sterile, Louis con mani e piedi legati ed il volto impassibile, un liquido trasparente che lentamente attraversa il tubicino di gomma, per finire poi nel suo organismo, facendo collassare i suoi polmoni, impedendo all’ossigeno di fare il suo regolare corso, costringendo il suo cuore a fermarsi, finché il suo respiro non cessa definitivamente, ed una linea dritta compare sul monitor alle sue spalle, e l’abisso nei suoi occhi è tutto quello che Harry riesce a vedere; è lì che annega, è in quel momento che vorrebbe esserci lui, su quel letto, a morire per un errore, per una decisione sbagliata.

Vorrebbe morire Harry, ma non può, e dai sogni si sa, ci si risveglia quando si muore, non quando si guarda morire qualcuno che si ama.

Ed è per questo che rimane costretto in quell’incubo, incapace di risvegliarsi, gridando disperatamente la sua sofferenza, forte.
Così forte da svegliare sua madre, che dolcemente gli stringe appena una spalla, riportandolo alla realtà.

“È solo un incubo tesoro” gli sussurra quando gli occhi incredibilmente scuri di suo figlio cercano conforto nei suoi.

Harry rimane in silenzio, il volto pallido di Louis impresso nella mente.
Lentamente si volta dall’altra parte, interrompendo così il contatto con sua madre, incapace di sostenerlo per un altro secondo ancora senza crollare in lacrime.

Non avrebbe potuto accettare tutto questo, non sarebbe mai riuscito a lasciare che semplicemente accadesse.
Avrebbe dovuto trovare una soluzione, perché Louis non sarebbe morto in quel carcere disumano, non sarebbe morto per la decisione di un gruppo di persone incapaci.

 

****

 

Ciao nonno” saluta calmo Harry, appollaiato sulla tomba in granito, mentre lentamente mangia il suo panino con le verdure.
“Mi sei mancato” confessa sincero, ricambiando il sorriso a quello impresso nella foto, vicino alla scritta incisa in lettere eleganti.



La morte é solo l’inizio



Sicuramente saprai già tutto. Saprai che li ho trovati. Avevo perso le speranze, sai?
Mi ero rassegnato ad una vita fatta di lotte, sconfitte e vittorie in tribunale, ai tomi di legge sul comodino e alla consegna a domicilio la sera tardi. Invece, all’improvviso, li ho trovati. Proprio quando avevo smesso di cercare. Vorrei solo che fosse semplice, o perlomeno non impossibile. Louis è una persona meravigliosa, e so che lo conosco appena in realtà, ma io lo so. Conosco il modo in cui si mangia le unghie e conosco le rughette intorno ai suoi occhi quando sorride. Non è facile vederlo sorridere, sai nonno, non lo fa quasi mai, ma un paio di volte ci sono riuscito. Vorrei che tu fossi qui, vorrei poterti abbracciare ed ascoltare i tuoi consigli. Vorrei che tu avessi avuto la possibilità di conoscere Louis William Tomlinson, perché la sua forza e la sua tenacia ti avrebbero conquistato, lo so. Conquistano tutti” 

 

Harry ripone il suo panino nella borsa tracolla poggiata sul marmo freddo, lo stomaco chiuso, di nuovo.
Si distende completamente sulla tomba, godendosi il sole tiepido che gli scalda il volto pallido.

“Mi mancherà questo posto, ma poterò con me tutto quello che posso; ogni ricordo, ogni sorriso, ognuno di quei racconti che mi tenevano sveglio fino a tardi. Non so cosa ne sarà della mia vita, da adesso in poi. Non so se sarò ancora in grado di guardarmi allo specchio ed essere fiero di me, perché tutto quello che sono diventato è esattamente tutto quello che ho sempre disprezzato. Ma non posso evitarlo, non posso smettere di credere che questa sia l’unica soluzione. Ho giurato, di fronte ad una corte e a tutte le persone a me care, che sarei stato un avvocato di talento, che avrei onorato la mia patria e rispettato le leggi che le appartengono, ma non posso farlo più, non adesso che quelle stupide leggi stanno uccidendo l’unica persona su questa terra per cui abbia mai provato qualcosa. Se tu fossi qui probabilmente mi diresti di seguire il mio cuore, mi chiederesti se è davvero quello che voglio fare, se sono davvero disposto a rinunciare ad essere quello che ho sempre desiderato per un’altra persona. Ed io, nonno, ti risponderei che sì, posso farlo. Voglio farlo. Per quell’unica altra persona. Per la mia persona. Perché è così che è, e non è possibile cambiare le cose. Non posso neanche pensare di dimenticare ed andare avanti.

Una volta che Louis entra nella tua vita, tu non puoi lasciarlo andare via. Mai più”

Prende un grande sospiro, riempiendo i polmoni fino a scoppiare, per poi lasciare scappare via tutta quell’aria carica di preoccupazione dalle labbra carnose che, noncurante dello strato di polvere, premono sulla foto di suo nonno, in un bacio d’addio.

“Mi mancherà venire a trovarti qui nonno, ma so che sarai ovunque io sarò” dice, alzandosi in piedi e salutando con la mano, quasi come potesse vederlo.

“E se tu dovessi incontrare un ragazzo, se dovessi conoscere Zayn Malik dall’altra parte, per favore, ringrazialo. Ringrazialo per aver condiviso con Louis i momenti migliori della sua vita, e digli che adesso ci sono io qui, a prendermi cura di lui. A qualunque costo”

 

****

 

Cinque giorni, quattro ore, cinquantasette minuti, venticinque secondi.

 

 

Vieni a cena alla trattoria stasera, tesoro?” 

Anne è affacciata sulla soglia della porta della camera di suo figlio, osservandolo preoccupata mentre, in maniera apatica, quello continua a guardare il soffitto.

“Si mamma, ti ho già detto che verrò” risponde meccanicamente, la voce roca tanto è rimasto in silenzio.
“Sono preoccupata, Harold. Vorrei davvero che tu mi spiegassi che cosa sta succedendo, non ti ho mai visto così”
“Niente mamma. Sono solo stanco e deluso, te l’ho già spiegato”
“Per quel ragazzo che non sei riuscito a salvare?”
“Sì mamma, quello”

Anne entra cauta nella stanza, chiudendo piano la porta alle sue spalle, prima di raggiungere il letto di suo figlio e sedersi al suo fianco.
Passa delicatamente una mano tra i suoi capelli, in silenzio, osservandolo chiudere gli occhi a quel tocco, senza però rilassarsi mai, la fronte corrucciata come stesse facendo un grande sforzo mentale, perso nei suoi pensieri.
Come si stesse impegnando a fare uno di quei complicati calcoli matematici.
Come se stesse cercando di tenere il conto di qualcosa, nella disperata speranza di non perdere mai il conto, di non distarsi mai.

 

Cinque giorni, quattro ore, quarantotto minuti, undici secondi.

 

Mi dispiace tanto amore mio, vorrei che tu non ti dovessi ritrovare ad affrontare tutto questo. Quando hai scelto di intraprendere questo percorso sapevo che avresti affrontato momenti difficili, ma mai avrei immaginato così presto. Tu sei ancora il mio bambino, tutto questo dev’essere straziante, ed io non vorrei mai che tu dovessi affrontarlo”
“Non sono più un bambino mamma, ho venticinque anni, sono un uomo”
“Lo so, Harrie lo so, ma per me sarai sempre il mio bambino”
“Che cosa faresti mamma, se non dovessi vedermi mai più?”
“Probabilmente impazzirei. Perché me lo chiedi?”
“Perché penso che potrebbe accadere, un giorno. Potrei andare a vivere in un posto lontano, così lontano da non essere in grado di tornare, neanche se lo volessi”
“E perché mai dovresti voler una cosa simile?”
“È solo un ipotesi. Ma se dovesse mai accadere, tu dovrai essere forte mamma, dovrai essere forte anche per papà”
“Mi sta facendo preoccupare adesso. Guardami per favore”

Il tono della sua voce è delicato, è una brava madre Anne. Brava a tal punto da riuscire ad impedire alla preoccupazione d’incrinare la sua voce, nonostante ogni sua viscera si ribelli a quella vista.
Vedere suo figlio spento, arreso alla sofferenza, le spezza il cuore.
Perché persino l’amore di una madre, talvolta, non è sufficiente a risanare l’animo devastato del proprio figlio, non quando di mezzo ci sono l’amore e la morte.
Nonostante non ne abbia nessun desiderio, Harry incontra con i suoi gli occhi di sua madre ed immediatamente, quasi come avesse fatto scattare l’interruttore che da giorni teneva nascosto, si lascia andare ad un pianto silenzioso.
Non era giusto, non stava succedendo proprio a lui.
Non aveva mai fatto niente di male per meritarsi tutto questo, non aveva mai fatto del male a nessuno, si ripeteva, incapace di controllare il flusso di pensieri.
Eppure si ritrovava in questa terribile situazione, sospeso tra la speranza di non lasciarlo mai e la certezza di non poter averlo, mai.

Ma alla fine che significa 'mai'?
Mai è un tempo indefinito, come per sempre.
In fin dei conti non c’è poi molta differenza, entrambi indicano un tempo infinito.
Un’infinita serie di numeri, come una clessidra che non finisce mai di riversare la sua sabbia, capovolgendosi non appena una delle due parti rimane vuota.

Harry non avrebbe MAI permesso all’universo di portargli via Louis, avrebbe PER SEMPRE lottato per tenerlo con lui, per renderlo parte di lui, più di quanto già non lo fosse.
Perché forse Louis, parte di Harry, lo era sempre stato, e non avrebbe mai smesso di esserlo.

“Non vorrei mai più vederti soffrire così tesoro mio, vorrei poter fare qualcosa, qualsiasi cosa per alleviare il tuo dolore”
“C’è una cosa che puoi fare mamma. Puoi amarmi abbastanza da lasciarmi andare, quando sarà il momento di dirsi addio.”

 

 

****

 

 

Harry aveva sempre amato la sua famiglia, nonostante tutto, perché è così che funziona no?
Aveva sempre creduto nel Natale attorno al fuoco ed ai regali impacchettati sotto l’albero illuminato nel salotto.
Era sempre stato certo che, con la sua famiglia, avrebbe condiviso tutto; gioie e dolori, vittorie e sconfitte.
Prima.

Quell’idea malsana aveva preso possesso della sua mente un po’ alla volta, giorno dopo giorno, concretizzandosi sempre più, fino a diventare un'opzione possibile ed infine una certezza.
Avrebbe detto addio, Harry, avrebbe chiuso una porta su quella che era stata la sua vita per non aprirla mai più e, nonostante si rendesse conto di quanto fosse pericolosamente folle, era l’unico pensiero che riuscisse a mantenerlo a galla.
Perché stava affogando, Harry, stava lentamente scivolando sul fondo dell’abisso, senza essere in grado di risalire.
Louis Tomlinson occupava la sua mente da mesi ormai, la speranza di salvarlo prima, la certezza di perderlo dopo.
Sarebbe morto e questo era tutto quello che riusciva a pensare, sarebbe morto e la colpa era la sua.
Non era stato in grado di salvarlo, non era stato all’altezza.

Finché quell’assurda, malata idea, non aveva preso forma, portando con sé uno spiraglio di luce, una piccola, minuscola possibilità, ed ad Harry tanto bastava.
Avrebbe salvato Louis, in un modo o nell’altro, a qualsiasi costo.
Nella sua mente l’intero piano era stato elaborato nei minimi dettagli, nelle innumerevoli notti senza sonno.
Tutto sarebbe potuto andare storto, avrebbe potuto rovinare la sua vita, ma se questo era il modo in cui doveva vivere, carico di pentimento, allora avrebbe rischiato, avrebbe giocato il tutto per tutto.

 

“Se esiste un modo per tirarti fuori di qui, lui lo troverà”

 

“Liam” 

Harry passeggia avanti e indietro lungo il sentiero sterrato che conduce alla trattoria dei suoi, dove ha appena cenato.

“Harry. Tutto bene?”
“Sì, sono a Memphis, ho bisogno di parlarti di una questione importante”
“A Memphis?”
“Sì, poi ti spiego. Quando possiamo vederci?”
“Tra quattro giorni ci sarà... beh, sai cosa ci sarà. Immagino tu voglia vedermi prima”
“Esattamente. Sarò a Los Angeles domani nel pomeriggio, tieniti libero per le sette”
“Va bene, a domani allora”
“Liam?”
“Sta bene Harry, per quanto sia possibile stare bene nella sua situazione”
“Digli che lo penso, e che mi manca”
“Perché non vieni a dirglielo tu?”
“Non vuole, mi odierebbe se lo facessi”
“Io credo che dovresti andare a trovarlo Harry, dovresti dirgli addio”
“Non è così che deve andare. A domani Liam”.

Harry chiude la conversazione e ripone il telefono nella tasca posteriore dei jeans.

Non è pronto a dire addio, non a Louis per lo meno.

 

 

****

 

 

Più tardi, nonostante la stanchezza, cerca disperatamente di non crollare, mentre guarda la partita di football con suo padre.
I suoi capelli sono più grigi, adesso, e le rughe intorno agli occhi sembrano essersi moltiplicate, così come quelle di sua madre che, nonostante sorrida costantemente, ad Harry pare stanchissima.
Vorrebbe poterli portare con sé, prendersi cura di loro e non lasciarli mai, così come vorrebbe poter restare sempre con loro, dimostrandogli tutto il suo amore.

Ma non può farlo Harry, non più.

E' ormai l’una di notte quando suo padre, finita la partita, gli dà la buona notte, abbracciandolo distrattamente; ma Harry non lo lascia andare, stringendolo più forte a sé, e per la prima volta gli sembra infinitamente fragile, tra le sue braccia.

“Ti amo papà, non dimenticarlo mai, va bene?”
“Va bene tesoro, ma… stai bene?”
“Sto bene, sì, voglio solo essere sicuro che tu non lo dimenticherai mai” dice, stringendolo ancora un po’ a sé, con gli occhi chiusi e le labbra serrate, nel tentativo di non scoppiare in lacrime.

 

Quando suo padre lascia il salotto ed Harry rimane solo con sua madre, si siedono entrambi sul divano, dove Harry si lascia andare, poggiando la testa sulle sue gambe e lasciando che lei giochi con i suoi capelli, come quando era un bambino.
Sarebbe bello poter tornare indietro, scegliere un sogno diverso, qualcosa di più semplice, di meno faticoso, pensa.

Ma questo non è possibile, non si torna indietro, non si può.

“Mi sei mancato tesoro mio” 
“Mi sei mancata anche tu mamma, tantissimo”
“Devi partire già domani?”
“Sì, ci sono delle cose che devo fare a Los Angeles”
“E quando tornerai?”
“Sarà come se non me ne fossi mai andato mamma, sarò sempre con te, nonostante tutto, non dimenticarlo mai”
“Vorrei riuscire ad afferrare il senso di queste tue parole Harrie”
“Lo farai, quando sarà il momento. Per adesso sta qui con me, finché non mi addormento”
“Starò con te per sempre tesoro, per sempre”

 

Vorrei che fosse possibile mamma.

 

****

 

È notte fonda quando, silenziosamente, chiude piano la porta di casa alle sue spalle.
Nel piccolo bagaglio a mano ha nascosto una foto, una di quelle che sua madre teneva sul caminetto, in una bella cornice.
È una di quelle foto dove tutti sono felici, piena di grandi sorrisi ed occhi gioiosi.
Forse avrebbe capito, Anne, vedendo quella cornice vuota, forse le parole di suo figlio avrebbero avuto un senso.

Rannicchiato in attesa che il suo volo venga chiamato Harry rimane in silenzio, fissando un punto imprecisato nel vuoto dell’aeroporto, che a quell’ora della notte pare essere deserto.
Non sa ancora come andranno davvero le cose, non sa quanto folle sia questa sua idea, quanti rischi e quante persone avrebbe coinvolto, nella sua corsa disperata contro il tempo, contro la morte, contro la fine di un amore mai nato.
Ma ogni particella del suo corpo combatte per questo, per Louis, per l’orizzonte ed il tramonto mai visto.

Perché sono troppe le meraviglie che Louis non ha mai visto e che Harry non vedrà se Louis non sarà al suo fianco, e non sa quando di preciso sia diventato completamente folle. Una sola certezza è quella che lo spinge ad andare avanti.
La sola ed unica consapevolezza che Louis William Tomlinson è un angelo da salvare, e che lui, Harry Edwards Styles, è il suo salvatore, e non si sarebbe tirato indietro, perché Harry le promesse le mantiene, a qualunque costo.

 

Io ti salverò Louis. Ti salverò sempre. Tutte le volte che non vorrai essere salvato, io ti salverò.

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Capitolo 16
*** Chapter 15- Death Row ***


 

 

Chapter 15- Prisoner number 2306 - DEATH ROW

 

 

Death Row.  

Il braccio della morte. È così che lo chiamano.
Da quando la sentenza è stata ufficializzata mi hanno spostato in un’altra sezione, dove ci sono tutte persone che come me, aspettano.

Aspettano di morire.

 

Sono in questo carcere da più di un anno ormai, e durante l’ora d’aria mi capita di ritrovarmi a parlare con quelli che ormai sono diventati i miei compagni di disavventura.
Sammy, un ragazzino di appena sedici anni è qui al Jail da un paio di mesi ormai, per aver rubato delle monetine.
Quando me l’ha raccontato ho pensato fosse una bugia, ma più tardi ho scoperto che Sammy semplicemente non sapeva che quelle monetine fossero di un collezionista inglese d’alto borgo, che quei piccoli cerchietti di metallo apparentemente di poco valore, valessero invece milioni di dollari.
Sammy semplicemente non lo sapeva.
Sammy rimarrà qui ancora per molto, molto tempo, ed io non potrò più proteggerlo.
Non è stato facile fargli capire perché, non avrei voluto doverglielo spiegare, ma alla fine sono stato costretto a farlo, prima o poi non mi avrebbe visto più, e si meritava di sapere la verità, o qualcosa che le somigliasse.

“Lou quando usciamo di qui posso restare con te?”
“Io non uscirò da qui Sam, ma tu si, e dovrai fare il bravo, come promesso”
“Perché non uscirai Lou? Hai detto che il tuo avvocato ti avrebbe fatto uscire, e che poi avrebbe fatto uscire anche me”
“So quello che ho detto Sam, ma mi sbagliavo. Il mio avvocato si sbagliava, quindi non uscirò, ma tu invece lo farai, di questo ne sono sicuro”
“Ma io non voglio andare via se non vieni anche tu”
“Certo che andrai Sam, vivrai una vita bellissima fuori da queste mura, ed io ti sarò comunque sempre vicino, anche se non potrai vedermi”
“Come un angelo custode?”
“Esattamente come un angelo custode Sammy, io ed il mio migliore amico Zayn veglieremo su di te”
“E dov’è Zayn adesso?”
“È qui, proprio vicino a me, ogni istante”
“È invisibile?”
“Diciamo cosi”
“Ed anche tu diventerai invisibile? Come un super eroe?”
“Come super eroe”.

 

*****

 

Quando arrivi in un carcere di massima sicurezza all’età di ventitré anni, ti senti tremendamente piccolo.
La maggior parte dei detenuti ha il doppio della mia età, tranne qualche eccezione, come Niall, che arrivò un paio d’anni prima di me, insieme a Luke.
Non abbiamo mai parlato molto, non come adesso almeno.
A volte, quando ci ritroviamo a parlare durante i nostri sempre troppo brevi sessanta minuti di patetica libertà, Liam si avvicina, chiedendomi come sto, per soffermare poi lo sguardo amorevole su Niall, che prontamente lo evita, ogni volta.
Nessuna eccezione.

“Credo che Liam sia innamorato di te” ho detto un giorno, in un minuto imprecisato di quei sessanta.
“Lo so. Ma non mi importa”
“Posso sapere che cosa ti ha fatto per far si che tu neanche riesca a guardarlo negli occhi?”
“Se lo guardassi negli occhi lo capirebbe Louis, capirebbe che lo amo e che non ho mai smesso di farlo, mai, nemmeno un istante in tutti questi anni”
“Anni?”
“Anni, si. Ho conosciuto Liam per sbaglio  prima di finire in questo inferno con Luke, noi avevamo imparato ad amarci, in segreto, e quando Luke l’ha scoperto, lui- lui si è ucciso. Ed io non potrò mai perdonarmi per questo. Il mio amore per Liam l’ha ucciso. Evitare ogni contatto con lui mi sembra l’unico modo che ho per portargli rispetto, per sdebitarmi”
“Capisco. Ma lasciami dire che negarsi un sentimento come l’amore non ha alcun senso, se non quello di distruggerti. Sono certo che Luke vorrebbe solo la tua felicità, forse in vita non l’aveva capito, non era stato in grado di accettarlo, ma adesso, ovunque sia, sono più che sicuro che la sua anima sia pura e libera, e che vederti felice sarebbe fonte di gioia per lui”
“Vorrei poter esserne sicuro”
“È così di certo. È questo il vero amore! Amare così tanto una persona da lasciarla libera, amarla a tal punto da gioire delle sue gioie, anche se queste non dipendono da noi stessi”
“È per questo che hai detto a Harry di andarsene e non tornare mai più?”
“Si Niall, è anche per questo. E perché amarlo mi fa venire voglia di vivere, e questo non mi è concesso. L’ho fatto per entrambi, e lui l’ha capito. Non è mai più tornato”.

 

****

 

La mia cella conta cinque passi per tre, non ci sono finestre, ovviamente, come in quella d’isolamento, è impossibile capire se sia giorno o notte, là fuori.
Pare impossibile anche pensare che ci sia qualcosa, là fuori.
Perché tutto il tuo mondo è qui dentro, racchiuso tra delle mura umide.

Oggi ci saranno le visite dei bambini delle scuole elementari, ed è sempre motivo di grande gioia vederli guardare con ingenuità oltre le sbarre, vederli intrufolare le loro manine senza paura all’interno della mia cella, nonostante i rimproveri della maestra, che dolcemente, mi saluta gentile.
Gli incontri con i bambini sono la parte migliore di tutto questo disastro, è commovente ascoltare le loro domande sfacciate e spontanee e cercare disperatamente le parole giuste per far capire loro quanto sia importante rispettare se stessi e gli altri, essere persone corrette, educate e gentili.
È difficile far capire loro che ogni singola azione, anche quella compiuta in un solo brevissimo attimo di confusione può compromettere l’intera vita.
Come si spiega ad un bambino che difendere la propria mamma può costagli la vita?
Non si spiega.
Non si può.
Un bambino deve credere nella propria mamma, anche se Louis non può farlo più.
La mamma è come Dio, per quel bambino, e quel bambino, farebbe di tutto per proteggere la sua mamma.

E chi sono io, per dire che no, non si fa?

“Proteggi sempre la tua mamma piccolino, comportati bene e pensa sempre a quello che fai. Prenditi sempre un minuto, prima di compiere un’azione avventata, va bene?”
“Va bene Loueh, anche tu proteggi la tua mamma. Ci vediamo la prossima settimana?”

Jake adora le visite al Jail, o forse adora me. In ogni caso è sempre il più felice della classe, quando si tratta di passare del tempo con i detenuti.
Non avevo mai amato mentire, ma un bambino non merita di sapere.
Un bambino dovrebbe sempre credere che dire la verità sia la cosa migliore, ma come avrei potuto essere sincero con lui?

“Si J, ti aspetterò qui, come sempre” ho mentito, stringendo forte tra le sbarre la sua manina, per l’ultima volta.

 

****

Quando Harry raggiunge lo studio di Patrick, Genny, la segretaria, lo invita ad accomodarsi, dato che l’avvocato al momento è impegnato con un cliente.

 

Due giorni, cinque ore, cinquantotto minuti, quarantasette secondi.

 

Cerca di rielaborare il discorso per l’ennesima volta, ma gli sembra che questo non abbia alcun senso.
Partick non avrebbe mai capito, eppure non aveva altra scelta.
Non avrebbe volentieri detto niente Harry, se solo avesse potuto, ma fare tutto da solo non era neanche lontanamente possibile.

“Grazie avvocato” sente dire, quando la maniglia si abbassa e la porta si apre appena, lasciando intravedere quel profilo, che unito a quella voce, non può che appartenere ad una persona soltanto.
“Harry?”
“Liam. Che cosa ci fai qui?”
“Io, sono qui per Niall. Ti spiegherò tutto più tardi. E tu?”
“Harry!” Patrick li interrompe, avvicinandosi ed abbracciandolo, non lo vede da mesi.
“Ciao Patrick!” saluta stretto nel breve e composto abbraccio, che finisce quasi subito.
“Qual buon vento ti porta da queste parti?”
“Vento di tempesta, credo. Ho bisogno di parlarti” dice serio, volgendo poi lo sguardo a Liam e “Ti chiamo più tardi” aggiunge.


****


La storiella dell’ultimo pasto è una cosa che succede davvero, come nei film.
Solitamente il cibo per noi condannati a morte consiste in una massa indefinita di avanzi dal sapore acre, talvolta è impossibile anche capire che cosa sia; per l’ultimo pasto, invece, mi è stato chiesto che cosa volessi mangiare.
Domanda apparentemente banale, forse, ma al momento mi sembrava impossibile trovare una risposta.
Ho pensato a tantissime pietanze. Carne, pesce, pasta, verdure, frutta.
Magari della frutta, e della carne.
Ecco vorrei della macedonia e una bistecca con le patatine.

“Tomlison” la guardia batte due forti colpi contro le grate per attirare la mia attenzione, e non appena mi sollevo dal letto lascia scivolare il vassoio attraverso la fessura in basso, insieme ad una birra gelata.
Quasi mi emoziono, quando le bollicine salgono veloci verso l’alto, e la schiuma bianca bagna le mie labbra secche.
Avevo dimenticato il sapore amaro della birra.

Cin Cin Zaynie.

 

Lo stomaco fa male, quando non sei più abituato a mangiare come farebbe una persona con una vita regolare.
È come scoppiare, e quasi si fa fatica a respirare.
Non esitino controindicazioni per la pena di morte, ma immagino che avere il mal di stomaco non sia un modo piacevole per andarsene, per non parlare della necessità impellente di andare in bagno a causa della birra, che inoltre, tende ad annebbiare la mente, indebolendo i pensieri, stordito dai pochi gradi d’alcool che contiene.
Non mangiavo un pasto decente da un anno, così come non bevevo qualcosa che non fosse acqua. 
Passato il mal di stomaco sembra quasi piacevole. 
Si, una piacevole distrazione dal pensiero costante della morte imminente.

 

****


“Come sta Louis?” 

Harry non stacca un attimo gli occhi da quelli nocciola di Liam, che, seduto di fronte a lui in un tavolo appartato dello Starbucks vicino alla spiaggia, sorseggia il suo cappuccino.

“Non lo vedo spesso. Gli hanno cambiato sezione, sai… adesso è nel braccio della morte, è li che vengono reclusi quelli che aspettano”

Il cuore di Harry ancora una volta si incrina, e quasi si spezza, ma non ancora.
La folle speranza di riuscire nell’impresa fa da collante, seppur debole.

“Non posso immaginarlo, non ci riesco. Lui è così fragile, non dovrebbe essere li dentro, non è così che deve andare”
“A volte le cose succedono e basta Harry, e noi, non possiamo farci niente”
“C’è sempre un’altra opzione. Che cosa ci facevi da Patrick?”
“Stavo cercando uno dei migliori avvocati in tutto lo stato, per Niall. Voglio tirarlo fuori da li, devo provarci.”
“E che cosa ti ha detto? Gli hai spiegato tutto?”
“Dice che studierà il caso, e lo passerà al migliore degli avvocati che appartengono al suo studio legale. Tu invece? che cosa ci facevi li?”
“Niente di particolare, è semplicemente un amico che non vedevo da tanto, ho lavorato per lui e-“
“Harry smettila di raccontarmi cazzate. Ormai ti conosco abbastanza da capire quando mi stai nascondendo qualcosa. Quindi sputa il rospo.
Hai detto che volevi parlarmi di qualcosa di importante”
“Si, ecco, non è semplice” Harry si lascia cadere con la schiena contro la sedia, accompagnando il movimento con un sospiro liberatorio.
“Ok. Adesso ti spiego tutto, ma non interrompermi, lasciami spiegare e dopo potrai alzarti e non guardami mai più in faccia se vorrai”
“Parla” 

Harry giocherella istintivamente con il suo anello, prima di tornare a guardare Liam dritto negli occhi.
Si fida di lui.

Non sarebbe mai riuscito ad incontrare Louis se non fosse stato per Liam, quindi, dopo l’ennesima cascata di dubbi che gli invade la mente, scaccia quei pensieri e si lascia andare.
“Ok. Cercherò di partire dal principio. Come sai, il caso Tomlinson è il mio primo caso come unico avvocato, ed è stato proprio Patrick ad assegnarmelo e-“
“Ma quin-“
“Lasciami parlare Liam per favore” dice, alzando una mano per zittirlo, e Liam ancora una volta torna attento e silenzioso.
“Avevo studiato il caso nei minimi dettagli, sapevo ogni singolo particolare, ogni sfaccettatura, avevo letto e riletto i suoi fascicoli fino alla nausea.
Poi, una volta pronto, ho incontrato Louis, e da quel momento ogni pezzo del puzzle ha cominciato a ruotare, mescolandosi e confondendomi all’inizio, fino ad incastrarsi perfettamente gli uni con gli altri.
Dopo la prima udienza a porte chiuse, mi sono reso conto che il caso che Patrick mi aveva assegnato era un caso perso in partenza, non vi era via d’uscita, Louis non sarebbe mai potuto essere stato scagionato.
La testimonianza di sua madre, le sue impronte sull’arma del delitto, ed l’astio nei confronti di quell’uomo come movente non erano confutabili.
Ne ho parlato con Patrick, e l’unica opzione possibile rimaneva il patteggiamento.
Cosa che Louis ha rifiutato, e non serve che ti spieghi il motivo.
Qui entri in gioco tu, e tutte le volte che mi hai permesso di vederlo, cosa per la quale non ti ringrazierò mai abbastanza, forse.
Durante i nostri brevi incontri, ho imparato a conoscere Lou, ad apprezzare i suoi silenzi e le frasi taglienti.
E poi è successo Liam, ogni istante che passava imparavo a conoscere un po’ di più Lui, ed a perdere un po’ del me stesso che ero sempre stato.
Louis ha capovolto il mio mondo, ed io non voglio più tornare in dietro, non lo voglio più il mio mondo se non posso condividerlo con lui.
Per questo non posso accettare quella maledetta sentenza Liam, non posso, ed è sempre per questo, che ho bisogno del tuo aiuto.

“Harry tu lo ami” 
“Perdutamente”.

 

****

 

Quando Liam ed Harry escono dallo Starbucks si abbracciano forte, complici.

Liam l’avrebbe aiutato, perché Liam crede nell’amore e nella sua immensa forza, e difronte ad un amore come quello che Harry prova per Louis, non può far altro che essere onorato di farne parte, in qualche modo.

 

Sei un dono del cielo Liam, tutto questo senza di te non sarebbe mai potuto accadere”
“No Harry, sei tu ad essere un angelo. Non so per quale scherzo del destino tu sia finito al Jail, e non so come tu abbia incontrato la tua anima gemella tra quelle mura infami, ma probabilmente è così che doveva andare, tu dovevi trovarlo, dovevi amarlo, dovevi salvarlo.”

“E se dovessi fallire Liam? se andasse tutto storto? se Louis morisse ed io non riuscissi a salvarlo? cosa ne sarebbe di me, di te, di Niall, di tutte le persone che ci amano?
Cosa succederebbe se non fossi io la persona che deve salvarlo? Se mi sbagliassi? Mi ha supplicato di sparire, lui vuole dimenticarmi Liam, ma io non posso, non posso farlo.” 

Harry libera tutti i suoi dubbi contro il petto di Liam, inumidendo con le sue lacrime il tessuto della felpa.

Liam rimane per qualche minuto in silenzio, accarezzando piano la sua schiena, finchè lentamente il tremore si ferma, e così i singhiozzi, lasciandolo sfinito tra quel paio di braccia forti, quelle stesse braccia che l’avrebbero sostenuto sempre, accompagnandolo verso il suo destino, nel suo folle piano.
Liam era un amico, uno di quelli veri, pronto a tutto, pur di vederlo sorridere ancora una volta.

 

“Solo tu puoi salvare Louis, Harry.”

 

“Salvami ti prego”

 

****

 

 

 “Tomlinson devi venire con noi adesso, è il momento”

 

Una frase semplice.

È il momento.

 

Quando si alza per seguirli guarda per un istante la cella, non c’era niente che volesse portare con se, non che avesse qualcosa in particolare.
Solo un foglio stropicciato, nascosto all’interno della tuta, a contatto con la sua pelle, vicino al cuore.
Solo quelle parole d’inchiostro nero ed una calligrafia elegante avrebbe portato con sè, fino alla fine.
Quella lettera a tratti scolorita dalle loro lacrime,  quella lettera che quel ragazzo con le fossette gli aveva lasciato sul comodino, quello stesso giorno in cui le sua labbra rosate erano state così vicine alle sue da poterne sentire la morbidezza.

 

Sei il mio rimpianto più grande, Harry Styles.

Sei quel bacio che non avrò mai.

Sei quelle mani grandi che non stringerò e quei ricci soffici che non potrò accarezzare.

Non in questa vita almeno.

Tornerò a trovarti, se mi sarà concesso.

Tornerò a prendermi quel bacio che mi spetta, se avrai la pazienza di aspettarmi.

Continua a sorridere, anche quando sembra impossibile, tu splendi.

Sii luce, Harry. 

Tuo, Louis.

 

Ripiega delicatamente il foglietto e lo lascia all’interno di una copia di Alice in Wonderland, quella che gli ha prestato Niall, il giorno che si sono detti addio, durante i loro ultimi sessanta minuti condivisi.
Louis non sa se Harry leggerà mai quelle parole, ma ci spera, ci spera con tutto il suo cuore.

 

 

“Tomlinson!” 

“Sono pronto”.

 

****

 

Quando Louis viene accompagnato nell’Ala H, all’alba, un leggero tintinnio accompagna i suoi passi e quelli delle guardie, un tintinnio che un’istante dopo l’altro aumenta d’intensità.
Quello è il saluto del carcere a Louis, quelle sono migliaia di mani di prigionieri, che all’unisono colpiscono le sbarre delle proprie celle, creando una reazione a catena inarrestabile, sempre più potente, tanto che le voci delle guardie che gli intimano di smetterla vengono quasi completamente attutite.
Tutte quelle mani, unite in quel saluto a Louis, continueranno a battere, insieme, fino all’ora x.

 

****

 

Louis viene portato in una piccola stanza, senza sbarre, ne manette.
Forse giunti a quel momento nessuno pensava avesse intenzione di fare una qualsiasi cosa per farsi del male.
In fondo avrebbe dovuto solo aspettare qualche minuto, prima di morire.

“Quando la sala sarà pronta verrai chiamato Tomlinson. Qualcuno verrà a farti visita mentre aspetti?”

Louis si lascia scappare un sorriso amaro, scuotendo la testa, prima di voltare le spalle alla guardia e stendersi a terra, con la schiena contro il muro, quando la guardia chiude la porta lasciandolo solo, nel silenzio più assoluto.

Chiude gli occhi, lasciando i suoi sensi liberi di percepire, di esprimersi, senza trattenersi.
Quelli erano i suoi ultimi minuti, e non li avrebbe sprecati a pensare a come sarebbero andate le cose se non avesse colpito quell’uomo, se Zayn fosse stato vivo, se si fosse diplomato, se avesse lasciato prima la casa di sua madre.
Louis tutte queste domande le scaccia via, perché se tutto quello non fosse successo, non avrebbe mai potuto perdersi in quel sorriso meraviglioso quasi tanto quegli occhi verdi, grigi, talvolta azzurri.

Anche adesso che sta per morire, Louis non cambierebbe nulla. Louis non cambierebbe Harry.


“Louis, per favore non piangere”. 

E forse Louis sta sognando, perché quella voce roca sembra così vicina.
Così reale.

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Capitolo 17
*** Chapter 16- GOODBYE MY LOVER ***


Chapter 16-  GOODBYE MY LOVER

 

 

“Louis per favore non piangere”

 

 

 

 

Non apre gli occhi neanche quando una mano delicata raccoglie quelle lacrime stanche, facendolo rabbrividire.
Si lascia andare a quel contatto gentile, reclinando la testa contro il muro alle sue spalle, svuotando i polmoni e la mente in un sospiro.
Continua a tenere gli occhi chiusi, quando posa una mano piccola e libera dalle manette su quella più grande che continua ad accarezzargli il volto.
Riesce a sentire la superficie lavorata di un anello in metallo, quell’anello che già una volta aveva attirato la sua attenzione, al di là di un paio di sbarre scolorite.


“Ho paura Harry” 

Lo sussurra, tanto che quasi Harry fatica a sentirlo, nonostante il suo volto sia ad un palmo da quello di Louis.
Nonostante la punta del naso sfiori la sua, adesso.
Adesso che il tempo non esiste, adesso che le sue labbra carnose sfiorano quelle umide dell’altra metà di se stesso.

Louis non apre gli occhi, non ancora.

Vuole conservare quel momento per sempre, nonostante il suo per sempre non sia altro che adesso.
Questo è tutto quello che gli è concesso.
Questo è il loro attimo, quello che Harry non avrebbe dimenticato mai. Lo stesso che Louis non avrebbe mai potuto ricordare.

Non sanno quanto di preciso quell’attimo possa essere misurato nel tempo reale, ma nel loro, quell’attimo è infinito.
È il per sempre racchiuso in un unico singolo irripetibile istante.

Harry alleggerisce leggermente la pressione sulle labbra dischiuse di Louis, allontanandosi appena, per riuscire a perdersi in quell’abisso ancora una volta.
L’ultima volta.

“Loueh apri gli occhi” sussurra, senza smettere di accarezzare con il pollice il suo zigomo, la mano di Louis ancora aggrappata alla sua.
“Non posso Harry, non posso guardarti, fa troppo male” confessa, la voce spezzata dal pianto che trattiene con tutte le sue forze.

Harry si siede al suo fianco, in silenzio, e delicatamente fa in modo che Louis si distenda sul pavimento freddo, poggiando la testa sulle sue gambe distese.
Un frammento del suo cuore ormai distrutto si spezza, ancora una volta, quando con infinita delicatezza lascia che le sue dita affondino tra i suoi capelli lisci.

“So che non volevi che venissi e che probabilmente mi odi adesso, ma non potevo lasciarti andare senza prima averti salutato” 

Non smette mai di accarezzare i suoi capelli, come Louis non smette mai di sforzarsi dal crollare in un pianto di disperato.
Non sarebbe crollato, non adesso che era giunto alla fine.
Se ne sarebbe andato a testa alta, come fanno gli eroi, infondo aveva fatto una promessa a Sam.

“Non ti odio Harry, non provo niente in realtà, niente tranne la paura.
Non c’è nessun altro sentimento in me, ho solo un grande vuoto dentro, come un buco nero che dal mio petto si espande ovunque, impedendomi di sentire qualunque cosa.
Perfino pensare mi sembra una cosa inutile e superficiale. Non riesco a sentirmi, è come se il mio corpo e la mia mente fossero separati, non è semplice da spiegare”

“Credo di aver capito” sussurra allora Harry.

Non sa perché la sua voce roca si ostini a voler uscire in quel modo, quasi come avesse paura che il suono della sua voce potesse incrinare quell’atmosfera di assoluta intimità e  tensione. Come se interrompere quel silenzio volesse dire interrompere quel momento, per passare a quello successivo.

Quello che non sarebbe dovuto arrivare mai.

Louis si raggomitola su se stesso, voltandosi su un fianco, così che possa nascondere il suo volto contro la felpa di Harry, inspirando il suo profumo.

“Perché sei qui Harry?” 

 

Per dirti addio, Loueh.

 

Harry non risponde a quella domanda appena sussurrata.
Non può esprimere a parole quel pensiero tanto devastante.

“Sono qui perché non c’è nessun altro posto al mondo dove vorrei essere” risponde invece, piegando appena le gambe in modo da avvicinare di più Louis al suo petto, senza mai smettere di passare le dita tra i suoi capelli.

“Non avrei mai voluto che tu mi avessi incontrato, ti ho rovinato la vita e mi dispiace così tanto Harry, vorrei poter renderti felice, almeno una volta nella vita” confessa, e senza rendersene conto stringe forte la felpa nel piccolo pugno, quasi come volesse trattenerlo per sempre.

“Tu non mi hai rovinato la vita, non pensarlo neanche. Tu l’ha vita me l’hai regalata Loueh, e non so come sia potuto accadere, ma è successo, e non si torna indietro, anche se fa male”

“Vorrei poter vivere, vorrei poterti vivere, nel mondo reale” 

Louis confessa i suoi sentimenti, mentre continua a tenere gli occhi chiusi, sollevandosi appena, per poggiare la sua fronte contro quella di Harry, che inspira profondamente, cercando di non crollare, non ancora.
Non difronte a Louis.

 

“Tu sei speciale Harold, sei un angelo, il mio angelo” sussurra contro le sue labbra, immobile.

Non esiste tempo, in quell’attimo infinito in cui le labbra di Harry si posano ancora una volta sulle sue, complici di una promessa silenziosa.

 

“Ti salverò Louis William Tomlinson”

 

 

Harry e Louis non si erano mai baciati prima, eppure.

Eppure quel sapore amaro e dolce sembra così familiare, tanto quanto quella sensazione di vuoto allo stomaco.
Come lasciarsi cadere nel vuoto, con gli occhi chiusi, senza sapere quanto sia alto il salto, senza sapere quando toccherai il fondo, ed il fondo, non arriva mai.
Mai.

È così, il loro primo ultimo bacio. Un salto nel vuoto, con la paura di doversi separare, alla fine.

Le labbra di Louis si dischiudono delicate, lasciando che quelle di Harry possano aderire perfettamente alle sue, in una danza silenziosa, in un bisogno reciproco di appartenenza, stretti l’uno all’altro, sul freddo pavimento di una cella umida, incapaci di dirsi addio.

“Io non ti conosco” sussurra Louis contro le sue labbra, senza interrompere il contatto.
“Devi solo chiedere” 
“Qual’è il tuo film preferito?”
“Questo non posso proprio dirtelo, mi prenderesti in giro”
“Sei timido?”
“Tu mi rendi timido. Titanic.”
“Sei romantico”
“Tu mi rendi romantico”
“Adesso sei dolce, troppo”
“Hai ragione, scusa, ma è la verità. Tu riesci a tirare fuori la parte migliore di me”
“Credi che sia possibile innamorarsi di qualcuno che non si conosce?”
“Credo di si. Io mi sono innamorato dei tuoi occhi, all’inizio”
“E poi?”
“Sei curioso”
“Tu mi rendi curioso”
“Adesso sei stronzo. Mi prendi in giro!”
“Un po’. E poi?”
“E poi mi sono innamorato del tuo nasino” dice, seguendo con l’indice la linea dritta del suo naso per poi raggiungere le labbra arrossate.
“E poi mi sono perdutamente innamorato del tuo sorriso”.

Harry sa quanto tutto quello sia sbagliato, quanto sia devastante esprimere quei sentimenti che non sarebbero mai potuti vivere, non più di qualche minuto, racchiusi tra quelle mura, ma la necessità di esprimere tutto l’amore che prova per quel ragazzo è più forte, perfino della morte.

“Non dovresti amarmi, non così. Io non potrò mai darci ciò che ti meriti Harry, perchè io lo so, che tu ti meriti il meglio. Ti meriti una vita lunga e felice, ti meriti una persona accanto sempre pronta a sostenerti. Ti meriti il buongiorno alla mattina e la buonanotte la sera, ti meriti di essere amato immensamente, ed io tutto questo non posso dartelo, anche se vorrei” dice, allontanando il volto dal suo, per riuscire a guardarlo negli occhi.

Ed Harry ancora una volta si perde in quell’abisso, incapace di pensare una qualsiasi cosa che non sia una disperata richiesta di aiuto.

 



“È tutta la vita che ti aspetto Harry Edward Styles”

 

 

Harry poggia ancora una volta le labbra su quelle fini di Louis, alla ricerca disperata d’ossigeno, e per quanto sia impensabile, per un unico brevissimo istante, Harry è felice.

Felice di stringere tra le braccia quel ragazzo troppo magro, con i capelli troppo lunghi e la carnagione troppo chiara.
Felice di poter sentire il suo respiro calmo sulla pelle, nell’incavo del suo collo.
Felice di poter chiudere gli occhi, e sentirsi a casa, completo.
Perchè questo è Louis, l’altra metà esatta di Harry.
Ed è banale, perché non è forse così che si sento tutti gli innamorati?
Eppure Harry lo sa, quanto quell’amore sia tutt’altro che banale. Fuori dalle righe, non convenzionale.
Un amore destinato a finire, ancora prima di nascere, ma inarrestabile.
Perché come glie lo spieghi ad un cuore che scoppia d’amore, che no, non si può fare?
Come glie lo spieghi a due ragazzi che si amano che anche se sembra impossibile, dovrà finire?

Harry non vuole crederci, mentre si solleva in piedi ed aiuta Louis ad alzarsi, porgendogli la mano.

“Mi concede questo ballo signore?” chiede dolcemente, scostandogli un ciuffo dalla fronte.
“Non potrei mai declinare una richiesta tanto invitante avvocato” risponde serio, avvolgendo la vita di Harry, così che a sua volta possa posare le braccia sulle sue spalle, l’uno di fronte all’altro.

I primi passi sono incerti, sulle note di una canzone silenziosa, stretti in quell’abbraccio che non avrebbero mai spezzato.

“Sei un ottimo ballerino William” sussurra Harry tra i suoi capelli, lasciando che sia lui a portare.

Louis stringe forte il tessuto morbido della felpa tra le mani, abbandonando la testa contro il suo petto, gli occhi chiusi, quando una melodia leggera sussurrata tra i suoi capelli lo fa rabbrividire.

You touched my heart you touched my soul. 
You changed my life and all my goals. 
And love is blind and that I knew when, 
My heart was blinded by you.”

 

Harry intona le parole di quella canzone sottovoce, Goodbye my lover, e gli sembra così giusta, come se James Blunt avesse scritto quelle parole per loro, come se sapesse che un giorno, due ragazzi innamorati avrebbero lasciato scorrere lacrime silenziose, senza avere il coraggio di dirsi addio, senza avere la forza di allontanarsi l’uno dall’altro, stretti in un abbraccio che vorrebbero potesse non finire mai.

 

 

 

“Tomlinson siamo pronti, deve venire con noi, adesso.”

 

Adesso.

 

 

Harry vorrebbe lasciarsi cadere a terra e piangere, vorrebbe supplicare. Vorrebbe gridare tutta la sua rabbia e di il suo dolore, invece, con tutta la calma del mondo porta le mani tremanti al colletto della divisa arancione di Louis, sistemando con cura le pieghe, per poi passare entrambe le mani tra i suoi capelli, senza mai, per un solo istante smettere di guardarlo negli occhi.
Senza mai smettere di sussurrare quel sentimento che gli scoppia dentro.

“Ti amo Louis, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo” sussurra.

Ancora, ancora, ancora.

“Shhhhh”

Louis preme l’indice sottile contro le sue labbra, avvicinandosi di una passo, più vicino.

“Non avere paura Harold, se tu sarai con me, io non avrò paura”
“Non ho paura”
“Non dimenticarti di me”
“Non mi dimenticherò mai di te Loueh”
“Non dimenticarti mai neanche di noi, di quello che avremmo potuto essere”
“Promesso”
“Vuoi accompagnarmi Harry?”
“Sarebbe un onore”

Harry porge il braccio a Louis, con quell’eleganza scoordinata che lo fa sorridere, mentre incastra il braccio nel suo, ed insieme, escono da quella stanza, da quello che è stato e che non sarà mai.
Da quell’amore impossibile.

 

 

“Lei non può entrare qui avvocato, dovete salutarvi adesso, mi dispiace.”

 

Mi dispiace.

 

Harry rimane immobile, e l’aria gli manca, quando il suo sguardo si posa su quella porta socchiusa, ed un lettino si intravede appena, vicino, un monitor come quelli degli ospedali, per controllare il battito cardiaco, dietro, tre contenitori pieni. 

Riesce a sentire il respiro di Louis al suo fianco accelerare, e la sua mano stringere più forte la sua.

 

 

 

****

 

“La procedura ed il metodo di esecuzione adottati negli ultimi anni assomigliano alla tecnica per realizzare un'anestesia generale. Al condannato vengono iniettate in sequenza tre differenti sostanze: prima una dose molto elevata di Pentothal, seguita da una sostanza che rilassa i muscoli che paralizza il diaframma, in modo tale da impedire ai polmoni ogni movimento, e infine cloruro di potassio, che provoca l’arresto cardiaco. 

Al termine della procedura il cuore può continuare a battere per un periodo che può variare dai sei ai quindici minuti, dato che il condannato è dapprima messo in uno stato di incoscienza e poi viene ucciso lentamente prima per paralisi respiratoria e successivamente per paralisi cardiaca.

Alcuni esperti sostengono che l’iniezione letale sia la più umana tra le condanne a morte, considerando che il periodo di sofferenza del condannato è ridotto al minimo.

Spesso però non tutto va per il meglio: l’introduzione prolungata di droga per via endovenosa nei confronti del prigioniero può comportare la necessità di andare alla ricerca di una vena più profonda per via chirurgica; inoltre se il prigioniero entra in stato si shock e tende ad agitarsi il veleno può toccare un’arteria o una parte del tessuto muscolare e provocare dolore.

Altre complicazioni possono sorgere se le componenti letali non sono ben dosate o non si combinano tra loro nel tempo previsto: in questo caso la miscela può inspessire ed ostruire le vene, rallentando il processo e causando un dolore immane al condannato.

Anche l’anestetico deve compiere il proprio lavoro in fretta, o il prigioniero corre il rischio di essere cosciente mentre soffoca o mentre i suoi polmoni si paralizzano.

La dose letale di viene ritenuta poco efficiente perché allunga i tempi, per cui vengono aggiunti altri veleni.

Una particolare attenzione è rivolta a coloro che devono eseguire l’iniezione letale.

I giuristi americani si sono posto la domanda “Chi potrebbe sopportare il peso di aver ucciso qualcuno nonostante gli sia conferita questa competenza dall’ordinamento giuridico?” Gli Stati Uniti hanno risolto in modo molto pratico la questione. Durante il procedimento di esecuzione tre boia sceglieranno una delle siringhe, ma solo una ha contenuto letale.

La pratica richiama quella in cui, nelle fucilazioni, uno o più membri del plotone ha il fucile a salve, e nessuno è certo che il colpo letale sia partito dal proprio fucile.”

 

 

“Come al solito la sua esposizione è perfetta Styles, sono fiero di averla assistita nel suo percorso universitario, lei mi riempie di soddisfazioni. Ma adesso mi dica, secondo il suo parere personale, la pena di morte dovrebbe essere abolita definitivamente negli Stati Uniti D’America?”

 

 

“Si signore. Credo che la pena di morte sia profondamente ingiusta, ci sono altri modi per permettere ad una persona di redimersi e scontare la propria pena.
Io credo che il rischio di uccidere persone innocenti sia troppo elevato. Ci sono delle lacune nel nostro sistema giudiziario, e non sempre vengono condannati i veri colpevoli.
Se un giorno dovesse mai capitarmi di assistere un innocente, ugualmente condannato a morte, credo che farei qualunque cosa in mio potere per salvare quella vita, signore”

 

 

 

****

 


Non avere paura Loueh, ci sono io con te, fino alla fine” dice tra i suoi capelli, incapace di trattenere ancora quelle lacrime bollenti, mentre lo stringe forte a sé, e vorrebbe poterlo tenere per sempre con lui, vorrebbe poterlo stringere così forte da inglobarlo dentro di sé, uscire da quell’inferno e liberarlo soltanto quando sarebbero stati abbastanza lontani da non essere raggiunti mai più.

“Sorridi Harry”

“Loueh…”

“Ti prego Harry, sorridi per me”

E Louis può bearsi per l’ultima volta di quelle meravigliose fossette che compaiano agli angoli della sua bocca distesa in un sorriso che gli spezza il cuore.
Quel sorriso bagnato dalle lacrime. 

Solo per Louis.

Harry sorride solo per Louis.

 

“Ti amo anche io Harry Edwards Styles” sussurra, prima di poggiare delicatamente le labbra sulle sue.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando la guardia scorta Louis all’interno della stanza Harry muove un passo nella sua direzione.

Quando scuote il capo e chiude la porta Harry si lascia cadere sulle ginocchia.

Quando sente Louis piangere Harry si rannicchia su se stesso.

Quando le tendine vengono aperte e Louis è disteso sul lettino Harry si avvicina al vetro.

Quando la prima siringa viene iniettata nelle vene di Louis, Harry poggia una mano sulla superficie fredda.

Quando la seconda siringa viene iniettata nelle vene di Louis, Harry si aggrappa al suo personale orizzonte.

Quando la terza siringa viene iniettata nelle sue vene, Louis ringrazia Dio, per avergli concesso tanto.

Ringrazia l’universo, per avergli permesso di perdersi nella linea tra la poggia e di sole, prima di spegnersi per sempre.

Quando Louis chiude gli occhi Harry fa lo stesso.

Quando Louis muore Harry vorrebbe morire.

Quando Louis cessa di esistere, Harry è costretto a vivere.

Quando Harry vive, Louis è costretto a morire, lentamente, tra la pioggia ed il sole, perso in Harry, ed in ogni sua piccola cosa.

 

Addio, Louis William Tomlinson.

 

 

 

****

 

 

“Tieni la mia mano, non lasciarmi andare Zaynie. Non ancora”
“Questo non è un addio William” 
“Non sono pronto, non voglio morire, non adesso”
“Non avere paura, ci sono io con te, ci sono sempre stato”
“Come un super eroe”
“Come Batman”
“Come Batman.”
“Non è il momento William. Non ancora.”

 

 

 

****

 

Did I disappoint you or let you down? 

Should I be feeling guilty or let the judges frown? 

'Cause I saw the end before we'd begun, 

Yes I saw you were blinded and I knew I had won. 

So I took what's mine by eternal right. 

Took your soul out into the night. 

It may be over but it won't stop there, 

I am here for you if you'd only care. 

You touched my heart you touched my soul. 

You changed my life and all my goals. 

And love is blind and that I knew when, 

My heart was blinded by you. 

I've kissed your lips and held your head. 

Shared your dreams and shared your bed. 

I know you well, I know your smell. 

I've been addicted to you. 

 

Goodbye my lover. 

Goodbye my friend. 

You have been the one. 

You have been the one for me. 

 

I am a dreamer but when I wake, 

You can't break my spirit - it's my dreams you take. 

And as you move on, remember me, 

Remember us and all we used to be 

I've seen you cry, I've seen you smile. 

I've watched you sleeping for a while. 

I'd be the father of your child. 

I'd spend a lifetime with you. 

I know your fears and you know mine. 

We've had our doubts but now we're fine, 

And I love you, I swear that's true. 

I cannot live without you. 

 

Goodbye my lover. 

Goodbye my friend. 

You have been the one. 

You have been the one for me. 

 

And I still hold your hand in mine. 

In mine when I'm asleep. 

And I will bare my soul in time, 

When I'm kneeling at your feet. 

Goodbye my lover. 

Goodbye my friend. 

You have been the one. 

You have been the one for me. 

 

I'm so hollow, baby, I'm so hollow. 

I'm so, I'm so, I'm so hollow. 

I'm so hollow, baby, I'm so hollow. 

I'm so, I'm so, I'm so hollow.

 

 

 

 

Posso tenerti per sempre con me?

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Epilogue- CAN KEEP YOU WITH ME FOREVER? ***


Epilogue -  CAN I KEEP YOU WITH ME FOREVER?

 

Sei il mio rimpianto più grande, Harry Styles.
Sei quel bacio che non avrò mai.
Sei quelle mani grandi che non stringerò e quei ricci soffici che non potrò accarezzare.
Non in questa vita almeno.
Tornerò a trovarti, se mi sarà concesso.
Tornerò a prendermi quel bacio che mi spetta, se avrai la pazienza di aspettarmi.
Continua a sorridere, anche quando sembra impossibile, tu splendi.
Sii luce, Harry. 
Tuo, Louis.

 

Il sole tramonta sornione nella baia di Maya Bay. 
La marea lentamente si ritrae, scoprendo la barriera corallina, per rialzarsi poi l'indomani, con il sorgere del sole.
Le Converse di una vita sono abbandonate poco lontano, sulla sabbia bianca.
Il venticello leggero scompiglia i ricci ribelli, che sfuggono dal codino, mentre osserva le montagne fare da barriera oltre la baia, lì dove il sole scompare. 
Harry si lascia andare all'ennesimo sospiro mentre ripensa a sua madre, a suo padre, a suo nonno e tutto quello che si è lasciato alle spalle. 
Sono molte le persone a cui è stato costretto a dire addio negli ultimi mesi, ed il senso di vuoto che sente allo stomaco ne è la costante presenza.
La conferma di un'assenza che non verrà mai più colmata. 

Osserva l'acqua cristallina ritrarsi lentamente, finché il sole non scompare e solo un lieve bagliore rimane ad illuminare il suo volto stanco.
Si stringe di più nella felpa, rabbrividendo appena, quando la sua attenzione viene attirata dall'anello in metallo che porta al medio.
Istintivamente sfiora la superficie liscia, sfilandolo dal dito e rigirandoselo tra le mani.

Ed ancora una volta si ritrova ad osservare attraverso le grate di una cella d'isolamento, assottigliando gli occhi per scrutare nel buio, cercando di individuare la sagoma di quel corpo sottile. 

 

“Tu hai le fossette, quando ridi si vedono benissimo” 
“Oh quelle, sì lo so”
“Mi piacciono. Ridi ancora”
“Non posso ridere a comando Louis”
“Per favore”

 

Harry scuote vigorosamente la testa, portando poi le mani a coprire il volto, cercando di scacciare quei ricordi che non vogliono saperne di lasciarlo in pace.

 

****



Le palpebre sono pesanti e continuano a calare sugli occhi arrossati dal pianto, mentre sorvolano l’Europa, in un insieme di luci sfocate.

Niall, stai dormendo?”
“No”
“Sei stanco?”
“Non proprio”
“Stavi tremando”
“Soffro di vertigini”
“Non guardare fuori allora”
“Scherzi? Sai da quanto tempo non guardo fuori da un finestrino? Saranno tre anni”

Liam affonda ancora una volta il volto tra i suoi capelli, stringendolo più forte a sé.

“Non dovrebbe mancare molto ormai” lo rassicura, voltandosi poi a guardare Harry, seduto nei sedili posteriori.

Dorme di un sonno profondo, sfinito.

La testa sul sedile piegata in una posizione apparentemente scomodissima, le mani abbandonate sulla felpa di due misure più grandi.

 

****

 

48 ore prima

 

“Lorence, mi occupo io della sezione B stasera, fatti pure una pausa”
“Grazie Payne, ti devo un favore” lo ringrazia il collega, uscendo dal bar del Jail e trascinandosi stanco nella stanza con un unico letto , dove le guade possono riposare.

Sono io a dovere un favore a te Lorence.

Liam attraversa il corridoio costeggiando le celle per la ronda notturna, spegnendo le luci in tutta la sezione e controllando che tutti i carcerati stiano dormendo nelle loro celle, illuminando i loro corpi addormentati con la torcia.
La sua mente, ancora una volta, lo riporta a qualche giorno prima, quando Harry lo aveva coinvolto nel suo piano.
Non ci aveva pensato molto prima di dire di sì, senza alcuna esitazione.
L’entusiasmo di Harry l’aveva coinvolto emotivamente; se quel ragazzo era disposto a rischiare tutto per una persona che a mala pena conosceva, allora lui avrebbe potuto farlo per l’uomo che amava ormai da quattro anni, sei giorni e due settimane.
Sorride a quell’ultimo pensiero, sentendosi ridicolo per non aver mai smesso di tenere il conto, per non essersi mai arreso all’evidenza di una storia finita.
Ricorda con nostalgia quella notte in quel bar, quando quell’allora sconosciuto ubriaco e pieno di piercing l’aveva trascinato nella sua auto, prendendosi il suo piacere e, con quello, il suo cuore.
Non aveva chiesto il permesso, Niall; come un uragano era entrato nella sua vita e l’aveva resa migliore, senza neanche rendersene conto.


Liam illumina il corpo addormentato di Niall con il fascio di luce, attento a non svegliarlo.
Si volta un istante verso il cancello d’ingresso della sezione, pur sapendo che nessuno avrebbe potuto vederlo.
Spegne la torcia e lascia scivolare una busta tra le sbarre, sopra poggia un biglietto che ha scritto qualche ora prima poi, silenziosamente, riaccende la torcia e finisce il giro, chiudendosi
alle spalle il cancello.

 

****

 

Due ore, dieci minuti, trenta secondi.

 

Quando Niall si sveglia non capisce da dove provenga quel boato che si espande in tutto il carcere, strofinandosi gli occhi si solleva dalla branda sottile, ancora intontito dal sonno.
Il suo compagno di cella è stato trasferito il giorno precedente, senza alcun motivo apparente, e nessun carcerato ha ancora preso il suo posto, per questo, senza la solita timidezza che prova quando qualcuno è presente, apre la zip della tuta blu e svuota completamente la vescica del wc attaccato al parete, senza preoccuparsi di non fare rumore.
Incuriosito dal frastuono si avvicina alle sbarre, quando la sua attenzione viene attirata da una busta adagiata sul pavimento lurido.
Si guarda intorno confuso, come per accertarsi ancora una volta di essere solo.
Quella busta deve sicuramente essere li per lui.

-Quando smetteranno di colpire le sbarre sarà il momento. Indossala e raggiungi la sala interrogatori. Nella tasca interna troverai quello che ti serve. Il codice è 2306. 
C’è sempre un’altra opzione.-

Niall rilegge un paio di volte il biglietto, accarezzando con l’indice quella scrittura familiare.

 

****

Quando Harry vive, Louis è costretto a morire, lentamente, tra la pioggia ed il sole, perso in Harry, ed in ogni sua piccola cosa.

 

Quando Louis e Zayn sembrano poter di nuovo stringersi la mano, Harry si lascia scivolare a terra, la tenda viene nuovamente chiusa, ed il medico controlla che il battito cardiaco sia assente. 

Liam è solo, nella stanza degli interrogatori, quando il costante battere contro le sbarre improvvisamente cessa.
Non smette di sperare, neanche quando per l’ennesima volta osserva l’orologio che tiene al polso, e sobbalza, quando il telefono squilla.

“Payne dovreste aver lasciato gli Stati Uniti D’america dieci minuti fa”
“Lo so Patrick. Dacci un paio di minuti” dice, prima di riattaccare il telefono.

Con un’ultima occhiata all’orologio si lascia andare ad un sospiro sconsolato.
Qualcosa era andato storto.
E di tempo, a disposizione, non ne avevano più.
Si appresta a lasciare la stanza quando una mano si poggia sulla sua spalla, facendolo sobbalzare ancora una volta, i nervi a fior di pelle.

“I miei occhi risaltano con questa divisa non trovi?” 
“Sei davvero qui” sussurra Liam, voltandosi ad osservare Niall, in una divisa identica alla sua.
“Sono davvero qui, ma immagino non sia il momento di parlarne. Cosa sta succedendo?”
“Metti questo” ordina dolcemente, sistemandogli il suo berretto sui capelli ossigenati, lasciandogli un veloce bacio su quel piercing in mezzo agli occhi che l’aveva sempre infastidito, ma che gli era mancato terribilmente, come tutto di quel ragazzo capace di risplendere anche in un luogo tanto buio.

 

*****

 

Louis aveva più volte immaginato come potesse essere il paradiso.
Spesso si era ritrovato a fantasticare su nuvole bianche e distese di girasoli.
Aveva sempre pensato che Zayn sarebbe stato lì ad accoglierlo, porgendogli una birra fresca, pronto a brindare al loro essersi ritrovati.
Ma quel giorno, in Paradiso, di Zayn non c'era nessuna traccia.

Si sente stranamente leggero, come avesse dormito per mesi, completamente riposato.
Rimane qualche minuto ad osservare la palma ondeggiare sopra la sua testa, sospinta dal venticello caldo.
Non indossa niente, se non un paio di bermuda.
Sotto di lui della finissima sabbia bianca si stende per uno spazio che pare infinito, circondato da palme tropicali, che lasciano filtrare delicata la luce del sole.
Quel posto è meraviglioso, pensa.
Niente birra, né girasoli, ma sicuramente fantastico.

Tende un braccio giù dall’amaca sulla quale si è svegliato, lasciando che la sabbia finissima scivoli tra le sue dita, solleticandolo appena.
Lentamente si alza, lasciano scomparire i piedi nudi nella sabbia, alzando in alto le braccia sopra la testa per sgranchirsi.

I suoi ricordi sono ancora tutti lì.
Harry è ancora lì.

Sarò il suo angelo custode, o forse lo sono già.
Forse dovrei parlarne con qualcuno.
Non c’è una specie di reception o qualcosa di simile per i nuovi arrivati in paradiso?
Ok Louis. Non delirare.

 

Dopo un lungo interminabile minuto passato ad osservare i suoi piedi spuntare tra la sabbia incredibilmente bianca, si convince a muovere qualche passo, incuriosito dal suono del mare in lontananza.

 

“Arrivederci avvocato”
“Mi chiamo Harry”
“Harry”

 

 

Ancora una volta i suoi sensi lo riportano a quell’unico ricordo che vive nella sua mente.
Quel desiderio irrealizzabile di amarlo e lasciarsi amare.
Louis non sa perché sia stato destinato a tutto quello, alla perdita del suo migliore amico, al tradimento di sua madre, ed all’impossibilità di vivere il suo unico vero amore.
Non sa neanche come sia possibile provare un sentimento come quello.
Un brivido percorre tutto il suo corpo, quando l’immagine di quel paio di occhi incredibilmente verdi occupano prepotenti la sua mente. 

L’ultima cosa che ha visto sono stati quel paio di occhi, e sono tutto quello che vorrebbe vedere ancora.
Quando raggiunge il limitare della foresta, riesce finalmente a bearsi di quello spettacolo naturale.
Una piccola spiaggia di sabbia bianca, bagnata da delicate onde leggere, che tornano poi a confondersi con l’acqua cristallina.
A fare da sfondo, una fila di montagne che, eleganti e maestose, delimitano la baia.

Louis non ha mai visto uno spettacolo tanto meraviglioso, per questo spalanca la bocca in un sorriso gioioso, quando a passo svelto raggiunge la riva, lasciando che le onde portino via la sabbia dai suoi piedi, bagnandolo fino alle caviglie fini.

Si lascia cadere sulla sabbia tiepida, aspettando il calare del sole, con la sola compagnia del suono del mare, quando la marea lentamente si ritrae.

 














“Buongiorno William”

Quella voce, Louis, l’avrebbe riconosciuta ovunque.
Roca, calda, sensuale e dolce.

Non si volta né risponde, continuando a fissare l’oceano, incapace di controllare le lacrime che bagnano il suo volto pallido, al suono di quella voce.
Si irrigidisce appena, quando due mani grandi si poggiano sulle sue spalle ed una paio di gambe lunghe lo avvolgono da dietro, quando Harry si siede, abbracciandolo e premendo il petto contro la sua schiena, inspirando a pieni polmoni tra i suoi capelli.
Un brivido percorre la sua spina dorsale in quel preciso momento, quando Harry preme delicatamente le labbra contro la pelle liscia del suo collo.

“Ti avevo detto di continuare a vivere Harry, me l’avevi promesso” si lamenta, rilassandosi appena in quell’abbraccio.
“Ed è quello che ho fatto. Io mantengo sempre le promesse”
“E allora che cosa ci fai qui?”
“Quello che ci fai tu Loueh, ci vivo”
“Vivi in Paradiso?” chiede confuso, continuando ad osservare la barriera corallina emergere lentamente, man mano che la marea di ritrae.
“No Loueh, non vivo in Paradiso, e neanche tu” spiega paziente, intrappolando le manine di Louis nelle sue, per poi poggiare il mento sulla sua spalla.
“Io sono morto Harry, quindi se questo non è il Paradiso, che cos’è?”
“Benvenuto a Maya Bay Loueh e, per la cronaca, tu non sei morto, e nemmeno io”

Louis si prende qualche istante per riflettere, lasciandosi cullare dalle braccia di Harry.
È confuso e vorrebbe fare mille domande, ma rimanere in silenzio osservando il calare del sole oltre la baia gli sembra la cosa giusta da fare, così intreccia le dita con quelle di Harry, rilassandosi totalmente.
In un totale, assoluto silenzio.
Solo quando l’aria si fa più fresca ed il sole scompare all’orizzonte si volta ad osservalo.

In silenzio, dolcemente, posa le labbra fini su quelle carnose di Harry, che risponde al bacio con un’intensità impossibile da descrivere.
Neppure il più dolce degli aggettivi riuscirebbe mai ad esprimere il modo in cui le dita della mano sinistra di Harry scivolano tra i suoi capelli lisci, mentre quelle della mano destra stringono ancora le sue, in una presa forte.
Una presa che sembra gridare che no, non l’avrebbe lasciata mai, quella mano.

La sabbia fine scivola delicata sulla loro pelle nuda, quando si lasciano cadere sulla riva, leggeri, senza smettere mai di baciarsi, neanche per un istante.
Neanche per dirsi ti amo, perché non ne hanno bisogno, di parole.

Ad Harry e Louis non sono mai servite le parole, tutto quello che hanno bisogno di dirsi è racchiuso nei loro sguardi, prima, nei loro baci, dopo.

Louis lascia scivolare la mano libera sul volto di Harry, tracciandone il profilo, sfiorando delicatamente la sua pelle, provocando un brivido in entrambi, e quella necessità che nasce da dentro, in fondo allo stomaco, quel chiedere di più ed il trovare risposta nei sospiri dell’altro.

Ed è lì, su quella spiaggia bianca, al tramontare del sole, che l’avvocato Harry Edward Styles ed il detenuto Louis William Tomlinson cessano di esistere, per dare vita ad un nuovo Harry, un nuovo Louis, ed un nuovo unico, magico, inimitabile, irripetibile amore.

Un amore di quelli che fanno venire voglia di scrivere un libro, un amore di quelli che fanno venire voglia di disegnare e di scrivere canzoni.
Un amore che tutti segretamente sognano, ma che che solo rarissimi casi eccezionali sono destinati a vivere.

Ed è questo che Harry e Louis sono, un caso eccezionale, una storia d’amore unica, una di quelle che ti fa venire voglia di sorridere, semplicemente perché esiste.

È su quella spiaggia bianca, al limitare della foresta, accompagnati dal suono delle onde leggere che per la prima volta confondo i loro sapori, i loro odori, gli occhi emozionati ed i sorrisi sinceri.

 

****

 

“Vieni con me Loueh, devo farti vedere una cosa”

Harry lo libera da quell’abbraccio che sembra durare da secoli, sollevandosi sui gomiti, così che Louis, che fino a quel momento teneva la testa poggiata sul suo petto, si sollevi insieme a lui, in un unico movimento. 
Quando sono entrambi in piedi Harry accoglie ancora una volta la sua mano piccola in quella più grande.
Sembra quasi che le sue mani grandi siano state create appositamente per stringere quelle più piccole e delicate di Louis.
Ed Harry non può fare a meno di sorridere a quel pensiero, mentre camminano insieme verso la foresta, lasciandosi alle spalle la barriera corallina ormai completamente scoperta grazie alla bassa marea.

“Eccole qui!” Louis copre una fossetta con l’indice, quando il sorriso di Harry ancora una volta compare sul suo volto.
“È bello sapere che ti piacciono le mie fossette, perché dovrai vederle per molto, moltissimo tempo”
“Non potrei essere più felice di così. Dove stiamo andando Harold?”
“Harold?”
“Che c’è, non ti piace?”
“No è che, non lo so”
“Harry” 

Louis si ferma, ed i suoi occhi sono seri adesso. 
Qualcosa non va, e Louis lo sente.
Non sa spiegarsi come sia possibile, ma quell’energia che connette uno all’altro lo rende sensibile all’inverosimile verso i suoi sentimenti.
Anche se Harry fosse stato il miglior bugiardo del mondo, non avrebbe mai potuto esserlo, non con Louis.

“È una storia lunga Louis. Ti spiegherò tutto, ma ci saranno domande che vorrai farmi, alle quali non saprò rispondere come vorrai. Quindi ti prego, vieni con me adesso. Ti dirò tutto quello che c’è da sapere”
“Te lo prometto” aggiunge poi, quando Louis apre la bocca per ribattere, e subito la richiude, perché se c’è una cosa che ha imparato è che Harry, le promesse, le mantiene.
A qualunque costo.

Proseguono lungo il sentiero sabbioso che Louis ha percorso quelle che gli sembrano infinite ore prima, raggiungendo di nuovo la radura sabbiosa nascosta tra le palme.
Delle luci di candele illuminano due piccole casette in legno, l’una vicina all’altra, l’amaca dove aveva dormito ondeggia leggera.

“Non le avevo notate prima” dice estasiato, osservando quelle casette e le luci delle candele.
“Ti piacciono?” la speranza nella voce di Harry è tanta da farlo sorridere.
“Le adoro” conferma, stringendo un po’ la sua mano.
“Giusto in tempo per la cena!” Liam li raggiunge sorridendo, il volto rilassato.

Indossa un paio di bermuda ed una camicia di lino bianca, i capelli morbidi scompigliati dalla brezza leggera.
La sua carnagione chiara contrasta con quella abbronzata di Niall che compare al suo fianco, poggiando una mano sulla sua spalla.

“Niall…”
“Lou”
“Liam”
“Louis”
“Voi…”
“…Noi”
“Ok. Credo di dovermi sedere” conclude, prendendo posto intorno al fuoco, dove del pesce sta cuocendo lentamente.

Non è semplice per Louis capire quello che gli viene detto.
Le domande nascono come un fiume in piena e con quelle una sensazione di nervoso che non riesce a placare.

“Credevo di essere morto. Avete lasciato che pensassi di morire e nessuno ha avuto mai il dubbio che forse avrei dovuto saperlo?”
“Non potevamo dirtelo Loueh, fino all’ultimo momento non eravamo sicuri che il piano avrebbe funzionato”
“Quindi, ricapitolando, tu sei entrato nella stanza dell’esecuzione ed hai scambiato il siero letale con una dose di sonniferi” dice, rivolto a Liam.
“Sì”
“E com’è possibile che il medico legale abbia dichiarato il mio decesso? Insomma, il mio cuore continuava a battere, no?”
“Ma quanto è intelligente?” chiede Harry rivolto agli altri due, scompigliandogli i capelli con una mano, orgoglioso.
“Piantala Harold” lo ammonisce serio, mettendosi comodo tra le sue gambe, la schiena contro il suo petto.
“Il medico legale è un caro amico di Patrick, il mentore di Harry, ed è l’avvocato che ho contatto per il caso di Niall. Non è semplice da spiegare, ma in ogni caso Patrick ci ha aiutato, e cha anche procurato un jet privato per volare fin qui” spiega Liam, mentre osserva Niall girare il pesce sul fuoco.
“E poi dall’obitorio mi avete portato fino all’aereo?”
“Esattamente, Niall ed io ti abbiamo portato fuori di lì, mentre Harry ci aspettava in macchina”
“E Niall come ha fatto a scappare?”
“Liam mi ha lasciato nella cella tutto quello di cui avevo bisogno, ho indossato una divisa da guardia e l’ho raggiunto. Ma il diversivo più grande sei stato tu”
“Io?”
“Sì. Quando sei stato portato via, tutti i detenuti hanno voluto salutarti, battendo contro le sbarre. È stato incredibile, ed è durato più di un’ora, ed ha anche distratto i secondini che cercavano di riportare la calma in tutte le sezioni”

Louis rimane qualche minuto in silenzio, osservando Liam e Niall sorridergli soddisfatti.
Riesce a sentire Harry trattenere il respiro, quando il suo petto smette di muoversi contro la sua schiena.

“Puoi riprendere a respirare Harry, non mi metterò a gridare” lo tranquillizza, afferrando entrambe le sue mani e portandole al petto, in modo da avvolgersi tra le sue braccia, un po’ più stretto.
“Nessuno sa che siamo qui vero?”
“Nessuno”
“E potremmo stare qui per sempre?”
“Questo non lo sappiamo. Lo scopriremo insieme immagino” confessa Liam con un’alzata di spalle “Il nostro piano finisce qui, adesso le decisioni le prendi con noi”.

 

****

 

Cenano tutti e quattro insieme, imparando a conoscersi, tra battute e confessioni.
Se qualcuno li vedesse adesso, probabilmente non riuscirebbe a capire come un avvocato, un condannato a morte, una guardia ed un carcerato, siano finiti a cenare al chiaro di luna del pesce appena pescato, parlando di tutto e di niente, come fanno gli amici di una vita.
E come è consuetudine nelle migliori cena tra amici, arriva sempre, presto a tardi, il momento del brindisi.
Per questo, quattro bicchieri di plastica colmi d’acqua si scontrano delicatamente tra loro per poi alzarsi al cielo.

“A noi” dicono in coro, ma si può sentire chiaramente la più delicata tra quelle voci sussurrare emozionata “A te, Zayne”, quando il suo sguardo si perde nel cielo stellato.

 

****

 

“Mia madre mi chiamava Harold” 
“Non riesco a credere che tu abbia lasciato tutti per me”
“Lo farei altre infinite volte, e tutte le volte ne sarei felice Loueh. Quando pensavo di doverti dire addio, ho desiderato morire. L’idea di non vedere più i miei genitori è dolorosa, ma sopportabile. Perdere te, non riesco neanche ad immaginarlo. Quindi non sentirti mai in colpa per questo, ti prego”
“Io non ti merito Harry”
“Tu ti meriti tutto Louis, ti meriti me e tutto il mio amore, ti meriti un noi che sia per sempre, e non saremo mai una di quelle coppie banali che di fronte all’altare si prometto che rimarranno insieme finché morte non li separi perché noi, Lou, la morte l’abbiamo sconfitta.”
“Il nostro amore è come una magia, penso. Come un incantesimo. Ecco cosa sei! Sei uno stregone, e quando mi hai guardato per la prima volta mi hai fatto un incantesimo per farmi perdutamente innamorare di te”
“Davvero è così evidente? Credevo che non mi avresti mai scoperto!” ride Harry, sdraiato sull’amaca che dondola piano, il braccio avvolto sulle spalle di Louis, che tiene la testa sul suo petto, entrambi intenti ad osservare il cielo stellato.
“Vorrei dirti che ti amo, eppure mi sembra così banale per noi…” 

Louis giocherella con il crocifisso appeso alla catenina al collo di Harry, mentre si sforza di trovare le parole giuste per esprimere quella sensazione di pace che prova.
Come  un’onda di energia positiva che gli riempie l’anima.

“Forse non esiste un modo per definire la nostra… cosa” concorda Harry, accarezzando i suoi capelli.
“Forse nessuno prima di noi è mai stato tanto fortunato da vivere un legame come il nostro. Forse siamo i primi e gli unici”
“I primi e gli unici, mi piace” 
“Anche tu mi piaci” scherza Harry, stringendolo più forte a se e rubandogli un bacio sulle labbra.

“Sei il mio primo e unico Harry”
“Sei il mio primo e unico Louis”
“Verso l’infinito e oltre” scherza Louis, imitando la voce di Buzz Lighteyar in Toy Story, provocando una risata gioiosa in Harry, e le fossette prontamente compaiono sul suo volto.

“Amo vederti sorridere Harry, ma amo ancora di più quando sono io la ragione del tuo sorriso.”










Harry e Louis si addormentano vicini quella notte, con le dita intrecciate ed i volti vicini, tanto da percepire i proprio respiri fondersi in uno unico.

Harry e Louis si sarebbero addormentati così per infinite altre notti, ed allo stesso modo si sarebbero svegliati.
Perché nella magia si può non credere, ma talvolta, i miracoli accadono, e quei due ragazzi innamorati altro non sono che una benedizione del cielo.
Perché l’amore è amore, in qualunque forma, in qualunque circostanza, e questo, quei due, lo sapevano bene.

Certe cose non finiscono, mai.

 

 

“Mi sono innamorato di lui come ci si addormenta… lentamente, e poi profondamente”

 








CLAIR:

 

Ok. 
Eccoci alla fine.
Non lascio mai i miei pensieri, forse un po’ per gelosia, mi piace tenerli per me.
Ma questa storia, merita di essere dedicata a delle persone speciali.

Ludovica e Maura, meravigliose creature, che hanno condiviso con me ogni dubbio e soddisfazione, che mi hanno sostenuta sempre e con pazienza hanno sempre trovato le parole giuste ed i consigli, altrettanto giusti.
In particolare ringrazio Maura, per essere sempre la prima a lasciarmi una stellina, per aver scritto la descrizione e per aver letto in anteprima con me, in diretta skype, facendomi sempre sentire speciale.
Ludovica, per aver betato ogni capitolo soffrendo sempre due volte, per essersi commossa ed avermi fatto commuovere, per aver condiviso con me tutto questo quando non era latro che un’idea, fino ad adesso, fino alla fine.

GRAZIE AMICHE MIE, perché voi siete magia.

Grazie anche  Giuls, senza la quale tutto questo non avrebbe mai avuto possibilità d’esistere.
E con tutto questo non mi riferisco soltanto a questa storia, ma a molto, molto di più.
Senza di te, Giuls, non avrei conosciuto Ludo e Mau, non avrei conosciuto Harry e Louis, non avrei conosciuto la magia.

Quindi grazie, per avermi concesso tanto.

Vi voglio bene.

 

Grazie anche a tutte voi che mi avete fatto compagnia, anche quando faceva male (praticamente sempre. SORRY.)
Mi sono presa parecchi insulti per la morte di Lou ma spero di essermi fatta perdonare, e ci tengo a specificare che questo HAPPY ENDING, non è stato pensato per “rimediare al disastro” ma era nei piani fin dal principio.

Grazie ancora a tutte quante, ma soprattutto, grazie ad Harry e Louis, per avermi insegnato che si può dire ti amo semplicemente guardandosi.

 

 

All the Love.

 

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