Vera Monfort

di laolga
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** capitolo quarto ***
Capitolo 7: *** Chapter five ***
Capitolo 8: *** Chapter 6 ***
Capitolo 9: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 10: *** capitolo ottavo ***
Capitolo 11: *** Chapter nine ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO DECIMO ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




PROLOGO

-Immaginate...-

Immaginate una ragazza apparentemente normale, i capelli castani arruffati sul capo, gli occhi scuri, macchiati da un resto di mascara messo frettolosamente all'ultimo minuto, in ascensore, in ritardo per la scuola, il volto pallido, perennemente corrucciato in una smorfia di stanchezza, assonnato dopo una notte passata a rigirarsi senza sogni fra le coperte pesanti, troppo pesanti, opprimenti, bollenti...

Immaginate che questa ragazza scenda dall'ascensore, che con le dita di una mano cerchi inutilmente di pettinarsi i capelli, e che con l'altra sfiori la maniglia gelida del portone di casa, aprendolo, e poi che esca in strada, dove come con uno schiaffo il freddo di quel duro inverno le darà il buon giorno, investendola di rumori, di voci trepidanti, di fruscii inquieti, di latrati di cani, risate di bambini, scalpiccii di passi affrettati, e che, sommersa dal caos cittadino, la nostra ragazza rimanga per qualche inesorabile attimo sull'uscio di casa, ad assorbire tutti quei rumori.

Immaginatela affrettarsi a percorrere la via principale, superando le vetrine ormai note, schivando i passanti di ogni mattino, aspettando eterni minuti ai soliti semafori per poi passare col rosso, impaziente e stufa, sempre sopportando il peso schiacciante di un enorme zaino scuro, pieno di libri inutili e pesanti per materie altrettanto inutili e pesanti.

Immaginatela arrivare ormai di corsa alla scuola più rinomata della città, precipitarsi a perdifiato per quattro rampe di scale, col fiato bloccato alla trachea, le gambe molli e le braccia appese al corrimano, l'unico conforto in quella pazza, folle, insulsa, corsa contro il tempo.

Immaginatela... non chiedo molto, ma almeno provateci.

Allora, ci siete riusciti?

Davvero?

Complimenti, vi siete appena immaginati niente popò di meno di

Vera Monfort, che, l'avrete già intuito, sono proprio io.

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***


Capitolo Primo


Lunedì 24 Ottobre.

Un mattino qualsiasi, grigio e nuvoloso, di una giornata qualsiasi, di una settimana qualsiasi di una vita qualsiasi.


A scuola, ormai da tempo, Cri mi stava addosso, tremendamente intenta a narrarmi le sue ultime vicende amorose, interrompendosi di tanto in tanto per ridacchiare nervosamente, sperando invano di attrarre la mia attenzione, ben lontana da tutte quelle balle che mi raccontava.

Lo sapeva perfettamente che non l'ascoltavo, eppure non si perdeva d'animo e faceva di tutto per essere mia amica.

Io non avevi amici.

Io non volevo avere amici, stavo benissimo da sola.

E proprio lei, la ragazza più popolare del liceo, alla quale bastava un battito di ciglia per fare innamorare tutte le persone di sesso maschile che la circondavano, per la quale una fila di ragazze attendeva impaziente anche solo per salutarla, per aver parlato con la grande Cri, in verità detta Cristiana, ma stonava...

Sapete, questi sono tocchi di classe.^^

Già, tocchi di classe, eccome!, quella grande Cri (che in realtà era qualcos'altro di grande...) s'inventava un sacco di pettegolezzi, storie misteriose, amori nascosti sempre leggermente uguali e per i quali le sue “amichette” smaniavano, credulone, ingenue.

Lei voleva essere mia amica.

Solo perché ero l'unica che non stavo ad ascoltarla, solo perché ero l'unica disinteressata ai suoi pettegolezzi...

Ed era proprio per questo che aveva occupato, con lo stupore generale della classe, il banco vicino al mio, per tradizione desolatamente vuoto.

E per questo ogni santo giorno telefonava a casa mia e stava tre ore a parlarmi di questo o quell'altro, ripetendo ininterrottamente il suo petulante monologo, paragonabile più che altro al ronzio di una mosca.

Non l'ascoltavo neppure quelle volte, dimenticando da qualche parte il telefono e tornando di tanto in tanto per assicurarmi che non si fosse accorta di nulla.

Non se ne accorgeva, ma forse lo immaginava.

Mi faceva un po' di pena, per essere sinceri...

Mi faceva pena perché non l'ascoltavo mai.


Anche quel giorno, Cri mi stava addosso.

Mi parlava mentre pasticciavo il mio libro di trigonometria, disegnando mostri inquietanti con le labbra cucite ai bordi delle pagine, mi parlava mentre guardavo fuori dalla finestra, assicurandomi che non piovesse, mentre giocherellavo con i miei capelli castani, arricciandone una ciocca ribelle con le dita.

Mi parlava sempre, e a furia di farlo aveva acquisito una dote sovrannaturale per parlare senza che i professori la notassero, muovendo appena le labbra lucide di rossetto.


Questa era la mia vita.

Questa era la mia vita prima di quel mattino qualsiasi, così gelido e cupo da far rizzare i capelli.

Quando uscii da scuola cadeva una fittissima pioggerella, l'inizio di una terribile bufera, e nonostante l'insistenza di Cri, mi ritrovai a passeggiare lentamente, strascicando i piedi, per la via principale della città, sommersa dai clacson e dallo smog circostante.

Ben presto mi accorsi di essere completamente fradicia, un ammasso vestiti grondante d'acqua, e cominciai a realizzare che forse Cri, per una volta, aveva ragione.

Perciò, quando mi trovai di fronte ad una fermata del pullman cercai di sviluppare la lontana sezione del mio cervello che rispondeva sotto il nome di “buon senso”, accasciandomi su di una panchina tutta scritta.

Passò qualche minuto, infine un pullman arrivò, e lo presi, senza neppure avere l'accortezza di sapere che numero fosse o dove portasse.

Salii, e questi, con un rombo del motore, ripartì.

Trovai un posticino sommerso dalla folla di studenti che tornavano a casa dopo una giornata di scuola, forse simile alla mia, e mi sedetti su di un sedile sporco e cigolante.

Meglio che niente.

Passai un po' di tempo a scrivere frasi insulse sul finestrino appannato e sporco, gelandomi le dita, poi mi guardai attorno, fissando uno ad uno i volti di tutti quei ragazzi così stranamente allegri, di quelle ragazze così tanto chiassose.

Fu allora che lo vidi, proprio dei fronte a me.

Era una ragazzo, apparentemente poco più vecchio di me, che stava tranquillamente appoggiato ad una porta del pullman, proprio di fianco al cartello dove si avvertiva il passeggero di allontanarsi dalle porte mobili, con tanto di omino disegnato sopra, tutto pasticciato.

Appena lo vidi mi accorsi che mi fissava, posando sfacciatamente i suoi occhi sui miei, assorto in pensieri sconosciuti.

In principio non potei scorgere altro che quelli, così luminosi, limpidi, superbi, di un azzurro intenso, quasi violaceo...

Poi notai anche tutto il resto del volto, la carnagione caramellata, i capelli bruni con qualche ombra più chiara, forse il riflesso di un sole lontano, inesistente, coperto dalla fitta coltre di nubi livide che oscuravano il cielo.

E poi quell'abbigliamento così diverso, elegante, austero.

Indossava un lungo mantello slacciato e leggermente bagnato sulle spalle dalla pioggia battente, con un colletto alto che gli copriva mento e labbro inferiore, conferendogli un'aria più misteriosa; sotto spuntavano due lunghe gambe coperte fino al ginocchio da stivali laccati in nero, con un paio di pantaloni più chiari e vellutati, ed infine una camicia bianca pesante semicoperta dal mantello.

Sembrava capitato lì per caso, come se appartenesse ad un altro mondo molto più bello e inimmaginabile, finito in questo per puro caso, forse per punizione, forse per ingiustizia... certamente per ingiustizia... come faceva un essere vivente di questo genere ad aver commesso qualcosa di così terribile per finire in un posto come questo?

Se avessi potuto gli avrei detto all'istante di ritornare da dov'era venuto, di fuggire da questo pianeta orribile, subito, prima che fosse stato troppo tardi...

Ma non riuscivo a muovermi dal mio posto, assorta nel suo sguardo così forte, al quale era impossibile sfuggire.

Lo vidi sorridere, lo vidi lanciare un'occhiata furtiva al resto del mio corpo, con una punta di malizia, come per assicurarsi che avessi tutti i vestiti in ordine.

Ovviamente arrossii.

Era un comportamento terribilmente infantile, che certamente smascherava il mio carattere vero, nascosto da anni sotto l'immobilità del mio volto, sotto la rigidezza delle mie mosse, ma in un certo senso mi fece piacere.

Lui sorrise ancora, ridendo coi suoi occhi gelidi, con il suo sguardo penetrante.

Era l'unico in tutti questi anni che avesse avuto il coraggio di guardarmi così a lungo, così intensamente... così, ecco.

Tutti i ragazzi della mia scuola mi evitavano, come se fossi terribilmente pericolosa, forse, o chissà perché, boh.

Ma lui no.

Ed era anche la prima volta che reagivo così ad un'occhiata di un ragazzo...

e pensare che di cotte ne avevo avute, eccome, ma non si trattava della stessa cosa, quasi fosse un altro sentimento, imparagonabile a questo.

Una cosa era certa: ero innamorata di lui, e tanto, anche.

Questo sì che era un bel guaio, e non chiedetemi perchè, non ne ho idea, so solo che essere innamorati è terribile... dicono.

Continuai a fissarlo, imprimendomi bene nella memoria ogni sua espressione, ogni suo movimento, e, soprattutto, il suo sorriso.

Dopo poche fermate vidi, con delusione, che si preparava a scendere, accennando una specie di saluto con il capo.

Lo salutai con una smorfia che voleva assomigliare ad un sorriso, poi uscì, e lo seguii con lo sguardo finché il bus non curvò dietro una diroccata scuola elementare.

Quando di lui non vidi più neppure l'ombra mi limitai a fissare il vetro sporco e appannato, segnato ancora dalle mie stupide scritte.

Il pullman sostò ancora parecchie volte prima che mi decisi a scendere anch'io, e a telefonare a Cri, per chiederle un passaggio.

Mi fermai ad aspettarla su di una panchina bagnata dalla pioggia, ad infradiciarmi ancora, pensando... eh, sì, pensando...^^

************************************************************


Allora?

che mi dite di bello, o miei lettori??

Beh, scusate la cortezza ma non avevo assolutamente tempo e ho dovuto fare tutto di fretta e furia... Comunque vi avviso che questa non sarà una lovestory molto happy, per intenderci^^ 

Ecco, ora passiamo ai ringraziamenti. Grazie agli autori delle 10 recensioni del prologo, cioè:
Greg90_h , che mi ha lasciato ben 2 recensioni^^

berry345

PAMPAM

MarcoG

kamy

MikaName

luisina

IceWarrior

Regina Oscura

Epoi ringrazio di cuore anche amimy , che ha messo questa ff fra le sue preferite!!!

 

Ok, allora ci rivedremo al prossimo capitolo.

Ciauuuuuuuuuu!!!!!!!!!^^

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***



CHAPTER 2


Era questo, allora, che voleva dire essere innamorati?


Sognavo... sognavo per tutto il giorno, dormicchiando durante le lezioni, ciondolando al pomeriggio, chiusa in casa a fare niente, con musica classica a tutto volume.

Ero un'altra, che si addormentava ascoltando per la decima volta la Barcarola e Wagner, senza aver ancora incominciato i compiti per il giorno dopo.

Neppure io mi riconoscevo più, e non avevo intenzione di farlo, no, assolutamente no...

Avrei spezzato quell'incantesimo che mi faceva vivere così bene, in modo così rilassato come mai prima, che mi faceva dimenticare gli stress e gli orrori della vita comune, della scuola e della gente che mi circondava, facendomi perdere in questo mondo nuovo, pieno di particolari mai scorti, come visto da altri occhi, non miei ma assai più positivi, più vitali.

Mi sentivo un'altra, una ragazza nel fiore dell'età pronta a vivere dedicando la propria vita a tutto e per tutto, disposta a rischiare, a perdere, a vincere, a scherzare, a vivere.

Avevo finito un disco di Puccini ascoltato per tre volte di fila, a volume altissimo per coprire gli strilli e i richiami di mia madre, del telefono, di Cri, della vita normale, ed ero esausta, avendo cantato a squarciagola e ballato fino a quel momento.

Ero esausta ed immensamente felice quando sentii bussare alla porta, forse per la milionesima volta, e decisi di aprire.

Appoggiai la mano sulla maniglia fredda e spinsi verso il basso, facendo cigolare i meccanismi della serratura nella vecchia porta.

Aprii, ed apparve mia madre, rossa in viso e terribilmente infuriata.

Scrutai con preoccupazione i capelli grigi scompigliati che le conferivano un'aria temibile e le sopracciglia aggrottate che coprivano gli occhi iniettati di sangue.

Un brivido mi percorse la schiena e temetti che proprio lei, mia madre, volesse distruggere la pace che mi ero creata dopo tanto tempo.

-Vera...-disse mia madre con voce roca,-C'è una tua amichetta in sala che aspetta da mezz'ora. Vai almeno a salutarla, sei già stata troppo maleducata e sai che non tollero il fatto di avere una figlia maleducata.-.

Annuii con la testa china, quasi sorridendo: quella era una frase storica, che ripeteva praticamente in continuazione.

Sorpassai mia madre, facendo scricchiolare le travi del pavimento, e corsi in sala, sperando che non aggiungesse altro.

Pochi corridoi più in là c'era Cri, seduta sul divano che dondolava le gambe e chiacchierava con mio fratello maggiore Jonathan, il quale fingeva di ascoltarla con interesse, mentre aspettava che arrivassi io a liberarlo dalle grinfie della mia amichetta.

Faceva l'oca, ovviamente, e mio fratello odiava le oche, specialmente se erano mie amiche.

Volevo togliergli un peso, anche perchè pochi giorni dopo sarebbe partito per andare in America a studiare in un College e l'avremmo rivisto solo dopo tre mesi.

-Ciao Cri!-salutai, entrando bruscamente nella sala.

Jonathan sospirò e non aspettò un attimo per uscire da dov'ero entrata, non prima d'aver salutato l'ospite ed avermi ringraziato con un accenno di un sorriso.

Bene, ora dovevo sorbirmela tutta io.

-Ciao, Vera. Si può sapere cosa stavi combinando? Sono tre ora che aspetto!-esclamò appena il mio fratellone fu fuori.

Ridacchiai, ovviamente non le avrei mai detto la verità, mi avrebbe creduta matta.

-Non è vero, aspetti solo da una stupida mezz'oretta che avresti perso altrettanto volentieri.-dissi, sedendomi al suo fianco.

-Hai ragione, ma non farlo mai più, ok?-

Annuii.

L'avrei fatto milioni e milioni di altre volte, ovviamente.

Cri si stiracchiò sul divano e si avvicinò di qualche millimetro a me, sussurrandomi all'orecchio:-E ora dimmi cosa diavolo ti è successo ieri.-

La domanda, anzi, l'obbligo mi colse all'improvviso, facendomi arrossire tutta d'un botto.

Era un errore, un terribile, impeccabile errore.

Ora sarebbe bastato questo per far intuire almeno la metà di ciò che era accaduto alla temibile, espertissima Cri.

Ora avrebbe intuito che c'entrava un ragazzo, che centrava il mio cuore e dei sentimenti proibiti.

Tacqui.

L'orologio a dondolo segnò le quarantadue e mezzo con il suo lento dondolare snervante (sì, era scassato^^).

-Beh...-farfugliai sotto lo sguardo attento dell'amica, -Beh, ecco, io... no, niente, solo che... vedi, è così complicato, poi tu non capiresti e... lo sai come vanno a finire queste cose, no? Lo sai, sì, lo sai. E allora risparmiami il tutto... lo sai...che poi non era nulla, intendiamoci, e poi...-

Deglutii, e Cri annuì, iniziando a sorridere, divertita.

Brutto, bruttissimo segno, ahimè.

-E poi cosa?-

-Beh, e poi niente, lo sai come sono fatta, mi conosci, no? È che il bello è che non è successo niente... almeno, esteriormente, sai... ecco.-

La mia voce si affievolì tanto che dalle labbra, che pur si muovevano febbrilmente, non usciva più alcun suono udibile all'orecchio umano.

Cri ridacchiò e scosse la testa inondandomi del suo orribile profumo all'acqua di rose.

Aveva capito.

-Ih ih ih... La mia Vera è innamorata, è INNAMORAAATAAA!!!!-

Sprofondai nel divano.

Le mie orecchie erano bollenti, gli zigomi peggio, e i palmi delle mani si inumidivano di sudore, sudore freddo.

Cri notò la mia reazione, con disapprovazione.

Mi si avvicinò e passò un bracciò sulle mie spalle, nel tentativo di rassicurarmi.

-No no no, Vera, non ci siamo, non ne devi soffrire così!-, disse.

Tacqui ancora, la gola chiusa e un brivido lungo la spina dorsale.

-...Anzi, non dovresti soffrirne affatto!!!-

Sì, non dovrei soffrirne...

Che bello ora lo saprà tutta la scuola...

E io dovrei esserne contenta?!?

Scossi la testa, mordendomi un labbro.

-Fidati, Vera... se non sei felice dell'amore non potrai mai essere felice di nulla, è un dato di fatto.-

Oh, beh, allora...

E poi io ero felice!

Peccato che ora non lo sia più, grazie a lei.

Ecco, molto probabilmente non avrei più raggiunto quello stadio di allegria di poco prima!

Molto probabilmente.

La mia amichetta cominciava ad annoiarsi di tutto quel silenzio, cercando di richiamarmi all'attenzione parlandomi.

-Ehi, Cri, ci sei? A che stai pensando?- esclamò nei miei timpani.

Mi sedetti più compostamente sul divano, cercai di sorridere, e feci spallucce.

Cri mi lanciò un'occhiata di rimprovero, poi sorrise anche lei.

-Bene bene bene... sei già nella fase della testa fra le nuvole, eh?-disse, maliziosa.

Sbuffai, non c'era niente di divertente e quel suo modo furbetto di parlare mi dava sui nervi.

-Sì, ma, ti scongiuro, non dirlo a nessuno.-borbottai, cercando di non far riuscire la richiesta come una lagna.

La mia amichetta annuì dopo pochi secondi di esitazione, e poi fui costretta a raccontarle per filo e per segno cosa mi era accaduto in tram, mentre lei mi ascoltava con la bocca spalancata, forse poiché per una volta ero io a narrare e lei ad ascoltare.


Quella sera passai le mie ore immersa nello studio di strane forme di malattie del cuore, delle poesie di un certo D'Annunzio e in espressioni algebriche umanamente impossibili.

Un divertimento unico, insomma.

Poi, come se non bastasse, mia madre mi chiese di andare a fare la spesa per lei, perché era troppo impegnata nel lavoro, perché far la spesa era troppo faticoso per una donna così anziana ed impegnata, perché così avrei imparato più in fretta a prendermi cura delle faccende domestiche, eccetera eccetera...

Eran tutte balle: la verità è che non c'aveva assolutamente voglia di farla lei, ma acconsentii ugualmente, infilandomi di malavoglia il mio bel cappotto polveroso e gli stivali incrostati di un antichissimo fango.

Uscii nel traffico delle diciotto e venti di quel mercoledì sera e mi precipitai in via Padiglioni, dove un supermercato minuscolo richiamava il mio bisogno di spesa e quello di sì e no altre sei vecchiette di tutta la città.

Buttai nel carrello qualche porcheria, senza seguire la lista che mi aveva accuratamente preparato mia madre e andai alla cassa dove una signorina mingherlina tinta e abbronzata mi fece pagare tre euro più del dovuto, ma di questo me ne accorsi delle ore più tardi, in casa mia, tirando fuori dal portafoglio lo scontrino rivelatore.

Fu nel tragitto di ritorno che accadde qualcosa per la quale ora m'impegno tanto a narrarvi di quel mercoledì sera...

Mancavano solo due semafori alla mia vietta, solo due attraversate a sarei tornata china sui miei stupidi libri, ma, trascinando le borse della spesa durante la prima attraversata, andai a sbattere contro un ragazzo che andava in senso opposto al mio, mollando le borse che mi tagliavano le dita e rovesciandone il contenuto in mezzo alla strada.

Non lo riconobbi subito, intenta a raccogliere il tutto, ma quando trovai una borsa già riempita e il mio attentatore chino come me a raccogliere bevande e cibo in tutta fretta capii di chi si trattava.

Il mio cuore partì sgommando in quinta, lasciandomi senza fiato, e le mie guance iniziarono a cuocere violentemente, costringendomi a chinare il viso.

Quando ogni cosa fu rimessa nei sacchetti ci spostammo dall'altro lato della strada, sul marciapiede, col fiato corto e le borse alle mani.

Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, timida e codarda come mio solito, ma ebbi la netta sensazione che mi fissasse, o che almeno mi avesse riconosciuta.

-Ehi, tutto bene, vero?- chiese.

La sua voce era profonda, dolce, calda...

Possibile che non avessi mai sentito una voce più vellutata, pacata di questa?

Sì, molto possibile.

Annuii, sempre con il viso chino.

-Oh, bene, allora... mi dispiace tanto, davvero, non l'ho fatto apposta.-proseguì lui.

Sorrisi, sperando che non mi potesse scorgere.

-E se vuoi posso accompagnarti a casa, vedo che queste borse sono terribilmente pesanti...-

Le mie orecchie, non coperte dai capelli, mi tradirono, bruciando così, allo scoperto, come se non avessi mai detto loro che non dovevano farlo, che era tremendamente vergognoso e che mi metteva in imbarazzo.

Sentii il respiro del ragazzo frantumarsi in una risatina.

Alzai lo sguardo, sorrisi ed annuii ancora una volta.

Non l'avessi mai fatto!

Rimasi pietrificata ad osservare quel volto perfetto che già iniziavo a scordare, quel luccichio negli occhi, quel sorriso così sincero...

Per poco non svenni, e temo se ne accorse, poiché l'allegria dei suoi occhi per un attimo scomparve, cedendo il passo ad una serietà più maliziosa, consapevole, matura... diciamo che cedette il passo a qualcos'altro e bom.

Poi m'indicò la strada con il capo, incitandomi ad andare, a seguirlo.

Non mi chiesi come faceva a sapere la strada per casa mia, né come mai la strada risultò più corta del dovuto, come se avessimo preso una scorciatoia... non mi chiesi nulla e forse feci male.

Quando mi trovai di fronte il portone di casa mia mi immobilizzai, inondata da un alone di tristezza, quasi sul punto di mettermi a piangere, ma sorrisi ugualmente al ragazzo, prendendogli di mano le borse.

-Siamo arrivati...- spiegai inutilmente, come per scusarmi se gli toglievo quel terribile peso dalle mani.

Lui annuì e guardò il palazzo, con sguardo perso, pensoso.

Citofonai e il portone si aprì, essendo scattata la serratura sotto la forza del dito di mia madre che pigiava un bottone tre piani più in alto.

-Sì, questa è casa tua.-borbottò lui, risvegliato dal rumore del portone.

Aprii del tutto ed entrai, tenendo con la schiena il peso del portone.

Poi appoggiai sul pavimento le borse, ed attesi che mi parlasse, che mi dicesse una qualunque cosa.

Lui mi scrutava, sorridendo, ma senza rompere quel silenzio per me così imbarazzante, per lui così scontato.

-Ci... ci rivedremo?- chiesi con voce tremante.

La comparsa della mia voce lo sorprese, illuminando il suo volto di felicità.

-Oh, sì, certo.- rispose,-È ovvio che ci rivedremo, da qualche parte. E se non dovesse accadere per coincidenza mi presenterò qui, se ti fa piacere.-

Arrossi, annuendo debolmente.

Lui mi scrutava, divertito.

Lui... non avevo neppure idea di come si chiamasse!

-Beh, forse non te l'ho detto, ma io sono Vera Monfort... e ho... diciotto anni.- farfugliai, mentendo.

Probabilmente se ne accorse, poiché mi fissò in modo strano, come se sapesse che ne avevo solo sedici di anni, che fra un mese i diciassette sarebbero stati miei, ma che mancava ancora un bel po' prima dei diciotto.

Conseguenza ovvia: arrossii.

-Oh, fantastico.- disse, senza smettere di sorridere, -Beh, forse sarai curiosa di sapere chi sia io, no?-

Non risposi, in attesa che me lo svelasse.

-Beh, io sono Thomas... meglio Tom, per gli amici...-

Attesi il seguito, ma non parlò: tacque e ampliò il sorriso.

Ci rimasi male, speravo almeno di sapere quanti anni avesse... di che famiglia fosse... ma se non me l'aveva rivelato non era il caso di insistere, probabilmente aveva problemi in famiglia o altro che ancora no mi riguardava... non era il caso di infastidirlo.

-Bene, allora... ciao, Tom.- dissi, imbarazzata.

Thomas ridacchiò ed annuì, salutandomi con un gesto del capo.

Rimanemmo ancora qualche secondo a scrutarci, poi lui si voltò e si avviò verso mete ignote, fischiettando allegramente.

Non mi mossi per qualche minuto, poi, con aria sognante salii le scale fino al nostro appartamento, dimenticandomi dell'ascensore.

Così, l'avevo rivisto...

Così, l'avrei rivisto...

E tornavo ad essere la Vera innamorata del mattino, tornavo a sognare e a sperare immersa nella felicità.


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Beh, ditemi voi^^

però vi avviso che in mancanza di tempo non ho riletto il cap, perciò non badate a errori di battitura e simili...

per quanto riguarda i ringraziamenti...

Ommioddio: diciassette recensioni di un colpo solo!!!!!!!

Sono molto fiera e ringrazio tutti coloro che mi hanno scritto e letto.

Ringrazio anche chi mi ha messo fra i preferiti, ovviamente^^.

Aggiungo, per chi non lo sapesse, che tutti sono stati ringraziati individualmente con altre recensioni, e stessa sorte toccherà a chi commenterà questa ff.

Passo e chiudo dandovi appuntamento al prossimo capitolo.


CIAUUUUUUUUUUUUUUU!!!!!!!!!!!!!!!!!!^^




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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo ***



CHAPTER 3



Aprii gli occhi, sforzandomi di non richiuderli all'istante.

Era tutto buio, forse era ancora notte, eppure sentivo il bisogno urgente di svegliarmi.

Le mie palpebre pesavano terribilmente e gli occhi assonnati pizzicavano, infastiditi.

Mi tirai a sedere sul materasso sgualcito e cercai con lo sguardo un filo di luce.

Tutta fatica sprecata.

Mi alzai e feci alcuni passi, tastando la parete al mio fianco, scavalcando mucchi di vestiti e oggetti indefiniti.

Quando trovai la maniglia della porta capii cosa mi aveva spinto a svegliarmi: era un dolore al basso ventre, simbolo che la mia vescica era piena, anzi stracolma, e che se non mi precipitavo immediatamente al bagno sarebbe successo un bel disastro.

Il bagno non era lontano, dovevo fare sì e no una decina di passi, ma quando ne aprii la porta sentii dei rumori soffocati, seguiti da una folata di vento gelido che provenivano dal fondo della stanza.

Strizzai inutilmente gli occhi nell'oscurità, cercando invano di scorgere qualcosa.

Sentivo la presenza di qualcuno, e intuivo che la finestra era spalancata.

Cercai sulla parete l'interruttore ma non lo trovai, doveva essere all'interno.

Feci pochi passi in avanti e mi sporsi per tastare la parete vicina alla porta, e quando lo trovai mi sfuggì un sospiro di sollievo.

Premetti, e la luce acida della lampada del bagno illuminò la stanza, accecandomi violentemente per qualche secondo.

Appena mi ripresi puntai gli occhi doloranti sul fondo della stanza, convinta di trovarci qualcuno, invece scorsi solo un gran disordine: tutti gli asciugamani erano schiacciati in un punto vicino al lavandino, e tutti i profumi di mamma sparsi sul pavimento fra pezzi di vetro forse appartenenti ai loro contenitori.

Cosa diavolo era successo?

Mi tappai la bocca per non gridare.

Sentii il mio cuore rimbalzarmi nel petto ad una velocità impossibile e corsi verso camera mia tremando a più non posso.

Quando rientrai in camera, seppure al buio, mi sentii enormemente più calma, respirai a fondo più volte e cercai di trovare il letto.

Dopotutto non era successo niente di terribile, solo qualche stupido profumo era crollato dalle mensole... ma non era niente di così spaventoso!

Allungai la mano tremante nel buio, mordendomi le labbra dal panico, ma anziché sentire la consistenza soffice delle mie coperte sfiorai qualcosa di caldo e duro.

Ritrassi immediatamente la mano, terrorizzata.

Non mi ero sbagliata: indubbiamente c'era qualcuno.

Mi schiacciai contro la parete, unico supporto in quel momento, e cercai di non tremare troppo.

Al mio fianco un respiro cauto, leggero, ansioso aveva la forte capacità di terrorizzarmi al punto di farmi perdere le normali capacità intellettive.

Respirai ancora a fondo, coprendo per un istante ogni altro rumore, ma non ebbi ugualmente il coraggio di muovermi.

Saremmo rimasti così, immobili, per l'eternità?

Si sarebbe mosso qualcuno, prima o poi?

O che forse quest'incarico spettasse esclusivamente a me?

Forse, ma la paura del momento mi schiacciava la gola, ogni arto e il movimento del cervello.

Scossi la testa, sbadigliai, mi schiarii la voce, tutto con grandissima calma e lentezza, ma non ottenni alcun risultato.

Poi mi decisi: strinsi i pugni e traballando feci qualche passo nell'oscurità.

Non l'avessi mai fatto...

Andai contro quel corpo che mi era sembrato di sfiorare prima, e dalle sue misure deducevo che era più alto di me e piuttosto muscoloso.

Deglutii rumorosamente, sentendo quel respiro leggero di prima direttamente nelle orecchie, forte, caldo, terribile.

Poi si mosse, si allontanò di qualche centimetro lasciandomi sola nel vuoto, senza un appoggio...

Udii una risatina nervosa, poi qualche passo, ed allungai le mani come per ritrovarlo e fermarlo, ovunque stesse andando.

Trovai quello che doveva essere un suo braccio e lo strattonai con forza, sperando di ottenere qualche effetto.

Ancora quella risatina stressante...

Ancora silenzio.

Ero pazza?

Lo era Lui?

Allora perché nulla si muoveva?

Perché, se c'era davvero, non reagiva in alcun modo?

-Ma... cosa sei?-chiesi, la voce tremante dispersa da qualche parte nel buio.

Ancora quella risatina.

Mi sentivo le gambe molli, le palpebre pesanti... possibile che non accadesse nulla?

Stavo sognando?

Mi pizzicai con forza una spalla e gemetti dal dolore.

No, era la verità, sebbene apparisse così surreale...

Non passò molto che sentii dei passi provenienti dal fondo del corridoio, forse dalla camera dei miei.

Sì, indubbiamente erano i miei genitori: potevo distinguere il passo felpato di mio padre e quello pesante di mia madre.

Sospirai, incapace di muovermi.

Poi una folata di vento, qualcuno aveva spalancato la mia finestra... forse lo stesso corpo caldo di prima...

-Vera?-

-Vera? Perché sei sveglia?-

Sussultai: i miei c'erano veramente.

-non riuscivo a dormire...- balbettai, sul punto di cadere a terra, stremata.

La luce si accese, e svelò il disordine selvaggio in cui si era trasformata la mia stanza.

Cominciavo ad avere freddo.

Chiusi gli occhi, ma rimasi in piedi.

-Oh, santo celo! Vera, perché hai aperto quella finestra? Cos'è successo?-

La testa mi si afflosciò sul petto, inerme.

-Ommioddio!!! Vera, cosa ti prende? Vera, rispondi!!!!!-

Cominciavo a perdere l'equilibrio e provavo un'ondata di nausea sopra lo stomaco.

Sentii le braccia di mio padre sollevarmi e adagiarmi sul letto, poi, incurante delle urla di mia madre, mi addormentai.


Mi svegliai di pessimo umore, la luce accecante del giorno rattrappita nelle mie palpebre, la testa bollente e la sveglia che strillava come un'ossessa.

Con una manata la buttai a terra, ma continuò con il suo lamento ossessivo, intimandomi ad alzarmi.

La testa mi faceva un male cane, ma prima spegnevo quell'inferno e prima sarei stata meglio.

Mi tirai su a sedere, e mi chinai per raccogliere la sveglia.

La presi e la gettai a casaccio lontano dal mi letto, rompendola definitivamente.

Finalmente silenzio...

Sospirai, cercando di trovare un po' di pace, ma appena mossi nuovamente la testa ebbi un conato di vomito, e con un sussulto mi precipitai in bagno.

Entrai, trovando tutto pulito e ordinato come sempre, le boccette dei puzzosi profumi di mamma impilati con cura sulle mensole, senza il minimo graffio.

Mi chinai sul water e con singhiozzi e sussulto vomitai la cena, un lontano ricordo di pasta e fagioli cotti male.

Rimasi ancora un po' china sul cesso per riprendere a respirare, lasciando che una scia di saliva scivolasse con lentezza dalla mia bocca al mio mento ai capelli sporchi e impiastricciati di schifo fino al tubo merdoso del water.

Sospirai.

Presi un pezzo di carta igienica e me la spalmai sulla bocca, poi mi sollevai e aprii l'acqua del rubinetto, soffermandomi a fissare quella strana persona riflessa sullo specchio.

Sembrava un mostro: il volto rosso e delle vene scure sporgenti sulla fronte, le occhiaie livide e profonde che segnavano i tratti di una ragazzina, i capelli lucidi di bava, sputo e vomito, così come la bocca, il mento e il collo.

Mi lavai meglio che potei, tremando dallo stress, sbattendo le palpebre con furia per non riaddormentarmi e tenendomi la fronte pulsante.

Chiusi l'acqua del rubinetto e feci pochi passi strascicati verso la porta.

Non mi mossi molto che mi accorsi con orrore che i pantaloni del mio pigiama erano incollati alle mie cosce, bagnati fradici.

Dovevo essermela fatta addosso durante la notte.

Feci per sfilarmi i pantaloni, ma poi mi fermai, illuminata da un'idea migliore...

Mi diressi verso la doccia ed allungai una mano per aprire l'acqua, sperando solo di trovarla già calda o almeno di non dover aspettare troppo sotto quella gelata.

Fu allora che feci la mia prima doccia vestita.


Un quarto d'ora dopo ero con l'accappatoio in cucina per vedere se c'era qualcuno o se mi avevano abbandonato così dopo una nottata terribile...

Ma sarebbe stato meglio stare da sola, senza troppe domande che al solo pensiero mi facevano girare la testa o urla di una mamma che gridava troppo.

Entrai in cucina e trovai tutto apparecchiato per la colazione, e sul piatto un bigliettino con l'elegante calligrafia di mio padre.

Spesso me ne lasciava, e normalmente si trattava semplicemente di una lista di cose da fare durante la sua assenza, come in quel caso.

Lessi rapidamente ciò che scriveva e capii che probabilmente sarei rimasta sola per tutto il giorno.

Voltai il foglietto per controllare che non ci fosse altro e poi lo riposi sul piatto, cominciando a sparecchiare.

Ovviamente non avrei mangiato nulla con la nausea che avevo ...e non mi andava neppure di andare a scuola, avrei supplicato i miei di farmi una giustificazione, dopotutto stavo male... a cosa serviva essere malati, altrimenti?

Buttai tutto nella lavastoviglie seppure ne fosse appena uscito, e andai in sala a sdraiarmi sul divano, che mi aspettava con i suoi mille e più morbidissimi cuscini.


Dormii poco e male, tremando di freddo perché qualcuno aveva lasciato aperta la finestra del bagno, e quando mi risvegliai mi convinsi ad andare a vestirmi in camera mia e poi, forse, uscire a fare un giro.

Mi spogliai e infilai dei vestiti a caso, creando combinazioni di colori piuttosto innovative, poi mi diressi verso il bagno per chiudere la finestra, e fu allora che sentii uno strano rumore.

Sembravano passi accompagnati da un respiro pesante, o forse erano più di uno...

In un attimo rividi le scene della notte prima e, terrorizzata, mi chiusi a chiave in camera mia.

I rumori continuarono, sempre più vicini, poi sentii dei passi più nitidi dirigersi verso la mia porta.

Il mio cuore cominciò a martellarmi in gola, e per un attimo temetti di svenire, ma quando qualcuno bussò alla mia porta mi ripresi.

Chi poteva essere?

Qualcuno entrato forse per sbaglio?

Qualche malcapitato, malintenzionato e mal-qualcos'altro, forse!

Certamente non era la stessa persona della notte, che aveva cercato di nascondersi nel buio e che aveva distrutto tutti quei profumi...

Bussarono ancora.

Deglutii e condussi la mia mano tremante sulla chiave fredda e arrugginita, girai, aprii, aspettandomi il peggio.

Mi si presentò il sorriso color rossetto-ciclamino messo troppo frettolosamente che tanto detestavo, quello che vedevo ogni giorno e che anche oggi si era deciso a mostrarsi sotto i miei occhi:

Quello di Cri.

Sospirai intensamente, sollevata, e cercai di assumere un'espressione il più possibile normale, sperando di riuscirci. Cri era potuta entrare poiché pochi giorni fa le avevo lasciato le chiavi di casa, così da poterla far entrare senza farla aspettare al citofono, al quale per tradizione non rispondevo mai.

La mia amica mi guardò con circospezione, soffermandosi sui capelli scuri grondanti d'acqua che ancora non si erano asciugati dopo la doccia, ma poi non esitò a salutarmi e a tuffarsi nell'infinito oceano di chiacchiere che tanto amava.

Mi chiese come mai non ero a scuola, che lei era venuta a trovarmi per vedere che non stessi troppo male, che c'erano forse 11 assenti quel giorno, e che lei aveva finto di star male per bigiare.

Si collegò così al nome di un ragazzo mai sentito pronunciare prima, di cui si era perdutamente innamorata, che fuori dalla scuola le aveva chiesto di venire ad una sua festa con una sua amica.

L'ascoltai con un orecchio e cercai un asciugamano per asciugarmi i capelli, che cominciavano a darmi fastidio.

-Allora ci vieni o no?-

Interruppi la mia disperata ricerca e fissai con sguardo perso Cri.

-Dove, scusa?-

-Alla festa, no? Ma mi ascolti quando ti parlo? Domani sera che hai da fare? Niente come al solito, presuppongo. E allora ci vieni... -

Annuii, senza capirne granché, e finalmente trovai un resto di asciugamano schiacciato ed impolverato sotto il mio letto.

Lo sbattei un po' e me lo arrotolai sui capelli, fingendo di annuire ad ogni sapiente parola di Cri.


Fortunatamente non si fermò a lungo a casa mia, doveva uscire con quel ragazzo ignoto, così decisi di mangiare la colazione (erano le 11.45, ma la fame non si fa aspettare) e di uscire a prendermi un gelato, che ci stava bene.

Decisi di prendere la metropolitana e di arrivare in centro, che forse erano secoli che non visitavo, poi sarei andata alla gelateria più buona e costosa della città: la gelateria Grom.

L'idea era figa, il problema restava solo in come metterla in atto.

Infilai delle scarpe da ginnastica, il cappotto e prima d'uscire mi soffermai a studiare il mio riflesso sullo specchio dell'ingresso.

Poi mi decisi ed uscii nel caos della città.

Presi la metropolitana di malavoglia, viaggiai vicino a due donne anziane che puzzavano e non facevano altro che lamentarsi dei loro atroci dolori, in più per poco non sbagliai fermata, uscendo dal mezzo un secondo prima che ripartisse.

Percorsi la via principale del centro città, ammirando le vetrine più lussuose del paese, negozi dove probabilmente non avrei mai il coraggio di entrare, anche se avessi un bordello di soldi.

Camminai con ampi passi frettolosi, cercando di non perdere più tempo di quanto ne avessi già perso, frugando nella tasca del cappotto per trovare qualche soldo per il gelato.

Svoltai per un paio di vicoletti e raggiunsi la gelateria, come al solito stipata di gente.

Feci una coda di quasi mezzora sopportando le urla di un bambino che si ostinava a prendere un gelato con la panna, facendo innervosire i genitori, poi quando finalmente potei ordinare i gusti che avevo scelto erano finiti, perciò mi toccò aspettare un altro quarto d'ora per prendermi questo maledetto gelato.

Uscii sbuffando e cercando di mangiare il gelato prima di farlo cadere sul cappotto, feci qualche passo a casaccio, senza una meta precisa, e in pochi minuti mi trovai nelle vicinanze del Duomo, con il cono e qualche resto di gelato.

Mi sedetti sulla scalinata che portava alla sua entrata, osservando dei piccioni malmessi litigare per una briciola di pane.

Loro almeno avevano una vita felice, semplice, fatta solo di presente, pochi attimi del passato e qualche sgambettata qui e là, data la loro scarsa capacità di memoria.

-Vera?-

Voltai lo sguardo verso l'alto e incontrai i due occhi più belli dell'universo.

-Toom!!!!!!!-strillai, sia per lo spavento sia per la felicità.

Thomas mi sorrideva qualche gradino più in là, decifrando la mia espressione spensierata.

Si avvicinò e si sedette al mio fianco con tutta la naturalezza possibile.

Non era lo stesso per me: sebbene la vicinanza non fosse molta ciò bastò per farmi arrossire violentemente costringendomi così a chinare il capo sotto il suo sguardo sincero.

-Che ci facevi di bello da queste parti?-mi chiese lui, chinandosi leggermente per vedermi in faccia.

Arrossi ancora di più...

-Mangiavi un gelato, presuppongo- proseguì lui, non ricevendo risposta.

Annuii silenziosamente, aspettando con impazienza che il volto finisse di divampare.

-Bene... lo vedi, o no, che ci saremmo incontrati, prima o poi?-, mi domandò sussurrando le parole nel mio orecchio sinistro.

Sentii il suo alito caldo soffiarmi nel padiglione auricolare, facendomi un po' di solletico, e istintivamente mi venne da ridere.

-Perché ridi?-

Scossi la testa, pentendomi all'istante di averlo fatto.

Poi sentii il suo tocco leggero sul mento costringermi ad alzare il viso rosso d'imbarazzo a pochi millimetri dal suo.

Deglutii, ammirando i suoi contorni levigati, precisi e perfetti.

Mi allontanai leggermente, abbagliata dalla sua bellezza.

Possibile che un ragazzo così mi stesse parlando?

Seduto al mio fianco sulla scalinata del Duomo, con quello sguardo e quel sorriso così fantastico?

No, impossibile.

O forse sì?

Boh?

Una cosa era certa, se non volevo perderlo così come lo avevo trovato dovevo fare in modo di rincontrarlo o risentirlo.

Passammo qualche minuto in silenzio, lui sereno e pacifico a contemplare le nubi che si raddensavano in cielo, io concentrata in cerca di una scusa per invitarlo da qualche parte.

Improvvisamente ebbi un'idea geniale.

-Ehi,- esclamai, forse un po' troppo forte. Tom si voltò immediatamente, inarcando le sopracciglia in attesa che dicesse qualcosa.

-Ehi,- ripetei, -Domani sera che fai?-

Thomas aggrottò le sopracciglia, diffidente, e alzò le spalle, curioso di scoprire perché gli facevo una domanda simile.

-Beh, ecco io... Una mia amica mi ha obbligata ad andare ad una festa di un suo ragazzo, e mi chiedevo se...-

-Se ci potevo venire anche io perché sono più grande e faresti bella figura?-m'interruppe lui, improvvisamente nervoso.

-No!- lo corressi, -volevo solo che tu mi accompagnassi perché... ecco, io no conoscerei nessuno, e la mia amica starebbe sola soletta col suo ragazzo... e perché volevo rivederti...-

Tacqui, sperando di averlo convinto e nel frattempo di non avergli detto troppo.

Lui finse di pensarci su un po', poi sbuffò, e mi guardò a lungo negli occhi.

-Non lo so... non è che mi vada di andare in una festa di sedicenni...-borbottò infine.

-No, no, macché sedicenni, non ti avevo detto di averne diciotto di anni?-lo interruppi.

Tom mi lanciò un occhiata di rimprovero, -Perché, secondo te non mi sono accorto che mentivi?-.

Arrossii nuovamente, mordendomi un labbro per la vergogna.

Che figura, e io che credevo di avergliela fatta!

-Perché, tu quanti anni hai?-borbottai con un filo di voce.

Lui sorrise, divertito.

-Davvero t'interessa?-chiese.

Annuii.

-Beh, un po'. Forse anche troppi, e per il momento non vorrei dirtelo... potresti non trovarmi più attraente.-disse, sorridendomi maliziosamente.

Inutile ripeterlo: avvampai.

-Ehm... sì, è un'ottima ragione per non farlo... ma se tu venissi alla festa con la scusa di dovermi portare casa?-balbettai perdendomi nei suoi occhi.

Tom rise, piegando la pelle in due fossette ai lati della bocca, e poi annuì, divertito.

-Sì, questa versione è più saggia... ma dove vuoi andare dopo, al posto di tornare a casa?-

La domanda mi colse di sorpresa.

Dopo?

C'era un dopo?

Aprii la bocca per dire qualcosa ma dalla mia gola non uscì alcun suono.

Thomas sorrise e non aspettò la mia risposta, alzandosi e sgranchiendosi le gambe dopo una seduta di qualche quarto d'ora su di un gradino freddo e duro della piazza del centro città.

-Allora a che ora e dove vuoi che ti venga a ritirare?- chiese, cercando di farsi serio.

Sorrisi e mi alzai anch'io, cercando di ricordare cosa mi aveva detto a proposito Cri quel mattino.

-Dunque, dovrebbe iniziare domani alle nove di sera in via Merula 11... non so se sai dov'è... vicino all'ospedale, in pratica.-spiegai.

Thomas annuì fissandomi interessato.

Controllò un orologio da polso che non aveva, poi chiarì :-Ci vediamo domani alle dieci, ti porto via da quella festa rumorosa e poi si vedrà.-

Mi strizzò un occhiolino, si voltò e se ne andò.

Sospirai inebetita e tornai a fissare i piccioni malmessi dalla vita felice che litigavano per una briciola di pane.

Almeno il primo appuntamento era assicurato.


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Scusatemi se nn ho + scritto, efp è mancato tanto anche a me, ma sono stata bannata x una settimana che si è risultata + luuunga del previsto nn ho capito bn x cosa...

cmq eccomi tornata, frettolosa e sbadata cm sempre..XD

Ecco, almeno un capitolo sn riuscita a pubblicarlo...

Allora, premetto per il proximo che sui scopriranno cose interessanti sull'amico di Cri e sui rumori della notte che sentiva Vera.

Niente è casuale, in questa ff.^^

Ringrazio in anticipo tutti coloro che mi recensiranno e\o leggeranno, e quelli che l'hanno già fatto.

Grazie mille a tutti!!!!!!


CIAUUUUUUUUUUUUUUU!!!!!!!!



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Capitolo 5
*** capitolo quarto ***



Ecco dove ci eravamo fermati la scorsa volta...:


-Allora a che ora e dove vuoi che ti venga a ritirare?- chiese, cercando di farsi serio.

Sorrisi e mi alzai anch'io, cercando di ricordare cosa mi aveva detto a proposito Cri quel mattino.

-Dunque, dovrebbe iniziare domani alle nove di sera in via Verdi 11... non so se sai dov'è... vicino all'ospedale, in pratica.-spiegai.

Thomas annuì fissandomi interessato.

Controllò un orologio da polso che non aveva, poi chiarì :-Ci vediamo domani alle dieci, ti porto via da quella festa rumorosa e poi si vedrà.-

Annuii, sorpresa dalla facilità con cui si era convinto.

Rimase un po' a scrutare il mio sguardo perso, poi con un cenno del capo mi salutò e si allontanò con passo deciso.

Ero così fuori che mi dimenticai di salutarlo, guardandolo allontanarsi velocemente e mescolarsi fra la folla di turisti e ragazzi appena uscii dalle scuole.

Sospirai inebetita e tornai a fissare i piccioni malmessi dalla vita felice che litigavano per una briciola di pane.

Almeno il primo appuntamento era assicurato.


CAPITOLO QUARTO


Notte, ore 2.30

Mi rigirai più volte nel mio letto, senza badare al cigolio insopportabile che creavo, e cercai più volte una posizione comode per riuscire a dormire, inutilmente.

Ripensavo alle parole che ci eravamo scambiati io e Thomas, al suo sguardo così dolce, intenso... Ma sopratutto cercavo di immaginarmi come sarebbe potuta andare la festa, quella strepitosa festa alla quale avrei partecipato solo per vedere lui, e, dopo, stare con lui.

Già pensavo a cosa indossare, se era il caso di farsi eleganti, con tanto di gonna e tacchi, o magari di vestirsi normalmente, cercando di non dare nell'occhio e di poter sgattaiolare via con Tom ad ogni momento.

Sì, forse conveniva la seconda, dal momento che non ero mai stata un tipo che adorava mettersi in mostra né intendevo diventarlo.

Mi rigirai sul lato destro, forse per la milionesima volta, e spalancai gli occhi nel buio, stanca morta ma incapace di dormire.

Era una sensazione frustrante.

Sentii il ronzio basso e cupo di una mosca volarmi vicino ad un orecchio, ed istintivamente rammentai la paura, anzi, il terrore della notte precedente.

Un brivido di gelo mi attraversò la spina dorsale.

Ricordai quei rumori, quel respiro affannato, quella risatina tetra, isterica, e poi il disastro trovato nel bagno: tutti i profumi di mamma distrutti, le boccettine di cristallo distrutte in moltissimi frammenti sparsi sul suolo.

Sospirai, dopotutto poteva trattarsi benissimo di un incubo, un banalissimo incubo particolarmente realistico..., no?

Poi la risentii: quella risatina, terribilmente simile alla sera precedente, che mi trapassò l'udito, fendendo l'aria, costringendomi a sentire solo lei...

Mi strinsi fra le coperte, serrai la mascella, impedendole di tremare, ed abbassai il volto sotto la coperta di lana che stringevo con furia fra le mani livide, raggelate.

Rimasi in quella posizione per qualche minuto, terrorizzata, ma a poco a poco, sotto lo strato pesante della coperta, cominciò a mancarmi l'aria, e un velo di sudore si era posato sul mio viso in fiamme.

Possibile che passavo tutto questo per quella risatina?

Possibile che veramente ci fosse qualcuno nella mia camera che, ogni notte, si divertiva a terrorizzarmi a morte?

Avevo bisogno di aria, di aria fresca, pura, eppure il minimo movimento mi terrorizzava, temendo di trovare ancora quella risatina maligna, o, peggio ancora, qualcosa d'ignoto.

Il cuore prese a pulsare velocemente, le tempie cominciarono a farmi un male cane... dovevo respirare, un minuto di più e sarei svenuta!

Lentamente, mooolto lentamente, alzai la testa da sotto la lana soffocante, ed immediatamente dell'aria fresca m'inondò la faccia grondante di sudore, riempiendomi i polmoni e permettendo al mio cuore di battere regolarmente.

Ecco, respiravo, ce l'avevo fatta...era il caso di avere così tanta paura??

In un primo momento, effettivamente, non udii nulla, ma poi... rieccola, ancora una volta, sempre terrorizzante, sempre inascoltabile e terribilmente presente, la risatina dei miei incubi.

Un fruscio.

Continuai a respirare profondamente, stringendo le palpebre per non rischiare di vedere qualcosa di orribile, ma non ritirai di nuovo il capo sotto le coperte: si sarebbe rivelato ugualmente inutile.

Se fino ad un secondo prima potevo credere si trattasse di un incubo ora avevo la certezza di sentire realmente, con le mie stesse orecchie questi rumori, sapevo che non era frutto della mia immaginazione, perché ogni sensazione era troppo reale, concreta, per esserlo.

Rabbrividii ancora, cercando una spiegazione logica per la comparsa di questi rumori...

Lo scricchiolio di qualche mobile? Il ticchettio dell'orologio? Il fischiare del vento?

Focalizzai uno per uno tutti questi rumori: li ascoltai, a non c'entravano assolutamente niente con quelli appena uditi, che invece mi facevano raggelare il sangue e mi facevano sudare freddo.

Non c'entravano nulla.

Giunta a questa conclusione, frenando la mente prima che sprofondasse nell'abisso del panico, continuai a ragionare, dicendomi che allora, fooorse, c'era davvero qualcuno che osava prendersi gioco di me... Qualcuno che magari conoscevo anche.

Raccolsi tutto il coraggio che mi era rimasto e mi alzai a sedere sul letto, allungando una mano per accendere la luce che speravo si trovasse nei paraggi.

Sentii dei fruscii, e, nonostante le braccia mi tremassero incondizionatamente, riuscii a trovare l'interruttore della luce e a premerlo.

La luce mi abbagliò per qualche istante, e quando riuscii a mettere a fuoco ciò che mi circondava, vidi l'intera stanza completamente in disordine, così com'era successo la notte precedente, i libri di scuola sparpagliati sulle mensole, le vecchie bambole distrutte, i quadri appesi alle pareti sfigurati, pasticciati con dei pennarelli.

Impossibile...

Con la coda dell'occhio scorsi un lembo di tessuto nero sgattaiolare fuori dalla porta di camera mia, ed istintivamente, nonostante la coscienza mi consigliasse di restarmene lì ed urlare, chiamare aiuto o cose del genere, uscii anch'io, sbattendo la porta alle mie spalle.

Notai, in fondo al corridoio, un'ombra che s'intrufolava in sala, ed accelerai il passo, ansiosa.

In sala, ad un occhio distratto sarebbe potuto apparire tutto perfettamente in ordine, ma notai con orrore che ogni oggetto era distorto, non conforme alle solite caratteristiche, quali colore e forma.

La sedia a dondolo di mamma, per esempio, era diventata rosso acceso e con le gambe rigidamente salde al terreno, rettangolari, non più curve come una volta.

Ebbi inoltre una sensazione bruttissima, come se un odore fortissimo mi perforasse le narici, invadente, soffocante.

La testa prese a girarmi vorticosamente e caddi sul pavimento duro e gelido.

Rimasi immobile per qualche minuto, cercando di ritornare in me, senza curarmi del freddo che, lentamente, si estendeva fino a ricoprire tutto il mio corpo tremante.

Poco dopo, sia perché quel gelo era insopportabile, sia perché stavo leggermente meglio, mi alzai, barcollante, e cercai con lo sguardo l'ombra scura che tanto mi perseguitava.

Ma non ci fu bisogno di cercare tanto a lungo, percorrendo con lo sguardo l'intera stanza, poiché in un batter d'occhi lo scorsi, affacciato al balcone, la finestra spalancata e il suo mantello scosso dal vento.

Per poco non svenni: quella schiena, quelle spalle avvolte da quel mantello buio... sapevo che fosse, lo conoscevo.

Thomas!

Cosa faceva in casa mia Thomas?

Era un assassino?

Un ladro?

Mi aggrappai ad una sporgenza sul muro lillà ( mai vista prima, tra l'altro, di un muro che era sempre stato giallino...) per non cadere e restai immobile in quella posizione ad aspettare che l'uomo che mi dava di spalle si voltasse.

Ma forse anche lui aspettava qualcosa, anche lui attendeva una mia mossa, una mia parola, un mio passo.

Mi schiarii la voce: se qualcuno doveva fare qualcosa tanto valeva iniziare per primi.

-Tom...?- la mia voce si perse nell'aria.

L'uomo, lentamente, si voltò.

Sorrisi istintivamente, convinta di rivedere i tratti dell'uomo che amavo, convinta di vedere il suo volto perfetto, il suo sorriso sicuro e fiducioso...

Ma ciò che mi si presentò davanti agli occhi fu tutt'altro che gradevole.

Un paio di occhi rosso sangue mi scrutava, la bocca era ridotta ad una fessura, dalla quale spuntavano denti acuminati, bianchissimi, i cui canini erano zanne, zanne vere e proprie, che percorrevano il mento e sfioravano il collo del mostro.

La sua fronte era attraversata da una rete fittissima di cicatrici violacee, e dove forse un tempo giacevano le sopracciglia vi era una taglio profondo, aperto ed infetto.

Mi portai le mani alla bocca e cercai di urlare il più forte che potei, poi il mondo divenne nero, e caddi in un abisso profondissimo, senza fine.


Sera seguente, a partire dalle ore 19.15 circa

Ero stata male tutto il giorno, obbligata dai miei genitori ad andare a scuola, dove tra l'altro mi ero anche addormentata, e avevo sofferto i postumi di quella nottataccia con lo sgradevole chiacchiericcio di Cri, eccitatissima per la festa della sera.

Io, invece, attendevo quella festa per rivedere Tom, per sapere se c'entrava veramente qualcosa con il mostro di quella notte, se era lui, cosa era e tante altre domande irrefrenabili che mi percorrevano la mente contorta, ancora terrorizzata dall'immagine che appena chiudevo gli occhi appariva, vivida come la notte precedente.

(…?)


**************************************************************************

Per ora questo, altrimenti il capitolo diventava troppo lungo...

Fra domani e dopo aggiornerò la continuazione, state tranquilli^^

Assieme a tutti i ringraziamenti andranno anche le considerazioni nella prossima parte.

Spero di trovarvi presto lì.

Grazie a tutti,

CIAUUUUUUU!

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Capitolo 6
*** capitolo quarto ***


Sera seguente, a partire dalle ore 19.15 circa

Ero stata male tutto il giorno, obbligata dai miei genitori ad andare a scuola, dove tra l'altro mi ero anche addormentata, e avevo sofferto i postumi di quella nottataccia con lo sgradevole chiacchiericcio di Cri, eccitatissima per la festa della sera. Io, invece, attendevo quella festa per rivedere Tom, per sapere se c'entrava veramente qualcosa con il mostro di quella notte, se era lui, cosa fosse e tante altre domande irrefrenabili che percorrevano la mia mente contorta.

In sintesi, ero eccitatissima per la serata, e correvo da una stanza all'altra della casa per vedermi riflessa ad ogni specchio, cambiando trenta magliette, quaranta pantaloni o gonne e un paio infinito di scarpe.

In poco tempo fui pronta, scelsi una borsetta adatta e mi sedetti sul divano, in attesa che Cri suonasse al citofono, un'attesa molto più febbrile ed ansiosa del dovuto, che si celava sotto una maschera di trucco ed eleganza.

Sospirai: mancavano quindici minuti alle nove e Cri non azzardava a farsi vedere: come sempre era in ritardo.

Quasi quasi andavo da sola... non doveva essere così lontano se Cri ci poteva arrivare a piedi.

Sì, ma dove abitava Cri??

Tanto valeva aspettare ancora un po'.

Passarono dieci minuti.

Passarono altri sette minuti.

Sbuffai, stufa, e m'alzai. Corsi in bagno per controllare che il trucco non si fosse sbavato e con orrore notai che sulle mie palpebre vi erano sbavature oscene di mascara.

Cominciai immediatamente a togliermi tutto il trucco, temendo che togliendone solo in parte avrei sbavato il resto, e, attraversata da una fretta improvvisa, mi lavai la faccia con tanto di sapone, sfregandomela per bene.

Proprio allora, dopo tanti minuti di ritardo, udii il trillo insopportabile del citofono e, grondante di acqua e schiuma risposi, con voce roca ed ansimante (uno schifo, in sintesi^^):- Scendo subito! -, poi lasciai la cornetta a penzoloni, attaccata al filo plasticoso a coda di porco del citofono.

Mi sciacquai la faccia e mi asciugai con un asciugamano, spensi tutte le luci che nel mio cammino avevo lasciato accese e mi precipitai fuori di casa, chiudendo malamente il portone e scivolando più volte per le scale.

Fuori l'aria gelida della sera stuzzicò le mie gambe nude, e mi accolse Cri, che mi prese immediatamente a braccetto e senza neppure avermi guardata si complimentava per il mio vestito (maglietta e mini di jeans), del mio profumo (deodorante dove...eccezionale veramente^^), e come suo solito blaterava di cose insensate ed inutili sul suo super-ragazzetto-fico della festa.

Ma come ascoltarla, se la mia mente già vagava per altre spoglie che mai e poi mai si sarebbero abbassate a tali chiacchiere, ben più inutili di pensieri d'amore, dubbi ed incomprensibili amarezze che ribollivano in me?

Oh, che frase altisonante! Comunque, per farla breve, perché sarete tutti incollati al vostro pc, sbavando e bagnando tutta la tastiera di bava in attesa di sapere cosa accadrà a questa maledetta festa (se-se), vi comunicherò che io e Cri c'incamminammo fra isolate viuzze, mi massacrai i piedi doloranti nelle scarpe troppo strette, e giungemmo ad una villetta assai graziosa, attorniata da folti abeti profumati.

Ehm, no, scusate, ci stava bene ma non era così : era un casone megagalattico che incuteva timore a chiunque avesse il coraggio di guardarlo: era un mostro, dipinto di bianco con decorazioni più scure, finestroni oscurati che occupavano tutta una parete, una scalinata di marmo per entrare, un portone nero e profondo e tutt'attorno un giardino con prato inglese e querce possenti.

Io e Cri rimanemmo qualche minuto pietrificate di fronte a quell'edificio, indecise se scappare, svenire o metterci ad urlare, poi, facendoci forza l'un l'altra, entrammo, superammo la scalinata e suonammo al citofono sul fianco sinistro del portone.

Champions, facevano di cognome i proprietari del mostro.

Ci rassettammo i vestiti, in attesa di poter entrare, e in quel breve spazio di tempo Cri si accorse con delusione che non mi ero truccata, e fece per farmi una lunghissima ramanzina ma il portone, finalmente, si aprì.

Un ragazzino dall'aspetto già noto, un visetto dolce e i capelli biondi, ci sorrise e senza aprir bocca s'infilò tra me e Cri, passando ad entrambe un braccio attorno alle spalle e facendoci entrare, lasciando che a chiudere la porta fosse un altro tipetto, probabilmente un suo amico.

E così, ahimè, feci il mio ingresso alla festa.

Una volta dentro una coltre assordante e impenetrabile di rumore mi colpì con violenza, e, inconsapevolmente, incominciai a tremare: dopotutto questa era la prima festa di questo genere alla quale partecipavo.

Il ragazzino ci presentò a qualcuno, che ovviamente non capii chi fosse, e mi soffiò qualche frase in un orecchio, anche se io, terrorizzata da tutto ciò che mi attorniava, non sentii nulla.

C'era tanta, tantissima, troppa gente, tutti uno ammassato sull'altro, che si muovevano con mosse indistinte, casuali, caotiche... e poi tutte quelle luci!

Colorate, bianche, nere (sì sì, nere, ve lo giuro!), di ogni tipo che ti trapassavano la pupilla e ti frullavano il cervello.

Wow: stupendo, magnifico.

Incominciammo, se così si può definire quello stupido e goffo spingersi l'uno contro l'altro, a ballare, senza che potessi richiamare a me né sonoramente, né prensilmente Cri, persa in quell'oceano di persone.

Intanto sovrastava di fronte a me quel ragazzino, che, tutto sudato, aveva l'aria di divertirsi un mondo.

Sorridevo timidamente e cercavo di seguire il ritmo in tutto quel rumore, ma dentro me stessa mi auguravo che quest'ora di pura tortura finisse in fretta, ansiosa del seguito.

Il tizio mi urlò qualcosa, che non capii, me le ripeté, e io dai suo labiale intuii che mi intimava ad andare a prendere qualcosa da bere.

Acconsentii, stringendo la mano bagnata che mi porgeva, e lasciando che mi conducesse in un altro salottino più calmo (insomma) dove un tavolone immenso ospitava tantissimi bicchieri eleganti e sottili e bottiglie scure.

Ohi-ohi, quanti alcolici...

Il tizio si versò del liquido nerastro con riflessi bordeaux nel bicchiere ed io lo copiai, non sapendo cos'altro fare, ma solo quando portai il bicchiere alle labbra sentii il suo gusto dolciastro, un po' appiccicoso, che mi stordì in buona parte.

Lui mi sorrise, e cominciò a dirmi che questa festa l'aveva fatta per il suo diciottesimo compleanno, ma che nessuno sapeva che fosse lui il festeggiato, per cui nessuno gli aveva fatto un regalo, ma si stava divertendo molto lo stesso, perché i regali non son mica tutto, e che non mi aveva mai vista, mi chiedeva se ero un'amica di Cri...

Incredibile ma vero: ascoltai ogni sua parola!

Comunque ci capii ben poco, continuando a sorseggiare quel liquido appiccicoso, a sorridere e ad annuire, cercando di essere convincente.

-Ma mi sa che ora sei veramente stanca...e anche un po' sbronza, no?-mi chiese, facendomi l'occhiolino.

Esibii uno dei miei migliori sorrisetti maliziosi, senza neppure accorgermene, mi ressi alle sue spalle per non crollare svenuta ai suoi piedi.

Non ricordavo bene cosa, ma ero certa che c'era un dopo, che succedeva qualcosa di fantastico, e che dovevo solo resistere, e raggiungere quel dopo.

-Beh, se vuoi la mia camera da letto è di sopra... ti ci accompagno? Sembri proprio mal messa.- m'invitò il tizio.

-Camera tua?-farfugliai, cercando di non perdere i sensi.

-Sì... e se vuoi, ci possiamo divertire.-aggiunse lui.

Non vedevo più il suo volto, troppo vicino al mio, ma intuii che stava sorridendo.

-Mmmm...- mugugnai.

-Sì, dai, vieni!-

-...non capisco, incamera tua?-

-Certo, poi torni dalla tua amichetta, tranquilla, è una cosetta da nulla.-

Mi aggrappai con più forza a quel corpo che mi reggeva, cercando di far funzionare quel mio cervello tanto rintontito da non ubbidire più ai miei confusi e nervosi comandi.

-Se non vuoi salire le scale non c'è problema: abbiamo anche un ascensore...-

No... cosa cacchio me ne fregava dell'ascensore?

Stavo male, perdinci e anche tanto!

E dovevo trovare Cri, ecco cosa dovevo fare...

Cri...Cri, perché mi aveva lasciata da sola? Non era follemente innamorata di 'sto tizio?

Perché non lo aveva fermato? Perché non mi aveva avvisata??

O forse che non se ne fosse neppure resa conto, in tutta quella confusione?

Strano...

Ma più pensavo e più mi si confondevano le idee, più mi concentravo più sentivo il sonno impossessarsi di me, ed ogni passo era come una sofferenza, ogni movimento come un uno sforzo enorme.

Sentii le braccia del tizio sollevarmi da terra, portarmi da qualche parte fuori da quella saletta piena di alcolici, forse prendere un ascensore, o forse no, me lo stavo semplicemente sognando, arrivare davanti ad una porta, aprirla con un calcio ed entrare.

Quando il ragazzo mi lasciò sdraiare sul suo letto, in un attimo, capii cosa dovevo fare: era semplice, dovevo solo dirgli di no e sperare che mi ascoltasse.

Ma per quanto volessi riuscirci le labbra non rispondevano ai miei comandi, e neppure il mio cervello sapeva più come comportarsi.

Permisi al tizio di conquistarsi uno spazietto al mio fianco in quel letto immenso, senza trovare la forza per scacciarlo, lasciando addirittura che una mano invadente accarezzasse il mio volto pallido, teso, stanco, le palpebre semichiuse, fisse in un punto vago dell'enorme e sovrastante finestra che occupava un'intera parete.

Lo sentii, con le sue manacce avide e viscide, muoversi al mio fianco, e in un attimo sovrastarmi con il suo volto quasi infantile, i riccioli biondi spettinati sulla nuca e una smorfia ridicola sulle labbra.

Labbra che facilmente trovarono le mie, cogliendomi di sorpresa, spaventandomi, innervosendomi.

Voltai di scatto la testa, interrompendo quel bacio non corrisposto, lasciandolo per un attimo vibrare nell'aria ed esplodere in un sospiro addolorato.

Fissavo ancora la finestra, e il corpo che mi schiacciava contro il materasso giaceva immobile, fissandomi con sguardo interrogativo, che mi pizzicava il capo volto ben da altre parti, concentrata sull'oscurità del giardino oltre il vetro lucido e trasparente.

E in quell'oscurità lo vidi: appoggiato ad un albero, una quercia spoglia, il cappello nero gli copriva gli occhi, e il mantello dello stesso colore gli svolazzava sulle spalle, che fissava proprio questa finestra, proprio di questa stanza: fissava me.

Thomas mi stava guardando.

Thomas mi avevo visto con un altro...

No.

No!

-NO!!-gridai, all'improvviso, lacerando il silenzio vitreo che si era spalmato su di me.

Il corpo che mi sovrastava sussultò, ma non fece in tempo a scostarsi che si beccò un ceffone in volto.

Mi alzai, scuotendomi di dosso l'inaffidabile quasi-tipo di Cri, e mi alzai di botto, stupendomi della mia improvvisa agilità.

Mi avvicinai alla finestra, cauta, ed appoggiai un palmo tremante sul vetro ghiacciato, respirando sulla superficie dura e scivolosa.

Lui c'era ancora, mi fissava, eppure aveva cambiato posizione, si era spostato più in là, lasciando che un raggio argentato di luna lo illuminasse completamente.

Sì, sì, t'ho visto...non mi ero dimenticata di te mi ero solo...messa nei guai”mi dissi, sorridendo a quella figura lontana.

-Cosa cazzo fai? Che ti prende? C'è qualcosa che non va? Sono io? Se è colpa mia...scusami, io..non volevo...-

Udii flebile la voce del quasi-tizio di Cri, spaventato a morte, le mani fra i capelli e lo sguardo confuso.

Mi voltai, fissando negli occhi il biondino, ma non trovai parole adatte per descrivergli la mia situazione attuale, i miei sentimenti, i miei programmi...

-Ciao.-, mormorai.

Poi mi avviai verso la porta, uscii, la sbattei alle mie spalle e mi precipitai per le scale, ignorando i fiumi di parole che scorrevano alle mie spalle, i passi che mi seguivano saltellando per le scale, correndo nell'atrio, e finalmente fermandosi quando superai anche l'ultima, megagalattica, tenebrosa porta che mi separava dall'esterno.

Uscii.

L'oscurità della notte mi coprì gli occhi, avvolgendomi nel suo fresco e nero mantello, tesi le orecchie, e udii il gracchiare di cornacchie... nell'aria vi era un odore fortissimo di sigari, simili a quelli di mio padre.

Sorridevo, ero felice, troppo felice: volevo trovare Thomas, spiegargli tutto e, perché no, dirgli quanto lo amavo, quanto aspettavo questo momento, quest'occasione fantastica... e, sì, mi avrebbe capita, sì, mi avrebbe amata, e tutto sarebbe stato assolutamente fantastico, stupendo, magnifico...

Un colpo secco di tosse interruppe i miei trepidanti ragionamenti, e ancora prima di voltarmi sapevo chi ci fosse alle mie spalle.

-Toom?- mi voltai, esultante, e senza aspettare alcuna risposta né alcun segno, mi buttai sulle sue spalle e sul suo collo, abbracciandolo con una forza che non credevo di possedere.

Ridacchiai nervosamente, spaventata dal mio stesso gesto, e strinsi con forza quel corpo che odorava di sigaro appena fumato, legna arsa ed erba appena tagliata...

Ok, può non sembrare un accostamento favoloso ma vi giuro su di me, su di tutti voi e tutti i vostri conoscenti che lo era, eccome!

Passarono pochi secondi, nei quali mi cullai sulle punte di piedi tremanti, finché mi resi conto che quel corpo tanto profumato, tanto adorato, rimaneva impassibilmente rigido, rifiutandosi di accogliere il mio frenetico entusiasmo.

Mi scostai immediatamente, sentendomi terribilmente sciocca, orribilmente invadente e fuori posto.

Che mi era preso, dannazione?

Alzai lo sguardo fino ad incontrare gli occhi i suoi occhi azzurri, quasi violacei, e un lampo dejavù mi perforò il cranio dolente, ricordandomi il momento, tanto simile e lontano in cui, casualmente, i nostri occhi si erano incontrati nel bus, quello splendido lunedì mattino... la prima volta che ci eravamo incontrati.

Ora, però, il suo volto era segnato da una serietà che non conoscevo, uno sguardo di rimprovero che bastava per cento, ma no, che dico, mille e milioni, fiumi di parole, che correva dritto al cuore e scavava un profondissimo solco, probabilmente infinito, che poteva risucchiare tutta l'allegria possibile di chi lo osservava.

Cioè la mia.

-Tom?- la mia voce risuonò indecisa, infantile, e mi pentii all'istante di aver aperto bocca.

Ma a me non bastava uno sguardo per spiegare tutto.

Thomas non si mosse, limitandosi a guardarmi con occhi impenetrabili.

-Tom? Scusa... ti devo delle spiegazioni, lo so, ma è che quel tipetto biondo (mica lo conoscevo) era un po' sbronzo, matto furioso e forse anche un po' maniaco, e Cri mi aveva lasciata da sola... io che potevo farci? Ma appena ti ho visto, te ne sei accorto?, sono scesa per incontrarti! Non era mia intenzione distruggere così il nostro primo vero appuntamento...e tutta colpa di Cri...-

Ormai le mie parole erano un soffio impercettibile tra labbra secche, inutili e lagnose parole fastidiose, senza né capo né coda, ma, pensateci, come vi sareste comportati voi al mio posto??

Tom deglutì rumorosamente e scollò i suoi occhi dai miei, bagnati da lacrime colpevoli, poi, corrucciando le sopracciglia, disse:-Sei solamente e totalmente sbronza, Vera.-

Inghiottii un singhiozzo lacerante, e, mordendomi un labbro, annuii.

******************************************************************************** Ecco la seconda parte di questo teeeribilissimo capitolo quarto!!!

Ihih, scusate, sono solo completamente incazzata con Vera perché ha ceduto così facilmente alla durezza di Thomas...

Beh, no, nulla di importante, insomma.

Comunque, ho scelto di interrompere il capitolo qui (punto crucialissimo, direte voi...vero? XD) perchè d'ora in avanti sarà sempre ed esclusivamente un punto crucialissimo, quindi, essendo anche mooolto in ritardo con gli aggiornamenti, mi son decisa per questa infinita delusione di finale.

Ok ok, ora basta cacchiate, passiamo ai ringraziamenti!

Recensione di amimy, luisina, MikaName, Kanako91, ForgottenSnow, PAMPAM, il ben ritornato Greg90_h, Regina Oscura, e tutti coloro che hanno messo la ff fra le preferite o seguite!

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Capitolo 7
*** Chapter five ***



Chapter 5


Non ero a casa mia, o almeno non mi sembrava di esserci.
Mi guardai allo specchio, uno specchio estraneo, diverso, appeso a pareti estranee, diverse.
La vista mi si annebbiava di tanto in tanto, come se un velo appannato coprisse i miei occhi stanchi, e la testa mi ribolliva, pulsante.
Era chiaro che la sbronza della notte precedente aveva avuto la sua parte.
Cercai di pettinarmi un po' i capelli aggrovigliati, anche se non ottenni molto.
Avevo la pelle giallognola, un colore poco felice, dal momento che era accompagnato da uno sguardo vitreo, impassibile ed una smorfia nauseabonda sulle labbra screpolate.
Vabbèh, non c'era che accontentarsi.
Qualcuno alle mie spalle, mugugnando parole insensate, si stava svegliando.
Mi voltai, e con stupore osservai un uomo dall'aspetto fin troppo familiare cercare di alzarsi dal letto, un letto estraneo, diverso, ma disfatto.
-Ehi,- borbottò, cercando di sorridere, -tutto bene, oggi?
Annuii.
-Brava, così mi piaci...
Sorrisi, guardandolo passarsi una mano sugli occhi stretti, semichiusi, che non ne volevano sapere di aprirsi, di lasciarsi inondare dalla luce prepotente di ogni mattina.
-Tom, che ore sono?-, chiesi, ignorando la mia voce raschiosa e il dolore pungente alla gola.
Avevo sete, e tanta. Potendo scegliere avrei preso un goccetto di quel vino buonissimo che mi aveva ubriacato la scorsa notte, anche se sapevo che non sarebbe stata una buona idea.
Thomas si allungò sulle coperte aggrovigliate e raggiunse con una manata la sveglia che giaceva sul suo comodino.
-Umh, è già mezzogiorno!

Sbuffai, sicuramente a quest'ora i miei erano a casa già da un bel pezzo.

E mi stavano cercando...

Ma perchè non mi aveva riportato a casa subito?

Ovviamente sapeva perfettamente dove abitassi, la via e tutto il resto.

E dal tono protettivo e severo che aveva assunto la sera precedente mi ero convinta che l'avrebbe fatto, magari lasciandomi alle prese con una tremenda ramanzina dei miei e tutto ciò che essa comportava.

E invece...

-A cosa stai pensando, Vera?

-Mmm...sai, credevo che mi avresti riportata di filato a casa, e invece...

-E invece ti ho tenuta tutta per me!

Sussultai, lo sguardo di Tom, non che le sue parole lo fossero di meno, era piuttosto preoccupante, una luce maliziosa percorreva i suoi occhi azzurri.

-Cosa, c'è? Ho detto qualcosa che non va?

! Ma ti sembra questo il modo di parlare ad una sedicenne?! Per di più pazza di quelli come te?”

-No, assolutamente.

Thomas sorrise e si mise a sedere.

Aveva i capelli spettinati, un po' spiattellati sul volto, il sorriso sulle labbra di chi sa che una giornata speciale è incominciata, un sorriso dolce, che sprofondava nel mio cuore tamburellante, un sorriso che illuminava tutto il suo volto, i suoi occhi, la sua fronte, le sue guance leggermente arrossate, i suoi lineamenti quasi duri.

Senza volerlo mi ero avvicinata al letto e mi ci ero seduta, sempre fissando ogni particolare del suo volto.

Un braccio sorvolò la mia testa e mi cinse le spalle, come ad incitarmi a continuare.

E io continuai, osservando le sue sopracciglia, l'iride gemmato dei suoi occhi, la sua pelle profumata, il contorno delle sue labbra chiare, le fossette del suo sorriso troppo vicino...

-Tom?

La mia voce quasi piagnucolosa interruppe quel momento di magica sospensione, e disturbò il sorriso di Thomas, che s'incupì improvvisamente.

-Cosa c'è, Vera?

-Nulla... ho solo un po' di... ehm, quanti anni hai?

Lui sospirò, mi strinse ancora fra le sue braccia calde e sorrise.

-Hai paura che sia un vecchiaccio, eh? Guarda che se anche uno si comporta in modo decente non deve avere almeno trent'anni...

Ridacchiai nervosamente, -E tu ti staresti comportando in modo decente?

Lui mi lanciò un'occhiataccia e sorrise.

-Ma certo... io non sono mica come il biondino di Cri, sai?

Una fitta mi trapassò il cuore, di certo non era carino alludere a quell'incidente, e sapevo che più di tutti faceva male a lui.

Abbassai lo sguardo, -Non mi hai risposto, però.

Tom sbuffò, poi, accarezzandomi il viso, mormorò:- Diciannove da quattro mesi.

Scoppiai a ridere, sollevata.

-Diciannove?? E ti facevi così misterioso, manco ne avessi avuti ventinove! Tom, mi hai fatto prendere un colpo, sai?

Thomas era serio, però, e mi guardava ridere, socchiudendo leggermente gli occhi, come per godersi meglio la scena.

-Oh...ti credevo più vecchio, sai, dal modo di parlare, di vestire, di tutto, e invece!

Una sua mano mi accarezzava il braccio destro, lentamente.

-Ma potevi dirmelo subito, se è per questo, no? Insomma, mi hai addirittura fatto venire gli incubi, e non scherzo, Tom, ti sognavo, eccome!

-Vera...

-Beh, ora è praticamente tutto più semplice! Domani ti voglio presentare ai miei amici, partendo da Cri, ci stai? Sarà fantastico, vedrai!

-No, Vera.

-E poi... un momento, io non ho molti altri amici a parte...

-Vera!

Le mie labbra s'immobilizzarono all'istante, soffocando inutili parole.

Thomas mi fissava con il suo sguardo agghiacciante, intenso, e mi pettinava una ciocca ribelle di capelli.

Sapevo cosa stava per fare, lo sapevo, lo temevo e lo volevo.

Il suo volto si avvicinò al mio, forse troppo velocemente, e le sue labbra si appoggiarono sulle mie.

Lui perseguì nel suo intento con calma, diplomazia, mentre io rimanevo rigida e tremante senza sapere se ricambiare o anche solo se respirare.

Era come se non volessi disturbarlo, come se temessi di poter rovinare tutto, e così restavo immobile stringendomi le mani ghiacciate dietro la schiena.

Rimanemmo così per pochi minuti, ore infinite e terribili, per me, e poi lui si allontanò giusto per guardarmi negli occhi.

Era triste, quasi, deluso. Io lo avevo deluso.

Certo non potevo sapere se ero brava a baciare, non avendo mai provato prima, e il mio non rispondere al suo contatto, il mio irrigidirmi, non promettevano nulla di buono.

-Tu non volevi..., biascicò lui, scuotendo lentamente il capo.

Volevo spiegargli che il problema era proprio un altro, che era tutta colpa mia, che lo volevo troppo, semmai, ma non ne ero capace.

-Oh...no, è solo colpa mia!, esclamai, come stupita del mio stesso gesto.

Thomas mi guardò ancora negli occhi,e cercò la mia mano aggrovigliata dietro la mia schiena.

Non gli cedetti neppure quella, non volevo lasciare che mi coccolasse per la mia stupidità, perchè ero stupida, immensamente stupida a non saper cosa fare quando un ragazzo, finalmente, provi qualcosa per me...e qualcosa di speciale, è ovvio.

-Scusami Vera, ma così mi fai proprio impazzire.

Scossi la testa, ecco, avevo ancora combinato un disastro!

Perchè mi comportavo così? Non lo amavo, forse?

E allora perchè non accadeva solo quello che doveva succedere in momenti come questi?

Avevo tanto sognato di arrivare a questo: ogni sera, prima di addormentarmi, stringevo il cuscino, mi rotolavo fra le lenzuola e facevo spazio ad un immaginario ragazzo fantastico che, chissà come mai mi riteneva quasi carina.

E ora, finalmente, non potevo che disperarmi e fare al massimo l'imbronciata??

Era una vera delusione, ecco tutto.

-Scusami...Possiamo riprovare come se non fosse successo nulla?

-Solo se lo vuoi.

Annuii.

Deglutii troppo rumorosamente e chiusi gli occhi, avvicinandomi lentamente al viso che neppure vedevo di un ragazzo magnifico stranamente non corrisposto.

Fu allora che un suono trillante, perforante, e decisamente odioso c'interruppe.

Tom si alzò di scatto, senza lasciarmi il tempo di dire una qualsiasi cosa e ripose a quello che sembrava un telefono vecchio stile, nero e lucido, un particolare che i miei occhi non avevano ancora notato.

Rispose al telefono e non appena udì la voce dall'altra parte del filo alzò gli occhi al cielo, fissandomi come se fossi colpevole di un omicidio.

-Buon giorno, scusi, prima di tutto potrebbe dirmi il suo nome?

-...sì, è qui.

-Qui sotto?

-Certo certo, capisco.

-Va bene, scende subito.

-A risentirci.

Tom continuava a fissarmi con quello sguardo, poi sollevò un sopracciglio, e ammiccando un sorriso mi indicò la porta.

Capii al volo, ma finsi ugualmente di non averlo fatto.

-Chi era?, chiesi.

-La tua carissima amichetta grilletto.

-Grilletto??

-ma sì, quella cricri...

Soffocai una risatina e scossi la testa, immediatamente seria: era Cri, non mia mamma?

E come diavolo aveva il numero di Thomas? Non che mia mamma invece...

-Tom? E lei come sa il tuo numero di casa?

Lui sbuffò, alzando le spalle, ma poi aggiunse:-Ora che ci penso, credo glielo abbia dato Matteò, mio fratello.

Aprii la bocca come per esclamare qualcosa, ma tacqui, aspettando la sua continuazione.

-Vedi, mio fratello è... ehm, molto, ma molto... vabbèh, lascia fare. Sta di fatto che quando incontra una ragazza molto carina le lascia tipo un casino di numeri, nella speranza che lei lo chiami. E... ehm, molto frequentemente lascia in giro anche quello di casa mia. So che ti può sembrare una spiegazione molto contorta ma per quel che mi riguarda le cose stanno così...

Rimasi senza parole: Thomas aveva assunto l'espressione più seria che avessi mai visto: insomma, non è che mi stava facendo una confessione terribile, alla quale non potrei mai credere!

-Sì, certo, Tom, ti credo. ,dissi, rassicurandolo con un sorriso.

Mi alzai e, sempre sorridendo, raccattai le mie scarpe(ma quando le avevo tolte?), e me le infilai frettolosamente.

-Ci vediamo presto, non è vero? ,dissi, parlando più alla sua porta di casa che a lui.

Stranamente, non rispose.

Mi voltai, -Vero?

-Ah, sì, certo... ti do il mio numero, se ti va.

-Oh...sarebbe...magnifico! Però fai in fretta che Cri mi aspetta giù.

Tom assentì silenziosamente, porgendomi un foglietto smunto dove chissà quando, chissà perché aveva scritto il suo numero.

-Grazie.

-Mmm...

-Ciao!!

-sì...

Uscii, chiudendo la porta alle mie spalle.

Chiamai un ascensore terribilmente lento e cigolante, m'addentrai in quella scatola poco raccomandabile e quando atterrò cinque piani più in basso tirai un sospiro di sollievo.

E chi se non una super-ansiosa Cri mi poteva aspettare urlando ogni tre secondi il mio nome su per la tromba delle scale di quel palazzo poco felice?

-Vera! Finalmente!!!!Ma cosa diavolo ci fai qui?

Sorrisi, ripensando a ciò che mi era capitato anche per colpa sua.

-Eh, mi sono ubriacata e così quel tipo di cui ti avevo parlato, Thomas, mi ha accompagnato a casa sua.-, spiegai, cercando di farle capire che qualcosa era successo.

Anche se ripensando a ciò che effettivamente era successo forse era meglio non alludere a nulla: non mi andava di raccontare tutto a Cri... non così presto, almeno.

-Ooh...avete dormito assieme??, esclamò, avida di spettegolezzi che non volevo offrirle.

Ridacchiai nervosamente. -Ma ero sbronza, Cri! Stavo male da morire!

Lei mi fissò con insistenza, cercando di farmi capire che lei non era quel tipo di ragazza tanto sciocca da non capire... E io l'avrei accontentata, dal momento che non volevo farle capire che, in realtà, lei era proprio quel tipo di ragazza.

-Ma sì, uno stupido bacio!

Cri sorrise, soddisfatta.

-E dimmi, cosa ci fate in casa di mio zio?

Rimasi senza parole... di suo zio????

-Ehm, non è abitano nello stesso palazzo, scusa?

Lei scosse la testa, sicura.

-No, ho telefonato al numero di mio zio... ehm, il mio quasi-tipo(ricordi?) diceva di avervi visti salire qui... mi sono ricordata che ci abita anche mio zio, così ho telefonato... e ha risposto lui.

Rimasi allibita, incapace di rispondere.

-Magari...magari è suo figlio!, tentai.

-Ma no!-, insistesse lei -mio zio è un vecchiaccio decrepito e non si è mai sposato! E poi odia i giovani...li manderebbe tutti in guerra! Non vivrebbe mai neppure con suo figlio, figuriamoci se illeggittimo! Lo conosco, fidati, è un tipaccio...

Annuii, senza aggiungere altro.

Allora tutta quella “ spiegazione molto contorta” se l'era inventata di getto?

Chi era Tom? Perchè non mi aveva portato a casa sua?

Qual'era la sua casa? Ne aveva una??

Cri mi accennò il portone con il capo.

Annuii ancora.

Uscimmo.

*************************************************************************************************
Oh, Scusatemi tantissimo per il ritardo, davvero!
E poi questo capitolo, che doveva e poteva facilmente riuscirmi magico era proprio noioso, sciatto, piatto!! Insomma, Tom e Vera si sono baciati e io l'ho detto così, frettolosamente, quando erano mille capitoli che ci provavano!!! E poi, il fatto che Tom raccontasse una balla... Anche qui era più credibile la sua versione piuttosto che quella di Cri, quando, OVVIAMENTE, sarebbe dovuto essere il contrario!
Oh, mi faccio pena... Un giorno, fooorse, sistemerò daccapo tutta la storia.
L'idea era carina, ma non riesce molto, e lo capisco anche perchè non è molto seguita...
Beh, io mi sono divertita a scrivere, fin ora, e continerò fino alla fine, solo perchè non c'è una ff finita fra le mie... E non solo per questo, è ovvio.
Ma chiedo anche la vostra partecipazione, rigraziando moltissimo chi me l'ha già offerta (GRAAAAAZIEEEE!!!!!!!!!!!), e chi almeno ci ha provato^^
Sappiate che siete indispensabili, tutte!

Alla prossima, ragazze!!!

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Capitolo 8
*** Chapter 6 ***




Capitolo sesto




Salimmo frettolosamente le scale che ci separavano dall'uscio di casa mia: Cri si era gentilmente offerta di accompagnarmi a casa,anche se sapevo che in realtà lo faceva più che altro per vedere che faccia avrebbero fatto i miei genitori nel rivedermi con almeno otto ore di ritardo.

Bussai timidamente ed aspettai che venissero ad aprirmi, ma non udii alcun suono dall'altra parte della porta. Attesi, non volendo innervosire i miei già sicuramente preoccupatissimi genitori.

Bussai con forza, ma non ricevendo alcuna risposta decisi di aprire con il mio mazzo.

In casa era tutto come l'avevo lasciato la sera precedente: il rossetto che avevo usato era ancora sulla mensola vicino allo specchio del bagno, le mie pantofole erano gettate a caso sul pavimento e, soprattutto, non c'era traccia di cappotti, scarpe o qualsiasi altro oggetto personale dei miei genitori.

Che non ci fossero?

-Mamma? Papà?, chiamai, sperando di non ricevere risposta ancora una volta.

-Che c'è, dici che non sono ancora tornati?-,chiese Cri, quasi delusa.

Sorrisi, speranzosa, -Credo proprio che non ci siano...aspetta, forse mi hanno lasciato messaggi sulla segreteria.-

Corsi in sala, dove afferrai il telefono ancora prima che Cri potesse realizzare dove fossi finita.

-Sì!- quasi urlai,-C'è...è dal cellulare di mio padre, aspetta che sento che dice...-

Cri mi raggiunse ed accostò l'orecchio al telefono che spiattellava già il mio.

-Ehi, fa sentire!, mormorò dopo poco, spingendomi.

-Taci.

Partì la segreteria, il numero, silenzio, poi la voce di mia madre: “Vera, ti ho lasciato del pollo in frigo, spero che tu abbia l'accortezza di riscaldarlo prima di mangiarlo, stasera, e...ah, già ma tu sei a quella festa...la mamma di Cri mi ha riferito dove vai senza il nostro consenso...vabbéh, per una volta che esci, non fa niente. Stasera non riusciamo a tornare: non vale la pena di arrivare alle due di notte, ti pare? Rimandiamo a domani, restando qui a dormire in un Hotel... Ti chiamo domani mattina, ok? Mi raccomando, fai i compiti e studia con la testa e...lascia in pace quella Cri per un giorno, che sai che mi dà sui nervi che venga tutti i giorni a casa nostra. Torniamo domani sera, credo...ora devo scappare, ciao.”

Finito tirai un sospiro di sollievo, e, felicissima mi buttai sul divano lasciando il telefono nelle mani di Cri.

-Scusa, ma che ha detto? Ho sentito il mio nome, ma forse mi sbaglio...-

-Sì, ti sbagli: ha detto che vengono questa sera!!!-

Anche Cri sospirò, poi si sedette sul bordo del divano, unico angolo non occupato dal mio volume in estensione.

-Quindi non sapranno nulla di...Tom!-,esclamò.

-Ovvio!!! Nulla di nulla|!!! Solo della festa, perché tua mamma gliel'ha detto, e non sono arrabbiati... Ma non è fantastico???-

Cri annuì, dondolandosi una gamba.

Poi mi fissò, e un guizzo divertito le attraversò gli occhi.

-Ma quindi...oggi non hai nulla da fare, vero?-

Sbuffai: un'altra scampagnata con Cri non era esattamente ciò che mi accingevo a fare in quella domenica così magnificamente solitaria...

-Lo sai vero che la piscina è aperta anche di domenica?-,mi chiese, fantasticando su fantasie che io speravo di non vivere mai.

Annuii.

-E...un mio amico ci lascerebbe entrare gratis! Verresti, vero?-

Soffocai un'imprecazione nella manica e sorrisi falsamente,-Cri, che ne diresti se per una volta ci andassi da sola? Salutami quel tuo amico bagnino, ma ho da studiare per lunedì...-

-Non è un bagnino, è un...quello che sta all'ingresso con la cassa, ecco, e non puoi lasciarmi da sola!

Urlacchiò istericamente Cri, cercando invano di farmi cambiare idea.-

Odiavo quando s'impuntava con qualcosa, perché normalmente finiva sempre col convincere anche me.

Scossi con forza la testa, cercando di convincermi che la mia opinione DOVEVA contare più della sua.

-Dai dai dai! Pensa che bello, in piscina! Nell'acqua fresca...-

-Gelida.-

-Poi al sole caldo per abbronzarsi un po'...-

-Bruciarsi, nel mio caso.-

-E poi ci compriamo uno di quei gelati buonissimi del bar!

-Sì, che costano un occhio della testa!

Cri cominciava ad esasperarsi, dimenandosi al mio fianco.

-Ma te lo offro io!!-

Addirittura? Non era mai arrivata a tanto...

Non seppi rispondere, lasciando che un'altra punta di speranza s'infiltrasse negli occhi Cri.

-Sì, te lo offro io! Dai, solo per un paio d'ore!

Scossi ancora la testa, cercando una scusa plausibile.

-Mi vergogno di andare in costume: non ho fatto alcuna dieta e sono diventata una balena.-, esclamai, orgogliosa della mia trovata.

Adesso fu Cri a rimanere senza risposta.

-Oh, non è vero, e poi chi ti vede?, mugolò.

Scossi la testa per l'ennesima volta e mi alzai.

-Vado a prepararmi la colazione, tu puoi anche andare alla tua piscina, se ti va.-, dissi, forse con troppa durezza.

Cri sospirò, poi cercò di sorridere ed annuì.

-Ho capito, il problema non è la piscina ma sono io...-, mormorò terribilmente seria.

M'irrigidii: mi dispiaceva che se ne fosse accorta, ma purtroppo era la verità.

Mi voltai e andai in cucina, sperando che capisse che non valeva la pena di litigarci su.

-Dove credi di andare, Vera!-

Presi un pentolino e lo riempii d'acqua.

-Vera, torna subito qui!-

Accesi il fuoco e lasciai il pentolino aspettando che bollisse.

-Ma ti pare il modo di fare?-

Aprii il frigorifero e cercai un uovo.

-E con questo tuo ignorarmi cosa vorresti farmi capire? Solo che mi odi con tutto il cuore?-

Sbuffai, poi mi sforzai di trovare questo maledetto uovo.

-Vera, mi senti? Guarda che così ti comporti in modo infantile! Rispondimi, non puoi lasciare le cose così... Non puoi!-

Lo trovai e lo afferrai con forza.

Sentii dei passi precipitosi avvicinarsi alla cucina e cercai di presentare a Cri una delle facce più indifferenti della terra: magari riuscivo a farle credere di non aver sentito.

La porta cigolò e si spalancò con un botto...ero convinta che fosse la vipera con la quale avevo appena litigato, ma per poco non svenni: il mio incubo, quel mostro orrido che avevo sognato, i suoi occhi iniettati di sangue, quel taglio infetto, quelle zanne...

Istintivamente urlai, e con mia sorpresa riuscii ad emettere uno strillo acuto e probabilmente molto allarmante, strizzando l'uovo che tenevo in mano, con la sua conseguente distruzione.

Qualcuno entrò e sostituì il mostro, chiamandomi più volte e cercando di togliermi di mano il guscio d'uovo, ma io rimasi paralizzata senza vedere altro che la bocca larga e segnata del mio incubo.

-Vera!!! Ma cosa diavolo ti è successo? Se è per colpa mia, davvero, scusami, mi rimangio tutto!

Davanti ai miei occhi apparvero quelli chiari di Cri, che non facevano altro che scattare da una parte all'altra, e sbatacchiare quelle ciglia fin troppo lunghe.

-Ommioddio, Cri, non sai che spavento, io...-, borbottai, sollevata di non trovare più quell'immagine spaventevole.

Cri sorrise ed annuì, visibilmente preoccupata.

-Sì sì, non è successo niente, Vera.

Solo allora mi accorsi dell'albume liquido e viscido che colava dal mio pugno chiuso, oltre che al pentolino stra colmo che, in bilico, sopportava con fatica gli scossoni dell'acqua bollente.

-Oh, spegni il fuoco, che sennò si rovescia l'acqua!-, esclamai giusto un attimo prima che il pentolino scivolasse sul pavimento facendo fumare le piastrelle gelide a contatto con l'acqua.

Cri soffocò un urlo e cercò uno straccio sul lavandino per assorbire tutta quell'acqua.

Io gettai i resti dell'uovo nel cestino e spensi il gas con mani tremanti.

Pulito il pavimento e calmatisi i battiti cardiaci di entrambe ci guardammo ed impulsivamente, come sollevate che non fosse accaduto nulla di veramente grave (così credevamo) cominciammo a ridere a crepapelle.

Man mano Cri si fece più seria, e, ancora senza fiato e sorridente, mi chiese:-Ma allora ora non ce l'hai più con me?-

Sbuffai, perché c'era d'aspettarsi una domanda così, ma proprio non mi andava di risponderle.

Mi morsi un labbro, recitando la parte dell'indecisa, e mormorai:-Dipende da come ti comporti d'ora in poi...-

Cri saltellò per la felicità, ridacchiando e prendendomi per mano, come se la cosa che le stesse più a cuore fosse veramente la mia amicizia.

Ma forse ero stata troppo dura con lei, troppo pessimista, forse era veramente mia amica, forse non si copriva di tutta quella falsità come credevo, o almeno non con me, non ora...

-Sì, certo, amiche e tutto il resto ma io comunque alla piscina non vengo.-

Cri rise di gusto, ma poi annuì, apprensiva.-Sì, ogni tanto fa bene stare da soli... Ma non farmi prendere altri spaventi come quello di prima, ti prego!-

Impallidii ricordando le immagini di qualche attimi prima, poi sorrisi e seguii con lo sguardo la mia ...amica avviarsi verso l'uscita.

-Allora vado, Vera, se poi cambi idea sai come contattarmi.-disse, fori dalla cucina.

-Ciao!-gridai dopo un bel po', sperando di farmi sentire.

Udii la porta aprirsi e sbattere con un tonfo.

Se non altro ero finalmente sola... i canini lucidi di bava mi si ripresentarono davanti agli occhi per una frazione di secondo e per poco non cacciai un altro urlo, ma poi scossi la tesa, cercando di capire come mai questi incubi così inquietanti si affollassero nella mia immaginazione così all'improvviso...

Mi spostai in sala cercando di non cedere dalla tentazione di voltarmi all'improvviso per controllare che tutto fosse ancora a posto e, soprattutto, che non ci fosse nessun altro fuorché me.

Presi il telefono e riascoltai la voce frettolosa ma comunque rassicurante di mia madre.

Avevo paura...fino alla sera tardi sicuramente mi sarebbe toccato rimanere a casa da sola...

Beh, potevo sempre cercare qualcuno che non fosse Cri...come per esempio Tom!

Appena mi ricordai del mio quasi-ragazzo-non-del-tutto-definito-e-fin-troppo-misterioso mi ricordai del foglietto con il suo numero. Frugai nella tasca dei miei pantaloni e il mio cuore cominciò a battere velocemente non appena sentii la sua consistenza cartacea fra le dita.

Era lo stesso foglietto smunto e stropicciato, e cifre scritte elegantemente risaltavano sullo sfondo giallognolo.

Presi il telefono di casa e in un secondo digitai il suo numero.

Attesi per qualche secondo, e poi la sua voce calda e suadente mi rispose.

-Pronto?

-Ehi!-, esclamai.

-Vera?

-Già, proprio io.

-Oh, ti sto facendo pagare, aspetta che ti richiamo.

-Ma stai scherzando? Non ci pensare neppure!

-Perché?, lo faccio per te.

-E non serve, davvero...

-Beh, fai come vuoi.

-Ovvio.

-Ah ah ah, se sempre la solita, Vera!

Arrossii.

-E scommetto che ti senti molto sola senza di me!

-Ehm...come hai fatto ad indovinarlo?

-Era ovvio! No, scherzavo.

-Beh, è così...

-Ti senti sola?

-Terribilmente sola.

-Ohoh, poveretta, mi fai tanta pena!

-Beh, dato che i miei genitori non ci sono dico che potresti fare di meglio che restare lì a compatirmi, no?

-È un invito?

-Forse...

-Ok, sarò lì fra poco.

-Ci ho messo poco a convincerti, eh?

-Come sempre... ci vediamo fra un secondo.

-Già, ciao!

-Ciao.

Riattaccai, sospirai, ridacchiai, mi alzai e corsi in bagno.

Mi guardai allo specchio e provai un mucchio di pettinature, ma ero solo alla decima che sentii il citofono suonare.

Una frenesia esagerata mi pervase e corsi ad aprire rischiando di scivolare e spaccarmi qualcosa.

Corsi ancora un secondo in bagno per controllare che tutto fosse tutto a posto, e poi mi presentai sorridente alla porta, aspettando che salisse.

Dovevo ancora chiedergli un mucchio di cose...primo fra tutti cosa diavolo ci facesse in casa dello zio di Cri...

Sentii i suoi passi salire gli ultimi scalini (prendere l'ascensore non era più semplice? Forse, ma non abbastanza per Tom, a quanto pareva...), ed aprii la porta, con un sorriso a trentadue denti, forse fin troppo falso.

 

-Ciao, cara, scusaci se siamo arrivati così tardi e non ieri sera...alla fine siamo riusciti a prendere il treno di mattina...che faccia è quella, Vera?, non sei forse felce di rivedere i tuoi genitori?

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Fine, per ora^^

Ditemi tutto...

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Capitolo 9
*** Capitolo settimo ***


Ecco a voi il settimo capitolo di questa ff. QUi si parlerà del rapporto con Cri, continuando dal punto in cui vi avevo lasciate nello scorso capitolo, e, nella seconda parte, del famoso quasi-ragazzo di Cri che ci provava con Vera alla festa.
È un po' più lungo rispetto ai capitoli precedenti, ma vi pregherei comunque di avere buon cuore e leggere fino in fondo, dove ci saranno i ringraaziamenti e l'anticipazione del prossimo capitolo.

BUONA LETTURA!!!!!!!!!!!!!!!




Capitolo settimo



Rimasi immobile, come pietrificata, difronte all'immagine di mia madre vestita con l'abito buono che come sempre sgualciva nel viaggio e di mio padre, con gli occhiali sulla punta del naso e lo sguardo accigliato e stanco.

Perchè loro?

Perchè adesso?

Deglutii, dandomi la forza necessaria per parlare.

-Oh, come sono felice di vedervi!-, mugugnai, con un tono pateticamente falso.

Mia madre sbuffò e mi lanciò uno sguardo poco felice, poi mi spinse da parte e si fece largo per entrare e posare le valige che le pesavano in mano.

Papà mi squadrò da capo a piedi come faceva di solito, e poi scosse la testa, facendo traballare gli occhialucci.

-Perchè quel rossetto e quell'acconciatura?-, mi chiese, la voce offuscata perchè già di spalle per entrare all'ingresso della casa.

Mi morsi un labbri e feci una smorfia, ma poi cercai di rispondere con un tono di voce il più possibile innocente:-Vedi, volevo uscire con Cri, ma ora che ci siete VOI, le dovrò telefonare e avvertirla...cioè, per rimandare.-

Entrai anche io e chiusi la porta alle mie spalle.

Papà si tolse il giubbotto e l'attaccò all'attaccapanni.

-Se siamo così tanto d'intralcio possiamo anche andarcene...-, mi disse, col suo solito tono diffidente.

-Ma no papà, dai sai che vi aspettavo con ansia...capita raramente che ci siate tutti e due insieme!-, sbottai.

Il mio vecchio si limitò a sospirare, sempre diffidente.

E faceva bene, perchè di lì a poco, se non mi sbrigavo, sarebbe comparso Thomas, e allora io che cavolo di figura ci facevo?

-Senti, allora adesso chiamo Cri, poi torno subito, ok?-, dissi, agguantando già il telefono e cercando fra le chiamate effettuate.

La mamma arrivò e si tolse le scarpe, guardandomi torvo.

-E perchè telefoni a Cri?-, mi chiese.

Sbuffai: con loro bisognava sempre ripetere le cose due volte.

-Spiegaglielo tu, pa', io ormai sto chiamando.-

Mamma guardò torvo anche papà, ma lui scosse la testa, e se ne andò a sistemare la sua valigia.

Io corsi in camera mia e sperai che nessuno ascoltasse la mia chiamata.

-Pronto?-, rispose Tom, ignaro.

-Pronto, Thomas?-, risposi io, sussurrando.

-Senti-,proseguii ,-invito rimandato: sono tornati i miei genitori!-

Sentii uno sbuffo carico di delusione.

-Ma non potevi dirmelo prima? Ormai sono sotto casa tua!-

Non risposi, sperando che capisse.

-Ok, ti dispiace ma non puoi farci nulla...tipico...-

-Scusa!- squittii.

-Non fa nulla, almeno ti ho sentita al telefono prima di partire...-

-Di partire?? Quando? Dove? Perchè?-

Udii una risatina nervosa.

-Ma, Vera, anche io ho la mia famiglia! Domani parto per tutta la settimana e vado da mia zia in campagna... nulla d'invidiabile, insomma.-

Questa volta fui io a sbuffare.

-Su, dai, tanto con i tuoi genitori non saremmo riusciti a vederci comunque!-, cercò di consolarmi.

-Oh, no, i miei partiranno forse domani o dopodomani, come sempre: loro non si fermano più di due o tre giorni! E poi potevi camuffarti da Cri!-

Thomas rise.

-Mi dispiace, ma non dipende da me.-, si limitò a rispondere.

-ma uffa!, pensavo non venissero i miei!-

-Eh, cara Vera, “stultum est dicere putabam!”-

-Grazie, il latino sistema tutto.-

-Ma certo!-

-E poi c'erano delle cose che volevo chiederti,come per esempio che rapporto hai con lo zio di Cri e perchè mi hai portato nella sua casa, e...-

-Uh, quante cose! Ascolta, ora devo proprio andare...tu non ti preoccupare e fai la brava con i tuoi genitori. Poi tanto avremo tempo per le domande difficili, te lo prometto.-

-Sì, come no.-, ribattei,.

-Dai, fidati di me. Ciao!-

-Ciao.-, borbottai, delusa.

Era stata una brutta telefonata: non potevo vederlo per una settimana, lui partiva chissà dove e chissà con chi e non aveva neppure risposto alle mie domande.

Pensai con desolazione che mi aspettavano delle lunghe, delle lunghissime giornate di attesa, da trascorrere niente popò di meno che con i miei fantastici e divertentissimi genitori...

Mi gettai sul letto e cercai di dimenticare tutte le ingiustizie che la vita mi riserbava, consolandomi col fatto che al massimo sarei sempre potuta andare in piscina con Cri.

Ridacchiai nervosamente, poi udii la porta di camera mia aprirsi.

-Vera, non vieni ad aiutarmi?Stavo preparando il pranzo, e se non sai che fare...puoi sempre darmi una mano.-disse la voce di mia madre.

Chiusi gli occhi. Sentivo la presenza di mia madre, ma sarei riuscita molto facilmente a definire immaginaria quella sensazione, a cancellare la sua persona, sostituendola con chiunque altro o, ancora meglio, con il vuoto assoluto.

Così sarei riuscita ad eliminare altre persone, e tutti gli oggetti che mi circondavano...

E quindi sarei rimasta nel vuoto più assoluto.

Se il mondo intero, se ogni sua filosofia, ogni sua particella, ogni sua inventiva non fosse altro che un capriccio della mia immaginazione? Allora, pensai, il vero mondo è solo un grande, un enorme vuoto, e io ci galleggio dentro.

Rabbrividii.

-Vera?-, balbettò mia madre, preoccupata.

Aprii gli occhi di scatto, e trovando ogni cosa al proprio posto sorrisi, rincuorata.

Tanto valeva vivere nell'illusione, se ciò che la sostituiva era un vuoto allucinogeno.

-Eccomi mamma... dicevi il pranzo, vero?-

Mamma mi lanciò uno dei suoi sguardi, ma io mi limitai a sorriderle.

-Beh, alzati e vieni in cucina...-disse, secca.


Trascorsi il pomeriggio facendo di malavoglia i compiti per la scuola aspettando la fine della giornata, quando, verso le diciassette, mia madre ricevette una telefonata.

Era distesa sul divano che sfogliava una rivista, quando il trillo del telefono la fece sobbalzare.

-Sì?-, la udii rispondere.

Non seppi mai con precisione le parole che si scambiarono mia madre e quella della mamma di Cri, sta di fatto che quando entrò in camera mia aveva il volto paonazzo, i capelli arruffati e li occhi tanto spalancati da sembrare sul punto di cadere.

-Hai dormito con un ragazzo a casa dello zio di Cri, ieri notte?-, mi chiese, cercando inutilmente di non urlare.

Qualcosa ribollì nel mio stomaco, e provai la sensazione di ricevere un violento pugno gelido sul petto.

Questa, poi, non ci voleva.

-Mamma, io ero...-

La voce faceva una fatica sovrumana ad uscirmi dalla gola, e le parole mi affollavano, tutte assieme, la mente.

Che dire?, la verità, che mi ero ubriacata e tutto il resto?

Mia madre mi continuava a guardare, senza muovere un muscolo.

-Non sapevo che fosse la casa dello zio di Cri.-, balbettai, non sapendo da dove incominciare.

Lei scosse la testa, stringendo il telefono nella mano destra fino a farlo scricchiolare.

-Ma hai dormito con quel ragazzo sì o no?-

Mi morsi un labbro.

Dopotutto neanch'io lo sapevo bene, ero così andata che poteva avermi fatto qualunque cosa, come poteva essere arrivato solo al mattino...

-Non lo so, mamma, stavo male.- dissi.

-Male significa in stato d'ebrezza, per te?-

Credetti di intravedere nello sguardo di mia madre una luce carica d'odio, di disprezzo, ma ben presto capii si trattava di uno stato di apprensione che non avevo mai incontrato in lei, prima.

-Sì, mamma, mi sono ubriacata.-

Lei rimase senza parole, continuando a scuotere la testa.

-Dovrai fare una visita medica, allora.-, mi disse poi, seria,-e devi dirmi il nome di questo ragazzo, sempre se lo sai.-

Annuii, sollevata dal tono diplomatico e calmo che aveva assunto.

Poi mi venne un dubbio atroce, e chiesi, con voce infantile:-Ma se io ti do nome e numero e tutto ciò che vorrai, tu non lo denuncerai, vero?-

Lei serrò le labbra, tesa. -No, certo che no.-

Non era mai stata brava a mentire.

La guardai male, ma poi cambiai velocemente argomento: ne avrei riparlato se avesse insistito ancora sul nome di Tom, che tra l'altro non conoscevo neanche per intero...intanto avrei trovato un modo per convincere mia mamma. Che poi pensare ad una denuncia era veramente esagerato! Mi avrebbero fatto un mucchio di domande, e io avrei dovuto dire che ero d'accordo con lui, che era anche colpa mia, pur di salvarlo.

Sempre che fosse accaduto qualcosa, cosa talmente improbabile.

-Mamma, come siete venuti a saperlo, voi adulti?-, chiesi, più che altro per sviare il discorso.

Lei sospirò, sollevando un sopracciglio: aveva afferrato lo scopo di quella domanda poco pertinente.

-Beh,-, borbottò, -la mamma di Cri dice di aver sentito sua figlia parlare ad una sua amica di te e un tipo misterioso e di quello che avevate combinato. Ovviamente credeva che avesse esagerato per divertimento, ma poi Cri le ha spiegato che si trattava di verità e ha vuotato il sacco.-

Rimasi senza parole per qualche secondo, allibita.

-Cri ha fatto la spia??-, domandai con voce scandalizzata.

Mia madre annuì, poi disse parole che come un ago mi traforarono il petto.

-Ora forse capisci perchè ti dicevo che non era una buona amica, per te.-

Sentii lacrime amare pungermi negli occhi, ma si trattava di lacrime di coccodrillo, perchè allora era stata tutta un'illusione quel profuso sentimento di gioia che avevo provato con Cri poche ore prima, quella consapevolezza -effettivamente un po' impossibile-, dell'aver finalmente trovato un'amica!

Quell'amica era la falsa e ciarlatana Cri di sempre, e ancora non capivo come avevo fatto a non capire!

Mia madre si addolcì, e mi sorrise con tenerezza, capendo tutto il mio dolore, ma io di quella sua tenerezza non sapevo proprio che farmene, percui la pregai di uscire dalla mia camera e di lasciarmi sola.

Lei, per fortuna, obbedì.


In camera decisi che mai più sarei cascata in una trappola simile, che mai più mi sarei affidata tanto ad una persona poco raccomandabile... Pensando a questo, però, mi venne in mente che Cri non era la sola amica che avevo...c'era sempre Tom, anche lui una possibile fonte di dolori, seppure non mi avesse ancora tradito in nessun modo. Attorno a lui torreggiava un alone poco rassicurante, e di certo l'ultima cosa che speravo era di perdere anche lui.

Lui, ora, era tutto ciò che mi restava.


****


Il lunedì andai a scuola, con la metà dei compiti in bianco, e passai una mattinata terribilmente stressante.

Cri aveva deciso di evitarmi, forse perchè troppo codarda, forse perchè aveva deciso semplicemente che ero una da evitare, ma questo non mi preoccupò più di molto, perchè qualsiasi fosse stato il suo intento, io lo approvavo e lo alimentavo.

Ciò che più mi disturbava era la vista ad ogni cambio dell'ora di quel biondino, -il quasi-tipo-maniaco-traditore, per intenderci- che Cri aveva pensato bene di dimenticare.

E ora ce l'aveva con me.

Finito italiano, la prima ora, uscii in corridoio come mio solito, e quasi mi venne un infarto nel trovarmelo davanti, con tanto di sorrisetto e pacche sulla spalla. Sulla mia spalla.

Dapprima lo evitai, ma quando diventammo fonte di allegre risate dei miei compagni di classe pensai bene di scappare nel bagno delle ragazze e restare chiusa lì arrivando tardi alla lezione.

All'ora dopo rimasi in classe, ma le risatine mi accompagnarono banco per banco.

Sbirciai fuori, e quello era ancora lì.

-Ehi!, ma ce l'hai con me?-, disse fingendosi sciocco.

Imbarazzata rientrai subito in classe, evitando le mie compagne che per quelle occasioni avevano lingue lunghe ed affilate.

All'intervallo tentai di mimetizzarmi fra un gruppo di ragazze che parlavano di rossetti, sparando scemate su una marca di lucidalabbra che neppure conoscevo, ma sentii qualcuno chiamarmi a gran voce.

Giurai a me stessa di non voltarmi per nulla al mondo.

Ma quando quello cominciò a chiamarmi “dolcetto”, poi “principessa”, poi “amore mio” e poi altre stronzate del genere, mi sentii obbligata a suonargliele di santa ragione.

Mi voltai, e vedendolo vicino ad un distributore di coca-cole immaginai con perfidia di potercelo scaraventare sopra, di impiastricciarlo di cola e fargli pagare i danni, ma ovviamente rimediai solamente con un piccolo schiaffo che non avrebbe fatto male ad una mosca.

Dovevo allenarmi a dare sberle, perchè così era proprio una cosa penosa.

Lui rise, e io non potei fare a meno di vergognarmi a morte e di guardare le facce divertite di chi ci osservava.

Che figura, pensai, e intanto la mia collera cresceva e cresceva.

-Dai, ti do un'altra possibilità-, disse lui, sorridendo.

Mi morsi un labbro: oddio che figura!

Scossi la testa.

-E dai, mi fanno così piacere le tue sberle, Vera!-, aggiunse.

No, questo era troppo!

Cominciarono a tremarmi le mani, e il mio labbro superiore fremette. Dovevo essere cattiva, molto cattiva, dovevo sprigionare tutta la furia che c'era in me.

Solo così, forse, avrebbe capito.

Strinsi in un pugno la mia mano destra e senza tanti problemi sferragliai un pugno sui denti del biondino che continuava a sorridere... mi sentii immensamente felice nel vederlo chinarsi in avanti e cadere sulle ginocchia.

Gemette, e io sorrisi. Avevo una vaga idea di quello che avevo potuto fargli: al massimo un livido...

Mi guardai le nocche doloranti, e con orrore constatai che erano sporche di sangue.

Del suo sangue.

Il biondino sollevò il volto e mi guardò, e io non potei fare a meno di coprirmi la bocca vedendo la sua piena di sangue.

Lui, in compenso, sorrideva.

Ma cosa mi era passato per la zucca? IO tirare un pugno così?

-Ommioddio, scusami! Ti porto subito in infermeria!-esclamai, terrorizzata.

Perchè l'avevo fatto? Cosa credevo di concludere con questo?

Ma soprattutto: ci si poteva far sospendere per una cosa del genere?

Lo presi per un braccio e lo sollevai di peso.

Lui si alzò, ma poi si voltò e sputò sangue, bava e un dente in una sua mano.

Soffocai un'imprecazione.

-Vieni, dai...-

Lui si appoggiò a me, sebbene per quanto mi risultasse le gambe potevano benissimo sorreggerlo, e quando raggiunsi la porta rossa fiammante dell'infermeria tirai un sospirone di sollievo.

Aprii ed entrai, agguantando un asciugamano da una pila e ficcandoglielo in bocca.

Come sempre l'infermiera non c'era, era forse al bagno, forse a prendersi un caffè, o forse quel giorno non era proprio venuta.

Non ero mai entrata nell'infermeria, prima.

Consisteva in una stanzetta male illuminata con un lavandino e alle pareti armadietti bianchi, bottigliette di alcool ed acqua ossigenata, compresse ed una brandina spinta in verticale dietro la porta.

Ah, dimenticavo, c'era anche un calendario della croce rossa.

Presi dell'alcool e una compressa, e cercai di farne un impacco per la mia vittima.

Quello intanto sputacchiava nel lavandino e si puliva la bocca con l'asciugamano, lanciandomi talvolta delle occhiate preoccupate.

Aveva un taglio profondo all'interno del labbro inferiore, dove ero riuscita chissà come a staccargli un dente.

-Tieni-, dissi, allungandogli l'impacco.

Lui lo agguantò, e fece per dire qualcosa, ma si bloccò, interrotto da una fitta di dolore.

-Ehm, io... scusa.-, borbottai, vedendolo così malmesso.

-Mmm-, mugolò lui.

Fece una smorfia premendosi l'impacco sul labbro, ma poi mi fece l'occhilino.

Che scena imbarazzante. Che scena patetica.

Ero riuscita a far male ad un ragazzo. Io!

Mah, dettagli.

Qualcuno entrò nella stanza, e io tirai un sospiro di sollievo quando riconobbi l'infermiera.

Aveva una faccia spaventata, come se fosse la prima volta in tutta la sua carriera che effettivamente doveva fare qualcosa.

Si avvicinò al biondo lanciandomi prima un'occhiataccia e, corrugando le sopracciglia gli chiese:-Ti fa male?-

Lui annuì, e io soffocai una risatina, divertita da quella stupida domanda ovvia.

Lei mi guardò ancora male.

-Allora, cosa è successo qui?-, chiese, con tono severo.

Ohi-ohi, qui veniva il brutto!

Mi morsi un labbro e guardai disperatamente l'infortunato, che però non parve tanto preoccupato.

Ma certo, lì la cattiva da punire ero io!

-Ehm, io, ecco, lui, eravamo davanti al distributore della coca-cola...-, cominciai a spiegare, balbettando e avvampando ad ogni parola.

Oddio che figura... mi preoccupava cosa sarebbe andata a dire ai professori quella infermiera del non-dico-cosa.

-Shì, e io shono cadguto prhrhoprhrhio glì-, farfugliò anche il biondino, cercando di parlare in modo comprensibile anche con l'impacco sulle labbra.

L'infermiera sollevò un sopracciglio, diffidente.

-Sei scivolato o qualcuno ti ha fatto cadere?-, chiese.

-È caduto da solo.-risposi io, stando al suo piano.

L'infermiera m'ignorò, e continuò ad attendere una risposta dall'infortunato.

Lui annuì, e solo allora lei aprì una borsetta della croce rossa e ne estrasse una specie di kit di sopravvivenza.

-Io potrei benissimo crederci, ma mi dovrete spiegare come fa uno a rompersi un dente e un labbro cadendo vicino al distributore di coca-cola...da solo.-disse, aprendo una bottiglietta dall'odore nauseante.

La mia vittima mi lanciò uno sguardo preoccupato, ma incontrando il mio teso ed ansioso si sciolse e, ignorando il dolore alla bocca, cercò di sorridermi.

La tizia versò il liquido puzzolente su di una compressa e la strizzò per non farla gocciolare troppo, poi si avvicinò al ragazzino e, gettando via il MIO impacco gli fece aprire la bocca, scrutandone l'inclinazione dei denti e le sfregature delle labbra.

Lui si lasciò medicare, ubbidiente, mentre io da dietro cercavo di indovinare cosa cavolo mi sarei beccata come punizione.

L'odore nauseabondo fu sostituito da un altro acre e terribilmente pungente che si rivelò una pomata per le labbra. Quando lo sentii gemere mi tappai le orecchie e cercai di non gemere a mia volta, e una volta finito fui talmente felice di vederlo ancora vivo che gli concessi un gran sorriso.

-Ecco fatto.-, borbottò l'infermiera.

Lui si massaggiò la bocca e la ringraziò timidamente, poi mi raggiunse e mi fece un cenno del capo, come a dire: visto?, niente di così grave!

Chiesi all'infermiera cosa avrebbe raccontato ai nostri professori, ma quella, lanciando uno sguardo divertito alla mia vittima si limitò a dire che, tanto, i professori non avrebbero mai dato conto ad una zuffa come quella che era appena avvenuta, così come aveva fatto lei.

Fui felice della sua risposta, anche se capivo perfettamente che lo faceva solo per lui, perchè lo trovava simpatico o forse anche attraente, e che se si fosse trattato di me sola non mi avrebbe mai concesso tanto.

Ringraziammo entrambi, e tornammo nei corridoi vuoti delle ultime ore.

-Ah, non mi sono ancora scusata.-, mormorai, ferma davanti alla mi classe.

Lui scosse la testa, -No, invece, l'hai fatto.-

Sorrisi. -Oh, beh, ma se credi che quelle siano scuse...-

-Sì, lo credo, e capisco benissimo come ti sia sentita, all'intervallo. Capisco perchè io ho progettato tutto questo, nella speranza di farmi notare, e tu sei solo cascata nella mia trappola.-, disse con tono grave e saggio.

Lo guardai male, sperando di non aver capito bene, ma poi scossi tristemente la test, non trovando parole per ribattere. Forse era vero, ma comunque come versione non era niente male, pensai, almeno per riuscire a trovare un significato nel mio comportamento tanto incosciente.

-Però, se proprio ci tieni ad essere scusata,- aggiunse lui, fermandomi prima che rientrassi in classe, -potresti sempre accettare di uscire con me.-

Ah, ecco i suoi fini meschini! E io così facendo dovrei farmi scusare??

-Non dirmi che vuoi un altro pugno!-soffiai, digrignando i denti.

Lui sorrise, il labbro inferiore terribilmente gonfio, e un dente mancante quasi invisibile dietro la guancia. Fortuna che non gliene avevo staccato uno davanti, altrimenti sarebbe stato proprio crudele.

-Ma dai, non dirmi che in fin dei conti farti una passeggiatina con me ogni tanto non ti farebbe piacere!-, esclamò, positivo.

-Se invece te lo dicessi?-

Lui sospirò, alzando gli occhi al soffitto.

-Boh, probabilmente mi sparerei.-disse, drammatico.

Sbuffai e mi voltai per aprire la porta dell'aula che mi aspettava da due ore, ma poi lo udii sussurrare:-Oppure potrei sempre lamentarmi con i professori della tua violenza e del tuo bullismo.-

Mi voltai, spaventata, ma quello già s'incamminava per la sua classe.

Entrando sentii i suoi occhi pungermi le spalle, troppo tardi per rendersi conto dell'effetto che avevano scatenato le sue parole, e sgattaiolai al mio banco evitando gli sguardi dispettosi dei miei compagni, e cercando di non vedere gli occhi iniettati di sangue della mia nuova nemica: la perfida Cri.

 

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Se vi state chiedendo cosa cavolo voglia il quasi-tizio-di-Cri e perchè mai si sia immischiato vi posso solamente rispondere che mi stava molto simpatico, e così ho deciso di affidargli un ruolo nella mia storiella, tanto per complicare ancora un tantino le cose.

E allora, Cri e Vera faranno pace?

Il biondino riuscirà a conquistare la nostra protagonista?

Che ne è di Thomas e di tutte le domande alle quali deve ancora rispondere?

Cosa sarà realmente accaduto in quella notte che ha trascorso con Vera?

 

Come vedete, la storia non è affatto conclusa, anzi!

 

Ora i ringraziamenti:

RIngrazio di cuore MikaName per la sua recensione!!!

Grazie mille di tutti i compimenti, innanzi tutto! Mi fa piacere che qualcuno apprezzi la mia storia anche se forse tralascio troppi particolari e lascio troppi dubbi al lettore^^ Sono felice che tu sia tanto curiosa, e spero di rivelarti al più presto le realtà di Tom e compagnia bella, sperando sempre di non deluderti!!

Ringrazio anche ReginaOscura per la recnsione!!!!
Ehi!, non ti preoccupare se recensisci in ritardo, l'importante  che tu lo faccia^^ E grazie mille di tutti i tuoi complimenti! Sono passata da te, ovviamente, e credo anche di averti lasciato qualche recensione qua e là.^^ Spero, almeno. Dimmi sempre quando aggiorni, non te lo dimenticare! Anche tu, ovviamente chiedi spiegazioni......
Beh, c'è una cosa che devo amettere, e questo VALE PER TUTTE:alcuni dubbi resteranno sempre vaghi, come il perchè degli incubi, o cose del genere, e tutto verrà spiegato solo alla fine, con un colpo di scena tremendo!

UUps, forse ho detto troppo!^^

Anticipazione: Nel prossimo capitolo tornerà Thomas, si parlerà degli incubi di Vera e il biondino otterrà qualcosa dalla nostra protagonista... ma cosa????
Scopritelo nel prossimo capitolooo!!!!!!!!!!!!!!!!!

Arrivederci a tutte!

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Capitolo 10
*** capitolo ottavo ***


CHAPTER EIGHT




Qualche giorno dopo mi ritrovai a pensare con una certa ansia a Thomas: una parte di me era preoccupata per il mio ragazzo, l’altra sollevata che non ci fosse.
Chissà dov’era, chissà con chi! Quella notte mi si era ripresentato l’incubo, e mi era parso ancora più somigliante a Tom.
Sapevo che un collegamento c’era, ma non riuscivo proprio a farmene una spiegazione.
Gli avevo scritto il giorno dopo la sua partenza, ma non mi ha mai risposto. Non che l’idea di messaggiare con Thomas m’intrigasse molto, ma il fatto che non mi rispondesse era poco rassicurante.
Invece forse era un bene che non ci fosse, perché certamente si sarebbe accorto del biondino…
Sì, prorprio quel biondino, che avevo scoperto si chiamava Max.
Max oramai era quasi un’ossessione: me lo trovavo davanti ogni sessanta minuti, al cambio ore e all’intervallo.
Ciò che mi turbava maggiormente non era solo la sua presenza assidua, ma piuttosto la sua schiattezza.
L’altro giorno, mercoledì credo, dopo scienze, si è messo a chiedermi cosa avevo in programma per quella sera, se mi andava di uscire eccetera, e gli ho risposto con un secco:-Sparisci.-
Lui ha sorriso, per nulla offeso (il labbro inferiore si era sgonfiato in fretta, oramai mi ero già pentita di averlo aiutato a medicarsi la bocca…), e mi ha risposto che se davvero fosse sparito, se avesse smesso di venirmi a trovare, certamente ci sarei rimasta di merda.
L’ho guardato senza capire per mezzo secondo buono, poi mi sono ripresa e l’ho scacciato di malomodo…Era la cosa giusta?
No, non lo era: aveva solo detto che io tenevo alla sua presenza, il che era anche vero…uffa!
Avevo paura di affezionarmi a quel corteggiattore maniaco!
Avrei dovuto pur dirgli che se osava ancora provarci mi sarei incazzata di brutto!
Ma sarebbe stata la verità? Mi avrebbe fatto piacere?
Sì, certo che sì, io amo Tom!
E allora cos’ avrei dovuto fare?
Ah, quanto mi mancava Cri!! Ero quasi del tutto sicura che se fosse stata qui avrebbe saputo come comportarsi.
E invece ha lanciato la moda in tutte le ragazze del liceo di odiarmi.
Ora anziché evitarmi come una volta, mi perseguitavano.
E io ci stavo anche male!
Mi prendevano in giro per tutto: perché mi vestivo così, perché facevo i compiti cosà, anche perché Max ci provava!
Decisi di scrivere un sms a Tom, sapendo che non mi avrebbe risposto, perché avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno.
Sì, lo decisi, perché a voce mi sarei resa ridicola, ma almeno la certezza di essermi confidata con qualcuno ce l’avrei avuta.

Poi andò a finire che non scrissi una sola lettera, tanta era la mia timidezza.

Quella sera stavo studiando, china sui libri, quando mamma mi chiamò.
Quasi me ne ero scordata, ma dovevo ancora chiudere i conti con lei e con le sue fissazioni per quella notte passata in casa dello zio di Cri.
-Vera! Domani hai l’appuntamento con il medico!!-
Sbuffai. Il medico, un ometto basso e pelato, che mi aveva fatto aprire le gambe in modo imbarazzante, che mi aveva spalancato la bocca e con una lucina viola aveva cercato chissà cosa, aveva affermato che non ero stata violentata, né tantomeno ero incinta, ma mia madre aveva preso un secondo appuntamento, poco sicura che fosse la verità.
Non credevo si fidasse così poco di me.
-Mamma, è ora di piantarla con sto medico! Insomma, non è successo nulla quella notte, te lo vuoi mettere in testa sì o no?-esclamai, esagerando un tantino.
Mia madre non battè ciglio, fingendo di non aver sentinto nulla.
Era una buona tecnica, ma suscitava nella vittima solo più rabbia e furore.
-Alle tre, ricordi? E cerca di non arrivare in ritardo!-, disse lei, come se non le avessi mai parlato.
Non risposi: io a quell’appuntamento non ci sarei andata, fosse costato anche cento bigliettoni, ma io lì non ci rimettevo piede!
-Però ci andrai da sola-, aggiunse, il tono della voce meno autorevole, quasi colpevole, -perché io e papà partiamo fra poco.-
Un sorrisetto perfido mi si spiattellò sulle labbra, e con voce fasulla rassicurai mia madre che sarebbe stato tutto a posto, che anche se non c’erano loro a contrrollarmi ormai ci andavo, era deciso, sì sì.
Mia madre lasciò la stanza con una ramanzina, perché con mia immensa gioia partivano per una settimana buona, e quindi dovevo badare a me stessa e far da mangiare, e pulire la casa, e non fare casini alle feste…insomma: la solita ed inutile ramanzina.


Ero a scuola, terza ora, quando con orrore sentii la tasca destra dei jeans comunciare a vibrarmi i modo osceno.
Presto partì la suoneria, e tutta la classe rivolse il suo sguardo verso l’ultimo banco in fondo, cioè il mio, dove una me sicuramente rossa come un peperone non aveva il coraggio di muovere un muscolo.
La prof di latino sollevò gli occhi grigi dai compiti che stava correggendo, e mi lanciò un’occhiataccia furibonda che mi fece venire la pelle d’oca.
-Spegni quell’aggeggio, Monfort!-mi urlò, quando oramai il motivetto del cellulare cominciava a diventare insopportabile.
Io obbedii con le mani tremanti, e fui ben felice quando come punizione mi buttarono fuori dalla classe per il resto dell’ora, lasciandomi però con il telefonino in mano. Dopotutto, poteva andarmi molto peggio.
A complicare le cose fu, però, la comparsa di Max, che dopo qualche minuto attraversò il corridoio per raggiungere il bagno dei ragazzi, poco distante da me.
-Ehi!, guarda un po’ chi si rivede!-esclamò, stupito di avermi trovata con tanta facilità.
Non risposi, mordendomi un labbro: cercavo di capire chi mi avesse chiamato durante l’orario scolastico, premendo a raffica i tasti del cellulare.
-Sei un po’ nervosetta, oggi, dev’essere collegato al perché sei fuori dalla tua classe…-,continuò Max, sgranando i suoi occhi azzurri per cercare di capire.
Continuai a non rispondere, premendo il tasto”chiamate ricevute”.
Scorsi rapidamente l’elenco, ed in cima vi trovai un numero assai familiare.
Dopo le prime tre cifre fui sicura di conoscerlo alla perfezione.
-Tom!-, esclamai, dimentica del biondino di fronte a me.
Thomas, il mio ragazzo, mi aveva chiamata!, era successo qualcosa di grave?
Ovvio, altrimenti non mi avrebbe telefonato a quest’ora…
-Chi è Tom?-, mi chiedeva intanto Max, con una punta di preoccupazione nella voce. -Il mio ragazzo!-spiegai, senza tanti giri di parole,-Lui…mi ha telefonato poco fa…è per questo che mi hanno buttata fuori…-
Max scosse la testa, contrariato, -Io non l’avrei mai fatto, te lo garantisco!-
-Ma neanche lui lo avrebbe mai fatto!, è per questo che mi preoccupo, capisci?-dissi,
alzandomi di colpo in piedi e capendo cos’avrei dovuto fare.
-Ascolta,-proseguii,-devi far in modo che nessuno mi veda mentre telefono al mio ragazzo, ok?-
Il biondo sorrise con aria complice ed annuì, tutto ad un tratto interessato e preso dall’impresa.
-Sì-mi rassicurò,-ma prima c’è un motivo per il quale mi trovavo qui che devo sbrigare al più presto…-
Ridacchiò e corse nella toalette maschile, sbattendo la porta per la fretta.
Mi venne da ridere, ma poi riprese il sopravvento l’ansia per Tom.
Dopo poco Max era già uscito e mi faceva segno di entrare al suo posto: sarebbe rimasto di guardia davanti alla porta mentre telefonavo.
Ringraziai timidamente ed entrai con ribrezzo nella stanzetta buia e puzzolente piena di vespasiani attaccati alle pareti.
Premetti il cellulare sull’orecchio ed attesi che rispondesse il mio ragazzo.
-Pronto?-
Tirai un sospiro di sollievo: almeno c’era.
-Pronto, Tom? Perché mi hai telefonato?-
-Cosa? Vera? Ma non dovresti essere a scuola a quest’ora?-
La sua voce era pastosa, come se non fosse ancora del tutto sveglio, e mi appariva più che mai colto di sorpresa, come spaventato dalla mia chiamata.
-Sì, sono nel bagno maschile, infatti…allora, perché hai telefonato?-
-Cosa?! Io? No, devo essermi sbagliato, allora!, Scusami…-urlacchiò dall’altra parte del telefono.
Una risatina femminile interruppe la sua frase, e io sentii stringermi il cuore con una morsa glaciale.
-Ma con chi sei, scusa?-esclamai.
-No, io…ma perché sei nel bagno dei maschi?-rispose lui.
-Rispondi!!-gridai.
-Oh…(altre risatine divertite)piantala!, ti ho detto di non farlo!!-
Cominciava a formularsi un’immagine ben chiara nella mia mente: il MIO ragazzo a letto con una o più altre, loro che ridacchiavano e lui che mi faceva soffrire.
-Di fare cosa con chi??-mormorai, la voce rotta dal dolore che mi attanagliava sia il petto che la gola.
“Non devo piangere, non devo piangere, non devo piangere”, continuavo a dirmi, eppure mi sembrava tutto così ingiusto!,
-Scusami, Vera, ma ora proprio non posso parlarti. Puoi richiamarmi?-
Una lacrima amara mi rigò le guance, mi morsi un labbro e strinsi i pugni fino a farmi male.
Quella era la classica bugia dello stallone in attività, la classica cavolata maschile che celava chissà quali segreti al suo interno.
Thomas mi stava tradendo.
Il mio ragazzo mi stava tradendo.
Mi sentii malissimo, come sul punto di vomitare, e mi aggrappai ad un cesso viscido per non cadere.
-allora mi richiami tu?-insistette la voce dall’altra parte del telefono.
-No!Bastardo!Solo perché sono più piccola!Traditore!figlio di puttana che non sei altro, spero prorpio che quella con cui mi tradisci sia all’altezza per te, coglione!!!-Gridai con tutto il fiato che avevo, poi chiusi con uno scatto la chiamata ed aprii furente la porta della toalette.
-Quello stronzo mi sta tradendo!-sibilai a Max, che mi guardava terrorizzato.
-Ehi, ehi, calma…sono cose che capitano, non è il caso di urlare così!-, cercava di tranquillizzarmi, prendendomi una mano come se fossi fuori di senno.
-Oh, ma non capisci! Lui era così…lui era tutto per me! Non posso tollerare una cosa del genere, proprio non posso!!-
Max mi sorrise, comprensivo, anche se sapevo che sotto sotto ci godeva.
-Sai che ti sente tutta la scuola?-mi disse, sussurrando per mettere in evidenza il tono della mia voce.
-Cosa vuoi che me ne freghi! La scuola è solo un’istituzione creata dal governo per far rincoglionire chi è obbligato ad andarci!- esclamai, ma questa volta più cautamente.
Lui rise, rise di gusto, ed allora mi parve più che mai bello: i suoi occhi limpidi e sinceri brillavano di ilarità, il suo sorriso leggermente sfigurato era come quello di un bambino, e la sua risata era tenera ed allegra.
Tom tradiva me, e io forse tradivo lui…
-Smettila.-soffiai, -smettila di ridere a quel modo!-
Lui smise all’istante, facendosi serio e colpevole.
-scusa-, mormorò.
Mi sedetti sul pavimento, lasciandomi scivolare contro la parete ruvida e mal dipinta.
-Oh, scusami tu, Max, sto impazzendo…-borbottai, cercando di frenare lacrime rabbiose che partivano dal groppo che non riuscivo a mandar giù nella mia gola.
-Figurati, ti capisco benissimo, capita…-
Sentii il suo corpo scivolare vicino al mio e con disprezzo ricordai la serata della festa quando Cri mi aveva abbandonato con lui.
-Eri ubriaco, quella sera?-gli chiesi, come se da ore stessimo parlano di quella festa.
-Alla festa?-
Non risposi, e lui lo prese per un sì.
-Beh, non del tutto…diciamo che non ero in me, ecco, ma l’alcool non c’entrava poi così tanto.-spiegò, il tono più duro e sofferente.
-e cosa c’entrava, allora?-chiesi, certa che non aspettasse altro che una domanda simile.
-Beh, c’entrava la mia ex, c’entrava il mio compleanno più merdoso della storia, e c’entravi anche tu.-
Arrossii: da questo punto di vista lui non era il perfido biondino maniaco, ma solo una vittima delle conseguenze e dell’amore.
-Ah…-sospirai, non trovando cos’altro dire.
-Sei stata la mia salvezza, quella sera.-borbottò, rosso d’imbarazzo,-cioè, saresti stata la mia salvezza se d’un tratto non avessi visto il tuo favoloso tipo e te ne fossi scappata a dormire con lui in casa dello zio dell’amichetta.-
Mi morsi un labbro, colpevole.
-Era tutto architettato?-domandò, con un tono fin troppo offeso.
-no-
-No?-
Non risposi.
In quel momento la campana della terza ora trillò, e Max saltò in piedi e corse alla sua classe, mentre io non mi mossi, aspettando il richiamo della prof.

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Allora: capitolo duro per Vera!!
Tom l’ha tradita? Perché? Con chi?
Come andrà a finire con il biondino??
E ora passiamo ai ringraziamenti: RINGRAZIO TUTTI COLORO CHE HANNO MESSO QUESTA STORIA FRA LE PREFERITE, SEGUITE, E SOPRATTUTTO CHI HA RECENSITO.
Graaaaaaaaaazie!!!!!!!

Ps.i ringraziamenti individuali ve li farò man mano, perché adesso come adesso ho internet che s’impalla ogni tre secondi e non mi conviene recensirvi in questo momento catastrofico.
Comunque vi prometto che passerò da ognuna di voi. Ancora mille grazie a tutti.

CIAOOOOOOOOOOOOOO!

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Capitolo 11
*** Chapter nine ***


Chapter nine




Quel giorno era un giovedì banale e grigio, e avevo l'impressione di dover passare una giornata terribilmente noiosa.

Avevo chiuso in faccia la chiamata con Tom e mi ero ripromessa di non sentirlo più, ma sentivo il bisogno bruciante di conoscere cosa fosse realmente accaduto, e per questo in fondo in fondo speravo mi richiamasse subito, passando ore e ore rigirandomi fa le mani il cellulare.

In classe l'atmosfera era dormiente: a parte le amichette di Cri che mi lanciavano occhiatacce perfide tutti gli altri parevano trovare le lezioni molto soporifere.

Durante l'intervallo mandai a quel paese (letteralmente) Max, e aspettai che la giornata scolastica si concludesse, in un modo o nell'altro.

Non appena squillò la campanella mi precipitai fuori dalla classe, e mi fermai solo quando, fuori dalla scuola, mi accorsi che pioveva in modo terribile, con tanto di tuoni e lampi.

Mi coprii con il cappuccio ma ovviamente non bastò, e in pochi secondi mi ritrovai completamente fradicia.

Un clacson colpì la mia attenzione e, voltandomi verso la fermata del bus, notai una macchina nera lucente e fin troppo appariscente: una BMW.

Rimasi a guardarla con l'acquolina alla bocca, e solo quando vidi il proprietario uscirne e sbattere la portiera con forza ritornai ad avere un'espressione normale.

Tom mi guardava con sguardo tagliente, coperto dal suo mantello nero e munito da un ombrello dello stesso colore, che mi ricordava tanto quello di mia nonna al funerale del marito.

-Non ti bagni, qua fuori?- mi chiese, allungandomi l'ombrello.

Lo guardai con curiosità, ma non mi mossi.

-Cosa vuoi?- chiesi, scostando dal viso alcune ciocche bagnate.

-Come cosa voglio!- esclamò, offeso. -Dovevo richiamarti, ma ho deciso di venire di persona. Per capire.-

-Capire? Tu?-

Lui annuì. -Sì. Sai, forse non te ne sei accorta, ma mi hai chiuso in faccia la telefonata.-

Ridacchiai.

Lui aprì l'ombrello, avvicinandosi a me e riparandomi.

Ebbi la tentazione di abbracciarlo e chiedergli cosa cavolo avesse combinato e soprattutto perchè, ma rimasi impassibile, senza neppure rifiutare il suo riparo.

-Io non ho capito perchè tu l'abbia fatto, né perchè tu fossi stata così ostile nei miei confronti... Se c'è in mezzo un altro ragazzo puoi dirmelo: ci rimarrei malissimo ma non ti mangerei mica.-

Arrossii, poi mi morsicai un labbro.

-Sei TU che mi devi spiegare! Innanzitutto perchè mi hai telefonata a quell'ora, se sapevi benissimo che ero a scuola, poi...-

-Ehi, è stata Irina, quindi non è affatto colpa mia!- m'interruppe, brusco.

Raggelai: allora si chiamava Irina, e aveva il coraggio di parlarmene come se nulla fosse! Evidentemente per lui era normale!

-...Irina?- ebbi solo la forza di balbettare.

-Sì, certo, mia cugina.- spiegò.

Risi amaramente. -Cioè, tu vorresti farmi credere che tua cugina mi avrebbe telefonato, che poi al telefono chi ti dava fastidio e ti toccava era sempre lei e che quindi mi hai promesso di richiamarmi per tua cugina??-

Lui mi appoggiò una mano sulla spalla, serissimo. -Esattamente, Vera. Irina è figlia di mio zio. Vivono in campagna e io ogni tanto li vado a trovare. Erano tanto affezionati a mio papà, prima...-

Spalancai gli occhi, completamente confusa.

-Vieni, entra in macchina.- m'intimò. -Ti spiegherò lì.-

Ci sedemmo sui sedili anteriori e lì, finalmente, si confidò con me:

-I miei genitori sono morti pochi anni fa in un incidente d'auto. O almeno così hanno raccontato a me e Matteò, mio fratello minore. Ora viviamo con nostra zia Susanne, sorella di mia madre, ma ogni tanto facciamo visita anche agli altri. Ero andato dal fratello maggiore di mio padre, Bob, e sua figlia Irina... ma io e lei ci odiamo: passiamo la vita a farci dispetti. Dev'essere per questo che ti ha chiamata.-

Io mi sentivo morire: avevo sospettato così ingenuamente del mio ragazzo? Perchè?

Forse perchè ero con Max, in quel momento...

Ma Tom non aveva ancora finito di parlare:

-Quando invece quella notte eri ubriaca ti ho portato nella casa del migliore amico di mio zio...Io e Fred (il proprietario della casa) siamo ottimi amici, e per questo lui mi ha lasciato le chiavi di casa sua. “Se ne avrai mai bisogno, usale!” mi aveva detto, e io l'ho fatto. Non è colpa mia se un biondino che ti aveva messo le mani addosso l'ha riferito a quella cretina della tua amica!-

Sentii il ribrezzo con il quale appellava i due personaggi e mi sentii colpevole: in fondo lui mi aveva detto tutto, mentre io...

-Cavolo, Tom, scusami!- esclamai, in lacrime.

Lui mi fissò, sorpreso. -Di cosa? Di non sapere tutta la mia vita?-

Non risposi e mi augurai che lo prendesse per un sì, poi gettai le mie braccia al suo collo, improvvisamente felice e sollevata.

Lui ricambiò l'abbraccio con calore e poi mi accarezzò il volto ancora bagnato dalla pioggia.

-Comunque il biondino si chiama Max.- aggiunsi, piano.

Lui si scostò appena, giusto per guardarmi negli occhi.

-Max?-

Sapevo cosa stava pensando: se conoscevo quel nome ci avevo parlato quasi sicuramente, e ciò non poteva che irritarlo.

-Come sai che si chiama Max?-

Sospirai.

-Ci ho parlato.-

-Ah.-

Sentii le mie mani che gli circondavano il collo terribilmente fuori posto, come il mio volto a quella vicinanza dal suo, ma non osai spostarmi per non offenderlo.

-Beh, mi sembra che chi me debba delle spiegazioni, in fondo, sei sempre tu.- Borbottò lui, sciogliendo l'abbraccio e appoggiando le mani sul volante.

-Oh, Tom, perchè quel ragazzino ti irrita tanto? Lo sai che non provo assolutamente nulla per lui...-

-No, non lo so.-

-Tom, sai che ti amo!-

Lui mi guardò negli occhi, come per accertarsi che fosse la verità.

-Forse.- ammise.

-E allora? Perchè dovrei cercare qualcosa da un altro?-

-Non lo so.-

Sbuffai. Quel discorso era pericoloso e non portava da nessuna parte.

-Eri venuto a prendermi?- chiesi, per cambiare argomento.

Lui annuì, taciturno.

-Beh, temo che i miei genitori saranno parecchio preoccupati per me.-azzardai, accarezzandogli un braccio.

Lui mi guardò per un attimo sconcertato, poi sorrise ed annuì.

Fece partire il motore e avviò l'auto in direzione di casa mia.

Eravamo quasi arrivati che vidi l'auto dei miei genitori sfrecciare in direzione opposta alla nostra, e riconobbi mia madre col vestito buono che usava per i viaggi seduta al fianco di papà, che mentre guidava gesticolava ampiamente.

-Oddio!, sono loro!- bisbigliai, rannicchiandomi sul sedile.

-Loro chi?- mi chiese subito Thomas, preoccupato.

-I miei! Non ti voltare, però!!-

La macchina passò oltre senza che miei genitori si accorgessero di me, e io ringraziai le divinità celesti per aver avverato i miei desideri.

-Dove andavano?- mi chiese Thomas, già sotto casa mia.

-Accosta pure qui... Non lo so, saranno andati come sempre a lavorare. Vanno e vengono così, sai.-

Lui mi guardò perplesso, ma poi accostò dove gli avevo accennato e fu tutto preso dalle manovre.

Finalmente fermi, scendemmo dal mezzo.

-Quindi...i tuoi non ci sono?- chiese lui.

Sorrisi, maliziosa.

-No. La casa è tutta per noi!- esclamai, improvvisamente allegra.

Tom rise alla mia reazione e mi seguì mentre cercavo di aprire il portone con le chiavi di casa.

Salimmo le scale di corsa, e ci fermammo al secondo ostacolo, ovvero la porta d'ingresso.

Trovai le chiavi e ci misi qualche minuto, sentendo Tom che, alle mie spalle, derideva la mia goffaggine.

-Eccoci!- esclamai, quando finalmente la porta si spalancò di fronte a noi.

Thomas rise e mi sorprese appoggiando le sue mani attorno ai miei fianchi.

Imbarazzata, da prima non mi mossi, poi entrai come se nulla fosse accaduto, e gli presentai la sala e lo stretto corridoio che portava alla mia cameretta.

-...e qui c'è camera mia!- aggiunsi, indicandogli la porta decorata da poster infantili.

Lui mi sorrise, incitandomi ad aprirla.

Trattenni il fiato e sperai con tutto il cuore di aver tolto almeno le mutande sporche dal pavimento.

Aprii la porta e la camera in tutto il suo disordine si presentò ai nostri occhi.

-Ehm...-mormorai solo, imbarazzata. Poi mi precipitai all'interno e raccattai il più velocemente possibile i reggiseni, le calze, le mutande, i peluches e tutto ciò che intralciava il cammino su quel pavimento stracolmo.

Preso tutto quanto, lo gettai nel mio armadio e poi rivolsi un sorriso accogliente a Thomas.

Lui mi guardò, le sopracciglia inarcate e la bocca aperta, ma poi ricambiò il sorriso ed entrò come se si trovasse in un lussuosissimo museo d'epoca.

-Allora?- domandai, ancora ansante.

Lui per tutta risposta mi abbracciò e mi concedette un bacio sulla fronte.

Ero al colmo della felicità: Tom non mi aveva tradito, mi aveva spiegato tutto o quasi e ora mi abbracciava in camera mia.

Cosa si poteva chiedere di più? Speravo solo che quel momento durasse il più possibile, e che niente e nessuno lo rovinasse.


Mangiammo ciò che mia mamma si era curata di lasciarmi in frigo, e nel bigliettino che trovai vicino al telefono lessi che sarebbero tornati “non prima di dopodomani sera. Fino ad allora NON potrai andare fuori per feste, o con ragazzi sconosciuti. Quando torneremo ne potremo discutere, ma prima cerca di non fare danni.”.

Mi sentivo baciata dalla fortuna.

Dopo pranzo Tom mi costrinse a fare i compiti di scuola, ma fu ugualmente divertente poiché lui stesso mi aiutò, e fu allora che scoprii che era terribilmente secchione, il che era solo un bene, perchè, come mi aveva promesso, mi avrebbe aiutato quando avrei voluto.

Dopodichè sembrava che fosse giunto il momento di rilassarsi, i compiti finalmente finiti e una compagnia strepitosa.

-Tu dormi al pomeriggio?- chiesi.

-Il pisolino, intendi?-

Annuii, sorridendo.

-Veramente no, ma farei volentieri un'eccezione...-

Risi.

-Ok.-

Ci sdraiammo sul divano della sala, e cercammo una posizione comoda.

Quando finalmente la trovammo, però, (io sdraiata su di lui, soffocandolo, e lui senza lamentarsi di nulla) il sonno parve essere l'ultima delle preoccupazioni.

Cominciammo a parlare, dapprima chiedendoci a vicenda le vecchie storie e i vecchi amori, dove scoprii che Tom, prima di me, era sempre stato con ragazze più grandi, delle poco di buono, l che mi stupì molto, poi passammo a situazioni presenti, ben più serie.

-Non è la prima volta che dormiamo assieme.- constatai, giocherellando con un filo della sua felpa.

-Beh, se questo lo chiami dormire...-

Ridacchiai.

-Ti avevo poi detto quanto si è arrabbiata mia mamma nel sapere dove avevo passato la notte?- chiesi.

Lui scosse la testa.

-No, ma lo immagino... non ti avrà mica mandato da un dottore!-

Io annuii, pensosa.

Tom sbuffò, inondandomi con il suo alito caldo.

-Scusami, lo so che avrei dovuto portarti subito a casa, ma sono stato terribilmente egoista...-

Lo guardai, stupita. -Ma cosa ti scusi! Mi hai solo fatto piacere!-

Lui sorrise, e mi accarezzò il volto.

-Sai, parlavi nel sonno...- mormorò.

-Oh, davvero?-

-Sì. Credo che quella notte tu mi abbia sognato. Mi chiamavi con insistenza per nome e sembravi anche terrorizzata.-

Rabbrividii.

-I miei incubi...- borbottai.

-Ne hai tanti?-

-Beh...praticamente tutte le notti. Ma ormai non ci faccio quasi più caso: ci sono abituata.-

Tom era preoccupato, cercava i miei occhi per farmi capire coi suoi che non era felice di come stavano le cose.

Ma non volevo ricambiare quello sguardo, non volevo rovinare quel momento.

-Non è che forse dovresti andare da uno psicologo? Dicono che curino anche i sogni.-

Sbuffai.

-Io da uno strizzacervelli? Per farmi dire che sono stressata, ho bisogno di calmanti preziosissimi dal costo di tremila euro la boccetta?-

Tom ridacchiò ma poi tornò in fretta serio, e mi disse, sussurrando:-Se è un problema di soldi posso pagare io...-

Divenni immediatamente furente di rabbia, scostandomi un poco da lui.

-Non ho mica bisogno di soldi, sai?- sibilai.

Lui arrossì, capendo immediatamente di aver sbagliato.

-Scusa scusa...davvero, è che di problemi come questi se ne occupa mio zio e...-

-No, grazie.-

Trattenni parole che mi avrebbero fatto passare sicuramente dalla parte del torto e forzai un sorriso.

Sentii la mia coscia destra cominciare a vibrare e presi immediatamente il cellulare, ancora prima che la suoneria partisse.

-Pronto?- feci, ansiosa.

-Pronto, sono Cri.-

Mi sentii male. Lanciai un'occhiata a Tom e mi alzai.

-Cosa vuoi?-

-Nulla di concreto. Solo... mi mancavi.-

Risi.

-Sai, non sembrava proprio! Con le tue amichette non avete fatto altro che prendermi in giro!-

-Sì, appunto!-

-Appunto che? Così cercavi di riconquistare la mia fiducia così??-

-No. Ma è conosciuto: chi prende in giro è invidioso. Io avevo bisogno di te e cercavo di dimenticarti odiandoti. Ma non ci sono mai riuscita.-

Sentii Tom sbuffare ed immaginai cosa pensava.

Mi avvicinai alla finestra e scostai una tenda, illuminando la sala.

-Oh... e cosq ti spinge a questa inusuale confessione?-

-Vera, è morto mio padre.-

Rimasi senza parole, interdetta.

Guardai con orrore Tom e lui ricambiò con occhi a forma di punto di domanda.

-Ommioddio, Cri...mi dispiace un sacco!! Ma quando è successo??-

La mia voce era alterata, incredula.

-Pochi giorni fa. Ha avuto un attacco di cuore.-

La sua voce, invece, era piatta ed impassibile.

Solo allora ricordai che da qualche giorno, effettivamente, la mia ex-amica era assente da scuola.

-E...e tu ora dove sei??-

-A casa. Mamma piange da quando è morto senza fermarsi.-

Mi si strinse il cuore pensando a quella donna che avevo odiato tanto e immaginandola sul letto in lacrime.

-È orribile!! Davvero, Cri, mi dispiace un sacco!!!-

-Non dirlo a me. Non ho ancora avuto la forza di piangere.-

-Beh, non è obbligatorio...-

-No, invece. Tutti i parenti mi guarderanno male al funerale. Oh! Non ci voleva proprio che papà...-

-Tranquilla, io ci sono. Vuoi che venga a casa tua?-

Thomas si era alzato e mi guardava male, avendo capito che parlavo con Cri.

Stranamente, mi dissi, tutti odiavano Cri: i miei genitori, mio fratello Jonathan* che le poche volte che sentivo dal college mi chiedeva con ironia come stava la mia amichetta, e persino Tom, l'angelico e buono Thomas era capace di odiarla.

-Sì...se potessi mi faresti un gran piacere, davvero.-rispose Cri.

-Ok, sarò lì fra un secondo.-

-Ciao.-

-Ciao, a subito.-

Riattaccai.

-Cosa voleva la peste?- chiese Tom, ironicamente.

Lo fulminai con lo sguardo.

-È morto suo padre, Tom.-

Lui mi guardò improvvisamente mortificato e serio.

Com'era facile far cambiare espressione sul viso delle persone, mi dissi, aspettando una sua reazione.

-È per questo che vai da lei?-

Annuii.

-E se non fosse vero? E se lo dicesse solo per riaverti nelle sue grinfie?- azzardò lui.

Una seconda volta la mia ira lo incenerì da capo a piedi e lui arrossì all'istante.

-NO!!...se io andassi tu non mi aspetteresti qui né verresti con me?- chiesi poi, riaddolcendomi come se nulla fosse accaduto.

-Di andare a casa di Cri non ci penso neanche...ma se vuoi posso tornare da te per cena. Matteò si starà preoccupando...- rispose.

Annuii, sollevata di aver trovato una soluzione.

-Ok, allora io vado a prepararmi. Tu prendi le tue cose...usciamo di qui assieme?-

-Certo.-

-Ok. Vado in bagno...-


Presto sarei arrivata da Cri e non sapevo proprio come comportarmi.

Mi ero vestita di nero e avevo tolto la matita che avevo messo, e mi preparavo a sorbirmi i suoi monologhi che forse sarei riuscita ad ascoltare.

Avevo salutato Tom con un bacio a fior di labbra e gli avevo chiesto di farmi uno squillo non appena avrebbe raggiunto le vicinanze del mio palazzo.

Scesi dall'autobus che avevo preso e corsi al portone della casa di Cri, temendo di essere arrivata in ritardo.

Suonai il citofono e dopo pochi minuti il portone si aprì. Salii con l'ascensore e trovai la porta d'ingresso spalancata.

Entrai e vidi la madre di Cri come non l'avevo mai vista: gli occhi rossi e gonfi, i capelli arruffati e fra le mani chili di fazzoletti bgnati.

-Oh, Vera!, Grazie al Cielo tu ci sei ancora!!- esclamò con voce rauca, e mi corse in contro abbracciandomi.

Rabbrividii e sorrisi, comprensiva.

Ciò che mi aspettava non era certo nulla di allegro.

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NOTE:

*Jonathan è il fratello maggiore citato nel secondo capitolo, dove ho da poco aggiunto che per tre mesi si era trasferito in America in un College.


RINGRAZIAMENTI:

Grazie mille alle quattro recensitriciiii!!!!!!!!!!!


E ringrazio anche i/le otto che hanno salvato la mia storia fra le preferite e anche fra le seguite!!!



Fatemi sapere le vostre opinioni su questa storia. I consigli sono sempre ben accetti!

Al prossimo capitolo, per chi ci sarà =)

Arrivederci!!

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Capitolo 12
*** CAPITOLO DECIMO ***



ECCO DOV'ERAVAMO RIMASTI LA SCORSA VOLTA:


Presto sarei arrivata da Cri e non sapevo proprio come comportarmi.

Mi ero vestita di nero e avevo tolto la matita che avevo messo, e mi preparavo a sorbirmi i suoi monologhi che forse sarei riuscita ad ascoltare.

Avevo salutato Tom con un bacio a fior di labbra e gli avevo chiesto di farmi uno squillo non appena avrebbe raggiunto le vicinanze del mio palazzo.

Scesi dall'autobus che avevo preso e corsi al portone della casa di Cri, temendo di essere arrivata in ritardo.

Suonai il citofono e dopo pochi minuti il portone si aprì. Salii con l'ascensore e trovai la porta d'ingresso spalancata.

Entrai e vidi la madre di Cri come non l'avevo mai vista: gli occhi rossi e gonfi, i capelli arruffati e fra le mani chili di fazzoletti bgnati.

-Oh, Vera!, Grazie al Cielo tu ci sei ancora!!- esclamò con voce rauca, e mi corse in contro abbracciandomi.

Rabbrividii e sorrisi, comprensiva.

Ciò che mi aspettava non era certo nulla di allegro.


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CAPITOLO DECIMO


Cri era sdraiata sul suo letto, il volto sprofondato nel cuscino bianco e le braccia che stringevano con foga le coperte sotto di lei.

Mi schiarii la voce per annunciarle la mia presenza, ma lei non si mosse.

-Ehi, Cri, sono io!- dissi, cercando di suonare allegra ed emozionata, quando tutto ciò che provavo era rancore e tristezza.

-Vera...-farfugliò lei, voltandosi per vedermi in faccia.

Si tirò su a sedere e cercò addirittura di sorridermi, sebbene non le riuscisse molto bene.

I capelli erano un vero e proprio disastro, e sotto gli occhi aveva due occhiaie infinite, ma per il resto sembrava quasi normale.

-Dovresti cercare di essere un po' allegra, comunque...-dissi, senza pensare, poi aggiunsi subito:-Certo, capisco la tua sofferenza, ma prima ti rimetti meglio è, non è che se non sei triste non va bene o offendi qualcuno, anzi!, Io ti capirei benissimo se cercassi di superare subito questa fase, e ti assicuro che non sembreresti una senza cuore.-

Lei si alzò e, strascicando i piedi mi raggiunse.

-Oh, amica mia, non sai quanto mi sei mancata!- disse , sorprendendomi con un abbraccio.

Ricambiai, e poi l guardai bene negli occhi, cercando di capire se il discorsetto che le avevo appena fatto aveva un po' influito su di lei.

Accorgendosene, mi sorrise, e disse:- Forse per te non sembrerei una senza cuore a cercare di rimettermi in sesto un pochetto, ma per tutti gli altri, a partire da mia mamma e me stessa sì.-

Sospirai, non sapendo cosa risponderle, poi, mi venne un'idea:-Ehi, secondo me dovresti discuterne con uno psicologo! Nel senso, questo è il tipico caso che ne richiede uno, e io, sebbene tua amica, non so proprio aiutarti in queste cose, non avendole vissute, no?-

Il volto di Cri si fece scuro e triste (NdA più triste di quanto fosse già prima).

-Intendi dire che non ti va di aiutarmi? Non ti va che ti parli? Preferisci mandarmi da uno strizzacervelli??-

Un sorrisetto affiorò sulle mia labbra sentendole dare lo stesso appellativo che davo sempre io agli psicologi e mi affrettai a rincuorarla immediatamente, :-Ma certo che no, cosa vai dicendo! Era solo per aiutarti un po'...sai anche Tom me l'aveva consigliato quando gli avevo detto dei...vabbhè, niente, e quindi m'è venuto in mente...-

-Dei cosa? Cosa c'entra Tom? Gli è successo qualcosa??- m'interruppe, allarmata.

-No!!- esclamai, fin troppo forte, -no, è solo che gli ho parlato del fatto che...ecco, delle volte ho degli incubi, sai...-

Cri mi lanciò un'occhiata stupefatta.

-Si, -proseguii, -vedo sempre lo stesso mostro...non so perchè...e poi è così orribile e... non so come dirtelo, ma in qualche modo mi ricorda sempre Tom... è, è come la versione cattiva e brutta (brutiiiiiissima) di Tom, non so come dirtelo, e quando mi sento sola o triste o...arrabbiata, mi si ripresenta davanti.-

La mia amica assunse uno sguardo preoccupato e solo allora mi accorsi che mentre parlavo avevo cominciato a tremare terribilmente.

-toh, che strano, non avevo mai sentito di nulla del genere, sai?- mi disse lei.

Annuii, pensosa, poi cercai di sorriderle e dissi, cercando di farla sembrare una cosa divertente:-Bè, ognuno ha i propri drammi, no?-

***

Salutai calorosamente Cri con la promessa di una seconda visita di lì a poco, ed uscii dalla casa piena di tristezza, distratta da pensieri profondi scendendo le scale e poi aspettando il bus.

Mi sedetti alla fermata e mi rilassai: fuori una leggera brezza tiepida accompagnava la mia mente, che come spesso mi accadeva aveva cominciato a filosofare senza sosta, portandomi a teorie impossibili quanto affascinanti, e l'unico rumore che ogni tanto mi distraeva era quello del rombo di un'auto che mi sfrecciava davanti al naso o il cigolio di una vecchia bici.

Osservavo la città e fantasticavo, quando una voce conosciuta mi fece sussultare.

-Ma che magnifica coincidenza!! Vera, che ci fai qui di bello?-

Alzai lo sguardo per incontrare quello entusiasta di Max, sorridente ed allegro come una pasqua.

-Ohi, -mormorai, -questa non ci voleva davvero...-

Lui ignorò il mio commento e si sedette vicino a me.

-Io abito da queste parti, sai?- mi disse.

Annuii, sorridendogli timidamente.

Poi vedendo che mi lanciava occhiate maliziose, mi decisi a parlargli sinceramente, una volta per tutte.

-Max, ascolta, ho capito che sei interessato a me, ma io non ricambio questo tuo...uh, sentimento. E poi come sai sono impegnata.-

Il biondino rimase perplesso per qualche secondo, poi, ilare come sempre, mi rammentò:-Già, ma lui ti aveva tradito, no?-

Scossi la testa, paziente, -No, Max, lui era solo con sua cugina...io avevo solo capito male.-

Il ragazzo fece una faccia delusa che mi fece quasi tenerezza: aveva i capelli chiari scompligliati sul capo, e gli occhi azzurri brillavano, esaltandone l'unicità.

Imbarazzata, distolsi lo sguardo, e lui se ne accorse, sorridendomi e continuando a fissarmi.

-Non è vero che non ricambi...ho capito che tipo sei, Vera, sei una che ha paura di rovinare tutto, che cerca sempre di fare la cosa giusta, di non tradire il ragazzo perchè non si fa, ma se solo questo tuo fidanzatino non ci fosse, oh, ti assicuro Vera che staresti benissimo con me!: io, a differenza di quello là non ho cugine così, uh, ambigue, e non ti farei mai soffrire così, né ti rapirei una notte portandoti ubriaca a dormire in una casa sconosciuta!- Max si avvicinò e mi prese una mano, -Vera, ti prego di scegliere me, perchè in questi giorni ho capito, conoscendoti, di provare qualcosa di reale, serio ed intenso per te!-.

Il ragazzo terminò quest'ultima frase e condusse la mia mano sul suo petto, sopra al suo cuore, come per dimostrarmi che ciò che diceva era vero e certificato.

Non potei fare a meno di sorridergli, ma poi ritrassi la mano e mi feci seria, decisa a non dar legna al fuoco ardente della sua speranza. Così presi una boccata d'aria e dissi, mantenendo un tono distaccato :-Ti credo, Max, ma... ecco, vedi, Tom per me non è un “fidanzatino”: sono impegnata in una relazione ben più complicata di quanto tu creda, e sono molto legata al mio ragazzo. Mi dispiace davvero, ma devi assolutamente bruciare tutto l'amore che mi hai confessato, devi dimenticarmi e superarmi, intesi? Noi due non possiamo stare insieme, io non posso e non voglio. Mi fa male vederti soffrire, ma questa è la realtà e lo devi capire, prima che sia troppo tardi.-.

Max mi lanciò un'occhiata piena d'odio, ferito profondamente, e si alzò, osservando con finto interesse l'ambiente circostante.

In quel momento tutto era immobile: non un'auto rombava, non un gatto miagolava e persino i piccioni che tanto detestavo sembravano spariti, lasciando spazio ad un silenzio fermo e carico d'attesa.

Mi alzai e cercai lo sguardo sconfortato di Max, come per assicurarmi di non avergli fatto troppo male.

-Va bene.- mormorò lui, senza quasi muovere le labbra. Sembrava rassegnato, e quando un soffio di vento mi fece scivolare una ciocca scura davanti agli occhi lui me la sistemò con dita tremanti. -Ma,- proseguì, -ti chiedo un piccolo, innocente bacio.-

Cominciai a scuotere la testa ma lui mi fermò, dicendo :-Su, lo so benissimo che non ti darebbe fastidio, è inutile che fingi. Un bacio è ciò che ti chiedo per dimenticarti!-

Mi venne da ridere: di certo non l'avrebbe aiutato!, che cosa sciocca da chiedere!

Poi però vidi le occhiate supplicanti che mi lanciava, sentii le sue braccia attorno a me, le sue calde, grandi braccia, e vidi avvicinarsi il suo volto fine, i bei lineamenti e le sue labbra accoglienti ed umide...

In un attimo tutto accadde, e mi ritrovai avvinghiata al ragazzo che respingevo, baciandolo con passione e lasciandogli scoprire i segreti di una ragazza, inebriata dal suo amore, riscaldata dal suo calore.

Ecco, l'ho fatto, pensai, ho mandato tutto all'aria!


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Allora??

Ebbene sì, Vera con Max!, non l'avreste mai detto, eh? Ma per me quel ragazzo ha del fascino, sì sì, o come si farebbe a tradire il più magnifico dei fidanzati, Tom???

MA la storia continua!!

Volete sapere come?

Eeeeeh, per sapere come andrà avanti bisognerà aspettare il prossimo capitolo, che vi prometto non tarderò a postare!!


Grazie a chi segue ancora questa ff, e soprattutto chi me lo fa sapere recensendo=))



Al prossimo capitolo, allora, dove ne succederanno delle belle!

OLGA

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