Little doctor

di MaddaLena ME
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorni inattesi ***
Capitolo 2: *** Cherokee con autista ***
Capitolo 3: *** Pessimo acquisto! ***
Capitolo 4: *** Visite ***
Capitolo 5: *** Chi sei? ***
Capitolo 6: *** Marines ***
Capitolo 7: *** Nichel ***
Capitolo 8: *** Camicia ***
Capitolo 9: *** Vicodin ***
Capitolo 10: *** Le sigarette di Wilson ***
Capitolo 11: *** Loki, The Fire ***
Capitolo 12: *** Io non lo so! ***
Capitolo 13: *** E se... ***
Capitolo 14: *** Operazione 'Padre' ***
Capitolo 15: *** Piscina ***
Capitolo 16: *** Busta paga ***
Capitolo 17: *** Natale con Joy ***
Capitolo 18: *** Lo so che fa male ***
Capitolo 19: *** Ok! ***
Capitolo 20: *** Come se... ***
Capitolo 21: *** La minaccia ***
Capitolo 22: *** A me, basta! ***
Capitolo 23: *** L'attrice ***
Capitolo 24: *** Ne ho le prove! ***
Capitolo 25: *** La morte cambia tutto ***
Capitolo 26: *** A carte scoperte ***
Capitolo 27: *** Sostegno ausiliario ***
Capitolo 28: *** Annotazioni finali ***



Capitolo 1
*** Ritorni inattesi ***


Nell’ufficio di House c’era una ragazza. Nessuno ricorda di averla mai vista, prima. Le tendine non erano tirate e li si poteva vedere gesticolare, ma erano troppo lontani dal vetro e non sbraitavano abbastanza perché dall’esterno si potesse sentire qualcosa. Dal labiale e dallo svolgimento dell’incontro, pareva che lei stesse avanzando una richiesta e il dottore non fosse affatto intenzionato ad accontentarla. Ma lei non demordeva, anzi pareva tenergli testa, eccome.
La videro uscire, mentre sentirono House chiosare: «Il Raggio di sole non ti darà il permesso di scegliere con chi fare lo stage! Chiedi, chiedi pure alla Cuddy…»
«Certo che chiedo, cinico bastardo!»
«Ti rivolgi così al tuo prossimo capo?»
«Allora pensi che IO la convincerò…»
«Non è detto che sia TU a convincerla, non è l’unico modo attraverso cui potrai essere al mio servizio.»
«Al tuo servizio? Non credo proprio…»
House sfoderò la sua miglior faccia da “vedremo chi ha ragione!” e questo, per entrambi, equivalse ad un commiato.

***

Nello studio di Cuddy, la ragazza aveva terminato la sua richiesta. Attendeva con impazienza la risposta.
C: «Ti rendi conto di quello che mi chiedi?»
J: «Lo so, lo immagino. Difficile, pressoché impossibile! Quanto meno improbabile. House è un professionista di prim’ordine e tutti vorrebbero poter lavorare con lui…»
C: «No, non ci siamo. È evidente che non mi segui»
J: «Può provare a cambiare strada, allora?»
C: «Cosa?» Cuddy era un po’ destabilizzata dalla risposta, ma era abituata ad House, e soprassedette : «No. Il problema è che nessuno mi ha mai chiesto House. E, del resto, io non l’ho mai proposto a nessuno stagista…»
J: «Ah, Lei non si fida degli stagisti…»
C: «No, non è quello il problema!»
J: «Non La seguo, però… forte! Sarei la prima a chiederlo? Quindi ho la precedenza? Se le lavo la macchina, ho qualche speranza in più?»
Cuddy tra sé e sé certamente pensò: “Ma cos’ho fatto di male?”, ma le si rivolse: «Sì, forte… non hai capito!… il problema è House…..Sì alla prima e no alle altre due. Ma perché lo vuoi fare?»
«Il problema… sarebbe House? Per me, non lo è. Allora, se non ci sono altri problemi, significa che posso iniziare!»
«Perché lo vuoi fare?»
«House è un buon medico»
«E…»
«…e di solito gli stage si cerca di farli con i buoni medici, no?»
Cuddy si alzò, le girò intorno, la guardò da ogni lato e, arrivata di fianco a lei, sentenziò: «Tu mi nascondi qualcosa… che hai fatto alla gamba?»
Joy non pensava che gliel’avrebbe chiesto, le faceva male parlarne, rabbrividiva ancora, non aveva intenzione di rovinare tutto, non voleva darle la possibilità di averla in pugno dal punto di vista emotivo e così svicolò, in maniera anche un po’ goffa: «Non pensavo ci fossero discriminazioni per i disabili! Ho ottimi voti, nonostante sia giovane…»
Cuddy, seccata:«Non è quello!»
J: «E cos’è, allora?»
C: «Se hai qualcosa alla gamba, perché non hai un bastone?»
J: «C’è dietro qualche doppio senso, eh? Non dipende da me, questo dipende da madre natura…»
Cuddy non credeva alle proprie orecchie, allucinata la riprese: «No, nessun doppio senso…» (“Aiuto, ma questa da dove viene, come ha potuto pensare che io…”) «No, volevo dire… non hai bisogno di un aiuto per camminare?»
J: «Beh, se hai 50 anni, puoi anche decidere che un bastone ti dà un tono. Un tocco di classe. Ma se zoppichi da quando hai 5 anni e vai in giro con un bastone, non acquisti stile, sei semplicemente ridicola…»
C: «Scusami, domanda stupida…» rispose, un po’ in imbarazzo, per averla fatta
«Direi…!» rispose prontamente a mezza voce, facendo un giro e mezzo con la sedia girevole.
Cuddy la guardò: «Mi ricordi qualcuno…»
J: «Allora, è fatta?»
C:«Sì, gli farai da segretaria, lo rincorrerai per le firme, non avrai alcun potere, sarai trattata e bistrattata a piacimento durante tutto l’arco della giornata, farai gli straordinari per tenere a bada tutto e se ci sarà qualcosa fuori posto, la colpa sarà tua… il posto è tutto tuo…auguri!»
J: «Perché no? Fantastico! Grazie…» e uscì, con un sorriso trionfante.

***

Si diresse subito da House: ora doveva riuscire la fase 2.
Senza bussare, aprì la porta dell’ufficio di House. Lui era lì, con i piedi sul tavolo, il solitario sullo schermo del computer, una mano a palpare la pallina di gomma e l’altra a lisciarsi la barba.
«Non hai bussato!» notificò House
«Avrei dovuto?» senza aspettare risposta, soggiunse: «Non so cosa fare… Cuddy ha detto che se tu abiti da me, non potrò lavorare con te… il nostro accordo va in crisi…»
H: «Oh, tranquilla, ti accontento subito. Stasera sono da te, porto la chitarra e il resto. Ma davvero posso scroccare tutto?»
Joy, con un ghigno diabolico approvò: «Perché no?»
H: «E dove la parcheggio la moto?»
Joy, prontamente: «In garage»
H: «E il pianoforte?»
J: «Lo metterai in camera tua»
H: «E i vestiti?»
J: «Idem»
H: «È distante dal Princeton? »
J: «Non più di tanto»
House mise subito in chiaro: «Tu non entrerai nella mia vita!»
Joy assicurò: «Non ne ho la minima intenzione…»
H: «Ok, ti accompagno a casa, stasera!»
J: «Ti aspetto» gli disse, e, con le mani, andò a sfiorargli le tasche della giacca, quasi fosse un accenno d’abbraccio, ma con il mantenimento della debita distanza.
Lui grugnì, ma non aggiunse altro, né si lamentò.

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Capitolo 2
*** Cherokee con autista ***


Erano le tre quando aveva detto ad House “ti aspetto” e davvero l’aveva aspettato, studiando in sala d’attesa fino alle 5. Quando era ormai ora, lo precedette e lo attese al varco, al piano terreno di fronte alla porta dell’ascensore.
House uscì di lì, infilandosi i guanti da motociclista.
«Puoi anche evitarlo…» gli disse Joy.
«Perché?» ribatté
«Eccomi» disse una voce impeccabilmente yankee «Dov’è il signore che dobbiamo prendere… ho finito solo ora!»
H: «E questo chi è?»
J: «Michael, il mio autista. Ci accompagna a casa.»
H: «E la mia roba?»
J: «Non sai dove abito… ci accompagna Michael»
H: «E la moto?»
J: «Beh, non puoi lasciarla qui?»
H: «Di notte?»
J: «Ok, ci segui in moto»
«Basta che non ti perdi!» osservò Michael
«Basta che non mi facciate perdere tempo…» concluse House, poi guardò l’auto parcheggiata e commentò, sarcastico: «Cherokee con autista?»
«Storia lunga, House…»

Michael si mise al volante, Joy gli si sedette accanto. House salì in moto e l’avviò.
In breve tempo, giunsero sul posto.
Era una bella casa, circondata da giardino, con garage, come preventivato. Stile country, tenuta discretamente.
«Ma ci abiti da sola?» domandò House
J: «No, con Michael!»
H: « È il tuo ragazzo?»
J: «No, è il mio autista!»
H:«Ottimo alibi…» commentò, facendole un occhiolino, malizioso.
Michael intanto stava aprendo la porta.
Una volta dentro, Joy lo accompagnò nella sua stanza: era molto, molto spaziosa e aveva il bagno privato, come tutte le camere della casa.
Ma un’altra fu la cosa che lo colpì: «Quello è il mio letto!»
J: «Sì»
H: «Il mio pianoforte?»
J: «Sì, certo…»
H: «Ma come hai fatto?.. tu, tu… hai…scassinato casa mia!»
J: «Scassinato..uh, che paroloni! No, ho usato le chiavi… Michael!» e Michael le allungò delle chiavi.
House si frugò nelle tasche, non aveva più le chiavi di casa…Joy gli porse il mazzo che aveva appena ricevuto.
«Ma come hai fatto?» domandò House
J: «Io ho solo preso le chiavi, per il resto ringrazia Michael!»
House non ringraziò proprio nessuno, chiuse la porta con vigore (ok, è un eufemismo: la sbatté), si impadronì della chitarra e non la lasciò per ore…

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Capitolo 3
*** Pessimo acquisto! ***


«House, hai fatto un pessimo acquisto! Sembra venuta dal Bronx, la tua segretaria…» osservò Cuddy, rivolta ad House, il mattino seguente, quando s’incrociarono in corridoio «D’altronde, ognuno fa le sue scelte…»
«Mie scelte? Ma se scopro stamattina di avere un elemento dell’arredo in più non richiesto nel mio ufficio che mi chiede: “Cosa devo fare per te”? Non potevi regalarmi un robot da cucina, piuttosto…?» rispose, piccato
C: «Ma, scusa, hai insistito tanto…»
H: «Io?»
C: «Non direttamente, certo. Ma mi ha anche telefonato Wilson!»
H: «Wilson….? Piccola strega… questa me la pagherà!»
C: «House, non ti permetto di…»
H: «Ah, dannazione… non mi riferivo a te!» e buttò giù il lato destro della bocca in una smorfia, appoggiandosi pesantemente al suo bastone per accelerare il passo e raggiungere il suo ufficio.

***

H: «Alla Cuddy hai detto il contrario di quello che hai detto a me.»
J: «Ho detto la verità a Cuddy» poi precisò:«Ho detto quello che pensavi e che non dicevi»
H: «E Wilson? Hai ingannato anche lui?»
J: «No, lui l’ho convinto»
H: «Beh, non ci vuole tanto a convincerlo… basta tirar fuori la faccia giusta» un lampo d’ira gli passò negli occhi, anche se, in realtà, quella sagacia gli piaceva. Ma non poteva fargliela passare liscia, per cui proseguì: «Dunque, tu sei al mio servizio?»
J: «Esatto!» rispose con entusiasmo, nonostante la volta precedente quella frase l’avesse fatta innervosire.
Fu un momento solo guardare la tazza del caffè semipiena, urtarla e poi gridare: «Ops … ripulire corridoio 12!» poi, guardandola negli occhi con tono di sfida, senza abbassare il tono di voce, affinché tutti, almeno nelle vicinanze, potessero sentire: «Ma non c’è la mia segretaria che possa farlo, eh? Ma sì, ecco che c’è subito del lavoro per lei!
Joy respirò profondamente. Non pensava di essersi cacciata, come al solito, in una situazione più grande di lei. Le faceva male piegarsi, ma l’avrebbe fatto. Prese la tazza, la rimise al suo posto e si diresse a cercare qualcosa per pulire.
Ecco come iniziava il suo primo giorno di lavoro con House.

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Capitolo 4
*** Visite ***


Il primo giorno non era andato poi così male, umiliazioni a parte… la aspettava ora il secondo!
Di ritorno dalla macchinetta per prendere una cioccolata, House la intercettò con un imperioso: «Seguimi!»
J: «Dove?»
H: «Ha importanza?»
Aveva vinto ancora. Non le restava che seguirlo, la curiosità era troppo forte per rinunciarci.
Lo seguì attraverso i corridoi, oltrepassare l’accettazione e la sala d’attesa, poi infilandosi in una porta, gridò: «Avanti il prossimo!»
Joy era stupita: non pensava che potesse chiamarla ad assistere alle visite: «House, ma non credo che… Cuddy…»
House fece una smorfia: «Hai intenzione di dirlo alla Cuddy?»
J: «Naturalmente no!», infastidita da una domanda così ovvia: era naturale che gli avrebbe assicurato la sua solidarietà, ci mancherebbe altro. Erano le regole della strada: l’autorità va contrastata, qualunque essa sia… non riuscì a dire altro, perché entrarono una madre con un bambino.
«Stetoscopio e bacchetta!» ordinò House. Lei li procurò e li passò al dottore.
La madre la guardò un po’ incerta. «Problemi? È la mia assistente!»
La madre scosse piano la testa, in silenzio. Joy invece, anche se cercava di non farlo trasparire, era molto orgogliosa di questo, per lei era come una promozione.
House procedette alla visita, i bronchi sembravano a posto, poi tirò fuori la bacchetta e cercò in ogni modo di ficcargliela in gola per vedere le tonsille, ottenendo l’unico risultato di farlo gridare come un ossesso. «House, aspetta!» disse Joy «proviamo un’altra strada…» e si avvicinò al piccolo paziente, sotto gli occhi allibiti e terrorizzati della madre: «Ascoltami bene, piccolo delinquente, lo sai che ho rischiato di perdere l’udito? Cosa credi di ottenere con queste urla selvagge? Lo sai che lui potrebbe visitarti in modo meno faticoso con una semplice iniezione? Bam… te dormi e lui fa quello che vuole… è questo che vuoi? Senti, facciamo un patto: House non userà la bacchetta, ma tu aprirai, anzi spalancherai la bocca come mai hai fatto in vita tua, d’accordo?» e gli tese la mano, come si fa con gli uomini d’onore. Il piccolo l’afferrò e la strinse, in silenzio. Un secondo dopo, House avrebbe anche potuto avventurarsi in una comoda ispezione odontoiatrica, come fece prontamente notare al piccolo, che ancora non aveva chiuso la bocca: «Puoi anche chiudere, ora… non ho intenzione di farti anche la pulizia dei denti, cosa di cui avresti bisogno, visto che ne hai almeno un paio cariati, mostriciattolo!» poi si rivolse alla madre: «È tonsillite, non è strana la febbre alta: riposo, antibiotico e antinfiammatorio, ok?».
I due uscirono.
«Com’è che lo sapevi?» domandò House
J: «Semplice: io sono più vicina ai miei 8 anni di te…» sentenziò, pungente.


 

Entrò una coppia, marito e moglie, con un cane.
«I cani non sono ammessi!» sentenziò House
Donna: «Ma è lui il problema!»
H: «Oh, lo è anche per me… non sono un veterinario!»
Donna: «Mio marito è allergico al cane.»
H: «Lo sa già? Allora perché viene da me?»
Donna: «Non si può dargli qualcosa? Io il cane lo vorrei tenere!»
H: «Qualcosa? Al cane o al marito?»
Donna: «Al cane, al cane… così mio marito non soffre!»
H: «Avete fatto una visita allergologica?»
Donna: «Ma nooo! Scherza? Non sa quanti animali muoiono per testarli?»
H: «Sa quante persone non muoiono più per shock anafilattico… impari ad avere più gratitudine per i suoi piccoli amici animali!… le prescrivo una visita allergologica… e lasci il cane fuori dall’ospedale… ci sono gli spazi apposta! »

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Capitolo 5
*** Chi sei? ***


Joy stava sistemando delle carte nell’ufficio di House. Arrivò Wilson, cercando House. Raggiunse il tavolo e qui si fermò; senza dire una parola, prese ad osservarla. C’era qualcosa in lei che non lo convinceva, non capiva cosa, ma lei rimaneva un mistero.
Dopo dieci minuti così, Joy si decise finalmente a far vedere di essersi accorta di lui, alzò gli occhi e domandò: «Cerchi qualcuno o qualcosa? House arriva fra poco, forse!».
Wilson la guardò dritta negli occhi e replicò, assorto: «Chi sei?»
«Sei in crisi d’identità o vuoi mandare me in crisi d’identità?»
Wilson rimase scioccato, senza parole. Wilson, l’impeccabile Wilson. Alzò un bracciò, le puntò addosso un dito ad indicarla, poi scosse la testa con rassegnazione e ufficializzò con un sospiro la sua resa di fronte al mistero.

E così lo trovò House, che sopraggiunse in quel momento e, arrivando alla scrivania, vi depositò alcune pratiche di tipo amministrativo: «Altro lavoro per la piccola kamikaze!».House giocherellò con il bastone e con quello si grattò il collo, poi commentò: «Non pensavo di potermi sbarazzare così facilmente delle seccature… sono le 3 e io ho finito! Wilson, mi offri un caffè?»
J: «House, fammi un autografo.»
H: «Per…»
J: «Roba amministrativa, niente di che, hai presente quelle che fanno felici la Cuddy?»
H:«Per…»
J: «Ti prego, capo, ti scongiuro, è una questione di vitale importanza, firma…» ma l’interpretazione era volutamente falsissima
H: «Vitale per chi?»
J: «Boh… forse per la Cuddy, è una settimana che me lo chiede!»
H. «Tu non me l’avevi detto, prima…»
J: «Adoro tenerla sulle spine!»
H: «Beh, non ti toglierò il divertimento, allora!» poi, a Wilson: «Andiamo?»
J: «No, House, io devo farle avere queste carte, House… dannazione!» Joy si era alzata e lo aveva seguito fin sulla soglia della porta e a quel “dannazione” era seguito un inequivocabile gesto di stizza.
Wilson rise.
La ragazza gli rivolse uno sguardo truce: «Che hai da ridere, tu?»
“Questo non è forse il modo migliore e soprattutto più educato di rivolgersi ad un collega più anziano” fu certo quello che pensò Wilson. Ma la sua intonazione aveva un qualcosa di comico, che lo aveva costretto a ridere ancora di più.
Sorprendentemente, questo ebbe un effetto calmante su di lei che, abbassando il tono della voce e, guardandolo negli occhi, sconsolata si sfogò, scotendo la testa: «Non ce la farò mai, finirò licenziata!»
Wilson sorrise, comprensivo: «Ora capisci perché la Cuddy ti ha messo in guardia?»
«Scusa, aspetta... come fai a... sapere?» domandò, aggrottando le sopracciglia, interrogativa e vagamente risentita.
«Punto 1 – il Princeton è un piccolo paese e chiunque sa tutto di tutti. Punto 2 – la Cuddy fa a tutti lo stesso discorso, non c'è bisogno di origliare» il suo sorriso era conciliante «Punto 3 – conosco House da abbastanza tempo per capire che c'è un motivo per cui non sia mai riuscito ad avere una segretaria, al contrario della maggior parte dei medici del suo livello!»
«Quindi non ho speranza?» chiese lei, cupa.
Wilson riprese a guardarla, stranito, come stava facendo poco fa. Ciò risvegliò in lei il ricordo di quanto stava succedendo prima della rapida irruzione di House e domandò: «Cosa mi stavi dicendo, prima? Perché mi fissavi in quel modo curioso?»
«Non so, ho come l'impressione di averti già vista da qualche parte. Magari in modo fugace. Sei stata mia paziente, per caso?» domandò, d'un fiato, salvo poi scuotere la testa da solo, capendo che era improbabile, se non assurdo, che la risposta fosse affermativa. Lui era un oncologo. Lei era giovanissima. Se era stata in cura con lui, doveva aver avuto un tumore. Si sa che il cancro miete quasi tutte le sue vittime più giovani. E se gli era sopravvissuta, era una miracolata, per cui, come minimo, avrebbe dovuto senz'altro ricordarla!
La ragazza fece finta di non notare il suo disappunto ed il suo imbarazzo, guardando altrove, disse:
«No, non credo. Non credo proprio. Altamente improbabile. Mi sarei ricordata, di un tipo come te!». E non sapeva nemmeno lei se la sua intenzione era stata di fare un complimento, oppure di prendere in giro il medico.
Wilson non si perse d'animo ed insistette: «Non vivo in ospedale 24/24. Potrei averti vista altrove. No?»
Joy lo guardò, questa volta, e ribadì:«No, mi spiace, ma non credo proprio. O, almeno, io non lo ricordo!»
Quindi, si avvicinò nuovamente alla scrivania, riordinò le carte, le suddivise in due mucchi: da una parte quelle che poteva consegnare alla Cuddy, dall'altra quelle che non poteva ancora consegnare, perché doveva aspettare la firma di House. Sbuffò sonoramente, dimenticandosi che Wilson fosse ancora lì, che la guardava.
Si avvicinò, in silenzio, poi la incoraggiò con un discorso che sarebbe stato solenne, se non fosse stato così lungo e se non fosse stato Wilson a pronunciarlo :«Non ti dirò che sarà facile. Sei intelligente e sai anche tu che Cuddy ha ragione. Ti guardavo perché non solo mi sembrava di averti già visto. Ma, in un certo senso, tu hai qualche cosa, al contempo, di strano, ma anche... familiare. Dalla tua scheda risulti una studentessa brillante, nonostante il tuo curriculum sia, in un certo senso, incostante. Sicuramente, quello che hai studiato non ti sarà d'aiuto per averla vinta con House, anzi.. mi viene da pensare che potrebbero esserlo, piuttosto, tutte le tue esperienze extrascolastiche. Qualunque esse siano!»
E concluse quasi sapesse. Sapesse di lei cose che lei ignorava lui potesse sapere. Tuttavia il suo enigmatico sorriso le parve rassicurante, come a garantirle che le informazioni che lui aveva non potessero essere in luogo più sicuro.

 

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Capitolo 6
*** Marines ***


Joy uscì di casa, era verso mezzanotte. Prese la giacca e uscì, senza dire nulla a nessuno. Né Michael chiese nulla. Né, tanto meno, House.
Camminò sola, nel buio della notte, come aveva sempre fatto. O, meglio, come aveva sempre fatto fino a quando non era entrato House nella sua vita. Allora le sue passeggiate solitarie erano diminuite. Era interessante starlo ad ascoltare, o anche solo osservarlo pensare, o organizzare qualche piccolo scherzo con Michael. Ma stavolta era diverso. Osservò il piccolo oggetto che aveva in mano: la fattura era ottima, il lavoro ben fatto. Quell’indiano che aveva incontrato in stazione doveva essere davvero molto bravo. Oppure, aveva degli ottimi agganci. Ma la cosa non le importava. Il lavoro era fatto bene, e questo le bastava.
Entrò nel locale. Era un club militare, riservato a marines, cadetti, reduci e loro famiglie. Ma inutile illudersi per l’estensione, la maggior parte erano reduci…
Una guardia controllò la sua tessera, ci diede un’occhiata e la fece passare.
Si accomodò al banco e sorseggiò un drink. Non era sicura di trovarlo, ma questo era l’unico luogo in cui aveva qualche possibilità di trovarlo.
Allungò la mano verso le arachidi. Il locale stava ormai iniziando a svuotarsi e lei iniziò a pensare che era inutile restare oltre. Pagò e fece per uscire.
Nell’uscire, si accorse di essere indicata da più persone, ma fece finta di nulla e si ritrovò fuori nelle vie deserte.
«Sì, è lei!» udì distintamente e un manipolo d’uomini s’avvicinò.
Chi poteva averla riconosciuta? Ormai era più di un anno che era pulita…e questa era una zona dove non era mai stata!
«No, non è lei… ma che importa?»
«Prendiamola!»
«Andiamocene!»
«Fila via!»
«Rimettila a posto… non è il caso!»
La situazione si faceva sempre più concitata… altri uomini arrivavano, dal retro del locale.
Vide uno scintillio. Un altro scintillo. Rumore di metallo. Odore di piombo. Esplose un colpo.
«Basta, idiota!»
«Vuoi che ci scoprano?»
«Andatevene… è zona nostra!»
«Tu non c’eri in Vietnam!»
«Io ho fatto l’Irak!»
«Via, via!»
«Andate, ora!»
«Li prendiamo!»
Pensava di scappare. Sapeva di non poterlo fare.
Era in mezzo, tra due fuochi.
Guardò il telefono: era scarico. "Così non mi cercherà nessuno", aveva pensato, uscendo: pessima idea!
Provò ad allontanarsi senza dare nell’occhio. Ma la sparatoria era già iniziata.
Provò una fitta al petto, dolorosa, tenace. Continuò a camminare. Un’altra… possibile?
Provò a camminare, premendosi il petto; non avrebbe mai raggiunto casa, né aveva le forze per chiamare qualcuno.
Rumore di passi. Agitazione. Corsa. Una frenata improvvisa.
Una macchina che macina metri.
Il rombo di un motore che riparte.
Era riuscita a non perdere ancora i sensi. Era lì, nell’aiuola, doveva solo alzarsi. Si appoggiò alla panchina, si tirò in piedi. S’incammino verso l’ospedale.
Un paramedico le venne incontro, la sorresse, chiamò con un cenno la barella, la caricarono su.
J: «Dove sono?»
Paramedico: «Princeton Plainsboro Hospital»
J: «House, il mio medico è House!» disse, prima di perdere i sensi.

***

Joy aprì gli occhi, sbatté le palpebre. Wilson era davanti a lei.
J: «Non c’è? Dov’è… House? House!», tentando di alzarsi.
Wilson la rimise giù: «Stai calma! House arriverà a momenti, è lui che ti ha operato… ma tu che hai combinato?»
J: «Nulla!»
W: «Già… questo sarebbe… nulla?» guardando sul comodino, dove, illuminati dai raggi mattutini, brillavano i due proiettili estratti. J: «Li posso tenere?»
W: «Souvenir?»
J: «Più o meno…»
W: «Se ti fa piacere!»
J: «Wilson?»
W: «Sì?»
J: «Non sento più dolore!»
W: «Normale…sei ancora sotto anestetico, anzi… ora ti addormento ancora un po’… è meglio, quando ci sono ferite d’arma da fuoco! Quando ti sveglierai, ti guarderà House»
Wilson inserì la siringa nella flebo e osservò il liquido entrarle nel corpo, mentre il sonno s’impadroniva di lei.

 

***

«Allora, che ci facevi là, c’entra questo Jacob, immagino… come si fa a chiamarsi così? Ma è orribile! »
Joy sbatté le palpebre, si era appena svegliata: «House! Felice di… vederti… Jacob, come lo sai…?»
H: «Qualcuno deve averti spogliata, per poterti mettere il camice e operarti.. e qualcun altro ti ha frugato nelle tasche.. per saperne la storia clinica…»
J: «Cioè… tu, in entrambi i casi!»
H: «Scegliteli meglio i ragazzi… ma che razza di nome!»
J: «È ebreo. E suo padre è il rabbino della sinagoga. Fino a 15 anni aveva le treccine da ebreo ortodosso. Poi è entrato nella scuola dei marines, e a loro non gliene frega nulla se sei ebreo…»
H: «Chi sono? Quanti? Li hai visti?»
J: «No, inutile, non lo so, non mi ricordo nulla… era buio, erano tanti, credo marines e reduci»
H: «Reduci?»
J: «Si sa che la guerra segna, difficile tornare alla normalità… molti reduci finiscono nella malavita, escono fuori di testa, non è strano…»
H: «Sarà… dunque non li denuncerai?»
J: «E come farei?»
House si guardò intorno, come alla ricerca di un nuovo indizio, il suo sguardo si posò sulla tessera: «Cos’è?»
J: «Me l’ha fatta un indiano. È un club privato, si accede solo con la tessera…»
H: «E tu l’hai falsificata?»
J: «Già…»
H: «Ecco perché non li vuoi denunciare…»
J: «È TRA i motivi…»
H: «Ora, come va?»
J: «Non so, come dovrebbe andare?»
House le prese la mano, per vedere se avesse ripreso sensibilità: «Formicolii?» chiese, auscultandola.
J: «Sì!»
H: «Dove?»
J: «Ai piedi, in testa…»
H: «In testa?». Joy annuì, grattandosi il volto e le mani.
H: «Ma che hai?»
Joy faceva fatica a respirare, House le tastò il polso, mentre osservava il monitor.
H: «Sei mai stata anestetizzata?»
J: «Sai anche tu quando!» riuscì appena ad articolare, ansimando.
House prese in fretta la cartella e guardò l’anestetico: era diverso!
Senza aspettare oltre, accorgendosi che stava perdendo i sensi, le fece un’iniezione di adrenalina nella coscia.
Kutner arrivò di corsa, chiamato dal telefono interno: «Potrebbe esserci un’emorragia interna!»
«Oppure no…» disse House, sollevando la medicazione e notando la rash e la gola e le parotidi ingrossate.

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Capitolo 7
*** Nichel ***


In una stanza d’ospedale. Sono presenti Wilson, House e, ad occupare un letto, Joy. Non era casuale la presenza di nessuno dei tre.
Joy: «House, tu sei allergico al nichel»

House: «Non mi sembra una colpa tanto grave. Ma tu come fai a saperlo? Regola numero 1: la privacy è sacra. Impara, piccola!»
J: «Anche quando è in gioco la vita di un paziente?»
H: «Quale paziente?»
J: «Io, House!»
House la guardò perplesso: «Cosa c’entri TU con la MIA allergia?»
Joy guardò Wilson. Lui era l’unico a sapere, ma di lui si fidava. Guardò House: «Siediti. Qui, sulla sedia, vicino a me»
House, forse una delle poche volte della sua vita, si sentiva a disagio, la situazione non era in suo controllo: «Ragazzi, che mi nascondete? Eh? Dai, tirate fuori i paperotti da dietro la schiena! Non è il momento di scherzare…»
Wilson s’avanzo, alzò l’indice, quasi ci fosse bisogno di quello per prendere la parola e, rivolto alla ragazza, chiese: «Posso dirglielo io, se preferisci!»
J: «Non è così difficile, Buon Samaritano… ce la faccio benissimo da sola!» rispose brusca, ma non stizzita, poi, rivolgendosi ad House: «House, la predisposizione allergica è ereditaria»
H: «Sono un diagnosta abilitato, nefrologo e infettivologo, medico internista e primario. Non stagista!»
«Vedo un’allusione a qualcuno che conosco, eh, furbacchione?» rispose, senza scomporsi, poi proseguì: «Ricordi che avevi detto quando credevi fossi ancora sotto anestesia: “O è qualcosa che ha sempre avuto e i cui sintomi sono stati ‘oscurati’ dalla ferita d’arma da fuoco, oppure è qualcosa che ha sempre avuto, ma latente, i cui sintomi sono stati acutizzati dalla ferita d’arma da fuoco”. Esclusa la prima con i test di laboratorio e tutte le prove a cui sono stata sottoposta, non resta che la storia clinica prossima. Mia madre non aveva malattie compatibili con i sintomi che avevo. O almeno, non conclamata. E lo stesso, per suo marito.»
H: «Tuo padre»
«Suo marito, House. So quel che dico!» si volse verso Wilson:«Nel frattempo, avevo chiesto a Wilson di guardare a un indirizzo se si potevano trovare notizie di mia madre. In un locale adibito a deposito a pagamento c’erano molte cose di mia madre. Ho letto i suoi diari. Già da piccola, avevo notato che guardavi in modo strano la sua foto. Ma non capivo dove avresti potuto conoscerla. House, hai avuto una relazione con mia madre». Lo disse così, con voce calma, piana, non c’era tono d’accusa nelle sue parole, al massimo la soddisfazione che hanno i bambini quando, giocando a nascondino, possono “toppare” un compagno di giochi… «Allora ci ho pensato, prima di averne la certezza proseguendo la lettura, ti ho preso un capello e ho chiesto a Wilson di guardare la tua cartella clinica»
H: «Wilson? WILSON!» esclamò, incredulo: era come venire a sapere che Joe Di Maggio non aveva mai giocato negli Yankees.
Wilson si strinse nelle spalle, con sguardo innocente. Era fin troppo facile, prendersela con lui, allora cambiò bersaglio:«E tu, piccola impertinente, come hai osato?»
J: «Smettila, PAPÀ, non rovinare sempre tutto, come al solito!»
House rimase scioccato alla parola “papà” e Joy ne approfittò per accarezzargli i capelli. Questo lo scosse, e lo spinse a reagire, in modo poco amichevole, naturalmente: «Ma che diavolo fai?»
J:«Hai dei bei capelli. Jesse odiava i miei capelli castani. Greg… io ho i tuoi capelli!» spiegò con un sospiro, quasi si trattasse di una verità a lungo celata, ma sempre sotto i suoi occhi.
«Ah, spero proprio di no! Già li perdo… manca solo che li debba condividere con te!»
Wilson rimase in disparte, pensieroso, ad ammirare il quadretto “quasi perfetto”. C’era qualcosa che lo lasciava ancora scettico: «Ma come mai solo tu ti sei mostrata allergica? Anche House è stato colpito…»
J:«I miei erano proiettili sovietici, con rivestimento in nichel e rame. I suoi avevano solo rame. Semplice, Wilson: ecco spiegati lo shock anafilattico e la rash!»
H: «Ne sei certa?»
J: «Probabilisticamente, sì!» poi guardò House: «House, io ho un problema!»
H: «Tu, no dico: TU hai un problema? Io, semmai!»
J: «No, a te non cambia nulla.»
W: «Beh, una differenza c’è… »
«Minima, direi» rispose con sufficienza a Wilson, per poi rivolgersi a suo padre: «House, a me piace lavorare con te. Non voglio cambiare il mio primo lavoro!»
House si alzò in piedi e camminò per la stanza, appoggiandosi al suo bastone. Poi lo appese al carrello, strinse le mani dietro la schiena e commentò, sarcastico: «Wow..fantastico… sei la prima che ha l’audacia di dire una cosa simile!»
J: «House, per il bene di entrambi, posso chiederti che resti tra noi, con la possibilità che tu lo faccia veramente?»
H: «Mmh»
J: «Tu non dovrai chiamarmi “figlia” e io non dovrò chiamarti “papà”. Almeno davanti agli altri…»
House, falsamente preoccupato e pensieroso: «Uhm… credo che resisterò!» poi, guardando Wilson: «Come la metti con il dottor Wilson?»
J: «Wilson? Lui non ti tradirebbe mai!»
House, rivolto a Wilson: «Uh, interessante! Si fida di te più di quanto lo faccia tu stesso!» detto questo, bastone e tutto, uscì dalla stanza, con un annoiato: «Beh, divertitevi, voi… io ho di meglio da fare!»
Così, Wilson e Joy erano rimasti soli.
J: «Beh, l’ha presa bene, no?»
W: «Così pare..»

***

Nel cuore della notte, un’ombra si avvicinò al letto della stanza 213 che dava sul corridoio e accese la lampada sul comodino.
L’occupante, infastidita, commentò: «House, sono le tre di notte… lasciami dormire!»
H: «Cuddy mi ha dato il turno fino alle 6…»
J: «Notizia grandiosa. Buona notte!» e spense la luce.
House la riaccese: «Ho delle domande.»
J: «E dovrei risponderti io? Non vedo perché!» e, nello spegnere nuovamente la luce, chiuse gli occhi.
House la accese ancora una volta: «Io ho delle domande. Per te!»
Joy fece una smorfia e guardò il letto accanto.
H: «Non ti preoccupare, l’ho sedata»
«Eh?» Joy si stropicciò gli occhi «Ma tu sei pazzo da legare! Sul serio, House, fatti vedere, non sei a posto…». E si voltò, gli diede le spalle, facendo l’ultimo tentativo di mostrare il suo disappunto.
Ma House allungò le braccia, rigirandola, con delicatezza inaspettata persino per se stesso, tanto che dovette recuperare verbalmente: «Così finisce che perdi la flebo, pidocchio!», commentò infatti, vedendo che la sua ribellione danneggiava solo la ragazza, che decise quindi, infine, di lasciarsi girare.
“Pidocchio”? Questa era nuova: Joy si strofinò gli occhi e la faccia, svogliatamente. Strizzò gli occhi, poi li aprì completamente, cercando di svegliarsi. House era ancora lì, in piedi, a due passi dal suo letto «Ok, mi arrendo. Siediti. Spara, che c’è?»
«Spara? SPARA? Ehi, pessima battuta, nelle tue condizioni!» commentò, accomodandosi finalmente sulla sedia.
J: «Non era una battuta, era un modo di dire.»
H: «Sofista!»
J: «Dottore da strapazzo!»
H:«Bamboccia!»
J: «Incompetente!»
H: «Pappamolle!»
J: «A parte che potresti far di meglio, ma…quanti anni hai?»
H: «Abbastanza da… essere tuo padre?»
J: «Bella risposta…1 a 1!»
House, rivolto a Joy: «Ma quel Michael non è neanche venuto a trovarti…»
J:«Sì, invece, ma lui lo fa in orario di visita, al contrario di qualcun altro!» precisò, con veemenza, falsamente infastidita.
House, sarcastico: «Dettagli…»
House sospirò, anzi parve quasi un sorriso. «Tua madre ti ha mai parlato di me?»
«House, te l’avevo già detto a cinque anni ( 2 a 1, per me). Mia madre è morta che avevo 10 giorni, per un’infezione dovuta ad una complicazione post – parto. Lei ti ha nominato, sì, mi hanno detto che voleva essere curata qui, da te. Jesse si è rifiutato, dicendo che i migliori medici sono nel Montana, dov’eravamo noi. Io non lo so, House, so solo che lei è morta…»
H: «Ma tu… come hai saputo della nostra relazione?»
J: «I suoi diari. Ho avuto molto tempo da ammazzare, in questi giorni…»
H: «Davvero molto, visto che erano una decina!»
J: «E tu come lo sai, scusa?»
H: «Ah, ricognizione mentre eri in sala operatoria!»
Joy inarcò il sopracciglio. Non ci credeva, era pazzesco: lei era in sala operatoria e lui a sbirciare tra le sue cose!
House proseguì: «Perché non mi ha mai detto di te?»
J: «Non hai letto i diari?»
H: «Li ho visti, non letti! »
J: «House, ti amava. Ma lei sapeva che eri sposato. Ti ha chiesto se avevi intenzione di sposarla. Tu hai risposto di no» osservò House ricordare il momento, poi proseguì: «Lei ha rispettato la tua scelta e se ne è andata, non voleva ricattarti né toglierti libertà. Non voleva che tu facessi qualcosa solo perché aspettava me. Ma lei aspettava me. E questo, per lei, contava. Lei desiderava un figlio, tu no» House non pensava che una figlia potesse essere in grado di dire una cosa simile al proprio padre, ma lei continuava a raccontare, come un fiume in piena, nonostante fosse stato lui a insistere di parlare.«Così, lei cercò qualcuno che potesse farmi da padre. Ma fece male i conti. Questo non c’è scritto, ma lo so io: ti assomiglio troppo!» e allungò la mano, a impadronirsi di quella di House. Lui lasciò fare, troppo impegnato ad ascoltare.«Jesse ha sempre odiato i miei capelli castani. Me lo ripeteva in continuazione. Non era possibile avere una figlia castana, dato che lui e tutta la sua famiglia erano biondi, e anche mia madre aveva i capelli chiari. Forse Jesse mi avrebbe picchiato anche da sobrio, solo per i miei capelli. Lui aveva capito che non ero sua figlia. Ma mia madre come poteva sapere? Pensava di difendermi da tutto, non di morire poco dopo avermi dato la vita! Intanto, però mi aveva munito di un conto fruibile dopo i 16 anni, aveva paura che Jesse si bevesse i miei soldi, credo. E forse progettava anche una fuga con me, forse presagiva qualcosa riguardo a Jesse. Ma non ha potuto attuare nulla di tutto ciò. E per quanto mi riguarda, io mi sono ritrovata a cambiare dall’abitare in un sottoscala di periferia ad occupare una splendida villa in compagnia di Michael, il mio maggiordomo ed autista, e da qualche mese, in base al nostro patto, anche in tua compagnia!»
H: «Soprassederei riguardo al patto…»
Joy gli fece l’occhiolino: «Direi che ti conviene….»
House, incapace di stare fermo con le mani, le sistemò la flebo: «Ma tu davvero non sapevi nulla, prima di stare male?»
J: «Davvero! Ti pare che sarei rimasta qui a far nulla, con la soluzione in tasca?»
H:«Tutti mentono…»
J:«Può darsi. Ma quando c’è di mezzo la morte, la paura blocca la creatività. E allora è, quanto meno, più difficile mentire!»
H:«Non mi sembravi esattamente spaventata…anzi! Eri insopportabile, come al solito…»
Joy riprese la spiegazione, concitata, facendo scorrere tra le sue le dita di House:«Paura? Ora? Ora non posso chiamare nulla PAURA! Paura, quella con la P maiuscola, è quella sera di pioggia, Jesse alle calcagna, il dolore, la polizia, gli spari, il terrore allo stato puro e poi, finalmente, la tua porta…che si apre! Sai qual è stato l’unico pensiero che ho avuto davanti a quella porta? CASA! Credo non sia stata diversa dalla sensazione di un rugbysta che arriva in meta dopo 20 metri di corsa con l’ovale sotto l’ascella… »
House: «Tu non l’hai mai provato, vero?»
Joy: «Già…» e, ritirando la propria mano, la portò al petto e guardò altrove, il più lontano possibile rispetto ad House, per mascherare gli occhi lucidi: «…appena il tempo di imparare a camminare, e ho imparato a zoppicare!»
House rimase ad osservarla, in silenzio, mentre lei rimaneva con la faccia voltata dal lato opposto: così simili, eppure… così diversi!

***

Il mattino seguente, Wilson bussò alla porta: «Ciao» sorrise «pare che tu stia meglio!»
J: «Già… dov’è Greg?… non ricordo quando se ne sia andato…»
W: «Vuoi dire che è stato qui, stanotte?»
J: «Certo, dalle tre in poi. Voleva saperne di più»
W: «È nel suo ufficio. Dorme!»
J: «Davvero?» e rise, divertita. Qualche volta, dormiva anche lui! Poi si mise un mano all’addome e rimproverò Wilson: «Non lo fare più!»
Wilson, dando un’occhiata alla flebo e ai valori sul monitor: «Ti fa male, eh?»
J: «Solo se rido… non farmi ridere, quindi!»
W: «Ok, anzi ti lascio… rimettiti presto!».

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Capitolo 8
*** Camicia ***


La riunione era già cominciata e la squadra di House era intenta a ragionare sul nuovo caso.
Improvvisamente, Joy arrivò e si sedette in un angolo. House la guardò.

«Oh, non badate a me! Fate finta che io non ci sia! Scusate il ritardo, continuate... tutto!» si trovò ad introdursi Joy, dal momento che House, che non smetteva di fissarla, aveva interrotto ogni cosa, per farla sentire a disagio.
House continuava a guardarla. Forse voleva rinfacciarle il ritardo?
Foreman : «Che succede?». La sua sagacia gli aveva permesso di avvedersi di una certa elettricità nell'aria.
House, rivolgendosi a Joy, notificò: «Hai la mia camicia».
Era vero. Aveva indosso la sua camicia bordeaux, in effetti, che era molto grande su di lei.

Joy: «Michael ha sbagliato!»
H: «Cosa?Non m'interessa di Michael! Tu devi dirmi per quale dannato motivo stai andandotene in giro con indosso la MIA camicia! Cosa non ti è chiaro in ciò?»
J: «Ma Michael c'entra. Ha fatto un casino con la lavatrice e la mia roba è tutta bucata...»
H: «E c'è bisogno che metti la mia camicia? Perché non ne usi una di Michael? La mia è grande per te, non vedi?»
J: «Michael ha cose più grandi... da questo punto di vista, non migliorerei nulla!»
H: «Non è un motivo valido per usare i miei abiti... non mi interessa cosa sia successo ai tuoi... trova un'alternativa, ok!»
J: «Mi preferisci in biancheria intima?»

House, con un sorriso malizioso, non si ritrasse: «Be'... perché no?»
J: «Cosa? Che cosa? Ma... la finisci?»
H: «No! Hai qualcosa di importante da fare nel mio ufficio... sai cosa... non ho bisogno di te, qui!»
J: «E tu non me lo potevi dire prima, vero? E non perdere tempo in discussioni futili?»
H: «Vattene e taci!» e lanciò la palla per colpirla. Ma lei la parò al volo.

H: «Complimenti! Vai a giocare altrove, ragazzina!»
Joy non riusciva a crederci: l'aveva umiliata, le aveva fatto il terzo e, infine, l'aveva cacciata via. Era davvero furiosa, tanto che, una volta nell'ufficio, tirò un pugno contro il vetro. Ma uscì, senza dire una parola, rimanendo con il dubbio che quel maledetto errore di lavaggio non fosse stato un errore di Michael...ma avrebbe trovato il modo di fargliela pagare, prima o poi!

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Capitolo 9
*** Vicodin ***


Erano nell'ufficio di House, Joy ed il proprietario dello stesso. All'improvviso, House la chiamò freddamente: «Vieni qui!» e, quando le fu vicino, le si avvicinò a prenderle un braccio.
Lei lo lasciò fare.
«Sei calda» notificò «molto» aggiunse, dopo un attimo.
«No, ti sbagli. Di grosso» affermò lei, convinta
«Hai preso qualcosa?» le domandò, tastandole il collo ed il capo.
Scosse la testa.
H: «Dimmi la verità!»
Annuì, con un debole cenno.
H: «Cosa?»
J: «Vicodin»
H: «Hai preso il mio Vicodin?»
J: «Assolutamente no!» replicò, risentita
H: «Dimmelo!» gridò, imperioso
J: «Proprio il tuo...» ammise
H: «Perché?»
J: «Avevi detto che era importante che io ci fossi, oggi...»
H: «Idiota! Non dovrei aggiungere altro» sospirò «Quanto?»
J: «Otto»
H: «Grammi? Pastiglie? Blister?»
J: «L'ultima che hai detto...»
H: «Sei veramente un idiota! Vai al bagno!» disse, con aria disgustata
J: «Ma non ho.. mal di stomaco!» protestò
H: «LO AVRAI!»
J: «Hai ragione...» fu costretta ad ammettere, suo malgrado, pochi minuti più tardi, toccandosi la pancia e correndo in direzione del bagno delle signore.
Pochi minuti dopo, House era di fronte al bagno delle signore, che urlava: «Hai la febbre. L'influenza. E gli effetti colloterali dovuti a dosi eccessive di Vicodin. In breve: complimenti, ragazza sei la peggiore ladra idiota che abbia mai incontrato!»
Lei uscì: rossa, stanca, provata, nauseabonda ed inveì, con un tono di voce ancora più sgradevole, contro di lui: «Sarai un genio tu... che non hai fatto niente. Non credi che potresi fare qualcosa, invece di gridare in modo inutile e stupido?»
«Lavanda gastrica!» sentenziò, conciso. E la spinse con forza in direzione di un'infermiera che passava di lì per caso, aggiungendo malamente, a fronte dello stupore di questa: «Chiedi a lei!»


 

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Capitolo 10
*** Le sigarette di Wilson ***


«Ma che faccia hai? Fa’ vedere!» la accolse subito House, non appena quella mattina si presentò in ufficio, sparandole negli occhi dilatati la luce di una pila.
«Ma che fai? Fermo!» si ribellò Joy, cercando di impedire il suo tentativo di visitarla al volo, senza però riuscirvi.
«Ti sei fatta!» diagnosticò immediatamente.
J: «Ma va’… che dici? Al massimo ho preso qualche sigaretta: ma dai, si fa, tra amici, no? Non vorrai fare il moralizzatore... tu!»
H: «Fammi indovinare… da Wilson, immagino?!»
J: «Perché? Geloso?»
H: «Te e il tuo dannato vizio di non chiedere mai … no, dico: ma non ti sei accorta?»
J: «In effetti, aveva un sapore strano, diverso… ma vuoi dire che..»
H: «Ti sei fatta una canna, e deduco anche la prima… non pensavo, viste le tue amicizie tra i bassifondi…rispondi: una?»
J: «Dipende da quando! A parte che, generalmente, neanche fumo, ma c’è differenza tra “corriere espresso” e “consumatore abituale”…»
H: «Ok, peccato! La risposta corretta era almeno due o tre. Non avvicinarti a quella roba, se non sei in grado di dosarle in modo proporzionale e adeguato alla tua stazza! Mettiti qui, e aspetta che passi!» disse, scaraventandola con malagrazia sulla poltroncina e spegnendo la luce «E non ti muovere!» strillò, appena prima di uscire.

Joy non ricordava quanto avesse dormito, ma, quando House era uscito, un po’ doveva averlo fatto. Non dovevano essere molti minuti, perché era tornato quasi subito. Si sentiva stanca, spossata. Aprì a fatica le palpebre e dopo vari sforzi, riuscì a mettere a fuoco l’uomo che le stava slacciando la manica della camicia.
«Che stai facendo?» chiese, senza opporre la minima resistenza.
«Niente di pericoloso. Ma, in ogni caso, non avresti la forza di impedirmelo. Questo ti farà tornare a posto più in fretta» House le mostrò la siringa.
«Che è questa roba?» domandò e provò a muoversi, accorgendosi di quanto avesse ragione House.
«Non ti preoccupi di verificare le sigarette che ti fumi, ti preoccupi di questo! Taci, almeno, adesso!» ormai House aveva slacciato anche il secondo bottoncino e stava arrotolando la manica.
Possibile che House la guardasse in modo così dolce, come non aveva mai fatto prima? Avrebbe avuto tutte le ragioni, per essere arrabbiato. Eppure, lo era davvero…
Ed era tanto carino con le orecchie verdi e quell’alone luminoso…sembrava un angelo, era molto diverso dal solito House; anche la sua voce era diversa, somigliava a quella di Josh.
Lo osservò mentre le infilava l’ago… doveva contenere zucchero, le rimaneva in bocca un sapore dolciastro. Ma era possibile che lei potesse sentire la dolcezza di un’iniezione? E poteva essere che House le iniettasse lo zucchero? No, non era possibile, perché House scappava: «House, non correre, che cadi…» lo rimproverò, ma la sua voce uscì annoiata, quasi annacquata.
House le mise una mano sulla fronte e la immobilizzò, con le braccia, temendo che potesse avere la malsana idea di mettersi in piedi o camminare, nonostante avesse i sensi completamente offuscati. «Io sono qui, sono fermo» le rivelò.
Ma lei ora ne vedeva quattro… «House..» supplicava «fa’ qualcosa»
House prese un altro flaconcino di Versed e le fece un’altra iniezione: «Grazie» mormorò prima di chiudere gli occhi e lui ritirò la siringa, all’istante, sicuro che ora poteva lasciarla da sola a smaltire i postumi delle “sigarette speciali” di Wilson...

***

«Come ti trovi qui?» chiese Wilson a bruciapelo, accendendo la luce nell’ufficio, mentre Joy, ancora mezza intontita, sulla poltroncina di House, si parò gli occhi con entrambe le mani. Doveva aver dormito e parecchio, anche se non ricordava nulla. Ma riconosceva chi le si avvicinava, nonostante la voce sembrasse provenire da molto distanza, come con un effetto doppler, mentre l’amico era a pochi passi.
J:«Eh, non molto bene: non me le dare più le tue sigarette, Wilson…» rispose
W: «Darti? Io? Oh, non mi dire che hai preso tu quelle sul mio tavolo….?
J: «Sì, invece e… tutte, anche!»
W: «Dannazione, Mano Lesta, ecco perché sei così a terra, oggi! Comunque, io mi riferivo a lavorare qui…»
Wilson la guardò, doveva essere passato abbastanza tempo, perché l’occhio iniziava a riprendere espressione, così si convinse che, forse, quello che gli avrebbe detto avrebbe potuto avere senso. E si pose in ascolto, dal momento che sembrava riuscire ad articolare qualcosa.
J:«Tu sogni mai?»
W:«Tutti sognano»
J:«Intendo i sogni da sveglio…»
W:«Certo, sì.»
J:«Hai presente quando si realizzano?»
W:«Cioè tu sognavi di lavorare al PPTH?» domandò Wilson, a cui era pur sempre rimasto il dubbio che non fosse ancora in condizione di articolare fonemi dotati di senso compiuto…
J:«No, io ho sempre sognato che mio padre non mi facesse del male…» sorrise «e si è avverato».
Poi sollevò la manica, si massaggiò il braccio e aggiunse: «Ho addirittura qualcuno che si occupa di risolvere i guai che combino!»
Wilson la guardò: «Già!» Si allontanò in silenzio, spegnendo la luce, e mormorando tra sé: «Se solo lo venisse a sapere la Cuddy…!».

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Capitolo 11
*** Loki, The Fire ***


La sala accettazione era gremita di pazienti. Joy si diresse verso l’ufficio di House, con passo deciso, arrancando la gamba malata dietro alla sana; come il solito. House non era ancora arrivato.  Come il solito.
Quella notte, lei aveva fatto fatica a dormire e si era fatta accompagnare da Michael.
Un giovane dai capelli rossi, scarmigliato e fuori luogo, con una giacca di jeans e un paio di pantaloni strappati urlò: la «Jo – Jo, era ora… ti aspettavo!»

«Eeeh…???» la frenata fu improvvisa.
Il ragazzo la prese sulle spalle, iniziò una corsa sfrenata con lei sopra, e le chiese: «Dove ti porto?»
«Di là!» indicò appena
Arrivati nell’ufficio di House, la depositò sulla sedia: «Eccoti arrivata, principessa! Mannaggia, le caviglie mi fanno male.. fortuna che lo studio era vicino! » con il sorriso più smagliante che si possa immaginare, interrotto bruscamente dall'ultima rivelazione.
«Loki, come mi hai trovata?… da dove vieni? Che ci fai qui? Sei ancora…?»
«Io non sono cambiato, io… sono ancora!»
«Loki, avevi dodici anni…»
«Quattordici! Cambia molto? ….conosci qualcuno qui?»
«Ci lavoro…. Ma tu questo già lo sai, se sei qui!»
«Intendo, di buono…»
Joy roteò gli occhi… che poteva rispondere? «Sì»
«Ecco, è da quando sono uscito che faccio fatica a pisciare, perdo l’appetito, mi si gonfiano gli occhi, vedi… e poi non riesco a dormire … »
«Tu mi stai prendendo in giro…»
«No» replicò lui, serio. E gli tese la sua cartella.
«Ma non eri in sala d’attesa?»
«Se avessi voluto uno qualsiasi, non sarei venuto qui. Che dici?»
«Dico che non sarà facile che House accetti…» sospirò.
House entrò in quel momento, aprì la bocca, come per parlare. Ma non emise alcun suono.
Guardò il ragazzo di fronte a lui: stava tossendo sangue.
House si voltò verso di lei: «E questo chi sarebbe? Non ti bastava, semplicemente, indicargli il bagno?»
Joy era pietrificata: che poteva inventarsi? Poi, l’idea: allungò la cartella: «È il tuo nuovo paziente. Se ti occupi di lui, Cuddy ti toglierà un’ora di ambulatorio. Solo per i prossimi tre giorni, s’intende!»
«Da’ qua!» disse House, strappandogliela di mano; poi, guardando appena il ragazzo inginocchiato per terra, si sporse un poco fuori dal suo studio: «Una camera per il ragazzo. E una pulita al mio ufficio!»
Il primo era l’urlo rivolto all’infermiera di turno, il secondo era destinato all’inserviente che gli passava accanto.
Sbuffò, gettando una rapida occhiata furtiva alla cartella che aveva in mano.

Poi, siccome naturalmente non gli era sfuggito nulla: «Questo immagino sia uno dei tuoi amici del Bronx… quale?»
«Loki, The Fire» solo in quel momento si accorse di non saperne il nome anagrafico
«Oh, quello forse è il nome cheyenne… qui c’è scritto Sean O’Grady.Immagino sia questo il nome assegnatogli, tra le persone civili! Irlandesi, indiani, italiani, sudamericani… ma ti vai a cercare tutta la feccia dei bassifondi?»

Joy non rispose.
«Vai a farti dare altri fogli per le prescrizioni, renditi utile, mollusco!» ordinò allora House. Joy non lo degnò di uno sguardo, ma uscì dall’ufficio.
Joy era ritornata da una ventina di minuti nell’ufficio, che era stato ripulito. Aveva preso quanto le era stato richiesto. Ma House non c’era. Aprì i libri dell’università. Nessun altro avrebbe potuto fare una cosa simile, ma lei sapeva che di Loki se ne stava occupando House, mentre lei, lei non poteva fare nulla.
«L’ho sedato!» annunciò House, trionfante, entrando nello studio.
J: «Eh? Che cosa?… l’hai… sedato…?»
H: «In che altro modo avrei potuto farlo smettere di vomitare sangue?» e sul volto, House aveva dipinta un’espressione di ovvietà quasi che sua figlia gli avesse chiesto se fossero nel New Jersey…«Naa… allora ti muovi? Vieni!»
«Dove?» domandò Joy, che non aveva capito cosa passare per la mente di House.
Ma ogni domanda cadde nel vuoto, House la prese per un braccio e la fece alzare dalla sedia, poi aggiungendo un ben assestato «Seguimi!» di rinforzo, prese la cartella, la impugnò come una baionetta e, deciso, si diresse in sala riunione e da lì chiamo al telefono i suoi assistenti.
Ma Joy ancora non si capacitava: «House, io che c’entro? Non era mio solo il lavoro dietro le quinte?»
H: «Infatti… ma tu conosci il paziente e in più sei l’ultima con cui ha parlato, prima che perdesse conoscenza…»
J: «… vuoi dire: prima che tu lo sedassi!»
H: «Fa lo stesso!» e alzò la cornetta del telefono interno, gridando: «Allora, si fa notte!...», poi rivolto a Joy, che lo guardava scioccata: «Era occupato…».
House si diresse alla lavagna, appese il bastone, tolse il cappuccio ad un pennarello, in attesa.
Joy non fece caso ai suoi movimenti, guardandosi invece intorno ad osservare le suppellettili.
H: «Pronto? Toc toc … c’è qualcuno in casa? I sintomi!»
J: «Ah, sì… ha detto che faceva fatica a mangiare…»
H: «Inappetenza…»
J: «…fatica a dormire…»
H: «…. Insonnia…»
J: «…aveva le pupille dilatate… »
H: «Midriasi…»
J: «…. Non riusciva a pisciare...» ripeté meccanica, senza rifletterci, guadagnando un'occhiataccia di quello che, comunque, era il suo capo.
H: «Minzione difficoltosa, sì…»
J: «poi… anche male qui» indicò
H: «Uhm… dolore al petto, ok… e aggiungerei, d’ufficio, emottisi»
J: «Concordo!»
H: «Non c’è bisogno che concordi!» la disilluse, mentre i suoi assistenti stavano facendo il loro ingresso, lanciandole un’occhiata curiosa.
«Lei resta con noi, come persona informata sui fatti…» spiegò all’assemblea, poi si rivolse a lei: «Tranquilla, non sei ancora indagata!» e le fece l’occhiolino.
Poi proseguì: «Il paziente si chiama?»
J: «Loki, the Fire» rispose automaticamente, nonostante House gli avesse precedentemente rivelato il vero nome.
H: «Perché Loki?»
J: «The Fire, per i capelli, sono rossi, lo prendevano sempre in giro e poi…»
H: «Ho chiesto: perché Loki?»
J: «Loki non lo so… l’ho sempre sentito chiamare così?»
H: «Beh, buono, no? Avevi un soprannome anche tu?»
Joy si oppose all’interrogatorio: «Non c’entra con la diagnosi!»
H: «Oh… mi può aiutare, invece!»
J: «A cosa? Ah…va bene! “La Zoppa con le Mani di Velluto”»
H: «Mi serviva per capire quanto sei idiota!»Joy gli regalò una smorfia.
House si lasciò scappare, che in fondo però era un apprezzamento: «… ma ho avuto modo di sperimentare il perché del soprannome!», carezzandosi le tasche. Joy capì il riferimento, mentre gli altri li guardavano senza poter capire.
H: «Dove abita?»
J: «Non lo so!»
H: «Come vive?»
J: «Non lo so!»
H: «Non mi sei d’aiuto, così!»
J: «E come potrei esserlo? L’ho rivisto oggi per la prima volta dopo 7 anni, ho anche fatto fatica a riconoscerlo»
H: «Ma lui ha riconosciuto te!»
J: «Avrà buona memoria!»
H: «Sapeva dove cercarti!»
J: «Ha sempre avuto buoni informatori…»
H: «Sei insopportabile!»
J: «È un complimento?»
H: «Finiscila, sei inutile…vattene, non mi servi!»Joy uscì, lasciando il lavoro ai veri dottori, non senza lanciare un fulmineo: «Peccato, mi stavo divertendo!»: cosa per altro vera, perché ora le sarebbe toccato il noioso lavoro d’ufficio.
Le sarebbe potuto toccare, per essere precisi… perché, in fondo, Cuddy non c’era e con House impegnato…chi poteva controllarla? Così iniziò ad andarsene a zonzo per il Princeton, senza una meta, finché si trovò (per caso?!) accanto alla stanza di Loki.
Si avvicinò appena al vetro, lo guardò di sottecchi… “Tanto lui stava dormendo, che avrebbe potuto combinare lì? Tanto valeva andarsene!” pensò. Ma poi sentì delle grida e capì che era Loki, così si avvicinò. Magari avrebbe capito qualcosa, magari lo avrebbe potuto aiutare.
«TU! TU! SEI TU! È COLPA TUA, TRADITRICE!» gridava.
Joy non capiva a che si riferisse: «Ma che dici! Che fai?» Loki stava strappando con forza le flebo, lei si precipitò a fermarlo «Di che parli, Loki?»
L: «E NON CHIAMARMI LOKI!» scaraventando a terra il comodino
J: «Ok. Sean, va bene… Sean? Adesso, calmati, però…»
L: «Sean? E tu come lo sai, eh? Come lo sai? Dagli sbirri? NO, NON MI CALMO! MI HAI TRADITO… SEI UN’INFAME!»
J: «Loki, ma ti avevo spiegato… io… no, dalla cartella, me l’avevi data tu, ricordi?»
L: «IO? COSA? DEVI LASCIARMI STARE, HAI CAPITO?» aveva sradicato la flebo e la minacciava con il sostegno. Ma lo scaraventò a terra.
Joy non pensò a chiamare l’infermiera, sarebbe stata una mossa vigliacca. Ma indietreggiò verso il mobile a muro. Loki la raggiunse e la immobilizzò, premendola contro di esso: «TU NON HAI CAPITO CON CHI HAI A CHE FARE, EVIDENTEMENTE… IO TE LA FACCIO PAGARE! TU NON MI PUOI TRATTARE COSÌ!».
Le cose si stavano mettendo male per Joy. La presa del ragazzo era forte, le mani le stringevano il collo e lei iniziava a non respirare più. Per fortuna, dietro di lui, arrivarono Wilson e Foreman, che la staccarono da lui. Wilson riuscì a metterlo sulla poltroncina e Foreman ne approfittò per fargli un’iniezione di tranquillanti. Comparve House in quell’istante.
Foreman stava togliendo l’ago e subito riferì l’accaduto: «Il ragazzo ha aggredito Joy!»
H: «Aggredito come?»
Joy si stava tenendo il collo con le mani, incredula di essere ancora, tutto sommato, intera, e Wilson le era accanto a controllare la situazione; si voltò a rispondere: «Direi selvaggiamente… non vedi come è ridotta la stanza?»
Mobili e suppellettili erano rovesciati. Una lampada era a terra. Diversi fogli erano sparpagliati in ogni dove.
H: «Già…» commentò, pensieroso
J: «Un altro sintomo?» azzardò

H: «Seguimi e non fiatare!»
La prese per un braccio a viva forza e la condusse in sala riunione e facendo un plateale inchino, le diede il pennarello, per scrivere il nuovo sintomo.
«No…! Sono i tuoi pennarelli!»
«È grazie a te se abbiamo trovato un nuovo sintomo!»
«Uhm, ne avrei fatto anche a meno…» commentò, sarcastica, scrivendo, compita: “PARANOIA” e “NERVES”, in fondo alla lista.
J: «Ma tu ti sei già fatto un’idea, scommetto!»
House era seduto, appoggiato al tavolo con un gomito e con la faccia sprofondata nella mano: «Aveva ragione?»
J: «Chi? Cosa?»
House la guardò, liberò la faccia dalla mano e specificò: «Il tuo amico… aveva ragione ad avercela con te?»
J: «Perché avrebbe dovuto?»
H: «E che ne so? È amico tuo!»
J: «Eh già…»
H: «Tu hai capito a cosa si riferiva…?!»
J: «Forse…»
H: «Cioè ?»
J: «Loki fa il corriere, gliel’hanno proposto 7 anni fa, perché era veloce, e scaltro. Lui mi ha proposto di andare con lui, lui sarebbe stato le mie gambe, io il suo cervello, come avevamo sempre fatto. Ma qui il discorso era diverso, perché non basta il cervello, quando fai il corriere devi essere veramente veloce, altrimenti sei fottuto, capisci? Ti beccano subito!»
H: «Ehm… immagino, certo! Quindi è per questo che è arrabbiato… così non vi siete più visti?»
J: «Non proprio… in realtà è per via di Jacob…»
H: «Il marines?»
J: «Sì, mi veniva dietro, allora… e lui… non ha capito che chi rompe un patto, è fuori dal giro!»
H: «Un patto…»
J: «Gli avevo fatto giurare che non mi avrebbe mai sfiorato, neppure per scherzo, senza il mio consenso, e invece… e mi ha visto con Jacob, ecco…»
H: «Con Jacob… e allora? Ah, capito, voleva essere lui a darti il primo bacio e non sopportava Jacob, perché gli aveva soffiato il posto?»
J: «Non esattamente!»
H: «No? Più complicato ancora?»
J: «Beh, è Loki che mi ha dato il primo bacio, con la lingua…»
H: «Con la lingua? E quando?»
J: «A dodici anni… va beh, lui ne aveva quattordici!»
H: «Complimenti! E poi com’è proseguita?»
J: «House, non puoi fare minacce e poi non mantenerle… si perde di credibilità! Gli avevo fatto giurare….»
H: «Quindi?»
J: «Oh… gli ho dato una sberla, naturalmente!»
H, sarcastico: «Eh, sì… naturalmente! Che donna di fuoco! Va bene che gli italiani sono passionali, ma, così, gli uomini me li distruggi!» ma si accorse che gli mancava un tassello: «Ma Jacob che c’entra?»
J: «Beh, Loki aveva saputo di lui, io gli facevo il filo a 12 anni, ma lui non mi filava … e pensavo, insomma, Loki gli amici li rispetta, ma se solo pensa che gli schiacci i piedi… volevo avvertire Jacob, quella sera, perché sapevo che Loki era tornato in città… e Loki ha sempre gli amici giusti!»
House, pungente: «Eh già, gli amici giusti…. Dimenticavo!» poi tornò in argomento diagnostico: «E ancora adesso fa… il corriere espresso?»
J: «Immagino di sì, non lo so… non è che abbiamo avuto molto tempo per parlarne… ha iniziato a vomitare sangue!» e gli guardò le scarpe: «Allora che pensi?»
H:«Lui non ti ha detto tutto!»
J: «Neanch’io! E allora?»
House si alzò all’improvviso: «Dobbiamo fare uno screening approfondito, questo è certo!».
J: «House, non chiamerai la polizia, vero?»
H: «Dovrei farlo?»
J: «È tra le opzioni possibili…»
H: «Non credo… non ora, comunque!» rispose con un sorrisetto furbo e malandrino, come se stesse nascondendo qualcosa.
E Joy rimase ancora una volta a domandarsi se aveva capito bene o se si era persa per strada, depistata da House.
Decise di andare a vedere come stava ora; non c’erano pericoli, d’altronde: dovevano averlo addormentato. E infatti era così.
Ma le macchine le dicevano qualcosa….si avvicinò: il cuore era tachicardico, c’era il rischio di un arresto cardiaco. Pensò che doveva chiamare House, così, si mise a cercarlo, lo trovò da Wilson e lo avvisò della situazione.
House alzò la cornetta, strillando: «Possibile che di un paziente tachicardico mi debba informare una pivellina? Andate a sistemarlo, dannazione!», poi le si rivolse: «Tu sei disposta a giurarmi che non fa uso di sostanze?»
J: «Assolutamente no! Non te lo saprei dire…»
House riprese la cornetta: «Ecg, esame urine, sangue eccetera, nonché eco-color Doppler con contrasto e senza!». House sbuffò: «Temo che il tuo amico abbia fatto un po’ il birichino, ultimamente!»

***

A casa, House si accorse che Joy era preoccupata: guardava il telefono, dalla sua camera. E, del resto, quella sera non aveva toccato cibo. Tutto ciò era molto strano, fuori dalla norma. E, quindi, lo irritava enormemente.
Arrivò persino a portarle delle noccioline in camera, ordinandole, imperioso: «Mangia!»
J: «Non ho fame!»
H: «Non fare l’idiota, mangia!»
Allungò una mano, ne prese una dalla scodella, la mise in bocca: «Contento?»
House scosse la testa, riprese la scodella e uscì dalla stanza: «La strada per la cucina la sai!». Lui, invece, si diresse nella propria, deciso a risolvere il sudoku del “New York Times”.

***

House si era appena alzato, a piedi scalzi, con ancora indosso il pigiama, interrogava la stanza di Joy: «Joy, vieni con me o aspetti Michael?». Ma interrogava, appunto, solo la stanza. Joy non c’era e Michael rientrava in quel momento.
House chiese semplicemente: «Joy?»
E Michael, asciutto: «Princeton», poi, dopo un attimo, aggiunse: «Appena sei pronto, porto anche te!».
House alzò le sopracciglia, perplesso: “Chi gli aveva chiesto di accompagnarlo?”. Andò a vestirsi.

***

Joy era seduta al posto che solitamente era di Greg, la cartella in mano, gliela allungò concitata: «Ecco i risultati!»
H: «Tu non sei del mio team!»
J: «Eh! Non ti formalizzare!… cambia qualcosa la mano da cui la ricevi?»
H: «Ho ragione, ma non sono arrivato alla soluzione… sai che si dice che le malattie sono come i cani? Assomigliano ai proprietari: è evidente che c’è un complice… chiama i ragazzi… vi aspetto tutti di là!»
J: «Vi?»
H: «Muoviti e non me lo far ripetere! Io ho poca pazienza, lo sai!»
J: «Ok, corro!»
House la guardò storto.
Joy si imbarazzò e si corresse: «Ehm… faccio quello che posso: mi sbrigo!»

***

Si riunirono ed House riprese il suo solito posto, davanti alla lavagna, sollecitando: «Siamo qui per la diagnosi, coraggio!»
Kutner, con certezza: «È ovvio che si tratta palesemente di un drogato!»
H: «Ovvio? L’hai visto iniettarsi qualcosa?»
Kutner, confuso: «No, ma… la tachicardia…»
Taub: «E se fosse tachicardico, indipendentemente dalla droga?»
H: «Bell’ipotesi! Così mi piace già di più!»
K, imperterrito: «Ma non esclude la droga!»
H: «E chi la voleva escludere, si può sapere?»
K sbuffò. Poi, guardò 13. Anche House si rivolse a 13, con un seccato: «Non mi dici niente, tu?»
13 : «Ma… mi sembra ovvio che ci sia a che fare con la droga!»
H: «Ovvio, ovvio… tutti ovvi stamattina!», poi Joy calamitò l’attenzione del medico: «E tu, pulce? Come mai così taciturna?»
J: «Ascoltavo…»
H: «Parla! Illuminaci!»
J: «A dire la verità, non tutto conduce alla droga… non tutto porta in quella direzione… e, in ogni caso, non tutti i sintomi sono da collegare unicamente a quello…»
House roteò il bastone: «Quindi non è overdose…»
Joy, titubante: «Non… credo… solo quello!»
H: «Già!» sembrava soddisfatto, poi deluso, si rivolse agli assistenti: «Battuti da una senza patria, mezzo sangue che vi ruba il posto!»
Joy l’avrebbe strozzato in quel momento, non fosse stato suo padre e, mentalmente, certo, gli stava sferrando un gancio sotto il mento…
Taub: «Stenosi mitralica?»
H: «I polmoni come sono?»
Kutner : «Quasi liberi!»
H: «Quasi? Il Titanic è affondato per un iceberg quasi invisibile… fate altri controlli: angiografia ai polmoni, radiografia al torace, broncoscopia!»
13: «Sindrome da ipermobilità articolare?»
Kutner: «Gli esami del sangue lo escludono! Per prima cosa, dovremmo ispezionare l’ambiente domestico, no?»
13: «Tu continui a pensare alla droga!»
H: «Microbo, tu che dici?»
J: «Non sarà facile l’ispezione domestica… non so dove abiti, ed è facile che non lo sappia neanche lui!»
H: «Vive sotto i ponti?»
J: «No, amici…ma non sono facili da trovare!»
13 : «L’infezione polmonare e la stenosi mitralica dovrebbero dare luogo ad una sincope, o ad uno svenimento!»
J: «House l’ha sedato prima: midriasi ed emottisi…»
H: «Allora, ci rivediamo all’esito degli esami. Non prima!»

***

Nel pomeriggio, si ritrovarono nella stessa sala, con gli stessi posti, ma qualche informazione in più.
H: «Okay, è chiaro che ha avuto un’overdose … molto probabilmente, coca più anfetamine»
K: «Disintossicazione?»
H: «No, direi che lo lasciamo in astinenza e vediamo come va… secondo te?»
T: «Disintossicazione!»
13: «Violenta o dolce?»
H: «Sai che a me piace il sesso estremo!»
13: «Diazepam?»
T: «Io aggiungerei anche Dexmedetodimidina, per il cuore…»
H: «Cosa ci fate ancora qui? Aspettate l’imprimatur?»
I dottori uscirono e anche Joy si mosse per farlo, ma House la chiamò: «Tu vieni con me!»
J: «Altre visite?»
H: «No, era un invito al parco giochi! Cammina, streptococco che non sei altro!…»

***

Il ragazzo della stanza 1 guardava House con insistenza, le mani dietro la schiena.
Erano quasi le cinque, e House trepidava. Spazientito: «Allora? Sarai qua per un motivo, no?»
Ragazzo: «Lei?»
H: «Ah, sei qui per lei?» poi la guardò, severo: «Ti avevo già detto che non puoi ricevere visite sul posto di lavoro, a parte le mie, ovviamente!»
Ragazzo: «Lei… perché è qui?»
H: «Tu detta, lei scrive!»
Ragazzo: «E Lei, allora?»
H: «Io sono il medico, tu il paziente… bene, ci siamo presentati… ti decidi a parlare? Ma non mi hai neanche dato la mano!» e si avvicinò al paziente e lo costrinse a tirar fuori le braccia che teneva dietro la schiena.
H: «Ohi ohi!» commentò House, perplesso «È molto che è così?»
R: «Un paio di giorni»
H: «Ma, dico, non te ne sei accorto? La ferita è infetta!»
Guardò Joy: «Va’ a chiamare… anzi no, fallo tu!» le mise in mano garze e disinfettanti e lei si mise all’opera, lui intanto sfogliava una rivista. Ma ben presto le si rivolse ancora: «È amico tuo anche questo? Chissà mai, magari un taglieggiamento… perché no? Furto, prostituzione, che altro potrebbe aver combinato?»
J: «Smettila! È abbastanza pulito, ora?»
H: «Adesso comunque lo mandiamo dal’infermiera…»
R: «Io ero qui per un altro motivo…»
H: «Sentiamo, hai ancora, esattamente 60 secondi, 59…»
R, imbarazzato: «Ho dei problemi d’aria e crampi, allo stomaco…»
H: «Oh… male al pancino, eh?»
Il ragazzo annuì, per nulla divertito.
«Era meglio che mi nascondevi questo, piuttosto che la ferita. Joy, scrivi: Fosfato di alluminio colloidale!»
La ragazza eseguì e porse il foglio, il medico firmò. «Portalo a medicare!» concluse, poi sbuffò: «Anche questa è fatta! Io vado…»
J: «Sì, tranquillo, mi passerà poi a prendere Michael!»
H: «Uhm. Interessante. Chi te l'aveva chiesto?»rispose, appena prima di infilare il corridoio che portava all'uscita principale.

***

Anche quel mattino, House si svegliò, senza trovare Joy. Ma Michael lo aspettava, invece.
Arrivato in ufficio, Joy era già lì, con i nuovi risultati. Ma, questa volta, House se l’aspettava: gliela strappò di mano e la precedette nella sala, dove già l’aspettavano i suoi collaboratori. House entrò in sala e distribuì le copie dei risultati.
K: «I parametri si stanno normalizzando… resta solo da spedirlo in qualche clinica per disintossicarlo per bene, no?»
Ma in quel momento arrivò Joy: «House, ha una crisi respiratoria!»
I tre corsero fuori, House rimase a fissare la cartella. Joy fissava House.
House esclamò: «Ora, resta solo da trovare il complice!». Sospirò, quindi ordinò: «Va’ alla lavagna!»
La ragazza raggiunse la lavagna.
H: «Elencami tutti i sintomi!»
J: «Emottisi»
H: «Ha avuto altri episodi? »
J: «Uno solo, di lieve entità, ma è stato sedato a lungo…»
H: «Poi?»
J: «Inappetenza»
H: «Coca»
J: «Midriasi?»
H: «Decisamente, coca!»
J: «Dolori al petto?»
H: «Probabile coca…»
J: «Insonnia?»
H: «Coca, se poi aggiungi anfetamine o ecstasy… bingo!»
I dottori rientrarono, in silenzio.
J: «Tachicardia?»
H: «Tipico.. coca, ma anche ecstasy»
J: «Insufficienza respiratoria?»
H: «Non così tipico…» poi si rivolse ai dottori, ma senza staccare lo sguardo dai sintomi scritti alla lavagna: «l’avete stabilizzato?»
K: «Sì»
H: «Idee?»
T: «Bronchite?»
13: «Non è virale…»
H: «Perché?»
13: «I sintomi non sono chiari e conclamati…»
K: «E se fosse una disfunzione asintomatica?»
T: «Asintomatica?»
H: «Paramecio, la storia clinica?»
J: «Che io sappia, non è mai andato da un medico, a parte per le vaccinazioni infantili…»
H: «Da’ qua!»
K: «Cosa speri da una cartella così leggera?» commentò sfiduciato, passandogliela
House socchiuse gli occhi, in una smorfia di disappunto. Sfogliò distratto: «Le analisi del sangue? Le avete fatte tutte?»
13: «Tutte le più comuni!»
H: «Analisi del Dna e delle alfa-1-globuline!»
T: «Pensi a una malattia genetica?»
H: «Sì, non lo vedo improbabile… attendiamo i risultati!»
K: «Lo lasciamo sedato?»
H: «No, possiamo anche svegliarlo…»

***

Kutner vide House nel corridoio, lo raggiunse e gli porse i risultati delle analisi.
House non rallentò, diretto nel suo ufficio, e commentò soltanto: «Avevo ragione!».
Vide Joy, alle prese con la libreria: «Mi accompagni?»
I libri che stava cercando di mettere a posto finirono a terra, lei invece in un momento fu al suo fianco, curiosa del motivo per cui la chiamava.
H: «Kutner, pensaci tu!»
K: «Ma…» rimase, perplesso, a guardarli uscire. Si decise a mettere a posto.

***

Erano nella stanza di Loki, e lui era sveglio da poco.
Loki non aveva mai visto House, a parte mentre stava vomitando sangue, s’intende; così, lo guardava un po’ perplesso, dal suo letto.
H: «Allora, hai capito? Glielo spieghi tu?»
J: «Sì, non sono deficiente… Ecco, in breve: sei tu che sei deficiente, Loki…»
L: «Eeeh?»
J: «Deficiente di alfa1-antitripsina, è un enzima, se manca, si fa sentire, magari non subito, ma è quello che ti ha causato i problemi polmonari.»
L: «Ah!»
H: «A cui sono da aggiungere quelli della droga.»
L: «Ma io non mi faccio!»
H: «Capisco che non vuoi sfigurare, ma gli esami sono chiari…»
L: «Ah, è vero, alle volte, se non trovo nessun altro, mi imbottisco io… pensavo che poi… le avrei espulse… naturalmente!»
H: «Non sempre, se non è confezionata in modo più che ottimo»
L: «E ora?»
H: «Terbutalina, è un beta stimolante. E poi un blando antibiotico, hai pur sempre un’infezione!» poi, verso Joy: «Ora, lascialo agli infermieri, si rimetterà presto. E tu devi finire il lavoro in ufficio».
A Joy scappò una mezza smorfia, ma lo seguì senza far domande.

***

 

Loki era seduto sul letto, alzò gli occhi, verso Joy: «House mi denuncerà?»
J: «No, non lo farà»
L: «Te l’ha detto?»
J: «So che non lo farà»

Loki si chinò ad allacciare le scarpe: «Posso fidarmi delle tue sensazioni?»
Loki si tirò in piedi.
J: «Ti ho mai dato motivo di dubitare di me?»
Loki sorrise. In effetti, in una situazione normale, mai si sarebbe sognato di aggredirla, come aveva fatto. L’aveva sempre rispettata, anche quando non condivideva le sue scelte.
«Ringrazia il primario!» disse Loki, abbottonandosi la camicia di jeans.
«Sarà fatto!» garantì, con scherzosa deferenza.
I due pugni si scontrarono sonoramente, come facevano un tempo.
J: «Ti rivedrò?»
L: «Quando sarà necessario, mi farò trovare! Com’è stato adesso, per me.»
J: «Perché vivi così, come un animale braccato…?»
L: «Si vive così… quando si cresce per strada!»
J: «Io…»
L: «Tu sei diversa… e poi… tu hai trovato tuo padre!»
Joy, lo guardò allibita: «E tu.. come lo sai?»
Loki sorrise, beffardo: «Ho sempre avuto buoni informatori. Tranquilla… non lo dico in giro!»
Loki s’infilò la giacca: «Sei riuscita a trovarla? O a fartela dare, è indifferente…»
J: «A trovarla, a trovarla… sei molto gentile.. tieni!» allungandogli un foglietto
L: «Tu non mi hai mai raccontato tutto!» con tono accusatorio
J: «E non ho intenzione di farlo!»
L: «Tieniti i tuoi segreti, che io mi tengo i miei» concluse, allacciandosi la cerniera del giubbotto «Potrà essermi utile una conoscenza medica… sbrigati a finire… se qualcuno dovrà salvarmi la pelle, o magari farmela, nel tentativo di salvarla… preferirei che fossi tu!»
Joy accennò un sorriso. Era la cosa più carina che le avesse mai detto.
L: «Buona fortuna, Zoppa!» concluse, issando lo zainetto su una spalla
J: «Anche a te!» sibilò.
E lo vide allontanarsi. A testa alta, come era entrato, il passo deciso, nonostante quello che aveva passato, si diresse verso l’uscita. Delinquente, malvivente, accattone, poco di buono, pusher, tipo poco raccomandabile… ma, per lei, sarebbe rimasto solo e semplicemente: “Loki”.

***

J: «Loki ti ringrazia. Festeggiamo?» disse, non appena, entrata nel suo ufficio, vide House alla scrivania. E versò il contenuto della lattina in un paio di bicchieri di plastica.
H: «Cos’è?»
J: «Birra»
H: «L’hai comprata tu?»
J: «Comprata? Uh, che paroloni!»
H: «L’hai rubata?»
L: «Non è esattissimo…»
H: «Capito… Loki?»
J: «Già…!»
H: «Non l’ha presa per sé?»
J:«Dopo quello che ha fatto? Corriere espresso non fa rima con cretino!»
House masticò il bastoncino del lecca – lecca: «Non sono poi così male, questi ragazzi di strada…»
Joy bevve la sua birra tutta d’un fiato, poi, come ricordandosi solo in quel momento: «Ah, a proposito: ho lasciato a Loki la targa della tua moto: ora è più al sicuro che posteggiata davanti a una stazione di polizia, Loki ha mani molto lunghe!»
House sorseggiò la sua birra: «… interessanti questi ragazzi di strada… se uno ne sa sfruttare le capacità, naturalmente!»

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Capitolo 12
*** Io non lo so! ***


Erano entrambi nell'ufficio di House, ambedue impegnati in lavori diversi. Per essere precisi, House non stava lavorando affatto, ma stava leggendo il New York Times, in attesa di avere il responso di alcune analisi di laboratorio. Il silenzio regnava, nella stanza, stranamente tranquilla.
J: «Come ci riesci, House?» chiese, all'improvviso
H: «Come ci riesco... a fare cosa? »

J: «Guardarmi come se fossi trasparente, come se fossi nessuno…»
H: «Semplicemente, perché sto guardando altro, sto facendo altro, mi sto occupando di altro. Comunque, ora devo verificare un’idea…tanto c’è Wilson, puoi perdere tempo con lui»
Infatti, alle sue spalle, stava giungendo Wilson. House tirò giù i piedi dal tavolo, rimise in bocca il lecca – lecca, si alzò e se ne andò dal locale, senza salutare nessuno.


J: «Pensi che una parola possa rimanere nell’inconscio e condizionarti, se viene fuori?» domandò, senza lasciare le carte che aveva in mano. Vecchie ricette, documenti, permessi da riordinare.
W: «Perché questa domanda?»

J: «Io, quando arrivò House, mi tranquillizzai» disse, dando voce ad un ricordo remoto,
W: «Saresti la prima su cui ha questo effetto…»

J: «Non dicevo ora! Tanti anni fa…Cuddy se ne è andata a cercare un altro medico, poi è tornata e sulla soglia l’ha presentato a Josh: “Ecco il dottor House”. Ho un ricordo nitido nella memoria. A quella parola, ho fermato tutto, ho avuto una sensazione strana, come se il suo nome non mi fosse nuovo. Ma non potevo averlo conosciuto prima!»
W: «Tua madre voleva essere curata da House, no?»
Joy annuì: «Vuoi dire che… basta? Intendo... è morta praticamente quando sono nata? Posso conservare ricordic he la riguardino?»
W: «Potrebbe aver ripetuto il suo nome, con fiducia, con speranza… la mente umana è straordinaria!»
Joy socchiuse gli occhi: «Figo!» commentò. Poi, con movimento improvviso, fece un unico mucchio delle carte che stava maneggiando. Alzò gli occhi, in direzione di Wilson:«Tu credi che per voler bene c’è bisogno di dirlo?». Fu una domanda diretta, netta come il taglio di un coltello.
«Che domanda è? Dipende…hai mai sentito qualcuno che ti vuol bene che te l’abbia detto?»
«Il guaio è questo: nessuno me l’ha mai detto, mai. Non mia madre, è morta presto. Non Jesse, non Josh, non il mio istruttore di nuoto, non House, né nessun altro. È per questo che te lo chiedo, perché io, io… proprio non lo so!» ammise, con schiettezza spiazzante.
Talvolta i grandi che non hanno avuto un'infanzia felice, non si ricordano molte cose della propria infanzia. E non comprendono quanto quelle piccole cose a cui non hanno dato importanza siano fondamentali, per chi non le ha mai conosciute.

W: «Non è possibile… e i tuoi amici?»
J: «Ragazzi di strada… come puoi pensare che un mezzo delinquente ti dica una cosa simile? Anche volendo, non ne ha il tempo…»
Wilson annuì all’osservazione, rimase un momento pensieroso: «Come hai fatto a non avere guai con la giustizia, se hai detto di averne fatte di tutti i colori, con la tua banda di piccoli immigrati…?»
J: «Non tutti i ragazzi di periferia hanno guai con la giustizia, solo i ragazzi di periferia stupidi che si fanno beccare!»
W: «Ma tu come facevi a fuggire, con la gamba…»
J: «Wilson, non la si fa franca solo con la fuga. Capisco che per te è una parola che esiste solo sul vocabolario, ma c’è anche la furbizia!» poi aggiunse: «Wilson, è così, io sono originale, ho avuto una vita diversa, capisci? È per questo che te lo chiedo, perché io, io… proprio non lo so!»
Wilson rimase scioccato alla rivelazione e allora si risolse a dirglielo lui, con tono molto affettuoso anche, col risultato che finì con l’essere solo molto teatrale:«Joy, io ti voglio bene!»
«Davvero? No, non mi convinci. Chi mi dice che tu non lo dica solo per farmi contenta? Non mi fido…»
Wilson rimase spiazzato, ancora una volta, e provò a cambiare discorso, o meglio ritornare a quello precedente: «Tu lo sai com’è fatto, no? È il tuo tutore legale…o no? »
«Fino a un certo punto. Credo che lo conosca più il suo team di quanto possa averlo conosciuto io in tutti questi anni… dopo la morte di Jesse, gli ho chiesto di essere il mio tutore legale per non finire in istituto. Gli ho detto che non gli avrei dato fastidi, avrei falsificato la firma, così non avrebbe dovuto esserci per ogni cosa. L’unica cosa era vivere insieme per un paio di settimane, perché l’assistente sociale doveva dare l’ok. Almeno, così mi avevano detto» sospirò «In realtà di legale, House ha fatto ben poco. Scopersi che non aveva firmato un bel nulla, ma in orfanotrofio non ci volevo andare. Quindi me ne sono andata, mi sono arrangiata, ho vissuto nei sottoscala. A dire il vero, ogni tanto, qualche assistente sociale mi pescava e mi ci portava. Ma non era mai per molto. Comunque, House mi mandava dei soldi, ogni anno, tramite un ragazzo, che ogni volta si teneva il 10% per il servizio. Io gli telefonavo qui per Natale tutti gli anni. Ma mi mancava… allora, una volta ho telefonato alla Cuddy, dicendo di essere il detective privato Vicodin, di darmi tutte le informazioni che aveva su House. Non pensavo potesse crederci, ma così è stato. Così so un po’ di cose su di lui, quelle che sa Cuddy, d’altronde…Una volta mi ha telefonato lui, quando avevo 14 anni. È stata l’ultima volta che l’ho sentito prima di venire qui.»
W:«Cosa? E la Cuddy non lo sa ancora?»
J:«Ma sei fuori? E ti pare che glielo dico? Dai, ero piccola…»
W:«Beh, non importa…»
J:«Non glielo dirai tu, vero???»
W:«No, stai tranquilla. Ma non capisco una cosa. Come hai potuto arrivare fino all'università?”
J: «Beh, dopo i 12 anni, lo Stato non è così invadente, non si interessa così tanto a te, gli puoi sfuggire. E io... sono brava a sfuggire al controllo. Bastava farmi firmare i documenti da qualche assistente sociale, per gli esami da privatista. Ho accelerato il percorso. Ho frequentato solo la prima elementare in modo, diciamo così, regolare. Un paio d'anni dopo, forse tre, non ricordo più, ho dato gli esami della primaria come privatista. Un paio d'anni dopo, esami della scuola media. Poi, ho sfruttato i tempi canonici per college ed università... solo che, col vantaggio precedente, beh, ero più giovane dei miei colleghi, ecco!”
W: «Ma.. è possibile?»
J: «Se sono qui, direi di sì! Basta avere intelligenza e.. quella non mi è mai mancata!»
“Nemmeno la faccia tosta!” pensò Wilson, che le sorrise come un ebete, rivedendo in lei qualcosa di molto familiare. Tuttavia, si rammentò del discorso di partenza, per cui aggiunse: «Comunque, quello che intendevo dire è che se conosci House, sai che non te lo dirà mai. Ma te lo dimostrerà e sarai sicura che è così, anche se lui negherà, negherà tutto, anche l’evidenza…»
Joy ci pensò su un attimo: «Potresti anche avere ragione, Buon Samaritano. Ma non cambiare mestiere: sei un pessimo attore!»

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Capitolo 13
*** E se... ***


Sdraiati ognuno su un lettino, guardavano il soffitto. Erano rimasti chiusi dentro un'ala in ristrutturazione dell'ospedale, mentre fuori pioveva a dirotto.Avevano già chiamato Wilson, ma i tecnici gli avevano detto che prima del mattino seguente nessuno avrebbe fatto nulla, anche perché essendoci aria e generi di prima necessità, non c'era alcuna urgenza di liberare i due. «È evidente che voi non li conoscete!» fu il laconico commento dell'oncologo, che però non basto a smuovere la situazione.
Costretti ad attendere nel medesimo spazio, non restava loro che scambiare qualche parola, prima di dormire. House si era già comodoamente sdraiato su una lettiga, mentre Joy era seduta sopra il mobile, nei pressi. Fu lei a cominciare.
J: «House, se avessi saputo prima che ero tua figlia… saresti venuto a prendermi a scuola?»
H: «No» rispose, senz'incertezze
J: « Bugiardo. Mi avresti fatto giocare?» proseguì, con un sorriso compiaciuto e volutamente provocatorio.
H: «Assolutamente no!»
J: « Bugiardo. Mi avresti… cambiato il pannolino?» sapeva che stava sul limite, stava tirando la corda, lo stava infastidendo, ma la cosa la divertiva enormemente…


H: «Scordatelo, e non pensarci neanche per scherzo!» rispose quello, scagliandole un barattolo metallico, che la mancò di un soffio, ed andò ad infrangersi contro il muro. J: «Bugiardo, bugiardo e ancora una volta bugiardo» Si rizzò in piedi e si avvicinò al letto del medico, per poterlo guardare dall’alto in basso, dal momento che lui rimaneva ancora sdraiato: «Non puoi mentirmi. Lo sai? Io ti ho visto con gli occhi lucidi, quando tu pensavi che io stessi dormendo, quella notte…»
House ebbe un sobbalzo; ma fu lieve, e sperò che non se ne fosse accorta. Non riusciva a credere che, dopo tanto tempo, ricordasse ancora quella notte.
Joy sorrise: «Non è che tu non mi conosci. Tu non ti conosci. Sei molto più di quello che sei… sei molto più di quello che credi di essere!».
House la guardò, non le chiese di sciogliere l’enigma, o di specificare il concetto. In quel momento si stava proprio chiedendo chi fosse veramente questa ragazza, che poi era sua figlia. Così dicevano gli esami clinici. E come faceva ad assomigliargli così tanto, pur non avendolo visto quasi mai? C’era qualcosa che non tornava, dannazione!
Joy si lasciò guardare, ormai ci aveva fatto l’abitudine.
«Io lo SO che non è così. Sei un bugiardo. Se tu l’avessi saputo prima, io sono sicura che tu…»
«Ti ho già detto di NO!» replicò, stizzito, o meglio, infastidito dalla sua insistenza. Chiuse le palpebre e la lasciò parlare ancora, sperando, invano, che smettesse. Ma non smise, anzi proseguì, con somma meraviglia del dottore, riportando alla luce, frammenti di quella notte terribile: «Io non ti credo. Tu mi hai fatto dormire tra le tue braccia, quando ero piccola, incapace di difendermi, e piangevo, spaventata. Io me la ricordo quella notte che pioveva… potevi benissimo lasciarmi fuori, lasciare che il pulcino si bagnasse sotto la pioggia, che pigolasse tutta la notte, che tremasse di paura.Io non ero nulla per te.  La mia gamba era compromessa, tu lo sapevi: era rotta, rotta male e io ci avevo camminato e mi faceva un male boia. Tu me l’hai immobilizzata, ma non mi hai portata subito all’ospedale, perché ero troppo spaventata, non mi sarei lasciata toccare da nessuno, come mio solito; avremmo perso tempo in due e, in più, avrei potuto farmi ancora più male. Non c’era emorragia, non rischiavo la vita. Avevo solo ecchimosi su tutto il corpo, e una gamba semidistrutta. E il giorno dopo tu mi hai impedito di vedere quello che credevi fosse mio padre morto per un colpo di pistola. In effetti, non era un bello spettacolo, frutto di quell'inseguimento folle con la polizia alle calcagna. Tu non capisci perché io sia così felice che sia tu mio padre, nonostante tu ripeti che “non vuoi un figlio, né tanto meno una figlia”. Non capisco il “tanto meno”, ma so una cosa. È per me un sollievo sapere che chi mi ha rovinato la vita non è mio padre, ma solo l’uomo che aveva sposato mia madre. Tu non lo capisci, ma per me è grandioso. E io lo so che mi vuoi bene, ne sono sicura. Ma anche se non mi volessi bene, non importa. Sei mio padre, ricordalo. Io non me lo scordo mai. E tutti i duri hanno il cuore tenero. E anche tu!» e gli puntò il dito contro il petto. House non fece resistenza e Joy restò lì a guardare il suo dito infrangersi sulla sua felpa sportiva di color bordeaux.
Insospettita, gl li si avvicinò, mise l’orecchio contro il suo cuore e ascoltò. Dormiva, senza ombra di dubbio. Aveva visto che aveva chiuso gli occhi, ma aveva pensato che volesse solo farle uno scherzo o mostrarsi assolutamente disinteressato, come sua abitudine. Del resto, sicuramente, almeno una parte di quanto gli aveva detto, doveva averlo ascoltato. Quanto poteva saperlo solo lui. Che, sicuramente, non gliel'avrebbe mai detto! In un modo o nell'altro, riusciva sempre a farla franca...
Lo coprì con una coperta che era lì abbandonata ai suoi piedi, gli arruffò i capelli e lo baciò in fronte, dolcemente: «Buona notte, dottor House!». E pensò che lei gli aveva concesso il suo sogno segreto, quello che nessuno aveva mai fatto con lei, almeno per quanto si ricordasse. Non lui, non Jesse, né Josh. Forse sua madre, se aveva fatto a tempo, ma, chissà, in quel tempo così breve in cui aveva potuto vederla… di certo non se lo ricordava. Nessuno le aveva mai rimboccato le coperte prima che si addormentasse, nessuno le aveva mai raccontato una fiaba e nessuno le aveva mai dato il bacio della buonanotte. Forse per questo dormiva poco e riempiva le sue giornate, forse lo faceva solo per sentirsi meno sola, e non perché fosse realmente necessario. Chissà, forse neanche suo padre aveva mai avuto qualcuno che gli rimboccasse le coperte…
Raggiunse l’altra lettiga, s’infilò sotto una coperta e lasciò penzolare le gambe ai due lati (poté farlo, poiché era un lettino d’infermeria, non per day – hospital: erano rimasti chiusi in un reparto in via di manutenzione… che fortuna, eh?). Incastrò le dita delle due mani e le pose dietro la testa come un cuscino, guardò il soffitto, poi guardò House. Dopo tanti anni, ora sapeva la verità, ma era costretta a nasconderla, perché temeva di perdere il suo primo posto di lavoro… com’è strana la vita!
Ma poteva ancora davvero provare paura, dopo quella notte? E allora perché s’imponeva il silenzio?

Finalmente, riuscì a prendere sonno e si svegliò solo quando si sentì toccare un braccio dalla punta di un bastone: «Ehi, sveglia, hanno aperto!».

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Capitolo 14
*** Operazione 'Padre' ***


House entrò nello studio di Wilson, che l’aveva chiamato ore addietro.
«House, mi spieghi come mai hai accettato di essere il suo tutore legale?»
H:«Per la mia reputazione?»
W:«Non ti è mai interessata la reputazione…»
H:«Si cambia…»
W:«Non hai mai amato i cambiamenti! Qual è il vero motivo?»
H:«Wilson, tu non hai visto…» rispose, guardando dritto davanti a sé, come se stesso parlando da solo, incurante della presenza di Wilson, e, anzi, incurante del fatto che fosse partita proprio da lui la domanda al riguardo.
W:«Cosa?»
H:«COME me l’ha chiesto. Aveva cinque anni. Sua madre non l’aveva praticamente conosciuta, era appena morto Josh, il suo insegnante dell’asilo, che si prendeva cura di lei quando suo p… ehm, Jesse non c’era, ucciso dallo stesso Jesse. Ma lei non aveva mai detto la verità a Josh. E sai perché?»
W: «No. Perché?»
H: «Non voleva che Josh pensasse che lei fosse una puttana. Testuali parole in bocca alla ragazzina di 5 anni…»
W: «House, sappiamo entrambi che è un comportamento piuttosto frequente, in questi casi, l’autocommiserazione. Piuttosto, perché l’ha detto a te?»
H: «Non me lo chiedere, non lo so… dovevi vedere come mi ha guardato! Aveva capito che la mandavano in orfanotrofio, era lucidissima, sapeva che non si prospettava un buon futuro per una bambina di cinque anni, in mezzo a ragazzi più grandi di lei, incapace di difendersi e per giunta anche incapace di fuggire. Così me l’ha chiesto. Non mi ha implorato, me l’ha chiesto, con la faccia dura e lo sguardo serio, guardandomi dritto negli occhi: “Quello che ti chiedo, io so che puoi farlo. E allora, fallo!”. Ecco come me l’ha chiesto. …»
«Diavolo, se era così a 5 anni, come sarà diventata, nel frattempo?»
Un lungo silenzio calò, tra i due. Wilson giocherellò con la penna, House si voltò di scatto (gli stava dando le spalle) e iniziò: «Vuoi sapere quando l’ho vista la prima volta?»
«Avrà avuto tre anni, magari quattro, Josh l’ha portata qui per un piccolo incidente a scuola, aveva battuto la testa. Niente di che. Il problema è che non si lasciava avvicinare da nessuno. Allora Cuddy ha chiamato me, dicendo che tra psicopatici ci si capisce.»
«E…»
«Beh, sai come si fa in questi casi, con i ragazzini.. naturalmente mi sono presentato con un lecca lecca, gliel’ho mostrato… ma lei ha solo FINTO di interessarsi al lecca lecca, quando mi sono avvicinato, ha preso in mano lo stetoscopio e mi ha ricattato»
«Cosa?»
«Non sto scherzando, Jimmy! Ha detto, con il lecca - lecca in mano: “Te lo do se mi insegni a usare il ferro!”… è arrivata a propormi il dolcetto in cambio del mio stetoscopio!»
«Che tipo!»
«Poi ha guardato fuori, ha visto la Cuddy, fuori dalla stanza e ha detto: “Chiudi!”.»
«Ma… c’era anche Josh?» domandò l’oncologo
«No, Josh era fuori dalla stanza, con la Cuddy. Allora, riprovo ad avvicinarmi e devo subire una visita completa, prima di poterle toccare la testa per controllare se era tutto ok.»
«Poi non l’hai più vista?»
«Eh, magari…»
«L’hai vista ancora?»
«Non so che facesse di preciso suo padre. Ma le è arrivato un avvertimento in casa, con una pietra da due chili»
«In testa?»
«Purtroppo no.. me l’ha portata Josh… si ripete la storia. Le ho dovuto ricucire io il sopracciglio e io toglierle i punti. Però mi ha pagato bene!»
«Davvero?»
«Già… una scatola intera di lecca lecca alla fragola» sghignazzò House.
«E non sai altro?» s’interessò Wilson
«A dire la verità, non abbiamo parlato molto»
Wilson lo guardò, poco convinto.
«Ma naturalmente ho fatto le mie indagini»
Wilson sembrò sollevato e, con un ampio gesto delle mani, lo invitò a proseguire.
«Beh, insomma, la sua è una situazione da assistenti sociali. Già fin da piccola, Jesse la lasciava a casa da sola. Lei strillava e i vicini, esasperati, finivano per occuparsene. Ma nessuno che si sia scomodato a chiamare l’assistenza sociale, eh! Poi è arrivato Josh, lui si occupava di lei sempre, quando il padre non c’era, le dava da mangiare, la accompagnava all’asilo e la riportava a casa. Aveva un rapporto quasi morboso.»
«Solo perché si era affezionato alla bambina?»
« Doveva avere un secondo fine, un interesse, magari perverso. Perché no? Io pensavo che fosse lui ad abusare di lei…l’ho messo in discussione davanti a tutti»
«E invece, hai sbagliato bersaglio, eh?»
«Già» rispose, con una smorfia «o, meglio, me l’hanno nascosto all’ultimo!»
Wilson scosse la tesa: «Potevi prenderla con te…»
H: «Perché mai? Io non mi illudo di salvare il mondo!» con un sorrisetto furbo
W: «Non ti sarebbe stata d’intralcio, e lo sai anche tu…»
H: «Cosa? Una mezza delinquente tra i piedi non è d’intralcio? Stai scherzando, vero?… oppure intendi insultare la mia intelligenza?»
W: «Uhm, ok… ma scommetto che non ti sarebbe dispiaciuto! Dai, ci avrai pensato, almeno… perché non l’hai fatto? Perché non sei andato fino in fondo alla cosa, perché non l'hai presa con te?»
H: «Non me l’ha chiesto! Troppo orgogliosa, come sua madre!»
Wilson, poco convinto: «Vuoi dire che se te l’avesse chiesto – … »
House non lo lasciò concludere e disse, enigmatico, prendendo la via dell’uscita: «Chi può dirlo?»

***

Nello stesso momento, Joy si stava concedendo una passeggiata fuori programma. Era in un altro reparto, in ben altra zona dell’ospedale, con ben altri pazienti e ben altri problemi.
Entrò nella stanza, si issò e si sedette su una cassettiera.
La dottoressa che era presente, che stava facendo un’iniezione a una bambina, la fulminò con un: «Non sederti lì!»
J: «Tu sei Cameron?»
Cam: «Sì, perché?»
J: «Perché sì… forte…»
Cam: «Forte? Forte cosa?» replicò, destabilizzata dall'atteggiamento della ragazza. Doveva averne sentito parlare, ma il Pronto soccorso era abbastanza tagliato fuori dagli altri reparti, e non aveva dettagli precisi.
J: «Non sei molto divertente…»
Cam: «Non fa parte del mio lavoro far divertire la gente!»
J: «Peccato…» sarcastica e irriverente.
Cam: «Cosa cerchi?»
J: «Devo per forza cercare qualcosa? No, non cerco nulla!»
Cam: «E allora che ci fai qui?»
J: «Faccio una pausa…»
Cam: «Non lavori per House?»
J: «No, no!» scosse la testa vigorosamente «Io lavoro CON House!»
Cam: «Ma non sei nel suo team?»
J: «Ma ti pare?»
Cam: «Avresti potuto…»
J: «E chi lo sa? Magari un giorno… ma non lo sono!»
Cam: «E che ci fai qui?»
J: «Non è mica tuo l’ospedale! Te l’ho già detto. Tanto qui Cuddy non mi cercherebbe. Forse Wilson. Forse. Ma tu sei noiosa, però, lo sai!»
Cam: «Beh, grazie!»
J: «Ah, figurati… è giusto che tu lo sappia!»
Cam: «Voleva essere una battuta!»
J: «La prossima volta metti i sottotitoli!». Scese dalla cassettiera, scartò il lecca – lecca, lo infilò in bocca e uscì.
Poi, però rimise la testa all’interno della stanza: «Comunque grazie, eh?»
Cam: «Di cosa?»
J: «Non sei al pronto soccorso? La tua faccia me la ricordo… devi esserti occupata di me quando avevo quel dannato nichel in corpo!»
Cam: «continuavi a chiamare House, sprecavi un sacco di forze in quello…»
J: «Perdevo molto sangue… volevo che ci fosse anche lui!»
Cam: «Wilson l’ha chiamato….io non avrei mai pensato che potesse venire… ma mi sbagliavo!»
J: «Sei banale!»
Cam: «Ma la smetti di insultarmi? Sei un medico?»
J: «Ho appena cominciato…[e, con una smorfia, diede segno dell'ambiguità dell'affermazione: aveva appena cominciato ad insultarla o l'esperienza medica?] vuoi dire che, se lo fossi, potrei farlo impunemente? Allora…» e finse di immergersi in profonde riflessioni, poi concluse: «…ci rivediamo tra qualche anno, così mi diverto di più!» e fece per andare.
Cam: «Dove vai?»
Joy le concesse teatralmente la sua attenzione, come chi stava concedendo un grande onore e, quindi, invitava implicitamente a non farle perdere tempo: «Dove mi diverto di più…»
Cam: «Da House?»
Annuì. Guardò l’orologio, poi spiegò: «A quest’ora, Cuddy sarà dall’altra parte dell’ospedale, involontariamente depistata dai suggerimenti di Wilson. House, naturalmente, ne approfitterà e tra esattamente…5 secondi, mi cerchèrà per il caffè»
Un bip. Un secondo bip.
Cameron guardò in tasca. Non era il suo. Guardò la ragazza.
Joy spense l’apparecchio: «c.v.d.… hasta la vista, bambola… come si dice? Il duro lavoro mi chiama!»

 

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Capitolo 15
*** Piscina ***


Joy uscì, accompagnata da Michael. House non sembrava interessata a quest’uscita serale, nonostante fosse passata la mezzanotte e la situazione assomigliava molto alla notte in cui le era ritornata tutta… traforata!
Poco dopo, però, saltò in sella alla sua Repsol, la fece correre lungo il nastro d’asfalto, sulle tracce della ragazza. House trovò la Cherokee, ma non si accorse che era senza la ragazza.

L'auto proseguì lungo le strade della città, deviò in campagna, poi fece retrofront, ritornò in città, finché la vide fermarsi nel aprcheggio di fronte ad un imponente ed austero edificio in cemento armato, sormontato da un tetto don grossi pannelli in vetro.
Michael parcheggiò. House si guardò intorno, prima di scendere. Il luogo era deserto, tutte le luci dell’edificio spente, tranne una, non si riusciva però a vedere all’interno.

Michael andò incontro al motociclista: «Aveva ragione… sei proprio ostinato! Lei è qui. È evidente che è lei che cerchi. Entra dalla prima porticina a sinistra, è l’unica aperta, poi chiudi con la chiave che troverai. Io intanto riporto la moto in garage.»
«La moto è mia!» rispose, togliendosi il casco.
«Ne avrò cura!» assicurò, e allungò le mani a prendere i guanti, che ripose sotto il sedile. House gli consegnò anche il casco e, con passo deciso, si avviò dove indicato dal ragazzo. Michael, intanto partì rumorosamente.
House arrivò alla vasca principale. Lei era in acqua. Aspettò che lei si avvicinasse al bordo, per poi dirle: «Sei qui!»
Joy si aggrappò al bordo, House era in piedi e la guardava, per forza di cose, dall’alto in basso: «Già. Sapevo che mi avresti seguita. Così ci sono arrivata senza Michael. Non c’è mai una sola strada!»
H: «E mi hai fatto fare il giro dell’oca…»
J:«Volevo essere sicura che cercavi me…»
H: «Non cercavo te…»
J: «Non importa, ma ora sei qui!» e gli occhi le brillavano, e chi poteva dire se fosse il cloro o perché desiderava essere cercata?
H: «Hai mai giocato al dottore?»
J: «Da piccola?»
H: «Già…»
J: «No, mai…» poi fece una pausa
H: «A che giocavi?»
J: «Alla guerra, ho sempre giocato alla guerra.»
H: «Alla guerra? Perché alla guerra?»
J: «Per me, la vita è sempre stata una guerra..» e si aggrappò al bordo, ciondolando la testa come ascoltando una musica immaginaria.
House guardava altrove, però inizio ad accarezzare l’acqua con la punta del bastone, arrivando a sfiorare il corpo di lei.
Joy appoggiò i gomiti al bordo e il mento alle mani, poi ricordò: «No, una volta, lo ricordo anch’io. Una volta ho giocato al dottore con il mio medico. Possiamo anche chiamarlo così, anche se assomigliava di più ad un ricatto. O, almeno… Wilson, lo chiamerebbe così!»
Un ghigno soddisfatto gli lampeggiò in volto, poi passeggiò, appena poco più in là, in un’altra direzione, esponendole un’altra curiosità: «Dimmi, ma perché hai scelto medicina? Potevi fare nuoto agonistico… da quel che racconti non eri male, no?»
J:«Tu me l’hai fatta scegliere!»
H:«Stai scherzando? E come avrei fatto? Eh?»
J:«Beh, non esattamente. Finita la scuola, a 15 anni, dovevo scegliere l’università. Ero indecisa tra legge e medicina. Mi hai telefonato tu, dopo anni che non ti facevi vivo. E ho scelto medicina!»
H:«E se ti telefonava il fruttivendolo?»
“Che domanda stupida… lui non era un fruttivendolo… se lo fosse stato, magari… chissà!” pensò probabilmente Joy. Ma non rispose, scosse la testa vigoroamente, si immerse, sparì sott’acqua, nuotò pochi metri, poi riemerse, ritornò sul bordo, preparata a rispondere alla nuova domanda, che già sapeva che House le aveva preparato.
H: «Hai rubato anche le chiavi della piscina?»
J: «No, il custode me ne ha fatto una copia. Io vengo qui a quest’ora, se voglio rilassarmi. Poi pulisco e me ne vado. »
H: «Pulisci?»
J: «Sì, metto il disinfettante e lascio agire. Lui lo sa e poi al mattino risciacqua…»
H: «Ah!»
Joy guardò davanti a sé, c’era il costume di House e un asciugamano:«Se vuoi, puoi sempre farmi compagnia…»
House era in maglietta già da un pezzo, perché il riscaldamento era molto alto.
H: «Con la gamba, come faccio ad entrare?»
J: «Ah, quella è la parte più difficile, in effetti… ma poi… guarda che ci sono campioni di nuoto senza neanche le gambe!»
House allungò la mano, come a darle una sberla, ma lei, lesta, s’infilò sott’acqua. Lasciò che l'acqua le lambisse a pelle, si lasciò avvoglere come in una coperta e poi, dopo parecchio tempo, decise di far capolino. Quando riemerse, però, non lo vide più dov’era prima. Si guardò intorno, alla ricerca. Poi lo vide, alla scaletta, aveva già infilato il costume. Lo raggiunse. Si avvicinò, volendo aiutarlo, ma ormai aveva già fatto e, con una gomitata nell’aria, le indicava di non aver bisogno d’aiuto.
J: «Sai, volendo, potresti anche tuffarti…» gli disse, a poca distanza.
H: «Tuffarmi?»
J: «Il segreto sta nel far forza sulla gamba sana e considerare l’altra come… un amico che ti accompagna soltanto!»
H: «Eh, già…» replicò, poco convinto.
J: «Ok, sarà per la prossima volta!» rispose, facendogli un occhiolino, in cerca di complicità.

Poi, uno scambio di sguardi e la sfida era già partita. Ma non ognuno in una corsia, troppo banale. Per il largo, invece, immergendosi ad ogni fila di galleggianti… alla fine, House toccò per primo il bordo dall’altro lato e commentò, stizzito: «Guarda che lo so che mi hai lasciato vincere!»
«Sono fuori allenamento!» si difese.
House continuò a nuotare da solo per un po’ e così lei.
Ad un tratto, Joy guardò l’orologio alla parete: «House, se vuoi resta ancora un po’, tu; io inizio ad andare, così mi faccio la doccia e poi sistemo tutto…»
House non rispose e continuò a nuotare. Come fosse la cosa più normale. Come l’avesse sempre fatto. E non come, al contrario, fosse una cosa che non gli sarebbe mai venuto in mente di fare.
Quando tornò per svuotare e clorare di nuovo la piscina, non vide House. Ma non si domandò dove fosse. Finito il lavoro, prese la chiave dalla toppa , chiuse la porta e lo vide già in auto, sul sedile anteriore, con i capelli bagnati e il costume arrotolato nell’asciugamano posato davanti a sé.
«Ciao, Michael, a casa!» disse soltanto, mentre Michael l’aiutava a salire sul predellino posteriore.
E subito si addormentò. Non si accorse che fu House a prenderla in braccio e a portarla nel suo letto, dove si risvegliò il mattino seguente.

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Capitolo 16
*** Busta paga ***


La porta dell’ufficio di Cuddy era aperta, House vi entrò senza preoccuparsi di bussare e sbraitò, sventolando un foglietto: «Che è successo? Hanno rimesso in libertà le piovre giganti? Che succede alla mia busta paga… chi ha risucchiato i miei soldi?»
C: «House, non gridare… di cosa parli?»

H: «Ah, non pensare di confondermi, eh… non cedo ai tuoi ricatti, sai?»
C: «House, tu hai una segretaria…» rispose, dopo aver dato un’occhiata al foglio
H: «Cos’è che avrei?»
Joy, intanto stava passando in corridoio.

C: «Sì, Joy Campbell, hai presente?»
Al sentire il suo nome, la ragazza bofonchiò: «Uhm, che c’è?»
C: «Che diligente… House ti cercava!»
J: «Mi cercavi, House?»
H: «No, zecca, non cercavo te! Io cercavo i miei soldi…»
J: «Ah, se ti riferisci a quelli per il pranzo, te li ridò… avevo fame e il tuo portafogli era alla mia portata… ma te li ridò.. anche ora!» rispose, frugando in una tasca e mettendo in mano ad House una banconota di piccolo taglio.
H: «Visto? Ecco la prova che non si merita i miei soldi!!!»
J: «I tuoi soldi? Ora te li ho ridati. Non ne ho presi altri… a parte questi… a che ti riferisci? Qualcuno mi spiega?» porgendogliene un altro piccolo mazzetto, di cui si era impossessata, diciamo così, in altre occasioni.
H: «Semplice, qualcuno mi ha tolto i soldi dalla busta paga!»
C: «Non è esattamente così…»
J: «E com’è, allora?»
C: «Tu hai fatto un buon lavoro!»
J: «Ho capito. Ma…ehi, non sviare!»
C: «Non possiamo andare in rosso…così ho preso i soldi per te da House»
J: «Senza il suo consenso?»
C: «Sì»
J: «Allora, ha ragione House!»
H: «Visto?» poi, sarcastico: «Ah, la voce dell’innocenza!»
C: «Ma tu ti meriti i tuoi soldi!» Cuddy non aveva fatto caso ad House, parlava direttamente con la ragazza.
J: «Anche House merita i suoi soldi!»
C: «Non soffrirà la fame per un piccolo taglio in busta paga!»
J: «Io non voglio rubare i soldi a nessuno! Taglia la mia paga, allora!»
C: «Ma è già al minimo sindacale!»
J: «E allora scendi sotto… non ho bisogno di soldi!»
C: «Eh? E lui invece?»
J: «Se li chiede, si vede che ha più necessità di me…»
C: «A casa tua è completamente spesato!»
J: «E Lei come lo sa?» domandò, sgranando gli occhi
C: «Lo so.. .Vuole soltanto metterti i bastoni tra le ruote…»
J: «Ma Lei è fissata… non mi serve un bastone! Faccia come Le ho detto e basta…!» e, nell’alzarsi, barcollò. Cuddy si precipitò a sorreggerla.
«Me la cavo, me la cavo, mi lasci!» replicò, infastidita, allontanandola freneticamente con le mani.
House era appoggiato alla scrivania della Cuddy con la schiena e si appoggiava pesantemente al suo bastone.
Con un sorriso di vittoria si rivolse a Cuddy: «Visto, te l’avevo detto che era d’accordo!»
C: «Dovresti vergognarti… tu non hai bisogno di soldi!»
H: «Neanche lei… sapessi quant’era ricca sua madre!»
«House, è giovane, è il suo primo lavoro. Non credi che dovrebbe potersi godere quello che si guadagna lavorando?» poi fece una pausa e lo guardò: «E lavorando con te!»
H: «L’unico svago che ha è nuotare di notte in piscina … e usa le chiavi del custode. Non le servono, i soldi!»
C: «E a te?»
House scartò il lecca-lecca che aveva in tasca, guardò il suo colore rosso vivo e poi, mettendoselo in bocca: «Io devo comprarmi i lecca- lecca!» concluse trionfante, uscendo dall’ufficio di Cuddy.

***

Joy entrò nell’ufficio di House. House era seduto, la testa appoggiata sulle mani, le mani sul bastone. Pareva molto assorto, Joy non proferì parola, chiuse la porta e sedette sullo sgabello accanto alla cassettiera. La stanza era semibuia. House non si mosse, ma le si rivolse: «Sai dov’è il mio portafogli?»
J: «Nella giacca appesa all’attaccapanni, seconda tasca in alto»
H: «Quanti soldi ci sono?»
J: «Ora 50 dollari»
H: «Ora? E prima?»
J: «Prima 30»
H: «Eh?»
J: «Wilson mi ha ridato i soldi… non sapevo dove metterli, se vuoi puoi anche tenerli…»
H: «No, ma dico: ti pare il modo? E come fai a sapere tutto con precisione… sai più cose di me…»
J: «Eh, ti tengo d’occhio…»
H: «Io non sarò mai tuo padre!» ribatté, improvvisamente
J: «Non è che puoi scegliere… lo sei e basta. Dovevi pensarci prima!» sibilò
H: «Io non voglio un figlio. Né, tanto meno, una figlia.»
J: «Sai, puoi anche non volerlo… ma questo hai!» gli rinfacciò
H: «Sei odiosa!»
J: «Oh, anche tu non scherzi!» non si scompose neppure di fronte a questo. Ma bisogna specificare che House, pur essendo medico, non poteva capire cosa si muoveva dentro di lei in questi momenti.
House si alzò in piedi, le si avvicinò, batté a terra più volte il bastone, poi lo puntò per terra e si avvicinò fino ad arrivare a pochi millimetri dalla sua faccia, per scandire: «Io non sarò mai un buon padre. Esci dalle tue illusioni!» e, dicendo l’ultima frase, si allontanò dalla sua faccia, muovendo le dita come un prestigiatore e riprendendo il suo posto, alla scrivania.
Joy si alzò, lo raggiunse, non si abbassò fino a lui, ma lo guardò fisso: «Io non cerco un buon padre. Non ho bisogno di qualcuno che mi accudisca, me la sono sempre cavata benissimo da me, come vedi! Io voglio te…»
H: «Tu non sai cosa vuoi! Sei solo una ragazzina viziata!»
J: «Viziata? Non credo proprio!».
Sì, anche House si accorse che quel termine non era per nulla appropriato, infatti si affrettò ad incalzare: «Io non ti ferirò meno di tutti gli altri, anzi! E TU LO SAI!»
«House…!» sospirò «Ancora non hai capito? Mi farai del male? È questo che mi vuoi dire? Certo che lo so! Ma io non te ne farò di meno… come mia abitudine… cosa credi? A Josh ho lasciato l’impronta dei denti, lo mordevo, lo graffiavo,lo picchiavo, gli scappavo come un’anguilla, ma lui non si fermava a questo. È come nella corsa degli zoppi…»
H: «E lo dici a uno sciancato? »
J: «Possibile che tu non capisca?… ti lamenti della mia feccia… ma questo l’ho imparato, io! Sai quante volte si cade nella corsa dello zoppo?»
H: «Mah..immagino… tante?!»
J: «E sai chi vince?»
H: «Chi cade di meno?»
J: «Di solito è così, ma non nella corsa dello zoppo. Vince chi si rialza prima. E sai come si fa? Siccome si è in due, ci si rialza prima spingendosi. Più spingi forte, meno tempo impieghi a ritrovare l’equilibrio»
H: «Non voglio fare questo gioco!»
J: «House… tu non vuoi rischiare di perdere. Ma è l’unico modo per rischiare di vincere!»
House sprofondò la faccia nella mano, pensieroso: «Questo chi te l’ha insegnato?»
Joy gli si avvicinò, la faccia a pochi centimetri dai suoi occhi e, con l'orgoglio che le brillava negli occhi escalmò: «Mio padre… sai anche tu che è un tipo tosto!». Si rialzò, appoggiandosi al tavolo.
House socchiuse gli occhi, li roteò e infine il suo sguardo si scontrò con il cestino, lo toccò con la punta del bastone, senza dire nulla.
Joy rinchiuse la propria faccia tra indice e pollice, fece scendere lentamente l’indice dalla linea delle orecchie fino alla bocca, lasciandolo ricongiungere col pollice. arricciò il naso in una smorfia, allungò il braccio sotto la scrivania ad afferrare il contenitore, si appoggiò al braccio di House, che non mosse un muscolo, poi al suo tavolo ed infine riuscì a raggiungere la porta per uscire.

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Capitolo 17
*** Natale con Joy ***


La neve decorava, sorniona, le strade della città. Joy guardò fuori dalle finestre del Princeton. Michael li aspettava, appoggiato alla Cherokee.
Joy si sentì penetrare da uno sguardo insistente, giusto dietro le scapole.
J: «House, che c’è?» chiese, senza voltarsi
H: «Blastocito, è ora di andare!»
J: «Dici?»
House seguì l’oscillazione della sua voce, accompagnandola con un lieve movimento della testa, rimase in silenzio ad ascoltarne risuonare il suono. Poi, le si avvicinò e guardò fuori.
Michael non guardava più in su, non pensò di essere ancora sotto osservazione. Aveva una mano stretta in vita e aveva su i guanti e non quelli da motociclista di House, degli altri. Se li tolse di scatto e li gettò a terra.
H: «Ha mangiato piccante?»
J: «Non ama il piccante!»
H: «Io ho finito il turno… vado a casa!»
J: «House, tu hai visto qualcosa... dimmelo!»
H: «Che vuoi che gli succeda? È davanti ad un ospedale!» replicò freddamente.
Joy rimase pensierosa, a guardarlo uscire, mentre lui aggiunse: «Non aspettarmi, a casa.. le chiavi le ho!»
Lo vide voltarle le spalle e sedersi sul marciapiede.
Prese il giaccone, si strinse nella sciarpa e si diresse verso l’ascensore. Camminò fino a raggiungere Michael e quindi gli disse: «Va’ pure, io faccio un giro e torno dopo»
Seduto sul marciapiede, lanciò lo sguardo in su e biascicò un «ok!» poco convinto.
Joy proseguì la sua strada. C’era oggettivamente qualcosa che non andava. Michael non si era alzato. Né si era arrabbiato per non essere stato avvisato del cambiamento di programma, cosa che lo mandava letteralmente su tutte le furie.
Ormai aveva raggiunto l’angolo, si voltò indietro a sbirciare. Lo vide alzarsi, con flemma insolita, aggrappandosi alla Cherokee, e incamminarsi verso il Princeton. Wilson, intanto, gli si faceva incontro, senza giacca, tendendogli la mano.
Era molto lontana, ma vide Wilson preoccuparsi e domandare una barella.
Tornò indietro, Wilson la guardò stranito, così lei chiese: «Cerco Michael, il ragazzo di prima, dov’è?».
  Wilson sembrava preoccupato, sovrappensiero le rispose: «Deve fare dei controlli»
J: «Intendi dire che è grave?» domandò, senza mezzi temrini, ben sapendo di come l'oncologo avesse il vizietto di edulcorare le situazioni dei pazienti presso i loro conoscenti.
W: «Non lo so, ma era meglio se veniva prima» disse, poco convinto
J: «Ma… cercava te?»
W: «Sarebbe così improponibile?» la fissò, poi aggiunse, lentamente «cercava un medico!». E rientrò di gran carriera.
Joy, forse anche solo per curiosità, rientrò. Si diresse nell’ufficio di House e iniziò a sgranocchiare delle noccioline. Era sicura che Wilson l’avrebbe cercata. E così fu. Ma la sorprese enormemente il motivo per cui venne a cercarla, più di cinque ore dopo.
W: «Emorragia interna. Trauma trascurato, lacerazione in corso. Mi serve il tuo sangue»
J: «Mi bastano le prime due frasi!»
W: «A me, basta il tuo sangue!»
J: «Sei un vampiro?»
W: «Non sei AB positivo?»
J: «Non sono certo l’unica. Innanzitutto, anche House lo è…comunque, come fai tu a saperlo?»
W: «A. House è a casa B. Le tue analisi dopo la sparatoria. Devo prenderlo per un sì?»
J: «Davvero? Non lo sapevo… in tal caso, lo raggiungo!» replicò, cercando di sviarlo
W: «Vuoi dirmi che non sai dov’è?» azzardò, intuendo da quel suo strano comportamento, che stava cercando di prenderlo in giro, inqualche modo
J: «Esatto!» escalmò, con falso stupore
W: «Dammi il tuo sangue!» riprese
J: «Non è la prima cosa che si chiede a una donna, magari prima si porta un mazzo di fiori, si chiede il telefono o la si invita fuori, no? »
Wilson le si avvicinò. Lei, seduta, ruotava sulla sedia girevole. Lui, in piedi, la guardò dall’alto: «Tu… hai paura!»
Joy scosse vigorosamente il capo, mentre nei suoi occhi dilatati si leggeva, per una volta, tutta la sua fragilità.
W: «Joy, non abbiamo abbastanza sangue e voi siete compatibili… lo preferisci morto?»
Scosse nuovamente il capo, con inesorabile lentezza, gli occhi bassi a guardarsi i piedi.
W: «Coraggio!» e fece per prenderla per un braccio, vedendola calma.
J: «Fermo! Lasciami! Perché? Chiama House!» disse, iniziando a muoversi e ad ostacolarlo in ogni modo.
W: «Prima dovrei trovarlo.. tu sei qui!»
Joy si dimenò fino a che Wilson la lasciò andare e lo seguì a poca distanza.
W: «Vedrai, non ti farò male» la rassicurò cammin facendo
J: «Wilson, è tardi, ho fame»
W: «Hai già sgranocchiato abbastanza…»
Wilson la fece sdraiare e iniziò ad infilare l’ago.
J: «Wilson, non ne hai bisogno, lascia stare, dai…» continuò a mugolare, mentre ormai il medico aveva completato il rito e la guardava, dall’alto del suo sgabello.

***

Joy stava sbattendo le palpebre; un raggio di sole si intrufolava dalle tendine, infastidendola. Ci mise del tempo a riconoscere quella sagoma nota, che si stagliava, imperiosa, appoggiandosi al bastone.
H: «Idiota, ti pare il caso di regalare il tuo sangue al primo che capita?» disse, smuovendola con il bastone, qausi fosse un semplice sacco di patate.
J: «Non è il primo…e Wilson diceva - » mormorò confusa, ma House la interruppe: «Non puoi ascoltare Wilson… nessuna ragione è sufficientemente valida per obbedirgli! Non m’interessa cosa diceva!»
Joy, ancora intontita, domandò: «È mattino?»
House con un colpo di bastone scostò le tende e poi lo batté sul pavimento con un colpo secco: «Secondo te?»
Joy si riparò gli occhi con le mani, per proteggersi dal riverbero della luce: «Michael?»
H: «Lui è già stato dimesso… devi avere un sangue super!»
J: «Certo, è il tuo…» bofonchiò con orgoglio, cercando di alzarsi, appoggiandosi al letto.
House la premette con forza contro il letto: «Vuoi che prenda una camicia di forza? Non ti puoi muovere! Conseguenza delle tue idee, del resto…»
J: «Non era una mia idea, ma di Wilson: lui ha insistito…»
H: «Peggio per te!»
J: «Sbaglio o è amico tuo?» sarcastica
H: «STA’ FERMA… CHIARO?»
Joy incrociò le braccia al petto, si voltò dall’altra parte e chiuse gli occhi.

***

Quando House ritornò, non la trovò. Fece una smorfia, contrariato.
«Fuggita?» domandò una paziente, lì accanto.
«E dove?» replicò House, poco convinto, più che altro a se stesso.
House la cercò in tutti i luoghi a lei più consoni, finché non la trovò in un laboratorio.
Entrò appena oltre la soglia e la fissò, a lungo. Finalmente si decise a parlare: «Che ti avevo detto?»
J: «Avevi detto qualcosa?» con fare indisponente
House si avvicinò, la osservò cambiare i vetrini nel microscopio e poi armeggiare con la centrifuga: «Tu non puoi stare qui!»
J: «Davvero?»
H: «Già…»
Joy scrollò le spalle e lo ignorò. House le si avvicinò ancora: «È domani o dopo?»
J: «Cosa?»
H: «Citologia!»
Joy, che stava guardando nel microscopio, fece un balzo indietro: «Come fai a… - »
H: « - saperlo? Mah, ho visto quali sono i prossimi appelli e.. hai presente l’apprendimento cinestetico? Fare per capire… per te è così!»
Joy lo guardò e ammise: «Già… di quello che ti sconsigliano medicina, o qualsivoglia università, per essere precisi. Ma, nonostante tutto, funziona!»
Joy riordinò i vetrini:«Tu pensi che sia un idiota?»
H: «Un pochino sì»
J: «Michael viene, allora?»
H:«Esatto»
J: «Ti aspetto in ufficio!» disse allora lei, alzandosi.
House, però la fermò, afferrandole un braccio: «Ferma!». E, dopo averle tastao  il  braccio nei pressi del prelievo, le tenne a lungo il polso per sentire battito e pressione.
J: «Che c’è?» domandò lei, a un tratto, che, pur ricalcitrante, era rimasta ferma, lasciandosi visitare.
H: «Non avresti dovuto essere qui, dovevi fare i controlli!» rispose, con un'occhiataccia torva.
J: «Beh, me l’hai fatto tu, adesso… no?» e lo guardò, in attesa del responso. Incontrò un sorriso indispettito, House lasciò la presa e lei prese finalmente la via dell’uscita.

***

[Casa House, qualche giorno dopo]

House era ancora a letto a poltrire: era molto, troppo presto, ma sentiva, di là, a poca distanza, Joy che si lavava e vestiva. House si rigirava pigramente nel proprio letto. Sentì i passi di Michael, atletici, svelti, si avvicinarono a depositare un piatto di pancakes fumanti.
«Buongiorno, dottore!» esclamò trionfante
H: «Idiota, è prestissimo! Idea di Joy, immagino…»
M: «No, tu avevi chiesto di essere svegliato a quest’ora, bisognava alzarsi presto…»
H: «Bisognava? Io non lo ricordo…» e prese un cuscino con l’intenzione di lanciarlo.
Poi vide che il ragazzo aveva in mano la tazza col caffè. No, non era il caso di macchiare la moquette, ma soprattutto di attendere un altro caffè. Si tirò su un fianco, ad osservarlo arrivare.
M: «Lo ricordo io!» sussurrò appena
House lo guardò di traverso.
Michael non se ne accorse. O non ci fece caso.
House si sedette sul bordo del letto. Allora vide che sul tavolino c’erano due tazze e due piatti.
H: «Michael, mi devo preoccupare? Non sarai cannibale, per caso?»
Michael rise: «No, non ti devi preoccupare. Anche Joy mangia qui, oggi…»
House: «Eh? Scordatelo!… chi l’ha deciso?»
M: «Dove ci sta uno, ce ne stanno due…» e, senza aspettare risposta, uscì dalla stanza.
Joy con l’asciugamano tra le mani, incrociò Michael, nel corridoio. Non un saluto, solo una domanda, da parte di lei: «La colazione?». Michael fece segno in direzione della camera di House.
Joy fece una faccia stranita, ma seguì la direzione indicata, posando l'asciugamano..
Vide il tavolino, acchiappò una sedia e si sedette. Iniziò subito ad addentare i pancakes.
H: «L’esame è andato bene, vero?» domandò, dopo un lungo periodo di silenzio in cui non si sentiva altro che le loro mandibole al lavoro.
Joy quasi s’ingozzò: «Cosa… che?»
House riprese lentamente il discorso: «Ieri te ne sei andata, non mi hai detto nulla, oggi mangi di gusto e sei serena. Immagino fosse facile…»
J: «Cuddy lo sapeva»
H: «Io non sono Cuddy…»
J: «Certo, con i bigliettini lo è, del resto è stata una sorpresa trovarli nell’astuccio…»
House roteò gli occhi in una smorfia. Joy scosse la testa e rise. House ne approfittò per allungare la mano a prendersi l’ultimo pancake dal piatto di Joy e trangugiarlo.
Lei rimase di sasso, e l’unica cosa che riuscì a dire fu: «Erano buoni, eh?» e, presi i due piatti, li riportò in cucina.
Poi tornò, per finire il suo cappuccino. House aveva già finito il suo caffè.
Joy gli si avvicinò, con qualcosa in mano, che il dottore non distinse subito: «House, me la puoi fare?»
H: «No, devi imparare!»
J: «Non puoi farla tu?»
H: «Devi saper fare da sola!»
J: «Tu la fai a me e io la farò a te!»
H: «Non sei capace!»
J: «Imparerò, perfezionerò, migliorerò…»
H: «Non su di me!»
J: «Tranquillo, no … allora?» e si scoprì il braccio sinistro
H: «Cos’è? Perché qui?» disse sballottando il braccio che le consegnava come chi non sapesse che farsene.
J: «Ricostituente. Wilson ha detto un paio di volte al giorno. Dove voglio. Io voglio il braccio sinistro!»
House si mostrò poco convinto: «Fai sempre quello che dice Wilson? Perché il braccio?»
J: «Wilson non è un idiota. Preferisci la chiappa? Nessun problema, tolgo i pantaloni…» e fece per farlo.
Ma House la fermò: «Non tutti sono idioti, non per questo vanno ascoltati. Vada per il braccio, farà più male, ma come preferisci…»
J: «Preferisco.»
H: «Tu l’hai chiesto!»
Le prese il braccio e infilò l’ago, con competenza.
Michael arrivò, e li incitò: «Si va!»

***

 

Joy si avvicinò di soppiatto ad House, che aveva passato la notte di turno in ospedale, e lo baciò velocemente sulla nuca, a tradimento, senza dargli il tempo di potersene accorgere.
House si svegliò, scosse la testa, si voltò e aprì prima un occhio, poi l’altro, senza dire nulla.
«Buon compleanno, dottor House!» disse Joy, e gli sventolò davanti due biglietti per una gara di Monster Truck.
House glieli strappò di mano: «Uhm..non mi resta che trovare con chi andare! Oppure occupare due posti…»
Joy perse ogni entusiasmo «Ma io pensavo… che tu… venissi con me!»
«Devo?»
«No, certo, puoi scegliere… puoi fare quello che vuoi del tuo regalo, naturalmente!»
E uscì dalla stanza. Se solo avesse potuto capire quanto aveva penato per trovare quei biglietti, che, per altro, erano anche in ottima posizione! Aveva sbagliato
anche stavolta?
Alle 5, House trovò Joy seduta in sala d’attesa, ad aspettarlo.
«Beh, andiamo, allora! E Michael?»
«Vai pure, io torno a piedi, altrimenti arrivi in ritardo»
«Beh, non mi accompagni?»
«Ok…»
Michael li portò fino a destinazione.
«Beh, non scendi?» chiese House
«A chi ti rivolgi?»
«Al biondino dietro di te!»
Michael si voltò, come per cercare il biondino, lei non si mosse.
«Non ho intenzione di aspettarti il giorno del mio compleanno…. » poi, rivolto ad un passante: «Ehi, signore, ho un biglietto in più per i monster truck… che ne
dice?» il passante cadde dalle nuvole, e House incalzò: «Ah, non mi ringraziare, è stato facile averne in più!»
Joy era scesa, e fece per prendere il biglietto, ma House lestamente lo alzò.
«Pensavo ti dovessi accompagnare solo fin qui…» commentò
«Infatti, i cani aspettano fuori… ci vediamo all’uscita!» replicò, ma si diresse in biglietteria.
Al termine, entrambi avevano un sandwich.
Con un movimento improvviso, Joy addentò quello di House, che la guardò con faccia torva.
Joy scoppiò in una risata, imprevista, improvvisa, breve e fragorosa.
House aggrottò le sopracciglia, perplesso: «Tu non hai mai riso!» notificò.
Joy divenne istantaneamente pensierosa, poi, dopo aver riflettuto un attimo convenne: «Hai ragione, mai prima…» poi, scrollando le spalle, alzò la testa a guardarlo, divertita: « ma ora sono con te!»
House ignorò la risposta: avendo finito, appallottolò la carta e gliela consegnò con un secco: «Butta, zecca!»

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Capitolo 18
*** Lo so che fa male ***


Michael uscì dalla porta principale dell’abitazione. Sapeva dove trovarla. Con passo tranquillo, costeggiò la casa e la raggiunse sul retro, sedendosi accanto a lei, sui gradini.
«Dorme?» chiese Joy, gli occhi rivolti al cielo stellato, stretta nella felpa.

Michael le si fece più vicino: «Hai freddo?»
Joy ignorò la domanda e ritornò alla carica: «Dorme?»
M: «Non lo so».
Joy gli allungò un bicchiere di cartone, Michael lo afferrò, stupito: «Che è?»
J: «Se vuoi, bevilo!» rise
Michael rimase col bicchiere in mano: «Joy, è ora che tu vada a dormire, lo sai…» iniziò
J: «Non sei mio padre!» risentita del tono paternalistico con cui aveva pronunciato l’osservazione.
M: «Devi dormire…»
J: «Ho sempre dormito poco…»
M: «E non puoi chiamarlo sonno, il tuo! A maggior ragione, dovresti…fare qualcosa…»
J: «È successo ancora?»
M: «Sai che ho il sonno pesante. Non te lo so dire, ma House -»
Joy lo interruppe: «Ah! Non aggiungere altro: vado prima che succeda qualcosa, mi chiudo dentro così non mi sente nessuno…»
Michael alzò lo sguardo, osservandola alzarsi: «Non ti chiudere a chiave!».
Joy scrollò le spalle e con un cenno lo salutò.


House si svegliò di soprassalto, si rigirò nel letto, nel tentativo di riaddormentarsi. Inutile.
Nervoso, scontroso, di pessimo umore si alzò e, poggiandosi al bastone, si diresse a trovare una soluzione.
«Pulce, svegliati!» fu la voce di House, poco disponibile, mentre, smuovendola con il bastone, le si rivolgeva.
«Noooo!» esclamò con orrore e fu la reazione, assolutamente ingiustificata (oggettivamente parlando) ch’ebbe, e si rannicchiò in un angolo del letto, tra le coperte. È vero: House non era stato particolarmente amichevole, ma neppure particolarmente sgradevole. Tuttavia, la cosa non stupì affatto il medico.
House sedette al fondo del letto e allungò la mano a trovarle il collo. I battiti andavano al trotto, sporse ancora il braccio a tastare il volto madido di sudore, con i capelli appiccicaticci.
H: «No cosa? Sarà la terza sera… smettila!» disse senza guardarla, gli occhi rivolti alla parete di fondo.
Joy si districò dal lenzuolo, in cui si era ingarbugliata, e sporse finalmente la faccia: «Cosa è la terza sera? Che c’è?»
H:«Che c’è? Che c’è? ... “No! Basta! Aaaaah… che fai? Corri, scappa, non mi prenderai!” Ecco che c’è…» era l’imitazione, sarcastica, dei suoi incubi notturni, che ancora la tormentavano «Con chi giochi a nascondino?»
Joy arrossì: «House, non pensavo… non me ne rendevo conto…Michael non sente…» si schermì
H: «Sarà sordo!»
J: «Chi può dirlo?» incalzò lei, che sperava di riuscire a far cambiare direzione al discorso.
House sospirò invece, deciso a trovare una soluzione: «Josh cosa faceva?»
Joy roteò gli occhi, che lasciò poi posare sul letto, accanto a sé. Ma non disse una parola.
H: «E Michael?»
J: «Con lui non funziona, già provato…più di una volta, anche! Inutile!» sospirò, scuotendo lievemente la testa.
House sollevò la mano con l’indice elevato e lo portò da destra a sinistra per tre volte, con un’espressione di assoluto e risoluto diniego sul volto.
Joy capì: «Tranquillo, non ti chiedo di farlo, né ho intenzione di chiederlo! Cercherò di controllarmi...» concluse, e si rimise sotto alle coperte, aspettando di vedere scomparire House dall'uscio.
House fece due passi in direzione della porta, tornò sui suoi passi, sollevò il lenzuolo e, senza dire una parola, si sdraiò accanto a lei, con un'espressione rassegnata da martire.
Joy sorrise, beffarda, e si voltò dalla parte opposta. Capì che non doveva dire nulla, se non voleva sciupare la sua vittoria.Le palpebre cedettero in fretta.
House mise una mano dietro la propria testa, guardando il soffitto, con l'altra sistemò invece la coperta e il lenzuolo.
Sentì il respiro della ragazza regolarizzarsi, lasciandosi andare alla modalità notturna. Solo allora abbassò gli occhi a guardarla dormire, fino a che, cullato dal suo respiro regolare, anche lui, il custode del suo sonno, si assopì.

***

Era una grigia mattinata d'autunno. Il vento strappava feroce le foglie dai pochi alberi che attorniavano la via. Joy era alla finestra a guardare la scena; Michael l’aveva svegliata ormai da mezz’ora, ma House non si vedeva ancora in giro.
La ragazza si diresse in camera del medico. Lo vide seduto sul letto, che si teneva la gamba.
«Ti fa male, eh?»
«Wow! Che intuito!» disse continuando a passarsi la mano sulla gamba.
Joy controllò: la bottiglietta di Vicodin era finita, ecco perché non ne prendeva… «House, non cambi le cose così…»
«Hai qualche idea?»
«Potresti farmi provare…» e non aggiunse altro, gli si avvicinò soltanto.
Ma lui replicò: «Pessima, pessima idea…non sono un bambino, né un cretino… ti illudi se credi di poter risolvere tutto con un abbraccio!»
«Ti illudi se pensi di poter risolvere tutto da solo!» gridò, stizzita, poi gli si avvicinò ancora, ormai era a pochi centimetri dal suo viso e disse con voce ferma e calma «…tu lo hai fatto!»
House si tirò in piedi, appoggiandosi alla sua spalla: «Ti sbagli.. ti avevo imbottito di tranquillanti… tu non te ne eri accorta, naturalmente!»
«Errore. Erano molto blandi, ogni tanto me ne dava anche Josh. Due erano tanti per una normale situazione inquieta in un bambino. Ma la mia situazione non aveva nulla di normale. E io non ho mai dormito quanto quella notte. E non è normale dormire dopo una cosa del genere, non è normale tremare come una foglia, avere una gamba distrutta e poi dormire come un sasso…»
«Chi ha mai sostenuto la tua normalità…? … e poi magari io sono più in gamba di te!»
«Ah, quanto alle gambe, meglio lasciar perdere! Tra tutt’e due… House, lasciami provare almeno!» e, senza aspettare risposta, lo abbracciò. Non lo aveva mai fatto prima. Non si era mai spinta fino a questo, non aveva mai osato.
Prese coraggio e addirittura gli sussurrò in un orecchio, in un ghigno stizzito, che sembrava fare a pugni con le sue intenzioni: «È inutile, io so che significa!».
E poi successe l’inaspettato. Anche House la circondò con le sue braccia e la strinse a sé. E lì fu come tornare indietro nel tempo per lei: ricordi e sensazioni che pensava dimenticati riaffiorarono. Lei era andata lì, per consolarlo, per lui e invece… riaffiorò il più piacevole dei ricordi d’infanzia: quando si era addormentata, cullata dal battito del suo cuore! No, non poteva lasciarsi andare ai ricordi, House faticava anche a reggersi in piedi; non poteva rilassarsi, rischiando di addormentarsi: sarebbero caduti entrambi… che situazione tragicomica!
Joy pensò che presto sarebbe arrivato Michael, si slacciò per prima da lui e disse, all'improvviso: «House, prescrivimi il Vicodin!»

«Cosa?»
«Tu fallo… mando Michael a prenderlo… non chiederanno nulla!»
«Quindi lo ammetti… io sono più efficace!» rispose, scrivendo su un foglietto, che le consegnò.
«Prometti che la prossima volta mi chiamerai! House, non voglio che tu mi escluda…»
House l’ interruppe: «Tu hai sempre detto di non voler entrare nella mia vita!»
«E lo confermo… non ho bisogno di entrare, ci sono sempre stata. Non ne voglio uscire, dunque!» rispose, beffarda.
Lui la guardò uscire con un ghigno di approvazione, domandandosi, forse, che bisogno avesse la gente dei test di paternità.
Appena lei fu uscita, lui si lasciò cadere seduto sul letto. Alzò gli occhi, lucidi, al soffitto, e lasciò scivolare una lacrima muta, che, cadendogli dal viso, atterrò sul pigiama, sulla gamba destra a formare una chiazza umida.

 

 

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Capitolo 19
*** Ok! ***


Dopo l’ennesima nottata insonne dietro la tesi, c’era ancora qualcosa che non la convinceva. Era l’una di notte, ma, concentrata sul proprio lavoro al computer, non si accorse nemmeno dei passi nella stanza.
«Stai verificando tutte le scoperte mediche da Ippocrate in poi o cosa? Dovresti aver finito da molto tempo quella dannata cosa!» la investì House, con malagrazia verbale esplicita, accompagnata da una smorfia di evidente disapprovazione. Era palese che stava facendo del proprio meglio per minimizzare tutto il suo impegno.
«Non so, House, c’è qualcosa che non mi convince. Manca qualcosa. Manca grinta, manca sagacia…» rispose, schietta, con il fervore della ricerca nel tono della voce.

«Si tratta di una tesi, non di un racconto comico!» poi, indicando col bastone il computer, soggiunse, quasi per caso: «Fa’ vedere, Miss Bean!»
House lesse e rilesse, pensò un po’ e concluse: «Inserisci l’esperienza, idiota! Di diagnostica quelli ne sanno più di te! Inserisci i casi. Quello che sembrava lupus ma non lo era, la TBC che era cancro eccetera»
Joy rifletté un attimo: «Io non c’ero…»
H: «C’ero io!»
J: «È la mia tesi, non la tua!» replicò, piccata.
H: «Ok, allora inseriscimi come collaboratore…»
Joy, non credeva alle proprie orecchie. House, famoso in tutto il New Jersey, diagnosta rinomato, le stava chiededno di essere citato nella propria tesi. come ricompensa di quella generosità, rispose stizzita: «Ci manca solo questo…»
H: «Eh?»
Sì, era riuscita a disorientarlo.

J: «Ci manca solo che metto dentro mio padre nella tesi…»
Sì, era proprio quello che intendeva. Quella era la sua preoccupazione: non voleva assolutamente favoritismi. Tutto quello che aveva lo aveva conquistato da sé, senza nessuno. Perché non aveva mai avuto nessuno. Nessun nepotismo, nessun cognome imponente a spianrle la strada: solo lei e la su adananta cocciutaggine. Non intendeva cambiare il proprio sistema. Perché, poi?
H; «Perché devi essere così amministrativa? Parli del lavoro del team, no?» sospirò, incapace di comprendere perché lei riuscisse ad ingigantire problemi che lui non vedeva minimamente come tali.

J: «Hai ragione, così va meglio…» replicò lei, stranamente accomodante.
H: «Pfui… adolescenti senza cervello!» commentò, e avviandosi verso l’uscita, aggiunse: «Non sprecare troppa corrente elettrica pure stanotte!» la ammonì. Eppure anche un sordo avrebbe letto una nota di paterna apprensione malcelata dall'accurato sgarbo con cui le si era rivolto l'uomo.
Joy alzò lo sguardo dal computer, abbandonò il lavoro un istante e chiamò: «House…»
Senza muovere le gambe, facendo perno sul bastone, si voltò solo con busto e testa verso di lei, affaccianodsi sulla soglia: «Eeeh?»
«Ti voglio bene…» disse guardandolo dritto negli occhi. un tremito la scossa, al pensiero di come avrebbe potuto reagire. Tuttavia, anche solo il brivido di sperimentarlo, l'aveva spinta a provare, nonostante fosse assolutamente incerta sul possibile risultato. E sulle conseguenze.
«Ok», disse  semplicemente House, girandosi e riprendendo a camminare, per raggiungere la propria stanza.
«Ok? Che razza di risposta è “ok”?» mormorò a mezza voce, stranita; ma House era ormai troppo lontano e non la sentì. O fece finta di non averla sentita.

 

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Capitolo 20
*** Come se... ***


Non era che l’ennesimo diverbio. House le si avvicinò e le urlò in faccia: «Non capisci niente! Chi ti credi di essere? Sei una figlia di nessuno! Domandati perché nessuno ti vuole…!»
Quelle parole la ferirono. Profondamente. Non riuscì a trattenersi, la mano partì come da sola. Rivolta verso la faccia del dottore. Cioè di un suo superiore, oltre che di suo padre. Ma House la fermò e la strinse nel pugno, sollevandola in alto.
In quella posizione, lui era completamente padrone di lei. Con quel braccio levato in alto, contrapposto alla gamba malata, lei non si sarebbe potuta muovere, se lui non avesse voluto. Era completamente sua prigioniera.
Ora le avrebbe dato una sberla, ora non l’avrebbe passata liscia. Era un affronto che non poteva tollerare. Neppure da lei.
Ma posò il suo sguardo sui suoi occhi. Erano occhi terrorizzati. Era un animale impaurito. Lo stava guardando nello stesso modo in cui aveva sempre guardato Jesse.
Ora, lui, per lei, era come Jesse.
Lei aveva alzato le mani per paura. Lui aveva alzato le mani per evitare la sua aggressione. E ora erano lì, le mani a mezz’aria, come in standby.
Ma House non riuscì a non guardare il terrore che emanavano i suoi occhi. Dalla sua bocca non usciva nulla, proprio nulla, non un gemito, non un sospiro, non un fiato: sembrava che fosse in apnea.
Per quanto sarebbero rimasti così, come in un fotofinish?
House lasciò scivolare la mano lungo il suo braccio, fino a raggiungere le spalle di lei e poi, con gesto dolce e insieme deciso, senza dire una parola, come un automa, la tirò a sé. Lei, prima rigida, parve sciogliersi un po’, ma molto, molto lentamente e si lasciò abbracciare. La ragazza, dal canto suo, anche se non lo diede a vedere, si era lasciata appoggiata al petto dell'uomo volentieri, ascoltando avidamente, quel battito regolare, che già in tante occasioni l'aveva calmata e aveva saputo rievocare quelle poche sensazioni infantili positive ch'ella riuscisse a ricordare. Tuttavia, al dottore sembrò molto rigida, così sbottò, aspro:
«Ma ti dà fastidio? Anche l’altra volta, ti sei staccata schifata, come se…» e si fermò, forse per la prima volta impacciato, incapace di proseguire o di trovare una metafora opportuna.
«… come se riaffiorasse alla memoria il ricordo più bello della mia infanzia!» completò lei, tutto d’un fiato.
House la prese per le spalle e la guardò negli occhi: non aveva più quel lampo d’odio e terrore. Era una vergogna quasi infantile. Un rasserenamento appena accennato negli occhi. La vide mordersi le labbra, come chi sa d’averla combinata grossa.
Solo in quel momento, guardando quegli occhi, gli parve di aver ricevuto la più profonda delle confidenze della giovane. House allungò una mano sulla propria scrivania, a prendere lo stetoscopio: «Mettilo via…. È tardi!»

 

 

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Capitolo 21
*** La minaccia ***


House stava seguendo un caso che riguardava un mezzo delinquente e Joy, naturalmente, ne era particolarmente affascinata.
Beh, ok: anche Loki non era pulito, ma questo sembrava davvero un pezzo grosso e House era reticente, nonostante gli sforzi di Joy per farlo parlare.
Persino a pranzo, ci provò, Joy, mentre si tuffava nella pasta: «House, allora? Com’è il nuovo paziente?»
H: «Malato…»
J: «E il lavoro?»
H: «Io il lavoro ce l’ho!»
J: «No, dico, pensi che c’entri il lavoro che fa?»
H: «Chi?»
J: «Il paziente!»
H: «No…»
J: «Non ci hai pensato neppure un attimo? Per quello che fa, non è da escludere che…»
H: «Taci!» la interruppe bruscamente «Mi hai fatto passare la fame!».
Joy si alzò dal tavolo, capendo che non avrebbe ottenuto nulla. Se House non l’ aiutava, allora non le restava che utilizzare i vecchi metodi e fare da sé.
Si recò dal paziente e diede un’occhiata in giro, il paziente sembrava ancora sotto sedativi.
Passarono diverse persone, ma poi sentì dei passi tornare e una voce, inconfondibile, dirle, con stizza: «Ehi, piccola illusa, non è tutto tuo, qui! Vattene!»
J: «Greg, io voglio sapere, io voglio capire…»  disse con tono quasi supplichevole, davvero inusuale in lei.
E lui le lesse quella sua stessa voglia di conoscenza, mania dei giochi logici, curiosità che non davano pace finché non si arrivava alla fine. Si ritrovò nel suo sguardo, nella sua tenacia, nella sua necessità di immergersi in ogni domanda, qualla sua incapacità di rassegnarsi di fronte ad un uno...persino in quei suoi pugni serrati, mentre la voce di supplica piagnucolava di voler sapere, capire.
E poi ribadì, con cattiveria palpabile, sapientemente posta a celare la sua preoccupazione: «Questa non è roba per te!»
J: «Nemmeno quello che ci ha legato… e ci lega… ti consente di fare un’eccezione? »
H: «La gente proprio per quei legami non fa eccezioni…»
J: «La gente! Non.. tu!»
House la prese per un braccio: «Vieni via!» e, dopo aver gettato un’occhiata al paziente, richiuse la porta scorrevole. Lei sbuffò, ma lo seguì.
 ***
C’era un gran trambusto nel corridoio, quella mattina. Un grande assembramento là, intorno alle scale. “Poco male” pensò House “Non mi riguarda!”. E continuò a camminare, in direzione del suo ufficio, come ogni mattina. Quando si accorse che, tra la gente là, ammassata, c’era anche Wilson, e lo chiamava per nome. House continuò a camminare, ora in direzione di Wilson, ma senza accelerare nemmeno un po’.
Quando giunse a pochi passi, stupito, stranito domandò: «Che ci sarà mai da strepitare?». Non ebbe finito la frase che allungò gli occhi fino al mezzanino. C’era il suo paziente, con ancora le flebo penzolanti dalle braccia. Minacciava una ragazza con un coltello. Poco sotto, incerti sul da farsi, alcuni agenti di polizia, accanto ad un paio di guardie giurate. House ghiacciò. Quella scena gli ricordava decisamente qualcosa.
«Credo che ti riguardi, House» rispose semplicemente Wilson.
In quel momento, l’energumeno con il coltello in mano scorse House e si rivolse proprio a lui: «Eccolo, eccolo… lurido bastardo, eh?»
House si rivolse, piano, a Wilson: «Ma a che si riferisce?», poi all’interlocutore: «Sì, sono io, che c’è?»
Un agente gli si avvicinò: «Guardi che è pericoloso!»
H: «Sì, lo so, non sono nato ieri, sa?»
Il paziente non si rivolse più ad House, però, ma a Joy: «Dillo a tutti, dillo a tutti, di te e House!»
Joy guardò House, terrorizzata. Aveva promesso. «No! No! Scordatelo…» rispose lei, con veemenza.
Il paziente si stava innervosendo, premette il coltello alla gola della ragazza: le guardie fecero un paio di passi, ma non oltre, perché temevano per l’incolumità dell’ostaggio. «Ah, facciamo le coraggiose, eh!» commentò, sarcastico, passandole la lama convulsamente sul collo, prima da un lato e poi dall’altro.
Joy irrigidì, istintivamente, i muscoli del collo, guardò di sotto, in cerca di un’idea, un aiuto, un qualcosa…
E qualcosa successe. House fece un passo avanti: «Prendi me: guadagno di più!» e accompagna la proposta con un sorriso da star della tv durante le interviste: così dannatamente falso da essere assolutamente fuori luogo.
L’uomo parve destabilizzato dalla protesta, barcollò, alcuni agenti pensarono di cogliere il momento per immobilizzarlo, ma l’uomo li minacciò col coltellaccio da cucina, non appena furono a tiro.
Joy, però, approfittò di quel momento per divincolarsi, o meglio scivolargli via. Fu un attimo: il malvivente se ne accorse, allungò il braccio per prenderla, lei accelerò il passo, dimenticandosi di non poterselo permettere; incespicò sulle sue gambe e rotolò per mezza  rampa di scale.
Questo diede, tuttavia, il tempo agli agenti di immobilizzare l’uomo.  Lei si ritrovò esattamente sotto ad House, a terra, tutta indolenzita. Provò allora ad aggrapparsi ad House, ma si rese conto che, da sola, non ce l’avrebbe mai fatta, così, sollevò la testa e si rivolse a lui: «Mi rialzi?».
Nel frattempo, il crocchio si stava sciogliendo: non c’era più nulla da vedere, i più si erano ormai allontanati.
House si avvicinò, le allungò la mano, lei la afferrò e strinse forte; nel momento in cui i due visi arrivarono quasi a sfiorarsi le sibilò, duro: «Io non ero affatto sposato, 18 anni fa… né avevo intenzione di  farlo…»
«Ma gliel’hai fatto credere, eh, infame?» disse Joy, guardandolo dritto negli occhi, scosse la testa, si scrollò la polvere dalle spalle e, fissandolo ancora una volta negli occhi, se ne andò, con fare deciso, dignitoso ed altero e passo marziale; ma chi poteva accorgersi che il suo volto era rigato di lacrime, ora che aveva voltato le spalle a tutti?
***
Wilson, nel pomeriggio, entrò come una furia nell’ufficio di House, deciso a dire quello che pensava. Lui non c’era, e se ne accorse solo dopo essere entrato, ma non per questo avrebbe fatto il suo viaggio a vuoto: «House, stavolta, ha esagerato! Sa quanto hai sofferto. Non avrebbe dovuto…»
Joy gli fece il verso: «No, non avrebbe dovuto..» poi rise: «Piuttosto, non deve dirmi cose che già so… e poi.. dimentichi che si è offerto al mio posto? ». la ragazza era cmosdamente seduta sulla poltrona di House. La palestra a pochi passi aveva svolto il suo compito ed ella aveva sfogato tutta la sua rabbia contro la sacca da boxe, prima del pranzo. In quel momento era perfettamente calma, anche troppo calma: Wilson non se ne capacitava.
W: «Hai ragione, in quel frangente è stato… nobile!» ammise
J: «Eh, ti pare poco? Eh sì, che di solito sei tu che me le fai notare queste cose…»
W:«Si vede che stai crescendo!Ma non cambiare discorso, tu…lo sapevi già? Davvero?»
J: «Naturale!»
W: «E.. da chi?»
J: «Indovina… di cos’avrò fatto parlare Cuddy durante il colloquio?»
W: «Intendi il primo colloquio? »
J: «Ce n’è stato forse un secondo? Ah, forse tu intendi per “colloqui” anche i monosillabi con cui mi sollecita a farle avere le carte…beh, in realtà poi ho avuto informazioni anche in altri modi. La prima regola è non avere mai una sola fonte!»
W: «E allora, com’è che sei andata via… offesa?»
J: «Volevo vedere che effetto faceva!»
W: «Beh, ha fatto un effetto grandioso… su tutti!» concesse Wilson, che non era comletamente convinto che lei gli stesse dicendo la verità, tuttavia, sembrava estremamente convinta, per cui non vedeva il motivo per mettere in discussione le sue parole, che gli parevano strane.
J: «Anche su House?» domandò
W: «Può darsi…» rispose, vago, perché in effetti, non era presente, dunque non poteva essere sicuro della reazione dell'amico; quindi,  incalzò: «Ma davvero non ti dispiace? Cioè, non hai pensato che, se non le avesse fatto capire di essere sposato, anche la tua vita avrebbe potuto essere diversa? Non ci credo...»
J: «Perché dovrebbe? Io non voglio cambiare mio padre! Mia madre è morta, lui della sua vita sentimentale può fare quello che vuole…»
W: «Sempre che ne abbia una!» commentò, sarcastico. Ma si accorse che non era vero quello che aveva detto la ragazza, lo capì dal fatto che aveva palesemente ignorato la seconda parte della sua frase; questo però era segno di quanto fosse profondo l’amore che la legava a suo padre, tanto da dimenticare sé e così cercò di farglielo capire «Non c’è bisogno di far finta che non t’importi nulla. Non sempre, quanto meno!». E, così dicendo, le si avvicinò, pensando di poterla rassicurare carezzandole i capelli. Prima ancora che riuscisse nell’intento, la vide fare una smorfia.
Wilson allora le assicurò: «Non ti farò del male»
J: «Non c’è pericolo, già fatto…».
W: «Cosa?» soprappensiero, parve non capire.
J: «La gamba… Wilson, spostati, dannazione!» In effetti, avvicinandosi, le aveva  inavvertitamente premuto la gamba offesa contro la scrivania. Non una mossa geniale, evidentemente! Imbarazzato, il medico indietreggiò.
W: «Ma ti fa ancora male?»
J: «Ogni tanto. Ma è normale. E poi sono anche caduta, e questo non migliora la situazione…»
W: «Vuoi qualcosa?»
J: «Non c’è bisogno… poi passa!»
W: «Poi?»
J: «Sì, poi… è sempre così… perché ti inquieti tanto?»
W: «Ma tu non facevi gare? Non nuotavi? »
J: «Sì, certo»
W: «E avevi dolore?»
J: «Alle volte…»
W: «Hai avuto ottimi risultati!»
J: «Basta distrarsi…»
W: «Distrarsi?»
J: «Sì… guardare solo davanti, vedere solo la meta, il resto non esiste. Finché non finisce la gara, s’intende. Poi urlavo come una dannata… e la gente credeva che fosse un urlo di gioia…». E Wilson si accorse che su quegli occhi orgogliosi era calato un velo di tristezza.
W: «House usa il Vicodin!»
J: «No, grazie, ho già dato…!» rispose. E chi se la scorda la lavanda gastrica? [brevissimo flashback]
Poi si rivolse di nuovo a Wilson: «Dì ad House di aspettare Michael, io tornerò più tardi»
W: «Dove vai?»
J: «Non ti interessa.»
W: «House lo sa?»
J: «Neanche a lui interessa…»
***
Joy era nel locale da un quarto d’ora. Aveva già divorato un tramezzino e bevuto due drink. Ma il suo ospite non si faceva ancora vivo.
Finalmente, arrivò un uomo dalla pelle scura  e lo sguardo sveglio e intelligente.
«Foreman!» gridò Joy.
Foreman si avvicinò al tavolo: «Ah, sei tu che mi lasciato quel biglietto… perché mi cercavi?»
J: «Perché sei Foreman!»
Foreman rimase sbigottito alla risposta: «Dunque?»
J: «Hai fratelli?»
F: «Sì»
J: «Com’è avere fratelli?»
F: «Beh, è come dovrebbe essere.. ma che razza di domanda è?»
J: «Io chiedo quello che non so. A fatica, sto imparando cosa significa avere un padre. Non che non sia bello, ma è molto diverso, da come me lo aspettavo…»
F: «Stai imparando adesso? Allora non credo ci sia bisogno di pensare ai fratelli… se tuo padre ci ha messo così tanto tempo prima di decidersi ad occuparsi di te, certo non penserà ad un fratellino!»
J: «E tu che ne sai? Perché no?  In fondo a me non dispiacerebbe. Credo…»
F: «Beh vediamo… quanti anni ha?»
J: «Abbastanza da poter avere un figlio»
F: «Chi è tuo padre?»
J: «Questi non sono fatti tuoi!»
F: «Ah sì? Allora possiamo anche finirla qui!»
J: «Decisamente sì!»
F: «Ma… non è questo il modo!»
J: «Cosa ti aspettavi, Foreman? Che ti supplicassi? Io sono così. Prendere o lasciare! Non mi prendi? E allora, lasciami!»
F: «Sei come House!» sbottò, risentito
J: «Tu non sei diverso!»rilanciò quella.
Foreman, sempre che fosse possibile, sbiancò, al sentirselo dire, ma lei proseguì: «Non ti piace sentirtelo dire, lo so. Ma non cambia le cose non sentirsele dire. Non diventano diverse da come sono, ignorandole. Se vuoi, puoi accettarle, oppure no. Ma i fatti restano. E tu, resta pure nella tua non – accettazione. Stammi bene! Ah, tranquillo… pago io, dal momento che ti avevo invitato io!»

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Capitolo 22
*** A me, basta! ***


Era una giornata fresca, il tempo era pessimo fuori.
Era uno dei rari giorni liberi per entrambi.
Joy aveva deciso di fare delle flessioni sulle braccia, in camera sua, attirando gli sguardi curiosi del dottore, che non avrebbe perso per nulla al mondo quest'occasione per prendersi gioco di lei.
House si affacciò alla porta, mentre passava in corridoio: «Cosa diavolo fai?»

«È vero. La mia gamba ha qualche problema. Ma non le mie braccia. E possono essere meglio!» concluse, con un occhiolino.
House, perplesso, scosse le spalle. Restò sulla soglia, ad osservarla. Non era esattamente voglia o gioia di vivere; al contrario, lei aveva negli occhi una sorta di espressione malinconica, che non l’abbandonava mai: ma era l’espressione di una strana ma inarrestabile forza vitale.
Era la tenacia personificata. L'incarnazione di chi, incapace di arrendersi, ha il coraggio di andare contro tutto e tutti, pur di raggiungere i propri obiettivi.
Pensò che fosse una maledettissima stronza opportunista, capace di calpestare chiunque si fosse messo di traverso sul suo cammino.
Pensò che potesse essere implacabilmente letale, in qualunque occasione lo avesse voluto.
Pensò che fosse una guerriera impavida, in un corpo fragile solo in apparenza.
Pensò che doveva aver sofferto molto, e che doveva essere cresciuta sola, senza nessuno. O quasi.
Si ricordò che era sua figlia e capì quanto la stimasse. Si sarebbe meritata molte più cose di quelle che avesse ricevuto, in questi anni. A partire da un padre migliore.
Sorrise con incredulità, mentre si dirigeva in camera propria, per prepararsi ad uscire.

 

***


House nel suo ufficio, alle prese con un difficile rompicapo, vide Joy entrare di fretta, zoppicando più del solito, per prendere qualcosa: era seria, concentrata e per niente in vena di scherzi o amenità.
Nulla, del resto, attirava le frecciatine di House meglio di quell'espressione.
«Joy… come si fa a dare un nome del genere ad una con un faccino così triste!» commentò House, di punto in bianco, con un sarcasmo di pessimo gusto.

J: «Infatti, l’ha scelto mia madre!»
House non si diede pena di ribattere, ma arrivò dritto al punto e domandò, senza giri di parole: «La pallottola ha acuito il dolore o ti diverti a trascinare la gamba?»
Ma Joy non perse l'occasione per rilanciare: «O, forse, ti stai solo guardando allo specchio?»
H: «Sono un medico, sciocchina, forse so quel che dico, no?»

Joy lo guardò di sbieco: «Non è detto…»
House si alzò in piedi, fece per prendere la mira, come per colpirla con il bastone, oscillandolo come se stesse giocando a golf: «Sai che posso scoprire cos’hai anche senza il tuo aiuto?»
Joy rise: «Tanto non lo fai….»
House roteò il bastone, colpì la palla sulla scrivania, che scivolò per le cartelle e, dopo un paio di carambole, centrò il cestino della carta straccia: «L’ho fatto, invece!» esultò con puerile entusiasmo.



«Joy, un eventuale riacutizzarsi del dolore è da considerarsi assolutamente normale…» E, dopo una piroetta, cambiò argomento:
«Tutti con la J… Josh… Jesse, anche Jacob…tutti i tuoi uomini hanno la J e tu hai la J, significherà qualche cosa?»

J: «No, non tutti con la J…l’uomo più importante della mia vita non ha nessuna J…»
H: «Wow… evvai, si va sul gossip! E quale lettera ha?»
J: «La G!»
House la guardò, serio, stupito: «Ti ho scombinato la vita. Ti ho causato un sacco di problemi. Dovresti odiarmi!»
Joy lo guardò fisso negli occhi, ma non era un’aria di sfida, e sentenziò: «Io non ti odio. Tu mi hai dato la vita. A me, questo basta!»
Assestò un colpo, per meglio assicurare i quaderni, e uscì, direzione Cuddy.
House sembrò incassare , ma, quando ormai lei era alla porta, riuscì a raggiungerla la risposta: «Ti accontenti di poco…»
«Tu non sei poco!» gli rispose, di rimando, ormai fuori dalla porta.

«Punti di vista!» rilanciò, con un urlo volutamente ad alto volume per attirare l'attenzione, riuscendo ad ottenere, ancora una volta, l’ultima parola.

 

 

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Capitolo 23
*** L'attrice ***


House e Joy erano nell’ufficio, in piena discussione, come al solito. Il discorso è caduto sull’“incidente” di qualche giorno prima. House ha parlato con Wilson e la verità è venuta a galla tutta intera. Ma Joy non sembrò esserne dispiaciuta più di tanto.
H: «Ehi, era un’ottima interpretazione, l’altro giorno… hai mai pensato di fare l’attrice?»

J: «L’attrice? House, ma dove hai mai visto un’attrice zoppa?»
H: «Uhm, mai!» rispose, fingendo profonda riflessione; poi, con un sorriso furbo, strizzando l’occhio, malizioso: «Beh, ammettilo, saresti stata originale!»
Joy scosse la testa, lentamente, e ricominciò a battere al computer l’ennesima relazione per conto di House, mentre lui sfogliava una rivista medica, alla ricerca di idee.
Dalla porta, non preannunciato né atteso, si presentò Foreman.
House lo guardò interrogativo. Foreman guardò Joy. Lei non si accorse subito di lui, ma appena alzò lo sguardo, semplicemente disse: «Sì?» ma non pareva affatto stupita della sua comparsa.
F: «Dovrei parlarti!»
J: «Ti ascolto…» e scostò appena la tastiera.
F: «House?»
House lo guardò, fingendo di non capire: «Questo è il mio ufficio, o sbaglio?»
F: «Ci puoi lasciare soli?»
House fece una smorfia di disappunto.
F: «Lei non ha un ufficio personale… che ti costa?»
H: «Tu sì?» lo punzecchiò
J: «House, se è venuto fin qui, credo che sia importante. Per favore, puoi uscire un attimo?»
H: «Se è proprio necessario…» e prese la via della porta, e, sulla porta si girò: «Torno tra cinque minuti!»
Prima che si chiudesse la porta, Joy fece tempo ad urlargli dietro: «Tanto lo so che vai a spiare le telecamere del circuito interno!»
Foreman la guardò un po’ stranito, fece come per parlare, invece, fece un giro su se stesso, con le mani dietro la schiena.
J: «Dimmi, Foreman, ti ascolto!»
F: «Hai ragione. Sei piccola, ma non sei stupida!»
J: «Incredibile… mi stai dando dell’idiota e nel modo più scaltro che si possa immaginare…»
F: «Ma sei impazzita? Tutt’altro, non ti sto dando dell’idiota…»
J: «L’unica altra soluzione è che sei tu l’idiota…»
F: «Eh?»
J: «Ma ti devo spiegare tutto? House questo non l’avrebbe mai fatto, non te ne rendi conto? Dicendomi che ho ragione, tu mi stai dando torto!»



Foreman si sedette sul mobile, alle sue spalle, costringendola a ruotare sulla sedia girevole per poterlo vedere, e raccolta la testa fra le mani, la fissò: «Tu hai qualcosa di familiare…»
J: «Certamente, infatti ci siamo già visti!»
F: «Sì, l’altra sera, non ho ancora l’Alzheimer!»
J: «No, intendo prima. Per colpa mia, hai rischiato di farti prendere. Non so cos’avessi svaligiato…»
F: «Svaligiato? Ma… tu? House?!»
J: «No, House non c’entra. Periferia, aprile, una bambina ti ferma e ti chiede: “Puoi allacciarmi la scarpa?”. Tu sei di fretta, avrai avuto 15 anni, forse 17, non credo di più…ti accorgi che quella gambetta non era come tutte le altre, ti chini e allacci le stringhe. La bambina capisce che tu sei in difficoltà e ti chiede di essere presa in braccio e sollevata in aria. Tu lo fai, non ti domandi il perché. Passa, sfrecciando, la macchina della polizia. Non ripassa una seconda volta. Un ragazzo che gioca con una bambina non desta sospetti!»
F: «Ero solo un ragazzo… ti devo ringraziare!»
J: «Non ne ho bisogno!» disse, e si rigirò alla tastiera. Aveva ancora molto lavoro da finire. Ma Foreman non si era mosso. Alle sue spalle, si sentiva osservata. Si voltò di scatto: «Be’, non hai finito?»
F: «Chi è tuo padre?»
Joy rise, non demordendo: «Continuano a non essere fatti tuoi!»
Foreman posò un piede, poi l’altro: «Dev’essere una persona speciale…» disse, e si avviò.
Joy lo seguì con gli occhi, mentre usciva: «Lo è!» garantì.

***
 

All’improvviso, la interruppe l’ingresso di un giovane dottore, sembrava spaventato. O in preda al panico, forse rende meglio l’idea. Impossibile non riconoscerlo. Robert Chase. Non gli era mai piaciuto, con quell’aria da figlio di papà che non ha bisogno di chiedere nulla, perché ha già tutto. Non si lasciò sfuggire l’occasione di apostrofarlo, acida: «Dimmi, Pulcino, che vuoi? Che cerchi?»
Chase replicò, risentito: «Pulcino? Ehi, sono più vecchio di te e…»
Lo interruppe : «…ma non più furbo!»
CH: «Cosa? Ma come ti permetti? Io…»



J: «Che fai? Chiami la mamma? Allora, Pulcino, ti decidi a dirmi che cerchi? Ti posso anche aiutare, biondino, basta solo che mi dici che vuoi e non perdi tempo in chiacchiere… grazie!»
Chase la guardò con disprezzo. Non le era mai piaciuta quella ragazza, che nel giro di un pomeriggio era riuscita ad ottenere tutto quello che voleva. Era più giovane di lui, aveva una sedia sotto il sedere e ancora nessuna laurea.
CH: «Forse quest’ufficio non porta il tuo nome…»
J: «Ah, no, in effetti, IL NOME NO…grazie per avermelo ricordato, provvederò!»
Chase si innervosì anche di più: «Io voglio House!»
J: «E io un nuovo ipod? Me lo regali tu?»
Chase era fuori di sé e urlò: «IO HO BISOGNO DI HOUSE!»
Joy non si scompose, lo squadrò dalla testa ai piedi e concluse: «Inutile… non sei il suo tipo!»
Questo si chiamava oltrepassare il limite, anche Joy lo sapeva… Chase batté i pugni sul tavolo, poi la sollevò per il bavero della polo fin oltre la propria testa, sbraitando: «E ORA COME LA METTI?».
Ma Joy non cambiò tono neppure allora: «Mettimi giù, stupido idiota!»
Il frastuono richiamò pazienti e infermieri e Cuddy non poté non accorgersene. Arrivò di corsa, allontanò i curiosi e, fulminandolo con lo sguardo, richiamò Chase: «Che hai intenzione di fare? Ti pare il caso di metterle le mani addosso? Lasciala giù»
CH: «Ma lei…!»
C: «Sì, lo so, naturalmente ha iniziato lei. Mettila giù, se non vuoi avere il turno notturno fisso. in aggiunta a quello diurno!»
Chase la riportò sulla sedia, le lanciò uno sguardo d’odio e se ne andò.
Cuddy entrò e la guardò malissimo: «Possibile che tu debba sempre essere in jeans? O con quegli orribili pantaloni con le tasche? Una camicia non ce l’hai? … un tailleur, non lo so…»
Joy si accarezzava la polo, quasi dovesse coprire l’onta di quell’aggressione. Poi appoggiò un tallone al tavolo e vi accomodò sopra l’altro piede: «Dove starebbe scritta questa cosa? È tra le regole sindacali?»
C: «Non basta il buonsenso?»
J: «Non sapevo che fossimo all’Opera… de Paris!» sarcastica, imitando un accento francese in modo snob.
Cuddy scosse la testa: «Questa è la cattiva influenza di House…ti fa male stare con lui, è un pessimo soggetto: io te l’avevo detto!»
Joy la guardò dritta negli occhi: «Le regole non sono che convenzioni. Se non abbiamo uno stesso riferimento, come possiamo trovare un accordo?»
C: «Parlando…»
J, poco convinta: «Sul nulla?»
Cuddy non aveva voglia di discutere. Le regalò un’occhiata torva e proseguì: «Chase cercava House. Dev’essere importante. Dimmi dov’è!»
Joy si strinse nelle spalle: «Non lo so!»
C: «Non ti faccio nulla!»
J: «Non ho bisogno di essere rassicurata… non mi spaventa Chase che è più grosso, cosa mi potrebbe fare, Lei? Non lo so davvero!» ribatté, scuotendo la testa.
Cuddy alzò gli occhi al cielo, le lanciò un’ultima, fugace occhiata, quasi a garantirle che non l’avrebbe persa d’occhio, e uscì dalla stanza.

 

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Capitolo 24
*** Ne ho le prove! ***




Michael uscì dalla porta principale dell’abitazione. Sapeva dove trovarla. Con passo tranquillo, costeggiò la casa e la raggiunse sul retro, sedendosi accanto a lei, sui gradini.
«Dorme?» chiese Joy, gli occhi rivolti al cielo stellato, stretta nella felpa.

Michael le si fece più vicino: «Hai freddo?»
Joy ignorò la domanda e ritornò alla carica: «Dorme?»
M: «Non lo so».
Joy gli allungò un bicchiere di cartone, Michael lo afferrò, stupito: «Che è?»
J: «Se vuoi, bevilo!» rise
Michael rimase col bicchiere in mano: «Joy, è ora che tu vada a dormire, lo sai…» iniziò
J: «Non sei mio padre!» risentita del tono paternalistico con cui aveva pronunciato l’osservazione.
M: «Devi dormire…»
J: «Ho sempre dormito poco…»
M: «E non puoi chiamarlo sonno, il tuo! A maggior ragione, dovresti…fare qualcosa…»
J: «È successo ancora?»
M: «Sai che ho il sonno pesante. Non te lo so dire, ma House -»

Joy lo interruppe, intuendo il seguito. Facile che House si fosse lamentato con House, nel caso in cui lei lo abbia svegliato: «Ah! Non aggiungere altro: vado, prima che succeda qualcosa, mi chiudo dentro così non mi sente nessuno…»
Michael alzò lo sguardo, osservandola alzarsi: «Non ti chiudere a chiave!».
Joy scrollò le spalle e con un cenno lo salutò.
Ma non si chiuse a chiave.


House si svegliò di soprassalto, si rigirò nel letto, nel tentativo di riaddormentarsi. Inutile.
Nervoso, scontroso, di pessimo umore si alzò e, poggiandosi al bastone, si diresse a trovare una soluzione.
«Pulce, svegliati!» fu la voce di House, poco disponibile, mentre, smuovendola con il bastone, le si rivolgeva.
«Noooo!» esclamò con orrore e fu la reazione, assolutamente ingiustificata (oggettivamente parlando) ch’ebbe, e si rannicchiò in un angolo del letto, tra le coperte. È vero: House non era stato particolarmente amichevole, ma neppure particolarmente sgradevole. Tuttavia la cosa non stupì affatto il medico.
House sedette al fondo del letto e allungò la mano a trovarle il collo.
I battiti andavano al trotto, sporse ancora il braccio a tastare il volto madido di sudore, con i capelli appiccicaticci.
H: «No cosa? Sarà la terza sera… smettila!» disse senza guardarla, gli occhi rivolti alla parete di fondo.
Joy si districò dal lenzuolo, in cui si era ingarbugliata, e sporse finalmente la faccia: «Cosa è la terza sera? Che c’è?»
H:«Che c’è? Che c’è? ... “No! Basta! Aaaaah… che fai? Corri, scappa, non mi prenderai!” Ecco che c’è…» era l’imitazione, sarcastica, dei suoi incubi notturni, che ancora la tormentavano, nonostante gli anni di distanza. House, pur non essendo psicologo, sapeva benissimo perché, tuttavia, volendo stuzzicarla, domandò: «Con chi giochi a nascondino?»
J: «House, non pensavo… non me ne rendevo conto…Michael non sente…» si schermì
H: «Sarà sordo!»
J: «Chi può dirlo?» incalzò lei, che sperava di riuscire a far cambiare direzione al discorso.
House sospirò invece, deciso a trovare una soluzione: «Josh cosa faceva?»
Joy roteò gli occhi, che lasciò poi posare sul letto, accanto a sé. Ma non disse una parola.
H: «E Michael?»
J: «Con lui non funziona, già provato…più di una volta, anche! Inutile!» sospirò, scuotendo lievemente la testa.
House sollevò la mano con l’indice elevato e lo portò da destra a sinistra per tre volte, con un’espressione di assoluto e risoluto diniego sul volto.
Joy capì: «Tranquillo, non ti chiedo di farlo!»
House fece due passi in direzione della porta, tornò sui suoi passi, sollevò il lenzuolo e si sdraiò.
Joy sorrise, beffarda, e si voltò dalla parte opposta. Le palpebre cedettero in fretta.
House mise una mano dietro la testa, guardando il soffitto, con quella più esterna sistemò invece la coperta e il lenzuolo.
Sentì il respiro della ragazza regolarizzarsi, lasciandosi andare alla modalità notturna. Solo allora abbassò gli occhi a guardarla dormire, fino a che, cullato dal suo respiro regolare, anche lui, il custode del suo sonno, si assopì.
 

***

La scena cambiò, si invertì, in un certo senso. Ad insaputa di House.
House era nel letto, si rigirava, inquieto, nel sonno. Joy si trovava accanto a lui, gli si avvicinò, circospetta, gli strisciò vicino militarmente e gli sfiorò appena un orecchio: «House, è ora… sveglia»

House aprì di colpo gli occhi, si svegliò di soprassalto, spalancò le braccia, finendo col darle una manata in faccia.
Lei, tutt'altro che risentita, finì col ridere.
Solo in quel momento si accorse di lei: «Che ci fai qui?»

J: «C’era spazio…»
H: «Come? Non hai ancora imparato a dormire da sola?»
J: «Io non ho bisogno di nessuno!»
H: «Ma hai dormito qui?»
J: «No, giocavo a carte…»
H: «Idiota!»
J: «Sempre di buon umore al mattino, eh?» e si lasciò scivolare fino a toccare il suolo, per tirarsi in piedi. «Dovresti ringraziarmi che ho spento la sveglia, ha un suono terribile!»
H: «Ti sarò grato per sempre…!» rispose, sarcastico
J: «House, ti preparo il caffè. Ti accompagna Michael o vuoi andare in moto?»
H: «Io entro alle 10»
J: «Per Michael non è un problema fare 2 viaggi…»
H: «Io non ho bisogno di Michael!»
«Basta dirlo…» e sparì in cucina, lasciandolo a cambiarsi.

La tavola era apparecchiata, quando House entrò in cucina:
«Come mai mi hai chiesto di Michael, stamattina? E come mai non ha preparato la colazione?»
J: «Perché lo domandi?»
H: «Detesto i cambiamenti…»
J: «Ok… se proprio ci tieni! Alle 3 l’ho incontrato, quando sono andata a bere. Gli ho detto che l’avrei fatto io…»
H: «Non c’è bisogno che arrivi prima, vai in moto.» disse, mangiando la sua colazione
J: «Io? Ma non posso andare in moto!»
H: «Hai fatto un sacco di cose che non potevi fare, nella tua vita… ti preoccupi ora? » Tese tutti i nervi del collo, fece una smorfia, poi reclinò la testa da una parte: «Naa..con me! »
J: «Ma io non finirò mai entro le cinque…»
H: «Torni dopo!»
«Ok, allora dico a Michael che ha la giornata libera fino alle 16…» e così dicendo se ne uscì dalla cucina e lasciò a Michael un biglietto sul comodino, dopo aver spento la sveglia: “Dormi pure. Giornata libera fino alle 16. Se hai voglia, puoi occuparti del prato”.
Poco dopo, erano già sulla moto, ambedue.

Joy canticchiava, mentre svolgeva le sue solite mansioni, quelle che House odiava e che, siamo sinceri, nessuno di noi ama veramente molto.

Wilson arrivò con alcune comunicazioni della Cuddy.
J: «E come mai me le dai tu e non lei?» fu la pronta risposta.
W: «È ad un convegno, ora»
J: «Aaah, ecco!»
W: «Perché cantavi?»
J: «Uh? Ho una certezza…»
W: «Sì?»
J: «House è proprio mio padre, ne ho le prove.»
W: «Parli come lui, hai fatto il test: più di così… sentiamo che prove hai?»
J: «Non ha fatto sesso con me. Anche se ha dormito con me.»
W: «Beh, spero bene! Ma tu , perché hai dormito con lui?»
J: «C’era spazio…»
W: «Come: “c’era spazio”? che motivo sarebbe, questo?» domandò l'oncologo, interdetto.
J: «Quando mi sono alzata e sono passata davanti a camera sua, ho visto che occupava meno di metà del letto matrimoniale e così ho fatto la mia prova. Se avesse dormito in modo diverso, non mi sarebbe neanche passato per la testa!» ammise allora
W: «E se non avesse dormito in un letto matrimoniale?»
J: «Impossibile. Da me ci sono 5 stanze e tutte di letti matrimoniali. Se non avesse dormito in un letto matrimoniale, non avrebbe dormito a casa e allora non l’avrei neanche visto, no? Ogni tanto fai delle domande davvero idiote!»
W: «Ma io non sono mai stato a casa tua, come posso – »
Joy lo interruppe: «Ottima scusa! Puoi andare, ti chiamano…»
«Non mi stanno chiamando» rispose, lapidario, e continuò: «E poi… come hai fatto a convincerlo a venire a stare da te…?»
J: «La gente ha il brutto vizio di pensare che i bambini siano stupidi.»
W: «…quindi…?»
J: «So cose che lui non vuole si sappiano.»
W: «Ricatto?»
J: «Io non lo chiamerei così. Ora, nella sua stanza ci sono tutte le sue cose. E anche il frigo bar sempre fornito. E la possibilità di un
autista. È stato un cambio vantaggioso!»

W: «Autista? Ma… vive con voi?… intendi Michael, il ragazzo che parcheggia sempre un Cherokee?»
J: «Sì, vive con noi. Cherokee, sì… a lui piaceva così!»
W: «Dunque la macchina è sua?»
J: «No, ma visto che l’autista è lui, gliel’ho fatta scegliere!»
W: «Non è tanto normale…»
J: «Uh… e chi lo è?»
W: «A me non piace… da quanto vive con te?»
J: «Da quando ho preso quella casa…»
W: «Cioè da quando vivi sola… con lui!»
J: «Beh, sì… avevo tanti soldi e appena acquistato una casa, ma avevo bisogno di una mano. L’ho incontrato per strada, lui viveva per strada da quando l’avevano licenziato… era stato autista e giardiniere. Gli ho detto che mi potevano servire i suoi servigi e siamo andati a comprare una macchina…». Wilson la ascoltò, stupito e affascinato, ma anche curioso di come potesse pensarla House su questo punto.
Proprio House arrivò dalla porta, rincorso dal suo team, che lo inseguiva per verificare le ipotesi: «Wilson, occupatene tu di questa: vent’anni, tumore al colon e cardiopatia»
J:«Visto che ti chiamano? Io ti avverto prima e tu non mi ascolti!» e buttò fuori la lingua, in un’infantile rivalsa.

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Capitolo 25
*** La morte cambia tutto ***



Bussarono alla porta di casa House. Fu un battito veloce, quasi timoroso.
Joy si alzò e andò ad aprire. Si sentì la voce di House, lontana, e lei che gli diceva di dormire, che non c’era niente. Poi, più nulla.
Joy aprì la porta: «Chi ti ha cacciato fuori?»
«La donna che amo. Che ora non c'è più» rispose l’uomo
Joy, incapace di essere sarcastica e implacabile, poi, agguantandolo con malagrazia:  «Entra, Wilson… si vede lontano un miglio che non hai chiuso occhio… e sono passate da un pezzo le 2!»
Dopo averlo fatto entrare, lo condusse in una stanza e iniziò a preparargli il letto, senza dire una parola. Ma quello a cui non pensiamo è che tante cose diventano difficili, quando si ha una gamba che va per i fatti suoi. Così, Wilson insistette per darle una mano.
J: «Spogliati!»
W: «Eh?»
J: «Vai a dormire vestito?»
W: «Ma io non ho un pigiama!»
J:«Ok!» e sparì, lasciando Wilson di sasso.
Tornò con un pigiama di Michael e glielo ficcò in mano.
W: «È di Michael?»
J: «Che importa… temi infezioni?» e scrollò le spalle.
Prima di sparire di nuovo, questa volta in cucina, avvisò: «Ti preparo qualcosa di caldo… latte, ok?». E, senza aspettare risposta, se ne andò. Al suo ritorno, Wilson era già sotto le coperte. Gli allungò il vassoio. Wilson ne sorseggiò appena. Joy, nel ritirare la tazza, si soffermò a prendergli le mani.
Wilson ne fu un po’ imbarazzato e senza dubbio sorpreso: «Ma… che fai?»
J: «Tu, tu sei fuori da molto!» rispose.
Wilson abbassò gli occhi.
J: «Non dirmi che ti vergognavi a bussare?»
W: «Beh, insomma… ancora una volta!»
Joy scosse la testa: «Questa volta è diversa, da tutte. E poi, Wilson, questa è casa mia… e tu sei il benvenuto!» breve pausa «…possibilmente con altri orari, ma va bene lo stesso!»
W: «Perché non vuoi che House sappia che io sono qui?»
J: «Aveva faticato ad addormentarsi. Non hai scelto il momento migliore per suonare!»
W: «Tu, invece, dormivi della grossa, no?» sarcastico
J: «Colpita e affondata. Hai ragione, non ho chiuso occhio» aveva ancora la tazza tra le mani: «Prendine ancora! O preferisci del tè?»
Wilson la prese, la finì e gliela consegnò.
J: «Ma tu non mi hai ancora detto come sai il mio indirizzo…»
W: «Ah, ricordi la sparatoria… ho avuto la tua cartella, il numero da chiamare e… mi ha risposto House!»
J: «Quante cose ha cambiato la sparatoria… è una fortuna che mi abbiano sparato!»
W: «Una fortuna?»
J: «Perché no? Le cose non sono mai come sembrano… ora però non hai chiamato!»
W: «Veramente ho chiamato, ma non rispondeva nessuno… »
J: «Ora che me lo dici…» e mentalmente le si affacciò l’immagine di quei fili lasciati a se stessi nell’atrio.
W: «Questo è uno di quei momenti in cui ho paura che tu vada avanti, ma… continua!»
J: «Ecco perché c’erano quei fili staccati…»
Wilson scosse la testa, incredulo: «Fantastico, vuoi dirmi che House ha staccato il telefono?» .
Joy annuì, giocherellò con la tazza, che ripose sul comodino, un po' imbarazzata. Wilson guardava altrove, era una situazione alquanto scomoda.
Rimasero così per un pezzo; Joy non si mosse dall’angolo del letto su cui era seduta.
W: «Beh, che aspetti?» si decise a chiederle
J: «Che tu ti addormenti! Quando dormi, io me ne vado…» sospirò «Ho un pessimo tempismo, evidentemente… dormo quando gli altri sono svegli, mi sveglio quando gli altri dormono… che ci posso fare?»
Rimasero in silenzio ancora qualche minuto, nella semioscurità della stanza.
W:«La morte cambia tutto!» sospirò, all'improvviso.
Già. Ora era tutto più chiaro. Come se non lo fosse prima! Questo era l'unico, possibile motivo per quella visita notturna. La morte di Amber, la fidanzata di Wilson, in un tragico incidente, mentre lei era andata a prendere House, che era ubriaco. Il barista aveva chiamato Wilson. Il barista non sapeva nulla di lei.
«Avresti potuto esserci tu, al suo posto... ci hai mai pensato?» le disse, aspro.

Joy comprendeva la rabbia e la frustrazione di Wilson Sì, ci aveva pensato. Per ore ed ore. quasi era ansiosa di sentirselo dire. Si era stupita che nessuno glielo avesse ancora rinfacciato. Ormai loro era una famiglia, che lo volessero o no, avrebbero dovuto esserci uno per l'altra e se House era in difficoltà, lei avrebbe dovuto saperlo!
Se il barista avesse saputo, se l'avesse chiamata. Se... troppi se: certo, sarebbe venuta. E Amber non sarebbe morta. Si era sentita in colpa, sì, ma poi aveva pensato che non era razionale pensarlo. Non era colpa sua che House era ubriaco, non era colpa sua se il barista non sapeva di lei, non era colpa né sua né di nessuno che Amber avesse avuto un incidente tanto grave dopo aver assunto quel farmaco contro l'influenza. Così continuò:

J: « Sai che non ho mai conosciuto mia madre. I miei nonni non hanno mai voluto sapere nulla di me. E sono morti durante uan stupida vacanza alle Maldive, per altro senza lasciarmi nulla. Josh è morto quando avevo 5 anni, l'unico che mi abbia difeso. Lui è morto, mentre avrei dovuto morire io. Lui è morto perché io l'ho coinvolto, lui si è messo in mezzo e Jesse lo ha eliminato. E sì, ora e solo ora so chi sia mio padre e... in definitiva .. in effetti...non so neppure se mi voglia bene. Se il lato che mi mostra oggi sia quello giusto, o se cambi o se cambierà, ed in che modo…»
W: «Vorresti rendermi felice dicendomi che la tua esperienza è più triste della mia?»
J: «Oh, andiamo! Io, non sono triste!» rispose d'impeto
W: «E allora... che vuoi dire?»
J: «Hai bisogno di una traduzione?»
W: «No, di una SPIEGAZIONE!»
J: «Sono così... OSCURA?»
W: «Un po'…»
J: «Così è la vita… »rispose, vaga
W: «Non ho voglia di scherzare, né di sentire stupide ramanzine! Chiamami House!»
Joy sospirò: « Che tu lo voglia  oppure no, mi ascolterai e no, non ti chiamerò House. Non ora.Wilson, che intendi fare? Piangere? Fallo… ma dopo, asciuga le tue lacrime, alzati e combatti! Perché la vita è una battaglia. Non puoi startene in un angolo, mormorando: “Sono così triste. Ero stato così fortunato... tutto andava bene, lei era la mia donna, lei era perfetta”. Cazzate, ok? Ogni morto è sempre considerato buono, ma il vero motivo è che è morto!»
Wilson le tirò una sberla, secca, in pieno volto: «Non osare parlare in questo modo di Amber!»
Joy si passò una mano sulla guancia, per nulla offesa, anzi soddisfattissima: «Allora, reagisci… molto bene!»
Si fermò un momento, quindi riprese: «Devi capire quando il tempo delle lacrime è finito. Quello è il momento in cui inizia la lotta e finisce la notte.Wilson, la vita è un ring di boxe... puoi essere stanco, puoi essere frustrato, puoi non avere motivazioni, puoi essere devastato dal dolore... non importa. Hai due opzioni: o colpisci, o sei colpito.. allora, cosa scegli?»
W: «Joy, tu…» disse con tono minaccioso. Ma s'arrestò.
J: «Cosa stavi per dire ? Che non capisco? Che sono una puttana? Una stronza? Una merda umana? O, aspetta, forse qualcosa di più creativo.. ci sono... figo! Questo è abbastanza interessante: “figlia di una mula zoppa”, qualche volta, la gente mi chiamava così.. e non sapevano quanto fossero vicini alla verità!» ghignò, irosa e selvaggia.
Wilson non seppe rispondere. L'istinto lo avrebbe fatto reagire in modo scomposto e violento; ma, nel profondo del cuore, aveva capito che, in realtà, lei aveva voluto incoraggiarlo. Non sapeva che dirle. La guardò soltanto, con espressione afflitta e addolorata.
Gli occhi di Joy luccicavano, e Wilson li comparò mentalmente con quelli di House quando risolveva un caso. Neanche lei parlò. Sospirò soltanto e rivolse gli occhi altrove.
Wilson sembrava confuso, le si avvicinò, le tastò la guancia e le disse, in un sussurro: «Niente di tutto ciò... sei bravissima a complicare le cose, lo sai?» Poi, dopo un momento, aggiunse: «Mi dispiace, non volevo colpirti! Tu però.. te la sei cercata, ecco!»
J: «Ma lo so che me la sono cercata! Io volevo che tu lo facessi... e ancora non capisci, povero, piccolo Wilson!» il tono sarcastico, quasi sprezzante: era aspro e tenace.
Wilson avrebbe voluto colpirla di nuovo, farle del male. Invece, gli angoli della sua bocca si sollevarono lievemente, in un tenue sorriso, appena accennato.
Si sdraiò di lato sul letto, per poterlo guardare di sotto in su: «Questo sì che è un successo! Questo è un sorriso, non mi sbaglio, vero?» commentò, vistosamente soddisfatta con una boccaccia.
Poi tornò a sedersi accanto a lui, sul letto, senza guardarlo negli occhi, con lo sguardo ostinatamente rivolto alle proprie scarpe. Nella penombra vide una lacrima correrle lungo il viso, scivolarle dal mento e, in un solo balzo, raggiungere il copriletto.
Wilson capì che lei non si sarebbe spostata da lì, finché non l'avesse visto addormentato. Si rimboccò le coperte e si distese, benché continuasse a non avere voglia di dormire, mentre I ricordi, la rabbia, la tristezza, la disperazione gli invadevano il cuore e la mente.
E così, Joy aspettò che Wilson chiudesse gli occhi, controllò Michael che dormiva e il sonno di House. Solo allora, entrò nella propria camera, appoggiò la testa sul cuscino e si addormentò. Erano passate le tre.
Ma non era notte per Wilson. Si alzò e si diresse in cucina a lavare la tazza, il piattino e il cucchiaino. Poteva semplicemente infilarli nella lavastoviglie, ma voleva lasciarsi accarezzare dall’acqua corrente. Osservò a lungo l’acqua scorrere tra le sue dita, scivolare tra i ricami in ceramica della tazza, finalmente si decise, prese la spugnetta e agì come si usa fare in questi casi.
Proseguì oltre, nella stanza di House: dormiva ma come uno che avesse lottato col demonio e sul comodino troneggiava una scatoletta di Vicodin. Tornò indietro, ma si fermò alla stanza di Joy e vi entrò. Quanti guai aveva combinato, quante invidie, antipatie, quanta ilarità aveva suscitato… ma quanto amava House! E anche stanotte, con lui, era stata buona. A suo modo, certo: ma, in un attimo di lucidità, non poteva evitare di ammetterlo; anche con se stesso. Ora lo capiva, con fatica. Avrebbe voluto staccarle la testa a morsi, da tanto era stata indisponente, ma ora che la guardava dormire capiva che, anche se in modo bastardo e fuori luogo, lei aveva inteso soltanto dargli forza ed incoraggiarlo. Si sedette sul bordo del letto, domandandosi se lui, proprio lui, Wilson, sì.. che cos’avrebbe fatto con una figlia? Avrebbe saputo amarla? Oppure no?
Furono questi i pensieri che lo condussero a chiudere gli occhi, lì dove si trovava.

***
 

Lo schermo del cellulare si illuminò, Joy udì la vibrazione, e allungò il braccio, assonnata; prese il cellulare e sorrise: era il messaggio del buongiorno di Michael, che era fuori a potare le siepi. Toccava a lei andare a svegliare House. Ma, prima, l’operazione più difficile di tutta la giornata: alzarsi dal letto. Mosse appena un piede, solo allora si accorse di Wilson, addormentato lì, in fondo al proprio letto, con un braccio avvinghiato alla spalliera e la faccia affondata nella coperta: si alzò con discrezione, sfiorò appena i capelli di Wilson, per non svegliarlo: «Dormi, dormi, Buon samaritano!» e proseguì lo zoppicamento fino alla camera di House.
Ma una volta lì non fu sicura di svegliarlo; si piazzò in fondo al letto a sua volta e attese, in silenzio, poi iniziò, in crescendo: «Greg…Greg! House…sveglia!»
House aprì prima un occhio, poi l’altro. Vide Joy. Li richiuse di colpo entrambi, con un sonoro: «Va’ via!»
J: «House….!»
H: «Dov’è Michael?»
J: «Fuori a potare le siepi…la colazione è pronta!»
H: «Molto piacere… va…» e non concluse il suo “vattene”, ma si sciolse in uno stupito: «Wilson?!»
Wilson era apparso, sonnacchioso, alla porta, con una maglia sformata e un paio di calzoni consumati del pigiama (quella era la divisa da notte di Michael…!).
J: «Aveva freddo…»
H: «Con te non parlo!»
J: «Ma che ti ho fatto?»
H: «Wilson, non avrai fregato anche tu le chiavi?»
W: «Ho bussato, ma lei non ti ha voluto svegliare…»
H: «Già… che pensiero gentile!»
J: «Non ho fame, prendi pure tu la mia colazione!» e se ne uscì.
W: «Ecco, ora l’hai offesa! Provaci ancora, la prossima volta andrà meglio!»
House alzò le spalle.
Wilson gli fece compagnia in cucina. Poi preparò un caffè e uscì sugli scalini dell’ingresso. «Vuoi un caffè, almeno?» le chiese.
J: «Di solito prendo il cappuccino con la schiuma…»
W: «Io non lo so fare!»
J: «Michael sì!» disse, prendendogli la tazza dalle mani.
W: «Io non sono Michael!»
J: «So cosa vuoi dire… e io non sono Greg! Guarda che non ho fame,davvero, all’una e mezza di notte mi son fatta una pastasciutta…» poi lo fissò e non poté fare di concludere con un: «Sì, buon samaritano, lasciami in pace…noi ci gestiamo benissimo da soli!» raddolcito da un sorriso conciliante. Strano a dirsi, ma sì, ogni tanto riusciva anche a lei.
H: «Pidocchio, vieni: la macchina ha già il motore acceso…» poi, a Wilson «Tu che fai? Scioperi? O vieni anche tu? Ormai sono le 10 e mezza, eh!»
J: «Andiamo!» rispose, abbandonando la tazza sulle scale. Wilson guardò Joy, poi House: in fondo, assomigliavano quasi a una famiglia… e quel pensierò bastò a regalargli un sorriso.

***

La scena che House si trovò davanti era inequivocabile. Joy stava sbraitando contro un ragazzo biondo, reo di aver lasciato cadere una carta di merenda.
Mancò poco che arrivassero alle mani. Non l’aveva mai vista così cattiva…Lui osservò da lontano e non disse nulla.
Attese il suo arrivo nel proprio ufficio, svaccato sulla sedia.
«Il tuo problema non è Chase!» affermò, deciso
J: «E perché mai dovrebbe esserlo?», stupita dell’argomento
H: «Jesse era biondo.»
Joy rimase paralizzata, la mano sulla maniglia, le dita che scivolavano a vanificare ore di pulizia.
H: «Entra, maledizione! O hai intenzione di restare sulla soglia fino a stasera?»
Joy fece mezzo passo in avanti e lasciò la porta chiudersi dietro di sé. O forse, era più opportuno dire, sbattere.
H:«Possibile che non te ne renda conto? Chase è un idiota, ma non è quello il tuo problema. Chase ti ricorda Jesse. Jesse ti ricorda gli abusi. E allora tu reagisci aggredendolo… tu devi farti curare. Non hai rimosso, ti è rimasto tutto lì tra capo e collo!»

J: «Anch’io ti sono rimasta tra capo e collo…»
H: «Non è la stessa cosa!»
J: «Lo è!»
H: «Non lo è. E lo sai benissimo anche tu!»
J: «House, sei tu la mia cura. E lo sai benissimo anche tu!»
House la guardò: sapeva che lei poteva anche avere ragione.
Joy lo guardò: di certo lui aveva ragione, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di ammetterlo…
House guardò l’orologio: ora di pranzo. Si alzò e la lasciò così, sporta sul tavolo, in attesa di una risposta che non sarebbe mai arrivata. Certo, non in quel momento. E di sicuro, lontano da ogni sua aspettativa, ma una risposta le sarebbe arrivata, prima o poi. Bastava solo saper aspettare: il tempo era dalla sua parte.

***

Poco dopo l’ora di pranzo,Wilson salì sul tetto. Sapeva che l’avrebbe trovata lì: «C’è il tuo zampino? Le analisi di House sono meglio del solito…»
J: «Ora peggioreranno le mie, lui sa quando mi fa male e mi dà il Vicodin»
W: «E tu non prenderlo…!»
J: «Sai che sa essere persuasivo…» e la smorfia che spuntò dalle labbra voleva essere un sorriso.
W: «Bella, la foto in camera tua!»
J: «Quale?»
W: «La gigantografia in bianco e nero!»
J:«Eh?»
W: «L’unica in camera tua!»
J: «Ah, sì…».
Wilson scosse la testa, poco convinto, Joy strizzò gli occhi, quasi non ricordasse di che stessero parlando. Si trattava di una fotografia di grosse dimensioni, in bianco e nero, racchiusa in una cornice. Lei era seduta in un grande letto d’ospedale (pareva enorme in confronto a lei, piccola bimba di tre anni), e alzava come un trofeo uno stetoscopio. Accanto a lei, House sorrideva, divertito.
W: «Ma … è camera tua?»
J: «Che domanda idiota! Certo, ma di solito, quando mi alzo, è buio, quando vado a dormire, è buio… non bado molto a cosa c’è alle pareti!»
Wilson la guardò.
Joy sbuffò: «Sei in una casa da sola. L’arredamento lo decidi tu, Michael non ha voce in capitolo, ad House non gliene frega nulla. Se è lì, è perché lo vuoi tu e lo ha scelto tu. E se è in camera tua, allora è importante. Ma non me ne vuoi parlare, per questo cerchi di mettermi in difficoltà!» si voltò verso Wilson «Sì, hai ragione… era questo che volevi dirmi, vero?»
Wilson si morse il labbro, indeciso. Forse l'aveva pensato, non poteva negarlo. Ma non gli era certo veniuto in mente di parlarne in quei termini.
J: «Wilson, ora capisci perché preferisco House. A lui non gliene frega nulla»
W: «Non è vero»
J: «Forse sì, forse no… però non fa domande inutili!»
W: «Ok, se non vuoi parlarne, ma era solo un apprezzamento … artistico, io non volevo certo…»
Joy appoggiò la schiena contro il parapetto e mostrò i denti: «Ah, certo, sei un estimatore! Finiscila… a questo punto, non è più divertente!»
W: «Cosa?»
J: «Adesso tu dovresti scusarti o simile.. la storia è buffa, tutto qui. Non c'è niente da nascondere. È un lavoro professionale, me l’ha dato una vecchia bacucca malata di tumore…»
W: «Ehi, non mi sembra il caso di…»
Joy alzò gli occhi al cielo: «Già, poco rispettoso parlarne in questi termini con un oncologo, eh!»
W: «Ma tu…?»
J: «Chi arriva in ospedale con una collezione di foto e materiale fotografico, se non qualcuno che lavora nel settore? E chi regala una fattura così buona a uno sconosciuto, se non qualcuno a cui non costa nulla? E… beh, sai le cartelle cliniche hanno il difetto di avere in grassetto la malattia e se giri per l’ospedale con quella in mano…! Ma vedo ancora un punto interrogativo in mezzo agli occhi…»
W: «Avevi cinque anni…»
J: «Josh mi insegnava a leggere, di nascosto… Jesse non sarebbe mai stato d’accordo, ma Josh diceva che non dovevo farmi fregare dai grandi…». Si sporse verso di lui e gli passò un dito sulla fronte. Lui, stranito, le chiese: «Ma che fai?»
J: «Ti era rimasto un rimasuglio di punto interrogativo!»
Wilson fece finta di nulla e provò a riprendere il discorso: «La foto è bella perché lì House sembra… felice! Capisci che intendo?»
J: «Non mi prendere per scema! House aveva trovato qualcuno che lo divertiva, con cui poter giocare. Tu sai che intendo. E tu non sei venuto fin qui per una foto!»
Wilson reclinò leggermente il capo e ammise: «Non mi fermerò oltre, devo tornare a casa mia.. quella che era casa nostra...devo superare questo momento. Anche tu dovresti fare pace con il passato, del resto !»
J: «Beh, ma puoi venire a trovarci ugualmente, sai… ti farò vedere anche di sopra… finora è il regno di Michael, c’è la sauna, i bagni di fango: è figo, di sopra. Ma per ora è out»
W: «Out?» la manovra diversiva della ragazza era riuscita: non stava più parlando di lei!
J: «Per te, naturalmente no… ma non è facile fare le scale, per noi… è, quanto meno, piuttosto macchinoso!»
W: «Eh, sì!»
J: «Un ascensore costerebbe molto, un montascale non so… credo che House direbbe che è da idioti, così ho pensato ad un montacarichi raggiungibile dall’esterno. Che dici?»
W: «Perché no?»
Joy rise: «Non te l’avrò mica attaccato io il vizio del “perché no”?»
Wilson sorrise con lei, ma era un sorriso tirato, e la raggiunse alla ringhiera. Una folata di vento le scompigliò i capelli, mentre, decisasi a ritornarci ora sull'argomento, si voltò a chiedergli: «Wilson, pensi che ci potranno essere problemi se viene fuori la mia storia?»
W: «Non vedo perché… non lo sapevi quando hai chiesto il posto!»
J: «Io non vedo l’ora di togliermi di dosso questo dannato Campbell dal mio nome!»
W: «Quindi pensi di andare per via ... ufficiale?»
J: «Ti stupisce, eh? Per una volta nella vita, sì, è quello che ho intenzione di fare. Per me non è solo una questione burocratica, ma ad House non cambia nulla, né ha cambiato nulla sapermi sua figlia. Mi ha trattato come sempre… io sono tranquilla!»
W: «È questo che vuoi… essere una figlia di papà?»
J: «Io? Io lo sarei? Non scherzare… non ho mai avuto qualcuno che mi prestasse attenzione fino ad adesso…»
W: «E adesso…?»
J: «Conosci House…»
W: «Quindi non è cambiato niente…»
J: «Dipende rispetto a cosa! È cambiato tutto rispetto a quando stavo con Jesse. Non è cambiato nulla rispetto all’ultima volta che l’ho visto. Mi concede cose che non concede a nessuno, senza rinunciare a farmi sentire una nullità. E io so che lui sa cose che non sa nessun altro. È strano tutto ciò, ma a me sta bene. Non sono delusa, insomma. Anzi! »
W: « House vede in te qualcosa di sé, non solo a livello fisico.»
J: «Quale altra somiglianza ci può essere…?»
W: «Più d’una… la sofferenza… l’infanzia difficile…»
J: «Vuoi dire che anche lui, da piccolo…?»
W: «In modo diverso, ma… sì, come te!»
J: «Non me l’ha mai detto»
W: «I genitori non dicono mai tutto ai propri figli…!»
J: «Vuoi dire che House fa anche qualcosa di “normale”! Non ci credo…» ironizzò, in un soffio.
W: «House tiene a te. Ne sono certo.»
J: «Lo so» strizzò gli occhi, poi gli domandò: «Tu come lo sai?»
W: «Ti ha sempre protetto»
J: «Protetto?»
W: «Non facendone parola con nessuno» , poi la guardò: «Tu vorresti che fosse diverso!»
Joy guardò in basso, le persone che come formichine si muovevano intorno all’ospedale: «Tante cose avrebbero potuto essere diverse. Non si può avere sempre ciò che si vuole. In più, se le cose fossero state diverse, non avrei mai conosciuto mio padre. Le cose sono andate com’era necessario che andassero. E niente più!» tagliò corto Joy, senza alcuna possibilità d’appello per Wilson. Né per nessun altro.
Ogni tanto se ne usciva, all’improvviso, con queste frasi lapidarie, che lo lasciavano sempre senza fiato. Restò a fissarla, mentre lei rimaneva con lo sguardo perso nel vuoto, un mezzo sorriso e un mezzo ghigno dipinto sul volto, con un’espressione quasi diabolica.
Lei si voltò di scatto: «Io devo finire un lavoro»

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Capitolo 26
*** A carte scoperte ***


A CARTE SCOPERTE



La attendeva un lavoro ben preciso, dopo aver consultato, “a tradimento”, Wilson. Un lavoro che aveva architettato da tempo e che, probabilmente, avrebbe fatto anche in assenza di un parere positivo di Wilson.

«Sei qui da molto?» chiese Stacy appena la vide, seduta per terra, appoggiata mollemente ad una sedia. Era nel sottoscala del Princeton.
«Mah, considerato il tempo che mi occorre per una rampa… »
Stacy si avvicinò. Non ricordava di averla mai vista.
«È inutile che mi guardi così. Ah, forse vuoi che ci presentiamo? Cuddy mi ha detto che sei una buona professionista, che dal punto di vista legale sei la migliore…»
«Posso sedermi?» rispose Stacy, che la squadrava.
«Oh certo, sì, ora tolgo la mano, basta che poi mi dia la possibilità di usarla per rialzarmi… se no facciamo notte… e sono già rimasta chiusa dentro una volta!»
Stacy si sedette. «Ok, sei…?»
J:«Ehm, basta il nome?.. sono Joy, lavoro con House»
S: «Se posso, perché mi hai dato appuntamento QUI, per giunta, con una lettera anonima?»
J:«Potrei chiederLe perché si è fidata di una lettera anonima. Comunque, la risposta alla Sua domanda è: qui, House non viene spesso…»
“Sagace…” pensò tra sé l’avvocato. «Dunque?»
J: «Pensa che ci possano essere problemi se una figlia lavora con il padre?»
S: «Beh, dipende dal rapporto che lei ha con lui, o meglio, che hanno reciprocamente… »
J: «Beh, è un rapporto complicato…» ammise, vaga.
S: «Ma è una domanda personale o professionale?»
J: «Beh, io la intendevo dal punto di vista legale…»
Stacy era un po’ confusa, non aveva mai offerto una consulenza ad una ragazza seduta sul pavimento, mentre lei era sulla sedia. Non le sembrava molto professionale, tutto ciò. Ma alla ragazza non sembrava importare per nulla. «Sostanzialmente no. Almeno in un’azienda privata. Lo è?» spiegò l'avvocato.
Joy annuì.
Stacy riprese: «Legalmente, non ci sono problemi. Certo, gireranno molte voci. Potrebbe essere spiacevole.Potrebbero mettere in discussione i reali meriti della figlia, ad esempio»
J: «Con tutto quello che ho passato, non c’è nulla che possa essere classificato come spiacevole!» borbottò
S: «Quindi è una domanda personale…?»
J: «Ho detto legale…» insistette, con una smorfia di disappunto.
S: «Ma riguarda te…»
J: «Sì, ma dal punto di vista legale!» ripeté.
S: «Se tuo padre ha una buona posizione, ti difenderà, no?»
J: «Eh, già, come no? Ha una buona posizione, ma non mi difenderà.» sospirò.
S: «Come fai a dirlo?»
J: «Mah, statisticamente parlando, che dici?» cominciò, passando repentinamente, senza accorgersi, a darle del tu «è più probabile che House attacchi o difenda?»
Stacy raggelò: «Che c’entra House?»
J: «Ops, forse non dovevo dirlo!»
S: «Non è possibile, mi stai prendendo in giro!» esclamò, contrariato.
J: «I test clinici non mentono, di solito!»
S: «Non è possibile!»
J: «Lo sapevo che non eri la persona giusta… stupida io ad ascoltare Cuddy!»
Stacy la guardò con occhi diversi, vide i lineamenti induriti, la rassegnazione rabbiosa negli occhi, un non so che di familiare …« Me l’avrebbe detto!»
«Ne sei sicura?» ribatté Joy, con aria di sfida. Poi sospirò: «No, non poteva. Non lo sapevamo»
S: «Non lo sapevate?»
J: «Non lo sapevo io, non lo sapeva lui. Solo mia madre lo sapeva. Ma non la conobbi quasi.L’ho saputo grazie alla sparatoria!»

S: «La sparatoria?»
J: «Lascia stare.. storia lunga!»
Stacy si alzò in piedi, fece qualche passo e si appoggiò al muro, con le braccia incrociate sul petto: «Perché lo vuoi fare?»
J: «Cosa? Lavorare con lui? O essere riconosciuta?»
S: «Tutt’ e due.»
J: «Uno. Mi ha salvato, mi ha aperto la sua porta e si è preso cura di me, quando ero piccola. Io non lo dimenticherò mai!»
S: «Non mi ha mai detto nulla di te»
J: «Neanche Wilson lo sapeva… c’est la vie!» e sfoderò un sorriso beffardo.
Stacy continuava a fissarla, aspettava una risposta alla seconda. Joy impallidì, infine sbottò: «Due. Non so perché te lo sto dicendo, ma io odio il marito di mia madre. Tu magari gli darai pure ragione perché non era mio padre. Ma è colpa sua se sono sciancata. Se lui non avesse cercato di violentarmi per l’ennesima volta, non mi sarei buttata dal terrazzino per sfuggirgli, né avrei poi corso, ignorando il dolore, pur di scappare. Non mi sono fermata neppure agli spari. Ho sentito il tonfo, e Jesse cadere, ma se lui avesse continuato a correre? Non mi sono fermata fino al civico 221. Ero bagnata, spaventata e infreddolita, ma non pensavo che House si sarebbe preso cura di me. Voglio togliermi di dosso per sempre ogni traccia di Jesse, per me è importante… tu non sai che significa!». La vide serrare i pugni, con gli occhi lucidi e il volto teso.
Stacy rimase senza parole, scioccata alla rivelazione.
S:«Ne hai mai parlato con qualcuno?»
J: «Ero in cura fino a 14 anni, Wilson dice che dovrei riprendere e anche House, ma non è che lo psicologo abbia ottenuto molto…tu non sai che significa…» ribadì.
S: «No, non lo so, hai ragione… vuoi dire che è molto doloroso, e naturalmente io non lo posso capire il dolore» sospirò «Parli come Greg… e perché lo chiami con il cognome, sei sua.. figlia, no? E.. lui.. sa… tutto questo?»

J: «House ha ragione. No, tu non puoi capire. nessuno può. Forse lui, però sì. Non so neanch'io perché, ma penso sia così. Avevo promesso di non chiamarlo “papà” in presenza d’altri e se lo faccio in privato, prima o poi mi tradirei facendolo anche in pubblico. Non mi riesce difficile. Lui è sempre stato casa mia… sa, non nei dettagli. Lui non mi hai mai chiesto. Lui mi capisce senza parlare… è mio padre, no? Gli voglio bene anche per questo! No. Non è doloroso. È peggio. È come se ti strappassero l’anima dal corpo, senza anestesia; non è come quando ti sfilano il portafogli da sottoil naso: ci rimani male, ma non ti ferisce. Piuttosto, è come se ti strappassero qualcosa da dentro, dopo averti percosso e lacerato la pelle un pezzo alla volta. Sai, già questa gamba era stata  sottoposta ad un'operazione, a causa delle percosse… la caduta è stata fatale e camminarci sopra non è stata un’idea geniale. Comunque, ero piccola, non ricordo bene i dettagli…» concluse, senza guardarla.
Stacy mise una mano alla bocca, agghiacciata. Era un resoconto di cronaca nera. Ogni tanto, aveva pensato che i giornali esagerassero. Una cosa così non l’aveva mai sentita. Era terribile, ma terribilmente vera! «Quanti anni avevi?»
J: «Neanche sei» poi si voltò dall’altra parte e commentò: «non provare a compiangermi. Non è per questo che ti ho chiesto un parere legale. Non so neanche perché te l’ho detto… pessima, pessima idea! Forse, solo perché House ti ha amata…»
«Joy!» la richiamò l'avvocato.
«Stai zitta!» urlò, piccata.
«Reagisci come Greg…»

«Non abbiamo solo quello in comune…» constatò in un sussurro
«Già» disse Stacy e, avvicinatasi a lei, l’abbracciò.
Joy non si ritrasse. Più che altro, non ne era in grado, da quella posizione!
Ma non evitò di mostrare tutto il proprio disappunto con una smorfia di disgusto e chiese: «È proprio necessario? Non potresti lasciarmi?»
«Comunque, non avevo premeditato di ferirti, sappilo!» le disse ancora Stacy, senza lasciarla andare. Nessuno si sarebbe mai aspettato una reazione così. Anche se, a livello medico, non era affatto così anormale.

Ma Joy non si smentì e se ne uscì con una delle sue aspre massime: «Normale… un classico, direi… i risultati migliori non sono mai pianificati!»
Stacy la lasciò di colpo, agghiacciata dalla replica.
«Era ora» mormorò Joy «non pensavo usassi la colla vinilica per struccarti!»
«Ehi, ragazzina, ma chi ti ha insegnato l’educazione?» Stacy era davvero stizzita dal suo atteggiamento.
«Che domande! Nessuno… ho imparato da sola… la legge della strada non è tenera. Se sbagli, torni a casa pesto. Fai te… quella legge si impara presto, l’avrai già capito!»
Stacy la guardò. Selvatica e scontrosa, come suo padre. Incapace di fidarsi totalmente delle persone, tranne che di House. Pessima scelta. Ma la guardò negli occhi: lì, in un angolo, animale ferito e braccato, indifeso e rabbioso. Non riuscì a resistere: le fece un sorriso distaccato e la aiutò ad alzarsi poi; dichiarò: «Legalmente, nessun problema, sempre se ti piace il curry…»
«Più che altro, ho imparato ad abituarmi a tutto!».
E, finalmente, dietro quella maschera di boria, s'intravvide un sorriso sincero.

 

***

House, Cuddy, Joy e Chase erano nell’ufficio di Cuddy. Cuddy aveva chiesto a Chase di andarsene, ma lui aveva approfittato del fatto che i suoi occhi avevano seguito il giocherellare di Joy con le gommine della sua scrivania per restare ad origliare. Joy non fece fatica, questa volta: disse il necessario, in modo asciutto e stringato, assolutamente asettico, e attese la reazione. Si aspettava di tutto. Era pronta a tutto. Nulla avrebbe potuto stupirla. Né metterla in difficoltà.
Dopo aver convinto House a seguirla da Cuddy, cosa restava di impossibile?
C: «Se House è tuo padre, io sono tua madre!»
H: «Oh, sapevo del tuo desiderio di maternità, ma arrivare a prenderti anche i miei meriti, è una mossa piuttosto ignobile!» commentò House, sarcastico
J: «Abbiamo gli stessi capelli…» si difese in modo infantile, poi si corresse vagamente, cercando di darsi un tono: «Ci assomigliamo»
CH: «Sì, come un tricheco e una cinciallegra!»
J: «Ehi, biondino, se hai bisogno di far passare aria da una delle cavità, tanto per sport... tanto vale che esci e ti fai mettere sotto da una macchina, tanto sei vicino ad un ospedale… che fortuna, eh?»
CH: «Eh? come ti permetti!» ringhiò Chase, che le si avvicinò, minaccioso.
J: «Ringrazia solo di essere più grosso di me, se no ti avrei già spaccato la faccia…»
CH: «Perché?»
J: «Ci deve essere per forza un motivo?»
C: «Grazie per l’istruttiva conversazione ad entrambi…Chase, ti avevo già detto di uscire!» poi, rivolta ad House: «Non credo ci sia bisogno che tu mi mostri le prove di laboratorio… è evidente che ha preso dal padre…», poi guardò Joy: «Cerca di darti una regolata, ok?»
Joy sporse il labbro inferiore e roteò gli occhi, poi convenne con un poco convinto: «Perché no?»
House sogghignò, divertito, Cuddy non raccolse la provocazione e proseguì: «Io in tutto questo che c’entro? »
J:«Lei, effettivamente c’entra ben poco… si tratta solo di correggere un cognome, non è un gran lavoro»
C: «Quindi tu diventeresti…House?!»
J: «Diventerei quello che sono sempre stata!»
C: «Come ti dovremo chiamare?»
J: «Mah… “passami la stagista”, “ehi, tu, portami quelle cartelle” credo vada più che bene! »
C: «House…?» domandò allora Cuddy, rivolgendo uno sguardo interrogativo al diagnosta.
H: «Devo ripeterti quello che ha detto lei?» chiese quello, fingendo di non capire.
Cuddy si morse il labbro inferiore, poi guardò nuovamente House: «Sei fortunato, hai trovato l’unica che è in grado di lavorare con te!».
House scrollò lievemente le spalle.
Cuddy riprese: «Lasciaci sole!»

House puntò il bastone in direzione di Cuddy, guardando Joy: «Dici che ci si può fidare?»
Joy non rispose.
Cuddy lo guardò fisso, con espressione di rimprovero: «House…!»

«Ok, game over… me ne vado!» e, uscendo, non riuscì ad esimersi dal fare un occhiolino nella loro direzione.
Rimaste sole, Cuddy la guardò negli occhi, chiedendole: «Sei sicura? L’hai deciso tu? Sai che significa?»
J: «Non ho più due anni. So che significa. Stacy ha detto che si può fare. Mi ha detto anche delle voci e del resto, di questo mi aveva messo in guardia anche Wilson…»
C: «Ne hai parlato con Stacy?Ma… ma…»
J: «Sì, lo so…» sorrise «House stava con lei. “Mr. Doctor” parlava di questo a “Little Girl”»
C: «Vuoi dire che hai incontrato House in chat per caso?»
House, appena fuori dalla porta, tese le orecchie: questo lui non lo sapeva… ancora!
J: «Beh, non proprio per caso… quando conosci un buon hacker!»
C: «Ho capito, ma…»
J: «Lei aveva detto che Stacy Warner è un ottimo avvocato. E naturalmente si sbagliava… è più che ottimo, anche se discretamente invadente»
Cuddy la guardò, Joy si lasciò guardare. Era riuscita a stupire qualcun altro.
Restarono in silenzio.

Dopo un paio di minuti, fu proprio Joy a romperlo: «Comunque non è vero!» disse, all'improvviso.
C: «Cosa, non è vero?»
J: «Io amo molto mia madre, ma non mi sarebbe dispiaciuto se Lei fosse mia madre. Però voglio House…» rispose, sincera. Era il suo modo di dirle che la stimava.
C: «Vuoi House? Davvero? Dunque perché fossi come dici tu, sarebbe necessario che…» ragionò, un po' confusa Cuddy.
C: «Beh, naturalmente… uomo, donna, biologicamente parlando, non è così strano…che poi salta fuori un figlio. Sai com’è… studio medicina, non ho cinque anni ed è piuttosto inverosimile la cicogna… dopo pochi metri si schianterebbe al suolo, se le appendessero un neonato al becco!»

Cuddy ridacchiò, ascoltandola proseguire:«Non mi dispiacerebbe come madre. Anche se, naturalmente, Le darei del filo da torcere!»
«Ah, naturalmente… peccato che io sia il tuo capo!» replicò Cuddy, che però aveva capito il tentativo di essere gentile.
J: «Beh ma per poco…»
C: «Dici?»
J: «È solo uno stage…»
C: «E poi? Non lavorerai?»
J: «Prima devo specializzarmi…»
C: «In cosa?»
J: ««Mi è piaciuto lo stage, e il metodo diagnostico di House, ma anche l’ortopedia e la chirurgia… alla fine non mi interessa avere tanti soldi, quasi quasi mi butto su medicina interna, così posso lavorare prima?»
C: «Vuoi dire che dovrò avere ancora a che fare con un’ altra House?»
J: «Perché succeda, dovrebbe riassumermi…non Le conviene…»
C: «Tu pensi che non lo farei?»
J: «Con il rischio di ritrovarsi con due House?»
C: «Insieme lavorate bene, DAVVERO! Anche se rischiate ogni volta di demolirmi il Princeton... senz'altro, dovrò tenervi d'occhio!»
J: «Già… ma di solito gli esseri umani imparano dagli errori!»
Corresse Cuddy, conciliante, lasciando intendere un complimento: «Sempre che si tratti di un errore!»
Joy, senza pietà, sarcastica: «… o di un essere umano…»
«Logica stringente…» concluse Cuddy «Possibile che non ti sia accorta prima? Dovresti fare una ricerca e scoprire se esiste un gene per la bastardaggine cronica!»
«Perché no?» la assecondò Joy, svagata, giocherellando con le graffette; poi si alzò dalla sedia, appoggiandosi pesantemente al tavolo, rasentò il muro, pquindi si voltò e concluse, quasi solenne: «E comunque, si ricordi, Lei è solo istituzionalmente un mio superiore: io sono fortunata, perché il mio capo è il mio papà!».
Cuddy la guardò uscire, appoggiandosi alla parete. Il suo papà… che è pronta a difendere da tutto e tutti. Il suo papà… che non aveva nemmeno saputo, per anni, di essere suo padre.
Eppure, insieme lavoravano bene. E non solo. Quante cose si erano vicendevolmente “costretti” a cambiare, quei due, tra una sfida e una battuta, un’umiliazione e un’offesa, un’incomprensione e un intervento di Wilson! Ricordava il primo giorno, House che sbraitava e lei che rispondeva per le rime, il colloquio e tutte le allusioni piccanti che riusciva a trovare, lo stratagemma con cui aveva convinto House a trasferirsi da lei, i dispotismi di House, la sparatoria con i marines, le piccole delicatezze che lei gli riservava, la notte chiusi in un reparto in ristrutturazione, il malvivente che l’ha minacciata, ah già… e come dimenticare la lavanda gastrica dopo un eccesso di Vicodin?
Quante gliene avevano fatte, quei due… eppure… chissà? Magari era proprio così: uno era la soluzione dell’enigma dell’altro…

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Capitolo 27
*** Sostegno ausiliario ***


Pochi minuti dopo la fine del colloquio con Cuddy, House attendeva Joy davanti all’ascensore. Nonostante avesse origliate diverse cose interessanti, House non le chiese nulla. Anzi, non le rivolse neppure la parola.
«Mi accompagni?» chiese lei

H:«Non viene Michael?»
J: «C’è un posto in cui vorrei andare con te, mi sono convinta…»
H: «Un sexy shop, immagino… d’accordo!» rispose, complicemente sarcastico, regalandole un occhiolino malizioso.
Fuori luogo, ma dannatamente apprezzato dalla ragazza.

Salirono in macchina e Michael li lasciò davanti ad un negozio che anche House conosceva bene.
H: «Oh, che disdetta.. ma questo non è un sexy shop… dai, scendiamo, sono sicuro che vicino ce ne sarà qualcuno! No?»
Lei lo gelò con uno sguardo. Lui ammutolì, pur senza smettere di fare mille facce.
Entrarono.

«Io non ti ho mai detto nulla. Chi ti ha fatto il lavaggio del cervello?» disse House, che, anche se continuava a punzecchiarla, aveva capito perfettamente.
J: «Tu sei venuto a nuotare. Hai accettato la sfida. È vero: io ho bisogno di un bastone. È inutile continuare ad illudermi che non mi serva e camminare solo rasentando il muro. Il bastone mi renderà più efficiente.»
H: «Il Vicodin ti rende più efficiente»
Joy lo guardò poco convinta.
H: «Certo… se non lo prendi in misura da lavanda gastrica!» precisò
J: «Quindi, non lo prendiamo?»
H: «La gamba è tua, la conosci tu!»
J: «Ma tu hai detto…»
H: «Io non ho detto nulla!»
Arrivò il commesso, che cercò di indurli a serrare le trattative: «Allora?»
H: «Guardavamo solo…»
J: «Quello lì» rispose decisa, indicandone uno.
H: «Ma ha un teschio sul pomello!!!»
J: «Quello, almeno, sorride…!»
H: «Ghigna, vorrai dire! »
J: «E va bene… allora quello!» e ne indico uno tutto nero, col pomello bianco
H: «Ma è da prestigiatore!»
J: «Appunto…di magie ne ho fatte tante, no?»
H, al commesso: «Noi siamo qui solo per una commissione! Segreta, naturalmente…»
«Oh, certo…» rispose il commesso, con complicità, fingendo di capire.
Usciti, mentre Joy faceva roteare il suo bastone appena comprato, con una testa di drago al posto del pomello, spiegò: «Ho sempre pensato che, se tu mi avessi visto comprarne uno, avresti pensato che lo avessi fatto per emulazione…»
«Eeeeh?»
«Invece, dovevo farlo e basta. Ero solo una stupida!»
House odorò l’aria.«Non senti che buon profumino? Eh, l’avevo sempre detto, io, che sei un’idiota…è il profumo della vittoria!»

***

Era l’ultimo giorno in cui avrebbero lavorato insieme, Joy e House.
Si trovavano entrambi nell’ufficio di House, su due sedie perpendicolari alla scrivania, a breve distanza l’una dall’altra.
Wilson arrivò, portando una cartella: «Il prossimo paziente!» annunciò. La lasciò nelle mani di Joy e rimase in attesa, incerto se il diagnosta avrebbe accettato oppure no.
Joy finse di leggere con attenzione, mormorò a mezza voce età e sintomi della paziente e passò la cartella ad House. House sfogliò la cartella svogliatamente e la ripose sul tavolo. Prese dalla tasca il Vicodin, aprì la scatola, lanciò in aria una pillola e la ingoiò al volo. Richiuse la confezione e la lanciò a Joy.
Joy la aprì, lanciò in aria una pillola, la ingoiò e guardò House: «Il nuovo enigma si annuncia interessante!»
House, sarcastico: «Uhm.. sì, abbastanza… posso anche accontentarmi!»
Wilson li squadrò un momento, per assicurarsi che il caso fosse stato realmente accettato da House, poi sorrise, si girò e se ne andò, ora era tutto nelle mani di House: lui avrebbe chiamato i suoi assistenti e affrontato il nuovo caso.
Sì, era tutto come prima. Nonostante Joy. O: in forza di Joy?
“Era davvero tutto come prima?” finì per domandarsi, quando, ormai in corridoio, gli arrivò alle orecchie la richiesta di House nei confronti di Joy: «Chiamami gli altri, per favore…»
No, forse aveva sentito male. Tese le orecchie, per sentire la fine della frase: «… paramecio!».
Sì, il decorso era ordinario, il paziente stabile, i miglioramenti si mantenevano nella norma, nessun mutamento destabilizzante che potesse scombinare l’equilibrio biochimico del decorso post – operatorio del paziente... o dei pazienti?!

FINE

 

 

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Capitolo 28
*** Annotazioni finali ***


1. Pensando ad House molti si chiedono: senza il dolore alla gamba, sarebbe meno stronzo? Una relazione stabile potrebbe cambiarlo?
Un po' perché l'intrigo del personaggio sta proprio nell'essere quel cinico bastardo che tutti noi conosciamo (e amiamo!!!), io ho risposto no ad entrambi ed ho pensato una 'soluzione' alternativa.
Non c'era bisogno di cambiare House, perché era perfetto così com'era e, restando com'era, poteva, al contempo, dar sollievo a se stesso e a qualcun altro.
Non poteva essere alcuna relazione di coppia stabile (al limite, questa avrebbe potuto aggiungersi dopo), perché c'era bisogno di un amore incondizionato, proveniente da qualcuno che non poteva cercare di meglio, perché non l'aveva sperimentato prima. Solo una come Joy poteva provarlo.
Lei, anche se non è semplice da comprendere, è grata ad House per due motivi: le ha dato la vita ed ha impedito che suo padre fosse un pedofilo, minimizzando il suo trauma infantile. Rimane una bimba abusata, ma 'dal marito di sua madre'. House riesce a darle sollievo senza fare nient'altro.
Ogni altra cosa svela serve solo ad attribuire che l'affinità tra i due sia dovuta al DNA condiviso, motivo che - forse - riesce a rendere più digeribile per House l'accoglienza di qualche cambiamento.
L'enigma di House non è risolvibile e lui è irrimediabilmente relazionato alla condizione di dolore. È possibile anche per lui, tuttavia, ricevere e dare sollievo. È possibile sorridere.
Si conoscono “effettivamente” solo quando la ragazza è adulta, perché non ce lo vedrei un House in-character che cambia pannolini. Non ama i bambini (l'unico bambino che House apprezza ha la sindrome di Asperger), né tanto meno gli adolescenti, ecco perché l'unica chance era una ragazza ormai sulla soglia della giovinezza. Pressoché indipendente, che ha bisogno di lui, quanto lui ha bisogno di lei, anche se entrambi faticano ad ammetterlo.

2. Ho preferito fare tanti capitoli tendenzialmente brevi, piuttosto che meno capitoli, però più lunghi. Mi sembrava più adatto per “fotografare” alcuni momenti di vita quotidiana. Alcuni sono più lunghi, per necessità di narrazione unitaria.

3. Mi sono volutamente concentrata sui dialoghi per due motivi principali: adoro la dialettica di House e mi volevo divertire.

4. Non ho approfondito nessuna ship perché mi piaceva, per quanto possibile, rimanere al personaggio originario ed ho, piuttosto, azzardato la soluzione di alcuni casi clinici (non sono un medico, tuttavia, mi sono discretamente documentata rispetto a droghe, medicine, loro effetti collaterali, malattie.

5. La storia nacque in contemporanea con l'uscita in Italia della serie (2009) e, prima di essere pubblicata, è stata revisionata.

6. Alcuni capitoli sono stati tradotti, perché originariamente ideati in inglese (nel tentativo di evidenziare coi dialoghi slang americano)
 

Recensite senza timore: ogni critica è una possibilità di migliorarsi! ;)

 

 

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